Thursday, July 4, 2024

Grice e Bondonio

 /*l^ - 



^?^t>4 


Dott. VI^CE^ZO BO^DO^IIO 


m 


tw 

ro3''2o-!S6i> 


SULL ’\mm BEL UHI 


STUDIO STORICO-CRITICO 



Tipografia Editrice G. Brignolo 

««•ST** 


& 


& 
















PROPRIETÀ LETTERARIA 








AI, MIO INSIGNE MAESTRO 

ANGELO VALDARNINI 

PROFESSORE DI FILOSOFIA TEORETICA 
E DI STORIA DELLA PEDAGOGIA 
NELLA UNIVERSITÀ DI BOLOGNA 
QUESTO PRIMO E MODESTO SAGGIO 
DE’ MIEI STUDI FILOSOFICI 
DEDICO 

IN SEGNO DI VERO AFFETTO 
E DI PROFONDA GRATITUDINE 
















SULL’ IMPORTANZA DEL RAZIOCINIO 

STUDIO STORICO-CRITICO 


Che un uomo sappia più (l’un altro 
nasce quasi unicamente (la questo, che 
«no deduca più conseguenze dell’ago 
dagli stessi principi ■> 

Eosmiki. 


IHTRODUZIOHE. 

Aristotele nei Primi Analitici diede del Sillogismo 
una definizione che si può applicare cosi al ragio¬ 
namento deduttivo come all’induttivo, quantunque per 
solito lo contrapponesse all’Epagoge, vera e propria 
Induzione. Nel Medio Evo e nei tempi moderni, presso 
i filosofi inglesi, prevalse il criterio eh 

come espressione esclusiva della ecuzi «he è auel 

però considerata la natura del Raziocinio, che è quel 
procedimento della mente con cui essa per' iene a co- 
noscere e ad affermare la convenienza ° «a npugnK» 
di due idee mediante una terza idea, 1 * ° , 

forma (ondamentale di ogni argom^o^S^» 
poi la sua struttura, esso è la forma ttp» 4MgJ 
argomentazione deduttiva. Sotto questo duplice aspetto 
















— 6 — 

ci proponiamo di studiare il Sillogismo; mettendone in 
rilievo il vero valore, e combattendo le obiezioni mos- 
segli da alcuni scienziati e filosofi. Esporremo prima 
brevemente le dottrine espresse dai Logici di ogni età 
intorno aU’importanza del Raziocinio, senza addentrarci 
in minute discussioni, accontentandoci di esporre come 
la teoria sillogistica siasi costituita, quale importanza 
le abbiano attribuito i filosofi posteriori ad Aristotele, 
in che modo infine alcuni di essi si siano ribellati alla 
dottrina dello Stagirita, ed altri nell’età moderna ab¬ 
biano preteso di rifare e migliorare l’opera del più 
grande pensatore della Grecia. Esamineremo e com¬ 
batteremo poscia le obiezioni mosse contro il Raziocinio, 
per venire quindi a stabilirne la reale importanza come 
mezzo efficace all’acquisto di nuove conoscenze; pregio 
che non gli può disconoscere se non colui il quale 
nega le idee universali ed ogni inferenza da esse. 


CAPITOLO I. 

Il Raziocinio in Aristotele. 

Il Raziocinio ha avuto precedenti? Ecco la domanda 
che prima si affaccia alla mente di colui che voglia 
studiarne un po’ addentro la storia. E il pensiero corre 
spontaneo a coloro i quali per primi parvero seguire 
certe norme nei loro ragionamenti, cioè ai Sofisti. Ma 
ben tosto Aristotele colla sua opera Hspì <70<ptcri/.wv 
èléy/w e Platone con l ’Eulidemo ci dichiarano 
che l’arte raziocinativa dei Sofisti consisteva soprattutto 
nel sapersi servire di giuochi di parole, nell’approfit- 
tare degli equivoci e delle incertezze del linguaggio. 






— 7 — 

Gorgia aveva formato la sua dottrina con queste 
tre proposizioni: Non v’è nulla; se qualche cosa fosse 
non sarebbe conoscibile; se fosse conoscibile non si 
potrebbe comunicare ad altri. Egli esagerava il concetto 
di Parmenide, che la natura è il non essere, esclu¬ 
dendo persino il pensiero, il quale era un raddoppia¬ 
mento dell’essere: escludeva poi l'espressione del pen¬ 
siero, perchè l’espressione è diversa dalla cosa espressa. 

I Sofisti negavano quindi le idee generali ed ogni 
possibilità di giudizio, non potevano perciò ammettere 
il passaggio da un’idea all’altra per mezzo di una terza, 
nè la connessione di proposizioni che si implicano. 
Solo oggetto di conoscenza era per essi il fenomeno 
che passa ; e tale cognizione consisteva nel rapporto 
dell’obbietto allo spirito individuale che lo conosce. 
Se dunque la ricerca della verità è un illusione fallace, 
non si ragiona, nè si confuta, nè si argomenta. La 
dialettica si riduce al metodo di una Eristica atta a 
dimostrare l’abilità di chi discorre. « OO -i/yv 
xx à-b tvì; Ti/vvi; oVovrs; », per dirla con Aristotele 

(1) , i Sofisti credevano di istruire. « La maniera di ben 
parlare introdotta dai Sofisti, come avvertiva il Monti 

(2) , altro non era in sostanza che un artificioso tessuto 

di antitesi e di metafore che incessantemente brillando 

in tutte le parti dell’orazione rapivano gli ignorami, 
nel mentre che nauseavano gli uomini di buon gusto. * 
Alquanto diversa dalla Sofistica fu l’Eristica, la quale 
non si valeva solo di giuochi di parole, ma 81 PP 
neva di combattere per combattere senza voler provare 
alcuna affermazione, e di contrae ire o 0 ni 


m Arist. - Soph. Elench., cap. . 

(2) Monti - Prose c poesie, Voi. IV, P»S- ’• 








— 8 — 

sola realtà vera per l’Eristica erano concetti immateiiali, 
senza rapporto fra loro, nè con gli individui. Onde se 
non si poteva dir nulla di nulla, gli argomenti capziosi 
erano destinati a mostrare questa impossibilità di unire 
le idee fra loro. Anche intorno all’Eristica sono per 
noi fonti d’insegnamento gli Elenchi sofistici ed i 
Topici di Aristotele, nonché l ’Eutidemo di Pla¬ 
tone. Ma, ci si potrà dire, tutto questo fu un vano 
armeggio che precedette il vero e proprio Raziocinio, e 
nulla ha che vedere con esso. Sta bene; ma se vogliamo 
poi renderci ragione di quella grande riforma che si 
compendia nei nomi di Socrate, Platone, Aristotele, e 
per la quale lo spirito fu rimesso nei suoi diritti, 
dobbiamo prima studiare qual conto avessero fatto 
della mente umana sia i Sofisti, sia i maestri del¬ 
l’Eristica. Gli argomenti sofistici provocarono la gran¬ 
diosa teoria delle idee; dall'esistenza e dalla natura 
delle idee generali doveva poi dipendere tutta la Logica. 
Socrate non è ancora un logico che faccia la teoria 
del suo ragionamento: egli oppone ai Sofisti il suo 
esempio costante. 

Il sapere è riposto nel conoscere i concetti delle 
cose, i quali si formano con l’aiuto dell’Induzione; con 
essi si possono comporre giudizi e ricavare conseguenze: 
in tal modo Socrate comprende il particolare ed il 
generale nei loro rapporti, e dice che una volta' ben 
definiti i concetti, è possibile la dimostrazione. Al dom- 
matismo dei filosofi fisici e allo scetticismo dei Sofisti 
egli contrappone la Dialettica, o la filosofia dei concetti, 
il cui metodo si riassume nel l’indurre e definire. Un 
esempio bellissimo del modo di ragionare di Socrate 
ci riferisce Senofonte nei Memorabili , là ove intro¬ 
duce il grande filosofo a discorrere con Lamprocle, 





— Si¬ 
che era adirato contro la madre sua. In quel dialogo 
Socrate comincia dal definire che cosa sia l’uomo in¬ 
grato, per derivare poi dalla definizione una serie di 
conseguenze fino a dimostrare che Lamprocle è stato 
ingiusto ed ingrato verso la madre ^1). Questo è un 
solo esempio: ne potremmo citare altri dai quali ap¬ 
parisce che il grande filosofo procedeva nei suoi ra¬ 
gionamenti non solo induttivamente, ma anche e spesso 
deduttivamente. Egli del resto ha, secondo Aristotele 
<2), il merito di non aver mai separato il generale 
dall’individuale, di non aver mai pensato a dare alle 
idee universali un'esistenza indipendente. In lui lo 
Stagirita riconosceva e ammirava due cose : l'arte del¬ 
l’Induzione e quella delle Definizioni. Certo bisogna 
ammettere che con Socrate la Dialettica prese un an¬ 
damento saggio e razionale, benché non ricevesse da 

lui determinate norme e leggi fisse. 

Più oltre di Socrate va senza dubbio Platone: il punto 
fondamentale della sua dottrina è I Idea, ciò che \i ha 
di costante nel l’avvicendarsi dei fenomeni. Egli ci da 
pure per primo una teoria della relazione delle idee 
fra loro, nella quale consiste propriamente il processo 
del metodo dialettico. Con la Definizione, dice Platone, 
la moltiplicità si raccoglie sotto l’unità; ma non basta, 
chè con la Divisione l'unità si scinde nella moltiplicità. 
La Divisione, secondo il suo concetto, c'insegna se h 

concetti sono identici o 

il genere con la specie, ci fa s 

al particolare. Ecco come questa teona c. porte alle 

dottrine degli Analitici pn»n e post&ioìi. 


(1) Senofonte - I detti memorabili di Socrate, Lib. H, cap. 

(2) Arist. — Metafisica, XII, I- 























— 10 — 

del pari provato che se fu sommo vanto di Aristotele 
l’aver risolto il problema del ragionamento deduttivo, 
non bisogna disconoscere che esso era già stato posto 
prima di lui. 

L’estensione delle conoscenze è limitata alla cogni¬ 
zione di un nuovo rapporto fra i concetti; e l’esigenze 
del conoscere sono due: 1° il sapere umano comprenda 
il maggior numero di conoscenze; 2° queste siano 
connesse nei loro rapporti e nelle loro dipendenze, 
sistemate nelle parti e nel tutto. Aristotele comprese 
tutto ciò e negli Analitici posteriori (1) indicò i punti 
di partenza della ricerca e del sapere « MacvOavousv, 
pgli disse, 'il É-ayor'yi r, ’i'j-i o~ -ri p.sv 

).- ctò«v.; iy- t&v xa&ólou, r, 8’ È~z‘(or{ì] è/, rwv xarsc 
pipo;. » E meglio negli Analitici primi aveva già 
scritto che « airavva T«ffT£Ó 0 f«v r, or). ffu),>.oywuoC vi è?, 
È7ray©y?i; (2). » Si può muovere dal principio e dalla 
legge al fatto, o dal fatto alla legge ed al principio; 
nel primo caso si ha il Sillogismo vero e proprio o 
Deduzione; nel secondo l'Induzione: processi opposti 
fra loro, sebbene, dice Aristotele, l’Induzione si possa 
formulare in Sillogismi che sono perciò la forma ele¬ 
mentare del ragionamento. Ma in che cosa differisco 
il Sillogismo aristotelico dalla Divisione platonica? È 
questo un punto da chiarire prima di procedere alla 
esposizione della dottrina dello Stagirita. 

Dopo aver esposto il suo metodo di dimostrazione, 
Aristotele dice che la Divisione per generi è « puy.póv 
3* f trf P £0v . ewévvj; pcQtóou (3) » cioè del metodo 
al Apistico, e serve a scoprire le relazioni delle essenze 

(1) Arist. — Anal. Post.' I. 1S. 

(2) Arist, — Anal. Pr., II. 03 ’ 

(3) Arist. - Anal. Post., I.~30 







— 11 


fra loro. La divisione ha due gravi difetti: 1° di supporre- 
in luogo di dimostrare, e di cercare arbitrariamente una 
delle due alternative della divisione stessa; 2° di,pren¬ 
dere per medio il termine più generale. Essa è quindi 
un Sillogismo impotente, che fa non una dimostrazione 
ma un’ipotesi, e conclude sempre un termine più esteso- 
di quello che si tratta di concludere (1). Nelle dimo¬ 
strazioni regolari si scende dal termine maggiore al 
medio, meno esteso; nella Divisione al contrario si 
prende sempre l’universale per termine medio. Per- 
citare un esempio: se si deve provare che l’uomo è 
mortale, la Divisione platonica stabilisce prima che 
ogni animale è mortale o immortale: aggiunge poi 
che l'uomo è animale e conclude: che « l'uomo è 
mortale o immortale » il che non è punto ciò che si 
voleva provare. La Divisione ci dice solo in questo caso 
che l’uomo « è mortale o immortale »; che sia mortale 
è solo un’ipotesi, non già una conclusione dimostrata;, 
oltre di ciò « mortale o immortale » è più esteso di 
« mortale » solo. L’errore che falsa il metodo della 
Divisione è la scelta del termine medio, il quale non 
può essere se non una specie del termine maggiore o- 
un attributo della conclusione: onde la divisione del 
genere in specie, non essendo che una parte del me¬ 
todo sillogistico, richiede un compimento. 


* Vi è una divisione della specie in generi, ed una 
divisione del genere nella specie, e queste due divisioni- 



(1) Arist. - Anal. Post., IT. 5 e segg. - Ami Post., 


Aliai. Pr. I. 31. 

(2) Arist. — Anal. Pi’., I, 1- 










frr? 

ijjr 

,p m 

sw 

A r r?r p 


— 12 — 

poste alcune cose, da esse deriva qualcosa di diverso da 
■ciò che esse sono. Il Sillogismo consta perciò di tre 
termini; il medio e due estremi, uno maggiore e l’altro 
minore; o, se vogliamo, d ue premesse col legate tra loro 
in modo da avere in comune il termine medio, e da 
farne seguire per necessità una terza proposizione che 
vi era inclusa. Il termine medio poi non ha sempre 
la stessa relazione verso gli estremi : perocché o esso 
è contenuto nel maggiore e comprende il minore 
(1* figura); o comprende sotto di sè il maggiore e il 
minore (2* figura); o infine è compreso sotto il mag¬ 
giore e il minore (3“ figura). Onde la 1* figura sol¬ 
tanto è perfetta e vale tanto per le conclusioni affer¬ 
mative quanto per le negative; la seconda e la terza 
per lo contrario sono imperfette, perchè quella conclude 
solo negativamente, questa solo particolarmente. IJ_ 
congegno del Sillogismo è dunque riposto nel nesso 
triHe premesse "e ciò che ne segue, e nella necessità 
ai tale lega me. Ma poiché vi sarebbe connessione 
anche se le premesse fossero false, purché la conclu¬ 
sione nascesse necessariamente da quelle, così distinse 
il Sillogismo dalla Dimostrazione o Apodissi, che ri¬ 
chiede la verità delle proposizioni sulle quali si fonda. 
II vero e proprio Sillogismo è lo scientifico e dimo¬ 
strativo, che deduce la conclusione da cause vere e 

proprie, e, per valerci delle sue parole, « TsXsiov w.èv oùv 
[xaXw] 



t I- r'i' nix. 7730 Tac 7 JCOV. 

bsso è la forma per eccellenza del ragionamento, 


(1) Arist. — Anal. Pcst., II, 2. 












— 13 — 

il più perfetto istrumento per la scoperta e l’esposi¬ 
zione della verità, perchè risponde alle condizioni del¬ 
l'esistenza reale, esprime il procedimento della natura, 
che va dal genere alla specie. La forma del ragiona¬ 
mento ha la sua ragione nel contenuto suo; il Sillo¬ 
gismo risponde alla natura dell’essere. Il Sillogismo è 
l’unione di due termini per mezzo di un terzo; si cerca 
se un tal predicato conviene o no ad un soggetto. Per 
risolvere la questione, si va in traccia di un termine 
medio e lo si paragona successivamente con ambo i 
termini, e secondo i rapporti di convenienza o scon¬ 
venienza che presenta.con essi, si conclude alla'con¬ 
venienza o sconvenienza dei due termini estremi. Onde 
il Sillogismo dimostra sempre alcunché di una cosa, 
« ó >J.h -z: 7uUoy-.7y.ò; rò zztz rivo; Ss’utvufft Az rovi 
pW'j (1) ». Ogni dimostrazione è pertanto un «truUoyt- 
C \jM s-« 7 T 7 ip.ovaó; (2) » e col semplice Sillogismo è in 
questa relazione : « ‘h p-sv yà? wnoywua; rt;, 

ó criAT.oys'jp.ò; àz où r.y.'jy. x-ooì'.C'-S (o). » 

Non occorrendo qui di fare una minuta esposizione 
della dottrina logica di Aristotele, sorvoliamo su tutto 

ciò che si riferisce alla costruzione del Sillogismo alle 

sue figure, a’ suoi modi, alla maniera di ridurlo a 
suoi elementi ed alle sue forme rigorose (4). noi 
basta di studiare quei punti della dottrina dello Sta¬ 
ggita, dai quali apparisce qual conto egli facesse de 


(1) Arist. — Anni. Post., II, 6. 

(2) Arist. — Anal. Post, I, 2. 

(!) Cfr. S l’espo!iz!Òne > fattar!o da B. 
du ?T den a ^^ t . = ^ « ElemeBta 
Logict l 2 Ari‘stoteleae »'e specialmente i pavagr. 20-21 e 33-36. 










X 


— 14 


! o iaJL 




Raziocinio ; e ci fermiamo innanzi lutto sui capitoli 
nei quali parla della ricerca del termine medio (1). 
Ciò che Aristotele dice in essi ci dimostra che egli 
riguardava il Raziocinio non solo come un semplice modo 
di esposizione formale, ma anche come un istrumento 
di scoperta. Altrove, nei Topici (2), confrontando l’in¬ 
duzione colla deduzione aveva detto: « .Vrt Ss yj 
:piv è-3ty<ùy'r, riGavcótìsov /.al caoscTspov, stai /.ara -rr.v 
al7$i«v yvupiy.w-spov /.al roì; ttoXXo?; y.osvov, ó Ss < 7 uA).oyt- 
•<7uò; (iiaT7'./.u-cpo; /.al ttoò? toò; àvrtXoyr/.où; svsoys'cTsoov. » 
Negli Analitici, fermandosi a parlare della ri¬ 
cerca del termine medio, il « maestro di color che 
sanno » ragiona press’ a poco in questo modo: nella 
ÌmÌitWiio natura esistono cose le quali sono sempre e solamente 
soggetto, senza poter essere mai attributo; altre sono 
-attributo, senza poter essere mai soggetto; altre infine 
possono essere e 1 uno e l'altro. Le prime sono gli 
individui, cioè le cose che cadono sotto i nostri sensi, 
le seconde i generi, le terze le specie. L’individuo non 
.può essere che soggetto, perchè la sua estensione si 
riduce in se stesso; il genere contiene i termini infe- 
nori, e non è contenuto da alcuno, perchè più estesu; 
in ne a specie contiene gli individui ed è contenuta 
on ^ e ^ termine medio tra il genere e 
-” 1 1V / U0 : Su esso dunque conviene portare le 
cerche e le discussioni della Dialettica; dati due termini, 
0 na consi erare gli antecedenti ed i conseguenti 

rannn P ! J ° nantl * ^* 1 - Un ° 6 all a,tro: S 1 * antecedenti sa- 
•ouindi ,S SSett1 ’ ! conse S uenti gli attributi. Bisogna 
inguer bene i conseguenti e gli antecedenti 

JS AHst ' ~ AnaK Post -’ IJ > 5 6 15. 

■ > Arist. — Topici I, 10. 








— 15 — 

essenziali dagli accidentali, i veri dai probabili ; pren¬ 
derli universali, perchè non v’ha Sillogismo senza 
universali; l’universalità poi dovrà essere nel soggetto, 
non nell’attributo. Questa ricerca non è semplice analisi 
di linguaggio; e per Aristotele il termine medio non 
importa per sè, ma per ciò che rappresenta. I veri 
termini del Sillogismo aristotelico non sono, come 
avverte un illustre critico, « nè le proposizioni, nè i 
termini, ma i fatti e le leggi, o meglio, le idee che 
realizzano negli individui i progressi della natura in 
moto verso Dio (1) ». Aristotele conclude i suoi precetti 
sulla ricerca del termine medio con queste parole: 
« -y.~ u.i'i ò.r/y.’ tz; -spi è/AKSiplzi is-tl jt xpxàoijvxi; » 
i principi di ogni scienza non ci possono essere 
dati che dall’esperienza, ma una volta conosciuti la 
dimostrazione sillogistica s’incarica di mostrarne i 
rapporti. Negli Analitici Primi Aristotele analizza 
il Sillogismo in sè, negli Analitici Posteriori ne 
mostra l’applicazione alla scienza-e studia in qual modo 
lo spirito arriva a conoscere qualche cosa cou cer¬ 
tezza. Il primo principio che pone lo Stagirita e che 
serve di fondamento all’intiera sua teoria è che ogni 
apprendimento intellettuale proviene da una conoscenza 
anteriore; ce ne possiamo convincere con l’esame dei 
metodi che seguono le varie scienze. La Logica procede 
per Sillogismo e per Induzione, l'uno partente da 
principi universali, accordati, l’altra dal particolare 
evidente di per se stesso (2). E come 1 Induzione è 
quella forma di ragionamento per la quale dall esame 


(1) Janet e Séailles — Histoire de la pHlosophie. 

(2) Arist. — Anal. Post., I Cfr. anche Saint-Hilaire, « De la 
logique d’Aristote » Voi. I, pag- 277 e segg. 












— 16 — 

o confronto di più casi osservati si sale ad un prin¬ 
cipio generale, che comprende non i soli casi osservati 
ma anche altri i quali hanno con quelli somiglianze 
e comunanza, così la Deduzione è qualunque forma di 
ragionamento riducibile a quello schema da lui chia¬ 
mato Sillogismo. Sapere una cosa in modo vero e 
stabile, non accidentale e sofistico, è conoscere la 
causa di questa cosa, che la fa essere tale quale è 
senza che possa essere altrimenti: l’unico mezzo di 
sapere così le cose è il «zuXXoywy.ò; èmcrryipovarf;. E però 
la Dimostrazione deve di necessità partire da principi più 
cogniti che non sia la conclusione; devono essere veri, 
primitivi, immediati, anteriori alla conclusione e da 
essi come da causa quella deve dipendere (1). Posto 
quindi che la scienza dimostrativa deve discendere da 
principi necessari e che le cose in sè sono quelle ' 
essenzialmente necessarie, ne segue che il Sillogismo 
dimostrativo deve derivare da cose in sè (2). 

Alla fine degli Analitici Primi Aristotele si fa a ricer¬ 
care come si formano neH’intelligenza i principi che ser¬ 
vono di base così alla Dimostrazione come al Sillogismo; 
o afferma che i concetti universali non si possono otte¬ 
nere sillogizzando, ma si acquistano con l’Induzione- 
« Il compito di fornire i principi sui quali si fonda 
la Deduzione, egli dice, spetta all’osservazione dei fatti 


particolari che costituiscono il campo di ricerca di 
ogni scienza. Così per quel che riguarda l’astronomia 
tale compito spetta alle osservazioni astronomiche ; 
perocché non si potranno fare deduzioni circa deter¬ 
minati fenomeni celesti, finché essi non siano stati 


(1) Arist. — Anal. Post., I, 2. 

(2) Arist. — Anal. Post., I, 6. 


Sì . ■ _.L . 











- 17 — 

convenientemente analizzati e compresi. Lo stesso vale 
per tutte le altre scienze ed arti, nelle quali si po¬ 
tranno presto trovare le dimostrazioni quando siano 
stati studiali a dovere i fatti cui esse si riferiscono (1) ». 
Tale dottrina egli applicò per quanto si poteva ai tempi 
suoi nei libri naturali, politici e morali. Poiché credeva 
fermamente che non v'è universale senza Induzione, 
nò Induzione senza il Senso (2), l'Induzione prepara il 
Sillogismo, la cui funzione consiste nel termine medio, 
scoperto appunto dall’Induzione (3). E perchè sommi¬ 
nistri concetti generali e sia vera l'Induzione, che è 
preceduta.dal senso, dall'osservazione e dall'esperienza, 
deve considerare tutti gli individui di una data specie 
e ricavarne i caratteri essenziali, comuni e costanti. 
L’argomentazione deduttiva poi ha il compito di ridurre 
ciò che è incerto al massimo grado di certezza; essa 
serve ad assicurare della verità di proposizioni solo 
probabili, collegandole ad altre sulle quali non si può 
sollevare alcun dubbio, allo stesso modo che nelle 
matematiche si confermano le proprie asserzioni coi 
primi principi matematici indiscutibili, di evidenza 
immediata. Questa è la dottrina dello Stagirita, con 
la quale pose e risolse una delle più grandi questioni, 
che agitò tutto il Medio Evo e formò l’oggetto della 
filosofìa dei secoli XVIII 0 e XIX 0 (4). 

Da queste poche considerazioni apparisce chiaramente 
che la Sillogistica aristotelica è ben lontana dal vuoto 


(1) Arist. — Anal. Pr„ I, 30. _ 

(2) E S. Tommaso più tardi disse: « Impossibile est speculari 

universalia absque inductione. » 

(3) Arist. — Anal. Post., I, 18 e II, 19. 

(1) Saint-Hilnire - « De la logique d’Aristote. » \ol. II. 
pag. GG. 












— 1S — 

formalismo, prevalso più tardi in coloro i quali si 
dissero seguaci del grande filosofo. Perocché egli am¬ 
mette che la dipendenza dei concetti espressa nel 
sillogismo rispecchia la dipendenza causale della realta; 
e.quantunque molto oggi occorra sfrondare dalla sua 
Sillogistica, rimane però fermo, come osserva giusta?- 
mente il Masci, il principio che ogni dimostrazione 
è dall’uiiiversale, « vi piv ò-óonc,i' ex toù xafloXoo. » 

Tutte le specie di prova prendono valore dai prin¬ 
cipi, dalle leggi, dagli assiomi, cioè da proposizioni 
aventi valore universale; e su di esse si fondano tanto 
il Sillogismo deduttivo (apodittico), quanto l’ó èq 
Ì7raY&>Yvi; du^Xo^w’po;, che Aristotele ammise esplicita¬ 
mente nei Primi Analitici (1) e che non avrebbe 
valore, se non avesse alcun fondamento il principio di 
causa. Perciò il procedimento di sussunzione è essen¬ 
ziale nel Sillogismo, e la figura che lo rappresenta è 
fondamentale. Soltanto bisogna tener presente che la 
sussunzione quantitativa non è la vera, e che sono 
legittime tutte le forme di ragionamento che ranno¬ 
dano una conseguenza ad un principio (2). 

Questa è l’importanza attribuita da Aristotele al 
Sillogismo. Altri discuta sul valore della sua logica: 
a noi basta far rilevare che egli non solo coordinò 
materiali già esistenti (3), ma in gran parte anche 
creò; onde dobbiamo riconoscergli pienamente il diritto, 
che si arroga egli stesso, di invocare « riconoscenza 
per tutte le scoperte fatte (4). » È suo vauto l’aver 
dato la teoria compiuta del Raziocinio, dettando quelle 

(1) Arist. — Anal. Pr., II, 23. 

(2) Masci — Elementi di filosofia - Logica, pag. 240. 

(d) Tennemann — Storia della Filosofia. Voi. II, pag. 176. 

(4) Arist. — Elenchi Sopii., cap. XXXIII. 









— 19 — 

regole che durano anche oggidì con la costante tra¬ 
dizione di ventitré secoli; egli conobbe per primo il 
Sillogismo ipotetico (1), e, rilevato il valore dell’Indu¬ 
zione, osservò che in fondo ogni ragionamento con¬ 
clusivo è sillogistico, e ridusse a tal forma l’Esempio, 
l’Obiezione, l’Abduzione. l'Entimema e l’Induzione 
stessa, giacché in essa l'illazione è la stessa premessa 
•maggiore del Sillogismo deduttivo, e il termine medio 
■è lo stesso soggetto dell’illazione risoluto nelle sue 
specie 

A coloro poi i quali sostengono che Aristotele ha 
latto solo della logica applicata, eccettuata la dottrina 
delle tre figure, poiché per la Dimostrazione si è 
occupato del necessario, che la logica pura non deve 
conoscere, e pel Sillogismo si è occupato della moda¬ 
lità delle proposizioni, di cui la logica pura non si 
deve interessare, non sappiamo far cosa migliore che 
ripetere le parole del Saint-Hilaire: « Ce répoche 
n’est pas jusie, et l’exemple de Kant qui n a pas exclu 
la modalité de sa logique, toute pure qu’elle est, 
devait ótre un avvertissement suffìsant. Il est vrai 
•qu’on blàme Kant tout aussi bien qu’ Aristote. Mais 
pourquoi veut - on proscrire la modalité de la Ihéorie 
du syllogisme? Parce qu’ elle fait entrer, dit-on, la 
■malière de la pensée dans un science qui ne devrait, 
s’enquerir qua des formes. Si ceci etait exact, il 
faudrait en effet que la logique s’abstint de toute 
•recherche sur les modales, et qu’ elle dit avec M. 
Hamilton, parodiant une sorte de proverbe scholastique: 
-« De modali non gustabit logicus. » 

(1) Aristotele intravide del pari la quarta figura sillogistica. 
Anal. Pr. I, 8. 














— 20 — 


CAPITOLO II. 

Il f^azioeinio dopo Aristotele. 

Dopo Aristotele la teoria del Raziocinio non andò 
soggetta a notevoli cambiamenti; quel che mutò ne fu 
il senso, perchè la logica andò scostandosi a poco a 
poco dalla ontologia per avvicinarsi alla grammatica. 
Teofrasto, amico di Aristotele e continuatore dell’opera 
sua, aggiunse ai quattro modi della prima figura cinque 
modi indiretti; più tardi Galeno, a detta di Averroè, 
svolse una quarta figura del Sillogismo. Innovazione 
importante fu il maggiore sviluppo dato al Raziocinio 
ipotetico, al quale del resto già aveva alluso lo stesso 
Aristotele (1). Ad ogni modo, Boezio ne attribuì a 
Teofrasto e ad Eudemo la scoperta, e a sè il merito 
di averne dato per primo la teoria (2). Gli Stoici si 
occuparono molto della Logica, che ritennero impor¬ 
tantissima, sia per l’educazione dello spirito, sia per 
la dimostrazione della verità; essi ridussero però il 
Sillogismo ad una forma puramente grammaticale, e 
trattarono solo dell’apodittico, perdendosi a ricavare 
dai cinque modi semplici un’infinità di altri non sera- 


W « IloXÀo: ciz v.a.'. értpoi jrspaivovrai si; ù~o6sccco; ou; 
èn’T/.vltxvGxi ùz~. /.ai /.«0apw;. » Anal. Pi\, I, 33. 

(2) Theophrastus vero vir omnium doctrinae capax renani 
tantum suramas exquiritur; Eudemus latiorem docendi gra- 
ditur viam, sed ita ut voluti quaedam seminarla sparsisse, 
nullum tamen frugis videatur extulisse proventum ». (Boezio - 
De Syllogismo hvpotetico, pag. GOG). 














— 21 — 

plicij come ebbe ad avvertire Cicerone (1). Gli Scettici 
infine, con Pirrone di Elide, ammisero che nè con la 
ragione, nò coi sensi, ci è dato di conoscere le cose; 
e siccome non possiamo affermare alcun predicato di 
nessuna cosa, ognuna dev’essere indifferente per noi (2). 

Qual conto facessero gli Scettici del Raziocinio 
apprendiamo dalle Iluppovjìa-. ‘Vjro-ujrwffst; di Sesto 
Empirico, il quale lo considerò nè più nè meno che 
un circolo vizioso. Sia data ad esempio la proposizione 
« Puomo è animale », dice egli; l’afl’ermazione è con¬ 
fermata dalle proposizioni singolari per Induzione; e 
se si trova un caso solo contrario agli altri, la propo¬ 
sizione universale non è più vera. Quando pertanto 
diciamo: « Ogni uomo è animale, Socrate è uomo, 
dunque Socrate è animale » e dalla proposizione uni¬ 
versale vogliamo derivarne una particolare, cadiamo 
in un modo vizioso di prova. L’Induzione poi, afferma 
Sesto Empirico, come quella che dai casi particolari 
vuol giungere all’universale, è anche più impugnabile: 
poiché se si percorreranno solo alcuni casi essa non 
sarà fondata, potendo benissimo accadere che un caso 
particolare lasciato a parte si riscontri poi contrario 
all’universale; se poi si vorranno percorrere tutti i 
particolari si intraprenderà una operazione impossibile, 
essendo essi infiniti e non circoscritti entro alcun 
limite (3). 

Concludendo, Sesto Empirico, sia nelle Ipotiposi 
Pirroniane , sia nell’altra sua opera IT?ò; p-kQ/i- 
jA«moó?, sostenne che nessun sillogismo, nè alcuna 
catena di sillogismi varrà mai a farci acquistare alcuna 

(1) Cicerone — Topici, 14. 

(2) Fiorentino — Storia della Filosofia, pag. 1-7. 

(3) Sesto Empirico — Pirroniane Ipotiposi, II - 14. 















— 22 — 

cognizione nuova, e che la Deduzione non è la forma 
tipica del ragionamento, ma un artifìcio degno dt 
sofisti, per celare altrui la nostra ignoranza. In tal 
modo Sesto Empirico fu il primo a levar la voce contro- 
il valore del Raziocinio: altre e più gravi accuse ad 
esso muoveranno i filosofi delle età posteriori. 

É inutile fermarsi a parlar degli Eclettici (1), che 
non produssero nulla dimuovo nella dottrina sillogistica, 
nè di Galeno, al quale, come già dicemmo, fu attri¬ 
buita la scoperta della 4* figura; nè vale la pena di 
discorrere di Apuleio e di Boezio, il quale fu 1 autore 
della teoria intorno al Sillogismo ipotetico (2). 

Che cosa aggiunsero o innovarono gli Scolastici 
nella teoria del Raziocinio? Il Prantl osserva che « in¬ 
tuito il Medio Evo non un autore produce da sò un 
pensiero suo proprio, ma tutta la coltura di quel 
tempo è dipendente ed è determinata dall’ambito del 
materiale tradizionale che trova (3) ». Per più di 
cinque secoli infatti lo studio della sillogistica, tale 
quale era stato creato da Aristotele, divenne generale; 
esso fu coltivato da Arabi e Cristiani. Unico merito 
di quell'età fu di avere inventato quella terminologia 
ingegnosa, che con l'uso di lettere e di parole facilitò 
l’apprendimento della Sillogistica. Michele. Pseilo nel 
1020 scrisse un compendio della Logica Aristotelica, 
il quale tradotto da Guglielmo Shyreswood e da Pietro 
Ispano servì come testo alle scuole di filosofìa dell'Oc- 

(1) Cfr. a questo proposito Saint-Hilaire « De la logique 
d’Aristote, cap. G-10, Voi. ri. 

*.quod. igitur apud scriptores graecos perquam 

rarissimos strictim atque confuse, apud latinos vero nullos 
reperì * (De Syllog. hypot., pag. 606). 

Ob Prantl Storia della filosofia in Occidente. 








— 23'— 

cidenle. Le surriferite parole del Prantl però non 
vanno prese in senso troppo assoluto; chè quantunque 
la Scolastica abbia seguito in generale la tradizione 
e la sapienza filosofica antica, non mancarono però 
pensatóri i quali tentarono altre vie, precorrendo in 
certo qual modo l’avvenire. 

Il primo e il più grande fra tutti fu Ruggero Cacone , che 
levò la voce contro la validità della Deduzione, e magnificò 
oltremodo l’Esperienza, tanto che lo si può dire 'il'vero 
precursore dello sperimentalismo. Egli che esperimentò 
ed osservò, per quanto i tempi lo consentivano, scrisse 
nell’ Opus Maius che « Duo sunt modi cognoscendi, 
scilicet per argu mentum et éxperimentum . Argumentum 
concludit et facit nos concludere quaestionem, sed 
non certificat neque removet dubitationem, ut quiescat 
animus in intuitu veritatis nisi eam invenit via expe- 
rientiae ». E più oltre: « Ciò è manifesto nelle mate¬ 
matiche, dove potentissima è la dimostrazione. Chi 
volesse dimostrare, senza esperienza, che un triangolo 
è equilatero, egli non sarà pienamente persuaso finché 
non veda ciò per esperienza, vale a dire per l’inter¬ 
sezione di due circoli tracciati con un raggio eguale 
alla linea data, dalla quale intersezione si conducono 
due linee agli estremi della linea data (1) »• Infine: 
« Sine experientia nihil sufficienter sciri potest... haec 
sola scientiarum domina speculativarum (2) ». Egli 
intraprese la riforma del metodo scientifico, e unendo 
in felice accordo l’esperienza col ragionamento, aprì 
la via ai rinnovatori del metodo sperimentale com- 


(1) R. Bacone — Opus Maius, Pars IV, cap. I. Cfr. A. V aldarmm 
« Il Metodo Sperimentale da Aristotele a Galileo ». pag. 12. 

(2) R. Bacone — Op. M., Pars IV, cap. II e III. 














— 24 — 

prensivo. Perocché Bacone matematico ed astronomo 
riconobbe l’influsso della luna sulle maree, intuì l’at¬ 
trazione universale, ebbe forse l’idea del cannocchiale, 
e molte delle moderne scoperte divinò in modo mera¬ 
viglioso. E se errori anche volgari, inevitabili in quei 
tempi, non mancano nelle sue opere, le divinazioni 
meravigliose e le importanti scoperte attestano la 
potenza della mente di lui, che per tal rispetto può 
considerarsi come anello mediano che unisce Aristotele 
con Leonardo da Vinci, con Francesco Bacone da 
Verulamio e con Galileo. Ma le massime dottrine del 
monaco inglese furono allora soffocate dall’autorità 
del dogma e della scuola; prima che potessero farsi 
strada, occorreva che da un lato la Riforma, dall’altro 
il Risorgimento classico rinnovassero le coscienze e 
la Scienza. 

Il Pelrarca ed il Boccaccio furono tra i primi a 
scagliarsi contro gli Aristotelici. Il cantore di Laura 
se la prendeva in modo speciale con la sillogistica, 
pur ammirando altamente l’ingegno sovrano dello 
Stagirita. « Oh ! costoro, perchè sono tanto diversi 
dal loro maestro? » diceva egli parlando dei sillogiz¬ 
zanti filosofi suoi contemporanei. « Come non ridere, 
esclamava, di quelle meschine conclusioni, con le quali 
cotesti dotti infastidiscono sé e gli altri, e consumano 
la vita intera in tali inezie a quella inutili e perciò 
dannose? » « Se già vecchi, egli concludeva, non 
sappiamo ancora staccarci dalla scuola dialettica che 
ci divertì da fanciulli, vuol dire che forse ci piacerà 
ancora andare a cavalcioni sopra una canna e farci 
di nuovo d ondolare nella culla dei bambini. (1) » Gli 

(1) Petrarca — Epistolae de rebus familiaribus I, G-9 - Tra¬ 
duzione del Fracassetti. 










Umanisti della corte dei Medici andarono anche più 
innanzi: cercarono di diminuire i meriti e l’autorità 
dello Stagirita, pretendendo fra l'altre cose, di trovare 
in Platone le tre specie di Sillogismo. Lorenzo Valla nelle 
sue Dialecticae Disputaliones avvicinò la Logica e 
la Retorica, e combattendo Aristotele, gli contrappose 
Platone, Cicerone, Quintiliano « Quominus, scriveva 
egli, ferendi sunt recentes peripatetici qui interdicunt 
libertate ab Aristotele dissenfiendi, quasi sophos hic 
noster philosophus et quasi nemo hoc antea fecerit 
(1) ». Anche Cicerone, aggiungeva il Valla, diede la 
palma della filosofia a Platone, « quare, concludeva, 
illis contemplis ac spretis, si quae sunt, quae quarn 
in Aristotele melius dici possent, ea tentabo ipse melius 
dicere ». 

Il primo però, che in Logica tentasse la riforma d 1 
cui si sentiva universalmente il bisogno, fu Pietro 
Ramo, il quale nelle Animadversiones in Dialecticam 
Aristotelis, biasimò gli ammiratori esagerati dello 
. Stagirita, ai quali, del resto, contrappose 1 esempio 
stesso del loro maestro, che senza rispetto alcuno 
per l’antichità cercava liberamente il vero. Atteggian¬ 
dosi a riformatore della Dialettica il Ramo afleimò 
che bisognava prendere la natura per guida; ma poi 
poco coerente a se stesso chiamò il Sillogismo « unica 
veritatis exsplorandae via », ed in sostanza alla Logica 
antica non seppe contrapporre altro che un miscuglio 1 
Retorica attinta alle opere di Cicerone e di Quintiliano 
• In Italia il Telesio ed il Campanella intravidero al 
di là della Logica il metodo; chè anzi il primo di essi 
sosteneva nell’opera sua che bisogna stai e a a e. 1 

(1) Valla — Dialecticae disputationes - Praetatio. 




















— 26 — 

monianza dei sensi e si propose di guardare solo nei 
fatti, non in altro e di riconoscere per fonte unica 
d'ogni sapere il senso: concepì in sostanza una Fisica 
perfettamente induttiva (1). Così pure in Inghilteria 
Guglielmo Gilbert per scrutare i segreti della natura 
dava il primato all'esperienza, e dalla percezione dei 
sensi risaliva alle cause dei fenomeni, ed ai sensi 
univa l’aiuto della ragione, necessaria, secondo lui, a 
far progredire ogni scienza. E da noi ancora l’illustre 
filosofo naturalista Andrea Cesalpino faceva il più 
gran conto dell’esperienza, e ai vani sillogismi della 
Scolastica opponeva un metodo composto di tre pro¬ 
cessi mentali distinti: l’Induzione, la Divisione e la 
Definizione. 

Ma tutti costoro furono preceduti da un altro uomo 
dì sommo ingegno, Leonardo da Vinci, il quale dotalo 
di straordinaria penetrazione espresse qua e là nelle 
sue opere scientifiche sentenze che per la loro pro¬ 
fondità oltrepassano il suo secolo. « L’esprit géome- 
trique, dice di lui il Venturi, le guidoit par tout, soit 
dans l’art d’analyser un objet, soit dans l’enchàinement 
du discours, soit dans le soin de généraliser toujours 
ses ideés. (2) » Per ciò che si riferiva alle scienze 
naturali, egli non era mai soddisfatto di una proposi¬ 
zione, se non l’aveva verificata con l’esperienza; pen¬ 
sava che innanzi tutto conviene fare qualche esperi¬ 
mento e che nella ricerca dei fenomeni della natura bi¬ 
sogna osservare il metodo. La natura comincia, e 
\eio, col ragionamento, e finisce con l’esperienza; dod 

a; Telesio — Prefazione all’opera « De reruin natura 
mxta propria principia ... 

(-) Venturi — Essai sur les ouvrages scientifiques de 
-Leonardo de Vinci, pag. 4. 






— 27 — 


importa; a noi, secondo Leonardo da Vinci, conviene 
prendere la via opposta; perchè l’interprete degli ar¬ 
tifici della natura è l'esperienza. Bisogna quindi con¬ 
sultare quest’ultima, e variarne le circostanze, finché 
noi ne abbiamo desunte regole generali; esse poi ci. 
dirigono nelle ulteriori ricerche. Così scriveva Leonardo 
da Vinci un secolo prima di Francesco Bacone. Del resto 
il metodo del Vinci, come avverte giustamente il Val- 
darnini, fu scientifico e comprensivo, non escludendo la 
ragione e l’applicazione della matematica nello studio 
della natura. Egli riconobbe infatti l’armonia tra l’E¬ 
sperienza e il Raziocinio, ed affermo esplicitamente 
che « Chi si promette dalla sperienza quel che non è- 
in lei si discosta dalla ragione (1) ». 


Ma la via per la quale la scienza doveva fare 
grandi e così rapidi progressi fu trovata dal Galilei,, 
il sommo nostro scienziato. Prima ancora del JSovum 
Organum di Francesco Bacone, e del Discorso sul 
metodo di Renato Cartesio, Galileo praticò larga¬ 
mente il metodo sperimentale induttivo, i cui punti 
fondamentali sono dal Magalotti espressi nella Prefa¬ 
zione ai Saggi di Naturali esperienze dell'Accademia 
del Cimento.' Essi sono in ordine progressivo: 1 c 
somme verità degli assiomi naturali che stanno ne 
l’anima; 2° la geometria; 3° l'esperienza; 4 il ragio¬ 
namento che la guida; 5° il confronto delle espenenze 
dei dotti per conoscere da questi, provando e ripro¬ 
vando, la verità. In tal modo fu novatore rispetto alla 
filosofia medievale, perchè diede giance \aore 


1) A. Yaldarniui - < Esperienza e discorso in^‘^106 
ici, » in Rivista Italiana di filosofia, 189 » • »» P 

;egg. e nel libro « Il metodo sperimentale da Aristotele 


















— 2S — 

sperienza ed ai principi matematici, ed effettivamente 
mise in relazione le forinole matematiche coi dati 
sperimentali. Il Galilei non considerò falsa 1 antica 
Logica come altri aveva fatto, ma disse che bisognava 
saperla applicar bene (1). La Logica pratica secondo 
lui insegna a « dedurre da vere premesse necessità 
di conclusione » (2), e serve di regola a vei ificai e i 
discorsi e le dimostrazioni (3). » Per lui un empi¬ 
rismo senza ragionamento e senza guida di sommi 
principi è un’accozzaglia di fatti, non scienza, che 
"trova anche principi universali; e così un idealismo 
senza osservazione di fatti opera vana e non vale 
ad accrescere le cognizioni umane. Egli adunque rico¬ 


nobbe che la osservazione dei fatti non basta, e che 
qualcosa deve ad essa aggiungere la ragione. Insiste 
specialmente nell’affermare che senza l’uso dei sommi 
principi della ragione noi non potremmo progredire 
di un passo nella scienza (4), e che l’esperienza 
fondata sui sensi potrebbe talora ingannare, quindi 
essa va aiutata col ragionamento induttivo e deduttivo 
per discernere nei fenomeni naturali le cose certe e 
provate dalle ipotetiche ed incerte. « 11 discorso, di¬ 
ceva egli nelle Nuove Scienze, mi par concluden¬ 
tissimo e l’esperienza tanto accomodata per verificare 
il postulato che molto ben sia degno d'essere ricevuto 


(1) Galilei — Lettera al Liceti (15 sett. 1640) 

(2) Galilei — Lettera sul Candor Lunare. 

(3) Galilei — Dial. « Mass. Sistem., » Giorn II. 

(4) Galilei — Dial. Mass. Sistem., Giorn II e IV — Dia¬ 
loghi delle i^uove Scienze, I. Considerazioni sul discorso di 
Lod. delle Colombe — Lettera al P. Castelli intorno al sistema 
Copernicano. Cfr. anche Yaldarnini. « Il metodo sperimentale 
ecc. » pag. 71-74. 











— 29 — 

come si fosse dimostrato. » E in tutte le opere di 
Galilei noi vediamo disposata l'esperienza al ragiona¬ 
mento; e se nel Nuncius Sidereus prevale l’osser¬ 
vazione, nel Saggiatore l’esperienza è unita al 
discorso e all’uso dell’autorità scientifica, nei Dialoghi 
dei Massimi Sistemi il metodo s’informa anche ai 
sommi principi razionali e alle verità matematiche; 
nei Dialoghi delle Nuove Scienze il metodo è anche 
più matematico (1). Sempre poi il suo metodo com¬ 
prensivo ha il merito di essere conforme alla potenza 
del nostro intendimento ed alle relazioni naturali fra 
questo e le cose intelligibili, e senza di esso noi non 
potremmo affatto sludiare l’Universo. « La natuia. 
scrive il Villari, lo aveva fatto acuto osservatore ed 
accorto sopra ogni altro. Induceva cautamente, ma non 
si affidava solo al metodo, perchè la natura lo aveva 
latto divinatore unico delle leggi dell Universo. Osser¬ 
vava i fatti dietro la scorta del suo genio, e dopo 
osservato divinava, induceva, sperimentava provando 
e riprovando: ecco la parte nuova del metodo detto 
sperimentale e che ha rinnovalo le scienze naturali (2) ». 

Mentre in Italia il Galilei proseguiva nel glorioso 
suo cammino verso la verità, in Inghilterra acone 
da Verulamio e in Francia il Cartesio si scagliavano 
contro la dottrina aristotelica per tanti anni ^con 
cussa. Aristotele aveva considerata a ogica 
introduzione alla Filosofia ed a tutto il sapere 


(1) G. Rossi - Del metodo _ s ; Critici. 

(2) Villari - Arte, Sterra e Mesata . g di 

pag. 512. Cfr. anche Fiorentino «I Vari* Celeste » — 

Galileo » - A. Favaro « Galileo Galilei eSuor ^ 

Caverni « Storia del Metodo Sperimentale » A. Conti « Stori 

della Filosofia » pag. 322-312. 





















— 30 - 

venerale, perché essa tratta dei concetti fondamentali 
che si usano in ogni sapere e dei procedimenti coi 
quali si acquista la scienza. Quei concetti fondamen¬ 
tali egli aveva denominati categorie, ed aveva detto 
che sebbene non esistano in sé, si riferiscono ad og¬ 
getti reali ed assolutamente esistenti; i nostri giudizi 
sono veri quando la congiunzione delle nostre rappre¬ 
sentazioni concorda con la reale congiunzione degli 
oggetti (1). Occupandosi dei procedimenti coi quali 
si acquista la scienza aveva distinto l’Induzione dalla 
Deduzione, con la teoria del Sillogismo aveva preteso 
di esporre il vero metodo scientifico; la ricerca del 
termine medio era per.lui la ricerca della causa, e 
la teoria del Raziocinio corollario di quella dell'essere. 

Francesco Bacone con la filosofia della natura volle 
rinnovare tutte le scienze: alla logica oppose il Novum 
Organum, al Raziocinio che suppone dati principi 
l’Induzione, la quale con l’esperienza scopre i principi 
stessi. Per primo riconobbe che la scienza può avere 
somma importanza per la vita pratica, ed opinò che 
scienza o filosofia devono fondarsi sui fatti. Quella, 
secondo Bacone, si fa per mezzo di esperienza che 
consta di osservazione e di esperimento, nell’osserva¬ 
zione poi bisogna guardarsi dai pregiudizi od illusioni, 
che egli denominò « idoli »; liberato da essi, l’uomo 
forma la scienza, salendo dalle osservazioni particolari 
alle leggi generali per mezzo dell’Induzione, nella quale 
(e non già nel Sillogismo) è riposto il nuovo Organo 
della Scienza. Il sommo filosofo inglese disdegnò gli 
Empirici, i quali non fanno altro che raccogliere fatti 
su fatti, e i Razionalisti che pretendono di ricavare 


(1) C. Cantoni — « Storia della Filosofia » — pag. 82. 






— 31 — 

tutto dal loro intelletto (1). Combattendo la filosofia 
che aveva regnato lungo tempo nelle scuole, e racco¬ 
mandando un metodo differente da quello seguito 
fino allora, espose idee che si agitavano già dalla 
maggior parte dei pensatori, ma nello stesso tempo, 
come osserva un suo commentatore insigne, il Bouillet, 
(2), aggiunse da uomo di genio elementi suoi proprii 
che dovevano far avanzare le scienze nella via del 
progresso. « Bacon seul, dice il Bouillet, comprit à 
la fois et les vices de la philosophie régnante et la 
vanité de tous les systèraes enfantés par l’imagination, 
et la nécessité de fixer avant tout le but de la science 
et de determiner la route qui pouvait conduir a ce 
but; seul il connut où du moins il exposa scientifi- 
quemont la méthode qui devait constituer la philosophie 
nouvelle ». Così egli riuscì a « costruire un nuovo 
' edilìzio scientifico con disegno e fondamenta e mate¬ 
riali affatto nuovi (3) ». Ed il suo fu davvero disegno 
ardito e grandioso. Senonchè Bacone, intento a ma¬ 
gnificare l’Induzione, disconobbe il valore del procedi¬ 
mento deduttivo o sintetico, e disprezzo eccessivamente 
il Raziocinio. Il consentimento unanime dell’autorità 
di Aristotele parve a lui effetto di un pregiudizio uui 
versale, non di una reale convinzione dei filosofi circa 
i meriti della Logica antica (4). Egli affermò che ì 
Sillogismo « ad principia scienliarum non adhibetur, 


fi) Fiorentino. « Storia della Filosofia » pag 
(2) Bouillet. Oeuvres philosophiques de Bacon 


. 320, 321. 

— Introduction 


voi. 1 pag. LXXXIX - XC. i -n pinosi- 

(3) Valdarnini. Principio, Intendimento, e^ori^ Bacon0 

Reazione delle conoscenze umane secon 
F. Ili parag. 3. 


(4) Bac. Nov. Org. I, Aph. 77. 


















— 32 — 

ad media axiomata frustra adhibetur quuru sit subto¬ 
tali naturae longe impar; assensum itaque constringit r 
non res. (1). » Onde la logica prevalsa fino a’ suoi 
rriorni era per Bacone inutilissima « ad inventionem 
scientiarura (2), » chè anzi serviva a creare errori 
più che a scoprire la verità, ed era più dannosa che 
utile (3). « Sillogysmus, egli diceva, ex propositionibus 
constai, propositiones ex verbis, verba nolionum tes- 
serae sunt. Ita si notiones ipsae (id quod basis rei est) 
confusae sint, et temere a rebus abstractae; nihil 
ex iis, quae superstruuntur, est firmitudinis >; «itaque 
spes est una », concludeva, « in inductione vera (4). » 
Nè basta; chè altrove aggiungeva: « Nullo modo fieri 
potest, ut axiomata per argumentationem constituta ad 
inventionem novorum operum valeant; quia subtilitas 
naturae subtilitatem argumentandi multis partibus 
superai. Sed axiomata a particularibus rite et ordine 
abstracta, nova particularia rursus facile indicant et 
designant; itaque scientias reddunl activas (5) ». Nel* 
introduzione al De Augmenlis scientiarum rimpro¬ 
verava alla logica antica di essersi solo occupala 
del Raziocinio; e per reazione respingeva assolutamente 
la dimostrazione sillogistica (6). Per tutte queste 
considerazioni egli lasciava al Raziocinio piena giu¬ 
risdizione « in Artes populares et opinabiles, tamen 
ad Naturam rerum inductione per omnià, et tam ad 
maiores propositiones quara ad minores ulimur; indu¬ 
ci Bac - ^' ov - Org., I Aph 13. 

(•2) Bac. Nov. Org.. I Api» 11 . 

(3) Bac. Nov. Org., I Aph 12, 

(Il Bac. Nov. Org., I Aph U 
•ó) Bac. Nov. Org.. I Aph, 24. 

(G) Bac. De Augmentis scientiarum Disp. part. 










ctionem censemus eam esse demonstrandi formam 
quae sensum tuetur, et Naturarci premit, et operibus 
imminet ac fere immiscetur ». 

Come Aristotele si sforzava di provare che in ogni 
moto dei corpi vi è alcunché che sta in quiete, e in¬ 
troduceva elegantemente la favola di Atlante, il quale 
diritto sulla persona reggeva il mondo, così, diceva 
Bacone, gli uomini desiderano ardentemente di avere 
un punto che regga i fluttuanti moti del pensiero, 
temendo che essi abbiano a precipitare, « nescientes 
profecto eurn qui certa nimis propere captaverit, in 
dubiis finiturum; qui autem iudicium tempestive cohi- 
buerit. ad certa perventurum (1) ». Riassumendo, 
Bacone attribuì al Raziocinio due difetti principali: 
1° Esso non permette di arrivare ai principi, e'anche 
le sue premesse il più delle volte riposano sull’Indu¬ 
zione. 2° La Deduzione non è in rapporto con la sot¬ 
tigliezza della natura, e non può convenire se non 
alle scienze popolari. Non va però dimenticato che 
Bacone non disdegnò in modo assoluto gli assiomi 
razionali, e proclamava la necessità di unire il discorso 
con l’esperienza. « L’uomo, egli ebbe a dire, ministro 
e interprete della natura, tanto conosce ed opera, 
quanto ebbe osservato nell’ordine di essa, o con 1 e- 
sperienza o con la ragione. » In tal guisa presunse 
di abbattere l’edifizio innalzato di Aristotele col suo 
sapiente « opyàvov; » e noi, pur riconoscendo che la 
Scienza non avrebbe rapidamente progredito senza 
l'aiuto poderoso di sommi pensatori i quali, come il 
grande filosofo inglese, insegnarono nuove vie, e le 
aprirono più spaziosi orizzonti, non possiamo I 



fi) Bac. — De aug. scient.. V. •!. 



3 























meno di affermare che Aristotele meritava di essere 






giudicato con molto maggior rispetto, e lopeia sua 
tenuta in queiralta stima alla quale ha diritto. Difatto 
per dirla col Saint-Hilaire, giudicare Aristotele é giu¬ 
dicare lo spirito umano, non solo in uno dei suoi più 
illustri rappresentanti, ma in se stesso, poiché con lo 
Stagirita facciamo comparire avanti a noi tutto il 
passato dello spirito umano (1). Senonchè v’è una 
giustificazione alle esagerate invettive di Bacone da 
Verulamio contro la sillogistica antica; egli non poteva 
ribellarsi contro quella interminabile e immane catena 
di errori, che a’ suoi tempi si opponeva ad ogni pro¬ 
gresso delle scienze, senza scagliarsi contro il Sillogismo, 
che per l’indole sua si era prestato a dare una appa¬ 
renza di verità e d'indiscutibilità a tutte le aberra¬ 
zioni dei tanti pensatori medioevali. E mentre affer¬ 
mava apertamente ch’egli voleva « reiicere syllogi- 
smurn », forse riconosceva che della sillogistica non 
aveva già abusato l’autore suo, ma i Neoplatonici e 
più tardi gli Scolastici, i quali valendosi del Raziocinio 
avevano diffuso tutti quegli errori, di cui risentivansi 
vivi più che mai i danni a’ suoi tempi, in tutti i rami 
del sapere. 

Con Cartesio e Bacone si inizia la filosofia moderna, 
poiché entrambi cominciarono con la critica severa 
del passato, dubitarono della loro scienza, poi ne 
divennero certi, fondandola l’uno sul puro pensiero, 
l’altro sull’esperienza: quegli si valse a preferenza 
della Deduzione, questi dell’Induzione. Cartesio sdegnò 
ogni sapere- che non fosse trovato dalla propria rifles¬ 
sione, volle trovare da sé, e il suo punto di appoggio 


(1) Samt-Hilairo - De la logique d’Avistote. Preface, pag. XLIX 










— 35 — 

fu la coscienza: sottraendo tutto, rimane per lui il 
pensieio, onde il famoso . « Cogito ergo sum »; e 
trovata la vera conoscenza potè poi dedurne le altre. 
Tanto egli quanto la sua scuola notarono che la Lo¬ 
gica antica eia troppo complessa, occupava eccessiva¬ 
mente lo spirito, e poteva giovare ad esporre, non a 
scoprire la verità, non era in grado di dare principi, 
e non serviva ad altro che a parlare verosimilmente 
di ciò che si ignora (1). Il metodo di Cartesio poi, 
in partieoiar modo, era deduttivo; ma il Sillogismo 
per lui serviva ad esporre i risultati di ogni ricerca; 
lo spirito solo bensì poteva, secondo lui, scoprire i 
principi reali, le nature semplici. Onde la Deduzione 
cartesiana si occupava solo con, metodo analitico della 
verità, e non della sua espressione formale, e tutto 
subordinava all’intuizione diretta dello spirito. Appena 
potè svincolarsi dalla soggezione dei maestri, Cartesio, 
come narra nel suo Discorso sul Metodo cessò affatto 
dagli studi intrapresi, e si diede a viaggiare, a fre¬ 
quentare persone di diverse condizioni, a raccogliere 
esperienze, con l’intento di non cercare più altra 
scienza se non quella che poteva trovare in se stesso 
e nel gran libro del mondo. Il primo vantaggio rica¬ 
vatone fu di « ne rien croire trop fermement de ce 
qui ne m’avoit été persuadé que par l’exemple et par 
la coutume (2) ». Così si liberò .a poco a poco degli 
errori e fece un bel giorno il proposito di studiare se 
stesso e di adoperare tutte le. forze dello spirito a 
cercare le vie che esso deve seguire. 

Da giovane aveva appreso la Logica, la Geometria, 


(L) Cartesio — Discours do la métliode, Part. II. 
(2) Cartesio — Disc. de la mét. Part. I. 

















— - 

lì 


i 








— 3G — 

l’Algebra, tre scienze che dovevano servirgli per il 
suo disegno. Ma, dopo le assidue cure da lui poste 
nel ricercare il vero, si accorse che nella Logica il 
Sillogismo e le sue regole servono a spiegare agli 
altri le cose che si sanno, non già ad apprenderle. 
Per di più la Logica antica era, secondo lui, « si 
abstrainte à la consideration des figures, quelle ne 
peut exercer l’entendement sans fatiguer beaucoups 
l’imagination. » E perchè le molte regole offuscano 
la chiarezza di una scienza, ai molti precetti della 
Logica sostituì queste quattro regole, alle quali pro¬ 
mise di attenersi fedelmente: 1° Non si deve aver per 
vera alcuna cosa, se non si riconosce evidentemente 
tale. 2" Devesi dividere ciascuna difficoltà per meglio 
risolverla. 3° Si conducano per ordine i pensieri, co¬ 
minciando dagli obbietti più semplici e facili a cono¬ 
scersi e andando ai più complessi. 4° Si facciano enu¬ 
merazioni così intere da essere ben certi di non aver 
trascuralo nulla. 

Concludendo, la logica Cartesiana ripudiò tutte le 
artificiosità della Sillogistica antica, esaltò l’uso del- 
1 analisi matematica nella ricerca della verità ; sdegnò 
occuparsi dell’espressione formale della verità stessa, 
e come abbiamo già detto, tutto subordinò all’intui¬ 
zione diretta, ed all’attività dello spirito (1). 

Nuovi colpi alla validità del Raziocinio diede Gio¬ 
vanni Locke, nel suo Saggio sull’intendimento umano, 
nel quale negò che lo spirito umano apprenda a ra¬ 
gionare con le regole del Sillogismo: il Raziocinio per 
lui non è utile a scoprire la falsità di un argomento 
e non serve affatto ad accrescere le nostre conoscenze: 

(1) Cartesio — Disc. de la mét., Part. I e I*. II, pag. 1-28. 








— 37 — 

tutt al piu è utile come arte di far valere disputando 
quel po’ di conoscenza che abbiamo, senza nulla ag¬ 
giungere. Ed ecco in qual modo pervenne a queste 
conclusioni. Nel Saggio citato si propose due fini: 
1 di combattere 1 innatismo delle idee; 2° di dimostrare 
3 origine empirica di tutte le nostre conoscenze, rian¬ 
nodandosi in tal modo alla dottrina di Bacone e com¬ 
battendo la filosofia Cartesiana. L'intelletto, pel Locke, 
è un foglio bianco in cui non sono caratteri di sorta: 
ve li scrive sopra il senso, poiché « nihil est in 
intellectu quod prius non fuerit in sensu »; Le idee 
poi sono semplici e complesse; queste ultime sono 
combinazióni di idee semplici, le quali alla loro volta 
nascono dalla sensazione e dalla riflessione. 

Stabiliti questi punti fondamentali della sua dottrina, 
il Locke negò recisamente il valore del Raziocinio, 
poiché, secondo lui, esso non aiuta la ragione se non 
nel mostrare le relazioni che passano fra le idee di 
una proposizione; ma anche in ciò l'uso suo è assai 
limitato; queste relazioni si scoprirebbero anche senza il 
suo soccorso. E quanti sono quegli uomini che, incapaci 
di formare un Sillogismo, ragionano tuttavia giusta¬ 
mente ! Del resto è assai dubbio che anche coloro i 
quali conoscono l’arte e le regole del Raziocinio se 
ne servano per ragionare, essendo tale metodo troppo 
lento, e correndo la mente umana molto più veloce. 
Coloro poi i quali sono penetrati bene addentro nella 
conoscenza di tali regole, non sono punto ceni, in 
virtù di un’argomentazione sillogistica, che la conclu¬ 
sione discenda dalle premesse; essi fanno una semplice 
supposizione. Se il Sillogismo fosse il vero e solo stru¬ 
mento della ragione, e l’unico mezzo di giungere alle 
conoscenze, bisognerebbe ammettere che prima di 












— 38 — 


Aristotele non vi fosse alcuno che conoscesse qualche 
cosa con la ragione. Questa forma di argomentazione 
non porta con sè nè chiarezza nè convinzione; chè 
essa è suscettibile del falso come ogni più semplice 
specie di ragionamento, ed anzi, come forma artificiosa, 
è più atta ad imbrogliare la mente che ad istruirla e 
a dissiparle attorno le nebbie. Onde, concludeva il 
Locke, dobbiamo valerci di qualche altro mezzo per 
giungere alla conoscenza, e, con tutto il rispetto allo- 
Stagirita, riconoscere che « Dio non è stato cosi poco 
liberale cogli uomini, da abbandonarli come semplici 
creature di due piedi, senza piume e con ugne lunghe, 
finché Aristotele non li avesse fatti animali ragione¬ 
voli col Sillogismo. » L’uomo ha la potenza di ragio¬ 
nare e di apprendere le relazioni delle sue idee. Se 
dobbiamo quindi scoprire i difetti di un ragionamento, 
non abbiamo che da spogliarlo delle idee superflue, 
le quali mescolate in quelle da cui dipende la conse¬ 
guenza sembrano mostrarne, una dove non è ; quindi 
confrontare queste idee; e senza tutte le noiose finezze 
del Sillogismo scopriremo la loro convenienza o scon¬ 
venienza. Queste furono le critiche del Locke, il quale 
negò inoltre che il Raziocinio aiuti la mente a fare 


nuove scoperte, ed ammise che esso serve tutt’al piò 
a convincere gli uomini dei loro errori e dei loro in¬ 
ganni, a disporre le prove che già si conoscono, ve¬ 
nendo sempre dopo la cognizione dalle verità, e a 
far valere disputando la conoscenza che si possegga, 
senza nulla aggiungere. Nel Raziocinio infine scoprì 
un altro gravissimo difetto. Ogni ragionamento sillo¬ 
gistico, egli osservò, per essere concludente deve avere 
una proposizione generale: or bene parrebbe che noi 
non potessimo nè ragionare nè aver conoscenze di 








— 39 — 

cose particolari. Ma ogni ragionamento, come ogni 
conoscenza, non verte che sulle idee esistenti nella 
mente di ciascun uomo, ognuna delle quali non è 
che un esistenza particolare; e le cose sono obbietto 
delle conoscenze umane in quanto sono conformate a 
queste idee particolari che ha l’uomo nella mente. 
L’universalità consiste in ciò che le idee particolari, 
le quali ne sono soggetto, sono tali che ad esse più 
d’un caso particolare può essere conforme, e più 
d’una cosa particolare può essere da loro rap¬ 
presentata (1). 

Come Giovanni Locke aveva ripreso ed ampliato le 
critiche di Bacone alla dottrina sillogistica, così Nic¬ 
colò Malebranche riprese le obiezioni di Cartesio. 
« La logique d’Aristote, secondo lui, n’est pas de 
grand usage, a cause qu’ elle occupe trop l’esprit, et 
qu’ elle le détourne de l’attention qu' il devroit ap- 
porter aux sujets qu’ il examine (2) ». Le regole che 
diede il filosofo per la ricerca della verità sono oltre 
modo semplici; la prima è che bisogna sempre con¬ 
servare l’evidenza nei ragionamenti per scoprire il 
vero senza timore di sbagliare; onde noi non dob¬ 
biamo ragionare se non su cose delle quali abbiamo 
idee chiare e precise, e cominciare dalle cose più 
semplici e più facili, ed arrestarci a lungo prima di 
intraprendere la ricerca delle più complesse e diffìcili. 
Il Malebranche sostenne che bisogna comprendere 
bene lo stato della questione da risolvere, ed avere 
idee distinte sui termini per poterli paragonare, e 

(1J Locke —Saggio filosofico sull’intelletto umano, L. IV, cap. 
17. — Cfr. anche il Saggio del Locke compendiato dal Winne e 
tradotto dal Soave, Voi. II, pag. 110-113. 

(2J Malebranche — De la recerche de la Verité, lib. VI, cap. 1. 



















— 40 — 


scoprire i rapporti cercati. Quando poi questi non si 
scoprono paragonando le cose immediatamente fra 
loro, allora bisogna scoprire, con qualche sforzo della 
mente, una o più idee che possano servire come di 
misura comune per riconoscere per mezzo loro i rap¬ 
porti che vi sono tra esse (1). Così il filosofo francese 
continuò l’opera del sommo suo connazionale, discono¬ 
scendo ogni valore alla Sillogistica di Aristotele, e 
tentando di rinnovare la Scienza con l'uso dell’analisi 
matematica. 

Il Malebranche fu imitato e seguito fedelmente dal- 
l’Arnauld e dal Nicole (2), i quali rimproverarono alla 
Logica aristotelica di essere in molte parti imbarazzante 
ed inutile. La Logica di Portoreale che, come avverte 
il Cantoni (3), diede l’ultimo tracollo all’Aristotelismo 


scolastico, « perchè lo colpì in quella parte che costi¬ 
tuiva la maggior sua forza, cioè nella parte formale », 
ebbe il merito di essere pei suoi tempi d’una grande 
originalità ed arditezza, e di preparare il trionfo della 
riflessione personale sui pregiudizi dell’autorità. 

Giovanni Locke aveva negato che lo spirito umano ap¬ 
prenda a ragionare con le regole del Sillogismo e che 
con esse si acquistino nuove conoscenze; Cartesio 
d altro lato aveva accusato la Logica antica di essere 
tioppo complessa ed aveva sostenuto che il Raziocinio 
è metto a scoprire la verità, ed utile solo ad esporle; 
Guglielmo Leibniz, pure ammettendo che della Sillo- 
gistica si f osse fatto un grande abuso, sorse col Nuovo 


(2)^nanld nCh T ~ D6 , la D rech - de la Veri* lib. VI. cap. 
Piefalione àu & ^t-Royal. - Cfr. anche Compayi 

a.' asU * * L ^“ 

(') . Cantoni — Storia della Filosofia, pag. 269 - 260 . 












— 41 — 

Saggio sull'intendimento, a sostenerne la reale utilità, 
è da grande filosofo ne fece uno studio veramente 
profondo (1). Egli avvertì giustamente che la forma 
scolastica del Sillogismo si usa poco e sarebbe troppo 
lunga ed imbrogliata se la si volesse adoperare seria¬ 
mente; ma con tutto ciò riconobbe nel Raziocinio UDa 
delle più belle invenzioni dello spirito umano (2). Al 
Locke, il quale aveva detto che il Sillogismo non serve 
che a vedere la connessione delle prove in un solo 
esempio, rispondeva che sarebbe ridicolo voler argo¬ 
mentare alla maniera scolastica nelle deliberazioni a 
causa della prolissità imbarazzante di quella forma di 
ragionamento: non per questo è men vero, che nelle 
più importanti deliberazioni della vita una logica severa 
è necessaria, poiché gli uomini si lasciano abbagliare 
dall’eloquenza e dall’autorità, dagli esempi male ap¬ 
plicati e dalle conseguenze fallaci. Sostenne poi che 
tesservi molti uomini i quali pure ignorando del tutto 
le regole della Sillogistica ragionano dirittamente, non 
porta già a disconoscere l’utilità del Raziocinio, allo 
stesso modo che non si può negare l’utilità della ma¬ 
tematica, solo perchè alcuno, senza aver appreso 
l’aritmetica, sa fare conti anche difficili. E contro il 
Locke, il quale aveva affermato che anche i Raziocini 
possono diventare sofistici, osservò giustamente che 
le loro stesse leggi servono a riconoscerne la falsità: 
e se il Sillogismo non vale nè a convincere, nè a 

(1) Leibniz — Nuovo Saggio sull’intendimento, lib. VI, cap. I, 

e lib. IV, cap. 1G. , 

. (2) « C’est ne espèce da mathéinatique, dice il Leibniz, dont 

l’importance n’est pas assez connue; et l'on peut dire qu un ar 
d’infallibilité y est contenu, pourvu qu’on sache, et qu on 
puisse s’en bien servir. » Saggio ecc. lib. IV cap. I. 
















— 42 — 


convertire alcuno, non è già per la sua inettitudine, 
ma perchè l’abuso delle distinzioni e dei termini male 
intesi ne rende l’uso troppo prolisso (1). Infine notò 
che solo nella conoscenza intuitiva si vede immedia¬ 
tamente il legame delle idee e delle verità ; ma la dimo¬ 
strazione fondata su idee medie è quella che ci dà 
una conoscenza ragionata, e ciò perchè il legame 
dell’idea media con le estreme è necessaria. 

Ecco in qual modo Guglielmo Leibniz seppe riven¬ 
dicare il valore del Raziocinio, a torto disconosciuto 
così dagli Empirici, come dai Razionalisti, che l’avevano 
preceduto. Ma ben presto un altro filosofo insigne 
sorse a riprendere la critica contro la Sillogistica, ed 
a parlare con disprezzo di quello che Aristotele aveva 
considerato come istrumento di cui si serve la ragione 
umana nell acquisto delle conoscenze. Contro Aristotele 
erano insorti Bacone, Locke, Cartesio; contro il Leibniz 


si levò il Condillac; più tardi contro il Kant insor¬ 
geranno il Mill e lo Spencer, e mentre i Logici inglesi 
si sforzeranno di rifare la Logica aristotelica, in Italia 
fi Galluppi, il Rosmini ed il Gioberti sosterranno 
ancora una volta l’utilità del Raziocinio. 

Quando il Voltaire, abbandonata rin£Thilt.err fl ritm-nè 



(Oeuvres philosophiques a e Leibniz 
voi. I., cap. I. 


avec introd, p. P. Janet, 











— 43 — 

e come già il Montesquieu aveva divulgato la costi¬ 
tuzione inglese, cosi egli, ardente seguace del Locke,, 
fece noto ai Francesi il Saggio sull’intendimento- 
umano, che ebbe tosto non pochi ammiratori: primo 
e più grande fra tutti il Condillac. Questi da principio 
seguì le traccie del filosofo inglese nel Saggio sul¬ 
l'origine delle conoscenze umane, e terminò poi nel 
più schietto sensismo. Nella Logica, nella quale seppe- 
imprimere un’orma d’originalità come pochi altri 
filosofi, parlò della Sillogistica con grande disprezzo,, e- 
credette di annientare il valore del Raziocinio \&r 
lendosi di questo ragionamento: Ogni giudizio da noi 
pronunciato può includerne implicitamente un altro- 
non espresso; se diciamo ad esempio che un corpo è- 
pesante, affermiamo implicitamente che esso cadrà se 
non sarà sostenuto (1). Quando perciò un giudizio è 
contenuto in tal modo in un altro, si può pronunciare 
come una derivazione del primo, e dicesi perciò che 
ne è la conseguenza. Ciò posto, fare un Raziocinio- 
non è altro che pronunciare due giudizi di questa 
specie; e nei nostri Raziocini come nei giudizi non- 
v’hanno se non sensazioni. Il secondo giudizio nel 
suesposto Raziocinio è sensibilmente racchiuso nel 
primo e non v’è bisogno di cercarlo; ma se il secondo- 
giudizio non si mostrasse nel primo,, allora farebbe 
d'uopo cercarlo, cioè passando dalla cosa nota ai-- 
l’ignota, si dovrebbe scorrere per una serie di giudizi 
intermedi per vederli tutti successivamente contenuti¬ 
gli uni negli altri, fino a scoprire che il secondo giu¬ 
dizio è una conseguenza del primo. Ogni ragionamento 
è un calcolo; non consiste nell’andare dal generale al. 


( 1 ) Condillac — Logique, Pait. I, cap. 7- 
















— 44 - 

particolare, dal contenente al contenuto, ma dal me¬ 
desimo al medesimo, cambiando i segni; suo principio 
è l’identità, suo procedimento unico è la sostituzione. 
11 tipo di questo genere di ragionamento è il ragio- 
nemento algebrico, al quale tutte le altre forme si 
possono ridurre. Nè importa obbiettare che così si 
piocede in Matematica, ove il Raziocinio si fa per 
equazioni; giacché avviene lo stesso anche per le altre 
scienze: equazioni, giudizi, proposizioni sono la mede¬ 
sima cosa. In ogni questione scientifica sono contenuti 
implicitamente i dati, altrimenti essa sarebbe insolu¬ 
bile; il trovarli è separarli e distinguerli in una espres¬ 
sione in cui non si trovano che implicitamente; e per 
sciogliere la questione bisogna tradurre l’espressione 
in un’altra, nella quale tutti i dati si mostrano in 
maniera esplicita e distinta (1). L’artificio del Razio¬ 
cinio è dunque lo stesso in tutte le scienze: come in 
Matematica si stabilisce la questione traducendola in 

néfla „iù * SCie " ze si ‘‘“lisce tradendola 

è ann i, n^ MeSprmi °" e: 6 1“^» la questione 
che uóatri C " e la 5ci °* lie »»n è altro 

z '° ne vixz 

“onTluro'ohe™! “riputo “Si^T 0 ” 6 S 6 " 0 ™ 1 * 

Particolari, e non ci ° “ n ° SCenM 

a—ce che 

(•) Condillac — Loeiaun p»,.* tt 
C2; Cond. _ Loo- P 8 '! tt o Cap - 8 ’ 
tt) yn - n > ca P- 8 - 

{ó ) 0ona - — Art. do Denser pL» , 

resto riconosceva altrove che non =; f ’ Cap ' 6 ' 11 Coudillac del 

della verità se non unendo in un J T f° gl ' essi nella ricerca 
unendo in un solo metodo l’analisi e la sintesi. 





— 45 — 

Onde il Sillogismo, che è il grande strumento della 
Sintesi, è perfettamente inutile, e seguire la Sillogistica 
è far consistere il ragionamento nella forma del di¬ 
scorso più che nello sviluppo dellè idee (1). E nulla vi è 
di più frivolo che questo metodo, perocché non importa 
punto la forma del ragionamento: <c tout la force de la 
démonstration est dans l’identité que la décornposition 
des idées rend sensible (2) ». 

Questa è in breve la teoria del Raziocinio esposta dal 
Condillac in parte nella Logica, in parte nell 'Art de 
'penser; la quale dottrina fu il punto di partenza dei 
logici inglesi contemporanei, l’Hamilton, il Booles, il 
De Morgan, Stanley Jevons; i quali non fecero in 
sostanza che darle forma matematica. 

Dopoché il Condillac aveva annientato il valore della 
Sillogistica, Emanuele Kant la reintegrò ne’ suoi diritti, 
difendendola nella Critica della ragion pura e nella 
Logica. Da principio egli, come già il Wolf, aveva 
tenuto in poco conto la teoria del Raziocinio, anzi 
nel 1764 aveva pubblicato un opuscolo Sulla falsa 
sottigliezza delle quattro figure: ma in seguito si 
convertì alla dottrina del Leibniz, e dopo serio e ma¬ 
turo esame considerò la Logica di Aristotele come una 
Scienza ormai compiuta ed acquistata allo spirito 
umano. Cori l’Estetica aveva già chiarito la possibilità 
della conoscenza matematica per via d intuizione pura, 
con l’Analitica aveva sostenuto la possibilità della 
conoscenza fisica; con la Dialettica infine affermò 


(1) Il Condillac considerava una vana esercitazione da co - 
legio tutta la sillogistica degli antichi filosofi (Log. r. , 
cap. 7. Nota.) 

(2) Cond. - Opere, Voi. Vi, pag. 131. 













— 46 — 

l’impossibilità della, conoscenza metafisica, poiché non 
si dà cognizione se non di ciò che è oggetto di 
esperienza. Distinta poi la facoltà di pensale, o ra¬ 
gione da quella di conoscere, o intelletto, il filosofo 
di Kònisberg sostenne che noi abbiamo realmente bi¬ 
sogno di raccogliere i nostri giudizi in Raziocini e di 
ridurre questi a idee incondizionate, le quali non si 
possono ridurre ad altre. I tre generi di Sillogismo 
mettono capo a tre idee della ragione; i categorici 
all’idea di un soggetto incondizionato, che è quello di 
Anima; gli ipotetici all’idea di una causa incondizio¬ 
nata che è quella di Mondo; i disgiuntivi all'idea di 
un tutto incondizionato, l’idea di Dio. Vi è differenza 
tra ciò che viene conosciuto immediatamente e ciò 
che si argomenta o conchiude; dovendo poi sempre 
conchiudere, vi ci avvezziamo in modo che alla fine 
non distinguiamo più la differenza sopra indicata, e 
reputiamo come immediatamente percepita una cosa 
che non abbiamo fatto se non inferire. Tre generi di 
Sillogismi furono considerati dal Kant; i categorici, 
gli ipotetici e i disgiuntivi (1). Il principio sul quale 
riposano il valore e la possibilità di ogni Raziocinio 
categorico fu da lui compendiato nel motto famoso 
•« nota notae est nota rei ipsius, repugnans notae re- 
pugnat rei ipsi (2) ». Tutte queste considerazioni pro¬ 
vano quale importanza attribuì al Raziocinio il Kant, 
il quale nel suo alto sistema filosofico sostenne che la 
Scienza è e dev’essere, ma ha bisogno di fondarsi sui 
giudizi sintetici a priori, che come sintetici sono fe¬ 
condi e per essere a priori sono necessari. 

(L) Kant — Critica della Ragion pura, Voi. IV, pag. 150-157 
della traduzione di V. Mantovani. 

(2; Kant — Melanges de logique, traci, da J. Tissot, pae. 56-03 
e segg. 1 8 







— 47 — 

Non ci fermeremo più oltre sulla dottrina del filosofo 
<11 Kònisberg; come non ci indugieremo sulla teoria 
sillogistica del Lambert, nè sulle lettere dell’Euler (1), 
perchè dovremmo discorrere di figure di modi e regole 
variamente distinte ed esposte. Non possiamo però 
tacere che l’Euler diede del Raziocinio l’esposizione 
più compiuta e più chiara che mai si fosse fatta; 
trattò di esso da vero geometra e matematico, e par¬ 
lando delle forze della natura fu condotto a studiare 
le forze della causalità, che ciascun uomo ha nella 
sua intelligenza, e ad esaminare e fare la teoria delle 
leggi del ragionamento, sotto le quali questa forza si 
produce. Nè possiamo infine passare sotto silenzio che, 
più ancora di Emanuele Kant, l’Hegel sostenne l’im¬ 
portanza della Logica e del Raziocinio. Chè anzi egli 
al pari dello Schelling e del Fichte disconobbe del 
tutto i diritti ed il valore stragrande dell’esperienza, 
e, come afferma giustamente Carlo Cantoni « pretendeva 
di esser giunto ad una spiegazione assoluta del Reale, 
ad una scienza o ad una filosofia assoluta, dalla cui 
altezza egli guardava con dispregio le scienze speri¬ 
mentali, che seguendo l’esempio del Newton, non fa¬ 
cevano, secondo l’Hegel, nessun progresso; perchè 
usavano senza senso e senza intendimento i concetti 
che esse pure accettavano (2) ». 

Poiché nostro intento nel compiere questa esposizione 
storica è di fermarci a parlare solo di quei filosofi i quali 
esposero nuove dottrine intorno alla Sillogistica, ve¬ 
niamo senz’altro ad esporre brevemente la riforma della 


(1) Euler — Lettres à uue princesse d’Alemagne. 

(2) C. Cantoni — Storia della Filosofia, pag. 400. 













— 48 — 

Logica formale tentata da alcuni filosofi inglesi della 
prima metà del secolo XIX 0 , i quali pretesero di rin¬ 
novare e di rifare l’opera di Aristotele, riservandoci 
di dire poscia in qual modo Stuart Mill ed Erberto 
Spencer tentassero annientare il valore del Raziocinio. 

I Logici inglesi della prima metà del secolo XIX° si 
dividono in due scuole principali: quelli della Logica 
reale e quelli della Logica formale; i seguaci della 
prima Herschel, Wewell, Stuart Mill, Erberto Spencer 
considerano la logica come la teoria dell’Induzione; i 
propugnatori della logica formale l’Hamilton, il Booles, 
il Morgan, Stanley Jevons la considerano come la 
scienza delle leggi del pensiero. In una sola cosa 
convengono tutti questi filosofi, nel condannare Ari¬ 
stotele: del resto poi il Mill e la sua scuola riducono 
tutte le inferenze alla induttiva, considerando il Sil¬ 
logismo come un’Induzione sformata; l'Hamilton e i 
suoi seguaci invece ammettono il valore della Dedu¬ 
zione, ma si propongono di sostituire ai metodi fram¬ 
mentari, come essi li considerano, dell’analitica antica, 
un metodo compiuto e generale di Deduzione. 

La teoria intorno aI[adeterminazione delle quantità 
del_gredicato esposta dall’Hamilton è il punto di par¬ 
tenza della dottrina dei moderni riformatori, i quali, 
come già avvertimmo, non fecero altro che dare forma 
matematica alla teoria del Condillac, e con ciò pre¬ 
tesero di aver riparato alle lacune di Aristotele e di 
aver semplificato le artificiosità della grande sua opera, 
che attraverso a secoli e secoli aveva subito solo 
leggere modificazioni, ed esercitato continnamente una 
notevole efficacia sullo spirilo umano. Il Liard (1) 

fL Liard — « Les logiciens anglais contemporains <> pag. 48. 





— 49 — 

osserva che non propriamente l’Hamilton ma un altro 
filosofo, Giorgio Bentham (1827), riconobbe la necessità 
di dare al predicato una quantità uguale a quella del 
soggetto; perii primo però l’Hamilton riconobbe le con- 
seguenze di tale principio e le sistemò definitivamente 
(1). Emanuele Kant aveva fatto distinzione tra la 
forma e la materia della conoscenza; il filosofo inglese 
poi diede il nome di pensiero all’elemento formale, 
considerò il pensiero come l’opera degli atti dell'in- 
tendimento, pei quali noi elaboriamo i materiali for¬ 
nitici dalle facoltà rappresentative, quindi come con¬ 
fronto, analisi, sintesi di attributi, nozioni, giudizi, e 
riguardò la Logica quale scienza delle leggi del pensiero. 
Essa, secondo PHamilton, non considera le cose come 
esistono in sé, ma solo le forme generali del pensiero, 
sotto le quali la mente le conosce, è in sostanza 
scienza puramente formale, non garantisce nè le pre¬ 
messe nè la conclusione, ma solo la conseguenza di 
questa da quelle; e il Raziocinio è l’affermazione 
esplicita della verità di una proposizione, nell’ipotesi 
chealtre proposizioni, le quali la contengono, siano vere. 
La Logica considera non gli atti, ma i prodotti del¬ 
l’intendimento, e le leggi fondamentali a cui essa è 
sottomessa sono tre: di identità, di causalità e del 
mezzo escluso, le quali non possono essere negate, 
perchè altrimenti bisognerebbe negare anche la pos¬ 
sibilità del pensiero. Avendo la Logica per oggetto a 
forma del pensiero, (proseguiamo nell’esposizione della 
dottrina dell’Hàmilton, quale risulta dai Frammenti di 
Filosofia tradotti dal Peisse) per compiere l’opera sua 
deve poter esprimere totalmente il senso de e nozioni, 

(1) Hamilton - Progments de philosophie, farad, par L. Peisse. 


4 











- 50 — 

dei giudizi, dei ragionamenti che considera, deve poter 
enunciare nel linguaggio tutto ciò che è contenuto 
impiicitaniente nel pensiero. Da quanto si è detto 
deriva l a teoria d eila quantità del predicato. Ogni 
proposizione è composta di un soggetto e di un pre¬ 
dicato, uniti da una copula; noi pensiamo il soggetto 
con una quantità determinata e dalla sua quantità 
risulta quella della proposizione. Ma il predicato è 
sempre pensato in maniera quantitativamente inde¬ 
terminata? Spesso si esprime senza unirgli un segno 
preciso di quantità, come in quest’esempio: « tutti gli 
uomini sono mortali », senza dire se si intende parlare 
di tutti i mortali o solo di qualcuno. Vi sono però 
casi in cui il linguaggio esprime la quantità anche 
del predicalo, come in quesl’altro esempio: « nell’uomo 
non vi ha di grande che lo spirito ». Potrebbe quindi 
nascere il dubbio che vi fossero eccezioni nel pensiero, 
come ve ne sono nel linguaggio: per risolvere tale 
questione consideriamo l'atto dell'intendimento pel 
quale uniamo un predicato ad un soggetto. Una no¬ 
zione è l’idea dell’insieme degli attributi generali per 
cui una pluralità di obbietti individuali coincide; è un 
tutto puramente ideale che lo spirito è costretto a 
formare per classificare nel pensiero e separare nel 
linguaggio gli obbietti vari della sua conoscenza. 
Attribuire un predicato ad un soggetto è pensare 
questo obbietto individuale in una nozione data: dire 
per es. « l’uomo è animale », è porre la nozione 
« uomo » sotto la nozione «animale». Ma per pensare un 
concetto sotto un altro bisogna conoscere non solo 
che l’uno è parte dell’altro, ma anche qual parte ne 
e; onde il predicato è pensato sempre e necessaria- 
1 mente con una quantità uguale a quella del soggetto. 











— Si¬ 
li linguaggio che bada solo ad esprimere ciò che si 
pensa, non come si pensa, non va tanto pel sottile, 
ma la^ Logica deve enunciare tutto ciò che è implici¬ 
tamente contenuto nel pensiero ed assegnare ai pre¬ 
dicati di tutte le proposizioni una quantità determinata. 
Venendo poi all'applicazione di questa teoria, se il 
predicato è sempre implicitamente pensato e dev'essere 
espresso come una quantità determinata, se questa 
•quantità è uguale a quella del soggetto, se la propo¬ 
sizione è in ultima analisi un'equazione, ogni ragio¬ 
namento va da quantità uguale a quantità uguale, 
ogni Sillogismo è in fondo una_serie di equazioni tra 
‘■membri equivalenti. Non si deve più parlare di mag¬ 
giore, minore, termine medio ecc.; il tipo di ogni 
ragionamento è: A = B; B = C; dunque A = C. Due sono 
poi le specie di ragionamento, poiché, se assolutamente 
•considerati tutto e parti sono identici, nell’ordine del 
pensiero si può concepire prima il tutto per dividerlo 
nelle sue parti, con una analisi mentale, o prima le 
parti per riunirle in un tutto, con una sintesi mentale: 
si ha così un ragionamento deduttivo ed uno induttivo. 
L’Induzione riposa sul principio che ciò che appartiene 
■alle parti appartiene al tutto, ed ogni ragionamento 
induttivo si può mettere in forma sillogistica A è B, 
X, Y, Z è A ; dunque X, Y, Z è B; la differenza del 
Sillogismo ordinario è che nella forma suesposta 1 uno 
dei termini della conclusione in luogo di essere un 
tutto è una enumerazione di parti: la quale devessere 
■compiuta nell’Induzione formale, mentre nella reale. 

■non può mai essere (1). 

Ragionare non è dunque, per concludere, ar rie 

~(i; Liard - Op. Cit., pag. 60-G9 ed Hamilton, op. cit. 













— 52 — 

trare una nozione in un’altra, ma sostituire in pro¬ 
posizioni date nozioni equivalenti a nozioni equivalenti; 
onde tutti i Raziocini riposano sul principio della 
sostituzione dei simili, in virtù del quale in ogni pro¬ 
posizione una nozione può essere sostituita da un’altra 
equivalente; il ragionamento è, in altri termini, un 
atto di confronto o di giudizio mediato, perchè ragio¬ 
nare è riconoscere che due nozioni sono tra di loro 
nella relazione di tutto e di parte, ed hanno lo stesso 
rapporto con una terza. 

Questa è la teoria con la quale l’Hamilton pretese 
di aver riempito le lacune del sistema aristotelico, e 
di averlo nel tempo stesso semplificato e liberato da 
tutte le regole imbarazzanti ed inutili. Non ci sembra 
però che il filosofo inglese abbia per questo riguardo 
così bene meritato della logica formale; e quantunque 
la critica mossagli da Stuart Mill non sia, a nostro 
avviso, in tutto fondata, nè priva di esagerazioni, cre¬ 
diamo tuttavia che egli non vada molto lungi dal vero 
quando afferma che le nuove forme introdotte nella 
Sillogistica non offrono maggior vantaggio delle antiche; 
chè anzi vi hanno introdotto ' nuove e serie compli¬ 
cazioni. « Le nuove forme, dice Stuart Mill, noni 
offrono praticamente alcun vantaggio; v’è poco merito 
ad averle inventate, e poco vantaggio a servirsene, al 
meno che noi le vogliamo riguardare come un eser¬ 
cizio di ginnastica mentale, utile a rafforzare le facoltà 
intellettuali degli scolari (l) ». - /l 

I filosofi inglesi seguaci deirHamilton si sforzarono 


(1) Stuart Mill - La philosophie de Hamilton (trad. par E. Ca¬ 
ttive 8 ’ 493 ‘ ? fr ' anChe Bain * Lo o‘ c l ue deductive ed indu- 
ct.ve » trad. par G. Compayré, Voi. I. pag. 129-181 e pag.269-2G6. 










— 53 — 

sempre più di rinnovare la vecchia Logica, allargando 
la base della Logica deduttiva, e dando della Dedu¬ 
zione una teoria generale, che abbracciasse tutti i casi 
ai quali questo metodo è applicabile. E se noi voles¬ 
simo parlare convenientemente del De Morgan, del 
Booles, di Stanley Jevons, dovremmo estenderci troppo 
a lungo, e usciremmo dai modesti confini che sin dal 
principio abbiamo proposti, al nostro studio. Onde ci 
limiteremo ad accennare brevissimamente come ognuno 
■dei tre filosofi nominati svolgesse le idee dell’Hamilton, 
rimandando chi fosse desideroso di vedere trattata con 
ampiezza e profondità questa materia agli scritti magi¬ 
strali del Bain e del Liard (1). 

Il Morgan, al pari dell’Hamilton, considerò la Logica 
come una scienza puramente formale, che nulla ha a 
vedere con la materia della conoscenza e solo studia 
le leggi di azione del pensiero, e non tratta se non 
delle cose in relazione col pensiero e di questo in 
relazione con quelle. Vi ha per lui- inferenza quando 
le due premesse sono universali, o quando, una sola 
essendo particolare, il termine m e d i o _ h a _qu<m lijjL 
differente nelle due premesse. Il suo sistema pero 
nell’insieme, come osservai! Liard, pieno di distinzioni 
e di suddivisioni, non lascia allo spirito quell impres 
sione di vera unità e di semplicità propria delle opere 

definitive (2). . 

Il Booles, autore di un sistema che è una vera ana is 

matematica della Logica formale, oss ervò che _ og n ym 
ferenza è tratta o da una o da due proposizioni, 


(i; Bain — Op. cit., pag. 266-300 e 
(De Morgan;; pag. 99-146 (Booles;; pag. 
(2) Liard — Op. cit., pag. 96-97. 


Liard, op. cit., pag. 71-97 
L47-177 (Stanley Jevons). 



















mr< cw 





— 54 — 


quest’ultimo caso dicesi Sillogismo. Aristotele non si' 
domandò mai quali fossero le relazioni logiche possi¬ 
bili fra tutti i termini, nè quali conclusioni sarebbero- 
risultate da un sistema di più che due premesse. L'o¬ 
perazione deduttiva è in fondo pel Booles l’elimina¬ 
zione di un termine medio in un sistema di tre ter¬ 
mini. Onde generalizzato il problema lo pone in questo- 
modo: « Dato un sistema di un numero qualunque di 
termini, se ne eliminino quanti si vuole, e si deter¬ 
minino tutte le relazioni implicate dalle premesse fra 
gli elementi che si vogliono ritenere ». In tale modo 
il Raziocinio diventa un caso speciale della Logica. 
Senonchè per risolvere il problema secondo il Booles, 
non è d’aiuto l’Analitica antica, ma occorre un pro¬ 
cedimento analogo a quello dei matematici, e bisogna 
fare della Logica generale un calcolo; analizzare le 


operazioni dello spirito, occupato nella costituzione 
delle nozioni generali, delle proposizioni e dei ragio¬ 
namenti deduttivi, esprimerle in linguaggio simbolico- 
e dedurre la proprietà di questi simboli dalle leggi 
della loro combinazione. 

Stanley Jevons infine, accettò il principio, non ir 
metodo del Booles. Secondo la sua dottrina ogni ra¬ 
gionamento formale è deduttivo o induttivo; Implica 
proposizioni, e queste alla lor volta implicano termini, 
che sono o positivi o negativi. Ognijproposizione è, in 
fondo, . un id en ti tà ne segue che il ragionamento è 
un processo da rapporti conosciuti ad altri sconosciuti, 
consiste nel sostituire in una proposizione od in un 
ZT t propos,irioni Identico all’identico, l'equi- 

“ simile * ««ita- L’Analitica 
EaUfl'lasione. ed .esclusione; la 
° ° erale inve ce procede per sostituzione, perchè 






















— DO — 

in un insieme noi possiamo benissimo sostituire una 
parte con un'altra equivalente o simile. Onde l'unico 
principio del ragionamento in generale è, clic ciò c he 
è vero di una cosa o circostanza è vero di ogni altra. 
cQsa o circostanza identica od equivalente; e l’unico 
procedimento del ragionamento è la sostituzione dei 
simili, la quale presuppone le leggi di identità, di 


contraddizione e del mezzo escluso. 

Contro la schiera degli esaltatori della Logica formale 
sorse l’altra scuola della Logica reale, che ebbe per 
suoi principali rappresentanti l’Herschell, il Mill, il 
Bain e lo Spencer. « La Logica induttiva, osserva il 
Liard nell’opera già da noi più volte citata (1), non 
ha in sè nulla d’incompatibile con resistenza di una 
Logica formale: si potranno stabilire le regole della 
ricerca e della prova sperimentale senza negare pei 
ciò la legittimità delle deduzioni sillogistiche ». Questo 
fu pure sotto un certo rispetto il parere deH’Herschell, 
il quale si era formato della scienza un concetto simile 
a quello di Bacone da Verulamio. La conoscenza che 
noi possiamo avere della natura, egli disse, ci proviene 
dall’Esperienza, la quale però non ci scopre le cause 
intime e profonde dei fenomeni: noi non conosciamo 
altro che i fatti; primo stadio di scoperta è 1 osserva- 
zione: poi lo spirito, facendo rientrare i rappor 1 sco 
perti in altri sempre più vasti, passa a cognizioni 
sempre più generali; l'importante è discernere ne 
fatti osservati le circostanze essenziali dahe acciden¬ 
tali, le invariabili ed uniformi dalle varia 1 1 e 
seggere. Egli pur affermando essere « 1 esperienza la 
grande e sola sorgente ultima della nostra conoscenza 


(i; Liard — Op. cit., pag. 23. 











— 56 — 


della Natura e delle sue leggi (1) », sosteneva aper¬ 
tamente che si richiede continuo l’uso dei due metodi, 
l’induttivo e il deduttivo, perocché quello scopre ,le 
leggi, questo le verifica rigorosamente e ne vede le 
ultime conseguenze (2). 

Stuart Mill ed Herbert Spencer non stettero in questi 
limiti; e dalle loro dottrine su l’origine e la genesi 
delle conoscenze furono condotti a dare alla Logica 
induttiva un dominio troppo esteso. I Razionalisti e 
gli Empirici avevano contestato l’utilità del Raziocinio; 
l'Hamilton e gli altri riformatori avevano ammesso la 
possibilità di concludere dal generale al particolare; 
solo gii Scettici dell’antichità avevano negato ogni 
valore al Sillogismo, sostenendo che esso riposa in 
una petizione di principio, ed avevano detto che la 
verità delle premesse non può garantire quella della 
conclusione (3). Colui che nei tempi moderni giunse 
alle stesse conclusioni degli Scettici fu Stuart Mill, 
che sviluppò anche maggiormente la teoria di Sesto 
Empirico, e fu seguito nell’opera sua di demolizione 


e, se era possibile, anche superato dallo Spencer. 
Andare dal noto all’ignoto, disse Stuart Mill, é ragionare 

ta ® l0namen *' 0 * n senso più largo è sinonimo 
d inferenza: questa poi non si distingue in induttiva 
o deduttiva, poiché ì’una e l’altra sono derivate da 
n modo primitivo di inferenza, quello dal particolare 

InlT ■ ° gni Sillo S ism ° PO' vi è una peti- 
0110 dl p nilcl P' 0 ' quando io dico per esempio: 


««di» della filosofi. 

% " ~ 0p - cit ' Pai - II. cap. 6. 

Em P u ' IC0 - Ipot. Pirron., II 195 
W Stuart Mill _ Sistema di ìogica, Voi I 









— 57 — 


« Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è uomo, So¬ 
crate dunque è mortale », la proposizione « Socrate 
è mortale » é presupposta già nell'altra più generale 
« Tutti gli uomini sono mortali »; noi non possiamo 
essere certi della mortalità degli uomini, se già non 
siamo certi di quella di ciascun individuo. Al Raziocinio 
non resta perciò a provar nulla, e il ragionamento dal 
generale al particolare non prova niente, perchè da 
un principio generale non si possono inferire altri fatti 
particolari, all’infuori di quelli che il principio stesso 
■presuppone già conosciuti. La generalizzazione è un 
procedimento di inferenza, per cui si è autorizzati a 
credere che ciò che si è trovato vero in casi partico¬ 


lari è vero pure in tutti i casi simili, presenti, passati 
e futuri, onde possiamo concludere solo dal particolare 

al particolare (1). . 

Le proposizioni generali sono semplici registri in¬ 
ferenze già effettuate e di certe formole per farne 
altre: la premessa maggiore è una furinola di questo 
genere e la conclusione è un’inferenza non dei nata 
da questa formola, ma fatta conforme ad essa, ante 
cedente logico essendo la premessa maggiore, cos 1 
tuita da fatti particolari, dai quali si è formata a 
proposizione generale per induzione. Il Raziocinio 
tutt’ al più una garanzia indispensabile pei accer 
della stessa generalizzazione: quando si possiece 
collezione di fatti particolari, bastante pei on ar 
Induzione, si può concludere subito a que 
particolari ad altri. Il valore del carne e do le 
regole della sua applicazione non consis e 
che ad esse si deve informare ogn. nostro rag.ona 


Voi. I, Lib. 1, cap. B. 


(1) Stuart Mill - Sistema ai Logica, 










— 58 — 


mento, ma in ciò, che dette regole ci danno il modo 
di espressione in cui un ragionamento può essere 
posto, e mettono a nudo i difetti di conseguenza, 
quando in esso ve ne siano. L’ufficio del Sillogismo è 
dunque di verificazione di un dato argomento; il suo 
uso è in sostanza quello delle proposizioni generali: 
si può benissimo ragionare senza di esse, e ciò si fa 
abitualmente; ma alcune menti, alle quali manca il 
prezioso aiuto dell'esperienza, si trovano, senza l’aiuto 
delle proposizioni generali, disarmate di fronte ad 


ogni caso, per poco complicato che sia. 

Press a poco alle stesse conclusioni del Miti giunse 
Alessandro Baiti, filosofo originale e profondo che 
diede alla Logica deduttiva la stessa importanza che 
alla induttiva, e nella sua opera principale tentò la 
conciliazione tra Bacone e Aristotele. 

La Deduzione, secondo il Bain, ha una grande im¬ 
portanza ed un valore speciale; ma in sostanza non è 
che una Induzione sformata e simulata. L’assioma del 
Raziocinio è come lutti gli altri un’inferenza induttiva, 
ondata sull esperienza, garantita dalla credenza nel- 
umfbrmuà della natura, alla quale noi siamo tratti 
.ÌTrT . U maggiore di Sillogismo deve 
zione chi 1 3 ,n dUe Parti: in .P ri mo luogo l’afferma- 
in seconrin ^ espnme Sbraccia tutti i casi osservati, 
i casi simili T g ° qU<3Sta afferraazi one si porta su tutti 
conato ni nTi^T OSServati - L’inferenza induttiva 
somiglianza a * P artlcolar e al particolare; la 

e noi° rinnovi! S ? In ciascuna di queste inferenze, 
stessa soml .n ■ ragIOnamento ogni volta che la 
in Z 01 COlpÌSCe< N0Ì allora determiniamo 

autorizzano^ dedurre^dTcIsi ^ S ° miglianze che ci 

a casi passati a casi futuri ; 










— 59 — 


questa proposizione diventa la maggiore del Sillogismo;, 
la quale, in fondo, non è che un’affermazione relativa 
a più casi constatati, ma che nel tempo stesso pei 
caratteri generali e per le somiglianze da essa indi¬ 
cate può applicarsi a tutti i casi in cui noi ricono¬ 
sciamo successivamente questi caratteri di somiglianza;, 
la minore poi deve constatare se un caso speciale 
possiede questi caratteri, e rendere possibile una 
nuova applicazione della maggiore. L’inferenza de¬ 
duttiva è un metodo di interpretazione; ed il servigio 
principale che essa rende è di analizzare le parti 
differenti di una serie di ragionamenti, giacché « il ragio¬ 
namento è molto più chiaro quando il principio generale 
è stabilito in primo luogo, i casi particolari sono indi¬ 
cati immediatamente dopo, e la conclusione dedotta (1) ». 

L’ultimo insigne propugnatore della Logica og¬ 
gettiva fu Erberto Spencer, il quale, partito dagli 
stessi principi di Stuart Mil 1 e di Alessandro Bain,. 
andò più oltre di loro annientando del tutto il valore 
del Raziocinio. Ed ecco in breve come egli procede 


nella sua opera demolitrice. La Logica, secondo 1 au¬ 
tore dei Primi Principi, esprime la dipendenza ne-- 
cessaria tra le cose e non tra i pensieri, non è 
quindi una scienza delle leggi del pensiero stesso, e 
la Sillogistica in conseguenza non ha valore alcuno. 
Ogni inferenza è essenzialmente induttiva, e non po 
trebbe essere altrimenti, dal momento che la Logica 
ha per obbietto le cose considerate obiettivamente. Al 
ragionamento dal particolare al particolare si pu ri 
durre ogni altro, ed il Raziocinio non è per nu a a 


flj Bain — Logica deduttiva e induttiva, Voi. I, 

(P«g. 810 della trai di 8. Compajré), e lib. I, oap. 14 Cp.g «W 















— 60 — 

forma vera del ragionamento, perchè, (ed in ciò lo 
Spencer segue il Mill) quando ad esempio si dice: 
« Tutti gli uomini sono mortali; Tizio è uomo, dunque 
è mortale » uno degli elementi della conclusione ha 
suggerito un elemento della premessa maggiore. Nel 
ragionamento poi che va dal particolare al particolare 
i rapporti che servono di premessa e di conclusione 
sono singolari: l'atto mentale è una intuizione della 
somiglianza o della differenza d'un rapporto da un 
altro. Il fanciullo il quale si è bruciato una mano e 
che, avendo provato una volta il legame dell’impres¬ 
sione visuale del fuoco con la sensazione dolorosa 
della scottatura, messa la mano presso il fuoco, la 
ritira, vede mentalmente un rapporto tra il fuoco ed 
una bruciatura, simile in tutto a quello visto prece¬ 
dentemente, e pensa che il rapporto futuro sarà una 
ripetizione di quello del passato; presume quindi che 
essi sono simili. In tale ragionamento la premessa è 
un rapporto, e così pure l’inferenza;, moltiplicandosi 
le esperienze, l'atto del pensiero per cui è attesa la 
conclusione dove sempre in fondo restar simile. Il 
Raziocinio è dunque una proposizione fondata sulle 
somiglianze, e la probabilità della conclusione è più 
o meno forte secondo il grado di somiglianza dei 
rapporti paragonati. Per es. scrive lo Spencer, quando 
si dice: « tutti gli animali dallo corna sono ruminanti; 
quest animale ha le corna, dunque è ruminante, » 
l'atto mentale è una conoscenza di questo fatto, che 
il rapporto tra certi attributi particolari in questo ani¬ 
male è simile al rapporto tra certi attributi simili 
in altri animali. Tale proposizione si può espri¬ 
mere così: 







— 61 — 


Gli attributi costituenti \ / Gli attributi costituenti 

un animale dalle corna Al ia quest’anim. dalle corna 
coesistono con : coesistono con 

gli attributi costituenti \ J gli attributi costituenti 

un animale ruminante B J I b quest’anim. rumiti. (1) 

Il Sillogismo delle scuole poi non esplica tutti i 
fatti perchè non considera le affermazioni elementari 
che noi inferiamo senza alcun termine medio, e le 
conclusioni che deduciamo da un sistema di vari rap¬ 
porti (2). Di più se il ragionamento si deve portare 
sulle cose e non sulle idee, il Raziocinio pecca per un 
vizio di forma, comprendendo non già tre, aia quattro 
termini. Poiché in fatti, se esaminiamo per es. il 
•Sillogismo: « Tutti gli uomini sono mortali; Socrate è 
uomo; Socrate dunque è mortale », vi scorgiamo quattro 
termini: 1° l’insieme di attributi che caratterizza la 
classe <c uomo »; 2° l’attributo « mortale» affermato 
nella maggiore e come accompagnante sempre questa 
serie di attributi ; 3° la serie degli attributi presentata 
per l’individuo « So.c_rate », simile, non la stessa della 
precedente; 4° l’attributo particolare « mortale »,che 
si riferisce come accompagnante questa serie essen¬ 
zialmente simile di attributi. Onde se gli elementi del 
Sillogismo sono quattro: l’assioma « due c ose che coe¬ 
sistono con una terza cosa coesistono fra loto », non 
comprendendo se non tre obbietti, non può rapptesen 
taro l’atto mentale che coordina gli elementi del Ra¬ 
ziocinio. Così lo Spencer venne a negare in mo o 
reciso ogni valore al Sillogismo, che disse essere un 


(1) Spencer - Principi di Psicologia, Voi. II, cap. S, pag. 69 e 

se gg. della traduz. di Ribot ed Espinas. vr VTTT 

(2) Spencer — Principi di Psicologia, Voi. II, cap. V - 
















— 62 — 

ragionamento per analogia, una proporzione fondata 
sulla similitudine (1). Non possiamo però trattenerci 
dal l’osservare che i quattro termini da lui presi in 
esame in realtà non esistono. Perocché se gli attributi 
riferentisi all’uomo sono più, come per es. « mortale, 
intelligente, libero ecc., » secondo il criterio dello 
Spencer i termini sarebbero non soltanto quattro, ma 
cinque, sei, sette ecc., quanti sono tali attributi. Onde 
noi crediamo ancora, nonostante l'affermazione del 
filosofo inglese, che in ogni Sillogismo i termini non 
sono più di tre e che nell’esempio surriferito « mortale » 
rappresenti il termine maggiore, « Socrate » il minore, 
« uomo » il medio. 

Ecco in qual modo in Inghilterra le due scuole della 
Logica formale e della reale si sforzarono l’una di 
rinnovare e perfezionare la Sillogistica, l’altra di ab¬ 
batterla, per instaurare sulle sue rovine il regno della 
Filosofìa positiva. In Francia il Destutt deTracy, uno dei 
più illustri rappresentanti del sensismo francese, segue 
intorno al Raziocinio le dottrine del suo connazionale, 
il Condillac. Il Tracy, che affermava esplicitamente 
noi non esistere se non per le nostre sensazioni cosi 
•esterne come interne, sostenne che il Condillac aveva 
avuto tra gli altri il merito grandissimo di aver fatto 
giustizia sommaria di tutte le regole e di tutti i prò- 
cedimenti della Logica antica (2). 

In Italia i più insigni pensatori portarono tutti 
•contributo di idee originali alla teoria Sillogistica, e 
se Maurizio Bufalini, e pochi altri negarono al Razio- 


(1) Spencer - Princ. di Psic., Voi. II, cap. Vili. 

^ esfcutt tl0 ^ rac y — Principes Logiques pag. 68 e seg. e 









— 63 — 

cinio ogni valore nella scoperta della verità, il Galluppi, 
il Rosmini, il Gioberti, il Mamiani ripresero e svolsero 
lo teorie del Leibniz, del Kant, dell’Euler, rimettendo 
■nel dovuto onore una delle più grandi creazioni del 
pensiero antico. Di essi vogliamo parlare ora breve¬ 
mente per quel che si riferisce al nostro argomento. 

La dottrina filosofica di Pasquale Galluppi si può 
riassumere, come osserva il Fiorentino, in questa breve 
formola: « la conoscenza consiste nella sintesi dello spi¬ 
rito espressa nel rapporto: i rapporti pel Galluppi non 
sono dati dall’esperienza, ma posti dalla nostra attività; 
dunque la conoscenza, se dalla sensualità attinge i 
termini, dall’attività sintetica ritrae la forma del rap¬ 
porto (1) ». Da questi postulati deriva come conse¬ 
guenza che non si debba, neanche per un istante, 
mettere in dubbio il valore del Raziocinio. Esso infatti, 
pel Galluppi, è utile in primo luogo perchè serve a 
far distinguere le proprietà specifiche dalle individuali; 
giova cioè a legare e subordinare le nostre conoscenze. 
Nè questo è tutto, chè il Sillogismo face ndo vede reJL 
r app orto fra tre giudizi conduce lo spirito ad alcune 
conoscenze che senza di esso non si potr e bbero ottenere 
(2). I principi sui quali è fondato il Raziocinio allorché 
classifica sono i seguenti: A chi conviene la definizione 
conviene il definito ; a chi conviene il definito con¬ 
tiene la definizione; a chi non conviene la definizione 
non conviene il definito; a chi non conviene il defi¬ 
nito non conviene la definizione. Quando poi ci con 
duce a nuove conoscenze è fondato su questi a tri 
Principi: A chi conviene il genere, conviene tutto ciò 


(t) Fiorentino — Storia della Filosofia, pag. Cll. 

(2; Galluppi — Elementi di Filosofia, Voi. I, P a S- b ■ 










— 64 — 

che si attribuisce al genere: a chi conviene la specie, 
conviene tutto ciò che si attribuisce alla specie; lutto 
ciò che si nega di tutto il genere e di tutta la specie, 
si deve negare di tutte le specie comprese sotto il 
genere e di tutti gli individui compresi sotto la specie (1). 
E come il Raziocinio puro è istruttivo in quanto 
rende evidente una proposizione che per se stessa 
non è (2), così il Raziocinio misto è di grande utilità, 
perchè serve a classificare i fatti della natura, ed a 
farci conoscere fra questi alcuni rapporti che abbiamo 
conosciuto esistere fra le idee generali, le quali com¬ 
prendono le idee particolari di questi fatti; ecl anche 
perchè da alcuni fatti presenti attualmente ai sensi 
ed alla memoria si conduce a concluderne altri non 
presenti attualmente. 

Queste le idee del Galluppi, il quale sostenne che 
la Logica usci dalle mani di Aristotele, per questo 
rispetto, perfetta, e gli sforzi di coloro che vollero 
cambiarla non approdarono ad altro che a portar 
confusione ed incertezza, ove era ordine e verità (3). 
Onde pel filosofo di Tropea è grave errore il ne¬ 


ri) Galluppi — Elementi di Filosofìa, Voi. I, pag. 74. 

(2) « So lo spirito, dice il Galluppi, non avesse la facoltà di 
paiagonarc le sue idea e di percepire la relazione di identità 
tia di esse, la scienza umana non potrebbe aver esistenza. Lo 
spirito percependo immediatamente l’identità fra alcune sue 
idee forma gli assiomi, e per mezzo degli assiomi formando i 
raziocini, scopro mediatamente l’identità fra alcune altre sue 
idee. » Elem. di Filosofia, Voi. I, pag. 71. 

(3) Galluppi - Op. cit., Voi. II, pag. 168, o Voi. II, pag. 16» 
nota. Ctr. anche del Galluppi le « Lezioni di Logica o Meta¬ 
fisica », Voi. I, cap. XXXIV-XXXVI, pag. 240 e seg. 








- — 


— 65 — 

gare agli antichi un granile merito nelle cose di puro 
raziocinio, che se ai nostri giorni sono più chiare 
le dimostrazioni, le più belle teorie sono nei libri degli 
antichi, i quali, per dirla con Lattanzio « temporibus 
antecesserunt, sapientia quoque antecesserunt. » 

Secondo Maurizio Bufalini, per contrario, il Razio¬ 
cinio non discopre alcuna uuova cognizione perchè 
'« la conclusione, che si crede enunciare una tale co¬ 
gnizione, non ripete per riguardo ad un particolare 
subietto, che quella medesima inchiusa nella premessa 
maggiore, relativamente a tutti i subietti dello stesso 
genere (1). » Nelle Istituzioni di Patologia l’illustre 
scienziato si lece a- considerare se gli assiomi apodit¬ 
tici trovati per azione pura soggettiva del pensiero, 
ed usati nella ricerca sperimentale si rendono fonte 
di verità, le quali non si sarebbero rinvenute senza 
il loro soccorso; egli non credette che tali verità 
schiudano alla mente « la cognizione delle singole 
esistenze e delle loro relazioni » (2), e recò a prove 
del suo asserto: 1“ il fatto che le scienze non acqui¬ 
starono mai per assiomi apodittici le più grandi veiit ’ 
onde furono povere e superstiziose finché le gui o a 
filosofia speculativa; 2° l’altro fatto che la filoso a 
sperimentale, all’incontro, fece fare alle scienze ra P' ! 
e meravigliosi progressi. Del resto le vent e 6 fi 
può arricchirsi la mente sono pel Bufalini o apo 
tiche e necessarie, o sperimentali e con w 0 en i , 
prime non possono originare altre nuove co D ’ 

e sono olili solo « per ciò che prestar possono talora 
un mezzo a stabilire i confronti necessari <= 

(1) Bufalini — Quesiti sul metodo scientifico, proemio. 

(2) Bufalini - Istituzioni di Patologia pag. »>. 









— 66 — 

sperimentali; le seconde sono comprensive di tutto 
ciò che del creato può venire a cognizione del¬ 
l’uomo » (1). 

Seguace del Galluppi fu invece, per quel che si rife- ( 
risce al Raziocinio, il Rosmini, il quale come già nel 
Nuovo Saggio erasi proposto il problema della 
conoscenza, ricercando il punto ove sensibililà ed in¬ 
telletto si congiungono insieme per produrla, così nella 
Logica combattè Francesco Bacone perchè aveva 
preteso che solo con l’Induzione si riuscisse a scoprire 
le verità, contrapponendola al Sillogismo, relegato fra 
gli istrumenti vani ed inutili. 

Il Raziocinio, pel filosofo di Rovereto « dimostra la 
precedenza della verità ueH’uomo a lutti i trovaraenti 
particolari del pensiero. » Esso ha valore sia nel 
campo teorico sia nel pratico (2): perocché pel primo 
riguardo bisogna considerare: 1° che solo l’uomo eser¬ 
citato nelle inferenze si mantiene coerente nei ragio¬ 
namenti; 2° che il ragionamento acquista con l’illa¬ 
zione precisione e chiarezza; 3° che una dottrina non 
è ridotta in forma di scienza se non quando essa è 
ridotta ad un principio del quale tutto ciò che essa 
contiene sia una serie di conseguenze le une derivate 
dafie altre; 4° che l’inferire le conseguenze da prin¬ 
cipi conduce alla scoperta di nuove verità; 5° che le 
inferenze scoprono nuovi veri non solo nella dialettica 
e nella metafisica, ma anche nella fisica. Nel campo 



1; Bufalini -Quesiti sul metodo scientifico. Proemio. 

Rosi; “T ~ L ° SÌCa N ’ 1002 - °P-> Vo1 - IV. - Secondo il 
affermai 30 certo ^P^to aveva ragione l’Euler quando 

Sillogismo V 6 *-° gni ve “ til dev e essere la conclusione di un 
Uogismo, le cui premesse siano indubitabili. » 


-- -— •- 








— 67 — 

pratico poi il Raziocinio è di somma importanza: — 
1 ° perchè l’uomo il quale mostra coerenza nei 
pensieri e nei ragionamenti suole essere coerente in 
atte le sue azioni; 2° perchè anche negli uffici pri¬ 
vati e pubblici il più efficace principio è quello della 
coerenza, laddove l'incocrenza rende deboli i governi 
stessi, e guasta l'esito di ogni grande impresa. 

Di queste dottrine si fecero sostenitori anche il 
Mamiani, il quale affermò apertamente che il pensiero 
se non fosse aiutato'dal Raziocinio non potrebbe in 
molti casi farsi strada à scoprire attinenze recondite 
piene di grande dottrina (1); e Vincenzo Gioberti che, 
dopo aver sostenuto il progresso discorsivo essere il 
successivo conoscimento che l'uomo ha dell’atto crea¬ 
tivo e del progresso cosmico (2), nella Teoria del 
Sovranaturale scriveva: « Il progresso che la causa 
efficiente fa dal principio sino alla fine nello svolgi¬ 
mento successivo della creazione, corrisponde al pro¬ 
cesso intellettuale che fa la mente dai primi principi 
sino alle ultime conseguenze nella esplicazione suc¬ 
cessiva della scienza, e che si Chiama discorso. Per 
tal guisa il ragionamento dell’uòmo è parallelo ed 
analogo col processo della natura, e là logica, ossia 
la sillogistica, si riscontra nella cosmologia (3) ». 

(i; Il Mamiani afferma cbe l’elemento estrinseco del ragionare 
importa assai più di quanto si creda ai giorni nostri, onde' 
ammonisce che non si deve distruggere l’opera della Scolastica,, 
ma ravvivarla con più largo spirito filosofico. (Del Rinnova-, 
mento della filosofia antica italiana. — Cap. XIII, pag. 110). 

(2) Gioberti — Introduzione allo Studio della Filosofia, Voi. Il,' 
pag. 243-241. 

(8) Gioberti — Teorica del Sovranaturale. N. XLIV, Voi. II, 
pag. 366. 













— 68 — 

Compiuta così rapidamente l'esposizione delle dottrine 
dei filosofi intorno al valore del Raziocinio, ci rimane 
a farne una critica equa e severa, per poter poi m 
fine dedurre un giudizio che non pecchi di esagera¬ 
zione. Poiché la logica posteriore ad Aristotele non 
fu, per dirla con un acuto critico francese, che un - « eco 
dei filosofi o un’opposizione impotente contro teorio 
che si appoggiano sulla verità (1) ». E quel che ò 
più, esagerarono i filosofi dell’una e dell altra specie;, 
gli uni rendendo la Logica aristotelica un vuoto for¬ 
malismo e sostenendo il valore del Raziocinio là ove 
non dovevano; gli altri combattendolo anche in ciò- 
in cui non era impugnabile. Ed in vero, come vedemmo, 
nel secolo XVI cominciò contro la Sillogistica di Ari¬ 
stotele un'opposizione fierissima, la quale credette di 
abbattere, ma non riuscì che a far vieppiù risplendere 
la gloria di quell’opera immortale. Tale movimento 
contrario allo Stagirita cominciò col Ramo in Francia, 
e per mezzo di Bacone e Cartesio continuò fino al 
Locke, spirito profondo, il quale seppe per un istante 
far disprezzare l’opera che per circa venti secoli aveva 
istruito lo spirito umano; finché col Coudillac parve 
che tutta l'ammirazione per Aristotele fosse svanita 
affatto, nè si ricordassero i principi e la storia del - 
l'Analitica antica, nè più si distinguesse la pura e 
genuina dottrina dello Stagirita dai travestimenti che 
l'età di mezzo le aveva imposti. Fu vanto del Leibniz 
1 aver proclamato che Aristotele non era irreconcilia¬ 
bile con lo spirito moderno, e l’avere sostenuta la 
importanza innegabile del Sillogismo, che egli chiamò 
una delle più belle invenzioni dello spirito umano. 


(1) Saint-Hilaire — De la logique d’Aristote, Voi, II, pag. 122. 










— 69 — 

La reazione del Leibniz fu continuata dal Kant, 
•dall’Euler, dal Lambert, seguendo la sentenza del 
sommo filosofo di Kónisberg, che alla Logica quale 
•era stata fissata da Aristotele nulla v ! era da aggiun¬ 
gere. Al principio del secolo XIX' poi contro il 
Alili, il Bain, lo Spencer, i quali nel giudicare il Sil¬ 
logismo avevano ripreso le antiche teorie degli Scettici, 
insorsero nella stessa Inghilterra 1’Hamilton, il Mor- 
-san, il Booles, benché cercassero a torto di semplifi- 
care un’opera che non ne aveva bisogno, e riuscissero 
invece ad imbrogliarla e ad ottenebrarla, e, molto 
meglio, in Italia l’utilità del Raziocinio fu sostenuta 
dai più grandi pensatori, dal Galluppi al Rosmini, dal 
Gioberti al Mamiani. Ed a ragione; poiché la Logica 
antica non è falsa, bisogna saperla applicar bene: 
come avvertiva il nostro grande Galilei; e la scoperta 
del Sillogismo, vanamente contestata, porta in se stessa 
■qualche cosa di prodigioso, come osserva il Saint-Hi- 
•laire (1). « Rien ne la revèle avant Aristote, scrisse il 
grande critico francese, après lui rien ne la peut 
■renverser. Une école de plnlosophie a tentò inutilement 
aprés dixhuit siécles, d’en nier la vórité et la valeun 
■ses efforts impuissants n’out pu prévaloir ; 1 esprit 
philosophique, à l’heure qu ’il est. vit de nouveau 
•de la foi aristotélique, et il croit, d’après elle, à des 
principos genéraux et indemontrables dans l’intelli- 
gence, sources de la démonstration et du syllogisme. » 


(1,) Saint-Hilaire — De la logique cl’Aristote, 1 ol. II, pag.118. 










— 70 — 


CAPITOLO III. 

Critica delle obiezioni mosse 
eontro il valore del Raziocinio. 

Le obiezioni mosse da alcuni filosofi contro il ge¬ 
nuino valore del Raziocinio possono dividersi in due 
categorie: le prime riguardano il Sillogismo come 
forma tipica' di ogni argomentare deduttivo, le seconde 
lo riguardano come fondamento dcirinduzione: delle 
une e delle altre dobbiamo fare una critica breve, ma 
più che sarà possibile esatta; e cominciamo senz’altro 
dalle obiezioni della prima specie. 

La legge principale del Raziocinio è che la mag¬ 
giore contenga la conclusione: da essa trae la sua 
forza il Sillogismo, ad essa si riducono le altre otto 
regole riferentisi ai termini ed alle proposizioni. Eb¬ 
bene, Stuart Mill, Erberto Spencer e tutti gli altri 
Logici inglesi della loro scuola affermano che appunto 
per essere la conclusione contenuta nelle premesse il 
Raziocinio è del tutto inutile. Bisogna però intendersi 
intorno al significato da darsi alle parole « contenuto 
nelle premesse ». Con tale espressione intendiamo di 
dire che la conclusione è contenuta « implicitamente » 
nella maggiore, perchè se vi fosse contenuta « espli¬ 
citamente » la maggiore sarebbe particolare e non 
più universale. Ma è regola del Sillogismo che nulla 
si può concludere da due premesse particolari. La 
conclusione è adunque nota in virtù del Raziocinio 
che rende esplicita la notizia prima implicita, o per 











— 71 — 

lo meno, nei casi in cui la conclusione fosse già nota 
prima come fatto, eleva la notizia al grado di scienza. 

In realtà l’illazione non ha servito a formare le pre¬ 
messe, e non è vero che una proposizione generale si 
possa applicare solo ai casi nei quali è stata verificata; 
l’esperienza stessa contraddice l'affermazione, giacché 
quando affermo: « Tutti gli uomini sono mortali, Caio 
è uomo, Caio dunque è mortale », il caso di Caio 
ancora vivente non ha potuto servire a formare la 
premessa generale. Talora il Sillogismo anche di sus¬ 
sunzione può essere ben più diffìcile, potendo essere 
difficilissimo vedere se un soggetto si riporta o no 
ad una classe avente una determinata proprietà, o la 
ragione per la quale un soggetto ha o non ha una 
proprietà qualunque. Naturalmente la conclusione de¬ 
v’essere contenuta nelle premesse, e il- Raziocinio è 
precisamente l’operazione del pensiero necessaria per 
dare forma logica dimostrativa alla contenenza della 
illazione nelle premesse. Del resto la maggiore non 
ha una universalità puramente quantitativa, la quale 
sarebbe distrutta da un solo caso particolare contrario, 
ma è una legge, cioè un universale quantitativo. Lo- 
perazione sillogistica, come fu avvertito acutamente (1). 
non è quindi diversa nel Sillogismo di sussunzione 
dalla funzione interpretativa del magistrato che applica 
la legge al caso speciale, operazione anche questa non 
facile e dalla quale si riconosce il valore del giurista. 
Senza contare che non tutti i Sillogismi sono e 
tipo di quello citato da Stuart Mill; poiché ve ne sono 
alcuni nei quali non si applica solo una regola gene¬ 
rale ad un caso speciale, ma in cui le due piemessc 


(1) Masci — Elementi di filosofia, Logica pag. 2(1. 









— 72 — 

sono proposizioni generali, e la conclusione è una 
proposizione generale che non può essere provata con 
Tlnduzione, senza ricorrere ad esperienze del tutto 
diverse da quelle dalle quali le premesse sono state 
provate. Questo è il ragionamento che ha luogo quando 
noi veniamo a conoscere che un dato fenomeno X ha 
costante relazione con un altro Y, non valendoci di 
una generalizzazione ottenuta dall’aver osservato i 
fatti nei quali si riscontra la connessione tra X e Y, 
ma servendoci della conoscenza ehe abbiamo di una 
relazione tra X ed un terzo fenomeno Z e tra Y e lo 
stesso Z. In tal caso non v’ha dubbio che con la De¬ 
duzione perveniamo a nuove cognizioni, a scoprire cioè 
certe analogie che la semplice osservazione non ci 
avrebbe fatto percepire. E, per concludere, il dire che 
ciò che si afferma nella conclusione è già compreso 
nelle premesse è precisamente un mettere sempre 
più in luce l’importanza del Raziocinio, perchè si 
viene a dire che con esso colui il quale sapientemente 
trae le sue deduzioni rende fruttuose le premesse di 
cui si serve nel suo ragionamento, al modo stesso 
che il lavoratore con l’opera indefessa rende fruttuosa 
la terra, traendo alla luce i tesori che essa nasconde. 
Del resto i Logici inglesi a provare la inutilità del 
Raziocinio si valgono pei primi di un Sillogismo vero 
e proprio: Quel che è conosciuto, essi dicono, non ha 
bisogno di essere provato; ma una illazione contenuta 
nelle prèmesse è nota; dunque non ha bisogno di essere 
piovata. Or bene o essi considerano veramente inutile il 
Raziocinio, e in tal caso non vediamo la ragione per cui 
se ne debbano valere nelle loro dimostrazioni, e special¬ 
mente poi in questa; o di fatto lo erodono giovevole alla 
ricerca della verità, e non sappiamo perchè debbano 
con tanto accanimento disconoscerne a parole il valore. 










— 73 - 


Cosi cade anche l’obiezione che il Sillogismo sia 
viziato da una petizione di principio, poiché l’illazione 
non ha servito a formare la premessa, e la validità 
di questa è indipendente da quella dell’altra; obiezione 
sorta perchè la Logica delle scuole considerava la 
maggiore come universale semplicemente quantitativo, 
laddove l’universalità della premessa esprime non già 
una somma, ma una legge. Se il Sillogismo fosse il 
rapporto analitico dei concetti, distribuiti secondo la 
loro estensione, servirebbe a classificare formalmente 
i concetti, non già a scoprire nuovi veri: onde il Ra¬ 
ziocinio non è punto un sofisma, come pretese qualche 
filosofo. 

Stuart Mill, di fronte alla inconfutabilità di questa 
verità, cambiò la teoria del ragionamento in generale 
e del deduttivo in ispecial modo, e sostenne che in¬ 
esso non si procede dal generale al particolare, ma 
dal particolare al particolare. Da ogni esperienza, sono 
press’ a poco le sue parole, nasce l’aspettativa che il 
caso futuro sarà simile a quello sperimentato, e la fede 
cresce a mano a mano che aumentano le esperienze 
accordantisi; la maggiore è un registro abbreviato di 
inferenze, una assicurazione che le esperienze passa e 












— 74 — 

singolare a legge e giunga al principio die il furto 
deve andare impunito, vede meglio tutta l’enormità 
dell’assoluzione. Il Sillogismo poi, secondo il Mill, 

,rj 0 va perché il ragionamento fondato sulle regole ha 
maggior evidenza e persuasione di quello fondato sui 
precedenti e sugli esempi. Non occorre dopo quello 
che abbiamo detto sopra fermarci molto a confutare 
l'opinione del filosofo inglese: è chiaro che egli con¬ 
fonde il processo psicologico, il quale va dal particolare 
al particolare, col procedimento logico, che ha per 
ufilcio di dire quando l’inferenza è legittima: ed è 
tale quando la maggiore non è un registro di inferenze 
ina una vera legge. Onde, concludendo, nel Raziocinio: 

« Tutti gli uomini sono mortali: Tizio è uomo; Tizio 
dunque è mortale », si può dedurre la mortalità di 
Tizio quando consta che egli è uomo. Che so la pro¬ 
posizione generale fosse un semplice registro di infe¬ 
renza, e una somma dei particolari osservati, se 
esprimesse un semplice ricordo del passato, nulla si 
potrebbe inferire dei particolari futuri. Ma qual me¬ 
raviglia se Stuart Mill con tanto accanimento impugnò 
il valore del Raziocinio? Egli riguardo alle idee uni¬ 
versali ed al principio di causalità la pensava come 
Davide Hume, il quale non solo negava ogni valore 
oggettivo all’idea di sostanza come il Locke, e la 
realtà delle idee astratte come il Berckeley, ma so¬ 
steneva che non possiamo nò percepire nè dimostrare 
la causalità, quindi l’ammettiamo per abito, perchè 
associamo due fatti che vediamo succedersi costante- 
mente l’uno all’altro. 

Un obiezione che a tutta prima potrebbe parer grave 
fu pure mossa da alcuni Logici contro il Raziocinio; 
essi dissero che la sua efficacia sta tutta nella con- 





— io — 

nessione di nostri giudizi, quindi non ci assicura 
che della loro coerenza; esso è nè più nè meno di 
una tecnica delle relazioni dei concetti, che ha un ufficio 
secondario nella prova scientifica. Così il Sillogismo 
viene concepito alla maniera di Bacone, il quale gli 
negò ogni valore oggettivo per sè e lo stimò in tutto 
subordinata airinduzione, la sola adatta a scoprire i 
principi delle scienze. Per ammettere vera e legittima 
ouest’obiezione bisognerebbe credere con Pirrone Ene- 
side.no e Gorgia che la verità non esiste e che noi 
non la possiamo conoscere in sè, avendo le nostro 
cognizioni valore solo relativo. Colui il quale pertanto 
no°i sottoscrive allo scetticismo assoluto, vero suicidio 
del pensiero, come ben fu definito (1), nè d aiti a par e 
si appaga del dommatismo, che ammette il combacia- 
mento assoluto tra la mente e la realtà, perchè con- 
trario ai risultati della filosofia critica e non consen¬ 
tito dalla ragione e dall'esperienza inuminate, nè ha 
fede nel semiscetticisrao Kantiano, giu m ier o »e 
surriferita degna in tutto della filosofia dell «neono 
scibile II vero è che la connessione dei nostri 0 iud.z 
non è mera legge formale subiettiva del P^ sie ™;“ a 
essa deriva dalla connessione delle cose nel . . a 

La forma della conoscenza non può stare d,s 'unto 
dalla materia; nè il pensiero da un « qui» » tesato; 
Le nostre cognizioni non possono essere vere M non 
sono conformi alla natura deg i o iie , a ’l la 

il Baziocinio non deve essere vero solo quanto a la 

forma, cioè alla °e "a 

dizi, ma anche per quel che riguarua 

natura dell’oggetto su cui verte il ragio 


(l) 


ValdarniaL - Saggi di filosofia teoretica, pag. 


05. 










— 76 — 

il Sillogismo assicurandoci della coerenza dei nostri 
pensieri ci garantisce che essi sono conformi alla 
realtà. 

Erberlo Spencer ha creduto che manchi un principio- 
fondamentale, un assioma sul quale si fondi il valore 
della Deduzione sillogistica: principio che, secondo il 
suo sistema filosofico dovrebbe essere unico, ed avere 
valore oggettivo, essere cioè una legge della realtà, 
non solo del pensiero. Ciò sarebbe vero se si conce¬ 
pisse la conoscenza come imitazione passiva, copia 
della realtà; ma la conoscenza nel suo procedimento 
logico deve essere considerata come lavoro di sintesi 
e di analisi mentale, che passa per una serie più o 
meno lunga di nessi ideali per giungere al nesso 
reale. E affermando l’intelletto affermiamo la realtà 
di un ente, capace per sua natura d’intendere, pensare 
e cogliere il vero; il pensiero si radica nella realtà e 
partecipa dell essere universale: ed infine corre un'in¬ 
tima armonia tra le leggi formali del pensiero e le 
leggi reali che governano la natura dell’essere intel¬ 
ligibile. « Se la conoscenza, osserva giustamente il 
Masci, è via alla realtà, se questa via è quella delle 
forme logiche e specialmente del ragionamento, il 
principio di queste non deve dire quale dev'essere la 
realtà, ma quale dev'essere il procedimento del pensiero 
per apprenderla mediatamente, cioè quando essa è 
l’oggetto dell’esperienza diretta. Un tale principio non 
potrebbe essere un principio della realtà, bensì solo 
un principio del pensiero nella ricerca mediata e in¬ 
diretta della realtà, lo schema di un procedimento che 
ha in sè stesso quel carattere di logica evidenza che 
è criterio di verità (1) ». 


(1) Masci — Elementi di Filosofia Logica, pag. 271. 


L 








— 11 — 

I Logici non sono d’accordo sul principio logico for¬ 
male del Raziocinio, e se Aristotele formò detto prin¬ 
cipio tanto sotto il rapporto dell’estensione, quanto, 
sotto quello del contenuto dei concetti, la Logica tra¬ 
dizionale lo espresse col « dictum d e omni et de- 
nullo », il Kant la formulò nel « nota notae est nota 
rei; repugnans notae repugnat rei ipsi », altri come- 
l’Hamilton lo presentarono nella forma dell’eguaglianza 
delle parti col tutto, lo stesso Spencer ammise che la 
^isti tuzione dell'identico sia il procedimento generale- 
dei Raziocinio, e già il nostro Campanella aveva af¬ 
fermato a’ suoi tempi che « la virtù di concludere 
questo da quello è nel Sillogismo per forza di identità 
(1) ». Ma a dire il vero i principi sui quali si fonda¬ 
la legittimità dei nostri Raziocini, non meno di quella, 
dei nostri giudizi, sono i tre che emanano immedia¬ 
tamente dalla nozione di ente: quello di identità, :l 
quale, applicato alla quantità, si trasforma nell’assioma 
« il tutto è maggiore delle parti », ed alla causalità 
nell’altro « non v’ha effetto senza causa » ; quello di 
contraddizione, e quello di mezzo escluso. In fatti come 
il secondo e il terzo sono fondamento del Sillogismo- 
di seconda figura, cosi il rapporto di principio ad 
effetto è il fondamento del Raziocinio ipotetico, e pel 
disgiuntivo vale il principio dell’alternativa, che è una 
forma di quello. Concludendo, questo principio non ò 
oggettivo ma formale, non è legge della natura ma 
del pensiero, non è l’assioma, ma gli assiomi fonda¬ 
mentali del pensare, i primi ed evidentissimi, che non 
sono dimostrabili, ma si devono ammettere come in¬ 
contrastabili: essi sono la base di ogni ramo della 


(1) Campanella— Universalis philosophia, p. I, lib. Ili, cap. 2.. 











— 7S — 

scienza, non essendo essa se non un sistema di cogni¬ 
zioni dimostrate e dipendenti da un solo principio, o 
in breve, come voleva il Gioberti « l’esplicazione di 
un principio (1) ». Tali assiomi infine non derivano 
già dal senso, nè da un intuito primitivo; chè la 
nostra natura non ha alcuna determinazione, bensì 
l’attitudine- a conoscere gli obbietti, come e quando a 
lei si presentano; e come il senso percepisce diretta- 
mente il sensibile, così l’intelletto coglie l'intelligibile 
e in tal modo noi possiamo percepire con le nostre 
facoltà l’essere ideale e reale delle cose. 

Qui cade in acconcio di rispondere due parole a coloro 
i quali pur concedendo che il Raziocinio serva all’appli¬ 
cazione dei principi ai casi particolari, mettono fuori di 
esso I Induzione inventrice dei principi. Anche nell’Indu¬ 
zione è sempre sottinteso un principio universale, da cui 
parte e su cui si appoggia ogni ragionamento indut¬ 
tivo. L’assioma è il seguente: « Ciò che in una data 
specie di cose è sempre avvenuto in un dato modo, 
avvei rà sempie in questa stessa specie nella maniera 
medesima, quando le circostanze siano le stesse »; ciò 
equivale a dire che la natura è governata da leggi 
fisse e costanti. Ma, di grazia, donde deriva questo 
principio, se non dagli altri di causalità e di sostanza, 
dai quali trae tutta la sua forza? Onde l’Induzione 
considerata sotto questo rispetto può mettersi sempre 
in forma di Sillogismo, e può benissimo definirsi « la 
funzione della mente per la quale applicando un 
principio universale ad alcuni fatti particolari da noi 
ossei vati, questi generalizziamo con una proposizione 
esprimente un principio od una legge generale che- 


(1) Gioberti — Introduzione allo studio 


della filosofìa. 











— 79 — 

ooi affermiamo esistere in natura (1) ». Del resto 
uno dei principi di tutte le nostre conoscenze è il 
principio di causa, che ha un valore universale, ideale 
e reale ; ideale appunto perchè è la forma di ogni 
conoscenza; reale, perchè nei modi e limiti suoi tutto 
il mondo ci si svela. Lo stesso Stuart Mill è costretto 
a riconoscere questi principi supremi razionali, che 
sono necessari all’Analogia, all’Induzione imperfetta e 
alla Deduzione; « e, osserva giustamente il Cantoni, 
non si può concludere da un particolare ad un par¬ 
ticolare senza ammettere implicitamente come valido 
il principio generale, e non si può dare vera, assoluta 
universalità ad un giudizio senza presupporre i prin¬ 
cipi supremi della ragione (2) ». 

Rimane ad esaminare l’ultima delle obiezioni mosse 
al Sillogismo, come forma tipica di ogni argomentare 
deduttivo. Alcuni Logici, tra cui il Cantoni, osservarono 
che il Sillogismo non corrisponde a tutte le argomen¬ 
tazioni rigorosamente conclusive. Le regole dei modi 
di prima figura sono: 1° la maggiore dev'essere sempre 
universale, ma può essere affermativa o negativa; 2° 
la minore dev’essere sempre affermativa, ma può es¬ 
sere universale o particolare; la conclusione ha sempre 
la qualità della maggiore e la quantità della minore 
(3). Se dunque la minore in un Sillogismo di prima 
figura in tutti i suoi modi dev’essere affermativa, 
questo Sillogismo (che cita il Cantoni) « soltanto gli 
esseri liheri nelle loro azioni sono responsabili, i 
pazzi non sono liberi, dunque i pazzi non sono re¬ 
sponsabili », in forza di quel « soltanto » conclude 

(1) Corte — Elementi di filosofia Yol. I, pag. 80. 

(2) Cantoni — Elementi di Filosofia. Logica, pag. 209-210. 

(3) Peiretti — Compendio di Logica generale pag. 154 e seg. 





— 80 — 

legittimamente. Non occorre una lunga discussione 
per dimostrare che questa obiezione non regge, poiché 
quando si dice che la minore dev’essere affermativa, 
si intende in senso logico, non già grammaticale; 
onde nel Raziocinio surriferito la minore è gramma¬ 
ticalmente negativa, ma logicamente affermativa, che 
equivale a dire: « i pazzi sono non - liberi ». 

E veniamo ad esaminare le obiezioni mosse contro 
il Raziocinio come fondamento dell'Induzione; perocché 
ad alcuni Filosofi non parve che questa prenda dal 
Sillogismo la sua forza, come non era sembrato che 
ogni specie di argomentazione deduttiva prendesse da 
esso la sua chiarezza. Abbiamo già accennato in breve 
al principio che governa l’Induzione, ora aggiungiamo 
che essa conchiude dai fatti alle cause, dai fenonemi 
alle leggi, dal particolare all’universale, in forza della 
Deduzione stessa, pei seguenti principi impliciti, che, 
come avverte acutamente il Professor Martini (1), si 
collegano in forma di Sillogismo. « Ciò che pur va¬ 
riati gli aggiunti si è osservato essere fenomeno o 
legge costante in molti particolari, in circostanze di¬ 
verse dev essere effetto non delle circostanze diverse 
ma di quello che nei particolari è costante e comune. 
Ora ciò che nei molti particolari, nel resto diversi, è 
solo costanto e comune è la loro natura. Dunque que 
fenomeno o legge costante in essi osservata é effetto 
della loro natura. Ma ciò che è effetto di alcuna na- 
tura si ha da verificare in tutti gli esseri che hanno 
la natura medesima. Dunque si verificherà in tutti i 
particolari della stessa natura, benché non ancora 


Firenzo^m diFilosofia - P«MS- 58 (Paravia 










— in¬ 
osservati. » Qui si riduce quella legge che molti asse¬ 
gnano come fondamento dell’Induzione: « le leggi di 
natura non mutano, » ove per legge di natura si vogliono 
intendere non solo le leggi fisiche, ma anche quelle 
che, fondate sulle realtà, sono regolatrici dell’umano 
pensiero e discorso. Così intesa, è questa legge il 
principio che dà all'Induzione la forza di produrre 
certezza scientifica, benché muova dal particolare 
contingente. 

Ciò premesso, ritorniamo all'argomento: la prima 
delle obiezioni della seconda specie, òche il Sillogismo 
non sia il tipo ordinario di ogni nostro ragionamento, 
e non vi sia necessità che noi ci serviamo sempre di 
tal forma. Quando si considerasse del Sillogismo la 
sola materia, l’osservazione sarebbe esatta ed avrebbe 
una certa importanza. Ma se si considera la legge 
■fondamentale del Raziocinio e l’inferenza del partico¬ 
lare dall’universale si vede che, se si è dispensati dall’e- 
sprimere sempre il principio universale che contiene 
la conclusione, però si è costretti sempre a suppor- 
velo almeno implicito, e la stessa Induzione dà luogo 
alle conclusioni generali in forza di un Sillogismo 
sottinteso come vedemmo. L'osservazione poi di coloro 
i quali affermano che ragionando nessuno adopera la 
forma sillogistica, non ha alcun valore, perchè nulla 
impedisce che la mente possa nella pratica intuire 
nessi remoti e sopprimere un certo numero di nessi 
intermedi. Allo Spencer, che nei Principi di psico¬ 
logia afferma esservi ragionamenti i quali non po¬ 
trebbero mettersi in forma sillogistica e cita in pro¬ 
posito alcuni esempi, si deve osservare che egli non 
doveva accontentarsi di affermare, ma aveva anche 
l’obbligo di dimostrare tale impossibilità, la quale nel 


6 








— 82 — 

fatto é solo relativa ; e del resto solo perchè qualche 
ragionamento non si lascia disporre negli schemi sil¬ 
logistici, non si può perciò rigettare tutto quanto il 
Sillogismo. A coloro infine i quali affermano che il 
Raziocinio deduttivo non forma compiutamente tutti 
i procedimenti del pensiero nel ragionare si può os¬ 
servare che neanche l'Induzione generalizzatrice dello 
scienzato non è per lo più prodotto di un discorso 
pei singoli casi, che spesso da un solo caso lo scien¬ 
ziato vede le condizioni della validità di una legge, 
Che se dal non essere formulalo il ragionamento si 
dovesse concludere che non c'è, allora la Logica do¬ 
vrebbe, come osserva giustamente il Masci (1), cedere 
il suo dominio tutto alla Psicologia. La prova segue 
la scoperta, ma non per questo è meno necessaria per 
convertire in sicuro possesso le verità trovate (2). 

Il Mill e il Bain osservarono che il Raziocinio é la 
riprova dell’Induzione; è un processo di verificazione. 
Onde fu detto che Stuart Mill non annientò il valore 
del Sillogismo; ma, di grazia, quando ammette che 
esso non serve alla scoperta di alcuna verità, noti 
viene a disconoscergli ogni importanza? Un’Induzione 
dal particolare al generale seguita da una Deduzione, 
osservò il filosofo inglese, è una forma in cui possiamo 
ragionare; ed è indispensabile porre in forma sillogi¬ 
stica un ragionamento, quando abbiamo dubbi sulla 
sua legittimità. Ed anche ciò è vero, perchè uf¬ 
ficio del Raziocinio è quello di smascherare gli errori 
dei falsi ragionamenti; ed in tal modo non solo esso 
è strumento di scoperta della verità, ma ha anche un 


(1) Masci — Logica, pag. 277. 
($) Masci — Logica, pag. 278. 









— 83 — 

compito altamente nobile.se è vero che, come afferma 
il Genovesi, « gli uomini dove non siano aggirati dal 
falso hanno sempre bastante forza a vedere le più 
importanti verità (1) ». Alessandro Bain condivise il 
parere del Mi 11, sostenendo che « uno dei grandi 
servigi che rende la forma Sillogistica è di analizzare, 
di mettere in tutta la loro luce e di presentare ad 
un esame separato le parti differenti di una serie o 
di una catena di ragionamenti (2) ». E'sta bene il 
Raziocinio ha un reale valore come fondamento del¬ 
l’Induzione, segue che ne divenga la riprova. Ma non 
per questo l’obiezione ha valore universale, perché 
nelle scienze di deduzione si danno Sillogismi che sono 
unica forma di ragionamento possibile, nè occorre 
esemplificare, poiché infiniti sono i casi, anche nella 
sola Matematica, che confermano quest osservazione. 

Del resto se in natura noi vediamo che l’universale 
contiene il particolare, il Raziocinio non può non es¬ 
sere il tipo perfetto di ogni argomentazione. 

Veniamo all'ultima e più universale obiezione: «il 
Raziocinio non vale alla scoperta del vero ; esso serve 
tntt’ al più a chiarire e ordinare i nostri concetti. » 
Che realmente compia questo secondo ufficio non vi 
ha dubbio alcuno, ed anche in ciò consiste la sua 
importanza, perchè se i concetti sono oscuri e non si 
vede la dipendenza loro non si possono dire scienti¬ 
fici; perocché conoscere scientificamente una cosa 
equivale, per dirla col Vico, a conoscerla ne suoi 
principi, e nelle ragioni. È questa un utilità del Ra¬ 
ziocinio che si può esperimentare quotidianamente.- Ma 


(1) Genovesi — Logica per i giovanetti. • 

(2) Bain — Logica deduttiva e induttiva, Voi. Ij-pàg. 300. 








— 84 — 

ben piccola sarebbe l’utilità del Raziocinio se si limi¬ 
tasse a ordinare le nostre conoscenze; esso serve pure 
a condurre lo spirito all’acquisto di nuova scienza, 
che ci sarebbe impossibile acquistare senza il suo aiuto. 

Su questo punto importantissimo ritorneremo in se¬ 
guito, qui basterà che ci fermiamo ad una semplice 
e brevissima confutazione dell’obiezione, ripetuta da 
Logici di tutti i tempi, a cominciare da Sesto Empirico, 
per venire Ano a Bacone.e poi giù giù fino a Stuart Mill 
ed alla sua scuola, che cioè il Sillogismo non vale 
alla scoperta del vero. Prenderemo le mosse da un. 
passo della Logica di Carlo Cantoni (11, nel quale 
l’insigne professore dell’Ateneo di Pavia fa sua la 
obiezione espressa già in altri termini dal Mill e dal 
Baili. « Con la prima figura, egli dice, che da alcuni' 
è riguardata come la forma fondamentale e tipica del 
ragionamento umano, si viene ad affermare di una 
specie una proprietà deh suo genere. Ora un ragio¬ 
namento simile pei" solito non si usa nè per dimostrare- 
le proprietà di un oggetto, nè per discopricele, giacché- 
solitamente noi Affermiamo che un oggetto appartiene- 
ad un dato genere quando vi abbiamo osservato e 
riscontrato le sue proprietà più essenziali ; così non è- 
naturale questo Raziocinio: Gli organici muoiono; gli 
animali sono organici, dunque anch’ essi muoiono; 
perchè tale qualità del morire si è dovuta riscontrare 
negli animali prima di dirli organici. » Il Cantoni va 
anche più in là quando afferma che « tali Raziocini 
valgono ancor meno nella Matematica, la quale nella 
costruzione stessa dei concetti viene via via attribuendo- 
alle specie tutte le proprietà dei loro generi senza 


(1) Cantoni — Logica, pag. 209-216. 









— 85 — 

bisogno dei Sillogismi. Or bene ciò non ci pare conforme 
al vero. Lo dimostra per noi il Professore Martini già 
citato. Nell’esempio surriferito egli osserva al Cantoni: 

< Se la mortalità prima si è dovuta riscontrare negli 
animali per dirli organici, è segno che la mortalità 
•è la causa delTorganismo, non questa la condizione 
di quella. Dunque neppure si poteva dire « gli orga¬ 
nici muoiono » prima di averli visti morire: e se sol 
dopo la morte si potevano conoscere organici, si po¬ 
tevano conoscere quando non eran più. È dunque na¬ 
turale e vero l’allegato Sillogismo; perchè dall’idea 
di organico, condizione di mortalità, la concludere 
ciò che per avventura non si sapesse da chi ancora 
non avesse visto morire nessun animale, che cioè 
sono mortali, e perchè organici ». Del resto poi egli 
osserva ancora che per affermare di una specie una 
proprietà del suo genere si richiede che prima vi 
abbiamo scoperto le proprietà comuni più essenzia i, 
non tutte, se no non si argomenta ma si intuisce (1). 

Nel campo delle scienze pure se le idee che si of¬ 
frono alla mente rimanessero isolate e non si para¬ 
gonassero fra loro, non avremmo alcuna conoscenza. 
Lo spirito conoscendo immediatamente alcuni rappoiti 
delle sue idee forma gli assiomi, coi quali poi procede 
alla conoscenza; perocché non cogliendo immediata 
mente tutti i rapporti delle idee fa uso del Raziocinio, 
paragonando due idee con una terza. Or bene i no 
vare questi rapporti che prima non si vedevano non 
•è progredire nella conoscenza? E come il Raziocinio 
puro serve a classificare le cognizioni già avute e a 
conseguirne a 11 re nuove, quello misto pronuncino osi 


Martini — Op. cit., pag. 53. 








- 86 — 

sulle cose esistenti è doppiamente istruttivo, in quanto 
ci istruisce sui rapporti dei fatti e ci svela pure fatti 
che l'esperienza ci manifesta, ammesso sempre che 
vi sia un legame tra il fatto noto e l'ignoto da de¬ 
durre. Il Raziocinio per condurci da un fatto che 
sperimentiamo ad un altro che non esperi mentiamo 
ha, come osserva anche il Galluppi, questi mezzi; o 
dedurre dall’esistenza di un soggetto che cade sotto 
l'esperienza resistenza di una qualità che non vi cade 
(1), o da una causa che si sperimenta un effetto che 
non cade sotto i sensi, o viceversa (2). Questi due 
modi di Raziocinio sono per Davide I-Iume appoggiati 
sul principio: « il futuro sarà simile al passato »: 
assioma che secondo lui non è una verità nò a 'priori 
nè sperimentale. Ma, osserva benissimo il Galluppi, la 
somiglianza tra il futuro e il passato è una verità 
sperimentale, sintetica, contingente, e vale quanto dire: 
« la natura secondo l’esperienza è costante nel suo 
corso, » nè la possibilità che il futuro sia simile a} 
passato può distruggere la legittimità delle deduzioni 
sperimentali, le quali vanno perciò considerate comn 
certe. 


Dicemmo che se le idee, le quali si offrono alfa 
mente rimanessero isolate e non si paragonassero fra 
loro, lo spirito non avrebbe mai alcuna conoscenza. 
1“ ff ue f 10 ravvicinamento e confronto delle idee sta 
l’istruzione vera e propria del Raziocinio, perocché in 
esso non si tratta soltanto di riconoscere che l’illazione 
è implicitamente contenuta nelle premesse, bensì nella 


(1) Per es. questo corpo che vedo è un metallo; i metal! 
sono duttili; questo corpo dunque è duttile. 

(2) Per. es. vedo biade in un campo, e ne deduco che i: 
campo e stato seminato. 








— 87 — 

conclusione si palesa una nuova relazione fra due idee, 
onde la mente acquista una notizia che prima non 
aveva. Il Raziocinio infatti fondandosi sull assioma che 
« due cose uguali ad una terza sono uguali fra loro », 
muove a scoprire la convenienza o la ripugnanza di due 
idee; a tal uopo ne assume una terza media, e la pa¬ 
ragona prima col predicato, indi col soggetto della 
conclusione controversa, e afferma in un terzo giudizio 
la convenienza o la ripugnanza tra un soggetto e un 
predicato dati, e cosi ha la cognizione nuova di cui 
andava in traccia. A convincersi dell’importanza del¬ 
l’argomento deduttivo, si pensi che bene spesso non 
apparisce alla mente la relazione fra due idee date o 
due giudizi. Supponendo che abbiamo nella mente le due 
idee di « proprietà » e di « inviolabilità », come pos¬ 
siamo sapere se esse convengono o no fra loro? Pren¬ 
diamo un’idea media, quella di « diritto », .a quale con 
viene all’idea di «proprieUà» eaquelladi « inviolabilità ». 

Conviene alla seconda in quanto sia il diritto naturale, 
sia il reale, che deriva pel fatto della società, sono invio¬ 
labili, perocché l’umana libertà non può essere vinco¬ 
lata se non dalla legge morale in ordine al fine su¬ 
premo proposto all’uomo come essere ragionevo e. 
conviene alla prima in quanto Tuorao. composto c i 
anima e di corpo, se ha il dovere di conservarsi e di 
perfezionarsi ha pure diritto a beni esterni materiali, 
senza i quali non può raggiungere tale perfeziona¬ 
mento, nò la conservazione dell’essere suo. Paragonata 
così l’idea media con l’altre due che già avevamo, 
in conseguenza dell’assioma surriferito possiamo for¬ 
mulare il seguente Raziocinio: « ogni diritto dell uomo 
è inviolabile; la proprietà acquistata onestamente e 
legittimamente è un diritto, dunque la propneta 







— 88 — 


inviolabile; » col quale abbiamo acquistato la nuova 
cognizione contenuta nell'ultimo giudizio da noi for¬ 
mulato. Cosi pure supponiamo di voler sapere se il 
bruto è moralmente libero : dobbiamo cercare un ter¬ 
mine medio; sia questo l’idea di « imputabilità »; se la 
paragoniamo colle altre due, colle quali conviene, pos¬ 
siamo formulare il Raziocinio seguente: « Chi è im¬ 
putabile dei proprii atti è moralmente libero, il bruto 
non è imputabile de’ suoi atti; dunque il bruto non è mo¬ 
ralmente libero », il quale ci procura così la cognizione 
desiderata. 

Ecco perchè, nonostante le obiezioni di Sesto Empirico, 
di Francesco Bacone, di Stuart Mill e di tutta la sua 
scuola, noi siamo fermamente persuasi che il Razio¬ 
cinio riesca istruttivo ed abbia grande valore come 
istrumento di ricerca, e che quindi il metodo deduttivo 
valga non solo a dimostrare il vero e a sistemare le 
umane cognizioni, ma ancora a scoprire nuove verità (1). 


CAPITOLO IV. 


Importanza del J^azioeinio 
nella seoperia della verità. 



Dopo aver fatto in breve la critica delle obiezioni 
e 1 filosofi mossero in tuffi ; 


(1) Valdarnini — Elemci 
— Parte Seconda, pag. 82. 


Elementi Scientifici di Psicologia e Logica 








— 89 - 

nell’applicazione ai vari rami del sapere. È un fatto 
che le verità da cui muove la Deduzione non sono 
tulle formate dalla ragione, ma ora sono principi puri, 
ora sperimentali; nè può la Deduzione usurpare nelle 
scienze il campo dell’Induzione. Ciò non di meno 
rimangono ben ferrai questi punti: il Raziocinio ha 
o-rande importanza come processo della mente, la 
quale non può andare sempre dal particolare al ge¬ 
nerale; ha valore come conferma dell'Induzione nelle 
scienze deduttive; ed in fine ha somma efficacia nella 
formazione del carattere umano. 

Per poco che noi poniamo attenzione allo svolgi¬ 
mento e alla storia del pensiero e del sapere dell uomo, 
vediamo che dapprima esso preferisce le grandi linee; 
lo spettacolo per lui ancor nuovo e complesso del 
mondo non gli lascia vedere ed osservare nessun 
particolare. Col tempo però abituatasi la mente alle 
cose di quaggiù, discende ad esaminarle ad una ad 
una con minuziosa cura, per poi sollevarsi di bel nuovo 
all’unità, che allora apparisce più netia e precisa, in 
quanto è l’effetto di una assidua esperienza. Tale 
storia del pensiero umano è ritratta nelle sue grandi 
proporzioni dal significato e dal valore che nei vari 
tempi ebbero i due procedimenti induttivo e deduttivo, 
che incarnano le due tendenze della nostra mente. 
Per molti secoli il procedimento in onore fu essen¬ 
zialmente il deduttivo. L’età della Scolastica poi in 
ispecial modo ebbe per carattere la pratica della 
Dialettica Sillogistica. 

11 Raziocinio che da premesse date ricava una con¬ 
seguenza doveva naturalmente essere 1 islrumento delle 
conoscenze in un’epoca di fede, in cui non si voleva 
mutare mai nulla e solo bastava ai dotti e ai filosofi 








— co¬ 
ll i mostrare dogmi immutabili, rendendo la Filosofia 
umile ancella della Teologia, e ragionando di continuo 
sulle cognizioni già acquistate per trarne conseguenze 
che valessero a commentare i libri sacii e la dotti ina 
aristotelica. Col sorgere di tempi nuovi per la filosofia 
c la scienza tutta l'importanza fu attribuita all Induzione, 
chè anzi, come dimostrammo, al Sillogismo alcuni filo¬ 
sofi non attribuirono se non un valore sistematico, 
ordinatore delle verità scoperte pervia dell’Induzione; 
la quale veniva così considerata la sola vera autrice, 
dei progressi delle scienze, così fisiche e naturali, 
come storiche, morali, giuridiche e sociali. Anche oggi 
la contesa perdura, quantunque si sia alquanto mitigata: 
perchè molli hanno compreso clm, se si può giustificare 
il dissidio fra i due processi come reazione a sistemi, 
a metodi, a dottrine troppo dommaliche ed assolute, 
esso non ha però intrinsecamente alcuna ragione di 
essere. Accingendoci a svolgere questa affermazione 
premettiamo che non intendiamo punto di disconoscere 
e neanche per piccola parte negare o menomare il 
valore dell’Induzione. Sappiamo benissimo quale im¬ 
portanza si debba attribuire all’Induzione scientifica, 
la quale arriva alla scoperta di verità generali e di 
principi, come una causa, una legge, una proprietà 
essenziale e comune a più individui, ed anche a certe 
verità supreme di ordine matematico, morale e meta¬ 
fìsico. Conosciamo del pari che la Psicologia speri¬ 
mentale, la Pedagogia, la Filosofia della Storia, non 
che poi le scienze di esperienza devono in gran parte 
all’Induzione il loro essere ed i loro meravigliosi pro¬ 
gressi. Ma d’altro lato non crediamo si possa in modo 
assoluto « reicere syllogismum », come voleva Bacone, 
ma si debba piuttosto ammettere col Rosmini che * 







— 91 — 

tre fonti principali onde l’uomo può attingere la 
cognizione del vero sono: 1° L’Autorità e la Tradizione; 
2 M’Osservazione e l’Esperienza; 3° il Raziocinio (1). 

" Tra la Deduzione e l’Induzione non vi è vera e 
propria opposizione; l’una e l’altra vanno considerate 
piuttosto come due funzioni distinte dello stesso metodo; 
e, osservava Gian Domenico Roraagnosi, (2) « tra la 
cognizione di fatto e quella di ordine non vi può- 
passare altra differenza che la direzione. Ecco il metodo. 
In esso l’uomo non cangia l’indole del pensiero, ma 

solamente ne dirige l’andamento.Dunque ne risulta 

l’improprietà delle denominazioni di analitico e sintetico 
date al metodo, perocché nella sua indole propria e 
complessiva non è nè analitico nè sintetico, ma diret¬ 
tamente discorsivo. (3) »■ Nò altrimenti la pensava 

l'He-el, il quale diceva che i due procedimenti non 
sono° due metodi distinti, ma piuttosto due maniere 
onde si esplica, o due momenti onde si manifesta un 

medesimo metodo (4). . 

La Deduzione parte da premesse che sono risultate 

da una precedente Induzione, anzi da esse e dagli 
assiomi deve partire la Deduzione pei essere scien i c 
se no 6 arbitraria. L’Induzione poi implica mo ti e e 
menti deduttivi; in primo luogo perchè 1 osservazione 
ed enumerazione dei casi particolari in essa not * 
mai compiuta; onde Bacone osservava eie n uzi 


(1) Rosmini - Sistema filosofico di A- Rosmini, pag. 9L 
(2j Romagnosi - Vedute fondamentali dell arte logica, • > 

"(3) nSagnosi stesso poi diceva parlando del Sillogismo 
che esso & « l’argomento delle scienze » (Logica, lib. P , cap. 4. 
(4) Hegel - Logica, Voi. II, pag. 2GG. 











— 92 — 

per « enumerationem simplicem », l’£7:«Ycdy/i 7ravrwv 

(1) è cosa puerile, e non esclude la possibilità d’un 
caso particolare contrario, il quale la distrugga. Nel¬ 
l’Induzione scientifica l’osservatore dopo aver riscon¬ 
trato un numero di casi sufficiente la compie legitti¬ 
mando la conclusione con principi universali, come la 
legge di causalità, nella formola di essa, secondo la 
quale cause simili in condizioni simili producono effetti 
simili. Nè l’Induzione sarebbe possibile senza anticipa¬ 
zione del ragionamento sull’esperienza. Il Galilei ci 
offre bellissimi esempi di questo procedimento: l'osser¬ 
vazione dei fatti suscitava nell’animo suo un’idea, che 
era come la presupposta spiegazione di essi ; su di 
quella ragionando cercava di ricondurre i fatti stessi 
come a loro principio. E così egli procedeva non solo 
per Induzione ma anche per via di Deduzione; questa 
però era sempre provvisoria; ipotetica, perchè ad ogni 
passo del ragionamento il filosofo naturalista sentiva 
il bisogno di riscontrare la verità dell’ipotesi coi fatti 
osservati, e di variare quella secondo la natura di 
questi: soltanto dopo mature e assidue riflessioni con¬ 
vertiva in tesi la primitiva deduzione. Giustamente 
perciò Ernesto Navi Ile (2) osservava che in ogni ordine 
di ricerche il metodo si compone di tre elementi di¬ 


ti; Aristotele — Aliai. Pr. TI, 23. 

(2) Naville — La logiqué de l’hypothése, pag. 68. v L’hypotliése, 
dice il Naville, intervient dans l’observation et la verification; 
1 observation intervient dans 1* l’hypotése, dont elle forme le 
poiut de depart et dans la vérification, dont elle est la sub* 
stance. La vérification enfili est inseparable do l’observation 
qui est son instrument, et de 1* hypothése qu’elle a pour but 
de detruire ou de confirmer. La mdthode est dono triple dans 
^on unite, et une dans sa triplicité. » 










— 93 — 

stinti ma inseparabili: osservazione, supposizione e 
verificazione. Gli esempi del Galilei abbondano, ne 
riferiremo alcuni fra i più chiari e famosi. 

Il testo di Aristotele il quale afferma che la caduta 
dei corpi è in ragione del loro peso fa dubitare Ga¬ 
lileo; egli vede che i chicchi di grandine muovendo 
insieme ed essendo di diversa dimensione arrivano 
contemporaneamente a terra; ne induce che 1 afferma¬ 
zione dello Stagi ri ta è falsa. Procedendo più oltre col 
discorso forma un assioma e suppone che qualsiasi 
grave discenda con una velocità, la quale si può alte¬ 
rare senza far violenza al suo corso naturale. Final¬ 
mente stabilisce la legge che gli spazi percorsi da un 
grave che cade sono proporzionali ai quadrati dei 
tempi impiegati a percorrerli, astrazion fatta dal peso: 
cerca poi la conferma della legge nelle osservazioni 
della discesa dei corpi pel piano inclinato. Ma è meglio 
riferire il passo importantissimo del Galilei relativo 
alla sua scoperta. Nelle Esercitazioni filosofiche di 
Antonio Rocco, filosofo 'peripoletico, così egli sciiveva. 

« Resta che io produca le ragioni che oltre alla espe¬ 
rienza confermano la mia proposizione, sebbene pei 
assicurare l’intellplto, dove arriva l’esperienza, non ò 
necessaria la ragione, la quale io produrrò si pei 
vostro beneficio, sì ancora perchè prima fui persuaso 
dalla ragione che assicurato dal senso. Io 
un assioma, da non essere revocato in du io a 
nessuno, e supposi qualsivoglia corpo grave discen en e 
aver nel suo moto grado di velocità dalla natuia 1 
untato ed in maniera prefisso, che volerglielo alterare 
col crescere la velocità e diminuirgliela non si potesse 
fare senza usargli violenza per ritardargli o concitar^, 1 
il detto suo limitato corso naturale. Formato questo- 













— 94 — 

•discorso mi figurai colla mente due corpi uguali in 
mole ed in peso, quali fossero due mattoni, li quali 
da una medesima altezza in un medesimo istante si 
partissero; questi, non si può dubitare che scenderanno 
con pari velocità, cioè colrassegnata loro dalla natura, 
la quale se da qualche altro mobile dee loro essere 
accresciuta, è necessario che questo con velocità mag¬ 
giore si muova. Ma se si figureranno i mattoni nello 
scendere unirsi ed attaccarsi insieme, quale sarà di 
loro quello che aggiungendo impeto all’altro gli rad¬ 
doppi la velocità, stantechè ella non può essere 
accresciuta da un sopravveniente mobile, se con maggior 
velocità si muove? Conviene quindi concedere che il 
composto di due mattoni non alteri la loro prima ve¬ 
locità. » Da ciò il Galilei concludeva deduttivamente 
c ìe se due corpi di materia uguale e di peso diverso 
cadono con velocità differente, ciò non dipende dalla 
differenza di peso ma da quella di forma, la quale fa 
i eie i mezzo in cui discendono opponga alla loro 
caduta una. resistenza differente. 

La scoperta della legge di inerzia è dovuta quasi 
esclusivamente al procedimento deduttivo perchè il 

l’imno^« q- iTfi ne r Dlalogo dei massimi sistemi affermò 

Sent ; ' glUngGrVÌ S0, ° COn 'Suzione. Nè 

tnShll P r 7 DedUZÌ ° ne i! Galilei coprii! 

;r d °i d „c' h av r dell ° ( * ™ è “ Olanlsotbbri- 
mento « „ a,eva caEUAlrneMe visto l’ingrandi- 
“ 8geU ' ?■ fabl,ricat0 “ telescopio^ ritrovai 

di “n «r P | r Vm , dÌSC ° rS °- Questo ertiselo coarta 
,Clr ° sol ° 0 dl P"> di uno; di u „ s „| 0 „„„ pu6 

(1) Gol.l», _ Prose scelte ed annotile da A. Conti. Cap.VIII. 







— 95 — 

j essere perchè la sua figura è convessa cioè più grossa 
nel mezzo che verso gli estremi, o è concava, cioè più 
f. sottile nel mezzo, o è compresa tra superficie parallele, 
ma questo non altera punto gli oggetti visibili col 
crescergli o diminuirgli; la concava gli diminuisce, la 
convessa gli accresce bene, ma gli mostra assai indi¬ 
stinti ed abbagliati, dunque un vetro solo non basta 
per produrre l’effetto. Passando poi a due e sapendo 
che il vetro di superficie parallela non altera niente, 
come s’è detto, conchiusi che l’effetto non poteva neanche 
■ seguire dall’accoppiamento di questo con alcuno degli 
altri due. Onde mi restrinsi a voler esperimentare 
quel che facesse la composizione degli altri due, cioè 
del convesso e del concavo, e vidi come questo mi 
dava l'intento ». 11 moto di Venere intorno al sole fu 
da lui dedotto dal vederla falcata scemare e crescere 
come la luna (1). Infine Galileo dedusse resistenza dei 
monti e delle profondità della luna, dalle ombre e dai 
lumi non meno che dall’orlo smerlato e luminoso della 
luna che scemava, apparenze che, secondo lui, esclu¬ 
devano che la luna fosse una sfera liscia e pulita ( ). 
E tanta era la sua fiducia nel Raziocinio, che a prò 
posito di quest’ultima scoperta egli ^affermava nel 
Dialogo dei Massimi sistemi (Giorn. 1 ) « Se 10 0SS1 
nella Luna stessa, non credo che io potessi con mano 
toccar più chiaramente l’asprezza della sua super eie 
di quello che io me la scorga ora con l'apprensione 
del discorso ». Così egli praticava il metodo sperimen- 
1 tale, e laddove Francesco Bacone, il grande suo con 
temporaneo, non faceva alcuna scoperta ed acco tì leva 


(1) Galilei - Dialogo dei Massimi Sistemi., Giorn. IH 

(2) Galilei — Dialogo dei Mass. Sisfc., Giorn.. 









— 96 — 

anche ne’ suoi scritti errori volgari, egli arricchiva 
la scienza di sempre nuove e straordinarie scoperte, 
e guidalo dal suo genio non solo osservava ma divi¬ 
nava, nè mai trascurava di accompagnare il ragio¬ 
namento all'esperienza. Che dire poi del Newton? 
Induttivamente egli dalle leggi di Keplero ricavò la 
legge della gravitazione universale; laddove ragionando 
deduttivamente sull’ipotesi che la deviazione della luna 
dalla tangente fosse un caso della gravità terrestre, e 
calcolandone il valore (riconosciuto poi conforme a! 
vero) trovò l’identità tra la gravità terrestre e l’attra¬ 
zione esercitata dalla terra sulla luna(l) Il Bode dalla 
legge generale di continuità da lui scoperta nei corpi 
celesti argomentò all’esistenza di uno o più pianeti 
fra Giove e Marte, il che fu poi verificato appuntino 
sul principio del secolo XIX° con la scoperta di Cerere. 
Pallade, Vesta e Giunone. Il Leverrier solo appog¬ 
giandosi al calcolo e al Raziocinio vide, prima che 
fosse scoperto al telescopio, un lontanissimo pianeta, 
Nettuno, e ne definì con precisione la grandezza, la 
posizione e l’orbita. Il Torricelli infine, quantunque 
verificasse che l’aria è pesante coll’invenzione del 
barometro, già prima di tale sua invenzione dopo aver 
osservato alcune qualità sensibili dell’aria aveva con¬ 
cluso deduttivamente che l’aria doveva essere pesante 
•come tutti gli altri corpi. 

A tanto può condurre il Raziocinio spinto alle ultime 


(1} Il Newton adopero nelle sue dimostrazioni il metodo 
sintetico di cui avevano dato l’esempio gli antichi geometri 
greci, e lo preferì ai metodi analitici allora seguiti general¬ 
mente. Cfr. G. Rossi « I principi Newtoniani della Filosofia 
naturale, in Riv. Ital. di fìsosof. 1890, Pag. 44 e seg. 





— 97 — 

sue conseguenze! Perocché la conquista di così stra¬ 
ordinarie verità, quali quelle del Galilei e del Newton 
acquistate alla scienza, non si poteva assolutamente 
fare con semplici procedimenti di paragone, con ge¬ 
neralizzazioni fondate sull’aver scoperto alcune ana¬ 
logie; ben altre attività della mente si richiedevano a 
tant’opera! L'Induzione sola sarebbe stata infruttuosa; 
si richiedeva anche la Deduzione, ma sapientemente 
adoperata; non certo come l’usavano gli antichi, spe¬ 
cialmente nello studio dei fatti naturali. Per i moderni 
da Galileo in poi la Deduzione ha avuto un grande 
valore nel percepire le ultime analogie tra fenomeni 
in apparenza diversi e non riducibili alle stesse leggi. 
Abbiamo detto per i pensatori e scienziati moderni, 
perché, come avverte un dotto scrittore in un suo 
opuscolo (1), per gli scienziati antichi spiegare un 
fenomeno non voleva già dire farne l’analisi o de¬ 
terminare le leggi della sua produzione, ma ravvi¬ 
cinarlo o identificarlo con altri più comuni, da loro 
meglio conosciuti. Dal Raziocinio non pretendevano 
altro che questo servizio, laddove esso sapientemente 
usato, come vedemmo, può spesso precorrere 1 espe¬ 
rienza, farci spingere le teorie alle loro conseguenze 
ultime, farci vedere fino a qual segno una legge renda 
conto di tutti i particolari di un dato fatto. Dalle 
considerazioni da noi esposte e dai numerosi esempi 
addotti ci pare si possa concludere che la ricerca in¬ 
duttiva non è mai compiuta di per sé sola. Il proce¬ 
dimento induttivo e il deduttivo si integrano a vicenda 


(1) Vailati — Il metodo deduttivo come strumento di ricerca, 
pag. 17. Lettura d’introduzione al corso di lezioni sulla storia 
della Meccanica, tenuto a Torino l’anno 1897-98 (Roux Pressati). 















— 98 — 

come operazioni inverse, e mentre il primo è la veri¬ 
ficazione della legge nel fatto, il secondo ne è la ve¬ 
rificazione. nella teoria, cioè la spiegazione. « Le due 

vie, dice Augusto Conti, continuamente si incrociano. 

L’un metodo senza l’altro dà nel falso o resta incom¬ 
piuto; la Deduzione senza Induzione o forma principi 
arbitrari e non gli applica con precisione, o gli applica 
a caso; l’Induzione senza Deduzione non ha regole, nè 
mostra l’attinenza di ragione per cui si va dal noto 
all’ignoto, cioè da un principio evidente alla conse¬ 
guenza (1) ». Nè questo è tutto, chè le stesse verità 
sperimentali acquistano il più alto grado di certezza 
quando si giunga ad applicar loro il calcolo matema¬ 
tico, il quale è il più bell'esempio di procedimento 
deduttivo e viene non solo ad ordinarle le verità, ma 
anche a dar loro una consistenza che altrimenti sa- 
sebbe vano sperare, non potendosi dire ritrovata una 
verità se è di ancor dubbia esistenza. 

È inutile parlare dell’importanza del Raziocinio nelle 
scienze deduttive in generale, nè vi è bisogno di ri¬ 
cordare che tanto colui il quale impara le Matematiche, 
quanto chi le insegna procedono per via di Sillogismo. E 
vero che, come affermava il Bufalini, le scienze furono 
povere e superstiziose finché le guidò la filosofia spe¬ 
culativa, e che solo la filosofia sperimentale fece fare 
ad esse rapidi e prodigiosi progressi. Ma non v’è chi 
non riconosca che i Peripatetici e specialmente gli 
ultimi della scuola abusarono del Raziocinio trascurando 
l’Induzione. 

Coi loro metodi non fecero avanzare le scienze fi¬ 
siche durante secoli e secoli dal punto in cui le ave- 


(1) Conti — Storia della filosofia, Voi. II. pag. IBS e seg. 









— 99 — 

-vano condotte i Greci, salvo arditi tentativi di Rogero 
Bacone. Ed invero dai principii che il sole è più 
nobile della terra, che il riposo è più nobile del 
movimento, che il moto circolare è il più perfetto, 
che la natura ha orrore del vuoto, non potevasi trarre 
alcuna spiegazione di fatti naturali, nè dare alcuna 
spiegazione di fatti naturali, nè fare alcuna scoperta. 
Ma non bisogna però dimenticare che le scienze 
giunte allo stadio deduttivo sono di gran lunga più 
ricche e meglio costituite di quelle che sono ancora 
costrette, ogni qualvolta si presentano nuovi casi, a 
fare sempre nuove generalizzazioni, in mancanza di 
una generalizzazione ultima, atta a ricollegare dedut¬ 
tivamente tutte le sue parti. L’Astronomia ha fatto 
rapidi progressi ed ha raggiunto quel grado di per¬ 
fezione che ora l'adorna in virtù di una sola gcneia- 
lizznzione, l’attrazione universale; e cosi la Fisica, pel 
principio dell’equivalenza delle forze; e la stessa Chi¬ 
mica moderna non esisterebbe senza l’ipotesi che dicesi 
teoria atomica, nè l'Ottica senza quella che la luco 
sia un movimento ondulatorio. Che dire poi della Mec¬ 
canica? Il dottor Vailati avvertiva giustamente in una 
■sua pregevolissima Lettura tenuta pochi anni or sono 
all’Università di Torino (1), che le prime esperienze 
che fecero progredire la Meccanica furono, più che 
interrogazioni rivolte alla natura- « veri cimenti a cui 
l’assoggettavano per sfidarla quasi a rispondere diver¬ 
samente da quel che avrebbe dovuto. » Talora pareva 
che fossero indotti a sperimentare più per convincere 
gli altri che se stessi ; poiché i fatti soli potevano 
scuotere gli increduli. E noi già recammo parecchi 
esempi del Galilei, più eloquenti di lunghi discorsi. 


(1) Vailati — Op. cit., pag. 14. 












— 100 — 

In oo-ni scienza ritrovate le leggi semplici incomincia 
un procedimento inventivo della Deduzione, che può 
essere una riduzione od una sintesi. Quantoè rimasta più 
indietro laStoria naturale! E ciò perché sebbene la teoria 

dell’evoluzione sia una generalizzazione ultima rispetto- 
alla Biologia, tuttavia non è così certa nelle sue ipotesi, 
nè così compiuta nelle sue leggi da potersi affidare al 
procedimento deduttivo nelle dimostrazioni e ricerche. 
Perciò fin quando non si dimostri che nella cellula 
germinativa sono tutti gli elementi costitutivi delle- 
specie, ed anche i germi del sentire, dell intendere, del 
volere; fin quando non cesserà di essere un arcano 
come da un atto meccanico si passi ad un atto psi¬ 
chico, la teoria del Darvin e dello Spencer potrà allct¬ 
tare molte menti, - ma non sarà riconosciuta quale 
accertata verità scientifica. Onde l’applicazione della 
Deduzione alle scienze è desiderabile pel loro progresso ; 
e tali vantaggi ha posto splendidamente in luce 
il dottor Vailati nel suo scritto già da noi citato. Uno 
di questi vantaggi consiste per lui nel « reciproco 
controllo che le proposizioni legate per mezzo della 
Deduzione sono poste in grado di esercitare le une 
sulle altre, e nel vicendevole appoggio che vengono 
così a prestarsi mettendo in certo modo in comune 
la forza complessiva di tutti i fatti e di tutte lo verifiche 
di cui ciascuna di esse dispone (1).» Altro vantaggio 
infine è quello che si riferisce « alla capacità che ha 
la Deduzione di semplificare e facilitare la descrizione 
e la caratterizzazione dell’andamento dei fenomeni al 
cui studio si applica, permettendoci di rappresentare 
nelle nostra mente le leggi che li regolano mediante 


(1) Vailati — Op. cit., pag. 85. 







— 101 — 

un minimo numero di proposizioni abbracciane ciascuna 
un insieme, il più possibilmente esteso, di fatti parti¬ 
colari e casi speciali (1). » Onde apparisce chiaro 
che il Raziocinio è ben più d’un semplice ordinatore, 
di un istrumcnto tassonomico che vale a scoprire nuovi 

veri in ogni ramo del sapere. Le scienze poi non vanno 
divise in due campi, in deduttive e induttive, esclusiva- 
mente, in quantoche Deduzione e Induzione, come già 
vedemmo, si integrano a vicenda in ogni scienza, e si 
può parlare tutt’al più della prevalenza di un metodo 
sull’altro, non mai di contrasto. 

Come non è possibile separare l’Analisi dalla Sintesi, 
perocché se ogni Analisi nella ricerca ha per fine una 
Sintesi ogni Sintesi è il risultamento della composi¬ 
zione di precedenti Analisi; così non si può disgiungere 
la Deduzione dall’Induzione, perchè quella muove o 
da principi raggiunti con l’Induzione, o da ipotesi, 
ossia principi formulati analogicamente, conforme agli 
induttivi; e d’altro lato alcuni procedimenti, coi quali 
l’Induzione cerca di raggiungerei principi sono dedut¬ 
tivi, come si vede nel metodo di differenza. Bisogna 
poi sempre tener presente che in ogni scienza occorre 
ad ogni passo la spiegazione la quale in sostanza è 
una Deduzione, una riduzione del particolare all’uni¬ 
versale, una generalizzazione. 

Che più? Tutte le scienze da induttive tendono, come 
già dicemmo, a diventare deduttive, ed in’ciù consiste 
la loro perfezione, sia estensiva sia intensiva. E, per 
concludere, in tutte le scienze se si trovano nuove 
cognizioni di fatti con l’osservazione esterna ed interna, 
col ragionamento e con la riflessione si acquistano nuove 


VailatL — Op. cit., pag. 36. 









— 102 — 

cognizioni razionali; con 1 Induzione si arriva a sco_ 
prire verità generali nei concetti particolari; col Ra¬ 
ziocinio si scoprono le attinenze particolari nelle verità 
generali e nei principi puri e sperimentali; ed infine 
non già il Senso con l’Esperienza e l'Induzione, ma la 
Ragione assorge ai principi supremi, li furmola, e li- 
applica alle stesse scienze sperimentali. Perocché . i 
principi generali, di perse stessi, per dirla con Augusto- 
Conti, « sono astratti e nulla insegnano, e sono come- 
tesoro, che, posseduto non si spende nè si mette in com¬ 
mercio e quindi non serve a nulla (1) ». Onde il metodo- 
più acconcio per far progredire ogni scienza è il com¬ 
prensivo, creato e sapientemente seguito dal nostro’ 
Galilei. Il vero scienziato deve partire dai summi prin¬ 
cipi della ragione, ingiustamente dal Locke, dal Bor- 
ckeley e dall'I-Iume considerati infecondi nella scienza- 
perchè astratti ed universali. Essi sono indispensabili; 
al progresso del sapere: indi è necessaria la Matematica- 
e specialmente la Geometria, perchè, per dirla col’ 
Galilei, « l’universo è scritto in lingua matematica, o- 
i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geo¬ 
metriche, » o in altri termini, « i fatti naturali e le 
proprietà dei corpi si riducono ad attinenze certe di 
numero o di spazio; perchè le leggi di natura si ren¬ 
dono, per la mente nostra, generali e costanti ove siano 
sottoposte al calcolo (2). » 

Viene poscia in campo l'Esperienza, ma questa deve 
sempre essere sorretta dal Discorso, nè ad essa lo 
scienziato deve affidarsi troppo ciecamente, ricordando 
le autee parole dal Magalotti nel Proemio ai Sugffi 


(1) Conti o Sartini — Filosofia elementare, pag. 269-270. 
(2_1 Cfr. anche Conti e Sartini, op. cit., pag. 274. 







— 103 — 

di Naturali esperienze dell'Accademia del Cimento : 

« Conviene camminare con molto riguardo, che la 
troppa fede all’esperienza non ci faccia travedere e ci 
inganni, essendoché alle volte prima eh’ ella ci mostri 
la verità, manifesta dopo levati quei primi velami delle 
falsità più palesi, ne fa scorgere certe apparenze 
ingannevoli,ch’hanno sembianze di vero (1) » Da ultimo 
non deve mai trascurarsi l’autorità scientifica, che giova 
ed evitare ogni eventuale inganno delle proprie osser¬ 
vazioni e dei propri ragionamenti. Questo è il vero 
metodo scientifico e non altro; esso è gloria nostra, 
ed ha rinnovalo tutte le scienze e nuovi trionfi è an¬ 
cora destinato a riportare pel bene dell’umanità. 

Non possiamo chiudere questo nostro breve studio 
sul Raziocinio senza accennare ad un altro suo pregio 
che nessuno vorrà disconoscere, cioè all’efficacia che 
esso ha nella formazione del carattere. Poiché il Sil¬ 
logismo facendo vedere ogni fatto particolare collegato 
con un principio generale abitua gli uomini alla coe¬ 
renza, che trasportala nelle azioni dicesi carattere. 
E giustamente osserva il Kant (2) che bisogna operare 
come se la massima dell'azione dovesse divenire legge 
universale della natura. Ma alla dottrina Kantiana 
sublime nella sua rigidezza, non sa uniformarsi se non 
colui il quale, per dirla col Rosmini, « si esercita ed 
abitua nella coerenza dei pensamenti, e non lasciando 
sterili in se stessi i principi ne deduce le ultime con¬ 


ti) Magalotti — Saggi di naturali esperienze dell’Accademia 
del Cimento, Proemio — e A. Valdarnini — Il metodo speri¬ 
mentale ecc., pag. 68. 

(2) Kant — Fondamenti della Metafisica dei Costumi, — e 
Critica della Ragion Pratica. 















— 1° 4 — . ' .. 

/i\ il rii-attere infatti è 1 abitudine di 

seguenze (1)- stabilita e di attenervisi 

fcrysrs rr^rr 

! tondamente del carattere è lord,ne morale e . 

dovere, ma perchè possa effettuare, cosinegl uou« 
come nelle nazioni « è necessario che tutte le nostre 
hcoltà "li atti della mente, e le libere operazioni .1 
proposito i mezzi e l’intento, fondati sul senUmento 
è sull’idea della legge morale e del dovere armonizzino 
fra loro e siano rivolti al vero e piu elevato flne 
della vita umana e della civile società (3). » E se c 
vero, come vuole lo Smiles, che la nobiltà del carattere 
è quanto vi ha di meglio nell'umana natura ; se 
vero che il carattere stesso degli individui e dei po¬ 
poli è la forza più potente nel mondo morale, il Ra¬ 
ziocinio che fortemente concorre a formarlo ci rende 
un altro grande c segnalato servigio. La coscienza 
morale poi è complessa: richiede in primo luogo a 
conoscenza della legge; indi la coscienza di un fatto 
volontario reale o intenzionale; infine la constatazione 
che l'atto è conforme alla legge o disforme da essa. 
Onde la coscienza morale fu da alcuno definita mo to 
bene: « il giudizio della ragion pratica ultimo circa 
i particolari fatti umani, dedotti dagli universali pnn- 


(1) Rosmini — Logica, N. 994. ,010 

(2) Fiorentino — Elementi di Filosofia, pag. 311-olZ. 

(3) Yaldarnini — Elementi di Etica e di diritto, pag* 







— 105 — 

cipì del costume, » e può considerarsi come la con- 
f clusione di un Raziocinio la cui premessa maggiore 
è data dai primi principi morali, e la minore dalla 
coscienza del fatto posto o da porre. 

j CONCLUSIONE 

Il nostro lavoro è compiuto: in esso abbiamo cercato 
di seguire sempre il vero, senza curarci di attenerci 
! più a questo che a quel sistema filosofico, nè di abbando¬ 
narci ad esagerate affermazioni. Dallo studio dei più 
grandi scrittori di Logica ci è parso che in generale 
si sia trasceso; da alcuni attribuendo al Raziocinio 
una soverchia importanza che esso non ha, da altri 
disconoscendogli ogni valore. 

Nessuno ha mai potuto nè potrà in avvenire infir¬ 
mare validamente l’utilità e le regole del Raziocinio, 
che, esposte in antico da Aristotele, furono riferite in 
ogni età, e dal nostro Galilei opposte di continuo ai 
falsi Peripatetici dell’età sua. Ricordiamo sempre che 
se le scienze hanno progredito nell’età moderna in 
modo così meraviglioso, ciò è stato perchè non il 
solo metodo autoritario e deduttivo o lo sperimentale 
induttivo, ma entrambi felicemente congiunti in ac¬ 
cordo armonico le guidarono nel loro cammino. E 
rammentiamo ancora che, come ammonisce molto 
saviamente il Conti (1), « un empirismo senza rigore 
di ragionamento e senza guida dei sovrani principi è 
accozzaglia di fatti, non è scienza, nè troverà mai 
leggi universali, com’è l’attrazione del Newton e le 


(1) Conti — Storia della Filosofia, Voi. II, pag. 342. 














— 106 — 

oscillazioni del Galilei. Un idealismo senza osserva¬ 
zione dei fatti, che induca e deduca fuor di quello che 
essi mostrano, non è altro che tela di ragno, un soffio 
la disfà, e ce l’insegna la storia. Nè ciò vale solo pei 
fatti esteriori, ma per gli interni altresì; e come 1 
tìsici così hanno i filosofi nel Galilei un maestro sicuro. » 
Il suo metodo e quello della sua scuola ha dato alla 
scienza così splendidi risultati, che i grandi scienziati 
non lo abbandonarono più. « Una è la verità; e se 
la verità ci si palesa dagli insegnamenti di Galileo, è 
impossibile che essa stia in insegnamenti contrari. » 


FINE. 



1 KT » 1 c e 


Introduzione. 

Cap. I — Il Raziocinio in Aristotele .... 

Cap. II — Il Raziocinio dopo Aristotele 

Cap. Ili — Critica delle obiezioni mosse contro il valore 

del Raziocinio. 

Cap. IV — Importanza del Raziocinio nella scoperta 

della veritìi. 

Conclusione. 


Paj. 

5 

6 

20 

70 

88 ■ 
105. 





















ERRATA-CORRIGE- 


20 

linea 23 in 

luogo (lì 

irfatfe 

leggi idi 'os 

48 

P 

22 

» 

delio 

P 

della 

G5 

P 

15 

» 

rendono 

P 

rendono 

07 

P 

15 

» 

Teoria 

» 

Teorica 

70 

P 

20 

> 

contenuto 

P 

contenuta 

71 

» 

23 

p 

quantitativo 

P 

qualitativo ■ 

75 

P 

1 

» 

di 

> 

dei 

75 

» 

7 

p 

subordinata 

P 

subordinalo 

77 

» 

29 

9 

i pròni 

P 

primi 

73 

> 

10- 

P 

percepire 

P 

conoscere 

80 

» 

0 

» 

che 

> 

chi 

83 

P 

9 

> 

E sta bene 

» 

li sta beile; 

93 

» 

20 

P 

peripotetioo 

P 

peripatetico- 

90 

• 

19 

» 

al 

»■ 

col 






No comments:

Post a Comment