Sunday, July 28, 2024

Grice e Vailati

 


“ L.  CoLiturat  e L.  Leau.  Histoire  de  la  Langue  unl- 

verselle  Paris,  Hachette,  1904. 

(Rivista  Utosofica,  fase.  4,  settembre-ottobre  1904). 


Non  è solo  pel  fatto  di  contenere  un’esposizione  accurata  e particolareg- 
giata dei  numerosi  progetti  di  lingua  universale  che  si  sono  succeduti  a comin- 
ciare dai  primi  di  cui  si  abbia  notizia  (Urchard  ,653,  Dalgarno  1661.  Wilkins  .668) 
fino  ai  piu  recenti  e contemporanei,  che  il  presente  volume  ha  il  diritto  di  in- 
titolarsi una  Storta  della  questione  della  lingua  internazionale. 

Esso  merita  tale  titolo  anche  in  un  altro  e più  importante’ senso,  in  quanto 
1 SUOI  autori  riescono  con  esso  a provare  che  la  serie  di  tentativi  da  essi  presi 
in  considerazione,  lungi  dal  presentare  l’aspetto  d’una  successione  di  sforzi  in- 
dipendenti e incoerenti,  lascia  trasparire  le  traccie  di  una  graduale  evoluzione 
verso  uno  schema  il  cui  carattere  generale  è già  fin  d’ora  suscettibile  di  un’ap- 
prossimata determinazione,  e le  cui  linee  fondamentali  vengono  in  certo  modo 
a sovrapporsi  a quelle  segnate  dal  processo  spontaneo  che  porta  irresistibil- 
mente, per  quanto  lentamente,  le  nazioni  civili  ad  aumentare  sempre  più  il  pa- 
trimonio di  vocaboli  e di  espressioni  che  possiedono  in  comune. 

.e  persone,  anche  colte,  che  non  hanno  avuto  occasione  di  riflettere  sull’argo- 
mento non  si  fanno  facilmente  un’  idea  esatta  della  quantità  di  parole  « inter- 
naziona  1 » che  esse  adoperano,  e della  parte  sempre  crescente  che  queste  ven- 
gono ad  occupare,  non  dico  nei  dizionari  compilati  dai  letterati  o dai  puristi 
ma  nel  dizionario  reale  ed  effettivo  dell’uso  corrente,  nella  lista  cioè  dei  voca- 
boli del  CUI  sipificato  si  esige  e si  presuppone  la  conoscenza  anche  in  chi  non 
conosca  altra  lingua  che  la  propria.  Così,  per  esempio,  nessun  italiano  potrebbe 
addurre  la  sua  ignoranza  del  francese  o del  tedesco,  come  giustificazione  del 
suo  non  conoscere  il  senso  di  parole  come  le  seguenti,  òuffet,  bureau,  chèque, 
club,  hotel,  itufiresario,  meeting,  menu,  restaurant,  rdclame,  record,  reporter  revol 
ver,  sport  toilette,  traimvay,  tunnel,  etc.  Il  che  vuol  dire  che,  se  si  prende  come 
criterio  dell  < italianità.  » di  una  parola  il  fatto  che  essa  sia  usata  e intesa 
agli  Italiani  (e  non  si  vede  quale  altro  criterio  si  potrebbe  prendere,  da  chi 
a meno  non  sia  disposto  a negare  che  siano  italiane  anche  le  parole  alcool,  ze- 


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7itth,  ovest,  gas  pel  fatto  che  esse  ci  provengono  dall’arabo  o dall’olandese),  i 
vocaboli  sopra  riportati  hanno  ben  più  diritto  a essere  qualificati  come  italiani 
di  quanto  ne  abbiano  tanti  altri  che  i dizionari  registrano  solo  perchè  usati  da 
scrittori  di  qualche  secolo  fa  : come,  per  esempio,  « allotta  »,  « arrogi  »,  < gtta- 
gnele  »,  « millanta  »,  etc. 

Ne  al  fatto  che  alcune  delle  suddette  parole  contengono  lettere  o sillabe 
aventi  valore  fonetico  diverso  da  quello  che  loro  spetterebbe  nella  nostra  « or- 
tografia » può  essere  ormai  attribuita  molta  importanza  dal  momento  che  tale 
circostanza  non  è più  considerata  come  un  ostacolo  alla  trascrizione  esatta  dei 
nomi  proprii  stranieri  di  luogo  e di  persona. 

Le  esigenze  pratiche  si  alleano  ora  al  senso  estetico  per  trattenerci  dallo 
scrivere  Stoccarda  o Conisberga  invece  di  Stuttgart  e di  Konigsberg.  E se  a 
molti  non  ripugna  ancora  lo  scrivere  Volfango  invece  di  Wolfgang,  a nessuno 
verrebbe  certo  ora  in  mente  di  imitare  il  Vico  citando  Descartes  sotto  il  nome 
di  Renato  delle  Carte.  Un  esempio  caratteristico  di  creazione  di  nuove  parole 
internazionali  mediante  un  espresso  accordo  tra  gii  interessati  ci  è fornito  dal 
sistema  di  unita  C.  G.  S.  adottato  e promulgato  dal  Congresso  internazionale 
degli  elettricisti,  tenuto  a Parigi  nel  1881,  e le  cui  denominazioni  sotto  forma 
invariabile  {volt,  ampire,  ohm,  etc.)  sono  ora  adoperate  dagli  scienziati  e dagli 
elettrotecnici  di  ogni  nazione. 

La  gran  maggioranza  tuttavia  delle  parole  che  possono  praticamente  essere 
riguardate  come  già  in  effetto  internazionali  non  è costituita  da  quelle  che  figu- 
rano nelle  varie  lingue  sotto  forma  assolutamente  identica,  ma  bensì  da  quelle 
che  vi  si  trovano  leggermente  modificate,  sopratutto  nella  desinenza,  a seconda 
dell’  indole  dei  rispettivi  linguaggi,  come  avviene  ad  esempio  per  le  parole  : 
caffè,  cioccolata,  tabacco,  garanzia,  posta,  vagone,  consolato , oasi,  concerto,  etc.  E in 
questa  categoria  che  rientrano  i numerosi  termini  tecnici  (di  scienze,  di  arti,  di 
sostanze  chimiche,  di  strumenti,  di  malattie,  etc.)  derivati  dal  greco,  come  chi- 
rurgo, estetica,  ossigeno,  fonografo,  emicrania,  etc. 

A projiosito  dei  quali  giova  notare  come  parecchie  radici  o prefissi  greci 
(come  —logo,  —grafo,  z=.geno,  fono—,  termozzz,  baro=,  archi—,  end—,  anti—, 
i^o — , filo — , geo—,  etc.)  pure  non  figurando,  sotto  qualsiasi  forma,  come  parole 
isolate,  nel  dizionario  di  alcuna  lingua  moderna,  tuttavia  per  il  solo  fatto  di 
trovarsi  ripetutamente  adoperati,  e con  un  senso  ben  determinato,  nella  compo- 
sizione di  parole  appartenenti  a ogni  linguaggio  civile,  finiscono  per  essere  cor- 
rettamente interpretate  anche  da  chi  si  trovi  sprovvisto  di  qualsiasi  conoscenza 
della  lingua  dalla  quale  provengono. 

La  stessa  osservazione  si  può  ripetere  per  quei  vocaboli  latini  che,  pure 
non  potendo  essere  qualificati  come  internazionali  nel  senso  che  essi  apparten- 
gano ad  altre  lingue  oltre  che  alle  neolatine,  lo  sono  tuttavia  nel  senso  che  le 
lingue  neolatine  non  sono  le  sole  nelle  quali  esse  figurano  come  elementi  di  pa- 
role composte. 


Cosi  per  esempio  le  parole  latine  : navts,  oculus,  currere,  secretum,  ovum, 
pubblicus,  annus,  etc.  non  possono  essere  riguardate  come  del  tutto  estranee 
all’  inglese  e al  tedesco  dal  momento  che  a queste  lingue  appartengono  le  pa- 
role Oculist,  concurrence,  secretary,  ovai,  Publizist,  Annalen,  etc. 

E specialmente  in  virtù  di  questa  circostanza  che  i più  recenti  progetti  di 


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lingua  universale,  quanto  più  deliberatamente  si  propongono  di  costruire  il  di 
zionario  in  base  al  criterio  pratico  della  massima  effettività  internazionale  delle 
singole  parole  o radici  (criterio  che  viene  a essere  naturalmente  imposto  dalla 
necessità  di  ridurre  al  minimo  gli  sforzi  richiesti  dall’apprendimento  di  arole 
interamente  nuove  da  parte  di  chi  conosca  già  qualcuna  delle  lingue  civib''eu- 
ropee,  e dalla  convenienza  di  rendere  il  dizionario  della  lingua  internazionale 
quanto  più  è possibile  utile  per  facilitare  l'eventuale  apprendimento  delle  lino-ue 
civili  europee  da  parte  di  chi  non  ne  conosca  alcuna),  tanto  più  si  trovano  con- 
dotti ad  attribuire  una  parte  preponderante  aU’elemento  latino. 

La  maggior  parte  di  tali  progetti  finiscono  anzi  per  differire  tra  loro  assai 
meno  di  quanto  possano  differire  due  dialetti  di  una  stessa  lingua,  e per  avvi- 
cinarsi anche  senza  volerlo,  per  ciò  almeno  che  riguarda  il  dizionario,  ai  pro- 
getti avanzad  dai  fautori  di  un  ritorno  all’uso  internazionale  del  latino,  in  quanto 
anche  questi  sono  costretti  ad  ammettere  i neologismi  indispensabili  per  espri- 
mere cose  e concetti  moderni,  e a rinunciare  quindi  a qualunque  pretesa  puri- 
stica e letteraria.  ^ 

Come  è naturale,  il  latino  più  ricco  di  elementi  internazionali  non  è quello 
classico  di  Cicerone  o di  Tacito,  ma  quello  usato  dagli  scolastici  e dagli  scien- 
ziati del  medio  evo  ; non  quello,  per  esempio,  in  cui  il  Ministero  della  pubblica 
istruzione  sarebbe  chiamato  Summus  moderator  shidiortcm,  ma  quello  in  cui  ver- 
rebbe semplicemente  indicato  come  Minister  pttMicae  instructionis  o,  anche  me- 
glio, de  puèlica  instricctioìie. 

Ma  a rendere  difficile  un  completo  accordo  tra  i fautori  di  un  latino  co- 
munque modernizzato  e semplificato,  e quelli  che  propongono  la  costruzione 
d una  lingua  affatto  artificiale,  per  quanto  costruita  con  materiali  tolti  in  gran 
parte  dal  latino,  si  presentano  le  questioni  relative  alla  grammatica. 

Benché  gli  uni  e gli  altri  si  trovino  d’accordo  nel  riconoscere  che  le  difficoltà 
inerenti  all’adozione  del  latino  come  lingua  internazionale  potrebbero  venir  no- 
tevolmente diminuite  coll’  introdurre  nella  sua  grammatica  delle  modificazioni 
semplificatrici  d’ indole  analoga  a quelle  che  si  sono  spontaneamente  prodotte 
ne  le  lingue  neolatine,  pure  essi  non  cessano  per  ciò  di  differire  grandemente 
nell  apprezzamento  dei  criteri  da  seguire  in  tale  semplificazione. 

Vi  è chi  si  contenterebbe  di  regolarizzare  le  declinazioni  0 le  coniugazioni, 
togliendo  la  loro  inutile  molteplicità  e permettendo,  per  esempio,  che  si  dicesse 
ati  t o e legebo  come  si  dice  amabo  e monebo,  o loqtiivi,  currivi  invece  di  locutus 
S2tm  e di  czicurn.  Altri  abolirebbero  senz’altro  ogni  declinazione  dei  nomi  in- 
dicando invece  i vari  casi  colle  preposizioni  come  fanno  le  lingue  neolatine 
1 armenti  sopprimerebbero  le  varie  flessioni  dei  verbi  corrisj.ondenti  alle  per- 
sone,  bastando,  per  distinguere  queste,  T impiego  dei  pronomi. 

Anche  per  indicare  i diversi  tempi  dei  verbi  v’è  chi  propone  si  abbandoni 
1 impiego  di  speciali  desinenze  o modificazioni  adottando  invece  l’artificio  dei 
verbi  ausiliari  (anche  per  il  futuro). 

Un  passo  piu  avanti  è fatto  da  quelli  che  propongono  si  abolisca  la  di- 
stinzione tra  i generi  dei  nomi  e tutte  le  regole  di  concordanza  ad  essa  rela- 
tive, indicando  solo,  quando  occorra,  il  sesso  con  uno  speciale  prefisso  come  si 
fa  in  inglese  {he-goat,  she-goat). 

Ne  qui  SI  arrestano  le  proposte  di  semplificazioni,  tra  le  quali  la  più  radi- 


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cale  è rappresentata  dal  « Latino  sine  flexione  » del  prof.  G.  Peano  (‘),  riat- 
taccantesi  a un  ordine  di  ricerche  il  cui  primo  impulso  risale  al  Leibniz. 

Già  questi  aveva  osservato  che,  allo  stesso  modo  come  l’uso  delle  propo- 
sizioni rende  inutili,  pei  nomi,  le  flessioni  corrispondenti  ai  differenti  casi,  così 
anche  l’uso  delle  congiunzioni  potrebbe  sostituire,  per  i verbi,  le  flessioni  indi- 
canti i differenti  modi. 

Così,  per  esempio,  la  differenza  di  significato  tra  l’ indicativo  e il  soggiun- 
tivo è già  sufficientemente  espressa  dalla  sola  presenza,  per  il  secondo,  delle 
congiunzioni  : ut,  quod,  si,  etc. 

Non  occorre  quasi  notare  che  anche  il  modo  imperativo  non  ha  affatto  bi- 
sogno di  venire  indicato  da  alcuna  modificazione  del  verbo,  bastando  a ciò  pre- 
mettere (o  far  seguire)  a questo  l’ indicazione  del  comando  o del  desiderio  {opto, 
peto,  quaeso,  etc.)  come  già  del  resto  si  pratica  in  più  d’una  lingua  {please,  bitte, 
s’il  vous  plait,  etc.). 

Un’  idea  più  ardita,  suggerita  pure  dal  Leibniz  al  Peano,  è quella  dell’  inuti- 
lità di  qualsiasi  flessione  per  indicare  il  plurale  dei  nomi  {videtnr  pluralis  inutilis 
in  lingtia  rationali)  (-).  La  distinzione  tra  singolare  e plurale  sembra  al  Peano 
possa  essere  sufficientemente  espressa  dal  semplice  premettere  al  nome,  quando 
occorra,  un  aggettivo  numerale,  U7tus,  aliqtds,  omnis,  plurcs,  duo,  diversi,  etc.). 

A questa  .ste.ssa  conclusione  era  pure  antecedentemente  venuto  anche  un 
altro  matematico  che  si  occupò  molto  a fondo  delle  questioni  relative  alla  gram- 
matica razionale,  il  prof.  Giusto  Pellavitis  (Università  di  Padova),  di  cui  l’ im- 
portante scritto,  portante  il  titolo  « Pensieri  sopra  ima  lingua  universale  c su 
alcuni  argomcnli  analoghi  » (Memorie  dell’  I.  R.  Istituto  Veneto,  1862),  è sfug- 
gito* * all’attenzione  del  Couturat. 

Tra  le  altre  proposte  originali  e suggestive  che  lo  scritto  del  Bellavitis 
contiene  è da  notare  quella  relativa  all’adozione  di  una  speciale  preposizione 
anche  per  distinguere  il  soggetto  dal  predicato  di  una  proposizione,  da  adope- 
rare, s’ intende,  .solo  quando  ve  ne  sia  bisogno.  Tale  è il  caso  per  esempio 
quando  si  tratti  di  una  proposizione  il  cui  soggetto  o attributo  sia  rappresen- 
tato da  un  pronome  relativo,  il  quale,  per  ragione  di  chiarezza,  non  può  venire 
troppo  allontanato  dal  precedente  nome  cui  si  riferisce,  e non  può  quindi  indi- 
care, per  mezzo  della  sua  posizione  rispetto  al  verbo,  se  debba  essere  inteso 
come  il  suo  soggetto  o il  suo  predicato. 

Questa  osservazione  del  Bellavitis  non  è priva  anche  di  una  certa  impor- 
tanza filosofica  in  quanto  costituisce  in  sostanza  una  critica  della  distinzione  tra 
verbi  transitivi  e intransitivi  e di  quella  tra  verbi  attivi  e passivi.  Essa  mira 
infatti  a sottoporre  non  solo  l’accusativo  (come  già  avviene  in  alcune  lingue, 
p.  e.  nella  spaglinola),  ma  anche  il  nominativo  (^)  a norme  analoghe  a quelle 
che  reggono  gli  altri  casi,  sopprimendo  l’inutile  complicazione  della  costruzione 


(')  Alti  della  R.  Accademia  di  Scienze  di  Torino  (gennaio  1904). 

(*)  Leibniz.  Opusculcs  el  Fragnicnt  inédils  publiés  par  L.  Couturat  (1908),  pag.  281. 

(®)  II  Bellavitis  ha  avuto  su  questo  punto  dei  precursori  fra  gli  scolastici,  in  Occam  e 
Alberto  di  Sassonia.  L’apprezzamento  espresso  su  quest’ultimo  dal  Franti,  (nella  sua  Storia 
della  Logica  in  Occidente),  precisamente  a questo  proposito,  è da  deplorare  come  erroneo  e 
ingiusto. 


L.  COUTURAT  E L.  LEAU,  HISTOIRE  DE  LA  LANGUE  UNIVEKSELLE 


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passiva,  ed  emancipando  nello  stesso  tempo  la  frase  da  ogni  restrizione  relativa 
alla  collocazione  delle  sue  varie  parti  rispetto  al  verbo. 

Anche  sull’uso  degli  articoli  e delle  particelle  dimostrative  le  osservazioni 
del  Bellavitis  apportano  un  contributo  prezioso  alla  soluzione  delle  controversie 
che  ancora  si  dibattono  tra  gli  autori  di  vari  progetti  di  c grammatica  ra- 
zionale ». 

Un  concetto  dominante  sul  quale  egli  ritorna  frequentemente  è questo  che 
l’adozione  di  date  preposizioni  o congiunzioni  o articoli  («  voci  grammaticali  » 
come  egli  le  chiama)  per  indicare  date  relazioni  tra  le  parti  d’una  frase  "non 
implica  che  tali  voci  devano  essere  sempre  adoperate  per  esprimerle  : esse  pos- 
sono e devono  invece  essere  omesse  ogniqualvolta  la  loro  assenza  non  pro- 
duca ambiguità. 

'lutte  queste  « semplificazioni  »,  le  quali,  del  resto,  potrebbero  applicarsi, 
come  al  latino,  anche  a qualsiasi  altra  lingua,  finiscono,  come  si  vede,  per  far 
capo  al  concetto  di  un  linguaggio  suscettibile  di  venir  compreso  e adoperato 
indipendentemente  dalla  conoscenza  di  qualsiasi  regola  grammaticale. 

E in  fondo  l’ideale  che  si  presentava  già  alla  mente  di  Descartes  in  quella 
sua  lettera  al  Padre  Mersenne  (29  Novembre  1629)  nella  quale,  discutendo  un 
progetto  di  ignoto  autore  che  riteneva  aver  costruito  un  linguaggio  atto  a es- 
sere interpretato  e scritto  col  solo  aiuto  di  un  dizionario,  concludeva  che  « ce 
ne  sera  pas  mcrvetlle  que  les  esprits  vulgatres  apprennent  cn  moins  de  six  heures 
à composer  en  cette  languc  ».  (Descartes,  Oeuvres.  Edit.  Tannery  et  Adam  I,  76). 

Ed  e questa  stessa  idea  d una  lingua  artificiale,  costruita,  per  quanto  ri- 
guarda il  dizionario,  con  materiali  tolti  alle  lingue  viventi  e sottoposta  invece, 
per  quanto  riguarda  la  grammatica,  alla  massima  semplificazione  razionale,  che 
il  Rcnouvler  sembra  avere  in  vista  in  quella  frase,  quasi  profetica,  che  appunto 
il  Couturat  riporta  a questo  proposito  (pag.  75-0,  514):  *■  La  languc  universclle 
doti  ciré  cmpiriquc  par  son  vocabulairc  et  philosophique  par  sa  grammaire  ».  (Re- 
NOUVlER,  De  la  question  de  la  languc  universellc  au  XIX  Siècle,  « La  Revue  », 
aofit,  1855). 

Non  voglio  chiudere  il  presente  cenno  senza  richiamare  l’attenzione  su  un 
altro  scritto  italiano  sul  soggetto  della  lingua  universale,  del  quale  pure  non  è 
fatta  menzione  nel  volume  di  cui  parliamo.  Esso  fu  pubblicato  a Roma,  l’anno  1774, 
col  titolo  : « Riflessioni  intorno  al! istituzione  d’una  Kngtia  universale.  Lettera  di 
Glice  Ceresiano  a Giotto fllo  Eugenio  ». 

L’autore  ne  è il  P.  Francesco  Soave,  il  quale  si  propone  in  esso  di  esami- 
nare un  progetto  di  lingua  universale  pubblicato  l’anno  prima  a Berlino,  da 
G.  Kalmar. 

Questo  è tutto  ciò  che  mi  ò riuscito  di  sapere  sul  contenuto  del  detto  opu- 
scolo, che  finora  non  sono  stato  in  grado  di  rintracciare  e che  conosco  solo 
dalla  menzione  che  ne  è fatta  in  un’altra  opera  italiana,  pure  ignorata  dal  Cou- 
turat (Gaetano  Ferrari,  Monoglottica,  Modena,  1877). 

Di  quest’ultima  ebbi  conoscenza  per  mezzo  del  dott.  prof.  Cesare  Meriggi, 
appassionato  cultore  di  questi  studi  e autore  lui  pure  di  un  progetto  di  cui  sono 
segnate  le  traccio  in  un  volumetto  pubblicato  a Pavia  (1884,  Frat.  Fusi). 

Como,

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