Tuesday, July 2, 2024

GRICE ITALICO A/Z G5

 Grice e Giani: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della radice italica del melodramma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo. Grice: “I love Giani; for one, he was less fanatic than Nietzsche, even if it is Nietzsche’s fanaticism that attracts Strawson! For one Giani is more careful: if ‘music’ comes from the muses, which are Apollonian, why has Nietzsche to emphasise in a piece of bad rhetoric, that tragedy has its birth in the ‘spirit’ of “music” – surely Nietzsche means ‘Dionysian,’ but there’s no ‘music’ in Dionysus, only noise! Trust an Italian to correct Nietzsche on that point!” --   Appartene ad una famiglia dell'alta borghesia torinese con spiccate inclinazioni per la musica e per l'arte: lo zio  Giuseppe (Cerano d'Intelvi) e pittore piuttosto noto, docente all'Accademia Albertina, così come il figlio di lui Giovanni (Torino). Si dedica al violino e condusse contemporaneamente gli studi  fino alla laurea. Si interessa inoltre al fermento filosofico di fine Ottocento, a Spencer, ma soprattutto Nietzsche: di Così parlò Zarathustra eavrebbe in seguito dato una traduzione, a partire dalla seconda edizione italiana (Torino, Bocca). Si appassiona, inoltre, al teatro musicale di Wagner, così come altri intellettuali torinesi, e lo difende. Risale la fondazione, per opera sua e dell'amico editore Bocca, della Rivista musicale italiana, in cui inizialmente hanno parte preponderante gli scritti di G., soprattutto recensioni sul teatro musicale contemporaneo e note sui testi poetici da musicare, anche se va probabilmente ascritto a Giani anche l'editoriale programmatico del primo numero, all'interno di una rivista che si propone di ospitare scritti musicologici ispirati al metodo positivistico diffuso tra i due secoli, pur restando aperta all'apporto di altre correnti filosofiche quali quelle dell'idealismo. In “Per l'arte aristocratica”, dimostra le doti di polemista che lo avrebbero accompagnato per tutta la vita: in esso si confuta un giudizio di Torchi e si afferma che la cosiddetta "arte per l'arte" non solo non è immorale, ma è anzi la naturale evoluzione e conclusione dello sviluppo storico di questa manifestazione dello spirito umano. Dedica un saggio al “Nerone” di Boito, che egli da allora considera incondizionatamente un maestro: al tempo Boito aveva reso pubblico il solo testo del Nerone, che venne accolto molto vivacemente e con alterna fortuna dall'ambiente letterario italiano. La posizione intorno al Nerone è singolare e indicativa di quali fossero i requisiti che la cerchia di G. e Bocca ricercava nell'opera musicale. Questa tragedia farebbe parte del novero delle tragedie vere, quelle in cui ritmo, suono della parola, gesto, musica concorrono alla creazione di un che di superiore. Tuttavia, quando la musica del Nerone fu resa nota postuma, dichiara una certa delusione. Uomo dalla cultura enciclopedica, versato con competenza anche negli studi di letteratura, G. cura L'estetica di Leopardi. Vede in Leopardi il luogo in cui le immagini della sua poesia si comporrebbero in un universo etico ed estetico coerente. All'interno della storia della critica leopardiana, pare avvicinabile ora alla posizione di Croce, di distinzione tra il momento della poesia e il momento della riflessione, ora a quelle positivistiche. Singolarmente,parla di musica e dell'analogia tra il ruolo del coro greco e il ruolo del coro nelle Operette morali solo nella conclusione, benché in termini acuti. Avrebbe contribuito ad un ulteriore campo degli studi letterari, quello della musica nel mondo antico. Apparve “Gli spiriti della musica nella tragedia” -- Fin dal saggio, si richiama alla nota opera di Nietzsche, “La nascita della tragedia dallo spirito della musica”. G. non condivide l'opinione di Nietzsche secondo cui il razionalismo del teatro di Euripide avrebbe spento la portata dionisiaca della tragedia. La tragedia di Euripide permane ad un livello musicale altissimo. Per affermare questo ricostruisce il ruolo della musica nei testi tragici sulla base delle fonti antiche, dedicandosi alle singole parti e forme musicali dei drammi, sempre attento a sottolineare la valenza estetica complessiva della tragedia o melodramma, ma nel contempo senza trascurare le posizioni metodologiche della scuola filologica. Fino ad allora non aveva stretto profondi legami con i musicisti coevi (eccettuato Boito), si avvicina sempre più alle compositori. Saluta con favore Bastianelli e Pizzetti, approvandone principalmente le posizioni estetiche e la ricerca di una certa spiritualità nella music, tipica dei due esponenti del circolo fiorentino della Voce, ma prese le distanze ben presto dalle loro prove compositive, in particolare dai drammi musicali di Pizzetti, che non parvero a opere d'arte totalmente compiute.  Un legame creativo e biografico molto più stretto strinse con Ghedini, anche per via delle comuni frequentazioni torinesi: per Ghedini, che sta ancora cercando una personale posizione estetica e anda raggiungendo progressivamente le conquiste di stile e di linguaggio che lo avrebbero reso famoso, Giani valse come una sorta di pigmalione, suggerendo testi da musicare per le liriche e esaminando con occhio critico le composizioni di Ghedini.  Giani stesso fu librettista. Ridusse L'Intrusa di Maeterlinck, musicata da Ghedini ma mai rappresentata, e scrisse Esther per Pannain.Verso il termine della sua vita, divenne molto noto in tutta Italia per i suoi scritti di radicale confutazione di Croce. Non era particolarmente ostile all'idealismo di Croce, anzi considerava la teoria dell'arte come intuizione una delle chiavi per la valutazione della creatività anche musicale e teatrale. Tuttavia, a mano a mano che l'estetica di Croce veniva sistematizzata dal suo stesso autore, ma soprattutto da alcuni suoi pedestri seguaci mal tollerati dal nostro, attaccò tale concezione con il bellicoso pseudonimo di Luigi Pagano in La fionda di Davide, criticando che in essa non vi fosse posto per il lato tecnico e materiale della creazione e che addirittura la stessa musica non fosse stata debitamente considerata da Croce al medesimo livello delle altre arti che diedero lustro al passato italiano. Il posto di G. nella storia della musicografia è tutto particolare. Pestalozza vi ha addirittura visto un predecessore della “fenomenologia musicale.”In realtà, ad un attento esame quantitativo dei suoi scritti, pare essersi dedicato assai poco a questa o quella musica in particolare, mentre il suo contributo fu assolutamente preponderante nei temi di estetica musicale.Fu una voce originale, fuori dal coro, che inizialmente difese il dramma di Wagner, quindi auspice fermamente all'interno dei testi musicati dai compositori qualità come la purezza e la letterarietà, infine spronò, pur da lontano, i compositori ad una libertà adogmatica e ad una ricerca continua di stile e di linguaggio, rendendoli attenti alla peculiarità della musica, che doveva essere cosa che egli ripete spessissimo nei suoi scrittila "figuratrice dell'invisibile", cioè l'elemento che dà corpo alle sensazioni, alle suggestioni, alle fantasie suscitate dai testi musicati e non immediatamente in essi esplicate. Una posizione la sua che può essere paragonata a quella del "critico-artista" teorizzata da Wilde, che G. ben conosceva: un "critico-artista" nel senso di ri-creatore dei percorsi attraverso cui la composizione è venuta alla luce, e ignoti al compositore stesso, ma nei quali quest'ultimo riesce a identificarsi una volta che il critico li rivela a lui e al mondo. Dispose per testamento che i suoi libri venissero donati "ad una biblioteca di piccola Città preferibilmente Pinerolo" e proprio presso la Biblioteca Civica "Camillo Alliaudi" di Pinerolo ora si trovano, presso il Fondo che prese il suo nome.  Altre saggi: “Per l'arte aristocratica (in proposito di uno studio di Luigi Torchi), in “Rivista Musicale Italiana”, -- aristocrazia, democrazia, crazia – kratos – il concetto di potere --  Il “Nerone” di Arrigo Boito, in “Rivista Musicale Italiana”, L'estetica di Leopardi, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Anticlo:  Gli spiriti della musica nella tragedia greca, in “Rivista Musicale Italiana”, Milano, Bottega di Poesia, L'amore nel Canzoniere di Francesco Petrarca, Torino, Bocca, con lo pseudonimo di Luigi Pagano:  La fionda di Davide. Saggi critici (Boito, Pizzetti, Croce), Torino, Bocca. Dizionario Biografico degli Italiani Cesare Botto Micca, in morte di Romualdo Giani, in “Rivista Musicale Italiana”, Annibale Pastore, In memoria,, in “Rivista Musicale Italiana”, Massimiliano Vajro, “Rivista Musicale Italiana”, Luigi Pestalozza, Introduzione a «La Rassegna Musicale». Antologia, Luigi Pestalozza, Milano, Feltrinelli, Guido M. Gatti, Torino musicale del passato, in «Nuova Rivista Musicale Italiana». Guglielmo Berutto, Il Piemonte e la musica, Torino, in proprio, ad vocem. Stefano Baldi, “Fotografare l'anima” -- Romualdo Giani e Giorgio Federico Ghedini, in “Bollettino della Società Storica Pinerolese”, Paolo Cavallo,La vita, il fondo musicale, le collaborazioni musicologiche e gli interessi letterari, Pinerolo, Società Storica Pinerolese,. Con contributi di Casagrande, Baldi,  Betta, Cavallo, Balbo, Fenoglio.  GIANI, Romualdo. - Nacque a Torino il 28 febbr. 1868 da Francesco e da Clementina Guidoni, originari della Valle d'Intelvi.  Laureatosi in giurisprudenza non ancora ventenne, esercitò l'avvocatura patrocinando esclusivamente cause civili nel settore commerciale; allo stesso tempo si occupò con continuità di arte e letteratura. Creativo e versatile, ebbe profonde conoscenze della storia e della tecnica delle diverse arti, ampliate dai numerosi viaggi effettuati nelle principali città d'arte europee.  Nel 1894 fu tra i fondatori, con l'amico editore G. Bocca, della Rivista musicale italiana, alla quale collaborò ininterrottamente per trentasette anni, spesso valendosi di pseudonimi.  Esordì sul primo numero della rivista con la critica "I Medici". Parole e musica di R. Leoncavallo. Il dramma (Riv. mus. italiana, I [1894], pp. 86-95); sullo stesso numero diede il via alla rubrica Note sulla poesia per musica(ibid.), ove poneva in luce difetti e pregi dei testi inviati da autori sconosciuti per dimostrare che la poesia del melodramma era forma d'arte.  Nel 1896, in Per l'arte aristocratica, sostenne una vivace polemica con Torchi sull'autonomia dell'arte, alla quale parteciparono M. Pilo, D. Garoglio, A. Foulliée e altri; il G. volle dimostrare che la formula "l'arte per l'arte" o "l'arte aristocratica" non era cosa assurda e immorale, come sostenuto dal Torchi, ma l'ultimo effetto di un'evoluzione.   Nel 1901 pubblicò il saggio critico Il"Nerone"di A. Boito (Torino 1901; 2a ed. ampliata ibid. 1924; cfr. Riv. mus. ital.), che gli procurò l'amicizia dell'autore, il quale gli inviò numerose lettere in cui si dichiarava suo grande ammiratore. Nel volume L'estetica nei "Pensieri" di G. Leopardi (Torino 1904; 2a ed. ibid. 1928; cfr. Riv. musicale italiana) il G. oltre a ricostruire il pensiero estetico del poeta di Recanati, ne esaminò anche le teorie sull'arte musicale.  Nel 1899, per la "Biblioteca di scienze moderne" del Bocca, era stato pubblicato Così parlò Zaratustra di F. Nietzsche, tradotto da E. Weisel; il G., ritenendo la traduzione non fedele all'originale, ne approntò una nuova versione d'accordo con il Weisel, pubblicata, sempre dal Bocca, nel 1906. Con lo pseudonimo di Anticlo, diede alle stampe lo studio Gli spiriti della musica nella tragedia greca (Milano 1924; Riv. musicale italiana, XX, pp. 821-887). Nel 1917, durante il primo conflitto mondiale uscì L'amore nel Canzoniere di F. Petrarca (Torino 1917; in appendice Nota sul suono e sul ritmo), considerata dalla critica, forse, la sua opera più riuscita.  Il G. inoltre traduceva per diletto dal latino, soprattutto Tibullo e Orazio, e dal francese; come poeta pubblicò nel 1920 soltanto due libretti d'opera: Esther (Riv. musicale italiana, XXVII, pp. 611-648), tragedia lirica in tre atti ispirata dal testo biblico, mai musicata, sebbene offerta dal G. a I. Pizzetti, e L'Intrusa (ibid., pp. 340-358), un atto per musica, tratto dal dramma in prosa di M. Maeterlinck, musicato dapprima da G.F. Ghedini (1921; non rappresentato), e poi da G. Pannain (1926), che la rappresentò a Genova nel 1940.  La pubblicazione dell'articolo Il Vangelo e il Breviario,celebrazione dell'estetica crociana (in Riv. musicale italiana), apparso sotto lo pseudonimo di Luigi Pagano, rappresentò un attacco all'estetica crociana che diede origine a una polemica col Croce stesso. Il G., con logica inflessibile, dimostrò infondati alcuni concetti del filosofo, come l'eccessivo idealismo che considerava la musica estranea ai fenomeni fisici che la originano e alla tecnica, espressi in Estetica come scienza dell'espressione e linguistica generale (1902) e nel Breviario di estetica, opere che il G. ironicamente chiama Vangelo e Breviario. Con Socrate e la pulce (ibid.) rispondeva allo scritto La musica e l'estetica dell'idealismo (ibid., pp. 61-76), in cui il Pannain assumeva la difesa delle tesi crociane. Questi saggi, compreso quello del Pannain, furono raccolti in seguito nel volume La fionda di Davide (Torino 1928) insieme con uno studio sul Boito, e la critica a Debora e Jaele di Pizzetti, giudicata un'opera mancata. Contemporaneamente il G. pubblicava il Sillabario di estetica (in Riv. musicale italiana, XXXV [1928], pp. 442-453), e a conclusione della polemica aggiungeva una Nota crociana, nel capitolo terzo de La fionda di Davide, in cui evidenziava ancora altre contraddizioni nella teoria del Croce. La polemica si riaprì nel 1929 con lo scritto La favola dell'aridità(ibid., XXXVI, pp. 311 s.) con il quale il G. insorgeva, in difesa del Seicento musicale italiano, contro un'affermazione del Croce che definiva "età di aridità creativa" il secolo compreso tra il 1550 e il 1650; la rettifica crociana Obiettanti e seccatori non soddisfece il G., che replicò con Il parto settimello (ibid., XXXVII [1930], pp. 249-254).  Il G. scrisse inoltre numerose recensioni e articoli sulla Rivista musicale italiana e sulla Rassegna musicale, a cui collaborò dal 1928, spesso sotto gli altri pseudonimi di H. Giraud e A. Cannella.  Il G. morì a Torino il 16 genn. 1931.  Oltre agli scritti citati si ricordano: "Savitri"Idillio drammatico indiano in tre atti di L.A. Villanis. Musica di N. Canti. La poesia, in Rivista musicale italiana, II (1895), pp. 95-112; Note marginali agli "Intermezzi critici" di I. Pizzetti, ibid., XXVIII (1921), pp. 677-690;Note Leopardiane, in Campo (Torino), n. 5, 18 dic. 1904; Estetica nuova, ibid., n. 9, 15 genn. 1905; Per una biografia di Berlioz, ibid., n. 26, 14 maggio 1905; Melodramma e dramma musicale, ibid., n. 37, 30 luglio 1905.  Fonti e Bibl.: G. Adler, R. G., Gli spiriti della musica nella tragedia greca, in Riv. mus. ital., L. Ronga, In morte di R. G., ibid.,Botto Micca, R. G. (Lo scrittore e il critico), in Il pensiero di Bergamo, Pastore, In memoria di R. G., in Riv. musicale italiana, Vajro, R. G., ibid., LIII (1951), pp. 337-368; A. De Angelis, Diz. dei musicisti, Roma 1928, pp. 244 s.; Diz. encicl. univ. della musica e dei musicisti, Le biografie, III, p. 189.Romualdo Giani. Giani. Keywords: implicatura.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giani” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giannantoni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della dialettica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Perugia). Filosofo. Grice: “I love Giannantoni; for one, he believes, with me, that there is Athenian dialectic, Roman dialectic, Florentine dialectic and Oxonian dialectic; like me, he has explored mostly ‘Athenian dialectic,’ and he has noted that its birth (‘nascita’) is in the ‘dialogo socratico,’ so it should surprise nobody that I have based my philosophy on the facts of conversation!” Si laurea a Roma sotto Calogero. In “Il dialogo di Socrate e la dialettica di Platone” attribuisce a Socrate una concezione molto laica della del divino e della religione («Religiosità, che Socrate, il quale era certamente una personalità religiosa, intendeva in modo del tutto diverso da come comunemente era sentita a quell'epoca»). La sua dottrina storico-filosofica si fonda sul principio che ogni seria riflessione filosofica si debba basare su un'accurata e rigorosa ricerca filologica delle fonti.  Questo spiega l'enorme dispiego di tempo dedicato all'elaborare la sua opera monumentale, “Reliche di Socrate” (“Socratis et Socraticorum reliquiae”). G. ha sempre seguito il criterio di Croce e Gramsci, secondo cui l'esposizione di un filosofo debba avvenire tramite l'esame storico cronologico (unita longitudinale) delle sue opere, allo scopo di prendere consapevolezza dell'evoluzione della dottrina e di separare da questa ogni sovrapposizione interpretativa personale non adeguatamente basata sulle fonti.  Convinto dell'onestà intellettuale come valore fondamentale cui deve rifarsi ogni interprete della storia della filosofia, capace perciò di rinunciare di fronte alla ricostruzione filologica dei testi anche alle proprie più profonde convinzioni personali. Traccia un profilo “ideale” dello «storico autentico» della filosofia, che ha il «dovere di farsi filologo rigoroso per avvicinarsi il più possibile al mondo del filosofo da lui studiato», ben sapendo che ciò «non basta ancora se non è accompagnato da una sensibilità filosofica e da una consapevolezza teoretica e storica insieme. Di qui conclude il fascino di una ricerca che, rendendoci consapevoli di una grande quantità di problemi altrimenti inavvertiti, termina in un autentico arricchimento spirituale. Il suo insegnamento è stato caratterizzato dalla volontà di essere semplice e chiaro nell'espressione del pensiero considerando questo un dovere morale dell'intellettuale nei confronti degli altri studiosi.  Anche allo scopo di realizzare una scrittura filosofica quanto più scientificamente precisa, ha compiuto studi approfonditi sulla logica di Aristotele e sulla storia della semantica filosofica (teoria del segno).  Nella sua vita e nella dottrina si è sempre impegnato nel mettere in pratica l'insegnamento socratico, così come fece il suo maestro Calogero: insegnando la conversazione basatio sulla regola d’oro: il rispetto verso il co-conversazionalista. Cura I Presocratici di Diels e Kranz. Altre saggi: “La metafisica dei lizii” (Roma, Rai); “Che cosa ha veramente detto Socrate” (Roma, Ubaldini); Cirenaici (Firenze: Sansoni); “Filosofia romana” (Napoli: Bibliopolis); “Filosofia italica in eta antica” (Milano: Vallardi); Le filosofie e le scienze contemporanee, Torino: Loescher, I fondamenti della logica de’ lizii” (Firenze: La nuova Italia); Le forme classiche / Torino: Loescher, “Volpe / Roma: Riuniti, Socrate. Tutte le testimonianze: Da Aristotfane e Senofonte ai Padri cristiani; Bari: Laterza, Aristotele. Opere; introduzione e indice dei nomi, Roma; Bari: Laterza, Epicuro. Opere, frammenti, testimonianze sulla sua vita; Bignone;.Bari: Laterza, I presocratici: testimonianze e frammenti / Bari: Laterza, Profilo di storia della filosofia, Torino: Loescher. La razionalitàmTorino: Loescher, Socratis et Socraticorum Reliquiae. Collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G. Giannantoni,  2Bibliopolis. Anthropine Sophia. Studi di filologia e storiografia filosofica in memoria di Gabriele Giannantoni; Introduzione di Adorno: per G.: un dialogo, Bibliopolis (collana Elenchos). Deputati della V, VI, VII legislatura.  Op.cit. Centrone, ed.Bibliopolis, Enciclopedia Treccani, Bruno Centrone, Bibliopolis, Edizioni di filosofia, ILIESI CNR  La traduzione dei Presocratici da parte di G. è stata criticata da Reale nell'introduzione alla sua nuova traduzione dei Presocratici, critiche riportate in due articoli-intervista comparsi sul "Corriere della Sera" nei quali  Giannantoni, di formazione gramsciana veniva accusato come curatore della "vecchia" edizione laterziana di avervi perpetrato «una certa manomissione del sapere filosofico», in ossequio all'ideologia e all’egemonia culturale marxista. Interpretazioni del pensiero di Socrate#Socrate: l'interpretazione di G. Calogero La teoria sul pensiero greco arcaico.  Per chi abbia svolto la propria attività di ricerca o abbia compiuto la propria formazione scientifica nell’ambito della storiografia filosofica negli anni ’80 e ’90, il nome di G. (Perugia, 1932 – Roma, 1998) è legato anche al Centro di Studio del Pensiero Antico, dal Consiglio Nazionale delle Ricerche Roma,1 su richiesta, appunto, di Gabriele Giannantoni – in sostituzione del precedente Centro di Studio per la Storia della Storiografia Filosofica –, il Centro di Studio del Pensiero Antico si inserì nel panorama nazionale e internazionale della ricerca storica come una realtà innovativa e contribuì allo sviluppo di una disciplina, la storia della filosofia antica, appartenente al duplice contesto della storiografia filosofica e delle scienze dell’antichità. Il Centro fu attivo in modo autonomo fino al 2001, quando, a seguito di una riforma che ridisegnò la rete scientifica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, esso fu accorpato con il Centro di Studio per il Lessico Intellettuale Europeo per dar vita all’ Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, sotto la direzione di Gregory.2 L’attività del Centro di Studio del Pensiero Antico fu inevitabilmente legata al percorso intellettuale e di ricerca del suo fondatore, benché in modo non esclusivo. In questo breve profilo si cercherà di rievocare, in primo luogo, i motivi culturali che furono alla base della costituzione di questa realtà, nonché alcuni modelli scientifici di riferimento che ne hanno determinato in certa misura la configurazione e l’attività; in secondo luogo, i contributi originali che il Centro è stato in grado di fornire all’area disciplinare di propria competenza, in termini di pubblicazioni, progetti e formazione, sotto la guida di Giannantoni e di coloro che ne coadiuvarono la direzione. 1 Decreto del Presidente del CNR. n. 6303, ratificato successivamente da una convenzione tra il CNR e “La Sapienza”, stipulata il 21 aprile 1983 e confermata dal Presidente del CNR fino al 2001. Per il testo della convenzione si veda “Elenchos”, Sull’iter di riforma che portò alla nascita dell’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee e per i riferimenti normativi, si veda Liburdi 2018, p. 49 e ss. Istituito nel 1979  presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università “La Sapienza” di   Francesca Alesse G. G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico MOTIVI CULTURALI E MODELLI ISPIRATORI Come accennato, l’attività scientifica del Centro di Studio del Pensiero Antico fu comprensibilmente orientata da precise scelte critiche e metodologiche di colui che ne aveva voluto l’istituzione. Per dare ordine a questo sintetico profilo, credo sia opportuno riassumere i motivi che ispirarono la promozione di un organo di ricerca mirato agli studi storici sul pensiero antico, in tre principali indirizzi: in primo luogo, la possibilità di considerare la storia della filosofia antica come una disciplina dotata di un proprio specifico (e in certa misura autonomo) profilo quanto a materia di indagine, arco storico e metodologia; in secondo luogo, la nascita, o rinascita, dell’interesse verso scuole filosofiche dell’antichità greca e romana tradizionalmente classificate come minori, in particolare, le cosiddette scuole socratiche e le scuole ellenistiche, che dalle socratiche discendono direttamente sotto l’aspetto storico e dottrinale; infine, la rivisitazione del patrimonio dossografico – cioè del complesso della tradizione indiretta che ha conservato, per estratti, parafrasi o compendi, il pensiero di quei filosofi antichi di cui non è giunto a noi né il corpus né una singola opera completa –. Quest’ultimo indirizzo si inseriva in una tendenza di studi continentale che fece della dossografia antica una vera e propria categoria storiografica con risultati particolarmente innovativi. L’interesse portato alla dossografia, oltre a sostenere gli studi nell’ambito delle filosofie di derivazione socratica e quelle ellenistiche (delle quali, per l’appunto, non si è conservato alcun testo d’autore), apriva un percorso di studi a cui Giannantoni era particolarmente legato e che lo vide impegnato sia come direttore del Centro che individualmente, e cioè la riconsiderazione di tutta la dossografia relativa alla filosofia presocratica. Una rapida messa a fuoco di questi tre indirizzi permetterà di chiarire quali interessi scientifici di G. abbiano maggiormente pesato sulle strategie generali e sulle iniziative specifiche del Centro, nonché sulla formazione professionale che esso ha reso possibile. Quanto al primo indirizzo, la questione del profilo specifico della storia della filosofia antica presuppose, da parte di Giannantoni, una approfondita analisi della visione storica che la cultura filosofica italiana era venuta maturando intorno alla filosofia antica. In questa analisi, i cui esiti si leggono, non a caso, nell’articolo di apertura della 6 ILIESI digitale Temi e strumenti   Francesca Alesse G. i e il Centro di Studio del Pensiero Antico rivista “Elenchos” intitolato La storiografia idealistica e gli studi sul pensiero antico (“Elenchos”), svolge un ruolo chiave la rappresentazione che del pensiero antico seppe dare l’idealismo italiano, specie con Croce, e la sua valutazione critica. L’idealismo italiano si era infatti distinto per due caratteri, l’uno teorico, l’altro metodologico, che apparentemente non favorirono lo sviluppo di una moderna storiografia del pensiero antico. Per un verso, tanto Croce che Gentile vedevano nella filosofia antica (cioè greca) i limiti di un pensiero oggettivo, astratto e naturalistico, che mai sarebbe arrivato a concepire la positività dell’idea di infinito, né quella della soggettività. I punti più alti raggiunti dalla filosofia teoretica greca, Socrate, Platone, Aristotele, coincidevano rispettivamente con la delineazione del concetto, o universale astratto, con la sua separazione dalla realtà sensibile (la teoria delle idee trascendenti e la scienza come dialettica delle sole idee) e con una logica puramente strumentale (la sillogistica), alla quale sarebbe mancata la teorizzazione del giudizio individuale, o giudizio storico,3 nonché la capacità di superare l’astrattezza e attingere l’atto stesso del pensiero.4 Nella filosofia pratica parimenti i Greci antichi, pur non mancando di intuizioni profonde, non avrebbero superato il precettismo e l’empirismo, e la loro etica ingenua non sarebbe mai giunta a distinguere etica ed economica, morale e diritto, come categorie dello spirito.5 3 Giannantoni 1980, n. 13, rimanda a Croce, di cui diamo qui i riferimenti da Croce. 4 Ciò G. ricavava, pur senza riferimenti testuali precisi, sia dagli excursus storici che possiamo leggere in Gentile e in Gentile 1917, vol. I, pp. 21-32, sia da Gentile 1964. 5 Giannantoni 1980, nn. 14 e 15, rimanda a Croce 19455; si veda Croce e a Croce 19273, si veda Croce 2007, pp. 164-165. ILIESI digitale Temi e strumenti 7   Figura 1: copertina di “Elenchos”, 1, 1980.    Francesca Alesse G.e il Centro di Studio del Pensiero Antico Per l’altro verso, però, l’idealismo formulò una critica, entro certi limiti giusta e salutare, alla filologia classica – cioè alla filologia classica moderna sviluppata in Germania nel corso del XIX secolo, distintasi, tra le altre cose, per una predilezione della cultura greca rispetto alla latina –, colpevole sostanzialmente di non essere una disciplina veramente storica. La filologia classica, malgrado i grandi risultati raggiunti nella costituzione dei testi della letteratura antica, nella revisione della tradizione bizantina e nelle nuove acquisizioni, si affermò come una procedura tecnica complessa e molto raffinata ma priva della visione della storicità del documento, del suo autore, dell’ambiente della sua composizione, nonché del suo testimone. La questione, che emerse inizialmente nel campo delle edizioni letterarie,6 non è meno complessa per quelle filosofiche: i testi della filosofia antica richiedono anche una comprensione dei contenuti teorici e pretendono di essere inquadrati in sistemi di pensiero il cui senso trascende il ripristino del testo, o quanto meno se ne distingue in data misura. Questo fu il nodo che si dovette sciogliere perché si potesse cominciare a delineare una storia della filosofia antica che includesse tanto la capacità di fornire edizioni affidabili sotto il profilo testuale, quanto quella di storicizzare i documenti, cioè di comprenderne i contenuti alla luce di coordinate culturali congrue con le epoche di appartenenza. La storiografia idealistica è dunque imputata da G. di evidenti limiti interpretativi della filosofia antica, come fu ben presto mostrato, ad esempio, dalle due celebri monografie di Mondolfo sull’infinito nella filosofia antica e sul soggetto umano nell’antichità,7 che smentivano l’idea di un connaturato e irreparabile oggettivismo della filosofia antica. Tuttavia l’idealismo ha fornito un’importante lezione e soprattutto ha indicato con chiarezza un ostacolo da superare: 6 In particolare, la critica crociana a cui Giannantoni fa riferimento  prese le mosse da edizioni di testi poetici e si volse contro la “mera filologia” e la Kulturgeschichte che, nella pretesa di restituire il senso del testo letterario, non apportavano comprensione né storica né concettuale. Cfr. ad esempio la recensione alla monografia del 1950 di Ettore Romagnoli su Aristofane e che si può leggere in Croce. Dice G. al riguardo (p. 19): “...il problema del rapporto tra filologia e poesia, tra filologia e storiografia, tra filologia e filosofia sta al centro dell’elaborazione dell’idealismo italiano”. G. probabilmente pensava anche alle considerazioni gentiliane intorno al “filologismo” che affligge la storia e ostacola la costituzione di una storia della filosofia, in Gentile 1Mondolfo 1933; Mondolfo. 8 ILIESI digitale Temi e strumenti    Francesca Alesse G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico Tracciando nel primo dei due volumi in onore di Croce per il suo 80° compleanno, quello che è tuttora l’unico panorama complessivo degli studi di filosofia antica nel cinquantennio, Guido Calogero non ritenne di dover prendere in considerazione né Croce stesso né Gentile (e neppure Ruggiero) quali interpreti del pensiero antico; né altri ne hanno trattato in modo approfondito (mentre studi importanti esistono sulle loro interpretazioni di altri periodi della storia del pensiero) ... la ragione ... è da ricercare in una persistente separazione, non solo concettuale, ma anche di organizzazione degli studi, che lo stesso idealismo ha contribuito non poco a consolidare, tra considerazione filosofica, ricostruzione storica e indagine filologica. Gli studi di filosofia antica hanno infatti sofferto in modo particolare di una vera e propria scissione tra quelli che erano considerati i compiti esclusivi del filologo e quelle che erano considerate le competenze dello storico e del filosofo: con la conseguenza che questi studi sono potuti apparire troppo filologici ... ad alcuni e ad altri, all’opposto, troppo filosofici per entrare di pieno diritto nell’ambito di ciò che si era soliti chiamare la “scienza dell’antichità”.8 Quando Giannantoni scriveva queste parole, era persuaso che la scissione non fosse superata e fosse causa, oltre che di una durevole influenza idealistica, anche di un pregiudizio nei rispetti della filologia, malgrado i grandi progressi e le messe a punto di tanta prestigiosa filologia classica italiana.9 Stante, quindi, una situazione di progresso “zoppicante”, per così dire, degli studi storiografici italiani sulla filosofia antica, G. nutrì l’aspirazione di delimitare un preciso terreno metodologico cogliendo la preziosa occasione che il Consiglio Nazionale delle Ricerche gli offriva. Il secondo indirizzo è quello che, almeno a prima vista, rivela maggiormente la stretta relazione tra il percorso scientifico individuale di G. e lo spettro di interessi messi in campo da quanti hanno operato nel o col Centro, a cominciare dai suoi allievi. Tanto più che l’attenzione rivolta non solo a Socrate ma alle tradizioni socratiche ed ellenistiche non è del tutto indipendente dalla questione dell’impatto dell’idealismo italiano sulla fortuna della storiografia filosofica dell’antichità. Il giudizio crociano sui limiti delle filosofie di Socrate, Platone e Aristotele, ad esempio, diventa un vero e proprio deprezzamento delle tradizioni “minori”.10 Ed è appena necessario 8 G. 1980, pp. 7-8. Il riferimento a Calogero è da intendersi a Calogero 1950, pp. 43-59. 9 Si veda al riguardo il chiarimento di G. relativo all’opera di Pasquali, che pervenne ad un’unità di filologia e storia come unità di metodo, non di contenuti, e che si caratterizzò tramite uno storicismo della filologia classica, profondamente diverso dallo storicismo idealistico: questo, inteso come riconoscimento nella storia e nella cultura di figure e “categorie” del pensiero e dello spirito, quello, inteso come intima connessione tra le rigorose tecniche filologiche e la conoscenza storica (Cfr. Croce: “... col considerare principalmente il contrasto delle passioni verso la volontà razionale sorsero le scuole opposte dei cinici e cirenaici, ILIESI digitale Temi e strumenti 9    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico ricordare che la figura di Socrate, a cui deve farsi risalire il terreno di ricerca costituito dalle scuole socratiche e buona parte di quello attinente alle tradizioni ellenistiche, fu al centro di importanti riflessioni teoretiche e storiografiche di Calogero,11 che di G. fu il maestro. Abbiamo poi vari segni di un’interazione di tendenze di studio comuni a più scuole anche fuori dell’Italia. L’interesse per le tradizioni dette “minori”, tali cioè in quanto paragonate alle filosofie di Platone e Aristotele e, in più, conservate solo tramite tradizione indiretta, si manifesta già alla fine degli anni ’40 con studi seminali sui Sofisti, su alcuni discepoli di Socrate, in particolare Antistene di Atene e Aristippo di Cirene, sulla tradizione scettica.12 Proprio ad Aristippo di Cirene e alla sua scuola Giannantoni dedica la sua prima importante opera scientifica (Giannantoni). In essa si profilano le problematiche, filologiche e storiografiche prima ancora che concettuali, relative alla intricata questione della eredità socratica: l’edizione critica di un corpus proveniente da molti e diversi testimoni; la possibilità di dirimere le fonti storicamente attendibili dalla ritrattistica aneddotica; la contestualizzazione del filosofo all’interno di un milieu composito in cui si intrecciano le influenze della Sofistica e della retorica classica e il magistero socratico. stoici ed epicurei e altrettali; ma le dottrine di tutte coteste scuole, se serbano qualche valore empirico come precetti di vita più o meno convenienti a individui, classi e tempi determinati, non ne presentano alcuno o scarsissimo, esaminate in quanto concetti filosofici; e cinici e cirenaici, stoici ed epicurei, piuttosto che filosofi sembrano monaci, seguaci di questa o quella regola”. Sulle “scuole socratiche minori” cfr. anche il giudizio, meno sommario, di Gentile. Com’è molto noto, Socrate occupò un ruolo centrale nella personale riflessione teorica diCalogero, che elaborò la sua “filosofia del dialogo” esattamente sul modello del Socrate dei dialoghi platonici, nel quale il filosofo italiano vide la prima formulazione di un’istanza intellettuale e morale – il dialogo, appunto, contrapposto al “logo” conclusivo e assertivo – destinata a far giustizia della pretesa di fondare l’etica sulla epistemologia e sulla metafisica, e che sarebbe stata anche alla base della moderna concezione dello stato liberale e di diritto. Ma Socrate fu anche al centro di importanti lavori storiografici di Calogero, alcuni dei quali aprirono la strada alla ricerca della posterità del magistero socratico nel pensiero tardo-ellenistico e cristiano. Una visuale critica diversa da quella di G., ma in linea con la percezione del ruolo capitale svolto da Socrate nella storia del pensiero antico. Mi limito su tutto ciò a rimandare a G. 1987 e a Brancacci 2017. 12 Per limitarsi alle opere principali: Untersteiner 1949, con moltissime riedizioni; Dal Pra 1950; Humbert 1967; Mannebach 1961; Decleva Caizzi; Patzer 1970. 10 ILIESI digitale Temi e strumenti     Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico Questi elementi appaiono, nella storiografia e nella filologia europea degli anni ’70, sempre più determinanti per la comprensione delle dottrine di personalità come Aristippo, Antistene di Atene, Euclide di Megara, Eschine di Sfetto. In più, il superamento della Quellenforschung tradizionale e l’approfondimento dei contenuti filosofici aprirono nuove possibilità di delineare il percorso che dalle scuole socratiche della seconda metà del IV secolo a.C. porta alle principali tendenze ellenistiche, il Giardino, la Stoa, il Peripato post- aristotelico, la scepsi pirroniana ed accademica. A questo complesso terreno di ricerca è dedicata una iniziativa che precede l’istituzione del Centro di Studio del Pensiero Antico benché sempre sostenuta dal Consiglio Nazionale delle Ricerche: il convegno “Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica”, organizzato nel 1976 dal Centro di Studio per la Storia della Storiografia (la cui direzione era stata affidata allo stesso Giannantoni), e i cui atti furono pubblicati nel 1977 dalla casa editrice il Mulino di Bologna. Le relazioni presentate al Convegno del 1976, mirate ad una ricognizione dello stato documentario delle filosofie riconducibili a Socrate o ad uno dei suoi discepoli, e dei rapporti concettuali tra queste tradizioni e le filosofie ellenistiche e di età imperiale,13 furono aperte dalla comunicazione dello stesso Giannantoni sul tema Per un’edizione delle fonti relative alle scuole socratiche minori, nella quale lo studioso esponeva i risultati di un già lungo percorso di ricerca, ma ancora lontano, nel 1976, dalla sua conclusione. In questa relazione vengono messe a fuoco le 13 Cambiano 1977; Celluprica 1977; Sillitti; Decleva Caizzi; Ioppolo 1977; Brancacci 1977; Donini 1977; Isnardi Parente 1977; Repici 1977. ILIESI digitale Temi e strumenti 11   Figura 2: copertina di G. Giannantoni, I Cirenaici. Raccolta delle fonti antiche, traduzione e studio introduttivo, Firenze, Francesca Alesse G.  e il Centro di Studio del Pensiero Antico peculiarità e la notevole problematicità, soprattutto sotto il profilo filologico, di una edizione di testi filosofici e di molti autori. Emerge da questo breve testo non solo uno stato dell’arte ma un criterio programmatico che non considera sufficienti, benché certamente necessarie, le sole competenze della filologia classica, ma pretende una sensibilità storica e una capacità di comprensione teorica che gli sforzi della Altertumswissenschaft tradizionale non avevano sempre garantito. L’edizione di testi filosofici di trasmissione indiretta non può limitarsi alla costituzione del testo e alla redazione di apparati critici da cui si desuma il meticoloso lavoro di collazione dell’editore, ma deve tener conto dei contesti storici e problematici nei quali sono vissuti tanto il filosofo quanto il suo testimone. Inoltre, un’edizione che sia, in più, una silloge di testi relativi a (e non provenienti da) molti filosofi, comporta di andare oltre la natura estrinseca14 della singola testimonianza (epoca e ambiente del testimone, distanza cronologica dall’autore, genere letterario della fonte, parametri stilistici, etc.) e di individuare alcune strutture di pensiero che, in un lasso di tempo abbastanza lungo, si facciano riconoscere per caratteri salienti e durevoli e, al contempo, riflettano le condizioni storiche che ne determinano la specificità (secondo i dettami dello storicismo), diventando pagine e capitoli di una lunghissima storia culturale; si configurino, cioè, come tradizioni: Il fatto è che a proposito di una raccolta di testi che riguardano uno o più filosofi, emerge molto più nettamente che in altri casi l’impossibilità di considerare la testimonianza antica come un dato puramente oggettivo, e quindi la necessità di storicizzarla fino in fondo: in realtà essa deve essere considerata come un capitolo di una vera e propria storia della cultura durata all’incirca un millennio, e perciò da ricondurre di volta in volta al suo tempo e alle tendenze storicamente determinate che la produssero: parleremmo di un Diogene irreale e mai esistito se pensassimo di poter adoperare come ingredienti mescolabili a piacere Epitteto e Dione Crisostomo, Luciano e Giuliano l’Apostata, un padre della chiesa e le epistole apocrife che vanno sotto il nome del cinico.15 Il terzo indirizzo, relativo alla dossografia, è quello che presenta, almeno in apparenza, un maggiore tecnicismo, perché volto alle problematiche ecdotiche ed interpretative attinenti allo studio di 14 Sulla cosiddetta filologia esterna, sul ruolo da essa svolto nelle edizioni filosofiche e sui suoi limiti, si veda G., p. 15, a proposito dell’opera di Vitelli, la cui importanza per la storia della filosofia antica è legata specialmente alle edizioni critiche dei commenti aristotelici di Giovanni Filopono. 15 G. 1977, p. 22. 12 ILIESI digitale Temi e strumenti    Francesca Alesse G.e il Centro di Studio del Pensiero Antico dottrine riportate da testimoni spesso assai lontani, per cronologia ed orientamento intellettuale, dagli autori di cui si vuole conoscere il pensiero. D’altra parte, la dossografia si è rivelata un capitolo importantissimo di quella millenaria storia culturale che costituisce il terreno di indagine della storia della filosofia antica. Non si potrebbe ancora oggi redigere una storia della storiografia filosofica dell’antichità senza iniziare non solo dalle grandi raccolte di testi e frammenti allestite dalla filologia ottocentesca e comparse nei primi anni del XX secolo (le raccolte di Usener,16 Diels,17 Arnim,18 per citare degli esempi), ma anche dalla prima grande opera di analisi e comparazione dei testimoni, i Doxographi Graeci di Hermann Diels; come è altrettanto vero che non si può oggi fare a meno dei più recenti e sistematici contributi all’analisi della dossografia filosofica, cioè gli Aëtiana di Mansfeld e Runia. I più importanti progetti editoriali varati negli ultimi decenni, inoltre, si sono strettamente legati alla problematica della DOSSOGRAFIA e all’analisi dei testimoni, a lato di quelle condotte sui filosofi romani e sulle tradizioni dottrinali. Allo studio di filosofi di grande notorietà e impatto della tradizione culturale antica, ai quali si deve gran parte della conoscenza dei filosofi precedenti -- come CICERONE e Plutarco -- si è venuta affiancando una sempre maggiore familiarità con testimoni meno noti ma che hanno rivelato un’importanza fondamentale, come Filodemo, Diogene Laerzio, Sesto Empirico, Galeno, Stobeo. L’indirizzo dossografico e quindi un segno della tempestività e della sensibilità di G. nei rispetti di un terreno di ricerca che si venne imponendo e che di fatto contribuì alla dimensione dello stesso Centro, la cui attività progettuale e congressuale e in buona misura dedicata alla dossografia di epoca tardo ellenistica ed IMPERIALE. Si può far rientrare in questo ultimo indirizzo anche una linea di attività di studi la cui ragione storiografica e oggetto di un vivacissimo [Usener 1887. 17 Diels 1903. 18 Arnim 1903. 19 Diels 1879. 20 Mansfeld-Runia 1997; Mansfeld-Runia 2009; Mansfeld-Runia 2010. È appena necessario ricordare che le parole stesse “doxographus”, “doxographia”, sono coniate da Diels. Sulla dossografia e sul suo sviluppo come categoria filologico-storiografica, cfr. Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia, Mansfeld, rist. in Mansfeld-Runia – cf. GRICE, “LIFE AND OPINIONS” – “Vita e opinioni” – Speranza, “OXONIAN DOXOGRAPHY: H. P. GRICE” -- . ILIESI digitale Temi e strumenti 13    Francesca Alesse G.e il Centro di Studio del Pensiero Antico dibattito e che è nota come la questione delle dottrine non scritte di Platone. Sorta nell’accademia tedesca, in particolare a Tübingen, da un’ipotesi schleiermacheriana, la questione degl’ “agrapha dogmata” consiste, molto in breve, nella convinzione che Platone teorizza una dottrina dei principi (Uno e Molteplice), della quale non resta traccia nei suoi scritti – perché oggetto di pura trasmissione orale all’interno dell’Accademia antica – ma solo sparsi indizi in pagine aristoteliche. Alla nascita, per così dire, del Centro, G. invita Gaiser, ordinario di filologia  a Tübingen e uno dei maggiori sostenitori di questa ipotesi, a tenere una lezione presso la Sapienza sul tema La teoria dei principi in Platone, il cui testo venne pubblicato nel primo numero della rivista “Elenchos”. Tuttavia, il punto che merita attenzione in questa sede è che la questione delle dottrine non scritte di Platone e, oltre che un tema rilevante per se stesso, anche un pretesto per riconsiderare Aristotele come testimone egli stesso del passato filosofico, più precisamente per le cosiddette filosofie italiche “pre-socratiche”. Com’è noto, Aristotele può essere considerato se non il primo testimone in assoluto delle precedenti tradizioni della filosofia, certamente il primo testimone che ne offre una informazione organizzata secondo criteri espositivi dettati dalle proprie esigenze filosofiche e che hanno inevitabilmente condizionato la visione storiografica. Per quanto apparisse improprio, naturalmente, definire Aristotele un “dossografo”, il ri-esame della sua testimonianza della filosofia italicca precedente, anch’essa una tradizione indiretta, appare a G. una linea d’azione congrua con quelle relative alle scuole socratiche e le filosofie ellenistiche, ancorché meno visibile tra i risultati delle ricerche del Centro. A conclusione di questo primo paragrafo, ricordiamo che l’istituzione del Centro di Studio della Filosofia Antica non e del tutto priva di modelli in Italia e fuori e che con alcuni di essi si instaurò una costante collaborazione. L’esempio più immediato, sia sotto il profilo tematico e scientifico, che sotto quello del funzionamento istituzionale, e il – Robin, una unità di ricerca del 21 Gaiser 1980. 14 ILIESI digitale Temi e strumenti  Centre de Recherches sur la Philosophie Antique, Centre de la Recherche  Scientifique, ma operante all’interno e sotto l’egida    Francesca Alesse G.  e il Centro di Studio del Pensiero Antico  della Sorbonne (perciò definito anche Unité Mixte de  Recherche, o UMR), in modo non troppo dissimile dai Centri di Studio  del CNR istituiti in regime di convenzione con i vari atenei italiani. La  collaborazione con questo Centro si focalizza sulle tematiche  socratiche e da  luogo al ripetuto scambio di filosofi tra le due sedi nell’ambito del programma di ricerca “Socrate e la storia della filosofia antica: rottura o continuità?”; i contributi  pubblicati sotto il titolo di Lezioni socratiche, a cura di furono   G. e Narcy, per Bibliopolis di  Napoli. Un’altra importante istituzione scientifica a cui G.  guarda con particolare attenzione e con cui intrecciò stretti rapporti  scientifici nonché di cordiale amicizia è stata senz’altro il CENTRO PER LO STUDIO DEI PAPIRI ERCOLANESI, fondato da , Gigante. I motivi di tale  collaborazione sono dettati ovviamente dall’interesse intrinseco per  la grande opera editoriale a cui il Centro fondato da Gigante e  votato. La pubblicazione delle edizioni critiche dei papiri reperiti  nel sito ercolanese offre alla comunità filosofica un patrimonio  inestimabile per la conoscenza dell’ORTO, della tradizione  socratica, del PORTICO. Ma sono anche ragioni metodologiche a  sancire un sodalizio importante, che si concretizza in varie iniziative e  pubblicazioni cui parteciparono entrambi i Centri: i testi ercolanesi,  com’è molto noto, costituiscono un materiale che permette di  arricchire enormemente la conoscenza di molte importanti tradizioni  filosofiche, a condizione di possedere un complesso di  conoscenze e tecniche interpretative che difficilmente possono  trovarsi nella medesima personalità e che però vanno applicate  contestualmente. In altre parole, l’esperienza collaborativa tra questi  due Centri, forti, l’uno, di una formazione propriamente filosofica, l’altro, di alte competenze filologiche, contribuì in modo  significativo a costituire quella storiografia della filosofia antica che  aveva, almeno per la cultura accademica italiana faticato ad assumere uno statuto proprio.  ILIESI digitale Temi e strumenti 15  Francesca Alesse G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico Quanto detto nel precedente paragrafo trova un riflesso, diretto o indiretto, nelle attività di ricerca del Centro, nonché nelle sue pubblicazioni. L’interesse per il consolidamento della storia della filosofia antica come disciplina autonoma, dotata cioè di un suo impianto metodologico, oltre che di un preciso confine cronologico, viene perseguito tramite l’attività progettuale, congressuale e editoriale, di cui si dà qui una descrizione sintetica. Vale però la pena di ricordare, prima di tutto, una iniziativa promossa da G. dopo l’istituzione del Centro, in conformità di un indirizzo dell’organo direttivo di “Elenchos”, e dedicata alla problematica storiografica: Nelle riunioni del Comitato direttivo della rivista “Elenchos” è emersa più volte l’opportunità di aprire una discussione sul metodo o, meglio, sui metodi della storiografia filosofica relativa alla filosofia antica. Si pensa perciò di cominciare con una tavola rotonda, chiamando a parteciparvi esponenti di orientamenti diversi e significativi, ai quali è stato chiesto di intervenire liberamente su tre questioni principali -- se ha senso parlare ancora di una storia della filosofia (e quindi anche di una storia della filosofia antica) come disciplina a se stante e in sé autonoma; quali innovazioni si possono riconoscere all’ampliarsi e al differenziarsi delle impostazioni teoriche che sono sottese ai vari approcci metodici alla storia della filosofia antica; quale è il contributo che viene, una volta tramontato il vecchio mito classicistico, dall’applicazione di categorie elaborate dalle scienze umane. Alla tavola rotonda parteciparono Berti, Vegetti, Viano, e lo stesso G., ciascuno portando un contributo molto peculiare e strettamente conforme al proprio orientamento intellettuale. L’intervento di G. rispecchia le riflessioni condotte qualche anno prima e pubblicate nel già citato articolo di apertura della Rivista (La storiografica idealistica), di cui ripropone le premesse problematiche e a cui aggiunge precise prese di posizioni sulla specificità della storia della filosofia antica e sul modo di salvaguardarla senza perdere di vista il fatto che lo scopo principale (scil. dello storico della filosofia antica) resta la comprensione dei testi che ci trasmettono la filosofia antica, ritengo necessario rivendicare l’imprescindibilità di una rigorosa e metodica impostazione filologica, anche se tale impostazione non può non venire assumendo sempre più, essa stessa, una fisionomia storica: quella della storia degli studi ciò dovrebbe indurre a uscire da un tradizionale isolamento e a promuovere una [22 Giannantoni 1983, p. 147. 16 ILIESI digitale Temi e strumenti    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico] organizzazione del lavoro diversa e meno diffidente verso i sussidi che la tecnologia moderna può offrire. In ogni caso, la storia degli studi è ormai elemento costitutivo di ogni indagine che voglia avere un minimo di serietà, non solo per le conoscenze che ha acquisito ma anche per le divergenze che ha proposto. L’alternativa a questa impostazione è o l’arbitrio nella scelta dei riferimenti o l’illusione di un ritorno alla lettura diretta dei testi. In queste parole possiamo rintracciare ad un tempo la finalità della costituzione del Centro e la visione di G. del modo di operare storiografico: più che il cenno alle nuove tecnologie e più che l’esortazione ad abbandonare l’isolamento, sicuramente importanti l’uno e l’altra, conta sottolineare, a mio parere, il richiamo alla storia degli studi come parte integrante della storia della filosofia, in particolare della filosofia antica, affidata in larghissima misura alla tradizione indiretta. La serietà, cioè la plausibilità dei risultati della ricerca storico-filosofica sono messi a rischio dall’illusione di poter leggere (e capire) le parole del filosofo, specie se antico, senza gli strumenti della conoscenza filologica, linguistica e culturale nel senso più lato, conoscenza cui si perviene ricostruendo, ove sia possibile, anche una storia intelligente delle letture altrui. Uscire dall’isolamento è, allora, non solo la cooperazione tra colleghi ad un progetto scientifico unitario, ma anche la conoscenza e la valutazione delle migliori offerte interpretative che di un testo e del suo contesto siano state date entro un certo arco di tempo.  23 G. ILIESI digitale Temi e strumenti 17   Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico. Sia nelle azioni istituzionali, che investirono e coinvolsero il complesso delle risorse del Centro, incluse le relazioni stabilite con il mondo universitario, sia nelle attività di ricerca individuali, un ruolo primario fu senz’altro svolto dalle tradizioni ellenistiche e dall’analisi della letteratura dossografica. Il Centro organizza un convegno sulla SCESSI, (Quintiliano, SCEPTICI --) e coopera strettamente con Pavia e in particolare con Vegetti e collaboratori, sostenendo l’organizzazione di due importanti convegni: “La filosofia ellenistica” (Pavia)25 e “ ).26 Ancora alla filosofia ellenistica è dedicata l’importante pubblicazione dei Proceedings del quarto simposio internazionale sulla filosofia ellenistica, che vide tra i suoi partecipanti esperti di caratura internazionale, alcuni di stretta collaborazione con il Centro stesso.27   Figura 3: copertina del volume di La scessi antica, Atti del convegno, a cura di G., Napoli. Le opere psicologiche di Galeno” (Pavia)  ILIESI digitale Temi e strumenti  G. 1981.  G.-Vegetti 1985.  Manuli-Vegetti.  Barnes-Mignucci 1988.   Francesca Alesse G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico Carattere sistematico ebbe anche la linea d’azione dedicata allo studio della dossografia. Il Centro organizza il congresso sull’opera del biografo di ETA IMPERIALE Diogene Laerzio (“Diogene Laerzio storico della filosofia antica”, Napoli-Amalfi, e il congresso sull’opera del filosofo scettico di ETA IMPERIALE  Sesto Empirico (“Sesto Empirico e la filosofia antica”, Sestri Levante. Si delinea in entrambi gl’eventi un’unica prospettiva, grazie alla quale l’oggetto dell’indagine storiografica è, per così dire, duplice e contestuale: l’autore, cioè il filosofo la cui FILOSOFIA è oggetto di trasmissione da parte di un testimone, e il testimone stesso, la sua epoca, il suo orientamento, nonché la struttura formale della sua testimonianza, struttura che rivela assai spesso una tesaurizzazione delle informazioni attraverso i differenti metodi per la loro esposizione. Così, mentre l’opera di Diogene Laerzio, che già da lungo tempo attira l’attenzione della filologia, conserva una concezione ampia del genere biografico, restituendo non solo informazioni biografiche e dottrinali dei singoli filosofi nonché cataloghi d’autore, ma anche specifici schemi espositivi presi a prestito dalla letteratura storica (il più caratteristico è senz’altro quello delle “successioni”), l’opera di Sesto Empirico mostra le conseguenze sul piano storiografico di un modello propriamente concettuale, la diaphonia. Un altro forte sodalizio, quello con il Centro Internazionale per lo Studio dei Papiri Ercolanesi di  Gigante, permise di allestire negli anni subito successivi un grande congresso  sul tema “L’orto romano” (Napoli-Anacapri,  ILIESI digitale Temi e strumenti 19   Figura 4: copertina di Diogene Laerzio storico del pensiero antico, Atti del congresso, “Elenchos”, 7, 1986.  28 Atti pubblicati in “Elenchos”. 29 Atti pubblicati nel volume 13 dell’annata 1992 della rivista “Elenchos”.    Francesca Alesse G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico maggio 1993),30 un evento di ampio spettro tematico e cronologico all’interno del quale poterono cimentarsi papirologi e papirologi ercolanesi, filologi classici, paleografi ed epigrafisti, storici, e ovviamente storici della filosofia romana. Proprio di questo incontro e il suo carattere transdisciplinare e, per quel che attiene alle attività in corso presso il Centro, la messa alla prova di molte ipotesi di lavoro anche individuali sulla relazione tra L’ORTO e le rilevanti tradizioni (le scuole socratiche, il PORTICO, la SCESSI dell’ACCADEMIA e pirroniana) che impegnano sia G. in prima persona che il suo gruppo di lavoro operante presso la Sapienza e il Centro. Tra gli impegni di G. in qualità di direttore del Centro ci e l’organizzazione di due altri convegni: “ “Empedocle di GIRGENTI e la cultura della Sicilia antica. Illustrazione di un frammento inedito della sua opera”, Agrigento.  Il primo raccolse un gruppo consistente di esperti della filosofia romana ed e un raro esperimento di indagine lessicale da parte del Centro, volto a delineare l’area semantica – “linguistic botanising” -- dell’affezione (emozione, sentimento, malattia) nelle diverse manifestazioni della filosofia romana. Il secondo convegno e un altro esempio del modo in cui G. intende inserire la vita del Centro all’interno di una rete di relazioni istituzionali, oltre che accademiche, perché il convegno, motivato dalla 30 Giannantoni-Gigante 1996. 31 Atti pubblicati nel volume 16/1 dell’annata 1995 della rivista “Elenchos”. 32 Atti pubblicati nel volume 19/2 dell’annata 1998 della rivista “Elenchos”. 20 ILIESI digitale Temi e strumenti   Figura 5: copertina del primo volume di Epicureismo greco e romano, Atti del congresso, a cura di G. Giannantoni e M. Gigante, Napoli, 1992.  Il concetto di  pathos nella cultura antica” (Taormina, 1-4 giugno 1994);31     Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico] coperta del Papiro di Strasburgo contenente una porzione del poema empedocleo, e organizzato in collaborazione con la sovrintendenza dei beni archeologici di Agrigento. Esso inoltre dove essere una prima tappa di un più ampio progetto dedicato alle tradizioni culturali e filosofiche della Sicilia e della Magna Grecia. Sarebbe un errore pensare che le strategie e i progetti del Centro avessero come unici interlocutori le istituzioni accademiche italiane. Certamente, uno degli obiettivi di G. e quello di costituire un piccolo ma vivace e solido bacino collettore degli interessi intorno alla filosofia romana, e tali interessi sono, di fatto, collocati nelle Università e organizzati secondo i modi della didattica e della formazione universitarie. Ma il Centro partecipa anche alla realizzazione di una delle maggiori iniziative che il Consiglio delle Ricerche abbia dedicato al settore delle scienze umane, e cioè il progetto “Il Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali”. Questo grande progetto  e articolato in cinque linee di indagine, la  prima delle quali dedicata al mondo romano. E in questo contesto che G., oltre a scrivere il  saggio La tradizione filosofica in Magna Grecia e Sicilia,  apparso nel volume che raccoglieva i risultati delle attività  promosse dal progetto, contenne l’idea di una linea di attività, cui si è  fatto cenno, dedicata alle tradizioni filosofiche della Magna Grecia [never “MAKRA ELLENA, but megale hellas – H. P. GRICE] e  della Sicilia, linea che avrebbe dovuto raccogliere e mettere a frutto le  metodologie sperimentate nella più generale attività del Centro  33 Il Progetto Strategico, svoltosi negli anni 1995-2000 e coordinato da Antonello Folco Biagini fu varato nel 1994 dal 34 “ 35 Biagini 2002. ILIESI digitale Temi e strumenti 21  Comitato Nazionale di Consulenza del CNR per  la filosofia, allo scopo di convogliare tutte le competenze rappresentate ed espresse dalla rete scientifica costituita dai Centri di Studio e dagli Istituti afferenti al Comitato stesso, in una grande area di interesse, appunto il “Mediterraneo”. Al fondo della decisione del Comitato e la convinzione che il Mediterraneo costituisse non un’entità identitaria ma un complesso sistema di realtà molteplici, tradizionalmente oggetto di indagine da parte di settori disciplinari indipendenti. Si tratta perciò di conferire unità strategica e di metodo ad una  naturale e fisiologica molteplicità di fenomeni culturali.  Origine e incontri di culture nell’antichità”.   Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico  (studio della dossografia e delle tradizioni indirette). Rivisse in questo  progetto l’antico interesse di G. per la  trasmissione delle cosiddette tradizioni pre-socratiche, molte delle  quali per l’appunto fiorite nelle aree magnogreche (VELIA, CROTONE, GIRGENTI, LEONZIO), e per il ruolo svolto in  tale trasmissione da Platone (si veda CUOCO) e Aristotele. A questo più antico arco  cronologico, si sarebbe poi unito il costante interesse per L’ORTO, nella forma storica dell’ORTO CAMPANO.  Vale la pena ricordare, infine, l’attività formativa che il Centro  riuscì a svolgere, facilitata, come è facile comprendere, dalla  posizione accademica di G.. Il Centro di Studio della filosofia antica  si formò infatti raccogliendo i suoi allievi, che si unirono ai  ricercatori già in forza presso il precedente Centro di Studio per la Storia della Storiografia Filosofica. L’attività progettuale, inoltre, non si limita alla sola attività di pianificazione scientifica e ancor meno alla sola organizzazione dei convegni, ma prevede lavori continuativi di studio collettivo e di confronto sulle tematiche di principale interesse e di rilevanza strategica.  I maggiori convegni venneno quindi preceduti  da seminari propedeutici sulle dossografie antiche, sull’opera di  Diogene Laerzio e su quella di Sesto Empirico, e su quest’ultimo  autore, anzi, si svolge un seminario aperto anche ai dottorandi di  ricerca della Sapienza. Nell’ambito del progetto “Mediterraneo” e quindi della linea di ricerca sul Mediterraneo antico,  il Centro ottenne dal Comitato di Consulenza per la Filosofia borse di studio.  22 ILIESI digitale Temi e strumenti  Francesca Alesse G. e il Centro di Studio del Pensiero Antico. Un discorso a parte merita l’attività editoriale a cui il Centro riuscì a  dar vita. Due furono le iniziative editoriali, strettamente coerenti con  l’idea programmatica che ispirò la costituzione del Centro: la serie  “Elenchos. Collana di testi e studi sulla filosofia antica, e il periodico  “Elenchos. Rivista di studi sulla filosofia antica”. La scelta del  medesimo nome per le due iniziative si spiega facilmente in  riferimento all’orientamento intellettuale ed al bagaglio culturale dello  stesso G., che riteneva la discussione, il confronto  -- “elenchos”, appunto -- in primo luogo, uno dei lasciti più significativi  della cultura filosofica antica, quello che maggiormente ha contribuito  alla formazione della coscienza moderna. Ma in secondo luogo, e  secondo un’angolatura più tecnica, G. vedeva nell’”elenchus”, inteso come analisi critica, il metodo per eccellenza dello  studio del testo filosofico antico e della dottrina in esso contenuta,  come mostrano i primi autori di una nascente “storia della  filosofia” ancora in forma di dossografia, Platone e soprattutto, com’è  assai noto, Aristotele. In omaggio dunque, all’ideale “dia-logico” (DIA-GOGE – H. P. GRICE) trasmesso dal magistero di Calogero, l’ELENCO e, nei limiti  del possibile, il contrassegno delle ricerche realizzate o promosse dal  Centro e divenne il nome delle due pubblicazioni, entrambe affidate  alla casa editrice napoletana Bibliopolis, Edizioni di Filosofia, di Franco.  La collana e destinata in larga misura, benché non  esclusivamente, a premiare le ricerche individuali, le quali dovevano  concretarsi in studi monografici, edizioni di testi e strumenti per la  ricerca. Non deve stupire che in questa sede ci si limiti a mettere in  primo piano l’opera Socratis et Socraticorum Reliquiae, collegit,  disposuit apparatibus notisque instruxit G. Frutto di una ricerca individuale, preparato da  molte precedenti pubblicazioni, questa edizione delle testimonianze  relative a Socrate e alle scuole socratiche, corredata dell’APPARATO CRITICO e note di commento (e SENZA traduzione), rappresenta la più importante  espressione degli interessi tematici e dei principi metodologici che  caratterizzarono il Centro. Basterebbe infatti considerare i volumi  usciti nella medesima collana “Elenchos” votati alle tradizioni  socratiche, alle scuole ellenistiche, alla dossografia e alle edizioni di  ILIESI digitale Temi e strumenti 23  Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico] testi e frammenti di FILOSOFI ITALIANI ancora  poco studiati, per apprezzare   l’impatto delle ricerche di G. su tutto il gruppo di ulteriori interessi e accolse studi accademica.   ricerca del Centro. Naturalmente  la collana non e preclusa ad   critici su tematiche di grande  rilevanza nell’ambito del platonismo  e dell’aristotelismo e delle filosofie  della tarda antichità, promuovendo  in tal modo uno scambio costante  con la più ampia comunità   Quanto alla rivista, è forse  opportuno rimandare direttamente  alla Presentazione che G.  Figura 6: copertina del primo volume di G. G., Socratis et Socraticorum Reliquiae, Napoli] antepose al primo fascicolo. Essa fa  molto ben intendere tanto la  relazione essenziale tra il programma del Centro e il periodico  che di quel programma doveva essere lo strumento di diffusione; quanto  l’apertura al dibattito che la rivista (e quindi il Centro stesso) si  prefigge; quanto, infine, la tempestività di un’operazione culturale che  il Consiglio Nazionale delle Ricerche ha la sagacia di sostenere:  ELENCO intende dare attuazione ad uno dei punti programmatici contenuti nella convenzione stipulata tra il Consiglio Nazionale delle Ricerche e Roma, e che sta alla base del Centro di Studio della Filosofia antica. Essa non è, tuttavia, in senso stretto espressione soltanto di questo Centro: al contrario, chi ha la responsabilità di dirigerla intende farne uno strumento di studio e di ricerca aperto alle collaborazioni più ampie, un punto di incontro e di confronto e un’occasione a disposizione di studiosi. Questa rivista è l’unica dedicata interamente alla filosofia romana che si pubblichi in Italia e perciò essa non può non proporsi anche un compito di promozione di questi  [ I titoli della collana “ELENCO”, corredati da schede riassuntive, sono consultabili all’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle idee. Mi limito a citare il grande progetto di traduzione e commento della Repubblica di Platone, promosso e diretto da Vegetti. Vegetti  Questa situazione è rimasta invariata, e cioè fino alla comparsa della rivista “ANTIQVORVM PHILOSOPHIA”, edita da Serra, Pisa, e diretta da Cambiano.  ILIESI digitale Temi e strumenti    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico] studi ... Ma essa si propone anche uno scopo più ambizioso; se è vero, come è vero,  che la storia della FILOSOFIA ROMANA è un campo in cui debbono potersi incontrare gli apporti e le problematiche della storiografia filosofica e del metodo filologico. Se è vero, come è vero, che tanto la storiografia filosofica quanto il metodo filologico attraversano una fase di ri-pensamento critico molto profondo dei propri presupposti e delle proprie certezze, allora ad una rivista come questa spetta, in primo luogo, il compito di proporsi come sede di verifica di discipline diverse e di modi diversi di affrontare lo studio della filosofia romana e di aprire le sue pagine ... anche a contributi che per la conoscenza della FILOSOFIA ROMANA possono venirci da storici dell’antichità, filologi classici, studiosi delle lingue e delle letterature classiche, archeologi, papirologi ... Per questi motivi di fondo – oltre e più che per la sua origine istituzionale – questa rivista si caratterizza per l’unità del campo di ricerca, non per l’unità dell’orientamento interpretative. In accordo con gli obiettivi enunciati nella Presentazione della rivista “ELENCO” e nel protocollo che lo istituiva, il Centro di Studio del Pensiero Antico si dota di un consiglio scientifico che affianca G. nella direzione del Centro e delle pubblicazioni che esso produsse, il quale contò tra i propri membri eminenti storici della filosofia, quali Adorno, Berti, Reale, Viano, Ioppolo, Brancacci e Celluprica, nonché eminenti filologi classici e storici della filosofia quali Gigante e Rossi. Il Centro poté disporre di sufficienti risorse e di una struttura organizzativa 40 che gli 39 “Elenchos”, 1, 1980, pp. 3-4. 40 Fecero parte del Centro in qualità di ricercatori inquadrati nei ruoli del Consiglio Nazionale delle Ricerche: Faes (direttrice del Centro nel 1999), Caporali, Garroni, Celluprica (direttrice del Centro per il biennio 2000-2001 e poi responsabile della linea relativa al pensiero antico nell’ILIESI fino al 2005), Ferraria, Brancacci (poi docente presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”), Centrone (poi docente presso l’Università degli Studi di Pisa), Alesse, Dalfino, Simeoni, Chiaradonna (poi docente presso l’Università degli Studi di Roma Tre). Collaborarono in modo istituzionale e continuativo con il Centro Ioppolo (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”), Repici (Università degli Studi di Torino); Santese (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”); Sillitti (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”); Baffioni (Università degli Studi di Napoli l’Orientale); Spinelli (Università degli Studi di Roma “La Sapienza”) ed Aronadio (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”). Molti sono stati i allievi che, nel corso della loro formazione post lauream sono venuti in contatto con G. e con il Centro, lavorando fattivamente alla redazione di “ELENCO” o adoperandosi in attività editoriali e scientifiche in senso proprio. Tra questi mi è gradito ricordare Piccione (Università degli Studi di Torino), Alessandrelli (ILIESI-CNR), Quarantotto (Sapienza Università di Roma), Fronterotta (Sapienza Università di Roma),  ILIESI digitale Temi e strumenti 25    Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico] consentirono di diventare un organismo collettore di attività di ricerca nel campo dell’edizione critica e dell’interpretazione dei testi della filosofia antica. Chi scrive non crede che l’esperienza acquisita nel Centro sia andata perduta né dimenticata. Quando nacque l’Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee, al suo interno fu garantita la prosecuzione e l’autonomia delle indagini relative alla storia della filosofia antica, per esplicito volere di Gregory che del nuovo Istituto fu il primo direttore. Queste indagini confluirono in una linea progettuale denominata prima “Storia del pensiero filosofico- scientifico e della terminologia della cultura mediterranea greco-latina, ebraica e araba” e successivamente “  Il pensiero filosofico nel mondo  antico: testi e studi”. L’impegno principale della linea fu  rappresentato da una serie di progetti che in parte proseguivano le  tematiche di studio e le strategie cooperative del Centro di Studio del  Pensiero Antico, e in parte introducevano nuove tipologie di analisi,  connesse alle tecnologie digitali. La continuità culturale fu inoltre  garantita dal mantenimento delle due pubblicazioni, la collana  “Elenchos” e la rivista “Elenchos”. Da questa permanenza delle  ricerche sul pensiero antico nella nuova realtà istituzionale si deve  ricavare non solo e non tanto l’attualità di una disciplina (che si è  comunque stabilizzata nel mondo accademico con la benefica  diffusione di cattedre e centri di insegnamento, in Italia e fuori),  quanto piuttosto l’attualità di un metodo di lavoro. Questo metodo di  lavoro, che potrebbe descriversi, un po’ aulicamente, come un nuovo  diatribein socratico, cioè come la capacità di discutere in modo  competente con i “morti” prima che con i vivi, rispecchia abbastanza  bene la disposizione intellettuale e comportamentale di G.i, uomo tanto pacato nelle discussioni con i contemporanei,  quanto fermo nelle sue strategie di ricerca sul mondo antico.] Gioè, Nucci, Santoro,  Gambetti e Cunsolo (a quest’ultima si deve l’allestimento della bibliografia ragionata digitale Le tradizioni filosofiche e culturali greche della Magna Grecia e della Sicilia antica, ora in fase di aggiornamento ad opera di Francesca Gambetti). 41 A questa linea, diretta da Celluprica fino al 2005, fanno riferimento i ricercatori già operanti nel Centro, a cui si aggiunge, dal 2010, Silvia M. Chiodi, specialista in storia delle religioni del mondo antico e del Vicino Oriente. 26 ILIESI digitale Temi e strumenti   Francesca Alesse G. Giannantoni e il Centro di Studio del Pensiero Antico. Arnim, Stoicorum Veterum Fragmenta, Lipsiae, Teubner. Barnes, MIGNUCCI (a cura di), Matter and Metaphysics. Fourth Symposium Hellenisticum, Napoli, Bibliopolis. Biagini 2002 = Antonello F. Biagini (a cura di), Il Sistema Mediterraneo. Radici Storiche e Culturali e Specificità Nazionali, Roma, CNR Edizioni. Brancacci 1977 = Aldo Brancacci, Le orazioni diogeniane di Dione Crisostomo, in Gabriele Giannantoni (a cura di), Scuole socratiche minori e filosofia ellenistica, Bologna, il Mulino, pp. 141-171. Brancacci 2017 = Aldo Brancacci, Il Socrate di Guido Calogero, “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, s. 7, vol. 13, pp. 205-226. Calogero 1950 = Guido Calogero, Gli studi italiani sulla filosofia antica, in Carlo Antoni, Raffaele Mattioli (a cura di), Cinquant’anni di vita intellettuale italiana. 1896-1946. Scritti in onore di Benedetto Croce per il suo ottantesimo anniversario, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, vol. 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La Repubblica, traduzione Vegetti, Napoli, Bibliopolis, Vol. VII (Libro X). e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario e commento a cura di Mario Vegetti, Napoli, Bibliopolis. (Libro X).  a    BS’l RATTO <Ia 1 Bollettino (ti Filologia Classica  Anno XXIV. - Fase. 2-3-1 - Agosto-Setteiiibre-Ottobre 1917      X II 6xi|iòvtov di Soorate. Como già nei tempi antichi, cosi anello  più tardi il 3 r.|iàviov di Socrate lui sempre suscitato il più vivo interesso ed è rimasto lino ai giorni nostri oggetto di studio. Ma, per  quanto sia stato scritto attorno ad essa e per quanto no sia stata ago-  volata la compronsione por merito di Seliloiormacher e dei suoi successori, non si può dire clic si sia linoni riusciti a trovare una spiegazione soddisfacente di questo fenomeno, che fu una dèlio cause dèlia  tragica fine del grande pensatore.   Le fonti, alle quali dobbiamo attingere nella nostra ricerca, sono,  come si sa', gli scritti di Platone o di Senofonte. Ma.qui ci troviamo  subito di fronte ad una questione molto discussa c cioè; quale dei due  autori sia rispetto alla dottrina socratica il più attendibile. Poiché i  rapporti di Platono o di Senofonte si contraddicono riguardo allo ma¬  nifestazioni del Satpdviov di Socrato in un modo assai pronunciato, è  chiaro che dalla decisione alla quale arriviamo rispetto a questo divario,  deliba infine dipendere la soluzione del problema.   1 > m ,to che nel diciottesimo secolo si fece strada il parere del leib-  niziuno Brucfecr, secondo il quale gli scritti di Senofonte sarebbero  per lo studio del socratismo i più veritieri, parere che ha avuto fino  ad oggi i suoi fautori. Di quest’opinione è in linea generalo anche  Hegel (IJ. 1|S. principio del secolo passato però, Schleiermacher (2) ed  altri insistettero che por la valutazione della dottrina socratica do  vesso tenersi maggior conto delle opere di Platone. Di fronte a queste  due correnti lo Zollerai sogni un indirizzo, elio possiamo chiamare  intermediario. Senza entraro in particolari, si può dire che, sebbene  gli atti attorno a questo divario non siano ancora chiusi, diventa sempre più salda la convinzione, che senza uno studio profondo di Platone  una comprensione del socratismo non è possibile (-1). Ma con ciò il nostro quesito non è ancora risolto.   Secondo Platone il Sxigóvwv agisce in modo esclusivamente inibitorio,  esso non è mai incitativo. Secondo Senofonte, però, funziona nei due  modi. Si è, è vero, creduto che la contraddizione tra lo due versioni  fosse soltanto apparente, perchè, se il «aigóviov non inibiva Socrate  nel 6uo fare, ciò equivaleva, si è detto, ad un'atrcrmaziono nel senso   «C.   (1) G. W. F. Hegel, Vorl. ti. d. Gesch. d. l'Ii tfp s. Il, 2* ed., p. 69, 1812.   (2) F. Schleiermacher, Abkdl. kad. su Berlin, 1818, p. 50 seg.   (3) E. Zm.i.ER, Die Philosophie hen li, 1, t* '.al., p. 91 seg., p. 131    Mg. 1869.     (4) Cfr. G. Zuocantb, Socrate, pòrte prima,di un ordine positivo. In verità, però, mi sembra, che la diversità  venga con una talo interpretazione soltanto celata, ma non eliminata,  perchè in realtà le differenze tra i rapporti doi due autori sono dovute a processi psichici in sè diversi. Corto, se qualcuno mi dice, ad  es. : non andare via ! quosto equivale praticamente al comando positivo:  rosta ! Ma con ciò la cosa non è fluita. So io non distolgo qualcheduno,  che devo guidaro, da una azione, che egli è in procinto di compiere,  do, è vero, con ciò il mio consentimento al suo proposito, ma la sua  azione scaturì da motivi sorti nella sua coscienza e prosegue secondo  leggi psichiche. E so, in un altro caso, lo freno con un semplice: no!  senza però dargli altri ordini positivi, io non permetto che egli eseguisca quello che stava per fare, ma con ciò non gli indico ancora  quanto devo in sua vece intraprendere. Il suo agiro dipende di nuovo  unicamente da lui o si sviluppa ancora da motivi che sorgono in lui  stesso. Ma so gli dico: fa cosi ! allora lo sottopongo in senso positivo  ad una volontà non sua o lo faccio compiere un’azione, i cui motivi  sorsero nella mia coscienza e non nella sua. Egli diventa lo strumento  del volere di un’altra persona, e, se consideriamo il fatto dal lato etico,  la responsabilità per lo conseguenze di una tale azione cado in questo  caso interamente su di rao o per nulla su di lui. Non occorrono altri  esempi : in fondo la diversità doi due rapporti si riduco presso a poco  al caso citato. Secondo Senofonte, Socrate riceve anche ordini positivi  dalla divinità, egli compie quindi azioni, che non furono da lui deciso,  secondo Platone mai. Ogni sua azione procedo, secondo Platone, in seguito a motivi, che appartengono alla sua propria coscienza, ed è sem¬  pre la sua volontà che lo fa agiro anche dopo che egli ha abbandonato,  per l'intorvonto del Baijióvwv, una decisione presa.   Como si vede, la differenza non si lascia eliminare. Per quanto si  corchi di celarla, essa riappare sempre. Mi sembra quindi più savio  di riconoscerla. Ma ciò facondo ammettiamo anche che una dello due  versioni non può essere esatta e cho si deve decidere, quale delle due  si abbia da riconoscere come vera.   Delle opero cho portano il nome di Senofonte, V Apologia viene oggi  quasi da tutti riconosciuta apocrifa. Per ciò non ne teniamo conto.  Degli altri suoi scritti sono per noi importanti i Memorabili ed il Con¬  vito. Faccio qui osservare che, dopo un esame della rispettiva letteratura o specialmente in base agli studi dello Schonkl(l), sono arri¬  vato alla conclusione cho per il nostro problema soltanto i passi Meni.  1, 1, 2 segg., Meni. I, 4, 15 segg. o Conv. 8, 5 sono con tutta sicurezza  da considerarsi come autentici. Per talo ragione lasciamo da parte in  questa breve nota i passi : Mem. IV, 3, 12, IV, 8, 1 o IV, 8, 5.   Dalle opero cho vanno sotto il nome di Platone e che trattano del  Saipóviov escludiamo il Teagete, perchè oggi generalmente ritenuto apo¬    lli K. Schenkl, Xenophont. Studien. Sitzungsber. d. K. Akad. d. Wiss . i  zu Wien, 1875, 1876.     orilo. L’autenticità dell'A Icibinde 1 è fortemente messa in dubbio, lo  accettiamo con riserva. Non posso decidermi di respingere 1 Fall frane,  malgrado lo obiezioni di Ueborwog (I). Dogli altri scritti platonici limino  per noi valore VApologià, YEutidemo, il Tediato, il Fedro e la Repubblica.   Senza entrare rpii noi particolari della questiono, (pialo sia I ordino  cronologico delle opere di Platone, dobbiamo intenderci sull'epoca in  cui fu scritta Y Apologia, perchè questo lavoro ci dà la più esatta in-  i rmazione intorno al Saipiviov di Socrate. La maggior parto dogli stu-  .dcigi — c ciò è per noi importante — fa salirò l’origine di quest o-  pcra ad un’epoca non molto distante dalla condanna o dalla morte del  illusolo, l’orsino autori elio sono del parere clic Platone 1 abbia scritta  a Megara, ammettono con ciò (dio questo importante documento ap¬  partiene al suo primo periodo di attivila, scientifica. Allo stesso risul¬  tato giunse Lutoslawski per mezzo del suo metodo stilometrico. Quan¬  tunque si debba riconoscere l’unilateralità di questo metodo e per  •quanto sarebbe arrischiato di fondarci unicamente su di esso, ci co-  -stringono nondimeno ragioni psicologiche di non negargli ogni valore.   Alla questione esposta si connetto quost’altra, cioè, so nell’Apologià  .di Platone si tratti di una fedele riproduzione di quanto Socrate real¬  mente disse davanti al tribunale di Atene, o se si tratti soltanto di  una riproduzione piu o meno fedele del contenuto dei suoi discorsi.  La prima opinione è quella di Schleiermacher (2), della seconda è  Stcinhart (3), elio vede nell’Apologià un'opera d'arte, in cui lo spirito  -socratico o quello di Platone si trovano armonicamente fusi insieme.  Ambedue le opinioni hanno avuto i loro fautori. Considerazioni psico¬  logiche mi hanno condotto nelle duo questioni accennato a con' inzioni  che risultano da quanto seguo.   Come si vuol spiegare l'influenza che quest'opera ha sempre eser¬  citata sui più grandi spiriti della razza umana, o come si potrebbo  comprendere la elevazione morale clic ognuno devo provare in sè,  quando vi si abbandona senza pregiudizio, so non si ammette che essa  suscita nel lettore la convinzione di sentire la parola viva di Socrate  stesso ? Quale valore potrebbo avere questo scritto, se si volesse con¬  siderarlo unicamente come una creazione d'arto, come una descrizione  dell’ideale platonico? In questo caso dovremmo bensì inchinarci da¬  vanti all’autore quale artista, ma in fondo avremmo cosi un Socrate  come Platono avrebbo desiderato che egli fosso, ma non come real¬  mente era. Non stava in Socrato piuttosto la verità incorporata da¬  vanti ad Atene decadente, davanti alla stessa Atene che egli aveva  conosciuta nello splendore del periodo di Pericle? Non era quest uomo  un idealo morale di una tale grandezza elio ogni tentativo di idealiz¬  zarlo maggiormente doveva necessariamente rimpicciolì rio ?   P. Ueberweg, Unters. fi. d. Echtheit u. Zeitfolge piatoli. Schriflen , F. Schle i rum ache R, Plalons Werke, I H. MQli.er e K. Stf.inhart, Plalons sàmmtl. Werke,  Per quali ragioni poi l 'Apologia non fu scritta in forma di dialogo?  Nessuna introduzione, nessuna descrizione dello scenario, nessun nesso  tra i singoli discorsi, nessun accenno a circostanze secondarie inter¬  rompono l'azione in questo meraviglioso documento. Non dovremo con¬  venire che soltanto forti motivi psicologici indussero l’autore ad esporre  cosi lo sviluppo del processo? Non si dimentichi neppure quanto di¬  versamente Socrate parla della morte ne\\'Apologia e nel Fedone, la  qual opera, senza alcun dubbio, fu scritta molto più tardi. Nell’yfpo/ofna  è in verità Socrate stesso che parla, mentre nel Fedone è Platone che  motto, entro la cornice della realtà storica, la propria convinzione in  bocca al suo amato maestro.   Vi sono poi altri fatti psicologici da rilevare. Ricordiamo che Platone  ascoltava un maestro, che aveva seguito con tutto l'ardore del suo en¬  tusiasmo giovanile per lunghi anni, e dal quale emanava un lascino  che faceva dimenticare a lui come ad altri giovani greci la figura di  Sileno clic nascondeva il vero essere del grande innovatore. Ricordiamo  clic Platone era penetrato nello spirito della dottrina socratica come  nessun altro e clic egli solo è stato capace di salvarla interamente  per la filosofia occidentale. Gli orano quindi lamiliari tutti i partico¬  lari esteriori che sono caratteristici por ogni personalità umana o senza  i quali non possiamo neppure rappresentarcela. Conosceva esattamente  il timbro e la cadenza della sua voce, il suo vocabolario, il suo perio¬  dare, i suoi movimenti mimici e pantomimici, in breve tutti i numerosi  fattori clic, secondo la leggo della fusione psichica, cooperano a lar  sorgere in noi l’immagine di una persona a noi nota c che, tutti quanti,  esercitano la loro influenza dormito la riproduzione di un suo discorso.   È inoltro cosa saputa che ogni riproduzione di un discorso riesce  tanto più fedele, quanto piu l'attenzione rimaneva tosa, quanto mag¬  giore era l’interesse che l'oratore suscitava in chi l'ascoltava. Si può  immaginano un’attènzione piu concentrata elio nel caso presente?   Figuriamoci lo stato d’animo del giovano Platone, che pende dalle  labbra del suo maestro e che appercepisce attivamente ogni parola  da lui pronunciata; ridestiamo nella nostra immaginazione l’uragano  di emozioni che lo travolge, le fluttuazioni della sua anima tra la spe¬  ranza ed il timore, tra l'ammirazione della grandezza sovrumana  che si palesa e lo schianto per la certezza della perdita irrimediabile,  e si dovrà convenire elio l’organismo umano forse non sopporterebbe  tali stati d’animo una seconda volta. Sappiamo che emozioni come  queste non passano facilmente, ma (die tornano sempre in nuovo on¬  dato. Sappiamo inoltro che nessun moto d'animo rimane senza espres¬  sione o elio lo singolo persone a questo riguardo si comportano diver¬  samente. Anche l’anima dell’artista lui le sue reazioni ed ogni artista  le ha a seconda dell’arto, alla quale dedicò la sua vita. Ora, anche Pla¬  tone era artista o come tale non potevano rimaner mute lesile emo¬  zioni. Ma egli era anello scienziato, uno scolaro, anzi Io scolaro per  eccellenza, ili quoH'uomo che durante una lunga vita non aveva ccrrato altro ohe la verità. Oli era impossibile di rinchiudere in se ciò  clic aveva vissuto quel giorno. Cosi, appena può, prende lo stile por  dare uno slogo all'emozione olia lo soffoca. li se il suo stato non diede  luogo a fenomeni precisamente nllucinnttfri, nondimeno tutto ciò che  aveva visto e sentito, torna a vivere in lui, conio per il poeta vivono  ed agiscalo lo persone croato dalla sua fantasia.   Cosi, io penso, nacque VApologia platonica. Essa non è un rapporto  stonogralico, perché è certo olle anche questa riproduzione doveva su¬  bire quei cambiamenti che, secondo i risultati della trattazione speri¬  mentale. hanno luogo in tutti i processi riproduttivi. Perciò non ogni  parola ebbe il suo posto originario, un pensiero avrà avuto un'espres¬  sione un po' più breve, un altro una l'orma un po' più lunga, eco., ma  quanto al resto il documento è. come per il contenuto, cosi puro pol¬  la forma tanto fedele, quanto, data la mente Idi un Platone, era uma¬  namente possibile. Con ciò ho esposto II mio punto di vista rispetto  allo due questioni sovracconnatc. No risulta che dobbiamo fondarci nella  nostra ricerca4U/-quanto viene riferito in quest'opera intorno al &ti-  póviov di Socrate. Aggiungo die gli accenni contenuti negli altri scritti  di Platone non contraddicono in alcun modo i dati precisi dell’Apologià.   Per quanto concerno lo opero di Senofonte che ci interessano, bi¬  sogna ricordare che esse furono scritte parecchi anni dopo la morto  di Socrate, o die in esse i.on veniamo mai informati intorno al feno¬  meno da Socrate stesso. Desideroso di dimostrare l'innocenza del grande  filosofo, come puro la ingiustizia dell’accusa c della condanna, Senofouto  metto, convinto, beninteso, di scrivere la verità, il Saipòvcov di Socrate  in relazione colla fedo popolare nello divinazioni. Ciò non può sorpren¬  dere, quando si pensa all'abuso che il popolo di qucH'epoea, già invaso  dallo scetticismo, fece dei divinatori, c quando si tiene presente elio  Souofontc non ora filosofo, ma uomo politico. Per questa ragione non  dove recar meraviglia, se Senofonte non aveva compreso ciò che era  nuovo ed essenziale nella concezione socratica del fenomeno.   In Meni. I, I, 2 è detto clic la divinità (vi Saipòviov) dava segni a  Socrate ed in I, 4 viono aggiunto elio egli comunicava tali messaggi  a quelli clic lo ci re urlavano o elio aveva loro predetto ciò che dove¬  vano faro e ciò elio non dovevano l'aro, come puro elio quelli elio se¬  guivano questi consigli ne ebbero vantaggi, mentre gli altri elio non  li seguivano, dovevano poi pentirsene.   Meni. 1, 4 contiene il noto colloquio con Aristodemo. In 4, 11 Socrate  domanda ad Aristodemo, clic cosa gli dei dovessero l'aro per convin¬  cerlo elio si curavano anche di lui. A ciò Aristodemo, alludendo al  S-x.aó e.'j'i. risponde, un po' ironicamente, che dovevano mandargli dei  consiglieri per fargli sapere quello elio doveva faro e non fare, corno  Socrate pretendeva che fosse il caso spo.   In Cono. 8, 5 Socrate non aveva affatto parlato del suo Sxtgtìvwv o  non no parla neppure in seguito. Antistuno, però, gli fa il rimprovero,  come se egli se no servisse per trarsi d'impiccio.  È evidente che, se non avessimo lo rispettivo, opere platoniche, il  ixigiviov di Socrate sarebbe rimasto per sompro un fenomeno inespli¬  cabile. D'altra parte però le comunicazioni di Senofonte sono di grande  valore, in (pianto che fanno vedere il modo in cui in Atene si giudi¬  cava questo fonomono, ivi assai conosciuto.   Dall' Apologia ili Piatone apprendiamo che Socrate disse nel suo primo  discorso (Apoi. 31 c-d), che egli non si era occupato di altari politici,  perchè succedeva qualche cosa di divino o di demonico (Dstov r. -/.od  Sxqidvtov) in lui, che dai tompi della sua fanciullezza (è-/. r.x'.Sif) vi era  stata in lui una corta voce (qxov^ vi?) la quale, ogni volta che gli so¬  pravveniva, l’aveva trattenuto da qualche cosa, ma che non l’aveva  mai spinto a qualsiasi azione. Nel terzo discorso (40 a-c) Socrate spiega,  come la solita divinazione (r, siioSHtà poi prmxi)) l’avesse nel passato  sovento fermato, trattandosi anche di coso molto piccole (jiàvu érti opi-  xpotg), ma che il segno di Dio (vi r.ù 9-soO a^pstov) non gli era soprav¬  venuto durante tutto il giorno c neppure durante tutto il suo parlare,  mentre durante altri discorsi l'aveva spesso frenato. Dice ancoraché  la morte non poteva essere un male per lui, perché nel caso contrario  il solito segno (vò e!i»9-ò; a^pAv/J l'avrebbe cortamente trattenuto nel  parlare. Alla fine di questo discoi-so (41 <1) ripeto che il morire doveva  ora essere per lui la miglior cosa, perché altrimenti il segno (vo oij-  pstov) l'avrebbe avvertito.   Gli altri scritti di, Platone, dei quali dobbiamo tener conto, non pos¬  sono naturalmente iù avere il valore storico, elio abbiamo attribuito  all’Apologià, ma siccome i rispettivi passi, corno fu già detto, non sono  menomamente in contraddizione con quolli dell' Apologia, essi hanno  certamente un fondamento storico. In ogni modo illustrano, come Pla¬  tone vuole che il Sxwdvwv di Socrate venga inteso.   Nell'Atò/drtde I (103 a) l’autore si servo del fenomeno per iniziare  il dialogo. Socrate dice ad Alcibiade di non meravigliarsi, se da tanti  anni non gli avesse più parlato, perchè un ostacolo di natura non  umana, ma demonica (oùx ivD-piójiswv, àX/.i vi Sxipdviov ivawttopx) gliene  aveva impedito.   ììo\VEulifrone (3 b) questo domanda a Socrate, su che cosa Meleto  abbisi l'ondato la sua accusa. Socrate dico che Meleto gli rimprovera  di introdurre nuovi dei c di non credere negli antichi. E Eutifrono  gli risponde di aver capito ora, che è perchè Socrate parla sempre  del suo Sxtpóviov.   Noi Teetelo (150 c-151 a) Socrate parla della sua maieutica e dico che  molti discepoli l'avevano abbandonato, perchè, non comprendendo la  sua arto, lo tenevano in poco conto. Egli aggiunge che, se tali giovi¬  netti tornavano da lui, il ìoupóviov (ti yiyvò|ìevóv poi Sxqwviov) gli impe¬  diva di accoglierne alcuni, mentre ad altri non era contrario e che  questi facevano di nuovo progressi.   Nell 'Entidemo (272 o), un dialogo, in cui Platone fa vedere tutto  il vuoto ed il poricolo dell'arte solistica, Critono prega Socrate di parlargli di duo solisti. Socrato consento o dico clic il giorno innanzi  ora stato seduto noi liceo od in procinto di andarsene, quando gli ora  sopravvenuto il solito sogno demonico (tò siwà-ò: ay iuCcv tò ìaqiòvt'vv}.  Poreiù ora rimasto seduto o tosto quei duo, cioè Kutidemo e Dioniso-  doro orano entrati.   Noi Fedro (241 a-d) Platone ha già oltrepassato di molto il socialismo  puro e semplice, come risulta dalla spiegazione elio dà dell’anima o  dello ideo. Dopo una meravigliosa descrizione del paesaggio vediamo  corno Socrato o Fodro si coricano sulla sponda dell’Ilisso nell'omhra  di un albero. Socrato ticno il discorso sul bel ragazzo che aveva avuto  molti amanti. Fedro vorrebbe clic continuasse su questo tema, ma So¬  crate gli risponde che, in procinto di attravorsare il fiume, gli era so¬  pravvenuto il solito segno demonico (tò ìxqiòvtòv t= usci tò siiottòs aijgEìovl,  gli era parso di sentire una corta voce (za{ tivx cpiovijv iìi-a aòTò!M=v  àzoùoai), elio lo impediva di andare via prima di essersi purificato da  un peccato commesso contro la divinità. Dice ancora che egli deve essere  veramente un divinatore, ma soltanto per ciò elio riguarda lui stesso,  e continuando rileva dm la sua divinazione rassomiglia all'arte di  quelli che leggono c scrivono male, perché anche questi possono ser¬  virsene soltanto per i propri bisogni. Con ciò egli passa man mano  agli splendidi discorsi elio tutti conoscono. — Platone si serve in que¬  st'opera con arte line del ìaqiòviov in modo similo a quello in cui so n'è  servito ncll’AHbiado e neU’Eutidcmo. Egli introduce il fenomeno per  rendere possibili i discorsi che seguono.   Nella Repubblica (VI, 496 c) Socrato dice elio il segno demonico (tò  ìaqiòviov ovjiietovJ non era stato concesso a nessuno prima di lui o quasi  a nessuno.   So analizziamo più da vicino il problema, vediamo che esso rac¬  chiudo in sé tre problemi clic dobbiamo risolvere l’uno dopo l'altro.  S’impone prima di tutto il quesito, corno mai Socrate abbia potuto  -chiamare il fenomeno in questione tò ìaqiòviov. A questo si connette  l’altro, cioè di sapere che cosa Socrate stesso abbia realmente inteso per  questo termine. In terzo luogo dobbiamo corcare, come la psicologia  empirica moderna possa spiogare questo fatto. II primo quesito e, fino  ad un certo punto, anemie il secondo fanno parte della psicologia dei  popoli, mentre il terzo appartiene esclusivamente alla psicologia indi¬  viduale.   I. Il significato del ìaqiòviov di Socrate dal punto di vista della psi¬  cologia dei popoli. — 11 concetto del demone è sorto da primitive ve¬  dute attorno all’anima. Esso ha avuto poi un lungo sviluppo, duranto  il quale, sotto l’influenza di rappresentazioni magiche, subisce molte  trasformazioni e acquista varie forme. All’epoca in cui appare l’eroe,  questi 'lue concetti si fondano man mano in una rappresentazione to-  talo, nella quale il concetto del demone perde il suo carattere imper¬  sonale, mentre l’eroe acquista dolio qualità sovrumane. Cosi nasce il  panteismo. Importante è però in tutto questo sviluppo, che la rappresontazione ilei demono non si perdo dopo la formazione degli dei pa¬  gani o elio corto qualità ili questi ultimi vengono attribuite anche ai  demoni. Per ciò accado olio lu coscienza popolare non distinguo sempre  nettamente tra dei e demoni. Nella Grecia il concetto del demone, sotto  l'influenza della poesia e della filosofia, subisce poi un’altra modifica¬  zione, in quanto i demoni vengono considerati come esseri elio stanno  tra gli dei o gli uomini. Si confronti a questo proposito la descrizione  deH'origino dell'Eros nel Convito di Platone (802 dj, come pure il primo  discorso di Socrate nel .['Apologià platonica (27 c).   Dal punto di vista della psicologia dei popoli si può diro elio col  «aipóviov di Socrate il concetto del demono torni nell'anima umana,  nella quale, per motivi psicologici e per processi di oggettivazione, è  nato, vi ritorna filosoficamente trasformato ed eticamente purificato (1).  E caratteristico per tutto questo sviluppo elio Socrate nel Convito di  Senofonte chiama l'anima umana un santuario dell’Eros (Vili, 1). ,   2. Come intende Soci'de il suo 8*i|lòviov ? — Prendo le mosse da un  punto ilei primo discorso AoW Apologia di Platone e precisamente dal  punto, ove Socrate invita Meleto a spiegare esattamente, se egli nella  sua accusa intenda di diro clic Socrate non creda negli dei dello Stato,  o so egli voglia addirittura accusarlo di ateismo. Quando Meleto an¬  nuisco a questNiltima interpretazione, l’accusato corea di far vedere  l'assurdità dell'assorziono, dimostrando dapprima che, chi crede in qual¬  che cosa di demonico, devo necessariamente riconoscere l'esistenza ili  demoni. E quando Meleto devo nuovamente ammettere che i demoni  sono figli di doi, la partila è ila Scorato quasi vinta. Comesi può ere-  dorè all’esistenza di tigli dogli dei, egli conclude, senza credere con ciò  anche a quella degli dei stessi ? Difatti, i giudici elio lo ritenevano  colpevole, erano in piccola maggioranza.   Se prendiamo questo passo insieme con quanto Socrate dice ancora  ilei suo 2xi|ióvtov o del suo concetto della divinità, abbiamo in mano la  chiave per la sua concezione del fenomeno. Faccio qui ancora notare  che intendo il termini vó ìzciivtov nelle opere di Platone, secondo l'os-  sorvaziono dello Schlcierinacher (2), nel senso di un aggettivo. Dico  questo per respingere l'opinione che Sperate abbia creduto in uno spe¬  ciale spirito custode.   Socrate scoglio il termine iò Saupòviov in conformità alla fedo popo¬  lare. Come i demoni, secondo questa, stanno tra dei o uomini e ven-  .,gono detti persino ilei, perchè da dei generati, cosi anche il demonico  in lui è generato dalla divinità. Per questo lo chiama anche tó 3-iCov,  il divino. Il nesso psicologico mi sembra qui evidente. Abbiamo qual¬  cosa di s'inilo nella designazione del suo metodo, il quale egli credeva  puro impostogli dalla divinità (Teeteto 150, o). Come a baso di tutte   (1) Clr. W. Wu.ndt, m/terpsi/eholOjfie li, 2, p, 3iìS. 19 ni; Clemente der  VSt/cerpsi/chol.,(21 Op. cd., p. 309. — Cfr. puro B. E. Uaonaiihtks, The Ctnssical Retitelo,  XXVIII, ri, p. 185. 1911.    lo azioni di Socrate sta il bisogno etico della cortezza(1), cosi egli è  assolutamente certo che in casi, in cui la propria ragione lo lascia in  asso, una volontà divina lo trattiene in ogni circostanza, piccola o  grande, dolla vita, quando è in pericolo di non agire giustamente, cioè  di non compiere la sua missione. In questa cortezza, che forma una  parte della sua fedo religiosa, sta la giustificazione otica dolla ironia,  colla quale egli lancia l'accusa indietro sull’avversario. Ma oltre ad  essere qualche cosa di divino, il demonico in Socrate è poi anche qualche  cosa di umano, perché si produce nell’anima umana o diventa sua pro¬  prietà, cioè un oracolo interiore. Per ciò il demonico stava veramente,  come il demone della mitologia, in mezzo tra il divino e l'umano. Si  aggiunga elio Socrate ora in fondo persuaso che prima di lui questo  dono non era stato posseduto da nessun altro mortale. Ecco ciò che  vi ha di nuovo nella concezione socratica della divinazione, di fronte  a quella della fede popolare. Como dalla Repubblica di Piatone, questo  fatto risulta anche dalle superbe parole, colle quali Socrate si esprime  sul suo valore davanti ai suoi giudici (Apoi. 31 a-38c). Tali parole  può pronunciare un ammalato di mente, che si deve compatire, ma  quando escono dalla bocca di un Socrate, sono l'espressione di una pro¬  fonda convinzione religiosa, che deve scuotere chiunque miri a tini  etici. Importante è per la fede di Socrate che egli non cerca di scol¬  parsi in quanto al non credere negli dei dello Stato, ma solo in quanto  al sospetto di avere delle convinzioni ateistiche (Apoi. 35d).   Por quanto concorno la teologia socratica, elio al pari della sua  etica doveva rimanere ili carattere pratico, anziché sistematico (2),  è importante ricordare che Socrate trovò nella sua naz.iono il poli¬  teismo ellenico, corno Cristo trovò nella sua il monoteismo giudaico.  Socrate era, come ogni essere umauo, un tiglio del suo tempo. Educato  in (inolia religione ogli si riteneva, come Cristo, esteriormente legato  allo prescrizioni religioso in vigore. Come prendeva sul serio la mas¬  sima di Delfo: conosci le stesso, cosi rispettava l'altra di ubbidire alle  leggi. L’ultima parola del filosofo morente era la raccomandazione di  non dimenticare il sacrificio dovuto ad Esculapio (Fedone. 118), e poco  prima aveva domandata all'uomo, elio gli portava il calice fatale, se  ora permesso di farne una libazione. In questo modo Socrate non rag¬  giunse l'altezza dolla dottrina del Nazareno, ma si avvicina ad essa,  perchè sulla*larga base della religione popolare si eleva, quale sintesi  della sua conoscenza, la fedo in un Dio unico, al quale si deve ubbi¬  dire più che non agli uomini (Apoi. 29 d) c di cui egli si credeva un  apostolo (Apoi. 31 a). Socrate è tolcrautc verso la fede della moltitu¬  dine, ma il suo Dio è l’intelletto che governa l’universo e per il quale  non trova neppure un nome, un Dio onnisciente ed onnipresente, che    (1) A. Labriola, Socrate. Nuova edizione a cura di B. Croce, p. 5, 35, 76,  80 seg., 86 seg., 88 sei;., 150 si>g., 176, 274 seg. 1909.   (2) Cfr. A. Labriola, op. cit., p. 151, 155, 179 segg., 250 segg., 271 segg.        si cura ilei Leno di tutti gli nomini (Sonof., Meni. I, 4). Tutte le sue  pratiche religioso sono in fondo rivolto n quest'unico Dio senza nomo,  clic si rivela agli uomini in molti modi. Con una espressione di ledo  in questo Dio onnisciente, si chiudo ì'Apntoi/ia platonica(l). Tenendosi  presente questo concetto della divinità, si comprendo la sua incrolla¬  bile fede nel S»tpóvtov come in una rivelazione della medesima.   Il l'atto che il plurale oi '.Hol si trova in Platono come in Senofonte  accanto al sì neolaro 6 tei? potrebbe destare il sospotto elio Sorrato  accanto all'intelletto universale abbia ammesso ancora dolio altro forme  divino. Ma ciò è escluso. Egli sceglie il plurale in modo simile come,  per es., nella Genesi il plurale Eloliim sta por il singolare della di¬  vinità. Non è qui il luogo ili entrare in altri particolari. Ricordo sol¬  tanto elio troviamo precedenti in Senofane e che audio Anassagora  aveva già riconosciuto un unico principio immateriale che tutto or¬  dina secondo lini. Cho Socrate abbia conosciuta l'opera di Anassagora,  apprendiamo direttamente da Platone (Fedone. U7).   Non ho bisogno di rilevare che, con quanto fu esposto, sono sen¬  z’altro respinte le opinioni di Lèi ut o di altri, cho considerano Socrate  come un ammalato di mente, come pure il parere di Dii l’rel, che  mette il Sxqidvtov di Socrate in relazione collo proprio teorie mistiche (2).   3. // 8r.pó/tov di Sacrale dal punto di vista detta psicologia empirica  moderna. — So teniamo conto di tutti i fatti che Platone ci presenta,  è evidente che nel «atpivtov di Socrate si tratti ili un processo che ap¬  partiene al campo delle inibizioni psichiche. Naturalmente non può  trattarsi qui di una inibizione nel senso della dottrina intcllcttuuli-  tstica di Horbart. Ciò che nel nostro caso è inibitorio, non appartiene  all'atto al contenuto oggettivabile della coscienza umana, ma si trova  piuttosto dalla parte puramente soggettiva di essa, cioè da quella dei  sentimenti. Da questo punto di vista dobbiamo cercare di risolvere il  problema. L’inibizione procede da un sentimento totale, che si forma  in base ad un numero più o meno grande di intensivi sentimenti par¬  ziali, legati ad clementi rappresentativi che rimangono al limito della  coscienza e che non giungono all’appercezione. Con questo è inteso,  che non può trattarsi nel caso di Socrate, come è stalo ripetutamento  affermato, di processi allucinatoci (3). Nel fatto che l’inibizione parte  da un sentimento, al quale non corrisponde un contenuto oggettivo,  sta la ragione, perchè Socrato non può fare alcuna indicazione precisa    (l) Cfr. pure (I. /Cuccanti:, op. cit., pirte IV, c«p. XIII.  tX) F. I.ÉIX'T, L)it itóiiion de Si,croie ni. 1 4556. — C. Du Prel, Ine Ma¬  stiti d. alt. (ìrieclien, p. 121 seg. 1.333. E caratteristico che Du Prel l'accia uso  ilei Teapele , benché riconosca che questo non sia un'opera di Platone.   d) Cile Platone colla frase nel Fedro “ xxt -iva ipiovijv £So;a xùxcàsv ày.ofkJx: „  non vuol alludere ad una allucinazione, dimostra con molta chiarezza anche lo  Cuccante (op. cit., p. 372). Si aggiunga che. se il Szqicvtcv di Socrate avesse  tale origine, questo si rileverebbe in tutti i rispettivi racconti platonici, ciò che  non è assolutamente il caso.    - intorno al fenomeno, ma (leve in casi, in cui non lo chiama semplice¬  mente il demonico o il divino, contentarsi di termini metaforici. Parla,  ad es., di una voce, come oggi si usa il termine “ voce della coscienza,,.  Questo sentimento, sorto dapprima per via associativa, viene poi atti¬  vamente appercopito e, riferito alla divinità, acquista il carattere di  un motivo imperativo che, coll'intensità di una forza morale, lo co¬  stringe ad abbandonare un'intenzione presa. Dal fatto cho l’inibizione  viene da Socrate creduta un segno divino, si comprendo elio in lui  non possono mai nascere dei dubbi, come accadrebbe con altro persone.  Non vi è mai in un tal caso una lotta tra motivi in lui, mai alcun  conflitto tra doveri. Appena egli s'accorge dell’inibizione, è assoluta¬  mente sicuro di aver avuto trasmesso un divino “No,.. Cosi la rifles¬  sione o la fedo nel suo Sztjióv»/diventano i principi fondamentali, che  lo guidano nella sua intera attività filosòfica ed etica.   In ultima analisi si tratta qui di un fatto psichico clic si verifica in  ogni coscienza normale più o meno frequentemente, benché molte per¬  sone non lo osservino o non si lascino da esso frenare. Di James Stuart  Mill ci viene riferito elio egli osservò il fenomeno in se stesso molto  intensamente (1). A me molte persone hanno dotto di aver notato in  sè tali inibizioni sentimentali. Siccome Socrate ci informa che egli  aveva osservato il fenomeno spesso in sè dai tempi della sua fanciul¬  lezza, non è escluso che vi sia stata in lui por lo sviluppo di esso una  certa disposizione. Ma d'altra parto si devo ricordare (dio egli per tempo  si abituò a fare molto sul serio l'esame di se stesso o cho il fenomeno  era una parte integrale della sua fede religiosa. Dal momento cho egli  era corto cho il sentimento inibitorio era una rivelazione divina, questa  convinzione doveva dominare tutta l’anima sua. Dato questo continuo  autoesame in connessione collo sviluppo (lolla sua convinzione teolo¬  gica, si comprendo, come dovesse entrare in giuoco un principio che  governa ogni vita psichica, cioè quello dell’esercizio. L’ininterrotto  esercizio doveva renderlo capaco di riconoscere l'inibizione di ogni  grado appena sorta e di afferrarla coll'attenzione. Si aggiunga (die la  coscienziosità colla quale cercò continuamente di compiere la sua mis¬  sione, e colla quale mirava sempre ai medesimi lini, doveva renderlo  straordinariamente sensibile o facilitare la formazione di tali senti¬  menti. Cosi si spiega il frequente ripetersi del fenomeno in tutto lo  sue azioni. Io credo clic, con quanto fu esposto, siano trovati i punti  principali «he debbono guidarci nella spiegazione psicologica del Sacgóviov  di Socrate. Tornerò sull’argomento in un lavoro più esteso, ed in questo  sarà tenuto conto delle opinioni di altri autori più di quanto mi è  stato possibile di fare in questa breve comunicazione.    (1) G. Zuccante, op. cit., p. 378. JL ~jt    e 3    Federico Kiesow. SOCRATE   ET    VoAmour Grec. SOCRATE   ET   IPAmour Grec   ( Socrates sanctus nai Sepaatrjs )   D1SSERTATlON DE   Jean-Matthias GESNER   Traduite en Francais pour la premiere fois  Texte Latin en regard   Par Alcide BONNEAU PARIS   Isidore LISEUX , Editeur  Rue Bonaparte, jegg^arean-Matthias Gesner, 1’auteurde  «JgE cette curieuse dissertation, est  I S&fe l un erudit Allemand du xvm e sie-  cle, dont les travaux ne sont pas tres-  connus en France. On lui doit d’excel-  lentes etudes sur les Scriptores rei rus-  ticce , une Chrestomathie de Ciceron,  une Chrestomathie Grecque , des Lexi-  ques, une traduction Latine des ceu-  vres de Lucien, des editions de Pline  le jeune, de Claudien, de Quintilien,  de Rutilius Lupus et autres anciens    a    rheteurs, toutcs enrichies de notes sa-  vantes et de longs prolegomenes; plus,  un nombre formidable de dissertations  sur toutes sortes de sujets, Opuscula di-  versi argumenti (Breslau, 1743-45, 8 vol,  in-8°), parmi lesquelles son Socrates  sanctus pce der asta tire forcement l’oeil  par la bizarrerie de son titre.   Cette bizarrerie a valu au livre sa no-  toriete, et en meme temps lui a fait grand  tort. Beaucoup de gens, entre autres  Voltaire, malheureusement pour 1 ’erudit  Tudesque, n’ont pas ete au dela, et iis  ont construit sur cette minee donnee un  ouvrage tout entier de leur fantaisie, a  1 ’extreme desavantage du pauvre Gesner.  D’autres ont cru Voltaire sur parole et  sont arrives au meme resultat.   C’est Larcher, THelleniste, qui le pre-  mier chez nous mit en lumiere cet opus-  cule, dans son Supplemenl & THistoire  universelle de labbe Bapn (1767, in-8°),  en le citant parmi les ouvragcs a consulter sur le proces de Socrate ; il se  contenta d’en faire mention, sans meme  traduire ni expliquer le titre, ne s’ima-  ginant pas qu’on put s’y meprendre, et  qu’un homme tel que Gesner fut suppose  capable d’une indecente apologie. Vol-  taire, dont le vif et alerte esprit se plai-  sait a effleurer les surfaces, sans presque  jamais approfondir, ne connaissait sans  doute pas Gesner et certainement n’avait  pas lu son Socrates. Le Supplement a  VHistoire nniverselle n’etait d 7 ailleurs  qu une refutation tres-savante, quoique  un peu lourde, de son Introduction a  1'Essai sur les maeurs , publiee d^abord a  part et sous le pseudonyme de 1’abbe  Bazin; quelques critiques justes qu’on y  rencontre le mirent de mauvaise humeur ,  et, battu sur divers points d’erudition, il  chercha une occasion de dauber Larcher,  a cote du sujet, selon son habitude. Il  crut la trouver dans le livre etrange qu’il  supposa, d’aprcs le titre cite qu’il interpretait mal, s’indigna de ce qu’on osait  donner comme faisantautoritedesimons-  trueuses elucubrations (le monstrueux  n’etait que dans ce qu’il imaginait), et  tantot sous le pseudonyme d’Orbilius,  tantot sous celui de M Ilc Bazin ( Defense  de mon oncle, un de ses pamphlets), il ne  cessa de poursuivre la-dessus de ses bro-  cards son inoflensif adversaire. Tres-  content d’avoir leve ce lievre, il a meme  reproduit son assertion plus que hasardee  dans le plus populaire de ses ouvrages ;  on la trouve en note de 1’article Amour  socratique , du Dictionnaire philosophi-  que. « Un ecrivain moderne, nomme  Larcher, repetiteur de college, dans un  libelle rempli d’erreurs en tout genre et  de la critique la plus grossiere, ose citer  je ne sais quel bouquin dans lequel on  appelle Socrate Sanctus pcderastes ; So-  crate saint b ! Il n’a pas ete suivi   dans ces horrcurs par 1’abbe Foucher. »  Larcher avait trop beau jeu pour ne pas repliquer. II le fit dans sa Repons e .  la Defense de mon oncle (1767, in-8°),  opuscule rare, reimprime a la suite du  Supplement a 1’Histoire universelle :  « Vous m’attribuez , dit-il a Voltaire,  votre infame et infidele traduction du  titre d’une dissertation de feu M. Gesnera  Je n’ai point traduit le titre de cette dis-  sertation ; il ne pouvait se prendre que  dans un sens tres-honnete, mais il etait  reserve a M lle Bazin et a Orbilius de lui  en donner un infame. Cela ne vous suf-  fisait-il pas? Fallait-il encore me 1 ’im-  puter? »   Pour qui avait suivi toutes les phases  de la discussion, Larcher et Gesner etaient  innocentes; Voltaire restait convaincu  d’avoir note dfinfamie un livre sans le  connaitre. Mais ces temps sont loin ; per-  sonne aujourd’hui ne lit Larcher pour  son plaisir, et le Dictionnaire philoso-  phique est dans toutes les mains. Voila  pourquoi on croit generalement que Ges~     ner a developpe le plus scabreux des pa-  radoxes et fait une apologie en regie d’un  vice honteux. Nous pourrions citer au  moins un de ceux qui, se fiant a Voltaire,  ont propage 1’erreur mise par lui en cir-  culation, et affirme que cette dissertation  n’est qu’un tissu d’invectives ; mais nous  ne voulons faire de la peine a personne.   Gesner, ecrivain des plus doctes et plus  estime encore pour son caractere que  pour son savoir, professeur de Belles-  Lettres a TUniversite de Goettingue, puis  bibliothecaire de cette universite, ne pou-  vait ecrire qu’une defense de Socrate,  une refutation des calomnies dont on a  obscurci sa memoire, et que la langue a  attachees a son nora d’une maniere en  quelque sorte indelebile par les mots de  socratisme et d 'amour socratique. Inquiet  et tourmente, comme il 1’assure, de voir  peser sur le pere de la Philosophie de si  indignes soup9ons, il a voulu remonter  aux sources, compulser tout le dossier  et reviser le proces sur les pieces memes.  II l'a fait d’une facon non moins inge-  nieuse que savante dans cette disserta-  tion lue a 1 ’Academie de Goettingue en  fevrier 1752, recueillie dans les Memoires  de cette academie (t. II, p. 1), dans les  Opuscula diversi argumenti de 1 ’auteur  et tiree a part en 1769 (Utrecht, in-8°).  C’est cette derniere edition que nous  avons suivie pour la reimprimer et la tra-  duire, ce qui n’avait jamais ete fait en  Francais, ni probablement dans aucune  autre langue. Gesner a-t-il reussi a dis-  culper entierement Socrate? Nous l’es-  perons; mais nous etions de son avis  avant d 7 avoir lu son livre, et, ccmme per-  sonne ne 1’ignore, c’est surtout chez ceux  qui pensent comme lui qu’un auteur, si  bon dialecticien qu’il soit, porte la con-  viction. Les esprits mal faits qui incli-  nent a 1’opinion contraire, et ceux-la  seront toujours difficiles a persuader,  persisteront peut-etre a trouver singulier que Platon, interprete de Socrate, ait si  souvent parle de 1’amour; qu’il ait con-  sacre trois de ses plus beaux dialogues,  le Lysis , le Phedre et le Banquet , a cette  brulante passion; qu’il l’ait tant de fois  soumise aux analyses les plus delicates,  expliquee par les conceptions les plus  sublimes, les mythes les plus poetiques,  et que jamais, sauf un moment, dans  l’admirable episode de Diotime du Ban-  quet , il ne soit question de la femme.   Alcide Bonneau.   UTRECHT es hommes illustres, ceux qui sont  regardes comme tels non-seulement  par la posterite, mais par leurs  contemporains, ceux surtout dont le  plus grand eclat consiste precisement dans  leur vertu, sont souvent accuses, sur les plus  legers indices, de quelques travers, sinon  de defauts plus graves; et c’est la un travers    iros illustres, et non a posteris solis sed  coaevis tales habitos , eos maxime quorum  praecipua laus virtutis est , vitii alicujus  nedum criminis gravioris suspicari levibus ar-  gumentis, vitium id quidem non leve : reos agere  et condemnare crimen et piaculum ; in Christiano  homine, in homine , in barbaro.   Quanta istorum ignominia, tanta est gloria  piorum virornm qui versantur in probrosis his  l’editeur   qui Iui-meme ne manque pas de gravite. Se  faire a la fois 1’accusateur et le juge, c’est  une chose criminelle, un sacrilege, qu’il  s’agisse d’un Chretien, ou seulement d’un  homme, meme d’un paien.   L’ignominie de ceux-la rehausse d’autant  la gloire des hommes pieux qui s’appli-  quent a repousser ces odieuses attaques.  On peut le dire de Gesner, ce savant illus-  tre, du petit nombre de ceux qui depas-  sant par la science tous leurs contempo-  rains, font encore plus estimer en eux les  qualites du coeur que celles de 1’esprit ;  c’est un honneur pour lui d’avoir pris en  main la cause de Socrate, et un plus grand  peut-etre pour Socrate d’avoir dte le Client  de Gesner.   II nous a paru bon de recueillir dans  une edition nouvelle cet ouvrage de faible    conatibus coercendis. Gesnero, illustri nomini , e  numero paucorum illorum qui cum eruditione  coaevos possint excellere, animi dotibus quam  ingenii celebrari malunt, incertum an honori sit  caussam Socratis egisse, magis quam Socrati  Gesnerum habuisse patronum.   Visum fuit , memoriam brevis operae sed auro  contra noti carae nova editione colere. Docuit  vir praeclarus , scripto quidem, quam inani co-  natu virtus summi hominis sollicitata fuerit ab  obscuris obtrectatoribus , qui non solent deesse  virtuti. Docuit autem exemplo, pertinere ad dimension, mais qui ne serait pas trop  cher paye au poids de For. Son excellent  auteur nous y montre, la plume a la main,  1’inanite des efforts diriges contre un sage  par ces obscurs detracteurs qui ne man-  quent jamais a lavertu; il nous fait voir  aussi, par son exemple, qu’il appartient a  tout honnete homme de defendre la cause  des gens de bien. II nous enseigne surtout  avec quel soin et avec quelle erudition il  est besoin d’ecrire dans de telles matieres,  ou l’on ne doit rien avancer qu’apres un  examen scrupuleux.   Profite donc, lecteur, de ce travail, plus  utile qu’il ne le semblerait au premier  abord; et si, par ignorance ou par trop  forte credulite, tu as rejetd loin de toi les  ecrits Socratiques, reprends-les maintenant  et garde-les avec amour. Il nous sera per-    bonos omnes bonorum virorum caussam : tum et  illud, in primis, ubi ejus modi res agitur, accu-  rate et docte scribendum esse, nec arripi quid-  piam absque subtili examine, et benevolo illo ,  debere.   Fruere, Lector , labore utiliori quam decet : et  si imprudentius forte abjeceris Socraticas char-  tas nimium credulus, abi continuo et in sinu  eas reconde. Integrum erit culpare qui Socratem  citant, tibi convenisset laudari Davidem et Sa-  lomonem : sed patiamur , bonum et pauperem  Socratem . , placide subridentem , sereno vultu ,    xvi l’editeur au lecteur   mis a notre tour de mettre en accusation  ceux qui font un crime a Socrate de ce  qu'ils trouveraient admirable s’il s’agissait  de David et de Salomon ; mais laissons le  bon et pauvre Philosophe s’interposer dou-  cement avec son placide sourire, son tran-  quille visage, et s’ecrier : Moi aussi, Vertu,  je t’ai honoree, Deesse !   Quant a ceux qui blameront cette apolo-  gie, non comme excessive, grands dieux,  car que pourrait-on dire de trop sur So-  crate ? mais comme inconvenante et depla-  cee, qirils prennent garde de tomber dans  Todieux de cette populace Portugaise tou-  jours prete, sinon a lapider ou a bruler,  du moins a exorciser a force de signes de  croix traces d’un doigt tremblant, le teme-  raire qui oserait croire que la Bienheu-  reuse Vierge Marie etait une Juive.    leniter interponere, Et ego te, Virtus ! colui  Deam,   Quibus fastidium movent elogia, justa Di boni!  quid enim de Socrate dici nimium potest? sed  quce magis opportune forsatn collocari potuis-  sent, videant ne in odium id evadat, quale est  plebis Lusitanae, si non rogum parantis aut la-  pides, saltim tremente digito averruncas cruces  describentis, si quis auserit credere, B. Virginem  Judaeam fuisse. SOCRATE   ET L’Amour Grec  IO. MATTHI. GESNERI V. C.   Socrates   SANCTUS T/E D E T{A STA    t nihil tam alte vel natura , vel  virtus , vel fortuna constituit, in  quo non vel deprehendatur ali-  quid labis et vitii , vel vires suas experia-  tur maledica invidia , cujus vocibus boni  etiam viri abripi se ad suspicandum certe  non nunquam patiuntur : ita mirum non  est , neque excelsam Socratis gloriam      Socrate   ET   L’qAMOU% g%ec    1 n’est rien de place si haut par la  nature, la vertu ou la fortune,  qui n’ait ses taches ou ses inv  perfections, ou que 1’envie ne s’efforce  d’atteindre, cette medisante envie dont  les clameurs poussent 1’homme de bien  lui-meme a soupconner le mal : c’est  pourquoi nous nc devons point nous obtrectatoribus suis carnis se. Ac de  Anyti Melitique criminibus, quibus op-  pressus est vir innocens , et, si forte vani-  tatis aut nugarum et cavillationum pos-  tulatus, et Scurrae nomine traductus est (i),  in prcesenti non erimus soliciti. Unum  crimen est, quod, varie jactatum, et plus  semel non sine specie in scenam reduc-  tum scepe me solicitum habuit, Fuerit ne  impuro ac detestabili puerorum amori  deditus? Hoc enim si verum sit, actum  est profecto de virtute viri, indignus est  cujus cum honore nomen usurpetur.    2. Postulatum esse hujus turpitudinis,  negari non potest. Mittimus , quae de  adolescentia viri ad libidinem proclivi    (i) Factum id esse a Zenone Epicureo, prodidit  Cic. de Nat. Deor. i, C. 34, ubi vid. Davis.   etonner que lagloire si haute de Socrate  ait eu, elle aussi, ses detracteurs. Tou-  tefois nous ne voulons ni parier ici des  accusations d’Anytus et de Melitus sous  lesquelles succomba son innocence, ni  nous inquieter de savoir si ce grand  homine a ete incrimine de vanite, de  mensonge et de sophisme, affuble du  surnom de Bouffon[i). Une seule accu-  sation m’a souvent tourmente ; c’est  celle qui, sans cesse discutee, a toujours  ete remise en avant, non sans apparence  de justesse: Socrate etait-il adonne d  l’impur et detestable amour des jeanes  gargons ? Si cela est vrai, c’en est fait des-  ormais de la vertu de cet homme ; c’est  un indigne, lui dont on ne prononce le  nom qu’avec respect.   2. Qu’il ait ete accuse de cette turpi-  tude, le fait est certain. Negligeons ce  que Porphyre, d’apres Theodoret [De la    (i) Comme le fait PEpicurien Zenon, au dire de Ci-  c6ron {De Natura Deorum , i) ; consuit, la-dessus  J. Davies.    i .    Porphyrius apud Theodoretum [Graecar,  affect. cur. ser. 4 pr.) memorat : nam  ibidem additur , illum c-ojo^ xat oioayrj  xouxou? a^aviaat xou; xurcous, impressas ve-  luti notas libidinum studio ac doctrina  abolevisse (1). Neque valde huc faciunt ,  quce ex eodem Porphyrio , qui Aristo-  xeno auctore usus sit, idem Theodore-  tus (Serm. 12 p. iy5, 8) memorat, par-  tim quod ad adolescendam primam viri,  de qua nobis sermo non est, pertinent ,  partim quod Archelaus Anaxagorae dis-  cipulus, honestus amator (spaax 7 ]$) ipsius  fuit. Ejusdem generis est, quod Cyrillus  (contra Julia. 6, p. 186, D) ex eodem  Porphyrio (in Historia Philosopha , libro  olim deperdito) refert , Socratem -po; xr ( v  twv aopootatwv yp7jatv acpo Spdxspov p.sv sivac,  aoizov os p.rj -poasTvat. t\ yap xaT;Ya[j.sxaT;, vj xat?  •/.oivat; y prjaQat fj-ovat?. Fuisse ad res venereas  aliquantum vehementem, sed injuriam  abfuisse, qui vel uxoribus solis, vel    (1) Conf. quae in fra de mali equi Socratici notis  dicentur. § 18.    et l’amour grec 7   cure des prejuges des Grecs , Disc. iv),  raconte de sa jeunesse, laquelle aurait  ete encline au libertinage ; 1’auteur  ajoute, en effet, au meme endroit qu’il  parvint a effacer en lui, par Venergie de  sa volonte \ jusqu’aux traces meme des  passions (i). Ne nous occupons pas non  plus de ce que le meme Theodoret  (Discours xn) emprunte encore a Por-  phyre, qui lui-meme suivait Aristoxene,  c’est-a-dire de ce qui se rapporte a la  premiere jeunesse de Socrate (elle n’est  pas en cause), et a ce disciple d’Anaxa-  goras, Archelaus, qui aurait ete, en tout  bien tout honneur, un ami fervent  (!pa<j-r]s) du philosophe. A la meme cate-  gorie appartient ce que S. Cyrille  [Contre Jidien, 6) a extrait de YHistoire  philosophi que de Porphyre, livre aujour-  d’hui perdu : a savoir que Socrate et ait  violemment pousse aux choscs de ia-  mour, mais qiiil s’abstint de faire tort a   (i) Voyez ce que l’on dit plus bas des marques  du « mauvais cheval Socratique. »      (quam diu caelebs esset) communibus  uteretur. Nondum quidquam ex Por-  phyrio vel Aristoxeno, quem ille aucto-  rem sequitur, allatum est de horribili  scelere, Pcederastia : quod praetermissu-  rus non erat, qui satis hic in Philosophice  parentem iniquus est, Cyrillus. Decla-  mat igitur praeter rem Socrates alter  (Hist. Eccles. 3, 23, p. i gj, D), cum ita de  Porphyrio narrat, IIopcpupio; xou xopu^aio-  xaxoa xoiv <piXoao<ptov, Scoxpaxous, xov [3''ov oietu-  psv £v ifi YsypaixpiEvr] auxai <piA oaoow toxopta, xai  xoiauxa Tuept auxou ypa^a;xaxdXi7TEv, oia av p.7]xs  MeTaxo;, p.r[x£ v Avuxo; oi jpa^aixsvoi Swxpaxrjv  ItTictv e-zyjiprjGxv, ita traductum, ait, a  Porphyrio Socratem, talia de viro scripta,  quae neque accusatores ipsius Anytus et  Melitus dicere in ipsum ausi sint. Acci-  pimus, quod negat objectam in judicio  turpitudinem talem Socrati, quo nempe  argumento constet, famam viri hac tum  macula caruisse. Sed nec a Porphyrio  plura aut turpiora his memorata, quae  jam vidimus, satis illud argumento est ,  quod iniqui Socratis glorice homines,     personne, en riusant jamais que de ses  propres femmes ou , durant son celibat,  des femmes qui apparticnnent a tout le  monde. Nulle part, soit chez Porphyre,  soit chez Aristoxene que Porphyre co-  piait, il n'est rien allegue de cet horrible  crime : Pederastie ! II ne Paurait point  passe sous silence, ce Cyrille si injuste  envers lepore de la Philosophie. IPautre  Socrate ( Histoire ecclesiastique, m, 23 )  avance donc une insigne faussete lors-  qu’il dit : « Porphyre a compose la vie  de Socrate, le coryphee des philosophes,  d’apres les histoires ecrites sur lui ; et il  nous a transmis, d Vaide de ces docu-  ments, des choses si monstrueuses que les  accusateurs de Socrate, Anytus et Meli -  tus, n’ont pas meme ose' les lui reprocher. »  Retenons seulement de ceci Taveu qu’on  n’en fit pas un grief a Socrate, lors du  jugement public, ce qui ressort de la  phrase elle-meme, et que cette tache fut  alors epargneeT a sa renommee. Mais  Porphyre n’a pas rapporte autre chose  ou des choses plus monstrueuses que ce    Cyrillus ac Theodoretus, non plura pro-  tulere, quibus fuerant haud dubie cau-  sam suam , si res facultatem dedisset,  ornaturi.    3. Nempe nec Aristophanes , qui cor-  ruptce ad impietatem et calumniandi ar-  tem juventutis accusat in Nubibus Socra-  tem . hujus criminis ullam mentionem  facit , non omissurus profecto , si illud  adhaerescere posse putasset. Nec forte  quisquam est ex omni antiquitate remo-  tiore illa, et temporibus Philosophi pro-  pinqua . , serius et severus accusator hujus  criminis. Lusit inter posteriores, pro  petulanti illo ingenio suo, Lucianus (de  CEco, ita enim potius dicendus erat ille  libellus quam de Domo, c. 4 , T. 3, p.  ig 2 , 83) cum accusat Socratem, qui non  erubuerit advocare Musas, virgines,  cuvsaojjiva; ia -aiBepaama, ut audirent  illos de puerorum amore sermones. At-  qui illi sermones, uti mox videbimus.   que nous venons de dire ; nous en trou-  vons la preuve en ce que S. Cyrille et  Theodoret, deux detracteurs de Socrate,  n’en ont souffle mot, et qu’ils n’auraient  pas manque d’en orner leurs diatribes si  la chose eut ete possible.   3 . En second lieu, Aristophane qui, dans  ses Nuees , represente Socrate comme  un corrupteur de la jeunesse, comme  faisant de 1’imposture un enseignement,  n’a pas davantage mentionne cette accu-  sation; l’aurait-il omise, si elle eut pu  s’appliquer a Thomme qu’il bafouait? II  n’y a enfin personne, si l’on prend des  temoins dans cette antiquite reculee ou  dans les temps voisins du Philosophe,  qui se presente comme un accusateur  serieux et digne de foi. Plus tard seule-  ment Lucien, entraine par sa verve  moqueuse (dans 1’opuscule que l’on tra-  duit ordinairement De Domo et qu’il  vaudrait mieux traduire De CEco ,  chap. iv), reprocha a Socrate de n’avoir  pas rougi d ; invoquer les Muses, des     reprehendant vehementer amorem : re-  spicit enim ad Phcedrum Platonis (p. 340 ,  G) de quo dedita opera dicendum erit.  Qua ? in Amoribus (c. 24. To. 2. p. 424 ,  go) in Socraticum amorem Platonicum-  que vel a Luciano, vel quicunque auctor  est, jocose et per calumniam dicuntur,  ea ad ipsum illum locum diluisse me  arbitror .    4. Sed veterum criminationes Maxi-  mus Tyrius ( Dissertat . 2S. 26. et 27  al. g. 10. 11) refutavit, ut non videatur  opus esse aliquid addi : cum praesertim  tanto magis et agnoscant innocentiam  Socratis, et illud crimen ab illo depel-  lant ut hujus, ita paullo superioris aitatis  homines, quo magis virum ex aequalium  ac paullo juniorum de illo scriptis ut  cognoscere possent, cuique contigit. Quin  ne consultum quidem judicarem veterem  litem resuscitare , nisi viderem, nuper    et l’amour grec i3   vierges, pour leur faire dcouter ces fa-  mcnx discours sur Vamour des jeunes  gargons. Mais ces discours, comme nous  allons le voir, blament fortement cette  sorte d’amour; Lucien fait, en effet,  allusion au Phedre de Platon dont nous  aurons a nous occuper. Ce que Fon dit  debamourSocratiqueet Platonique dans  les Amonrs , que ces dialogues soient de  Lucien ou de tout autre, n’est qu’une  plaisanterie ou une mechancete, comme  je\ l’ai demontre en temps et lieu (i).   4. Maxime de Tyr ( Dissertations 25 ,  26 et 27) a d’ailleurs refute toutes les ac-  cusations portees a ce sujet par les an-  ciens, etilserait inutile d’y rien ajouter.  Le meilleur argument, c’est que ceux qui  ont le mieux reconnu Tinnocence de  Socrate et repousse loin de lui avec le  plus de force 1’accusation infame, sont  les hommes de la generation qui a imme-   (1) Dans ses notes sur Lucien, dont il a fait une  edition et une traduction Latine tres-estimees.  fuisse, et esse hodie homines eruditos, et  bonos viros, qui pravam de patre illo  Philosophia ? opinionem conceperint, quo-  rum non pono nomina, quia mihi non  cum ullo homine certamen esse volo,  sed cum opinione ea, quam praeterquam  quod falsam puto, etiam virtuti noxiam ,  praeter consilium quidem bonorum viro-  rum, humanitati certe adversam esse,  arbitror.    5. Qui autem fieri potuit, ut homines  neque indocti neque maligni in sinistram  falsamque de Socrate opinionem incide-  rint? ut apologia vir sanctus opus habeat?  Praeter naturalem illam -/.axor{0£tav nos-  tram, quae imis velut medullis fixa , et  superbiae illius nostrae nixa radicibus.    et l’amour grec i5   diatement suivi la sienne. Or, ce sont  les contemporains et leurs successeurs  immediats qui peuvent le mieux juger un  homme, en pleine connaissance de tout  ce qu’on aecrit sur lui. Je n’aurais donc  pas songe a ressusciter cette vieille que-  relle si je n’avais vu naguere, et tout  recemment encore, des hommes instruits,  vertueux, concevoir la plus mauvaise  opinion de ce pere de la Philosophie ; je  ne dirai pas leurs noms, ne voulant me  prendre corps a corps avec personne,  mais seulement avec une opinion que  je considere comme sans fondement,  nuisible a la vertu, et, contrairemcnt a  1’avis de ces gens de bien, defavorable a  1’humanite tout entiere.   5. Comment donc a-t-il pu se faire  que des personnages qui ne p£chent ni  par ignorance ni par mechancete, aient  concu de Socrate une opinion si facheuse  et si fausse? Pourquoi cet homme veri-  tablement saint a-t-il besoin d’etre de-  fendu? En dehors de cette maligni te      inter ultima vitia eradicatur, ceterasque  ex genere morum rationes, conveniunt  hic alia qucedam , quce facilem errandi  occasionem praebent. Magna pars docto-  rum etiam hominum legendi laborem  fugit, legendi uno tenore, continuata  attentione , totos veterum scriptorum  libros; sed satis habet decerpere quce-  dam, in quce primum incurrere oculi,  aut, quod deterius frequentius que idem,  repetere ab aliis excerpta, et e media  nonnunquam sermonum velut compage  evulsa, de quorum sic sententia non facile  sit judicare. Platonis libri , unde pleraque  Socratica peti hodie necesse est, multos  arcent ob Atticum illud sermonis genus,  breve et acutum, floridum praeterea, ac  semipoeticum, ipsamque disserendi ratio-  nem subtiliorem scepe, quam ut mediocri  attentione, non acutissimi homines illam  statim adsequantur. Nec licet , ut adhuc  res est, ad interpretes confugere ; qui  quoties vel nihil dicant, vel alia omnia  dicant, vix sine invidia licet commemo-  rare. Et tamen nisi attente legas, et to-    naturelle qui reste fixee jusqu’au fond de  nos moelles, qui se fortifie de notre or-  gueil et qui ne s’arrache qidavec les der-  niers defauts, outre encore diverses rai-  sons tirees de nos mceurs, il a fallu pour  cela un concours de circonstances pro-  pres a faciliter 1’erreur. La plupart des  gens instruits eux-memes evitent la fa-  tigue de lire dans leur entier, avec une  attention soutenue, tous les livres ecrits  par les Anciens ; on a plus tot fait de  choisir quelques passages, les premiers  qui tombent sous les yeux, ou, ce qui est  bien pire, de s'en tenir aux passages  choisis par d’autres, a des fragments de-  taches de 1’ensemble et dont il est par  consequent difficile d’apprecier le sens  veritable. C’est ce qui arrive des livres  de Platon, d’ou il nous faut aujourd’hui  tirer toutc la doctrine Socratique ; iis  embarrassent bon nornbre de lecteurs  par leur style trop Attique, raffine et  aiguise, fleuri pourtant et semi-poetique,  par ces controverses si subtiles souvent  que, si 1’attention se relache, 1’esprit le       tos legas dialogos, et qua scripti sunt  lingua legas, non est ut de sententia  illorum, h. e. quam tribuat Plato sen-  tentiam Socrati, recte judices. Quare  mirum non est, si multi refugiant lectio-  nem ita laboriosam ; et illis veluti spinis  a familiari tractatione eorum librorum  deterreantur .    6. Denique si quid etiam tribuatur a  Platone Socrati, tamen, si illud Xeno-  phontis narrationi repugnet, non dubi-  taverim equidem, fidem potius adhibere  Grylli filio, memor illius, quod narrat  Laertius 3, 35, Socratem , cum Lysin  Platonis legisset, dixisse , to; tzoXKx uoj      plus eclaire n’cn suit pas aisemcnt le fil.  Et il serait inutile, dans le cas present,  de recourir aux annotateurs ; ou iis  ne disent rien, ou iis disent tout  autre chose que ce qu’il faudrait ; on ne  peut s’empecher de leur en faire un re-  proche. Cependant, amoins de lire avec  un soin scrupuleux tous les dialogues de  Platon et de les iire dans la langue meme  ou iis ont ete ecrits, il n’est pas possible  de juger saineinent de leur doctrine,  c’est-a-dire de la doctrine que Platon  attribue a Socrate. Il n’est donc pas sur-  prenant que nombre de gens reculent  devant une si laborieuse lecture et  soient rebutes, comme par des epines,  du commerce familier de ces livres.   6. Enfin il faut dire que si Platon at-  tribue a Socrate une maniere de voir  contredite par la narration de Xenophon,  il n’y a pas a hesiter : c’est a Xenophon  qu’il faut se fier, si l’on se souvient du  mot rapporte par Diogene de Laerte  (ui, 35). Socrate, apres avoir lu le Lysis     xaxe^uBeO’ 6 veavfoxo; ; Quam multa de me  mentitur adolescens! Tanto magis hoc  memorabile est , quod ille Dialogus ita  scriptus est, ut non modo tanquam per-  sona colloquens inducatur Socrates, sed  tanquam, qui ipsum illum dialogum  scripserit. Ceterum quia hic sumus, hoc  breviter indicamus, amatorium quidem  esse hunc libellum , sed nihil habere pu-  dendum ne Platoni quidem. Argumen-  tum hoc est : Queritur Lysidis amator  Hippothales, ab illo se non amari ; So-  crates ostendit, si velit amari, non adu-  landum esse puero, sic enim futurum  superbiorem ; sed illi potius ostenden-  dum, quibus rebus indigeat, et quam  parum in ipso sit boni (i). Deinde dela-  bitur in disputationem, Quis proprie  amicus sit vocandus? et, In quo insit  natura amicitia’ ? plenam illam quidem  cavillationum , sed praeclararum etiam  de amicitia sententiarum. Ceterum tri-   (i) Sic nempe ipse solebat Socrates in potestatem  quasi suam redigere adolescentulos, de quo que-  rentem audiemus Alcibiadem. de Platon, se serait ecrie : « Comme ce  jenne homme invente souvent ce qu’il me  fait dire! » Le mot est d’autant plus  remarquable que, dans ce dialogue, So-  crate estpresente non comme un simple  interlocuteur, mais comme s’il avait  ecrit lui-meme tout le morceau. Pen-  dant quenous y sommes, disons brieve-  ment que cetouvrage roule sur 1’amour,  mais qu’il n’y a rien dont put rougir  Platon lui-meme. Voici le sujet : Hip-  pothales, qui aime Lysis, se plaint de ne  pas en etre aime; Socrate lui demontre  que s’il veut 1’etre, il ne faut pas qu’il  fiatte ce jeune homme, ce qui le rendrait  plus orgueilleux encore ; il vaut mieux  qu’il lui represente tout ce qui lui man-  que et le peu de bonnes qualites quhl  possede (i). On discute ensuite ces ques-  tions : Qui est digne d’etre appele un ve-  ritable ami? et, Quelle est la nature de  Tamitie? Controverse pleine, il est vrai,   (i) C’est ainsi que Socrate avait en effet coutumc  d’assujettir les jeunes gens & son autorite, et nous  voyons Alcibiade s’en plaindre.  bui a Platone colloquentibus, de quibus  ipsi non cogitarint, vetus observatio est ,  de qua vid. Athenaeus Deipnos. i, i / ad  fin. p. 5 o 5 . Qiio dialogorum more se  excusat, etiam Varroni in Academico-  rum dedicatione Tullius. Neque ausim  Platonis ipsius, junioris praesertim, pa-  trocinium suscipere de mollioribus versi-  culis, quos Apulejus servavit (Apol.  p. 279 sq.) et Laertius Diogenes ( 3 , 2g) :  de quibus modo in neutram partem dis-  puto, causamque Platonis a Socratis  causa hac in re sejungo.    7. Quaecunque vero cum aliqua specie  testimonia Platonis contra Socratem pro-  feruntur, ea cum ex Phaedro, nescio  quam bona semper fide, corrupte quidem  et perverse non nunquam, depromi vi-  deam, propter ea pretium opera* putavi,  de futilites, mais aussi de remarquables  definitions dePamitie. C ; est uneobserva-  tion qui a ete faite depuis longtemps,  que Platon attribue a ses interlocuteurs  des idees qu’ils n’ont jamais eues : on  peut consulter la-dessus Athenee ( Dei -  pnosophistes i, ii). Ciceron, qui avait le  meme defaut, s’en excuse sur le genre  meme du dialogue , dans son envoi des  Academiques a Varron. Je n’ose pas non  plus defendre Platon du reproche d’avoir  commis, surtout dans sa jeunesse, des  vers badins tels que ceux que nous ont  conserves Apulee (dans son Apologie) et  Diogene de Laerte (m, 29); vieux ou  jeune, jen’ai pas affaire a lui et je separe  completement sa cause de celle de So-  crate.   7. Entrelesdiverstemoignages fournis  par lui, ceux que Ton peut alleguer con-  tre Socrate avec quelque apparence de  justesse sont tires du Phedre ; pas tou-  jours bien scrupuleusement et quelque-  fois a 1’aide d’alterations ou de contre-    non semel totum illum dialogum attento  animo perlegere , et uno quidem tenore ,  et lingua sua, ne quid eorum me falleret,  qua • saepe fraudi esse viris doctis, modo  dicebam. Ac spero non ingratum fore  aliis, quorum rationes non ferunt tam  longam solicitamque operam, si hic pos-  sint brevi studio cognoscere velut oecono-  miam illius libri et argumentum, inde-  que de toto consilio vel Platonis vel  Socratis arbitrari. Concedamus enim, ne  abuti videamur illa, quam modo propo-  suimus observatione, Socratis hic veram  sententiam bona fide a Platone proponi.    8 . Ac primo illud meminerimus, So-  cratem hic (p. 340, E) introduci senem,  tantum non decrepitum, quem facile ju-  venis Phaedrus viribus superet. Jam  fingitur Phaedrus audisse Lysiam dispu-  tantem, magis obsequendum gratifican-  dumque esse non amanti, quam amanti :  camque orationem Socrati prcelegere   sens. Cest ce qui m’a engage a lire  attentivement ce dialogue, et plutot deux  fois qu’une, dans son entier, et dans le  Grec, afin d’echapper a ces chances d’er-  reur dont j’ai parle plus haut et qui font  trebucher les plus doctes. II sera peut-etre  interessant, je 1’espere, pour ceux dont  1’esprit repugnerai-t a une besogne si  longue et si difficile, de connaitre sans  grande etude le sujet et pour ainsi dire  1’economie de ce livre, et de pouvoir  apprecier toute la theorie de Platon ou  de Socrate. Nous admettrons, pour ne  pas abuser de la reserve faite par nous  plus haut, que la doctrine de Socrate a  ete ici exposee de bonne foi par Platon.   8. Rappelons d’abord que Socrate y  est presente comme un vieillard, non  pas tout a fait tombe en decrepitude,  mais qu’un jeune homme, comme Phe-  dre, peut maitriser aisement. Phedre ra-  conte qu’il a entendu Lysias discourir  sur cette question : Un jeune homme  doit-il avoir plus de facilite et de com-        2b   (a p. 338 , C. ad 33 g, G). Reprehendit  hanc Lysiae orationem , cante quidem et  multa cum ironia Socrates , et meliora se  audisse ait , quae dicere illum amabilis-  sime cogit Phcedrus. Incipit hic a Musa-  rum invocatione (p. 340 , G) quam calum-  niatur, ut modo dicebamus 3 ), Lu-  cianus : cum sit nihil in ea oratione non  virginum auribus dignissimum. Orditur  a definitione Amoris (p. 341, D) quem  vocat cupiditatem , quae incitate feratur  ad voluptatem  pulchritudinis, et inde,  quam mala res, quam noxia sit, ostendit  (ad p. 342, F) et claudit hexametro :   A'j-/.ol aova oi^ouV, ojq ~aToa epAouVjtv  1 r’ 1 !   |Sf/aTra’..   Ut cordi agna lupo est, puerum sic ardet amator.    9. Bene ista , et Musis faventibus. Sed  subito, At Amor tamen Deus est, inquit ,  et palinodiam parat , quae incipit (p. 3 43 .   plaisance pour celui qui ne 1’aime pasque  pour celui qui Faime ardemment ? II lit  ensuite ce discours a Socrate. Celui-ci,  avec beaucoup de finesse et ddronie,  trouve a blamer dans la composition  oratoire de Lysias et pretend qu'il a en-  tendu dire la-dessus autrefois de bien  plus belles choses; Phedre le conjure de  les lui rapporter. Socrate debute alors  par cette invocation aux Muses que Lu-  cien a calomniee, comme nous le disions  plus haut, car il n’y a rien dans tout le  discours qui ne soit parfaitement digne  des oreilles chastes. II commence par la  definition de 1’amour, qu’il appelle un  desir violemment entraine vers le plaisir  que promet la beaute ; il enumere en-  suite les ecarts auxquels il peut pousser  et conclut parcet hexametre :   Comme le loup aivic Vagneau , ainsi Vamoureux   [cherit le jeune garcon.   9. Voila qui est bien, grace aux Muses.  Mais aussitot : L’ Amonr est cependant  un Dieu, s’ecrie-t-il ; et il entrcprend une       F) ab eo, uti dicat, non ideo amorem  damnandum fuisse, quod sit furor ; esse  enim furorem etiam bonum aliquem :  ipsam [jLavTixrjv 5. divinatoriam facultatem  esse a verbo [i-aiveaOai dictam , velut quan-  dam [j.avi/7]v s. furiosam. Talis furoris  plura genera enarrat , in his etiam ponit  amorem, cumque (p. 344, C ) magnae  felicitatis causa tum amantis cum amati  datum his esse divinitus, conatur osten-  dere. Ad eam demonstrationem sumit  primo hanc propositionem. Omnem ani-  mam esse immortalem, quam inde pro-  bat (quam bene vel male , nunc non dis-  putamus) quod principium motus sui in  se habeat.    1 0 . Deinde similem ait animam no-  stram, etiam antequam ea in corpus ve-  niat, bigae alatae cum suo auriga. Alte-  rum hujus biga 3 equum bonum ponit et  tractabilem (ibid. E), malum alterum ac  refractarium. Sic coelestia spatia ingre-  diuntur ista • cum suo auriga bigce, et    ET l’aMOUR GREC 2(J   palinodic en declarant tout d’abord que  1’amour n'est pas condamnable en soi,  qu’il estun delire, et que dans tout delire  il y a quelque chose de bon ; que fxavnxr],  la divination, derive du mot (jiodveaGai,  comme qui dirait [xavtxr), c’est-a-dire  folle. II compte diverses especes de  delires parmi lesquelles il place 1’amour,  et il s’efforce de montrer que c’est un  present divin fait a bhomme pour le plus  grand bonheur de celu*i qui aime et de  celui qui est aime. Sa demonstration  s’appuie sur cette proposition premiere:  Tonte dme est immortelle, dont il tire la  preuve (bien ou mal, ce n’est pas notre  affaire) de ce qu’elle a en soi le principe  de son mouvement.   io. Il compare ensuite notre ame,  avant qu’elle ne vienne habiter un corps,  a un attelage aile, compose de deux  chevaux et d’un cocher. L’un des  chevaux est excellent et docile ; 1’autre,  d’un mauvais naturel et retif. L’attelage  parcourt ainsi les espaces celestes, avec    Deorum aliquem secutce (Socratis anima  Jovem , p. 846 , D) ea spatia permeant.  In hoc volatu et illa equorum dissimilium  dissensione, alia; quidem anima; retinent  alas, et ad sublimia feruntur, contem-  plantur que ea etiam, qua; extra supre-  mum coeli orbem sunt (p. 345 , B). Alia;,  qua; partim in altum elata; viderunt plu-  ra, partim ab equo illo refractario impe-  dita; ac retractae, pauciora ; ruptisque  per illam equorum in diversa tendentium  luctam pennis atque amissis, cadunt, et  in corpora humana veniunt.    1 1 . Harum, pro gradu cognitionis  illius et inspectionis rerum coelestium  diverso, novem classes constituit (ibid. F).  Qua plurimum veritatis et rerum coeles-  tium vidit anima, ea inseritur semini, e  quo nascatur aliquis sapientias, pulchri,  doctrinas, et amoris studiosus, st? yovfjV    et l’amour grec 3 I   son cochcr, et s’elance a la suite de l’un  des douze dieux ( 1 ’ame de Socrate sui-  vait Jupiter). Dans cette course a travers  les espaces et malgre la lutte des deux  chevaux, si dissemblables, quelques ames  parviennent a garder leurs ailes, voya-  gent dans les regions etherees et con-  templent meme ce qui est au dela de la  voute du ciel. Les autres, parfois em-  portees jusqu'aux plus hautes regions,  parfois retenues et embarrassees par le  cheval retif, n’arrivent qu’a connaitre  une partie des mysteres ; dans cette lutte  des chevaux qui tirent en sens inverse,  elles brisent et perdent leurs ailes ; ces  ames tombent alors sur terre et sont  emprisonneesdans les corps des hommes.   1 1 . Suivant le degre de connaissance  qu'elles ont atteint dans la contempla-  tion des essences, Socrate divise en neuf  classes ces ames dechues. Celle qui a  per9u le plus de verite et de choses  sublimes, vient animer le germe d’ou  naitra un homme tont entier consacre au      avopo? ycV7]ao[j.c'vO’j ? oiXoao^ou, 7) <pt\oxaXou, tj  fi.ouaixou Ttvos, x at spamxoy. Secundi fastigii  anima animabit regem, legibus, bello,  imperio, potentem : tertiae classis anima  civitatis familiaeque regendae et rei fa-  ciendae peritum : quartae, laboris aman-  tem eundemque in exercendis sanan-  disve versantem corporibus : quinti  ordinis animae vitam habebunt in vati-  cinando, aut in castimoniis initiisque  mysteriorum occupatam : sexti, poetas :  septimi, geometras aut fabros : octavi  sophistas aut cum factione populares :  noni denique animabunt tyrannidis cu-  pidos. Multa hic nec injucunda de hoc  ordine , de his vitee generibus, disputandi  occasio : sed maneamus in argumento  nostro.    12 . Ha’ omnes anima?, cum morte dis-  cesserunt a corporibus, in locum vel pce-    33    ET L’AMOUR GREC   culte de la sagesse, de la beaute , de la  Science et de Vamour ; Vdme du second  degre vivra dans le corps d’un roi juste ,  belliqueux et capable de commandere  celle du troisieme fonnera un homme  habile a administrer sa famille, sa cite  ou la chose publique ; celle du quatrieme  un athldte laborieux ou un medecin, tous  deux occupes soit d exercer le corps  humain , soit d le guerir ; les ames de la  cinquibme classe passeront leur vie , soit  d predire 1’avenir, soit d initier aux  abstinences et aux mysteres ; celles de la  sixieme former ont des poetes ; celles de  la septieme , des laboureurs ou des ou-  vriers,- celles de la huitieme, des sophistes  ou des chefs de factions populaires ;  celles de la neuvidme, enfin, des tyrans.  Ce serait peut-etre 1 ’occasion de dispu-  ter, et non sans agrement, des rangs  assignes a ces ames et de leur genre de  vie : mais restons dans notre sujet.   1 2.Toutes ces ames,quandle trepas les a  separees du corps, parviennent au sejour    narum vel pr cerni orum perveniunt, et  mille exactis annis, accipiunt potesta-  tem eligendi sibi nova corpora , vitas  novas, sive hominum sive bestiarum .  Quce anima ter sibi, exactis millenis illis  annis, primam istam sedulo philoso-  phantis, sive pueros cum philosophia  amantis, vitam delegerit (p. 3g5, G) tou  <ptXocrocprjaavto; aooXc. 05, r] "atospaaxrJcjavTO;  [j.£xa <ptXoao<p''a;, ea, absoluta ista ter mille  annorum periodo , pennas denuo accipit,  quibus ut ante tolli, deum aliquem sequi,  contemplari coelestia , queat : cum reli-  quarum octo classium animae, non nisi  decies mille annorum periodo absoluta,  in primam illam conditionem restituan-  tur. Hoc ipsum quod primam et felicis-  simam classem Paederastarum philoso-  phantium constituit, quod tantum prae-  mium illis, compendium septies mille  annorum, tribuit Mythi hujus s. Allego-  ria ? auctor, sive Socrates fuit, sive Pla-  to ; hoc ipsum igitur jam satis monere  nos poterat, non posse hic sermonem esse  de re ita turpi , quam fuisse illud, cujus    ET LaMOUR GREC    35    des peines et des recompenses, et au bout  de mille annees, recoivent la permission  de choisir de nouveaux corps, soitd’hom-  mes soit de betes, et de vivre de nou-  velles vies. L’ame qui, durant trois revo-  lutions de mille annees, trois fois de  suite a choisi Texistence d’un homme  quicultive sincerement la philosophie, ou  qui aime les jeunes gens d'un amour  philosophique , a 1’expiration de cette  triple periode, recouvre les ailes qidelle  possedait autrefois et peut, comme au-  paravant, suivre l’un des dieux et con-  templer les essences celestes. Les huit  autres classes ne retournent a cette con-  dition premiere qu’apres une revolution  de dix mille annees. Ainsi la premiere  classe et la plus heureuse est celle des  philosophes amis des jeunes gens, et l’in-  venteur de ce mythe ou allegorie, que  ce soit Socrate ou Platon, la favorise  d’une exemption de sept mille annees :  cela seul nous avertit assez qu’il ne peut  etre question ici de ce vice infame dont  on accuse Socrate et que d’ailleurs les    3postulatur Socrates, ipsis etiam legibus  Atticis, paullo post ostendemus : sed ma-  gis hoc apparebit, si quis ea, qu ce sequun-  tur, apud Platonem paullo attentius  considerare mecum voluerit.   i 3 . Intelligentia hominum , ex pluribus  rebus sensu perceptis collecta, nihil est  aliud, quam recordatio illorum, quae  anima in illo volatu suo coelesti viderat,  quae sola verum illud ens sunt (t 6 ov-co;  ov, p. 346, A). Haec intelligentia maxima  est in illa prima philo sophantium paede-  rastarum classe : haec ipsa est, ob quam  alas soli recipiunt, quibus volatum illum  coelestem, deorumque comitatum tentant :  prae qua terrena hcec, et sensus externos  ferientia, ita negligunt, ut male sani  aliis et furiosi videantur, icocpa -/.ivouvts?,  quos commotos s. commotce mentis  vocat Horatius (Serm. 2, 3 , 2og et 278),  cum re vera divino quodam spiritu agi-  tentur, svOouaux^oviss, qui illos semper ad  coelestem illam pulchritudinem revocet,  quam in priore volatu viderant.   lois Athenicnnes reprimaient, comme je  le demontrerai tout a 1’heure ; cela de-  viendra plus evident encore pour qui  voudra bien examiner attentivement  avec moi ce qui suit dans Platon.   i3. L’intelligence humaine est formce  de la reunion des idees percues a l’aide  des sensations, et les idees ne sont rien  autre chose que les reminiscences de  ce que 1’ame a vu anterieurement dans  son vol celeste, c’est-a-dire des essences  veritables. Or 1’intelligence la plus com-  plete appartient a la premiere classe, a  celle des philosophes amis zeles des  jeunes gens, et c’est pourquoi seuls iis  recouvrent les ailes a 1’aide desquelles  iis pourront essayer de nouveau de par-  courir le ciel et suivre le cortege des  dieux. Detaches des soins terrestres et  de tout ce qui frappe les organes, iis pas-  sent pour des insenses et des hommes en  delire, -apa/ivoSvis?, de ceux qu’Horace  appelle des fren^tiqucs, des esprits trou-  bles, tandis que vraiment ce sont des en-    Haec pulchritudo , qucc inest in  sensu, <ppov 7 ]<m (p. 846, E), in mentis  qua vult et intelligit prostantia, si ita in  oculos, ut alia quce videri his possunt,  incideret , ad mirabiles sui amores exci-  tatura esset. Jam pulchritudo sola corpo-  rum, hanc (Aotpav habet, hoc velut fatum,  et conditionem , uti subeat oculos, ut amo-  rem moveat. Hinc ponamus ipsa verba ,  ut existimare melius ac certius de tota  re possint etiam, quibus ad manus non est  Plato ipse, vel magnum volumen de pluteo  promere non lubet. c O piv oOv pu] vsoxeXt];,  ■Jj otscpQappivos, oux otjiiog evOevOs Exstas ©s'psxat  7ip6; auxo xo xaXXo;, Ostopisvo; a3xou xrjv xrjoE  smavupiiav. waxs ou as'6sxat 7rpoaopojv, aXX’  7]3ov^ 7:apaoou;, zBzpdtTzodog vo ptco (Batvstv S7Ct-  y stpsT xat 7iat8oa7EOpstv. xal u6pst x:poao|j.tXaiv,  ou os'ootxsv ou 8’ ata/uvsxai IIAPA ‘I^TXIIN ( 1 )    (1) Notabile est, Platoni etiam de Ijcgib. r .  thousiastes, agites comme d’un transport  divin, qui les attire sans cesse vers cette  beaute celeste precedemment entrevue  par eux dans leur vol.   14. Cette beaute, dont Pessence reside  dans un sens particulier, la sagesse,  source de la volonte et de 1’intelligence,  s’il etait donne a l’oeil de 1’apercevoir,  comme toutes les autres choses visi -  bles, elle nous exciterait a d’admirables  amours. Mais c’est seulement la beaute  corporelle, telle est sa necessite fatale et sa  nature, qui frappe les yeux et nous porte  a 1’amour. Ici nous placerons le texte  meme afin que ceux qui n’ont point Pla-  ton sous la main ou qui ne se soucient  pas de tirer du rayon un gros volume,  puissent se faire une opinion en toute    p. 56g, E. hanc turpitudinem appsvwv np 6?  appevag, Ij OrjXsTwv xpog OrjXsix;, to ITAPA  •bTSIN To'X[j.7)p.a appellari. Non igitur Plato-  nem , vel Socratem adeo, feriunt divina illa ful-  mina Pauli Rom. /, 26 . sq., ut neque ea, qua ? in  idolatriam vibrantur.      f,5ov7]v 0 -W.ojv. '0 8e apttteXrj?, 6 twv xdxe  TroXuGcapojv, oxav OsoEtSsg r.poaioTzov' t07), -/.aX-  Xo; eu [j.E[j.vr ( [x£vov rj uva ac;o$fj.axo ios'av —  oj? Geov a£'6sxai. Hcec ita verto, Hic ergo,  qui non est nuper illis mysteriis coeles-  tibus in illo volatu animarum initiatus,  aut, initiatus cum esset, corruptus est,  non celeriter, ut oportebat, hinc, ab hac  corporea, non vera, pulchritudine, illuc  fertur ad ipsam veram, coelestem pul-  chritudinem, cujus hic videt nomen,  umbram , similitudinem : itaque neque  inter adspiciendum eam, divinum quid-  dam colit : sed libidini se tradens, qua-  drupedis ritu inscendere formosum co-  natur, et genitale semen profundere, et  cum contumelia (vid. ad §. 18) congres-  sus formoso corpori , non veretur, nec  erubescit PRXETER NATURAM libidi-  nem persequi. At ille nuper initiatus,  qui multa eorum quae tum videbat ,  contemplatus est, ubi vultum divino  similem conspexit, qui pulchritudinem  illam veram bene imitetur, aut incor-  poream quandam illius speciem, verbo ,   certitudc. « L’homme qui n’a pas un  « souvenir recent de son initiation aux  « mysteres, ou qui, recemment initie,  « s’est laisse depraver, ne s’eleve pas fa-  « cilement, comme il faudrait, de cette  « beaute corporelle, qui n’est pas la  « vraie, a cette beaute celeste, absolue,  « dont il ne rencontre ici-bas que le nom,  « 1’ombre, la ressemblance ; en 1’aper-  « cevant il n’y respecte rien de divin.  « Entraine par la volupte, il se precipite,  « comme une brute, sur 1’objet de ses  « desirs, ne cherche qu’a genitale semen  « profundere et, outrageant ce beau  « corps qu ? il etreint, il n’a pas honte, il  « ne rougit pas de poursuivre un plaisir  « contre nature ( 1 ). Au contraire, l’hom-  « me, encore plein des saints mysteres  « qu’il a longtemps contemples autrefois,    (1) 11 est remarquable que Platon, meme dans ses  Lois, appelle crime contre nature le commerce hon-  teux marium cum maribus, et feminarum cum fe-  minis. Les foudres de Saint Paul ( Ep . aux Rom. 1.  26) n’atteignent donc ni Platon ni Socrate, pas plus  que celles qu’il lance contre 1’idolatrie.    virtutem speciosam : — Dei instar  colit.    i5. Deinde enarrat pheenomena quae-  dam hujus sancti et philosophici amoris ,  similia, ex parte Venerei, et quomodo  illa ' alce, quas amiserat anima , hinc de  novo crescant, sub Allegoria perpetua  describit, qua nihil aliud tandem indicat ,  quam enthusiasmum quendam , et injec-  tam divinitus philosopho cupiditatem  versandi cum pulchris, h. e. ingenio vel  forma potentibus, adolescentulis : quos  nempe captabat Socrates, qui sciret , cum  facilius sit formare ad sapientiam et  virtutem hanc aetatem, tum hos esse, a  quibus futura civitatis fortuna pendeat.  Hinc est quod se venari pulchros non dis-  simulabat (vid. Protagora > principium ,  frustra reprehensum Cyrillo contra  Julia, i, 6, p. i8j, A), quod Xenophon-  tem baculo etiam transverso objecto    et l’amour grec q'3   « en presence d’un visage presque divin  « ou d’un corps dont les formes lui rap-  it pellent 1’essence de la beaute, c’est-a-  « dire 1’essence de la vertu, adore comme  « en presence de la divinite. »   i5. Platon retrace ensuite quelques-  uns des phenornenes de ce saint et phi-  losophique amour, parfois peu different  de l’autre; il montre aussi comment re-  poussent les ailes autrefois perdues par  rame. C’est une allegorie perpetuelle  dont la conclusion est que le philosophe  con^oit, par une sorte de grace divine,  le plus fervent desir de vivre au milicu  des beaux adolescents distingues par la  perfection de leurs formes ou par leurs  dispositions naturelles. C’est ceux-la, en  effet, que Socrate ambitionnait de gagner ,  sachant qu’il est facile, a cet age, de les  tourner au bien et a la vertu, et que  c’est d’eux que dependent les futurs des-  tins de la Republique. II appelait cela  prendre les beaux garcons dans ses filets  (voyez la-dcssus le commencement du.    velut exceptum, sibi adjunxit (Diog.  Laert. 2, 48). Ipsum illud hinc est , quod  gymnasia , conviviaque et deambulatio-  nes, quoscunque denique juvenum coetus,  sequebatur, quod ludos et jocos non refu-  giebat, quod se plane communem illis  faciebat , nec irrideri aut peti maledic-  tis refugiens. Ipsa illa ironia perpetua,  quod doceri se velle simularet , certe dis-  cendi causa disputare , ut accessum ad  Sophistas illi dabat , ita adolescentulo-  rum super bulae de se opinioni et praeci-  pitantiae blandiri videbatur. Sed perga-  mus Platonis Mython enarrare.    16. Philosophi illi amatores pulchro-  rum non indiscretim omnes amant , sed  (p. Sdy, C) quem quisque in illo coelesti  volatu Deum secutus est , ejus Dei si-  milem sibi quaerit amasium; qui Jovem ,  ut Socrates, Jovialem (Auvov x wa), Martia-  lem vero qui Martem, et sic Junonios.    ET Protagoras , blame a tort par Saint Cy-  rille), et il se fit de la sorte un disciple  de Xenophon qu’il arreta en lui barrant  le passage avec son baton. Voila pour-  quoi aussi il frequentait les gymnases,  les banquets, les promenades, tous les  lieux de reunion des jeunes gens, ne  fuyait ni les jeux ni les badinages, s’en-  tretenait avec tous et s’inquietait peu de  preter a rire aux medisants. Cette ironie  perpetuelle grace a laquelle il feignait  toujours de vouloir apprendre, pour  mieux enseigner, lui donnait acces au-  pres des Sophistes et flattait aussi la suf-  fisance et la presomption de la jeunesse.  Mais achevons d’exposer le Mythe de  Platon.   16. Ces philosophes amoureux des  beaux garcons ne s’attachent pas indis-  tinctement a tous ; selon le dieu quhls  accompagnaient dans les espaces etheres,  chacun d’eux choisit parmi les anciens  suivants du meme dieu celui qu’il doit  aimcr. L’ame qui etait, comme celle de    SOCRATE    46   Bacchicos , Apollineos : et talem ubi in-  ventum amare coeperint , faciunt omnia ,  uti Deo illi, quem ipsi secuti sunt, et cu-  jus jam similitudinem quandam in ipso  deprehenderunt, sibique adeo , reddant  quam similimum. Ita Socrates, Jovis in  illo volatu satelles, quaerit Joviales, ama-  tores natura sapientiae, et natos ad im-  perandum. Hactenus ergo bene res ha-  bet, sancti tales Paederaslce, J elices qui  sic amantur.    / 7 . Sed nec dissimulanda sunt quae  sequuntur apud Platonem. Redit Socrates  (p. 3 -lj, F) ad superiorem illum de Ani-  ma Mythum (’§. 10), quam triplicis na-  turae ponit scilicet. Sunt vellit equi duo,  est auriga. Equorum alter bonus, sanus,  verecundus, gloria • amator , qui sine pla-  gis, sola ratione auriga regitur : pravus  alter, qui multum ac temere una aufera-  Socrate, dans le cortegc de Jupiter, re-  cherche un suivant de Jupiter, et ainsi  des autres qui avaient choisi Mars, ou  Junon, ou Bacchus ou Apollon. Des  qu’ils Pont trouve, iis s’efforcent de  rendre celui qu’ils aiment semblable a ce  dieu dont iis retrouvent en eux-memes  le caractere. Ainsi Socrate, satellite de  Jupiter, recherchait pour les cherir ceux  qui avaient aussi suivi ce dieu, c’est-a-  dire ceux qui, par nature, etaient portes  a la sagesse et a la domination. Jusqu’ici  tout va bien ; de tels Pederastes sont de  vrais saints, et bien heureux ceux qui  sont aimes de la sorte !   17. Mais il ne faut pas dissimuler ce  qui vient apres dans Platon. Socrate re-  tourne au precedent Mythe de hame  qu’il a coniparee aux triples forces reu-  nies de deux chevaux et d’un cocher.  L’un des chevaux est bon, sam, plein de  retenue et d’emulation ; le cocher le di-  rige, sans avoir besoin du fouet et par  la seule persuasion : 1’autre est mechant    SOCRATE    48   tur , (impetu alieno potius feratur ,  smo judicio) dura ac brevi cervice, simus,  nigri coloris, glaucis oculis, suffusus san-  guine, petulantia contumeliaque gau-  dens, hirsutus circa aures, surdus, fla-  gello ac stimulis vix tandem concedens.  Operet ? pretium videtur mali equi notas  etiam Gra } ce ponere : cxoXt 65, ~oXu; eixrj  a'j[j. 7 :scpopr]|j.^vo?, xpaTEpauyrjv, ( 3 payuipayrjXo?,  aipLOTCpoacoro;, [xsXayypa);, yAauxop.p.a“0?, oepat-  [xo;, u6p ew; xal aXa^oveiac staTpo?, zept coxa  Xaaco; , xwipog , gaartyt p.S7a xdvxpwv [xdy.;   UTEclXOJV .   r<S\ Apposui Graeca , ut facilius judi-  cari possit , probabilisne sit conjectura, in  quam incidi , dum in hac equi mali de-  scriptione versor. Nempe, aut vehemen-  ter fallor, aut memorat hic Socrates non  tam equi mali proprie dicti signa, quam  sui corporis formam, quatenus vitiosum  inde ingenium colligebat physiognomon  ille Zopyrus. Hic enim , ut est apud Ci-  ceronem (de Fato c. 5), Stupidum esse  Socratem dixit et bardum, — addidit    et s’emporte facilement, sans raison au-  cune (c 7 est-a-dire qu’il semble dirige plu-  tot par une force exterieure que par son  propre jugement); il a 1’encolure courte  et dure, les naseaux apiatis a la maniere  du singe, le poil noir, les yeux glauques  le sang le tourmente et il est toujours en  rut et en querelles ; il a, de plus, les  oreilles velues, il est insensible a tout et  n 7 obeit qu’a peine au fouet et a 1’aiguil-  lon. Il est necessaire de transcrire, dans  le texte Grec, ces marques particulieres  du mauvais cheval.   18. J’ai cite le texte afin qu’on puisse  decider si la conjecture que me suggere  cette description du cheval retif a quel-  que vraisemblance. Ou je me trompe  fort, ou Socrate ici retrace moins les ca-  racteres d 7 un cheval defectueux que son  propre portrait, dans lequel le physio-  nomiste Zopyre trouvait les indices d’un  naturel vicieux. Zopyre, au dire de  Ciceron (Du Destin , chap. v) pretendait  en effet que Socrate etait lourd et stu~   etiam mulierosum. Illud de stupore con-  venire cum Homzne xpaTepau/7)v et (3payuxpa-  mox declarabitur : quod muliero-  sum dicebat, illud cum G6psa Ixatpop con-  gruit : novimus enim quos uSp-.sxa; tum  dixerit Graecia ( i ). Porro illud aipio-pd-  aw-ov plane pertinet ad notationem Socra-  tis, in quo cum deridetur a Critobulo (2),  tum ipse suaviter sibi illudit, et in eo  patulisque non modo deorsum sed in hori-  qontem naribus, non minus quam in ocu-  lis ultra frontem eminentibus, et labio-   (1) Unum ponamus exemplum e libello, quipree  manu est, Aristotelis Physignom. c. ult. p. / 18 1,  E. 01 (Jisya cpcnvotjvxs; papuxovov, OSpiaxa^. Ava-  tpspexat £~1 xoj; ovoj;. Physiognomones e simili-  tudine vocis asinina: argumentum ducunt ad libi-  dinem asininam. Conf. § 14, it. 32 .   (2) Xenoph. Sympos. c. 4, § /p, Socrates ad  Critobulum, formee sua: jactatorem, x; xoDxo ; w?  yap /a! Ip.o 0 ' zaXXtcjjv wv xauxa v.oxt.xCv.c,, Quid  istuc? quasi me quoque pulchrior esses, ita gloriaris.  Ad qua: Critobulus , Nrj Ata, rj Ttavxcov SsiX7jvwv  xmv sv aaxupixoh; alaytaxo; av eVtjv . Nisi te for-  mosior essem, ait, essem Sileuorum, qui in Satyri-  cis fabulis in scenam veniunt, turpissimus.    pide; il aurait ajoute : adonrtd anx plai-  sirs veneriens. Pource qui est dela lour-  deur, cela concorde avec 1’encolure  courte et dure ; adonne anx plaisirs ve-  neriens, repond a &'6peto; ItaTpo;. Nous  savons, en effet, quels etaient ceux que  les Grecs appelaient uSpiatat' (i). Quant a  la face simiesque, cette designation s’ap-  plique parfaitement au portrait de So-  crate ; il y a fait lui-meme agreablement  allusion en repondant aux moqueries de  Critobule ( 2 ). Il avoue que toute sa  beaute consiste en un nez epate et me-  nafant le ciel, en des yeux saillants et    (1) Contentons-nous d’un seul exemple tird du livre  que nous avons sous la main , le De Physiognomia ,  d’Aristote : Ceux qui ont la voix forte et grave  sont &6picrcai, par similitude avec Vane. De ce que  la voix £tait bruyante comme celle de l’ane, les phy-  sionomistes conci uaient qu’on devait avoir le tempe-  rament lascif de cet animal.   (2) Xenophon (Banquet, ch. IV, 19). Socrate dit il  Critobule, qui vante sa propre beautd : « Quoi donc ?  Tu crois etre plus beau que moi ? » Critobule lui  repond : « Si je n’etais plus beau que toi,je serais  le plus affreux de ces Silenes que Von voit paraitre  dans les drames salyriques. »    rum tumore molli , pulchritudinem suam  prcedicat (Xenoph. Sympos? c. 5) sicut  in Platonis Convivio (vid. §. 35) Sileni  s. Satyri formam Alcibiades illi tribuit :  et in Tlieceteti Platonici principio Theo-  dorus negat pulchrum esse Thecetetum,  cum sit Socrati similis, tQ te cijxo-rjta xat  to s£w twv o[j.[j.aTtov, naso simo et eminen-  tibus oculis, licet minus quam Socrates  utraque re sit notabilis. Nempe hcec si-  gna cum haberentur, et naturales quae-  dam notce, hominis libidinosi, iracundi  et stupidi, non negabat illud Socrates,  verum eo majoris faciendam esse Philo-  sophiam ostendebat, quee tantum contra  vitiosam naturam valeret.    iy. Quoniam hic sumus, non injucun-  dum forte fuerit lectoribus nostris in  rem quasi preesentem ire, et ex artis,  qualis tum erat, praeceptis, Zopyri judi-  cium defendere. Vix autem opus est  admoneri lectores, non hoc agi, Num  veri aliquid sit in ea arte? Num ipso   des levres gonflees comme un abces ; de  meme dans le Banquet de Platon, Alci-  biade compare son masque a celui de  Silene ou d’un satyre, et au commence-  ment du Theatdte , l’un des interlocu-  teurs, Theodore, refuse toute grace a  Theatete en disant qu’il ressemble a So-  crate, qu’il est camard et que les yeux  lui sortent de la tete ; que pour etre chez  lui moins apparents que chez le maitre,  ces defauts n’ensontpas moins sensibles.  Socrate ne niait pas d’ailleurs que ces  particularites physiques n’indiquassent  un homme lascif, violent et d’un esprit  paresseux ; il en concluait seulement en  faveur de la Philosophie qui parvient a  dompter un si vicieux naturel.   19. Pendant que nous y sommes, il ne  deplaira peut-etre pas au lecteur d’aller  plus au fond sur ce chapitre et de de-  fendre les idees de Zopyre, idees basees  sur des regles alors acceptees. Il nes’agit  pas de savoir si cette Science est sure ;  est-ce que 1 ’excmplc meme de Socrate   etiam Socratis exemplo ea refellatur, et  vanitatis convincatur? sed hoc modo ,  quod dixi, Utrum Zopyrus ex arte, et  ut oportebat, judicium de illo tulerit?  Exstat in operibus Aristotelis libellus,  <J>uaioyvoj[juxa inscriptus, quo superiorum  hujus artis consultorum collegisse prae-  cepta videtur . Hinc ea, quee ad formam  Socratis, qua ? ad equi hujus mythici na-  turam pertinent , huc transferamus.   2 0 . Igitur (c. 3, p. 1 1 j3, B) inter ’Avai-  c07j- ou hoc est stupidi , et sensu communi  pene carentis signa sunt ~'x nepl tov auysv a  aap'/.oj07) 7.ocl G'j[j.7ZB7zXsj[isva x a\ auvo£ 0 £|j.£va,  Ea quas adjacent collo carnosa, com-  plexa et colligata, itemque cervix crassa,  XGxytjkoq -ayjj;. Et (c. 6. p. I Ij8, C) Oi?  Ta "£p\ ta; xXeTBoc; aug~£pi~£cppaY(x£va £<ruv,  avodaQiyroL. Nonne totidem fere verbis  Ciceronianus Zopyrus? Stupidum esse  Socratem, et bardum quod jugula con-  cava non haberet, obstructas eas partes  et obturatas. Alia adhuc mala signifeat  ista conformatio. Olc xpd.yrj.oc r.ayyc xai    ne temoigne pas du contraire ? Mais  Zopyre en a-t-il tire, en ce qui concerne  notre Philosophe, un pronostic judi-  cieux ? II y a dans les oeuvres d’Aristote  un opuscule intitule Physionomiques ou  ce philosophe parait avoir recueilli les  regles admises avant lui par les habiles.  Nous transcrirons celles qui se rappor-  tent au portrait de Socrate et au carac-  tere de son cheval mythique.   20. D ? apres Aristote (chap. m), les in-  dices d’un esprit lourd et presque prive  du sens commun sont le gonflement des  chairs qui avoisinent le cou, leur engor-  gement et leur replelion- ce qu’il con-  firme en disant au chapitre vi : « C’cst  un signe de betise que d’ avoir 1 ’cncolure  epaisse. » Zopyre, dans Ciceron, n’ex-  prime-t-il pas la meme idee? Socrate,  dit-il, etait lourd et stupide, parce quii  navait pas le cou bien degage, que ces  parties etaient cheq lui comme engorgees  et obstruees. Cette conformation indi-  que cncore bien d’autrcs dcfauts : la    56    SOCRATE    TzlioK, 0 o 1 uo£i 8 e!'s, Crassa et plena cervix  iracundos signat, exemplo taurorum : Ol?  8s [Bpayjj; ayav, irdfi ouXoi, Brevis nimium  quibus est, ii sunt homines insidiosi, lu-  porum instar. Talem modo vidimus  illum malum equum, xpaxepauyeva et [Bpa-  yuxpayjiXov. Talem nisi fallor se indicat  Socrates, aut potius talem significat  Plato Socratem, a natura fuisse.    21. Videamus reliqua. Equus malus  Socratis est — sp\ xa wxa ).asto;, hirsutus  circa aures. Libidinosi, Xayvou, apud  Aristotelem ( c . 3 extr. p. 1174, C) o t  xpdxoupot oaa$T?, densa pilis i. e. hirsuta  tempora. Deinde (c. 6. p. 1174, C) oi  xa yecXrj “aysa eyovxe; puopoi — avacpdpexai    £7ii xou; ovou;. Physiognomones crassa labia  stultitiae characterem faciunt, ob simili-  tudinem asinorum. Quid de se Socrates  (Xenoph. 1. c.) in ludicra cum pulchro  Critobulo contentione? Ata 76 r.ayla. syeiv  xa ylCkt], oux otst xa\ [xaXaxaSxspdv oou 'iyv.v xo  csfX7]p.a; Propter labia crassa suum putat  osculum mollius. Et, v Eotxa syw xaxa xov    et l’amour grec 5 7   nuque epaisse et charnue denote un  homme violent, par similitudo avec le  taure au ; ceux qui l’ont trop courte sont  ruses, par similitude avec le loup. Or,  cette indication, 1’encolure epaisse et  courte, figure parmi les marques du  mauvais cheval. Si je ne me trompe  Socrate avoue qu’il etait bati de la sorte,  ou plutot c’est ainsi que le depeint Platon.   21 . Voyons le reste. Le mauvais che-  val Socratique a les oreilles velues : Aris-  tote designe comme libertins ceux qui  ont du poil jusques sur les tempes. De  plus, les physionomistes notent les  grosses levres comme un indice de betise,  par similitude avec 1’ane. Or que lisons-  nons dans la plaisante discussion (Xeno-  phon, 1 ) de Socrate avec Critobule? —  « A cause de ses l&vres charnues il pense  que son baiser est plus sensuel », et plus  loin : « Je te par ais avoir, 6 Critobule,  une bouche plus difforme que celle de  Vane, avec ces bourrelets qui me tienncnt  lieu de levres. »   aov Xoyov x at Ttov Ovojv aiayiov to GTOu.a lysiv,  turpius os quam habent asini illum  mollem labiorum tumorem habere tibi,  o Critobule , videor.   22 . Simus fuit, ut vidimus, Socrates :  at|jio-po'ato7:o; est malus equus. Quid Phy-  siognomones, atque adeo Zopyrus ? Si  fides Aristoteli (c. 6. p. iiyg, B.) 01  G'|j.7jV Eyovts; piva, Xayvor avacpspezai i~\ tou;  iXa^ou;, Simi sunt libidinosi, exemplo  cervorum. Patulas quoque versus nares  suas, qu£e possint odores undecunque  oblatos excipere, laudat sipojv Socrates  Xenophonteus , pra ? Critobuli naribus  humo obversis. Ot ;xev yao ao\ (xuxT7jpE; ei;  yrjv opcSat, ol 8’ eijloi ava“£"tavTat, wgte tx;  T:av~o0£v oGua; izpoa ov/yOou. At Physio-  gnomones ( I . C.), 0:; o! p.uxT7jp£$ ava"E^"a-  pL^vot, OupiojoEi;, Iracundi sunt, quorum  patula? nares, quod in ira diffundi so-  lent. Iracundum valde a natura fuisse  Socratem, non soli credamus Cy r rillo,  quamvis Porphyrium auctorem laudat ,  qui ab Aristoxeno se illud dicat acce -   Socrate, nous le savons, etait ca-  mard ; son mauvais cheval a les naseaux  ecrases du singe. Quel indice en tirent  les physionomistes et Zopyre ? Aristote  dit : « Les camards sont lascifs, par simi -  litude avec le cerf ». Socrate declare  quii a les narines lar gement ouvertes ,  comme pour subodorer de toutes parts  les parfums. Jaime mieux cela, dit-il,  que d’avoir, comme Critobule , un ne^  penche vers le sol. Mais d’apres les phy-  sionomistes, c’est 1’indice d’un tempera-  ment porte a la colere. Que Socrate ait  etedun naturel violent, nous ne nous en  rapporterons pas la-dessus seulement a  Saint Cyrille, quoique son temoignage  soit corrobore de ceux de Porphyre etd’A-  ristoxene et qu’il dise en propres termes :  « Socrate etait devenu si irritable qu’il  ne pouvait moderer ni ses paroles ni ses      pisse, ’'Ote <pXe-/0e't7] utzo zou TrdOou; toutou [de  ira sermo est) ostvrjv etvat xr ( v aayr][jLO(Hjvr)v •  ouoevo; yap ouxe ovopiato; azoa^saOat oSxe  -payjj.ato;, Eo importunitatis progressum ,  ut nullo neque verbo neque opere absti-  neret : sed ipsi de se credamus Socrati,  qui tam gravi ac molesto sibi, quam fuit  Xanthippe, patientia ? et mansuetudinis  gymnasio opus fuisse, fassus sit apud  Xenophontem [Sympos. 2, 10 ) BouXo'|ievo;,  dv0pco7tot; y prjoOat jcat opuXe Tv, Tauxrjv x&ttj-  ptat, sii eloco;, oxt, et lauxrjv 'j"Otaco, PAAIQS  TOIS TE AAAOIS 'AIIASIN, avOptfaoic  auveaouat, Quam ferre si posset, facilis  esset cum aliis omnibus conversatio.    23 . Unum superest : e^^OaXpto; erat  Socrates. Itaque ita jocabundus disputat  cum pulchro Critobulo, ut cum primo  convenisset, Pulchras esse res , quatenus  respondeant consilio, propter quod ha-  bentur ; roget eum , Cujus rei gratia ha-  beamus oculos? eoque, ut necesse erat ,  respondente, Ad videndum, inferat ,  Suos ergo pulchriores esse, qui Sta zo   actions ». Croyons-en Socrate lui-meme;  dans le Banquet de Xenophon , il avoue  que le caractere acariatre de Xanthippe  fut pour lui la meilleure ecole de pa-  tience et de douceur; que par la suite il  lui fut plus facile de supporter la con-  tradici ion.    23 . Il ne reste plus qu’une chose : So-  crate avait les yeux saillants. Il dispute  la-dessus agreablement avee le beau Cri-  tobule, et le fait convenir d’abord que  toute chose est belle pourvu qu’elle re-  ponde au but en vue duquel elle existe.  Il lui demande alors : Pourquoi faire  avons-nous des yeux ? — Pour voir, re-  pond naturellement Critobule. — E/i bien  alors , dit Socrate, mes yeux sont les plus  beaux de tous, car iis me sortent de la    £7it-oXatot sivat, quod emineant, non ea  modo, quas exadversum sint videant, sed  etiam quae a latere. Et cum diceretur ,  secundum hmc pulcherrime oculatum  (euo^OaXjj-GTa-ov : ) animal esse cancrum,  id ipsum affirmat. Jam Physiognomon  Aristoteles (c. 6. p. i ijg, D) "Oaoi i£6z>-  OaXjjiot, inquit , aS&vepoi, Fatui sunt, quibus  oculi eminent : rationem petit ab judicio  quodam decoris et convenientia ■ naturali ,  et ab similitudine asinorum. Male de  horum gente meritus est Stagirita :  quce videtur ex hoc prcesertim libello  contraxisse infamiam illam , qua ab eo  inde tempore, et Platonis quibusdam  dictis, onerata est : honestum superiori  cetate animal, cujus majestatem, ut Var-  roniano verbo utamur, (de R. R. 2, 5,  4) adhuc agnoscebat Homerus. De hac  re adjicietur potius huic disputationi  quoddam corollarium, quam ut longius  digrediamur a Socrate.   tete, si bien que je puis voir non-seule-  ment devant moi, mais & droite et d  gaiiche. Son interlocuteur lui repond  qu’a ce compte les crabes ont de tres-  beaux yeux, et Socrate affirme que c’est  parfaitement vrai. Or, d’apres Aristote,  les yeux saillants sont 1’indice de la sot-  tise; il tire ce pronostic de certains rap-  ports naturels de convenance, de syme-  trie, et de la ressemblance que ces yeux  offrent avec ceux des anes. Le philosophe  de Stagyre a par la bien mal merite de  cette race inoffensive, et ce doit etre a  partir de ce petit traite qu’il acquit le  mauvais renoni confirme depuis par  Platon lui-meme. L’ane, cet honnete  animal, etait mieux apprecie des genera-  tions precedentes, et Homere se plaisait,  suivant le mot de Varron, a lui recon-  naitre de la majeste. Nous ferons de cela  un corollaire a cette dissertation pour ne  pas trop nous eloigner presentement de  Socrate (i).    (i) Gesner a «Jcrit un appendice intitulc De antiqua  Nempe tempus est, ut videamus,  quorsum evadat ille de bono et malo  equo Myihus. Ad conspectum pulchri  (p. 34 j, F) bonus ille quidem aurigee  obsequitur, contineri se patitur, malo  alteri , quantum potest reluctatur. Simile  certamen est in pulchro, qui amatur :  repugnat malo isti equo bonus illius  jugalis, hic enim est (p. 348 , G) 6 [xo'£u£,  et ipse auriga adeo repugnat [aet’ dtSous  xat Xdyou, cum pudore et recta ratione. Si  ergo ita vincant meliora, et ad vitam  ordinatam, quae eadem philosophia est,  ducant illum currum, beatam et concor-  dem hic vitam agunt continentes se, et  decus suum tuentes, syxpatcTs auroiv xat  xdajjuot ovtss, in servitutem redacto illo  equo, cui vitiositas animae inerat; in li-  bertatem asserto eo, cui virtus. Tandem  vero alati ac leves denuo facti, sic de tri-  bus illis certaminibus (de quibus §. 12)   asinorum honestate, imprime i la suite du Socrates  sanctus pcederasta ; il ne nous a pas sembl£ otfrir  assez d’interet pour Ctre traduit. (Note Ju Traduc-  teur.)  II est temps de voir ou il veut en  venir avec son Mythe du bon et du mau-  vais cheval. A Taspect de la beaute, ie  coursier docile obeit au cocher et se laisse  contenir; il resiste de toutes ses forces a  son mauvais compagnon. L/objet aime est  lui-meme en proie aunesemblablelutte ;  son bon cheval se defend contre les ten-  tatives de son mauvais compagnon d’at-  telage, que de plus le cocher s’efforce de  contenir par la pudeur et la raison. Si les  meilleurs instincts remportent la victoire  et conduisent le char dans les chemins de  la vie rangee, cest-d-dire de la philoso-  phie, les deux amant s vivent dans le bon-  heur et bunion, maitres d’ eux-memes  et regles dans leurs mceurs : iis ont  dompte le mauvais cheval, qui repre-  sente le vice, et affranchi 1’autre qui re-  presente la vertu. Recouvrant enfin leurs  t ailes et leur legbrete primitives , iis sor-  tent vainqueurs de ces trois luttes vrai-  ment Olympiques dont nous avons parle  plus haut. Socrate peut donc dire*sans  hesitation que ccux qui se prescrvcnt.  vere Olympicis, unum vicerunt. Absque  hcesitatione igitur beatissimos esse dicit,  qui se puros et castos ab amore Venereo  servaverint.    25. At nunc sequitur apud Platonem,  in quo defendere illum , Platonem, in-  quam, nam Socratis causam hic segre-  gandum putamus (vid. 6) paullo diffi-  cilius est; tacuisset enim forte sapientius :  sed non iniquum (i) excusare. Nempe  his, quee modo prolata sunt, subjungit,  quee non scripta equidem malim : sed  pono, ne quid dissimulasse videar, ne  parum bona fide egisse. Quam vero caute,  quam suspensa velut manu illud ulcus  tractet, videre opera? pretium est. Eav’  os 8tatT7) <popzi7Ui)~ipx ~z xat A<I>IAO—  cptXoTtjxu) 8s yprfacjvzx'., -i/' av ~oj ev uiOat;  sitivi a)xA7) dasXsta Tci> axoXaTCto ajTOtv Gno-  JXiytco XaSovTE, xa\ tjrjya; xopojpo-j; aovaya-  yovTE et; toeutov, tf ( v u ~6 :wv -oXX oiv [xaxaot-    fi) Multum certe facilior causa Platonis, quam  alicujus Beneventani Episcopi : aut aliorum, quos  vrxterco sciens. purs et chastes, de 1’amour Venerien,  jouissent de la plus grande beatitude.    25. Ce qui suit, chez Platon, est un  peu plus difficile a expliquer; chez Pla-  ton, disons-nous, car ici nous croyons  devoir separer sa cause de celle de So-  crate; evidemment il aurait mieux fait  de se taire , mais il n’cst pas impossible  de l’excuser (i). A ces choses sublimes  que nous venons de transcrire, il en  ajoute d’autres que j’aimerais mieux lui  voir passer sous silence; je les exposerai  cependant, de peur de paraitre rien dissi-  muler et manquer un peu de bonne foi.  Il faut ici donner le texte pour qu’on    ( 1 ) Son cas est en effet moins grave que celui de  certain eveque de Bdnevent et de quelques autres que  je ne veux pas nommer. — (L’auteur fait ici allusion  a 1’archeveque Giovanni .delia Casa et a son fameux  Capitolo dei forno ; mais il ne 1’avait probablement  pas lu, et il se meprend, comme bien d’autres, surle  sens de ce celebre petit poeme. — Note du Traduc-  te ur.)    68    SOCRATE    cTr;v atpeotv £tXcTr ( v ~t /ai Ste^pa^avxo x x X.  Si vero vitam vivant LICENTIOREM  et A PHILOSOPHIA ALIENAM, ean-  demque ambitiosam, forte aliqua in  ebrietate aut qua alia negligentia depre-  hensas INCAUTAS animas equi illi  uiriusque amatoris indomiti, eodem con-  ducant, et sic illam quce beata vulgo vi-  detur electionem faciant, et (turpe illud  facimts) peragant : eoque peracto per re-  liquum tempus utantur quidem (illa  voluptate ) sed raro, quippe qui non  omnino deliberata mente (sed deprehensi  velut incauti ) hoc agant — etiam hi  praemium non parvum amatorii illius  furoris (non Venerei, de quo modo dic-  tum, sed philosophi , de quo §. i3) aufe-  runt : in tenebras enim illas et illud sub  terram iter non veniunt, etc.  voie avec quelle prudence et sans ap-  puyer la main, il decouvre cet ulcere de  la civilisation Grecque. — « S’ils embr as-  sent , dit-il, nn genre de vie moins austdre,  etrangbre a la Philosophie et livree aux  passions desordonnees , il arrivera quau  milieu de Vivresse ou de quelque autre  etourderie les coursiers indomptes sur-  prendront leurs ames et les meneront l’un  et l’ autre au meme but,' iis prendront alors  le parti de faire ce en quoi , selon le vul-  gaire , consiste le supreme bonheur et  (c’est la le crime infame) satisferont leurs  desirs. Dans la suite , iis renouvelleront  leurs jouissances , mais rarement, parce  qxCelles ne sont pas approuvdes de l’dme  entiSre et qu’ils agissent comme par sur-  prise et sans defense. C’est pourquoi ce  qu’il y a encore d’excellent dans leur  amour (le pur amour pliilosophique et  non le desir Venerien) recevra plus tard  sa recompcnse ; iis niront pas, aprds leur  mort, dans ces tenebres et par ces routcs  souterraines,.., etc. »    yo   Apertum est his, qui et sermonem  Platonis intelligunt, et non ultro qucerunt  crimina, non illum prcemium constituere  pceder astice turpi, non Philosophice genus  facere flagitiosum puerorum amorem :  sed summam c.ulpce esse hanc , quod di-  cat, si qui coelestis illius pulchritudinis,  quam in volatu illo suo viderint, deside-  rio icti, etiam pulchros amant, et dum  arctius eos complectantur, liberius cum  iis versentur, etiam ad turpe facinus ab  ebrietate, certe ex improviso, incauti,  proster deliberatam voluntatem, abri-  piantur, id quod ipsis contingat ob genus  vivendi licentius atque a Philosophia alie-  num, iis tamen prodesse primum illud7'io-  biliusque philosophandi propositum, ut  non cum reliquis ad inferos mittantur,  et ad poenarum locum (vid. §. 12) non  cogantur post ternas millenorum anno-  rum periodos , septem alias subire ete  sed facilius alas ut recipiant, quibus evo-  lare ad coelestia, deum aliquem sequi du-  cem possint. Hactenus reprehendat Pla-  tonem, si quis volet, non ut laudatorem    et l’amour grec 7 1   26. II est bien clair, pour qui veut  comprendre Platon et ne cherche pas de  griefs de son plein gre, qu J il n’assigne  pas cette recompense aux fauteurs du  vice honteux, qu’il ne fait pas de 1’igno-  minieux amour masculin un attribut  special des Philosophes. On voit, au con-  traire, combicn il blame ceux qui, les  yeux encore eblouis de cette beaute ce-  leste entrevue par eux dans leur vol an-  terieur, con^oivent des desirs pour la  beaute terrestre, recherchent les jeunes  garcons, et a force de les embrasser etroi-  tement, devivre familierement avec eux,  se trouvent entraines a 1 ’improviste, au  milieu de livresse, par surprise et sans  que leur volonte y ait part, a conimettre  l’acte immonde; cela leur arrive, parce  qu’ils ont adopte un genre de vie trop  libre et qu’ils negligent la Philosophie.  Iis tirent cependant ce profit, de s’etre  d’abord propose pour but cette noble  Science, qu’ils ne sont pas relegues aux  enfers avec tous les autres hommes ; apres  une revolution de trois mille annees, iis  Pcederastice, sed ut clementem nimis ,  lentumque adeo castigatorem : qui prae-  sertim in aliis peccatis severum satis ac  durum se praebuerit (1 ).    27 . Sed , si cequi esse volumus, si de  nostris religionum doctoribus ecquos ex-  periri judices, videamus etiam , quid dici  pro ratione illa Platonis possit , quid pro  Socrate, quatenus et ipse non horribili  flagello sectari vitia id genus solebat.  Distinguamus legislatoris personam et  Philosophi. Legibus Atheniensium primo  antiquissimis illis a Cecrope , sanctitas   (1) Bona pars libri De re publica decimi in eo  consumitur, ut a"apat~r]Tou?, a^apa[xu0rjTOU?,  implacabiles sacrificiis Deos, ostendant. Vid. pras.  a p. 6 72 extr. et conf. qua: collegit Davis. ad Gic.  de Legib. 2. c. j 6 . p. i 3 j    n’ont pas a en su.bir sept mille autres;  iis recouvrent plus vite leurs ailes et peu-  vent s’elancer vers les spheres celestes, a  la suite d’un des douze dieux. Que l’on  reproche donc a Platon, si l’on veut, non  pas de s’etre fait 1’apologiste de la Pede-  rastie, mais d’avoir ete trop clement,  de ne pas chatier assez ferme, lui surtout  qui pour de moindres fautes se montre si  dur et si severe (i),   27. Mais soyons equitables; prenons  d’honnetes gens pour juges de nos Phi-  losophes, voyons ce que l’on peut dire  en faveur de Platon ou de Socrate, et  jusqu’a quel point ce dernier a vraiment  neglige de flageller le vice en question.  II faut distinguer le legislateur du Phi-  losophe. Les plus anciennes lois Athe-  niennes, celles de Cecrops, proclamaient  la saintete du mariage. La loi de Dracon    ( 1 ) II emploie la majeure partie du X® livre de sa  Republique a montrer que les dieux sont insatiables  de sacrifices. Comparez avec ce qu’a <5crit Davies  sur le Tr ciite des lois , de Cicerrr.i.   matrimoniorum constituta : Draconis  lex capite plectebat adulteros : Solon li-  beram faciebat marito potestatem sta-  tuendi in adulterum in facto deprehen-  sum , quidquid liberet. Itaque mirum  fuerit si masculam libidinem non punis-  sent.   28. Sed bene habet : supersunt monu-  menta Solonis hac etiam de re legum,  diligenter collecta a Sam. Petito (de Le-  gibus Att. 6, 5 et in Commentario  p. 468 sqq.) prcesertim ex vEschinis in  Timarchum (a p. 186 edit. Aurei. Al-  lobr. 1607. /•) et Demosthenis contra  Androtionem (a p. 421) orationibus :  unde hoc constat, qui vi vel persuasione  ingenuum corrupisset, produxissetve,  gravissima poena (quce ad ultimum sup-  plicium corruptoris et productoris, in-  terdum etiam corrupti, poterat progre-  di) affectum esse. Qui illam patiendi pro  mercede turpitudinem admisisset, si  effugisset poenam aliam, illi neque lice-  bat inter novem Archontas esse, neque punissait de mort les adulteres; Solon  laissait la faculte au mari, dans le cas de  flagrant delit, de se faire justice comme  il 1’entendrait. II serait bien surprenant  que ces deux legislateurs fussent muets  a l’egard de Tamour masculin.    28. Mais nous avons mieux ; il reste  des lois portees par Solon sur la matiere  divers fragments precieusement recueillis  par Samuel Petit (voy. ses Lois attiques  et le Commentaire dont il a accompagne  cet ouvrage); ii les a surtout tires du  Discours contre Timarque, d’Eschine, et  du Discours contre Androtion, de Demos-  thene. Il y est dit : Quiconque, memesans  violence, aura debauche ou prostitue un  homme de condition libre sera passible  de la peine la plus rigoureuse. — (Le cha-  timent pouvait etre la mort, dans l’un  comme dans Tautre cas, et pour le liber-  tin, comme pour savictime.) — C elui qui  se sera prostitue pour de l’argent, s’il  echappe a toute autre peine, ne pourra ni fungi sacerdotio, neque syndicum creari,  neque ullum magistratum vel intra vel  extra urbem, neque sortito neque suf-  fragiis, capere, neque pro Praecone s.  oratore mitti usquam, neque sententiam  dicere unquam, neque in templa publica  intrare, neque in pompa coronata et ip-  sum coronari, neque intra sacros fori  cancellos (evto; twv t rj; ayopa? TteptppavTT]-  P’'wv) ingredi. Si quis vero damnatus im-  pudicitiae quidquam horum fecisset, ca-  pital erat. 0avato> r7)[j.'oua0w sunt verba  legis ab As schine recitata. Plura huc  transferri opus non est , cum rarum esse  Petiti opus desierit. Summa capita habet  etiam in Themide Attica ( 1 , 6) Meur-  sius.    2 q. Utrum seynpcr valuerint istce le-  ges? annon eas perruperit interdum au-  etre l’un des neu f archontes , ni remplir  aucune fonction sacerdotale , ni etre nomme  delegue d’une ville ; il lui est interdii  d’exercer aucune magistrature, soit en  dedans , soit en dehors de la cite , quii  ait et e designe par le sort ou par les  suffrages de ses concitoyens ; d’etre en-  voyd nulle part comme Herault, ou comme  orateur ; de prononcer aucune sentence ;  de penetrer dans les temples publics; de  faire partie des processions et d’y porter  une couronne sur la tetc; de franchir  ienceinte sacree de l’Agora. Qiiiconque,  deja condamne pour fait de prostitutiori ,  fera ou acceptera de faire une de ces  choses sera puni de mort. Puni de mort,  tel est le texte meme de la loi lue par  Eschine. II est inutile d’en transcrire ici  davantage, car Touvrage de Samuel Petit  est loin d’etre rare ; Meursius en a meme  donne, dans sa Themis Attique, les cha-  pitres importants.   29. Ces prescriptions eurent-elles tou-  jours force de loi? Ne purent-elles etre dacia , astus subterfugerit , eluserint  rhetores? annon ipsa poenarum gravitas  impunitati occasionem non nunquam de-  derit? an non professce impudicitiae ho-  minis utriusque sexus, libidinum publica-  rum victimce, toleratce sint? An denique  poetce non multa saepe impudenter scrip-  serint, fecerint? jam non quceritur. Uti-  nam non avxtxatrjyopia quadam repellere  possent veteres Attici cujuscunque vel sec-  tae vel cetatis homines, si qui acerbius ex-  probrare iis velint, quce de Comicorum pe-  tulantia sublegerunt illi apud Athenaeum  (i3, 8 p. 601 ) Deipnosophistce, et quae  colligere ex illa parentum cura apud  Platonem (Conviv. p. 3ig, E), Pceda-  gogos constituentium suis filiis, qui ne  quidem colloqui suis cum amatoribus  (turpibus nimirum et flagitiosis) eos pa-  tiantur : e. i. g. a.    3o. Ceterum severitate legum eo ma-  gis opus erat, quod obtentum fiagitiis    et l’amour grec 79   enfreintes par les audacicux, adroitemcnt  tournees par les gens ruses, eludees par  les avocats ? La rigueur du chatiment ne  favorisa-t-elle pas elle-meme Timpunite ?  Est-ce qu’on ne tolera pas des prostitues  de profession, victimes de 1’incontinence  publique et remplissant le role de l’un et  1’autre sexe ? Les poetes n’ont-ils pas ef-  frontement deerit ces turpitudes, ne les  ont-ils pas mises en action sur la scene ?  Cela ne fait aucun doute. Plut au ciel  que les Atheniens de nfimporte quelle  secte et de quelle epoque ne pussent re-  tourner Taccusation a ceux qui leur re-  procheraient trop vertement ces horreurs  etalees par les poetes comiques et recueil-  lies par les Deipnosophistes d’Athenee, ou  ce qu’on peut induire de 1’inquietude des  peres de famille confiant leurs fils, d’apres  Platon, a des precepteurs severes, pour  les empecher de s’entretenir avec leurs  amis, — des amis infames et detestables.   3o. Les lois devaient etre d’autant plus  severes, que les coutumes de la Grece    8o    SOCRATE    non nunquam praeberet (ut nempe res  sancta ? prope omnes , ut ipsce populorum  sceculorumque pene omnium religiones ,  atque ceremonice) ille puerorum amor ,  castus , legitimus, sanctus, quo tanquam  potentissimo virtutis cum bellicce tum  civilis incitamento utebantur qucedam  Grcecorum respublicce : quarum legisla-  tores, cum viderent, ignava fere esse  virtutis prcecepta, firmis licet nixa de-  monstrationibus, nisi ea affectu quodam  et tanquam spiritu animentur, nisi ev0ou-  aiaajxou quoddam genus accedat, quo acti  homines et commoda sua , et jacturas, et  salutem, et pericula et tormenta contem-  nerent. Hinc excogitata et in usum  civitatis recepta sunt splendida ista et  efficacissima remedia, Religio, Pudor,  Amor patrice, Gloria, res quondam po-  tentissimce, quod ex illarum effectibus  judicare pronum est: nunc prceclara quo-  rundam, qui sibi Philosophi videntur,  opera fere ad inanium vocabulorum stre-  pitus relata, et, dum relata sunt, etiam  redacta. comme toutes les choses saintes, comme  les cultes et les ceremonies religieuses de  presque tous les peuples et de tous les  temps) donnaient plus de facilite a la  depravation. La fervente amitie entre  jeunes gens, Tamitie chaste, legitime, sa-  cree, etait favorisee, dans les republiques  de la Grece, comme le plus energique  stimulant du courage militaire et des ver-  tus civiles. Leurs legislateurs savaient  bien que ni la vertu ni le courage ne s'in-  culquent a 1’aide de demonstrations, si  bonnes qu’elles soient ; que 1’homme est  naturellement faible a moins qu’il ne soit  pousse par la passion et par 1’orgueil ou  entraine par cette espece d’enthousiasme  qui lui fait mepriser les aises de la vie, la  fortune, la vie elle-meme, et affronter les  perils et les supplices. C’est pourquoi l’on  mettait en jeu, dans Torganisme de la cite,  ces heroiques et sublimes mobiles, la Re-  ligion, 1’Honneur, 1’Amour de la patrie,  la Gloire, mobiles autrefois bien puis-  sants, comme nous pouvonsen juger par  ce qu’ils firent accomplir; aujourd’hui,In illis igitur rei publicce bene ge-  renda? incitamentis, an instrumentis?  erat Amor ille adolescentulorum tum in-  ter se, tum inter ipsos et natu majores :  inde illa sacra Amantium cohors The-  bis, et Cretensium. Quanta illius vis  esset, et quam metuendus esset miles  amator, svOouatwv, et ab Amore simul  atque a Marte bacchans, occurenti in  prcelio hosti, ita enarrat 2E liantis (H.  V. 3 , g) ut IvOo-jatav et furere ipse prope  videatur. Idem (c. io et 12) Laconica  qucedam circa eam disciplina? publica?  partem instituta commemorat : V. G.  ab illis multatum esse virum alioquin  bonum, ea de causa , quod nullum ha-  bere juniorem, quem amando sui si-  milem, et per hunc forte etiam alios,  redderet : itemque peccantis adoles-  centuli virum amatorem punitum , cui grace a de certains Philosophes, ou soi-  disant tels, ces grandes choses ne sont plus  que de vains mots, creux et vides, dont le  sens s’affaiblit a mesure qu’on en abuse.   3 1 . Ainsi, 1’Amour des jeunes gens, soit  entre eux-raemes, soit entre eux et leurs  ames , etait favorise partout en Grece ,  pour le bien de la chose publique ; voila  ce qui donna naissance a la cohorte sa-  cree des Amants , chez les Thebains et  chez les Cretois. Quel etait le courage de  ces sortes de soldats, quelle etait la ter-  reur qu’ils inspiraient, lorsqu’ils rencon-  traient Tennemi, ivres a la fois d’amour  et de sang : c’est ce que Elien nous a fait  connaitre, en partageant, pour nous les  mieux depeindre, leur impetuosite et  leur fureur. II nous indique aussi qu’il  y avait quelque chose de semblable dans  les institutions de Sparte ; un Lacede-  monien fut mis a 1’amende , quoique  excellent citoyen, pour avoir neglige d’ai-  mer quelque compagnon plus jeune que  lui, a qui il aurait inculque ses vertus et nempe illius imputari vitia posse cen  serent.    32 . Etiam illud Laconicum narrat , so-  litos ibi adolescentulos petere ab ama-  toribus , viris nempe bonis ac fortibus ,  stareveTv auTot ?, ut se adflarent. Interpreta-  tur illud verbum , Laconibus proprium,  sElianus per epav, amare : idem factum  ab Hesychio V. sp.-v£ Tjj-ou, et epa, eia7cver.  Multa similia ad utrumque Hesychii  locum viri docti , post Meursium (Mis-  cell. Lac. 3 , 6 ) sed nihil, unde ratio ap-  pellationis queat intelligi. Nec satisfacit,  quod refert, non probat Eustathius (ad  Odyss. A, 36 1 p. 1743 et ad E, 478  p. 240, 38 ) EtarevElxai yap tpaat, t 7j? pLOp^?  ti /at x i); wpa;, inspirari aliquid fornice et  pulchritudinis. Hcec enim Laconicce se-  veritati parum conveniunt, si fides anti-  quis, ipsique adeo JEliano in ipso illo,  de quo agimus , loco. Srap-ctaTT)? epio; ata-  qui eut ete capable, a son tour, de les  transmettre a d’autres. Lorsqu’un jeune  homme commettait une faute, les Spar-  tiates punissaientson intime ami, comme   responsable des vices qu’il lui tolerait.   /   32. Elien rapporte encore cette autre  coutume de Sparte, que les jeunes gens  exigeaient de ceux dont iis etaient aimes,  toujours choisis parmi les meilleurs et les  plus braves, ut se adflarent. II explique  le verbe ekjttvs Tv ( adflare ), propre aux La-  coniens, par cet autre : spav (aimer), et He-  sychius de meme aux mots EpjcvEtgou, ipS  et eiu7iveT. Divers savants ont accueilli cette  interpretation, a 1’exemple de Meursius;  mais je n’ai rien compris aux raisons  qu’ils en donnent. Je ne suis pas davan-  tage satisfait de Tassertion emise, sans  preuve, par Eustathe, dans son commen-  taire des chants IV e et V e de YOdyssee :  a Les inspires (i) sont guides dans leur    (i) On appelait indifTeremment ItaKVETxat, ii a-  7UvrjXa' (inspires) ou spacjiat (amants) ces couples ypov oux otosv x. t. X. Spartanus amor  turpe nihil quidquam novit. Sive enim  ausus fuerit adolescentulus pati turpia  (upo-v uzoaeivat) sive amator facere (£»|Bp6  oat) neutri quidem Spartee manere pro-  fuerit : aut enim patria privarentur, aut  vita ipsa. Quare illud ela-vetv s. s[j.7ivsTv,  illos £ta7iVTjXa;, quos eosdem aixa? vocat  Eustathius (Hesych. afcav, s-aTpov) ab in-  spirando s. adspirando divino quodam  spiritu, dictos arbitror , unde afflati, ut  7rveuu.atocpo'poi quidam et svOouaiwvTsc, divi-  no quodam furore perciti , ruerent. Hic  est ille furor, quem supra i3) tetigi-  mus, et de quo plura sunt in Platonis  Phcedro (p. 344, A. 346, A. 352, E).  Nempe spiritum 7iveSp.a quum dicebant an-  tiqui, non rem illi tantum cogitantem in-  dicabant, sed rem subtilem, magna ean-  dem movendi et agendi vi praeditam, etc.   de friires d’armes , si terribles dans les batailles.  'Etcnvelv (ad/lare) peut se traduire positivement  par meter les souffles ou metaphoriquement par  avoir des aspirations communes. ( Note du Tra-  ducteur.)    ET l’aMOUR GREC 87   choix par la beaute et 1’elegance corpo-  relle. » Cela me parait peu convenir a  cette severite Laconienne dont temoi-  gnent tous les anciens et Elien lui-meme,  a Tendroit en question : « On ignorait a  Sparte ce que detait que les impures  amours. Si quelque jeune homme eut ose  se prostituer , ou prendre 1’autre role, il  lui eut mal reussi de rester d Sparte; il  y allait pour lui de Vexilou de la mort. »  C’est ce qui me fait croire que ces inspires ,  designes aussi sous les noms de compa-  gnons, freres d’armes, par Eustathe et  par Hesychius, etaient ainsi appeles du  souffle ou de Tesprit en quelque sorte  divin qui les animait, lorsqu’ilsse ruaient  sur l’ennemi comme transportes d’une  fureur plus qu’humaine. Nous avons deja  parle de cette espece de delire, dont il est  si souvent question dans le Phedre de  Platon. Il convient en effet de remarquer  que les anciens n’entendaient pas comme  nous par esprit une faculte intellectuelle,  mais une essence subtile, douee d’une  grande forcc de mouvement et d’action. Non vagatur hcec extra oleas ora-  tio. Cum enim fuerit , quod, adhuc proba-  tum est, in Grcecia r.aiozptxizv.a. quaedam  honestissima, et sancta adeo , qua ad virtu-  tem, bellicam praesertim , et quidquid pul-  chrum est, incitari homines crederentur,  cum nomina spojvuo?, Ipaaxou, raioapaaxou,  itemque spwuivoy, -atot/.wv, et similia tur-  pitudinem nondum haberent : cum illud  raiSspaaxsTv res esset adeo honesta, ut quem  ad modum capital Romae erat servo, si  militarat, ita Solonis lege multaretur  quinquaginta plagis publice, qui servus  eXsuOspou 7ra'oo; spav, amare liberum pue-  rum, auderet : haec ita se cum haberent  omnia, nemo jam debet mirari, adoles-  centulorum esse amorem professum So-  cratem, fecisse illum, quae ante (§. i5)  dicta sunt, eaque scripsisse tanquam So-  cratis dicta Platonem, quae ex Phaedro  commemoravimus . Quod mitior est vel  Plato, vel ipse adeo Socrates, (si quis ei  tribuat, non satis ille quidem aequa ratio-  ne, quidquid apud Platonem ex ipsius  persona dictum ponitur) in hos etiam quos  Cette digression ne nous a pas  eloigne de notre sujet. Puisqu’il existait  en Grece , comme nous venons de le  prouver, une jcatBspao-rfta tres-honnete ,  sainte, on peut dire, et reputee propre a  pousser les hommes au bien et a la vertu,  surtout a la vertu guerriere; puisque les  mots d’amants, d’amis, de 7tad>epa<jTcu et  de 7:aioi7.wv n’avaient rien de honteux ;  puisqu’il etait meme si honorable de se  livrer a cette zcaSspaardtix, que la loi de  Solon punissait de cinquante coups de  fouet, subis en pleine place publique,  tout esclave qui aurait ose aimer un jeune  homme de condition libre; puisque tout  cela est irrefutable, personne ne doit s’e-  tonner que Socrate ait professe 1’amour  des j eunes gens, qu’il ait lui-meme eprouve  cet amour et agi en consequence; que  Platon nous ait transmis, comme l’ex-  pression des doctrines de Socrate, ce que  nous avons cite du Phedre. Sans doute  Platon ou, si l’on veut, Socrate, quoiqu’il  ne soit pas equitable de lui attribuer tout  ce que son disciple lui fait dire, se montre  mala libido ad turpitudinem transversos  abripuit 25 . 26) illud primo hanc  rationem , ut innuimus , habuit , quod nec  legislatorem hic, neque publicum accusa-  torem ageret ; sed Philosophum , sed  amatorem, amicum certe quidem, qui  non metu pcence deterrere a turpitudine  homines, sed virtutis amore revocare a  peccato vellet. Deinde erant forte, quibus  parcendum erat, juvenes a vitiis ejus-  modi non plane puri, Alcibiades , Critias ,  alii, 9[Xox''[j.o) illi quidem sed eadem «popti-  /Mxipcc et dcfikoaofM otattr) yprjaajxsvoi (vid.  §. 25 ) quos abscisse nimis ab omni fructu  Philosophice, ab omni ad virtutem reditu  excludere velle, et sic plane a se et a  virtute segregare, non erat consilii. Non  instituam hic comparationes, quce invi-  diam habere possunt : sed illud addam  unum, si forte aliquid veri sit ineo, quod  de liberiori Socratis adolescentia dictum  est /'§. 2) : si non mendax historia , e qua  refert Origenes contra Celsum , qui su-  periorem vitee conditionem primis Chris-  ti discipulis objecerat (l. 1. p. 5 o. pr.)    beaucoup trop clement envers ceux qu’un  infame desir pousse a Tacte honteux. Son  excuse, nous Tavons deja dit, c’est que ce  n’est pas ici un accusateur public ou un  legislateur qui parle, c’est un Philosophe,  un ami, un amant, et il essaye non de  detourner les hommes du vice en les ef-  frayant par la menaee des chatiments,  rnais de les dissuader d’une faute en leur  inculquant Tamour de la vertu. II y avait  d’ailleurs peut-etre autour de lui des  jeunes gens qui n’etaient pas irreprocha-  bles et envers lesquels il ne fallait pas se  montrertrop dur, un Alcibiade, un Cri-  tias, d’autres encore, pleins de fougue,  adonnes a une vielicencieuse et etrangere  a la sagesse; les priver de quelques-uns  des benefices de la philosophie, c’eut ete  leur fermer toute voie de retour au bien,  les eloigner de la personne du maitre et  par consequent de la vertu. Je ne cherche  pas a faire des comparaisons qui pour-  raient sembler malseantes; je veux ce-  pendant rapporter un fait, vrai ou faux,  qui a traita la jeunesse un tant soit peu  Phcedonem e lupanari traductum ad  Philosophiam a Socrate : quid facere  illum oportebat in hac disputatione?    34. Nihil igitur est in Phcedro , quod  urgeat Socratem : si quid incautius dic-  tum sit , illa Platonis culpa fuerit : quam-  quam si universam circumstantiam , ut  a nobis ostensa est , quis consideret , etiam  hunc accusare , vel non excusare, ini-  quum videtur. De Convivio Platonis jam  non opus est multis disputare. Distin-  guat mihi aliquis personas loquentes : ad  universam libelli descriptionem, quam  vocamus CEconomian, ad Allegorian  denique ab amore Venereo ductam , ac  translatam ad animos, quorum lenonem  se et obstetricem ferebat Socrates : ad  hcec, inquam , mihi attendat aliquis, et    et l’amour grec q3   dereglee de Socrate. C'est Origene qui le  raconte dans son traite contre Celse.  Celse reprochait aux premiers disciples  du Christ d’avoir ete tires de conditions  abjectes; Origene repondit que Socrate  avait bien tire Phedon d’un mauvais lieu  pour le convertir a la Philosophie. J e vous  demande un peu ce que ce Phedon venait  faire dans la discussion.   34. On ne rencontre donc rien dans le  Phedre qui puisse incriminer Socrate; s’il  y a ca et la quelques paroles imprudentes,  c’est la faute de Platon. Encore, si l’on  examine bien toutes les circonstances,  comme nous 1’avons fait, il serait injuste,  tout en blamant Platon, de ne pas lui  trouver d’excuse. Nous ne nous etendrons  pas longuernent sur son Banquet. Que  l’on distingue bien les uns des autres les  interlocuteurs, que Fon fasse attention  a 1’ensemble du dialogue, a ce que nous  appelons 1’economie de 1’ouvrage, que  Fon analyse enfin cette allegorie tirce  de 1’amour physique, puis appliquee aux   mirabor, si quid ibi sit , unde Jiagitio  ipsi praesidium, vel crimini in Socratem  jactato firmamentum peti possit. Sed est  in illo libro, quod maxime ad defenden-  dum a Socrate fagitium pertinet, quod  ut magis pateat, tota ultimee partis, et  velut actus postremi fabulae illius convi-  valis, CEconomia proponenda est, e qua  ipsa appareat, velle pro veris haberi Pla-  tonem, qua ’ in Alcibiadis personam con-  jecta de Socrate dicuntur.    35. Ebrius nempe Alcibiades ad eum  finem, ut neque pedes officium faciant,  comissator supervenit potantibus apud  Agathonem Socrati ceterisque. Hic, ex  lege compotationis , dextrum sibi accum-  bentem Socratem laudare jussus, obse-  quitur cum professione ebrietatis, ut  tamen (p. 332, G) vera se dicturum con-  firmet et redargui petat , si quid mentia-  tur. Ac primo sub imagine quadam lau-    et i/amour grec 9 5   idees, dont Socrate se donnait comme  l’entremetteur et Taccoucheur, et je serai  bien surpris si 1’on y decouvre quoi que  ce soit en faveur du vice infame ou a  1’appui de 1’accusation portee contre So-  crate. On pourra y puiser, au contraire,  les meilleurs arguments pour l’en defen-  dre ; mais il est necessaire d’exposer ici  toute 1’ordonnance de la derniere partie,  ou plutot du dernier acte de ce dialogue,  ou il est clair que Platon veut nous faire  tenir comme vrai ce qu’il a place, tou-  chant Socrate, dans la bouche d’Alci-  biade.   35. Alcibiade arrive a la fin du festin  dans un tel etat d’ivresse que ses pieds  refusent de le porter; il veut prendre sa  part de plaisir avec Socrate et les autres,  en train de boire chez Agathon. La, par  suite d’une convention adoptee entre les  convives, il est force de faire 1’eloge de  Socrate, assis a sa droite, et demande  de 1’indulgence, en se fondant sur ce  qu’il est ivre ; il affirme pourtant qu’il ne daturus Socratem , cum Sileno aliquo  (Conf. §. 18 J nominatim cum Satyro  Marsya , tibicine , illum comparat, cujus  figura, ex ligno, edolata ruditer atque  deformi, utebantur artifices pro theca,  quce intus haberet pulcherrimum aliquem  Mercuriolum (p. 333, F) : scilicet in  corpore deformi habitare animam pul-  cherrimam demonstrat : et esse tibicini  Marsyce similem Socratem, ob illam  vim demulcendi animos, cui resisti non  posset.    36. Deinde narrat, cum eundem pul-  chrorum sectatorem quendam ct capta-  torem videret, se, qui fiduciam fornice  haberet, sperasse, si pellicere virum ad  amorem sui (venereum nempe) posset,  eique se prceberet obsequiosum, impetra-  turum se ab illo admirabilem illam ar-  tem, et ablaturum, quce Socrates sciret,  omnia. Hinc narrat verbis quidem ho-  nestis modestisque , ct tamen venia ante dira que la verite et exige, s’il se trompe,  qu’on lui donne un dementi. II com-  mence, pour louer Socrate, par le com-  parer a ces grossieres figures de bois  representant Silene ou le satyre Mar-  t syas, le joueur de flute, sculptees sans  travail et sans art, dont les statuaires se  servaient comme de gaines, et qui rece-  laient a 1’interieur quelque joli petit Mer-  cure ; ainsi, dit-il, dans un corps difforme  peut habiter une belle ame; de plus, So-  crate ressemble au joueur de flute Mar-  syas en ce qu’il a, pour charmer, une force  a laquelle nui n’est en etat de resister.   36. II raconte ensuite que le voyant  s’attacher a la poursuite des beaux ado-  lescents et s’efforcer de les prendre dans  ses filets, plein de confiance en sa beaute  parfaite, il avait essaye de lui inspirer de  1’amour, comptant bien qu’avec un peu  de complaisance pour ses desirs il obtien-  drait de lui qu’il lui communiquat son  admirable science, et qu'il gagnerait a  cela tous les talents de Socrate. Alcibiade exorata ebrietati , et pro? fatus (p. 334 ,  C) uti servi aliique profani aures obtu-  rent (zuXa<; 7: avo [xEyaXai xot; walv £7ri0E<?0s)  quam varie, et quibus veluti gradibus,  frustra continentiam Socratis, temperan-  tiamquefrecte fortitudinis hic nomen adji-  cit) tentarit. Summam facit hanc, (p.  334 , G) ut Deos Deasque testes faciat,  se cum totam noctem sub eadem veste  cum Socrate jacuisset, non aliter ab  illo, quam ut filium a patre, aut a fratre  majori frater deberet, surrexisse. Itaque  se frustratum spei esse in homine, quem  hac sola forte parte capi posse putasset.    3y. Enumeratis deinde aliis Socratis  virtutibus, bellica prcesertim , qua sibi  etiam vitam servarit, addit, non se tan-  tum contumelia tali ab eo affectum , sed  Charmiden etiam , Euthydemum et    et l’amour grec gg   place ici , mais en termes honnetes et  mesures, quoiqu’il se soit excuse sur son  ivresse et qu'il ait recommande aux es-  claves et aux profanes de se boucher les  oreilles, le recit des gradations savantes  et de tous les stratagemes vainement mis  en oeuvre par lui pour induire en tenta-  tion la continence, la temperance ou plu-  tot, comme il le dit fort justement, l’he-  roique fermete de Socrate. II conclut en  disant : Je prends les dieux et les deesses  d temoin quapres avoir repose toute une  nuit d cote de Socrate, et sous le meme  m ante au , je me levai d'aupres de lui tel  que je serais sorti du lit de mon pere ou  de mon frere aine. Ainsi, le seul point  par lequel il croyait que cet homme fut  accessible avait tout a fait trompe ses  esperances.   37. Apres avoir ensuite enumere les  autres vertus de Socrate et appuye sur sa  valeur guerriere, a laquelle il etait lui-  meme redevable de la vie, il ajoute qu’il  n’est pas le seul, du reste, a qui Socrate alios multos, quos ille amoris simulatione  deceptos in potestatem suam redegerit ,  ou? oiito; s^aTCatojv w; IpaartT)?, Tuatoty.a piaXXov  autos -/.aOiaTa-ai avi’ epaotou. Nempe adu-  labantur vulgo amatores , certe qui turpe  quid spectarent , pueris aetatula sua et  illa ipsa adulatione superbientibus. Alia  ratio Socratica , quae etiam supra (§. 6)  in Lysidis argumento declarata est. Sua-  vissima sunt reliqua in Symposio Plato-  nis : eo autem referuntur omnia , ut in-  telligamus Socratis hanc fuisse consue-  tudinem . , pulchrorum amorem uti prae se  ferret , cum illis suaviter et amice ut  versaretur, ut virtutis illos amore im-  pleret , reliqua omnia non tanti esse os-  tenderet , in quibus valde sibi elaboran-  dum vir sapiens existimaret. Sanctus ergo Paederasta Socrates ,  et foedissimi , si quod usquam est , crimi-  ait fait un tel affront; que pareille chose  est arrivee a Charmis, a Euthydeme et a  bien d’autres qu’il avait feint d’aimer  tendrement, pour mieux les asservir et  les diriger. Les amis vulgaires, ceux sur-  tout qui esperaient de honteuses com-  plaisances, se faisaient les flatteurs des  jeunes garcons, et ceux-ci n’en etaient  que plus fiers de leur beaute. Autre etait  la methode Socratique, comme nous l’a-  vons montre plus haut en exposant le  sujet du Lysis. Ce qui suit, dans le Ban-  quet de Platon, est charmant ; tout aboutit  a nous montrer que telle etait la coutume  de Socrate de rechercher les bonnes gra-  ces des jeunes gens que distinguait un  exteneur gracieux, et de vivre avec eux  dans une douce et agreable intimite, afin  de leur faire aimer la vertu; ce point  obtenu, il jugeait facile de leur donner  les autres qualites qu’un sage doit s'ap-  pliquer a acquerir.   38. Ainsi, Socrate n’avait pour la jeu-  nesse qu’un amour chaste ; il etait pur du  nis expers : a quo etiam alios avocare  studuit , quod Critice exemplo docet  Xenophon, ejus, qui post in triginta  tyrannis fuit , quem Euthydemi pudori  insidiari cum sentiret , utxov ti Tiaay eiv  dixit, suillo more prurire, eaque re ini-  micitias hominis factiosi et potentis sibi  contraxit; quibus carere poterat , nisi  potius fuisset officium.    3g. Sed admonet me Xenophon de  crimine alterius illo quidem generis, et  multo, ut in malis, tolerabiliore : quod  tamen ipsum etiam in illo adhaerescere,  quantum in me est, non patiar. Accusa-  tur, ut naturalis quidem , sed malce ta-  men libidinis suasor et leno quidam,  propter ea quce referuntur in Xenophon-  tis Convivio (c. 7 et g). Sed nec ibi quid-  quam est, cujus bonum Socratem, aut  illius amicos pudere debeat. Spectacula  exhibentur convivis mirabilia , partim vice infame entre tous. Bien mieux, il  s’efiforcad’en detourner lesautres, comme  Xenophon nous 1’apprend par 1’exemple  de Critias. Ce disciple de Socrate, devenu  par la suite l'un des Trente tyrans, avait  voulu attenter a la pudeur d’Euthydeme ;  lorsque son ancien maitre Bapprit : II a  le prurit du porc{ i), s’ecria-t-il ; paroles  qui lui attir£rent 1’animosite d’un homme  puissant et redoutable, ce qu’il lui eut  ete facile d’eviter, s’il n’avait mieux aime  faire son devoir.   3g. Mais Xenophon me fait songer a  une autre accusation qui a ete egalement  portee contre Socrate ; quoique moins  grave, elle n’en est pas moins facheuse,  et je l’en disculperai de toutes mes forces.  On lui reproche, a 1’occasion d’un inci-  dent rapporte par Xenophon, dans son  Banquet , d’avoir excite ses disciples a la  debauche, ce qui serait pernicieux encore,   (i) Concupiscit ad Euthydemum se affricare  quemadmodum porcelli solent ad saxa (Xeno-  phon, Memorabilia).       etiam periculosa , et horrorem quendam  spectantibus moventia , inter districtos  gladios corpora saltu jactantium , aut in  figuli rota circumacta scribentium le-  gentiumque. Non placent ea Socrati, qui  aptius convivio spectaculum putat ipyjln-  Gat r.poc, tov auXov T/rJijiaTa, Iv oi; Xapixe; ts  •/.a't Qpat, xa\ Niifxcpat ypstaovtai, ad tibiam  edi motus et saltationes, eo habitu, quo  Gratiae, Horae, Nymphae a pictoribus  exhibentur.    Forte suspectum alicui fuit hoc quod  Gratice nuda; pingi solent. Sed huic sus-  picioni repugnat , quod dicitur Ariadne  illa saltatrix w; vop-sr, xcy.ocju.rjU.svr,, sponsce  autem profecto apud Grcecos nudce esse     bien qu’i.1 s’agisse ici de plaisirs confor-  mes au vceu de la nature, et de s’etre fait,  en quelque sorte, entremetteur. II n’y a  rien, dans ce passage, dont doivent rougir  1’honnete Socrate et ses amis. Des mimes  viennent d’executer devant les convives  toutes sortes d’exercices extraordinaires,  quelques-uns tres-dangereux et propres  a donner le frisson aux spectateurs; on  a vu les uns presenter leurs poitrines, en  sautant, a des pointes d’epees rangees en  file ; d’autres lire ou ecrire enfermes dans  une roue de potier mise en mouvement.  Ces exercices deplaisent a Socrate ; il  pense qu’il serait plus convenable, au  milieu d’un festin, de voir des danseuses  executer des poses, au son de la Jlute,  sous le costume que les pcintres pretent  d’ ordinaire aux Graces, aux Heures et  aux Nymphes.   Cela a pu paraitre suspect parce qu’on  a coutume de representer les Graces  toutes nues. Mais ce soupcon ne repose  sur rien, car la danseuse qui parut  alors, habillee en nymphe, representait      I Ob   non solebant : nymphae in insectis ab  eo ipso dicta?, quod involuta? sunt. Gra-  tias decenter vestitas contemplari licet  in Grcecis monimentis apud Montfauc.  Ant. Expl. To. i Tab. iog ad p. ij6.  Movit forte eum, qui primus crimen  hinc excerpsit Socrati, a/r^a-coiv appel-  latio, qua? inter alia ad turpes figu-  ras refertur , quales olim Philcenidis et  Elephantidis commendatas libellis fuisse  constat (i), ut hic ejusmodi impudens  spectaculum suspicaretur . Sed tum inter-  jecta de amore disputatio ( 2 ) (c. 8) tum  ipsa perfectio exsecutioque consilii (c.  g) suspicionem illam eximunt. Aguntur  Ariadnes et Bacchi nuptice,sed illa ut in  scenam nihil veniat, pra?ter oscula et   (1) De quibus Spanhem. de usu et Praest.  numism. Diss. i 3 . p. 522 . sq. Hic ay 7 jfi a est  omnis gestus saltantium blandus, minax, derisor.  Vid. Lucia. de Saltat, c. 18. T. 2 p. 278 in  primis c, 36 . extr.   (2) Apertior, simpliciorque , et incautior adeo  Xenophontis de his rebus oratio , quam Plato-  nica : sed cujus summa eodem pertineat, uti ab  impura libidine ad sanctam animorum conjunc-  tionem homines revocentur.       Ariadne, et les Grecs ne permettaient  pas le nu dans les roles de femmes  mariees. D’ailleurs, certains insectes  imparfaits sont appeles nymphes pre-  cisement parce qu’ils sont enveloppes.  On peut voir aussi, dans YAntiquite' ex-  pliquee de Montfaucon, que les Grecs,  meme sur leurs monuments, figuraient  les Graces decemment vetues. Celui qui  le premier a lance contre Socrate cette  accusation s’est peut-etre effarouche du  mot pose, qui, entre autres, est applique  a des images obscenes, du genre de celles  qu’on rencontrait dans les livres de Phi-  laenis et d’Elephantis (i); il a soupfonne  Socrate d’avoir reclame un spectacle lu-  brique. Or, ladiscussion surTarnour qui  intervient alors ( 2 ), 1’execution et l’ache-   (1) Spanheim (De prostantia et usu numisma-  tum antiquorum) parle de tout cela. On appelait  poses toute esp6ce de geste lascif, provocant ou  railleur, des mimes. ('Comparez Lucien, De la  Danse, ch. XVIII.)   (2) Le dialogue de Xenophon est bien plus franc,  bien plus simple et bien moins circonspCct que celui  de Platon ; tous les deux d’ail!eurs vont au meme      amplexus , cetera reservantur postsce-  niis (i).    but, qui est de detourner les hommes des plaisirs les  plus impurs et de les rapprocher dans une sainte  communion des ames.    (r) Tales saltationes s. repraesentationes etiam  pars sacrorum erant. Apud Lucia. in Pseudom.  c. 38 . To. 2 p. 244 xsXsx7]'v xtva cuvtaxaxat  Alexander , xai SaStyta?, xat tepocpavxta; —  In his mysteriis et sacris etiam est KoptoviSo?  yapto; cum Apolline — item riooaXstpiOU xai  pLTjTpo; AXs^avSpou yauo; — denique SsXrJvr^  xai AXs^avBpou spto? — Alexander ut Endymion  alter xaOsuSwv exsixo sv xw piato — cptXrjtxaxa  xs eytyvovxo xat ~£pt~Xoxa\, st 8s ar t r. oXXat  iqaav at 8a8ss, xay’ av xt xat xwv utco xoXtcou  sjxpaxxsxo. Apposui locum , quia hic etiam  7t$pt7tXoxa'i, et tamen nihil obscenum.    ET l’aMOUR GREC IO9   vernent immediat du divertissement qu’il  avait demande, enlevent toute force a  cette conjecture. Les mimes representent  les noces d’Ariadne et de Bacchus : mais  on ne voit rien de plus sur la scene que  des baisers et des etreintes amoureuses ;  le reste se passe derriere le rideau (i).   ( 1 ) Ces sortes de danses et de reprdsentations  faisaient partie des Myst6res. Dans lM lexander seu  Pseudomantis, de Lucien, on voit Alexandre, in-  troduit comme nouvel initii, passer par les 6preuves  du dadouque et de l’hi<5rophante. Parmi les scenes  religieuses auxquelles cette initiation donne lieu  figurent : les noces d’Apollon et de Coronis, celles  de Podalirius et de la mere dAlexandre, enfin les  amours d’Alexandre et de la Lune. « Alexandre,  comme un autre Endymion, etait couchd au milieu  du theatre; on dchangeait des caresses et des bai-  sers. S’il n’y avait pas eu D des torches en quan-  tite, peut-etre bien qu’il se fut laiss6 entrainer a  faire qucedam earum quce sub veste Jieri solent. »  Cest un peu ldger ; cependant il n’y a rien la de bien  obscene.   — Gesner aurait du citer Lucien plus complete-  ment ; ce passage du Pseudomantis offre un tableau  de genre exquis : « Alexandre, comme un autre  Endymion, etait couche au milieu du thdatre, faisant  semblant de dormir. II tombait de la voute, comme du  ciel, une certaine Rutilia, tr£s-jolie, qui jouait le  role de la Lune et qui dtait la femme d’un intendant  de 1'einpereur. Elie aimait vraiment Alexandre et    10    I IO    SOCRATE    40 . Finem et effectum negotii ita indi-  cat Xenophon : teXo; 0 i ol <jup.7ioToci ’.oovte;  T:ept6e6Xr]xdT:a; ts aXXrjXou c xai oj; et; euvrjv    aTr-.ovTa:, 01 (j.r,v ayauoi yaixetv £zw[xvuaav, 01  oe ysyap-rixoTec, ava 6 xvc£; Ijci xou; ? 3 C 7 COUS, a-rj-  Xauvov Tipo; xa; lauxujv yuvaTxa;, otim; xojxojv  xuy otsv . Tandem post blanditias quasdam ,  verecundas, maritales, complexi se invi-  cem sponsus et sponsa , i. e. manibus  implexis, vel brachiis mutuo cervici im-  positis, vel tergo circumjectis , velut  cubitum discedunt : ab hoc spectaculo  incalescentes , et ut paullo ante dicebat,  av£7iTEpo)|jiivoi (vid. no. ad §. i5) convivae  caelibes dejerant, se ducturos esse uxo-  res ; mariti autem equis conscensis domos  festinant, ut simili voluptate et ipsi  fruantur. Utinam vero e spectaculis et  theatris hodie ita discederetur ! utinam  Socratis hac parte disciplinam sequeren-  tur publicarum Voluptatum Tribuni.  Talia spectacula edere debebant Romani    eu 6tait aimee. Sous les yeux de son propre mari,   iis echangeaient des caresses et des baisers »     40. Xenophon indique de la maniere  suivante la fin et les resultats de l’his-  toire. Apres toutes sortes de caresses  honnetes et maritales, les deux epoux se  tenant embrasses, c’est-a-dire, je pense,  les mains entrelacees ou les bras pas-  ses mutuellement soit autour du cou,  soit autour de la taille, s’eloignerent  comme pour aller se coucher. Echauffes  par ce spectacle et se sentant de furieu-  ses demangeaisons, comme s’il leur pous-  sait des ailes , les convives encore celiba-  taires /irent le serment de ne pas tarder  a prendre femme ; les maris monthrent a  cheval et se haterent de regagner le lo-  gis, pour gouter d leur tour de sem-  blables voluptes. Plut au ciel qu’aujour-  d’hui on quittat les spectacles et les  theatres dans de si bonnes intentions !  plut au ciel que cette partie de la disci-  pline Socratique fut pratiquee par les  ediles preposes aux plaisirs publics ! Ce  sont de tels divertissements qu’auraient  du decreter les empereurs Romains, sou-  cieux d’exciter toutes les classes au ma-    principes , cum de maritandis ordinibus ,  et sobole Romana augenda soliciti erant :  talia conveniebant nuper Lutetia ? et Gal-  lice adeo universae, quum Ducis Burgtin-  dice natalem nuptiis mille puellarum  celebrarent : talia magnam Britanniam ,  si quid veri habent quorundam qucerelce,  Swiftiance praesertim , quas eo loco protu-  lit , ubi de abrogando clero disputat : aut  eorum , qui hodie peregrinos invitandos ,  supplendi populi causa . et civitate donan-  dos , censent.    41. Nempe incidit aetas Socratis in ea  tempora, ubi civium paucitate laborabat  exhausta bellis Persicis et Peloponnesia-  cis Attica , cui etiam lege matrimoniali  obviam ire, et afferre remedium , conati  esse dicuntur. Debemus notitiam hujus  legis ipsi Socrati, quatenus nulla forte  illius mentio extaret hodie, nisi de dua-  bus Philosophi uxoribus jam olim dispu-  tatum esset. Res cum queestioni. de qua    riage ct d’accroitre la posterite de Re-  mus : iis auraient convenu naguere a  la ville de Paris et a la France entiere  lorsqu’on feta la naissance du duc de  Bourgogne en mariant un millier de  jeunes falles; iis auraient bien fait Faf-  faire de la Grande-Bretagne, s'il y a  quelque chose de vrai dans ces plaintes  dont Swift surtout s’est fait l’e'cho et qui  reclamaient 1’abolition du celibat despre-  tres; iis conviendraient encore a ces  pays ou l’on attire les etrangers en leur  conferant les droits civiques pour sup-  pleer au petit nombre d'habitants.   41. Socrate vivait a une epoque ou  1 ’Attique, epuisee par les guerres des  Perses et du Peloponese, souffrait de ne  plus avoir qu'une population clair-se-  mee ; on dit menae que les Atheniens s’ef-  forcerent de remedier a cet etat de choses  par une nouvelle loi touchant lesmaria-  ges. Nousdevons 1’unique renseignement  que l’on ait sur cette loi a Socrate , car  il n’en subsisterait aujourd’hui aucune     agimus conjuncta sit , illam , quam brevi-  ter jieri potest , expediemus. Duas So-  crati uxores vulgo tribui videmus, Xan-  thippen e qua Lamproclem susceperit, et  Myrto , Sophronisci atque Menexeni  matrem. In hoc conveniunt Cyrillus  ( contra Julia. I. 6. p. 186, D) et Theo-  doretus (Grcecar. Affect. curat, ser. 6 p.  ij4, 40) ac Diogenes Laertius (2, 26).  Porro de Xanthippe Cyrillus ex Por-  phyrio, 7tspi7tXa-/.asav XaQstv, clanculum in  ipsius amplexus venisse ; quod plane  repugnat Platoni et Xenophonti, qui  nullius conjugis prceter Xanthippen , jus-  tam uxorem , mentionem faciunt : tum  Theodoreto, qui tamen ipse quoque sua  debere ait Porphyrio, sed non tantum  pro TCspiTt^axetaav XaOsTv habet 7:po<j-XaxeTcjav  Xa6sTv, induxisse priori uxori, ut pereat  illa secreti , et furti amatorii notio : sed  etiam addit, solitas esse eas mulieres in-  ter se depugnare, deinde pace facta con-  junctim impetum facere in Socratem  ideo , quod is bella illarum non dirime-  ret : hunc vero utrumque genus pugna:   mention sans la controverse autrefois  agitee au sujet de ses deux femmes.  Comme cette question tient a notre su-  jet, nous la discuterons bridvement. On  donne communcment a Socrate deux  femmes : Xantippe, dont il eut un de ses  fils, Lamprocles, et Myrto, la mere de  Sophronisque et de Menexene. S. Cy-  rille, Theodoret et Diogene de Laerte  sont tous les trois d’accord la-dessus.  Mais S. Cyrille, empruntant ce detail a  Porphyre, dit de Xantippe que son ma-  riage avec Socrate fut clandestin, qu’elle  se cachait pour 1’embrasser, ce qui con-  tredit absolument Xenophon et Platon,  puisqu’ils ne parient d’aucune autre  femme que de Xantippe, epouse legitime  de Socrate. Theodoret, qui lui aussi dit  tenir de Porphyre ses renseignements,  change 7iepi7tXoaEiaav XaOsTv en npovnXxxsT-  aav XafleTv et declare ainsi que Socrate  introduisit Xantippe chez sa premi^re  femme, ce qui ruine toute cette histoire  de mariage secret, et de furtifs baisers ;  bien mieux, il ajoutc que ces deux me-     cum risu speci are consuevisse. Utri fi  dem habebimus?    42. Sed nondum est finis discordia-  rum. Theodoretum si audimus , induxit  Xanthippen suce jam Myrto Socrates :  sed Laertius negat convenire inter auc-  tores , utram prius duxerit. Idem ait ,  simul ambas habuisse Socratem , a qui-  busdam esse traditum. In hac sententia  etiam fuit auctor Dialogi Halcyon , qui  inter primos Lucianeos editur , in cujus  fine Socrates dicat , se Halcyonis amo-  rem in maritum suis conjugibus Xan-  thippee et Myrto prcedicaturum esse.  Antiqua porro esse illa relatio memora-  tur Callisthenis , Demetri Phalerei , Sa-  tyri Peripatetici , Aristoxeni Musici ,   geres se battaient continuellement, puis  la paix faite, tombaient a poings fermes  sur le pauvre Philosophe, en lui repro-  chant de ne les avoir pas separees: pour  lui, il restait simple spectateur du com-  bat et voyait donner ou recevait lui-  meme les coups en souriant. A qui faut-  il s’en rapporter, de S. Cyrille ou de  Theodoret?   42. Et nous ne sommes pas au bout  de la querelle. Dapres Theodoret, So-  crate epousa Xantippe, dtant deja marie  a Myrto; mais Diogene de Laerte af-  firme que les auteurs ne sont pas d’ac-  cord et qu’on ne sait qui des deux il  epousa la premiere. Il dit aussi qu’il les  eut toutes les deux ensemble, et sur  quelles autorites repose cette assertion.  Elie a ete accueillie par 1’auteur du dia-  logue intitule Alcyon, imprime en tete  de ceux de Lucien; on y voit Socrate  proposer en exemple a ses deux femmes,  Xantippe et Myrto, 1’amour d’Alcyon  pour son mari. Plutarque (Vie d’Aris-    i   Hieronymi Rhodii, apud Plutarchum  (vita Aristid. extr.) qui ceteris narrandi  auctorem fuisse ait Aristotelem in libro  de nobilitate, (rapi s-jyevsia;) qui tamen  liber an sit Aristotelis, Plutarchus dubi-  tat : narrant autem ita, Aristidis neptim  Myrto, vidua cum esset et paupercula,  domum ductam a Socrate, eique cohabi-  tasse, licet aliam uxorem habenti .    43. At non licebat a Cecrope inde  Athenis plure s una habere uxores. Qui  sit igitur, ut neque Comici exprobrarint,  neque Accusatores objecerint digamian  Socrati ? Hic nobis narrant Athenaeus et  Laertius legem, latam supplenda 1 multi-  tudinis civium causa. Exstabat Athenceo  prodente ipsum decretum a Rhodio Hie-  ronymo conservatum, wax' si-eivat xai ouo    ET 1/aMOUR GREC I i q   tide) rapporte que cettc opinion etait  ancienne, et qu ; elle fut partagee par  Callisthene, Demetrius de Phalere, Sa-  tyrus le peripateticien, Aristoxene le  musicien et Hieronyme de Rhodes;  Athenee dit de son cote qu’ils Tavaient  tous puisee dans le Traite de la No-  blesse d Aristote, livre dont cependant  Plutarque doute qu’Aristote soit l’au-  teur. Tous racontent que- Myrto, pe-  tite-fille d Aristide, etant veuve et se  trouvant dans une extreme pauvrete, fut  recueillie par Socrate dans sa maison et  qu’il cohabita avec elle, quoiquhl fut  deja marie.   4 J - Les vieilles lois de Cecrops inter-  disaient cependant a Athenes les doubles  unions. Pourquoi donc ni les poetes co-  miques, ni les accusateurs de Socrate ne  lui ont-ils reproche ou oppose ce cas de  bigamie ? Cest a ce propos qu’A.thenee et  Diogene de Laerte nous parient de cette  loi nouvelle_, edictee, disent-ils, dans le  but d’accroitre le nombre des citoyens.    120    SOCRATE    'systv yuvatxa; tov [3o'jaojj.£vov. Secundum haec  male accusaretur Socrates, qui et legi  paruerit de augenda sobole Attica , et  Aristidis progeniem viduitate et pauper-  tate extrema liberaverit.    V    44. Verum enim vero totum hoc de  duabus Socratis uxoribus , quin de lege  maritali etiam falsum esse , prcesertim  ex dissensu commemorato , itemque ex  Platonis et Xenophontis silentio arguit  Bentleius (1). Et habet , quantum est de  monogamia Socratis, magnum auctorem  Pancetium, quem laudat Plutarchus, qui  cum retulisset eam quce modo proposita  est de Myrto narrationem, satis illam  refutatam ait a Panaetio : cujus si opus  hodie extaret, facilior forte hodie esset  causa Socratis, quem tamen a turpi pue-   (/) In Dissertat, de Phalaridis et exteror.  Epistolis, ET l’aMOUR GREC 12 1   Athenee s’avance jusqida dire qu’il y  avait un decret, conserve par Hieronyme  de Rhodes, et ainsi concu : « 11 est per-  mis d’avoir jusqua deux femmes. » Si  cela est vrai, on accuserait mal a propos  Socrate, qui n’aurait fait qu’obeir a la  loi portee en vue de repeupler 1’Attique,  et qui de plus aurait sauve du veuvage  et de la mis&re la petite-fille d’Aristide.   44. Mais vraiment Phistoire des deux  femmes, tout aussi bien que celle  de la loi matrimoniale, paraissent en-  tachees de faussete a Bentley (1); il se  fonde surtout sur le desaccord que nous  avons signale et tire une grande preuve  du silence de Platon et de Xenophon.  Nous avons, pour ce qui est de la monogamie de Socrate, une excellente autorite, Pantetius, dont Plutarque fait le  plus bel eloge; apres avoir rapporte ce  que nous avons dit de Myrto, il ajoute  que cettefable a ete suffisamment refutee   ( 1 ) Dissertation sur les Epitres de Phalaris, Themistocle, Sacrale et Euripide (iu-8"). SOCRATE  rorum amore, et a lenocinio turpi, et a  libidinosa digamia, vel sic satis liberatum esse confido.  ET L AMOUR GREC par Panaetius. Si nous possedions son  livre, la cause de Socrate serait aujourd’hui plus facile a defendre; je pense  cependant avoir prouve qu’il ne fut ni  un corrupteur de la jeunesse, ni un  provocateur a la debauche, ni un bigame libertin. Alcibiade; ses avances  repouss^es par Socrate.  Ame, comparde par Platon a un attelage ai!6  — classification des ames  suivant le degrd de  connaissances acquises  avant la vie, p. Amour philosophique, — raisons  qui dirigent les choix  dans cette sorte d’amour — les  impuretes ou il peut  s’egarer -- Analyse du Lysis, dialogue de Platon — du Phedre — du Banquet -- Beaute morale et Beaute  physique -- Bigamie; Socrate eut-il  deux femmes? -- la bigamie  etait-elle autorisde en  Grece ? -- Cohorte sacree des  amants, a Thebes et  en Crete -- Inspires; couples d’amis -- Minies ; leurs exercices et  poses plastiques -- riaiospaatsta, le mot  et la chose pouvaient  etre pris en bonne part,    chez les Grecs -- Peines portees par les  Grecs contre les infames -- Pronostics tirds par les  physionomistes de la  voix forte et grave — de lencolure  courte — des  oreilles velues -- des grosses levres -- du nez camard — des  yeux saillants, Representations mythologiques et divertissements dans les festius — dans les  mysteres -- effets singuliers produits parfois sur les  convives par ces representations, p. m.   Socrate; motifs ordinaires des accusations  portees contre lui -- pourquoi il  recherchait les beaux  garcons -- son  portrait physique -- Socrate l’ Ecclesiastique ; comment il a accuse, sans preuves, Socrate le Philosophe -- Sparte ; coutume rappor-  t6e par Elien -- les amours impures y  etaient ignorees -- Paris. — Imp. Motteroz, 3 i, rue du Dragon. Gabriele Giannantoni. Giannantoni. Keywords: la dialettica, dialettica, Epicuro a Roma, Calogero, il principio dialogo, Lucrezio, Cicerone. -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannantoni” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giannetti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del corposcolarismo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Albiano di Magra). Filosofo. Grice: “I like Giannetti; for one, he is the only philosopher I know whose first name is ‘Pascasio.’ He taught at Pisa, but not in the tower – Oddly, while he is from Tuscany, there is a street (‘via’) in La Spezia named after him!” – Grice: “His logic was considered heretic, at least by the duke, who diligently expelled him from any obligation of teaching!” – Insegna a Pisa. Quando lascio la cattedra,  gli successe Grandi. Di formazione galileiana, fu un acceso nemico dei Gesuiti. Sollecitato da Grandi, che lo aveva anche introdotto a Newton, cura GALILEI (Firenze). Rimosso da Pisa da Cosimo III de' Medici, vi fece rientro alla morte di quest'ultimo.  N C. Preti, Dizionario Biografico degli Italiani, Memorie storiche d'illustri scrittori e di uomini insigni dell'antica e moderna Lunigiana, Dizionario Biografico degl’Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. G. Essendo G. tra'maestri più singolari di filosofia a Pisa, quanto onore a quello Studio recasse non si può dire. Costui ebbea quelle scienze pro clive natura, e tanta forza e vivacità d'ingegno che a sermonare e discorrere di materie filosofiche pare nato a posta. Fu e'di Albiano di Lunigiana, e divenne lettore in detta Università; e così bene in cattedra sue dottri ne tratto, che per lo più savio discepolo di Marchetti e Bellini, cattedranti nobilissimi, tutti lo conoscevano. Nulla ignoto eragli di quanto GALILEI e Gassendo aveansi ritrovato, e sostenitore acerrimo fu della filosofia corpusculare. Per ques stoguerra eterna pareva intimata avesse a tutti li Peripatetici e Scolastici ostinati; che ligii si di chiaravano agli antichi sistemi, quali adesso ricor dansi appenanelle scu ole de'monasteri. Per lo che il G. futenuto per uno de'più arditi e co raggiosisostenitori degli insegnamenti novelli e assai molesto riuscì a'superstiziosifilosofanti, ma in particolar modo ai Gesuiti i quali, potendo al loramoltissimopressoCosmo IIIde'Medici,fece ro in grave sospetto cadere di errori di religione G. non solo, ma quasi tutta la Pisana Università. Per tale cagione , sendo state forti let tere scritte e minaccevoli ai professori con ordi nare, che non volevasi filosofia democratica, G., cui sapea benissimo delle persecuzioni altrui schermirsi e rintuzzare le dicerie degli imperiti con la dotta e mordace sua lingua, difese con trion fo la causa per iscrittura,nè mai digua proposta sentenza cesso. Finalmente costretto di mutar cattedra e di leggere medicina, non ostan te filosofava su i nuovi sistemi anche interpretan do gliaforismi d'Ippocrate e di Galeno,e men tre con eloquio squisito e con pompa di erudizio ne le materie mediche spiegavà,senza punto de nigrare alla gravità della scienza e del loco ; l' al trui cabale e leggerezze con vaghi scherzi e arguti motti derideva. Moltissimo ancora si adoperò in fisiciani sperimenti e nelle savie cure di Tilli per ogni maniera di lode famoso: nè mezzanamente sidistinse insieme con lo Zambescari di Pontremoli suo collega a sperienze fare nti lissime su le terme del territorio Pisano e Luriena se,che servirono ad ambeduni di grande merito. Intra le altre fece minute prove su l'acqua salsa di Monzone di Lunigiana, e trovolla più efficace di quella del Tettuccio di Valdi Nievole, e poteró  Viri Paschasii Giannelli Albianeusis Philosoph. et Medicin, in Pisau. Acudem . Professoris logeniiacumine eloquen.et ingenua philosoph. libert. Quam difficillimis temporib, fere solus inter Acadlem. retinuit ConcesseratAun.S Thomas Perellius praecept. et Amico Vasoli Io non posso tacere di aver molte cose rica vato diquesto librodalle fạtiche e dagli scritti di questo Pier Carlo Vasoli di Fivizzano, il quale sembra avesse in mente d'illustrare sua patria , e però non deggio scordarmi di retribuirlo di grata inemoria, tanto più che molto distinto riuscì nel la medicina e buon coltivatore della poesia. Que stouomoerudito, comeraccontaincertosuoEr bariolo Lunense m . s., avendo studiato prima a Bolognae poi a Pisa allascuola del celebre Malpighi, dove si dottorò verso la fine del  si estrarre il sale catartico a guisa di quel d' In ghilterra , se non venisse incautamente adulterata. Benespesso Pascasio dilettavasi d'investigare le azioni è i consigři degli uomini più che i segreti dellanatura,equasi Epicuro con aspreparoleab batteva i vizi ele inezie altrui. Mente profonda mostrò in tutto, ma poca industria: e vivendosi fino alla vecchiezza, dopo 57 anni di lettura in quella Università, muore in una villetta che avea a Capannoli su quel di Pisa, e sepolto nella chiesa diquella terra, fugliper Tommaso Pe relli suo scolare messo questo marmo sopra il se polcro, riferito ancora da inonsignor Fabroni in sua stor. dell'Univ. Pis., dove parla del Giannetti: = Pijs Manibus et Memoriae aeternae Cum paucisaetatis suae comparandi Obiit Octuagenario major in proxima Villula In quam post impetratam a docendo vacationem G. Nasce, da Polidoro, ad Albiano Magra di Aulla in Lunigiana. Avviato agli studi filosofici, li coltivò, insieme con quelli medici, presso l'Università di Pisa, dove era ben viva la tradizione galileiana e, in fisica e in medicina, era ben rappresentata la corrente meccanico-corpuscolarista. Fu il gruppo di docenti formatisi alla scuola di G.A. Borelli a istradarlo verso questa tradizione concettuale; soprattutto Marchetti, Bellini e Zerilli lo introdussero allo studio delle opere, oltre che di Galilei, di Gassendi e del Borelli. Parallelamente, il G. attinse da G. Del Papa gli stimoli di un diverso indirizzo, anch'esso presente nell'ateneo pisano, teso a far convivere, soprattutto in campo medico, il galileismo con esigenze di ordine pratico.  Laureatosi in filosofia (promotore e il Del Papa), G. ottenne nello stesso anno la lettura di logica e filosofia naturale. Il suo magistero, argutamente antiaristotelico e apertamente atomistico, dovette risultare piuttosto efficace. Quando si delineò una reazione generale della Chiesa contro quelle interpretazioni dello sperimentalismo considerate arbitrarie e potenzialmente eversive dell'ortodossia religiosa, a causa dei possibili esiti materialistico-libertini, il G. fu direttamente coinvolto. Insieme con altri sei lettori pisani, si vide intimare dall'auditore F.M. Sergrifi di non insegnare la filosofia atomistica. Per nulla intimidito, a detta di A. Fabroni, il G. alimentò le polemiche che seguirono con un libello, oggi perduto, in difesa dei lettori ammoniti. Poca sorpresa dovette quindi destare tra i contemporanei il provvedimento, preso dal governo di Cosimo III, di trasferire il G. alla lettura di medicina teorica, mitigato dal permesso di tenere lezioni domiciliari di filosofia.  Come lettore di questa disciplina medica, il G. mostrò di voler tenere aperti spiragli per un discorso "moderno". Lesse gli Aforismi d'Ippocrate, proclamandosi così seguace dell'indirizzo che privilegiava la pratica clinica sulle questioni di teoria medica, ma nel commentarli continuò a seguire i novatori.  In particolare, a quanto sembra, già in questa fase i motivi galileiano-gassendiani si erano venuti in lui incrociando con motivi della dottrina newtoniana. Da questa aveva recepito la tesi della struttura porosa della materia, che, attraverso l'ipotesi dei diversi ordini di combinazione dei corpuscoli, è assunta come matrice delle qualità macroscopiche dei corpi. È probabile che una delle fonti attraverso le quali il G. venne a conoscenza della teoria newtoniana sia stata il padre camaldolese G. Grandi, suo buon amico (Ortes ci riferisce che il Grandi "solea frequentemente conversare" nella casa del G.), ma, a differenza del Grandi, il G. non dovette essere pienamente in grado di coglierne l'impalcatura matematica, tanto da ritenerla conciliabile con la distinzione gassendiana tra punto matematico e punto fisico. G., insieme con Bresciani, G. Averani e altri, fu coinvolto dal Grandi nella preparazione della seconda edizione delle Opere di Galilei (Firenze). Più tardi, alla metà degli anni Venti, il suo nome venne fatto in alternativa a quello del Grandi quale autore di un libretto pseudonimo (Q. Lucii Alphei Diacrisis in secundam editionem Philosophiae novo-antiquae r.p. Cevae cum notis Ianii Valerii Pansii, Augustoduni), che segnò una nuova occasione di scontro tra i novatori pisani e i gesuiti del collegio di Firenze.  Il libretto, nato come replica alla prefazione del gesuita M. Dalla Briga al poemetto Philosophia nova-antiqua (Florentiae), del confratello T. Ceva, fornisce una descrizione caricaturale delle forme di opposizione allo sperimentalismo che, a detta dell'autore, circolavano nel collegio fiorentino.  Non è chiaro se sia da collegarsi a questa polemica il basso profilo assunto dal G. nel quarto decennio del secolo. La relazione sullo stato dello Studio che G. Cerati presentò ai nuovi governanti, ci informa che "già da alcuni anni" G., pur retribuito, aveva interrotto le lezioni pubbliche e si limita a dare privatamente lezioni di filosofia. Cerati attribuiva ciò a non meglio precisate indisposizioni del corpo, ma l'Ortes attesta che G. godette per tutta la vita di ottima salute. Priva di riscontri è la notizia di una sua adesione alla loggia massonica fondata a Firenze, loggia che però sicuramente accolse un buon numero di suoi allievi.  G. muore a Capannoli, presso Pisa, Quelle che sembrano essere le sue uniche opere a noi giunte si trovano a Firenze, Bibl. Riccardiana, ms.  Tractatus phisici iuxta recentiorum opinionem conscripti a G.) e a Pisa, Bibl. universitaria, ms. (PHILOSOPHIÆ TRACTATVS).  Fonti e Bibl.: Per la collaborazione del G. all'edizione fiorentina del 1718 delle Opere del Galilei vedi le lettere di Buonaventuri a Grandi, Pisa, Bibl. universitaria, Carteggio Grandi; sei lettere del G. a Grandi e alcune note di argomento fisico; Acta graduum Academiae Pisanae, Volpi, Pisa; Ortes, Vita di Grandi, Venezia G. Soria, Raccolta di opere inedite, Livorno, Fabroni, Historiae Academiae Pisanae, Pisis, Sbigoli, Crudeli e i primi framassoni in Firenze, Milano; Carranza, Cerati provveditore dell'Università di Pisa nelle riforme, Pisa, Storia dell'Università di Pisa, Pisa, Morelli, Per una storia di Bonducci, Roma, Livorno, Livorno. Pascasio Giannetti. Gianetti. Keywords: corpuscolarismo, implicature corpuscolare, Isaaco Newton, Galilei, Grandi, Giannetti -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannetti: implicatura corpuscolare – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giannetta search – another time?

 

Grice e Giannone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della terza Roma – e l’implicatura ligure – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ischitella). Filosofo italiano. Grice: “Giannone is an interesting philosopher. He philosophised on the ‘citta terrena,’ which is a back-fromation from ‘celestial city,’ and by which he meant Rome! – Then he compared men – in their collectivity, to apes, even if ingenious ones!”  “Non solo i corpi, ma, quel che è più, anche le anime, i cuori e gli spiriti de' sudditi si sottoposero a' suoi piedi e strinse fra ceppi e catene.” Esponente di spicco dell'Illuinismo italiano, discendente da una famiglia di avvocati (anche se il padre era uno speziale), lasciò il paese natale per intraprendere gli studi a Napoli. Si laurea entrando ben presto in contatto con filosofi vicini a Vico. Fu praticante presso Argento, che disponeva di una vasta biblioteca, la frequentazione della quale fu essenziale per la sua formazione.  I suoi interessi non si limitarono soltanto al diritto ed alla filosofia, appassionandosi anche agli studi storici e dedicandosi alla stesura della sua opera storica più conosciuta Dell'istoria civile del regno di Napoli, che gli causò tuttavia numerosi problemi con la Chiesa per il suo contenuto.  Costretto a riparare a Vienna, ottenne protezione e sovvenzioni da Carlo VI, il che gli permise di proseguire indisturbato i suoi studi filosofici.  Il suo tentativo di rientrare in patria fu ostacolato dalla Chiesa, nonostante i buoni uffici dell'arcivescovo di Napoli recatosi a Vienna per convincerlo a tornare a Napoli. Fu costretto a trasferirsi a Venezia dove, apprezzatissimo dall'ambiente culturale della città, rifiutò sia la cattedra a Padova, sia un posto di consulente giuridico presso la Serenissima. Il governo della Repubblica lo espulse, dopo averlo sottoposto a stretti controlli spionistici, per questioni inerenti alle sue idee sul diritto marittimo e nonostante la sua autodifesa con il trattato Lettera intorno al dominio del Mare Adriatico.  Dopo aver vagato per l'Italia (Ferrara, Modena, Milano e Torino), giunse a Ginevra, dove compose un altro lavoro dal forte sapore anticlericale “Il Triregno: il regno terreno, il regno celeste, e il regno papale, che gli costò nuovamente la persecuzione delle alte sfere ecclesiastiche culminate con la sua cattura in un villaggio della Savoia, ove fu attirato con un tranello.  Rimasto nelle prigioni sabaude, fu costretto a firmare un atto di abiura che non gli valse tuttavia la libertà. Fu tenuto prigioniero nella fortezza di Ceva, dove scrisse alcuni dei suoi componimenti più famosi. Trasferito alla prigione del mastio della Cittadella di Torino. +“Dell'istoria civile del regno di Napoli” ebbe enorme fortuna mentre la Chiesa ne avversò le tesi ponendola all'Indice dei libri proibiti, comminando al filosofo una scomunica la quale obbligava Giannone a riparare all'estero. I temi trattati nell'Istoria, sviluppati su precisi riferimenti giuridici, forniscono una lucida descrizione dello stato di degrado civile del Regno di Napoli, attribuendone le cause all'influenza preponderante della Curia romana. Auspica in primis con quest'opera, «il rischiaramento delle nostre leggi patrie e dei nostri propri istituti e costumi».  Nel Triregno, opera aspramente avversata anch'essa dagli ambienti ecclesiastici, presenta la religione secondo un prospetto evolutivo: la Chiesa, col suo "regno papale", si contrappone al "regno terreno" degli Ebrei ma anche a quello "celeste" idealizzato dal Cristianesimo e il superamento del male, che lo Stato Pontificio così incarna, si realizzerà soltanto attraverso un cambiamento di rotta deciso, mediante ulteriore consapevolezza individuale raggiunta dall'uomo nel corso della sua vicenda Storica. Indi teorizza uno Stato laico capace di sottomettere l'istituzione papale, anche mediante un'espropriazione dei beni materiali del clero. La Chiesa porta avanti una forma di negazione di quella libertà individuale che deve essere posta come fondamento giuridico e sociale. Al filosofo sono intestati vari istituti scolastici, tra cui lo storico Liceo classico G. di Caserta, quello di Benevento, quello di Foggia, e quello di San Marco in Lamis.  Nella Storia della colonna infame, Manzoni dedica a G. ampio spazio elencandone i numerosissimi plagi e gli errori che anche Voltaire gli rimprove. Inizia paragonandolo a Muratori e indicandolo come filosofo più rinomato di lui, poi aggiunge un lungo ELENCO e raffronto delle opere plagiate e degli autori, tra cui Nani, Sarpi, Parrino, Bufferio, Costanzo e Summonte: e chissà quali altri furti non osservati di costui potrebbe scoprire chi ne fa ricerca". E conclude che se non si sa se fosse pigrizia o sterilità di mente, e certo raro il coraggio.  Altre saggi: Autobiografia: i suoi tempi, la sua prigionia, appendici, note e documenti inediti,  Pierantoni, Roma, Perino, I discorsi storici sopra gli Annali di LIVIO, Apologia dei teologi scolastici Istoria del pontificato di Gregorio Magno, “L'Ape ingegnosa” “Istoria civile del Regno di Napoli. Napoli, Gravier); G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli.Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli; Napoli, Gravier, G., Istoria civile del Regno di Napoli, Napoli, Gravier. G., Istoria civile del regno di Napoli, Capolago, Elvetica; Nicolini, La fortuna di G.: ricerche bibliografiche, Bari, Laterza, Marini, Il GIANNONISMO (Bari, Laterza). Vigezzi, G. riformatore e storico. Milano, Feltrinelli, Giannoniana: autografi, manoscritti e documenti della fortuna di G., Bertelli, Milano, Ricciardi,  Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di G.., Milano-Napoli, Ricciardi, Mannarino, Le mille favole degl’antichi. Cultura europea nella filosofia di G., Firenze, Le Lettere, Ricuperati, La città terrena di G.: un itinerario tra crisi della coscienza europea e illuminismo radicale, Firenze, Olschki, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Vita scritta da lui medesimo, Feltrinelli, Biblioteca Italiana, filosofico.net/ giannone. htm.  De’ liguri duri e forti. Loro estensione in Italia; e come sopra tutti gl’altri popoli tenesseró esercitati I ROMANI nella disciplina militare, sicchè fossero gl’ultimi ad esser soggiogati. LIVIO in più occasioni, parlando de’ liguri, confessa che niuna provincia esercita cotanto I ROMANI nella virtù e disciplina militare, quanto LA LIGVRIA, poichè dura nelle armi, bellicosa amica di fatiche e di travagli, e di riposo impazienle, nelle sue guerre non tosto era da’ romani vinta che sorgeva più animosa e forte di prima. IS HOSTIS VELVT NATVS AD CONTINENDAM INTER MAGNORUM INTERVALLA BELLORVM ROMANIS MILIAREM DISCIPLINAM ERAT NEC ALIA PROVINCIA MILITEM MAGIS AD VIRTVTEM ACVEBAT. Non abitavano i liguri (eciòanche contribuiva alla loro bellicosa indole) in luoghi piani ed ameni e sotto temperato e molle clima, il quale avesse potuto rendere simili a sè gl’abitatori. Ma all'incontro occupando essi quella occidental parte d'Italia che ha per confine la Gallia Narbonense, vivendo in regioni montuose aspre ed inaccessibili, e per le angustie delle vie acconce a tendere aguali ed insidie; non temeno di numerosi eserciti nè d'istromenti bellici nè di macchine o d'altri apparati militari, difendendoli il suolo e l'arduità de'loro siti. E perciò essi militavo senza molto apparecchio mi cidiale. NIHIL, dice LIVIO, PRÆTER ARMA ET VIROS OMNEM SPEM IN ARMIS HABENTES ERAT. Gli antichi liguri erano divisi di qua e di là delle alpi e dell'appennini o in molti popoli o sieno comunità, non altrimenti di ciòche si è delto degl’antichi etruschi, ed occupavano vastissime regioni. Le alpi marittime e gran parte delle mediterranee erano da essi popolate. Di là delle alpi i più celebri sono i liguri SALII, i DECEALI e gl’OXIBI. Di qua sonoo i VEDIANZI, i VAGIENNI, gli STATIELLI, i MAGELLI, gl’EBVRIATI, i VELIATI, i TIGVLII, gl’INGAVNI, i SALASSI, i LIBICI, i LAVRINI ed altri. LIVIO, oltre questi popoli da Plinio rapportati fa menzione di altri liguri posti di qua dell'appennino chiamati APVANI, i quali VINCENO I ROMANI e debellarono un esercito consolare sotto Q. Marzio console, e nota che il luogo della sconfitta fino a’ suoi tempi chiamavasi perciò il campo Marziano. Fa memoria ancora di altri liguri di là dell'appennini ch'egli chiama liguri FRISINATI. Questi popoli hanno più città o VICHI, dove dimorano ciascuno nel proprio distretto. E  fra le città son da considerarsi alcune antiche ed illustri le quali, secondo la divisione dell'Italia fatta poi d’OTTAVIANO in XI regioni, forma parte della XI. Nella Liguria rivolta al mare inferiore di quà del FIUME VARO, CHE DIVIDE L’ITALIA DALLA GALLIA Narbonense, la prima città marittima che s'incontra e de’ liguri vedianzi chiamata Cimelion. Prossima a questa I MASSILIESI edificano NIZZA alle radici dell’alpi marittime, non lontana dalle foci del fiume Varo, che poi cresce dalle ruine di CIMELIO, città antichissima, la quale ha vescovi prima che da Costantino Magno e stata la religione cristiana fa ricevere nel l'impero. Rimangono ancora le vestigia de'suoi ruderi ed il nome di CIMELIO. L’'antica sua cattedra e unita a quella di NIZZA, la quale non si APPARTIENE già alla Gallia Narbonense, siccome alcuni credeltero, ma secondo PLINIO, Tolomeo ed altri geografi antichi, ALLA NOSTRA ITALIA, come quella che è costrutta di qua del fiume Varo. Antipoli fondata pure da'massiliesi si appartiene alla Gallia Narbonense, perchè eretta di là del fiume. Essa lungo tempo e sotto i massilies i loro fondatori, ed ora sotto i re di Francia è chiamata ANTIBO. Appresso NINZZA nel mar ligustico siegue MONACO GRIMALDI, detta dagl’antichi Porto di Ercole, indi AlbioInlemelio, Albingauno, Savona, Genua, Porto Delfino Tigulia, e più in dentro Segesta città de’ liguri tigulii. Chiude questo confine IL FIUME MACRA CHE DA QUESTA PARTE DIVIDE LA LIGVRIA DALL’ETRVRIA. Dall'altra parte mediterranea ove si erge l'appennino, ampio monte il quale con gioghi perpetui e continuali fino allo stretto siciliano divide l'Italia per mezzo , avevano i liguri di qua e di là d e l monte medesimo nobilissime città; especialmente da un lato del Po Libarna, Dertona, Iria, Barderate, Industria, Polentia, Potentia, Valentia,ed Augusta de’ liguri vagienni. Quest'ultima città posta alle radici delle Alpi Cozie, non molto lontana dal monte Vesulo d'onde il Po ha sua origine, e dappoi resa COLONIA DE’ ROMANI. NON CI RIMANE ORA DI ESSA ALCUN VESTIGIO, ma in sua vece surse al luogo stesso ne'secoli da noi men lontani la città di Saluzzo sede un tempo di principi e capo del famoso marchesato di Saluzzo, la quale in fine da Giulio Imeritò esser decorate della dignità episcopale. Ma sopra queste s'innalzarono nella Liguria tre città non meno antiche che illustri, Alba Pompeia, Asta, ed Aqui città de’ ligur istatielli. Alba posta nella Liguria montuosa presso l'Appennino [H. P. GRICE – SINGULARE, NON PLURALE] nella riva del fiume Tanaro fu dagl’antichi geografi chiamata Pompeia, e per distinguerla da Alba degl’Elvii posta nella Gallia Narbonense, e per aver quella G. POMPEO rifatta e la sciati ivi vestigi di sua memoria e beneficenza. Ha vescovi antichissimi, poichè rapportasi il primo tra questi essere stato nell'anno 350. Dionigi discepolo d’Eusebio, poi innalzato alla cattedra di Milano. E ne'secoli men remoti vi se dettero due uomini insigni che la illustrarono, uno per la prudenza civile, ed e  Lazarino Fieschi de’ Conti di LAVAGNA, al quale la regina di Napoli Giovanna contessa di Provenza commise il governo del Piemonte, da lui quindi amministrato con somma lode commendazione; l'altro per sapienza é somma dottrina ed erudizione, qual fu il famoso Girolamo Vida, quel chiarissimo poeta latino che ci lasciò l'incomparabile sua Criste idee di suoi dotti dialoghi De Republica. Acqui posta alla riva della Bormida in quella parte del Piemonte di là del Tanaro ,la quale Monferrato oggi si ap pella, fa edificatada’liguri statielli popoli potentissimi dell’Asla posta nella Liguria mediterranea non lontana dal Tanaro furesa colonia de’ ROMANI, ed un tempo fu sede d’uno degli’antichi duchi longobardi. Ha anch'essa antichissimi vescovi, i quali quando l'imperio di Occidente passa a’ germani, furono dagl’imperatori molto favoriti ed a sommi onori innalzati; e non poco splendore reca a quella città aver seduto nella sua cattedra vescovi le il famoso Panigarola, chiaro al mondo eloquenza e per tanti monumenti che lascia di sua dottrina. > per lasua   montuosa Liguria. E detta Acqui dall’acque calde che qui vi scaturiscono assai salutifere, siccome oltre la testimonianza di PLINIO, l'istessa esperienza dimostra: e e chiamata Acqui de’ LIGVRI STATIELLI, per distinguerla dall’Acqui sestia de' Salii posta nella provincia Narbonense. E anche sede di uno de’ duchi longobardi. Ma la sua cattedra non è cotanto antica quanto le due precedenti come quella che prende sua origine da’ longobardi che sono i primi ad erigerla. I LIGVRI I si stendevano anche di là del Po, é molte città le quali secondo la divisione d'Italia fatta d’OTTAVIANO sono col locate nella XI regione alle radici dell’Alpi , anche da’ liguri traggon l'origine. Le prime che s'incontrano sono Vibiforo e Secusia, oggi detta Susa, le quali sono poi mutate in due colonie romane. Anche Torino PLINIO fa derivare dall'antica stirpe de’ LIGVRI -- ANTIQVA LGVRVM STIRPE, egli scrive e dice il vero, poichè coloro che la fan derivare da’ massiliesi, sica come Nicea ed Antipoli, vengono a togliere a questa città molto della sua antichità. Non è dubbio che I LIGVRI sieno popoli d'Italia tanto antichi, che di essi non si sa l'origine, onde si credono INDIGENI del paese, nè mischiati con altre forestiere nazioni , non altrimenti che TACITO crede de’ germani. All'incontro de’ massiliesi si sa l'origine ed il tempo nel quale profughi dalla Focide navigando nel mare inferiore e cercando nuove sedi, si fermarorro ne'lidi della Gallia Narbonense innanzi detta Bracata. Ciò avvenne, secondo la te stimonianza di Livio, mentre in Roma regna TARQUINIO PRISCO,quando la prima volta i galli passarono le Alpi, i quali dopo aver soccorso i massiliesi contro i salii che impedivano loro lo sbarco, se ne calaron pe' monti Taurini dall’Alpi Giulie nell'Insubria, discacciandone gl’etruschi. LIVIO stesso rifere che a'medesimi tempi i salluvii, avendo passate l’Alpi, si posarono intorno al fiume Ticino vicino a’ liguri levi, antica gente ed indigena di que'luoghi. Salluvii, e' dice, qui, PRÆTER ANTQIVAM GENTEM LEVOS LIGVRES INCOLENTES CITRA TICINVM AMNEM EXPVLERE. Se dunque i liguri, chiamati da Livio gente antica, quando i massiliesi poser piede nella Gallia Narbonense tenevano questi luoghi. Più antica e l'origine di Torino derivandola da’ liguriche da’ massiliesi, i quali siccome molti e molti anni dappoi che sono stabiliti in Massiglia fondarono Antipoli e NiZZA, molto maggior tempo appresso avrebber dovuto fondare Torino più lungi che quelle. Si aggiunge che quando Annibale cala per l’Alpi in Italia, secondo rapporta LIVIO, Torino e già metropoli degl’antichi popoli Taurini, i quali reggendosi per se stessi hanno allora mossa guerra agl’insubri, e ricusarono l'amicizia di Annibale contrastandogli coraggiosamente il passo, che egli sforza a gran fatica. Inoltre LIVIO stesso rende testimonianza che la prima volta in cui i romani ? mosser guerra a’ liguri e per occasione che questi depredano i campi di NIZZA e di Antipoli, città de'massiliesi soci de’ romani ,e non già i campi di Torino, la qual città perciò non e de’ massiliesi, ma abitata da’ liguri taurini. Sono questi popoli chiamati Tauriniche dieder nome alla città, siccome i monti a piè de'quali essa è posta sono anche detti Taurini, a cagione che dagl’antichi i gioghi de monti erano chiamati Tauri per la figura che sogliono avere simili a'dorsi o alle schiene di tori, ond'è che quel celebre monte che divide la Siria dal rimanente dell'Asia fu chiamato Tauro sic come alcuni altri popoli presso Plinio ed altri antichi geografi son chiamati anch'essi Taurini specialmente nella Scizia, per chè abitano presso i monti anticamente appellati Tauri. Ri dotti poi questi popoli liguri sotto la soggezione de’ romani, OTTAVIO ingrandi la città, che perciò venne poi detta AVGVSTA TAVRINORVM, non altrimenti che Lutetia Parisiorum da’ parisii popoli della Gallia Lugdunense che l'abitano. Hanno i liguri salassi anche in questa XI regione un'altra città, chiamata da Strabone, Plinio, Tolomeo ed Antonino Augusta Prætoria -- ora detta AOSTA -- per distinguerla dall'altra Augusla de’ liguri vagienni già menzionata. E posta frà le due facce dell’Alpi Graie e Pennine. Sono le prime dette da' greci Graie per lo passaggio di Ercole – NISI DE HERCVLE FABVLIS CREDERE LIBET, come saviamente dice Plinio --, e le seconde, siccome volgarmente si crede, dal passaggio di Annibale co’ suoi  cartaginesi sono chiamate “PŒNINE”, secondo avvisa anche Plinio, benchè Livio ne dubiti. Checchè sia diciò, è da osservarsi che da questa Augusta Prætoria, essendo per la sua situazione la prima città d'Italia, gl’antichi geometri prendevan la misura della lunghezza di questo nostro paese, tirando una linea per Capua fino a Reggio, ultima città sullo stretto siciliano. E dessa ancora città famosa ed illustre a’ tempi de’ re longobardi, quando questi tennero il regno d'Italia. Ad Eporedia, città posta nella stessa regione all'imbocco della Valle Augustana e dalle radici dell’Alpi, oggi dell’Ivrea, Plinio da, se non così antica origine, nulla dimeno una assai più illustre, scrivendo che e da’ Romani fondata per impulso degli dei, secondo che da'libri sibillini era stato lor mostrato. OPPIDVM EPOREDIAM, e dice, SYBILLINIS LIBRIS A POPVLO ROMANO CONDI IVSSVM. E antica colonia romana, e perciò cotanto memorata da CICERONE, STRABONE, TACITO, e d’altri romani scrittori. Vercelli anche secondo PLINIO dee riconoscere la sua origine da’ liguri sallii poichè egli scrive: VERCELLE LIBICORVM EX SALIIS ORTÆ. E se dobbiamo prestar fede al vecchio CATONE, Novara anche da’ liguri ha origine, quantunque in ciò PLINIO discordi, facendola derivare da’ vocontii popoli della Gallia Narbonense. Questa era l'antica LIGVRIA che occupa tutta quella gran parte d'Italia occidentale, la quale poscia dal tempo che cangia e muta i nomi,i linguaggi, i costumi, i confini e tutto, sorti altre divisioni e nuovi domini. Furon poi queste regioni chiamate Langa, Monferrato, l'Astegiana, Piemonte superiore, Marchesato di Saluzzo, Piemonte inferiore ovvero tratto Torinese, Canavese,Valle Augustana,Vercellese e Biellese. MOLTI TRAVAGLI I ROMANI SOPPORTARONO PER SOTTOPORRE TANTI POPOLI LIGVRI, poichè questi duri nelle armi e difesi da'luoghi inaccessibili si mantenner liberi, nè prima degl’ultimi tempi della romana repubblica sono ad essa sottomessi. I romani cominciarono a sperimentarli nell’armi dopo che si sono già resi formidabili in Italiae daltrove, dopo che ebber vinto Pirro re di Epiro e lui costretto a ritirarsi nel suo regno, e dopo che nella guerra punica il console C. Lutazio diede [Plin., Hist. nat.] a’ cartaginesi quella terribile rotta nelle isole agale, per la quale costoro furono forzati a chieder pace a’ romani. Allora, finita questa guerra, i vincitori cominciarono a muovere le armi contro i liguri. LIVIO, nella seconda sua deca, seguendo il suo costume, ne avrebbe certamente fatto conoscere le minute circostanze, ma questa deca interamente ci manca. L. Floro nell’Epitome ne rammenta il principio dicendo, ADVERSVS LIGVRES TVNC PRIMVM EXERCITVS PROMOTVS EST. Ma d’altri scrittori romani e da ciò che LIVIO stesso scrive nella III e IV deca, lequali per buona sorte ci rimangono, è facile il conoscere che fin qui i romani non profittarono niente sopra i liguri, poichè è anche fuor di dubbio che nel principio della guerra punica quando Annibale passa le Alpi, i liguri gli prestano aiuto contro i romani; e LIVIO nel primo libro della III deca parra, che col loro favore prese Annibale per insidie due questori romani con II tribuni de'soldati e V figliuoli de'sanniti dell'ordine equestre. Nè dopo scacciato Annibale d'Italia si perderono di animo, sicchè non tenessero continuamente esercitati i romani nell’armi. Ambi duei consoli C. Flaminio contro i liguri frisinati ed apuani -- i quali scorre fino ne’ campi Pisani e Bolognesi --, e M. Emilio contro gl’altri liguri di qua dell'Appennino, sono destinati con II eserciti consolari a soggiogarli: e sebbene ciò avessero i consoli menato ad esecuzione, non mancaron quelli di risorger poi più animosi e forti che prima, sicchè e d'uopo nel seguente anno a'successori consoli Q. Marzio e Postumio, dopo che questi sispacciarono dalle inquisizioni de’ baccanali, riprender la guerra, la quale a Q. Marzio riusci pur troppo infelice, poichè colto il suo esercito da’ liguri apuani fra luoghi strelti e dificili, e dissipato in guisa che, siccome scrive LIVIO, QVATVOR MILLIA MILITVM AMISSA ET LEGIONIS SECVNDÆ SIGNATRIA UNDECIM VEXILLA SOCIORVM AC LATINI NOMINIS IN POTESTATEM HOSTIVM VENERVNT ET ARMA MVLTA QVÆ QVIA IMPEDIMENTO FVGIENTIBVS PER SILVESTRES SEMITAS ERANT PASSIM IACTABANTVR PRIVS SEQVENDI LIGVRES FINEM QVAM FVGÆ ROMANI FECERUNT. Marzio fuggi dunque col residuo  del suo esercito: NON TAMEN, soggiunge LIVIO, OBLITERARE FAMAM REI MALE GESTE POTVIT NAM SALTVS VNDE EVM LIGVRES FUGAVERANT. MARTIVS EST APPELATVS. Nè minori sono gli sforzi ne’ seguenti anni de’ consoli successori, SEMPRONIO Sempronio che pugna contro i liguri apuani ed AP. CLAUDIO contro i liguri ingauni. In breve, dice Livio, e già ridotto in costume non decretarsi a’ consoli altra provincia se non quella de’ liguri onde erano quelli spesso intenti a formare nuove legioni per poter abbattere sì valorosi inimici; la qual cosa non ha effetto se non sotto L. Emilio Paolo il quale, essendogli stata prorogata la consolare potestà, con potente esercito spedito contro i liguri ingauni ottenne su questi piena vittoria, siccome più tardi M. Bebio l'ottenne su’liguri apuani. E finalmente soltanto verso la fine del secolo, insieme con gl'istri, co’ galli cisalpini e con le genti alpine, sono i liguri sottomessi a’ romani. De’ liguri in fatti primieramente trionfo C. CLAUDIO console, e ne’ posteriori anni sono quelli poscia del tutto debellati. Di questa costanza e dabito de’ liguri alle fatiche della milizia ed a soffrire patimenti e disagi, ben si accorse Annibale, il quale passate l’Alpi, nelle sue prime pugne contro i romani, più che in altro popolo e più che ne’ cartaginesi stessi, pose ogni fiducia ne’ liguri de’ quali si vale. E quando profugo da Cartagine ricovrossi sotto Antioco re della Siria, il quale allora ha guerra co’ romani, il più sano consiglio che a quel principe pole dare, siccome Livio scrive e che dove attaccare in due parti i romani dividendo in due classi la numerosa sua armata, ed una, della quale e stato Antioco stesso il comandante e l'ammiraglio, diriger nella Grecia per discacciarne i romani, l'altra, dellả quale egli stesso Annibale e stato il capitano supremo, dopo avere stretta lega co’ cartaginesi, con LE NAVI DI QUESTI INVIARE NEL MAR LIGVSTICO; poichè pensa che sbarcata la sua gente nella Liguria, egli fidando mollo nel coraggio e valore de’ liguri OSTINATI DIFENSORI DELLA LORO LIBERTA CONTRO I ROMANI, bene avrebbe  potuto unendo l’armi liguri alle sue portar nuova formidabil guerra in Italia e porre nuovo assedio fino alle mura di Roma istessa; ma quello stolto e vano re non appigliandosi a QUESTO SANO CONSIGLIO e volendo piuttosto seguire le adulazioni de’ suoi propri capitani, die’ cagione alle tante sue perdite e sconfitte ed alla sua totale rovina. Ma riguardandosi a’ secoli più a noi vicini, non dovrà tacersi un pregio che rese la ligure provincia assai più gloriosa di quante mai possano vantarsi di essere state avventurose madri d’eroi e di semi-dei. Si celebrano cotanto presso i greci e le nazioni tutte del mondo Alcide, Bacco ed Ulisse per le lunghe loro peregrinazioni, per aver debellato i mostri, verte ignote terre e scorsi incogniti mari. Ma Ercole stesso chi fu colui che rese i segni di Ercole favola vile a'naviganti industri? Chi fu colui che rese navigabili quelli che prima erano inaccessibili ed ignoti mari, e fece palesi ai noi regni non meno sconosciuti che vasti ? Chi fu colui che spiegando le fortunate sue antenne ad un nuovo polo, oscurò la fama di Alcide e di Bacco , se non il ligure COLOMBO? Quanto ben gli si adattano, e con quanta maggiore proprietà e ragione con vengono à lui quelle lodi che Lucrezio da al suo Epicuro, e che dal nostro incomparabile TORQUATO assai più acconcia mente furono attribuite al coraggio ed alla grandezza d'animo del COLOMBO, quando di lui canto. Un uom della Liguria avrà ardimento All'incognito corso esporsi in PRIMA: Nè il minaccevol fremito del vento, Nè l'inospitomar, nè il dubbio clima, Nè s'altro di periglio o di spavento Più grave e formidabile or si STIMA, Faran che il generoso entro a'divieti D'Abila angusti l'alta mente accheti [Ger.] – Nasce a Ischitella (Foggia), piccolo centro del Gargano, da Scipione, speziale. Dopo aver compiuto i studi sotto la guida dell'arciprete del paese, Serra, legge filosofia. E inizialmente destinato allo stato ecclesiastico, ma la famiglia muta parere e G. si trasfere a Napoli, dove, grazie all'aiuto del pro-zio, legge diritto presso il procuratore Comparelli. Divenne allievo d’Aulisio, sotto la cui guida studia diritto civile; legge storia nella Biblioteca Brancacciana e in quella di Seripando. Negli stessi anni Angelis lo introduce alla filosofia di Gassendi e ai classici latini e italiani.  Laureatosi a Napoli, G. inizia a frequentare, anche se marginalmente, l'Accademia di MEDINACŒLI, in cui conosce alcune delle maggiori figure della cultura napoletana, fra cui Capasso, Porzio, Caloprese (si veda) e Cirillo sotto il cui influsso abbandona la filosofia gassendiana per abbracciare quella di Cartesio. G. inizia l'attività d'avvocato, conducendo il suo apprendistato presso Musto, ma, INSODDISFATTO della sistemazione, si trasfere, su consiglio di Spinelli, che già lo presentato all'Aulisio, presso Argento. Per la formazione culturale del G. l'incontro con Argento si rivela fondamentale, poiché a casa di questo, inizia a riunirsi l'Accademia de' SAGGI, che, proseguendo l'esperienza della MEDINACŒLI riune un gruppo di filosofi destinati a divenire il nerbo del governo napoletano durante il vice-regno austriaco. E in quell'Accademia che matura il progetto d'una nuova storia del Regno, cui il G. da il suo contributo iniziando a lavorare all'Istoria civile del Regno di Napoli.  Grazie alla sua attività di avvocato, G. si garantì un agiato tenore di vita. Fase decisiva per la sua carriera forense e quando divenne avvocato dei cittadini di San Pietro in Lama in una causa intentata contro il vescovo di Lecce Pignatelli intorno alla questione delle decime. In risposta a due allegazioni di Nicola D'Afflitto, avvocato del vescovo, G. pubblica la scrittura Per li possessori degli oliveti nel feudo di San Pietro in Lama contro monsignor vescovo di Lecce barone di quel feudo intorno all'esazione delle decime dell'olive, cui seguì, l'anno successivo, il Ristretto delle ragioni de' possessori degli oliveti. Tali testi, per la marcata e aperta adesione alle più avanzate tematiche giurisdizionaliste e per gli ampi riferimenti che G. fa alla storia del Regno, provocano una forte e vivace discussione. Molto scalpore suscita la causa in difesa del nipote dell'Aulisio,  Ferrara, arrestato due anni prima con L’ACCUSA D’AVERE AVVELENATO LO ZIO. Vinta la causa, come compenso G. ottenne dal suo assistito i manoscritti dell'Aulisio, di alcuni dei quali avrebbe poi curato l'edizione. A Napoli G. pubblica intanto, sotto lo pseudonimo anagrammatico di Giano Perontino, la Lettera sad un suo amico che lo richiede onde avvenisse che nelle due cime del VESUVIO in quella che butta fiamme ed è più bassa la neve lungamente si conservi e nell'altra ch'è alquanto più alta e intera non duri che pochi giorni. La lettera e frutto degli interessi che G. coltiva sin dal suo arrivo a Napoli (riscontrabili in tutte le opere sino a quelle del carcere) e dai quali, come avrebbe affermato nell'autobiografia, s'era dovuto allontanare perché assorbito dagli studi giuridici e storici.  Infatti G., pur impiegando gran parte del suo tempo nell'attività forense, lavora alacremente all'Istoria civile. E proprio per potervi attendere con più tranquillità che compra una villa presso Posillipo, detta Due Porte perché si riteneva e appartenuta ai fratelli Giovan Battista e Niccolò Della Porta. Nei anni successivi la stesura dell'Istoria lo assorbe sempre di più, tanto che i suoi continui ritiri a Dueporte gli valsero l'ironico soprannome di solitario Piero. L’Istoria civile e ormai pressoché completata. G. fa allora trasferire la tipografia di Nicolò Naso nella villa che il suo amico Vitagliano ha a Posillipo, vicino a Dueporte, e comincia la stampa. Poiché, nonostante l'istruzione ricevuta, e più avvezzo al linguaggio giuridico e al dialetto napoletano che non all'italiano letterario, G. chiede allora a Mela di rileggere l'opera, volgendola, ove necessario, in buon italiano. L'Istoria civile del Regno di Napoli vede finalmente la luce, in un'edizione di 1100 esemplari (1000 in carta ordinaria e 100 in carta reale).  Scritta con lo scopo principale di difendere i diritti e le prerogative dello Stato CONTRO LA CURIA romana, l'Istoria civile non intende tanto apportare nuovi contributi documentari alla storia del Regno, quanto offrirne una nuova interpretazione, esaminandone l'evoluzione dalla DISGREGAZIONE  dell'Impero romano sino al Vice-regno austriaco. G. non raccolge (se non per i primi libri) la documentazione direttamente dalle fonti, ma organizza quella reperibile in altri saggi , in particolare nell'Istoria del Regno di Napoli di Costanzo (L'Aquila, Cacchi), nell'Historia della città e Regno di Napoli di Summonte (Napoli), nella Historia della Repubblica veneta di Nani (Venezia) e nel Teatro eroico e politico de' governi de' viceré del Regno di Napoli di Parrino (Napoli). Il procedimento gli causa, in seguito, l'accusa di plagio da parte di Manzoni nel capitolo della Storia della colonna infame, e poi da tutta la storiografia neo-guelfa, rappresentata, tra gl’altri, da Bonacci e Caristia. Il giudizio non coglie l'importanza dell'Istoria civile, che non sta nella ricostruzione erudita degl’eventi del Regno, ma nell'affermazione del principio dell'autonomia dello Stato. In effetti, se dagli storici napoletani G. traeva le notizie necessarie, i modelli storiografici sono però altri, italiani ed europei. Fra i primi Guicciardini, Sarpi e, soprattutto, Machiavelli delle Istorie fiorentine. Come MACHIAVELLI attribuie alla Chiesa la responsabilità di avere impedito ai Longobardi la realizzazione in Italia di un forte regno nazionale, così G. accusa Roma di avere troncato lo sviluppo dello Stato napoletano, distruggendo l'esperienza normanno-sveva con la chiamata di Carlo d'Angiò. L'avversione nei confronti degl’Angioini è uno dei temi ricorrenti dell'Istoria civile. Alla dinastia francese G. imputa di avere diminuito il potere regio, accresciuto quello baronale, ma soprattutto di aver riconosciuto giuridicamente il Regno come FEUDO della Chiesa. A causa di tale acquiescenza verso il Papato, IL MERIDIONE consuma il proprio distacco dal resto d'Italia, dove invece le dinastie regnanti contrastano apertamente le pretese di Roma. Fra i modelli che ispirano G. sono Thou e Grozio, da cui G. riprende la rivalutazione dei barbari, e in particolare dei Longobardi, visti come signori nazionali, nemici di Roma e di Bisanzio. Tanto G. e avverso agl’Angioini quanto mostra simpatia per gl’Aragonesi, i quali, pur fra incertezze e contraddizioni, tentano di restituire al regno l'autonomia dell'epoca normanno-sveva. Con il dominio spagnolo si conclude tale tentativo e per questo G. e fortemente critico verso Madrid, sottolineandone la politica di sfruttamento nei confronti del regno. L'Istoria civile si conclude con le pagine dedicate al dominio austriaco, nel quale il ceto civile ripone le proprie speranze.  L'Istoria e dunque un'opera collettiva, non perché scritta a più mani - come malignamente sostenevano i nemici di G. -, ma in quanto "opera che raccoglieva e organizza le esigenze del ceto civile (Ricuperati). Con l'Istoria civile G. si e proposto di analizzare le ragioni del potere della Chiesa nell'Italia meridionale e in vista di ciò dedica ampio spazio all'epoca longobarda -- l'unica per cui G. ricorre direttamente alle fonti. Per dimostrare soprusi e sopraffazioni della chiesa sul regno, G. ricostrue l'evoluzione politica del Papato, respingendone implicitamente l'origine divina. Questo atteggiamento verso la religione, interpretata in chiave esclusivamente politica, rende l'Istoriaun'opera del tutto nuova nel panorama storiografico europeo ma motiva anche l'ostilità di Roma verso G..  Il consiglio municipale di Napoli – gl’Eletti -- concede a G. una regalia di 195 ducati e lo nomina avvocato generale della città. Mentre copie dell'Istoria sono inviate a Vienna, a Napoli divampano le polemiche. Le autorità ecclesiastiche protestarono perché il saggio non ha ottenuto la licenza del tribunale vescovile -- G., in effetti, non l'aveva chiesta, ritenendola superflua poiché ritenne che il saggio non tratta argomenti di giurisdizione ecclesiastica -- e alcuni religiosi iniziarono a tenere prediche contro G.. In seguito a ciò, il potere civile muta atteggiamento. l vice-ré austriaco, Althann, che aveva concesso a G. la licenza necessaria per la pubblicazione dell'opera, in una riunione del Consiglio del Collaterale, biasima apertamente gl’Eletti, i quali, peraltro, congelano i provvedimenti a favore di G., nominando una commissione per valutare il saggio. Nello stesso tempo, il Collaterale ordina la sospensione delle prediche contro G. e la vendita dell'Istoria.  La situazione volge al peggio al momento del rito di s. Gennaro: poiché il sangue tarda a sciogliersi, il clero napoletano comincia a sostenere che il santo e adirato con i napoletani per la pubblicazione dell'Istoria civile. Contro G. si diffuse allora in tutta la città poesie e libelli -- diversi dei quali sono oggi conservati in un codice della Biblioteca di Napoli --, mentre la curia arcivescovile si preparava a scomunicare l'opera. Ormai era a rischio la stessa vita di G., il quale, spinto anche dagl’amici, decide di recarsi a Vienna per chiedere la protezione dell'imperatore Carlo VI. Dopo alcune esitazioni, G. lascia Napoli per quella che sperava una breve assenza e che, invece, sarebbe stata UNA PARTENZA SENZA RITORNO.  Raggiunta in incognito Manfredonia, da lì si trasferì a Barletta, riparando per alcuni giorni in una villa del fratello di Niccolò Fraggianni. Nel frattempo a Napoli, il sangue di s. Gennaro si scioglie. Trovata una nave su cui imbarcarsi, e a Trieste, a Lubiana e giunge a Vienna.  In questa città G. presnde subito contatto con alcuni esponenti della numerosa comunità italiana, fra cui Riccardi, Forlosia e il bibliotecario di corte Garelli, che porta una copia dell'Istoria all'imperatore Carlo VI. Nel frattempo, venuto a conoscenza della scomunica lanciatagli dalla curia arcivescovile di Napoli e della messa all'Indice dell'Istoria civile, G. ricominciò a scrivere. Dapprima ritorna sul trattato “Del concubinato de’ Romani” ritenuto nell'Impero -- dopo la sopposta conversione alla fede di Cristo -- già iniziato a Napoli. Poi scrive due nuovi saggi: De' rimedi contro le proposizioni de' libri che si decretano in Roma e della potestà de' principi in non farle valere ne' loro Stati e De' rimedi contro le scommuniche invalide e delle potestà de' principi intorno a' modi di farle cassare ed abolire -- che confluì nell'Apologia dell'Istoria civile. La posizione di G. sembra migliorare. In seguito alle pressioni viennesi, la scomunica e revocata e G. ottenne udienza da Carlo VI, che l'anno seguente gli concesse una pensione annuale sopra i diritti della Secreteria di Sicilia. Egli non riuscì, però, a ottenere un incarico ufficiale che, come aveva sperato, gli permettesse di tornare a Napoli in una posizione sicura. Decide quindi di fermarsi a Vienna e si stabilì in palazzo Linzwal. Nel frattempo, in Italia appareno diverse confutazioni dell'Istoria civile. E pubblicata a Roma l'Apologia di quanto l'arcivescovo di Sorrento ha praticato cogli economi de' beni ecclesiastici della sua diocesi dell'arcivescovo Filippo Anastasio. In risposta Vitagliano pubblica a Napoli una Difesa della real giurisdizione intorno a' regi diritti su la chiesa collegiata appellata di S. Maria della Cattolica della città di REGGIO, in cui, pur volendo difendere G., finiva invece con il criticarlo. G. e allora costretto a reagire con un proprio testo, diffuso a Napoli in forma manoscritta. Appareno a Roma le Riflessioni morali e teologiche sopra l'Istoria civile del Regno di Napoli di Sanfelice. Rispetto all'opera d’Anastasio si tratta di un lavoro ben più articolato e problematico, tanto che G. in un primo tempo decide di non replicare. Ma durante la villeggiatura a Perchtoldsdorf, nei dintorni di Vienna, scrive la Professione di fede. L'opera conosce una vasta fortuna, testimoniata da un'imponente circolazione manoscritta, e segna la definitiva rottura con la Chiesa cattolica. Un'altra Risposta di G. fa seguito alla pubblicazione delle Annotazioni critiche sopra l’Istoria civile di Napoli (Napoli) di Paoli, scritte con l'aiuto d’Egizio, esponente della parte più moderata del giurisdizionalismo napoletano, non disposta a seguire la lezione di G.  Fallite le speranze di ottenere un incarico a Vienna, G. riprende l'attività forense. Oltre a diverse allegazioni per clienti viennesi e napoletani, scrive il Ragionamento a Pilati in cui difende i diritti di quest'ultimo alla nomina, poi non avvenuta, a vescovo di Trento dopo la morte di Gentilotti e il saggio De' veri e legittimi titoli delle reali preminenze che i re di Sicilia esercitano nel tribunale detto della Monarchia, sulla complessa questione del Tribunale della Monarchia di Sicilia. Risalgono dopo due saggi: la Breve relazione de’ Consigli e dicasteri della città di Vienna, commissionatagli dal reggente Castelli, e le Ragioni per le quali si dimostra che l'arcivescovado beneventano e sottoposto al regio exequatur, come tutti gl’altri arcivescovadi del Regno, saggio scritto su incarico della Città di Napoli.  Nel frattempo, continua la fortuna europea di G. e dell'Istoria. G. comincia a corrispondere regolarmente con Liebe e i Mencke, iniziando la collaborazione agli Acta eruditorum Lipsensium. Scrive la Dissertazione intorno il vero senso della iscrizione "Perdam Babillonis nomen" posta in una moneta di Lodovico XII re di Francia, da alcuni creduta coniata in Napoli, che, tradotta in latino, usce in un'edizione degl’ “Historiarum sui temporis” di Thou. G. e ormai un filosofo inserito nel contesto d’Europa per la sua conoscenza, in quel periodo delle opere che meglio rappresentavano quella filosofia. In tal senso, un ruolo fondamentale ha la frequentazione con il principe Eugenio di SAVOIA, nella cui ricchissima biblioteca G. aveva legge i più importanti saggi della filosofia libertina e radicale europea. Da queste sue fertili frequentazioni nei primi anni dell'esilio viennese deriva il progetto dello suo saggio, il Triregno, iniziata durante una villeggiatura a Medeling, e le cui prime due parti erano quasi terminate due anni più tardi. Il Tri-regno si articola in tre parti. Nella prima, “IL REGNO TERRENO,” G. studia la religione e sottolinea come in essa NON si conosce un al di là, in quanto al popolo si promette esclusivamente il dominio sugli altri popoli senza alcun riferimento a mondi ultra-terreni. Quello che Dio promete all'uomo – o GIOVE a ENEA -- e , dunque, esclusivamente un regno terreno: ROMA! Nel successivo Regno celeste l'attenzione di G. si sposta al cristianesimo delle origini – e l’idea della potesta temporale – e del Cesare -- studiando i testi neo-testamentari, mette in evidenza come e il cristianesimo – ‘dei galilei,’ come G. chiama in parodia di Giuliano -- a introdurre l'idea di un mondo ultra-terreno cui i fedeli sono destinati dopo essere stati giudicati sulla base delle loro azioni mondane. Il Regno papale, l'ultima parte – “infamous part” – H. P. Grice --, riprende il discorso iniziato nell'Istoria civile sulle origini del potere del Papato. Dopo i primi secoli vissuti in conformità con l'insegnamento evangelico, il PONTEFICE, approfittando della decadenza del POTERE TEMPORALE IMPERIALE dopo Costantino, costitueno il loro Regno sul principio della superiorità rispetto allo stato mondano, temporale.  Nella composizione del Tri-regno concorrevano diverse tradizioni: la fondamentale esperienza del libertinismo erudito, con cui G. eentrato in contatto negli anni della sua prima formazione napoletana, per influenza d’Aulisio, dal quale G. comprende l'importanza della storia ebraica e la poca rilevanza alla mente romana! Molti temi delle Scuole sacre - l'opera d’Aulisio uscita postuma pochi mesi dopo l'Istoria civile - ricomparivano, infatti, nel Triregno, filtrati dalle conoscenze acquisite a Vienna: la storiografia protestante (i. e. non cattolica, non romana) tedesca (particolarmente evidente nel Regno celeste, dove forte è l'influenza delle Origines, sive Antiquitates ecclesiasticae diBingham e delle Observationes sacrae di Deyling) e, soprattutto, il deismo europeo post-spinoziano. In questo senso importante e stato il rapporto con gli saggi di Toland (in particolare le Lettere a Serena, Origines Iudaicae e Nazarenus), dai quali G. trasse la tesi secondo cui gl’ebrei credeno nella MORTALITA dell'anima e non hanno alcuna idea di un mondo ultraterreno, e con la storiografia che con questi si e misurata criticamente (come le Vindiciae antiquae Christianorum disciplinae di Mosheim).  Il Tri-regno non e, peraltro, del tutto slegato dall'Istoria civile. La matrice giurisdizionalista e evidente soprattutto nel Regno papale, dove G. riprende il problema delle origini del potere ecclesiastico, affrontandolo, però, con gli strumenti della storiografia protestante. Non più "istoria civile" del Regno di Napoli, ma di tutta la civilizazione d’Occidente, fondata da Roma a tradita dai papi. Di qui la persecuzione che la Curia romana muove contro di lui, riuscendo, infine, non solo a FARLO ARRESTARE, ma a entrare anche in possesso dell'autografo del Tri-regno.  Si impede così la pubblicazione del saggio. Ma non ne e, tuttavia, impedita completamente la diffusione, che avvenne grazie a un apografo (probabilmente uscito dagli archivi romani in cui l'originale e custodito). Diversi codici del Triregno circolano in Europa, e sembra addirittura imminente una sua pubblicazione ad Amsterdam.  La conquista del Regno di Napoli a opera di Carlo di Borbone determina la dispersione della comunità napoletana di Vienna. Ritenendo, con ragione, che e in pericolo la sua pensione, basata su rendite siciliane, anche G. decide, allora, di partire. Lascia Vienna e giunse a Venezia. Dove essere solo un punto di passaggio sulla via per Napoli, ma le autorità borboniche gli rifiutano il passaporto, temendo che un suo ritorno avrebbe compromesso le trattative per il riconoscimento papale del nuovo sovrano. L'ambiente culturale veneziano si rivela, comunque, ricco di stimoli per G., che stringe amicizia con Pisani, con il principe Trivulzio, con Conti, con Terzi e con il libraio Pitteri. Con quest'ultimo, in particolare, si accorda per una nuova edizione dell'Istoria civile, per la quale appronta quell'Apologia dell'Istoria civile cui lavora da tempo e in cui confluirono i tre trattati composti a Vienna. In realtà, anche a Venezia G. non manca certo di nemici. Poco dopo il suo arrivo, Pasqualigo gli offre cattedra a Padova, ma la Curia romana e riuscita a fare sospendere l'offerta. Nello stesso tempo, il nunzio a Venezia,  Oddi, fa pressioni sul governo della Serenissima perché G. e cacciato e consegnato alle autorità pontificie. Per screditare G. venne diffusa la voce che egli avesse criticato la Repubblica veneziana in alcune pagine dell'Istoria civile, obbligandolo così a difendersi. La risposta a tale accusa confluì anch'essa nell'Apologiadell'Istoria civile. G. si stabile nell'abitazione di Pisani. Riprende, allora, la stesura del Triregno, discutendone con i suoi amici veneziani. E nella villa di Pisani a Rovere di Crè, presso Rovigo, che G. scrive la Prefazione al Triregno. Anche questa volta, tuttavia, la tranquillità doverivelarsi effimera.  Dopo oltre un anno di complesse manovre sotterranee, il nunzio ottenne il risultato sperato. Una fatidica notte, poco dopo aver lasciato, insieme con Conti, la casa di Terzi, G. e catturato d’agenti del S. Uffizio, caricato a forza su un'imbarcazione e abbandonato nel Ferrarese, in territorio pontificio. Riusce quindi fortunosamente a raggiungere Modena e vi resta nascosto per circa un mese, sotto il falso nome di Antonio Rinaldi, protetto, fra gli altri, anche da L.A. Muratori. Inizia, allora, la stesura del Ragguaglio dell'improvviso e violento ratto praticato in Venezia ad istigazione de' gesuiti e della corte di Roma. Si reca a Milano, allora occupata dalle truppe sabaude, dove spera nell'aiuto della famiglia del principe Trivulzio. E ricevuto dal marchese Olivazzi, gran cancelliere, il quale gli consiglia di scrivere al marchese d'Ormea, ministro di Carlo Emanuele III di SAVOIA, per offrirsi come storico di corte. Quel che Olivazzi non poteva sapere e che l'Ormea s'era già accordato con Albani, offrendogli l'arresto di G. come contro-partita per la concessione di un concordato favorevole allo STATO SABAUDO al fine di chiudere lo scontro - aperto un ventennio prima da Vittorio Amedeo II - fra Torino e Roma. Da Torino parte quindi l'ORDINE D’ARRESTO di G., che però nel frattempo lasciato Milano per la capitale sabauda. Non considerando più gli Stati italiani un rifugio sicuro dopo l'esperienza veneziana, G. aveva decide di andare a Ginevra, dove e in contatto con l'editore Bousquet, che  annunciato la sua intenzione di pubblicare l'Istoria civile. Mentre da l'ordine di arrestarlo a Milano, Ormea non puo immaginare che G. e proprio a Torino, dove si ferma. Giunge a Ginevra dove, pur rifiutando di convertirsi al calvinismo, stringe amicizia con Turretini e Vernet. A causa delle sue precarie condizioni economiche, decide di pubblicare la traduzione francese dell'Istoria civile, per la quale s'era accordato già da tempo con Bousquet. Questi, però, aveva sciolto proprio allora la sua società con lo stampatore Pellissari, e si e trasferito in Olanda. E solo grazie all'aiuto di Vernet che G. puo trovare un nuovo finanziatore nel libraio Barillot, ma, quando tutto e pronto per l’edizione dell'Istoria, G. e attirato fraudolentemente in territorio sabaudo e arrestato.  Ormea da disposizioni per l'arresto al governatore della Savoia, conte Giuseppe Piccon della Perosa. La trama del rapimento è stata raccontata da G. stesso, nella sua autobiografia, in pagine esemplari per chiarezza e drammaticità. A Ginevra egli prende alloggio presso il sarto Chénevé, da tempo amico di un doganiere sabaudo, tale Gastaldi, il cui fratello era aiutante di campo del conte Piccon. Dapprima Gastaldi si guadagna la simpatia dal figlio di G., invitandolo spesso a Vésenaz -- il piccolo centro savoiardo di fronte a Ginevra, dov'era la dogana -- insieme con Chénevé. In questo modo egli venne a conoscenza dei movimenti di G. a Ginevra, informandone Piccon. Dopo aver rifiutato gl’inviti di Gastaldi per tutto l'inverno, G. accetta di assistere alla messa della domenica delle Palme nella chiesa di Vésenaz. Si trasferì  a casa di Gastaldi. Questi, presi con sé alcuni soldati, irruppe di notte nella stanza di G. e arrestò lui e il figlio. Il giorno dopo, Gastaldi si mise in marcia verso Chambéry. G. racconta la gioia del doganiere il quale, tenendo in mano un suo ritratto (probabilmente una copia dell'incisione fatta a Vienna da  Sedelmayer) andava di paese in paese urlando di aver catturato "un grand'uomo".  Giunto a Chambéry Gastaldi consegna i prigionieri al conte Piccon, il quale ne dispose il trasferimento nella fortezza di Miolans, tradizionalmente deputata ad accogliere i prigionieri di Stato -- quarant'anni dopo vi sarebbe stato rinchiuso anche il marchese de Sade. Ricevuta notizia dell'arresto, Ormea ne informa Albani, al quale riferì anche l'intenzione di Carlo Emanuele III di non inviare G. a Roma, ma di impegnarsi a tenerlo in carcere perpetuamente. Per quanto la corte di Roma prefere giudicare direttamente G., Clemente XII ringrazia il sovrano sabaudo per l'arresto del sedizioso. Ormea e Albani si accordano, intanto, perché G. e processato dal S. Uffizio piemontese e costretto ad abiurare.  Durante la sua prigionia a Miolans G. scrive la “Vita e Morte di G. scritta da lui medesimo” e inizia, aiutato dal figlio, una prima versione dei “Discorsi sopra gl’Annali di Livio,” che intende offrire a Carlo Emanuele III per l'educazione del principe di Piemonte, il futuro Vittorio Amedeo III. Nello stesso periodo Ormea riusce, grazie al conte Piccon e ad altri agenti sabaudi, a entrare in possesso dei manoscritti delle opere di G. -- compreso quello del Triregno -- che, dopo esser stati esaminati da Palazzi, abate di Selve, bibliotecario e storico di corte, sono inviati a Roma. G., separato dal figlio, e trasferito a Torino nelle carceri di Porta Po, prima, e nella cittadella, poi. Qui fu affidato alla cura spirituale di Prever. Presta formale abiura dei suoi errori di fronte al vicario inquisitoriale, Alfieri di Magliano.  Il testo dell'abiura non e quello che la Curia romana si attende, tanto che - contrariamente alla prima intenzione - si decide di non renderlo pubblico. A convincere G. ad abiurare e stata la speranza di poter tornare presto in libertà. Ma e trasferito al forte di Ceva, dove rimane. Le istruzioni impartite al conte Giuseppe Amedeo De Magistris, governatore del forte, sono per la migliore sistemazione possibile nel castello. G. e rinchiuso nella prigione detta "la speranza": due stanze e un anticamera interamente rivestite in legno e chiuse da una porta di pietra. Gli era permessa qualche ora d'aria al giorno, purché non parlasse con nessuno, tranne il governatore e il confessore del forte, e puo leggere e scrivere, purché le sue opere non uscissero da Ceva se non per Torino. Nel tempo di prigionia cebana G. termina i Discorsi sopra gli Annali di Livio e scrive altre tre saggi: l'Apologia de' teologi scolastici, l'Istoria del pontificato di s. Gregorio Magno, e L'ape ingegnosa. In esse riaffiorano molti temi del Triregno, soprattutto nell'Apologia de' teologi scolastici - dove L’AUTORITA DEI PADRI della Chiesa e sottoposta a UNA VERA DEMOLIZIONE -- e nell'Istoria del pontificato di s. Gregorio Magno. Quest'ultima, inizialmente concepita come conclusione dell'Apologia, e una vera e propria prosecuzione del Triregno, nel cui Regno papale una vasta parte dove essere dedicata a tale PONTEFICE. Temi tipici degl’autori libertini, in particolare di Toland, grazie a un sapiente uso della Naturalis historia di Plinio il Vecchio, tornano anche nelle pagine dell'Ape ingegnosa, vasto e complesso zibaldone, come recita il titolo, di varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte, denso di spunti autobiografici.  Nonostante la prigionia, la fortuna europea di G. continua. Ad Amsterdam sono aparsi i suoi libri sulla "politia ecclesiastica" (Anecdotes ecclésiastiques contenant la police et la discipline de l'Église chrétienne depuis son établissement jusqu'au XIe siècle), e l'intera Istoria civile, curata da Bochat e Bentivoglio, pubblicata a Ginevra -- ma con la falsa indicazione dell'Aja. Mentre a Torino la diffusione delle opere giannoniane preoccupava le autorità ecclesiastiche, a Ceva  G. entra in contatto con esponenti della nobiltà locale, che lo incaricarono della stesura di alcune allegazioni forensi. A causa dell'avanzata delle truppe franco-spagnole, allora impegnate contro il Piemonte nella Guerra di successione austriaca, G. e trasferito a Torino. In un primo tempo le condizioni della prigionia nella cittadella si rivelarono assai più dure: il governatore Cortanze non ha, come invece il De Magistris, ordini particolari per il prigioniero, il cui trattamento non e inizialmente dissimile a quello riservato ai molti prigionieri che affluivano nella capitale da tutto il Piemonte. La situazione e aggravata dalla morte d’Ormea, tanto che G. invia al sovrano un lungo e disperato memoriale sul proprio stato e sulle angherie cui lo sottopone il maggiore della cittadella, Caramelli. Da allora le condizioni della sua detenzione migliorano sensibilmente. Il suo ritorno a Torino non e passato inosservato; in pochi mesi G. entrò in relazione con personaggi della corte e della cultura, come i bibliotecari dell'Università Ricolvi e Rivautella, e, soprattutto, Villettes, il quale gli fa avere diversi libri della propria biblioteca, grazie ai quali, oltre a quelli avuti dalla Biblioteca reale tramite Cortanze, G. puo aggiungere nuovi capitoli all'Apologia de' teologi scolastici e iniziare una nuova versione dei Discorsi. L’interesse destato da G. suscita la reazione delle autorità ecclesiastiche. Il nunzio a Torino, Merlini, protesa  presso il sovrano, il quale gli assicurò che le condizioni del prigioniero sono divenute più severe.   In realtà G. continua a scrivere e a ricevere libri da Villettes e da Roero di Cortanze. Il desiderio di G., formulato in una lettera ad Ormea che sulla sua tomba e posta un'iscrizione da lui appositamente composta non e esaudito. Il suo corpo e sepolto nella fossa comune dei prigionieri della chiesa di S. Barbara, all'interno della cittadella. La chiesa e distrutta. Altri saggi: “Saggi” a cura di Bertelli e Ricuperati, Milano, con bibliografia, in cui sono comprese la Vita scritta da se medesimo, pagine scelte dell'Istoria civile, del Triregno, del Ragguaglio del ratto, delle altre opere del carcere e alcune lettere; Istoria civile, a cura di Marongiu, Milano; Triregno, a cura di Parente, Bari; Dopo la "Giannoniana": problemi di edizione, nuovi reperimenti di fonti e l'introduzione perduta del "Triregno", a cura di Ricuperati, in L'Europa fra Illuminismo e Restaurazione. Studi in onore di Diaz, a cura di Alatri, Roma; un manoscritto del Ragguaglio del ratto è stato pubblicato in Un testo inedito di G., a cura di Denis, Archivio storico italiano, Delle altre opere del carcere l'unica sinora pubblicata in edizione critica è L'ape ingegnosa, overo Raccolta di varie osservazioni sopra le opere di natura e dell'arte, a cura di Merlotti, Roma, con bibliografia. Per le lettere. G., Epistolario, a cura di Minervino, Fasano; Lettere autografe, a cura di Minervino  (in entrambi i casi l'edizione non è del tutto affidabile, cfr. la rec. di Rienzo, in Bollettino storico-bibliogr. subalpino, Arch. di Stato di Torino, Biblioteca antica, Manoscritti di G., inventario a cura di Ricuperati, Le carte torinesi di G., in Memorie dell'Acc. delle scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche. Il fondo è stato arricchito da documenti autografi del G., in gran parte relativi ai periodi austriaco e veneziano. Nicolini, Gli scritti e la fortuna di G.. Ricerche bibliografiche, Bari; L. Marini, G. e il giannonismo, Bari; Vigezzi, G. riformatore e storico, Milano; Bertelli, Giannoniana. Autografi, manoscritti e documenti della fortuna di G., Napoli; Ricuperati, L'esperienza civile e religiosa di G., Milano;  G. e il suo tempo, a cura di Ajello, Napoli; Merlotti, "Risorgimento ghibellino": Ferrari lettore di G., in Annali della Fondazione Einaudi; Negli archivi del Re. La lettura negata delle opere di G. nel Piemonte sabaudo, Riv. stor. Italiana; Ricuperati, G.: an itinerary in European free-thinking, in Transactions of The Congress on the ENLIGHTENMENT, Oxford; Trevor-Roper, G. and Great Britain, in The Historical Journal, A. Hook, La "Storia civile del Regno di Napoli" di G., il giacobitismo e l'Illuminismo scozzese, in Ricerche storiche, Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel pensiero religioso di G., Firenz. Grice: “One good thing about the Roman Church (you know, there’s a Jewish Church, too) is Giannone – he was rendered an ‘impious’ by the Church and imprisoned to death. This allowed him to philosophise on the Liguri – and he did!” Pietro Giannone. Giannone. Keywords: la terza Roma, autobiografia, ego-grafia – Vico, Giannone, Genovesi – Liguria – commento su Livio – regno terreno, regno celeste, regno papale --. Storia di roma antica -- giannonismo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giannone” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giavelli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- semantica del segnare -- segnante e segnato – filosofia italiana -- Luigi Speranza (S. Giorgio di Canavese). Filosofo italiano. Grice: “I love Javelli – he is, like me, an Aristotelian; being a northern Italian, he is a Thomstic Aristotelian, which I’m not sure I am!” Grice: “One good thing about Javelli is that he commented on MOST works by Aristotle!” -- Essential Italian philosopher. Studia a Bologna. Fu esegeta. Argomenta contro Lutero. Opera omnia” (Lione, Giunta). Partecipa al dibattito sul Tractatus de immortalitate animae di Pomponazzi, di cui scrisse, su richiesta di Pomponazzi stesso una confutazione. Partecipa al dibattito sul divorzio di Enrico VIII, esponendosi a favore della scelta del sovrano. M. Tavuzzi, in "Angelicum", DBI.Casale Monferrato.  Crisostomo Javelli was born in 1470 c., presumably in Piedmont, joined the Dominicans, and died in 1538. On Javelli see ÉTIENNE GILSON, « Autour de Pomponazzi: problématique de l'immortalité de l'âme en Italie au début du XVI° siècle », Archives d'histoire doctrinale et littéraire du Moyen Age, 28 (1961),  p. 163-279 (esp. p. 259-277); MICHAEL TAVUZZI, « Chrysostomus lavelli OP (c. 1470-1538). A Biobibliographical Essay: Part 1, Biography », Angelicum, 67 (1990), p. 457-482; ID., « Chrysostomus lavelli OP (c. 1470-1538). A Biobibliographical Essay: Part II, Bibliography », Angelicum, 68 (1991), p. 109-121.He is the author of a Compendium Logicae, which includes eleven treatises. The structure of Javelli's work mirrors Ockham's Summa logicae in many respects, but also Paul of Venice's Logica Parva (unlike Paul of  Venice, however, Javelli does not deal with obligations and insolubles).  The eleven treatises deal with the following topics:  I. Introductory remarks, which include a short history of logic;  Il. terms (this part corresponds to the doctrine dealt with by Aristotle in De  Interpretatione 2-5);  III. propositions;  IV. the five praedicabilia (this section corresponds to Porphyry's Isagoge);  V. the antepraedicamenta, the doctrine of the categories (praedicamenta), and the postpraedicamenta (this treatise, as is clear, corresponds to Aristotle's Categories);  VI. syllogism;  VII. supposition theory;  VIII. ampliatio and appellatio, i.e. changes in the supposition of a term and changes  in the tenses of verbs;  IX. theory of consequentiae;  X. de probatione terminorum (this treatise deals with the ways in which it is possible to show the truth, or the probability of a proposition);  XI. demonstrative syllogism (this part aims at expounding what Aristotle says in  his Posterior Analytics).    The treatise was first published in 1540 in Venice. The Compendium was rather successful, and went « through some thirty editions between 1540 and 1629 »?" Javelli had many teaching positions within the Dominican Order and, most probably, he wrote his Compendium logicae for didactic purposes. The tendency to systematize the 'new' logic of the late medieval authors and to present it as consistent with Aristotle's logic is even more evident than in Savonarola's Compendium. Javelli was also influenced by the humanists, inasmuch as his treatises draw attention to the linguistic, and historical context in which ancient logic arose. If Lorenzo Valla criticized Paul of Venice for the latter's unfamiliarity with the Greek language, Javelli dwells on the etymology of many key terms of logic, and shows a certain familiarity with both Greek and Latin. In his historical section,  Javelli maintains that Socrates and Plato « were not strong in answering and solving  because they did not have logic, even though they were strong in asking questions or in raising doubts » (« licet potentes essent ad interrogandum sive dubitandum, non tamen ad respondendum et solvendum propter logice carentiam »78). Logic was founded on its proper grounds by Aristotle, for whom  Javelli has words of deep admiration:  Hence, the Author of nature gave us Aristotle, who first discovered true logic with his almost divine mind and organized and brought it to completion in all its parts, so that we could discover the true rule of knowing that guides the human mind in arts and sciences."  TAVUZZI, « Chrysostomus lavelli OP ... Part I», p. 461, fn. 15.  Logicae Compendium Peripateticae, ordinatum per Reuerendum Magistrum Chrisostomum lauellum  Canapicium ordinis praedicatorum, ex officina Ioannis Blaui de Colonia, Olvssipponae 1556 (henceforth, [AVELLUS. Compendium logicae), fol. 4v.  79  IAvELLUs. Compendium logicae, fol. 4v: « Ut igitur vera sciendi regula directiva humani intellectus in artibus et scientiis inveniretur, datus est nobis ab authore naturae Aristoteles, qui suo pene divino ingenio primus logicam veram invenit, et secundum omnes partes ordinavit ac perfecit »  (my translation).      These words implicitly show the ideological background of the Compendium logicae, that is designed to expound Peripatetic logic. Javelli was aware that many topics of his treatise had not been discussed by Aristotle, but he nevertheless thinks that these doctrines are at least Aristotelian in spirit. When Javelli introduces the theory of suppositio, in the seventh treatise of his textbook, he states that doctrines like the suppositio  are consistent with Aristotelian philosophy, even though Aristotle did not propose them , and this will be clear to you once you progress in logic, philosophy of nature and in metaphysics under the guidance of Aristotle.*  Javelli's attitude in finding an agreement between the doctrines of Aristotle (and of Aquinas) and those of later thinkers has been already underlined by Michael  Tavuzzi, and may be said to be a trademark of his Compendium.  After his sketchy history of logic, Javelli defines logic as a rational science® and states that its generic subject is mental being. The subject of logic, as a distinct discipline, is the  " ens rationis ratiocinativum, quod est idem quod  argumentatio ».* This remark echoes Barbò's claim that the object of logic is the ens rationis, but Javelli seems to harmonize the 'Thomist' solution with the position of Albert the Great, because the ens rationis is qualified as ratiocinativum and this is said to be identical to argumentatio. According to Barbò, Albert the Great taught that the object of logic is 'arguments': Barbò noticed the similarity with what he took to be Aquinas's position, but stressed nevertheless the difference between the two medieval Dominicans. Javelli implicitly unifies their positions.  According to Javelli, logic is a science and not empirical knowledge, because it has proper subject and proper principles: the presence of these two elements is enough to hold that it falls under the rational sciences, and is divided into sub-disciplines according to the scheme that Aquinas introduces in the Proemium to his  Ibid., fol. 183v-184r: « etsi non habeantur ab Aristotele, tamen doctrinae peripateticae consonant, ut tibi constabit postquam in Aristotelis disciplina tam in logicalibus quam in physicis atque metaphysicis eruditus fueris » (my translation). Cf. MICHAEL TAVUZZI, «Herveus Natalis and the Philosophical Logic of the Thomism of the Renaissance », Doctor Communis, 45 (1992), p. 132-152, esp. p. 148-150. LAVELLUS, Compendium logicae, fol. 5v: « [llogica est scientia rationalis discretiva veri a falso ». Javelli adds that « [logica est ars artium et scientia scientiarum, qua aperta omnes aperiuntur, et qua clausa omnes alie clauduntur » (fol. 6r); this statement echoes Peter of Spain's claim that « dialectica est ars artium, scientia scientiarum, ad omnium methodorum principia viam habens' » (Petri Hispani Summulae Logicales cum Versorii Parisiensis clarissima expositione, apud F. Sansovinum, Venetiis 1572, tr. 1, fol. 2v). Ibid., vol. 8r: « [s]ubiectum in illa universalissime sumptum est ens rationis, id est ens fabricatum ab intellectu et non habet esse extra intellectum ». Ibid., fol. 8v. Ibid., fol. 11r. commentary on the Posterior Analytics.8 In his treatise on terms, Javelli stresses that terms signify ad placitum, and that verbs are always tensed. 88 Javelli has something interesting to say about propositions. According to him, a proposition  1s omething s (oratto verum vel falsum signtcans Indicando s) the Clause  'indicando' is meant to exclude prayers, utterances of wish, etc. from the set of propositions. Javelli adds that only present tensed propositions are propositions in the fullest sense, because past-tensed and future-tensed utterances do not signify anything that is the case or that is not the case, and thus cannot be true or false:  The phrases (orationes) in the past and future indicative tenses do not signify primarily and per se 'true' and 'false', unless they are transformed into a phrase in the indicative present tense.'  This is not sufficient evidence to suggest that Javelli's understanding of propositions was analogous to Savonarola's and, regrettably, Javelli does not add many details to his definition. In the same third treatise, Javelli deals with modal propositions as well, and in this case the didactic aim of his exposition could not be more evident. He deliberately avoids all technicalities and limits himself to stating some basic principles of modal logic: modal propositions are defined as categorical propositions to which a modal operator has been attached as a prefix.  There are four modal operators for Javelli: necessary, contingent, possible, and impossible." Javelli maintains that also 'true' and 'false' are modes, and by doing so he refers to a traditional doctrine, which has been endorsed also by Aquinas in his De propositionibus modalibus. Javelli adds that also 'per se' and 'per accidens' are modes, and they correspond to 'necessary' and 'contingent' respectively:  Nam licet prima [i.e. 'per se'] aequipolleat modali de necesse, et secunda [i.e. 'per accidens'] modali de contingenti, tamen ‹non> sunt formaliter modales."2  Ibid., fol. 12r-13r. Cf. ARISTOTELES. De Interpretatione, 2, 16a19-20. This claim, although consistent with Aristotle's littera (cf. De Interpretatione, 3, 16b6-7), is at odds with Savonarola's exposition. This suggests that 'Thomist logic' was not a monolith and there were several debated issues. LAVELLUS. Compendium logicae, fol. 26v. 9 Ibid. fol. 28v: « Orationes etiam modi indicativi temporis praeteriti et futuri non significant primo et per se verum et falsum, nisi reducantur ad unam temporis praesentis indicativi» (my translation).  " Ibid., fol. 58v.  92 Ibid., fol. 59r. I suggest to add a 'non' to the sentence to make it intelligible.    This observation seems to suggest that modal syllogistic is grounded on Aristotle's theory of predication. " Javelli, however, does not expand this interesting intuition. Furthermore, even though he is aware of the distinction de sensu composito/de sensu diviso, he does not consider the problems that such a distinction may create within modal syllogistic.' His exposition of modal logic is intentionally simplified for didactic reasons; after having expanded modal conversions, Javelli adds: « that would be enough for now, lest you get confused, young man » (« haec pro nunc sufficiant ne tu iuvenis confundaris »)."  The tendency to simplify the core notions of medieval logic brings sometimes  Javelli to modify significantly these doctrines, as is the case in his supposition theory. Medieval authors did not understand the theory of suppositio as a mere theory of reference, but as a theory of meaning, namely as a theory for interpreting sentences." Javelli, on the contrary, seems to consistently maintain that the supposition theory is what we would nowadays call a theory of reference."  According to him,  the supposition is said to be the positing of a term instead of another, i.e. instead of one of its meanings. In this sense, we say that in this utterance 'God is good', the  93  It is perhaps worth mentioning that such an interpretation has gained an increasing consensus among contemporary scholars: cf. PAUL THoM, The Logic of Essentialism: An Interpretation of Aristotle's Modal Syllogistic, Kluwer, Dordrecht 1996 (The New Synthese Historical Library: Texts and Studies in the History of Philosophy, 43); MARKo MALINK, Aristotle's Modal Syllogistic, Harvard University  Press, Cambridge, MA 2013.  94  The laws of conversions for necessity propositions are valid de sensu composito; mixed necessity syllogisms (like Barbara LXL) are valid only if the modal operator is read de sensu diviso. This seems to suggest that Aristotle's modal logic is inconsistent. Javelli, however, seems not to be aware of this philosophical problem. His exposition of the distinction between de sensu composito and de sensu diviso is as follows: « in modali de sensu composito modus aut praeponitur aut postponitur toti dicto [...], in modali autem de sensu diviso modus nec praeponitur nec postponitur dicto, sed  95  mediat inter partes dicti » (IAVELLUS. Compendium logicae, fol. 61r).  LAVELLUS. Compendium logicae, fol. 62r.  % According to CATARINA DUTIL NovAES, suppositio provides mechanic rules, by means of which we can list all possible interpretations of an ambiguous sentence. The theory of the suppositio may also serve the purpose of finding the references of the elements of a sentence in certain context; writing about Ockham, Novaes observes that « supposition theory is better seen as a theory of propositional meaning in the sense that one of its main purposes is to provide an analytical procedure for determining what can be asserted by means of a given proposition - a procedure including, but by no means limited to, the determination of the entities that the proposition may be about, i.e., its possible supposita, as it would be the case if it were a theory of reference » (« An Intensional Interpretation of Ockham's Theory of Supposition », Journal of the History of Philosophy,  97  46 [2008], p. 365-393, here p. 367).  PETER T. GEAcH presented supposition theory as a theory of reference in his classical monograph  Reference and Generality. An Examination of Some Medieval and Modern Theories, Cornell University  Press, Ithaca, NY 1962 (Contemporary Philosophy).    term 'God' stands for its meaning, so that the sense is: what is signified by 'God' is good.'8  Javelli relies on the definitions of suppositio provided by Peter of Spain and by Peter of Mantua," but in his view the supposition theory is a theory of reference:  A substantive term in or outside a proposition, taken in itself, has a meaning, but it has a reference (non supponit) only in a proposition. To make this clear, note that 'to signify' precedes 'to have a reference' [...]. For 'to signify' is to introduce a term or a sound to represent a given something. ...] As a consequence, it is up to the first authors who give names to things to make it possible to signify. 'To have a reference' is to take an already given meaningful term so that it can refer to any of its meanings or references in a proposition. 10°  According to Javelli, 'supponit' may be translated with 'refers to a suppositum'.  Javelli was faced with two alternative interpretations of the suppositio. But surprisingly, he endorses the one that is more at odds with his understanding of suppositio as a theory of reference. Javelli writes that Thomists were debating among them as to whether a term can suppose (supponere) only in a proposition or also in itself. Javelli maintains that a term supponit only in a proposition - a conclusion that is certainly more consistent with an understanding of supposition theory as a theory of meaning, '' Javelli points out that this debate originated from the interpretation of Thomas Aquinas, Summa Theologiae I', q. 39, art. 4, ad 3. Javelli summarizes Aquinas's position as it follows:  In his answer to the third  never refers to a Person, unless ‹the word› is determined by its corresponding predicate, such as in 'God  TAVELLUS. Compendium logicae, fol. 184v: « dicitur suppositio positio termini pro alio, id est, pro aliquo suo significato. In quo sensu dicimus quod in hac oratione 'Deus est bonus', ly 'Deus' ponitur pro suo significato, ut sit sensus, id quod significatur per ly 'Deus' est bonum ».  Cf. Ibid., fol. 184v.  Ibid., fol. 185v: « terminus substantivus in propositione et extra [propositionem] per se sumptus significat, sed non supponit nisi in propositione. Pro cuius notitia adverte quod significare precedit supponere [...]. Nam significare est imponere terminum sive vocem ad aliquid certi representandum. [...] Unde facere significare spectat ad primos authores qui rebus nomina imponunt. ...J Supponere autem est accipere terminum iam impositum ad significandum ut stet in propositione pro aliquo suo significato vel supposito ». Cf. Ibid., fol. 186r. generates, 'God is Father', 'God is Son'. Hence  means (significet) a substance with a quality, a name properly means (significat) a quality, i.e. the form on the basis of which the name is attributed ;  however refers to (supponit) a substance, i.e. to the thing to which such name is attributed 3  This leads Capreolus to maintain that « this  is false: 'God does not generate God' » (« ista est falsa 'Deus non generat Deum' »). 104  If we were to follow Javelli's view, it is possible, I think, to maintain that a proposition like 'Deus non generat Deum' may also be true, inasmuch as the term 'Deus' in this context may be taken to refer not to a Person. Consequently, it would be true to say that God, qua Trinity, does not generate God, qua Trinity. 105  This example shows that Javelli had original ideas, even though he never wanted to explicitly detach himself to the core tenets of that 'Thomistic school', to which he belonged. 106  Ibid., fol. 186r-v: « in responsione ad tertium dicit quod homo per se supponit pro persona, Deus autem per se supponit pro natura. [...J [Plostquam beatus Thomas dixerat quod Deus supponit per se pro natura, statim declarans huiusmodi suppositionem format hanc suppositionem, ut cum dicitur 'Deus creat'. [...] Numquam autem supponit pro persona, nisi determinetur per predicatum relativum, ut 'Deus generat', 'Deus est pater', 'Deus est filius', ergo Deus non ex se, sed respectu talis praedicati supponit pro persona ». Johannis Capreoli Tholosani OP Thomistarum Principis Defensiones Theologiae Divi Thomae Aquinatis, vol. I, ed. CESLAS PABAN, THOMAS PÈGUES, Alfred Cattier, Touronibus 1900, p. 222: « nomen, licet significet substantiam cum qualitate, proprie tamen significat qualitatem, hoc est formam a qua nomen imponitur; supponit vero pro substantia, hoc est pro re cui imponitur tale nomen ». Ibid., p. 224. According to the Catholic dogma, it is God the Father who generates God the Son. In other words, if we assume that the term 'Deus' supponit pro persona independently (and, hence, in every context), it follows that a proposition like 'God does not generate God' should be false. The sections on syllogistic are the less original parts of Javelli's treatise. Geli — Rossi modum definiendi, dividendo et demonstrandi, Tu tamen adverce licet fiteadem realiter, ratione tamen distingui turinquantu docens, et inquantu utens. Namin quantu docens consideratur in e, in quantu utens relpicit alias scientia. Logica  docens sufficienter  diuiditur  in tres partes. Prima est in qua tradatur de terminis  in complexis, et hoc ditiiditur in duas. In prima consideratur de terminis secundo intentionis, et iste  est  liber  praedicabilium. In secunda consideratur de terminis primx intentionis, et iste est liber praedicamentorum, et post  praedicamentorum. Secunda est in  qua tradatur de terminis  complexis, id est  de oratione et propositione et hic est  liber “Peri Hermenias”. III est in qua tradatur de argumentatione et hoc dividitur in quatuor. In  prima agitur de argumentatione syllogistica absoluta et simplici, idesi noh applicata alicui  materiae  et hic est  liber  pnorunviln secunda  agitur  de  syllogismo demonstratiuo, et hic est liber posteriorum. In tertia agitur de syllogifmo topico, id est probabili,  flthic  eft liber topicorum. In quarta agitur de syllogismo fallaci, quem dicimus sophisticum, co  q* per ipsum solum  gc iteratur deceptio, et hic est liber elenchorum. Hoc est summa librorum,  quos tradidit nobis Aristoteles inventor logicae. Reliquos autem minores tradarus quos appellamus parva logicalia, non habemus formaliter ab Aristotele. Sed posteriores traxerunt virtualiter ex praedictis libris Aristotelis, ita  <y  eorum principia iam habuimus ab Aristotele, ut tibi declarabitur, quando agemus de consequentiis et suppositionibus etc. Et aduerte q? sufficientia  praedictae divisionis fumitur hinc, argumentatio ut dictum est supra Jeft pn cipalc confideratum a logico ueluccius finis, non enim logicam quaerimus nifl ut acquiramus habitum faciliter et ra de argumentandi ad quancuncp conclusionem. Argumentatio  aut est  quoddam  totum  conflans ex  propositionibus,  ut tibi declarabitur loco suo, propositio vero confiant ex terminis. Cum igitur eadem scientia sit considerari va totius et partium, necesse esi logicum versantem circa argumentationem, considerare de argumetatione et partibus eius, partes autem cius fune duplices. f. propinquae et remotae propinquae sunt  propositiones remote autem  termini  in complexi, nam  propositiones componunt  immediate  argumentarionem. Termini aurem  incomplexino  componut  eam,  nisi  quia  ingrediuntur  propositionem. Ex  quibus  conflat in qua confiderantur termini in complexi, ordinatur ad secundam, in  qua confideratur propositio et secunda ad tertia,  in qua consideratur argumentatio, et in ca completur intentio logicj. Conftar  igitur  quomodo  dinldenda  sit  logica, et  quae  sint  cius  partes  sufticienrcr  ipsam  di  nidentes. Hoc de praesenti cap. dicta  fint.   A quo sit incipiendum in logica et quis ordo prosequendus ne confundatur ingenium nouicii. In VII capite investigandum est a quo primo incipiendum fit tractare in logica, et quis ordo m tractandis lcruandus fit, ne novicii ingenium confundatur. Quantum  ad  primum  aduerte  quod nonulli  confidcrant  logicam  inquantum  est  DIALECTICA, id est  DISPUTATIVA, alii  autem inquantum versatur circa argumentationem, quae  non solu  potest  fieri  voce  sed et  mente  et scripto. Primi  considerantes disputationcm  non  fieri  sine  SERMONE, nec  sermonem  sine uoce, nec  vocem  sine  TONO, ideo a sono tanquam a priori et communiori  definitive  et divisive  dicunt  inchoandum. Secundo  loco  a voce  definitive  et divisive. Tertio loco a nomine et verbo  ut  habent  c(Tc  in voce et componut  orationem et propositionem vocalem, ex  quibus componitur syllogismus sive argumentatio vocalis, qua sit DISPUTATIO INTER DUOS. Hunc ordinem lcruat Petrus Hispanus et ratio ad hoc movens cum  fuit, quia consideravit Aristoteles in suo  libro “Peri Hermenias” acturus  de propositione  definit  nomen et verbum  ut funr cius partes integrales per vocem, quafique non confideret de nomine et verbo et oratione et propositione et argumentatione, nisi ut deferuiunt disputationi, cui non deferuiunt nisi ut sunt in voce reliquit ergo omnia praedicta ut sunt in mente et in scripto et intendit de modo magis famoso ac notiori ad sensum, qui est modus in voce. Alii autem  advertentes  <f  licet modus  ific famosior  et  vulgarior  fit, tamen experientes quod omnia praedicta habene esse IN ANIMA, in voce et  in  scripto, nec  unquam  proferuntur voce, nec  feribuntur  nisi  prius  mente  concipiantur, unde et dixit  Aristoteles  in  primo “Peri Hermenias”, quod  ea quae sunt in voce, sunt earu quae sunt in anima PASSIONUM id est conceptuum notae i signa, ideo arbitrati non sunt incipiendum a voce  nec  a sono, sed  a termino, id  est  DICTIONE.  Nans  terminus  ut  est  in  mente  componit  propositionem  mentalem et ut  est  in  voce, componit propositionem vocalem et ut est in scripto, componit propositionem in scripto, et quoniam nomen verbum et oratio poliunt  ede in mente et in voce et in scripto, ideo dicunt  melius esse  quod  definiantur  per. Ti terminum ut pote magis communem  et per vocem. Hancjg!  cur viam  uc universaliorem sequemur et prateipue quia no concrariacur  priori  sententiae. Nam  sicut  est  verum  dicese. “Socrates est  homo; ergo, Socrates est animal,” sic est verum dicere,  nomen  est vox significativa, ergo est terminus significativus. In plus enim se habet terminus quod vox, quem vox non evrificacur de nomine nisi ut est in voce. Terminus autem verificatur de nomine, in mente, voce, et scripto. lncipiemus  ergo  a termino  definitive  et divisive. Quantum  ad  iccundum  adverte  tp  cum  termini in complexi  fxnc priores fit simpliciores oratione et propositione in via compositionis et propositiones fine  priores  syllogismo, qm  componunt syllogismum, et non cconucrfo, ordo foientix requireret  q prius tradaremus de praedicabilibus et praedicamentis, et secundo  loco  de  propositionibus utrra  dat  Aristoteles in  libro “ Peri Hermenias” et  III loco  de  syllogismis  formalibus  et topicis  et sophisticis  et demonstrativis eo ordine quo de eis tradat Aristoteles in tota arte nova. Verum quia novus logicae auditor tranft immediate ab arte grammatica: ad logicam, et logicus accipit a grammatico nomen et verbum et aliquas  alias  partes  orationis uc dicemus pro ut componunt  propositionem, et propositio componit syllogismum, ideo ne novicii ingenium  inuoluatur, expedit  f>us  tradare  de  gtib9oronis, deinde  de oratide  et cmltiatione, sicut etiam tradat grammaticus modo grammatico et socundo loco tradabimus de syllogilmo formali et tertio loco de  praedicabilibus, et quarto loco de praedicamentis. Nam  abfqj  notitia  propositionis et syllogismi, n<» pollet  novitius i illis erudiri  modo  logico, ut  tibi  tinanif eft u  erir. Deinde  procedemus  ad  alios  tradatus  eo  ordine  que  tibi  nianifeftabimus  loco suo. Conftat  igitur  tibi  a quo incipere intendimus, et quem ordinem foruare,  ne nouitii ingenium  inuoluatur. Hxc  de  praesenti  cap. dida  fint. Explicit  trac. primusqui Tuit  de  praecognoscendis  ordinatus per  authorem, et  reuifus  per  eundem secundus  qui est  de  partibus  propositionis. N rradatu  iecudo  agendu  est  de  partibus orationis, quae  apud Logicu praecipua une  nomen,  et verbum  et qtr» scire non poteris quid est quotuplex sit  nomen  apud  logicum,  fifr  & verbu  nisi  prius noveris  quod sit  terminus,  et quotuplex  sit. Et quod dico de termino intellige  de voce. Primum quod  poni£  in  definitione  nomini et  verbi  cM terminus  apud  coitcr  tradatores  de  logicalib apud  aut  Aristotele vox, ut tibi declaravim9  i tradaru pcedeti, c.7. io huc  tradatu  diuidem i.4.capita.. Primum, Quid et quotuplex sit terminus. Secundum, quid quotuplex sit nomen et verburn. III quid et quotuplex sit oratio. IV, Si logico sufficiunt  duae partes orationis, (ciliccC  nomen rectum et verbum rectum. Quid & quotuplex sit terminus. IN pino cap. investigandii est qud sit TERMINUS et quot sine vitares divisiones cius. Hic igitur duo ageda sunt pmo definiemus terminu declarates singulas definitionis particulas secundo assignabimus coes, et vies  divisiones  termini.  Quatu ad  prnii  aduerte, q?  hic  no  intedimus  loqui  de  oi  significato in  quo fumit  terminus in doctrina Aristotelis. Sumii at  eribus  modis, Prlo  funii! maiori, et minori  extremitate medio, et dnr  TRES TERMINI tres ex  qbus  coponi!  oisve  rus syllogismis et  de hoc  ino  loquemur  I trac de syllogismo  formali, et absoluto. Secundo  iiimitur  pro  definitioc  rei,  quae  dicitur  apud  Aristotele  terminus  quem  in  se  claudit, 8C  terminat  totam  rei  definitae essentiam  et de  hoc  modo  loquemur in  trac. de syllogismo  topico et demostratiuo. Tertio sumitur  pro  omni  co  ex  quo  propincp  constituitur  ORATIO et propositio et in quod resolvitur. Et dico propinque quoniam sicuc apud gramaticum DICTIO componitur ex aliquibus remote et ex aliquibus propinqj. sic apud logicum ORATIO et propositio ex aliquibus coponitur utrocj modo. Nam apud grammaticum DICTIO componitur propincp ex syllabis, quoniam scipsis et non mediante alio, comfonitur aurem remote ex literis, quoniam non ex scipsis sed mediante syllaba. Sic in proposito apud logicum oratio et propofitio componutur propinqj ex terminis, quem ex scipsis et non  mediante alio, componuntur autem remote ex syllabis  5C  literis, liter enim componut  fyllabas, et syllabe  terminos,  et termini orationem. Ec in hoc  tertio  sensu  solum  intendimus in hoc  trac. Ioqui ac definire terminum. Sed aduerte <jf in tertio sensu ad huc tripliciter fumi  p6t. f. communiter, ftrl de et ftrictissime. Comuniter sumitur pro omni didionc  p pinqj componente orationem,  et fic  non solum nomen  dC verbum, sed etiam alis orationis partes, ut pronome, prepositio, aduerbium etc. dicuntur termini. Stride sumitur p  omni eo quod est vel poteft esse subiectum et praedicatum et copula in propositione. In quo sensu, nec signa universalia nec particularia, nec adverbia sunt termini, quem no sunt nec possunt esse per se ipsa praedicatum aut subiectum, sed modi Huc dererminatioes eorum, fifr aduerbia sunt determinationes verbi ut “bene currit”, “hodie ucnit”  &c.  Srridisfime autem sumitur pro omni eo quod est vel potest esse extremum propositionis, extremum autem dico subjectum et praedicatum, &*n  hoc sensu copula non est terminus, quia non est EXTREMUM, sed unitiuum extremoru, unit et copulat praedicatum et subiectum et in  hoc sensu  definiuir eum Aristoteles in libro priorum diccns, (? terminus est in quem resolvjf propositio ut in subiectum et praedicatum. His praepositis adrerte qr hic habemus deffinire terminfl non ftridc nec ftritisfime sumptum, sed comunircr, aliter non potiemus ipsum dividere ut dividemus infra. Nam una ex divifionibus erit haec, terminorum unus est PER SE SIGNIFICATIVUS, alius non per se significativus. Constat autem ex prxdidis quod terminus non per se significativus, non cil tf terminus stricte nec strictissimc sumptus. Definientes igitur terminum coicer et absolute fumptfl dicimus quod est pars  propinqua constitutiva orationis et propositionis. Dicitur pars propinqua immediata orationis et propositionis ad differentiam literarum et syllabarum, quod non  nisi mediante termino componunt orationem.  undeaduerte sicut se habent lapides et ligna et fundamentum,  &p aries  ad compositioncm domus, sic liter ac et syllabae et termini ad constitutionem orationis,  nam lapides et ligna non component immediate domum, sed componunt imediate fundamentum parietem et tectum, haec  aurem  imme  diate  dotnumrideo  illae  remotae, hae  autem  propinquae  nucupantur. Sic  in  propositio, literae et syllabae non componut immediate orationem, sed  TERMINUM,  terminos autem immediate orationem. patet ergo terminum esse immediatam et proximam partem orationis ad differentiam literarum et syllabarum. Df conftitutiva orationis, quonia hic procedimus ex po- ri:ad differentiam relolutionis quae supponit constitutum ex partibus. Df ergo constitutiva orationis, quoniam hic intedimus praeparare materiam syllogismi, quae est propositio ideo investigamus in primis, ex quibus constituit pr immediate propositio, et in tractato de syllogismo aperiemus ex quibus  propinque et immediate conftituitur syllogismus. Haec autem definitio convenit termino, in mente, in voce, in  scripto: quoniam  terminus  in  mente, est pars propinqua orationis mentalis et in voce, est pars propinqua orationis vocalis et in scripto, est  pars  propinqua  orationis scripta.   Viso quid sit  terminus apud logicum  cSmunitcr  et absolute fumptus, assignandae sunt generales divifiones  eius,  uc  Idamus  iuxta  quod  membrum  ponendus est in  definitione  Hominis et verbi et orationis. Terminorum, aliquis est PER SE SIGNIFICATIVUS, aliquis  nihil per se, id est per se sumptus significativus. Terminus per se significativus est ille qui ultra se ipsum aliquid intellectui  re-presentat, ut “homo”, “animal”, “lapis”:  representat  enim homo ‘intellectui animal rationale’ et “animal” re-praesentat ‘animatum sensitivum et per se motiuum’, et “lapis” ‘corpus terreum durum offendens pedem’.  Nam SIGNIFICARE est aliquid intellectui re-praesentare. Vnde idem est terminum esse per se significativum et esse  per  se  re-praesentativum alicuius apud  intellectum. Dicitur  ultra seipfum,  quem  re-praesentare  seipsum  intelleftui est commune  omni  termino, cum fit intelligibilis  ab intellectu,  cuius obiectum est ens communis fit num ut se extendit ad ens reale et ens rationis  ut  dicemus  alias. Terminus nihil per se significativus eft ille qui per se sumptus ultra se ipsum nihil intellectui re-praesenrat -- ut  “buf” et “baf” et “biltris”. Dicoper  se  fumptus, ut  excipia quando proferuntur ex intentione irridendi. Tuc enim ex proposito irridentis fumunrur ut per se significativi, sed id NON EST ORDINARIUM. Nam pleruncp proferuntur aut exeunt ex ore sine proposito  aliquid  ultra  feit  sum  significandi. Ad hoc autem quod  sit per se significativus, oportet  ut  naturaliter vel AD PLACITUM IN ALIQUO IDIOMATE ORDINARIE ET CONSUETUDINE FIRMATA, sic vel sic ultra se ipsum significet. Dimisfo termino nihil per se significativ, ut pote inutili proposito nostro, quando NON COMPONIT ORATIONEM ORDINARIE ut subiectum et praedicatum,  nec  est  pars  nec  determinatio  eorum  ad  differentiam signorum universalium (/\x) et particularium (Vx), dividendus  est  terminus per se significativus. Et  prima  divisione  dividitur in  terminum per se  significatiuum  naturaliter et in  terminum  PER SE SIGNIFICATIVUM AD PLACITUM. Terminus per se significativus NATURALITER est ille, qui apud omnes homines idem uitra se ipsum re-praesentat intellectui, ut “homo” et “animal” in mente est autem homo *in mente* vel anima species, sive *similitude*,  sive *conceptus* hominis. Se habet enim huius modi *similitude* sive *conceptus* ut *vera imago*, puta ‘Caesari’, quae apud omnes ex sui natura re-praesentat  Caesarem (‘GIULIO CESARE’/Giulio Cesare – ‘Fido’-Fido.  Sed  adverte  quod non solum terminus in mente vel anima est significativus NATURALITER sed  et quidam  termini  dum  proferuntur, et quaedam  animalium SIGNA, ut dum INFIRMUS GEMIT, apud omnes repraesentatur DOLOR, et dum CANIS LATRAT apud  oes re-praefentatur IRA. Terminus autem PER SE SIGNIFICATIVUS AD PLACITUM, est ille qui NON apud OMNES IDEM, sed IN DIVERSO IDIOMATE diversa re-praesentat, vel tatum in uno idiomate aliquid  determinate re-praesentat, in alio autem nihil. Et causa huius est,  quia huiul modi termini non significant  ex instinctu naturae sicut interjectiones quae non sunt bene trasferibiles ex uno idiomate in aliud, sed impositi sunt ad sic significandum EX DECRETO ET AUTHORITATE primorum instituentium, quibus sic placuit rationabiliter  tamen, in  uno  quoqj  idiomate  res singulas sic vel fic nominare. Et adverte  quod ultra  hoc quod terminus ad  placitum  differt a significativo naturaliter in hoc  quod NON  apud  OMNES IDEM  re-praesentat, dum  profertur, nec significat  ex  instinctu naturae, sed  decreto primi  authori: in  duobus aliis  diffcrt. f. in  modo proferendi et in significato. Nam terminus ad placitum per se de et distinde profertur,  modo non adiit ineptitudo linguae exparte proferentis. Termini autem naturaliter significativi propter impetum passionis, amoris, aut timoris, aut gaudii, aut irae, ut in pluribus truncate proferuntur, etiam  remota ineptitudine linguae. Differunt etiam ex parte significati,  quoniam  termini ad placitum significant conceptum intellectus: illi autem magis indicant AFFECTUM appetitus, quam conceptum intellectus vel animae. Sed ne novitius involuatur, hic sisto, donec siat capax solidioris docrinae. Dimisso termino per se significati — non naturaliter pro nunc TERMINUS SIGNIFICATIVUS AD PLACITUM  multas sub se continet divisiones, quarum frequens est  udis in  doctrina  peripatetica [LIZIO], ex  quibus  una  est  quod quida  est  categorematicus, quida syncategorematicus. Categorematicus est ille qui tam  g se sumprus  quam cum  alio, tam  in  ppone  quam  extra, aliquid ultra  se ipsum intellectui re-praesentat -- ut “homo”, “lapis”, “curro” – ego curro – nomen et verbum -- , “amo”. na  “homo”  g le  folutn  significat  ‘animal rationale’,  “lapis” [significant]  tale corpus, “curro” [significant]  adum  currendi, “amo” [significat  aduin  amandu --- “shaggy” significant ‘hairy-coated.’ -- syncategorcmaticus est ille qui per se solum sumptus nihil extra seipsum apud intellectum significant – “What is the meaning [SENSE] of ‘or’, or ‘to’?” --. Si autem sumatur cum alio, puta cum nomine substantivo [non adjective, ‘shaggy’] e  vel  cum verbo, simul significat, inquantum determinat nomen aut verbum. Et sic signa universalia (/\x) et particularia (Vx) et preposinones (“to”) et adverbia, et coniunctiones (“and,” “or”) sunt  termini syncategorematici. i.co significativi.  Nam signa  universalia (“all”, /\x)  determinant nomen substantivum politum in subjecto ad ft a dum pro OMNIBUS, aut pro nullo – ut, “Omnis homo currit”,  nullus homo currit. Signa autem particularia (Vx, some – at least one --) determinant subiectum particulariter -- ut “Quidam homo currit”, +> “Quida homo non currit.” Praepositiones (“to”) aurem determinant nomen ad constructionem  pro cerro  casu,  puta  ablativo  ucl  accusative. Adverbia  determinant  verbum  f>ro  determinato  Io  co, ut adverbia  localia, vel pro determinaro tempore,  ut  adverbia temporis , vel  pro  determinato  modo  quantitatis ucl qualitatis tut  adverbia  quantitatis  et qualitatis. Coniunctiones (‘and,’ ‘or’) autem  determinant  terminos et orationes, secundum,  modum copularivum (‘and’), vel disjuinctivum  (‘or’) vel  illatiuum.  exeplum  primi,  “et” , arcp  exemplum secundi,  “vel,”  “aut” , exemplu  tertii, “ergo,” igitur, iracp.  Inter syncategorematicos  terminos non comprehenduntur intejectiones (“ouch!”) : quoniam  ut  docuimus signficant  NATURALITER, nec pronomina primitiva,  quoniam sumuntur loco proprii nominis et certam significant personam. De derivativis autem videtur quod sic,  quem sunt  ut  determinationes  nominum  substantivum - ut  “meus liber”, “tuus pater”, “nostra patria,” etc. Similirer  participium  ji5 eft terminus syncategorematicus, compleditur  enim  nomen substantiuum et verbum -- ut “legens”  loquiTUni»  ‘homo  qui  legit’ loquitur. Ex  his  omnibus  sequitur, quod  cum sine odo  partes orationis, tantum  nomen  et verbum sumendo cum nomine pronomen  primitivum,  et cum verbo  participium, sunt  termini  categorematici,  alix  autem partes sine termini syncaregorematici apud logicum, et caulam huius dicemus postquod definierimus nomen et uerbum. Terminorum  categorematicorum  quidam eft  primat intentionis, quidam secundae. Prima  intentio apud veros peripateticos (LIZIO) est primus conceptus fundatus immediate in re, quod  est  ens reale, ut  primo  apprathenditur  prxhenditur  ab  intellectu, -- ut  ‘animal  rationale’  est  prima  intentio  quam  format  intellectus, et  immediate  fundatur, iit  natura  hominis. Secunda  aurem  intentio  est  secundus  conccprus  formamus  ab  intellectu, fundatus in  re non immedia ce sed mediante primo conceptu, ut  esse praedicabile  de pluribus differentibus numero in quid, est secundus conceptus quem format inrellectus de homine. Nam  postquam  appraehendit  cp  ‘homo’  est  “animal rationale”, advertit ut est ‘animal rationale’, convenit omni contento sub homine, et sic est praedicabilis  de quolibet suo individuo  in quid, et tunc  format secundum conceptum, dicens  quod natura hominis  e eo  quod est ‘animal  rationale’  est  praedicabilis  de pluribus differentibus numero in quid et quod dico de homine incellige de qualibet natura specifica contenta sub animali. Terminus igitur primis intentionis est terminus significans  primum conceptum, fundatum  immediate  in  essentia  rei -- ut  “homo”, “capra”, “leo”. Terminus autem secunda intentionis  est  terminus significans secundu conceptum  fundatu  in  natura  rei  median  re pmo conceptu -- ut  “genus”,  “species”, “differentia”, “singular”, etc; Et ne confundatur intellectus novitii hic sisto. In tradaru  aute de universalibus sive praedicabilibus diffusius et altius de terminis pmx, et feciidx INTENTIONIS loquemur. Et aduerte quod  divisio termini in terminos  pmz  impositionis, et  secundo  positionis  apud  nos, qui  sequimur  VIAM REALIUM non  differt  a praecedenti. Nam  “homo”  in  mente vel anima excogitatus, et voce  probatus, et in scripto  politus,  significat (>mum conceptum ideo est terminus pmz  intentionis in mente vel anima, in voce, in scripto. Et  iste terminus species ex cogitatus in mente vel anima et in voce et in  scripto et secundae  intentionis, quia significat secundum  conceptum  modo  quo  diximus. Non ergo est necesse ultra divisionem faftam inter terminos f>mx, 8( secundae  intentionis, assignare eam quae dicitur  pmz, & secundx imtentionis ut penitus distinctam aprxcedenti, qux fuit inter  m x , et secundx  intentionis. Hoc enim continetur  in illa.   Terminorum quidam cfimunis,  quidam  singularis. Cdmunis  eft  q de pluribus  pradicatur -- ut  “homo”, “animal”, “lapis”, et apud  grammaticum  dicitur  nomen  appellativum, quem pluribus  convenit. Terminus singularis  est  qui  de  uno  solo  praedicatur -- ut  piato, & fortes, et apud  grammaticum dicitur nomen proprium (“Fido”), qmuui  foli  conuenk,  & ad  «erte  <y  terminus singularis  apud  logicum  pot  fieri  quatuor  modis, primo  per  nomen indiuidui, ut  “Plato” 'ftudet,  secundo per nomen  coe adiun&o  pro  nomine  demonstratiuo, ut  hic  homo  studec, tertio  per  nomen  circtinlocutum. i «miiltas circunstantias  singularizatum, ut  Sophronifci primogc  nitus  filius  feribit, quarto  per  ly, quod  apud  logicum, et philosophu est signum demonstrativum, ur  ly  “homo”, ly alal  &c.  Terminorum quidam magis universalis, quidam  minus  univerfalis, & utrunq;  membrum  continetur sub  termino  communi. Magis  universalis  est  qui  praedicatur de  pluribus  q minus  univerfalis, nam  magis  univerfiilis  praedicatur  de  omnibus  de  quibus  praedicatur  minus  universalis, &1n  hac  divisione  continetur  animal  et homo, na  animal  praedicatur  de  omnibus  de  quibus  praedicatur  homo et de  aliis  pluribus  ut de omni animalium specie, homo autem  tantum de  contentis sub homine  individuis, et iuxta  hanc divifionem  asfignabimus  ordinationem  conten  Corum  io  quolibet  praedicamento, procedendo  a generali! Cmoadfpcdalisfimum. Terminorfim  tam singularium  q communium  quidam eft  finitus, quidam  infinitus, finitus  eft  determinati et certi significati: qui  scilicet  fignificat unam  ccr  tam ac determinatam  naruram, et  de  nulla  alia verificatur, ut homo significat solam naturam rationalem,  animal  foli  naturam  fenfitiuam, etc. Infinitus  est  qui  negat  unam  naturam,eam, scilicer  quam  significat  terminus  finitus, et ucrifi  catur  de  quacuncp  alia, ideo  dicitur  infinitus, id est indeterminatus in significando, et terminus finitus fit infinitus per appositionem  non, ut  non  horno, non  lapis, non  animal.  Nam  non  homo  negat  naturam  hois, $ ( verificatur  de  quat  Cunc $alia« Vndc  lapis  eft  non  homo, leo  eft  non  homo  &c.  Et  aduerte  q'  quando  terminus  finitus, infinitatur  per  non.    iS  fit  tota  una  diftio,ut  non  homo, fi  autem  ftet  non, per se, &  homo  per se, dicitur  terminus  non  infinitatus  sed  negatus -- ut  “Non  homo  currit”, et per  terminum  negatum  fit  propositio  negativa  haec  enim  eft  negatiua  “non  homo  currit”, haec  autem  eft  affirmativa, non  homo puta leo currit. Terminorum  quidam  est  positivus, quid priuatiuus . Positivus est qui significat aliquam formam sive habitum  perficientem  fuum  fubiedum,ut  uifus  perficit  ocu  lum  «Lux  aerem, iuftitia  animum  etc. Privativus est qui significat negationem  talis  formae, relinquens  taroe  aptitudj   k ne  in  fubiedo, eo  quod eft  aptum  hre  talem  forma -- ut  “caecitas,” “tenebra,” “iniustitia,”  “mores  furditas”, etc. “Caecitas” enim significat negationem  visus  in  oculo  apto  here  visum, modo, et  te porc  quo  cft  aptus  videre. Dicitur  notanter  quod  est  aptum  habere  talem  formam, qm  fi  non  est  aptum , no  uerificacur   ii  de  eo  terminus  priuativus, sed  terminus  pofitiuus  negatum   aut  “non  videns”, non  lucens, non  audiens. Unde  de  lapide  haec  est falsa – vera apud Grice. “Lapis  est  caecus,” -- vel  surdus, uel tenebrosus, haec autem est  VERA. “Lapis est non videns”, non audiens, non lucens. Terminorum  quidam  abstradus,  quidam   a concretus.  Abstractus  est  qui significat formatu per se fine  f- connotatione subiedi -- ut  “color”,  “sapori”, “albedo”,  “dulcedo”,  “anima”, “iustitia”, “spem” (‘speranza’) etc. Concretus est qui significat  formam  conno  i-  tado subjectum, uc  “coloratum”, “album”, “nigrum”, “animatum”, “iustum”, ‘hopeful,’ etc. Et  adverte  quod haec  divisio  coincidit  cum  illa, dc  :t  qua erit  fermo  in  ante  praedicamentis, scilicet  Terminorum  r,  quidam est denominans, ut grammatica, hic  est  idem  quod  ab li ftradus,  quidam denominativus, ut  grammaticus hiccR   idem  quod  concretus. Terminoit quidam in complexus,  quidam complexus. In complexus  est  ille, qui  est  terminus simplex,   er vel  copoficus, vel  uniens  in  se  plure?  terminos per se significatiuos ad placitum, ita  tamen  quod  habent  uim  unius  exem-  ,a«  pium  primi  homo, capra, leo, exemplum secundi.  Scuti-   K.  fer, armiger  exemplum  tertii  “paterfamilias”, “primo-genitus,” “sanctus Georgius”, “summus pontifex”. Comple-Jtu«  est ille, qui in se aggregat  plures  terminos  per se  significativos  ad  placitum, qui  NON HABENT VIM unius, sed  siue  aggragati, siue separati recinet  suum  proprium  significatum. Et  nccerminus  complexus semper  est  oratio,  aliquado sine verbo, ut “homo [est] albus”, “animal [est] volatile,” in  qua *secunda* pars  determinat, et limitat  primam, aliquando  cum verbo -- ut  “Homo  est  albus”. Vnde logici  univerfaliter  dicunt  quod terminus  incomplexus  est  ut  dictio. Complexus  autem  ut  oratio. Tuta men aduerte quod terminus complexus coitcr nominatur per orationem infinitivam, ut deum ede trinum hominem esse risibilem, quae oratio dicitur e(Te quid complexum, et enunciabile, ut ibi manifeftabitur, cum  loquemur  de  modalibus. Terminorum quidam significant sine tempore quidam  cum  tempore. Significare  sine tempore  est  significare rem  absolute  sumpram  non mensuratam aliqua  differentia  temporis, cuius  differentis sive  partes  praesens, praeteritum, et futurum, et hoc  modo  significar  nome  et pronomen sumptum loco nominis.  Nam  dum  dico  hoitio, aut animal, homo significar  rem  quae  est  homo  absolute,  et  non  inquantum  praesntem, aut  praeteritam, aut  futuram. Tu  tamen  aduerte  quod  licet  nomen significet  sine  tempore, nihil tamen prohibet aliquod nomen significare tempus, aut partem  temporis, ut haec nomia,  tempi, hora,  dies  ebdomada, mensis, annus. Nain  licet significet tempus,  non tamen aliquid distinctum  a tempore, et mensuratum tepott. Per oppositum autem significare cum tempore est significare rem adiunda aliqua differentia temporis. Et hoc modo verbum et  participium significar cum tempore.  Verbi gratia “curro” et “currens”, significant currum pro tempore  praesenti, et non  aliter, “cucurri”  pro  praeterito etc. Unde significare sine tempore, ut  dicemus  infra, proprie  convenit  nomini,  oppositum  autem  convenit  uerbo. Terminorum quidam univocus, quidam AEQUI-VOCUS, quidam analogus. Univocus est qui sub UNA definitione naturam unam significat, sive sit una specie, sive ana  geacre -- ut “homo” sub hac definitione, est ‘animal rationale’, significat natura humanamquae est una spe, &aul fub hac definitione, est ‘corpus animatum sensitivum’, significac naturam animalis quae est una genere. Aequivocus est qui sub distindis ronibus, et abfqj ordine, et immediate  plures  naturas significat distinctas  spe -- ut  “canis” significat  immediate  ‘canem  coelestem’ sub  hac definitione  quod  est sydus in ore sigui leonis, et “canem latrabilem” sub hac definitione quod est animal iracundum et “canem marinum” sub hac definitio  ne  q* est ‘animal aquaticum simile cani  terrestri’. Analogus est qui sub diffindis  ronibus  ucl sub una in aequaliter participata plures naturas quodam ordine prioris, & posterioris fignificat. E xcmplum  primi.  “Sanum” (Aristotele – Grice – “Multiplicity in Aristotle”) sub  hac  rone  q?  est esse  adaequatum  in humoribus  significat  ‘animal sanum”,  sub  hac  f one  q' eft  e(Tc  causatiuum  (imitatis  significat  ‘medicinam’  Isi  nam, sub  hac  rone quod est ede indicat iuum sanitatis, significat ‘urinam sanam.’ Prius tamen  dr de ‘animali’, pofterrus autem de ‘medicina’, et ‘urina’: quoniam nonnifiin ordine ad ‘animal sanum’. Exemplum secundi. “Ens” sub hac rone quod est cui debetur eflfc, significat primo ‘substantiam’,  deinde acens quoniam substantia est ‘ens’ simpfr,  et “accidens” est ens “secundum quid”, et solum  in  ordine  ad substantiam.  Hic  termini  cur  universaliorcs  divisiones quae in docrina  peripatetica [LIZIO] frequenter funt in usu, ta  i libris  termino logices, q pbiae.  pr aepofirae  aut  funt, ut  noviti9 paulatim  a(Tucfcat, &  nc  fim coadi  frequeter  singulas  repetcre. Haec  dc.  i .cap. dida  fint. Quid et quotuplex est nomen et verbum apud logicum. In secundo capite investigandum est quid et quotupleg sit nomen et verbum apud logicum, sunt enim principales partes propositionis, ut tibi manifestum erit, primo igitur agendum est de nomine secundo de verbo. Et  quonia  hic  intendimus  agere  dc  partibus  propositionibus, et de  propositione, & de syllogifmo, non solum in voce, sed  et in  mente vel anima, et in  scripto, ideo  definiemus  ca  non  per vocem, sed terminum qui est communis nomini et uerbo in mente vel anima, in voce, in scripto. in  reliquis  autem no recedemus a via, et me* do definitiuo fcruato a Petro Hispano, qui logicam Cui formavic ut compendium logicae totius traditae nobis ab Aristotele, excepro  libro  posteriorum. Non .n.  Petrus  hispano  formavit  tractatum  aliquem  correspondentem  libris  posteriorum, hac  forte  rone,  qmcxiftimauit novitium penitus incapacem syllogismi demonstrativi, Nos autem faciliori  modo quo poterimus particularem tractatum formabim ut paulatim alluefcat novitii ingenium, et ne  fubito auditu libri posteriorum confusus retroccdat. Licet autcm Aristoteles in  libro “Peri Hermenias”, et  Petrus  cius  imitator  definiant  nomen  et uerbum  per  vocem, et  nos  per  terminum, tn  no eri  mus  oppositi, nisi  in  hoc, quod nos  magis  ample, illi  autem  magis  ftriftc  definierunt, Considerarunt. M partes  orationis  folurti  ut sunt vocales, nos  autem  ut  poflunteife  mentales – vel in anima --,  et vocales, et scriptis. Unde sicut  dicit  Aristoteles et Petrus  cf  nomen  est  uox, fifr  et verbum, dicemus nos  i terminus,  fiib  quo continetur terminus  vocalis  qui  dicitur vox etc. Primo  igit  agentes  de  nomine definiemus quid sit apud logicum, et si  multiplex est. Quantum  ad  primum  adverte  cp  nomen  ad  mente  Aristotelis in voce, in scripta est  TERMINUS PER SE SIGNIFICATIVUS AD PLACITUM sine  tempore, cuius nulla pars separata  aliquid significat finita et reda. Primo dr  quod est terminus, quem nomen est  pars  propinqua  ofonis et proponis, ut patet. Et quem terminus est quid magis commune quod sit  nomen, ut patet ex  op. praecedenti.  Nam et verbum  est  terminus, non tamen  est  nome,  ideo  in  haedefi  nitide  ponif  terminus  ut  genus. Na  ut  declarabimus  trac de  syllogismo  dialectico, pmus  terminus  in  definitione  positus, est  loco  generis,  quem  eoior  est  ipso  definitor,  reliqui  aqte  ponuntur  loco  differentiae  ut  declarabimus Secundo dr  p se significativus, ut  excipiantur  termini  NON PER SE significativi -- ut  “buf” et  “baf” et terrmni syncatcgorema Cici ut signa univerfalia (‘omnis’ ‘all’) et particularia (‘aliquis,’ some, at least one), uc “omnis”, nullus, aliquis, quae  licet  apud  grammaticum  fint  nola:,  non  tamen  apud  logicum, quoniam g (e fumptanon polfunt esse praedicarum ncc fubic et u proponis, fcd tm determinant subiectum. Au aur praedicatu uc  docuimus in rertia divillonc tcrminoif. Tertio dr  AD PLACITUM ad  driam  termini  significatis  NATURALITER -- ut  interjections (“ouch!”), quod condant  non  clfe  noia  qm  no  declinantur  per  casus, nec fune fubicdumaut  praedicacutn  proponis  nisi  in suppositione materiali -- ut  “heu”  e interie&io,  heu  eft  bi syllabum, &  ad  driam termini J. conceptus  in  mente vel anima, qui  NATURALITER significat ut declaratur  in. i  “peri hermeneias”  t Quarto dr  fmc tempore  ad  driam  verbi, quod significae  cum ege, quid fit significarc  fine  rge, &  cum  tge  iam  docuimus  in divisione  terminorum , et diximus  q?  no  «nconucnit  aliquod  nomen significare  tempus, ve;  partem  tgis -- ut  dies, hora  non  th  cum  tgc. Vide tu  illic»   Quihto  dr  cuius  nulla  pars separata  aliquid  lighat. idi  no  men  dividaf  in  partes  fiias, quz  (int  fyllabz  ut  pr,  & omne  nomen  nmplex, ucl  quz  fint  dictiones, ut  in  noic  composi, ut  est  “paterfamilias,”  uel  Icutiferus, et fumant  g fe. i.  extra  totum nomen  nihil significant. Quod  fic  intclliges,aut  nihil  orno  significant  ut  marc. Na  nec  tnamee  re,  g fe  fumpta  ali  quid significant.Vel  fi  aliqd significant, non  th  habent  illuti  lignatu, quod  hnt  in  toto  noic.V.G. Hoc  nomen  dhs  signac  |»ncipem. Si  ante  refoluat  in  do  et in  minus,do  uciqj  signat:;f*aftum  dandi, et minus  signat oppositum magis,  sed  ut  co ponunt  ly  dhs nihil  fignificant. f.dc significato  ly  dhs. Idem  intellige  de  nomine  composito, cuius  partes  separatz  et (i  aliquid  fignat, non  tn  illud  quod  fignat  totum  nomen  ccm  pofitum, ut “paterfamilias” significat  rectorcm  familiz. “Pater” autem per se fumptus significat ‘genitorem’ et “familia” ‘familiam’, ica  q in toto significant  ur.um, separatz  autem signiS eant duo. Ethzc expositio est communis apud veros logicos* Unde Avicenna recitat in logica sua aliquos dixifle, quod verbum  in complcxum est  cuius  nulla  pars separata  aliqd significar. fi quod  fic  de  intellectu  et significato totius  qm  nl  hil  , phibct  aliqd aliud  fighare -- ut  “magister” nam  “magis”  aliqd  significat: et  “ter”, sed  non tetinent significatum  quod significat “magister” nec in totum nec in partem. Er  fic  paret  quod  haec definitio  conucnic nomini cam simplici,  quam composito,  tam primitivo,  qua derivativo, dum  ntodo  intdligatur, uc  cxpo  luimus. Sexto de  finitus  ad  differentiam  nominis  infiniti, quod  et  si  apud  grammaticum  sit  nomen, non  came  apud  logicum,  quoniam  apud  ipsum  nomen  est  illud, quod potest elie subjectum et praedicatum in propotitioc. Subiectum autem et praedicatum oportet, ut determinate aliquid significent, afr propotitio effec inutilis, nec deferuirct syllogismo formado ab intellcdu pro inquirenda ucritatc.Vndc et terminus acq liocus  inntilcm  facit  proponem, niti fumatur determinate.  Verbi  gratia  canis  coeleftis  lucet.  Sed  uc  docuimus in divisione septima  terminorum, terminus infinitus nihil determinate tignat, ideo cum non  postit esse fubicdum  & praedi  catum  proponis  non  cft  nomen  apud  logicum  niti  fecundi!  quid, ut dicatur nomen non  fimptf  r sed nomen infinitum, sicuc solemus dicere quod “chimera” non est nomen REALE sed nomen fidum, quia nihil significat sed imaginarie. Sed dices, apud logicum hzc cft propotitio.  Non homo currit, ergo poteft  effc  fubicdum, & per confequcns nome. Respondccur. Tales propositiones sunt inutiles ti teneatur  nomen  infinitum in sua infinitate &i n deccrminationc. Si autem determinetur ticdiccndo. Non homo.i. asinus currit tunc propotitio erit utilis, sed nomen infinitum non remanet infinitum, fed  zquiualet  finito. Septimo  dicitur  redus  ad  differentiam obliquorum, qui non fune nomina apud logicum. Nomen enim est apud  ipsum  quod  f m fe aliquid significat, 8(  f m se  poteft  effc  fubicdum  propotitionis. Sed  obliqui  neutrum  habent  ex  fe. No primum, quia  tignificatum  trahunt, a redo  ticur,& deriuan tur ab co. Redus autem ticut non deriuatur ab alio tic non accipit tignificatum ab alio  cafu sed habet afe. Non secundum, quia ti apud logicum formatur propotitio perucrbif impcrfonaIe, ut Platonis intereft legere: ly Platonis no eft subiectum, niti refoluatur in redum tic.  Ille cuius eft legere est Plato. Sic intclUgc de aliis. Prztcrca solus redus  fufficit  t11 K Ir O \t. i115 s io i ur  Si  rii  a fr-io mn. A  re 3t n ad formandam prop6ncm pcrfedann et maxime de secundo adiaccntc, ad quam non  sufficit nomen obliquum. Haec enim  cQ perfcda. Deus est, homo  est, hacc  aurem  imperfe  da. Dei  est, hominis est. Non ergo obliqui moerentur dici nomina sed  fmc  cafus  nominum.  Hoc de  definitione  nominis  apud logicum  rcalem & peripateticum dida  fint. Quantum ad secundum. F quotuplex  fit  apud  logicum,  Ideft  inquantum  poreft  c(Tc  subiectum et praedicatum, ppo  fitionis, conftat, ex didis quod non est multiplex, quoniam solum nomen rectum et finitum  poreft  clic secundum  le subiedum et praedicatum in propone modo quo expofuumus.Vnde logicus a grammatico sumit fibi  redum ut  nc« cellarium ad fomandum absolutam proponem significativam veri & falsi Reliquos auccm casus lumir adbencclfc, et magis propter servandam congruitatcm quam veritate sermonis, ne uideatur logicus delpicere regulas grammatices. Haec de nomine  dida  finr. Quantum aduerbum aduerte quod ad mentem Aristotele verbum cam in voce quam in scripto sic definiendum est verbum est terminus per se significatiuus ad placitum cum tempore, cuius nulla pars separata aliquid significat,  finitus & rectus extremorum unitiuus. Terminus ponif loco generis ficutin definitione nols, quia eft eoior uerbo. Nam omne verbum eft terminus: sed non converso p fe fignariuus ponitur eadem rone sicut in definitione nols fifr ad placitum ad driam interiedionuni, et verbi mentalis, qrh significat NATURALITER, ut diximus in definitione nois, Cum tempore ponitur ad differentiam nois, et pronominis, et conuenit in hoc cum  participio quod uc- nit a uerbo. Quid fit significarecum tempore, 8c quare uorbu et participium signifi.ar cum tempore, uidc  in diuifione undecima rerminoru. Cuius nulla pars separata aliquid sfignificar, intelligcndum est de verbo tam simplici quam composito, sicut expofuimus in  definitione nominis, in hoc enim uerbum conuenit cum nomine, finirus ponitur ad differentiam uerbi infiniti. Infinitatur aute verbum sicut et nomen  per appofitionem negationis,  ut non curro non laboro. Quod quidem apud logicum no eft verbum, qm nihil determinate significacficur nec nomen infinitum. Undefacc rct proponem inutilem: nili determinetur licut diximus de nomine infinito, sic dicendo, fortes,  non currit»  I « feribie» Re cius ponitur ad differetiam uerbiobliqu^cft autem uerbum obliquum apud logicum uerbum prztcriti et futuri temporis, et verbum cuiuslibet modi przter  modum  indicativum.Vnde  quaedam  fune  uerba  obliqua  ex  tempore  ra  tum,ficut  uerba  praeteriti  temporis, et futuri  indicativi  modi, ut “amavi”, “amabo”. Quaedam autem ex modo rantum uti imperativa tempore przlenri. Quzdam ex modo,  et tempore, ut uerba  optatiua, et subiunctiua et infinitiva temporis praeteriti et futuri. Ideo autem apud logicum non fune verba, quoniam non faciunt primo et perfcipfa propofitionem veram aut falsam, sed per redudionem ad verbum indicatiui modi et temporis przfcntis. Nam  hzc  non  cft  uera  Czfar  fuit,nifi  quia  aliqii  fuit  uerum  dicere  Czfar  cft»  Sifr*  hzc  non  cft  uera.Eclipfis  crir,nifi  quia  aliqh  erit  uerum  dicc  rcrcclipfis  eft. Quoniam  igitur  folum  uerbu  redum,»i»mo-  di  indicatiui  przlenns  temporis  facit  per se ipfum  propofitionem veram et falfam, et  sola  propofitio  indicativa pinis temporis facit syllogifmum dcmonftrariuum .i.fcicntialcm ut tibi declarabitur in rrac. De syllogismo demonftratiuo, ir dignatur logicus recipere a grammatico solum verbum indicatiuum praesentis temporis, et przcipucfum, es, cft:quo  niaminipfum  ut dicemus  refoluuntur  omnia uerba dida  adiediua.Excremoru  uilitiuus  ut in  hoc diftinguatur  a nomine et pronomine fumpto  loco  nominis, nam illa  funt ucl  poffunt elTc extrema in propofirione,ideft  fiibiedum  et pdf  catum, verbum  autem  non, fed  habet  unire  extrema. Unde  dicitur apud  logicum  copula, qm  copulat  przdicatum  cum  fubiedo. Item  in hoc diftinguitur  a participio,  q»  licec significet  cum tempore ut uerbum  tn non poteft effe copula, nec facit  g feipfum  oronem perfedam, dicendo  fortes  Ic  gens,  sed  cft  necefle  fubintelligerc  uerbum» Verbi gratia foftcs eft legens, ucl  fortes  leges  eft  ftudiofus. Conftac  igiC quid fic  uerbum  apud  logicum, & quare  folum  uerbum  i e-  dum. i. quod  no  deriuai  ab  aliquo  priori:  quale est uerbum lotum indicatriui modi  tgis prxfcntis,vnocrctur  dici abfolute  uerbum. Reliqua aut  tga; &  modi  dicantur  obliqui  fiue  cafus  uerbi  refti, quoniam  defcendunr,  & deriuatur  ab  eo. Quotuplex  auc  fit verbum apud logicfi, non  est  immora  dum ex quo solum ucrbu rciftum moeref apud ipsum dici nierbum ex rone ia di&a. Sed apud gramaticu  ideo est  multiplex verbum, ut patet in coniugationibus verborum,  et I regulis fiiis, quoniam non attendit  ad formadum propone  veram  aut  falsam sed congruam, et uitare incongruam et quoniam  per  oes tgis  drias, &  oes  modos  uerborum  for  mari  por, et alio  modo  g uerbum  aftiuum, aIio  modo  g paf  fiuum  &c.ideo  apudgramaticum  uerbum  mulcipfr  diuidic.  Nam  gramaticus  concedit  iftaurpocecongruazho  eafinus  f|  negat  logicus, ut  falfam. Hxc  de. 2. cap  dida fmt, Quid fit  et quotuplex  fic  oro  apud  logicu.  IN  tertio  cap. poftqua  actum  est de partibus oronis  age»  dum est de ipsa orone ut de toto conftitutot cuius praecognitio ideo nccciraria est quoniam feire non possumus qd fit enunciatio  et propo, ut tibi manifeftabitur infra,  nifi pus notum fuerit quid, et quotuplex fit oro.  Hic igitur tria age da funt, primo quid fit, secundo quotuplex sfit tertio  qua orationis species  sit  propofitio. Quantum ad primum aducrtcip ad mentem Aristotelis oratio in voce et in scripto, fic definiri debet, Oratio eft terminus per se significatiuus complexus ad placitum, cuius  partes separatx aliquid sfignificant. Primo  dicitur  eft  ter  g le significa  rone,  qua  didum  eft  de  nole  et uerbo et ponitur loco generis,  quoniam eoior  e.  Nam ols oro eft  terminus per se significatiuus : fed  non  ccd  uerfo. Difhim  eft  enim  cp  nomen  et verbum  funt  termini per se  significatini, non tamen sunt oratio. Secundo  dicitur  complexas  ad  differentiam hominis  et  uerbi, quo nullum  fiuc  fimplcx, fiuc copoficil, e termiiim complexus. Quid  autem  fit  terminus  complexus  nide  in diuifione  decima {terminorum  , et illic  inucnics  quomodo proprie conuenic  oration. Tertio  dicitur  ad  placirum, ad  differentiam ofonis  mentalis, qux significat  conceptum  mentalem  complexum, qui  conceptus  lignificat  naturalr, sicut  diximus  de  nomine et  uerbo  mentali – in anima. Praeterea, oro in uoce, et  in scripto significet ad placitum, probatur  fic. Partcs  fux. f.  nomen, et uerbum significat  ad  placitum, ut  docuimus  in  cap. prxccdentJ  ergo  et ipsum  totum  confoturum  ex  eis, quod  cft  oratio. IV  di  cuius  partes  feparatx  aliquid significat, id  ponitur ad  differentiam  nominis  & uerbi, quorum partes, uc docuimus in eorum definitionibus, non fignificat aliquid fc  parate, modo quo illic expofuimus, partes aute ofonis  fune  termini caregorematici, intclligendo de partibus principalibus ficut intendit Arift. Si non de partibus  secundariis, quae  polfiint  eife propones  aduerbia  etc.  Termini  autem  catcgo  rematici  tam  in  oronc, q extra  retinent  fuum  lignatum,  ut  docuimus  in  diuifione  tertia  terminorum.  Vn  fi  fiat  hxc  oro, “homo  albus  currit”, ho  extra  hanc  oronem fignat  aial ronale, ficut  et in  oronc, & albus significat habens  albedine. Tu tamen aduerte cp licet fit commune omni orationi haberepartes qux separatx aliquid significant,  non tamen id  fit uno modo i omni oronc, nam  fi  oro fit  fine  uerbo, ut  ho  nio  albus, partes fux aliquid significant  modo, quo significat dictio. Si  afit  fiat  oro  fimplex  per uerbum, uc “homo est animal,” partes fux separatx eodem modo significant. fut  didio. Si  aurem  fiat  oro subiuctiva,  ut si veneris  ad  me  dabo tibi equum, partes lux funt dux ofones ut patet. Unde si separentur, significabunt non ut diftio, sed ut ofo. Vcrura quia refoluitur m duas orationes, et dux orationes in terminos componentes, ur ego dabo, tibi equum, ideo commune est omni orationi quod partes fux separatx aliquid significent, aut ut dictio, aut ut oratio. Sed dices. Quare in hac definitione non apponitur finitus et rectus, sicut in definitione nominis et verbi, prxeipue a quia dictum  eft q nomen  infinitum nori potest esse fubiecti nec praedicatum,  nec verbuni  infinitum  potest  cflc  copula,  fimiliccr  nec  nomen  obliquum  nec uerbuni  obliquum.   Reipondetur  quod ideo non opponitur,  quia in definitione non debent poni  nili  quae conucniunt omni contento fub definito, non omnis autem oratio formatur ex nominee et verbo finito, & redo. Nam haec eft  oratio, non  homo  currit  et haec, Catonis  est  legere, et haec, homo currct. Qn aut diximus quod nomen  infinitum et obliquum non poflimt ee subicdum, no fumus locuti de orone sed de propositione, qm sola oratio  indicatiua  praetentis  teporis  ut  dicemus  eft  propofitio.  Qm  igitur  aliqua  orario  poteft  coponi  ex  nomine  iufinito,  et  obliquo, fitr  ex  uerbo, et aliqua  non, puta  propo  firio,idco  non  dicitur  redus  neque  finitus, fed abftrahit ab  utroque.  Conftat  igitur  quid  fit orario apud  logicum,   Quantum  ad  fecundum  aduerte, quod apud  logicum oratio prima diuifione diuiditur in  orationem  perfedam et imperfe&ani, deinde utruncp diuifionis  membrum fubdiuiditur,  nidebis infra. Oratio perfeda est illa quae perfedum sensum gencraf in animo audietis, id eft  quod audita quietat, quo ad significatum intentum a PROFERENTE (“utterer”)   uel  feribente,  animum auditoris, Verbi gratia. Socrates  intendit  notificarc  Platoni  ftatfl  regis, et dicit. Rex  ualet  fortis  in  bello  contra  hoftes, Hac ratione audita quiefeir animus audientis. Quod fi dicar.  Rex contra inimicos, et non ultra procedat, imperfedum fenfum generat in animo audientis, id eft non quierat ipfum ideo dicitur oratio imperfeda. Nam audiens rex contra inimicos, ultra non proceditur, dubitare  incipit  uti£  prae  ualeat, an  fuccumbat  contra  inimicos  fuos,  patet  igitur  ora  tionis  prima  diuifio  apud  logicum.   Oratio  perfefta  continet  quinque species, quae  funt  indicatiua  temporis  praetentis, & omnium temporum modi in dicatiui, ut  “Petrus  amat”, amabat  amauit, amaucrat, amabit  imperativa, ut  “fac  ignem”, deprecativa , ut  “Ora  deum  pro  me”. optativa, ut – “ut inam  te  videam  doctum”. coniunctiva. ut  “fi  ucncris  ad  mc,  honorabo  te”. Omnes iste dicuntur pcrfic auditae quierant ANIMUM AUDIENTIS quo ad  earum  significatum, nec  ipsum suspensum  tenent.   Tu  tamen  aduertc, quod  imperantia, et dcprecativa  non  dit  fefunt penes  modum  nec tps  verbi, sed  penes  appofitos  respectus. Nam utracp  fit per modu imperativum,  sed deprecativa  fir proprie  ad superiorem, imperatiua  aOt  ad  inferio rem. Item aduerte quod coniunftitia ad hoc q» fit oro perfecta oportet, ur coplcfiatur duas orones, aliter no quierat animfi audientis, ut parer,  reliquae uero spes per unicam ofonem quictant audientem, ideo per  feipfas funt  perfectx.  Oratio  autem imperfeda  tres  cotiner species secunduqs tribus modis poteft formari. Nam formatur per nome fubftatiuum cum adiecfiiuo, ut  “homo  albus”  “animal  risibile”.  vel  per  duo  sobftantiua  per  appositione,  ut  animal  homo, deus  pater, Deus  filius. Et  hacc  eft  prima  species et formatur  per  foliim  infiniriun,  ut  fortem  currere. Si autem apponatur fum,  es, eft, cum termino modali  cricpcrfectarut  forte  currere eft  posfibile. i  t haec eft  fecunda species,  et formatur per verbum  Jcipir, et  definit, ut fortes incipit,  fortes definit. Siautem apponatur ifinfriuum efficitur perfecta,  ut fortes incipit conualefcere, fortes definit  fcriberc, et hoc  est  ter  tia species.  Item aduerte <y oratio perfecta  poteft  fieri  per  unicum  nomen, tielunicum  ucfbum, et  maxime quando sic responsiva  interrogative  Vt fi  qtiis  a te  petat. Quis  uenit  do  rnum?&  RESPONDEAS, Petus, Vel  sic, nunquid  fortes  uenit? Et RESPONDEAT: “Venit.” Confiat  igitur  quo  dividenda sit  oratio  apud  logicum.   Quantum  ad  tertium  aduerte  quod sola  orario  indicativa  est  pmo et per  (e propofitio. Dico  pmo  et per se  qm  alie species  non  fiunt  propofitio, nifi  reducantur  ad  indicatiuam.  Vnde ifta: “Si homo volaret, haberet alas”, non est propositio,  nisi reducatur in istam: “si homo volat, habet alas.” Et indicari  u • prxreriti  aut  futuri  temporis, non  est  propolitio  nifi  reducatur ad  indicatiuam  praefenris  temporis. Nam  ifta: “Ad a  fuit, ideo  eft^iera, quia  Aquando  fuit verum  dicere.” Adam  est  sciliccc quando Adam cxiftcbar. Ratio autem propter quam apud logicum sola oratio indicativa est primo et per se propositio, est, quia intentum logici eft uti oratione ad investigandum verum etfalsum, ergo cam proprie recipit, quae secundum  fe  significat verum et falsum, et hoc est indicativa.  Nam alis potius deferuiunt affectui mentis qua quod sint ordinatae ad enunciandum verum et falsum conceptum animi aut intellectus. Quod pacet hinc. Imperativa indicat voluntatem superioris per imperium,  optativa indicat desiderium sive affectum optantis. Praedicatiuc indicat affectum inferioris erga fuperiorem per supplicationcm.  Coninndiua autem licet uideatur exprimere uerum aut falsum conceptum mentis, non tamen determinate, fed fufpc fuic, est enim conditionalis quae ut  dicemus  in  cap. de  hypotheticis nihil  ponit  in  ede.  Indicativa autem dcterm.nate  di  cic verum  aut falsum. Nam hxc eft determinate vera, homo est animal, et haec determinate falsa homo est lapis, ideo. sola'm ceretur  dici japofitio. Proponicur enim imelledui  ut  per  eam  formet syllogismum, et  per syllogismum  deueniat in  ucram conclufionis  nociciam. Conflat igitur quae orationis perfeda species mcerctur logice dicipropofitio. Unde aduerte, quod logicus non tantum magni facit oronem  congruam  et ornaram, quantum veram, ita  etiam  fi eflfct incongruam et inornata, modo uerii et falfum cnuncict, accepta eft  apud  logicum, ppterea  logicus acceptat  iftam,  deus  feruitur ab hole licet  cam reprober  grammaticus negans feruior inueniri pasfiuum. Hoc  de  prxfcnti  cap.dida  fine. OlnUli/  Si  logico fufficiunt  dux  orationis  partes scilicet nomen  re» verbnm  redum.  Caput  quartum.   IN  cap. quarto  inueftigadum  eft fi dux  orationis  partes  fciliccc  nomen  & uerbum  redum  fufficiunt  logico. Tu  igitur  aduerte , quod  logicus  rationabiliter  reripjt  tantum duas, ut  fibi  neccflarias,grammaricus, autem  odo  Ratio  uero  djfferenrix  est  hxc. Logicus et grammaticus dififerunt fine.  Intendit enim  logicus  fcire, difcerocrc  ucrum a falfo, grammaticus  autem  intendit  fcire  difccrncre  congruum sermonem  ab  incongruo. Ad  confequendum  primum fufficiunt  nomen  & uerbum  , quoniam  fufticiuncad  componendum  .ppofirfone, quae eft significans  verum uel  falfum, ut  tibi  manifeftabiturin  trac.  lequeti  ad  formandi!  congruum sermonem, et diftinguendum  ab  incongruo  no  sii Hiciunt  nomen  et uerbum, sed  oportet  uti  praepoficiqnibus, et aduerbiis  et coniunftionibns, S(c.  Et  ideo  ut  grammaticus habeat omnem modum formandi SERMONEM  congruum, nccc sTarix  funt  fibi  plures  partes  orariois,  quam  nomen  rectum et verbum  rectum. Et qm ifte dux fibi sufficiunt, ideo appellat eas categorcmaricas, id est per se significatiavs, alias autem syncategorcmaticas, id est simulsignificativas. Quis autem fit terminus categoricus et syncategoricus diximus in divisone tertia terminorum. Sed dices. Logicus indiget pronomine demonftratiuo, ut  quando  dcfcendic sub subiecto  propositionis univerfalis affirmatiue  uel  negatiue  dicendo, omnis  homo  cft  animal,  cf     et “hic  homo  est  animal”, et hic  est  animal  etc.  Item  iniget participio, ut  dicemus  in  trac.fequenti, quando  rcfoluit propofitioncm  falsam  de  uerbo  adicdiuo  in  fuum  parti  cipiurn  & Ium  es  eft, ut  fortes  currit, fortes  eft  currens, ergo  faltem  quatuor  partes  orationis  funt  ei  ncccftariae. f.nomcn  et pronomcn, uerbum, et  participium.   Refponderur  nomen  et pronome  apud  logicum  funt, uC  una  pars, qm utitur  pronomine loco nominis, et participii!  ftar cum nominee et uerbo. Cum  nomine  quide, qm  poteft  efte  fubiedum propofitionis  ficut  et nomen, ut  legens  currit, et stat  cum  uerbo, qm  fignificat cG tepore, ut docuirmrt  fupra, et  ideo  apud  logicum  identificanrur  nomini  et uerbo licet apud grammaticum remaneant diftinfte.  Conflat igitur  cp  fint  partes orationis  necclfariae  dialectico ad  formanda  propofitioncm et ex propofitionibus  syllogifmum. Hoc dc prxfcnti  cap.dida  fint. Explicit  rradatus secundus copcndii logices peripateticat ordinatus per authorem et fuit de partibus propofitionis. Incipit QVT eft de propofitione et speciebm cius. Nhoc tertio tracta, agendum est de propofitione, gratia cuius praemifimus tradatum praecederem, in quo a&uin est de partibus eius, et de genere per quod definienda eft, et hoc eft oro ut tibi manifcftabitur. Diuidemus autem ipfumin fex capita. Primo agendum eft de propofitione definitiue & diuifiuc prima diuifione. Secundo agendum est de categorica simplici et de olbus eius diuifionibus. Tertio agendum eft de, pp6ne hypothetica et eius spebus. Quarto agendum est de propone categorica modali. Quinto agendum eft de aequipollentiis propofitionum categoricarum fimplicjuni, qux funt oppofitx contrarix,  fubcontrariae, conrradiftoriae, et subaltcrnx. Sesto  agendum  eft  de  aequipollentiis  modalium  oppofitaif. De  ppone, quid  fit  et cius  prima  diuifione.  In primo  capitulo  agendum eft  de propofitione  quid  fit  & quotuplex in genere sive prima diuifione. QuStum ad definitionem  aduerte,  <y sic  definitur de me te Aristotelis. Propofitio  eft  oratio  uerum  uel  falfum significans  indicando. Primo dicitur  oratio, loco generis, eft enim in plus oratio quam propositio:  dictum est enim  in tract. praecedenri, oratio perfcfta  diftinguitur  in  quinque species, ex  quibus sola INDICATIVI MODI est propofitio, ergo omnis propofitio est oratio perfecta, sed non econuerso, ex consequenti est genus propositionis, propofitio autem est species orationis jjcrfe&c. Sicut animal est genus hominis, homo autem est species animalis. Nam omnis homo est animal, sed non econuerfo. Secundo dicitur verum vel falsum fignificans, pro cuius notitia aducrte, cp cum proponum alia iit affirmatiua, alia negatiua, ut declarabimus infra. Significare ucr u in affirmatiua est significarc  rem  sicut  est.Verbi  Gratia  haec est  ucra,  homo  est rationalis, quia  fic  eft  ex  parte  rei.  Vnde  hoicm  e(fe  fonalem cft  ucrum Significare uerumin negatiua eft fignificare rem ficut non  eft.  Verbi  Gratia  haec eft  ucra – “Homo non  est  asinus”, quia  fic  eft  in  re. Vnde hominem non esse assimum est verum. Significare falsum in propone affirmativa  est  significarc  rem  aliter  q fic.V.G. hzc est falsa, “Homo est lapis”, qih significat hominem esse lapidem, et tamen aliter eft.  Significare falsum in propone negatiua, eft non significarc rem sicut  cft.V.G.hatc eft  fal(a, homo non cft animal,  quia non figni  fjcac  ficut  eft. Nam  homo  eft  animal, ergo  fallinn  eft  ipluin  non  efte  animal. Dicitur  ergo in diffone, uerum uel falfum. fignificans ad differentiam oronum imperfectarum, ut  homo albus, afinus  rudibilis, et oratio infinitiua,ut  fortem cur rcrc, et oratio famularis, ut Socrates incipir, nifi.n.aliudadda tur, non solum non quierant animum audientis, fed  nec  dicut  aliquid  devero  aur  falfo  nifi  copleantur  per  aliud.  V.G*  Si  ly  homo  albus  addatur  homo  eft  albus.Si  ly  fortem currere addatur, est verum vel possibile vel contingens.  Si  ly  fortes incipit addatur, e(Te  bonus. Conftat  ergo  g fc funi ptz nihil dicunt de vero aut falso. III dicitur indicando quod dupliciter exponitur, primo fic, indicando, id est est oratio modi indicatiui verum vel falsum significans. Vnde alii definiunt propositionem dicen te$, quod propositio est oratio indicatiua verum vel falsum significans. Et id ponitur ad differentiam orationum  perferarum quae fiunt per alios modos, per imperativum, optativum, et cetera. Nam ifte ut docuimus in trac przcedcnti in capi trrtio potius dclcniiunt nobis ad manifestandum  affectum  mentis, quam verum aut falsum conceptum intellectus Orationes etiam modi indicativi temporis prztcriti  & futuri  %  non significat primo et per se verum et falsum, nisi reducantur ad unam temporis przfentis indicativi ut in eode loco docuimus. Sola ergo oro indicativa temporis praelcntis moe-retur dici propo, quia sola lufficit ad formidum syllogitmu aliae autem non, iuli reducantur ad illam:  ut  tibi  mamfcftii  erit  in trac. de syllogifmo formali:  iccudo ab aliquibus exponitur ly  indicando.i. aflercndo.Verum  id  non  vf  convenire omni  propositioniilcd  tantum propolicioni in materis naturali, quae necessario est vera, et in materia remota,  quae de necessitate est falsa. In materia autem contingenti cum possit elle vera  et falsa, non pot dici afiertiue fea opinatiuc quod significet verum aut falsum,  ideo melius est ftarc in p ma expone, quae  etiam est de mente Aristotele in. i. peri hermeneias.  Quid aut fit & quo fiat propo in materia naturali sc contingente et remota  dicemus  infra  in  hoc  met. tradtatu.  Con^ itat  igitur  quid  fit  propofitio  apud  logicum.   Quantum  ad  primam  diuilioncm  proponis  aduerteqj  ad  metem  Aristotelis in primo periher. dividitur  primo  in  categorica et hypothcetica, dicil categorica  gratee  predicatiua  latine, categorizo  enim  graccc et praedico  latine.  De  hypothetica  graece, SUPPOSITIVA latine, est enim graece  ‘hypo’, “sub” latine, et “thesis”  graecc, “position” latine. Ratio autem divifionis est haec, quia omnis propofitio significat verum aut falsum,  et eft quid compositum et omne compofitum  cft refolubi  Ic  in lua  immediate componentia.  V el ergo propositio componitur ex terminis immediate, et in eos relolujtur immediate non in aliud immediate. Et sic est categorica, quae coponitur immediate ex subiecto et praedicato et copula,  modo, quo  dicemus  infra.V el coponit  I mediate  ex  duabus  oronibus  per  aliq  coiudione  puta  ergo, fi, et uel, et  imediate  in  eas  rcfoluit, et ille  imediate  i terminos,  et fic  eft  hypo  thctica, ut dicemus in  ca.III  huius  tradatus.  Catcgorica  pero  dividitur in simplicem et modalem. Simplex est in qua praedicatum fimpfir dicitur de subiedo – ut: “Homo  est  animal.” Modalis est in qua praedicatum dr de subiecto non simpflr sed cum modo et determinatione, -- ut: “Homo est animal necessario”, “Homo est  albus  contingenter.”  Et  de  modali  agemus  in  cap.IV  huius  trac.Hsc  de primo  cap. dicta  fint. Dc propositione  categorica et omnibus  cius divisiombus.  In  II  cap. investigandum est,  quid fir propositio categorica et quot fint cius divisiones, et de singulis agendu est excepta modali, de qua agemus loco luo, primo igitur  definiemus  eam, deiiide accedemus ad divisiones. Quantum ad definitionem aduerte, quod ad mentem Aristoteles sic definitur Propositio categorica est propositio  j qux habet subjectum praedicatum et copulam taquam principia es partes fui. Ponitur propositio loco generis. Omnis enim popositio categorica, est propositio, sed non e converso. Nam et hypothetica est propositio, et tame  non  est  categorica. Dicitur  quae  habet  subiedum  et cetera. hoc  totum  ponitur  ad  differentiam  hypotheticae,  cuius partes principales sunt dux orationes, in quas immediate refoluiturtut patet in jfta. “SI  tu  curris, tu  moveris” -- principales  partes  et immeoiarxnon sunt termini, sed iftx dux orationes:  “tu curris” (p),  et “tu moueris” (q). prim autem  et niediatx  sunt  termini  ex  quibus hxc  orario componitur, “tu  curris”, et haec, “tu moveris”. Dicitur igitur quod principales partes categoricx  non funr  orationes, sed termini, ex  quibus  immediate  componitur,  quorum unum est subiectum, alterum  praedicatum, alterum  copulat -- ut -- “homo  est  animal” – “homo”  est  subjectum, “animal”  praedicatum, “est” copula, coniungit enim praedicatum cum fubiecto. Sed aduerre: ut fcias quomodo in omni categorica est subiedum copula et praedicatum, quod sit tribus modis, p„  mo per verbum fum, es, est, de tertio adiacente . Est autem categorica de tertio adjacente quando post fum,  apponitur alius terminus – ut: “Fortes  est  animal.” In hac constat de subiecto et praedicato  et copula, secundo sit per verbum adiedi-uum. Est autem apud logicum omne verbum adiediuum, praeter lum, es, est, in quod relbluitur omne verbum adiediuum etinlitum participiumtut fortes currit fic  reloluit. “Socrates est currens”. “Socrates” est subiectum, “currens”  praedicatu  “est”  copula, tertio  sit per verbum sum, es, est, de secundo adiacente. Est autem categorica de secundo adjacente, qn  poftum, es, est, alius ccrminus no fcquit –ut: “Deus  est” --   coelu  est  et  in  hac  est  allignarc  tubum  praedicatu  et copula, alio  mo  q in  praedicis, afljgnat  auceduplV , pmofic, deus  est. i. deus  est  habes  cire, “deus”  est  fubum, habes  esse  est  pdicatu, est  copula, se  cudo  fic  Deus  cft d. deus  cft  exiftes. Dens  est SUBJECTUM EXISTENS praedicacum, “est”  copula. Nonulli  dicunt  tp  in  caregorica  de  fccudo  adiaccntc, eft  gerit  uicem  copulat  et prxdicaci,  et  id  uidetur  innuere  Aristoteles in pmo perihcr.ubi definient uerbum inquit et est iemper eorum qux de altero praedica  tur  nota, ideft  uerbum semper se  tenet  a gte  prxdicati. Con  fta: igitur quid  fit  propofitio categorica  iimplex. Sed dices quare magis  dicitur  categorica,  ideft  prxdicatiua  quam  fubicdiua, cum  tam  fubiettumq  praedicatu  fmc  partes  cns. Prxtcrca quare terminus praecedens verbu fum cs, est, dicitur  fubiectum, subsequens  autem  dicitur  prxdica  tum, et ipsum  uerbum substantivum  dicitur  copula. Refpondetur  ad  pmum, cp  oe  copofitum  denominandu  eft  a parte  sua  digniori. Unde  homo  dicitur  rationalis  et intellectualis ab anima intellectuali, qux  dignior cft in eo  qui sensitiva  et vegetativa. Prxditatu aute dignius eft fubicfto qm cftficut forma, fubiectu vero  sicut  materia, et dicemus  intra  cp talia  funt  fubiefta, qualia, permittutur  a praedicatis. Cogrucigicdicn categorica. i. praedicativa et no subiectina Ad lecundu dfp ideo terminus praecedens verbum  de subiectum, quia  de  eo  df  prxdicacum  ira  cp  fubiicitur  prxdica  to, V ndc  et gramarfeus  appellat  ipm  suppofitu. Terminus vero subseques verbu  df  praedicacum, quia prxdicatur  et df  de  altero. i.dc  fubiecto. Vnde  apud gramaticum  df  appofi tum. Et  aduerte  q?  totale  subieftum  est  ois  terminus  prxee  dens  copulam, fiue  unus  fiue  plures  fint. V. G. “homo  est  animal”, homo  eft  fubm, homo  magnus et honoratus  e pneeps  in  ciuitarc, fubieftu  funt  oes  illi  termini  prxcedetes,  pars  au  tem  liibicCti  quilibet  eorii. Ide  intcllige  ex  parte  prxdicati. Sed dices. Quarc  fubieftu  & pdicatum  per  fe  inuice  notifi  eant sive  definiunt, cu  definitio  circularis  uideatur.  Inutilis Refpondetur  quia  hntrefpedum  ad  inuice, fubiedtum. rtfpicit  praedicatu  & praedicatum  rcfpicit subiectum, ficut  ft  lius  rcCpicic  patrem, et pater  filium. Respediva  aute  conuenienter  per  fe  inuicem  norificantur  & definiuntur, qm  mutuam habent  dcpcndentiam. Sedde  hoc  alrius  loqucmur  in  trac. de  praedicabilibus,  p  nunc  fuftine  tu  iuuenis  ne  inuolua  ris. Conftat  igitur  tibi  quid sit  propofirio  catcgorica. Quantum  ad  cius  diuifiones  aduertc, ut  habeas  plenam  de  cis  notitiam, fic difponendae  funt. Propofitionum  categoricarum, alia affirmativa, alia negatiav. Secunda. Alia vera, alia falsa. Alia  cuius  quantitatis, alia  nullius.  Alicuius  quantitatis  alia  uniuersalis, alia  particularis, alia indefinita alia singularis. QuIta. Alix gticipacvrroc prermio,  aliae  altero, aliae  nullo.  Participantium  urroqj  termino, aliae  participant  qtroqj  termino  eodem  ordine, aliae  ordine  conucrfo. Participantium  utrocp  termino siue  eode ordine siuc coverfo  quxda  formantur in  materia  naturali,  quaedam in materia  contingenti, quaedam  in  materia  remota.  Odaua. Participanrium  utroqj  termino  eodem  ordine  tam  in  materia  naturali  q in materia contingenti et in materia remota quaedam sunt contrariae quaedam subcotrariae, quaedam contradiftorix, quxdam fubalternx.  Nona. Participantiu utrocg termino ordine couerso et I n triplici materia (iuc naturali fiue contingenti fiuc remota quxdam conuertuntur conuerfione fimplici, quxdam converfione per accidens quxda couerfioneg contrapositione Omnes iftx diuifiones dantur de, ppofitione catcgorica fimplici qux dicitur de inefle.i.in qua prxdicatu simplicicci4 et fine determinatione facta g alique fex modo. sucrfi falsum nccef Tariil cotingens, posfibile imposfibile, dicit de subiefto Quae aut ex his diuifionibus coueniat et categoricati modali dicemus in cap. quarto  huius  trac.  De singulis aut divisionibus agedu  cst in spe et ordine, quo prxpofitx  funt. Verum antedcfcedamus in spe^nl aliqua prxdi et artMi diuiltonu datur  de substantia, pponis, aliqua de qualitate, aliqua dc qtitatc ut cibi declarabit infra, ideo ad viem notitia diuifionu, quae fiet toto hoc noftro opere, ne funus coadi idem faepius repetere, praeponendi fune omnes vfes  modi,  quibus folct  fieri  diuifio.  Tu igitur aduerte <y in doctrina  Aristotelis  divisio  fit  quatuor  modis  generalibus. Primo generis in Ipccics. Secundo totius  in  partes. III vocis significata. IV diuisio secundum accidens. Divisio  gnis  in  spes, fit  duobu  modis  pmo  gnis^n  (pes  (ut>  alternas, ut  qndiuiditeorpus  p alata  et inaiatu, et aiatu  per  fenfitiuu  St  no  (cnfitiuu, fecundo  gnis  in  spes  spalissimas, uc  qii  dividitur color per albedinem et nigrcdinem. Et hac divisionem cognosces in trac. de praedicabilibus. Diuivio totius in gtes  fkqncp  modis, pmo qntotu dividif in ptes fubicdiuas indiuiduales, ut qn dividit ho  in forte Pia Ioanne. Pecru, etc. Scdo qn totu dividitur in partes eflcntia  lcs, uc ens naturale compositu dividif in materia et forma, sicut  dividit  homo  in  animam et corpus, III qn dividitur totu co tinuuin partes suas intcgralcs, ut  domus  in  fundametum, tc»  dii, et  pariete, et corpus animalis in partes, qufe sunt membra sua, ex  qbus  integrat  corpus, IV qn dividitur totu dito tinuu in partes fiias, inter quas  & fi  no  fit  continuitas est  rame  ordo  et proportio. Hoc  rao dividif  EXERCITVS in  mtlitcs, cqtcs  peditcs, 8(c. quinto qn diuidif totu poretialc fiue poteftariufi  in  partes  fuas  poreftatiuas  qn  diuiditur  anima  per  potentias  fuas  & virtutes  fuas, ut tibi manifeftabitur  i libro  de anima,  et ifra  manifestabimus tibi in libro  de syllogismo Topico Divisio  uo cis  in sua significata sit  tribus modis  primo  vocis univoce  in  significata  uniuoce, ut  qn  dividif ho in fortem et platone  etc, secundo vocis aequivoce  in  significata  aequi-vocata, -ut  qn  diuiditur  “cancer” in  ftclla  fiue  signum  ccelefte,  et aquaticum  aial, et  morbum, III vocis  analogicae  in significata  analogata, ut  qti  diuiditur “sanu”, iu  alal  (anu, urina  lana, medicinam sanam, cibum sanum, aercm sanum, excretum sanum, et cetera Et  hanc divifione cognofccs in  trac. de  pntis.; Divisio secudu  accidens sic  tribus  modis, primo  subiefti  in  accidentia, ut  holum  alius  parvus, alitis  magnus 1  alius  albus, alius  niger,  alius  medio  colore  coloratus, (c3o  accidentis!in  subiecta, ut  accidentifi, qux  funt  m hoie, aliud  in  aia, ut  seia, aliud  in  corpore,  ut  agilitas  etc. tertio  accidentis  in  accidentia, ut  accidcntiu, quarda  dura, quaedam  liquida, qnada  lucida, quaedam  tenebrosa, et hxc  divifio  manifestabit tibi in philosophia naturali et praecipue in libro de generatione. Ifti  igitur sunt  iqodi  univerfales  famofiores  apud  Aristotelem, quibus  fieri  confutuit  divisio. Quantum  ad  pmam  divifionem, quac  est  per  affirmatiua et negatiuam  aduerre, quod  affirmatiua  dupfr  definitur, pmo  fic, Categorica affirmatiua  eft. ppofirio in qua praedicatum affirmatur de subiefto: -- ut: “Homo est albus”.  Sed  adverte  cj» tuc  praedicatu  affirmatur  de subiectc  quando  negatio  no  p  cedit  copula, q?  fi  praecedit negatio, negatur pdicatum de subiecto, et efficitur  negariva – ut hic  “Socrates non  est  albus.” Si  au tem  fiib fequitur  no  efficitur  negatiua, sed permanet affirmatiua ,-- ut: “Homo  est  no  albus”.  Ire  adverte  «p  alio  modo  affirma! pdicatum  de  fubiecto  in  affirmatiua  uera  & in  falsa,  na  in  vera  affirmatur  re  et uoce  quia  fic  eft  in  re, ficut  dr, ut homo re & uoce est risibilis. In falsa atite affirmatur uoce  tm  et non  rc. Nam licet dicam q» “Homo est asinus” tarhe non fic eft in re, secundo definitur fic.  Affirmatiua eft in qua verbum pncipale affirmatur de fubiedo, ut “Homo est animal.” Dr in qua nerbum principale affirmatur ad differentiam uerbi secundarii qtiod fi  negattir uel  affirmatur, propter ipfum non fit  propofitio  affirmatiua  nec  negatiua.  Vnde ifta non eft negatiua. Socrates  qui  non  currit, mouetur, nec  ifta  eft  affirmatiua, “Socrates, qui  currit, non  movetur.” Nam  In  prima  licet  uerbum secundarium, quod  eft, currit, negetur,  tamen  principale quod  eft  mouetur, affirmatur, ideo  permanet  affirmatiua. In  IccQda  autem  fit  oppofito  modo,  ideo  permanet  negatiava. Et ratio huius est, quia ticrbii secundarium fe tenet  a parte subiecti, q3 paret  refoluedo  in  fuu  participiu  fiuc  aftiuum  fiue  pasfiuu,ut  hic. Sortes  qui  non  currit, ideft. Socrates a9 non carrcns mouccur, Socrates qui  currit, id est Socrates curreni  non mouerur: Subiectum autem coniunctum participio affirmatiuo negatiuo no  facit propositionem dic affirmatius  ucl  ncgariuam, tcd  negatio cadens fuper uerbum principale fiue immediate, ut quando lubfequitur  fubiedum, ut  “homo  non  est  afinus”, sive  mediate, ut  “Non  homo est  animal”, dum  modo  fumatur  negatio  negans, et no  infinitam  terminum,  cui opponitur, nam  fi  infinitarer, non  faceret  negatiuam.  Vnde  lixc  non  clt  negative. “Non homo currit”, qm ly non homo clt nomen infinitum, etc. Vnde non homo curru,  xquippollet  ifti, afinus qui ft no homo currit. Coftat aut hanc elfe affirmatiua Patet igitur quid fit categorica aftirmatiua. Categorica negatiua dupliciter  definitur. Primo  lic, categorica negatiua eft propofitio in qua praedicatum negatur de luolubicfto, auc ho non eft lapis. Secundo  fic, eft propofirio in qua uerbum principale negatur  . Dicitur verbum principale ad differentiam verbi secundarii, quod ut docuimus siue affirmetur sive negetur, non facit proposirionem  affir.aut  nega. Et aduertc,quod  propofitio  poreft  fieri  afflr.  uel  nega. dupliciter  lcilicet explicitc et IMPLICITE. Si  explicite, fit  per  nomen et uerbum indicariui  modi, ut homo est risibilis. SIIMPLICITE potest fieri per unicum  terminu, ut quando dicimus, “homo est risibilis”, et  e converso, ly  e converso  aequippollet  uni  propositioni, qux  elf  hxc, et  risibile  est  homo. Item aduerte quod divisio per afflrmativam et negativam non  foium convenit categoricae sed etiam hyporheti  cac et moduli, quomodo autem fiat hypothetica affirmativa et ne gar. similirer  modal  s, dicemus agentes de eis. Nunc autem fuftine, ne confundaris ut nouus auditor. Hxc de prima diuifioncdi&afint» Quantum ad secundam diviisionem categorica:  fciliccc per veram et falsam, aduerte quod cartgorica vera, tam affirmatiua quam negatiua dupliciter definitur. Primo fic, uera eft, qua: significat  uerum , id eft significar rem sicut  eft,  si est affirmatiua, vel significat rem sicut non est, si est negatiua. Sed de hac  latis  diximus  in  ca. pr scedenti  in  dedaranlo  definitionem  propofkionis secundo autem  fir defiintur. Vera  cft illa, cuius fignificatum primarium est verum. Significatum autem primarium cft illud quod exprimitur p oro nem infinitiuam. Verbi gratia hxc eft ucra Deus eft bonus qm deum clfc bonum, est verum. Sic.n. eft in re. Dico cuius primarium significatum est uerum ad differentiam secunda  rii.  sccundarium autem eft quod continetur in primario 8c fcquitur ad illud. Verbi gracia primarium huius, homo est rationalis, eft eftc rationalem ad hoc autem fcquitur  cfte  ani  mal, clfe  animatum, ede  corpus  efie  fubie&am.  luxta  igitur significatum  primarium et fccundarium  indicanda  eft  propofirio  uera,qm  cft  ucra  primo  et per  fe  ex  eo, ex fccundario autem est tantum confequenrcr. Nam bene sequitur qcf “Si fortes est homo, fortes est animal.” sed  non  ceonuerfb, ut  declarabimus in  trac. dc  confequentiis. Similiter falsa dupliciter definitur. Primo sic, falfi est qux  aliter significat quam fit in  re, ut  hxc  cft  falsa, “Homo  est  ansinus”, quia significat  hominem esse asinum, et tamen aliter est  rn  re, quia  in  re  no  est  asinus, sed  homo  sive  rationalis, et de  hac  definitione  iam  di  ximus  in  cap. prxccdentiin  definitione  propositionis. Sccun  do  fic, falsa  est illa cuius primarum significatum est falsum. Verbi  gratia  hxc  est  falsa  “Homo  est  asinus”, quia  holem  esse asinum  est falsum, cu  fic  ronalis, et  asinus  irratroalis. Quodfi fiereciudicium secundu SECVNDARIVM SIGNIFICATVM (IMPLICATVRA), quod  est  dfe  animal, effet  vera. Nam  hxc  est, vera homo est animal  v non  tamen  sequitur, ergo est afinns, ut  declarabitur  tibi  in  trac. De consequentiis Hxc de fecunda diuifioncdiftafint, Quantum ad tertiam diuifionem fcilicet quod aliqua eft  alicuius qiiamicari$, aIiquanulliu$. Alicuius quantitatis eft illa, cuius fubieftum ftat pro aliquo ucl pro aliquibus uel pro omnibus uel pro nullo, ut declarabitur in diuifione sequenti. Nullius quantitatis cft illa cuius fubicftum fufpcnditur a propria denoiationc, ronc, pbationis termini prxcedetis ip  Ium quails eft exclufiua cxceciua reduplicatiua, de quaif , p- Satiqne a<fturi fumus in trac.de probationibus ter tuc.n.ap arebit tibi qflo ifte probatur no rone fubicfti, uc  , pbaf  universalis  particularis  etc. sed  ronc  figni  fiuc  fyncategdfcma ris,ut  exclufiua  g tm, reduplicatiua  g inqtum cxccpriua  p p ter, etc. T uigr fuftine donec exercitat0 magis fueris, et ad ji di&u  erae dcuencrim9. Haec de tertia diui., p niic dida  fint. Quantum  ad quarta diui. f. quod proponum alicuius qtitatis alia eft vPis, alja particula.alia indefi. alia  fmg duo ageda fut primo declarandum eft qflo hxc divisio est sufficiens, secundo pertradadum est de quolibet eius  membro. Quantum ad pmum aduerte quod qtitas proponis atteditur penes fubm prout ftat, p  pluribus aut uno lolo. Pot igituf cofiderari fubin  dup Tr. Primo fi ftat  pro uno folo. Secundo fi  pro  pluribus  fi  pro  uno  (olo, {ira cp uni (oli couenit facie ponem fingu. fi pro pluribus, hoc dupfV, quia vel pro pluripus indeterminate vel determinate, fi indeterminate fic fam cit, pp6nem indefi. fi determinare duplr quia hæc determinatio fubti vel sit per signum vle affirmatiuu vel negativum,  ut  omnis nullus,  et sic est propo ul’is, uel  fit  per  signum  particulare  affir- uel  nega  et fic  eft  propo  particularis Costat igit hxc divisio eft liifficiens. Et fiquxras quid fic qtiras, pp6nis. Hkiideo quod ficut  Qtiras  fubx  proprie  accipit  iuxta  mensuram  longitudinis, et latitudinis  et , pfundicaris, fic  quantitas , pp6nis  (umit  iuxta  menfuram fubiedii, prout  uerificatur  praedicative  de  uno  uel  plunbus. Conftat  igitur quo hxc diuifio eft sufficiens, et quid  fit  et unde  fumitur  qtitas  propofitiois. Quartum ad secundum  aduerte, quod propofitio  uniucrfalis dupliciter definiriH-. Primo fic, propositio viis tam affirmativa quam negativa est  illa, in qua fubiicitur ter. communis signo uniucrfali determinatus. Prinio dicitur in qua fubiicitur terc6is. iponitur in fubie fto ter.cois.i.q por coucnire et pdicari de  pluribus,  apud  gramaticum  dr  nomen  appellatiuum -- ut  “homo”, “capra”, leo»  Secundo  dicitur  figno  uniucrfali  dctertninatus figna uni uer Talia (untquxdam affirmatiuaut omnis quilibet quifcp, negatiua sunt, nullus, nihil,  neuter , dicunt uniucrfalia quia faciunt  ftarc  fubicdum  pro olbus  aut pro  fnullo  ut  ifta  rft  uniucrfalis  affir. “Omnis homo  est  animal”. Verificatur enim fubiedum pro quolibet homine in singulari.  Nam fi omni homo est ammal ergo et ifte, &  iftc, &  ifte , & fic de omnibus alii eft  animal. III dicitur  determinatus. i. modificatus fiue limitatus ad standum non ablolure , lcd  pro  omnibus aut (p  nullo-diximus.n  in  tertia  diuifionc  tci minor  u, quod signa ufia fune termini lyncatcgorcmatici, qm fumpticum alio, id est cum nomine lubftantiuo determinant ipliim in propofitione addandum pro omnibus aut \ro nullo»  Sed  aduerte,  quod signum uniucrfale  ad  hoc  quod  faciat propofitionem  uniucrialem  fimplicirer  & proprie  debet  ap  poni  fubiedo  in redo et explicite Nam fi apponitur  iiibic- do in obliquo, non facit eam universalem simpliciter, sed secundum  quid. Vndc  ifta eu uflibet hominis afinus, currit,  non eft univerlsalis absolute, quoniam signum non apponitur ly asinus, quodest principale subiectum, lcd ly hominis, quod quoniam est obliquus est secundarium fiue parrialc fu  bicdum. Unde  pratdida propofitio absolute est indefinita,  ut tibi dcclarabitur. Dicitur  explicire, quoniam  fi ponitur iplicire vel uirtualiter ucl cum  diftindione, non  facit  propositionem universalem  forma)itcr, sed tantum  interpraetatiue» Sicut  funr  iftar,  totus  fortes est minor forte, totum est in mundo  est  in oculo meo. Non homo currir, etc. Quomodo  autem  fint  uniuerfales interpracatiuc declarabitur tibi  i trac. de probationibus terminorum, ubi diftinguemus de toto, et quo ifta  aequipoleat uniuerfali nega citi ac non homo currit declarabitur tibi in  cap. de acqujpolenriis catcgoricarum. Nuncautem fifio nete inuoluam. Similiter aduerte, <y uniuerfalis affirniatiua poteft  fieri  dupliciter,  fex—  licet  collcdiue ut  omnes apostoli sunt  duodecim,  & diftributiue, ut  omnis  homo  eft  rissibilis.  Et  iterum  diftributiue  poteft  fieri dupliciter, fcilicct abfolute et accommode. Verum quomodo  fiant  et quo verificentur,dcdarabiturstibi  in  rrac. de  fuppofirionibus, pro  nunc  fuftinc  Haec de  propofitione uniueriali  dida  fint. Propositio  particularis  eft  illa,  in qua fubiicitur  ter  mi- communis signo particulari determinatus. Dicitur in qua tubiicitur ter communis, ea ratione qua  et  in propofitionc uniuerfali. De signo parti. determinatus, ad differentiam proponis uniuerfalisz cft autem signum particulare determinatio  termini cois  qui  cft  fubicdum  in hac propone,  per quod designatur subiednm accipi non pro oibus sub eo corcntis, sed pro aliquibus  ucl pro aliquo: ut quidam homo currit ergo vel iste vel ille, ucl ille currit: et fufficit quod verificetur, p aliquo pofito quod tantum unus currat. Er  aduerte, quod  propofirio particularis  poteft fieri mul Cis modis. I quando subiectum est ter. cois cum signo particulari tam affirmatiue quam negatiue : ut: “Quidam homo currrit,” “Quidam homo non currit.” II  per ly aliqd fumptum adieftiuc:ur  aliquid  eft  I manu tua. Haec est particularis virtualiter, quoniam  ly aliquid sic exponitur aliqua res est I manu tua. Dico fumptum adjeftiue quoniam sumptum subftantiue facit propofitionem  indefinitam  ut  dicemus. III  quando fubiicitur  ter. cois cum signo universali, sed signo pratponitur ncgario: ut: “No  omnis  homo  currit”, haec  enim  aequipollet  huic, “Quidam  homo non currit.” IV  quando fubiicitur termi.cois  cum signo universali affirmarivo, sed praeponitur negatio et poft ponitur: ur hic, “Non omnis homo non currit”, arquipollet enim huic, “Quidam homo currit.” Sed  tertium  et quartum modum declarabimus fic effe in cap. de æquipollentiis categoricarum. Haec de propositione particulari  deffifinr.  Propositio indefinita est illa in qua subiicitur terminus communis, nullo signo universali vel particulari determina rus: ut: “Homo currit.” I dicitur in qua fubiicitur termi. communis eadem ratione, qua diifhim est in definition propofirionis universalis  et particularis.   II dicitur nullo signo ad differentiam propofirionis universalis et particularis. III  dicitur  nullo  figno  uniuerfali vel  particulari  ad differentiam  cxdufiue,in  qua  ponitur signum:  cantum,  et in reduplicativa, inquantum, qua:  signa  quoniam  non tunc  uniuersalia, ncc particularia, ideo non  faciunt  propofitione  alicuius  quantitates. Sed  dices, quare dr indefinita, cum aequipollcat particulari. Na ide fenlus est dicere, aliqs homo currit, et homo currit. Rndetur, dr indefinita. i. indeterminata, quia  acceptio fu? subicecto non determinatur ad certam quantitatem secundu modum enuntiandi per signum universale vel particulare: licet supponat subiectum  determinat ciut  dicemus  in tract. de suppositionibus: et quando dicitur idem fenlus  est dicere: “Quidam homo currit” et “Homo currit”, conceditur quo ad luppoticioncm  et verificationem, sed  non  conceditur  quo  ad  modum  enunciandi, et sic  intendimus  ipsam  esse indefinitam  et non quo ad verificationem et i suppoficionem. Sed, p nunc liiftinc, donec trademus  de suppositionibus. Hæc de propositione indefinita difta sineproposirio singularis eft illa in qua fubiicitur terminus ai fcrccus vel termi. communis cum pronomine demonftrati primiriuc speciei, ut Plato currit. Iftc homo comedit.  U le “Homo dormit.” I dicitur in qua fubiicitur  ter . discretus, ad differens  Ciani propoficionis universalis etparticular & indefinitae,  in quibus fubiicitur  ter.  cois opponitur  aute ter dilcretus  ter. .coi, quoniam di fererus deunofolo est aptus praedicario C grammaticus appellat “nomen proprium” (MARCO)  q?  uni  loli  conue-r  nit, ut: “Plato.” Cois autem  eft  aptus  de  pluribus  praedicari, ut  homo  et animal, et grammaticus uocatipfum nomen appellatiuum, quod pluribus conuenit. Secundo vel termi communis  cum  pronomine  demon  ftratiuo. Nam licet termi. communis de feftet pro pluribus camenper pronomen demonstratiuum reftringitur ad ftan dum pro uno solo indiuiduo,  ideo atquipolletter.  difcretcL  Vnde ifta propofitio: hic homo currit, dcmonstrato Socrates; scquipollct ifti. “Socrates currit.” III  dicitur  primitius specic,  ad differentiam pronominum deriuatiux fpccici. Sunc aucem pronomina demostratiua primitivx speciei ergo, tu, liii, ille, ipfe, ifte, hic, & is. Derivative autem lunc meus, tuus, suus, noster,. uciltr,  nostras, ucftras. ldeo  autem  e a,  quae  iiint  primatiux speciei co flituunt  propositioncm singulare qm trahunt lubictf uni ad fajpponcndum pro unosolo, ut iste homo demostrato forte currit, et ego. f Petrus curro, et tu. I Piato curris. Ea vero qua sunt derivative lpei, ut meus, tuus, non confticuunr , p- pofuioncm singularem, non  n. rcftringunt  fubm, cui apponutur ad statum uno  io lo, fed pot ucrifkari de pluribus. Verbi gratia, “Petrus het X asinos”, et dicit meus aiinuscur  rit, ly asinus no stat pro isto tm, ucl pro illo  tm sed  # oibus difiuftiux. Nam  si meus asinus currit, et habeo X, ergo uclifte, ueljfte qui est meus currit. Pronomina auc demonstratiua primitiux spei reftringur tcr.coem  ad  ftadu, p  uno solo  demonstrato, ut  ego. f. Petrus  scribo,Tu vero. l. Plato dormis. Constat  igitur  quid  sit  propositio sngularis. Tu tame  aducrte,quod  no  Loluni  pot  fieri  per  ter.  dilcre  tum,  & per  tcr.coem cum pronomine demonstrativo primi tiux speciei, sed et per  tcr.r clariuum , ut pofito quod lo phronifcus habet tantu unum filium, cuius nomen ignoretur, ftdico Sophronifci filius studet Papix, est singularis, propositio similiter si dico. Pater Calix venir, e singularis,  quo uiam ifti ter.relatiui xquipollcnt termini dilcretis.Irem  potcft  fieri  per  rer dilcrctum circumlocutum, ut  fi  dico.  Vir  cri  Ipus  rubeus, et claudus  cantat  in  platea. Iftc  enim  circunsta  tix  manifeliant  talem  hominem  et non  alium,  ideo  reddut  propositionem singularem. patet igitur quid sit propositio slingularis et quod modis fieri contingit. Item  aducrte, quod si quis te interrogat de substantia fitie natura propositionis, dicendo. Qux  propositio  estifta.  “Socrates est  homo”, respondere habes, categorica et  qux  est  ista. “Si  tu  curris, tu  moveris,” respoderc  habes  “hypothetica” vel CONDITIONALIS (sincategoremata subordinans ‘se’). Si  au  ecm quis te interrogat  de  QVALITATE propositionis  dicendo. Qualis  est  ista  “Fortes  currit,” respondere  habet  affirmatiua, et Qualis  est  ista, “Homo  non  eft  asinus,” respondendum  est,  negatiua. Si  ucro  quis te interrogat de  QVANTITATE propositionis  di  Ccndo. Quanra  est  ista; OMNIS  homo  currit, respondendum  est,  universalis, et  sic de aliis. Vnde logici pro hoc triplici quæstio  formaucrunr  hunc  ucrfum. Quac.ca.uel ip.qualis. ne.  uel  af.v. quanta.par.in  fin  i.  Quae categorica,  vel  hyporetica vel conditionalis, o suppositio (hypo-thesis). Qualis, negatiua, vel  affirmatiua. V «quanta. i.universalis  vel  particularis  indefinita  vel  singularis. Sed  dices. Quae est subftantia propofitionis, et quae  cius  quantitas, et quz  eius  qualitas. Respodetur  fuba  cft  cius  natura sive  essentia,  puta  qft  sit  quid co in positum  ex  talibus partibus. f.  ex  subiecto  prædicato et copula  ut  catcgorica: ucl  ex  duabus  oronibus  p aliquam coniundionem  coniundis: ut: “SI tu  curris,  tu moveris,” ut  hypothetica vel suppositio vel conditionalis.  QuStitaseius est extensio subiecti ad standu pro uno vel aliquibus uel omnibus uel nullis. Qualitas eius est secundum quam  dicitur qualismt affirmatio, negatio, veritas, falsitas, necessitas, contingentia, possibilitas, impossibilitas. Nam omnia ista qualificant propositionem. Unde interroganti qualis  sit  ista, “Homo  est  animal”,  respondcre debemus, quod rft affirmatiua ucramon solum possibilis sed etia NECESSARIA [ANALYTICA – Grice/Strawson] Quarum ad V divisionem, quae est hac, proponu categoricarum, quaedam participant utroqj termino, quaedam altero, quaedam nullo, adverte, quod cum termini componcnrcs categoricam sint subiednm et prædicatum: quae Ctjam dicuntur  extrema  propositionis, parridparc termino vel terminis, est conuenirc in subiecto vel in prædicato, vel in utroque. Non participare autem est non convenire. His prxnv.sfis adverte, quod duas catcgoricas  participare  utroque termino, est  eas  convenire  in subiecto  et praedicato,  ita  subiectvm  prima est subiectvm secundae et prædicatum primae est prædicatum secundæ, nec in alio differunt  nili quod una est affirmatiua, altera negativa,  ut sunt istae duae,  “Homo est animal”, “Homo non est  anima”l,  participare  in  altero  termino  tantum  scilicet  vel  solum  in  subiecto, ut  hic:  “Homo est  animal”, “Homo est  rationalis”,  vel in prædicaroratum ut hic: “Homo est animal,” “Asinus est animal.” Participare nullo termino, est non convenire io subiecto nec in prædicato, ut hic, “Homo est risibilis,” “Asinus est  risibilis.” Et adverte quod hic loquimur de participatione formali virtuali, quod dico, quoniam licet istae duae conveniant virtualiter: “Homo est animal,” “Risibile est animal”, non tamen formalitcr, quoniam formaliter non sunt idem “Homo et risibile:, dato  quod  essent  idem  re, quod  tamen  non conceditur in via thomistica (AQUINO (si veda)). Iterum adverte, quod hæc divisio data est, ut  cognoscatur oppositio contraria, subcontraria, contradidoria, subalterna propositionu categoricarum de quibus aduri lumus infra. Namilla fupponit participationem, proositionum oppositarum urroqj termino formaliter et non solum virtualiter ut tibi declarabitur in divisione odaua.  Quantum ad divisionem lextarn, quae est quod, proposition5' categoricarum participantium utrocg termino formaliter, quaedam participant utroq? termino eodem ordine, quaeda ordine converso.  Adverte  igitur  quod  duas  categoricas  participare  eodem  ordine  utrocp  termino, est sic, quod est subiectum in prima est subiectum in secunda et quod est prædicatum in prima est prædicatum in secunda, ut hic. “Socrates est homo”. “Socrates non  est homo”,  et semper intelligedum est formaliter et non virtualiter tantuin. Duas autem categoricas participare utrocp termino ordine converso, est sic, quod est subiedum in prima est  praedicatum  in fecunda, et quod est praedicatum in prima eft subiectum insecunda, ut hic: “Homo est animal rationale,” “Animal rationale est homo.” Et hæc divisio deferuiet quando loquemur de conversionibus propositionum categoricarum, ut tibi  manifestabitur.  Quantum  ad  VII  diuifionem, quae  est  haec. Propositionum participantium vtrocg termino sive eodem ordine sive converso quaedam siunt in materia naturali,  quardam contingenti, quædam in remota, adverte, qnllat siunt in mareria naturali in quibus prædicatum semper et infcpai abii:ter convenit subiecto, et id  sit  multis modis, primo  quando genus, aut  differentia, aut  definitio, aut, proprietas, aut  quali,  eas  naturalis  praedicatur  de  re. Exempla I: “homo est animal, II homo est rationalis. III, homo  est  animal rationale, IV  homo est risibilis  V Ignis est calidus,” “mel  est  dulce”, “nix est alba.” Item quando  idem  prædicatur de  lcipfo:ut  “Fortes  est fortes” [Grice, Women are women, war is war].  Ille  aut  fiunt  in  materia  contingentium  quibus prædicatum  poteft  aduenire  et removeri  a subiecto, abfqj hoc <y corruni. patur subiectum, et gg hoc diftinguuntur  a , ppofitionibus  i,  materia  naturali, quoniam  in  illis  li  auferatur  prædicatum, no  pmanet  subiectum. Nam si homo cedat ede animal,  aut  rationalis, aut risibilis et si ignis  cedat  ede  calidus  etc.  nec  ha-,  mo nec  ignis permanent, sed  corrumpuntur et definunt ce» Tu igitur adverte, c?o mnis  jjpositio, in  qua  prædicatum  est  accidens commune  [HAZZING] et separabile, et  etiam  inseparabile [IZZING],  modo  non  fluat  a principiis fpccici, sit in materia  contingenti,  utiftae, homo eft albus, ethiops est niger, aqua est calida, etc. Dico rnodo non fluat a principiis speciei: ut pferuem rerum. j>prietates: ut est RISIBILITAS in homine, PAR et impar in NUMERO, curvum et RECTVM in linea, fumum calorem in igne lite nancg faciunt propositionem in materia naturali. Quid ne. ro sit fluere apneipiis specjci declarabitur tibi in trac. de prædicabilibus in cap. de proprio et accidente. Illae vero fiunt in materia remota,  in quibus prædicatum non potest verificari de subiecto, Imo  id  inuicero repugnant. Istae autem sunt in quibus subiectum et prædicatum sunt opposita contraria vel contradidoria vel  privative  ucl  relative  opposita. Exempla: I “Album  est nigrum”. II: “Homo est non homo”. III. “Caecus est videns”. IV “Pater  est  filius”. Et  aducrte , q?  dicuntur  fieri  i|i  materia  remota,  scilicet  repugnanti, qm natur subiedi&i prædicatiin oibus p didis repugnant adinuioem, nec se compatiuntur. Inde est q1 omnis affirmatiua in materia remota ferng et de neccsfiUtate est falsa, negatiua autem femg  et immutabiliter ucra. In materia vero naturali est opposito modo. Nam affirmariva femg  est  vera, negatiua fepig falfcM  Jn nuter» cotingeti ?4 est medio m6, qm  tam affirma,  q nega,  aliqn e vera aliqn falsa, nam qn prædicatum inest liibiedio, affirmatiua est uera, negatiua  falsa, qn  prædicatum  removetur, affirmatiua est falsa, negariva est vera. Hoc de VII diuifione difta fint. Quantum ad  oAauam  divisionem, quae fuit haec, Propositionum categoricarum participatium utroqj termino eodem ordine triplici materia. Cnaturali contingenti et remota adverte, quod inter eas sit quatruplex oppositio: contraria sub-contraria, CONTRADICTORIA, ubalterna. Oppositio contraria sit inter eas quarum una est universalis affirmatiua & altera uninerfalis negatiua, de eifdcm fubieflis et prodicatis univoce &aeque ample & aeque strictca cceptis. Primo df quarum una est uniuerfalis &c. Nam ut distinguantur a contradictoriis, debent esse eiufdem quantitatis et diverfae qualitatis. Si eiufdem quatitatis, ergo utraqj est universalis vel particularis, non secundum quia non essent contrariae sed subcontrariae. Ut dicetur infra ergo primum.  Si,  DIVERSÆ QVALITATIS,  ergo i&fca est affirmativa et altera negativa. Secundo dr de ei (dem subiectis et prædicatis: uc ois homol albus, nullus homo est albus,  et dcfeftu huius iftaeduae non funt contrariae ois homo est albus, nullum rifibilc est albus. Tu tn  aduerte  quod subiectum et prædicatum  pnt  esse  idem  tripliciter, pmo  fm vocem  tm  & non  fm  SIGNATVM, secundo  t m. SIGNATVM tm et non  fm vocem, tertio fm vocem et SECVNDVM SIGNIFICATVM. Exempla: I “Omnis canis  latrat: nullus canis latrat. Omnis homo currit, nullum  ronale  currit. “Omnis  homo est  alal  nullus homo eft  alaU  Prima identitas non sufficit  ad contrarietatem,  ideo  dicitur  in  definitione, acceptis UNIVOCE, constat aut  quod canis  est  TERMINVS ÆQUIVOCVS; II aut sufficit ad contrarietatem virtuale  leu  ÆQVIVALENTE sed  no  ad  formalem; III vero sufficit ad contratietate  proprie dicta et formale [CF. H. P. GRICE, DICTIVE MEANING AND FORMAILITY – as candidates for EXPLICITVM – why not both, as in J.?] , unde licet  iftx duae, “Omnis homo currit, nullu  rationale  currit, sint  cotrariae  virtualiter eo  q SECVNDVM SIGNIFICATVM homo et rationale fune idem  non  tamen forma\itct, qm  formaliter non participat  E ii utroqj termino secundum vocem et SECVNDVM SIGNIFICATM. III  dicitur aeque ample &aeque ftrufie acceptis. Dcfe du huius apud multos istae dux non sunt contrarie. “Omnis homo est animal,” “nullus homo est animal,” quoniam in prima potest teneri tam pro masculis quam pro femminis; in secunda SOLVM PRO MASCVLIS. Tu tn adverte,  quod secundum usum i utracp accipi confucuit pro MASCVLIS  ideo  acceptantur: ut ue rz contrariZj Item defedu huius istæ dux non sunt contrariae. “Omnis  homo  EST albus”, “Nullus homo FVIT albus”, quia in prima reftringitur  ad præsentes, in secunda autem ampliatur ad przfentcs vel  præreritos. Sed pronunc fuftinc, donec pertrademus de AMPLIAZIONI et APPELLAZIONI. Tu tn adverte, quod prxdldx non sunt contrariae non solum ronc di da, sed quia copula non tenetur eodem modo in prima set secunda. Nam in prima est ly est, in  secunda  est  ly FVIT. Unde in  definitione  intelligendum est q' contrarix  debent  c(Te  de  ctfdem subicdis  et prædicatis  et copulis. Hoc  de  contrariis  dida  fint. Oppositio contradictoria est inter eas, quarum  una cft  viis affirmatiua, altera  particularis  negativa , ut  “Omnis  homo est animal”, “Quidam  homo  non  est  animal”, uei  altera  cft  vfis negatiua, et altera particularis affirmatiua, ut “Nullus homo currit”, “Quidam homo currit”, dccifdcm fubicdis  &pdicatis & copulis, uniuocc  & zque  ample, et xque  ftride acceptis. Omnia debent intclligi ficut expofitum  eft  dc  contrariis.   Ut  autem  habeas  maiorem  noticiamdc contradidione  aduerte  ex  dodrina  Ariftotclis, quatuor condidioncs requirit, & defedu cuiullibct carum enitatur contradictoria oppositio. Prima est quod sit affirmatio eiufdem de eodem et negatio, dummodo sumatur idem secundum rem et vocem, ut “Socrates currit”, “Socrates non currit”. Defedu cuius ista apud logicu non sunt contradictoria formaliter sed virtualiter sive equipollenter tantum ex parte rei. “CICERONE currit”, “MARCO non currit”, posito enim quod sint sinonima ex parte significati quia ide homo didus est MARCO et CICERONE, tame distinguuntur voce icas isb ffffi futc: ctu  OOP*   uiJ'   ipl>   lo«  Taa   jnci  u$   yra (Tei. t& il* ra^ jsi» iC30  is. io»  srt-   t& itio, Sa ? t<p ,cof jii UOC *f  sive termino, qm  duo  fune  termini, MARCO et CICERONE, ideo  non  sunt contradictoria formaliter sed  aequipolleter. Æquipollenter quidem, qm IDEM INDIVIDVVM intclligitur  per MARCO et CICERONE, formaliter autem non, qm logicus observat oppositionem de virtute sermonis, philosophus aute qui est artifex realis, DE VIRTVTE rei et SIGNIFICATI. Vnde apud physicum ista contradicunt. Materia prima est ens in potentia. Primum  fubic Ctum non est ens in potentia.  Pro eodem  enim  accipit  materiam  primam  et primum SUBIECTVM. Secunda est q duae propositiones contradictoriae REFERANTVR AD IDEM ut secundum  idem, et propter huius  defeflum, illae no contradicunt, “Ethiops est albus” detes.  “Ethiops  non  est  albus”  pedes, non enim sit prædicatio secundum eandem partem. III est. Quod  teneatur  similirer, ideo iste dux non contradicunt: “Nullum animal est  genus”, “animal est genus”.  Nam  In negativa stat “animal” pro suppositis, in affirmativa stat  p natura  communi.  Sed  id  non intelliges  donec  in  tracta.  suppositionum  exercitatus fueris, ideo fuftine. IV est quod REFERANTVRad idem tempus. Et defeCtu  huius, iste dux non contradicunt, fortes venit HODIE, fortes no venit HERI. Et adverte quod omnes iste conditiones  exprimuntur  in deffinitione contradictionis, quae extrahitur ex doctrina del LIZIO prxcipuc in quarto metaphyficae, et est hoc. Contradictio est affirmatio et negatio, id est propositio affirmativa et negativa  eiusdem  prædicari  de  eodem  subiecto,  ad  idem secundum idem, similiter  et pro eodem tempore Hoc de contradictoriis dicta fint. Oppositio subcontraria est inter eas, quarum una est particularis affirmatiua vel indefinita, altera autem est particularis negativa vel indefinita de eisdem prædicatis et subiectis et copulis  univoce  acceptis, et eodem modo supponentibus. Primo dicitur propositio affirmativa negativa particulares aut indefinita, ut  excludamus  duas singulars. Nam  Illx sunt contradictorie  SECVNDVM rem et SIGNIFICATVM licec. Eiii TRACTATVS tertivs non in figura, quoniam in figura  uc  declarabitur tibi. oportet unam c(Tc universalem affirmativam vel negativan alteram autc particularem affirmativam uel negativam ut patebit in figuris quas in ira deferibemus. Quare autem duae singulares non sunt subcontrariae ratio est haec, quia due subcontrariz possiunt esse simul verae, ut: “Quidam homo currit, quidam homo NON currit.” Due autem singulares non possiunt esse simul verae nec simul falsae, sed una vera et altera falsa in omni materia, uc fi hzc est vera fortes non est afsnus, hoc neccesario est falsa “Socrates est ansinus”. Ergo sunt contradictori. Secundo dr de cildcm SVBIECTIS etc. inrclligendum est eodem modo sicut dictum est in oppositione contraria. III dicitur univoce tentis, defectu  cuiu»  iste no fune subcontrarie. Quoddam: “Snum est animal”. Quoddam  “Sanum non est animal.” IV dicitur eodem modo supponentibus, defectu cuius iste, non sunt subcontrarie: “homo est species”, “homo non est species”, nam, in prima, “homo” supponit pro natura communi, in secunda pro natura partita in suppositis. Sic quide dicimus pro nunc. In  trac. autem suppositionum manifestabimus quomodo ista non est indefinita, “homo est species”, sed singularis, et ideo manifeftius tibi  erit, <y no sunt subcontra riz, non solum quia non supponit “homo” in prima et secunda eodem modo, sed quoniam sunt singulares quas ncccdc est ut diximus c(Tc oppositas contradictori SECVNDVM rem  et SIGNIFICATVM. Oppositio subalterna est inter eas, quarum una est vflis affirmariua et altera particularis aut indefinita aut singularis affirmativa. Vel una est viis negatiua et altera  est  parti  «auc  inde. aut  singularis negativa  de  eisdem  subiectis  et prædicatis  et copulis  etc. ut  dictum  est  in  aliis  oppofirionibus.   Hic  Hto sunt declaranda, primo quare dicuntur subalterne, secundo quare  de singulares aftirmativa et negativa  fune  liibalternz  et non  subcontrarie. Ad  prim Utn  dicitunt  ideo  universalis  affir. et particularis affirmatiua dicuntur subalternzquia  una fub altera  ponimr.i4 particu. rub universali.Vnde universalis se habet, ut an$ particu ut pns. Nam bene sequitur. “Omnis homo est animal”; ergo, quidam homo est animal, et homo est animal, et iste homo est animal, ut  tibi manifeftum  erit in suppositionibus. Non autem sequitur cconverso, quia  ab  inferiori  distributive ad superius affir. non valet consequentia, non enim sequitur, “Aliquis  homo est stultus; ergo, omnis homo esst stultus.” Et aduerte sicut dicuntur subaltcrnae per rcfpedum suppositionibus, quem habet particulares ad universales, sic dici possent superaltcrnx, per relpe&um superpositionis,  que habet universales ad particulares. Sed primis placuit sic denominare ab inferioribus, quorum est subiecti et supponi superioribus. Ad secundum dicitur q? ideo dux singu. affir. et neg. fune subalterne qm sicut valet consequentia ab univerfali affir, ucl nega. ad particu. et inde  affir. et nega. sic valet ad singu.  Affir et nega. Nam  fi  hxc  consequentia valet  ols  “homo  currit”, ergo, “aliquis  homo, et  homo  currit”, sic  ualet, ergo  iste  et “iste  currit,” quoniam, ut  declarabitur tibi in trac. suppositionum, signum universale affirmativum negativu distribuit terminum immediate sequentem et licet defendere ad sua singularia divisiuc. Sed pro nunc fuftine ne confundaris, do nec habebis de suppositionibus notitiam. Et ideo sunt subalterne sicut particu. et indcfi. Non autem sunt subcontrari ratione  iam  difta,  quoniam subcontraries contingitellc simul veras, dux autem singularis negativa et affirmatiua, in omni materia ita se habent y si una est vera altera est falli, et non poliunt esse simul vere nec simul false, et ideo, ut diximus non fiint subcontrarix cd CONTRADICTORIE. Constae Igitur  tibi  quo  propositiones categorice participantes  utro que termino et eodem ordine, conftituunt quatuor geifepa oppositionum. Et quoniam possunt formari in materia naturali  et remota et contingenti, ideo  figurabimus  tibi  tres  figuras. II erit de oppositis in materia naturali, II de oppositisin materia remota, III de oppositis in materia contingenti. LOGICAE compendium. Peripatetica ordinatum per Reverendum Magistrum Chiifoftornum J.. anapicium ordimsprxdica, nunc tandem 8C d'U“°P“Pro' ditin lucem A Continet aute undecim tractatus uidelicet I est de praaecognoscendis. II de partribus propositionis. III de propositione. IV de V universalibus. V de prædicamentis. VI dc syllogismis formalibus. VII de suppositionibus VIII ampliationibus & V’-> V V^lArii* « ' * Jj; ii .I' d appdlationibusJ IX de consequentiis. X de probationibus terminorum. Vndeamusde syllogismo demonstrativo, in quo quo continetur LIZIO docrina in lib. poster. QjiaE Gmma recenti hac nostra editione uiligentissime, exposita fiint, atque elaborate, Grice: “For all their subtleties I lizii, or peripatetic logicians never cared about formulation. Consider Javelli: the dog barks, anger is represented, ‘canis latrat raepresentatur ira, gemitus infirums raepresentatur dolor. No care is taken to represent the proper signification. It is still the ‘anima’ if the vegetative one, it is still the dog’s spirit. If the dog barks, he means that he is angry. If the infirm moans he means he is in pain, and so on.” Grice: “Javelli is one of the most careful Italian philosophers. He had a fascination for two little tracts by Aristotle towards which I also felt an attraction: De Interpretatione and Categories. His comments on De Interpretatione are brilliant in that he reduces all to ‘re-presentare’. The infirmus who groans or moans represents ‘dolor’. The dog that barks represents ‘anger’. These are ‘signs’ of the natural kind – and rather than dark clouds meaning rain he is into ‘phone’ – vox – here it is vox signifying that p or q naturaliter. (my example of groaning of pain). From there he jumps to the institutional meaning, ad placitum, ex decreto et authoritate – e consuetudine, -- a system which superseds the previous one. Giovanni Crisostomo Javelli. Iavelli. Giavelli. Javelli. Keywords: implicatura, grammatica razionale, psicologia razionale. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giavelli” – The Swimming-Pool Library. Giavelli.

 

 

Grice e Gioberti: la ragione conversazoinale e l’implicatura conversazionale del bello – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Grice: “I like Gioberti; he published ‘Del bene, del bello,’ suggesting they are etymologically connected, and they are: BONUS alternates with BENE in Roman, and the dimintuvie, BENETULUS, gives ‘bellus’ – So the Roman implicature is that the ‘bello’ is a ‘little’ ‘bene’ – or gracious, comfortable, and proportionate, rather than having to do with ‘bene’ itself. – “like bene” – and affectionate diminutive, one hopes!” – Laureato, e parzialmente influenzato da MAZZINI, lo scopo principale della sua vita divenne l'unificazione dell'Italia sotto un unico regime: la sua emancipazione, non solo dai signori stranieri, ma anche da concetti reputati alieni al suo genio e sprezzanti del primato morale e civile degl’italiani. Questo primato era associato alla supremazia del Papa, anche se inteso in un modo più letterario che politico. Carlo Alberto di SAVOIA lo nomina suo cappellano. La sua popolarità e l'influenza in campo privato, tuttavia, sono ragioni sufficienti per il partito della corona per costringerlo all'esilio; non era uno di loro e non poteva dipendervi. Sapendo questo, si ritirò dal suo incarico ma fu arrestato con l'accusa di complotto e bandito dal Regno sabaudo senza processo. Andò a Parigi e Bruxelles per insegnare FILOSOFIA. Nonostante ciò, trovò il tempo per filosofare con particolare riferimento al suo paese e alla sua posizione.  Essendo stata dichiarata un'amnistia da Carlo Alberto,  divenne libero di tornare in patria. Al suo ritorno a Torino, e ricevuto con il più grande entusiasmo. Rifiuta la dignità di senatore che Carlo Alberto gli aveva offerto, preferendo rappresentare la sua città natale nella Camera dei deputati, della quale fu presto eletto presidente.  Cadde il governo. Il re nominò G. nuovo presidente del Consiglio. Il suo governo termina. Con la salita al trono di Vittorio Emanuele II la sua vita politica giunse alla fine. Ha un posto nel consiglio dei ministri, anche se senza portafoglio, ma un diverbio irriconciliabile non tardò a maturare. E allontanato da Torino con l'affidamento di una missione diplomatica a Parigi, da cui non fa più ritorno. Rifiuta la pensione che gli era stata offerta e ogni promozione ecclesiastica, vive in povertà e passa il resto dei suoi giorni a Bruxelles, dove si trasferì dedicandosi agli studi filosofici. I primi due licei istituiti a Torino celebrarono uno l'opera diplomatica di Cavour (il Liceo classico Cavour) e l'altro il pensiero, anche politico, di G. (il Liceo classico G.). I saggi sono più importanti della sua carriera politica; come le speculazioni di Rosmini-SERBATI, contro cui scrive, sono state definite l'ultima propaggine del pensiero medievale. Anche il sistema di G., conosciuto come “ontologismo” non è connesso con le moderne scuole di pensiero. Mostra un'armonia con la fede che spinge Cousin a sostenere che la filosofia italiana e ancora fra i lacci della teologia e che G. non e un filosofo.  Il metodo per lui è uno strumento sintetico, soggettivo e psicologico. Ricostruisce, come afferma, l'ontologia e comincia con la formula ideale, per cui l'Ens crea l'esistente ex nihilo. Dio è l'unico ente Ens. Tutto il resto sono pure esistenze. Dio è l'origine di tutta la conoscenza umana (le idee), che è una e diciamo che si rispecchia in Dio stesso. È intuita direttamente dalla ragione, ma per essere utile vi si deve riflettere, e questo avviene tramite i mezzi del linguaggio. Una conoscenza dell'ente e delle esistenze (concrete, non astratte) e le loro relazioni reciproche, sono necessarie per l'inizio della filosofia.  G. è, da un certo punto di vista, un platonico. Identifica la religione con la civiltà e nel suo trattato Del primato morale e civile degli Italiani giunge alla conclusione che la chiesa è l'asse su cui il benessere della vita umana si fonda. In questo afferma che l'idea della supremazia dell'Italia, apportata dalla restaurazione del papato come dominio morale, è fondata sulla religione e sull'opinione pubblica. Tale opera e la base teorica del neoguelfismo. In “Rinnovamento e Protologia” si dice che abbia spostato il suo campo sull'influenza degli eventi. La sua prima opera aveva una ragione personale per la sua esistenza. Un amico, avendo molti dubbi e sfortune per la realtà della rivelazione e della vita futura, lo ispirò alla stesura de “La teorica del sovrannaturale”.  Dopo questa, sono passati in rapida successione dei trattati filosofici. La “Teorica” è seguita dalla “Filosofia”, dove afferma le ragioni per richiedere un nuovo metodo e una nuova terminologia. Qui riporta la dottrina per cui la religione è la diretta espressione dell'idea in questa vita ed è un unicum con la vera civiltà nella storia. La Civiltà è una tendenza alla perfezione mediata e condizionata, alla quale la religione è il completamento finale se portato a termine. È la fine del secondo ciclo espresso dalla seconda formula, l'ente redime gli esistenti.  I saggi “Del bello” e “Del buono hanno” seguito l'introduzione. Del primato morale e civile degl'Italiani e Prolegomeni sulla stessa e a breve trionfante esposizione dei Gesuiti, Il Gesuita moderno, pubblicato clandestinamente a Losanna da Bonamici, ha senza dubbio accelerato il trasferimento di ruolo dalle mani religiose a quelle civili. È stata la popolarità di queste opere semi-politiche, aumentata da altri articoli politici occasionali e dal suo Rinnovamento civile d'Italia, che lo ha portato ad essere acclamato con entusiasmo al ritorno nel suo paese natio. Tutti questi saggi sono stati perfettamente ortodossi e hanno contribuito ad attirare l'attenzione del clero liberale nel movimento che è sfociato, sin dai suoi tempi, nell'unificazione italiana. I Gesuiti, tuttavia, si sono raduttorno al Papa più fermamente dopo il suo ritorno a Roma e alla fine i saggi di G.i sono messi all'indice. I resti dei suoi saggi, specialmente “La filosofia della rivelazione” e la Protologia espongono i suoi punti di vista in molte parti. Tutti i saggi giobertiani, tra cui quelli lasciati nei manoscritti, sono stati pubblicati da Massari (Torino). Il Ministero dei beni culturali ha affidato la redazione dell'edizione nazionale all'Istituto di Studi Filosofici Castelli, presso l'Università La Sapienza di Roma. Altre saggi: Prolegomeni del Primato morale e civile degl’italiani, Enrico Castelli; Primato morale e civile degli italiani, Redanò; Introduzione allo studio della filosofia; Cortese; Teorica del sovrannaturale; Cortese; Del rinnovamento civile d'Italia; G., Del rinnovamento civile d'Italia, Del rinnovamento civile d'Italia, Filosofi d'Italia Bari, Laterza. Cfr. lettera di G. a Leopardi  in Scritti vari inediti di Leopardi i dalle carte napoletane, Firenze, Successori Le Monnier. G. vive in Rue des marais S. Germain, hotel du Pont des Arts n° 3.  In lingua latina: "dal nulla", vedi anche la locuzione Ex nihilo nihil fit di LUCREZIO. Antonio, su Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Istituto Castelli-Roma in.  Anteprima disponibile su  Anteprima della II edizione disponibile su books.google. Massari, Vita di G., Firenze, Serbati, G. e il panteismo, Milano, Spaventa, La Filosofia di G., Napoli, Mauri, Della vita e delle opere di G., Genova, Giuseppe Prisco, Gioberti e l'ontologismo, Napoli, Pietro Luciani, Gioberti e la filosofia nuova italiana, Napoli, Berti, Di  G., Firenze, Rumi, G., Bologna, Il mulino, Sancipriano,  G.: progetti etico-politici nel Risorgimento, Roma, Studium, Traniello, Da G. a Moro: percorsi di una cultura politica, Milano, Angeli, Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione di G., Milano, Mursia, Mustè, La scienza ideale. Filosofia e politica in G., Soveria Mannelli, Rubbettino, Mustè, Il governo federativo, Roma, Gangemi, Alessio Leggiero, G. Frainteso. Sulle tracce della condanna, Roma, Aracne,  Dizionario biografico degl’italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  G. attuale – Il Popolo d’Italia -- Non bisogna cedere alla facile tentazione erudita di dare troppi precursori al FASCISMO – o al GRICEANISMO --, come si è fatto da taluno in questi ultimi tempi. Il FASCISMO – e il GRICEANISMO --  ha molti precursori e e non ne ha nessuno. Non ne ha nessuno se alla parola “precursore” si dà un significato strettissimo o letterale. Ha molti se la stessa parola viene interpretata in un senso più lato. ln quest'ultima categorià può esser posto G., especialmente dopo la posta all’indice dei suoi saggi.. Ecco un filosofo, come Grice, che appare oggi « attuale » più di quanto non e ante, o anche semplicemente venti anni fa. Ci sono nelle pagine dei suoi libri notazioni, istruzioni, moniti, previsioni che il tempo ha confermato. Si vuole oggi, dal FASCISMO, una vita studiosa, che sia forte nel corpo come nello spirito. Or ecco come G., a proposito della necessità della GINNASIA, si esprimeva nel suo Primato. Gl’ITALIANO indurino il corpo avvezzandolo al sole, allenandolo alla corsa e ai GINNICI esercizì, rompendolo alle operose veglie e alle utili fatiche, costringendolo a nutrirsi di cibi frugali, a posare su dura coltrice e assoggettandolo in ogni cosa allo imperio dell'animo, il quale col domare i sensi; si rende libero e franco e si dispone ai nobili affetti, ai vasti e magnifici pensieri. Il FASCISMO ha battuto sempre in breccia certi persistenti snobismi linguaioli, che sono ormai superstiti soltanto in piccoli gruppi. Vedete come G. flagella gl’esotismi del tempo che fanno preferire le lingua tedesca o la francese all'italiana, l'abietto forestierume, come, con parola di scherno supremo, dice G. Riscuotano dunque se stessi da ogni ombra di forestierume, non solo nelle cose gravi ma anco nelle leggere, perché queste concorrono a informare il costume, che in opera di mutazioni morali è la somma del tutto. E non lieve faccenda, ma gravissima e importantissima è LA LINGUA NAZIONALE così per la stretta ed intima congiuntura dei pensieri con le voci, onde gl’uni tanto valgono quanto l'espressione che li veste (dal che segue che le parole non sono pur parole, ma eziandio cose) come perché ESSENDO LA FAVELLA ITALIANA LO SPECCHIO PIU COMPIUTO E PIU VIVO DELLA SPECIALITA MORALI E INTELLETTIVE DEL POPOLO ITALIANO, chi la trascura e disprezza non può essere veramente libero, né aver cara l'indipendenza e la libertà della patria. Perciò indizio grave di servilità e di declinazione civile e prova non dubbia di poco amore verso il luogo natìo, è il trasandare la propria loquela e il vezzo di parlare o di scrivere senza bisogno di lingua forestiera. Tale indegno costume è altresì basso e vile! Pochi filosofi hanno, più del grande pensatore torinese, posto in rilievo la somma importanza della lingua italiaa nella vita del popolo italiano e i pericoli insiti nel trascurarla o avvilirla. L'ostracismo che il regime ha dato agli eccessivi dialçttismi e ai tentativi di creare su basi regionali delle letterature dialettali, trova la sua più alta giustificazione in questo superbo brano di prosa giobertiana. E da ricordare che G. definisce la italiana come la più bella delle lingue vive. Lo stile, dice Buffon, è l'uomo. Lo stile e la lingua, dico io, sono il cittadino. LA LINGUA E LA NAZIONALITA PROCEDENO DI PARI PASSO, perché quella è uno dei principi fattivi e dei caratteri principali di questa, anzi il più intimo e fondamentale di tutti, come il più spirituale, quando la consanguineità e la coabitanza poco servirebbero ad unire i popoli unigeneri e compaesani, senza IL VINCOLO MORALE DELLA COMUNE FAVELLA. E però Giordani insegna che la vita interiore e la pubblica di un popolo si sentono nella sua lingua, la quale è l'effige vera e viva, il ritratto di tutte le mutazioni successive, la più chiara e indubitata storia dei costumi di qualunque nazione e quasi un amplissimo specchio in cui mira ciascuno l'immagine ·della mente di tutto e tutti di ciascuno. E  Leopardi non dubitò di affermare che la lingua e l'uomo e le nazioni per poco non sono la stessa cosa. Parole queste che non sono mai abbastanza meditate. Quanto alla missione di Roma nella storia italiana e in quella europea e universale, ecco alcune citazioni di G. che hanno un sapore attualissimo. Il genio orientale affine a quello dell'Italia, se non altro perché ROMA e una volta e sarà forse di nuovo un giorno, se posso così esprimermi, l'oriente dell'Oriente. ROMA in effetto, nel bene come nel male, nei tempi antichi come nei moderni, è arbitra suprema e norma delle genti italiche. La figura di G., quale filosofo e patriota, ci è giunta un poco deformata dalle polemiche del tempo. Ma bastano le citazioni di cui sopra per far vedere che la portata educatrice del pensiero giobertiano, non è diminuita con le vicende del tempo. G. è attuale, anche e soprattutto oggi, nell’ITALIA DEL LITTORIO. The next day in “Il Popolo d’Italia” by Scrittore Fascista. Ancora G.  (Pubblicato in « Il Popolo d'Italia » di Scrittore fascista  La prosa giobectiana è ricca di parole asprigne, saporose e di neologismi indovinati. Si incontrano parole come queste: schifiltà, infemminire nell'ozio, forestierume, perennare, sfasciume, smanceroso, attillature, disviticchiare, mollizie, delicature, uomini faticanti, laicocrazia, fogliettisti, ecc. Ma più importanti sono sempre i pensieri del filosofo torinese. In tutte le questioni egli ha un punto di vista, che rappresentando le verità fondamentali, vale, oggi, come sempre.. Ecco con quali termini G. stabilisce i compiti e i doveri di un'aristocrazia degna di questo nome. Si tratta dell'educazione da impartire ai figli degli aristocratici. Imprimano in essi la semplicità dei modi, la grandezza dell'animo, l'austerità del costume, la tolleranza nelle fatiche, la fermezza nelle risoluzioni, l’'intrepidità nei pericoli, la generosità nei travagli; li assuefacciano a contentarsi del poco, a fuggire gli agi e le pompe, a tenersi per depositari anziché padroni della loro ampia fortuna, come di un tesoro da dispensarsi in opere di beneficenza e in imprese di utilità pubblica. In G. si trova l'incentivo e la giustificazione delle opere di ripristino archeologico, alle quali IL REGIME FASCISTA si è particolarmente consacrato, non soltanto a ROMA, ma in ogni parte d'Italia. Se G. potesse vedere lo spettacolo meraviglioso della ROMA di oggi, dovrebbe fare constatazioni diverse da quelle del suo tempo. Gli scavi, la esumazione e la restaurazione degl’antichi monumenti pagani (‘non cattolici’!) , non giovano soltanto a documentare al mondo la nostra gloriosa storia tri-millenaria, ma sono anche fonti di ricchezza, per il richiamo che essi esercitano su tutte le ·genti del mondo civile. Le poche decine di milioni spese per creare quei capolavori che sono la via dell'Impero ROMANO, la via dei Trionfi, la via del Mare, sono già stati recuperati almeno cento volte, attraverso l'affluire ìncessante degli stranieri. Ma G. insiste sul lato morale delle ricerche archeologiche così esprimendosi.  Egli è doloroso a pensare che così pochi siano al dl d'oggi gl’italiani solleciti di conoscere e studiare le patrie rovine e che tale inchiesta si abbandoni, come inutile, all'ozio erudito di qualche antiquario. L'archeologia non meno della filologia, ben !ungi dall'essere una scienza sterile e morta, è viva e fecondissima, perché oltre a rinnovare il passato, giova a preparare l'avvenire delle nazioni. Imperocché la risurrezione erudita dei monumenti nazionali porta seco il ristauro delle idee patrie, congiunge le età trascorse colle future, serve di tessera esterna e di taglia ricordatrice ai popoli risorgituri, destandone ed alimentandone le speranze colla voglia e con l'esca delle memorie. Tutta la storia d'Italia passa in rapide sintesi potenti nelle meditazioni di G.  I periodi di grandezza e di miseria, gl’alti e bassi del nostro popolo, trovano in G. un indagatore e un illustratore vigoroso e penetrante. Egli sente la storia e come s'inorgoglisce parlando dei periodi di splendore, è amaro e violento quando trae a descrivere le epoche di decadenza. Nella citazione che segue sono condensati tre secoli della nostra storia, i quali dal punto di vista politico sono stati oscuri, perché furono secoli di divisione e di servitù. Le ultime faville di virtù e di carità patria perirono in Italia colla repubblica di FIRENZE; spenta la quale dalla truce e schifosa progenie dei secondi Medici, l'ingegno secolaresco, costretto a menar vita privata ed umbratile, non ebbe più altro campo dove esercitarsi che quello degli studi: in cui rifulsero ancora tre sommi laici, il TASSO, il GALILEI, il VICO, che nel culto della sapienza poetica, naturale, filosofica, andarono innanzi a tutti, e risposero in un certo modo alla triade clericale e monachile di BRUNO, di CAMPANELLA e di SARPI. Ma il rinnovamento del ceto civile nella penisola e la creazione dell'Italia laicale è dovuta a ALFIERI che, nuovo ALIGHIERI, e il vero secolarizzatore del genio italico nell'età più vicina e diede agli spiriti quel forte impulso che ancora dura e porterà quando che sia i suoi frutti, Questa profezia del Primato si è avverata. L'impulso dato da ALFIERI da i suoi frutti col Risorgimento. Dopo una eclissi, tale impulso è lo stesso che scatenò il maggio radioso del '15 e la marcia di ottobre del '22. È l'impulso che fece vincere la guerra e trionfare la rivoluzione. Non ancora un secolo è passato e già queste parole del Primato giobertiano fiammeggiano nei cuori delle generazioni littorie. « Italiani - diceva Gioberti - qualunque siano le vostre miserie, ricordatevi che siete nati principi e destinati a regnare moralmente sul mondo!  G. nasce a Torino. Un dissesto finanziario del padre, morto prematuramente, rese molto precarie le condizioni economiche della famiglia. Formatosi nelle scuole dei padri oratoriani, rivela precoci interessi per gli studi filosofici, e annoverò tra i suoi maestri e guide spirituali Sineo, poi ricordato come il solo prete che avesse incontrato. Tuttavia G. fu essenzialmente un autodidatta, che, nonostante la malferma salute, si dedica con inaudita intensità alle più disparate letture, toccando anche il settore linguistico, storico, naturalistico, geografico, politico (con una precoce passione per MACHIAVELLIi), e lasciandone traccia in una congerie sterminata di appunti e di pensieri: in uno dei quali rivelava di essere stato "reso anti-monarchico dalla lettura d’ALFIERI, irreligioso, ma per poco, da Rousseau, pirronista dagli altri filosofi" (Meditazioni filosofiche inedite). Tali frammenti provano come G. accumulasse una rilevante cultura filosofica, in parte di tipo manualistico, ma in parte notevole ricavata da letture di prima mano (sebbene non sempre nella lingua originale) concernenti in special modo le opere di Platone, Agostino, Bacon, Bossuet, VICO, Leibniz, Malebranche, Gerdil, Rousseau e Kant. Quest'ultimo, unitamente alla scuola scozzese di Reid, apparie a G. il filosofo che aveva riportato "nel campo dell'osservazione quel principio pensante, che molti aveano a tal segno obliato da confonderlo coi sensi e colla materia. Alla linea di pensiero che iG. definiva allora idealistica si affianca il confronto ravvicinato, ma costellato di dissensi, con il tradizionalismo cattolico di  Maistre, Bonald,Chateaubriand, Ballanche e Mennais. È da osservare che G. conosce bene il francesen e, ovviamente, il latino, mentre inizia studio del tedesco.   In linea generale, prevalse in G. un orientamento eclettico, considerato peculiare e apertamente professato in opposizione allo spirito esclusivo dei sistemi, pur in un quadro teorico segnato dalla polemica anti-sensistica e dalla ricerca, non priva di momenti laceranti, di un punto di equilibrio tra una persistente venatura scettica e l'ancoraggio, punteggiato peraltro da corrosivi spunti anticlericali, alla religione, assunta come deposito di verità oggettive, attingibili per via razionale solo in maniera parziale e frammentaria. Oltre che sul piano teoretico, la necessità della rivelazione cristiana s'imponeva per G. sul piano pratico e politico, essendo "una religione rivelata e positiva l'organo indispensabile della morale nella società", ovvero anche "un'obbligazione sociale", chiamata a integrare "il mantenimento e l'accrescimento dei diritti", indicati come fine della politica. La ragionevolezza dell'adesione alle verità dogmatiche della fede cattolica, tenute distinte da quanto nella società religiosa vi è di accidentale e di transeunte, sostituiva, in G., l'idea di religione naturale d'impronta deistica, facendo salvi, da un lato, il principio di una rivelazione soprannaturale depositata nella Chiesa cattolica e, dall'altro, il concetto di un suo progressivo dispiegamento nella storia umana.  Membro dell'accademia ecclesiastica fondata dal Sineo e di quella dall'abate L. Solaro, G. risentì dell'impronta - probabiliorista in campo morale e cautamente giurisdizionalista in campo ecclesiastico - della facoltà teologica torinese, da cui trasse alimento il suo vivace antigesuitismo. Addottorato in teologia il 9 genn. 1823, fu aggregato alla facoltà teologica l'11 ag. 1825, con la discussione di tre tesi: De Deo et naturali religione, notevole per la padronanza della relativa letteratura sei-settecentesca, De antiquo foedere, De christiana religione et theologicis virtutibus, la cui edizione accademica restò per quattordici anni l'unica opera del G. data alle stampe. Poco prima, il 19 marzo 1825, era stato ordinato sacerdote, dopo che la curia torinese e forse lo stesso arcivescovo Chiaverotti erano intervenuti per vincere la sua ritrosia all'ordinazione. Nel gennaio 1826 fu nominato cappellano di corte con uno stipendio annuo di 480 lire.  Notevoli zone d'ombra caratterizzano la fase successiva della sua biografia. La stessa renitenza del G. a tradurre in pubblicazioni l'immenso materiale accumulato, nonostante la notorietà acquisita negli ambienti colti e l'attività svolta in alcuni circoli filosofici e letterari, appare indicativa sia di una persistente fluidità del suo pensiero, sia della percezione di un sempre più chiuso clima intellettuale e politico, che il G. tendeva ad attribuire, sul fronte ecclesiastico, alle mene dei gesuiti e della "frateria" - da lui personalmente contrastati in occasione della vicenda che aveva coinvolto  Dettori, allontanato dalla cattedra universitaria nel 1829 con l'accusa di giansenismo - e, sul versante politico, all'involuzione autoritaria del governo sabaudo.  Tra il 1826 e il 1833 la riflessione del G. sui rapporti tra religione e filosofia e tra religione e vita sociale seguì un percorso non lineare. Ne sono documento eloquente le lettere indirizzate a G. Leopardi (personalmente conosciuto nel 1828 a Firenze, durante un viaggio per l'Italia in cui il G. ebbe modo di incontrare anche A. Manzoni), le lettere al giovane amico e discepolo C. Verga e una lettura accademica sull'accordo della religione cattolica coi progressi della società civile (Ricordi biografici e carteggio, a cura di Massari).  Scrivendo al Leopardi da Torino G. confessava di aver professato nel passato "un puro teismo", e di aver mutato idea in seguito a nuove indagini sulla "verità del Cristianesimo (e quindi del Cattolicismo che è la sola forma invariabile di quello) come sistema dottrinale e come fatto storico", e di essere approdato a una "adesione intima, schietta, profonda alla religione cattolica", che gli aveva consentito di vincere "i fastidi, le amaritudini, i terrori, la malinconia" che fin allora lo avevano tormentato (Epistolario, I, pp. 41-44). Due anni dopo, reduce dall'aver "letto a furia" Le mie prigioni di S. Pellico, scriveva al Verga una lettera in cui, opposto "il cristianesimo di Silvio" a quello dei gesuiti, dei "nemici della filosofia e della civiltà", rivelava di essere divenuto assertore di una religione filosofica: cioè di una religione "immedesimata" e non solo conciliata con la filosofia, fondamento di una morale austera, "ispiratrice di azioni grandi e generose, e dell'oblio di se medesimo per intendere unicamente al bene della patria. Nei primi anni Trenta, anche in seguito alla lettura del Nuovo saggio sull'origine delle idee di A. Rosmini Serbati, il G. enunciò in modo più stringente e sistematico l'idea di una diretta connessione tra risorgimento filosofico e risorgimento nazionale, appellandosi a una tradizione filosofica autoctona, dispiegata genealogicamente da Pitagora al Rosmini, attraverso la scuola eleatica, la patristica latina, l'umanesimo e VICO (lettera a Verga). Dichiarandosi continuatore di questa linea ideale, il G. manifestò una speciale consonanza con il pensiero di Giordano Bruno, facendo a più riprese, in parallelo con l'evoluzione delle proprie idee politiche, professione di panteismo.  Tale collegamento è attestato da una lunga lettera, scritta probabilmente nella primavera-estate del 1833 ai compilatori della Giovine Italia e ivi pubblicata sotto lo pseudonimo di Demofilo. G. vi esaltava il panteismo come la sola filosofia "destinata a fiorire un giorno col voto unanime dei buoni ingegni", affermando di avvertire nelle dottrine politiche professate dai mazziniani "un'applicazione di questi dettati" (ibid., II, pp. 5-25; cfr. anche lettera al Verga del 9 apr. 1833, ibid., I, pp. 167-172). La lettera, ripubblicata con intenti antigiobertiani nel 1849 non da Mazzini, come a lungo si credette, ma probabilmente da CATTANEO, col titolo Della repubblica e del cristianesimo, era rivelatrice di una radicalizzazione delle convinzioni del G., coinvolto in una serie di vicende destinate a mutare il corso della sua esistenza: vi si proclamava la necessità di una religione civile finalizzata alla liberazione dei popoli, ma, contemporaneamente, l'impossibilità di dar vita a "una religione veramente nuova […], tanto che i filosofi, e gli uomini universalmente cominciano a persuadersi, che fuori del Cristianesimo non v'ha religione"; e vi si accennava a una lettura escatologica, ma non solo ultraterrena, dell'idea cristiana di salvezza e di redenzione, implicante una sua dilatazione dalla sfera individuale a quella sociale, prefigurata nella promessa di un regno "da aspettarsi eziandio in questo mondo". Nell'accezione giobertiana, ispirata ora a un messianismo politico-sociale in vesti cristiane cui non erano estranei gli echi delle dottrine sansimoniane, il motto mazziniano "Dio e il popolo" diventava così il presupposto di una "cristianità novella", l'annunzio di un'epoca imminente in cui "Iddio sarà umanato non nel figliuolo dell'uomo, ma nel popolo", e destinato non alla croce, ma a un "regno stabile, a una pace perpetua, all'immortalità e alla gloria". L'abito di prudenza e di riservatezza adottato dal G. non impedì che le sue idee destassero diffusi sospetti di ateismo anche presso i suoi superiori. Ciò lo indusse il 9 maggio 1833 a lasciare la carica di cappellano e a rinunciare al relativo stipendio. Nel frattempo si era affiliato a una società segreta, detta dei Circoli, e poi ad altra associazione patriottica di dubbia identificazione, forse i Veri Italiani; non sembra che mai entrasse nella Giovine Italia, sebbene coltivasse intimi rapporti con alcuni suoi affiliati, come l'abate P. Pallia. In seguito a delazione, fu quindi coinvolto nella repressione prodotta in Piemonte dalla scoperta della congiura mazziniana del 1833, arrestato con pesantissime accuse il 31 maggio e tenuto in carcere, senza processo, fino al settembre. Qui lo raggiunse un provvedimento immediatamente esecutivo che lo esiliava senza permettergli di incontrare alcuno dei suoi amici.  Per poco più di un anno, dall'ottobre 1833 alla fine del 1834, il G. visse a Parigi in una situazione assai precaria, che lo induceva ad autorappresentarsi nei panni di uno "sdottorato" e uno "spretato" (era privo di celebret per la messa), di uno che aveva "perduto tutto". Nonostante le relazioni intrecciate con i molti italiani insediati stabilmente o temporaneamente nella capitale francese, come il matematico G. Libri, Peyron, Mamiani, Botta, e con esponenti di primo piano del mondo accademico francese, come Cousin e Champollion, visse in relativo isolamento, in una città che considerava il "microcosmo d'Europa" ma non amava, ascoltando le lezioni accademiche di Fauriel e Jouffroy, impartendo per vivere lezioni private d'italiano e progettando, senza realizzarli, lavori di argomento filosofico o di polemica politica sulla sanguinosa repressione seguita alla congiura e al tentativo mazziniano. Nella febbrile atmosfera intellettuale della monarchia di luglio il G. avvertì come sintomi di una crisi epocale, ma senza condividerne appieno i contenuti, i messaggi di rinnovamento sociale espressi dalla tarda scuola sansimoniana, da Buchez, dalle Paroles d'un croyant di F.-R. de Mennais. Lo scenario parigino, che gli appariva connotato dalla totale estinzione del culto e della pratica cattolica, fornì nuovo alimento alla venatura apocalittica del suo pensiero, che gli faceva presagire come prossima la "fine del mondo; ma del mondo antico, donde sorgerà il nuovo", nel quale "gli ordini morali di Cristo" sarebbero diventati "gli ordini civili delle nazioni", compenetrando lo Stato sino a produrre "una società di uomini, retta da sé medesima, sotto la legge universale, una, libera, fiorente, morigerata, santa, ed esprimente la concordia del cielo colla terra" (lettera ad Unia). Per altro verso, si approfondiva sino a divenire inconciliabile il dissenso del G. nei riguardi della linea mazziniana e verso i movimenti insurrezionali, cui attribuiva la responsabilità di aver "impedita o spenta una metà almeno di quel civile progresso che altrimenti or sarebbe in Italia". Ne discendeva un caldo invito, rivolto ai suoi numerosi corrispondenti piemontesi, all'accorta prudenza e a un lavoro di lunga lena finalizzato a un apostolato politico basato sull'aperta propaganda delle idee patriottiche. Dall'insieme delle posizioni giobertiane dell'esilio parigino trasparivano una sostanziale sfiducia nel grado di maturazione raggiunto dalla coscienza nazionale del popolo italiano, "languido, diviso e inerte", un'attenuazione delle antecedenti pregiudiziali repubblicane e l'abbandono delle convinzioni panteistiche. Sul piano politico, G. inquadra ora la questione nazionale nella riapertura, ritenuta certa, del ciclo rivoluzionario in Francia e nella susseguente esplosione di una guerra europea, condizioni determinanti della liberazione dell'Italia dall'Austria e della cacciata definitiva dei "nostri tiranni".  Nel dicembre 1834 accettò, anche per ragioni economiche, l'offerta di assumere l'insegnamento di storia e filosofia nel collegio fondato a Bruxelles da P. Gaggia (un ex sacerdote italiano convertitosi al protestantesimo), che ospitava un centinaio di giovani cattolici ed evangelici. Forse anche in relazione alla più pacata atmosfera politica del Belgio, dove i cattolici erano parte attiva del sistema costituzionale sortito dalla rivoluzione,  G. proseguì nella revisione ideologica già profilatasi nel periodo parigino, prospettando più lucidamente che nel passato un'esigenza di conciliazione, che non implicasse identificazione, tra dogmatica religiosa e idee filosofiche e tra ordine soprannaturale e ordine civile. Dichiarava in proposito che, mentre in precedenza aveva immedesimato i dogmi cristiani colle idee, ora li disgiungeva, evitando di ridurre il cristianesimo a una simbolica filosofia, ma considerandolo invece "il compimento della filosofia medesima" (a P.D. Pinelli). Ne conseguì la decisione di produrre finalmente delle opere a stampa. Ai primi del 1838 vide infatti la luce a Bruxelles una sua "dissertazione religiosa" intitolata Teorica del soprannaturale, o sia Discorso sulle convenienze della religione rivelata colla mente umana e col progresso civile delle nazioni, composta in poco più di un mese sul finire del 1837 e stampata a spese dell'autore; cui seguirono, in rapida successione, l'Introduzione allo studio della filosofia (Bruxelles), che ebbe una circolazione superiore a quella, inizialmente limitatissima, della Teorica, sebbene di entrambe le opere venisse interdetta l'introduzione nel Regno sardo; la Lettre sur les doctrines philosophiques et politiques de m. de Lamennais (dapprima anonima, nel Supplement à la Gazette de France dell'8 genn. 1841, poi con firma e con titolo leggermente mutato a Parigi-Lovanio); il saggio Del bello, composto come voce dell'Enciclopedia italiana e dizionario della conversazione (Venezia) diretta da A.F. Falconetti, e pubblicato anche come volume a sé nell'autunno del 1841, prima opera del G. edita in Italia, che doveva essere seguita da un altro testo destinato alla stessa sede, Del buono, uscito invece in forma autonoma a Bruxelles; e le dieci lettere Degli errori filosofici di Antonio Rosmini (Bruxelles; la seconda edizione, del 1843-44, portava a 12 il numero delle lettere e comprendeva altri scritti giobertiani).  Nella Teorica G. fa i conti con il proprio antecedente itinerario intellettuale e con le tendenze filosofiche del suo tempo. L'opera, imperniata sull'analisi delle relazioni tra ordine religioso e ordine civile osservate sotto un'angolatura gnoseologica, etica e storica, aveva come principale obiettivo polemico la riduzione monistica della sfera religiosa a quella civile o viceversa, operata, secondo il G., dalle teorie razionalistiche e panteistiche, dal "cristianesimo politico" dei sansimoniani alla Buchez, dal tradizionalismo antimoderno di Maistre, Bonald e del primo La Mennais. Dalle dottrine tradizionalistiche, tuttavia, il G. prendeva, rielaborandola, l'idea di una rivelazione primitiva cui veniva fatta risalire sia l'attivazione (mediante il dono soprannaturale del linguaggio) della facoltà di conoscere e di volere e quindi l'origine della civiltà, sia l'infusione nella mente umana di verità sovraintellegibili, percepite come misteri, analizzabili razionalmente solo per via analogica, e fondanti l'ordine religioso. Ne discendeva una storia parallela, basata sul principio di distinzione e di interrelazione, della civiltà e della rivelazione religiosa, anch'essa rappresentata come progressiva, fino al suo compimento nella rivelazione cristiana, custodita integralmente e infallibilmente dalla Chiesa cattolica. Il tracciato di questo duplice cammino era per il G. contrassegnato dal progressivo incremento del ruolo della religione come "causa e stromento" di civiltà, e dal graduale accostamento degli ordini politici al modello di società organizzata costituito dalla Chiesa (visibile tra l'altro nell'applicazione alla sfera politica del sistema elettivo proprio degli ordini ecclesiastici). Emergevano pertanto dalle pagine della Teorica i lineamenti di una rilettura della genesi della civiltà moderna, in opposizione alla tesi delle sue origini protestanti, e una riaffermazione del primato della religione sulla civiltà e della Chiesa sullo Stato, che si traduceva nella confutazione dei sistemi politici, assoluti o democratici che fossero, i quali implicassero una subordinazione della religione alla volontà del sovrano. Si trattava, in definitiva, di un'apologia del cattolicesimo in senso civile, che nello scorcio conclusivo dell'opera assumeva una marcata impronta nazionale.  Tale impronta era ancora più forte nell'Introduzione allo studio della filosofia. L'opera era infatti imperniata sull'idea che toccasse all'Italia, dopo un lungo periodo di oscuramento della sua tradizione filosofica determinato dalla perdita dell'"indipendenza civile", promuovere la restaurazione della "vera filosofia", scomparsa dall'orizzonte europeo in seguito all'espulsione dell'"idea di Dio dallo scibile umano", e porre rimedio agli effetti devastanti prodotti sul piano politico dalla diffusione di falsi principî filosofici, generatori delle due contrapposte tirannidi prevalenti nel mondo moderno, quella dei despoti e quella del popoli, dipendenti "dallo stesso principio, e aventi uno scopo unico, cioè il predominio della forza sul diritto". L'Introduzione intendeva porre le basi di un organico sistema filosofico (inteso in senso molto estensivo), in grado di contrapporsi alle deviazioni psicologistiche, soggettivistiche o panteistiche della filosofia moderna generate principalmente, sul piano speculativo, dal pensiero e dal metodo analitico di Cartesio e, su quello religioso, dalla Riforma: un sistema imperniato sull'Idea, intesa, a suo dire, in un'accezione totalmente diversa da quella utilizzata dai sensisti, dagli idéologues e dai panteisti moderni (tra cui HEGEL), e analoga invece a quella platonica e malebranchiana. Il riferimento all'Idea, intuita dalla mente umana come oggetto reale e in atto che esiste indipendentemente dal soggetto, cioè come Ente o principio ontologico e non solo gnoseologico, si realizza nel giudizio sintetico a priori o formula ideale "l'Ente crea l'esistente", che pone nell'atto creativo l'origine del mondo, e da cui scaturisce, in ragione dell'identica matrice della realtà generata e del pensiero, l'intera enciclopedia filosofica sul piano speculativo. Il principio contenuto nella formula ideale si esplica infatti in un secondo ciclo creativo che procede, a differenza del primo, dall'esistente all'Ente, e del quale è partecipe, come causa seconda, l'azione dell'uomo in quanto dotato di intelligenza e di libero arbitrio, che lo rende "in un certo modo creatore" e simile a Dio. Mentre il primo ciclo è il principale oggetto dell'ontologia, scienza dei principî, il secondo ciclo, nel quale si esplica la "vita attiva", è l'oggetto dell'etica, scienza dei fini.  Tra le molteplici applicazioni della formula ideale abbozzate nell'Introduzione assumevano un rilievo particolare quella concernente il rapporto tra religione e civiltà secondo lo schema relazionale già profilato nella Teorica, e quella riguardante la sfera della sovranità. In argomento il G., ponendo nell'Idea l'origine della sovranità, ne confutava sia il fondamento contrattualistico (visto come prodotto delle deviazioni soggettivistiche e sensistiche della filosofia moderna), sia l'identificazione con il potere assoluto di un principe. Definendo la sovranità come un processo discendente dall'Idea, ma nello stesso tempo partecipativo, G. pervenne alla enunciazione di una formula politica (modellata sulla formula ideale), per la quale "il sovrano fa il popolo" ma "il popolo diventa sovrano", mediante "la trasformazione lenta, graduata e sicura del Demo in patriziato". Ciò si traduceva in un'apologia della monarchia civile o rappresentativa generata dal cristianesimo e già prefigurata negli ordinamenti medievali, vista come sintesi tra un potere tradizionale e un'"aristocrazia elettiva" chiamata a estendersi col progredire dell'incivilimento. Inoltre, distinguendo il diritto sovrano dal diritto del principe, il G. finiva per recuperare come "unico giure assoluto, essenziale, irrepugnabile" l'idea di sovranità nazionale, trasferendo alla nazione (una volta istituita come corpo politico) il carattere di primazia che i fautori dell'assolutismo attribuivano al principe: sino a proclamare non solo il diritto di resistenza nei confronti del principe assoluto, ma financo, in casi estremi, la legittimità della rivoluzione.   Il progetto di cui la Teorica e l'Introduzionecostituivano una prima cornice speculativa era sintetizzato in una lettera a T. Mamiani del 15 ott. 1840 (Epistolario), dove G. esprimeva la convinzione che il solo modo di giovare all'Italia fosse quello di "creare una scuola di libertà temperata, morale, religiosa, italiana, una scuola di civiltà tanto aliena dal sentire dei demagoghi quanto da quello dei despoti"; indicava l'obiettivo di far della religione "una insegna nazionale" immedesimandola "col genio dell'Italia, come nazione", facendone "una di quelle idee madri che seggono in cima al pensiero degli uomini e signoreggiano ogni parte del vivere civile". Con l'aggiunta che, distinguendo "nella religione cattolica la credenza dall'istituzione" e insistendo sulla seconda, non sarebbe stato difficile convincere gli increduli che "il cattolicesimo, anche umanamente considerato, sia il migliore degli istituti religiosi possibili".  Un programma di così ambiziosa portata prefigurava un disegno in qualche misura egemonico sul piano culturale e induceva il G. non solo a entrare in diretta polemica con le opere di autorevoli esponenti del coevo pensiero europeo, come Cousin (in uno scritto concepito come appendice dell'Introduzione, ma pubblicato inizialmente a parte, a Bruxelles, le Considerazioni sopra le dottrine religiose di VCousin), e come Lamennais (in un opuscolo duramente critico verso le sue ultime opere filosofiche e politiche), ma soprattutto a competere con l'altro pensatore italiano, Rosmini, che aveva intrapreso a propria volta, con intenti non meno ambiziosi, un programma di edificazione di una filosofia cristiana capace di misurarsi con il pensiero moderno. Il dissenso nei suoi confronti si era già manifestato nell'Introduzione, dove alla dottrina rosminiana dell'Essere ideale era mossa la critica di perdurante e invalicabile psicologismo e perciò di soggettivismo e finanche di sensismo mascherato. Tale iniziale dissenso si tradusse in acre e prolungata polemica, specialmente in ragione dei successivi interventi dei seguaci del Rosmini, come Tarditi, Gastaldi, arcivescovo di Torino, G. di Cavour, secondo i quali le tesi giobertiane menavano dritto al panteismo. Il G. ribatté colpo su colpo, incominciando dalla già citata alluvionale opera Degli errori filosofici di A. Rosmini, importante soprattutto per il fatto che l'autore vi tracciava il processo teorico attraverso cui era pervenuto alla formula ideale. Nella polemica il G. fu affiancato e sostenuto dai suoi amici e seguaci, come P. De Rossi di Santarosa, mentre risultò vano l'intervento pacificatore di N. Tommaseo.  Sempre a Bruxelles,  G. diede alle stampe l'opera che doveva dargli la celebrità, Del primato morale e civile degli Italiani, tirato nella prima edizione in 1500 esemplari. Concepito inizialmente come "un'operetta di non molte pagine", "un discorsetto non solo sul Papa ma sull'Italia", il Primato divenne strada facendo un ponderoso lavoro in due grossi volumi, la cui scrittura procedette in parallelo con la stampa fino al maggio dell'anno successivo.  L'opera, dalla struttura sovrabbondante e magmatica, colma di formule apodittiche e di scarti lessicali, aveva tuttavia un suo asse portante nel tentativo di definire i caratteri originali e permanenti della nazionalità italiana sintetizzati in quello che il G. chiamava "genio nazionale". Plasmato da fattori naturali, come il sito geografico e la feconda mescolanza di stirpi pelasgiche ed etrusche, connotato dalla preminenza di elementi sacerdotali e aristocratici, dotato di un suo particolare "genio federativo" espresso dalla "società di popoli" realizzata dalla repubblica romana (poi tralignata in signoria imperiale), riflesso culturalmente da un'ininterrotta tradizione filosofica autoctona, il genio italico aveva trovato, secondo il G., una sua configurazione effettivamente nazionale per opera del Papato, che lungo il Medioevo gli aveva dato stabile forma avviando la traduzione in "ordini civili" dei dettati religiosi e morali del cristianesimo. Il tratto costitutivo della nazione italiana veniva così reperito in un principio ideale, convalidato tuttavia da fattori naturali di tipo etnico e confermato dalla storia: nell'essere l'Italia "nazione religiosa per eccellenza", dotata di un primato religioso determinato dal trapianto in Roma dell'Evangelo e dall'elezione provvidenziale della sede romana a sede apostolica, che si riverberava in un primato dell'Italia nell'ordine morale e civile, da cui traeva il carattere di "creatrice, conservatrice e redentrice" della civiltà europea. Il ruolo o la missione religioso-civile, che faceva degli Italiani "il nuovo Israele" e dell'Italia una "nazione sacerdotale", veniva perciò raffigurato dal G. come indivisibile da quello del Papato: il quale, mediante l'esercizio della potestà civile connaturata alla sua primazia religiosa, non solo aveva costituito la nazionalità italiana, ma le aveva altresì impresso i tratti suoi propri di nazione guelfa. Per converso, il declino della potestà civile dei pontefici, iniziato nel tardo Medioevo e culminato nell'Età moderna, si era tradotto nella decadenza, nell'asservimento politico, nella subordinazione culturale dell'Italia e nella frammentazione politico-religiosa dell'Europa. Il risorgimento italiano, concepito dal G. sullo sfondo di una riunificazione religiosa europea, veniva dunque a raccordarsi strettamente con la restaurazione della "scaduta potestà civile del Papa in modo conforme e proporzionato all'indole e ai bisogni del secolo". Tale formula conteneva il nocciolo della tesi centrale del Primato: posto che, secondo  G., l'esercizio della potestà civile pontificia, perno della più ampia potestà civile della Chiesa, era per sua natura suscettibile di assumere modalità variabili in relazione al cammino della civiltà in senso secolare, essa era chiamata a evolversi in maniera vieppiù adeguata alla propria originaria legittimazione religiosa e alla progressiva acquisizione di "indipendenza civile" e di "capacità nazionale" da parte dei popoli, assumendo le forme preminenti della forza morale, della persuasione, dell'influenza pacifica e pacificatrice. L'itinerario della potestà civile pontificia tracciato dal G. procedeva dunque dalla "dittatura", consona alle età barbariche, verso un "potere arbitrale", delimitato dal fatto di non "avere alcun effetto civile che non sia consentito alla libera [cioè liberamente] dalle parti gareggianti e deliberanti". Si realizzava così la saldatura tra la restaurazione-riforma del potere civile del Papato e il Risorgimento italiano: nel senso che la ridefinizione del primo avrebbe reso possibile l'esercizio effettivo da parte del pontefice del ruolo, mai assunto nel passato, di capo civile della nazione sotto forma presidenziale (o dogale) - un ruolo, dunque, istituzionale, analogo ma più forte di quello arbitrale -, e la contemporanea trasformazione in unità "nazionale e politica" della preesistente, ma virtuale, unità italiana senza che ne venissero toccati i legittimi poteri dei sovrani.  Quest'ultimo aspetto costituiva un altro snodo del Primato, che consentiva a G. di tracciare una via consensuale, pacifica e aliena da fratture rivoluzionarie per la costruzione dello Stato nazionale. Scartate come estranee alla natura e alla storia del genio italico le forme del dispotismo e della democrazia "demagogica" fondata sull'idea della sovranità popolare, e assumendo come punto di riferimento il riformismo settecentesco, in specie di Pietro Leopoldo e di Benedetto XIV, G. raffigurava l'erigenda entità politica nazionale come una confederazione dei maggiori Stati italiani, retti a monarchia "consultiva" sotto la presidenza moderatrice del pontefice elettivo. La formula della monarchia consultativa veniva preferita a quella della monarchia rappresentativa per il fatto di non frammentare la sovranità, e di permettere ugualmente ai sovrani di governare secondo il voto della nazione, raccolto e filtrato da un corpo vitalizio di "veri ottimati" tratto da un'aristocrazia selezionata dal merito e dall'ingegno più che dal sangue nobiliare, agente come canale di collegamento con l'opinione pubblica. Un'attenzione particolare era dedicata dal Primato al potere dell'opinione negli Stati moderni, alle condizioni necessarie del suo sviluppo, al ruolo che il clero era chiamato a esercitarvi nel rispetto del "principio sacrosanto della libertà delle coscienze", alla funzione modernizzatrice delle élitesintellettuali. L'utopia della confederazione italiana (tale la definiva lo stesso G.) si traduceva in una forma politica composita, che richiamava in certa misura l'ordinamento ecclesiastico, caratterizzata dalla presidenza conciliatrice del pontefice, da un insieme di "aristocrazie civili e consultative, ciascuna sotto un capo ereditario investito del supremo comando", e finalizzata all'unione, all'indipendenza e alla realizzazione della libertà civile, tenuta distinta da quella politica, cioè costituzionale.  Scritto come libro "moderatissimo" per non "irritare gli animi" e consentirgli di circolare per tutta la penisola (il che accadde, nonostante gli interdetti dell'Austria e il divieto di smercio nello Stato pontificio), con l'esplicita intenzione di raccogliere i più ampi consensi, il Primato lasciava deliberatamente da parte argomenti di più immediata rilevanza politica, che pure G. affermava di aver originariamente previsto, quali il predominio dell'Austria o la laicizzazione del governo dello Stato pontificio. Il Primatosegnava inoltre un ripiegamento rispetto ad alcune delle tesi sviluppate nell'Introduzioneallo studio della filosofia e conteneva positivi apprezzamenti nei riguardi della Compagnia di Gesù. Accolto con favore in ambienti laici ed ecclesiastici, compresi quelli gesuitici, ma stroncato da G. Ferrari nel quadro della polemica antigiobertiana che percorreva il suo saggio La philosophie catholique en Italie (uscito in due puntate sulla Revue des deux mondes nel marzo-maggio 1844, cui il G. rispose con una lettera pubblicata in appendice alla seconda edizione di Degli errori filosofici di A. Rosmini), il libro contribuì in modo rilevante alla formazione dell'opinione nazionale, pur a prezzo o forse in ragione delle sue reticenze e dissimulazioni, trovando una naturale collocazione nel contesto del riformismo moderato degli anni Quaranta, specialmente in Piemonte, grazie anche all'apologia, presente in certe sue pagine, della missione nazionale riservata allo Stato sabaudo sotto il profilo militare, e all'esaltazione del riformismo carloalbertino: temi subito ripresi e sviluppati, in senso più marcatamente sabaudista ma anche meno proclive all'idea del primato italiano, nelle SPERANZA DEGL’ITALIANI di BALBO (che sul finire ha parte principale nella nomina di G. a socio nazionale non residente dell'Accademia delle scienze di Torino). Di segno opposto furono le accoglienze riservate al Primato da G. Mazzini e dai neoghibellini. La prima edizione del Primato - la cui lettura era resa ancora più ardua dalla mancanza di un indice analitico - andò rapidamente esaurita, e il G. provvide ad allestirne una seconda corretta, stampata dallo stesso tipografo belga, e comprendente un lungo testo introduttivo, che venne tirato a parte in 2000 copie col titolo di Prolegomeni del Primato. Qui il G. abbandonava alcune delle originarie cautele, con un pronunciamento a favore della monarchia rappresentativa e con un'acre denuncia degli orientamenti settari attivi nella Chiesa e identificati in particolare nell'Ordine gesuitico o, per meglio dire, nel "gesuitismo" inteso come categoria morale contrapposta al "cattolicismo" e incompatibile con la civiltà moderna e i suoi valori nazionali. Ciò innescava un'aspra controversia, destinata ad aggravarsi e a prolungarsi nel tempo, con eminenti scrittori della Compagnia, segnatamente con F. Pellico, fratello di Silvio, e C.M. Curci, non senza il sostegno e l'incoraggiamento del padre generale J. Roothaan.  I Prolegomeni segnavano una prima sterzata rispetto alle tonalità ecumeniche del Primato, e il riaffiorare nel G. di una virulenta vena polemica che trovò un successivo sfogo nella pubblicazione del Gesuita moderno, apparso a Losanna nel 1846-47. Una parte non trascurabile nella vicenda ebbe il passaggio del G. da Bruxelles a Parigi, reso possibile dall'autonomia finanziaria assicuratagli dalla buona riuscita della sottoscrizione promossa a Torino da P.D. Pinelli per una nuova edizione delle sue opere complete. A Parigi, ove rinsaldò l'amicizia con G. Massari (divenuto nel frattempo suo discepolo e ammiratore), il G. si trovò nel pieno dello scontro sulle scuole delle congregazioni e nel cuore delle controversie sulla Compagnia di Gesù innescate dai corsi tenuti al Collège de France da E. Quinet e da J. Michelet. Soprattutto, suscitò grande eco nell'animo del G., che ne avrebbe tratto a più riprese corrosivi spunti antigesuitici, il coinvolgimento della Compagnia nei coevi conflitti politico-religiosi della Svizzera, sfociati poi nella guerra del Sonderbund.  Impostato come una replica alle critiche dei padri Pellico e Curci, Il gesuita moderno si trasformò strada facendo in un farraginoso lavoro in cinque volumi (l'ultimo dei quali di documenti) scritto dal G. in uno stato di tensione e di inquietudine che lo induceva a sospettare di una sistematica opera di spionaggio messo in atto da emissari della Compagnia nei suoi confronti. L'opera era un concentrato di argomenti antigesuitici ricavati dalla storia e collegati dall'idea dominante già abbozzata nei Prolegomeni: la radicale e irrimediabile ostilità dello spirito gesuitico, in quanto pervaso da misticismo, lassismo morale e autoritarismo, a un cattolicesimo civile, ispiratore del movimento nazionale. Nel rappresentare il gesuitismo come il principale e più subdolo nemico del Risorgimento, G. prendeva anche in considerazione, in un'appendice al quinto volume, le tesi enunciate dal p. L. Taparelli d'Azeglio nel saggio Della nazionalità, dove si affermava non essere l'indipendenza politica un attributo necessario della nazionalità, e veniva definito inammissibile il perseguimento di uno Stato nazionale se in conflitto con i diritti dei sovrani. Il G. vi contrapponeva un'idea di nazionalità come "creatrice di diritti", fattore sostanziale e incoercibile di identità di un popolo, in tal modo proclamando non solo l'incomponibile divaricazione tra due idee di nazionalità, ma anche prendendo definitivo congedo dalle sfumature legittimistiche del Primato.  Gli eccessi polemici del Gesuita moderno, singolarmente contrastanti con la moderazione del Primato, gli valsero un'accoglienza controversa e suscitarono non poche critiche anche da parte di cattolici liberali come Balbo, Rosmini e Tommaseo; ma assicurarono ulteriore udienza e popolarità all'autore e un'ampia circolazione, superiore a quella del Primato, all'opera, che non era stata interdetta dalla censura ecclesiastica ed era venuta a cadere in una fase in cui il vento antigesuitico spirava forte negli Stati europei (la seconda edizione, del 1847, fu tirata in 12.000 copie).  I cambiamenti avvenuti nella Chiesa e nella situazione italiana con l'elezione di Pio IX e l'accelerazione del movimento riformatore, gli atteggiamenti assai cauti, se non riguardosi, del nuovo papa, già lettore del Primato, nei confronti del G., e, viceversa, il moltiplicarsi delle critiche al Gesuita modernoin Italia e più ancora in Francia, specialmente per mano dell'archeologo Ch. Lenormant, indussero il G., sul finire del 1847, a porre mano a un nuovo lavoro, l'Apologia del libro intitolato "Il gesuita moderno", con alcune considerazioni intorno al Risorgimento italiano (Bruxelles e Livorno). Qui la rinnovata battaglia contro il gesuitismo, estesa ora al partito francese dei "laici ipercattolici" capeggiato da Montalembert, veniva a connettersi più direttamente con i progressi compiuti nel frattempo dal movimento nazionale e interpretati dal G. come una totale convalida delle proprie tesi. Sennonché, tra l'inizio della stesura e della stampa, progredita assai lentamente, e la conclusione del lavoro erano intervenuti il sovvertimento della scena politica europea con la rivoluzione parigina del febbraio (direttamente osservata e idealmente difesa dal G.), la concessione degli statuti da parte dei maggiori sovrani italiani, la rivoluzione di Vienna e la crisi dell'Impero austriaco, l'insurrezione milanese, l'avvio della guerra in Italia. Inoltre la Compagnia di Gesù era stata espulsa da molti Stati, tra cui quello sabaudo, tanto da far pensare al G. che i gesuiti, dei quali aveva auspicato in lettere private l'espulsione, fossero "morti politicamente", pur continuando a sopravvivere "i loro spiriti". Tutto questo impose un rifacimento del capitolo finale dell'opera, più legato all'attualità, e la stesura di un lungo proemio, datato Parigi 8 apr. 1848, in cui i fatti italiani, a partire dalla rivoluzione siciliana del gennaio, entravano prepotentemente nella sua analisi, rendendo il libro ancor più eterogeneo nei suoi contenuti e il suo titolo ancor più inadeguato, ma accrescendone pure di molto l'interesse. L'opera vide finalmente la luce, in quattro edizioni quasi contemporanee, quando il G. era ormai ritornato a Torino.  Molteplici elementi imprimevano all'Apologiail tono di un manifesto programmatico, in linea con i numerosi interventi avviati dal G. su alcuni giornali liberali come la Patria di Firenze, l'Italia di Pisa, il Risorgimento e soprattutto la Concordia di Torino, diretta da L. Valerio: in primo luogo, l'esaltazione, condotta con toni volutamente forzati, dell'azione riformatrice di Pio IX, nel quale il G. indicava l'incarnazione provvidenziale del pontefice da lui stesso preconizzato, guida del Risorgimento nazionale interpretato come "un evento religioso, europeo, universale", promotore di "una rivoluzione fondamentale negli ordini umani del cattolicesimo" e di una metamorfosi del Papato da "aristocratico e monarcale" a "popolano e democratico come nelle sue origini"; in secondo luogo, la perorazione per la sollecita creazione di un regno costituzionale dell'Alta Italia sotto la dinastia dei Savoia, accompagnata dalla confutazione dei programmi municipalisti e repubblicani. Per altro verso, l'Apologia portò allo scoperto, sotto la sollecitazione degli eventi, venature del pensiero giobertiano in precedenza tenute in ombra, riflettendone gli approdi più recenti. Il libro era tutto attraversato dal tema della democrazia, non tanto intesa come ordinamento politico, ma quale prorompente e benefica "rivoluzione, che per la mole, l'estensione, la natura, l'importanza, la durata, non si può comparare a niuna di quelle che la precedettero, la quale avrà per ultimo esito di conferire al popolo la piena signoria delle cose umane"; rivalutava, rifacendosi alle opere di A. de Lamartine e di J. Michelet, l'opera dei giacobini nella Rivoluzione francese; assegnava a meta conclusiva del movimento nazionale, dopo la necessaria fase federativa, la costituzione di uno Stato unitario, accennando a una sua futura trasformazione in senso repubblicano; individuava il solo modo di perpetuare la monarchia pontificia in una riforma costituzionale dello Stato della Chiesa, che consentisse al papa, in quanto principe temporale, di regnare senza governare e di realizzare la "separazione assoluta del governo spirituale dal temporale".  Quando rientrò a Torino, dopo oltre quattordici anni di esilio e accolto da entusiastiche manifestazioni, il G. era reduce da una prima cocente delusione politica, determinata dall'annuncio confidenziale, pervenutogli a Parigi e seguito da immediata smentita, della sua nomina a ministro dell'Istruzione nel gabinetto Balbo, fatta cadere dal veto di Carlo Alberto, che gli era e gli restò ostilissimo. In compenso, in un collegio torinese e in uno genovese era appena stato eletto a sua insaputa alla Camera subalpina, che alla metà di maggio lo proclamò proprio presidente. Fino alla fine di luglio, tuttavia, il G. non mise piede in Parlamento, perché ai primi di maggio, accompagnato da don G. Baracco, già era partito per una lunga peregrinazione politica, che lo avrebbe portato a Milano (dove ebbe un incontro col Mazzini), al quartier generale piemontese di Sommacampagna (dove fu ricevuto da Carlo Alberto), poi, attraverso la Lombardia e l'Emilia, a Genova, a Livorno, a Roma (dove soggiornò due settimane e fu ricevuto in tre diverse udienze da Pio IX), e infine, per l'Umbria e le Marche, a Bologna e a Firenze, donde rientrò, via Genova, nella capitale sabauda. Il viaggio per l'Italia, avvenuto in una fase in cui la guerra federale contro l'Austria aveva ricevuto un colpo letale dall'allocuzione di Pio IX  - il cui significato il G. tentò invano di minimizzare - e dalla reazione borbonica di maggio, fu tanto indicativo dei vertici raggiunti dalla popolarità del G., ovunque fatto oggetto di accoglienze trionfali e talora deliranti, e tanto ricco d'incontri con i più vari circoli politici, quanto povero di durevoli risultati. Nel corso di tale viaggio, affrontato con lena missionaria, il G. propagandò fervidamente alcune idee-guida: in nome della concordia nazionale combatté a spada tratta le ipotesi repubblicane di ogni genere, i movimenti da lui tacciati di municipalismo, i progetti per un'assemblea costituente, che finì tuttavia per ritenere inevitabile e non pericolosa a certe condizioni; invocò il pronto accoglimento dei voti di unione al Regno sabaudo del Lombardo-Veneto e la proclamazione di un forte regno dell'Italia settentrionale; tentò con la medesima energia di rilanciare la soluzione federale, contro i riaffioranti particolarismi statali e dinastici, non esclusi quelli del Piemonte; si adoperò per un consolidamento del sistema costituzionale a Roma, utilizzando anche i propri rapporti di amicizia con il ministro T. Mamiani.  Analoghi programmi il G. sostenne durante la breve vita del gabinetto Casati, al quale fu aggregato dal 29 luglio, giusto all'indomani del disastro di Custoza, in qualità di ministro senza portafoglio e poi dell'Istruzione, facendosi personalmente promotore della missione del Rosmini presso Pio IX, finalizzata alla stipulazione di un trattato confederale e di un nuovo concordato. Ma la firma dell'armistizio Salasco e l'interruzione della guerra con l'Austria lo colsero di sorpresa. Di fronte alla svolta che portò alle dimissioni del governo Casati, il G. abbracciò posizioni assai impopolari presso i moderati, dapprima avversando e poi perorando una richiesta di aiuto militare alla Repubblica francese, combattendo a spada tratta la richiesta di una mediazione diplomatica franco-inglese, schierandosi per una ripresa della guerra in una cornice federativa quanto mai inattuale. Le ombrosità e le ambizioni del G., che aspirava alla presidenza del Consiglio, ebbero modo di tradursi in aperto dissenso politico in occasione della formazione del governo presieduto da C. Alfieri di Sostegno (poi da E. Perrone di San Martino), che pure includeva tre amici del G. come il Pinelli, in posizione preminente, Merlo e Santarosa. Al nuovo ministero il G. dichiarò guerra aperta con un opuscolo dai toni aggressivi, I due programmi del ministero Sostegno (Torino). Accusato il nuovo governo di spirito municipalista, cioè di disinteresse per le sorti degli altri Stati italiani, il G., che aveva lasciato il seggio parlamentare in occasione della sua nomina ministeriale, tentò, facendo appello all'opinione pubblica nazionale, di promuovere una politica alternativa basata sull'idea di una Costituente federativa con mandato limitato, da contrapporre sia all'inerzia del governo piemontese in carica, sia ai programmi di Costituente agitati dai gruppi democratici radicali. Fu quindi coinvolto nella fondazione della Società nazionale per la confederazione italiana, che tenne in ottobre a Torino il suo primo e unico congresso. Preceduto da un suo infiammato indirizzo "ai popoli italici" (dov'erano tra l'altro adombrati gli irreparabili guasti religiosi di un eventuale "funesto scisma d'Italia e di Roma") e aperto da un discorso introduttivo in cui G. denunciò le colpe dei "repubblicani pratici" e le "disorbitanze dei democratici schietti e dei comunisti", il congresso si concluse con la faticosa elaborazione di un progetto di Costituente federativa e con la proclamazione del carattere irrevocabile della fusione delle regioni settentrionali nel Regno dell'Alta Italia.  Rieletto alla Camera nella tornata suppletiva del 30 settembre e nuovamente asceso alla presidenza dell'Assemblea, dopo le dimissioni del governo da lui accanitamente avversato il G. ebbe a metà dicembre l'incarico di presiedere il nuovo ministero, in cui assunse anche il dicastero degli Esteri. Salito alla presidenza del Consiglio non più come simbolo di unità e di concordia ma come esponente di maggior spicco dell'opposizione, nel discorso programmatico definì il proprio ministero con l'appellativo di democratico, cioè, come disse, volto a innalzare la plebe "a dignità di popolo", a serbare rigidamente l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge comune, a provvedere agli interessi delle province, con implicito riferimento alla difficile situazione genovese, a "corredare il principato d'istituzioni popolane, accordando con gli spiriti di queste i civili provvedimenti"; manifestò inoltre l'intenzione di riprendere la guerra interrotta, di promuovere una Costituente federativa italiana, e proclamò il diritto degli Stati italiani - di fatto, il diritto dello Stato sabaudo, cui attribuiva apertamente una funzione egemonica - di intervenire negli altri Stati della penisola per evitare sommovimenti rivoluzionari o interventi militari stranieri. G. s'inoltrò pertanto in una politica nazionale alquanto avventurosa, seppur coerente con il principio, carico di valore ideale ma povero di forza normativa e da lui ribadito in documenti ufficiali, per il quale egli affermava la sussistenza di un diritto della nazionalità, preminente sulle vigenti istituzioni politiche e imperativo nelle relazioni tra gli Stati italiani. Venne così progettando invii di truppe sarde nei punti critici della penisola e si propose come indesiderato mediatore tra i sovrani italiani e i loro popoli. Del tutto vani si rivelarono i suoi insistiti tentativi di intermediazione tra Pio IX, rifugiatosi a Gaeta, e la commissione provvisoria di governo di Roma, intesi a ricondurre il pontefice nel suo Stato con l'appoggio di truppe piemontesi subordinato al mantenimento degli ordini costituzionali; e volti nel contempo a impedire l'ingresso del Mazzini in Roma e la convocazione della Costituente italiana.  Sul finire dell'anno il G. chiese e ottenne dal sovrano lo scioglimento della Camera e l'indizione di nuove elezioni, che videro il suo personale successo in dieci collegi del Regno, ma produssero un'Assemblea decisamente sbilanciata sulla Sinistra democratica. Poco attento agli equilibri parlamentari, che considerava con un certo disdegno, abbandonate le velleità di convincere Ferdinando di Borbone e gli indipendentisti siciliani ad affidare alla Costituente federativa la composizione del loro prolungato conflitto, s'addentrò in un'avventura militare che doveva riuscirgli fatale. Dopo aver lungamente tentato, grazie anche ai suoi buoni rapporti con G. Montanelli, di indurre il governo democratico toscano a più moderati consigli circa i ventilati progetti di Assemblea costituente, posto di fronte alla traduzione di tali progetti in legge operativa e alla successiva fuga di Leopoldo II, il G. predispose in gran segretezza un intervento armato piemontese in Toscana, per riportare il granduca sul trono preservando il sistema costituzionale. La conoscenza del disegno, rivolto contro un governo di orientamento marcatamente democratico, e degli atti compiuti per realizzarlo, provocò la sollevazione del Parlamento sardo, una frattura profonda nella compagine ministeriale e le dimissioni del presidente del Consiglio, accolte di buon grado il 21 febbraio dal sovrano, pronto a sostituirlo con il generale A. Chiodo. Per sostenere le ragioni della propria politica, invisa ormai alla maggioranza dei gruppi parlamentari di ogni orientamento, il G. dette vita, in marzo, a un giornale politico, il Saggiatore, sul quale intervenne per invocare l'unità degli spiriti in occasione della ripresa della guerra con l'Austria, da lui perorata ma ora altamente disapprovata per i modi in cui era avvenuta. Dopo Novara l'abdicazione di Carlo Alberto e l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele II, il G., su invito di Pinelli, accettò di entrare come ministro senza portafoglio nel nuovo gabinetto presieduto da G. De Launay, nonostante il solco profondo che lo divideva dal primo ministro e dai suoi orientamenti conservatori, e di assumere l'incarico di inviato straordinario del Regno sardo a Parigi. L'indeterminatezza del compito affidatogli e gli atti poco amichevoli compiuti dal governo piemontese nei suoi confron ti non appena giunto a destinazione, indicavano che il vero significato della missione era quello di togliere di mezzo l'incomodo personaggio, anche per favorire le trattative di pace con l'Austria. Il G., che aveva preso a tessere relazioni con vari personaggi della vita politica francese e inglese, tra cui Tocqueville, reagì con la consueta irruenza, troncò ogni rapporto ufficiale con il Regno sardo dimettendosi da deputato, da ministro e da inviato straordinario, manifestò a chiare lettere il suo pessimismo sulla situazione italiana, espresse il suo distacco dal Piemonte anche con la decisione di restituire le somme pervenutegli per l'edizione delle sue opere, e si ritirò in un secondo, volontario esilio.  Si aprì per il G. un altro periodo operosissimo sul piano intellettuale e di riflessione, non certo distaccata, sugli eventi di cui era stato protagonista. Nella corrispondenza privata, tutta intessuta di riferimenti alla situazione italiana, francese ed europea, ebbe modo di reagire, con sarcasmo misto ad amarezza, alla condanna comminata il 30 maggio 1849 dalla congregazione dell'Indice al suo Gesuita moderno, adottando pubblicamente la linea del silenzio anziché quella della sottomissione. Sul piano politico espresse a più riprese la convinzione che le idee repubblicane, colorate di socialismo, fossero in fase di inarrestabile ascesa, affermando, in una letteram di vedere all'opera una Provvidenza tinta di rosso "perché ordina tutto al trionfo vicino o lontano di questo colore". Si dichiarava altresì fautore di un ordinamento scolastico saldamente nelle mani dello Stato, in quanto promotore e responsabile dell'"educazione nazionale", della gratuità dell'istruzione primaria, dell'assistenza pubblica ai vecchi, agli ammalati e "alla povertà che non trova da lavorare".  Mentre usciva a Capolago, per iniziativa e con un'introduzione del Massari, una raccolta di lettere, interventi e discorsi con il titolo di Operette politiche, G. riprese in mano i propri lavori di argomento filosofico e religioso, editi e inediti, ma soprattutto si dedicò alacremente alla stesura di una nuova opera di ampio respiro che volle si stampasse a Parigi sotto la sua sorveglianza, pur affidandone la pubblicazione all'editore torinese Bocca: era Del rinnovamento civile d'Italia, che vide la luce nel novembre del 1851, in due volumi, il secondo dei quali contenente anche una nutrita parte documentaria.  Il Rinnovamento si presentava come una riflessione politica che, prendendo spunto dalla ricostruzione critica e storica degli eventi del '48, affrontava il tema generale delle mutate condizioni interne e internazionali in cui l'unificazione nazionale avrebbe ripreso il suo cammino. Il saggio proclama la fine della fase del Risorgimento e l'inizio della fase del rinnovamento, concepito come parte integrante "di un moto comune a quasi tutta l'Europa": il primo si era mosso nella logica di una trasformazione graduale delle cose, il secondo avrebbe assunto "aspetto e qualità di rivoluzione"; il primo era stato movimento autonomo, governato dalle condizioni dell'Italia, il secondo sarebbe dipeso "in gran parte dai fatti esterni"; il primo aveva dovuto limitarsi all'obiettivo di un sistema federale "perché non ve n'era altro possibile", il secondo non poteva escludere una possibile, e benefica, accelerazione storica verso l'unificazione politica. Su questa falsariga G. affrontava dettagliatamente, traendo lezione dagli errori che a suo giudizio erano stati commessi da tutte le forze nazionali, una serie di argomenti di grande impegno: l'insostenibilità del potere temporale dei papi, "la maggiore anticaglia superstite dell'età nostra", dannoso all'Italia, all'Europa e soprattutto al cattolicesimo come causa di subordinazione del Papato alle forze della reazione interne ed esterne; il posto e la natura del partito conservatore e del partito democratico nella "politica nazionale"; le condizioni alle quali il Piemonte, "il paese più scarso di spiriti italici", dominato da una classe politica di patrizi e di avvocati "inclinati al municipalismo", guidato da una dinastia "stata finora impropizia all'ingegno, aristocratica e municipale", e nondimeno l'unico ad aver preservato gli ordinamenti costituzionali, poteva svolgere quel ruolo egemonico su scala nazionale che solo avrebbe salvato la monarchia sabauda da un fatale declino. Un argomento che l'autore adduceva a convalida delle proprie tesi, e che, diversamente dal Primato, implicava l'attribuzione al REGNO SARDO di un ruolo anche morale (pur rimanendo una futura "Roma laicale e civile il principio ideale della risurrezione italica"), era la politica ecclesiastica inaugurata dalle leggi Siccardi: un passo verso la "separazione assoluta tra le due giurisdizioni", la temporale e la spirituale, costituente "la prima base della libertà religiosa, che tanto è cara ai popoli civili", cornice necessaria alla formazione di un clero "liberale e sapiente", capace di purgare la religione "dagli errori e dagli abusi che la guastano".  Ma il Rinnovamento era pure un discorso di scienza civile, secondo la definizione giobertiana, intessuto di riferimenti a MACHIAVELLI, ma condotto sulla base dei "bisogni principali dell'età nostra, il predominio della filosofia, l'autonomia delle nazioni e il riscatto della plebe": a soddisfare i quali il G. poneva come condizioni l'esistenza di governi liberi, la costituzione di Stati a misura nazionale, il funzionamento di ordini civili atti a promuovere l'innalzamento della plebe a popolo. Per tale aspetto una funzione determinante veniva attribuita, da un lato, all'"ingegno", cioè alle élites intellettuali, chiamate a imprimere unità e coesione alla "sciolta moltitudine", e a impedire che sotto il simulacro della democrazia trionfasse invece la demagogia dei numeri e delle masse; dall'altro lato, alle riforme economiche, "unico riparo al comunismo politico", se volte a ripartire e a regolare le ricchezze (anche con l'imposta progressiva) e non a inaridire le sue fonti. Il Rinnovamento, percorso tra l'altro da fremiti antiborghesi, rifletteva una visione del movimento nazionale quale luogo d'incontro e d'interazione tra le "aristocrazie dell'ingegno", tratte dal popolo e da questo riconosciute, e le plebi anelanti al proprio riscatto sociale, garantite da una monarchia non solo costituzionale, ma anche schiettamente popolare.  Nel pubblicare il Rinnovamento il G. era convinto che l'opera sarebbe incorsa nell'interdetto della Chiesa; quando apprese che il S. Uffizio, con decreto aveva condannato tutte le sue opere, in qualunque lingua pubblicate, si consolò col rilevare che, "involgendo nella proscrizione anche quegli scritti che furono conosciuti da tutti per irreprensibili", si erano meglio manifestati il puntiglio di Pio IX e la vendetta dei gesuiti.  I pesanti giudizi su figure eminenti della classe politica subalpina di cui il Rinnovamentoera cosparso, provocarono una tempesta di polemiche, cui il G. rispose con due opuscoli del 1852, il primo dei quali conteneva una risposta (che non cambiava, ma semmai aggravava la sostanza di quei giudizi) alle risentite reazioni di Rattazzi, diGualterio e del generale G. Dabormida; il secondo intitolato Ultima replica ai municipali, aveva soprattutto di mira il Pinelli e C. Bon Compagni, schieratosi a difesa del vecchio amico del G. e ormai divenuto uno dei suoi bersagli preferiti, il quale si era ammalato gravemente nel bel mezzo della diatriba. La morte del Pinelli, sopravvenuta quando già l'opuscolo era stampato, creò grande imbarazzo al G., che stese a tamburo battente un Preambolo in cui rendeva giustizia sul piano personale alla figura del defunto, decidendo in seguito, dopo vari tentennamenti, di far distruggere le oltre 1200 copie già stampate dell'Ultima replica - di cui restò un solo esemplare - e di mettere in circolazione esclusivamente il Preambolo (Parigi e Torino 1852).  Fu l'ultima opera edita lui vivente. In assoluta solitudine G. morì infatti improvvisamente, nel suo modesto appartamento di Parigi. Tra le sue carte rimase una mole imponente di frammenti manoscritti e di opere incompiute e inedite, costituenti nel loro insieme una specie di continente sommerso, non meno rilevante, per la conoscenza del suo pensiero, degli scritti da lui dati alle stampe. Questo materiale manoscritto fu in parte pubblicato postumo, con scarso rigore, dal Massari che, nel quadro di un'edizione delle opere inedite giobertiane, di cui uscirono a Torino 10 volumi, diede alle stampe nel 1856 i frammenti Della riforma cattolica della Chiesa e la Filosofia della Rivelazione, seguiti nel 1857 dalla Protologia, forse la maggior opera filosofica del G. maturo, che ne aveva incominciato la stesura negli anni Quaranta. A cura di Solmi, furono editi, con criteri non meno discutibili, i frammenti della Libertà cattolica e della Teorica della mente umana, insieme con il dialogo Rosmini e i rosminiani. In seguito La riforma cattolica e La libertà cattolica furono ripubblicate, in modo più corretto, da G. Balsamo Crivelli nel 1924, e da G. Bonafede, insieme con la Filosofia della Rivelazione, nel 1977 e, lo stesso anno, nell'edizione nazionale delle opere, da C. Vasale. Appartenenti per la maggior parte alla produzione che il G. aveva definito "acroamatica", le opere postume, pur nel loro stato di incompiutezza, rivelano un G. che si confrontava in maniera più diretta con la critica della religione sviluppata dalla cultura primo-ottocentesca, anche nelle sue espressioni radicali. L'obiettivo di questi lavori era la dimostrazione dell'adeguatezza del cattolicesimo, liberato dalle sue deformazioni temporalistiche, autoritarie e "iper-mistiche", nel rispondere ai bisogni intellettuali e morali dell'uomo moderno. A questo fine il G. assumeva come fondamento del suo rinnovato discorso religioso-filosofico la nozione cattolica di tradizione, facendone il criterio ermeneutico dell'evoluzione storica delle forme religiose e dello sviluppo del cristianesimo in senso secolare. Ne derivava un'interpretazione molto audace per la sua epoca del rapporto tra libertà e autorità in materia religiosa e, in generale, della dogmatica cattolica. Tali opere dimostrano che il pensiero giobertiano in materia religiosa si era vieppiù spostato dall'asse della riforma ecclesiastica o politica a quella della riforma religiosa. Ciò spiega anche la riscoperta del G. in epoca modernistica; senza trascurare tuttavia che una parte molto consistente della cultura dell'Ottocento e del Novecento si è misurata con l'eredità giobertiana, dall'idealismo al federalismo (specialmente meridionale), dal gentilianesimo al nazionalismo e quindi al fascismo, dal popolarismo di L. Sturzo alla cultura democratico-cristiana.  Fonti e Bibl.: La principale raccolta di manoscritti giobertiani è quella giunta dopo varie vicende in possesso della Bibl. civica di Torino, che li conserva in 55 voll., 54 dei quali rilegati nel 1912 in maniera alquanto arbitraria e classificati in un indice sommario: si tratta di carte che il G. aveva con sé al momento della morte, riguardanti i frammenti miscellanei giovanili, appunti ed estratti di lavoro, e gli autografi delle opere più tardive, pubblicate postume. Alla stessa biblioteca sono anche pervenute una parte della biblioteca personale del G. (il cui principale nucleo fu peraltro venduto all'incanto dopo la sua morte), poche decine di sue lettere autografe e circa 2500 lettere di corrispondenti, il cui indice è stato pubblicato nel 1928 col titolo Le carte giobertiane della Bibl. civica di Torino da G. Balsamo Crivelli, al quale risale anche La fortuna postuma delle carte e dei manoscritti di V. G. ora depositati nella Bibl. civica di Torino, in Il Risorgimento italiano, IX (1916), pp. 665-694; cfr. anche P.A. Menzio, Cenni sulle carte e sui manoscritti giobertiani, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, LI (1915-16), pp. 659-675. Manoscritti autografi riguardanti Il Rinnovamento sono conservati nella Bibl. nazionale di Napoli e presso l'Istituto per la storia del Risorgimento italiano di Roma, quasi integralmente pubblicati a cura di L. Quattrocchi nel III volume (Inediti) del Rinnovamento, ed. nazionale, Roma 1969.  L'Epistolario, a cura di G. Gentile - G. Balsamo Crivelli, I-XI, Firenze 1927-37, è lungi dall'essere esaustivo; le lettere sono riprese, salvo rari casi, da precedenti edizioni a stampa come: V. Gioberti, Ricordi biografici e carteggio, a cura di G. Massari, I-III, Torino 1860-63; Il Piemonte nel 1850-51-52. Lettere di V. Gioberti e G. Pallavicino, a cura di B.E. Maineri, Milano 1875; D. Berti, Di V. G. riformatore politico e ministro con sue lettere inedite a P. Riberi e G. Baracco, Firenze 1881; Lettere inedite di V. Gioberti e saggio di una bibliografia dell'epistolario, a cura di G. Gentile, Palermo 1910; Lettere di V. Gioberti a P.D. Pinelli, a cura di V. Cian, Torino 1913; G. - Massari. Carteggio (1838-52), a cura di G. Balsamo Crivelli, Torino 1920; Carteggio Lambruschini - Gioberti, a cura di A. Gambaro, in Levana, III (1924), pp. 277-409. Un numero cospicuo di lettere al G. fu pubblicato col titolo di Carteggio di V. Gioberti, I-VI, Roma 1935-38, in un'edizione che comprende lettere di P.D. Pinelli (a cura di V. Cian), di I. Petitti di Roreto (a cura di A. Colombo), di G. Baracco (a cura di L. Madaro), di G. Bertinatti (a cura di A. Colombo), di "illustri italiani" e di "illustri stranieri", a cura di L. Madaro. L'Edizione nazionale delle opere edite e inedite, avviata nel 1938 con la riedizione dei Prolegomeni del Primato, a cura di E. Castelli e affidata nel tempo a tre editori diversi, è giunta al vol. XXXVIII, con il secondo tomo dei Pensieri numerati, a cura di G. Bonafede, Padova 1995: comprende ormai tutte le principali opere del G., pubblicate con criteri non omogenei. Materiale giobertiano continua peraltro a venire alla luce: per es., Appunti inediti di V. Gioberti su R. Cartesio. La storia della filosofia, a cura di E. Bocca - G. Tognon, Firenze 1981.  Le principali bibliografie giobertiane sono quelle di A. Bruers, G., Roma 1924, che comprende circa 1400 titoli, fino al 1923, e di G. Talamo, in Bibliografia dell'età del Risorgimentoin onore di A.M. Ghisalberti, I, Roma 1971, pp. 168-172. Tra le voci enciclopediche: G., V., di G. Saitta, in Enc. Italiana, XVII; di L. Stefanini, in Enc. Cattolica, VI; di C. Mazzantini, in Enc. Filosofica, III; di F. Traniello, in Dict. d'hist. et de géogr. ecclésiastiques, XX. Per una sintesi delle interpretazioni: G. Bonafede, G. e la critica, Palermo 1950. Tra le opere più recenti: E. Passerin d'Entrèves, Ideologie del Risorgimento, in Storia della letteratura italiana (Garzanti), VII, L'Ottocento, Milano 1969, pp. 333-364; A. Del Noce, Gentile e la poligonia giobertiana, in Giornale critico della filosofia italiana, IL (1969), pp. 222-285; G. Derossi, La teorica giobertiana del linguaggio come dono divino e il suo significato storico e speculativo, Milano 1970; F. Traniello, Cattolicesimo conciliatorista. Religione e cultura nella tradizione rosminiana lombardo-piemontese (1825-1870), Milano 1970, pp. 31-51 e passim; E. Pignoloni, G. e il pensiero moderno, in Rivista rosminiana, LXIV (1970), Id., Le postume giobertiane nel giudizio della critica, ibid., LXV (1971), pp. 167-186; G. Martina, Pio IX (1846-1850), Roma 1974, pp. 64-70, 180-189 e passim; C. Vasale, L'ultimo G. fra politica e filosofia. Appunti sulle origini ottocentesche dell'ideologia in Italia, in Storia e politica, XV (1976), pp. 201-261; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, II, Roma-Bari 1977, pp. 238-245, 338-341, 362-368 e passim; A. Galimberti, G., Gentile, Rosmini, in Giornale critico della filosofia italiana, LVIII (1978), pp. 172-187; C. Vasale, Riforma e rivoluzione nel G. postumo, in Storia e politica, XVIII (1979), pp. 395-441, 621-665; A. Rigobello, V. G., in Christliche Philosophie im katholischen Denken des 19. und 20. Jahrhunderts, a cura di E. Coreth, I, Graz-Wien-Köln 1987, pp. 619-642; S. La Salvia, Il moderatismo in Italia, in Istituzioni e ideologie in Italia e in Germania tra le rivoluzioni, a cura di U. Corsini - R. Lill, Bologna 1987, pp. 169-310; F. Traniello, La polemica G. - Taparelli sull'idea di nazione e sul rapporto tra religione e nazionalità, in Id., Da G. a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano 1990, pp. 43-62; Id., Il cattolicesimo riformato di V. G., in Storia illustrata di Torino, a cura di V. Castronovo, Milano 1992, IV, pp. 1101-1120; G.P. Romagnani, V. G., A. Chiodo, G. De Launay, M. d'Azeglio, Roma 1992; C. Vasale, Il significato del federalismo giobertiano nella storia d'Italia, in Stato unitario e federalismo nel pensiero cattolico del Risorgimento, a cura di G. Pellegrino, Stresa-Milazzo 1994, pp. 215-245; L. Pesce, Peyron e i suoi corrispondenti. Da un carteggio inedito, TrevisoG. Rumi, G., Bologna 1999; G. Cuozzo, Rivelazione ed ermeneutica. Un'interpretazione di G. Milano. La sovrintelligenza. Concetto, METODO E DIVISIONE DELLA FILOSOFIA. Dommatismo. COSTRUZIONE DEL PRIMO TERMINE DELLA FORMOLA. L'Ente. Definizione del Primo. Distinzione del Primo psicologico e del Primo ontologico. Il Primo filosofico. Caratteristica del Primo filosofico giobertiano. Polemica contro SERBATI. Il Primo è l'Ente reale. Cosa sia la realtà. G. non arriva a dirlo chiaramente. Difetto e pregio del suo concetto della reallà. Del concreto: unità del positivo e del negativo. Deduzione della realtà dell'Ente dal CONCETTO dell'Ente. Dal giudizio, “L’Ente è” non si deduce la realtà del. L'intuito. O ľEnte Si contradice all'ontologismo. LA CONOSCENZA La riflessione psicologica. La riflessione ontologica. LA PAROLA. COSTRUZIONE DELLA FORMOLA IDEALE. Si confonde la realtà col puro essere  Personificazione dell'Ente. Abbozzo della vera via di dedurre la realtà dell'Ente. Realtà o SUSSISTENZA = intelligibilità o idealità. G, non adempie questa esigenza. Relazione tra Ente ed Esistente. Processo a priori e a posteriori. Causa ed Effetto. Prova dell'intuito. Identità dei due ordini, ontologico e psicologico. Verità dell'atto creativo. L'intuito come prova dell'atto creativo. Dommatismo. G., Platone, Schelling ed Hegel. Prove indirette dell'intuito. Lo spirito è produzione di sè stesso. Intuito dell'intuito. Falso concetto della libertà e necessitàd el pen.  Conseguenze della dottrina dell'intuito. Ontologismo e Psicologismo. Mancanza didialettica. L'intuito come conoscenza dell'atto creativo. L'intuito immediato è la conoscenza empirica. Confusione del primo pensabile edel primo conoscibile. Falso concetto del pensiero speculativo. Duplice ordine psicologico: intuitivo e riflessivo. COSTRUZIONE DEL SECONDO E TERMINE DELLA FORMOLA. G. e Rosmini. Insussistenza delle ragioni recate da G. per difendere il primo ordine come condizione del secondo. Il concetto dell'infinito condizione del concelto del finito. Concetto dell'Ente condizione del concetto dell'esistente. La relazione ei suoi termini. L'ordine intuitivo come cognizione non è che la scienza. Instanza di G.: concetto del Necessario e del contingente. L'intuito dell'atto creativo è lo stesso processo a posteriori. Il Noo. L'INTUITO SPECULATIVO O IL PENSIERO PURO. Prima prova dello Spinozismo giobertiano. Identità e differenza tra Spinoza e G.. L'INTELLIGIBILITA'. Identità di creazione e illustrazione. La vera imma. LA FORMOLA. Seconda prova. L’intuito. Contenuto dell'atto creativo. Dio-Quantità. Caratteri dello Spinozismo: loro contradizione. Concetto generale della differenza tra Spinoza e Gioberti. Anticipazione del concetto di Dio come relazione assoluta. Confradizione. Doppio concetto dell'esistente e di Dio. Dio Quantità. Lo spirito: contradizione.  La vera dificoltà. Soluzione: Dio come SVILUPPO. Prima di Kant e dopo Kant. nenza. Difetto dello Spinozismo. Doppia intelligibilità delle cose. Difficoltà contro la immanenza nel sensibile. Paragone della cognizione colla visione. Meccanismo nello spirito. Concetto dello spirito del conoscere. Kant; l'empirismo. prova. siero. Confusione dell'lilea. Falso Spinozismo. Dio semplice sostanza, non causa. Vero Spinozismo. Dio sostanza causa e della rappresentazione. Relazione del pensiero puro coll'esperienza. Il Noo passivo è il senso. L'Innatismo. IDELAE. SPINOZISMO. Forma dell'atto creativo: meccanismo. DIFFERENZA TRA G. E SPINOZA. Intelligibile assoluto. Intelligibile relativo. Fondamento della soluzione del problema G. riunisce i due difetti. Risposta alla difficoltà precedente, e vero concetto dell'intelligibile relativo. COGNIZIONE DELLA REALTÀ DE CORPI, E ORIGINE DELLE IDEE, COME PROVE INDIRETTE DELLA FORMOLA. PASSAGGIO AL MISTICISMO. COGNIZIONE DELLA REALTA' DE' CORPI.Gioberti non ammette la prova, ma l'inluito della realtà dei corpi. Ragioni del realismo. Necessità di un principio superiore: cos'è. Galluppi: criticato da G. Certezza e verità. Fede e Scienza. Certezza e vedenza metafisica, efisica. Critica.  Origine delle idee. precedenti, especialmente di Rosmini. La generazio La dipendenza logica. Distinzione del Sovrintelligibile e dell'Intelligibile. Significato e conseguenza di questa distinzione. Ragionee So  Idealismo e Realismo (imperfetti): idealismo assoluto; certezza ed evidenza. Ragioni dell'idealismo; e suo difetto. SERBATI. Significato generale della questione. Critica de’ filosofi. Distinzione de’ concetti in assoluti e relativi. Rità del mondo. Dottrina propria di G. sulla cognizione de'corpi; e certezza ed evidenza di questa cognizione. Significato e difficoltà del problema. Soluzione: l'Individuazione (creazione: creare è individuare). G. pone bene il problema, ma non lo risolve. Anzi fa impossibile ogni soluzione. Inconoscibilità dell'atto creativo nella sua essenza. Perplessità di G. Critica. Certezza della cognizione de’ corpi. Distinzione della certezza in fisica e metafisica. L'EVIDENZA come fondamento della CERTEZZA in generale. Evi ne ideale. Analisi e sintesi. La produzione ideale giobertiana: attività sintetica originaria. Critica di questa dottrina   vra ragione. Ente ed Essenza. Dipendenza logica e generazione. Contradizioni. Doppio sovrintelligibile: Unità delle determinazioni razionali, e Trinità divina. L'ldea come pura ragione o unità delle determinazioni razionali. Moltiplicilà astratta e unità astratta. Pura sintesi o dipendenza logica, e pura analisi. Vera unità: unità della sintesi e dell'analisi; la moltiplicità come momento dell'unità;unità- processo assoluto. La relazione del concetto relativo coll'Ente. Creazione. Due ipotesi: generazione, e creazione. Risultato. Assurdità dell'atto creativo come punto di passaggio tra l'Ente e l'esistente. La creazione è l'autogenesi dello spirito. La creazione è in sè generazione. Conseguenze di questa dottrina. Risultato generale deila dottrina di G. sulla produzione ideale. Passaggio al Misticismo. ELENCO di saggi di G. possedute dalla Biblioteca di Torino. De Deo et naturali religione, de antiquo foedere, etc. Taurini, Bianco. Teorica del sovrannaturale. Torino, Ferrerò e Franco. Accresciuta d’un discorso preliminare e inedito intorno alle calunnie di un nuovo critico. Capolago, Elvetica. Degl’errori filosofici di SERBATI. Capolago,  Elvetica. Del primato morale e civile degl’Italiani. Brusselle, Meline. Elenco favorito con gentile premura al Comitato Editore dal Prefetto della Biblioteca. Carta. Capolago, Elvetica, Prolegomeni del primato morale e civile degli Italiani. Brusselle, Meline; Introduzione allo studio della filosofia. Brusselle, Hayez. Considerazioni sopra le dottrine religiose di Cousin. Brusselle, Meline. Il Gesuita moderno. Losanna, Bonamici, Torino, Fontana, Capolago, Elvetica, Apologia del saggio intitolato « Il Gesuita moderno », con alcune considerazioni intorno al risorgimento italiano, Paris, Renouard. Del Buono, Capolago, Elvetica. Del Bello. Firenze, Bucci; Allocuzione di un filosofo a Pio IX. Torino; Discorso pronunziato nell’adunanza generale per l’apertura del Congresso nazionale federativo nel Teatro Nazionale. Torino, G. Pombae; I due programmi del Ministero Sostegno. Torino, Fontana; Anti-Primato papale e l’automatismo romano distrutto dal Vangeloe dai Santi Padri, Torino. Lettre sur les doctrines philosophiques et Politiques de Lamennais. Capolago, Elvetica. Del rinnovamento civile d’Italia, Paris, Crapelet; Operette politiche, Documenti della guerra santa d’Italia, Capolago, Elvetica; Preambolo dell’ultima replica ai Municipali. Parigi, Martinet; Risposta a Rattazzi. Sopra alcune avvertenze di Gualterio. Al Generale Dabormida. Torino, Ferrerò e Franco; Della filosofia e della rivelazione, pubblicata per cura di Massari. Torino, Botta; Pensieri e giudizi sulla filosofia italiana, raccolti ed ordinati da Ugolini. Firenze, Barbèra; Della protologia, Massari. Torino, Botta; Profezie politiche intorno agli odierni avvenimenti d'Italia. Torino; Pensieri, Miscellanee. Torino, Botta; Ricordi biografici e carteggio, raccolti per cura di Massari. Torino, Botta; Studi filologici desunti da manoscritti di lui autografi ed mediti fatti di pubblica ragione per cura di Fissore, Torino,Tip. Torinese; Una lettera a ROVERE, pubblicata da Giovanni, Roma, Tip.delle Terme, di a. Balbi; Lettera sugli errori politico-religiosi di Lamennais. G e Bruno. Due lettere inedite, pubblicate da Molineri.Torino, L.Kourt; G.e Pallavicino. Lettere per cura di Maineri, Piemonte, Milano, Rechiedei; METAFISICA ONTOLOGIA Dell'Ente come concreto e reale. Dell'Ente, come astratto ed ideale,  Dell'atto creativo. TEOLOGIA RAZIONALE velazione e della Civiltà colla Reli . Primo Storico Del tempo e dello spazio. Delle convenienze della ragione colla R i COSMOLOGIA LOGICA fato, della fortuna e del destino, dell'accidente e della necessità. Della sovrintelligenza e del desiderio  Della definizione e della divisione. Del metodo. gressisti. Della volontà umana. Delle facoltà dello spirito umano. Del raziocinio e delle sue forme esteriori. Dell'arte critica. Ciclo generativo e Cosmogonico Della forza cosmica.. DELLA PROPRIETA DELLE PAROLE. Delle proprietà dell'uomo . Dei giudiziie delle proposizioni.  Prima di esporre la filosofia acroamatica si compie il ritratto della vita dell'autore. G. si ritira nella vitaprivata- come ei parla disè stesso cerca di rompere ogni legame non pure col Governo, ma cogl iuomini come sostiene la vita – la povertà di lui dà occasione ad un atto generoso di SERBATI — per tenersi pronto a stampare alcuna opera utile all'Italia non vuole dettare un Discorso su ALFIERI – quali erano i casi improvisi che poteano indurlo a stampare — perchè opina più probabile che la repubblica francese non cadesse — concetto che egli ha di Luigi Napoleone -- in che fu fal laceilsuo giudizio sulla Francia— nella metà del51 pone inlucc il Rinnovamenlo – intento di questo saggio : sua convenienza e differenza col Primato– censura tutti e tutto coll'intendimento che fa e cia pro nell'avvenire - - -rottura col Pinelli e coi municipali - pole micaconesi— morte del Pinelli—si bruciano le copie del'opuscolo Ultima replica ai municipali— l'autore lascia la politica e ri volge il suo animo tutto al le opere nuove da pubblicare — forse la troppatensione di mente gli nocque- morte improvisa e dolore universale— quanto danno fu alla scienza e alla religione– vocazione di Gioberti no nmancata per la morte intempestiva— le opere postume– quando furono scritte prima o dopo il 48?-  il concetto e il titolo di esse furon suggerito dalle circostanze o ne sono indipendenti? Tutto ciò che ora è stampato appartenev a ad esse secondo l'intendimento dell'autore? -quale fu quest intendimento? - gli scritti postumi sono solo l'apparecchio e imateriali delle opere che voleva dare ala luce- il disegno però v'apparisce: qual 'è desso?-  ragioni che rendono difficile a cogliere la connessione e la verita della dottrina contenuta nei detti scritti---apparente antinomia di cssa dottrina -come ho proceduto io per afferrarne l'unità e la germana intenzione in qual formamison risoluto di esporla- fu bene che il Massari curasse la pubblicazione di essiscritti– potevano però esser emeglio ordinati da riuscire piùi ntelligibili–LA DOTTRINA DI G. E PIU DIFFICILE DI QUELLA DI HEGEL. La filosofia ACROAMATICA non è contraddittoria all'essoterica, ma solo tanto diversa - nesso tra l'una e l'altra — differenze della cognizione diretta o spontanea di SERBATI e COUSIN dal pensiero immanente di G. Doppio stato del pensiero umano caratteri dello stato riflessivo e dello stato immanente– l'intuito dell'ente differisce da quello dell'esistente — in che consiste la strellezza speciale dell'ente intelligibile col pensiero immanente -come l'attività dello spirito coesiste coll'Ente senza che questo sia subbiettivato condizioni proprie dello stato immanente - si rimuove una obbiezione dell'attività umana suo doppio stato e differenze dell'uno stato dal l'altro- - della personalità — la penetrazione del pensiero nello stato immanente è diversa dalla compenetrazione dello stato successivo triplice proprietà del pensiero immanente analoga a tre momenti dell'ente- lo spirito sebbene una persona nel pensiero immanente non subbicttivizza la cognizione - l'ordine psicologico è proprio della riflessione: suo fondamento ontologico– anche proprio della riflessione è l'ordine cronologico - che fa il tempo -- onde nasce il ripiegamento della intuizione sovra se stessa— falso modo d'intendere la visione ideale che è la vita anteriore descritta da Platone nel Fe d r o - difficoltà di cogliere il pensiero immanente -la distinzione ben nella della intuizione dalla riflessione corregge la dottrina platonica - obiezione di Grote - come vi si risponde - - dei giudizii – doppio giudizio obiettivo- lo spirito esce dallo stato immanente coll'affermare egli l'Ente- come si afferra il pensicro immanente- del modo come possediamo le idee - le quali nascono per via di disgregazione, non di generazione— dei giudizii analitici e sintetici- si chiarisce un dubbio-del raziocinio della filosofia: sua definizione—FILOSOFIA PRIMA -- Qual'è – cf. H. P. GRICE, “FIRST PHILOSOPHY” -- ;sua distinzione dall'ontologia -obiezione contro la Protologia: risposta -della circuminsessione dei veri: sua radice -criterio del vero - onde nasce l'evidenza e la certezza scientifica — che è un siste m a scientifico - in che senso i principii dipendono e sono illustrati dalle conseguenze — le une non sono affatto eguali in valore agli altri-- dell'ipotesi, de i postulati, ed egli assiomi- se i principii sono astratti, onde si trae la concretezza, senza di che la scienza non avrebbe valore?- Il Primo della scienza è la Formola ideale -- come si prova che è il Primo - mutua collegazione e dipendenza delle verità secondarie e primato relativo della formola -- l'unità scientifica deve salire e fondamentarsi nell'unità ideale trasparente all'intuito - il processo non fa la scienza perfetta - questa risulta dalla intima unione della cognizione riflessiva colla intuitiva -- dell'Ultimo della scienza – LA PAROLA è IL PASSAGIO DAL PENSIERO IMMANENTE AL SUCCESSIVO -- onde si cava LA NECESSITA DELLA PAROLA PER L’USO DEL PENSIERO RIFLESSO – ORIGINE DEL LINGUAGGIO. Tre opinioni - - -sentenza dell'aulo re- come può dirsi che il segno del *linguaggio* è unito al'Idea unità della dottrina di G. su questa materia . DOTTRINA DELL'ENTE Come l'unità e semplicità di Dio si accorda colla moltiplicità degl’attributi - dell'unione dei contraddittorii in Dio - - trasformazione dialettica dei divini attributi— Hegel contuttii panteisti confonde il processo psicologico col'ontologico-l'antropomorfismo é opera del l'imaginazionenon della ragione della futurizione divina -Iddio è insieme sovrintelligibile e intelligibile- negatività di Dio- come conosciamo l'Assoluto? Dio è personale: obiezioni, risposte— Dio produttività infinita-la potenzialità e l'attualità sono diverse in Dio e nelle creature- Dio è libero e necessario- è buono- l'esistenza di Dio è verità intuitiva pel pensiero immanente, dimostrativa pel  DOTTRINA DELLA CREAZIONE L'idea di creazione porta seco per due rispetti l'idea di nulla—delcan successivo- la prova dimostrativa migliore traggesi dalla nozione dell'infinito- processo protologico ed esplicativo delle attribuzioni dell'Ente - attribuzioni esterne ed interne- doppia eptate - dell'infinito; onden'abbiamo l'idea- è determinato; ma s'intendenon si comprende della presunzione divina dell'infinito potenziale nel suo atto — antinomie rislessive: i panteisti frantendono l'idea dell'infinito - assurdità dell'infinito nunerico - distinzione dell'infinito possibile o potenziale dall'attuale - due infiniti: il relativo e l'assoluto dell'infinito aritmetico monadico. giamento- l'atlo creativo è uno in sè anche nell'estrinseco é perfetto- puossi considerare per tre rispetti come infinito– l'infinità potenziale del finito suppone il possesso attuale, benchè finito, del l'infinità attuale- in che consiste siffatto possesso— l'atto creativo interviene in tutto — è causa che l'unità dell'Idea si sparpaglia in molte idee – i generi sono vari- la varietà specifica delle cose deriva dalla maggiore o minore intensità dell'atto creativo  zione è divisione e moltiplicazione- rispetto all'esistente l'attocreativo è sintetico e analitico - differenza della causalità finita dall'in finita- che è IL CRONOTOPO – (STRAWSON, INDIVIDUALS, chrono-topoical continunity -- sua unità- come dall'unità dell'istante e del punto si biforca il tempo e lo spazio— l'intervallo è uno- genesi del cronotopo – doppio valore delpunto e dell'istante- dell'in ternità e dell'esternità- l'unità del continuo si rappresenta in ordine lo spazio e il tempo hanno un centro al discreto sotto tre aspetti — del passato, sintesi del continuo e del discreto nei modi del tempo -- del presente e del futuro- l'eternità non cresce — doppio continuo, attuale e potenziale -infinitazione del cronotopo- in che senso il mondo è eterno - ogni epoca e stato mondiale è una palingenesi a verso il passato , e una creazione verso l’avvenire - il cronotopo e l'universo infiniti sono reali come intelligibili–  l'indivisibilità del cronotopo dal pensiero colto dal Kant- del pensiero divino e umano-- interio la crea   DOTTRINA DELL'ESISTENTE debbon si dire sull'esistente- questo somiglia all'ente pereffetto della creazione- in che consiste l'impronta dell'ente che porta in sè l'esistente diverso senso dato dall'autore alle voci METESSI (PARTICIPAZIONE) e mimesi quale è il senso che in quest'opera si dà alla prima -- distinzione della potenzae dell'atto- metessi O PARTICIPAZIONE potenziale,intermedia,eattuale l a mimesi - essenziale alle forze create è il concreare e il generare : prove- carattere del primo momento dello sviluppo dinamico – due  Difficoltà di esporre la materia- nesso delle cose dette con quelle che ritàe esteriorità del pensiero umano irrazionalità del vero nella sua concretezza - come il pensiero umano conosce il continuo - l'immanenza dell'eterno dato ci dal pensiero— l'estensione e la DURATA esprimono i limiti dell'esistente — Dialettica; il diverso, la dualità, la moltiplicità appartengono all'essenza della creazione- in che versa la dialettica e onde trae il nome due dialettiche: reale e ideale che forma il moto o vita dialettica- la dialettica consta di due momenti, sebbene sembra che consti di tre- gli eterogenei, cioè i diversi ed opposti ,non sono contraddittorii--- differenza della eterogeneità dalla contraddizione –secondo un certo rispetto l'eterogeneità è in Dio- l'opposizione riguarda il negativo delle cose- il contrapposto è diverso dall'opposizione- gli eterogenei importano gli omogenei e viceversa- che è il terzo armonico o dialettico come mai il conflitto dialettico pruduce l'armonia — nell'unione dell'omogeneo ed eterogeneo quale prevale— ciò che è l'opposto in natura è l'antinomia nella scienza– della antinomia reale e dell'apparente– della guerra- la polemica è la guerra nell'ordine delpensiero- dello scetticismo - lo scetticismo obbiettivo non è sofistico -che sono l'errore e la colpa - due periodi distinti della storia della filosofia - - -divisione e riunione è ilprocesso universale e dialettico- diversità di processo della dialettica dell'Ente e di quella dell'esistente della SCHEMATOLOGIA -- della sofistica - il moltiplice e il conflitto son ridotto ad unità ed armonia mediante la mediazione dell'infinito.  cicli della virtù concreativa delle esistenze realtà d'una intelligibilità relativa- il sensibile è la fuga dell'intelligibile relativo da sèstesso, la sua moltiplicazione, diversificazione e rottura- prove causa per cuil'intelligibile creato si manifesta come solo sensibile negli ordini del tempo differenza della nostra dottrina da quella dei sensisti — nozioni che racchiude l'idea del sensibile- la successiva distruzione e rinnovazione delle forme sensibili è il nisus di esso a diventare intelligibili- il sensibile consiste essenzialmente nella relazione tra l'uomo intelligente e la natura intelligibile - del sensibile interno ed esterno - se il sensibile può o no conoscersi- si chiarisce il significato della parola “sensibile” --  il sensibile schietto non si può pensare- prova che la sensazione non è la cognizione- qual'è l'oggetto della cognizione del sensibile - come si risolve l’antinomia apparente di trovare inescogitabile il sensibile e pure poterlo pensare la dottrina nostra è la sintesi delle diverse dottrine precedenti Galluppi, Rosmini, Platone- nella dottrina di G. non bisogna confondere l'intelligibile assoluto, l'intelligibile relativo e il sensibile- la teorica dell'intelligibile relativo non annienta il sovrintelligibile — si vien divisando più particolarmente la mimesi—mimesi prevalente-esteriorità, apparenza, fenomeno, conflitto, passaggio, metamorfosi -la gerarchia mimetica degli enti consiste nella varietà dei gradi conativi-si notano i principali dellaluce- la maggiore intelligibilità nella natura corporea si manifesta mediante la finalità , dell'uomo; il corpo, chi lo forma —del sonno e dei sogni—l'istinto l'anima e il corpo in parte diversi , in parte uni - doppio stato della vita; latente e manifesta— due vite dell'uomo- delle passioni: la gloria, la malinconia, LA NOIA – facoltà dell'animo: il senso, l'imaginazione, la memoria, la ragione—  le scoperte e i trovati appartengono allo sviluppo metessico del Cosmo -- che cosa è la scienza- lo spirito creato è l'anima del mondo, lo spirito umano è l'anima della lerra- gl'intelligibili intelligenti relativi non sono già dello steso genere due specie di mentalità -che è il pensiero- in che si fonda l'identità del mondo- metessi prevalente: sua definizione- doppia unità , la divina dell'atto creativo, e l'unità metessica e concreativa della relazione; essa sovrasta a i termini che la costituiscono - due relazioni--natura speciale della relazione che corre tra l'Ente e l'esi  Del progresso: che n'è il tipo e il principio – il progresso considerato stente— l'azione finita è reciproca, quindi inseparabile dalla passione: l'unità loro è la relazione, la relazione infinita è una m la relazione è il verace assoluto che rappresenta la relazione essa è l'appicco del finito coll'infinito - riscontro del vero col mondo - le relazioni sono nelle cose, e non solo nello spirito nostro, e nella mente divina -- falsità della dottrina di Hegel che pone l'assoluto e il concreto nelle sole relazioni - la specie non è un'astrattezza la specie non è l'idea specifica- metessicamente non si distingue il tutto dalle parti- come raffigurarci la concretezza della potenza – delle contagioni morali e materiali- l'armonia della mimesi erumpe sempre e risiede sostanzialmente nella metessi iniziale diversità della metessi mimetica dalla finale -dell'implicazione e dell'internità delle cose- qual'è il progress ometessico- v'è una permanenza metessica di ciò che passa mimeticamente- Idea, metessie mimesi – il passaggio della mimesi è creazione e annientamente- accordo di due opinioni opposte- tre condizioni mondiali— vanità delle cose umane in quanto passano e si annullano- della dottrina di Protagora- scienza mimetica e metessica—Come mai il reale può rassomigliarsi all'ideale?- Come mai il finito, il relativo e contingente può rassomigliare il necessario, l'assoluto l'infinito? Come mai le cose materiali possono rassomigliare il pensiero? in riguardo alla metessi iniziale, alla mimesi, e alla metessi linale la mimesi è progressiva nei particolari, solo regressiva nel generale- il regresso è legge del progresso– l'andamento cosmico si alterna di progressi e di regressi— la vita è la sintesi e il dialettismo del progresso e del regresso ma conferma di ciò si trova nell'esame dell'uomo, della religione, dell'arte e della scienza - il progresso quando è passato diventa regresso - accordo dei progressisti e dei regressisti- della periodicità–  è circolare e regressiva di sua natura—  ha luogo nelle parti dell'universo, non nel tutto - la forza rallentatrice necessaria alla società come alla natura se il progresso sia reale o apparente --- la periodicità perfetta è sola apparente - corso migliorativo di tutto l'universo- il progresso nasce dall'intreccio del tempo collo spazio- Individuo (cf. P. F. STRAAWSON, INDIVIDUAL) e genere—processo estrinseco dell'atto creativo- l'evoluzione è nelle idee, nella metessi, non già nell'Idea— che cosa è la generazione-  essenziale alla generazione è l'idea di specie, la quale non è astratta soltanto- la generazione è l'estrinsecazione più viva della metessi specifica delle cose, e appartiene alla mimesi – della SESSUALITA—dov'è il principio generativo se nello SPERMA o nell'uovo- della donna e dell'uomo - la sessualità riscontrata colla dialettica della femminilità e della VIRILITA –del conjugio — dell'individuo compiuto e in che consiste la sua essenza e valore -- l'individuo e l'Idea sono nell'ordine attuale i due estremi della realtà— influenza del pensiero negli effetti della generazione la generazione e la nutrizione sono le principali azioni tanto del corpo quanto dello spirito— altre consonanze tra il corpo e l'anima - del psicologismo e dell'ontologismo - come ci può essere concretamente insegnata l'attinenza del genere coll'individuo -due classi d'individui- - se l'individuo è sparito dinanzi alle masse - che cosa è la plebe- relazione dell'ingegno colla moltitudine -come può affermarsi che nell'ingegno v’abbia qualcosa del divino - Dell'amore, dov'è il suo tipo, e quale n'èl'essenza - l'a more assoluto e infinito è l'identità --ch'è l'amore rispetto all'esistente nello stato mimetico dell'amore attivoe del passivo- del puro e corrollo cagione dello scisma tra l'amor del cuore e quello dei sensi — che è l'ideale dell'amore – del maritaggio- del divorzio– l'amore corro tra i dissimili armonici- universalità dell'amore—parentela dell'amore col Bello e col Buono—del Belo—origine del male- due morale, particolare e universale – ottimismo relativo non assoluto - il mal morale è impossibile nell'etica divina e universale - l'antinomia apparente della natura seco stessa si risolve mediante la necessità de gli ordini --contraddizione della natura nello stato presente --dell'infelicità umana—scopo della vita terrestre-- della virtùe della libertà umana— l'uomo è potenzialmente onni specie, può salire escendere nella gerarchia cosmica - la giustizia cosmica procede per ragione geometrica - dell'abito- è verso l'anima ciò che l'accrescimento e   la nutrizione verso il corpo - la virtù è sforzo , è la trasformazione della mimesi inmetessi -ed il sagrifizio dell'individuo alla specie-  La Società ha un fondamento metessico e ideale e logico- la polizia è una metessi iniziale - la polizia dell'uomo comincia coi primi principii della sua vita— individualità e polizia principiano e crescono di conserva—unità dinamiche della nostra specie– divisione del genere umano in generiche e specifiche – della nazionalità naturale e artificiale- la misura dell'ampliazione dell'unità è il termometro della civiltà- doppia unificazione dei popoli --autorità morale—  il potere sovrano è fontalmente l'Idea— formazione primordiale della società- unità progressiva dei vari ceti dellas ocietà— della plebe e del l'ingegno - intento della riforma politica moderna - nel mondo tutto è ordinato allo svolgimento del pensiero— ciò che accade ora in Europa è in certa guisa una ripetizione di ciò che accadde in Grecia della demagogia: dominio della Russia — unità sovrannazionale- unità intermedia tra la sovrannazionale e la nazionale- l'egemonia moderna dove risiede -del Primato, assoluto e relativo- alcuni titoli del primato italiano- il Cielo che rappresenta alla mente umana - della causa e dell'effetto negli ordini finiti- attinenza della terra col cielo - i vari mondi fanno un solo universo - il mondo non è solo un aggregato, ma un aggregante - da che è prodotto l'individualità nei corpi- gerarchia degli esseri—della NUIDITA -il principio e il fine si somigliano e differiscono - della materia in astratto e in concreto – la potenza generativa essenziale a ogni forza creata- della preesistenza dei germi—della legge centripeta inorganogenia- il centrfugismo non è la stessa cosa dell'ipotesi della preesistenza dei germi —la forza primitiva quando erumpe nell'atto comincia colla dualità o colla moltiplicità?- gradi della forza creata universalmente- dei cinque gran regni della natura - della mutazione delle specie- sunto della dottrina dell'autore- due leggi dell'esistente: legge di eterogeneità, e legge di omogeneità— della polarità– infinito numerico solo possibile nello stato di metessi - due soluzioni di esso - infinito aritmetico monadico - l'infinito è il sovrannaturale- due errori sul mondo dell'ottimismo— infinità potenziale della creatura -delf u infinito e del sarà infinito.  CICLO CREATIVO Palingenesia Del secondo ciclo creativo; ritorno del'esistente al l'ente – è solo per approssimazione -- la creazione non ebbe prima, perchè fu un Pri il secondo ciclo creativo è umano e divino- come il principio e il fine sono finiti e infiniti -- che cosa è specificatamente la palingenesia-- come siam certi che esiste– la palingenesia èo bietiva e subiettiva, cosmica e individuale— del progresso relativo e del progresso assoluto delle cose come si dee intendere che lo stato palingenesiaco sia mentalità pura— della morte–  dell'immortalità-- l'esistenza e inamissibile-  la morteè un salto e grado secondo che si guarda il discreto o il continuo — futurità particolare del l'anima— la palingenesia consiste nell'acquistare la coscienza che non si ha- è il colmo della coscienza– due presunzioni dell’infinito potenziale– del libero arbitrio- il processo palingenesiaco è un processo generativo- due metamorfosi: mondane e oltramondane– obiezione contro la realtà della palingenesia: risposta– ignoriamo l'avvenire– ha anche una base nell'esperienza—nella palingenesia l'internità sarà esternata- di varioe rassomiglianza tra la cosmogonia e la palingenesia- in che senso la negazione dell'immortalità umana è vera - unità dello stato palingenesiaco – comunicazione dell'intelligenza e dell'amore coll'infinito della felicità e beatitudine assoluta- l'uomo nella palingenesia opera- idea del progresso palingenesiaco– lar ivelazione palingenesiaca non escluderà ogni elemento misterioso. RELAZIONE DELLA PROTOLOGIA COLLA RIVELAZIONE. G. prima cerca verificare psicologicamente l'idea di mistero poi si propose dimostrarla ontologicamente infine porgerne una  prova universalee protologica- la metessi è il sovrannaturale- unione dialettica del naturale e sovrannaturale nell'atto creatico – il sovrannaturale è universale; è nel principio nel mezzo e nel fiue- la natura senza la sovrannatura è in contraddizione seco stessa- la dottrina del nostro autore toglie l'opposizione tra il naturalismo e il sovrannaturalismo esagerati- il sovrannaturale dell'ordine attuale è la metessi anticipata nel seno della mimesi -nel sovrannaturale e nel sovrintelligibile v'ha un elemento naturale e intelligibile~- due specie di sovrannaturale— differenza tra ilsovrannaturale e l'oltrenaturale –idea della religione- religione perfetta è la rivelata— la rivelazione è l'apice della cognizione- necessaria ad accordare la riflessione coll'intuito due rivelazioni- la rivelazione immanente è virtuale— la potenza primitiva delle due rivelazioni è l'intuito- la rivelazione sovrannaturale spiega le potenze dell'intuito rimase infeconde per manco di parola acconcia- la rivelazione esteriore diviene interiore- tre conseguenze importanti- intento di G.- nel suo sistema la ragione e la fede entrano l'una nell'altra – l'idea del l'infinito è il vincolo tra il sovrintelligibile e l'intelligibile- essenza del mistero: misteri teologici, antropologici, e teoantropologici- i misteri rivelati non sono effetto, ma principio di ragione- esempi della fecondità razionale dei misteri rivelati-  il mistero pertiene alla ragione e la supera ad un tempo — tre membri della formola, tre essenze, tre misteri- vera dottrina di G.- nella vita terrena il sovrintelligibile non diventa mai intelligibile- il vero sovrintelligibile non iscema- del miracolo: se si pensa, è possibile- che cosa è il miracolo- ogni prodigio importa un fatto obbiettivo e un fatto subbiettivo—il miracolo e la disposizione e attitudine a crederlo si corrispondono nell'unità metessica- il fatto miracoloso non è nel cosmo, ma nella palingenesia- i miracoli decrescono— la natura (mimesi ) e mito e simbolo del sovrannaturale (metessi, palingenesia) il cristianesimo importa un nuovo atto creativo, ciò come avviene? - perchè si tralasciano di esporre partitamente i dogmi religiosi attinenze della rivelazione colla scienza, e della religione colla filosofia  Perchè mi son risoluto a tessere questa conclusione-- il lettore non ricordando più le cose lette negli altri volumi non avrebbe potuto giudicare quest'ultimo - m'è piaciuto altresi di dare uno sguardo su tutto ciò da me pensato e scritto— occasione dell'opera- carattere de la maggior parte degli’ Hegeliani—come è deltato il saggio di SPAVENTAsulla filosofia di G.- le mie Considerazioni— sui aspramente ripreso- soliloquio- nei primi volumi mostra iun po’ di risentimento - l'esposizione della seconda parte si fa con modi dicevoli alla scienza- che cosa mi ha fatto perseverare lungamente in questa opera, perchè l'idea di essa non si era prima incarnata l'Italia alla stregua della filosofia dominante oltre alpi - perchè era noma la terra dei morti— lotta interiore della filosofia di G. ragione del suo tardi stampare — la lotta cessa: creazione d'una dottrina—la cui pellegrinità sta nel nesso della religione collafilosofia -per quattro anni secostesso esamina la bontà e v rità del sistema - tre stadi del suo processo intellettuale- le nazioni coesistono insieme csigiovano scambievolmente- la nuova vita d'Italia necessaria al progresso umano- ciò che hanno compiuto nel mondo i francesi e i tedeschi — difetto della civiltà da essi pro dotta— scopo della rinascenza italica— carattere della vitai taliana d’ALFIERI a G. nel quale ciòche era virtuale e astratto diviene concreto e effettivo—  chiude une poca e necomincia un'al tra - medesimezza dell'idea individuale che costituisce l'eccellenza di G. coll'idea sostanziale che costituisce il genio nuovo nazionale - rifà in sè tutto il processo anteriore dello spirito umano quando acquistò il suo spirito intera coscienza di se medesimo - stimò che i concetti nati gli in mente erano stati indirizzali ad un alto line dalla Provvidenza–  si apparecchia ad eseguire il disegno divino- moto dall'individuo alla nazione e alla specie- come nel divulgare la sua dottrina e farla fruttare si mostrasse tradizionale e novatore ad un tempo --procedette per l'antagonismo degli estremi permeglio far spiccare l'armonia del mezzo— dissimulò una parte del suo pensiero -- la filosofia la religione e la nazionalità italica sono unite e connesse subbiettivamente e obbiettivamente  mosse dal l'idea al fatto, dai principi al metodo di esposizione -carattere delle opere essoteriche e delle acroamatiche- G. possede una dottrina ben divisata e armonica, di cui avea piena consapevolezza – ciò sine gada i critici- si discute la loro sentenza -si giunge ad una conclusione lutta opposto alla loro con solo l'esame dei fatti -- si cerca allrcsi la dottrina intrinsecamente e logicamente e si ha lo stesso risultamento, perché quasi tutti i critici han franteso trina di G.- il medesimo ladot è accaduto a Spaventa - qua l'è il concetto nuovo ch'ioneporgo-  esso è stato ignoto fin'ora; nelle scuole d'Italia s'è insegnato solo la parte essoterica- di questa è contrapposto l'Hegelianismo- venuto il tempo che si studia e colliva la parte acroamatica che contenendo la sintesi ed armonia di questo e di quella, del presente e del passato apre la via alla speculazione avvenire- nella controversia intorno a G. bisogna separare la tesi storica dalla filosofica— caratteri che distinguono, la dottrina di G. da quella di Hegel, e il moto civile d'Italia da quello di Germania- solo l'Italia ha oggi una vera missione storica, il cuide lineamento trovasi degli scritti del torinese—riscontri tra le parti in cui fu divisa la dottrina c i vari periodi del rinnova - mentonazionale– come l'egemonia piemontese ha prodotto i suoi frutti, così li produrrà il Primato – il primato è tutt'uno colla rinovazione del pensiero italiano- ogni nazione ha da natura un sito intellettivo- - che dee cavare dal suo l'Italia- oggetto della scienza sulura l'idealità infinita–  riforma religiosa c nuovavita del cattolicismo - senza una filosofia e teologia infinitesimale ogni ristorazione religiosa è indarno- prova il recente moto di Germania-  Döllinger non ha ragione di biasimare gli italiani- i vecchi cattolici sono oppostosofistico dei Gesuiti–  quindi continuano la sofisticare li giosa che travaglia la nostra età- diseltano d'una teologia veramente nuova e proporzionata al bisogno- mentre coi loro ciechi colpi con tro il papismo gesuitico ne han mostrato più che mai la necessità— senza di quella non si può distinguere l'essenziale dall'accessorio nella religione, nè accordare il divino coll'umano-carattere della nuova teologia- modo come dee procedere la riforma cattolica- l'entratura di essa appartiene al laicato, e in ispezieltà all'italiano così la gerarchia non sarà annientata, nè scossa, ma condotta a riformarsi da sè— il molo italico ristabilirà perfezionata l'unità morale e civile d'Europa – esso perciò è indirizzato ad una meta più alta di quella a cui è giunta la Germania—  i forestieri malintendonoe mal giudicano l'Italia. In parte ne han colpa i fautori della coltura tedesca -ragione dell'imitazione tedesca tra noi—deve cessare e dar luogo alla produzione paesana nell'ordine dei pensieri, dei sentimenti e delle azioni. La teorica della conoscenza nel G. Esposizione e critica.   In uno degli ultimi scritti, — certo l’ultimo saggio filosofico, —  pubblicato pochi mesi prima di chiudere la sua lunga e intensa  operosità, SERBATI, discorrendo della necessità speculativa  di tener distinta nell' essere la forma ideale dalla reale, usce in  queste solenni parole.  L'esperienza tuttavia e la storia della filosofìa dimostrano, che e' è una somma diffcoltà a distinguere e  mantenere costantenftnte distinta nella mente la forma ideale ed  obbiettiva dell'essere, dalla forma reale, e me ne somministrò non  ha guati la prova quel facondo e immaginoso scrittore che diede  a me biasimo e mala voce d'aver proposta e stabilita una tale  distinzione, dettando tre volumi col titolo de' miei errori. Laonde  con tutto lo zelo e la fidanza egli si pose di contro a me, quasi  abbarrandomi il passo, e si dichiarò perfetto realista: incolpando  gli stessi scolastici realisti, di non essere stati tali abbastanza, ec-  cetto alcuni pochi. Ma pace a quell'anima ardente: e torniamo  alla storia *) ,.   Si sa che gli avvenimenti politici del quarant' otto avevano rav-  vicinato i due grandi avversar], smorzato perfin le ire implacate e  sospettose del torinese, che faceva pubblica ammenda della vivacità  frequente delle sue polemiche, dichiarando che, appena conosciuto  di persona il Rosmini, aveva cominciato anche lui " a venerare     ') RoiKiNi, Ariat. esposto ed esaminato, Torino, 1857, pre&z. p. 36. La  prefazione di quest'opera postuma era Btnta pubblicata dal Bosmìnì Hteeao  nella Riviìta contemporanea di Torino, au, ir, voi. II, fase. 17» e 18', decembre  1854 egenoaio; riprodotta poi nella Poliantea Caffo^ca di Hilauo, an.  IV, 1855.     Digitizcdby Google     Rosmini e CHoberH 247   con tutta Italia tanta sapienza e tanta virtù , ^). — Quanto al Rosmini, benché l' animo suo non si fosse mai inasprito, i fatti del  ' 48 lo conciliarono di più col Gioberti, e non è questo il luogo  dì ricordare le belle prove da lui date de' suoi sentimenti verso il  filosofo esule per la seconda volta '), e poi quando fa morto, e  quando prima, nel ' 49, ebbe a G-aeta a difenderne calorosamente  la fama a l' ing^no contro le insinuazioni e le malignazioni d' un  gran gesuita ^).   Ebbene, tutto ciò e il tempo corso in mezzo e il cammino in-  tanto fatto nella scienza, non lo rimossero fino al termine, come  s' è visto dall' ultimo suo scritto dianzi citato, dalla posizione già  tenuta di contro al Gioberti. E questi, dal canto suo, ìn quel di-  scorso che premise alla seconda edizione della sua Teorica del  sovrannaturale, e che si può considerare come Y ultima sua scrit-  tura di genere puramente filosofico, rimaneva anche lui al suo posto,  nonostante l' om^gio quivi reso alle virtù e alla sapienza dell' av-_  versarlo; poiché scrìveva: *U Rosmini ed io siamo d'accordo nel  recare alla riflessione la possibilità dell'errore, e il suo rimedio  all'intuito che la precede. Ma dissentiamo intorno al contenuto di  tale intuito ; il quale al parere dell' illustre Roveretano, non ci poi^e  che un ente astratto, iniziale, destituito di sussistenza ; laddove, al     ')Discorso preliminare tìiU 2' Bàìz.ifiìla Teorica del sovran7iaturide(i850]  I, ^ n. Vedi pure ciò ohe, quasi nel tempo atesBo, ne scriveva nobìlmeate nel  Rinnovamento àvUs, lib. I, cap. XIII; ediz. Napoli, Morano,    !) Vedi quel che HCTisae Q. Uassuii, nella bua Bitiista pdiHca del 15  luglio 1855 nel Cimento di Torino commemoiando SERBATI. Sono due pagine dimenticate, e che hanno tuttavia molta importansa per  le opinioni politiche e per la biografia del Rosmini; T. pure Tommaseo, A. Ro-  smini, (in Rimala Contemporanea Liberatore. — Chi fu presente al colloquio e ne scriveva poi a Baff.  De Ceaare.attesta che le parole «eloquenti dette dalBosmini in quella occasione  lìaHciiono il più autorevole e più meraviglioso elogio del Gtiobeiti >. Tedi  Db CssAaB, Dopo la wndanna del S. Uffi,ziOt in N. Antologìa, 16 luglio  1888, p. 205.     .dbyGoosle     348 G. Gentile   mio, ci dà un concreto effettivo, che nel primo de' suoi termini  è assoluto e apodittico. Or qual'è il miglior fondamento del vero?   ^ l'astratto o il concreto? T insusaistente o il reale? l'incoato o l'as-   l soluto?, ').   I due filosofi, adunque, compiono la loro carriera filosofica con  opposta sentenza intomo al principio della loro dottrina, nonostante  la polemica vigorosa per dottrina e dialettica che s' era in propo-  sito dibattuta; talché si direbbe che essa non abbia avuta nessuna  efficacia sulle dottrine de' due filosofi. Questo però è appunto quello  che ci rimane ancor da vedere.   f~^ Come il Rosmini abbia introdotto V. G. nel campo della   ' moderna filosofia, cioè della filosofia kantiana, l'abhiam veduto e  dimostrato nel terzo capitolo della prima parte del presente studio;  coachiudendo, che già nella Teorica del sovrannaturale egli ci ap-  parisce sì un rosminiano, ma un rosminiano il quale vuole andare  avanti al Rosmini. Neil' opera che seguì immediatamente dopo,  V Introduzione aUo studio della Filosofia, si delinea ben nettamente  la nuova posizione speculativa del Gioberti ; e si vede quali essen-  ziali modificazioni, secondo lui, debbono subire le dottrine del filo-  sofo roveretano.   Ma prima di studiare cotali modificazioni, vediamo come si  muove in questa nuova opera il pensiero dell'autore.  / La concezione della storia filosofica qui è l'es^erazloae di quella  donde sì rifa nel Nuovo Saggio il Rosmini; ma certamente è mo-  dellata sovra di essa. Pel Rosmini, come s'è notato, v'ha sistemi  che peccano per eccesso e sistemi che peccano per difetto di apriori  nella spiegazione del fatto del conoscere : da una parte falsi idea-     *) Op. cit, I, 2K. Cfr. Errori filoaqfiei di A. Bosmini, II, 126-134. —  L'ultima parola venunente à nel Rmnovat>ieato civile, dove al lib. n, oap. 7*,  (voi. II, pag. 191), è detto ancora uoa volta « Cosi, per cagion d'esempio, il  divorzio introdotto da un chiaro nostro psicologo tra il reale e l'ideale, non  si puA comporre stando nei termini della psicologia sola; e se si muove da  questo dato pei salir più alto, si riesce di necessità al panteismo dell'Hegel e  de' suoi seguaci Jtosmitii e G.  iiami, e dall'altra falsi empirismi. Ma nell'idealismo, oltre l'errore  di ammettere più elementi a priori che non ne siano richiesti a  quella spiegazione (Platone, Aristotele, Leibniz) può esservi un  più grave difetto : quello di far soggettivo, come avviene in Kant, Va  priori ricercato in seno alla conoscenza, la quale, se vuol essere vera  e certa, dev'essere invece oggettiva. Onde pel Rosmini Ì sistemi  sbagliati si riducono al postutto al sensismo o all'idealismo sog-  gettivo, cfae è una specie di scetticismo mascherato ; dacché il pla-  tonismo, a parte l'eccesso dell' a priori che va corretto, trova grazia  appo lui per l'assoluta separazione posta fra cotesto a priori e il  soggetto umano che conosce. E contro il sensismo e l' idealismo  soggettivo e si può dire (poiché pel Rosmini il senso era la fa-  coltà soggettiva per eccellenza) in genere, contro il soggettivismo  ei si proponeva di scendere in campo col Numo Saggio.   Contro questo soggettivismo insorge parimenti la filoso&a del  Gioberti; il quale raddoppiando d'ardore per le dottrine platoniche  riconosciute pure in fondo al contenuto filosofico delle dottrine  cristiane, tutti gli opposti sistemi involge in una comune condanna  con quel sensismo, che ormai, quando usciva il suo libro, era già  morto e sepolto cosi in Italia come in Francia; talché dimostrare  sensistica una teorica, era lo stesso che averla giudicata senza  appello.   E sensistica, a parere del Gioberti, è tutta la filosofia moderna  in Europa; a cominciare da Renato Cartesio; il quale, del resto,  non fece se non applicare alla filosofia il metodo che aveva già  fatto ben trista prova con Lutero, nella Protesta, proclamando la j  intimità autonoma della fede religiosa. . -J   Cartesio sensista? " Parrà strano, scrive il Gioberti, a dire che  il sensismo sia conforme ai principii cartesiani, e che il Locke,  il Condillac, il Diderot, con tutta la loro numerosa ed infelice pro-  genie, siano figliuoli legittimi del Descartes; quando questi pre-  tese nlle sue dottrine un teismo purissimo al sembiante, e volle  stabilire sopra uua salda base la spiritualità degli animi umani.  Ma il teismo del Descartes é puerilmente paralogistico. Il suo dubbio   Q. OmHk   metodico e assoluto, e il riporre eh' egli fa nel fatto del senso in-  timo la base di tutto lo scibile, conducono necessariamente alla  negazione di ogni realtà materiale e sensibile , *). E che altro è  il sensismo? ' Spogliato dalle contraddizioni de' suoi partigiani, e  ridotto al suo vero essere dalla logica severa di Davide Hume,  riuscendo a un giuoco aubbiettivo dello spirito, che, rimossa ogni  realtà, è costretto s trastullarsi colle apparenze, è propriamente  scettico e si manifesta come l' ultimo esito di ogni dottrina, che   _, metta nel sentimeuto dell'animo proprio i princlpii del sapere . *).   1 II Descartes, adunque, è uu sensista, e a lui si deve tutta la   serie di errori di cui è iutessuta la storia della filosofia moderna ;  egli è l'iniziatore, purtroppo, fortunato del moderno sensismo psi-  cologico, poiché pone come principio della filosofia un fatto, che  come tale non può essere se non un sensibile ^).   Insomma il Locke e il Gondillac sono cartesiani. " Né rileva che  i successori di Locke facciano caso della sensazione sola, e non  del sentimento interiore, imperocché questo e quello convengono  nell'essere forme sensitive, destituite di obbiettività assoluta , *).   \ Il Gioberti, insomma, intendeva parlare di soggettivismo, e di-  COTa sensismo, che è pure una direzione speculativa molto diversa. La  colpa bensì non è propriamente sua, perchè risale al Galluppi ; il  quale nella sua teoria della sensazione (che qui il Gioberti ripete)  aveva con essa confusa la percezione o rappresentazione e la coscienza,  introducendo nel seno stesso di quella le distinzioni che sorgono     ') Introdwi., lìb. 1, c&p. l" (ediE. di Firenze, Poligrafia italiana, 1846)   I, m.   ») Ibid., p. m-12.   3) «... E certameiite la seoteiiEa ; io penso, dunqm sono, equivale a questa:  io sento di oaeere pensante ... e più concisamente : io sento, dunque sono . . .  n pensiero conosciuto per via della liflesaione, ò un meco fatto della coscienia,  cbe appartiene al senso interiore; onde il Cartesianismo che muove da quella,  colloca in un fenomeno della facoltà sensitiva la base della scienza >. Tntrod.,  lib. I, oap. 3" (n, T7 e segg.).   *) Op. àt., n, 78.     n     2&1   invece per cotesti fatti ulteriori della psiche '). Del resto, G. risente presto l' iDcooTeuiente che deriva dal fare un sensista  delio stesso Cartesio, pel quale il fatto della coscienza, invece che  un sensibile (donde, secondo il Gioberti, stesso non può derivarsi  mai l'essere) era una cosa stessa con l'essere, e quindi noD un  semplice principio psicologico '), ma una inscindibile unità del prin-  cipio psicologico e dell' ontol<^Ìco, che se fosse stata fecondata,  avrebbe già fatto procedere di molto la filosofia moderna. Infatti,  quando ai accinge a classificare tutte le scuole filosofiche figliate dal  sensismo cartesiano, comprendendo nella seconda categoria i se-  guaci del lochiamo, egli è costretto a porre &a i caratteri di questo  * il ripudio della ontologia cartesiana, come ripugnante ai principii e  al metodo del Descartes, e troppo simile all'antica, dichiarata dal  francese filosofo insuMciente e buttata fra le ciarpe ; e l'ommis-  sione e lo sfratto implicito e tacito di ogni ontologia , ').   E già da questa medesima classificazione de' sistemi resulta  cbiaro che il nemico preso di mira è precisamente quello stesso  del Rosmini: cioè il soggettivismo, il falso so^ettìvismo, che ri-  pete le sue origini da Cartesio, anzi {ed ecco l'intreccio significan-  tissimo della filosofia eterodossa con la falsa filosofia!) da Lutero.  Nelle cinque categorie, in cui dovrebbesi, secondo il Gioberti, par-  tire tutta la storia della filosofia moderna, così vengono distribuiti  i vai^ indirizzi: nella 1" Cartesio e la sua scuola: nella 2' Locke;  nella 3' Spinoza, i panteisti tedeschi e in parte Giorgio Berheley^;     ') Eppure il Gioberti stesao aveva combattuta questa teorica galluppiaaa,  nella n. 3* della Teorica (II, 319 e segg.) imputando al filosofo di Tropea  < di Bveie considerato come semplice e indivisibile ciù che è ancora composto,  Bocomunando per tal modo elsmenti svariatisaimi con una sola voce >.   *) < Il paicologiamo ed il BcnHÌaino sono identici : l' uno è il Henstsma ap-  plicato al metodo, l'altro è il psicologismo adattato ai principii »- — Introd.,  I. 30 (il, 83 e eegg.)- Gtt- p. 83 e segg. e 3^ e segg. Ha < Cartesio è sen-  sista nei principii e nel metodo * p. 83.   3) Op. cit., voi. Sf p. 85.     .dbyGoosle     252 a. Gentile   nella i* Kant e i sensisti francesi dal Condillac in poi *) ; ' infine  nell'ultima classe si debbono collocare gli scettici assoluti, che  giunsero al dubbio universale, mediante i principii del sensismo,  aiutati da una logica s^^ce ed inesorabile; ... il cui principe è  Davide Hume , *).   CapOTolgimenti, come si vede, ce n'è piti d' uno; e come va che  il Gioberti confonde il fenomenismo del Berkeley con l'idealismo  assoluto di Fichte, dì Schelling e di Hegel, e l'idealismo trascenden-  tale di Kant col sensismo di CondillacPEcco: secondo lui, " l'asso-  luto dei filosofi tedeschi non è l'idea schietta, ma bensì l'idea  mista di elementi sensitivi, e per dir meglio un concetto, un astratto,  un fantasma, frammescolato di elementi ideali , (p. 85); insomma  è un assoluto fantasticato dalla mente umana ; e cosi il Kant con-  verrebbe coi sensisti ' nel dare alla cognizione la proprietà del  senso, facendone una facoltà aubbiettiva, e quindi considerando il  vero, come relativo , (p, 86). — È chiaro che la causa della con-  fosione nel primo e nel secondo caso è la medesima; per Gioberti,  r a priori di Kant e de' suoi successori è falso perchè contraddit-  torio: è posto come a priori, perchè necessario ed universale; e  intanto lo si fa subbiettivo, e quindi particolare all'individuo che  conosce, e come esso contingente.   Questa falsa maniera d' intendere il nuovo soggettivismo, che  cominciava con la teoria della sintesi a priori dal negare definiti-  vamente quello scetticismo, cui fin allora il so^ettivismo era sempre  stato come equivalente, — è un'eredità che il G. raccoglie  dal Rosmini, e rivolge subito, come or ora vedremo, contro di lui.   E già si può dire, che l'avesse raccolta nella Teorica del so-  vrannaturale, quando, a proposito dell'eclettismo francese, aveva     ') E petcbè esclndecne ì materìaliati del aec. XVIII, le cui open, come  ricorda opportunamente il Imnge, precedettero i libri e le dottrine del Con-  dillao?   ') Op. dt, p. 86.      parlato dì un * razionalismo imperfetto , che consente col sensismo  ' nel so^ettivare interamente e parzialmente la conoscenza „ ^),  e meglio altrove, discorrendo dell' egoismo psicologicor cui avreb-  bero appartenuto Cartesio, Reid e Kant, e del quale * l'egoismo  ontologico metafisico di un celebre filosofo tedesco, che im  sima r ente stesso coll'esistenza individuale, sarebbe la nect  conseguenza , *).   I! Gioberti, invero, come il Rosmini, non conosce altn  gettìvismo che il falso antropometrismo individualistico  goreo, il soggettivismo, che il Rosmini combatteva in Em.  Pel soggettivismo, a parer del Oioberti, tot capita, tot senti  donde, secondo il principio di Lutero, tanti cristianesimi  cristàani, e ' tante filosofìe quanti sono i filosofanti, se et  Descartes, rinnovatore della verità subbiettiva, immaginata di  già e da Protagora , ^. Di guisa che è un errore, dice Ìl I^  paragonare la riforma cartesiana a quella socratica ; avendo 8  presentito la teorica delle idee assolute, che venne poscia es]  da Platone, e dovendosi quindi interpetrare il suo vvia^i •  quasi — contempla e studia te stesso nella idea divina.   In breve: la salvezza della scienza è nel platonismo, nella  razione dell'idea dal soggetto, nella oggettività della conos  E si deve anche far forza alla storia e in Socrate trovare PI  se in Socrate si vuol trovare un principio di sana filosofia,  menti del maestro di Platone non si fa che una ripetizione d  tagora, come sono Cartesio e Kant, — il famoso " sofista i  nisberga , !   Questa falsa interpetrazione della storia, in gran parte  fondamentalmente rosminiana, non pone del resto, il Oioberti  bene egli sei creda, fuori del criticismo kantiano, come non ne  escluso il Rosmini. Ed è davvero curioso a vedere il gran     ') NotaXH; n, 329.  *) Nota XVn i n. 338.  ») Introd., I, 3»; H, 76.      Q. Gentik   glìere invano che tutti i filosofi italiani della prima metà del secolo  fanno tra loro, accusandosi TicendeTolmente di kantismo e di  so^ettivismo, intanto che ognun d'essi, senza accoi^erseae, vi  rimane impigliato. Galluppì accusa Rosmini; Testa, Galluppi e  Rosmini; De Grazia, Galluppi e Rosmini egualmente; G. e  Mamiani, Rosmini; e questi, il Gioberti. — Così, il Rosmini era  persuaso che tutta la sua attività filosofica fosse una guerra con-  tinua contro il sensismo e il soggettivismo. Ebbene, vien fuori Ìl  Gioberti a proclamare che ancora il sensismo è la dottrina filo-  sofica predominante in Europa; dacché non tutti i razionalisti si  potesser dire immuni dal comun vizio, avendosi a distinguere uu  razionalismo ontologico e un razionalismo psicologico; ìl secondo  de' quali separa bensì, come non fa il sensismo, l' intelligenza dal  senso, ma a quella non dà altro fondamento che il soggetto, lo  stesso fondamento, in fine, del senso, senza perciò poter conferire  alla cognizione veruna certezza oggettiva. E in questo razionalismo  psicologico o psicologismo, che vogliasi dire, con Kant e Reid e  Stewart, va, secondo il Gioberti, annoverato anche il Rosmini, non  correndo alcun mezzo possibile Ira Io psicologismo e l'ontologi-  smo, che anche lui, il roveretano, rifiuta; sebbene né il filosofo  italiano né i due Scozzesi possano propriamente rientrare nel quadro  della quÌntnplÌG« classificazione del sensismo cartesiano, ossia della  moderna filosofia.  '"~ Oi certo il falso criterio onde il Rosmini aveva delineato una  storia della filosofia, passato al Gioberti, era agevole rivolgerlo  contro lo stesso Rosmini. Sennonché, quel che importa rilevare è  l'esigenza che l'uno e l'altro afiFermavano, ribellandosi a quel  cotale soggettivismo, in cerca di uno stabile e certo oggettivismo.  Il Rosmini, come s' è veduto, vuole introdurre nella cognizione  un elemento necessario ed universale, che sia veramente tale, e dì  cui ammette un intuito costitutivo dell'intelletto, un intuito che,  secondo una critica n^ionevole, devesì interpetrare come una sem-  plice aflfermazìone della universalità e necessità (trascendenza, e  quindi — pare — opposizione all'individuo contingente) AeWa^Hori     della cognìzioDe. E il G. prende la stessa posizione di contro  all'empirismo, pur senza ripetere una critica che era stata fatta,  ma accettandone benal il resultato.   ' Oggi si tiene per certo, egli scrive nell' Introduzione, che il  Toler derivare con Locke i concetti razionali dalla sensazione e  dalla riflessione, ovvero col Condillac e co' suoi seguaci, dalla sen-  sazione sola, è un assunto d'impossibile riuscimento; e che, sì come  il necessario non può nascere dal contingente, né l' oggetto' dal  soggetto (ecco l'unica concezione rosminiana d'oc/petto e soggetto:  oggetto = necessario: soggetto = contìngente), così i sensibili od este-  riori non possono partorire l'intelligibile , •). — Pel Gioberti la  questione stessa dell'origine dell' intelligibile, di cotesta idea, in-  volge una repugnanza; giacché, essendo essa oggetto immediato  ed eterno, come necessario ed universale della cognizione, non ha  nn principio né una genesi. Potevasi senza dubbio osservare al-  l' autore, che appunto la definizione stessa che egli dà della idea,  inchìnde il teorema, che gli avversarj volevan dimostrato.   Comunque ciò sìa, egli ammette bensì un' altra questione, che  è la vera questione della ideologia rosminiana ; la quale è volta a  indiare " se derivando la cognizione dell'Idea da una facoltà spe-  ciale, che dicesi mente o intelletto o ragione, ella è acquisita od in-  genita; cioè, se l'uomo può su^atere, eziandio pure un piccolissimo  spazio di tempo, come spirito pensante, ed esercitare la facoltà cogi-  tativa, senz'avere l'Idea presente; e quindi ne va in cerca e se la  procaccia; ovvero, se ella gli apparisce simultaneamente col primo  esercizio della mente, tantoché il menomo atto pensatìvo e l'Idea  siano inseparabili , *). E tal quistione, che brevemente si può espri-  mere, se l'Idea sia o no innata (nel senso kantiano di forma si-  multanea alla esperienza) ei la risolve affermativamente, come il  Rosmini, dichiarando che a suo avviso ( * per rispetto nostro , )  non si può assegnare altra origine all'Idea, che l'origine medesima  dell' esercizio intellettivo.     «)Iiib. I, oap. 3»j n, 6. *) le O. Gentile   Questa apparizione dell'Idea simultanea al primo esercizio della  mente corrisponde per l'appunto a quello che il Rosmini avrebbe  detto propriamente nozione) dell'idea dell'essere. Anche pel Gio-  berti cotesta nozione è la stessa intelligibilità, la evidenza stessa;  anche per lui " non arguisce nulla di subbiettivo, oè risulta dalla  struttura dello spirito umano, secondo i canoni della filosofia cri-  tica , *) ; anche per lui è " l' ometto della cognizione razionale in se  stesso, aggiuntovi però una relazione al nostro conoscimento , *).   L' intuito di cotesta idea è dal Gioberti stabilito con breve di-  samina del procedimento del conoscere, e benché egli non se ne  rimetta al Rosmini, è chiaro che psicologicamente la lacuna, che  egli stesso poi riconobbe in questa parte della sua teorica, devesi  alla grande efficacia esercitata sulla sua mente dallo studio di Ro-  smini ; talché, scrivendo quasi di getto, come fece, l' Introduzione,  non avrà pensato che ci volesse molta discussione a solidare     già muorevasi la mente   iegazione del conoscere.   nella esposizione, del   Ione fece il Massari nel     un'ipotesi, la quale, per l' indirizzo per cui ^  sua, era assolutamente necessaria alla spie  Si accorse di poi del mancamento ; e lo v  resto tanto piaciutali, che AeW Introdtizio  Progresso di I^apoli, quando già l' intrapresa polemica col Rosmini  cominciava a fargli guardare più attentamente ogni parte della  costruzione filosofica, cui aveva posto mano. B al Massari, ai 17  giugno del 42, scriveva: "Ho riletto quel poco che ho detto del-  l'intuito iLviW Introduzione e l'ho trovato ancor più scarso che non  credevo; tanto che la critica che vi ho fatta di non esservi steso  davvantaggio e con nu^giore precisione su questo punto manca  affatto di fondamento , *) ; e a' 20 lugho tornava a scrivergli : * Non     ') < Nozione io chiamo un'idea considerata sotto questa relazione, in quanto  doè ella mi serve, a rendermi note le cose >; Bosuini, Prindpj di acietua mo-  rale, in Optre, ed. Bstelli, TX, 2 n.   ») Inirod., I. 3"; II, 8.   ') Ibid., p. 5.   *) Cart, n, 375. Il MAasÀBi aveva fatto una analisi dell' Introduzione ( la  1* ohe ne faue fatta in Italia) in tie puntate del Frogreeso del i841.    Bosmmi e Gioberti 257   è come vi ho detto che uDa iBcuoa, proreniente dal mio testo del-  l' Introduzione; ODde può parere che l'intuito sia una facoltà mi-  steriosa conforme all'inspirazione dei mistici; laddove no  la cognizioae umana e ordinaria, spogliata però del repli  riflessivo. L'ho definito, credo, nel libro degli i/rrori , '). -  questa definizione dell'intuito corrisponde evidentemente i  trina già esposta del Rosmini, che l'intuito dell'idea si rit  un lavorio riflessivo sulla cognizione ordinaria, mediante  cesso d' astrazione.   Nel Gioberti non s' incontra una teoria compiuta del f  noscitivo, come si trova nel Bosmini. Ma qualche accennc  qua e là, basta a dimostrarci che, sebbene l'autore sia de  che la psicologia, per dirla con la parola sua, non debb  fondamento né propedeutica alla ontologìa, della quale egli  trattare specialmente, tuttavia l' ideologia rosminiana giace  alla sua dottrina. Egli ammette un' ' attività intima e s<  sima, che rampolla dall'unità sostanziale deWanimo, e con  primo raggia intorno a sé le molteplici potenze, donde na  varie modificazioni di esso animo , *); ripetizione, anzi de  d'un punto del rosminianismo, da noi già messo in rilii   L'intelletto, la facoltà dell'intuito secondo il Rosmini,  presso il Gioberti una " energia contemplativa „ che  venir meno, ossia non può cessar d' intuire il suo termine, se  durre,in grazia di quell'unità sostanziale dello spirito, la ce  simultanea dell'esercizio deliamente^); come nel Rosmii     •) Cart, n, 381 e aegg.   ^Infrod., I, 2° (1, 135). Animo dice il Gioberti; per castigatezz  tuna di lingua, lovece di anima, spirito.   ') < Tutte le potenze dell' aaimo amano esseDdo collegate inBieme  dosi a vicenda, è inverosimile il aupporre che l'energia contemplat  eoir meno, «enza che le altre facoltà a proporzione se ne riaentan  cap. 5° (1, 138). Altrove dice che t l'intelletto è ti mezzo, con cui I  prende la manifestazione naturale del verbo ; 1, 2° (1, 196). Ma egli no  a questo propoailo, una terminologia costante. G. Gentile   dell'intelletto vedemmo esser necessario non solo alla costituzione  dell'intelletto, ma anche, per l'unità del soggetto, a tutta la fun-  zione del conoscere.   Né pel Gioberti l' intuito ha un valore diverso da quello indi-  cato nella teoria del filosofo roveretano; come sarà agevole accor-  gersene esaminando con la brevità necessaria la teoria giobertìana  della riflessione.   L'iatuito rosminiano vedemmo essere non vera e propria cogni-  rjone, ma condizione di ogni conoscenza, e però un vero a priori  kantiano, una pura forma dell' intelletto, che come tale distruggeva  l'antica concezione di oggetto opposto e separato dal soggetto,  — avendo dimostrato che il nuovo oggetto non esisteva per sé, fuor  della sintesi, essenzialmente soggettiva, co' dati offerti dal senso ed  elaborati nel soggetto. E il Gioberti scrive: 'Egli è vero che l'in-  tuito diretto della mente non basta a fare la scienza, ma ci vuol  di pili quella ridessione che ho denominata ontologica dall'obbietto  in cui ella si adopera. La quale arreca nel suo oggetto quella di-  stinzione, chiarezza e delineazione mentale, che senza alterarne  r intima natura, lo fanno scendere, per così dire, dalla sua altezza  inaccessibile, e accomodarsi all'umana apprensiva... Se l'intuito  fosse solo, l'uomo assorbito dall'idea non potrebbe conoscerla,  perchè ogni conoscenza importa la compenetrazione del proprio  intuito, e la coscienza di noi medesimi , ; vale a dire la coscienza  dell'intuito e la coscienza del soggetto, che in fondo sono una me-  desima coscienza; dacché, anche pel Gioberti, l'intuito è costitutivo  del soggetto, e non v'ha soggetto senza l'intuizione immanente  dell'Idea. Sicché l' intuito giobertiano neanch'esso fornisce una ef-  fettiva conoscenza, ne è bensì anch'esso la pura condizione, la pura  forma a priori, la quale ha bisogno, come qui dice l' autore, della  riflessione *).   Orbene, che è questa riflessione, e qual'è l'ufficio suo? Essa     *) «La riflesBione pertanto dee accompagnue l'intuito primitivo >; I, 30,  (H 107).         'l,      è come un intuito secODdario, cioè un replicamento cosciente del-  l'atto coatemplativo della Idea; ma, appuoto perchè cosciente, non  è più puro intuito, non è più condizione, ma atto di coscienza: essa è  già coscienza. — La riflessione importa quindi una determinazione  soggettiva e però una modificazione pur soggettiva; poiché l'intuito  è vago e indeterminato, mentre ogni atto di conoscenza è essen-  zialmente determinazione ed unità; elementi che all'intuito non  possono essere aggiunti dall'oggetto suo, che non ha in sé né de-  terminazione, . né principio veruno di determinazione. ' Nel primo  intuito la cognizione è vaga, indeterminata, confusa, si disperge,  si sparpaglia in varie parti, senza che lo spirito possa fermarla,  appropriarsela veramente, e averne distinta coscienza... L'intuito  secondario, cioè la rimessione, chiarifica l'Idea, determinandola; e  la determina, unificandola, cioè comunicandole quella unità finita,  che è propria, non già di essa Idea, ma dello spirito creato , *).   La riflessione, adunque, si deve considerare come una funzione  determinatrìce dell'intuito, o vogliam dire dell'» priori; funzione  fondata sull' unità del soggetto, di quell'attività intima e sempli-  cissima, che dianzi rilevammo. — Ma in che modo avviene la de-  terminazione? " Ciò succede, mediante l'uniOne mirabile dell'Idea  colla parola. La parola ferma e circoscrive l'Idea , ^); unione mira-  bile e ' misteriosa ,, donde s'inizia la conoscenza, come lo era quella  percezione intellettiva, per la quale Rosmini faceva sviluppare l'atto  del conoscere; ma unione necessaria, unione, come s'è visto, senza  la quale non v'ha umana conoscenza^).   E alla percezione intellettiva l'atto prodotto per la riflessione  si riconnette anche per la natura della parola, che si sostituisce  in esso alla sensazione rosminiana. Il Gioberti infatti, definendo la     ») Introd., I, 3°, (II, 11).   «) Op. cit, l. e.   3) iLa parola, easendo il priocipio determinativo dell'Idea à altreai  una condizione neoeBjacia della esistenza e della certezza rlfleasiva» I, 3°;   n, 12.        2d0 0. Gentile   parola, come ogni segno, per un sensibile, osserva: * Se adunque  ella BÌ richiede per ripensare l'Idea, ne segue che il sensibile è neces-  sario per poter riflettere e conoscere distintamente l'intelligibile •).  II cbe consuona con la doppia natura dell'uomo composto di corpo  e d'animo, e annulla quel falso spiritualismo, che vorrebbe con-  siderar gli organi e i sensi, come un accessorio e un accidente  della nostra natura „ . Sulle quali parole è bene cbe meditino quanti  sono che l'intuito giobertiano sogliono appaiare con quello del  Malebranche. Anche il Gioberti, come il Rosmini fa ricorso al sen-  sibile e Io ritiene necessario alla formazione dell'Idea; e il senso  anche lui fa costitutivo dell' oi^anismo unico dello spirito.   Sennonché, sulla natura di questo nuovo sensibile proposto dal  Gioberti solvono varie difficoltà, sulle quali non è pcasibile sor-  volare, volendo fornire una idea non troppo manchevole della sua  teorica della cognizione.   Vedemmo altrove (part. I, cap. 3") come già fin nelle Miscel-  lanee, che sono sì prezioso documento della formazione della mente  del Gioberti, si accettasse e si lodasse la teoria bonaldiana del lin-  ' S^^SS^°- ^^^ 1"' nsll^ Introduzione è detto: ' Parecchi scrittori mo-  derni assai noti, fra' quali il Bonald merita un luogo particolare,  hanno avvertita la necessità del linguaggio per l'esercizio del pen-  siero , *}. Ed è senza dubbio dal Bonald eh' egli ha mutuato la sua  dottrina, che ha, pel modo come sorse, una grave ragione storica.   È noto che l' empirismo inglese e il sensismo francese sì pro-  ponevano di spiegare il linguaggio umano, come una invenzione  dell'uomo, Tommaso Reid per primo, (poiché le profonde intui-  zioni del Vico passarono inosservate), nelle sue Ricerche stdl' in-  tendimento (1763), dimostrò che il linguaggio nel suo più ampio     ') Cfr. Teor. Sovr-, II, 35 < Senaa la contezia di qualche aenaibile, le idee  non aorebbeia acceBsibili alla mente nostra*. Teoria che bÌ conferma e ai de-  fiaiace meglio nella Protoloffia, per la qaale cfr. i Inoghi dUti dallo Spàtbhti.,  nella FUoa. di Oiob., p. 53 n.   *j Introd., nota S' del voi. II, p. 213.     Digitizcdby Google     Bosmini e Qioberti 261   significato è naturale prima che artificiale. Definiva egli Ìl lin-  guaggio, — definizione, ai badi, espressamente citata e accolta dal  nostro G., ') — ' tutti i segni onde gli uomini fanno uso per  comunicarsi reciprocamente i loro pensieri, le loro conoscenze, le  loro intenzioni, i loro disegni e i loro desiderj , *}. Pel Reid v' ba  due specie di lingu^gio : un linguaggio naturale, formato da quei  vocaboli, che non hanno un significato convenzionale, ma ne hanno  uno che tutti intendono naturalmente e per istinto; e un linguaggio  artificiale, costituito dei vocaboli non aventi altra significazione se  non quella attribuita loro convenzionalmente dagli uomini. Che vi  sia un lii^uaggio naturale è innegabile: e l'attestala sopravvi-  venza stessa di esso al linguaggio artificiale: le modulazioni della  voce, ì gesti, i tratti del viso o la fisonomia, — mezzi tutti onde  l'uomo esprime naturalmente i pensieri, — sono per l'appunto le tre  classi alle quali riduce il Reid tutti gli elementi di cotesto lin-  guaggio.   Ora è ovvio dedurre, siccome fa appunto il filosofo scozzese,  che il linguaggio artificiale presuppone ÌI naturale, senza di cui  gli uomini non avrebbero potuto intendersi per convenire nei signi-  ficati di quei vocaboli onde resulta Ìl loro linguaggio artificiale.  Di modo che se, come vuole l'empirismo, il linguaggio fosse dovuto  solver per un'invenzione umana, come la scrittura o la stampa,  tutte le nazioni, dice il Beid, sarebbero ancora mute, come i bruti.   Né meno stringente è la critica dal Bonald opposta alla teo-  rica del Gondillac ') nelle sue Eicerche filosofiche. Secondo il Bonald  il linguaggio ci è dato primitivamente con la prima conoscenza;  a causa della necessaria simultaneità della idea con la sua espras-   *) < Le parole sono i segni principkli, ma non i soli Bagni, come sa oiaaouuo;  tntti i sentimeati sodo veri segni deUe cose, secondo la bella e profonda dottrina  di Tommaso Eeid >; Introd., nota l' al voi. II, p. 211.   *) Rech. sur V entendemenf humain, trad. Jouffro;, oliap. IV, sect. 2 in  OtMvres (Paria 1828), H, 88.   ') Combatte la teoria com'era stata formulata da) CoDdiUac; ma tiene por  conto delld OBservazioni di Hobbe» di Locke e di tutti i Bensisti.     Digitizcdby Google     aione (espressione, si noti, anche semplicemente * mentale « ) S  contro i sostenitori dell'opposta sentenza, osserva che essi comin-  ciano dal supporre, contro ogni autorità ed ogni ragione, l'uomo  in uno stato primitivo bruto e insociale, e a tal grado di barbarie,  da essere perfino privato della facoltà di conoscere e comunicare  i proprj pensieri, per attribuirgli nello stesso stato i pensieri, i sen-  timenti, le affezioni, le intenzioni, i bisogni, Io spirito d' invenzione  e d'industria dell'uomo sociale e civilizzato , ').   Lo critica del Bonald è in fondo identica a quella del Reid.  Si presuppone nell'uomo sfornito tuttavia del linguaggio, cbe gli  tocca inventare, qualità o attitudini necessarie all'invenzione; le  quali non possono non equivalere al possesso del linguaggio che  vien negato, comecché in una forma primordiale e naturalmente  rozza. E questa ingenua teoria del vecchio empirismo che fon-  dava la società io un contratto, la religione su un arbitrio dì  legislatori, e Ìl linguaggio in una invenzione convenzionale, è stata  anche in quest' ultimo campo, sconfitta dalla moderna scienza della  linguistica comparata; la quale se tra Max MuUer e il Witney  discorda intorno alia necessità delle relazioni che intercedono fra  il pensiero e la parola, ha però definitivamente e concordemente  stabilito che il linguaggio è un fatto speciale, primitivo e naturale  dell'uomo, non essendovi alcuna società, per quanto barbara e  selvaggia, che non ne sia fornita; del pari che la sociologia e la  scienza delle religioni comparate hanno provato l' originarietà, cioè  l'apriorismo, del fatto sociale e del religioso.   Ed è appunto merito della scuola teologica francese, come  osserva giustamente il Janet ^), di aver dimostrato contro i filo-  sofi francesi del sec. XVTII la vanità delle teorie intorno all'o-  rigine fattizia e riflessa di tutti i fatti i più importanti dell'uomo  sociale. Al Bonald poi spetta particolarmente la lode per quel che è  del linguaf^io; e a lui specialmente volgeremo l'attenzione, giacché     ') lUeherches phiioaophiquea, ohap. Il, in Oeuvres ( Paria 1858 ) p. 107.  *) La ph&os. de LamtnnaU. Bosmini e Oioberii 263   egli connette questa teorìa con quella della rivelazione neceasaria  per l'umana conoscenza, siccome fece tra noi il Oiobeiii.   II Bonald, con l' Histoire comparée del Degerando alla mano,  rileva che la filosofia non è riuscita peranco a fissare un punto  fermo, un criterio sicuro di certezza e di verità, anzi per tutti i  sistemi è finita nello scetticismo e nel soggettivismo; e si chiede  quindi se non fosse possibile " trovare nei fatti sociali un fonda-  mento alle dottrine filosofiche piìl solido di quello che s' è cercato  fin qui nelle opinioni personali , ') ; e questo fondamento gli pare  appunto di trovarlo nel linguaggio, che, dimostrato non potersi in-  ventare dagli uomini, deve (non essendovi, secondo lui, altra via)  essere stato comunicato da Dio alla società umana, e in questa  appresa via via dagli individui.   Si direbbe che il criterio del Bonald riesce sottosopra a quello  altrove rilevato dal Lamennais; che questa parola, che possiamo  accettare come saldo fondamento di certezza, data da Dio all'umano  consorzio, è precisamente la rivelazione. Ma quel che v'ha di ori-  ginale nel Bonald, e prova che il Gioberti ne dipende io modo spe-  ciale, è la teoria della parola coma atto o strumento necessario  del pensiero; vale a dire che, dato che il linguaggio, tutto il  linguaggio aia rivelazione divina, il pensiero dì cui il Bonald  dice che la parola è il corpo, è esso stesso tutto una rivelazione,  cioè ha tutto per se stesso un fondamento di certezza obbiettiva o  sovrumana, nel senso di universale. La quale è appunto la teoria  del Gioberti, che ammette bensì una conservazione, ma anche una  alterazione della forraola ( = contenuto della rivelazione, coni' è  contenuto dell' intuito) ; e fa che il pensiero che rimane, anche al-  teratasi la rivelazione, possa tuttavia cogliere il vero. Di guisa  che la rivelazione (l'elemento sensibile della conoscenza) non è ac-  cidentale ed esterno al pensiero, ma necesaario e quindi costitutivo  di esso ; sicché, essendo il pensiero un fatto, cotesto elemento sen-  sibile, ne dipende e gli è strettamente connesso.   *) BecA. O. Gentile   Questa rivelazione, adunque, ha ud valore tutto speciale, in  quanto è qualcosa d' intrìnseco al pensiero stesso, tale perciò che  il ricorrervi non sia per quello un esautorarsi o uà apprendere  dal di fuori, ma bensì uno sviluppare se stesso; laddove, presso il  Ijameanais del Saggio suW Indifferenza, il pensiero infermo per se  medesimo e incapace d' attingere il vero, si dee abbandonare, quasi  per chiederle conforto, alla rivelazione esteriore. Pel Gioberti la  rivelazione va cercata nella vita stessa del pensiero, equivalendo  alla parola, che è tale a sua volta, che senza di essa, come aveva  osservato il Bonald, il pensiero non esisterebbe. Chi rigetta la  rivelazione, viene a rigettare secondo il Gioberti, la parola, ossia  lo strumento necessario alla cognizione riflessiva dell'Idea; epperò  non può attinger questa, senza la quale — lo vedemmo già eoi  Kosmini — il pensiero cessa di essere '). La necessità dì questo  è pertanto la stessa necessità della rivelazione, considerata unica-  mente per rispetto a quell' ufììcio che dee compiere nel fatto della  conoscenza.   Sennonché, cosi considerata, a che si riduce la rivelazione? Essa  ci deve offrire la parola, ossia i segni delle cose, Ìl dato sensibile  che circoscrive l'idea dell'essere e le dà attuale esistenza di cono-  scere; e, come dice l'autore, ' una successione di sensibili, per cui  essa Idea rivela se medesima all' intuito riflessivo dello spirito  umano, e compie l'intuito diretto, che li porge da sé *).   Non è del nostro tema trattare ampiamente di questo punto  della filosofia del Gioberti, che richiederebbe una troppo lunga di-  samina. E bisognerebbe sovrattutto discuterla, — come in parte  ha fatto, da quel gran maestro che era, lo Spaventa — nelle opere  postume, una delle quali è appunto dedicata alla filosofia della     ') B il QiOBBBTi dice: «Il ripudio assoluto della tradizione religiosa e  Bcientifica si trae dietro neceasariacoente quello della parola. Ora, siccome l'aiuto  della parola è neceaaarìo per conoscere riflessivamente l'Idea, chi lo rifiuta  dee eziandio dismetteie e gittar da sé ogni cognizione ideale. Ha tolta l' Idea,  che rimane? Nulla ».-- /«(roA, I. 3»; II, 51.   ») Op. «(., I, 3"; n, 107.     .dbyGoosle     Sosmini e Gioberti 265   rivelazione. Ma esse furono tutte scritte dopo la polemica col Elo-  amÌDÌ, e sarebbe perciò inopportuno il prenderle come un punto di  partenza, volendo discorrer di quella.   Gì basta notare, che nella stessa Introduzione la teoria della  parola va messa in relazione con le dottrine del Reid e del Bonald,  dalle quali deriva, e co' principj rosminiani già adottati nella Teo-  rica del soEiannaturale ; che deve intendersi {secondo la distinzione  di parola naturale e artificiale, ripetuta dallo stesso Gioberti) '),  come parola naturale, cioè come segno della cosa, o sua rappre-  senlanions, il che corrisponde appuntino alla teoria rosminiana della  sensazione, per la quale si determina e circoscrive l'ente indeter-  minato. Infatti, secondo il Gioberti, la parola artificiale non può  esprimere se non le idee già espresse, e presuppone quindi la pa-  rola naturale, la rappresentazione *).   Ora, se anche pel Gioberti ogni concetto si forma per una de-  terminazione che si fa per la parola dell' essere indeterminato del-  l'intuito, ciò avviene, come s'è visto, per opera della riflessione;  la quale richiamerebbe perciò, secondo s'è pur notato, la percezione  intellettiva del Rosmini. — Ma il Gioberti, come ha mutato la parola,  ha mutato anche, o crede d'aver mutato, il concetto. Alla sua fìlo-   'J 4 La potenza dell'intuito per attuarsi ha d'uopo della parola, cioè del  sensibile! La parola è di due specie: naturale e artificiale. Questo è il lin-  guaggio elle non può eaprimere che le idee già espresse. Il linguaggio del-  l'arte è sempre una traduzione del linguaggio della natura; è verso di esso db  che la scrittura verso In parola artificiale >. Kioi d. Rivela):., Toriao, Botta,  i8o6, p. 89.   ') Meglio potremmo solidare questa interpetrazione discutendo le difficoltà  che fa insorgere la teoria della parola cori com' è esposta uell' Introduzùtne, o  prima facie par che quivi debba intendersi, esaminando la critica fattane dal  Tbsta nelle sue Considerazioni aopra l' InlrodtiziorK aUo st. ddla JHo*. di  V. Q., Piacenza, Del Majno, 1845, part. n, p. 32 e segg. Ma non ist htc locus.  Con la critica del Testa consuona in alcuni punti quella di V. Db Gbaziì,  ne' suoi Discorsi au la logica di Hegel e su la Filos. speculativa { Napoli,  Tip. de' Gemelli, 1350) 2' rass.; e mutuata dal Testa pare l'obbiezione che il  critico calabrese muove all'ipotesi dell'intuito (iTÌ,p. 100) nel Giobertiaee O. Gentile   sofìa, che per la spi^azìone della conosceoza ha bisogno del fatto  della rivelazione egli coutrappone la filosofla eterodossa, la quale,  rifìutaodo lo strumento della rivelazione, non può ammettere una  riflessione che rifaccia T intuito e conduca perciò al possesso del-  l'Idea; e deve quindi rinunciare alla Idea, appigliandosi alla per-  cezione del sensibile, il quale può essere l'oggetto del senso esterno,  come dell'interno, ossìa materiale ed estrinseco, o spirituale ed  intrinsepo. Donde, doppia eterodossia, sensismo da una parte e psi-  cologismo dall'altra; e in ambo i casi ' la sostituzione del sensi-  bile all'intelligibile, come principio, onde muove la filosofia , ');  ossia un metodo il quale, come vedemmo, conduce direttamente  al soggettivismo, allo scetticismo, al nullismo, dacché è vano lo  sforzo dei sensisti e de' psicologisti, di trarre dal sensibile l'in-  telligibile.   La filosolia eterodossa, dunque, ammette bensì anch' essa la  riflessione; ma la sua rifiessione si differenzia essenzialmente dalla  riflessione della filosofìa ortodossa, in quanto, non servendosi di  quel mezzo che solo mette in grado di tornare, dopo il primo in-  tuito, fìno al termine di questo, si deve necessariamente fermare  al fatto della mente (per parlare dello psicologismo che c'inte-  ressa) e rimaner quindi semplice riflessione psicologica, in luogo  di pervenire all'Ente intuito immediatamente e farsi, come dovrebbe,  ontologica.   ' Lo strumento, onde lo spirito umano si vale in psicologia,  è la riflessione psicologica, per cui il pensiero si ripiega sovra se  stessO; e afferma, non già la propria sostanza, ma le proprie ope-  razioni solamente. All'incontro nell'ontologia lo strumento è la  contemplazione, la quale si divide in due parti, cioè in uu intuito  primitivo, diretto, immediato, e in un intuito riflesso, che chiamar  si può riflessione contemplativa e ontologica , >). Cosicché la ri-  flessione psicologica è una operazione semplice ; l' ontologica una     ') Introd., I, 3"; II, Bi e segg.  *) Introd., I, 3»; II, 104 e aegg.       Boamini e Gioberti 267   operaziooe duplice; quella si esercita sopra il prodotto soggettivo  di una precedente operazione (l'intuito)-; questa sopra l'oggetto  stesso della operazione precedente, che rifa maturandola.   Si potrebbe dire perciò, che la riflessione ontologica sia la stessa  riflessione psicologica aggiuntavi la ripetizione dell'intuito. Infatti  * nell'ontologia lo spirito, ripensando, si rifa sull'oggetto imme-  diato dell'intuito stesso.. . Ma, egli è vero che nella riflessione  contemplativa •}, la mente rivolgendosi all'oggetto ideale, si ripiega  pure di necessità sull' intuito proprio, che lo apprende direttamente ;  onde il tenor psicologico del rìpensare accompagna sempre l'altro  modo di riflettere; tuttavia queste due operazioni, benché simul-  tanee, sono distinte, perchè hanno il loro termine in uu oggetto di-  verso , *).   Una critica non molto difficile qui può sorgere conti'o questa  dottrina della riflessione ontologica. Se l'intuito lascia uno stato  speciale nella mente, un fatto, tal che sia possibile coglierlo con  la riflessione psicologica, due casi si posson dare: o in esso v'ha  uno specchio fedele dell'oggetto proprio dell'intuito, e allora la  riflessione psicologica è fondamento di una conoscenza oggettiva  per eccellenza, e non soggettiva, come pretende il Gioberti; o non  si riflette affatto (ovvero, che è lo stesso, non si riflette fedelmente)  il termine dell' intuito, e in tal caso questo primo intuito è per-  fettamente inutile.   Il dilemma ci pare senza uscita. La riflessione ontologica del  Gioberti sarebbe davvero un secondo intuito, se potesse traspor-  tare la determinazione sopravvenuta con la parola (dato sensìbile)  dall'interno del soggetto, dove interviene, nello stesso oggetto; il  che è impossibile, perchè secondo la sua teoria la parola è un sen-  sibile.   E perchè dovrebbe potervela trasportare, cotesta determina-     *) Cobi è par detta dal Oìobei-ti la riflesBione ontologica; mentre la psico-  logica è pur detta osservaHva (p. 105).  «) latroduz.. l, 3", II, 104.     G. Qmiile   zionep Perchè, avvenendo la determinazione nella riflessione, es-  sendo questa ontologica, il sensibile, principio della determinazione,  dovrebbe ripensarsi coli' intelligibile, e come questo (poiché si tratta  di un secondo intuito), fuori del soggetto; il che, ripetiamo, è im-  possibile.   Di certo la riflessione ontologica è l' espressione, benché non  esatta, d'una giusta esigenza del pensiero, come or ora vedremo;  ma contrapposta, com'è dal Gioberti, a una riflessione psicologica,  fallisce al suo scopo, non potendo sfuggire alle conseguenze dello  accennato dilemma. Sennonché, il Gioberti ci dice: ' La rifles-  sione psicologica non ha per termine diretto il pensiero, come pen-  siero, ma il pensiero come sensibile intemo, cioè come atto dello  spirito, e quindi non riguarda direttamente l'Intelligibile, che si  congiunge col pensiero e lo illustra. Egli è vero che la riflessione  del psicologo si connette per indiretto coli' Intelligibile ; ma cì6  non prova nulla in favore dei psicologisti; imperocché non ne  partecipa, se non mediante quell'intuito mentale, che, al parer  mio, è il vero e necessario strumento dell' ontologo , •}•   L'equivoco qui è evidente: la riflessione psicologica non coglie  il pensiero come pensiero, cioè in quanto intuisce l'Idea^, ma  lo coglie, secondo Gioberti, come un sensibile intemo ; dunque la  riflessione ontologica non fa altro che cogliere il pensiero come  pensiero.   Ora, se la riflessione psicologica presuppone anch'essa un intuito,  e (poiché, parlando contro il psicologismo, il Gioberti si riferisce  specialmente al Rosmini) un intuito, che, come vedemmo nella  esposizione della teorica rosminiana, è costitutivo del pensiero, é   ») Introi., I, 3» i U, 109.   ') Nella FUoB. iella Uivdaz., il Qioberti scrive : < Una meate aeiiEa idee,  e in igtato di tavola rasa perfetta è una contraddizione. La facoltà con cui  la meate creata afferra questa rivelaiione [la riveUsioae imuaQente, virtuale,  che diventerà attuala pei opera della riflessione; v. ivi, p. 87] che fa, la sua  assensa, è l'intuito»; p. 88 Né pia uè raeao di ci6 che dell'intuito aveva  detto il Rosmini. Rosmini e QvAerii 369   la sua propria essenza, — come può fare a ritornare sovra un  pensiero ehe non siasi già appropriato l'Intelligibile, e Io abbia  ancora fiiori di sé, e sia ancora in atto d'intuirlo? Insomma sì  può concepire un intuito immediato dell'Intelligibile come essenza  del pensiero, che pur lasci il pensiero sempre al puro stato di tcAida  rasa, sempre in atto di guardare l'Intelligibile, senza mai vederìo?  Il pensiero pel Rosmini intanto è pensiero, in quanto ha un  intelletto costituito dall'intuito dell'intelligibile; non può quindi  riflettersi su se stesso, senza trovare in sé non già Ìl semplice atto  astratto dell'intuito, ma sì l'atto concreto, ossia l'atto terminante  nell'Intelligibile: la forma, in una parola, dell'intelletto. E l'equi-  voco propriamente consiste in ciò : nel concepire l' intuito imme-  diato come una pura dualità; dove, al pari della visione corporea,  da cui immaginosamente è desunta, non può essere se non un'unità  sintetica, di soggetto ed oggetto. L' intuito ond' è fornito l' intel-  letto è una nozione, in cui Ìl soggetto e l'oggetto, come nel pro-  dotto della sensazione, sono affatto indistinti. Ora se la nozione  è qualcosa di perfettamente uno, ripiegandosi sovra di essa, lo spi-  rito non può non coglierne il contenuto, che è per l'appunto l'Intel-  ligibile. — SI' equivoco si fa manifesto quando l' autore soggiunge  che questo scambiamento di metodi (psicologico ed ontologico) gli  ' riesce un trovato cosi bello, come l'assunto di chi adoperasse le  dita e le orecchie, per apprender la luce e distinguere ì colori in  essa racchiusi „ (p. 105). Qui sì immaginano la luce e ì colori  come oggetti o segni esterni e indipendenti dell'organismo sensi-  tivo, in che si rappresentano; per modo che a noi, sapendoli lì ad  aspettare di esser da noi sentiti, sia dato scegliere lo strumento  più acconcio alla bisogna. Laddove fìa dal 1834, quando fu pub-  blicato il celebre Manuale di fisiologia di Giovanni Mailer, si sa  da tutti che non v'ha nulla di più falso. Quello che not sentiamo  e diciamo luce e colori, non è se non per la nostra sensazione e nella  nostra sensazione. Ma il Oioberti ignorava questo concetto della  soggettività della sensazione, comecché avesse già appreso dagli  scozzesi quella teoria della percezione esteriore, per la quale ve-     0. Oentile   nivano per sempre seppellite le vecchie idee imniagiiii, che solo  la leggerezza filosofica di Ippolito Taine doveva più tardi esumare  nella sua haldanzosa quanto vana guerriglia contro la filosofia  classica francese in genere, e per questo punto contro il Royer-  Collard >).   Or, come è uno shaglio credere che il colore che diciamo di  vedere con l'occhio, sia fuori dell'occhio, talché se si avesse modo  di riflettere sulla visione, si rifletterebbe sul semplice atto del ve-  derlo, ma non propriamente sul colore; così soltanto un equivoco  può far pensare che nella nozione rosminiana fornita dall' intuito  dell'Intelligibile, non siavi altroché l'atto dell'intuire; di guisa  che la riflessione sovra di essa pervenga soltanto indirettamente  all'oggetto, sul quale cotesto atto si esercita. L'oggetto qui è  una cosa stessa con l' atto, siccome vedemmo altrove discorrendo  dell'intuito; oggetto ed atto sono una cosa sola nell'intuito in-  tellettivo, che è atto insieme e forma dì esso, secondo la teoria  del Rosmini.   E questa è la vera ragione che il Tarditi avrebbe dovuto op-  porre al Gioberti, per dimostrargli infondata, come tentò di fare  nella prima e nella seconda delle sue famose lettere, la distinzione  fra le due riflessioni psicologica ed ontologica *). Le quali si po-   ') Convengo pienamente nella controcritica oppostagli dal Janet nel primo  de' suoi scrìtti en La crke phUoaopMques, Paris, 1865, p. 26 e segg. Li teoria  scczzcBe toRlienda l'inutile intermediario dell'immagine tra l'oggetto sensibile  e il soggetto sensitivo, fece di certo un primo passo verso quell'unità del  tatto della sensazione, che non poteva d'altronde concepirai senza i nuovi prin-  cipj del kantismo, di cui giustamente la psicologia genetica tedesca si con-  sidera come un fedele compimento. — Vedi in proposito gli scritti del  TabÌktino in Giom Napdet. di FUob. e Lett. del 1880 e 81 e del Cm*p-  PELLi, ivi. QnelH del primo bqu pure raccolti nei Saggi fUoeofici, Napoli,  Morano, 1885, pp. 37-128. — Dopo la pubblicazione di quwto votame  il Chiappelli tornò sull'argomento nella Filosofiti delle Scude Italiane, voi.  XXSI (1885), in un art. sulle Attinenze fra il criticiamo kantiano e la pri-  coloffia inglese e tedesca.   ') « Siccome, osservava il Tarditi, noi non possiamo riflettere su ne»aa   Rosmini e Gioberti 271   trebberò ira loro distinguere solamente pel dÌTerso oggetto (e a  questo soltanto s'è appellato come a ragion distintiva in un passo  deìV Introduzione già citato il Gioberti); talché se l'una noa ha,  né può avere un oggetto diverao dall' altra, è chiaro che la distin-  zione non possa più farsi.   n Gioberti, veramente, negava più tardi che la distinzione si  desuma soltanto dall' oggetto ; e voleva che si fondi anche sul  metodo {Errori, I, 151 e segg.); e dava sulla voce al Tarditi, che  ciò non aveva saputo vedere •). Ma come sosteneva la sua sen-  tenza ?   ' La diversità dei metodi in ogni ordine di ricerche consiste . . .  in quella del veicolo, che si dee scegliere per conseguire l'oggetto  ricercato; e la natura del veicolo è determinata da quella dell'og-  getto medesimo, considerata non in sé semplicemente, ma nelle  sue attinenze con le facoltà e le condizioni del cercatore , *). E  più in là: ' Il punto, a cui si vuol giungere, determina l'indirizzo  che si dee tenere; l'intervallo che s'ha da correre, insegna le ope-  razioni da farsi, per superare gli ostacoli e toccare la mèta , ').   Ora^ senza dire dei caratteri differenziali che il Gioberti poi  indica nei due processi che vuol distinti, basta notare che la sua  deduzione avrebbe un valore soltanto nel caso eh' ei avesse dimo-  strato essere realmente distinti i due pretesi oggetti di riflessione,  poiché, a confessione dello stesso Gioberti, la natura del metodo     oggetto se Doa quanto da noi o intuito se ideale, o percepito se reftle; pad  la riflesBÌoDe passare egualmente dall' oggetto atl' intuito, e dn questo a quello;  anzi ta rìfleasioue sull'intuito non puA essero completa, imparziale, quale s'ad-  dice al filosofa, se non coasidera l'intuito, e nel soggetto di cui è atto, e nel-  V oggetto in cui termina, e dal quale Sformalo*; Leti, d'un Sosminiano,  Z\ p. 38 ; e si riferisce alla teorìa della rytesiione filosofica del Rosmini ; cfr.  p. S e segg. Or se si distìngue e separa, come fa il Tarditi, atta da oggetto,  il Gioberti ha cagione. H vero è ohe essi non sono afiatto distinti.   ') Leti, eit, I, 19-20.   •) Errori. I, 153.   3) Op. eit., I, .158.    G. Omtile   è determinata dalla natura dell' oggetto. Contro il Tarditi che  ammetteva un atto di intuire distinto attualmente da un oggetto  intuito, egli aveva ragione; perchè se vi sono due termini di di-  versa natura, noi non possiamo giungere a ciascuno di essi con  un medesimo processo. Ma conviene prima provare quella distin-  zione di atto e di oggetto nell'intuito; la quale è, pift che altro,  presupposta dal nostro autore.   E peccando il suo ragionamento di una siffatta petizion di  principio, né potendosi altrimenti che per astrazione distinguere  r atto dall' oggetto, il Gioberti non può dire nemmeno che la re-  plicazione dell'intuito, cioè la riflessione, si differenzi! per l'oggetto  e pel metodo; poiché il metodo potrebbe esser diverso solo allof  che fosse differente l' ometto. E se il metodo trae i suoi caratteri  specifici dall'oggetto, e se l'oggetto è uno e inscindibile, come  si può distinguere una riflessione psicologica e una riflessione onto-  logica?   Il pensiero non si può riflettere se non sopra di sé, come pensiero;  e siccome è costituito tale dall'intuito dell'essere, che gli dà l'idea  dì questo, la riflessione non può non comprendere direttamente  questa idea dell' essere, che è oggetto dell' intuito.   Che se l'intuito si considera nel suo intimo e profondo signi-  ficato, secondo la critica da noi fattane, cioè io quanto esprime  l'oggettività vera (non la falsa oggettività fantasticata, con la im-  maginaria opposizione, a risolver la quale # ricercato l'intuito),  e però la vera soggettività, vedasi quanta ragione più si abbia di  volere una riflessione che, a differenza della riflessione suU' intuito,  faccia riflettere lo spirito sullo stesso oggetto dell'intuito. — E a  questo punto noi volevamo arrivare. — Perchè Gioberti distingue  una riflessione ontologica dalla riflessione dei psicologisti ? Qnesta,  egli dice, si ferma a un fatto dello spirito ; quella ci conduce fino  allo stesso oggetto ; e quella è però da preferirsi, se si vuole evitare  il soggettivismo. Or si veda che fedele rosminiano è fin nell'afferma-  zione di questa esigenza il Gioberti ! La critica sbagliata Fatta dal  Kosmini delle forme kantiane, ecco che egli la rivolge una seconda     Jìosmini 6 QwberH 27   Tolta contro il Rosmini medesimo. Gioberti, infatti, si accorge (  l'intuito rosminiano è una pura e semplice forma dell'intellet  ne più né meno delle forme di Kant; se ne accorge e gli pare, dìei  l'insegnamento del Itosmini, di vedersi risorgere innanzi il fosco fs  tasma del soggettivismo. Quindi non gli basta un intuito, coi  bastava al Iio3mÌDÌ, onde salvare l'oggettività, cioèl'universal  e la necessità della scienza, e gliene vogliono due, un doppio ìntu  intuito riflesso o secondario, o veramente una riflessione oni  logica. Bisogna davvero che questa Idea stia fuori del soggel  umano, stia da sé, e bisogna cbe si vada sempre fino a lei, ti  per un semplice intuito (potenza o virtualità di conoscere), vi  per un intuito riflesso, reale ed effettivo conoscere.   Ma il guajo è che se l'intuito, l'intuito scempio, sul quale  esercita la " riflessione eunuca , ^) del Rosmini, è un semplice s<  sibilo interno, o meglio, un semplice dato soggettivo (che pel G:  berti quel termine ha questo significato) — opperò individuali  contingente, — non c'è modo di provare che non sia un sempl  dato soggettivo anche lo stesso intuito doppio, che gli si vuol (  stituire. À rigor di logica, infatti, la critica stessa che il Qiobe  muove al Rosmini, si può muovere a lui, e si può continuare  l'infinito contro chi intenda l'oggettività, cioè l'universalitì  necessità delle forme di cognizione, come opposizione al sogge  conoscitore. Giacché l' intuito è sempre la stessa operazione, ed i  plica sempre la medesima relazione tra soggetto ed oggetto,  che si eserciti una sola volta, sia che si eserciti due volte,  riflessione ontologica rifa l'intuito circoscrìvendone l'oggetto  dato sensibile, offerto dalla parola. Ora, se il prìmo^intuito i  era bastato a cogliere l'intelligibile, perchè e come deve potè  cogliere il secondo ? — L'aveva evolto, dirà il G.; ma appui  perciò bisogna ripeterlo, quando si vuol predicare del dato sensil  quella intelligibilità, e formare il concetto. — Ma anche a  v' ha risposta; cioè, l'intuito non è, come s' è visto un precedei   *) Errori, I, 144.  G. Gentile   cronologico della percezione intellettiva, dell'atto (che il Gioberti  dice riflessione) della determinazione dell'Idea, del differenzia-  mento della primitiva identità. E se non precede cronologicamente,  come non deve, né può, poiché non v'ha l'identico senza la diffe-  renza, né l'universale fuori del particolare, né l'uno fuori del vario,  é falso i! concetto d'un replìcamento dell'intuito nella percezione  intellettiva o nella riflessione; perchè il replicaraento presuppor-  rebbe l'intuito come un precedente anche cronologico, oltre che  logico ; con che si tornerebbe al vecchio concetto dell' a priori.   La riflessione ontologica, adunque, non può intendersi come in-  tuito riflesso, cioè come doppio intuito, nonostante l' esigenza che  r Intelligibile aia intuito nell' occasione stessa della percezione sen-  sitiva, oltre che solo; per la semplice ragione che da solo non è mai  intuito, se non come presupposto logico, come un quid trascendente  il fatto della conoscenza. D'altronde, il secondo intuito che si com-  prende in cotesta riflessione ontologica, non è né più né meno che  una ripetizione del primo ; talché, insuMciente il primo, non pub  non essere, e il Gioberti non dice perchè né come non debba es-  sere insufficiente il secondo, E perciò, rifiutato il primo, egli non  aveva nessuna ragione di tenersi contento al secondo, come aveva  avuto torto, a fil di logica, il Rosmini, rifiutando le forme kan-  tiane, a contentarsi di quel suo primo intuito. Ma come l'errore  del Rosmini risguardava la sua interpetrazione di Kant, ma non,  ci pare, la sua teorica, ed anzi era prova, come s' è più volte notato,  delia buona esigenza da lui avvertita di una perfetta universalità  e necessità nel conoscere; così, con la sua teoria della riflessione  ontologica, il Gioberti, se crede a torto di correggere il "Rosmini  e con esso anche il Kant, dimostra anche lui di avere avuto il  giusto concetto dei bisogni essenziali della scienza.   E v' ha di più nel Gioberti. Questi sente più forte una esigenza,  che non si può dire sia stata trascurata dal Rosmini, comecché  in lui non sembrasse pienamente soddisfatta ; vale a dire l' esigenza  dell' unità non pure come compimento della dualità della sintesi,  ma altresì come sua base, fondamento ed inìzio.    Rosmmi e Oioberti 275   Infatti, con la riflessione ontologica 8Ì ritrae la differenza nel  seno stesso delU identità; perchè la parola, principio determina-  tivo, aiceome è una rivelazione dell'Idea, così è strumento di quella  riflessione, che risale fino all'Idea stessa, a guisa d'un quadro, in  cui s' incornicia la vaga Idea sconfinata, tanto per lasciarsi vedere  dal finito spìrito umano. Ma quadro e Idea sono una medesima cosa;  tanto che la parola è detta rivelazione dell'Idea, ed è propria-  mente parola dell' Idea medesima. Sicché la differenza qui scatu-  risce dal fondo stesso dell'identità, dall'Idea; e la funzione dello  spirito, per cui si apprende insieme l' identico e il diverso, è pre-  cisamente la riflessione ontologica, che si rifa dal centro stesso  dell' identico ; laddove, secondo il Gioberti, la riflessione psicologica  non si rifaceva se non dall' atto stesso dell'intuito di cotesto iden-  tico, cioè da un fatto sensibile, epperò da un diverso; il quale, d'al-  tronde, se pure era un identico relativamente all' ordine dei cono-  scibili, non conteneva però in sé il principio della differenza.   Il Gioberti, adunque, senza riuscire a dimostrare l' insufficienza  della riflessione rosminiana, con la critica di questa e col volervi  sostituire una riflessione più compiuta, mirava a porre su più solido  fondamento la oggettività del conoscere, e a giustificare più sicu-  ramente quella vera sintesi a priori che per questa via accettava,  attraverso il Rosmini, da Em. Kant; fondandola su quell'unità indis-  solubile di identico e di diverso, di uno e di moltepUce, di uni-  versale e di particolare, di necessario e di contingente, nella quale  è la vita e la spiegazione del pensiero e del mondo ; unità, del resto,  di cui sentì pure il bisogno Rosmini, come in parte s'è visto e  meglio si vedrà nel capitolo ohe s^ue.   E per conchiudere intanto su questo punto, diremo che la ri-  flessione ontologica non è una operazione differente dalla riflessione  psicologica, che il Gioberti attribuisce al Rosmini; non potendone  differire pel metodo, poiché non ne differisce per l'oggetto, e non  potendo per questo differirne, poiché non esiste quella duplicità di  c^getto, che è presupposta dal Gioberti, e che ne sarebbe condi-  zione necessaria e sufficiente. L'immediatezza dell'intuito, come     .dbyGoosle     378 0. OmHle   forma del conosoere, esclude essa appunto ogni distinzione tra atto  d'intuire e oggetto intuito, siccome distrugge l'opposizione, che  pur presuppone col suo letterale significato, fra soggetto ed oggetto. Della proprietà delle parole. La parola , prima che fosse scrilla,è parlata : la parola parlata fu inventata da Dio,come abbiamo detto di sopra,elascritlurafuun trovatodell'uomo,einspeciedel sacerdozio , secondo l'opinione del Gioberti, La parola artificiale, come espressione dell'Idea, non è già ilVerbo ereatore, m a l'immagine del Verbo, cioè il vero Verbo dellamente umana;e quindiilveromedialoreidealetra lo spirito e l'Idea.Se adunque lo spirito contempla l'Idea a traverso della parola, egli è chiaro, che la parola dee yelare appena e non coprire l'Idea,come terso cristallo corpi sottostanti ; quindi ella dee essere trasparente, e in ciò consiste la sua semplicità e perfezione, Dalla sempli cilà dellaparola nasce la proprietàdellevoci,lapuritàe l'eleganza dei vocaboli ; le quali doli della parola si tra yasano nelle frasi,che esprimono l'unione armonica delle yuci mediante i concetti ; e per via delle frasiriverberano quindi nello stile, e generano la bellezza del discorso. I m perocchè il discorso è bello allora quando le voci,le frasi, e quindi lo stile che ne deriva, sono semplici,proprie, pure ed eleganti. Infatti la parola è semplice, quando vela a p pena ilconcetto,e non lo copre dinanzi all'occhio della mente, nel qual caso la parola è per l'opposto materialé, e oscura.L a parola è propria , se è un ritratto fedele del concetto che esprime ; ed è sempre tale , ogniqualvolta  266 LINGUAGGIO ; della precisione dei concetti mediante le dif finizioni ,e della loro partizione mediante le divisioni dell'organismo dei concelti mediante i giudizii ; delle pruove delle verità seconde mediante i raziocinii';.e in fine del processo della mente secondo il lenore obbieltivo delle idee mediante ilmetodo. Ma poichè in tuttequeste operazioni della mente si può cadere inerrore, ogni qual volta non si fa buon uso dei canoni logici e dellaloro applicazione , quindi entra innanzi la critica a giudicar dell'uso che si è fatto dei canoni logicali , mediante il giudicatorio supremo dei principii che sovraslano alle stes. seleggi. Diche noidividiamoluttala materia di questo capitolo in tanti distinti articoli . conserva la suasemplicità. QUANDO LA PAROLA E PROPRIA MANTIENE A CAPELLO LA CORRISPONDENZA PERFETTA TRA L’IDEA E IL SUO SEGNO SENSIBILE, se ella siguilica l' Idea increata, cioè l'Ente ;'e se ella esprime l'idea creata,cioè l'esistente è anche propria , oġni qual volta conserva la corrispon.denza tra la mimesi e la metessi. Quindi è, che la lingua primitiva, la quale ebbe due parti, l'una divina,e l'altra umana, e eminentemente propria ; imperocchè la parte divina di quella lingua consisiente nella rivelazione dei verbi originali manteóne, perchè divina, la corrispondenza tra l'Idea e il segno,e la parte umana, consistente nel l'INVENZIONE DEI NOMI primitivi, mantenne ancora la cor rispondenza tra la mimesi e la metessi , perchè Adamo per nominare i sensibili coi loro proprii nomi, li dedusse dagl'intelligibili, cioè dalla loro radice melessica. Quindi è,ancora , che nella divisione delle lingue avvenuta pel fatto di Babele n,on re, che non abbia più o meno perdule e guaste molte primitive sue forme ; che non costi di nomi e verbi anomali, eteroclili, difettivi, e di molte altre irregolarità di linguaggio, sicchè ogni lingua compare una rovina del primitivo idioma. Quindi è finalmente, che gli scrittori autichi per che erano studiosissimi della proprietà delle voci e dello stile (onde le loro distinzioni dei varii generi di stile, te nué, mezzano, sublime ) perciò sono appellati classici, e sono i soli che abbiano buona scuola, cioè ispirano e producono altri scrittori grandi. Abbiamo detto che dalla proprietà nasce la purità l'cleganza e la bellezza della lingua e dello stile; e quindi del DISCORSO. E infatti la voce proprio nella LINGUA ITALIANA importa il concetto d’identità, cioè della medesimezza di una cosa con seco stessa. Importa pure il possesso che una cosa ha di sè medesima, perchè la cosa posseduta è quasi parte è in certo modo faltura eziandio del possidente. Quindi il vocabolo proprietà è spesso sinonimo di medesimezia. Così l' amor proprio è l'amor di sè; è desso an, cora sinonimo di possessione. Così gl’attributi specifici di una cosa ,iqualine sono leproprietà, sono la cosa stessa, perchè le qualià e i modi degli esseri sono la sostanza modificata, valquanto dire la mimesi della metessi. Adunque LA PROPRIETA DEL PARLARE altro non è che LA CORRISPONDENZA DELLA MIMESI CLLA METESSI DEL DISCORSO; la quale corrispoc  [Ma se LA PROPRIETA DEL LINGUAGGIO è la fonte di tulti i pregi del parlare e dello scrivere, LA IMPROPRIETA DEL PARLARE POI E UNA DELLA CAUSE PRINCIPALI DEGL’ERRORI ONTOLOGICI E LOGICI, che producono la declinazione della filosofia, como avvertimino nella prima parte di questo corso. L'errore in generale altro non è che lo sviamento dell'intelletto nella cognizione della verità; e come tale si distingue dall'ignoranza, la quale non importa la cognizione alterata del vero, ma bensì la privazione assoluta della cognizione. E poichè al vero si oppone il falso; perciò siccome il vero significa, in quanto è desso l'essere, così il falso non significa, secondo la bella espressione di TASSO, perchè e desso il non essere  denza costituisce LA DIALETTICA DEL LINGUAGGIO, e quindi la improprietà ne è la sofistica. Ora la purità del parlare importa la sua pulitezza, la quale è una specie di proprietà; imperocchè la pulitezza, mostrando la cosa nella sua forma nativa, fa che la cosa sia identica a se stessa, val quanto dire che l'apparenza risponda allasostanza; il che importa in altri termini che la cosa abbia possesso di sè medesima. E poichè la politezza importa la scelta di ciò che costiluisce l'ornamento degl’oggetti materiali, cosi nella lingua l'eleganza è inseparabile dalla purità delle voci. E siccome alla pulitezza si oppone l'immondezza, che illai disce e deforma gl’oggetti, così all'eleganza si oppone la vanità che li altera e deforma come se fosse unamaschera straniera. Altrettanto succede nella lingua e nello stile. Dalla stessa fonte della proprietà e semplicità del linguaggio scaturisce la bellezza dello stile e del discorso. Imperocchè quando il lin guaggio vela appena e non appanna l'idea o il concetto, se ne rende allora il ritratto fedele, nel quale caso l'idea increata o creata manifesta naturalmente e senza ostacolo la sua luce diretta o riflessa nella parola. Ora il bello essendo lo splendore dell'intelligibile, sia assoluto, sia relativo, che si rivela a traverso il sensibile, cosi quando la parola è semplice e propria, è ancora bella necessariamente; e quindi la bellezza del discorso in sè raccoglie tulle le qualilà della parola e dello stile, cioè la semplicila e la proprieta, la purità e l'eleganza. cio è il nulla che non ha, n è può avere virtù di significare. Ora le cause degl’errori si rieducono a due principali, onde le altre derivano, cioè ally   limitazione dell'uomo, e quindi delle sue facoltà, e all'alterazione della parola, come espressione dell'Idea; ben'in leso però, che anche questa seconda dipende dalla prima. Dalla limitazione dell'uomo e delle sue facoltà nacque lo sviamento del libero arbitrio in ordine alla legge, e quindi l'esistenza del male morale ; il quale fu cagione del male intelletsuale, inquanto fucagione del predominio del sen sibilesuil'intelligibilee dellepassioni sullaragione,onde deriva l'alterazione dell' Idea, e quindi l'esistenza del'l errore. Ma qualunquesia, dice G., la causa della cor ruzione egli è indubitalo, che in origine l'alterarsi dell'Idea è congiunto equasi coetaneo a quello della parola; laddove in appresso,e nelcommercio tradizionale, IL DISORDINE TRAPASSA NEI PENSIERI DAI SEGNI; sicchè l'improprietà della parola è la causa, e l'errore è l'effetto. Imperocchè, quando la parola è impropria, siccome ella non mantiene più la perfetta corrispondenza tra l'Idea e il segno che la esprime, cosi i concetti ideali sono travisati dai concetti sensibili inchiusi nella parola, e l'Idea viene adulterala dalla METAFORA o dalla etimologia. Nel quale caso i concetti ideali si corrompono proporzionatamente, se giả una nuova rivelazione, o un magisterio esteriore, organato dall'Idea istessa , ñón impedisce tali corruzioni della parola, serbando incorrolta quella genuina e originale corrispondenza fral'Ideà eilsuo segno esteriore. Idea gtnerale dell'opera, e tua diritieue in due libri. — La tloria delle religioni appar-tiene a snella della Blotofia. — Si ritolrono alcune obbieiioni in contrario. — Perpetuità della Blotofia. Del metodo critico aegailo dall’ autore nelle rirerebe aloriebe. Si liepolide ai nemici delle eonpilatìoni. Del metodo dottrinale, oaaerralo dall' autore; perebd egli anteponga la. linloti all’ analisi. Cenni sopra nn’ opera precedente.— Prorotsione cattolica dell’ autore. RUpoala a ehi te aoeuta di eiaer troppo ratlolico. La moderazione' nelle dottrine non è oggi di moda. Via {utile e compendiosa, per giungere alla gloria. <—In che senso l’ antere sìa sago del progresso. Sua pro- trata, intorno alle persone generalmente; agli scritlori risi ed ai morti, in itpeeio. — Di Byron. — Dei sentimenti , che mosiero l' auloro a scrirere. — Contro la sella degP Italogalli. Funesti influssi della Francia. — Della eterodosna moderna in generale, e della filosofia germanica in particolare. Gl’Italiani debbono filosofare da sé. Dello stile filosofico. Importanza della lingua in ordine alle cose.{.odi ifi An- tonio Cesari. Contro i cattisi amatori d’idee. Dei parolai. Contro la barbarie dello scrirere, che domina in Italia. Della cbiaretxa, bresild, semplicità, precisione, c purezza del dettalo. Esempi italiani di elocuzione filosofica perfette. Del modo, con cui si può inoorar nella lingua. Scusa dell' autor , intorno alla lingua e allo alile da lui adoperato. Eaorlazioue ai giorani italiani. L’Iililà della sera filosofia. Elsa non dee sparenlare i buoni goreroi, né i buoni principi. Sua opportunità,  r lG-2 per ristorare la religione. La Gloa^fia dee cucre collìfaU specialmente dai cbicrici. Lodi del chiericato italiano. Del sacerdoiio frnncese ; sua antica dottrina, e suo virtù io ogni tempo. Del modo, eoo <ui li coltivano le lettere da oleum chierìci franoesi. ~Della parlecipasìonc dei chierici olla vita sociulo» —Della liberti cattolica nel culto delle dottrine. » Che il clero catiolico dee essere emìnenle anche nelle scìen* se profun<’, per sortire picnamt nte rt-netlo del suo o>ini^te/io. — Di certe sette politi* che, che nocciono alla religione. ~ Dei ti elogi laici, che ioondcAO la Francia: loro tracotanza. ^ Al'eanza della filosofia colla religione. La dottrina cattolica é la sola dottrina religiosa, che abbia un valore acientifico. — Come la novità si accordi coli*anti« chità nello cose filosoticlic. — Si concbiude, esortando gl* lioliaui a I. barare le sc cuse ipecuialve dai nuovi barbari. DELLE DOTTBLNE Della dcelinaztone delle scienze spcculalive in generale. Cunirapposlo fra- lo sla o fìorcnle delle matetnatiche e fi*ichr, e lo s(|uallure della fihtsofìa ai ili nostri. » Sue cagioni gencr-chc. — Cobsidenuioui a <ju sia propos to sul'o stalo delia filosofia nelle varie parli d'Europa. —D.vario, che corre Ira le duii'ine fiancesi o U’de.-che, nato dalle loro diverse attinenze colla religione. — Di Renalo Descartes. ^ 1 semi'li moderni sono suoi d’srepoli assai piu legiilmi del Malebranche, e di altri antichi cartisiani. Dd panteismo germanico; temperalo dalle tr iduioni religiosa: l*idea «i è oscurata, non eslin a del tutto. Di Kant. Perelié t Tedeschi prot<‘Slanti furono io filosofia più a ioni dall' eaipielà, che i Francesi rallo(ici. ^ Dtver* sita d«‘ir ingegno spcculat vo, presso i Francesi e i Tedeschi. — Se ne cerca la causa nella storia, e nelle origÌr>i di queste due nazirni. Delia filosofia inglese: sue difie* n’nte dalla francese, e dalli germanica. Dei fìloSvfi ftaìiaiii del secolo quiiidcciao, c del seguente. — DiVico : sue lodi. ~ Epiio{:o d.-I quadro. Della dedinazione degli eludi specidatici, in ordine al soggetto. lufeiiurilà speculaliia e rnoralo dei popoli modcToi, verso gli antichi. La no-a speciale dciruoQio moJeroo è Ir frivoUzza. La cagione di questo vizio è la debolezza della faiol.à volihva. Inlluruza dtl voli re nella cogoiziouv, e oelf ingegno dell’uomo. La modioiriià letteraria dui moderni nasce dalle hggcrizza dei loto animi. Esempi S 2»S *   es»e bi chiude il capitolo. . - Note. Aula prima. Siti diltflanti tpleoJ Jì c Itiili, elle h fanno Ja m.eilri. 71 1 1 ptincipii dal Ufi  Clw il inftoilo El<w>fict> »i J>e di durre dai principi!, e non I metodo. Il ig. Coiaio «.elude la «tiri» delle religioni da quella dtlU Bloiplia. Del cullo reciproco de’ moderni Rfillofi ff.nceii. Di una iKioea Enciclopedia. Sopr. OD* «poitigi. recefllo diDjroa. 117 l'i. 1 lit 125 125 129 i6. 13t) 131 132 ii, i6. IM ii, Ai nemici delle wItiglieMf. Sullo lingua e luU' eluguenia francese. Sul primato della Fraocia. L'.terodomia modarna non i fono ancora al «uo fine. Della periiia di Paolo Luigi Cuarier nella lingua a negli icrillori italiani, Paw dal Letiinj; mila lobrielA « ammauralega degli antichi tceitlofi. Sull'uli-iU dei buoni giiirnali «ccletiailici. Pmm del Leibnu «olla libertà cattolica dcKii «eritteri, Querela del tig. Cousin eoutro il clero ffauceee. P«Mu del Leibnii contro i dùaipatori delle antiche dotUine. Sull' apoilaiia lU alconi prelati ruwù Delle cagioni della H>rorma. Che la tinceritA di Denartei nel proretiani cattolico è per lo meno dubbia.- Il Malebranche non è earleeiano intorno al primo principio dellalua filoaoCa. 143 Clia il «ig. Coutin ha ao concetto mollo ineaatio dello Spinci.Mio. 144 Pawo del Courier tuH'iitiulo aotTilo dei moderni. 1^ ^ ; iò 5,  163 rcceoli e ìuliani di una Tolontà forte : Napoleooet e Alfieri. Lodi deli’ Al> fieli. La fursa della volontà dipende in gran parte dall* educasioae. Cbe co a sia r educatione. Saa oeceuilA. Delle varie forme, che prese 1’ educazione, tecoodo il ccM’to dei tempi e la varieii di'! popoli. Po pubblica presso gli antichi ; qoasi pub- bloa nei basti tempi. » OelP opera dei chierici nell' iostitusione dei giovani. —> L’cdu* catione diveone pnvate, piesso i moderni. —Cagioni di ciò: false teorirlie in politica e IO pedagogia, inglesi e francesi. Di G angiacomo Rousseau. Errori del suo Emito. Delle doUrìne poi tieba snlla liberti dell' ednratione. Falsili loro. L’e* ducaaioQ^ manca quasi alTatto nello stato presente di Europa. » Difetti dei metodi vi* genti dell* insegnare. L’ias«gnameoto pubblico dee < ssere uno, forte, e dipendente dal* lo stalo. Frivolezza dell' insegoamenlo cattedratico, quale si usa oggidì nei paesi più civili. » Dei giornali. Diretti, e danni dei giornali, come per lo piò si scrìvono in Francia. Nuocono al'e lettere e al e sciente dalia parte di chi scrive, e di chi leg* ge. — Necessità dell’ iniìtiiuzione pubblica, e di un supremo poto<e educativo. Quella non lìpugna ai costumi, oè questa alla libertà politica dei moderni. —> Che M»sa sia r iagfgiiu spccuUtivu. — D<2 tla setta dei sofisti moderni, e deg'ì artefici di parole. ^ Quàlìià loto. — Si chiamano a rtssrgoa le prìneipai diti diU’ ingegno sfeeulativo, e con  Pano d«l Leibnii tull’abbierion» morale JcrU onioi moderni. Sulla patria di Napoleone. Pano dfl tig. Cuusin mila balta«lia di Waterloo. Pel gioiliiio, che il tilt. Villeoiain ha recato mll' AlCeii. Sugli errori della pueriiia. ^ Sull* uUbU di tre clasii di gioroali. Soll’aliBio Jei generali. Lodi di alcuni illmiri eruditi fraaceii. Pano del Malebraoche augi’ iugegni friToli. In che modo il genio naiionale poeta imprimere la ma forma nelle icieate «peculatiee. Sull' indola morale, e lugli ulUnii UUmli del Goèlhc. Diuu. Pag-   SCDU bill' iCTOKI.     Le lodi d'ililia nim sana oggi pericolose per la sua modcslio. Sano opportune, e perchè. — Scopo del preienle dilcorsa. —  L'aifluiui di CMO non t per ilcaa Ter» iiigiiiriUD agli tlnnieri.  L* doUriiu del primalo itili IBO è necetMtfai per rÙHltun-  ziuie delle sci une flloMBclie neita pcniioli.   PASTE nanu.   Dell' Hlonooiia uwlnUi e rdtlin In genere. Di qidia cbe con.  peti (He uDoni in paiticoUrc Lt isdice dell' tiatononùi è  neDi virtù creatrice, L'Italia è anlmMina peraccdiema; rau-  lonomia i la boM della mi* nMggionma. — DeOnitionE del pri-  mato italiano in noiTerale,— La petùxria per It ina poitora è il  centro monte del nondo civile. — Convenienu geogniGehe dell'  lUUa coir India e colla HeMpoUmia. -^-La religione b flprtndpal  S)ndimeiito.del primato italiano. II principio calttdieo è Ime-  panbile dal genio narionile d'Italia. Opinione dei ghibellini  e del flloioll nominali a questo propoaiUi, e aun falsiln. Del  Hachiavelli , del Sarpi e <li Amalitii ih ìlmcm.  Ln xt» iIiiL-  Irina naiionnle d'Italia i quella dei rufIIì e dei realisti. — ì!,s\iii-   cattolicismo e dall' Italia. L'Italia è la nniiuuc creatrice: Suo  ing^DO inventivo, c sul) liuiilà delle sue opere. - Essa c pure la  naiione redentrice degli altri popoli, e non puA essere redenta     per open loro. I papi non (nrono ! caoM della divisione iT ita-  lia, and lì mottnrono benemeriti In ogni tempo ddroniU iu-  liana ed enropea. ObUeiionl e liipoile. Dei don nemici  perpetui dellt penisela. Fati perpelui e glorie di Roma in ósni  tempo. L'Italia non dee invidiare alle altre Milani la grandena e la potenia disgiunte dalla gìnitliia. — Vino a qual segno  i coiHiuisU e II dominio temporale dell' antieo imperio romano '  sinno stati legitUini.— Gmdeiie supcnliti della modema BÓma.  Della PMpapnda c ddle mitiioni. Puagone del SiTerlo e  dd Boonaparte.— L^Iialia/itaempTB la più co9inopoK(Ìca delle  nanoni. li auo principato si Tonda Mrratlutto nella religione,  j la quale di sua natura suvrasla a ogui cosa umnoa. L' Italia tal '   in si lultc le cuii<ii£i<iiii ilei ^un nai limale c politica risorgimento,  \ sema ricorrere «Ilo somniossc iiilcsthie, alle imitaiioai e inva-  j sioni Farcsilere. — Dell' umane ÌUliaoa. — Essa non può uUenersi  colio rivoluiioiii, [l principio dcU' unità il.iliani è il Pajia; il  quale jiiiii unilìenrc h penisola, mediante una confeclemiinne  ilc'suui principi, Vanlnggi di una lega ilaliana. — Il governo  folemlivo è connalurale all' llalia, e il pili imturale ili lutti i  goterni. — Danni della centralità cccessita. — La sicoreiia e la  prosperità d'iLalia non sì possono conseguire altrimenti che con  un' alleaniB italica. — 1 lUrcslieri non possono impedire i]uett'  alleanza, e non che opporvisì , debbono deiideratlo. — Semi dell'  autore se entra a iliscorrcrc ili caie dì stato. — L'opinione nasce   Ida pìccoli principii , ma dee essere edncato dai senno della ni-  liane, — Dna province (oprattutlo debbom cooperare a ^TOfjr  l'opim'aue Hi-iriiiatì"imieiiVTlnnii « ti Piwnnnl>. _ ^Bìj^^ )jj \f  Itoma pei popoli, e sua imparzialità fra i pedali ed i prindpi. —  I L'onilA italica sareblie di grande utilità iWti religione cattolica , .   loro'genio. — Deli.i (]d.s;i ili S^ii.iia e luili. — .l[lincnzc c cor-  risponderne delle famiglie regnatrid tugl' incrementi civili dei  popoli. — itrfi^ nnn^^ ^pip rtr il Piemonte, n delle sorti  c he le Mno^reDiral|e ^\]f Ptnuy^fjm. — Delta concordia fra  T'popoli 0 i principi italiani. — D difetto di osa ta la cauta      principale del c)iM:atlinicnla d' Italia. — Errore ili chi .illribuÌKe  tal decadi nHMi lo nib qualità della stirpe o alla religione. — ti'in-   forlunia ilcgl' llaliaiii aiiehe pur quvsta parte iiarque dai fores-  tieri. — Frincipii di risurgiiiienlo nel secalo passala , e rili^nu  cìtIIì (alte dai ptiaeipi ooslrali. — Inlerratte dgfla rivolaiioiKi  rranceM , ora è il tempo opporUum di ripigiUrte. — Necessitai di  ordinare la pubblici opìaione. — Dne modi con cni quesla ai ap-  I>alc9a ; lit parola dei tmi e la alampa. — Della monarehia con-  ullatiia, e del Consiglio civile. — La Btarapa non dee essere  MTva , iiv liceniiusa. — La sala via per evitare amenduc gli  ccccs^ , ilà neir affidarne l'iodlriuo a un caniiglio censorio".  — nella iniportwii* della iiuapa per la civUU. — UtlliU della  signoria indivlH p« riRmnata gli siali. — Si esortai» I prineipi  ilaliani a toDdare l'amona d' Italia.— Del dirello delle rìibnne  nriii lane a leniate in Italia , dorante il secolo scorso. — Decli-   ii.ii e siitcessiva del genio iiaiiunale della penisola. — Iliscre-   iiiiiiii: 111 uiieslo genio da quello dei Francesi. — Critica del galli-  canìsmo. Di Benigna Bassuel : censura riverente dell' ing^u  e itelle opere di qncslo gran teologo. —1 II sacardoiia primflivo  eUw dna poteri, l'ODO reHgloM e l'alln drile. — Pormola so-  ciale : La («roonui* erta MÌl gli ordini civili, — U ncerdoiio  è il Primo politico. Ciisto rinnovA a compimenlo il sacerdoiio  primigenio. — Necessità del potere civile nel sacerdoiio cria-  liiino. Lode dei Gesuiti del Paiaguai. — Il polerc civile della  Chiesa non toglie la dislùuione, che corre rra lo «lato civile e il  lacerdoiio. — Dea toma, par mi pam il poleniàTile dal Mce^  doxio, cioè la dillaliaa e failiitralo, canispondenli ai due cfcU  civili delle nazioni. — Legittimiti della dittatura ejerdiala dai  Poniclici del medio evo. Il ciclo dittatorio Gniscc quando c   |jerioilo della dtilti'i lefulare il'lulia < crKiirops, — Dell'arbì-  tr.ilo, iraliiiso ilal sacerdoitn. — Il l'.ipa c l'unico [iiiocip io dell'   guerra. La dittatura pontiScale non lurna inulìle in alcun     Icinpo ; MU applicaiiane presenle e foUin. — 11 I^pa è U prin-  cipio dell' anioDe d' lUlia. Il polcn civile del Mnrdouo non  è contrario ali* ipirìlualiU e HnUU dclb rai indole e del suo  nìtuslerìD. -I Del (HtiiHiiùnm. — Crilict de'snoi prÌDcipii in-  tono tU* cotUluiiom della Cb'ma e al dogma caUolico. — Dei  doveri delle varie ciani dei dUadini, in ordine all'aoioDe d'IU'  lia, -/Danni cbe nascono dalle dottrine esagerate di libertii. —  Esortaiioneagli esuli ilalìaiii. —- Del dcbilo che linririu gl'llnliani   gli adalatoridei pririi'ipi. — l>i^i wihili, -- M ji.il ri/Min i' i!i[licil-  menle srilabilc nelle soeiclà civili. Due specie iJi palriilalo;  fendala t civile. U primo è im^nevole, Oioesto e vitupe-  ralo. — 0 secondo pnì euer lodevole e ntik, quando venga ac-  compagnalo da eerte condiuoni. — I cattivi nobili tono la rovina  delle nontrcbie. Dei chierici secolari. In che modo essi  pouano partecipare alle cose politiche. — I^i del chicrieala  Italiano. Perch6 l' episcopato dì alcune province cattoliche sia  stalo Ulvolla per l'addielro men ragguardevole degli altri ordini  derieali. Del frati. Apologia del m(MMchÌ«no. — Suoi  benefiri rÌq)«llo alla drilU etirqiei. Quando traligna ai miri  rìfonnare, non abolire. — Dd moMchlinwwientalee delPocci-  dcntale. Como ijueila si poiH rendere fmtluoio al nodro inri-  vilimento.  Danni che nascono dai diìoiirì degeneri. — In cbs  modo irrati possano influire salutarmeate nella politica ecotqM  rare ai progresai civili. — Essi debbono mettere ndl' opinione il  precipuo fondamento della loro vHa. — D colto ddle iciauie e  dèlie lettere in generale, ma i^edalinenie della aiosoBa, ddia po-  litica e dell'istoria si addice al loro minislerìo. — La scienia  ideale i inoiiaslìca [ter ecccllcnia. Esurlaiionc ai venerandi  alunni dei chiu;lru ilaliaiio. — Della digniu'i clericale. — Gli ec-  ctcsiaslici debbunu guardarsi cautamenle dall' impicciolire o avvi-  lire le co» della rclìgiuiic. — Si uLbiclla che Ì popoli moderni  sono men grandi degli antichi. — Risposta. — Ddla lollerann  cristiana. — Perche nei tempi addietro violala In alcuni paeii-  — Tali viotaiioDÌ non si possono imputare alla Cbieta cattolica. —      Delk àoleeiia, |)ru(1enia e risi:rva clericali: nel dtspularr a nei  conversare. — Si rancluitc moslrando che il risorgimento d'ilalia  I non pai iver luogo , sa non ri rimetlono in onora gl'ingegni pri-  I vileglati, e non «i soUrae rindiiiuo delle cose ri TOlgo degli  j nomini oiediocrì. La riflessione ontologica ferma, circoscrive, determina , chia- rifica l’Idea, cioè Dio: ma nella parola si rannicchia, s'incarna, si compie l’ Idea : la parola porge l’idea cosi rannicchiata ed incorni- ciata ed incarnata e compiuta alla riflessione. Qui covano , pare , molte contraddizioni. Se la riflessione, che chiarifica e ferma l'Idea; qual bisogno ch’essa Idea si rannicchi c si restringa nella parola? qual bisogno che la parola compia l’Idea, se la riflessione arreca distinzione, chiarezza, delineazione nella medesima? Se quel che fa la parola, fa la riflessione altresì, una delle due è superflua: am- metter l’una c l'altra, è metter luna in contraddizione dell’altra : supporre cioè che l’una non basti, senza l'altra, a ciò a che basta veramente. Mavia: prendiamol’una e l’altra perdelerminalricidel- l'Idea, cioè di Dio. 11 Gioberti diceva che nell'intuito l’uomo è as- sorbito dall’Idea, non la conosce neppure. Siccome dall'altra parte diceva eziandio, che « lo spirito trova se stesso in Dio e il mon- do in se medesimo »; ne viene che anche la riflessione è in Dio as- sorbita collo spirito : che il mondo lo è pure: e col mondo la pa- rola, parte di esso. In cotale assorbimento dell'uomo, della rifles- sione, della parola ; assorbimento che toglie ogni cognizione , non è assurdo c contraddittorio il dire che la riflessione e la parola , o tulle due insieme, servano a svegliare lo spirito assopito , esse assopite; servano a chiarire e determinare, esse confuse e indeter- minate nella universale confusione ed indeterminazione del Ciclo e della terra, del Creatore c delle creature ? n) Inlrod.  b) lìti pillilo rhe li'ga. e) Errori l. p. 201. Digitized by Google  )  55 Cosa sarebbe l'intuito Gioberliano ? a) la visione -di I)io crean- te; cioè della natura divina, dell’atto creativo, de’ termini di code- sto atto. Cos'è la parola? un segno creato b). L’intuito dunque do- vrebbe pure vedere la parola: la parola sarebbe parte della formu- la, intuita per natura da tutti gli uomini; chi* l'Ente creante non può essere veduto senza gli effetti del suo operare. Ma se nell’og- getto dell’intuito è la parola, è la riflessione altresì, come cosa creata anch’essa; se l’Idea col creare illustra c), e quindi deter- mina; illustra la parola altresì e la riflessione. Ecco nuova contrad- dizione e circolo nel dire che la riflessione e la parola servono a delincare all’intuito ciò ch’egli ha ad oggetto delincalo dalla natu- ra: illustrare ciò onde vengono esse illustrate. La quale contraddizione o circolo risulta da molte altre sen- tenze del Giebcrli applicabili al proposito presente. Sentenza sua è. di frequente, che i sensibili sono per sè inconoscibili; e solo per l’intelligibile, cioè per l’Idea, siano conosciuti. « L’apprensione sen- si sitiva non è un elemento intellettivo » </). 11 sensibile non può « essere pensalo altrimenti, che nell’intelligibile » r) « L’intelli- « gibile rischiara appunto i sensibili, perché li produce, come l’En- « te e i sensibili sono illustrali dall' Intelligibile, perché ne deri- « vano, come esistenze » Avca detto prima « l’Eute è altresì « l’Intelligibile, c le esistenze sono i sensibili ». Le creature so- no per sè inintelligibili, nè s’intendono che « in virtù dcU’intcl- g Errori  Errori li. p. 141. v) Ivi p. 163. l) Ivi p. 159-160. m) lntrod. ii. p. 14. n) Errori n. p. 45. un vero sensibile >. Errori i. p. 257. g) « Il sensibile è subbiedivo è inconosci- f). « ligibililà assoluta » n bile di sua natura » A): « è per se stesso inconoscibile e sub- ii bieltivo, non intellettuale, nè obbiettivo,. è rispetto alla nostra co- se gnizione un pretto nulla » i). « L'intelligibile (l’Idea, l’Ente) ii inonda lo spirito di un continuo chiarore, e gli rende conosci- li bili tutte le cose » l). Ora « La parola come ogni segno, è un , <i sensibile » m). Dunque per sé inconoscibile-, inintelligibile. Solo l’Idea, l’Intelligibile la rischiara, la illustra, la Ja intelligibile all’uomo. « Tanto è lungi, che la parola provi l'Idea razionale, che anzi que- ll sta dimostra l'autorità di quella. » n). « Questa (la parola) e la a) Dico sarebbe, perché il Gioberti stesso Io distrugge in mille maniere, come vedemmo, e vediamo rontimitinenle. t) Siccome it sensibile appartiene alla categoria delle esistenze, e queste pro- cedono dall'atto creativo, la parola b di tua natura un effetto della c reazione. L’idea -« crea «I segno che l’esprime . Primato, il. p. 15. e) Errori li. p. 352-353. ri) lntrod. n. p, 165. e) Ivi p. 166. f) Ivi p. 562. Qui de» esserci corso errore di stampa, o nella sostituzione deila voce Iati ad esistenti; o nella punteggiatura. Perche l'Eulc non deriva dall'Intelligi- bile come esistenza. Dovrà leggersi, crrdo, il periodo: « I.’ Intelligibile rischiara ap- « punto i sensibili, perché li produce, come l’Ènte; e i sensibili ccc. » « riflessione stessa ripugnano, se non sono antivenute o guidate da « un lume intellettivo, da cui, (e non dalla parola che per se stcs- « sa 6 un mero sensibile) l’evidenza e la certezza provengono » a). Come pertanto può dirsi che la parola « si richiede per ripensare « l’Idea »; che « il sensibile è necessario per poter riflettere, e « conoscere distintamente l'intelligibile »? b). Una cosa inconosci- bile per sé, non conoscibile che per l’Idea; come potrà servire ad illustrare, a chinrirc l’Idea, da cui riceve lutto il chiarore che pos- siede? L'idea illumina la parola; la parola illumina l’Idea? Non v’ha circolo qui c contraddizione? Che se amiamo trarne Inora qualciin'aitra, il modo non man- ca. G. scrive talora, che « l’idea, incarnandosi in una forma sensata, scade sempre dalla propria altezza. L’idea dunque, se s'incarnasse nella parola, veramente scadrebbe secondo quel testo; perderebbe di sua perfezione. Come può stare pertanto che la parola, determini, illustri l'Idea, la compia, cioè la perfezioni? come può stare che l’Idea per compiersi c perfezionarsi s'incarni in un sensibile, che la guasta e la rende imperfetta ? La parola ch’è detta in un luogo da G. « un sensibile in « cui s'incarna Vintelligihile »; diventa in un altro « una copia mon- « diale, contingente e linita del modello divino, necessario e infi- « nilo, c un individuamenlo dell’idea eterna » d). Siccome questo modello c idea eterna è l'Intelligibile stesso, Dio; quindi la parola è una copia, un individuamenlo di Dio nel quale s’incarna Dio. E notate, che « tante sorti di parole create si trovano, quante sono « le specie della esistenza »; una parola matematica meccanica ed idraulica, che sono i numeri , le figure, i movimenti; una parola fisica, cioè i fenomeni di natura; una parola estetica c sono i ti- pi fantastici; una parola storica, c sono i fatti transitori o permanenti degli uomini, gli eventi ed i monumenti; una parola sovran- naturale, e sono gli avvenimenti ffrodigiosi e sensibili; una parola liturgica « ordita di emblemi e simboli; c infine una parola grani- li malicale, parlata c scritta, ma per se stessa arbitraria , c però « diversa dalle specie anteriori, che sono tutte naturali e) la (piale « serve ad esprimere i concetti dell’animo e quindi a tradurre ogni « altro genere di favella » /). Di tutte pertanto le cose create dee dirsi ciò che della parola grammaticale: sono sensibili in cui s'in- carna Iddio; sono altrettanti individuamenti di lui; che lo compio- no, lo determinano, lo fermano, lo circoscrivono, lo illustrano: quan- tunque siffatta incarnazione lo umilii veramente , sconci. a) Errori i. p. 208. b) Inlvofl. u. ii. li. e) Ges. Moti, tv: p. li. d) Prima!-» li. p. 10. e) Anche la parola sovrtwnnfurtile ? fi Ivi. lo abbassi , lo r Nasce però curiosità di sapere, perchè mai nella parola s’in» carni l'Intelligibile; ina nou « in quanto rispleude aU’intuilo ><: *ib- bene « in quanto riverbera (cioè ridette) sulla riflessione » in quel punto famoso di contatto che lega Dio coll’uomo ? La riflessione, si è detto, che mediante la parola circoscriveva , compiva l’idea o) ; quindi la parola preceder dovrebbe la riflessione. Ma se la parola contiene l’Idea in quanto riflette mila riflessione dell'uomo ; la ri- flessione sarà preceduta alla parola: così la riflessione va innanzi alla parola; e la parola va innauzi alla riflessione nella stesso tem- po. Eccoci di nuovo ucU’uno via uno. Se la dottrina della riflessione determinatrice e illustratrice deU'iuluito fosse vera, dovrebbe dirsi che la riflessione guida per mano l'intuito, lo signoreggia. Or bene di ciò fa le risa il Gio- berti contro i psicologisti: « lo aveva credulo finora che la cecità « sia la causa principale per cui non si scorgouo gli oggetti: ora « siccome l'intuito, non che esser cieco, è la fonte della risiane, e v la riflessione non cede, se non in quanto partecipa alla luce intui- « tira, dovremmo dire, alla stregua dei psicologisti, che tocca al « cieco il guidar per mano, non mica gli altri ciechi, (il che sa- « rebbe già degno di considerazione), ma chi 6 veggente in mo- ie do perfetto; cosa per vero singolarissima ». h) Bene slà. Ma quel- li l’Ontologo, che pone per una parte l'intuito del Sole stesso Eter- no Divino; e immagina dall’altra una riflessione e un inondo di pa- role che sono necessarie a determinare, fermare, ed illustrare il so- le, da che sono esse creale ed illustrate; quegli è che s'introniBtte di far guidare i veggenti perfettissimamcnle da’ ciechi; che si pensa di accendere il sole di mezzogiorno colle tenebre della mezzanotte. 11 Gioberti consuona al Rosmini nel riconoscere la necessità della parola per la riflessione. Differisce però dal medesimo nel- l’asscgnarne la ragione : per dir meglio: il Rosmini ne dà ragione, ('impossibilità di spiegar altrimenti la formazione delle idee astrai- le: il G. non ne porge nessuna, c). Imperocché non sembra- mi prova quel dire che « il punto indivisibile , di cui abbiamo « discorso di sopra, » (il punto che lega Dio e l’uomo combacian- tisi), « non può esser termine del ripiegamento riflessivo, se non ve- « stendo una forma sensibile. E siccome non è sensibile per se stes- ti so, siccome versa in una mera relazione intelligibile, l’unico mo- ti ilo, con cui possa rendersi sensato, consiste nell'incorporazione « mentale d) di un segno, cioè della parola » e). Ma perchè quel o) I.a rbiama perciò . un semplice insinimentn necessario per mettere la ri- flessione in commercio colf intuito »; Errori i. p. 200, « Strumento riflessilo  « Semplice segno insidine male » p. 2t9. » stimolo per mi rumineia «I al- « luorsi (l'iiniiiio umano), e il polline ette lo feconda »; Primato, II. p. 15: « occs- • sione, cagione, inslrnnirntale del lero ». Necessità della parola. Bello p. 137. 6) Introd. il. p. 134. e) Rosmini, S. Saggio. e. 4. a. I. Filo». Polii. Voi. p. 151-153. d) Incorporazione spirituale. c) Errori punto, rhY' puro relaziono intelligibile, ohe anzi è la cagnizinne, ro- llio vedemmo , perché « non può esser termine del ripiegamento « riflessivo, se non vestendo una forma sensibile, se non renden- ti dosi sensato, se non incorporandosi in un segno »? Il Gioberti noi dice. Altri osserverà nondimeno che non solo noi dice ma nem- meno può dirlo nel suo sistema: che perciò é impossibile al Gio- berti di provare la necessità della parola. Egli afferma, che « l’uo- « ino nou può meglio nel suo stalo attuale riflettere senza parola, « che favellar senza lingua, vedere senz’occhi, c pensare senza cor- « vello. Senza il linguaggio l'uomo ha ragione; ma non uso di ra- ti gione, ha la riflessione in potenza, non in atto » a). Il che dice essere « applicazione speciale ili una legge generale dello spirito. La qual legge si è, che la riflessione universalmente non si può cser- « citare, se non mediante il concorso del sensibile coirintelligibile » l). Ora di quale dell»* due riflessioni, già distinte da lui, parla il no- stro autore? Dell’ontologica: perchè dell’altra confessa che il sen-sibile è l’oggetto medesimo dell'alto riflesso, onde la parola non en- ti Ira necessariamente nel suo esercizio, se non in quanto tal ri- ti flessione si connette colla riflessione ontologica; imperocché il sensibile per essere pensato non ha d’uopo di un altro sensibile, che « lo vesta e lo rappresenti » c). lo nè ammetto nè ripudio tale ra- gione: ma l'ammette G. certamente. Dunque a sola la riflessione ontologica è la parola necessaria. Perché? perchè « in os- ti sa il sensibile non è somministrato dall’oggetto dell’operazione « il quale è il stdo intelligibile i d). Sla codesto e falso: è falso che oggetto dell’ ontologica riflessione sia il solo intelligibile, se- condo il Gioberti. Non ci ha egli appreso che « la riflessione on- « tologica, tramezzando fra le due altre operazioni (intuito e rides- ti sione psicologica), abbraccia congiuntamente il soggetto e l 'oggetto « c li contempla con un allo unico? » c); che nella riflessione Oli- ti tologica lo spirito si ripiega sovra di sé in quel punto indivisi- « bile, in cui il soggetto tocca l’oggetto , c abbraccia quindi l’og- « getto medesimo , come intuito dal soggetto? » f). Dunque non è l'intelligibile solo, l’oggetto della riflessione ontologica; ma è il soggetto eziandio, cioè il sensibile, oggetto della psicologica. Ma se questo non ha ili bisogno di sensibile, di parola, per essere ripen- salo; se non n'ha bisogno l’ intelligibile, Dio, intelligibile per se stes- so: come n'avrà bisogno il punto in che si congiungono si legano si toccano si combaciano Dio e l’uomo ? l’nione di due termini, l’uno intelligibile per sé, l’altro per l'intelligibile, unione di' è relazione intelligibile', perchè avrà d'uopo di sensibili, di segni, ad esser og- getto di riflessione ? n’ Krrnri i. p. '20 fi. JThi|I. 201). r\ hi p. ini. di Iti. e Krrori t. p. 136, [) Iti Che se « prima di credere alla parola, bisogna intenderla » a); la parola a nulla servirà se non in quanto sia già in quel punto, unione, unità, eh e la cognizione. £ se altronde la cognizione dovrà esser vestila della parola , per diventar riflessione ; la veste dovrà insieme essere il vestito, perché riflessione si ottenga, cioè cogni- zione vera , come la chiama il Gioberti. Questa è una di quelle « soluzioni ed avvertenze » di cui non v’ ha « il menomo vesti- li gio » in altri sistemi prima del Giobcrliano li). Il che niuno vorrà negareDella unicertalilà ecientifica dellafarmolu ideale. Aimcoio punto. Prtamiolo. — L* formolo roiionale dee contenere I* organismo degli eie- menti ideali.—Per conoscere questa organizzazione, bisogna riscontrare essa forinola 1 coll albero enciclopedico.^-L’enciclopedia si compone di tre parti , filosofia, fisica e matematica, cko corrispondono alle tre membra della iormola.—Della filosofia in ispe- cicr si stende per tutta la formolo.—Dell* ontologia, psicologia , logica, etica e ma- tematica ; come si connettano coi rari termini di quella. — Tavola rappresentativa deiralbero enciclopedico, conforme alC organismo ideale.—Spiegazione generica del- la tavola. —Dello scienza ideale. —Della teologia rivelata e della filosofia.—Princi- pato universale della prima.—Maggioranza della seconda sulle altre scienze. — Primato dell'ontologia fra le varie discipline filosofiche ; necessario, acciò queste siano in fio- re. —Della teologia universale. . 7 Digitized by Google   Articolo secondo. Delia matematica. — La matematica tiene un lnogo mezzano tra la fi- losofìa e |a fìsica —Insufficienza della filosofia moderna, per dare una teorica soddi- sfacente del tempo c dello spazio. — Dichiarazione di queste due idee, c dell* oggetto loro, mediante la forinola ideale. 14 Articolo terzo. Della logica e (Iella morale. —Queste due scienze hanno ciò di comu- ne, che appartengono al termine medio della formolo. —Della logica in particolare, c delle varie sue parti — Dell* etica in ispccicr. — Dei due cicli creativi, e dei loro riscontri. — Convenienze, che corrono fra loro. — Della legge morale. Dell’imperativo. Del dovere, e del diritto. Dei tre momenti dell’ imperativo. Del mal morale, e del mal fisico, che ne conseguita. Della pena eterna. Della cosmologia. Versa nel terzo membro della formolo. Dei duo cicli generativi. Varie sintesi, di Cui si compongono. Dell' ordine dell* universo. Del concetto teleologico. L’idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. Dell’estetica. Del sublime e del bello, t-Delle varie loro specie, e del modo in cui si connettono colla formolo. Del maraviglioso. Della politica. La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. Quindi i suoi tizi. Gli stateti odierni, non hanno veri principii, perché mancano della cognizione ideale. 1 difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. —La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei bassi tempi. —Dell* apof- tegma del Machiavelli, che le instituzioni si debbono filirare veto i loro principii. —In che senso sia vero..—Benefici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni.— Di Cesare, institufore della tirannide imperiale. — Connessila della licenza colle dottrine di Lutero e del Descartes. — Della idealità delle nazioni. L* Idea é fonte del diritto. —Attinenze del dovere col diritto, c delle varie specie loro. —Della sovranità. La sovranità assoluta è 1* Idea. — Della sovranità relativa c ministeriale. — Non si trova in separato nel governo o nel popolo. —La società non è d’ instituzione umana, ma divina. —Cosi anche il potere sovrano. —Due doti essenziali di questo potere , intorno al modo, con cui si tramanda e perpetua di generazione in generazione. — For- inola della politica. Assurdità del suffragio universale. —La capacità dee,accompa- gnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indi- pendente dai sudditi. —La perfezione della sovranità consisto nell* unioqe del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. — Il sovrano non può mai farsi da sé in nessun caso. Ogni potere sovrano è divino. Inviolabilità del potere sovrano. Delle rivoluzioni, e delle contrarivoluzioni: che cosa si debba intendere sotto questi nomi. La verà rivoluzione, essendo 1’attentato contro una sovranità legittima, è sempre, illecita. Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi c anticati. La monarchia é necessaria al di d* oggi alla libortà europea. L' investitura della sovranità in una famiglia é inviolabile, corno il dominio privato. — Il potere ereditario, c la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all* inviolabilità del potere sovrano. —1 fautori del- la licenza invertono la formula politica. 31 Asticolo settimo. Epilogo. —L* idea divina ó la suprema forinola enciclopedica'. — Universalità dell’ idea divina. — L* ontologismo non é un metodo ipotetico, corno quello dei psicologisti. — Iddio è 1* Intelligibile: é 1* alfa e 1* omega della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filosofìa. Si  Dtll'a conservazione dellaforinola ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Definizione di questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione nocquc in ogni tempo ab- la scienza ideale. —Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi —Del razionali- amo teologico fiorente al di d’oggi. — Si divide in due parti. — Suoi fondatori. La cri- tica storica dei ra/ionalisti pecca per difetto di canonica. —Il razionalismo confondo insieme i rari ordini di fatti e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il raziona- lismo è un vero naturalismo, i— Del sovrannaturale : sua definizione. — Necessità di esso, per l’ integrità dell’ Idea. — Possibilità e convenienza morale del miracolo. — Universalità dell’ ordino sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come l'Idea della ragione. — Nullità sintetica o filosofica dei moderni razionalisti. — Il Cristianesi- mo é la religione universale. — Non si può mettere in ischicra cogli altri culti. — Sua singolarità. —Le false religioni non distruggono l’ universalità del Cristianesimo. — Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. -—Si confuta una sentenza del- lo Strausse. — Le false religioni sono lo sole, che debbano temere dei progressi civili. — Il Cristianesimo sovrasta, e non Sottostà alla coltura più squisita. — La civiltà moder- na, che lo combatte, è una barbarie attillata Delle prove interne della .rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione dell' Idea, chfe vi è rappresentata. — O- scurità della Bibbia in alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai la- vori sincrctici dell' ingegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspirazione dei libri sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei razionali- sti. — L’ ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’ individuile dei popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. Dei popoli giapctici : loro divario dai Semiti. — Delle na- zioni madri. — Degl’Israeliti; conservatori dell’Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati -del popolo ebreo. — Della scienza acroamatica ed essoterica. — Fondamento natu- rale, o universalità di questa distinzione. — Della ordinazione civile e religiosa degl' Israe- liti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica c tra- dizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa 'distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese essoterica la scienza acroamatica degl' Israeliti. — L’alternativa dcl- racroaraatismo c dclf essoterismo èia sola variazione, che si trovi nella storia dell' Idea rivelata. — Perchè Mosé non abbia insegnata espressamente i’ immortalità degli animi umani. Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia e il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei razionalisti.’— Falsità del loro metodo nel cer- care 1’ origine delle idee e delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina esso- terica. — Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti c i Gentili. Del fìguralismo ebraico. Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. Falso concetto dato dal sig. Salvador delle iustituzioni mosaichc. — La furinola idea- le e il telegramma , erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl* Israeliti.Dell' alterazione dellaformolo ideale. La barbarie non fu lo stato primitivo dogli uomini.*—La storia delle religioni tion comincia dal sensismo, — Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primitiva. —Vicende civili delle nazioni. —Del patriarcato. —- Dello stato castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso delle società costituite sotto 1’ imperio ieratico. —'I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. —Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. —Il sacerdozio conservò le reliquie dell’ antica dottrina acroamatica ; fondò 1* essoterica. — In che modo la mitologia .é la simbolica potessero esser- opera della moltitudine. — La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della fi- losofìa gentilesca.—Riscontri . dell’antico c del nuovo paganesimo. —Vari gradi, per cui passò l' alterazione della forinola ideale', oscurità, confusione, dimezzamento e disorga- nazione.— Cagioni dell’ alteramente : predominio del senso e della fantasia; influenza del linguaggio sull’idea, e dell’ essoterismo sull’ acroamatismo ; dispersione dei popoli, perdita dell’unità universale. — Del culto dei fetissi. Di un doppio moto contrario, re- gressivo e progressivo, delle instituzioni religiose.—Esempi.—Quattro epoche della co- gnizione ideale: intuitiva, immaginativa, sensitiva e oslrattiva.-»-Se nel vario e succes- sivo alterarsi della forinola, si mantengano i suoi tre membri, e come? Tavola delle trasformazioniontologichedellafòrmolaideale, corrispondentiaivaristatipsicolo- gici dello spirito umano. —Dichiarazione della tavola. —Dell’ epoca intuitiva; corno 1' uomo ne sia scaduto. —Il mal morale consisto nella negazione del secondo ciclo crea- tivo.— Dei mezzi sovrannaturali per conservare lo stato intuitivo. —L'essoterismo fu l’oc- casione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del naturalismo fanta- stico c dell’ cinanatismo propri di questa epoca. — Indole poco scientifica dell’ ema- natismo. — Sua forinola. —w Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli cmanatisti. — Della loro dualità primordiale, e delle dualità successive. — Dell’ androginismo , e delle dee madri ; loro connessione coll’ emanati- smo. I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del Kincrctisino emanatistico. — Dei due cicli di tal dottrina: 1’ emanazione. *— Del ciclo remanativo: sua natura. —Corrompe la morale, c introduce il pessimismo. Delle varie età cosmiche, secondo i miti di molti popoli Gentili. — come 1’ ottimismo c il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli em&ftatisti. —Degli aratori, della teofanie o logofanie permanenti e successive, e delle apoteosi. —Come il sovrintelli- gibile si trovi alterato fra queste favole. —Del politeismo; nato dall’ emanatismo. Sua indole, e sue varie forine. —Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscen- za della unità ideale. — Dell’ idolatria : sua natura. — Del panteismo: ò una riforma ieratica dell’ emanatismo. —Il panteismo scientifico non potè essere il primo sistema nella via dell’ errore. — 1/ emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una mede- sima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. —Proprietà speciali del panteismo. —Universalità del panteismo nel re* gnu dell’ errore. —Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. —Qual sorta di progresso possa avero Terrore. —Varie forme del panteismo* —Della condizione del sacerdozio i ——  201 Digitized by Google   dopo la rovina dello stato castale. —Dei Misteri, da cui uscì la filosofia laicale. Dell’ateismo. —Questo sistema non potò essere anteriore al secondo periodo della fi- losofia secolaresca. —Si rigetta l! opinione di un ateismo indico antichissimo —Del sovrintelligibile. —Serbato in parte dai sacerdoti, o perduto affatto da' laici filosofan- ti, salvoclié dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia e della Grecia. —Dei tentati- vi antichi c moderni, per riedificare umanamente il sovrintelligibile. —Si conchiude, accomando brevemente il tenia del secondo libro NOTE. IQS Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell* Io e del Me. Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. 166 Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. Del tempo e dello spazio, secondo il processo ontologico. Passi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. Della importanza, che la religione dà alla vita temporale. Degli attributi divini ontologicamente considerati. L Influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell'aziono umana. Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. IL Sull*infinità del mondo. 173 Sugli assiomi di finalità o di causalità. 174 Se l'abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristia- nesimo? Sull’origine della sovranità in alcuni casi particolari. Dell'orgoglio civile. Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. L'idea di Dio non è solamente negativa. bit. Sulla voce rivelazione. Di varie spezie del razionalismo teologico. Dei miracoli posteriori allo stabilimento del Cristianesimo. Passo del Malebranche sull’idealità del Cristianesimo. Passo del Leibniz sulla rivelazione. . Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella risurrezione dei morti. Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esi- stenza degli angeli. I razionalisti confondono la dottrina acroamatica colla essoterica. Sul fatto di Babele. . Del sincretismo dei falsi culli, doma, mito e simbolo zendico, ISci culti barbari l’ Idea è esclusa dalla religione, c non dalla scienza umana. . 32. 33. 1/antropomorfismo e il psicologismo essoterico. 194 Del panteismo di Ulrico Zuinglio. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del razionalismo teologico. 19ti Sul psicologismo degli eretici. Ib. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fa- talismo.DELLA DECLIAAZIOSE DAGLI SITUI SPECl'LATIV I, I* OHUISE ALL' UGGETTO. Della Idea. È primitiva, indimostrabile, evidente, e certa per sé stessa. Necessità della parola per determinare c ripensare l'Idea. — 1 progressi della cognizione ideale rispondono alla perfezione dello strumento, con cui si lavora, cioè della parola. Il linguaggio fu inventato dall' Idea, clic parlò sè stessa. L’evidenza e la certezza riflessiva abbisognano della parola. Il sensibile è necessario per poter ripensare l’intelligibile. L'Idea è l’unità organica, la forza motrice, e la legge governatriec del genere umano. L'Idea è l’anima delle anime, l'anima della società universale. — Ella può oscurarsi, ma non ispegnersi affatto. — Del suo primo oscuramento, e degli effetti, clic ne seguirono. — Perdita dell’ unità ideale , c morte morale del genere umano. Diversità delle stirpi. Dell’ instaurazione sovrannaturale dell’ unità primitiva. — Del genere umano secondo l'elezione, sostituito al genere umano, secondo la natura. — La Chiesa è la riordinazionc elettiva c successiva del genere umano. — Vicende storiche della Chiesa. — Colla perdita dell’ unità ideale venne meno al genere umano la sua infallibilità,chepassònellaChiesa.—Quandoil genereumano riacquisterà questo privilegio. — Chi è fuori della Chiesa, è fuori del genere umano. — Composizione organica della Chiesa. — Chiesa c conservatrice e propagalrice dell’ Idea : unisce il prin- cipio della quiete a quello del molo. — Delle forinole definitive della Chiesa. — Della scienza ideale, razionale e rivelata. — Attinenze reciproche di queste due parti. — La scienza razio- nale, o sia la filosofia, si distingue in due grandi epoche, ciascuna delle quali corrisponde a una rivelazione. — Il nesso fra la rivelazione e la filosofia è la tradizione. — I.’ alteramente della tradizione, e quindi della verità, fu nella sua origine una confusione delle lingue. — L* effetto di questa confusione fu il gentilesimo. — L’organizzazione ecclesiastica è la sola via, con cui si possa conservare intatta la tradizione. — Della Chiesa giudaica, c della sua diversità dalla cristiana. — La filosofia gentilesca avea colla rivelazione primitiva una relazione diversa da quella, che corre tra la filosofia cristiana c la rivelazione evan- gelica. — Due tradizioni, religiosa c scientifica. — Due classi di sistemi filosofici; gli uni tradizionali e ortodossi; gli altri anli- tradizionali ed eterodossi. — I primi suddividonsi in progressivi, cregressivi.—Qualitàprincipali,percuii sistemieterodossisi distinguono dagli ortodossi. — La filosofia ortodossa è perpetua. — Vari modi, con cui i sistemi eterodossi possono rompere il filo della tradizione. —Tre.età della filosofia cristiana. —Dell’età moderna.—Delpsicologismo: definizionediesso,edell'onto- logismo, che gli è contrario. — Il psicologismo è l'eterodos- sia moderna delle scienze filosofiche. — Renato Descartes è il suo fondatore ; gran matematico , meschinissimo filosofo. — Paralogismi puerili del suo metodo. — Presunzione intollerabile del suo assunto e delle sue promesse. — Cagioni, per cui il Car- tesianismo invalse, ed ebbe una certa voga. — Due dottrine c due letterature in cospetto P una dell’altra, tra il secolo decimoquiuto c il sedicesimo. — Abusi e disordini, che allora regnavano. — Necessità di una riforma’ cattolica. — Tre riforme eterodosse ; due religiose, la terza filosofica. — Il tedesco Lutero, e l'italiano ocino, autori delle due prime; il francese Descartes, della terza. — Vizi della Scolastica, che prepararono gli errori più moderni. — Analogia del metodo protestante col metodo cartesiano. — Il Descartes non liberò la filosofìa, come oggi si crede, ma la ridusse  WS in scrvilu. —Contraddizioni ridicole della sua dottrina. —Il Descartes non somiglia a Socrate pel metodo, ne a Platone per la teoricadelleideeinnate.—Vizidelpronunziatocartesiano: io pento, dunque tono. — Il sensismo nc è la conseguenza. — Assur- dità del sensismo. — Il predominio del sensismo ha impicciolita — la filosofia moderna. — Danni recati da esso agli studi storici. — La religione è la chiave della storia. — La filosofia nata dal ('.ar- tesianismo si divide in cinque scuole. — Del razionalismo psico- logico diverso dall’ ontologico. — Due classi di filosofi francesi. — Di alcuni eclettici francesi in particolare. — Si annoverano i diversi vizi e inconvenienti dell' eclettismo, e quelli del psicolo- gismo. — Obbiezioni dei psicologisti : risposta. — Del senso ontologico. — L'ontologismo è conforme all’ indole e al processo del Cristianesimo. — llicpilogazioue delle cose dette in questo capitolo. DELLA FOIJIOLA IDEALI. I Che cosa s’intende per forinola ideale. Metodo, che l’autore si propone di tenere in questa ricerca. Del Primo psicologico ontologico c filosofico. Il Primo filosofico abbraccia i due altri. — Varie dottrine sul Primo psicologico e ontologico. — Teorica di Antonio Rosmini intorno al concetto dell’ente consideralo, come Primo psicologico : si riduce a quattro capi. — Critica del sistema rosminiano : il Primo filosofico è l’Ente reale. — L'Ente reale è astratto e concreto, generale e particolare, individuale e universale nello stesso tempo. — La filosofia moderna erra spesso, mutando il concreto in astratto. — Vari generi di astrazione c di compo- — sizione. — Il Primo filosofico contiene un giudizio. — Doti spe- ciali di questo giudizio : 1° consta di un solo concetto, che si replica su se stesso ; 2° è obbiettivo, autonomo e divino, vale a dire, che il giudicante è identico al giudicalo. — Il giudizio divino essendo il primo anello della filosofia, questa è una scienza divina e non umana nel suo principio. — Il giudizio divino, con- tenuto nel Primo filosofico , non basta a costituire la forinola ideale. — Ricerca di un altro concetto per compiere la formola. — Della nozione di esistenza : analisi del concetto e della parola. — Egli è impossibile il salire logicamente dal concetto dell’ esis- tenza a quello dell' Ente. — Bisogna adunque discendere dal con- cetto dell' Ente a quello di esistenza.— Necessità di un concetto in- termedio per effettuar questo transito nel processo discensivo. — L’idea di creazione è il legame tra le due altre. — Obbiezioni controdiessa: risposta.—IIprocessopsicologicocorrispondeall’ ^ontologico. — Lo spirito umano è spettatore continuo, diretto e immediato della creazione. — L'idea di creazione contiene un fatto primitivo c divino, che è il primo anello delle scienze fisiche e psicologiche; quindi tutta l’ umana enciclopedia è divina nel suo principio. — Compimento della formola ideale. Altro giudizio contenuto in essa formola. — Distinzione c inseparabilità psico- logica dell’Ente e dell’esistente. — Del vero ideale e del fatto ideale.—Obbiezionecontroil nostroprocessoideale:risposta. — Dell’ organismo ideale. — Problemi metafisici, che non si pos- sono risolvere , se non colla nostra formola , e ne confermano la verità. — 1° Del necessario c del contingente. — 2“ Dell’ intelli- gibile. — 3° Dell’ esistenza dei corpi. — Cattivo metodo di molti filosofi nel combattere l’idealismo. Dell’ individuazione. Dell’ evidenza c della certezza. Possibilità del miracolo provata a priori. — Nuove obbiezioni contro la formula ideale : risposta. — 6° Dell’ origine delle idee. — Vari sistemi dei filosofi su questo punto. Critica della dottrina rosiniuiana, che tulle le idee nascano da quella dell’Ente, per via di generazione. Esposizione sommaria della nostra dottrina sull’origine delle idee : si riduce a tre capi. — Convenienza della nostra dottrina con un pronunzialo del Vico. — 7° Dei giudizi analitici c sinte- tici. — Esposizione della nostra dottrina sulle varie classi di giu- dizi sintetici. — 8° Della natura del raziocinio. — Cenni su altre quislioni, che si attengono alla nostra formola. — L’aver dis- messa o trascurata l’idea di creazione è la causa principale degli orrori filosofici. — Vane promesse ilei moderni eclettici, c flebo- — lezza della filosofia presente. — Per ristorarla, bisogna abolire il psicologismo. — Il Cristianesimo rinnovò la forinola ideale. — Ili santo Agostino : sue lodi : fondò la scienza ideale. — Della scienza ideale cattolica : sue prerogative. — Degli Scolastici : loro difetti. — Del nominalismo e sua influenza sinistra nel rea- lismo. — In che consista il perfetto realismo. Si critica il principio fondamentale di Cartesio colla scorta della formola ideale. — Di Benedetto Spinoza. — Tre epoche della filosofia te- desca. — L’ontologismo dei panteisti tedeschi è solo apparente. — Critica del loro sistema. — Vizi del panteismo in generale. — Convenienze del panteismo coll' eterodossia religiosa, e in ispecie colle opinioni ilei protestanti, c con quelle degli Ebrei, dopo la divina abrogazione del loro culto. 1 44» prima..  Le sensazioni sono segni delle cose. Passo del Leibniz sul nesso del pensiero colla parola. 279 Sulla base ontologica della veracità. 281 Indivisibilità morale ilei Papa c della Chiesa. 282 Sullamutabilitàdelvero,secondoi panteisti. 283 Sulla universalità logica dell’errore. 285 Passo dello Spinoza sull’ ontologismo. Passo di Cousin sul psicologismo del Descartes. 28(1 Giudizio del Leibniz su Cartesio c sulla sua dottrina. Del valore del Descartes nelle scienze fisiche. 28S Parere di Cartesio sulla speculativa dei matematici. 292 Passo del Mcujot su Cartesio. Ih. Dei furti letterari del Descartes. 293 Esame dello scetticismo cartesiano. 293 Passo dell' Aucillon sullo stile del Descartes. 29!) Della presunzione e dell’ arroganza del Descartes. Sopra una sentenza del Vico. .706 A che e (Trito i capi della Riforma scemassero il sovrin- telligibile rivelalo. 307 Che gl’italiani hanno l’ingegno scultorio. Ib. Divario tra i Sociniani e i moderni razionalisti. Ib. Esamedell’opinionedi Cartesiointornoalsuorogito. 308 Sul IVo di Lutero. 328 Sul circolo vizioso del Descartes. 329 Esame dell’opinione cartesiana, che Iddio possa mu- tare le essenze delle cose. 333 Vera idea della filosofia socratica c platonica. 314 Sulle idee innate del Descartes. 343 Sopra una sentenza del Thomas. 316 Passo del Leibniz sul Cogito di Cartesio. 317 Il secolo attuale continua il precedente. Ib. Passo dello Stewart sulle sciocchezze dei filosofi. 348 Passo del sig. Cousin sugli studi forti. Ib. Sulla religione di Napoleone. 349 Critica di due opinioni del sig. Jouffroy. 331 Il sig. Cousin non conosce il sistema del Malebranche. 361 Quando nacque la filosofia moderna , secondo il sig. Cousin. 366 Dell’ ontologismo cristiano. 367 Vari passi del Malebranche sulla visione ideale. 369 Si esamina la dottrina del Rosmini sulla visione ideale. 377 Capitolo primo. L’ente ideale del Rosmini è insussis- tente, benché non sia subbiellivo. Capitolo secondo. L’ente ideale del Rosmini è obbiet- tivo c assoluto, benché si distingua da Dio. Tassi di FIDANZA (si veda) c di Gersonc sulla visione ideale. 444 Medesimezza del concreto c dell’astratto, dell'indivi- dualeedelgeneralenell’ordinedellecoseassolute. 132 Passi del Malebranche e ilei Leibniz sull’ eloquio ideale.Sulla confusione dell’ essere coll’ esistere. 4556 13. / l’asso del Vico sul divario, che corre fra le voci 4 I I essere ed esistere, e sull’ uso improprio, che ne fa il Descartes. tb. Passi del Descartes, in cui questo filosofo sinonimo l ’ essere coll’ esistere. 437 Sulla voce esistenze adoperata nella formula. 439 Sulle nozioni del necessario, del possibile, del con- tingente, e sui principii, che ne derivano. Ib. Della dualità ideale. 462 Passo del Malebranche sulla impossibilità di di- mostrare l’esistenza dei corpi. 463 Sulle convenienze del sistema cartesiano collo Spi- nozisrno. 464 Passo del Leibniz sullo stesso proposito. 468 Sopra due obbiezioni del Paulus contro il sistema dello Spinoza. Ib. Cenno sulle tradizioni panteistiche dei Rabbini. 471 Di una opinione dell' Hegel tolta dal Leibniz.DELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. Articolo primo. Preambolo. — La forinola razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. — l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. — L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. — Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. — Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella. — Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. — Spiegazione generica della tavola. — Della scienza ideale. — Della teologia rivelata e della filosofia. — Principato universale della prima. Maggioranza della seconda sulle altre scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. Della teologia universale. I Articolo secondo. Della malemalica. — La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica.— Insufficienza della filosofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. — Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. 17 Articolo terzo. Della logica c della morale. Queste due scienze hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella forinola. — Della logica in particolare, e delle varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due cicli creativi, e dei loro riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro. Della legge morale. — Dell’ imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre mo- menti dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. — Della pena eterna. 23 Articolo qlarto. Della cosmologia. — Versa nel terzo membro della forinola. — Dei due cicli generativi. — Varie sintesi, di cui si compongono. — Dell’ordine dell’ universo — Del concetto te- leologico. — L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. 43 Articolo qlirto. Dell' estetica. — Del sublime e del bello. — Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. — Del maraviglioso. 32 Articolo sesto. Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. —Quindi i suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della cogni- zione ideale. — I difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del sistema ortodosso. — La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. — Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del Ma- chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In che senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. — Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della tirannide imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine di Lutero e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte del di- ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. — Della sovranità. La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si tramanda  c perpetua di generazione in generazione. — Forinola della poli- tica. — l.a Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. — Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio uni- versale. — l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. — l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. —Dei due cicli generativi della politica. — 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. — Della distribuzione della sovranità fra i cittadini. — Ogni potere sovrano è divino. — Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui, nè pareggia lafratullii cittadini.—In- violabilità del potere sovrano. — Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni: checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. — La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. — Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. — La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. — L'inves- titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. — È inviolabile, come il dominio privato. — Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Delle corti. — Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. !56 Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica. — Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filo- sofia.  de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. — Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide in due parti. — Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica. — Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il razionalismoèunveronaturalismo.—Delsovrannaturale: sua definizione. — Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Possibilità e convenienza morale del miracolo. — Universalità dell’ ordine sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. — Nullità sintetica c filosofica dei moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è la religione universale. — Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. — Sua singolarità. — Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristianesimo. Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. — Si confuta una sentenza dello Strausse. — Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. — Delle prove interne della rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. — Oscurità della Bibbia in alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ in- gegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. — L’ ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. — Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. — Delle nazioni madri. — Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati del popolo ebreo. — Della scienza acroamatica ed esso- terica. — Fondamento naturale, e universalità di questa distin- zione.—Della ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica e tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese esso- terica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. — L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea rivelata. — Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi umani.—Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei razionalisti. — Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina essoterica. — Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. — Del figuralismo ebraico. — Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. — I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti.  DELL’ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. — La storia delle religioni non comincia dal sensismo. — Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva. — Vicende civili delle nazioni. — Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. — Anomalie storiche nell’ effet-  luazione di esse. — Del patriarcato. — Dello stato castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. — I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. — Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. — Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. — In che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. — La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca. — Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. — Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale : oscurità , confusione , dimezzamento e disorganazione. — Ca- gioni dell' alteramente : predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroa- matismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. — Del culto dei felissi. — Di un doppio moto contrario, regres- sivo e progressivo, delle instituzioni religiose. —Esempi. — Quattroepochedellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. — Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come?— Tavola delle trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. — Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. — Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. — Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. —Indole poco scientifica dell’ emanatismo. — Sua formola. — Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli emanatisti. — Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. — Dell’ androginismo, e delle dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. — I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. — Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. — Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come il sovrin - telligibile si trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo; nato dall'emanatismo. — Sua indole, e sue varie forme. — Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza della unità ideale. — Dell' idolatria : sua natura. — Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. Il panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. — L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. — Proprietà speciali del panteismo. — Universalità del panteismo nel regno dell’errore. — Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. — Qual sorta di progresso possa avere Terrore, — Varie forme del panteismo. — Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. — Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. — Dell’ ateismo. — Questo sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. — Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. — Pel so- vrintelligibile. — Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. — Pei tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile. — Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. 239 NOTE. Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. 380 Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio Della importanza, che la religione dà alla vita tempo- rale. .188 Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191 Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. 405 Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. 412 Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? 413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc. 423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424 miracoli posteriori Dei allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla rivelazione. 430 Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431 Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. 444 Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico. 445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. 446 Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. 4DELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. La forinola razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. — l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. — L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. — Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. — Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella. — Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. — Spiegazione generica della tavola. — Della scienza ideale. — Della teologia rivelata e della filosofia. — Principato universale della prima. — Maggioranza della seconda sulle altre scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. — Della teologia universale. I Articolo secondo. Della malemalica. La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica.— Insufficienza della filo- sofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. — Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. 17 Articolo terzo. Della logica c della morale. — Queste due scienze hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella  forinola. — Della logica in particolare, e delle varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due cicli creativi, e dei loro riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro. — Della legge morale. — Dell’ imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre mo- menti dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. — Della pena eterna. Della cosmologia. — Versa nel terzo membro della forinola. — Dei due cicli generativi. — Varie sintesi, di cui si compongono. — Dell’ordine dell’ universo — Del concetto te- leologico. — L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. Dell' estetica. — Del sublime e del bello. — Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. — Del maraviglioso. Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. —Quindi i suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della cogni- zione ideale. — I difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del sistema ortodosso. — La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. — Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del Ma- chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In che senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. — Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della tirannide imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine di Lutero e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte del di- ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. — Della sovranità. — La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si tramanda  c perpetua di generazione in generazione. — Forinola della poli- tica. — l.a Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. — Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio uni- versale. — l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. — l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. —Dei due cicli generativi della politica. — 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. — Della distribuzione della sovranità fra i cittadini. — Ogni potere sovrano è divino. — Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui, nèpareggialafratullii cittadini.—In- violabilità del potere sovrano. — Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni: checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. — La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. — Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. — La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. — L'inves- titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. — È inviolabile, come il dominio privato. — Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Delle corti. — Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. !56 Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica. — Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filo- sofia. de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. — Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide in due parti. — Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica. — Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il razionalismoèunvero naturalismo.—Delsovrannaturale: sua definizione. — Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Pos- sibilità e convenienza morale del miracolo. — Universalità dell’ ordine sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. — Nullità sintetica c filosofica dei moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è la religione universale. — Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. — Sua singolarità. — Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristiane- simo. — Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. — Si confuta una sentenza dello Strausse. — Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. — Delle prove interne della rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. — Oscurità della Bibbia in alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ in- gegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. — L’ ermeneutica  di questi si fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. — Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. — Delle nazioni madri. — Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati del popolo ebreo. — Della scienza acroamatica ed esso- terica. — Fondamento naturale, e universalità di questa distin- zione.—Della ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica e tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese esso- terica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. — L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea rivelata. — Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi umani.—Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei razionalisti. — Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina essoterica. — Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. — Del figuralismo ebraico. — Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. — I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti. OEll’ ALTERAZIONE (IELLA EOREOLA IDEALE. lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. — La storia delle religioni non comincia dal sensismo. — Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva. — Vicende civili delle nazioni. — Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. — Anomalie storiche nell’ effet- luazione di esse. — Del patriarcato. — Dello stato castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. — I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. — Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. — Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. — In che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. — La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca. — Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. — Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale : oscurità , confusione , dimezzamento e disorganazione. — Ca- gioni dell' alteramente : predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroa- matismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. — Del culto dei felissi. — Di un doppio moto contrario, regres- sivo e progressivo, delle instituzioni religiose. —Esempi. — Quattroepochedellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. — Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come?— Tavola delle trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. — Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. — Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. — Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. —Indole poco scientifica dell’ emanatismo. — Sua formola. — Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli emanatisti. — Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. — Dell’ androginismo, e delle dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. — I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. — Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. — ;   Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come il sovrin - telligibile si trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo; nato dall'emanatismo. — Sua indole, e sue varie forme. — Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza della unitàideale. — Dell' idolatria : sua natura. — Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. — Il panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. — L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. — Proprietà speciali del panteismo. — Universalità del panteismo nel regno dell’errore. — Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. — Qual sorta di progresso possa avere Terrore, — Varie forme del panteismo. — Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. — Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. — Dell’ ateismo. — Questo sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. — Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. — Pel so- vrintelligibile. — Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. — Pei tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile. — Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. 380 Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio. Della importanza, che la religione dà alla vita tempo- rale. .188 Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191 Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. 405 Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. 412 Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? 413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc. 423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424 miracoli posteriori Dei allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla rivelazione. 430 Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431 Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. 444 Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico. 445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non  L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. 446 Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. 4SI 4SS AMDELIA LNIAERSALITA SCIENTIFICA DELI A FORMULA IDEALE. La forinola razionale dee contenere l'organismo degli clementi ideali. — l’er conoscere questa orga- nizzazione, bisogna riscontrare essa forinola coll'albero enciclo- pedico. — L'enciclopedia si compone di tre parti, filosofìa, fìsica e matematica, che corrispondono alle tre membra della forinola. — Della filosofia in ispecie : si stende per tutta la forinola. — Dell’ ontologia, psicologia, logica, elica c inaleinatica ; coinè si connettano coi vari termini di quella. — Tarala rappresenlalira dell’ albero enciclopedico, confórme all’ organismo ideale. — Spiegazione generica della tavola. — Della scienza ideale. — Della teologia rivelata e della filosofia. — Principato universale della prima. — Maggioranza della seconda sulle altre scienze. — Pri- mato dell’ontologia fra le varie discipline fìlusoGchc; necessario, acciò queste siano in fiore. — Della teologia universale. I Articolo secondo. Della malemalica. — La inatcmalica tiene un luogo mezzano tra la filosofia c la fisica.— Insufficienza della filo- sofia moderna, per dare una teorica soddisfacente del tempo e dello spazio. — Dichiarazione di queste due idee, c dell’ oggetto loro, mediante la furinola ideale. 17 Articolo terzo. Della logica c della morale. — Queste due scienze hannociòdicomune,cheappartengonoal terminemediodella  forinola. — Della logica in particolare, e delle varie sue parti. — Dell’ etica in ispccie. — Dei due cicli creativi, e dei loro riscon- tri. — Convenienze, ebe corrono fra loro. — Della legge morale. — Dell’ imperativo. — Del dovere, e del diritto. — Dei tre mo- menti dell’ imperativo. — Del mal morale, e del mal lisico, che ne conseguita. — Della pena eterna. 23 Articolo qlarto. Della cosmologia. — Versa nel terzo membro della forinola. — Dei due cicli generativi. — Varie sintesi, di cui si compongono. — Dell’ordine dell’ universo — Del concetto te- leologico. — L’ idea di fine ci è somministrata dal ciclo creativo. 43 Articolo qlirto. Dell' estetica. — Del sublime e del bello. — Delle varie loro specie, c del modo, in cui si connettono colla for- inola. — Del maraviglioso. 32 Articolo sesto. Della politica. — La politica moderna deriva dal psicologismo cartesiano. —Quindi i suoi vizi. —Gli statisti odierni non hanno veri principii, perchè mancano della cogni- zione ideale. — I difetti della teorica hanno luogo del pari nella pratica. — Del governo rappresentativo. — Originato dal Cristia- nesimo; vizialo dall’eresia e dai cattivi filosofi. — Due sistemi dilibertàpolitica: l’unoeterodosso,cl’altroortodosso.—Suc- cessione storica del sistema ortodosso. — La libertà licenziosa e il dispotismo sono due dottrine recenti c sorelle. — Gloriose me- morie della seconda epoca del medio evo. — La civiltà moderna dee fondarsi su quella dei liassi tempi. — Dell’ apoftegma del Ma- chiavelli,chele«istituzionisidebbonoritirareversoi loroprin- cipii. — In che senso sia vero, — Rendici influssi del Papato nella civiltà delle nazioni. — Danni fatti alla medesima dall’ Imperio. — Di Cesare, institutore della tirannide imperiale. — Conuessità della licenza c del dispotismo colle dottrine di Lutero e del Des- cartes. — Della idealità delle nazioni. — L’ Idea è fonte del di- ritto. — Attinenze del dovere col diritto, e delle varie specie loro. — Della sovranità. — La sovranità assoluta è l’Idea. — Della sovranità relativa e ministeriale. — Non si trova in sepa- rato nel governo o nel popolo. — La società non è d’ «istituzione umana, ma divina. — liosì anche il potere sovrano. Due doti essenziali di questo potere, intorno al modo, con cui si tramanda 461 c perpetua di generazione in generazione. — Forinola della poli- tica. — l.a Immissione della sovranità dee essere proporzionala alla partecipazione della scienza ideale. — Se tutti i cittadini pos- sano partecipare ai diritti politici? Assurdità del suffragio uni- versale. — l.a capacità dee accompagnare il potere sovrano; ma non basta a costituirlo. — Il potere sovrano dee essere indipen- dente dai sudditi. — l.a perfezione della sovranità consiste nell' unione del potere tradizionale colla sufficienza elettiva. —Dei due cicli generativi della politica. — 11 sovrano non può inai farsi da se in nessun caso. — Della distribuzione della sovranità fra i cittadini. — Ogni potere sovrano è divino. — Nello stato primitivo delle nazioni la sovranità non è mai posseduta da uno opochissimiindividui,nèpareggialafratullii cittadini.—In- violabilità del potere sovrano. — Delle rivoluzioni, e delle con- trarivoluzioni: checosasidebbaintenderesottoquestinomi.— La vera rivoluzione, essendo l’attentato contro una sovranità le- gittima, è sempre illecita. — La vera contrarivoluzione c onesta, se non è violenta c tumultuaria. — Lo stato politico di un popolo dee corrispondere a’ suoi ordini primitivi e anticali. — La mo- narchia è necessaria al dì d'oggi alla libertà europea. — L'inves- titura della sovranità in una famiglia è subordinata alla salute pubblica. — È inviolabile, come il dominio privato. — Il potere ereditario, e la capacità elettiva importano del pari alla civiltà dei popoli. — Delle corti. — Conformità della nostra sentenza colla dottrina cattolica intorno all’ inviolabilità del potere sovrano. — 1 fautori della licenza c del dispotismo invertono le due forinole politiche corrispondenti ai due cicli ideali. !56 Articolo settimo. Epilogo. — L’idea divina è la suprema forinola enciclopedica. — Universalità dell’ idea divina. — L’ontologismo non è un metodo ipotetico, come quello dei psicologisti. — Iddio è l'Intelligibile : è l’alfa e l’omega della scienza. —Si termina, riandando il primato dell’ idea divina nelle varie parti della filo- sofia. . de.i.la ccmsEavAziosz deli,a rutmm.A ideale. La conservazione della forinola è opera della rivelazione. — Defini- zione di questa. — Suoi diversi periodi. — La confusione della filosofia colla religione nocque in ogni tempo alla scienza ideale. — Analogia dei moderni razionalisti cogli antichi. — Del razio- nalismo teologico fiorente al di d’oggi. —Si divide in due parti. — Suoi fondatori. La critica storica dei razionalisti pecca per di- fetto di canonica. — Il razionalismo confonde insieme i vari or- dini di fatti e di veri. — Sua vecchiezza. — Dei Doceti. — Il razionalismoèunveronaturalismo.—Delsovrannaturale: sua definizione. — Necessità di esso, per l’integrità dell’ Idea. — Pos- sibilità e convenienza morale del miracolo. — Universalità dell’ ordine sovrannaturale. — L’Idea cristiana è universale, come l’Idea della ragione. — Nullità sintetica c filosofica dei moderni razionalisti. — Il Cristianesimo è la religione universale. — Non si può mettere in ischiera cogli altri culti. — Sua singolarità. — Le false religioni non distruggono l’universalità del Cristiane- simo. — Accordo di questo colla civiltà crescente di ogni tempo. — Si confuta una sentenza dello Strausse. — Le false religioni sono le sole, che debbano temere dei progressi civili. — Il Cris- tianesimo sovrasta, e non sottoslà alla coltura più squisita. — La civiltà moderna, che lo combatte, è una barbarie attillata. — Delle prove interne della rivelazione. — Sua medesimezza coll’ Idea perfetta. — La Chiesa è la parola esterna dell’ Idea. — La divinità della Bibbia risulta dalla perfezione deli’ Idea, che vi è rappresentata. — Oscurità della Bibbia in alcune parti. — Sua mirabile semplicità, e sua differenza dai lavori smerdici dell’ in- gegno umano. — Concorso c predominio delle prove esterne od interne della rivelazione, secondo le varie ragioni. — Della inspi- razione dei libri sacri. — Sua definizione, natura, estensione. — Si risolvono alcune obbiezioni dei razionalisti. — L’ ermeneutica di questi si fonda in un falso metodo. — Etnografia della rivela- zione. — Della predestinazione degl’ individui c dei popoli. — Eccellenza delle nazioni e delle lingue semitiche. — Dei popoli giapetici : loro divario dai Semiti. — Delle nazioni madri. — Degl’ Israeliti ; conservatori dell' Idea perfetta, prima di Cristo. — Dei fati del popolo ebreo. — Della scienza acroamatica ed esso- terica. — Fondamento naturale, e universalità di questa distin- zione.—Della ordinazione civile e religiosa degl’ Israeliti. — Oltre la dottrina pubblica, essi avevano una scienza secreta, acroamatica e tradizionale. — Ragioni, in cui si fondava questa distinzione presso il popolo eletto. — Il Cristianesimo rese esso- terica la scienza acroamatica degl’ Israeliti. — L’ alternativa dell’ acroamatismo e dell' essoterismo è la sola variazione, che si trovi nella storia dell’ Idea rivelata. — Perchè Mosè non abbia inse- gnata espressamente l’ immortalità degli animi umani.—Gli Ebrei non tolsero dagli stranieri la loro angelologia, e il dogma della ri- surrezione. — Del sensismo proprio dei razionalisti. — Falsità del loro metodo nel cercare l’origine delle idee e delle credenze. — Attinenze reciproche della dottrina essoterica. — Differenze, che correvano, per questo rispetto, fra gl' Israeliti e i Gentili. — Del figuralismo ebraico. — Non è un trovato recente degl’ Israeliti ellenisti. — Falso concetto dato dal sig. Salvador delle institu- zioni mosaiche. — I,a formola ideale e il letragramma, erano il nesso della scienza acroamatica ed essoterica presso gl’ Israeliti. 1ì>5 lai barbarie non fu lo stato primitivo degli uomini. — La storia delle religioni non comincia dal sensismo. — Per quali cagioni diminuisse, o si spegnesse presso molti popoli la cultura primi- tiva. — Vicende civili delle nazioni. — Cinque forme successive di stato e di reggimento politico. — Anomalie storiche nell’ effet- luazione di esse. — Del patriarcato. — Dello stato castale : sua origine. — Del predominio dei sacerdoti : sua legittimità. — Genio religioso delle società costituite sotto l'imperio ieratico. — I sacerdoti autori principali della civiltà risorgente. — Effetti salutari della loro influenza nelle colonie antiche e moderne. — Il sacerdozio conservò le reliquie dell’antica dottrina acroamatica fondò l’essoterica. — In che modo la mitologia e la simbolica po- tessero esser opera della moltitudine. — La riforma ieratica dell’ acroamatismo produsse la filosofìa. — Vari indirizzi della filoso- fìa gentilesca. — Riscontri dell' antico e del nuovo paganesimo. — Vari gradi, per cui passò l’alterazione della formola ideale : oscurità , confusione , dimezzamento e disorganazione. — Ca- gioni dell' alteramente : predominio del senso e della fantasia ; influenza del linguaggio sull’idea, c dell’ essoterismo sull' acroa- matismo ; dispersione dei popoli, e perdita dell’ unità universale. — Del culto dei felissi. — Di un doppio moto contrario, regres- sivo e progressivo, delle instituzioni religiose. —Esempi. — Quattro epoche dellacognizioneideale: intuitiva,immaginativa, sensitiva e astrattiva. — Se nel vario e successivo alterarsi della formola, si mantengano i suoi tre membri, c come?— Tavola delle trasformazioni ontologiche della formolo ideale, corfispondenti ai rari stati psicologici dello spirito umano. — Dichiarazione della tavola. — Dell'epoca intuitiva; come l’uomo ne sia sca- duto. — Il mal morale consiste nella negazione del secondo ciclo creativo. — Dei mezzi sovrannaturali per conservare Io stato in- tuitivo. — L’essoterismo fu l’occasione della perdita di esso. — Dell’ epoca immaginativa. — Del naturalismo fantastico c dell’ emanatismo propri di questa epoca. —Indole poco scientifica dell’ emanatismo. — Sua formola. — Due sorti d’ emanatismo : psicologico e cosmologico. — Dottrina dinamica degli emanatisti. — Della loro dualità primordiale, c delle dualità successive. — Dell’ androginismo, e delle dee madri ; loro connessione coll’ ema- natismo. — I fautori di questo sistema confondono la teogonia colla cosmogonia. — Del sincretismo emanatistico. — Dei due cicliditaldottrina: l’emanazione.—Delcicloremanativo: sua natura. — Corrompe la morale, e introduce il pessimismo. — ;  Pelle varie età cosmiche, secondo i inili di molti popoli Gentili. — Come l’ ottimismo e il pessimismo si accozzino insieme nel sistema degli emanalisti. —Degli «talari, delle teofanie o logo- fanie permanenti e successive, e delle apoteosi. — Come il sovrin - telligibile si trovi alterato fra queste favole. — Del politeismo; nato dall'emanatismo. — Sua indole, e sue varie forme. — Tutti i popoli politeisti conservano una reminiscenza della unitàideale. — Dell' idolatria : sua natura. — Pel panteismo : è una riforma ieratica dell’ einanatismo. — Il panteismo scientifico non poli- essere il primo sistema nella via dell’ errore. — L’emanatismo e il panteismo sono sostanzialmente una medesima dottrina, l’uno sotto una forma fantastica e poetica, l’altro sotto una forma scientifica. — Proprietà speciali del panteismo. — Universalità del panteismo nel regno dell’errore. — Tutti i falsi sistemi vi si riferiscono. — Qual sorta di progresso possa avere Terrore, — Varie forme del panteismo. — Della condizione del sacerdozio dopo la rovina dello stato castale. — Dei Misteri, da cui usci la filosofia laicale. — Dell’ ateismo. — Questo sistema non potè es- sere anteriore al secondo periodo della filosofia secolaresca. — Si rigetta l’ opinione di un ateismo indico antichissimo. — Pel so- vrintelligibile. — Serbato in parte dai sacerdoti, c perduto affatto da' laici filosofanti, salvocliè dalle tre scuole mezzo ieratiche dell’ Italia c della Grecia. — Pei tentativi antichi c moderni, per rie- dificare umanamente il sovrintelligibile. — Si conchiude, accen - nando brevemente il tema del secondo libro. 239 NOTE. Nota prima. Sulle denominazioni moderne dell’ lo c del Ile. 379 2. 3. ut. Del tempo c dello spazio, secondo il processo ontolo- gico. 380 Tassi del Leibniz e del Malebranche sul tempo e sullo spazio.  Della importanza, che la religione dà alla vita tempo- rale. .188 Degli attributi divini ontologicamente considerati. 190 Di alcune dottrine erronee sulla bontà e pravità degli atti umani. .191 Errori di un giornalista francese sull’ amor di Dio. 393 influenza della colpa primitiva in tutte le parti del pensiero e dell’ azione umana. 405 Dei vari sistemi sulla natura delle esistenze. 4M Sull’ infinità del mondo. 406 Sugli assiomi di finalità e di causalilà. 407 Del traffico degli schiavi negli Stali Uniti. 412 Se l’ abolizione della schiavitù e del servaggio si debba attribuire al Cristianesimo? 413 Sull’ origine della sovranità in alcuni casi particolari. 410 Dell’ orgoglio civile. 418 Sui diversi modi, con cui si può dimostrare l’esistenza di Dio. 430 L’idea di Dio non è solamente negativa. Ih. Sulla voce ritelazionc. 423 Di varie spezie del razionalismo teologico. 424 miracoli posteriori Dei allo stabilimento del Cristiane- 433 simo. Passo del Malehranchc sull'idealità del Cristianesimo. 429 l’asso del Leibniz sulla rivelazione. 430 Sulla credenza antichissima dei Samaritani nella ri- surrezione dei morti. 431 Si esamina la dottrina filosofica dello Schleiermacher c dello Strausse sull’ esistenza degli angeli. Ib. 1 razionalisti confondono la dottrina acroamaliea colla essoterica. 444 Sul fatto di Babele. Ib. Del sincretismo dei falsi culti, -toma, mito e simbolo zcndico. 445 Nei culli barbari l’Idea è esclusa dalla religione, e non  L’antropomorfismo è il psicologismo essoterico. 446 Del panteismo ili Ulrico Zuinglio. Ih. Passi dello Spinoza conformi alle dottrine del raziona- lismo teologico. Sul psicologismo degli eretici. Convenienze della dottrina pclagiana col sensismo, col psicologismo e col fatalismo. DELLE CONVENIENZE DELLA FORIOLA IDEALE COLLA RELIGIONE RIVELATA. Scusa dell’ autore. — Il sovrintelligibile e il sovrannaturale sono i due perni della religione. Analisi del primo. Si escludono le false origini, che si possono assegnare al concetto, che Io rap- presenta. — Della sovrintelligenza. — In che consista la natura speciale di questa facolti. — Sua analogia coll’istinto. — Del sen- timento, che l’uomo ha delle sue potenze non esplicate. — Defi- nizione delia sovrintelligenza. — Come il concetto negativo del sovrintelligibile nasca da questa facoltà. — Obbiettività del so- vrintelligibile ; adombrata dalla filosofia orientale. — Analogia del sovrintelligibile col numeno di Emanuele Kant : sbaglio del criticismo. — Dei sovrintelligibili naturali. — Attinenze del so- vrintelligibile cogl’ intelligibili. — Come il sovrintelligibile debba essere riconosciuto e rispettato dalla filosofia. — Dei sovrintelli- gibili rivelati. — Loro importanza, e armonia coi dogmi razio- nali. — I sovrintelligibili della rivelazione hanno un margine indeterminato. Del sovrannaturale. In che consista, e sue attinenze colla formula. Connessione del suo concetto colla magia dei popoli pagani. Varie spezie di sovrannaturale. Necessità dell’ idea di sovrannaturale per la filosofia della storia : sua importanza per la filosofia in genere. Il sovrannaturale appartiene al secondo ciclo creativo : sue relazioni con esso. Dimostrazione a priori della realtà dell' ordine sovrannaturale. L’ alterazione di quest' ordine costituisce il regresso. Della    forinola sovrannaturale : sua corrispondenza colla razionale. Del ciclo cristiano : sua risoluzione. Della Chiesa ; com' ella sia il perno dell’ incivilimento. Del sincretismo delle sette cristiane eterodosse, e della idolatria rinnovala per opera loro. Confutazione di un passo del sig. Guizot sull’ unità religiosa. Della superstizione : in che consista. Del processo a priori della fede cattolica. Due cicli rivelativi corrispondenti ai due cicli creativi. Necessità della fede per ben filosofare. La fede sola colloca l’uomo nel suo stato naturale. Ragionevolezza della disciplina cattolica. L’ educazione ideale è impossibile fuori di essa. Lo scetticismo esclude la vera grandezza, anche umana, dell’ ingegno. La fede è libera, e in ciò consiste il suo merito. Tre doti della fede cattolica, utilissime all'uomo e al filosofo. Efficacia di questa virtù, per avvalorare l' ingegno ontologico. Quanto all’ abito ontologico conferisca la credenza del sovrannaturale. Tutte le virtù teologali influiscono profittevolmente nell’uomo pensante e operatore. Della vera misticità, e sue differenze dalla falsa. Empietà dell’ autonomia razionale. Necessità della fede per la conservazione dei principii ideali. L’incredulità moderna è la cagione precipua della debolezza degli animi c degl’ingegni. Utilità dei misteri in genere per l’abito filosofico. Si considerano, per questo rispetto, alcuni misteri in particolare. Della predestinazione, e della eternità delle pene. Della inviolabilità scientifica della teologia. Di certi novellini teologi, e della temerità loro. L’invenzione nelle cose ideali è impossibile. Della giovinezza perpetua del Cristianesimo cattolico. Di una certa classe di gementi, che credono morta o moriente la religione: si combat- tono i loro timori. Della larghezza dell’ Idea cattolica: sua utilità per le scienze in generale. Necessità della filosofia per far fiorire la teologia, come scienza. La teologia e la filosofia hanno bisogno l’una dell’altra. Delle cagioni, per cui la teologia cattolica c scaduta dal suo antico splendore. Il clero cattolico dee essere un concilio di sapienti. Dee coltivare specialmente le scienze filosofiche. Dell’acroamatismo ieratico, ch'egli si dee proporre. I laici che coltivano la filosofia, debbono incominciare una nuova era razionale, sotto la sovranità intellettiva della Chiesa. La filosofia eterodossa, che regnò finora, è morta per sempre. Si concbiude esortando gl' Italiani a intraprendere l’ instaurazione delle scienze speculative.  Sulla voce essenza. Del sovrintelligibile presso i filosofi eterodossi. Attinenze del sovrannaturale col sovrintelligibile. Del sovrannaturale iniziale c finale del Cristianesimo. Del sovrannaturale transitorio o continuo. Su alcuni passi del sig. Guizot. Sopra un cenno teologico del sig. Nisard. Sul fatto morale della giustificazione. Sulle varie epoche filosofiche della storia. Delle idee pure.Sul valore teologico dei razionalisti tedeschi. Il decadimento della filosofia prova la verità del cat- tolicismo.Grice: “Italians find it harder than the Germans to conceal their nationalism. Hegel is studied everywhere, but Gioberti is felt to be TOO Italian, and he is. There are not two sentences in Gioberti that do not mention Italy! Hegel could philosophise on being (the absolute being is the King of Prussia) – but philosophers elsewhere took his remarks in a generalized way, not a German way. Unlike with Gioberti, who cannot hide his ‘italianita’. The fact that Mussolini wrote on him did not help. And that, along with Gentile, and the Italian mainstream intelligentsia, the Italian risorgimento is only a stone’s throw away from Fascism!” Grice: “Lorenzo Giusso, whom I like, wrote a bio of Gioberti which I thought the best, it’s in Vita e Pensiero, and in the series, “UOMINI DEL RISORGIMENTO” Gives him sense!” -- Vincenzo Gioberti. Gioberti. Keywords: del bello, estetico, il bello, metessi, implicatura metessica – mimesi – Plato on mimesis and metexis, protologia, ontologismo, statua all’aperto, Milano – nella serie uomini del risorgimento, bruno, gentile. -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Gioberti," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia

 

Grice e Gioia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia ad uso de’ giovanetti – f

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