Tuesday, July 2, 2024

GRICE ITALICO A/Z G7

 Grice e Gioia: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia ad uso de’ giovanetti – filosofia italiana – Luigi Speranza (Piacenza). Filosofo italiano. Grice: “I joked with the maxim, ‘be polite’ – surely it’s difficult to make that universalisable into the conversational categoric imperative (‘be helpful conversationally) – but apparently Italians are less Kantian than I thought!” -- Grice: “I love Gioia; he is like me, an economist when it comes to pragmatics – see my principle of ECONOMY of rational effort; I studied thoroughly his fascinating account about the origin of language, before I ventured with my pritological progressions!” Dopo gli studi nel Collegio Alberoni veste l'abito talare, mantenendo tuttavia un orientamento di pensiero tutt'altro che ortodosso tanto in filosofia, per l'influenza dell'utilitarismo di JBentham, dell'empirismo di  Locke e del sensismo di Condillac, quanto in teologia per l'influenza del pensiero di Giansenio.  Il suo interesse si rivolge ben presto anche alle questioni politiche. Vince il concorso bandito dalla Società di Pubblica Istruzione di Milano sul tema "Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità d'ITALIA", alla quale partecipano 52 concorrenti. La sua dissertazione, in cui sostiene la tesi di un'Italia libera, repubblicana, retta da istituzioni democratiche e basata su comuni elementi geografici, linguistici, storici e culturali, prefigura, come la maggioranza di quelle presentate, l'unità italiana, benché questa tesi non sia gradita ai francesi che in quel periodo occupano il nord Italia. La notizia del premio ricevuto gli giunge però in carcere. Nel frattempo è stato arrestato con l'accusa di aver celebrato a scopo di lucro più di una messa al giorno, anche se sono in realtà le sue idee politiche giacobine a renderlo inviso all'autorità. Viene scarcerato grazie, forse, alle pressioni di Bonaparte, e ripara a Milano. Il Trattato di Campoformio, con la cessione di Venezia ad Austria da parte della Francia in cambio del riconoscimento austriaco della Repubblica Cisalpina, lo spinge però ben presto a diventare oppositore della Francia. Dopo aver rinunciato al sacerdozio, si impegna nella professione giornalistica fonda "Il Giornale filosofico politico", stroncato dalla rigida censura austriaca per le posizioni sempre più apertamente patriottiche che Gioja vi sostiene. Dalle colonne del "Giornale Filosofico Politico" scrive una lettera aperta al duca Ferdinando d'Asburgo-Este, in cui denuncia i danni patiti in carcere. Bonaparte viene sconfitto dalle truppe austriache nella Battaglia di Novi Ligure e G. viene ARRESTATO NUOVAMENTE dagli austriaci, per essere scarcerato in seguito alla vittoria francese a Marengo. Viene nominato storiografo della Repubblica Cisalpina: l'anno successivo pubblica "Sul commercio de' commestibili e caro prezzo del vitto", ispirato dai tumulti per il rincaro del pane, e "Il Nuovo Galateo". Viene rimosso dalla carica per le polemiche seguite alla pubblicazione e alla difesa del suo trattato "Teoria civile e penale del divorzio, ossia necessità, cause, nuova maniera d'organizzarla"  L'apprezzamento per i suoi solidi e realistici studi di economia e di statistica, ai quali sono prevalentemente rivolti il suo interesse e la sua attività, gli valgono però la nomina alla direzione del nascente Ufficio di Statistica: in questa veste inizia una febbrile attività fatta di studi corredati da tabelle, quadri sinottici, raffronti demografici, causa di nuove ed accese polemiche e della rimozione dall'incarico. Tale attività gli rese uno dei primi studiosi ad applicare i concetti di Statistica alla gestione economica dei conti pubblici (ad esempio per le tasse, gabelle, e così via). Grazie alle sue conoscenze statistiche ed economiche elabora concetti fortemente innovativi per l’epoca che ne fanno il precursore del moderno dibattito giuridico in materia di risarcimento del danno alla persona con una concezione che supera la questione patrimoniale.  Notissima in medicina legale la sua regola del calzolaio, che anticipa il concetto di riduzione della capacità lavorativa specifica:  "...un calzolaio, per esempio, eseguisce due scarpe e un quarto al giorno; voi avete indebolito la sua mano che non riesce più che a fare una scarpa; voi gli dovete dare il valore di una fattura di una scarpa e un quarto moltiplicato per il numero dei giorni che gli restano di vita, meno i giorni festivi..".  E ancora, seppur meno noti, concetti come: "Ne' casi d'indebolimento o distruzione di forze industri, considerando il soddisfacimento come uguale al lucro giornaliero diminuito o distrutto, moltiplicato per la rimanente vita utile dell'offeso, noi restiamo molto al di sotto del valore reale, giacché una forza umana può essere riguardata come Mezzo di sussistenza Mezzo di godimento Mezzo di bellezza Mezzo di difesa   Filosofia della Statistica (libro originale) “Rendendo paralitico, per es., l'altrui braccio destro o la mano, voi togliete al musico il mezzo con cui si procura il vitto divertendo gli altri, al proprietario il mezzo con cui si sottrae alla noia divertendo se stesso, alla donna il mezzo con cui gestisce e porge con grazia, a chiunque il mezzo con cui si schernisce da mali eventuali difendendosi".  Si tratta di principi rivoluzionari per l’epoca, forse frutto di quel particolare mix di cultura che deriva dalla sua formazione che inizia da sacerdote e approda a concezioni rivoluzionarie; è il primo che riesce a prefigurare nell’uomo non solo una sorta di macchina che produce reddito, ma anche un soggetto che attraverso il lavoro realizza la propria personalità. In Italia oltre un secolo e mezzo dopo, negli anni ’80 del novecento, in sede giuridica inizierà il dibattito sul superamento del risarcimento del mero danno patrimoniale per tener conto degli aspetti relazionali e dinamici della persona riassunti nel concetto di danno biologico. Sul filone di queste tematiche gli veniva intestata a Pisa un'ssociazione scientifica medico giuridica che raccoglie giuristi, medici legali e assicuratori.  Il "Nuovo Galateo" Testo fondamentale nella storia dei Galatei, il "Nuovo Galateo" di G. fu scritto per contribuire alla civilizzazione del popolo della Repubblica Cisalpina. Il testo conosce ben tre edizioni. La prima si sofferma in particolar modo sulla definizione laica di "pulitezza" – cf. Grice, ‘be polite’ -- intesa come ramo della civilizzazione, arte di modellare la persona e le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da rendere gli altri contenti di noi e di loro stessi. È divisa in tre parti: "Pulitezza dell'uomo privato", "Pulitezza dell'uomo cittadino", "Pulitezza dell'uomo di mondo".  Nella seconda edizione, Gioja ridimensiona il concetto di "pulitezza" come l'arte di modellare la persona, le azioni, i sentimenti, i discorsi in modo da procurarsi l'altrui stima ed affezione. La vecchia ripartizione è sostituita da: "Pulitezza Generale", "Pulitezza Particolare", "Pulitezza Speciale". Nella terza edizione risale, a differenza dell'edizioni precedenti, enfatizza l'importanza del concetto di "ragione sociale", considerato dall'autore il fondamento etico del galateo che avrebbe portato felicità e pace sociale mediante le buone maniere. Fu membro della Loggia massonica "Reale Amalia Agusta" di Brescia, che prese il nome dalla moglie del principe Eugenio di Beauharnais, primo Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia. A lui è intestata la loggia di Piacenza all’obbedienza del Grande Oriente d’Italia. Crollato il dominio napoleonica, Gioja produce le sue opere maggiori: il "Nuovo prospetto delle scienze economiche”; il trattato "Del Merito e delle Ricompense"; "Sulle manifatture nazionali"; "L'ideologia". Gli ultimi tre libri vengono messi all'Indice e il suo fecondo lavoro è interrotto da un nuovo arresto per aver cospirato contro l'Austria partecipando alla setta carbonara dei "Federati".  Dopo quest'ultima peripezia, nonostante i sospetti da parte del governo austriaco, ha finalmente davanti a sé qualche anno di serenità e compone la sua ultima opera, "La filosofia della statistica.” Nel cimitero della Mojazza fra tante ossa ignorate dormono senza fasto di mausoleo le ceneri di Melchiorre Gioia. Prende il suo nome il Liceo Classico di Piacenza. Rosmini, suo avversario in politica come in religione, lo accusò di pretendere di proporre un codice morale, fondato su principi palesemente opportunistici, mentre con disinvoltura richiedeva sussidi e regali dai titolari del potere politico per elogiarne le benemerenze nelle proprie pubblicazioni periodiche, e lo dichiara pubblicamente un "ciarlatano". Altre opera: Del merito e delle ricompense,  2, Filadelfia, s.n., Riflessioni sulla rivoluzione. Scritti politici, Nuovo Galateo, Il Nuovo prospetto delle scienze economiche, Distribuzione delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, G., Produzione delle ricchezze,  Milano, presso Pirotta in santa Radegonda, Consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, G., Azione governativa sulla produzione, distribuzione, consumo delle ricchezze, Milano, presso Gio. Pirotta in santa Radegonda, Sulle manifatture nazionali,  Dell'ingiuria, dei danni, del soddisfacimento e relative basi di stima avanti i tribunali civili. L’Ideologia. Filosofia della statistica. Note: Francesca Sofia nel Dizionario Biografico degli Italiani.  Ettore Rota nella Enciclopedia Italiana, Cfr. Solmi, L'idea dell'unità italiana nell'età di Napoleone in Rassegna storica del Risorgimento, Fonte: Francesca Sofia, Dizionario Biografico degli Italiani, rTreccani L'Enciclopedia Italiana, riferimenti in.  Vittorio Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Mimesis-Erasmo, Milano-Roma, Ignazio Cantù, Milano, nei tempi antico, di mezzo e moderno: Studiato nelle sue vie; passeggiate storiche, Saltini, Salomoni, Stefano Rossi, Via Emilia. Percorsi inusuali fra i comuni dell'antica strada consolare, Il Sole, Barucci, Il pensiero economico di G., Milano, Giuffre, Manlio Paganella, Alle origini dell'unità d'Italia: il progetto politico-costituzionale di G., Milano, Ares,Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Nicola Pionetti, Melchiorre G.: il progetto politico per un'Italia unita e repubblicana, Piacenza, Edizioni Lir, Tasca, Galatei. Buone maniere e cultura borghese nell'Italia, Firenze, Le Lettere, G. (metropolitana di Milano). Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, G., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  fare alcun cangiamento senza indebolirla. Egli previene così i suoi lettori contro ogni idea di riforma, e svolge nel loro avimo un timor macchinale contro ogni innovazione delle leggi. In generale tutte le metafore, i paragoni, le parziali analogie,le somiglianze superficiali non possono far breccia che nell'animo del volgo. Agl’occhi del filosofo i paragoni non sono ragioni. Essi possono schiarire una proposizione, provarla mai. Parlare. Abbiamo veduto che le macchine sono utili e necessarie al chimico, i telescopi all'astronomo, i disegni al meccanico, le figure al geometra. Le parole sono forse egualmente utili, egualmente necessarie all'esercizio del pensiero. Tre oggetti simili mi si presentano facilmente allo spirito, dice Condillac. Se passo al quarto, sono obbligato, per maggior facilità, d'immaginare due oggetti da una parte, due dall'altra. Se voglio fissarne sei, fa duopo che li distribuisca due a due, o tre a tre; crescendo questi oggetti, la mia vista si confonde, io non posso più numerarli. Al contrario, se dopo d'averne considerato uno gl’unisco un altro, e a questa unione appongo il nome “due.” Se a questi aggiungo un terzo, ed allanuova unione appongo il nome “tre,” e cosi di seguito, caratterizzando con parole distinte ogni aumento progressivo d'unità, arrivo ad annoverare moltissimi oggetti facilmente. Alla stessa maniera, se ogoi volta che voglio pensare ad una persona, sono costretto a richiamarmi ad una ad una tutte le sue qualità, onde non confonderla con un'altra. Le note tracciate sulle carte di musica rappresentano i suoni che si eseguiscono dagl’istrumenti. Le parole pronunciate o scritte rappresentano le idee che si piagono nel l'animo. 1   mi troverò nel massimo imbarazzo. Siano,a cagione d'esem pio, come segue, le qualità d'una persona: Fisiche: Sesso maschile, anni: 20, capelli biondi, fronte alta, cigli biondi, occhi neri, naso lungo, bocca grande, meoto prominente, marca nera sulla guancia destra, mano sinistra storpia, piede destro zoppo, linguaggio balbettante, accento francese. Morali = Melanconia, dissolutezza, mancanza alle promesse, viltà, abitudine alla menzogoa, jocostanza. Civili = Patria, Rodez in Francia, condizione, awmo gliato, professione, possidente. Se la mia attenzione deve afferrare tutte queste idee alla volta, si troverà insufficiente al bisogno; molto maggiore si farà la difficoltà, se per pensare nel tempo stesso ad altra persona, sono costretto a schierarmi avanti alla mente con egual melodo tutte le qualità che la caratterizzano. Se al contrario chiamo la prima “Pietro”, la seconda “Paolo”, potrò facilmente richiamarmi l'una e l'altra, distinguerle tra di loro, paragonar!e insieme. Queste parole sono poi ancora più necessarie, allorchè si vogliono esprimere le qualità comuni a molti oggetti, a cagione d'esempio, le qualità che si trovano in tutti gli u o miniod in tutti gli animali, il che costituisce le idee astratte, come si disse di sopra, ovvero allorchè si vogliono esprimere gli oggetti creati dalla nostra mente, come le idee di gloria, d'infamia, di virtù, di vizio. Sebbene quando pronuncio le parole “uomo” , animale. non mi si schiarino alla mente tutte le idee elementari che bo unito a queste parole , cionnonostante ne veggo il  TEORIA DELLA SENSAZIONE porto, ne seolo le differenze, ne scorgo le somiglianze, alla stessa maniera che sebbene pronunciando i numeri 100,000 e 10,000 non vegga le unità che li compongono, so però che l'uoo sta all'altro come 100 a 10, ovvero come to a 1, e conoscendo la maniera con cui questi dumeri sono stati formali, posso, ogni volta che voglio, separarne le maggiori masse , scendere alle minori, per arrivare alle minime e fipalmente agli elementi. Supponete che per isbaglio qualcuno invece di dire che 1000 è decuplo di100, dica che 100 ė decuplo di 1000. Ben tosto l'abitudine chenoi abbiamo acquistata d'attribuire a queste parole certe relazioni tra di esse, agisce sulloro suono, e cifa scorgere all'istante l'as surdità dell'accennata proposizione. Il linguaggio si è per rap  141 noi come quelle traccie che il piede del viaggiatore imprime sull'arena di un vasto deserto, le quali lo guidano, quand'egli voglia,al punto doode parti. Una parola che nella sua origine e un nome proprio, divenne insensibimente un nome appellativo. Può in conse guenza accadere in forza delle associazioni ideali e sentimen tali che uo nome generaleri chiami uno degli individui ai quali s'applica. Ma lungi che ciò sia necessario alla forza del raziocinio, è sempre una circostanza che tende ad illuderci.Si può paragonare uno spirito che ragiona ad un giudice che deve decidere tra contendenti. Se il giudice non conosce se non le loro relazioni al processo, s' egli ignora i loro pomi, s'egli li designa per lettere dell'alfabeto o pe’nomi fittizi di Tizio, Cajo, Sempronio, egli è quasi necessaria mente imparziale. Cosi in una serie di ragionanenti noi corriamo medo rischio diviolare le regole della logica, allorchè la nostra attenzione si fissa sui semplici segni,e quando l'immaginazione, presentandoci oggetti individuali, non esercita sulnostro giudizio la sua influenza e non viene a sedurci con accidentali associazioni. Le parole facilitano vie maggiormente l'esercizio del pen iero quando il loro suono imita il suono della cosa espressa, come sono le parole belato, cigolio, scricchiolare. Anche le parole tracotante, orgoglioso, baldanzoso. Colle vocali piese rinfiancate dalle acconce consonanti, e colla moltiplicità delle sillabe spirano una cerla audacia di suono analoga all'indole dell'oggelto che esprimono. Anche quando accennano l'uso o la proprietà della cosa indicata; cosi Fieberrinde o scorza della febbre nel linguaggio tedesco, che accenna l'uso e laproprielà di questo vegetabile, é preferibile alla parola Quinquina. Per la stessa ragione le parole cui il nuovo stile indica i mesi nell’anno, hanno più pregi che quelle dell'antico: fiorile ossia il mese de ' fiori, vendemmi atoreossia il mese della vendemmia, sono nomi ben più espressivi che maggio e ottobre. ATTENZIONE ERAZIOCINIO.  Al contrario, allorchè si dà il nome di Pino del Nord al'albero prezioso che tutte le nazioni maritti meriguardano come migliore per le alberature , si fa supporre che questi bei pininon possono crescere s e donne'climi glaciali, mentre trovansi nella Lituania, in altre provincie più meridionali, in quelle stesse i cui fiumi corrono verso il Mar Nero. La parola Gallo d'India rammentando che questo ani male è natio d'America, e ignoto ai Romani , venne uel l'Europa del 16.° secolo, è per più titoli preferibile all'insignificante parola “pollo”. Coquetterie in francese (civetteria) rappresenta al vivo il carattere d'una donna galante, che tiene a bada mille amanti, a guisa d’no gallo che vezzeggia cento galline ad un tempo. Al contrario allorchè gl’antichi chimici ci parlavano del fegalo di zolfo, del butirro d’antimonio dei fiori di zinco. Spingevano il pensiero sopra immagini non applicabili agli oggetti che volevano iudicare. Anche quando le parole serbano tra di esse un cerlo rapporto costante, come leparole quaranta, cinquanta, sessan ta, sellanta, Ollanta, novanta, ciascuna delle quali avendo la stessa desinenza , è formata dalla moltiplicazione del fat. comune dieci, ne'numeri naturali quattro, cinque, sei. Dello stesso ordine progressivo de numeri nalurali. Siano i nomi delle nuove misure Myriametro uoilà di Kilometro unità di Ectometro unità di L'influenza del linguaggio sulle operazioni del pensiero si scorge sulla nazione Chinese. La quale, a fronte delle altre incivilite,  TEORIA DELLA SENSAZIONE 0.01 di metro Centimetro unità di 0.001 di metro Si vede che dalla massima alla minima misura v'è una progressione decrescente che segue la stessa legge, di modo che essendo data una di esse, si possoo ritrovare le prece deotie lesus seguenti. Al contrario leantichemisuredipo sla, lega, lesa, pertica, passo geometrico, passo ordinario, braccio, auna, piede, pollice, linea, punto....non es sendo crescenti o decrescenti nella stessa proporzione, D00 aveodo tra di esse rapportocomune, confondono la memoria, e colla notizia d'una di esse non si può giungere alla cognizione d'alcun'altra. Dicasi lo stesso delle altre misure e de'pesi puovi ed antichi, calcolati I primi in ragione decupla e costante, i secondi senza nessuna ra gione graduata e regolare. Cesarolti. tore Decimetro unità di 0.1 di metro Metro upità di 10 metri 10,000 metri 1,000 metri Decametro 100 metri unità di diritla,ne avrò ildoppio in questa. Dimando qual è il u nunero de'gettoni che avevo da principio in ciascuoa 6 mano? Qui si banno due condizioni note, o , per parlare « come i malematici, due dati; l'uno, che se fo passare 6 un gellone dalla diritta alla sinistra , ne avrò egual o u u mero in ambe le mani; l'altro che se lo fo passare dalla « sinistra alla diritta, ne avrò il doppio in questa. Ora roi «vedete,che,s'eglièpossibiletrovareilnumero ch'iovi u dimando , ciò non può farsi, se non osservando le relazioni che haono i dati fra loro; e comprendete che tali « relazioni saranno più o meno sensibili, secondo che i dali « saranno espressi in un modo più o meno semplice. quan u do le si toglie un gellone , è eguale a quello che avete u nella sinistra, quando a lei se ne aggiunge uno , esprime « reste il primo dato con molte parole. Dite dunque più ubrevemente:ilnumero dellavostra destra, scemalod'una unità, è uguale a quello della sinistra più un'unilà; ov « vero:ilnumero della destra meno un'unità è uguale a si può dire quasi barbara, sottomessa ai pregiudizi più assurdi, sta zionaria da più secoli, altesa l'imperfezione della sua lingua. Mentre le nostre liogue d'occidente e le più belle d'oriente riproducono lulle leparole con un solo numero di lettere diversamente combinate , nella lingua chinese, quasi ciascuna parola ha il suo segno partico lare; lo studio della scrittura esige quindi un tempo infinito. L'incertezza e l'indeterminazione del senso delle parole passando a vi cenda dal linguaggio orale alla scrittura,dalla scrittura al linguaggio orale, producono una confusione da cui i più dotii possono appena schermirsi colla più grande fatica. Egli è evidente che siffattalingua non è buona che a perpetuare l'infanzia d'un popolo , desaligando seoza 'frutto le forze degli spiriti più distinti, ed offuscando nella loro sorgente ipriini Jampi della ragione. Gioja. Elein, di filosofia. Se voi diceste : il numero che avete nella destra  4. Acciò il discorso faciliti l'esempio del pensiero,è necessario che sia minimo il numero delle parole,invariabile l'oggetto indicato,precisata, ovunque è possibile, la quantità · trarrò l'esempio da Condillac: is Avendo de' gelloni nelle mie mani, se nefo passar uno dalla mano dirilla alla sinistra, ne avrò tanti nell'una quanti nell'altra; e se nefo passar uno dalla sinistra alla « Non si tratta d’indovinare codesto qumero , facendo « delle supposizioni ; bisogna trovarlo ragionando e passando « dal cognito all'incognito per uoa serie di giudizi. 11   quello della sinistra più un'unità ; o infine ancor più bre «vemevle:ladestraweno unoegualeallasinistrapiùuno. pio in questa. Dunque il numero della mia sinistra sce malo d'una unità è la metà di quello della destra accre « sciuto d'una unità; e per conseguenza esprimerete il se « condo dato dicendo : il numero della vostra mano diritta « accresciuto d'una unità è uguale a due volte quello della 6 vostra sioistra scemato d'una unità. « Tradurrete questa espressione in un'altra più sem “ plice , se direte : la destra accresciuta d'un'unità è uguale a due sinistre scemate ciascuna d'uu’unità ; e giungerele “ a questa espressione la più semplice di tutte : la dirilla « più uno uguale a due sinistre meno due. Ecco dunque le « espressioni, alle quali abbiamo ridotti i dati : u Questa sorta d'espressioni chiamasi equazioni in m a «tematica.Sono compostediduemembriuguali.Ladirilla u meno uno è il primo membro della prima equazione. La sinistra più uno, il secondo. « Le quantità incognite sono inescolate alle cognite in 6 ciascuno di questi membri. Le cogoite sono meno uno più uno , meno due : le incognite sono la diritla e la sini “ sira, coo cui espriaiete idue numeri che andate cercando. « Finchè le cognite e le incognite sono cosi mescolate w in ogni membro delle equazioni,non è possibile risolvere u ilproblema.Ma nou v'è bisogno d'un grande sforzo du « riflessione per osservare, che se vba un mezzo di traspor “ tare lequantità d'un membro all'altro, senza alterare l'eguaglianza che passa tra loro, possiano, bon lasciando in un membro che una sola delle due incogaite; sepa “ l'arla dalle cognite, colle quali è mescolala. Questo mezzo si preseula da sè stesso; perchè se la « diritlameno uno è uguale alla sinistra più uno, duoque TEORIA DELLA SENSAZIONE Per tal guisa di traduzione in traduzione arriviamo alla più semplice espressione del primo dato. Ora quanto « più abbreviarete il vostro discorso, più si ravvicioeranno « le vostre idee,e quanto più saraono vicine, più vi sarà « facile di conoscere tutte le loro relazioni. Ci resla a traltare il secondo dato come il primo , e bisogna tradurlo u nella più semplice espressione. Per la seconda condizione del problema, s’io fo pas “ sare un geltone dalla sioistra alla diritta, ne avrò il dop « La diritta meno uno uguale alla sinistra più uno. « La dirilta più uno uguale a due sioislre meno due.  ATTENZIONE E  RAZIOCINIO. La diritta uguale alla sinistra più due. « La diritta uguale a due sinistre meno tre. « li primo membro di queste due equazioni è laslessa quantità; la dirilta; e vedete che conoscerete questa quan lità, quando conoscerete il valore del secondo membro e dell'altra equazione. Ma ilsecoodo membro « della prima è uguale al secondo della seconda , poiché « sono uguali l'uno é o altro alla stessa quantità espressa “ dalla dritta; duoque potete formare questa terza equa u ziove: « La sinistra più due uguale a due sinistre meno tre. « Due più tre uguale a due sinistre meno una sinistra. « Due più treuguale ad una sinistra. “ Cinque ugualead una sinistra. « Il problema è sciolto. Avete scoperto che il numero de'geltooi che ho nella mano sinistraè cioque.Nelle equa u zioni , la diritta uguale alla sinistra più due , la diritla uguale a due sinistre meno tre, troverete che sette è il nu 6 Inero chc ho vella diritta. Ora questi due numeri cioque 6 e sette,soddisfanno alle coodizioni del problema. quando un problema è così facile,come quello scioltopur 6 ora, essa ne abbisogna maggiormeote, quando iproblemi  66 65 56 dell'una « la diritla jolera sarà uguale alla sinistra più due: e se la “dirittapiùunoèugualea due sinistremeno due,dun « que la diritta sola sarà uguale a due sinistre meno tre: « Sostituirete dunque alle due prime le due seguenti equa zioni. 6.Allora non vi resta che una incognita, la sinistra, e a ne conoscerele il valore , quando l'avrete separata, vale a » dire,falte passare tutte lecogoite dalla stessa parte. Di - rete dunque Voi vedete sensibilmente in queslo esempio come la asemplicitàdelle espressionifacilitailraciocinio,ecom ú prevdele che se l'analisi ha bisogno di tal linguaggio sono complicati. Così il vantaggio dell'analisi nelle male 6 mati che nasce unicamente dal parlare s s e il linguaggio più semplice. Una leggiera idea dell'algebra basterà per farlo 6 ipleadere. In questa lingua non si ha bisogno di parole. Il più si sprime col seguoto, il meno cou--; iuguaglianza con « siindicaou le quantitá con lellere o citre:Ý , per es., sarà ilnu 6 mero de'geltoni che ho nella destra, e Y quello della sinistra. e   Non sarà fuoridi proposito l'osservare che non alla sola semplicità del linguaggio, come pretende Condillac, sono debitrici dellaloro perfezione l ematematiche, ma anche 1.o alla prudenza de'loro seguaci, la quale consiste nel ritenersi nei limiti delle sensazioni e loro rapporti; 2. all'inva riabilità de’rapporti tra gli oggetti da essi chiamati ad esa m e ; 3.o alla possibilità di sottomettere le loro conclusioni alle verificazioni de'sepsi e degli strumenti. Cominciamo dal 1.°:esistono degli oggetti estesi; ecco la sensazione: gli oggetti estesi possono misurarsi gli uni per gli altri; ecco l'osservazione che produce la geometria. L'es.senza dell'estensione, gli elementi che la compongono, sono indagini che i matematici abbandonano agli oziosi metafisici, e quindi non si espongono ai loro errori. Dite lo stesso delle altre quantità esaminate dai matematici. a Cosi X – 1 = Y to 1, significa che il numero de'gettoni che ho nella destra, scemato d'un'unità è uguale a quelloche ho nella asinistra, accresciuto d'un'unità ,e X41 =2Y -2, significa che il numero della mia destra accresciuto d'un'unità è uguale due volte a quello della mia sinistra diminuito di due vuità. Ï due dati del nostro problema sono dunque rinchiusi in queste equazioni: 5Y. Finalmente da X = Y+ 2, caviamoX = 5 to 2= X = 2 Y - capiamo egnalıneote X = 10  TEORIA DELLA SENSAZIONE 2. « X fo 1 = 2 Y - 2 che diventano, separando l'incogoita del primo membro “Y +2= 2Y - 3 a che diventano successivamente 9 6X uX 2.Y -3. De'due ultimi menibri di queste equazioni facciamo 2Y "2*3=2Y-Y “2of3= Y la matematica non visono circoli più o meno ro tondi, linee più o meno perpendicolari, superficie più o meno quadrate, la misura di tutti i triangoli è uguale alla base moltiplicata per la metà dell'altezza. E quando un rapporto come quello del diametro alla circonferenza, cagion d'esempio, non può essere espresso con esattezza i matematici continuano ad essere esatii, additando la quantità relativa all'uso che se ne debbe fare, e che i seosi più 6X – 1 = Y to 1 66 Y+2 0 7; cda 3  ATTENZIONE E RAZIOCINIO. fini non potrebbero additare con precisione maggiore.I m a tematici non dicono,ilcircolo sirassomiglia al triangolo come un oratore dirà, l'uomo si rassomiglia al lione, e sarà costretto a lunga circonlocuzione per fissare la specie di ras somiglianza ch'egli annunzia, Alla sorpresa deve succedere in ciascuno la persuasione divedere un essere interamente simile a lui, essendo simili le forme e i moti esteriori. Infatti meolre it selvaggio A, a cagione d'esempio, stacca un fratto dal vicino albero, il selvaggio B, che si ricorda d'avere fatto più vollelo stesso, spinto dalla fame, conchiude che A èmosso (1) I tre antecedenti riflessi dimostrano falsa l'asserzione di Condillac, cioè che le matematiche non bando sulle altre scienze altro vantaggio che di possedere una migliore lingua, e che si procure rebbe a queste uguale simplicità e certezza , se si sapesse dar loro de’ segni simili». Languedu Calcul, Anche, le idee matematiche possono essere rese esteriori, cioè visibili, palpabili, misurabili, in una parola sono susceltibili d'essere giudicate dai sensie dagl’istrumenti. Coll'ajuto delle cifre e delle figure tracciale sulla tavolta,o rappresentate da corpi solidi, I concetti matematici compariscono rivestiti di forme visibili per chi ha gli occhi, tangibili per chi ne è privo. L'espressione dei rapporti di quantità è sol tomessa ad una verificazione sensibile, facile, immediata; nissuno ha finora osat o r i gettare il giudizio d'una bilancia, o sospettare l'imparzialità d'una tesa, o la veracità del gra fomeiro. Colla scorta de'principii esposti nell'antecedente sezione, ci sarà agevole cosa il seguire i filosofi nelle congetture con cui spiegarono l'origine delle lingue. Si suppongano due selvaggi A e B che s'incontrano la prima volta. Il primo sentimento che si svolgerà oel loro animo, sarà lasorpresa sempre figlia della novilà. Queste conclusioni si rinforzano in ragione de'movimenti e delle azioni che ciascuno eseguisce, perchè a queste azioni sono associate idee e sentimenti uguali. B intende dunque le azioni di A , leggeodo nel proprio animo e consultando la propria memoria. A intende le azioni di B per gli stessi motivi; si può dire che l'uno è specchio all'altro. B accorgendosi che comprende le azioni di A, conchiude che A comprende le sue. B compresii sentimenti di A,vedeodogli eseguire certe azioni; egli cercherà di far comprendere isuoi, ripetendo le azionistesse: ecco il linguaggio de'gesti. I sentimenti da comunicarsi o riguardano oggetti esterni presenti o lontani, ovvero riguardano gli interni sensi del l'animo. Allorchè l'oggetto è presente, gli occhi direlti verso di esso, il dito che lo accenna, la bacchetta che lo locca, il corpo che si slancia verso di esso o se ne allontana, formano tutto il dizionario della lingua. Questi segni possono essere chiamati indicatori. Allorchè si tratta d'oggetti lontani , per esempio, d'un animale che si riuscì ad uccidere, o d'un altro da cui si fu morsi, il selvaggio ne ripete l'accento, l'urlo, il grido, e ne esprime cogli atteggiamenti delle mani, delle braccia, della testa le forme più rimar che voli. Questi segni possono essere chiamati imitatori. Il rumore prodotto da un torrente che precipita, da un monte che scoscende, dal vento che fischia, TEORIA DELLA SENSAZIONE da uguale sentimento. A porta alla bocca il frutto e lo mastica; B rammentando il piacere che provò mangiandolo, con chiude che A lo prova ugualmente. Ad improvviso rumore A sospende l'operazione del mangiare, alza il capo immota col guardo fisso dal lato donde proviene il romore ed in attodi chi tende l'orecchio; B colpilo dallo stesso rumore e dagl’atti di A, sente sorpresa e timore, e conchiude che A è sorpreso e intimorito. Cessato il rumore, A riprende tranquillamente l'operazione del mangiare. La calma che succede nell'animo di B gli dice che A si è calmato. Dopo questa scoperta, il bisogno reciproco di comunicarsi a vicenda i propri sentimenti sembra naturale, perchè è naturale la reciproca debolezza e comuni i pericoli. I due selvaggi intendendosi reciprocamente, possono sperare un ajuto ne'loro bisogni, un sollievo de loro dolori, una difesa contro gl’assalti delle beslie feroci. ATTENZIONE E RAZIOCINIO. I segni indicatori, imitatori, figurati, divengono triplice canale di comunicazione pe'sentimenti e leidee in forza delle leggi d'associazione. Classificando gli elementi di questo linguaggio secondo la natura de materiali che servono a formarlo, se ne distingueranno tre specie, i gesti, le parole, la scrittura simbolica.La storia antica ricorda spesso l'uso de' simboli anche presso nazioni già uscite dalla barbarie e sopratutto pressole nazioni orientali. Dario essendosi inoltrato nel territorio della Scizia colla sua armata, ricevette dal re degliSciti un messo che, senza parlare, gli  dal tuono che scoppia. Il canto degli uccelli, gli accenti delle passioni sono altretanti suoni che il selvaggio ripete per farne iolendere l'oggetto ad ogni momento di bisogno, accompagnandoli per lopiù coi gesti. Se1 Allorché sitratta di esprimere i propri bisogni, i propri timori, in somma le affezioni che von simostrano ai sensi, il selvaggio ripete dapprima quelle attitudini del corpo che le accompagnano. Per esempio, B vede o d o il luogo ove rimase spaventato, ripeterà i gridi e i moti dello spavento, accid A non siespoogaaldaono cui fu esposto egli stesso. Un sordo e muto volendo indicarci, che fu calpestato da un cavallo, esprime dapprima con ambe le mani ,il moto preci pitoso de'piedi del cavallo, quindi accenna ilproprio corpo che cade sul suolo; posc i a ripete il moto del cavallo, escorre colle mani le varie parti del corpo nelle quali fu calpestato. Dopo i segni esterni che accompaguano gli affetti, il selvaggio, aguisade'sordie muti, cogliela somiglianzache scorge tra i sentimeoti dell'animo e le qualità de'corpi esterni, e si serve di queste per indicare quelli; per es., le passioni vive s'assomigliano alla fiamma, il loro contrasto allatempesta,la loro calma a cielo sereno, l'animo dubbioso a due mani che pesano due corpi. Ecco i gesti simbolici e figurati. La prima specie comprende le azioni e le attitudini del corpo impiegate per imitare le forme e i moti degli oggetti esteriori. La seconda, gli accenti della voce con cui si ripe tono i gridi degli animali, e i suoni che accompagnano il moto degli esseri inanimate. La terza, la pittura che si farà soventi sulla sabbia, sulla corteccia degli alberi, od altro, sia degli oggetti che si vuole indicare, sia delle azioni che vi si riferiscono. I suoni della voce altrondee le articolazioni che gli accompagnano, possono, sia per sè stessi, sia per la loro combinazione, presentare colleidee molteanalogie che non col piscono a prima vista, ma che sono facilmente sentite ed avidamente accolte dalle società che si pregiano di dire molte cose nel ininimo tempo, e colla minima fatica possi bile. Il linguaggio articolato dovette dunque arricchirsi di giorno in giorno. L'invenzione delle parole indicatrici de generi e delle specie,impossibile aspiegarsi agiudizio di Rousseau, sem bra facilissima, giacchè se un albero particolare A in dato luogoe tempo fu iodicato colla parola albero, è cosa natu. rale che la stessa parola venisse applicata ad un albero sia mile , quindi ad un terzo, ad un quarto. Cosicch è si per mancanza d'altra parola che io forza della legge d'aoa. logia (pag. 24 e 25)il nome proprio dovette divenire no me appellativo. Si giunse finalmente a far uso di segoi affatto arbitrari e vi si giunse in due maniere; dapprima per la degenera zione successiva del linguaggio primitivo e imitatore, poscia per convenzioni espresse. dodicipezziilcadavere,e glispedi alle dodici tribù di Israele, intendendo cosi di rendere comune ad esse il suo dolore, e chiamarle alla vendetta. Il suo linguaggio fu inteso e il suo desiderio soddisfatto:la tribù di Beniamino fu sterminata. TEORIA DELLA SENSAZIONR De'gesti non si può fare grande uso nelle tenebre de con persone alquanto distavti;la scritlura simbolica,benchè più perfetta de'gesti e permanente, soggiace agli stessi in convenienti, oltre di essere più difficile: al contrario gli accenti della voce, pronti, facili, variabili in tutte le maniere, pon tolgono dall'occupazione chi ne fa uso, e lasciano il potere di parlare e diagire. Queste ragioni fanno prevalere i suoni articolati. De dotti laboriosi hanno spiegato come la lingua primitiva alterata dal tempo, dalla mischianza del popolo e da diverse altre cause si trasforma nella nostra lingua italiana moderna ; presenta un uccello, un sorcio, una rana e cinque freccie; col quale simbolo il re voleva dire che se i Persiani non fuggivano come gli uccelli, non si nascondevano in terra come i sorci, non si sommergevano nell'acqua come le rane, cadrebbero vittime delle freccie degli Scili Il Levila d'Efraim volendo vendicare la morte della sua sposa, ne fa 151 e come questa alterazione seguendo un corso differente nei differenti paesi, rese le lingue sì dissimili tra di loro. Quanto alle convenzioni che furono fatte, non è necessario molto schiarimento. Si osserva che le parole non erano segni d'idee e di sentimenti, se non perchè gl;uomini ac consentivano a prestar loro lo stesso senso. Allorchè dunque conveone esprimere delle idee nuove, nulla si trova di più semplice che d'intendersi per scerre loro una parola. Questa convenzione, formata dapprima tra di quelli che avevano più pressante bisogno di designare questa idea, divenne in seguito comune agl’altri. Ciascuna arte, ciascuna scienza presenta le sue parole alla società, e lingue particolari. I segni arbitrari dovettero la loro forza solamente alla doppia abitudine di quelli che gl’impiegano e di quelli a cui si dirigono. Queste azioni, questi segni esteriori, che il ragazzo imita, sono uniti nella mente di quelli che gli servono di modello a dei sentimenti. Questi sentimenti lo sono ad alcune idee. I sentimenti e le idee a suoni articolati. Il ragazzo imita dapprima i movimenti, ripete poscia i suoni articolati o le parole, a cagione d'esempio, “padre”, “madre”, “vizio”, “virtù”, “religione”, “demonio”. Il ragazzo non ha bisogno d'inventare i segni artificiali delle idee. Egli gli impara soltanto. Ciò che per gl’antichi e un lungo sforzo di genio, non è per lui che un esercizio meccanico della memoria. Bentosto il ragazzo deve provare un principio di sentimento, ridendo all'altrui riso, piangendo all'altrui pianto, fremendo all'altrui fremilo benchè ne ignori la causa. Ma l'idea, s'ella esiste, essendo sempre la più difficile, la più lontana, la meno interessante a conoscersi, il ragazzo è imitatore come la scimia. Gli altrui moti, i gesti, l'accento, l’aria, il tono, tutti gl’attesteriori lo colpiscono nei primi anni della sua vita e d occupano la sua attenzione. Egli è spinto ad imitare ed arió petere tutto ciò che vede, ed i suoi organi mobili cootraggono l'abitudine di molte azioni, priache il pensiero sia capace di penetrarne lo scopo e d'osservarne il motivo: insginocchiarsi, fare il segno della croce, piegare la fronte, giungere le mani, levarsi il cappello, fuggire nelle tenebre, baciar l'altrui mano, fare inchini. La ripetizione frequente di questi suoni, gesti, sentimenti gli unisce con stretti nodi e tali che quando i suoni vengono a colpire l'orecchio o si presentano alla memoria, spingono gl’organi motori ai gesti relativi, e il sistema sensibile agl’associati sentimenti. Questa è la cagione per cui esempi ripetuti, antiche abitudini forzano la maggior parte degl’uomini ad ammirare, fremere, tremare, sdegnarsi, passionarsi in tutti imodi al suono delle parole le più insignificanti, le più vaghe, le più vuote d'idee, e che appunto per la violenza dei sentimenti associati si sottraggono alla analisi. Conviene anche osservare che più le parole sono confuse ed oscure, più piacciono e soddisfanno il gusto degli ignoranti. Queste ragioni ci spiegano il motivo per cui le stesse cose fanno impressioni diverse, secondo che sono pronunciate in una lingua o in un'altra. Si osserva, dice Rayoal, che i giudei stabiliti in gran numero alla Giamaica si facevano giuoco d'ingannare i tribunali di giustizia. Un magstrato sospetta che tale disordine potesse provenire da ciò che il suo Testamento, su'di cuido vevano giurare,era tradotta in idioma inglese. E quindi decretato che per l'avenire I Giudei giurer ebbero sul testo ebraico. Dopo questa precauzione gli spergiuri divendero infinitamente più rari. Per simile motivo Augusto lascia sussislere eadem magistratuum vocabula, acciò il popolo romano conchiudesse che sussisteva ancora la repubblica, sussistendo i nomi delle sue magistrature, e il rispetto ma c chioale eccitato negl’animi popolari dalle parole si, fissasse sulle nuove cariche che ritenevano le antiche denominazioni. Trovandosi Leibnizio a Nuremberg seppe che riera in quella città una compagnia di chimici, che col più profondo segreto travagliavano alla ricerca della pietra filosofica. Il desiderio d'entrarvi, gli suggerio l’idea che produce l'effetto bramato. Egli estragge dagli antichi alchimisti una serie di frasi oscure, la cui unione forma una lettera più oscura ancora e non intesada lui stesso. Questa lettera divenne un titolo peressere accolto. Leibnizio, tanto più ammirato quanto meno inteso, fu riconosciuto addetto e segretario della società. Bailly, Éloge de Leibnitz. TEORIA DELLA SENSAZIONE. Il ragazzo o non la verifica che tardi, come l'idea di “padre”, o non la verifica che in parte, come quella di “vizio”, o, non la verifica mai nè può verificarla, come l'idea di “demonio”, “magia”, “angelo”, “fortuna” e simili. Per eguale ragione, allorchè le idee più belle e più sublimi vengono tradotte in lingua usuale, bassa, plebea, per dono parte di quel pregio che conservano in una lingua antica o straniera. Quella specie di spregio che si attacca agl’usi volgari e quella specie di rispetto che va unito alle lingue morte od estere, sembra comunicarsi all'idea e degra darla a'nostri occhi o sublimarla. L'indeterminazione del linguaggio più in morale e legi slazione ha luogo, cbe nelle arti e nella storia naturale: gli oggetti di queste sono verificabili e misurabili coi sepsie cogli strumenti, quindi le stesse parole risvegliano in tutti presso a poco lestesse idee:al contrario gli oggetti morali non essendo verificabili con eguale precisione, restano nella nebbia della fantasia; le parole, da cui vengono indicati, partecipano della loro oscurità ed incostanza, e per lopiù risvegliano idee diverse nelle diverse teste in ragione delle circostanze in cui furono apprese. Pretendere che le stesse parole (principalmente se trattasi di cose morali) risveglino in tuttele stesseidee, egli è pretendere che quando è mezzo giorno a Milano sia mezzo giorno dappertutto. Nei giardini d'Epicuro la parola “virtù” risvegliava idee ridenti e piacevoli. Sotto i portici di Zenone, idee fosche e melanconiche. “Legge” significa la volontà di tutti per un greco, la volontà d'un solo per un persiano. le indicava per l'addietro un despota sciolto da ogni legge, attualmente quest'idea è più limitata , ed ha diversi significati a Londra, Amsterdam, Copenhague. “Libertà” nella mente del filosofo indica la somma delle azioni non vincolate dalla legge. Nella mente del volgo, la facoltà d'invadere i beni de'ricchi e di far nulla. Il massimo danno dall'indetermina zione delle parole si fa sentire ne'trattati tra, le nazioni, in cui la loro ambiguità diviene,causa o pretesto di guerre, nei codici criminali in cui l'oscurità d'una frase estende l’arbitrio del giudice a danno dell'innocente ne’ contratti, nei codici civili, nelle tariffe daziarie, in cui l'incertezza d'un'espressiooe è fonte di mille liti tra i cittadini, e vessazioni a. Havvi alla China una legge che condanna a morte quegli che non mostra sufficiente rispetto al sovrano. Comparve un giorno nella gazzetta della corte un aneddoto non raccontato con perfetta esaltezza. Il redattore fu arrestato, e i tribunali décisero che mentire nelle gazzette della corte e non mostrare sufficiente rispetto al sovrano. Quindi il redattore fu messo a morte. ATTENZIONE E RAZIOCINIO.“ commercio. La divisione uniforme del regno in dipartimenti, distretti, cantoni, comuni, l'uniformità de' pesi, in isure, monete, gli stessi libri nelle università, la stessa educazione ne’ licei lendono a dare alle parole la stessa significazione, a diminuire le dispute, e quindi una somma noo de. finibile di coilisioni sociali. Oltre l'indeterminazione del linguaggio proveniente dal modo con cui l'impariamo e dalla natura dell'oggetto che esprime, bisogna dire che in ogni lingua non v'ba quasi una parola che rappresenti sola una idea chiaro-distinta da se stessa. Tutte prendono sensidiversi dal posto che occupano nel discorso,dalle parole che le seguono o le precedono, dall'accento, dal gesto, dagli atti che le accompagnano. La medesima parola unita ad alcune ti mostra un dato espelto d'idee,uo altro, se si college con altre. Più avanti, più indietro le ne farà vedere dei diversi. Detta con un tuono asseverante, ha un senso. Con un tuono di meraviglia, un altro. Con irrisione, un terzo. Con interrogazione, un quarto. Cosicchè si potrebbe assomigliare le parole ai colori delle peone d'un colombo, che variano secondo il moto del sole, del colombo, dell'osservatore. Sono quindi quovi, fonti d'errori i diversi sensi che le stesse parole esprimono passando da un ordine di cose ad un altro. Un oratore, dopo avere esaltato i nomi di molti personaggi illustri dell’antichità, si dirige così a'suoi uditori: ingrati che noi siamo! noi cilngniamo della brevita della vita, mentrei è innostro polere di renderci immortali. Egli è evidente che questa argomentazione confonde due maniere di vivere che sono distiolissime e diverse. Lo stesso difetto si fa vedere nella seguente massima di Rousseau. Se la natura ci ha destinati ad essere sani, l'uomo che medita è un'animale depravato. Perchè questa sentenza fosse vera, converrebbe provare che il primo ed unico destino dell'uomo è di essere sano; che la virtù consiste nella sanità, e che la meditazione è in compatibile coi buoni costumi. Allora un dollo sarà un essere depravato come il soldato che espone la sua sanità e la sua vita in difesa della patria. Si potrà dire che ogni ammalato è uno scellerato, un mostro; che un monco è un Sano è qui'addiettivo del corpo, e significa uno stato fisico; depravalo è addiettivo dell'auimo, e significa uno stato morale. animale depravalo, avendoci la natura destinati ad essere sani come ci ha destinati ad avere due braccia. Aliro esempio. Bernardin de Saint Pierre vuole che assolutamente si bandisca l'emulazione dalle scuole pubbliche; e per provare ch'ella è inutile, argomenta così. Analizziamo questo argomento. L’emulazione per imparare la lezione, per fare dei temi, per studiare le scienze è inutile ugualmente che per giocare, bere, mangiare. L'emulazione è dunque da una parte e dell'altra la ripetizione della stessa inutilità, e per conseguenza si devono ritrovare pelll'un caso e nell'altro le medesime cause di questa doppia inutilità. Le funzioni dell'animo non son esse egualmente naturali, egualmente aggradevoli che quelle del corpo? Egualmente naturali? lo rispondo di no, se per naturali inten desi necessarie ed imperiose. Egualmente aggradevoli? Questo è possibile, ma la causa si rifonde   nel piacere d'essere applaudito, ammirato, ricompensato. Quindi l'autore non s'accorge che coi buoni effetti dell'emulazione lepla di provarne l'inutilità. Finalmente l'interesse, la mala fede, le passioni lulle abusano delle parole, perciò, al dire di Parini, il mercante è pronto inventor di lusinghicre fole 6 E liberal di forastieri nomi 6' A merci che non mnaivarcaro imonti.  уоро campagna, come sono necessarie talvolta per farli stu diare? Questa piccolo popolazione ha forse immaginato delle astuzie, e inventati degl’artifizi per allungare gli studi, e per ottenere un tema più difficile? Ho io avuto bisogno nell'infanzia di sorpassare i miei compagni nel bere, mangiare, passeggiare, e per corvi piacere? E perchè è egli slato necessario che imparassi asor passarli ne’miei studi, per trovarci dilello? Non ho iopo. tulo instruirmi a parlare e ragionare senza emulazioni? Le funzioni dell'animo non son esse egualmente naturali, egual mente aggradevoli che quelle nel corpo? Ora l'emulazione è inutile oel bere e nel mangiare, per che queste operazioni sono comandate dal più pressante, dal più imperioso de’ bisogoi, l'amore della vita; ma quantivi e conciliano la santità e la grassezza coll'inerzia e l'ignoranza? Gli scolari temono forse tanto le ricreazioni quanto temono la dieta? Sono mai state necessarie le minacce ed i castighi per condurli al refettorio o farli partire per la Cromwel, per coprire le sue viste atobiziose col manto della religione, aveva dato alla maggior parte de'suoi reggimenti i nomi dei santi del Testamento Vecchio. Cromwel, dice uno scrittore anonimo di quel tempo, ha ballulo illam buro in tutto il Vecchio Testamento. Si può imparare la genealogia del nostro Salvatore dai nomi de'suoi reggimenti. Il commissario di guerra non aveva altra lista che il primo ca pitolo di S. Matteo. In tutti i tempi, in tutte le religioni, in tutti i partili, il fanatismo, il quale non sipiccò mai di equità, diede a quelli che voleva perdere, non i nowi che merita vano, ma inoai che potevano loro nuocere. Socrate, che depurando le idee superstiziose, le conduceva all'unità di Dio, riceve il titolo d' aleo dai sacerdoti di Cerere: empio chiamavasi presso gli Egiziani chi von adorava un gatto, un bue o un coccodrillo. Si da dai Cartaginesi lo stesso titolo a chi abborriva il sacrifizio delle umane vittime. I romani danno a tutti i cristiani il nome di galilei o giudei, sforzandosi dire uderli odiosi non potendo dimostrarlı irragionevoli. Alla China i nostri missionari che diffondeodo la religione dei galilei diminuiscono il concorso ai tempii de' falsi idoli, e quindi i proventi de' sacerdoti, vengono da questi dipinti come ribelli ed accusati di congiura coutro lo Stato. Le espressioni odiose sono uo'arma troppo favorevole alla calunnia perchè ella non s'affretti a farne uso. Egli è sempre un vantaggio l'avere pronta una parola di sprezzo per caralterizzare i torti che si riaproverano ai propri avversari. Con una di queste parole si prova tutto, si risponde a tutto, si difende la propria opinione, si distrugge l'altrui. A Pascal, che con tanta sagacità svela nelle sue lettere provinciali la corruzione della morale, e risposto ch'egli era quattordici volte eretico. Gli uomini saggi si guarderaono sempre dalle espressioni dipartito ed esclu sive, e che traggono seco idee accessorie infinitamente variabili e talvolta cootrarie. Essi dirapoo, a cagione d'esempio, questa legge è conforme all'interesse pubblico, e lo prov r'anno svolgendo la somma de’ beni di cui è seconda, ma non diranno, per es., questa legge è conforme al principio della monarchia o della democrazia, giacchè se vi sono delle persone nelle cui teste queste parole risvegliano idee d'approvazione, ve ne sono altre nelle quali succede tulto l'opposto. Quindi se i due partiti si mettono alle prese, la disputa non finirà che colla stanchezza de’ combattenti, e per cominciare TEORIA DELLA SENSAZIONE   ATTENZIONE E RAZIOCINIO. Combinare od inventare. La ninfa della tignuola d'acqua che si trova ne'nostri fiumi, dice Darwin , e la quale s’involge in cerle casucce di paglia, di sabbia, di gusci,s a ben far si che questa sua abi lazione sia alla ad equilibrarsi coll'acqua ; e perciò quando èsoverchiamente pesante, viaggiunge un bocconcello dipa 'gliao dil egno, equando troppoleggiere, un pezzellodi grossa rena.  il vero esame, converrà rinunciare a queste parole appassionate ed esclusive, per calcolare gli effetti della legge in bene e in male. Osservano gli storici che nel corso della guerra del Peloponneso successe taletrambusto nelle idee e ne' principii, che le parole più usuali cambiarono di senso. Si da il nome di dabbenaggine alla buonafede, di destrezza alla duplicità, di debolezza alla prudenza, di pusillanimità alla moderazione, mentre i tratti d'audacia e di violenza passavano per slaoci d'animo forte e di zelo ardente per la causa pubblica. Una tale confusione del linguaggio è forse uno de’ sintomi più caratteristici della depravazione d'un popolo. In altri tempi si può offendere la virtù. Ciò non ostante se ne riconosce ancora la sua autorità, quando le si assegnano de’ limiti. Ma quando si giunge sido a spogliarla del suo nome, ella perde i suoi diritti al trono, e il vizio se ne impadronisce e vi si asside tranquillamente. Per capire ciò che succede allora in una nazione, basta osservare ciò che succede nelle società de’ viziosi e scellerati. I ladri, gl’aggressori , i monetari falsi, i contrabandieri si formano un linguaggio o uo gergo tutto proprio che confonde tutte le idee di vizio e di virtù. Uniti da sentimenti uniformi, volendo vendicarsi dell'opinione pubblica che li rispioge da sè, si compiacciono ad affrontarla. Quindi nel loro dizionario sono escluse tutte le impressioni del rossore, alterati i sentimenti del giusto e dell'ingiusto, associate idee scherzevoli ad atti criminosi e nefandi. Una vespa, continua lo stesso scrittore, ha colla una mosca grossa quasi com'era ella medesima. Posi le ginocchia a terraper meglio osservare, evidiche ellase paròla coda e la tesla da quella parle del corpo a cui sono annesse le ale. Prese ella quindinelle zampe questa porzione di mosca, e s'alza con essa dal terreno circa due piedi, ma un venticello leggiere scuotendo le ale della mosca, fa capovolgere l'animale nell'aria, ed egli scese ancora colla sua preda a terra. Osservai allora distintamenle che colla bocca le taglia primieramente un'ala, e poi l'altra, e quindi fuggi via non più molestata dal vento. Questi due animale lti,che sanno disporre le cose in modo, ossia ritrovare mezzi tali da oltenere il fine bramalo, ci danno le prime idee dell'arte di combinare o invenlare. Duhamel osserva che il felore delle sale degli spedali cresceva, avvicinandosi al soffitto. Egli immaginò quindi uo ventilatore che facendo comunicare questa parte delle sale con l'aria esteriore, caccia laria guasta. La combinazione di Dubamel oon suppone nella disposizione dei mezzi più cognizioni di quelle della tigauola e della vespa. Ma il fine ottenuto essendo molto vantaggioso all'umanità, la combinazione è più pregevole. Il pregio di questa combinazione cresce, se si riflette ch'ella è applicabile ad altri oggetti, a cagione d'esempio, ai vascelli in mare. lo fatti vi sono delle combinazioni saggissime profondissime, e che suppongono infinita destrezza nell'esecuzione. Ma siccome non arrecano alcun vantaggio, non hanno alcun pregio agl’occhi del saggio. Boverick, meccanico d'uva de, strezza e d’upa perseveranza prodigiosa, fabbrica una catena di duecento anelli che col suo catenaccio e la sua chiave pesava circa un terzo di grano. Questa catena e destinata ad iocatenare una pulce. Egli fa una carrozza che s'apriva e si chiudeva a inolla, era tratta da sei cavalli, porta quattro persone e due lacchè, e condolia da un cocchiere, ai piedi del quale sta assiso un cane, e il lutto venne strascioato da una pulce esercitata a questo travaglio. L'invenzione e l'esecuzione di questa macchina puerile fa desiderare che Boverick impiega meglio i suoi talenti. Grice: “”Si suppongano due selvaggi” – exactly my way of proceeding. Gioia has a lot of sense. An engraving’s caption has it: ‘statistico e filosofo’ – And I like the fact that like Socrates he did ‘elementi di filosofia ad uso de’ giovanetti’!” -- Melchiorre Gioia, Melchiorre Gioja. Gioia. Keywords: filosofia ad uso de’ giovanetti, galateo, pulitezza, Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Gioia” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giorello: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del libertino – filosofia italiana – Luigi Speranza (Milano). Filosofo italiano.  – Grice: “I like Giorello: he philosophises on evil and good – the devil wrestles with the angel – but also on Mickey Mouse that he calls ‘topolino’ – “la filosofia del topolino” – and perhaps ore exotically for us Oxonians, on ‘la filosofia di Tex,’ a ‘fiumetto’ of 1948!” –Si laurea a Milano sotto Geymonat). Insegna a Milano. Membro de la Società Italiana di Logica” e de la Societa Italiana di Filosofia della Scienza. Giorello divise i suoi interessi tra lo studio di critica e crescita della conoscenza con particolare riferimento alle discipline fisico-matematiche e l'analisi dei vari modelli di convivenza politica. Dalle sue prime ricerche in filosofia e storia della matematica, i suoi interessi si erano poi ampliati verso le tematiche del cambiamento scientifico e delle relazioni tra scienza, etica e politica. La sua visione politica e di stampo liberal democratico e si ispira, tra gli altri, a Mill.  Si occupa anche di storia della scienza in particolare le dispute novecentesche sul "metodo"e di storia delle matematiche (“Lo spettro e il libertino”). Cura “Sulla libertà” di Mill. Ateo, filosofa in “Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo.” Altre opere: Opere  Filosofia della matematica, Milano, L’nfinito, Milano, UNICOPLI, Lo spettro e il libertino. Teologia, matematica, libero pensiero, Milano, A. Mondadori,  Le ragioni della scienza, Roma, Laterza,Filosofia della scienza, Milano, Jaca Book, Le stanze della ricerca, Milano, Mazzotta, Europa universitas. sull'impresa scientifica europea, Milano, Feltrinelli, La filosofia della scienza, Milano, R.C.S. libri & grandi opere, Quale Dio per la sinistra? Note su democrazia e violenza, Milano, UNICOPLI, La filosofia della scienza, Roma Laterza, “Lo specchio del reame: riflessioni sulla comunicazione: Longo, Epistemologia applicata. Percorsi filosofici, e Milano, CUEM,  I volti del tempo, e Milano, Bompiani, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del mito, Milano, Cortina,  Di nessuna chiesa. La libertà del laico, Milano, Cortina, Dove fede e ragione si incontrano?, con Forte, Balsamo, San Paolo, La libertà della vita, Milano, Cortina,  Il decalogo. I dieci comandamenti commentati dai filosofi,, Non nominare il nome di Dio invano, Milano, Albo Versorio, Giulio Giorello relatore al convegno internazionale "Science for Peace", Milano, La scienza tra le nuvole. Da Pippo Newton a Mr Fantastic, Milano, Cortina, Kos. Rivista di medicina, cultura e scienze umane,  4: Dio, Patria e Famiglia, Milano, Editrice San Raffaele, Libertà. Un manifesto per credenti e non credenti, Milano, Bompiani,  Il peso politico della Chiesa, Cinisello Balsamo, San Paolo, Viaggio intorno all'Evoluzione, Mascella, Zikkurat Edizioni & Lab, Harsanyi visto da G., Milano, Luiss University press, Lo scimmione intelligente. Dio, natura e libertà, Milano, Rizzoli, Ricerca e carità. Due voci a confronto su scienza e solidarietà, Milano, Editrice San Raffaele,  Introduzione a Apostolos Doxiadis e Christos H. Papadimitriou, Logicomix, Parma, Guanda,  Lussuria. La passione della conoscenza, Bologna, Il Mulino,. Senza Dio. Del buon uso dell'ateismo, Milano, Longanesi,. Il tradimento. In politica, in amore e non solo, Milano, Longanesi,. Premio Nazionale Rhegium Julii Saggistica. La filosofia di Topolino, Parma, Guanda,.  Noi che abbiamo l'animo libero. Quando Amleto incontra Cleopatra, Milano, Longanesi, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.   CULTURA Addio a G., filosofo della scienza e difensore della libertà By Vincenzo VillarosaPosted on È morto il filosofo G., per le conseguenze dell’influenza da COVID-19, dopo aver trascorso due mesi di degenza in ospedale ed essere stato dimesso alla metà di maggio. Successore di Geymonat alla cattedra di Milano, il filosofo aveva sposato la compagna Roberta Pelachin. Il Premier Conte lo ha ricordato, in un messaggio sui social, come un filosofo che ha saputo riflettere sui rapporti tra etica, politica e religione.  Nato a Milano G. si laurea in Filosofia seguendo la tradizione antifascista e marxista del maestro Geymonat e il difficile tentativo di contrastare le divisioni tra pensiero scientifico e umanistico. In seguito, e docente di Meccanica razionale a Pavia e poi a Catania, a quella di Scienze naturali all’Università dell’Insubria e, infine, al Politecnico di Milano. Presidente della Società Italiana di Logica e Filosofia della scienza. I suoi studi spaziavano dalla mitologia all’antropologia e alla psicologia evolutiva fino alla bioetica e alle neuroscienze. Uno tra i più bravi epistemologi italiani, insomma, capace di unire il rigore per gli studi sul metodo della scienza alle riflessioni sull’ambiente sociale e politico nel quale si muove la ricerca scientifica.  Accanto all’attenzione per le discipline fisico-matematiche e all’accrescimento della conoscenza scientifica, G. analizza le modalità complesse e contraddittorie della convivenza sociale e politica. Sulla scia del pensiero di Mill – di cui aveva curato l’edizione italiana dell’opera Sulla libertà, scrive, in particolare, pagine illuminanti sulla natura, i limiti e la possibile difesa della libertà umana.  La sua instancabile attività di saggista e basata su un’approfondita conoscenza della produzione saggistica e del dibattito internazionale intorno al discorso scientifico. La testimonianza di questa ricchezza culturale è rintracciabile nella preziosa direzione editoriale della collana Scienza e idee per Cortina e nella capacità di divulgazione espressa, tra l’altro, nella collaborazione alle pagine culturali del giornale Corriere della Sera.  Tra le opere di saggistica, ricordiamo Filosofia della scienza (Jaca Book) e due contributi di divulgazione scientifica come La filosofia della scienza con Gillies, Laterza, e La matematica della natura con Barone, Mulino.  Nelle opere Di nessuna chiesa. La libertà del laico (Cortina) e Senza Dio. Del buon uso dell’ateismo (Longanesi), G. parla del valore della laicità in maniera antidogmatica e rispettosa della visione del mondo dei credenti.  La curiosità intellettuale e la personalità liberale del filosofo milanese si espresse anche nell’interesse sul rapporto tra la cultura definita alta e quella popolare presente, ad esempio, nel mondo dei fumetti. Il suo saggio pop su La filosofia di Topolino con  Cozzaglio, Guanda,  ne è una divertente ma non banale rappresentazione.  La perdita di G. toglie alla scena italiana uno dei più attenti conoscitori dell’articolato cammino della filosofia e del sapere scientifico e, allo stesso tempo, un difensore delle libertà individuali e collettive, senza le quali non è possibile alcun accrescimento e consolidamento del patrimonio culturale dell’umanità.  RELATED TOPICS: FILOSOFIA, LETTERATURA, PRIMA-PAGINA, SOCIETÀ Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo. Il settenario. Il vizio della lussuria. Origine e delineazione del vizio nel Medioevo. Vizio del corpo. Vizio dell anima. I coniugati e la lussuria. Se non riescono a contenersi si sposino, meglio sposarsi che ardere (I Cor. 7,9). La lussuria come potenza nell Inferno. La lussuria come potere nel Inferno... p.31 4. La lussuria come piacere e dolore nel Canto V dell Inferno... p.44 5. La lussuria come filosofia nel Canto V dell Inferno... p.52 6. La lussuria come inganno e come sovversione nel Canto V dell Inferno... p.61 7. La lussuria nel Canto V dell Inferno: conclusione... p.66 Bibliografia... p.70  0. Introduzione Non v è dubbio che fra gli insegnamenti che Dante può riservare agli uomini del terzo millennio ci sia anche quello di puntare su un solo profondo amore al centro di tutta un esistenza, persistente anche oltre la soglia della morte, capace di rinnovare la vita di una persona, di orientarla al meglio. Come afferma Emilio Pasquini nel suo libro Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, la lettura della Divina Commedia dantesca si mostra rilevante anche nel terzo millennio. Ovviamente, un opera di qualche secolo fa rischia di non essere più adatta alle generazioni contemporanee. Ogni epoca conosce tendenze critiche differenti per quanto riguarda la Commedia, ogni generazione [ ] legge il suo Dante 2, e quindi, come lo pone Renzi, siamo prigionieri anche noi del nostro tempo 3. Pasquini segnala che, di tutti gli episodi della Commedia, soprattutto quello di Paolo e Francesca risulta molto interessante per i lettori di oggi 4. L amore-passione che forma il nucleo della storia continua a intrigare. Rappresenta una delle idee riguardanti l uomo tra cui Dante, in un modo meraviglioso, stabilisce legami nei suoi versi. Quelle connessioni creano la celebre feconda ricchezza di Dante, la quale fa sì che tanto all epoca (quando si trattava della fede, della relazione tra Creatore e creatura) quanto oggi (ormai importa la nostra coscienza etica) si scoprono delle idee sorprendenti e chiarificatrici nell opera 5. Accanto a questo, la storia dei due lussuriosi illustra pure la persuasione [di Dante] della presenza, nella vita di ognuno, di un gesto decisivo che sanziona la sorte eterna dell uomo [ ]. Oggi, asserisce Pasquini, una simile prospettiva riguarda (e riguarderà in futuro), su un piano totalmente terreno, le scelte radicali che decidono il corso di un esistenza, le svolte cruciali che imprimono alla vita di un individuo una precisa e irreversibile direzione, decidendo del suo destino in terra 6. 2 Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, Paravia, Bruno Mondadori;  Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.259. 5 Ibidem, pp.269. 6 Ibidem, pp.275. 7  Introduzione Si può aggiungere che, in generale, la ricerca della sapientia mundis del giovane Dante s inserisce perfettamente nella visione contemporanea del mondo, la quale è completamente fissata sull acquisizione di nuove conoscenze e su uno sviluppo personale completo. Parallelamente, si rivela adatto alla società di oggi l avvertimento di Dante adulto che tale ricerca deve essere interrotta quando rischia di condurre non alla magnanimità ma alla folia. 7 D altronde, Inglese segnala che il carattere realistico del poema, dei suoi personaggi e delle sue scene illustra che Dante utilizza il mondo terreno come una metafora dell oltremondo, l altro mondo è reso sensibile e leggibile con le forme del nostro mondo 8. Anche questo aspetto della Commedia fa sì che i lettori di oggi possono capire abbastanza facilmente il mondo sotterraneo evocato dal poeta. La conoscenza del mondo, inoltre, stabilisce il legame tra il commento di Pasquini e quello del filosofo Giulio Giorello, la cui teoria riguardante la lussuria non concorda con la visione cristiana del fenomeno, esposta nel primo capitolo della presente tesi. Ne risulta che la lussuria, dal punto di vista cristiano, si presenta come un fenomeno disprezzabile. Si tratta di una caratteristica umana da combattere e da eliminare. Il filosofo, invece, adotta un punto di vista molto differente nella sua recente monografia Lussuria. La passione della conoscenza 9. Propone un analisi molto originale del vizio, mirata a provocare, nel ventunesimo secolo, una sensazione di liberazione nel lettore della letteratura d ispirazione cristiana sul soggetto. Giorello considera la lussuria non solo come un peccato, ma anche, e in primo luogo, come una libertà: E per ciò [la lussuria] può costituire il nucleo di una società aperta e libertaria, insofferente di qualsiasi costellazione di dogmi stabiliti 10. Anche se il concetto centrale della tesi vi è inquadrato in un contesto quotidiano, universale e laico, non viene trascurato il significato cristiano del termine. L autore approfondisce il concetto di lussuria descrivendo come il desiderio lussurioso può manifestarsi in varie forme: parla della lussuria come potere, come filosofia, come inganno Andando al fondo della nozione di lussuria, stabilisce delle relazioni significative tra vari testi, autori e concetti. Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci; G., Lussuria. La passione della conoscenza, il Mulino, Bologna, 2010. 10 Ibidem, risvolto della sopraccoperta. 8  Introduzione A mio giudizio la lettura del Canto V dell Inferno dantesco nell ottica proposta da Giorello può offrirmi, e con me a tutti i lettori del capolavoro di Dante Alighieri, una lettura fresca e interessante di questi versi già ampiamente commentati. Vorrei dimostrare che le sue idee nuove permettono di attualizzare questa parte del testo dantesco anzi, tutta la Commedia- e di agganciarlo alla società del ventunesimo secolo (cf. Pasquini, cf. supra). Tutte le manifestazioni della lussuria contemplate dal filosofo verranno applicate al Canto V, poiché i suoi ragionamenti permettono di gettare nuova luce sul testo dantesco e di presentarlo a una società diventata quasi completamente laica, nella quale la religione cristiana è diventata un vago ricordo di altri tempi, un fenomeno soltanto latente (cf. supra). Anche nel libro di Giorello l aspetto religioso della lussuria non è quello più importante, ma è sempre presente in modo velato. Ciò significa che predomina la ricchezza rappresentata dalle varie manifestazioni del concetto denominato lussuria, a scapito della visione cristiana del fenomeno, la quale predica la restrizione di questo vizio. Tutto ciò spiega perché i concetti delimitati da Giorello, in combinazione con commenti da parte di Pasquini, mi faranno da filo conduttore per redigere la presente tesi. L accostamento evidenzierà paralleli e complementi interessanti. Dato che il mio scopo è l elaborazione di una nuova analisi della lussuria nel celebre Canto V prendendo come guide alcuni studiosi contemporanei, l aggiunta di pensieri e di ragionamenti provenienti dal libro Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante di Lorenzo Renzi arricchirà ancora l esposizione, tra l altro la parte nella quale si tratta della colpevolezza o dell innocenza di Paolo e Francesca. Renzi, nel suo libro, vuole reagire sia alla retrocessione di Francesca in generale, sia all interesse privilegiato mostrato dai critici per la tirata lirica di Francesca 11. L autore specifica che l episodio di Francesca forma, infatti, una metonimia della Commedia, cioè la parte per il tutto: [ ] drammatizza e presenta in exemplo la palinodia di Dante, il suo abbandono degli errori giovanili, del mondo dell amore terreno e della sua poesia (lo Stil novo), per cominciare l ascensione. Riferendosi a Paolo Valesio, afferma però anche che il personaggio di Francesca si rivela tanto intrigante che la palinodia rischia di diventare il suo contrario, una palinodia della 11 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.12. 9  Introduzione palinodia: una nuova esaltazione dell amore terreno 12. Accanto al riferimento a Valesi il testo di Renzi offre ancora molte informazioni sorprendenti riguardanti altri autori e commentatori. Giorgio Inglese, poi, è il quarto critico principale che sarà evocato. Il suo commento all Inferno mi ha procurato vari elementi chiarificatori, distinguendo, nella Commedia, una struttura e una poesia, per esempio, o puntando sull importanza, nel Canto V, di contrasti forti. Anche lui si mostra un difensore di una dantistica del terzo millennio. La maturità della disciplina ( la quantità [dei studi] è ormai misurabile solo con i mezzi dell elettronica ) non implica però stagnazione, e lo dimostra bene, per quanto riguarda la Commedia, proprio la vitalità del genere commento 13. In ogni capitolo della presente tesi, una nozione filosofica evidenziata nel libro già citato di Giorello si trova alla base delle idee sviluppate nel capitolo relativo. A quei ragionamenti s intrecciano varie riflessioni dalla parte di Pasquini, Renzi, Inglese e alcuni altri commentatori. 12 Ibidem, pp.7-8. 13 Giorgio Inglese, premessa, in Commedia. Inferno di Dante A lighieri, cit., pp.12. 10  1. Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Come capitolo introduttivo presenterò un resoconto generale del paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo, incluso un attenzione particolare per la storia del vizio della lussuria. Baserò questa visione d insieme sul volume I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo di Carla Casagrande e Silvana Vecchio, pubblicato dalle Edizioni Einaudi nel 2000. 1.1. Il settenario Anzitutto si deve segnalare che il sistema dei vizi capitali non è un invenzione di un individuo. Si tratta piuttosto di una raccolta di idee che si è sviluppata attraverso secoli, continenti e persone diversi; di un enorme enciclopedia nella quale si trova di tutto, un efficace schema classificatorio per parlare [...] del mondo 14. Un topos, per così dire. Una volta che il paradigma aveva ottenuto la sua forma definitiva, ben circoscritta, ha avuto un successo immenso, tanto presso i chierici quanto presso i laici. Si potrebbe dire che, per quanto riguarda l Occidente, la storia medievale di questi sette vizi inizia con gli scritti di tre ecclesiastici: Evagrio Pontico, Giovanni Cassiano e Gregorio Magno. Cassiano (V secolo), avendo delineato nelle sue opere l insieme delle teorie del suo maestro Pontico sui sette vizi capitali, ha scritto una delle opere più significative per la cultura tanto religiosa quanto laica del Medioevo. Il settenario dei vizi capitali, al quale Cassiano ed Pontico attraverso gli scritti del suo allievo- ha contribuito, ha avuto grande successo. Dante, quindi, ha vissuto in un epoca che accordava molto importanza all idea dei sette vizi capitali. Si deve specificare che tanto Pontico quanto Cassiano distinguono otto vizi capitali, al posto di sette: gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, accidia, vanagloria e superbia (elenco tratto dall opera di Casagrande e Vecchio). Magno, nella sua opera Moralia in Job (fine VI secolo), ne distingue sette; non menziona più l invidia come vizio capitale. Anche Moralia in Job costituisce un opera di notevole importanza per la cultura medievale: è molto più di un 14 C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, Torino, Einaudi, 2000, pp.xvi. 11  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo commento: esegesi, teologia, etica si mescolano a comporre un disegno di larghissimo respiro 15. Il paradigma dei vizi capitali porta, naturalmente, l impronta dell ambito nel quale è stato lavorato, cioè l impronta della società monastica non solo quella occidentale. Infatti, Cassiano aveva apportato all Occidente conoscenze orientali egiziane, siriane-, adottate dalla cultura monastica orientale, raccolta nell Egitto. Anche il suo maestro, Pontico, aveva imparato molto sui vizi capitali in quel crogiolo culturale che fu Alessandria d Egitto alla fine del IV secolo 16, e nelle sue riflessioni, idee della filosofia occidentale si sono confuse con questa sapienza proveniente dall Oriente. Di più, le idee rappresentate dai sette vizi capitali risalgono, infatti, alle difficoltà proprie alla vita nel monastero: Per i monaci essi rappresentano gli ostacoli da superare lungo il cammino di perfezione al quale si sono votati, in una continua battaglia contro se stessi e contro quel mondo che si sono lasciati alle spalle 17. Detto questo, si può inquadrare la nascita e lo sviluppo del settenario, almeno per quanto riguarda il Medioevo. In quello che segue tratterò più in dettaglio la storia medievale di uno dei vizi capitali, cioè di quello che costituisce il nucleo centrale della mia tesi: la lussuria. 1.2. Il vizio della lussuria 1.2.1. Origine e delineazione del vizio nel Medioevo Non solo il cristianesimo ha trattato il desiderio sessuale con diffidenza. Già nella cultura pagana, gli individui si sfidavano da persone che riconoscevano apertamente di sentire tali voglie. La religione cristiana si è adeguata molto abilmente a queste preoccupazioni, riunendole in un vizio capitale chiamato lussuria. Denominando così sentimenti vari e irrequieti, la fede calma, crea ordine nel mondo, nella società, nella vita particolare di ogni persona che si riallaccia alla tradizione cristiana. Diventa molto attraente in questo modo. Lo sviluppo di paradigmi simili contribuisce alla popolarità di una concezione di vita, tanto di visioni di tipo religioso come di concezioni pagani. 15 Ibidem, pp.xi. 16 Ibidem, pp.xii. 17 Ibidem, pp.xv. 12  Il paradigma dei VII vizi capitali nel Medioevo Cassiano descrive la lussuria, situandola nell ambito della natura propria agli uomini, come un vizio intrinseco, come un aspetto essenziale della specie umana. Magno monaco e papa-, anzi, pone che essa sarebbe un attività tutto naturale del corpo, che, per di più, sarebbe intento da Dio. Da un punto di vista laico (nel senso di ateistico), si vede apparire, in questo discorso, una concezione molto moderna della sessualità umana. Rimanendo nel contesto cristiano, il papa, sviluppando una tale visione, crea infatti un idea che spiana la via per la lussuria: se forma un desiderio proprio all uomo tanto naturale quanto il bisogno di mangiare e di bere, non si può evocare più niente per intimargli l alt. Ma, a dire il vero, la visione della lussuria divisa in modo più ampio durante i secoli medievali è quella ideata da Agostino. Secondo lui, l elemento chiave che trasforma la sessualità dell uomo in un attività peccaminosa, sarebbe stato il peccato originale. Prima della ribellione di Eva e Adamo contro Dio, i due primi esseri umani sarebbero stati i padroni assoluti dei loro organi sessuali, presenti per rassicurare la procreazione della specie umana. Dopo, invece, come punizione reciproca per la loro disubbidienza a Dio, queste parti dei loro corpi diventano insubordinati, non li possono più controllare. Anzi, sono quegli organi del corpo a poter dominare l anima dell essere umano. Lì si ritrova il primo vero aspetto della pena imposta ad Adamo ed Eva. La seconda è rappresentata da una conseguenza irrimediabile del fatto che si sta parlando dell attività responsabile per la generazione: l uomo trasmette quel peccato di padre in figlio, per l eternità. Per forza, i figli nascono peccatori. Nonostante il fatto che la visione agostiniana della lussuria era molto diffusa durante il Medioevo, si comincia già a rivederla nel XII secolo. Si osserva infatti un processo di desessualizzazione del peccato originale 18. Implica l accettazione della concupiscenza come una delle conseguenze del peccato originale, non come l effetto principale di questo. Tuttavia, la sessualità non viene tolta dall ambito peccaminoso nel quale era stata introdotta: La natura era ormai inevitabilmente corrotta 19. 1.2.2. Vizio del corpo Cassiano attribuisce alla lussuria (denominata, in un primo momento, la fornicazione), tutto come alla gola, lo statuto di vizio carnale, un vizio cioè che implica 18 Ibidem, pp.151. 19 Ivi. 13  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo necessariamente la partecipazione del corpo 20. Rivendica non solo la cooperazione degli organi sessuali, ma pure quella di tutti gli organi legati alle esperienze sensoriali: gli occhi, le orecchie, il naso, la bocca e le mani. La lussuria, infatti, si presenta come il solo vizio capitale che coinvolge ognuno dei cinque sensi. Nel Medioevo, la collaborazione tanto versatile del corpo umano alla fornicazione approda all idea che questo corpo non solo partecipa allo svolgimento del vizio, ma ne subisce anche le conseguenze. Quelle, naturalmente si tratta di conseguenze di atti peccatori-, non appaiono sotto forme agrevoli: terribili mali di testa che i medici non sanno come curare, progressiva perdita delle forze, vita breve e, su tutto, l immonda malattia che attraverso piaghe ripugnanti e maleodoranti consuma lentamente ma inesorabilmente il corpo, la lebbra 21. Per di più, il debole corpo umano è inestricabilmente connesso con il vizio della fornicazione: senza la presenza di un corpo, non si può manifestare la lussuria. Il vizio rivendica la sussistenza della carne umana per poter apparire. Si tratta quindi di un peccato intrinseco al fisico umano. A dire il vero, la lussuria non tocca a qualsiasi corpo. Si ritrova essenzialmente in fisici maschili. Questo aspetto della fisionomia della fornicazione non deve sorprendere: si parla di un peccato il quale carattere ed essenza sono stati messi a punto negli monasteri abitati da ecclesiastici maschili (fra le altre i padri fondatori del settenario dei vizi 22 : Pontico, Cassiano e Magno). A lungo, le donne non entravano nel discorso sulla fornicazione, tranne come oggetti degli impulsi lussuriosi maschili. Non vengono mai considerate capaci di intervenire come iniziatrici per quanto riguarda questo peccato. La femmina, invece, ritenuta un essere più debole che il maschio, era creduta molto suscettibile delle avance peccatori esibite dal suo corrispondente maschile. Inoltre, l insieme di gioielli, profumi, tenute ecc. (l ornatus, come scrivono Casagrande e Vecchio) che mette l accento sull eleganza femminile si considerava un tutto che serviva essenzialmente a rendere i corpi delle donne ancora più attraenti e, di conseguenza, più sensibili ai suggerimenti lussuriosi dalla parte dei maschi. Peraldo descrive le donne che si vestono e si truccano per andare a ballare tramite una metafora memorabile: [sono 20 Ibidem, pp.152. 21 Ibidem, pp.153. 22 Ibidem, pp.155. 14  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo come] un esercito di soldatesse del Diavolo che si prepara a dare battaglia per strappare a Dio l anima degli uomini 23. Quindi, nonostante il fatto che le donne non possono esibirsi come istigatrici del vizio della lussuria, sono consapevoli degli effetti che hanno i loro fisici sui loro complementi, si avvalgono di queste loro qualità, e così, inconsapevolmente, incitano negli uomini gli impulsi che li portarono ad atti lussuriosi. 1.2.3. Vizio dell anima Fin qui, la lussuria è stata dipinta come un vizio essenzialmente corporale. A dire il vero, la sua origine non è soltanto carnale, ma si trova nell interiorità più profonda dell anima umana. Proprio i monaci abitanti dell ambito nel quale è cresciuta l idea del vizio capitale abbordata- hanno (tra l altro) riconosciuto che il nucleo della fornicazione sarebbe di natura spirituale. Nel vangelo secondo Matteo si può leggere una frase che non lascia adito ad alcun dubbio: Chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore (Mt. 5, 28) 24. Ma questa idea non implica che il corpo non potesse essere lussurioso. Inserisce piuttosto una fase intermedia nell insieme di fasi propri all azione peccaminosa. In primo luogo nascono le idee lussuriose nell anima dell uomo; in seguito si osserva che, da questi pensieri, sorge una specie di corpo virtuale (questa costituisce quindi la tappa alla quale si riferisce nella sentenza evangelica); infine l atto adultero si svolge per quanto riguarda il corpo reale, di carne e ossa. A proposito della nozione di carne, si dovrebbe ancora specificare la differenza, quanto al peccato della lussuria, tra carne e corpo, vale a dire: quando l anima cessa di pensare, immaginare, ricordare, assecondare, ascoltare, in una parola servire il corpo, il corpo cessa di essere carne, oggetto e strumento di quel desiderio eccessivo e disordinato che ha colpito l uomo dopo il peccato originale, per tornare a essere solo corpo, un aggregato di materia che garantisce la vita dell individuo 25. 23 Ibidem, pp.157. 24 Il nuovo testamento, a cura di Giuliano Vigini, revisione di Rinaldo Fabris, Milano, Paoline Editoriale Libri, 2000, pp.47. 25 C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, cit., pp.160. 15  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo Si potrebbe dire, dunque, che, riguardo alla fornicazione, non ci entra il corpo umano vero e proprio, ma un suo equivalente virtuale, come l hanno formulato Casagrande e Vecchio. In effetti, già nell ottica agostiniana della lussuria è inclusa l idea che gli impulsi concupiscenti corporali, da soli, non costituiscono sensazioni peccaminose. È precisamente la condiscendenza dell anima alle pulsioni carnali che trasforma queste ultime in impulsi peccatori. In seguito, si deve segnalare, in questo capitolo, il punto di vista piuttosto sorprendente di Pietro Abelardo (XII secolo) sul vizio capitale della lussuria, soprattutto per quanto riguarda la relazione tra anima e corpo. Abelardo sosteneva che tanto la concupiscenza quanto l atto sessuale e i compiacimenti che lo accompagnano avevano fatto parte della natura dell uomo a partire dal peccato originale. Affermava che l elemento vizioso stava solamente nella transigenza dell anima umana al corpo (carne, infatti) corrispondente. Con questa teoria, Abelardo sviluppa, a dire il vero, una concezione molto moderna della sessualità umana. Non per niente le sue asserzioni hanno provocato moltissime reazioni alla sua epoca. La notevole importanza dell anima in quest ambito viene confermata dalle conseguenze che ha il vizio della lussuria non solo per il fisico dell uomo ma anche, e specialmente, per la sua anima immortale. La fornicazione corrompe il corpo umano, lo rende impuro e infangato; ma è ancora molto più dannosa all anima: una volta imbrattata da questo peccato, lo spirito dell essere umano, debilitato e confuso, incoerente, è sull orlo della rovina. Si tratta di un vizio talmente onnicomprensivo che abbraccia tutti i livelli e strati dello spirito; si espande in tutti gli angoli della mente. Il danneggiamento dell anima dalla lussuria si rivela incontestabilmente il più grave nell indebolimento della ragione, componente più nobile e preziosa dello spirito umano. Mina il potere della capacità più eccezionale dell uomo, cioè la potenza di dominare tutti i suoi sentimenti, emozioni e impulsi facendo appello alla ragione. In effetti, non solo la Chiesa si preoccupava dalla decadenza della ragione sotto l influsso di attività sessuali. Prima della tradizione cristiana, un ampia tradizione pagana aveva cercato di offrire uno sfogo a simili preoccupazioni. In questo modo, ha potuto crescere, fra le altre prima in ambito pagano, poi in contesto cristiano-, l idea che l intelligenza concetto concepito come positivo- dovrebbe essere capace di mettere l uomo nella 16  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo possibilità di controllare gli impulsi carnali concepiti come negativi. Dato che gli ultimi avvicinavano l essere umano dall animale, il contrasto tra questi di una parte, e la nobiltà incontestabile della ragione umana d altra parte, si rivelava grandissimo. Se è vero che tale opposizione si presentava palesemente in contesto scientifico, per dirlo così intellettuale, filosofico ecc.-, la sua importanza per la vita quotidiana dell uomo medio è inequivocabile, visto la funzione [della ragione] di garantire la misura, la compostezza, l equilibrio nella vita di ciascun individuo 26. Trasposto in ambito letterario, il dualismo fra la ragione e gli stimoli carnali, e, più in particolare, la follia nella quale può sfociare la vittoria riportata dalla carne alla ragione, s impadronisce dei protagonisti dei romanzi cortesi. Il fenomeno rappresenta il culmine assoluto dell incostanza confusa che può essere provocata in varie misure dalla lussuria. 1.2.4. I coniugati e la lussuria. Se non sanno vivere in continenza, si sposino; è meglio sposarsi che ardere (I Cor. 7,9) 27 Tra tutte le persone che non scelgono la castità come cura della lussuria, i coniugati formano un gruppo speciale. Il matrimonio, in effetti, non elimina la lussuria, ma nella misura in cui vieta tutti i rapporti extraconiugali e limita quelli coniugali [a quelli che servono alla procreazione e quelli che sono necessari per soddisfare le sensazioni concupiscenti dei coniughi ed evitare, in questo modo, che commettono il peccato della fornicazione], la contiene e la riduce 28. La storia del concetto di matrimonio, per quanto riguarda il vizio della lussuria, si rivela alquanto complicata. In primo luogo si deve segnalare che la ragione per la quale certi cristiani propendevano per la castità e non per il matrimonio consisteva nel fatto che il matrimonio limitava solamente la lussuria; non poteva escluderla. Ma, allo stesso tempo, questo fatto veniva anche rivendicato dai credenti che volevano proteggersi dalla lussuria: il matrimonio, dopo tutto, delimitava la portata del vizio. Poi, Agostino aggiunge che considera l unione coniugale un bene, certamente inferiore a quello della castità, ma comunque un bene, e questo non solo per la procreazione dei figli 26 Ibidem, pp.167. 27 Il nuovo testamento, cit., pp.603. 28 C. Casagrande, S. Vecchio, I sette vizi capitali: storia dei peccati nel Medioevo, cit., pp.172. 17  Il paradigma dei sette vizi capitali nel Medioevo ma anche per la società naturale che l unione tra i due sessi comporta 29. Di più, pone che Dio avrebbe previsto l unione carnale tra gli uomini e i loro complementi femminili prima del peccato originale, visto che entrambi i sessi erano già dotati di organi sessuali chiaramente visibili e differenti prima che Eva ed Adamo disubbidivano a Dio. Il peccato non sta dunque nel coito [...] ma nell uso che gli uomini [...] ne fanno. 30 Queste idee agostiniane sono state molto diffuse durante tutto il Medioevo. Finalmente, si deve ancora segnalare che il legame stabilito tra il vizio della lussuria e il matrimonio fa sì che il peccato si estende dall essere umano individuale alla comunità intera. Può corrompere tutta una società; non si tratta più di un vizio dannoso alla vita e all anima di una singola persona, a tal punto che minaccia tutta la specie umana. Da questo punto di vista, il peccato occupa una posizione particolare, anzi unica nel settenario dei vizi capitali. 29 Ibidem, pp.173. 30 Ivi. 18  2. La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Nella sua esposizione sulla lussuria come potenza (o impotenza) Giorello asserisce che la lussuria [ ] è mescolanza di tutte le cose del mondo, rotture d ordine, spezzatura 31. Nel caso di Paolo e Francesca, di certo, la lussuria è stata responsabile di una rottura dell ordine quotidiano, anzi, dell ordine del mondo come i due innamorati lo conoscevano. La spezzatura della loro realtà viene causata direttamente dalla potenza (cioè, dalla potenza nel senso filosofico della parola: potenza come volontà) che costituisce una parte essenziale del desiderio lussurioso che sperimentano. Dal momento in cui cedono alla loro volontà lussuriosa, Francesca, consapevolmente, abbandona suo marito, pone fine al suo matrimonio. Nel v. 107 Caìn attende chi a vita ci spense 32 il nome di Gianciotto è taciuto per disprezzo, non certo per femminile riserbo 33. Neanche Paolo può più tornare indietro; la relazione tra lui e suo fratello è irrimediabilmente danneggiata. Il bacio dei due lussuriosi segna un passaggio chiave nella loro storia lussuriosa. Dopo una fase di dubbi e di disperazione, è arrivato il momento in cui decidono di rinunciare a tutto quello che è familiare, e di perdersi in un avventura della quale sanno che gli porterà sia la felicità assoluta sia la perdizione. La tragica combinazione di tenerezza e di rovina è illustrata dal v. 106 Amor condusse noi ad una morte 34 : la prima e l ultima parola del verso si rispondono fonicamente AMOR condusse noi ad una MORte. Inglese chiarisce che, in questo modo, il verso s iscrive nella lunga tradizione di una diffusa paretimologia (Federigo dall Ambra, son. Amor che tutte cose: Amor da savi quasi A! mor si spone ). Per di più, la parola morte, nel Canto V dell Inferno, conclude la serie di proposizioni principali il cui soggetto è Amore 35. In questo senso, la lussuria si presenta come una mescolanza di tutte le cose del mondo: ogni diritto ha il suo rovescio. Di rado, la realtà nella quale vivono gli esseri umani offre una gioia senza che, contemporaneamente, appaia anche qualcosa che tempera questo sentimento. È un dato che si manifesta in modo particolarmente chiaro in situazioni 31 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.23. 32 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, revisione del testo e commento di Giorgio Inglese, Roma, Carocci editore, 2007, pp.90. 33 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, Roma, Carocci editore, 2007, pp.90. 34 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.90. 35 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.90. 19  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno lussuriose. Paolo e Francesca propendono non solo per la felicità (lussuriosa) ma anche per l aspetto penoso che essa implica. Da quanto appena enunciato risulta che la dimensione della lussuria identificata come la volontà forma una caratteristica fondamentale del fenomeno. Se manca una forte volontà, non si può parlare di lussuria. È appunto dalla volontà umana che procede il desiderio di qualcosa. Dal testo di Giorello emerge che il desiderio an sich deve, infatti, considerarsi come essenzialmente lussurioso. Nel caso di Paolo e Francesca, si tratta del desiderio dell altro. Dante presta molta attenzione all espressione di tale potenza. È probabilmente una delle più belle manifestazioni dello spirito umano: unica, forte, ma anche tragica. Forse la bellezza risiede, appunto, nella tragicità. Quello che un essere umano può realizzare grazie alla volontà commuove solo quando si mescola con altre caratteristiche come, in questo caso, il tragico. Il desiderio umano, giudicato lussurioso per definizione, è presente nel Canto V non solo nella decisione presa da Paolo e Francesca. Ci troviamo nella prima parte dell Inferno, cioè all inizio del viaggio sotterraneo di Dante personaggio. E siccome Dante parla, infatti, di ognuno di noi, ci troviamo all inizio del viaggio che ogni peccatore potrebbe desiderare, un giorno. Anche lui sperimenta un forte desiderio. Si trova sulla via della perdizione, e vuole ritrovare la retta via. Vuole andare verso la luce divina, è in cerca di una direzione nella sua vita. Questa aspirazione predomina su tutto il suo essere, come il desiderio di Francesca domina su Paolo e vice versa. Inoltre, Giorello pone che la laicizzazione è la lussuria dell emancipazione dalla soggezione alla natura e/o alla divinità emancipazione che costituisce la premessa di una società politica matura 36. Secondo me, l autore suggerisce che l assunto che la laicizzazione sia un processo lussurioso sarebbe ovviamente consono alla visione cristiana della lussuria che la considera un vizio capitale. Classificare la laicizzazione tra le varie forme in cui può manifestarsi la lussuria le conferirebbe lo statuto di un azione peccaminosa. L idea principale che vuol esprimere il filosofo in questa frase, però, è che il desiderio umano di venir liberati dall assoggettamento a un potere superiore si rivela lussurioso, poiché si tratta di un desiderio. Dante personaggio, tuttavia, desidera di esser assorbito completamente dalla luce divina del Dio cristiano. E aspira alla stessa sorte per tutti i suoi contemporanei. L opposizione 36 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.26. 20  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno tra la volontà evocata da Giorello e quella di Dante personaggio illustra il punto di vista del filosofo sulla lussuria. Che il carattere di un fenomeno sia o non sia lussurioso non dipende dalla sua religiosità o laicità. Uno degli aspetti essenziali della lussuria è la forza immensa della potenza umana che fa sì che la lussuria può esistere. Oltre a ciò, l autore menziona che la lussuria istituisce il nesso tra conoscenza e oblio 37. L aspetto della lussuria che è analizzato e commentato in questo capitolo, la potenza, costituisce la forza che spinge un essere umano ad avere curiosità e a cercare risposte alle proprie domande. In questo senso, forma, infatti, l anello che lega l ignoranza e la conoscenza. Dante personaggio vuole conoscere il mondo sotterraneo, e desidera sapere se e come si può salvare. Dalla sua curiosità, quindi dalla sua volontà, sorgerà la comprensione dei fenomeni che vuole capire. Si può pure trasformare la conoscenza in oblio per il tramite della lussuria. Una volta che la conoscenza è ottenuta, è possibile che essa provochi l oblio di altri fatti conosciuti nell essere umano che la ottiene, com è illustrato dall epopea mesopotamica la Saga di Gilgames alla quale si riferisce Giorello. Nel Canto V, tuttavia, si osserva il contrario. Quello che era conosciuto nel passato non è dimenticato, come pone appunto Francesca dopo che Dante le ha chiesto di raccontare come lei e Paolo si sono rivelati i sentimenti amorosi reciproci: E quella a me: Nessun maggior dolore/che ricordarsi del tempo felice/nella miseria: e ciò sa l tuo dottore. Chiaramente, i due lussuriosi si ricordano benissimo quello che sapevano prima del momento in cui la loro volontà di conoscere li ha messi sulla via della perdizione, cioè, prima del momento in cui si baciavano e s appropriavano la conoscenza dell altro. Anzi, in questo passo, Dante autore utilizza letteralmente il verbo conoscere: Ma, s a conoscer la prima radice/del nostro amor tu hai cotanto affetto/dirò come colui che piange e dice 38. Ciò illustra l importanza ardente del significato del termine. Per di più, Giorello pone che la potenza della dea [Venere] è quotidiana [ ], non solo eccezionale 39. Si potrebbe sostenere, quindi, che la caratteristica della lussuria rappresentata da questa volontà incredibilmente potente non si manifesta unicamente in situazioni o momenti eccezionali. Costituisce una forza sempre presente nell essere 37 Ibidem, pp.28. 38 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.91-92. 39 Giulio Giorello, Lussuria. La passione della conoscenza, cit., pp.35. 21  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno umano, gli appartiene. Non sarebbe capace di liberarsi da essa, se lo volesse. Questo, però, gli è connaturale: si tratta di una parte dello spirito umano troppo essenziale. Senza di essa non sarebbe più un uomo. Per di più, rappresenta un impulso troppo gradevole. All uomo piace infinitamente provare una tale energia dentro di se. Gli dà l idea che potrebbe, infatti, realizzare il progetto che ha in mente, che potrebbe trovare la risposta alla sua domanda. Gli dà il coraggio necessario per dare ascolto ai sentimenti che lo sopraffanno e per arrischiarsi in una ricerca o una situazione che possibilmente finirà male. È questo il momento in cui la volontà lussuriosa, quotidiana, alleggiando, diventa eccezionale. Questo momento speciale si osserva pure nella storia di Paolo e Francesca. Dopo un lungo tempo di voler esser insieme (da solo), arriva quel punto in cui il desiderio di Paolo di sapere come sarebbe di trovarsi nelle braccia della donna amata, diventa troppo forte. La bacia. Un momento riempito in modo molto eccezionale di volontà lussuriosa. Giorello menziona anche che la dea Venere (e quindi la lussuria) può rivelarsi maestra di inganno 40. Certo, nel Canto V, si osservano delle azioni ingannevoli: Francesca tradisce suo marito, Paolo suo fratello. All aspetto ingannevole della lussuria, però, sarà dedicato un altro capitolo della presente tesi. Ciò che colpisce nelle pagine sulla lussuria come potenza in Lussuria. Passione della conoscenza, e che potrebbe dar luogo a una riflessione interessante, è un idea che deduce da un testo di Agostino, Città di Dio. Secondo Giorello si può capire da quest opera che, secondo Agostino, la fiacchezza della nostra volontà (contrapposta alla forza di quella divina) sia ben peggio [ ] di qualsiasi fisica impotentia coeundi 41 perché nell ordine naturale l anima è anteposta al corpo. Agostino descrive la lotta della passione [il corpo] e della volontà [l anima] parlando della lussuria, affermando che esiste almeno l imperfezione della passione nei confronti della pienezza della volontà 42. Ciò pone l accento sul valore più grande della forza mentale che è la volontà dell uomo a paragone del suo corpo fisico. Rileva la preziosità e la versatilità della potenza, la quale è valutata non solo dai fedeli cristiani ma anche da laici. Si potrebbe sostenere, quindi, che si tratta di un punto di vista comune e, di conseguenza, unificatore. L unione d idee 40 Ibidem, pp.36. 41 Ibidem, pp.39-40. 42 Agostino, Città di Dio, Introduzione, traduzione, note e apparati di Luigi Alici, Milano, Bompiani, 2001, pp.684-685. 22  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno cristiane e laiche (nel senso di provenienti dagli antichi) si ritrova, appunto, nella Commedia dantesca. A mio giudizio questa fusione è una delle caratteristiche più meravigliose dell opera. Si rivela in modo splendido nel passo su Paolo e Francesca. La ricchezza del Canto V proviene, tra l altro, dall enumerazione dei nomi di Semiramide, Cleopatra, Tristano, e di tutti gli altri personaggi lussuriosi della mitologia classica menzionati dalla guida di Dante, Virgilio. Inglese spiega che sono donne antiche e cavalieri (v. 71): insomma, l intero mondo del romanzo epico-amoroso, che aveva, di fatto, connesso in un ciclo unico Troianorum Romanorumque gesta et Arturi regis ambages [ avventure ] pulcerrime (Dve I x 2) 43. La loro apparizione conferisce un atmosfera unica all Inferno cristiano. Evocano la grandezza delle storie antiche di alcune coppie famosissime. Risulta dai versi quanto sono care a Dante, tutto come la sua fede. Il ricordo della disperazione, dell amore e della perdizione caratteristico di queste storie si mescola, nel Canto V, ai sentimenti (simili) di Paolo, Francesca e Dante. Per quanto riguarda quella relazione emotiva triangolare tra Dante, Paolo e Francesca, si può segnalare che la sua forza emozionale è ancora aumentata dal fatto che, per Francesca, la visita del pellegrino forma un opportunità unica per confessarsi (dal punto di vista dei colpevolisti di Renzi) o per comunicare e quindi rendere immortale la sua tragica storia d amore (secondo la visione dei giustificazionisti di Renzi, cf. infra). Inglese afferma che gli incontri fra il P. [Dante personaggio] e i dannati si presentano come un momento affatto eccezionale nello svolgersi (che non ha però vero svolgimento) della pena di questi ultimi [ ]: per un motivo superiore ossia, per l edificazione del P. e poi dei viventi che leggeranno il resoconto del viaggio la Provvidenza suscita in alcuni dannati un estremo atto di personalità (v. 84) [ vegnon per l aere, dal voler portate 44 ]. Sul piano poetico, ciò si traduce in una forte drammatizzazione degli episodi: Francesca, per esempio, non avrà mai un altra occasione di confessarsi, di dare forma verbale al proprio tormento 45. 43 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87. 44 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.88. 45 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.89. 23  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Da quello che precede, risulta che un estremo atto di personalità implica una volontà potente, dato che la volontà costituisce una parte essenziale dell essere umano. Si potrebbe dire che, con l ultima frase, Inglese si presenta come un colpevolista, poiché dare forma verbale al proprio tormento può significare dare forma verbale al suo peccato e al modo in cui lo strazio della punizione infernale la tortura. La seconda parte della frase di Inglese, però, potrebbe anche essere interpretata come dare forma verbale al modo in cui entrambi il ricordo del tempo d i dolci sospiri 46 e quello della fine tragica della sua storia d amore la tormentano. Allora, per quanto riguarda Francesca, Inglese si presenterebbe non solo come un colpevolista, ma anche come un giustificazionista. Ritornando alle donne antiche e cavalieri, Renzi asserisce quanto segue: Se ci sarà ancora una critica letteraria dedita a leggere con attenzione i testi, qualcuno noterà, per esempio, che la pietà di Dante per Francesca, primo segno della sua partecipazione emotiva alla storia di Francesca, seguita poi dallo svenimento, era già cominciata al v. 72 e si riferiva alle donne antiche e cavalieri, dunque a tutti quei fantasmi letterari che prima sono definiti peccator carnali. Dunque Dante non solidarizza solo con Francesca. 47 Mentre Virgilio annovera nome dopo nome, Dante personaggio sente come, nel suo cuore, cresce la compassione. Ascoltando la sua guida, diventa sempre più commosso, triste e silenzioso per tutto quell amore disperato, perso. Anche lui ha amato e perso la persona amata. Pasquini pone che non si ha soltanto il dramma cruento dei due giovani amanti riminesi; c è anche il dramma interiore di Dante che si sente personalmente coinvolto in quella tragedia 48. Questo dramma interiore che sperimenta il pellegrino di fronte alla tragedia romagnola si spiega, secondo Pasquini, dall atto d accusa di Beatrice nel Purgatorio (cf. infra). Qualcosa di Francesca ritorna in Dante e nel suo personale traviamento, sotto la spinta del rigoroso atto d accusa cui lo sottopone Beatrice; il che spiega con chiarezza, quasi completandolo, il suo turbamento che non è solo pietà di fronte alla tragedia romagnola. 49 46 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.91. 47 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.11-12. 48 Emilio Pasquini, Dante e le figure del vero. La fabbrica della Commedia, cit., pp.259. 49 Ibidem, pp.262. 24  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno Secondo Pierre-Louis Ginguené (1748-1815), autore di Histoire littéraire d Italie, non è stato il Dante filosofo e teologo che si rivela in altri passi della Commedia che ha scritto l episodio di Paolo e Francesca, ma è stato il Dante innamorato di Beatrice. 50 In questo senso, il Canto V parla da Enea e Didone, Tristano e Isotta, Paolo e Francesca, e pure di Dante stesso. Di conseguenza, tratta anche di ognuno di noi, poiché il passaggio di Dante personaggio attraverso l inferno, il purgatorio e il paradiso celeste rappresenta il viaggio simbolico di ogni peccatore che desidera ritrovare la retta via. Ginguené, per di più, non evidenzia la pietà di Dante, ma nota che la pena in fondo, se non è mite, è la più piccola fra tutte quelle previste dal poeta 51. Renzi spiega come questo non sembra una grande osservazione, ma la riprenderanno, in genere senza conoscersi l uno con l altro, molti critici, da Foscolo [Discorso sul testo della Commedia 52 ] a Teodolinda Barolini [Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context 53 ]. E ci aggiunge: Bruno Nardi [Filosofia dell amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri 54 ], che era l unico che di queste cose se ne intendeva davvero, ha notato che, tra i peccatori nella carne, Dante ha punito i golosi più gravemente dei lussuriosi, invertendo l ordine di San Tommaso 55. Forma un argomento che sostiene la tesi di Ginguené secondo la quale l unico vero autore dell episodio di Francesca sarebbe stato il Dante amante di Beatrice, e certamente non il Dante teologo. Anche per Francesco De Sanctis (in Francesca da Rimini 56 ) e per Benedetto Croce (La poesia di Dante 57 ), segnala Renzi, Dante, come teologo e come cristiano, disapprova i peccati dei lussuriosi. Inglese definisce la pietà di Dante ( pietà mi giunse e fu quasi 50 Pierre-Louis Ginguené, Histoire littéraire d Italie, citato da Lorenzo Renzi in Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.134. 51 Ibidem, pp.135. 52 Ugo Foscolo, Discorso sul testo della Commedia, in Id., Studi su Dante, a cura di Giovanni Da Pozzo, Firenze, Le Monnier, 1979, pp.175-573. 53 Teodolinda Barolini, Dante and Cavalcanti (On Making Distinctions in Matters of Love): Inferno V in Its Lyric Context, in Dante studies, 116, 1998, pp.31-63. 54 Bruno Nardi, Filosofia dell amore nei rimatori italiani nel Duecento e in altri, in Id., Dante e la cultura medievale, Bari, Laterza, 1929, pp.1-88, il passo che interessa con i riferimenti a san Tommaso è alle pp.81-82. 55 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.135. 56 Francesco De Sanctis, Francesca da Rimini, in Id., Lezioni e saggi su Dante, a cura di Sergio Romagnoli, Torino, Einaudi, 1967, pp.633-652. 57 Benedetto Croce, La poesia di Dante, Bari, Laterza, 1966, pp.73-75. 25  La lussuria come potenza nel Canto V dell Inferno smarrito 58 ) un profondo turbamento in cui sono fusi l orrore per il peccato e il dolore per l umanità peccatrice giustamente punita 59. Per De Sanctis e per Croce, da un punto di vista emozionale, invece, Dante non condanna i lussuriosi. Croce sottolinea pure il potere estasiante che ha avuto il libro narrando la storia di Lancillotto e Ginevra sui due peccatori. Asserisce però che Dante, al contrario di altri poeti, riesce a rompere e a superare l incantesimo dolce dell amore. Così, afferma Renzi, il critico italiano è riuscito a ottenere un momento di sovrano equilibrio nella storia della critica [della Commedia], e in particolare dello scontro tra colpevolisti [quelli che considerano Francesca una peccatrice integralmente responsabile delle vicende] e giustificazionisti [quelli che si fanno paladino della donna] 60. D altronde, per quanto riguarda la colpevolezza o l innocenza di Francesca, Inglese segnala che la donna, affermando che Amor, ch al cor gentil ratto s apprende 61, da un punto di vista psicologico si rivela sincera, ma che, nella prospettiva etica del poema, [è] obiettivamente falsa poiché Amore [è] sempre soggetto delle azioni determinanti [ prese costui della bella persona/che mi fu tolta: e l modo ancor m offende./amor, ch a nullo amato amar perdona/mi prese del costui piacer sì forte/che, come vedi, ancor non m abandona./amor condusse noi ad una morte ] 62. Da quest angolatura, infatti, tutte le due ipotesi (tanto quello della colpevolezza quanto quello dell innocenza di Francesca) rientrano nelle possibilità. Si può considerare Amore come il vero colpevole, o giudicare che la donna si è arresa a lui, caso in cui lei si rivela responsabile per le vicende. Secondo Inglese, l aggettivo leggieri che si trova nel v. 75 e paion sì al vento esser leggieri 63 farebbe parte di un idea esclusivamente poetica (e quindi non strutturale) che vuole dimostrare, al lettore, il peso carnale del peccato d amore. Tutto come questo formerebbe un suggerimento puramente poetico, Francesca, nella poesia, vive come anima tormentata dalla passione d amore, mentre dalla struttura è dannata per adulterio incestuoso 64. Quindi, quello che De Sanctis e Croce attribuiscono a Dante teologo e 58 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.87. 59 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87. 60 Lorenzo Renzi, Le conseguenze di un bacio. L episodio di Francesca nella Commedia di Dante, cit., pp.144. 61 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.89. 62 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.89. 63 Dante Alighieri, Commedia. Inferno, cit., pp.87. 64 Giorgio Inglese, commento al testo in Commedia. Inferno di Dante Alighieri, cit., pp.87. 26La storia di Giulio Giorello  In Articoli04-08-2020di Marco Ciardi Dopo la scomparsa di Giulio Giorello, ho letto molti ricordi a lui dedicati. Uno dei migliori è senz’altro quello di Vincenzo Barone, che compare nelle pagine di questo numero di Query . Ringrazio sentitamente Enzo per avere accettato di scriverlo.   image Io vorrei contribuire alla memoria del nostro grande studioso (e amico) sottolineando soltanto uno tra i molti suoi meriti. Giulio era anche un ottimo storico della scienza e delle idee.   Tale merito gli è stato riconosciuto da uno dei maestri del Novecento in questo settore, Paolo Rossi Monti (il cui nome ricorre spesso in questa rubrica e al quale è stato dedicato il primo numero di “Parastoria”, su Query n. 9, ormai otto anni fa). Recensendo uno dei tanti bellissimi libri di Giorello, Prometeo, Ulisse, Gilgameš. Figure del Mito (2004), Rossi scriveva: «Giorello è stato, da giovane, allievo di Ludovico Geymonat. Insegna (e si è prevalentemente occupato di) filosofia della scienza. Attualmente è anche Presidente della Società Italiana di logica e filosofia delle scienze. Come il suo libro dimostra, non solo utilizza una grandissima quantità e varietà di testi, ma anche conosce come pochi (e minutamente) la storia e i luoghi dell’Inghilterra e, più ancora, dell’Irlanda. Giorello è del tutto consapevole del fatto che il suo libro è una sorta di labirinto. Dentro quel labirinto (che ha una struttura geometrica) egli conduce (a volte trascina) il lettore. Le avventure di idee hanno la strana (per alcuni insopportabile) caratteristica di essere un po’ avventurose: di portare molto lontano dall’idea che la filosofia abbia il compito di mettere ordine nel mondo, di trasformarlo (come diceva il mio antico maestro Antonio Banfi) in “una linda casetta”. Una parte consistente della filosofia italiana sembra impegnata a confrontare accuratamente fra loro i testi di cinque o sei rispettabili filosofi di lingua inglese, a commentarli, a commentare i risultati del confronto, a polemizzare con gli altri commentatori tentando, nel più dei casi, arzigogolate mediazioni fra tesi contrapposte. Di una cosa non mi pare lecito dubitare: Giulio Giorello non fa parte della vasta, soporifera e innocua schiera degli oscuri e instancabili “roditori accademici”».[1]   L’espressione “roditori accademici” era un rimando a quanto scritto sul tema da Paul K. Feyerabend,[2] un pensatore con cui Rossi ha spesso polemizzato, ma per il quale nutriva profonda stima.[3] E che anche Giorello, non a caso, come ha ricordato Barone, ben conosceva. Sua la prefazione all’edizione italiana di Against method. Outline of an anarchistic theory of knowledge, edito in originale nel 1975, e pubblicato da Feltrinelli nel 1979.[4]   Rossi citava spesso, con orgoglio, che il suo libro che compendiava decenni di ricerche sui rapporti tra scienza e magia, Il tempo dei maghi. Rinascimento e modernità (2006), fosse uscito nella collana “Scienza e idee” diretta da Giorello per Raffello Cortina.[5] Perché sapeva quanto Giulio avesse chiaro cosa significasse fare storia della scienza, come ricordava nell’analisi del libro di Enrico Bellone, Molte nature. Saggio sull’evoluzione culturale (2008): «La parola chiave del processo storico – come nota Giulio Giorello nella brillante prefazione che ha scritto per questo libro – è imprevedibilità. Accade infatti spesso nel presente (ed è accaduto spesso nel passato) che gli scienziati siano stati costretti a “vedere” cose diverse da quelle che avrebbero invece dovuto scorgere sulla base delle proprie credenze personali».[6]   Come ci ha ricordato Barone, Giulio Giorello era laureato sia in filosofia che in matematica. Per questo motivo, come aveva presente Paolo Rossi, Giorello non ha mai pensato che il semplice fatto di essere scienziati equivalga, per coloro che svolgono tale professione, ad una autorizzazione «a parlare di testi che non hanno letto, a prendere posizioni su questioni che non conoscono, ad esprimere opinioni su problemi che non hanno mai avvicinato».[7] Del resto, già oltre un secolo fa il matematico Paul Tannery, uno dei padri fondatori della storia della scienza come disciplina specifica, affermava che «per essere un buono storico non basta essere scienziato. Bisogna prima di tutto volersi dedicare alla storia, cioè averne il gusto; bisogna sviluppare in sé il senso storico che è essenzialmente differente da quello scientifico; bisogna infine acquisire una serie di conoscenze particolari, di ausilio indispensabile per lo storico, che sono invece del tutto inutili allo scienziato che si interessa solo al progresso della scienza».[8] Anche per questo, Giorello era un fautore delle collaborazioni. Come quella (tra le innumervoli) con il fisico Elio Sindoni, che ha portato alla realizzazione dell’affascinante Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente nell’Universo(2016), dove Giulio, nella parte storica di sua competenza, mostra (anche in questo caso) una conoscenza approfondita e raffinata degli argomenti trattati. Mostrando, ad esempio, in nome di quella “imprevedibilità” alla quale si accennava poco fa, come il “romanziere” Jules Verne avesse, sul tema dell'abitabilità dei mondi, idee molto più chiare e precise dello “scienziato” Camille Flammarion.[9]   Del rapporto tra “le due culture” Giorello ha sempre preso il meglio (non dimentichiamo che il celebre testo di Charles P. Snow sull’argomento fu introdotto in Italia dalla prefazione di Ludovico Geymonat). Ed era consapevole del ruolo decisivo della scuola nello sviluppare un processo di apprendimento diverso rispetto a quello tradizionale: «C’è soprattutto da vincere la scommessa circa “l’avvenire delle nostre scuole”, come direbbe Friedrich Nietzsche. Chi guarda attentamente alle grandi svolte del pensiero scientifico e alla stessa innovazione tecnologica non può non constatare come gli aspetti più creativi abbiano travolto qualsiasi steccato disciplinare. Valeva ieri per le dottrine di Copernico o per quelle di Darwin, vale oggi per le frontiere della cosmologia o per quelle della biologia, per non dire dell’informatica e dell’alta tecnologia. Potremmo dilungarci su non pochi esempi di virtuose contaminazioni nelle scienze come nelle lettere. Ma ci limitiamo qui a ricordare che la separazione delle culture è l’effetto più deplorevole dell’atteggiamento che concepisce le acquisizioni dell’avventura umana come entità fisse, sospese nel cielo platonico delle idee.»[10] Perciò Giulio (sempre utilizzando le parole di Paolo Rossi) provava «una invincibile ripugnanza» per «gli elenchi di scoperte e di ritrovamenti tecnici, per le sfilate di risultati eternamente veri e di errori eternamente falsi».[11] Ancora Giorello: «Cosa c’è di meglio per qualsiasi creazione dello spirito umano che venire utilizzata, contestata, magari stravolta in un dibattito (come è appunto quello scientifico), in cui in linea di principio nessuna opinione è immune da critica o revisione? L’ospitalità che la scienza offre a qualsiasi “straniero” (ricordiamoci delle parole di Milton) è di questo tipo. Non c’è miglior rispetto che quello che prende forma nelle modalità del conflitto».[12] Grazie di tutto, Giulio   Rossi. A mio non modesto parere. Le recensioni sul “Sole-24 ore”, a cura di Bondì e Monti. Bologna: Mulino, Feyerabend, La scienza in una società libera. Feltrinelli: Milano, Rossi. Feyerabend: un ricordo e una riflessione, in Un altro presente. Saggi sulla storia della filosofia.Bologna: Mulino, Feyerabend, Contro il metodo. Abbozzo di una teoria anarchica della conoscenza; Prefazione di G., Milano: Feltrinelli; Cfr. ad esempio, Rossi; A mio non modesto parere, Rossi; Ci sono molti Galilei?in Un altro presente; Tannery. De l'histoire générale des sciences, in “Revue de Synthèse”) G.  Flammarion, lo “scienziato”, sconfitto da Verne, il romanziere, in Un mondo di mondi. Alla ricerca della vita intelligente nell'Universo. Milano: Raffaello Cortina, G.  Per una Repubblica delle Scienze e delle Lettere, in Le due culture, a cura di A. Lanni. Venezia: Marsilio, Rossi. Considerazioni conclusive, in Atti del Convegno sui problemi metodologici di storia della scienza. Firenze: Barbera. G. Per una Repubblica delle Scienze e delle Lettere. Grice: “The etymology of libertine ruins it! – or ruins the concept. A slave liberated, being of a low class condition, would be criticized for his excesses of freedom!” Giulio Giorello. Giorello. Keywords: il libertino, implicatura speculativa – specchio e il reame: la communicazione -- “il fantasma e il desiderio” “lo spettro e il libertino” “lo specchio del reame” – “il libertino” “lo scimmione intelligente” lo specchio di Narciso, Bruno, Leopardi-- -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorello” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Giorgi: la ragione conversazionale al limite -- l’implicatura conversazionale di Bacco – filosofia leccese – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Cavallino). Filosofo. Si laurea a Perugia con Givone con “L’estetico” --. studia con Seppilli e Arcangeli Studia etnomusicologia della “Grecìa salentina”, rivalutando i brani in "grico". Altre opere: “Pizzica e rinascita”, La Gazzetta del Mezzogiorno”. Cura “La danza delle spade e la tarantella. Insegna a Lecce. “Le strade che portano al Subasio passando dal Salento” (Ed. Del Grifo, Lecce), “Tarantismo e rinascita: i riti musicali e coreutici della pizzica-pizzica e della tarantella” (Lecce, Argo); “La danza delle spade e la tarantella: saggio musicologico, etnografico e archeologico sui riti di medicina” (Argo, Lecce). “Pizzica-Pizzica, la musica della rinascita. La tarantella del tarantismo e la sua resurrezione: struttura musicale, stato dell'arte e neotarantismo” (Lecce, Pensa MultiMedia); “L'estetica della tarantella: pizzica, mito e ritmo, Congedo Editore, Galatina); “Pizzica e tarantismo: la carne del mito dall'etnomusicologia all'estetica musicale, Galatina, Edit Santoro); “Il tarantismo come mito: dagli errori di De Martino alla rivalutazione del pensiero mitico, Galatina, Congedo); “Il mito del tarantismo: dalla terra del rimorso alla terra della rinascita, Galatina, Congedo); “I poeti del vino, Galatina, Congedo); “La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico, Galatina, Congedo, “La rinascita della pizzica, Galatina, Congedo);  Husserl e la Krisis, 3ª in “Segni e comprensione”, Milano); Il francescanesimo tra idealità e storicità,  in “Segni e comprensione”, Porzincula (S.Maria degli Angeli); “Il canto popolare salentino, in Convegno Di Studi Demologici Salentini, Copertino. F. Noviello e D. Severino, Capone, Cavallino Pierpaolo De Giorgi, Il tarantismo secondo Schneider: nuove prospettive di ricerca, in, Quarant'anni dopo De Martino: il tarantismo, Atti del Convegno, Galatina, La iatromusica carne del mito: la pizzica pizzica tra etnomusicologia ed estetica musicale, in, Mito e tarantismo Pellegrino, Pensa MultiMedia, Lecce, La pizzica pizzica immensa risorsa culturale del Sud, in, Terra salentina: i Sud e le loro arti, materiali del Convegno di Arnesano, La Stamperia, Leverano, Pierpaolo De Giorgi, “Il ritorno di Dioniso” a proposito di un libro diPellegrino, in “Segni e comprensione”, Fra aborigeni e tarantismo, in, Settimana di promozione culturale pugliese C. Minichiello, Pensa MultiMedia, Lecce, Le tradizioni popolari nei disegni di Severino, greco, Copertino, Diario di bordo, in, La czarda e il vento: antologia di autori salentini, Conte, Congedo G.i, Poesia sintetica, in, Il cuore di Amleto: testi, grafiche e fotografie di autori contemporanei salentini e ungheresi, nota introduttiva di G. Conte, traduzioni di F. Baranyi e A. Menenti, Veszprém, Pierpaolo De Giorgi, I fogli, in “L'Immaginazione”; Chiedendo e schiodando, La vita amico è l'arte dell'incontro e Maestà delle volte, in Omaggio al Salento, Torgraf, Galatina, In marcia di pace verso Assisi e Trilogia del molto e ben comunicare, in  Omaggio a Maglie cuore del Salento, Torgraf, Galatina, Fantastica pizzica, in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia con musica e danza, Gallipoli, Conte, Lecce, Gheriglio in disegno e preghiera, in, Salentopoesia,  festival nazionale di poesia con musica e danza, Lecce, Conte, Lecce,  Isola nel Trasimeno, in, Salentopoesia, festival nazionale di poesia con musica e danza, Monteroni, Conte, Lecce, G. S'è cambiato il mondo? e Leggeri Cieli da Leggere, in Luigi Marzo: mostra di pittura, Spello, catalogo, Spello, Lascio un cielo di luce cinica, in Sulle ali di Pegaso senza mai cadere. Marzo: mostra di pittura, Città della Pieve, Tipografia Pievese, Città della Pieve 1998. Discografia Album Fantastica Pizzica (MC Discoexpress) Pizzica e Trance (MC Discoexpress) Pizzica e Rinascita (CDSorriso) Il tempo della taranta: pizzica d'autore (CDDrim) Pizzica grica: to paleo cerò (CDPlanet Music Studio) Pizzica e RinascitaRistampa (CD C&M) Taranta Taranta (CDIrma records). La pizzica la taranta e il vino. Il pensiero armonico – G. G.B.  Il libro è stato pubblicato la prima volta  e dopo  anni riteniamo particolarmente ricordarlo per la sua attualità culturale. G., peraltro, è socio della nostra ASSOCIAZIONE APSEC e collaboratore di questa nostra rivista. La ricerca innovativa e serrata compiuta da G., in tanti anni di impegno nelle acque agitate dell’etnomusicologia e dell’estetica, approda finalmente al porto sicuro dello studio La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico.    Accade allora che scoperte e sorprese, esposte con cura e rigore scientifico, si susseguano qui continuamente e senza soluzione di continuità, offrendo una concezione finalmente reale del tarantismo e della sua musica terapeutica, la pizzica pizzica, come pure del decisivo ruolo simbolico e religioso del vino nella civiltà mediterranea. Sono esperienze direttamente connesse con quelle antecedenti del dio Dioniso, il nume più significativo della Magna Grecia e dei territori da essa influenzati, archetipo dell’adesione entusiastica alla vita, della reciprocità e del dialogo.   Tramite Dioniso, nella musica e nella danza, come pure nel vino e nell’ebbrezza, l’uomo recupera il contatto con le radici più profonde dell’essere, che si manifestano armoniche, duali e complementari. Per questo i simboli della taranta, della pizzica pizzica e del vino sono rimedi psicologici che restituiscono l’armonia perduta e che si pongono come un’efficace risorsa anche oggi, per costruire un nuovo umanesimo. Sono simboli mitici, che collaborano con quelli della festa e del rito, e vengono prodotti da un soggetto collettivo. Devono essere considerati come arte tradizionale, alla stessa stregua dell’arte individuale. Nel delineare i confini di queste concezioni, De Giorgi rimedita il brillante ma non del tutto sufficiente “pensiero meridiano” di Nietzsche, di Camus e di Cassano.   In Puglia, come in gran parte del mediterraneo, “il pensiero armonico” è il pensiero della rinascita e della misura, valori indispensabili anche oggi per un corretto cammino della coscienza verso la comprensione di se stessa e dell’uomo verso la propria natura divina.” IL PENSIERO ARMONICO E LA RICERCA IN PUGLIA La Puglia e il pensiero armonico Il mare, l’armonia degli opposti e la luce mediterranea Il pensiero armonico come incontro di mythos e di logos Le radici elleniche della tradizione pugliese Archeologia e storia. Etnomusicologia ed estetica della tarantella La ricerca comparativa sui brindisi e le analogie con la pizzica pizzica Il mito e il pensiero armonico del Mediterraneo nella contemporaneità L’ambivalenza del mito e la misura armonica La misura armonica e il cristianesimo Monoteismo e panteismo Noi e i miti del tarantismo e del labirinto. Verso un nuovo umanesimo  I BRINDISI E LA PIZZICA PIZZICA COME SIMBOLI DI RINASCITA I brindisi e la pizzica pizzica come simboli di rinascita in Puglia La festa e il pensiero mitico della rinascita La forza estetica di un’arte speciale del leccese, la pizzica pizzica Pizzica pizzica, tarantella e bellezza L’umanesimo mediterraneo e la bellezza mitica della pizzica pizzica e della tarantella Le civiltà del vino e l’ambiente poetico tradizionale della Puglia I brindisi, la tradizione popolare e il soggetto collettivo La ricerca etnomusicologica ed estetica e i brindisi tradizionali Il ritmo armonico della pizzica pizzica e la gestione delle contraddizioni  – La cumbersazione e i brindisi  IL TEMPO CICLICO, LA RIVOLTA COLLETTIVA E IL PENSIERO ARMONICO TRA ARTE E MITO Il tarantismo come rito di rinascita e il tempo ciclico come attività psichica collettiva di rivolta Nietzsche, l’eterno ritorno e il recupero del pensiero arcaico del Mediterraneo. Le analogie dello Zarathustra con il tarantismo La vita come conoscenza: grandezza e miseria di Nietzsche.  L’eterno ritorno dell’identico e l’eterno ritorno dell’analogo Gli errori di De Martino e le intuizioni di Camus. La rivolta come lotta contro il negativo e come affermazione dell’essere e della vita I brindisi, la pizzica pizzica e il rito del tarantismo come affermazioni della vita. La ierogamia e la rinascita I simboli della rivolta e dell’inversione terapeutica Il ruolo di inversione della pizzica tarantata: mito, ritmo e analogia La pizzica scherma di Torrepaduli e la rivolta mitica I risultati dell’analisi etnomusicologica: la biritmìa simbolica. La pizzica pizzica come analogon della dynamis armonica universale  PENSIERO ARMONICO E SOGGETTO COLLETTIVO Il ritorno al cielo del Sud e i fraintendimenti di Nietzsche. Dioniso e il pensiero armonico L’aióresis dionisiaca e la Processione dei Misteri di Taranto.  Il mare come simbolo armonico e come terapia L’intenzionalità collettiva: il teatro tragico del tarantismo e la tragedia greca Il tempo ciclico e la Magna Mater: l’evoluzione della coscienza La Grecia e il governo rituale degli archetipi. Pizzica pizzica e labirinto I brindisi tradizionali e la pizzica pizzica come arte tradizionale collettiva L’arte collettiva tradizionale come arte del mito. L’umanesimo della misura   IL SIMPOSIO, I BRINDISI E L’UMANESIMO DELLA MISURA La tradizione pugliese e il simposio greco e magnogreco Il brindisi e il simposio L’ethos del vino come armonia degli opposti La sperimentazione del divino e l’etica della misura Il pensiero armonico, l’agape e il rischio della dismisura La sublimazione del simposio La dismisura e la degenerazione del simposio   L’EMERSIONE DEL PENSIERO ARMONICO DALLA RICERCA E DALLA COMPARAZIONE La danza, le uova e le corna come simboli simposiali di rinascita. Il gesto dionisiaco delle corna nelle musiche e nelle danze della rinascita I saperi tradizionali dell’equilibrio mensurale del pensiero armonico: il ritmo e la benedizione La città di Brindisi, l’origine del nome brindisi e il Bacco in Toscana La cena della spillazione Il porto di Brindisi e le corna rituali come simbolo di rinascita. Il brindisi di Dioniso e di Semole come benedizione Indice dei nomi Iconografìa comparativa  Lecce Tarantula. Antropologia simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla Contemporaneità Incontri culturali INCONTRI CULTURALI Tarantula. Antropologia simbolo e iniziazione dalla Tradizione alla Contemporaneità Da Ernesto De Martino ad oggi la Pizzica Salentina, la Taranta e tutto quel mondo che attorno ad essa ruota in maniera spettacolare e folklorico, in realtà nasconde studi e tradizioni che affondano le loro radici in un passato lontano. In una prospettiva più ampia si può dire che in Europa c'è un luogo che da qualche tempo a questa parte ha espresso una incredibile sequenza di suoni, stili, artisti, esperimenti e contaminazioni culturali. Questo luogo è il Salento. La Terra del Rimorso - come la definì Ernesto de Martino - si è trasformata nella Terra dello spettacolo delle tradizioni. Riportando con forza la cultura popolare, l'attenzione per le radici, al centro dell'immaginario giovanile e del consumo pop, il Salento si è rivelata una meta a cui non si può rinunciare. A cinquanta anni dal viaggio della troupe di Ernesto de Martino nel Salento, quei luoghi si sono trasformati in altro, dimenticando l’Oltre. Negli ultimi vent'anni il Salento è stato spettatore della nascita delle dance hall del Sud Sound System, e dell'irruzione sulla scena della pizzica, sottratta da un lato al folklore, dall'altro all'accademia sino poi al più grande world music festival del mondo, la Notte della Taranta. Degli aspetti antropologici dell’argomento e di quelli iniziatici, simbolici ed esoterici se ne occuperanno Maurizio Nocera e Pierpaolo De Giorgi in un incontro dibattito senza precedenti  Mail Presidente Ass. Thorah – piscopo. grazia @libero.it    Biografie relatori G., laureato in Filosofia, è etnomusicologo, filosofo, musicista e poeta. Ha fondato e guida “I Tamburellisti di Torrepaduli”, con i quali ha suonato in Italia e in tutto il mondo, provocando la nascita-rinascita del genere musicale pizzica. Ha inciso sette dischi, che hanno venduto più di centomila copie, scrivendone i testi poetici e le musiche. Sue liriche sono state tradotte in greco e in ungherese. Assieme al pittore Luigi Marzo, ha pubblicato il noto volume Le strade che portano al Subasio passando dal Salento (Del Grifo). Ha tradotto in italiano La danza delle spade e la tarantella di Marius Schneider (Argo, 1999) e ha pubblicato numerosi volumi di ricerca, tra i quali Tarantismo e rinascita (Argo, 1999), L’estetica della tarantella (Congedo 2004), Pizzica e tarantismo (Edit Santoro, 2005), I poeti del vino (Congedo 2007), Il mito del tarantismo (Congedo, 2008), La pizzica, la taranta e il vino: il pensiero armonico (Congedo 2010), La rinascita della pizzica: testi, poesia e storia dei Tamburellisti di Torrepaduli. La via della Taranta (Congedo 2012) che riformulano radicalmente le indagini sul tarantismo e sulla tarantella iatromusicale.  Maurizio Nocera - “Maurizio Nocera (classe 1947) … è un eccellente rappresentante di quella genia … di intellettuali militanti, che sono sempre di meno, oggi, in giro. “Impegnato” dalla punta delle (consumate) scarpe fino alla radice dei (pochi) capelli, infaticabile viaggiatore, talent scout, esploratore di mondi diversi, inguaribile sognatore, gran parlatore, insegnante, politologo, promoter culturale, contastorie, indefesso ricercatore e divulgatore di patrie memorie, bibliofilo, collezionista, scrittore, salentino al cento per cento eppure cittadino del mondo, giornalista, poeta, saggista, storico, critico letterario, editore. Vincenti, Io e Maurizio Nocera, in spigolaturesalentine. wordpress. co /spigolautori-maurizio-nocer a/). Maurizio Nocera è segretario provinciale dell'ANPI di Lecce.Grice: “Giorgi is not an Italian philosopher; he is a Leccese philosopher. You have to be Leccese to be a Leccese philosopher, and only a Leccese philosopher will NOT appropriate TARANTA – as Martino did – misunderstanding it – The idea of Nietzsche on Bacco is all very well, but Giorgi notes that you have to have the Leccese experience to understand all this”. Pierpaolo De Giorgi. Giorgi. Keywords: l’implicatura di Bacco, il ritorno di Dioniso; mito. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Giorgi:  la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della fiducia nella fiducia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vernole). Filosofo.  Grice: “Giorgi discovered a phenomenon I often overlooked: meta-trust: ‘la fiducia nella fiducia e, alla Parsons, la fiducia di ego con alter, e alter con ego. Grice: “I love Giorgi, for various reasons; unlike Sir Geoffrey Warnock, or me, who base our Kantian-type morality on trust, Giorgi recognises a very apt distinction between trust and ‘meta-trust’ – fiduccia nella fiduccia: fiduccia nell’altro!” Insegna a Salento. Si laurea a Roma con “il giuridico e il deontico” – Fonda il Centro Studi sul Rischio a Lecce. Studia i sistemi sociali. Altre opera: “Sociologia del diritto” Manuale di diritto del lavoro e legislazione sociale” “Azione e imputazione” “La società”; “Diritto e legittimazione” “Mondi della società” o, con Stefano Magnolo” “Filosofia del diritto” “Futuri passati”  Fiducia è un meccanismo, un dispositivo di riduzione della complessità. Fiducia non è un valore positivo dell'agire o dell'esperienza; non rappresenta una preferenza rispetto al suo opposto, non ha valore morale di preferibilità. Fiducia e sfiducia sono grandezze non convertibili. Dare fiducia ad altri o suscitare fiducia in altri non sono qualità morali, disposizioni buone, né preferibili o migliori in assoluto. Il riscontro della loro preferibilità è la situazione, la conferma della validità dell'orientamento alla fiducia può essere reperita solo nella dimensione temporale, l'accertamento dell'opportunità può essere dato solo dal futuro. La funzione della fiducia, infatti, si dispiega nella tensione fra presente e futuro. In questa tensione si proietta nel presente il dramma dell'incertezza e il rischio del non sapere. Il sapere, infatti, esclude il rischio e rende inutile la fiducia. Il non sapere, invece, impone al singolo, al sistema personale o sociale, la necessità di reperire un dispositivo di assorbimento dell'incertezza che rischia di paralizzare l'agire. Il problema, allora, è il tempo; lo spazio di questo tempo è il presente, una estensione temporale della cui durata ci si rende conto soltanto quando è finita, cioè quando è già diventata un passato. Lo spazio della fiducia è questo. Solo in questo spazio si può avere fiducia. In esso cioè si può costruire, sviluppare, mettere alla prova quella inevitabile avventura che è l'anticipazione delle aspettative dell'altro. Fiducia non è altro che questa anticipazione che orienta l'agire e l'esperire. Ma è un'avventura del presente che anticipa il futuro nella rappresentazione di colui che ha fiducia, perché si serve solo delle risorse di una propria prestazione effettuata in anticipo e costruita su una propria rappresentazione del mondo. Una risorsa esterna, una certezza, renderebbe inutile dare fiducia [...]. La fiducia costituisce una mediazione tra la complessità del mondo e l'attualità dell'esperienza. Una mediazione drammatica, rischiosa, che si sostiene sul sapere di non sapere, che produce da sé le risorse che investe e con le quali si espone al futuro anticipandolo e all'altro rappresentandosi le sue aspettative [...]. Fiducia non è affidamento all'altro. Fiducia non è il racconto dell'altro. Non ci sarebbe il dramma, non ci sarebbe neppure la possibilità di raccontare l'altro, se fiducia avesse a che fare immediatamente con l'altro. Fiducia ha a che fare con la propria rappresentazione dell'altro; essa è affidamento alle proprie aspettative dell'altro. Fiducia è esposizione del sé. Fiducia è abbandono al sé, per questo c'è il rischio, il dramma, la tensione. (R. De Giorgi, Presentazione dell'edizione italiana, in N. Luhmann, La fiducia, Bologna, il Mulino, Riferimenti Bibliografici, Berger, Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Bologna, 1969;* - N. Luhmann, Illuminismo sociologico, Milano, Schütz, La fenomenologia del mondo sociale, Bologna, 1974.*La semantica del rischio Decisione razionale e azione sociale  G., Filosofia, Lecce, Centro Culturale. Sulla situazione delle scienze sociali  Se si osserva il panorama delle scienze sociali oggi, si può affermare che esse sono alla ricerca di temi attuali riferiti alla società, ma che per questo non dispongono ancora di una struttura teorica adeguata, in particolare non sono pervenute ancora a una adeguata descrizione della società moderna. Le discussioni teoriche vengono effettuate in relazione ad autori, in particolare in relazione a classici. Questo comporta, nel modo di porre i problemi, la presenza di un sovraccarico di vecchie prospettive e l’implicito orientamento ad una società che in virtù del suo ottimismo sul progresso aveva raggiunto i suoi limiti, ma poteva tener presente solo in misura limitata le conseguenze della società moderna e le poteva trattare solo come problemi della distribuzione del benessere. Le acquisizioni alle quali si è pervenuti sono date da un atteggiamento scettico verso l’organizzazione e la razionalità (Weber) o da una critica della struttura di classe della società moderna. Di queste acquisizioni vive ancora oggi la discussione teorica.  La società moderna ha reso urgenti problemi completamente diversi: il problema dell’ecologia, il problema delle conseguenze che derivano dalle nuove tecnologie, dalla ricerca biologica e genetica: ma anche il problema delle conseguenze legate a determinate politiche di investimento o quello relativo al rapporto tra uso del denaro per fini speculativi o per fini produttivi. Si tratta solo di alcuni indici degli ambiti problematici con i quali continuamente si confronta la società contemporanea e rispetto ai quali la soglia di attenzione, e quindi di preoccupazione, sembra essere più alta.  Negli anni più recenti è sembrato che la scienza sociale riuscisse ad andare oltre la discussione sui classici: si è elaborato così un orientamento problematico che può essere descritto mediante concetti quali complessità, problemi del controllo e guida, possibilità dell’azione ed altri ancora. Così la società viene descritta dalla prospettiva dell’agire politico e quindi dalla prospettiva della pianificazione, la quale ha davanti a sé campi di realtà altamente complessi, in cui tutte le azioni scatenano “conseguenze perverse” e producono problemi che danno motivo a nuove forme dell’agire. Tuttavia anche questa discussione ha raggiunto in modo incontestabile i suoi limiti, non dispone di potenziale esplicativo dell’agire reale e ripropone ormai solo l’originaria formulazione dei problemi. All’ottimismo del progresso si è sostituita la paura del futuro, all’ansia della pianificazione e del controllo, la rassegnazione verso le conseguenze perverse dell’agire che, non potendo essere previste, vengono rese oggetto di analisi empirica: un motivo ulteriore per considerare il presente con disappunto e per tentare di risolvere mediante il ricorso alla morale ciò che sembrava impossibile risolvere mediante la razionalità.   Non si può affatto prevedere che nel prossimo futuro la scienza sociale riuscirà a colmare il deficit teorico che la caratterizza e a pervenire ad una convincente descrizione della società moderna. E’ possibile però isolare temi speciali, che in questa direzione sono fruttuosi e possono essere utilizzati perché le ricerche si concentrino su di essi. Il tema rischio può costituire un tema cosiffatto. Esso è un tema nuovo rispetto alla discussione sui classici e mantiene considerevole distanza rispetto alle teorie sulla decisione razionale o sulla pianificazione razionale. Esso attualizza la dimensione del tempo, una dimensione centrale per la società moderna da tutte le prospettive. Esso altresì ha particolare riferimento rispetto ai temi che nell’opinione pubblica hanno acquistato un significato considerevole e che, gradualmente, diventano dominanti. Esso ha quindi tutte le chances di fornire un contributo rilevante alla comprensione delle condizioni sociali nelle quali oggi inevitabilmente viviamo e delle quali in un qualunque modo dobbiamo tener conto.  2. Stato della ricerca.  Negli ultimi vent’anni il tema rischio ha stimolato una mole immensa di ricerche ed ha raccolto una letteratura che ormai non è più possibile controllare. Nella letteratura meno recente il tema si è sviluppato prevalentemente sotto la voce: insicurezza. La ricerca però si è concentrata su alcuni punti cruciali e non è pervenuta all’elaborazione di una chiara concettualità teoretica.   Da una parte è dato di trovare ricerche sulla valutazione delle conseguenze prodotte dalle nuove tecnologie; queste ricerche presentano ramificazioni molto concrete: ad esempio la valutazione degli effetti cancerogeni che derivano da alcuni prodotti chimici o la valutazione delle possibilità che si verifichino eventi particolarmente improbabili ed insieme altamente catastrofici. Questa letteratura è orientata nel senso delle teorie della casualità o nel senso della statistica: essa ha prodotto a sua volta altra letteratura che si occupa della posizione e del ruolo degli esperti rispetto alla politica e che di conseguenza individua una perdita di prestigio e di credibilità della scienza e degli esperti nelle diverse tecnologie, qualora questi, sotto la pressione e l’urgenza delle decisioni siano costretti a rendere manifeste le loro insicurezze o le controversie interne alla scienza stessa.   Si tratta di una letteratura e di un insieme di ricerche che tematizzano i problemi della sicurezza rispetto a situazioni di pericolo oggettivo, ma che non riguardano la prospettiva di chi, nell’agire concreto, deve decidere se rischiare o non rischiare e a quali costi.   Accanto a queste ricerche è dato di trovarne altre che sono orientate in misura crescente in senso psicologico e che indagano i modi in cui i singoli si comportano in situazioni di rischio. Risultato di queste ricerche è una distinzione di variabili che influenzano il comportamento, come ad esempio l’influsso della fiducia di sé o del controllo di sé sulla disponibilità di colui che agisce verso il rischio.   Un altro orientamento di ricerca si occupa dei deficit di razionalità e degli “errori” statistici che è possibile individuare nel comportamento decisionale quotidiano. La disponibilità al rischio dipende, secondo queste ricerche, non da ultimo dal modo in cui colui che decide pone il problema col quale deve misurarsi.  Questi orientamenti ai quali si sostiene la ricerca sul rischio permettono di comprendere perché gli esperti che si occupano della percezione e valutazione del rischio e delle strategie del suo trattamento, siano essenzialmente studiosi di scienze naturali, di statistica, di economia (in particolare per i settori relativi alle teorie della scelta razionale, del calcolo dell’utilità, ecc.) o di psicologia. Persino il tema comunicazione sul rischio viene trattato da specialisti che hanno questa formazione.  La sociologia si è occupata fino ad ora prevalentemente degli aspetti limitati dei nuovi movimenti che si formano nella società a seguito della accresciuta percezione del rischio. La scienza politica ha manifestato scarsa attenzione per i problemi che derivano dal fatto che le questioni legate al rischio sovraccaricano gli interessi politici. Accanto alla medicina si è stabilizzata un’etica che si occupa dei modi in cui la morale dovrebbe affrontare questioni che sembrano sottrarsi al calcolo razionale.  Nonostante la sua ampiezza, l’attuale ricerca sul rischio non riesce a pervenire a risultati utili sia alla descrizione dell’agire decisionale che alla determinazione di possibilità ulteriori degli stessi ambiti decisionali, perché è legata da vincoli che derivano dal modo stesso in cui il problema del rischio viene tematizzato. Questi vincoli sono definiti dai modelli derivati dalle teorie della decisione razionale e dalle teorie psicologico-individualistiche. Integrazione teorica. Tanto dal panorama delle ricerche quanto dall’eterogeneità dei diversi approcci scaturisce un considerevole bisogno di integrazione teorica. Le prestazioni innovative che è possibile effettuare in rapporto allo stato attuale della ricerca dipendono dal fatto che si riesca ad elaborare e a rendere disponibile una concettualità teorica capace di rendere possibili questi riferimenti.  Il concetto di rischio è stato definito essenzialmente in relazione agli ambiti della relazione razionale, per così dire, come concetto per la elaborazione dei problemi del calcolo razionale. Da qui derivano considerevoli difficoltà di delimitarne significato e contenuto. Nella letteratura si scambiano e si utilizzano come equivalenti e fungibili con il concetto di rischio formulazioni quali pericolo, danger, hazard, insicurezza e simili. Proprio per questo, sul piano metodologico è necessario mettere in chiaro nel contesto di quali distinzioni il rischio acquista il suo contenuto e significato proprio.  La distinzione tra rischio e sicurezza sembra inutilizzabile. Sicurezza in quanto opposta a rischio, indica solo un posto vuoto che non può certo essere riempito empiricamente. Sicurezza, nello schema rischio-sicurezza, indica solo un concetto riflessivo: esso esibisce solo la posizione dalla quale tutte le decisioni possono essere analizzate dal punto di vista del loro rischio. Sicurezza, in questo senso, universalizza solo la coscienza del rischio; d’altra parte non è un caso se, a partire dal XVII secolo, tematiche della sicurezza e tematiche del rischio si sviluppano insieme.   Per questo sarebbe necessario provare se sia possibile intendere il concetto di rischio utilizzando le prospettive fornite dalla teoria attributiva. Nel generale contesto di una insicurezza rispetto al futuro e di un danno possibile, si potrebbe parlare di rischio quando un qualche danno venga imputato ad una decisione, cioè quando questo danno debba essere trattato come conseguenza di una decisione (o da colui che decide o da altri). Il concetto opposto sarebbe allora il concetto di pericolo, che è applicabile quando danni possibili vengano imputati all’esterno. Una tale concettualizzazione permetterebbe di utilizzare la problematica dell’attribuzione che si è rivelata fruttuosa e saldamente sperimentata. La concettualizzazione proposta dà insieme plausibilità al fatto che nella società moderna la maggiore coscienza del rischio sia correlata all’accrescimento delle possibilità di decisione. Beck, Risikogesellschaft. Auf dem Weg in eine andere Moderne, Frankfurt a.M., Beck, Politik in der Risikogesellschaft. Essays und Analysen, Frankfurt a.M.,Covello, J. Mumpower, Environmental Impact Assessment, Technology Assessment, and Risk Analysis, NATO ASI Series, Berlin-Heidelberg, Douglas, Come percepiamo il pericolo. Antropologia del rischio, Milano, Douglas, Wildavsky, Risk and Culture. An Essay on the Selection of Technological and Environmental Dangers, California, Evers, Helga Nowotny, Über den Umgang mit Unsicherheit. Die Entdeckung der Gestaltbarkeit von Gesellschaft, Frankfurt a.M., Giddens, The Consequences of Modernity, Stanford, Hahn, Willy H. Eirmbter, Rüdiger Jacob, Le Sida: savoir ordinaire et insécurité, «Actes de la recherche en sciences sociales, Hijikata, Armin Nassehi, Riskante Strategien. Beiträge zur Soziologie des Risikos, Opladen, Johnson, Covello, The Social and Cultural Construction of Risk, Dordrecht, Kaufmann, Sicherheit als soziologisches und sozialpolitisches Problem. Eine Untersuchung zu einer Wertidee hochdifferenzierter Gesellschaften, Stuttgart, Königswieser, Matthias Haller, Peter Maas, Heinz Jarmai, Risiko-Dialog, Köln, Krücken, Risikotransformation. Die politische Regulierung technisch-ökologischer Gefahren in der Risikogesellschaft, Opladen, Luhmann, Sociologia del rischio, Milano, Perrow, Normal Accidents. Living with High-Risk Technologies, New York, Wildavsky, Searching for Safety, New Brunswick-London,  I titoli contrassegnati con l'asterisco sono disponibili, o in corso di acquisizione, per la consultazione e il prestito presso la Biblioteca del Collegio San Carlo. Presso la sede della Biblioteca, dopo una settimana dalla data della conferenza, è possibile ascoltarne la registrazione. Grice: “Giorgi understands trustworthiness perfectly. However, he does not seem to care to provide a moral background for it, which is okay with me, since being trustworthy and expecting others to be trustworthy is what an honest chap does! It’s different with PERJURY, and Giorgi has shed light on the notion of legitimacy – an oath of trustworthiness becomes a LEGAL BOND – not just moral. It is however better to consider the moral trustworthiness as PRIOR conceptually to the legal trustworthiness – even if conceptual priority can go both ways. EPISTEMICALLY, to have a law that condemns perjury may be the best way NOT to have faith in faith (fiducia nella fiducia) but PRESUPPOSE that the other has a moral-legal bond to be trustworthy. The perjury figure in Roman law has to be considered historically, since if there was something the Italians are good at is Roman law!” -- Raffaele De Giorgi. Giorgi. Keywords: fiducia nella fiducia, il giuridico, il deontico, imputazione, azione, fiduzia nella fiducia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giorgi” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Giovanni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della civetta di Minerva – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano.  Grice: “The Italians love ‘divenire’ as in ‘being and becoming’ – but if I say Mary is becoming a princess, ain’t Mary being?” Grice: “I like Giovanni; only in Italy, you write an essay on Marx on cooperation and on Kelsen; and then of course an Italian philosopher HAS to philosophise on Vico: ‘divvenire della ragione,’ Giovanni calls what I would call a critique of conversational reason!” Ha aderito successivamente alla Rosa nel Pugno.  Simpatizzò per la monarchia e l'11 giugno 1946 fu tra coloro che presero parte agli scontri che causarono la strage di via Medina; in seguito avrebbe spiegato la sua partecipazione con queste parole: “Già leggevo Hegel ero monarchico perché credevo all'unita dello Stato.” “Scappai quando la situazione s'incanaglì». Si laurea a Napoli con la tesi “Vico: natura e ius.” Insegna a Bari.  Direttore di “Il Centauro. Rivista di filosofia". Altre saggi: “L'esperienza come oggettivazione: alle origini della scienza”; “Il concetto di classe sociale in Cicerone”; “La borghesia italiana”; “Il concetto di prassi”; “Marx dopo Marx”  (cf. Luigi Speranza, “Grice dopo Grice.” Impilcature: Not Grice! --; “La nottola di Minerva”; -- il guffo di Minerva – la civetta di Minerva -- “Dopo il comunismo”; il comune -- “L'ambigua potenza dell'Europa”; “Da un secolo all'altro: politica e istituzioni” – istituzione istituzionalismo istituismo “La filosofia e l'Europa”; “Sul partito democratico. Aristocrazia, democrazia crazia cratos concetto di potere -- -- Opinioni a confronto”; “A destra tutta. Dove si è persa la sinistra?” “Elogio della sovranità politica, -- il sovrano – lo stato sovrano – Machiavelli --  Editoriale scientifica, “Le Forme e la storia. Scritti in onore di Giovanni, Napoli, Bibliopolis,  La parabola di Giovanni.  Il dibattito Un saggio di de Giovanni paragona Severino al filosofo del fascismo. Ma a tutte le sue obiezioni è possibile rispondere È Gentile il profeta della civiltà tecnica Ne rende possibile il dominio planetario. Eppure la legge del divenire è eterna di SEVERINO Gentile e assassinato perché e la voce più autorevole e convincente del fascismo. Eppure la sua filosofia è la negazione più radicale di ciò che il fascismo ha inteso essere. Non solo. Essa è tra le forme più potenti — non è esagerato dire la più potente — della filosofia del nostro tempo. Di tale potenza lo stesso Lenin si e accorto — forse gli assassini di Gentile non lo sanno neppure. Tanto meno lo sa la cultura filosofica dominante, che mai riconoscerebbe a un italiano un così alto rilievo. Non solo. Contrariamente agli stereotipi che vedono in Gentile un avversario della scienza, l’attualismo gentiliano è l’autentica filosofia della civiltà della tecnica: rende possibile il dominio planetario della tecno-scienza, ancora frenato dai valori della tradizione. Altrove ho mostrato il fonda- mento di queste affermazioni. Il saggio di G. Disputa sul divenire. Gentile e Severino (Scientifica) è un grande e suggestivo contributo al loro approfondimento — come d’altronde c’e da attendersi dalla statura culturale e sociale dell’autore. Va facendosi largo nel mondo la convinzione che l’uomo non possa mai raggiungere una verità assolutamente innegabile; che, prima o poi, ogni verità siffatta resti travolta da altri modi di pensare, da altri costumi, cioè si trasformi, muoia: divenga. Travolta, anche la certezza che esistano le cose che ci stanno attorno; essa è innegabile solo fino a che esse non vanno distrutte: era innegabile solo provvisoriamente. Esser convinti dell’inesistenza di ogni verità assoluta è quindi, insieme, esser convinti dell’inesistenza di ogni Essere immutabile ed eterno. Dio è morto, si dice. La negazione di ogni verità assoluta e innegabile non investe dunque l’esistenza del divenire del mondo. Anzi, proprio perché si fa largo la convinzione che il divenire di ogni cosa e di ogni stato sia assolutamente innegabile (ed eterno), proprio per questo è inevitabile che ci si convinca dell’impossibilità di ogni altro innegabile e di ogni altro eterno. Gentile lo mostra nel modo più rigoroso (mentre il fascismo, come ogni assoluti- smo politico, intendeva essere la configurazione inamovibile dello Stato). Ma è appunto per quell’estremo rigore che G. rileva, a ragione, l’incolmabile contrasto tra la filosofia di Gentile e il tema centrale dei miei scritti, l’affermazione cioè che la verità assolutamente innegabile esiste e che tutto ciò che esiste (nel presente, nel passato, nel futuro) è eterno, ossia non esiste alcunché che esca dal proprio esser stato nulla e che sia travolto nel nulla. Certo, la più sconcertante delle affermazio- ni. Che però de Giovanni considera fondata con altrettanto rigore. Infatti, mi sembra, egli è inte-ressato al contrasto Gentile-Severino perché vede in ogni forma di contrasto una conferma della propria prospettiva di fondo, per la quale l’esi- stenza umana è, da ultimo, un contrasto insana- bile tra il desiderio dell’uomo, finito, di esser sal- vato dall’Infinito e la problematicità del rapporto finito-Infinito. Quindi, a suo avviso, per quanto rigorose possano essere la posizione filosofica di Gentile e la mia, ci dev’essere in entrambe un vizio o più vizi di fondo che non possono venir estirpati. Attraverso una finissima procedura in- terpretativa de G. lo fa capire rivolgendo domande, obiezioni sotto forma di domande. So- prattutto a me. Provo a rispondere ad una soltan- to. In modo adeguato risponderò in altra sede. Ma prima rivolgo anch’io una domanda a G.. La sua prospettiva — qui sopra richiamata in modo molto sommario — intende essere una verità assolutamente innegabile o una proposta dove non si esclude che la verità innegabile esista da qualche parte? Propendo per la prima alternativa. Mi sembra infatti che anche per G.  l’unica verità indiscutibile sia la storicità del reale, cioè il divenire che travolge ogni altra presunta verità. La sua distanza da Gentile tende così a vanificarsi nonostante le obiezioni, che a questo punto hanno un carattere subordi- nato. E infatti de Giovanni mi chiede se non ci sia «qualcosa di ineluttabile» «nella condizione mortale dell’uomo», se la morte non sia «la prova inconfutabile», l’irrefutabile cogenza che l’ente uomo nasce dal nulla e va nel nulla — e anzi, lasciando da parte il domandare, afferma che il mio discorso «si scontra con il fatto che l’uomo muore.  Il contesto in cui G. avanza queste domande-affermazioni è incommensurabilmente lontano dall’ingenuità con cui a volte queste domande mi vengono rivolte. Ma in questa sede può essere opportuno richiamare — ancora una volta — che i miei scritti, ovviamente, non hanno mai negato che l’uomo muoia e come muoia e resti il suo ca- davere, ma hanno sempre negato che la nascita dell’uomo e delle cose sia un venire dal nulla e che la morte sia un andare nel nulla; e lo negano perché mostrano che questo andirivieni non è un «fatto». Provo a chiarire. Che il dolore, l’agonia, la morte dell’uomo (e il perire dei viventi e delle cose) sia un «fatto» si- gnifica che se ne fa esperienza. Certo. Si fa esperienza dell’orrore della morte, che è sempre la morte altrui. Ma chi crede che la morte sia un andare nel nulla non crede (è impossibile che creda) che l’uomo vada nel nulla ma, insieme, continui ad essere un fatto che appartiene al contenuto dell’esperienza: gli appartenga nello stesso modo in cui gli apparteneva prima di annientar- si. Nell’esperienza rimane il ricordo di coloro che sono andati nel nulla, e il ricordo è un «fatto»; ma non rimane il fatto in cui consisteva il loro es- ser vivi, non si fa più esperienza del loro esser stati vivi. Chi, dunque, crede che la morte sia an nientamento crede che — pur avendo avuto espe- rienza dell’agonia e del cadavere — ciò che è di- ventato niente sia diventato anche qualcosa che non appartiene più all’esperienza, che non è un fatto. Ma allora è impossibile che l’esperienza mostri che sorte abbia avuto ciò che è uscito dall’espe- rienza, e quindi mostri che esso è diventato nien- te. Di questa sorte l’esperienza non può che tace- re. Cioè l’annientamento non può essere un «fat- to». (E se il cadavere viene bruciato e, come si di- ce, «diventa cenere»; allora anch’esso, come tutta la vita passata di chi è morto, esce dall’esperienza —anche se ne rimane il ricordo. Daccapo: che es- so, diventando cenere, sia diventato niente non può essere l’esperienza ad attestarlo). Ci si convince dunque che la morte è annienta- mento non sulla base dell’esperienza, ma sulla ba- se di teorie più o meno consistenti. All’inizio i vivi si fermano atterriti di fronte alle configurazioni orrende della morte dei loro simili e restano col- piti dalla loro assenza; i morti non ritornano, vivi, come invece il sole torna a risplendere al mattino. Anche su questa base, quando si fa avanti la rifles- sione filosofica sul nulla, si pensa che ciò che non ritorna sia diventato niente e si crede di sperimen-tarne l’annientamento. Gentile sta al culmine di tale fede e, con la propria «teoria generale dello spirito», dimostra nel modo più radicale l’impos- sibilità di ogni realtà esterna all’esperienza, sì che l’uscire dall’esperienza è per ciò stesso l’andare nel niente. Ma, appunto, si tratta di una dimostra- zione, di una «teoria», non della constatazione di un fatto. Dunque, la sconcertante affermazione, al cen- tro dei miei scritti, che tutto ciò che esiste è eter- no, non è un «paradosso» che «si scontra» con l’esperienza, cioè «con il fatto che l’uomo muo- re». All’opposto, a scontrasi con l’esperienza sono coloro che — affermando la sua capacità di atte- stare l’annientamento degli uomini e delle cose — vedono in essa ciò che in essa non c’è e non può esserci. Sono molti, moltissimi? Non importa. An- che quando qualcuno ebbe a mostrare che è la Terra a girare attorno al sole e non viceversa, tutti gli altri lo negavano, sconcertati. A questo punto de Giovanni deve mostrare per- ché (una volta escluso lo «scontro con il fatto») non accetta la fondazione che di quella sconcer- tante affermazione ho indicato nei miei scritti. At- tendo. Ma anche tutte le altre sue domande atten- dono la mia risposta.Il tramonto del principe: "Fin dall'inizio della sua attività Biagio de Giovanni ha accompagnato al suo discorso teorico e politico una notevole attività di carattere storico-filosofico. Si può dire, anzi, che per certi versi questi sono tre aspetti di una medesima ricerca che, secondo una tipica 'tradizione' italiana, ha intrecciato, in modo consapevole, filosofia, storiografia e politica. Ma questa è una considerazione preliminare, di carattere generale. Ciò che distingue la posizione di de Giovanni è il modo con cui ha istituito questo intreccio - il suo 'punto di vista' - e i risultati che è riuscito a conseguire." (dalla prefazione di Michele Ciliberto). Con una postfazione sulla storia de "Il centauro" di Dario GentiliBiagio di Giovanni. Giovanni. Keywords: essere/divenire – dall’essere al divenire -- divenire della ragione conversazionale: Vico, Hegel, Marx, nottola di Minerva; monarchia – stato -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giovanni: il divennire della ragione conversazionale” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.

 

Grice e Giovenale: la ragione conversazionale e la satira del filosofo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano.  Renowned for his satires in which it is possible to identify a variety of philosophical interests, if not influences. Decimo Giunio Giovenale. Giovenale.

 

Grice e Giovio: la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Nola). Filosofo italiano. The son of Paulino di Nola. From a letter written to him by his father, it appears that he was a keen student of philosophy. Giovio.

 

Grice e Giraldi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- filosofia ligure – filosofia italiana -- Luigi Speranza (Ventimiglia). Filosofo italiano. Grice: “Only a Ligurian philosopher would philosophise on Hegel’s real logic and lobsters!” -- Grice: Grice: “One good thing about Giraldi is that he is from Ventimiglia and moved to Noli – the most charming corners of Italy!” – Grice: “Giraldi calls his position ‘romatnic essentialism;’ having born in Ventmiglia he would, wouldn’t he?”“I like Giraldi; nobody in England would dare write “The son of Peter Pan,” but Giraldi, otherwise known as the author of ‘Essenzialismo,’ did write ‘Il figlio di Pinocchio’”! Il padre, originario di Dolceacqua e di estrazione contadina, dopo il servizio militare riuscì la scalata del successo al Casinò di Monte Carlo, affermandosi anche come uomo di grande saggezza e religiosità. La madre invece era originaria di Ventimiglia, dove G. stesso nacque e trascorse la sua infanzia. Sebbene la famiglia fosse benestante, egli soffriva per la grande conflittualità interna, continuamente vessato dalla sorella maggiore che non esitava ad usare violenza nei suoi confronti, mentre la madre non faceva parola con il padre di quanto assisteva. Racconta che in questo periodo riusciva a trovare pace solo in chiesa.  Con una bugia astuta riuscì a scappare di casa, entrando in un collegio, dunque l'anno successivo si trasferì in un altro collegio di Roma, ove tuttavia non riuscì a trovare la tranquillità sperata. Riuscì a compiere studi classici a Roma, iscrivendosi poi all'Università. Non frequenta le lezioni delle materie filosofiche curricolari, ma studia per conto proprio. Tuttavia sigue abbastanza regolarmente le lezioni di PONZO, anche se non e materia d'esame. Si laurea e presta servizio militare durante la seconda guerra mondiale. Si laurea in filosofia discutendo molto animatamente la tesi con  Spirito, il quale ironizzò sulle sue pretese di "fare una nuova filosofia". Insegna a Milano. Partendo dalla teoria gentiliana, che vede in tutto una “mediazione”, e da quella di CONSENTINO, che sostiene al contrario la totale "immediatezza", afferma che anche l'atto puro, in quanto nuovo e spontaneo, non può che nascere senza alcuna mediazione, quindi è l'equivalente dell'immediatezza, o del sentire puro. Pertanto prova a risolvere le contraddizioni di entrambe le posizioni in una sintesi hegeliana che possa superare sia il “divenirismo,” sia il coscienzialismo antidivenirista. La soluzione è che l'immediatezza sarebbe sostanziata di mediazione, e viceversa.L'immediatezza è così colma di mediazione, perché senza di essa sarebbe cieca e una mediazione senza una immediatezza sarebbe nulla. Inoltre, per avere una identità distinguibile, si dovrebbe avere già dentro di sé quanto necessario per identificarsi e per distinguersi.  In “Etica del sentimento”, ancorando il principio morale proprio alla sfera sentimentale, si focalizza sul sentimento di libertà e propone nuove argomentazioni alla tesi di derivazione stoica del sentirsi responsabili, pur entro un tutto già dato. In “Gnoseologia del Sentimento”, parte proprio dalla posizione del CONSENTINO per ripercorrere gli itinerari di una filosofia dell'essere indiveniente e per affrontare gli aspetti dinamici e volontaristici dell'Io. In “Filosofia giuridica” espone la concezione di diritto naturale quale sentimento fondamentale giuridico, condizione trascendentale di ogni diritto positive. Pertanto il diritto naturale non sarebbe un codice sovrapponibile ad altri codici, ma la precondizione che permette alle leggi positive di essere leggi e non atti religiosi, estetici, scientifici o di altro tipo. Si occupa anche della riflessione su temi politici.“Storiografia come rettorica” tende ad inquadrare l'unitarietà artistica e scientifica della ricostruzione storica, coerentemente con la tesi di CICERONE della “historia opus oratorum maxime” e con quella aristotelica dell'entimema, in altre parole quel sillogismo retorico che si differenzia da quello della necessità. In “Epistemologia” invoca una demitizzazione anche delle teorie cosmologiche e scientifiche più accreditate (l'evoluzionismo, la teoria del Big Bang, la meccanica quantistica), poiché tenderebbero pure esse a cadere in paralogismi e contraddizioni logiche, nonostante gli apprezzabili sforzi a riferirsi alla filosofia da parte di alcuni notevoli scienziati. Ad esempio nota che anche i migliori epistemologi che irridono il concetto di sostanza, di fatto, riferiscono i dati sperimentali ad una sottintesa sostanza soggiacente. In numerosi saggi dedicati alla religione, analizzata nelle molteplici forme di spiritualità, avanza la tesi che il proprium della religione sia la soteriologia, quindi non tanto il contenuto di una dottrina, ma la speranza di salvazione dal negativo della vita e della morte. Il principio cardine diventa dunque la speranza, e non più la fede, che viene ricondotta ad un ruolo funzionale alla realizzazione della salvezza.  L'analisi della religiosità tenta perciò di emanciparsi dagli usuali preconcetti filosofici: se alla religione è stato assegnato per oggetto l'uomo immediatamente e Dio mediatamente, alla teologia Dio si dà immediatamente e l'uomo mediatamente. Altresì in “Immortalità dell'anima” mostra come sia improponibile lo sforzo di svincolare l'unità del Pensiero con la determinazione individualizzata della persona. Il “Dizionario d’estetica e linguistica generale”, con alcune integrazioni filologiche presenti in alcune successive pubblicazioni, alcune in Sistematica, si distingue anche per l'attenzione dedicata all'estetica e sulle concezioni dei primitivi "di ieri e di oggi".  La proposta avanzata per una filosofia della scelta e decisione si apre con una riflessione sul dogmatismo e l'agnosticismo, dalle quali l'autore vuole prendere le distanza. Non si considera dogmatico, perché il suo metodo gli consente di aderire ad un'idea solamente dopo la caduta di ogni riserva, ma ciò non lo porta neppure ad approdare ad una concezione scettica né agnostica, in quanto la non possibilità di dimostrare (ad esempio l'immortalità, la vita ultraterrena o l'esistenza di Dio) non equivale ad affermare la loro non esistenza. Tra le numerose acquisizioni che lo difenderebbero dalle accuse incrociate di scetticismo e agnosticismo enumera la consapevolezza di un patrimonio di verità circa le possibilità di pensiero; la ricchezza dell'atto di conoscenza anche nelle forme meno esplicate; l'emancipazione dalla divisione del conoscere in intuizioni e concetto, sensazione e concetto; la pretestuosità di coloro che esigono una purezza del conoscere senza inquinamenti sentimentali; le aporie di una scienza oggettivante e insieme soggettivante al massimo e dell'arte che, mentre il mondo odierno nega il reale, si riferisce continuamente ad essa, particolarmente nella negazione.  Non potendosi dare una irruzione nel trascendente, è tuttavia possibile affermare la vasta pregnanza del trascendentale, in altre parole di un terreno comune per l'esperienza e il pensiero. Si considera pertanto idealista, nel senso che non esiste pensiero senza pensiero, spirito senza spirito, “ideato” (significato) senza “ideante” (significans). Tuttavia, differentemente dalle posizioni di Gentili, non crede che affatto il pensiero sia liquido, tutt'altro; proprio perché l'idea diventa comune, e in essa il Pensiero trova la sua pace, occorre una verità fondamentalmente ferma, non mobilizzabile. Da questi presupposti sorge così una debita attenzione per la scelta e la decisione.  Distinguendo le scelte apparenti, che sono totalmente arbitrarie, da quelle reali, quando al termine dell'analisi si opera con un atto di buona volontà, una decisione autentica ci si trova di fronte ad un bivio metafisico: impossibilità di afferrare la realtà dei tre nominati reali (Dio, Anima e Mondo) e impossibilità di negarli. Sorge appunto la decisione autentica, cui si arriva solamente secondo una corretta formulazione di intenti e seguendo una fine immanente ad ogni forma di scelta. Aristotelicamente e anche kantianamente la causa finale riveste una primaria importanza. Se ogni uomo sceglie per sé, nessuna scelta avrebbe una portata teoretica di cogenza, ma aprirebbe le vie della libertà vera, dalla quale ne derivano conseguenze radicali e speculazioni abissali a partire da una decisione, che può essere quella dell'anima unica immortale, o quella del pensiero che viene ad essere dopo la materia, o la non esistenza di Dio. Ciò permetterebbe anche di evitare il depauperamento culturale, con una rivitalizzazione delle esperienze antiche.  La decisione personale propende per una concezione dell'anima unitaria, di stampo aristotelico. Se l'immortalità naturale di tomistica memoria è da lui considerata "la più materialistica, e più grezza", preferisce pensare ad una immortalità conseguita, oppure chiesta a Chi può donarla e concessa a chi la chiede. Sul mondo reale fisico resta una indecisione, ma propende verso un residuo di natura mentale, una sorta di noumeno mentale sulla scia di Kant e Galluppi oltre il grande telone dei fenomeni. In questo caso però occorrerebbe rapportarlo ad una mente divina, perché parlare di mondo senza Dio non avrebbe connotazioni filosofiche. Infine, riguardo l'esistenza di Dio, punto in cui la scelta diviene decisione pura, egli tende a negare la validità delle dimostrazioni, pur scorgendo in esse una bella prova della potenza della mente umana. La conclusione non è però la non esistenza di Dio, ma la non dimostrazione della sua esistenza.  Chi ammette l'esistenza di Dio, tuttavia, deve assumere la radicalità di tale affermazione "guardando il mondo dagli occhi di Dio" e non facendo etsi deus non daretur. Chi prendesse la scelta teistica dovrebbe tacersi per sempre e rinunciare ad intenderlo. Giraldi mette in risalto anche la Volontà, definendola potenza fattiva dell'Idea, e constatandone il carattere generativo-spermatico, per collocare in una prospettiva differente il vitalismo dell'élan vital bergsoniano e della Wille di Schopenhauer. Questo permette di pensare l'Idea non solo quale conoscenza filosofica, ma anche negli aspetti attivi, vitali e di sentimento. Ad essere eroicamente divini non sono pertanto solo i pochi giunti al massime vette di autocoscienza teoretica, ma anche gli umili che vivono inconsapevoli della propria dignità divina, folgoranti però di una autocoscienza morale.  Bàrel Dal punto di vista poetico, l'opera principale di G. è il “Bàrel”, sorto dall'ispirazione di un progetto di Papini esposto nell'autobiografia Un uomo finito per un poema apocalittico, mai scritto. Altri spunti furono la lettura di Lord of the World di Benson e dell'Apocalisse.  Il Bàrel, presentato a Giovannetti de Il Giornale d'Italia, che propose come titolo “Il Dio Eroico”. Gli anni seguenti, segnati dalla Seconda Guerra Mondiale, furono l'occasione per trasporlo in prosa. Questa versione, appena terminata la guerra, e proposta a vari editori ma che per una serie di sfortunate coincidenze Mondadori non dispone della carta, e dopo alcuni anni, quando la carta è disponibile, cambia idea sulla pubblicazione; la casa editrice Api di Mazzucchelli nel frattempo fallì l'idea di pubblicazione venne temporaneamente accantonata. Nel frattempo alcuni versi sono pubblicati frammentariamente. Ri-ordina le due versioni in una unica opera che contenesse sia versi, sia prosa, in uno spiccato pluristilismo sperimentale. La pubblicazione avverrà sotto lo pseudonimo I. Tanarda e poi in raccolte unitarie successive.  Il tema è insolito e il contenuto, con riferimenti religiosi e culturali di ogni tipo, non è di semplice accessibilità. Se può essere collocato in un momento simbolico dell'arte, è anche classico e romantico, nei canoni dell'estetica hegeliana. Nel Apocalisse grande, il protagonista Bàrel sovrappone le passioni alle idee. In La cerca di Barel, ritorna in proporzioni umane e in La morte degli dèi, scende negli abissi vertiginosi della filosofia, che la poesia tenta di inseguire.Saggi: “Organon Philosophicum”, Ironia, morale, educazione, Gheroni, Torino, “Etica del sentimento”  Filosofia dell'Unicità; “Gnoseologia del sentimento” (Pergamena); La filosofia giuridica, Filosofia dell'Unicità, Milano “Filosofia della religione”. Filosofia dell'Unicità, Epistemologia. Una nostra riforma della Logica Hegeliana (Pergamena) La Metafisica. Pergamena, Iesous Eléutheros. La liberazione di Gesù: lettera sistematica (Pergamena) Dizionario di Estetica (Pergamena); Studi nel periodico Sistematica. Res Publica. Educazione civica, Pergamena Res Publica. Teoria dell'Ineguaglianza (Pergamena); Nel Pleròma. Da Dio alla Materia (Pergamena); Storiografia come rettorica; “Autobiografia come filosofia” (Pergamena); Memoriale Ambrosiano; “Memoriale Italico” (Pergamena); Dio, Pergamena  Estetica della Musica, Pergamena scon Colloquia Edizioni. Meditazioni Hegeliane, Editrice, Meditazioni Platoniche, Pergamena Capitoli sulla Scienza Moderna, Pergamena L'immortalità dell'anima, Pergamena Ricerche filosofiche La filosofia del sentimento di Consentino, in Quaderni, Milano, Rabelais e l'educazione del principe, Viola, Milano; ora in Paideia grande. Un mistico bergamasco: Sisto Cucchi, Secomandi, Amiel Morale, Saggiatore, Torino, L'educazione dei ciechi, Armando Roma, Società e Stato da Spedalieri a Marx, Pergamena); “L’ESTETICA ITALIANA: figure e problemi” (Nistri-Lischi, Pisa); Storia della pedagogia, Armando Roma  "le edizioni successive sono state scempiate da interventi dell'Editore riporta G. in Sistematica); “La filosofia politica” (Pergamena); Adolfo Ferrière. Psicologia, attivismo, religione, Armando Roma, Giuseppe Lomabardo Radice tra poesia e pedagogia, Armando Roma, Gentile. Filosofo dell'educazione Pensatore politico Riformatore della Scuola, Armando Roma Raffaello Lambruschini. Armando Roma, Tissi filosofo dell'ironia, Pergamena Moralistica francese, Pergamena Saggi su Sales, il Quietismo, La Rochefoucault, Prevost. Filosofi teoretici e Morali, Pergamena saggi su Condillac, Senancour, Rensi, Hume, Camus, Barié, Galli, Lazzarini, Castelli, Capitini. Gramsci e altri miti, Pergamena; Storia della filosofia, Trevisini Milano; L'Italia nella dittatura e nella non democrazia, Pergamena Paideia Grande, Pergamena Rabelais, Rosmini, Boncompagni, Gentile; “STORIA DEL LIBERALISMO” Pergamena. Moltissimi saggi e studi di politica, religione, filosofia, filologia e critica sono stati pubblicati nelle seguenti riviste fondate da G. stesso:  L'Idea Liberale, Sistematica, attiva sino al. Filologia; Giovanni Michele Alberto Carrara, De fato et fortuna. Tipografia A. Ronda, Milano, Studi sul Rinascimento, Pergamena Saggi su: Seneca e la filologia; PETRARCA viaggiatore; VINCI filosofo; Le fonti del Pontano lirico; Gli errori di ALIGHIERI in un poema umanistico inedito; Il RINALDO di Tasso; Il T. Tasso corregge il Floridante; Rime inedite di Cecco d'Ascoli; Carrara,  Pergamena, Carrara, Armiranda. Inedito umanistico, Pergamena Commedia inedita, testo latino; Carrara,  III, De choreis Musarum, Pergamena Testo latino. Segue un Saggio monografico sull'umanista. Carrara, Sermones objurgatorii, Pergamena Sui tragici; Da mio diario filologico, Pergamena Filologia. Teoria e saggi, Pergamena Su ALIGHIERI con verità, Pergamena MANZONI, in Sistematica, Pergamena Gesù, Pergamena Poesia e prosa d'arte Collana dei "Tredici". La Scala, novelle e poesie; Mutarsio, Torino Bàrel. I. Apocalisse grande, La cerca di Bàrel, La morte degli dèi; Pergamena Hendecasyllabi aliaque scripta, Pergamena L'aragosta. Romanzo Ligure, Pergamena; Il figlio di Pinocchio, Pergamena; Fratelli Frilli,  Il dono delle Muse. Cento novelle, Pergamena Quadri Intemelii, Pergamena; Miniature. Codex aureus, Codex recens. Codex quadraticus, Pergamena; Cento tavole, alcune con testi latini parzialmente editi in Hendecasyllabi. Il Codex recens presenta soggetti del Bàrel; il Codex aureus è a soggetto libero e vario; il Codex quadraticus comprende le figure degli scacchi. Con rubriche annesse che spiegano tempi, temi, tecniche. Pergamene MVSA LATINA, Pergamen; IL RAMO D’ORO, Pergamena Scritti in Italiano, Latino, Francese, Romanesco, Biblico. Profili di gente nel mio tempo, Pergamena Splendido novellare, Pergamena Cento racconti e novelle. Musis amicus, Pergamena Versi e prose in Latino. Mimì o E tutto è amore, Pergamena Sorridono i gigli. Liriche e restauro filologico di Saffo, Pergamen; TEVERE AMICO, Pergamena, Pedagogia e Filosofia esposte nel dialetto Romanesco da un popolano di Trastevere. Paradiso, Pergamena Editrice, “Faust mediterraneo”, Pergamena, Atlantidos persis, Pergamena, Villon, Il Testamento, saggio critico G., Pergamena, Amitiés françaises, Pergamena, Nel Sublime, Pergamena Il mio Ponente, Pergamena Letture belle, Pergamena; Piero Pastorino, Pinocchio, un figlio nato da una bugia, in La Repubblica, sez. Genova. Docente universitario a Milano di Storia generale della filosofia, è stato ripetutamente consulente all'Accademia di Svezia per il conferimento dei Nobel per la letteratura. Ha al suo attivo un dizionario di estetica e linguistica, una storia della pedagogia e ha scritto novelle. Vive a Noli, di cui è cittadino onorario. Piotr Zygulski, Filosofo liberale, in Termometro Politico; G. Pierre-Philippe Druet, Tissi, filosofo dell'ironia, Revue Philosophique de Louvain,  Dudley, Sui tragici. Dal mio diario filologico, Revue Philosophique de Louvain, Da "Autobiografia come filosofia" (Milano) e pagine integrative in Sistematica, Milano, Pergamena, Grimaldi, Illuministi inglesi, in Disegno storico del costituzionalismo moderno, Roma, Armando, Ottaviani, La scuola del Risorgimento. la scuola italiana Roma, Armando, Semerano, La favola dell'indo-europeo, Milano, Paravia; Mondadori. Grice: “Giraldi is obsessed with ‘essenza’, which is a coinage by Cicero – essentia, meaning essentially nothing!”  Grice: “Giraldi, who defended Gentile, rightly, as a ‘pensatore politico’ – was obsessed with idealism – his essentialism was supposed to supersede it, but he spends some time analysing the situation in Italy with idealism, ‘a la catedra – but is dead – he refers to Croce, Gentile, and the roots of  idealism in Vico, Sanctis, and Spaventa --.” Giovanni Battista Giraldi. Giovanni Giraldi. Giraldi. Keywords. essenzialismo, essenzialismo romantico, storia della filosofia romana, etica del sentimento, autobiografia come filosofia, mio ponente, filosofia ligure, ‘l’aragosta’ – romanzo ligure -- Riviera di ponente, nel pleroma: da dio alla materia,  gentile, filosofo politico -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Giraldi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Girgenti: la ragione conversazionale a limite – l’implicatura conversazionale della metrica del filosofo – filosofia italiana – Luigi Speranza (Girgenti). Filosofo italiano. Grice: Ritter thinks Girgenti is related to the Velia – and Pareto to the Crotone – so it’s amazing that Bruto never liked those three Greeks of the Athenian embassy seeing that most pre-Platonic philosophy came from Magna Grecia, that is, Italy! Some must have remained in the genes!” -- Grice: “I like Girgenti; obviously Mussolini didn’t!” Grice: “I love Girgenti – he philosophised in verse, not prosa – rhyme being unexistant, it was all about the metre – he talks of ‘amicizia,’ which is none other than Love that unites all things! And then he fell in the Etna!” “Mussolini thought it was rude of the Girgentians to call their land ‘Girgenti,’ so he formulated a self-referential ‘decretto’: “From now on, Girgentians shall be called Agrigentians.’” Peano objected: “Your decree is self-contradictory or invokes a vicious regressus ad infiniutum!” -- filosofo italiano. Siceliota. Nacque da una famiglia antica, nobile e ricca di Girgenti.Come suo padre Metone, che ebbe un ruolo importante nell'allontanamento del tiranno Trasideo, egli partecipò alla vita politica della città, schierandosi dalla parte dei democratici e contribuendo al rovesciamento dell'oligarchia formatasi all'indomani della fine della tirannide, un governo chiamato dei "Mille".  La tradizione gli attribuisce uno spirito severo verso gli aristocratici. Dai suoi nemici fu poi esiliato nel Peloponneso. Tra i suoi discepoli vi fu anche Gorgia.  Successivamente Empedocle abolì anche l'assemblea dei Mille, costituita per la durata di tre anni, sì che non solo appartenne ai ricchi, ma anche a quelli che avevano sentimenti democratici.  Anche Timeo nell'undicesimo e nel dodicesimo libro - spesso infatti fa menzione di lui - dice che Empedocle sembra aver avuto pensieri contrari al suo atteggiamento politico. E cita quel luogo dove appare vanitoso ed egoista. Dice infatti: 'Salve: io tra di voi dio immortale, non più mortale mi aggiro'. Etc. Nel tempo in cui dimorava in Olimpia, era ritenuto degno di maggiore attenzione, sì che di nessun altro nelle conversazioni si faceva una menzione pari a quella di Empedocle. In un tempo posteriore, quando Girgenti era in balìa delle contese civili, si opposero al suo ritorno i discendenti dei suoi nemici; onde si rifugiò nel Peloponneso ed ivi morì. Si iscrisse alla Scuola di Crotone, divenendo allievo di Telauge, il figlio di Pitagora. Seguì la dieta pitagorica e rifiutò i sacrifici cruenti. Secondo la leggenda, dopo una vittoria olimpica alla corsa dei carri, per attenersi all'usanza secondo cui il vincitore doveva sacrificare un bue, ne fece fabbricare uno di mirra, incenso ed aromi, e lo distribuì secondo la tradizione. Secondo altri seguì gli insegnamenti di Brontino e di Epicarpo.  La sua oratoria brillante, la sua conoscenza approfondita della natura, e la reputazione dei suoi poteri meravigliosi, tra cui la guarigione delle malattie, e il poter scongiurare le epidemie, hanno prodotto molti miti e storie che circondano il suo nome. coppiata una pestilenza fra gli abitanti di Selinunte per il fetore derivante dal vicino fiume, sì che essi stessi perivano e le donne soffrivano nel partorire, pensò allora di portare in quel luogo a proprie spese le acque di altri due fiumi di quelli vicini. Con questa mistione le acque divennero dolci. Così cessa la pestilenza e mentre i Selinuntini banchettavano presso il fiume, apparve Empedocle; essi balzarono, gli si prostrarono e lo pregarono come un dio. Volle poi confermare quest'opinione di sé e si lanciò nel fuoco. Si diceva che fosse un mago e capace di controllare le tempeste, e lui stesso, nella sua famosa poesia Le purificazioni sembra avesse affermato di avere miracolosi poteri, compresa la distruzione del male, e il controllo di vento e pioggia.  I sicelioti lo veneravano come profeta e gli attribuivano numerosi miracoli.  Le numerose testimonianze che riguardano la sua biografia sono alquanto discordanti e non consentono di attribuire un'identità precisa alla sua figura. A conferma di ciò sono le numerose leggende sul suo conto. I suoi amici e discepoli raccontano ad esempio che alla morte, essendo amato dagli dèi, fu assunto in cielo. Mentre Eraclide Pontico, Luciano di Samosata e Diogene Laerzio sostengono che si suicidò gettandosi nel cratere dell'Etna. Il vulcano avrebbe eruttato, dopo qualche istante, uno dei suoi famosi sandali di bronzo.In realtà non sappiamo neanche se sia morto in patria o forse nel Peloponneso. Si afferma che visse fino all'età di 109. Una biografia di Empedocle scritta da Xanto, suo contemporaneo, è andata perduta. A Empedocle la tradizione attribuisce numerose opere, fra cui anche alcuni trattati – sulla medicina, sulla politica e sulle guerre persiane – e tragedie. A noi sono giunti però solo frammenti dei due poemi: “Sulla natura” e “Purificazioni”. Di “Sulla natura”, di carattere cosmologico e naturalistico, sono rimasti circa 400 frammenti. Delle “Purificazione”, di carattere teologico e mistico, abbiamo poco meno di un centinaio. Il timore di Girgenti appare fin dalle prime righe di “Sulla natura”.  “O dèi, stornate dalla mia lingua follia di argomenti, e da sante labbra fate sgorgare una limpida sorgente, e a te, musa agognata, o vergine dalle candide braccia, io mi rivolgo. Ciò che spetta agli effimeri ascoltare, tu porta, guidando avanti il carro ben governato dell'amore devoto. Ma non ti turbi il cogliere fiori di nobile gloria fra i mortali con un discorso, ricolmo di santità, che sia ardimentoso; e allora tu giunga leggera alla vetta della saggezza. La filosofia di Empedocle si presenta come un tentativo di combinazione sintetica delle precedenti dottrine ioniche, pitagoriche, eraclitee e parmenidee. Distingue la realtà che ci circonda, mutevole, dagli Quattro elementi primi, immutabili, che la compongono. Chiama tali elementi "radici", non nate ed eternamente uguali  e afferma che sono in tutto solo quattro, associando ognuno di essi a un particolare dio, sulla base di concezioni orfiche e misteriche proprie dei riti iniziatici allora in uso presso la Sicilia. I quattro elementi (e i rispettivi dèi associati) dunque sono:  fuoco (Giove), aria (sua moglie, Era), terra (Edoneo), ed acqua (Nesti). L'unione delle quattro radici (Giove-Era-Edoneo-Nesti) determina la nascita di una cosa. Si tratta perciò dell’ *apparente* nascita di una cosa, dal momento che l'Essere (le quattro radici) non si crea. “Ma un'altra cosa ti dirò: non vi è nascita di nessuna cosa. Solo c'è mescolanza.”  In questo modo, i primi principi si empiono così dell'essenza e del soffio vitale del potere divino. In Empedocle, Amore (Φιλότης) e la «natura divina che tutto unisce e genera la vita. Are, o Marte, e il dio del conflitto. Per Empedocle, l'uomo, essendo di origine divina, raggiunge la vera felicità che quando si riune alla compagnia di Deo. Accanto alle quattro "radici", e motore del loro divenire nei molteplici cose della realtà, si pongono due ulteriori principi: Amore ed Odio (Discordia, Contesa). Amore ha la caratteristica di "legare", "congiungere", "avvincere" («Amore che avvince.” L’Odio ha la qualità di "separare", "dividere" mediante la "contesa".   Così Amore nel suo stato di completezza è lo Sfero, immobile, uguale a se stesso e infinito. Amore è Dio e le quattro "radici" le sue "membra", e quando Odio distrugge lo Sfero, tutte, l'una dopo l'altra, fremevano le membra del dio. Infatti sotto l'azione dell'Odio, presente alla periferia dello Sfero, le quattro radici si separano dallo Sfero perfetto e beante, dando origine al cosmo e alle sue creature viventi. Prima bi-sessuate e poi sotto l'azione determinante di Odio, si differenziano ulteriormente in maschi e non-maschi, e ancora in esseri mostruosi e infine in membra isolate. Alla fine di questo ciclo, Amore riprende l'iniziativa e dalle membra isolate, nascono esseri mostruosi e a loro volta maschi e non-maschi, poi esseri bi-sessuati che finiscono per riunirsi, con le quattro radici che li compongono, nello Sfero. Nelle Purificazioni, sostiene la metempsicosi, affermando l'esistenza di una legge di natura che fa scontare agli uomini le proprie colpe attraverso una serie continua di nascite, tramite cui l'anima, di origine divina, trasmigra da un essere vivente all'altro. In questo poema gli esseri viventi, parti costitutive dello Sfero di Amore divengono dèmoni errando nel cosmo.  “È vaticinio della Necessità, antico decreto degli dèi ed eterno, suggellato da vasti giuramenti: se qualcuno criminosamente contamina le sue mani con un delitto o se qualcuno per la Contes abbia peccato giurando un falso giuramento, i demoni che hanno avuto in sorte una vita longeva, tre volte diecimila stagioni lontano dai beati vadano errando nascendo sotto ogni forma di creatura mortale nel corso del tempo mutando i penosi sentieri della vita. L'impeto dell'etere invero li spinge nel mare, il mare li rigetta sul suolo terrestre, la terra nei raggi del sole splendente, che a sua volta li getta nei vortici dell'etere: ogni elemento li accoglie da un altro, ma tutti li odiano. Anch'io sono uno di questi, esule dal dio e vagante per aver dato fiducia alla furente Contesa.” L'Amore non interviene nella storia delle peregrinazioni del demone decaduto? Con ogni probabilità, è l'Amore stesso che ci parla in questo frammento. L'"io" dei due ultimi versi è l'autore del poema. Ma è anche, se andiamo più a fondo, l'Amore. I demoni esiliati lontano dagli dèi saranno allora dei frammenti espulsi dalla massa centrale dell'Amore e condannati a errare tra i corpi cosmici sotto l'influenza separatrice del suo nemico, la Discordia. Quando le parti dell'Amore che sono i demoni si riuniscono nell'unità immobile della sfera, il mondo stesso diviene un essere vivente.  Sotto l'influenza di Amore il mondo stesso si trasforma in dio. Questa concezione conduce al rifiuto assoluto dei sacrifici, poiché in ogni essere vivente vi è un'anima umana, che sta compiendo il suo ciclo di reincarnazione. Se nel corso di questo ciclo l'anima si è comportata secondo giustizia, al termine potrà tornare nella sua condizione divina. Dal che, come Pitagora, anche a G. ripugnano i sacrifici animali e l'alimentazione carnea. “Onde, uccidendoli e nutrendoci delle loro carni, commetteremo ingiustizia ed empietà, come se uccidessimo dei consanguinei; di qui la loro esortazione ad astenersi dagli esseri animali e la loro affermazione che commettono ingiustizia quegli uomini «che arrossano l'altare con il caldo sangue dei beati», ed G. dice in qualche luogo: Non cesserete dall'uccisione che ha un'eco funesta? Non vedete che vi divorate reciprocamente per la cecità della mente?” “Il padre sollevato l'amato figlio, che ha mutato aspetto, lo immola pregando, grande stolto! e sono in imbarazzo coloro che sacrificano l'implorante; ma quello sordo ai clamori dopo averlo immolato prepara l'infausto banchetto nella casa. E allo stesso modo il figlio prendendo il padre e i fanciulli la madre dopo averne strappata la vita mangiano le loro carni.” Rispetto alla sua precedente opera vi sono delle contraddizioni che è stato difficile per i suoi esegeti conciliare. Ad esempio, ad una visione naturalistica del poema Sulla natura si contrappone la teoria della reincarnazione delle Purificazioni: nel primo scritto l'anima è anche detta mortale, mentre è definita immortale nel secondo. C'è chi ha spiegato tali incongruenze con la versatilità di G., scienziato e profeta al tempo stesso, medico e taumaturgo. C'è invece chi ha ipotizzato una paternità diversa delle due opera. Uno dei busti ritrovati nella Villa dei Papiri a Ercolano, identificato dapprima come Eraclito, solo più recentemente con Empedocle. Lo stile di Empedocle viene lodato dagli antichi. DICANTVR EI QVOS PHYSIKOUS GRÆCI NOMINANT EIDEM POETÆ QVONIAM EMPEDOCLE G. PHYSICVS EGREGIVM POEMA FECERIT. Siano pure detti poeti anche coloro che i greci chiamano fisici, dal momento che il fisico G. scrive un poema egregio  (CICERONE, De Oratore) padre della retorica (Aristotele) LUCREZIO (De rerum natura) lo prende addirittura come modello.  Renan lo definisce uomo di multiforme ingegno, mezzo Newton e mezzo Cagliostro. Gli viene intitolato il Regio Liceo Classico di Girgenti, dove studiarono, fra gli altri, PIRANDELLO (si veda) e Camilleri.  Secondo le discordanti fonti sulla vita di G. la cronologia andrebbe fissata. Cfr. GIANNANTONI (si veda), “I pre-socratici” (Roma); Bignone (“Empedocle”, Torino); Robin; Schiefsky; Platone, Parmenide, Diogene Laerzio; Timeo, ap. Diogene Laerzio; Aristotele ap. Diogene Laerzio; Mannucci, “La cena di Pitagora” (Carocci); Satiro, ap. Diogene Laerzio; Plutarco, de Curios. Princ., Adv. Colote, Plinio, HN, e altri.  Così nella letteratura antica, come riferisce Russel nella sua Storia della filosofia occidentale, citando un poeta anonimo. Grande G. che, l'anima ardente, salta in Etna, ed è stato arrostito intero; Orazio, ad Pison. , ecc. Ippoboto riferisce che egli, levatosi, si diresse all'Etna e, giunto ai crateri di fuoco, vi si lancia e scomparve, volendo confermare la fama che correva intorno a lui, che era diventato dio. Successivamente e riconosciuta la verità, poiché uno dei suoi calzari e rilanciato in alto. Infatti, egli e solito usare calzari di bronzo  (Diogene Laerzio, Vite dei Filosofi). Cfr. anche Eraclide Pontico, fWehrli. “E questo tutto abbrustolito chi è? - Empedocle. Si può sapere perché ti gettasti nel cratere dell'Etna? Per un eccesso di malinconia. No: per orgoglio, per sparire dal mondo e farti credere un dio. Ma il fuoco rigetta una scarpa e il trucco e scoperto (Luciano di Samosata, I dialoghi). Timeo ci attesta esser lui finito di morte naturale. Dicono alcuni che trovandosi egli in Messina a cagion di una festa sia ivi caduto da un carro, e rottasi la coscia, sia morto. Credono altri che in mare naufragasse: altri che si fosse strangolato da sé. Scinà, Memorie sulla vita e filosofia d'Empedocle gergentino, GERGENTI – non GIRGENTI -- ed. Bianco, Palermo – empedocle gergentino -- Apollonio, ap. Diogene Laerzio; Haase, Principat; Philosophie, Wissenschaften, Technik; Philosophie (Doxographica, Forts.; ed. Gruyter; Volpi, Dizionario delle opere filosofiche, Mondadori. Jori, G. in Dizionario delle opere filosofiche, Milano, Bruno Mondadori. Avverte infatti Jaeger. Dobbiamo guardarci dal prendere per pura metafora poetica l'espressione della religiosità che lo trattiene dal seguire sino in fondo i predecessori troppo sicuri di sé. Cardin, G., in Enciclopedia filosofica, Milano, Bompiani, Reale, Storia della filosofia romana. D-K. Kingsley, Misteri e magia nella filosofia antica. G. e la tradizione pitagorica, Il Saggiatore, In corrispondenza con le quattro primarie anti-tesi del caldo (fuoco), del freddo (aria), dell'asciutto (terra), e dell'umido (acqua). Le IV radici di G. risultano essere poi i IV elementi di Aristotele e Tolomeo.  Edoneo  è un appellativo proprio del dio degli inferi Ade, cfr. in tal senso Esiodo Teogonia; o anche inno omerico A Demetra. Forse si riferisce a Persefone; per una dotta riflessione su questo nome, certamente un teonimo poco conosciuto, si rimanda a Gallavotti in G., Poema fisico e lustrale, Milano, Mondadori; Valla. Secondo G., i due sessi (maschi, non-maschi) furono determinati dalla separazione di creature di natura integra, che si sono a loro volta evolute da forma di vita più primitive. Un papiro contenente aforismi di G., consente tuttavia di integrare le due versioni, portando a ritenerle complementari. Le due opere, quindi, farebbero forse parte di uno stesso saggio filosofico. E stata anche avanzata l'ipotesi che si tratti di Empedocle gergentino. Tale proposta trova conforto sia nella notizia di Diogene Laerzio in merito alla folta chioma del personaggio sia alla specifica collocazione del bronzo all'interno della villa dove fa pendant con il bronzo raffigurante Pitagora che e suo maestro (Museo archeologico Nazionale di Napoli.  “Sulle origini”. Ne conservavamo CCCL versi.”Martin ha consegnato complessivi LXXIV esametri dei quali XXV coincidono con quelli già posseduti.  Ma da ogni parte è uguale a se stesso, e ovunque senza confini, lo sfero rotondo che gioisce di avvolgente solitudine.  (G., D-K); Poema fisico e Lustrale, Milano, Mondadori; Tonelli,  G., Frammenti e testimonianze; Origini; Purificazioni, con i frammenti del papiro di Strasburgo (Milano: Bompiani). Bignone, G.. Studio critico, commento delle Testimonianze e dei Frammenti, rRoma, L'Erma, Bretschneider, Torino: Bocca. COLLI (si veda), G., Pisa, La Goliardica, Traglia, Studi sulla lingua di G.”, Bari, Adriatica, Bodrero, “Il principio dell’amore nella filosofia di G.” Roma; Bretschneider, La lingua di G., Bari, Levante, Volpi, G.: i suoi misteri rivelati in una biblioteca; G., Milano,1.  Filosofi: G., scoperto papiro a Strasburgo. Per gli studiosi è l'unica testimonianza diretta, Strasburgo, Adnkronos,  Pigliando il nostro G. a trattar le cose naturali, cui sopra d'oga ' altro in tendea, ebbe egli a sdegno di seguir setta e maestro. E come egli era franco di animo, e grande d'ingegno; così immagi nò giusta la moda de' tempi, e l' usanza de' filosofi un sistema novello. Questo divulgato gli acquista tal fama, ch'emulo ei divenne per gloria e per sapere de' fisici più famosi di sua età Democrito e Anassagora. I greci di fatto accolsero con ammirazione i suoi belli poemi; e chi vennero poi ricordarono con onore G. e la FILOSOFIA i lui. Incerta fra tanto, manca, é corrotta è venuta la sua dottrina sino a noi. Mancate per l'ingiuria de' tempi le opere del nostro Gergentino (GERGENTI, non GIRGENTI), chi ha voluto conoscer ne lo spirito, è stato costretto di rintracciarlo presso gli storici dell'antica filosofia. I quali non hanno affatto cura di notare il vincolo, con cui destramente iva quegli legando la sua filosofia. Anzi costoro così disparati li rapportano che si possan tenere non altrimenti che rottami, da' quali non si puo il disegno ricavar dell'edifizio, cui prima apparteneano. Però eglino non che han male e tortamente fatto conoscere la fisica di G.; ma nè pur bene e dirittamente apprezzare la forza e la virtu della sua mente. Giacchè l'eccellenza de' sistemi è riposta nell' union delle parti, che si rispondon tra loro; e da questo legame si misura l'ingegno di chi l'hanno inventato. G. inoltre scrive in versi, e ‘abbellì le sue idee, come fanno i poeti. Per lo che pigliando alcuni letteralmente le finzioni della sua fantasia gli apposero opinioni assurde e grossolane. Illusi altri dall’immagini poetiche, che per lo più sono equivoche, travidero; e più presto ci tra mandarono le loro illusioni, che i pensamenti del nostro filosofo. Varie di fatto sono le forme, sotto cui ci presentano G. i scrittori. Ora egli è dualista, e ora è scettico: ora platonizza , e or favoleggia: e non ha gnari e, non so come, anche gridato qual precursore di Newton. Sicchè G., tra biasimato, lodato, e sfigurato, è stato sempre mal conosciuto, e SEMPRE CALUNNIATO. Volendo adunque richiamare in luce la filosofia di lui, cerco e raccolto i frammenti de' suoi poemi, che per avventura ci restano, e sparsi qua e là si leggono presso diversi filosofi. Coll ' ajuto di questi, che sono gl’onorati avanzi della sua vera fisica, son ito raccapezzando pri e poi restituendo la sua filosofia, Perchè tra le opinioni, che gli storici appongono a G., ho quelle scelto, che ben s'adattano, e naturalmente si legano colle idee, le quali si traggono da? frammenti di lui, e le altre rigettato, che a queste si disdicono, o ne sono contrarie. Ho fatto in somma ciò, che suol praticara ma si da chi 'voglioso di restaurare un'antica statua o colonna raccoglie e mette insieme que' pezzi,, che tra loro s' incastrano, e ben si connettono. Questo metodo che stimerà diritto chiunque non è privo di senno, deve specialmente poter convenire a G.. Poichè Aristotele ci attesta: colui più che altro fisico della sua età, aver detto delle cose, ch' eran tra loro ben legate e concordi. Ho quin di fatto ogni sforzo per richiamare alla sua purezza e integrità la dottrina del nostro filosofo quando da lui stesso, quando dall' autorità degli antichi filosofi, sempre mettendo in accordo le idee, che si traggono da questi e da quello. Però non è da maravigliare, se con sì fatto accorgimento,  libera il nostro fisico di non poche assurdità, e se mi sia venuto fatto d'abbozzare almeno il vero sistema di lui. La prima origine, e i primi elementi delle cose, sono, per quanto pare, fuori la sfera del nostro intelletto, perchè oltre: passano la sfera de' nostri sentimenti. Pure. i greci, cominciando da Talete, s' occuparon tutti in si fatta vana ricerca, e tutti si smarrirono. Alcuni degli Jonici coll'acqua, altri coll' aria, altri col fuoco formaron le cose, e fabbricarono presto l'universo. Non così piacque a PARMENIDE DI VELIA, e a LA SETTA DI CROTONE. Costoro, lasciato il mondo materiale, come indegno delle loro meditazioni, si misero per strade diverse in un mondo astratto ed intellettuale. PARMENIDE spiritualizza l'unico elemento degli Jonici; e pone unica, e terna, immutabile sostanza. Uno è tutto, dice PARMENIDE, e tutto è uno; sicchè le mutazioni della materia non altro sno per lui', che modi e semplici apparenze. LA SETTA DI CROTONE dal mondo materiale rifuggi alla Geometria. E se bene questa scienza non fos che un parto della nostra mente; púre l’ehbe quegli, non si sa come, per lo modello, e 'l vero esemplar dell'universo. Però nella geometria legge i rapporti e le proporzioni, che debbono aver le cose, che sono materiali; e vide nell'unità i primi e veri principj de' corpi. Furon gli se ingegni presi da prima di maraviglia così pel filosofo di VELIA, come per quello di CROTONE; e corsero tutti a loro insegnamenti. Ma stanchi di poi di contemplare un mondo o metafisico, o geometrico, ritornarono naturalmente alla materia; e nasce la filosofia corpuscolare. I primi a far questo ritorno sono G.; Anassagora; Leucippo e Democrito. Costoro calando dal mondo della SETTA DI CROTONE alla materia materializzarono le unità di costui. Atomi chiamarono Leucippo e Democrito i principj delle cose; particelle simili Anassagora; e G. col nome li distinse di elementi degl’elementi. Ma in verità i loro principi altro non sono, che le unità della SETTA DI CROTONE fatte materiali, espresse e indicate con vocaboli diversi. Democrito lascia a suoi atomi l'indivisibilità, di cui le unità della SETTA DI CROTONE sono fornite nello stato suo intellettuale. Questa stessa indivisibilità secondo alcuni, nega ale parti simili Anassagora. Differente dall'uno e dall'altro e per Aristotile l'opinione di G. Costui cerca nella materia le sue unità, e dividendo e suddividendo i corpi giunge a quelle molecole, che più non si possono dividere. Ma dove i sensi mancarono, suppli colla ragione, e proseguendo la divisione delle molecole col suo pensiero, s'accorse potersi queste sempre piu di nuovo dividere. Venne però affermando che i suoi elementi degl’elementi eran divisibili, ma solo colla mente, non gia col fatto. Distingue, così dicendo, le unità della setta di CROTONE dalle sue, che sono materiali; e provvida in bel mo doalla durata della natura. Perchè essendo i principi delle cose incapaci, secondo lui, d'ogni fisica alterazione, quelle debbono sempre durare come al presente sono. Tennero tutti tre que fisici non che per cosa assurda, ma impossibile, la creazione dal nulla. Ne venne loro in mente, come ad alcuni indi piacque, di supporre la materia nuda d'ogni qualità. Chiamano essi la materia senza forma, e senza qualità ciò che non è. Ciò ch'è, dice G., è impossibile venire da quello, che non è. Ma diverse sono le qualità ch’attribuiron costoro alle loro unità secondo che diversamente riguarda ciascun di essi i corpi e la natura. Anagsagora ebbe le sue particelle non altrimenti che briccioli minutissimi, ma simili in propieta a corpi, ch'eran destinati a formare. E come varj sono i corpi e differenti le lor propietà; così yarie e differenti pose in corrispondenza le qualità delle sue particelle. Per lo che trasporta egli le qualità delle masse a' frammenti di esse, e,e ristandosi alle apparenze ricava, come suol dirsi, da grande in piccolo. Gl’atomi per Democrito sono al contrario tutti della stessa natura; e solo differiyan tra loro per sito, ordine, e figura. Idea, che ben si conviene alla semplicità della natura; la quale con pochi mezzi suol produrre fenomeni, che sono pressochè infiniti, attesa la lor varietà, la lor moltitudine. G., ciò non o stante, rigettò il pensier di Democrito; e volendo spiegare la varietà materiale, de’ corpi, piglio, com’egli dovea, e genno consiglio dall'esperienza.. Gli Jonici addensando o rarefacendo acqua, or l'aria, or l'aria insieme e'l fuoco, diedero forma e qualità a ' corpi dell'universo. Da questi e dal loro metodo si dilungo il nostro fisico. Studia egli i corpi, e separandone le particelle cerca prima, e raccoglieva poi i loro componenti. Però in luogo di fingere, ritrova ne' corpi i loro elementi; nè i corpi a capriccio componea alla maniera degli Jonici, na li analizza come fanno i chiniici. Le sue esperienze, sono egli è vero, incerte e imperfette, come si leggono ne' versi di lui. Perchè dirizzandosi per una via non ancora usata nelle fisiche ricerche, mancava d'ajuti e di stromenti; massime che la fisica era allora metafisica e bambina. Ma ciò non pertanto que' primi e rozzi saggi del nostro G. sono da stimarsi un chiaro testimonio del suo metodo, ch'era tutto pratico e sperimentale. Coll'ajuto in fatti delle sue esperien ze agginnse, a giudizio d' Aristotile, la terra all' aria, all' acqua, al fuoco, e'l primo stabilì la dottrina de’ IV elementi. IV, dice egli, son le radici di ogni cosa – I GIOVE (fuoco) II GIUNONE (terra) III PLUTONE (aria) IV NESTI (acqua)-- figurando, sotto questi simboli il fuoco, la terra, l'aria, e l'acqua. Per lo che nella sua fisica le unità materiali sono le parti, che diconsi integranti de IV elementi; e questi le costituenti di tutti i corpi, che si trovano in natura, Sebbene il fisico di Gergenti (non Girgenti – c’e un Girgenti in RIETI) avesse distinto l' aria, l'acqua e la terra per le diverse lor qualità. Pure in riguardo al fuoco l'ha e' tutte tre, come se state fossero d' unica e medesima natura. Le particelle dell'aria e dell'acqua tendono, secondo lui ', a condensarsi, come fa la terra. E al contrario crede G. essere propietà del fuoco d'assottigliare, separare, e levare ogni solidezza alle particelle dell' aria e dell' acqua. Di fatto e sua opinione che LA LUNA si condensa a cagione del fuoco, che da essa si parte, non altrimenti che avviene nell'acqua, quando si riduce in gelo. E se il fuoco indura i corpi umidi, e vetrifica talvolta i solidi, ciò accade per G., perchè scioglie e separa l'aria e l' acqua in quel li dimoranti. Gli elementi dunque aria e acqua sono stati solidi, se la forza dissolvente del calore portato non l'ha alla liquidità, che lor si conviene Non conosce, egli è vero, così pensando, qualunque corpo per via del fuoco poter pigliare, passare, ritornare allo stato solido, o liquido, o aerifornie; ma giunse a comprendere l'aria e l'acqua dovere al fuoco la loro fluidità. Questa verità, che in tempi più felici avrebbe potuto generarne tant' altre, e allor qual baleno in notte huja, che illumina in un attimo, poi l' oscurità lascia più grande. Tal verita o affatto non e avvertita, o punto non e ben compresa da’ filosofi d'allora. Aristotile si lagna di G., come di chi e ha usato de IV elementi, non al trimenti che fossero stati II; contando quegli per uno i tre, che questi avea realmente diviso aria, terra, e acqua. Anzi chi furon dopo (quasi G. non già quattro, nia un solo elemento ha stabilito nella sua filosofia) si diedero falsamente a credere il fuoco essere stato tenuto dal nostro fisico per lo principio, da cui ogni cosa venne, e in cui ogni cosa doveasi risolvere. Ma comunque ciò, sia, egli è certo, da che G. manifesta IV poter essere gl’elementi delle cose, tutti abbracciarono la sua opinione. Di leggieri ciascun' s'avvide l'aria, l'acqua, la terra il fuoco aver gran parte nella composizione de’ corpi, e ne' cangiamenti più notabali, che avvengono nel nostro globo e nel la nostra atmosfera. Di fatto non più a capriccio come prima si solea, s'accrebbe o diminui il numero degl’elementi, e tolta ogn'instabilità tra le scuole, comune e, e ferma rimase la sentenza de' IV ele Conta area la dem fial menti. Sicchè su questa dottrina, qual ferma base, venendo assai dopo a posare lfisica. Questa G. ricono scere deve', e lui onorare qual suo capo e fondatore. Hanno le scienze, come ogni cosa umana i lor giri, e le loro vicende, che si distinguono da' metodi, dalle opinioni, dalle verità, ed eziandio dagl’errori che son dominanti. La fisica nella sua infanzia nise tra gl’elementi l' aria, l' acqua, il fuoco, la terra. Questi, non ha guari, ha gia scomposto la chimica. Altri ne sostituiranno i nostri posteri ch' al presente non si conoscon da noi. Ma niuno negherà la debita lode al nostro filosofo che fondo il primo periodo della fisica colla dottrina de’ IV elementi, e regola i primi debolissimi passi dello spirito umano nello studio non che vasto ma difficile delle cose naturali. Più alto senno, e più forza d'ingegno mostra G quando si mise a cercar le forze che mettono in movimento la materia e gl’elementi. Si fatta 2, Dileta plaža matukio ered ܐܐ F Table tol fue ele 8 1 ricerca, siccome molto ardua, non era stata sin allora impresa d'alcuno. Anassagora, attese le sue particelle prive di moto e di vita, non sapendo altro che specolare, ricorre al DIVINO; e colla forza onnipoten te di lui agita e sospinse le sue parti simili, o loro impresse quel moto, che queste naturalmente non aveano. Fece costui, come chi a muover la macchina, in luogo di peso, o di molla, cerca la man dell' artefice. Però Aristotele contro lui si sdegna, e giustamente il rampogna.  Basta a Democrito di fornire il moto a' suoi atomi, nè cura di saper come e d'onde quello venne. Al più facilitò il movimento immaginando un voto, ove ogni sorta d'atomi avesse potuto agevolmente dimenarsi; e particolarmente attribuendo agl’atomi del fuoco la figura sferica, come quella, che avesse questi potuto render atti a scorrere e sdrucciolare. Ma G. e il primo al dir d'Aristotele, che con molto senno in natura conosce due come cagioni del moto degli elementi St & © S forze C 19 menti . Una di quelle chiama AMORE, amicizia, concordia, o l'altra come contraria o lio, inimicizia, lite. L'amore di G. non è quel del la favola, di Parmenide di VELIA, d' Esiodo, o d'altri fabbri di cosmogonia. E forse per costoro un principio attivo che vivifica l’universo. Ma questa e un'idea, vaga, generale, e NULLA UTILE ALLA FISICA. NON E COSI L’AMICIZIA DI G. La quale è una forza, fornita di particolari propietà, e tanto intriseca alla materia, quanto si stima da noi la sua gravità. In virtù di sì fatto amore le particelle simili tendono a unirsi tra loro, e congiungendosi formano a mano a mano le masse. Masse che vie più van sempre crescendo; perchè la maggiore sempre ne trae a se la minore, e l'una all'altra infallibilmente s' unisce. Aria, dice G., si aggiunge ud aria, etere a etere, fuoco a fuoco in modo che il minore al maggiore s’ accoppia. Sospinte del pari dall’amore le particelle di natura diversa tendono a unirsi tra loro, e compongono gli aggregati colla loro unione. L'amore in somma unisce la materia si fattamente, che se in natura si gnoreggiasse la sua sola forza diverrebbe l' universo unica męssa, unica sfera. Perchè è propietà peculiare dell’amicizia di ridurre le cose che son più a una sola. La forza quindi per G. simboleggiata dall' amore, amicizia, e concordia non è se non quella stessa che oggi da’ chimici si chiama AFFINITA. L'odio, non altrimenti che l'amore, è parimente intriseco agl’elementi de' corpi, ma le qualità d'uno son del tutto opposte a quelle dell'altro. Tende l'inimiscizia a disunir le particelle congiunte; sciogliendo le masse, e scomponendo gl’aggregati. E' singolar propietà di quella ridurre l'uno in più: tal che se l'universo fosse una sola massa e unica sfera, que sio in forza dell'odio si dovrebbe tutto quanto sciogliere in minutissimi briccioli. Odio in somma, inimicizia, lite per G. son e valgono forza dissolvente, o 1 tutt'uno 21 repulsiva. Di fatto chiama egli anche il FUOCO inimicizia; perchè questa come quello distrugge e separa ogni cosa. Dą ambidue queste forze tra loro opposte, d'ailinità una, e dissolvente l' altra, significate dall' amore e dall'odio, il nostro G. ne rica il moto ne' corpi. L'amicizia sollecita gli elementi all'unione tra lor l'avvicina, e nell' avvicinarli tra loro parimente li muove. L'inimicizia all'incontro cospinge le molecole unite, so spintele a poco a poco le stacca, staccate le del pari le muove. Forze adunque sono l'amore, e l'odio del nostro fisico; come quelle che avvicinando o respingendo gl’elementi cagionano lor movimento. Fors ze ch'egualmente son chimiche, conie quel le, che uniscono e separano; compongono e scompongono i corpi in natura. Ma come sono esse adombrate sotto le forme morali d'amore e odio, di lite e concoradia; sono state mal comprese e capricciosamente interpetrate. Alcuni videro in quel. le due forze IL DIVINO (“GOD IS LOVE”) e la materia; altri: l'ordine e'l disordine; il bene e' l male. Chi la luce e le tenebre; chi l'Oromaze e l'Arimanio de' Persiani, o altre cose simili. Tanto egli è vero che il suo linguaggio, come poetico, ha recato ingiuria alla sua filosofia. L'amore e l' odio, siccome dice il nostro fisico, han que signorie; ma alternanti e separate tra loro. Comincia l'impero dell'odio, quando finisce quiel dell'amore, e declinando la signoria dell'inimicizia, l' amicizia ritorna a' suoi primieri onori. E come una sifatta vicenda non ha mai fine; così costante si mantiene il movimento in natura, e gl’elementi in eterno s'uniscono e separano. Esprime egli tal con tin: io e scambievole impero dell'odio e dell' amore coll'immagine, e somiglianza d'un cerchio, che si revolve. Perché il cerchio la periodi finiti, che all'infinito si posso no rinovare. Ma tolte le voci d'impero e signoria, che son propie della poetica, si potrebbe la filosofia di G. raſfigurare nella vicenda delle forze, mercè la qua. 23 bene i ebre; chi ni, oabe ero, chei ell'aur Onn '. le i pianeti si'movono. In questi or preva le la forza centripeta e viene a farsi maggior la centrifuga; or prevale la centrifuga, e viene a farsi maggior la centripeta. Sicchè alternativamente prevalendo le due forze centrali, i pianeti s' accostano e discostano dal sole, e costantemente si mo vono nelle loro orbite ellittiche. Tale dell’amicizia, e inimicizia di G.. Come gl’elementi s' uniscono; comincia a preva ler l' inimicizia, che tende a separar le cose unite. E come gl’elementi dividonsi; principia a superar l'amicizia, che tende a unir le separate. Per lo che ambidue sempre operano, e si a vicenda prevalgono, che gl’estremi dell'odio occupa l'amore, e l' inimicizia que' dell' amicizia. Giusta questa legge G. fa e ternaniente operar l'amore e l'odio. Così, e ' dice, comanda o il füto, o la necessità, o l'antico giuramento degli dei. Ma il fato del nostro filosofo non è quello de. gli Stoici, o dei VELINI DI VELIA. Egli null’altro indica colla parola necessità, che l'ins etarr Itale ம் care PA umpert 2.  la que 24 tima natura di quelle due forze. Siccome eterna ei reputala materia, ed eterne le forze, da cui essa era animata; così l ' amore e l'odio volea dover sempre e necessariamente operare. Gl’elementi secondo lui o son separati, e ſrettolosa corre l’amicizia a unirli; o sono uniti, e impaziente va l'inimicizia a separarli. Se per poco lascerebbe l' una o l’'altra di congiun gere le cose separate, o segregar le congiunte, l'amore e l'odio, mutata natura, non sarebbero più nè odio, nè amore. E' quindi pel nostro fisico così necessaria l'eterna vicenda delle due forze, come invincibile si stima il decreto del fato e della necessità. Il fato adunque nel dizionario del nostro filosofo altro non significa che l' intima indole, e l'immutabile natura delle due forze senza più. Però a torto Aristotile riprende lui, come chi avesse introdotto nela la fisica il fato é la necessità. Posti questi principj va G. squadernando il suo sistema, qual poeta, qua si collocato su d'un eminenza, di la conta; ON ie. Sasa templando la natura dichiara agl’uomini le sublimi lezioni di sua filosofia. Nulla, egli dice, manca, nulla ridonda nell'universo; perchè la quantità della materia nè cresce nè manca. Tutto nasce, tutto muore, tutto in altra forma trasformato risorge, L'accozzamento di parti, che son disgiunte, n'è la nascita; e la separazion di quelle, che sono accozzate, n'è la morte, La natura quindi null’altro è, che ” se parazione e miscuglio. Essa è eterna; per che l'amore e l'odio sempre fa e disfà, strugge e compone. Mancherà il presente ordine di cose, sorgerà subito un altro. Questo distrutto, di nuovo, e sotto altra, guisa si verrà a formare. Così senz'alcuna fer posa uno in un altro ordine successivamena te, e sempre sarà permutato. Nè per que: sti continui giri si cangia la natura, ne ha od te luogo o confusione, o simmetria. La materia non è stata, nè sarà mai senza moto. La natura è stata sempre qual sempre sarà: cioè amore e odio, separazione e union d' elementi. Cosi parla G. nel suo d ali 200 € c). och eta, Jade 26 poema sulla natura, o per dir meglio cosi egli smentì anzi tempo chi dopo lui dovean supporre aver lui voluto il caos immaginato sol da' poeti. Lo stato di confusione e di caos pel nostro fisico, o non è stato, nè sarà mai, o sempre egli è stato e sarà. La natura quella è ora, ch'è sta ta, e sempre sarà: miscuglio e separazione: amicizia e inimicizia: nascita e morte. Passando G. d'una in un ' al tra idea strettamente lega i suoi pensie ri. Siccome la materia è tutta divisa ne’ IV elementi; così i corpi per lui eran composti presso a poco de'medesimi. Ma perchè ciò nulla ostante quelli tra lor son tutti diversi; quindi anda ricercando in che, e.come si differisser tra loro. Tal diffrenza ei rinvenne con gran perspicacia nella maniera diversa, con cui gli elementi com binansi. Però non è nè l'aria, nè l'acqua, nè la terra, nè’l fuoco che distingue le cose; ma la misurata lor mescolanza; in breve, la proporzione in cui trovansi due o piti di quelli componenti. Rappresentando da € st CL T 1 C 27 c2003 de poeta le sue idee ch'eran fisiche, dicea: i dipintori mischiano colori diversi, e col mi schio di questi van figurando uomini, piante, fabbriche, uccelli, e anche gli stessi dei. Non altrimenti fa la natura. Ha ella, come IV colori, che sono i IV elementi, e va coll ' accozzare un poco di questo, di quello, e quell' altro forman do uomini, piante, animali, donne leggiadre, e chiarissimi dei. Tutto lo studio di G. e quel di scomporre i corpi, e scomponendoli cerca la ragione, in cui stavan tra loro le parti componenti. Per chè e persuaso, che la loro varietà venne, ed era tutta riposta nella varia proporzion degl’elementi. Aristotele che ammira un sì bel pensamento da a G. il vanto d'aver lui il primo conosciuto una tal verità. Non si può quindi negare il metodo di G., come quel lo, che volea l'analisi de' corpi, esser chimico; chimiche esser le forze amore e odio, che inprimean moto alla materia; e chimica esser tutta la sua fisica; perchè tra lai arch nemt 22 نماز کی P.; Det ue opad ando de d 2 28 P ch for pa me pre me an CO fondata sulla proporzion delle parti, che compongono i corpi pressochè infiniti della natura. Può ora essere a chiunque manifesto G. il primo aver delineato il sistema dinamico, che oggidi leva tanto rumore in Alemagna. Pone questo sistema alcune sostanze semplici e primitive, che colle loro diverse combinazioni producono la varietà de'corpi. Questo stesso fece G. ammettendo i primi elementi, e combinandoli in varia e differente lor proporzione, Forze attrattive e repulsive vogliono i Dinamici; e G. immagina affini tà e forza dissolvente, o sia odio e amore. Che se quegli a spiegare gli stati e i volumi de' corpi si fondano sul contrasto e rapporto, in cui si tiene la forza attrattiva colla repulsiva; anche G. dice che l'inimicizia sta appiattata nelle parti de' corpi pronta a vincer l'amicizia nel tempo opportuno. Ma io non mi maraviglio punto di tal corrispondenza tra Dinamici e il nostro fisico. Gl’uomini gireranno sem at c ) in D gi ti 29 pre nella stessa orbita, e torneranno sempre a riunirsi nelle medesime ipotesi ogni qual volta, che si aggireranno sì oggetti, che illustrar non si possono con osservazioni e co’ fatti. Perchè limitate essendo le forze del nostro spirito, limitato sarà del pari il numero delle sue combinazioni. ' I metafisici di fatto sogliono ricondurre sempre in iscena più o meno vaghe, più o meno adornate le opinioni medesime. Gl’antichi vollero rappresentar l'essenza de' corpi. Però Democrito immagina il sistema atomistico; G. il dinamico. Oggi, che alcuni han pensato di tentar lo stesso, in Francia è risalito in alto il sistema di Democrito, e quel di G. in Alemagna. Dobbiamo persuaderci una volta che le scienze s' accrescono non già colle nostre opinioni, che sono semplici fantasmi della nostra mente, ma coll'esservare ed espri mere co' nostri pensieri i fatti e le consuetudini della natura. Questo metodo per avventura non e ignoto in quella stagione in Gergenti. [NON GIRGENTI, come oggi] Anacrone l'amico di G., poste giù le ipotesi, fonda la medicina sull'esperienza, ed e capo della setta empirica. Il nostro fisico cerca e stabiliva la varietà de' corpi cercando e stabilendo la proporzion de' lor componenti. Ma i tempi imprimono nel nostro spirito la lor forma, il lor carattere, le loro opinioni; operando su noi non altrimenti dell'aria la qual si respira. Non è quindi da maravigliare se G. s'occupò, come allor si fa, su i principi delle cose, e sulla generazion dell' universo. Il romanzo della nascita del mondo e in que' tempi un'introduzione, che si stima necessaria alla fisica. Niuno affatto potea meritare il titolo di sapiente, se non prima avesse ordito la sua cosmogonia. Quindi i filosofi cominciavano allora i lor poemi dalla creazione del mondo. Molto più, che a ciò fare non dovean perdere gran tempo, nè durar molta fatica. Le loro cosmogonie sono un lavoro più di fantasia che di ragione. Si fatti lavori meglio che cosmogonie potevan chiamarsi romanzi, in cui i paragoni tenendo luogo di raziocini affermiare è lo stesso che dimostrare; e le capricciose finzioni si scambiano come opere della natura. G. dunque al par degl’altri intese alla formazion dell'universo; svolgendo e dichiarando l' impero della sua inventata amicizia. Da prima nascita all'etere, indi al fuoco, poi alla terra. Da questa trasse l'acqua, l'aria, l'atmosfera; indi le piante, gl’uomini, e gli animali. Pose più diligenza e più tempo a formar dalla terra; ma per opera dell'amore il genere umano. Rimescolando gl’uomini colle piante, e co gli animali, tenne costoro come unica materia, in cui tutti si fossero contenuti qua si in ischizzo, ma senza che distinta aves ser presentato la irma, leggiadria, e ata titudine delle loro membra. Queste a poco a poco idea egli essersi sviluppate, ed esserne venute fuori delle immagini, prive di moto e di vita, simili alle pitture, ale le statue. Nella terza generazione di poi furon distinti i maschi dalle femmine. Nella quarta s' ebbero degl’uomini, che nascono gli uni dagl’altri; perché, distinto il sesso, si mosse il carnale appetito. Le piante secondo lui fitte restarono in terra per trarne l'alimento; e gli animali qua e la si divisero per cercare un abituro conveniente alla loro natura. Queste cose sconce, incredibili, e simiglianti sognò il nostro fisico, che dovrebbero passarsi sotto silenzio, se non giovasse d'accennarle per dare șin' utile lezione allo spirito umano. Il quale ardito, com’egli è, malgrado gli assai folgoranti brillantissimi lumi non che della religione, ma della moderna deparata filosofia, a dì nostri va sempre fisicando geogonie e cosmogonie. Darwin di fatto adotta gl’errori del nostro Empedocle, e certamente da lui ha a trarre l'idea della successiva perfezione, e a grado a grado del regno animale. L'uno e l'altro fa nascere i vegetabili prima degl’animali nel tempo e nello stato, che le cose sono imperfette. Entrambi del pari segnarono gl’animali essersi a poco a poco svieluppati, e aver tratto tratto acquistato quella perfezione, di cui oggidi son forniti. Vogliono tutti due, che dal principio i sessi fossero stati confusi si negl’animali che negl’uomini. Ambidue affermano che l’universo giunse al grado di sua perfezione, allorchè separati i sessi nacquero gl’animali gl’uni dagl’altri. Darwin in somma dice unica essere stata la specie dei filamenti, che da origine a tutti i corpi, che sono organizzati. E parimente e opinione di G., che unica e la pasta da cui vennero vegetabili, animali, uomini, e Dei. Tanto egli è vero, che i nostri pensatori sempre, o al men per lo più copiano, e s'arrogano le speculazioni degl’antichi. Nella cosmogonia di G. siccome a chiunque è maniſesto, non intervie ne, ne opera alcuna cosa il divino. Ma così pensando, intendea egli di recarle onore più presto che ingiuria. Avendo egli la materia, come allor si pensa, per cosa vilissima, teme che la sapienza si fosse bruttata, se avessé preso a ordinare cose, che son del tutto materiali. Per lo che a intendere la formazione dell'universo, lasciata la mente divina, invoca il caso, e commise gli elementi in poter della fortuna. In sì fatti grossolani sciocchissimi errori s' imbatte chi stoltamente, e senza una precedente saggia e matura riflessio ne, vuol togliere il supremo artefice dal la fabbrica del mondo. Il caso, fantasticano essi, siccome racchiude in se tutte le combinazioni possibili ad avvenire. Così tra le molte, e assai e infinite, che son mostruose, quelle poche ancora contiene, che son regolari. Infinite, dice G., sono state le forme, che ha preso teria, e senza numero le combinazioni degl’elementi. Ma queste si son succedute senz'alcuna posa sin dall'eternità, e forse non han potuto durare perchè prive sono state di regola e simmetria. Dopo tante é tante strane vicende, gl’elementi in fine, conchiude egli, essersi disposti in la ma  quell'ordine, che il mondo ritiene, e da tutti con ragione, s’ammira. Dal caso a dunque G. forma l'universo. Al caso attribui egli quel che privativamente è sol propio della sapienza e dell'infinito potere d'un esser supremo. Da un accidente sogna egli essersi condotto il presente ordine, ma dopo lungo, vario, e successivo disordine. Queste idee và G. adornandh colla sua fantasia vivace, e poetica. Figirra egli mani, piedi, gambe, busti, occhi, braccia, spalle, teste di animali, di uomini, che tra lor misti é confusi si portan qua e là únendosi- senza regola, e senza misura. Ora egli vede petti senza spalıe; teste senza cervici; e fronti prive d' occhi. Or egli osserva piedi congiunti a colli, occhi a spalle, teste å gambe, dita a fronti, e altre irregolari unioni. Quando immagina egli de' tori in volto u e uomini colla testa di bue; e quando nota nell'uomo l'impronta della pecora, e in questa quella dell'uomo. Em mano e 2 36 1 1 a i G. in somma finge, trasfornia, è com pone mille e mille specie di mostri, che per lui una volta furono, e di quando in quando appariscono. Ma dopo forme si sconce é fuor di natura dispone egli ca guialmente quelle membra nelle proporzioni, e misure che al presente veggiamo. Che maraviglia è dunque, ei conchiude, che dopo tanta varietà di mostri sieno a sorte venute le belle e ben disposte macchine degli uomini e degli animali? In tal modo si sforza il nostro fisico di render credibile ciò ch'è falsissimo. Facendo come chi gli occhi s'acceca per meglio e più chiaramente vedere, Ma i suoi sforzi tutti quanti gli tornarono vani. Non cape ne capirà in intelletto umano, che il mondo il quale spira ordine, sapienza, e nia, sia l'opera del cieco, e dello stolto accidente. Ciascuna parte d'un essere forma un sistema; un sistema formano tutte le sue parti; un sistema tutti gl’esseri, che tra loro legati corrispondono tutti al gran di fi armo 37 c scuna, segno dell'universo. I moti varj e multiplici de corpi celesti son regolati da poche e semplicissime leggi; le quali nascono e derivano da unica propietà della materia. Se dunque ogni sistema indica combinazione, e questa suppone DISEGNO – H. P. GRICE, GENITOR, ENGINEER -- e architetto; chi contemplando la fabbrica dell'universo, ch'è un grande e maraviglioso sistema in cia. e in tutte le sue parti, potrà non ammirar la mente di chi seppe non che idearlo, má farlo? Se il mondo è così perfetto, qual dovrebbe essere, se fosse l'o pera d'un supremo fattore; se l'universo non mostra in ciascuna sua parte, avvegna chè minima, alcun segno o piccolo o lontano di casualità; chi senza empietà o stoltezza, potrà riconoscerlo per opera del caso e non della mente d'un Dio? Ma senza più travagliarci a dimostrar cid ch'è chiarissimo; l'esistenza d'un sommo fattore, oltre all'essere scritta nell' animo nostro, si.legge ne' cieli, e a noi per viene da ogn'angolo della terra. Da che Anassagora disse agli uomini la mente divina con singolar magistero è giusta leggi invariabili, áver ordinato la materia, niu. no vi fu, che nol consentisse. Il popolo d'Atene alza allora un tempio a Dio, qual supremo fabbro degli esseri, e onora quel filosofo del soprannome di mente. Anzi la ragione del volgo ha vinto in cið, e vincerà sempre i lunghi ragionamen ti di qualunque filosofo. Il volgo non lo rigetta con orrore le cavillazioni degl’atei, che tentano invano negar l'esistenza d'un eterno fattore, ma poco o nulla cura altresì le speculazioni di que' sapienti, che vogliono dimostrarla. E in vero tal verità alla classe appartiene, attesa la somma evidenza, di quelle che sdegnan le pruove, e che si possono guastar più tosto che ras sodare co' lunghi e sottili raziocinj d'una filosofia illuminata. G. e Democrito sebbene fossero stati superati d’Anassagora, perchè non già una mente divina, ma il caso avesser posto, come autor dell'universo; pure son degnissimi d'onore per i loro metodi, o bel 39 osta k.. ** dias li pensamenti nelle fisiche discipline. Poté Democrito per sua particolar virtù concepi re egli il primo un sistema meccanico del mondo, fondato sulle propietà de' corpi, o sulle leggi del niovimento. Valse G. per forza di sua mente a immaginare anch'egli il primo un sistema chimico dell' universo, che posando su i quattro elemen ti, è regolato da forze, e sottoposto alle leg. gi dell'affinità. Ambidue tennero in onor l'esperienza, che certo e naturalmente con duce alla scoperta della verità. Se chi do po lor filosofarono, fossero stati poco più sensati; avrebber dovuto mettersi dietro la loro scorta, e collegare insienre i modi chi mici di G. e i meccanici di Democrito. Si sarebbe allora abbreviato il corso degli errori, e anticipato il principio di quella filosofia naturale, che fa tant' onore a ' nioderni. Ma le sette smarrirono i filoso fanti d' allora, e costrinser costoro tanto più a errare, quanto più essi s' attennero alla metafisica, e si scostarono dall'esperi. mentare e asservare. Dovettero scorrer piů Dice? 17 bile su 40 secoli, perchè venisse in grande stato lo studio della natura. S'apparteneva veramen te a'nostri tempi, che congiunte chimica e meccanica avesser portato la fisica a quel grado d'altezza, in cui oggi si trova. Ma è sempre da confessarsi G. e De. mocrito aver gettato i primi semi di que' vantaggi, che cal favore del tenipe la fi. sica ha oggi ottenuto. Le opinioni di G. sų gli ele menti, e sull'origine delle cose, se non son vere, almeno non sono ingiuriose nè al la sua mente, nè alla sua filosofia. Splen dono tra gli abbacinamenti chiari i lampi d'ingegno, e un metodo sopra ogn' altro riluce, che l'avrebbe guidato alle più bel, se gli errori de' tempi non gliel' avessero contrastato. Ma non è così, quando il nostro filosofo alle cose si rivol ge, che trattan d'Astronomia. I suoi sen timenti su gli astri sono altrettanti assurdi. G. il fisico pare altr' uomo, e tut. to diverso da G. astronomo. Tal differenza, che veramente è notabile, se 1 le scoperte, 41 non m'inganno, nasce da ciò, che la sua fisica si trae in gran parte da' frammenti de' poemi di lui; là dove le sue opinioni astronomiche ci vengon quasi tutte dagli Storici degli antichi filosofi. ' Non senza ra gione quindi si può sospettare, che i suoi pensieri non sono strani e deformi, quan do egli stesso l'annunzia; e al contrario pajono sconci ee mostruosi, allorchè altri parlano in vece di lui. E maggiore tal congettura, qualor si considera que compilatori essere stati grossissimi delle cose a stronomiche. Costoro affastellano in confuse opinioni de’ filosofi, e o abbreviando le mozzano, o interpolando le allungano, o pure in qualunque altra manieria, senz’alcuno intendimento, ogni cosa deformando's le alterano. Non è quindi duro a com prendersi, gli storici del nostro filosofo, tra per l'imperizia delle cose del cielo, e per l'espressioni di lui, ch'eran tutte fi gurate e poetiche, averne contraffatto la sua astronomia. Non si negan con ciò gli errori, in cui egli per avventura avesse potuto cadere. So benissimo l' astronomia dei Greci, sfornita.com'era in que' tempi d ' osservazioni, ridursi, tolto il nascere o trae montar d' alcune stelle, a una raccolta d' antiche tradizioni, o di opinioni bizzarre. Si conviene pure Empedocle aver potuto di: re il movimento del Sole essere stato da prima più lento, che a' suoi tempi non e. ra. Si concede altresi aver lui potuto opi nare l'asse della terra aver pigliato una po sizione all' Eclittica inclinata, che prima non avea: (usanza de' cosmogoni acconciare a lor talento le parti dell'universo, e condur le allo stato, in cui ne' suoi tempi si trora no ). Ma non si può affatto credere, Empe docle aver tenuto i tropici quasi due mura glie, cui giunto il Sole, essere stato stretto a torcere il suo cammino; e aver segnato și fatti circoli non altrimenti che due confi. ni, che impediscono il Sole camminando verso i poli d'oltrepassare il suo termine. Chiamò egli que circoli con linguaggio fi. gurato i confini del Sole; perchè a quel li il Sole giungendo par che il suo cam, 1 43 mino rivolga. In breve intese egli indica re l'obbliquità dell'eclittica, e segnar lo spazio in cui il Sole fornisce l'anquo ap parente suo corso. Giacchè l'anno si com putava allora da’ solstizj, i quali dall'om bre osservar comodamente si possono coll? ajuto dell'ago. Con tali e simili sconcezze si è guastata l ' astronomia di G.; Però se tra per difetto di memorie di lui, e per ignoranza degli storici, ė, ben diff cile d' indagar ciò che G. penso sul. le cose del cielo; è assai più difficile sa per, ciò ch'egli non disse, e a torto a lui appongon gli storici, Temendo gli Ateniesi, che la terra fosse stata un'abitazione mal soda, furon solleciti della sua stabilità. Provvidero e glino alla propią sicurezza, e a quella del genere umano: ma colla sola fantasia a modo del volgo. S'appresentarono la ter ra in forma d'un monte, le cui barbe vanno a profondare e perdersi negli ultimi lontani confini dello spazio. Assegnarono ina sieme alla terra già divenuta nionte il suo vertice di forma rotonda; e quivi loc:arono ferma sicura l'abitazione degli uomini. A mente dunque di quel popolo il Sole e gli astri non givan mai sotto la terra, che nol poteano; ma spuntavano e tramonta vano girando intorno intorno a quel verti. ce. Questa opinione, che in Atene era un pubblico dogma, non si potea contra star da filosofi senza grave lor danno. Il popolo pigliava alto sdegno di chi osava sen tirne in contrario, e contro lui si scaglia va, come contro chi avesse tentato di som. muover la terra é perdere a capriccio.il genere umano. I filosofi d'allora tra per che adularan la plebe, come chi più che gli altri soglion fuggire i pericoli; o per ehe su ' ciò nulla dissimili dal volgo crede van lo stesso; non mai vi fu alcuno, che avesse ardito negare il monte, le radici, il vertice, e la finta figura della terra. Non cosi fece il nostro filosofo, che molto perito nelle cose naturali, anche da Sici lia si scaglid contro sì fatta sentenza. Ri dea egli del monte, delle radici, del ver 45 tice.e aspramente ripiglio, Xenofane, che avea per immensa la profondità della ter ra. Chi, dice G., tali co se divulgano, o poco veggono, o nulla san. no dell'universo.; Altri e lontani da quelli del volgo fu. rono i sentimenti d' Empedocle intorno al la terra. Fu opinione di lui, che fuoco bruciasse nel centro di questa. I sassi i dirupi, gli scogli, ei riguardò come sco rie, che la virtù di quel fuoco avea in alto levato. L'acque, che sorgon terma li, quelle sono, a suo credere, che sotter ra scorrendo piglian calore dal quel mede simo fuoco. G. in somma im maginò sin d'allora l'ipotesi del fuoco cen. brale, che Buffon, non è guari, più bel la e vistosa ha richiamato alla luce. Pensavano gli Jonici, che la terra sospinta dal vortice che occupava tutta la sfera, era stata condotta nel centro di ques sta. Ma non sapeano essi comprendere, come quella, sfornita d' appoggio, ben li brata si stesse nel punto di mezzo. Timidi quindi i filosofi al par del volgo, ne dilatavan la base, e tormentando i loro ingegni si sforzavan di sostenerla colle ipo: tesi. Talete avvisò la terra restar sospesa nell'aria, non altrimenti che un galleggian te sull'acqua, Democrito e Anassagora ne fecero la base non che larga, ma conca va; aifinchè l' aria quivi sotto racchiusa la potesse sostentar con sodezza. Parmenide di VELIA credette sostenerla col principio della ra gion sufficiente. La terra a suo pensare stava nel centro, perchè non avea ragio ne, che la portasse per questo più tosto, che per quel verso, Ma il nostro fisico si dilung) da co storo, e con altri principj prese a spiegar sie la stabilita. L'acqua nella cosmogonia di lui s' era separata dalla terra per l'im peto del giro, che questa facea. Pe. rò la terra nel suo sistema rotaya. Rota va del pari secondo lui il cielo; è altra differenza non pose nella rotazion dell' una e dell' altro, che nella velocità, Minore la yolea nella terra, che stava nel centro; 47 1 rola, ando il cla colo come star galo raal Po maggiore nel cielo, che in giri smisurati si volgea. Da cid appunto egli ne trasse e perchè quella stesse in aria sen za cadere. Se girate, egli dicea, con pre stezza una secchia; l'acqua non cadrà, ancorchè nel girarsi si tenga capovolta. Tal è nella sfera i La conversion celerissi ma del cielo vince ogni peso e ritiene la terra. Al moto dunque del cielo egli in catenava la posizion della terra nel cen. tro, il suo rotare, e lo starne, Si sihar rì, egli è vero, in quella spiegazione al par degli altri; perchè allor s'ignorava la gravità della terra esser diretta al suo cen. tro. Ma il suo metodo di ridurre più fe nomeni a un solo, e ripescare ne' fatti la ragione di quelli, è molto degno di lode. Dall'esperienza della secchia, che pre stamente si volge, han preso argomento chi son portati per l'antichità, aver co nosciuto il nostro filosofo la forza centrifu. ga, Ma a pensar giusto, ignorandosi allos ra le leggi del moto, niuno ebbe, nè as ver potea l'idea vera e matematica di quel, 1 ajd a $ permas 30, ho murah ento: 48 d he Te la forza. Egli è vero essersi saputo in que' tempi, e da G. essersi ben dimo strato la velocità del girare impedir la ca duta de' gravi. Ma questo era fatto, non forza, e più esempio, che principio. Eran sì lontani G. e gli antichi di cono scer quella forza, che presso loro fu fer ma e costante opinione, i corpi a cagion di circolazione avvicinarsi al centro se pe santi, fuggir dal centro se leggieri. Ma se'a lui si può contrastare la co gnizion della forza centrifuga, gli si deve certamente quella concedere della rotazion della terra. Opinione era questa comune presso noi ne' tempi greci, e propia in ve rità della nostra Sicilia Giacchè Ecfanto e Iceta la divulgarono in Siracusa; ma sin da tempi antichissimi G. l'insegno nella nostra Gergenti – e NON GIRGENTI. Avea il nostro Astronomo il Sole e le Stelle, come se fossero della stessa natura. Opinava egli quello e queste esser di fuoco. . Ma non perciò è da credere, ch ' ei tenesse la luce per eguale o simile al R te te e 1 49 1 fuoco terrestré. Non sapendo egli qual fose se la natura della luce, che per altro è ignota anche a noi, tenea il Sole come una massa ignita, che lanciava nella sua sfera le sottili sue particelle. Queste ei credea, che dal Sole si moveano, e pro gressivamente propagandosi giungeano agli occhi. La luce, dicea, va prima nel mez zo, e poi perviene sino a noi. An ticipava così la scoperta bellissima della pro pagazione della luce, che i Satelliti di Giove doveano in tempi avvenire rivelare a Roemero. La vide, egli è vero, coll' in telletto, e senza ridurla a fatto, la lascið nel posto di semplice opinione. Ma nel tempo de' sogni e dell'ipotesi è degna cer to d'ammirazione quella opinione, che coll' andar de' tempi è stata condotta al grado eminente di fisica verità. L'emission della luce fu l'ipotesi, ch' allor tenne G., e cui oggi s' acco stano chi non vogliono vaneggiar per no velle bizzarie. Questa a dì nostri d ' alcu ni è rigettata, e in que' tempi era ancor contrastata. L'ipotesi che il Sole quanti raggi manda, altrettanti ne perde, fece al lora, e ha fatto oggi credere a parecchi, ch ' egli raggi mandando, e raggi perden do sì gradatamente impoverirà di luce, che collo scorrer de' secoli giungerà sino a spe. gnersi. Newton all'incontro dimostra in sensibile essere stata la perdita della luce solare dal principio delle cose sino a noi. Anzi egli quasi sforzandosi d'assicurar la luce alle future generazioni, cerca di sup plir la massa solare con quella delle co mete. Le quali attratte dal Sole, quan do nel suo giro sono vicinissime a lui, e su lui cadendo, colla loro materia vanno a risarcire la perdita diurna delle particel. le solari. Ma G. in un modo, che se non sarà forse il più vero, è certamente assai più ingegnoso, s' industrið provedero alla durata del Sole. Siccome i raggi lan. ciati dal Sole son poi riflessi dalla terra; cosà egli pensd, che quelli dopo la rifles, sion concentrandosi, ritornano al Sole. Però questi per riflessione acquista quel, che per enuission perde; e atteso un sì fat to circolo durerà sempre lo splendore del Sole. G. quindi potė ben dire la luce essere al presente una riflessione di quella che fu una volta lanciata dal Sole: Ma i compilatori dell'antica filosofia non capirono i sensi del nostro filosofo. Credette ro essi due essere i Soli di G., uno invisibile, visibile l' altro, che collocati in due opposti emisferi si guardavan tra lo ro. La terra, eglino dissero, riflette al se condo i raggi invisibili lanciati dal primo; e quello poi in forma di luce li rimanda alla terra. Ecco con quali sconcez ze quegli storici guastarono i divisamenti del nostro filosofo sull' emission della luce. Non meno speziosa fu la difficoltà, che s'oppose a G. ne' suoi tempi contro la succesiva propagazion della luce. Siccome nel tempo che la luce viene a noi, il Sole si move; così l'occhio astretto a seguire la direzion della luce, vedrà il Sole in un punto, in cui fu, e poi non g  è più. Empedocle a rispondere, non prese scampo nella prodigiosa velocità della luce, o in qualche sottigliezza, cui i fabbri di si stemi soglion rifuggire. Non è il Sole, ei di cea, ma la terra che in ventiquattro ore si volge: La terra' dunque nel rotare s’im hatte ne' raggi solari, ed essa prolungan doli va a trovare il Sole nel punto, in cui egli sta. Non si potrebbe di certo a di nostri in miglior forma rispondere a chi in quel modo vclesse attaccar l ' emissione e successiva propagazion della luce. G.  ha la Luna come opaca, perchè frapponendosi tra il Sole e la ter ra cagiona l' ecclisse. Plutarco a lui solo, mettendo in non cale tutti gli altri, da il vanto d' aver divolgato la Lu. na essere un corpo privo affatto di luce, che riflette i soli raggi solari. La chiarez za della Luna' ei chiamava non che dolce e bénigna, ma insieme straniera. Una lu ce straniera, dice G. qual poeta, circola intorno alla 'terra. Ma G. ebbe la disgrazia d' aver avuto guastato ogni suo sentimento. Achille Tazio dall' epiteto di straniera dato alla luce lunare da G., ricavo, non so come, il medesi mo aver tenuto la Luna qual pezzo svelto dal Sole. Ma buon per noi che ci sia re stato il verso di G., che smentisca l'interpetrazione di Tazio: Anassagora per dare una misura del So le riferì la grandezza di quest' astro al solo Peloponneso. Il nostro filosofo fu il primo, cui venne in pensiero di comparar Sole e Luna tra loro. Egli credea che il Sole fosse stato più della Luna distante dalla terra so pra due volte. Ciò non ostante affermo quello essere stato assai più grande di que sta; sebbene ambidue fossero appariti dello stesso diametro. In somma l'ineguale distanza fu per lui certo argomento della lo ro diversa grandezza. Parrà ad alcuno ciò essere stata cosa di lieve momento; e pure fu un passo, e un avanzamento che allora fece la scienza del cielo. Giacchè niun altro prima di G., ed egli fu e il solo e il primo, che insegnò gli astri lontani doverci comparire piccoli più de' vicini. E gli pure fu il primo che pose in confronto tra lor gli astri non solo, ma i loro diame tri. Dopo hui in fatti prima Eudosso misu rò i diametri apparenti della Luna e del Sole; e poi cominciarono i Greci a stabili re i periodi lunisolari, da cui nacque, e s’avanzò l'astronomia de' medesimi. Si potrebbe quì aggiungere a formar tutto il quadro dell'astronomia del nostro fi losofo, aver lui forse conosciuto che la Luna rotando intorno a se stessa si mova circa la terra. Ma punto non conviene dar a G. una gloria o dubbia o sospetta. Basta aver levato a suoi pensieri astronomici quella ruggine, di cui li bruttò l'imperi zia di quegli storici. Appresso l' onorano al cuni qual autore d'un poema sulla sfera in cui si descrive, secondo l'uso de' tem pi il nascere e ' l tramontar d' alcune stel le. Ma i critici illuminati han quello come opera d'ignoto autore e non di lui. Io non discordo da loro; anzi confesso non essere stato G. intento a osservare, 1 1 come si conviene nell' astronomia. In quell' età si costruiva il cielo da' filosofi non si osservava. Era quella la stagione della fan tasia, delle opinioni, e dell'ipotesi, che suol sempre precedere l' altra, che porta seco il raziocinio, l'osservazione, la veri tà. Però non è poca la gloria di G. nell' aver conosciuto la ' successiva pro pagazion della luce, la rotazion della ter ra, l'opacità della Luna, è scostandosi dalle volgari stravaganze nell' aver compa rato il primo le masse tra loro della Lu na e del Sole. Se non può egli quindi emulare Timocari e Aristillo, Ipparco e Tolomeo, che nella Greca astronomia fu ron chiarissimi; pure non è da negare lui aver saputo delle cose del cielo assai più che la sua età non portava. Vennero quel. li assai dopo, e in tempi assai più illu minati e felici; e non è maraviglia, che questi fossero stati di quello migliori. Una fiaccola più o meno brilla, quanto più o meno pura è l ' aria, in cui brucia. Dal cielo tornando alla terra non più 56 & troviamo il nostro filosofo, che immagina l' origin delle cose; ma che studia e in terpetra con senno la natura. La prima verità, che c'insegna, non già ragionando ma coll'esperienza, è il peso e la molla dell' aria. Mette egli in opera in difetto di macchine e di strumenti la clessidra, che s'usava allora da' nostri come orolo gio a misurare il tempo. Avea questa la sua figura conica; la base forata a guisa di minutissimo vaglio; e il collo lungo che stringendosi sempre più andava a fi nire in un sottil bucolino. Si tenea allora la clessidra col collo all'ingiù; e l'acqua, di cui era piena, lentamente gocciolando misurava le ore. Questa appunto fu la macchina di G., che nelle sue ma ini diventò indice e misura di fisiche verità. Introduce ei da poeta una donzella, che trastullando colla clessidra la vuol en piere d'acqua. Ne tura essa l'orifizio col le dita, e postane la base all' ingiù, cala quella verticalmente in un fonte. Entra allora l'acqua per la base forata; ma per SC ay is ce 9 in C  quanto la donzella prema, e travagli, la clessidra non si può mai empiere tutta. Stanca finalmente la verginella, alza le di ta, con cui chiudea quell'orifizio; ed ecco l'acqua che sale, e giunge alla cima. Proposta l' esperienza, G. ne' suoi versi ne soggiunge lo spiegamento. L' aria, dice egli, che sta racchiusa nella cavità della clessidra, colla sua molla, resiste all' acqua, e la ripara di venire all'in su. Ma appena la donzella alza, le dita, l'aria e sce, e però l'acqua non più impedita dall' aria sale, e tutta empie la clessidra. In altro modo ci presenta ei la don zella. Finge egli che questa volti la cles sidra; e allora un altra prova egli ci reca del peso e della molla dell' aria. Chiude es. sa colla mano il bucolin della clessidra, questa piena d'acqua volge colla base all' in giù; affinchè l'acqua tutta fuori si ver si. Ma non senza sua sorpresa s' accorge che l'acqua, lungi di cadere da ’ forellini della base, si ferma: Alza ella quindi la mano con fretta; ed ecco l'acqua goccio h  re il a lare, e a poco a poco cadendo tutta fuori versarsi. Dichiarato il primo, ſu agevole a G. spiegare il secondo esperimento. L' acqua, dicea egli, si sforza d' uscire da' fo. rami della base. Ma l'aria sottoposta si resiste colla sua molla, che venga a vince peso dell' acqua. Subito che la don zella alza la mano, l'aria di sopra preme l'acqua sottoposta; e questa, ajutata dall' aria soprastante, vince ogni restistenza, o vien fuori. Con tali esperienze, delle propietà dell' aria mostrava egli e il peso, e la molla. Ciò nulla ostante furon quelle nell'età d'ap presso poste ingiuriosamente in obblio. Se noti fossero stati al rinascer delle scienze gli esperimenti di G., non si sareb be certo levato tanto grido per l'invenzion del barometro. Ivi il mercurio sta sospeso dalla forza dell'aria, come l'acqua sta so spesa entro la clessidra dalla forza egual. mente dell'aria. Si fatte esperienze, che oggi son volgari, allora erano rade e uti € 59 lissime alla fisica. Smarriti i Greci in que? tempi o dalla lor fantasia, o dalla lor me tafisica, non pigliavan cura nè d ' esperien. ze, nè d'osservazioni; e privi di fatti, co storo eran pur privi di scienza · Ne' versi di G. quindi il principio si trova, e la nascita dirò così della fisica; perchè ivi si trovano i primi esperimenti. Democrito al par di G. piglia va anch'egli allora la via de' fatti: sebene ambidue ne fossero stati presto raggiunti dal divino Ippocrate. Sicché questi tre som mi uomini cercarono allor di fondare un epoca novella nella Greca filosofia, sfor zandosi di condurre gl'ingegni a studiar la natura coll' esperienza, e colla osservazio ne. Ma tal metodo, ch'è lento, ostenta to, non potea esser gradito a Greci, che impazienti erano e caldi; e però da pochi fu pregiato ed impreso. Sebbene G. avesse posto ogni studio nello sperimentare; pure fu solo in Sicilia, senza stromenti, nell'infanzia dela la fisica. Ne si creda Democrito, e Ippocrate avergli potuto giovare, essendo e co lui di region lontanissima e questi de tempi d'appresso. Pochi eran quindi i fat, ti, che potea egli raccogliere. I medesimi non gli eran mica bastevoli all' uopo, ch' era assai vasto, e che giusta l'usanza de tempi abbracciava tutta la natura. Di che veniva, ch'egli spesso era costretto a suppli re il difetto de' fatti; e ciò il fece con assai sagacità e senno: cui nercè l'arte inventò del congetturare. Questa non gia che fosse stata da lui ridotta in canoni come si svol presso noi, che in ogni cosa abbondiamo di regole; ma intriseca si tro va, e quasi nascosta ne' suoi ragionamen ti. Anzi io credo non potersi in miglior modo rilevar l'artifizio del suo metodo, che descrivendo l'andamento del suo spi rito; allor quando pigliò ei a comparare i vegetabili agli animali. Furon tanti, e di tal momento i rapporti, con cui egli quel li a questi lego, che giunse a scoprir del, le verita, che son degne non che di ricordanza, ma di stupore. Il seme, il sesso, la generazione, la nutrizione, la traspirazion de’ vegetabili fu. rono i varii sorprendenti oggetti su cui fil filo s'applicò la sua mente. Da prima avverte. G. comune essere il fine assegnato dalla natura 'e agli animali e a ' vegetabili. Un animale, o una pianta, egli dioe, voglion produrre animali, o piante simili a se. Questo fu messo da lui come base delle sue illazioni, e co nie fermo segnale d'un punto, da cui egli partendosi non s' avesse potuto mica smarri re nel proceder più oltre nelle sue nuove scoperte. Soggiunge egli appresso: come l' animale viene dall'uovo, così la pianta dal seme. Attesi questi fatti comincia o ' specolando a filosofarvi, e da quelli guidato va con franchezza formando le sue conget ture. Se l'uovo e il seme, egli prosegue, comune hanno il fine, ch' è la produzio ne; debbono l'uno e l'altro colla stessa attitudine, e col medesimo impeto tendere al medesimo fine. Da sì fatto fine ad ambi comune egli argomenta, come da un indice, comune dover essere la natura del seme e dell' uovo. Ma G. forse à tal indizio si ferma? Nullameno. Egli torna di nuovo a fatti, mette in opera da capo osservazioni; e si sforza rintracciar co. sì la natura dell' uno e dell'altro. Empedocle tirando avanti la sua stes sa traccia, trova e distingue sì nell' uovo che nel seme, non che germe, ma materia che il germe nutrisce. L'animaletto fin, chè non nasce, o la pianticella finchè non abbarbica ', traggono alimento da quella, Non è già, aver lui conosciuto le foglie seminali; o aver lui detto la placenta u terina portar nutrimento all' embrione per via del funicolo umbilicare. Egli non al tro conobbe, che due esser debbano nell' uovo e nel senię le parti principali e muni: il germe e i cotiledoni, che l'ali mento preparano alla pianticella, o all’em. brione, o nel seme, o nell' uovo. Il nostro fisico quindi più non distinse dirò così ani mali da piante. Ebhe egli il seme qual uovo de vegetabili; e chiamò le piante col soprannome d ' ovipare. Ecco avere G. svelato agli uomini assai prima d’Ar véo tutto ciò, che nasce', non d ' altro pro venir che dall'uovo. Teofrasto infatti, e Aristotile a G. solo attribuiscon la gloria della scoperta di tal verità, e gliela dan come propria. La fatica d’Arvéo, fu egli è vero, utilissima all'avanzamento del le scienze, e degna di tutta la lode. Ma egli pubblicando di nuovo lo stesso ritrova mento di G., null' altro fece che as sodar vie più colle prove ogni cosa nascer dall'uovo. Chi adesso non giudicherà mag. gior l'eccellenza dell'ingegno di chi colla mente va congetturando ciò, che del tutto s’ è ignorato in preterito, e prevede ciò che sarà da scoprirsi in futuro? Il nostro fisico, guidato com' egli era dall' induzione, spinse più oltre i suoi ra gionamenti'. Affermd le piante al par de gli animali dover essere tutte fornite di ses so. Conosciutosi da lui il seme null' altro esser che uovo, come l'uovo si feconda per l' union del maschio colla femina; così argomentò egli del pari il seme per la mescolanza di que' sessi doversi fecondare. Franco ' quindi e sagace stabili egli il pri mo, ed egli il primo distinse il sesso ma schile e feminile in ogni vegetabile. Non si dubita prima di lui essersi conosciuti ma schi e femine tra ' vegetabili: ma ciò soltan to attribuivasi a palme, fichi, canape, pi stacchi. Però dal nostro fisico prende ori gine il sistema, su cui oggi posa tutta la Botanica. Egli è vero non aver lui allora ne cercato, nè mostrato gli organi genita li nelle piante, come poi han fatto con grande studio i moderni; ma ciò facea e gli sempre col ragionare, e quelli vedea dirò così, coll' intelletto. Nella testa de' grand' uomini, come dotati d'una specie di tatto pella verità, la forza delle con getture si sostituisce talvolta all' evidenza de ' fatti. Facea Empedocle a guisa d'un gran dipintore, che solo abbozza il quadro con poche, ma pennellate maestre; e la scia poi agli altri la cura di compirne il disegno, di colorirlo, e abbellirlo. Arveo definì tutto nascer dall'uovo: Zalunziaski, Millington, Camerario, Vaillant prima, e poi Linnéo mostrarono il sesso nelle piante. Ma costoro tutti quanti assodaron la dottri na, e compiron l'idea tracciata dal nostro Gergentino. GERGENTI non GIRGENTI. In verità non è poca la glo ria che a costui torna nell' aver lui il pri mo schizzato degli originali, che di mano in mano col favore del tempo si van tro vando in natura. Contemplare Empedocle, che conget tura è uno spettacolo degno d'un filosofo. Ora egli scorto dall'analogia supera tutti i suoi contemporanei', e più oltre proce dendo va diritto a trovare altre belle ve rità. Ora privo di fatti, non ostante il vi. gor di sua mente, tentoni cammina incer to tra verità, ed errore. Conobbe egli il sesso sol nelle piante. Ma altro non pote va egli conoscere, attese le poche anzi le rade verità solamente allor note. Quante altre osservazioni, quante altre verita gli mancarono? Ignoto era allora l'antere, e gli stigmi esser gli organi genitali delle pian i 06 cer te, e questi trovarsi ne' fiori. Niun sapea il polline portato da venti aderire allo sti gma per via dell'umore, che in questo si stà. Chi aveva allora osservato la Passiflo ra, la Graziola; e ' l Tulipano, che come agitati d'estro venereo, erranti van cando la polvere, che loro fecondi? Chi s'era accorto, in que' tempi la Valisneria, e l'altre piante acquatiche sul punto de’ loro amori alzar lo stigma dall? acque, per accoglier cupide, e aperte la polvere de' loro maschi? Non è però da recar mara viglia, se nell'ignoranza di tali fatti non seppe Empedocle comprendere, come le pian. te, che fitte stan sulla terra, si potesser congiungere per far la lor generazione a guisa degli animali. Ma tenne egli come cosa non che non dubbia, ma certissima, e l'induzione già gliel' aveva indicato, che il seme per l'unione si feconda della fe mina col maschio. Però egli, posti in cia scuna pianta, come sullo stesso talamo, quasi marito, e moglie, disse tutte le pian. te dover essere ermafrodite. Fil questo, egli è vero, un errore; perchè in al cune piante i due sessi son del tutto se parati, e distinti. Ma altresì, egli è vero, la più parte delle piante alla classe ap partenersi dell'ermafrodite; oltr'a quelle, che sono androgine, e poligame. G. appresso, il mistero passo a indagare della generazion de’ vegetabili, con quella confrontandola degli animali. Gran cose in prima osò egli dire sul la generazione animalesca. ' Immaginò egli starsi divise ne' liquor seminali de’due ses si particelle analoghe al corpo d'ogni ani male. S'ideò egli queste nella unirsi, e l'embrion formare del corpo or ganizzato. Il carnale appetito egli ri pose in quelle particelle, che, separato trovandosi nel maschio e nella femina, ten. dono naturalmente a unirsi. Ad abbondan za de' due semi la cagione ei riferisce del parto o doppio, o triplo; e a scarsezza o disordine degli stessi la nascita d'ogni sor ta di mostri. La prole secondo lui al pa dre o alla madre somiglia in proporzione generazione i 2. del più o men prevalere del liquor semi nale quando della femina, quando del ma schio. La ragione inoltre crede lui dare della sterilità delle mule, che all' angustia attribuisce e obbliquita de canali della loro figura. Varie spiegazioni va in com ma egli fantasticando, che io piglierei ros sore di chiamar sogni, se chi han tratta to della generazione, non avessero sinora sognato al pari di lui. Le molecole orga niche di Buffon, i vermi spermatici di Le wenoek, l'uova di Bonnet e,di Haller, il filamento nervoso di Darwin, non sono clie ipotesi più o meno, false o tutte immagi narie. La fantasia inoltre, che tutte domi le umane, s' avvide Empedocle, poter avere anch'essa una parte nella ge nerazione. Ricordava ei delle donne, che aveaito dato in luce bainbini simili a sta. tue o pitture, cui quelle, essendo gravi. de, aveano a caso fisamente guardato. Opinò egli quindi la fantasia della femin na, non altrimenti del tornitore sul legro, na cose  2oho da ede lidt? po 12.06 maa Potere dar forma, e simiglianza al feto. Non inancan.oggi, chi credono poter più operare l' immaginazione del padre che alle quella della madre. Ma niun disconviene, ato quasi secondo il linguaggio di G., che la fantasia o della femmina o del maschio, giunge talvolta a tratteggiar, dirò cosi, le membra, e la fisonomia della prole nel ventre della madre. Da si fatte cose, stabilitasi. anzi tem po da G. la famosa analogia tra' vegetabili, e animali, trasse egli, e cona chiuse del tutto eguale a questi duver es sere la generaztone di quelli. Ne men dissimigliante tra loro, dice G., dover essere la nutrizione de gli uni e degli altri. I vegetabili e gli a nimali dicea il nostro filosofo, gli alimenti scompongono, e quel traggon da éssi, ch' è conveniente e accomodato alla loro na turá. Ciò egli credea farsi in ambi due per via dell'affinità insieme e de' pori. Dell'affinità cosi egli parlava. Siccome le cose amare all'amare si uniscono, le dol UD Eury 7 Pizze,the is on sullink ei de 1 dis Tec cer ci alle dolci; ogni sinile in somma al suo simile: cosi gli esseri organizzati quel pren dono dagli alimenti, che lor si confa, e può nutrire ciascuna delle propie parti. Chiaro fu eziandio il suo parlare de' po ri. La nutrizione, egli è certo, separarsi e dividersi negli animali, e ne' vegetabili per mezzo de' pori, che son differenti in dia metro. Le particelle, dette nutribi li, è certo altresì non potere indistinta mente entrare per qualunque di quelli: ma ciascuna insinuarsi nell' orifizio di que' bucolini, ch'è analogo alla propia gran dezza. Un vino, egli dice, è diverso da un altro, attesa la differenza non che del terreno ma della stirpe. Ecco come par, che il nostro filosofo avesse voluto vie più assodar la sua opinione della forza dell' affinità, e de' pori, massime su i vegeta bili (ch'è poi propietà d'ogni corpo orga nizzato) i quali giusta la propia organiz zazione han da quelli preparato gli ali menti, e si rendon capaci di saporé diverso. A senno dunque d'Empedocle la nu se su red nog Ila ti co re со ali 71 Fari trizione si opera tra per l'affinità, e la ti que varia ampiezza de ' pori per canali diversi, ce e va svariatamente, ma sempre in pari re preciproco modo, vigore é aumento porgendo agli organi diversi sien de' vegetabili, sien degli animali Empedocle frattanto, il modo volendo indicare, con cui la nutrizione si sparge e dividesi fra gli organi diversi, abbiam noi veduto essersi rifuggito all' affinità, ch'è certamene un'ipotesi. Ma che maraviglia; se dopo la serie di tanti secoli da questo suo pensare non sono mica iti lontani pa recchi pur tra’ moderni? Grande in verità e diligentissima è stata oggidì la fatica de nostri fisiologi nell'indagare i fenomeni del la nutrizione, Gli hanno essi ridotto a ' fat, ti, o a leggi generali, che son propie e comuni a tutti i corpi organizzati. Nè pu re eglino han trascurato di trovare nella contrattilità organica la forza, con cui gli alimenti son trasportati in canali opportuni non sol negli animali, ma eziandio ne've getabili sino all'alto delle propie foglie. Ma TX, ام د ገን muito con tutto cið o nulla o poco si sono essi avanzati nell'additar la maniera, con cui si fa la nutrizione per gli organi diversi. Non si nega oggi darsi da' più a varii organi, una specie di gusto, cui mercè quel suc chino, e tirino, che a ciascuno in partico lar si conviene. Ma poi tal fatto pensa mento mostra forse esser del tutto falso il ritrovato d'Empedocle? E' troppo vero, cho la natura yince in molte cose, e vincera sempre ogni nostra speculazione e fatica e da filosofi per lo più non si recano, cho sole congetture, ed ipotesi, Fattisi vedere eguali da Empedocle i rapporti degli animali co' vegetabili nel se nie e sesso, nel generarsi e nutrirsi, non re. stava altro a lui che applicarsi sulla tra spirazione comune ad entrambi. Conobbe egli, che gli uni e gli altri per via de' pori similmente traspirano, e quella parte degli alimenti tramandano che loro è su perflua. Alla traspirazione di fatto attribuì costui o il perdersi dagli alberi nella fred da stagione, o il serbarsi quelle foglie, che dalla natura, non a caso, ma particolar mente sono ordinate al traspirare e al nu trir delle piante. I primi, ei disse, tra spiran molto in estate, e spossati levan le foglie in autunno. I secondi traspiran po co in estate, e robusti ritengon le foglie in inverno. Fonda egli la copia o scarsez za del lor traspirare sull' ineguale diame tro, e contraria posizion de' lor pori. Gli uni a suo giudizio hanno larghi i pori del le radici, angústi quelli de' rami. Gli al tri all'opposto angusti i pori delle radici, larghi quelli de' rami. Però i primi più, succhiando, e men traspirando non levan le foglie. I secondi men succhiando e più traspirando perdon le foglie. Se una si fatta posizione di pori, che immagind il nostro fisico, fosse stata confermata dalle osservazioni, avrebbe sin d'allora egli sciola to un problema, che non poco fastidio grandissimo stento ha recato a ' moderni. Era rizio comune a quell' età organizzare ad arbitrio gli esseri della natura a fin di. poterne presto dichiarare i fenomeni. Egli k e. 0 1 è vero non esser mancati a di nostri, chi abbian conosciuto e distinto ne' vegetabili non meno di quattro specie di pori. Ma chi ha potuto, o con qual microscopio potrà mai rinvenire, che a ' pori o larghi o stretti delle radici corrispondano a rove scio quelli de' rami? Pur tuttavia a G. in parte siam noi debitori della ragione, che mostra il come dagli alberi cadan le foglie. La famosa traspirazione ne' vege tabili, da lui allora scoperta, scioglie og gi a noi con somma nostra ammirazione o senza nostra molta fatica un sì bel pro blema. Ognun vede le foglie cader più pre sto, quando la state è più calda. Ognun pur vede gli alberi robusti più de' deboli più tardi svestirsi di foglie. Anzi ognun vede altresì quegli alberi in inverno rite ner le foglie, che poco traspirano. I 100 derni al più han distinto le foglie, che cadono in pezzi da quelle, che intere si staccano, secondo che l'une o l'altre sono al tronco diversamente attaccate. Costoro 75 di più son giunti a conoscere, che alcuno foglie cadono intere, prima che le nuovo dalle lor gemme si svolgano, e altre ristan no finchè non ispuntin le nuove. Da ciò essi han tratto, che quegli alberi, i quali gettan le foglie dopo lo spuntar del le gemme, debbon mostrarsi verdeggianti in inverno. E che all'incontro quegli altri, i quali gettan le foglie pria dello spuntar delle gemme, debbon vedersi nudi nella stege sa stagione. Che perciò? i nostri fisiologi forse san. no oggi della caduta delle foglie dagli al beri assai più di quel, che ne seppe al. lora il nostro filosofo? Abbian quanto si vo glia convenuto oggi i moderni le foglie tra. spirar più quanto più abbondano di pori. Abbiano quanto si voglia pure costoro af fermata la copia o della traspirazione o de' succhi si travagliar le foglie, e i lor vasi ostruire, che finiscan di vegetare, muoja no, e cadano. Eziandio ne abbiano essi inferito tutti gli alberi dovere perder le fos glie, chi in Autunno, chi in Primavera. Ma k 2 26 de 60 fu NI tal differenza non è se non perchè le fo glie di quelli più, e le foglie di questi meno' traspirano, e l'une servon più, l' altre meno alla nutrizion delle piante? E non è questa la grande scoperta appunto d' Empedocle, e che forma uno de' suoi gran di elogi? Il pigliare i vegetabili e gli animali au mento dal calore, il goder di gioventù, il cadere in malattia, il giungere alla vecchiez za, sono altresì que' tratti di simiglianza perfetta, che il nostro fisico andava a quel. li aggiungendo. Nè lascid ei di notare, che i vegetabili al par degli animali si muv vano, resistano, si raddrizzino. Gran de com' egli era di mente, e degno d' in. terpetrar la natura, talmente s’ ingegna va di legare il primo con poche o comu ni leggi i due regni, che paion tanto di stanti e discordi tra loro, il vegetabile e l' animale. Gli antichi presero maraviglia di questo specolazioni di lui, e si ne restaron convinti, che si sforzarono aggiungervi qual che cosa del loro, G. aveva già 0 PE C te 77 detto, che il seme senza più è nella ter ra ciò, che il feto nell'utero ed egli no procedendo più oltre' non ebbero a schi fo affermare la pianta essere un animale fitto in terra per le radici, e l'animale una pianta, che cammina. I moderni poi non han tralasciato punto di assai profittar de pensamenti di G., cui mercè tira ta avanti la traccia e allungati, diciam.co sì, i suoi stessi passi, sono iti scoprendo nuovi rapporti, che agli attimali legan le piante. Le piante dormire come gli anima li; respirare coni'essi; avere i lor muli; pro. pagarsi i polpi al par delle piante; esservi animali (che son quei, che vivono attacca ti alle pietre ) che cercano la luce e vergo essa rivolgonsi, come appunto fanno le pian te: questi e simiglianti sono i grandi ogo getti, su cui i moderni profittando di G. si sono fissati. Ciò non ostante no tante, e di tal momento le differen ze, che separano gli animali da' vegetabili, che non è stato possibile di ridurli in tut. to giusta la pretesa di G. alle medesime leggi. Pare soltanto che nel presen te stato delle nostre cognizioni tutto con corra a dimostrare aver la natura espresso e racchiuso dirò così quasi sotto unica fore mola il gran fenomeno della nuova produzione de' corpi organizzati. Questa appun to cercò, e questa rinvenne il nostro fisi co. Perchè distinse il sesso nelle piante, e conobbe il seme non esser altro che uovo: e affermò apertamente le piante, come gli animali, dover essere ovipare. Tali meditazioni d'Empedocle su gli esseri organizzati', in difetto d'oga' altra pruova, basterebbero sole a indicare la forza, e l'eccellenza del suo intendimento. Dovea egli supplir la mancanza de'  fatti, inventar de' metodi per non ismarrirsi, ras. sodare i suoi pensieri incatenandoli, anti veder congetturando, Operazioni, che vo gliono tutte ostinazione, sagacità; avvedi mento. Tal è la condizione dell' umana natnra, che la nostra mente non può senza stento riflettere, ragionare, scorrer le dub bie vie delle fisiche ricerche. No creda alcuno, ch ' ei qual poeta, o cosmogono aves se ravvisato quelle somiglianze tra i vege tabili e gli animali più colla fantasia che colla ragione. La fantasia crea non isco pre; finge non ragiona; abbellisce non in catena; e se talora connette, i suoi lega mi sono immaginari e non reali. Molti sono i cosmogoni tra gli antichi, Ma G. solamente s' addita come chi com prese in egual modo operarsi la generazio ne negli animali e ne' vegetabili. Fu egli è vero intento a legare questi a quegli esse ri, come suol farsi dalla fantasia, che cor ca e ritrova più le somiglianze delle cose che le lor differenze. Ma ciò avvenne dal metodo, con cui il nostro Gergentino – GERGENTI, non GIRGENTI -- aju tava la sua mente, ch' altro non era, nè esser poteą nella sua età, che quel dell' analogia. La quale, siccome essa suole, argomentando da cose simili, potea soltana to condurlo, a veder somiglianze. Se dunque G. e col favor dell' analogia pro pose congetture, che poi si son trovate ve re dalle nostre osservazioni, e ben da dirsi ch' egli fu nobile di monte, robusto ne suoi raziocinj, e di gran sentimento nelle cose naturali., Un altro e più vasto teatro s' apre o rą di altre e nuove specolazioni, G., posti da parte e vegetabili e bruti, staccò l’ Uomo dagli esseri organizzati, con cui l'avea egli sin allora confuso. Prese costui a considerar l’ Uomo solo e isolato non che in metafisica e morale, ma in pa recchie fisiche scienze. Rivolse ei le sue prime indagini alla fisica dell'Uomo, cui i corpuscolisti con gran cura in quel tema po attendeano. G., Anagsagora, De mocrito scrissero sulla natura; ebbero tutti tre il soprannome di fisici: e tutti tre ten tarono di svolgere l'economia, giusta cui vive, si muove, si regola la macchina u mana. Fu forse un tale studio sull' uomo che sopra ogn'altro lor distinse dagli altri filosofi. I quali, senza più, aveano fino allora quello riguardato come un soggetto soltanto metafisico, o morale, o politico. Ma ' le fisiche ricerche di G. sull’ Uomo trapassarono di gran lunga quel le di Democrito e d’Anassagora. Perchè, sagace, com'egli era, si mise in investigazio ni non prima tentate d'altri, e utilissime. Tanti furono i punti di vista, sotto cui e' prese a contemplare il corpo umano; e al trettante può dirsi essere state le scienze, cui diede principio il vigor di sua mente. Egli il primo applicò la chimica, e sie a nalisi al corpo umano; segnd le prime li nee d'anatomia: fece sforzi se non sempre efficaci, sempre almen generosi a gettare i fondamenti della fisiologia dell' Uomo:: Il sistema di G. sulla natura fu chimico; così chimiche del pari furono le sue prime ricerche sull'uomo. Comincio egli a esaminar questo nelle sue parti, e quanto più allor si potèa, ne imprese an cora l'analisi. La carne, ei dicea è coma posta di parti eguali di ciascun de' quattro elementi. Di due parti eguali di fuoco e di terra sono formati i nervi, e le unghie son similmente nervi raffreddati dall'aria. VIII furon le parti, ch'ei distinse nelle cosa: due di terra, altrettante di acqua, e quattro di fuoco. Se non si corresse un qualche pericolo di travedere, chi non direbbe aver lui trovato l'ossa abbondare di fuoco, perchè abbondan di fosforo? Ma che che ne sia, non v'ha dubbio, aver lui dato principio con sì fatte analisi a un novello rano di chimica Ramo, che dopo G. fu del tutto posto in non cale: ma che oggi, attesa la sua grand' utiltà con ardor si coltiva, e che va sempre più smisuratamente crescendo sotto il nome di chimica de corpi organizzati: Erasistrato, Herofilo, Serapione fu ron tra ' Greci, che s ' applicarono con som mo studio all' Anatomia. Ma innanzi a co storo, vinti gli errori della religione e de' tempi, aveano cominciato a coltivarla De mocrito in Abdera, e G. e in Gergenti, NON GIRGENTI. Descrive quest'ultimo la spina del dorso, e tienla, come di fatto è, non ' altri menti che la carena del corpo umano. Distingue egli di più inspirazione da espi razione mostra i canali per cui si respira dalle narici. Ricerca egli inti ne l'organo del sentire, e trapassando il neato uditorio, discopre quella parte dell' udito, che attesa la sua forma torta e spi rale, chiamò egli allora, e chiamasi anco ra la chiocciola. Questo è il poco a vanzo delle sue cognizioni anatomiche, che per sorte sono arrivate sino a noi. Ma que sto stesso poco mostra il suo gran sapere in questa scienza. Un gran pezzo di capi tello o di bảse', il rottape d ' una colon na, o pilastro, bastan sovente a indicar e la magnificenza di un edificio, e la perizia di un architetto. La sola scoverta della chiocciola dimostra assai meglio, che non fecero ' gli antichi scrittori', essersi il nostro filosofo molto avanzato nelle cose anatomi che. Questa situata in luogo riposto dell' udito non si potea discoprir certamente se non da chi fosse stato molto prima versa - to e perito nelle materie anatomiche. Meno scarse son le notizie delle fun. zioni della vita e de' sensi dell’ Uomo: e che per fortuna ci restano della fisiologia di G. Il sangue umano, come ciascun sa, sempre alto, e sempre allo stesso modo co stanțe mantiene il calore. Ippocrate pien di maraviglia l'attribuì a cagione sovrana turale e divina. G. all'opposto eb be il calore, come cosa ingenita e conna turale al sangue medesimo. In cid a lui s'accostarono ne' tempi d'appresso Aristotile, Galeno, e tanti altri, Ma egli fu il primo, che a formare un sistema, trasse dal calore del sangue, come da prima ca gione, una spiegazione non già vera, ma certo artificiosa, delle funzioni della vita. Le regolate, pulsazioni delle arterie a véano gia indicato al nostro filosofo, che il muove nelle vene. Ma igno ta era a lui ', come ignota fu all'antichi tà,, la circolazione del sangue. Però in ve ce di questa suppose egli in quel fluido un movimento d'oscillazione. Il sangue, ei dicea, occupa parte, e non tutta la ca vità delle vene, e in queste va quello giul $ u continuatamente oscillando. La for: che lo stesso agita, era secondo lui il sangue si za calore:. e questo essendo ingenito al san. gue costante ne mantiene e l'oscillazione e il moto. A tal movimento legò il nostro filoso fo la respirazione, altra operazion della vi ta. Quando il sangue, ei dicea, va giù verso il fondo de' vasi, l'aria tosto s ' insi nua ne' sottili prominenti meati delle vene, ed entrando occupa quel vano, che nell' andare si lascia in queste da quello. Ne perciò egli aggiungea l' aria quivị restarsi: perchè il sangue, secondo G., spin to dal calore, e su tornando, preme dolce mente quella, e fuori la caccia col suo ri tornare. Accade, seguiva egli a dire, ciò che nella clessidra si osserva. Ivi l' aria respinge l'acqua, o da questa quella è re spinta. Non altrimenti nella respirazione l' aria esce o entra secondo che il sangue si porta o giù o su nelle vene. Però all'an dare o venire del sangue risponde alter nando il venire o andare dell'aria. Ques sta forma, entrando, l ' inspirazione; ilscendo 'l' espirazione e nell’unal e nell' altra è riposto giusta il suo sistema il respirare d'ognuno. L'aria, che nella respirazione esce ed entra nelle vene toglie al sangue a giu dizio di G.  una porzion di calore. Ciò indusse gli antichi medici, che abbrac ciarono tal sua opinjone, a curar coll'aria fresca e matutina i ' morbi d'eccesivo 'calo re. Il respirar dunque cagionava secondo il nostro filosofo diminuzion di calore. Da ciò anch'egli iuferiva la necessità, che strin. ge gli animali a dormire. Il sonno in fat ti egli diceva; null' altro essere, che dimi nuzion di calore. In quella parte quindi di fisiologia di G. che riguarda le funzioni vitali, il sonno vien dal respirare, e questo dall' oscillazione del sangue. Sicchè sonno, spirazion, movimento di sangue tra lor son connessi, e tutti quanti a un tempo dal calore provengono. Nel calore in somma e' pose la cagione di vita e di moto. La morte, egli dicea, è privazion di calore però riguardava sonno come.egli il principio di morte. Giacchè questa, a suo credere, è privazione, e quello diminu zion di calore. Tali principj di medicina, ch'eran teorici, guidavano lui eziandio nel la pratica. A quel piccol' calore., da noi già osservato, che ritenea la donna Gergentina – GERGENTI, NON GIRGENTI -- caduta in asfissia conosce G., ch'ella era ancor capace dell' aiuto della medicina. Tanto egli è vero, che la sua pratica era alla sua teorica con corde, e questa per l'andamento naturale del suo spirito era legata tutta e formava un sistema. Ecco in qual povero stato erano allo ra l' anatomia, e la fisiologia, la fisica in breve del corpo umano. Nuda era questa di fatti, e piena d'errori, e d'ipotesi. Ma tale è la condizione delle fisiche discipline: Nascono esse imbecilli, a stento s'accresco no, e vanno non di rado alla verità per la via degli errori. A chi allor poteva vee nire in mente, che l'aria nel respirare' in luogo di toglier calore, ñe porga al sanana? gue e ne porga gran copia? Come potea G. anticipar specolando in que di tante yerità, che suppongono la cognizion di tante altre, e d'un immenso numero di fatti, che allora ignoravansi? Segnd e gli quindi, non v'ha alcun dubbio, po che e imperfette linee di chimica, d' tomia; di fisiologia del corpo umano. Ma tali schizzi, avvegnachè informi, ma co me primi, e originali, son titoli degnissimi di sua gloria, e gli concedono un sublime posto d'onore nella storia delle scienze. Appartiene a nobilissimi ingegni (i quali sono ben pochi ), di mostrare almen da lon tano quelle scienze, ch'al dir di Bacone son da supplirsi, e che del tutto s'igno rano. G. fece ancor di più. Dino to egli la chiniica del corpo umano, analiz zando gli ossi e la carne; accennò l'ana tomia discoprendo la chiocciola; indicò la fisiologia legando al calore, come a un sol fatto, le principali funzioni della vita. Su periore e' quindi al suo secolo non avrebbe certamente lasciato ad altri la gloria d' accrescere queste utili scienze. Ma nol poté, come chi privo fu di stromenti, e di tut. ti que' mezzi non solo opportuni ma ancor necessari a ridurre in effetto i nuovi e và. sti disegni, che a ora a ora a lui sugge riva il suo genio, Ma se non ebbe Empe docle la fortuna di accrescerlo tutte, ebbe quella di stabilir meglio la fisiologia e get tare lui il primo le basi di quell' altra parto d' essa, che riguarda i sensi dell' uomo, Andavano i Corpuscolisti indagando pra d'ogn'altro nella lor fisiologia come i nostri organi avessero potuto sentir gli oga getti che, son fuori di noi. Credevan co storo tutti i corpi venire in ogn’ istante in alterazione, cangiare, ed esalare particel le sottili, e invisibili. Eran queste, sécon do loro, trasportate dall'aria, dall' acqua, dal fuoco su nostri organi, e ivi adatta te eccitavan le sensazioni di que'corpi, da quali esse spiccavansi. Piacque quindi a costoro le sensazioni null' altro essere, che impressioni eccitate negli organi da particel m go le, che si parton dagli oggetti, di cui quel le son, come quasi le immagini. G. intanto non dissenti mica da loro. Ma il suo spirito, come quello che non erane certo, non se ne mostrava del tutto convinto. Messosi costui quindi a esaminare i sensi a uno a uno, adatto a ciascun di loro la sua propia e particolare spiegazione. Fece egli così un'analisi de' sensi e sensazioni più profonda, che sin ' al lora non s'era punto fatta d'alcuno. Ma quel ch'è più aperto egli dimostrò non es ser lui punto ne' suoi pensamenti nè se. guace, nè schiavo delle comuni e dominan ti opinioni. Giacchè egli nel chiarir questo o quel senso ora abbandona i corpuscoli, or recali innanzi, o ora aggiunge agli stes si qualche nuovo argomento. Trattando G. dell' odorato, e del gusto non altro mette in opera, ch'e salazioni, e corpuscoli. Questi, agli dice, trasportati dall'aria s ' acconciano a ' pori del naso, e muovono il sentir dell' odorato. I cani, ei soggiunge, cosi e non altrimenti indagan futando l'orme della fiera, Che se il catarro, dice egli di più, irrigidisce le narici; allora i pori di questo tosto s ' alterano, si respira a stento, e l'odor non si sente. Tratta egli appresso dell'udito, e la sciati e pori, e corpuscoli, piglia dall'ana tomia il suo nuovo argomento. L'udito, ei dice, nasce dalla battitura dell' aria nel la parte dell'orecchia, la quale a guisa di chiocciola è torta in giro, stando essa so spesa dentro, e come un sonaglio percossa. L'anatomia, ch'era allor grossolana piccol conforto a lui porse nel dichiarare la vista. Conobbe G. un de' tre umori, ch'è l' aqueo, e qualche membra na, senza più, di quelle, che coprono il globo visivo. Però sfornito dell' ajuto dell' anatomia era egli dubbio e incerto. G. nondimeno giunse a comprendere dover la luce avere gran parte nella visio ne degli occhi. Ma come, e perchè, per quanto si fosse ei travagliato, nol potè af fatto conoscere. Suppone il nostro filosofo entro dell' occhio, non che, acqua, ma luce, che chia ma fuoco nativo. L'una, e l'altra a suo credere, ivi stanno in tal quantità, che per lo più sono ineguali. Così egli distingue gli occhi azzurri da' neri. Iprimi egli af ferma abbondar di fuoco, scarseggiare d ' acqua; là dove i secondi esser poveri di fuoco s ricchissimi d’aequa. Però ei soggiunge gli uni mal veggon di notte per difetto di acqua; e gli altri veggon male di giorno per iscarsezza di fuoco. Ma sía o poca, ó molta la luce che stanzia nell'occhio, ei la riguarda qual lu me dentro una lanterna. Lo splendore del lume, ei dice., fuori della lanterna si span de, e nella notte ci guida. Così i raggi di luce fuori dell' occhio si spargono,.e ci di mostran gli oggetti. G. talora aga giunge a raggi della luce i corpuscoli. I raggi secondo lui, che dall'occhio si lancia no, prima s' imbattono nelle particelle, che si spiccan da corpi. Poi raggi e corpusco li si congiungono giusta il medesimo: e insiene congiunti si portano all'occhio, e muovono il senso visivo. Aristotile disapprova tali pensamenti di G.  La visione degli ocohi, egli dice, è da riſerirsi solamente all'acqua, e niente al fuoco. Nella storia dello spirito umano accade sovente, che un er rore un altro ne " caccia, e ' l falso al falso di mano in mano succeda. Aristotile oltrº a ciò rimprovera il nostro filosofo, che dub. bio egli e incerto abbia, fatto cagion del vedere ora i raggi uniti a' corpuscoli, e.o ra i soli corpuscoli. Ma in ciò sem bra Aristotile a torto riprendere G. . Non sapea persuadersi il nostro Gergenttino – GERGENTI, non GIRGENTI --, che totalmente passiva fosse la se de del senso visivo. Non potea egli inol tre comprendere, che niuna parte avesse la luce nel gran magistero del nostro vedere. Incerto restò quindi di se, di sue idee, e delle spiegazioni volgari; ma tale incertez. za o quanto onore a lui reca ! Dubitar del le opinioni, che son false, e in voga, è il primo ma più difficil passo, che si può fare verso del vero. La fisiologia, che va a di nostri spa ziando per tutte le scienze, comunica ezian. dio colla metafisica e colla morale. Quest' unione, ch'è il frutto naturale dell'avan zamento delle scienze, fu dirò così presen tita dal nostro Gergentino – GERGENTI, NON GIRGENTI. E di fatto sul la sodissima base della fisiologia cercò egli stabilire si l'una, che l' altra. Da che Pittagora, e Parmenide di VELIA ab bandonarono i priini la testimonianza de' sensi, come ingannevole, i Greci tenzona chi contro la ragione, chi contro i sensi. Questi, è quella vennero quindi in discredito: 6 sorsero intanto i sofisti, e gli scettici. Socrate, Ippocrate', e altri di si mil sorte tentaron conciliar la ragione co ' sensi. Ma vani furono i loro sforzi. Duro la gran lite durante la Greca filosofia. La stessa rinacque al rinascer tra noi delle scienze. Di nuovo si pugnò allor quando contro i sensi, quando contro la ragione; e di nuovo si giunse allo scetticismo. Ma nggi simili dispute sono già state bandite da noi; e si terran lontane, finchè lo studio rono, 95 delle fisiche, e delle Matematiche avrà in Europa stato, e onore. Ne' tempi di G. la scuola di VELIA orgogliosa facea ogni sforzo ad atter rare i sensi, e a inalzar la ragione. Cid ch'è, dicevan gli Eleatici, è unico, eter no, immutabile. E come i sensi ci mostra no il multiplo, il mortale, il mutabile; co sì essi c' ingannano. Però conchiudean co storo la ragione poter sola conoscere cid, che è, ed essa solamente decidere della realtà delle cose. Contro i medesimi entrarono in lizza i corpuscolisti. Questi disdegnando lo sotti. gliezze di quella scuola, fisici com'erano, difesero i sensi, senza annullar la ragione. Anagsagora con sottile avvedimento distinse le particelle simili da ' loro composti; Democrito gli atomi da' loro aggregati: ed Enia pedocle gli elementi dalle lor combinazioni. Particelle simili, atomi, elementi, dicean costoro, sono eterni, immutabili. Non son tali le combinazioni, gli aggregati, i com posti, che mancano, e cangiano. Questi si conoscon da’sēnsi, quelli dalla ragione. Eglino quindi tolsero ogni contrasto tra' sen si, e ragione: assegnando a questa, e a quelli due provincie del tutto separate, e distinte. I corpi, come composti, operano a senno di G., e di Democrito su i nostri organi, che sono del pari composti. Eccitano quelli le nostre sensazioni; ma queste a parer d' entrambi non son tali, che i corpi, La'scuola di Jonia avea tal mente confuso le sensazioni cogli oggetti, che scambiava questi con quelle, e tenea le" une, non altrimenti, che immagini fe delissime degli altri. Non così pensarono i Corpuscolisti. Questi separarono, dirò co si, le sensazioni dagli oggetti, che le ca gionano; è muovono, ed ebbero quelle, come soli, e semplici modi, quali di fatto sono, del nostro sentire. Il bianco o il ne ro, il caldo o il freddo, l'amaro o il dol ce esistono, diceano essi, ne' nostri organi, nelle nostre sensazioni, e non già negli ogo getti. Costoro quindi solean chiamare co 1 97 1. eglia gnizioni, di apparenza, e di opinione, e non gia di verità, e di realtà quelle, che si traggon da' sensi. Ma non perciò crede G., co me alcuni vogliono, le nostre sensazioni es sere immaginarie. Cangiano queste, vero, secondo che a lui piaeque, come can gia lo stato de' corpi, o come s’ înmuta la disposizione degli organi. Ma vero, e reale è altresì il sentimento, che si desta da' cor pi. Tal' è della sua dottrina, al pari di quella di Newton intorno a colori. Vege giamo ne' corpi o rosso, o giallo. Ma ne i raggi di luce, che percuoton l'occhio, sono o rossi o gialli; ne' rossi ne' gialli so no i corpi, che que' raggi colorano. Il ros ò il giallo è in somma nell'occhio, e nell'impressione, che in esso fanno i rag gi di luce: Così a creder di G. le sensazioni sono reali. Ma le medesime non rappresentan mai le qualità, che ne' corpi appariscono; null'altro essendo, che altret tanti modi del nostro sentire, Diversa da quella de sensi, credeano SO, n 98. E 1. i corpuscolisti, esser la via, con cui s'ac quista da noi la conoscenza degli elemen ti, o degli atomi. Questi non si poteano secondo loro, come semplici, conoscer da' sensi, che sono composti. Ogni simile, era antico assioma, non si può conoscere, non col suo simile. Però Democrito e G., tolta a' sensi la cognizione de' sempliei, la riservarono all'anima. Per questo l'anima, giusta Democrito, era for mata d'atomi; e secondo G.  degli elementi, ma uniti alle due forze di amo. re, e di odio. Colla terra, dicea il Ger gentino, veggiamo la terra, r acqua coll' acqua, l ' aria coll' dria, il fuoco col fuo co; e coll' odio e l'amore altresì l' odio, e l'amore. G. portava, dove potea, l'oc chio alla fisica costruzione del corpo uma mo, e dava alle sue opinioni una veduta anatomica. Credetto ei di veder nel cuo. re umano un centro, diciam così, di siste ma; e ivi egli pose la sede dell'anima. Ma come G. in tutto, e sempre e concorde a sestesso, cosi loco quella particolarmente nel sangue, che asperger e bagna il cuore dell' uomo. Perchè ripostosi da lui il principio e di moto, e di vita nel calore del sangue, li ancor e gli dovea ripor l’anima; Era questa dota ta, a suo credere, di sentimento al pari de' sensi. Ma ambidue ricevevano le loro impressioni: l'anima dagli elementi i sen si dalle combinazioni. L' una acquistava la cognizione delle cose eterne, e immutabili, e gli altri la notizia delle mortali, e mu tabili. I corpi esterni in somma oporavan sulla macchina dell' uomo in due modi di versi: come elementi sull'anima, come com binazioni su i sensi: e quella & questi e ran passivi. Nacque da ciò, che Protagora, lo scoo ' lar di Democrito, portð opinione: l'intel letto altro non esser che la facoltà di sen è nelle sensazioni stare ogni cogni zione, e scienza: Per questo Crizia, qua si accostandosi al nostro filosofo, affermo, pensare esser lo stesso che il sentire tire, e 1 ni 2.' 100 anima stanziarsi nel sangue. Ma G. non si fermè quì al par di costoro: passò molto innanzi. A parte dell' anima, che conosce gli elementi, un altra ne sup pose egli entro noi, che è destinata a ver sarsi nella contemplazion delle cose intellet. tuali e divine. Iddio secondo lui, non è una combi nazione a guisa de corpi; ne un unità ma teriale cone son gli elementi. Dio, egli dice, non ha forma nè membra umane; non si può veder cogli occhi, nè toccar col. le mani. Iddio è santa mente, Costui non si può render colle parole, e muove l'uni verso co' suoi veloci pensieri. Iddio in sostan za per lus è mente, e la sua vita è il pensare. Così il nostro filosofo abbandona va la compagnia di Domocrito, e le cose materiali: per tornare alla SETTA DI CROTONE, e alle cose, intellettuali. ins. L'anima dunque, destinata da G. a conoscer cose spirituali, e divine, dovea essere, e fu per lui altresì senza dubbio spirituale, e divina. Questa procede, secondo che dicevano Empedocle, e i Pittagorici, da Dio, ed era particella del la sostanza divina. Se ne appresentavano essi la ġenerazione sotto varie immagini: or di fiaccola, che tante altre ne accende; or d'idea che tante altre no genera; or di parola, che trasmette à chi ascolta, la ragion di chi parla: o di cose simili, che sarebbe lungo il ridirle: Però paghi que' filosofi di esse agevolmente popolarono il mondo d' innumerabili spiriti, che tutti e. ran partecipi della natura divina. Di questa classe prese dirò così il nos,. stro filosofo le anime spirituali. Le due a: nime, quindi annesse da lui nel corpo dell' uomo forman la primaria base di sua me tafisica dottriną. Una egli sostenne essero immateriale, materiale l' altra, ' quella ese sere immortale ed eterna, e questa mori re insieme col corpo: la primą versarsi in contemplazion di cose intellettuali, e astrat te; e la seconda in cognizione di elemen ti, e di due forze odio, e amore.. Ma non mancherà çerto, cui si fatta 102 opinion di dire anime in ciascun corpo di o gn' uomo semibri del tutto strana, e inde gna della gravità d'un filosofo: Ma chi al tresì avea ' manifestato allora, é chi fin' og. gi ci ha detto cose più vere, o più sapien. ti sull' union dell'anima col corpo, e sul reciproco loro influsso, e commercio? Chi presi di boria, annullato lo spirito, tutto riducono a macchina. Protagora volea, che giudicare, e ragionare fosse la stessa facol. tà del sentire. Ma questa è un'empietà; una mattezza. Tal la dimostrano l' unità del pensiero, e l'attività del ragionare dell' uomo. Taglián costoro, come suol dirsi, non isciolgono il nodo. Chi presi d' entusias mo, annullato dirò così il sistema organi co, tutto l' uomo riducono a spirito. Stahl volea, che l'anima sola operava tutte quan te le funzioni del corpo. Ma questa è u• na falsità, e una follia. Talla dimostra: no i movimenti involontarj, e organici. Voglion costoro, como suol dirsi, occultare il sol colla rete. Chi poco più 'ragionevoli, pigliata una via di mozzo, vollero.combinare ambidue le forze dell'anima, e del corpo. Leibnitz volea un'armonia prestabi lita, cui mercè lo spirito segua ne' pensie ri, voleri i moti del corpo, cui quegli è congiunto: Ma questa è una ciancia, è una fola più complicata della cosa stessa, che si vuole spiegare.. Lo spirito umano in somma ha immaginato tante ipotesi su ciò, tanto più, o meno bizzarre, quanto più o meno son le. teste scaldate di tutti filosofi. Nè vi è inoltre mai stata ipotesi, che tosto non sia stata accolta, e non ab hia avuto assai partigiani: tanto vale quel la specie di prestigio, che la novità ope ra sull’intendimento dell'uomo ! Qual ma raviglia dunque, ch’ Empedocle abbia sup posto in ogni corpo due anime? Non fu egli certo nè tanto delirante, quanto Protagora, tutto macchina; nè tanto immaginario quanto Ştahl, tutto spirito; nè cost fantastico qual Leibnitz tutto armonia pri initiva. Dichiarò egli a. rincontro della falsa dottrina di Protagora, che le idee spirituali non procedono dal sentire. Svi 104 luppò anzi tempo contro Stahl le funzioni de' nostri organi, e quelle della vita con fisiologiche ipotesi non di rado fondate sull' anatomia.. Prevenne G. alla fine l' erroneo sisteina di Leibnitz, e i sensi, dis se, e le sensazioni esser capaci di eccitar nell'anima la ricordanza di ciò, che prinia el!a sa, e poscia., atteso il contatto colla materia, la stessa del tutto dimentica. Non è quindi G. colla ipotesi delle due anime o men ragionevole, o più strano di tutti i filosofanti, che sono stati finora. E ' da confessare che il problema intorno alla reciproca azion dell'anima sul corpo forse appartenga alla classe di quelli, che vincono qualunque intendimento dell' uo-. mo. Però non si sono recate da noi, ne' si recheran per lo innanzi, che ipotesi, e sogni, che il tempo, il quale suol confer mare i soli, e veri giudizi della natura andrà a mano a mano struggendo. Non è già, che queste due anime', che noi leggiamo presso molti degli antichi, e sopra ogn'altro' de' Pittagorici, sieno dana, prendersi secondo la lettera. Intendean co storo distinguere il sensibile e l'intellettuale: due maniere di facoltà, che sono entro l' uomo. Ma adombrarono essi, come ' era u sanza d'allora, sotto vive impagini quelle facoltà, o, diciam cosi, fecero le medesime divenire persona. G. di fatto secon do la testimonianza di Sesto Empirico d ' ambidue quelle facoltà compose la sola ragione. Questa, egli dice; è in parte uma in parte divina, e porta il nome di retta ragione. Perchè questa corrego ge gli errori de'sensi, e può sola discer nere il vero dal falso. Tanto egli è vero che le due anime di G., non rape presentavano, che la facoltà sensibile e la facoltà intellettuale, e ambidue faceano u. na cosa sola. Chi potrà or tolerare G. cole locato tra la classe de' filosofi scettici. Egli non mai affermd essere inutile, o va« na la testimonianza de' sensi. Apzi i sensi, egli disse, mostrarci i rapporti, che han. no i corpi, e tra loro, e coll' individuo d'ognuno. I sensi, egli disse del pari, sve. gliare nelle intellettuali facoltà le idee spi rituali, e, astratte. Al più al più diffida va Empedocle de' giudizi de' sensi, che so vente sogliono esser fallaci, o ingannevoli. Però egli volle, che i medesimi fossero sta. ti guidati unicamente dalla retta ragione. Questa potea solo a sentimento di lui discer nére il falso dal vero. Forse, dicea ai suoi tempi Cicerone parlando di G., costui ci acceca, e ci priva de' sensi; allor quan do egli crede, che non fosse in essi gran forza per giudicar di cose, che sieno sot toposte agli stessi? Par, egli è vero, Empedocle degli e lementi trattando, quali esseri semplici, ga gliardamente scatenarsi contro de'sensi. Par lui scatenarsi altresi contro gli stessi, allor ehé, dirizzandosi al suo amico Pausania, e con lui trattando dell'amore e dell' odio, ambidue forze immutabili, gli avverte a non fidarsi.de' sensi, e a guardar le cose non già cogli occhi del corpo, ma con que' della mente. Pare eziandio finalmente, giue sta cid, che., CICERONE ine dice, lui andare in furia, contro i medesimi gridando: niuna cosa poter noi nè veder, nè sentir, ne.co noscere (85 ): Ma altri, che questi 'argomenti ci vo gliono a definire come scettico il nostro fi losofo. Chi è intento a esperienze e ad a nalisi; chi cerca con somina cura de' fat ti; chi da questi tenta d'investigare l'ope razioni della natura sotto la guida dell' a nalogia: certamente non sa, nè può esse re scettico. I fisici potranno non prender cura di cose spirituali, e astratte; ma non mai l'esistenza negar di que' corpi, le cui propietà con ardore cercano, e la cui in dole con diligenza studiano. L' espres sioni quindi di quelle parole, non v'è dubbio ' dover valutarsi secondo e il pen sare, e il parlare di quella stagione. Si chiamava allora pero, e ciò che è; quel ch' è eterno, e immutabile, o sia quello, che sotto i sensi non cade: Però Empedo cle a ragione parlando di elementi, e di farze, come quelli, che sono eterni e im 0 2. 108 1 mutabili, rigettd affatto i sensi: @ niuna cosa noi, disse, mercè loro potere o ve dere, o sentire, o conoscere. Fra tanto, chi il crederebbe? che nel volersi definire il carattere, o la dottrina d'uno stesso soggetto, si passi anche da' gran filosofi da uno all' altro estremo del tutto contrario. Anche i grandi uomini tal. volta precipitano i loro giudizi, e nel pre: cipitarli ·traveggono. E' cosa da farci stor: dire il sapere, che la dove alcuni filosofi dichiaravano scettico G.; altri all! opposto avessero lui materialista definito, Aristotile, e altri con lui tacciano di materialismo il nostro Gergentino – GERGENTI, non GIRGENTI. Nel siste ma di G. il pensare, dico Aristotile, lo stesso val che il sentire; ogni nostra cogaizione viene dalle sensazioni: e con que: ste quella s' accresce. Ma questo stesso è altresì una calunnia. Passivi sono, 4. senno di G., i nostri sepsi; pas siva è parimenté una di quelle due ani me, ch'egli suppone materiale entro noi. Pero la nostra scienza, disse egli, accrescersi colle nostre sensazioni. Ma dall' una anima e dall'altra, dalle facoltà cioè sen. sibile, e intellettuale, si forma, come a lui piacque, quella ragiono, che noi già abbiamo osservato. Questa, secondo 'lui, pesa, compara, giudica: in breve ragiona. Due sono i principj, giusta gli avanzi di sua filosofia, cui mercè la ragione rettifica i giudizi de' sensi. Primo: il nulla viene unicamente dal nulla. Secondo: il simile si può solamente conoscer col simile. La ragione quindi secondo lui, riferisce le sens sazioni a tali, e ad altri principj (se pur altri ne avesse ammesso costui ), o coll' ajuto di questi quella ci mostra il roro. @ il falso. Poteva, cio posto, tal essere lui, qual co lo dipinge Aristotile, un materia. lista? Chi ammette principi di conoscere; di giudicare, assoluti, non ricavati da' sen. si, eterni, immutabili non può affatto cre dere, che il pensare lo stesso sia che il sentire, nè punto può essere imputato co stui di materialismo. Non v'è uomo, quanto si voglia grana. de, che non abbia i suoi nei; e anche i gran genj sono soggetti sovente a censure. Si dice di G. in metafisica non essere stato lui originale. Convien forse ora smen tire tal voce? Nulla meno. Si bisogna esse re ingenuo; nè l'amor di colui, ehe si loda dee sì impaniarci, che ci debba far supera: re l'amore del.vero. Si confessi pure G., al par de' corpuscolisti, in metafi sica non essere stato mai originale. G. qnal allievo de' pitta gorici, e degli e leatici non seppe abbandonar punto le idee da lui apprese in ambidue quelle scuole. La stessa venerazione egli ritenne, che ave van costoro verso i principj astratti, Si diparti egli sol da' medesimi (e co si avvicinossi alle scuole contrarie ' ) nel non aver lui rigettato del tutto la testimonian za de sensi. Egli in que' dì si sforzo di sedare colla sua nuova dottrina l'accesa pu gna di que', che litigavano chi contro del, la ragione, chi contro de' sensi. Combind egli, e mirabilmente congiunse i sensi cola la ragione, a questa, e a quelli assegno 111 - uffizj, e diritti separati e distinti: e sen za nulla scemare dalla realtà di nostre sen sazioni, gran forza, e autorità diede a prin. cipj generali; e astratti: Tutti i corpusco listi furono in quella stagione eziandio, chi più, chi meno concordi al nostro filosofo; e tutti egualmente in metafica tennero le parti di conciliatori tra i due partiti allor dominanti. Tal'è la natura dello spirito u mano. Fatica egli senza stancarsi, e riflet te anche sino al cavillo, quando è sospin to dall'ardor del partito, e dall' amor del sistema ! Ma poi stanco ei di meditare, o pugnare, cerca la quiete, e 'l riposo; e componendo insieme le opinioni contrarie si lusinga d'aver trovato gia il vero. Avven ne allora in somma ciò, che la storia filo sofica ci presenta a ogni passo. Sempre dall'urto. di due opposti sistemi n' è il ter zo spuntato, che li ha conciliato, giunto. Anzi quando molti in contrasto so no i sistemi; allora è appunto, che sorgon gli ecclettici, che scegliendo opinioni, or da un partigiano, orda un altro, tutti con accozzano i partiti tra loro, e li riducono & uno. Sarebbe tempo ora mai di volgerci dalla metafisica alla morale di G.. Ma portatesi assai più avanti da lui le sue ricerche, e le sue vedute sull'anima, di storna noi pure per ora d'imprender tal via. La fisica (abbiam noi osservato espo nendo la dottrina di G.), essere stata quella scienza, in cui ei sopra ognº altro si distinse, e cui mercè alto ha so nato, e sonerà eternamente il nome di lui. Mà nello studio della natura quello, che più l'allettava, e cui principalmente egli intendeva, era la contemplazione de' corpi organizzati. Riferi egli da prima (sic. come abbiam noi pure os servato ), gli a. nimali a ' vegetabili, e da questi portando le sue specolazioni sull' uomo giunse sino alla metafisica. Dall' uomo poi tornò G. ad ambidue quegli oggetti quasi al le sue considerazioni primjere,e domesti che · Ando egli indagando, se i vegetabili fossero stati provveduti di gentimento, e se gli animali e vegetabili fossero stati tutti due al par dell'uomo forniti di anima. Si fatta investigazione non fu punto difficile al nostro filosofo, come chi piglia va l'analogia per sua guida. I corpi non organizzati, egli dicea, nulla hañ di comu ne co' vegetabili; perd se quelli son privi di senso, questi all'incontro nę debbono esser partecipi. I vegetabili all'opposto, ei sogglungea, molto aver di comune cogli a nimali. Ambidue han tra loro comu. ni le primarie funzioni vitali: son dotati di sesso, si nutriscono, crescono, traspira ban gioventù, han yeochiezza, han no indozzamenti, malattie, sanità, nasco no, muojono. Però se gli animali son for niti di sentimento, anche i vegetabili in ciò debbono essere a quelli compagni. Fu quindi sua opinione essere gli alberi, 6 le piante capaci di tristezza, di gaudio, di voluttà, di dolore, di desiderio, di sde gno; e di ogn'altro animalesco appetito. Anzi spingendo egli più oltre la forza di sua analogia, posti eguali i fisici rapporti > P 114 1 tra l'uomo, e gli animali, e tra questi e i vegetabili, fu di parere, che l' avere un'anima materiale non fosse un privilegio sol conceduto all' umana natura, ma comu ne eziandio a tutti quanti i corpi organiz zati. Anima quindi, e sentimento egli die de, non che agli animali; ma anima e sentimento altresì a ' vegetabili, e a ogni sorte d'erbe, e di piante. ANIMA e sentimento da G. a’ vegetabili ! fiori che si rattristano; erbe che si adirano; pianto, che ' o si rallegra no o piangono ! Quanti, non che qual fan. tastico piglieranno il nostro filosofo, ma ne rideranno ancora al sentirlo? Ma non rideranno certo, chi più sag. gi e più istrutti, non ignorano punto, che anche i Democriti, gli Anassagori, i Pla toni abbracciaron si fatta sentenza (90 ). La quale non è già, che faccia a lui ono re, perchè, abbia in cið avuto e compagni, e seguaci così solenni filosofi. Ciò sarebbe un argomento d'autorità, che nulla, o po co conchiuderebbe in suo pro: perchè filo-, 115 sofi ' ancor di gran nome stan sottoposti a errori grossolani, e massicci. E' che la co sa non è in se stessa sì strana; come a pri ma vista apparisce. L'anima materiale da que' gran filosofi negli animali, e vegetabi li ammesza, in sostanza altro non era, che la fisica sensibilità de' moderni. Questa vole van costoro, che fosse ne' vegetabili tal qua le tra gli animali si trova: In virtù di que sta ', credevan gli stessi, i vegetabili al par degli animali ésser capaci d'amore, odio, e d'ogn' altro animalesco appetito. Empe docle in breve, e que gran filosofi ebbero e uomini, e bruti, e vegetabili come do tati di senso, e la fisica lor sensibilità chia marono anima. Chi adesso potrà dirittaa mente riprendere G.? Di poi non vi sono a di nostri de ' fi siologisti famosi, che nelle piante trovano senso d' umido, di secco, di caldo, di fred do, di luce, di tenebre; perchè non po che di quelle chiudono o aprono i loro pe tali atteso il freddo o il caldo, il secco o l' umido, il lune o lo scuro? Non vi soa P 2 116 no del pari quelli, che veggon nelle pian. te, chi il senso del tatto, come nella sen sitiva; chi quel dell' amore, come nella valisneria, chi una specie di gusto nell'e. stremità d'ogni radice, cui mercè questa sceglio, e trae quella nutrizione, che si con. viene a ciascuna? Non son finalmente o Darwin e le Metherie, che van cercando, é credono d'aver già trovato ne' vegetabili e senso, o sensorio? Qual assurdo egli è dunque, se G., che ne' suoi con cetti abbracciava tutta la natura, abbia u. nito insieme tutti i corpi organizzati per via della fisica sensibilità, che credea essere a quelli comtine? La natura, non v'è dub bio, aver distinto, e separato il vegetabile dall' anirnale con differenze, e caratteri ben contrassegnati, e rivissimi. Ma l' estendere la sensibilità dagli animali sino alle piante è una idea grande, bella, e degna di un sommo filosofo. Non v'è, chi a prima vi sta non ne debba restar preso, e non bra mi trovar vera quella, che vera sin ora non è. Ma comunque ciò sia, una cosa ' solit è verissima, G. aver riguardato i corpi organici in un aspetto diverso di quel, che fece Pittagora, o i filosofi prima di lui. Costoro non ebbero nè pure in pen siero di considerar le piante, di bruti, come dotati di sentimento, e di anima, G. fu il primo, almen tra pittagori ci, a pensare in tal modo. Egli fu, cho ebbe e uomini, e bruti, e piante, quali esseri congiunti tra loro dalla sensibilità, come quasi comune strettissimo vincolo, o che suppose in tutti un' anima materiala egualmente. Però egli fu anche il primo, che strinse l'uomo colle piante, o co ' brus ti ad alquanti sognati doveri, che nasco Ro da quella ideata parentela, con cui e gli legò quello con questi. Ecco ora come chiaro si vede su qual base vada a poggiar la morale di G.. Sulla fisica fondo ei la sua, metafisia ca, e su quella fondd egli ancora gran parte di quest'altra scienza. Con si fatte vedute costui pubblico due gran poemi sul. Ii8 la natura il primo, e gulle purgazioni il secondo. In questo G.  stabilì la sua etiça; in quello la fisica: ma fece precede re il primo al secondo, come argomento pri mario della sua raffinata morale. La morale d'Empedocle fu in verità nel suo fondo la stessa di Pittagora. Pu re lni citano gli antichi scrittori, come chi. avesse alterato la prima antica dottrina di quel sommo filosofo, e i tempi di lui ad ditano come la seconda epoca del pittago ricisino. Ma ciò avvenne, perchè G., aggiustata la morale di Pittagora a suo modo, e conforme al suo fisico pensa rė gi scostò al quanto dagl' insegnamenti di lui. La colpa degli spiriti; una diversa maniera di metémpsicosi: l'astinenza di qualche sorta di cibo, furono in tutto le gran novità, ch'egli introdusse nel corpo della morale di quello. Tra queste come principale, e primaria è da reputarsi l'o pinion della colpa degli spiriti. Non d ' al tra fonte, che da questa, qual prima ca. il.119 gione, il nostro filosofo fece dipendere la metempsicosi e le purificazioni, che sono i due çardini della morale pittagorica. Fu opinione di G., che varj spiriti, mentre menavano yita beata, avesser pec: cato. Però a cagion di delitto, si credet te da lui, quelli, scacciati dal cielo, e pri vi degli onori divini, essere stati così astret ti ad espiare i lor falli. Esuli, erranti, ra minghi, egli diceva, vanno lungi dal cie lo per trenta mila anni, e pagan vagando il fio meritato del propio loro delitto. L' etere quindi, e' soggiungea, precipita gli spiriti nel mare, il mare sulla terra gli sbalza, la terra gli sospinge nell'aria, l ' aria sino all' etere gl' inalza. A quelli sų giù sospinti perciò, e quà e la circolando risospinti, oyunque era d'uopo in mare, in aria, in terra vivere in miseria e in lutto. Tali spiriti, secondo che piacque a costui, andavan successivamente informan do varj corpi, e questi appunto erano le infelici anime degli uomini. Queste quindi stavano in pena delle lor colpe racchius e ne' corpi; i corpi eran le prigioni delle ani me, e la matempsicosi, di cui Empedocle formo il primo cardine di sua morale, giu ata il parer del medesimo, era una pena delle stesse, ch'aveano prima fallato. Di si fatta reità delle anime che ragion fa della metempsicosi, non si trova vestigio alcuno presso que' filosofi, che furono in nanti di G.. Questa per la prima volta si legge ne' versi di lui. Ai suoi tem pi fu, che la medesima divenne comune, o volgare: e Platono dopo fu quello, che l' abbelli sopra ogn' altro. Pero da G. comincia una nuova età del pittago ricismo; perchè da lui comincia l'opinione della fallenza delle anime, qual base e ra gione della trasmigrazion delle stesse. Egli è vero, la metempsicosi, comu ne a pittagorici, essere stata antichissima presso gli Egizi. Non si dubita ne anche aver costoro diviso in più periodi il tempo della trasmigrazion dalle anime, assegnato a ciascuno la durata di tre mila 121 anni. In ogni periodo, credeano i medesi mi ogni anima, informato prima solamen te il corpo di un uomo, andar poi tratto tratto passando non più ne' corpi d' altri uomini, ma di qualunque animale,. che abita o l' aria, o il mare, o la terra. E' vero altresì tal dottrina essere stata dall' Egitto portata da Pittagora presso de' Gre ci. Non si dubita nè pure i Greci filosofi coll' andar del tempo averla molto alterata. Altri restrinsero la metempsicosi ai soli corpi umani, altri pari agli Egizj ľ1°. estesero dagli uomini ai bruti. Vi fu pa. rimente, chi disse que periodi esseri tre, chi dieci, chi nove. Nè mancavan di quei, che ridussėro la durata d'ogni periodo da tre mila a soli mille anni. G. fra tanto afferind il nume ro di que' periodi esser dieci, e la durata di ciascuno di tre mila anni. Ma l ' anime secondo lui migravano in ognuno di que' periodi in ogni sola volta nel corpo d'un uomo, e in tutto il resto a ' finire il cir colo di ciascun degli stessi, andavano mion che ne' bruti, ma eziandio nelle piante. Sono fanciullo, dice G., sono donzella, augello, albero, pesce. Chi è or, che non vegga esser questa un altra delle alterazioni recate da costui alla metempsi cosi di Pittagora, e degli Egiziani? Questi la voleano solamente negli uomini, o ne' bruti. Empedocle agli uomini, e a ' bruti aggiunse la trasmigrazione ancor nelle pian te. Ma non si creda mica, che tale ag giunta d'Empedocle alla dottrina della me tempsicosi di Pittagora, e degli Egiziani, fosse stata in lui l'opera del capriccio, o del caso. Sarebbe cid indegno di un nuovo, e original filosofo. Chi si risovviene del fisico sistema del primo, conosce che si dovea far certamente quest' alterazione notabile alla metempsicosi del secondo, Gia si sa aver avuto G. le piante, al par degli animali, dotate di sentimento, o d'anima materiale. Ma non così aveano pensato nè Pittagora, nè gli Egiziani. Pero quegli fece passar le anime e dagli uomini, e da bruti alle piante, e questi cre dean, che le anime migrassero dagli uo mini nel corpo solamente de' bruti. Le a mirne in somma in forza del sistema d ' Em. pedocle, dovean circolare informando tutti que' corpi, che in qualunque maniera fos. sero stati organizzati. Ecco le due novità recate dal nostro filosofo alla morale di Pittagora, ma novi tà ben legate tra loro qual cagione ad ef fetto. Alla colpa delle anime aggiunse G. la metempsicosi, come al delitto va compagna la pena. Ma quel ch'è più, a questa e a quella unite insieme andò egli pure legando la demonologia: articolo fon damentale della teologia de' pagani. i Vedea egli quasi ingeniti all' uomo i semi si della virtù, che del vizio. Allor si pensava lo spirito ' tendere naturalmente à cose spirituali ed eterne, e la materia al le materiali e caduche. Credette ei quin di i semi della virtù nascer nell' uomo dall' anima, e gli altri del vizio nascere in lui della materia. Ma l'anima, a suo predere, chiusa nel corpo, restava contamina. ta dalla materia, e. però era sospinta assai più verso il male, che il bene. Oimè, di cea egli, come è misero, come. è infelice il genere umano. A quali guai, a qua li pianti non è ei sottoposto Queste due tendenze dell'uonio al be: ne, e, al mal fare raffigurò G., giu. sta il costume di quell'età, sotto le imma gini di due opposti genj. Due, egli disse, sono i genj, che quali direttori delle azio ni degli uomini, accompagnano ciascun uo « mo in tutto il corso della vita d ' ognuno di loro. Buono è l'uno, l'altro è malva gio. Il primo guida, o conforta lui alla virtù; il secondo spinge e conduce il me desimo al vizio (94). Ma ambidue questi genj non indicavano, che questa stessa dop pia tendenza. Pure tutto il volgo allora venne nel credere, che ciascun uomo dal nascere al morire fosse' stato realmente as. sistito da un genio buono, e da un altro malvagio. Tanto egli è vero, che le im magini, sotto cui adombravano gli antichi filosofi le loro specolazioni, fossero state ca gioni di superstizione, e di errori. L'uomo non solo ha tendenze al be ne e al male, ma è capace altresì d' ope. rar l' uno, o l'altro. Quante virtù, e quanti vizi di fatto ei mette in pratica ! Ma questi stessi ebbe la bizzaria Empedoc cle di designare sotto la figura di genj. Singolari, non cho speciosi furono i nomi, con cui egli distinse i demoni, che rap presentavano i vizi, ' e le sfrenate passioni degli uomini, De nomi di Chtonia, d' He liope, d ' Asafia, di Nemerte, o di parec shi altri ne sjamo debitori a Plutarco. Singolari eziandio, non che speciosi, esser dovettero i nomi, con cui distinse lo stesso l'opposta classe di genj, che rappresenta vano le virtù, e le passioni imbrigliate de gli uomini, Mą il tempo, che rode ogni cosa, non ha fatto quelli pervenir sino a noi. Pure è sfuggita da sifatta ingiuria la nominazione, con cui G. appelle virtù, felice prodotto, delle regolate passioni. I pittagorici furono usi chiamare il mondo spelonca, e G., qual pittagorico, chiamò le virtù, e passioni virtuose ' potestà conducitrici delle anime: quasi giunte nel mondo, come in un an tro. Il popolo, che in ogni cosa vede portenti, e finge de' genj, accolse quasi revelazione venuta dal cielo, la de monologia del nostro filosofo. Gli antichi scrittori, pari al volgo, non compresero nè pure il vero intentimento di lui. Que sti però dipinsero G., come chi avesse popilato l'intero universo di demo nj, e attribuito a virtù de' genj ogni ope razion di natura. Ma questa stessa dottrina de' genj fu il fondamento della magia, e teurgia fa mosa di G.. Questa, in que' tempi cra un metodo di purificar le anime col favore degli Dei benefici, che dovean con dir quelle all'unione con Dio. Gli Dei bendici non eran che virtù astratte deifi. cate da lui: è nella pratica delle sante o pere era riposto tutto il culto di quelli. Credea egli, non poter le anime ritornare agli onori divini, da cui erat cadute, che coll' ajuto di quegli Dei, perchè credeva altreşi non potersi quelle inalzare a Dio, che coll' esercizio delle sante virtù. La teurgia in somma di G. e un retto, e diritto nietodo di purificar le anime colle opere buone. Sembra cosa veramente incredibile che uomini abbandonati al debile filo della pro pia imbecille ragione, e privi di qualunque superior lume di rivelazione divina, avessero potuto architettare un piano di quasi per fetta morale. Non fu gia la metempsicosi quella, che giusta i pittagorici avesse po tuto purificar le anime. Questa non era purificazione e virtù, ma pena dovuta al. delitto. Questa non si poteva in alcuna an corchè menomisssima parte, o abbreviare, o alterare. Esser questa un decreto divis no, essere un santo giuramento si spaccia va a tutti da G.. Ciascun anima avvegnachè virtuosa, e purissima (così és. si pensavano ) non potea unirsi a Dio, se non compiti i periodi, e il tempo tutto di esilin. Le purificazioni altro cardine della morale di G. eran propiamente, secon do tutti i Pittagorici, le sule, che a poco a poco lavavan le anime, e toglievan loro in quel tempo, che informavano i corpi umani, ogni macchia, di cui le medesime potevano essere dalla materia bruttate. Pur gate poi le sozzure, e finiti i periodi tut ti del bando, allora era, che le anime già nette, secondo che allar si credeva, fos sero agli antichi onori tornate, e alla vita divina... I sagri riti poi, lo studio delle scien ze, la pratica della virtù erano i tre mo di di purificazione inventati all' uopo da que' sommi filosofi. Sembra à prima vista o superfluo o inutile essere stato il primo di questi mo di, e tutti gli augusti riti, e quelle ceri-, monie solenni, che si metteano in opera al lor da Teurgici. Ma si poteva scuotere, e infiammare altrimenti l'immaginazione de gli uomini, affinchè questa si fosse resa docile agl' insegnamenti della virtù? L'110 { 129 - mo materiale si solleva dal mondo materia le merce cose eziandio materiali. Le cerimonie, ei riti sono i soli, che colle san. te immagini níuovono i sensi, e astraendo li dalle cose impure alle pure gli inalza no. I riti sono il verace linguaggio de sen si, che efficacemente parlando destano la fantasia. A questa è sol conceduto ' creare tra il mondo materiale l'altro spirituale: Disadatto pure si crederà forse essere stato lo studio delle scienze a purificar le anime. Ma non è egli questo, che aliena lo spirito: dai vizi, che l'introduce alle co se intelligibili; e che sveglia in lui le idee immateriali e celesti? Non è egli vero al tresì l'anima, esercitata nelle cose dell' in telletto, districarsi da' fantasmi del corpo, e. dalle false opinioni del volgo? Era certa mente un ridicolo sogno quello de pittago rici, che collo studio delle severe discipli ne fosse tornata alle nostr' anime la mé. moria delle cose divine. Ma certamente all' opposto è un dogma incontrastabile,. che tanto più la nostra mente si allontana dalla materia e dagli appetiti carnali, quan to più la medesima s' aggira sulla contem. plazione o de' principj delle cose, o delle matematiche, o elogn'altra scienza. Ma in verità e uso di riti, e studio di scienze, e ogni qualunque altra cosa, che avessero potuto specolare gli antichi, sa rebbe lor tornata inutile, ne sarebbe mai giunta a purificar nè meno da lungi le a nime, se a tutto ciò non avessero costoro accoppiato del pari la pratica della virtù. Questo in fine dovea essere il bersaglio, cui dovean dirizzarsi que' grandi filosofi: o questo l'ultimo e principal metodo di pu rificazione. Non si può infatti ne pure ideare quanto studio avessero posto costoro ad astenersi da ogni ancorchè minimo fal lo. Tutti quanti (tranne il loro raffinato orgoglio, e la loro squisita 'boria e super bia ) furono del tutto.virtuosi. Di e nota te si recavan essi sopra se stessi, scrupo losamente ogni lor fatto esaminando, e c gni movimento del propio loro cuore. In estimabile era la diligenza, ch' essi adoperzano a nettar d'ogni ruggine l'animo lo ro, e a far bene ogni cosa. Tutta la vita į medesimi spendevano in contemplare oggetti spirituali, e. in praticar virtù, e que pre cetti, che si leggono scritti ne' versi dorati. Si crederebbe quì finito il lavoro della loro morale, Pure come eglino avevano que sta diviso in due parti, così alla purifica zione aggiunsero altresì la perfezione. Non bastò a Pittagora l' essersi lusingato, che l'anima, mercè la prima si fosse e mondata da vizi, e separata dalla materia, e liberata quasi dal vincolo, che la ren deva prigione. Volle di più immaginarsi, che l' anima, mercè la seconda già prima purificata, si fosse poi inalzata a Dio, o ripigliati gli antichi abiti, e forma, si fos se confusa colla divinità medesima. Le ar nine in somma, che secondo Pittagora e G., erano di loro natura divi ne, ma contaminate dalla colpa e mate ria ', dovean prima purificarsi, e poi sì per fezionarsi, che fossero state degne di tor nare a Dio, e agli onori primieri. Però l' immacolato, e innocente viver di G. obbligo lui a spacciarsi qual Dio, e a promettere ai puri, e perfetti il divino come premio. Sin quì G., e Pittagora furon d'accordo, e quegli fece uno con questo. L' essere stata comune l ' opinione tra loro nel principio, da cui la purificazione, e perfezione avesse avuto sua origine, non fece punto discrepar l'uno dall'altro, Cre deano ambidue le anime tutte degli uomi ni, e tutti gli spiriti altresì formare uni ca, e sola famiglia con Dio. Là poi, ove i sistemi loro non furon punto d'accordo si fatti filosofi furon del tutto discordi.G., altrimenti che Pittagora, riguardo uomini, bruti, piante come unica famiglia. Non è più quindi da far sorpresa, se si ve de ora entrare in iscena una terza novità di G., come riforma alla moral di Pittagora. Se si vuol prestar fede ad Aristotile ad Aristosseno, e Teofrasto, Pittagora e i Pittagorici della prima età uccidevano, eccettine i bovi destinati ai lavori, ogni sor ta d'animali, e tranne i loro cuori e ma trici ne mangiavan le carni: s ' astenevan solamente da' pesci. G. all'incontro fu il primo che proibì affatto qualunque uso di carne; e riputò sacrilegio l'uccidere quale che si fosse animale. Non veggo, dicea egli, perchè alcuni animali debbano serbarsi in vita, e altri all'incontro si pog sano uccidere. Una è la legge per tutti, é questa è pubblica per tutta la terra. Vedeva costui in tutti gli esseri organiz zati, facendone un sol corpo morale, quasi unica é sola farniglia, Perd non sapeva egli scorgere differenza notabile tra uomini, e bruti. Smanioso egli quindi si scaglia con tro chi avesse sagrificato in que' tempi vit. time agli Dei, che' attesa la metempsicosi, potevano per lo più esser uomini sottom bra di bruti. Cessate, gridava G., o crudeli, di fare strage, e lordarvi di san gue: Pazzo il padre, che sotto altra sem. bianza scanna il propio figliuolo, e vane preghiere disperge all'aria e al vento. Stolti non veggono, che divorando le fumanti sanguinose carni di animali le menbra pa. rimente divorano de' lor padri, figliuoli, o congiunti. Si riderebbe oggi la presente età del: la severità di G., e si reputerà cer tamente stravagante la sua pietà verso i bruti. Ma ad altro, e più nobil fine ten devan le idee del nostro filosofo. L'uomo è in mezzo a' suoi simili, e l' amore è il principale anello, che dee le garlo cogli altri. L'amor verso i simili è il principale dovere di un uomo di società: e la pieta n'è la base. Ma questa non si potrà avere giammai, se non campeggia e dilatasi sopra tutti gli oggetti, che circon dano lui. Se l'uomo deve avere pietà ver gli uomini, uop' è non che estenderla, mia cominciarla da' bruti. Qualor ' si eser-: citasse ferocia contro i medesimi, agevol mente il reo costume l'andrebbe portando ancor contro gli uomini. Anche tra noi, se non può recarsi a effetto sì fatta proibizio. ne di scannar gli animali, sempre egli vero, che debbasi tener come parte di e ducazione gentile, quella d'insinuare ne gli animi ancor teneri de' giovani la pietà verso i bruti. Non son dunque da ripren, dersi, così tentoni, gli antichi filosofi per quegli insegnamenti, che oggi, mutate le usa nze, ci sembrano stolti. La proibizio. ne che G. diede a' suoi scolari d ' uccidere gli animali, e cibarsene, ebbe in mira non sol di non essere crudeli, e feroci cogli altri; ma di dispor loro ad amarsi l ' un l'altro a vicenda, e nelle disgrazie scam. bievolmente aiutarsi. Egli non senza sotti le avvedimento si sforzò così in persona de? suoi compatriotti svegliare allora in tutta la generazione degli uomini quell'attitudine, che porta loro a prender parte nell' altrui traversie: attitudine, che di sua natura è debole, languida, spesso sopita, e quasi sempre soffogata, ed estinta. Però G. a ingentilir gli animi umani, e rasla dolcire i costumi degli uomini, volle che questi non si avessero bruttato le mani del sangue, né avessero mangiato le carni de’ bruti. Chi è beniguo co ' bruti non può certo negare agli uoinini amore, pietà, cor tesia, frattellanza. Pittagora nulla conse guente a' suoi stabiliti principj della metem psicosi, trascurando quasi tutti gli anima li, ſecesi soltanto scrupolo, e proibi, che si fosse recata alcuna ingiuria alle piante, che non fossero state nocevoli. Ma G. fa molto più, e' meglio assai di Pittagora. Egli dotate prima quelle di sen timento, proibi poi che si fosse fatto loro del male: ailinchè non si fossero avvezza ti gli uomini ad offendere esseri forniti di sensi e di organi. Fu in somma intendi mento di lui in tutte le maniere, quasi tirando tutte le linee a un centro, stabili re tra gli uomini fratellanza e amicizia Però fu, sollecito ei d ' ordinare, che oltre agli animali, si avesse avuto compassione sin anche alle stesse piante.. Sarebbe stata finalmente non che man. chevole, ma mulla la morale di G., s' egli non avesse presentato o un premio, una pena agli osservanti, o violatori de' ciò, precetti da lui stabiliti. La speranza del premio, e il timor della pena, interni po. tentissimi stimoli dell'animo umano, inco raggiano i buoni a operar la. virtù, spa ventano i mali a praticare il vizio. E' ben ragionevole quindi, che G. avesse pigliato una via come stabili re e premio', e pena, sì alla virtù, che al vizio: e il fece appunto combinando al par de pittagorici, colla dottrina della metempsicosi. Il tempo di tre mila anni di ciascuno de' dieci periodi di essa non era destinato da Empedocle a far cir colare sempre le anime da un corpo in un altro. Le anime in ogni giro di tre mila anni informavano secondo lui e vegetabili, e bruti. Di poi andavano esse in ultimo E luogo ad avvivare il corpo di un uomo. questo finalmente morto, passavan quelle ad abitare un luogo o di gaudio o di lutto secondochè le medesime avessero o bene, o male operato. Quivi doveano esse restare, finchè finito avessero il primo periodo di tre mila anni. Dovean le medesime torna. STo appresso a cominciare il secondo di al tri tre mila anni, passando tratto tratto ne corpi: d' altri bruti, di altre piante, o finalmente di altri uomini. Così successiva mente doveano esse fare in tutto il corso degli interi dieci periodi: e cosi le medesi mo doveano essere o premiato, o punite in ciascuno di essi. Ma al finire di tutti i dieci circoli quelle anime, ch'eran tenaci ne' vizi, giusta G., bandite dal cie. lo, eran dannate in mezzo alle tenebre, e in un continuo lutto, o un eterno suppli zio. Le altre poi, che virtuose al compir di quo' circoli si fossero trovate belle e det. te secondo lui, si portavano all'etere puro, e collocate in mezzo alla luce, sedcano in vi a mensa coi forti Danai, in eterno go dimiento, nell' unione con Dio. Tutto ciò si raccoglie da ' versi di G.. Così pur si pensava da' pittagorici di Sicilia; nè al trimenti si canto da Pindaro nelle sue odi dirette a Gerone, e Terone. Ecco tutto, il quadro compito della intera mora le di G. Egli è senz' alcun dubbio, essere stata questa assai raffinata, e, molto diversa da quella del volgo. E ' cosa da recar mara. viglia l'osservare, com ' essa in tempi assai caliginosi, fosse stata tanto bene architetta ta, cosi brillante, e del tutto diretta a ri. pulire il costume, a liberar l'uonio, quan to più s' avesse potuto dai vizi, e a nobi litar l'anima e la mente di lui. Cid nulla ostante ella ha eziandio i suoi gran difetti. L'essere stata la stessa riservata ai soli sapienti, e ai soli iniziati ne fu il principale. Quel sistema d'Etica, che non è fatto per tutti gli uomini, non può esser giusto, santo, verace. Tutti quan. ti gli uomini sono astretti agli stessi doveri, e a una sola virtù, Si può considerare, & gli è certo, la scuola pittagorica, qual.ce nobio, é i pittagorici quali religiosi dell' antica Grecia. Ma l'orgoglio guastava le loro azioni, rendea yane le loro fatiche, avvelenava ogni loro virtù. Pure è sem pre da reputarsi degno di lode il nostro filosofo, che osservantissimo de' precetti pittagorici non ebbe difficoltà di manifestarli, e divolgarli nel suo poema delle parilica zioni per solo e semplice amore di onestà, e di virtù, G., tranne la super bia, radice infetta dell' operare d'ogni an tico filosofo, è da celebrarsi, come quel lo, che ornato di cortesia, amante degli uomini, e virtuoso, avesse aspirato sempre a perfezionar molto se stesso. Ma gli onori, che si rendono a' tra passati; le lodi, di cui s' onora la memo ria de gran genj, non possono nè recar loro diletto, che più non sono, nè tocca re il lor cenere, che affatto è privo di senso. Tutti i loro elogi, come quelli, che eccitano l'orgoglio e la vanità de' viventi, noi guardano e a noi son diretti. Siam noi, che dagli omaggi, che si tributano a quelli, prendiamo speranza di poter forse nieritare la stessa gloria, e acquistar la fa na stessa presso le generazioni avvenire. Del nome di G. fu una volta ne è oggi, e ne sarà sempre piena la ter,. La filosofia di lui fu tenuta assai in 141 pregio presso tutta l'antichità tra Greci e Latini. Quella occupa tal sublime posto di onore nella storia delle scienze, che G. si può dir, che appartenga a tutte le più colte nazioni. La Sicilia fra tanto è la sola che a giusta ragione lui vanta: qual suo. Felice quel suolo, beato quel clima, cho dà il natale a' grandi uomini ! La memoria e la fama loro è un fecondissimo germe, che in ogni età ne desta l' emulazione, e ne riproduce il sapere. Tal dovrebbe essere a noi il dolce nome di G., caro alla yirtù, caro alle lettere. Anatomia, fisiologia, chimica de cor pi organizzati possono lui chiamare padre inventore. L' essersi ridotta la materia a quattro elementi; l' essersi trovate due for ze in natura di repulsione, di affinità; 1" essersi intrapreso il metodo di fisiche espe. rienze, la terra n'è a lui debitrice. La scoperta della chiocciola; della successiva propagazion della luce; del peso e della molla dell' aria; del nutrirsi, del traspira e dell'essere ovipare le pianto al par de gli animali son cose tutte propie di lui. Divolgati appena sì fatti suoi ritrovamenti, tosto si rese celebre il suo nome in tutta la Grecia, ed egli uno de' concorrenti di venne tra Anassagora e Democrito, La gloria di G., che in gran parte è ancor nostra, ci dee infiammare a battere lo stesso sentiero. La Sicilia è la stessa oggi, ch'era allora ai tempi di G.. Ella in ogn'angolo, e in tutta quanta la sua superficie presenta a' nostri occhi oggetti sempre degni di nostre filoso fiche ricerche. Piante d'ogni sorte, acque d'ogni specie ', minerali d'ogni genere, e i più distinti volcani esistono nel nostro suolo. Il Fisico, il Chimico, il Botanico lo storico naturale trova ovunque ampia materia d'appagar le sue brame. E ' no stra somma vergogna il vedere oggi, che vengan tra noi gli stranieri a insegnare a noi le cose nostre. Si saran forse cambiati il cielo, il clima, la terra, che un di furono ne' tempi de' nostri antichi filosofi? O pur saran venuti meno gli ingegni tra noi? Non sono eglino I SICILIANI dotati ancora o d’acume nello specolare, e di prontezza nel riflettere, e di prestezza nell' eseguire, che loro hanno in o gni tempo distinto? LA SICILIA una volta emula della Grecia in ogni genere di colo tura non potrà anche a di nostri concorrere e gareggiar nelle scienze colle più polite nazioni? Si pigli dunque orgoglio dell' aggiustata idea di nostra antica grandezza. Questo, scossa l'inerzia, ci sarà di stimo. lo ad una nuova carriera da imprendere. La fatica è l'unica via, che conduce al sa pere, e questa ci porta, certamente alla fama. Si desti quindi in ciascuno di noi la virtuosa imitazione d’Empedocle, e si co minci la grand'opera con ardore e franchez za. Un felice evento coronerà allora ogni nostro travaglio: la posterità ricorderà noi collo stesso onore, con cui pieni d'ammi razione noi ricordiamo G. G. non che e eccellente filosofo: ma e del pari profondo politico. SICILIANI, non andate quà là ad apprender ta pini da questo e da quello ordini civili, e fogge di governo. Guardate i maestosi avanzi delle nostre antiche città; specchia. tevi su li nostri passati famosi legislatori; richiamate alla memoria i fatti chiarissimi, non che della nostra Greca SICILIA, ma del la vita di G.. Così tratto tratto di verrete atti a maneggiar le cose pubbliche, e ben presto vi sarà tra voi politica non cabala, libertà non licenza. G., convinti un dì i nobili di Gergenti GERGENTI – non GIRGENTI -- di peculato, atterrò ivi la lor signoria: Non è disdicevole quindi l'imma ginarcelo, ch'egli colla stessa voce gli ota timati così riprenda di nostra età. Finito è il tempo, in cui usurpata un ingiusta franchigia de' pubblici dazj, generosi offri vate al Re il denaro del popolo, a fine e di ottener da quello nuove insopportabi li prerogative, e di stringer questo vie più nuove insoffribili catene. Finito è il tempo in cui macchinando l'esenzion delle taglie, scaricavate gran parte del pubblico con peso sulle città immediatamente al Re sotto poste a fine di disertar qrieste, e di rau nare schiavi in gran copia nelle terre a voi immediatamente soggette. Finito è il tem po, in cui voi assumendo la voce e qualità di nazione, che non avevate, minacciosi vi rivolgevate contro del trono per non paga re, e taglieggiare il popolo ogni tre anni. Già il Principe si è congiunto col popolo. Gia la voce del Re, ch'è quella dell'ins tera nazione, è divenuta oggi più imperio, sa insieme e sicura. Essa ha già rivelato il grande arcano del vostro tirannico impe ro essere stato riposto nell'aver voi voluto fin'ora poco o nulla soffrire de’ dazj, e far li tutti a carico andare della povera gen te. Chi di voi potrà or tolerare con ani mo tranquillo tra vecchi debitori dello sta to non altri nonni leggersi che i vostri, e de' vostri antenati? Chi sarà tanto scelleras to, che rivelando il falso, voglia occulta re l'immensa estensione de' suoi ricchi fon di; affinchè a danno del meschino e del povero, pagasse egli quanto meno si possa 2 t 140 Chi sarà cosi ribaldo, che voglia sgravar d ' imposta la terra, unica e sola sorgente di ricchezza in Sicilia, per istrappare con mano rapace qualche misero tozzo dalla bocca faa melica dello stanco e affannato agricoltore? Şe cið han fatto i vostri maggiori, sono essi stati i più tristi nemici, anzi i più crudeli tiranni dell' infelice Sicilia. Si appartiene ora a voi lavar le macchie di quelli, e onorar voi stessi, contribuendo alla pubblica feli cità col pagarsi prontamente da voi a pro porzione della vostra opulenza, Ma G. dovrebbero avere ezian dio qual modello non che i nobili, chi presi del fantasma di democrazia vo lessero condurre a sfrenatezza la plebe. Quante altre cose possiamo noi idearci a ver potuto lui dire, a costoro ! Egli poten do in Gergenti GERGENTI non GIRGENTI stabilire un governo collo cato tutto nella potestà del popolo, af fatto nol volle. A' popolari uni costui gli ottimati in quella città; e teniperò così gli uni cogli altri. L'equilibrio de' poteri, con cui s'amministrano le cose pubbliche, è la ma solida base, su cui dee riposare, volendo si e florido e durevole, il presente gover no. L'equilibrio morale, non altrimenti che il fisico, viene da contrarietà ed egua glianza di forze. Il popolo ' non deve mai essere. -oppresso, ma all'incontro non dee ne pure essere costui un oppressore. Se la sua forza sbilancia, lo stato andrà tutto a soqquadro, e ruinerà senza meno. La ven detta piglierà allora il nome di forza, di senno il delirio, di libertà la licenza. I poteri legislativo, giudiziario, esecutivo si debbono a vicenda venerazione e rispetto; tutti debbono riunirsi, e cospirare a un sol centro: e se per caso ne sia uno avvalla dee tosto corrersi con mano presta a rialzarlo. Quanto è difficile mantenere og gi in Sicilia un sl fatto equilibrio ! Appe na vi basterebbe un G.. Egli ad assodar vie più la novella for ma di governo stabilita da lui nella sua patria, ebbe in fin l' accorgimento di pian. tarla sulla pubblica coltura, e sul pub blico civile costume. Qual sublime lezio to, t 2 148 è un sogno, zione ella è questa da adottarsi da' nostri legislatori d'oggidi, se vogliono eternare, più che si può, il presente governo stabi lito di fresco. Un impero assoluto si può fondare tra selvaggi e tra barbari, e vien prosperando in mezzo a gente corrotta. Ma è un delirio il pretender fer mo un governo costituzionale senza nè col tura nè costume per base. Nello stato, in cui è il nostro suolo, non potrà certamente portare la novella libera costituzione senza che fosse prima quello preparato e divelto. Voglia Iddio che i nostri, posti giù l'e goismo, le false massime, gl ' impeti, glodj imprendessero a imitare Empedocle, e i nostri antichi felicissimi tempi. Ma se I SICILIANI tutti debbon trarre qualche utile insegnamento dal nostro fil sofo; i Gergentini – GERGENTI, non GIRGENTI -- massime ne dovrebbero emular la virtù. La patria de' grand ' uomi ni è quella su cui sfolgora, riflette e va a concentrarsi, la gloria di loro. Si dovreb bero ricordare i Gergentini – GERGENTI non GIRGENT, ch ' essi principalmente a G. son debitori d'esa 149 ser tanto chiari, e così famosi nella nostra sicola storia. Si dovrebbero eglino pur ri cordare, che vicino a que' tempi, che vis sita oggi lo straniero, e sopra lo stesso suo. lo, che calcano i Gergentini  -- GERGENTI, non GIRGENTI medesimi, dettò allora G. a GORGIA l'eleganti, avvegnachè prime lezioni di Rettorica. Gli stessi quindi a ripigliare in loro l'antico u sato splendore dovrebbero richiamare tra loro e le fisiche e le matematiche discipli ne, e ogn'altra amena e polita lettera tura. Allor si potranno i Gergentini – GERGENTI non GIRGENTI -- gloriare a ragione d' aver prodotto, e dato la culla a G.. Così eglino saran vera mente degni concittadini di lui. Ne altri menti si potranno lusingare gli stessi di far risorger tra loro il verace spirito d' Empe docle, e di poter quivi dire allo straniero. Dell' eccelsa sua mente i sacri versi Cantansi d'ogn'intorno, e vi s'impara Si dotte invenzioni, e si preclare Che credibil non par, ch'egli d'umana Progenie fosse. Il n'est pas ) Freret raffigura l'attrazione e re pulsione di Newton nell'amore e odio di G.. E però dice besoin d'un long discours pour montrer que le fond du systeme Newtonien, dé pouillé de l'appareil et du détail de ses cal. culs se réduit a celui d ' Empedocle, Hi stoire de l'Académie Royale Des Inscripti ons et belles lettres, Memoires -- Και γαρ ονπερ οιηθαη λεγειν αν τις μα. λιστα ομολογουμένως αυτω. Εμπεδοκλης και TYTO TAUTO TETOVIE – G., di cui alcuno potrebbe portare opinione aver, detto sopra di ogn'altro cose tra loro e a se stes so concordi; egli cadde nel medesimo inconveniente (Arist. Metaph.) πος και 8το! O (Arist. de Coelo) -- Λευκίπι και Δημοκρίτος Αβδερίτης φασι είναι τα πρωτα μεγεθη πληθ. μεν απαρα και μεγεθα δε αδιαιρετα τροπον γαρ τινα παντα τα οντα ποικσιν αριθμους και εξ αριθ. μων και γαρ ει μη σαφως δηλεσιν ομως τετο βελονται λεγαν 00 Leucippo e Democrito dicono le prime grandezze essere infini te di numero, ma indivisibili. Essi in certo modo fanno gli esseri o numeri, o da' numeri. E se ben non lo mostrano chiu ro; pure questo vogliono dire. Εμπεδοκλης περι ελαχιστα εφη προ των τεσσαρων στοιχειων θραυσματα ελαχιστα οιονα στοιχεία προ των στοιχεων ομοιομερη και – G. prima de’ IV elementi suppone de minimi bricioli, che sono non altrimen ti che gl’elementi degl’elementi, e parti simili Stob. Εcl. Phys. Ε più chiaramente Plutarco de Pl. Ph. dice οιονα στοιχεια των στοιχείων »και elementi degl’elementi. Ει δε στήσεται που διαλυσις ητοι ατος μον εσται το σωμα εν ω ισταται η διαίρετον μεν ι μεν του διαι εθησομενον εδε ποτε καθαπερ εoικεν Εμπεδοκλης βελεσθαι λέγειν. Se lo scioglinzento delle parti si fermerà in qual che luogo, domando: o il corpo in củi ri starà è indivisibile, o è divisibile; ma in alcun tempo mai non si potrà dividere, co me pare che C. abbia voluto dire, Arist. de Coelo l. 3. cap. 6. Sicchè G. ammettea la divisibilità col pensiero non già col fatto. (6) Era un assioma presso gli antichi εκ τε μη οντος μηδεν γινεσθαι nulla farse da ciò che non è, Presso i Greci dev significava ciò ch ' esiste e il under ciò che non è. Epicuro talvolta piglia il des per corpo e il under per yoto. Ma diverso era il significato dell' del ov. Empedocle ed Anassago ra chiamavano Oy la materia dotata di qualità sensibili. E Democrito ed Epicuro la materia fornita di figura. Al contrario i primi due indicavano col un oy la mate ria priva di qualità, e i secondi la mates. ria senza figura. Di fatto Aristotile de GV e 156 gener. et corrupt. 1. 1 cap. 3 dice εστι γη το ον, το δε μη ον υλη της γης και πυρος ωσαύτως. L Latini tradussero il δεν per res o corpus il jend Ev per nihil o vacuum. E come non aveano parole corrisponden ti all' oy e' un or; cosi l'indicarono colle stesse parole res et nihil. E ' nato da ciò un equivoco nell' intendere i Greci. Questi non solo dissero nulla farsi da nulla; ia tal volta alcuni di loro pensarono niuna cosa, che ha qualità, poter venire dalla materia priva di qualità. (8) Απαντα γαρ κακείνος (Σμκεδοκλής ) ταυτα ομολογήσας, ότι εκ τε μη ιοντος αμηχα • γον εστι γενεσθαι και Concedendo Empedocle tutte le cose medesime,.e che sia impossi bile venire un essere fornito di qualità de ciò, che ne è privo je Arist. de Xenophane Zenone et Gorgia. (8) Εμπεδοκλης δε τα τετταρα προς τους ειρημενοις γην προσθας τεταρτον και Empedoclc disse esser quattro gli elementi, aggiungen do la terra per quarto a’tre già detti Aristot. Metaph. 1. 1 cap. 3. 157 (9 ) Σεληνην δε φησι συστηναι καθ' εαυτην εκ τα απολειφθεντος αερος υπο τα πυρος • τατον γαρ παγηναι καθαπερ την χαλαζαν. La lu πα, dice Empedocle, essersi condensata da se a cagione dall'aria, che fu abbando nata dal fuoco; perciocchè questa 'si con densò a guisa di grandine Euseb. Praep. Evang. I. 1. cap. 5. Lo stesso dice Plut. de Pl. Ph. Origen. Phylosoph. etc. (10) I sassi e gli scogli sulla terra so no stati giusta Empedocle formati dalla forza del fuoco. Plut. de primo frigid. Ne per altra ragione credea il nostro filosofo, chę i cieli siensi formati in guisa di çri stallo, che per l'azione del fuoco. Plut. de Plac. Philos. (11 ) Ως εν υλης « δ λεγομενα στοιχα τετταρα πρωτος (Εμπεδοκλης ), απεν. και μεν χρηται γε τετταρσιν αλλ ως δυσιν ουσι μονοις. πυρι μεν καθ' αυτο τοις δε αντικειμένοις ως Em. μια φυσα γη τε και αερι και υδατι, pedocle fu il prinio che affermò quattro ese ser gli elementi nella materia. Nondime no di questi non fu egli uso come se fos 158 } νω sero ' quattro, ma due soli. Mette il fuoco per se ', e' come al fuoco opposte l'acqua, ' la terra, l'aria, quasi avessero. queste uni ca natura.,, Aristot. Metaph. 1. 1 cap. 4. (12 ) Origen. Phylosoph. cap. 3. Clem. Alex. Strom. (13 ) Αναξαγορας μηχανη χρηται τω προς την κοσμοπίλαν » Anassagora usa della mente nella sua cosmogonia non altrimen ti che d'una macchina Arist. Metaph. 1. 1 Cap. 4. (14 ) Πολλαχου γουν αυτω (Εκπεδοκλα ) η μεν φιλια διακρινει το δε νεικος συγκρινα • μεν γαρ ε ! ς τα στοιχεία διαστήται το παν υπο τ8 14κας τότε το πυρ «ς συγκρίνεται και των αλλων στοιχων εκαστον, οταν δε παντα υπο της φιλιας συνιωσιν ας το εν αναγκαίον εξ εκαστε τα μορια διακρίνεσθαι παλιν. Εμπεδοκλης μεν 89 παρα τ8ς προτερον πρωτος ταυτην την ατίας διελων εισενεγκεν ου μιαν ποιήσας την της κινη σεως αρχη, αλλ' έτερας τε και εναντιας. Non di rado presso d'Empedocle l'amicizia sepa ra; e l'inimicizia unisce. Imperocchè quan. do per l'inimicizia l'universo si scioglie ne • OTULY 159 gli elementi; allora il fuoco si unisce, e al par del fuoco, ciascuno degli altri elemen ii. Quando poi per via dell ' amicizia tutti gli elementi si uniscono; allora è di ne cessità che le parti di ciascun elemento si separino. Però Empedocle fu il primo, che superiore agli altri più antichi di lui, divi dendo questa causa, intro lusse non un solo, ma piii e contrarj principj di movimento: l'anticizia cioè e l' inimicizia Arist. Me taph, I. i cap. 4. L ' vero che qui Aristo tile cerca di cogliere in assurdo il nostro Empedocle"; perchè cerca di mostrare che l' amicizia talvolta separa, e l'inimicizia ta lora unisce. Ma ciò non di meno confes sa che giusta Empedocle l'amicizia e l'ini. micizia eran due principj di moto. E in ciò loda il n'ostro filosofo, e l ' inalza so pra tutti que' ch'erano stati prima di lui. (15 ) Molti sono i versi d' Empedocle che lo pruovano, che noi rapporteremo ne' fram menti di lui. Ma Aristotile lo dice chia. rissimo. Es un evný to vemos ev Tols peyuceo σιν, εν αν ην απαντα ως φησιν (Εμπεδοκλης ) 160,, Se non fosse l ' inimicizia inerente alle cose, tutte queste non farebbero che uno come dice lo stesso Empedocle,, Aristot. Metaph. 1. 3. cap. 4. Simplicio inoltre de Coelo l. 1 Com. 29,, rapporta che giusta Empedocle è propietà dell'amicizia ridurre tutto in una sfera lovely o zipov (16 ) (Εμπεδοκλης ) το μεν πυρ κκκος καιλο. μενον προσαγορευων και Empedocle chiamo il fuoco lité perniciosa Plut. de primo fri gido. E lo stesso Plutarco ne soggiunge la ragione: Giacchè il fuoco ha la facoltà di dividere e separare. (17 ) Clem. Alexand. ad gentes cap. 5. (18 ) Aristot. Metaphys. 1. 1 cap. 4. (19) Plut. de Isid. et Osirid. Wolf. de Manich. ante Man. S. 30 Bayle Dict. Art. Xenoph. (20 ) Aristotile" riferendo l. 3 taph. l'opinione d'Empedocle sul circolo pe renne delle cose in virtù delle due forze amicizia e inimicizia si lagna del nostro filosofo, che introduce la necessità senza recare alcima cagione della necessità ws ay. 1 cap. 4 Me. 161 αγκαιον μεν ον μεταβαλλεινκαι αιτίαν δ ' εξ ενο αγκής εδεμιαν δηλοι. (21 ) Brukero T. 1 p. 2 1. 2 cap. 10 Sect. 2. de discipulis Pythagorae. Moshem. nelle note a Cudwort. (22) Αρχη η φυσις μαλλον της υλης. εγί άχου δηπου αυτη και Εμπεδοκλης περίπιπτα αγομενος υπ' αυτης της αληθεας, και την εσι. αν, και την φυσιν αναγκαζεται φαναι τον λογον ειναι: οιον οστουν αποδιδους τι εστιν. ετε γάρ εν τι των στοιχεων λεγει αυτο ατε δυο ή τρια ατε παντα αλλα λογος της μιξεως αυτων etc. Il principio delle cose è più presto la nä tura che la materia delle cose.. Empedocle tirato dalla forza stessa della verità spesso è costretto di confessare che la sostanza e la natura altro non sia che la ragione o proporzione: ' come fa allorchè ei dice coså šia.l osso. Poichè dice che l'osso non cen ga da questo o du quel elemento', nè da due elementi, nè da tre, nè da tutti, ma dalla ragione in cui questi nell' osso si stan. no ec. is Arist. de par. Animae l. 1. cap. E poi lo stesso Aristotile soggiunge che 1 362 2 i filosofi prima d Empedocle non fecerd lo stesso perchè non soleano definire ciò che fosse la cosa astion de to. pen en San τ8ς προγενέστερες επί τον τροπον τέτον, το τι ην αναι, και το ορισασθαι την ασιαν εκ OTI My •:- (23) Plut. de Plac. 1. ì cap. 6 Gal. Hist. Ph. (24) Plut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 19 Gal. ibid. (25) Plut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 19 Arist. de Resp. cap. 14 etc. Credea Em pedocle che gli animali, subito che nacque ro dalla terra, si divisero e portarono in luoghi convenienti al loro temperamento. Que' che abbondavan di fuoco o nell' ac qua o nell'aria. Gli altri ch'erano più gravi, abitarono la terra ec. (26) Darwin Zoonomia. Vol. 3 Sez, 39 cap. 4 ediz. di Milano, (27) La massa tutta del seme, che noz mostrava alcuna forma, o figura chiama va Empedocle. 8ioques che potrebbe significa. re tutta la natura organica secondo Simpl. 163 1 de Phy. aud. 1, 2. Com. 68 pag. 134 ediz. di Aldo: (28 ) Aristotile l. 2 de Coelo cap. 8 par lando dell opinione di Xenofane che credea la terra infinita estendere sino alſ infinito le sue radici, soggiunge do xakt.Eptidoxing ετως επεπλήξεν Per lo che Empedoche co si lo sferzò, e soggiunge i versi d' Empe docle, che noi rapporteremo 'ne' frammenti di lui. (29) Ταυτι δε τα εμφανη κρημνες και σκο: πελες και πετρας και Εμπεδοκλης μεν υπο τα πυ ρος οιεται το εν βαθει της γης εσταται και ανε χεσθαι. Empedocle è d'opinione che que sti sassi, questi scogli, questi dirupi, che sono agli occhi di tutti, sieno stati inalza ti dal fuoco che sta nelle profondità dela la terra „ Plut. de primo frigido, Quare quaedam aquae caleant", quae dam etiam ferveant in tantum, ut non pog sint esse usui nisi aut in aperto evanuere, aut mixtura frigidae intepuere, plures causae redduntur. Empedocles existimat ignibus, quos multis locis terrà opertos tegit, aquam ! X 2 164 calescere, si subjecti sunt solo per quod aquis transcursus est. Facere solemus dracones et miliaria, et complures formas, in quibus gere tenui fistulas struimus per declive cir. cumdatas; ut saepe eundem ignem ambiens aqua per tantum fluat spatii quantum ef. ficiendo calori sat est. Frigida itaque in trat, effluit calida. Idem sub terra Em. pedocles existimat fieri. Seneca Quest. Nat. i. 3. (3ο) Την γην εξ ης αγαν περίσφεγγομενης τη ρυμη της περιφοράς αναβλυσαι το υδωρ la terra, da cui, come fu condensata, per l'impeto della girazione spicciò l' ac qμα 15 Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 2 cap. 6. (31 ). Οτι δε μενα (γη ) ζητεσι την αιτίαν και λέγεσιν οι μεν τυτον τον τρόπον, οτι το πλα τος και το μεγεθος αυτης αιτιον, οι δε ωσ: περ Εμπεδοκλης την τε κραγε φοραν κυκλω περιθεασαν και θαττον φερομενην την της γης φοραν κωλυειν καθαπερ το εν τοις κυαθοις υ δωρ και και γαρ τατο κυκλω το κυαθε φερομείς πολλάκις κατω τα χαλκά γινομενον ομως ου φερεται κατω πεφυκος φερεσθαι δια την αυτην 165 Citidy, 99 Alcuni cercano il perchè la ter ra stia ferma nel mezzo, e dicono esserne cagione la sua grandezza e larghezza, Al tri poi, siccome Empedocle, son di pare re, che il cielo girando più velocemente del. la terra sia la cagione, per cui la terra non cada nello stesso modo, che avviene allac qua nel calice. Poichè seben questo si giri e stia col fondo su, e il labro all' in giù; pure l' acqua, che di sua natura tende al basso, non cache per la ragione medesima della girazione,, Arist. de Coelo l. 2 cap. 13. (32 ) Plut. de fac. in orbe Lunae, (33 ) Plut. de Pl. Ph. 1, 2. cap. 13 Laert. in Emp. (34 ) Arist. de anima 1, 2 cap. 2. (35) Καθαπερ Εμπεδοκλής φησιν, αφικνειο σθαι προτερον το απο τα ηλιο φως ας το μετα ξυ πριν προς την οψιν, η επί την γην, δοξα δ ' ευλογως συμβαινειν Empedocle dice che la luce, la quale viene dal Sole prinra giunge nel mezzo, e poi all'occhio ed aļla terra. Il che pare che accada con buona ragio ne » s. Arist. de sensų et sensili cap. 6. 166 tor. (36 ) Empedocle in prima avea il Sole per una gran massa ignita' non già per una rijlessione di un altro sole šíecome attesta Laerz, in Emp. Era in secondo opinione di Empedocle che il simile si va sempre ad u nire al suo simile. Però venne a lui na turale il dire che la luce lanciata dal So. le, dopo d' essersi riflettuta sulla terra, nasse di nuovo ad unirsi al Sole, e poi di nuovo movendosi da quest' astro, tornasse a risplendere. Per altro Plutarco stesso aper. tamente dice de Pyth. orac.. che la luce del Sole secondo Empedocle risplende di nuovo αυθις ανταυγαν • (37 ) Plut. de Pl. Ph. Gal. Hist. Ph. Stobeo Ecl. Phys. e tunti altri, appongono ad Empedocle l' opinione di due Soli, che si riguardavano, de quali l'uno mandava rag gi invisibili e l'altra visibili ec. (38) Empédocle, sans recourir á l’in stanatneité de cette émission ou á sa pro digieuse velocité disoit que cette objection se roit vraie, si le soleil lui même étoit en mouvement; mais que la terre tournant au 167 tour de son axe, venoit au devant, du ra yon, et voyoit l'astre dans sa prolonga tion. On ne répondroit pas mieux aujourd hui a cette objection, si quelqu'un la pro posoit contre la propagation successive de la lumière et son emission. Montucla. Hist. des Mathematiques Tom. 1 P. i lib. 3 pag. 142. (39) Απολείπεται τοινυν το τα Εμπεδοκλεος ανακλάσει τιγί τα ηλια προς την σεληνην γεγες; σθαι τον ενταύθα φωτος οιον απ' αυτης οθεν 80's. Jequor de deep porn Resta dunque co me vera la sentenza d'Empedocle. Però la luce lunare non è nè calda nè assai splen. Plut. de fac in orb. Lunae. (40 ) Est - il rien de plus juste que ce vers, dont voici la traduction litterale de Greg en latin circulare circa terram yolvitur a lienum lumen dit- il en parlant de lo lu ne? Achille Tatius en tire une preuve qu' Empedocle a regardé cette planéte comme un morceau détaché du soleil. Il n'a pas conçu que cet alienum lumen vouloit dire lumière empruntée, ce qui est très-confor me a la verité. Montucla Hist. des Math. dida,, 168 Tom. 1 p. 1 1. 3 pag. 111. (41 ) Isag. in Arat. (42 ). Empedocles plus duplo lunam dia stare censet a terra quam a sole. Galen. Hist. Ph. Plut. de Pl. Ph. (4.3 ) Και τον μεν ήλιον φησι πυρος αθροισο μα μεγα και σεληνης μαζω » Empedocle di. ce il Sole essere una gran massa di fuoco più grande della Luna Laert. in Emp. (44) Plutarco de ' fac. in orbe Lunae, afferma che la Luna al dir d'Empedocle giraya a simiglianza d'una ruota: Ora in que' tempi si esprimea la rùvoluzione d'un corpo intorno al propio asse sotto la figura ra d'una rủota, Cosi di fatto indicarono Seleuco d'Eritrea, Heraclide di Ponto, Eco fanto di Siracusa, il movimento della tere ra intorno al propio asse. Per altro i Pit tagorici sapeano che la Luna girando in torno alla terra çi presenta sempre lo stes so emisfero. Il che come ciascun sa non può aver luogo, se la Luna girando intor no la terra ſon rotasse intorno al propio asse: Sicché è da credersi cl’Empedocle non 169 ou esse ignorato questo movimento della Lu na. Ma come Plutarco non ne fa che un sol cenno, che può essere equivoco; cosi io non ho creduto di doverlo affermare come sicura opinione d'Empedocle. (45) Fabricio Bibl. Graeca T. (46) Arist. de plant. 1. cap. (47 ) Arist. nel med. luogo. (48) Arist. nel med, luogo. (49 ) Τα δε σπερματα παντων εχ τινα τροφην εν αυτός και συναποτίκτεται τη αρχή καθαπερ εν τοις ωοίς. η και κακως Εμπεδοκλης αρήκε φασκων ωοτοκαν μακρα δενδρα Ogni semè contiene in sè qualche cosa d' alimen to uñitaniente al principio che genera, sic come è nell' uovo. Per lo che Empedocle disse bene che gli eccelsi alberi sono ovipa ri Theofrasto 1. i cap. ' 7 de Caus. Plant. Και τατο καλως λεγει Εμπεδοκλης ποιησάς: Ούτω δ ' ωοτοκεί μικρα δενδρα πρωτον ελαίας •. Το τε γαρ ωον κυημα εστι, και εκ τινος αυτα γίγνεται το ζωον, το δε λοιπον, τροφη τα σπερ ματος, και εκ μερες γιγνεται το φύομενον, το δε λοιπον τροφη γιγνεται το βλαστω και τη y 170 pión en xpern » Questo ben disse Emperor cle affermando, che i piccoli alberi ezian dio sono ovipari. Poichè da una parte dell' uovo nasce l'animale, e dal resto si fa la nutrizione di questo. Nello stesso modo ac cade nel seme. Da una parte si formá la pianticella, ed il resto serve per nutrirla Arist. de Gen. anim. l. i cap. 23. (50) Arist, de Gen. anim. I. 1 cap. 18 & lib. cap. 6. Theofrasto 1. i cap. z de Caus. Plant. Indi è che Malpighi aper: tamente dice Plantarum ova esse semina vetus est Empedoclis dogma. Anat. Plant. pag. 92 * 93. In questi ultimi tempi Young è stato il primo a dire che le piante ven gono, dal seme. Rozier journ. de Phys. Auril. 1789 p. 241 e Bonnet Deur. v. 5 p. 256 ha dimostrato l'analogia del seme coll' uovo. (51) ο δε μαλιστα και κυρίως εστι ζη = τητεoν εν ταυτη τη επίσημη τετο οστιν » όπερ ειπεν Εμπεδοκλής ηγουν α ευρίσκεται εν τοις φύτοις γενος θηλυ και γένος αρρεν και ει εστιν ειδος κεκραμενον εκ τετων των δυο γενών και Cio 171 she in questa scienza sia sopra d'ogn' al tro, e propiamente da ricercare, lo disse Em pedocle: cioè se nelle piante si ritrovi il sesso maschile e feminile, e se questi due sessi sien in quelle mischiati ed uniti,, Arist. de Pl. 1. cap. 2. Per lo che è da ripu. ţarsi particolar opinione d'Empedocle, quel, la del sesso nelle piante, e che queste fos sero state ermafrodite. Si legga lo stesso Aristotile de Pl. I. i cap. 1. Haaly 005 - λομεν ζητειν πότερον ευρισκονται ταυτα τα δυο γενή κεκραμενα εν τοις φυτοις ως απεν Εμπε doxninis:,, Dobbiamo ricercare se i dųe ses si nelle piante sien mischiati, come vuole Empedocle. » (52) Empedocles quidem divulsa esse so bolis membra aiebat, ut in faeminae alia alia in maris semine continerentur, atquo inde oriri animalibus venerei complexus ap.. petentiam, dum partes illae inter se di stractae conjungi atque uniri concupiscunt. Galen. de semine 1., 2. cap. 3. Si legga parimente Aristot. de Gener, ànim. l, i cap. 18, 172 (53) Plutarco de plac. Ph. 1. 5 cap. & 10 12 Arist. de Gener. anim. 1. 2 cap. 8. (54) Εμπεδοκλης τη κατα συλληψιν φαντα. σια της γυναικος μορφουσθαι τα βρεφη και πολ: λακις γαρ εικονων και αδριαντων ηρασθησαν γυναίκες και ομοία τετοις απετέκον. » Empe docle dice che dalla fantasia della donna piglia forma îl feto. Poichè spesso le don ne hanno la lor prole partorito simile a statue o. a immagini, che hanno amato Plut. de Pl. Ph. I. 5 ' cap. 12, (55 ) Plut. de Pl. Ph. 1. 5. cap. 27. (56 ) Tutta la dottrina d Empedocle, siccome in appresso diremo, era fondata su i pori, e sugli effluvj, che si spiccano secondo lui da' corpi, o per quelli s'intro ducono, (57 ) Plut. de Pl. Ph. I. 5. cap. 26. (58) Frondes amittere quibus aestatis ca. lor humorem ahsumpserit; semper fronde re quae majorem succi copiain habent, ut laurum, oleam, palmam 4 Hist. Ph. Gal. Lo stesso dice Plut. de Pl. Ph. l. 5 cap. 26. 173 Plutarco Symp. 1. 2. Si propone la questione, perchè l' ellera conserva le fo glie, e gli altri alberi le perdono. Ei ri sponde con Empedocle per la disposizione de* pori. Perche τοις δε φυλλoφoυσιν εκ έστι για μανοτητα των αγω και στενότητα των κάτω πι:,, ρων, οταν οι μεν επίπεμπωσιν οι δε φυλαττω σιν, αλλ' ολίγον αθρουν λαβόντες εκχέωσιν ωσ. περ εν αγδηροις τισιν ουχ ομαλοις » » A quel le piante, le cui foglie cadono į alimen to on basta a cagion della rarità de? pori superiori, e della strettezza degl inferiori. Poichè per questi pori s’ introduce poco ali mento, e per quelli molto se ne dissipa. Indi è che quel poco che hanno ritratto tosto lo perdono. Avyiene ciò che suole ac cadere negli attignitoi, che sono inegual mente forați. (59) Flore française troisieme edition par MM. de La Marck et Decandolle T. pag. 67. (60 ) Floré française ibid. pag. 86. (61 ) Flore francaise ibid. pag. 108 (62) Plut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 26 Gal. Hist. Ph. 3 174 (63) Galeno Hist. Ph. Plut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 26. (64) Ρlut. de Pl. Ph. 1. 5 cap. 22 Gal. Hist. Ph. (65) Plut. ' nel med. luogo. (66) Gal. Hist. Ph. Plat. de Pl. Ph. (67 ) Ρlut. de ΡΙ.. Ρh. 1. 4 cap. 22. (68 ) Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 4 cap. 16 Gal. Hist. Ph. (69 ) Arist. de Respirat. cap. z (70 ) Arist. 'de Respirat. cap. 7 Gal. Hist. Ph. (71) Arist, de, Resp. cap. 7 Plut. de PI. Ph. 1. 4 cap. 22. (72 ) Pluit. de ΡΙ. Ρh. 1. 5 cap. 24. (73 ) Plut. nel med. luogo. Gal. Hist. Ph. (74) Si vegga la niemoria seconda sulla Vita d ' Eimpedocle T. 1 pag. 132. (75) Ρlut. de Pl. Ph. 1. 4 Cap. 17 • (76) Τα μεν γλαυκα πυρωδη καθαπερ Εμ. πεδοκλής φησι τα δε μελανoμματα πλεον υδατος εχιν η πυρος. » Che gli occhi az zurri, come dice Empedocle, abbondano di fuoco, ed i rieri abbiano più d ' acqua che 175 di fuoco, Arist. de gener. An 1. 5 cap. i. (77 ) Τα μεν ημερας εκ οξυ βλεπεις τα γλαυκα. δι ενδιαν υδατος. θατερα δε νυκτωρ δι ενδααν πυρός και che gli occhi azzurri non veggano bene di giorno per difetto d' ac qua, ed i neri di notte per difetto di fuo: εο, Arist. de Gen. an. 1. 5 cap. 1. (78) Gal. Ηist. Ph. Ρlut. de P. Ph. 1. 4 Cap, 13. (79 ) Ειπερ μη πυρος την οψιν θετεον αλλ' υδατος πασαν,, Perclie la visione non e d ' attribuirsi al fuoco, ma tutta all'acqua » Arist. de Gen. anim. 1..5. cap. (80 ) Arist. de sensu et sénsili l. 1.cap. 2. (81 ) Empedocles animum esse censet cor di suffusum sanguinem. ' Cic. Tusc. quaest. 1. 1 cap. 9 e Ρlut. de ΡΙ. Ρh. 1. 4 cap. 5. Εν τη τα αιματος συστασε. (82 ) Αλλοι δε ήσαν οι λεγοντες κατα Εμ " πεδοκλεα πριτηριον αγαι της αληθεας και τας αισθησεις αλλα τον ορθον λογον και τα δε ορθα λογα τον μεν τίνα θαον υπαρχειν τον δε αν - θρωπινον. ων τον μεν θαον ανεξοισθον ειναι. τον δε ανθρωπινον εξοισθαν. Ci sono stao 1 O 176 ti alcuni, che han dettò con Empedocle esé sere il criterio della verità non già i sensi, ma la retta ragione. Questa poi essere in parte umana e in parte divina: la prima potersi da noi manifestare, e l'altra nòi, Sext: Emp. adv. Log. 1. 7 p. 396. (83 ) Hụezio Debolezza dello spiritous mano.. (84) Furere tibi Empedocles videtur: at mihi dignissimum rebus iis ', de quibus lo quitur sonum fundere. Num. ergo is ex. caecat nos, aut orbat sensibus, si parum magnam vim censet in iis esse ad ea, quae sub eos subjecta sunt, judicanda? Cic. Lu cullus c. 23. (85) Empedocles quidem, ut interdum mi hi furere videatur, abstrusa esse omnia, ni hil nos sentire, nihil cernere, nihil omni quale sit, posse reperire. Cic. Lucullus c. 5, (86 ) Αρχαίοι το φρονων και το αισθανεσθαι ταυτον αναι φασιν ωσπερ και Εμπεδοκλης (δη 01.,, Gli antichi, come disse Empedocle, vogliono che sia lo stesso sentire, che ra 177 € 2. gionare. Arist. de anima, l. 3. cap. 3. (87 ) Arist. de Plant...1. 11. cap. 1 (88 ) Αναξαγορας μεν και Εμπεδοκλης επί θυμια ταυτα κινεισθαι λεγουσιν αισθανεσθαι τε και λυπεισθαι » Anassagora ed Empedo cle dicono che le piante sien mosse da de. siderio, da tristezza, e da voluttà, Arist, de P1. 1. 1 Cap 1. (89 ) Αναξαγοράς δε και ο Δημοκρίτος και ο Εμπεδοκλής και νουν και γνωσιν εχεις απον τα φυτα Anässagora, Democrito, ed Em pedocle dissero le piante esser fornite di men te e di cognizione », Arist. de Pl. l. 1 cap. 1. Ρlut. de Plac. Ph. 1. 5 cap. 26. (90) Arist. de.ΡΙ. 1. 1 cap. 1 Ρlut. de P. Ph. 1. 5 cap. 26. (91) Πρωτοι δε και τονδε τον λογον Αιγυ πτιοι ασι αποντές, ως ανθρωπα ψυχη αθα γατος εστι. τα σωματος δε καταφθινοντος ες αλλο ζωον αια γενομενον εσδυεται. επεαν δε περιελθη παντα τα χερσαια και τα θαλασσια και τα πτηνα, αυτις ες ανθρωπό σωμα γινομες γον εσβυνειν. την περιαλησιν δε αυτή γίνεσθαι εν τρισχιλίοισι ετεσι. Sono gli Egizi i pri Z 178 ηι. mi che dicono l'anima essere immortale; ma che 'morto il corpo va questa sempre informando un altro animale; dimodochè dopo d' esser passata per tutti gli animali o terrestri, o marini, o aerei torna di nuo ro ad informare il corpo d'un uomo. Que sto giro compie l anima in tre mila an Herod. Euterp. 1. 2 cap. 123. (92 ) Τατω λογω ασι οι Ελληνων εχρησαντο οι μεν προτερον οι δε υστερον, ως ιδιω εωυτων εοντι. των εγω αδως τα ονοματα και γραφω. Tra Greci alcuni prima alcuni dopo han divulgato' la metempsicosi degli Egizi come opinione propria. E di quelli non vo. glio scrivere i nomi; ancorche mi sieno, co Herod. 1. 2 cap. 123. (93 ) Sext. Emp. adν.. Math. 1. 8. (94) Ου γαρ ωσ. ο Μεγανδρος φησιν απαντι δαιμων ανδρι συμπαράστατα ' ευθυς γενομεγω μυσταγωγος τα βιε αγαθος, αλλα μαλλον ως Εμπεδοκλης διτται τιγες εκαστον ημων γενομες γον παραλαμβαγεσι και καταρχoνται μοίραι κα! d'alluoves.,, Non è da credere come dice Menandro, che a ciascun di noi, come ea gniti, 170 gli nasce, assista un genio buono condut tor di tutta la vita, ma piuttosto è da te nersi l'opinione d'Empedocle, il quale di che ciascuno di noi dal punto della na scita è preso e governato da due genj e da due. fati Plut. de anim. tranquill. E sog giunge lo stesso Plutarco che co' nomi de gen; si esprimono σπερματα των παθων i se mi, delle passioni. (95 ) Plut. de animi tranq. (96) Αφ ων οίμαι ορμώμενοι και οι πυθα: γορεοι και μετα τατος Πλατων αντρον και στην λαιον τον κοσμον απεφηναντο. παρα τε γαρ Εμπεδοκλα αι ψυχοπομποι δυναμας λεγεσιν Ηλυθομεν τοδ ' υπ' αντρον υποστεγον E da queste cose, siccome io stino i Pittagorici, e Platone dopo costoro, pre sero occasione di chiamar questo mondo an tro e spelonca. Poichè presso Empedocle le potestà conducitrici delle anime dicono: che siano finalmente giunte sotto quest' aniro coperto; Porph. de Ant. Nymph. p. 9 ed. Van - Goens. (97 ) Clem, Αlex. Strom. 1. 2. Stob. Εcl. 180 Eth. cap. 3. Jambl. Portrep. cap. g Hierocl. in Com. Scheffer de Secta Italica. (98) Pindaro nella prima ode olimpica dirizzata a Gerone; dopo: d' aver descritto il supplizio di Tantalo, che chiama atau λαμον βιον εμποσομοχθον vita priva do gni ajuto e perpetuamente laboriosa » 'sog giunge „ questo supplizio forma il quarto dopo d' averne sofferto altri tre » Mesta Tpl. ων τεταρτον πονον. Non si puo comprendere a prima vista, come questo quarto suppli zio fosse stato perpetuo. Ma ciò è intera mente dichiarato nella seconda ode. olim pica diretta a Terone Gergentino. Quivi e gli dice: que', che dopo d'esser dimorati tre volte nella terra e nell'inferno ocou do ετολμησαν ες τρις εκατερωθι μειγαντες: seppero contener ľanimo loro nella pratica della virtil, arriveranno per la via di Giove al la regia di Saturno, dove laure dell' O. ceano spirano dolcemente attorno le isole fortunate, e splendono i fiori d'oro. vede quindi dal confronto di queste due o. di, che la metempsicosi giusta Pindaro con Si 181 sisteva in tre articoli: iº che l'anima del lo stesso uomo informava tre volte corpi u mani, che ' v'era un intervallo tra la morte e'l rinascimento in cui i giusti go deano di felicità, e i malvagi eran puni ti, 3º che le anime perseveranti nella giu stizia per tutto il corso delle tre vite umia ne, andavano poi. cogli eroi nell'impero di Saturno; e quelle, che s' erano mac chiate di colpe in quello stesso tempo, an davano in fine a soffrire un supplizio eter πο: απαλαμον βιον εμπεδoμοχθον. Gli sco liasti stessi di Pindaro, non altriinenti che noi abbiamo fatto ', lo dichiarano: uno di essi dice υπεραγαν μεχρι τριτης μετεμψυχοσέως Ev 8 %a740015 Tols peeport „ sostennero (le a nime ) sino alla terza metempsicosi nell' uno e nell'altro luogo cioè a dire nel la terra e nell' inferno. Ora trina di Pindaro pare che allora fosse sta ta conosciuta da' soli sapienti. Poichè dopo che il poeir avea esposta la triplice trasmi grazione soggiunge lo tengo sotto il mio gomito e dentro la faretra delle sette vo: questa dot 182 lanti, il cui fischio si sente dal solo sa piente. Ma la moltitudine ha lisogno d' interpetri ες δε το παν ερμηνεων χατιζα. Η saggio è colui che conosce la natura, gli altri, che įmparano da lui, sono loquaci nxo Root Taivajaworick e come i corvi inutilmente gracchiano. Per lo che pare, che Pindaro s'astenea di parlar chiaramente per non ri velare al volgo il dogma pittagorico della metempsicosi, ed opponea la furgawcola o loquacità del profano al silenzio del pit tagorico. (99) Tutti gli antichi fanno onorata men zione della filosofia d'Empedocle. Lascian do stare Aristotile e Teofrasto, noi sappia. mo da Laerzio l. 10 Sect. 25 ch' Herma co l'epicureo la espose in 24 libri moto - λικων περι Εμπεδοκλεας: Τra Iatini poί α parte di Lucrezio e di Cicerone, che ne fan sommi elogi, siano avvertiti da Cicerone me. desinio che si era stato un Sallustio, il quale area trattato la filosofia d'Empedocle nel la stessa guisa, che avea fatto Lucrezio per quella di Epicuro. Tria per quanto si rac 183 coglie dalle parole di Cicerone quell' auto re non era riuscito cosi bene, come Lucre. zio. Lucretii poemata, ut scribis, ita sunt multis luminibus ingenii: multae tamen ar. tis. Sed cum veneris, virum te putabo, si Sallustji Empedoclea legeris; hominem non putabo, cioè a dire se potrai sostener ne la lettura ti 'stimerò invitto e paziente. ma privo di senso. Cic. Ep. ad Q.fr. 1. 2. Non che Plutarco ne' tempi d'appres. 80, ma tutti gli scrittori ecclesiastici ricor dano con lode Empedocle ed i suoi pensu. menti. Vi ha un luogo di Temistio nell orazione 12 all' Imperator Gioviano, in cui egli loda quest' imperadore per la lege ge da esso lui stabilita circa la libertà del la religione. In questo luogo ei dice agar σθαι μεν εν και τις αλλες το νομο προσηκ4 τον θαοτατον Αυτοκρατορα και μαλιστα δε οίς ουκ εφιασι μονον την ελευθερίαν, αλλα και τις θεσμες εξηγείται και φαυλοτερον Εμπεδοκλεας και Ma All Excave te Teals. Varia è stata l' interpetrazione di piu autori intorno a que ste parole, e principalmente per l'Empe 184 parere che docle, di cui fa menzione Temistio. Al cuni hanno sognato un altro Empedocle di verso e posteriore al nostro. Petavio, non si sa come, crede, che sotto il nome d' Empeclocle abbia quegli voluto significare G. C. Petit è di per Empedocle s'inten la un cinico chiamato Peregrino. Nè marican di quei, che credono essere stato rcfurrito in quel luogo S. Policarpo marti re. Iru biti gl'inteipetri Casaubono in not. ad M. Anton, pas 87 è stato a giudizio di Fabricio Bibl. Graec. T. 8 p. 56, corui che meglio l'hi interpetrato. AgarIsi Mesy XV x2. Toń andy (ita malo quam tos are 285, quod tamen ferri potest, nec' senten tiae, quam volumus, repugnat ), 78 roles.po: σηκ ή τον θιοτατον Αυτοκρατορα μαλιστα δε οίς (idest τετων vel εκεινων οις ) εκ εφιησι porgy etc., Degnissimo è l ' imperadore di ammirazione e di venerazione non che per le cose, che in quella legge si contengono, ma sopra di ogn'altro e per la libertà del la religione, e perchè spiega quelle leggi, che sono state da Dio dettate, con perizia 185 non minore di quella, per · Giove, che non fece quell'antico Empedocle., Di che si vede, ch'era tanta e tale la stima, in cui allora si tenea il nostro filosofo, che ad esso si comparava l ' Imperadore Gioviniano, allorchè si volea lodare. Abulfarage presso gli Arabi, secondo che dice Fabric. Bibl. Graec. T. 1 p. 474 loda G.e, come chi avea ottimamen te conosciuto gli attributi divini. Finalmente la filosofia d'Empedocle è stata vinovata da Campanella, da Magna. no o Maignano. Fahr. Bib. Graec. nel me desimo luogo. Per lo che si vede chiarissimo quanto male Orazio conoscea il nostro filosofo; allorchè disse. Ep. 12 !. 1 v. 20. Empedocles; an Stertinii deliret acumen. a a  Su i Franmenti delle opere di Empedocle Gergentino. ROM nico è l' oggetto di questa ultima mes moria: presentare a un colpo d'occhio tute ti accozzati gli avanzi delle opere d'Empe. docle. Egli ne detò molte, e quasi tutte, com'era usanza in que' di, le scrisse in versi.. Pure niun poema di lui è venuto sino à noi, e pochi sono i frammenti, che di questi ci restano L'inno ad Apollo, e 'l poema de' Persiani, furono, lui morto, bruciati. Il poema sulla sfera si reputa oggi opera d'incerto autore, Del suo discorso sulla medicina non ce n ' è restato nè anche vestigio: anzi ignorasi, se questo fosse stato scritto in versi secon do Laerzio, o pure in prosa secondo Sui da. I frammenti in somma delle opere d' Empedocle, che da noi si conoscono, ri guardano e fan parte di due famosi poe e non sia. a, a 2 188 ni: l' uno sulle purgazioni, l'altro sulla natura. Il primo fu intitolato a Gergen tini; il secondo a Pausania il medico el amico di lui. La raccolta quindi de' fram menti de' versi d' Empedocle, di cui qui si parla, appartiene soltanto a questi due gran poemi. Piü Eruditi, e tuti di gran nome assai prima, e in varj tempi praticaron lo stesso. Errico Stefano no pubblicò il pri mo non pochi nel suo Ibro della poesia fi. losofica. Fabricio prese appresso il pensiero d'ampliar la raccolta di Stefano; e giusta il Mosenio quegli mol to l'accrebbe. Ma ogni fatica di lui, co me attesta il Reimaro, tornò vana; perchè morto Fabricio si perderono i suoi origina li,, e il pubblico non potè coglierne il frut. to. Van - Goens di poi nell'edizione, ch ' ei fece del libro della Groita delle Ninfe di Porfirio, manifestò aver già raunato più di trecento versi d'Empedocle, e promiso al più presto di recarli in luce. Avea, se condo ch' attesta egli stesso, tratto gran pro 189 1 da' manoscritti che si conservano nella libre ria di Leyden, e invitato tutti i dotti ad aiutarlo in si fatio travaglio. Ma punto non si sa, se abbia o nò costui pubblica to la raccolta de' versi del nostro filosofo, giusta la promessa di lui nel 1765 sotto titolo di raccolta Empedoclea. E' sempre una singolar disgrazia il non potere profittar delle fatiche degli uomini grandi. Le nostre librerie een prive non che di manoscritti, ma scarseggiano ancora di libri. Non ci è venuto fatto di ritroe' vare in esse nè pure lo stesso Errico Ste fano della poesia filosofica. Però, mancan. ti gli aiuti, si è ito sù giù rifrustando an tichi scrittori per cogliere or uno or due e di rado o sei, o dieci' o più versi di Emperlocle, che sparsi si leggono in que sto, e in quell'altro. Fatica assai penosa, e ' tanto più dura, quanto ha obbligato a durar quello stento, che farebbe chi il pri mo si mettesse ad imprenderla, senza la spe. ranza di poter acquistare la gloria debita a chi il primo l'avesse intrapreso. Unico 190 > conforto ne fu un Simplicio dell'edizione d' Aldo, trovato nella libreria de' PP. Tea tini di Palermo (giacchè questi ne' suoi co. mentari d ' Aristotile rapporta molti versi d ' Empedocle ). Da questo libro furon tratti non pochi de' versi d ' Empedocle, che si tro van messi insieme. in quest'ultima parte. Ma il medesimo disgraziatamente fu ruba. to in quella libreria. Però non fu conco duto di potersi più riscontrare i versi rac colti col testo; e si è dovuto, congetturan, do quasi tentoni, quando supplir qualche parola a caso tralasciata, quando correg gere alcuni versi, che per la prima volta erano stati o male lètti, o falsamente scrit ti. Si è detto tutto ciò non perchè s' am. bisca lode di questa qualunque siesi fati ca; ma perchè se ne abbia anticipato come patimento. In altri paesi d'Europa la race colta de' versi d' Empedocle o gia è stata egregiamente recata in pubblico; o se non è stata ancor fatta, si potrà certamente fare e più abbondante, e più corretta, e più dotta, che non è questa. Non è quin 191 di la stessa da considerarsi come un ope. ra perfetta, o degna degli sguardi de' Dot ti. Si desidera soltanto, che si tenga la medesima, come un annotazione, con cui si provano i pensamenti d' Empedocle espo sti nella terza Memoria. Ma comunque ciò sia egli è certo, che i versi d'Empedocle smentiscono coloro, che portano opinione lui essere stato o di niú no o di poco valore in poetica. Si fondan costoro sopra Plutarco (1 ), il quale dice Empedocle avere ornato col metro i suoi discorsi per evitare l'umiltà della prosa. Ma non si accorgono aver loro o mal inte so o sinistramente interpetrato Plutarco, il quale pretese sol definire, che sia stata di dascalica la maniera poetica del nostro fie losofo. Questa, come quella, ehe tratta e di filosofia, e di precetti sdegna le finzio. ni e l'invenzione, in cui il pregio, il bel lo, e la natura consiste d'ogni poesia. Per rò quegli disse, ch'Empedocle avea preso (1 ) De Aud. Poet. 192 dalla poesia, senza più, e la pompa, e il meiro. Questo stesso avea già gran tempo prima annunziato Aristotilo, che fu non che savio ma di gran sentimento nelle co se poetiche. Egli, a distinguer la poesia d' Omero da quella d'Empedocle, affermò i uno e l'altro, tranne il metro, nulla tra loro aver di comune. Perché Omero era un Poeta, com’ei diee, ed Empedocle un fisiologo (1 ). Ma se Empedocle, qual didascalico, non merita é nome e lode, che si convie ne a poeta, non si pao negare aver lui necupato in que' dì il primo luogo tra di dascalici, Aristotile di fatto non seppe in miglior modo contrassegnare la differenza tra la vera poesia e la didascalica, che comparando tra loro il più gran poeta e il più eccellente didascalico; Omero ed Em pedocle. Nè altrimenti si pensò ne ' tempi d' appresso. Cicerone chiama egregio il poe (1 ) De Poet. cap. 1. 793 ma d'Empedocle sulla natura (1 ). Anzi mettendo egli a confronto i versi di Par menide, di Xenofane, e d' Empedocle, che furon tutti tre poeti didascalici, dice aper tamente, che più belli ed eleganti erano i versi del nostro filosofo (2 ). Che se poi mancasse ogn'altro argomento ad apprez zare il merito di lui, sarebbe certamente bastevole il sapere i poemi d'Empedocle es sersi cantati ne' pubblici giuochi di Grecia. Ognun sa, che questa, piena allora di gu sto, e severa nel gindicare, non concedea tali onori se non a soli grandiuomini. Nel resto ciascuno su cið, o del raffinamento del la poetica d'Empedocle, ne può da ise giu dicare. Il solo leggere i frammenti, che ci sono restati, basta a far che chiunque ne resti persuaso e convinto. Il dialetto de' Siciliani e de' Pittagorici era comune; e questo appunto era il Dori co. Pure Empedocle avvegnache fosse stato (1 ) Lib. 1 de Orat. (2 ) Acad. Quaest. l. 4. Ъь 194 o SICILIANO e Pittagorico, non mise in opera, che il dialetto Jonico, coine quello, ch'era tra Greci poeti il più polito e gentile. Fu inoltre la musa d? Empedocle dolcissima. E. gli ne' suoi versi non sol si servì di quel dialetto, ma nel farli scelse le parole più dolci e sonore. Platone, parlando d ' Era clito, d'Empedocle, dice che le muse di quello eran più dure, e le altre di questo più molli (1 ) ancorchè l' uno e l'altro aves sero usato il dialetto medesimo degli Jonj Plutarco stesso poi non lascia di notare, che gli epiteti apposti da Empedocle non erano, come per lo più esser ' sogliono ne' poeti, di puro ornamento, ma esprimeano la natura delle cose (2 ). Ne cita egli di fatto l'aggiunto dato da Empedocle a Ve. nere qual datrice di vita; il sempre verdeg: giante dato all'alloro; l'abbondante di san gue adattato al fegato: e altri simiglianti. Anzi il medesimo Plutarco da a Empedocle (1 ) Plut. in Sophista. (2 ) Plut. Sympos. l. 6 Erotic. 195 il vanto d' aver meglio e più: destramento usato d'aleuni epiteti d'Omero (1): Ne reca ' egli in pruova l'aggiunto d'agglome rator di nubi, che questi attribuisce a Gio ve, e quegli all' aria, e l'altro di difena SOF del corpo, che Omero dà allo seudo, ed Empedocle all'anima. Ma perchè più dilungarci in rapporta: re antichi testimonj su cið? I franımenti stessi d ' Empedocle chiaro ci mostrano l' éc cellenza della sua poesia. Basta dirsi aver lui tenuto Omero per modello nelle sue o pere poetiche. Le voci, le frasi, le me taforé, la giacitura delle parole, le desi nenze de' versi son le medesime in quello, che in questo. Si può quindi dir con ra gione l'apparenza de' suoi versi, e la sein bianza de' suoi poemi essere stata tutta di Omero. Oltre che riluce in lui una viva cità nelle immagini, e una novità sin" nel le stesse parole. Moltissimi sugi epitéti ed espressivi e leggiadri non si trovano in al (1 ) Plut. Symp, l. 6. bb 2 196 cun altro poeta: 1. pesci, per tacer d i tant altri, " sono chiamati da lui quando nutriti, quando abitatori dell'acqua; gli uccelli cimbe volanti; gli Dei ' di lunghissi. mi secoli. Anzi Aristotile nella sua poeti ca indica come una metafora assai bella, e allora nuova, quella con cui Empedocle esprime la vecchiaja; chiamandola l'occa. so della vita. Chiunque poi legge nelle sue opere la descrizione della natura; " che qual pittore con quattro colori, fa tutte le co se con quattro elementi; o l' altra della visione, che comparata a una lucerna, fa le sue funzioni; o quella della clessidra, o cose simiglianti ', non gli potrà certo ne gare il pregio, che si conviene a vaga e bella fantasia. Per lo che da' framinenti d' Empedocle si prende quel diletto, che pigliar si suole guardando i rottami d'una qualche nostra Greca Sicola anticaglia. Nel mettersi insieme si fatti frammen, ti si sono in prima distinti i versi, che appartengono al poema della natura, da. quelli, che fan parte dell'altro sulle pur 197 1 lande prezi Foce cck que nal elle gazioni. Ciò non è riuscito punto difficile, Perchè il primo tratta di cose fisiche, e 'l secondo di cose morali. In quello d'ordi nario, perchè diretto al colo Pausania i verbi si trovano in singolare. In questo all'oppesto perchè indirizzato ' a Gergenti ni, i verbi si leggono in plurale. Perd e dalla sintassi e dalla materia è stato age vole il se parare i frammenti d'un poema da quelli dell'altro. Si sa oltr'a ciò il poema d'Empedo cle sulla natura esser. diviso in tre libri. Molti stenti ha costato il congetturare qua li sieno stati trà versi, che ci restano, quel li che appartengono o al primo, o al se condo, o al terzo, In çiò fare è stato di mestieri ricercare se per avventura gli scrit tori, che ne riferiscono i frammenti, aba biano citato il libro. Talora d' alcuni ver si, che certamente si sa dalla testimonian za degli scrittori doversi collocare in uno de' tre libri, si è rilevata la materia, che in ciascuno di essi trattavasi dal no stro Gergentino, Stabilita poi la materia la ni che ung en. he da ur. 198 stato ben facile il riferire allo stesso li bro tutti que' frammenti, che si versano sullo stesso soggetto. Ma non di rado con frontando i frammenti tra loro si è trova to, che alcuni finiscono con versi, che son principio di altri. Con tale studio quindi e simigliante artifizio si è cercato di collo care o prima, o dopo alcuni frammenti, che sono dello stesso libro. Nel resto sarà meglio il tutto giustificato nelle note, e l' ordine con cui sono rapportati i frammen ti, e l'autore, da cui sono stati ricavati e l'intelligenza, con cui sono stati interpe trati '. Fra tanto se questo qualunque siesi lavoro non sarà stimato degno di lode, po trà almeno, meritare, nell' emenda de dete ti il perdono del pubblico. RACCOLTA D E FRAMM ENTI. 200 ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ βιβλ. α. Παυσανία συ δε κλυθι δαίφρονος Αγχίτου υιε (1 ). Εστί αναγκης χρημα θεων σφραγισμα παλαιον Αϊδιον πλατεεσσι κατεσφραγισμενον ορκοις (2 ) Τεσσαρα των παντων ριζωματα πρωτον ακους Ζευς αργής, ηρητε φερεσβιος η αίσθωγευς Νηστις θ' ' δακρυοις τεγγα κρενωμα βρoταον Των δε συνερχομενων εξ εσχατων ιστατο νακος (3 ) Διπλ' ερεω: τοτε γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ πλεονων τοτε δ ' αυ διεφυ πλέον εξ ενος ειναι Δοιη δε θνητων γενεσις δοιη και απολαψις Την μεν γαρ παντων συνοδος τικτατ’ ολεκτιτε Ηδε παλιν διαφυαμενών θρυφθασα γε δρυπτα Και ταυτ αλλασσοντα διαμπερες εποτε λήγα 201 DELLA NATURA Lib. I. Pausania figliuol del saggio Anchito Tu ciò, ch ' io dico, attentamente ascolta E' volere del Fato, è degli Dei Decreto antico, che ab eterno fue Segnato con solenni giuramenti. Il bianco Giove, la vital Giunone, E Pluto, e Nesti, che piangendo irriga I canali dell'uom, son d'ogni cosa, Odimi in prima, le quattro radici. Ma come quelli tra di lor s'accozzano Dall' ultimo confin sorge la lite. Dųe son le cose, ch' a narrarti io prendo: Ora l'uno dal più risulta, ed ora Nasce dall' uno il più: cosa mortale Doppio ha nascimento, e doppia ha morte. Genera, e strugge l ' union del tutto; E questa sciolta, torna pur di nuovo CC 20 2 Αλλοτε μεν φιλοτητί συνερχομεν ’ ας εν απαντα Αλλοτε αυ διχα παντα φορεμενα νακεος εχθα Εισοκες αν συμφωντα το παν υπενερθε γενητα. Ουτως η μεν εν εκ πλεογων μεμαθηκε φυέσθαι Η δε παλιν διαφυγτος ενος πλεον εκτελεθεσ: Τη μεν γίγνονται τε και και σφισιν εμπεδος αιων Η δε διαλλασσονται διαμπερες αποτε ληγει Ταυτη α εν εασσιν ακινητα κατα κυκλoν. Αλλ' αγέ μυθον κλυθι - μεθη γαρ τοι φρεγας αυξ Ως γαρ και πριν ειπα πιφασκων πειρατα μυθων Διπλ’ ερεω: τοτε μεν γαρ εν αυξηθη μονον ειναι Εκ πλεονων τοτε δ' αυ διεφυ πλεον εξ ενος αναι Πυρ και υδωρ και γαια και κερος απλετον υψος Νικοστ' αλομενον διχα των αταλαντον εκαστον Και φιλοτης εν τοισιν ιση μηκοστε πλατοστε Την συν νω δερκε μη δ ' ομμασιν ησο τεθηπως Ητις και θνητοισι νομιζεται εμφυτος αρθροίς Tητε φιλαφρονεας ιδ ' ομοιϊα εργα τελεσι Γιθοσυνην καλεοντες επωνυμον ιδ " αφροδιτην Την στις μετ ' οτοίσιν ελίσσομενην δεδαηκε. Θνητος ανηρ συ δ' ακ8ε λογων στoλoν εκ απατηλον Ταυτα γαρ ισα τε παντα και ηλικα γενναν εατσι Τιμης δ' αλλης αλλο μεδα παρα δ ' ήθος εκαστω Εν δε μερά κρατεεσι περίπλομενοιο χρονοιο. Και προς τους ατ' αρ' επιγιγεται δ ' απολήγα 203 Ogni cosa, ch' è nata, a separarsi. Tutto alterna cosť, e così dura Eternamente: ed ora in un si accozza Per la virtù dell' amicizia, ed ora Per l'odio della lite si sparpaglia, Standosi in aria, finchè non si unisca, Cosi l'uno dal più nascer costuma. Cosi dall' un già nato il più rinasce. Entrambi han vita; ma la lor durata Non è mai stabil. Perchè l' uno e l'altro Alterna, e l'alternar non ha mai fine Sopra di un cerchio eternamente gira. Ma tu il mio parlare attento ascolta, Che lo spesso sentire, e risentire La mente aguzza. Come pria ti dissi Raccogliendo la somma del discorso Due son le cose, ch'a 'narrarti io prendo. Ora l'uno dal più si forma, ed ora Nasce dall' uno il piii; ch'è terra, e fuoco, και ed aria d'un'immensa altezza, Oltre di questi, che tra lor son pari, Havi lite dannosa, ed amicizia, Ch'ha per lungo, e per largo egual misura.?' u colla mente la contempla. Invano Ed acqua, CC 2 304 Η Ειτε γαρ εφθαροντο διαμπερες εκετ ’ αν καισαν. Τατο δ ' επαυξησε το παν τι κε; και ποθεν ελθον; Πη δε κεν απολοιτο επει των δ ' δεν ερημον; Αλλ ' αυτ ’ εστιν ταυτα διαλληλων δε θεοντα Γινεται αλλοτε αλλα διηνεκες αιεν ομοια (4). 205 Stupidi gli occhi sopra dessa fisi. Questa d'ogni mortal nelle giunture Si vuole innata, e chi n'han senso in mente Fanno, comº essa fa, opre leggiadre. Di Venere col nome o d'allegrezza La chiamano, sebben finor niuno Seppe indicare dentro a quali cose Si aggirasse involuta. O tu niortale, Ascolta i detti, che non son fallaci: L'amicizia, e la lite sono eguali, Hanno la stessa età, l' origin stessa Sol con diverso onor l ' una sull'altra Impera, e piglia, com'è lor costume, Il comando a vicenda al fin del tempo, Scritto a ciascuna dal voler del fato. Nulla viene oltr' a ciò, ch' ancor non è Nulla di quel, che è, desser finisce; Se pur finisse., riaver non mai Potrebbe in alcun tempo l'esistenza. Doy ' andrebbe a perir, se non v'ha luogo Di ciò solingo, ch'al presente esiste? E se quel', che non è, ora venisse D ' onde verrebbe? e che? come potrebbe Accrescer questo tutto, s' egli è tutto?? 206 ! 3. • Επι νεικος μεν ενερτατον ικετο βενθος Δινης εν δε μεση φιλοτης στροφαλιγγα γένηται Εν τη δη ταδε παντα συνερχεται εν μονον είναι Ουκ αφαρ αλλα θελυμμα συνισταμεν αλλοθεν αλλο Των δε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρια θνητων Πολλα δ' αμικτ ’ εστηκε κερασσαμένoίσιν εναλλαξ Οσσ ' ετι νεικος ερυκς μεταρσίον • 8 γαρ αμεμτώς Το παν εξέστηκεν επ ' εσχατα τερματα κυκλα Αλλα τα μεν τ ' εμιμνε μελεων τα δε τ ’ εξεβεβηκεν Οσσον δ ' αιεν υπεκπροθεει τοσον αιεν επηει Η επιφρων φιλοτης αμεμπτως αμβροτος ορμη Αιψα δε θνητ’ εφυοντο τα πριν μαθον αθανατ’ είναι Ζωρα δε τα πριν ακρητα διαλλαξαντα κελευθες Των δε τε μισγομενων χειτ' εθνεα μυρία θνητων EΠαγτ οιαις ιδεησιν αρηροτα θαυμα ιδεθαι (5) 207 Sempre dunque le cose son le stesse, Si mischian, si separano, a vicenda Movendosi tra lor, e nascon sempre Novelle forme, ma tra lor simili. Avea la lite già toccato il fine Ultimo del girar, quando amicizia Del cerchio, in cui si volge, al centro arriva. Tutte le cose allor vanno ad unirsi Per fare l'un; ma a poco a poco il fanno, Base a base di quà di là giungendo. Dagli elementi, che tra lor si mischiano Razza infinita di mortali nasce. Ma in mezzo a que', che s'accozzar, vi furo Altri, che ' ncontro senzı alcun miscuglio Restaron puri; perchè lite ancora In alto li tenea Piena di colpa Ella com'è, voleva il tutto scisso Sull' estremo confin del cerchio trarre. Però de' membri, alcuni fuor spuntaro, Ed altri nò. Ma quanto innanzi corre Sempre la lite, tanto sempre è pronta L ' amicizia a venir saggia, divina, Nuda di colpe, d' immortale forza > 208 Σ Η δε χθων τατοισιν ιση συνεχυρσε μαλιστα Ηφαιστω τ ' ομβρωτε και αθερι παμφανοωντι Κυπριδος ορμησθεισα τελειοις εν λιμενεσσιν Ειτ ' ολίγον μειζων ειτα πλεον εστιν ελασσων Ίων αιματ’ εγένοντο και αλλης ειδεα σαρκος (6). Η δε χθων επικαιρος εν ευτυκτοις χοανοισι Τα δυο των οκτω μερεων λαχε νηστιδος αιγλης Τεσσαρα δ ' ηφαιστοιο. Τα δ ' οστεα λευκα γένοντο Αρμογιης κολλησιν αρηροτα θεσπεσιηθεν (7 ). 209 E nascer ecco, e divenir nascendo Della morte alla falee sottoposti Que', che prima sapean esserne immuni, E mutando sentier trovarsi misti Que', che puri eran pria senza miscuglio. Formasi in somma dalle cose miste Un numero infinito di mortali, Che d'ogni specie son, d'ogni figura, Si, ch'a vederli è certo maraviglia. Ne'porti estremi della bella Dea Giunse la Terra là dov' ogni cosa Or di massa crescendo, ed or mancando Il più meno si fa, e 'l meno più. Ivi la Terra in parte egual s'avvenne All' aria trasparente, al fuoco, all'acqua, E da tale union indi formossi Qualunque specie di carne, e di sangue. Quando la terra era d'amor sospinta In pevere ben salde a sorte trasse Dell'otto parti, d' acqua chiara due, Quattro di fuoco: e per divin volere Col glutin d'armonia tutte s'uniro: dd διο Βελιον μεν θερμoν οραν και λαμπρον απαντη Αμβροτα γ οσσ ' εδεται και αργέτι δευεται αυγη Ομβρον δ ' εν πασι νιφρεντα τε ριγηλοντε Εν δ ' αιης προρεεσι θελυμγα τε και στερεωμα. Εν δε κοτω διαμορφα και αν διχα παντα πελονται Συν δ εβη εν φιλοτητι και αλληλοισι ποθκται. Εκ τετων γαρ παντ' ην οσσα τε εστι και εσται Δενδρατο βεβλαστηκε και ανερες ηδε γυναικες Θηρεστ’ οιωνοίτε και υδατο θρεμμονες ιχθυς Και τι θεοι δολιχαιωνες τιμησι Φεριστοι και Αυτα γαρ εστι ταυτα δι αλληλων θεοντα Γινεται αλλείωτα (8 ), 1 911 E l'ossa bianche furon tosto fatte. Da per tutto si vede il Sol, che desta Calore, e lancia della luce i raggi, E quegli ancor, che senza morte sono, Quasi da fame o pur da sete spinti, L'aria ricercar bianco splendente. Puossi ovunque veder l'acqua; che in neve: Talòr si muta, e facilmente gela: o pur la terra, da cui vengon fuori Le salde cose. Quando impera lira Tutto è biforme, ed ogni cosa è scissa, Ma regnando amicizia il tutto corre Pronto ad unirsi, e l'una all' altra cosa Per interno desir s'abbraccia, e stringe. Tutto viene da quelli, e per l'amore, Ciò, che fu, cid, che è, ciò che sard, Germogliaro cosi alberi, e piante Nacquero maschi, e donne, e fiere, e uccelli, E pesci ancor, che son d'acqua nutriti; O pur gli Dei di secoli lunghissimi Chiari per gl' inni, e per gli onor prestanti. Sempre in somma le cose soil le stesse, Sempre tra loro han moto, e cangian forma. d d 2 212 Ως δ ' oπoταν γραφεες αναθηματα ποικιλλωσιν Ανερεσ αμφί τεχνης υπο μη τινος δεδαωτες Οιτ ' επει καιν μαρψωσι πολυχροα φαρμακα χερσι Αρμονια μιξαντε τα μιν πλεω αλλα και ελασσω. Εκ των αδεα πασ' εναλίγκιά πορσυνέσι Δενδρεάτε κτιζοντες και ανερας nde γυναίκας Θηρας τ’ οιωνες τε και υδατο θρέμμονες ιχθυς Και τε θεες δολιχαιωνας τιμησι φεριςτες Ουτω μη σ ' απατα φρενα ως νυ κεν αλλοθεν «να Θνητων οσσα γε δηλα γεγαασιν εσπετα πηγήν. ταυτ ' ισθί θεα παρα μυθον ακουσας (9 Αλλα τορώς Εν δε μερα κρατεεσι περίπλομενοίο κυκλοίο Χα, φθιγει ας αλληλα και αυξεται εν μέρει αισης Αυτα γαρ εστι ταυτα οι αλληλων δε θεοντα Γιγοντα ανθρωποιτε και αλλων εθνέα θνητων: Αλλοτε μεν φιλοτητα συνερχομεν ασ ενα κοσμου 213 Qual dipintor nell'arte sua perito Sa' i quadri variar, che la pietate Del tempio alle colonne, appende in dono A santi numi. Egli con man piglian do Ora più, ora men di questo, è quello Colore, insiem con ' armonia li vmischia, E poi con essi va pingendo immagini Che son del tutto simili agli oggetti: Uomini, donne, fiere, uccelli, e piante;. Ed i pesci, che son đ 0 pur gli Dii di secoli lunghissimi Chiari per glinni, e per gli onor prestanti; Cosi la mente certo non s'inganna Dº ogni nato mortal qualora dice Esserne fonte sol quegli elementi. Tu.ciò, che ho detto, tieni pur per fermo. Di tutto il nascer sai, fuorchè di Dio, Sul quale il mio parlar non è diretto. acqua nutriti Or l'amicizia, ed or la lite impera Del cerchio intorno rivolgendo i passi, E luña e l'altra, come vuole il fatoo Manca a vicenda, ed a vicenda sorge. Sempre le stesse son, sempre alternando 214 Αλλοτε δ ' αυ διχ' εκάστα φορεμενα νικεος εχθα Εισοκεν αν συμφωντα το παν υπεγερθα γενηται. Ουτως η μεν εν εκ πλεονων μεμαθηκε φνεσθαι Η δε πάλιν διαφωντος ενος πλεον εκτελεθεσι. Τη μεν γίνονται και και σφισιν εμπεδος αιων Η δε τα διαλλάσσοντα διαμπερές δαμα λογια Ταυτη αιεν εασσιν ακινητα κατα κυκλος (1ο). Σ Τεσσαρα των παντων ριζωματα πρωτον ακα! Πυρ και υδωρ και γαιαν η αιθερος απλετον υψος Εκ γαρ των οσατ' ην οσατ ' εσσεται οσσα τ ' εσσι(11 Αυταρ επε μεγα νεικος ενι μελεεσσιν ετρέφθασε Ες τίμαστ' ανορεσε τελιoμενοιο χρονοιο Ο σφιν αμοιβαιος πλατεος παρεληλατο ορκα (12 ) 15 Si muovono. Deil' uom la razza nasce, Tant' altre razze di mortali han vita. Talor per amicizia in ordin bello Tutto si unisce; ma talor per stizza Di lite il tutto si separa, è stassi Sospeso in alto, finchè non s'unisca. Cosi l'uno dal più nascer costuma. Così dall' un già nato il più rinasce. Entrambi han vita, ma la lor durata Non è mai stabil. Perchè l'uno, e l' altro Alterna, e l'alternar non ha mai fine Sopra d'un cerchio eternamente gira. Quattro, figliuol d'Anchito, in prima ascolta Son radici di tutto: il fuoco, e l'acqua, La terra, e l ' aer d'un immensa altezza; Perchè da questi sol viene, e deriva Ciò, che fu ', ciò, che è, ciò, che sard. Dopo, che lite, la gran lite ascosa Era stata ne' membri, il tempo scorso, Agli onori salt. Perchè l'impero Alternar si dovea, com'era scritto Con solenne, ed eterno giuramento. 256 Αρτια μεν γαρ αυτα εαυτων παντα μερέσσιν Ηλεκτωρτε Χθωντε και κρανος ηδε θαλασσα Οσσα Φιν εν θνητοίσιν αποπλ.αχθεκτα πεφυκέν. Ως δ ' αυτως οσα κρασιν' επαρκεα μαλλον εασσιν Αλληλοις εστερνται ομοιωθεντ' αφροδιτη. Εχθρα πλειστον επ', αλληλων διεχεσι μαλιστα Γεννητε κρασατε και αδεσιν εκμακτρισι Παντη συγγίγεσθαι αηθεα και μαλα λυγρα Νακεσ γεννηθεντα οτι σφισι γεννας οργα (13 ),. Αλλο δε τοι ερεω • φυσις αδενος εστιν απαντων Θνητων εδε τις ολομενα θανατοιο τελευτη Αλλα μογον μιξις τε διαλλαξις τε μιγεντων Εστι. φυσις δε βρoτοις ονομαζεται ανθρωποισι (14) Οι δ ' οτε δε κατα φωτα μιγεν φως αιθερι κυρα Η κατα θηρων αγροτέρων γενος και κατα θαμνων Ηε κατα οιωνων τοτε μεν τα δε φασι γενεσθαι 217 Tutto è perfetto, perchè tutto ha pari Íl numer delle parti, che il compone. Tal è la Terra, il Sole, il Cielo, il Marc E tutto quel, che tra mortali errando Miste ha le parti giusta sua natura. Ciò, che ridonda poi al lor miscuglio Da Venere s ' unisce al suo simile, Giacchè le cose simiglianti forte S'aman tra lor. Na spesso le divide L'inimicizia. Nascon quindi mostri Strani assai per la stirpe., e per la tempra, E per le forme, ch' hanno in loro impresse; Perchè la lite li produce allora Ch' appetiscon le cose il generare. Un altra cosa a dichiararti io prendo: Nulla ha natura, nè mortale ha morte, Che danno arrechi. Perch' è sol miscuglio, E delle cose miste è scioglimento Ciò, che natura gli uomini chiamaro. Quando a caso nell'aria s'imbatte Il miscuglio, che fa dell' uom la razza, O quella degli uccelli, o delle piante, 218 Ευτε ο αποκριθωσι τα δ ' αυ δυσδαιμονα ποτμαν Ειναι καλεσιν (15 ). Βιβλ. β. Νυν δ ' αγε πως ανδρωντε πολυκλαυτωντε γυναικων Εννυχιες ορπηκας ανήγαγε κρίνομενον πυρ Των δε κλυθ'.8 γαρ μυθος αποσκοπος εδ' αδας μων Ουλοφυες μεν πρωτα τυποι χθονος εξανατελλον Αμφοτερων υδατοστε και αδεος αι σαν εχοντες τετ' ανέπεμπε θελον προς ομοίον ευεσθα Ουτε τυπω μελεων ερατον δεμας εμφαινοντες Ουτ’ ενοπην ετ ' αυ επιχωριον ανδρασι, ηουν (16 ) Πυρ μεν Πολλα μεν αμφιπροσωπα και αμφιστερνα φυέσθαι Βεγενη ανδροπρωρα τα δ ' εμπαλιν εξανατέλλας Ανδροφυη βεκρανα μεμιγμεγα τη μεν υπ ανδρων Τη γυναικοφυη σκιεροις ήσκημενα γυιοις (17). 219 O de' bruti selvaggi, allor si dice Che nascon essi; e quando si discioglie Il miscuglio di lor, ch' han trista morte. Come nel separarsi il fuoco trasse De' maschi i germi oscuri, e delle donne, Che piungon molto, odimi, che 'l dire Rozzo non è, nè fuor sen va del segno. Perfetti in prima dalla terra i tipi Spuntaron tutti. Ma siccome il fuoco Su n'esulò il suo simil -bramando, Restaron quelli sol umide forme, e l'immago per lor parti aventi. Però nel tipo de' lor membri ancora Non mostravan ľamabili fattezze Del corpo, non ancor l'organ di voce, Nè la natia degli uomini favella. L'acqua, Nascon de' mostri con due facce, o petti.. Bovi son questi con umano volto, Comini quelli con bovina testa, D'opachi membri son forniti, e tutti e e 2 2 20 Η μεν πολλαι κορσαι αγαυχενες εβλαστησαν Οφθαλμοι δε επλασθησαν γαρ πτωχοί μετωπων (18 Βραχιονες γυμνοι χωρίς μορφονται γε. ωμων (19). Τατον μεν βρoτεων μελεων αριδαιαστον ογκον • Αλλοτε μεν φιλοτητα συνερχομεν' ας εν απαντα Για το σωμα λελογχε βια θαλέθοντος εν ακμή. Αλλοτε δ ' αυτε κακησι διατμηθοντ ’ εριδεσσιν Πλαζεται ανδιχο εκαστα περι ρηγμινι βιοιο. Ως αυτως θαμνοισι και ιχθυσιν, υδρομελαθροις Θηρσιτ’ οραμελεεσσιν ιδε πτεροβασμισι κυμβας (20 Σδε δ αναπνα παντα και εκπγ: πασι λιφαιμο ! Σαρμων συριγγες πυματον κατα σωμα τετανται Και σφιν επιστομίοις πυκνοις τετρηντα αλοξι Ριγων εσχατα τερθρα διαμπερες. ωστε φαγον μεν Σ 221 L'han di maschio, e di donna insiem confusi Sorsero teste senz' aver cervici. Privi di fronte furon fatti gli occhi. Nude le braccia senza spalle fatte, I membri umani giaccion tutti in massa Bella, e vistosa. Per anior talvolta S' uniscono tra loro, e corpo a caso Nel fior si forma della verde etate. All'opposto talor spiccansi i membri Per trista lite, e quà e là d' intorno Alla spiaggia di vita erran divisi. Apvien ciò pure agli alberi, alle fiere Che montanine son, a pesci ancora Abitator dell acqua, ed agli uccelli Che solcan l ' aria coll ' alate cimbe Ecco nel respirar come da tutti L' aer dentro si tira, é fuor si manda, Delle vene i canali si propagano Agli estremi del corpo, e metton capo Delle nari ne' solchi, in cui le punte 2 2 2 Σ Kευθαν αιθερι δ ευπορίαν διο οισι τετμησθαι Ενδεν επαθ οποτ.ν μεν επαίζη τερεν αμα Αιθαρ παφλαζων καταϊσσεται οίδματι μαργω. Ευτε δ ' αναθρησκ 4 πμλιν εκπν: 1. ωσπερ οταν πας Κλεψυδρας παιζοσα δι ευποτρος καλκoιο Ευτε μεν αυλα πορθμον επ' ευκαδα χερι θισα Εις υ2τος βαπτητι τερεν δεις αργυφεοιο Ουδε γ' ες αγγος ετ’ ομβρος εσέρχεται αλλα μιν εργ ! Αερος όγκος εσωθι πεσων επί τρηματα πυκνα Σισοκ α τ οστεγασι πυκνον ρέον. αυταρ επάτα Πνευματος ελλειποντος εσέρχεται αισιμων υδωρ. Ως γ' αυτως οθ' υδωρ μεν εχω κατα βενθεα καλκα Πορθμα χωσθέντος βρoτεί » χροι ηδε πορο! ο Αιθήρ δ' εκτος εσω λελιημενος ομβρον ερυκα Αμφι πυλας ισθμοιο δυσηχεος ακρα κρατύνων Εισοκε χέρι μεθ, τοτε δ' αυ παλιν εμπαλιν και πριν Πνεύματος εμπίπτοντος υπεκθι αισιμον υδωρ - Ως δ' αυτως τερέν αιμα κλαδισσομενον δια γυιων Οπποτέ μεν παλινoρσον επαιν5 μυχονδε Θατερον ευθυ, ρεμα κατερχεται οι ματι θυον Ευτε δ' αναθρων Α4 παλίν ειπν.4 ισον οπισσα (21). 223 Hanno sturate, Ma di sangue in parte Sono que tubi, e non del tutto pienii. Però calando giù s'occulta il sangue, E lascia all ' aer libera ed apertit Dell'entrata lu vir per le bouciucce. Avvien cosi, che quando il sangue molle In gil si lancii nell'interno, tosto L'aria, che ferve, con sue vacue bolle Entra con furia. E quando poi balzando Ritorna il sangue, torna fuor di nuovo Uscendo l'aria. Guarda quà donzella Intenta a trastullare colla clessidra Di facil bronzo, ch'al martello regge. Empier d'acqua la vuol: perciò ne tura Colla sua bella man prima la bocca Dell'orifizio, e quindi per la base Di spessi forellin tutta bucata L'immerge in mezzo della limpid' acqua. in questa intanto dentro non penétra Perché l'aria racchiusa nella clessidra Sovrastando a' forami con la molla L ' acqua preme, sospinge, ed allontana. Che se appena riapre la donzella Il già chiuso orifizio, di repente Ως δ ' οτε τις προοδον νοεων ωπλίσσάτο λυχνον Χειμεριην δια νυκτα πυρος σέλας αιθομελοιο 225 L'aria sen fugge; e come questa manca L'acqua fatale, che presiede all' ore, Ch'entrar pria non potea, entra nel vaso. La clessidra è già piena: or la donzella In altra guisa guarda là, che gioca. Ella con man turandone la bocca Dalla base forata vuol che cada L' acqua fatale, di cui quella è zeppa. Ma cupido d ' entrar laer di fuori Quasi forte confin l ' acqua ritiene Intorno á forellini gorgogliante. Se quella poi leva la mano, allora All'opposto di pria laer di sopra Cadendo all ' acqua ý giù la manda, è questa Per gli forami della base gronda. Tal è del sangue, che colante scorre Per le membra. Se presto si ritira Affollandosi in dentro, allor di colpo Schiumosa l' aria con vigor rientra. Poi quel ratto s' avanza, e questa fuori Esce coil passo egual retrocedendo. Come d'inwerno per l'oscura notte Chi prende a viaggiar prima prepara - ff 226 Αγας παντοίων ανεμων λαμπτηρας αμοργός Οιτ ' ανεμων μεν πνευμα διασκιανασι αεντων Φως δ ' εξω διαθρωσκον οσον ταγαωτερον ηεν Λαμπεσκεν κατα βηλον αταρεσι ακτινεσσιν. Ως δε τον εν μηνιγξιν εεργμενον ωγυγίον πυρ Λεπτησιν οθονησιν εχευατο κακλοπα κερης Αι δ ' υδατος μεν βενθος απεστεγον αμφινααντος Πυρ δ ' εξω διαθρωσκον οσον τανάωτερον Μεν (22) U Βιβλ. και Ου τοσε τι θεος εστιν και τοτε και τοδε Ουκ έστιν πελασθαι εν οφθαλμοίσιν εφικτος Ημετέροις η χέρσι λαβαν υπερτε μέγιστη Πειθες ανθρώποισιν αμαξιτος ας φρεγα πιπτα. Ου μεν γαρ βροτεη κεφαλη κατα γυια κεκασθα Οι μεν απαι γωτων γε δυο κλαδοι ασσεσιν (227 Lampade,.e lume di un ardente fiamma, E poi li mette dentro una lanterna, Che da venti difenda la fiammella; Perchè di questi come van spirando Disperge il soffio. Ma di fuor si lancia La luce, intanto, e quanto più si estende, Tanto illumina più presso la struda Corai di notte vincitor non vinti; Cosi il naturale antico fuoco, Che la pupilla circolure irradia, Stassi dell' occhio in le membrane chiuso Sottili al par di vel, che dall ' umore, Il quale in copia dall' intorno scorre Tutto il difendon. Ma di là movendo Quanto più lungi puà fuori sį spande. Lib. III: 1 Nè questo, o quello, nè quell' altro è Dio, A noi cogli occhi non è mai concesso Di poterlo veder, nè colle mani Di poterlo trattar: che della mente Esser suole la via grande, e comune, Per cui persuasion entra nell' uomo. 228 Οι ποσες και θοα γουνα παι μηδεα λαχνηεντα Αλλα Φρην ιερη και αθεσφατος επλετο μενον, Φροντισι κοσμον άπαντα καταϊσσεσα θοησιν (23 ) ΠΕΡΙ ΦΥΣΕΩΣ. Ει δ ' αγε νυν λεξω πρωθ ηλιον αρχην Εξ ων δη εγενοντο τα νυν εσoρωμεγα παντα Ταράτε και ποντος πολυκυμων ηδ' υγρος αηρ Τιταν η δ αθηρ σφιγγων περί κυκλoν απαντα (24) 229 Iddio non è di mortal capo ornato, Che su membri s'estolle. A lui sul dorso Non spiegansi i due rami. Egli non have Ginocchia, che al cammin ci fan veloci. Egli piedi non ha, nè quelle parti Che vergogna, e lanugine ricopre. E mente sol, è sacra mente Iddio, Ch'esprimer non si può da nostra lingua: In un istante tutta la natura Col veloce pensier ricerca, e scorre. DELLA NATURA. V B R SI Che non si sa a quale de tre Libri appartengono. Dirotti in prima co' mięi versi d' onde Ebbe origine il Sole, e d'onde ogn'altro Che noi veggiam; l ' ondoso mar, la terra L'aria, che nel suo sen chiude, e raccoglie Ogni umido vapor, la luce, e letere Che tutto cinge, e tutto intorno avvolge. 23ο Πως και δενδρεα μακρα και ειναλιοί καμασκνες (25 ) Ειπερ, απαρονα γης τε βαθη και δαψιλος αθηρ Ως δια πολλων δη γλωσσης ρηθεντα ματαιως Εκκέχυται στοματων ολιγον τε παντος ιδόντων (26) Ουδε τι τα παντος κεγεον πελα ουδε περισσον (27 ) Ως γλυκυ μεν γλυκυ μαρπτε πικρον δ ' επι πικρον Ορέσες οξυ ο επ ' οξυ εβη θερμον δ εποχευετο θερμος (28): Γνους οτι παντων « σιν απορροια οσσ ' εγένοντο (29) Kευθεα θηριων μελεων μυκτηρσιν ερευνων (3ο) Ούτω γαρ συνεχυρσε θεων τοτε πολλακι δ ' αλ λος (31). 23 In qual maniera furon pria formati E gli arbor alti, ed į marini pesci. Per la lingua di molti invan discorre La terra, e l ' Eter non dver con fine Quella nelle radici e questo in alto. Ciò la bocca di color si sparge per Che nulla, o poco sanno, e guardan lungi Colla veduta corta d'una spanna » Vacuo non c'è, e nulla pur ridonda; U Dolce a dolce s' unisce, ed all' amaro Corre l'amaro, e l'aspro all aspro vanne, E verso il caldo si conduce il caldo. Ogni corpo, ch ' esiste, il dei sapere, Vibra lungi da se parti vaganti, Fiutando indaga le ferine tane, Tale in quel punto s’intoppò correndo Ma in altra guisa per lo più s' avviene 233 οπη συγεκυρσεν απαντα (35). Η δ ' αυ φλοξ ιλααρα μινυνθαδικαις τυχε γαιης (33 ) Κυπρίοδος εν παλαμης πλασέως τοιηστε τυχοντα (34 ) Τη δε μεν ιοτητι τυχης πεφρονήκεν απαντα (35 ) (Και καθ' οσον μεν αρμοτατα συγκυρσε πεσοντα(36) Αλλα οπως αν τυχη (37 ) ΓIαντα γαρ εξακης πελειζετο γυια θεσιο (38) Και δα παρ’ ο δη καλαν έστιν ακουσαι (39) Ενθ' ουτ' ηελιοιο διειδετο ωκεα γυια (40) Αρμογιης πυκίγως κρυφα εστηρικτα (41 ) Σφαιρος κυκλοτερης μοί1 περίγ 19 εκων (42 ) 237 Dove ogni cosa s' imbatte i Fiamma lunare s' incont Insiem con Terra, che Nelle man di Ciprigna cost Col parer di fortuna al tutto intese In quanto a caso s'accordar tra loro Nell'incontrarsi Ma come sorte volle Tutte di mano in man le membra scosse Furon del Dio Ciò, che è bello convien, che si ripeta Le pronte membra non vedeano il Sole Salde in occulto d' armonia fur fatte In tonda sfera stretto quasi il tuttó 234 Αυξα δε χθων μεν σφετέρος γενος αθερα δ ', αι: θηρ (43 ). Κατα το μαζων εμιγνυτο δαιμονι δαμων (44). Αιθηρ μακρησι κατα χθονα δυετο ριζας (45 ). Οινος απο φλοιου πελεται σαπεν εν ξυλω υδωρ (46) Αλλα διεσπασθαι μελεως φυσις ή μεν εν ανδρος Η γ ' εν γυναικος (47 ). Μηνος εν ογδοατα δεκάτη που επλετο λευκον (48) Ως δ ' οτ’ οπος γαλα λευκών εγομφώσει και εδη - σεν (49). Ουτω δε ωοτοκει μικρα δενδρα πρωτον ελαιας (5ο ) Νυκτα δε γαια τιθησιν υφισταμενη φαεισσι (51 ) 235 Lieto dell'unità solingo gode: > Aria ad aria s ' aggiunge, e terra a terra; Il minore al maggior spirto s' unisce: Della terra le barbe aer penetra; L'acqua scomposta sotto la corteccia Vino diventa, Della prole le membra stan dis ise Parte nel maschio, e parte nella femina, Al giorno dieci dell' ottaro mese Nelle poppe si forma il bianco latte. Come gaglio rappiglia il bianco latte, Cosi da prima partoriscon l'uovo Gli arbor non alti della verde uliva Luce impedendo fa la terra notte. an 2 236 Ήλιος οξυβελης ηδε ιλαϊρα σεληνη (52 ). απέσκεδασε.αυγας Ες γαμαν καθυπερθεν απεσκιφωσε δε γαιης Τοσσον οσοντ ’ ευρος γλαυκωσιδος επλετο μηνης (53. Гщи ру тар уцау апожариву детi * Uдор Ηερι δε ηερα διον ατάρ πυρι πυρ αιδηλον Στοργην δε,στοργη κακος δε τε νεικεί λυγρω (54). Παντα γαρ ισθι φρονησιν εχαν και σωματος αισαν(53 Λιματος εν πελαγεσι τετραμμενα αντιθρωντος Τη τε νοημα μαλιστα κικλεσκεται ανθρωποισιν Αιμα γαρ ανθρωπους περι καρδιον εστι νοημα (56). Προς παρεον γαρ μητες αεξεται ανθρωποισι (57 ). οθεν σφισιν ας Και το φρογαν αλλοια παριστατα (58 ). 1. 237 Dolce è la Luna, e durdeggiante il Sole. Disperge i raggi sulla Terra, e sopra Tant è la luce, che le fura, quanto Il disco è largo della glauca Luna. Terra veggiam con terra, acqua con acqua, Aer divin con aere, e lucente Fuoco con fuoco, e con amore ' amore, E veggian lite con dannosa lite. Uomini, bruti e piante ben lo sai Han tutii mente, e parte di ragione, Stassi la mente dove più ridonda II sangue, che su giù sempre si muove, Perchè dal sangue, che circonda il core Il pensiero nell' uom sua forza prende; Il pensare dell' uom cresce e al presente Però il pensare sempre a lui diverse Mostra le cose. 238 Ενδ ' εχυθη καθαροισι τα δε τελετουσι γυναικες Ψυχεος αντιασαντα (59 ). Νηπιοι και γαρ σφιν δολιχοφρονες ασι μεριμνα Οι δε γενεσθαι παρος εκ εον ελπιζασιν Ητοι καταθνησκαν τε και εξολλυσθαι απαντη (6ο ), Αλλα κακοίς μεν καρτα πελ4 κρατ€8 σιν απιστών, Ως δε παρ' η ιετερης κελεται πιστωματα μεσης Γναθη διατμεζεντα ενι σπλαγχνοισι λογοιο (61 ) Ταυτα τριχες και φυλλα και οιωνων πτερα πυκνα Και λεπίδες γιγνονται επί στιβαροισι μελεσσιν (62 ) αυταρ ελικος οξυβελας νωτοισι δ ' ακανθι επιπεφρικασι (63 ). Της δαφνης των φυλλων απο παμπαν εχεσθαι (64) 239 Col solito calor si forma il maschio Ma se l'utero poi s'affredda a caso La famina ne vien. Stolti non lungi col pensier veggendo Prendon lusinga di poter esistere Ciò, che innanzi non fu, o quel, ch'esiste Potersi in tutto struggere, e perire. Il malvagio non crede, e non cedendo Alla forza del ver, trionfo meni, Ma cosi detta, e vuole, che tu creda La nostra musa. Tu dentro l'interno I detti scissi, ne penétra il senso. Della stessa natura sono i peli, Degli arbori le frondi, e degli uugelli Le fulte piume, o pur le squame sparse De' pesci sopra la ben soda carne. Ed il riccio marin, a cui le spine Acute gli si arricciano sul dorso, Dalle foglie d' allor la man ritieni 240 Τετο μεν εν κογχασι θαλασσονομοις βαρυνωτοις Και μην κηρυκαντε λιθορρινων χελυωντε Ενθ οψε χθονα χρωτος υπερτατα ναιεταεσαν (65) Βυσσω δε γλαυκης κροκο καταμισγεται (66). Φυλος αμουσον άγουσα πολυστερεων καμασκηνων(67 κορυφας ετεράς ετεραισι προσαπτων Μυθων μητε λεγαν ατραπον μιαν (68). Νυκτος ερκμαιης αλαωπιδος (69). Αλφιτον υδατι κολλησας (7ο). θαλλαν Καρπων αφθονιισι κατ ηερα παντ εγιαυτον (71 ). Ουδε τις ην κανοισιν Αρης θεος, ουδε Κυδοιμος Ουδε Ζευς Βασιλευς, ονδε Κρονος, ουδε Ποσειδων Αλλα Κπρις Βασιλαα. 241 Del mar le conche di pesante dorso, Il murice riguarda, e le testuggini Che son coperte di petrose scaglie: Bene in questi aninai veder tu puoi Come del corpo sta la terrợ in cima. Si mischia al bisso il fior del croco azzurro. La goffa turba de' fecondi pesci Guidando Somma a sonima giungendo del discorso Per diversi sentier prender cammino Della solinga tenebrosa notte Coll acqua unendo la farina d'orzo. Germoglian ricchi di lor frutta in tutte Le stagioni dell'anno in mezzo all' aria. Marte non han qual Nume, nè Minerva Del tumulto guerriero eccitatrice: A Nettuno, a Saturno, Giove il rege hh ) 242 Την οιν' ευσεβεεσσιν αγαλμασιν ιλασκονται Γραπτοις δε ζωοισι, μυροισι τε δαδαλεοδμοις, Σμυρνης τ' ακρητου θυσιαις λιβανου τε θυωσους Ξουθων τε σπονδας μελιτων ριπτοντες ες ουδας (72 Στανωποι μεν γαρ παλαμαι κατα για κέχυνται Πολλα δε σαλεμπη α τατ ’ αμβλυνεσι μεριμνας Παυρον δε ζωησι βια μερος αθροισαντος Ωκυμοροι καπνοίo δικην αρθεντες απεπταν. Αυτο μονον πασθεντες οτω προσεκυρσεν εκαστος Παντος ελαυνομενοι και το δε ολον ευχεται ευρειν Ουτως ατ’ επιδερκτα τα δ' ανδρασιν ετ ' επακιστα Ουτε νοω περιληπτα (73). ή και συ 80 επα ωο " ελιασθης Πευσεαι.ε πλεον γε βροτάη μητις ορωρε (74). 243 Negano omaggio; e prestan solo il culto A Venere Regina, che sdegnata Placan con santi simulacri, e pinti Animali, e con mille odor, che l'arte Ingegnosa travaglia, o co' profumi Di pura mirra, e d'incenso spirante Soave odore, e fanle sagrifizio Sopra la terra il biondo miel spargendo. In parte angusta delle membra è sparsa La nostra mente. Abbonda pur la cispa Ch' ottenebra il pensier, e ne' viventi Poch'è la porzioni di vital forza, Che qual fumo sen fugge, allorchè morte Di repente ei fura. E quindi ognuno, D' ogni parte sospinto, sol di quello, Cui per sorte s' avvien, resta sicuro. Altero intanto di trovar presume Tutto, e saper ciò, che non puossi ancora Nè veder, nè sentir, nè colla mente Comprendere dall ' uom. Giacchè vagando in guisa tal ti scosti Prendi consiglio da ragion; che l'uomo hh 2 244 Αλλα θεοι των μεν μανιην αποτρεψατε γλωσσης Εκ δ ' οσιων στοματων, καθαρην οχετευσατε πηγην Και σε πολυμνηστη λευκο λενε παρθενε μεσα Αντομαι ων θεμις εστιν εφημερoισιν ακ84ν Πεμπε παρ' ευσεβιης ελασσ' ευημιoν αρμα Μηδε σεγ ευδοξοιο βιησεται ανθεα τιμης Προς θνατων αγελεσθαι εφ ω ' οσιη πλεον απον Θαρσα και τοτε δη σοφιης επ ακροισι θοαζη Αλλα γαρ αθρεα πας παλαμη πη δηλον εκαστον Μητε τιν οψιν εχων πιστει πλεον η κατ’ ακτην Η ακοην εριδαπών υπερ τρανωματα γλωσσης Μητε τι των αλλων οποση πορος εστι νοησαι Γυιων πιστην ερυκε γορα θ ' η δηλον εκαστον (75). 245 Col suo saper più oltre non s'inalza. Dalla lor lingua, santi numi, tale Furor cacciate, e dalle vostre bocche La purissima vena in lor sgorgate. Te Verginella bianchibraccia musa, Cui più corteggian disiosi amanti, Te prego attente a porgermi l'orecchie A fin di quello udir, che lice all ' uomo, E come te non pungerà la gloria Fiori a coglier d'onor presso i mortali, Perciò più cose ti potrò svelare. Ma agitando i destrier docili al freno Porta da Religion lontano il carro. Prendi fidanzı: andrai ratta a sedere Di sapienza allor sull’ alta cima. Colla ragion contempla il tutto, e vedi Ciascuna cosa chiarų si, che certa Ti si dimostri. Ne maggior la fede Presta al senso di vista, che all' udito; Nè all'orecchio, che raccoglie i suoni Credi più della lingua, che discopre Le cose. Nè all'una più, ch' all'altra Credi di quelle vie, per cui ci viene 246 Πεση Φαρμακα και οσσα γεγασι κακών και γηραος αλκας ετα μενω σοι εγω κρανεω ταδε παντα. Παυσις δ ' ακαματων ανεμων μενος οιτ' επι γαιαν Ορνόμενοι πνοιαισι καταφθινυθουσιν αρουραν Και παλιν ην και εθελησθα παλιντονα πνευματ' επαξές Θησεις δ ' εξ ομβροια κελαινα καιριον αυχμον Ανθρωποις θησας δε εξ αυχι8οίο θεραου Ρευματα δενδρεοθρεπτα τα δ' εν θερι αησαντα Αξας δ ' εξ αΐδαο καταφθίμενου μενος ανδρος (76). 247 La notizia de' corpi, ed il pensare. De' sensi in somma poni giù la fede: Ti sia guida ragion, onde discerna In ogni cosa chiaramente il vero. Quanti i rimedi fugator de' morbi, Come vecchiezza si conforti, udrai. Che tutto a te io solamente suelo, De' venti infaticabili frenare L'ira saprai; che con furor piombando Sopra la terra, col soffiare, i campi Guastano tutti; o pur se n'hai piacere Concitar li potrai, se son tranquilli. Saprai d'inverno tra procelle scure Produr di state il lucido sereno, O pur nel fitto della secca state Produr le piogge, che nutriscon gli alberi, E del caldo l'ardor tempran movendo Aure soavi. Giungerà tua forza Sin dall'inferno a richiamar gli estinti. 248 ΠΕΡΙ ΚΑΘΑΡΜΩΝ. Ω Φιλοι οι μεγα αστυ κατα ζανθου Ακραγαντος Ναιετ ακρην πολεως αγαθων μεληδεμονες εργων χαιρετ. εγω δ υμιν θεος αμβροτος ουκ ετι θνητος ΓΙωλευμα μετα πασι τετιμένος ωσπερ εοικε Ταινίας τε περιστεπτος στεφεσιν τε θαλαιης Τοισιν αμ’ ευτ ’ αν ικωμα ες αστεα τηλεθοωντα Ανδρασι ηδε γυναιξι σεβιζομαι. οι δ ' αμ' εποντα Μυριοί εξερεοντες σπη προς κερδος αναρπος Οι μεν μαντοσυνεών κεχρημενοι οι δε τι νουσων Παντοίων επυθοντο κλύειν ευηκέα βαξιν (77). Αλλα τι τοις δ ' επικειμ' ωσει μέγα χρημα τι πραση σών Ει θνητων περιειμι πολυφθορεων ανθρωπων; (78 ). 249. DELLE PURGAZIONI. Salvete, o miei diletti, abitatori Dell' alta rocca, e della gran cittate, Che del biondo Acragante bagnan l’acque. Salvete, o cari, cui virtute è cura. Immortale sori Dio, nè qual mortale Sto più tra voi, d'onor, siccom'è giusto, Pieno fra tutti. Allorchè cinto il capo Di larghe bende, e di festanti serti Io porto il piè sulle città fiorenti, Corrono, e maschi, e donne a darmi culto. E mille, e mille, che là van col passo Dove dritto il sentier li mena al lucro, Ali s'affollan d'intorno nel cammino: E mi seguono ancor quelli, che intenti Stansi a svelar dell'avvenir gli arcani, Ed altri, che saper bramano l'arte Sagace di guarir qualunque morbo. Ma perchè mi dilungo tali cose Nel riferire, quasichè d'eccelse Gesta pur si trattasse, se vincendo Ogni mortal, sopra di lor m’inalzo? ii 25ο Σ Εστι δε αναγκης χρημα θεων ψηφισμα παλαιον Ευτε τις αμπλακιησι φονω φιλα γυια μιανη Δαιμονες οιτε μακραιωνος λελογχασι βιοιο Τρις μιν μυριας ωρας απο μακαρων αλαλησθαι Την και εγω νυν αμι φυγας θεοθεν και αλήτις Νακεί μαινομεγω πισυνoς (79). Αιθεριων μεν γαρ σφε μενος ποντον δε διωκεα Ποντος δ ' ες χθονος ουδας ανεπτυσε γαιαδες αυ γας Ηελία ακαμαντος οδ ' αιθερος εμβαλε δινας Αλλος δ ' εξ αλλε δεχεται στυγερσι δε παντες (8ο αγα λοιμωγατε και σκοτος ηλεσκέσις (81). 251 be E ' volere del fato, è degli Dei Decreto antico, che s'alcun peccando Di quegli spirti, che sortiron vita Lunghissima, lordò le proprie mini Quasi di sangue, sia costui cacciato Lungi dall' alte sedi, in cui beata Vivon, vita gli Dei, e vada errante In репа del fallir tapino in terra, Finché ritorni primavera ai campi Tre volte dieci mila; ed un di questi Io son, ch' ora dal Ciel men vo lontano Vagando quà, e là esul ramigo, Solo in poter di furibonda lite. } L'aria gli spirti, che falliro, caccia In mar con forza, il mar li getta in terra, La terra li rigetta su lanciando Del sole infaticabile ne' raggi, D ' aria nel turbo il sole infin gli scaglia. L'un dopo l'altro van cosi girando, E tutti traggan pien di duolo i giorni. Van per gli prati, e per lo scuro erranti ii 2 252 Ενθα φόνoστε κοτοστε και αλλων εθνεα κηρων (82 ) Κλαυσα τε και κοκυσα ιδων ασυγηθεα χωρον (83 ) Ω πoπoι η δειλον θνητων γενος ω δυσανολβον Οιων εξ εριδων εκ τε στoναγων εγεγεσθε (84). Εξ οιης τιμης και οι μηκεος ολβα (85). Εκ μεν γαρ ζωων ετιθεα νεκρα «δε' αμκβων (86) Σαρκων αλλογνωτί περιστελλασα χιτωνε Και μεταμπεχασα τας ψυχας (87). Ηλυθομεν του ' νπ ' αντρον υποστεγον (88). Ηδη γαρ ποτ' εγω γενομενην κεροστε κορητε Θαμνοστ’ οιωνοστε και εν αλι ελλοπος ιχθυς (89). Εν θηρσι δε λεοντες οραλεχεες χαμαιεύναι Γιγονται σαν ναι εγι δενδρεσιν ηύκομοισιν (go ). 253 Ivi la stragge, e l'ira, ivi tant' altri Mali hanno sede. Insolito abitar vedendo piansi. Ah ! La razza mortal quant' è meschina ! Quanto infelice ! Quali affanni, e liti Siete nati a soffrir ! Da quale onor son misero caduto, Da qual grandezza di felicitate, Da vita a morte son, forma mutando L'alme involgendo, e quasi ricoprendo Della straniera veste delle carni. inIn quest'antro coperto al fin siam giunti. Fanciullo io fui un di, donzella, uccello, Albero, e senza voce in mar fui pesce, Qual sopra ogn'animal s'alza il Leone Giacente in terra, abitator de monti 254 Εν9 ' ησαν χθονιητε και Ηλιοπη ταναίτις Δηρίς θ ' αιματοεσσα και αρμονίη ιμερωπις Καλλιστω τ’ αισχρητε θοωσατε Δαναητε Νημερτης τεροεσσα. μελαγκαρπος Ασαφια (91 ) Ξεινων αιδοιοι λίμενες κακοτητος απαροι (92). 2 φιλοι οιδα μεν εν οτ ' αληθαη παρα μυθους, Oυς εγω εξερεω, μαλα δ' αργαλειτε τετυκται Ανδρωση και δυσζηλος επι φρενα πιστέος ορμη (93) Ουκ αν ανηρ τοιαυτα σοφος Φρεσι μαιτεύσατο Ως όφρα μεν τε βιωσι το δε βιοτον καλεσιν Τοφρα μεν εν εστι και σφι παρα δειγα και εσθλα Πριν δε παγασαι βροτοι λυθεντες τ ’ εδεν αρ' εισιν(94 Αλλα το μεν παντων νομημον δια τ’ ευρυμέδοντος 255 Tal su gli arbor fronduti il lauro eccelle. Chtonia gº era là con Eliope Di larghi occhi, e la cruenta Deri Con armonia, piena d'amor, nel volto. Vera del par Thoòsa, e Deinèa E la turpe Callisto, e insiem l'amabile Nemerte, ed Asafia, che il tutto oscura O Gergentini di mal fürè ignari Degno porto d'onor degli stranieri. Io, mici cari, so ben ', che nel mio dire Stassi la verità dentro nascosa, Ala della fe la forza l'uom travaglia E pena, e dispiacer gli reca in mente. Saggio non v'è, che possa con sua mente Pensar, che l'uomo mentre vive questa, Che chiaman vita, esista solo, e colga E beni, e mali; si che l'uomo nulla Sia prima il nascimento, e dopo morte. Ma questa legge pubblicata a tutti 156 '. Αιθερος ηνεκεός τετατα δια τ ' απλέτε αυγης (95). Ου παυσεσθε Φονοιο δυσηχεος'; 8κ εσoρατε Αλληλες δαπτόντες ακηδεμησι νοοιο;. Μορφήν δ ' αλλαξαντα πατηρ φιλον υιόν αερας Σφαζα επευχομενος μεγα νηπιος και οι δε πορευντα Λισσομενοι θυοντες οδ ' ανηκοστος ομοκλεων Σφαξας εν μεγαροισι κακης αλεγυνατο δαχτα Ως δ ' αυτως πατερ' υιος ελων και μητερα παιδες Θυμoν απορραισαγτα. φιλας κατα σαρκας εδεσι (96) 4. Oιμοι οτ’ και προσθεν με διωλεσε νηλεές ημας Πριν σχετλι’ εργα περι χειλεσι μητισασθα ! (97 ) 257 Dell' aria si distende per l'immenso Splendore, e l'alta region dell Etere Che per lunghezza, e per larghezza è vasto.? Ancor si sparge per le vostre mani IL sangue gorgogliante degli animai? Ah non vedete colla mente piena Di sprezzo, che sbranandovi, a vicenda Vi diorate? E che mutata forma Il padre alzando il suo caro figliuolo Lo scanna, e pazzo grandi cose prega Tutti color, che sacrifizj fanno, Sen van supplici orando; ma quest'altro Nell'atto di scannar gridi mandando D' udirsi indegni, in segno di minaccia Malvagio in casa desinar prepara. Cosi talora avvien, che danno morte Il figlio al padre, ed alla madre i figli, E questa, e quel fucendo privi d'anima Le care in cibo ne trangugian carni. Perchè crudele il di ah non mi spense Prima, ch'avessi fatto il gran peccato D' appor tal cibo sopra le mie labbra ! kk 558 Ταυρων δ ' ακρίτοισι φονοις και δευετο βωμος Αλλα μυσος τετ ' εσκεν εν ανθρωποισι μεγιστον Θυμoν απορρασαντας εεδμεναι ηϊα γυια (98 ). Τοι γαρ τοι χαλεπησιν αλυοντες καιστησιν Ου ποτε δαλαιων αγιων λεωφησετε θυμον (99). Ολβιος ος θαων πραπιδων εκτησατο πλετον Διαλος δω σκοτοεσσα θεων περι δοξα μεμπλε (ιοο) Εις δε τελος μαντάστε και να τοπολοι και 1ητροι Και προμοι ανθρωποισιν επιχθονίοισι πίλονται Ενθεν αναβλαστασιν θεοι τιμηση φεριστοι (101 ). Αθανατους αλλοισιν ομεστιοι αυτοτραπεζοι Ανδρομεων αχεων αποκληροι εοντες απειροι (102). 259 Non macchiava l'altar sangue innocente De’ tori un di. Ma sommo allor misfatto Dagli uomin si credea privar dell' anima Gli animai, e divorarne i membri in cibo. Chi dalla colpa, che da se molesta, E ' tormentato, non avrà nell' animo Mai requie al suo misero dolore. Felice è quegli, che possiede i beni Della mente divina, ed infelice E' quel, che male degli Di pensando Ne porta tenebrosa opinione. 7 I vati infine, ed i cantor degl' inni I medici, ed i forti capitani, Che de' terrestri uomini son guida Ivi rinascon Dü d'onor prestanti. Nella stessa magion, a mensa stessa Stando cogli altri Dii, d'ogni vicenda D'ogni umarło dolor futti già privi. kk 2 16ο Ην δε τις.ν κανοισιν ανηρ περιωσια αθως Ος δη μηκιστον τραπιδων έκτησατο πλετον Παντοίων τε μάλιστα σοφων επικράνος έργων Οπποτε γαρ πασησι ορεξατο πραπιδεσσι Ραγε των οντων παντων λευσεσκεν εκαστα Και τε δεκ ' ανθρωπων και τ' ακoσιν αιωνεσσι (103) ΕΠΙΓΡΑΜΜΑΤΑ Περι Ακρωνος • Ακρον ιατρον Ακρων ακραγαντινον πατρος ακρου Κρυπτα κρημνος ακρος πατριδος ακροτατης Τιγες δε το δευτερον στιχον ουτω προφέρονται Ακροτατης κορυφής τυμβως ακρος κατεχα (104) 261 5 Tra quelli o'era l' uom sopra d'ogn ' altro Eccelso nel saper, che della mente L' altissimo tesor chiudea.nel seno. Egli pieno d'amor tutti indagava De' sapienti i fatti, e le scoperte Dotte di lor. E quando del suo spirto Ogni forza intendeva, ad una ad una Tutte schierate le cose reali In dieci o venti secoli abbracciando Rapidamente col pensier vedea. EPIGRAMMI INTORNO AD ACRONE. L'alto di gran saper medico Acrone, Nato dun alto padre in Agrigento Alta, rupe tien alta per sepolcro Della sua patria posto in alta cima. Alcuni leggono così il secondo verso Alta tomba ritien sull' alta cima аба. Περι Παυσαγικς Παυσαγι: ιητρον επωνυμον Αγχίτου υιον Φωτ’ Ασκλεπιαδης πατρις εθρεψε Γελα Ος πολλούς μογεροίσι μαρανομένους κεματοισι Φωτας ατέστρεψαν Φερσεφονης αδυτων (1ο5).. Δειλοί πανδειλοι κυαμας απο χειρος, εχεσθαι, Ισον τοι κυαμες τρωγειν κεφαλασθα τοκων (106 ) Ναν μα τον αμετερας σοφίας ευρoντα τετρακτην Παγον αεγνας φυσεως ριζωμα τ' εχεσαν (107). 263 Di Pausania. Il medico che nomasi Pausania E' d' Anchito figliuol', è discendente Degli Asclepiadi, ed ha per patria Gela, Che lo nutri. Costui molti languenti I'er penosi malor dalle segrete Di Persefone stanze a forza trasse. Versi d' incerto Autore attribuiti da alcuni ad Empedocle. Scostate, o miseri, del tutto in felici Dalle fave la mun: mangiar di queste Egli è privare i genitor del capo. Giuro per quel, che nella nostra scuola Scoperse il qucttro, che racchiude il forte, E la radice eterna di natura. ANNOTAZIONI ALLA R A O COITA D E FRAMMENTI. ANNOTAZIONI ALLA RACCOLTA D E FRA MM EN TI. (1 ) Questo verso si trova presso Laerz. 1. 8 in Emp. Egli dice ny de o lavraylas spwjeevas αυτε, ω δη και τα περι φυσεως προσπεφωνηκεν Pausania era amato da Empedocle, e que sti gli intitolò il suo poema sulla ' natura E siccome questo verso forma la dedica; cosi si è collocato il primo. La frase per quanto pare è Omerica come si può vedere Iliad. 11 V. 450 Iliad. 1: V. 451. (2 ) Presso Simplicio de Phys. aud. l. 8 p. 272 ediz. d'Aldo. Perchè questi due ver si si suppongono dagli altri, che li seguono, si son collocati prima. Per altro Plut. de exil. afferma che cosi cominciava la filosofia d'Empedocle. (3 ) IL 2. 3 verso son rapportati da Laerz. 11 2 263 che se 1. 8 in Emp. I primi tre da Sext. Emp. adv: Phys. 1. ģ, da Plut. de Pl. Ph. l. 1 cap. Tutti quattro poi da Stobeo Ecl. Phys. 1. i p. 26. Questi si sono premessi per la ragio ne ch'esprimono i quattro elementi, che sono base di tutta la filosofia d'Empedocle. Si conviene da tutti che sotto Giove è in: dicato il fuoco, e da Nesti l'acqua, condo Vossio de Idol. 1. 2. cap. 7 e Fabricio nelle note à Sesto Empirico deriva da yalay fluere. Vi è solo un disparere tra gli Scitiori per gli due simboli. Giunone e Plutone. Pois chè secondo Cic. de Nat. Deor. l. 2.cap. 26 Plut. l. 1. cap. 3. de Pl. Ph. Macrob. Satur. l i cap. 15, da Giunone è espressa l'aria; ed al contrario giusta Athen. Apol. 22. Achill. Tazio in Arat. Laert. I. 8 in Emp. Stobeo Ecl. Phys. 1. i Heracl. Allegaz, Omeriche,p. 443., -sotto il simbolo di Giunone è indicata la terra. E però per questi Plutone era la• ria, e per quelli la terra. Aïd oyeus in luogo di aïdris Om. 11. 20 V. 61. Esiod. Theog. v. 913. Hpn epoßios Omer. Hyinn. in matr. o. mnium '. Nella traduzione si è formato GIOTATO 2 per tmesi. 269 9 col. (4 ) Di questi versi il 7 e l'8 sono riferi ti da Laerz. in Emp. I. 8. Stobeo Ecl. Phys. 1. 1 p: 26. Dal 10 sino al 15 si trovano presso · Arist. Natur. Auscult. l. 8 cap. 1. Il. 22 presso Ciem. Alex. Strom. I. 5., ed il 21 e 22 presso Plut. Amat. Tutti poi eccetto il g e'l 10 sono rapportati da Simplicio de Phys. Aud. I. 1 p. 34 ediz. d'Aldo. Siccliè si è supplito il 10 con Aristotile, e'l lo stesso Simplicio come si vedrà alla (10 ). Questi versi che sono al numero di 36 fan parte del primo libro della natura. Poichè lo stesso Simplicio dice chiaramente sy 7pUTW TO φυσικών.99 και nel primo libro delle cose fisiche I versi 3, 4, 5 pajono d ' essere un'imi, täzione d'Omero. II. 6.v., 146, e 149. Il 5 portá P&T Th, ma si è cangiato in.dpuntu come più confacente al senso. Nel 6 in luo go di xdcepecei dinge si è posto 8T0T€ anges.co me Omero. Il. -10. V. 164. Nel z la paro la Qiaotati amicizia non significa in verità che ainore, siccome fa Omero. Il. 6 v. 161 c in quasi tutta l'ariade che dice QLXOTNTO felgympia rab. Dal 7 al 12 sembra di essere una sem 270 * plice imitazione d' Esiodo nella Theog. Poichè Empedocle mette in contrasto l'amore e lo dio come Esiodo fa colla notte e'l giorno. Ne’ versi 6, 13 e 32 si trova la parola ' deau Trepes. collocata nello stesso modo che suol fa re Opiero. Il. 10 v. 325 e 331. II. 12 v. 398. II. 19 v. 272. Odys. 4 V. 209. Odys. 7. v. 96. Odys. 10 v. 38. Odys.. 14 v. 11. Sicchè pare che l'orecchio d Empedocle era educato al suono de' versi Omerici, Nel verso 14 aloy Euroly alla maniera d'Omero. Il. 1 v. 290. Nel 16 reipata pewIwon siccome 0. mero παρατα τεχνης. Nel 20 1 ’ αταλαντον co me Il. 15 v. 302. Nel 21 è da dirsi che intanto, l'amicizia sia di lunghezza e larghez za eguale, in quanto i corpi possono risulta re da parti eguali de quattro elementi. Al meno questa interpetrazione pare più confa cente al suo sistema; se non si vuole abbrac ciare quella, che deriva dal pittagoricismo, per cui il numero quattro era il più perfetto. Nel 22 100. TEINTWS per attonito e Omerico. II. 4 v. 246. Nel 24 cina poves's dovrebbe esser nominativo giusta la Grammatica. Na si v. 271 lasciato in accusativo; perchè gli Attici alcuna, volta, coře si vede presso Aristof. in avibus, sogliono usare l'accusativo in luogo del nomi nativo. L'epye texti si trova spesso in Omero e in Esiodo: cosi Odys. 7 V. 272.Esiod. Theog. V, 89. Il 25 è simile a quello dell' Iliad. 9 v. 558, e pile d'ogni altro ad Esiod. Theog. v. 595. Nel 27 laratnaon è d ' Omero. II. 1 v. 526. Nel 30 il Trepiadojevolo è pari mente adattato al tempo e all'anno presso Omero'. Odys. iv. 16 ed Esiod. Opera v. ' 384. Nel 31 si osserva l'id atoange in fi. ne del verso come in Omero. Il. 6 v. 149. (5) I versi 12 e 13 si trovano presso Arist, Poet. cap. 25, e Ateneo lib. 10 p. 424. Tutti poi sono rapportati da Simplicio de Phys. aud. 1. i'p. 7 d' Aldo. Essi sono stati posti nel primo libro del poema; perchè Simplicio li riferice come quelli che precedeano altri, che da lui sono notati per versi del primo lix bro προ τετων των επων • Nel verso 7 è 11 si è scritto a Jey.TTW5 in luogo di queuent Ews come si legge in Sims plicio. Nel 10 si trova vtsupper feri ch'è d' 272 Omero II. 9 V. 502, Nell'ultimo, si ha l espressione Jaunese idiogui ch ' è comune presso Omero ed Esiodo: cosi Il. 18 v. 83. Odys. 13 v. 108. De scụto Herc. v. 140 ', ed in tanti altri lunghi dell' uno e dell'altro poe ta. Teocrito nell' Idyl.. 17 v. 77. non è dif ficile che avesse imitato Empedocle, dicendo egli εθνεα μυρια φωτων α εinmiglianzα di quel che dice il nostro poeta nel 8 verso e nel 14, (6 ).Simplic. de. Phys. aud. I. 1 p. 7. Quer sti versi sono quegli stessi innanzi a' quali di ce Simplicio ch' erun collocati quelli della na: ta (5 )..... L' epiteto Truji Payowymi è Omerico. II. 8 v. 320 e 435. Orfeo nell'inno all' etere, chiama l ' etere dotepo@ eyzes (7 ) I primi tre' versi sono presso Arist. de anima li i càp. 7, e tutti presso Simp. de Phys. aud. I. 2 p. 66 Aldo. Simplicio af ferma che appartengano al primo libro d' Em. pedocle λεγει εν πρωτω. Ε come sono dello stesso tenore della nota (6); cosi si sono si tuati vicino a quelli. Nel 1 verso επικαιρος in luogo di επίκρανος 273 è d'Omero. II. 1 v. 572, e il v. 572, e il xoayolai é ' Esiod. Theog. v. 865. Nel 3 l’ oGTEL deuxa è parimente d ' Esiod. Theog. v. 540, e 557 e d'Omero. Il. 24 v. 793. (8 ) I primi due versi si trovano presso Plut. de primo frigid., e il 7, 8, 9 presso Arist. de gen. et corrupt. Tutti presso Simpl. de Phys aud. l. 1 p. 8, e nella pag. 34 sono pre ceduti da due seguenti versi. 1 እእእ. αγε των δ * οαρων προτερων επί μαρτυρα δερκεί Ει τι και εν προτερoισι λιποξυλον επλετο μορφη • 1 Di questi due versi non si sa che voglia dire quel Altofurov legno pingue: Perchè pa-. re ch? Empedocle voglia rapportarsi a' prece: denti colloquj dove forse v'era qualche for. ma Altrotuloy. Si è cercato di sostituire Action Yugov, ma neppure s intende. Però si sono trascurati nel testo questi due versi. Nel 3 verso si legge presso Plut. Svopa EVTA xep ply a negyté, ch? è spiegato tenebroso, ed crribile. Ma come non si sa ď' onde poss m m 274 sa derivare played soy si è sostituito plyndor, che più si conviene all'acqua. Indi è che si è scritto VIOOEYTA,xoh pigns.ovte. E' vero che il vero so diventa spondaico; ma gli epiteti dell' ac qua sono più confacenti alla sua natura, e corrispondono più all'intendimento d'Empedo cle, che in questi versi vuol dare i caratteri di ciascuno dei quattro elementi, siccome at testa Simplicio de Phys. aud. - p. 7. Nel 4 προρε8σι θελυμνα τη luogo di προθελυμνα. It' 9 vi 537. Il 5 verso è simile a quello d. Omero. Il. 18 v. 511, ilil 7 al v. 70. Il. e al. v. 38 d' Esiod. Theog., e l'8 al v. 163 Odys. 15. Nel 9, e 10 l ' epiteto de' pesci υδατοθρεμμονες, e quello degli Dei δο. arxay wres sono tutti due propj d'Empedocle; giacchè non si leggono presso altro poeta. Il Tlpenoi Ospirtoi pare che sia preso dal v. 494 1 11. 9 • (9 ) Simplic. de Phys. aud. 1. 1 p. 34. Egli li rapporta dopo quelli della nota (8) e dice, che Empedocle li soggiunge in esempio. Non v'è quindi dubbio, che debbono essere collocati nel primo libro, e dopo di quelli. Vi 275 si trovano alcuni versi ripetuti alla maniera Omerica, e nel g versa ľws YÜ XEV come nel v. 749 Il. 11, e nel v. 11 della Theog. d' Esiod. Nel 10 si e mutato l'acheta in fore, e nell' 11 vi si troνα μυθον ακεσας nel miodo stesso d'Omero II. 7 v. 54. Odys. 2 z v: 560, (19 ) Simplic. de Phys. aud. l. 1. Costui, dopo d' avere rapportato i versi delle note (8) • (9 ) 80ggiunge και ολιγον δε προελθων αυθις Çnti. Però si son collocati dopo, e come ap partenenti al primo libro. Il 7 di questi ver si è quello stesso, ch ' è stato inserito da 9 nes versi della notą (4). (11) Il 2 verso si trova presso Plut. net lib. de adulat. et amici discrimine: il terzo presso Aristot. Metaph. 1. 3. cap. 4.- Tutti tre presso Clem. Alex. Strom. I. 6. Il secondo verso, si rapporta d'alcuni ne: pos nilov ufos, ma Empedocle nel 19 della nota (4) dice c7 NETOV, e per altro pare più armonioso ed Omerico. Questi versi, come quel li, che indicano i quattro clementi ', non si possono collocare che nel primo libro. m m 2 276 ! (12 ) Arist. Metaph. l. 3 cap. 4. Simplic. de Phys. ' aud. 1. 6 p. 272. Plutaroo nel lib. de Reip. geć. praecept. vi allude dicen da τιμας ονομαζω κατ' Εμπεδοκλεα. Questi ver si non possono appartenere, che al primo li bro; perchè in esso dichiara Empedocle le due forze amicizia e lite. (13 ) Simp. 1. i de Phys. aud. p. 34. La parola aprice del primo versa può significare pari di numero, perfetto, ed adatto. Si è tradotta pari; perciocchè si è trovato che i corpi, di cui Empedocle enumera le parti de gli elementi, da cui quelli son composti, non sono che di numero pari. Cosi l'ossa di oi to parti nota (7 ), la carne di parti eguali de quattro elementi nota (6 ) et.. (14 ) Arist. de Gen. et Corrupt. l. i cap. 1, e De Xenoph. Gorg., at Zenon. Plut. de Pl. Ph. l. 1 e adv. Golot. Si sono collocati nel primo libro perchè Plutarco dice chiaramente de Pl. Ph. l. i λεγα δε ετως και των πρώτων φυσικών και Anno de Tol spaced è modo turto ď Omero II. 1 v. 797. Odys. 11 V. 453. Odys. 10 2: 7 V. 495 ec. L'a.JavaTolo TEMBUTn è d' Esiod. in Scuto Herc., ' e nell'ultimo verso Bpomois "QvIpomolol è maniera greca che spesso si tra, va presso Omero ed Esiodo che dicono Bpotox ardpa. Il Duris nel principio come opposto a 76 deutn pare che indicasse la nascita. Ma co me in fine significa natura si è lasciato cob. la sua propia significazione di natura. (15 ) Plut. adv. Colot. Questi versi, come si vede dalla materia, sono una continuazio ne di que' della nota antecedente. Si sospetta che questi versi fossero sta ti alterati da qualche copista. Vi si osserva ows per uomo in genere neutro, che suol esa sere presso i Greci di genere maschile. (16 ) Simpl. de Phys. aud. 1, 2, pag. 85 Aldo. E siccome queg!i dice « TOTO'S AS T8 Εμπεδοκλεας εν τω δευτερη των φυσικών προ της ανδριων και γυναικιων σωμάτων διαρθρωσεως TAUTU TC ETn, Empedocle nel secondo libro delle cose fisiche canta questi versi prima di parlare della formazione e articolazione de' corpi de maschi e delle femine Non vi ha 278 quindi alcun dubbio, che questi versi fan par te del secondo libro, e che il soggetto di que. sto libro si versa sulla nascita degli uomini, e de' corpi de' maschi e delle femine. Però è, che tutti i versi che riguardano la formazio ne degli uomini, e de' loro membri, e delle parti del corpo umano e loro funzioni sono stati da noi posti nel secondo libro. IL 3 verso è un'imitazione d'Omero nel v. 157 dell' Iliad. 4, 810Quais secondo Simpli cio esprime la massa tutta, del seme, che an cora' non indicava la forma de' membri. (17 ) Aeliano de Nat. anim. I. 16 cap. 29. Le forme descritte in questi versi sono ricor date da tutti gli antichi scrittori come singo lari. Cosi Arist. Nat. ausc. l. 2. cap. 8. Es se non poterono durare, perchè non eran tra loro convenienti. Di quando in quando ne na. sconto de' simili, e questi sono i mostri.: (18) Simpl. de coelo 1. 2. Arist. de coel. 1. 3 cap. 2. De Gen. I. i cap. i8. Isaac. Tzetze in Comm. ad Lycophr. Epi vax65 • (19 ) Simpl. de coelo l. 2. (20 ) Simpl. de Phys. aud. 1. 8 p. 258 279 Aldo. Nel terzo verso si è spiegato pngjely! al la maniera d'Omero Il. 1. v. 437. Nel 6 e nel 7 - sono da notarsi ud poplene Opols, opsta μελεσσι, € πτεροβαμμoσι κυμβας clie sono ma niere originali d' Empedocle. (21 ) Aristot. de respir. cap. 7. Questo è il più bel frammento d'Empedocle, e forse l ' avanzo più, venerando dell'antica fisica, in cui non solo si spiegà da Empedocle il modo a suo credere del nostro respirare, ma si di mostra eziandio il peso, e la molla dell' a. ria. Egli è stato tradotto per quanto si può letteralmente, e solamente si è ito aggiungen. do talora la forma della clessidra, senza di che non si avrebbe potuto chiaramente com prendere Il coros del 4 verso corrisponde al cruor de’latini. Il. 16 y. 162. Chi si conosce – Omero può accorgersi come va adattando Em. pedocle tutte le parole e frasi d'Omero nel 5. sino all ': 8 verso. Lo stesso WTTEL OTAY Trays è ď Omero nel v. 362 Il. 15.. L'EPOMBAEOS, che Omero applica ail' acqua'. Ili 16 v. 174, Empedocle l'adatta alla duttilità del bronzo 200 Verso. It all'acqua, nel 9 TEPEY Ejedes dell' 11 è d' 0. mero Il. 14 v. 406. L'autap ETHTU nel 15 è forma parimente Omerica Il. 11 V. 304 Odys. l. 9 v. 371 ec. L'ayrilor ud wp nel 16 si trova applicato al giorno in Oniero, e qui che non può esser fatale se non per che nella clessidra è destinata a notare le ore che scorrono. Nel 18 verso Bpotew Xpor presso Esiod. Opera è preso per umano corpo, qui per la mano. Nel 20 ilil duonysos è applica to alla guerra. Il. v. 395 ec. Da Empedocle si acconcia al gorgogliamento dell'acqua (22 ) Arist. de sensu et sensili lib. i cap. Nel 2 verso σελας πυρος αθομενοιo e d ' Omero. Il. 9 v. 559. Il. 10 v.. 246. II. 11 v. 219. II. 6 v. 282 ec. Il 24uepiny νυκτα e simile all' αμβροσιην δια νυκτα d' O mero. Il. 2. v. 57. Nel 3 si trova apopg85 ch'e' una metafora, quasi che le lanterne di fendendo il lume da venti se li succhiassero; giacchè quopges vuol dire succhianti. Il mayo Town dyepewr Odys. 5 v. 293 e 304. Nel 4 verso il divanid ve si aeyrwy si trova in Omero Il. 5 v. 526. Nel 5 ci ha un epiteto de' 2. Nel dia 282 indomiti; per raggi ch ' è molto ardito UTCpert chè non sono vinti dalla notte. La stessa pa rola walioruto nel i verso per preparare è Omerica. Il. il v. 86 '. In quanto poi alla costruzione delle lanterne è da dirsi, che for se allora erano di corno trasparente. (23 ) Il i e gli ultimi due versi presso Giov. Tzetze Chil. 5 p. 382. Il 2 presso Theod. de Curat. Graec. l. 1. IlIl 22,, 3, e 4 pres SO Clem. Aless. Strom. 1. 5. Dal 5 sino all ' ultimo presso lo stesso Giov. Tzetze Chil. 13 p. 476. Gli ultimi due versi sono anche rap portati da Chalcid. in Tim. Pl. Essi sono sta ti tutti disposti nell' ordine, in cui sono no tati, che sembra non esser disconveniente, e fanno certamente parte del lib. 3. Poichè Tzetze nella Chil. 7 p. 382 nel rapportarli soggiunge Εμπεδοκλης τω τιτω των φυσικων δεικ: VUOY TIS ' N. sold togey το θεα κατ' επ'ος ετω λεγων. 9, Empedocle nel terzo libro delle cose fisiche. volendo indicare quale sia la sostanza di Dio dice cosi Il pendea nel senso in cui qui lo pigliu Empedocle è comune ad Omero nell' Odissea n n. 282 o ad Esiodo nella Theng. (24) Clem. Alex. Strom. 1. 5. Il. 1 ver so manca d'un piede, e si potrebbe compiere leggenda Ει ο αγε τοι μεν εγω λεξω. Vi si os serva poi la stessa maniera d Oniero nell ' ap porre degli epiteti al mare, all'aria, aile tere. (25) Athen. Dipnosoph. 1. 8 p. 334. Il devd pece pecupce è d'Omero. Il. 9 v. 537. Lo stesso Athen. nel medesimo luogo attesta che tutti i pesci da Empedocle furon chiamati zce paglves. (26 ) Aristot. 1. 2 de coelo cap. 8 e De Xenoph. Zenon, et Gorg. Gli ultimi due versi presso Clem. Aless. Strom. 1. 6. (27 ) Plut. de Pl. Ph. I. i cap. 18. Theo dort. de mater. et mundo Serm. 4 p. 1080. (28) Plut. Symp. l. 4 quaest. 1. Macro bio Saturn. l. 7 p. 521. E siccome in Plut. si leggono alterati; cosi sono stati correlti con Macrobio. (29 ) Plut. quaest. Nat. p. 916. (30 ) Plut. quaest. Nat. p. 917, et de Curiosit. Alcuni leggono Keuuata, altri rappese. (283 ra, ma si è sostituito xeu-ged, che pare più acconcio al senso dell'autore (31 ) Arist. Nat. Auscult. 1.? cap. 4, e De Part, Anim. I. i cap. 1, Simpl. I. Phys. (32 ) Simpl. de Phys. and. I. 2 p. 73. (33 ) Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 23. L' epiteto de incepa come dice ' Hesichio' è propio d' Empedocle.; ed il polyurgadins d'Omero II. 1 v. 352, (34) Simpl. l. 2 de Phys. aud. p. 74 Aldo. (35) Simpl. 1. 2 nel med. luog. (36) Simpl. 1., nel med. luog. (37) Simpl. 1. 2 de Ph. aud. p. 73. (38 ) Simpl. l. 8 de Ph. aud. p. 272. (39 ) Plut. in l. non posse suaviter vivi jut. xta epicuri decreta. (40 ) Simpl. de Ph. aud. l. 8 p. 272. (41 ) Simpl. nel med. luog. (42 ) Simpl. nel med. luog. (43) Arist. de Gen. et Corrupt. l. i cap. 6. (44) Simpl. de coelo Com. 21. p. 88. (45 ) Arist. de Gener. et Corrupt. 1. i cap. 6. La frase zgova dupsyo, presso Omero Il. 6 y. 411. nn 2 284 (46) Plut. quaest. Nat. p. 916. (47 ) Arist. de Gener. anim. 1..1 cap. 18. (48) Arist. de Gener. anim. I. 4 cap. 1. (49) Plut. nel lib. de Amic. multitud. (50) Arist. de Gener. anim. 1. i cap. 23. Alcuni leggono μακρα δενδρεα. (51 ) Plut. quaest. Platon. p. 1006.4. (52 ) Plut. de fac. in orbe lunae dove in luogo d' ožupeans è da leggersi očußeans e in vece di naiyo Iraupe come si è rapportato nel. la nota (35). (53) Plut. de fac. in orbe lunae. Questi versi sono stati corretti da Xilandro. (54) Arist. Metaph. l. 3 cap. 4 de anim, 1. i cap. 2. Sesto Emp. adv. Gram. l. i cap. 13 e adv. Log. l. 7 Chalc. in Tim. cap. 21 p. 131. Pare che in questi versi Empedocle abbia imitato Omera Il. 13 v. 31, e Il. 16 v. 215. Il tip apo ndoy Omerico. Il. 2 v. 455. L'epiteto della lite rugpw, che da Omero si adatta alla vecchiaja, e talora alla ferita ec. è situato in fine del verso come in Omero II. 5 v. 153, e Il. 10. v. 79. Il. 16 v. 393 ec. 285 3. (55 ) Sext. Emp. adv. logic. l. - 8 p. 512. (56) Stobéo Ecl. Plys. l. 1 p. 131. L' última verso è anche rapportato da Chalcid. in Tim. Pl. p. 29,, ed è un imitazione di quello d' Esiodo nella Theog. 7 spe pezy 750" T δες, περι δε εστι νοημα • (57 ) Aristot. de anima 1. 3 сар. (58) Aristot. de anima" nel med. luog. (59 ) Aristot. de Gener. 1. i cap. 13. (60) Plut. adv. Colot. (61 ) Clem. Alex. Strom. l. 5 Theodor. de curat. aegritud. Ethnic. Acciaolus Theod, interpres I. i contra Graecos. (62 ) Arist. Meteorol. l. 4 cap. 9, atspao TURVO è d ' Omero. Il. 11 y. 454, e otißola pous pedeerol è d ' Esiodo opera v. 148. (63 ) Plut. Symp. 1. i cap. 3. Deve lege gersi andyl. (64 ) Plut. Symp. 1. 3. quaest. 1. (65) Plut. Symp. I.,1 quaest. 2, e nel lib. de fac. in orbe lunae. (66) Put. de Orac defectu. Per finire il verso si è supplito nella traduzione artos. (67 ) Plut. Simp. I.? quaest. 10, 286. (68) Plut. de Orac. defect: (69) Plut. Simp. 1. 8 quaest. 3. (70) Arist. Poet. cap. 25 c Meteor. l. 4. 71) Theophr. de Caus. Plant. 1. i cap. 14. (72 ) Athen. Dipnosoph. l. 8 p. 365. Que sti versi si son collocati come appartenenti al poema 'della natura; perchè parlano di Ve nere, che indica l'amicizia. Vi si trova il Soydan codpots parola composta da Empedocle, che non si legge in altro poeta. Si dee lege gere Κυπρις nel testo, e non Kπρις. (73 ) Sesto Emp. adv. Log. 1.? Gli ul. timi due versi sono anche rapportati da Plut. nel 1. de áud. Peet. Nel 2 yerso Scalig. legge suve ETEITA, ed Erric. Stef. dely ETECL; ma ne' MSS. si trova SaneM.T, Si è quindi conservata, come sta ne' MSS., e si è ritratta da dep @ os che più s' adatta al senso dell'autore. Questi versi unitamente agli altri delle note (24) e (75 ) sono riferiti da Sesto Emp. come quelli, che con poche interruzioni si suc vedono. E come Empedocle si dirizza ad un solo, ch'è Pausania;' cosi tutti fan parte del 287 Chil. 1, pra poema sulla natura, (74) Sesto Emp. adv. Log. l. 2 (75 ) Sesto Emp. nel med. luog. (70) Laerz. in Emp. 1. 8. Joan. Tzetze I versi 3, 4, 5 sono anche pres. so Clen). Alex. Strom. 1. 6. Nel 5 si legge d' alcuni παλιγτιτα c d' altri παλιντινα; mα da Casaub. si vuole raditova, e fondasi so Suida. Nell'ultimo verso è da notare che il sanare gl' infermi si esprime, presso gli an tichi avastne dall'inferno. Plut. in amat. Horaz. l. 2 Sat. 1 V. 82. (77 ) Laerz. l. 8 in Emp. I versi 3 € 4 si trovano presso Sesto Emp. adv. Gramm. 1. i cap. 13, e presso Philost. Vit. Apoll. Se condo Laerzio cosi Empedocle avea dato prin. cipio al suo poema delle purgazioni cvcpzopese νός των καθαρμων φησίν. (78) Sesto Emp. adv. Gram. I. 1 e Laerz. in Emp. 1. ' 8. Sesto Empirico mette questi due versi dopo quelli della nota (77 ) e soge. giunge nas nary. Sicchè icon c'è dubbio che appartengano alle purgazioni. (79) Plut. de exil. I. 2, e l'ultimo meza 288 zo verso è presso Hierocle in aur. carm., il quale lo ' rapporta unitamente al penultimo ως Εμπεδοκλης Φυσι ο Πυθαγοραος • (80) I primi tre versi presso Plut. nel lib. de vit. aere alieno, e tutti quattro presso lo stesso Plut. de Isid. et Osir., e presso Eusebio. (81 ) Hierocl. in aur. carm. (82) Hierocl. in aur. carm. (83 ) Clem. Alex. Strom. 1. 3. (84) Clem. Alex. Strom. I. 3 0 70xO1 peegee herdos Il. 1 v. 254. (85) Clem. ' Alex, Strom. I. 3. (86) Clem. Alex. nel med. luog. (87 ) Stob. Ecl. Phys. 1. i. (88 ) Porph. de Antr. Nymph. Ediz. di Van - Gcens p. 9. (89 ) Clem. " Alex. Strom. 1. 5 Origen, Phy losophumera. Phil. in V. Apoll. Athen. Dipn. In luogo di do7Os, che è un epiteto dato da Esiodo e da Poeti Greci al pesce, presso d' al.cuni si legge eurupos. A prima vista pare che l' epiteto ignito non abbia luogo; mu ove si voglia riflettere che giusta Empedocle, gli ani mali molto caldi cercarono l'acqua, ed ivi 289 soggiornarono, si può comprendere in qual senso abbia potuto adattare al pesce l ' epiteto Europos. (90) Eliano de Nat. anim. I. 12 cap. 7. Questi versi appartengono al poema delle pur gazioni. Perchè Eliano nel rapportarli soggiun ge λεγει δε και Εμπεδοκλης την αριστην αναι με: τοικησιν την τα ανθρωπου ει μεν ας ζωον η ληξις αυτην μεταγαγα λεοντα γινεσθαι και δε ας φυτον dadyny. » Empedocle dice che ottima sia da stimarsi la trasmigrazione dell'uomo, se do vendo passare in un bruto la sorte lo porta nel corpo del leone, e se in una pianta lo porta nell' alloro L' epiteto ηύκομοισιν Ο. mnerico. (91 ) Plut. de animi tranquill. L'epiteto έροέσσα e d' Esiodo che dice Θαλιη εροεσσα και ma non s' intende quello di μελαγκαρπος che vuol dire produttrice di frutti neri che Empe docle adatta ad Asafia o sia al genio dell' oscurità. Giovanni Tzetze Chil. 12 dice Ecco πεδοκλης προ παντωντε φιλοσοφος ο μέγας • γα γαρ την ασαφα αν μελαγκορον υπαρχαν ως κελαινωπας τον θυμον ο Σοφοκλης που λεγα 25 * Ο Ο 290 SO • Empedocle filosofo, grande sopra d'ogn'al tro, chiama Asafia o sia l'oscurità di nera pupilla conie Sofocle dice l'animo di nero via In sostanza poi vuol qui indicare Em pedocle quello che noi diciamo animo cupo, che tutto è coperto, e tutto fa con riserva. (92 ) Diod. Sic. Bibl. Hist. 1. 13 p. 204. (93) Clem. Alex. Strom. 1. 5. (94) Plut. adv. Colot. L'ultimo verso è stato corretto da Giov. Clerc. Bibl. Choisie Tom. 1. (95) Arist. Rhet. l. i cap. 13. Si son collocati in questo poema delle purgazioni; perchè Aristotile dice che riguardano la proi bizione d uccidere gli animali. xoy ws EyeTedo κλης λεγα περι τε μη κτιγαν το εμψυχσν. τετο γαρ τισι μεν δικαιον τισι δε και δικαιον. » Co me dice Empedocle parlando della proibizione d' uccidere qualunque animale. Poichè que sto non può essere giusto per alcuni e per al tri nò L' epiteto supurtedortos é d' Omero e quello d'atletoy è d ' Esiodo. (98 ) Sesto Empir. adv. Phys. I. 9 p. 580. Plut. de Superst. Nel 5 verso l'entBTT05 si 291 è tradotto per indegno d'essere udito come půs letterale. Na potrebbe avere due altri sensi cioè: da non essere compreso, o pure come colui, che è pieno di Qyaxer 116 che vuol dire contumacia, o inobbedienza; perchè senza di ciò non si ritrae un senso che sembra ragio nevole. Nel 6 a legurato d'apra è d' Omero nell' Odys. 13 v. 23. (97 ) Porphyr. de non necandis ad epulan dum animalibus l. 2 pag. 137 ediz. di Lio ne 0285dic epga per scelleraggini è d'Omero Odys. 14 v. 83. (98 ) Porphyr. de non necandis ad epul. anim. I. 2 pag. 131. Il primo verso somiglia a quello ď Omero Il. 24 v. 69. Alcuni leg, gono appatolor in luogo d ' cxpitolob. (99 ) Clem. Alex. exhortat. ad gentes. Awe Q10ste Odys. 11 v. 460. (100 ) Clem. Alex. Strom. I. 5. (101 ) Clem. Alex. Strom. I. 4 Bpotol o pu. re ardpes sain horlon. Il. 1 v. 266, e 273. (102 ) Clem. Alex, Strom. 1. 5. Questi due versi sono stati corrotti. Nel primo verso Sca. ligero legge fyte TPUDEGcus in luogo d' AUTOTA. OO 2 292 che non FIG. In verità questa seconda maniera cor risponde meglio all'opertio. Nel secondo leg ge Ευγιες ανδρειων αχεων αποκηροι ατειρεις. dla ad altri è piaciuto all' aydpelwy di sostituire l' and pouleur ch'è più adatto e pie Omerico; all' електро! ľ Anouampor ch'è anche più ragione vole; ed in fine all ατειρείς I'' ατηρείς si sa donde possa derivare. Si potrebbe dire più presto artelpon. Vi sono poi di quei che in luogo di amewn leggong amoywy; dimodochè spiegano coi forti achivi. (103 ) I primi due versi sono presso Laerz. 1. 8 in Emp., e tutti si leggono presso Janibl. de Vit. Pyth. p. 54. Questi versi si sono col locati nel poenia delle purgazioni; perchè in questo poema Empedocle dichiara la morale pittagorica. (104) Presso Suida voce Axpwr e Laerz. I. 8. in Emp. Questo epigramma, come dicono e Suida e Laerzio, è diretto a punzecchiare Acrone, che domanda a la grazia di ergere un gran monumento a suo padre in un luo. go alto della città di Gergenti. Empedocle va scherzando.col nome di Acrone e la parola 293 acron che in Greco significa alto e altezza. Ma questo scherzo non si può rendere nel no stro linguaggio. (105) Laerz. in Emp. I. 8 & Towvoploy indi ca nome conveniente alla cosa. Perchè liquo gavin in greco può significare che fa cessar i mali, e i dolori. Perciò Empedocle scherza col nome del suo amico. (106) Questi due versi s' attribuiscono dit Aulo Gellio Noct. Att. 1. 4 cap. 11 ad Em pedocle, e da altri ad Orfeo. Ma in verità so no della scuola pittagorica. Si legga Didym. 1. 2. Geoponicon cap. 35. Varii sono i sen timenti degli Scrittori sulla proibizione, che facea la scuola Pittagorica, di mangiar del le fuve. Secondo alcuni, perchè non sono sa lutari, e secondo altri perchè sono simili agli organi della generazione. Di fatto Gellio dice che l'astinenza delle fave era un simbolo, eon cui si volea indicare da Empedocle l'a ' stinenza delle cose veneree. (107 ) Questi versi esprimono il giuramen to che si facea nella scuola Pittagorica. Si leggono presso Jambl, de vit. Pyth. p. 125, 294 Ma non semhrano d'esser d'Empedocle cosi perchè non corrispondono allo stile del nostro poeta, come ancora perchè vi si osserva il dia. letto dor ico, che non mai egii usò ne' suoi poemi. ROMA BIBLIOTECA 295 Note mancanti nel Tomo I. pag. 67. MEMORIA SECONDA. (121 ) Απηρεν ασ Κροτωνα της Ιταλίας και κακοι τομές θες τοις Ιταλιωταις εδοξασθη συν τοις μας θεματας και οι περι τας τριακοσίες οντες ωκoνoμαν αριστα τα πολιτικα ωστε σχεδον αριστοκρατίας αναι την πολιτααν και Pittagora si porto in Cro tona d'Italia; ed ivi dando leggi agľ Italias ni fu egli in onore unitamente a' suoi disce poli. Trecento de' quali amministravano otti mamente le cose politiche, si che quella re pubblica era di posta a governo di ottimati, Laerz. in Pythag. (122 ) La persecuzione della scuola pitta gorica nacque da ciò, giusta Jamblico nella Vita di Pittagora cap. 35, che i pittagorici allontanavano il popolo dalle magistrature, e da' pubblici consigli, e voleano essi soli, come sapienti, regolar le cose pubbliche.Grice: “If people call William of Ockham, Surrey, Occam, I shall call Empedocles of Agrigentum Agrigentum, or Agrigento simpliciter in the vulgar.” Vide “Italic Griceians”While in the New World, ‘Grecian philosophy’ is believed to have happened ‘in Greece,’ Grice was amused that ‘most happened in Italy!’ Empedocle da Girgenti – Keywords: Girgenti – “You say Gergenti, and I say Girgenti” -- -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice ed Empedocle," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Girgenti: la ragione conversazionale al limite -- l’implicatura conversazionale -- la parola che non s’incatena – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Palermo). Filosofo italiano. Grice: “I love Girgenti for many reasons! For one, he has edited Boezio ‘as he is’! – then he has elaborated on Socratic irony, a concept that needs some elucidation, if ever one did! Also, he has edited the ‘logica retorica’ of Cicero, which is welcome!”Frequenta gli studi classici a Palermo, sotto Brighina, Franchina, Armetta, Mirabelli e Puglisi) e poi si è trasferito a Milano sotto Bontadini, Bausola, Melchiorre e Giussani. Si laurea sotto Reale con “Platonismo e Cristianesimo in San Giustino Martire” – Studia “Porfirio tra henologia e ontologia riproponendo la questione degli universali come origine del "pensiero forte". Insegna a Milano I suoi studi sono concentrati sul rapporto tra filosofia greco-romana e Cristianesimo, e in particolare nell'influenza che il platonismo ha esercitato sui Padri della Chiesa. Per analizzare questo tema, applica due categorie ermeneutiche: la "storia del’effetto" e la "fusione dell’orizzonte”. Secondo la storia dell’effeto, la Patristica latina deve essere considerata una fase importante della storia del platonismo antico, che fa da tramite rispetto alla filosofia medioevale. Secondo la fusione dell’orizzonte, il rapporto tra platonismo e Cristianesimo deve essere analizzato superando due opposte posizioni: la "praeparatio evangelica" di Eusebio di Cesarea, secondo cui la filosofia pre-cristiana sarebbe stata di per sé una preparazione al Cristianesimo e la "Ellenizzazione del cristianesimo" di Harnack, secondo cui nell'incontro con la filosofia, il Cristianesimo avrebbe smarrito la vocazione originaria (e dovrebbe pertanto “de-“ellenizzarsi, de-filosofarsi). Una posizione mediana potrebbe contribuire a superare le rigidità del cristianesimo cattolico e le chiusure del cristianesimo protestante non-cattolico. Saggi: “Porfirio: catalogo ragionato” (Vita e Pensiero, Milano); “Giustino Martire, il primo cristiano platonico” Vita e Pensiero, Milano); “Porfirio, Vita e Pensiero, Milano); Porfirio, Laterza, Roma-Bari; “Platone, G. Girgenti, Rusconi, Milano, Incontri con Gadamer, G. Girgenti, Bompiani, Milano “Platone” G. Girgenti, Bompiani, Milano; Atene e Gerusalemme. Una fusione di orizzonti, Il Prato, Padova; Il bue squartato e altri macelli. La dolce filosofia, libro-intervista con Sossio Giametta, Mursia, Milano. G. Giorello, Corriere della Sera, 1ºScheda biografica, curriculum e  nel sito dell'Università Vita-Salute San Raffaele, su unisr. Selezione di pubblicazioni  Porfirio negli ultimi cinquant’anni. Bibliografia sistematica e ragionata della letteratura primaria e secondaria riguardante il pensiero porfiriano e i suoi influssi storici, presentazione di Reale, Vita e Pensiero, Milano, Porfirio, Isagoge, prefazione, introduzione, traduzione e apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte, versione latina di Severino Boezio in appendice, Rusconi, Milano, nuova edizione Bompiani, Giustino Martire, il primo cristiano platonico. Con in appendice “Atti del Martirio di San Giustino”. Presentazione di C. Moreschini, Vita e Pensiero, Milano, Giustino, Apologie. Prima Apologia per i Cristiani ad Antonino il Pio. Seconda Apologia per i Cristiani al Senato Romano. Prologo al “Dialogo con Trifone”, introduzione, traduzione e apparati di G. Girgenti, testo greco a fronte, Rusconi, Milano, Aristotele, Poetica, introduzione, traduzione, note e sommari analitici di D. Pesce, revisione del testo, aggiornamento bibliografico, parole chiave e indici di G. Girgenti, testo greco a fronte, Rusconi, Milano, Porfirio, Sentenze sugli intellegibili, prefazione, introduzione, traduzione e apparati di G. con in appendice la versione latina di Marsilio Ficino, Rusconi, Milano. G. Girgenti, Il pensiero forte di Porfirio. Mediazione tra henologia platonica e ontologia aristotelica, introduzione di G. Reale, Vita e Pensiero, Milano,  Porfirio, Storia della Filosofia (frammenti), a cura di A. R. Sodano e G. Girgenti, Rusconi, Milano, Introduzione a Porfirio, “I filosofi”, Laterza, Roma-Bari, La nuova interpretazione di Platone. Un dialogo di Hans-Georg Gadamer con la Scuola di Tubinga e Milano e altri studiosi (Tubinga), introduzione di H.G. Gadamer, prefazione, traduzione e note di G., Rusconi, Milano, nuova edizione ampliata: Platone tra oralità e scrittura, Bompiani, Milano, Porfirio, Vita di Pitagora, monografia introduttiva e analisi filologica, traduzione e note di A. R. Sodano, saggio preliminare e interpretazione filosofica, notizia biografica, parole chiave e indici di G., in appendice la versione araba di Ibn Abi Usabi’a, testo greco e arabo a fronte, Rusconi, Milano, J. Patocka, Socrate. Lezioni di filosofia antica, introduzione, apparati e bibliografia di G. Girgenti, traduzione di M. Cajtham l, testo ceco a fronte, Rusconi, Milano,  nuova edizione: Bompiani, Milano, Wojtyla, Persona e Atto, a cura di Reale e T. Styczen, revisione della traduzione italiana e apparati a cura di G. Girgenti e P. Mikulska, testo polacco a fronte, Rusconi, Milano, nuova edizione: Bompiani, Milano, Struttura dell’anima dell’anima secondo Agostino e presupposti neoplatonici, in: Autori vari, Coscienza. Storia e percorsi di un concetto, Donzelli, Roma, Der Begriff der Verantwortung in der Welt der Antike und des Christentums, in K. Götz – J. Seifert (Hg.), Verantwortung in Wirtschaft und Gesellschaft, Rainer Hampp Verlag, München;   J. Seifert, Ritornare a Platone. La fenomenologia realista come riforma critica della dottrina platonica delle idee, in appendice un testo inedito su Platone di A. Reinach, prefazione e traduzione di G. Girgenti, Vita e Pensiero, Milano, Autori vari, Incontri con Hans-Georg Gadamer, edizione italiana a cura di G. Girgenti, Bompiani, Milano, Porfirio nel vegetarianesimo antico, “Bollettino Filosofico: Dipartimento di Filosofia Calabria”, Due fonti neoplatoniche indirette di Cusano: Porfirio e Giamblico, in Nicolaus Cusanus zwischen Deutschland und Italien Beiträge eines deutsch-italienischen Symposions in der Villa Vigoni vom (Veröffentlichungen des Grabmann-Instituts), hrsg von Martin Thurner, Akademie Verlag Berlin, Plotino, Enneadi, traduzione di R. Radice. Saggio introduttivo, prefazioni e note di commento di G. Reale. Porfirio, Vita di Plotino, a cura di G. Girgenti, “I Meridiani. Classici dello Spirito”, Arnoldo Mondadori Editore, Milano  K. Wojtyla, Metafisica della persona. Tutte le opere filosofiche e saggi integrativi, a cura di  Reale e Styczen, apparati e indici di G. , Bompiani, Milano; Diogene Laerzio, Vite e dottrine dei filosofi. Commentaria in Porphyrium. Schepps Samuel Brandt Leipzig European Social Fund Saxony Crane Jouve OCR-ed, Franzini Leipzig Stoyanova Robertson Mount Allison Fonticola (Ludwig Maximilians Munich). Leipzig Germany Schepps Brandt Boezio Vienna Leipzig Tempsky Freytag. Secundus hic arreptae expositionis labor nostrae seriem translationis expediet, in qua quidem uereor ne subierim fidi interpretis culpam, cum uerhum uerbo expressum comparatum- que reddiderim, cuius incepti ratio est quod in his scriptis in quibus rerum cognitio quaeritur, non luculentae orationis  lepos, sed incorrupta ueritas exprimenda est. quocirca mul- tum profecisse uideor, si philosophiae libris Latina oratione compositis per integerrimae translationis sinceritatem nihil in Graecorum litteris amplius desideretur, et quoniam humanis animis excellentissimum bonum philosophiae comparatum est,  BOEZIO IN YSAGOGAS PORPHIRII. BOEZIO IN YSAGOGE; BOEZIO COMMENTA IN ISAGOGAS  G,; INCIP COMENTV BOEZIO in isagogis porphirii; Expos Scda  L;  COMENTV BOEZIO IN ISAGOGAS  R;   inscriptione carent CFHNS (nisi quod in FH recens quaedam est), item e codd. Isagogen tantum a Boethio translatam continentibus   ΛΣ ; ISAGOGAE PORPHYRII TRANSLATAE DE GRECO IN LATINVM A VICTORINO ORATORE  (sic)   ΓΦ ; INCIP LIBER YSAGOGARVM (HΥS-) POR- PHYRII (I  pro  Y  Π ) AII ,- Icipidt isagoge porphyrii  (m. poster.)  Ψ;  de titulo operis cf. Prolegomena   6 fidi—reddiderim] cf. Horat. Ars poet. 133. 11—13] cf. Cic. Acad. post. I 3,12.  6 fędi C foedi Hm1N infidi FGm1 7uerbo]e uerbo  N  8 incoepti CEGHPRS 10 corrupta  Em1Sm1  incorruptae  Em2 (e  in mg. add. sed del .)  Lm1  11 uidebor  brm  13 graecis  Lm2   ut uia et filo quodam procedat ORATIO, ex animae ipsius efficientiis ordiendum est. triplex omnino animae vis in uegetandis corporibus deprehenditur, quarum una quidem uitam corpori subministrat, ut nascendo crescat alendoque subsistat, alia uero sentiendi iudicium praebet, tertia ui mentis et ratione  subnixa est. quarum quidem primae id officium est, ut creandis, nutriendis alendisque corporibus praesto sit, nullum uero rati- onis praestet sensusue iudicium. haec autem est herbarum atque arborum et quicquid terrae radicitus adfixum tenetur, secunda uero composita atque coniuncta est ac primam sibi  sumens et in partem constituens uarium de rebus capere potest ac multiforme iudicium. omne enim animal quod sensu uiget, idem et nascitur et nutritur et alitur, sensus uero diuersi sunt et usque ad quinarium numerum crescunt, itaque quicquid tantum alitur, non etiam sentit, quicquid uero sentire  potest, ei prima quoque animae uis, nascendi scilicet atque nutriendi, probatur esse subiecta. quibus uero sensus adest, non tantum eas rerum capiunt formas quibus sensibili corpore feriuntur praesente, sed abscedente quoque sensu sensibili- busque sepositis cognitarum sensu formarum imagines tenent  memoriamque conficiunt, et prout quodque animal ualet, lon- gius breuiusque custodit, sed eas imaginationes confusas atque ineuidentes sumunt, ut nihil ex earum coniunctione ac compo-  1 uia et filo quodam]  CEm2H  (uia  fort. ras. ex  uiae), uiae et filo quodam  N  uiae  (s. l. R)  ex filo quodam  EmIGPR edd . uiae ( ex  uia  S ) ex quodam filo  LS  uiae ( s. l . filo  m1 ) quodam  F  ratio  CEmIGLRS  ex] ab  Hm1NP  efficienti  Em1 efficientis  Fa. c . 3 post uitam  add . solum  CFHP  solam  N  corporis  GNRL a.r.Sa.r . 5 rationis  FGRS  6 procreandis  CHNP  7 nutriendisque ( om . alendis)  EL  sit  s. l. Gm2Nm2  9 terra  CN  10 ac] ad  FSm1  at  LSm2  et  G  11 rebus] quibus  GRS  de rebus de quibus  L  12 poterit  E post iudicium  add . capit  E (sed del.) L, s. l. m2 in HRS  13 et nutritur om.  CHP, s. l . nutritur  (om. et) Lm2  14 ita  CHR  16 poterit  E  quoque prima  FGm2H  19 praesente ante feriuntur  FHN praesentes  CHm1N  abscedente]  Em2FGHmINESa.r . absente  CEm1Hm2LPSp.r . 20 re- positis  GR  22 imagines  FHN  23  ante  sumunt add. sic  brm   sitione efficere possint, atque idcirco meminisse quidem possunt, nec aeque omnia, admissa uero obliuione memoriam recolli- gere ac reuocare non possunt, futuri uero his nulla cognitio est. sed uis animae tertia, quae secum priores alendi ac sen-  tiendi trahit hisque uelut famulis atque oboedientibus utitur, eadem tota in ratione constituta est eaque uel in rerum prae- sentium firmissima conceptione uel in absentium intellegentia uel in ignotarum inquisitione uersatur. haec tantum humano generi praesto est, quae non solum sensus iraaginationesque  perfectas et non inconditas capit, sed etiam pleno actu intel- legentiae quod imaginatio suggessit, explicat atque confirmat, itaque, ut dictum est, huic diuinae naturae non ea tantum cognitione sufficiunt quae subiecta sensibus comprehendit, uerum etiam et insensibilibus imaginatione concepta et absen-  tibus rebus nomina indere potest et quod intellegentiae ratione comprehendit, uocabulorura quoque positionibus aperit, illud quoque ei naturae proprium est, ut per ea quae sibi nota sunt ignota uestiget et non solum unum quodque an sit, sed quid sit etiam et quale sit nec non cur sit, optet agnoscere, quam  triplicis animae uim sola, ut dictum est, hominum natura sor- tita est. cuius animae uis intellegentiae motibus non caret, quia in his quattuor propriae uim rationis exercet, aut enim aliquid an sit inquirit aut si esse constiterit, quid sit addubitat, quodsi etiam utriusque scientiam ratione possidet, quale sit 2 admissa] CR amissa EFGm1NP amissam  Gm2LS, ras. et s. l. ex  admissam  H  memoriam  om. FGR, s. l. Sm2, memoria  H  3 hiis  F ,  sic saepe  cogitatio  CNm2  4 animae uis  CEL  5 ante trahit  add . uires  brm  6 ea  CHm1N  est  ante constituta  CEGS , om. R 7 con- tentione  EGm1Sm1  contemplatione  R, m2 in GLS  8 in  s. l. Gm1PmS ,  del. Lm2  ignotorum  Hm1N  9 imaginationes  EN  11 conformat  Gm2Pm2  13 cognitione] in cognitione FHNP 14et] ex  Em1HN  sensibilibus  CEm1Hp. c. Nm2  sensibus  Ha. c. Nm1   ante  imaginatione  add . sibi  E (del. m2) NPSm2  imaginatione] in agnitione  Gm1Sm1  agnitione  Gm2R  post concepta add. nomina  Hm1, idem post  rebus  s. l. m2  17 sint  E  19 optat  LR  22 quia] qua  Gm1  atque  EHm1Pm1  24 scientiam  post  ratione  E  sententiam  Hm1  pos- sedit  FRS   unum quodque uestigat atque in eo cetera accidentium momenta perquirit, quibus cognitis cur ita sit quaeritur et ratione nihilo minus uestigatur.   Cum igitur hic actus sit humani animi, ut semper aut in rerum praesentium comprehensione aut in absentium intellegentia aut in ignotarum inquisitione | atque inuentione uer- setur, duo sunt in quibus omnem operam uis animae ratio- cinantis inpendit, unum quidem, ut rerum naturas certa inqui- sitionis ratione cognoscat, alterum uero, ut ad scientiam prius ueniat quod post grauitas moralis exerceat, quibus inquirendis  permulta esse necesse est, quae uestigantem animum a recti itinere non minimum progressione deducant, ut in multis euenit Epicuro, qui atomis mundum consistere putat et honestum uoluptate metitur, hoc autem idcirco huic atque aliis accidisse manifestum est, quoniam per imperitiam disputandi quicquid ratiocinatione comprehenderant, hoc in res quoque ipsas euenire arbitrabantur, hic uero magnus est error; neque enim sese ut in numeris, ita etiam in ratiocinationibus habet, in numeris enim quicquid in digitis recte computantis euenerit, id sine dubio in res quoque ipsas necesse est euenire, ut si ex calculo  centum esse contigerit, centum quoque res illi numero sub- iectas esse necesse est. hoc uero non aeque in disputatione seruatur; neque enim quicquid sermonum decursus inuenerit,  4 aut  om. CNR, s. l. Gm2Sm2  5 rerum  add. edd. post  praesentium,  ante Brandt; cf. p. 137, 6  6 ignotorum  Gm2Hm1Lm2N ante  in- uentione  s. l. in Hm2  8 inpendat  FPSa.c . naturam  FHm1N  certa inquisitionis]  Gm2H  certae inquisitionis  FNP  inquisitionis certa CELm2 , om. certa  Gm1Lm1RS (fort. recte)  10 quod] eius quod r exer- cet  Hm1  12 minimum ante non  E  minime  FSm1  diducant  FGm2  13 atbomis  plerique codd . consistere in  mg. Hm2 constare  CFP, post er . ł consistere  C  honestam  Em1P  honestatem  F  14 uoluptate om.  F uoluptatera  CEHm2  (te* m1)  LNR, add . corporis  L (del. m2) R, s. l. Gm2, ante  uol.  edd . mentitur  CEGHPRSm1  hoc] haec  H  16 racione  CN  comprehenderent  m1   in EHN  17 nero] ergo  H  maximus  E  error est  CFHNP post  sese  add.  res FR ,  s. l. Pm2  19 digitos  CEFN   id natura quoque fixura tenetur, quare necesse erat eos falli qui abiecta scientia disputandi de rerum natura perquirerent, nisi enim prius ad scientiam uenerit quae ratiocinatio ueram teneat disputandi semitam, quae ueri similem, et agnoscere quae  fida, quae possit esse suspecta, rerum incorrupta ueritas ex ratiocinatione non potest inueniri. cum igitur ueteres saepe multis lapsi erroribus falsa quaedam et sibimet contraria in disputatione colligerent atque id fieri inpossibile uideretur, ut de eadem re contraria conclusione facta utraque essent uera quae  sibi dissentiens ratiocinatio conclusisset, cuique ratiocinationi credi oporteret, esset ambiguum, uisum est prius disputationis ipsius ueram atque integram considerare naturam, qua cognita tum illud quoque quod per disputationem inueniretur, an uere comprehensum esset, posset intellegi, hinc igitur profecta est  logicae peritia disciplinae, quae disputandi modos atque ipsas ratiocinationes internoscendi uias parat, ut quae ratiocinatio nunc quidem falsa, nunc autem uera sit, quae uero semper falsa, quae numquam falsa, possit agnosci, huius autem uis duplex esse perpenditur, una quidem in inueniendo, altera in  iudicando. quod Marcus etiam Tullius in eo libro cui Topica titulus est, euidenter expressit dicens; Cum omnis ratio diligens disserendi duas habeat partes, unam inue- niendi, alteram iudicandi, utriusque princeps, ut mihi quidem uidetur, Aristoteles fuit. Stoici  20 Tullius] Top. 2, 6 s.   1  ante  natura  add . in  HLSpr, s. l. Pm2  3 post nisi  add . quis  r  prius enim  E  4 disputandi  om. GRS ad ueri  similem  s. l . ał que ueri se similem agnouerit  Hm2  et agnoscere]  FSm1  ( om . et) et agnouerit  EGLPRSm2 ( om . et) edd. ut ex hoc delectia rationum que- amus agnoscere  Hm1, s. l . ał et agnouerint quae fida et reliqua  m2  ut ex diligentia rationum queamus ( ex  quaeramus  C ) agnoscere  CN  7 et sibimet] sibimet  C  sibi et  EGRS  9  post re s. l . si  Cm1?  10 cuique)  CHm1N  cuiue  cett . 13 tunc  FHNPm1R post  an  add . id R,  s. l. Gm2Lm2, 2 litt. er. C  15 ipsis ratiotinationibus  Hm2  16 ante internoscendi add. et  brm  uiam  CFHN  19 inneniendi et iudicandi ( om . in)  Hm2  24 quidem uidetur]  FHNPCic . uidetur quidem GRS quidem  om. CEL   autem in altera elaborauerunt; iudicandi enim uias diligenter persecuti sunt ea scientia quam  διαλεκτικήν appellant, inueniendi artem, quae  τοπική  dicitur quaeque ad usum potior erat et ordine naturae certe prior, totam reliquerunt, nos autem  quoniam in utraque summa utilitas est et utramque, si erit otium, persequi cogitamus, ab ea quae prima est, ordiemur, cum igitur tantus huius considera- tionis fructus sit, danda est huic tam sollertissimae disci- plinae tota mentis intentio, ut primis firmati in disputandi  ueritate uestigiis facile ad rerum ipsarum certam comprehen- sionem uenire possimus. Et quoniam qui sit ortus logicae disciplinae praediximus, reliquum uidetur adiungere, an omnino pars quaedam sit philosophiae an ut quibusdam placet, supellex atque instru-  mentum, per quod philosophia cognitionem rerum naturamque deprehendat, cuius quidem rei has e contrario uideo esse sententias. hi enim qui partem philosophiae putant logicam con- siderationem, his fere argumentis utuntur, dicentes philosophiam indubitanter habere partes speculatiuam atque actiuam.  de hac tertia rationali quaeritur an sit in parte ponenda, sed eam quoque partem esse philosophiae non potest dubitari, nam sicut de naturalibus ceterisque sub speculatiua positis solius philosophiae uestigatio est itemque de moralibus ac  2 uias]  ENPCic.p, om. cett. codd ., uiam  brm  ea scientia]  Pm1Cic . eam scientiam  EPm2  edd. eam scilicet scientiam  CN  artem et scientiam FSm2  scientiam  GHLRSm1  3  διαλεκτικήν ] Cic. dialecticen  CFGHL- NPm2RS  dialecticam  E dialectica  Pm1   τοπική ]  Cic . topice  Gm2LNS  topica  CEFGm1HPR  4 quaeque] quae et  Cic . 5 prior] prior est  GLa.c.RS  6 in—est et]  CN Cic., s. l. Pm2, om. cett. codd., Boethius etiam in comment. in Cic. Top. lib. I p. 1047 D haec uerba respicit  8 prima] prior  Cic . ordiemur]  EHm1NCic . ordiamur  CGHm2LPRS  ordinamus  F  13 quid  FHm1NPp.c . quod  a.c . 14  ante reliquum  add . esse  GHP  pars sit quaedam  GN  quaedam pars sit  L  18 hii  EHL  20  ante  habere  add . duas  L m 1860  21  post  rationali  add . uel orationali  EFGH (del. m2) RS (del. mS)  id est logica  L  ( s. l. m2) edd. ad  an  s. l . si  Cm2  24 inuestigatio  L   reliquis quae sub actiuam partem cadunt, sola philosophia perpendit, ita quoque de hac parte tractatus, id est de his quae logicae subiecta sunt, sola philosophia iudicat. quodsi speculatiua atque actiua idcirco philosophiae partes sunt, quia  de his philosophia sola pertractat, propter eandem causam erit logica philosophiae pars, quoniam philosophiae soli haec dis- putandi materia subiecta est. iam uero inquiunt : cum in his tribus philosophia uersetur cumque actiuam et speculatiuam consideratio|nem subiecta discernant, quod illa de rerum naturis, haec de moribus quaerit, non dubium est quin logica disciplina a naturali atque morali suae materiae proprietate di- stincta sit. est enim logicae tractatus de propositionibus atque syllogismis et ceteris huiusmodi, quod neque ea quae non de oratione, sed de rebus speculatur neque actiua pars, quae de  moribus inuigilat, aeque praestare potest, quodsi in his tribus, id est speculatiua, actiua atque rationali, philosophia consistit, quae proprio triplicique a se fine disiuncta sunt, cum specula- tiua et actiua philosophia partes esse dicuntur, non dubium est quin rationalis quoque philosophia pars esse conuincatur.  qui uero non partem, sed philosophiae instrumentum putant, haec fere afferant argumenta, non esse inquiunt similem logicae finem speculatiuae atque actiuae partis extremo, utraque enim illarum ad suum proprium terminum spectat, ut speculatiua  2 tractat  Ep.r.FR, m2 in GLP  3 diiudicat  CHm2  5 sola philo- sophia  CFN  pertractet  Em1  tractat  Hm1  7 iam] tam  R  ita  FL  9 sublectas discernat  Em2  10 dubium non est  CEL  non est dubium  F  11 a  om. LS, s. l. Gm2Pm2, postea add. R  disiuncta (iunc  in ras. m1? )  R  12 est enim] etenim  GLRS post  tractatus add. est  LR, s. l. Pm2  14 orationibus  E ratione  Lm1, add . est  L  17 sint  Rm1, ex  sit  Sm2  cumque  H  (q.  er .)  Lm2N  18 et] atque  EFNP philosophiae  pbr  dicantur  Lm2N  non est dubium  EFHNP  21 haec—argumenta  del. G  asserunt (ss in ras. m1?)  C similem  om. GR, post  finem  s. l. Sm2, ad  similem  s. l.  ł proprium  Pm2  22  ante  speculatiuae  add . sed  R, s. l. Gm2Lm2  extremum E (u  ex a uel  o  m2 )  GL  (um  ex am m2 )  Pm2RSm1  23 proprium suum  C  ut] ita ut  brm   quidem rerum cognitionem, actiua uero mores atque instituta perficiat, neque altera refertur ad alteram, logicae uero finis esse non potest absolutus, sed quodammodo cum reliquis duabus partibus colligatus atque constrictus est. quid enim est in logica disciplina quod suo merito debeat optari, nisi  quod propter inuestigationem rerum huius effectio artis inuenta est? scire enim quemadmodum argumentatio concludatur uel quae uera sit, quae ueri similis, ad hoc scilicet tendit, ut uel ad rerum cognitionem referatur haec scientia rationum uel ad inuenienda ea quae in exercitium moralitatis adducta beatitu-  dinem pariunt. atque ideo quoniam speculatiuae atque actiuae suus certusque finis est, logicae autem ad duas reliquas partes refertur extremum, manifestum est non eam esse philosophiae partem, sed potius instrumentum, sunt uero plura quae ex alterutra parte dicantur, quorum nos ea quae dicta sunt  strictim notasse sufficiat. Hanc litem uero tali ratione discernimus. nihil quippe dicimus impedire, ut eadem logica partis uice simul instrumentique fungatur officio, quoniam enim ipsa suum retinet finem isque finis a sola philosophia, consideratur, pars philosophiae esse ponenda est, quoniam uero finis ille  logicae quem sola speculatur philosophia, ad alias eius partes suam operam pollicetur, instrumentum esse philosophiae non negamus; est autem finis logicae inuentio iudiciumque rati- onum. quod scilicet non esse mirum uidebitur, quod eadem pars, eadem quoddam ponitur instrumentum, si ad partes  corporis animum reducamus, quibus et fit aliquid, ut his quasi quibusdam instrumentis utamur, et in toto tamen corpore par- tium obtinent locum, manus enim ad tractandum, oculi ad  1 rerum]  Em2H(in mg. m1?) Lm2 edd., post  cognitionem  add . rerum  s. l. Pm2Sm2, add . naturalium rerum  F, s. l. Gm2, om. cett . 2ad alteram] de altera  Em2 3 non potest esse  FGN  4 est  om. C  5 aptari  FGm1Hm1Pm2R  6 affectio  EFHLm2Pm1Bm1  8 intendit  F  9 rationum scientia  CLP  10 mortalitatis  bm  11 parant  Ea.c . pariant  Hm1  15 alterutra] utraque  EP, add. post  alterutra  H, del. m2 ante  dicta  add . supra  EP, s. l. Lm2  18 enim] nero  CFHN  21 ei  F  24 uidetur  Em1FGm2LNPm2  28 optineant  Fp.c.S   uidendum, ceteraeque corporis partes proprium quoddam uidentur habere officium, quod tamen si ad totius utilitatem corporis referatur, instrumenta quaedam corporis esse deprehenduntur quae etiam partes esse nullus abnuerit, ita quoque logica  disciplina pars quidem philosophiae est, quoniam eius philo- sophia sola magistra est, supellex uero, quod per eam inqui- sita philosophiae ueritas uestigatur. Sed quoniam, quantum mihi quoque breuitas succincta largita est, ortum logicae et quid ipsa logica esset explicui,  nunc de eo nobis libro pauca dicenda sunt quem in praesens sumpsimus exponendum, titulo enim proponit Porphyrius introductionem se in Aristotelis PREDICAMENTO conscribere, quid vero valeat haec introductio vel ad quid lectoris animum praeparet, breuiter explicabo. Aristoteles enim librum qui De  X PREDICAMENTI inscribitur hac intentione composuit, ut infinitas rerum diuersitates quae sub scientiam cadere non possent, paucitate generum comprehenderet, atque ita quod per incomprehensibilem multitudinem sub disciplinam uenire non poterat, per generum, ut dictum est, paucitatem animo  fieret scientiaeque subiectum. decem igitur genera rerum esse omnium considerauit, id est unam substantiam et accidentia nouem, quae sunt II QUALITAS III QVANTITAS IV RELATIO V VBI VI QVANDO VIII FACERE et pati, IX SITVS X HABERE, quae quoniam genera essent suprema et quibus nullum aliud superponi genus posset, omnem  necesse est multitudinem rerum horum decem generum spe-  1 quoddam] quod  Em1  (aliquod  m2 )  G  2 utilitatem  post  corporis EG, ante  totius  L  4 quas  FSm2  5 quidem post philosophiae  H  quaedam  L  6 uero] uero est  L  8 quoque  om. L  quidem  edd . ueritas  Cm1N  succincta]  CNPSm2  sua mora  EFGHR  sua mota  Sm1  succincta suam moram  L  9 ortum  om . L et de ortu CNF quod  CF  est  G  explicaui  CELm2PRS  11 titulum  CHm1N  13 lectoris  s. l. Gm2, post  animum  CN, post  praeparet  H. om. E  14 paret  EFGNRS  15 scribitur  EGRSm1  17 ita quod  s. l. Gm2  (itaque m1)  Rm2  quod ( om . ita)  s. l. Sm2  20 decem] in decem  C  23 et  om. FLNP  situm habere  CRa.c . situm esse habere  Gm1S  24 genus superponi  H  possit  Ea.c.FGm1NPRS  25 ante horum add. per  s, l. Pm2, ante  species  CFLR. s. l. Gm2Sm2   cies inueniri. quae quidem genera a se omnibus differentiis distributa sunt nec quicquam uidentur habere commune nisi tantum nomen, quoniam omnia esse praedicantur. quippe I SBSTANTIA est, II QVALITAS est, III QVANTITAS est, et de aliis omnibus ‘est’ uerbum communiter praedicatur, sed non est eorum  communis una substantia uel natura, sed tantum nomen. itaque X genera ab Aristotele reperta omnibus a se differentiis distributa sunt sed quae aliquibus differentiis disiunguntur, necesse est ut habeant proprium quiddam quod ea in singularem solitariamque vindicet formam. non est autem idem  proprium quod accidens accidentia enim et venire et abesse possunt, propria ita sunt insita, ut absque his quorum sunt propria, esse non possint. quae cum ita sint cumque Aristoteles X rerum genera repperisset, quae vel intellegendo mens caperet vel loquendo disputator efferret - quicquid  enim intellectu capimus, id ad alterum sermone uulgamus —, euenit ut ad horum X PREDICAMENTI intellegentiam quinque harum rerum tractatus incurreret, scilicet generis, speciei, differentiae, proprii, accidentis. generis quidem, quoniam oportet ante praediscere quid sit genus, ut X illa quae  Aristoteles ceteris anteposuit rebus, genera esse possimus agnoscere, speciei uero cognitio plurimum ualet, ut quae cuiusque generis sit species, possit agnosci. si enim quid sit species intellegimus, nihil impediti errore turbamur. fieri enim potest, ut per speciei inscientiam saepe quantitatis species in  relatione ponamus et cuiuslibet primi generis species alteri cui-  4 omnibus aliis  FHLN  9 quoddam  S  10 uendicet  HLP  uindicent  ( ent  in ras.) S  constituat CN 11 euenire  FGm2R  (om. et) abire  NP  12 propria ita] propria enim ita  H  proprietates  EGm1S propria uero ita  edd . insitae  EGm1S  14 uel  om. FP  16 cupimus  E  alterutrum  FPm2S 19 ante accidentis add. atque  FHNP  et  L 21 inter- posuit  m1 in EGS  superposuit  Em2NP  praeposuit  FGm2  possemus  FN  22 cognitio  post  ualet  LP  24 impedito  (uel  in- ) Ca.c.EGm1HNS  impedit  R  turbari  CS  25 inscitiam  F 26 cuilibet] cuiuslibet  Gm1N,a.r. in EFS   libet generi subdamus atque ita fiat permixta rerum atque indiscreta confusio; quod ne accidat, quae sit natura speciei ante noscendum est. nec uero in hoc tantum prodest speciei cognoscenda natura, ne priorum generum species inuicem per-  mutemus, uerum etiam ut in eodem quolibet genere proximas species generi nouerimus eligere, ut ne substantiae mox animal dicamus esse speciem potius quam corpus aut corporis homi- nem potius quam animatum corpus, at uero differentiarum scientia in his maximum retinet locum, qui enim omnino  qualitatem a substantia uel cetera a se genera distare cogno- scimus, nisi eorum differentias uiderimus? quomodo autem discernere eorum differentias possumus, si quid ipsa sit diffe- rentia nesciamus? nec hunc solum nobis inscientia differentiae offundit errorem, uerum etiam specierum quoque tollit omne  iudicium. nam omnes species differentiae informant, ignorata differentia species quoque necesse est ignorari, quomodo uero fieri potest, ut quamlibet differentiam possimus agnoscere, si omnino quae sit nominis huius significatio nesciamus? iam nero proprii tantus usus est, ut Aristoteles quoque singulorum  PREDICAMENTI propria perquisiuerit. quae propria esse quis deprehenderit, antequam quid omnino sit proprium discat? nec in his tantum propriis haec cognitio ualet quae singulis nomi- nibus efferuntur, ut hominis risibile, uerum etiam in his quae in locum definitionis adhibentur, omnia enim propria rem subrectam  quodam termino descriptionis includunt, quod suo quoque loco  25 suo loco] lib. IV c. 15 s.   1 generis  Gm1REa.r.Sa.r . fiet  CH  fit  N  permixtio  FHm2LNP  4 primorum  FNP  5 in om.  CERS, s. l. Gm2  6  ante  generi  add . cuilibet  brm  7 aut—corpus om.  E, s. l. Gm2Sm2  8 corpus  om. FP ,  del. Hm2  9 qui] quomodo  Ep.c.HPp.c.R  11 nouerimus  R  quo- modo—ignorari  (16) in inf. mg. Em2  autem] nero  E(m2)  14 offundit]  E (m2) Pm1  obfundit  Hm2  diffundit  Gm1  effundit  cett.; cf. p. 159,16  15 informant differentiae  brm  16 quomodo] qui  FNP  uero om.  G  18 huius nominis  FNP  20 perquisierit  R  quis esse  FR  21 deprehen- derit in  ras. E  deprehenderet  Np.c . deprehendet ( ex  -it)  P  22 proprii  Gm2N post  singulis  add . tantum  FHLNP  24 subiecto  EGm1RS   oportunius commemorabo, accidentis quoque cognitio quantum afferat, quis dubitare queat, cum videat inter X PREDICATMENTI  IX accidentis naturas? quae quomodo accidentia esse putabimus, si omnino quid sit accidens ignoremus, cum praesertim nec differentiarum nec proprii scientia nota sit, nisi  accidentis naturam firmissima consideratione teneamus? fieri enim potest, ut differentiae loco uel proprii per inscientiam accidens apponatur, quod esse uitiosissimum etiam definitiones probant, quae cum ipsae ex differentiis constent et fiant unius cuiusque definitiones propriae, accidens tamen non uidentur  admittere. Cum igitur Aristoteles rerum genera collegisset, quae nimirum diuersas sub se species continerent, quae species nuraquam diuersae forent, nisi differentiis segregarentur, cumque omnia in substantiam atque accidens, accidens uero in alia nouem praedicamenta soluisset cumque aliquorum PREDICAMENTI fere sit propria persecutus, de his ipsis quidem praedicamentis docuit, quid uero esset genus, quid species, quid differentia, quid illud accidens, de quo nunc dicendum est, uel quid proprium, uelut nota praeteriit, ne igitur ad PREDICAMENTI Aristotelis uenientes, quid significaret unum  quodque eorum quae superius dicta sunt ignora|rent, hunc librum Porphyrius de earum quinque rerum cognitione per- scripsit, quo perspecto et considerato quid unum quodque eorum quae supra praeposuit designaret, facilior intellectus ea quae ab Aristotele proponerentur addisceret.   Haec quidem intentio est huius libri, quem Porphyrius ad introductionem PREDICAMENTI se conscripsisse ipsa, ut  1 opportunius  NR post  accidentis  add . teneri  L ,  post  naturas  (3) tenere  HN  3 quonam modo  FHLNP  5 tota  EN, m1 in GPS  6 tenemus  C  7 insciciarn  FN  11  ante  rerum  add . decem  cod. Monac. 4621 brm, recte?  15 nouem om.  S edd., s. l. Em2Gm2  16 fere  om. EFGS, er. H  18 nunc  om. GRS  est dicendum  CL  21. 24 eorum  delendum esse coni. Engelhrecht  23 quo] ut  CHLNP  inspecto  FNP perfecto EGm1  24 eorum]  cod. Monac. 4621 ( om . quae),  om. codd. nostri  proposuit FP proposui  H  posuit  NR  25 ab  om. ENR praeponerentur  CHm2NR  27 ipse  L  ita  F   dictum est, tituli inscriptione signauit, sed licet ad hoc unum huius libri referatur intentio, non tamen simplex eius utilitas est, uerum multiplex et in maxima quaeque diffusa est. quam idem Porphyrius in principio huius libri commemorat dicens; Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem praedicamentorum doctri- nam, nosse quid genus sit et quid differentia quidque species et quid proprium et quid apcidens, et ad definitionum adsignationem et omnino ad ea  quae in diuisione uel demonstratione sunt, utili hac istarum rerum speculatione, compendiosam tibi traditionem faciens temptabo breuiter uelut introductionis modo ea quae ab antiquis dicta sunt adgredi altioribus quidem quaestionibus  abstinens, simpliciores uero mediocriter coniectans. Utilitas huius libri quadrifariam spargitur, namque ad illud etiam ad quod eius dirigitur intentio, magno legentibus usui  5—16] Porph. p. 1, 3—9 (Boeth. p. 25, 2—9 Busse).   2 eius utilitas est]  FGm2 (in mg. add.) HP  utilitas eius est  in mg. add. Em2  est eius utilitas  s. l. add. Lm2  eius est utilitas  N, om, RS;  est tamen simplex eius utilitas  C  3 uerum  in mg. Em2  sed  GLS  sed et  R  multiplex et  in mg. Em2, s. l. Sm2  est  er. uid. E  5  ante  Cura  add . PROLOGVS  RS, de inscript. codicum Isagogen tantum con- tinent. cf. ad initium libri  Chrysaori]  G chrisaori  EHNPa.c .  Γ  ( s. l . menanti)  Ώμ2ΣΦ  chrysaoni S chrisarori ( uel  cris-  uel  chriss-,1  CFLPp.c .  R lATl m1 *!  (-oui) ante et add. te  C (er.)   FLNA (del.)   Σ ,  s. l . scil, te  E  6  ante praedicamentorum  add . X  Δ  7 sit genus  L A  et  om .  Φ  quidue  N  8  pr .  et s. l. E, om .  A  9 diffinitionem  Em1 \ m2 ,  in  -nes,  hoc in  -num  mut. F  10 in] ad  FHP ,  ante  in  er . ad  uid. C diuisionem  Ca.r.FHNP T a.r . A a.r . Q  uel] et  N  et ad  FHP  uel in  ΔΣΦ  demonstrationem  Ca.r . (-ne  ras. ex  -ne  ut uid .)  FHNP F a.r. A a.r .(b  utili]  edd . utilia  codd . 11 hac]  HP ,  s. l. Sm2  hanc  CLNΤ ΛΙIΣΦ ,  del .  Δ ,  om .  EFGRS  speculationem  CEa.r.Hm2L A a.r .  ΑΦ ,  in  -num corr.  Σ compendiosa  ras. ex  -sa  C A  12 traditione ( uel  -cione)  CLΝ Φ ,  ras. ex  -nem  HT A  14 altioribus] ab altioribus  A  17 quadrifaria  S ante  ad  add . et  EGP ,  s. l. L  18 etiam  om . G   est et ad cetera, quae cum extra intentionem sint, non tamen minor ex his legentibus utilitas comparatur, est enim per hoc corpusculum et PREDICAMENTI facilis cognitio et defini- tionum integra adsignatio et diuisionum recta perspectio et demonstrationum ueracissima conclusio, quae res quanto difficiles atque arduae sunt, tanto perspicaciorem studiosioremque animum lectoris expectant. dicendum uero est quod in omnibus libris euenit. nam primum si quae sit intentio cognoscatur, quanta quoque utilitas inde prouenire possit expenditur et licet extra multa, ut fit, huiusmodi librum sequantur, tamen  illam proxime utilitatem uidetur habere, ad quod eius refertur intentio, ipso libro quem sumpsimus exponente, cum eius intentio sit ad PREDICAMENTI intellectum facilem comparandi, non dubium quin haec eius principalis probetur utilitas, licet non minores sint comites definitio, diuisio ac demonstratio,  quorum nobis quaedam hic principia suggeruntur, sensus uero totus huiusmodi est : ‘cum sit, inquit, utilis generis, speciei, differentiae, proprii accidentisque cognitio ad PREDICAMENTI Aristotelis eiusque doctrinam, ad definitionum etiam adsignationem, ad diuisionem et demonstrationem, quae sit harum  rerum utilis überrimaque cognitio, compendiosam, inquit, tra-  2 utilitas legentibus  FHP  3 opusculum  CEp.r.FGm2HLN, recte ? cf. p. 149, 3  4 integra  om. ER, s. l. Gm2Sm2  recta] perfecta  CFGm2- Hm1N 8 post  libris  add . his  HNP  hoc  R,  s. l,  sed exters. G  sit] est  H  9 id est  (add. Lm2)  perpenditur  Em2Lm2  10  ante huius- modi  add . in  CE (del.) G (del. m2) N  librum]  LPm2RSm2, om. Hm1 , libros  FGm1Sm1, s. l. Hm2 , libro  CE (del.) Gm2NPm1  sequntur ( uel  sec-)  R, m1 in EGS  11 uidentur  FH  ad quod] aliquod  Cm1  ad quam  FGm2Pm2  eius] eorum  FGm2HPm1  12  ante ipso  add . ut  (s. l. est Lm2)  in hoc  CFHLNP, s. l . ut in  Em2  hoc  Gm2  ex- ponendum  CE (dum  in er . te?)  FHLNP  ( ex  -dus  m1  exponere  m2 )  Sm1 post  cum  s. l . enim  Hm2  13 praeparandi  H 14  ante  dubium  add . est  FHNP ,  s. l. Gm2, post s. l. L  15 minoris  CGm1N  16 nobis  om. C  hic quaedam  C  principalia  NSm1  17 huiusmodi totus  EG  19 eamque  Hm1Sm1  20 ad  om. C, s. l. Gm2 , et  FHN  et ad  P  et] ac  H, om. CFNP , et ad  edd . demonstrationemque CN demonstrationum- que  FP  quae] quia  Lm2R, om. CFNP  21 traditione  ras. ex  -nē  H   ditionem faciens ea quae ab antiquis large ac diffuse dicta sunt, temptabo breuiter aperire’, neque enim esset compendiosa, nisi totum opus breuitate constringeret et quoniam introductionem scribebat, ‘altiores, inquit, quaestiones sponte refngiam, simpliciores uero mediocriter coniectabo’, id est sim- pliciorum quaestionum obscuritates habita in eis quadam coniecturae ratiocinatione tractabo. Tota quidem sententia huiusce prooemii talis est, quae et utilitate überrima et facilitate incipientis animo blandiatur, sed dicendum uidetur  quidnam celet amplius altitudo sermonum, necessarium in Latino sermone, sicut in Graeco  άναγκαΐον , plura significat, diuersa enim significatione Marcus Tullius CICERONE dicit necessarium suum esse aliquem atque nos, cum nobis necessarium esse dicimus ad forum descendere, qua in uoce quaedam utilitas  significatur. alia quoque significatio est qua dicimus solem necessarium esse moueri, id est necesse esse, et illa quidem prima significatio praetermittenda est, omnino enim ab eo necessario quod hic Porphyrius ponit aliena est. hae uero duae huiusmodi sunt, ut inter se certare uideantur quae huius loci  obtineat significationem, in quo dicit Porphyrius; Cum sit necessarium, Chrysaori; namque, ut dictum est, neces-  12 Marcus Tullius] cf. infra apparatum.   2 enim  om. E  3 corpus  HNPm1  4 refugio  EGR  5 simplicium  Gm2LPm2  6 eas  EFGm1HNSm1 7 ad  quidem  s. l.  autem  Gm2  8 prohemii  EPS  uberrima <sit>  Brandt  9 animum  EGLm2Pm2R  uidetur  om. ERS, s. l. Gm2  11 ΑΝΑ Γ ΑΙΟΝ  uel  ANAKAION  uel sim. codd . ANA IT CION ł ANAKAION  C 12 etenim F  ad  Marcus Tullius  in mg . Marcus enim tullius pro fundanio inquit descripsistine eius neces- sarium id est adiutorem danium ( leg . fundanium)  add. Hm2, ex Mario Victorino De defin., Boeth. p. 906 B, haustum, Cic. IV 3 p. 236 frg. 6 Mueller  13 aliquod  C  aliquid  Hm1NPm2  nos]  Hm1Pp.e.Sm1  nostrum  cett.; an nostrum est  scribendum ? ante cum  add . ut  EG (del. m2) HLm2P  uel  F  nos  Hm2  14 dicamus  L 16  post , esse] esset  F  est  Hm1LNP  18 uero  om.  N  ergo  F  21 Chrysaori]  CEm1  chrisaori  uel eris-  uel  crys-uel  crisar-  uel sim. cett . necessarium] harum  E  ( s. l . duarum necessitatum  m2 )  Gm1S  necessarium harum  F   sarium et utilitatem significat et necessitatem, uidentur autem huic loco utraque congruere, nam et summe utile est ad ea  quae superius dicta sunt, de genere et specie et ceteris disputare, et summa est necessitas, quia nisi sint haec ante praecognita, illa ad quae ista praeparantur, non possunt cognosci, nam  neque praeter generis uel speciei cognitionem PREDICAMENTA discuntur nec definitio genus relinquit et differentiam, et in ceteris quam sit utilis iste tractatus, cum de diuisione et demonstratione disputabitur, apparebit, sed quamquam necesse sit haec quinque de quibus hic disputandum est, prius ad  cognitionem uenire quam ea quibus illa praeparantur, non tamen ea significatione hic a Porphyrio positum est qua necessitatem significari uellet ac non potius utilitatem, ipsa enim oratio contextusque sermonum id clarissima intellegentiae ratione significat, neque enim quisquam ita utitur ratione, ut  aliquam necessitatem referri dicat ad aliud, necessitas enim per se est, utilitas uero semper ad id quod utile est refertur, ut hic quoque, ait enim Cum sit necessarium, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem PREDICAMENTI doctrinam, si igitur hoc necessarium utile intellegamus et id nomine ipso uertamus dicentes: cum sit utile. Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem praedicamen-  1 et  om. R, del. CGm2 significans  R ante  necessitatem  add . altera  R, s. l. Gm2  4 necessitas est  E  quia  om. NS  sint  post  haec  F, post  praecognita  H  5 agnosci  CN  post cognosci  add . quae  (om. E)  praedicamenta dicuntur  CEGL (in sup. mg. m2)  PR cognitiones  (del. et s. l . quae  add. m2) praedicamentarum (rum  del. m2 ) dicuntur  S  nam—discuntur  om. GRS, in sup. mg. Lm2  nam—cognitionem  in mg. Em1?, reliqua om . 7 nec] sed istis cognitis nec  C  sed nec  S  neque  N  10 sit] erit  Em2GLm1RS  13 significare  FN  15 utatur  Sm1  oratione  CHm1N  16 aliud] aliquid  CHm1N  17  post  se  add . quiddam  CFHPN, s. l. Em2Lm2 , quidem  edd . quod] ad quod  NP defertur  Gm1Lm1RS  18 enim  om . C Chrysaori]  eaedem fere quae   p. 147, set 149, 21 in codd. scripturae  19 et] te et  L  20  post   doctrinam add . nosse quid genus sit  C  nosse quid sit genus et cetera  in mg. Lm2  22 Chrysaori]  ut 18  et  om .  EFGS  te et  L  doctrinam praedicamentorum  C   torum doctrinam, nosse quid genus sit et cetera, recte se habebit ordo sermonum; sin uero id ad ‘necesse’ permutetur atque dicamus : cum sit necesse, Chrysaori, et ad eam quae est apud Aristotelem PREDICAMENTI doctrinam, nosse quid  genus sit et cetera, rectae intellegentiae sermonum ordo non conuenit. quocirca hic diutius immorandum non est. quamquam enim sit summa necessitas his ignoratis non posse ad ea ad quae hic tractatus intenditur perueniri, non tamen de necessi- tate hic dictum est necessarium, sed potius de utilitate. Nunc uero, licet idem superius dictum sit, tamen breuiter  quid ad PREDICAMENTI generis, speciei, differentiae, proprii atque accidentis prosit agnitio, disputemus. Aristoteles enim in X PREDICAMENTI genera constituit rerum quae de cunctis aliis PREDICARE ut quicquid ad significationem  uenire posset, id si integram significationem teneret, cuilibet eorum subiceretur generi de quibus Aristoteles tractat in eo libro qui De decem praedicamentis inscribitur, hoc ipsum uero referri ad aliquid uelut ad genus tale est, quale si quis spe- ciem supponat generi, hoc uero neque praeter cognitionem  speciei ullo modo fieri potest nec uero ipsae species quid sint uel cuius magis sint possunt perspici nisi earum differentiae cognoscantur, sed differentiarum natura incognita, quae unius  1 recte—sermonum] recte intellegentiae sermonum ordo conuenit  CLP   (ex 5)  2 uero] autem  C  3 atque] itaque  FN  ut  CLH (in ras.)  Chry- saori]  ut p .  150, 18  4 est] sit  GLRS  nosse—sit om.  EH  5 ordo  ante  sermonum  E  7  post  his  s. l. quinque  Lm2  pr. (sic) ad om. G ,  in mg. Em1?  8 tractatus hic  H  intendit  L  peruenire  Lm1S  9  ante  hic  add . solummodo  F  10 nunc] nam  F  11 quod  EN  12 possit  Lm2  cognitio  R  15 possit  Fa.c.LS 16 Aristoteles  delend. esse coni. Brandt  eo  om. E  17 De  om. NS , de  s. l. Lm2  uero  s. l. Gm2 18  post , ad  om. GRS, s. l. Em2Lm2P  qui  S  19 neque  er .  L  nec  N   post  cognitionem  add. generis neque praeter cognitio- nem  CFHP (in mg. m2)  generis nec  E   (s. l. m1?)N, s. l. generis et  Lm2  20 nullo  Lm2  neque  F  21 magis] modi CEm2 (in aliis m1) Hm1Pp.c.(corr. m1?)  modo  N  possint  S  possumus  Gm1Lm2  possemus  m1  possimus  E  perspici] scire  EGm1 (sciri  m2 )  L  agnosci  RS cuiusque speciei sint differentiae, modis omnibus ignorabitur, quare sciendum est quoniam, si de generibus Aristoteles tractat in PREDICAMENTI, et generum natura cognoscenda est, cuius cognitionem speciei quoque comitatur agnitio, sed hoc cognito, quid sit differentia non potest ignorari, quamquam  in eodem libro plura sint ad quae nisi maximam peritiam et generis et speciei et differentiae lector attulerit, nullus omnino intellectus patebit, ut cum ipse Aristoteles dicit : diuersorum generum et non subalternatim positorum diuersae secundum species et differentiae sunt, quod his ignoratis  intellegi inpossibile est. sed idem Aristoteles proprium unius cuiusque PREDICAMENTI diligentissima inquisitione uestigat, ut cum substantiae proprium post multa dicit esse quod idem numero contrariorum susceptibile sit, uel rursus quantitatis, quod in ea sola aequale atque inaequale  dicatur, qualitatis etiam, quod per eam simile et dis- simile aliud alii esse proponimus, et in ceteris eodem modo, ut quae sit proprietas contrarii, quae secundum relationem oppositionis, quae priuationis et habitus, quae affirmationis et  8—10] Aristot. Categ. c. 3, p. l b , 16 s. 13 s.] ibid. c. 5, p. 4 a , 10 s. 15 s. (dicatur)] ibid. c. 6, p. 6 a , 26 s. 16 s.] ibid. c. 8, p. 11 a , 15—19. 18 (quae sit)—153, 1 (negationis)] ibid. c. 10.   1 sit differentia  S  5 non potest  s. l. Gm2 quamquam] cum  F  6 et generis—differentiae post attulerit  E  8 pateat  EGLRS  dicit]  Brandt dicat  codd. edd.; cf. 13. p. 154, 14. 21. 153, 2. 6  10  post  secundum  add . se  EGL (del.) ES, er. uid. H  et om.  CN, del. Lm2, er. uid. H; cf. Aristot. Cat. c. 3   τών Ιτέρων γενών καί μή ΰπαλληλα   τεταγμένων ετεροι τω εΤδεε κο· αϊ διαοοραί   et Boethii interpretat. In Categ. Arist. p. 177 A (om. se)  quid  GRS  11 possibile  EG  ( post  est  signum interrogat.) RS  propria  FHNP  14  ante  numero  s. l.  cum  E  15 aequum  Em1FGLm1RS; cf. p. 153, 17  atque] aut N 16 dicitur FHLm2P  et dissimile]  F  uel dissimile  s. l. Em2  aut dissimile  s. l .  Gm2Pm1? ,  om. cett.; cf. Aristot. Cat. c . 9 Τ ών μέν ouv είρημένων  — τό  ομοιον χα) άνο'μοιον  —  αοτήν   et Boethii interpretat, p. 259 A  (simile et dissimile,) 17 aliis  DGPm1RS ( s  in ras); cf. Aristot, ibid .  έτέρω ,  Boeth. ibid . alteri 18  post  relationem  add . contrarii  Em1, del. et s. l . ut sapientia stulticiae  m2   negationis, in quibus ita tractat tamquam iam peritis scienti- busque quae sit proprietatis natura; quam si quis ignorat, frustra ea quae de his disputantur adgreditur. iam uero illud manifestum est, quod accidens maximum PREDICAMENTI obtineat locum, quod proprio nomine nouem PREDICAMENTI circumdat. Et ad PREDICAMENTI quidem quanta sit huius libri utilitas ex his manifestum est. quod uero ait et ad definitionum adsignationem, facile cognosci potest, si prius substantiae  rationum diuisio fiat, substantiae ratio alia quidem in descriptione ponitur, alia uero in definitione, sed ea quae in descriptione est, pro|prietatem quandam colligit eius rei cuius substantiae rationem prodit, ac non modo proprietate id quod monstrat informat, uerum etiam ipsa fit proprium, quod in  definitionem quoque uenire necesse est; si quis enim quantitatis rationem reddere uelit, dicat licebit; quantitas est secundum quam aequale atque inaequale dicitur, sicut igitur proprietatem quidem quantitatis in ratione posuit quantitatis et ipsa tota ratio ipsius quantitatis propria est, ita descriptio et  proprietatem colligit et propria fit ipsa descriptio, definitio uero ipsa quidem propria non colligit, sed ipsa quoque fit propria, definitio namque substantiam monstrat, genus differentiis iungit et ea quae per se sunt communia atque multorum in unum redigens uni speciei quam definit reddit aequalia.  ita igitur ad descriptionem utilis est proprii cognitio, quoniam sola proprietas in descriptione colligitur et ipsa fit propria sicut definitio quoque, ad definitionem uero genus, quod primum 1 ita  om. RS, s. l. m2 in EGL  tamquam iam] quasi  C  5 optinet  FHm1LmSN  obtineat  ante  praedicamentorum  E  7 libri huius  CGLRS ;  cf. p. 155, 14. 17. 156, 8  utilitas]  brm  intentio  codd . 10  post  substantiae  add . uero  F, s. l . enim  Lm2  16  ante dicat  s. l . sc. ut  Lm2  20 proprietates  CFHNP  ipsa] ita  G  22 nam qui  Gm2Lm1  (namque qui  m2 )  S  26 proprietas sola  CLP  sola proprietas sola  FGm1S  27 ad sicut  s. l . ł sic  Em2  uero  s. l .  Hm2  quod  om .  F  quidem  R   ponitur, et species, ad quam genus illud aptatur, et differentiae, quibus iunctis cum genere species definitur, sed si cui haec pressiora quam expositionis modus postulat uidebuntur, eum hoc scire conuenit, nos, ut in prima editione dictum est, hanc expositionem nostro reseruasse iudicio, ut ad intellegentiam  simplicem huius libri editio prima sufficiat, ad interiorem uero speculationem confirmatis paene iam scientia nec in singulis uocabulis rerum haerentibus haec posterior colloquatur. Ad diuisionem uero faciendam tam hic liber est utilis, ut praeter earum scientiam rerum de quibus in hac libri serie  disputatur, casu fiat potius quam ratione partitio, hoc autem manifestum erit, si diuisionem ipsam diuidamus, id est si nomen ipsum diuisionis in ea quae significat partiamur, est namque diuisio generis in species, ut cum dicimus ‘coloris aliud est album, aliud nigrum, aliud uero medium’, rursus diuisio est,  quotiens uox plura significans aperitur et quam multa sint quae ab ea significantur ostenditur, ut si quis dicat ‘nomen canis plura significat, et hunc, latrabilem quadrupedem que et caeleste sidus et marinam bestiam’, quae omnia a se definitione disiuncta sunt, diuidi autem dicitur et quotiens totum in  partes proprias separatur, ut cum dicimus ‘domus aliud sunt fundamenta, aliud parietes, aliud tectum’, et haec quidem triplex diuisio secundum se partitio nuncupatur, est autem  4] in prima editione nihil eiusmodi. 1  post  ponitur  add . utile est  CN, post  species  s. l . utilis est  Lm2  et species—aptatur  in mg. Em2Gm2  illud genus  C  3 eum  om. E ,  s. l. Gm2 , ei  R  4 uti  FGLRSm1  5 reseruasse]  CPm2 edd . reser- uare  E ( -re  in ras .)  FGm2HNPm1 (ante  reseruare add. se m1, del. m2) reseruantes Gm1S seruantes Lm1  seruare  m2  reseruantes sumus  R  8 colloquatur]  m1 in GLS  eloquatur  CEm2 (in ras.) HN  collocatur  Em1R ,  m2 in GLS edd . loquatur  FP  9 utilis est  LP  10 rerum  om. E  12  post . si  om. EG, s. l. Sm2  13  ante  partiamur  s. l . si  E  partia- tur  Gm1  14 aliud est]  CEp.c.R edd . aliud esse  Ea.c.GHLPS  esse aliud  FN  15 rursum  CEGNPm1R  est  s. l. Sm2 , ante diuisio  FHNP ,  et ante  rursus  et post  diuisio  R  16 quam] quod  EG a.c . (quae  p.c .)  LRS  sunt  CFLNPa.c. 18 quadripedemque  Sm1  20 distincta  FHm1NP  23 partitio] separatio  EGLm1Pm1RS   alia quae secundum accidens dicitur, ea quoque fit tripliciter, aut cum accidens in subiecta diuidimus, ut cum dico ‘bonorum alia sunt in animo, alia in corpore’, uel rursus cum subiectum in accidentia, ut ‘corporum alia sunt alba, alia nigra, alia  medii coloris’, rursus cum accidens in accidentia separamus, ut cum dicimus ‘liquentium alia sunt alba, alia nigra, alia medii coloris’, et rursus ‘alborum alia sunt dura, alia liquentia, quaedam mollia’, cum igitur ita omnis sit diuisio aut secundum se aut per accidens, utraque uero partitio tripliciter fiat cumque in superiore secundum se triplici partitione sit una diui- sionis forma genus in species separare, id neque praeter generum scientiam fieri ullo modo potest neque uero praeter differentiarum, quas necesse est in specierum diuisione sumi, manifestum est igitur, quanta utilitas huius libri ad hanc  diuisionem sit quae primo aditu genus ac species et differentias tractat, secunda uero ea diuisio quae est secundum se in uocis significantias, nec haec quidem ab huius libri utilitate discreta est. uno enim modo cognosci poterit, utrum uox cuius diuisionem facere quaerimus, aequiuoca esse uideatur an genus,  si ea quae significat definiantur, et si ea quae sub communi nomine sunt, definitione clauduntur, species esse necesse est, et illud commune eorum genus, quodsi illa quae proposita  3 sunt alia  H  uel] aut  brm  rursum  FS  4 corporalium  Ca.c.Hm1N  5 rursum  F  6 liquentia  Ea.c.Gm1  8 fit  G  sit  ante omnis  F ,  post  diuisio N 9 accidentia  S  10 superiori  Sm2  11 sepa- rare  om. EN  12 possit  Em2 uero  om. C post   praeter s. l . scientiam  Sm2  16 ea  del. L, er. uid. P ante  quae  add . est  N   (om. post  quae]  P (er. uid.)  secundum—significantias]  FHN  uocis  post  significantias  C  se  et  in  om cett . 18 uno] nullo  F  quo  m2 in HLP  enim] quidem  N  20 si] nisi  FLm2Pm2  significant  CNPm2  et  (om.  si, ) in ros. Hm2  si et  RS  (et  s. l. m2 ) si  om. EL, s. l. Gm2Pm2 , etenim  L (ex et m2) Pm1  communi nomine]  CEm2 (in ras.) FHNP  (nomine  s. l. m2 ) communione cett. 21 sunt del. L, s. l.  Pm2 ante  definitione  add . una  FHL (del. m2) R, s. l. Em2Pm2  diffinitione  s. l. Gm2  claudantur  EGLRS  22 earum  ES post  genus  s. l . necesse est  Gm2  praeposita  EGPS   uox designat, non possunt una definitione concludi, nemo dubitat quin illa uox sit aequiuoca neque ita sit communis his de quibus PREDICARE ut genus, quandoquidem ea quae sub se posita significat, secundum commune nomen non possunt una definitione comprehendi, si igitur ex definitione manifestum  fit quid genus sit, quid uero nomen aequiuocum, definitio uero per genera differentiasque discurrit, quisquamne dubitare potest aeque in hac diuisionis forma plurimum huius libri auctoritatem ualere? illa uero secundum se diuisio quae est totius in partes, quemadmodum discernitur ac non potius generis in species diuisio esse putabitur, nisi sint genus |et species et differentiae earumque uis ante disciplinae ratione tractata? cur enim non quisquam dicat domus species potius esse quam partes fundamenta, parietes et tectum? sed cum occurrit generis nomen in una quaque specie totum posse congruere, totius uero in una quaque parte sua nomen conuenire non posse, manifestum fit aliam diuisionem esse generis in species, aliam totius in partes, conuenire autem nomen generis singulis speciebus ostenditur per id, quod et homo et equus singuli animalia nuncupantur, neque tectum uero neque parietes aut  fundamenta singillatim domus nomine appellari solent, sed  1 concludi  om ., nemo—comprehendi  (5)   in inf. mg. Gm1?  nemo—ita sit  in ras. Em2  2 uox—communis] uox non (non  er. L, om. S ) sit communis  Gm1 uel 2 Lm1Sm1, post  uox  add . sit aequiuoca neque (non,  sed del. G ) ita ( om. G  etiam  S )  s. l. Gm2 uel alia Sm2, in mg. Lm2  3  ante  his  add . de  E (er.) G (del. m2) ES his s. l. Lm2  4  post  posita  s. l. sunt Hm2  non possunt] definiri ( uel  diff-j (-ri  ex  -re  Cm2 ) non possunt (add . neq.  Cm1, er. et una add. m2) nec  CFN 6 fit]  H  est  C  sit  cett . 8 aeque] etiam  CFHm1NPSm1  9 auctorem  GR  utilitatem  Lm2 10 discernetur  Hm2 (fort. recte)  discernatur  N  ac] et  FHNP  11 esse  om. R, ante  diuisio  FN  sit  FSm1  sunt  G  et] ac  R  12 earum quauis  ELR, m2 in GHPS , earum quis  Fm1  quamuis ( om . earum,)  m2 ;  cf. p. 157, 3  13 quisque  CFHR  esse potius  FNR  14 dum  F  15 quaque  om. FN  17 sit  ELRm1  (est  m2 )  S  19 id  om .  RS, s. l. Em2Gm2  singula  CEa.r. (ut uid.) GLPm1  singularis  Sa.c . singu- laque  R  20 aut] ac  FHLNP  neque  S  21 singulatim  CNR  appel- lari] nuncupari  FHLNP cum fuerint iunctae partes, tunc recte totius nomen excipiunt, de ea uero diuisione quae secundum accidens fit, nullus ignorat quin incognito accidenti incognitaque ui generis ac differentiarum facile euenire possit, ut accidens ita in subiecta soluatur quasi genus in species, et postremo omnem hunc ordinem partitionis foedissime permiscebit inscientia. Et quoniam quid hic liber ad diuisionem prosit ostendimus, nunc.de demonstratione dicemus, ne per ardua atque difficilia haereat qui in tanta hac disciplina uigilantissimo ingenio et sollertissimo labore sudauerit. fit enim demonstratio, id est alicuius quaesitae rei certa rationis collectio, ex ante cognitis naturaliter, ex conuenientibus, ex primis, ex causa, ex necessariis, ex per se inhaerentibus, sed genera speciebus propriis priora naturaliter sunt; ex generibus enim species fluunt, item  species sub se positis uel speciebus uel indiuiduis priores naturaliter esse manifestum est. quae uero priora sunt, ea et praenoscuntur et notiora sunt sequentibus naturaliter, duobus enim modis primum aliquid et notum dicitur, secundum nos scilicet et secundum naturam, nobis enim illa magis cognita  sunt quae sunt proxima, ut indiuidua, dehinc species, postremo genera, at uero natura conuerso modo ea sunt magis cognita quae nobis minime proxima, atque ideo quamlibet se longius 1 tunc  er. C  accipiunt  F  3 incognita  m1 in GRS  accidente  CN  accidentia,  del . a  EGm2Rm2  accidenti—differentiarum  in mg .,  ante facile  add . ea accidentia,  sed del. E  incognitaque—differentia- rum  om. GR  cognitaque  (sic) ut generis ac differentiarum  Sm1, del. m2  4 soluamus  FHNP  5 postremum  HP  hunc  ante omnem  L, post  ordinem  R  6 inscitia  FHN  7 quid hic liber)  FGm1NP  quid liber hic  Em2HL hic quid liber  Gm2  liber quid hic  Em1R  liber hic quid S; quid ad diuisionem hic liber  C  8 ne—haereat] rem perarduam atque difficilem illi etiam  FN ; ne  et  - in  in difficil ** ia  et  hereat  in ras. C  9 hereat  s. l. Sm2  etiam  m1  tota  CFN  11 alicuius  om. CL  13 priora propriis  C  15  pr . uel  om. L, del. Pm2  19 enim] uero  N  21 natura]  Ea.c.GR  naturae  Ep.c.FHLPS  secundum naturam  CN; cf. Boeth .  Post. Analyt. Aristot. interpret. lib. I c. II p. 714 B  non enim idem est natura prius et ad nos prius neque notius natura et nobis notius. 22 quantumlibet  Em2  quantolibet  Pm2 a nobis genera protulerint, tanto magis erunt lucida et naturaliter nota, differentiae uero substantiales illae sunt quas per se inesse his rebus quae demonstrantur agnoscimus, praecedere autem debet generum ac differentiarum cognitio, ut in una quaque disciplina quae sint eius rei quae demonstratur convenientia principia, possit intellegi, necessaria uero esse ea ipsa quae genera et differentias dicimus, nullus dubitat qui speciem sine genere et differentia intellegit essq non posse, genera uero et differentiae sunt causae specierum. idcirco enim species sunt, quia genera earum et differentiae sunt quae in  syllogismis posita demonstratiuis non rei solum, uerum conclusionis etiam causae sunt, quod postremi Resolutorii locupletius dicent. Cum igitur perutile sit et definitione quodlibet illud circumscribere et diuisione dissoluere et demonstrationibus comprobare,  haec autem praeter earum rerum scientiam de quibus in hoc libro disputabitur, neque intellegi neque exerceri ualeant, quis umquam poterit dubitare quin hic liber maximum totius logicae adiumentum sit, praeter quem cetera quae in ea magnam uim tenent, nullum doctrinae aditum praebent? Sed meminit Porphyrina introductionem aese conscribere neque ultra quam institutionis modus est, formam tractatus egreditur, ait enim ‘se altiorum quaestionum nodis abstinere,  1 protulerunt  FLR  praetulerint  N  2 substantiales] substantiae uel  E  3 inesse  post  rebus  C  esse,  del . in  E  4 in  om. C, s. l. Sm2  6 possint  Hm1P  7  ante  genera add. et  LP  8 intellegit  in mg .  Cm2, post  esse  in ras. N  9 causae sunt  FHL  sunt  om. R  causa  G  11 demonstrantibus  EFGLPm1RS; cf. Boeth. ibid. c. VI p. 718 D  de- monstratiuus syllogismus 12 postremis  L  in (s. l.) postremis Pm2 postremo  EFGPm1RS  resolutoriis  L  resolutarii  F  resoluturi  RS  resoluituri  G  resolutius ac  E 13 dicemus  EGLPm1RS  15 demon- stratione  N  16 in  om. FGPR, s. l. Hm2S  17 ualeant]  m2 in EHLS  ualent  CEm1F  (n  del .)  GHm1NP  (n  in ras .)  RSm1  22 nec  N  23 egre- ditur]  CF (aegr-)  HNPm1  aggreditur  L  egredi  EGRS  aggredi  Pm2  altioribus  FN  nodis  om .  Cm1Sm1 modis  FNRa.c., s. l. Cm2, in mg. Sm2   simplices uero mediocri coniectura perstringere’, quae uero sint altiores quaestiones quas se differre promittit, ita proponit : Mox, inquit, de generibus ac speciebus illud quidem, siue subsistunt siue in solis nudisque intellectibus  posita sunt siue subsistentia corporalia sunt an incorporalia et utrum separata a sensibilibus an in sensibilibus posita et circa ea constantia, dicere recusabo, altissimum enim est huiusmodi negotium et maioris egens inquisitionis. Altiores,.inquit, quaestiones praetereo, ne eis intempestiue lectoris animo ingestis initia eius priraitiasque perturbem, sed ne omnino faceret neglegentem, ut nihil praeterquam quod ipse dixisset, lector amplius putaret occultum, id ipsum cuius exequi quaestionem se differre promisit, addidit, ut de his  minime obscure penitusque tractando nec le|ctori quicquam  p. 54  obscuritatis offunderet et tamen scientia roboratus quid quaeri iure posset agnosceret, sunt autem quaestiones quas sese reti-  3—9] Porph. p. 1, 9—14 (Boeth, p. 25, 10—14). 8 altissimum— negotium] Abaelardus, Epistolae, Opp. I p. 5 ed. Cousin.   1 simpliciores  L  praestringere  G  perscribere  CFN  2 sunt  N  3 inquit  om .  Ω  ac] et  ΗΝ Ω   post  quidem  add . quod  EG (del.) Sm2  quae  m1  4 subsistant  L  nudisque] nudis purisqne  Ω ;  Porph. p. 1, 10   έν μο'να'.ς ψιλοΐς έπινοίαϊς  5 substantia  Em1  sunt  ante corporalia  Σ ,  post  incorporalia  Δ  sint  LR A m2 ,  ras .  ex  sunt II 6 separat  R  a sensibilibus  om. Gm1 (s. l. m2) Sm1 (cf. proxima), ras. ex  ab insensi- bilibus  \ m2; om .  Porph. p. 1,12  ab  CEa.r. A m1 A m1  an in sensibilibus posita et]  FG  (posita  s. l. m2 )  LR Ψ  an in sensibilibus (a sensibilibus  m2 ) et  S  an ipsis sensibilibus (posita  om .) iuncta  (in mg.)  et ( om . II)  Γ ,  s. l .  Π m2 et ( cetera om .)  CEHPm1 h m1  (s. l. an et in sensi- bilibus posita  m2 )  A m1  ( in mg . an sensibilibus iuncta  m2 )  Φ  an  (cet. om.)   NPm2   Σ  7 consistentia  CHF A m1  8 enim—negotium]  FHLP Q  ( sed  est enim  A )  Abaelard . negotium  ante  est  CEGRS  enim est negotium huius modo  (sic)   N; Porph. p. 1, 13   βαθύτατης οϊοης τής τοιοΰτης   πραγματείας  10  ante  eis  add . in,  sed del. E  11 primitiaque  R  per- turbent  FN  12 neglegentiam  Gm1P  praeter  (s. l.)  quam  C  praeter id quam  L  13 putasset  C  14 exequi quaestionem] exeeutionem (uel  eis-)  EGHm1LRS  15 penitus  Em1FG  ne  L  16 effunderet  Ca.c.EGLNR  infunderet  Cp.c.FS ;  cf. p. 145, 14  17 possit  C a.c. Fa.c . se  N   cere promittit, et perutiles et secretae et temptatae quidem a doctis uiris nec a pluribus dissolutae, quarum prima est huiusmodi. omne quod intellegit animus aut id quod est in rerum natura constitutum, intellectu concipit et sibimet ratione describit aut id quod non est, uacua sibi imaginatione depingit ergo intellectus generis et ceterorum cuiusmodi sit quaeritur, utrumne ita intellegamus species et genera ut ea quae sunt et ex quibus uerum capimus intellectum, an nosmet ipsi nos ludimus, cum ea quae non sunt, animi nobis cassa cogitatione formamus, quod si esse quidem constiterit et ab his quae sunt, intellectum concipi dixerimus, tunc alia maior ac difficilior quaestio dubitationem parit, cum discernendi atque intel- legendi generis ipsius naturam summa difficultas ostenditur, nam quoniam omne quod est, aut corporeum aut incorporeum esse necesse est, genus et species in aliquo horum esse oportebit quale erit igitur id quod genus dicitur, utrumne cor- poreum an uero incorporeum? neque enim quid sit diligenter intenditur, nisi in quo horum poni debeat agnoscatur, sed neque cura haec soluta fuerit quaestio, omne excludetur ambi- guum. subest enim aliquid quod, si incorporalia esse genus  ac species dicantur, obsideat intellegentiam atque detineat exsolui postulans, utrum circa corpora ipsa subsistant an et praeter corpora subsistentiae incorporales esse uideantur. duae quippe incorporeorum formae sunt, ut alia praeter corpora esse  1 promisit  C 2 doctissimis  P  4 statutum  L  discribit  E  5 id  s. l. C  8 capiamus  C ipsi nos] ipsos FR ipsos **  (-os  ex  i  m2 )  S  ipsi  Hm1  nos  s. l. m2  9 eludimus  Hm2  cogitatione] imaginatione  F  11 intellectu  ras. ex  -tu  E  ac] et  R  12 parat  FHm1PRS  discer- nendae atque intellegendae.. naturae  EFGHNRS  13 natura  L  osten- datur  N  16 utrum  FHm1NP  17 an] aut  ex  ut  F  uero  om. N  19 excluditur Cm2GHp.c.LPRS 20 aliquid quod] alia quae (que  N) FN aliud (ex  aliquid] quod E esse post species FHL, om. N  21 ac] et  H intellegentiam atque] animum intelligentiamqne  F  intellegen- tiamque  N  22 ipsa corpora  EFGHN  et om. CFHLN (fort. recte) ,  del. Pm2  23 subsistentia  Ca.c.Gm2L  substantiae  Cp.c.FN (s. l . ł subsistentes) incorporalia  Gm2L   possint et separata a corporibus in sua incorporalitate perdurent, ut deus, mens, anima, alia uero cum sint incorporea, tamen praeter corpora esse non possint, ut linea nel superficies uel numerus uel singulae qualitates, quas tametsi incorporeas esse  pronuntiamus, quod tribus spatiis minime distendantur, tamen ita in corporibus sunt, ut ab his diuelli nequeant aut separari aut, si a corporibus separata sint, nullo modo permaneant, quas licet quaestiones arduum sit ipso interim Porphyrio renuente dissoluere, tamen adgrediar, ut nec anxium lectoris  animum relinquam nec ipse in his quae praeter muneris suscepti seriem sunt, tempus operamque consumam, primum quidem pauca sub quaestionis ambiguitate proponam, post uero eundem dubitationis nodum absoluere atque explicare temptabo. Genera et species aut sunt atque subsistunt aut  intellectu et sola cogitatione formantur, sed genera et species esse non possunt, hoc autem ex his intellegitur, omne enim quod commune est uno tempore pluribus, id unum esse non poterit; multorum enim est quod commune est, praesertim cum una eademque res in multis uno tempore tota sit.  quantaecumque enim sunt species, in omnibus genus unum est, non quod de eo singulae species quasi partes aliquas carpant, sed singulae uno tempore totum genus habent, quo fit ut totum genus in pluribus singulis uno tempore positum unum esse non possit; neque enim fieri potest ut, cum in  pluribus totum uno sit tempore, in semet ipso sit unum  1 a  om. CS, s. l. Em2  corporalitate  ELS  3 possunt  ELNPR  4 tamenetsi  Ca.c . (tam  ras. ex  tam)  L  tam si  Em1  tamensi  GRS  5 quod] eo quod  L  tamen  om. G tam N  6 uti  EGLPa.r.RS  ante diuelli add. aut  Hm1, del. m2 7 a  om. ERS,  s. l. Gm2  separatae  ex  -ta  H  8 quaestiones licet  FHLPN  9 rennuente  Ca.r.Ga.c.LNS ut] ita ut  R  13 dubietatis  L  exsoluere  CF  14 atque] et  EGLPRS  15 solo ( s. l. Pm2 ) et  FHNP  17 uno tempore pluribus] multorum uno tempore  N  18 est (s. l. m2 ) enim  G  19 tota sit] transit  F 20 est unum  Fm2H  21 non,  s. l . quod  S , ut non  CHm1N  22 carpunt  RS  capiant  F  participant  Nm1  habeant  Hm2Lm2P  24 possunt  F  possint  S  enim  om. FN. del. L  25 unoque  Gm2  sit uno  FHN  tempore  in mg. Gm2   numero, quod si ita est, unum quiddam genus esse non poterit, quo fit ut omnino nihil sit; omne enim quod est, idcirco est, quia unum est. et de specie idem conuenit dici, quodsi est quidem genus ac species, sed multiplex neque unum numero, non erit ultimum genus, sed habebit aliud super-positum genus, quod illam multiplicitatem unius sui nominis uocabulo includat, ut enim plura animalia, quoniam habent quiddam simile, eadem tamen non sunt, idcirco eorum genera perquiruntur, ita quoque quoniam genus, quod in pluribus est atque ideo multiplex, habet sui similitudinem, quod genus est,  non est uero unum, quoniam in pluribus est, eius generis quoque genus aliud quaerendum est, cumque fuerit inuentum, eadem ratione quae superius dicta est, rursus genus tertium uestigatur itaque in infinitum ratio procedat necesse est, cum nullus disciplinae terminus occurrat, quodsi unum quiddam  numero genus est, commune multorum esse non poterit, una enim res si communis est, aut partibus communis est et non iam tota communis, sed partes eius propriae singulorum, aut in usus habentium etiam per tempora transit, ut sit commune  ut seruus communis uel equus, aut uno ] tempore omnibus  commune fit, non tamen ut eorum quibus commune est, sub- stantiam constituat, ut est theatrum uel spectaculum aliquod, quod spectantibus omnibus commune est. genus uero secundum nullum horum modum commune esse speciebus potest; nara  1 numero] in numero NR quoddam  FS  quodque  N  quidem  R  5  ad  ultimum  s. l . maximum  E  super se (se  s. l. G ) positum  GR  6 sui]  LP edd . ui  cett. (post  nominis  F ) hominis  R  7 uocabulo]  HLP edd., om. cett . concludat  H concludit  Lm1  includat  m2  includit  R  12 requirendum  F  perquirendum  N  13 ratio  Hm1N  tertium genus  CL  14 nestigabitur  FH nestigabit  N  15 quodsi] quod  NR  quiddam] quoddem  (sic) R  17 si communis] sic omnis  F quae com- munis  CN  si  om. R   post post , communis est  add . ut puteus et (uel  H ) fons  CHNP (del. m2) ,  in mg. E, s. l. Lm2  18 proprie  CFLNR   post  singulorum  add . sunt  HP ,  s. l. Lm2 ,  post  sunt  s. l . ut puteus et fons  Pm2  19 habent  G  etiam om.  FNP  iam  LS  21 sit  NP  ( ras. ex  fit) est  R   ita commune esse debet, ut et totum sit in singulis et uno tempore et eorum quorum commune est, constituere ualeat et formare substantiam, quocirca si neque unum est, quoniam commune est, neque multa, quoniam eius quoque multitudinis  genus aliud inquirendum est, uidebitur genus omnino non esse, idemque de ceteris intellegendum est. quodsi tantum intel- lectibus genera et species ceteraque capiuntur, cum omnis intellectus aut ex re fiat subiecta, ut sese res habet aut ut sese res non habet nam ex nullo subiecto fieri intellectus  non potest —, si generis et speciei ceterorumque intellectus ex re subiecta ueniat, ita ut sese res ipsa habet quae intel- legitur, iam non tantum in intellectu posita sunt, sed in rerum etiam ueritate consistunt, et rursus quaerendum est quae sit eorum natura, quod superior quaestio vestigabat. quodsi ex re quidem generis ceterorumque sumitur intellectus neque ita ut sese res habet quae intellectui subiecta est, uanum necesse est esse intellectum qui ex re quidem sumitur, non tamen ita ut sese res habet; id est enim falsum quod aliter atque res est intellegitur, sic igitur, quoniam genus ac species nec sunt  nec cum intelleguntur, uerus eorum est intellectus, non est ambiguum quin omnis haec sit deponenda de his quinque pro- positis disputandi cura, quandoquidem neque de ea re quae sit  1 sit]  s. l. Lm1? brm, om. cett . 2  post  tempore add. sit  Np, s. l .  Em2  3 conformare  N  substantias  FHNP   ante  si add. et  Hm1 ,  del. m2 ad  quoniam  s. l . quod  Hm2  4 multiplex  m2 in CEGP,Lm1  8 habeat  N  aut—habet  in mg. Gm2  ut  s. l. Lm2Sm2 9 habeat  N ,  post add . nanus est intellectus (Intellectus otn.  brm ) qui de nullo subiecto capitur  in mg. Lm2, s. l. Rm1?   brm  intellectus  post  potest  C  11 ipsa res  HLN  12  pr . in  om. ENR ,  s. l. F  13 etiam  om. CL  14 uestigabit  Lm2  inuestigabat  F  17 esse  post  intellectum  F ,  post  uanniu  N ,  om .  R  18 enim falsum est  CKNP  est  om .  H ,  er .  L  enim  om. R  19 si  CNPS, m1 in   GHL , nec  R  igitur—intelleguntur  om . R quoniam om.  CN  ac] et  S  neque  FHN  quae  Sm1  20 neque  FH  cum  om. GLPS s. l. add. E, sed del . uerus] nec uerus  GLR  earum  HN  est eorum  CL  non] neque  N  22 fit  Lm2   neque de ea de qua uerum aliquid intellegi proferriue possit, inquiritur.  Haec quidem est ad praesens de propositis quaestio; quam nos Alexandro consentientes hac ratiocinatione soluemus. non enim necesse esse dicimus omnem intellectum qui ex  subiecto quidem fit, non tamen ut sese ipsum subiectum habet, falsum et uacuum uideri. in his enim solis falsa opinio ac non potius intellegentia est quae per compositionem fiunt. si enim quis componat atque coniungat intellectu id quod natura iungi non patitur, illud falsum esse nullus ignorat, ut si quis  equum atque hominem iungat imaginatione atque effigiet Centaurum. quodsi hoc per diuisionem et per abstractionem fiat, non quidem ita res sese habet, ut intellectus est, intellectus tamen ille minime falsus est; sunt enim plura quae in aliis esse suum habent, ex quibus aut omnino separari non possunt  aut, si separata fuerint, nulla ratione subsistunt. atque ut hoc nobis in peruagato exemplo manifestum sit, linea in corpore quidem est aliquid et id quod est, corpori debet, hoc est esse suum per corpus retinet, quod docetur ita : si enim separata sit a corpore, non subsistit; quis enim umquam sensu ullo  separatam a corpore lineam cepit? sed animus cum confusas res permixtasque in se a sensibus cepit, eas propria ui et  4 Alexandro] testimonia Simplicii in Categ. Aristot. p. 50 a , 45 ss., Dexippi p. 50 b  15—31 (= p. 45, 12—28 Busse), Dauidis p. 51 b , 10 ss. (Brandis) adfert Prantl,  Gesch. d. Logik im Abendlande  I 623 n. 24.   6 sit  CEFH (ex  fit ) NPR ante  ut  add . ita  FN ,  s. l. Gm2Pm2 habeat  FHm1NP  7  post  uideri  add . ut si quis dicat lineam esse cum longitudine sine latitudine non est omnino falsum  F  8 compositionem] conjunctionem  EGLPRS, recte?  9 quisquam  HP quisque  N  ponat  H  intellectu] in intellectu  F  id  om. N  10 patiatur  NR  11  pr . atque] aut  N efficiet  L ( c  ex  g  m2)  efficiat  CF  effigiat  Sa.c . 12 haec  E   ad  abstractionera  s. l . ł (??)positionem  Lm2  ł abscisionem  Pm2  fit  R  13 ita  post  res  C, om. R  14 ille] ipse  R  16 ut  s. l. Cm2, del. Lm2 ,  post  hoc  F  17  ad  peruagato  s. l . ł uulgato  Pm2  18 hoc  om. F  est  om. ELS, s. l. Gm2 , et  F  19  ante  docetur  add . et  CHNP, in mg. Lm2  20 a  om. ERS, s. l. Gm2  21 anima  Em1Gm1Pm2Sm1  22  post  permixtasque  add . corporibus  brm  capit  C  eas  in mg. Hm2   cogitatione distinguit, omnes enim huiusmodi res incorporeas in corporibus esse suum habentes sensus cum ipsis nobis corporibus tradit, at nero animus, cui potestas est et disiuncta componere et composita resoluere, quae a sensibus confusa et  corporibus coniuncta traduntur, ita distinguit, ut incorpoream naturam per se ac sine corporibus in quibus est concreta, specnletur et uideat. diuersae enim proprietates sunt incorpo- reorum corporibus permixtorum, etsi separentur a corpore, genera ergo et species ceteraque uel in incorporeis rebus uel  in his quae sunt corporea, reperiuntur. et si ea in rebus incorporeis inuenit animus, habet ilico incorporeum generis intel- lectum, si uero corporalium rerum genera speciesque perspexerit, aufert, ut solet, a corporibus incorporeorum naturam et solam puramque ut in se ipsa forma est contuetur, ita haec cum  accipit animus permixta corporibus, incorporalia diuidens speculatur atque considerat, nemo ergo dicat falso nos lineam cogitare, quoniam ita eam mente capimus quasi praeter corpora sit, cum praeter corpora esse non possit, non enim omnis qui ex subiectis rebus capitur intellectus aliter quam sese ipsae  res habent, falsas esse putandus est, sed, ut superius dictum  20 superius] p. 164, 8. 2 corpore  EGLRS  3 at nero  om. C  animi ( om . cui)  R  et  om. GRS, s. l. Lm2 post  disiuncta  add . ut equum et hominem quae iungi non patitur natura,  post  composita  add . ut corpus et lineam et  (sic)  disiungi natura non patitur R 4 a  s.l. m2 in EGLS  5  ante  incorpoream  add . in  FLNS  7 et] ut  S  sunt proprietates  CLR , add. ut equum et cetera R 8  ante  corporibus add. et C etiamsi  R  et,  s. l. si Cm2F separarentur  F (ra s. l.) R  separantur  Lm1N  9 ergo  om. FN, del. Lm2 , uero  H, s. l. Lm2 corporeis  Cm1GHLPa.c.R  10 incorporeis] corporeis  Cm1  11 animus inuenit  FHNP  post ilico add . ibi  F, s. l. Gm2,  add . quo E, sed del. 12 incorporalium  Em1  speciesque] et species esse  F prospexerit  HR  14  ante  haec  add . et  H (del. m2) N, s. l. Cm2  animus cum accipit  F  15 accepit  Pm1S  animus  accipit C  post incorporalia  add . ea  CHm2LPN  diuisa  Gm2  16 desiderat  Em1Ga.c . falso  ante  dicat F  falsam   CGm1Lm1  ( post  nosl  NRS  17 capiamus  Cm2N  19 sese om.  F  ipsae  om .  H ,  s. l. Em2 , ipsa  F est, ille quidem qui hoc in compositione facit falsus est, ut cum  p. 56  hominem atque equum | iungens putat esse Centaurum, qui uero id in diuisionibus et abstractionibus assumptionibusque ab his rebus in quibus sunt efficit, non modo falsus non est, uerura etiam solus id quod in proprietate uerum est inuenire potest.  sunt igitur huiusmodi res in corporalibus atque in sensibilibus, intelleguntur autem praeter sensibilia, ut eorum natura perspici et proprietas ualeat comprehendi, quocirca cum genera et species cogitantur, tunc ex singulis in quibus sunt eorum similitudo colligitur ut ex singulis hominibus inter se dissimilibus humanitatis similitudo, quae similitudo cogitata animo ueraciterque perspecta fit species; quarum specierum rursus diuersarum similitudo considerata, quae nisi in ipsis speciebus aut in earum indiuiduis esse non potest, efficit genus, itaque haec sunt quidem in singularibus, cogitantur uero uniuersalia  nihilque aliud species esse putanda est nisi cogitatio collecta ex indiuiduorum dissimilium numero substantiali similitudine, genus uero cogitatio collecta ex specierum similitudine, sed haec similitudo cum in singularibus est, fit sensibilis, cum in universalibus, fit intellegibilis, eodemque modo cum sensibilis  est, in singularibus permanet, cum intellegitur, fit uniuersalis. subsistunt ergo circa sensibilia, intelleguntur autem praeter corpora, neque enim interclusum est ut duae res eodem in subiecto sint ratione diuersae, ut linea curua atque caua, quae  1 cõpositionem  GHR  facit  post  hoc  H  2 quia  Gm1R  quod  Sm2  3 id  om. N, s. l. Em2H ,  post  diuisionibus  F assumptionibus  Em1Gm1P  atque assumptionibus  CL  5  post  solus  add . intellectus  F , scil, intellectas  s. l. Lm2  6 corporibus  FHN   post  sensibilibus  add . rebus  CHLNP  8  ante  genera  add . et  CFS ; et species et genera  R  11  post pr . simili- tudo  add . colligitur  N , scil, colligitur  s. l. Hm2Sm2  cognita  Cm1F  cognita uel cogitata  N  12 ueraciter  Lm2N  perfecta  Em1NP  sit  FN  13 in  om. C  14 earum]  Pp.c. (corr. m1?)  eorum  cett . 17 substantiarum  R  18 collecta cogitatio  Cm1LP  22 autem] tamen  R  23 eadem  Em1Gm1Ha.c . eidem  Gm2Lm1  fin eodem  m2 )  PR e * dem  (sic) S  in  ante  subiecto  s. l., post  eodem  er. uid. C, om. EGLPRS  24 sint  om. L concaua Cm2N  cauata  Lm1   res cum diuersis definitionibus terminentur diuersusque earum intellectus sit, semper tamen in eodem subiecto reperiuntur; eadem enim linea caua, eadem curua est. ita quoque generibus et speciebus, id est singularitati et uniuersalitati, unum quidem  subiectum est, sed alio modo uniuersale est, cum cogitatur, alio singulare, cum sentitur in rebus his in quibus esse suum habet. His igitur terminatis omnis, ut arbitror, quaestio dissoluta est. ipsa enim genera et species subsistunt quidem alio modo, intelleguntur uero alio, et sunt incorporalia, sed  sensibilibus iuncta subsistunt in sensibilibus, intelleguntur uero ut per semet ipsa subsistentia ac non in aliis esse suum habentia, sed Plato genera et species ceteraque non modo intellegi uniuersalia, uerum etiam esse atque praeter corpora subsistere putat, Aristoteles uero intellegi quidem incorporalia  atque universalia, sed subsistere in sensibilibus putat; quorum diiudicare sententias aptum esse non duxi, altioris enim est philosophiae, idcirco uero studiosius Aristotelis sententiam executi sumus, non quod eam maxime probaremus, sed quod hic liber ad Praedicamenta conscriptus est, quorum Aristoteles  est auctor.   Illud uero quemadmodum de his ac de propo- sitis probabiliter antiqui tractauerunt et horum ma- xime Peripatetici, tibi nunc temptabo monstrare.    Praetermissis his quaestionibus quas altiores esse praedixit,  21—23] Porph. p. 1, 14—16 (Boeth. p. 25, 14—16).   1 earum]  HPp.c.(corr. m1?)  eorum  cett . 3 enim  om. LP  quippe  P, s. l. Lm2  concaua  Cm2N  eadcmque  FLRS  6  post  singulare  add . est  R, s. l. Sm2  9  post , alio] alio modo  LR  10  post  uero  s. l . praeter corpora  Pm2  11 subsistentia  in ras. E  substantia  GSm1  13  ante  esse  s. l . ea  E  praeter  s. l. Cm2  15  ante  sensibilibus  add . ipsis  G  16 dixi  Lp.c.Sa.c . 17 uero  s. l. Cm2  20 auctor est  CLP  est  om. G  21  ante lemma  ISTORIA  add. S, sic  ( uel  HIST-)  ante omnia paene lemmata uero] autem  Σ  post, de  om. E  22 pro- babiliter]  λογιχώτίρον   Porph. p. 1, 15  tractauerint  Cp c . GH X m1  23 monstrare (demonstrare  N ) temptabo  FLN  24  ante  Praetermissis  add . EXPOSITIO S,  sic paene ubique ante explicat, lemmatum  Missis  Sm1   exoptat mediocrem introductorii operis tractatum, sed ne haec ipsa sibi harum quaestionum omissio uitio daretur, apposuit quemadmodum de propositis tractaturus est, ex quorumque hoc opus auctoritate subnixus adgrediatur, ante denuntiat, cum mediocritatem quidem tractatus promittit detracta obscuri-  tatis difficultate, animum lectoris inuitat, ut uero adquiescat ac sileat ad id quod dicturus est, peripateticorum auctoritate confirmat, atque ideo ait de his, id est de generibus et spe- ciebus, de quibus superiores intulerat quaestiones, ac de pro- positis, id est de differentiis, propriis atque accidentibus,  sese probabiliter disputaturum, probabiliter autem ait ‘ueri similiter’, quod Graeci  λογικώς  uel  Ινδόξως  dicunt, saepe enim et apud Aristotelem  λογικώς  ‘ueri similiter’ ac ‘probabiliter’ dictum inuenimus et apud BOEZIO et apud Alexandrum. Porphyrius quoque ipse in multis hac significatione hoc  usus est uerbo, quod nos scilicet in translatione, quod ait  λογικώς , ita interpretari ut ‘rationabiliter’ diceremus omisimus, longe enim melior ac uerior significatio ea uisa est, ut pro- babiliter sese dicere promitteret, id est non praeter opini- onem ingredientium atque lectorum, quod introductionis est  proprium, nam cum ab imperitorum hominum mentibus doctrinae secretum altioris abhorreat, talis esse introductio debet,  p. 57  ut praeter opinionem ingredijentium non sit. atque ideo melius  1 haec  om. S  2 harum que  LS  horumque  Gm1  quaestionum] insti- tutionum  Gm1Lm1RS  omissi  Em1  omisso Lm1Sm1 amissio  F  3 est  s. l. Em2 , esset  Gm1  ex] et  FHN ,  s. l. (om . ex)  Em2  quo- rum  FHN  4 subnisus  EGm1Sm1  aggreditur  EGLPRS  8 et] ac  R  10 de]  R, om. cett . 11  post  ait  add . id est  C  12  λογιχώς  uel  ένδόξως ]  edd., ante   λογιχώς   add . uel  CGLPR ;  ΛΟΓ ΙΚΟΟ  uel  ΛΩΓΙ-  ΚΩΟ   uel alia sim. codd .; ΕΝ ΔΩ ΧΟΝ  C, sim. Η  endo ΧΩ Ο  E ΕΝ ΑΟΓΩ Ο  S, alia uarie cett . 13 et  om. GR  est  S   λογιχώς ]  S ,  in cett. eadem   fere quae 12  14 Boethum]  b  boetum  p  boethon  Em2GNS   (recte?)  boeton  CEm1PR  boethion  F  bethon  H boetoton  Lm1  boeten  m2  Boethum (-tium  m)rm  16 uerbo usus est  CEGLRS  17  λογιχώς ]  item ut   13,  λογικώτερον   edd . 19 se  L  *mitteret,  s. l . pro  Cm2  23 ingredientium opinionem  C  non  ante  praeter  CEG  (corr. m2) L  atque ideo] ergo  Gm1  (atque ita  m2 )  LPm1RS  melius probabiliter quam om.  R, s. l. Gm2Sm2   probabiliter quam rationabiliter, ut nobis uidetur, interpretati sumus, antiquos autem ait de eisdem disputasse rebus, sed se eorum illum maxime tractatum insequi quem Peri- patetici Aristotele duce reliquerint, ut tota disputatio ad  Praedicamenta conneniat.    2 eisdem]  E  (eis  in ras .) hisdem  cett . disputasse  post  rebus  C ,  ante de eisdem  L , disputare  N  3 se  post  illum  add .  brm ,  post  sed  Brandt  sequi  CEm2HN  4 reliquerint]  Gm1HPp.r . relinquerint  FSm1P a.r . relinquerent.  R a. r.Sm2  reliquerunt  CEGmSLNRp.r . EXPLICIT (CΟΜ- MENTARIORV  add .  C , COMENTORVM  add. F , COMTV PLOLOGI,  sic, add . S) LIB. I. INCIPIT (LIB.  add. F ) II.(INCIPIT.  om. R ) CEFGPRS  ( uariis cum scripturis compendiisque), subscriptio deest in HLN  Quaeri in expositionum principiis solet, cur unum quodque ceteris in disputationis ordine praeponatur, uelut nunc in genere dubitari potest, cur genus speciei, differentiae, proprio accidentique praetulerit; de eo enim primitus tractat,  respondebimus itaque iure factum uideri; omne enim quod uniuersale est, intra semet ipsum cetera concludit, ipsum uero non clauditur, maioris itaque meriti est ac principalis naturae quod ita cetera cohercet, ut ipsum naturae magnitudine nequeat ab aliis contineri, genus igitur et species intra se  positas habet et earum differentias propriaque, nihilo minus etiam accidentia, atque ita de genere inchoandum fuit, quod cetera naturae suae magnitudine cohercet et continet, praeterea illa semper priora putanda sunt quae si auferat quis, cetera perimuntur, illa posteriora quibus positis ea quae ceterorum  substantiam perficiunt, consequuntur, ut in genere et ceteris, nam si animal auferas, quod est hominis genus, homo quoque, quod species est, et rationale, quod differentia, et risibile, quod proprium, et grammaticum, quod accidens, non manebit et  2 ante Quaeri  codd. et p exhibent idem lemma (sine inscript.) quod p. 171,10 habent, om. brm expositione  CGm1L  expositionis  S  prin- cipii  CGm1L  3 dispositionis  N  5 praetulerat  C tractat  in ras .,  s. l . scil, conamur  Em2  tractare  Em1Sm1  6 respondemus  F  8 clu- ditur (i  ex  e  m2 )  S  naturae] naturae suae  F  10 igitur] itaque  C  et  om .  CN  11 etiam minus  HS  12 etiam  om. R  etiam et  C  ita] idcirco  CE (in ras.) HLm2NP  ideo  F  inchoandum fuit] erat incho- andum  FHNP  13  ante cetera add . et  L  natura suae magnitudinis  FHN  coerceat et contineat  Lm2  14 priora] propria  LS  aufert  Ca.c . 19  ante  proprium  add . est  P, s. l. Lm2   post  grammaticum  add . esse  FHP, s. l. Em2 post  accidens add.  est FP ,  ante N   interemptum genus cuncta consumit, si uero hominem esse constituas uel grammaticum uel rationale uel risibile, animal quoque esse necesse est. siue enim homo est, animal est, siue rationale, siue risibile, siue grammaticum, ab animalis  substantia non recedit, sublato igitur genere et cetera con- sumuntur, positis ceteris sequitur genus; prior est igitur natura generis, posterior ceterorum, iure est igitur in dispu- tatione praepositura. Sed quoniam generis nomen multa significat hoc - est  enim quod ait : Videtur autem neque genus neque species simpliciter dici; ubi enim non est simplex dictio, illic multiplex significatio est —, prius huius nominis significationes discernit ac separat, ut de qua significatione generis tractaturus est, sub oculis ponat, sed cum neque genus neque species  neque differentia nec proprium nec accidens significatione simplici sint, cur de his tantum duobus, genere inquam ac specie, dixit non simpliciter dici, cum proprium, differentia atque accidens ipsa quoque sint significatione multiplici? dicen- dum est quoniam longitudinem uitans tantum speciem nomi-  nauit eamque idcirco, ne solum genus significationis esse multi- plicis putaretur, enumerat autem primam quidem generis signi- ficationem hoc modo;    Genus enim dicitur et aliquorum quodammodo se habentium ad unum aliquid et ad seinuicem collectio,  10 s.] Porph. p. 1, 18 (Boeth. p. 26, 1). 23—p. 172. 5] Porph. p. 1, 18—23 (Boeth. p. 26, 1—8).   1 esse  om. P  2  post  grammaticum  add . esse  FHP ,  s. l. Em2  3 esse  post est Gm2L ,  om. EGmIRS, post  esse  add . constituas  EP ,  s. l. Lm2 alt . est] sit  FHNP  5 et om.  FHNR  consummantur  S  9 enim est  L  10 ante Videtur  add . INCIPIT  Δ  DE GENERE  ΓΔΛΠ2Φ  Incipit diffinicio generis  Ψ   m. post., om. cett . autem  om. HN  12 est significatio  C  13 tractatus  R  14 est] sit  P  oculos  HN  neque genus  om. C  15  pr . nec  FHP  neque proprium neque  N  16 simplicia  G (a  add. m1 uel 2) LSm2  ac] et C 17 non] nec  G  18 atque om. C  19 est om.  G  20 solem  Gm1  21 quidem  om. C  24 ad] et ad  S  aliquod  EN P IIS  aliquem  in ras .  Cm2 ,  fort . aliquid  m1   secundum quam significationem ROMANI dicitur genus ab unius scilicet habitudine, dico autem ROMOLO, et multitudinis habentium aliquo modo ad inuicem eam quae ab illo est cognationem secundum diuisionem ab aliis generibus dictae. Una, inquit, generis significatio est quae in multitudinem uenit a quolibet uno principium trahens, ad quem scilicet ita illa multitudo coniuncta est, ut ad se inuicem per eiusdem unius principium copulata sit, ut cum ROMANI dicitur genus; multitudo enim ROMANI ab uno ROMOLO uocabulum  trahens et ipsi ROMOLO et ad se inuicem quasi quadam nominis hereditate coniuncta est. eadem enim quae a ROMOLO societas descendit, ROMANI inter se omnes uno generis nomine deuincit et colligat, uidetur autem secuisse hanc generis significationem in duas partes, cum copulatiuam coniunctionem  admiscuit dicens; genus dicitur et aliquorum quodam- modo se habentium ad unum aliquid et ad se inuicem collectio, tamquam et illud genus dicatur ad unum se aliquo modo habere et hoc rursus genus dicatur, quod ad se inuicem unius generis significatione coniuncti sint. hoc uero minime;  eadem enim a quolibet uno propagata societas et ad illum qui princeps est generis, totam multitudinem refert et ipsam  1 significationem] diffinitionem  Φ  romanura  Cm1G  2 scilicet  om. Porph. p. 1, 20  3  ante  inuicem  add . se  L   (s. l. m2) brm Busse; cf. p. 173, 12  4 eam quae] eamque  CR  5 dictae]  Hm1Lm2R \ m2 W  dictam  cett.; cf. p. 173, 14 et Porph. p. 1, 23 ( τού πλήθοος_ )  κεκλιμένοι»  7 uno  om. FGRS, s. l. Em2 , unum  H; cf. 21 ad  quem  s. l . ał quod  Lm2  8 est coniuncta  F  9 dicitur—Romanorum  in mg. E, s. l. Gm2, uerba  multitudo enim Romanorum  del. Lm2  11  post  trahens  add . sit  E (del.) G (del. m2), s. l. Lm2  12 ea  E (ras. ex eadem ) FHN  ab  CEH  14 colligit  CFPm2RS  alligat  L  16 genus  om .  H, s. l. N  dicitur]  edd., om. H  dici  cett. (s. l. N)  17 ad] et ad  S  aliquod  N  18 collectionem  FH  aliquo modo  om. EGRS 19 rursus  post  genus  C  rursum  S  dicatur—generis  om. GRSm1  dicatur unius generis  s. l. m2 20 coniunctiua  EGR  coniuncta  Sm2  sint]  NS  sunt  CFHLP ,  om. EGR post  minime  add . est  LPm2  22 refert—multitudinem  om. EGSm1, s. l. m2 (sed  praefert )   inter se multitudinem uno generis nomine conectit et continet. quocirca non est putandus diuisionem fecisse, sed omne quic- quid in hac generis significatione intellegendum fuit, aperuisse. ordo autem uerborum ita sese habet — qui est hyperbaton  intellegendus — genus enim dicitur et aliquorum ad unum se aliquo modo habentium collectio et ad se inuicem aliquo modo habentium — rursus collectio subaudienda; est enim zeugma —, cuius significationis adiecit exemplum: secundum quam significationem Romanorum dicitur genus ab  unius scilicet habitudine, dico autem Romuli, et multitudinis rursus habitudine habentium aliquo modo ad inuicem cognationem, eam scilicet quae ab illo est, id est ROMOLO, secundum divisionem ab aliis generibus dictae, scilicet multitudinis. haec enim multitudo aliquo  modo ad unum et ad se inuicem habens genus dicta est, ut ab aliis discerneretur, ut ROMANI genus ab Atheniensium ceterorumque separatur, ut sit integer uerborum ordo genus enim dicitur et aliquorum collectio ad unum se quodammodo habentium et ad se inuicem, secundum quam significationem  ROMANI dicitur genus ab unius scilicet habitudine, dico autem ROMOLO, et multitudinis secundum diuisionem ab aliis generibus dictae, habentium scilicet hominum aliquo modo ad inuicem eam quae ab illo est, id est Romulo, cognatio-  1 nomine]  EGLRS uinculo  CFHN  nomine uel uinculo P 4 se  FHNP  qui  om. ER, s. l. Gm2Sm2  6  pr . sese  L  7  ante collectio  s. l . et ( ut uid .)  C  subaudiendo  N ,  post  sub.  add . est  LR, ante s. l. Pm2  8 zeuma EFGHPS  14 dictam  EGm1Lm1PSm2  haec enim multitudo  om .  ERS, s. l. Gm2  aliquo modo  om .  FP, ante add . et  C, post add . se  P (del. m1?), s. l. Gm2H  15  post  unum  s. l . aliquid  Gm2 post  habens  add . cognationem  Pm2 edd . 17 separetur  Fa.c.N  separaretur  CFp.c.HLm1  sit] sic  H  (sit  post  uerborum,)  P  (sit  post  ordo,) sic sit  F ; integer sit  C ; ordo uerborum,  post repet . sit  N  18 collectio  om. E  20 ab] ad  F  habitudinem  F ,  post repetit uerba post . aliquo— exemplum  (6—8) G  22 dictam  CEGm1Lm1Sm2 post  habentium  add . se  Lm2P  23 id est  om. S, in quo post  cognationem locus p. 172, 4—13 secundum—deuincit et collegit  (sic) repetitus (5  dicta est,  12  ea  script.)   nem.’ Atque haec hactenus; nunc de secunda generis signi- ficatione dicendum est.   Dicitur autem et aliter rursus genus, quod est unius cuiusque generationis principium uel ab eo qui genuit uel a loco in quo quis genitus est. sic enim  Orestem quidem dicimus a Tantalo habere genus, Hyllum autem ab Hercule, et rursus Pindarum quidem Thebanum esse genere, Platonem uero Atheniensem; etenim patria principium est unius cuiusque generationis, quemadmodum et pater. haec autem uide-  tur promptissima esse significatio; ROMANI enim sunt qui ex genere descendunt ROMOLO, et Cecropidae, qui a Cecrope, et horum proximi. Quattuor omnino sunt principia quae unum quodque prin- cipaliter efficiunt. est enim una causa quae effectiua dicitur,  uelut pater filii, est alia quae materialis, uelut lapides domus, tertia forma, uelut hominis rationabilitas, quarta, quam ob rem, uelut pugnae uictoria. duae uero sunt quae per accidens unius  3—13] Porph. p. 1, 23—2, 7 (Boeth. p. 26, 8—16).   4 generationis  om .  A ,  in ras. C  quae  Gm1 ll m1  5 a loco] ab eo loco  CEGLRS;   Porph. p. 2, 1   άπ6 τού τόποα  sic  ex  si  Cm2  enim  in ras. Cm2  6 oresthē  C  oresten  LN ΣΝΑΣΦ  horestem  FH T  dicemus S genus habere  F  7 Hyllum]  Gm1  yllum  m2  illum ( ad quod  s. l . tan- talum  A m2 )  cett . autem  om. G  8  ante  Thebanum  add . dicimus  2  9 principium]  Porph. p. 2,4   αρχή τις ;  cf. infra p. 178, 17  10 et]  Ν Ψ   (er. uid.) brm, s. l .  Δ ,  om. cett. Busse; Porph. p. 2, 5   καί   om. codd. quidam (habet M) ;  cf. p. 176, 1  11 esse  om. H  sunt  om. EFG- ΗΝS ΑΑΣ ,  s. l. Lm2 ,  in mg .  U m2  dicuntur  edd.; Porph. p. 2, 6   λέγονται ;  cf. p. 176, 7  12 cecropides  Σ  13 a Cecrope] cecropis  Ea.c . (a cecropis  p.c .)  G  (cae-  m1  ci-  m2 )  R  ex genere descendunt cecropis  LS ΑΑΣ ,  s. l. Em2  ( om . cecropis),  fort. ex p. 176, 8 ;  Porph. Κ εκροπίδαι ol άπό Κέκροπος  eorum  HL A ,  in ras .  2  14 efficiunt principaliter  H  16 filii] et filius  Em1FGLPRS post  materialis  add . dicitur  FPR  17  ante  forma  add . a  R, s. l. Sm2, ras. in   E uelut *  (i  er .)  C  quam]  NS, om. R , quae  cett., fort. recte  ob rem  s. l. Rm2  18 pugnae uictoria]  N  pugna uictoriae  cett . duo  CNP  accidentes  Ea.c.GHm1  ( in mg . ał accidentialiter  m2 )  Lm1RSm2  accidentis  m1 cuiusque dicuntur esse principia, locus scilicet ac tempus. quoniam enim omne quod nascitur uel fit, in loco ac tempore est, quicquid loco uel tempore natum factumue fuerit, eum locum uel id tempus accidenter dicitur habere principium.  horum omnium in hac secunda generis significatione duo quae- dam ex alterutris assumit, quae ad significationem generis uidebuntur accommoda, ex his quidem quae principalia sunt, effectiuum, ex his uero quae accidentia, locum. ait enim genus  dicitur et a quo quis genitus est, quod est effectiua principalium causa, et in quo quis loco est procreatus, quae est accidens causa principii. itaque haec secunda significatio duo continet, eum a quo quis procreatus est, et locum in quo quis editus, ut exempla quoque demonstrant. Orestem enim dicimus a Tantalo genus ducere; Tantalus quippe Pelopem,  Pelops Atreum, Atreus Agamemnonem, Agamemnon genuit Orestem. itaque a procreatione genus hoc dictum est. at uero Pindarum dicimus esse Thebanum, scilicet quoniam Thebis editus tale generis nomen accepit. sed quoniam diuersum est illud, a quo quis procreatus est, locusque in quo quis editus,  uidetur diuersa esse generis significatio procreantis et loci, quam in secunda scilicet parte enumerans unam fecit. sed ne uideretur duplex, per similitudinem coniunxit dicens: etenim patria principium est unius cuiusque generationis,  2 uel  in ras. E  et  C  3 quicquid  ex quo quid  Cm2, ante add . et  F, post add . enim  L  4 accidentaliter  CLN  accidentialiter  EGPSm2; cf. indicem Meiseri  5 ex alterutris duo quaedam  FP  6 consumit  S sunt Cm1H sumit Cm2, s. l.N generis significationem H 7 uidebantur  LPRS  uideantur  EG  accommodata  R  post quidem  add . causis  codd., om. unus F, del. Hm2  8  ante  effectiuum  add . sumit  H  accidentalia  N  9 dici CFNP  et  om. C, s. l. Lm2  quisque  CGRS  10 loco procreatus est  L  procreatus est loco  N  quod  GKS  13 editus] editus est  FHNP post  quoque  add . ipsa  FHP, s. l. Lm2  oresten  LN ,  item 16  14 pelopen  E  15 agamemnonen  EG  (-men) 17 quoniam] quia  FHN ante  Thebis  s. l. a Hm2?  18 editus] editus est  CL  accipit  C  est  om. G  19  pr.  quisque  R  editus] editus est  NP  (est  s. l. m2 ) 22  post  uideretur  add . tamen  EP, s. l. Lm2  adiunxit  FN  23 patria  s. l. Cm2, in mg. F  generati  Em1  generis  RSm1   quemadmodum et pater. sed quoniam in significationibus euenit fere, ut sit aliquid quod intellectui significatae rei propinquius esse uideatur, quoniam duas generis apposuit significationes, multitudinis scilicet et procreantis, cui generis nomen conuenientius aptetur, iudicat atque discernit dicens  hanc esse promptissimam generis significationem quae a procreante deducta sit; hi enim maxime Cecropidae sunt qui a Cecrope descendunt, hi ROMANI, qui a ROMOLO quae cum ita sint, confundi rursus generis significationes uidentur. si enim hi sunt maxime Romani qui a Romulo originem trahunt,  et haec significatio illa est quae a procreante deducitur, ubi est reliqua, quam primam quoque enumerauit, quae est multitudinis ad unum et ad se inuicem quodammodo se habentium collectio? sed acutius intuentibus plurimae admodum diffe- rentiae sunt. aliud est enim a quolibet primo procreante genus  ducere, aliud unum genus esse plurimorum. illud enim et per rectam sanguinis lineam fieri potest et non in multa diffundi, ut si per unicos familia descendat, huic enim aptabitur secunda illa generis significatio, quae a procreante deducitur; prima uero illa non nisi in multitudine consistit. illud quoque  est, quod prima procreationis principium non requirit, sed, ut ipse ait, sufficit aliquo modo se habere ad id unde huiusmodi generis principium sumitur, secunda uero significatio nullam uim nisi procreante sortitur. item in illa primae significationis multitudine huius secundae particularitas continetur, ut in  2 fere] saepe  C (ante  euenit ) LNPm2S intellectu  G signi- ficandae  FRSm2  propinquis  F  propinquus  Gm1PR  propinquum  N  3 quoniamque  Em2HLm2P, post  quoniam  add . qui  Sm1, del. m2  4 generi  EGH  (s  er .) 6 esse  om. G  7 ducta  R  cecropides  R  8 Cecrope] cecropede  FR  (-ide)  post Romulo  add . descendunt  N  9 significationes generis  C  11 ducitur  Lm1  15 est  s. l. F, post  enim  CL  enim  om. N  aliquolibet ( om . a)  G  16 deducere  CLm1  et  om. N  18 si  s. l. Lm2, del. Sm2 per—descendat] puer unicus familiam distendat  Cm1FHN  aptatur  N  21 est] est intellegendum C  primae  Hm2  24 <a> procreante  Engelbrecht  prima  EGHLm1RS   Romanorum genere Scipiadarum genus; nam cum sint ROMANI, Scipiadae sunt. quoniam enim ad ROMOLO et ad ceteros ROMANI secundum ROMOLO habitudinem iuncti sunt, ROMANI sunt, SCIPIADAE uero dicuntur ad secundam generis significa-  tionem, quia eorum familiae SCIPIONE et sanguinis principium fuit.    Et prius quidem appellatum est genus unius cuius- que generationis principium, dehinc etiam multitudo eorum qui sunt ab uno principio, ut a ROMOLO; namque  diuidentes et ab aliis separantes dicebamus omnem illam collectionem esse ROMANI genus. Sensus facilis et expeditus, si tamen ambiguitas una solvatur. cum enim prius multitudinis significationem retulerit ad generis nomen, post autem ad procreationis initium, nunc  contrario modo illam prius a se enumeratam significationem dicere uidetur quae est procreationis, illam uero posteriorem quae est multitudinis; quod contrarium uideri potest, si quis ad ordinem superius digestae disputationis aspexerit. sed hic non de se loquitur, sed de humani consuetudine sermonis, in  quo prius eam significationem generis fuisse dicit quae a procreante sit tracta, accedente uero aetate loquendi usu nomen generis etiam ad multitudinem habentem se quodam- modo ad aliquem fuisse translatum, hoc uero idcirco, quoniam  7—11] Porph. p. 2, 7—10 (Boeth. p. 26, 16—19).   1 nam] natura  CFL  2 scipiades  HNP ante pr.  ad  add . et  FHNP ,  s. l. Em2Lm2 post, ad om. L  4 scipiades  N  5 quia] quod  E  et  om. NP, s. l. Cm2  8 generationis  in ras. Cm2  generis  PR  9 nam- que ( sic etiam B Bussii )]  om .  ΛΦ , add.  Hm2 \ m2  nam  2  quam  edd. Busse; Porph. p. 2, 8   το πλήθ-οςδ  10  post  aliis  add . generibus  F ,  s. l. Lm2  11 collationem  Λ  collectionem  post  esse  HP ; romanorum esse collectionem  F  12  post  facilis  s. l . est  Lm2Pm2  facile ( om . et)  FN  expeditur  FNPa.c . 13 retulerat  F  retulit  R  14  post , ad  om. FHNR, s. l. Sm2  post nunc  s. l . autem  Lm2  15 prius] posterius  CLm2NP  numeratam  N  16  post  uidetur  add . priorem  CGLNP  18 perspexerit  C  21 loquendique  CN  et  (s. l. m1?)  loquendi  H  23  ante  hoc  s. l . dicit  Lm1?, post  idcirco  in mg . dixit  Pm2   superius dixerat : haec enim uidetur promptissima esse significatio, ut ab hac, id est secunda, quam promptissimam significationem esse dixit, illa quoque nuncupata uideretur, quae est multitudinis. prius enim genus inter homines appellatum est quod quis a generante deduceret, post autem factum  est, ut per loquendi usum etiam multitudinis ad aliquem quodammo|do se habentis genus diceretur propter diuisionem scilicet gentium, ut esset inter eas nominis societatisque discretio. His igitur expletis uenit ad tertium genus quod inter FILOSOFI tractatur cuiusque ad dialecticam facultatem multus  usus est. horum quippe generum historia magis uel poesis tractat exordium, tertium uero genus apud philosophos consideratur. de quo hoc modo loquitur. Aliter autem rursus genus dicitur cui supponitur species, ad horum fortasse similitudinem dictum. et-  enim principium quoddam est huiusmodi genus earum quae sub ipso sunt specierum, uidetur etiam multitudinem continere omnem quae sub eo est. Duplicem significationem generis supra posuit, nunc tertiam monstrare contendit, hanc autem ad superiorum similitudinem  1 superius] p. 174, 10. 14—18] Porph. p. 2, 10—13 (Boeth. p. 26, 19—23).   1 enim] autem  p. 174 , 10 2 secundum  GR  a  (s. l.)  secunda  E  5 quis  Cm2  prius  m1  7 duceretur  Cm1  diuisiones  EFHLm2NP  8 esset] est  (s. l.)  et  E  has  FH  9 expeditis  N  ad  om. F  10 cuius  CF  multus  post  usus  Lm1R , multum  G  11 poesi  Cm1  13 hoc]  2 litt. er. C  14 genus  ante  rursus  Λ ,  post  dicitur  Φ  cui—genus  (16) om. N, quod indicatur uoce  usque  addita  (dicitur usque earum);  sic  ( saepe etiam  usque ad)  paene constanter in N aliisque codd. ubi mediae lemmatum partes omissae sunt  15 ab.. similitudine  GL \ m2 \Z  16 eorum  A m2 A  earum—specierum]  Porph. p. 2, 12   τών δφ’ lauto  17 ipso  om .  h m1  se  m2Lp.c. \HA>  sunt add.  Gm2 \ m2  uideturque  brm Busse; Porph .  xai SoxeT xai  etiam] enim  F autem  Δ  18 omnem]  2  ( h m1 ß m1 ) omnium  CEGLPRS h m2 U m2  earum  FHN, s. l. post omnium  Lm2  sub eo est]  PA m1 AU m1 ST  est  Φ  sub eo (ipso  F \ m2  se  Lm2 ) sunt (est  E, s. l. G ) specierum  EFGHLNPp.c . (sunt eo sub  a.c .)  RS \ m2 U m2  sunt sub eo specierum  C; cf. Porph. p. 2,12 s . 19 pro- posuit  edd . 20 superiorem  FLm1Pm1   dictam esse arbitratur. superius autem dictae significationes sunt una quidem, cum nomen generis quadam principii anti- quitate ad se iunctam multitudinem contineret, alia uero, cum genus ab uno quoque procreante duceretur, quod eorum  quae procreantur principium est. cum igitur sint superius duae generis propositae significationes, tertium nunc addit de quo inter philosophos sermo est, illud scilicet cui supponitur species, quod idcirco genus uocatum esse sub opinionis credit ambiguo, quoniam habet aliquam similitudinem superiorum. nam sicut illud genus quod ad multitudinem dicitur, uno suo nomine multitudinem claudit, ita etiam genus plurimas species cohercet et continet. item ut genus illud quod secundum procreationem dicitur, principium quoddam est eorum quae ab ipso procreantur, ita genus speciebus suis est principium. ergo quoniam utrisque est simile, idcirco nomen quoque generis etiam in hac significatione a superioribus mutuatum esse ueri simile est.    Tripliciter igitur cum genus dicatur, de tertio apud philosophos sermo est; quod etiam describentes adsi-  18—p. 180, 3] Porph. p. 2, 14—17 (Boeth. p. 26, 24—27, 2).   1 dictam esse arbitratur] ut dictum est  GRS  autem  om. C, s. l. Lm2, del. Pm2  dictae] duae  Lm1, ante  sunt  s. l . dictae  m2 , duae  ex  dictae  H (ras.) Sm2, ante  dictae  s. l. Pm2, ante  sunt  edd., post R  2 quidem  om. C  cum  in mg. Cm2  quae  m1N  quadam  om. EFG  quandam  H  qua  RSm1  antiquitatem  H  3 ad se iunctam]  CLm2  ad se et adiunctam  HN  ad se iniunctam  Sm1  ab uno quoque iniunctam  R  adiunctam  cett.; cf. p. 177, 2  continet  Cm1 (corr. in mg. m2) Nm2  aliam  G  4 deduceretur  E  5 qui  P  6 tertiam  et  qua  F  7  post  scilicet  add . genus  F, s. l. Sm2  8  ante  opinionis  add . suae  N, post CHLP, s. l. Em1?, in mg. Sm2  se  m1  9 creditur  Ca.r.FR  10 a multitudine  Ep.c.FHN  11 suo] sub  C  (nomine sub uno)  FHNPm2 ,  ex suo  EL  ita  in mg. Cm2, s. l. Nm2  13 est] esse  EGLm2RS  14  post  suis  add . constat  FHN, post genus  s. l. Em2  est]  CLm1P  esse  cett . 15 idcirco] id  C  nomen  post  generis  FHNP, post  quoque  L  16 in hac etiam  FHN  hanc significationem  CP  18 cum genus—sit  (p. 180, 2) om. N  dicitur  S A m1 /AS  19 etiam] etiam et  R   gnauerunt genus esse dicentes quod de pluribus et differentibus specie in eo quod quid sit praedicatur, ut animal. Iure tertium genus philosophi ad disputationem sumunt; hoc enim solum est quod substantiam monstrat, cetera uero  aut unde quid existat aut quemadmodum a ceteris hominibus in unam quasi populi formam diuidatur ostendunt. nam illud quod multitudinem continet genus, illius multitudinis quam continet substantiam non demonstrat, sed tantum uno nomine collectionem populi facit, ut ab alterius generis populo segregetur. item illud quod secundum procreationem dictum est, non rei procreatae substantiam monstrat, sed tantum quod eius fuerit procreationis initium. at uero genus id cui supponitur species, ad speciem accommodatum speciei substantiam informat. et quia inter philosophos haec maxima est quaestio,  quid unum quodque sit — tunc enim unum quodque scire uidemur, quando quid sit agnoscimus —, id circo reiectis ceteris de hoc genere quam maxime apud philosophos sermo est, quod etiam describentes adsignauerunt ea descrip- tione quam subter annexuit. diligenter uero ait describentes,  non definientes; definitio enim fit ex genere, genus autem aliud genus habere non poterit. idque obscurius est quam ut primo aditu dictum pateat. fieri autem potest ut res quae  1 esse  ante  genus  Pm1, post  dicentes  Σ  et  om. F  2 differentiis  R  quid]  iterum  quod  P  praedicetur  Γ  3 ut animal  om .  ΑΣ  5 est solum enim  CN  enim est solum  FP  6 existit  E  (it  in ras .)  GLPS  existet  Sm1  extitit  HN  <multitudo> a  Brandt  7 una... forma  EGRS  diuidantur  G  ostendit  EGLPm1S  8 multitudinis] multi- tudinem  G  12 procreantis  Nm1  13 atque  G  14 ad speciem  om. N  ad differentiam  Cm2FLm1Pm2 edd . 15 quaestio est  FHN  16 unum  om. EGRS  enim] etenim  FN  quodque unum  G  17 uidemur] debemus  E (in ras.) GPm1RS, post  uidemur  add . uel debemus  Hm1   del. m2 post  reiectis  add . quia non demonstrant substantiam  L  temptatis temporum  Sm1, del. m2  19  post  quod  add . genus  EPm1, del. m2  20 ait  ex  aut  Em1  addit  m2NP  addidit  F  21 ex] de  H  23 dictum  om. FH dictu  GLS  autem] enim  FNP   alii genus sit, alii generi supponatur, non quasi genus, sed tamquam species sub alio collocata. unde non in eo quod genus est, supponi alicui potest, sed cum supponitur, ilico species fit. quae cum ita sint, ostenditur genus ipsum in eo  quod genus est, genus habere non posse. si igitur uoluisset genus definitione concludere, nullo modo potuisset; genus enim aliud quod ei posset praeponere, non haberet, atque idcirco descriptionem ait esse factam, non definitionem. descriptio uero est, ut in priore uolumine dictum est, ex proprietatibus infor-  matio quaedam rei et tamquam coloribus quibusdam depictio, cum enim plu|ra in unum conuenerint, ita ut omnia simul rei  cui applicantur aequentur, nisi ex genere uel differentiis haec collectio fiat, descriptio nuncupatur. est igitur descriptio generis haec : genus est quod de pluribus et differen-  tibus specie in eo quod quid sit praedicatur. tria haec requiruntur in genere, ut de pluribus praedicetur, ut de specie differentibus, ut in eo quod quid sit. de qua re quoniam ipse posterius latius disputat, nos breuiter huius rei intellegentiam significemus exemplo. sit enim nobis in forma generis animal.  id de aliquibus sine dubio praedicatur, homine scilicet, equo, boue et ceteris. sed haec plura sunt. animal igitur de pluribus praedicatur, homo uero, equus atque bos talia sunt, ut a se discrepent, nec qualibet mediocri re, sed tota specie, id est tota forma suae substantiae. de quibus dicitur animal; homo  enim et equus et bos animalia nuncupantur. praedicatur ergo animal de pluribus specie differentibus. sed quonam modo fit  9 in priore uolumine] cf. p. 42, 8—43, 6 potius quam p. 153, 10 ss.; cf. Proleg. adn. 7.   1 genere  G post  supponatur  add . sed cum (alii  add. P ) subponi- tur ( uel  sup-)  CFHN, s. l. Pm2  non—potest  (3) del. E  2 col- locatur  CFHNPm2  non] enim  EF  7 ei (eius  HN ) aliud quod  HNPm1RS  possit  EGS  9 priori  LN  ex  om. GHS, s. l. Em2Lm2  11 plurima  L  plura  post  unum  C  16  post . ut  om. FG  18 late  E (in ras.) FHP, ecte ? 19 exemplo] hoc modo  CLP  20 prae- dicetur  CEGPm1RS ante  equo  add . et  FHLN, er. P  21 boue] et boue  L  et  er. uid. C  22 a] ad  Lm1S  23 mediocri re] medio- critate  H 24 forma tota  E (del. tota) G  26 fit  om. G   haec praedicatio? non enim quicquid interrogaueris, mox animal respondetur: non enim si quantus sit homo interrogaueris, animal respondebitur, ut opinor; hoc enim ad quantitatem pertinet, non ad substantiam. item si qualis interroges, ne huic quidem responsio conuenit animalis, ceterisque omnibus interrogationibus hanc animalis responsionem ineptam atque inutilem semper esse reperies, nisi ei tantum apta est quae quid sit interroget. interrogantibus enim nobis quid sit homo, quid sit equus, quid sit bos, animalia respondebitur. ita nomen animalis ad interrogationem quid sit de homine, equo atque  boue ac de ceteris praedicatur, unde fit ut animal praedicetur de pluribus specie differentibus in eo quod quid sit. et quoniam generis haec definitio est, animal hominis, equi, bouis genus esse necesse est. omne autem genus aliud est quod in semet ipso atque in re intellegitur, aliud quod alterius prae-  dicatione. sua enim proprietas ipsum esse constituit, ad alterum relatio genus facit, ut ipsum animal, si eius substantiam quaeras, dicam substantiam esse animatam atque sensibilem. haec igitur definitio rem monstrat per se sicut est, non tamquam referatur ad aliud. at uero cum dicimus animal genus  esse, non, ut arbitror, tunc de re ipsa hoc dicimus, sed de ea relatione qua potest animal ad ceterorum quae sibi subiecta  2 non] num  FHN  rogaueris  Cm1GS  3  ante  animal  add . mox  F respondetur  F  ut] non  FHN  4  post  qualis  add . sit  FHNP, s. l. Em2, s. l . homo sit  Lm2 interroges]  Em1Lm1P  roges  cett . nec  CG  haec  CSm2  id  m1  hic  FN  5 interrogantibus  EG  6 ineptam]  CFHNPp.c.Lm2  idiotam  E (s. l. i . inertem  m2) GLm1 (s. l.  inpro- priam  m1?) Pa.c.S Hilgard  idiotam uel ineptam  R  idiotae  Engelbrecht  7 nisi] ni  C  8 interrogat  Em2HN  enim] autem  F post . quid] quidque  R  9 sit  om. E  animal  C  item  EGLm1PRS  11 ac] et  R  13  ante bouis  add . atque  FHNP  14 genus autem  C  15  ante  alterius  add . ad  CEm2HN  praedicationem  Em1PSm1 edd., post add . refertur  Pm2 edd . 18 dicas  Lm2  21 esse  om. EGRS, s. l. Lm2  re  om. EGR, s. l. Sm2 post  hoc  add . nomen  C, s. l .  Em2Pm2, ante FHNS  de  del. L, s. l. Pm2  22 relatione  in ras .  E  ratione  GLPm1R   sunt praedicationem referri. itaque character est quidam ac forma generis in eo quod referri praedicatione ad eas res potest, quae cum sint plures et specie differentes, in earum tamen substantia praedicatur. Huius autem definitionis rationem per exempla subiecit dicens: Eorum enim quae praedicantur, alia quidem de uno dicuntur solo, sicut indiuidua ut Socrates et hic et hoc, alia uero de pluribus, quemadmodum genera et  species et differentiae et propria et accidentia com- muniter, sed non proprie alicui. est autem genus qui- dem ut animal, species uero ut homo, differentia autem ut rationale, proprium ut risibile, accidens ut album, nigrum, sedere. Omnium quae praedicantur quolibet modo, facit Porphyrius diuisionem idcirco, ut ab reliquis omnibus praedicationem generis seiungat ac separet, hoc modo. omnium, inquit, quae praedicantur, alia de singularitate, alia de pluralitate dicuntur.  7—14] Porph. p. 2, 17—22 (Boeth. p. 27, 2—7).   1  post  itaque  add . ut  P, s. l. Lm2 est  om. R, post  generis  F  quiddam  Ea.r.G  quidem  CNPm1  2 praedicatione  post  res  C  3 eo- rum  CGNS, m1 in ELP  4 tantum  E  substantiam  NR , -a  ex  -a  CS; cf. p. 187, 11. 18  5 autem  om. C, in mg. Lm2  8 indiuiduum  C  indibus ( s. l . indiuidua  Em2 ) diabus (a,  ex  e  E )  EG  ut Socrates— hoc  om. CLNP ,—risibile  (13) om. E (in mg . sicut socrates et hic et hoc)  GH  ut] sicut  Em2 (in mg.) RS ΑΣ  et hic et hec et hoc  F  9 uero  om. CFLNPR  autem  Σ  quemadmodum—risibile  (13) om. CL  ( sed uerba  est autem  11 —sedere 14  exhibet p. 184 , 14)  NP  ut genera, om. reliqua usque  accidens (13)  F  10 differentia  Sm1   m1  pro- prium  Γ  11 sed] et  ΛΣ  proprie]  L (p. 184, 14) R Ψ  propria  ΓΑΑΠ  ( ras. ex  -ae)  2  (a  in ras .)  Φ  ( post  alicui);  Porph. p. 2, 20   ιδίως est— risibile  om. R  est—sedere  (14) om. S  12 uero  s. l .  Δ m2 Φ m2  13  ante  accidens  add . ut  CL  ut] id est  CLm2P  uel  E  et  R; Porph. 2,22   otov  14  ante  nigrum  add.  et  R  16 a  LPS  17  post separet  add . et  (F)  id facit  FHN, s. l. Em2  18  pr . alia] alia quidem  FHN  alia de singularitate  om. G, s. l. Em2, post  pluralitate  CLm1 post . alia] alia uero  FHNS  dicuntur] praedicantur  post singularitate  FHN   de singularitate uero, inquit, praedicantur quaecumque unum quodlibet habent subiectum de quo dici possint, ut ea quibus singula subiecta sunt indiuidua, ut Socrates, Plato, ut hoc album quod in hac proposita niue est, ut hoc scamnum in quo nunc sedemus, non omne scamnum – hoc enim uniuersale  est —, sed hoc quod nunc suppositum est, nec album quod in niue est — uniuersale est enim album et nix —, sed hoc album quod in hac niue nunc esse conspicitur; hoc enim non potest de quolibet alio albo PREDICARE quod in hac niue est, quia ad singularitatem deductum est atque ad indiuiduam  formam constrictum est indiuidui participatione. alia uero sunt quae de pluribus PREDICARE, ut genera, species, differentiae et propria et accidentia communiter, sed non proprie alicui. genera quidem de pluribus praedi- cantur speciebus suis, species uero de pluribus praedicantur  indiuiduis; homo enim, quod est animalis species, plures sub se homines habet de quibus appellari possit. item equus, qui sub animali est loco speciei, plurimos habet indiuiduos equos de quibus praedicetur. differentia uero ipsa quoque de pluri- bus speciebus dici potest, ut rationale de homine ac de deo  corporibusque caelestibus, quae, sicut Platoni placet, animata sunt et ratione uigentia. proprium item etsi de una specie PREDICARE, de multis tamen indiuiduis dicitur, quae sub conuenienti specie collocantur, ut risibile de Platone, Socrate et ceteris indiuiduis quae homini supponuntur. accidens etiam  1 uero  om. FHN  2 possunt  CLm1  3  ante Plato  add . ut  FH, s. l. Lm2  et  N edd . 4 quod] ut  F  ut] et  N  6 sed] sed et  F  7 niui  Gm2Sm1 enim est  FL  8 niui  Sm1, item 9  9 hac] alia  EFGR (a.c.ut uid.  ac  p.c.) Sm1  10  post , ad  om. GHLR, s. l. Em2Nm2 , in  FSm2  14 propriae  FGa.c.Sm1  propria  CHLN post  alicui  uerba lemmatis p. 183, 11—14  est autem—sedere  add. L  15 plurimis  FN  16  post  indiuiduis  add . suis  CFHP  17 qui] quod  FHN  19 praedicatur  FHN  20 potest dici  E  21 quae  om. R, s. l. Sm2 q.  er. N  22 item] autem  Lm2P  specie  om. C  23 tamen  ante  de  H  25  post  indiuiduis  add . dicitur  CLP, s. l. Hm2  hominibus  EG  homini *   ( b. ? er.) L  supponantur  Em1GS  supponuntur  ante homini  C   de multis dicitur; album enim et nigrum de multis omnino dici potest quae a se genere specieque seiuncta sunt. sedere etiam de multis dicitur; homo enim sedet, simia sedet, aues quoque, quorum species longe diuersae sunt. accidens autem  quoniam communiter accidens esse potest et proprie alicui, idcirco determinauit dicens et accidentia communiter, sed non proprie alicui. quae enim proprie alicui accidunt, indiuidua fiunt et de uno tantum valentia PREDICARE, ea quae communiter accipiuntur, de pluribus dici queunt. ut enim de  niue dictum est, illud album quod in hac subiecta niue est, non est communiter accidens, sed proprie huic niui quae oculis ostensionique subiecta est. itaque ex eo quod commu- niter praedicari poterat — de multis enim album dici potest, ut albus homo, albus equus, alba nix —, factum est, ut de  una tantum niue PREDICARE illud album possit cuius partici- patione ipsum quoque factum est singulare. omnino autem omnia genera uel species uel differentiae uel propria uel acci- dentia, si per semet ipsa speculemur in eo quod genera uel species uel differentiae uel propria uel accidentia sunt, manifestum est quoniam de pluribus PREDICARE. at si ea in his speculemur in quibus sunt, ut secundum subiecta eorum formam et substantiam metiamur, euenit ut ex pluralitate praedicationis ad singularitatem uideantur adduci. animal enim,  3 enim  om. C  et  (s. l. m2)  enim  L  sedit  CN  simia]  post  sedet  FH  et simia  R  aues] auis  N  set et aues  F  sedet auis  H  4 quo- que  om. FN , uero  L  quarum  Lm1 post  sunt  s. l . sedent  Pm2  scil, sedent  Sm2  5  ante  communiter  add . et  FHN, s. l. Em2Pm2  7 propria  HN pr . alicui  om. GLR  quae  s. l. Sm2  cum  E (s. l. m2)FH  enim proprie  s. l. Em2Sm2  propria  N accidunt ali- cui  E  8 ea quae] et quae  E  ea quidem quae  N  eademque cum  P  et cum  F  cum  H  9 queunt  om. Em1G, s. l. Sm2  possunt  E m2 Pm1  (potest  m2 )  R  10 niui  Sm1  niue est subiecta  HL  niui  Sm1  nunc  G  12 ostensione  GRS  ita *  (q.  er .)  C  ita quoque  Sm2, ad  itaque  s. l . quoque  Hm2  15 niui  GSm1  17 differentias  CE  (s  in er . e?)  GL  20 quoniam] quod  G  21 ut] et  FN subiectam  CEGH a.r.Lm1PSm2  22 substantiamque ( om . et)  FHNP  metiantur  E  mentiamur  Ca.r.Sa.c . eueniet  HN  pluritate  Gm1P   quod genus est, de pluribus praedicatur, sed cum hoc animal in Socrate consideramus — Socrates enim animal est —, ipsum animal fit indiuiduum, quoniam Socrates est indiuiduus ac singularis. item homo de pluribus quidem hominibus praedi- catur, sed si illam humanitatem quae in Socrate est indiuiduo consideremus, fit indiuidua, quoniam Socrates ipse indiuiduus est ac singularis. item differentia ut rationale de pluribus dici potest, sed in Socrate indiuidua est. risibile etiam cum de pluribus hominibus praedicetur, in Socrate fit unicum. communiter quoque accidens, ut album, cum de pluribus  dici possit, in uno quoque singulari perspectum indiuiduum est. Fieri autem potuit commodior diuisio hoc modo. eorum quae dicuntur, alia quidem ad singularitatem praedicantur, alia ad pluralitatem, eorum uero quae de pluribus PREDICARE, alia secundum substantiam PREDICARE, alia secundum accidens. eorum quae secundum substantiam praedicantur, alia in eo quod quid sit dicuntur, alia in eo quod quale sit, in eo quod quid sit quidem, genus ac species, in eo quod quale sit, differentia. item eorum quae in eo quod quid sit PREDICARE, alia de speciebus PREDICARE pluribus, alia minime;  de speciebus pluribus praedicantur genera, de nullis uero species. eorum autem quae secundum accidens praedicantur, alia quidem sunt quae de pluribus praedicantur, ut accidentia,  1 plurimis  R  5 si  s. l. Lm2Sm2  quae  et  est  om. F  est— indiuidua  in mg. Cm2  7 est  post  singularis  E  9 hominibus  om. FN praedicatur  CEGL (ante  hominibus) Pm1RS dici possit  N  in Socrate  om. ER  unica  Em1GS unicam  Lm1  unita  R  10 cum  s. l. Em2Sm2  11 possit dici  E  singulari] singulari corpore  CFHN perspectum]  CE (in ras.) FH, m2 in LPS  perspecta  Lm1 a.c . (perfecta  m1p.c .) R  perfectam  Pm1Sm1  profecto ( alt . o  in ras .)  N  profecto perfecta  G  in- diuidua  EGLm1RS  12  ante  eorum  add . ut  GRS, del. EL  13 dicun- tur] praedicantur  Pm2  praedicantur] dicuntur  L  ( ex  dicantur  m2 )  P  14 plurimis  R  praedicantur] dicuntur  N  17  pr . quod—differentia  (19) in ras. Em2 post , in eo—differentia  (19) om. GR  19 iterum  FN  20 pluribus (plurimis  H ) praedicantur  FHN  21  post  speciebus  add . quidem  FHNP  pluribus  om. GRS, s. l. Lm2, post  praedicantur  Em1Fm1 23  post  pluribus  add . speciebus  CFHN, s. l. Em2   alia quae de uno tantum, ut propria. Posset autem fieri etiam huiusmodi diuisio. eorum quae PREDICARE, alia de singulis PREDICARE, alia de pluribus. eorum quae de pluribus, alia in eo quod quid sit, alia in eo quod quale sit  praedicantur. eorum quae in eo quod quid sit, alia de diffe- rentibus specie dicuntur, ut genera, alia minime, ut species, eorum autem quae in eo quod quale sit de pluribus prae- dicantur, alia quidem de differentibus specie PREDICARE, ut differentiae et accidentia, alia de una tantum specie, ut propria.  eorum uero quae de differentibus specie in eo quod quale sit praedicantur, alia quidem in substantia PREDICARE, ut differentiae, alia in communiter euenientibus, ut accidentia. et per hanc divisionem quinque harum rerum definitiones colligi possunt hoc modo. genus est quod | de pluribus specie differen-  p. 63   tibus in eo quod quid sit praedicatur. species est quod de pluribus minime specie differentibus in eo quod quid sit praedicatur. differentia est quod de pluribus specie differentibus in eo quod quale sit in substantia PREDICARE. proprium est quod de una tantum specie in eo quod quale sit non in sub-  stantia praedicatur. accidens est quod de pluribus specie differentibus in eo quod quale sit non in substantia praedicatur.  1 quae  om. FN  una  C (s. l. add . specie ) FHN  possit  FRS  potest  N  2 etiam  om. LP  4  post pr . sit  add . praedicantur  CFHNP, s.l. Lm2  6 specie] speciebus  Ea.r.FLNPS  7 autem  in mg. E, s. l. Lm2  9 accidentia et differentiae  C post  accidentia  add . communiter  Pm2   edd . 10 uero  om. GRS, in mg. Em2Lm2  quae  in mg. Em2  de differentibus specie  om. GLRS, in mg . de specie differentibus  Em2  de  om . C 11 substantiam  RSa.r . 12 conuenientibus  Pm2  13 de- finitiones] diuisiones  FHm1  14 specie differentibus  hic F, post quid sit  (15) cett.; cf. proxima et p. 193, 1  15 est] autem  E  18 substan- tiam  R  proprium—praedicatur  (20)] om. GR, in mg. Em2  proprium (uero  s. l. add. Lm2 ) est quod de pluribus minime specie differentibus in eo quod quale ait (sit  s. l. Lm2 ) non in substantia praedicatur  LPm2  non in substantiam praedicatur  Sm1, del. m2, in sup. mg . ( ante  non  inse- renda )  haec proprium est quod de pluribus specie minime differentibus,  deinde pauca uerba, quorum extremum  <praedi>cat<ur>,  cum mg. abscisa, sequuntur uerba  accidens est  (20) —praedicatur  (21) ,  m2  20  ante  specie  add . et  CE (del.) GLP    Et nos quidem has diuisiones fecimus, ut omnia a semet ipsis separaremus, Porphyrio vero alia fuit intentio. non enim omnia nunc a semet ipsis disiungere festinabat, sed tantum ut cetera a generis forma et proprietate separaret. idcirco diuisit quidem omnia quae PREDICARE aut in ea quae de  singulis praedicantur, aut in ea quae de pluribus, ea uero quae de pluribus PREDICARE, aut genera esse dixit aut species aut cetera, horumque exempla subiciens adiungit : Ab his ergo quae de uno solo PREDICARE, differunt genera eo quod de pluribus adsignata praedi-  centur, ab his autem quae de pluribus, ab speciebus quidem, quoniam species etsi de pluribus praedican- tur, sed non de differentibus specie, sed numero; homo enim cum sit species, de Socrate et Platone praedicatur, qui non specie differunt a se inuicem,  sed numero, animal uero cum genus sit, de homine et boue et equo praedicatur, qui differunt a se inui- cem et specie quoque, non numero solo. a proprio uero differt genus, quoniam proprium quidem de una sola specie, cuius est proprium, praedicatur et de his  quae sub una specie sunt indiuiduis, quemadmodum  9—p. 189, 16] Porph. p. 2, 22—3, 14 (Boeth. p. 27, 8—28, 7).   2 separemus  GNRm1Sm1  porphirii  Lm1  fuit alia  CN  4 forma generis  H  separet  NPa.c.Sm1 ante  idcirco  add . hic  FRS  5 diuisit  s. l. Em2  separauit  m1  quidem  s. l. R, ante  diuisit  L  6 praedicarentur  FHLm2Pm2  plurimis  Em1Lm2  uero] autem  C  7 plurimis  FGm2N  praedicarentur  FHLm2  8 horum  F  9 Ab  om. GHP, s. l. ER  ergo] uero  H  praedicarentur  N  10 prae- dicantur  Em1GLm2PRSm2 Busse  11 ab his—accidens  (p. 189, 14) ]  Ω ,  om. cett., sed in S particulae lemmatis plerumque  HISTORIA  (cf. ad p. 167, 21) inscriptae uariis locis expositionis p. 189, 17—193, 16 insertae sunt, item particulae quaedam in L; quorum locorum lectiones hic pro- ponentur post . ab]  Ω   (etiam B Bussii)  a  edd. Busse  12  post  quidem  add . differunt genera  Γ  praedicatur  ΛΣ  13 sed non] sed  om .  Σ  non tamen  H m2 ‘i’  14 Platone] de platone  A  16 sit genus  Σ  17 boue] de boue  Γ  18 et om.  ΓΦ  non]  Porph. p. 3, 1   aX\’ οΰχί  solum  edd. cum Porph .  τώ άριθ·μώ μόνον  20 hiis  Φ  21 una  om. Porph. p. 3, 3   risibile de homine solo et de particularibus homini- bus, genus autem non de una specie praedicatur, sed de pluribus et differentibus specie. a differentia uero et ab his quae communiter sunt accidentibus differt  genus, quoniam etsi de pluribus et differentibus specie PREDICARE differentiae et communiter acciden- tia, sed non in eo quod quid sit praedicantur, sed in eo quod quale quid sit. interrogantibus enim nobis illud de quo praedicantur haec, non in eo quod quid  sit dicimus PREDICARE, sed magis in eo quod quale sit. interroganti enim qualis est homo, dicimus rationalis, et in eo quod qualis est coruus, dicimus quoniam niger. est autem rationale quidem differentia, nigrum uero accidens. quando autem quid est homo  interrogamur, animal respondemus; erat autem hominis genus animal.    Nunc genus a ceteris omnibus quae quolibet modo praedi- 3 specie  s. l.  Γ, om. optimi codd. Porph. p. 3,5, delend. uid. Bussio  5  locum  quoniam—animal  (16) post  genus  p. 193, 18 add. LS  etiamsi  LS sΠ*ΙΓ  specie differentibus  ΛΣ ;  Porph. p. 3, 6   διαφερόντων τψ ειόει  6 differentia  Lm2S  7 sed non]  Δ  ( ad  sed  s. l . id est tamen  m1? )  Π  ( ad  sed  s. l . uel tamen  m1? )  A Busse  tamen non  LS ΤΣΦ  non tamen  Ψ   edd.; Porph. p. 3, 8   άλλ’ οόκ ,  cf. supra p. 188, 13, infra 190, 12  7 sit  om. L  sed in eo quod quale quid sit]  codd. cum Porph. p. 3, 8 codicib. Lm2Mm2   άλλ’ έν τψ όποιον τ£ έστιν ,  delend. uid. Bussio  8 quid  om. S Φ  interrogantibus—sit  (11) om .  Φ  ad interrogantibus  s. l . uel interrogati  Δ  nobis]  LS A m2 Ii   (del. m2) Busse  nos  A m1 (enim  post  nos,)  Ψ ,  om .  ΓΔ2  ( decst   Φ );  Porph. p. 3, 8   έρωτησάντων γάρ ήμών  uel  τινών   codd . 9  post  illud  s. l . quomodo  (m1?)  uel de quo  (m2)   Δ  haec  s. l. Lm2  10  post  quale  add . quid  Π (del. m2)   Ψ m Busse, om .  LS VM pbr, om. etiam p. 194, 7 (cf. p. 195, 4. 196, 8. 15) , aliquid  s. l .  Λ  ( deest   Φ );  Porph. p. 3, 10   έν τψ ποιόν τί έατιν  11 interroganti]  ΑΣ a.r . Ψ  interrogantibus  S interrogati  cett.; Porph. p, 3, 10   έν γάρ τψ έρωταν  12. dicimus]  Π m2 ΣΨ ,  om .  Φ , dicitur  cett.; Porph. p. 3, 11   οομέν  14 autem  om. N  quid est] quidem  FN  qui  Gm1, s. l . est  m2  quod est  L 15 interrogamus  P A ,  m1 in   EGR Z  interrogemus  S  erat]  RS, m1 in Ρ ΔΛ , est  1  erit  cett.; Porph. p. 3, 13   vjv  genus ho- minis  Σ   cantur separare contendit hoc modo. quoniam enim genus de pluribus PREDICARE, statim differt ab his quidem quae de uno tantum praedicantur quaeque unum quodlibet habent indiui- duum ac singulare sublectum; sed haec differentia generis ab his quae de uno PREDICARE, communis ei est cum ceteris,  id est specie, differentia, proprio atque accidenti idcirco, quo- niam ipsa quoque de pluribus praedicantur. horum igitur singulorum differentias a genere colligit, ut solum intellegendum genus quale sit sub animi deducat aspectum, dicens : ab his autem quae de pluribus praedicantur, differt genus,  ab speciebus quidem primum, quoniam species etsi de pluribus praedicantur, non tamen de differentibus specie, sed numero. species enim sub se plurimas species habere non poterit, alioquin genus, non species appellaretur si enim genus est quod de pluribus specie differentibus in eo  quod quid sit PREDICARE, cum species de pluribus dicatur et in eo quod quid sit, huic si adiciatur ut de specie differentibus PREDICARE, speciei forma transit in generis; id quoque exemplo intellegi fas est. homo enim praedicatur de Socrate, Platone et ceteris quae a se non specie disiuncta  sunt, sicut homo atque equus, sed numero quod quidem habet dubitationem quid sit hoc quod dicitur numero differre. numero enim differre aliquid uidebitur quotiens numerus a  2 quidem  om. CHN  qui  G, ex  quae  Lm2  3  post praedicantur  add . ut socrates et hic et hoc  H  quae  CN  5 uno] uno solo  LS  est ei  L  est  om. CEHN  6  post  specie  add . et  FHP, s. l. Lm2  accidente  Lm2Pm1N  9 aspectum deducat  E  ab]  CL (s. l.) NSm2, om. cett . 10 autem] enim  P post  pluribus  add . id est ( add . specie,  sed   del. E ) ab his quae ( haec s. l. E ) de pluribus  Em2GPRS  11 a  R  primum  om. S, s. l. Lm2; deest p. 188, 12  12 praedicatur  S  non tamen] sed non  S  de  om. FHNP  15 plurimis  Em2GPRS  16 plurimis EGR  dicatur] praedicetur  C  praedicatur  edd . 19 fas est] placet  HNPm1 post  enim  s. l . cum sit species  Em2Pm2 (ex p. 188,14)  quod est species  Lm2  20 et ceteris  del. E  qui  Ep. c . disiuncta ( ad quod s. l . differunt)—equus  del. E  21  post  equus  add . uel bos  LP  23 differre  (in mg. H) post  aliquid  FHLN  aliquis  GS  quoties (-cies)  EPRS   numero differt, ut grex boum qui fortasse continet triginta boues, differt numero ab alio boum grege, si centum in se contineat boues; in eo enim quod grex est, non differunt, in eo quod boues, ne eo quidem : numero igitur differunt,  quod illi plures, illi uero sunt pauciores. quomodo igitur Socrates et Plato specie non differunt, sed numero, cum et Socrates unus sit et Plato unus, unitas uero numero ab unitate non differat? sed ita intellegendum quod dictum est numero differentibus, id est in numerando differentibus, hoc est  dum numerantur differentibus. cum enim dicimus ‘hic Socrates est, hic Plato’, duas fecimus unitates, ac si digito tangamus dicentes ‘hic unus est’ de Socrate, rursus de Platone ‘hic unus est’, non eadem unitas in Socrate numerata est quae in Platone. alioquin posset fieri ut secundo tacto Socrate Plato  etiam monstraretur. quod non fit. nisi enim tetigeris Socratem uel mente uel digito itemque tetigeris Platonem, non facies duos, dum numerantur. ergo differunt quae sunt numero differentia. cum igitur species de numero differentibus, non de specie praedicetur, genus de pluribus et differentibus specie  dicitur, ut de boue, de equo et de ceteris quae a se specie inuicem differunt, non numero solo. tribus enim modis unum quodque uel differre ab aliquo dicitur uel alicui idem esse,  3 continet  EGLRS  differt  C, add . neque  CP, s. l. Hm2, s. l . nec  Lm2  4 ne—differunt]  H  ( post  quidem  del . haec  m2 )  N  igitur  om. EG  nec in eo  (recte?)  quidem differunt. Igitur numero differunt  L non nisi quidem numero. Igitur differunt numero  F  non nisi (eo  add. S, sed del .) quidem numero differunt  RS  Numero igitur (Igitur numero  C ) differunt,  cet .  om. CP  5 quomodo] quo  R  igitur] uero  C  6 specie—Plato  om. F  7  pr . unum  PS  8 differt  CEm2NPR post  intellegendum  add . est  CL  10 dum] cum  F  12  ante  rursus  s. l . et  S  14 possit  FLRS  posset fieri  in mg. Cm2 ut] in  Cm2Em2G  tactu socrates  Em1G  15  ante  etiam  add . et ( sed  et  in  etiam  del. uid. E )  EG demonstraretur  LP  19 speciebus  CFHN post  genus  s. l . quoque  Lm2  et  om. Em1  ( s. l . et de  m2 )  R  specie differentibus  EF  20  pr . de  om. CL  et  om. FH  de  s. l. Em2Lm2  ceterisque quae  F inuicem specie  FN   genere, specie, numero. quaecumque igitur genere eadem sunt, non necesse est eadem esse specie, ut si eadem sint genere, differant specie. si uero eadem sint specie, genere quoque eadem esse necesse est, ut cum homo atque equus idem sint genere — uterque enim animal nuncupatur —, differunt specie,  quoniam alia est hominis species, alia equi. Socrates uero atque Plato cum idem sint specie, idem quoque sunt genere; utrique enim et sub hominis et sub animalis PREDICAZIONE ponuntur. si quid uero uel genere uel specie idem sit, non necesse est idem esse numero, quod si idem sit numero, idem et specie  et genere esse necesse est; ut Socrates et Plato, cum et genere animalis et specie hominis idem sint, numero tamen reperiuntur esse disiuncti. gladius uero atque ensis idem sunt numero, nihil enim omnino aliud est ensis quam gladius, sed nec specie diuersi sunt, utrumque enim gladius est, nec genere,  utrumque enim instrumentum est, quod est gladii genus. quoniam igitur homo, bos atque equus, de quibus animal PREDICARE, specie differunt, numero ergo etiam eos differre necesse est. idcirco hoc plus habet genus ab specie, quod de specie differentibus PREDICARE nam si integram generis definitionem demus, dabimus hoc modo : genus est quod de plu-  1  ante  genere  add . id est  P, s. l. Hm2Lm2  genere—esse specie  om. EGRS numero] et numero  C  2 esse  post  specie  C, ante  eadem  FH  ut si—differant specie  om. FHNPm1 ,  in mg. add., sed del. m2  genere—eadem sint  om. C  3 sunt  F  4 est] esse ( idem ante necesse )  GSm1  sunt  EFGKHm1NRSm1  5 animalia  FHN  nuncupantur  FHNS  differentia  Hm1N  6 species  om. FG, ante  est  C  7 uterqne  EGLPRS, recte?  8 et  om. CP  sub hominis et  om. GLRS, s. l. Em2Pm2 post , sub  om. C  ponitur  Lm2Sm2  9 sit] sint  S  sunt  Fm1 (in mg . est m2) Nm1  10 quod si—necesse est  post  disiuncti  (13) transpos. et 13  enim  pro  uero  scr. brm 12 tamen] tantum  CLm1  15 diuersi *   (s er.) ,  om , sunt  C  est gladius  FN  16  ad  instrumentum  s. l . bellicum  Em2  17 bos  ante  homo  EG  atque bos  post  equus  FN  18 ergo  om. FHNP, del. Cm1? Lm1? Sm2  etiam  s. l. Lm1?  19  ante  id- circo  add . et  F, s. l. Sm2  ab specie  om. EGLS  a  R  de] a  R  ab  CEGLS  20  post  specie  s. l . quidem  L  definitionem ( uel  diff-) generis  FHNP  21 dabimus  om. EG  ( add . dicimus  post  modo)  RS, s. l. Lm2, post  modo  C   ribus specie et numero differentibus in eo quod quid sit prae- dicatur, at uero speciei sic : species est quod de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit praedicatur. A proprio uero differt genus, quoniam proprium quidem  de una sola specie, cuius est proprium, PREDICARE et de his quae sub una specie sunt indiuiduis. proprium semper uni speciei adesse potest neque eam relinquit nec transit ad aliam, atque idcirco proprium nuncupatum est, ut risibile hominis; itaque et de ea specie cuius est proprium  praedicatur et de his indiuiduis quae sub illa sunt specie, ut risibile de homine dicitur et de Socrate et Platone et ceteris quae sub hominis nomine continentur. genus uero non de una tantum specie, ut dictum est, sed de pluribus. differt igitur genus a proprio eo quod de pluribus speciebus praedi-  catur, cum proprium de una tantum de qua dicitur appelletur et de his quae sub illa sunt indiuiduis. A differentia uero et ab his quae communiter sunt accidentibus differt genus. differentiae atque accidentis discrepantiam a genere una separatione concludit. omnino enim quia haec in  eo quod quid sit minime PREDICARE, eo ipso segregantur a genere; nam in ceteris quidem propinqua sunt generi, nam et  1 specie—differentibus] specie non (non  Lm2 s. l. et R  et  cum cett. P ) numero solo (solo  s. l. Lm2, om. P ) differentibus  LPR  2 plurimis  S  3 in—sit  om. HN  4 proprium] prius  S  proprium—praedicatur] pro- prium praedicatur et de una sola specie  C  quidem—est proprium  om .  G, s. l. Em2  quidem  om. etiam S  6  post  proprium  add . uero  N  enim  brm  7 uni  om. GS, post speciei  E (s. l. m2) HR  9  post  hominis  add . est  edd . 11 et] ut  RS  de  om. FN, s. l. Pm2  Platone] de platone  G  et ceteris] ceterisque  FHNP  12 qui  Em2  13 ut  s. l. Hm2Pm2  de  om. N  plurimis  CEm1GNR, add . et differentibus specie  S, in mg. Pm2  ( om . specie) 14 praedicetur  Lm2P  15  post  tantum  s. l . specie  Lm2  appellatur  FHm1NR  17 sunt accidentibus] accidunt  HN  18 genus]  cf. ad p. 189, 5; post locum p. 189, 5—16   uerba  Quare—praedicantur  p. 194, 20 s. add. L  discrepantia  FL  19 separatione  del. et s. l . diffinitione  Em2, post  separatione  add . uel definitione  Hm1, del. m2  20 sint  Em2HN  21 in]  CL (s. l. m2) N, om. cett.  de pluribus praedicantur et de specie differentibus, sed non  p. 65  in eo quod quid sit. si quis enim | interroget : qualis est homo? respondetur rationalis, quod est differentia; si quis : qualis est coruus? dicitur niger, quod est accidens. si autem interroges: quid est homo? animal respondebitur, quod est genus. quod  uero ait: haec non in eo quod quid sit dicimus PREDICARE, sed magis in eo quod quale sit, hoc magis quaestioni occurrit huiusmodi. Aristoteles enim differentias in substantia putat oportere PREDICARE. quod autem in substantia PREDICARE, hoc rem de qua PREDICARE, non quale sit, sed  quid sit ostendit. unde non uidetur differentia in eo quod quale sit praedicari, sed potius in eo quod quid sit. sed solvitur hoc modo. differentia enim ita substantiam demonstrat, ut circa substantiam qualitatem determinet, id est substantialem proferat qualitatem. quod ergo dictum est magis, tale  est tamquam si diceret: uidetur quidem substantiam significare atque idcirco in eo quod quid sit PREDICARE, sed magis illud est uerius, quia tametsi substantiam monstret, tamen in eo quod quale sit praedicatur.   Quare de pluribus praedicari diuidit genus ab his  quae de uno solo eorum quae sunt indiuidua praedi- cantur, differentibus uero specie separat ab his quae  20—p. 195, 5| Porph. p. 3, 14—19 (Boeth. p. 28, 7—13).   1 plurimis  FH  3 respondebitur  R rationabilis  N  quis  om. R, post s. l . scil.  (om. brm)  interroget  Hm2brm post , est  om. HN  4 dicetur  FHN  interrogetis  N  9 autem] uero  FHN  10 qualis  Cm2FHP  16 tamquam] ac  F  20  uerba  Quare—praedicantur  (21) et p. 193, 18 et hic  ( hic om . praedicatur)  habet L, eadem iam ante lemma add. S  predicari  ex  preditur  Pm2  genus diuidit  hic L  hiis  F  21 sola  F  eorum—accidentibus ( p.195, 3 )]  Ω ,  in sup. mg . non sunt indiuidua  (21) — accidentibus  add. Lm2? dicuntur ut indiuidua quae de una solummodo substantia dicuntur  R, om. cett. codd . eorum quae sunt indiuidua  om. p. 193, 18 L  eorum  om. L (hic)   A  22  ante  differentibus  add . de  ΓΛΦ ; differentibus—quibus praedicantur  (195, 5) post  colligamus  p. 196,1 inseruit S, itaque uerba quae  (195, 3) —quibus praedicantur  (195, 5) et illic et hic  habet separatur  Φ ,  in mg . genus  add .  Γ   sicut species praedicantur uel sicut propria; in eo autem quod quid sit PREDICARE diuidit a differentiis et communiter accidentibus, quae non in eo quod quid sit, sed in eo quod quale sit uel quodammodo se  habens praedicantur de quibus praedicantur. Tria esse diximus quae significationem hanc tertiam generis informarent, id est de pluribus PREDICARE, de specie differentibus et in eo quod quid sit. quae singulae partes genus a ceteris quae quomodolibet praedicantur distribuunt ac secernunt, quod ipse breuiter colligens dicit; id enim quod de pluribus PREDICARE, genus ab his diuidit quae de uno tan- tum praedicantur indiuiduo. indiuiduum autem pluribus dicitur modis. dicitur indiuiduum quod omnino secari non potest, ut unitas uel mens; dicitur indiuiduum quod ob soliditatem  diuidi nequit, ut adamans; dicitur indiuiduum cuius praedicatio in reliqua similia non conuenit, ut Socrates : nam cum illi sint ceteri homines similes, non conuenit proprietas et PREDICAZIONE Socratis in ceteris. ergo ab his quae de uno tantum praedicantur, genus differt eo quod de pluribus PREDICARE.  restant igitur quattuor, species et proprium, differentia et acci-  6 diximus] p. 181, 15.  2 diuiditur  Φ ,  s. l . genus  add. Lm2  differentibus  S  3  ante  quae  add . et  CEGP  quae  om. R  non  om. S (hic)  quod] quia  R  4  post . sit]  Σ  est  cett; cf. p. 196, 8  quodammodo  in ras. Em2  quod ad modum  CG  quemadmodum  LP  quod a modo  R  quomodo  Ψ   edd. Busse ;  Porph. p. 3, 19   πώς ;  cf. supra p. 128, 10  5 praedicantur  om .  ΓΦ   ante  de quibus  add . de his  S  ( ad p. 194, 22 ) ab his  Σ  his  A  hiis  Φ  de quibus praedicantur]  S (ad p. 194, 22)   ΓΛ  (de  s. l .)  2Φ ,  om. cett . 7 informant  FHm1N post,  de]  Hm2LPm2, om, CEGNRS , sed  FHm1Pm1; cf. p. 181, 16  8 et  om. R  9 quolibet modo  CL  (modo  s. l. m2 ) N quo *** libet (libe  er. uid .)  F  praedicatur  GPm1  10 col- ligens breuiter  EGS  12 dicitur pluribus  C  13 non potest secari  CFN  14 indiuiduum—dicitur  (15) om. G  15 adamas  HLm1P  (-as  ras. ex  -ans), amans  R  18 ceteros  NP  20 igitur] ergo  FP dif- ferentiae  EHa.c.NP, ante add . et  H, s. l. Lm2   dens, quorum a genere differentias colligamus. singulis igitur differentiis ab his rebus segregabitur genus. ea quidem differentia qua de specie differentibus genus dicitur, separat ab his quae sicut species praedicantur uel sicut propria. species enim omnino de nulla specie dicitur, proprium uero de una  tantum specie PREDICARE atque ideo non de specie differentibus. item genus a differentia et accidenti differt, quod in eo quod quid sit PREDICARE; illa enim in eo quod quale sit appellantur, ut dictum est. itaque genus quidem ab his quae de uno praedicantur differt in quantitate PREDICAZIONE, ab  speciebus uero et proprio in subiectorum natura, quoniam genus de specie differentibus dicitur, proprium uero et species minime. item genus in qualitate praedicationis a differentia accidentique diuiditur. qualitas enim praedicationis quaedam est uel in eo quod quid sit uel in eo quod quale sit PREDICARE. Nihil igitur neque superfluum neque minus con- tinet generis dicta descriptio. Omnis descriptio uel definitio debet ei quod definitur aequari. si enim definitio definito non sit aequalis et si quidem maior sit, etiam quaedam alia continebit et non necesse est ut semper  definiti substantiam monstret; si minor, ad omnem definitionem  16 s.] Porph. p. 3, 19 s. (Boeth. p. 28, 13 s.) 1 quarum  Cm1Lm1 colligamus  ante  differentias  C  colligemus (e  ex  i)  H; cf. ad p. 194, 22  2 ea quidem—dicitur  om. S  3 post  differentibus  add . praedicari  edd . separat ab his]  FLm1R  dum separat ab his  S differt ab his  CN  differt  (s. l. Em2)  ab (a  L) specie et proprio  HP ,  s. l. Lm2 (seperat—propria  [4] del. Lm2, om. P), s. l . et ab his  add .  Hm2, om. EG  separatur ab his  edd.; cf. p. 194, 20  4 praedicantur  post  propria  H  5 nulla] nulla alia  LS  8 enim] uero  FHN  10 a  LNR  13 ab  FHP  (b  er .) 15 praedicare  GR  16 Nihil  ex  Nil  Pm1? pr . neque  om .  ΛΛΠΣΨ   Porph. p. 3, 19 Busse, del .  Γ m2  17 genus  F  dicta  om. E, s. l .  Σ ,  post  descriptio  G locus Porph. p. 3, 19 s. plenior est (cf .  τής έννοιας ,  quod deest ap. Boeth.)  18 Omnis descriptio  in mg. Em2 (in contextu ras.), om. GR, s. l. Sm2 post  Omnis  add . enim  L, s. l. Sm2, post  debet  C (er.) EGR  19 definito  om. FPS  et  om. CFN  21 definitio ( uel  diff)  Ca.r.N post  si  s. l . sit  L  definitio  C  definiti ( uel  diff)  Em2HN   substantiae non peruenit. omnia enim quae maiora sunt, de minoribus praedicantur, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime; nemo enim uere dicere potest omne animal homo est. atque idcirco si sibi praedicatio conuertenda est,  aequalis oportebit sit. id autem fieri potest, si neque super- fluum quicquam habet neque diminutum, ut in ea ipsa generis descriptione dictum est enim esse genus quod de pluribus specie differentibus in eo quod quid sit praedicetur, quae descriptio cum genere conuerti potest, ut dicamus quicquid  de pluribus specie differentibus in eo quod quid sit PREDICARE, id esse genus. quodsi conuerti potest, ut ait, nec plus neque minus continet generis facta descriptio.    1 substantiam  CEm2  4  pr . est  om. C  5 oporteat  EGHL  ( a del .)  PRS ante  sit  add . ut  E (in ras. m2) FLNPR, s. l. Cm2Hm2  6 habeat  R  diminutiuum  Em1  7 enim est  G  esse  s. l. Em2L, post  genus Pm2  8 praedicatur  Em2FNa.c . 9  post  ut  s. l . si Lm2  quicquid] quod  EGLm1RS  10 praedicatur  Em2 11 conuerti potest] * (ñ  er .) con- uertitur  C  conuertitur. est  F  conuerti (non  del .) potest  S neque— neque  FLm2P  nec—nec  HLm1  neque—nec  N  12 continet  s. l. Nm2   Sm2, om. F, post  generis  CEGL  facta] dicta  p. 196, 17  BOEZIO V. C. ET I LL  EXCONS. ORD. PATRICII IN ISAGOGAS (YSAGOG.  E ) PORPHYRII ID EST INTRODVCTIONEM (introductiones  C ) A SE TRANSLATAS EDITI- ONIS SECVNDAE COMMENTARIVS SECVNDVS EXPLIC. (commen- tum in secdo lib. explic.  C, post  PORPHYRII  add . SCDE EXPOSITIO- NIS LIB. II. EXPLICIT  E ) INCIPIT  C  ( pleraque litt. minusc. scr .)  GE  ( uariis cum scripturis compendiisque ); sede trans- lationis comtarius expł incip lib IΙI.  L ; EXPL COMMENTARIVS. II. INCIPIT LIB TERTIVS. S; EXPLIC COMENTORV LIBER SCDS. INCIPIT TERTIVS N·, EXPLICIT LIBER SECDS. INCIPIT LIBER TERTIVS (TERCIVS LIBER  P )  FP ; INCIPIT LIBER TERTIVS  R ;  subscriptio deest in H  Superior de genere disputatio uideatur forsitan omnem etiam speciei consumpsisse tractatum. nam cum genus ad aliquid praedicetur, id est ad speciem, cognosci natura generis non potest, si speciei quae sit intellegentia nesciatur. sed  quoniam diuersa est in suis naturis eorum consideratio atque discretio, diuersa in permixtis, idcirco sicut singula in prooemio proposuit, ita diuidere cuncta persequitur. ac primum post generis disputationem de specie tractat. de qua quidem dubitari potest. si enim haec fuit ratio praeponendi generis  reliquis omnibus, quod naturae suae magnitudine cetera contineret, non aequum erat speciem differentiae in ordine tractatus anteponere, quod differentia speciem contineret, cura praesertim differentiae ipsas species informent. prius autem est quod informat quam id quod eius informatione perficitur.  posterior igitur est species a differentia, prius igitur de differentia tractandum fuit. etenim prooemio etiam consentiret, in quo eum ordinem collocauit quem naturalis ordo suggessit, dicens utile esse nosse quid genus sit et quid differentia. huic respondendum est quaestioni, quoniam omnia quaecumque  19 dicens] p. 147, 5. 7. 148, 17.   2 uidetur  CGHL, ras. ex  uideatur  PS  3 sumpsisse  CHN  5 ne- scitur  FHm1  7 mixtis  Fa.c.Lm1  8 posuit  H  diuidere  ante  ita  G, post  cuncta  CLP , diuise  HNa.c . prosequitur  Gm1PR  10 pro- ponendi  CFNR  genus  R  12 nonne  Em2FHPSm2 ante aequum  add . et  HP, s. l. Em2  speciei differentiam  EFHLm2P; cf. p. 239, 9  13 obtineret  CLm1 14 ipsae  CNP  est  s. l. Gm2Lm2  15 informet  E  16 post  Em1GLm1RS  igitur] ergo  C  a  om. CRS, er. L  17 ut enim  N  ut  CH  etiam  om. CF  18  post  quo  add . prius  CN  eam ordine  CFN quam  CFN  19  post  dicens  add . ubi ait  E  20  ante  huic  add . sed  E   ad aliquid PREDICARE, substantiam semper ex oppositis sumunt. ut igitur non potest esse pater, nisi sit filius, nec filius, nisi praecedat pater, alteriusque nomen pendet ex altero, ita etiam in genere ac specie uidere licet. species quippe nisi  generis non est rursusque genus esse non potest, nisi referatur ad speciem; nec uero substantiae quaedam aut res absolutae esse putandae sunt genus ac species, ut superius quoque dictum est, sed quicquid illud est quod in naturae proprietate consistat, id tunc fit genus ac species, cum uel ad inferiora  uel ad superiora referatur. quorum ergo relatio alterutrum constituit, eorum continens factus est iure tractatus. De specie igitur inchoans ait hoc modo. Species autem dicitur quidem et de unius cuiusque forma, secundum quam dictum est primum quidem  species digna imperio dicitur autem species et ea quae est sub adsignato genere, secundum quam sole- mus dicere hominem quidem speciem animalis, cum sit genus animal, album autem coloris speciem, trian- gulum uero figurae speciem.    Sicut generis supra significationes distinxit aequiuocas, ita idem in specie facit dicens non esse speciei simplicem signi- ficationem. et ponit quidem duas, longe autem plures esse  7 superius] cf. p. 158, 3 ss. 180, 23 ss. 13—19] Porph. p. 3, 21— 4,4 (Boeth. p. 28, 15—21). 20 supra] p. 171, 9 ss.   1 positis Gm1Sm1 3 nomen] non  Ea.c.Ga.c . 4 uideri EP  8 in  om. R 9 consistit  CLNPSm2  constat  Em1  tum  R  ac] et  H  10 referuntur  FLm1  referantur  NS  refertur  Pm2R  11 continuus  CN  12  ante  De  add . sed  CH ,  m1 in LRS , si  E  de  ex  sed  Sm2  sed  del. Lm2Rm2  13  ante  Species  inscriptio  DE SPECIE (EXPLICIT DE GENERE. INCIPIT DE SPECIE  Ψ )  additur in   11  et  om. L  14 primum]  G edd . primi  L  primis  Sm1  priami  cett. Busse; Porph. p. 4, 1   πρώτον piv είδος άξιον τυραννίδος   (Eurip. Aeol. frg. 15, 2 N.) ;  cf . quemlibet illum  infra p. 200, 22  15  post  digna  add . est  HNPR AAΦ ,  s. l. LSm2, edd. Busse; om. Porph. post et ras., s. l . etiam  Γ  17 qui- dem  om. N, post add . esse  FR, s. l. L , esse  post  speciem  s. l. Pm2  cum—animal  om. S  18 autem  om. Ε   ΑΣ  20 ita  om. HN   manifestum est, quas idcirco praeteriit, ne lectoris animum prolixitate confunderet. dicit autem primum quidem speciem uocari unius cuiusque formam, quae ex accidentium congregatione perficitur. cautissime autem dictum est unius|cuiusque, hoc enim secundum accidens dicitur. quae enim uni  cuique indiuiduo forma est, ea non ex substantiali quadam forma species, sed ex accidentibus uenit. alia est enim sub- stantialis formae species quae humanitas nuncupatur, eaque non est quasi supposita animali, sed tamquam ipsa qualitas substantiam monstrans; haec enim et ab hac diuersa est quae  unius cuiusque corpori accidenter insita est, et ab ea quae genus deducit in partes. postremumque plura sunt quae cum eadem sint, diuersis tamen modis ad aliud atque aliud relata intelleguntur, ut hanc ipsam humanitatem in eo quod ipsa est si perspexeris, species est eaque substantialem determinat  qualitatem; si sub animali eam intellegendo locaueris, deducit animalis in sese participationem separaturque a ceteris animalibus ac fit generis species. quodsi unius cuiusque proprietatem consideres, id est quam uirilis uultus, quam firmus incessus ceteraque quibus indiuidua conformantur et quodam-  modo depinguntur, haec est accidens species secundum quam dicimus quemlibet illum imperio esse aptum propter formae  1 praeterit  CEGLPR  2 primo  FHNP  3 formam]  CN figuram  cett  5 haec  GL  ( s. l. add . species  m2 )  RSm1  uni  om. EGRS  6 ea  om. HN  7  ante species (specie  H )  add . ac  CHN  ex  om. CH  8 forma,  s. l . species  (m. 2) E pr . quae] sed quae  E  eaque] ea quae  EFGH   Lm1Sm2  9  post  sed  add . est  brm, post  qualitas  S  11 unius cuiusque corpori]  CNPm2R  in  (s. l. Lm2)  unius cuiusque (in  add. Lm1, del. m2 ) corpore (ex -ri Lm2)  FHLPm1 unius cuiusque (in  s. l. Sm2) corpore  EGS  accidentaliter  CLm2P  sita  FHLm1  si ita  Na.c . ea] hac  F  12 postremoque  CNPm2 (recte?)  postremo quoque  Rm1  postremum quae Rm2S  postremum  H  13 sunt  FH post  atque  add . ad  CHR  14 in- telligantur  LRm1  15 si  post humanitatem  FHN  respexeris  N  eaque]  Cm1N  ea quae  cett . determinet  R  16 eam  om. GPRS (recte?) ,  s. l. Em2  17 se  Lm1N  18 species generis  C  20 informantur  LPm2  21 accidentalis  Lm2Pm2  22 quamlibet  FLm1  quodlibet  Sm2  illum  om. CHLNP  illud  RS   eximiam dignitatem. huic aliam adiungit speciei significationem, id est eam quam supponimus generi. nos vero triplicem speciei significationem esse subicimus, unam quidem substantiae quali- tatem, aliam cuiuslibet indiuidui propriam formam, tertiam  de qua nunc loquitur, quae sub genere collocatur. credendum uero est propter obscuritatem eius quam nos adiecimus, quia nimirum altiorem atque eruditiorem quaereret intellectum, ea tacita praetermissaque ceteras edidisse. cuius quidem speciei haec exempla subiecit, ut hominem quidem  animalis speciem, album autem coloris, triangulum uero figurae; haec enim omnia species nuncupantur eorum quae sunt genera, animal quidem hominis, albi autem color, trianguli figura. Quodsi etiam genus adsignantes speciei meminimus dicentes quod de pluribus et differentibus specie in  eo quod quid sit praedicatur, et speciem dicimus id quod sub genere est. Dudum cum generis descriptionem adsignaret, in generis definitione speciei nomen iniecit dicens id esse genus quod de pluribus specie differentibus in eo quod quid ait prae-  dicaretur, ut scilicet per speciei nomen definiret genus. nunc uero cum speciem definire contendat, generis utitur nuncupatione dicens speciem esse quae sub genere ponatur.  13—16] Porph. p. 4, 4—7 (Boeth. p. 28, 21—23). 18 (dicens)—20] p. 180, 1 s.   3 subiecimus  CLN  substantialem  FLm2Bm2  4 indiuiduam  G  5 collocatur (-catur  in ras. m2) E  colligatur  GLm2  (colligitur  m1 ) Rm1s  6 est] est quod  EPRS  7 quia] quae  CN quaerit  C quaeret  Hm1N  8 praetermissa quae  Em1Sa.c . praetermissa  Rm1  dedisse  Gm1  edidisset  R, ante  edid.  add . ipsum  r  9 ut] et  EGLm1Ra.c.S  11 eorum quae]  CFHN  earum quae  EGR  earumque  LPS  12 trianguli figura]  Lm1  figura trianguli  Pm2  forma trianguli  HNPm1  trianguli forma  cett.; fort , trianguli >uero>;  cf. 10. 199, 19  13 Quodsi] Quid sit  FPm1  (Quod sit  m2 ) Quod  CL  Sic  Λ2  signantes  F  14 et  om. F, s. l. R  15 sit  om. ERS  praedicatur—quid sit  (19) om. N  id  s. l. Hm2  16 quod sub assignato genere ponitur (est  p )  edd., Porph. p. 4, 6   το όπό τό άποοοθ-έν γένος  19 et differentibus  p. 180, 1  20 genus definiret  C  21 nunc] nam  Cm1   cui quidem dicto illa quaestio iure uidetur opponi. omnis enim definitio rem declarare debet quam definitio concludit, eamque apertiorem reddere quam suo nomine monstrabatur. ex notioribus igitur fieri oportet definitionem quam res illa sit quae definitur. cum igitur per speciei nomen describeret  uel definiret genus, abusus est uocabulo speciei uelut notiore quam generis atque ita ex notioribus descripsit genus. nunc uero cum speciem uellet termino descriptionis includere, generis utitur nomine rerumque conuertit notionem, ut in generis quidem sit notius speciei uocabulum, in speciei autem descrip-  tione sit notius generis, quod fieri nequit. si enim generis uocabulum notius est quam speciei, in definitione generis speciei nomine uti non debuit. quodsi speciei nomen facilius intellegitur quam generis, in definitione speciei nomen generis non fuit apponendum. cui quaestioni occurrit dicens :   Nosse autem oportet quod, quoniam et genus ali- cuius est genus et species alicuius est species, idcirco necesse est et in utrorumque rationibus ntrisque uti.    Omnia quaecumque ad aliquid praedicantur, ex his de quibus praedicantur, substantiam sortiuntur; quodsi definitio unius  cuiusque substantiae proprietatem debet ostendere, iure ex alterutro fit descriptio in his quae inuicem referuntur. ergo quoniam genus speciei genus est et substantiam suam et  16—18] Porph. p. 4, 7—9 (Boeth. p. 28, 23—29, 1).   2  post , definitione ( uel  diff-)  CHNPm2  claudit  C  nec concludit  F  3 monstrabat  E  (-bat  ex  -batur?  m2 )  R  5 sit] est  FHN  6 notiorem  FR  8 uelit  FHNPm1  9 conuertit] uidetur conuertere  CHLm2P  genere  R  10  post  quidem  add . descriptione  CFHLN, in mg. Em2, fort. recte  autem] quidem  C  uero  FHNP  11 sit  om. G pr . genus  FH  16 autem  om. Porph . quod  add. edd.; Porph. p. 4, 7   είϊέναι χρή   ότι, έπεί χτλ . 17  pr . est  om. FN, s. l .  Λ ,  ante  alicuius  Σ  idcirco in utrisque necesse est utrorumque rationibus uti  Σ  18 et] hoc  N om .  FPSA S  neutrorumque  Em1  utrasque  Em1  utriusque  Λ  20  post  definitio  add . uel descriptio  CFHNP, s. l. Em2Lm2  22  ante  inuicem  add . ad  CL, s. l. Pm2 , ad se  F, s. l. Rm2  23  ante  substantiam  add . in  FHm1, del. m2 post , et  om. F, s. l. Hm2Sm2   uocabulum genus ab specie sumit, in definitione generis speciei nomen est aduocandum, quoniam uero species id quod est sumit ex genere, nomen generis in speciei descriptione non fuit relinquendum. quoniam uero diuersae sunt specierum  qualitates — aliae enim sunt species, quae et genera esse possunt, aliae, quae in sola speciei | permanent proprietate neque in naturam generis transeunt —, idcirco multiplicem speciei definitionem dedit dicens :  Adsignant ergo et sic speciem : species est quod  ponitur sub genere et de quo genus in eo quod quid sit praedicatur. amplius autem sic quoque : species est quod de pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. sed haec quidem adsignatio specialissimae est et quae solum species est, aliae  uero erunt etiam non specialissimarum. Tribus speciem definitionibus informauit, quarum quidem duae omni speciei conueniunt omnesque quae quolibet modo species appellantur, sua conclusione determinant, tertia uero non ita. cum enim duae sint specierum formae, una quidem,  cum species alicuius aliquando etiam alterius genus esse potest, altera, cum tantum species est neque in formam generis  9—15] Porph. p. 4, 9—14 (Boeth. p. 29, 2—7). 1 genus  om. H generis  FLS  ab  om. F a NR, s. l. Hm2  specie  s. l .  Hm2  species  F  definitionem ( uel  diff-)  FGHP  2  pr . est] fuit  Lm2  ( post  aduocandum)  Pm2 3 descriptione] definitione (uel  diff-)  CFHLm2N  diffinicione uel descripcione P 4 relinquendum] omittendum  FHN  uero  post  sunt  H  8 reddit  FN  9 ergo] uero  PLm2  autem  Σ  et er.  Λ  speciem sic  F  quae  CNR h m1  (quo  m2 )  ΛΣ 10 quo]  EGHLm2Pm1   >  qua  cett . 11 amplius—praedicatur  (13) om. L 12 et  om .  S  ac  EGRS 13  post  praedicatur  add . ut homo equs  (sic)  bos et asinus et cetera  C  14 specialissimae]  ΧΨρ (-me) specialissima  cett. codd. brm ;  Porph. p. 4, 12   aΰτη μέν ή άπόδοσις τού εΐδιχωχάτου άν εΐη  et  om.  FHR, s. l. Pm2, del. Sm2  sola  C  17 omnis  G  18 determinan- tur  Hm2  19  post  ita  s. l . est  Hm2  sint  om. Em1  sunt  CEm2GR   ante  specierum  add . species  Cm1, del. m2  20  post cum  s. l . sit  Lm2 ,  post  aliquando  EP   (del. m1?), post  species  s. l . scil. sit  N   transit, priores quidem duae, illa scilicet in qua dictum est id esse speciem quod sub genere ponitur, et rursus in qua dictum est id esse speciem de quo genus in eo quod quid sit praedicatur, omni speciei conueniunt. id enim tantum hae definitiones monstrant quod sub genere ponitur. nam et ea  quae dicit id esse speciem quod sub genere ponitur. eam uim significat speciei qua refertur ad genus, et ea quae dicit id esse speciem de quo genus in eo quod quid sit praedicatur, eam rursus significat speciei formam quam retinet ex generis PREDICAZIONE idem est autem et poni sub genere et de eo  praedicari genus, sicut idem est supponi generi et ei genus praeponi. quodsi omnis species sub genere collocatur, mani- festum est omnem speciem hoc ambitu descriptionis includi. sed tertia definitio de ea tantum specie loquitur quae numquam genus est et quae solum species restat. haec autem species ea  est quae de differentibus specie minime praedicatur. nam si id habet genus plus ab specie, quod de differentibus specie praedicatur, si qua species praedicetur quidem de subiectis, sed non de specie differentibus, ea solum erit superioris generis species, subiectorum uero non erit genus. igitur PREDICAZIONE ea quam species habet ad subiecta, si talis sit, ut de differen- tibus specie non praedicetur, distinguit eam ab his speciebus  2 ponitur—genere  (5) om. N  rursum CR  3 quo] Schepss  qua codd. et edd.; cf. p. 203, 10  4 praedicaretur  EGLRS  praedicetur  edd . 5 ponuntur  Cm2HN  6 speciem  om. Sm1  species  m2G post  eam  add . tantum  FHNP, s. l. Lm2  7 qua]  CNP  quae  cett . 8 quo]  p Schepss  qua  codd. brm; cf. 3  genus  s. l. Em2, ante add . species  G  praedicetur  FHLm2NP  praedicaretur  S  9 speciei  om. C  10 est  post  autem  E (s. l. m2) R  supponi EFGHLRS 11 generi] genere  CGm1  12 omnes  (sed  collocatur ) ELN  13  post  est  add . autem  CEGL (del. m2) S (del. m2)  15 est  om. EGS, ante  genus  ΗR , fit  L  per- stat  E ( pers  in ras.) HNa.c . 17 habet  ante  plus  FH, post N,  plus  post  habet  L  a  RS  18 si qua species  om. N praedicetur  om. N  praedicatur  Em1HSm2 post  subiectis  add . Species uero differentibus numero  N  19 de  om. N  21 de—non] non differentibus specie  N  22  ante  distinguit  add . sed hanc terciam,  sed del. E, post add . enim,  sed del. RS   quae genera esse possunt et monstrat eam solum speciem esse nec generis PREDICAZIONE tenere. illa igitur tertia descriptio speciei quae magis species ac specialissima dicitur, definitur hoc modo : species est quod de pluribus numero  differentibus in eo quod quid sit PREDICARE -- ut homo PREDICARE enim de CICERONE ac Demosthene et ceteris qui a se, ut dictum est, non specie, sed numero discrepant.  Ex tribus igitur definitionibus duae quidem et specialis- simis et non specialissimis aptae sunt, haec uero tertia solam  ultimam speciem claudit. ut autem id apertius liqueat, rem paulo altius orditur eamque congruis inlustrat exemplis. Planum autem erit quod dicitur hoc modo. in uno quoque praedicamento sunt quaedam generalissima et rursus alia specialissima et inter generalissima et  specialissima sunt alia. est autem generalissimum quidem super quod nullum ultra aliud sit superueniens genus, specialissimum autem, post quod non erit alia inferior species, inter generalissimum autem et spe- cialissimum et genera et species sunt eadem, ad aliud  7 ut dictum est] p. 188, 13 ss. 12—p. 206, 18] Porph. p. 4, 14— 5,1 (Boeth. p. 29, 7—30, 2).   1 et  (s. l. m2)  monstrabat  S  monstratque  FHNP  solam  Sm2  3 speciei] solum species est  N  speciei—species ac] quae  (s. l. m2)  solum * species magisque  (in ras.)  species  H  4 hoc modo  in mg. Hm2   ante  species  add . Dicitur enim  FHP  et differentibus numero  p. 203, 12  6 Cicerone] socrate  N post  ac  add . de  R  8 duae—claudit]  C (om. pr . et)  E (in ras. m2) FH (solum)  LNP  duabus quidem et specialis- simas et non specialissimas species claudit  GR  una quidem et specialis- simam et non specialis ultimam speciem claudit  Sm1, del. et in mg. corr. m2  (apte sunt  post  duae quidem,) 10 id  om. LR  rem  om. EGS, s. l. Pm2, post  orditur  Lm2  12 in uno quoque—solum species  (p. 206, 17) ]  RS Q ,  om. cett . 14 rursum  Γ  et inter—alia  om. RS 15 sunt  om .  T m1, in mg.  scil. sunt ut corpus  m2 , est  ut uid .  Δ  16 super— ultra] ultra quod nullum  RS  ultra nullum  ΓΦ  17 specialissima  R  quod] quam  RS  18 autem  om .  Γ  19  ante  et genera  add . alia  p  alia sunt quae  brm; Porph. p. 4, 19   άλλα, α ν,α'ι  γένη   quidem et ad aliud sumpta. Sit autem in uno PREDICAMENTO manifestum quod dicitur. substantia est quidem et ipsa genus. sub hac autem est corpus, sub corpore uero animatum corpus, sub quo animal, sub animali uero rationale animal, sub quo homo, sub homine uero Socrates et Plato et qui sunt particulares homines. sed horum substantia quidem generalissi-mum est et quod genus sit solum, homo uero specialissimum et quod species solum sit, corpus uero species quidem est substantiae. genus uero corporis animati;  et animatum corpus species quidem est corporis, genus uero animalis. animal autem species quidem est corporis animati, genus uero animalis rationalis, sed rationale animal species quidem est animalis, genus autem hominis, homo uero species quidem est rationalis  animalis, non autem etiam genus particularium hominum, sed solum species. et omne quod ante indiuidua proximum est, species erit solum, non etiam genus.    Praediximus ab Aristotele decem praedicamenta esse dis-  19 Praediximus] p. 151, 12.   1 quidem  post  eadem  R 5  ad  om .  Λ ,  s. l. R T  uno] uno quoque  R A  (quoque  er .)  Φ ,  ad uno  s. l . isto  A m2  2 est quidem]  R ΓΦ  est quiddam ( repet , est  S )  cett . 3 est  post  corpus  S, om .  Φ  5 uero]  RST iI   (s. l. m2)   Φ ,  om .  ΛΛΣΊ   Busse; Porph. p. 4. 23   δέ  6 uero]  codd. nostri, om. Busse; Porph. p. 4, 24   δέ   post , et  om. RS  7 eorum  RS  generalissimum]  codd. PQ (non L) Bussii edd . genera- lissima  codd. nostri; Porph. p. 4, 25   τό γινικώτατον  8 uero  om. R  9  ante  et  add . est  2   pr . specie  R  10 est  om .  2 ,  s. l .  Δ  11 et] sed et  brm, recte ut uid.; Porph. p. 4, 27   αλλά καί  est  om. R  12 animal autem] rursus animal  brm; Porph. p. 4, 28   κάλιν δέ to ζώον  13 uero] ΓΔ   (s. l. m2)   Π*!' ,  om. cett . animalis]  Δ   (s. l. m2)   ΣΊ ’ ( post  ratio- nalis).  om. cett.; Porph. p. 4, 29   γένος δέ τού λογικού ζώου  14 animal— est  om. R  15 autem] uero  RS  16 autem  del .  h m2 genus etiam  R  17 et  om. CEGP  indiuiduum  F  18 est  s. l. E  erit  CGR  solum species erit  LS  erit solum species  E  solum species est  CR  solum speciem non etiam genus esse liquet  G  19 Praedicimus  R, add.  etiam  L   posita, quae idcirco praedicamenta uocauerit, quoniam de ceteris omnibus praedicantur. quicquid uero de alio praedicatur, si non potuerit PREDICAZIONE conuerti, maior est res illa quae PREDCIARE ab ea de qua PREDICARE. itaque haec PREDICAMENTI maxima rerum omnium, quoniam de omnibus PREDICARE sunt. in uno quoque igitur horum PREDICAMENTI quaedam generalissima sunt genera et est longa series specierum atque a maximo decursus ad minima. et illa quidem quae de ceteris PREDICARE ut genera neque ullis aliis supponuntur ut species, generalissima genera nuncupantur, idcirco quia his nullum aliud superponitur genus, infima uero quae de nullis speciebus dicuntur, specialissimae species appellantur, idcirco quoniam integrum cuiuslibet rei uocabulum illa suscipiunt quae pura inmixtaque in ea de qua quaeritur proprietate sunt constituta. at quoniam species id quod species est ex eo habet nomen, quia supponitur generi, ipsa erit simplex species, si ita generi supponatur, ut nullis aliis differentiis praeponatur ut genus. species enim quae sic supponitur alii, ut alii praeponatur, non est simplex species, sed habet quandam generis admixtionem, illa uero species quae ita supponitur generi, ut minime speciebus aliis praeponatur, illa solum spe- cies simplexque est species atque idcirco et maxime species et specialissima nuncupatur. inter genera igitur quae sunt generalissima et species quae specialissimae sunt, in medio  1 uocauit  Lp.c.P  dicuntur  N  3 poterit  CNSm1  res  om. E, sed   ras ., ratio  R  4  post , praedicatur] dicitur  HNP  5 maxime  Em1G a.c . 7 quaedam] quae  CFHN  genera  om. CN, ante  sunt  F  et  om .  CHN  8 maximis  CFHNPm2  11 quia] quoniam  HN  14 inper- mixtaque  Em2HPm2  intermixtaque  NPm1  de qua  s. l. Sm2  de quo  R  quae  E (ex alia uoce) N  15 at] ut  CFN  quod] quoniam  E  16 nomen  om. FN  quia] quoniam  F  17 aliis  om. C  18  ante  alii  add . generi  CL (del. m2), post s. l. P  19 simplex  om. GRS, s. l .  Em2Lm2  22 atque idcirco maxime (-ma  H ) species est (est  om. H )  in mg. Hm1?, s. l. Lm2 ante  species  add . est  P, post C, s. l. Lm2  24 specialissima  EGSm1  sunt  om. EG, s. l. Pm2, post  quae  L   sunt quaedam quae superioribus quidem collata species sunt, inferioribus uero genera. haec subalterna genera nuncupantur, quod ita sunt genera, ut alterum sub altero collocetur. quod igitur genus solum est, id dicitur generalissimum genus, quae uero ita sunt genera, ut esse species possint, uel ita species,  ut sint genera nonnumquam, subalterna genera uel species appellantur. quod uero ita est species, ut alii genus esse non possit, specialissima species dicitur.   His igitur cognitis sumamus PREDICAMENTI unius exemplum, ut ab eo in ceteris quoque PREDICAMENTI atque in  ceteris speciebus in uno filo atque ordine quid eueniat possit agnosci. substantia igitur generalissimum genus est; haec enim de cunctis aliis PREDICARE ac primum huius species duae, corporeum, incorporeum; nam et quod corporeum est, substantia dicitur et item quod incorporeum est, substantia PREDICARE sub corporeo vero animatum atque inanimatum corpus ponitur, sub animato corpore animal ponitur; nam si sensibile adicias animato corpori, animal facis, reliqua uero pars, id est species, continet animatum insensibile corpus. sub animali autem rationale atque inrationale, sub rationali homo  atque deus; nam si rationali mortale subieceris, hominem feceris, si inmortale, deum, deum uero corporeum; hunc enim mundum ueteres deum uocabant et Iouis eum appellatione  1 quidem  om. EG  collata]  FHm1NPm2  collatae  Cm2EGHm2  ( add . e,  sed exters .)  Lm2  collocata  Pm1 collocatae  Cm1Lm1RS (in ras.) sunt species  CLR  2 haec] et  C nominantur  FHNP  3 alterutrum  Ea.r.Pm1  alterutro  Pm2  5 ita  s. l. Em2Lm2, ante  ut  C  6 ut sint—est species  (7) s. l. Em2  9 igitur] ergo  E  11  ante  in  add . ut  Lm2Pm2  uno quoque  Em2H  (quoq.  del. m1 ?)  PRS quod  Ea.c .  GLm2Pm1R  14 duae  om. HN  sunt  add. C,s.l. Pm2, ante  duae  L post pr . corporeum  add . et  C, s. l. Pm2 , atque  FHN  15  ante post . substantia  add . et  ES (del) , ex  R  17 sub animato—ponitur  om. R post . poni- tur] collocatur  FHNP  18 adicies  RS  19 inanimatum  Cm1Lm2NPm2S  (in  s. l. minus cert .),  post add . et  s. l. Pm2  20  post  rationali  add . autem  L  22 feceris  om. GRS, s. l. Em2 , scil. fecisti ( ante  hominem)  s. l. Sm2  constituis  L post  uero  s. l . dico  Lm2, post  corporeum  Sm2  23 deum ueteres  LN   dignati sunt deumque solem ceteraque caelestia corpora, quae animata esse cum Plato, tum plurimus doctorum chorus arbitratus est. sub homine uero indiuidui singularesque homines ut Plato, CATONE, CICERONE et ceteri, quorum numerum pluralitas  infinita non recipit. cuius rei subiecta descriptio sub oculos ponat exemplum substantia corporea incorporea corpus animatum inanimatum animatum corpus sensibile insensibile animal rationale inrationale rationale animal mortale | inmortale homo Plato CICERONE CATONE Superius posita descriptio omnem ordinem a generalissimo usque ad indiuidua praedicationis ostendit. in qua quidem substantia generalissimum dicitur genus, quoniam praeposita est omnibus,  nulli uero ipsa supponitur, et solum genus propter eandem scilicet causam, homo autem species solum, quoniam Plato,  1 dignati sunt] designauerunt  Em2  deum quoque  HLm2P  2 cum] tum  Em2F  platone  Lm2PSm1  tunc  CGLSm1  4 cato  om. C, ante  plato  L , tito  N  5 oculis  CFP  6 ponit  Lm1 figuram supra de- pictam exhibent P (est altera de duabus ipsa quoque a m1 facta, prior minus dilucida est), nisi quod ad pr . animal  add . sensibile  et  rationale  post post . animal  pos., et E, in quo ordo nominum  cato plato cicero  est, simillima est in G, sed extrema pars  homo—Cicero  deest, et in H, nomina tamen  socrates plato cicero  sunt; in S uoces mediae tantum  substantia—homo  extant, sub uoce homo unum nomen est  FVLCO GONCŁ,  (explicare non potuimus); figura deest in CFLNR, in F post ponat exemplum  est  SVBSTANTIA 8 ad  om. H, s. l. Em2  indiuiduum  FLN  in qua] et  E  10 uero] ergo  H   Cato et Cicero, quibus est ipsa praeposita, non differunt specie, sed numero tantum. corporeum uero, quod secundum a substantia collocatur, et species esse probatur et genus, substantiae species, genus animati. at uero animatum genus est animalis, corporei species. est enim animatum genus sensibilis, animatum  uero sensibile animal est; ipsum igitur animatum propter propriam differentiam, quod est sensibile, recte genus esse dicitur animalis. animal uero rationalis genus est et rationale mortalis. cumque rationale mortale nihil sit aliud nisi homo, rationale fit animalis species, hominis genus. homo uero ipse  Platonis, CATONE, CICERONE non erit, ut dictum est, genus, sed est solum species. nec solum differentiae rationalis species est homo, uerum etiam Platonis et CATONE ceterorumque species appellatur, propter diuersam scilicet causam. nam rationalis idcirco est species, quoniam rationale per mortale  atque inmortale diuiditur, cum sit homo mortale. idem nero homo species est Platonis atque ceterorum; forma enim eorum omnium homo erit substantialis atque ultima similitudo est autem communis omnium regula eas esse species specialissimas quae supra sola indiuidua collocantur, ut homo, equus,  coruus — sed non auis; auium enim multae sunt species, sed hae tantum species esse dicuntur —, quorum subiecta ita sibi sunt consimilia, ut substantialem differentiam habere non possint. in omni autem hac dispositione priora genera cum inferioribus coniunguntur, ut posteriores efficiant species; nam  1 Cato] tito  N  et  om. P, s. l. Lm2  5 corporis  FN  enim] autem  CLSm2  6 ipsum  post  igitur  FL (s. l. m2), om. EGRS  propter] praeter  H  7 quae  ER  8  post  rationale  add . est genus  R, s. l . scil. genus  L  11 Catonis  om. CLN  titonis  N ante  Ciceronis  add . et  CFHP  12 species est solum  C  13 catonis et platonis  CL  platonis titonis  N  15  post  rationalis  add . homo  G  16 homo  om. EGLS  17 atque] et  C  eorum enim  E  18 erit] est  FHNP  19  ante  om- nium  add . et  R post  regula  add . est  EG  esse  ante  eas  FNS   (s. l. m2), om. EGR  21 enim] uero  CEGLRS 22 haec  Gm1NR  hee  P  species  om. E  quarum  Em2FSm2  sibi  om. R  24 dis- putatione  F  25 iunguntur  CLm1  coniungantur  m2  efficiunt  Fa.c.Sm1  efficiat  m2   ut sit corpus substantia, cum corporalitate coniungitur et est substantia corporea corpus. item ut sit animatum, corporeum atque substantia animato copulatur et est animatum substantia corporea habens animam. item ut sit sensibile, eidem tria illa  superiora iunguntur nam quod est sensibile, tantum est, quantum substantia corporea animata retinens sensum, quod totum animal est. item superiora omnia rationi iuncta efficiunt rationale postremumque hominem superiora omnia nihilo minus terminant; est enim homo substantia corporea, animata, sensibilis, rationalis, mortalis nos uero definitionem hominis reddimus dicentes animal rationale, mortale, in animali scilicet includentes et substantiam et corporeum et animatum atque sensibile. et in ceteris quidem speciebus atque generibus ad hunc modum uel genera diuiduntur uel species describuntur. Quemadmodum igitur substantia, cum suprema sit, eo quod nihil sit supra eam, genus erat generalissimum, sic et homo, cum sit species post quam non sit alia species neque aliquid eorum quae possunt diuidi, sed solum indiuiduorum — indiuiduum enim est  p. 71   Socrates et Plato —, species erit sola et ultima species  15—p. 212, 18] Porph. p. 5, 1—16 (Boeth. p. 30, 2—20).   4 eadem  H idem  ex  eidem  Lm2  6 retinet  CN  habens  L  7 ratio- nali  Pm2  coniuncta  HL efficiuntur  Ea.r.GS  8 postremoque  CHNP (recte?)  postremum (-mo  L) uero  LS  11  inter mortale  et  in animali  add . quia animal includit[ur] in se et substantiam et corporeum et animatum atque sensibile  R  12 atque] et  H  14 describuntur] dis- tribuuntur  FN  15 cum]  R (sed ante breuis ras.)   fi  quae cum  cett . (quae  del. et in mg. scr . parentesis  5 m2 ); an quae  scribend .? suprema  om. S  summa  G 16 eo quod] et  A a.c . nihil] nullum  N SA  sit  om. F, s. l . Λ , est  post  eam  Λ2  erat]  RSm1  erit  m2F  sit  P  est  cett. codd .  edd. Busse; Porph. p. 5, 2   ήν  17 sic et—species dicitur  (p. 212, 15) ]  RS Q ,  om. cett . et] etiam  RS ΤΦ ,  glossa ut uid. ad  et  in   Π  18 alia] aliqua  RS; add . inferior  ΔΛΠΣ*Ρ   Busse, post  species  Γ ,  om. RS Φ   edd. Porph. p. 5, 3 aliud  R  19  post  diuidi  add . in species  edd., recte ut uid., etiam Bussio placet; Porph. p. 5, 3 χών χέμνεοΟαι ουναμένων εις είδη   post  indiuiduorum  add . species  R  20  post  Plato  add . et hoc album  brm, fort. recte; Porph. p. 5, 4   xat χοοχι χό λεοχόν  solum  R  solam  S   et, ut dictum est, specialissima. quae uero sunt in medio, eorum quidem quae supra ipsa sunt, erunt species, eorum vero quae post ipsa sunt, genera. quare haec quidem habent duas habitudines, eam quae est ad superiora, secundum quam species ipsorum esse  dicuntur, et eam quae est ad posteriora, secundum quam genera ipsorum esse dicuntur. extrema uero unam habent habitudinem. nam et generalissimum ad ea quidem quae posteriora sunt, habet habitudinem, cum genus sit omnium id quod est supremum, eam  uero quae est ad superiora, non habet, cum sit supremum et primum principium, specialissimum autem unam habet habitudinem, eam quae est ad superiora, quorum est species, eam uero quae est ad posteriora, non diuersam habet, sed etiam indiuiduorum species  dicitur, sed species quidem indiuiduorum uelut ea continens, species autem superiorum, uelut quae ab eis contineatur.    2 ipsa  om. R, post  sunt  Γ species erunt  RS; Porph. p. 5, 6   είη αν εϊδη  3 uero—sunt  om. S, s. l . autem quae sunt sub se erunt  m2  uero] autem  RSm2 V<]?}   fort. recte  post ipsa] sub ipsis  R  4 duas habent  ΔΛ2   Busse; Porph. p. 5, 7   έχει Sio σχέσεις  habentes  S  7 dicuntur esse  R  extremae (-me)  Sm1 h m1 A2 m2 b 8 habent unam  Δ  et generalissimum] id quod generalissimum est  RS; Porph. p. 5, 9   το τε γάρ γενιχώτατον  9 habet] habet unam  Δ  10 genus  post  omnium  R, post  sit  S Σ  id] hic  R  ea  R  11  post  uero  add . habitudi- nem  Γ  non habet  hic om., post  principium  add . non habet habitudi- nem  R, add . et (ut diximus) supra quod non est aliud superueniens genus  edd. cum Porph. p. 5,12  12  ante  specialissimum  add . et  brm   Busse, fort. recte, om. codd. (etiam LPQ Bussii); Porph. p. 5, 12   «ύ τί> είδιχώτατον δέ  specialissimam  R T m1  specialissima  S  autem] etiam  brm  13 eam  om. RS  14 posteriora] inferiora  RS 511 ,  recte ? 15 non diuersam]  Sm1 edd . quorum diuersam  A m1  non ( del. uel om . diuersam,)  Sm2 A m2   et cett. Busse; Porph. p. 5, 14 oi% άλλοίαν  species dicitur—indiuiduorum  om. FHN , sed—indiuiduorum  om. CT  16 qui- dem  om .  Σ ,  post add . dicitur  edd.; codd. quidam Porph. p. 5,15   λέγεται eam  N 17  post continens  add . est  Σ autem] uero  L 18 his  NR  illis  F  contineantur  CEm2H  continetur  N Ω  ( sed corr .  K m2 ,  ex  -entur  II m2 )   Ex proportione speciei nomen et generis ostendit. nam ut genus, quoniam non habet genus supra se, generalissimum genus dicitur, ut substantia, ita species, quoniam non habet sub se speciem, sed indiuidua, specialissima species dicitur,  ut homo. quid est autem species non habere? his praeesse quae neque in dissimilia diuidi possunt, ut genera diuiduntur, neque in similia secantur, ut species. quae uero inter genera generalissima speciesque specialissimas constituta sunt, ea et species et genera nuncupantur, quoniam et ipsa aliis supponuntur et his alia subiciuntur, quorum uel in dissimilia uel in similia possit esse partitio. cumque duae sint habitudines et quasi comparationes oppositae, quae in omnibus generibus speciebusque uersentur, una quidem quae ad superiora respi- ciat, ut specierum, quae suis generibus supponuntur, alia  uero quae ad inferiora, ut generum, cum speciebus propriis praeponuntur, generalissima quidem genera unam tantum retinent habitudinem, eam scilicet quae inferiora complectitur, illam uero quae ad praeposita comparatur, non habent. generalissimum enim genus nulli supponitur. item species specialissima unam possidet habitudinem, per quam scilicet ad sola genera comparatur, illam uero quae ad inferiora committitur, non habet; nullis enim speciebus ipsa praeponitur. at uero quae subalterna sunt genera, utraque habitudine funguntur.  1 propositione  FPm1  et  om. N, del. Sm2 , etiam  FL  2 super  F  se  om. CN, s, l. Lm2  4 species specialissima  FHN  5 speciem  Lm2 post  habere  add . nisi ( ex 2 al. litt. m2 )  L  hoc est  N  id est  R, inseruit   Pm1?  6 possint  ESm2  7  ante  neque  add . sed  P, del. m1?, s. l· Lm2  quae—constituta] specialissimae constitutae,  cet. om. EGRS  8 ea et] illae (illa  L ) uero  EGLRS  9 et  om. FP  quoniam] quae  EGLm1R subponantur  S  10 subiciantur  S pr . uel  om. EGR, s. l. Lm2  uel in similia  om. EGRS  11 possint  EGLm1S  possunt  R  paratio  Cm1  partitiones  EGLa.r.RS  cumque—comparationes  om. EGRS, in mg. Lm2  duo  Cm1 sunt  NPa.c. 12 subpositae  CHm1Lm1N, om. F 13 uersantur  EGL  16 una  Cm1  retinent  ante  tantum  H  retinet  R  habent  N  18 illam—comparatur  (21) om. S habet  G, m1 in CEH  19 genus enim  H  nullis  F  23 quae] illa quae  F  utramque habitudinem  G   nam et illam possident quae ad superiora respicit, quoniam quae subalterna sunt, habent superpositum genus, et illam quae de inferioribus PREICARE; habent enim subalterna genera suppositas species, ut corporeum ad substantiam quidem eam retinet habitudinem qua potest poni sub genere, ad ani-  matum uero eam qua potest de specie praedicari. specialis- simae uero species licet ipsae indiuiduis praeponantur, tamen praepositi habitudinem non habebunt, idcirco quoniam illa quae speciei ultimae supponuntur, talia sunt, ut quantum ad substantiam unum quiddam sint non habentia substantialem  differentiam, sed accidentibus efficitur, ut numero saltem distare uideantur, ut paene dici possit et pluribus praeesse speciem et quodammodo nulli omnino esse praepositam. nam cum species substantiam monstret unam, quae omnium indi- uiduorum sub specie positorum substantia sit, quodammodo  nulli praeposita est, si ad substantiam quis uelit aspicere. at si accidentia quis consideret, plures de quibus PREDICARE species fiunt, non substantiae diuersitate, sed accidentium multitudine. itaque fit ut genus quidem semper plurimas sub  1  ad  illam  et  quae  s. l . ał illud  et  ał quod  L  ad  om. CGHLPS  quoniam quae] quantum que  S  2  post  sunt  add . genera  P, s. l. Lm2  3 praedicantur  Hm1Sm1  4 superpositas  Hm1  5 qu * a (i  er .)  C  poni potest  E  6 quae  EHm1LPN specie] speciebus  R  7 prae- ponuntur  Hm1Pm1  8 subpositi  E  habent  EP  habebit  Gm2  9 ul- tima  EGLm1S  ad substantiam] substantia  F  10 quidem  GLm2S  non] nec  FHLm2NP habentia]  Em2  habentes  CEm1GL  (es  ex al. litt. m2 )  PS  habentem  R  habent  FHN  11  post  sed  s. l . scii, ex  Hm1?  accidentibus  del. et s. l . ał accidentalem  Hm2 uel al ., acci- dentalem,  s. l . ał accidentibus  Lm1, s. l . Nam accidentibus  m2  saltim  Lm2NPR  12 possint  EFGLRS  et] nec  F, m1 in HLN  13 species  EGL  ( es in er . em?  m2 )  Pm1RS  esse  om. FHN  praepositae  EGLRSm2 (-tum  m1 ) nam cum—praeposita est  (16) in sup. mg. Lm2  14 monstraret  HPm1  monstrat  RS unam, quae]  S  unaque  CFHNP  ( ras. ex  -que) unam quamque  EGR  unam *  L 15 substantiae  GLR  sit  s. l. ante  substantia  Pm2, om. EGLR , est  S ante  quodammodo add.  fit HN, post  nulli  C, om . est (16)  CHN  16 ad  om. EGPRS  17 ac  GR  praedicatur  EGLRS   se habeat species; de differentibus enim specie PREDICARE, differentia uero nisi pluralitati non conuenit. at uero species etiam uni aliquando indiuiduo praeesse potest. si enim unus, ut perhibetur, est phoenix, phoenicis species de uno tantum  indiuiduo PREDICARE; solis etiam species unum solem intellegitur habere subiectum. ita nullam multitudinem species per se continet, cum etiam si unum sit tantum indiuiduum, speciei tamen non pereat intellectus; quibusdam enim suis quasi similibus partibus praeest. ut si aeris uirgulam diuidas,  secundum id quod aes dicitur, idem et partes esse intellegitur et totum. idcirco dictum est speciem, licet sit indiuiduis praeposita, unam tamen habitudinem possidere, unam scilicet qua species est. quoniam enim praepositis subditur, species nuncupatur, et est superiorum species tamquam subiecta  inferiorum quoque species, idcirco quoniam eorum substantiam monstrat. speciem uero substantiam nuncupamus, nec ita est species substantia indiuiduorum, quemadmodum speciei genus; illud enim pars substantiae est, ut animalis homo reliquae enim partes rationale sunt atque mortale, homo uero Socratis  atque CICERONE tota substantia est; nulla enim additur differentia substantialis ad hominem, ut Socrates fiat aut Cicero,  1 de differentibus enim] quod de differentibus  CL  2 ni  C  4 est  post  unus  FHP, post  phoenix  N  5 solem]  EGPpr  solum  cett. codd .  bm; cf. p. 218. 3. 219, 17 . 7 cum  om. S  ut  CFN  tantum  om .  ENRS; cf.p. 219,11 post indiuiduum  add . unius generis  G  8 tamen  om. C  perit  Sm2, add . sensus et  F  9  post  uirgulam  add . in partes suas (suas partes  P ) id est (id est  om. F ) aeneas particulas (particulas  om. F , aeneas uirgulas,  sed del. L )  CFHLN, in mg. Pm2  10 in- telliguntur  H  12 possidet  FN  unam] illam  L  eam unam  F  13  ante  qua  s. l . in  Sm2  14 nuncupatur] nominatur  FHN  16 demonstrat CEGLP  est  om. S, post  species  in ras. N , esset  F  17 substantia (ia  ex  ie  F )  ante  species  FNa.c.RS, post  indiuiduorum  C  18 ani- malis homo]  EGLm1  homo animalis  Sm2P  animal hominis  CLm2Sm1  hominis animal  FH  (inis  in ras. m2 et post  animal  2 litt. er .)  NR  19 etenim  R  sunt  om. EGR post  mortale  add . adduntur ( om. N ) animali ad diffiniendam substantiam hominis  N edd . uero  om. CFGLRS   sicut additur animali rationale atque mortale, ut homo integra definitione claudatur. idcirco igitur species specialissima tantum species est atque hanc solam possidet habitudinem ad superiora quidem, quoniam ab his continetur, ad inferiora uero, quoniam eorum substantiam format et continet. Determinant ergo generalissimum ita, quod cum genus sit, non est species, et rursus, supra quod non erit aliud superueniens genus, specialissimum uero, quod cum sit species, non est genus et quod cum sit species, numquam diuiditur in species et quod de  pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. ea uero quae in medio sunt extremorum, subalterna uocant genera et species, et unum quodque ipsorum speciem esse et genus ponunt, ad aliud quidem et ad aliud sumpta. ea uero quae sunt ante specialissima usque ad generalissimum ascendentia, et genera dicuntur et species et subalterna genera, ut Agamemnon Atrides et Pelopides et Tantalides et ultimum Iouis. Posteaquam naturam generum ac specierum diuersitatemque  monstrauit, eorum ordinem definitionis descriptionisque com- memorat. ac primum quidem generalissimi generis terminum  6-19] Porph. p. 5, 17—6, 3 (Boeth. p. 30, 21—31, 7).   1 rationalis atque mortalis  N  3 possidet] optinet  P  6  post  deter- minant  add . philosophi  C  ergo  om. CN  enim  EGLm1 <t> p.c.;   Porph. p. 5, 17   τοίνον  ita  om. CGHP, s. l. Em2 A m2  quod] quoniam  S  7 sit genus  NR  et rursus—genera ut  (17) ]  LRS ii ,  om. cett . rursum  S  8 erit]  LRS T est  cett.; Porph. p. 5, 18   οΰχ αν ειη  9  pr . quod] quae  S h a.c . post. quod—et quod  (10) om. L  10 diuidatur  S  11 et] et de  L  13 uocant]  Λ2Φ  uocantur  cett. edd. Busse; Porph. p. 5, 21   χολοΰσι 14 ipso eorum  S  speciem]  Brandt  species  codd. Busse  ponunt]  A m2 U m2 ,  e coni. scr. Busse , ponuntur  T m1  possunt  m2   cum   cett .; species esse potest et genus  edd.; Porph. p. 5, 22   xal έχαοτον αδτών είδος είναι xal γένος τίθενται  17  post , et  om. R  ut  om. FS  18 et  om. CEG pelides  F post . et  om. C  19 ultimo  F  20 Post ** quam  CL  diuersitatem  GLm1R , -que  in ras. E, er. P   inducit, id esse generalissimum genus quod cum ipsum genus sit, non habet superpositum genus, hoc est speciem non esse, et rursus, supra quod non erit aliud superueniens genus. si enim haberet aliud genus, minime ipsum generalissimum  uocaretur. specialissima uero species hoc modo : quod cum sit species, non est genus, ex opposito, quoniam opposita ex oppositis describuntur interdum. nam quoniam praepositio opposita est suppositioni, genus autem praeponitur, species uero sup- ponitur, si idcirco erit primum genus, quia ita superponitur,  ut minime supponatur, idcirco erit ultima species, quia ita supponitur, ut praeponi non possit, oppositorum igitur recte ex oppositis facta est definitio. Est alia rursus descriptio : quod cum sit species, numquam diuidatur in species, id est genus esse non possit. si enim omne genus specierum  genus est, si quid non diuiditur in species, genus esse non poterit. Est rursus alia definitio : quod de pluribus et differentibus numero in eo quod quid sit praedicatur. de qua definitione saepe est superius demonstratum. nunc  18 saepe superius] p. 188, 12. 190, 11 ss. 203, 11. 205, 4.   1 inducit]  RSm1  indicit  Em1  indicat  GLa.c.  dicit  CEm2FHLp.c.   NPSm2  inducit dicens  brm  indicat dicens  p  id  om. EGRS, s. l. Lm2  3 non  om. EGRS, s. l. Lm2  superueniens  om. EGRS, s. l. Lm2  si—genus  om. EGRS, in mg. sup. Lm2  5 uocetur  EGLm1Sm2; post   inlatus est locus p. 219,14—220, 3  quoniam ridere—exemplam  in EGL,  quoniam irridere  (sic) —praedicatur  p. 219, 15 (qui locus tamen infra quoque extat) in S  specialissima—idcirco erit  (10) in ras. C post  modo  add.  describitur  edd.  6 opposito] opposita  F  opposito est  H; post   add.  Quia sicut genus (genus  in mg. F ) generalissimum est cui non aliud genus superponitur, ita et species specialissima nuncupatur, cui alia species non subponitur (superponitur  F ) et utrumque ex opposito dicitur alterius sicut pater ex opposito dicitur filii  F, in inf, mg. cum nota  d(esunt) h(aec)  Hm1?  opposita  om. EGR, s. l. Sm2  7 quoniam  om. EN  9 si  er. E  sed  La.c, Pm2  11  ante  ut  add.  rursus  RS  ut praeponi non possit] ut minime praeponatur  CFHN (in mg. add. m2)  oppositorum  om. EGLRS  recte  om. C  13 quod]  Lm1 edd.  quae  cett.   ante  numquam  add.  quae  CGHm1, del. m2  diuiditur  CLRSm1  14 est  om. C  possit] posse  CFN  potest  edd . 16 potest  EGLRS  Est] et  FHNS  et  om. N   illud attendendum est. si, ut paulo superius dictum est, speciei unum indiuiduum potest esse subiectum, ut phoenici atomum suum, ut soli corpus hoc lucidum, ut mundo uel lunae, quorum species singulis suis indiuiduis superponuntur, qui conuenit dicere speciem esse quae de pluribus numero differentibus in  eo quod quid sit praedicatur? sunt enim quaedam quae de numero differentibus minime dicuntur, ut phoenix, sol, luna, mundus. sed de his illa ratio est de qua etiam superius pauca reddidimus, quae paululum inflexa commodissime nodum quaestionis absoluit. | omnia enim quae sub speciebus specialissimis  sunt, siue infinita sint siue finito numero constituta siue ad singularitatem deducantur, dum est aliquod indiuiduum, semper species permanebit neque indiuiduorum deminutione, dum quodlibet unum maneat, species consumitur. ut enim dictum est, tametsi plura sint indiuidua, substantiales differentias non  habebunt. id uero in genere dici non conuenit, quod his praeest quae substantiali a se differentia disgregata sunt; praeest enim speciebus quae diuersis differentiis informantur.  1 paulo superius. 8 superius] p. 215, 2 ss.   1 est  om. G, s. l. Lm1  si, ut] sicut  FGPSm1  sic  La.c. supra  RS  3 suam  S  solis  F  mundi  FR, add.  hoc inane spacium  s. l.   Lm2, post  lunae  in mg.  et hoc immane spacium quod uidemus  P  quo- rum] quae  Lm1  4 indiuiduis  om. EGRS post superponuntur  add . quod si ita est ut species de uno quolibet indiuiduo praedicetur (praedicatur  P ) ut de phoenice (phe-  P )  P edd.  qui] quomodo  Hm2LP  6 praedicetur  L  8 mundus  om. EGRS, s. l. Lm2  illa his  EG  ratio est  om. EG  9 paulum  N  inplexa ( uel  im-) EHm1LP  nodum  ras. ex  modum  EN  10 sub] suis  EGS  in suis  R  specialissima  GPm1RS  11 sint] sunt  CHa.c.Lm1R  finita  CHm2N  12 deducuntur  Lm2R  adducuntur  P, add.  ut fenix uel sol  R  aliquid  FL  semper—deminutione  om. EGRS, in mg. Lm2  semper s. l.  Pm1?, post species  N, om. L (m2)  13 deminutione]  C  diminutione  cett.  dum  om. S  si  EGLm1R  14  ante consumitur  add.  non  EGL   (del. m2) RS  ut] quod  EGLRS  15 tamenetsi  G  tamen si  RS  sunt  F ante  substantiales  add.  si  G, s. l. Sm2, ras. in E  16 id uero  om. EG  quod  L  idcirco id  R  id circo  Sm1 , circo  del. m2  18  ante  speciebus  s. l.  genus  E   si igitur earum una perierit et ad unitatem speciei reducta sit ratio, genus esse non poterit, quia de differentibus specie praedicatur. non ita in speciebus. si enim omnium indiuidu- orum natura consumpta sit et ad unius singularitatem indiuidui superpositae speciei praedicatio peruenerit, est tamen species ac permanet. talia enim sunt illa quae pereunt ac desunt, quale est id quod permansit et subiacet. quod uero dicimus de pluribus numero differentibus speciem praedicari, duobus id recte explicabitur modis, uno quidem, quia multo  plures sunt species quae de numerosis indiuiduis praedicantur, quam hae quibus unum tantum indiuiduum uidetur esse sup- positum, dehinc hoc, quia multa secundum potestatem dicuntur, cum actu non semper ita sint, ut risibilis homo dicitur, etiamsi minime rideat, quoniam ridere potest. ita igitur species  de numero differentibus praedicatur; nihilo enim minus phoenix de pluribus phoenicibus PREDICARE, si plures essent, quam nunc, quando unus esse perhibetur. item solis species de hoc uno sole quem nouimus, nunc dicitur, at si animo plures soles et cogitatione fingantur, nihilo minus de pluribus solibus  indiuiduis nomen solis quam de hoc uno praedicabitur. idcirco igitur species de pluribus numero differentibus dicitur praedicari, cum sint aliquae quae de singulis indiuiduis appellentur. Illa uero quae subalterna uocantur ita definiri queunt : subalternum  1 eorum  EFGLm1RS  redacta  EGLPm2RS edd.  2 de  om. E  3 si enim] nam si  EGLRS  5 suppositae  LNR  superposita  S  uene- rit  EGLRS  6 alia  EGLa.c.RS ante  sunt  s. l.  non  E  7 quale] quam  EGLa.c.RS  et] ac  CFHNP  8 de numero pluribus  Ca.c.  numero de pluribus  p.c.  9 excusatur  EGLRS  quidem uno  EG  multo  om. FN, s. l. H  11 hae  om. ER  hee  C  eae  H  ea  N ante  qui- bus  add.  e  CR, er. uid. E  tantum  om. S  suppositum esse  RS  12 dehinc] deinde  EGLRS  hoc  om. FHNS  13 semper  om. CFH  14 etiamsi—praedicatur  om. F de loco  quoniam ridere  eqs. in EGLS   cf. ad p. 217 , 5 igitur] etiam  E  15 nihil  EGLPRS  16 phoenicibus  om. F 17 ita (a  in ras. m2) E  hoc  om. S, post  uno  F  18 ac  EGR ante  animo  s. l.  in  Pm2  19 cogitationes  Ca.c.F ante  de  add.  enim  EG  20 praedicatur  EGLRS  22 appellantur  FHN   genus est quod et genus esse poterit et species, ad eumque modum est ut in familiis, quae procreant et procreantur, ut etiam subiectum monstrat exemplum : ut Agamemnon Atri- des et Pelopides et Tantalides et ultimum Iouis. Atreus enim Pelopis filius tamquam eiusdem species quasi  Agamemnonis genus est. item Agamemnon Pelopides et Tan- talides, cum Pelops ad Tantalum comparatus Tantalusque ad Iouem quasi species itemque Tantalus ad Pelopem, Pelops ad Atreum tamquam genera esse uideantur, cum Iuppiter ueluti sit horum generalissimum genus.   Sed in familiis quidem plerumque ad unum redu- cuntur principium, uerbi gratia ad Iouem, in generibus autem et speciebus non se sic habet. neque enim est commune unum genus omnium ens nec omnia eiusdem generis sunt secundum unum supremum genus, quem-  admodum dicit Aristoteles. sed sint posita, quemad-  11-221, 7] Porph. p. 6, 3—11 (Boeth. p. 31, 7—17). 16 Ari- stoteles] Metaph. II, 3, p. 998 b , 22.   1 et  om. RS  et genus  om. EG  ad—ut]  CG ( ut  om.) Hm2  ad eumque  ( et ad eum  N)  modum sunt ut  Hm1N  ad eumque  ( eum que *   L  eundem  Pm2 ) modum qui  (s. l. Lm2, part. in ras. Pm2)  est  (s. l. Pm2)   LP  ad eum modum qui est  EFR  ad eum  ( eum  del. m2, post  que eu  er.)  modum,  in ras. quae est  m2 S  4 et Tantalides—Iouis]  Lm2Pm2   (om.  et Tantalides ) R edd., post  species  (5) Lm1S, om. cett.  5 quasi] quae si  Sm1, del. m2, ante add.  et  F, s. l. Pm2 , est  R  6 Agamem- nonis] tamen his  ( is  R) EGLm1R  tamen non his  Sm1, del. m2  genus est  del. Sm2  est  om. P ante  Pelopides  add.  non  E  atrides non  ( non  del. m2) L  7 comparatus]  (s  in ras. m2) H comparatur  (cõ-) cett  Tantalusque] ut tantalus quae  G  8 idemque CP  idem N  9 Atreum] creontum EG creontem Lm1 tareontum S tamquam] quasi  EGLR  quae  S  uelut  HP  11 reducuntur  ante  ad  N, post  reducuntur  add.  omnes  L, s. l. Pm2;  reducunt  coni. Busse; cf. p. 224, 19  reduci;  Porph.   p. 6, 3   άναγουοι  12 ad  om. EGRS A  13 speciebus] in speciebus  R  sic se  ΝΣ  habetur  EG  neque—dicerentur  (p. 221, 5) ]  RS Q ,  om.   cett.  enim  om. R  14 neque  Busse  15 sunt generis  Γ  16 sunt  \ m2 2 ;  Porph. p. 6, 6   χείοθ·ω  quemadmodum  om. S, add.  dictum est  edd., idem post  Praedicamentis  h m2 W m2   (cf. p. 224, 19); om. Porph. p. 6, 7   modum in PREDICAMENTI, prima X genera quasi prima X principia; uel si omnia quis entia vocet, aequiuoce, inquit, nuncupabit, non uniuoce si enim unum esset commune omnium genus ens, uniuoce  entia dicerentur; cum uero X sint prima, communio secundum nomen est solum, non etiam secundum rationem, quae secundum nomen est. Cum de subalternis generibus diceret, familiae cuiusdam posuit exemplum, quae ab Agamemnone peruenit ad Iouem,  quem quidem pro numinis reuerentia ultimum posuit. quantum enim ad ueteres theologos, refertur Iuppiter ad Saturnum, Saturnus ad Caelum, Caelus uero ad antiquissimum Ophionem ducitur, cuius Ophionis nullum principium est. ne igitur quod in familiis est, id in rebus quoque esse credatur, ut res omnes  possint ad unum sui nominis redire principium, idcirco deter- minat hoc in generibus ac speciebus esse non posse; neque enim sicut familiae cuiuslibet, ita etiam omnium rerum unum esse principium potest. fuere enim qui hac opinione tenerentur, ut rerum omnium quae sunt unum putarent esse genus quod  ens nuncupant, | tractum ab eo quod dicimus ‘est’; omnia enim  p. 74   3 inquit] sententia, non uerba Aristotelis.   1 quasi  in ras.   Σ  sic  A m1  sicut  Ψ  2 prima  om.   Γ ,  post  decem  Π  2 uocat  A m1 II  3 nuncupauit  S, in ras. ex  -bit  Γ  4 genus omnium  Busse  entia uniuoce  R post  uniuoce  add.  omnia  edd. cum Porph.   p. 6, 9   πάντα  5 uero] autem  Γ  enim  ΔΔΣΦ ;  Porph. p. 6, 10   δέ sunt  FH  prima] principia  Lm1  prima genera  m2P  (genera  s. l. m2 ), prima principia  N ΓΣ  7  ante  rationem ( ante  nomen  E )  add.  definitionis ( uel  diff-)  ELRS Q ,  om. Porph. p. 6, 11  quam  E post  est  add . solum  CHN  8 Cum] Quoniam  CLm1NS  Quoniam  (del. m2)  cum  H  di- cens  CLm1N  dicit  in ras. S  cuius  Pm1  cuiusque  F  eiusdem  R  9 ponit  Sm2  ab  om. F, s. l. Gm2  10 nominis  EGLS  nomini  R  11 ad ueteres] aduertere  Sm1  aduertisse  CEFGLm2P  aduertit se  R referantur  Hm1N  12 caelium ( uel  ce-)  LPm2RS  zethum  F  zechum  N  Caelus] Hm2  caelius ( uel ce-)  LPm2Sm2  celium  R  caelum  CEGHm1Pm1Sm1  zetus  F  zehus  N  othionem  F  ( sed ophionis) 14 esse ( Pm2  est  m1 ) quoque  FHNP  15  ante  sui  exters. uid.  proprii  E  17 familia  H 19 ut] et  Fa.c.S  ut et  N  20 est] esse  S   sunt et de omnibus esse PREDICARE itaque et I SBVBSTANTIA est et II QVALITAS est itemque III QVANTITAS ceteraque esse dicuntur; nec de his aliquid tractaretur, nisi haec quae PREDICAMENTI dicuntur, esse constaret. quae cum ita sint, ultimum omnium genus ens esse posuerunt, scilicet quod de omnibus PREDICARE ab eo autem quod dicimus est participium inflectentes Graeco quidem sermone  Sv  Latine ens appellauerunt. sed Aristoteles sapientissimus rerum cognitor reclamat huic sententiae nec ad unum res omnes putat duci posse primordium, sed X esse genera in rebus, quae cum a semet ipsis diversa sint,  tum ad nullum commune principium reducantur. haec autem X genera statuit I SVBSTANTIA II QVALITAS III QVANTITAS IV AD ALIQVID V VBI VI QVANDO VII SITVM VIII FACERE IX PATI X HABERE quod uero occurrebat quoniam de his omnibus esse PREDICARE — omnia enim quae superius enumerata sunt genera, esse dicuntur —,  ita discussit ac reppulit dicens non omne commune nomen communem etiam formare substantiam nec ex eo debere genus esse commune arbitrari, quod de aliquibus nomen commune PREDICARE quibus enim definitio communis nominis convenit, illa communis nominis iure species iudicabuntur et communi illo vocabulo uniuoce PREDICARE quibus uero non convenit, vox his communis tantum est, nulla uero substantia. id autem manifestius declaratur exemplis hoc modo. animal hominis atque equi genus esse PREDICARE; demus igitur  1  post.  et  om. EGRS, s. l. Lm2  2 cetera  C  3 de] in  GLm1RS  5 esse  om. EGRS, s. l. Lm2  6 autem  s. l. L  enim  C  est] esse  FS  principium  EG, m1 in LPS  inflectentes  post  quidem  N  7 quidem  ante  Graeco  R ante  sermone  add.  de  P, s. l. L post  Latine add. autem  FHN, s. l. Pm2  8 prudentissimus  FNP  rerum] principiorum EGLm1Pm1RS  9 omnes  ante  res  C, om. EGRS, s. l. Lm2  dici  FGm1Pm2  10 ad  FHNRm1 ipso  Em1GPm1S  ipsa  FHN  ipsos  Rm1  sunt  CLm1R edd.  11 reducuntur  EFGLm2RPm1S  15 nu- merata  CEGL  innumerata  S  16 repulit  CEFHRP  17 eo debere] eodem uere (e re  add. S )  EGSm1  18  post  arbitrari  add.  debet  E  19 praedicatur  E  praedicetur  FHNP  nominis communis  FN  22 his uox  FHNP  23 manifestis  FLp.c.  24 praedicatur  S  dicamus  CHN   animalis definitionem, quae est substantia animata sensibilis; hanc si ad hominem reducamus, erit homo substantia animata sensibilis, nec ulla falsitate definitio maculatur. rursus si ad equum, erit equus substantia animata sensibilis; id quoque  uerum est. conuenit igitur haec definitio et animali, quod commune est homini atque equo, et eidem equo atque homini, quae species ponuntur animalis. ex quo fit ut homo atque equus utraque animalia uniuoce nuncupentur. at si quis hominem pictum hominemque uiuum communi animalis nomine nuncu-  pauerit, definiat si libet animal hoc modo, substantiam animatam esse atque sensibilem. sed haec definitio ei quidem homini qui uiuus est conuenit, ei uero qui pictus est, minime; neque enim est animata substantia. igitur homini uiuo atque picto, quibus communis nominis definitio, id est animalis,  non potest conuenire, non est animal commune genus, sed tantum commune uocabulum diciturque hoc nomen animalis in uiuo homine atque picto non genus, sed uox plura significans; uox autem plura significans aequiuoca nuncupatur, sicut uox ea quae genus ostendit, uniuoca dicitur. itaque id quod  dicitur ens, etsi de omnibus dicitur PREDICAMENTI quoniam tamen nulla eius definitio inueniri potest quae omnibus PREDICAMENTI possit aptari, idcirco non dicitur uniuoce de prae- dicamentis, id est ut genus, sed aequiuoce, id est ut uox plura significans. Conuincitur etiam hac quoque ratione id  quod dicimus, ens PREDICAMENTI genus esse non posse.  2 hanc] uel hanc  E  3 facultate  Em1  4 equus] equi  CFPm2  5 definitio ( uel  diff-) haec  FHN  6 homini] et homini  CNP  atque] et,  FHNPR  eidem]  CEm2FH a.r.NPR  idem  Em1GHp.r.Lm1S  eadem  Lm2brm  ea eidem  p  8 animalis  EGLa.c.  una uoce  E  nun- cupantur  C  nominentur  FHN  9 uiuum] uerum  EGLm1PRS 10 si libet] scilicet  CHm1N  animal  om. E  12 uero]  FHP, om. S , quidem  cett.  13 est  post substantia  LP  16 dicitur quae  Em1Sm1  dicitur quod  LSm2  dicitur quia  CFN  17 genus] genus est  FN  uox—significans  om.   CEGP, s. l. Lm2Sm2  18 autem] enim  RS ante  aequiuoca  add. quae  CEGP  nuncupantur  GS  19 ita  ELm1  23 id est  om. CFN  ut genus  om. F  24 quoque  om. N   unius enim rei duo genera esse non possunt, nisi alterum alteri subiciatur, ut hominis genus est animal atque animatum, cum animal animato uelut species supponatur. at si duo sint sibimet ita aequalia, ut numquam alterum alteri supponatur, haec utraque eiusdem speciei genera esse non possunt. ens  igitur atque unum neutrum neutri supponitur; neque enim unius dicere possumus genus ens nec eius quod dicimus ens, unum. nam quod dicimus ens, unum est et quod unum dicitur, ens est; genus autem et species sibi minime conuertuntur. si igitur PREDICARE ens de omnibus PREDICAMENTI PREDICARE etiam unum. nam I SBVSTANTIA unum est, II QVALITAS unum est, III QVANTITAS unum est ceteraque ad hunc modum. si igitur, quoniam esse de omnibus PREDICARE, omnium genus erit, et unum, quoniam de omnibus PREDICARE, erit omnium genus. sed unum atque ens, ut demonstratum est, minime alterum  alteri praeponitur; duo igitur aequalia singulorum PREDICAMENTI genera sunt, quod fieri non potest. cum haec igitur ita sint, id Porphyrius determinauit dicens non ita in rebus, ut in familiis omnia ad unum principium posse reduci nec omnium rerum commune esse genus posse, ut Aristoteli placet; sed sint posita, inquit, quemadmodum in PREDICAMENTI dictum est, prima X ge|nera quasi X prima principia, scilicet ut nulla interim ratio perquiratur, sed auctoritati Aristotelis concedentes haec decem genera nulli  3 ac  R  sint  post  aequalia  pos. RS, repet. FL (s. l. m2) P  4 sibi- metque  ( quae  F) FLm2Pm1  ita  s. l. Lm2  5  ante  haec  add . aequa  C ,  sed del . eidem  Pm2  eius  S  6 neutris  Em1  8  pr . unum  post  nec,  om .  post  ens  H  dicitur  om. S dicimus  Rbrm  13 esse] ens  Lm2P   post  omnibus  add . his  CP, in mg. Hm2, add . praedicamentis  (s. l. m2)  his  L post  erit  add . ens  CHN  et unum—omnium genus  om. R  15 sed] si  in ras. Em2 ut  om. FH  16 praeponi  FH  17 hoc  Ea.c. edd . 18 sit  edd . 19 deduci  LS  duci  Em1  20 genus  ante esse  CFN, post  posse  S  poterit  F  21 sint]  FHm1  sunt  cett . 23 prima  om. N, post  principia  R  ut  om. EGS  24 auctoritate  Em1Hm1  ad auctoritatem  FN  accedentes  CFNS   alii generi esse credamus subiecta, quae si quis entia nuncupat, aequiuoce nuncupabit, non uniuoce; neque enim una eorum omnium secundum commune nomen definitio poterit adhiberi. quae res facit, ut non uniuoce de his aliquid PREDICARE si  enim uniuoce PREDICARE genus esset eorum commune nomen quod de omnibus PREDICARE; at si genus esset, definitio generis conueniret in species. quod quia non fit, commune his id quod dicimus ens, uocabulum est uocis significatione, non ratione substantiae X quidem generalissima sunt, specialissima uero in numero quidem quodam sunt, non tamen infinito, indiuidua autem quae sunt post specialissima, infinita sunt. quapropter usque ad specialissima a generalissimis descendentem iubet Plato quiescere,  descendere autem per media diuidentem specificis differentiis; infinita, inquit, relinquenda sunt; neque enim horum posse fieri disciplinam.    10—17] Porph. p. 6, 11—16 (Boeth. p. 31, 17—32, 1). 14 Plato] Phileb. p. 16 C. Polit, p. 262 A—C. Sophist. p. 266 A. B adfert Busse.   1 entia nuncupat]  ERS  (-pet), etiam entia nuncupat  N  ab ens entia nuncupat (-pet  Lm2 )  CGL  etiam nuncupat (nuncupat  post  ens  P ) ab ens entia  HP entia nuncupat ens  F  2 nuncupabit (-uit  FHN )  post  uniuoce  FHNP , nuntiauit  S  unam—definitionem ( uel  diff-) poterit adhibere  FHN  3 nomen  ex  non  Em2G  5 esse  Hm1, add . ens  s. l .  L, ante  esset  P  eorum  om. CN, post  commune  L  6 nomen  in   mg. Hm2, del. Lm2  ens  CH(in mg.) Lm2  ( s. l. ante  eorum)  N  7 con- uenerit  Em1  8 his  om. GS  10 sunt  om. S  11 in numero  om .  Δ  quodam] quaedam  Pm1  sunt  om., post  indiuidua  add . est  S  tam  C  infinito]  Fp. c . (finito  a.c .)  Hm2S TNtt p.c . Φ  in infinito  Hm1N W a.c . indefinito  C  ( ras. ex  -tio) EGL a.c . (in indefinito  et  ał definito  corr. m1 )  PR kIPV  (in  er .) 12 indiuidua—quiescere)  LRS Q ,  om. cett . 13 sunt infinita  LRS Busse; cf. p. 226, 22  a  om. R  15  ante  descendere  post  usque  (cf. ad p. 178, 14) add.  ad id  CHP  diuidentem per me- dia  Γ  16  ante  infinita  add . indiuidua uero  Δ ,  sed del., post add . uero  ΓΦ  17 enim  s. l. L, del .  Γ  horum]  N ii  ( ante add . et  ΛΦ ,  er. uid .  Γ ,  post add . indiuiduorum  Γ ) eorum  cett.; Porph. p. 6, 16   τούτων  disciplina  Cm1   Quoniam specierum nosse naturam ad sectionem generum pertinet quoniamque scientia infinita esse non potest — nullus enim intellectus infinita circumdat —, idcirco de multitudine generum, specierum atque indiuiduorum rectissima ratione persequitur dicens supremorum generum numerum notum — enim X PREDICAMENTI ab Aristotele esse reperta quae rebus omnibus generis loco praeferenda sint —, species uero multo plures esse quam genera. nam cum decem suprema sint genera cumque uni generi non una, sed multae species supponantur proximaeque species supremis generibus subalterna  sint genera usque dum ad ultimas species descendatur, nimirum unius generis multas species esse necesse est utrobique dif- fusas, specialissimas uero multo plures esse quam subalterna, quoniam per multitudinem generum subalternorum ad specia- lissimas descenditur species. quas multo plures esse quam  genera subalterna hoc maxime ostenditur, quod inferiores sunt; semper enim genera in plura subiecta diuiduntur. decem uero generum species multo plures quam unius existere manifestum est, uerum tamen etsi plures sunt, certo tamen numero con- tinentur; quem facile si quis discutiat omniumque generum  species persequatur, possit agnoscere. indiuidua uero quae sub una quaque sunt specie, infinita sunt uel quod tam multa  1 generis  EGLRS, recte?  2 scienti  GRS scienti alicui  Lm2  5 su- premorum] supra horum  EG, m1 in LPS ante  numerum  add . esse FHNP, post  notum  L  6  post  reperta  s. l . commemorat  Em2  7 gene- ris  om. R, post  loco  L , generum  S  sunt  CFH   (ras. corr.) NPRSm2  8 nam cum—genera  om. EGRS  9 sunt  FLP (ras. corr.)  11 sint  post  genera  C  sunt  F  13 subalternas  FH (s in ras. m2) N, ante  sub.  add . genera  PS, s. l. Lm2  16 hoc] in hoc  F  inferiora  FHm1Lm2NP  17 semper enim genera]  FHN  semper si genera  Cm1  semper enim sub- alterna (genera subalterna  P )  Cm2 (part. in mg.) P  et semper subalterna genera  RS  et  (om. G)  semper subalterna  EGL  plurima  N  18 ge- neris  G  unius] generis unius  R  species unius generis  Lm1  19 sint  L  compraehenduntur  L  21 prosequatur  NR 22 species  G  specie  ante  sunt  FHLNR  tam]  FHN  ea  EGLPRS  tam ea  C   sunt diuersisque locis posita, ut scientia numeroque includi comprehendique non possint, uel quod in generatione et corruptione posita nunc quidem incipiunt esse, nunc uero desinunt. atque idcirco suprema quidem genera et subalterna et species  eas quae specialissimae nuncupantur, quoniam finitae sunt numero, potest scientiae terminus includere, indiuidua uero nullo modo. idcirco igitur Plato a magis generibus usque ad magis species id est specialissimas praecipiebat facere secti- onem; per ea enim quae finita essent numero, iubebat descen-  dere diuidentem, ubi autem ad indiuidua ueniretur, standum esse suadebat, ne, quod natura non ferret, infinita colligeret. ita uero genera in species diuidi comprobabat, ut specificis differentiis soluerentur. de specificis autem differentiis melius in eo titulo ubi de differentia disputatur, ac largius disseremus.  hic enim hoc tantum dixisse sufficiat, eas esse specificas differentias quibus species informantur, ut rationale uel mortale hominis. cum igitur diuidimus animal, rationali atque inratio- nali, mortali inmortalique separamus. <hoc ergo> ceteraque genera talibus differentiis quae subiectas species informent,  Plato censuit esse diuidenda usque dum ad specialissima  13 de specificis—disputatur] lib. IV c. 8.   1 sint  EFGHp.r . ( ex  sunt)  LPRS  numeroque]  FHN  in unum  EGLm1  (numero  m2 )  RS  numeroque in unum  CP  concludi  LS  3 uero)  ex  quidem uero  P recepit Brandt , quidem  CEGLRS, om. FHN; cf. p. 223, 12  5 easque ( om . quae,)  LR specialissime  GS  7 igitur  om. C  magis a  EGLPRS  usque ad magis species]  FHN  magis  om. C quam a speciebus  cett . 8 id est] e  ut uid. er. C  specialissimas]  CFHN  a ( add. L ) specialissimis  cett.; cf. p. 225, 13  9 essent] sunt  FN  10 diuidentem] diuisionem  EGHm1  (diuisorem  m2 )  Lm1PRS  11 nec  HN  12 comprobat  ELm1  (probabat  m2 )  R  ut  et  soluerentur  om .  EGPm1 (s. l. m2) RS post  ut  add . in  edd . 13 autem  om. EGLPm1  (uero  m2 )  RS  14 de  om. FG  differentiis  CS a.c . 16 rationabile  E  uel  om. ERS  et  Lm1  17  ante  rationali  et  inrationali  add . in  Em2 rationale atque inrationale ( uel  irr-)  EGN p.c.RS  18 mortali  om .  N  mortale  EGLPS inmortaleque  EGNp.c.PRS ; mortale  (sic)  ac  (s. l.)  inmortali  L  18 hoc ergo  add. Brandt , cetera <quo>que  Engelbrecht  separabimus  FHN  separauimus  R  19 informant  Fa.c.Lm1NR   ueniretur, dehinc consistere nec infinita sequi, quoniam indiuiduorum numquam esset nec disciplina nec numerus. Descendentibus igitur ad specialissima necesse est diuidentem per multitudinem ire, ascendentibus uero ad generalissima necesse est colligere multitudinem. collectiuum enim multorum in unam naturam species est et magis id quod genus est, particularia uero et singularia e contrario in multitudinem semper diuidunt quod unum est; participatione enim speciei plures homines unus, particularibus autem unus et  communis plures; diuisiuum est enim semper quod singulare est, collectiuum autem et adunatiuum quod commune est. Diuidere est in multitudinem quod unum fuerat ante dissoluere, omnisque diuisio e contrario compositionem coniunctionemque meditatur. quod enim, cum sit unum, dispertiendo diuiditur, id ipsum ex pluribus rursus partibus adunando componitur ut igitur superius dictum est, indiuiduorum quidem similitudinem species colligunt, specierum uero genera : similitudo uero nihil est aliud nisi quaedam unitas qualitatis.  ergo substantialem similitudinem indiuiduorum species colli- gere manifestum est, substantialem uero similitudinem specierum genera contrahunt et ad se ipsa reducunt. rursus  3—13] Porph. p. 6, 16—23 (Boeth. p. 32, 1—8). 9 participatione—11 plures] Abaelardus, Theolog. christ., II p. 486 ed. Cousin. 18 superius] p. 166, 8 ss.   3  ante  igitur  add . illis  L  necesse—singulare est  (12) om. N  4 ire  ante  per  L T  ascendentibus—plures  (11) ]  Ω ,  om. cett . 6  post  multitudinem  excidisse  in unum  coni. Busse  ( cum Porph. p. 6, 18   e’:; εν ),  add. edd . 8 e contrario—semper]  Γ   edd. cum Porph. p. 6, 20  semper in multitudinem e contrario  cett. codd. Busse  9 est unum  Φ 10 unus, unus autem et communis particularibus plures  Abaelard . 11 commune  P a.c . communes  Φ  enim post  est FS Φ ,  om. CELR ,  ante  est  cett . 12 est  om. E  14 est] enim  C  est enim  L  in  om. G ,  s. l. Lm2  15  post  dissoluere  add . est  C  17 plurimis  F  19 uero] ergo  CEGLm1RS  20 nisi] ni  C   generis adunationem differentiae in species distribuunt, spe- cieique adunationem in singulares indiuiduasque personas accidentia partiuntur. cum igitur haec ita sint, necesse est semper cum a genere descendis ad speciem, diuidendo semper  facere multitudinem, cum uero ab speciebus ascendis ad genera, componendo colligere et plura quae in specierum differentiis fuerant similitudine qualitatis adunare. in speciebus etiam idem considerari potest. ut enim ipsae indiuidua, quae sunt infinita, una similitudine substantiali colligunt. ita indiuidua  speciem propria infinitate distribuunt. omnia enim indi- uidua disgregatiua sunt et diuisiua, species uero et genera collectiua, species quidem indiuiduorum collectiua atque adu- natiua, specierum uero genera, ut ita dicendum sit : genus quidem species distribuunt et species ab indiuiduis in multitudinem deducuntur, rursus autem genus quidem multas species colligit, species autem particularem singularemque multitudinem ad singularitatis deducit unitatem. igitur plus genus adunatiuum est quam species. species namque sola indiuidua colligit, genus uero tam species quam ipsarum quoque specierum indiuiduas contrahit singularesque personas. sed in hoc conuenienti utitur exemplo dicens quoniam partici- patione speciei, id est hominis, CATONE, Plato et CICERONE pluresque reliqui homines unus, id est milia hominum  1  post  generis  s. l . ergo  E  species] specie  G  speciem  Lm1  2  ante  indiuiduasque  s. l . in  Hm2  3 haec igitur  LNP  4 species  ELm2R  5 a  ELS  ad ( tamen  speciebus)  G  6 et  om .  EGLPRS  plures  EFGLPm1RS  quae  ante  fuerant  EGLPRS  7 fuerint  S  simili- tudinum (-nem  Pm2 ) qualitates ( ex  -tis  Pm2) EFGLPRS ante  adunare  add . et  EGLPR  8 poterit  Lm2 ante  ipsae  add . species  N, post in mg. Cm1?  ipsae]  Cm2H  ipsa  cett . 9 unam similitudinem substantialem  EFGLRS  10 propriam infinite ( uel  -tae, -tate  H ) EGHLPRS  12  post  adunatiua  add . est  CGH   (in mg. m1?) Lm2 NPm2  13 specierum uero genera  s. l. Hm2  14 distribuit  EGRS  15 ducuntur  EGHN  17 ducit  HN  19 cum species tum  N 20 indiuidua  EGHLPRS  21 participationi  G  23  post  unus  add . est  Hm2   in eo quod sunt homines, unus homo est; at uero unus homo, qui specialis est, si ad hominum multitudinem qui sub ipso sunt consideretur, plures fiunt. ita et plures homines in spe- ciali homine unus est et specialis unus in pluribus infinitus. sic igitur quod singulare quidem est, diuisiuum est, quod  uero commune, quoniam multorum unum est, ut genus ac species, collectiuum atque adunatiuum.   Adsignato autem genere et specie, quid est utrumque, et genere quidem uno, speciebus uero pluribus — semper enim in plures species diuisio  generisest —, genus quidem semper de specie PREDICARE et omnia superiora de inferioribus, species autem neque de proximo sibi genere neque de supe- rioribus; neque enim conuertitur. oportet autem aut aequa de aequis praedicari, ut hinnibile de  equo, aut maiora de minoribus, ut animal de homine, minora uero de maioribus minime; neque enim ani- mal dices esse hominem, quemadmodum hominem dices esse animal. de quibus autem species prae-  8-231, 19] Porph. p. 6, 24—7, 21 (Boeth. p. 32, 9—33, 4).   1 est. ut  et 3  fiunt, ita  r  2  pr . qui] quamuis  FNm1 post . quae  EPR  3 et] ut  Cm1  4 unus est] unum est ał  (haec del. m2)  unus est  C post . unus] unus est  LS  infinitis  CLm1  diffinitus  R  5 quidem  om. FN  diuisum  Em1  diuisuum  N  quod] quia quod,  s. l . est  G  6 uero commune]  FS  commune uero  Cm1  ( post  uero  add . est  m2 )  HN  commune est uero  LPm2R  commune est numero  EGPm1  ac] et  R  ad  Em2GLPm1  8 Assignati  Pm1  quid est]  FHPm2 \ m1  quide  CNRS  quid sit  Π m2 xV   edd . quod est  cett. Busse; cf . sunt  p. 236, 14  9 utrum- que—uno]  CEGHPm1  (quidem  ex  quodem)  RS h m2 W m2 xP  utrumqae quodque sit genus unum (unum genus  N )  FN & m1 AZΦ  utrumque et (et  om .  L Π ) cum (cumque  Π ) sit genus unum  LPm2 il m1  utrumque unum  Γ  species uero plurimae  FLNPm2 TΔ m1 Λ2Φ ;  ad utrumque— pluribus  cf. Porph. p. 7, 1  11 genus—indiuiduis  (p. 231, 16) ]  RS Q ,  om. cett . speciebus  R  14 autem]  Porph. p. 7, 4   γάρ  15 aut]  RS  edd.,  om .  Ω   Busse; Porph. p. 7, 4   ή aequis] aequo  R  ignibile  R  17 uero] autem  S post  minime  add . praedicantur  Γ  18. 19  utroque loco  dices]  RS  dicis  Ω   edd. Busse; Porph. p. 7, 7   ειποις άν   dicatur, de his necessario et speciei genus PREDICARE et generis genus usque ad generalissi- mum; si enim uerum est Socratem hominem dicere, hominem autem animal, animal uero substantiam,|  uerum est et Socratem animal dicere atque substantiam. semper igitur superioribus de inferioribus praedicatis species quidem de indiuiduo PREDICARE, genus autem et de specie et de indi- uiduo, generalissimum autem et de genere et de  generibus, si plura sint media et subalterna, et de specie et de indiuiduo. dicitur enim generalissimum quidem de omnibus sub se generibus speciebusque et de indiuiduis, genus autem quod ante specialissimum est, de omnibus specialissimis et  de indiuiduis, solum autem species de omnibus indiuiduis, indiuiduum autem de uno solo particulari. indiuiduum autem dicitur Socrates et hoc album et hic ueniens, ut Sophronisci filius, si solus ei sit Socrates filius. Breuiter quaecumque superius dicta sunt commemorat hoc modo. cum, inquit, adsignauerimus quid sit genus et quid species, cumque suis ea definitionibus comprehenderimus docuerimusque unum genus semper in plurimas species solui,  2 generalissima  Sm2  (specialissimum  m1 )  ΓΛΛ  3 enim] autem  S  4 autem] uero  Λ  uero] autem  Δ  5 et Socratem animal]  A m2 A m2  ( om . et,)  Ψ  hominem et (et  om ,  AA ) animal  Α m1 Α m1 Φ  et hominem ani- mal  RS Σ  et ( om .  II ) socratem et (et  om .  Γ ) hominem ( del .  Γ m2 ) et ( om .  T ) animal  ΓΠ ;  cf. Porph. p. 7, 11 6  igitur]  RS  enim  Ω ;  Porph. p. 7, 12   οΰν superioribus] superiora  RS TA a.c . 7 praedicantur  RS VA a.c . species] et species  R  indiuiduo]  cod. Q. Bussii brm  indiuiduis  RS Q  ( ante add.  eius  Σ );  Porph,. p. 7, 13   τοΰ άτο’μοο  10 sunt  RS m2   p.c  subalterna] de subalternis  A  11 enim] autem  S  13 et de  om. R  de  om. S  14 de]  Ω   cum Porph. p. 7, 17  et de  RS  15  pr . de  om. S post . de] et de  R  17 autem] enim  N TAΛΣ ;  Porph. p. 7, 19   ie  18 album] aliud  T m1  (et illud  m2 )  A m1  ut] et  Ν ΤΑ m2 ΑΣ  19 socrates sit  CEGLPRS; Porph. p. 7, 21   εΤη Σινγ,ράτης  20 quae  FHN  21 et  om. R   illud, inquit, adiungimus quoniam omnia superiora de inferio- ribus praedicantur, inferiora uero de superioribus minime. et ea quae sunt utilia de PREDICAZIONE modo rite pertractat. ostendit autem genus in plurimas species semper solui adsignata generis definitione. quod enim de pluribus rebus specie  iffdiertenbus in eo quod quid sit praedicaretur, esse definiuit genus. nihil autem sunt plurimae res specie differentes nisi plurimae species; de quibus autem praedicatur genus, in ea ipsa dissoluitur. ostensum est igitur ex definitionis adsignatione unius generis esse species plures. quae cum ita sint,  genus quidem de specie PREDICARE, species uero de indiuiduis omniaque superiora de inferioribus, inferiora de superioribus nullo modo. id quare eueniat paucis absoluam. quae superiora sunt, substantialiter ea genera esse praediximus, qua uero sunt genera, ampliora sunt quam una quaeque species. neque enim  in plurima diuideretur genus, nisi ab una quaque specie maius existeret. id cum ita sit, nomen generis toti conuenit speciei; non enim coaequatur solum speciei generis magnitudo, uerum etiam speciem superuadit. idcirco igitur omnis homo animal est, quoniam intra animalis uocabulum et homo et  cetera continentur. at uero nullus dixerit : omne animal homo est; non enim peruenit ad totum animal hominis nomen, quia, cum sit minus, nullo modo generis uocabulo coaequatur. itaque quae maiora sunt, de minoribus PREDICARE, quae minora, non conuertuntur, ut de maioribus praedicentur. at uero si  qua sint aequalia, ea secundum naturae parilitatem conuerti necesse est, ut hinnibile atque equus, quoniam ita sibimet  1 quoniam] quod  S  2 uero  om. ES  4  ante genus  add . unum  FHNPR, in mg. Cm2, recte?  5 definitio ( uel  diff-)  Ea.c.GLPm1S  6 esse] et esse  R  definiuit] designauit  Sm1  10  ante  esse  add . semper  FHNP  13 id cur  HN  idcirco  F  14 ea  add. Em2  quae  L  ( s. l.  illa)  PS  15 quaque  E  quoque  S  17 toti] totum non  R  18  post  enim  repet . non  R  21 cetera] cicero  F  cetera animalia  G  23 itemque  Lm1S  24  post post . quae  s. l . uero  Hm2  26 sunt  FHLN  pari- tatem  EGLp.c.RS  27 ignibile  R  ita] si  ita H   coaequantur, ut neque equus non sit hinnibilis neque quod sit hinnibile, non sit equus. fit ergo ut omne hinnibile equus sit et omnis equus hinnibilis. quae cum ita sint, ea quae superiora sunt, non modo de sibi proximis inferioribus PREDICARE, uerum etiam de inferiorum inferioribus. nam si illud recipitur, ut ea quae superiora sunt, de inferioribus PREDICARE, inferiorum inferiora superioribus multo magis infe- riora sunt, uelut substantia praedicatur de animali, quod est inferius; sed animali inferius est homo, PREDICARE  igitur etiam substantia de homine. rursus Socrates inferius est homine, praedicabitur igitur substantia de Socrate. ita- que species quidem de indiuiduis PREDICARE, genera uero et de speciebus et de indiuiduis. quod conuerti non po- test; nam neque indiuidua de speciebus aut generibus prae-  dicantur nec species de generibus. ita fit ut genus quod est generalissimum, de omnibus subalternis generibus praedi- cari et de speciebus et de indiuiduis possit. de ipso nihil. ultimum uero genus id est quod ante specialissimas species collocatur et de solis speciebus specialissimis dici potest,  species uero de indiuiduis, ut dictum est, indiuidua autem de singulis praedicantur, ut Socrates et Plato, eaque maxime sunt  1 non  om. brm post  sit (si  R )  add . nisi  CH (s. l. m2) LNPS  ni  R inhinnibilis  EG  nec  FN  quid  CF  2  pr . sit  om. S post . sit] est  CEGLm1RS ; non sit  om. brm; post add . nisi  CLNPRS ,  s. l. Hm2  ergo  om. H  enim  F  sit equus  FHNP  3 hinnibile  N, post hinn.  add . sit  L, ante P  4 sunt  om. S, ante  superiora  EGP  sibi  om. H  5 si  om. S, s. l. Hm1?  8 uelut  om. LS  ut  C  9  pr .  est s. l. Lm2   post . est  s. l. Gm2  praedicatur  CELm2RS  10 etiam  om. FG  11  ante  de  add. et  EGLR  ita  R  13 de speciebus]  hic desinit cod. F  14 aut] ac  R  15 itaque  CHNP  quod est] quidem  CP  quidem est  R  16  post  praedicari  add . potest  L (s. l.) m1  possit  m2 N  17 possit  om. N  potest  L post  ipso  add . uero  HNPR, s. l. Cm2Lm2  18 uero] autem  L  id est]  CHm2NS  id est autem est  Hm1  id autem est  EGLa.c . (id est autem  ut uid. p.c .) RP  ante  om. EGR, s. l. Pm1?  19 collocat  EGR  et  om. HN  20  post  uero  add . quae  post  indiuiduis  add . dici potest  R  autem] enim  Lm1  21 ea quae maximae  G   p. 78  indiuidua quae sub ostensionem | indicationemque digiti cadunt, ut hoc scamnum, hic ueniens atque quae ex aliqua proprie accidentium designantur nota, ut, si quis Socratem significatione uelit ostendere, non dicat Socrates, ne sit alius qui forte hoc nomine nuncupetur, sed dicat Sophronisci filius,  si unicus Sophronisco fuit. indiuidua enim maxime ostendi queunt, si uel tacito nomine sensui ipsi oculorum digito tactuue monstrentur, uel ex aliquo accidenti significentur uel nomine proprio, si solus illud adeptus est nomen, uel ex parentibus, si illorum est unicus filius, uel ex quolibet alio  accidenti singularitas demonstratur, eo quod ad esse unam praedicationem habeat eiusque dictio non transeat ad alterum, sicut generis quidem ad species, specierum uero ad indiuidua. Indiuidua ergo dicuntur huiusmodi, quoniam ex proprietatibus consistit unum quodque eorum,  quarum collectio numquam in alio eadem erit. Socratis enim proprietates numquam in alio quolibet erunt  14—p. 235, 4] Porph. p. 7, 21—27 (Boeth. p. 33, 4—10).   1 ostensione  EGPS  ostentationem  HN  indicationeque  EGPS  indaga- tionemque  N  2  ante  hic (is  ex  hic  E )  add . ut  CEGR  et  L  atque quae]  Hm2LNP  atque  EGHm1  atque ea quae  S eaque quae  CR  propria  CH  proprietate  R  4 qui  post  forte  HP  5 forte  ante  alius  N  6 Sophronisci  LNRS; cf . ei  p. 231, 19  7 quaeant  R  si uel  ex  siue  Lm2  sensu  GL  ( ante add . siue)  P  ( ras. ex  -sui)  R  ipso  Cm1LPm1R  tactuque  H  tactu uel  R  8 monstrantur  R  accidenti significentur uel  om. EGR  accidente  N ante  uel  add . id est  CH   (del. m2) Lm2NP  9 nomine  om. EGR ,  post  proprio  S  illud  om .  S, del. Lm2  10  post  uel  add . si  HR, s. l. Lm2  11 demonstretur  S  eo quod  in ras. Cm2  eaque  H  (que  add. m2, post er . quod)  N  ea quae  P; post quod  add . accidentia  in mg. Cm2  de  (s. l.)  accidenti  in con -  textu , ał eo quod accidentia  in mg. L  ad esse unam] unam ad sese  C  ad sese unam  HN  ad se unam  L (s. l. et in mg . de se  a.c.) P  12 habeat]  EGHm2Lp.c.PRS  habet  Cm1Hm1La.c.N  habeant  Cm2L   in mg . dictio] praedicatio  CNSp.c . transit  CHNR  13 species]  m2 in CH (in mg.) P, La.c . specierum  cett . 16 quarum—pluribus  (p. 235, 3) ]  R il ,  om. cett . quarum]  Π m2 Ψ  quorum  cett . in alio  post  eadem  s. l .  \ m2  in alium  R, post  alio  add . quolibet  2   particularium, hae uero quae sunt hominis, dico autem eius qui est communis, proprietates erunt eaedem in pluribus, magis autem in omnibus particularibus hominibus in eo quod homines sunt. Quoniam superius indiuiduum appellauit, huius nominis rationem conatur ostendere. ea enim sola diuiduntur quae pluribus communia sunt; his enim unum quodque diuiditur quorum est commune quorumque naturam ac similitudinem continet. illa uero in quae commune diuiditur, communi  natura participant proprietasque communis rei his quibus com- munis est conuenit. at uero indiuiduorum proprietas nulli communis est. Socratis enim proprietas, si fuit caluus, simus, propenso aluo ceterisque corporis lineamentis aut morum institutione aut forma uocis, non conueniebat in alterum; hae  enim proprietates quae ex accidentibus ei obuenerant eiusque formam figuramque coniunxerant, in nullum alium conueniebant. cuius autem proprietates in nullum alium conueniunt, eius proprietates nulli poterunt esse communes, cuius autem proprietas nulli communis est, nihil est quod eius proprietate  participet. quod uero tale est, ut proprietate eius nihil parti-  1  post  particularium  add . eaedem  edd .  cum Porph. p. 7, 24  haec  Δ  eae  Φ   post hominis  s. l . proprietates  Δ  dico—communis  om. R  2 proprietates  er .  Λ  proprietatis  Γ  3 eadem  Δ m1 2   pr . in] et in  Γ   post . in] et in  ΓΛ m2 Φ  omnibus  om. S  4 in  om .  Φ   post  sunt  add . continentur  (ex p. 236, 7) R  6 ostendere conatur  C  7 <in> his  brm  quodque unum  Cm1  quibus  EGLPRS edd . 10 participan- tur  R post . communi ( om . est)  Gm1  11 proprietas  om. E proprietates  Gm1  12 caluus, simus] caluissimus  EGHm1  (caluus uel simus  m2 )  Lm1PR  13 perpenso  ESp.c . albo  Em1  (caluitio  m2 )  G  uentre  N  cor- poris  linea del., sed lin. er., s. l . corruptus  Hm2  liniamentis  CEG   LNPm2S  14  post  institutione  add . probatus  EP, s. l. Lm2 uocis]  Cm1EGPRS  uocisue sono  Cm2HLm2  (uocis uel sonus  m1 )  N  con- ueniebant  EGm1Hm1P  haec  G  16 in nullo alio  EGHLm1PS  17 cuius—conueniunt  om. EGLRS  cuius] eius  P  autem] uero  N  ita- que  P  in nullum—eius  om. P post  eius  add . itaque  N  igitur  L  18 poterant  EGL  potuerunt  ex  poterunt  P  potuerant  R  autem  om. LS  19 proprietatem  EGLRS proprietate *  (s  er .)  H  20 proprietatem  EGH   LPRS  nihil] nulli  Lm2P  participat  ER   cipet, diuidi in ea quae non participant, non potest; recte igitur haec quorum proprietas in alium non conuenit, indi- uidua nuncupantur. at uero hominis proprietas, id est specialis, conuenit et in Socratem et in Platonem et in ceteros, quorum proprietates ex accidentibus uenientes in quemlibet  alium singularem nulla ratione conueniunt. Continetur igitur indiuiduum quidem sub specie, species autem sub genere. totum enim quiddam est genus, indiuiduum autem pars, species uero et totum et pars, sed pars quidem alterius, totum autem non alterius, sed aliis; partibus enim totum est.   De genere quidem et specie et quid generalissimum et quid specialissimum et quae genera eadem et species sunt, quae etiam indiuidua, et quot modis genus et species dicitur, sufficienter dictum est. Hic retractat omnia breuiter quae supra latius absoluit dicens indiuiduum ab specie contineri, species uero ipsas a genere, huiusque causam reddens ait : omne enim genus totum est, indiuiduum pars. totum enim genus in eo quod genus est, continet, tametsi species esse potest; totum enim non  ut genus species est, sed ut ea quae supponitur generi. genus igitur in eo quod genus est, totum est speciebus, semper enim continet eas. at uero indiuiduum pars semper est, num-  7—15] Porph. p. 7, 27—8, 6 (Boeth. p. 33, 10—17).   2 proprietates  Em1NR  conueniunt  N  4  pr . et  om. C secund . in  om. S tert . in  om. HNP  5 uenientes ex accidentibus  C  ex accidente  (om . uenientes ) EGLm1RS  7 Continetur  om. R (cf. ad p. 235, 4)  con- tinentur  A m2 K m1 Z  quidem  om .  Φ  est quidem  Δ  8 totum—indi- uidua  (14) ]  R Q ,  om. cett . 9 pars—uero] pars est species autem  Δ  10  pr . totum] totum est  ΛΦ 11 sed in aliis, in partibus  edd. cum Porph. p. 8, 2  12 quod  ΛΣ  13 et quid specialissimum  om .  A  quod  A2  14 sint. R ΓΛΙIΣ;   cf. p. 237, 15  quod  GS  tot  Pm1  modis  om. S  15 dicatur  N ΥΔΛΠΦΨ ,  s. l. add .  Σ ;  cf. p. 237, 19  16 Hic  om. NR, s. l. Hm2  17 teneri  C  ipsas  om. E  ipsa  Cm1  18 huiusce  Lm2  19 pars  om. E  genus enim  Cm1 (ante  genus  s. l . totum  m2) HN  20 totum] tum  Hm1  tunc  Ν  enim] autem  S  23 est  ante  semper  CN  pars  post  est  LS   quam enim ipsum aliquid sua proprietate concludit. species uero et totum est et pars, pars quidem generis, totum uero indiuiduis. et cum pars est, ad singularitatem refertur, cum totum, ad pluralitatem. quoniam enim unum genus pluribus speciebus superest, una quaelibet species pars est generis, id est unius, quoniam autem species pluribus indiuiduis praeest non est uni indiuiduo totum, sed plurimis. idcirco enim totum dicitur, quia plura continet et cohercet. nam ut pars sit ali- quid, una ipsa unius pars esse poterit, ut uero totum sit,  unum ipsum unius totum esse non poterit. idcirco alterius quidem pars est species, aliis uero totum. Et de genere quidem et specie dictum est et quid sit gene- ralissimum genus, quoniam id cui nullum aliud superponitur genus, et quid specialissima species, quoniam ea cui species  nulla supponitur, et quae genera eadem sunt, eadem et species, scilicet subalterna quibus aliquid superponitur, aliquid uero supponitur, quae etiam indiuidua, ea scilicet quorum proprietates alteri nequeunt conuenire, et quot modis genus uel species dicitur, genus quidem aut in multitudine aut in pro-  creatione aut in participatione substantiae, species uero aut ex figura aut ex generis suppositione, sufficienter dictum est. quibus absolutis modum uoluminis terminabo, ut quarti area libri differentiae reseruetur.    2  ante post . pars  add . et  C ,  post er . que  L  totum  in mg. Cm2 uero  om. HN  autem  C (in mg. add. m2) L  quidem  S  3 indiuidui  Cm1NS  et] sed  CHN post post . cum  add . uero  R  4 quoniam] quod  L  7 plu- ribus  HLm2NS  9 unum ipsum  brm  12 Et] sed  in er . et  Lm2  specie] de specie  EG  13  post  id  add . est  P, s. l. Em2  14 quod  C specialissimum ( om . species,]  HN  nulla species  NR  15 superponitur  (ras. corr. E)  nulla  EG eadem  s. l. Lm2  16 supponitur  HR  aliquid uero supponitur  om. ENR, in mg. Cm2  17 ea om.  EGLPRS  18 non queunt  G  quod  Em1GN  quod quot  R  20 aut in partici- patione  s. l. Gm2 post substantiae  add . aut ex figura  S  consistit  edd . uero aut] autem  N  21 figura] genere  S  ex  om. E est  om. S  22  post  area  s. l . ubi discutiamus ea  Em2  23  ante subscriptionem initium libri IV usque ad p. 239, 6  iniecta  scriptum, post subscrip -  tionem E  ANICII MANLII (MALLII  G ) SEVERINI BOETII (BOECII  G ) V. C. ET I LL . EXCONS (EXC.  E ) ORD. PATRICII IN ISAGOGEN (YSAGOGAS  E ) PORPHYRII (PORPHIRII  E ) ID EST INTRODVCTIONE A SE TRANSLATAE (ID  eqs. om ., SCDAE  E ) EDITIONIS LIB. III. EXPL. INCIP. LIB. IIII.  EG ; EXPLICIT LIBER TERTIVS. (LIB. IIII. EXPLICIT  L ) INCIPIT (LIBER  add. LS ) QVAR- TVS  L   (add. mS)   NPRS (uariis cum. compendiis) ; LIBER QVARTVS  C; subscriptio deest in H  De differentia disputanti non aeque illud debet occurrere quod in generis specieique tractatu de collocationis ordine quaerebatur. illic enim meminimus inquisitum, cur esset omnibus praepositum genus, ut id primum ad disputationem ueniret, cur post genus species esset iniecta, nunc uero superuacuum est dicere, cur post speciem differentia sumpta sit, cum illud iam fuerit inquisitum, cur non ante speciem collocata sit. quodsi mirum uidebatur speciem differentiae in disputationis  loco fuisse praepositam, quod differentia continentior et magis amplior esset specie, quid est quod possit quisque mirari, si eandem differentiam ante proprium atque accidens collocauerit, cum proprium unius semper sit speciei, ut posterius demon- strabitur, accidens uero exteriorem quandam ostendat naturam  nec omnino in substantia PREDICARE, differentia uero utrumque contineat, et de pluribus speciebus et in substantia PREDICARE? sed haec hactenus, nunc ad ipsa Porphyrii uerba ueniamus.    Differentia nero communiter et proprie et magis  3 quod—inquisitum] p. 170, 2 ss. 198, 10 ss. 18—p. 240, 13] Porph. p. 8, 8—17 (Boeth. p. 33, 18—34, 7).   2 De differentia] Differentiae  E  Differentia  G  Differentiam  La.c . disputanti] in disputando  CEGLm1N  non aeque illud] non illud quoque  C  3 quod] ut  HN  collationis  Cm1HN  4 quaerebatur]  hic desinit cod. S  11  ante  specie  add . ea  EG  ab  HL  est quod  om. GR  ( post  quid  add .interrgatiue)  s. l. Lm2 , sit  Em1  sit quod  m2 an  quisquam?  ad  quisque  add . iure possit  Em2  12  post  eandem  add . iure  E, s. l. Lm2  13 sit unius speciei semper  C  unius sit semper speciei  R  unius semper speciei sit  N  15 substantiam  NR  16 substantiam  Em1  18  ante  Differentia  inscriptio  DE ( om .  Ψ ) DIFFERENTIA  additur in   2  et magis proprie  in mg. Cm2?   proprie dicitur. communiter quidem differre alterum ab altero dicitur, quod alteritate quadam differt quocumque modo uel a se ipso uel ab alio. differt enim Socrates a Platone alteritate et ipse a se uel puero uel iam uiro et faciente aliquid uel quiescente et  semper in aliquo modo habendi alteritatibus. proprie autem differre alterum ab altero dicitur, quando inse- parabili accidenti ab altero differt. inseparabile uero accidens est ut nasi curuitas, caecitas oculorum, cicatrix, cum ex uulnere obcalluerit. magis proprie  differre alterum ab altero dicitur, quando specifica differentia distiterit, quemadmodum homo ab equo specifica differentia differt rationali qualitate. Tribus modis aliud ab alio distare PREDICARE genere. specie, numero, in quibus omnibus aut secundum substantiales  quasdam differentias alia res distat ab alia aut secundum accidentes. nam quae genere uel specie distant, substantialibus quibusdam differentiis disgregata sunt, idcirco quoniam genera et species quibusdam differentiis informantur. nam quod homo ab arbore genere distat, animalis sensibilis qua-  litas in eo differentiam facit. addita enim sensibilis qualitas  14 praediximus] p. 191, 21.   1 dicitur]  λεγέσ&ω   Porph. p. 8, 8; cf . nuncupatur  infra p. 241, 18  communiter—distiterit  (12) ]  R Q ,  om. cett . 2 ab  om .  A , s. l .  Γ  3 ipso  om. R  4  pr . a  om. R X  puero] a puero  ΣΦ  5 uiro] a uiro  Φ  et]  R T  uel  cett.; Porph. p. 8, 11 χοιί  aliquod  S  6 habendi] habendi se  Φ ;  Porph. p. 8, 12   τού πώς εχειν  7 ab  om .  ΔΛΣ  quandam  R  8 accidente  R ;  post add . alterum  edd. cum Porph. p. 8, 13  ab  om .  Σ  10 coaluerit  Σ m2 post proprie  add . autem  ΓΔ   (fort. recte)  uero  Φ ;  Porph. p. 8, 15   hi  11 ab  om .  ΛΣ  12 destiterit  TX m1 AZ  quem- admodum—differt  del. Lm1?  13 differentia  om. Ν Σ   ante  rationali  add . id est  CEGL, s. l .  Hm2 A m1?  rationabili  CEGLPR  14 ab]  LP, om. cett . 17 accidens  CEm2 accidentales  Lm2  18 disgregata— quibusdam  om. N, s. l. R  19  post  quibusdam  add . substantialibus  Hm2 edd.,recte? ad  informantur  s. l.  disregantur  N  21 ea  Hm1Lm2NP   animato animal facit, eidem detracta facit animatum atque insensibile, quod uirgulta sunt. igitur homo atque arbor genere differunt — utraque enim sub animalis genere poni non possunt —, differentia sensibili secundum genus discrepant, quae unius ex propositis tantum genus, id est hominis informat, ut dictum est. illa uero quae specie distant manifestum est quod ipsa quoque differentiis substantialibus discrepant, ut homo atque equus differentiis substantialibus discrepant, rationabilitate atque inrationabilitate. ea uero quae indiuidua sunt et solo  numero discrepant, solis accidentibus distant. haec autem sunt uel separabilia uel inseparabilia, separabilia quidem, ut moueri, dormire; distat enim alius ab alio, quod ille somno prematur, bic uigilet. distat item inseparabilibus accidentibus, quod hic staturae sit longioris, hic minimae. Quae cum ita sint, in ternarium numerum has differentiarum diuersitates Porphyrius colligit hisque ipse nomina quibus post utatur, apponit dicens : omnis differentia uel communiter uel proprie uel magis proprie nuncupatur, communiter quidem eam differentiam sumens quae quodlibet accidens monstret, quae in  quadam alteritate consistit, ut si Plato a Socrate differat, quod ille sedeat, hic ambulet, uel quod ille sit senex, hic  5 ut dictnm est] p. 208, 17 ss.   1 eiusdem  E  et idem  G  eadem  L  inanimatum  L , in-  er. EP; cf. p. 208, 14 ss . 2  post  arbor  add . quae  H   (linea del., sed lin. er.) L (del. m1) N  3 animali ( om . genere)  N  4  ante  differentia  add . sed ex  E  nam  brm, post s. l . igitur  Pm2  5 praepositis  CLm1N positis  Em1, s. l . homine et arbore  Lm2Em2  6 distant specie  C  quod  om. CHN  7 dis- crepare  CHN  ut—discrepant  om. EGL, s. l. R  8 discrepant  om. C  9  post  inrationabilitate  add . distant  L  10 sunt  add. Lm2, in mg. Pm2  13 distant  Hm1Pm2  distet  L  distat enim  E  14 sit  om. R, ante staturae  HN  staturae sit  post  longioris  L  minimae]  Ppr  minime  cett. codd. bm  16 isque  EG ipsis  C  post utatur] postulatur  EGR  17 propria  Ca.c.L  18 propria  L  differentiam eam  HNP  a differentia  (om. eam) E  19  ad  sumens  s. l . exordium  Em2  monstraret  EGLm1  (demonstraret  m2 )  R  20 ut si] uti  EGLm1  (uti si  m2 )  R  a  om. CGR, s. l. Lm1?Pm2  differt  ex  -rat  E  21 sit  om. C  est  EGL (s. l.) R   iuuenis. a se ipso etiam saepe aliquis differre potest, ut si nunc quidem faciat aliquid, cum ante quieuerit, uel si nunc adulescens iam factus sit, cum prius tenera uixisset infantia. communes autem differentiae nuncupatae sunt, quoniam nullius propriae esse possunt differentiae, sed separabilia accidentia  sola significant. nam et stare et sedere et facere aliquid ac non facere multorum atque adeo omnium et separabilia esse accidentia manifestum est. quibus si qui differunt, communibus differentiis distare dicuntur. praeterea puerum esse atque adule- scentem uel senem, ea quoque separabilia sunt accidentia. nam  ex pueritia ad adulescentiam atque hinc ad senectutem, ab hac denique ad decrepitam usque aetatem naturae ipsius necessitate progredimur. illud forsitan sit dubitabile de unius cuiusque forma corporis, an ullo modo separari queat. sed ea quoque est separabilis, nullius enim diuturna ac stabilis forma perdurat. idcirco nec peregrinus pater relictum domi puerum, si adulescentem redux uiderit, possit agnoscere; forma enim semper quae ante fuerat, permutatur atque ipsa alteritas qua distamus ab altero, semper diuersa est. Constat igitur hanc communem differentiam separabilibus maxime accidentibus  applicari, propria uero est quae inseparabilia significat acci- dentia. ea huiusmodi sunt, ut si quis caecis nascatur oculis, si quis incuruo naso; dum enim adest nasus atque oculi, ille caecus, ille erit semper incuruus. atque haec per naturam. sunt uero alia quae per accidens corporibus fiunt, ut si cui uulnus  1  post  differre  add . quidem  L  2 cum ante  in mg. Cm2  nunc si  C  3 iam  er. L, post  nunc  N  5 proprie  CL  sed]  CLm2NP ,  om. EG , et  R  quae  HLm1  separabiles  E, post add . enim  Lm1, del. m2  6  pr . et  om. P  ac] et  HNP  7 ideo  EGL post  omnium  add-  sunt  edd . et  om. H  esse  om. G, post  accidentia  EL ; separabilium esse accidentium  N  8 si  om . N quid  EG  qua  R  9 discuntur  E 10  ante  separabilia  add . ueraciter  R  14 eo  Lm1  15 est separabilis] est separabilis forma  PR separabilis forma est  EGL  nullius—per- durat  om. GR, in mg. Cm2, s. l. Pm2  ac stabilis] et stabilis  C  ( ut uid .)  N  ac stabili  P  estimabilis  E  18 alteritas ipsa  EG  19 altera  EGLm2R  22 nascetur  Em1  24  ante  erit  add. etiam  R  semper  om. C   inflictum cicatrice fuerit obductum, haec si obcalluerit, pro- priam differentiam facit; distabit enim alter ab altero, quod hic cicatricem habeat, ille uero minime. postremoque in his omnibus uel separabilibus accidentibus uel inseparabilibus alia  sunt naturaliter accidentia, alia extrinsecus, naturaliter quidem ut pueritia uel iuuentus et totius conformatio corporis, sic caeci oculi et curuitas nasi. et superiora quidem exempla separabilis accidentis per naturam sunt, posteriora uero inse- parabilis. item extrinsecus uel ambulare uel currere; id enim  non natura, sed sola affert uoluntas, natura uero posse tan- tum dedit, non etiam facere. atque haec sunt separabilis accidentis extrinsecus uenientis exempla, illa uero inseparabilis, ut si qua cicatrix obducta uulneri obcalluerit. Magis propriae autem differentiae praedicantur, quae non accidens, sed substantiam formant, ut hominis rationabilitas; differt enim homo a ceteris, quod rationalis est uel quod mortalis hae sunt igitur magis propriae, quae monstrant unius cuiusque sub- stantiam. nam si illae quidem idcirco communes dicuntur, quia separabiles atque omnium sunt, aliae autem propriae,  quoniam separari non possunt, quamuis sint in accidentium numero, illae iuro magis propriae praedicantur, quae non modo a subiecto separari non possunt, uerum subiecti ipsius speciem substantiamque perficiunt. ex his igitur tribus differentiarum diuersitatibus, id est communibus, propriis ac magis propriis,  fiunt secundum genus uel speciem uel numerum discrepantiae nam ex communibus et propriis secundum numerum distantiae nascuntur, ex magis propriis uero secundum genus ac speciem.  1  ante cicatrice  add . si  H  6 uel  om. C  formatio  HNPm2  sic]  HPm1  (et si  m2 )  Rm1  (sieque  m2 ) si  EGLm1  (sique  m2 ) tum  CN  9  post  currere  add . sunt  E  10 uoluptas  L  11 at  Em1  atqui  m2 separabilis sunt  C  13 uulneris  Lm2P  autem propriae  La.c.R  14 substantia  Cm1  15 informant  Pm2, recte?  16 a  om. HN  rationa- bilis  EGLPR post  mortalis  add . est  C  hae]  Hp.r.L  haec  cett . sunt igitur] enim sunt  H  20 quoniam] quod  R  22 ab  G post  ipsius  add . suis  Em1, del. m2  23 tribus igitur  CG  24 ac  s. l. Em2 , et  CR    Uniuersaliter ergo omnis differentia alteratum facit cuilibet adueniens, sed ea quae est communiter et proprie, alteratum facit, illa autem quae est magis proprie, aliud. differentiarum enim aliae quidem alte- ratum faciunt, aliae uero aliud. illae quidem quae  faciunt aliud, specificae uocantur, illae uero quae alteratum, simpliciter differentiae. animali enim differentia adueniens rationalis aliud fecit et speciem animalis fecit, illa uero quae est mouendi, alteratum solum a quiescente fecit; quare haec quidem aliud,  illa uero alteratum solum fecit. Omnis differentia alterius ab altero distantiam facit. sed haec uel est communis et continens uel cum quodam proprio et magis proprio differentiarum modo. quare quicquid qualibet ratione ab alio diuersum est, alteratum esse dicitur. si uero  accesserit illi diuersitati ut etiam specifica quadam differentia sit diuersum, non alteratum solum, uerum etiam aliud esse praedicatur. alteratio igitur continens est, aliud uero intra alterationis spatium continetur; nam et quod aliud est, alteratum est, sed non omne quod alteratum est, aliud dici potest.  itaque si accidentibus aliquibus fuerit facta diuersitas, alteratum  1—11] Porph. p. 8, 17—9, 2 (Boeth. p. 34, 7—15).   1 ergo] uero  CEGR; Porph. p. 8, 17   osv  alterum  E h m2 A  2 sed ea—quiescente fecit  (10) ]  Ω ,  om. cett . ea quae est  eqs. ]  cum cod. A Porph. p. 8, 18, cett.   α: μέν—κοιοϋσιν, a: 81 άλλο  3 alterum  Δ ,  item 4  autem] uero  ΔΣΦ  7 altera  Φ*  enim] autem  A a.c . 8 ratio- nale  2  facit  ΓΣΦ   item 9; Porph. p. 9, 1   ίποίησεν  et speciem animalis fecit  om. codd. quidam Porph., deleri uult Busse  10 faci(??)  ΓΔ m2 ΣΦ  qua * ( (??)  ? er.)  re *   C  qua in re (si  add. GLm1, s. l . siqui- dem  m2 )  EGL  11 ille  Gm1  illae  Δ  solum  om. EG, s. l. Cm2 , solum modo  P  fecit]  ΔΛ ,  om. P,  facit  cett.; Porph. p. 9, 2   έποίηοιν  13 uel est]  L  uel ex  EG  est uel  N, om . est  CR, om . uel  HP   (ante  est  add . quidem )  communi  EG continenti  E ( -ti * ) G  cum  om. N, s. l. Em2  eo  m1  14 proprio] proximo  GR, post  proprio  add . uel ma- ximo  P  18 inter  Gm1  19 nam et]  Hm1NR  igitur et  EG  igitur omne  ( et  add. C) CHm2L  21 erit  HN   quidem effectum est, quoniam quidem quolibet modo uel ex quibuslibet differentiis considerata diuersitas alterationem facit intellegi, aliud uero non fit, nisi substantiali differentia alterum ab altero fuerit dissociatum. itaque communes et propriae  differentiae, quoniam accidentium, ut dictum est, sunt, solum efficiunt alteratum, aliud uero minime, magis propriae autem, quoniam substantiam tenent et in subiecti forma praedicantur, non modo alteratum, quod est commune uel substantiali uel accidenti differentiae, sed etiam aliud faciunt, quod ea sola  retinet differentia quae substantiam continet formamque subiecti. atque hae quidem differentiae quae faciunt aliud, specificae nuncupantur idcirco, quod ipsae efficiunt speciem; quam cum substantialibus differentiis informauerint, faciunt ab aliis ita esse diuersam, ut non alterata solum sit, uerum etiam  tota alia praedicetur. itaque fit huiusmodi diuisio, differentiarum ut aliae alteratum faciant, aliae nero aliud. et illae quidem quae faciunt alteratum, simpliciter puro nomine differentiae nuncupantur, illae uero quae aliud, specificae differentiae PREDICARE atque ut planius liqueat quid sit alteratum, quid  aliud, tali describuntur termino uel declarantur exemplo : aliud est quod tota speciei ratione diuersum est, ut equus ab homine, quoniam rationalis differentia animali adueniens hominem fecit aliudque eum quam equum esse constituit. item si unus homo sedeat, alter assistat, non efficietur homo diuersus ab homine,  sed eos alteratio sola disiungit, ut eum qui assistit ab eo qui  5 ut dictum est] p. 242, 4 ss. 19 ss.   1  post , quidem  om. HNP, del. Lm2  uel ex quibuslibet  om. H  2  ad  differentiis  s. l . uel diuersitatibus  Rm1 ? 7 formam  N  9 accidentali  Hm2NPm2 facit  EGLP  10 quae  er. C  11 hee  P  12 ipsae  om. EGLR  14 alteratum  E (in ras. m2) P  alterum  GLR  15 aliud  R  sit  E  16 ut  om. EH  faciunt  HNR  facient  Em2  facie  m1  20 describantur  Em1 21 ratione specie  (sic) E  ab  om. EGL, s. l. HP  22 facit  HLNPm1  23 esse] est  Em1  ita  R  itaque  N  24 effi- citur  N  efficiatur (ur  add. m2 )  P   sedet faciat alteratum. item si ille sit nigris oculis, ille caesiis, nihil, quantum ad formam humanitatis attinet, permutatum est. ita secundum has differentias alteratio sola consistit. at si equus quidem iaceat, homo uero ambulet, et aliud est equus ab homine et alteratum, dupliciter quidem alteratum, semel  uero aliud. alteratum est enim, uel quod omnino specie diuersum est — et est aliud; omne enim aliud, ut dictum est, etiam alteratum est —, uel quod accidentibus distat, quod ille iaceat, hic ambulet, semel uero est aliud, quod rationabili atque inrationabili differentiis dis|gregatur, quae specificae sunt  et substantiales dicuntur. est igitur alteratum quod ab alio qualibet ratione diuersum est. Secundum igitur aliud facientes diuisiones fiunt a generibus in species et definitiones adsignantur, quae sunt ex genere et huiusmodi differentiis, secundum  autem eas quae solum alteratum faciunt, alteratio sola consistit et aliquo modo se habendi permutationes. Quoniam in principio operis huius generis, speciei, differen-  13—17] Porph. p. 9, 2—6 (Boeth. p. 34, 15—19). 18 in prin- cipio o. h.] p. 147, 5.   1 facit  Em1G  item  om. EGR, in mg. Hm2, s. l. Lm2 si  om. EGL, post  ille  R, in mg. Hm2 post . ille] iste  N  caesius  La.c . (ce-)  Pm1  caecis  N  cecus  C  3 item  in ras. L post  has  add . quo- que  HNP, s. l. Lm2  sola  s. l. Em2  ut  GN  4 uero  om. E  5 ab] de  P pr . alterum  GLm1  6  post  uero  add . est  C  enim  om .  H  (quidem  add. post est )  N, ante est  CGPR  7 enim  om. G  8 distet  R  9 iacet  HLm1N  ambulat  H  rationali atque inrationali  HLm2R  10 differentia  N  segregatur  CR  specificae sunt] differentiae specificae  C  13  post facientes  add . differentias  edd., om. codd. cum cod. C Porph. p. 9,3 et Dauide commentatore p. 177, 23 (Busse); post add . et  edd. cum Porph .  τέ  14 quae—faciunt  (16) ]  L Q ,  om. cett . 15  ante  sunt  add . definitiones  Γ  definitiones scilicet  Δ  et] ex  Δ m2  16  ante  alteratio  add . at  CG alteratio sola consistit]  ai έτερότητες μο'νον συνί- ατανται   Porph. p. 9, 5  17 et] in  CEGLR  ad  Δ ;  Porph.   v.at  aliquo modo] aliquando  Γ  se  add. Em2  habentis  R  habentibus  EGLm1 permutatione  R  permutationibus  CEGLm2  18 huius  om. EGR, ante  operis  s. l. Lm2 specieique  EGLNPR; cf. p. 148, 17   tiae, proprii accidentisque notitiam ad diuisionem atque ad definitionem utilem esse praedixit, idcirco nunc differentiarum ipsarum facta diuisione easdem partitur et segregat, quaenam differentiae diuisionibus ac definitionibus accommodentur, quae  uero minime. quoniam igitur diuisio generis ita in species facienda est, ut illae a se species omni substantiae ratione diuersae sint, idcirco non probat assumendas esse eas ad diuisionem differentias quae uel separabilis uel inseparabilis accidentis significationem tenent, idcirco quoniam, ut dictum est,  solum faciunt alteratum, aliud uero perficere et informare non possunt. inutiles igitur sunt ad diuisionem hae differentiae quae faciunt alteratum. segregandae igitur sunt communes et propriae a generis diuisione, illae assumendae tantum quae sunt magis propriae. illae enim faciunt aliud, quod generis  diuisio uidetur exposcere. ad definitionem quoque eaedem magis propriae plurimum ualent, communes et propriae uelut inutiles segregantur; communes enim et propriae, quoniam accidens diuersi generis ferunt, nihil substantiae ratione conformant, definitio uero omnis substantiam conatur ostendere.  specificae uero differentiae illae sunt quae, ut superius dictum est, speciem informant substantiamque perficiunt; hae sunt magis propriae. eaedem igitur sicut in diuisionem, ita etiam in definitionem assumuntur. ut enim dictum est, eaedem diffe-  9 ut dictum est] cf. p. 244, 2. 245, 4 (et p. 242, 19—21). 20 supe- rius] p. 245, 11. 23 ut enim dictum est] infra p. 253, 12 ss. 258, 9 ss. 260, 6 ss.   2 definitionem] defensionem  G  utile  E  4 ac definitionibus  om .  EG  5 diuisio igitur  E  7 eas  ante  assumendas  P, ante  esse  HN  diuisiones  NRm1  8 uel inseparabilis  om. EGR  9 idcirco—faciunt] uel eas differentias quae faciunt (faciant  R )  EGL (del. m2) R  10 aliud— alteratum  (12) om. EGR  14 aliud faciunt  C  15 definitionem] diui- sionem  Cm1EGLm1  eadem  Em1G  16 plurimum  om. EG post  ualent  add . nam  EGL (del. m2) P  17 uelut—propriae  om. EGR  enim  om. CH  18 proferunt  Lm2Pm2 procedent  m1  praecedunt  N a.c. 19 informant  N  21 hee  CP  haec  E  22 eaedemque  C  eadem  Em1GL  diuisione  GN, add . generis  GL  etiam  om. HN  et  P  23 diffinitione  N  ut enim—sumuntur  om. edd .   rentiae nunc quidem constitutiuae ad definitionem specierum sumuntur, nunc diuisiuae ad partitionem generis accommodantur. ita igitur cum diuisiuae sunt generis, aliud constituunt, in substantiae uero definitione speciei informationem faciunt, cumque magis propriae et aliud faciant et specificae sint, eo  quidem quo aliud faciunt, diuisionibus aptae sunt, eo uero quo speciem informant, definitionibus accommodatae sunt. communes autem et propriae quoniam neque aliud faciunt, sed alteratum, neque omnino substantiam monstrant, aeque a diuisione ut a definitione disiunctae sunt. A superioribus ergo rursus inchoanti dicendum est differentiarum alias quidem esse separabiles, alias uero inseparabiles. moueri enim et quiescere et sanum esse et aegrum et quaecumque his proxima sunt, separabilia sunt, at uero aquilum esse uel  simum uel rationale uel inrationale inseparabilia. inseparabilium autem aliae quidem sunt per se, aliae  11—249, 4] Porph. p. 9, 7—14 (Boeth. p. 34, 20—35, 6).   2 assumuntur  Ea.c . partitionem] coparationem  N  3 ita—faciunt  (4) in mg. sup. Hm2  Ita igitur cum diuisio generis aliud quaerat. substantia uero speciei informationem  Hm1, eadem uerba loco  ita—faciunt  adiungit N  Ita igitur cum ad diuisionem generis aliud querant. aliud uero ad speciei informacionem faciunt  Hm3  3 diuisiuae]  CHm2LN   (priore loco) Pm1  diuisione  EG  ad diuisionem  Hm3R  diuisio  Hm1N (post. l) Pm1  sunt]  CHm2LN (pr. l.), om. EGHm1 et 3 N (post. l.) R, s. l. Pm2  constituunt]  CHm2N (pr. l.) Pm2  quaerat  Hm1N (post. l.) Pm1  quaerant ( uel  que-,)  Hm3R  quam erat  EG  constituunt quam erat  L  in substantiae uero definitione]  CHm2LN (pr. l.) Pm2  in substantia uero  Pm1R  substantia uero  EGHm1N (post. l.)  aliud uero  Hm3  4  post  uero  add . ad  Hm3  faciunt  om. EHm1N (post. l.)  5  pr.  et  om. HN, s. l. Pm2  faciunt  Lm1Pm1  et] ac  C  eo] in eo  N  6 quidem  om. L  quod  HLm1NP (d  er .) uero] modo  N  7 quod  HRm1  9 sed] sub  G  monstrat  CGm1  11 ergo  om .  H  uero  N 2 ;  Porph. p. 9, 7   ouv  rursus  om. H  12 aliae... aliae  h m1  separabiles esse  Φ  13 alias uero—perceptibile  (p. 249, 2) om. C  moueri—perceptibile]  R Ω ,  om. cett . 14  ante  quaecumque  s. l . omnia  Λ  15 at—inseparabilia  in sup. mg .  h m2  acylum  ΓΦ  acilum  ΛΣ ,  sim. p. 249, 3.250, 20. al . 16  post  inseparabilia  add . sunt PAS<P   edd. Busse, om.R h   cum Porph. p. 9,10   uero per accidens; nam rationale per se inest homini et mortale et disciplinae esse perceptibile, at nero aquilum esse uel simum secundum accidens et non per se. Superius differentias triplici diuisione partitus est dicens aut communes esse aut proprias aut magis proprias, dehinc easdem alia diuisione in duas secuit partes dicens has quidem aliud facere, illas uero alteratum. nunc tertiam earum quidem facit diuisionem dicens alias esse separabiles, alias inseparabiles, posse autem de uno quoque cuius multae sunt differentiae, plurimas fieri diuisiones ex ipsa differentiarum natura manifestum est. nam si omnis diuisio differentiis distribuitur, quorum multae sunt differentiae, multas etiam diuisiones esse necesse est. fit autem ut animal diuidatur quidem hoc modo: animalis alia quidem sunt rationabilia, alia in rationabilia, item alia mortalia, alia inmortalia; item alia pedes habentia, alia minime; rursus alia herbis uescentia, alia carnibus, alia seminibus. ita nihil mirum uideri debet, si multiplex differentiae est facta partitio.ac primum quidem cum in ternarium numerum differentiae membra secuisset, communes et proprias et magis proprias nuncupauit. secunda uero diuisio communes et proprias intra nomen alteratum | facientis inclusit, magis proprias uero intra aliud facientis. haec nero tertia diuisio, quae ait dif- ferentiarum alias esse separabiles, alias inseparabil es,  5 Superius... dicens aut eqs.] p. 239, 18. 7 dicens has eqs.| p. 244, 2.   2 perceptibile]  ΦΨ  perceptibilem  cett . ( in mg . capacem  T ) 3 uel] et  Γ  simium  P post  accidens  add . est  Γ ,  s. l. Lm2, ras. in E  et  om. Ν ΑΣ  4  post  se  add.  est  P  5 differentia  R  7 dicens  in mg. Hm2  8 earum quid  R  earundem  CN  quidem  post pr . alias  C  9  post post , alias  add . uero  C  14 animal] in animali quod  H  diuiditur  H  quidem  ante  diuidatur  Lp, om. brm  15 animalium  N edd . quidem  post  sunt  NP, om. H  rationalia alia inrationalia  H  18 item  P  20  post  secuisset  add . ait  HP  aut  CN  et magis—et proprias  om. EG  21 nun- cupari  H  nuncupauerit  LPR  22 facientes  CNPm1  propria  R  proprium  Em1GLp.c . 23 facientes  CN  qua  CLNRm1   unam quidem ex alteratum facientibus separabilibus differentiis adiungit, ceteras uero intra inseparabilis differentiae uocabulum claudit. una quidem ex alteratum facientibus. id est propria differentia, et reliqua quae aliud facere demonstrata est, id est magis propria, inseparabiles differentiae esse dicuntur.  quarum subdiuisio fit. inseparabilium differentiarum aliae sunt per se, aliae secundum accidens, per se quidem magis pro- priae, secundum accidens uero propriae. per se autem aliquid inesse dicitur quod alicuius substantiam informat. si enim idcirco quaelibet species est, quoniam substantiali differentia  constituitur, illa differentia per se subiecto adest neque per accidens aut per quodlibet aliud medium, sed sui praesentia speciem quam tuetur informat, ut hominem rationabilitas. homini enim huiusmodi differentia per se inest, idcirco enim homo est, quia ei rationabilitas adest; quae si discesserit,  species hominis non manebit. et has quidem quae substanti- ales sunt, inseparabiles esse nullus ignorat; separari enim a subiecto non poterunt, nisi interempta sit natura subiecti. secundum accidens nero inseparabiles differentiae sunt hae quae propriae nuncupantur, ut aquilum esse uel simum; quae  idcirco per accidens nuncupantur, quoniam iam constitutae speciei extrinsecus accidunt nihil subiecti substantiae commodantes.   Illae igitur quae per se sunt, in substantiae  24—p. 251, 14] Porph. p. 9, 14—23 (Boeth. p. 35, 6—17).   1 ex  om. EG, in inf. mg. L  alteratum  post  facientibus  R, om. G post  facientibus  add . id est communem  L (in inf. mg.) P  2 adiungit] ponit  La.c . cetera  R  ceterasque  Lm2  alteram  C  3 una  ras. ex  una  C  quidem] quidem fit  G  quippe  HN  4 et  om. G, s. l. E  5 inseparabilis  E  esse  om. G  6  post  quarum  add . quidem  Lp  ita  brm post  aliae  add . enim  EGL  8 inesse aliud ( ex  aliquid  m2 )  L  11 neque] non  Lm2R, ante  neque  add . quae  Hm2  12  post  medium  add . quae sunt propria  Hm1, del. m2  13 rationalitas  H, item 15  15 ei  s. l. Hm2  16 quidem eas  (sic) C  17 nullus esse  C  18 nisi] ni EG 20 proprie  CN  aquilum]  cf. p. 248, 15  22 accedunt  Hm1N  subiecto  Hm1  subiectae  Lm1N   (-te)  24 Igitur illae  C  in  om .  N   ratione accipiuntur et faciunt aliud, illae uero quae secundum accidens, nec in substantiae ratione dicuntur nec faciunt aliud, sed alteratum. et illae quidem quae per se sunt, non suscipiunt magis et  minus, illae uero quae per accidens, uel si inseparabiles sint, intentionem recipiunt et remissionem; nam neque genus magis aut minus praedi- catur de eo cuius fuerit genus, neque generis differentiae, secundum quas diuiditur; ipsae enim  sunt quae unius cuiusque rationem complent, esse autem uni cuique unum et idem neque intentionem neque remissionem suscipiens est, aquilum autem esse uel simum uel coloratum aliquo modo et intenditur et remittitur. Differentiis rite partitis earum inter se distantiam monstrat atque unam quidem repetit quam superius dixit. cum enim tres esse dixisset differentias, communes, proprias, magis proprias, alteratum facere dixit proprias, sicut etiam communes, aliud minime, sed hoc solis magis propriis reseruauit. nunc  igitur idem repetit dicens quoniam inseparabiles differentiae quae substantiam monstrant, id est quae per se subiectis speciebus insunt easque perficiunt, aliud faciunt, illae uero  16. 252, 3 superius] p. 244, 1 ss.   1 rationem  GR h  suscipiuntur  Lm2  percipiuntur  Φ  aliud] illud  E  illae—suscipiens est  (12) ]  Ω ,  om. cett . 3 dicuntur] accipiuntur  Φ   (ex 1); Porph. p. 9, 16   λαμβάνονχαι   uel παραλαμβάνοντα   codd .,  λέγονται   Dauid comment. p. 184, 16  alteratum] alterum  W- m1  et  om .  Γ  4 quidem  om .  Λ  uero  Γ  5 uero quae] quidem  Γ  si  om .  Φ  6 sunt  ΔΣΦ brm Busse; Porph. p. 9, 18   v.dv—Jaw  7 aut]  Λ   Busse  et  cett. codd. edd. (cf. 4); Porph. p. 9, 19   ή   cod. M   m;   cett . 9 ipsae]  otuxat   Porph. p. 9, 20  10  post  rationem  add . id est diffinitionem  Φ  11 neque—remissionem  cum Porph. p. 9, 21 cod. Μ ,  ooxe ανεσιν οντε έπίχασιν   cett . 12 aquilum]  cf. ad p. 248, 15  autem  om. P  13  pr . uel] et  Γ  colorari  Em1  et  om. CLR  14 et] uel  R  17 esse  post dixisset  HNP, ante  tres  P  18 alteratum—proprias] proprias alte- ratum facere dixit  HNP  19  post  aliud  add . uero  HNPR, s. l. Lm2   quae sunt propriae, id est secundum accidens inseparabiles differentiae, neque in substantia insunt nec aliud faciunt, sed tantum, ut superius dictum est, alteratum. item alia distantia est earum differentiarum quae secundum substantiam sunt, ab his quae secundum accidens, quoniam quae substantiam mon-  strant, intendi aut remitti non possunt, quae uero sunt secundum accidens, et intentione crescunt et remissione decrescunt. id autem probatur hoc modo. uni cuique rei esse suum neque crescere neque deminui potest; nam qui HOMO (cavallo) est, UMANITA (cavallita) suae nec crementa potest nec detrimenta suscipere. nam neque  ipse a se plus aut minus hodie uel quolibet alio tempore homo esse potest nec homo rursus ab alio homine plus homo potest esse uel animal. utrique enim aequaliter animalia, aequaliter homines esse dicuntur. quodsi uni cuique esse suum nec cremento ampliari potest nec inminutione decrescere,  quod per id facile monstrari potest, quoniam quae genera sunt uel species, nulla intentione uel remissione uariantur, non est dubium quin differentiae quoque, quae unius cuiusque speciei substantiam formant, nec remissionis detrimenta suscipiant nec intentionis augmenta. itaque substantiales differentiae  neque intentionem neque remissionem suscipiunt. huius causa haec est. quoniam esse uni cuique unum et idem est, et  p. 84  intentionem re|missionemue non suscipit huius exemplum. genus  2 nec  N  substantiam  N  sunt  EN  neque  edd . 4 est]  L   (s. l. m2) P edd., om. cett . sunt  om. E  5 secundum accidens quo- niam quae  om. EGP  6  ante  intendi  add . quae  EGP post  pos- sunt  add . secundum  (s. l. E)  accidens  EGP  sunt  om. CHL  7 in- tentione] intensione  Pm2 edd., item 17—p. 253, 6  9 deminui]  Pm1  minui  L (ex  diminui  m2) N  diminui  cett . quia  C  10 decrementa Em1G edd . 11 uel] aut  L  12 neque  N  13 uterque  P  aequa- liter—dicuntur] aequaliter corporales. aequaliter animati. aequaliter ho- mines esse dicuntur  H, eadem uerba loco aequaliter—dicuntur  adiungit sic  utrique enim aequaliter  eqs. N  15 ampliorari  EGLPm1  17  ante  non  s. l . et ob hoc  Em2  19 informant  Pm2  21 suscipient  N  cuius  HNP  22  post  unum  add . est  L  23 remissionemque  N post  exemplum  add.  sit  Lm1 edd. (ante  huius  distinctio) , est  Lm2, s. l. Hm2   enim dici non potest plus minusue cuilibet genus; omnibus enim genus aequaliter superponitur differentiae quoque quae diuidunt genus et informant speciem, quoniam speciei essentiam complent nec intentionem recipiunt nec remissionem. quae  uero secundum accidens differentiae sunt inseparabiles, ut aquilum esse uel simum uel coloratum aliquo modo, et intentionem suscipiunt et remissionem. fieri enim potest ut hic paulo sit nigrior, hic uero amplius simus, ille minus aquilus, at uero quod non omnes homines aequaliter rationales mor-  talesque sint, nec specierum nec differentiarum natura uidetur admittere.   Cum igitur tres species differentiae consi- derentur et cum hae quidem sint separabiles, illae uero inseparabiles, et rursus inseparabilium cum  hae quidem sint per se, illae uero per accidens, rursus earum quae sunt per se differentiarum aliae quidem sunt secundum quas diuidimus genera in species, aliae uero secundum quas ea quae diuisa sunt specificantur, ut cum per se differen-  tiae omnes huiusmodi sint, animati et inanimati,  12—p. 254, 8] Porph. p. 9, 24-10, 8 (Boeth. p. 35, 18—36, 6). 16 differentiarum—19 specificantur] Abaelardus, Introduct. ad theolog., II p. 94.   1  post  cuilibet  add . esse  L edd . 2 quae  om. GPR, del. Hm1?  3 formant  CEGLm1R  species  Lm2NP  3  ante  quoniam  add . quae  EGHLPR  essentiam] substantiam  N  4  ante  quae  add.  ill<a>e  G  6 aquilum]  cf. ad p. 248, 15  colorari  EG  8 nigrior sit  HNP  hic— aquilus] hic uero minus hic magis acilus ille autem minus hic amplius simus illo uero minus  E amplius simus] amplissimus  G, add . sit  L  aquilus]  ut  6 9 non quod  R  ut non  HNPm1  quoniam non  m2  ratio- nabiles  ELm2P  12 considerantur  Λ m2  ( in er . -entur)  2  13 haec  EG  illae—sensibilis  (p. 254, 5) om. CEG  14 et—sensibilis  (ibid.) om. HLNP  16 rursus—sensibilis  (ibid.) om. R  per se sunt  Λ2Φ  17 quidem  om .  Λ2  18 ea]  ΓΔΨΨ   edd . haec  ΛII2  20 animatum et inanimatum sensibile et insensibile rationale et inrationale mortale et inmortale  h m1 animati—insensibilis]  Porph. p. 10, 4   εμψύχου και αίαβητικου   ante  sint  add . animalis  edd. cum Porph .  τοϋ ζώου   quattuor  et  (20—p. 254, 2) om .  2   sensibilis et insensibilis, rationalis et inrationalis, mortalis et inmortalis, ea quidem quae est animati et sensibilis differentia. constitutiua est substan- tiae animalis — est enim animal substantia animata sensibilis —, ea uero quae est mortalis et  inmortalis differentia et rationalis et inrationalis, diuisiuae sunt animalis differentiae; per eas enim genera in species diuidimus.    Fit nunc differentiarum plena et suprema diuisio, quae est huiusmodi. differentiarum aliae sunt separabiles, aliae inse-  parabiles, inseparabilium aliae sunt secundum accidens, aliae substantiales. substantialium aliae sunt diuisibiles generis, aliae coustitutiuae specierum. quod uero ait : cum igitur tres species differentiae considerentur, ad hoc retulit, quod in prima differentiarum diuisione partim eas communes esse,  partim proprias, partim magis proprias dixit, quas rursus tres differentias alias separabiles esse monstrauit, alias inseparabiles, separabiles quidem communes, inseparabiles uero proprias ac magis proprias. inseparabilium uero fecit diuisionem dicens alias esse secundum accidens, quae propriae nuncupantur, magis  proprias uero secundum substantiam considerari. earum uero quae secundum substantiam sunt, subdiuisionem facit, quod  3 constituta  T m1  4  post  animata  add . et  ΓΛ   Busse, om .  ΔΠΣΦΨ Porph. (p. 10, 6) edd . 5 ea] he  ex  e  Rm2  est] sunt  R  6 diffe- rentia  om .  CEGPR  et  om .  CLR \\ rationabilis et inrationabilis (rac-  et  irrac-  P )  Lm2P  7 diuisi  Em1  diuisae  GPm1  has  HP; Porph. p. 10, 8   St’ αΰτών  8 genera in]  L (s. l. m2)   ΓΔΠ .  (in mg. m2)   Ψ   Porph., om. cett . 11  post  inseparabilium  add.  uero  C  12 generis  om. EGR, in mg. Lm2  15  post  esse  add . dixit  HNP  dicit  R  16 dixit  om. HPR, s. l. Em2  rursum  H  17 alias insepa- rabiles esse (esse  om. N ) monstrauit  HNP  18 ac] et  HN  20 acci- dens] se  EG(er.), s. l. Pm2, add . substantiam  Em1  alias (alia  E ) se- cundum substantiam considerari  G edd., in mg. Em2, s. l . alias secun- dum  Pm2, post  considerari  add . et illas esse secundum accidens  edd.  quae—considerari  om. E post  quae  s. l . uero secundum accidens  Pm2  propria  C  proprias  Pm2  nuncupari  Pm2  21 eorum  (sic)  uero quae secundum substantiam  s. l. add. Em2  22  post  quae  add.  et  C   aliae earum genus diuidant, aliae speciem informent. ad cuius rei facilem cognitionem illa tertii libri specierum generumque dispositio transcribatur. sitque primum substantia, sub hac corporeum atque incorporeum, sub corporeo animatum atque  inanimatum, sub animato sensibile atque insensibile, sub quo animal, sub animali rationale atque inrationale, sub rationali mortale atque inmortale et sub mortali species hominis, quae solis deinceps indiuiduis praeponatur. in hac igitur diuisione omnes hae differentiae specificae nuncupantur, generum enim specierum-  que differentiae sunt, sed generum quidem diuisiuae, specierum autem constitutiuae. id autem probatur hoc modo. substantiam quippe corporei atque incorporei differentiae partiuntur, corporeum uero animati atque inanimati, animatum sensibilis atque insensibilis. ita igitur genera substantiales differentiae  partiuntur et dicuntur generum diuisiuae. at uero si eaedem differentiae quae a genere descendentes genus diuidunt, colligantur et in unum quae possunt iungi copulentur, species informatur. nam cum animal species sit substantiae — omnia enim superiora de inferioribus praedicantur et quicquid inferius  fuerit, species erit etiam superioris —, animatum tamen atque  2 illa tertii libri.. dispositio] p. 208, 12 ss.   1 diuidunt  N  diuident  R informant  CNR, add . atque construant  H  atque constituunt (-ant  ex  -ent  P )  NP, s. l. Lm2   (ex p. 256, 3)  at  E  2 facilitatem  G  cognitionem  om. EG  illa  s. l. Hm2  3 trans- feratur  Hm1N; post transcribatur  spatium ad inscribendam figuram ut uid. relictum in EG  sub] ubi  E  hoc  Em1GLm1R  4 atque incorporeum  in mg. Em2  sub corporeo  om. GR, in mg Em2, s. l. Lm2  6 animal sub  om. E  sub animali  om. GR  6 rationabile  E  7 et  om. HN, del. Em2  12 patiuntur  Em1G  corporeum—partiun- tur  (15) om. Em1, in mg . corporeum ( ex  corpore  m3 )—inanimati (ani- matum autem  s. l. add. m3 ) sensibilis—partiuntur  add. m2  13 ani- matum  om. G, post add . autem  Em3  enim  Lm1, del. m2 , et  er. N  14  post  insensibilis  add . partiuntur  CL substantialis  Gm1Pm2  15 si  del. Lm2, post  si  del . et  R  heaedem  P  (dem  er .)  R  (h  del .) hae  HN 16 quae  post  descendentes L 17 in  ex al. litt. Em2  18 informantur  EHN  informant  part. ras. ex informatur  Lm2  fit  E   sensibile quae sunt differentiae, si referantur ad genera, diui- siuae sunt, constitutiuae uero fiunt animalis eiusque sub- stantiam formant atque constituunt definitionemque conformant, ut sit animal substantia animata sensibilis, substantia quidem genus, animatum uero atque sensibile eiusdem differentiae constitutiuae. | item animal rationabilitas atque inrationabilitas diuidit, mortali etiam atque inmortali diuiditur, sed iuncta rationabilitas atque mortalitas, quae animalis diuisiuae fuerant, fiunt homi- nis constitutiuae eiusque perficiunt speciem atque omnem eius rationem definitionis informant atque perficiunt. at si  inrationabilitas cum mortalitate iungatur, fiet equus aut quod- libet animal, quod ratione non utitur, rationabilitas uero atque inmortalitas copulatae del substantiam informant. ita eaedem differentiae cum referuntur ad genera, diuisiuae generum fiunt, si uero ad inferiores species considerentur, informant species  earumque substantiam conuenienti copulatione constituunt. In hoc quaesitum est, quemadmodum dicerentur esse hae diffe-  1  post  sunt  add . eiusdem  P (s. l. m2) edd . diuisiua  Em1G  2  post  sunt  s. l . si ad speciem  Lm2Pm2  uero  om. N, del. Pm1?, s. l. Hm2Rm2  fiunt  s. l. Rm2  3 definitionemque] diuisionemque  EG  formant  Hm1  4 quidem] uero  N  5 ante genus add. eiusdem  CN ,  post add . est  s. l. LPm2 ante  differentiae  add . generis  GP, post add . diuisiuae  R post  constitutiuae  add . animalis  R, s. l . speciei animalis  Lm2  6 rationabilitas—diuiditur]  P  rationalitas atque inrationalitas diuidit mortalitas ( ex  inmortali  m2 ) etiam atque inmortalitas ( ex  inmor- tali  m2 ) diuidit ** ·  H  rationabilitas atque irrationabilitas mortale atque inmortale diuidit  C  rationale atque inrationale (diuidunt  add. N ) mortale atque (et  N ) inmortale diuidit (diuidit  om. N )  NR inrationabile (inratio- nale  L ) atque inmortale diuiditur  EGLm1, in mg. ante  atque  add . irracionale. mortale etiam atque  m2  rationabilitas atque irrationabilitas, mortalitas atque immortalitas diuidit  brm  7 rationalitas  E  8 diuisiua  Em1GLm1R  9 constitutiua  GLm1R eiusque] hominisque  HNP  nominis  (del. Lm2)  eiusque  EGL  10 atque perficiunt  s. l. Rm2  11 irrationalitas  EP  mortali  Lm2Pm1  fiat  G  aut] atque  L  12 rationalitas  HP  13 inmortalitas] inrationabilitas  R  dei  om. G ,  post  substantiam  E (s. l. m2) L  formant  HN  item  HL  14 di- uisae  E  17 esse  om. C  eae  EGR  heae  P   rentiae specierum constitutiuae, cum inrationabilis differentia atque inmortalis nullam speciem uideantur efficere. respondemus primum quidem placere Aristoteli caelestia corpora animata non esse; quod uero animatum non sit, animal esse non posse; quod uero non sit animal, nec rationale esse concedi. sed eadem corpora propter simplicitatem et perpetuitatem motus aeterna esse confirmat. est igitur aliquid quod ex duabus his diffe- rentiis conficiatur, inrationabili scilicet atque inmortali. quodsi magis cedendum Platoni est et caelestia corpora animata  esse credendum, nullum quidem his differentiis potest esse subiectum — quicquid enim inrationabile est corruptioni subiacens et generationi, inmortale esse non poterit —, sed tamen hae differentiae, quoniam substantialium differentiarum in numero sunt, si iungi ullo modo potuissent, earum naturam  et speciem quoque possent efficere. atque ut intellegatur, quae sit haec potentia efficiendae substantiae specieique formandae, respiciamus ad proprias atque communes, quae tametsi iungantur, speciem substantiam que nulla ratione constituunt. si quis enim loquatur ambulans, quae sunt duae communes dif-  ferentiae, uel si albus ac longus, num idcirco isdem eius substantia constituitur? minime. cur? quia non eiusdem sunt generis, quae alicuius possint constituere et conformare sub-  3—7 Aristoteli] cf. De caelo II 12, p. 292 a , 18 ss.; ed. Didot IV part. II p. 38 a , frg. 24 (Cic. de nat. deor. II 15, 42 cum locis ab Heitzio adlatis). 9 Platoni] Tim. p. 38 E. 39 E ss.; cf. supra p. 209, 2.   1 species  G  inrationalis  CEGP  differentiae  E  5 concedit  Lm1N  7 est] esse  CN, ad  est  s. l . ał esset  L  aliud  G  8 con- ficeretur  H, s. l.  ( add . ał)  ad  conficiatur  L  irrationali  Lm2P  9 ac- cedendum  CN  (ac  er .)  H  (ac  in ras. m2 ), concedendum  edd . est platoni  CN  et  om. C  10 credendum  om. CN  11 inrationale (irr-  P )  HP 13  ante  substantialium  add . in  CHN, post  diff.  om. CHNR  16 efficientiae  G  17 tametsi] etsi  C etiam (si  er. H ) etsi  H  ( in mg . ł tametsi  m2 )  NP  19 loquitur  HN  20 sit  H  num  ex  non  Rm2 isdem]  NP  eisdem (ei  in ras. m2 )  L  hisdem  cett., post s. l . differentiis  add. Em2  21  ante  cur  add . id  HNP, s. l. Lm2  eius  EG  sunt  ante  eiusdem  N, post  generis  L  22 possunt  NP  con- firmare  Em1GRm1   stantiam. ita igitur hae, id est inrationale atque inmortale, etiamsi subiectum aliquod habere non possunt, possent tamen substantiam efficere, si ullo modo iungi copularique potuissent, praeterea inrationale iunctum cum mortali substantiam pecudis facit : est igitur constitutiua inrationalis differentia, item inmor-  tale ac rationale coniuncta efficiunt deum: est igitur inmortale quod speciem formet, quodsi inter se iungi nequeunt, non idcirco quod in natura earum est, abrogatur.   Sed hae quidem quae diuisiuae sunt differentiae generum, completiuae fiunt et constitutiuae specierum; diuiditur enim animal rationali et inrationali differentia et rursus mortali et inmortali differentia, sed ea quae est rationalis differentia et mortalis, con- stitutiuae fiunt hominis, rationalis uero et inmortalis del, illae uero quae sunt inrationalis et mortalis, inrationabilium animalium, sic etiam et supremae substantiae cum diuisiua sit animati et inanimati dif- ferentia et sensibilis et insensibilis, animata et sen- sibilis congregatae ad substantiam animal perfecerunt.    9—19] Porph. p. 10, 9—17 (Boeth. p. 36, 7—15).   2 aliquod  om. C  aliquid  LP  possunt—substantiam] possent tamen substantiam possent  C  4 mortale  EGPm1  5 irrationabilis  NP  ita R 6 coniunctae  HN  8 eorum  edd . 9 haec  CL  heae  P  10 generum  om. EG  fiant  Cm1Em1G  sunt  Σ  11 diuiditur—insensibilis  (18) ]  2 ,  om. cett . 12  pr . et—differentia  om.   2 ,  add.   X m2  13 ea... differentia]  Porph. p. 10, 12 ai... διαοοραί  rationalis.. mortalis  cum cod .  M Porph., cett .  τοΰ 6-νητοδ καί τού λογικού  14 fiunt] definiunt  Δ m1 ΙΛΣ  hominem  Δ m1 ΑΣ  15 dni in ras.  2 ,  add . sunt et angeli  Δ ,  sed del., ante  dei  add.  angeli et  Π m2 ,  sed del.; codd. Porph. p. 10,13 aut   θεού   aut   άγγέλοο  quae sunt  add .  X m2   post  mortalis  add . constitutiuae sunt  Γ  16 inratio- nalium  X m2 \ m1 ,  add . sunt  Φ etiam] enim  Φ  supremae substan- tiae]  T m2  (suae substantiae  m1 )  X m 2 (superna substantia  m1 ) suprema substantia  cett. codd. edd. Busse; cf. Porph. p. 36, 12 et infra p. 259, 23  18 animatum  EGR  sensibile  E  (le  in ras .)  R  19 congregata  ER  perficerent  G  perficiunt  in ras .  2 post  perfecerunt  add . animata uero et insensibilis perfecerunt plantam  edd. cum Porph. p. 10, 17, om .  BOEZIO etiam in commentario Geminum differentiarum usum esse demonstrat, unum qui- dem quo genera diuiduntur, alium uero quo species infor- mantur; neque enim hoc solum differentiae faciunt, ut genera partiantur, uerum etiam dum genera diuidunt, species in quas  genera deducuntur efficiunt, itaque quae diuisiuae sunt gene- rum, fiunt constitutiuae specierum, huiusque rei illud exemplum est quod ipse subiecit; animalis quippe differentiae sunt diuisiuae rationale atque inrationale, mortale atque inmortale; his enim PREDICAZIONE  diuiditur animalis, omne enim quod animal  est, aut rationale aut inrationale aut mortale aut inmortale est. sed istae differentiae quae diuidunt genus quod est animal, speciei substantiam formamqne constituunt, nam cum sit homo animal, efficitur rationali mortalique differentiis, quae dudum animal partiebantur, item cum sit equus animal, inrationali  mortalique differentiis constitui|tur, quae dudum animal diuidebant. deus autem cum sit animal, ut de sole dicamus, rationali inmortalique efficitur differentiis, quas diuidere genus habita partitio paulo ante monstrauit. sed hic, ut diximus, deum corporeum intellegi oportet, ut solem et caelum ceteraque  huiusmodi, quae cum animata et rationabilia Plato esse confirmat, tum in deorum uocabulum antiquitatis ueneratione probantur assumpta, de primo quoque genere, id est substantia demonstrantur uenire. nam cum eius diuisiuae sint differentiae  18 ut diximus] p. 208, 22 ss. 20 Plato] cf. p. 257, 9.   2 aliud  EHm1Rm2  alio  m1  uero  om. R  4 partiuntur  GPm1  diuidendo  N  5 deducantur  HN  dicuntur  R  diuiduntur C (uid  in er . duc?  m2 ) diuisae  Em1Gm2HR  6 huius C rei  om. EGR s. l. Lm2  7 ipse] ille  R  diuisae  Em1Gm2  8 mortale atque inmortale  om. EGR, in mg. Lm2  9 quod animal est] animal  HNR  10  pr . aut  om. R post  rationale  add . est  HN  11 est  om. HR  quod] hoc  C  13  post  efficitur add. ab his  EPm1, del. m2, s. l. Lm2  post differentiis  add . constituitur  Cm1, del. m2  14 partiebantur] diuidebant Lm1R  15 diuidebant] parciebantur  R  16 ut] si  CH, in ros. N, recte?; cf.p. 208, 22  20 confirmet  C  (et  in ras. m2 ) HLm2N  22 substantiam  Em1  23 demonstrantur] idem monstratur  HN  idem  (super ras. Cm2, s. l. Pm2)  demonstrantur  Cm1Pm1, alt . n  del. Cm2Pm2  euenire  HNPm2, add. s. l . differentiae  Lm2  diuisae  Em1Pm1  sunt  EHm1   animatum atque inanimatum, sensibile atque insensibile, iunctae differentiae sensibilis atque animati efficiunt substantiam ani- matam atque sensibilem, quod est animal, iure igitur dictum est, quae diuisiuae sunt differentiae generum, easdem esse constitutiuas specierum. Quoniam ergo eaedem aliquo modo quidem acceptae fiunt constitutiuae, aliquo modo autem diuisiuae, specificae omnes uocantur. et his maxime opus est ad diuisiones generum et definitiones, sed non his quae secundum accidens inseparabiles sunt, nec magis his  quae sunt separabiles.  Omnes a genere differentias procedentes genus ipsum a quo procedunt, diuidere nullus ignorat, ipsae autem quae diuidunt genus, si ad posteriores species applicentur, informant substantias easque perficiunt, eaedem igitur sunt constitutiuae  specierum, eaedem diuisibiles generum, alio tamen modo atque alio consideratae, ut si ad genus relatae quidem in contrariam diuisionem spectentur, diuisibiles generis inueniuntur, si uero iunctae aliquid efficere possint, specierum constitutiuae sunt, quae cum ita sint, hae differentiae quae genus diuidunt, rectissime diuisiuae nominantur - quae enim constituunt speciem, specificae sunt, sed constituunt speciem hae differentiae quae  6—11] Porph. p. 10, 18—21 (Boeth. p. 36, 15—19).   4  post  constitutiuas  add . et completiuas  C  completinasque  HNP   (ex p. 258,10)  6 ergo] igitur  P  needem  uel  heedem  hic et 15. 16. p. 261, 1 codd. quidam  alio  P  ( ras. ex  aliquo,)  Γ  (o  in ras .) quidem]  ΓΔΛΙIΨ ,  om. cett.; Porph. p. 10, 18   μεν  7 aliquo—inseparabiles sunt  (10) ]  Ω ,  om. cett . alio  ras. ex  aliquo  ut uid .  Γ  autem modo  Φ  autem  add .  5 m2  10 sunt inseparabiles  Γ his  om .  Γ  12  post  Omnes  add . enim  R  13 quo] quibus  EGR  procedent  Em1  15  post  sub- stantias  s. l . earum  L  eas substantiasque (quae  N )  HNR  sunt igitur  HL  16  post  eaedem  add . sunt  LR  19 sint  CHPRm1  21 diui- siuae] specificae  Lm2  nominantur] nuncupantur  HΡΝ  enim  om. C   post  speciem  add. eaedem speciem faciunt, quae uero speciem faciunt  CHN   sunt generis diuisiuae - eaedemque sunt specierum constitu- tiuae. quare iure quae generum diuisiuae sunt et quae specierum constitutiuae, specificae nuncupantur, has igitur in diuisione generis et in definitione specierum accipi oportere  manifestum est. quoniam enim diuisiuae sunt, per eas diuidi oportet genus, quoniam autem constitutiuae, per eas species definiri; quibus enim unum quodque constituitur, isdem etiam definitur, constituitur autem species per differentias generis diuisiuas, quae sunt specificae, iure igitur specificae solae et  in generis diuisione et in specierum definitione ponuntur, et de specificis quidem haec ratio est, de his autem quae uel separabilia uel inseparabilia continent accidentia, nihil in generum diuisione uel definitione specierum poterit assumi, idcirco quoniam quae diuisibiles sunt, substantiam generis  diuidunt, et quae constitutiuae sunt, substantiam speciei con- stituunt. quae uero sunt inseparabilia accidentia, nullius substantiam informant, unde fit ut multo minus separabilia accidentia ad diuisiones generum uel specierum definitiones accommodentur; omnino enim dissimiles sunt substantialibus  differentiis, nam inseparabilia accidentia hoc fortasse habent commune cum specificis, hoc est substantialibus differentiis, quod aeque subiectum non relinquunt, sicut nec specificae differentiae, separabilia autem accidentia ne hoc quidem; sepa-  1 diuisae  Gm1  eaedemque]  H  (hee-)  NP  eaedem  C  igitur eaedem (eaedem  s. l. Lm2 ) quae (que  E ) sunt  EGLR  constitutiuae specie- rum  C  2 quare—constitutiuae  om. EGLR  quare iure] iure igitur  P  4 diuisionem  HLm2P  et] uel  R  definitionem (uel diff-)  HL  ( s. l . ał constitutione]  P  diuisione  Em1  6 eius  Em1  7  post  definiri  add . oportet CN, s. l . (scil.  add. E )  EL  quibus—definitur  om. EGLR, in mg. Pm2  hisdem  CHN  9 solae  s. l. Em2  10  post , in  om. HN  12 continent] concedunt  EG, s. l . uel faciunt  Gm1?  13  post  uel  add . in  L  16 sub- stantiam]  HN, om. Em1 , speciem  CGLm1R  (post informant)  s. l. Em2 , speciei substantiam  Lm2P edd . 17 formant  H  multo  om. C  18 ad diuisiones—accidentia  (20) in inf. mg. Gm2  definitiones] diuisiones  Em1G  19  ante  substantialibus  add . a  HN, recte?  22  ante quod  add. id H   (linea del., sed linea er. uid.) N ad  quod aeque  s. l. ał  quod hae similiter  L  sic  G  (ut  er .)  L (ut del. m2)  23 ne] nec  LN   rari enim possunt, nec tantum potestate et mentis ratiocinatione, sed actus etiam praesentia, et omnino ueniendi uel discedendi uarietatibus permutantur. Quas etiam determinantes dicunt: differentia est qua abundat species a genere, homo enim ab animali  plus habet rationale et mortale : animal enim neque ipsum nihil horum est nam unde habebunt species differentias? neque enim omnes oppositas habet nam in eodem simul habebunt opposita —. sed, quemadmodum probant, potestate quidem omnes  habet sub se differentias, actu uero nullam, ac sic neque ex his quae non sunt, aliquid fit neque opposita circa idem sunt.    Specificas differentias definitione concludit dicens substantiales differentias a quibusdam tali descriptionis ratione finiri :  differentia specifica est qua abundat species a genere, sit enim genus animal, species homo : habet igitur homo differentias in se, quae eum constituunt, rationale atque mortale; omnis enim species constitutiuas formae suae differentias in se retinet nec praeter illas esse potest, quarum congregatione  perfecta est. si igitur animal quidem solum genus est, homo uero est animal rationale mortale, plus habet homo ab animali id quod rationale est atque mortale, quo igitur abundat species  4—13] Porph. p. 10, 22—11, 6 (Boeth. p. 36, 20—37, 5).   1 nec] non  brm  4 Quae  h m1  dicuntur  A m1  est  add .  \ m2  5 que  Em1  quae  Ga.c . abundant (ha-  G )  Em1G  a  om. N ho- mo—-nullam  (11) ]  R Q ,  om. cett . ab  om .  ΓΦ  6 enim] enim tamen  R  autem  A  7 horum nihil  Γ  8 enim  om .  Φ ,  add .  & m2 , autem  er .  T  :  Porph. p. 11, 3   ούτε ίί ; enim  pro  autem;  cf. ad p. 16, 15; an  autem ( cf.   T )  Boethius scripsit ? opposita  R  habet]   habent  cett .  codd. et edd . 9 nam] nec  R  habebit  Φ  ( post  opposita), non habe- bunt  Δ  11 habet]  P p.c .  Φ*Γ  habent  cett . ac sic  om. N  sic  ex  si  Em2G  12 hiis  Φ  sint  Sa.c . opposita] ex oppositis quae  R h m1  13 circa idem sunt]  Porph. p. 11, 6   &pa περί τό αΰτο εσται  15 diffiniri  Pm2R  19 constitutiuae  Em1GLp.c.Rm1  in se  om. C  22 est uero  E  23 id] id est  EGP   a genere, id est quo superat genus et quo plus habet a genere, hoc est specifica differentia, sed huic definitioni quae- dam quaestio uidetur occurrere habens principium ex duabus per se propositionibus notis, una quidem, quoniam duo con-  traria in eodem esse non possunt, alia uero, quoniam ex nihilo nihil fit. nam neque contraria pati sese possunt, ut in eodem simul sint, nec aliquid ex nihilo fieri potest; omne enim quod fit, habet aliquid unde effici possit atque formari, quae pro- positiones talem faciunt quaestionem, dictum est differentiam  esse id qua plus haberet species a genere, quid igitur? dicendum est genus eas differentias quas habent species, non habere? et unde habebit species differentias quas genus non habet? nisi enim sit unde ueniant, differentiae in speciem uenire non possunt, quodsi genus quidem has differentias non habet,  species autem habet, uidentur ex nihilo differentiae in speciem conuenisse et factum esse aliquid ex nihilo, quod fieri non posse superius dicta propositio monstrauit. quod si differentias omnes genus continet, differentiae autem in contraria dissol- uuntur, fiet ut rationabilitatem atque inrationabilitatem, mor-  talitatem atque inmortalitatem simul habeat animal, quod est genus, et erunt in eodem bina contraria, quod fieri non potest, neque enim sicut in corpore solet esse alia pars alba, alia nigra, ita fieri in genere potest; genus enim per se conside- ratum partes non habet, nisi ad species referatur, quicquid  igitur habet, non partibus, sed tota sui magnitudine retinebit, nec illud dubium est, quin in partibus suis genus habeat  1  post , quo] quod  Em1  (quid  m2 )  GHm1R  a  om. H  2 hoc—dif- ferentia  om. C  huic] hunc  Em1N  4 per se  ante  notis  brm  unam  GHa.r. 5  aliam  C (sic) Ha.r. post  quoniam  add . quidem  C  6 sit  C  nec  N  10 id  om. R  qua] quod  GHLm1P; cf. p. 270, 12  dicen- dumne  Lm2  11 genus  ante  non habere  HNP  habent] habet  Lm2  12 habet] habebit  CEGLm1, in mg. Rm2 (om. m1)  13 ueniunt  R  15 uidetur  GLm1P  differentia  EGL  ( ex  -tiasj P 16 esse] est  CLP  aliquando  Em1  18 contrarium  HLm2NPm1  contrario  R  19 mortali- tatem atque inmortalitatem]  CNP, s. l. Lm2, om. cett . 22 esse  post  alba  N, post  alia  P  25 detinebit  N  26 in]  HNP, s. l. Lm2, om. cett .   contrarietates, ut animal in homine rationabilitatem, in boue contrarium. sed nunc non de speciebus quaerimus, de quibus constat, sed an ipsum per se genus eas differentias quas habent species, habere possit atque intra suae substantiae ambitum continere, hanc igitur quaestionem tali ratione dis-  soluimus. potest quaelibet illa res id quod est non esse, sed alio modo esse, alio uero non esse, ut Socrates cum stat, et sedet et non sedet, sedet quidem potestate, actu uero non sedet. cum enim stat, manifestum est eum non agere sessi- onem, sed potius standi inmobilitatem. sed rursus cum stat,  sedet, non quia iam sedet, sed quia sedere potest; ita actu quidem non sedet, potestate uero sedet. et ouum animal est et non est animal. non est quidem animal actu, adhuc namque ouum est nec ad animalis processit uiuificationem, sed idem tamen est animal potestate, quia potest effici animal, cum  formam ac spiritum uiuificationis acceperit. ita igitur genus et habet has differentias et non habet, non habet quidem actu, sed habet potestate. si enim ipsum per se animal consideretur, differentias non habebit, si autem ad species reducatur, habere potest, sed distributim atque ut eius speciebus separarim nihil  possit euenire contrarium. ita ipsum genus si per se consi-  1  post homine  s. l . habet  E, post  rationabilitatem  Lm2  2 nunc  om. EGR, s. l. Lm2  4 suae intra  C  6 quaelibet illa res]  HLm2NPm1  quaelibet res  ( res  s. l. E) CEPm2  quidlibet  Lm1R  quodlibet  G 7 alio uero non esse  om. Hm1, s. l . alio non esse  m2  8  secund . sedet  om. CEGR  9 enim  om. CEGLPm1 (s. l . autem  m2) R  sessione  G  10 mobilita- tem  CEGLm1P  mobilitate  N  cum stat  in  constat  mut .  ERm2  13 actu  om. EG  14 neque  CL  ad  om. E  animal  G  animalis quidem  L  16 spiritum] speciem  CHR  genus et]  ELm2NP  et genus et  H  genus  CGLm1R  17 non habet quidem—potestate] habet quidem potestate sed non habet  ( habet  om. C)  actu  CEm2P  habet quidem actu sed non habet potestate  Em1G  18 consideretur] quis  (s. l.)  consideret  E  19 autem] enim  R  reducat  E  20 distributim]  HLm2PRm2  distri- butum  CN  distribute  EGLm1 distributam  Rm1  atque—contrarium] atque in species separatum  ( separatim  H)  ut nihil possit esse  ( euenire  H)  contrarium  CHN, add. locum  atque ut eius—contrarium  C  nihil] et nihil  G 21 si ipsum genus  HN   deretur, differentiis caret; quod si ad species referatur, per distributas species uel in partibus suis contraria retinebit, atque ita nec ex nihilo uenerunt differentiae quas genus retinet potestate nec utraque contraria in eodem sunt, cum contrarias  differentias in eo quod dicitur genus, actu non habet, inpos- sibilitas enim eius propositionis quae dicit contraria in eodem esse non posse, in eo consistit quod contraria actu in eodem esse non possunt, nam potestate et non actu duo contraria in eodem esse nihil impedit, quae uero nos contraria diximus,  Porphyrius opposita nuncupauit. est enim genus contrarii oppositum : omnia enim contraria, si sibimet ipsis considerantur, opposita sunt. Definiunt autem eam et hoc modo : differentia est quod de pluribus et differentibus specie in eo quod  quale sit PREDICARE; rationale enim et mortale de homine PREDICATO in eo quod quale quiddam est  homo dicitur, sed non in eo quod quid est. quid est enim homo interrogatis nobis conueniens est dicere animal, quale autem animal inquisiti, quoniam ratio-  nale et mortale est, conuenienter adsignabimus.    Tres sunt interrogationes ad quas genus, species, differentia, proprium atque accidens respondetur, haec autem sunt : quid  13—20] Porph. p. 11, 7—12 (Boeth. p. 37, 6-12).   1 species] differentias  H  2 uel  om. Lm1  uelut  HLm2  sin eo] id  HN  quot  E  7 actu  ante  contraria  H, post  eodem  CLN  in eodem esse—in eodem  om. EG  8  post  non possunt  add . quantum ad genus potestate solum, quantum ad species actu et potestate  Rm2  9 nil  L  contraria nos  C  11 si  om. HN, s. l. Cm2  si in semet  Lm2P  considerentur  CLm2  12 sunt  om. HN  13 autem  om. H  enim  C  et om.  CEGHNP 2 ,  ante  eam  4 ;  Porph. p. 11, 7   xo; όντως  14 quae  EP  de  om. C  et om.  CEGLIR; Porph.   xat ;  cf. infra p. 267, 1  15 ra- tionale—animal  (19) ]  R Q ,  om. cett . 16 praedicatur  T a.c.   m1  quid- dam  om.   ΓΦ  18 homo om.  R ΔΦ ,  s. l . scil, homo  \ m2 ; Porph.  p. 11, 10   6 άνθρωπος  19  post post , animal  add . sit  C, ante EG  inquisiti]  Porph. p. 11, 11   πυνθανομενων  20 et  om. CEGLR; Porph. p. 11, 12   xac  est om.  HNR, s. l .  2 m2 assignauimus  E  assignamus  G  22 hae  Hp.r.LR edd . heede  m P   sit, quale sit, quomodo se habeat, nam si quis interroget: quid est Socrates? responderi per genus ac speciem conuenit aut animal aut homo, si quis quomodo se habeat Socrates interroget, iure accidens respondebitur, id est aut sedet aut legit aut cetera, si quis uero qualis sit Socrates interroget,  aut differentia aut proprium aut accidens respondebitur, id est uel rationalis uel risibilis uel caluus. sed in proprio quidem illa est obseruatio, quod illud proprium dici potest quod de una specie PREDICARE, accidens uero tale est quod qualitatem designet quae non substantiam significet, differentia uero talis  est quae substantiam demonstret, interrogati igitur qualis una quaeque res sit, si uolumus reddere substantiae qualitatem, differentiam praedicamus, quae differentia numquam de una tantum specie praedicatur, ut mortale uel rationale, sed de pluribus, quod igitur de pluribus speciebus inter se differentibus PREDICARE ad eam interrogationem, quae quale sit id de quo quaeritur interrogat, ea est differentia cuius talem posuit definitionem : differentia est quod de pluribus  1 se  om. G, s. l. E  habet  CEGLR  2 per  om. H  ac  N  3  pr . aut] ut  CHm1N post , aut] ut  Hm1N  habet  R, post  habeat  del . se habet  G  4 iure—legit] differentia aut legit  G  aut differentiam * ut (a er.) legit  E  differentia respondetur (respondetur  etiam R) id est aut sedet aut legit  Lm1 5 aut] et  HLm1NP quale  H  6 proprio aut accidenti  EGR  respondebitur]  CLm2P  respondebit  EGR  respondetur  HLm1N  7  pr . uel  om. LN  uel risibilis uel caluus]  Lm1 edd . uel mortalis uel caluus  CHLmSN  uel mortalis uel alicuius  EGR  uel mor- talis uel saluus uel caluus  Pm1  uel mortalis uel risibilis uel caluus  m2 10 quae non—demonstret] Differentia uero talis est  (haec om. L)  quae (que  ELm1  atque  m2 ) non substantiam significet (-cat  Lm1, add. m1  Differentia uero talis est quae substantiam significat, del.  m2 ). Differentia uero talis est quae (non  add., sed del. E ) substantiam demonstret (at  Lm1 )  EGL  post significet  in mg.  Proprium uero est quod non sub- standam significat  H  11 quae] quia  R  demonstrat  CLm1  inter- roganti  R  ( ex  -tis] quale  R  12 constantiae  G  13 numquam] non  C  tantum de una  C  14 sed  om. EG, s. l. Lm2  15 quod] quod- si  R  16  ad  praedicatur  in mg . respondetur  E  18 pluribus—differen- tibus]  cf. p. 265, 14   specie differentibus in eo quod quale sit praltdicatur; cuius definitionis causam rationemque pertractans ait;   Rebus enim ex materia et forma constantibus uel ad similitudinem rtfateriae et formae constituti-  onem habentibus, quemadmodum statua ex materia est aeris, forma autem figura, sic et homo communis et specialis ex materia quidem similiter consistit genere, ex forma autem differentia, totum autem hoc animal rationale mortale homo est, quemadmodum  illic statua. Dixit superius differentias esse quae in qualitate speciei PREDICARE, nunc autem causas exequitur, cur speciei qua- litas differentia sit. omnes, inquit, res uel ex materia formaque consistunt uel ad similitudinem materiae atque formae substantiam sortiuntur, ex materia quidem formaque subsistunt  3—10] Porph. p. 11, 12—17 (Boeth. p. 37, 12-17).   1  post  quale  add . quid  Lm2(in ras.) E (sed er.) Rm1, del. m2, add . quid  post  sit  s. l. Hm2  4  post similitudinem  add . proportionemque  LNRQ  ( in mg . nempe communionem  Γ );  om. Porph. p. 11, 13  et) ac  ΓΔΙΙΨ- ,  om .  L Α2Φ  formae]  A m2 HI!1-  speciei  CEGHNPR h m1  specieique L Λ2Φ  formae speciei  er. uid .  Γ ;  cf. Porph. et infra 13 ss . 5 quem- admodum—differentia  (8) ]  LR Q ,  om. cett. post  materia  add . quidem  edd., recte ut uid.; Porph. p. 11, 14   μέν  6 aeris] et  (s. l. m2)  aere  (in ras. m2)   Ψ  forma] ex ( in al. litt.   xV m2 ) forma  L xV brm   Busse;   Porph .  εΐϊοος post figura haec Proportionale autem (enim  Φ ) dicitur (est  Σ ) quod proportionem omnium specierum teneat (tenet  Σ ) id est communionem omnium partium uel (et  T ) specierum quae diuidi (diui- dendo Rhm1 diuidendae  Th m2 \l m1 2'l> ) ex ea (eo  ΣΣ ) contingunt (con- tingant  R ) per (del.  Σ ) differentiam figuras  ΓΠ m2  diffe- rentiam figuras  \ )  add .  LR T m1 h m1 ΑΠΣΦ ,  om .  Ψ ,  del .  T m2 \ m2  7 simi- liter]  Busse  similiter proportionaliter  LR ll m1  similiter proportionaliterquc  ΓΔΙ m2 Φ'Ρρ  proportionaliter  2 brm; cf. Porph. p. 11, 15  8 ante genere  add . in  Γ m2  (ex  m1 )  L Σ  toto  Ga.c . 9 ratione  E ante  mortale  add . et  CEGHLPR, om .  N Q   cum Porph. p. 11, 16  homo est om.  N ,  ex  homine  Δ m2  11 differentiam  HN  12 praedicaretur  HN causis  Em1 post  cur  add . autem  Hm1, del. m2  qualitas speciei  H  13 omnis  ELm2N  uel  om. EGR  14 consistit  Ea.c.HLm2  subsistit  N  15 sortitur  HLm2N  ex  om. CEGR  formaque] et forma  P   omnia quaecumque sunt corporalia; nisi enim sit subiectum corpus quod suscipiat formam, nihil omnino esse potest, si enim lapides non fuissent, muri parietesque non essent, si lignum non fuisset, omnino nec mensa quidem, quae ex ligni materia est, esse potuisset, igitur supposita materia ac praeiacente cum in ipsam figura superuenerit, fit quaelibet illa res corporea ex materia formaque subsistens, ut Achillis statua ex aeris materia et ipsius Achillis figura perficitur, atque ea quidem quae corporea sunt, manifestum est ex materia formaque subsistere, ea uero quae sunt incorporalia, ad similitudinem materiae atque formae habent suppositas priores antiquioresque naturas, super quas differentiae uenientes effi- ciunt aliquid quod eodem modo sicut corpus tamquam ex materia ac figura consistere uideatur, ut in genere ac specie additis generi differentiis species effecta est. ut igitur est in  Achillis statua aes quidem materia, forma uero Achillis qualitas et quaedam figura, ex quibus efficitur Achillis statua, quae subiecta sensibus capitur, ita etiam in specie, quod est homo, materia quidem eius genus est, quod est animal, cui superueniens qualitas rationalis animal rationale, id est speciem  fecit, igitur speciei materia quaedam est genus, forma uero et quasi qualitas differentia, quod est igitur in statua aes, hoc est in specie genus, quod in statua figura conformans, id in specie differentia, quod in statua ipsa statua, quae ex aere  2 potest] putem  G putemus  R  4 nec  om. Gm1  ne  EGm2L  5 ma- teria est] fit materia  HNP ante  igitur  add . si  E ,  sed del . 6 in  om. R  ipsa  ER  figuram  Hm1La.r . peruenerit  HN  9 corpo- ralia  HNP  ex  om. C  11 prioris  Em1G  12 antiquiorisque  G  13 tamquam  om. CLP, del. Hm2  ex] ea  GL (in ras. m2) R 14 materia ac figura]  brm  materia  (in ras. Lm2)  forma ac figura (ac figura  del. Lm2 )  LP forma ac figura  CEGHRp  figura ac forma  N  15 generi] generis  EG  16 aes—statua  (17) om. N materiae  G  17 et quae- dam—statua]  CH, om. Lm1  ( in mg . et quaedam figura  m2 )  P  statua (cet. om.) EGR  18 quod] quae  edd . 22 et  om. EGR, s. l. Lm2  quali- tatis  R  igitur est (est  s. l. Pm2 )  HNP  23 figura] forma  N  24  post  quod  add . est igitur  Pm2   figuraque conformatur, id in specie ipsa species, quae ex genere differentiaque coniungitur. quodsi materia quidem speciei genus est, forma autem differentia, omnis uero forma qualitas est, iure omnis differentia qualitas appellatur, quae cum ita  sint, iure in eo quod quale sit interrogantibus respondetur.  Describunt autem huiusmodi differentias et hoc modo: differentia est quod) aptum natum est diuidere quae sub eodem sunt genere; rationale enim et in- rationale hominem et equum, quae sub eodem sunt  genere, quod est animal, diuidunt.    Haec quidem definitio cum sit usitata atque ante oculos exposita, eam tamen plenius dilucideque declarauit. omnes enim differentiae idcirco differentiae nuncupantur, quia species a se differre faciunt, quas unum genus includit, ut homo atque  equus propriis discrepant differentiis; nam sicut homo animal est, ita etiam equus, ergo secundum genus nullo modo distant.  6—10] Porph. p. 11, 18—20 (Boeth. p. 37, 18—38, 1).   1 formatur  CHNP  2 quidem] quaedam  CHLm2PR  3 autem] nero  N uero] ergo  Lm1  autem  N  qualitas]  HNPm1  qualia  CEGLR  uel qualis  s. l. Pm2  5  ante respondetur  excidisse  differentia  coni. Brandt  6  post  autem  add . et  L (del.) R; Porph. p. 11, 18 post   8e   add . *αί   cod. B  differentias]  Em2GHPm1 xV  differentiam  CLPm2   ΓΛΑΙIΣΦ differentia  Em1NR; Porph ,.  τάς τοιούτας διαφοράς  et]  LPR i ,  om. cett.; Porph. *a\ οοτως  7 qua  CG  actum  R  natura]  HL   (del. m2)   ΓΑΛΠΦ   om. cett.; Porph. p. 11, 19   πεφοχος;   cf. infra p. 272, 5—9. 275, 12  8 ante quae add. ea  Γ2 ,  s. l.   A m2 ,  del. m. al. , illa  s. l.   Δ m2  genere sunt  ΣΑΨ  rationale—sunt genere  om. EG  9 et equum] equnmque  C  10 diuidit  L  11 cum—oculos  in mg. E  sit usitata] sita sit situr  (sic) Em1  ita sit  m2  situ sit sita  G  ante  om. HNR, s. l. Lm2 oculis  HN  12 post exposita add. superius  R  ea  GNR  plenius dilucideque declarauit] (claruit  Em1Gm1 )  CEm2Gm2  plenius dilucideque declarauit  L  plenius lucidinsque declarauit  Hm2 plenius dilucidiusque claruit  R  exempli insuper luce declarauit ( ex  decla- ruit  N )  NP  plenius dilucideque exempli insuper luce declarauit  Hm1  exempli insuper luce reserauit  edd . 13 species ase differre] specie ( ex  specierum,  sequ. rasura ) differentiam  E  species in aere differentiam  G  species ase differentiae  Lm1  14 a] ad  R  concludit  N  15 nam  in ras. Lm2  sed  EG   quae igitur secundum genus minime discrepant, ea differentiis distribuuntur, additum enim rationale quidem homini, inratio- nale uero equo equus atque homo, quae sub eodem fuerant genere, distribuuntur et discrepant, additis scilicet differentiis. Adsignant autem etiam hoc modo: differentia  est qua differunt a se singula; nam secundum genus non differunt, sumus enim mortalia animalia et nos et inrationabilia, sed additum rationabile separauit nos ab illis, et rationabiles sumus et nos et dii, sed mortale adpositum disiunxit nos ab illis. Vitiosa ratione et non sana quod uult explicat definitio quorundam. id enim esse dicunt differentiam qua una quaeque res ab alia distet, in qua definitione nihil interest quod ita dixit an ita concluserit : differentia est id quod est differentia, etenim differentiae nomine in eiusdem differentiae usus est  5—10] Porph. p. 11, 21—12, 1 (Boeth. p. 38, 1—5).   2 describuntur  EG  3  post  equo  distinguunt edd., post  equus  expec- tatur  igitur’  Schepps , additum  eqs. nominatiuum absolut .  (cf. indicem Meiseri) interpretatur Brandt  qui  Lm2P  5 autem  om .  \,   del. Lm2 A. m2  etiam  om. H  etiam et  Λ  eam et  Ν Σ ;  Porph. p. 11, 21   St καί  6 qua]  Porph.   διαφορά έσχιν δχψ διαφέρει έκασχα;  ‘an quo?’  Busse, sed cf. infra p. 271, 1.7. 18. 272, 17 . 6 nam—ab illis  (9) ]  LR Q ,  om. cett. post  nam  add . homo et equus  cum Porph. edd. (cf. etiam infra p. 271, 9. 12, sed etiam supra p. 269, 9) ,  etiam Bussio  homo atque equus  addendum uid . 7 enim] autem  Γ  8 inrationalia ( uel  irr-)  R ?ΓΠ   (in ras.)  ros.  ex  -bilia  Δ  sed—illis  (9)   om. R  ratio- nabile]  p.r   rationale  \ a.r. et cett . separauit] disiunxit  ΓΦ  9 et]  CHP, s. l. er. uid.   Δ ,  om. cett . rationabiles]  L \ m1 2  rationale  CP  rationales  cett., add . enim  ΕGΗ ΑίΙΦΨ ;  codd. Porph. aut   λογικοί  aut  λογικά  sumus  om. CEGHP; Porph .  έσμέν  et nos  om. E  et  om. N di  C  dei  ut uid   . 2 sed—ab illis  om. EG  11  ante  Vitiosa  in ras.  Haec  E  ratione]  L edd., om. cett. (recte?), in ras . est  E  et  om. G  sane  E (in ras.) NP  explicans  HNP  non  (s. l. m2)  explicat  L  12 id]  cf. p. 263, 10  13 aliis  R  distat  HN  differt  P  14 dixerit  Lm2P  an] utrum  R  concluderit  L  concludat  EGR  id quod est  om. E ante  differentia  add . ipsa  ER  differentia  om. G  15 etenim om. EGR  differentiae nomine] qua differt una res ab alia, id est id quod est differentia est differentia. Differentiae nomine fid est—nomine  in ras. m2) E  in—definitione] usus in eius diffinitione  N   definitione dicens : differentia est qua differunt a se singula, quodsi adhuc differentia nescitur, nisi definitione clarescat, differre quoque quid sit qui poterimus agnoscere? ita nihil amplius attulit ad agnitionem qui differentiae nomine  in eiusdem usus est definitione, est autem communis et uaga nec includens substantiales differentias, sed quaslibet etiam accidentes hoc modo : differentia est qua a se differunt singula; quae enim genere eadem sunt, differentia discrepant, ut cum homo atque equus idem sint in animalis genere,  quoniam utraque sunt animalia, differunt tamen differentia rationali, et cum dii atque homines sub rationalitate sint positi, differunt mortalitate, rationale igitur hominis ad equum differentia est, mortale hominis ad deum, atque hoc quidem modo substantiales differentiae colliguntur, quodsi Socrates  sedeat, Plato uero ambulet, erit differentia ambulatio uel sessio, quae substantialis non est. namque istam quoque dif- ferentiam definitio uidetur includere, cum dicit : differentia est qua differunt singula; quocumque enim Socrates a Platone distiterit nullo autem alio distare nisi accidentibus  potest —, id erit differentia secundum superioris terminum definitionis, quam rem scilicet uiderunt etiam hi qui definitionis huius uagum communemque finem reprehendentes certae conclusionis terminum subiecerunt.  2 nesciatur  Lm2  (non noscitur  m1) P  definitione] in definitione  N  3 qui]  LN  quomodo CEGPR qui *  (d  er.) H  possemus  EG  possi- mus  R  4 ita  om. EGR  cognitionem  NPm2, post  agnitionem  add.  a cogitatione  Hm1, del. m2, s. l.  uel cognitione  m2, del. m. al.  set  om. EG  7 accidentales  Lm2Pm2  9 sunt  EGHLm1R  in  om. GNR  11 et  om. EGR  rationabilitate  CGLm1  rationale  N sunt  CEGLm1R  12 positi] post  EG  post differunt  add.  tamen  L  rationabile  L  13 est  om. C  15 ambulatio uel  om. EG, s. l. Lm2  16 nam  HLm1  ista  E  18 quo  EGHm1 post  differunt  add.  a se  R  cumque  EG  quoque  Rm1  quocumque modo  P post  enim  s. l.  modo  Lm2  19 de- stiterit  CEm1HPRm2  distauerit  m1 post  alio  s. l.  modo  Em2  ac- cidentibus] ex accidentibus  P    Interius autem perscrutantes de differentia dicunt, non quodlibet eorum quae sub eodem sunt genere diuidentium esse differentiam, sed quod ad esse conducit et quod eius quod est esse rei pars est; neque enim quod aptum natum est nauigare erit hominis differentia, etsi proprium sit hominis, dicimus enim animalium haec quidem apta nata sunt ad nauigandum, illa uero minime, diuidentes ab aliis, sed aptum natum esse ad nauigandum non erat comple- tiuum substantiae nec eius pars, sed aptitudo quaedam eius est, idcirco, quoniam non est talis quales sunt quae specificae dicuntur differentiae, erunt igitur specificae differentiae quaecumque alteram faciunt speciem et quaecumque in eo quod quale est accipiuntur. Et de differentiis quidem ista sufficiunt.   Sensus propositionis huiusmodi est. quoniam superius dixit determinasse quosdam differentiam esse qua a se singula dis-  p. 90  creparent, ait alios diligentius de differentia | perscrutantes non  1—15] Porph. p. 12, 1-11 (Boeth. p. 38, 6—17). 1 perscrutantes]  EGHP  perscrutantes et speculantes  cett.; Porph.   p. 12, 1   προσεξεργοζόμενοι de differentia]  CH (linea del., sed lin. er.)   Σ  differentiam  cett. edd. Busse; Porph. p. 12, 1   τά περί τής διαφοράς  2 non] non solum  R , quodlibet] quod habet  ELm1 h m1 X ,  post  quod- libet  er.  habet  23  diuidentium esse  om.   X ,  s. l. Lm2  sed quod— dicuntur differentiae  (12) ]  LR Q ,  om. cett.  5 aptum] actu  R  natum  om. LR; Porph. p. 12, 4   τδ πεφοχέναι πλεΐν  6 dicimus]  Porph. p. 12,  5  εΐποιμεν γάρ dv ,  unde  dicemus  coni. Brandt, cf. supra p. 230, 18. 19;   infra 12 erunt  ειεν άν ;  p. 234, 16.  (erit). 17.  235, 2  (erunt) 7 ani- malia  A  acta  Rm1  nata  om. LR  8 aliis] illis  A  9 actum  Rm1  natum  om. R  est  R  erit  h m2  10 neque  Busse  11 est  om. R  quoniam  om. LR  12 quae  om.   Φ  igitur] ergo  L  13 alteram— quaecumque  om. H  14 et] ea  EG  quale  in er.  quid  ut uid.  Hm2 quid  EG post est add.  esse  EG  accipiunt  EG  15 Et—sufficiunt  om. N  Et  om. CEGP; Porph. 12,11   Καί  de  om. EG A  diffe- rentiis]  Porph.   περί μίν διαφοράς  quidem  om. H  sufficiant  CL X m2;   Porph.   άρχει  18 alios] ilico  EGLa.c.  ilico alios  P  de differentia] differentiam  CLm1P   fuisse arbitratos recte esse superius propositam definitionem, neque enim omnia quaecumque sub eodem posita genere dif- ferre faciunt, differentiae hae de quibus nunc tractatur, id est specificae, numerari queunt, plura enim sunt quae ita diuidunt  species sub uno genere positas, ut tamen eorum substantiam minime conforment, quia non uidentur esse differentiae speci- ficae nisi illae tantum quae ad id quod est esse proficiunt et quae in definitionis alicuius parte ponuntur, hae autem sunt ut rationale hominis, nam et substantiam hominis conformat  et ad esse hominis proficit et definitionis eius pars est. ergo nisi ad id quod est esse conducit et eius quod est esse rei pars sit, specifica differentia nullo modo poterit nuncupari, quid est autem esse rei? nihil est aliud nisi definitio, uni cuique enim rei interrogatae quid est? si quis quod est esse  monstrare uoluierit, definitionem dicit, ergo si qua definitionis pars fuerit, eius erit pars quae unius cuiusque rei quid esse sit designet, definitio est quidem quae quid una quaeque res  1 positam  EG  2 posita] posita sunt  EGL post genere add.  quae  Lm1, del. m2  3 differentiae—id est  om. CN  hae  om. H  id est  om. R, er. uid. H, s. l. Lm2  4 nominari HLm2NR 5 earum  H  6 quia] quae  CH  specificae  ante  esse  H, post N 7 proficiant  R  et quae] eaeque  G  eae quae  Em1, del. m2, etiam proxima  in—ponuntur  del. m2 8 in  del. Lm2, om. P  diffinitiones  N  definitionibus  EGLm1  aliqua  N  partes  EGLP post ponuntur  add.  ut mortalis rationalis  Em1, del. m2  hae] ea  EGLm2P  9 et  s. l. Lm2  et ad  G  con- format—hominis  om. EG  11 conducat  EHm2Lm2N  et eius—pars sit]  N  et eius quod ( add. quid  Rm1, del. m2 , quidem  ex  quid  Hm2 ,  del. m3 ) est esse rei pars sit (est  Hm1) HR  et eius rei quod est (est  del. Lm2 ) esse pars est (est  om. Lm1, s. l.  sit  m2) CL  et eius quod quidem esse rei pars est  P  eius rei quod quidem (aliquid  add. E) EG  13 esse  om. G, ante  autem  H  nihil  del. Em2  est  s. l. Lm2Rm2  esse  E (del. m2) G  unius cuiusque  R  14 interrogatae] ad inter- rogationem  CHN  quis] quid  Lm2  quod] id quod  CHNP  15 qua] quid  CHN  16  post  eius  s. l. rei  Lm2  quae] quod  HLm1N  quid] quod  N  sit esse  L  esse fit  G  est esse  Hm1N  17 designat Lm2P  significet  Hm1N  est quidem] enim est  HN  quae quid] quia  N   sit, ostendit ac profert, demonstraturque quid uni cuique rei sit esse per definitionis adsignationem. illae uero differentiae quae non ad substantiam conducunt, sed quoddam quasi extrin- secus accidens afferunt, specificae non dicuntur, licet sub eodem genere positas species faciant discrepare, ut si quis hominis  atque equi hanc differentiam dicat, aptum esse ad nauigandum. homo enim aptus est ad nauigandum, equus uero minime, et cum sit equus atque homo sub eodem genere animalis, addita differentia aptum esse ad nauigandum equum distinxit ab homine, sed aptum esse ad nauigandum non est huiusmodi,  quale quod possit hominis formare substantiam, sed tantum quandam quodammodo aptitudinem monstrat et ad faciendum aliquid uel non faciendum oportunitatem. idcirco ergo speci- fica differentia esse non dicitur, quo fit ut non omnis diffe- rentia quae sub eodem genere positas species distribuit, spe-  cifica esse possit, sed ea tantum quae ad substantiam speciei proficit et quae in parte definitionis accipitur, concludit igitur esse specificas differentias quae alteras a se species faciunt per differentias substantiales, nam si uni cuique id est esse quodcumque substantialiter fuerit, quaecumque differentiae  substantialiter diuersae sunt, illas species quibus adsunt, omni substantia faciunt alteras ac discrepantes, atque hae in definitionis parte sumuntur, nam si definitio substantiam monstrat  1 ostendit  om. E  ostenditur  N  ac  er. E, om. N  profert  om. N demonstratque  CLm1  quid] quod  Lm1Pm1R  quidem quid  N  2 per  om. EGR, in mg. Lm2 assignatione  EG  3 ad  om. EΡ  quasi  om. EGPR  5 faciant  om. EG  facient  CLm1Rm1  7 homo enim (autem  LR )—equus]  HLNR  hominem equum  (cet, om.) CEGP  10 esse ad—sed tantum  (11) om. EG  11 quale  om. EGR, del. Lm2 ante  quod (quid  P )  add.  per  L   (del. m2), s. l. Pm2 post  substantiam  add.  sicut rationale quae est substantialis qualitas  C  12 habitudinem  Hm1  13 opportunitatem  CR  differentia specifica  C  18  ante  esse  add.  eas  HΝΡ, s. l. Lm2  quae—differentias  om. EGR ad  faciunt  s. l.   1  informant  Lm2  19 differentias  ex  distantias  Lm2  idem est ( in   ras. m2 ) esse  H  idem esse est  R  21 sint  Hm1  omnes  EGP  22 substantias  P  substantiae  Hm1  substantiae ratione  N   et substantiales differentiae species efficiunt, substantiales dif- ferentiae erunt partes definitionum.      Proprium uero quadrifariam diuidunt. nam et id  quod soli alicui speciei accidit, etsi non omni, ut homini medicum esse uel geometrem, et quod omni accidit, etsi non soli, quemadmodum homini esse bipedem, et quod soli et omni et aliquando, ut homini in senectute canescere, quartum uero, in quo concurrit et soli et omni et semper, quemadmodum homini esse risibile, nam etsi non semper rideat, tamen risi- bile dicitur, non quod iam rideat, sed quod aptus natus sit; hoc autem ei semper est naturale et equo hinnibile, haec autem proprie propria perhibent esse,  3—p. 276, 2] Porph. p. 12, 12—22 (Boeth. p. 38, 18—39, 9).   1 et  om. EG, s. l. Pm2  2 erunt  post  partes  Lm2  sunt  m1  sunt  post definitionum  CGR, s. l. Em2  3 DE PROPRIO  om. H, add. Lm2  EXPLICIT DE DIFFEREN. (DIFFERENTIIS  Ψ ) INCIPIT DE PRO- PRIO  2<F  4 et  s. l. C  5 hominem  R h m1 A  6 uelut  H geo- metram  CEm1G edd. Busse  et quod—perhibent esse  (14) ]  LR  ( locum   hic om., p. 277, 7 post  adest  inserit )  Ω ,  om. cett.  omni]  Porph.   p. 12, 14   παντί—τφ εϊδει  7 etsij et  R T m1   ante homini  add.  et  R  8 homini]  Porph. p. 12, 16   όνΟ-ρώπψ παντί ,  unde  homini omni  coni.   Busse 9  post  uero add. est  Φ  in quo concurrit et  del., in mg.  conuenit  T m2  10 hominem  R Σ  11 risibilem  R ΓΣΦ ;  Porph. p. 12, 17   ώς τψ άνθρώπψ τό γελαστιχόν  non semper rideat]  L Σ  non rideat  ΓΑ  non ridet ( hic ut uid. s. l.  semper  add., sed er.   \ )  R AIIΨΨ  semper non rideat  Busse non rideat semper  edd.; Porph. p. 12, 18   χαν γάρ μή γελά αεί  risibile tamen  L Λ   edd. Busse; Porph.   άλλα γελαστιχο'ν  12 iam] semper  Σ   edd.; Porph. p. 12, 19   άεί ,  cod. Mm2   ί)Bη  rideat—natus sit  om.   Φ  13 sit natus  R, add.  ad ridendum  R ΓΑ  ridere  Σ ,  ante  sed  add.  ridendum  Φ ;  om. Porph.  semper ei est naturale  L  semper est ei naturale  Γ  ei semper naturale est  Σ   ante  et  add. ut  (om. etiam B Bussii) edd. Busse ;  Porph. p. 12, 20   ώς ,  om. cod. A  14 autem]  Porph.   81 xai ,  om.   xai   cod. A  proprie—esse]  L Λ  (esse  s. l. m2 )  Σ  (esse  om. ), proprie domi- nanterque (nominantur  T m2 ) propria perhibentur (perhibentur  del.   Γ m2 )  ΓΦ  proprie nominantur (nominant  Π ) propria  R ΔΙΙ  uere dicuntur propria  Ψ ;  Porph.   χυρίως ΐßιά φασιν   quoniam etiam conuertuntur. quicquid enim equus, hinnibile, et quicquid hinnibile, equus. Superius dictum est omnia propria ex accidentium genere descendere, quicquid enim de aliquo praedicatur, aut substan- tiam informat aut secundum accidens inest. nihil uero est  quod cuiuslibet rei substantiam monstret nisi genus, species et differentia, genus quidem et differentia speciei, species uero indiuiduorum. quicquid ergo reliquum est, in accidentium numero ponitur, sed quoniam ipsa accidentia habent inter se aliquam differentiam, idcirco alia quidem propria, alia priore atque antiquiore nomine accidentia nun|cupantur. et de accidentibus paulo post, nunc de propriis, quae quadrifariam diui- duntur, non tamquam genus aliquod proprium in quattuor species diuidi secarique possit, sed hoc quod ait diuidunt, ita intellegendum est, tamquam si diceret nuncupant, id est  propria quadrifariam dicunt, cuius quadrifariae appellationis significationes enumerat, ut quae sit conueniens et congrua nuncupatio proprietatis ostendat, dicit ergo proprium accidens quod ita uni speciei adest, ut tamen nullo modo coaequetur ei, sed infra subsistat ac maneat, ut hominis dicitur proprium medicum esse, idcirco quoniam nulli alii inesse ani-  3 superius eqs.] fort. p. 186, 12—187, 1.   1 enim equus  om. N  equus—equus]  CEGHNP U  ( sed add.  et si homo, risibile, si risibile, homo est]  cum Porph. p. 12, 21, post pr.  equus  add.  et  R A  est et  L  est etiam est et  (sic)   Φ  equus est et hinnibile est (est  s. l.   F\ m2 ) et quicquid hinnibile equus est  ΓΔ  est equus est hinni- bile et quicquid est hinnibile est equus ( quattuor  est  s. l. m2 )  Ψ  equus est hinnibile et quicquid hinnibile est equus est et si homo est risibile est et risibile homo est  2  4 alio  N  6  ante  species  add.  et  Lm1, del. m2  7 et  om. R  genus—diiferentia  om. EGR, s. l. Hm2  11  ante  antiquiore add.  in  ER  12 nunc  ex  nam  Hm2  quadrifarie  N  in quadrifariam (-um  GP )  EGP  diuidunt  H  (ur  er. )  P  (ur  del. m2 ) 13 aliquid  CPm1  14 ait  om. E  ( in mg.  dicitur  m2 )  G  est  R  diuiduntur  EG  15 nuncu- pantur  EGR  16 proprie  CEm1G  propriam  ut uid. Pm1  propriam  m2  dicuntur  EGHm1La.c.NR  quadrifariam  C  18 proprietas  Ea.c.  (proprii  p.c. )  G  dicitur  CEHLa.c. (corr. m1 et 2) P  ergo  om. C  proprium  s. l. Cm2  primum  m1  20 ei  ante  nullo  HN  ac] et  HNP dicimus  HN   malium potest, nec illud adtendimus, an hoc de omni homine praedicari possit, sed illud tantum, quod de nullo alio nisi de homine dici potest medicum esse, et haec quidem significatio proprii dicitur inesse soli, etsi non omni; soli enim  speciei, etsi non omni coaequatur, ut medicina soli quidem inest homini, sed non omnibus hominibus ad scientiam ad- est. Aliud proprium est quod huic e contrario dicitur omni, etsi non soli; quod huiusmodi est, ut omnem quidem speciem contineat eamque transcendat, et quoniam quidem nihil  est sublectae speciei quod illo proprio non utatur, dicimus omni, quoniam uero transcendit in alias, dicimus non soli: hoc huiusmodi est quale homini esse bipedem, proprium est enim homini esse bipedem, omnis enim homo bipes est etiamsi non solus, aues enim bipedes sunt, geminae igitur  significationes proprii quae superius dictae sunt, habent aliquid minus, prima quidem quia non omni, secunda uero quia non soli, quas si iungimus, facimus omni et soli, sed demimus aliquid secundum tempus, si ei adiciatur aliquando, ut sit haec tertia proprii nuncupatio ‘omni et soli, sed aliquando,  ut est in senectute canescere uel in iuuentute pubescere; omni enim homini adest in iuuentute pubescere, in senectute canescere, et soli, pubescere enim solius hominis est, sed ali-  1 hoc  om. EG  homini  EN  2 quod] quia  HN  nisi de homine  post  esse  N  3 medicus  Hm1N  4 inesse]  CP, s. l. Hm2Lm2, om.   EGR  inest  N  etiamsi  Em2  (et  m1 )  Hm1LR  5 etiamsi  EHm1L  ( repet, post  inest)  PR  coaequetur  Em2Hm1 ante medicina  add.  homini  H   (del. m2) LNR  6 homini  om.   NR, s. l. Hm2  adest] adesse potest  CLN potest esse  H; de R cf. ad p. 275, 6  7 est  ante  aliud  HN, post   CG, om. E  8 etiamsi  HLNR  quid  HN  10 quod illo—non soli  in   inf. mg. Em2 post  dicimus  add.  enim  C  11 aliis  Em2G  12 hoc] id  N   post  quale  add.  est  s. l. Hm2, post  homini  CG  13 hominis  R, post  homini  add.  proprium  Em2  enim  in mg. Em2  14 etiamsi—geminae  om.   EGR  17 sed  Hm2 si m1 demimus]  HN deminus  Cm1   i demimus  ί deest minus  m2  dempsimus  R  dedimus  Em1  (addimus  m2 )  G  deest minus  LP  18 eis  HLP  ei  post  adiciatur  N  19 omni et soli] et soli et omni  C  sed] si  G  21  post. in] et in  HN  22 est hominis  HN   quando, neque enim omni tempore, sed in sola tantum iuuen- tute. haec igitur determinatio proprii in eo quidem modo quod omni et soli inest, absoluta est, sed ex eo minuit aliquid uel contrahit, cum dicimus aliquando, quod si auferamus, fit pro- prii integra simplexque significatio hoc modo : proprium est  quod omni et soli et semper adest, omni autem et soli speciei et semper intellegendum est ut homini risibile, equo hinnibile; omnis enim et solus homo risibilis est et semper. neque illud nos ulla dubitatione perturbet, quod semper homo non rideat; non enim ridere est proprium hominis, sed esse  risibile, quod non in actu, sed in potestate consistit, ergo etiamsi non rideat, quia ridere tamen posse soli et omni homini semper adesse dicitur, conuenienter proprium nuncupatur, nam si actus separatur ab specie, potestas nulla ratione disiungitur.   Quattuor igitur significationes proprii dixit, nam prima  quidem, quando accidens ita subiectae speciei adest, ut soli ei adsit, etiamsi non omni, ut homini medicina; secunda uero,  1 in  om. EGR, s. l. L, post  tantnm  P  tamen  L post iunentnte  add.  pubescit  N  2  post  proprii  add.  integra simplexque significatio  GHP (del. m1? ex 5)  in eo—fit proprii  (4) om. R  modo  om.   N, del. Lm2  3 inest  om. EG  est  Lm1  minus  La.c. minui  N  minuens  P  aliquid uel] atque significationem  in ras. Em2  uel]  CNP  et  GL, om. ΕH  4 quod] quam  N  5 simplexque] et simplex  HLNR  proprii  R  6 soli et omni  N secund.  et  om. GLR,   s. l. Pm2  omni autem—intellegendum est  om. Rbrm  7 et semper  om. EGR, del. Lm2, s. l. Hm2Pm2  intellegendum est  del. et s. l.  adest  scr. Hm2, in mg.  quod soli et omni adest  m. al. 8  post.  et  om. EGPR   post  semper  add.  similiter et equus hinnibile  brm  9 illud  Hm2  enim Hm1N  10 proprium est  NPR  sed] si est  R  esse  del. Lm2  est  R  11 sed] si  R  12 si non rideat etiam  C  quia  om. N, s. l. Hm2  tamen  om. R  autem  HN  possit  La.c.N  potest  Em2 post  omni  add.  adsit  H (del. m2)  adest  N  13  ante  semper  s. l. et Hm2  semper  om. R ante  conuenienter  add.  et  H (er.) L (del. m2) NP  14 si] etsi  Hm1Lm1N  separetur  Em2  a  C  15 proprii  om. EG nam prima] unam  CHm1  (primam  m2) N  nam  (s. l.)  primam  P  17 homini medicina] hominem esse medicum  C  secundam  CHN; in mg . ał. se- cunda autem cum omni accidit etsi non soli ut homini esse bipedem  add. L  uero] autem  CL (in mg.)   cum soli quidem non adest, omni uero semper adiungitur, ut homini esse bipedem; tertia uero, cum omni et soli, sed ali- quando, ut omni homini in iuuentute pubescere; quarta, cum omni et soli et semper adest, ut esse risibile, atque ideo  cetera quidem conuerti non possunt : neque enim coaequatur quod soli, sed non omni speciei adest, species quidem de ipso dici potest, ipsum uero de specie minime, qui enim medicus est, potest dici homo, homo uero qui est, medicus esse non dicitur, rursus quod ita est alii proprium, ut omni adsit  etiamsi non soli, ipsum quidem de specie PREDICARE potest, species uero de eo minime, nam bipes praedicari de homine potest, homo uero de bipede nullo modo, rursus quod ita adest, ut omni et soli, sed aliquando adsit, quoniam de tempore habet aliquid deminutum nec simpliciter semper adest,  reciprocari non poterit, possumus enim dicere omnis qui pubescit homo est, non omnis homo pubescit: potest enim minime ad iuuentutem uenire atque ideo nec pubescere; nisi forte non sit pubescere hominis proprium, sed in iuuentute pubescere, aut, etiam cum nondum est in iuuentute aut etiam praeteriit, tamen  sit ei proprium non tale quale tunc fieri possit, cum praeter iuuen- tutem est, sed quale cum in iuuentute consistit, atque ideo hoc  1 cum] quae  N  soli—adiungitur  del. Hm2 omni accidit etsi non soli  CHm2L  semper  s. l. Hm2  2 hominem  C  tertiam  CHN  soli et omni  N  3 omnio  m. LNR  homini  om. N  quartam  CG (sic) HN  4  post.  et  om. EG, add. Pm2  inest  CHm1N  ideo  om. E  adeo  HLR  5 coaequantur  HN  6 quodj quia cum  Hm1N  non omni sed soli  N  sed] si  R  7 qui enim—dici homo  om. EGR  8 homo dici  C  9  ad  alii  s. l.  a t illud  L, post add. una pars  R  11de homine praedicari C 13 adest  ex  est  Em2  distat  Hm1  assit  ex  sit  Hm2  14 diminutum  EN  nec] et  Hm1  16 non] non tamen dicimus  L  homo] qui est homo  L  qui homo est (qui  et  est  s. l. m2) H  18  ante  sed  add.  solummodo  Hm2, ante  in  CN, post post.  pubescere  L  aut]  Hm2La.c.Pm2  ut  EGHm1Lp.c.Pm1R  autem  CN  19 cum]  Hm1NR  quod  CEGHm2LP etiam  s. l. Hm2  iam  Em1  20 sit] adsit  CHN  ei  om. G  fieri  om. C, in ras. Lm2  fieri possit  del., est  s. l. scr.   Hm2  potest  L   (in ras. m2) P  est  C  21  post  quale  add.  tunc fieri potest (posset  CHLm1N) CH (s. l. m2) LNP   quod non in omne tempus tenditur, etiamsi tale est, ut omni  p. 92  speciei adsit, quod ta|men in tempus aliquod differatur, integrum atque absolutum proprium esse non dicitur, quartum est quod ita alicui adest, ut et solam teneat speciem et omni adsit et absolutum sit a temporis condicione, ut risibile quod a superiore plurimum distat; nam qui risibilis est, semper ridere potest, rursus qui potest in iuuentute pubescere, cum ipsa iuuentus non sit semper, non ei adest semper ut in iuuentute pubescat, haec autem quarta proprii significatio quoniam nulla temporis definitione constringitur, absoluta est atque ideo  etiam conuertitur et de se inuicem proprium atque species praedicantur; homo enim risibilis est et risibile homo. Accidens uero est quod adest et abest praeter sub- iecti corruptionem, diuiditur autem in duo, in separa-  bile et in inseparabile, namque dormire est separabile accidens, nigrum uero esse inseparabiliter coruo et Aethiopi accidit, potest autem subintellegi et coruus albus et Aethiops amittens colorem praeter subiecti corruptionem, definitur autem sic quoque; accidens est  13—p. 281, 7] Porph. p. 12, 23—13, 8 (Boeth. p. 39, 10—21).   1 quod] quia  HN  2 speciei] tempori  EGR  aliquid  C  4 alicui  om. EG, del. Hm2  ali  R  alii  Lm1 pr.  et  om. EGLR post.  et] ut  La.c.R  5  post.  a  s. l. Hm2  6 qui  ex  quod  Lm2  7  ante  cum  add.  sed  CH (del. m2) NP, s. l. Lm2  8 adest] est  EGR  in iuuentute  deleri uult Hilgard  9 quoniam] quam  EGLm2P  10 definitio ( uel  difd–)  EGLm2R  constringit  EG  11 et de se] et ideo de se  P  de se  om. R  De specie  EG  12 risibile  C  et  om. EGHR  13  inscript.   om. HL K ACCIDENTE  ΝR ΔΣ  14 uero  om.   A  15 diuiditur—sub- sistens  (p. 281, 3) ]  LR Q ,  om. cett. duobus  L  16 in  om.   Φ  nam  A   Busse  19 amittens colorem]  A m1 T"  nitens colore c ett. edd. Busse;   Porph. p. 13, 2   άποβαλών τήν χροιάν;   cf. supra p. 101, 13  corruptionem subiecti  LR ϋίΓΦ ;  codd. Porph.   φθοράς   aut ante   τοΰ υποκειμένου   aut post;   cf. infra p. 281, 17. 282, 3. 8  20 definitur]  Porph. p. 13, 3   ορίζονται   quod contingit eidem esse et non esse, uel quod neque genus neque differentia neque species neque proprium, semper autem est in subiecto subsistens. Omnibus igitur determinatis quae proposita sunt,  dico autem genere, specie, differentia, proprio, accidenti, dicendum est quae eis communia adsint et quae propria. Quouiam, ut superius dictum est, quae de aliquo PREDICARE, uel substantialiter uel accidentaliter dicuntur cumque  ea quae substantialiter PREDICARE, eius de quo dicuntur substantiam definitionemque contineant et sint eo antiquiora atque maiora, quod ex substantialibus PREDICATO efficiuntur, cum ea quae substantialiter dicuntur pereunt, necesse est ut simul etiam ea interimantur quorum naturam substantiamque  formabant, quae cum ita sint, necesse est ut quae accidenter dicuntur, quoniam substantiam minime informant, et adesse et abesse possint praeter subiecti corruptionem, ea enim tantum cum absunt subiectum corrumpere poterunt, quae efficiunt atque conformant quae sunt substantialia, quae uero  8 superius] p. 276, 4.   1 contigit - R A   ante pr. esse add. et R, s. l.   \ m2; om. Porph.   p. 13, 4 post.  et] uel  L  ( post  uel  littera er. )  edd.; Porph.   η ,  codd. CM   nat  2  post  genus  s. l. est A m2  neque species neque differentia  ΔΔΣ  edd.  Busse; Porph.   οοτε διαφορά οϋτε είδος   post proprium  add.  sit  LR  3 consistens  Λ  4 praeposita  Δ m1  5 dico—accidenti  om.   Γ  propria  Φ proprio et  L ΔΑΣ  accidente  H  et accidenti  L A m2  (et accidente  m1 )  ΛΣ  de accidenti  EG  6 eis] his  CHP  hiis  Φ  uel his  R ,  om. EG;   Porph. p. 13, 7   αΰτοϊς  adsint] sint  R  sunt  L Λ m1 ηιΙΧΣ ;  Porph.   πρδσεοτιν  et  om. G  7  post  propria  add.  EXPLICIT DE GENERE SPECIE DIF- FERENTIA PROPRIO ACCIDENTE  Σ  8 ut  om. EG  alio  CEGR  9 accidentialiter  CP accidenter  HR  dicuntur] praedicantur  R  cum  EG  11 definitione  EG  maiora atque antiquiora  C 12 quod] quia  R  substantialiter  CN  efficitur  CHm2LN  13 cumque  N ,  post  cum  s. l.  accidenter  E  intireunt  P  15  an  informabant? acci- dentaliter  Lm2  16 et  om. EGR, s. l. Lm2  abesse et adesse  H  17 possunt  N  tantum enim  C  18 perrumpere  E  potuerunt  LR  19 informant  HN   non efficiunt substantiam, ut accidentia, ea cum adsunt uel absunt, nec informant substantiam nec corrumpunt, est igitur accidens quod adest et abest praeter subiecti corruptionem, id autem diuiditur in duas partes, accidentis enim aliud est separabile, aliud inseparabile, separabile quidem dormire, sedere,  inseparabile uero ut Aethiopi atque coruo color niger. in qua re talis oritur dubitatio. ita enim est definitum : accidens est quod adesse et abesse possit praeter subiecti corruptionem. idem tamen accidens aliquando inseparabile dicitur; quod si inseparabile est, abesse non poterit, frustra igitur positum est  accidens esse quod adesse et abesse possit, cum sint quaedam accidentia quae a subiecto non ualeant separari, sed fit saepe ut quae actu disiungi non ualeant, mente et cogitatione sepa- rentur. sed si animi ratione disiunctae qualitates a subiectis non ea perimunt, sed in sua substantia permanent atque perdurant, accidentes esse intelleguntur, age igitur, quoniam Aethiopi color niger auferri non potest, animo eum atque cogitatione separemus, erit igitur color albus Aethiopi, num idcirco species consumpta sit? minime, item etiam coruus, si ab eo colorem nigrum imaginatione separemus, permanet tamen  auis nec interit species, ergo quod dictum est et adesse et abesse, non re, sed animo intellegendum est. alioquin et sub- stantialia, quae omnino separari non possunt, si animo et cogi- tatione disiungimus, ut si ab homine rationabilitatem auferamus  1 cum—absunt] uel cum adsunt uel cum absunt  H  uel cum absunt uel cum adsunt  N  cum uel (uel  s. l. m2 ) absunt uel adsunt  L; ante  assunt  (sic) add.  uel  P  3  ante  adest  add.  et  P  4 dinidunt  EGLR  accidens  edd.  aliud est enim  H  5  ante  dormire  add.  ut  brm  6 ut  om. HR edd.  7 dubietas  CEG (recte?) post.  est  add. Hm2  8 et] uel  N  potest  CL  9 dicit  EG  11 abesse-et adesse  E  12 ab  CRm1  14 animi] hac  C  15 eas  EGN  permaneant  G  ac  R  16 acciden- ter  CG  intellegantur  Em1 igitur] enim  HN  17 eum  om. G, ante  separemus  C , uero  E  atque] et  HLNPR  18 num  ex  non  Rm2  19 consumptae (consumpta  R ) sunt  EGLR edd.  ita  CEP  20 imagine  EGR  21 interiit  Lm1PR pr. et om. EGR, s. l. Lm2  22 et  om. CEG  23 si] saepe  Hm1LNP  2t rationalitatem  P   — quam licet actu separare non possumus, tamen animi imaginatione disiungimus —, statim perit hominis species, quod idem in accidentibus non fit: sublato enim accidenti cogitatione species manet. Est alia quoque accidentis definitio ceterorum omnium priuatione, ut id dicatur esse accidens quod neque genus sit neque species nec differentia nec proprium; quae definitio plurimum uaga est ualdeque communis. sic enim etiam genus definiri potest, quod neque species neque differentia nec proprium sit nec accidens, eodemque modo  species ac differentia et proprium, cum autem eadem similitudine definitionis plura definiri queant, non est terminans et circumclusa descriptio, praesertim cum longe sit a definitionis integritate seiunctum quod cuiuslibet rei formam aliarum rerum negatione demonstrat. Quibus omnibus expeditis, id est genere, specie, differentia. proprio atque accidenti, descriptisque eorum terminis quantum postulabat institutionis breuitas, ea ipsa communiter pertrac- tanda persequitur, ut quas inter se habeant differentias haec quinque, de quibus superius disputatum est, quas uero com-  muniones, mediocri consideratione demonstret, ut non solum  1 separari  EG  possimus  EL post  tamen  add.  si  L, s. l. Hm2Pm2  2 imaginatione] cogitatione  N  statimque  C  (q.  er. )  H  (q.  del. m2) N  periit  PR  3 item  CHm1  sit  EN (ut uid.)  sublata  EGR  enim  s. l. Cm2 accidenti  om. EGR, post  cogitatione  N  4  ante  cogitatione  er.  et  C  quoque  om. EGP (sic) accidentis  om. C, post  definitio  R  5  ad  priuatione  s. l.  quae fit per priuantiam  Em2  id  om. EG dicat  EGR  6 fit  C  neque differentia neque proprium  LNR  8 enim  om. NR  nec ( ante differentia)  CH  9 neque  NR  sit  om. L,   post  accidens  R  neque  N  10 proprio  HPm1  11 plurima  L  queunt  EGLm1R  termino  Ep.c.R  et  om. EGR 12 ab LR  ac  G 13 negatione rerum  E  14 demonstret  N  15  post  genere  add.  quidem  CP  16  ante  proprio  add.  et  H ante  quantum  add.  et  PR, s. l. Lm2  17  post  breuitas  repet.  expeditis  PR,   s. l. Em2  pertractanda  om. C  retractanda  HNP  18  ante  quas  s. l.  quia  Em2  19 de quibus  om. E  disputandum  G  quas nero] quasue  CL   quid ipsa sint, uerum etiam quemadmodum inter se compa- rentur, appareat.    1 quid]  H, m2 in CLP  quod  NPm1  quae  Cm1EGLm1R  compa- rantur  E  2 BOEZIO ( BOETI  E)  V. C.ET I LL . (EXINI  sic E ) EXCONS. ORDINAR. PATRICII IN ISAGOGAS PORPHYRII  ( Y  ex  I  Gm2)  ID EST INTRODVCTIONEM IN CATE- GORIAS A SE TRANSLA.  (sic EG)  EDITIONIS SECVNDAE LIBER IIII. EXPL.  ( EXPLICIT’  E) . INCIPIT LIBER V.  EG ; EXPLICIT LIBER  ( LIBER  om. C)  QVARTVS. INCIPIT LIBER  ( LIBER  om. HN)  QVINTVS  CHLNP, add.  DE COMMVNIBVS GENRIS. DIFFER. SPEC. ACCID. ET PROPI  N ; EXPLICI  R   Expeditis per se omnibus quae proposuit et quantum in unius cuiusque consideratione poterat, ad scientiae terminum breuiter adductis nunc iam non de singulorum natura, id est  uel generis uel differentiae uel speciei uel proprii uel acci- dentis, sed de ad se inuicem relatione pertractat, nam qui communiones ac differentias rerum colligit, non ut sunt per se res illae considerat, sed ut ad alias comparentur, id autem duplici modo, uel similitudine, dum communitates sectatur,  uel dissimilitudine, dum differentias, quae cum ita sint, nos quoque, ut adhuc fecimus, propter planiorem intellectum philosophi uestigia persequentes ordiemur de his communio- nibus quae adsunt generi et speciei et differentiae uel proprio et accidenti.    Commune quidem omnibus est de pluribus praedi-  15—p. 286, 18] Porph. p. 13, 9-21 (Boeth. p. 40, 1—16).   3 cuiuscumqne  C  considerationem  Ea.r.G  4 id est  om. N, add.   Rm2  5  pr . uel  om. P secund.  uel] et  P  6 nam quia  R  namque  Hm1N  7 sunt. om. C  8 ille  GLNP, post  illae  s. l. sint  Cm2  ut  om. R  ad  s. l. LRm2 post  alias  add.  qualiter  CHPR, s. l. Lm2  comparantur  EGHm2, recte? cf.p. 284, 1 post  autem  s. l.  fit  Cm2L,   in mg. Em2, post  duplici  s. l. Pm2  9 dum—dum  om. EG  sectatur] retractat  R  retractantur  L  (n  del., s. l. a i  sectatur]  P  10 differentiae  La.c.P  uel differentia  EG  11  ad  adhuc  s. l.  id est (uel  G ) hac tenus  EGm2  12 his] his omnibus  R  communibus  EGR  13  utrumque  et  om.   EGLR  uel  om. R  et  NP  14 et] uel  EGL atque  R  15  ante  Commune  add. inscriptionem  DE COMMVNIBVS GENERIS (ET  add.   ΔΠ ] SPECIEI DIFFERENTIAE PROPRII ET ACCIDENTIS  ΛΠ   Busse,   N in subscript. libri IV cum alio ordine uerborum,  DE HIS (HIIS  Φ ) COMMVNIBVS QVAE ASSVNT (sunt  A ) GENERI ET SPECIEI (ET SPECIEI  om.   T ) ET DIFFERENTIAE ET PROPRIO ET ACCIDENTI (accidenti proprio et differentiae  A )  ΓΑ   (litt. minusc.)   Φ , INCIP. DE EORV COMVNIBVS  2  DE COMMVNITATIB; OMNIVM.  *i' ,  inscript.   om. CEGHLPR   cari, sed genus quidem de speciebus et de indiuiduis, et differentia similiter, species autem de his quae sub ipsa sunt indiuiduis, at uero proprium et de specie cuius est proprium et de his quae sub specie sunt indiuiduis, accidens autem et de speciebus et de indi-  uiduis. namque animal de equis et bobus [et canibus] praedicatur, quae sunt species, et de hoc equo et de hoc boue, quae sunt indiuidua, inrationale uero et de equis et de bobus praedicatur et de his qui sunt par- ticulares, species autem, ut homo, solum de his qui  sunt particulares praedicatur, proprium autem, quod est risibile, et de homine et de his qui sunt particu- lares, nigrum autem et de specie coruorum et de his qui sunt particulares, quod est accidens inseparabile, et moueri de homine et de equo, quod est accidens  separabile, sed principaliter quidem de indiuiduis, secundum posteriorem uero rationem de his quae continent indiuidua. Antequam singulorum ad unum quodque habitudinem tractet, illam prius respicit quam omnes ad se inuicem habere uide-  1 sed—separabile  (16) om. HNP post.  de  om. R  2 autem] quidem  Δ  hiis  Φ ,  item 4  3  post  indiuiduis  s. l.  praedicatur  Em2  at uero —separabile  (16) om. CEG  at uero—indiuiduis  (5) om.   Σ · 4 de his  om.R  5  post.  de  om. R  6 bubus  Lm1 A  bobis  R, ante add.  de  L T  de bobus Busse  et canibus  cum Porph. p. 13, 14 om. edd., delend. uid. Bussio  7 praedicatur  post species  R pr. (sic)  de  om. R  8 inrationabile  L  et  om. Porph. p. 13, 15; ante  et  add.  similiter  R  9 de  om. R  bubus  RLm1 A  praedicatur  s. l.   \ m2  (dicitur  m1 ),  post  particulares  Λ2  quae  L TA  10 quae  R ΓΑ  11 particularia  R, add.  homines  L 4ΛΦ ;  om. Porph.   p. 13, 16  proprium—particulares  (12) om. R  quod est]  otov   Porph.   p. 13, 17  12  pr.  et  om.   L ΆΣ   Busse (casu ut uid., cf. eius adnot. ad   Porph. p. 13, 17   v-ai ),  add.   \ m2  13  pr.  et  om. Busse; Porph. p. 13, 18   τοΰ τε εΐδοος  14 qui] quae  R  15 de homine—equo  post  separabile  R  16 sed  om.   Π Σ   post principaliter  add.  accidens praedicatur  Φ ,  s. l.  accidens  Lm2  17 secundum—rationem] secundo uero  (cet. om.)   N ΛΣΦ ; secundo  etiam   T m1 ; uero  post  secundum  C  posteriore  E ratione  E  orationem  Λ   ante  de  add.  et  edd. cum Porph. p. 13, 21  18  post  indiuidua  add. speciebus  N Σ  20 uidentur  RG   antur. haec est autem una communio quae propositarum quinque rerum numerum pluralitate praedicationis includit; omnia enim de pluribus praedicantur, in hoc ergo sibi cuncta communicant, nam et genus de pluribus praedicatur, itemque  species ac differentia et proprium et accidens, quae cum ita sint, est eorum una atque indiscreta communio de pluribus PREDICARE, disgregat autem ipsam de pluribus PREDICAZIONE, quemadmodum in singulis fiat, quod unum quodque proposi- torum de quibus pluribus praedicetur ostendit, ait enim genus  quidem de pluribus praedicari, id est speciebus ac specierum indiuiduis, ut animal praedicatur de homine atque equo ac de his indiuiduis quae sub homine sunt atque sub equo, item genus PREDICARE de differentiis specierum atque id iure. quoniam enim species differentiae informant, cum genus de  speciebus praedicetur, consequens est ut etiam de his dicatur quae specierum substantiam formamque efficiunt, quo fit ut genus etiam de differentiis praedicetur ac non de una, sed de pluribus; dicitur enim quod rationabile est, esse animal et rursus quod inrationabile est, esse animal, ita genus de speciebus ac differentiis praedicatur ac de his quae sub ipsis sunt indiuiduis. differentia uero de speciebus dicitur pluribus ac de earum indiuiduis, ut inrationabile et de equo praedicatur ac boue, quae sunt plures species, et de his quae sub ipsis sunt indiuiduis eodem modo dicitur; nam quod de uniuersali  praedicatur, praedicatur et de indiuiduo. quodsi differentia de speciebus dicitur, praedicabitur etiam de eiusdem speciei sub- 1 praepositarum  HN  5  post.  et] atque  R  7 autem] ut est  E  8 quod] ut  Em2P  et quod  La.c.  et ut  p.c., ante  quod  s. l.  in eo  Hm2  praepositorum  HN  9 ostendat  ELm2P  10 id est  om. HNR, er. G 11 atque] et  CL  equo ac de  om. EG  ac] atque  CL  et  R  12 de  om. L, s. l. Cm2  qui  EGP post. sub  om. LNP  14 enim  del. E  15 praedicatur  HN  16 perliciunt  HNP  18 rationale  EGHNP  19 quod  om. R, in ras. E,  quoniam  GLm1  inrationale  HNP  est  om. R  21 differentiae... dicuntur  R 22 inrationale ( uel  irr-)  Em2  (rationabile  m1) HLm2NP  23 bouej de boue  N  et de] deque  EG 25 et  ante  praedicatur  C  26 praedicatur  C  etiam  om. EN   iectis. species uero de suis tantum indiuiduis praedicatur; neque enim fieri potest, ut quae species est ultima quaeque uere species ac magis species nuncupatur, haec alias deducatur in species, quod si ita est, sola post speciem indiuidua restant, iure igitur species de suis tantum indiuiduis praedicantur, ut  homo de Socrate, Platone, CICERONE et ceteris, proprium item de specie PREDICARE cuius est proprium, neque enim esset proprium alicuius, si de alio diceretur; de quo enim una quaeque res ‘et soli et omni et semper’ dicitur, eiusdem pro- prium esse monstratur. quae cum ita sint, proprium de specie  dicitur, ut risibile de homine; omnis enim homo risibilis est. dicitur etiam de indiuiduis speciei de qua praedicatur; est enim Socrates, Plato et CICERONE risibilis, accidens uero et de speciebus pluribus dicitur et de diuersarum specierum indiuiduis. dicuntur enim coruus atque Aethiops nigri et hic cor-  uus et hic Aethiops, qui sunt indiuidui, nigri secundum nigre- dinis qualitatem uocantur. atque hoc quidem est accidens inseparabile, sed multo magis separabilia accidentia pluribus inhaerescunt, ut moueri homini et boui — uterque enim moue- tur —, et rursus ea quae sub homine sunt atque boue indiuidua,  moueri saepe praedicantur. sed aduertendum est auctore Porphyrio quod ea quae accidentia sunt, principaliter quidem de his dicuntur in quibus sunt indiuiduis, secundo uero loco ad uniuersalia indiuiduorum referuntur, atque ita praedicatio  1 praedicabitur  CLP  3 uero  C  5 praedicatur  Cm1EGLRm2  7 esse  E  8 nisi  HPR, ex  si  CLm2  aliquo  CHP ante  diceretur  add.  non  R, s. l. Lm2  9  pr.  et  om. EGHN secund.  et  om. G tert.  et  om. EG, del. Lm2, s. l. Pm2; ad  et—semper  cf. p. 275,10  12 etiam] autem  HPm1  13 Plato] et piato  N  et  om. CEG  risibiles  CH  et  om. EGLP  14 pluribus  om. CN  dicitur  om. H, post  indiuiduis  s. l.  scil, praedicatur  m2  specierum  om. HN  15 dicuntur  in ras.   Hm2  dicitur  GNR  niger  NR  et  om. EGHN  16 et  om. EG   post  nigri  add.  autem  R, s. l. Lm2  19 et  om. EG  20 et  om.   CEGP  21 mouere  Ea.c.Gm2  actore  Ea.c.R  23  post  dicuntur  add. nam non subsistunt praeter haec quibus adsunt et nulli prius acci- dunt quam indiuiduis  R  24  post  uniuersalia  add.  ad speciem  G   superiorum redditur, ut quoniam nigredo singulis coruis adest, dicitur adesse coruo. nam quia omnia particularia qualitas ista accidentis nigredinis inficit, idcirco eam de specie quoque PREDICARE dicentes coruum, ipsam speciem, nigrum esse.    In quibus omnibus mirum uideri potest, cur genus de proprio PREDICARE non dixerit nec uero speciem de eodem proprio nec differentiam de proprio, sed tantum genus quidem de speciebus ac differentiis, differentiam uero de speciebus atque indiuiduis, speciem de indiuiduis, proprium de specie atque indiuiduis,  accidens de speciebus atque indiuiduis. fieri enim potest ut quae maioris PREDICAZIONE sint, ea de cunctis minoribus praedi- centur, et quae aequalia sunt, sibimet conuertuntur, eoque fit ut genus de differentiis, de speciebus, de propriis, de acci- dentibus praedicetur, ut cum dicimus ‘quod rationale est,  animal est’, genus de differentia, quod homo est, animal est, genus de specie, quod risibile est, animal est,’ genus de proprio, ‘quod nigrum est’, si forte coruum uel Aethiopem demonstremus, ‘animal est,’ genus de accidenti praedicamus, rursus ‘quod homo est, rationale est’, differentia de specie,  1 superiorum]  E  ( s. l.  id est specierum)  GP  superioribus  cett.  sub- teriorura superioribus  brm  ut—dicitur  om. EG  2  post  coruo  s. l.  speciali  Lm2  3 nigredinis accidentis  C infecit  HLm1  eam] eamdem  Lm2Pm2  (it eadem  m1 ) eadem  EG  eo  Rm1  ea  m2  de  om. P  4 ipsum specie  EGPRm2 post  ipsam  add.  scilicet  C  nigram  C  5 omnibus  s. l. Cm2  6  utroque loco  neque  R  7 differentias  R  8 atque  Rbrm  et de  p  differentiis] indiuiduis  pr cum p. 286, 1, differentiis <atque indiuiduis>  coni. Brandt; cf. p. 287,12—21  differentias  HLPR  9 proprium de specie atque indiuiduis  om. H  11 maiores praedicationes  EGR  sunt  Ca.c. (ras.  i  ex  u)  Pm2R  ea  s. l. L  eadem  C  eaedem ( om.  de  G ) eae  Pm1  hae  ER  cunctis] dictis  EGR  12 et  om. EG   conuertuntur ]  Em1GLm1Rm2  (conuertentur  m1 ) conuertantur  CEm2HL   m2NP ad  eoque  s. l.   i  ideo  G  fit] quale sit  EG  13  pr.  de] et de  HNP   secund.  de  om. R  et de  HLNP tert.  de  om. E  et  HNPR  et de  L   quart.  de] et  NP  et de  HL  atque  R  14 praedicatur  EG  rationabile CEGLm1NR  15 animal est] sit animal  E  ( ad  sit  s. l.  pro est)  GLR  de  s. l. EGm2L post differentia  add.  praedicatur  GP (del. m1?),   s. l. Lm2, s. l.  praedicari  Em2  16 eat genus  om. G 18 accidente  R  19 rationabile  Em1G post  specie  add.  praedicatur  G   ‘quod risibile est, rationale est,’ differentia de proprio, ‘quod nigrum est, rationale est’, si Aethiopem demonstremus, dif- ferentia de accidenti; item ‘quod risibile est, homo est’, spe-  p. 95  cies de proprio, ‘quod nigrum est, homo|est,’ si Aethiopem designemus, species de accidenti, qua in re etiam quod nigrum  est, risibile est in Aethiopis demonstratione ut proprium de accidenti praedicatur. conuerti autem ad totum accidens potest, ut quoniam in indiuiduis singulorum esse proponitur, idcirco de superioribus etiam PREDICARE, ut quoniam Socrates animal est, rationalis est, risibilis est et homo est, cumque in Socrate  sit caluitium, quod est accidens, praedicetur idem accidens de animali, de rationali, de risibili, de homine, ut accidens de quattuor reliquis PREDICARE sed horum profundior quaestio est nec ad soluendum satis est temporis, hoc tantum ingredientium intellegentia expectet, quod alia quidem recto ordine PREDICARE, alia uero obliquo, quoniam moueri hominem rectum est, id quod mouetur hominem esse conuersa locutione proponitur, quocirca rectam Porphyrius in omnibus propositi- onem sumpsit, quodsi quis uim praedicationis et solutionis adtenderit in singulis praedicationibus comparans, eas quidem  1 differentiam  HR  3 accidentia  G post  item  add. quod rationale est homo est species de differentia  Hm1, del. m2  speciem  ELm2PR,   item 5  6 ut  om. R, del. ELm2 post  proprium  s. l.  etiam  Pm2,   post  accidenti  N, s. l. Cm2  7 praedicetur  CHLm1NPm2  ad  om.   N, s. l. Cm2  8 ut  ex  et  Hm2  in]  N, s. l. m2 in EHP, om. cett. praeponitur  Ca.c.EGHLNR  9 praedicatur  CHLNR ante  animal  add.  et  HN  10  ante  rationalis  add.  et  HNP, s. l. Cm1?  rationabile  Lm1 ante  risibilis  add.  et  HNPR, s. l. Cm1? Lm2  risibile Cm1EGLm1  et  (s. l. m1?)  homo est  post  rationalis est  C  et  om.   EG  11 praedicatur  CHLm2NP 12  secund.  de  om. CEGR tert.  de  om. R quart.  de  om. C  ut] et  CHN  13 praedicatur  CHN  14 dis- soluendum  N  15 expectet  idem quod  spectet 16 quoniam] nam  HLm2NP moueri  posthomin em  Cm2Pm2 17 moneatur  N  18  ante  proponitur  s.l.  non  Hm2  proportionem  EL  19 uim quis  EGLR  uim  om. Hm1, ante  adtenderit  s. l. m2  praedicatae  H  praedictae Lm2Pm2  et solutionis]  CN  solutionisque  L  solutionis  Gm1Hm2  (locutionis  m1 ),  s. l. add. Pm2  so- lutione  Gm2R  solue  (sic) E  20 attenderit  in ras. Em2  ostenderit  R   prolationes quae rectae sunt, inueniet a Porphyrio esse enumeratas, eas uero quae conuerso ordine praedicantur, fuisse sepositas.      Commune est autem generi et differentiae con-  tinentia specierum. continet enim et differentia species, etsi non omnes quot genera, rationale enim etiamsi non continet ea quae sunt inratio· nabilia quemadmodum animal, sed continet homi-  nem et deum, quae sunt species, et quaecumque praedicantur de genere ut genera, et de his quae sub ipso sunt speciebus praedicantur, et quae- cumque de differentia PREDICARE ut differen- tiae, et de ea quae ex ipsa est specie praedicabun-  tur. nam cum sit genus animal, non solum de eo praedicantur ut genera substantia et animatum, sed etiam de his quae sunt sub animali speciebus  4—p. 292, 10] Porph. p. 13, 22—14, 12 (Boeth. p. 40, 17—41, 12).   1 esse  om. GN, add. Hm2  enumeratas] N numeratas  cett.  2 prae- dicantur] proferuntur  HN  3 positas  Gm1Hm1  suppositas  Pm2  4  de   Porph. cf. ad p. 103, 7  5 Communis  Σ ,  m1 in EH \  est  om. E   Porph. (p. 13, 33) Busse, post  autem  N  6 continet—sunt  (p. 292, 8)] LR Q ,  om. cett.  7 etiamsi  ΔΣ  quod  i m1  quas  A m2R  8 enim  om. R,   8. l.   Δ inrationalia  2Φ ,  add.  ut genus  codd. praeter R Σ ,  om. etiam   Porph. p. 14,2, delend. uid. Bussio 9 sed] tamen  brm  10 deum] angelum  R  angelum et deum  L; Porph. cod. A   θεόν ,  cett.   άγγελον 11 genera]  Σ  genus  cett. Busse (sed  genera  probare uid.); cf.  ut genera  16. p. 293, 20 , ut differentiae  13; Porph. p. 14,3   όσα τε ν,ατηγορεΐται του   γένους ώς γένους  et] eadem  in ras. A m2  12 et]  Z p, s. l.   A m2,   om. cett.  (aliter  er.   T )  Busse  item  brm; cf. ad 13  quaecumque]  Lm2R Z  quaeque  cett.  13 de differentia] differentiae  Lm1 A  differentia  R ΓΦ ;  cf.  ut differentiae  p. 294, 1; Porph. p. 14,4   όσα τε τής διαφοράς ώς   διαφοράς  14 ex] sub  L \  et  R; Porph.   έξ praedicantur  Γ  15 genus sit  ΔΛΣ  16 praedicatur  R  ut  om. edd.  genera]  L Z   Busse  genus  cett. codd., om. edd.; cf. p. 394, 3—5; Porph. p. 14,5   γένους... ώς   γένους αατηγορεΐται ή ουσία  17 sunt  om. L  animalis  Δ   omnibus PREDICARE haec usque ad indiuidua. cumque sit differentia rationalis, praedicatur de ea ut differentia id quod est ratione uti, non solum autem de eo quod est rationale, sed etiam de his quae sunt sub rationali speciebus PREDICARE ratione uti. commune autem est et perempto ge- nere uel differentia simul perimi quae sub ipsis sunt; quemadmodum enim si non sit animal, non est equus neque homo, ita si non sit rationale, nullum erit animal quod utatur ratione.   Post eam quae cunctis adesse uisa est communitatem, singulorum ad se similitudines ac dissimilitudines quaerit, et quoniam inter quinque proposita genus ac differentia uniuer- salioris praedicationis sunt, siquidem genus species continet ac differentias, differentiae uero species continent neque ab his  ullo modo continentur, primum generis ac differentiarum similitudines colligit, ac primam quidem ponit hanc, dicit enim commune esse generi ac differentiae, ut species claudant;  1 praedicatur  LR ante  haec  add.  et  s. l. Lm2, in mg.   Γ ,  post  haec  Λ  haec  del.   \ m2  2 rationalis]  codd. (etiam Bussii LQ  rational,  in P uox paene tota euanuit ) rationale  edd. Busse; Porph. p. 14,7   διαφοράς τε οόσης τής τοΰ λογιχοΰ ;  cf. infra p. 293, 14  rationalis diffe- rentia;  295, 11  sub rationali differentia,  unde  rationalis  nominatiuum   potius intellegas quam cum Porph. genetiuum praedicantur  Φ  3 eo  coni. Busse  non] et non  L *l>  4 autem]  ΓΦ ,  s. l. Km2, om. cett.;   Porph. p. 14, 8   δε  5  ante  sunt  s. l.  sub ipsa  \ m2  sub rationabili- bus  h m1, del. m2 post  rationali  add. animali  ΠΦ ,  s. l. Lm2  praedi- catur  ΓΔΛΣΦ   a.c.; Porph. p. 14, 9   χατηγορηθήσετοι  6  ante ratione  add.  id quod est  s. l.   & m2 W m2 Busse  id quod potest  LR post  com- mune  s. l.  illis  Γ est autem  Φ   ante  perempto  add.  hoc  Λ  genere]  Porph. p. 14, 10   ή τοΰ γένους ,  om.   η   cod. Μ  8 enim]  Σ ,  s. l.   Ψ m2 ,  om. cett.; Porph. p. 14,11   γάρ  sit] est  CEGHP  9 ita] sic  L  ac  b m1 \  12 ad se] ad esse  EGP  et  om. CEG, s. l. Pm2, del. Lm2  13 generis ac differentiae  CN  uniuersaliores praedicationes  CEGNP  14  ante  species  add.  et  LR  15 nec  N  16 ac] et  N  17 primum  LNP hanc] hanc communionem  H  18 commune] hoc commune  H  communionem  LR  ac] et  CGLP concludant  HN   nam sicut genus sub se habet species, ita etiam differentia, tametsi non tantas quot habet genus, etenim genus quoniam differentiam etiam claudit et non unam tantum sub se differentiam cohercet ac retinet, plures necesse est habeat sub se  species, quam quaelibet una earum differentiarum quas claudit, ut animal PREDICARE de rationabili et inrationabili. quodsi ita est, PREDICARE et de his quae sub rationali sunt positae speciebus et de his quae sub inrationali. est ergo commune animali et rationali, id est generi et differentiae, quod sicut  genus de homine et de deo PREDICARE, ita etiam rationale, quod est differentia, de deo ac de homine dicitur, sed non in tantum haec praedicatio funditur quantum animalis, id est generis, animal enim non de deo solum atque homine, sed de equo et boue praedicatur, ad quae rationalis differentia non  peruenit. sed quandocumque deum supponimus animali, secun- dum eam opinionem facimus quae solem stellasque atque hunc totum mundum animatum esse confirmat, quos etiam deorum nomine, ut saepe dictum est, appellauerunt. Secunda item communio est generis ac differentiae, quoniam quaecumque  PREDICARE de | genere ut genera, eadem de his quae sub  p. 96  ipso sunt speciebus praedicantur; ad hanc similitudinem 15 quandocumque — 18 appellauerunt] Abaelardus, Introduct. ad theolog., II 34. 376. 18 saepe] p. 208, 22. 259, 19.   1 habeat  Lm2  differentiae  EGR  2  post.  genus  om. EGR, post quoniam  Cm1, corr. m2  3 differentias  CHm1L  etiam  del. Lm2, om. N  et  om. EG, s. l. Lm2 tantum  om. H, s. l. Lm2  4  ante  plures  add.  sed  EGL  adhibeat  R  ut habeat  L  5 quas  om. L quam  EGHPm1R  6 rationali  CHLN  inrationali ( uel  irt-)  HLN  7 ra- tionabili  Cm1EGm2P  8 inrationabili ( uel  irr-,)  CEGNP  commune est,  post s. l.  ergo  C ; ergo  om. EG, add. Pm2  10 et de deo  om. EG  rationabile  CEGR  11 in  om. LN  12 haec  om. EG  14 rationabilis  R  16 opinionem]  CHNPm2 Abaelard.  propositionem  EGLPm1R  qua  EGLm1P  solem] coelum  Abaelard.  17 confirmant  EGLm1  confirmet  N  20 de genere praedicantur  C post  eadem  add.  et  L  21 ipso] genere  H  ad hanc similitudinem  om. EGR; ante  ad  s. l.  et  Pm2   quaecumque de differentia praedicantur ut differentiae, et de his quae sub differentia sunt ut differentiae praedicantur, cuius sententiae talis est expositio, sunt plura quae de generibus praedicantur ut genera, ut de animali dicitur animatum, dicitur substantia, atque haec ut genera, haec igitur praedicantur et  de his quae sub animali sunt, ut genera rursus; nam hominis et animatum et substantia genus est, sicut ante fuerat ani- malis. item in ipsis differentiis quaedam differentiae inueniuntur quae de ipsis differentiis PREDICARE, ut de rationali duae differentiae dicuntur, quod enim rationale est, utitur ratione  uel habet rationem, aliud est autem uti ratione, aliud habere rationem, ut aliud est habere sensum, aliud uti sensu, habet quippe sensum et dormiens, sed minime utitur, ita quoque dormiens habet rationem, sed minime utitur, ergo ipsius ratio- nabilitatis quaedam differentia est ratione uti, sed sub rationabilitate homo positus est; praedicatur igitur de homine ratione uti ut quaedam differentia, differt enim a ceteris animalibus homo, quia ratione utitur, demonstratum igitur est quia sicut ea quae de genere praedicantur, dicuntur de generi subiectis, ita etiam ea quae de differentia praedicantur, dicuntur de his  quae differentiae supponuntur. Tertium commune est quod  1  ante  quaecumque  add.  et  EGL(del. m2), er. uid. C  quaeque  GPR  praedicantur  om. EGR, post ut differentiae  H  ut differentiae  om. EG post  differentiae  add.  eadem quoque  L, post  de his  P (om.  et), eadem  s. l. Nm2  2  post  sub  add.  ipsa  NR  sunt  ante  sub  H  ut differentiae  om. H, s. l. Nm2  ut differentia  EG  4  post.  dicitur  om. L 5 ante  substantia  add.  et  LPm2  6 rursus  ante  ut  GR, post L  7 antea fuerat  H  ante fuerant (n  s. l. m2) L  fuerant ante  R  8 quae- dam  s. l. Cm2  9 praedicentur  Cm2  ut  om. HN  11 autem habere rationem aliud uti ratione  NR.  12 ut  om. H sicut  N  est  om. H  13 sed minime utitur  om. N  sed—dormiens  om. EGPE, del. Lm2  ita—rationem  in sup. mg. Nm2  15 sed  om. EG, s. l. Pm2  16 positus est homo  R  esse ( om.  est  EGP est  ex  esse  Lm2  esse  del. Pm2 ) praedicatur. Igitur  EGLP  17 ut  om. EG, s. l. Cm2 post  diffe- rentia  add.  est  EGP  a]  L, om. cett.  18 homo  ante  ceteris  H  est igitur  HLN  quia] quod  CL  19  post.  generum  EGLm2P  20 post  his  add.  quoque  HN  21  post  Tertium  add.  uero  P, s. l. Lm2 quod] quia  C   sicut absumptis generibus species interimuntur, ita absumptis differentiis species de quibus differentiae praedicantur, intereunt, commune enim est hoc, uniuersalium in substantia pereuntium perire subiecta. sed prima communio demonstrauit genera de  speciebus praedicari, sicut etiam differentias, propter hanc igitur similitudinem si auferantur genera, species pereunt, sicut etiam species perire necesse est quae sub differentiis sunt, si uniuersales earum differentiae consumantur, cuius exemplum est : si enim auferas animal, hominem atque equum sustuleris,  quae sunt species positae sub animali, si auferas rationale, hominem deumque sustuleris, qui sunt sub rationali diffe- rentia collecti. Et de communitatibus quidem hactenus, nunc de generis et differentiae dissimilitudine perpendit.      Proprium autem generis est de pluribus prae- dicari quam differentia et species et proprium et accidens; animal enim de homine et equo et aue et serpente, quadrupes uero de solis quattuor pedes habentibus, homo uero de solis indiuiduis et hin-  nibile de equo et de his qui sunt particulares, et  14—297, 2] Porph. p. 14, 13—15, 8 (Boeth. p. 41, 13—42, 14).   1 sicut—ita  om. EG  consumptis ( post  ita)  Pm2  6 igitur] qui- dem  E  sicut] sic  GHm2LN  7 species etiam  HNP  10 quae] quia  H  qui  ex  quia  Nm2  12 collocati  HNP, recte? cf. 10. p. 300, 18  Et  om. CEGP, del. Lm2  13 perpendet  G  14 PROPRIO  C  PRO- PRIIS  post DIFFERENTIAE  L  GENERI  R  DE PROPRIIS EORVM (EORVNDEM  Ψ )  Ρ Ψ ;  de Porph. cf. ad p. 105, 16  15 autem  om ·.  ΓΦ  generi  LNR A ;  cf. infra p. 297, 15. 16 s. 299, 17. 300, 23. 301,10. (13) 302,11  est  ante  generis  s. l.   A ,  om .  Σ ,  om. Porph. p. 14,14  16  ante  quam  add . magis  L (er.)   A   (del. m2)  differentiae  EGHLPm1R ;  Porph. p. 14, 15   ή διαφορά  et species—differentia  (p. 296, 21) ]  LR ii ,  om. cett . et proprium] propriumque  A  17 de equo et (de  add.   \ ) homine  ΔΑ  18  post  uero  add . uidetur  ΓΦ ,  m1 in L ΔΑ ,  del. m2; om. Porph. p. 14, 17  solis  om. R  20  ante  equo  add . solo  edd. cum Porph. p. 14, 18   μόνον ,  fort. recte post , de  om. R, s. l. Lm2   accidens similiter de paucioribus, oportet autem differentias accipere quibus diuiditur genus, non eas quae complent substantiam generis, amplius genus continet differentiam potestate; animalis enim hoc quidem rationale est, illud uero inratio-  nale. amplius genera quidem priora sunt his quae sunt sub se positae differentiis, propter quod simul quidem eas auferunt, non autem simul aufe- runtur; sublato enim animali aufertur rationale et inrationale. differentiae uero non auferunt  genus; nam si omnes interimantur, tamen substan- tia animata sensibilis subintellegitur, quae est animal, amplius genus quidem in eo quod quid est, differentia uero in eo quod quale quiddam est, quemadmodum dictum est, praedicatur, amplius  genus quidem unum est secundum unam quamque speciem, ut hominis id quod est animal, differen- tiae uero plurimae, ut rationale, mortale, mentis et disciplinae perceptibile, quibus ab aliis differt, et genus quidem consimile est materiae, formae  uero differentia, cum autem sint et alia communia  1 autem  om .  Σ  enim  Lm1  4 continet genus  LR; Porph. p. 14, 20   τό γένος περιέχει 5 enim  om.   2  uero  A m1  est  in mq. Lm2  6 quidem genera  Lm1R  priora  om. L  7 sub se  ante sunt  L, post  positae  R  positis  ΓΛΦ ,  m1 in L Λ2  8 quidem  om. L, ante  simul  R  auferunt]  h m1 V aufert  cett.; Porph. p. 14, 22  ( τα γέν-r )  σοναναιρεΐ οΰτός  aufe- runtur]  A m1 W  aufertur  cett.; Porph. p. 14, 23   σοναναιρεϊται  9 aufertur rationale—aufernnt genus  om. R  11 si] etiamsi  brm cum Porph. p. 15, 1   καν ; fort. etsi  scribendum  tamen  om .  Σ ,  s. l.   A m2 A m2  12 sensi- bili  R subintellegitur]  Φ  subintellegitur potest  R  subintellegi  potest   cett.; Porph. p. 15, 2   επινοείται quod  Δ   Busse; Porph .  οϋσια...ήτις ήν τό ζψον  14 uero  om. L  quiddam  om. R  quid  edd . est  om.   LR TΛΦ  15 quemadmodum] sicut  LR  est dictum  Λ   Busse  16 quidem genus  hA m1 Z  est unum  LR  17  ante  hominis  add. est   edd. Busse; om. Porph. p. 15, 4  18 plures  brm cum Porph. p. 15, 5   πλείοος ;  cf. infra p. 301, 21; post  plurimae  add . sunt  ΑΣ   Busse; om. Porph. p. 15, 5 mentis  5 m2  risus  m1  20 cum simile  R  21 autem  Cp.c . haec  a.c . et  om. G   et propria generis et differentiae, nunc ista suf- ficiant.    | Proprium quidem quid sit, conuenienti atque integro uoca- p. 97  bulo definitum est. sed per abusionem illa etiam propria  quorumlibet dicuntur quae in una quaque re ab aliis continent differentiam, licet cum aliis sint ea ipsa communia, per se quippe proprium est homini quod ei omni et soli et semper adest, ut risibilitas, per usurpatam uero locutionem etiam proprium hominis rationabilitas dicitur non per se proprium,  quippe quod ei cum deorum est natura commune, sed homini rationabilitas proprium dicitur ad discretionem pecudis, quod rationale non est; id uero propter hanc causam, quoniam id proprium unius cuiusque dicitur quod habet suum, quo igitur quis ab alio differt, proprium eius non absurda usurpatione  praedicatur, sed nunc quod dicit proprium generis esse de pluribus praedicari quam cetera quattuor, id ipsum generis tale proprium est, quale per se proprium dici solet, id est quod semper <et> omni et soli adsit generi, generi enim soli adest, ut differentia, specie, proprio, accidenti überius atque  affluentius praedicetur, sed de his differentiis, speciebus, pro- priis atque accidentibus id dici potest quae sub quolibet  1 proprii  P  et] ac  EGP  nunc  om. Porph. p. 15, 8  suf- ficiunt  Λ m1 2 ;  Porph .  άρκείτω ταϋτα ,  cod. B   apxet τοααδτα  3 quidem] autem  C  quod  R  5 in una quaque re]  CLP  re  om. N  una quaque  E  una quaeque  G  unam quamque  HR  6 differenda  EGLm1  7 omni et soli] et soli et omni  C   pr.  et  s. l. Lm2 post , et  om. EG  10  post  ei  add . quoque  HNP  12 rationabile  HR post  uero add. fit  L ,  s. l. Pm2  14 aliquo  Lm2  differat  Cm2Hm1N  15 nunc  om. EG ,  post  quod  C  17 tale  ante  quale  P est proprium  LP post , est  om. CN  18 et  add. brm  adest  C  generi enim  in mg. Hm2  enim] uero  C  autem  L  19  post  ut  add . et  H   (del. m2) N  et specie  HLN  et proprio  HLR  et (atque  R ) accidente  HLm1  (-ti  m2 )  NR  20 affluentius]  CHNPm2  fluentius  Lm1 ,  s. l . ł lucidius  m2 cluentius  E  ( s. l . habundantius]  Pm1  licentius  G  luculentius  R  de] e  R  speciebus  post differentiis  pos. Brandt, ante codd. pr, om. bm  et propriis  CHLN  21 atque  om. P   genere sunt, id est differentiae quidem quae quodlibet diuidunt genus, species uero quae diuisibilibus generis differentiis infor- matur, proprium autem illius speciei quae sub illo genere est quod differentiis est diuisum, accidentiaque quae his hae- reant indiuiduis quae sub ea specie sunt quam designatum  genus includit, hoc facilius exempla declarant, sit enim genus animal, quadrupes ac bipes differentiae sub animalis positae continentia, homo atque equus species sub eodem genere constitutae, risibile atque hinnibile propria earundem spe- cierum, uelox uero uel bellator accidentia quae his indiuiduis  accidunt quae sub speciebus equi atque hominis continentur : animal igitur, quod est genus, praedicatur et de quadrupede et bipede, quae sunt differentiae, quadrupes uero de bipede non dicitur, sed tantum de his animalibus quae quattuor pedes habent; plus igitur praedicatur genus quam differentia, rursus  homo de Platone ac Socrate praedicatur, animal uero non modo de hominibus indiuiduis, uerum etiam de ceteris inratio- nabilibus indiuiduis dicitur; plus igitur genus quam species praedicatur, sed cum sit proprium hinnibile equi speciei cum-  1 differentiae]  CNp  differentias  EG, m1 in HLP de  (om. HPR)  dif- ferentiis  m2 in HLP, Rbrm  quidem  om. B, ante add . sunt  C, post N  genus diuidunt  HN  2 speciebus  Hm2Lm2  specie  Pm2brm  diuisi- bilis  Hm1Pm1R  ( add . est), dissimilis  E  ( add . est)  G, ad  diuisibilibus  in mg.  ał quae diuisiuis  Lm2, sed cf. p. 254, 12 ante generis  add  est  ERm2, add . sunt,  post  et  (del. m2) P  informantur  CLm2  3 pro- prio  m2 in HLP (ante s. l. de add.) brm post  autem  add . quod est  EGP (del. m2)  illi  Lm1  4 diuisiuum  Lm1  diuiditur ( om . est;  N  accidentiaque]  CEGHm1Lm1  accidentia quoque  Pm1  (de accidentibus quoque  m2 ) accidentia  Rp  accidensque  N  accidentibusque  Hm2Lm2brm  quae] quod  N  hereat  N  haerent  Pm2 edd . 5 sint  G  10 uelox— bellator]  HNP  (uel  om. , et  s. l. m2 ), uelox uero dux uel bellator  C  uelox uero uel bellator dux  L  uelox uero bellator dux  EG  ferax uerox  (sic)  ( s. l . equus  m2 ) bellator dux  R  11 accidant  H  accidencia  Pm1  12 et  om. EGP  13 et bipede]  HNP, om. R  bipede  C  de bipede  EGLm1  et de bipede  m2  quadrupedes  G  14 his  om. GR, s. l. Cm2Lm2  16 ac] et  P post  praedicatur  add . et ceteris  HNP  17 hominis  C  (s  in er. b.? m2 )  GHm1N  19 sed—praedicetur  om. EG  hinnibile  ante  proprium  N, om. LR  simile  H  equi  om. H   que genus quam species überius praedicetur, praedicatio quo- que generis proprii supergreditur praedicationem, accidens quoque etsi pluribus inesse potest, tamen saepe genere con- tractius inuenitur, ut bellator non proprie nisi homo dicitur,  ut uelocitas in paucis animalibus inuenitur. quo fit, ut genus differentia, specie, proprio et accidentibus amplius praedice- tur. Atque haec est una proprietas generis quae genus ab aliis omnibus disiungat ac separet, oportet autem, inquit, nunc eas differentias intellegere quibus diuiditur genus, non quibus  informatur, illae enim quibus informatur genus, plus quam ipsum genus sine dubio praedicantur, ut animatum et corpo- reum ultra animal tenditur, cum sint differentiae animalis, sed non diuisiuae, sed potius constitutiuae; omnia enim superiora de inferioribus praedicantur, quae uero de inferioribus praedi-  cantur neque conuerti possunt, haec ab eis quae inferiora sunt amplius praedicantur.   Post hoc aliud proprium generis ostendit quo ab his differentiis quae sub eodem sunt positae, segregatur, omne enim genus continet differentias potestate, differentia uero  genus non potest continere, animal enim rationale atque inra- tionale continet potestate; neque enim inrationabilitas neque rationabilitas animal poterit continere, potestate autem ait continere animal differentias quia, ut superius dictum est,  23 superius] p. 264, 16.   1 praedicatur  Cm1R  3 inesse] inest  C  ante saepe  add . semper uel  Hm1, del. m2  contractius genere  H  inneniri  C  5  pr.  ut  er. uid. C, om. HPm1  et  LN, s. l. Pm2  6  ante  differentia  add . et  Hm2LN ante  specie  add . et  HL  et de  N ante  proprio  add. et HL  et de  N  et  om. E  accidente  R  8 inquit  om. N, del. Hm2  10  post  informatur  add . genus  C  illae—informatur  om. EGLR, post praedicantur  (11) add . Ipsae enim diffe- rentiae a quibus informatur genus  Lm1, ante  plus quam  transpos. m2  illae enim] nam illae  P ante  plus  add . nam  GR  11 sine dubio  om. HN  et  om. EG  12 tendit  EG ? tenduntur  R  sunt  H  15 ab  om. H  18 eodem] eo  HN  eodem genere  C segregetur  HN  20 rationabile  ELm2P  atque  om. EGR, s. l. Pm2  inrationale  om. EGPm1R inrationabile  Lm2, s. l. Pm2  21 inrationalitas neque rationalitas  HN  22 poterunt  CHLP  23  post  differentias  add . proprias  CL (del. m2), ante HNP   genus quidem omnes sub se habet differentias potestate, actu uero minime, ex quo fit ut alia proprietas oriatur, sublato enim genere perit differentia, ueluti sublato animali interimitur rationabilitas, quod est differentia, at si rationale interimas, inrationale animal manet, sed obici potest : quid? si utrasque  differentias simul abstulero, num poterit remanere genus? dicimus : potest, unum quodque enim non ex his de quibus praedicatur, sed ex his ex quibus efficitur, substantiam sumit, itaque fit ut genus sublatis diuisiuis differentiis permanere possit, dum tamen maneant illae quae ipsius generis formam  substantiamque constituunt, quoniam enim animal animata  p. 98 atque sensibilis differentiae constijtuunt, hae si maneant atque iungantur, perire animal non potest, licet ea pereant de quibus animal praedicatur, rationale scilicet atque inrationale. unum quodque enim, ut dictum est, ex his substantiae proprietatem  sumit ex quibus efficitur, non ab his de quibus praedicatur, amplius si utrasque differentias genus potestate continet, ipsum per se neutram earum intra se positam collocatamque con- cludit. quodsi actu quidem eas non continet, sed potestate, actu etiam ab his poterit separari; hoc ipsum enim, potestate  eas continere, id erat actu non continere, genus uero, quod quaslibet differentias actu non continet, actu ab eisdem etiam separatur. Kursus aliud est proprium generis, quod ex pro-  1 omne  GR  2 alia ut  EGP  4 rationalitas  HN  at  om. EGR  rationabile  CLm1R  5 inrationale  om. EG  inrationabile  Lm1R  quod  CEGLP  qui  R  6  post  abstulero add. rationales et inrationales  E num] non  EGLm1P  7 dicimus] sed dici  EP  de quibus—his  in mg.   Hm2  8  post , ex] de  P  9 itaque] atque  GR  atque  ita C  atque ideo  EP  10  post  tamen  add . earum  P  illa  C  ( a. in er . ae  m2 )  N  quod  E  11 quoniam—constituunt  in mg. inf. Em2  animati  Cm2LR  12 differentia  HN differendis  Pm1  haec  C (c er.)   EGHN  manent  E  15 dictam est] diximus  C  17  ante  ipsum  s. l. tunc  Hm2  18 neutra  G  neutrum  R  positum collocatumque  LPm1R  20 etiam] quidem  E post poterit  add . genus  EG   post  enim  add . quod est  R, s. l. Pm2  21 erit  Lm2R  quod] quae  E  23 eat om. ENR   prietate praedicationis agnoscitur, omne enim genus ad inter- rogationem ‘quid est unum quodque?’ responderi conuenit, ut animal in eo quod quid est de homine praedicatur, differentia uero minime, sed in eo quod quale sit; omnis enim differentia  in qualitate consistit, sed hoc proprium tale est quale supe- rius diximus, non per se, sed secundum alicuius differentiam dictum, alioquin commune est hoc generi cum specie, ut in eo quod quid sit praedicetur, sed quia hoc genus a differentia discrepat, quoniam differentia quidem in eo quod quale est,  genus uero in eo quod quid est praedicatur, generis proprium dicitur non per se, sed ad differentiae comparationem, et in omnibus reliquis eandem rationem conueniet speculari; quod- cumque enim ita generi proprium dicitur, ut nulli sit alii commune, sed tantum hoc habeat genus ut omne genus et  semper, id secundum se proprium nuncupatur, quicquid uero cum quolibet alio commune est, id non per se, sed ad alterius differentiam proprium dicitur. Alia rursus generis et diffe- rentiae separatio est, quod genus quidem speciei unum semper adest, scilicet proximum plura - enim possunt esse superiora,  uelut hominis animal atque substantia, sed proximum eiusdem hominis animal tantum —, differentiae uero plures uni speciei  5 superius] p. 297, 9.   1  post  agnoscitur  add . Omne enim genus ei proprietate cognoscitur praedicationis  P, in inf. mg. Lm2  generis  E  2 quid est] quidem  E  quidem quid est  HN  unum  om. E  respondere  CLR  4 sit] est  HN  7 hoc  ex  huic  Em2  8 ac G 9 est] sit  N  11 et  om. EG  12 conuenit  CHNP  13 generis  Pm2  alii sit  C  14 tamen  E  habeat—semper]  Cm2Hm1N  habeat genus et omne genus et (et  om .  Lm2R ) semper  Cm1Hm2Lm2R  habeat omne genus semper  EG  habeat genus omne semper  Lm1  genus hoc  (del. m2)  haheat omne genus (genus omne  m2 ) et  (s. l. m2)  semper  P  15 se  om. CN , illud  Cm2   (s. l.)  id  H post proprium  add . dicitur quod per se proprium  CHN  16 ad  om. C, in mg. Hm2  17  pr . differentia  C  18 est  om. HNR ,  s. l. E  uni  R  19 proximum  Cp. c . proprium  a. c . ad plura  in   mg.  genera  Lm2 , enim genera  P  20 ante animal  s. l . sed genus  Cm2  21  post  speciei  add.  semper adsunt  E   adesse poterunt, ut rationale atque mortale homini, itaque fit definitio ex uno quidem genere, sed pluribus differentiis, ut hominis animal rationale mortale. Rursus alia discretio est, quod genus quidem quasi subiecti locum tenet, differentia uero formae, ita ut illud sit materia quaedam quae figuram  suscipiat, haec uero sit forma quae superueniens speciei sub- stantiam rationemque perficiat. Idcirco uero pluribus diffe- rentiis a genere differentiam segregauit, quia haec maxime generis quandam similitudinem contineat, quia est uniuersalis et praeter genus inter ceteras maxima, sed cum alia plura  communia pluraque propria generis inter se ac differentiae ualeant inueniri, nunc, inquit, ista sufficiant, satis est enim ad discretionem quaslibet differentias assumere, etiamsi non quae dici possunt omnia colligantur.      Genus autem et species commune quidem ha- bent de pluribus, quemadmodum dictum est, prae- dicari. sumatur autem species ut species et non etiam ut genus, si fuerit idem et species et genus.  15—303, 3] Porph. p. 15, 9—13 (Boeth. p. 42, 15—20).   1 adesse—mortale  om. EGR  ut  om. HN  ut homini  C  Hominis itaque  C  hominis, itaque  P  2  ante  pluribus  add . de  Lm2  3  post  rationale  add.  atque  edd . est  om. HNR  4 quidem  om. C  5 ita ut om.  EGLm1  ut  m2  quaedam  om. EG, s. l. Lm2, ante  materia  P  quae  om. R, s. 1. Cm1?  quod  Em1  6 suscipiens  Lm1R  7 uero  om. EGLR  8 differentias  CEGHm1Pm1  9 continet  EGLPR  10 et  om. N  praeter] post  HPm1  maxima inter ceteras  H  in  N  cetera Lm1Pm2 edd . maximi  G  maximae  Pm1  12 nunc—sufficiant]  HLNR   (recte? an ex p. 297, 1?) ista inquit sufficiunt  GP  sufficiunt inquit ista  C  ista quidem sufficiunt  E  14 non  post  omnia  E (s. l.) p, ante brm  colliguntur  Hm1R  15 ET SPECIEI] SPECIEIQVE  C; de Porph. cf. ad p. 102, 7  17 de pluribus  om. G  18 sumatur—prae- dicantur  (p. 303, 2)] LR Q ,  om. cett . autem] autem et  L ΛΛΦ ;  Porph. p. 15, 11   11  et  om .  ΓΔ  sed  RΣ  19 ut  add .  \ m2 pr . et]  L cum Porph. p. 15,12, om. codd. cett. edd. Busse  genus et species  Ε Σ   commune autem his est et priora esse eorum de quibus praedicantur, et totum quiddam esse utrum que.    Generis et speciei enumerat tria communia, unum quidem,  de pluribus praedicari; genus enim et species de pluribus praedicantur, sed genus de speciebus, ut dictum est, species uero de indiuiduis. sed nunc de illa specie loquitur quae tantum species est. id est quae non etiam genus est, sed ultima species, quodsi talem speciem ponamus quae etiam  genus esse potest, ac de ea dicamus quoniam commune habet cum genere de pluribus praedicari, nihil interest an ita dica- mus, ipsum genus id secum habere commune de pluribus praedicari, talis enim species quae non est solum species, ea etiam genus est. Est autem commune his quoque quod utra-  que priora sunt his de quibus praedicantur, omne enim quod de aliquibus praedicatur, si recto, ut dictum est superius, ordine dicatur, prius est his de quibus praedicatur. Praeterea est illis hoc etiam commune, quod genus ac species totum sunt eorum quae intra suum ambitum continent et cohercent;  omnium enim specierum totum est genus et omnium indi- ui|duorum totum species, aeque enim genus et species aduna-  p. 99  tiua sunt plurimorum, quod uero multorum adunatiuum est, id eorum quae ad unitatis formam reducit, recte dicitur totum.    16 superius] p. 290, 15 ss.   1 est  om. L  priora] propria  La.c. Tk a.c A m1  2 esse] est  C  5  ante  genus  add. et H (er.) N  6  post  genus  add . quidem  L  8 est, sed] est ut est  H  ut est  N  12 secum]  H  (cum  in ras. m2 )  LR  secundo  CEGNPm2  (-da  m1 ) de pluribus—commune  (14)   post  praedicantur  (15) E 13 quod  E  14 his commune  HN  15 omne—-praedicatur  (16) in mg. Hm2  17 dicatur] praedicatur  CN  his] de his  G  18 etiam hoc  N  eorum sunt  C  20 genus est  NR  et] ut  Hm1  21  ante  species  add. est CNP, post E (in ras.) H  23 quod  E  re- ducuntur  Ca.c.N     Differt autem eo quod genus quidem continet spe- cies sub se, species uero continentur et non continent genera; in pluribus enim genus quam species est. genera enim praeiacere oportet et formata specificis  differentiis perficere species; unde et priora sunt naturaliter genera et simul interimentia, sed quae non simul interimantur. et species quidem cum sit, est et genus, genus uero cum sit, non omnino erit et species. et genera quidem uniuoce de speciebus praedi-  cantur, species uero de generibus minime, amplius genera quidem abundant earum quae sub ipsis sunt specierum continentia, species uero a generibus abun- dant propriis differentiis. amplius neque species fiet umquam generalissimum neque genus specialissimum.   Expeditis communibus generis ac speciei nunc de eorum discretione pertractat. differre enim dicit genus ab specie, quoniam genus continet species, ut animal hominem, species  1—15] Porph. p. 15, 14—24 (Boeth. p. 42, 21—43, 10). 1 PROPRIO  H  DIFFERENTIIS  C; de Porph. cf. ad p. 105, 16  2 Differunt  ENR edd.; Porph. p. 15, 15   διαφέρει   post  autem  add . genus  a  specie  Φ  continet quidem  N  3 sub se  er. uid .  5 ,  s. l. 2 m2, ante  species  (2)   ΓΦ ;  Porph. p. 15, 15   περιέχει τά είδη  species  s. l. Gm2  continetur  C A continetur a genere  Γ ;  Porph .  τα δέ είδη περιέχεται  et  om. EG  continet  C ΑΦ  4 in pluribus—differentiis  (14) ]  LR Q ,  om. cett . enim] quidem  S ;  Porph. p. 15, 16   ετι τά γένη  5  ante  oportet  s. l . et  5 m2  et  s. l .  5 m2 ,  hic om., sed ante  perficere  pos. LR h m1   (del. m2)   A ;  Porph. p. 15, 17 ν.α'ι διαμορφωθ-έντα  7 sed] si  R  9 est]  Porph. p. 15, 19   πάντως εστι;   exciditne  omnino ?   pr . et  om .  LR I ,  s. l .  A m2 ;  Porph. p. 15, 19   εστι και γένος   post . et]  A   (del. m2)   Φ   cum Porph. p. 15, 20, om. cett. edd. Busse  10 uniuoce quidem  AAS ;  Porph.   τά μέν γένη  de speciebus]  Porph. p. 15, 21   των δφ’ έοοτά ειδών  12 quidem genera  L s m2 i\Y .  Busse; Porph.   τά μέν γένη  sunt  (s. l. L)  sub ipsis  LR; Porph. p. 15, 22   των όπ’ αΰτά ειδών  13 a  om .  ΓΦ  ab  A m1 ,  del. m2  14 fiet  post  umquam  C  fit  HN  15 neque genus specialissimum  om. H   post  genus  add . fiet  CEGR  fiet umquam  ΑΑΣ  fiet species  L; Porph. 15, 24   ούτε τδ γένος ειδικάιτατον  16 ac] et  CE  17 differt  GR  a  HLNR  18  pr . speciem  HN   uero non continet genera; neque enim homo de animali prae- dicatur. itaque fit ut species quidem contineantur a generibus, numquam uero contineant genera, omne enim quod amplius praedicatur, illius est continens quod minus dicitur, quodsi  genus amplius praedicatur quam species, necesse est ut spe- cies quidem contineatur a genere, genus uero speciei nullo ambitu praedicationis includatur, huius autem ratio est quo- niam genus semper suscipiens differentiam speciem facit, hoc est, genus quod habebat latissimam praedicationem, coartatum  differentia et contractum speciem facit; omnino enim generi iuncta differentia speciem reddit et ex uniuersalitate atque latissima praedicatione in angustum speciei terminum con- trahit. animal enim, cuius praedicatio per se longe lateque diffusa est, si arripiat rationalis differentiam, si etiam mortalis,  deminuit atque contrahit in unum hominis speciem, unde fit ut minor sit semper species quam genus atque ideo conti- neatur, sed non contineat, sublatoque genere auferatur et spe- cies; si enim totum auferas, pars non erit, quodsi species auferatur, genus manet, ueluti cum animal sustuleris, interi-  mitur etiam homo, si hominem auferas, animal restat, haec etiam causa est, ut genus de specie uniuoce praedicetur, id est ut species suscipiat definitionem generis et nomen, sed  1 continent  HN enim  om. C  6 contineantur  NR  speciei  om. R  specie  Cm1  in specie  Lp.c . species  N  post nullo  add . modo  EGHPR, s. l. Lm2  7 includitur  EGLm1P  includat  N   post  autem  s. l.  rei  Cm2  8 semper  om. HN  species  N  hoc—facit  (10) om. EG  9 est  s. l. C, om. HN, del. Pm2  habet  Lm2Pm2  coartatum  ex  coapta- tum  Lm2, in mg . ał coaptata ipsa diffinitio et contracta speciem facit  m1  coaptata  Hm2P  apta  Cm1  (aptata  m2 )  Hm1N  10 et]  LR, s. l. Pm2 , om. CHN (de EG cf. ad S) contracta Lm2 omni Hm2Lm2 11 et om. G, s. l. ELm2 atque] et EHNPR 12 post praedicatione add. generis CNP, s. l. Lm2 speciem EG contrahitur Hm2 14 differen- tia  C ( ras. ex  -ã)  R  etsi etiam E et s. l., del. si etiam Lm2, et  R  15 diminuit  EHLPR ; diminuitur atque contrahitur  N  unam  C  (am  in ras. m2 )  Hm2NR  16 continentur sed non continent  N  17 et  om. EGR  19 remanet  C  cum] si  P  21 est causa  C  22 generis et nomen] et generis nomen  E et nomen generis  N  generis nomen  R   non e conuerso. definitionem quippe speciei genus suscipere non uidetur; substantiam enim priorum inferiora suscipiunt, si enim definias animal et dicas substantiam esse animatam atque sensibilem aut si praedices de homine ‘animal’, uerum dixeris, si etiam animalis definitionem de homine praedicaueris  dicasque hominem esse substantiam animatam atque sensi- bilem, nihil fuerit in propositione falsi, sed si hominis defini- tionem reddas ‘animal rationale mortale’, ea animali non con- ueniunt; neque enim quod animal est, id dici poterit animal rationale mortale, fit igitur, ut sicut species generis nomen  suscipit, ita etiam capiat definitionem, et sicut genus nomen speciei non suscipit, ita nec eiusdem definitione monstretur, sed cuius nomen et definitio de aliquo praedicatur, id uniuoce dicitur, cum igitur generis et nomen et definitio de specie praedicetur, genus de specie uniuoce dicitur, quoniam uero  speciei de genere. neque nomen neque definitio praedicatur, non conuertitur uniuoca praedicatio. Differunt genera <ab> speciebus hoc quoque modo, quod genera superuadunt species suas aliarum continentia specierum, species uero genera dif- ferentiarum pluralitate, animal enim, quod est genus, superuadit  hominem, quod est species, quia non hominem solum continet, uerum etiam bouem, equum aliasque species, quas suae spatio praedicationis includit, species uero, ut homo, superuadit genus, ut animal, multitudine differentiarum, nam quod actu genus  1 e conuerso] est  (om. R)  conuersio  EGLPR 2 non  er. H  sub- stantiae  EGLm2  (-tia  m1 )  PR  enim priorum] enim proprium  EGP diffinitionem ( om . en.  pr .)  R  3 et  om. CHNP  4 aut]  brm  at  CHLNP, om. EGR  5 definitione  E 7 nil  C  fuerat  Cm1  fueris  HN  falsi] mentitus  HN  sed] quod  CHN  hominis definitionem  om. EGR  hominis rationem  L  8 addas  EGR, post  si ( om . reddas,)  add. P , reddas addas  L pr . animali  Ea.c.LR  animal est G conuenit  CNPa.c.  9  ante  quod add.  id HNPR, s. l. Lm2  id dici] EGLa.r.P dici  Lp.r.R  idcirco dici  HN  id circo id dici  C  11 et  om. EG  12 defini- tionem ( uel diff-) monstret  EGR  14  pr . et  om. CEG, s. l. Lm2  15 praedicatur  E  uniuoce de specie  C  17 a  add. brm , ab  Brandt  18 modo  om. NR  19 continentia aliarum  C  21 quod] quae  N  non  s. l Cm2 22 equum bouem  HN  24 namque quod  Lp.c .   non habet rationale uel mortale — nullas quippe actu genus retinet | differentias —, easdem species suae substantiae inhae-  p .100  rentes atque insitas tenet, homo enim rationalis est atque mortalis, quod genus minime est; animal enim neque mortale  est per se neque rationale, quodsi genus quidem plus unam continet speciem, at uero species multis differentiis infor mantur, superat quidem genus speciem continentia specierum species uero uincit genus differentiarum pluralitate. Illa quoque est differentia, quod genus quoniam omnium primum  est, numquam in tantum descendere poterit, ut fiat ultimum, species uero, quae cunctis est inferior, in tantum ascendere non poterit, ut suprema omnium fiat; numquam igitur nec species generalissimum fiet nec genus specialissimum. Sed ex his quae dictae sunt differentiae aliae sunt quae genus ab  specie propriae coniunctaeque disterminant, aliae uero quae non solum genus ab specie, uerum etiam a ceteris diducunt ac disterminant, neque in his tantum differentiae quae sunt dictae, uerum etiam in ceteris considerentur oportet, si proprie normam quaerimus discretionis agnoscere.    1 uel  om. R  4 mortale] rationale  CHN  5 rationale]  R  inratio- nale  CHN  per se rationale  EGLP  unam continet speciem]  EG  (unam  s. l. m2 )  Lm1  quam unam continet speciem  Lm2R  una continet (continet una  C ) specie  CHNP  6 species uero ( om . at)  C  informa- tur  Lm1Pm1  7 species  G  9 quoniam] quod  Hm2  11 in tantum ascendere non] numquam in tantum ascendere  LNR  12 nec... nec] et... et  Hm1N  et... nec  C, pr . nec  om. P  14 ex his  om. EG, s. l. Lm2  sunt  om. E differentiarum  CN  differentiis  R  genus  s. l. Cm2  a  R  15 proprie coniuncteque ( ras. ex  -teque  Η )  HΝR (recte?)  propriaeque  G  coniunctaeque  om. EG  16 ab] a  R  diducunt]  Em2R  deducunt cett. distinguunt ac deducunt ( om . disterminant]  HN  17 neque (et quae non  CHN, s. l . ał quae  L ) in his tantum differentiis quae sunt dictae ( L  quae sunt dicta  G  quae dictae sunt  CHNP quid sint  in ras. E ) uerum etiam in ceteris (add. quoque  HLm1N, del. Lm2 ) considerentur oportet  CEGHLNP  neque in his tantum oportet considerare differentias quae sunt dicta uerum etiam in ceteris oportet  R ; differentiae  scr. Brandt ; neque enim in (de  bm ) his tantum oportet (oportet  om. p ) differentiis quae sunt dictae, uerum etiam in ceteris considerare (considerari oportet  p )  edd.  18 propriae  CEGLP  19 discretionis quaerimus  HR     Generis autem et proprii commune quidem est sequi species - nam si homo est, animal est, et si homo est, risibile est et - aequaliter praedicari genus de specie- bus et proprium de his quae illo participant; aequaliter  enim et homo et bos animal et Cato et Cicero risibile, commune autem et uniuoce praedicari genus de pro- priis speciebus et proprium quorum est proprium.    Tria interim generis ac proprii dicit esse communia, quorum primum illud est, - quoniam ita genus sequitur species ut  proprium, posita enim specie necesse est intellegi genus ac proprium; neutrum enim species proprias derelinquit, nam si homo est, animal est, si homo est, risibile est; ita quemad- modum genus, sic proprium ab ea specie cuius est proprium, non recedit. Illud quoque, quod aequalis est generis partici-  patio, sicut etiam proprii, omne enim genus aequaliter specie- bus participatur, proprium uero indiuiduis omnibus aequaliter adhaerescit, manifestum uero est participationem e?se generis aequalem; neque enim plus homo animal est quam equos  1—8] Porph. p. 16, 1-7 (Boeth. p. 43, 11—17).   1 COMMVNITATIBVS  Ψ ;  de Porph. cf. ad p. 102, 7  2 Genus  Em1Gm1 consequi  Pm1  3 nam—risibile  (6) ]  LR Q ,  om. cett. pr . est  s. l.   h m2  5 illo] sub illo  R participant] continentur  R ,  add.  indiuiduis  edd. cum plerisque codd. Porph. p. 16, 4  6  post animal add. est  ΓΦ ,  om. Porph. p. 16, 5  et Cato et Cicero]  Porph .  xat Άνοτος και Μέληχος post  risibile add. est  Φ  7 autem et] autem  CEGP  autem est (est  s. l .  h m2 ) et  (om. R)   R h  autem his  Ψ  autem hiis et  Φ  his  (s. l. m2)  autem et  Γ ;  Porph. p. 16, 6   δέ καί  speciebus propriis  R  8  post pr . proprium  add . de his  Ν Σ ,  s. l.  de propriis  Gm2  10 illud est primum  R  11  post proprium add. quoque  CH   (del. m2)   N  ac] et  C  13 si] et si  HN  risibilis  EGHNP  15  post quoque add. est commune  R, s. l. Lm2 ,  s. l . scil, commune est  Hm2  a genere (generis  Hm2 ) participatio est  HN  16 proprii] a proprio  Hm1N   ante  speciebus  add . a  H  ab  L (del. m2) NB, post add . suis  R  17 parti- cipat **  (ur  er .)  E  18 adheret  N  participatione  EGR  generi  E  ( ex genere  m2 )  R  19 aequale  EG  aequale proprium  R, post  aequa- lem  add. s. l . et proprii  Lm2, in mg . et proprium  Pm2   atque bos, sed in eo quod sunt animalia, aequaliter animalis, id est generis ad se uocabulum trahunt. Cato etiam et Cicero aequaliter risibiles sunt, etiamsi aequaliter non rideant; in eo enim quod apti ad ridendum sunt, dici risibiles possunt, non  quod iam rideant, aequaliter ergo ea quae sub genere sunt, suscipiunt genus, sicut ea quae sub propriis, propria. Tertium illud, quod sicut genus de speciebus propriis uniuoce praedi- catur, ita etiam proprium de sua specie uniuoce dicitur, genus enim quoniam substantiam speciei continet, non modo eius  nomen de specie, uerum etiam definitio praedicatur, pro- prium uero quia speciem non relinquit eamque semper sequitur nec in aliam speciem transgreditur nec infra subsistit, defi- nitionem quoque propriam speciebus tradit; cuius enim nomen uni tantum conuenit speciei cui coaequatur, dubitari non  potest quin eius quoque definitio speciei conueniat. quo fit ut sicut genus de speciebus, ita proprium de sua specie uniuoce praedicetur.    Differt autem, quoniam genus quidem prius est, posterius uero proprium; oportet enim esse animal,  dehinc diuidi differentiis et propriis, et genus qui-  18—p. 310, 13] Porph. p. 16, 8—18 (Boeth. p. 43, 18—44, 11).   1 eo] eodem  HLm2NR  2 ad se  om. EGR, s. l. Lm2  etiam  om. H  et  om. R  3  pr . aequaliter  om. C  6 suscipiant  Em1Lm1  genera  EGLPm2  gen.  ante  suscipiunt  HNP  7 illud] illud commune est  G quid  Cm1  9 enim  om. E  nomen eius  C  11 quia  om. EGLP  derelinquit  Lm2P  eamque] eique  HN  ei quae  R  ea quae  Pm1  ae- quatur  Pm2  12 definitio (diff-)  ELm2  (diffinitione  m1 )  Pm1 definitio enim  R  13 proprium  Ea.r.R  proprii  Ep.r.L  ( ras. ex  propriis,)  P  traditur  EGLm2Pm1 14 cui] uel ei  C  eique  HNPm2  (cuique  m1 ), et  (del. m2)  cui  L  aequatur  L  18 De proprietatibus  Δ ;  de Porph. cf. ad p. 105, 16  GENERIS ET PROPRII] EORVM P PROPRII] SPECIEI  L  19 Differunt  C edd . autem om. N autem genus et proprium  LR Δ2 ;  Porph. p. 16, 9 Διαφέρει δέ δτι τό μίν γένος  quidem om.  HNR  est  om. H  20 oportet—interimunt genera  (p. 310, 10) ]  LR Q ,  om. cett . 21  pr . et  om. L   dem de pluribus speciebus praedicatur, proprium uero de una sola specie cuius est proprium, et proprium qui- dem conuersim praedicatur de eo cuius est proprium, genus uero de nullo conuersim praedicatur, nam neque si animal est, homo est, neque si animal est, risi-  bile est; sin uero homo est, risibile est, et e conuerso amplius proprium omni speciei inest cuius est pro- prium, et soli et semper, genus uero omni quidem speciei cuius fuerit genus, et semper, non autem soli, amplius species quidem interemptae non simul inter-  p.101  imunt|genera, propria uero interempta simul in- terimunt ea quorum sunt propria, et bis quorum sunt propria interemptis et ipsa simul interimuntur.  Rursus tale proprium sumit, quod ad alterius comparationem proprium nuncupetur, dicit enim proprium esse generis prius  esse quam propria, oportet enim prius esse genus, quod ueluti materia differentiis supponatur, uenientibusque differentiis fieri speciem, cum quibus propria nascuntur, si igitur prius est  1 praedicatur]  R A m2 n   edd . praedicari  cett. codd. Busse  (propriis, et genus  distinguit, sed cf. 16  oportet  et p. 311, 9  Rursus differt);  Porph- p. 16, 11 κατηγορεΐται  2 una sola]  Porph.   ενός ,  cod. C add .  μόνοο  est  om.   Φ  6 si  R  homo est] homo et  ΔΑΠΨ  (et  er .), homo, et  Busse  homo est (est  s. l. m2 ) et  L; Porph. p. 16, 13  et  δέ άνθρωπος  et e conuerso] et conuerso  L h m1  et conuersim si risibile est homo est  R  si risibile est homo est  2 ;  Porph. p. 16, 14   καί εμπαλιν , add. ei  γελαστικόν, άνθρωπος   cod. C  8 et soli]  TA m2  et uni  Δ m1 ΑΣ  et uni et soli  LR ΠΦΨ ;  Porph. p. 16, 15   καί μόνψ  speciei quidem  2  9  post  speciei  add . inest  LR TA  ( s. l .)  ΠΦΦ-   (in mg. m2) edd. Busse, om .  Δ2   cum Porph . soli]  Porph. p. 16,16   και μόνω  10 species  s. l. L  propria  brm cum Porph . interempta  Φ  interimuntur  HL  11  post  genera  add.  quorum sunt species  A  propria] genera  brm Busse (in adn.) cum Porph. p. 16, 17 interimuntur  HΡ  12 ea  om .  Η ΤΦ  species  brm cum Porph . quarum  brm  et his— interemptis  om. EG  et] quare  edd., Porph. p. 16, 18   ώστε καί  13 in- teremptis  ante  et his  CP  et ipsa] et ipsa etiam propria  Φ  ipsa propria  2  interimuntur simul  CGLR ad 10—13 cf. p. 312, 13 ss . 14 Rursus  om. EG, s. l. Pm2 , sed  R  ad  om. H, s. l. Pm2  comparatione  HPm1  15 nuncupatur  Cm2Em2Ga.c.N  16  pr . esse  om. N, s. l. Pm2  uelut  N  18 species  Lm2  nascantur  N   genus quam differentiae, prius etiam differentiae quam species et speciebus propria coaequantur, non est dubium quin pro- pria generibus posteriora sint, ac per hoc quod dictum est, proprium esse generis prius esse quam propria, commune est hoc  generi cum differentia, differentiae enim species conformantes priores considerantur esse quam propria, siquidem speciebus ipsis priores sunt, quas propria ratione determinant, sed ut dictum est, hoc proprium ad differentiam proprii intellegendum est, non quale superius per se proprium constitutum est. Rursus  differt genus a proprio, quod genus quidem de pluribus praedicatur speciebus, proprium uero minime; nam neque genus est, nisi plures ex se species proferat, nec proprium, si alteri cuilibet speciei possit esse commune, fit igitur ut genus quidem plurimas sub se species habeat, ut animal  hominem atque equum, proprium uero unam tantum, sicut risibile hominem. Quo fit ut illa quoque differentia nascatur : genus enim praedicatur quidem de speciebus, ipsum uero in nulla praedicatione supponitur, proprium uero et species alterna praedicatione mutantur, fit enim praedicatio aut a maioribus  ad minora aut ab aequalibus ad aequalia, genus igitur, quod maius est, de speciebus omnibus praedicatur, species uero, quoniam minores sunt, de generibus non dicuntur, ut animal de homine dicitur, homo uero de animali nullo modo praedi- catur. at uero proprium, quoniam speciei aequale est, aeque  1 etiam] enim  Lm2  2et  om. EG  et si  H  4 est hoc]  HL  (hoc  del. m2 )  N  est et hoc  C  esse  Pm1  et hoc est  m2  est  EGR  5 diffe- rentia] differentiis  CHN  differentiae  om. EG  enim  s. l. Cm2, post species  EG  informantes prius  N  6 considerentur  Hm1R  esse  s. l .  Cm2  7 quam  G  8 hoc  om. EGR  10 a  om. NR  quod] quo- niam  L  de] a  C  12 proferet  Lm2  14 species sub se  C  16 quoque del. Em2, post add . proprietas  (s. l. Lm2)  ex  GL, s. l. Pm2  nascan- tur  Ep.c . 17 de speeiebus quidem  C  ipsis  CN  in  om. CN  19 mutuantur  La.c.Pm2  praedicatio  om. EGR, s. l. Lm2  20 quod] quoniam  E (in ros.) Gm2  21 est  s. l. Em2  praedicabitur  N  22 minora  CEGLm2P   praedicatur atque supponitur, ut risibile de homine dicitur - omnis enim homo risibilis est —, eodemque conuertitur modo; omne enim risibile homo est. Differt etiam proprium a genere, quod proprium uni et omni et semper speciei adest, genus uero ex his duo quidem retinet, in uno uero diuersum  est. nam speciebus suis et semper adest et omnibus, non uero solis; hoc enim haeret propriis, quod singulas tantum species continent, hoc generibus, quod plures. igitur propria quidem singulas optinent species, genera uero non singulas, adest igitur proprium uni soli speciei et semper et omni, genus uero omni  quidem et semper, sed non soli, ut risibile homini soli, ani- mal uero eidem homini, - sed non soli; praeest enim ceteris, quae inrationabilia nuncupamus. Praeterea si auferatur genus, species interimuntur nam si non sit animal, non erit homo —, si auferas species, non interimitur genus; nam si non  sit homo, animal non peribit, species uero et propria quoniam sunt aequalia, alterna sese uice consumunt; nam si non sit risibile, homo non erit, si homo non sit, risibile non manebit, consumunt igitur genera sub se positas species, non uero ab his inuicem consumuntur, species uero et proprium inuicem  perimuntur et perimunt.    1 supponitur] (sub-  HP )  CHm2Lp.c.P praeponitur  cett., recte?  2 enim  om. C locus  risibilis est—quidem speciebus  (p. 315, 7) bis in E scriptus, pag. 229—231 (E I ), ubi deletus est, et p. 232—234 (E II )  3 etiam  om. R, del. Lm1 , enim  m2  autem etiam  H  a genere pro- prium  C  a  om. R  4 speciei  s. l. Hm2  5 uero] quidem  E I qui- dem duo  CNB ,  om . quidem  E I  7 haeret propriis]  E III   GL  haeret (ł inerit  m2 ) tantum propriis  P  erat (erit  R ) tantum propriis (proprii  N ) esse  CNR  heret propriis uel aliter hoc enim erat tantum  H; ad  haeret  cf. p. 298, 4  tantum species—quidem singulas  om. E I  tan- tum  del. Lm2, s. l. Pm2 ,  post  species  NR  8 continerent  CHm2  con- tineret  N  contineant  Pm2  10 soli/////  E I  solius  E II G  11 sed] et  HN  soli homini  NP  13 inrationalia  H  auferamus  EGLPR  14 interi- mantur  L  erit] est  N  19 sub se positas] sibi  (om. H)  suppositas  HN  21 perimuntur] consumuntur  Lm2  perimunt] perimuntur  Lm2  pereunt  HNPm2     Generis uero et accidentis commune est de pluri- bus, quemadmodum dictum est, praedicari, siue separa- bilium sit siue inseparabilium; etenim moueri de  pluribus et nigrum de coruis et de hominibus Aethio- pibus et aliquibus inanimatis.  Nihil est quod inter cetera ita sit a generis ratione dis- iunctum, sicut est accidens, nam cum genus cuiuslibet sub- stantiam monstret, accidens uero a substantia longe disiunctum  sit et extrinsecus ueniens, nihil fere notius commune potest habere cum genere quam de pluribus praedicari, genus enim de pluribus praedicatur speciebus, accidens uero de pluribus non modo speciebus, uerum etiam generibus animatis atque inanimatis, ut nigrum dicitur de rationabili homine, de inra-  tionabili coruo et de inanijmato hebeno, album etiam de cygnoj  p. 102  et marmore, moneri de homine, de equo et de stellis ac de sagitta, quae sunt separabilis accidentis exempla.    1—6] Porph. p. 16, 19—17, 2 (Boeth. p. 44, 12—16).   1 GENERIBVS ACCIDENTIBVS  E I   E II   m1  ACCIDENTI  R de Porph. cf. ad p. 102, 7  2 Commune uero est generis et accidentis  2  Generi  N  Generibus  E I  accidentibus  E I   m1  3 praedicari  ante quemadmodum L siue—pluribus et]  LR Q ,  om. cett . separabile  2 m1  4 sit] sit accidens  2 inseparabile  2 m1  5  post  et  om. R  de  om .  E II HNR ΑΦ ,  recte?  homine  E III  omnibus  L A  ( ras. ex hominibus) hominibus  om. brm, delend. uid. Bussio; cf. p. 116, 5. 123, 22. 131, 2  homine Aethiope; Porph. p. 17, 1 κατά κοράκων καί Αίθ·ιοπων aethiopus EIII et (et de  G, del. m2 ) aethiopibus  GPm2 T2  6 ante aliquibus add. de  Gm2  in animis  E I ,  ante  inanimatis  add . naturis  H (del. m2), post CN , praedicari  Γ  ( in mg . praedicatur)  Φ ;  Porph.   καί tivmv άψΰχων  7 in ceteris  E III   GLm1P  9 a  om. R  10 uere  GR  uero ha- bere potest  C  11 enim] uero  C  14 rationabile  E III   a. c. Gm1  rationali  HNP post  homine  add . et  N  irrationali  HNP  15 ebeno  E III 16 marmore] de marmore  P   post  homine  add . et  N  17 sagitta]  CHLm1NPm1  (sagittis  m2 ) agitatis  E III   GR edd . ał de agitatis scil, rebus id est mobilibus  Lm2     Differt autem genus ab accidenti, quoniam genus ante species est, accidentia uero speciebus posteriora sunt; nam si etiam inseparabile sumatur accidens, sed tamen prius est illud cui accidit quam accidens, et  genere quidem quae participant, aequaliter partici- pant, accidenti uero non aequaliter; intentionem enim et remissionem suscipit accidentium participatio, generum uero minime, et accidentia quidem in indi- uiduis principaliter subsistunt, genera uero et species  naturaliter priora sunt indiuiduis substantiis, et genera quidem in eo quod quid sit praedicantur de bis quae sub ipsis sunt, accidentia uero in eo quod quale aliquid sit uel quomodo se habeat unum quod- que; qualis est enim Aethiops interrogatus dices  ‘niger’, et quemadmodum se Socrates habeat, dices quoniam sedet uel ambulat.    1—17] Porph. p. 17, 3-13 (Boeth. p. 44, 17—45, 9).   1 PROPRIIS] DIFFERENTIA  C; de Porph. cf. ad p. 105, 16  QVID INTER GENVS ET ACCIDENS SIT  Φ   (ex p. 116, 10)  2 genus  s. l. Hm2  ab  om .  HRE III   Δ  accidenti]  Δ  accidente  cett . 3 speciem  ΧΦ  posteriora  ante speciebus  C  inferiora  XA m1 AS  4 nam—unum quodque  (14) ]  LR Q ,  om. cett . si etiam] etsi etiam  ΓΦ  sed  om .  Γ  si  Σ  5 prius] plus  S  6 genere]  A m2   Busse  genera  cett. codd. edd . quae] quibus  A m1  aeque  Δ  7 accidenti]  p Busse  accidentia  codd. brm; ad 5  et— 7 cf. Porph. p. 17, 6 s. et infra p. 315, 12—14  enim  om. L in mg: figuram quandam habet   Δ ,  aliam (cf. ad p. 320,17)   Γ  9 uero  om. R  in  om .  Γ   Busse, s. l .  Rm2 A m2 K ;  cf. p. 315, 21; Porph. p. 17, 9   έπΐ τών άτομων  10 nero  om .  Δ  11  post  naturaliter  add.  non principaliter  LR AΑΦ ;  om. Porph. p. 17, 9  12 sit] est  LR A   ante  de  add.  et,  sed del.   ΓΔ  13 hiis  Φ  14  ante  quale  add.  et  R  sit]  cod. Q Bussii edd . est  cett. codd . quomodo  om. R  quodammodo  A m2  se  s. l.   A m2  habet  A m1  15 eat  ante  aethiops  ΔΑ , post  HΝ ΤΣΦ  enim  om. L  interrogatur  Φ  dices]  LRT  dicis  cett. codd. edd. Busse, cf. p. 317, 15  respondebimus;  Porph. p. 17, 12   έρεΐς  16 quo- modo  Δ  habeat  ante socrates  A  habet  ΗR Φ  dices]  K m2  dicis  cett. codd. edd. Busse, cf. p. 317, 16  dicemus;  Porph .  έρείς  17 ambulet  La.c.N   Differentiam generis et accidentis hanc primam proponit, quod genus quidem ante species sit, quippe quod materiae loco est et differentiis informatum species gignit, at uero accidens post species inuenitur. oportet enim prius esse cui  aliquid accidat, post uero ipsum accidens superuenire; nam si subiectum non sit quod suscipiat, accidens esse non poterit, quodsi genus quidem speciebus subiectum est nec possunt esse species, nisi eis genus ueluti materia supponatur, acci- dentia uero esse non possunt, nisi eis species supponantur.  manifestum est genus quidem esse ante species, accidentia uero post species. Rursus alia differentia, quoniam genus neque intentionem neque remissionem suscipere potest, quo fit ut quae participant genere, aequaliter eius nomen defini- tionemque suscipiant; omnes enim homines aequaliter animalia  sunt eodemque modo equi, nec non inter se homo atque equus et cetera animalia comparata aeque animalia praedicantur, accidentis uero participatio et intenditur et remittitur, inuenies enim quemlibet paulo diutius ambulantem, paulo amplius nigrum et in ipsis Aethiopibus considerabis omnes non aeque  nigro colore obductos. Alia quoque differentia est, quoniam omne accidens in indiuiduis principaliter subsistit, genera uero et species indiuiduis priora sunt; nisi enim singuli corui  1 et accidentis] ab accidentibus  HN  ponit  C  2  pr.  quod] quid  C  quoniam  (del. m2)  quod  E II  4  post  esse  add . aliquid  P, s. l. Lm2  5 si—sit] nisi sit subiectum  HN  nisi subiectum sit  R  6 quid  Cm1  potest  H  7 speciei  HN est] sit  N  nec] non  CEGLP  8 uelut  CEGLP  uel  R  supponitur  C  9 supponatur ( uel  subp-)  EGH 10  ante  manifestum  add . nam  EGLP  11  post  Rursus  add . uero  C post  alia  add . est  CGP  13 generi  CEGP  15 eodem  EHLR  18 paulo amplius nigrum paulo diutius ambulantem  HN post ambulantem  add . et  LR  19 et] et si (si  s. l, Lm2 )  LR  si  EGP  omnis  GLm2R  aequa nigredine coloris (coloris  del. Lm2 )  HLNP  20 obductus  EGLm1R ,  post  obd.  add . esse  C  est  EGLR  est  om. HN  21 in  om. CG  genera—priora sunt]  C  species uero et genera indiuiduis priora sunt HLm1N  genera uero speciebus et indiuiduis priora sunt  GP  genera nero et speciebus et indiuiduis posteriora sunt  Lm2  genera indiuiduis priora sunt  E  et indiuiduis posteriora sunt  R 22 singulariter  EGPR   nigredine infecti essent, comi species nigra esse minime dicere- tur. ita fit ut accidentia post indiuidua esse uideantur. nam si prius est id cui aliquid accidit quam illud quod accidit, nop est dubium prius esse indiuidua, posterius uero accidens, genera uero et species supra indiuidua considerantur; hoc  idcirco, quoniam de his omnibus praedicantur eorumque sub- stantiam propria praedicatione constituunt, sed dici potest genera quoque ipsa et species posteriora indiuiduis inueniri; nam nisi sint singuli homines singulique equi, hominis atque equi species esse non possunt, et nisi singulae species sint,  eorum genus animal esse non poterit, sed meminisse debemus superius dictum esse genus non ex his sumere substantiam de quibus praedicatur, sed de eo potius, quod differentiis con- stitutiuis eorum substantia formaque perficitur, itaque si genus quidem diuisiuis differentiis interemptis non perimitur, sed  manet in his quae eius constitutiuae sunt eiusque formam definitionemque perficiunt, cumque differentiae diuisiuae generis speciebus sint priores — ipsae enim species conformant atque constituunt —, non est dubium quin genus etiam pereuntibus speciebus possit in propria manere substantia, idem de spe-  ciebus dictum sit; species enim superioribus differentiis, non posterioribus indiuiduis informantur, quae cum ita sint, species quoque ante indiuidua subsistunt, accidentia uero nisi sint  12 superius] p. 300, 7—16.   1 essent  in ras. Lm2 , sunt  N  sint  R  2 esse  om. EGR  4 indiui- duum  CHN  5 super  CN  8 genera] de genere  R  quoque  om. R  quaeque  EGP  ipsa  om. EGPR  et species] atque species (specie  R )  LR  specieaque  N  9 nam nisi] nisi enim  EGR  nara nisi enim (enim  del. m2 )  C  homines—nisi singulae  (10) in mg. Em2  homi- nes  EN  10 et  om. EG  singulis  E  singuli  G  singulares  Lm2R  11 eorumque  Lm2 earum  brm  12 ex  del .,  his om. E  13 de eo] eo  Hm1N  ex eis  Hm2  de eis  Lm2  quod  del. Hm2, er. L , quo  GPR  14 eorum  om. Lm1  eius  R edd . quae eius  Hm2  de quibus eius  Lm2 substantiam formamque perficiunt  Hm2  normaque  N  15 diuisiuae ( post  differentiae  N ) differentiae interemptae non perimunt  HLN  16 eius- que] quae eius  C  quaeque eius  EGP  17 speciebus generis  LNR  20 permanere  Lm2R  23 quaeque  EG   quibus accidant, esse non possunt, nullis uero prius accidunt quam indiuiduis; haec enim generationi et corru|ptioni sup- p, 103·  posita uariis semper accidentibus permutantur. Illam quoque adnumerat differentiam quae est superius dicta, quod genus  quidem, quia rem demonstrat et de substantia praedicatur, in eo quod quid est dicitur, accidens uero in eo quod quale est aut in eo quod quomodo sese habet res. nam si qualitatem interroges, accidens respondebitur, ut si qualis est coruus, ‘niger’, si quomodo sese habeat, aliud rursus accidens, aut  ‘sedet’ aut ‘uolat’ aut ‘crocitat’. nam cum accidens in nouem praedicamenta diuidatur, qualitatem, quantitatem, ad aliquid, ubi, quando, situm, habitum, facere, pati, cetera quidem omnia in ‘quomodo se habeat’ interrogatione ponuntur, qualitas uero in qualitatis sciscitatione responderi solet. nam si interrogemur  qualis est Aethiops, respondebimus accidens, id est ‘niger’, si quomodo se habeat Socrates, tunc dicemus aut ‘sedet’ aut ‘ambulat’ aut superiorum aliquid accidentium.  Genus uero quo ab aliis quattuor differat, dictum  4 superius] p. 189, 4 ss. 195, 1 ss. 18—p. 319, 14] Porph. p. 17, 14—18, 9 (Boeth. p. 45, 10—46, 9).   1  pr.  accidunt  Lm1  accident  N prius  post  accidunt  C  2 post indi- uiduis  add.  quia indiuidna prima sunt quantum ad praedicationem  P, in mg. Lm2  4 adnumera  ( ann-  G) EG  annumerant  Hm1  dicta est superius  R est sepius  (corr. m2)  dicta  C  sepius  (corr. Hm2)  dicta est  HN  5 quidem  om. EGR  6 dicitur  om. N, s. l. Hm2 post  uero  add.  aut P 7se  H post  habet  add.  res  CLm1, del. m2  9se  EGHN  habet  Clm1  aliud rursus accidens] aliud uero accidens rursus  C  aut uolat aut sedet  HLN  10 croccit  Hm1  groccitat  N, post add . egrotat  P  nam] at  EGLm1  ac  (ut uid.) R  12 quanto  Em1  quan- tum  G  situm habitum quando  C post  omnia  add.  id est VIIII  Hm1, del. m2  13 habeant  Ep.c. Lm2P interrogationem  EGR  14 inter- rogemur]  C edd. (cf.p. 314, 15)  interrogemus  cett., recte? cf.p. 58, ss. 99, 23  15 respondemus  HNR  16 dicimus  EHLRbrm  17 aliquod  ELa.c.N  18 uero] uerus  Pa.c.  ergo  CHL (in ras. m2)   R Φ  enim  A ;  Porph. p. 17, 14   uiv ουν  quod  EGPm1Rm1 T<l>  ab]  ΔΣΨ ,  s. l.   Il m2, om. cett.  quattuor  om. G, s. l.   Δ m2   est. contingit autem etiam unum quodque aliorum differre ab aliis quattuor, ut cum quinque quidem sint, unum quodque autem ab aliis quattuor differat, quater quinque, uiginti fiant omnes differentiae, sed semper posterioribus enumeratis et secundis quidem  una differentia superatis, prop(??)terea quia iam sumpta est, tertiis uero duabus, quartis uero tribus, quintis uero quattuor, decem omnes fiunt, quattuor, tres, duae, una. genus enim differt a differentia et specie et pro- prio et accidenti; quattuor igitur sunt omnes diffe-  rentiae. differentia uero quo differat a genere dictum est, quando quo differret genus ab ea dicebatur; relinquitur igitur quo differat ab specie et proprio et accidenti dicere, et fiunt tres. rursus species quo  1 contingit—ad accidens  (p. 319,12) ]  LR Q , om. cett. contigit  R A m1 Y m1  2 aliis  om. Porph. p. 17, 15  quidem  om. L K   Busse; Porph.   μεν  3  post  sint  add.  res  L  unum quodque autem]  il m2 xP p  Busse  unum autem  Β ΤΜΙ m1 Σ  una autem  L ΑΦ  et unumquodque  brm; Porph. p. 17, 16   ίνος ϊέ εκάοτοο  aliis  om. Porph.  differt  Δ  4 uiginti  del.   A ,  pos t XX  add.  uel quinquies quattuor  Rm1  quater V. XX uel  del. et post  fiant  add.  uiginti  m2 fient  ΑΑ m1 Φ  fuerint  Γ   post  differentiae  add.  sed non sic se res  ( res  om. p)  habet  edd. cum Porph. p. 17, 17   άλλ’ οοχ οδτως εχει  set  om.   Γ  6 superatis] subtractis  ΓΦ   (ex  substr- )  quia] quoniam  L A  Busse  sumpta] subtracta  Γ  7 uero] autem  LR T<l'  duobus  R  8 omnes  om. L post fiunt  add.  differentiae  Γ   (s. l.)   Π m2 edd. Busse (sed om. etiam eius codd. LP) cum Porph. p. 17, 20  9 enim] autem  Γ  a  om.  Σ , s. l.  A m2  et specie et proprio] a specie a pro- prio  R  specie proprio  Σ  10 et  om.   Σ  accidente  R Σ  igitur quatuor  R  differentiae omnes  La.c.  generis differentiae  R; Porph. p. 17, 22   at διοφοραί  11 quo  om. R  differat]  La.c. ( a  del.)   Σ  differret  R differt  cett.  a  om. R  12 quo] quid  L A  Busse  quod  m1,   om.  A ; ubi  quo  est (hic et 11. 13. 14. 319, 1. 2. 3. 5. 7 bis), Porphyrius   π-j   scripsit (p. 17, 23 et 22. 24. 25. 26 bis. 18, 1. 2. 3. 4) differret]  LR Ψ  (alt. r s. l.)  differre  Λ  differt  ΓΙIΣΦ  13 igitur] ergo  2  quod  R A  differt  A a.c.  ab  Brandt  a  LR il , s. l.  A m2, om. cett.  et  om. Β ΤΑΣ  a  L  14 accidente  R ΓΔ2Φ  post  tres  add. differentiae  Λ   ( ei fiunt tres differentiae. rursus  in mg. m2)   11 m2 ( species  m1)   Γ   ( rursus differentiae  pos.) Busse (cum duobus suis codd.), om. cett. codd. edd. Porph. p. 17, 25 quidem quo  ΓΔ2Φ ;  Porph.   π-jj έν   quidem differat a differentia dictum est, quando quo differret differentia ab specie, dicebatur; quo autem differat species a genere, dictum est, quando quo differret genus ab specie dicebatur; reliquum est  igitur, ut quo differat a proprio et accidenti dicatur. duae igitur etiam istae sunt differentiae. proprium autem quo differat ab accidenti relinquitur; nam quo ab specie et differentia et genere differat, praedictum est in illorum ad ipsum differentia. quattuor igitur  sumptis generis ad alia differentiis, tribus uero dif- ferentiae, duabus autem speciei, una autem proprii ad accidens, decem erunt omnes, quarum quattuor, quae erant generis ad reliqua, superius demonstraui- mus.    Quoniam differentias atque communitates generis ad diffe- rentiam, ad speciem, ad proprium atque accidens persecutus est, idem quoque ad ceteras facere contendens praedicit, quot omnes differentiae possint esse quae inter se comparatis com-  1 differt  R A  quo] quid  A   Russe  quod  Lm1 \  2 differret]  Lm2 Rm2 Aß p.c. tfl p.c.  differet  Lm1Rm Uα a. c. ΦΨ a.c.  differt  Δ2  differtur  Γ differentia ab specie]  ΓΦΨ   ( sed  a,  scr.  ab  Brandt),  a  (s. l.  A m2)  specie  (s. l.  et  add.  Δ m2) differentia  ΔΔΣ   edd. Busse  species a  ( et  Ώ )  differen- tia  L H  differentia ab ea  R; Porph. p. 17, 26   ή διαφορά τού είδους  quod  A m1  3 differat]  L  differt  cett. (ex  differet  V )  a  om. R ϋϊ  quo] quid  Δ   Busse  quod  A  4 differret]  L yAIW  differet  R Φ  differt  ΓΑ2  4 ab specie]  Γ  a specie  L ΔIΙΔΦΦ  specie  2  ab ea  R  5 differt  R, add.  species  ΓΑΠΨΨ ,  s. l. Lm2; om. Porph. p. 18, 2  a  om.   2  accidenti]  L  acci- dente  cett.  dicitur  R  6 igitur  om.   2  7 autem  om. R, s. l.  h m2  ab  om.   Σ accidenti]  edd.  accidente  codd. fort.  relinquetur;  cf. Porph. p. 18, 3   χαταλειφθήσεται  8 ab  Brandt  a  ΓΦ ,  om. cett. pr.  et  om. R  differet  Λ m1  differret  m2  differt  A m1 2 , s. l.  proprium  add. Lm2  dic- tum  Σ  9 differentia  ante  ad ipsum  Σ  differentiis  Β ΓΑΦ ; Porph. p. 18, 5 ... διαφορά  11  pr.  autem] uero  A  ad accidens] et accidentis  ΓΔ«ι7ΠΦ ;  Porph. p. 18, 7   πρός τδ σορβεβηχος  13 erant] erunt  N  reliqua]  N Λm1ίΣΦΨ  reliquas  cett. (in mg.  ad aliquas  T m2); Porph. p. 18, 8 πρός τά άλλα  16  utrumque  ad  om. NR  17 idem quoque] idemque  Lm1NR  ad cetera  C  de ceteris  HLN  praedicit  om. R  nunc dicit  H  18 possunt  CHLm1N  commissisque  N   mixtisque rebus his quae supra propositae sunt efficiantur. sunt autem uiginti. nam cum quinque sint res, una quaeque res earum si a quattuor aliis differat, quinquies quater, uiginti differentiae fiunt, quod appositarum litterarum manifestatur exemplo. sint quinque res ueluti quinque litterae A B C D E.  differat igitur A quidem ab aliis quattuor, id est B C D E, fient quattuor differentiae. rursus B differat ab aliis quattuor, id est A C D E, erunt rursus quattuor; quae superioribus iunctae octo coniungunt. C uero tertia ab reliquis differt quattuor, scilicet A B D E; quae quattuor differentiae supe-  rioribus octo copulatae duodecim reddunt. quarta D reliquis quattuor comparetur differatque ab eisdem, id est A B C E, fient igitur rursus quattuor; quae superioribus duodecim ap- positae sedecim copulant. quodsi ultima E ab aliis quattuor differat, scilicet A B C D, fient aliae quattuor differentiae;  quae compositae prioribus uiginti perficiunt. et sit quidem  p.104]  huiusmodi descriptio : |    1 positae  EHLNP  efficiuntur  HN  2  ante  una  add.  et  HLNPR  res  om. HN  3 si  om. HN  a  om. R  uiginti  om. E  4 fiant  Rm2  5 uel  E  6 aliis] reliquis  HN  7 fiant  R  differt  Ha.c.LN  aliis] reliquis  L  8 id est  om. HN  9 ab]  codd. reliquis] aliis  L  11  ante  reliquis  add.  si  L, s. l. Pm2  12 differatque] differat aeque  EGP ( differt  m2) R  eis  GHNPm1R  13 fiunt  N  fiant  R  igitur  om. HN post  quattuor  add.  differentiae  HN  15 fiant  R  faciat  L  faciet  HN  aliae  om. H  alias  LN  differentias  HLN  16 superi- oribus  C  et sit quidem]  CGP  et quidem sit  R  et sic  (ex  si )  quidem est  E  quarum  ( quorum  LN)  quidem sit  HLN  17 discriptio  C figu- ram om. G (duae lineae uacuae) Hm1N, supra depictam dedimus ex E, eandem uarie exornatam habent R (post uerba  quattuor differentiae  supra 7)   Γ   (in mg ad locum p. 314, 7 ss.), litteras tantum omissis lineis   Quae cum ita sint, in generibus quoque et speciebus et ceteris idem considerabitur. erunt ergo quattuor differentiae, quibus genus a differentia, specie, proprio accidentique dis- iungitur; aliae rursus quattuor, quibus differentia a genere,  specie, proprio atque accidenti discrepat; rursus quattuor spe- ciei ad genus ac differentiam, proprium atque accidens; quat- tuor etiam proprii ad genus, differentiam, speciem atque acci- dens; quattuor insuper accidentis ad genus, differentiam, spe- ciem atque proprium. quae coniunctae omnes uiginti explicant  diflferentias. sed hoc, si ad numeri referatur naturam compara- tionisque alternationem; nam si ad ipsas differentiarum naturas uigilans lector aspiciat, easdem saepe differentias inueniet sumptas. quo enim genus differt a differentia, eodem differentia distat a genere, et quo differentia distat ab specie, eodem  species a differentia disgregatur, et in ceteris eodem modo. in hac igitur dispositione differentiarum, quam supra disposui, easdem saepius adnumeraui. atque si differentiarum similitudines detrahamus, decem fiunt omnino differentiae, quas ad prae- sentem tractatum uelut diuersas atque dissimiles oportet assu-  mere. age enim differat genus a differentia, specie, proprio  in mg. sup. add. Hm2, quaternas litteras ( B C D E  cett.) infra singulis litteris  A  cett. positas quadratis inclusas exhibet L; in C in mg. (litt. minusc.) hae duae figurae sunt, quarum posterior spectat ad p. 321, 20 ss. 323, 9 ss:   in P figura est per quinque ob- longa deorsum continuata, quorum primum hic proponitur  :  3 ab  CEGHP  accidentique] atque accidenti  ( -te  N) HN  4 dif- ferentiae  G  ab  CEGHNP  6 ac  om. N  ad  LP  10  post  hoc  add.  fiet  E (s. l. m2)  fit  H (s. l. m2)  niget  L (in mg.) R  13 adsumptas  R  differat  C  14 ab] a  R  17 saepius  om. EGPR, s. l. Cm2, post  ad- numeraui  L  adnumerauit  Cm2GP  atque)  EGP  at  CR  itaque  HLN  si  om. N  multitudines,  s. l.  ał similitudines  L  18 fient  edd.   atque accidenti, quattuor differentiis, quas supra iam diximus. item sumamus differentiam, distabit haec a genere primum, dehinc ab specie, proprio atque accident. sed quo discrepet a genere, iam superius explicatum est, cum diceremus quo  genus a differentia discreparet. detracta igitur hac comparatione, quoniam supra commemorata est, relinquuntur tres distantiae quibus differentia ab specie, proprio accidentique disiungitur; quae iunctae cum superioribus quattuor septem differentias reddunt. post hanc species si sumatur, quattuor quidem eius  essent differentiae secundum numeri diuersitatem, cum ad genus, differentiam, proprium atque accidens comparatur, sed priores duae comparationes iam dictae sunt. nam quo species differat a genere tunc dictum est, cum quid genus differret ab specie dicebamus, quid uero species a differentia distet commemo-  ratum est, cum differentiae ab specie dissimilitudines redde- remus. quibus detractis duae supersunt integrae atque intactae speciei ad proprium atque accidens discrepantiae; quae iunctae cum septem nouem differentias copulant. proprii uero si ad numerum differentiae considerentur, quattuor erunt, scilicet ad  genus, differentiam, speciem atque accidens comparati, quarum quidem tres superiores differentiae iam dictae sunt. nam quid proprium distet a genere, tunc dictum est, cum quid genus a proprio distaret ostendimus, rursus quid proprium a differentia discrepet, in colligenda distantia differentiae propriique superius  1 accidente  N  3 ab]  HN  a  cett.  accidente  HN  quod  L  dis- crepet] distet  HN  5 hac igitur  C  6 distantiae] differentiae  L  7 a  LN  accidenti  C  accidenteque  H  disiungitur  ante  ab specie  C  8 reddunt differentiae  C  9 sumatur] mutatur  E  11  ante  differentiam  add.  et HLNP ante  proprium  add.  et  P  cõpararetur  C  cõparantur  N  12 differat  post  genere  EN  13 a  om. EGHNP  differret]  GLm2Pm2R  differet  ΕLm1  differat  HNPm1  differt  C  ad speciem  R  ad specie  C  15 ab specie]  CG  a specie  EHLm2NP  ad speciem  Lm1R  17  post  speciei  add.  id est  EGP  18 differentias copulant] complent differen- tias  C  20 comparatae  Ep.c. (ex-ti) GHm2PR quorum  EGLm1R  21 quod  C  22 proprium—cum quid  om. EGR  distaret a pro- prio  H   demonstratum est, quid uero proprium distet ab specie, tunc expositura est, cum quid species distaret a proprio dicebatur. restat igitur una differentia proprii ad accidens, quae superio- ribus iuncta decem differentias claudit. accidentis nero ad  cetera possent quidem esse quattuor, nisi iam omnes proba- rentur esse consumptae. nam quid differat uel genus uel dif- ferentia uel species uel proprium ab accidenti, supra mon- stratum est, nec sunt diuersae differentiae accidentis ad cetera quam ceterorum ad accidens. itaque fit, ut cum sit quinque  rerum numerus, si prima assumatur, quattuor fiant differentiae, si secunda, tres, uincanturque secundae rei ad ceteras difte– rentiae a prima ad ceteras una tantum distantia; nam cum prima habuerit quattuor, secunda retinet tres. tertia uero si sumatur, duas habebit differentias, quae uincantur a primis  quattuor differentiis duabus; quarta si sumatur, unam habebit differentiam, quae uincitur a primis quattuor differentiis tribus, quinta uero quoniam nullam omnino habebit differentiam nouam, totis quattuor a prima differentiis superatur. atque hoc nume- rorum gradu quidem usque ad denarium numerum tenditur :  quattuor, tres, duae, una, ut generis quidem quattuor, diffe- rentiae uero tres, speciei duae, proprii una, | accidentis nullap p. 105  sit. et primae quidem generis comparationes quattuor nouas tenent differentias, secundae uero differentiae comparationes  1 uero  om. EGR  a  EGLR  2 cum] quando  R  5 cetera] extera  Cm1  6 differret  H  differet  N  7 accidente  CHN  monstrauimus  H  8  ante  diuersae  add.  plus  R, s. l. Lm2  10  ad  prima  s. l.  ł una res  Hm2  sumatur  HN  fient  C  11 uincanturque]  C (pr.  n  om.) Lm1  (iungantur  m2) N, m2 in HPR ( iungenturque  Rm1) , uincantur  EGHm1Pm1 12 primis  L  13 habuerat  C  habeat  Lm2NP  retineat  Lm2  14 diffe- rentias habebit  C  uincuntur  Lm1R  15 duabus  (s. l. E)  differentiis  EHN post  duabus  add.  distantiis  GR post  quarta  add. nero  R, s. l.  autem  Pm2  16  post  tribus  add.  subdistantiis  E  distantiis  G  17 habet  HL  18 primis  brm  hoc] ex hoc  HLN  numeri  HN  19 gradus  HLm1N  quidam  HN  20  post post.  quattuor  add. sint  CHm2L (del. m2) P  sunt  Hm1N  22 sit]  Rbrm  est  CEGLP, om. HN  et  om. EGR  quidem  s. l. Em2L, post  generis  C  23 teneant  HLm1NR   tres nouas tenent; una enim superius adnumerata est, uincitur autem a primis quattuor nouis differentiis una tantum. speciei uero tertia comparatio duas tantum habet differentias nouas, duas quippe superius adnumeratas agnoscimus, et uincitur a  quattuor primis duabus tantum differentiis nouis. proprium uero unam retineat nouam, quoniam tres habet superius ad- numeratas, uincaturque a prima nouis tribus differentiis, quinti uero accidentis comparationes quoniam nullam retinent nouam differentiam, totis quattuor a primis generis transcendantur.  atque ad hunc modum ex uiginti differentiis secundum numerum decem secundum dissimilitudinem contrahuntur. ut tamen has secundum dissimilitudinem differentias non in quinario tan- tum numero, uerum in ceteris notas habere possimus, talis dabitur regula quae plenam differentiarum dissimilitudinem in  qualibet numeri pluralitate reperiat. propositarum enim rerum numero si unum dempseris atque id quod dempto uno relin- quitur, in totam summam numeri multiplicaueris, eius quod ex multiplicatione factum est dimidium coaequabitur ei plura- litati quam propositarum rerum differentiae continebunt. sint  igitur res quattuor A B C D; his aufero unum, fiunt tres; has igitur quater multiplico, fient duodecim; horum dimidium  1 teneant  HLm1NR  ten.  post  nouas  CR  adnumera  (tamen  eat ) C  uincitur autem] et uincatur  HLm1 ( et  del.,  uincitur  m2) N  2 nouis quattuor primis  HN  4 adnumeratas  om., in mg.  enumeratas  G  uin- catur  Lm1  uincantur  HN uincuntur  C  6  ante  unam  add.  tantum  L, post EGPR  retinet  Lm2Pm2 edd.  7 uincanturque  N uincatur qua re  EG  uincitur haec  R  uinciturque  edd.  quinta  N  8 comparatio  Lm2N  retinet  HLN, post  nouam  HN  9 primis]  CLPH a.r.  primi  EGHp.r.NR  transcendentur  Lm2 transcendatur  N  transgrediantur  C  transcenduntur  edd.  11 tamen  er. uid. E  non  G (etiam post diffe- rentias  est  non )  13 uerum] uerum etiam  C  ceteris quoque  brm  notas]  Lm1N  notis  CEGHm2 ( totas  m1) Lm2PR  15 reperiat] pariat  Cm2Hm1N  17  post  numeri  add.  si  CHP simul  EG  18 ei  om. EGN  19 sunt  Lm1R  20 igitur] ergo  CEN  fiant  LR  21 hos  EGLPR post igitur  add.  si  N  tres  H  per totam summam  R  multiplica  C  multipli- cato  E  fiunt  HN  fiant  R post  horum  add.  si  L   teneo, sex erunt. tot igitur erunt differentiae inter se rebus quattuor comparatis : A quippe ad B et C et D tres retinet differentias, rursus B ad C et D duas, C uero ad D unam; quae iunctae senarium numerum complent. atque hanc quidem  regulam simpliciter ac sine demonstratione nunc dedisse suffi- ciat, in Praedicamentorum uero expositione ratio quoque cur ita sit explicabitur.      Commune ergo differentiae et speciei est aequaliter  participari; homine enim aequaliter participant par- ticulares homines et rationali differentia. commune uero est et semper adesse his quae participant; sem- per enim Socrates rationalis et semper Socrates homo.    Dictum est saepius ea quae substantiam formant, nec  remissione contrahi nec intentione produci; uni cuique enim id quod est, unum atque idem est. quodsi differentia spe- cierum substantiam monstret, species uero indiuiduorum, aequa- liter utraque ab intentione et remissione seiuncta sunt; quo  6 in Praedicamentorum expositione] p. 272 C. B—l3] Porph. p. 18, 10—14 (Boeth. p. 46, 10—14). 14 saepius] cf. infra.   1 teneo] sumo  N  sumo tenens  ( tenens  del. m2) H  si  (ex  sumo  m2)  teneo  L pr.  erunt  ante  sex  N, s. l. Hm2 post.  erunt  ante igitur  ( ergo  H) HL  2 detinet  HN  4 complent numerum  H  5 dedisse nunc  HN  8 DIFFERENTIAE ET SPECIEI]  plerique codd. fort. ex 9 sumptum, om.   Δ , SPECIEI ET DIFFERENTIAE  Γ2Φ , r ecte ut aid.; Porph. p. 18, 10   Περί τής κοινωνίας τής διαφοράς καί τοΰ είδοος ,  cod. Μ   Περί κοινών είδους καί διαφοράς  9 est  add. Hm2  10 homine—parti- cipant  (12) ]  LR Q , om. cett.  homini  R T a.c.  hominem  L \  11 ratio- nalem differentiam  L \ , post differentia  add.  nam omnes homines aequa- liter homines sunt et aequaliter rationales  Σ  12 et  del. uid.  Δ , om.  Ψ  his adesse  LR <t>  post  quae  add.  eorum  ΓΔΠΦ  13 enim  om. R  rationabilis  CEGPR U  Busse, add.  est  ΓΔΦ ,  s. l.  A m2  14 saepius  i. e. p. 250, 24 ss. 314, 5 ss. ; saepe  de duobus locis etiam p. 293, 18 dictum;  superius  P, fort. recte, cf. ad p. 317, 4. 337, 8  17 monstrat  HLNP  18 utraeque  CP  seiunctae  CGPR   fit ut aequaliter participentur. omnes enim indiuidui mortales aeque sunt atque rationales sicut homines. nam si idem est ‘esse’ homini quod est ‘esse rationale’, cum omnes homines aeque sint homines, necesse est ut sint aequaliter rationales. Aliud quoque commune habent quoniam ita differentiae sui partici-  pantia non relinquunt ut species. semper enim Socrates rationalis est—Socrates enim rationabilitate participat —, semper homo est, quia scilicet humanitate participat. ut igitur differentiae sui participantia non relinquunt, ita species his quae ea parti- cipant, semper adiuncta est.     Proprium autem differentiae quidem est in eo quod quale sit praedicari, speciei uero in eo quod quid est : nam et si homo uelut qualitas accipiatur, non sim-  11— p. 327, 16] Porph. p. 18, 15—19, 3 (Boeth. p. 46, 15-47, 11).   1 mortales—sicut homines]  ( sunt  ex  sint  Lm2, add.  homines  Lm1, del. m2,  sunt  del. Pm2;  atque Lm1Pm2  et  HLm2Pm1;  sicut  del. et  sunt  scr. Pm2) HLP  aeque mortales atque rationabiles sunt ut homines  C  aeque  (s. l. m2)  mortales  (ex  -lis  m2)  sunt atque rationabilis  (sic)  sunt  (part. ras. ex  sicut  m2)  homines  E  mortales sunt atque  ( atque sint  N)  rationales sicut homines  NR  mortalis atque rationabilis sicut homines  G  2 nam—homines  (4) om. N  idem est]  E ( est  in mg.) HR  idẽ  CL  id est  ( ẽ  G) GP  est  del. Lm2  3 esse  post  ration.  EL, repetit. post ration.  P, om. CH  rationali  R  rationalis  Lm1  rationabile  G  rationa- bili  E  rationabilis  Lm2P  5  ante  commune  add.  est  H  habent  om. HR, s. l. EL ( n  del. m2)  differentia  R  6 relinquit  R relinquent  Pm1  derelinquunt  Lm1  rationabilis  EG  7 rationabilitati  CGP  rationalitate  HN post semper  add.  enim  G  8 quia  ex  qua  Em2  humanitati  EGLP  differentia  HLNR  9 relinquit  HLNR  par- ticipent  E  11 SPECIEI ET DIFFERENTIAE  ( DIFFERENTIIS  E) ΕG ΤΖΦ , recte ut uid. , DE PROPRIIS EORVM  ( EORYNDEM  Ψ ) Ρ Ψ ;  Porph. p. 18, 15   Περί τής διαφοράς τού εϊδοος και τής διαφοράς ,  cod. Μ   Περί τών ιδίων ειδοος και διαφοράς  12 autem  om. Η uero  C Q  quod  ex  quid  C  13 species  EGHNP  uero  om. H  autem  Busse  eo quod] quo  Γ  est] sit  R  14 nam—generationem  (p. 327, 15) ]  LR Q ,  om. cett.  accipitur  A m1  non]  R ΓΔΈ  cum Porph. p. 18, 17  hic non  L  non hic  A m2 H  Busse  non sic  Λ m1 Σ  non homo  Φ   pliciter erit qualitas, sed secundum id quod generi aduenientes differentiae eam constituerunt. amplius differentia quidem in pluribus saepe speciebus con- sideratur, quemadmodum quadrupes in pluribus ani-  malibus specie differentibus, species uero in solis his quae sub specie sunt indiuiduis est. amplius diffe- rentia prima eat ab ea specie quae est secundum ipsam; simul enim ablatura rationale interimit homi- nem, homo uero interemptus non aufert rationale, cum  sit deus. amplius differentia quidem componitur cum alia differentia — rationale enim et mortale compositum est in substantia hominis —, species uero speciei non componitur, ut gignat aliam aliquam speciem; qui- dam enim | equus cuidam asino permiscetur ad muli  p. 106   generationem, equus autem simpliciter asino num- quam conueniens perficiet mulum.  Expositis communitatibus quantum ad institutionem per- tinebat differentiae et speciei, eorundem nunc dissimilitudines colligit dicens quoniam differunt, quod species in eo quod  quid sit praedicatur, differentia uero in eo quod quale sit. huic differentiae poterat occurri. nam si humanitas ipsa, quae species est, qualitas quaedam est, cur dicatur species in eo quod quid sit praedicari, cum propter quandam suae naturae  1 sed] id  (del.) R  3 considerantur  Δ  4 pluribus]  Porph. p. 18, 20   πλείστων ,  cod. B   πλειόνων  6 specie] una specie  R Γ  ( sunt  ante specie )   ΛΨ ;  Porph. p. 18, 21   άκο το είδος  7 prima  ante  differentia  Δ  prior  edd.fort· recte cum Porph.   κροτέρα;   cf. p. 328, 32  superioris ab ea] et  Γ  ab ea—ipsam] ab ea quae est secundum se specie  2  8  post  ipsam  add.  differentiam  Δ   (del. m2)   Λ  10 deus] angelus  LR  ponitur  Δ  12 sub- stantiam  edd. cum Porph. p. 19, 1   εις οπδστοσιν  speciei] specie  R  13 aliquam  ante  aliam  T\A ,  post  speciem  2  14 equus] asinus  Σ  asinae  Φ  equae  Σ  15 equus] asinus  2  autem  om. N enim  C ΔΛ2  asinae  Pm2  conueniens numquam  2  16 mulum perficiet  CEG  perfici ad mulum  R 17 Positis  N  instructionem  H  18 eorum  L  earundem  edd.; cf. indicem Meiseri s.  neutrum 20 differentiae  C  uero  om. CGP  autem  R post  sit  add.  qua inter se differunt differentia et species  Hm1, del. m2  21 huic] nunc  G  differentia  G  22 dicitur  CLm2  praedicatur  GR   proprietatem quaedam qualitas esse uideatur? huic respondemus, quia differentia solum qualitas est, humanitas uero non est solum qualitas, sed tantum qualitate perficitur. differentia enim superueniens generi speciem fecit; ergo genus quadam differentiae qualitate formatum est, ut procederet in speciem,  species uero ipsa, qualis quidem est, secundum differentiam illius quae est pura ac simplex qualitas, qua scilicet perficitur et conformatur, qualitas uero ipsa pura simplexque nullo modo est, sed ex qualitatibus effecta substantia. itaque iure diffe- rentia, quae pure ac simpliciter qualitas est, in eo quod quale  est sciscitantibus respondetur, species uero in eo quod quid sit, licet ipsa quoque quaedam qualitas sit non simplex, sed aliis qualitatibus informata. Rursus illa quoque differentia est, quia plures sub se species differentia continet, species uero tantum indiuiduis praesunt. rationabilitas enim et hominem  claudit et deum, quadrupes equum, bouem, canem et cetera, homo uero solos indiuiduos. atque in aliis speciebus eadem ratio est. idcirco enim definitiones quoque secutae sunt, ut differentia uocaretur quod in pluribus specie differentibus in eo quod quale sit praedicatur, species uero quod de pluribus  numero differentibus in eo quod quid sit praedicatur. Ideo etiam superioris naturae sunt differentiae, quoniam continentes sunt specierum. nam si quis auferat differentiam, speciem  1 respondebimus  G  3 tantum  om. EG  solum,  s. l.  ał tantum  L  4 facit  CLN  5 formatum est  s. l. Gm2  6  ad  qualis  s. l.  ł quali- tas  Hm2 post  quidem  add.  non  EGP (del. m2), in mg. Hm2  9  post  sed  s. l.  hec  L  iure itaque  C  11 species—quid sit  in mg. Gm2  12 sit] est  HN, add.  iure respondetur  CG (in mg. m2) LP  13 rursum  E, add.  differentiae et speciei  C  illa  om. E  ipsa  CGP post  quoque  add.  his  HN  differentia est] differunt  in ras. E est om. P  in hoc a specie distat  G  15 uero  om. CEGP  rationalitas  HΝ  16  post  quadrupes  add.  enim  P, s. l. Lm2  canem  om. C  camelum  R  17 sola indiuidua  Lm2R  19  pr.  in] de  Pm2  20 praedicetur  HLN species—praedicatur  om. E  21 praedicatur] dicatur  GHLPm1  22  post  differentiae  add.  quam species  CLP  speciebus  N post  quoniam  add.  enim  HLN  23 sunt  ( erunt  L) post  specierum  EGL, ante  conti- nentes  R  nam  om. LR, post  quis  s. l.  enim  Lm2   quoque sustulerit, ut si quis auferat rationabilitatem, hominem deumque consumpserit, si uero hominem tollat, rationabilitas manet in speciebus reliquis constituta. est igitur differentiae specieique distantia quod una differentia plures species con-  tinere potest, species uero nullo modo. Alia rursus est differentia, quoniam ex pluribus differentiis una saepe species iungitur, ex pluribus speciobus nulla speciei substantia copu- latur. iunctis enim differentiis mortali ac rationali factus est homo, iunctis uero speciebus nulla umquam species infor-  matur. quodsi quis occurrat dicens quoniam permixtus asino- equus efficit mulum, non recte dixerit. indiuidua enim indi- uiduis iuncta indiuidua rursus alia fortasse perficiunt, ipse uero equus simpliciter, id est uniuersaliter, et asinus uniuer- saliter neque permisceri possunt neque aliquid, si cogitatione  misceantur, efficiunt, constat igitur differentias quidem plurimas ad unius speciei substantiam conuenire, species uero in alterius speciei naturam nullo modo posse congruere.      Differentia uero et proprium commune quidem  habent aequaliter participari ab his quae eorum par- ticipant; aequaliter enim rationalia rationalia sunt et risibilia risibilia. et semper et omni adesse com-  18—p. 330, 4] Porph. p. 19, 4—9 (Boeth. p. 47, 12—19).   1 rationalitatem  HN  2 aero] quis  R  rationalitas  HLa.c.N  3 est  om. CEGP  4 specieqne  R  et species  C  distant  C  distantia est  EGP  species] significationes  Em1  5 differentia est  C  6 saepe  om. EGR post  pluribus  add.  uero  R  8 enim] etiam  Lm1  igitur  Lm2Pm1  10 asinae  HLm2  11 perficit  GP  12 perficiant  Lm1R  14 nec.. nec  C  neque permisceri possunt  om. EGR  neque aliquid] non aliquid  EGR  cogi- tatione si  HN  18 COMMVNIBVS] d e Porph. cf. ad p. 102, 7  20 par- ticipari] praedicari  L  ab his—dicitur  (p. 330, 2) ]  LR Q , om. cett.  ab  om.  Σ , del.  A m2  21 post enim  s. l.  quae  T m2  rationalia rationalia]  Tk m2 <t>W m2 edd. rationalia rationabilia  Π  rationalia  A2<V m1  rationabilia  LR & m1  rationabilia rationabilia  Busse  sunt  om. R, s. l.  h m2  22 et  er. uid.  Δ  post.  risibilia  om. LR \2 , post add.  sunt  codd., om. L cum Porph. p. 19, 6   mune utriusque est. si enim curtetur qui est bipes, sed ad id quod natum est semper dicitur; nam et risibile in eo quod natum est habet id quod est semper, sed non in eo quod semper rideat.    Nunc differentiae propriique communia continua ratione per-  -sequitur. commune enim dicit esse proprio ac differentiae quod aequaliter participantur — aeque enim omnes homines rationa- biles sunt, aeque risibiles —, illud, quia substantiam monstrat, istud, quia est aequum proprium speciei et subiectam speciem non relinquit. Aliud etiam his commune subiungit : aequa-  liter enim semper differentia subiectis adest ut proprium; semper enim homines rationabiles sunt, ut semper quoque risibiles. sed obici poterat non semper esse bipedem hominem, cum sit bipes differentia, si unius pedis perfectione curtetur. quam tali modo soluimus quaestionem. propria et differentiae  non in eo quod semper habeantur, sed in eo quod semper naturaliter haberi possunt, semper dicuntur adesse subiectis.  1 utrisque  ΓΛΣΦ  si] sine  R ΓΦ  qui est] quies  R  quidem  L A  post  bipes  add. non substantiam  ( substantia  ΑΦ )  perimit  ( perimitur  Ψ ) L ΑΨ  Busse (in adn. deleri mauult) , non substantia perit  ( peribit  Σ )   ΓΠΣΦ p ,  om. Rbrm, Porph. p. 19, 8, Boeth. in comment.  2 sed] ta- men  R  ad id quod] ad quod  L AΠ  (post  est  repet.  ad id )   Σ   Busse  ad id ad quod  Ψ , ad id  post est  h m1 post  est  add.  habet et id quod est  L A  (del. m2)  2 , ‘fortasse  id quod est  recipiendum’ Russe : Porph. p. 19, 8   αλλά πρός το πεοοχένοι το   ( το  om. Μ)   άει λέγεται  nam  -om. R  3 in eo] eo  EGLR A m1  ad  C 72  id  Ρ Π  ad id  *F  aliquod  N  habet id quod est semper]  C ( id  s. l. m1?) L hA  ( "habet—est  del. m2), pro  id  exhib.  hoc  H  et id  Σ , est  om. N  habet semper  Ρ Π  habet  EG semper dicitur  ΓΦΨ ,  om. R  4 sed—rideat] in  om. C, in mg. Hm2,  in quod semper rideat  EG non quod semper rideat  R Ψ ; Porph.   έπε'ι ναι τό γελαστικόν τώ πεφυχέναι έχει τό αεί, άλλ' ο όχι τώ γελάν άει  6 enim] autem  Lm2P  dicitur  CEGR  proprii  C  7 rationales  Cm2ELm2P  8 atque  NR  9 istud] illud  EGHN (add.  risibilis ) P  aequum  om. H  aeque  EG, recte?  propriae  EGLPR  et  om. EG  ac  N  subiectam  om. C  subiectum  EGPm1  10 reliquit  ELa.c.  etiam his] hic etiam  HN  11 subiectis  s. l. Gm2  12 rationales  Cm2HN  15  ante  propria  add.  et  HNP (del. m2), s. l. Lm2  propriae  CEGPm2  proprii  R  et  om. CE, del. Pm2  16  post  in] ex  HN   si enim quis curtetur pede, nihil attinet ad naturam, sicut nihil ad detrahendum proprium ualet, si homo non rideat. haec enim non in eo quod adsint, sed in eo quod per naturam adesse possint, semper adesse | dicuntur. ipsum enim semper;  p. 107   non actu esse dicimus, sed natura. numquam enim fieri potest, ut per naturae ipsius proprietatem non semper homo bipes sit, etiamsi potest fieri, ut pede curtetur, etiam si deminuto pede sit natus; in his enim non speciei atque substantiae, sed nascenti indiuiduo derogatur.      Proprium autem differentiae est quoniam haec qui- dem de pluribus speciebus dicitur saepe, ut rationale de homine et de deo, proprium uero de una sola spe- cie, cuius est proprium. et differentia quidem illis  est consequens quorum est differentia, sed non con- uertitur, propria uero conuersim praedicantur quorum sunt propria, idcirco quoniam conuertuntur.    Distat a proprio differentia, quia differentia plurimas species  10—17] Porph. p. 19, 10—15 (Boeth. p. 48, 1—7).   1 curtetur quis  N  nil  C  attinet  s. l. Lm2, post  naturam  R  2 ad  om. EG  ualet  om. EGR  3  pr.  in  om. CEH, s. l. Lm2Pm2 , ab  Gm1, del. m2 post.  in  om. EGNP, s. l. Lm2  4 possunt  HN  dicuntur semper adesse  R  5 actum... naturam  E  umquam  Ea.c.G  7 potest  om. EG, post  fieri  L , postea  (om.  fieri ut ) HN  pede]  HLm1N  ambo pede  Em1GR utroque pede  Em2Lm2P;  ambobus curtetur pedi- bus  C ante  etiam  (om. C) add.  uel  CL (s. l. m2) R  diminuto  CEGLPR  8 pede  om. C  sit natus] nascatur  C  10  de inscript. ap. Porphyr. cf. ad p. 105, 16  11 autem] uero  Δ  quoniam] quod  ΓΦ  12 saepe— conuertitur  (15) ]  LR Q , om. cett.  saepe  om. Lm1R, ante  dicitur  Lm22 ;  Porph. p. 19, 11   λέγεται πολλά*ις  rationabile  R  13  post , de]  A ,  om. cett.; cf. Porph. p. 19, 12 et infra p. 332, 3  deo]  ii  angelo  R  deo et angelo  L; cf. Porph. p. 19, 12 adn. ante  proprium  add.  et  Δ  uero  om. R  de una]  L 4 m2 4'  in una  R ΓΔ m1 ΠΣ  una  Φ ;  Porph.   έφ’ ένός   post  specie  add.  dicitur  Δ  16  post  praedicantur  add.  de his  Δ   (s. l. m2) edd.  ex his  Σ  hiis  Φ ,  om. Porph. p. 19, 14  18  post.  diffe- rentia  om. C  plurimis  R plures  L  pluribus  EG  speciebus  Em2GR   claudit ac de his omnibus praedicatur, proprium uero uni tantum speciei cui iungitur adaequatur. rationale enim de homine atque de deo, quadrupes de equo et ceteris animalibus, risibile uero unam tantum tenet speciem, id est hominem. unde fit ut differentia semper speciem consequatur, species  uero differentiam minime. proprium uero ac species alternis sese uicibus aequa praedicatione comitantur. sequi uero dicitur, quotiens quolibet prius nominato posterius reliquum conuenit nuncupari, ut si dicam ‘omnis homo rationabilis est’, prius hominem, posterius apposui differentiam; sequitur ergo dif-  ferentia speciem. at si conuertam nomina dicamque ‘omne rationabile homo est’, propositio non tenet ueritatem; igitur species differentiam nulla ratione comitatur. proprium uero et species quia conuerti possunt, mutuo se secuntur : omnis homo risibilis est et omne risibile homo est.     Differentiae autem et accidenti commune quidem est de pluribus dici, commune uero ad ea quae sunt  16—p. 333, 3] Porph. p. 19, 16—19 (Boeth. p. 48, 8—12).   1 clauditur  EGRm2  claude his  (sic) ml  2 cui iungitur] coniungitur  Lm1N, add.  et  L  rationabile  CGLPR  3  pr.  de  om. CH, er. L post  deo  add.  praedicatur  R, s. l. Lm2 post  quadrupes  add.  uero  R  et ceteris] ceteris  E  ceterisqne  GP  6 ac] et  E  7 aeque G R ( -(??)e )  comitentur  HN  comitatur  ex  commitetur  Rm2  sequi] si quid EGPm1  8 quotiens  om. EG, s. 1. Pm2  qualibet re  ( re  s. l. Pm2)  prius nominata  HLNPm2R reliquam  HLm2NPm2  reliqua  Lm1Rm2  uero qua  m1  9 rationalis  Cm2HN  est  om. N  10 posterius  ex  prius  Em2  opposui  EG  posui  Lm1R  ergo] enim  E  11 at] et  Hm1  nomina] ut  (in ras. Lm2)  prius differentiam nominem  HNP, in mg. Lm2  12 rationale  HN  propositi  CG proposita oratio  in ras. E  13 nulla ratione differentiam  C  proprium—secantur  in mg. sup. Hm2  14 sequuntur  PRm2  sequntur  E ante  omnis  add.  ut  L, post add.  enim  HNP  15 et  om. EG, s. l. Lm2  est  om. R  16 ACCI- DENTIS ET DIFFERENTIAE  E  ΕΤ] uel  P  ACCIDENTI  C de in- script. ap. Porphyr. cf. ad p. 102, 7  17 accidentis  Cm2 il  commune— adesse  om. N  18  post uero  add.  est  Ρ ΑΠ  Busse, om. Porph. p. 19, 18   inseparabilia accidentia, semper et omnibus adesse; bipes enim semper adest omnibus coruis et nigrum esse similiter.    Duo quidem differentiae et accidentis communia proponit,  quorum unum separabilibus et inseparabilibus accidentibus cum differentia commune est, ab altero uero separabile acci- dens segregatur. tantum uero inseparabile secundo communi concluditur. est enim commune differentiae cum omnibus acci- dentibus de pluribus praedicari; nam et separabilia et inse-  parabilia accidentia sicut differentia de pluribus speciebus et indiuiduis praedicantur, ut bipes de coruo atque cygno et de his indiuiduis quae sub coruo et cygno sunt, nuncupatur. item de eodem coruo atque cygno album et nigrum, quae sunt inseparabilia accidentia, praedicantur. ambulare enim uel  stare, dormire ac uigilare de eisdem dicimus, quae sunt acci- dentia separabilia, reliqua uero communitas ea tantum acci- dentia uidetur includere quae sunt inseparabilia. nam sicut differentia somper subiectis speciebus adhaerescit, ita etiam inseparabilia accidentia numquam uidentur deserere subiectum.  ut enim bipes, quod est differentia, numquam coruorum spe- ciem derelinquit, ita nec nigrum, quod accidens inseparabile est. differentia enim idcirco non relinquit subiectum, quoniam eius substantiam complet ac perficit, accidens uero huiusmodi,  1  post  semper  add.  in eodem genere  P  omni  R; Porph. p. 19, 18   παντί   post omnibus  add.  hominibus et  L  hominibus  Λ   (del. m2)  2 nigrum esse]  ΓΛ»ηίΨ  nigris  ( nigros  Hm2)  esse  EGHm1  nigredo esse  L  nigrum adest  \A m2  nigrum  CNΡR ΙΙΣΦ  Russe; Porph. p. 19, 19   τότε μέλαν είναι   (sic Μ,  μέλασιν είναι  Βm2  μέλαν  eett.)  4 quaedam  HΝ  et] atque  ΗΝ  5 sepa- rabilibus  om. G, s. l. Em2  6 uero] autem  E  7 uero] enim  R, recte? post  inseparabile  add. accidens  L  accidens cum inseparabilibus differentiis  in mg. Hm2  secunda communione  HLP 10 differentiae  CEGLm2P  11 et de his—cygno  om. H, —cygno sunt  om. EGR  12 nuncupantur  G  praedicatur uel nuncupatur  C  14 praedicantur—separabilia  (16) om. N  enim  s. l. C  etiam  H 15 isdem  CPm2  hisdem  ER  dicitur  LP  17  post  inseparabilia  add.  accidentia  C  19 accidentia inseparabilia  HN  de- serere uidentur  C  20 corui  N  21 est inseparabile  C  22 subiectum non relinquit  C  derelinquit  Lm1  23  post  huiusmodi  add.  est  edd.   quia non potest separari; neque enim possit esse accidens inseparabile, si subiectum aliquando relinquit.      Differunt autem quoniam differentia quidem con- tinet et non continetur — continet enim rationabi-  litas hominem —, accidentia uero quodam quidem modo continent eo quod in pluribus sunt, quodam uero modo continentur eo quod non unius accidentis sus- ceptibilia sunt subiecta, sed plurimorum, et differen- tia quidem inintentibilis est et inremissibilis, acci-  dentia uero magis et minus recipiunt. et inpermixtae quidem sunt contrariae differentiae, mixta uero con- traria accidentia.    Huiusmodi quidem communiones et proprietates dif- ferentiae et ceterorum sunt, species uero quo quidem  p. 108 differat a genere et differen|tia, dictum est in eo quod dicebamus, quo genus differret a ceteris et quo dif- ferentia differret a ceteris.    Post differentiae et accidentis redditas communitates nunc de eorum differentiis tractat. ac primum quidem talem proponit.  3—18] Porph. p. 19, 20—20, 10 (Boeth. p. 48, 13—49, 4).   1  post.  posset  Lm1  potest  HLm2NPR post  accidens  repet. esse  G , 3  uel  4  litt. er. L  2 reliquerit  H  relinqueret  N  3 ACCIDENTIS ET DIFFERENTIAE  Γ EARVNDEM  C  EORYNDEM  E de inscript. ap. Poiphyr. ef. ad p. 105, 16  4 Different  Cm1 Differt  L ΣΐΑηιΐ m1 Φ  post  autem  add.  differentia ab accidenti  Γ  5 et  om. GHP  continet— sunt  (15) ]  LR il , om. cett.  enim] autem  L  rationalitas  ΓΑ a.c. Π2ΦΨ  6 quidem  om.   Δ2  7 sint  L ΓΔΛΠΦ»ιί m1 | ·uero  post  modo  Ψ ,  del.   ΓΦ   (ut uid.)  9 sint  A  10 intentibilis  ΓΣ   Busse inintensibilis  edd.; Porph. p. 20, 4   άνεπίτατος;   ef. Roensch, Collect. phil. p. 299 12 post  uero  add.  sunt  ΛΦ  14 Huiuscemodi  Δ  15 quod  EGR  quidem  om.   2  quidam  Em2G  16 a  om. EGH 2 differentiae  E  est  om. C  17 quo] quod  R A m1  differet  R  differt  CEGP 2  a  om. ΕGΗΡR ΤΠ,ΣΦ quod  EGR is m1  18 differet  R  differat  L A  differt  G 2  a  om. EGHR TWZ  19 reddit has  E communicantes  Rm1  communiones  m2  20 primam  HN  quidem  om. HN  tale  C   differentia, inquit, omnis speciem continet. rationabilitas enim continet hominem, quoniam plus rationabilitas quam species, id est homo, praedicatur : supergressa enim substantiam hominis in deum usque diffunditur. accidentia uero aliquando  quidem continent, aliquando continentur. continent quidem, quia quodlibet unum accidens speciebus adesse pluribus con- sueuit, ut album cygno et lapidi, nigrum coruo, Aethiopi atque hebeno, continentur uero, quoniam plura accidentia uni accidunt speciei, ut uideatur illa species plurima accidentia continere.  cum enim Aethiopi accidit ut sit niger, accidit ut sit simus, ut crispus, quae cuncta sunt accidentia Aethiopis, species, quod est homo, omnia quae habet intra se plurima accidentia uidetur includere. huic occurri potest : quoniam differentiae quoque aliquo modo continentur, aliquo modo continent, ut  rationabilitas continet hominem—plus enim quam de homine praedicatur —, continetur quoque ab homine, quia non solum hanc differentiam homo continet, uerum etiam mortalem. re- spondebimus : omnia quaecumque substantialiter de pluribus praedicantur, ab his de quibus dicuntur non poterunt conti-  neri; quo fit ut differentiae quidem non contineantur ab specie, etsi sint differentiae plures quae speciem forment. accidentia uero continentur, quoniam accidentia speciei substantiam nulla praedicatione constituunt; nam nec proprie uniuersalia dicuntur  1 omnis speciem] species  R rationalitas  HNP  2 rationalitas  HNP  3 substantia  N  4 aliquando—aliquando] aliquo modo quid  N  7  ante  lapidi  s. l.  pario  Em2 post  nigrum  add.  ut  CEGLP, ante edd. ante  Aethiopi  add. et  E  8 continentur uero]  HLm2NP  continentur- que  cett.  9 plura  HN  10 enim] etenim  N ad simus  s. l.  naribus pressis  E  12  ex  quod  part. ras.  quae  Cm2  quod est] quidẽ  G ante  intra  add. et  E  plurima  om. EGH  13 occurri] opponi  HN  14  pr.  aliquo modo] aliquando  EGLm2P post. aliquo modo  om. N  aliquando  Em2Lm2P  15 rationalitas  H  17 homo] nomen hominis  HN mortale  edd.  respondemus  HN  respondebimus contra haec  GLPR  18 praedicantur de pluribus  C  20 a  R  21 sunt  H  differentiae  om. HN  speciem forment]  CEGP  speciem formant  Lm(??) ( informent  m2 hrm) N  formant speciem  H  informant speciem  R  22 con- tineantur  HN  23  ad constituunt  in mg.  ał subsistunt  Hm2   accidentia, cum de speciebus pluribus dicuntur, differentiae uero maxime. quae enim quorumlibet uniuersalia sunt, ea neoesee est eorum quorum sunt uniuersalia, etiam substantiam continere. qno fit ut quia differentiae substantiam monstrant, intentione ac remissione careant — una enim quaeque substantia  neque contrahi neque remitti potest —, at uero accidentia quoniam nullam constitutionem substantiae profitentur, intentione cre- scunt et remissione decrescunt. Illa quoque eorum est dif- ferentia, quod differentiae contrariae permisceri, ut ex his fiat aliquid, non queunt, accidentia uero contraria miscentur et  quaedam medietas ex alterutra contrarietate coniungitur. ex rationabili enim et inrationabili nihil in unum iungi potest, ex albo uero et nigro coniunctis fit aliquis medius color.    Expositis igitur distantiis differentiae ad cetera restat de specie dicere, cuius quidem differentias ad genus ante colle-  gimus, cum generis ad speciem differentias dicebamus. eiusdem etiam speciei distantias ad differentiam diximus, cum differentiae ad species dissimilitudines monstrabamus. restat igitur speciem proprii et accidentium communioni coniungere, tum differentia segregare.     Speciei autem et proprii commune est de se intri- cem praedicari; nam si homo, risibile est, et si risi-  21—p. 337, 4] Porph. p. 20, 11—15 (Boeth. p. 49, 5—10).   1 pluribus speciebus  HN  2 maximae  EH, add.  dicuntur uniuersalia et  ( et  om. R)  proprie  Lm2 (in mg.) R 4 ut  om. CG, s. l. Lm2  5 una quaeque enim  HNR  6 quoniam] quia  E  7 profitentur] monstrant  R ante  intentione  add.  et  HN  9 his] se  C  10 misceantur  N  permiscen- tur  R  et] ut  C  11 coniunguntur  LN  fiat  C  12 rationali  C ( bi  s. l. er.) HN  inrationali  HN  in unum]  L  in  om. cett.; cf. indicem Meiseri s.  unus 13  post color s. l.  ut uenetns  Pm2  15 ad genus— differentias  om. EG  16 dicebamus] diximus  EGP  17 diximus] dice- bamus  C  19 proprio  HLm1NP  accidenti  Lm1  accidenti tum  HPm2  accidentique  (om.  et ) N  communione  HLm1NP  tunc  R  20 disgre- gare  N  21  de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 102, 7  23 nam—dictum est  (p. 337, 4) ]  LR Q , om. cett. post  homo  add.  est  ΔΣ ,  s. l.  A m2  et si]  ΔΕΈ  et  L ΓΛΠΦ  ita et  R post  risibile  add.  est  ΔΣΨ   bile, homo est – risibile uero quoniam secundum id quod natum est sumi oportet, saepe iam dictum est —; aequaliter enim sunt species his quae eorum partici- pant et propria quorum sunt propria.    Commune, inquit, habent propria atque species ad se ipsa praedicationes habere conuersas. nam sicut species de proprio, ita proprium de specie praedicatur; namque ut est homo risi- bilis, ita risibile homo est; idque iam saepius dictum esse commemorat. cuius communitatis rationem subdidit, eam scilicet,  quia aequaliter species indiuiduis participantur, sicut eadem propria his quorum sunt propria. quae ratio non uidetur ad conuersionem praedicationis accommoda, sed potius ad illam aliam similitudinem, quia sicut species aequaliter indiuiduis participantur, ita etiam propria; aeque enim Socrates et Plato  homines sunt, sicut etiam risibiles. itaque tamquam aliam communionem debemus accipere quod est additum : aequaliter enim sunt species his quae eorum participant et pro- pria quorum sunt propria. an magis intellegendum est hoc modo dictum, tamquam si diceret ‘aequalia enim sunt species  et propria’? nam quia species eorum sunt species quae spe- ciebus ipsis participant, et propria eorum propria quae|pro-  p.109  priis participant, proprium atque species aequaliter utrisque sunt, id est neque species superuadit ea quae specie parti-  8 saepius] cf. infra.   1 est  om. R ante  secundum  add.  et  A   (s. l.) Busse, om. Porph. p. 20, 13  id  om.   J!  2 natum]  Porph. p. 20, 14   κατά τό πεοοχέναι γελάν  sumi oportet]  LR  dicitur  Q ;  Porph.   ληπτεον 3 sunt  om.   Φ ,  post  spe- cies  P  earum  R, ex  eorum  ut uid.  5 m2  7 ita—est homo  in mg. Hm2 praedicamus  EGHm2P p.c.R  namque  om. N  nam  R  8 ita homo risibile est  E  ita est risibile homo  R  iam] etiam  C  saepius]  HN  superius  cett. (recte?); cf.  saepe  2, et ad p. 317, 4. 325, 14 10 qua  CGLP  eadem] eodem modo  E  11 ratio] puto  Em2  12 accommo- data  edd.  13 qua  CGEm1P ante  indiuiduis  add.  ab  HNR, s. l. Lm2  14 participatur  H  18 ac  Lp,c.Pm2  est  om. C 19 aequa- liter  N  20  post  propria  add.  quorum sunt propria  C  21 et propria— atque species] atque proprium species  N  23  post.  speciei  EGLP   cipant, neque propria superuadunt ea quae propriis participant. cumque haec propria specierum sint. propria, species ac pro- pria aequalia esse necesse est atque inuicem praedicari.    Differt autem species a proprio, quoniam species  quidem potest et aliis genus esse, proprium uero et aliarum specierum esse inpossibile est. et species quidem ante subsistit quam proprium, proprium uero postea fit in specie; oportet enim hominem esse, ut sit risibile. amplius species quidem semper actu adest  subiecto, proprium uero aliquando potestate; homo enim semper actu est Socrates, non uero semper ridet, quamuis sit natus semper risibilis. amplius quorum termini differentes, et ipsa sunt differentia; est autem speciei quidem sub genere esse et de plu-  4—p. 339, 3] Porph. p. 20, 16—21, 3 (Boeth. p. 49, 11—50, 2). 14 quorum—differentia] Abaelardus II, Introduct. ad theolog. p. 94; Theo- log. christ. p. 488; De unit, et trinit. diuina p. 58 Stoelzle.   1 nec  CELN  2 haec  om. LN, del. uid. E  sunt  EHa.c.N, add.  et  CE (del.) GH (del.) P (del. m2)  propriis  (post  sint ) E (del.) G  proprii  Ha.c.  4 DE PROPRIETATIBVS  Δ  DE DIFFERENTIA  C; de Porph. cf. ad p. 105, 16  5 a  om. GHLNR, s. l. Pm2 il m2  6 et  om R SΣ ; Porph. p. 20, 17 cod. BM   χαί  proprium—praedicari  (p. 339, 2) ]  LR Q , om. cett.  et  om. Porph.  9 post  R Σ  post  enim  add.  ante  L  ut]  Porph. p. 20, 20   Ινα xai ( Voti   om. cod. M)  ut sit  s. l.  \ m2  11 potestate]  Porph. p. 20, 21   xol δονάμε:  12 enim] uero  L est  om. R  non uero semper]  ΔΛΠΨ   edd. Busse  non semper autem  Γ2Φ  semper autem non  LR; Porph. p. 20, 22   γελά δέ oix αεί ;  cf. infra p. 340, 4  13 quamquam  (uel  quan- )   L ΓΦ  natura  in ras.  A m2  14 termini] definitiones  (uel  diff- ) LR ΓΦ , ad  termini  s. l.  ł diffinitiones  \ m2 differentes]  ΓΑ  differentes sunt  Δ»ιίΠ2Φ  differunt  LR s m2 ii} ; Porph. p. 20, 23   ων οί οροί διάφοροι ; quo- rum termini, id est diffinitiones  ( id est diff.  om. p. 94)  sunt differentes  ( sunt differentiae  p. 488) , ipsa quoque sunt differentia  Abaelard.  15 spe- cies  R, post  speciei  s. l. diffinicio  A m2  quidem]  R T\ m2 (in ras.)  Ψ brm Busse in adn.,  semper  \ m1 (ut uid.)  All/ p Busse in contextu , esse semper  L  quidam terminus  Σ ; quidem sub genere semper esse  Φ   ante sub  add.  et  L A  Busse; Porph.   εατιν δέ ειδοος uev το οπδ τό γένος είνα:   ribus et differentibus numero in eo quod quid est praedicari et cetera huiusmodi, proprii uero quod est soli et semper et omni adesse.    Primam proprii et speciei differentiam dicit quoniam species  potest aliquando in alias species deriuari, id est potest esse genus, ut animal, cum sit species animati, potest esse hominis genus. sed nunc non de his speciebus loquitur quae sunt specialissimae, atque hunc confundere uidetur errorem, quod cum de his speciebus dicere proposuerit quae essent ultimae,  nunc de his quae sunt subalternae et saepe locum generis optineant disserit. propria uero nullo modo esse genera possunt, quoniam specialissimis adaequantur; quae quoniam genera esse non queunt, nec propria quae sibi sunt aequalia, genera esse permittuntur. Rursus species semper ante subsistit  quam proprium—nisi enim sit homo, risibile esse non poterit —, et cum ista simul sint, tamen substantiae cogitatio praecedit proprii rationem. omne enim proprium in accidentis genere collocatur, eo uero differt ab accidenti, quia circa omnem solam quamlibet unam speciem uim propriae praedicationis  continet. quodsi pviores sunt substantiae quam accidentia, species uero substantia est, proprium uero accidens, non est dubium quin prior sit species, proprium uero posterius. Dis- 1 est] sit  2   edd.; cf. p. 340, 13. 341, 22  2 praedicari]  Porph. p. 21, 2   ■κατηγορούμενον είναι post  huiusmodi  add.  praedicari  I m1, del. m2  pro- prium  R  quod est  om.   ΓΦΨ ,  del.  \ m2;Porph. τό μονω προοείνα;.  3 soli et omni et semper  Λ  semper et soli et omni  2  scilicet semper et omni  Gm1, ante  scilicet  in mg.  sali et semper  m2  4  ad  dicit  s. l.  dicunt  Έ  5 diriuari  EGNPR  7 specialissimae sunt  H  8 hunc  s. l. L  nunc  N  hinc  C  hic  Em2  uidetur confundere  C  9 essent] sunt  L  11 genera  s. l. Lm2, ante  esse  HRS  13 non queunt] nequeunt  L  non pos- sunt  NR  14 permiitunt  C ( ur  er.) N  species—subsistit] species est semper ante  C  15 homo sit  LPR  16 ista] ita  CLa.c.  18 uero]  Brandt  enim  codd. edd.  accidente  CNR  quia] quod  L  19 speciem  om. H propriae  del. Lm2  20  post  continet  add.  accidens autem quando continet, ad multas species potest diffundi  EL. (in mg. inf. m2) Pbrm  21 accidens—proprium uero  om. R  22 uero  om. EG, s. l. Pm2  Decernuntur  GHLP  Disterminantur  E   cernuntur etiam species a propriis actus potestatisque natura; species enim actu semper indiuiduis adest, propria uero ali- quotiens actu, potestate autem semper. Socrates enim et Plato actu sunt homines, non uero semper actu rident, sed risibiles esse dicuntur, quia tametsi non rideant, ridere tamen poterunt.  natura itaque species et proprium semper subiectis adest, sed actu species, proprium uero non semper actu, uelut dictum est. At rursus quoniam definitio substantiam monstrat, quorum diuersae sunt definitiones, diuersas necesse est esse substantias; speciei uero et proprii diuersae sunt definitio-  nes, diuersae sunt igitur substantiae. est autem speciei definitio esse sub genere et de pluribus numero differentibus in eo quod quid sit praedicari; quam superius frequenter expositam nunc iterare non opus est. proprium uero non ita : definitur : proprium est quod uni et omni et semper speciei  adest. quodsi definitiones diuersae sunt, non est dubium spe- ciem ac proprium secundum naturae suae terminos discrepare.      Speciei uero et accidentis commune quidem est de pluribus praedicari; rarae uero aliae sunt communi-20  18—p. 341, 2] Porph. p. 21, 4-7 (Boeth. p. 50, 3—6).   1 species  om. EHP, s. l. Lm2, ante  etiam  G  a propriis  in ras. Lm2,  a  (om. R)  proprio  Pm2R  actu  CHLm1N  2  post  uero  add.  non semper  ( actu  s. l. add. Lm2)  sed  EGLPR  3 actu  om. EG, del. R, s. l. Lm2  autem semper  om. EGR  4  ante  sunt  add.  semper  N  5 quia  om. HN, s. l. Lm2  tametsi] etiamsi  C  potuerunt  N  pos- sunt  R  non  (del. E)  poterunt  EG  6  ante  species  add.  e(??)  R, ras. L  ad- est] adsunt  H  7 uelut] ut  NR  9 diuersas—definitiones  (10) om. N  11 igitur—speciei] substantiae igitur. est speciei autem  H  substantiae— de pluribus  in mg. inf. Gm2  speciei definitio] diffinitio speciei spe- cies  C  12 sub genere esse  HΝ  14 opus non  H  ita definitur,  om.  non  Hbrm, er. E;  ita, <sed> definitur  Brandt, cf. p. 347, 4  15 spe- ciei  om. H  18  de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 102, 7  19 uero] autem  H  est quidem  C  20 sunt aliae  HRT   tates propterea, quoniam quam plurimum a se distant accidens et id cui accidit.    Speciei atque accidentis similitudinem communem dicit de pluribus praedicari; de pluribus enim dicitur species, sicut et  accidens. raras uero dicit esse alias eorum communiones idcirco, quoniam longe diuersum est id quod accidit et cui accidit. cui enim accidit, subiectum est atque suppositum, quod uero accidit, superpositum est atque aduenientis naturae. item quod supponitur substantia est, quod uero uelut accidens  praedicatur, extrinsecus uenit. quae omnia multam eius quod est subiectum et eius quod est accidens differentiam faciunt. tamen inueniri etiam aliae possunt speciei et accidentis inse- parabilis communitates, ut semper adesse subiectis — aeque enim homo singulis hominibus | semper adest et inseparabilia  p. 110   accidentia singulis indiuiduis praesto sunt —, et quod sicut spe- cies de his quae indiuidua continet, aeque de pluribus accidentia indiuiduis praedicantur; nam homo de Socrate et Platone, nigrum uero atque album de pluribus coruis et cygnis quibus accidit nuncupatur.      Propria uero utriusque sunt, speciei quidem in eo quod quid est praedicari de his quorum est species,  20—p. 342, 15] Porph. p. 21, 8—19 (Boeth. p. 50, 7—20).   1 quam  om. ΗL ΣΑΛ'Ψ  (recte?), s. l.   Π m2 , quem  R  qui  (ut uid.) N; Porph. p. 21, 6   itXststov  distant  ante  a se  Δ   (s. l. m2)   A , a se  om. N  2  ante  accidens  add.  et  Γ id  om.   12 ,  s. l. Pm2 , hoc  Σ ;  Porph. p. 21, 7   *a\ το m οομβέβηχβν  accidunt  Em1P  3 atque] et  HL  accidens  Έ  dicit  om. E, s. l. Lm2Pm2  de  s. l. Lm2  5 dicit alias,  post er.  esse  uid. C  7 atque] et  H  8 est  om. EGHP  adueniens  EPm1  accidentis  N  11 et eius] eius est  E  12 possunt) sunt  E  insepa- rabiles  Cm1GP  13 subiectis semper adesse  HN post  adesse  add.  possunt  E  15 sicut]  L (s. l. m2) Rbrm, om. cett. codd. p  16 conti- nent  H ante  accidentia  add.  ut  CH  17 praedicatur  G  et  om. EGHPR  20 ET  om. R de inscript. ap. Porph. cf. ad p. 105, 16  21 in] et  C 22 est] sunt  Hm1  sit  Σ  praedicare  EGm1P , praedi- catur  2  de his  om.   Σ  hiis  Φ  quorum—in eo] in eo accidentis autem quorum est species  Φ   accidentis autem in eo quod quale quiddam est uel aliquo modo se habens; et unam quamque substantiam una quidem specie participare, pluribus autem acci- dentibus et separabilibus et inseparabilibus; et spe- cies quidem ante subintellegi quam accidentia, uel si  sint inseparabilia — oportet enim esse subiectum, ut illi aliquid accidat —, accidentia uero posterioris generis sunt et aduenticiae naturae. et speciei quidem participatio aequaliter est, accidentis uero, uel si inseparabile sit, non aequaliter; Aethiops enim alio  Aethiope habebit colorem uel intentum amplius uel remissum secundum nigredinem.    Restat igitur de proprio et accidenti dicere; quo enim proprium ab specie et differentia et genere differt, dictum est.   Quod nunc proprium speciei et accidentis se exequi polli- cetur, tale proprium intellegendum est quod, ut superius dictum est, ad comparationem dicitur differentium rerum. species enim in eo quod quid est praedicatur, accidens uero in eo quod quale est. qua differentia non ab accidentibus solis species  2 unam quamque—4 inseparabilibus] Abaelardns II, Introduci. ad theolog. p. 89; Theolog. christ. p. 479. 17 superius] p. 297, 9. 301, 5.   1 quale] quale est  N  quidem  CEm1  quidam  m2  uel—habens  om. CEGHN  2 aliquo modo] quomodo  ΓΦ ;  Porph. p. 21, 10   πώς ;  cf. supra p.128, 10 adn.  et—nigredinem  (12) ]  LR Q , om. cett.  3 unam  R  qui- dem  om. Abaelard.  participari  L ΓΔΣ a.c. Φ praedicari  \ m1  autem] uero  L Abaelard.  4  tert. et om.   Γ  5  post  quidem  add.  sane  L ΓΛ  (s. l. m2)  ΙIΣΦ  Busse, om. R ΛΨ  cum Porph. p. 21, 12 post  subintel- legi  add.  potest  Lpr  possunt  bm; Porph.   w\ τά piv είδη προεπινοεΐται  uel  om.   Φ   ad  uel si  s. l.  etiamsi  K m2  6 inseparabilibus  R  8 generis  om. R  aduentiuae  R  9 aequalis  Λ  accidens  L T m1 A m1  10 alio Aethiope]  Porph. p. 21, 16   ΑίίΚοπος  13 accidente  HNR ΔΣ , ante er.  de  P  14 enim] etiam  H  a]  cod. Q Bussii (om. cett.) edd. (cf.p. 344, 9),  ab  scr. Brandt  speciei  Ca.r.EGR  et  om. CEGHPR differen- tiae  GR  15 differt  om. L  differat  ΦΣ  distat  R  est dictum  H, add.  in illorum differentiis ad ipsum  2  18 dicatur  R  20 est  om. GP, post add.  praedicatur  H   discernitur, uerum etiam a differentiis ac propriis, nec solum species ab eisdem, uerum etiam genus. praeterea quod species in eo quod quid est praedicatur, accidens uero in eo quod quomodo sese habeat, id quoque commune est cum genere;  genus quippe ab accidenti in eo quod quid est et quomodo se habeat praedicatione diuiditur. Item unam quamque substantiam una uidetur species continere, ut Socratem homo, atque ideo Socrati una tantum propinquitas est species hominis. rursus indiuiduo equo una species equi est proxima, itemque  in ceteris; uni cuique enim substantiae una species praeest. at uero uni cuique substantiae non unum accidens iungitur; uni cuique enim substantiae plura semper accidentia super- ueniunt, ut Socrati quod caluus, quod simus, quod glaucus, quod propenso uentre, et in aliis quidem substantiis de numero  accidentium idem conuenit. Dehinc semper ante accidentia species intelleguntur. nisi enim sit homo cui accidat aliquid, accidens esse non poterit, et nisi sit quaelibet substantia cui accidens possit adiungi, accidens non erit. omnis autem sub- stantia propria specie continetur. recte igitur prius species,  accidentia uero posterius intelleguntur; posterioris enim sunt, ut ait, generis et aduenticiae naturae. nam quae substantiam non informant, recte aduenticiae naturae esse dicuntur et posterioris generis; his enim substantiis adsunt quae ante dif- ferentiis informatae sunt. Rursus quoniam species substantiam  1 decernitur  Rm2  ac  s. l. Lm2  a  EGH  et a  P  3 praedicatur  post  species  H  quod  om. E, s. l. Gm2  4 se  EP  habet  LR  id—habeat  (6) om. R  est commune  H post  est  add.  speciei  L   (s. l. m2) brm  5 accidenti]  edd.  accidente  codd.  quod  om. E  8 propinquitate  EPm1  propinqua  L  species est  LR  9 est equi  H  item  H  10 una—substantiae  in mg. Hm2  13 quod simus  om. C  15 accidentium  ex  accommodantium  Hm2 post conuenit  add.  dicere  R  ante  om. C  16 accidit  CHLNPR, recte?  18 autem  del. Lm2  enim  P  20 uero  om. R, in mg. Lm2  posterius] postremo  R  enim] uero  CE  21 generis ut ait  CR  nam quae] nam  Rm1  namque  EG  nam quia  CN  22  ante  recte  add.  ideo  EGL (s. l. m2) P (del. m2)  esse  om. H   monstrat, substantia uero, ut dictum est, intentione ac remis- sione caret, speciei participatio intentionem remissionemque non suscipit. accidens uero uel si inseparabile sit, potest inten- tionis remissionisque cremento et detrimento uariari, ut ipsum inseparabile accidens quod Aethiopibus inest, nigredo. potest  enim quibusdam talis adesse, ut sit fuscis proxima, aliis uero talis, ut sit nigerrima.    Restat nunc proprii communiones ac differentias persequi. sed quo proprium differat a genere uel specie uel differentia. superius demonstratum est, cum quid genus uel species uel  differentia a proprio distaret ostendimus. nunc reliqua ad com- munitatem uel differentiam consideratio est, quid proprium accidentibus aut iungat aut segreget.      Commune autem proprii et inseparabilis accidentis  est quod praeter ea numquam constant illa in quibus considerantur; quemadmodum enim praeter risibile non subsistit homo, ita nec praeter nigredinem sub-  14—p. 345, 2] Porph. p. 21, 20-22, 3 (Boeth. p, 51. 1—6).   1 demonstrat  H  ac] et  H  2 remissionemque] ac remissionem  H  3 si  s. l. CLm2  4 in  (del. m2)  incremento  H  decremento  R edd.  uti  R  ita  E  5  ante  nigredo  add.  ut  Hm1N  id est  s. l. Hm2  6 fu- scis]  La.c. edd.  fuscus  Lp.c. et cett.  aliis uero]  edd.  uero aliis  codd. ( uero  s. l. Lm2)  8  post  proprii  add.  et accidentis  N  ac] ad  EGLm1  9 quo]  Cm2 (part. ras. corr.)  quod  Cm1EGLm1NPR  quid  HLm2; cf. p. 342, 13  10 quid] quod  N  quicquid  E  uel differentia uel species  H  11 a  s. l. Lm2  12 uel] et  N  quod  E  quae  Hm2LR  13 iungit  EGHm1LPm1R  segregat  LPR  separet  N  14 ACCIDEN- TIS]  Porph. p. 21, 20 cod. Μ   σομβεβηχοτος ,  cett.   τοδ άχωρίστοο σομβεβη- αότος ;  de Porph. cf. etiam ad p. 102, 7  16 est  post  commune  L, ante  accidentis  AA m1  accidentis inseparabilis est  m2  praeter ea] prop- terea  Φ  constant]  CH Busse (coll. p. 159, 7)  consistant  EGNPR h m1 A p.c. W   edd.  consistunt  L A a. c.   112Φ  consistent  r\ m2  illa  post  quibus  N  17 quemadmodum—Aethiops  (p. 345, 1) ]  LR Q ,  om. cett.  18 ita  om.   2 ,  s. l.   A m2  subsistit] non subsistit  A m2; Porph. p. 22, 1   ΰποσταίη dv   sistit Aethiops, et quemadmodum semper et omni adest proprium, sic et inseparabile accidens.    Quoniam proprium semper adest speciebus nec eas ullo  p. 111  modo relinquit quoniamque inseparabile accidens a subiecto  non potest segregari, hoc illis inter se uidetur esse commune, quod ea in quibus insunt, praeter propria uel inseparabilia accidentia esse non possint. inseparabilia uero accidentia com- parat, quoniam, ut in specie dictum est, rarissimae sunt speciei atque accidentis similitudines. quocirca multo magis proprii  atque accidentis communitates difficile reperiuntur. accidens enim in contrarium diuidi solet, in separabile accidens atque in inseparabile, quae uero sub genere in contrarium diuiduntur, ea nullo alio nisi tantum generis praedicatione participant. quodsi proprium inseparabile quoddam accidens est, a separabili  accidenti plurimum differt, atque ideo nullas proprii et separa- bilis accidentis similitudines quaerit. sed quia ipsum proprium certis quibusdam causis ab inseparabilibus accidentibus differt, horum et communitates inueniri possunt et inter se differentiae. quarum una quidem ea est quam superius exposuimus, secunda  uero quoniam sicut proprium semper et omni speciei adest, ita etiam inseparabile accidens; nam sicut risibile omni homini et semper adest, ita etiam nigredo omni coruo et semper adiuncta est.    8 ut in specie dictum est] p, 340. 20.   1 et omni  om. H  et  om. R; Porph. p. 22, 2   παντι και άεί  2 sic  om. P  sicut  C  et  om. R  3 semper  om. H  4 quodque  Hm1  5 inter se  post  commune  H  6 ea in] eam (m  del. m2) H  insunt] sunt  R, add.  ipsa propria et inseparabilia accidentia sunt  E (del. et s. l.  glosa est  scr. m2) L (in mg. m2, om.  sunt)  P (om.  sunt) uel] et  LNR  7 possunt  EHLm2NP  uero  s. l. Cm2 ante  comparat  s. l.  proprio  Cm2, post s. l.  scil. proprio  L  8 sunt  post  accidentis  H  10  ante  accidens  add.  scilicet  E  11 enim] uero  R  12 sub genere  om HΝΡ, del. Lm2  14 quiddam  CL  quoddam  post  est  H  16 simili- tudines—accidentibus  in mg. Em2  17 causis  om. EG  rationibus  Lm2PR  18 differentiae] dissentiae uel differentiae  H  19 est ea  H  21  post  accidens  add.  est  H  22 et semper  om. H  et semper adest  s. l. Gm2 post.  et]  N edd., om. cett.     Differt autem quoniam proprium uni soli speciei adest, quemadmodum risibile homini, inseparabile uero accidens, ut nigrum, non solum Aethiopi, sed etiam coruo adest et carboni et hebeno et quibusdam  aliis. quare proprium conuersim praedicatur de eo cuius est proprium et est aequaliter, inseparabile autem accidens conuersim non praedicatur. et pro- priorum quidem aequaliter est participatio, acciden- tium uero haec quidem magis, illa uero minus.    Sunt quidem etiam aliae communitates uel proprie- tates eorum quae dicta sunt, sed sufficiunt etiam haec ad discretionem eorum communitatisque traditionem.    Proprii atque accidentis prima quidem differentia est quia proprium semper de una tantum specie dicitur, accidens uero  minime, sed eius praedicatio in plurimas diuersi generis sub- stantias speciesque diffunditur. risibile enim de nullo alio nisi de homine praedicatur, nigrum uero, quod est inseparabile quibusdam accidens, tam coruo quam Aethiopi, quae diuersa sunt specie, tum coruo atque hebeno, quae differunt generi-  bus, non tantum specie, praesto est. quo fit ut propriis quidem  1—13] Porph. p. 22, 4—13 (Boeth. p. 51, 7—17).   1 PROPRII ET ACCIDENTIS]  CP W ,  item Porph. p. 22, 4 cod. M  ( των αυτών   plerique cett. ), ACCIDENTIS ET PROPRII  cett., nisi quod  EORV II EORVNDEM  Ψ ;  de Porph. cf. etiam ad p. 105, 16  2 Dif- ferunt  CG ΔΣΦ ;  Porph. p. 22, 5   διενήνοχεν  proprium  om.   Σ  3 risi- bili  N  inseparabile—minus  (10) ]  LR Q ,  om. cett.  4 soli  L A‘l>  5 etiam] aeque  R  hebeno  plerique codd., item 20. p. 347, 7  6 proprium est  ΓΦ  7  post.  est]  ΓΔ   (del. uid.)   ΙΙΣΦΨ   cum Porph. p. 22, 8, om. LR A Busse  8 autem] uero  ΔΛ   Busse  conuersim non] nec conuersim  A  proprii  R A m2 2  proprium uero  Φ  9 aequaliter]  R 2 ,  coni. Busse , aequalis  cett.; Porph. p. 22, 9   και τών μέν ιδίων έπίτης ή μετοχή  10 hae  Δ  11 uel]  Porph. p. 22, 11   τέ καί  12 earum  C  dictae  CEGHP  hae  N  et  R  13 traditionem  ex  distractionem  E  contradictionem  Gm1  14 est  om. H  16 praedicatio eius  H  17 species  Cm1  19 diuersae  HLNPm2  diuisae  m1  20 speciei  H (ante  sunt)  N  tunc  R  nec non  Lm1  sed tum  m2  21 tantum specie] uni tantum speciei  P   conuersio aequa seruetur, in accidentibus uero minime. quoniam enim propria in singulis esse possunt atque omnes continent, species conuerso ordine praedicantur; nam quod risibile est. homo est, et quod homo, risibile. nigrum uero non ita, sed  ipsum quidem de his praedicari potest quibus inest, illa uero ad huius praedicationem conuerti retrahique non possunt; nigrum enim de carbone. hebeno, homine atque coruo prae- dicatur, haec uero de nigro minime, nam quae plurima con- tinent, de his quae continent praedicari possunt, ea uero quae  continentur, de sese continentibus nullo modo nuncupantur. Rur- sus proprium quidem aequaliter participatur, accidens remis- sionibus atque intentionibus permutatur. omnis enim homo aeque risibilis est, Aethiops uero non aequaliter niger est, sed, ut dictum est. alius quidem paulo minus alius uero  taeterrimus inuenitur.    Et de proprii quidem atque accidentis differentiis satis dictum est. restabat uero accidentis ad cetera communiones proprie- tatesque explicare, sed iam superius adnumeratae sunt, cum generis, differentiae, speciei et proprii ad accidens similitudines  ac differentias adsignauimus. fortasse autem his institutus animus et sollertior factus alias praeter eas quas nunc diximus com- munitates uel differentias quinque rerum quae superius sunt positae reperiet, sed ad discretionem atque eorum similitudines comparandas ea fere quae sunt dicta sufficiunt. nos etiam,  quoniam promissi operis portum tenemus atque huius libri seriem primo quidem ab rhetore Victorino, post uero a nobis  1 conseruetur (con  s. l. m2 ) aequa conuersio H 2esse presunt (pre- sunt  del. m2) H  esse  Lm1  esse habent  Lm2R  4  post post.  homo  add.  est  CLR post  risibile  add.  est  LPR  5 quibus] in quibus  R  7  ante  hebeno  add. de  H, er. uid. L  9 continentur  HN  11 proprium  post  quidem  H (s. l. m2)  quidem  om. G  12 permittatur  E  15 deter- rimus  CLN  16 proprii *  (s  er.) HL  differentiis  om. G  proprietate  E  17 accidens  G  18 replicare  EGLPR  iam] etiam  EG  enumeratae  La.c.  19 speciei] et speciei  NR  ad accidens] et accidentis  Em1La.c.R  20 his  om. NR  23  ante  eorum  add.  ad  EGLPR  24 sufficiant  HR  26 ab  in a mut. ut uid. C   Latina oratione conuersam gemina expositione patefecimus, hic terminum longo statuimus operi continenti quinque rerum dis- putationem et ad Praedicamenta seruanti.    1 conuersa  ELm1  2 continenti  om. C  quinque] V  L (in ras. m1?) edd., om. cett.  3 et  om. C  seruienti  brm  ANICII MALLII SEVERINI BOEZIO LIBER V EXPLICIT SECVNDI SVPER YSAGOGAS COMMENTI  P FINIT EXPLICIT EDITIONIS SECVNDAE COMMENTARIORV LIBER V FELICITER. AMEN  (er. uid.)  DEO GRATIAS  C  ANICII MANLII SEVERINI BOEZIO ILLVSTRIS CONSVLIS EXPLICIT LIBER  ANICII. MANLII SEVERINI BOEZIO A. M. S. B.  N  V. C. ET ILL. I LL S.  N EXCONS EXCS  N ORD. PATRICII. (ΈΧC.—PATR.  om. G)  IN ISAGOGAS (YS-  EG)  PORPHYRII (I  pro  Y  N)  IDE. INTRODVCTIONES (-NE  E)  IN CATEGORIAS (KATH-  N)  A SE  (om. N)  TRANSLATAS. (-TĘ  E , IDE— TRANSL.  om. G)  EDITIONIS (EDΙCΤ-  E , AED-  N)  SCDĘ LIBER V (QVINTVS  N)  EXPLICIT  EGN, add. TIBI PAX. AMEN.  E ; QVINQVAE  (sic)  FIT OPTATVS HIC FINIS ISAGOGARV  R; subscriptione caret H, item e codd. Isagogen tantum a BOEZIO translatam continentibus ΓΛΣΦΊ’   (nisi quod in   Φ   recens quaedam est); post  traditionem  habent EXPLIC. LIB. HISAGOGARV PORPHIRII  Δ, EXPLICIT  Π.  gradatimfoliacontrahit.Videturhæcnonminusdilatatio ne,contra iones foliorum honorare solem, quam homines genarum gestu, moru labiorum. No folumuero 'in plantis, quæ ueftigium habent uitæ, fed etiam in lapidibus aspicere licet, imitations, & participationem quandam luminum supernorum, quem ad modum helicis lapis radijsaureisso laresradio simitatur. lapis autem, qui uocatur cælioculus, uel solis oculus, figuram habet fimilēpu pillæ oculi, atqsex media pupillae micatradius. Lapis quoque selenitus, id est lunaris, figura lung corniculari similis, quadam sui mutatione lunarem fequitur motum. Lapis deinde helio selenus, id est solaris, lunarisóz imitatur quod ã modo congreffum folis, & lunæ, figuratcs colore. Sic diuinornm omnia plena funt, terrena quidem cælestium, cæleftia uero super cælestium proceditæ quilibetor d o rerum uso ad ultimum . Quæ enim super ordinem rerü colligū curin uno, hæc deinceps dilatan turindescendendo, ubi aliæ animæ subnuminibusalñs ordinantur. Deinde & animalia funt sol ana multa, uel ut leones, & galli, numinis cuiusdam solaris pro fua natura participes, unde mirum est, quantum inferiora in eodem ordine cedant superioribus, quamuis magnitudine, potentias non cedant hin eserunt gallum timeri am leone quam plurimum, & quafi col0i . cuius rei causam a matería, sensu ue assignare non possumus, sed solum ab ordinis supernicontemplatione. quoni amuide licet præsentia folaris uirtutis conuenitgalto magis quam leoni: quod& inde appare Marfil. Ficin. in Interprete  FICINO. Vem ad modum amatoresabipsa pulchritudine, quæcircasensumapparet, addiuinam paulatim pulchritudinem rationeprogrediuntur:fic& sacerdotesantiqui,cùmconli, derarentinrebus naturalibuscognacionemquandamcompassionemç; aliorumadalia &manifestorum aduiresoccultas,& omniainomnibusinuenirent, facrameorumscien quicquidest, pulchrumeft, & bonum eft.etiamsiindecorporissequaturin commodum. Corpus enim nonpars hominis, fedinftrumentum: instrumentiuero'malumnonpertinetadutentem. Quomodo differantduohæc,fcilicetfecundumfeipfum,& quaipsum. Ietioneseius modi, fcilicet secundum feipsum,& quaipsum ,etiamapudAristotelemdistin, D g u u n t u r . Quod enim secundum seipsum alicui competit , poteste i non competere primo. Quodautemquaipsumconuenispræterid, quodconuenit,secundumseipfumeciam primo competitei,atqueadæquatur. Pulchrumigitur, ficommensurationisanimæcausaest,atq;obhoc ipsumdiciturpulchrum, efficito,utmeliusinanimadomineturdeceriori,perficitąnos,& animæ deformitatempurgat:hacipfarationebonum est, nonquidemperaccidens, fedquarationepul. chrum .fienim qua pulchrum estcommensuratum ,eft & bonum.Bonãenim estmensura cercéquá pulchrum est,exiftit& bonum.Similiter turpe,qua turpe,malum est.N a m qua curpe eft, informe est qui 1   quiagallus, quafiquibufdáhymnisapplauditfurgentisoli, & quafiaduocat,quãdoexantipodum mediocæloadnosdeflectitur,& quando nonnullisolaresangeliapparueruntformiseiusmodi prædici, a r c f, cum ipfi i n s e fine form a essent, nobis tamen, qui formati sumus, occurrere formati. No nunquam tione. Quæfecundumfefuntincorporea,nonlocalicerpræsentiacorporibus,adsunt eis,quotiescunqueuolunt, adillauergentia, atquedeclinantià, quatenusuidelicetnaturaliteradea uergunt,arqueinclinantur. Sed enim cum nonadfint localia conditione corporibus, habitudine quadam eisadfunt. Quæ fecundum sesuntincorporea, certenonpersubstantiam, &peressentiam corporibusadsunt.Non enim corporibuscómifcentur.ueruntamenexipsainclinatione,quasimo mentouisquædamsubfiftitindecomunicataiam propinquacorporibus. Ipsanamqinclinatiose. cundamquandamuimsubstituítcorporibusiampropinquam. mæ,fecundữcorporafuntdiuisibiles.Nonomne,quodagitinaliudappropinquatione,&ta &ufacit,quodfacit,fedetiam qupæropinquarido, & tangendofaciuntaliquidfecundumaccidens, nonutuntur propinquirate. Animacorporialligaturconuersionequadam adpassionesprouenien resacorpore.Rursum foluiturquatenusacorporenihilpatitur.Quodnaturaligauit,hoc&ipsa naturasoluit. Rursusquod conciliauitanima, hoc& animadirimit.Naturaquidem corpusinanimadeuincit, animaueroseipsamincorpore.Quamobrem natura corpusab anima separaczanimaueroseipsam àcorporesegregat,  saclia usmodi .Qui 1 Proc.De Sacrif.& Magia.  ICOR bada mler : in: no.N enlos ur,but aliano compiz quider Locum siuecausisadintelligibilianos ducentibus. FICINO INTERPRETE. De natura, e alligatione,o solutioneanime. Nimaquidemmediüquiddameftintereffentiam indiuiduam, arqueessentiamuera corpora A diuisibilem. Intellectusautem essentiaest,indiuiduafolum. Sed qualitates, materialesqfor lael,ea 703 ncense garia 1,fiu ucent oxd zateni XOM etiam dæmones nisisuntsolares leoninafronte.quibuscum gallusoböceretur,repente disparuerunt. Quodquidemindeprocedit,semperquæineodem ordineconstitutainferiorafunt, reuerentursuperiora:quemadmodum plerişintuentesuirorumimagines diuinorum,hocipsoas. pe&uuererisolentturpealiquidperpretare. Vtautemsummatimdicam,aliaadreuolucionessolis correuoluuntur,ficutplantæ,quasdiximus:aliafiguramsolariumradiorumquodammodoimitan tur, utpalma, dactylus:aliaigneamsolisnaturam,utlaurus:aliaaliudquiddam uideresanelicetpro prietates,quxcolligunturinsole,passimdistribucasinsequentib.insolariordineconstitutis,scilicet angelis, dæmonibus,animis,animalibus,plantisatque lapidibus.Quocircasacerdotijueterisautho resàrebusapparentibussuperiorum uiriumcultumadinuenerunt,dum aliamiscerent,alia purificarent. M i s c e b a n t autem plura i n uicem, quia uidebant fimplicia non nullam haberenum i n i s pro prieratem, nontamenfingulatim,sufficientemadnuminisiliusaduocationem.Quamobrem ipfa multorum comixtioneattrahebantsupernosinfluxus: acßquodipficomponendounumexmul tisconficiebant, assimilabantipfiuni,quodestsupermulta,constituebantæftatuas exmaterñismul tispermixtas:odoresquoqcompositoscolligentes:arceinunum diuinafymbola,reddentesísun um tale,qualediuinumexiftitsecundum effentiam,comprehendens,uidelicetuiresquamplurimas. Quorum quidemdiuisiounamquamg debilitauit, mixtiouerorestituitinexemplarisideam.Non nunquam ueroherbauna,uellapisunus,addiuinumsufficitopus. SufficicenimCnebison,ideftcar duus,ad fubitam numinis alicuius aparacionem , ad custodiam uerò laurus. Raccinum ,ideftgenus uirgultispinosum, cepa,squilla,corallus,adamas,laspis,fedadpræsagiumcortalpæ,adpurificatio. nem uerosulfur, &atosmarina. Ergosacerdotespermutuam rerumcognationem,compassionem'. conducebant inunum,perrepugnantiam expellebantpurificantes,cum oportebat,sulfure,atque asphalto,idestbitumine,aquaaspergentesmarina,purificatenimsulfurquidempropterodorisa cumen,aquaueromarinapropterigneamportionem,& animaliadrjsindeorum cultucongruaad hibebant,cxtera'tsimiliter. Quamobrem abës,atoßsimilibusrecipientesprimumpotentiasdemo num ,cognouerunt,uideliceceasesseproximasrebus.actionibus naturalibus:atq;perhæcnatura lia,quibus propinquantinpræsentiamconuocarunt.Deindeàdæmonibusadipfasdeorumuires actiones &processerunt,partimquidemdocentibusdæmonibusaddiscentes,partim ueroindustria propriainterpretantesconuenienciafymbola,inpropriam deorumintelligentiamascendentes, ac deni q post habitis naturalibus rebus, actionibusque, ac magn a e x parte dæmonibus in deorum feconfortium receperunt. PORPHYRIVS DE OCCASIONIBVS, De natura corporeorum, atque in corporeorum. Mnecorpuseftinloco, nullumuerocorum ,quæfecundūsesuntincorporea,uelaliquid tale, estinloco. Quæ secundumsesuntincorporea, eoipso, quodpræstantiusestomni corpore,atqueloco,ubiquesunt,nondistantiquidem,sedindiuiduaquadam condi USCE inuss sdina labor Pt,imi adns aberi is,fip liol Sicdi liatiei ,unto 10,p Omnia MMM $   Omniaquodammodo suntinomnibusproconditionecorum,quibusinfunt. On fimiliteromniainomnibusintelligimus, sedpropriesehabetadomniauniuscuíused sentia:intellectuquidem intelle&ualiter,inanimauero' rationaliter:inplantisseminarie,in corporibusimaginariè:ineodem (quodhisomnibussuperiuseft,modoquodamfuper intellectuali,atquesuperessentiali. essentiæ,aliatandem naturx supe rioris,aliaanimæ, aliaintele&ualis:uiuuntenim& ila:etfinullumeorum,quæabiplisexi ftunt,uirameisfimilemsorciatur. aliaueropartim quidemfle&tunturadila,partimetiamnonflestuntur.aliacandem folumde flectunturadgenituras,neqzinterimadsereflectuntur. per , educere. Anima quidé habet omnium rationes. Agit autē secundã eas, uel ab alio ad ex peditionemeiusmodi prouocata, uelipfafeipfamintusconuertensadrationes,& cum abaliopro uocatur,tanquamadexternacommititintroducerefensus:cum uero'ingredicurinseipsam,adintel ligentiasperuenit:necigitursensusextraimaginationemfunt,necß,utdixeritaliquis,intelligence quatenus competuntanimali Animaeftimmortalis. Anima ef tessencia inextensa, immaterialis, immortalis, in'yitahabenteaseipsauiuere,arosese fimiliterpossidente. Passioanimæ,atquecorporisestlongediuersa. Liudestpaticorpora, aliudincorporea.passioenim corporụm cum transmutationecötingit passiouero'animęestaccommodatioquædam,'&affe&ioadremipfam,&a&ioquædã,nullo modofimiliscalefationi,frigefactioniącorporum,quamobrem sipassiocorporū,cũtrans mutatione fit,dicendum eftomnia incorporea essepassionisexpertia. Quæ enim a'materia,corporf busipfeparatasuntadu,eadempermanent:quæueromateriæcorporibus propinquant,ipsaqui d e m n o n sunt passiua, sed illa , in quibus hæc apparent, patiuntur , quád o enim animal s e n d t , anima quidam fimilis esseuideturharmoniæ cuidam separatæ ex seipsam chordas mouenti cötemperatas Corpusaữrsimileharmonię,quæ inseparabilisinestchordis,fedcausamouendieffeuideturanimal proptereaquodfitanimatū, quodquidemsimileeftmufico,exeoquodfitcõcinnum ,corporaueros quæperpassionesensualempulfantur,fimiliacontemperatischordisapparent.Etenim ibinon harmonica quid é separata patitur, fed chorda . & mouet f a n e musicus p ipsam , quæ sibi i n eft ,harmoniā: newtamen chordarationemusicamouereturetiam, fiuelletmusicus,nifiharmoniaipsaiddixit. nataestquemadmodum corpora, sed fecundum nudam ad corporapriuationem. Quãobrenihil prohibetinterila,aliaquidemesseessentia,aliauerònonessentia:& aliarursusantecorpora,alia ueròunacumcorporibus:itemaliaacorporibusseparata,aliauerònonseparata.Prætereaaliasecun dum sesubfiftentia,aliaueroalijs,utsintindigentia:aliadeniqa&tionibus,uitisfexfemobilibuse adem ,sedaliauitis,&qualibusa&tionibusquodammodo permutata,nempefecundumnegatione corum ,quæ ipfanon sunt,non secundum assistentiameorum ,quæ sunt, appellatur. PussionesmaterieprimeassignatesimiliteràPlotino. Ateriae propriaapudantiquos hæcfuntincorporeaquidem,diuerfaenimeftàcorporibus, prætereauitæexpers, negintelle&tus,neckanima,nequealiquidfecundum seuiuens.Itêin, formis,permutabilis, infinita,impotens.Quapropternec ens,feduerum nõens,imagomol lisapparens, quoniãqd primo estinmole,eftipfum impotens,itéappetitio fubfiftentia.& ftansno instacuprætereafempinseapparens,tum paruum,rum magnữ,tūminus, tūmagis,tūdeficiens,cī excedens,quoduefiatfemp,maneatuerònunquã,nec tamen aufugere potens,quippecútotius entisfitdefectus.Quamobrēquicqd pmittat,mentitur:aciimagnūappareant,interimeuadirparo uũ,quafienimludus quidãeftinnõensaufugiés,Fugaenimeiusnófitloco,seddūabencedeficis, Quamobren .in infummiseftunitascumuirtute:ininfimismultitudocumdebilitate. N corporeæ fubftantiædescendentesquidemdijudicentur,atqßinsingulapotentiædefe&umul tiplicantur, adscendentes autemutuntur,atæfimulrecurruntinunumcopiapoteftatis. Quegenerant,partimconuertunturadgenita,partimminimè. Mne, quodsuaessentiagenerat,aliquidsedeteriusgenerat,atqomnegenitüadgenitorina O curaconuertitur,eorumuero,quægenerant,aliaquidēnullomodoconuertunturadgenitas Sensus,imaginatio,memoria intelligentia. Emorianonestimaginationüconferuatio quædã,ámdtāmpastwintorspobaristalevias'spoluéwata, sedeftipfas propofitiones,fiueproductionesina&um corū,quæmedicatuseftanimusnu :nec rurfusabsq inftrumentorum sensualium passionesuntfenfus, lic& intelligentiænon abfqimaginatione, nisianalogaconditiofit:quemadmodumfiguraconse quensquiddam estadanimalsensuale, ficphantasmaaliquidconsequensadintelligentiamanima intelligentisinanimali. 1N Despeciebusuite. On solumincorporib æquiuocaconditioest,sedipsaetiãuitamultipliciterprædicatur eftenimuitaplantæ, animalisalia: aliarursusintellectualis Alia IN N>M Dedifferentijsincorporeorum. Pfaincorporeorīappellationõfecundumcommunicatēunius,eiusdemişgeneris,siccognomi.   quamobremquæineasuntimagines, insuntindeteriorirursus imagine,quemadmodüinspeculo idquodalibilitumeft,apparetalibi, &ipsumspeculumplenumeseuidetur, nihilqzhabet,dumom nia uidetur habere. funt,autnonfunt, quappternullacorūpaticur:quodempatienseft,nonoportetitafehabere, fedefetale,ütalterariqueat,atointeriminqualitatibus eorī,quaeingrediuntur,ficásinferuntpas fionem.Eiñamos quodinestalterationonaqualibecaccidit,nexigicurimaceriapacítur.Nāsecun dum feipfam qualitatisestexpers,nesprorsusformx,quaefuntinca,ingrediences;uicissim'sexe, untes,fedpassioficcircacompofitum,&uniuselseincomposicioneconfiftit,hocenim incontrarijs uiribus& qualitatib.ingredientiữzinferentiumąpassioneperfeuerareinfubfiftendouidetur.Quá obre mea quoru um i u e r e e f t a b externis , ne cas c i p l i s , n i mirum & uiuere , & non uiuere pat i possu n t. Sed e a , quorum esse in u i t a consistit, passionis experte, necessarium est permanere secunduum itam , quemadmodūuitäuacuitaticonuenit& non pac, quarenus& uitæuacuicas.Icaqficutpermutari, acpaticöpofitoexmateria,forma côtingit,ideftcorpori,neqstamenidmateriæ accidic,ficujuere, areinterire,patiofecundumhocipfum incompofitum exanima,corporeæperspicitur,neqstamé animæidcontingit,quoniam animanoneftaliquidexuita,& nonuitaconflatum,seduicafolum constatquippe,cumfimplexessenciafit,ipfaqsanimæ ratiofitnaturaipfasemouens. Omnisintellectuseftomniformis. Ntelle&ualisesentiaficinpartibuseftconfimilis,ut& inparticulariquolibetintelle&u,uniuer soosintelle&ufintentia:fedintele&u quidem uniuerfaliendaeciam particulariauniuersalifint ratione:inparticulariautčincellectueciāmiuniuersaliafimulacosparticulariasintconditionequa dam particulari: Omnisuitaincorporeaquocunq;mütetur,permanetimmortalis. Nuicisincorporeispcessusmanentibusprioribusinsefirmisefficiuntur,dūnihilfuiõdunt,neos pmutantadsubstantiâinferioribexhibendam,quappternedquæindesubfiftūccũaliquagdi tioneueltráfmutationesubsistûr,nechoc qdēefficitur,ficutgeneratiointeritus,gmutationisą particeps,ingéciaigitur,&incorruptibiliafuntaroingčitæ,incorrupcx'ssecīdūhocipfumeffecta. Quomodointelligaturquodeftfuperiusintelectus uigilantiãmultadicatur,fedperfomnūipsum cognitioeius,peritia'oshabetur,fimilinãque fimile cognosci folet, quoniã omnis cognitio, assimilatio quæ dá ef t ad hoc ipfum, q d cognofcitur. ens uelutfalsamconcipimuspassionecă, ingentemuidelicetili, quidigrediturextraseipsum, ipfeenimquisquequemadmodumexistenter deftuere,atokperseipfumpoteftreduciad ipfumnonensentesuperius,ficabence,sepsipfodigres diensiam traducituradnonens,quodentisipfiuseftcasusatqzruinia. Substantiaincorporeaestubicunqueuult. Aturacorporisnihilimpedit,quinquodfecundum feincorporeum eft,ficubicung,&quò modocunque.Sicucenimcorporiincomprehensibileest,quodmoliseftexpers, nihilą adip  Porphyr de Occasionib.  Quidpatiatur,quidnon. Afsionescircaidfuntomnes,circaqdaccidit&interitus.Víaenim adinteritãeftadmissiopas fionis,acohuiusestinterirecuiuseftpaci.Incerireaūcincorporeūnullű,sedquædãinterilaaur Animaquiapereffentiameftuita,nonmoritur. yIrcaessentiam,cuiusefeconfifticinuita,& cuiuspassionesuitaquædãfunt,nimirum& morg inqualialiquauitauersatur,noninpriuationeuitæfimultota.Quoniamneqspassio,seuuita est omnino, illicadnon uiuendum ,iplaqzillicacciditorbitas. . Silloquodeftmentesuperius,perintelligentiamquidem multa dicuntur:considerantur D temuacuitatequadăintelligentiæ intelligentiameliore;quemadmodum dedormienteper NonensauteftfuperiusenteutDeus,aütinferiuscummateria. Vodnonensdicitur,auciplínosmachinamurab ipsoentealiquandoseparaci,autsuperin telligimus,dum enspossidemus.quapropterfiseparamurabente,ensipsumnon superine telligimusnon enssuperensipsum,fediamnon N sumpertiner:sicincorporeoipsum,quodmollediftenditur,nonficobftaculum & quafinon acec,nequeenim quod incorporeum eftlocalicondicionequo uulc discurritlocusenim cum mole simulexiftit,neqsrurfuscorporumlimitibuscoercecur,quodenimquomodocūqiiacetinmole,in angustumcohiberipoteft,& conditionelocalitransmutacionemagere, quodaucemestamole,mag nitudine prorsusexemptū,hocabójs,quæfuntinmole.continerinonpoteft,a'motuşilocaliper manetliberum.Igiturqualiquadam,certaquedisposicionereperituribi,ubicunquedisponitur,lo. cointereatumubique,tumnusquam simulexiftens,quapropterqualiquadamcertaqueaffe&ione uelsupercælum ,uelinpartemundiquadam apprehenditur:quandoueroinaliquamundipàřecte n e t u r ,non oculis quidem aspicitur, sed ex operibus eius præsentia sua fit hominibus manifestas Substantia in corporeinullo corporecohibetur, fedproducitescamincorporeperquamse corporiapplicát. Vodeftincorpóreū,liquandoincorporecomprehendatur,nonopuseftutitaconcludatur, Q quemadmoduminparcoferæclauduntur,nullumnamquecorpuspoteftipsumficinfeco -hibere, nequeficutüterliquoremaliquemtrahit,& cohibet,autfacum,fedoportetipsum ia nd C TO MmM 4 13. fubftituere cavite   Vniaersalescausenonconuertunturadefe&tus,fedeosadfeconuertunt. V l l a substantiarum , quæ uniuerfæ sunt, a t æ perfectæ ad f u a m conuertitur geni cură . O m n e s autéperfe&tæ subftantiæadgenerantiarediguntur, & idquidemadcorpusufo mundanum. 1. Quomodo differenterestubiq; DeusintelleĀus,animas Euseftubiq ,quianusquamintelle&usest:ubiq etiã,quianufquam anima.deníqueubiqet EX PORPHYRIO DE AB ftinentiaanimalium. . quinetiamcognoscitipsum,quod in feest,naturaliterperpetuo uigilans, atquefom/ num,quohicopprimitur,deprehendit. Cuinonsaneeducationem,nutritionemque trademus consentancã,tūhuius locinaturæ ,tum suiipsiuscognitioni conuenientem, Beatitudononeftdiuinorumcognitio,feduitadiuina. Eatanobiscontemplationonestuerborum accumulatio,disciplinarūquemultitudo,quemad Bmodum aliquisforteputauerit:nequeenim iracomponitur,nequeproquantitaterationūac  quare perfectioquidêaprioribusfecundafubftituitcõferuanseadeadprioraconuersa, defectusautempri oraetiam adpofterioradefledit,eficitqzuthæcipfadiligantasuperioreinterim differentia 1932 Marsil. Ficin -in substitucreuiresabipsainseipsumunioneextramanantes,quibusdescendenscorporiaplícatur,co pulaitaßeiusad corpusperineffabilēquandāsuiipsiusimpleturextenfioné,quamobrénõaliud adem ultūipfuamlligat,fedipfumcerteseipfum,nec igiturefoluitipsum corpusquãdofrangitur autinterit,fèdipsum pociusfemetipsumcnodat,quádoafamiliariergasubiectâaffectionediuercio Quodquidemcūsitperfe&umadanimāestreda&um,animam inquãintellectualem,ideoas círculouoluitur, animaueromundiadintellectumattollitur,intelle&usauteerigituradprincipio Omniaitaqperueniuntadhocipsumab extremisexordientia,quatenus facultassuppecitunicuic perueniūtinquam eleuationeadprimū, illucusą perducta: quæ quidēautexpropinquo,autex.lon ginquoeficifolet. Hæcitasnonsolumappetere Deūdicipossunt,sedetiam prouiribusafequizin lubstancijsueroparticularibus, &admultalabipotentibusineft procliuitasdeflectēsadgenicuras: ideoiginhisdeli&um dicituraccidissezinhisinfidelitaseftdamnata. Hasigiturcontaminatiplama teria,proptereaquodadhácdefledipossint, cũtamenintereaaddiuinūseualeantcôuertisse: quoniãeft&nufquā:fedDeus quidem ubique& nusquãeftcorum omnium ,quæ funtpoft ipsum. Suiueròipfiuseftfolum, ficutest,atqueuult. Intelle&usautem inDeoquidemubica eft,fedineis, quæfuntpoftipsum,existirnusquapariter, &ubiqueanimatandeminincele&tu,acor Deo ,fimilitereftubiq ,incorporeuero'ubiqeftfimul & nusquá. Corpusaūt& inanima,& inintels lectu , & in Deo , omnia profe & o cūentia,t u m non entia ex Deo sunt, & ideonec tamēipfeDeus eft,cum entia,tum nonentia,necexistitineis. Sienimessetduntaxatubiq ipfequidéomnia,& in omnibus esset. A  quoniam est, et nusquam, omnia sane per ipsum fi unc f i u n t á ž r ursus in ipso, quiam ipfeexistitubios: diuersarursusabipfo, quoniãipsenusqua. Similiterintele&u subicexistens,atqs nus quã, causa est animaram, animasæ sequentium: neq s ipse anima est, neg quæ post animam, neque in cis existic: quoniamuidelicetnon folum ubiqueest, eorumque,quæfuntpoftipsum,sed&nusquã. Rursus animanequecorpuseft, nequeestincorpore, fedcausacorporis,quoniam dum ubiq eftper corpussimuleft, &incorporenusquam,processusdeniquniuersiinilluddefinit, quodnec ubiqfi mui, nequenusquamesseualet, sedalternisquibusdamuicibusutriusquefitparticeps. Giustino (filosofo) filosofo e martire cristiano Lingua Segui Nota disambigua.svg Disambiguazione – "Giustino martire" rimanda qui. Se stai cercando altri martiri con questo nome, vedi San Giustino. San Giustino Justin filozof.jpg Icona russa di san Giustino   Padre della Chiesa e martire    NascitaFlavia Neapolis, 100 MorteRoma, 163/167 Venerato daTutte le Chiese che ammettono il culto dei santi Santuario principaleCollegiata di San Silvestro Papa, Fabrica di Roma (VT) Ricorrenza1º giugno, 14 aprile (1882–1968) Attributipalma, libro Patrono difilosofi Giustino, conosciuto come Giustino martire o Giustino filosofo (Flavia Neapolis, 100 – Roma, 163/167), è stato un martire cristiano, filosofo e apologeta di lingua greca e latina, autore del Dialogo con Trifone, della Prima apologia dei cristiani e della Seconda apologia dei cristiani. A lui dobbiamo anche la più antica descrizione del rito eucaristico.   Iustini Philosophi et martyris Opera, 1636 Fu uno dei primi filosofi cristiani, e venerato come santo e Padre della Chiesa dai cattolici e dagli ortodossi. La memoria si celebra il 1º giugno.   La Chiesa Cattolica lo considera anche santo patronodei filosofi insieme a Caterina d'Alessandria, pur non essendo nessuno dei due nel novero dei Dottori della Chiesa.  BiografiaModifica Giustino, che spesso si dichiarava in verità samaritano, visto il suo nome e il nome di suo padre - Bacheio - sembra piuttosto di origini latine o greche. La sua famiglia probabilmente si era stabilita da poco in Palestina, al seguito degli eserciti romani che qualche anno prima avevano sconfitto gli Ebrei e distrutto il Tempio di Gerusalemme.   Come riferisce Giustino stesso nel Dialogo con Trifone, venne educato nel paganesimo ed ebbe un'ottima educazione che lo portò ad approfondire i problemi che gli stavano più a cuore, quelli riguardanti la filosofia. Racconta che la sua smania di verità lo portò a frequentare molte scuole filosofiche. Presso gli stoicinon trovò giovamento, in quanto il problema di Dio, per questa filosofia, non era essenziale. Poi frequentò la scuola peripatetica, ma anche presso questi filosofi non trovò quanto cercava. Si recò presso un filosofo pitagorico che lo sollecitò dunque ad approfondire le arti della musica, dell'astronomia e della geometria. Ma Giustino, troppo concentrato nel voler raggiungere la "verità" e la "conoscenza di Dio", reputava tempo sprecato il soffermarsi su tali materie.   Approdo al platonismoModifica Da ultimo frequentò una scuola platonica; un maestro di questa filosofia era da poco giunto nel suo paese e presso questa corrente filosofica trovò quanto credeva di cercare. «Le conoscenze delle realtà incorporee e la contemplazione delle Idee eccitava la mia mente...», dice Giustino. Si convinse che questo lo avrebbe portato presto alla "visione di Dio", che considerava essere lo scopo della filosofia. Decise di ritirarsi in solitudine lontano dalla città, ma in questo luogo appartato, secondo quanto racconta nel prologo del Dialogo con Trifone, incontra un anziano, con cui inizia un serrato dialogo, incentrato su Dio e su cosa fare della propria vita. Dopo aver dichiarato all'anziano la sua idea di Dio «Ciò che è sempre uguale a sé stesso e che è causa di esistenza per tutte le altre realtà, questo è Dio», l'anziano lo porta a ragionare su di un aspetto che forse a Giustino era sfuggito: come possono i filosofi elaborare da soli un pensiero corretto su Dio se non l'hanno né visto né udito? E porta il giovane a meditare sulle persone considerate "gradite a Dio" e dallo stesso "illuminate", i Profeti, che nel tempo avevano parlato di Dio e "profetizzato in Suo nome", in particolare la "venuta del Figlio nel mondo" e la possibilità "attraverso di Lui" di avere una "vera conoscenza del divino".[1]  Conversione al cristianesimoModifica Dopo questa esperienza, Giustino si converte al Cristianesimo e per tutto il resto della sua vita educherà i discepoli, utilizzando gli stessi schemi usati dalle altre scuole filosofiche. Oltre a questo incontro, che fu decisivo per la sua conversione, Giustino indica anche un altro fatto che lo rinfrancava nella fede: «Infatti io stesso, che mi ritenevo soddisfatto delle dottrine di Platone, sentendo che i cristiani erano accusati ma vedendoli impavidi dinanzi alla morte ed a tutti i tormenti ritenuti terribili, mi convincevo che era impossibile che essi vivessero nel vizio e nella concupiscenza».   Giustino viaggiò molto, andò a Roma una prima volta e quando ritornò vi aprì una scuola filosofica a impronta cristiana, i suoi insegnamenti insistevano molto sui fondamenti razionali della fede cristiana. Questo approccio, molto diverso da quelli tradizionali, suscitò numerose controversie sia con gli stessi cristiani sia con alcuni filosofi, specialmente con Crescenzio il cinico.   La sua fede lo porterà a subire una morte violenta. Fu condannato a morte da Giunio Rustico che era prefetto di Roma e amico dell'imperatore Marco Aurelio, fra il 163 e il 167, con queste parole:   «Coloro che si sono rifiutati di sacrificare agli dèi e di sottomettersi all'editto dell'imperatore, siano flagellati e condotti al supplizio della pena capitale, secondo le vigenti leggi.»  Di questo processo esiste ancora il verbale: Martyrium SS.Justini et sociorum VI. Giustino venne decapitato assieme a sei dei suoi discepoli, Caritone e sua sorella Carito, Evelpisto di Cappadocia, Gerace di Frigia (schiavo della corte imperiale), Peone e Liberiano.   Le sue reliquie furono traslate da Roma il 22 settembre 1791, e si trovano attualmente sotto l'altare maggiore della Collegiata di San Silvestro Papa a Fabrica di Roma, in provincia di Viterbo.[2]  Giustino fu il primo di una serie di autori cristiani che intravide in Eraclito, Socrate, Platone e negli stoicidegli autori precristiani, precursori del Cristo e da esso ispirati.[3] Anche lo Spirito Santo è identificato con Dio stesso. A suo avviso, la nozione trinitaria fu introdotta già dal platonismo.[4]  A Giustino si deve la più antica descrizione della liturgia eucaristica. Egli fu il primo ad utilizzare la terminologia filosofica nel pensiero cristiano ed a tentare di conciliare fede e ragione. Si schierò duramente contro la religione pagana ed i suoi miti mentre privilegiò l'incontro con il pensiero filosofico.   La figura di Giustino attrasse l'attenzione di Lev Tolstojil quale nel 1874 dedicò al santo cristiano una breve agiografia, Vita e passione di Giustino filosofo martire[5].   OpereModifica Dialogo con Trifone, Edizioni Paoline, Milano 1988. Le due apologie, Edizioni Paoline, Milano 2004. ( LA ) [Opere], Parisiis, apud Carolum Morellum typographum regium, via Iacobaea ad insigne Fontis, 1636. Il Dialogo con Trifone, la Prima apologia dei cristiani e la Seconda apologia dei cristiani, ci sono pervenute in un manoscritto del 1364, conservato a Parigi.[6]  La Prima apologia dei cristianiModifica «Io, Giustino, di Prisco, figlio di Baccheio, nativi di Flavia Neapoli, città della Siria di Palestina, ho composto questo discorso e questa supplica, in difesa degli uomini di ogni stirpe ingiustamente odiati e perseguitati, io che sono uno di loro.»  (Apologia Prima, I, 2) La Prima apologia dei cristiani è indirizzata all'imperatore Antonino Pio e al Senato romano. In essa compare un tema che sarà ampiamente sviluppato dall'apologetica cristiana, cioè la critica della prassi diffusa presso i tribunali romani, per la quale il solo fatto di appartenere alla religione cristiana era motivo sufficiente di condanna.   Giustino inoltre polemizza con i pagani riguardo ad alcune contraddizioni interne alla società romana, per esempio fa notare come, mentre i cristiani sono condannati a morte perché ritenuti atei, vari filosofi greci e latini sostengono apertamente l'ateismo senza conseguenze.   Interessante, poi, è il fatto che Giustino citi abbondantemente vari brani dei vangeli sinottici per esporre le dottrine cristiane; ancor più notevoli sono i tentativi dell'apologeta per convincere i pagani della verità del Cristianesimo attraverso le citazioni di autori classici sia di filosofia (come Socrate e Platone) che di mitologia (come Omero e la Sibilla) che vengono accostati a brani dei vangeli o dell'Antico Testamento.   «Sia la Sibilla sia Istaspe profetarono la distruzione, attraverso il fuoco, di ciò che è corruttibile.   I filosofi chiamati Stoici insegnano che anche Dio stesso si dissolve nel fuoco, ed affermano che il mondo, dopo una trasformazione, risorgerà. [...]   Se dunque noi sosteniamo alcune teorie simili ai poeti ed ai filosofi da voi onorati [...] perché siamo ingiustamente odiati più di tutti?   Quando diciamo che tutto è stato ordinato e prodotto da Dio, sembreremo sostenere una dottrina di Platone; quando parliamo di distruzione nel fuoco, quella degli Stoici; quando diciamo che le anime degli iniqui sono punitemantenendo la sensibilità anche dopo la morte, e che le anime dei buoni, liberate dalle pene, vivono felici, sembreremo sostenere le stesse teorie di poeti e di filosofi [...]   Quando noi diciamo che il Logos, che è il primogenito di Dio,[7] Gesù Cristo il nostro Maestro, è stato generato senza connubio, e che è stato crocifisso ed è morto e, risorto, è salito al cielo, non portiamo alcuna novità rispetto a quelli che, presso di voi, sono chiamati figli di Zeus.   Voi sapete infatti di quanti figli di Zeus parlino gli scrittori onorati da voi: Ermete, il Logos [...]; Asclepio, che [...] ascese al cielo; Dioniso, che fu dilaniato; Eracle, che si gettò nel fuoco [...] e Bellerofonte, che di tra gli uomini ascese con il cavallo Pegaso.   Se poi, come abbiamo affermato sopra, noi affermiamo che Egli è stato generato da Dio come Logos di Dio stesso, in modo speciale e fuori dalla normale generazione, questa concezione è comune alla vostra, quando dite che Ermete è il Logos messaggero di Zeus.   Se poi qualcuno ci rimproverasse il fatto che Egli fu crocifisso anche questo è comune ai figli di Zeus annoverati prima, i quali, secondo voi, furono soggetti a sofferenze. [...]   Se poi diciamo che è stato generato da una vergine, anche questo sia per voi un elemento comune con Perseo.   Quando affermiamo che Egli ha risanato zoppi e paralitici ed infelici dalla nascita, e che ha resuscitato dei morti, anche in queste affermazioni appariremo concordare con le azioni che la tradizione attribuisce ad Asclepio.»  (Apologia Prima, XX-XXII) L'opera si conclude con una petizione che contiene una lettera dell'imperatore Adriano,[8] la quale serve a Giustino per mostrare come anche un'autorità imperiale era del parere di giudicare i cristiani in base alle loro azioni e non in base a dei pregiudizi; ed una lettera dell'Imperatore Marco Aurelio e del "Miracolo della pioggia" durante le guerre marcomanniche.[9]  Il Dialogo con TrifoneModifica «La filosofia in effetti è il più grande dei beni e il più prezioso agli occhi di Dio, l'unico che a lui ci conduce e a lui ci unisce, e sono davvero uomini di Dio coloro che han volto l'animo alla filosofia [...]»  (Dialogo con Trifone[10]) Oltre alle già citate Prima apologia dei cristiani (grecoἈπολογία πρώτη ὑπὲρ Χριστιανῶν πρὸς Ἀντωνῖνον τὸν Εὐσεβῆ; latino Apologia prima pro Christianis ad Antoninum Pium) e Seconda apologia dei cristiani(greco Ἀπολογία δευτέρα ὑπὲρ τῶν Χριστιανῶν πρὸς τὴν Ρωμαίων σύγκλητον, latino Apologia secunda pro Christianis ad Senatum Romanum), Giustino scrisse il Dialogo con Trifone (greco Πρὸς τρυφῶνα Ἰουδαῖον διάλογος, latino Cum Tryphone Judueo Dialogus), opera dedicata a un certo Marco Pompeo. Il tema è il confronto con il giudaismo, con il quale i cristiani avevano in comune l'Antico Testamento, un terreno utile per un dialogo. Si tratta di un dibattito che si svolge ad Efeso nell'arco di due giorni e vede protagonisti Giustino e Trifone, nel quale è stata individuata da alcuni storici la personalità di un rabbino realmente esistito. Lo scopo di questo dialogo è mostrare la verità del cristianesimo, rispondendo alle principali obiezioni mosse dagli ambienti giudaici. In particolare, Giustino vuole dimostrare che il culto di Gesù non mette in discussione il monoteismo e che le profezie descritte nell'Antico Testamento si siano avverate con l'avvento di Cristo. Il dialogo assume toni sempre rispettosi e amichevoli e non si conclude, com'era consuetudine per gli scritti cristiani, con la richiesta da parte del giudeo del battesimo. A tal proposito, alcuni studiosi si sono chiesti se effettivamente le motivazioni portate avanti da Giustino in questo dialogo fossero valide a convertire un giudeo. Sembra piuttosto verosimile, invece, che quest'opera sia una risposta di Giustino ai dubbi che i cristiani stessi del tempo nutrivano verso la loro fede.   L'opera presenta anche un prologo, in cui Giustino racconta di un suo incontro con un vecchio saggio che lo introdusse al cristianesimo.[11] Giustino lo interroga tra l'altro sulla dottrina, da lui professata, della trasmigrazione delle anime anche dentro corpi animali, esposta nel Timeo platonico. L'interlocutore gli risponde che una tale possibilità non avrebbe senso, perché non darebbe nessuna reminiscenza delle colpe passate e quindi neppure la capacità di pentirsi.[12] In secondo luogo, il vegliardo passa a confutare la dottrina dell'immortalità dell'anima.[13]  NoteModifica ^ Philippe Bobichon, "Filiation divine du Christ et filiation divine des chrétiens dans les écrits de Justin Martyr" in P. de Navascués Benlloch, M. Crespo Losada, A. Sáez Gutiérrez (dir.), Filiación. Cultura pagana, religión de Israel, orígenes del cristianismo, vol. III, Madrid, 2011, pp. 337-378 online ^ La reliquia di San Giustino Martire ( PDF ), su parrocchiafabrica.it. ^ Étienne Gilson, La filosofia nel Medioevo, BUR saggi, p.17, OCLC 1088865057 ^ Giuseppe Girgenti, Giustino Martire: il primo cristiano platonico : con in appendice "Atti del martirio di San Giustino", Pubblicazioni del Centro di Ricerche di Metafisica, Platonismo e filosofia patristica, n. 7, Milano, Vita e pensiero, 1995, p. 108, OCLC 1014519733. URL consultato il 19 novembre 2020. ^ Lev Tolstoj, «Vita e passione di Giustino filosofo martire». In: Lev Tolstòj, Tutti i racconti, a cura di Igor Sibaldi, Milano: Mondadori, Vol. I, pp. 808-810, Collana I Meridiani, III ed., aprile 1998, ISBN 88-04-34454-7 ^ Philippe Bobichon, "Œuvres de Justin Martyr : Le manuscrit de Londres (Musei Britannici Loan 36/13) apographon du manuscrit de Paris (Parisinus Graecus 450)", Scriptorium 57/2 (2004), pp. 157-172 art. online ^ Francesco Barbaro, Apologia seconda di S. Giustino filosofo e martire in favor de' Cristiani al Senato romano traduzione dal greco nell'italiano pubblicata in occasione che mette fine alla sua quaresimale predicazione l'anno 1814., Treviso, Tipografia Trento, 1812, p. 29. URL consultato il 19 novembre 2020. Citazione. Essendo manifesto da tutte l'opere di san Giustino, ch'egli ben sapeva e confessava l'equalità del Verbo col Padre... ^ ( EN ) Lettera di Adriano. Lettera di Marco Aurelio al Senato. ^ Cit. in Jacques Liébaert, Michel Spanneut, Antonio Zani, Introduzione generale allo studio dei Padri della Chiesa, Queriniana, Brescia 1998, p. 47. ISBN 88-399-0101-9. ^ Giuseppe Visonà, introduzione a Saint Justin, Dialogo con Trifone, Paoline, 1988. ^ Étienne Gilson, La filosofia nel Medioevo, BUR Rizzoli.Saggi, n. 5, 6ª edizione, Milano, BUR Rizzoli, marzo 2019, pp. 14,12, OCLC 1088Giuseppe Girgenti, Giustino Martire: il primo cristiano platonico, Vita e Pensiero, Mario Niccoli, GIUSTINO, santo, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1933.  Modifica su Wikidata Arthur J. Bellinzoni, The Sayings of Jesus in the Writings of Justin Martyr, Leiden, Brill, 1967. Philippe Bobichon, Dialogue avec Tryphon, édition critique. Editions universitaires de Fribourg, 2003, Vol. I: Introduction, Texte grec, Traduction ; Vol. II: Commentaires, Appendices, Indices Étienne Gilson, La Philosophie au Moyen Âge. Des origines patristiques a la fin du XIV siècle, Payot, Paris 1952 (trad. it. La filosofia nel Medioevo. Dalle origini patristiche alla fine del XIV secolo, La Nuova Italia, Scandicci 1997). Johannes Quasten. Patrologia, Marietti, Giustino, santo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Modifica su Wikidata Giustino, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Giustino, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Modifica su Wikidata Opere di Giustino / Giustino (altra versione) / Giustino (altra versione), su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Modifica su Wikidata ( EN ) Opere di Giustino, su Open Library, Internet Archive.Audiolibri di Giustino / Giustino (altra versione) / Giustino (altra versione), su LibriVox. Giustino, su Goodreads. Modifica su Wikidata ( EN ) Giustino, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata Giustino, su Santi, beati e testimoni, santiebeati.it. Modifica su Wikidata Apologia Prima, su monasterovirtuale.it. URL consultato il 14 agosto 2017 (archiviato dall' url originale  il 14 agosto 2017). Apologia Seconda, su monasterovirtuale.it. URL Santi Caritone e compagni, discepoli di san Giustino, in Santi, beati e testimoni - Enciclopedia dei santi, santiebeati.it. Catechesi, su w2.vatican.va. di papa Benedetto XVI su Giustino tenuta durante l'Udienza generale di mercoledì 21 marzo 2007 Opera Omnia dal Migne Patrologia Graeca con indici analitici e traduzioni (EN, IT, PT), su documentacatholicaomnia.eu.  Portale Biografie   Portale Cristianesimo   Portale Filosofia Patristica studio dei Padri della Chiesa  Taziano il Siro teologo e filosofo siro  Filosofia cristiana Wikipedia. Giuseppe Girgenti. Girgenti. Keywords: la parola che non s’incatena, Giustino martire, la traduzione di Boezio delle Categorie di Porfirio, traduzione di Marsilio Ficino delle sentenze sugl’intelligibili di Porfirio, henologia platonica, categoria, prediccamento, Agostino, Boezio, predicare, predicato. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Girgenti” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Girotti: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della curva – la filosofia nella storia d’Italia – il caso Gentile -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Adria). Filosofo. Grice: “I like Girotti; for one, he has explored the idea of ‘beauty,’ which Sibley should, but did not!” Si laurea a Padova, sotto San

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