z za jr'srs' EMILIO MORSELLI PRINCIPI DI LOGICA LIVORNO RAFFAELLO GIUSTI, EDITORE LIBRAIO-TIPOGRAFO M 1906 PROPRIETÀ LETTERARIA Livorno, Tipografia di Raffaello Giusti. INDICE Capitolo I. Pag. 1-11 1. Ufficio della logica, 1. — 2. Divisione generale della logica, 2. — 3. Lo¬ gica e psicologia; relazioni e differenze, 3. — 4. Le origini della logica razionale, 5. — 5. Il linguaggi*} o il ragionamento. 7. — 0. La logica o l’edu¬ cazione dello spirito, 9. Capitolo II.12-17 1. I principi logici, 12. — 2. Il principio del terzo escluso e il principio di ragion sufficiente, 14. — 3. L’origino psicologica dei princìpi logici, 15. Capitolo III.18-30 1. Il concetto; come si forma, 18. — 2. I caratteri del concetto, 21. — 3. La relazione tra i concetti, 24. — 4. Le categorie, 28. Capitolo IV.31-46 1. Che cos’c il giudizio, 31. — 2. Classificazione dei giudizi. 33. — 3. Giu¬ dizi analitici e giudizi sintetici, 36. — 4. Giudizi “ esistenziali „ e giudizi di valore, 37. — 5. 11 ragionamento, 39. — 6. Trasformazione dei giudizi per subalternazione, per opposizione, per equipollenza, 40. — 7. Conver¬ sione o contrapposizioue dei giudizi, 43. — 8. L’evoluziono psicologica dol giudizio, 44. Capitolo V . 47-57 1. Il sillogismo; nozioni preliminari. 47. — 2. Lo regole del sillogismo, 49. — 3. Le figure e i modi del sillogismo, 51. — 4. Forme sillogistiche secon¬ darie, 53. — 5. Sillogismi composti, 54. Capitolo VI . 58-69 1. La logica aristotelica, 58. — 2. La sillogistica aristotelica neU'antichità e nel medio-evo, 59. — 3. Francesco Bacone e G. Stuart Mill, 61. — 4. Al¬ tre obbiezioni contro il sillogismo, 04. — 5. La novità della conclusione nel sillogismo, 66. — 6. La certezza scientifica nella conclusione del sillo¬ gismo, 07. Capitolo VII. . . . ..70-78 1. Clie cos'è uu sofisma; i sofismi verbali, 70. — 2. Sofismi propriamente detti, 71. — 3. La logica dei sentimenti, 74. — 4. Le forme della logica affettiva, 76. VI INDICE. Capitolo Vili . Pag. 79*88 1. Il metodo; nozioni generali, 79. — 2. Il sapere scientifico, 80. — 3. Cbe cosa è una scienza, 82. — 4. La classificazione delle scienze, 84. Capitolo IX. 89-102 1. L’osBervazione scientifica, 89. — 2. L'esperimento, 93. — 3. La ricerca della causa, 94. — 4. Valore del principio di causa. 95. — 5. Evoluzione del concetto di causa, 96. — 6. I quattro metodi sperimentali di G. Stuart Mill, 97. — 7. Osservazioni intorno ai metodi dello Stuart Mill, 99. — 8. Ec¬ cezioni apparenti del principio di causa, 101. Capitolo X . 103-117 1. Che cos’è una legge naturale, 103. — 2. I caratteri della legge natu¬ rale. 105. — 3. L’evoluzione del concetto di legge, 107. — 4. Conno storico della teoria logica dell’induzione, 110. — 5. Galileo Galiloi o G. Stuart Mill. 113. Capitolo XI . 118-132 1. La deduzione, 118.— 2. 11 fondamento delja deduzione, 119. — 3. L’ipo¬ tesi, 122. — 4. Esempio d’ipotesi generale, 124. — 5. L’analogia, 126. — 6. Valore dell’inferenza analogica, 127. — 7. La logica dell’invenzione. 129. Capitolo XII.133-142 1. Il metodo sistematico, 133. — 2. Lo definizione; norme generali. 134. — 3. Oggetto della definizione, 135. — 4. Diverse specie di definizioni, 137.— 5. Regole della definizione, 138. — 6. La divisione, 139. — 7. La classifica¬ zione; utilità e specie diverse, 140. — 8. Fondamento della classifica¬ zione, 142. Capitolo XIII . 143-152 1. La dlmostraziono, 143. — 2. Prova diretta, 144. — 3. Prova indiretta — 4. I principi supremi delle scienze, 145. — 5. Definizioni, ipotesi, postulati, assiomi, 146. — 6. Il calcolo delle probabilità, 149. Capitolo XIV. . . 153-170 1. Carattere generale delle scienze storiche, 153. — 2. Oggetto dello scienze storiche, 155. — 3. Svolgimento del concetto di storia. 157. — 4. La storia è una scienza o un’arte? — 5. La critica storica, 162. — 6. Esiste una scienza generale della sociotà ?, 166. — 7. Il metodo nello studio dei feno¬ meni sociali. 168. Capitolo XV . 171-178 1. La verità e il pensiero, 171. — 2. La verità e gli oggetti esteriori, 172. — 3. L’autorità e la scienza, 173. — 4. Il criterio della verità, 175. — 5. Il dubbio metodico, 177. Conclusione. — II problema della conoscenza . . . . 179-190 ]. Il problema della conoscenza, 179. — 2. L'origine della conoscenza, 180. — 3. Il valore della conoscenza, 183. — 4. L’oggetto della conoscenza, 186. — 5. Scienza e filosofia, 188. Raccolta di alcune fra le voci più comuni nella logica . 191-200 CAPITOLO I. 1. Ufficio della logica — 2. Divisione generale della logica — 3. Logica e psico¬ logia; relazioni e differenze — 4. Le origini della logica razionale — 5. 11 linguaggio e il ragionamento — 6. La logica e l'educazione dello spirito. 1. Ufficio della logica. — Una tendenza naturale e in¬ vincibile dello spirito umano in ogni momento della sua storia e del suo sviluppo lo spinge a conoscere e a spiegare i fenomeni che cadono sotto i sensi; un tale bisogno s’ap¬ plica dapprima alle cose che hanno o sembrano avere un’uti¬ lità pratica e sono favorevoli alla conservazione e al mi¬ glioramento dell’esistenza ; più tardi, quando la lotta per la vita è divenuta meno aspra, la curiosità e la ricerca si l’anno a mano a mano disinteressate e sono coltivate per sè stesse, senza mirare in modo esclusivo alle necessità pra¬ tiche. Sorge allora il sapere scientifico, si formano lentamente le singole scienze e la filosofia, le quali si possono ben con¬ siderare come il prodotto più elevato e più pregevole dell’ in¬ telletto umano, del quale mettono in chiara luce tutta la mirabile potenza. Qualunque scienza oggi si consideri, si possono in essa distinguere duo cose : la materia ossia Voggetto studiato ; la forma ossia l’insieme delle operazioni che la mente nostra compie e dei procedimenti che adopera per conseguire la scienza di quell’oggetto e per giungere alla conoscenza vera delle cose. Valga a chiarire tale distinzione l’esempio della psicologia sperimentale : la materia di questa scienza è co¬ stituita da fatti psichici, cioè da quei fatti che ognuno può Morselli, Principi di Logica — 1 PRINCIPI DI LOGICA. 2 constatare nella propria coscienza come sensazioni, perce¬ zioni, idee, sentimenti, desideri, volizioni ; ma per ottenere la conoscenza scientifica della materia psicologica occorrono svariate operazioni tra loro strettamente connesse. Innanzi tutto è necessario formarsi un concetto ben chiaro del fatto psichico, determinando con precisione i caratteri che gli sono propri e che lo distinguono dagli altri fatti naturali, oggetto delle altre scienze; inoltre, poiché i fatti psichici, come si presentano alla nostra osservazione, mostrano fra loro diffe¬ renze più o meno spiccate, sorge l’esigenza d’una classifica¬ zione in fatti di conoscenza, di sensibilità, di volontà, dei quali bisogna poscia ottenere una descrizione accurata, inda¬ gare le connessioni, ricercare e stabilire le leggi. In queste ope¬ razioni e in altre simili ad esse, che prescindono dalla materia e dal contenuto delle varie cognizioni, consiste l’ufficio della logica, la quale si può quindi definire come quella parte im¬ portante della filosofia, che ricerca e studia i principi for¬ mali della conoscenza, ossia, per parlare con maggior chia¬ rezza, qnellc cond izioni che debbono essere soddisfatte, affinchè una cognizione, qualunque possa essere il suo contenuto, si debba considerare come validamente costituita, ben fondata e vera, non come un semplice caso o una supposizione incon¬ sistente. In questo modo mentre le altre scienze s’occupano d’oggetti particolari, le matematiche del numero e dello spa¬ zio, la fisica dei fenomeni luminosi, elettrici, termici eco., la fisiologia dei fenomeni vitali, la logica si occupa invece delle condizioni generali della scienza stessa, in quanto mira ad assicurarci della verità formale di ciò che pensiamo, delle nostre idee e dei nostri ragionamenti, qualunque ne possa essere il contenuto. Si comprende quindi facilmente come la logica venga ritenuta una disciplina filosofica generale al pari della metafisica e della teoria della conoscenza o, con pa¬ rola greca, gnoseologia, le quali si riferiscono a tutto il con¬ tenuto del nostro sapere e non a parti determinate di esso. 2. Divisione generale della logica. — I principi formali della conoscenza si distinguono generalmente in semplici e complessi, secondochè si riferiscono alle forme elementari del pensiero, oppure alle forme dette metodiche, a costituir le quali CAPITOLO I. 3 ultime le prime contribuiscono come dementi. Quindi la divi¬ sione più razionale della logica è quella che distingue in essa due parti principali: la prima comprende lo studio delle forme elementari del pensiero, che sono il concetto, il giudizio, il sillogismo, nei quali si risolve ogni pensiero, per quanto grande sia la sua complessità ed ai quali corrispondono gli elementi linguistici, la parola, la proposizione, il ragiona¬ mento. La seconda parte abbraccia lo studio delle forme me¬ todiche che le scienze vengono applicando per acquistare nuove cognizioni e por ordinare e provare le cognizioni ac¬ quistate ; onde questa parte dicesi metodologia, e tratta del metodo inventivo che indica le norme, con le quali si possono estendere le nostre conoscenze, e del metodo sistematico, cioè dei procedimenti coi quali la scienza ordina le sue co¬ noscenze. La storia della scienza ci dimostra chiaramente che il metodo non si costituisce a priori, cioè prima che una scienza sia formata, ma piuttosto si deduce dalla scienza, quando questa ha raggiunto un certo grado di sviluppo ; anzi si può dire che il metodo si trova spesso in ritardo rispetto al cammino che percorre la scienza, nello stesso modo che i trattati dell’arte poetica sono l’espressione tardiva dell’arte contemporanea. Infine bisogna notare che ogni scienza speciale presenta un complesso particolare di norme e di procedimenti, che però non rientra nella trattazione della logica generale, essendo strettamente collegato con la materia che costi¬ tuisce il contenuto d’ogni singola scienza ; così il fisico, il chimico, il fisiologo, oltreché delle conoscenze generali di logica, fanno uso nelle loro osservazioni e nelle loro ricerche di re¬ gole e di mezzi speciali di indagine, che sono propri della scienza alla quale dedicano le loro forze intellettuali. 3. Logica e psicologia ; relazioni e differenze. — Le ope¬ razioni che formano l’oggetto della logica possono essere con¬ siderate sotto due diversi aspetti, ossia sotto l’aspetto logico e sotto l’aspetto psicologico. La psicologia tratta le operazioni logiche come tutti gli altri processi che sono offerti allo studio dello spirito umano, senza occuparsi per nulla della loro validità o della loro 4 PRINCIPI DI LOGICA. forza dimostrativa, stimando clie un cattivo ragionamento valga quanto uno buono, nello stesso modo che pel chimico lo zucchero e il vetriolo sono due corpi d’egual valore per l’osservazione scientifica. La logica invece è stata detta una « scienza ideale » , perchè ricerca le leggi che il pensiero deve seguire per procedere alla conoscenza delle cose, ossia ricerca la forma ideale del ragionamento, ciò che dev’essere un buon giudizio, un buon ragionamento. La psicologia studia lo spirito umano qual è, per cono¬ scerne i caratteri, la natura, le leggi e, tende a mostrare come si formano le idee, i giudizi, i ragionamenti e, in una parola, ha per fine di conoscere le condizioni reali delle no¬ stre operazioni intellettuali ; la logica mira a conoscere le forme ideali di queste stesse operazioni. Quindi l’una non fa che constatare fenomeni, l’altra ne considera il valore; l’una ricerca come noi pensiamo ordinariamente, l’altra come pen¬ siamo correttamente ; la logica va dal semplice al composto; concetto, giudizio, o legame di concetti, ragionamento, o le¬ game di giudizi ; la psicologia ripudia questo ordine come artificiale, e pone il giudizio come elemento primitivo, affer¬ mando che l’uomo ha cominciato a parlare per frasi espri¬ mendo un giudizio e che questa frase può essere o una sola parola, Vatirihuto, o due parole, soggetto e attributo, o tre parole, soggetto, attributo e copula ; ma che sotto queste forme diverse la funzione fondamentale rimane sempre la stessa : affermare o negare. Così, per citare ancora un esempio, che renda più evi¬ denti le differenze che corrono tra la psicologia e la logica, quest’ultima considera il giudizio nella sua forma compiuta, quale lo possiamo trovare nella scienza, nella letteratura, nei dogmi religiosi, o anche nelle affermazioni del buon senso, e che si esprime per mezzo di proposizioni le quali alla loro volta si compongono, nella maggior parte dei casi, di più termini. Invece il psicologo, ben lungi dall’indagare ciò che dev’essere un giudizio affinchè si possa ritenere valido, si chiede ciò che è come operazione mentale e in qual modo si forma : dietro i termini del giudizio egli ricerca le idee, dietro le idee le rappresentazioni ; nelle proposizioni scorge un potere d’analisi o di sintesi capace di dissociare gli eie- . ) r 5 CAPITOLO I. menti che l’esperienza presenta legati, d’unire quelli che l’esperienza presenta isolati, e vuol trovare l’origine di questo potere dello spirito umano, seguendone l’origine e lo sviluppo, rifacendosi dalle forme più semplici del giudizio quali si presentano nell’ infanzia, per risalire alle forme adulte e più elevato. In conclusione, mentre lo psicologo si pone il seguente problema : per quali influenze fisiologiche, psicologiche e so¬ ciali si sviluppa nell’uomo l’abitudine di giudicare, d’affer¬ mare e di credere? il logico si propone invece quest’altro: quali caratteri deve avere il ragionamento, a quali esigenze e a quali leggi deve obbedire affinchè possa dirsi regolare, libero da contraddizioni? La logica dunque vuole offrire al nostro pensiero un mo¬ dello da seguire, se inteude di apprendere l’uso retto e rigo¬ roso del ragionamento ; però, se un tale modello deve avere un valore reale, bisogna che abbia la sua base nella realtà, ossia nella conoscenza degli elementi e delle energie più pro¬ fonde e costanti dello spirito umano; di qui l’importanza e la necessità della psicologia per lo studio della logica. 4. Le origini della logica razionale. — Una lunga civiltà ha abi¬ tuato non solo gli uomini poco istruiti, ma ancor più quelli educati dalla disciplina scientifica ad ammettere senza riflessione che la log ica razionale, oggettiva, esatta sia sorta in modo spontaneo e naturale e che i logici altro non abbiano fatto che «strame le re¬ gole. Vi sono invece buone ragioni per affermare che la logica ra¬ zionale taira è il risultato acquisito d'unn lunga evoluzione e che la facoltà di ragionare e di inferire, suscitata e alimentata dai bi¬ sogni e dalle necessità della vita, è stata essenzialmente pratica ' e ha dovuto fare i suoi primi passi in modo incoerente e poco sicuro. Si è scritto molto e si son fatte numerose congetture intorno nlla costituzione mentale dell'uomo primitivo ; ma lasciando da una parte qualsiasi ricostituzione deU'uomo appartenente alla preisto¬ ria, vi sono i selvaggi attuali che, a torto o a ragione, si conside¬ rano come equivalenti a quello, e intorno ai quali si hanno notizie numerose, svariate e positive. In questi il livello delle facoltà lo¬ giche è assai basso e si mostrano evidenti l'incapacità all'astra¬ zione e la difficoltà estrema a collegare le idee secondo rapporti oggettivi; essi sanno invece rag ionare praticamente, per mezzo di percezioni e di immagini che conducono al risultato atteso cioè, alla PBISCIPI DI LOGICA. 6 conclusione, e hanno il loro fondamento e l'origine nelle necessità vitali e nelle questioni che si pongono di fronte agli agonti natu¬ rali e soprannaturali. Per convincersi di ciò basta pensare ai mezzi che l’uomo primitivo ha escogitato pel soddisfacimento dei suoi bi¬ sogni : pel nutrimento, la caccia e la pesca ; per difendersi dalle intemperie, le vesti e l'abitazione; per l'attacco e la difesa contro gli animali e i suoi simili, le armi. La costituzione d’uua .logica pura progredisce di pari passo coi progressi della tecnica, secondo le attestazioni dei documenti sturici, che dimostrano essere la tecnica la madre della logica ra¬ zionale : l'invenzione degli strumenti, degli utensili, della fusione dei metalli, della navigazione, dell’astronomia, dell'agrimensura ecc. Ita costretto a poco a poco lo spirito umano a sottoporsi alla di¬ sciplina del ragionare. Terò questi “ ragionamenti , non sono liberi dagli elementi affettivi e fantastici ; infatti noi sappiamo che ope¬ razioni profane, come il fabbricare uno strumento o l'edificare una capanna, esigevano un intervento soprannaturale, preghiere, sacri¬ fici, incantesimi, riti vari, forinole magiche ; tutte queste cose erano considerate intermediari indispensabili per arrivare allo scopo, o solo per l’influenza della coltura e della civiltà appare manifesta 1 in¬ differenza e la vanità di questi mezzi e si fa complota l'emancipa- ' zione della logica razionale. Quando questo strumento naturale d'esplorazione che è il ra¬ gionamento si è affermato e perfezionato con l'esercizio, l'abitudine e l'applicazione perseverante a materie di varia natura, sono venuti i logici clic hanno analizzato, dilucidato le inferenze corrette o hanno dettato le regole per ragionare correttamente, incominciando con Aristotile a studiare le forme più astratte o più rigorose del ra¬ gionamento. Però sono stati primi i Sofisti, i più antichi maestri d’eloquenza, che tentarono di rilevare le regole del pensiero cor¬ retto, nonché le regole grammaticali e le parti del discorso, delle quali tutti si servivano senza saperlo; 1' * arte del pensare, le regolo della dimostrazione e della confutazione divennero neces¬ sarie in quel'giorno, in cui la forza della parola potè modificare il verdetto d'un tribunale o l'opinione d'un’assemblea politica. (') Ma a questo proposito, non bisogna confondere tra loro la Io- pica e la dialettica, perchè quest’ultima è, come dice Aristotile, l’arto che apre la strada al vero mediante la discussione dello opinioni; discute, intorno ad un dato soggetto, le opinioni favorevoli e quelle contrarie, no rileva le difficoltà e le contraddizioni, si può, in una parola, considerare come l’arte della discussione. La potonza della (i) Rjbot, La logique des sentiinents, pag. 23 e seg., F. Alcnn, 1905. / CAPITOLO I. 7 parola è stata per un certo periodo della storia greca, lo strumento pl-iucipale per governare; e non solo nelle assemblee del popolo, ma anche nei tribunali, dove sedevano centinaia di giudici, la parola era come un’arme che adoperala abilmente, raddoppiava le proba¬ bilità della vittoria, e chi ne era privo, nel seno della propria pa¬ tria e nella pace più profonda, era cosi esposto agli attacchi degli avversari, come se si fosse precipitato nel tumulto della pugna senza spada e senza scudo. Si comprende quindi facilmente come nelle democrazie di quel tempo, la retorico, la quale è per metà dialettica e per metà stilistica, siasi coltivata per la prima volta come una professione e abbia preso un posto importante nell'edu¬ cazione della gioventù. 5. Il linguaggio e il ragionamento. — La parola si deve considerare non solo come un mezzo per comunicare le idee, ma anche come uno strumento efficacissimo per lo sviluppo del pensiero e del ragionamento. L’osservazione della psiche infantile ha dimostrato che non è possibile un certo sviluppo mentale senza Faiuto della parola nei primi anni di vita del bambino, durante i quali egli percepisce, esperimenta e ra¬ giona senza possedere un linguaggio propriamente detto, che si sviluppa poscia a poco a poco per un balbettio spontaneo, per l’espressione dei sentimenti e per influenza del linguaggio che si parla intorno a lui e che egli cerca d’imitare. Il Preyer ha riconosciuto nel fanciullo una « logica senza parole » che precede di molto lo sviluppo integrale del lin¬ guaggio. Infatti, quando il bambino allontana rapidamente la mano dalla fiamma che il giorno prima lo ha bruciato, non compie forse un vero e proprio giudizio di riconosci¬ mento ? L’ufficio della parola diviene importante quando sorgono le idee generali, per le quali la parola diviene un mezzo in¬ dispensabile ; infatti i sordomuti che non hanno appreso il linguaggio tattile esprimono le loro osservazioni in modo vivo o individuale per mezzo di gesti o di movimenti d’imita¬ zione ; e appunto per questo carattere individuale e concreto delle loro descrizioni non riescono a formare idee generali chiare e distinte, le quali non si staccano mai bene dalle rappresentazioni singolari; così, per indicare il cibo e il pasto essi accennano al proprio corpo, indicano il rosso toccando PRINCIPI UT LOGICA. 8 le proprie labbra, esprimono col gesto l’atto di innalzare un muro, di tagliare un abito; ma non sanno indicare l’idea generale di queste azioni, mancando loro l’udito e la parola. (*) Il linguaggio verbale ha quindi una doppia funzione: una funzione sociale, in quanto è il mezzo piti potente di co¬ municazione del pensiero ; una funzione che si può dire in¬ dividuale nel senso che ferma per mezzo di formule stabili i nostri pensieri più fuggevoli e più sottili, e li rende ai nostri occhi più chiari e più resistenti. Ammettiamo pure che la potenza del pensiero varchi i limiti d’espressione for¬ niti dal linguaggio, e che una serie più o meno lunga di idee possa decorrere nella nostra mente senza che ad essa corri¬ sponda una serie concatenata di parole ; così per esempio io posso passeggiare solo attraverso i campi, fermarmi un se¬ condo sulla sponda d’un fosso che io debbo passare : io ne « apprezzo » coll’occhio la larghezza, « misuro » lo sforzo che debbo fare e mi trovo senz’accorgermi sull’altra riva; tutte queste operazioni contengono una serie di « giudizi » veri e propri, di atti silenziosi. Però in questo e nei casi simili, le idee appaiono quasi come annebbiate, dai contorni indecisi, e sfuggono con estrema facilità, se il linguaggio non inter¬ viene ; e se poi qualche parola improvvisamente viene a mancare, si arresta in modo brusco l’enunciazione del giu¬ dizio, e il pensiero esce con fatica e spesso incompleto od offuscato. Il possedere un linguaggio ricco e atto ad espri¬ mere le più tenui sfumature del pensiero, equivale, pel pit¬ tore, all’avere una tavolozza ricca di colori coi quali si pos¬ sano porre in rilievo i minimi particolari d’un quadro. Certo non bisogna dimenticare, che se una lingua ben fatta e abbondante è il migliore strumento di progresso per l’intelligenza, tuttavia occorre che questa senta il bisogno di servirsene. Il vocabolario usuale d’una persona dedicata agli uffici più umili della vita si compone tutt’al più di qualche centinaio di parole, appunto perchè queste sono sufficienti alle sue necessità intellettuali ; e la povertà del linguaggio di alcuni popoli che vivono in uno stato di roz¬ zezza primitiva, non è la causa, ma l’effetto della loro po- (i) Hoffding, Psychologie, pag. 229, F. Alcan, 1900. CAPITOLO I. 9 vertà mentale. Infine è da notarsi che se il concetto non può far di meno d’una forma espressiva, la forma espressiva non ha per sua necessaria condizione una forma logica o un concetto. G. La logica e l’educazione dello spirito. — Lo storico Tucidide dice che in una nazione colta e civile si esige non già che tutti i cittadini debbano essere capaci di trovare la soluzione dei problemi che loro si presentano, ma che sap¬ piano giudicare con criterio retto ed equanime le soluzioni trovate ed affermate dagli specialisti. Per raggiungere questo fine, oltre ad un certo complesso di cognizioni letterarie e scientifiche, sono indispensabili le buone abitudini intel¬ lettuali , che ci avvezzano a considerare le cose con pazienza, a scorgere facilmente la falsità delle soluzioni affrettate e troppo semplici, e a convincerci che a conoscer bene la realtà occorrono analisi prudenti e ossorvazioni accurate e ripe¬ tute. Inoltre lo spirito deve avere l’amore disinteressato del vero, assoggettarsi alla sola evidenza razionale, veder chiaro nelle proprie idee, non prendere le proprie preferenze per buoni argomenti, i propri pregiudizi o le proprie passioni per dimostrazioni valide. Lo studio coscienzioso della logica può recare un aiuto efficacissimo a questo scopo, divenire quasi un’igiene dello spirito e la preparazione necessaria ad ogni istruzione scientifica seria e profonda; e questo si può affermare per più ragioni. Anzitutto la logica è utile considerata come scienza per sè stessa ; infatti, poiché V intelligenza è lo strumento indi¬ spensabile in ogni ramo di cognizioni scientifiche e queste ultime non si possono pensare senza di quella che in certo modo le crea e le sviluppa, ne viene che è necessario al¬ l’uomo conoscerne l’intima struttura ed il valore intrinseco, nello stesso modo che nessuna persona sensata vorrà adope¬ rare uno strumento qualsiasi senza possederne una qualche cognizione. In questo caso la necessità è di gran lunga maggiore, poiché si tratta di conoscere come opera e come funziona ciò che Bacone ha denominato « instrumentum instru- mentorum ». 10 PRINCIPI DI LOGICA. Però lo studio delle operazioni logiche del pensiero ha un’altra ragione pur grave, se si considera come disciplina dell’intelligenza, come conoscenza tecnica necessaria per aguz¬ zare e rafforzare la facoltà del ragionamento e per rendere più pronto e più sagace lo spirito d’osservazione. Il vedere come la nostra mente, partendo dall’osservazione dei fatti e paragonan¬ doli fra loro, riesce ad ottenere una cognizione generale, una legge naturale che ordina e rischiara tutta una serie di fatti, ci aiuta a comprendere come si acquista il sapere e per quali con¬ dizioni questo sapere deve rispondere alla verità, e rendere più forte l’attitudine a cogliere i rapporti fra le cose. Invece, l’accettare da altri una scienza bell’e fatta, la quale non richiede da noi altra briga che quella, troppo leggera, di credervi, non ci fornisce l’abito della critica, il desiderio della prova rigorosa, e ci abitua a prestar la stessa fede ai fatti constatati, alle leggi saldamente stabilite, e alle ipotesi probabili e solo possibili ; il sapere che una verità è am¬ messa come certa non è come sapere in qual maniera, con quali procedimenti e con quante precauzioni quella si sta¬ bilisce, come nacque, come crebbe e venne formandosi. So¬ lamente in questo modo si impone il rispetto e l’amore della verità scientificamente fondata e si formano le intelligenze libere, attive, desiderose di conoscere, educate all’osserva¬ zione e alla critica, e tolleranti delle opinioni altrui. Un pregiudizio assai diffuso pone la memoria come unica base dell’educazione intellettuale, e si considera come cosa impor¬ tantissima il versare nella mente il più gran numero possi¬ bile di cognizioni, il ripetere con precisione tutto ciò che è entrato passivamente nel cervello. E questo un errore fatale, poiché s’è constatato infinite volte che in un breve periodo di tempo si dimentica una gran parte di ciò che si è studiato meccanicamente con grande fatica. Ciò che più importa è invece abituarci a pensare colla nostra testa, formare lo spi¬ rito d’iniziativa : il fanciullo che impara a camminare, im¬ para appunto perchè va colle sue gambe e non colle altrui ; insegnare ad osservare, scrive il Gabelli, è insegnare a pen¬ sare, a operare, a vivere, è infine formare la testa, intento principalissimo dell’ istruzione ; quando invece l’offrire, o l’imporre dogmaticamente le cognizioni bell’e fatte, è anne- CAPITOLO I. 11 gliittire l’intelligenza, uccidere la spontanea attività del pen¬ siero, consumare l’anima. (*) Certo non si può negare che si può divenire un grande scienziato e un finissimo ragionatore senza aver latto uno studio speciale della logica, nè questa sa rendere forte e penetrante uno spirito che è naturalmente falso ed ottuso ; ma come lo studio coscienzioso della grammatica, senza for¬ mare da sè solo lo scrittore, gli concede il possesso sicuro della lingua, così lo studio delle leggi che il pensiero segue nella conoscenza rende più sicuro e robusto l’organo del ra¬ gionamento. Quindi, se la logica riflessa è insufficiente quando le venga meno l’aiuto della logica naturale, la quale non si impara sui libri e nelle scuole, ma si ha dalla natura, quando invece questa vi sia, la nostra mente può essere più facil¬ mente avviata ad usare del pensiero con abilità e con frutto. (») Gabelli, L’istruzione in Ilalia, voi. I. pAg. 208, Bologna, Zanichelli, 1871. / 12 PRINCIPI DI LOGICA. CAPITOLO II. J. I principi logici — 2. 11 principio del terzo escluso e il principio di ragion suf¬ ficiente — 3. L’origine psicologica dei principi logici. 1. I principi logici. — Poiché la logica mira ad assicurarci della verità e della validità delle nostre cognizioni e dei nostri ragionamenti, si presenta naturale la domanda se esi¬ stano principi o leggi fondamentali, alle quali ogni nostro pensiero debba obbedire affinchè possiamo essere certi della sua verità. Il principio di identità, il principio di contraddizione, quello del terzo escluso fra i contradditori, e il principio di ragion sufficiente esprimono appunto le condizioni necessarie per le quali noi possiamo pensare correttamente, e sono leggi di ogni realtà spirituale valevoli per le creazioni estetiche non meno che pei pensieri logici e per la vita pratica. Il principio d’identità si esprime colla formula: A è A, ed afferma l’identico dell’identico, che ogni cosa è uguale a sé stessa. La parola identità, presa nel suo significato eti¬ mologico indica che la cosa, che noi ci rappresentiamo in diversi tempi sotto diversi nomi, in diverse combinazioni è sempre identica a sé stessa ; però questo principio non deve affermare che nel giudizio il soggetto e il predicato deb¬ bano dire esattamente la stessa cosa, essendo un tale giu¬ dizio affatto vuoto di senso, come se dicessi che « un circolo è un circolo » che « questa mano è questa mano » ; un giu¬ dizio di tal fatta è una vera e propria tautologia priva d'un valore qualsiasi per la conoscenza e, non a torto è stato detto giudizio idiotico, giacché solo un idiota potrebbe compiacer¬ sene. Occorre invece che il predicato esprima qualcuna delle qualità che appartengono, oppure che possono aggiungersi al soggetto: Galileo è il fondatore della fisica, Newton ha sco¬ perto le leggi dell’attrazione universale. Il principio di iden¬ tità enuncia dunque l’impossibilità di pensare un concetto CAPITOLO II. 13 dato e i suoi caratteri come dissimili reciprocamente: vi è equivalenza assoluta tra un tutto e la somma delle parti che 10 compongono, tra un concetto e la totalità degli attributi che lo costituiscono ; cosi si può dire che una cosa è uguale a sè stessa, oppure A = A. Anche quei giudizi nei quali in apparenza il soggetto e 11 predicato sono parole identiche, in realtà non sono tauto¬ logici. Così quando dico: la guerra è la guerra, intendo di manifestare il pensiero' che, una volta intrapresa una guerra, non è da maravigliarsi delle conseguenze triste che ne pos¬ sono derivare; quando dico: i bimbi sono bimbi, col soggetto voglio esprimere solo l’età infantile, col predicato le qualità ad essa congiunte. Il principio di contraddizione dice che due giudizi dei quali l’uno nega quello stesso che l’altro afferma: A è B, A non è B, non possono essere veri nel medesimo tempo, ma se l’uno è vero, l’altro è necessariamente falso. Aristotile dà questo significato al principio di contraddizione, che giudica il più certo di tutti (aùii) TtaaCtv iait $e$a.'.oxb.Tt] tC5v àpx® 7 )» poiché non è possibile che alcuno pensi che la stessa cosa sia e non sia (àSuvzrov yàp ÓvtivoOv Taùxòv OnoXa|i^àv£iv efvzt xai fitj eivat). Molti secoli dopo il filosofo tedesco Guglielmo Leibniz ha dato un’altra formula del principio di contraddizione, che è la seguente: A non è non A; mentre la formolo aristo¬ telica riguarda la relazione tra un giudizio affermativo ed uno negativo, invece quella del Ijiilmiz si riferisce alla rela¬ zione che passa tra soggetto e predicato in uno stesso giu¬ dizio, e significa che un giudizio è falso quando il soggetto e il predicato si contraddicono ; Aristotile ha voluto dare non già un criterio per stabilire la verità o la falsità d’un giudizio, ma solo negare la possibilità di ritener vere nel medesimo tempo l’affermazione e la negazione; invece il Leibniz ha inteso di porre un principio, per mezzo del quale si potesse riconoscere la verità in tutte le forme della conoscenza. Però le due formule esprimono alla fine una sola e stessa legge del pensiero umano. Infatti che/significa: un predi¬ cato B è in contraddizione con un soggetto A? che un affer¬ mazione, la quale attribuisce il predicato B al soggetto A, 14 PRINCIPI DI LOGICA. per es. il sangue caldo ai rettili, contiene una contraddi¬ zione. Non vi è altra via, per la quale una contraddizione divenga possibile se non questa, che il giudizio il quale attri¬ buisce il predicato B al soggetto A, contraddica ad un altro giudizio, il quale neghi che il predicato B possa convenire al soggetto A; e poiché quest’ultimo giudizio; A non è B, i rettili non hanno il sangue caldo, è evidente di per sé o per altre ragioni note, la contraddizione annulla il primo giudizio ; e ciò avviene secondo il principio enunciato da Aristotile, che le due proposizioni non possono essere vere ambedue nel medesimo tempo. (*) Il filosofo greco Eraclito (III secolo a. C.) sostenne la coesi¬ stenza ilei contrari, partendo dal principio fondamentale del suo sistema, pel quale attribuisco alla materia il cambiamento continuo delle formo e delle proprietà, cosicché tutto ciò che vive è soggetto nd una distruzione incessante e ad nn incessante rinnovamento, o quando il nostro occhio crede di afferrare qualche cosa di perma¬ nente, è vittima d’una illusione, giacché tutto in realta è in un perpetuo divenire, navi* pei. “ Noi non possiamo, egli dice, discen¬ dere due volte nel medesimo fiume, perchè di continuo porta nuove acque; quindi noi discendiamo nel medesimo fiume e non vi discen¬ diamo, noi siamo e non siamo; il bene o il male sono una sola o stessn cosa; la dissonanza è in armonia con se stessa; l’armonia invisibile (cioè quella che risulta dei contrari) è migliore di quella visibile,. Ora con una concisione degna d’un oracolo, ora con precisione e ampiezza mirabile, formula la proposizione che la legge del con¬ trasto regge tanto la vita degli uomini quanto la natura, e che non sarebbe meglio por questi ottenere ciò che desiderano, vale a diro vedere tutti i contrari fondersi in una vana armonia. ( s ) 2. Il principio del terzo escluso e il principio di ragion sufficiente. — Il principio del terzo escluso afferma che tra due giudizi contradditori, A è B, A non è B, non è possi¬ bile un terzo modo di essere, una terza via d’uscita, e che uno dei giudizi è necessariamente vero, perchè ambedue non possono essere negati nel medesimo tempo; mentre il prin¬ cipio di contraddizione dice che uno dei due è necessaria- (i) Siowart, Logil-, I, p. 192. Freiburg i. B., Mohr, 1889. (®) Gompebz, Les pene tur8 de la Orice. Libro I, 1.5 passini. F. Alcan, 1904. CAPITOLO II. 16 mente falso, perchè ambedue non possono essere affermati nel medesimo tempo. L’applicazione di questo principio incontra difficoltà ap¬ parenti, le quali dipendono unicamente dal fatto che una cosa viene osservata in momenti diversi e sotto diversi aspetti. Cosi, mentre il sole tramonta, è vero tanto raffermare che 1 LOGICA. ima chimera, un non-valore. Tra queste due opposte estremità sono possibili molte gradazioni, le quali contribuiscono a for¬ mare una « scala di valori » . In modo simile, pel malato una determinata medicina, che può dargli la guarigione, ha un grande valore, mentre per l’uomo sano non ne possiede alcuno. In conclusione il valore è una qualità che noi attribuiamo alle cose, come i colori, ma che in realtà, come i colori, non esiste fuori di noi, ed ha quindi una vita essenzialmente sog¬ gettiva. La nozione di “ valore „ ò penetrala lentamente e tardi nelle scienze filosofiche; qualcuno ha voluto farne risalire l'origine ad E. Kant, fondandosi sopra alcuni passi di interpretazione alquanto dubbia; ò invece più esatto attribuirne il inerito a Ermanno Lotze (1817-1881), il quale espose il principio che mette in rilievo la no¬ zione di valore colle seguenti parole : * là dove due ipotesi sono ugual¬ mente possibili, l'una che s'accorda coi nostri bisogni morali, l'altra che ad essi contraddica, bisogna sempre scogliere la prima „. In realtà però codesto concetto è d’origine economica, e bisogna ricorcarne la fonte prima nell’opera “ La ricchezza delle nazioni „ del- l’inglese Adamo Smith (1723-1790), pel quale il valore ò ricondotto all'utilità, e alla sua volta l'utilità alla soddisfazione dei bisogni e dei desideri dell'uomo. Ai nostri tempi il principio di valore è dive¬ nuto quasi popolare, grazio aU’opora di Federico Nietsche, sia che egli voglia stabilire una * tavola di valori „, oppure restaurare “ l’equazione aristocratica dei valori „, o biasimare acerbamente i “ valori di decadenza ,, o rifare in senso inverso il lavoro dei mo¬ ralisti, operando una * trasmutazione di tutti i valori ,, o celebrare i ‘ forti che creano i valori ,. Il campo, nel quale si applica la nozione di valore, è estesis¬ simo o comprende la morale, l'estetica e le scienze sociali, la reli¬ gione ecc. Nella morale si ritrovano i concetti del sommo bene, dell'imperativo categorico, del bene, della simpatia, della giustizia, della carità, della solidarietà, dell’utilità individuale o generale, del¬ l'obbedienza a una legge rivelata, alla religione ecc. Nella vita sociale vi sono i concetti di teocrazia, di monarchia, democrazia, feudalesimo, il regime di casta, la schiavitù, il lavoro libero, il salariato, che variano di valore secondo i tempi, le condizioni so¬ ciali e i bisogni. Infine nella religione vediamo che il monoteismo, il dualismo, il politeismo, i dogmi sono variamente apprezzati nelle diverse religioni. CAPITOLO IV. 39 5. Il ragionamento. — Le percezioni, le immagini, le idee astratte e generali forniscono la materia indispensabile al ragionamento, il quale, nel suo significato più esteso, è un atto dello spirito che consiste nel passare dal noto alV ignoto. La forma pia semplice di ragionamento è quella che va da una cognizione particolare ad un’altra cognizione particolare e che si può già osservare nel bambino: questi, che ripete ed applica alcuni nomi generali, forma una proposizione col- ltegando due nomi, come quando un oggetto, che evoca in lui uu nome, evoca pure un altro nome, abbozzando cosi le prime frasi incomplete e sprovviste di verbo. Quando per esempio un cane scorge in un ruscello un liquido scorrevole, inodoro, incoloro e chiaro, questa percezione suscita in lui, in virtù d’un'esperienza anteriore, l'immagine d’una sensazione di freddo, e la percezione e l’immagine s’uniscono per formare una coppia; nel fanciullo invece, grazie al linguaggio, la me¬ desima percezione evoca la parola acqua ; la medesima imma¬ gine evoca la parola freddo e le due parole s’associano insieme a formare una proposizione, un giudizio. In molti di questi accoppiamenti di termini che si sug¬ geriscono reciprocamente si riscontrano i caratteri del ragio¬ namento, come quando uu segno presente suggerisce una realtà non veduta distante o futura, per es. le nubi e la pioggia ; qui abbiamo vere e proprie inferenze. Però nella logica il nome di inferenza si applica ad operazioni mentali più complesse, ossia a quelle per le quali da uno o più giudizi dati si passa ad uu nuovo giudizio. L’inferenza è immediata, quando il giudizio risultante è una conseguenza necessaria del giudizio dato ed è ottenuta senza che sia necessario ricorrere a giudizi intermedi; cosi, se dal giudizio che i triangoli sono poligoni io deduco che alcuni poligoni sono triangoli, avrò un’inferenza immediata. Si avrà invece un 'inferenza mediata, quando da un giu¬ dizio si passi ad un altro ricorrendo ad un terzo giudizio. Cosi dal giudizio « gli uomini sono mortali » posso dedurre queat’altro che Pietro è mortale, per mezzo d’un terzo giu¬ dizio, vale a dire che Pietro è uomo. Tanto nel primo, quanto nel secondo caso occorre che i giudizi posti in relazione non abbiano contenuto affatto 40 PRINCIPI DI LOGICA. diverso l’uno dall’altro, poiché allora non vi potrebbe essere tra loro alcuna relazione logica, ossia dalla verità o falsità del¬ l’uno non si potrebbe dedurre la verità o la falsità dell’altro. 6. Trasformazione dei giudizi per subalternazione, per opposizione, per equipollenza. — Quando la relazione è im¬ mediata, il contenuto dei due giudizi dev’essere identico, ma diversa o la quantità, o la qualità, o la relazione, o la ino? dalità; dal primo giudizio si deduce il secondo senza ricor¬ rere ad un giudizio intermediario, e mentre la materia dèi raziocinio, cioè il soggetto e il predicato, resta inalterata, si muta invece la forma. Le relazioni immediate dei giudizi si possono ridurre a tre specie principali: «) Per subalternazione, che ha luogo tra giudizi iden¬ tici di contenuto e di qualità, ma diversi di quantità o di modalità. b) Per opposizione, che ha luogo tra giudizi identici di contenuto, ma diversi di qualità, oppure di qualità e di mo¬ dalità insieme, mentre la quantità può rimanere identica o mutare. c) Per equipollenza che avviene tra giudizi di contenuto identico, ma o diversi di qualità, o diversi di relazione. Affinchè apparisca più chiaramente la diversità dei giu¬ dizi posti in relazione fra loro, i logici indicano con la let¬ tera A il giudizio universale affermativo, con E il giudizio universale negativo; con I il giudizio particolare affermativo, con 0 il giudizio particolare negativo; e tale convenzione fu espressa con artificio mnemonico in questi due versi: Asserit A, nogat E, sed univejsaliter ambo, Asserit I, negat 0, sed particulariter ambo ; e dal filosofo bizantino Michele Psello del secolo XI fu pro¬ posto il quadro che può vedersi nella pagina seguente. a) La relazione per subalternazione ha luogo tra giudizi identici di contenuto e di qualità ma diversi di quantità : il primo è universale e dicesi subalternante, il secondo è partico¬ lare e dicesi subalternato. Le regole che stabiliscono il pas¬ saggio da una ad altra forma sono: CAPITOLO IV. 41 1°. Dalla verità del giudizio subalternante (generale) si conchiude la verità del giudizio subalternato (particolare); ma dalla verità del subalternato non si può dedurre la verità dol subalternante, poiché, come è facile comprendere, ciò che A opposti contrarii g è vero d’un'intera classe è vero anche d’una parte di essa, ma non viceversa. Così, se è vero che gli uccelli sono mu¬ niti di becco, è vero pur che alcuni uccelli sono muniti di becco; ma se è vero che alcuni popoli sono monoteisti, non si può per questo concludere che tutti i popoli sono mono¬ teisti. 2°. Dalla falsità del giudizio subalternato si conchiude la falsità del subalternante, ma dalla falsità del giudizio subalternante non s’inferisce la falsità del subalternato. Se è falso che alcuni uomini sono perfetti, è pure falso che tutti gli uomini sono perfetti; ma se è falso che tutti gli animali sono provvisti di sistema nervoso, non ne segue che sia falso l’altro giudizio, che alcuni animali sono provvisti di sistema nervoso. b) La relazione per opposizione ha luogo fra giudizi che sono identici di contenuto, ma diversi di qualità. Diconsi opposti contrari se sono entrambi universali, opposti subcon¬ trari se sono entrambi particolari, opposti contraddittori se hanno diversa la quantità e la qualità. I passaggi da un giudizio ad un altro opposto contrario sono retti dalla regola seguente: Se uno di essi è vero, si può inferirne la falsità del¬ l’altro, non potendo essere veri entrambi insieme ; ma non è possibile l’inverso, poiché se uno di essi è falso, non si può affermare che l’altro sia vero, potendo essere falsi tutti e 42 PRINCIPI DI LOGICA. due. Cosi, se è vero che tutti i popoli civili dell’Oriente sono monoteisti, sarà falso l’altro giudizio che nessun popolo civile dell’Oriente è monoteista; ma se è falso che tutti gli uomini sono onesti, non sarà perciò vero raffermare che nessun uomo è onesto. I giudizi subcontrari possono essere ambedue veri, non possono essere ambedue falsi ; quindi dalla verità dell’uno non si conchiude alla falsità dell’altro, ma si può invece dalla falsità dell’uno dedurre la verità dell’altro; cosi se è vero che alcuni uomini sono giusti, non ne segue che sia falso l’altro che alcuni uomini non sono giusti; ma, se è falso che alcuni geni sieno in tutto malefici, è vero il giudizio che alcuni geni non sono in tutto malefici. Per V opposizioìie contraddittoria vale la regola seguente: dalla verità dell’uno si inferisce la falsità dell’altro, e dalla falsità dell’uno la verità dell’altro; se è vero che ogni uomo è mortale, è falso che certi uomini non siano; se è falso che tutti gli uomini* sono saggi, è vero che alcuni uomini non sono saggi. c) Le trasformazioni logiche per equipollenza dei giu¬ dizi sono di molte specie; l’equipollenza tra giudizi d’identico contenuto può aver luogo o per mutate qualità, o per mu¬ tata relazione, o per mutazione della quantità nella modalità e di questa in quella, o per mutata posizione dei termini nel giudizio, o per mutata posizione dei termini e insieme per mutata quantità del giudizio. Vediamone qualche saggio. Quando si tratta di giudizi di identico contenuto e diversi di qualità, dato un giudizio, se ne può derivare un altro con diversa qualità; es. « se ogni vizio è biasimevole, nessun vizio sarà da non biasimarsi » ; quindi il giudizio uni¬ versale affermativo e il particolare affermativo hanno cia¬ scuno i loro equipollenti qualitativi nell’universale negativo e nel particolare negativo infiniti. Però, come è stato osser¬ vato, se si bada bene, si vede che le trasformazioni per equipollenza qualitativa non danno illazioni, perchè il conte¬ nuto logico e materiale dei due giudizi è lo stesso. Il principio, duplex negatio afflrmans, indica questa identità; riducendosi ad espressioni dello stesso giudizio in diversa forma, sono più del dominio della grammatica che di quel della logica. CAPITOLO IV. 43 7. Conversione e contrapposizione dei giudizi. — Due forme di raziocinio immediato s’ottengono con la conversione e la contrapposizione dei giudizi. *' Si ha la conversione del giudizio trasportando il soggetto nel posto del predicato e il predicato nel posto del soggetto. Il giudizio reciproco può avere la stessa quantità del giu¬ dizio diretto, e allora la conversione è semplice; es. « nessun accusatore può fare da giudice, nessun giudice può fare da accusatore » ; oppure può avere quantità diversa, e allora la conversione si fa per accidente; es. « i triangoli sono poli¬ goni, alcuni poligoni sono triangoli ». Le universali affermative si convertono per accidente in particolari affermative; es. « i benefici mal collocati sono malefici, alcuni malefici sono benefici mal collocati » . Si convertono semplicemente tutti i giudizi universali uegativi: es. «nessun pesce respira per polmoni, nessun ani¬ male respirante per polmoni è pesce » . Sono pure convertibili semplicemente i giudizi particolari affermativi; es. * qualche uomo è saggio, qualche saggio ò uomo » . Se però il predicato fa parte del soggetto la conver¬ sione semplice non è possibile; se infatti dico: alcuni parallelo- grammi sono quadrati, non posso dire : alcuni quadrati sono parallelogrammi, poiché tutti i quadrati sono parallelogrammi. I giudizi particolari negativi non presentano regola di conversione; dal giudizio « qualche uomo non è medico » , non si può inferire che qualche medico non è uomo. La contrapposizione consiste nel poter derivare da un giudizio universale un altro giudizio di diversa qualità, mentre si scambia l’ufficio dei termini, passando il soggetto a pre¬ dicato, e il predicato a soggetto. Quindi i contrapposti dei giudizi affermativi, sono negativi e quelli dei giudizi nega¬ tivi sono affermativi; es. « se tutti gli atti virtuosi sono lodevoli, nessun atto non lodevole sarà virtuoso; se nessun superbo è contento, talune persone scontente son superbe » . Si è osservato dallo Stuart Mill che le regole logiche della conversione e della contrapposizione dei giudizi non si possono ritenere come regole del ragionamento, poiché le pro¬ posizioni reciproche e quelle contrapposte non sono illazioni, e dicono in forma verbale indiretta la stessa cosa che le 44 PRINCIPI DI LOGICA. proposizioni dirette; vi è illazione solo quando v’è passaggio da una nozione nota ad una ignota. Però se in molti casi si può affermare che le trasforma¬ zioni dei giudizi non hanno altro scopo che di farcene cono¬ scere con maggior chiarezza il contenuto, tuttavia in alcuni casi, come nella conversione dei giudizi universali quando non è artificiosa, e nel contrapposto del giudizio universale affermativo, l’illazione ci dà qualche cosa di nuovo. Una delle cause più. frequenti d’errori, là osservare il Bain, consiste appunto nella tendenza a convertire le affermative universali senza limite; quando si dice: tutti i grandi ingegni hanno il cervello voluminoso, si passa facilmente ad affermare che tutti i cervelli voluminosi sono grandi ingegni ; cosi pure quando si dice: tutte le cose belle sono gradevoli, tutte le virtù conducono al benessere, ogni evidenza suppone testimo¬ nianze contemporanee, sorge in noi la tendenza a convertire senz’altro queste proposizioni. Di qui la necessità di applicare le forme logiche per mettersi in guardia contro simili errori. 8. L’evoluzione psicologica del giudizio. — Come abbiamo già detto, si può considerare il giudizio nella sua forma completa, quale si trova nella scienza, nella letteratura, nei dogmi religiosi o nelle affermazioni dol sonso comune, ed ò espresso per mezzo di proposizioni composte di piii termini, che dall'analisi vengono ri¬ dotti al minor numero possibile: soggetto, attributo, copula; questo è l’aspetto logico. Lo psicologo, invece di ricercare ciò che de- *’ essere un giudizio affinchè sia valevole per la nostra ragione, si chiede che cosa esso è quando si consideri come operazione men¬ tale, e come si forma. Sotto le parole egli trova le idee e le rap¬ presentazioni, nelle proposizioni un potere d'analisi e di sintesi; nella genesi deU’affermaztone distinguo diversi momenti; in una parola, considera il giudizio non come un prodotto completo, ma come una funziono di cui descrive gli organi e l'attività. 11 punto di partenza dell’evoluzione del giudizio, secondo un autore recente, (*) si deve ricercare nelle manifestazioni della vita fisiologica. Ogni organismo, a incominciare dal più semplice, ha il potere d’entrare in movimento di porse stesso ; questa spontaneità non è del tutto indipendente, poiché l'animale vive in un ambiente determinato, dal quale riceve eccitamenti diversi, ai quali risponde (*) Ruyssen, L'éi'olution psychologique tlu jugement, p, 53 e seg., F. Alcan, 1904. CAPITOLO rv. 45 in maniera diversa, e può anche moversi automaticamente per l’azione interna; quindi il movimento organico elementare è un movimento d’oscillazione dall’esterno all'interno e viceversa, uu alternarsi ritmico di consumo e di ncquisiziono che i biologi chia¬ mano “ reazione circolare La cellula vivente ha una costituzione propria che la rende atta a reazioni originali, è un sistema con¬ servatore fondato sul principio della ripetizione, in una parola è for¬ nita d’ abitudine . Se l'ambiente esterno fosse sempre costante, la reazione cir¬ colare per ripetizione basterebbe ad assicurare alla vita qualsiasi durata; ma noi sappiamo che l'essere vivente è di continuo esposto alle variazioni termiche, meteorologiche, luminose, alle quali deve adattarsi o perire; \'adattamento è appunto la seconda facoltà ca¬ ratteristica della cellula; anche gli organismi monocellulari sanno ricercare ed evitare con un discernimento prodigioso gli agenti che sono loro favorevoli od ostili. L'adattamento segue una via ascendente; anzitutto si scorge nelle reazioni motrici dell'animale e del fanciullo, nelle quali si possono riconoscere le primo manifestazioni della vita; il primo pe¬ riodo della vita infantile costituisce il fondo d’abitudini sul quale vengono ad innestarsi gli adattamenti ulteriori; le risposte del¬ l’organismo agli eccitamenti successivi divengono a ninno a mano più facili c più sicure, preparando così il terreno alla vita cosciente. Con l’apparizione della coscienza si notano nuovi adattamenti motori provocati specialmente dalle sensazioni della vista e del¬ l'udito; nelle quali si coglie la forma più dementare del giudizio. 11 fanciullo risponde ad eccitamenti diversi per mezzo di reazioni non più diffuse, ma precise, localizzate nelle parti distinto dell'or¬ gano eccitato; così il suono d'una voce famigliare lo fa muovere e gesticolare, un oggetto luminoso gli fa alzare e tendere le mani; in una parola, le sue sensazioni quanto più variano e s'arricchi¬ scono, tanto più facilmente provocano reazioni motrici adattate al loro scopo, dove si può quasi scorgere la traccia d’una scelta in¬ telligente. Il prender coscienza del piacere e del dolore è il prin¬ cipio d'adattamenti più variati e più efficaci. A queste reazioni sensorio-motrici, che formano una specie d’attuazione primaria, succedono lo reazioni ideo-motrici che pre¬ suppongono il sorgere de\V attenzione secondaria, del riconoscimento, dell’associazione delle idee, e quindi del linguaggio e della facoltà di generalizzare. Con queste diverse operazioni il fanciullo acquista gli elementi necessari pel suo sviluppo mentale. I giudizi che pronuncia il fanciullo di due anni e quelli dell'uomo adulto pos¬ sono differire in estensione e in profondità, ma non pel meccanismo; 46 PRINCIPI DI LOGICA. non avranno le qualità accessorie di rapidità, di esattezza, di sin¬ cerità, ma 1 essenza sarà identica ; in una parola lo affermazioni del fanciullo e dell’adulto differiscono solo per la forma, non per la materia. Così pel fanciullo giudicare vuol dire, almeno da prin¬ cipio, adattare in maniera appropriata i propri movimenti agli sti¬ moli della sensibilità: apprezzare una distanza equivale a rinnovare 10 sforzo necessario per percorrerla; riconoscere una persona equi¬ vale n tenderlo le braccia, sorriderle, nominarla in maniera ade¬ guata; comprendere un segno è come riprodurlo. Nell’adulto la cosa non avviene in modo troppo diverso; malgrado le apparenze, nei movimenti quotidiani, nel camminare, nel gestire, nel parlare noi non facciamo altro che ripetere reazioni motrici che abbiamo ac¬ quistato per le prime. Anche quando il pensiero arriva al suo com¬ pleto sviluppo, quando s eleva alle più alto astrazioni della scienza e della filosofia, non si libera completamente dall’elemento motore; 11 linguaggio diviene qui ora sostegno indispensabile del pensiero astratto. Bisogna pero notare che se l’operazione intellettuale del giu¬ dizio ha le suo radici nel terreno biologico, non ne segue che il suo valore soffra qualche diminuzione e che gli elementi ideali e attivi cresciutivi intorno nel corso dell'evoluzione debbano perdere patte del loro profumo e della loro freschezza; la stessa osserva¬ zione si dove fare riguardo agli altri fatti riferentisi allo sviluppo dello spirito untano, la famiglia, l'amore, il sentimento morale, il pudore ecc. / CAPITOLO V. 47 CAPITOLO V. 1. Il sillogismo — 2. Le regole del sillogismo — 3. Lo figure e i modi del sillogismo. 4. Forme sillogistiche secondarie — 5. Sillogismi composti. 1. Il sillogismo; nozioni preliminari. — Già secondo Ari¬ stotile i procedimenti che il pensiero umano adopera nella ricerca sono di due specie ben distinte Ira loro: V induzione, èTCaYwy^i muove dal l'atto per risalire alla legge e al princi¬ pio, dai giudizi particolari per ascendore a giudizi universali, è il ragionamento che afferma d’un genere ciò che si sa appar¬ tenere a ciascuna delle specie di questo genere; ossia quella forma di ragionamento, per la quale dall’esame e dal para¬ gone d’una serie di casi particolari si passa ad una propo¬ sizione generale che riguarda non solo i casi osservati, ma anche un numero indeterminato d’altri casi che sono coi primi in una certa relazione di somiglianza. Cosi se dico: i processi di conoscenza, di sensibilità, di volontà presentano come carattere essenziale la coscienza — i processi di cono¬ scenza di sensibilità, di volontà sono (tutti i) processi psichici, e quindi tutti i processi psichici hanno come carattere es¬ senziale la coscienza; faccio un ragionamento induttivo. TI secondo procedimento è la deduzione, che dal principio e dalla legge vuole discendere al fatto, da un giudizio uni¬ versale andare ad un giudizio particolare; cosi, per usare l’esempio precedente, se dico partendo da un principio noto: tutti i processi psichici hanno come carattere essenziale la coscienza — i processi di volontà sono psichici — dunque hanno come carattere essenziale la coscienza; compio un ra¬ gionamento deduttivo. In ogni modo tanto l’una quanto l’altra for ma di ragionamento si imo formulare per mezzo del sillo ¬ gismo , che si può di conseguenza considerare come la forma più semplice ed elementare del raziocinio. Aristotile è l’inventore della teoria del sillogismo (da auXXéYO) raccolgo), che egli cosi definisce: Il sillogismo è un 48 PRIXCrPl DI LOGICA. discorso nel quale, poste alcune cose, un’altra cosa ne risulta necessariamente, per questo solo che quelle sono poste : £uXÀo- Ytopòs S è èoxi Xóyo; èv (Ti xe&évxwv xivwv, gxepóv xi x&v xeipivwv àvàyxrjs oupPaivec x(7> xaOxa efvai, ossia: quando si parte da due proposizioni, di cui l’tina afferma una pro¬ prietà data appartenente a tutta una classe d’oggetti, e l’altra afferma che uno 0 più oggetti appartengono a quella classe, si passa ad una terza proposizione nella quale la pro¬ prietà suddetta è attribuita anche a questi ultimi casi. La parola sillogismo si legge già in Platone, ma sola¬ mente nel significato generale di ragionamento; Aristotile le diede il significato speciale che tuttora conserva; il prin¬ cipio fondamentale su cui esso posa consiste in questo, che ciò che è contenuto nel genere è pure contenuto nella specie. Inoltre dalla definizione aristotelica derivano al sillogismo i seguenti caratteri : che l’illazione o conclusione derivi dalle premesse, che derivi necessariamente, e che enunci cosa di¬ versa da quella che è enunciata nelle premesse. Ogni sillogismo comprende due premesse, Ttpoxxoei? 0 U7to9 , last;, ed una conclusione, aupxépaopa, cosi detta perchè unisce i due termini estremi, ulpaxa. Nelle premesse entrano tre termini, Spoi, il termine maggiore, xò pec^ov Sxpov, il termine minore, xò gXaxxov fixpov, il termine medio, péao; 5po; che non entra mai nella conclusione, ma serve a pro¬ durla, e jleve invece entrare in ciascuna delle due premesse. Di queste l’una si chiama premessa maggiore 0 contiene il predicato della proposizione che fa da conclusione, l’altra di¬ cesi premessa minore e contiene il soggetto della conclusione. Aristotile considera come il tipo del raziocinio e il solo perfetto quello di sussunzione (subsumtio) nel quale appunto due idee sono poste nella dipendenza come di specie a ge¬ nere, di cosa individuale a legge generale. Cosi nel noto sil¬ logismo ; Tutti gli nomini sono mortali Pietro è uomo Dunque Pietro e mortale l’idea Pietro, termine minore è posta in dipendenza (subsu- mitur) di mortale, termine maggiore, la sussunzione si opera per mezzo del termine medio uomo. CAPITOLO V. 49 2. Le regole del sillogismo. — Le regole del sillogismo, secondo la logica tradizionale, sono otto, delle quali quattro si riferiscono ai termini, e quattro alle proposizioni. 1°. Il sillogismo non può avere più di tre termini: ter¬ ni ìnus esto triple:/', meclius, maiorque minorque. Se in un sillogismo vi fossero due termini medi invece duino solo, si avrebbero come premesse due giudizi che non avrebbero termine comune, dalle quali nessuna illazione, o solamente un’illazione erronea potrebbe deri\aie, ciò appare cosi nel caso che i due termini medi siano diversi nel signi¬ ficato come nel caso che, differenti nel significato, sieno iden¬ tici nel nome, come chi dicesse: borsa è una costellazione, ina l’orsa vive nelle selve, dunque una costellazione vive nelle selve. 2°. I termini maggiori e minori non debbono essere presi nella conclusione più universalmente che nelle premesse: latius Ima quarn praemissae conclusi o non vult. Se i termini maggiori o minori fossero presi nella con¬ clusione più universalmente che nello premesse, si avrebbe allora un ragionamento che andrebbe dal particolare all’uni¬ versale, non dall’universale al particolare, come è richiesto dalla natura stessa del sillogismo; tale errore è manifesto nell’esempio seguente : gli empi sono nocivi alla società _ alcuni scienziati sono empi — dunque gli scienziati sono nocivi alla società. 3°. Il termine medio non deve entrare nella conclusione: nequaquam medium capiat conclusio oportct. Questa regola deriva dal carattere fondamentale del sil¬ logismo esposto più sopra; non la osserverebbe chi dicesse per es. : Napoleone fu un grande statista — Napoleone fu un grande generale — dunque Napoleone fu un grande sta¬ tista e un grande generale ; qui non si è fatto altro che riu¬ nire le due premesse, facendo una proposizione composta, non una conclusione vera e propria. 4°. Il termine medio dev’essere preso almeno una volta universalmente : aut semel aut iterum meclius generaliter esto. Questa regola vieta che il termine medio sia preso tutte e due le volte particolarmente, non potendo allora seguirne alcuna conclusione o solo una conclusione erronea ; così dalle Morselli, Principi di Logica — 4 50 PRINCIPI DI LOGICA. premesse: le piante sono corpi organici — gli animali sono corpi organici, non si potrebbe dedurre altro che la conclu¬ sione seguente: gli animali sono piante; e similmente dalle premesse: alcuni filosofi sono materialisti, alcuni filosofi sono spiritualisti, seguirebbe la conclusione: alcuni spiritualisti sono materialisti. 5°. Non si concliiude negativamente da premesse afferma¬ tive: ambae affirmantes nequeunt generare negantem. In fatti se le premesse sono affermative, dicono che i termini maggiore e minore convengono col medio e quindi convengono tra loro, escludendo la conclusione opposta a questa. Errerebbe chi dicesse per esempio: il giudice dev’es¬ sere imparziale — il tale e giudice — dunque non dev’es¬ sere imparziale. G°. Non si conchiude da premesse negative: utraque si praemissa neget, nihtt inde sequetur. Se confrontiamo il termine maggiore e il minore col medio e vediamo che non convengono con esso, non è pos¬ sibile affermare nè che convengano, nè che non convengano fra loro. Quale conclusione si può, per esempio, trarre dalle due premesse seguenti: l’animale non è eterno _ l’uomo non è eterno? oppure da queste altre: l'acqua non è un corpo semplice — la cellula non è un corpo semplice? 7°. Non si conchiude da premesse particolari: vii seguitar geminis ex partici/iaribus unquam. Per questa regola vale la dimostrazione che abbiamo data per la seconda regola sui termini. 8°. La conclusione segue la parte più debole delle pre¬ messe: peiorem sequitur semper canclusio partem. I logici chiamano parte più debole la proposizione negativa rispetto all affermativa, la particolare rispetto all’universale; perciò la regola suona in questi termini: se una delle premesse è negativa, la conclusione è negativa; se una delle premesse è particolare, la conclusione è particolare. Nel primo caso una delle premesse afferma che uno dei termini conviene col medio, l’altra premessa afferma che l’altro termine non conviene col medio; donde si deduce fa¬ cilmente che i termini minore e maggiore non convengono fra loro; cosi se affermo che logico conviene con uomo, ma CAPITOLO V. 51 che libero dall’errore non conviene con nomo, i due termini estremi: logico e libero dall’errore non convengono evidente¬ mente fra loro: Nessun uomo è libero dall’errore Tutti i logici sono uomini Dunque nessun logico è libero dall’errore. Pel secondo caso vale la dimostrazione che si è data per la seconda regola sui termini. 3. Le figure e i modi del sillogismo. — Il sillogismo categorico è quello in cui le premesse e quindi anche la con¬ clusione sono giudizi categorici, o fungono come giudizi ca¬ tegorici: secondo il posto che il termine medio occupa nelle premesse il sillogismo categorico presenta quattro ligure, che indicando con la lettera M il termine medio, con P il ter¬ mine maggiore, con S il termine minore, sono le seguenti : 1° MP SM ' SP Il termine medio fa da soggetto nella premessa mag¬ giore, da predicato nella minore, come nell’esempio: I martiri della scienza onorano l’umanità Molti uomini sono stati martiri della scienza Molti uomini onorano l’umanità. Il sillogismo della prima figura è per Aristotile il tipo più perfetto del ragionamento deduttivo, perchè va dalla causa all’effetto, dalla legge al fenomeno, dalla condizione al con¬ dizionato; la sua validità dipende da queste due regole, che la maggiore sia sempre universale e la minore affermativa. 2° PM SM SP Nella seconda figura il termine medio fa da predicato nelle due premesse; inoltre la premessa maggiore dev’essere universale, e una delle premesse deve essere negativa; es.: Nessuna scienza è corruttrice Ogni oscenità è corruttrice Nessuna osceuità è scienza. 52 PRINCIPI DI LOGICA. 8° MP MS SP Nella terza figura il termine medio fa da soggetto nelle due premesse; la premessa minore dev’essere affermativa e la conclusione particolare; es.: Nessuna frode è nobile Ogni frode è atto di ragione Qualche atto di ragione non è nobile. 4° PM MS SP Nella quarta figura il termine medio fa da predicato nella premessa maggiore, da soggetto nella minore; es. : Tutti i romboidi sono parallelogrammi Nessun parallelogrammo è un trapezio Nessun trapezio è un romboide. Quest’ultima figura è stata da Averroè attribuita al medico Oaleno (■{■ 200 d. C.), mentre le prime tre furono stabilite da Aristotile. Però si nega generalmente che possa esservi una quarta figura, o almeno si ammette che questa si può ridurre con molta facilità ad una delle precedenti. Oltre alle figure si sogliono distinguere nella logica i m° 09S > a sillogismo dialettico, che, per provare la verità, discute il prò e il contro e serve di preparazione alla scienza. Il sofisma, oó^tapa, da oo;pf£o|i.ai o sillogismo eristico (eristica da ip££nrticolare dall’universale-, provare scientificamente significa dimostrare le ragioni in forza delle quali l’afferma¬ zione ha valore incontestabile; tali ragioni si ritrovano solo nell universale. La sillogistica diviene cosi il nucleo centrale della logica aristotelica e della logica tradizionale fino ai nostri giorni. I punti fondamentali di questa dottrina sono i seguenti : L illazione è la derivazione d’un giudizio da due altri; poiché in un giudizio un concetto (il predicato) viene affer¬ mato d un altro concetto (il soggetto). Tale affermazione è valida solo quando il legame avviene per mezzo d’un terzo concetto, il termine medio, il quale deve però avere coi due primi una certa relazione, espressa in due giudizi, cioè nelle due premesse; 1 illazione consiste appunto in quel processo del pensiero, il quale dalle relazioni tra un unico concetto CAPITOLO VI. 59 e due altri, vuole manifestata la relazione che corre fra questi due ultimi concetti. Delle relazioni possibili fra concetti una se ne trova alla quale la logica aristotelica, conforme ai suoi principi, ha posto speciale attenzione: quella della subordinazione del particolare al generale. La sillogistica vuol conoscere le condizioni del pensiero, per le quali con l'aiuto d’un termine intermedio, può determinare se la subordinazione d’un con¬ cetto ad un altro può aver luogo o no. Aristotile ha dato a questo problema una risoluzione feconda di ottimi risul¬ tati; in essa consiste il merito imperituro della sua sillogi¬ stica, ma anche il limite del valore di questa. Per mezzo della deduzione, così determinata, la mente umana può solo acquistare cognizioni meno generali di quelle più generali dalle quali sono tratte. Qui appare il carattere (limitato) del concetto che gli antichi si erano formato in¬ torno alle qualità essenziali del pensiero, il quale può solo abbracciare e spiegare la realtà data, non creare nuove ve¬ rità. Perciò la scienza che deduce, prova e spiega poteva di nuovo dedurre ciò, che in un sillogismo serviva da premessa, come conclusione d’un sillogismo più generale; alla fine però deve partire da premesse che non possono più essere nè de¬ dotte, nè provate, nè spiegate e neppure essere ricondotte al termine medio; la verità di esse è quindi immediata (ìpsoa), indeducibile, non suscettibile di prova, inspiegabile e consiste in quei principi più generali e forniti di im¬ mediata certezza, che costituiscono il punto di partenza delle operazioni scientifiche. (*) 2. La sillogistica aristotelica nell’antichità e nel me¬ dio-evo. — Già sin dall’antichità, qualche secolo dopo la morte di Aristotile, avvenuta nel 332 a. Cr. sorsero dubbi e discussioni vivaci intorno al valore del sillogismo; tra i critici più notevoli a questo proposito troviamo Cameade di Cirene (214-129 a. C.) e Sesto Empirico, vissuto intorno al 200 dell’era volgare. p) Windelband, Qeschichte der PhUosophie , png. 110 e sgg. Mohr, Tubingen, 1903, ed. 3*. 60 I PRINCIPI 1)1 XOGICA. Cameade, che è annoverato fra gli scettici della seconda Accademia, insegnava che non si poteva fondare nessuna dottrina sicura nè sopra il senso per le apparenze fra loro contrarie e inconciliabili, nè sopra la ragione, perchè in tutto ciò che forma oggetto di ragionamonto, si può ugualmente provare il prò e il contro; egli dimostrava pure che ogni prova rende necessario un « regressus in infinitum » , giacché per la validità delle sue premesse presuppone altre prove; e questa conseguenza era importante per gli scettici, i quali non ammettevano verità immediate, come abbiamo visto che le ammetteva Aristotile. Più radicale di Cameade è il medico Sesto Empirico, il quale dice che il vero scettico sottopone ad esame qualsiasi affei inazione, reca il dubbio in ogni cosa e si astiene tanto dall affermare quanto dal negare; egli fa un’analisi spietata del sillogismo, il quale non riesce per nulla ad estèndere il campo delle nostre cognizioni, poiché non serve a farci pas¬ sare da una verità nota ad una vorità ignota. Ecco le parole di Sesto Empirico nel suo capitolo contro la logica d’Aristotile contenuto nell’opera intitolata « Uoibo- VSÌat U7tOTU7ttt)a£l£ » . Quelli che dicono: Ogni uomo è mortale Socrate è un uomo Dunque Socrate è mortale, per provare quest’ultima proposizione per mezzo della prima commettono un circolo vizioso (e: C xòv 5t’ ianin touol)» poiché ammettono che tutta la certezza della prima propo¬ sizione non può derivare che da un’induzione di casi parti¬ colari dello stesso genere di quelli che s’affermano nella con¬ clusione. Infatti se, prima d’enunciare la proposizione gene¬ rale: «ogni uomo è mortale, noi non siamo già convinti della verità di tutte le proposizioni particolari che essa contiene, non si potrebbe ragionevolmente ammetterla per vera ». Di qui egli conclude che nessun sillogismo o catena di sillogismi potrà mai farci conoscere qualche cosa di diverso da ciò che prima già sapevamo, e che la deduzione, ben lungi d’essere la forma tipica e più corretta del ragionamento, non è che un artificio sofistico atto a mascherare la nostra CAPITOLO VI. 61 ignoranza e a far passare come prova delle nostre opinioni le nostre stesse opinioni espresse sotto altra forma. Nel Medio Evo fin quasi verso la metà del secolo XII la logica aristotelica si studiava assai più nelle opere dei commentatori, che negli scritti originali, pochissimi dei quali erano conosciuti; però Aristotile è considerato come il filosofo che ha raggiunto il limite estremo della sapienza — il maestro di color che sanno — come lo chiama il Divino poeta, e quindi, il giudice inappellabile della verità; donde la frase « ipse dixit » foggiata probabilmente dall’arabo Aven'oè(112(1-111*8) «che il gran comento féo» considerato come il più illustre commentatore dello Staggita, che egli chiama « regola e modello, creato dalla natura a mostrare l’ultima perfezione umana, la cui dottrina è la somma verità, poiché il suo intelletto segua il limite dell’umano intelletto». Ma già durante il Rinascimento incomincia una forte opposizione contro la logica aristotelica, specialmente per opera di Bernardino Telesio (1508-1588), che vuol fondare la scienza della natura sopra l’esperienza, e accusa Aristotile di aver voluto spiegare la realtà con ipotesi arbitrarie; e di Francesco Patrizi (1529-1597). Gli Umanisti affermavano ri¬ solutamente, come fecero più tardi Giordano Bruno, Bacone da Verulamio e Renato Cartesio, che la sillogistica dev’es¬ sere amplificata e perdere il predominio tradizionale; che il sillogismo è incapace di farci acquistare nuove cognizioni ed è una forma del pensiero infruttuosa. 3. Francesco Bacone e G. Stuart Mill. — Francesco Ba¬ cone (15G1-1626) considera la scienza come lo strumento e il mezzo più efficace per volgere le forzo della natura al¬ l’utilità degli uomini e per dare all’osservazione dei fatti naturali un carattere imparziale ed oggettivo, combatte la dottrina tradizionale e intende di offrire un nuovo metodo nella sua opera capitale Instauratio magna scientiarum, che comprende due parti distinte : la prima intitolata De digni- tate et augmentis scientiarum, la seconda Novum organimi in opposizione all’Organo di Aristotile. Egli combatte aspra¬ mente il sillogismo aristotelico, attribuendo all’induzione, il nuovo organo, l’ufficio più importante nella ricerca delle PRINCIPI PI LOGICA. G2 nuove verità scientifiche; sostiene che il sillogismo è viziato profondamente da una petizione di principio, poiché se la conclusione non è vera, non è vera neppure la premessa mag¬ giore; in questa critica Bacone s’accorda quindi coi filosofi precedenti, specialmente con Sesto Empirico. L’idea fondamentale della logica, quale è stata conce¬ pita dallo Stuart Miti (1806-1873), consiste nel ricondurre la logica ai fatti e all’esperienza, affinchè possa diventare una scienza come le altre, ossia abbia per oggetto le cose quali sono; essa diventa «la scienza delle operazioni intel¬ lettuali che servono all’estimazione della prova, cioè del pro¬ cedimento generale che va dal noto all’ ignoto, delle operazioni ausiliarie di codesta operazione fondamentale», è insomma una logica reale che ha per oggetto i fatti e non le idee. La teoria del sillogismo è profondamente trasformata nella dottrina del^Mill. Anzitutto egli dichiara che .ogni sil¬ logismo, considerato nella sua forma ordinaria, contiene una petizione di principio; così (piando si dice: Tutti gli uomini sono mortali, Socrate è un uomo Socrate è mortale la conclusione è presupposta nella premessa maggiore; noi non possiamo essere sicuri della mortalità di tutti gli uomini, se prima non siamo sicuri della mortalità di ciascun uomo; se si dice che la mortalità di Socrate è dubbia prima d’essere estratta dalla premessa maggiore, questa è colpita pure di incertezza e non può per conseguenza servire a legittimare la conclusione. Il principio generale, ben lungi dal provare la verità del caso particolare, non può essere accolto come vero, se rimane l’ombra d’un dubbio sopra uno dei casi che esso contiene. Quindi nessun ragionamento dal generale al particolare può, come tale, provare qualche cosa, giacché da un principio generale non si possono dedurre che i fatti particolari supposti conosciuti da quel principio. Pertanto sembra che il sillogismo ci fornisca ogni giorno la conoscenza di verità non ancora constatate o stabilite; vi sarebbe dunque in esso la possibilità di trarre inferenza, possibilità disconosciuta e quasi soffocata da formule artifi¬ ciali; infatti è incontestabile che la seguente proposizione: CAPITOLO VI. 63 il duca di Wellington è mortale, deve considerarsi come un’inferenza: ma si può trarla da quest’ultra proposizione: tutti gli uomini sono mortali? Bisogna rispondere di no. L’errore che qui si commette dipende dal fatto che si di¬ mentica che nel procedimento filosofico vi sono due opera¬ zioni e due parti, quella dell’ inferenza e quolla dell'abbre¬ viazione e che si attribuisce alla seconda la funzione della prima. Infatti che cos’è, una proposizione generale? Non è altro che un registro abbreviato delle nostre osservazioni e delle inferenze che ne abbiamo dedotte; quando dalla morte di Giovanni, di Pietro, e di tutti gli individui dei quali abbiamo sentito parlare concludiamo che il duca di Wel¬ lington è mortale, noi non possiamo senza alcun dubbio pas¬ sare per la proposizione generale: tutti gli uomini sono mortali, come passeremmo per una stazione intermedia; però l’inferenza non risiede in questa metà del cammino che va da tutti gli uomini al duca di Wellington; essa è fatta (piando noi abbiamo osservato che tutti gli uomini sono mor¬ tali. La garanzia della mortalità del duca di Wellington è la mortalità di Giovanni, di Pietro, di Giacomo e di tutti gli altri uomini a noi conosciuti ; dal fatto che tra il primo e l'ultimo stadio del ragionamento noi interponiamo una proposizione generale, la prova come tale non riceve alcun giovamento. Quale è dunque la vera funzione del sillogismo? Tutte le inferenze primitive si fanno dal particolare al particolare; per esempio il bambino che, essendosi bruciato il dito, si guarda bene dall’accostarlo alla candela, ha ragionato e con¬ cluso, benché non abbia mai pensato il principio generale: il fuoco brucia; egli si ricorda del dolore provato, e fondan¬ dosi su questa attestazione della memoria, crede che, quando vede la candela, se pone il dito sulla fiamma, si brucierà ; egli n ensa ciò in tutti i casi simili che gli si offrono, senza guardare più in là del caso presente; non gener ali zza, ma i nferisce un fatto particolare da un altro fatto particolare . Le proposizioni generali sono quindi semplici registri abbre- viati di inferenze già fatte e formule assai concise utili per dedurne altre. Bisogna perciò dire non già che la conclu¬ sione del sillogismo è dedotta dalla premessa maggiore, ossia 64 TBIKCIPI DI LOGICA. dalla proposizione generale, ma solo conformemente a questa; la premessa reale, o, meglio, l'antecedente logico della con¬ clusione, è la somma dei fatti particolari, dalla quale l’in¬ duzione ha estratto la proposizione generale. Noi abbiamo potuto dimenticare questi fatti individuali; ci resta però sempre al posto di essi una breve annotazione, un memo¬ randum, che, rammentandoci che certi caratteri sono sempre legati a certi altri caratteri, ci permette di passare dalla presenza degli uni all’esistenza degli altri. Ma realmente l’inferenza ha luogo partendo dai fatti dimenticati e con¬ densati nella formula generale al fatto particolare di cui si tratta; il sillogismo quindi è essenzialmente un’inferenza dal particolare ni particolare, la quale ha il suo fondamento e quasi la sua autorizzazione in un’inferenza anteriore dal particolare al generale ; la conclusione è ritrovata nella pre¬ messa maggiore , na non è provata da questa. (’) 4. Altre obbiezioni contro il sillogismo. — Un altro celebre filo¬ sofo inglese, Herbert Spencer (1820-1904) muove pure aspra critica al sillogismo. Egli dice che noi non ragioniamo mai per sillogismi, e che se vi sono verità che sembrano stabilirsi per mezzo dello due premesse, ve ne sono altre che richiedono un procedimento o più semplice o piii complesso, come le affermazioni elementari che inseriamo spontaneamente, senza ricorrerò ad alcun termine inter¬ medio, e le conclusioni che deduciamo da un sistema di numerosi o svariati rapporti. Ma nuche ristretto entro limiti più modesti, è il sillogismo la forma vera del ragionamento? Sia il sillogismo seguente: Tutti i cristalli hanno un piano di clivaggio Questo è un cristallo Dunque ha un piano di clivaggio. Quosta serie di proposizioni esprime forse l’ordine voro nel quale i nostri pensieri si succedono per produrre la conclusione? Si può sostenere che prima di pensare a questo cristallo, io ho pensato a tutti i cristalli e sono disceso dal generalo al partico¬ lare? Vi sarebbe qui una coincidenza fortuita e affatto inesplica¬ bile, poiché l’idea di questo cristallo ha dovuto precedere la mia concezione di tutti i cristalli, ed è quindi uno degli clementi della conclusione che mi ha suggerito uno degli elementi generali della premessa maggiore. (!) Liart>, Lee ìogìciens auglais contetnporains, pag. 24. F. Alcali, 1890, 3» ed. CAPITOLO VI. 65 Se per evitare l’obbiezione, si imita il posto delle premesse, si può sempre affermare che prima di pensare alla proposizione generale: tutti i cristalli hanno un piano di clivaggio, io ho già scorto in questo cristallo tale proprietà; è vero che le mie espe¬ rienze anteriori mi determinano a riconoscere la proprietà indicata nel caso particolare, ma il ricordo delle esperienze passate non s'offre al mio spirito prima che io abbia osservato il caso indivi¬ dualo; esso hanno lasciato in me la tendenza a considerare, nel cristallo in questione, il piano di clivaggio piuttosto che qualunque altro attributo; di qui io sono portato a pensare alla proposizione generale che mi suggerisce la proposizione particolare, e da quella ritorno a questa. Quindi ogni deduzione incomincia con un rapporto inferito spontaneamente, ed ogni inferenza è ossenzialmente indut¬ tiva. Al ragionamento dal particolare al particolare, secondo il concetto del Mill, si può ricondurre la deduzione, diminuendo con¬ tinuamente il numero dei fatti affermati e osservati ; esso è a mela cammino fra le due forme di ragionamento, è quasi la comune ra¬ dice donde ambedue partono. Oltre allo obbiezioni mosse al sillogismo dal Mill, dallo Spencer e dai loro discepoli, pei quali la logica si riduce alla teoria del¬ l'Induzione e dolla prova sperimentale, e il sillogismo nd un'indu¬ zione mascherata, vi sono altre obbiezioni di filosofi che, senza pro¬ porre le radicali riforme propugnate dai primi, pure s'accordano con questi nel condannare la logica d’Aristotile, per sostituirvi un sistema nuovo e più conforme alla verità scientifica. Questi affer¬ mano che il sillogismo è una tecnica delle relazioni dei concetti, cioè serve a rendere più chiare le relazioni che corrono fra le nostre idee, e che il principale strumento della ricerca è sempre l’induzione. In conclusione le obbiezioni che si movono al sillogismo si possono ridurre essenzialmente a due principali: 1°. Il sillogismo non ci dà nella conclusione nulla di nuovo. 2". Pur affermando la novità della conclusione, si nega a que¬ sta il carattere di novità scientifica, poiché l’inferenza dal parti¬ colare al particolare non può offrire che conclusioni probabili, o in alcuni casi, false; nel sillogismo classico: Gli uomini sono mortali lo sono uomo Io sono mortale la conclusione non contiene più di verità che la premessa maggioro; secondo i logici della scuola dello Stuart Mill, bisognerebbe dire: Gli uomini del tempo passato sono morti, Io sono uomo Dunque è probabile ch'io muoia. Morsbi.li, Principi di Logica — 5 PRINCIPI DI LOGICA. 6) Op. cit., pag. Ili e sgg. CAPITOLO Vili. 79 CAPITOLO Vili. 1. Il metodo; nozioni generali — 2. Il sapere scientifico — 3. Che eoa'i una scienza — 4. La classificazione delle scienze. 1. Il metodo; nozioni generali. — La metodologia è la seconda parte della logica, che ha per line di determinare le regole riguardanti la ricerca e la prova delle verità scienti¬ fiche. Il metodo (da |i£xà e éòój, via) abbraccia quindi lo studio dei mezzi coi quali lo spirito umano estende ed ordina le sue conoscenze; donde la distinzione in metodo inventivo, che esamina i procedimenti e le operazioni del pensiero per le quali dalle cognizioni note si passa a quelle ignote; e metodo sistematico (da auv-:oxT]p.t, pongo insieme) che invece studia le forme con le quali le cognizioni vengono ordinate in un complesso di cui le singole parti abbiano tra loro relazione e dipendenza reciproca. Per rendere più chiara tale distinzione osserviamo l’esempio della psicologia ; questa scienza adopra nelle sue ricerche, ossia ne)l' estender e le sue conoscenze, due strumenti essenziali che sono Vintrospezione od osservazione interna e Vosservazione esterna, cui vanno unite V indagine sperimentale e la misura 1 , al secondo ufficio, cioè a quello sistematico, la psicologia soddisfi con la defini¬ zione del processo psichico, per distinguerlo dagli altri feno¬ meni naturali, con la classificazione in fatti di conoscenza, di sensibilità, di volontà ecc. Però bisogna osservare che la logica tratta soltanto delle nozioni metodologiche generali, di quelle operazioni che si presentano come indispensabili in ogni singolo ramo di scienza ; non v’è scienza che possa fare a meno della de¬ finizione e della classificazione e dei procedimenti più sem¬ plici e più generali. Inoltre il metodo di ogni parte del sapere comprende un certo complesso di particolarità, che solo gli specialisti hanno il dovere di conoscere e di appli¬ care nelle loro indagini; così al chimico soltanto spetta di 80 PRINCIPI CI LOGICA. apprendere tutto quell’insieme di particolari procedimenti che sono propri della chimica, l’uso degli strumenti, le pre¬ cauzioni da osservarsi quando si osserva e si sperimenta ecc. Questo compito, come è facile comprendere, sta fuori del dominio della logica. Considerando la storia dello sviluppo delle scienze, si può constatare che il metodo non si costituisce a priori, ma piuttosto si deduce dalle scienze stesse quando abbiano rag¬ giunto un certo grado di progresso; anzi si può ben dire che il metodo si trova non di rado in ritardo rispetto al cammino che percorre la scienza, nello stesso modo che ve¬ diamo i trattati dell arte poetica essere in generale l’espres¬ sione ritardata dell’arte contemporanea. Ed è facile com¬ prendere la causa di questo fatto, la quale dipende da ciò, che il perfezionamento delle regole metodiche è dovuto per lo più alle intuizioni e alle scoperte dell’uomo di genio, per cui vediamo Galileo, Newton, Claudio Bernard, Darwin por¬ tare alle teorie logiche contributi preziosi, che poscia di¬ vengono indicazioni e guida indispensabile per gli scienziati posteriori. Ad ogni modo lo studio delle operazioni metodiche, quan¬ tunque spesso il ricercatore si affidi, con molta cautela, al suo buon senso naturale e trovi qualche volta nel caso un utilissimo ausiliario, disciplina e regge la nostra intelligenza, abbrevia il tempo della ricerca e ci fa conoscere più pro¬ fondamente l’organismo e il valore della scienza. « Quelli che camminano lentamente, dice Cartesio, possono percorrere un buon tratto di strada, se sanno tenere la via dritta assai più di quelli che corrono qua e là allontanandosene ». 2. Il sapere scientifico. — Il sapere scientifico inco¬ mincia a sorgere quando un popolo raggiunge un certo grado di civiltà ed ha il suo fondamento in un bisogno pratico della vita. E assai probabile che ogni scienza sia derivata da un’arte corrispondente, la medicina dall’arte di medicare comune anche ai popoli selvaggi, l’astronomia dalle esigenze della navigazione, e forse anche la matematica ha attraver¬ sato nel suo inizio un periodo, nel quale le verità acquisite venivano considerate come conoscenze utili e derivavano CAPITOLO Vili. 81 dalle necessità inerenti alla costruzione delle case, alla misurazione dei campi ecc. In questo primo momento cogni¬ zioni pratiche e conoscenze teoriche formavano una sola e identica cosa; cosi da principio in una persona si riunivano strettamente diversi uffici, il medico, lo stregone, il mago, il sacerdote, che doveva combattere le malattie, molte delle quali pel loro carattere epidemico e violento suggerivano facilmente l’idea di uno o di più principi malefici che s’introducevano nel corpo, donde la necessità di ricorrere, per cacciarli, all’aiuto di forze sovrannaturali. Con molta lentezza, quantunque non ancora completamente, la divi¬ sione del lavoro sociale e la conoscenza delle leggi naturali hanno separato queste funzioni tra loro discordanti, distin¬ guendo lo stregone dal sacerdote e il medico dall’uno e dal¬ l’altro. L’opinione ora dominante consiste nel considerare la teoria come fondamento indispensabile delle applicazioni pratiche, pur rimanendo l’uua e le altre indipendenti tra loro; perciò vediamo che chiunque voglia oggidì dedicarsi all’arte della medicina, deve prima d’ogni altra cosa apprendere le scienze, come l’anatomia, la fisiologia, l’embriologia ecc., le cui co¬ noscenze applicherà poi nelle malattie che dovrà curare. Di qui la distinzione tra le scienze teoretiche e le scienze pra¬ tiche-. le prime tendono alla cognizione pura e hanno tra¬ sformato il mezzo in fine, acquistando coscienza d’una fina¬ lità propria, la quale consiste nella spiegazione della natura, cioè d’una massa enorme di fenomeni che l’uomo vuole or¬ dinare razionalmente e spiegare per mezzo di leggi; le se¬ conde invece si fondano sopra le scienze per applicarne i risultati ai vari scopi che l’uomo o la società possono pro¬ porsi di raggiungere, e perdono quindi il vero carattere di scienza. In questo modo, con lo svolgersi della conoscenza, il lavoro scientifico si è a mano a mano diviso in due grandi parti: alcune discipline s’occupano esclusivamente della teoria ed altre della pratica; quasi in ogni ramo del sapere la parte teorica si è venuta staccando nettamente dalla parte pra¬ tica. A noi spetta di considerare solo le scienze teoriche, ossia le scienze nel senso più esatto e meglio determinato della parola. Morselli, Principi di Logica — 6 82 PRINCIPI DI LOGICA. 3. Che cosa è una scienza. — Se si considera una scienza qualsiasi, la fisica o la chimica, la botanica o la zoologia, si scorge senza difficoltà che esse hanno di mira non -la conoscenza dei singoli corpi e dei singoli esseri e fe¬ nomeni separati e distinti completamente gli uni dagli altri ma fatta eccezione, come si vedrà in seguito, della storia,’ tendono a raggiungete concetti generali, i caratteri che le cose hanno comuni, ciò che si ripete nei fenomeni, ossia la c/usse, la legge. Vediamo qualche esempio, per chiarir meglio il vero significato di queste osservazioni e le proprietà di¬ stintive di una delle produzioni più mirabili dell’umano in¬ telletto, quale è la scienza. Lo studio del regno animale ha per fine precipuo di pre¬ sentare in modo compiuto e ordinato un quadro compren¬ dente tutti gli esseri viventi nella natura; e raggiunse la meta dividendoli e suddividendoli in gruppi, in classi, se¬ condo 1 caratteri comuni a ciascuna di queste, in mammiferi, in uccelli, in pesci ecc. La psicologia considera i processi psichici non in quanto sono individuali, ma in quanto sono generali; essa non osserva, per esempio, questo o quel de¬ terminato atto volontario, questa o quella determinata serie di percezioni, ina vuole stabilire i caratteri generali dell’atto volontario e della percezione. In fine la fisica mira a stabi- iire non come cada questo o quel corpo, ma la legge gene- rale della caduta dei corpi, ossia come, date le attuali con-' ( izioni dell universo, la caduta dei corpi. si ripeta in quel dato modo ovunque e in ogni tempo. Però il concetto di scienza non è sempre stato lo stesso, giacche vediamo che, ad esempio, gli antichi avevano di essa un opinione assai diversa da quella che ha valore nell’epoca nostra. 1 Per spiegare l’ordine che ammirava nell’universo, Ari- statile ricorse alla nozione di essenza, di forma, di tipo-, eoli pensa che la costituzione effettiva delle cose risulti di due fattori : i°. I tipi immateriali, che tendono costantemente a rea¬ lizzarsi nella materia, ed hanno, a quel che pare, un’esistenza eterna ed ininterrotta; cosi il tipo « quercia comune » guerci,s rmir esiste, ed io son certo che ad ogni momento vi è nel- CAPITOLO Vili. 83 l’universo almeno un esemplare individuale della quercia co¬ mune. 2°. La materia, che subisce l’influenza dei tipi immate- • riali, si lascia muovere e ordinare da essi, opponendo però una certa resistenza, di guisa che dove maggiore è la quan¬ tità di materia, ivi è più viva la resistenza di questa ad assumere la forma dei tipi, e minore appare quindi l’ordine : perciò nei cieli eterei l’ordine è perfetto; invece ''nella re¬ gione sublunare o della materia bruta vi è molta irregola¬ rità e disordine. I tipi sono dunque eterni, permanenti e si riproducono nella materia docile e resistente nel medesimo tempo. ■ L’epoca nostra non ha accettato questa dottrina, della quale ha messo in rilievo gli errori e le conseguenze assurde ; essa non ammette nè la costanza dell’ordine, nè l’esistenza di .irregolarità risultante dall’opposizione della materia. Infatti, come già abbiamo detto, i tipi naturali, mine¬ rali, vegetali, animali non sono permanenti, ma vanno sog¬ getti a continue trasformazioni; il nostro sistema solare sap¬ piamo essere la trasformazione d’una nebulosa, la terra essere stata un tempo un anello gassoso, poi una sfera liquida, la flora e la fauna terrestre aver avuto un principio, essersi arricchite successivamente e non aver cessato di trasformarsi. L’ordine è certamente una delle qualità che appaiono in modo più spiccato a chi osserva e studia i fenomeni dell’uni¬ verso; può anche darsi che sia di questo uno degli elementi essenziali; ma, ben lungi dall’essere costante, è soggetto a mutazioni e a trasformazioni. In secondo luogo la scienza moderna nega che vi siano fenomeni contrari alle leggi naturali, che esistano deviazioni, anomalie risultanti da ima resistenza più o meno, grande della materia; poiché anche nelle mostruosità e nei casi pa¬ tologici le leggi non soffrono eccezioni ; cosi se scorgiamo una piuma salire verso l’alto invece di tendere al centro della terra, non affermiamo certo essere questo fatto un’ in¬ frazione della legge di gravità. In conclusione, una scienza è un sistema di verità e di cognizioni generali, che sono dovute ad un lavoro metodico dello spirito e della riflessione razionale dell’uomo. 84 PRINCIPI DI LOGICA. “ Il popolo greco ha diritto a più d’un titolo di gloria: a lui, o almeno ai suoi grandi geni, era concesso di fare i più brillanti sogni speculativi, di creare con la poesia e le arti plastiche capo- lavoii incompaiabJi; ma vi è un altra creazione dello spirito greco, che si può dire non solo incomparabile, ma unica. Noi possiamo oggi gloriarci del predominio che esercitiamo sulla natura grazie alla conoscenza che abbiamo acquistato delle sue leggi; ogni giorno i nostri sguardi penetrano sempre più addentro, se non nell'essenza delle cose, certo nel succedersi dei fenomeni; questi trionfi a chi son dovuti, se non ai creatori della scienza greca? 1 legami che in tale materia uniscono l’opera moderna ai tempi antichi sono bene evidenti. A Iato ad un immaginazione creatrice d’una ricchezza mi- ìabile il Gieco possiede uno spirito del dubbio sempre vigile, che esamina tutto freddamente; e non sosta davanti ad alcuna audacia; ad un irresistibile bisogno di generalizzare si congiunge un’osser¬ vazione così attiva e penetrante da non lasciare sfuggir la più leggera sfumatura; una religione che accordava piena soddisfazione ai bisogni del cuore, senza per nulla impedire la libera azione di una intelligenza che minacciava o anche distruggeva lo sue crea¬ zioni. Aggiungansi numerosi centri intellettuali aventi ciascuno il piopiio emettere, 1 attrito continuo delle forze che escludeva ogni possibilità di stagnazione, un’organizzazione politica e sociale elio frenava i desideri vaghi e puerili della gente mediocre, senza met¬ tere in serio pericolo lo slancio degli spiriti superiori: tali sono i doni naturali e le condizioni favorevoli che hanno dato allo spirito greco la preminenza e gli hanno concesso di porsi e di mantenersi al primo posto nel dominio della ricorca scientifica „. (') 4. La classificazione delle scienze. — Ora che abbiamo v isto che cos è una scienza, possiamo chiederci quale rela¬ zione colie fra le diverse scienze; poiché, volendo queste of¬ frirci la conoscenza dell’universo, ossia d’un complesso di fenomeni connessi gli uni cogli altri, non si può negare che tra esse vi sieno legami e relazioni. Di qui la necessità d’una classificazione delle scienze, che è stata tentata fino dall antichità e che forma anche ai nostri tempi oggetto di discussione. Aristotile ammette una scienza fondamentale, la filosofìa prima, '-fùcoCfix npwTTj, avente per oggetto la realtà ul¬ tima e 1 essenza immutabile delle cose, alla quale sono su¬ oi Gojipebz, op. cit., pag. 292. CAPITOLO vra 85 bordinate tutte le scienze, cioè la teoretica, la quale comprende la matematica, la fisica, la storia naturale, la pratica, che corrisponde alla morale, e la poetica, ossia l’estetica. Francesco Bacone (1560-1626) ha tracciato una classi¬ ficazione delle scienze fondata sulla sua teoria delle facoltà dell'intelletto riducibili a tre principali, che sono: la me¬ moria, l’immaginazione, la ragione; dalla prima facoltà deriva la storia, che può essere civile e naturale', dall’immagina¬ zione deriva la poesia, che può essere narrativa, drammatica e parabolica; infine sulla ragione è fondata la filosofia, la quale ha un triplice oggetto: Dio, la natura, l’uomo; donde la teologia, ossia la scienza che tratta di Dio, degli angeli, e dei demonii; la filosofia naturale che comprende la meta¬ fisica, la fisica e la matematica; la filosofia umana o antro¬ pologia, che contiene la medicina, la psicologia, la logica ecc. Augusto Comte (1798-1857), fondatore della filosofia po¬ sitiva, è l’autore d’una celebre classificazione delle scienze, che esporremo qui brevemente. Egli ha diviso prima di tutto il sapere, per rispetto al fine che questo può proporsi, in teo¬ retico e pratico. Alla loro volta le scienze teoriche si possono considerare sotto un doppio aspetto: o ricercano leggi vale¬ voli per tutti i casi possibili, come le matematiche e la fisica, e allora sono generali e astratte ; oppure applicano tali leggi alla spiegazione dei vari esseri esistenti in natura, e sono particolari, descrittive, concrete. Per esempio, lo studio delle leggi generali della vita è oggetto d’una scienza astratta, la biologia ; mentre il determinare il modo d’esistere di cia¬ scuna specie di esseri viventi mediante le leggi scoperte dalla biologia, dà luogo a scienze concrete, quali sono la bo¬ tanica e la zoologia; queste ultime quindi sorgono dopo e per effetto delle prime. Le scienze astratte sono enumerate dal Comte nell’or¬ dine seguente : matematica, fisica, chimica, biologia, socio¬ logia ; e una tale divisione non è arbitraria, ma fondata sopra diverse e importanti ragioni. Anzitutto il Comte osserva che i fenomeni si presentano alla nostra osservazione in una serie di generalità decre¬ scente e di complessità crescente, poiché ciascun ordine di fenomeni è meno generale di quello che lo precede, ma più 86 PRINCIPI DI LOGICA. complicato; infatti, per poter osservare un fenomeno in un maggior numero di casi, bisogna spogliarlo (estrarlo) da un maggior numero di circostanze, e inversamente un fe¬ nomeno che conserva un maggior numero di circostanze, si riscontra meno frequentemente; anche in questo caso la comprensione e Y estensione stanno ira loro in ragione inversa, come abbiamo osservato a proposito dei concetti subordinati. Cosi i ienomeni tisici sono meno generali, ma più complessi di quelli matematici; i fenomeni chimici meno generali ma più complessi di quelli fisici. Inoltre questa scienza è gerarchica , poiché ciascuna scienza presuppone quella che la precede e ne dipende, al¬ meno nei tratti essenziali, non potendosi studiare il fenomeno più complesso senza conoscere quello più semplice, la fìsica senza la matematica, la chimica e la biologia senza le scienze precedenti. Inoltre la serie è storica, nel senso che le scienze sor¬ sero 1 una dopo l'altra nell’ordine indicato. Qui non bisogna confondere il sorgere, il costituirsi delle singole scienze col loro sviluppo. La classificazione del Comte è strettamente legata al suo sistema di filosofia, al positivismo, e non è possibile ac¬ cettare la prima rifiutando il secondo. Si può ben dire che il problema della classificazione razionale della scienza è un problema essenzialmente filosofico. In questi ultimi anni le classificazioni delle scienze si sono moltiplicale; il problema ha assunto un aspetto filosofico, e cia¬ scuno che si accinge a risolverlo, è guidato dalle sue vedute filo¬ sofiche o scientifiche. Noi citeremo qui due fra quelle classifica¬ zioni che hanno ora maggior voga, quella di Guglielmo Wundt, e quella del Windelband, esaminandole brevemente nelle loro linee generalissime, come quelle che rispecchiano due fra gli indirizzi filosofici ora predominanti. Secondo il IPundt, se si classificano le scienze secondo il loro oggetto, si è condotti, dato lo stato attuale delle conoscenze, a di¬ stinguerne tre gruppi: lo scienze matematiche, le scienze della natura, le scienze dello spirito. Le matematiche sono puramente formali, lo scienze della natura e quelle dello spirito sono reali. Le scienze naturali indagano il contenuto dell’esperienza fa¬ cendo astrazione dal soggetto conoscente; mentre le scienze dello CAPITOLO Vili. 87 spirito, che hanno come fondamento principale la psicologia, stu¬ diano quei fenomeni, nei quali l’uomo, considerato come fornito di volontà e di ragione, è un fattore essenziale: alle leggi dello spi¬ rito debbono essere subordinate le leggi della natura, e la causa¬ lità fisica è governata da leggi assai diverse da quelle che gover¬ nano i fenomeni psichici; poiché, mentre nel mondo fìsico si nota pur nel variare delle sue energie, una rigidità immutabile, il mondo dello spirito invece manifesta un continuo accrescimento d’energia, dovuto al fatto che ogni processo psichico è una sintesi, un pro¬ dotto affatto nuovo fornito di proprietà che invano si ricercano negli elementi che lo compongono. Inoltre in ciascuno di questi due gruppi bisogna distinguere: 1° lo scienze che hanno per oggetto la scoperta di leggi che reggono i fenomeni attualmente dati dall'esperienza, scienze feno¬ menologiche ; 2° le scienze che studiano le cose nella loro genesi, scienze genetiche ; 3° le scienze che, considerando non piu i mutamenti passeg¬ geri ma gli oggetti o almeno i risultati durevoli, determinano per comparazione le relazioni di queste cose, ne formano concetti di¬ stinti e riuniscono questi concetti in sistemi, scienze sistematiche. Di qui il soguente quadro: 1° scienze formali: matematiche. 2° scienze scienze naturali se. fenomenologiche : fisica, chimica, fisiologia, se. genetiche : Mimologia, geologia, scienza doll'crolu- lionc degli organismi. se. sistematiche: mineralogia, holanica, zoologia. reali scienze se. fenomenologiche : psicologia. dello se. genetiche: storia. spirito se. sistematiche: diritto, economia politica. (') Il Windelband e il Jlickert distinguono le scienze naturali, quali la fisica, la chimica, la psicologia, che studiano le relazioni tra i fenomeni, le quali sono date da giudizi universali e necessari, ossia da leggi, e sono quindi scienze rette da leggi; e le scienze sto¬ riche, quali la meteorologia, la geologia, la storia, che studiano la realtà considerata sotto l’aspetfo individuale e si limitano a stabi¬ lire una pura successione di fatti, sieno essi naturali o morali. La storia considera un organismo collettivo per sé stesso, come qualche cosa d’individuale, di particolare, d’unico, mirando a rilevare i 0) Wundt, Einleitung in die rhilosophie, E rate r Theil, Leipzig, Engel- mann, 1901. 88 PRINCIPI DI LOGICA. caratteri che lo distinguono da tutti gli altri organismi collettivi ; ingomma, un gruppo d’individui, una famiglia, una nazione, lino stato sono esseri concreti al pari degli individui, e sotto questo aspetto deve osservarli la storia, che non è altro che la scienza del particolare, doli' individuale, di ciò che non esiste che una volta sola e non si ripete mai. Quindi, mentre le leggi naturali s’appli¬ cano ai fenomeni che si ripetono sempre nella stessa maniera e non variano essenzialmente nelle loro manifestazioni, invece nella vita storica non è possibile in alcun modo stabilire leggi simili a queste, che si possano applicare tanto all’avvenire quanto al passato, appunto perchè non esistono due individualità storiche identiche, due avvenimenti che si possano ricondurre sotto la medesima legge generalo. Gli avvenimenti storici non costituiscono se non serie di fatti che si sono prodotti una sola volta nel corso del tempo e non si riprodurranno mai più; e ciò è tutto l’opposto della nozione di legge» che dà la formula dei fatti che si sono sempre prodotti e sempre si riprodurranno: questa è la differenza essenziale ed im¬ portantissima che corre tra le scienze naturali e le scienze storiche. CAPITOLO IX. 89 CAPITOLO IX. 1. L'osservazione scientifica — 2. L'esperimento — 3. La ricerca della causa — 4. Valore del principio di causa — 5. Evoluzione del concetto di causa — 6. I metodi speriraontali del MUl — 7. Osservazioni intorno ai metodi del Mill — 8. Eccezioni apparenti del principio di causa. 1. L'osservazione scientifica. — I principali procedi¬ menti che il pensiero umano adopera per estendere le nostre conoscenze, per passare dal noto all’ ignoto e che fanno parte del metodo inventivo, sono: Vinduzione, la deduzione, l’analogia e l'ipotesi. Il metodo induttivo c’insegna la via per risalire dai fatti alle leggi, ossia, come s’è già accennato, ai rapporti costanti e necessari tra due fenomeni, dei quali il primo dicesi causa e il secondo effetto ; il primo mezzo per raggiungere questo scopo è l’osservazione. L'osservazione si fa generalmente consistere in un atto immediato del conoscere, nell’applicare il potere percettivo alla constatazione dei fenomeni. Gli strumenti principali che adoperiamo nell’osservare sono i sensi quando si tratta di fenomeni esteriori, la coscienza quando vogliamo esami¬ nare processi interni, pei quali è però sempre indispensabile anche l’osservazione esterna. I sensi limitati e imperfetti ricevono un aiuto prezioso dagli strumenti scientifici, i quali possono o aumentare il po¬ tere di percezione, come il telescopio e il microscopio, o ren¬ dere più esatte le osservazioni che noi facciamo, come i cro¬ nometri che permettono di misurare un secondo e parti minime d’un secondo, oppure sostituirli ai sensi stessi, quando i fenomeni da osservarsi sono fuggevoli e difficilmente affer¬ rabili, come ce ne porge esempio la fotografia applicata allo studio dei fenomeni celesti, o quando i fenomeni non pos¬ sono essere da noi percepiti. Cosi la retina dell’occhio non è sensibile ai raggi ultra violetti, dei quali invece rimane traccia sopra la lastra fotografica. 90 PRINCIPI DI LOGICA. Però l’osservazione scientifica ha il suo fondamento es¬ senziale e la sua guida nella ragione, nell’ intelligenza la quale dirige la ricerca, interpetra e classifica i fatti e ne trae le con¬ seguenze; in una parola, è il buon osservatore che fa le buone osservazioni ; lo spirito di chi indaga sempre vigile, attento anche ai ienomeni che sembrano più insignificanti, paziente nel persistere nelle ricerche, imparziale, cioè libero da qualsiasi pregiudizio, può giungere a risultati e a scoperte di grande valore, come ce ne porge un mirabile esempio il Galilei, che possedette in grado eminente l’ingegno critico; e si deve solo a questo se dalle sue indagini intorno ai fenomeni na¬ turali seppe trarre conseguenze e cognizioni importantis¬ sime: il suo metodo, come afferma egli stesso, si fonda tutto sulla sensata esperienza non mai disgiunta dal ragionamento. Innumerevoli persone avranno senza alcun dubbio osservato le oscillazioni della lampada sospesa nel celebre Duomo, ma solo una mente severa e indagatrice come quella del Galilei poteva da quel fatto avere il primo impulso a stabilire ri¬ gorosamente le leggi del pendolo. L’osservazione dev’essere quindi esatta, cioè fedele e scrupolosa: bisogna raccogliere il maggior numero di fatti, nulla omettere e nulla aggiungere. A questo fine occorre che l’osservatore sia fornito d’un ricco corredo di cognizioni, af¬ finchè non si lasci sfuggire quelle indicazioni minuziose che spesso collegano tra loro fenomeni i quali in apparenza non presentano nulla di comune, e possa compiere un’analisi com¬ pleta del fenomeno considerato, che solo uno spirito acuto, provvisto di profonda cultura, sereno, libero di preconcetti è in grado di compiere. È inoltre necessario che l’osservatore determini chiaramente la scelta dei fatti che prende per sog¬ getto dei suoi studi, giacché tutti i fatti non hanno lo stesso valore, ma alcuni conducono più agevolmente allo scopo, altri invece ne allontanano, e i fenomeni che la natura ci presenta sono innumerevoli, e tra essi la mente umana deve sapersi muovere con grande discernimento. In conclusione, se è vero che quando i fatti che servono di base al ragionamento siano male stabiliti o erronei tutto l’edi¬ ficio rovinerà e le teorie scientifiche fondate sopra di quelli saranno false, è però innegabile che nelle buone qualità e CAPITOLO IX. 91 nella perspicacia dello spirito risiede la condizione più pre¬ ziosa per una buona osservazione. Cosi, per citare un esempio, alcuni astronomi prima di Guglielmo Herschell avevano visto una stella nella costellazione dei Gemelli, e l’avevano presa per una stella fissa; ma l’Herschell non s’arrestò alle os¬ servazioni superficiali dei predecessori : esaminò la qualità della luce, l’ingrandimento che presentava al telescopio, e conchiuse che non poteva essere una stella fìssa; osservò quindi il suo spostamento e dapprima io paragonò con quello delle comete e vide che non coincideva; lo paragonò con quello dei pianeti e, confermando l’ipotesi già formata, con¬ chiuse che era un nuovo pianeta, chiamato poscia Urano. Il Galilei così descrive con somma finezza la grande ricchezza della natura nel produrre i suoi effetti: “ Nacque già in un luogo assai solitario un uomo dotato da natura di un ingegno perspicacissimo e d’una curiosità straordi¬ naria; e por suo trastullo allevandosi diversi uccelli, gustava molto del loro canto, e con grandissima maraviglia andava osservando con che bell'artifizio, colla stess’aria colla quale respiravano, ad arbitrio loro formavano canti diversi o tutti soavissimi. Accadde che una notte vicino a casa sua sentì un delicato suono, nè poten¬ dosi immaginare che fosse altro che qualche uccelletto, si mosse per prenderlo, e, venuto nella strada, trovò un pastorello, che sof¬ fiando in certo legno forato, e movendo le dita sopra il legno, ora serrando ed ora aprendo certi fori che vi erano, ne traeva quelle diverse voci, simili a quelle d'un uccello, ma con maniera diver¬ sissima. Stupefatto e mosso dalla sua naturai curiosità, donò al pastore un vitello per avere quello zufolo, e ritiratosi in sè stesso, e conoscendo che, se non si abbatteva a passar colui, egli non avrebbe mai imparato che ci erano in natura due modi da formar voci e canti soavi, volle allontanarsi da casa, stimando di poter incontrare qualche altra avventura. Ed occorse il giorno seguente che, passando presso un piccolo tugurio, sentì risonarvi dentro una simil voce, e per certificarsi se era uno zufolo o pure un merlo, entrò dentro e trovò un fanciullo che andava con un archetto, eli ei teneva nella man destra, segando alcuni nervi tesi sopra un certo legno concavo, e con lo sinistra sosteneva lo strumento e vi andava sopra movendo le dita, e senz'altro fiato ne traeva voci diverse e molto soavi. Or qual fusse il suo stupore, giudichilo chi pnrticipa dell’ingegno e della curiosità che aveva costui, il quale vedendosi sopraggiunto da due nuovi modi di formar la 92 PRINCIPI DI LOQIOA. voce ed il canto, tanto inopinati, cominciò a credere ch’altri an¬ cora ve ne potessero essere in natura. Ma qual fu la sua mara¬ viglia quando, entrando in certo tempio, si mise a guardare dietro la porta per veder chi aveva sonato, e s’accorse che il suono era uscito dagli arpioni e dalle bandelle nell'aprir la porta! Un'altra volta spinto dalla curiosità, entrò in un’osteria, e credendo d’aver a vedere uno che coll’archetto toccasse leggermente le corde di un violino, vide uno che, fregando il polpastrello d'un dito sopra l'orlo d’un bicchiere, ne cavava soavissimo suono. Ma quando poi gli venne osservato che le vespe, le zanzare e i mosconi, non come i suoi primi uccelli col respirare, formavano voci interrotte, ma col velocissimo batter dell'ali rendevano un suono perpetuo, quanto crebbe in esso lo stupore, tanto si scemò l’opinione ch’egli aveva circa il sapere come si goueri suono; nè tutte l’esperionze già ve¬ dute sarebbero state bastanti a fargli comprendere o credere che i grilli, giacché non volavano, potessero non col fiato, ma con lo scuoter l’ali cacciar sibili cosi dolci e sonori. Ma quando ei si cre¬ deva non poter esser quasi possibile cbe vi fossero altre maniere di formar voci, dopo l’avere, oltro ai modi narrati, osservato an¬ cora tanti organi, trombe, pifferi, strumenti da corde, di tante e tante sorte, e sino a quella linguetta di ferro, che sospesa fra i denti, si servo in modo strano della cavità della bocca por corpo della risonanza e del fiato pel veicolo del suono; quando, dico, ei cre¬ deva di aver veduto il tutto, trovassi più che mai rinvolto nell’igno¬ ranza e nello stupore nel capitarli in mano una cicala, e che né por serrarle la bocca, nè per fermarle l’ali poteva nè pur diminuire il suo altissimo stridore, nè le vedeva muovere squame nè altra parte, e che finalmente alzandole il casso del petto, e vedendovi sotto alcune cartilagini dure, ma sottili, e credendo cbe lo strepito dorivasso dallo scuoter di quelle, si ridusse a romperle per farla chetare, e tutto fu invano, sinché, spingendo l'ago più a dentro, non 10 tolse, trafiggendola, con la voce la vita; sicché neanche potè accertarsi se il canto derivava da quelle; onde si ridusse a tanta diffidenza del suo sapere che, domandato come si generavano i suoni, generosamente rispondeva di sapere alcuni modi, ma che teneva per formo poterveue essere cento altri incogniti ed inopi¬ nabili. “ lo potrei con altri esempi spiegar la ricchezza della natura nel produrre suoi effetti con maniere inescogitabili da noi, quando 11 senso e l'esperienza non lo ci mostrasse, la quale anco talvolta non basta a supplire alla nostra incapacità “ Il Saggiatore, XII, 21 w . CAPITOLO IX. 93 2. L'esperimento. — Un altro mezzo efficacissimo nel raccogliere i fatti è Vesperimento, che consiste nel riprodurr e artificialmente i fenomeni natnrali, per poterli stud iare nelle c ondizioni p iù fa vorevoli . I vantaggi che lo sperimentare offre sopra l’osservazione pura e semplice si possono ridurre ai seguenti : a) I fenomeni che lo sperimentatore può procurarci sono più numerosi di quelli offerti dalla pura osservazione natu¬ rale, potendo esso ripeterli e moltiplicarli a sua volontà. Però l'esperimento non si può estendere a tutti quanti i fe¬ nomeni dell’universo, e molti di essi non si possono in alcun modo riprodurre. Cosi Galileo potè osservare due volte il più straordinario e il più misterioso tra i fenomeni celesti: l’ap¬ parizione e l’estinzione totale di stelle fisse, che vincevano in splendore tutte le altre stelle e i pianeti: anzi una di esse si vedeva in pieno mezzogiorno. Fenomeni di questo genero sono assai rari e si sottraggono naturalmente alla prova dell’esperimento. b) I fenomeni forniti dall’esperimento sono spesso più chiari, più evidenti ed hanno un valore dimostrativo assai maggiore di quelli forniti dall’osservazione, giacché, mentre la natura procede sinteticamente, e in un medesimo essere si riscontra una moltitudine d’esseri, in un effetto una molti¬ tudine d’effetti; l’ esperimento invece separa questi elementi, isola que sti effetti, pres enta un fenomeno separato dai fe no¬ meni concom itanti, rendendone qui ndi più facile l’esame. Cosi ! osservazione della caduta dei corpi, quale si prosoma in natura, è difficile o dà risultati assai scarsi; mentre studiando tale fenomeno come si produce colla nota macchina d’Atwood, tutti gli elementi e le circostanze di esso si possono rile¬ vare con precisione. c) Lo sperimentatore può variare indefinitamente il gruppo delle cause insieme agenti, e raccogliere con tal mezzo più fàcilmente gli indici rivelatori dei rapporti di cau¬ salità, e ottenere anche fenomeni nuovi, che in natura non si possono constatare, come la caduta dei gravi nel vuoto, la liquefazione dell’idrogeno e dell’ossigeno. Come è fàcile scorgere, anche nello sperimentare, se si vogliono ottenere buoni frutti, il predominio spetta sempre 94 PRINCIPI DI LOGICA. al potere discernitivo della ragione ; anche in questo campo, come in quello dell’osservazione pura, la natura non rivela i suoi secreti e le sue leggi se non al ricercatore illuminato e guidato dalla luce dell’intelligenza. 3. La ricerca della causa. — U osservazione e 1 ’esperi¬ mento si possono denominare operazioni preparatorie , in quanto servono quasi a fornire il materiale, il complesso dei fenomeni, che verranno poi elaborati dall’ induzione per trarne le leggi generali ; quest’ultimo compito, che ha nella scienza un’importanza essenziale e ne è il fine più alto, pro¬ cede anzitutto dalla ricerca della causa. Vediamo quindi di chiarire il concetto di causa, soggetto di tante discussioni tanto nella filosofia quanto nella scienza dei tempi nostri. Il principio razionale di causalità consiste nell’afferma¬ zione che « nell’universo ogni fenomeno ha una causa » . Quindi allorché si presenta un nuovo fenomeno, ossia quando nell’universo ha luogo un mutamento qualsiasi, dobbiamo considerarlo come la conseguenza, la continuazione, la tra¬ sformazione d’un fenomeno anteriore. Noi diciamo che esiste un rapporto causale tra due fenomeni, quando li conside¬ riamo cosi strettamente legati l’uno all’altro, che quando è dato il primo, l’altro si presenta inevitabilmente. Perciò mentre nel significato volgare la causa si restringe a indi¬ care il fenomeno antecedente d’un altro fenomeno, a designare ciò che produsse una cosa o un fatto, invece nel significato scientifico i due termini causa ed effetto sono correlativi, l’uno non può sussistere senza l’altro, e il passaggio, la transizione dal fenomeno antecedente al fenomeno conse¬ guente apparisce come il punto vitale, il « proprium quid » della causalità. Si giunge così ad affermare l’identità della causa e dell’effetto, a considerarli come due manifestazioni d’un’identità fondamentale, benché differenti nel tempo. In conclusione, si può dire collo Stuart Mill che « la causa è la somma delle condizioni positive e negative, che, essendo date, sono seguite da un conseguente invariabile ». Cosi, quando esprimiamo la legge biologica generale: Vaumento eli temperatura produce un’azione eccitante su tutti i processi vitali, vogliamo indicare che se è dato l’aumento della tem- CAPITOLO IX. 95 pelatura , n ® se £ ue > invariabilmente il crescere dell’energia e della ìapidità del movimento in un essere vivente. 4. Valore del principio di causa. - Il principio di causa e una ipotesi che è accertata solo fino ad un certo punto e si può sostenere che non si potrà mai avere una verifica- zinne completa del principio di causalità per mezzo del- 1 esperienza. Il principio di causalità stabilisce un ideale, che pei la nostra coscienza non potrà mai avverarsi. Anzitutto 1 esperienza non può mai dimostrarci che vi sia tra i fenomeni una continuità assoluta ; giacché in tutte le evoluzioni che noi possiamo seguire, si trovano sempre /acune, differenze non spiegate. Quando si sarà spiegato il passaggio dal fenomeno A al fenomeno B scoprendo ]’ inter¬ mediario k, si avranno due questioni invece di una: come si spiega il passaggio da A a k e quello da k a B? In secondo luogo l’esperienza non ci palesa nessuna ri¬ petizione assoluta , la quale sarebbe una condizione necessaria per applicare la legge di causa. Anche quando noi siamo convinti che A è la causa di B, non avremo con ciò il di¬ ritto di applicare questo principio ai casi futuri, se non nel caso che ci rappresentiamo A sempre in modo identico; il che avviene solo in maniera approssimativa, giacché vi sono sempre circostanze accessorie, gradazioni infinite, le quali lanno sì che una data situazione non si possa mai riprodurre due volte nell’identica forma. Ciò è vero non solo pei feno¬ meni organici, psichici e storici, dove le condizioni e gli elementi sono assai numerosi, ma anche nel mondo inorga¬ nico: la ripetizione assoluta è un ideale. In terzo luogo la serie delle cause è infinita precisamente come sono infiniti il tempo e lo spazio. Ogni arresto nella nostra investigazione è sempre fortuito o arbitrario; e poiché secondo il principio di causa, ogni causa diviene alla sua volta effetto, il volersi fermare ad una causa prima sarebbe come un contraddire a quel principio; se anche nelle ipotesi più ardite siamo costretti di fermarci ad un certo punto, questo non è che un limite di fatto-, noi concludiamo sempre con un punto d'interrogazione, giacché in virtù del principio di causa, vi è sempre un nuovo problema da porre e da ri- PHINCIPI PI LOGICA. 96 solvere. Perciò si può dire in un certo senso che nessun fenomeno è completamente spiegato. In realtà però si può sostenere che, anche ammettendo il pensiero dell’ Hurne che noi non percepiamo mai la causa, ma solo una successione, tuttavia per un numero estesissimo di fenomeni la successione è inevitabile e continua, come do¬ vremmo attenderci se il principio di causa fosse vero. (’) 5. Evoluzione del concetto di causa. — L’idea di causa ha una origine interna, soggettiva, ci è suggerita dalla nostra attività mo¬ trice. Un essere, che per ipotesi fosse puramente passivo e vedesse o sentisse successioni esterno costanti, non potrebbe avere alcuna idea della causalità. Tutti i fatti di attività mentale che si mani¬ festano per mezzo di movimenti contribuiscono a far sorgere in noi l'idea empirica di causa, come azione transitiva e conio muta¬ mento; tra essi quello più importante è la coscienza dello sforzo f. muscolare, ossia la coscienza d'un complesso di sensazioni prove¬ nienti dalle articolazioni, dai tendini, dai muscoli, dalle variazioni della respirazione ecc.; e la coscienza dello sforzo consiste sovrat- tutto nella coscienza AeW'effetto prodotto, alla quale s’aggiunge T idea confusa d’una creazione che emana da noi, d’una capacità che noi abbiamo di produrre un fatto nuovo. Noi estendiamo poscia questa capacità individuale e soggettiva di modificare la nostra persona e le cose, a ciò che ci circonda, giacché in forza d’una tendenza istintiva l’uomo suppone intenzioni, volontà, una causa¬ lità analoga alla propria in ciò che intorno a lui agisce o reagisce, nei suoi simili, negli esseri viventi e in quelli clic pei loro movi¬ menti simulano la vita, come le nubi, le acquo correnti ecc. È questo il periodo del feticismo primitivo elio s'osserva in tutte le mitologie e in tutte le lingue; se ne scorgono ancor oggi le trnccie noi fanciulli, nei selvaggi, negli animali, per es. nel cane che morde la pietra che lo colpisce, e anche neH’uomo civile, quando tornando ad essere per un momento un uomo primitivo, va in col¬ lera contro una tavola elio lo urta. Dalla concezione popolare, pratica, esteriore della causalità che deriva dal fatto, che ogni mutamento suggerisce all’uomo nor¬ male che no è testimonio la credenza invincibile in un agente noto o ignoto che lo produce, si passa al secondo periodo, che inco¬ mincia colla riflessione filosofica e si sviluppa col lento costituirsi delle scienze. Questo cammino si può riassumere nel seguente modo: ( l ) Hoffding, Psychologie, p. 282. F. Alcan, 1900. CAPITOLO IX. 97 si spoglia a poco a poco la nozione di causa del suo carattere sog¬ gettivo, umano, senza che si arrivi totalmente a raggiungere questa meta ideale; si riduce il carattere essenziale di tale nozione a un rapporto fisso, invariabile, costante tra un antecedente e un conseguente determinati; si scorge nella causa e nell'effetto non altro che due aspetti o due momenti d’nn solo e medesimo pro¬ cesso, il che alla fino equivale all'affermazione d’una identità.. (') 6. I quattro metodi sperimentali di G. Stuart Mill. — Come abbiamo già detto, la scienza non bì ferma alla con¬ statazione e alla descrizione dei fenomeni, ma tende come ad ultimo fine alla ricerca delle cause, e quindi delle leggi; queste ultime consistono in rapporti invariabili di succes¬ sione tra i fenomeni, e la causa non è altro che l'antece¬ dente invariabile dell’effetto; quindi la ricerca della causa e quella delle leggi costituiscono in ultima analisi un unico problema, o almeno due problemi tra loro indissolubilmente congiunti, e la soluzione del primo conduce in modo facile alla soluzione del secondo. Il problema della ricerca della causa si può esprimere nel modo seguente; « fra una moltitudine di rapporti di suc¬ cessione, trovare un rapporto di causalità». Ogni fenomeno che cade sotto i nostri sensi ha per antecedente non solo il fenomeno che ne è la causa, ma altri fenomeni a questo con¬ comitanti, e in simile maniera ha per conseguenti non solo il suo effetto, ma altri fenomeni concomitanti di tale effetto. Quindi il problema da risolvere consiste nel saper distinguere con esattezza il fenomeno causa tra gli antecedenti che non sono causa, oppure tra i conseguenti che non sono effetto il fenomeno che è veramente effetto. Se i fenomeni, invece di prodursi riuniti in aggregati più o meno complessi, costi¬ tuissero una serie unilineare, noi comprenderemmo con grande facilità che ogni fenomeno è causa di quello che segue, ed è effetto di quello che lo precede; ma la roaltà delle cose è diversa, e bisogna quindi ottenere per mezzo della ragione ciò che non ci è dato direttamente dalla na¬ tura: ossia bisogna mediante il ragionamento sperimentale (i) Kibot, L’évolutìon des idée» generai*», p. 202 e Bgg. F. Alcan, 1897. Morselli, Principi di Logica — 7 Kucfo cUMt eùJtjurpUl 98 PRIXCIPI DI LOGICA. in mezzo al complesso dei fenomeni isolare il fenomeno causa e il fenomeno effetto. I quattro metodi induttivi messi innanzi dallo Stuart Mill servono in parte a questo scopo; essi sono il metodo d’accordo, il metodo di differenza, il metodo delle variazioni concomitanti e quello dei residui. 1°. Metodo d’accordo. — Il canone di questo metodo è il seguente: Se due o più casi d’un fenomeno concordano in una sola circostanza, sempre presente, questa è la causa, del fenomeno. Sia da ricercare la causa del fenomeno a accompagnato dai fenomeni ab, preceduti dai fenomeni ABC, nòe diconsi antecedenti, ABC conseguenti; se in un secondo esperimento s’ottiene il gruppo ode, preceduto dal gruppo ADE, si può concludere che A ò causa di a. Infatti non si può affermare che siano B o C la causa di a, perchè nel primo esperimento questi mancano ed a invece vi appare ; per una ragione identica non si possono considerare come causa nò D nè E. Esempio: più corpi in circostanze differenti, entrano in fu¬ sione e si volatilizzano parzialmente, quando sono sottoposti ad una forte temperatura: la fusione e la volatilizzazione dei corpi hanno dunque evidentemente per causa il calore, unica circostanza comune. Metodo di differenza. — Il canone di questo metodo è il seguente: Se un caso nel quale il fenomeno si verifica, e un caso nel quale non si verifica, hanno in comune tutte le circostanze meno una, questa presentandosi solo nel primo caso, la circostanza per la quale sola i due casi differiscono, è la causa. Se in un primo esperimento si ottiene il gruppo dei con¬ seguenti abe preceduto dal gruppo degli antecedenti ABC e in un secondo esperimento si ha il gruppo he preceduto dal gruppo BC, si può conchiudere che A è causa di a. La di¬ mostrazione in questo caso è assai semplice. Esempio: Tutte le volte che la pressione atmosferica si esercita nella camera barometrica, il mercurio si eleva nel tubo .barometrico: sop¬ primiamo questa pressione facendo il vuoto: se vediamo il mercurio scendere, la causa cercata sarà il peso dell’aria; cosi pure in tisiologia la funzione d'un nervo si può stabilire con precisione, quando, tagliato il nervo, cessa la funzione. CAPITO!,0 IX. 99 3°. Metodo delle variazioni concomitanti. — Il canone suona così: Un fenomeno clie varia in una certa maniera tutte le volte che un altro fenomeno varia nella stessa ma¬ niera, è una causa di questo fenomeno. Se in un primo esperimento abbiamo abc preceduto da ABC e se in un secondo esperimento facendo variare A vediamo che varia pure a, diciamo che il primo è causa del secondo. Variando ad esempio la quantità di calore in un corpo, osserviamo il variare concomitante della sna dilatazione; e giungiamo così a porre la legge che il calore dilata i corpi; il calore (antecedente) si assume come causa della dilata¬ zione (conseguente). 4° Metodo dei residui. — Il canone è il seguente: Sot¬ tratta da un fenomeno la parte che si sa per induzioni an¬ teriori essere l’effetto di determinati antecedenti, ciò che resta fra i conseguenti sarà effetto di quello fra gli antece¬ denti che si è trascurato. Supponiamo che si abbiano gli antecedenti ABC e i conseguenti abc. Per induzioni precedenti sappiamo che causa di b è B e che causa di c è C; resterà che causa di a sia A. Con questo metodo l’odore sparso nell’aria dall’elettri¬ cità guidò a scoprire l’ozono; così pure, poiché il movimento d’Urano si spiegava nel suo insieme per mezzo di cause note, le irregolarità di questo movimento formavano un re¬ siduo che, determinato con precisione, condusse il Leverrier alla scoperta di Nettuno. Un bell’ esempio di questo me¬ todo è l’induzione con la quale Galileo trovò la causa del candore cinereo della luna. Le cause possibili sono quattro, la luce del sole, quella delle stelle, una luce propria, quella riflessa dalla terra; non può essere la prima perchè si prova che quella parte della luna nella quale si scorge il candore ci¬ nereo non è illuminata dal sole ; non la seconda, perchè il can¬ dore cinereo si dovrebbe vedere anche nelle ecclissi, il che non avviene, nè per la stessa ragione può essere la terza. Quindi la luce riflessa dalla terra è la causa del candore cinereo. 7. Osservazioni intorno ai metodi dello Stuart Mill. — I quattro metodi sopra descritti, che hanno il loro fonda¬ mento comune nell 'eliminazione di tutte le circostanze che 100 PRINCIPI DI LOGICA. sono la vera causa del fenomeno in questione, hanno per le ricerche scientifiche in generale un’importanza relativa, la quale dev’essere ridotta nei suoi giusti limiti, giacché ve¬ diamo spesso il fisico, il chimico, il fisiologo ricorrere, nello stabilire esattamente la causa d’un fenomeno, a mezzi diversi da quelli proposti dal celebre filosofo inglese. Anzitutto è stato osservato giustamente che l’uso di questi metodi induttivi presuppone due condizioni, che non sempre si verificano nella realtà, ossia: « che ogni effetto fibbia una sola causa, e in secondo luogo che gli effetti di ciascuna causa possano essere tenuti distinti dà quelli delle altre ». Anche nella % r ita quotidiana noi osserviamo un nu¬ mero considerevole di fenomeni, che possono essere prodotti d a iiiii cause, tali sono per es. TI movimento, il calore, il piacei e. la morte : in questi casi è quasi impossibile ridurre le esperienze in formule così nette e precise, come quelle che sopra abbiamo rappresentato per mezzo di lettere alfa¬ betiche, ed è molto difficile non omettere qualcuno degli an¬ tecedenti tra i quali vi è la causa che si ricerca; quindi si comprende facilmente come l a pluralità delle cause renda difficile il metodo di concordanza, anche quando si moltipli¬ cano le osservazioni e gli esperimenti. Cosi l’ignoranza del peso dell’aria indusse i fisici ad attribuire al vuoto, o, meglio, come essi dicevano, all’orrore del vuoto l'ascensione dell’acqua nelle pompe. La seconda esigenza rende dubbio il metodo di diffe¬ renza; cosi nelle esperienze fisiologiche i risultati ottenuti per mezzo della vivisezione rimangono non di rado dubbi, giacché il fenomeno prodotto dalla soppressione oppure dalla le¬ sione d’un organo, come sarebbe ad esempio, il cervello, non è sempre da attribuirsi in tutto ad esse, mà è spesso il contrac¬ colpo più o meno lontano prodotto dalla soppressione o dalla le¬ sione d’un determinato organo sopra un altro, o anche sopra l’insieme dell’organismo preso a soggetto d’esperieuza. Per questa ragione le precauzioni e le cautele che deve prendere il fisiologo sono rigorose e infinite, se non vuole cadere in errore. Un’altra difficoltà, per citarne ancora una, si presenta quando avviene che più cause insieme s’uniscano a produrre CAPITOLO IX. 101 un medesimo effetto, come il salire d’un areostato nell’atmo- slera, prodotto dal combinarsi dell’azione della gravità con altre cause, che non si possono trascurare, se si vuol dare uua spiegazione esatta del fenomeno; oppure quando la cau¬ salità è reciproca. Non osservando l a reciprocità delle cause, cadono in errore quelli che sostengono essere il fenomeno economico la causa unica e diretta del determinarsi degli altri fenomeni sociali, politici, religiosi, giuridici, artistici e morali; mentre sono più nel vero quelli che sostengono che i fenomeni sociali sopra indicati possano alla loro volta eser¬ citare un’azione determinatrice sopra il fenomeno donde hanno tratto l’origine; così è innegabile che se la produ¬ zione economica stimola il movimento scientifico, questo alla sua volta con l’invenzione di macchine, di strumenti ecc. stimola e rende più perfetta la produzione economica. 8. Eccezioni apparenti del principio di causa. — Vi sono due idoe, che pare si sottraggano all’universalità del principio di causa o che malgrado lo sviluppo del pensiero scientifico hanno tuttora molta forza; sono le idee del miracolo e del caso. J1 miracolo, preso non nel significato religioso, ma nel signi¬ ficato etimologico più gouorale [mirari), è un avvenimento raro, imprevisto, che si produce fuori oppure in opposizione del coreo ordinario e naturale delle cose. Però esso non porta alla negazione della causa intesa nel senso popolare, giacché suppone sempre un antecedente: la Divinità, o una potenza ignota; ma ammette una derogazione al determinismo, nega la causa nel senso scientifico; il miracolo sarebbe la causa senza la legge. Per molto tempo nulla ò sembrato più naturale del miracolo: nel mondo fisico l'appari¬ zione d'una cometa, le ecclissi e altri feuomoni simili erano consi¬ derati come prodigi e presagi, e tuttora sono causa d’inquietudine per molte persone; nel campo della vita codesta credenza è più tenace; nel secolo XVII spiriti illuminati ammettevano ancora gli errore s o lusus naturar, stimavano la nascita di mostri segno di cat¬ tivo augurio ecc. Peggio avveniva nel campo della psicologia; sono noti i pregiudizi, così diffusi nell'antichità, non ancora scomparsi, intorno ai sogni profetici, al mistero onde si è circondato per tanto tempo il sonnambulismo naturale o provocato e gli stati analoghi. Infine anche nella vita sociale vi sono molti utopisti, cho pur re¬ spingendo la realtà del miracolo, l'ammettono però con grande fa- 102 PRINCIPI DI LOGICA. cilità nell'ordine politico o ricostruiscono la società umana ab imis fundanientis seguendo i loro sogni. (') L’idea di caso è più oscura e controversa. Nel significato vol¬ gare esso è un avvenimento elle non presuppone nè causa nè leggo, un'eccezione alla regola generale, secondo la quale ogni fatto è un effetto. Molti pensano che il caso sia uua causa reale, ma oscura e impenetrabile, un principio di disordine e di confusione, che con irresistibile potenza agisce nel mondo a dritto e a torto, produ¬ cendo ora con ostinazione capricciosa, una serio continua e strana di avvenimenti, ora fenomeni isolati e mostruosi. Ma già nell’an¬ tichità Aristotile, intravedendo la verità, scrisse: “ si dice che al¬ cune cose avvengono per caso, altre no, pur sapendo che tanto le prime quanto le seconde si possono spiegare riferendosi a qual¬ cuna delle cause ordinarie ,. Anche David Hume (1711-1786) af¬ ferma essere il caso non altro che l’ignoranza delle cause vere. Il Cournot (1801-1877), studiato profondamente tale problema, dice die “ gli avvenimenti prodotti dall’incontro o dalla combina¬ zione di altri avvenimenti che appartengono a serie indipendenti le uno dalle altro sono chiamati fortuiti o risultati del caso ,. In¬ numerevoli sono gli esempi di questa congiunzione o incrociamento di due o più serie di cause e di effetti, indipendenti all'origine le uno dalle altre e non destinate per la loro natura ad una influenza reciproca; cosi una serie di cause e d’effetti conduce un viaggia¬ tore a prendere un determinato treno e una serie di cause e d effetti totalmente distinti produce in un luogo e momento deter¬ minato, un accidente che uccide il nostro personaggio. Rappresen¬ tandosi con una linea continua la catena delle ragioni che spiegano un fenomeno, se questa catena 6 attraversata da un’altra catona e questa linea vioue tagliata da una linea che parte da un altro punto, il risultato di tale intersezione è qualcosa di fortuito, un caso, che non è altro quindi che l'incontro di due serie di cause non solidali, o non presenta quel carattere di assurdità che si scorge in un fatto senza causa, giacché suppone il concorso di più cause; si potrà dire con maggior precisione che è un fatto senza legge. Tra la definizione del Cournot e quella antica di Aristotile, come è stato osservato, ( s ) esisto una profonda analogia, e si può almeno diro che tanto per il primo quanto pel secondo il fortuito consisto nell'incontro imprevedibile di cause e d'effetti fino a quel punto indipendenti. l ) Ribot, op. eit., png. *210. (2' Da G. Miltiaud e H. Piérox nella Heviie de Métapht/sique et de Morale * del seti. 1902. CAPITOLO X. 103 CAPITOLO X. 1. Che cos’è una leggo naturale — 2. I caratteri della legge naturale — 3. L'evo¬ luzione del concetto di legge — 4. Cenno storico della teorìa logica doli’in¬ duzione — 5. Galileo Galilei c G. Stuart Mill. 1. Che cos’è una legge naturale. — Dopo che si è os¬ servato che a’ intenda per causa, è facile comprendere che cosa s’intende per legge, sempre però nel campo delle scienze che sono anche dette nomotetiche, appunto perchè mirano a stabilire leggi. Quando noi esprimiamo giudizi universali, come i seguenti : tutti gli uomini sono mortali, tutti i raggi luminosi che cadono sotto un angolo di 30 gradi, sono riflessi sotto un angolo di 30 gradi; noi vediamo tosto che essi fu¬ rono veri noi passato e saranno nell’avvenire [manto nel pre¬ s ente . Quando il chimico dice che ogni combinazione dello zolfo con l’ossigeno avviene secondo rapporti fissi di peso, non si riferisce ad un momento, ad un giorno, ad un anno, ad un secolo, ma Quindi nello stesso modo che davanti a giudizi di tal fatta è lecito porre la parola sfM pg£ dominane , si può mettere anche la parola sempre , la quale £ . richiamerebbe insieme col tempo presente anche il passato ” e il futuro: sempre e dovunque le combinazioni di zolfo o (l’ossigeno si sono fatte, si fanno e si faranno secondo rap¬ porti fissi di peso. Però il tempo presente che si adopera in queste propo¬ sizioni categoriche universali non deve essere inteso nel senso che indichi una realtà permanente ed eterna', giacché la scienza considera i fenomeni fìsici e chimici, l’esistenza degli organismi viventi, le attività psichiche, gli aggruppa¬ menti sociali, c ome semplici possibilità : ossia tutti questi fe¬ nomeni sono, possibili sempre e doni nane, quando ne sian o date le condizioni, non vuol già dire che siano perpetua- mente reali; la quale affermazione evidentemente sarebbe 104 PRINCIPI DI LOGICA. / ■ erronea. Tediamo di dare le ragioni di questo possibile * errore. Posso io dire in forma di giudizio categorico: sempre e d ovunque i corpi si combinano secondo rapporti fissi di peso? la combinazione dei corpi è una realtà costante ed eterna ? No certo; la chimica non insegna forse che «ad una certa temperatura tutte le attività chimiche sono sospese? Può esservi stato nel tempo trascorso, potrà esservi nell’avvenire un periodo di freddo universale nel quale alcuna combina¬ zione chimica non era e non sarà possibile; bisognerebbe quindi esprimersi con maggior precisione nel seguente modo: sempre e dovunque, se alcuni corpi si combinano, le loro combinazioni avvengono secondo rapporti lissi di peso.' Negli enunciati generali della fisica si può constatare un fatto simile. Così la legge d’attrazione non si può espri¬ mere per mezzo d’un’affennazione categorica ed universale come la seguente: tutti i corpi si attirano; ma assai meglio e in modo più preciso in una forma condizionale: sempre e dovunque, se due corpi pesanti sono soggetti, senza causa perturbatrice o inibitrice, all’influenza che essi esercitano l’uno sull’altro secondo le loro masse, la forza della loro at¬ trazione è direttamente proporzionale al prodotto della massa e inversamente al quadrato della distanza. L ’impenetrabilità ci mette in presenza d’un problema analogo. A prima vista nulla di più categorico di questa as¬ serzione: tutti i corpi nello spazio occupano un posto; che cos’è un corpo? è un aggregato che ha un certo volume e una certa stabilità; vi sono corpi, ve ne sono sempre stati e sempre ve ne saranno. Eppure possiamo chiederci con ra¬ gione se la scienza non deve ammettere come possibile uno stato dell’universo, nel quale ogni aggregato sarà sciolto e gli elementi veri verranno separati e rimarranno indipen¬ denti. Non vi sarebbero quindi corpi percettibili per la nostra mano o per le nostre bilance, non vi sarebbero più atomi o elettroni ; gli atomi e gli elettroni sono essi impe¬ netrabili? lo sappiamo noi di vera scienza? (*) (*) A. Isaville, La primauté des jngements condiiiunnels, “ Rovue philos. avril 1905, p. 343. CAPITOLO X. 105 In conclusione possiamo dire che alle leggi e ai teoremi universali conviene non la forma categorica, ma la forma condizionale, poiché espri m ono affermazioni relative a rap ¬ p orti e ad avveni menti consid erati solo come possibili, ossia soggetti a determinate condizioni , le quali col tempo pos¬ sono anche venir meno. 2. I caratteri della legge naturale. — Chiarito in tal modo il concetto di legge naturale, possiamo chiederci: perchè noi crediamo, anche sulla testimonianza d’un caso solo, che i casi futuri saranno simili ai casi sperimentati? come da un certo numero di casi si trae una legge e si estende a * r** 6 " tutti i casi omogenei possibili? perchè, ad esempio, dopo r '“- y ' m - t, ’ z aver esperimentato una o più volte che un corpo immerso in un liquido perde tanto del proprio peso quanto è il peso del liquido spostato, il fisico passa a stabilire la legge gene¬ rale: sempre e dovunque se un corpo è immerso nell’acqua perde tanto ecc. ecc.? Il fondamento logico di quest’affermazione è da ricer¬ carsi in un postulato, cioè in un principio indimostrabile, c he dev’essere ammesso affinché la realtà riesca comprensi¬ bile : tale postulato è quello deU.’uniformità della indura, il quale è alla sua volta fondato sul principio dì causa inteso nel senso che cause simili in condizioni simili producono effetti simili e sul principio della conservazione della mate¬ ria e dell’energia. Il postulato àe\Vuniformità della natura, la cui esigenza era già stata compresa dagli antichi nell’espressione: natura non facit saltus, non indica già che la realtà naturale è costante e uniforme, ma che, pur essendo essa in perpetua evoluzione e trasformazione, i mutamenti incessanti avven¬ gono secondo leggi costanti e uniformi. Il principio della conservazione dell’energia, che dà alla scienza contemporanea della natura il suo carattere proprio, trova la dimostrazione più evidente nella chimica, la quale, appoggiandosi a tale supposizione , confermata da un gran numero d'esperienze, afferma che la somma delle particelle materiali o atomi rimane sempre la stessa in tutti i muta¬ menti che la materia subisce. Perciò quando un corpo riceve 10G PIUXCIPI DI LOGICA. nuove proprietà, ciò si spiega per mezzo d’una modificazione nell’insieme e nelle modificazioni delle parti: produzione o soppressione d’una sostanza significa aggregazione o disgre¬ gazione d’atomi che già preesistevano, benché in altre com¬ binazioni. Ammettendo quindi che la materia persista attra¬ verso a tutti i suoi mutamenti, si ammette ancora che la somma dell'energia ossia la capacità di lavoro, di vincere la resistenza che si manifesta nella natura materiale, rimane sem¬ pre la stessa; e solo in apparenza avviene che l’energia nasca o si distrugga, come si può dimostrare con qualche esempio: La forza colla quale una pietra cade a terra dipende dall’altezza dalla quale cade, e, alla sua volta, l’altezza di¬ pende dalla forza con la quale la pietra era stata sollevata. Quando la pietra s’è fermata sulla terra, pare che la forza si perda, giacché la pietra non ha apparentemente il potere di muoversi dal suo posto; ma, anche allora, il dileguarsi della forza significa solamente che questa si è convertita in qualche altra cosa, in calore. Lo stesso fenomeno avviene quando il movimento non cessa del tutto, ma è solamente rallentato dall’attrito, giacché la forza perduta dal corpo, per l’azione dell’attrito, non si perde in modo assoluto, ma si trasforma in calore. Esperienze ripetute, sempre confer¬ mate, dimostrano che la quantità di forza, o, meglio, d’energia che scompare sotto una forma, trova il suo equivalente esatto in un’altra forma, cosicché la stessa quantità della stessa specie d’energia potrà essere di nuovo restituita, e qualunque sia la metamorfosi che può subire ciascuna delle differenti forme d’energia, considerate a parte, la loro somma rimane sempre la stessa. L ’importanza di questo principio è grandissima per la s cienza, benché come legge generale della natura non abbia ell e un valore ipotetico, giacche, non potenao mai conoscersi il contenuto totale del la natura, non potrà inai ess ere con¬ fe rmato dall’espe rienza se non in maniera approssimativa. (*) Esso si deve quindi considerare come~u n~;7r7nc7'»fo o un 'idea che ci dirige nelle nostre investigazioni. Infatti quando si presenta ai nostri sensi un nuovo fenomeno, ossia C) HJmnsc, op. cifc., pag. 41. CAPITOLO X. 107 quando ha luogo un mutamento dentro o fuori di noi, esso ci invita a scorgere nel nuovo fenomeno non altro che la continuazione o la trasformazione del primo, o almeno a ricercare un fenomeno antecedente, del quale sia la conse¬ guenza inevitabile, donde il principio di causalità, secondo il quale due fenomeni ci appariscono cosi strettamente legati rimo all’altro, che, dato il primo, l’altro si presenta inevi¬ tabilmente. La formula dell’induzione, ossia la legge scienti¬ fica si può dunque esprimere nei seguenti termini: 1°. Ogni rapporto di causalità è costante. 2°. Il rapporto constatato tra i fenomeni A e B è un rapporto di causalità. 3°. Il rapporto tra A e B è costante. Se, come ha dimostrato l'Helmoltz, esiste veramente la legge di conservazione dell’energia, essa deve valere tanto per la natura animata, quanto per quella inanimata. Poiché la natura animata, dice un tisiologo idealista, ( 1 ) è composta della stessa materia del¬ l’inanimata ed è in continuo ricambio materiale con ossa, e poiché per mezzo delle sostanze assunte certe forme d’energia son traspor¬ tato dalla natura inanimata in quella animata, la leggo di con¬ servazione dell’energia sarebbe interrotta, se nella sostanza viva l'energia perisse o sorgesse, cioè se la stessa quantità d’energia introdotta nei corpi vivi, non fosse ridata di nuovo alla natura ina¬ nimata, sia durante la vita, sia dopo la morte. Studi recenti hanno dimostrato che tutta l’energia assorbita dall’organismo coila nutrizione dalla natura inanimata, abbandona poi di nuovo il corpo sotto altre forme; nell’organismo non vi ha produzione nè perdita d’alcuna minima quantità d’energia. 3. L’evoluzione del concetto di legge. — Nello sviluppo del concetto di legge si possono distinguere tre periodi prin¬ cipali: quello delle immagini generiche, quello delle leggi concrete o empiriche, quello delle leggi teoriche e ideali. Nella prima fase la mente umana si forma una conce¬ zione meccanica della regolarità d’un fenomeno, la quale si estende ad un numero assai ristretto di avvenimenti: è il risultato della ripetizione costante o frequente di alcuni cicli, (*) Verworx, Fisiologia generale, pag. 222, Torino, Bocca, 1898. 108 PRINCIPI PI LOGICA. come, ad esempio, del corso del sole, della lima, delle stagioni ; molti uomini non hanno che questa ombra, questo simulacro di legge, che riposa sulla pura associazione, sull’abitudine pratica, sull’ attesa spontanea d’una ricorrenza che è stata percepita più volte. Questa nozione, quantunque sia assai umile, tuttavia è stata assai utile nei primi passi percorsi dall’umanità sul cammino della scienza, poiché ha frenato la tendenza vivissima dell’immaginazione a popolare il mondo di cause capricciose e senza regola: è stata la prima affer¬ mazione d’una credenza nella regolarità. In un periodo posteriore la riflessione e la ricerca me¬ todica fanno sorgere lentamente le leggi empiriche , che con¬ sistono nella riduzione d’un gran numero di fatti in una formula unica, senza però dare di essi la ragione esplicativa. Nel corso degli avvenimenti la mente scopre tra due o più fatti un rapporto costante di coesistenza o di successione, il quale viene esteso ad altri casi; qui non è del tutto neces¬ saria la costanza, basta la frequenza. La legge empirica è identica ai fatti, ossia legge e fatti non sono che due aspetti della stessa cosa. Si assimila facilmente la legge empirica a un fatto generale; cosi in psicologia si dice: la legge d’as¬ sociazione o anche il fatto generale dell’associazione. In secondo luogo la legge empirica è non di rado com¬ plessa ; non riuscendo sempre a rinchiudere in una formula unica e breve molti fatti, essa deve scindersi in più casi e adoprare lunghe formule per potere contenere i casi parti¬ colari e le eccezioni. Appaiono infine le leggi teoriche o ideali, che sono le più astratte e le più semplici; sono costruzioni dello spirito che divengono sempre più approssimative a mano a mano che salgono e s’allontanano dall’esperienza; e non possono essere applicate, discendere dalla teoria alla pratica se non mediante rettificazioni o addizioni. Per gli spiriti abituati alla disciplina delle scionze rigorose la legge ideale è la sola valevole, onde considerano con un certo disprezzo e con certa diffidenza le formule che sono un semplice riassunto dei ri¬ sultati dell’esperienza. Il carattere approssimativo delle leggi teoriche deriva dal loro carattere ideale. Cosi si è detto che « le leggi fisiche CAPITOLO X. 109 sono verità generali sempre più o meno falsate in ogni caso particolare » ; per es., non è sempre assolutamente vero che un movimento sia uniforme e rettilineo; la legge teorica delle oscillazioni del pendolo non si può constatare in modo asso¬ luto, giacché non esiste un mezzo non resistente, una forza affatto rigida e che non possa estendersi, nè un apparecchio di sospensione capace di moversi senza attrito; un pianeta non potrebbe descrivere una ellissi esatta, se non nel caso che girasse solo intorno al Sole, e poiché vi sono più pianeti che agiscono e reagiscono gli uni sugli altri, la legge di Ke¬ plero rimane vera solo idealmente. Si sa da ricerche com¬ piute con estrema precisione, che la legge di Mariotte sopra i rapporti tra la densità d’un gas e la pressione che sop¬ porta, non è rigorosamente esatta in nessuno di essi ; però tra la teoria e la realtà le differenze sono così tenui, che nei casi ordinari si possono trascurare. Neppure le leggi della termodinamica (conservazione dell’energia, correlazione delle forze) adoperate con tanta frequenza ai nostri giorni pel loro carattere di generalità e che qualcuno considera come il prin¬ cipio ultimo dei fenomeni, non hanno un valore assoluto; in¬ fatti non è del tutto esatto il dire che ogni cambiamento dia luogo a un cambiamento capace di riprodurre il primo senza addizione o perdita. L’enumerazione delle leggi ideali sarebbe lunghissima. Oggidì la nozione di legge è comune a tutte le scienze od è usata nel significato più rigoroso nelle scienze matematiche e fi¬ sico-chimiche. Però non è sempre avvenuto così. Nell'antichità il termine è adoperato in un senso quasi esclusivamente sociale, giu¬ ridico, morale, per cui si considerano le leggi naturali come norme impartite ai fatti da una volontà soprannaturale, nello stesso modo che il legislatore impone ni cittadini il proprio volere con norme non trasgreditoli; con gli stoici l’idea di legge è trasportata per la prima volta dai fatti morali ai naturali, e con la scuola epicurea cominciò a considerarsi come la manifestazione spontanea della realtà intima dei fenomeni. Il concetto di legge nel senso moderno si è formato tardi o assai lentamente; Copernico o Klepero nel secolo XVI si servono della parola “ ipotesi il Galilei chiama assiomi le leggi fonda- mentali della natura e leoi-emi quelle che ne derivano secondo la 110 PMNOIPI DJ LOGICA. torminologia dei matematici. Renato Descartes (1596-1050) inco¬ mincia la sua filosofia della natura ponendo alcune lìegulae sire leges vaturales. Newton dice: Axiomata sire leges motti ». L’esten¬ sione della pai'ola logge è dovuta assai probabilmente al bisogno di stabilire una divisione netta tra gli assiomi astratti dei mate¬ matici e i principi ai quali si attribuisce un valore oggettivo e un esistenza nella natura. Infine con la celebro delinizioue del Mon¬ tesquieu (1689-1755): “ le leggi sono i rapporti necessari che de¬ rivano dalla natura dello cose , il concetto di logge ha preso il più alto grado di generalizzazione. Un altro fatto degno d’osservaziono è il seguente : Cartesio chiama lo leggi della natura 41 regolo „ in quanto esse servono a spiegarci i fenomeni; lo chiama “ leggi „ in quanto Dio le ha sta¬ bilite all'origine dell’universo come proprietà della materia. Tiù tardi la natura pronde il posto di Dio; il che è una sopravvivenza d una concezione panteistica del mondo; poscia predomina la ten¬ denza a designare lo leggi coi nomi dei loro scopritori: legge di Ma- riotte, di Oay-Lussac, d'Avogadro, di Weber ecc. Nel secolo XVII è Dio che stabilisce le leggi della natura; nel XVIII è la natura stessa; nel XIX sono gli scienziati stessi che si assumono un tal compito. 4. Cenno storico della teoria logica dell’induzione.— Benché abbia avuto il suo massimo svolgimento nella scienza moderna, tuttavia la teori a logica dell’induzione risale al- l’antichità, e la vediamo formulata per la prima volta da Ari¬ stotile, pel quale l’induzione è il procedimento opposto al sil¬ logismo deduttivo, e consiste nel ragionamento che procede - biamo tenerci lontani dai pregiudizi e dalle illusioni, ch’egli chiama Mola e distingue in quattro classi : Mola tribus, che derivano dalla natura e dalle tendenze proprie dell’uomo; Mola spedis prodotti dal carattere e dalle particolarità in¬ dividuali proprie di ciascun nomo; Mola fori, che sono gli errori che sorgono dal commercio cogli altri uomini, special¬ mente per mezzo del linguaggio; Mola theatri, cioè gli errori che si ricevono per la via della tradizione, dell’insegnamento e dell’autorità altrui, quando si accolgono senza critica. Liberato il terreno da questi ostacoli, sarà assai piè agevole salire dai fatti constatati per mezzo dell’osservazione e dell’esperimento alle leggi; in ciò consiste la vera induzione, che egli considera come la via migliore per costruire la scienza. Egli però non attribuisce alla parola legge il significato odierno, ma il senso d’una semplice generalizzazione empi¬ rica; d à valore di prova solo all’induzione completa, all’enn- merazione compieta, che nella maggior parte dei casi non è possibile, dimodoché non è mai stata adoperata da nessuno dei grandi maestri della scienza. Si è osservato giustamente che l’induzione baconiana trascende in un volgare empirismo, poiché, c oncedendo minima importanza al ragionamento , non ci permette di vedere distintamente se la connessione osser¬ vata tra vari fenomeui è puramente casuale e sarà contrad¬ detta da ulteriori osservazioni, o se dipende da ragioni pro¬ fonde che fanno estendere il principio generale ottenuto anche a fatti non ancora esaminati. Bacone dichiara che la scoperta di nnove verità può ottenersi soltanto per mezzo d’una raccolta metodica di fatti, la quale deve essere fatta in modo da distinguere i fatti in tre categorie, dispo¬ nibili in tre tabelle differenti. La prima, che vien chiamata tabula essentiae et presentine, contiene esempi concordanti nella presenza del fenomeno che si vuole investigare; la seconda detta tabula de- clinationis sive absentiae in proximo contiene esempi che mancano nel fenomeno, ma che sono connessi cogli esempi in cui il feno¬ meno accade, ciascun esempio corrispondendo per quanto è possi¬ bile a quelli già inclusi nella primn tavola. La terza, che prende CAPITOLO X. 113 il nome di tabula graduimi si ve tabula comparativa, comprende i fenomeni in cui il carattere ricercato si trova in grado più o meno intenso, sia elio la variazione avvenga nollo stesso soggetto, sia che in diversi soggetti paragonati fra loro. Come è facile accorgercene, il procedimento induttivo viene in tal modo sottoposto a troppe lungaggini, che ne rendono l’uso assai difficile o poco pratico, benché Bacone abbia con lo sue tavole in¬ traveduto i tre primi dei quattro metodi dello Stuart Mill. 5. Galileo Galilei e G. Stuart Mill. — Il creatore del me¬ todo sperimentale è Galileo Galilei ( 1564-1(142) che vide più chiaramente di Bacone il vero carattere dell’induzione e seppe accoppiare ad una mente critica e indagatrice di supremo valore un’abilità insuperabile nello sperimentare. « Noi salu¬ tiamo oggi il Galilei (cito a bello studio le parole non so¬ spette d’uno straniero) come il vero fondatore della scienza della natura, alla quale egli ha dato il metodo più acconcio; noi salutiamo in lui lo scopritore della legge della caduta dei gravi, con la quale ha posto la base alla scienza del movi¬ mento, alla dinamica, e ha aperto in tal modo la prima porta a tutta la fisica; con profonda ammirazione pensiamo alle sue osservazioni astronomiche, e sopratutto alla scoperta dei satelliti di Giove, delle stelle Medicee, mondo copernicano in piccolo: egli stesso visse e soffri per la dottrina di Co¬ pernico, per la conoscenza scientifica dell’universo. Il metodo tjalileiano, cioè il metodo sperimentale che riunisce armoni¬ camente l’induzione e la deduzione, l’esperienza e il pensiero, rappresenta, come ha già affermato Emmanuele Kant, una rivoluzione dell’indagine scientifica; l’antica filosofia naturale è condannata, per lasciare il posto alla moderna scienza. Tutta l’opposizione fra questa e quella, il progresso grande fra l’una o l’altra si può esprimere con brevi parole: invece di chie¬ dere: perchè cadono i corpi, da quale specie di impulso, da quale ignota causa vengono sospinti ; il Galilei si pone il pro¬ blema : come cadono i corpi, secondo quale legge. Questo mu¬ tamento in apparenza leggero nel porre la questione scien¬ tifica separa due età della conoscenza umana, collocando al posto dell’inutile e ingannevole ricerca intorno all’essenza delle cause il s olo compito possibile di indagare e ritrovare l e leggi dei fenomeni » . (') 0) A. Riehl, Philosophie der Gegenwart, pag. 33 e seg., Lipsia, Teubner, 1903. Morselli, Principi di Logica — 8 114 PRINCIPI DI LOGICA. Il Galilei concepisce le forze naturali come capaci di peso e di misura nelle loro azioni, e dice quin di essere la natura scritta in caratteri matematici, e i caratteri essere t riang oli, centri e altre figure geometriche, e quindi senza questi mezzi essere impossibile di intenderne umanamente parola; adopera i sensi nelle esperienze, l’immaginazione per ^ rappresentarci all’intelletto le apparenze possibili o avverate dei corpi, la ragione tanto nell’indagare le intime leggi del pensiero, quanto a ricercare con le matematiche le leggi in¬ telligibili del mondo esterno, essendo ogni cosa creata con peso, numero e misura. Egli sottomette all’analisi ogni ben¬ ché minimo accidente, con instancabile pazienza r ipete l’os¬ s ervazione e l’esperimento variando le circostanze e rimovendo ' g li ostacoli che ne potessero diminuire la sincerità. Tutte queste precauzioni, dice il Fiorentino, sarebbero rimaste inu-j tili, senza quella geniale divinazione dell’ingegno, che, quasi lampo attraverso d’una nuvola squarciata, gli faceva alla lon¬ tana intravedere la possibile causa d’un fatto. Vede oscillare una lampada, ne osserva i movimenti equabili, li misura ai battiti del polso e corre col pensiero all’ isocronismo del pen¬ dolo. Si sovviene aver veduto nelle tempeste cadere piccoli 1 grani di grandine misti con mezzani e con grandi, tutt’ in¬ sieme, nè gli uni aver anticipato l’arrivo in terra a prefe¬ renza degli altri e medita la legge della caduta dei gravi. Raschia con uno scarpello di ferro tagliente una piastra ottone per levarle alcune macchie, e movendolo con velocità sente fischiare ed uscirne un sibilo molto gagliardo e chiaro;! guarda su la piastra e vede un lungo ordine di virgolette! sottili, egualmente distanti l’una dall’altra; rifà l’esperienza e s’accorge che il fischio s’ode soltanto quando più veloce vi striscia, più inacutisce il suono e più inspessisconsi le vir¬ golette; ed eccolo pensare alle proporzioni delle onde sonori ed alla teorica degli accordi musicali. Il pensiero e il senso la natura e la ragione si trovarono riunite nell’ingegno del sommo Galilei, ed a questo propizio congiungimento si del: bono le sue maravigliose scoperte : non trascurar nulla di ciò che la sensata sperienza ci porge ; nè d’altra parte ar¬ restarsi impigliato nell’immediatezza del fatto; tale fu la giusta misura ch’egli seppe trovare tra le angustie del senso CAPITOLO X. 115 o gli sfrenati ardimenti del vuoto intelletto ( B . Telesin, voi. II). Nel secolo XIX una trattazione profonda e singolare della teoria induttiva è data dall’ inglese John Stuart Miti (1806-1873), che definisce la logica « la scienza delle opera¬ zioni intellettuali che servono all’estimazione della prova, ossia la scienza del procedimento generale che va dal noto all'ignoto, e delle operazioni ausiliario di quell’operazione fondamentale » . Salire dal noto all’ignoto significa ragionare, e ragionare, in senso esteso, è sinonimo d’inferenza, la quale, come ab¬ biamo già detto, nella sua forma originaria va sempre dal p articolare al particolare: la logica ci mostra appunto come da questa forma primitiva e irreducibile di ragionamento spunta l’induzione scientifica ossia quella che va dal parti ¬ colare al generale. Il carattere essenziale di quest’ultima con¬ siste nel concludere che « ciò che è vero in un caso partico- c olare sarà trovato vero in tutti i casi che rassomigliano al p rimo * . E chiaro che una tale operazione ha come prejmp- pjgjounpostulato, giacche per credere che ciò che s^pro - d otto in un caso particolare si riprodurrà in tutti i casi simili , bisogna prima ammettere « che vi sono in natura casi paral- leli, che ciò che è avvenuto una volta avverrà pure in circo¬ stanze simili e avverrà tutte le volte che le stesse ciscostanzo si ripresenteranno » o, in altre parole, è necessario credere che i l corso della natura è uniforme , e l’uniformità della na¬ t ura alla sua volta riposa su l principio della causalità uni¬ versale che, secondo il Mill, trae la sua origine dall’esperien za" Egli censura la definizione comune della causa ; gi aedi è, "se due fenomeni che si succedono in ordine di tempo fossero l’uno causa dell'altro, bisognerebbe dire che il giorno è la causa della notte e viceversa; invece noi sappiamo bene che tale successione è soggetta a una condizione, il levarsi del sole sull’orizzonte; è quest’ultimo fenomeno quello che fa suc¬ cedere la luce alle tenebre e, se venisse a mancare, non ve¬ dremmo più il giorno alternarsi alla notte. Bisogna quindi definire la causa d’un fenomeno « l' antecedente o la riunion e d’ antecedenti, di c ui il fenomeno è invariabilmente e incon¬ dizionatamente la conseguenza ». ne PRINCIPI DJ LOGICA. Dopo l'apparizione dell'opera capitale del Alili “ Sistema di logica , si La una vera fioritura importante di opere che trattano di questioni logiche, e in particolare della teoria induttiva; frale più importanti noteremo le seguenti: A. Baiu, La logique induttive et deductive (trad. dall’inglese); Dii fondement de l'induction di S. Lacheli er (2" ed. 1896); Cristoforo Sigw art. Logik (3“ ed. 1904); Guglielmo Wundt, Logik (2* ed. 1893-95). Degna di nota è la dottrina della contingenza sostenuta in Francia da una schiera valorosa di pensatori, tra i quali emergono Emilio B outro ux ed Enrico Bergson. Secondo tale dottrina la con¬ tingenza è al fondo della natura, e l a necessità dello leggi naturali è solame nte r elativ a, perchè la coni» non spiega mai tutto l'effetto, e se questo facesse una cosa sola con la causa, non si potrebbo considerare come un vero effetto. Si osserva quindi che nella na- turn ad ogni grado s'a ggiu nge sempro qualch e cosa di nuovo.qual- che elemento che non si trova nel grado precedente : cosi la co¬ scienza s'aggiunge alla vita, la vita alla materia, nella materia lo proprietà fisiche e chimiche s’uniscono allo proprietà matemati¬ che ecc. ecc. La contingenza che si nota in ogni forma de ll’eBsere è il segno manifesto della libertà che agisce nel mondo dei feno¬ meni; ossa scuote il postillato che rende inconcepibile l'intervento della libertà nel succedersi dei fenomeni, la massima secondo la quale nulla si crea o nulla si distrugge; essa ci porta ad ammet¬ tere uua libertà che discenderebbe dalle regioni soprassensTbili, per mescolarsi ai fenomeni e dirigerli per vie impreviste. ( l ) La tendenza ad estendere la liber tà e la conti ngenza ai feno- meni della natura o dell'uomo tocca il minto culminante nella dot ¬ trina del Bergso n, pel quale gli stati psichici profondi, quelli elio formano la baso fondamentale dello spirito, costituiscono un’etero¬ geneità assoluta: essendo ciascuno qualche cosa di unico nel suo genere, non diviene uè causa nè effetto, non potendo la causa ri¬ produrre sè stessa; e non ha alcun rapporto colla quantità, essendo qualità pura; alla quantità egli oppone la qualità, al meccanismo dello spirito il dinamismo, allo spazio la durata pura, al determi¬ nismo la libertà. Però una tale questione esco dai limiti della lo¬ gica, per entrare nel campo della metafisica. Uno dei seguaci del Bergson, il Le Roy, afferma che l e leggi s cientifiche diventano rigorose solo un mulo si trasformano in con- 1 vonzione e si appoggiano a circoli viziosi: il corso degli avvenimenti è regolare, abituale, ma non necessario; cosi la legge della caduta dei gravi ha valore, ma solo quando forze estranee non la turbano: ( ! ) Boutroux, De la contingence des loie de la nuture, pag. 149. F. Alcali, 1895. CAPITOLO X. 117 la conservazione dell’energia s’applica solo ai sistemi chiusi, i quali sono quelli appunto in cui l'energia si conserva. Importante nel movimento del pensiero contemporaneo, è pure la teoria di Ernesto Mach, fìsico e filosofo illustre. Questi pensa elio le scienze fisiche c naturali non sieno altro elio descrizion i di fatti naturali, ossia di fatti di coscienza, di sensazioni, e che quindi tra il mondo della materia e Quello dello spirito non viT~) Euyssex, op. cit-, pag. 216, CAPITOLO XI. 125 Ma, è stato osservato, le forze naturali e il tempo ba¬ stano per spiegare le irregolarità della crosta terrestre, senza ricorrere ai cataclismi; nè si può affermare che il periodo attuale risalga solo a sei mila anni, ma a molte migliaia di più; inoltre a periodi differenti non corrispondono specie dif¬ ferenti, poiché certe specie appaiono in diversi strati suc¬ cessivi, mentre altre si sono estinte prima che avesse fine l’epoca alla quale appartenevano. Queste ed altre obbiezioni pur gravi fecero tramontare l’ipotesi del Cnvier, della quale prese il posto e si diffuse rapidamente quella del Darwin, Bisogna risalire fino al Rinascimento, per trovare i primi tentativi d’interpretazione del mondo organico per mezzo del¬ l’evoluzione naturale. Se no trovano accenni in opere di scien¬ ziati e filosofi appartenenti alle scuole più diverse, in Giordano Bruno, in Guglielmo Leibniz, in Antonio Cesalpiuo, nel Buf¬ fon, nel Goethe, e più chiaramente nel Damarli ecc. Il Darwin ebbe il merito, senza dubbio, grandissimo di aver saputo met¬ tere. insieme tutti i fattori dell’evoluzione organica : vide nella lotta per l’esistenza la causa della selezione naturale, a cui la variabilità offre la materia, che poi l’eredità trasmette; accanto a questi fattori principali pose come fattori ausiliari l’azione dell’ambiente sull’organismo, l’influenza dell’ uso e del non uso degli organi, la scelta sessuale, la legge di correlazione di sviluppo. L 'influenza dell’ambiente è la causa più in vista; piante e animali si modificano mutando clima e paesi; di tutti gli esseri viventi sopravvivono solo quelli che sanno adattarsi all’ambiente. Gli animali debbono lottare non solamente contro il suolo e il clima, ma anche fra di loro: le piante sembra che si contendano i raggi del sole e il nutrimento della terra; gli animali adoprano l’intelligenza e l’energia che possiedono per procurarsi da vivere; gli uccelli da preda provvedono alla propria esistenza mettendo a morte gli uccelli più piccoli e più deboli; questi alla lor volta si nutrono di insetti, i quali vivono a spese del regno vegetale; dimodoché tutti gli esseri, dall’animale più perfetto alla pianta, si movono di continuo una guerra violenta e accanita; e in questa lotta per resi¬ stenza vincono i più forti e i più fecondi. I caratteri che 120 FltlNCrPI DI LOGICA. assicurano il trionfo degli individui e delle specie si svilup¬ pano producendo nell’organismo modificazioni più o meno pro¬ fonde, giacché le diverse parti delPorganismo sono così stret¬ tamente collegate fra di loro, che i mutamenti che accadono in una si fanno sentire più o meno anche nelle altre, donde la legge di correlazione di sviluppo ; infine Veredità fissa nella specie i caratteri acquistati dall’individuo. In tal modo la selezione naturale, mediante continue modificazioni, conduce ad una trasformazione continua e progressiva degli esseri ani¬ mali e vegetali, assicurando la sopravvivenza dei più perfetti. L ipotesi darwiniana, appoggiata ad una grandissima copia di fatti, di osservazioni e di prove, contribuì a spie¬ gare molti fenomeni che fino allora erano rimasti senza spie¬ gazione, oppure erano stati spiegati in modo imperfetto; non è quindi a meravigliarsi se oggi essa è accettata dalla mag¬ gior parte dei naturalisti come legittima; benché le differenze nel modo di intenderla siano assai gravi, e benché abbia se¬ gnato il principio d’una rivoluzione radicale nell’ interpre¬ tazione scientifica della natura. E se oggi la selezione naturale solleva non poche obbiezioni e appare di per sé sola insuffi- cente a spiegare tutti i fenomeni della vita organica, tuttavia i principi messi innanzi dal Darwin devono figurare come la regola il « metodo » generale che bisogna seguire nell' in¬ terpretazione dei fenomeni naturali. (*) 5. L’analogia. — Il procedimento analogico ha pure, come abbiamo già accennato, molta importanza nella ricerca scientifica. La parola « analogia » ha però bisogno d’esser chiarita nei suoi significati essenziali, affinchè si possa com¬ prendere il valore che essa possiede nella ricerca scien¬ tifica. Nel linguaggio volgare tale vocabolo s’adopera general¬ mente come sinonimo di somiglianza, mentre in realtà non è che ima forma imperfetta di somiglianza. In tutte le scienze si possono ritrovare esempi d’analogia. Cosi nella chimica vi sono corpi analoghi, cioè capaci di combinarsi con un altro corpo dato, producendo composti paralleli ; in fisica 0) De Sablo, Studt di filosofia coni., pag. 143. Roma, Loeschcr, 1901. CAPITOLO XI. 127 il suono è analogo alla luce, avendo amendue un carattere comune che è la vibrazione, malgrado la differenza del mezzo che serve di veicolo. L’analogia riesce ancor più evidente e frequente negli esseri viventi; così malgrado le differenze grandi che a prima vista passano tra un uomo e un uccello e tra un uccello o un pesce, pure la loro struttura è analoga, poiché tutti constano d’nna serie di segmenti vertebrali, che for¬ mano appunto la colonna vertebrale; hanno tutti un capo che è collocato all’estremità anteriore di questa colonna, un tubo digestivo che ne percorre tutta la lunghezza e una certa quantità d’organi che si corrispondono a vicenda. L’analogia, considerata come un procedimento dello spi¬ rito che mira a nuove cognizioni, si può dire un’ inferenza che da una rassomiglianza constatata di alcuni punti con¬ chiude alla rassomiglianza su altri punti; è un procedimento instabile, ondeggiante e multiforme, che può dar luogo ad aggruppamenti imprevisti e ad invenzioni originali, come ci dimostra la storia delle scoperte scientifiche, e in generale tutti i prodotti della fantasia e dell’immaginazione. Negli spiriti poco precisi e rigorosi nelle loro osservazioni Yana- logia si fonda per lo più sopra il numero degli attributi pa¬ ragonati, benché non sia raro il caso di analogie singolari basate su pochissimi caratteri comuni; cosi un bimbo vede nella luna circondata dalle stelle una madre colle sue figlie ; gli aborigeni dell’Australia, racconta un viaggiatore, chia¬ marono un libro una « conchiglia », perchè si apriva e si chiudeva come la valve di questo animale. L’analogia è più profonda quando ha per base la qua¬ lità o il valore degli attributi messi a confronto; allora s’ap¬ poggia sopra un elemento variabile che oscilla dall’essenziale all’accidentale, dalla realtà all’apparenza; cosi tra i cetacei e i pesci le analogie sono molte pel profano, tenui pel natu¬ ralista. 6. Valore dell’inferenza analogica. — L’analogia può ri¬ ferirsi ai termini oppure ai rapporti', cosi se da una rasso¬ miglianza di natura fra due organi si inferisce la rassomi¬ glianza delle funzioni, nella prima rassomiglianza abbiamo 128 PRINCIPI DI LOGICA, un’analogia clie si riferisce ai termini; nella seconda ima analogia elle si riferisce ai rapporti. L’inferenza analogica si distingue dall’induzione per due caratteri principali: 1° L’analogia è in realtà una deduzione fondata sopra una precedente induzione, benché in apparenza proceda dal particolare al particolare. Sieno per esempio i fenomeni A e B che abbiamo in comune i caratteri a b c d ; constatando nel primo un quinto carattere x, posso inferire che esiste pure un’analogia fra i due fenomeni anche rispetto al ca¬ rattere x, ossia affermo che anche in B si trova quest’ul¬ timo carattere; per es. Franklin nota che alla scintilla elet¬ trica e al fulmine sono comuni alcuni caratteri, e conclude che hanno pure comune la causa, donde la scoperta della causa del fulmine e del mezzo per mitigarne gli effetti. Bi¬ sogna però notare che il legame che esiste tra i caratteri a b c d e il carattere x dev’essere costante e necessario, ossia deve avere il valore d’una legge ottenuta mediante il pro¬ cedimento induttivo; non dev’essere un fatto accidentale, giacché, come è facile comprendere, in tal caso l’analogia non sarebbe possibile o sarebbe per lo più errata. Molti er¬ rori di ragionamento che commette l’osservatore volgare o poco circospetto dipendono spesso da false analogie. 2°. Uanalogia è sempre ipotetica, mentre ciò non si può dire dell’induzione. Se per es. io osservo sulla terra i carat¬ teri abed. l’atmosfera, il calore, l’umidità e la vita, e con¬ stato nel pianeta Marte i caratteri abe, sono tratto a inferire che anche in Marte esiste il carattere d, ossia la iuta; però evidentemente questa inferenza è ipotetica, e rimarrà tale finché l’esperienza non ne abbia provato la verità. Quindi il ragionamento analogico è di uso assai delicato, e può condurre ad errori assai frequenti anche nell’osserva¬ zione scientifica, come ce ne fanno fede tanto le scienze che hanno per oggetto lo studio della natura, quanto le scienze storiche. Un esempio celebre di fallaci analogie è quella già citata di Newton intorno alla luce; è pure fallace quella che Platone stabili fra lo stato e l’individuo, in forza della quale conchiude che debbono esservi tre categorie di cittadini : servi, guerrieri, reggitori, come vi sono tre facoltà dello spi- CAPITOLO XI. 129 rito, sensibilità, affettività, ragione; Platone non volle vedere che le proprietà osservate nell’individuo non corrispondono esattamente alle funzioni esercitate dallo Stato ; in un errore simile sono caduti recentemente quegli studiosi che hanno stabilito un’analogia molto stretta fra l’organismo e la società e hanno affermato che le funzioni sociali debbono corrispon¬ dere alle funzioni dell’organismo, riconoscendo nella società un cervello, i tessuti, la circolazione del sangue, un sistema nervoso, muscolare ecc. 7. La logica dell' invenzione. — Per ben comprendere la scienza nei suoi caratteri essenziali, per coglierne lo spirito sotto le apparenze superficiali, bisogna ancora considerare brevemente l 'invenzione, la ricerca creatrice, la quale non di rado trascura i metodi, le forme e le vie comuni dell’in¬ dagine, giacché il lavoro della mente che crea si compie spesso come in un’atmosfera nebbiosa e oscura, spinto quasi da un presentimento della verità che è anteriore al possesso chiaro e cosciente di questa. In qualche caso lo spirito del- l’ inventore è avvolto dalle contraddizioni, non ha la coscienza ben chiara di ciò che compie e dello scopo a cui mira, manca di rigore, di precisione, d’evidenza; spesso nello scoprire una verità, grazie alla potenza intuitiva del suo ingegno, salta a piè pari gli anelli intermedi che congiungono una verità con un’altra, senza curarsi in nessun modo della continuità e della concatenazione dei suoi ragionamenti. La storia ci prova ampiamente che una conclusione nuova e giusta è uscita spesso da falsi ragionamenti, che un edificio creato dalla nostra mente può essere esatto, mentre ne sono false tutte le singole parti; non so quale scienziato ha un giorno esclamato: « Io non vorrei raccontare il succedersi dei miei pensieri in una ricerca, perchè mi potrebbero giudicare o un imbecille o un pazzo » . L’amore esclusivo dell’ordine, della chiarezza, della logica razionale, l’orrore per la contraddizione, che si ritro¬ vano negli spiriti comuni e mediocri, sono non di rado assenti nei- grandi inventori. Il Turgot, uno dei più saggi filosofi del secolo XVIII ha scritto : « Se si elevassero monumenti agli inventori nelle arti e nelle scienze, vi sarebbe un minor numero di statue Mobselli, Principi di Logica — 9 130 PRINCIPI PI LOGICA. per gli nomini, che pei fanciulli, per gli animali, e soprattutto, 4 per la fortuna » . L’importanza del caso nelle invenzioni scientifiche è •] stata spesso esagerata, e va messa nei suoi giusti limiti; esso 1 va inteso in un doppio senso: 1°. In senso largo, il caso dipende dalle circostanze inte- I riori e psichiche. Si sa che una delle migliori condizioni per I inventare è l’abbondanza dei materiali, l’esperienza accumu- j lata, un periodo preparatorio lungo, complesso, laborioso, par- I ticolare o generale, che rende poscia lo sforzo efficace e facile; I nel dominio del pensiero, come negli altri campi, non esiste 9 generazione spontanea. Le confessioni degli inventori non lasciano alcun dubbio 9 intorno a questo punto, cioè intorno alla necessità d’un gran I numero di schizzi, di saggi, di abbozzi preparatori, sia che i si tratti d’uua macchina o d’un poema, d'un quadro o d’uu J edificio ecc. ; un’ incubazione profonda precede sempre l’e&pvjxa. 1 Qui il caso ha la sua funzione incontestabile, ma dipende • J infine dall’ individualità, e da questa spunta la sintesi impre- M vista di idee che costituisce la scoperta. 2°. 11 caso, in senso limitato, preciso, è un accidente for- 1 tunato che suscita l’invenzione, ma che non ha in questa il merito maggiore : si può dire che sia piuttosto la convergenza jj di due fattori, l’uno interno, il genio individuale, l’altro 9 esterno, l’avvenimento fortuito. È impossibile determinare 9 tutto ciò che l’invenzione deve al caso inteso in questo senso;* certo nell’ umanità primitiva l’efficacia ne deve essere stata I enorme: la scoperta del fuoco, la fabbricazione delle armi, degli* utensili, la fusione dei metalli sono state suggerite da accidenti 9 assai semplici, come, per esempio, la caduta d’un albero attra- 1 verso un corso d’acqua può aver suggerito la prima idea d’un 9 ponte. Nei tempi storici la raccolta dei fatti autentici forme-'® rebbe un grosso volume; chi non conosce il pomo di Newton, ■ la lampada del Galilei, la rana del Galvani? Huyghens ha I dichiarato che senza un concorso imprevisto di ch’costanze, 9 l’invenzione del telescopio avrebbe richiesto un « genio so-* vrumano » , mentre si sa che è dovuta ad alcuni bimbi che® giocavano con vetri nel laboratorio d’un ottico; lo SchònbeinH scopre l’ozono grazie all’odore fosforico dell’aria quando èl CAPITOLO XI. 131 attraversata da scintille elettriche; si dice che la vista d’un granchio abbia suggerito a Giacomo Watt l'idea d’una mac¬ china ingegnosa. Le scoperte di Grimaldi e di Fresnel sulle interferenze, quelle di Faraday, Arago, Foucault, Fraunhofer, Kirchhoff e di altri cento debbono qualche cosa al caso. L’ufficio del fattore esterno è chiaro, mentre è men chiaro quello del fattore interno, benché sia capitale. Infatti lo stesso avvenimento fortuito passa davanti a milioni d’uomini senza suscitare nessuna idea nuova. Quanti Pisani avevano visto oscillare la lampada nel celebre Duomo prima del Galilei! Il caso fortunato tocca solo a quelli che lo meritano ; per profit¬ tarne occorre prima un acuto spirito d’osservazione, l’atten¬ zione sempre desta e vigile, infine, se si tratta di invenzioni scientifiche o pratiche, la penetrazione che coglie i rapporti tra le cose e avvicina caratteri ed elementi, che nessuno aveva pensato di riunire; in conclusione il caso è un’occasione, non un agente di creazione. (*) Il Voltaire attribuiva ad Archimede tanta immaginazione quanta a Omero; A. Baili, C. Bernard, Th. Ribot hanno poscia determinato con una certa precisione l ’importanza che l’immag i nazione ha nell e scienze. Tra i caratteri essenziali dell’immagi nazione, il cui mec¬ canismo sempre e dovunque è presso a poco lo stesso, sono note¬ voli i seguenti: 1°. Un’invenzione qualsiasi ha sempre i caratteri d’un’opera d’arte, e nella sua unità rassomiglia ad un organismo vivente; essa non è mai ottenuta mediante un lavoro d'intarsio discorsivo, ma è il frutto d'un pensiero intenso e profondo più che metodico e mi¬ nuzioso. 2°. Ogni inventore è un uomo d’azione; il suo pensiero, cosi diverso da quello del contemplatore o del critico, va dritto, rapido, è essenzialmente concreto e specifico, flessibile, prudente, capace di adattarsi al variare delle circostanze e alle minime indicazioni dell'esperienza. Si sa che l'abbondanza dei ricordi non è una con¬ dizione sufficiente uè necessaria per creare; si è anzi osservato che un’ignoranza relativa è qualche volta utile per innovare, e favorisc e l’audacia; vi sono invenzioni scientifiche elio non si sarebbero fatte séTIoro autori fossero stati trattenuti dai dogmi e dalle opinioni ( l ) Ribot, L'imagination créatrice, p. 137. F. Alcali, 1900. 132 PRINCIPI DI LOGICA. dominanti nei loro tempi e ritenuti come incrollabili ed eterni. La mente dell’inventore mira al fatto, al risultato. 3°. La facoltà inventiva per eccellenza, come ha osservato il Bain, consiste nella facoltà di identificare, di percepire somiglianze e differenze, e suppone quindi una singolare attitudine a pensare per analogie e por immagini; lo scienziato non si distingue in questo punto dal poeta. CArITOLO XII. 133 CAPITOLO XII. 1. Il metodo sistematico — 2. La definizione; nozioni generali — 3. Oggetto della definizione — 4. Varie specie di definizioni — 5. Regole della definizione — 6. La divisione — 7. La classificazione — 8. Fondamento della classificazione. 1. Il metodo sistematico. — Il metodo sistematico ha per fine essenziale di dare alle cognizioni scientifiche un ordi¬ namento razionale e di ottenere la prova della verità. Me¬ diante queste operazioni l’insieme dei fenomeni che costitui¬ scono l’oggetto di lina scienza diviene un complesso ordinato nel quale tutte le parti hanno relazione e dipendenza reciproca. Al primo ufficio la logica soddisfà con la teoria della defi¬ nizione e della divisione, che comprende la classificazione ; al secondo con la teoria della prova e dei principi di prova. Quest’ultimo ufficio viene anche attribuito ad una parte spe¬ ciale del metodo, che appunto dicesi dimostrativo. In tutte le scienze tali operazioni hanno molta impor¬ tanza per diverse ragioni: una raccolta di fatti e di cogni¬ zioni, come possiamo osservare nella tìsica, nella botanica, nella zoologia ecc., quando viene fatta con ordine sistematico, mette in maggiore evidenza la verità delle cognizioni rintrac¬ ciate, che vengono presentate in tal modo alla nostra intel¬ ligenza come riunite in un quadro dai contorni chiari e ben determinati; in ciò il sapere scientifico si distingue special- mente dal sapere comune e volgare che è per lo più disordi¬ nato, confuso, e non distingue le nozioni importanti e generali da quelle che sono meno importanti e particolari, ciò che è vero da ciò che è falso. Il valore e l’utilità d’un ordinamento razionale si possono chiaramente stabilire osservando l’ufficio che esso compie anche nelle raccolte di minore importanza, come quando si tratta d’una biblioteca, d’un museo, d’un er¬ bario eco., il disordine fa perdere tempo all’osservatore e gli impedisce di apprezzare l’importanza degli oggetti che ha davanti agli occhi. 134 PRINCIPI DI LOGICA. 2. La definizione; norme generali. — La definizione è In più semplice delle forme sistematiche; precede la divisione e la classificazione, poiché, se ogni nozione generale, come già abbiamo visto nella prima parte, ha ima comprensione che è la somma dei caratteri che essa racchiude, ed un’estensione, che è il numero degli esseri che, possedendo in comune quei caratteri, trovansi raggruppati sotto quella nozione, la com- prensione determina l’estensione, e quindi la definizione de¬ termina la divisione. Ufficio primo della definizione è quello di determinare con chiarezza e precisione le idee che sono l’oggetto d’una scienza, ossia il co nte nuto dei singoli concetti; ora la defini¬ zione d’un concetto si esprime, nel modo più semplice, me¬ diante un giudizio, nel quale il soggetto è il concetto che dev’essere definito e dicesi appunto definito o definiendo ; e il predicato è quella nota o quell’insieme di note, mediante le quali il soggetto viene definito, e dicesi definiente. La definizione si può prendere in tre significati : a) è l’operazione o l’insieme d’operazioni che mirano a determinare l’essenza delle cose ; e in questo senso l’intendeva Socrate, che pel primo, al dire d’Aristotile, applicò la mente alle definizioni. Definire era per lui cercare razionalmente l’essenza delle cose, xò li iotiv ; cosi egli voleva determinare l’idea della giustizia, della sapienza, della prudenza, l’idea dell'uomo politico, del giudice ecc.; la definizione di queste idee e di quelle simili permetteva di misurarne esattamente l’oggetto e il valore e quindi di regolare meglio la nostra vita pratica. E chiaro che in questo significato la definizione è il mezzo della scienza, in quanto tende alla conoscenza dei ca¬ ratteri essenziali delle cose; b) la definizione può anche essere il fine della scienza, ossia la nozione, il concetto, nel quale si rende stabile il ri¬ sultato della ricerca scientifica ; c) infine la definizione può essere intesa come l’opera¬ zione, la quale consiste nello sviluppare in una proposizione o giudizio il contenuto d’un concetto ottenuto mediante la ri¬ cerca scientifica. In quest’ultimo significato è l’espressione della scienza, la formula esplicita e breve dei risultati della scienza. CAPITOLO XII. 135 3. Oggetto della definizione. — I caratteri e le note che formano il contenuto d’un concetto possono essere numerosi e di specie diversa e di valore disuguale, e non possono di conseguenza entrare tutti nella definizione scientifica; ma, poiché la scienza ha per oggetto il generale, la definizione ha per oggetto ciò che dicesi l’essenza ed esclude il partico¬ lare, l’accidente. Vediamo quindi che vuol dire essenza d’un concetto. L’essenza è costituita dall’insieme dei caratteri intimi che persistono in mezzo al variare delle relazioni e delle mo¬ dificazioni accidentali ; è ciò che l’essere possiede in sé stesso, ciò che non può cessare d’appartenergli, senza che esso cessi tosto di esistere. Li’accidente è ora un rapporto fortuito, come ad esempio il posto occupato da un individuo o da un oggetto nello spazio e nel tempo, ora una modificazione accessoria che altera, per cosi dire, soltanto la superficie dell’essere che la subisce, senza toccarne il fondo, è, in generale, tutto ciò che avviene negli esseri per un concorso fortuito di circostanze esteriori. Si comprende quindi come la definizione escluda l’acci¬ dente e accolga solo ciò che è essenziale. Però bisogna avvertire che questi due concetti non hanno limiti fissi, giacché l’accidente può alla sua volta divenire oggetto di definizione; cosi, se non si può definire l’uomo per mezzo di qualche malattia, cui vada soggetto, si può però definire la malattia nei suoi caratteri essenziali, escludendone gli accidenti particolari, ai quali esso può andare incontro. Però non tutte le nozioni si possono definire in modo preciso e determinato, e nelle diverse scienze, oltre le defini¬ zioni approssimate, come le idee di colore, tono, sapore, vi sono definizioni oscillanti, come avviene per le idee che si arricchiscono di continuo per mezzo dell’esperienza e mediante caratteri che vengono aggiunti dalle nuove scoperte. Per esempio, dice il Taine, la nozione che un uomo ordinario ha del corpo umano è assai misera e incompleta: per lui è una testa, un tronco, un collo, quattro membra d’un colore e di una certa forma; e questi pochi caratteri gli sono sufficienti per la pratica usuale della vita ; ma è chiaro che i caratteri propri del corpo umano sono infinitamente più numerosi ; 136 PRINCIPI DI LOOICA. l'anatomico vuol sezionare, notare, descrivere, disegnare- il manuale che si dà agli studenti ha mille pagine, e occorre¬ rebbe un bel numero d’atlanti e di volumi per contenere le hgure e l'enumerazione di tutte le parti che l’occhio nudo ha constatate. Se poi l’occhio s’arma d’un microscopio, questo numero si centuplica; al di là del nostro microscopio, uno strumento piu potente aumenterebbe ancora la nostra conoscenza; con¬ tinuando per questa via la ricerca non ha termine. Inoltre in alcune scienze le detinizioni segnano come il punto d’arrivo della ricerca scientifica, in altre invece se¬ gnano il punto di partenza. Cosi nella geometria, dove nessun ragionamento e possibile senza le definizioni, queste debbono essere stabilite da principio; mentre nelle scienze sperimen¬ tali, dove esprimono i risultati ottenuti, debbono rappresen¬ tarne le conclusioni. E evidente che le definizioni del trian¬ golo, del circolo, del quadrato ecc. debbono precedere qualsiasi ragionamento intorno a queste figure; e che la definizione delia « vita » nelle scienze biologiche non può essere che il risultato di un gran numero di ricerche e di studi che ri- guardano i fenomeni vitali. Infine nella definizione debbono entrare quelle note che sono sufficienti per distinguere il concetto definendo sia dai concetti simili, sia dai concetti che appartengono ad altre classi; per questo si dice che la definizione si fa pel genere prossimo e per la differenza specifica, de/ìnitio, dicevano gli Scolastici, fit per genua proximum et differentiam specificavi. ■Definire pel genere prossimo, cioè per quel genere che più, s avvicina alla comprensione del definendo, equivale a indi¬ care il gruppo di cui un oggetto o un individuo fa parte, e ' quindi attribuirgli implicitamente i caratteri di questo gruppo- cosi per definire l’uomo è inutile dire che è un animale ver¬ tebrato, mammifero-, quest’ultimo carattere, che esprime il ge¬ nere prossimo, è sufficiente, giacché implica i due primi. Definire per la differenza specifica vuol dire constatare e determinare 1 caratteri speciali che appartengono solo al definendo e lo distinguono da tutti gli altri esseri del me¬ desimo gruppo. Cosi se al carattere « mammifero » noi aggiun¬ giamo, per designare l’uomo, quello di bimane, gli attribuiamo CAPITOLO XII. 137 con quest’ultimo concetto un carattere che lo distingue da tutti gli altri mammiferi. 4. Diverse specie di definizioni. — Il metodo che si ado¬ pera nel lare una definizione può essere duplice, positivo e negativo. Il primo consiste nel riunire nella definizione tutti i caratteri che servono a determinare il definendo; il secondo mira invece a stabilire i caratteri che debbono essere esclusi e non possono attribuirsi al definiendo. Quest’ultimo metodo ó assai meno perfetto e si può considerare, nella maggior parte dei casi, come un complemento del primo. La definizione si suole distinguere in nominale e reale. La definizione nominale ha per fine di spiegare e di deter¬ minare in forma precisa il valore e il significato d’una parola, o di fissare il senso costante di alcune parole attraverso le varietà mutabili delle significazioni particolari. Essa ha valore logico non in quanto sia una semplice spiegazione etimologica o sintattica, nel qual caso la definizione rientra nel campo della grammatica, ma solo in quanto serva di preparazione alla definizione reale. Vi è un certo numero di parole che non sono facilmente definibili pel numero e la varietà degli ele¬ menti che contengono e che spesso sono il prodotto di varie epoche storiche; di qui la difficoltà che s’incontra nel defi¬ nire la « società » oggetto di tante dispute nella scienza so¬ ciale contemporanea, la religione, lo stato ecc. La definizione reale tende a darci invece l’essenza d’un concetto, il valore intrinseco del definiendo, indicando i ca¬ ratteri che questo ha comuni con gli altri concetti simili, e quelli che ne lo differenziano; si fa quindi, come s’è già detto, pel genere prossimo e per la differenza specifica. Anche qui le difficoltà per ben definire non sono poche, quando si tratti di concetti che si considerano come un pro¬ dotto storico o di concetti scientifici, ai quali nuove esperienze possono di continuo aggiungere nuovi elementi; sono minori per altre scienze, come ad esempio perle matematiche, dove sono possibili definizioni perfette. Inoltre la definizione, considerata sotto un altro aspetto, può essere anche analitica o sintetica. E analitica quando risolve il concetto del definito in più 138 PRINCIPI DI LOGICA. altri concetti; per es. l’eredità fisiologica è la trasmissione di caratteri speciali dell’organismo dai progenitori ai discen¬ denti; oppure: il cerchio è una curva chiusa che ha tutti i punti^ della circonferenza equidistanti dal centro. L sintetica la definizione, quando nel determinare i ca¬ ratteri del concetto segue il processo col quale il definiendo si è venuto formando, ossia costituisce un concetto per mezzo di altri concetti più semplici. In questo senso la definizione può essere detta genetica, in quanto espone la genesi d’un concetto ; e questa si può considerare come la forma più per¬ fetta del definire. Un esempio di definizione genetica è il seguente : Se in un piano, tenendo ferma una retta ad un suo estremo, la muovo sempre nello stesso senso e in modo che essa torni alla sua posizione di partenza, descrivo una figura che dicesi circolo. Si sogliono anche distinguere due specie di definizioni ge¬ netiche, la diretta e V indicativa: è diretta quando essa stessa produce e costituisce il definiendo; è indicativa quando espone il modo col quale il definiendo può essere prodotto da cause che sono distinte dal nostro pensiero, come avviene delle cose prodotte dalla natura, per es. dei ghiacciai, dei venti ecc. 5. Regole della definizione. — Le principali regole che si debbono seguire per ottenere una buona definizione logica sono le seguenti : a) i concetti defi nienti non debbono essere una semplice tautologia del concetto definito o definiendo, ossia il defi- niente non deve ripetere colla stessa o con diversa forma grammaticale il definito, come quando si dice che uomo bu¬ giardo è colui che dice bugie. Questo errore assai comune viene indicato dalla logica tradizionale colle note parole la¬ tine : idem per idem definire. b) la definizione non dev’essere circolare, ossia non ci deve spiegare il delùdente mediante il definito e viceversa, ricordando 1 errore del circolo vizioso, come quando si definisce la coscienza per la percezione dei fatti interni, e questi ultimi vengono definiti per quei fatti che si producono nella nostra coscienza. c) la definizione non dev’essere negativa, ossia deve dire CAPITOLO XII. 139 non già quello clie il definiente non è, ma quello che è, ed esporre i suoi caratteri propri. Sarebbe negativa la defini¬ zione che chiamasse la virtù la qualità opposta al vizio. d) la definizione dev’essere infine chiara ed esatta, non dev’essere sovrabbondante, non essere nè troppo ampia, nè troppo ristretta, deve evitare le espressioni improprie, oscure, e anche le espressioni figurate, quando non contribuiscono a chiarire il concetto. Cosi quando si dice che il bello è lo splendore del vero, non si giunge ad avere del bello un con¬ cetto nè chiaro nè esatto. Le definizioni di questo genere nascondono spesso l’igno¬ ranza di cognizioni sicure e profonde intorno all’oggetto che si vuole definire, oppure anche l’imperfezione della scienza. 6. La divisione. — La divisione, intesa come operazione logica, determina l’estensione d’un concetto, mentre la defi¬ nizione ne determina la comprensione ; essa si riduce quindi a un giudizio, nel quale s’espongono le diverse specie d’una idea generale, e il dividendo, che rappresenta il genere, fa da soggetto, mentre il dividente, che contiene l’enumerazione delle diverse specie contenute nel dividendo, fa da predicato. Anzitutto nella divisione bisogna considerare le note con¬ tenute nel concetto da dividere, distinguere in esso gli ele¬ menti generici, che sono costanti, dagli elementi variabili, che costituiscono il cosiddetto fondamento o principio della divisione. Cosi nella nota divisione delle lingue in monosil¬ labiche, agglutinanti, flessive, le parti divise sono queste ul¬ time, il dividendo è il concetto lingua, e la divisione è fondata sulla morfologia. Le regole della divisione sono le seguenti: 1°. La divisione deve corrispondere esattamente all’og¬ getto suo, ossia le sue parti debbono riprodurne tutta l’esten¬ sione, in modo che nessuna parte ne sia trascurata e non ve ne sia alcuna superflua. 2°. Ogni divisione dev’essere fatta secondo un unico prin¬ cipio. Così se dividiamo le opinioni professate dagli uomini in vere, false e dubbie, la divisione posa sopra un doppio prin¬ cipio, la verità e la certezza: le opinioni tutte, comprese quelle dubbie, sono vere o false ; cosicché converrebbe fare due 140 rniNOIPI DI LOGICA. divisioni: a) tutte le opinioni sono o vere o false; b) tutte le opinioni sono o certe o dubbie. 3°. La divisione non dev’essere negativa, ossia ogni specie divisa deve avere caratteri propri, non già essere una sem¬ plice negazione dei caratteri della specie opposta. Così è ne¬ gativa l’antica divisione degli animali in vertebrati e inver¬ tebrati. 4°. Le parti divise debbono essere coordinate ed opposte: bisogna far in modo che nessun oggetto o nessun essere possa venir collocato in due termini d’una medesima divisione. Cosi chi dividesse i fenomeni naturali in fisici, chimici, psi¬ chici e volontari cadrebbe nell’errore che è cagionato dal non osservare la presente regola ; infatti i fenomeni volontari non sono nè opposti uè coordinati a quelli psichici, ma subordi¬ nati ad essi, e ne sono parte. La divisione più semplice è quella die dicesi dicotomia, la quale consiste nel dividere il genere in due specie opposte, che si distinguono per la presenza nell'una e l'assenza nella seconda d’un solo e medesimo carattere. La classi fic azion e delle scienze concepita dal fisico Ampère è una vera e propria divisione dicotomica ; egli infatti distingue le scienze in due grandi regni, scienze cosmologiche che si occupano del mondo materiale e studiano la natura, e scienze nooloyiche che studiano il mondo morale e spirituale. Ciascuna di queste classi si suddivido alla sua volta in altre due classi minori e così di seguito; l'Ampère giunge con questo metodo a stabilire cento ventotto scienze speciali, che abbracciano tutte le cognizioni umane. 7. La classificazione; utilità e specie diverse. — Una forma sistematica del sapere scientifico più importante di quella precedente è la classificazione , la quale tende a pre¬ sentare in modo compiuto e ordinato tutte le parti che com¬ pongono un complesso di cognizioni omogenee. Essa si può dire una divisione complessa risultante da una divisione prin¬ cipale e da una o più divisioni subordinate o suddivisioni. Nella classificazione lo scienziato parte da un concetto gene¬ rale, ne distingue prima le specie immediate e più generali ; in ciascuna di queste poscia le specie rispettive, finché giunga fino alle ultime specie per mezzo di successive divisioni e suddivisioni. CAPITOLO SII. 141 I vantaggi che presenta un tale ordinamento delle co¬ gnizioni scientifiche sono evidenti. Anzitutto il contenuto di nna data scienza viene compreso in un prospetto sintetico, che abbrevia il tempo necessario per apprendere, riducendo in un certo senso il numero delle cognizioni indispensabili; cosi per es. il regno animale abbraccia probabilmente non meno di 600000 specie, che lo zooologo riesce a conoscere in modo relativamente completo riducendo gli individui in specie, le specie in generi, i generi in famiglie ecc.; il quadro in tal modo semplificato può essere facilmente ritenuto e riprodotto dalla memoria, benché non ci fornisca che una cognizione schematica o scheletrica della natura, che per la scienza è però sufficiente e, pur sopprimendo i caratteri particolari, estende mirabilmente il campo delle nostre conoscenze. In secondo luogo la classificazione ci permette di appren¬ dere non solo un numero infinito di esseri o di oggetti, ma anche la loro 'parentela mediante le loro affinità naturali. In tal modo l’immensità della natura viene riassunta non solo in una forma concisa, ma anche in una forma ordinata ed armonica. Inoltre la somiglianza e le affinità constatate tra gli esseri appartenenti ad un dato gruppo permettono spesso di infe¬ rire altre somiglianze ed affinità prima ignorate. Così, come dice il botanico Adriano de Jussieu, quando sappiamo che un certo numero di piante costituiscono una famiglia, di solito siamo tratti ad attribuir loro le medesime proprietà econo¬ miche e medicinali. La classificazione può essere artificiale o naturale. La classificazione artificiale, che ha uno scopo essenzial¬ mente pratico e mnemonico, tende a darci la conoscenza degli oggetti o degli esseri che si vogliono classificare fondandosi sopra un numero ristretto di caratteri, i quali vengono scelti fra i più appariscenti, senza badare alla loro importanza in¬ trinseca; un esempio di classificazione artificiale è l’ordina¬ mento d’una biblioteca, dove i libri vengono disposti o secondo l’ordine alfabetico, o secondo il formato, o, meglio, secondo il contenuto. La classificazione naturale invece si ha quando, per ri¬ produrre in certo qual modo l’ordine della natura, è fondata 142 PRINCIPI DI LOGICA. sopra la scelta dei caratteri più importanti, manifesti oppure occulti, permanenti oppure evolutivi. La forma più perfetta di classificazione naturale è quella detta genetica (da yiveatc nascita, origine, formazione) la quale tende a classificare gli esseri secondo l’ordine della loro apparizione. Cosi la biologia mira, secondo tale principio, alla classificazione genetica delle forme viventi, la psicologia a quella dei fatti psichici, la filologia comparata a quella delle lingue. 8. Fondamento della classificazione. — Il fondamento della classificazione naturale è da ricercarsi, come si com¬ prende facilmente da ciò che già si è detto, non nelle prò- prietà apparenti, ma nelle primarie o causali, ovvero in quelle che sono segni di proprietà primarie o causali; ossia bisogna fermare 1 attenzione sopra i caratteri che si posson chiamare dominatori, perchè la presenza di ciascuno di questi trae seco necessariamente quella d’un certo numero di caratteri subor¬ dinati, essendovi tra un carattere dominante e i caratteri su¬ bordinati ad esso uniti un rapporto costante e necessario, una legge non di successione, ma di coesistenza, di contempora¬ neità. In altre parole, la presenza di certi caratteri fonda- mentali fa supporre con certezza l’esistenza di altri caratteri; come avviene specialmente nei gruppi animali. Per questa ragione le classificazioni zoologiche sono fon¬ date sui caratteri anatomici e fisiologici più importanti ed essenziali; per esempio il pipistrello, che in apparenza ha maggior affinità cogli uccelli, tuttavia è messo fra i mamini- . ' b 01cllè ^ questi ultimi possiede i caratteri dominanti; in modo simile la balena è mammifero e non pesce ecc. E pur sempre per questo motivo di regola generale nelle classificazioni scientifiche si va dall’idea più generale a quelle che sono a queste immediatamente subordinate, e così di seguito a mano a mano alle specie più distinte, senza omettere alcun anello intermedio. CAPITOLO xm. 143 CAPITOLO XIII. 1. La dimostrazione — 2. Prova diretta — 3. Prova indiretta — 4. I principi supremi delle scienze — 5. Definizioni, ipotesi, postulati, assiomi — 6. Il calcolo delle probabilità. ofTTtfo€‘5ti5 1. La dimostrazione. — Il metodo dimostrativo ha per fine di giustificare la verità delle conoscenze scientifiche, di accertare noi stessi e gli altri d’una verità già scoperta fa¬ cendola derivare dalla verità d’altre conoscenze, per offrire in questo modo un fondamento logico alle nostre osservazioni. La prova o dimostrazione, cosi concepita è un complemento necessario delle altre operazioni logiche, le quali forniscono ed ordinano le cognizioni scientifiche, ma non ce ne danno la giustificazione che appaghi la nostra mente, collegando la verità d’una conclusione alla verità delle premesse, come fa la prova. Nella prova bisogna distinguere tre elementi principali : a) la tesi da provare. Ti*’er sé stesse in- , dimostrabili. Spesso nella vita pratica, quando si vuole ottenere qual¬ che line particolare, si parte dalla tesi supposta vera e si dimostra come essa non porti a nessuna conseguenza falsa. La prova diretta e regressiva o induttiva che dir si voglia parte d ai particolari, come abbiamo già d et to, p er salire al principio generale ; dimodoché la verità di questo si deve am- 300 0 00000 mettere grazie alla verità dei particolari sui quali si fonda.» Questa forma di dimostrazione ha la sua base nella verità del principio dell’ induzione, intorno alla quale già a lungo si è discorso, essa si adopera in tutte le scienze, ma più spe¬ cialmente nelle scienze naturali, e meno nelle matematiche. •Sia per esempio da provare la tesi seguente: la celerità della I erra nella sua orbita intorno al Sole é in ragione inversa della distanza da esso; la prova si ottiene osservando se è verificata almeno in due casi particolari, cioè quando la Terra si trova nel punto più lontano dal Sole ossia nell’afelio, o quando raggiunge la massima vicinanza col Sole, ossia nel perielio. La prova diretta regressiva è d’uso assai frequente an¬ che nella iuta pratica, quando per esempio si vuol provare la bontà d un provvedimento o d’un disegno qualsiasi, ap- CAPITOLO XIII. 145 placandolo nei casi e nelle circostanze particolari ; così Focione disapprovava nna spedizione di poche navi che gli Ateniesi volevano tare contro una città, dicendo che era troppo piccola per un’impresa ostile, e troppo grande per un atto d’amicizia. 3. Prova indiretta. — La prova indiretta e progressiva si ha quando si prova la falsità della tesi opposta o aj^gpi partendo da due principi generali. Sia per esempio da pro¬ vare la tesi : due rette perpendicolari ad una terza sono perpendicolari fra di loro; si prova la falsità dell’antitesi: due parallele perpendicolari ad una terza non sono parallele fra di loro, partendo dal principio generale che « da un punto preso fuori di una retta non si può sulla medesima abbassare che una perpendicolare » . Una seconda forma della prova indiretta e progressiva si ha quando si dimostra che V antitesi conduce a conseguenz e le duali o jono assurde, o sono in co ntraddizione con prin ¬ cipi, la cui verità è solidamente stabilita e non si può in nes¬ sun casomeitere m dubbio. Sia per esempio da provare la tesi seguente : il triangolo equilatero non può essere rettan¬ golo; si ammette, per ipotesi, che sia vera la tesi opposta: il triangolo equilatero può essere rettangolo; in tal caso la con¬ seguenza è che il triangolo equilatero dev’essere anche equia n¬ golo ; e poiché ciò non è possibile ammettere, perchè dovrebbe avere dille angoli retti, si conchiude essere falsa l’antitesi e vera la tesi da provare. La prova indiretta regressiva, che dicesi anche ap^gogica o induttiva, si ha quando si vuol provare la tesi esponendo quali principi assurdi bisognerebbe accogliere se si ritenesse T vera l’antitesi. Cosi per dimostrare la necessità del governo che diriga e regoli l’attività dei cittadini, si espone quali principi falsi bisognerebbe ammettere intorno agli uomini, per j~~l dimostrare che l’anarchia è utile e giovevole alla società umana. ^ b> 4. I principi supremi delle scienze. — Le scienze hanno per fine proprio la spiegazione della natura, la quale si pre¬ senta a noi come una massa enorme di fenomeni; spiegare i quali vuol dire per la mente umana ricondurli sotto rapporti di più in più semplici e generali, finché si giunga ai prin- Mobbelli, Principi di Logica — 10 146 PRINCIPI Di LOGICA. cip! supremi e irriducibili di ciascuna scienza, cioè a quei! principi e a quelle leggi che non si possono derivare d a i.rin-l o c a leggi piu__semplici. La dimostrazione ci conduce in i ultima analisi a tali principi supremi, giacché, dovendo una di giostrazione fondarsi senti r e soura altre verità già areni? ] t a^e, dipende da altre dimo str azioni ole presuppone: ina in u imo devesi giungere n e cessariamente a verità fondamen- ' -■ ^ mdimos trabil i , e che sono evidenti per sè stesse . osi nella meccanica i principi irriducibili sono le leggi fondamentali e più generali del movimento; nella fisica l’iner¬ zia. l’equivalenza e la trasformazione delle forze; nella chi¬ mica la teoria atomica; nella biologia, la contrattilità, l'as- similazione e la proliferazione dell’elemento anatomico, ossia la vita, che le scienze biologiche studiano in tutte le sue svariate manifestazioni. L’irriducibilità di queste leggi ap¬ pare manifesta: il moto non si può dedurre dalla quantità, nè 1 attrazione dal movimento, nè l’attività dall’attrazione. ) E necessario però notare che se ciascuna scienza ha prin- — li -riducibili e fondamentali, tuttavia le scienze tutte formano nel loro complesso una specie d’organismo, le cui parti sono strettamente collegate fra loro e si aiutano di continuo a vicenda; giacché sappiamo che nè il fisico può fare a meno nelle sue ricerche delle cognizioni matematiche, nè il chimico delle cognizioni fisiche, nè il fisiologo delle co¬ gnizioni di fisica e di chimica e cosi di seguito. \ odiamo inoltre che i principi fondamentali costituiscono una sene di nozioni di complessità crescente, in modo simile a . quello che è già stato osservato nella classificazione delle scienze del Cointe; infatti c iascun a nozion e, pur contenendo un fiuid irriducibile, cade sotto l’estensione del principiar piecede, e diviene di questo un caso par ticolare . Così, coni* piuta per mezzo dell’astrazione e dell’analisi la distinzione delle proprietà fondamentali, ne succede tosto la sintesi: il movimento s’aggiunge alla quantità, l’affinità chimica all’at¬ trazione, al movimento e alla quantità ecc. 5- Definizioni, ipotesi, postulati, assiomi. — I principi su¬ premi delle dimostrazioni si possono ridurre a quattro classi principali: le definizioni, le ipotesi, i postulati, gli assiomi. CAPITOLO XIII. 147 Le definizioni, secondo quanto s’è già stabilito, conten-UPF'iNf£) Gomperz, op. cit„ pag. 482. 150 PRINCIPI DI LOGICA. dere, dipendono sopratutto dall’esame critico e dal buon senso dell’osservatore. Il secondo caso è quello della verisiiniglianza quantita¬ tiva, o calcolo delle probabilità, che consiste nel determinare quale di due affermazioni di materia identica, ma opposte, sia più probabile; se la causa a ha ora per effetto b, ora per effetto c, sicché sia vero ugualmente che a produce b e che a non produce b, si tratta di vedere quale dei due effetti b o c è più probabile; chiamando m i casi di b ed n quelli di c, evidentemente sarà più probabile quello degli effetti, che ha per sé il maggior numero di casi favorevoli. Il probabilismo ha le sue radici nell’antichità e si può dire che sia sorto con l’arte oratoria; i primi retori siciliani Corace e Tisia considerano il verisimile (sìxós) come lo strumento necessario della retorica, e distinguono due specie ‘»i, ver isimiglianza, 1 assoluta (eìxój àTUÀòi;) e la relativa (eìxó? Tt); i filosofi della Nuova Accademia, soprattutto Arce- silao e Cameade acuti osservatori della vita, sostengono che in nessun dominio del sapere noi possiamo raggiungere la verità e, per conseguenza, la certezza assoluta, ma che dob¬ biamo in ogni caso accontentarci di semplici probabilità. * Probabile aliquid esse (dicebat) et quasi verisimile eaque se uti regula et in agenda vita et in qunerendo ac disse- rendo » (Cicerone, Acad. II, X, 32). Dopo saggi importanti di Biagio Pascal, di Giacomo Bernouilli e di Guglielmo Leibniz, la logica del probabile trova, nei tempi moderni, due cultori eminenti nel Laplace e nel Cournot. Il grande Trattato del Laplace comprende due parti: una parte matematica, la Teoria analitica delle probabilità (1812), e una parte filosofica, Saggio filosofico sulle probabi¬ lità (1814), che espone, senza l’aiuto dell’analisi matematica, i principi della teoria delle probabilità, i suoi risultati ge¬ nerali e le applicazioni più importanti. Il calcolo delle probabilità riposa, secondo il Laplace, sulla nozione del caso che ha il suo fondamento nella nostra ignoranza delle cause e serve a dissimulare la nostra debo¬ lezza, giacché nell’universo tutto è rigorosamente determi¬ nato e bisogna considerare lo stato presente del mondo come CAPITOLO XIII. 151 l’effetto dello stato anteriore e come la causa di quello che deve seguire. La causa che è manifesta in certi fenomeni semplici, per es. nei fenomeni celesti, ci sfugge in altri fenomeni più complessi, che noi, nella nostra ignoranza, attribuiamo al caso. Benché la scienza tenda a eliminare sempre più i casi fortuiti, tuttavia non è sempre facile respingere l’ipotesi del caso: perciò le probabilità hanno una grandissima impor¬ tanza nelle conoscenze umane. « Le questioni più importanti nella vita sono per la maggior parte problemi di probabilità; anzi, parlando con rigore, si può dire che quasi tutte le nostre conoscenze sono solamente probabili, e, che nel pic¬ colo numero di cose, che, nelle stesse scienze matematiche, possiamo sapere con certezza, i mezzi principali per giun¬ gere alla verità, l’aualogia e l’induzione, si fondano sulle probabilità » . Il Cournot nel 1843 pubblica la sua * Esposizione della teoria dei rischi e delle probabilità », colla quale vuole in¬ segnare alle persone, che non conoscono le matematiche su¬ periori, le regole del calcolo delle probabilità, senza le quali, non possiamo renderci un conto esatto nè della posizione delle misure ottenute nelle scienze d’osservazione, nè del valore dei numeri forniti dalla statistica, nè delle condizioni del successo di molte imprese commerciali. Chiamasi probabilità matematica d'un avvenimento il rapporto esistente tra il immero dei cas i favorevoli a questo avvenimento e il numero di tutti gli altri casi possibili ; laonde tutti questi casi debbono essere egualmente possibili. Prendiamo un paio di dadi da giocare, in forma di cubi geo¬ metricamente regolari e affatto eguali; in queste condizioni non si può ammettere che, gottando i dadi nel modo consueto, i dadi ca¬ schino sopra una faccia piuttosto che sopra un’altra; in altri ter¬ mini, i casi di caduta d’ogni dado sono ugualmente possibili. Ogni faccia dei dadi è segnata con numeri (dall'uno al sei eompreso) e tutti e due i dadi si gettano nel medesimo tempo; è chiaro che ogui faccia d’uno dei dadi può cadere con ogni faccia dell'altro dado; si avrebbero così 36 casi possibili di combinazione di numeri a due a due. Indicando l'uno dei dadi con A e l’altro con B, possiamo comporre la seguente tabella dei 36 casi possibili. 152 TAam» o Cl l * u PRINCIPI DI LOGICA. A B 1 1 1 2 1 3 1 4 1 5 1 6 A B 2 1 2 2 2 3 2 4 2 5 2 6 A B 3 1 3 2 3 3 3 4 3 5 3 6 A B 4 1 4 2 4 3 4 4 4 5 4 6 A B 5 1 5 2 5 3 5 4 5 5 5 6 A B 6 1 6 2 6 3 6 4 6 5 6 6 Come si disse, tutte le combinazioni di questa tabella sono ugualmente probabili: cosi l’avere il numero 5 sul dado A e il numero 2 sul dado B, è ugualmente probabile cbe l’avere 6 e 6 su tutti e due i dadi. Ma se consideriamo la sortita dei numeri 2 e 5 indipendentemente dal dado sul qualo possono comparire, al¬ lora la probabilità di sortita di questa coinbinnzione si distinguer» dalla probabilità di sortita dell'altrn combinazione 6 o 6 per questo, che la prima combinazione s'avrà tanto con 5-2 cbe con 2-5, mentre la combinazione 6 e 6 rimarrà limitata n una sola volta fra le 36 coppie di numeri. In questo modo la probabilità matematica di sortita dei numeri 5 e 2 (rimanendo indifferente cbe ciascun d’essi appaia sul dado A o sul dado B) sarebbe di */j 0 ossia di ‘/ist mentre pei numeri 6 e 6 è solo di '/ss- Se poi consideriamo la sortita, sui due dadi, di numeri tali che la loro somma corrisponda ad una quantità desiderata, allora la probabilità d'avere questa somma sarebbe, por le differenti qua¬ lità, affatto diversa. Così per os. il numero 2 si potrebbe avere in un modo solo, cioè coll’uscita dei numeri 1-1, mentre il numero 7 si potrebbe avere nei seguenti modi : 1-6, 6-1, 2-5, 5-2, 3-4, 4-3, per cui la probabilità dell'uscita del numero 2 sarebbe di l jn, del numero 7 sarebbe di e / 3 «. Dalla definizione data della probabilità matematica, risulta che essa è sempre una frazione, vale a dire un numero di parti dell’unità, alla quale questa probabilità s’avvicina tanto più quanto maggioro è il numero dei casi favorevoli all’avvenimento in con¬ fronto doi casi possibili. Questa frazione potrebbe cambiarsi nel¬ l’unità solo quando non esistesse nessun caso sfavorevole all'avve¬ nimento aspettato; ecco perchè l’unità si considera come il simbolo della certezza. CAPITOLO XIV. 153 CAPITOLO XIV. 1 Carattere generale delle scienze storiche — 2. Oggetto delle scienze storiche ~ 3. Svolgimento del concetto di storia — 4. La storia ì> una scienza o un’arte? — 5. La critica storica — 6. Esiste una scienza generale della società? — 7. Il metodo nello studio dei fenomeni sociali. 1. Carattere generale delle scienze storiche. — Come si è già accennato parlando della classificazione delle scienze, la storia ha per oggetto il particolare , l’ individuale, ciò che esiste una volta sola e non si ripete mai. Per comprendere il valore di questa affermazione e per stabilire a quali scienze si può sicuramente applicare, bisogna anzitutto determinare con esattezza il significato dell’espressione: fatto o avveni¬ mento individuale di cui si occupa lo storico. Individuale è, in questo caso, ciò che si riscontra una sola volta nel mondo, tanto se il fatto è singolare, cioè non appartiene che a un solo corpo o essere, quanto se è generale, cioè comprende una collettività, è comune a più esseri. In tal senso si considerano come fatti individuali : la sovrapposizione degli strati, terrestri, la quale non si è mai ripetuta nel corso del tempo ; le specie vegetali e animali scomparse che hanno popolato la terra solo in un’epoca determinata; tutti i fatti storici propriamente detti, che non si sono prodotti che una sola volta nel passato, come gli imperi egiziano, babilonese, persiano, la civiltà greca, la conquista macedone, la domina¬ zione romana, l’invasione dei barbari, il feudalismo, l’impero di Carlo Magno, le Crociate, l’emancipazione dei Comuni, lo assolutismo del secolo XVII, la Rivoluzione francese e così di seguito. Tutti questi fatti e gli altri simili ad essi sono indivi¬ duali, perchè si constatano una sola volta nelle formazioni dello spazio e in quelle del tempo. I fatti più universali sotto l’aspetto dello spazio possono entrare nel quadro della storia tostocliè vengano individualizzati nel tempo, ossia quando si 154 PRINCIPI DI LOGICA. sono prodotti una sola volta nei secoli decorsi. Appunto in questo senso, secondo la nota ipotesi del Laplace, il nostro sistema planetario è passato dalla nebulosa primitiva allo stato attuale attraverso a tappe successive che non si sono mai riprodotte nel corso del tempo. La stessa cosa si può affermare delle modificazioni subite dalla crosta terrestre, dei fatti della storia umana: si è vi¬ sta una sola volta l’epoca della pietra rozza, una sola volta l'epoca della pietra levigata e quella del bronzo; gli uomini d’un paese sono pure passati una sola volta dallo stato di cacciatori a quello di pastori, e da questo allo stato di agri¬ coltori. Anche quando sembra che i fatti storici si ripetano, co- desta ripetizione è talmente differente, che i fatti, i quali paiono ripetersi, in realtà sono nuovi. Cosi la produzione let¬ teraria si è manifestata in tutte le epoche; ma in ciascuna epoca essa ha rivestito un carattere particolare: la letteratura classica del periodo aureo in Grecia e in Roma è ben diversa dal nostro Cinquecento o dalla letteratura francese dell’epoca di Luigi XIV. Ciò che bisogna considerare in queste fioriture letterarie non è già il fondo comune umano, la tendenza ad esprimere il bello mediante la lingua, ma la forma diversa colla quale tale tendenza si è manifestata. Lo stesso avviene di tutti gli altri fatti storici: tutti si ripetono, poiché l’uomo rimane sempre il medesimo, coi suoi bisogni e colle sue aspi- zioni; ma il contenuto delle sue produzioni varia di continuo e le opere sue sono sempre differenti, possiedono un carattere individuale. Ben diversa è la concezione dei fatti universali nel tempo, ossia di quelli che si ripetono con differenze trascurabili, come la rivoluzione dei pianeti intorno al Sole, la circolazione del¬ l'acqua sulla terra, lo scambio d’ossigeno e d’acido carbonico tra le piante e gli animali ecc. Sono fatti che si sono pro¬ dotti, si producono, e, possiamo dire, si produrranno anche nel futuro, quando siano date le condizioni necessarie in forza del postulato dell’uniformità delle leggi di natura, di cui già si è parlato diffusamente. Invece, dei fatti storici si può affer¬ mare che sono fatti di successione, i quali sono avvenuti una sola volta e non avverranno più; il che porta ad una eouse- CAPITOLO XIV. 155 guenza importante, cioè che i fatti storici non si possono esprimere, come i fatti naturali, per mezzo di leggi universali e necessarie. \ Questa è la differenza più grave che corra fra le scienze che si possono dire di sviluppo e di successione e le ricerche teoriche, cioè quelle che studiano i fatti di ripetizione. Alcuni sociologi hauuo creduto di ritrovare nella storia alcune leggi sui generis: essi, considerando le serie intere di fatti succes¬ sivi come fatti singolari, le hanno riunite in fasci c ne hanno tratte leggi mediante gli stessi procedimenti che le scienze nomotetiche applicano ni fatti singolari di ripetizione. In tal modo si è tentato di formulare la Ugge dell’evoluzione religiosa, secondo la quale le concezioni religiose sono sempre passale attraverso a tre stati con¬ secutivi : il feticismo, il politeismo e il monoteismo (Spencer, Gum- plowicz); la legge dell’evoluzione politica, espressa nella formula seguente: la serie politica incomincia con l'anarchia, passa pel clan famigliare, per la tribù repubblicana dapprima, più tardi monarchica e aristocrntica, giunge alla monarchia dispotica, e infine, con uu ritorno corretto verso le sue origini, arriva ni governo parlamentare (Letourneau); la legge dell'evoluzione della pittura, che nei suoi pri¬ mordi è religiosa, per dare origine alla pittura mitologica come ramo parallelo, la quale alla sua volta divieue pittura storica; da que¬ st’ ultima si stacca la ritrattistica, che dà origine al genere, per giuugere infine per il paesaggio alla natura morta (Brunetière). Ma non una di queste leggi e delle altre simili può reggere all'esame dei fatti; esse non sono che generalizzazioni arbitrarie, che non hanno il più piccolo fondamento nella realtà delle coso. (') 2. Oggetto delle scienze storiche. — Adunque la storia, concepita nel suo significato più logico, ha per fine essenziale di esporre lo sviluppo complessivo dell’universo, a cominciare dalla formazione dei corpi celesti, svoltisi dalla nebulosa pri¬ mitiva secondo il principio ipotetico del Laplace, per giun¬ gere, attraverso alla geologia e alla trasformazione successiva degli organismi vegetali e animali, allo sviluppo dello spirito umano, al quale in modo più speciale s’applica il nome di storia. In questo complesso entrano tanto i fatti universali quanto i fatti singolari considerati nello spazio, ma che sono però 0) XÉNOPOi., Le caracthrc- de l’histoire , in Jievue phil., gennaio 1902, p. 38. Lee principes fondatHeniau.r de l’histoirè, p. 201-251. Paris, Lerotut, 1899. 156 PRINCIPI DI LOGICA. tutti individuali considerati nel tempo, ossia che non si sono prodotti che una sola volta nel corso del tempo e non si ri¬ produrranno più nell’ identico modo : ogni fatto è unico e non rassomiglia ad alcun altro in maniera completa. Tali sono per esempio: la successione di zone sedimentarie nei terreni secon¬ dari o terziari; le trasformazioni successive attraverso le quali sono passati i sauriani rettili per mutarsi in uccelli, o quella dell ’elephas antiquus per divenire l’elefante che os¬ serviamo ai nostri giorni; oppure le vicissitudini per le quali ha dovuto passare l’Impero germanico o la Penisola italica per arrivare alla forma unitaria attuale, o la trasformazione dell’epica cavalleresca leggendaria e primitiva nelle opere individuali del Pulci, del Boiardo e dell’Ariosto. Per evitare equivoco, è però necessario in questo punto uno schiarimento; cioè bisogna stabilire una distinzione tra l’esposizione scientifica naturale e l’esposizione storica d’un oggetto o d’una classe d’oggetti, per esempio degli esseri vi¬ venti, della società umana ecc. Cosi la biologia concepita come scienza naturale, che mira a farci conoscere le leggi generali che governano la vita degli animali e dei vegetali, non si deve confondere colla biologia considerata come scienza storica, la quale ha in vece per fine di studiare le succes¬ sive modificazioni e trasformazioni dei medesimi esseri sulla superficie della terra dal primo momento, se è possibile, della loro apparizione fino ai nostri giorni ; in modo simile la so¬ cietà umana può essere oggetto d’una scienza naturale, in quanto questa la studia e l’analizza nella sua maniera di essere, di vivere, nella dipendenza dei suoi elementi ; e può anche essere oggetto d’una esposizione storica nel senso comu¬ nemente inteso, in quanto ne espone le vicende successive. (*) È quindi evidente che nello studio di certe classi di og¬ getti il metodo naturale, che vuole stabilire leggi, e il metodo storico, che vuole invece stabilire il modo di successione dei fenomeni, possono alternarsi, ma non confondersi; giacché le leggi naturali non si applicano che ai fenomeni che si ripetono e non esprimono che il carattere quantitativo dei rapporti tra 0) Rickert, Die Qrensen der naturwisseuschaftlichen liegriffsbildung, pag. 294. Leipzig, Mohr, 1896-902. CAPITOLO XIV. 157 i fenomeni, mentre la storia si occupa solo del lato qualita¬ tivo dei fenomeni, e afferma che non vi sono due individualità storiche che si rassomiglino, due avvenimenti che si possano ricondurre sotto la medesima nozione generale o legge che si applichi tanto al presente quanto al passato. (*) Noi ci limiteremo qui ad esporre per sommi capi le re¬ golo metodiche più. importanti che riguardano lo studio dei fatti umani, cioè che riguardano la storia propriamente detta, la quale ci interessa più da' vicino. 3. Svolgimento del concetto di storia. — Le varie trasfor¬ mazioni cui il concetto di storia andò via via soggetto servono a mettere in evidenza i vari elementi che lo compongono e a farne conoscere meglio la vera indole e lo scopo. L’idea di cercare un disegno generale della storia non si era presentata, nè si poteva presentare, agli antichi, i quali non avevano un concetto chiaro dell’unità del genere umano. Erano talmente immedesimati nella società e civiltà in cui vivevano e di cui facevano parte, che non sapevano ricono¬ scere e pregiare il valore d’un’altra : lo straniero era per essi un barbaro; essere civile, pei Romani che conquistarono il mondo, voleva dire accettare le leggi, le istituzioni, le idee di Roma, divenire in una parola, romano. La storia ha però trovato in Grecia e in Roma cultori di grande valore ; pel primo Tucidide rivolge lo sguardo sui fattori politici e, quasi, sulla base naturale degli avvenimenti, le cause dei quali ricerca non già nelle disposizioni di esseri sopranaturali, ma soprattutto nelle condizioni in cui si trova¬ vano i popoli, negli interessi degli Stati, e, in piccola misura, nei capricci e nelle passioni degli individui; egli vuol descri¬ vere il corso delle cose umane, come farebbe per quello dei fenomeni naturali, ricerca la verità con zelo infaticabile, e nessuno sforzo, nessun sacrificio risparmia, per raggiungerla, per dare dei fatti un’esposizione esatta. Col Cristianesimo si diffuse il concetto d’un Dio unico, creatore e guidatore del mondo, innanzi a cui tutti gli uo¬ mini sono eguali; e cosi sorse anche il concetto d’un disegno (i) Kickkbt, op. cit„ pag. 530. 158 PRINCIPI DI LOGICA. nella storia, d’una niente superiore, che conduca ad un fine determinato. E noto che questo concetto apparve per la prima volta nella Città di Dio di S. Agostino e nelle Storie del suo discepolo Orosio. Cosi cominciò quella che fu chiamata Scuola teologica, la quale in sostanza era la negazione del vero me¬ todo storico e la rendeva impossibile. Infatti l’uomo diveniva un cieco strumento, senza proprio valore, nelle mani di Dio. che guidava i popoli come un cocchiere guida i cavalli; i popoli sorgono o cadono, perchè Iddio avvicina o allontana da essi la sua mano; le leggi dei fatti bisogna cercarle nella mente divina, in cui ai mortali non è dato penetrare. Quindi l’errore fondamentale non stava già neU’ammettere un Dio creatore dell’uomo e. regolatore della storia, ma nel metodo che si voleva seguire. Anche Galileo Galilei credeva in un Dio creatore del mondo, autore dello leggi della natura; ma egli cercava queste ultime studiando la natura e i suoi feno¬ meni. Invece gli scrittori del Medio Evo pensano che gli avve¬ nimenti storici sieno esclusivamente opera della Provvidenza divina, considerano l’uomo come un semplice strumento e la vita terrena non altro che una preparazione alla vita celeste. Coi grandi storici del Rinascimento italiano questo con¬ cetto è totalmente abbandonato; nelle storie del Machiavelli e del Guicciardini, infatti, la Provvidenza è scomparsa del tutto; essa non è mai chiamata a spiegare qualcuno dei grandi avvenimenti storici. Tutto ciò che avviene nella storia è, per gli scrittori del Rinascimento, opera dell’uomo, e dell’nomo individuo civile, razionale. Però l’uomo non è considerato come parte integrante della società, ma isolato, immutabile. Così il Machiavelli nel primo libro delle sue Storie narra gli avvenimenti dell’Europa nel Medio Evo: perchè i barbari si precipitano sull'impero? perchè uno o un altro generale romano offeso, geloso, irritato, li chiama per vendicarsi. Perchè seguono le Crociate? perchè Urbano II, non avendo altro da fare, pensò di darsi ad una « generosa impresa » . V’è sempre un capitano, un politico, un uomo di Stato, che è la causa di tutto ; è esso che fa le leggi, che fonda una repubblica o una monarchia, che muta i governi, che apparecchia le con¬ giure, le grandi rivoluzioni e le conduce al fine desiderato; non vi sono forze generali d’alcuna specie che operino : l’uomo CAPITOLO XIV. 159 rimane sempre lo stesso, e le differenze che vediamo di se¬ colo in secolo, da nazione a nazione, sono secondarie, più apparenti che reali. (') Queste idee durarono fino al secolo 2àlll. Il primo che osò prendere una via a fiat io diversa fu Giambattista Vico (1G68-1744). Egli accetta il pensiero degli uomini del Ri¬ nascimento, cioè che le cause dei fatti storici sono da ricer¬ carsi unicamente nell’uomo e nelle modificazioni dello spirito umano, « questo mondo delle nazioni è pur fatto dagli uo¬ mini e bisogna quindi ricercarne leej-ipiegazione nella mente umana * ; non crede però che l’uomo rimanga sempre lo stesso attraverso a tutte le trasformazioni sociali, ma assi¬ cura invece che lo spirito umano muta col mutar dei tempi e che, se vogliamo, per esempio, comprendere l’infanzia del genere umano, dobbiamo uscire di noi stessi, rifarci in certo qual modo fanciulli. Questo è il concetto che avviò la storia per una via nuova e che fa del Vico il precursore dell’indi¬ rizzo seguito più tardi dal Wolf, dal Niebuhr, dal Savigny. Questi ultimi iniziarono un nuovo metodo, studiando con me¬ todo scientifico e con grande pazienza i linguaggi, le mito¬ logie, il diritto, la società primitiva, le antiche istituzioni. Questa scuola pose in evidenza che la mitologia, i linguaggi, le società nascono e crescono secondo leggi determinate, senza essere creazione personale dell’uomo: l’uomo non appariva più, quale una volta, come un essere immutabile in tutti i tempi, i tutti i luoghi, con facoltà sempre identiche in ogni età, in ogni razza o civiltà diversa ; ma d’ora in ora continuamente mutabile, ed in questa sua mutabilità, in questo suo continuo diveìiire doveva essere studiato. Di qui ha avuto principio quell’immenso lavoro di in¬ dagini che va rinnovando ab imis fundamentis tutta la storia del passato e disseppellendo ad una ad una le antiche ci¬ viltà ; si tende ad una ricostruzione completa degli avveni¬ menti storici, fondata sulla conoscenza critica delle fonti e di tutte le forze che agiscono nei gruppi sociali e dei bisogni che cagionano i movimenti delle masse umane. Intorno alla (!) Vili.ari, Scritti rari; il saggio “La Storia è una scienza? „ passim. Bo¬ logna, Zanichelli, 1874. PRINCIPI DI LOGICA. \t>e*ì Pane 160 natura di questi bisogni spuntano le divergenze delle con¬ cezioni storiche, oggidì assai numerose. Secondo la concezione eroica non sono altro che ^bisogni degli eroi e dei geni che póngono in moto quella màis in- (ììgéstaqtte moles che è l’umanità; è una spiegazione insuffi¬ ciente, che riposa sopra una concezione antiscientifica della causalità, confonde l’occasione del movimento storico con la sua causa e cade in un circolo vizioso, poiché conclude dal¬ l’importanza dei risultati ottenuti dall’uomo di genio a quella della sua energia, e fa poi di questa energia supposta la causa dei risultati ; già Niccolò Machiavelli ha notato che la storia insegna che i tempi porgono l’occasione ai grandi e questi sanno afferrarla, mutando spesso il corso degli avvenimenti. (') Una concezione ideolo gica della storia si ritrova nella celebre opera di H. Th. Buchle « Storia della civiltà in In¬ ghilterra ; » le azioni umane, secondo questo scrittore, ven¬ gono determinate parte dalla natura, parte dallo spirito. Il primo fattore si assoggetta il secondo, ed è quindi prepon¬ derante, nelle zone calde e fredde, mentre nei paesi tempe¬ rati, come nell’Europa, la natura è subordinata allo spirito; gli Europei debbono la loro civiltà ai progressi del sapere e dell’ intelligenza ; però la civiltà non è già il prodotto arbi¬ trario e casuale di cieche forze fisiche o di potenze spiri¬ tuali, ma si deve considerare come il risultato necessario d’una serie di cause strettamente tra loro concatenate. La concezione collettivista, sorta di recente, vede la causa dei movimenti indicati in un « bisogno delle masse » , e spe¬ cialmente in un bisogno economici) ; la forma più importante di questa concezione economica della storia è il cosiddetto materialismo storico, che ha il suo principale rappresentante e fondatore in Carlo Marx (1818-1883). Questi sostiene che t utto lo sviluppo sociale è determinato dal sistema econo¬ mico, che alla sua volta dipende dalla forma e dallo svilnpup della produzion e. La struttura economica della società, egli dice, è la base reale, su cui s'eleva poi 1 edificio giuridico e politico, cosicché i (_ modo dì produzione della vi ta m&tedale domina in generale lo sviluppo della vita sociale, politic» o_ (>) Il Principe, cap. VI, p. 6, ed. carata da G. Lisio. Firenze, Sansoni, 1900. CAPITOLO XIV. 1G1 i ntellettuale . Il Marx distingui nella storia dell’umanità tre periodi principali : il periodo a ntico, il f eudale , il borghese o capitalista, tutti caratterizzati dal differente modo di pro¬ duzione : ciascuno porta ingenita la sua propria contraddi¬ zione e ci mostra il progresso come uno sviluppo storico ne¬ cessario. Il regime borghese, nel quale viviamo, è d’origine recente, giacché incomincia nel -secolo XVI, quando i grandi proprietari invadono a poco a poco il dominio dei grandi col¬ tivatori, spingendo nelle città gli abitanti delle campagne. La soppressione dei mestieri e l’invenzione delle macchine hanno dato un grandissimo sviluppo all’industria, nella quale s’ impiega un numero sempre crescente di lavoratori. La sto¬ ria è c|uindi dominata dal sistema economico e non avrebbe c he una fonte p rincipale: i Jjiso^ni mat eriali dell nomo; l’or¬ ganizzazione economica che oravecliamo non è l’espressione di leggi economiche eterne, ma non altro che una modifica¬ zione dell’organizzazione economica medioevale, che alla sua volta deriva dall’antica. Il fatto economico è per natura sua esclusivamente umano ; precede nel tempo tutti gli altri fenomeni sociali, poiché, come Aristotile ha già osservato fino dall’antichità, gli uomini non potevano porsi a speculare prima d’aver provveduto ai loro naturali bisogni ; infine è tra i fatti sociali il più semplice. È innegabile che i fatti economici hanno sopra gli altri fatti sociali una efficacia spesso decisiva, e che quindi la loro conoscenza ha molta importanza nella spiegazione dello svol¬ gimento storico delle società umane. Però non bisogna di¬ menticare il legame che uni sce gli uni agli altri i fenomen i s ociali: il diritto, l a religione, la morale, reconomia, la po - Jitìca. tutte le categorie di fatti che l’analisi distingue sono unite fra loro da reciproche influenze ; lo stesso Marx ha no¬ tato ciò che v’è di contingente nei progressi della tecnologia, ciò che questa deve al caso, alle gr andi inv enzioni e all’im t elligenza . Quindi il materialismo storico, secondo recenti in¬ terpreti (Antonio Labriola e Benedetto Croce), fornisce una somma di nuovi dati, di nuove esperien ze., che entra nella coscienza dello storico, si risolve in un ammonimento a tener presenti le osservazioni fatte da esso come nuovo sussidio a intendere la storia. Mobsbllt, Principi di Logica — 11 162 PRINCIPI DI LOGICA. 4. La storia è una scienza o un’arte? - Importante è pure la questione non ancora chiusa se la storia sia una scienza oppure un arte; ponendola alcuni risolutamente fra le scienze, altri fra lo arti, ed altri accordandole i caratteri d’una scienza e nel mede¬ simo tempo d un’arte. Notevoli sono le argomentazioni chq il Croce pone innanzi per sostenere che la storia è un’arte: egli distingue nella conoscenza umana due forftd: la còrios'ceuza intuitiva e la conoscenza logica, conoscenza per la fantasia e conoscenza per l intelletto, conoscenza dellWimrfnalc e àeW universale, delle cosse delle loro relazioni; l'una è produttrice d’imagini, l’altra produttrice di concetti. Lo intuizioni sono: questo fiume, questo lago, questo ri¬ gagnolo, questa pioggia, questo bicchiere d’acqua; il concetto è: 1 acqua, non questa o quella, ma l’acqua in genere, in qualunque luogo o tempo si roalizzi. Le manifestazioni più alte della cono¬ scenza intuitiva e dolla conoscenza intellettuale sono arte e scienza. (') La stona è un’arte, come la poesia, la pittura, la musica; essa ò una pittura vora e propria, descrivo gli avvenimenti, vuole rappre¬ sentare vivamente all’immaginazione degli uomini i fatti passati; racconta e non fa deduzioni nè induzioni, secondo il metodo ado¬ perato nelle scienze, non ricerca leggi, nè foggia concetti, è diretta art narrandum non ad demonstrandnm. Il questo qui, Vindividuimi umilino determinatimi è il suo dominio, od è il dominio medesimo dell arte; la storia rientra perciò sotto il concetto dell’arte. 1', un sofisma quello di credere che la storia abbia por oggetto il concetto dell’individuale, donde si conchiude che la storia sia conoscenza logica o scientifica; la storia elaborerebbe il concetto d un personaggio, di Carlo Magno o di Napoleone ; d’un’opoca come del Ri nascimento o dolla Riforma: d’un avvenimento come della Rivoluzione trancoso e dell'unificazione d’Italia, allo stesso modo che la Geometria elabora i concetti delle forme spaziali. Ma di tutto ciò non è niente: la storia non può se non presentare Na¬ poleone o Carlo Magno, la Riforma o il Rinascimento, la Rivolu¬ zione francese o l’unificazione d’Italia, fatti individuali, nella loro fisionomia individuale, proprio nel senso cho dai logici si dico che dell individuale si dà non concetto ma rappresentazione. ( a ) Tra aite ola storia corre quosta differenza: la prima è la conoscenza d una cosa, d’un sentimento, d’un carattere, la conoscenza della lealtà possibile, non della realtà esistente e reale, oggetto della storia 5. La critica storica. — Lo storico trae la materia della narrazione o dai fatti che egli stesso ha veduto, oppure dai * (*) 0) Croce, Estetica , p. 3. Palermo, Sandron, 1902. (*) Croce, op. cit„ p. 29-30. CAPITOLO XIV. 163 fatti che altri in tempi o luoghi lontani hanno osservato; d’onde la necessità di valutare il grado di certezza delle te¬ stimonianze, per avvicinarsi più che è possibile alla verità. Bisogna notare che l’uomo lascia traccia di sè e delle sue opere non solo nei racconti scritti o tramandati di genera¬ zione in generazione, ma anche nelle armi, negli ornamenti, negli strumenti che adopera nella caccia, in casa ecc. ecc. La preistoria è basata quasi esclusivamente sopra questi ul¬ timi monumenti, non esclusi gli avanzi fossili del regno ani¬ male e di quello vegetale. Il materiale per ricostruire il pe¬ riodo che segue alla preistoria ci viene fornito da una grande quantità di monumenti, come iscrizioni, monete, sculture, edi¬ fici, opere pubbliche ecc., che provengono dagli stessi autori degli avvenimenti o dai loro contemporanei ; l’interpretazione di essi rientra propriamente nel campo dell’archeologia sto¬ rica, la quale fornisce pure un prezioso sussidio alla storia propriamente detta. Importante è il criterio per stabilire la certezza della tradizione scritta e della tradizione orale, per le quali s’in¬ contrano non poche e gravi difficoltà, se si pensa che non di rado per fatti e avvenimenti di lievissima portata e a noi contemporanei, le testimonianze di persone oneste e co¬ scienziose sono incerte e contraddittorie ; per fatti di molto maggior gravità e che possono riguardare tutto intero un popolo, le passioni, l’intelligenza, il partito politico, gl’inte¬ ressi degli osservatori possono turbare la narrazione spesso in modo irrimediabile ; tali testimonianze debbono essere va¬ gliate con grandi cautele e con tutti gli speciali sussidi for¬ niti dal metodo storico, e con tutto ciò non sempre si riesce ad eliminare le alterazioni sia volontarie sia involontarie. Avvenimenti come la origine del Cristianesimo, la Riforma protestante, la Rivoluzione francese sollevano ancor oggi po¬ lemiche e pregiudizi, che impediscono e offuscano la retta valutazione di essi. n. quindi chiaro che il principio di verisimiglianza e di probabilità, come dice il Croce, (') domina tutta la critica storica ; l’esame delle fonti e delle autorità è diretto a sta- (>) Op. cit„ I. c. PRINCIPI PI LOGICA. 164 bilire le testimonianze più credibili. Chi parla d’induzione e di dimostrazione storica fa un uso metaforico di queste pa¬ role, le quali nella storia assumono un aspetto affatto diverso da quello che hanno nella scienza. La convinzione dello sto¬ rico è la convinzione indimostrabile del giurato, che ha ascol¬ tato i testimoni, seguito attentamente il processo ; sbaglia, senza dubbio, delle volte, ma gli sbagli sono una trascura¬ bile minoranza di fronte ai casi in cui coglie il vero. La storia è quindi ciò che l'individuo o l’umanità ricorda del suo passato, ricordo dove oscuro, dove chiarissimo, ricordo che con industri esami si procura di allargare e precisare il meglio possibile; ma tale che non se ne può far di meno e che, preso nel tutto insieme, è ricco di verità. Solo per spi¬ rito di paradosso si potrà dubitare che non sia mai esistita una Grecia, una Roma, un Alessandro, un Cesare, un’ Eu¬ ropa feudale e una serie di rivoluzioni che l’abbatterono; che il 1° novembre 1517 si videro affisse le tesi di Martin Lutero alla porta della chiesa di Wittemberga e che il 14 lu¬ glio 1789 fu presa dal popolo di Parigi la Bastiglia. Che ra¬ gione rendi tu di tutto questo?, chiede ironicamente il sofista : l’umanità risponde : Io ricordo. Chi si accinge a scrivere un’opera di storia deve atten¬ dere a quattro operazioni principali, a ciascuna dolle quali risponde una parte distinta della metodica : 1" Raccogliere il materiale, donde Veuristica: ossia dot¬ trina delle fonti. 2° Analizzarlo, donde la critica delle fonti. •1° Comprendere i fatti in sè e nei loro rapporti, donde la co Riprensione dei fatti e loro rapporti. 4* Esposizione dei fatti. Queste quattro operazioni nella pratica s’intrecciano e si confondono, giacché nel tempo stesso che, ad esempio, si raccoglie il materiale, questo viene vagliato, e non si può va¬ gliarlo senza comprendere il valore dei fatti che esso fornisce. Le fonti sono il materiale da cui si attinge la storia; dapprima furono tradizioni orali e canti popolari, poi note scritte e anche, occasionalmente, iscrizioni e documenti: più in là nell’età antica e nel medio evo non si andò; solo nel¬ l’età moderna si pose mano a ricercare ed usufruire iscri- CAPITOLO xiv. 165 zioni, documenti, monete, tutti i prodotti dell’arte, e persino gli avanzi preistorici. Tutto il materiale storico si può di¬ videre in due categorie: a) avanzi ossia tutto ciò che di un l'atto è rimasto ed esiste ancora, con semplici reliquie o parti di fatti e di atti umani interamente spogli d’ogni idea di ricordo per la po¬ sterità e innanzi tutto i resti corporei degli uomini, poi la lingua, le abitudini, i costumi, le feste, i giuochi, culti, isti¬ tuzioni, leggi, utensili, monete, armi, edifizi; tra gli avanzi sono da annoverarsi i monumenti nel senso più largo, vale a dire tutto ciò cui è inerente l’intenzione di conservare la memoria dei fatti; b) la tradizione, che mira a conservare il ricordo degli avvenimenti col proposito appunto di essere fonte o mate¬ riale storico. Si distingue in figurata, orale e scritta, se¬ condo che consta di rappresentazioni di persone di luoghi (ad es. carte geografiche, piante di città e simili) e avveni¬ menti storici, oppure di racconti orali, leggende, proverbi, canti storici, oppure di iscrizioni storiche, alberi geneologici, calendari annuali, cronache, ricordi, biografìe e storie d’ogni genere. Ufficio della critica storica è quello di stabilire la ve¬ rità effettiva dei dati contenuti nelle fonti, cioè decidere se e fino a che punto siano da ritenersi come veri o come falsi, come realmente avvenuti o no. Ciò si fa sempre affermando o negando, sotto forma d’un giudizio, sia nei rapporti delle fonti coi fatti, sia dei fatti tra loro; come indica anche il significato fondamentale del verbo xpfveiv (separare, distin¬ guere, giudicare) da cui è derivata la parola critica. La me¬ todica insegna i principi, le regole, l’arte onde s’adempie a quell’ufficio. Tutto si riduce al raffronto di ciò che sottopo¬ niamo a critica con altri dati di cui siamo sicuri, all’esame, in una parola, dell’incerto col certo. Si deve alla critica ve¬ ramente metodica o scientifica, se la storia è diventata una vera e propria scienza, giacché solo il metodo scientifico ha reso possibile l’accertamento dei fatti storici, cioè lo sceve¬ rare il vero dal falso, la storia, dalla leggenda. La critica dicesi estrinseca, quando esamina se una data fonte sia da considerare o no, e fino a che punto, come te- 166 PRINCIPI DI LOGICA. stimonianza storica, come vera e propria fonte storica; e ha quindi per ufficio di a) provare l’identità delle fonti ; b) sta¬ bilire quando, dove e da chi e per che modo (se originali o derivate) furono prodotte; c) stabilirne il contesto originale (recensione) e pubblicarle (edizione). La critica dicesi invece intrinseca, quando esamina i rapporti delle testimonianze coi fatti, cioè se le testimo¬ nianze corrispondano, e fino a che punto, alla realtà. Il suo ufficio somiglia a quello del giudice istruttore, il quale deve constatare la realtà d’un delitto dalle dichiarazioni dei te¬ stimoni e dalle immediate tracce di esso; essa esamina la forza dimostrativa delle singole tracce o testimonianze, raf¬ fronta e bilancia le ime colle altre. (') 6. Esiste una scienza generale della società? — I primi saggi d’osservazione scientifica della vita sociale si ritrovano in alcune opere di Platone e di Aristotile; ma solo nei tempi nostri lo studio dei fenomeni sociali ha preso uno svi¬ luppo notevolissimo e un’ importanza veramente straordinaria. Augusto Comte nel suo « Corso di filosofia positiva » lo ha innalzato al grado di scienza indipendente, dandogli il nome di « sociologia » , che viene ormai generalmente accettato ; nella nota classificazione comtiana delle scienze, la sociologia tiene 1 ultimo posto, essendo sorta di recente e presentando mag¬ gior complessità e minor generalità delle altre scienze. Ma la sociologia è ben lungi dall’aver determinato con chiarezza e precisione il suo oggetto e i suoi metodi; anzi alcuni negano ad essa il diritto all'esistenza, affermando che i fatti che studia formano oggetto di altre scienze già co¬ stituite. La sociologia viene generalmente intesa come la scienza dei fenomeni sociali, cioè dei fenomeni che sono propri della vita della società. Questo però non è sufficiente per determinare l’oggetto della sociologia, poiché i fenomeni so¬ ciali sono già studiati da un gran numero di discipline par¬ ticolari, storia delle religioni, del diritto, delle istituzioni (') Manuale Sei metodo storico di A. CnivEU.ucci, pnssim. Pisa, Spocrri, 1897 (è la traduzione dei capitoli 3° e 4° del Manuale del m. st. del Berkheim). CAPITOLO XIV. 167 politiche, statistica, scienza economica ecc. Ora due sono le soluzioni principali date a questo problema. Secondo alcuni la sociologia è una scienza distinta dalle scienze sociali par¬ ticolari, ha un’individualità sua propria, considera in tutta la sua complessità la realtà sociale, che le scienze partico¬ lari dividono e decompongono per astrazione; essa è una scienza concreta, sintetica, mentre le altre sono analitiche ed astratte. In questo modo lo Stuart Mill afferma che la sociologia ha per oggetto « gli stati di società » che si suc¬ cedono nella storia dei popoli; l’insieme degli elementi che formano lo stato di società è costituito dai fenomeni sociali più importanti, come il grado d’istruzione e di cultura mo¬ rale nella comunità e in ogni classe, le condizioni dell’in¬ dustria, del commercio, della ricchezza, le occupazioni ordi¬ narie della nazione, la sua divisione in classi, la forma di governo, le leggi, i costumi ecc. La sociologia dev’essere quindi come una filosofia delle scienze sociali particolari, e, come la biologia ha preso il significato di filosofia delle scienze biologiche, cioè d’una scienza che studia i fenomeni essenziali ed universali della vita sotto le sue molteplici forme, cosi essa dev’essere la scienza generale della società, deve analizzare le caratteristiche generali dei fenomeni sociali e stabilire le leggi più alte dell’evoluzione sociale. Altri invece affermano che la sociologia non può essere che il sistema, il «corpus» delle scienze sociali; la molti¬ tudine innumera dei fatti sociali viene studiata dalle disci¬ pline speciali, che diventano in tal modo come rami parti¬ colari della sociologia e devono prendere un nuovo indirizzo e un nuovo metodo, derivanti dalla considerazione che i fatti sociali sono tra loro intimamente legati e debbono conside¬ rarsi come fenomeni naturali soggetti a leggi necessarie. Un esempio di questa trasformazione ci viene presentata dalla storia. Sotto gli avvenimenti particolari e contingenti che costituiscono la storia apparente delle società umane, si co¬ minciò a cercare qualche cosa di più fondamentale e di più permanente, le istituzioni ; con ciò la storia cessa d’essere uno studio narrativo e si apre all’analisi scientifica. I fatti che vengono eliminati o considerati di secondaria impor¬ tanza, sono i più refrattari alla scienza, essendo propri ad 168 PRINCIPI DI LOGICA. ogni individualità sociale considerata in un dato momento della sua vita ; mutano da una società ad un’altra, e nel seno d’una medesima società: le guerre, i trattati, gli intrighi delle corti o delle ‘assemblee, gli atti degli uomini di Stato costituiscono delle combinazioni che non si ripetono mai nello stesso modo e non sono soggetti a leggi definite ; la storia in questo senso si limita a stabilire una pura successione di fatti. Invece le istituzioni nel loro svolgimento conservano caratteri essenziali per lunghi anni e anche, qualche volta, per l’intero corso d’un’esistenza collettiva, poiché esprimono ciò che vi è di più essenziale in un aggregato umano ; in questo campo i fenomeni sociali non possono più essere con¬ siderati come il prodotto di combinazioni contingenti, di vo¬ lontà arbitrarie, di circostanze locali e fortuite, ma di cause generali permanenti e definite. Quindi sotto l’azione dei principi, degli uomini di Stato, dei legislatori, che era con¬ siderata un tempo come preponderante, si è scoperta l’azione decisiva delle masse, si è compreso che una legislazione non è che la codificazione dei costumi, che non può vivere se non profonda le sue radici nello spirito dei popoli, e inoltre che i costumi, le abitudini, lo spirito dei popoli non sono cose che si creano a volontà, ma sono l’opera dei popoli stessi. Non pochi sono gli argomenti cho si adoperano per dimo¬ strare 1 impossibilità d'uua scienza generale della società; si ri¬ corre alle definizioni tra loro discordanti che i sociologi propongono di essa, del suo metodo, del suo oggetto; per gli uni la caratteri¬ stica dei fenomeni sociali è la continuità o storicità, per altri la reciprocità d’azione, o la giustizia, o la sociabilità, o la coscienza della specie; l'elemento primario e costitutivo della società è ora l' individuo, ora la famiglia, ora l' orda ; nè può avvenire altrimenti quando si pensi alla complessità estrema, alla variabilità di tali fenomeni, le quali però, se attestano della gravissima difficoltà del- l'impresa, non sono prove sufficienti per poterne affermare l’im¬ possibilità. 7. Il metodo nello studio dei fenomeni sociali. — Intorno al metodo da adoperarsi nello studio dei fenomeni sociali si notano divergenze simili a quelle che abbiamo trovato nelle opinioni intorno al vero oggetto della sociologia. Per un certo periodo di tempo ha avuto molta for- CAPITOLO XIV. 169 tuna la concezione biologica della società ; ma oggi per l'im¬ portanza maggiore acquistata dalla psicologia e per altre cause lia perduto gran parte della sua importanza e conta minor numero di sostenitori. L’analogia biologica si fonda sul metodo induttivo e con¬ siste nella comparazione d’una società ad un organismo per la corrispondenza e il parallelismo di non pochi caratteri fra l’una e l’altro. Cosi in ambedue il punto di partenza, è uno stato semplice, indefinito, relativamente omogeneo; lo sviluppo della società come degli organismi s’effettua per differenzia¬ zione, successione e coordinazione delle parti differenziate ; all’accrescimento della massa e del volume corrisponde la complicazione graduale della struttura e delle funzioni, e, come gli individui, gli aggregati sociali nascono, si svilup¬ pano e muoiono. In secondo luogo l’individuo nella società è l’equivalente dell’elemento anatomico nell’organismo, e come i, io opino, credo, e quindi opinione imposta da un’autorità posta al di fuori e al disopra di ogni critica) afferma che il nostro sapere non ha limiti, che lo spirito umano può giungere a conoscere la realtà quale essa è. Dogmatici sono stati Platone e Aristo¬ tile e i razionalisti del secolo XVII. b) Lo scetticismo rappresenta una dottrina opposta al dogmatismo ; esso (da oxémopai, esamino) afferma che il dubbio si estende a tutte quante le cognizioni. Vi è uno ( l ) Kulpe, EinUitung in die rhilosophie, p. 131. Leipzig, Hirzel, 1903, 3* ediz. 184 PRINCIPI PI LOGICA. scetticismo relativo, pel quale tutte le nostre cognizioni sono relative, vale a dire dipendenti dalle circostanze accidentali in cui sono sorte, e quindi valevoli solo per determinati luo¬ ghi o tempi ; e uno scetticismo soggettivo, pel quale la verità è una cosa affatto dipendente dall’ individuo. Manca quindi un criterio assoluto della verità: la debolezza e l’imperfezione dei sensi rendono impossibile una percezione sicura, e la ra¬ gione per la sua stessa natura è condannata alla contraddi¬ zione. Lo scetticismo ha avuto la sua massima fioritura nell'anti¬ chità fino dall'epoca dei Sofisti. Protagora, fondandosi sul principio d’Eraclito che tutte le cose sono soggette a una mutazione inces-, sante, ne trae la conseguenza che le coso sono ciò che pare a ciascuno in un dato momento, e che la verità dipende, corno il gusto, dal sentimento momentaneo degli individui, cadendo cosi nello scetti¬ cismo che abbiamo denominato soggettivo: l’uomo è la misura di ogni cosa, egli diceva : nàvitov xp 1 il i, ‘ xa,v M T P SV Sv&puiitoj. Però questa frase si riferisce solo alla teoria della conoscenza, non alla morale, corno sposso si dico. 11 Goethe, guidato dall'istinto d’uno spirito superiore, ha compreso ciò : “ noi possiamo, egli dice, os¬ servare, misurare, calcolare, pesare la natura, ma ciò avviene sem¬ pre secondo la nostra misura e il nostro peso, giacché l’uomo ò la misura di tutto le cose „. Questa espressione equivale dunque a dire: il reale solo può essere percepito da noi, l’irreale non può in alcun modo divenire oggetto della nostra percezione ; noi uomini non possiamo varcare i limiti dalla nostra natura, e la verità, per quanto può essere percepita da noi, deve trovarci entro questi con¬ fini. (') Gorgia Leontino cercò di dimostrare le seguenti tre tesi : nes¬ suna cosa è ; anche se qualche cosa fosse, non sarebbe conosci¬ bile; quando pure fosse conoscibile, la cognizione che un uomo potesse acquistarne, non sarebbe comunicabile ad altri ; in con¬ clusione la verità non esiste, tutto ò falso. Infine Pirrone, capo degli Scettici, affermò che le cose sono inaccessibili tanto ai sensi quanto alla ragione, e che noi possiamo di esse affermare o negare quello che vogliamo; il meglio che ci rimane a fare consiste nel- l’astenerci da qualsiasi giudizio. Fra gli scettici posteriori sono da ricordarsi Arcesilao e Cameade. Nei tempi moderni gli scettici più famosi sono Michele Mon¬ taigne (f 1592) e Pietro Charron (1541-1603). 0) Gompebz, op. cit., p. 480. conclusioni;. 185 c) Il positivismo restringe il valore della conoscenza al campo dell’esperienza e delle scienze positive, ai fenomeni e alle loro relazioni. Noi non possiamo conoscere l’essenza dei fenomeni, le cause prime e i fini ultimi, ma solo, me¬ diante l’osservazione, l’esperimento e la comparazione, le re¬ lazioni costanti tra i fenomeni, il loro succedersi, le somi¬ glianze, le leggi. Pertanto il positivismo elimina dalle scienze qualsiasi ricerca estranea a quella delle leggi e rapporti co¬ stanti di coesistenza e di successione tra i fenomeni. La filo¬ sofia positiva procede come le vere scienze, badando solamente ai fatti e restringendosi a spiegare un fatto per mezzo di altri fatti; e il fatto non è altro che il fenomeno. 11 fondatore del positivismo è Angusto Colute (1798-1857), del quale abbiamo già esposto la classificazione delle scienze. Secondo il Comte la coscienza passa per tre fasi principali, la fase teologica, la metafisica, e infine la positiva. Nella fase teologica lo spirito umano considera i fenomeni del¬ l'universo come effetti di forze e di esseri soprannaturali; anzitutto si considerano tutti i corpi esteriori come animati, vivouti (feticismo), quindi si ammetto l'esistenza di esseri invisibili, ciascuno dei quali presiede ad una classe distinta d'oggetti, di avvenimenti (politeismo), finché tutte le divinità particolari vengono comprese nell'idea d’un Dio unico, che, dopo aver croato il mondo, lo governa sia diretta¬ mente, sia indirettamente per mezzo di agenti soprannaturali. Nella fase metafisica i fenomeni vengono spiegati non più per mezzo di volontà soprannaturali coscienti, ma mediante astrazioni considerate come esseri reali: ciò che governa il mondo è una forza, una potenza, un principio; si vogliono spiegare i fatti colle tendenze della natura, cui si attribuisce ad esempio, la tendenza alla perfe¬ zione, l’orrore del vuoto, una forza salutare ecc. Infine nel periodo positivo si lasciano in disparte lo entità astratte, come cause, forze, sostanze, e si ricerca la spiegazione dei fatti nei fatti stessi, confrontandoli, ricercandone le affinità e clas¬ sificandoli per ragione di somiglianza ; la storia dell'umano pensiero cammina, secondo il Comte, verso la sintesi, l’organizzazione dello scienze, mentre il regno della metafisica volge al suo termine. d) II criticismo, s’oppone tanto allo scetticismo, che, ne¬ gando la possibilità di qualsiasi conoscenza, finisce anche col negare sè stesso, quanto al dogmatismo che ha una cieca fi¬ ducia nella ragione; mentre il positivismo ammette solo la 18G PRINCIPI DI LOGICA. scienza positiva e come fine di questa la ricerca della legge, il criticismo riconosce allo spirito umano altri campi di ri¬ cerca. Esso investiga ed esamina lo stesso potere, conoscitivo, distinguendo quali problemi può risolvere, e quali invece ri¬ mangono senza soluzione e fuori del suo dominio. Il Kant ammette la conoscibilità del fenomeno, di ciò che è dato alla nostra esperienza, e afferma l’inconoscibilità dell’essenza delle cose; però vi è in noi una tendenza naturale a valicare i i limiti del mondo dei fenomeni, e a penetrare nel mondo dei noumeni (tò voupevov - il pensato, la cosa in sè, l’oggetto quale noi supponiamo che esista in sè stesso, in opposizione al fenomeno, che è l’oggetto quale noi ci rappresentiamo nel¬ l’esperienza). Questa dottrina del Kant che vien detta anche « razionalismo idealistico » si può cosi riassumere : noi pos¬ siamo conoscere la realtà a priori mediante la ragione pura, non come è in sè stessa, ma solo, come appare a noi e sotto l’aspetto formale. (*) 4. L’oggetto della conoscenza. — Le scienze, come ab¬ biamo visto, si possono anche dividere in formali e scienze della realtà ; alle prime appartengono la logica e la matematica e hanno per oggetto idee che non sono tratte dagli oggetti reali; cosi i numeri e le figure della matematica vengono costruiti e determinati dalla nostra mente. Le altre invece studiano oggetti presi dalla realtà, dal mondo interno, dal mondo esterno, dal passato, dal presente e che si impongono alla coscienza dell’osservatore. Ora, si può chiedere se questi 0 £f?®tti) studiati dalle scienze reali, esistono assolutamente, in se stessi, quindi in maniera indipendente dalle rappresen¬ tazioni che noi ne possiamo avere, oppure si può dare al problema un’altra soluzione. Le principali risposte a tale questione sono tre: il realismo, il fenomenalismo, Videa¬ lismo. Il realismo rappresenta la più antica concezione, giacché si presenta a noi come naturale il fatto di pensare che le cose che stanno fuori di noi cosi come noi stessi, siano quali sono apprese dalla coscienza che le considera come gli ori¬ li) Pauusv, jB ’inleitung in lite Philosojihie, pag. 368. Berlin, Cotta, 1903; 9* ediz. CONCLUSIONE. 187 ginali ritratti dalle nostre sensazioni ; quindi crediamo che gli oggetti sieno realmente rossi e verdi, chiari e oscuri, lisci e ruvidi, dolci e amari. Però questo realismo ingenuo, che ha ancora la sua influenza nella vita pratica, come quando ad es. diciamo di vedere il sole levarsi e tramontare mal¬ grado la scoperta di Copernico, non dura a lungo; molti fatti vengono presto a dimostrare che le rappresentazioni non sono una copia della realtà: le illusioni, le allucinazioni, i sogni, la cecità dei colori parziale o totale, le differenze individuali nell’acutezza visiva e uditiva ci convincono che la percezione sensibile dipende in modo naturale da fattori soggettivi; si aggiunga a ciò la relatività della percezione sensibile, per la quale ciò che ad uno sembra freddo è per¬ cepito come caldo da un altro, a questo un movimento pare lento, a quello veloce, e uno stesso oggetto al medesimo individuo si presenta sotto diversi aspetti secondo le circostanze, gli strumenti coi quali s’osserva, la luce, ecc. ecc. Quindi non è più possibile pensare che lo spirito sia come uno specchio che rifletta fedelmente l’immagine degli oggetti esteriori. L 'idealismo è stato iniziato nella sua forma tipica dal fi¬ losofo inglese Giorgio Berkeleg (1685-1753) secondo il quale tutte le qualità dei corpi che percepiamo sono meramente re¬ lative a noi, e i corpi non si riducono ad altro che a gruppi di qualità, le quali esistono solo nelle nostre percezioni, sono pure parvenze e la loro esistenza si riduce semplicemente all’essere percepite, esse est per dpi ; che cos’è, per esempio, una mela? un complesso di sensazioni visive, olfative, gustative, tattili e nulla più. Infine la dottrina del fenomenalismo fondata dal Kant afferma che tutto ciò che ci viene dato nell’esperienza è costituito dai fenomeni; noi possiamo conoscere le cose non come sono in sè, ma come appaiono a noi. Le leggi fon¬ damentali, alle quali la natura obbedisce e che ci aiutano a comprenderla, non esprimono che le condizioni d’esistenza della nostra intelligenza. La ragione è questa; poiché noi pensiamo il mondo dei fenomeni, bisogna ammettere che vi sia una correlazione tra le leggi dell’ universo e le leggi della nostra intelligenza; ora, per spiegare questa correlazione sono possibili solo due supposizioni: o lo spirito ha ricevuto 188 PRINCIPI DI LOGICA. dal inondo, mediante i sensi e l’esperienza, le leggi costitu¬ tive conforme alle quali esso pensa; oppure lo spirito impone al mondo le sue leggi proprie e l’obbliga in certo modo a costituirsi in modo che la natura fenomenica gli divenga in¬ telligibile. Kant accoglie quest’ultima ipotesi, e quindi le cose che noi pensiamo sono per noi ciò che il nostro spirito le fa essere; il nostro pensiero attuale e cosciente non fa che prendere conoscenza d’un mondo di fenomeni, che gli preesiste e che, diventando oggetto di conoscenza, ha già subito la legge del pensiero umano in ciò che esso ha di essenziale e di costitutivo, di guisa che tutto ciò che noi pensiamo non esiste in sè stesso, ma solo per rapporto a nyi. 5. Scienza e filosofia. — L’importanza che i problemi sopra ac¬ cennali hanno per la scienza, va sempre più crescendo non solo presso i filosofi, ma anche presso gli scienziati, tra i quali non pochi, b enché siano di continuo a contatto deU'esperieiiza. meditano o s'accingono a risolvere problemi filosofici gravissimi . Cosi un cèlebre fisiologo, Max Verworn, nell’introduzione alla fisiologia generale, pone come fondamento a tutta l’opera una teoria della conoscenza, giungendo alla conclusione “ che il mondo fisico è un frammento della nostra psiche e cho è quindi naturale il fenomeno, cosi mera¬ viglioso sotto un altro aspetto, che le leggi le quali reggono il mondo fisico sieno del tutto identiche a quelle che reggono la nostra psiche; questo fatto ci pare tanto più probabile in quanto troviamo che i fenomeni del mondo fisico sono ordinati secondo lo spazio, il tempo, la causalitù, ossia secondo lo leggi logiche della nostra mente; le leggi cho noi assegnamo al mondo fisico sono le leggi proprie del pensiero, le leggi secondo le quali avvengono i fenomeni psichici, perchè il mondo è solo ima nostra rappresentazione. 11 mondo este¬ riore è quindi pura illusione, l’idea d' una realtù oggettiva è affatto insostenibile „, (‘) 11. Helinhol t z (181 1 -1894) matem a tico, fisico o fisiologo di grand e. valore, speriinentatoro geniale, pensatore profondo e limpido , cho ha lasciato una traccia luminosa nei campi più diversi della scienza, ha pure proclamato la verità che ogni discussione scientifica mena dritta all'analisi e alla critica della conoscenza, che qualsiasi rifles¬ sione sul movimento scientifico non può non metter capo a quesiti d'ordine conoscitivo; egli tenta la soluzione del problema della co¬ noscenza dal punto di vista della psico-fisiologia e pensa che la ;>) Verwork, op. cit., p. 38. CONCLUSIONE. 189 conoscenza deve essere analizzata, esaminata per scoprire in essa i fattori, gli elementi impliciti, i presupposti che la rendono pos¬ sibile. La filosofia moderna, dice il Riehl, vive nelle opere di Ro¬ berto Mayer, di H, Helmholtz, di Enrico Hertz . Dal breve, ma profondo scritto del Mayer “ Osservazioni intorno all'equivalente meccanico del calore „, si svolge chiaramente tutto il compito e il metodo della conoscenza naturale e nel medesimo tempo i limiti di essa, E fino agli ultimi tempi l'Helmholtz ha rivolto la sua atten- zione alle questioni della conoscenza teoretica, separando le condi¬ zioni per l'intelligibilità delle cose dalle rose stesse, e tentando, dapprima sulle orme del Kant, poscia scostandosene, di esaminare con intendimento critico le basi della scienza della natura . Un ottimo esempio del modo onde filosofia e scienza possono accordarsi in un’opera comune e feconda si ritrova nei * Princip i della meccanica , dell' Hertz. 11 metodo adoperato in quest’opera è il metodo generale delle scienze teoretiche della natura, già conce-■»' due correnti riunendosi insieme vengono a costituire la scienza ; non diversamente pensano i più illustri scienziati dei nostri tempi. Non potrà ritornare un'epoca, nella quale la scienza creda di aver raggiunta la sua meta, quando abbia accumulato fatti sopra fatti, nè un'epoca in cui la filosofia osservi con disdegno il lavoro indispensabile di proparaziono compiuto dalla scienza. Il costruire e il plasmare i mattoni per innalzare un edificio è tanto impor¬ tante quanto l'opera dell'architetto che abbozza il disegno e guida l'esecuzione della casa. Quindi come alla conoscenza verrebbe meno il materiale senza il paziente e faticoso lavoro delle ricerche empi¬ riche, .così all’edificio scientifico mancherebbe un disegno senza l'ela¬ borazione intellettuale dei fatti: l a scienza ha bisogno della filosofia , e se ne foggia una per proprio conto, quando non ne trova altre. Perciò può accadere che ricerchi i limiti del conoscere là dove sono le condizioni di essa, oppure scambi i segni delle cose per le cose stesse. In simile maniera l a filosofia non può fare a meno dell a srionzfl. uon deve perdersi in vuote speculazioni, o restringersi ad una teoria puramente formale della conoscenza, la quale non possa raggiungere il nocciolo del sapere, i fatti offerti dall’esperienza. La ricerca scientifica e la filosofia formano una cosa sola, si comple- i 190 PRINCIPI DI LOGICA. tano a vicenda. Sull’ingresso della scuola di Platone, come si dice, si leggeva: Nessuno, che non conosca la geometria, ossia, come si direbbo oggi, che non conosca la scienza esatta, può entrare. Una iscrizione analoga dovrebbe incidersi sulle porte dei nostri labora¬ tori e dei nostri gabinetti scientifici: non può entrare chi non abbia studiato la filosofia. L'educazione filosofica è parte dell’educazione speciale d’ogni scienziato; essa gli insegna a conoscere lo strumento dei suoi strumenti e gli offre la norma per le sue ricerche. (') (*) A. Rieiil, op. clfc., 8 Vortrag, passim. Raccolta di alcune fra le voci più comuni nella logicn. ( l ) Accidente: Aristotile contrappose l’accidente (oupjìelltjxòf da oóv cum e |ia£vci> evento (recido ) allo sostanza (oùo£a), come ciò die non può esistere da sé, ma solo nella sostanza; è quindi una qua¬ lità o modificazione che non appartiene all’essenza della cosa e si ritrova in questa senza esser legata necessariamente alla sua idea; oggi s’adopera comunemente nel senso di cosa non necessaria, che può essere e non essere, senza che la cosa muti o sparisca; cosi si può concepire una roccia, senza pen¬ sare che sia aguzza o arrotondata: queste ultimo qualità, ri¬ spetto al concetto di roccia, sono accidentali. Un significato del tutto diverso ha nel ‘ sofisma per accidente „ e nella “ conversione per accidente „. Ad hominem: si dice argomento ad hominem quello che si fonda sopra un principio accettato come vero dall’avversario, il quale si vede quindi costretto, per non parere in contraddi¬ zione con sè stesso, ad accettare la tesi. Agnosticismo: (da a-fvoioxog, & neg. e yiYvtòoxo), inconoscibile) si applica a quelle dottrine che affermano l’esistenza noi mondo di qualche cosa che non si può conoscere, che è inaccessibile alla mente umana, e che bisogna ammettere per potere spie¬ gar l’universo; la filosofia di E. Kant, che pone l’esistenza della cosa in sè, e l’evoluzionismo di E. Spencer che dichiara inconoscibile l’assoluto, sono dottrine agnostiche. (’) Un buon dizionnrio di scienze filosofiche is quello compilato dal pro¬ fessor Cesaiie Ranzoli, Hoepli, 1905. 192 RACCOLTA 1)1 ALCUNE FRA LE VOCJ PIÙ COMUNI Analisi: (da àvoi, prep. che esprime in composizione l'idea di retro¬ cedere, di rifarsi da capo, e Xóo> sciolgo) nel significato pin generale è l'operazione del pensiero mediante la quale si scioglie un tutto nei suoi elementi, nelle parti componenti, o si distinguono in un composto una o più parti; il metodo ana¬ litico parte dai fatti particolari per salile ad un principio ge¬ nerale, come f induzione ; la prova analitica è quella elio va dagli effetti alle cause; giudizio analitico è, secondo il Kant, quello il cui predicato è contenuto necessariamente nel sog¬ getto: i corpi sono estesi. Analogia: (àvee Xéyou pei matematici greci significa: nel medesimo rapporto), è un'operazione logica per la quale, quando nell'idea od oggetto A e nell’idea od oggetto C si sono riscontrali elementi o caratteri comuni, si afferma che un altro o altri caratteri che sono in A debbono pure ritrovarsi in B; l’ana¬ logia porta quindi a conclusioni ipotetiche, elio possono poi essere confermate dall’esperienza. Anfibolia: designa l'equivoco di senso prodotto dall'uso di termini forniti di doppio significato, oppure di una speciale costruzione sintattica d'uua frase; dal greco A;isp£-PoAog, elio va da due parti, dubbio, da cui anfibologia parlare clic può prendersi in duo significati anche opposti, es. : aio te Hannibalen vincere posse. Antecedente e conseguente: in un rapporto logico dicesi antecedente il primo termine, conseguente il secondo; cosi la causa è l’an¬ tecedente, l'effetto il conseguente. Apodittico: (da àitoSetxvojxt, dimostro); l'apodittica è quella parte della dialettica che insegna il modo di dimostrare la verità d'un principio mediante il semplice ragiouameuto; il Kant ha chiamato giudizi apodittici quelli nei quali il predicato appar¬ tiene necessariamente al soggetto, intendendosi per necessità l’inconcepibilità del contrario; quindi pei giudizi necessari affermativi la formula è: dev’essere; pei negativi: non può essere. Aporema: (da ànopèui: dubito) è, secondo Aristotile, il sillogismo dubitativo, quello che mostra l'ugual valore di due ragiona- monti contrari. A posteriori, a priori: la prima espressione significa ciò che risulta dall’esperienza; così le idee a posteriori sono quelle fornite dall’esperienza; la seconda esprime ciò che è dato anterior¬ mente all’esperienza, ciò che non proviene dai fatti; così si è detta scienza a-priori la matematica o scienza a-posteriori la storia. Però tanto tra i Latini quanto tra i filosofi medioevali NELLA LOGICA. 193 l’espressione “ dimostrare a-priori , significava dimostrare dalle cause; dimostrare a-posteriori dimostrare dagli effetti. S. Tommaso d’Aquino negò che Dio si potesse conoscere a-priori, perchè non si può conoscere dalle cause, ma solo dagli effetti. Asserzione: ò l’atto dell'esprimere una semplice verità di fatto, e giudizi assertori ha chiamato il Kant quelli nei quali il pre¬ dicato appartiene al soggetto, senza annettervi T idea di ne¬ cessità o di possibilità. Assioma: (dal greco oj degno donde à{j(to|ia la stima che si fa d'una cosa, poi principio evidente; Giambattista Vico nella Scienza nuova chiama gli assiomi degniti) è una verità evi¬ dente per sè stessa, indimostrabile, che serve di fondamento por altre proposizioni; secondo gli empiristi trae la sua origine dall’esperienza, secondo gli aprioristi dalla ragione indipen¬ dentemente dall'esperienza. Astrazione: (traduzione di àcpaipsoij da ino ab o atpéw traggo, fu dapprima adoperata dagli scultori per esprimere l'atto di estrarre il primo abbozzo dal masso informe) per Aristotile ò il processo montale con cui, omesse le qualità accidentali della cosa, si separano le qualità essenziali e si considerano per loro stesso; in generale significa considerare separata¬ mente ciò che in realtà non è separato, decomporre una no¬ zione in elementi. Canone: per lo Stuart Mill, che nel suo sistema di logica ha for¬ mulato cinque canoni fondamentali dell'induzione scientifica, è sinonimo di norma, di regola da seguirsi; canonica (da xa- V(év, xavóvoj, regolo per tracciare linee diritte) chiamarono gli Epicurei la logica, la quale era un complesso di regole del pensalo, di norme per discernere il vero dal falso. Categoria: le categorie sono i concetti più generali delle cose, i generi supremi in cui si dispongono le nostre idee, p. e. so¬ stanza, qualità, quantità; il giudizio categorico è quello che afferma o nega senza soggiacere ad alcuna condizione; sillo¬ gismo categorico 6 quello composto di giudizi categorici. Causa: nel significato comune e popolare ò ciò che produce un fe¬ nomeno, ciò che agisce, l'antecedente d'un altro fenomeno; però un po' di riflessione basta a far comprendere che la causa è determinata come tale solo dall’effetto, che i due termini sono correlativi e l’uno non può sussistere senza l'altro; se¬ condo il Mill la causa non è altro che l'antecedente invaria¬ bile e incondizionato di un fenomeno; il principio di causa o di causalità esprime il fatto che nulla vi ha senza causa, che Morselli, Principi di Logica — 13 194 -RACCOLTA DI ALCUNE FRA LE VOCI PIÙ COMUNI tutto ciò elio incomincia ad essere lia la propria ragion d'es¬ sere in qualche cosa di anteriore e che cause simili in circo¬ stanze simili producono effetti simili, secondo il principio (ipotetico) dell’uniformità del corso naturale delle cose. Circolo vizioso: è un sofisma il quale consiste nel provar la verità d’una proposizione, appoggiandosi ad un'altra, la quale alla sua volta non può essere provata se non appoggiandosi alla prima. Composizione: ò il complesso dei caratteri che sono contenuti in un’ idea, l’ insieme degli elementi o note, che costituiscono ciò che si dice anche “ connotazione „ d'un concetto. Concetto: (dal latino conceptm che corrisponde ni greco da ooXXappàvm, prendo insieme, concipio, per significare che mediante il concetto apprendiamo il significato della cosa; i Greci chiamarono il concetto anche 8poj, termine da ipt^io 10 termino) ò l'unità delle cose essenziali dell'oggetfo : non ò da confondersi colle rappresentazioni, che sono varie, indivi¬ duali, mutevoli. Concettualismo: dottrina filosofica che ha per principale rappresen¬ tante Abelardo, secondo la quale gli universali, ossia i generi e le specie, pur essendo nomi comuni che designano qualità che appaiono solo negli individui, hanno però, come concetti, una realtà nello spirito di chi li pensa. Concomitante: due fatti sono detti concomitanti quando si accom¬ pagnano e avvengono sia simultaneamente sia uno dopo l'nltro; cosi sono fatti concomitanti l'aumento di calore e l’ innalzarsi del mercurio nel termometro. Concreto: si adopera in opposizione di astratto, e pare che'sia d’ori¬ gine latina e significasse dapprima denso, spesso; Cicerone dice aer concretilo come opposto ad aer fusilo; si applica a ciò che è fornito di tutte le sue qualità ed ha un’esistenza reale per sé. Contingenza e contingente', s’oppongono a necessità e a necessario; il vocabolo aristotelico xò ou|ipepr,aóg tradotto in latino accidens e contingens designa ciò che avviene, ma che potrebbe anche non avvenire; s’intende generalmente in un doppio significato: contingente è ciò che lo spirito può concepire come non esi¬ stente o esistente in modo diverso; oppure ciò che in realtà potrebbe non essere o essere diversamente. Criterio: (da xptxiqpiov che deriva da xpivm, giudico) è il segno o la regola, mediante la quale si può riconoscere e distinguere 11 vero dal falso o che socondo alcuni ò posto nell’ intelletto, secondo altri nella sensazione, nel senso comune, neU'auto- rità ecc. ecc. NELLA LOGICA. 195 Deduzione: forma di ragionamento, che consiste in genorale nel par¬ tire da un principio generale noto, per trarne conseguenze particolari, o nel trovare il principio ignoto d'una conseguenza nota; si adopera tanto nelle scienze di puro ragionamento, quanto nello scienze sperimentali. Definizione: è la determinazione del contenuto d’un concetto che può essere espressa mediante un giudizio, nel quale il sog¬ getto è il concetto da definire, il defìniendo o il definito-, e il predicato è l'insieme di note con lo quali il primo viene de¬ finito e dicesi definienle. Determinismo: è la dottrina secondo la quale ogni fenomeno natu¬ rale è l’effetto necessario d’una causa, oppure, secondo il pen¬ siero dello Stuart Mill, ogni fenomeno ha per condizione d’esistenza un insieme di circostanze positive e negative che costituiscono il suo antecedente incondizionale, non già nel senso che l'antecedente incondizionale produca effettivamente il conseguente, ma solo nel senso che ne è seguito in ma¬ niera invariabile; il determinismo universale consisto quindi neU’ammettere che il principio di causa ha valore tanto per la natura materiale quanto per la natura spirituale. Si suole distinguere il determinismo fisico, che riguarda i fenomeni fi¬ sici, e il determinismo psicologico, che riguarda quelli psi¬ chici e afferma che in ogni caso particolare, dati i nostri mo¬ tivi d'agire, le nostre risoluzioni sono determinate e seguono di necessità il motivo prevalente. Non si deve confondere de¬ terminismo con fatalismo, secondo il quale gli avvenimenti sono determinati ab aetemo in modo necessario da un agente esteriore. Dialettica: (8tà attraverso e ^éyio raccolgo) è l'arte che apre la strada al vero o quindi alla scienza mediante il raffronto e la discussione delle varie opinioni; Platone dico noi Cratilo: “ colui che sa interrogare e rispondere come lo chiameremo se non dialettico? , osso quindi espone ed esamina con arte polemica le opinioni favorevoli e quelle contrario intorno ad un dato soggetto, rivelandone le difficoltà e le contraddizioni. Dictum de omni aut de nullo: è l’espressione usata dagli scolastici per significare che ciò che si dice d'un complesso di cose o di esseri, si dice pure dei singoli, e ciò che si nega d'un com¬ plesso, si nega pure dei singoli; esprime quindi il principio fondamentale del sillogismo. Differenza specifica: è l'insieme dei caratteri, mediante i quali una specie si distingue da un’altra o dalle altre, appartenenti al medesimo genere. 196 RACCOLTA DI ALCLJHE FRA LI VOCI PIÙ COUTURI Discorsivo: designa la conoscenza e il ragionamento mediato, nel quale entra come fattore importante il lavoro della ragione; si oppone a intuitivo, giacché la conoscenza intuitiva è quella che avviene per un atto immediato, subitaneo, senza passaro da un’ idea ad un’altra, senza la comparazione di più idee, come avviene nella conoscenza discorsiva. Divisione: nel linguaggio logico, è l'operazione mediante la quale si determina l’estensione d’un concetto, mentre la definizione ne determina la comprensione; la forma più semplice della divisione è una proposizione in cui il soggetto ossia il divi¬ dendo è il genere, e il predicato ossia il dividente enumera le specie contenuto sotto quel genere. Dogma: o domma (da Box ito, io penso, donde 8óf|ia: ciò che è pai’so conveniente, opinione, principio professato, deliberazione) significa in generale un'opinione che viene imposta da un’au¬ torità posta al di fuori e al disopra d'ogni critica e d'ogni esame; il dogmatismo, in opposizione allo scetticismo, ammette la possibilità di conoscere la realtà quale essa è. Dubbio metodico: consiste nel sospendere il nostro giudizio intorno a qualsiasi cosa, respingendo le opinioni anteriormente stabi¬ lite, finché la verità non si imponga con assoluta evidenza ni nostro spirito; si distingue quindi dal dubbio scettico, che nega la possibilità stessa di conoscere alcnna cosa. Eclettismo (da èx-Xéyto, scelgo): si dice del metodo filosofico che consiste nel raccogliere da sistemi filosofici diversi e anche opposti opinioni e dottrine, che si cerca di conciliare armoni¬ camente. Empirismo: (da èp-Reipia esperienza, icatpdco io sperimento) ò la dottrina filosofica che fa derivare dall'esperienza tutto ciò che conosciamo, e considera il fenomeno come unico oggetto della nostra conoscenza. Ammette un’esperienza esterna basata sul potere dei sensi ed un’esperienza interna basata sul potere della riflessione; si distingue quindi dal sensismo, che ammette essere i sensi la sola fonte di tutte le nostre cognizioni. Eristica: (da spij, contesa, ipf£o>, io contendo) è l'arte di disputare, di contraddire ad ogni affermazione dell’avversario pel solo scopo o pel piacere di voler contraddire, è una derivazione e una degenerazione della sofistica, con la quale non si devo confondere. Esplicito: un giudizio o una nozione diconsi espliciti quando sono chiaramente e precisamente espressi nella proposizione. Essenza (essentia da esse, traduzione del greco cuoia) è un’espres¬ sione di vario significato; è stata usata dai Greci por indicare NELLA LOGICA. 197 ciò cbe persiste identico sotto la varietà e la molteplicità dei fenomeni, ciò elio cade solo nel dominio della conoscenza ra¬ zionale. Per gli scolastici l'essenza è il complesso delle qua¬ lità indicate dalla definizione e dalle idee che rappresentano il genere e la specie; designa quindi ciò che nell’essere è in¬ telligibile e concorre a definirlo, ossia i suoi attributi fonda- mentali. Estensione d’un concetto: è il complesso degli individui e degli os- seri, dei quali un concetto o una qualità può essere affermato come attributo, ossia il numero dei concetti cbe contiene sotto di sé. Fenomenalismo: o fenomenismo, è la dottrina filosofica la quale af¬ ferma resistenza dei fenomeni essere l'unica realtà, negando l'esistenza della sostanza, della cosa in sé; noi conosciamo le coso come appaiono a noi, non come sono in sè stesse. Forma: por Aristotile la forma (popoli, et8oj) è attività ed energia, la materia (OXv)) è passività o potenzialità; la forma trae dalla materia, per mezzo del perpetuo moto che in essa suscita, la molteplicità dei particolari, ciò facendo secondo certe regole e quindi introducendo in quella ordine e uniformità; la forma è inscindibile dalla materia. Oggi per materia della conoscenza s’intende il contenuto di questa; la materia è ciò cbe indi¬ vidua i fatti e distingue, per esempio, il pensiero a dal pen¬ siero ò, dal pensiero c e cosi via: per la materia una propo¬ sizione logica di scienza giuridica si distingue da una di etica, una legge economica da una legge estetica; ma la logica che non entra nei dibattiti delle varie discipline, ed ha per og¬ getto il pensiero in universale qualunque ne sia il contenuto, la materia, prescinde da questa e contempla la forma. Però un’affermazione logica, per esempio una qualsiasi affermazione di scienza, non può esser vera formalmente o falsa material¬ mente, perchè, in concreto, la sua forma b inseparabile dalla sua materia; la logica non può prescindere dalla verità dei concetti, dei giudizi, dei ragionamenti, per quanto prescinda da questi o quei concetti, giudizi, ragionamenti. (Croce, op. cit., 9). Genere: in una serie di concetti in cui l'estensione va crescendo e diminuisce la comprensione, dicesi genere il concetto più esteso e meno comprensivo rispetto ai concetti meno estesi e più comprensivi: animale, per esempio, rispetto a vertebrato, ver¬ tebrato rispetto a uomo, uomo rispetto a Europeo e cosi via. Giudizio ; fu detto dei Greci àitócpaaij, o Xóyos ànotpaxtxój, da &7ti e ig) il dubbio degli scettici. Scolastica: è il secondo periodo della filosofia del medio evo, che va dall' 800 al 1400; è preceduta dalla Patristica o filosofia dei SS. Padri, è seguita dal Rinascimento ed ha per iniziatore Scoto Erigeua e per centro Parigi; la Scolastica dipende stret¬ tamente dalla religione, nella quale ritrovavano la verità; è essenzialmente dogmatica e manifesta in generale una sfiducia e una diffidenza più o meno grando verso la ragione o la scienza; una questione capitale che si agitò nella Scolastica è quella che riguarda gli universali. Sintesi: (da ouv-xIS-rjpt: pongo insieme) nel significato più lato de¬ signa ogni operazione che tendo a riunire in un tutto elementi diversi; si intende anche il processo mediante il quale dai principi si scende alle conseguenze. Sistema: (da oov-£<mj|u: metto insieme) è in generale un tutto nel quale le singolo parti sono ordinatamente collegate fra loro, un complesso di idee subordinate ad uno o a più principi ge- nerali e fra loro coordinate. Sostanza: (substautia, loti.: ciò elio sta sotto, traduzione della pa¬ rola aristotelica: &Ro-xe!|ievov, composta di imo sotto e xsìpat io giaccio) è ciò che permane identico in mezzo al variare delle qualità, del colore, della forma; per gli Scolastici è ciò che sussiste per sé (ens quod per se subsistit), mentre gli accidenti sussistono nella sostanza e quindi per la sostanza. Subordinazione: è la relazione che corre fra due concetti di cui l’uno ò contenuto nell’estensione dell’altro; cosi il concetto di uomo e subordinato a quello di mammifero, che dicesi concetto so¬ praordinato. Sussunzione: (subsumptio, da subsumere) è una specie di ragionamento che consiste nel porre due idee nella dipendenza come di specie a genere, di caso individuale a legge; per Aristotile il sillogismo di sussunzione, che corrisponde al sillogismo di pi ima figura, è il tipo perfetto del raziocinio. Fise. Settembre 1905 RAFFAELLO GIUSTI ED1T0RE-L1BRAIO-T1POGRAFO LIVORNO CATALOGO GENERALE DELLE OPERE RI PROPRIA EDIZIONE o posseduto in ninnerò AVVERTENZA. Le opere sognate in questo catalogo si spediscono franche di porta in tutto il Regno, mediante pagamento anticipato. Le spedizioni viaggiano a l'ischio e pericolo del Committente. Chi, per esser sicuro del recapito, desidera che le spedizioni per posta siano raccomandate aggiunga, all’importo dei libri, cent. 25 per la raccomandazione. Le commissioni superiori alle L. 10 si eseguiscono anche contro assegno purché siano accompagnate da almeno ‘/-i dell’importo totale. Non si accettano di ritorno i libri regolarmente commessi. li presente Catalogo annulla i precedenti.
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