Thursday, September 19, 2024

GRICE ITALO A/Z M M2

 

 

Grice e Massolo: l’implicatura conversazionale nelle prime ricerche di Hegel – implicatura idealista di Plathegel e Ariskant – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Palermo, Sicilia. Filosofo italiano. Grice: “If I had to decide on my favourite Massolo, that would be his ‘historicity of metaphysics,’ way before when I was venturing with Strawson and Pears to lecture the erudite audience of the BBC third programme on the topic!” Dopo aver intrapreso gli studi presso il Liceo Classico Vittorio Emanuele II, si laurea a Palermo con “L’individuo in Rosmini, con Allmayer. Fu autore di alcuni volumi di poesia.  In seguito ad un periodo di docenza nei licei di Perugia, Catanzaro e Livorno, insegna a Urbino e 'Pisa. Ha influenzato importanti figure del dibattito filosofico del secondo Novecento, come Luporini, Badaloni, Sichirollo, Salvucci, Cazzaniga, Barale, Bodei, Losurdo. Gli scambi epistolari avuti con numerosi intellettuali (tra cui spiccano i nomi di Gentile, Spirito, Bo, Fortini, Russo, Capitini, Weil) mostrano l’alta considerazione di cui M. godeva all’interno del panorama culturale del secondo dopoguerra.  Partecipa alla fondazione della rivista Società, entrando nel comitato di redazione. La rivista, nel primo anno della sua uscita, ospitò tre importanti saggi di M.: Esistenzialismo e borghesismo,  La hegeliana dialettica della quantità, L’essere e la qualità in Hegel. Idea e fonda la collana «Socrates» dell’editore Vallecchi, con la quale pubblicò “Filosofia e politica” di Weil, Vita di Hegel di Rosenkranz e Dialettica e speranza di Bloch. I suoi studi su Hegel, inclini a valorizzare la filosofia della storia e la dimensione realistica del filosofo tedesco, contrastano tanto la lettura del neoidealismo italiano (Croce e Gentile) quanto quella di Volpe. Nell’ambito della sua riflessione Massolo ha posto le basi teoriche per una nuova ed originale rilettura del rapporto Hegel-Marx, tanto da essere considerato da alcuni interpreti l’avviatore dell’hegelo-marxismo in Italia. I suoi interessi teoretici si sono rivolti principalmente alla filosofia classica tedesca da Kant ad Hegel, della quale ha studiato, per più di un decennio, i principali momenti storico-teorici.  In antitesi all’esegesi del neoidealismo italiano, che tendeva ad attribuire alle filosofie di Fichte, Schelling ed Hegel il superamento della finitezza umana che Kant aveva posto a fondamento della sua filosofia, M. ha proceduto alla rilettura della genesi dell’idealismo tedesco con l’idea che esso abbia storicizzato i dualismi kantiani in un processo che si compie nella Fenomenologia dello spirito di Hegel.  Nelle fasi più mature della sua riflessione ha tematizzato in vari saggi la problematica della scissione della coscienza comune (Filosofia e coscienza comune, oggi), l’idea della completa politicizzazione del filosofare (Politicità del filosofo,  Frammento etico-politico), ed il problema della storia della filosofia con particolare riferimento al ruolo della coscienza riflettente del filosofo, nonché al rapporto dialettico tra Pensiero e Realtà nella città-storia» (La storia della filosofia come problema,).  Si dedica alla questione della dialettica intesa come dialogo, ovvero quell’elemento dialettico-razionale mediante il quale è possibile conciliare le differenti rappresentazioni dell’oggetto storico-sociale e le contraddizioni all’interno della comunità.  Tramite queste riflessioni, che lo hanno condotto a porsi in diretta polemica con Nietzsche ed Heidegger, M. ha contrastato l’idea del sapere come visione solitaria del singolo ed ha concettualizzato l’idea del sapere come processo essenzialmente dialogico e comunicativo (La storia della filosofia e il suo significato).  Saggi: “Mattutino,” versi (Palermo, Trimarchi); “Adolescenza” (Palermo); “Convivio; storicità della meta-fisica” (Firenze, Monnier); “L’analitica di Kant” (Firenze, Sansoni); “Fichte” (Firenze, Sansoni); “Schelling” (Firenze, Sansoni); “Prime ricerche di Hegel” (Lettere e Filosofia, Urbino); “La storia della filosofia come problema” – (Firenze, Vallecchi); “Logica idealista” (Salvucci, Firenze, Giunti-Bemporad, “Della propedeutica filosofica” e altre pagine sparse, Urbino, Montefeltro, Landucci, M., "Belfagor, Remo Bodei, Arturo Massolo, "Critica storica", Studi in onore di M., Sichirollo, Urbino, Argalia, Badaloni, Ricordo di Arturo Massolo, "Giornale critico della filosofia italiana", degli scritti di  Massolo, Burgio, Urbino, QuattroVenti, “Il filosofo e la città: studi Domenico e Puglisi, Venezia, Marsilio.   La ricca letteratura critica su M. - tenuta viva da amici ed allievi, ma rivolta non a celebrare bensì a interpretare l’itinerario filosofico  dell’amico/maestro e il suo modello teoretico, che, da Heidegger e Kant,  lo conduce verso Hegel e Marx, evidenziando così sia una ‘parabola’ della  filosofia italiana (e non solo) del dopoguerra sia la costruzione di un mo-  dello di storicismo connotato in modo assai diverso da quelli post-cro-  ciani o gramsciani, correnti nell’Italia postbellica, e incardinato su una  ontologia storica del soggetto —, tale letteratura critica (che ha coinvolto Landucci e Sichirollo, Bodei e Salvucci, Losurdo e Badaloni, ecc.), dicevo, ci ha indicato - con precisione - alcuni nuclei forti di quel pensiero,  sottolineandone l’articolazione complessa e la significativa attualità. Sul  primo fronte sono stati il passaggio dall’esistenzialismo al marxismo, l’interpretazione della filosofia classica tedesca, il rapporto teoretico fra Hegel  e Marx, il nesso fra «il filosofo e la città» a essere sottolineati; sul secondo, soprattutto, quel carattere etico-politico del suo storicismo, connesso  a un forte e vero umanesimo» fondato sul dialogo-nella-città e rivolto a  una «costruzione della ragione nel mondo reale, elementi che rendono il  suo insegnamento «ancora fortemente attuale, anche nell’orizzonte del  postmoderno (Salvucci, in Domenico, Puglisi).  Proprio per leggere più intimamente il modello storicistico di M.,  dobbiamo sottolineare ancora:   il suo passaggio dall’esistenzialismo al marxismo;   l’elaborazione del suo neo-storicismo negli anni Cinquanta;   il modello maturo che esso assume nel lavoro dell’‘ultimo’ M.,  da La storia della filosofia come problema a Entiusserung, Entfremdung nella Fenomenologia dello spirito. Lesistenzialismo del primo M., come emerge dagli scritti dei  primi anni Quaranta e culminato in Storicità della metafisica e in  Introduzione all'analitica kantiana, risulta contrassegnato dalla  storicità, ma questa è ancora una struttura ontologica del soggetto, pro-  prio quella che è sfuggita a Kant — «da trovarsi nella loro di coscienza tra- [Cambi, Pensiero e tempo: ricerche sullo storicismo critico: figure, modelli,  attualità, Firenze] scendentale e coscienza sensibile] storicizzazione, nel piano, dunque, della  storicità dell’esistenza umana e di una intelligenza critica dell’uomo - e  che va messa in luce in Heidegger, il quale ci ha evidenziato la «tempora-  lità» dell’uomo (riprendendo e approfondendo Kant, al di là dei razionalismi idealistici) e la condizione storica (connessa all’esser «il singolo  mai l’aurora», poiché «egli si muove in un mondo già apparso, il cui es-  sere gli è nascosto»? e su cui deve interrogarsi facendo i conti col «passa-  to» che costituisce l’orizzonte di quel mondo) del suo «esserci», in cui è la  «trascendenza pura» del tempo che impone la domanda metafisica, ma  per cui ogni risposta non sarà che condizionata e parziale, poiché è l’uo-  mo che pensa la metafisica, la pensa dalla condizione di «un’indigenza di  essere a cui mai potrà rispondere in toto. Così alla metafisica spetta una  radicale storicità (come domanda/risposta dell’uomo-nel-tempo), anche  perché - inoltre - nel processo di fondazione metafisica la    rivelazione del mondo non significa manifestazione di qualcosa che  rimanga nel suo in sé irrevocabile alla vista, ma il suo stesso venir pro-  dotto all’essere, giacché il suo essere è il suo apparire.    È la storicità stessa dell’uomo che fonda la metafisica e la ricerca metafisica dovrà porsi il problema della storia perché    unicamente un approfondimento della storicità può permettere di  guardare nella eccezionalità che è la metafisica come azione non del-  l’uomo in generale ma del singolo.‘    Singolo, temporalità, storicità sono qui gli elementi ontologici su cui si  attiva la ricerca di Massolo, attraversata dalla lezione dello Heidegger degli  anni Venti-Trenta (tra Essere e tempo e Kant e il problema della metafisica),  riletto anche attraverso le indicazioni postgentiliane di Fazio-Allmayer,  che nel suo attualismo critico ha messo al centro sempre più l’uomo e ha  guardato a una umanizzazione del reale. Già Salvucci, nella sua Presentazione al volume Logica hegeliana e filo-  sofia contemporanea, che raccoglie gli scritti sparsi di M. sottolinea il «faticoso processo» del suo pensiero, che lo  conduce alla «liberazione dal predominio della logica hegeliana» e verso  «il realismo», in cui emerge il ruolo dell’uomo colto nella sua alienazione, che ne è il contrassegno storicamente primario ed efficace. Alienazio-  ne che è storica, ma di cui la filosofia - da Kant in poi - si fa testimone e  interprete. Con Hegel, invece, la ricomposizione dell’alienazione si com- [M., Introduzione all’analitica kantiana, Sansoni, Firenze,  Storicità della metafisica, Le Monnier, Firenze] pie nell’orizzonte dell’assoluto, attraverso l’artificio della logica e la sua  riconsiderazione unitaria e pacificata dai conflitti e dalla dialettica che  essi producono, e che dà luogo alla costruzione dell’Idea filosoficamente  resa trasparente a se stessa e, proprio per questo, totalmente realizzata.  Per liberare Hegel dal primato della logica, bisogna risalire all'opera più  drammatica e aperta di Hegel stesso, a quella Fenomenologia dello spirito  che pone al centro proprio l’alienazione (e non come sola estraneazione),  l’alienazione dell’uomo colto nel suo statuto tragico. Sarà Marx, poi, a  compiere il passo successivo e decisivo: a riportare nel tempo storico-sociale (nella dimensione del lavoro e nei sistemi di produzione economi-  ca) tale alienazione, mostrando che essa «non è altro che un prodotto di  quella forma storica di lavoro che è la divisione del lavoro»?. Lasse nuovo  e il principio determinante di questo storicismo realistico e antropologico  diviene la Città («la Città-Storia» già di Hegel, ma qui riportata ai sogget-  ti e alla loro rete di azioni e reazioni nel tempo e sul tempo). Ed è questo  costituirsi nella e relazionarsi alla città che viene a contrassegnare il filosofare, quale atto di «razionalizzazione» e di «storicizzazione».   Per Salvucci qui sta il senso del lavoro di M., lo stemma del suo  storicismo e la stessa angolazione da cui ricostruisce e interpreta il marxi-  smo. Marxismo come storicismo, ma qui ripensato sulle orme di Kant,  Hegel e Marx e che pone al centro, heideggerianamente, la questione della  temporalità, del tempo storico ovvero della forma antropologica di vivere  la temporalità storica. Che è - appunto - l’alienazione.   I testi raccolti da Salvucci nnel volume citato sono un preciso  résumé di questo itinerario teoretico, in cui i vari tasselli vengono a com-  porre un cammino in ascesa verso il marxismo critico, di cui Marx e il  fondamento della filosofia è l'esempio cruciale. I conti con Hegel sono fat-  ti analiticamente nelle Ricerche sulla logica hegeliana, in cui è  proprio l’oblio del destino del mondo, del «nascere e del morire» (per  valorizzare il puro paradigma logico-ideale) che viene sottolineato e fis-  sato nel suo ruolo, per noi, oggi, di ‘scandalo’. Ma l’idealismo non muore  con Hegel: ritorna anche dopo di lui. Nella tensione cartesiana del pensiero di Husserl, che riduce l’uomo a mente, la mente a pensiero, il soggetto  a un'isola, caratterizzato dalla ‘solitudine’ della soggettività trascendentale. Saranno figure come Heidegger, come SPIRITO (si veda), come LUPORINI (si veda), come FAZIO (si veda)-Allrnayer (con la sua logica della compossibilità), come BANFI (si veda)  a riaprire i confini di questo storicismo bloccato nella formula idealistica  e a ricondurci sul terreno della esperienza ‘esistenzialmente’ connotata e  orientata a un pensiero che si compie e si legittima nel processo stesso della  storicità, intesa come storia degli uomini, degli uomini concreti, cioè dei  produttori. Allora è Marx che ‘invera’ lo storicismo con la sua «filosofia  dell’uomo alienato». Ma Marx non è un ‘tribunale’ della filosofia: è anco-  [Salvucci, Presentazione a M., Logica hegeliana e filosofia contempo-  ranea, Giunti-Marzocco, Firenze] ra filosofia, ma è la filosofia del nostro tempo, che rompe ogni dualismo,  che rende l’atto filosofico segno e prodotto dell’alienazione, che la ricolloca  nel suo terreno genetico — «il lavoro» — ma da lì fa procedere anche il suo  possibile superamento, indicando nei mutamenti delle condizioni econo-  miche il varco stesso per aprire la storia alla speranza, ovvero alla disalie-  nazione. Marx umanizza la filosofia e umanizza la storia. Allora Massolo  può concludere con decisione: Il rovesciamento che Marx opera del rapporto alienazione-lavoro,  rovesciamento che ha il suo teoretico e storico fondamento nella cri-  tica al concetto hegeliano di lavoro e perciò nella critica alla divisione  di esso, impegna la filosofia che si fa cosciente della propria origine e  della sua radice che è il lavoro, a non cercare la propria giustificazione  nel mondo dell’estraneazione che è per essa il mondo dei massimi pro-  blemi, ma a distruggere questo mondo, nel quale è l’altro di sé, mondo  che non è il suo mondo e del quale non ha bisogno, perché esso non è  il suo fondamento. Il percorso del pensiero maturo di M. è qui già  delineato con precisione: confrontandosi con Marx, riportare lo storicismo  a nutrirsi della lezione di Marx, integrandola però con i vettori di quell’esi-  stenzialismo che pur è stato un ‘raddrizzamento’ antropologico e una re-  staurazione di una corretta concezione del tempo. Si pensi ad Heidegger. M. imposta il lavoro sul suo Marx, distanziandolo  da Feuerbach e dalla sua stessa interpretazione di Hegel (un Hegel antro-  pologico, appunto), riportandolo verso Hegel e la sua visione dialettica e  real-razionalistica della realtà, non teologica bensì storicistica del mondo,  e un Hegel che sta al centro del Capitale e della sua riflessione (metodo-  logica e contenutistica) sulla forma attuale del divenire storico. Rispetto  a Hegel, però, Marx fa un passo ulteriore: supera la fenomenologia (che è  ancora lettura teoretica) e reclama la «realtà rivoluzionaria», un mutamen-  to prassico, storico; storico-economico, anzi, poiché la storia è ‘sorretta’  dall’economia. Così è il lavoro a stare al centro di questo programma e  di rilettura di Hegel e di interpretazione di Marx. Se Hegel legge, però, il  lavoro ancora ‘in assoluto’, sarà Marx a collegarlo storicamente alla divi-  sione del lavoro, ai conflitti sociali, alle prassi rivoluzionarie. Attraverso le Ricerche sulla logica hegeliana e altri saggi (poi  ripubblicato come Logica hegeliana e filosofia contemporanea con altre aggiunte), si arriva a La storia della filosofia come problema e altri  saggi, e poi all’ importante Frammento etico-politico. M., Logica hegeliana e filosofia contemporanea. Bene Sichirollo presentava l’orizzonte del lavoro teorico maturo di  M. nella Premessa alla seconda edizione di La storia della filosofia come problema: lì è la filosofia e la storia da Hegel a Marx ad  essere protagonista, e contrassegna    la stagione della coscienza filosofica nel suo momento più maturo ed  ultimo: il passaggio dal rapporto dialettico al rapporto storico, dal-  la filosofia come speculazione e identità alla filosofia come storia e  differenza, alla filosofia che si fa storica, e sa la propria genesi dalla  non-filosofia-ideologia.”    Massolo stesso enunciava l’impianto complessivo di quella sua ricerca,  che parlando di storia della filosofia, in realtà, parlava della «filosofia storica, poiché quella «mette in crisi» questa, le impone di ripensarsi oltre  la «sua pretesa di universalità» e le impone un circolo storico.   Qui essa si fa contraddizione a se stessa: verità e tempo, insieme; verità nel  tempo. Come lucidamente comprendeva Hegel, che risolve tale contraddizio-  ne nella «determinazione dell’Idea nel suo concetto logico», ma per diversi  gradi, come scrive lui stesso. Ogni verità filosofica è verità di e per queltempo  che la produce, ma - retrospettivamente — risulta sempre radicalmente storica. Ma Hegel sottrae il suo sistema a questo principio e fa della sua filosofia  il sapere assoluto. E non solo: è l’autocoscienza che supera la storicità e si  ripropone - come filosofia e filosofia della filosofia - come Assoluto. Allora  gli apporti della sociologia correggono questo errore: riportano nel relativi-  smo storico tutti i sistemi filosofici, anche quello hegeliano, mostrandone la  «condizionatezza». Condizionatezza che è storicità, è dialogo col tempo, col  proprio tempo, e con un mondo che non è tanto coscienza/autocoscienza  quanto socialità, vita sociale dalla quale dipende e sulla quale agisce. Il filo-  sofo stesso è sempre «uomo della città». Sì, nel suo pensiero «il concetto è il  sistema», ma il suo «dialogo» con la città sta prima e dopo quel «concetto».  La storia della filosofia delinea uno storicismo radicale, dialettico, aper-  to, in cui il gioco tra saperi (filosofia in primis) e forme sociali si fa deter-  minante e che non è mai disponibile a priori. La stessa storia del pensiero  «non si costruisce da sé, anzi    risulta dall’assoluta storicizzazione che di volta in volta la riflessione  filosofica compie, facendosi in tal modo logica e pensabilità delle di-  verse epoche, nelle quali di volta in volta debbono considerarsi con-  cluse ed esaurite le possibilità esistenziali dell’uomo. Ritornando sul tema  (La storia della filosofia e il suo significato) M. difende lo storicismo dal nihilismo, si oppone al suo obiettivo [La storia della filosofia come problema, Vallecchi, Firenze, di catastrofe del pensiero occidentale, e lo fa valorizzando il «rapporto  vivente» che lega le filosofie al tempo storico-sociale e le rende sue fun-  zioni esemplari e rivelative. Dalla Grecia a noi centrale resta il messaggio  di un pensiero che si pensa «lungo il sentiero degli uomini». Già per Hegel «la filosofia sorge dalla polis», dalla libera cittadinanza e dall’incontro  degli uomini, nello «spirito etico» e nel conflitto tragico che la polis viene a istituire. La filosofia porta i segni di quelle origini, e li porta nel suo  farsi «lo sforzo di sapere che cosa è lo spirito», di fissare quel complesso  traguardo condensandolo nel concetto. In realtà, però, la filosofia è storia,  è epoca, è tempo della polis. Dopo Hegel è Marx a illuminare la dialetti-  ca delle forme, riportandole al lavoro concreto e lesgendole nella matrice  dell’economico, posto come «leva» delle dinamiche sociali e fattore-chiave  (ma non esclusivo: c'è anche l’ethos determinante per la filosofia e, quindi,  per il «contesto» storico) della polis. Ed è il Marx di Per la critica dell’eco-  nomia politica, con la sua dialettica tra astratto e concreto, ad essa posto  come guida. Lì è, sì, il circolo qualità/quantità a rivelarsi decisivo, ma lo  è anche — e ancor di più - la contraddizione, non una contraddizione che  da logica si è fatta storica e sociale, e proprio perché la storia è fatta dalle  società e dal brulichio delle loro forme.   La filosofia è dialogo, e dialogo con la città e nella città. Tra logos e comunità corre un rapporto simbiotico, se pure fatto di differenze e oppo-  sizioni. Ed «è la comunità stessa che deve decidere come sola misura della  verità. Ma la comunità non è una cosa, ma un insieme di individui, cia-  scuno dei quali è a sua volta un possibile criterio e misura della verità»,  ma non sempre e necessariamente. Può anche assumere il dialogo come  forma-di-vita e come forma del logos e farsi così soggetto-nella comunità,  ad essa saldandosi e promuovendone, con gli altri, le stesse possibilità. Già  Socrate aveva posto la sua filosofia in questa condizione, poi il pensiero  moderno l’ha riscoperta. E oggi si impone come regola, ma regola d’azio-  ne. Per noi quella «coscienza comune» non è un dato ma un compito: Ciò  che sinora era stato il grande presupposto, può oggi semmai essere posto  e creduto come compito»?.   Allora la filosofia è politica, è politicità concettualizzata e impegno eti-  co-sociale, poiché tra politica e polis corre un nesso intimamente efficace,  che si sviluppa in tensione tra pensiero e polis o in loro integrazione, rico-  noscendo - però - il loro intimo legame dialettico, e storico. Il filosofo sa  di stare-nella-storia e che «l’essere è ora la storia stessa», nella quale il filo-  sofo introduce la «finalità universale», il compito e il traguardo da pensare  e volere sempre nella «città-storia». E da valere in funzione dell’uomo di  cui e per cui nasce la stessa filosofia. Se pure per un uomo che, anche oggi  e sempre di più, sa di essere comunità. È poi nel Frammento etico-politico che lo storicismo engagé di M. riesce a rispecchiarsi più com-  piutamente. Lì la filosofia, condotta ormai oltre Hegel, se pure attraverso lo stesso Hegel, posta in luce nel proprio «spettro» profondo da Marx, può  dispiegarsi come radicale storicismo. Di uno storicismo della polis e di una  polis di cui si sottolinea come centrale la lotta di classe. È il materialismo  storico che dispiega al massimo questo storicismo antispeculativo e non  relativistico, uno storicismo degli uomini, per gli uomini e che antropologizza la storia attraverso il loro operari rivoluzionario. Solo che ciò im-  plica una «coscienza di classe» che non è spontanea, bensì è e va costruita  e si costruisce sulla «coscienza infelice» dell’uomo, dell’uomo storico e di  quello contemporaneo in particolare. Il disegno di M. è compiuto: fi-  losofia e storia si congiungono, storia e economia/ethos si fondono, la polis  è il loro organismo vivente, in quella polis noi pensiamo e agiamo, oggi la  filosofia si sa come politica e in vista di una polis-comunità fondata a sua  volta sulla non-alienazione. Che è, però, concretamente, politicamente (con  Marx) tutta da costruire. Il quadro è energico e compatto, sorretto da un  suo «principio speranza» che è quello dell’emancipazione. A riconferma del suo marxismo emancipativo va riletto con preci-  sione proprio l’ultimo testo di M.: «Entiusserung» e «Entfremdung»  nella Fenomenologia dello Spirito, apparso su «aut-aut». È un testo che si colloca allo sbocco di tutta una rilettura di Hegel. Una lettura sì  epocale, ma che di quel pensiero coglie più integralmente la problematicità  e la ricchezza, ma anche le interne tensioni e la articolazione teoretica più  aperta (e più antropologica) rispetto allo Hegel «del Sistema» (che si po-  ne nell’ottica, sempre e comunque, dell’Idea). L’epocalità va fatta risalire  a Dilthey e al suo studio del 1904 e alle varie interpretazioni che esso ha,  via via, prodotto, fino a Hyppolite, fino a Kojève, fino a Lukács, passando anche per NEGRI (si veda) Negri e VOLPE (si veda), approdando a una fitta letteratura  europea tipica. È il primo Hegel che va studiato  per capirne sì le radici, ma soprattutto le potenzialità molte e complesse.  Soprattutto, ancora, la sua vocazione antropologica: descrittiva e inter-  pretativa della condizione umana (quasi-esistenzialistica) e della forma  che assume nella coscienza, se riletta nella sua frontiera fenomenologica,  cioè dell’apparire delle sue «forme» trascendentali. Allora saranno, anche  per M., le «prime ricerche» di Hegel a farsi interessanti, anzi deter-  minanti. Ad essere più squisitamente filosofiche, perché più storiche, ri-  spetto allo Hegel-del-sistema, che assegna il primato alla speculazione e  alla sua assoluta aseità. Qui no, è l'epoca, il tempo stesso e l’uomo di quel  tempo medesimo che parla, e parla in presa diretta. Colto nel suo trava-  glio spirituale, posto da coscienza/storia/spirito/città (per dirla in termi-  ni massoliani) e contrassegnato dalla contraddizione che si fa coscienza  e coscienza vissuta dell’alienazione e della sua rimozione/superamento. M. ancora si domanda: Come bisogna leggere  Hegel? Fissa sì la dialettica di essere/nulla/divenire come centrale, ma  legandola al concreto pensiero del filosofo che ben distingue, pur intrecciandole, Alienazione e Estraneazione. Entfremdung è condizione della  vita storica, della stessa vita spirituale, è l’atto costitutivo della nostra stes-  sa umanità. L'uomo è in quanto si oggettiva e crea a se stesso un mondo.  Lì, però, si annida anche l’Entàusserung, che è esser-altro-da-sé, riduzio-  ne del sé ad altro, essere dominati dai fattori storico-sociali. E questa è la  condizione della coscienza storicamente determinata, epocalmente storica, anche se di una storia che coinvolge tutto l’assetto delle civiltà. Entiusserung è assolutamente altro da Entfremdung, anzi ne è  l'opposto, è la differenza storica che contrassegna l’uomo così come è  divenuto nella storia stessa, che pur resta sorretta dalla legge dell’Estra-  neazione. L'Alienazione è «contingenza storica» che può essere superata. La stessa dialettica servo/padrone si fa, qui, fondante e in senso  esistenziale e genetico, sottolinea. Da qui M. deduce due percorsi  di indagine. Uno dentro Hegel, che mostri la funzione sistematica della Fenomenologia dello Spirito e il riconoscimento del suo ‘punto  di crisi’, che la separa dal sistema. Nel gioco delle figure dell’opera sarà  quella dello Spirito estraneo a se stesso che va valorizzata, come decisiva e  ricorrente nell’opera stessa. La «ripetizione della coscienza lacerata» si di-  lata nel percorso storico e si attua sotto varie forme. La  vita spirituale, per Hegel, resta duplicazione, conflitto, rischio di ‘disgregazione della coscienza stessa. Ma seguita, come un’ombra, dal bisogno,  attesa, speranza, volontà della ricomposizione nell’«essenza calma delle  cose». Negatività e assoluto stanno intrecciati, ma questo è anche l’attesa  di quel travaglio del negativo. La stessa «intellezione» si fa «rappresenta-  zione», della vuota apparenza del mondo ma anche del suo riscatto, ri-composizione, salvezza integrale del suo senso. Sotto un altro aspetto quel saggio di M. si nutre di, e apre a, una  filosofa dell’emancipazione che vede l’alienazione come condizione sto-  rica, storicamente rimuovibile, attraverso quel riscatto della polis, che  riesca a farsi sempre di più città degli uomini e per gli uomini, come già  ci ha indicato l’erede eretico di Hegel, Marx, col suo materialismo  storico. Il materialismo storico è oggi la vera filosofia dell’emancipazione, che eredita il nocciolo duro della riflessione hegeliana, la storicizza e  fa della storia il regno non della necessità bensì della libertà. Anzi, della  liberazione. E lo stesso M. fissa questo traguardo proprio a conclu-  sione di quel saggio: La coscienza che sorge dall’azione rivoluzionaria sarà una coscienza  che non incontrerà più l'oggetto come un'entità estranea (ein Fremdes).  Un mondo nuovo sorge come sua Entiusserung. Il saggio su Entfremdung e Entiusserung conclude là dove si apre lo  spazio di quello storicismo attivo e emancipativo descritto proprio nel Frammento etico-politico, allargando meglio la vista sulla tensione antro-  pologica di quello storicismo e la lettura raffinata (non scolastica, non-riduttiva, non-oggettivistica) e aperta del materialismo storico, visto come  prassi rivoluzionaria di e per un uomo-della-città, ma anche di e per una  città-dell’-uomo. Per molti aspetti possiamo dire che siamo davanti a uno storicismo  d’epoca, con questo elaborato da M.. Uno storicismo neostoricista,  postmetafisico, critico, antropologico, emancipativo. Anche uno storici-  smo incardinato sul nesso Hegel-Marx, in cui è però Marx a illuminare  i connotati attuali e critici di Hegel. E un Marx che non si fa ‘tribunale’  della filosofia, ma metodo per pensarla, nella sua attualità e nella sua storia. Uno storicismo critico e antropologico, ma che proprio — ed è il suo  punto di originalità e di onore - nella città (polis) trova l’asse portante  della propria teorizzazione, sottolineando l’aspetto sociale e politico della  storia stessa e quindi la lettura dialettica dei condizionamenti e supera-  menti che ogni filosofia compie in relazione alla sua città. Per il presente/  futuro solo questo tipo di storicismo potrà dar corpo a filosofie critiche  che sull’emancipazione vengono a trovare la propria legittimazione e il  proprio compito.   Tale aspetto complesso, sfumato, problematico ma anche attuale e pre-  gnante, carico di futuro, dello storicismo di Massolo è stato più volte sot-  tolineato dai suoi interpreti, da Sichirollo a Salvucci, già ricordati, agli altri  che in anni anche più recenti hanno ripensato la speculazione massoliana  nel suo imprinting e nella sua densità storica e teorica. Si pensi al volume  su Il Filosofo e la città e ai richiami ancora di Salvucci alla «forte  attualità» di quel pensiero, proprio per il vero e forte umanesimo che  lo caratterizza e che è il frutto di un incrocio tra dialogo/città/storia che  M. ha teorizzato con vivacità e precisione. Per questo Massolo, anche  nel presente postmoderno, in questa età di decentramento, pluralizzazione, di a-teleologismo, può fungere da significativo orientatore. Anche Burgio, nella stessa raccolta di studi, parla di M. e il nostro interesse per la storia, riflettendo proprio su quello storicismo mas-  soliano della maturità e sul suo statuto teorico. La storia per M. non  è «condizionatezza», è possibilità, ma secondo un senso «posto da noi» e  costruito nel tempo nella e per la città. Il vettore che guida tale storicismo  è quello di una comunità politica che si impegni a vivere valori e fini col-  lettivi, e a realizzarli insieme. Cazzaniga in Individuo e mondo moderno  sottolinea ancora l’attualità di M. storicista.   Lo chiama il filosofo della città e lo vede come attento interprete e erede di un marxismo dell’emancipazione, da realizzare dialetticamente nella  città. Anche Sichirollo e Losurdo si attestano sulle stesse tematiche, rimandandoci un'immagine di M. sì ‘d’epoca’, ma ancora tutta attuale, per  la vocazione politico-emancipativa e per l'identità antropologico-sociale della sua filosofia, che si delinea come uno storicismo molto avanzato, privato di ogni residuo metafisico e che si lega in modo squisitamente dialettico a quel nesso storia/prassi che è un po” la ‘croce’ della filosofia moderna  e contemporanea e l’osso di seppia su cui si sono esercitati, ma anche se-  parati e contrapposti, i vari storicismi. Qui, in quello di Massolo, il nesso è  di problema e di equilibrio, è aperto e sottile, ma posto come il nucleo  costante da cui emerge e per cui emerge lo stesso filosofare. Saldando così  il pensiero filosofico alla città, che è il luogo e il simbolo di questo intrec-  cio, ma anche lo spazio in cui l’uomo può e deve realizzare se stesso. Bodei, M., Aut Aut, Badaloni, Ricordo di M. Giornale Critico della Filosofia  Italiana, Burgio (cur.), M., Quattroventi, Urbino, Domenico, Puglisi (cur.), Il filosofo e la città. Studi su M., Marsilio, Venezia, Farulli, L'engagement de la philosophie selon A. M., Revue de  Métaphysique et de Morale, Landucci, M., Belfagor, M., Storicità della metafisica, Le Monnier, Firenze, Fichte e la filosofia, Sansoni, Firenze, Introduzione all'analitica kantiana, Sansoni, Firenze, Il primo Schelling, Sansoni, Firenze, Ricerche sulla logica hegeliana e altri saggi, Marzocco, Firenze, La storia della filosofia come problema e altri saggi, Vallecchi, Firenze, Logica hegeliana e filosofia contemporanea e altri saggi, Giunti-Marzocco, Firenze, Della propedeutica filosofica e altre pagine sparse, Montefeltro, Urbino, Omaggio a M., Studi urbinati, Ricci Garotti, Heidegger contro Hegel, Argalia, Urbino, Salvucci, Presentazione a M., Logica hegeliana e filosofia con-  temporanea, Situazione e filosofia in M., in Omaggio a M., Sichirollo (cur.), Studi in onore di M., Studi Urbinati, Spinella, recensione a La storia della filosofia come problema, Rinascita, Vacca, recensione a La storia della filosofia come problema, Paese Sera-Libri, Valentini, recensione a Frammento etico-politico, Società. Arturo Massolo. Massolo. Keywords: prime ricerche di Hegel, la logica di Hegel, Gentile, implicatura idealista, Ariskant and Plathegel. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Massolo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Mastrofini: l’implicatura conversazionale e l’implicatura verbale di Romolo – filosofia italiana – Luigi Speranza pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza (Monte Compatri). Filosofo italiano. Grice: “I like Mastrofini; for one, he found how old Roman evolves into what we may call new Roman, or Italian!” – Grice: “And of course as a philosopher, he focused on the philosophical terminology – it takes a PHILOSOPHER to translate a philosophical text!” – Grice: “What I like about Mastrofini” is that he mostly kept with the cognates. La Crusca adores him!” Noto soprattutto per il volume “Le discussioni sull'usura” in cui sostenne che non è reato far fruttare il danaro e che né la Sacra Scrittura, né i Vangeli, né la tradizione ecclesiastica vietavano di ottenere un giusto interesse per danaro dato a prestito. Questo diede luogo a molte discussioni ma anche apprezzamenti lusinghieri da economisti dell'epoca e dall'opinione pubblica.  In precedenza aveva scritto un'opera di economia finanziaria, il Piano per riparare la moneta erosa relativa all'inflazione nello Stato Pontificio, opera largamente utilizzata per la riforma finanziaria dello Stato, intrapresa da Pio VII. L'edificio del Collegio Romano ove  insegna. Insegna a Frascatii. Nel pieno della crisi della Repubblica Romana, si trasfere a Roma dove venne nominato professore di eloquenza presso il Collegio Romano.Torna a a Frascati. Si trasfere definitivamente a Roma dove assume la carica di consultore della "Nuova Congregazione cardinalizia per gli affari totius orbis".  Produce le traduzioni dei capolavori di Floro, “Sulle cose romane,” e di Ampelio, “Sulle cose memorabili del mondo e degli imperi.” Traduce “Le Antichità romane” di Dionigi. Pubblica “Teoria e prospetto; ossia, dipinto critico dei verbi italiani coniugati, specialmente degli anomali o mal noti nelle cadenze,” opera che porta un grande contributo allo studio dell'italiano, utilizzata dall'Accademia della Crusca nella revisione del dizionario della lingua italiana. Pubblica “Della maniera di misurare le lesioni enormi nei contratti e uno studio sulla patria potestà e filiazione, che ha larga eco nei circoli giuridici romani, essendo allora in corso una causa di riconoscimento di paternità per successione tra i Torlonia e i Cesarini.  Piazza di Monte Citorio. Nell'edificio dove abita e muore, in piazza di Monte Citorio il Comune di Roma appose una lapide con il seguente ricordo: Abita in questa casa -- filosofo assai più grande che celebrato fissa le incerte leggi dei verbi investiga felicemente con l’uso della ragione i misteri della scienza divina S.P.Q.R.» “Dissertazione filosofica” (Roma); “Piano per riparare la moneta erosa” (Roma); “Ritratti poetici, storici, critici dei personaggi più famosi nell'antico e nuovo Testamento” (Floro); “Sulle cose romane” (Roma, Ampelio); “Sulle cose memorabili del mondo e degli imperi” (Roma); Dionigi di Alicarnasso “Le Antichità romane”, Roma, “Dizionario dei verbi italiani” (Roma); “Metaphisica sublimior de Deo triun et uno,” Roma, Appiano “Storia delle guerre civili dei Romani", Roma, Arriano “La Storia”, Roma, ristampata da Sonzongo con il titolo “Delle cose d'Italia” “Le usure,” Roma, “Amplissimi frutti da raccogliere sul calendario gregoriano,” Roma, “L'anima umana e i suoi stati,” Roma,  “Teorica dei nomi,” Roma, “Teorica e prospetto de' verbi italiani conjgeniti,” Roma. Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Il primo fondatore di Roma, e dell'impero e ROMOLO, generato da MARTE, e da Rea Silvia. Tanto nella sua gravidanza confessa di sèquesta sacerdotessa: nè la fama ne dubita quando poco appresso il fanciullo gettato con Remo suo fratello nella corrente per ancenno di Amulio, non potè soffocarsi. Imperoc chè il padre Tevere ritira dal lido le acque ed una lupa, lasciati i suoi parti, e seguendo il suono de'vagiti, inboccò li sue mamelle a' fanciulli, presentando in se stessa una madre. Cosi trovatili un regio pastore presso di un'arbore, e portatili in casa (2 gli educa. Di que' giorni Alba, opera di Giulo, e capitale nel Lazio chè avea quegli dispregiata Lavinia, città del suo padre Amulio. Sopra ttutto sembra inc satto l'intervallo da Augusto fino a Trajano Eglilo crededi anni duecento ; laddove è di anni cento due a!l'incircd. Ma forse vi è sbaglio nel testo e dee leggersi cento in lungo di duecento (1) Rea Silvia figliuola di Numitore presedeva al sacerdo zio di Vesta Quindi è dettaSacerdotessa. Nel testo in casam: questa voce può sign'ficare capan Tuttavia par verisimile che l'abituro di un regio pastore fosse alquanto migliore di una capanna. L'espressione italiana comprende ogni abitazione fosse capanna o no . av. Cr av. R. 26. na ENEA dopo finita la guerra con Turno foudo la città cui chiamò Lavinia dal nome della moglie . Ascanio , ossia Giulo, peròdi luifigliuolo dopolamortediEneafabbricò A!. ba Lunga la quale tu capitale del regno per trecento anni   Ani. dik . 3.av. Cr. essi viregnava, avendonecacciato il germane suo Numitore, dalla cui figlia Romolo era n..to . Adunque co stui nel primi bollore degli anni caccia Imulio suo zio dal principato, el'avoloviri pone. In tanto egli amante del fiume e de’monti, vicino a'quali era stato educato, meditava lemura di una nuovacitt). Ma l'unoe l'altro essendo gemelli; p acque loro consultare gl'ld dj , qual de’due le fondasse e vi dominasse . Per tanto REMO andossene al monte Aventino, el altro al Palatino. Colui pel primo vide VI avoitoj: posteriormente videne l'altro, ma XII: e vincitore negli augurji nal Area fin quì fatto un'ABOZZO di citta, piuttosto che una città; mancandole gli abitanti. Ma siccome riina neale vicino un bosco;eg! 2feceunasilo; edisubia tovisi adund moltitudine prodigiosa di uomini, Latini, e Toscani pastori , eGo ancotras marini, sia de ' Frigj venuti con ENEA, sia degl’Arcadi con Evantro. Cosi quasida varii eleinenti, ne trasse un corpo solo; ed e per lui creato IL POPOLO ROMANO. Vi quel popolo di uomini e cosa di una sola generazione. Si chiesero dunque de’matrimoni da'confinanti; e sccome non si otteneano, sono con la forza espugnati. Imperocchè finti de 'giuochi equestri, le vergini accorse per lo spets 747. incirca. Finalinente ROMOLO inalza Roma che diverrebbeca.  C o . za una città pieno di speranza, che guerriera diverrebbe; tanto ripromettendogli quegli uccelli, consueti a 7 LIBio sangue e prede. Sembra che in difesa della puova cit tá basterebbe un vallo; se non che deridendo Remo le angustie di questo, anzi condannandole con saltarle, e trucidato; è dubbio se per comando del fratello; ma certo ei ne fu la prima delle vittime; e CONSACrA COL SANGUE SUO e fortificazioni della nuova città . Av. Cr. R.2 so 52 7> ro dell'Italia e del mondo ,   PRIMO 13 (+) Spoglie opine eran quelle che un comandante toglie all'imperadore o supremo comandante nemico uccidendolo di sua mano. Queste sono così rare; che se ne contano appena tre. Le prime le riporta Romolo contro di Acrone. Le seconde Cornelio Cosso contro di Tolunnio. E le terza Marco Marcello su Viridomaro. Giove poi e detto Feretrie o perchè a lui ferebantur si portavano le spoglie opime, o perchè ferisce col fulmine; o perchè nell'acquistare le spoglie opime un capitano ferisce l'altro con la spada. E questo un bel mantenere le promesse e intendere di dare alla donzella gli scudi perchè gli scudi le vibravano opprimendola . Questo metodo di mantenere le promesse , ras somiglia a quello usato dalla fanciulla per consegnare una porta creduta da Floro senza inganno o cone noi abbiamo tradotto , senza malizia, perchè non chiedeva danaro , ma gli scudi o li braccialetti. Potrà inai persuadere questa ragione? La vergine, che quisi addita, secondo Valerio Massimo e figliuola di Spur.Tarpejo il quale a tempi di Romolo presede alla fortezza: c coleiera uscita per prenderc acqua pe’santi riti,  tacolo, furon preda, e cagione immediata di guerre. Furono I Vejentire spinti e fugati: la città di Cenina fu presae diroccata: inoltre lo stesso monarca ne riporta con le sue mani a Giove Feretrio le spoglie ooiine del re. Ma le nostre porte furon date a Sabini per una donzella; nè già con malizia: ma chiesto avendone la fanciulla in ricompensa ciocchè essi portavano alle sinistre, gli scudi forse o li braccialetti; coloro e per man tenere a leila promessa e per vendicarsene la oppressero congli scudi. Ricevuti in tal modo fra le mura i nemici ne sorse nel foro medesim »un'atroce battaglia; tanto che ROMOLO prega Giove che arrestasse la fuga vi tuperosa de’ suoi. Quindi ha origine il tempio , e Giove Statore . Finalmente le donzelle in lacere chiome s'intrammisero ad essi che infierivano. Così fu la pace riordinata, e stabilita l'alleanza con Fazio. Donde ne.diR. Cr. bandonati i lor domicilj, sen passarono alla nuova città, consociando co'nuovi generi loro gli aviti beni perdote. Accresciute in poco tempo le forze da il sapientissimo re quest: forma alla Repubblica. E la gioventù divisa in tribà con cavalli ed armi perchè sorgesse nelle subire guerre: fosse il consiglio su pubblici affari ne’ seniori, i quali si chiamano pari arringando dinanzi la città presso la palude della capra, e di repente levato di vista. Alcuni pensano che i senatori lo trucidassero per la ferocia dell'indole di lui. Dopo la morte di ROMOLO il trono resta privo di sovrano per un'anno, comandando in tanto a vicenda i senatori di cinque in cinque giorni. Quello spazio e chiamato interregno. Il magistrato a forma d'interregno ha luogo ancora ne'se. coli posteriori quando I consoli occupati in lontane azioni non potevano intervenire ai coinızj;o quando erano costretti a depor.  14 LIBRO dir. seguitò, cioc chèè portentoso a dire, che inemiciab 7.av. Cr. diR. 38. l'autorità, ma per la eta S.nuto. Ordinate in tal modo le cose, egli SI CONDO Tav. 37 av 713 so non che la tempesta e l'oscurarsi del sole presentaroncincid le imnagini con e di una santa operazione: alla nuale poco appresso diè credito GIULIO Proculo coll'offermare; che ROMOLO si era a lui dato a vedere Cr 743. informa più augusta della consueta; e che imponeva che per Dio se lo prendessero. Piacere a Numi che egli sichiami Virinoin sul cielo. Con tal mezo Roma conquisterebbe le genti. E' natura del Verbo di esprimere l'afermazione e la negazione. E siccome Essere e non essere esprimono appunto per se stessi l'affermazione e la negazione; ne seguita che il verbo Essere preso nudamente, o preceduto dalla particella “non”, è verbo per natura e per eccellenza. Comunemente la voce essere è nota col nome di verbo sostantivo, perchè esprime l'esistere, o L’ESSERE di sostanza. Le qualità che si affermano o negano possono aversi distinte o no, dall'affermazione,o negazione. Nel primo caso l'affermazione o negazione si addita col verbo essere, come si è detto. Ma nel secondo caso risulta un nuovo ordine di verbi più composti; appunto per chè in essi è riunita l'affermazione o negazione colle qualità che si affermano o negano: tali sono amare, godere, odiare, piangere et cetera, che significano essere nell'amore, nel gaudio, tra l'odio, o tra 'l pianto. Questo secondo genere di verbi ha servito incredibilmente a variare e fecondare il discorso, in somma alla dolcezza dell’eloquenza, e della Poesia. Chi afferma e nega, o afferma e nega dise stesso, che si chi a ma persona prima, o di altri a cui parla, che si chiama persona seconda, o di soggetto a cui non si parla, e si chiama persona terza. Per altro queste persone possono essere una, o più, cioè possono riguardarsi in singolare, duale, o plurale. E 'naturale che tanto nella nostra quanto nella più parte delle lingue s'introducesse l'uso di finire il verbo diversamente secondo la diversità delle persone,e del numero. E quindi abbiamo amo ami ama amiamo amate amano. E potendo il discorso riguardare cose presenti, cose cominciate e non finite, cose passate, più che passate, e future; fubene varia. Anzi siccome le proprietà si affermano o negano assolutamente, o sotto certi rapporti e condizioni. Cosi li verbi divennero parole terminate diversamente secondo la persona, il numero, i tempi, e i modi di affermazioni e negazioni assolute o relative.  S. 1. re il verbo secondo la persona, il numero, e i tempi. a I   6. Questi modisono cinque: Indicativo, Imperativo, Ottativo, Congiuntivo, ed Infinito. L'indicativo dimostra assolutamente che una cosa è, fu, sara; e perd vien detto ancora assoluto e dimostrativo. Cosi Pietro ama amò amerà. le scienze, forme tutte dell'Indicativo, dichiarano che Pietro amo, ama, ed amerà, assolutamente. L'Imperativo esprime comando, preghiera, avviso, consiglio, esortazione di far qualche cosa, e con una sola voce si vuol esprimere il comando, preghiera et cetera, e l'azion e che deve farsi. Tale sarebbe ama tu, amerai til, ameremo noi et cetera. Per tanto si esprime l'azione ed il modo col quale si fa, cioè per comando, preghiera et cetera; laddove nell'Indicativo mancano questi rapporti. L'Ottativo esprime desiderio di fare una cosa, giusta i varii tempi; e per questo è detto ancora desiderativo, e tale sarebbe, “O se amassi, io amerei, O avessi amato, lo avreiamato et cetera. Il congiuntivo è così detto perché si adopera quando si vuo le congiungere il discorso con altre cose precedenti, e perd siegue le particole sebbene, quantunque, conciossiacosache et cetera. Tále è quel di PETRARCA Italia mia, benchè il parlar sia indarno & c. E talequel di BOCCACCIO. .6.7.n.2. per l'amore di Dio, come chè il fatto sia et cetera. Tra i Greci l'Ottativo ha le sue desinenze tutte diverse dal congiuntivo: ma nella lingua latina e nella nostra L’OTTATIVO ADOPERA LE STESSE VOCI DEL CONGIUNTIVO, se ben si rifletta. Il verbo si dice di modo finito o determinato finchè si concepisce indicativo, imperativo, ottativo, congiuntivo. Ma talvolta esprime indeterminatamente qualche proprietà senz'additare ne persona, nè numero, come amare, leggere, et cetera, ed allora si chiama di modo infinito cioè indefinito ossia non determinato. La varia desinenza di un verbo secondo le persone, il numero, i tempi, ed i modi si chiama conjugazione. Ed i verbi si dicono di una conjugazione medesima o diversa, secondo che rassomigliano o no nel complesso di queste desinenze. E siccome queste si diversificano secondo la diversità dell'infinito; e l'infinito puo terminare in -are, in -ere -- lungo e breve --, ed in -ire; cosi III sono le conjugazioni della nostra lingua. Tutti gl’infiniti terminati in -are si dicono della prima conjugazione come amare, balzare, danzare. Tutti quelli terminati in -ere sichiamano della seconda, o l'infinito sia lungo o breve, come temère,cadère, giacère, et cetera, e come credere, discendere, volgere, ecc.. I latini di queste due desinenze ne faceano II CONGIUGAZIONI diverse, come docère e legere. Nè mancato è pur tra gl'Italiani chi abbia concepite diverse le conjugazioni secondo l'infinito lungo o breve. Ma siccome, tolta la pronunzia lunga e breve dell' infinito, non vi sono altri di vari, parlando regolarmente; e siccome la pronunzia concerne il modo di significarlo in voce, non la forma del verbo; così piùra gionevoli sono quelli che rinniscono in una conjugazione gl'infiniti in -ere, lunghi o brevi. Spettano alla terza tutti i verbi terminati in -ire, come sentire, uscire ecc.  Chi si propone per iscopo di presentare il prospetto de'verbi italiani dee porre sott'occhio le varie desinenze di essi giusta i modi, I tempi, il numero, e le persone nelle varie conjugazioni. E cið ė propriamente che noi cercheremo di eseguire. Per vedere però più da presso il suggetto, anzi fin dalle origini, ed in tutta l'ampiezza sua, divideremo quesť opera in due parti. La prima e tutta di Teoria e di Prospetto generale; ed esporremo in essa come le conjugazioni latine sian si trasformate e si trasformino nelle presenti d'Italia; la dipendenza comune de' nostri verbi dall'infinito, e per ogni conjugazione il prospetto di qualche verbo che serve di norma in tutti i simili e regolari -- come del verbo “amare” per la prima, de'verbi “temere” e “credere” per la seconda, e de’ 'verbi “sentire” ed “aborrire” per la terza. Anteporremo per altro a tutti il verbo “essere” come principio di ogni verbo, e quindi il verbo “avere” che prossimo gli succede, esprimendo la sostanza, che passa ad ottenere in generale delle proprietà. E ciò tanto più dee farsi; che senza questi due verbi, però detti “ausiliari”, non possono formarsi le tre conjugazioni divisate degl’altri verbi. Dato cosi principio e norma al prospetto di tutti i verbi regolari, verremo alla seconda parte ed esporremo ad uno ad uno per ordine alfabetico i principali tra' verbi anomali cioè quelli che in qualche tempo escono dalla legge consueta, ed i quali servono spesso di regola per altri anomali non dissimili. Il prospetto e distinto in quattro colonne. Nella prima si avranno le voci corrette, nella seconda le antiche, nella terza le poetiche, e nella quarta le non ben certe, gl'IDIOTISMI e gl’errori. Si avverta che non tutte le antiche sono affatto dismesse, anzi talvolta usate a tempo adornano la scrittura: come pur le poetiche non tutte sono così della poesia che non servano talora alla prosa. Il che si conoscerà dalle note. GLI ERRORI SON SEMPRE ERRORI. Gl'idiotismi poi sono voci usate nel parlare e nello scrivere familiare, non però nelle belle scritture, sebbene talvolta vi scorrano per incuria e per arbitrio degli scrittori che le decidon per buone, o vogliono nobilitarle con la fama già da essi acquistata. Per compimento dell'opera spesso porremo in fine del prospetto il participio ed il gerundio. Il primo é propriamente un nome tratto dal verbo. Dicesi participio perchè partecipa del nome e del verbo: e come nome si declina, e come tratto dal verbo esprime un qual che significato di questo. Tali sarebbono “amante” ed “amato”. Tra’Latini si aveano participii presenti, passati, e future: “amans”, “amatus” “amatVRVS” (cf. IMPLICATVRVM).  Presso noi, non si hanno che li presenti, e li passati che sono “amante”, “amato,” temente, temuto. Tra’nostri antichi furono ideati anche i futuri come fatturo, perituro ecc, ma non ebbero buon successo, nè più vi si pensa. Il participio passato e descritto per lo più nella formazione de' tempi PIU CHE passati: laddove il participio presente si troverà nel fine de' prospetti. Un tal participio può essere messo informa di aggiunto e di attributo come se io dicessi: la virtù possente, e la virtù a2  3 . Il participio si riguarda anzi come adjettivo, che qual participio. Per chè sia participio con ogni proprietà, dee, quando si risolva, significare come i participj latini: come se dicesi canto possente a diletta re: schiere seguenti le altre ecc. E ciò rileva conoscere perchè non di raro si anno gl’esempj anzi di adjettivi che di participi , e noi pur he useremo in mancanza di participi, tali per ogni rispetto. Gerundio tra noi e tra' latini è una voce tratta dal verbo, la qual significa le affezioni di questo, ma la quale non si declina come il nome, nel che differisce dal participio: come amando, credenádo, temendo, sentendo. Da'quali esempj risulta che il Gerundio delle prime conjugazioni finisce in -ando e delle altre in -endo. L'uso di tali gerundi è frequentissimo nell'italiano in luogo ancora de'participj presenti. Ma veniamo all'argomento, Come le congiugazioni latine siansi trasformate e si trasformina nelle conjugazioni presenti d'Italia. TUTTE LE VOCALI LATINE, FINALI DI PAROLE INTERE, NE SEGUITE DA CONSONANTI, SI CONSERVANO. Così, in AMO ed AMARE, si conserva l'O di amo, e l'E di amare. Tutte le consonanti finali si tralasciano o mutano. Le consonanti sono M, S, T, NT, ST. Nel caso di NT si cambia il T in O, e però non si lascia che il T amant amano, amarunt amarono: ma talvolta tutto l'NT si muta in RO : amassent amassero: sebbe ne in questo e simili casi può sempre rimanere la regola di mutare il solo T in o dicendosi ancora “amassono”. Vedi il prospetto di amare.Tutti gli “U” finali seguiti da M o da S si cambiano in 0: POSSVM > POSSO. amamus amiamo: ma se gli U sono seguiti da NT si cambiano in o nei presenti e nei passati, ma nei futuri in AN. Così da legunt si trae leggono, e da amabunt ameranno. Tutti gli A ovvero gli E precedenti immediatamente l'S finale SI MUTANO IN “I”: amas > ami; times temi: e cosi da timeas abbiamo tu temi, e da legas tu legghi. Il che basta a conservare la regola, ma ora si dice anche “tu tema”, e “tu legga”. Tutti gli E, ogl'I precedent gli A, oppure gli O finali, si lasciano affatto. Timea temo, timeam icma. Sentio sento: sentiam io senta,  4 è possente: il fuoco bruciante, e il fuoco è bruciante: ma in tal caso NOZIONI ARCHEOLOGICHE.  Non dee sperar di comprendere il trattato che qui soggiungo se non chi conosce per le gli altri ne differiscano la lettura. sue regole l'idioma Latino e l'Italiano: 3. non si $. Tutti gl'I precedenti gli S finali in singolare si conservano assumendo nel futuro un A precedente: legis leggi: a ma bisamerai, ed in plurale si mutano in E: legitis leggele. Tutti gl'I seguiti dal solo T finale subiscono un cambiamento secondo i tempi. Ne'presenti si cambiano in E, e ne’ futuri in A accentatolegiilegge, creditcrede: amabit ameră, timebio temerà. Per i preteriti perfetti ne diremo più innanzi. Tutti i B avantil'afinalene gl'imperfettisi cambiano in “V” consonante, ed avanti l'O, l'I,o l'U finale del futuro, li B. caratteristichi della conjugazione del tempo si cambiano in R. Quindi si trae amerò da “amabo”, ma da belabo si forma belerò senza mutarne il primo B; perchè questo è proprio del verbo, e non della formazione del futuro. Queste regole sono ordinarie. Vediamolo. LATINO amatis est amamo reg. 3. e 2, ora amianio sono sono Ed eccone la maniera. Dalle regole 3. e 2. è chiaro che la prima persona debba essere so e l'ultima sono. Ora dee sapersi che appunto tra gl’antichi si trova non poche volte “so” per “sono” in prima persona. B. Jacop. Poes. Spirit. Venez. 1617. lib. 4. cant. 28.  stanz. 12. sei  amamus es еè sumus somo este credit & c. ama reg. 2 credi reg. 2. amas sentit & c. Amo reg.i. Vedo reg.4. vedi reg. 4. vede reg. 2. senti reg.2: Amo amat amant amano reg. Dicasi altrettanto di Video vides videt & c. credo ITALIANO ami reg. 4. e 2. 3. Applichiamo queste regole al presente del verbo sostantivo : Sum amate reg. 5. e 2, sente reg.6. credis credo So e finalmente Sono i 5 se, estis semo siamo sunt sete siete sentio sentis crede reg. 6. sento reg. 4. lo so nulla: ho peccalo: Mi exalto quantoposso. e cant. 3. st. 2. del lib, stes.   A pinger laer so dato. E GIUSTO de Conti nella bella mano pag. 39. La seconda persona es fu trasposta e non altro, facendo prece dere l'S. Quindi gl’antichi dicevano comunissimamente se anche senz'apostrofo per seconda persona: come Petrarca, Boccacci, Albertano, ed altri: ALBERTAN. ediz. di Fir. cap.23.  Selegaloa moglie? non domandare di scioglierti. Se sciolto da moglie? non domandar di legarti. E più sotto: e sìselenulo di tanto amarla moglie. PETRARC. canz. 26. v. 77. ediz. Comminiana Spirto beato, quale  6 Se, quando altrui fai tale? e altrove più e più volte. Il Decamerone secondo la ediz.1718. col la data di Asterdam ne è pieno. Senza questa origine che facono scerecheseper seconda persona è voce interae non accorciata, non s'intenderebbe, perchè gl’antichi spesso non l'apostrofassero. Tutta via per distinguerla a prima vista da se pronome, e condizionale, convenne in qualche modo contrassegnarla, e si fece uso dell'apostrofo: e servendo questo a notare le voci scorciate; si riguardo se persona seconda, come scorciata, quando non era: e perchè tutte le seconde persone singolari presenti dell'indicativo terminano in I Reg. 4.e seguendo le leggi generali, tal persona nel verbo sostantivo avrebbe dovuto essere un I. Così poco a poco si ricongiunse se ed i in sei, ed ora si crede questa la voce intera di tal persona. E cid supposto quando si scrive se per indicarla, si apostrofa, quasi fosse uno scorcio di Signor non è giovato Mostrarmi cortesia: Tanto so slato ingrato ! e altrove spessissimo. E GUIDO Guinzelli Rime antic. appresso la bel la mano ediz. di Firenz. 1715. Come io so avvolto nel Lenace visco; e se ne hanno esempj ancora nelle lettere di S. CATERINA, in Fr. Gi.ROLAMO da Siena nel1. Tom. delle delizie degli eruditi Toscani, ed in altri: vedi vocab. di S.CATER. alla voce essere: ma so trovasi parimente persona del verbo sapere, nata da sapio > sapo > sao > so: ovvero da scio regola 5. scosso so: la prima derivazione è di Menagio: a m e piacerebbe la seconda. Ma torniamo all'intento: siccomeso era voce ancora del verbo sapere, e SICCOME IL SAPER VERO E DI TANTO POSTERIORE ALL’ESSERE. Così per togliere ogni equivoco, si volle piuttosto ridurre il “so” del verbo essere in sono, che lasciarlo indistinto col “so” del verbo sapere. Chi dunque considera che il primo verbo italiano “essere” ha la voce “sono” per esprimere la prima singolare e la terza plurale, sappia che questo è stato UN MALE DI ORIGINE, voglio dire è provenuto dalla FIGLIOLANZA della Italiana dalla lingua latina, in forza delle leggi universali, che per tanta combinazione di circostanze cooperarono a trasmutare l'una nell'altra .   s e i : nè chi procede con tal veduta può riprendersi: ma in origine non vi era bisogno, e più che apostrofarsi, avrebbe dovuto accentarsi. sero eepere.ALBERTAN. Giud. cap. 51. Dal savio uomo eeda temere lo nimico. Or cid fecesi per distinguere e del verbo, dalla congiunzione e, come pure dal pronome ei solito ad apostofrarsi, e dalla congiunzione e seguita dall'articolo plurale ili quali due e iriunitisi rende anopere: ma col tempo, la varietà dell'apostrofe e dell'accento pote contrassegnare e diversificare abbastanza l’e del verbo dagli e di altro valore: vedi esseren.Trovasi ancora fra gl’antichi este per è ma rarissime volte: vedi Gradidi S. GIROLAM. ediz. Fir.1729. in fine alla voce este; finchè prevalsero le regole generali anzidette. Da “sumus” uscirebbe sumo o somo, e non semo. Ma siccome tutte le prime persone plurali dell'indicativo presente nelle seconde conjugazioni presero la desinenza in “-emo,” come avemo, tememo, ecc.,così da “sumus” e tratto semo. Ovvero siccome tutte le persone prime plurali ora pe'rincontri della forma loro anno rapporto con la seconda persona singolare tanto che sono un composto di questa con qualche a g giunta, come “amiamo” da ami ed amo, temiamo da temi ed amo & c;e siccome tal seconda singolare era se nel presente indicativo di essere, quindi ne uscisemo e poisiamo. Chi conosce gl’antichi sa quanto è familiare l'uso di “semo”. Ne allego un esempio dalla vita nuova di ALIGHIERI: Per chè semo noi venuti a queste donne? E Fra Jacop. lib. 1. sat, 5. Uomo pensa di che semo. Di che fummo, et a che gimo. Vedi il prospetto del verbo Essere In forza delle regole generali, la seconda plurale sarebbe “estes”. Ma trasponendo l'savanti l'E come nel singolare per uniformità maggiore con “sono”, “sei”, “siamo”. Sen'ebbe sele, e questa appunto è la voce degl’antichi: si consulti il verbo essere not. 5. FINALMENTE SI AGGGIUNSE UN “I” PER DOLCEZZA (“se” > “sei”) o per distinguere tal voce da alcuni sostantivi e sen ebbe siete, che ora è la voce più propria di questa persona. Apparisce dunque per quali gradi e per quali mutamenti siasi formato il presente come ora si usa del verbo essere, La terza persona si esprime con la voce “e”, che appunto RISPONDE all’ “EST” latino, lasciatene le consonanti SECONDO LA REGOLA 2. ma gl’antichi, prima che la lingua si modellasse in tutto, non di raro dis  7 Preferiti Imperfetti Amabam amabas amabat amabamus amabatis amabant Amaya reg.2.7. amavireg.2.4.7. amava reg.2.7. amavamo reg.7.3. 2. amavate reg.7.5.2. amayano reg.7. 2.   Temeva &c. legebam leggeva e e da sentiebam lasciatone l’I che è quel di sentio reg. 4. si ha sen leva com e era nelle origini prime, nelle quali, tutto risentiva di conjugazione seconda tra gl'italiani ne' verbi provenienti DALLA QUARTA DE’LATINI. Non è raro che “senteva” si oda anche ora tra' CONTADINI PIU CORROTI CHE SONO GLI ULTIMI A CORREGGERSI. E finalmente fu detto sentiya sentivi & c.lasciando l'E per l'I. Per queste regole e questi progressi apparisce che la prima persona dell'imperfetto doveva terminare in A amava temeva legge va sentiva. Al presente i filosofi ed i gramatici si meravigliano, per chè la prima e terza persona singolare combinino, e perchè la prima non siasi terminata in O. Ma la meraviglia cessa, se riflettasi che al cambiarsi del latino nell'italiano, si prendevano di netto I vocaboli antichi, nè si aveano di mira che certe regole, come le indicate di sopra, per contornarli di nuovo. E siccome tutte le prime singolari degli imperfetti levatane la terminazione latina in M ; restavano amaba legeba ec; cosi mutato il “B” in “V” non poté farsi a meno d'incorrere nel lo scoglio anzidetto. Molto più che in que'tempi non faceasi poco, se le parole non sapevano di latino. Veduto come siasi introdotto l'equivoco, ora tocca ai filosofi di emendarlo. Ttanto più che non siamo poi scarsissimi di esempii antichi pe'quali si compionoin o le persone prime singolari dell'inperfetto: de'quali mi piace allegarne qui alcuni riserbandone altri ailor verbi nel prospetto. Petrar. Vit. De Pontef. Ed Imperadori: VITA DI CALIGOLA, lo PREGAVO ogni giorno che Tiberio morissi. Così pure leggiamo in Fr. Jacop. 1. 4.can. 38. La cagion del mal FUGGIVO. Cavalc. Epist. di S. Girol. ad Eusloch. cap. 3. ediz. Rom.. E vedendomi io venir meno quasi ogni rimedio ed esser privato di ogni ajuto, GITTAVOMI a' piedi di Cristo &c.... iratoame medesimo erigido, solomi mettevo per li diserti, e dove io trovavo più oscure e aspre e profonde valli, e aspri monti o scogli pungenti o luoghi più aspri e spinosi; ivi mi ponevo in orazione. Pulci. Morg. c. 3. 62. lo mi posavo in queste selve strane.  Da Timebam così pure si ebbe C. XI. 83. Tal ch'io pensavo d'aver acquistato. 8 ec.16.44 Per Dio, cugin, ch'i'sognavo al presente, Che un gran lion mi veniva assalire. Onď io gridavo, echiamavo altra gente E però E con Frusberta il volevo ferire. e altrove più volte. Letter. San. CATER. di Sien. ediz. di Aldo pag. 14. a tergo. Dicevo: Signor mio io ti priego & c. e pag. 20. vi aggiunsi anzi che io volevo in voi la perfezione della carità  pag. 92.   desideravo divedervi: anzi tal voce desideravo si legge molte volte inquelle lettere. Vita B. COLOMBIN. ediz. di Roma pag.9. lo gode voé voi non mi lascia testare, e pag. 96. ad irviilveroio andavo a posarmi; pag.167. 0 figliuoli, e fratelli miei io non meritavo di es ser padre di tanta buona gente; pag. 174. E questa la compagnia che io dal e speravo, e pag. 299. Pensavo che quanto è maggiore la soggezione e l'unità ; tanto si vien piuttosto ad aver libertà : Vedi ero n.6. verbo essere:e n. 6. avere. Eram Erant Erate reg. 5. e 2. e quindi Eravate avevano reg. 7. 2. Imperocchè ben è facilissimo concepire, che se cambiavasi in questo tempo in V il B precedente l'A finale, potevasi cambiare in V parimente anche l'altro B: anzi parea troppo ragionevole, perchè non si notasse tanto di variodi usi in parole medesime, e si familiari. E' poi noto, che tutto il verbo “avere” si scrivea ne’ principi, e si scrisse a n cor dopo per lunghissimo tempo con l’ “H”” precedente: ed ora per un progresso, non saprei quanto considerato, si tralascia ancora nelle vo ci, che forse ne abbisognano. Ma giova esaminare ancora come siansi trasformati gl'imperfetti de'verbi ausiliari: Eccolo 9. Si possono da tutto ciò comprendere le cause de'cambiamenti prodotti nel presente di habco: seguiamoli via via, che'non sarà inutile la ricerca Lasciato l'E di habeo reg. 4, e le altre consonanti, e cambiatele giusta le altre regole, risulta 9 Era reg. 2. Eramo ed erale presentano Erano reg. 2. le voci come si traevano dal latino in ottima forma. Ma il va inserito eramus ed eratis Eras Era reg. 2. in eravamo, ed eravate negli altri verbi, mentre in suppongono il B cambiato in V, come dunque di vainera questa consonante. Tale aggiunta affatto manca la origine, nè fu, che una intrusione vamo ed eravate è contro per di altri verbi, che usciva , nato dal sentire le voci consimili isbaglio amayate &c. Il peggio no in quel modo, come amavamo, non dandosi quell'aggiunta fu che si anche alle voci era tolse la uniformità tiranno delle lingue, autorizza erano & c. Non dimeno l'uso, quel , più che le semplicie naturali vamoederavale essere, n. 6. Ma diciamo si trovino pur queste. Vedi que risultasse. Eccone la maniera fetto di avere, è come Haveva 8. Habebam habebas Habeva habevi era eramo erate, quantun dell'imper Aveva reg.7. 2. habebamus aveva reg. 7. 2. habebat habeva habevamo habevate habevano haveva havevamo avevamo reg.7.3.2. avevate reg. 7. 5. 2. habebatis habebant havevate havevano Erat Eramus Eratis Eri reg. 4. e 2. Eramo reg.3. e 2.e quindi Eravamo havevi avevireg.7. 4. 2. b   abbemo abbiamo &c. Forseil B fu raddoppiato per compensare la perdita dell'E nell’ “habeo.” Sia comunque, abbosi legge ancora in ALIGHIER, Infer. 25. E quanto io l'ABBO ingrado mentre io viva: E negl iAMMAESTRAMENTI degl’antichi certamente abbo provato; e più sotto: ripenso la seraa quello che iolo di abbo detto.E nelle Vite de’ SS.PP.e diz. Man.Fir, 1731., nella VITA DI GIOSAFATTE ediz. Rom., e nelle Noyelle antiche Fir, 1572 l'uso di “ABBO” è comune . Abbi è rimaso nel Congiuntivo. E 'poi noto, che gl’antichi usavano la seconda singolare presente dell'Indicativo ancora nel Congiuntivo, come resta tuttora in molti verbi, Così ami serve in tutti due i tempi alle due seconde persone singolari,e cosi temi può servire ancora, sebbene ora vi siano dei divarj. Sopravvanza nell'uso comune abbiamo; e siccome gl’antichi finivano le voci per tali persone in eino, cosi non vi è dubbio che ne'principj si dicesse “ABBEMO,” quantunque negli scritti forse non si trovi, per la rapidità di altri cambiamenti succeduti. Certamente l'uso di scambiare tutti i B nell'imperfetto di “HABERE,” di buon pra scorse in alcune, o in tutte le voci del presente, e si trasse da Habo Avo habi ave avemo avete habono avono ave resta tuttora tra’ poeti, e fu non meno della prosa. Vedi questa voce nel prospetto di avere. Avemo é comunissima tra gli’antichi. Avete rimane per ogni scrittura. Le altre tre voci presto furono cambiate: perchè siccome l'V consonante ha un suono come di vi, o di un i sibiloso; così specialmente se l'V sia doppio, l'avo, oppure avvo per abbo, fe sentire nella pronunzia questo i quasi doppio.E quindi è che il B. JACOPONE lib. 1. satir. 9. scrive Nè ferma fede per esempio ch'AJA; Franc. BARBERINI edizion. Roman. pag.189. Non veggio ancor chi contento AJA il core. E Francesco SACCHBTTI disse ajolo per lo ajo, cioè per lohu. S'insinud tal cambiamento nella seconda persona avi, é mutato l'V in I, se ne  habet abbi 1 habemus habe habemo habete abbe avi da Habeo Abbo habes Ch'io n'ajo una si dura e più sotto: ajo portato in core & c , ed altrove più volte: anzi usa “AJA” per abbia:lib.1.sat. 12.3. 10 Illuminato mostromi fore, E ch'AJA umilitate nel core. ALIGHIERI, Parad,17.   fece huii, e col tempo hai. E questa è la causa, per la quale ora ci troviamo con “hai”, seconda persona del presente dell'Indicativo, senza che volgarmente se ne intenda la origine. Può notarsi però che in forza della provenienza di hai l’i finale è risultato da un doppio i; e quindi seguendo le origini, avrebbe dovuto scriversi “haj”: e ciò sa rebbe stato opportunissimo pe' giorni nostri, ne'quali vuolsi lasciare anche l'h precedente. Imperciocchè chiarissimamente si distinguerebbe che “aj” è del verbo, senza pericolo alcuno che si confondesse con l'articolo plurale “ai.” La mutazione del doppio B in V ed in I doppio o lungo, al meno quanto al suono, porto l'altro cambiamento in aggio, aggi, aggiamo, aggia, aggiano: essendonoto che l'J lungo si cambia spessissimo in tal modo:e questa è la causa parimente, per cui si dice veg go veggiamo & c. Imperciocchè nelle prime origini si disse ancora vejo vej veje per vedo vedivede: si consulti il prospetto di vedere. Quindi 'Imperador Feder. Rim. ant. 114. Rispondimi Signor ch'altro non chiejo. Da crejo è propriamente quello scorcio, che pur si usd tra'poeti di cre' per “credo”, quasi crejo fosse cre io. Vedi il prospetto di credere. Ant. Pucci nel suo Centiloquio can. XI. terz. 27. scrive: Gli comandò che giù sedesse al piano. L'ultimo verso assai dimostra, che sie fu detto per siedi: E siccome in ALIGHIERI Inf. 27.53. si trovasi e'per siede; parchiaro che ambedue de rivino da sejo. Allego un esempio di “trajamo”: BOCCACCIO: g.8. n.5. lo voglio che noi gli TRAJAMO quelle brache del tutto: da ciò ben apparisce la origine di traggiamo &c. 12. Ridotto havi ad hai; dovea sembrare che fosse di netto stato levato l'V consonante , quando erasi inviscerato nell'j: e cið comparendo, era facile di lasciarlo pure nella terza persona have, e formar ne hae come si trova in Fr. Jacop., in Guid. Giud., in ALBERTANO,  Di voi,chiaritaspera. Rim .Allac. 408 Ciulo dal Camo Cose da non parlare. anzi avverto, che tra gl’antichi si trova ancora crejo, chiejo, sejo, trajamo, donde sono creggio, chieggio, seggo, lraggiamo &c,enon dalla mutazione del D in G come si tiene, forse meno propriamente dai Grammatici. Cosi Fr. Jac. lib. 5. c.3.12. secondo che io crejo: e nelleno te vi si legge: crejo,creggio,credo, e lib. 5. can.25. 12. II E vejo li sembjanti Quando ci passo e vejoti. F. Jac. lib. sat. 3.9. la sera il vei seccato. lib. 6. can. 45. 4. Che vee con vista acuda disse l'anziano: Sie giù a pena di cento fiorini: E volendo pagare a mano a mano, E l'anziano a pena di dugento b2   12 e generalmente negl’antichi. Cost Albertan. al càp. 12. L'avar7 sempre ha e le mani di stesepertorre. ..ivi l'avaronon haesicura vita. I Grammatici han creduto che quell 'E sia stato sopraggiunto all'ha per genio della lingua, che non amava finire le parole in accento. Ma questo sarebbevero, quando la parola originale della terza persona fosseha, ciòche è falso; essendo questa habet, habe, have. Hae dun que non èche have, toltone ”v per simiglianza di quanto era accaduto in hai, ed in hajo. 13. A questo proposito avverte, che non di raro fra gl’antichi si legge dae, fae, slae per dà, fa, sta, come leggesi trae, e come hne per ha. Anche gli E di dae, fae,stae, si credono aggiunti per la ragione medesima: ma egli è FALSO UGUALMENTE;  perchè dai ruderi antichi della lingua può concludersi ta esistenza degl'infiniti, daire, faire, staire, come esiste traire. Ora da quegl' infiniti daire & c. sorge naturalissimamente dae, fae, stae, cometrae, che ancorc irimane da trai re:vedi S. III. di questa Prima Parte sotto il titolo Dipendenza delle conjugazioni italiane dall'infinito, n.2.E quindi pure sono le voci dai, fai, stai, come trai, che altronde sono inesplicabili. A dichiarare quanto dico sappiasi, che Fr. Jacop. lib.6.c.10.st. 20.scrive A chi gli dice villania & c. Fra duo ladri allo staia. e lib. 4. c. 1o. E che al povero dala. elib.6.c.43.5. Ch'egli è il daenteeti il ricevitore: e lib.7. c.9. II.  Staendo in quest'altura dello mare: Vita S.Maria Mad. É cosistaendola poverettasì per l'amore che gid ave v a con celto di Gesù Cristo, si per la doglia ; cominciò a piangere. Parimente in Fr. Guitt. si legge più volte faite alla pag. 36, e faie alla pag.54. E nel TESORETTO: ponelemente al beneche faite per usaggio: e Franc. BARBERINO pag. 17. Faesselei di quel pregio degnare. Nei GRADI di S. Girolamo alla voce Fa il e nell'indice si dichiara, chel’idi faiteè un aggiunto,e non più:ma faie, faesse, e le voci slaca, daia &c. ne'verbi simili palesano il contrario: e Traire si legge in Fr. Guit. lett.2. pag.9, ma traers spiega ugualmente la origine di trae, come fae sorgerebbe ancora da faere, del quale fece uso Franc. BARBERINO nel verso allegato. Per tanto gli E di dae, fae, stae NON SONO AGGIUNTI, come si pensa, MA SONO NATURALI; ed ora non si è cessato diaggiungerli, ma sono stati tolti. Tornando alle voci hai ed hae, siccome in queste era perito \'u consonante; così poco a poco si tento,ma non riusci, di farlo pe rire nelle vociavemo, avete: e non è infrequente di udire aemo, aele; e nel futuro dell'Indicativo, e negl'imperfetti dell'Ottativo trovasi scritto arò, arai, arei, aresti' &c.come vedremo. Non prevalendo pero quel tentativo, siri serbarono le voci avemo, avete, e talvolta aviamo, aviate, aggiamo, aggiate. Essendosi creduto, che l’E di hae fosse ag giunto; presto fu stabilita ha per terza persona; talchè le prime tre fossero ho, hai, ha. La terza plurale divenne harno; perchè dall’ “habent” sifece haveno, haeno, hano, hanno,ed esistono ancora'esempi di dano, fano & c. per danno e fanno, voci similissime nella origine, com me è chiaro: vedi S. III. 12. 15. Ma passiamo ad esaminare come dai perfetti de'verbi latini si traessero quelli presenti d'Italia. Potrà ciò conoscersi ne'verbi comuni ad ambe le lingue, ma terminati secondo i metodi di ciascuna: E noi su questi rifletteremo. I Latini sincopizzavano il perfetto in più voci, togliendone il VI, o il Ve. Per avere dai perfetti latini l’italiano corrispondente, silasciil VI, o Ve in tutte lepersone per quanto si può senza contradire alle regole generali del s. I. Quindi nel la persona prima singolare dee lasciarsi il solo V, non potendosi togliere l'I finale, secondo la regola prima. Si noti, che la terza singolare risulterebbe simile ad alcuna voce del presente, e quindi nelle origini si accentava: ma ora se la voce finisce in A, si muta in O accentato. La prima plurale sarebbe amamo come nel presente, e quin di I'M si è raddoppiato. Del resto in Gio. VILLANI nella edizione fatta procurare da Remigio Fiorentino in Venezia si vede gran quan tità di persone prime plurali dei perfetti, scritte con un semplice M : come tememo per tememmo. Altrettanto si osserva in Fazzo degli Uber ti, nel Cavaliere Jacopo SALVIATI Tom . 18. Delizie degli eruditi Toscani, nella Cronica del Pitti, ed in altr’antichi; indizio che per tali vie si passava dal latino all'italiano in questo tempo. Anzi Celso CITTAD I ninelle sue Origini della Toscana favella osserva al cap. 6. che i Sanesi in tali persone non davano asentire che un M , quasi pronunziando facemo, dicemo &c, ed egli con pari ortografia scrisse tali voci. Ma Girolamo Gigli nel suo Vocabolario di S. Caterina noto alla lettera M , che a'suoi tempi (vuol dire un secolo dopo il Cittadini) quell'uso era perduto. Serbate dunque anche le regole generali del n. primo, avre di Ama(v)i ama (viisti ama(vit) ama(vi)mus ama(vi)stis ama (verunt Amai amasti amd amamo amammo amaste amarono. Dai Latini si disse ancora amávere: toltone il ve, si ebbe Vita Lano amare, e perché non si confondesse con l'Infinito, si muto l'E i n o, e si ebbe amaro per altra terza persona plurale. I Grammatici han ereduto che amaro sia precisamente una sincope di amarono, toltone il no. Á me però sembra che amaro sia voce intera in sestessa, e provenuta altronde, come ho dichiarato. E questa è la ragione, per cui amaro può troncarsi ancora, e dirsi amàr per amaro, laddove le troncature delle troncature non sono consuete, almeno nella lingua, come ora si trova.  13 mo 17. II P. Bartoli nella sua Ortografia riguarda come un incanto che le terze plurali del Perfetto indicativo scorciate tre volte s e m   14 pre significhino lo stesso con quadrupla desinenza: amarono, amaron, amaro, amàr. Ma l'incanto, se ben si consideri, non è che un caro abbaglio di un animo, che al veder primo si appaga, stanco delle molestie di riflettere. Imperocchè da amarono sitragge amaron, e qui cesserebbe la troncatura: ma perchè levato anche l'N ci troviamo da amaron in amaro, desinenza ancor buona; si è creduto, che tal bontà risulti in forza di uno scorcio: laddove amaro già era legittima desinenza in se stessa: e perchè tale, ammettevasi; non perchè nata da amaron, levatone l'N. A parlar dunque propriamente si hanno due desinenze, amaro, ed amarono, ed ognuna ammette uno scorcio, ama rono porgendo amaron, ed amaro la voce amar, col vago incidente, che se da amaron si spicca l'N finale; ci troviamo alla desinenza seconda, la quale è amaro. E siccome amaro è desinenza intera in se stessa; di qui nasce che gli scrittori del buon secolo, ed alcuni ancora del cinquecento, come il DAVANZATI ne fecero tanto uso: laddove le altre sincopi amar ed amaron sono assai più rare, spacialmente in prosa. Anzi si noti, che nelle NOVELLE 'ANTICHE la desinenza in aro è quasi la comune, laddove l'altra in arono vi è scarsa, e meno pregiata. Ma proseguiamo l'esame de perfetti: e prima nella terza conjugazione. Audi(vi audi(ve)runt Audii audisti audi audimmo audirono udiste udiro. proviene udiro dall'audivere, come amaro dall'amavere. E'poi noto, che nelle origini della lingua si disse in italiano anche “audire” finchè l' “au” si chiuse in “o”, cone nelle voci aurum, tesaurus,dalle quali si trasse “oro”, “tesoro” &c, e se n’ebbe udii, udisti &c.Vedi questo verbo nel prospetto. Debui debuimus debuerunt Devei , . Pertanto abbiamo da dové doveste  udisti audi(vi)t udi audi(vi)mus udimm o audi(vi)stis. Riguardo alle seconde conjugazioni, avanti l'I finale vi è l'U vocale, e non consonante, quindi regolarmente parlando tutto l'UI o l'UE si muta in E semplice, avvertendo, che l'1 finale nella prima persona dee conservarsi secondo i canoni generali debuisti Dovei deve, audiro devemmo, deveste, deverono, audi(vi)sti audi(vere) debuit debuistis debuere doverono dovero. audiste devesti, dovesti devero, Siccomel'U fu cambiato in E(dovei) gravato di accento, quindi nella terza persona non potea non dirsi se non dovè seguendo le regole ge Udii udirono dovemmo   nerali, o “dovèt”, trascurando la regola sulle consonanti finali; e da que. sto nacque che per istrascico di pronunzia fu detto ancora dovette, come dalla voce Giudit PETRARC. Trionf. fam . c. 2. v. 119. Non fia Guidit la vedovellaardita, si è fatto Giuditta, e come da Josafat, DANTE Infer. 10.v. 8.Quando da Josafat qui torneranno, si è prodotto Giosafalte comunemente. Fattosi dovei, dovė, o davèt, fecesi quindi per coerenza doveltero e dovelti: e cosi questi preteriti ebbero doppia desinenza: e si disse temci e temetti, teme e temette, temerono e temettero. E' poi tanto vero, che questa è la origine di temetti, tèmel te & c, che siccome lo stesso argomento vale per le terze conjugazioni; così talvolta si scontra ancor questa desinenza applicata alle medesime. Ond'è che trovasi fuggi, fuggi & c; e nelle Vire de SS.PP. ediz. Man.tom.1.pag.20. fuggitte,e nella pag.125 salitlepersa li: una nolle, essendo questi ito, alla casa di una vergine Cristiana o per rubare, o per altromalfare, salitte con certi ingegni il tetto della casa. Anzi questa ragione è sì certa che spessissimo le desinenze in ilte come salitle & c. furono modellate affatto a norma delle altre in elle, cioè di temelle,credette & c. Quindi è che nel medesimo tom. 1. delle Vit.deSS.PP. se in alcuni esemplarisi legge fuggitte, in altri, sihafuggelte: allapag. 101 ediz. citat. Vi è fuggetti per fuggii: nella 62, uscite per uscì, nella 71 irrigi delle per irrigidi, nella 73 finette per fini, ed Pucci versificatore famoso del trecento nel suo Centiloquio al can. 2. st. 69 ha sentelle per senti; ed Oito impe rador che ciò sentette, e così altre se ne veggono in altre pagine ed opere. Simile terminazione non potevaaver luogo nella prima conjugazione, perchè l'amavit, secondol'uso di cavarne il volgare, cessadove è il secondo a, dicendosi amo ,e non cessanell'I con farsentire un amavit: il che direttamente gli avrebbe causato la uniformità, che'mai non ottenne: ora la desinenza in illi ed etti & c.è del tutto abolita per le terze conjugazioni: rimane ancora la cadenza in etti e dette, &c. per le seconde conjugazioni; ma forse, almeno in più verbi,è men cara che nelle origini della lingua, come potrà rilevarsi dal prospetto de' verbi, che soggiungeremo. E giacchè consideriamo il rapporto fra le desinenze delle terze persone de’ preteriti dell'indicativo, piacemi dilatare ancor più la serie delle riflessioni, picciole sì, ma pur necessarie per chi brami co noscere intimamente la lingua, e suoi movimenti. Ho detto di sopra, che dall'amavit, debuit, audivit si tragge amò, dove, udi, abolendoin tutto, quel vit finale: ma questa è piuttostola regola, che ora predo, mina. Del resto quando la lingua pendeva incerta sul fissare le sue desinenze, talvolta tentò rendere queste, tutte simili alla cadenza del. la prima conjugazione, e tal altra a quella della seconda. E certo quell'amavit ebbe talorauna desinenza come amao: di che produco un esempio luminoso di FR. Jacop. lib. 2.can. 2. Quando che in prima l'uomo peccdo Si guastò l'ordin lullo dell'amore: E questa è la causa, per la quale ora diciamo “amarono”, lassaro no, e non “amorono”, lassorono & c. vuol dire questa è la causa, per la quale la sillaba antipenultima è un a, e non un o. Tutte le terze plurali nascono nel preterito con aggiungere alla terza singolare un rono, o un semplice ro, ne'perfettianomali, o simili aglianoma li. Così diciamo sentirono, temèrono, crederono, sparsero, videro & c. Pardunque la original terza persona quella de'contadini “amà,” “lassà”,  & c. e quindi sen ebbe amarono, lassarono, e non amorono, las sorono &c.desinenza che leggesi in molti antichi: Così nelle Vite de’ Pontefici di  PETRARCA visileggeandorono, seccorono, e simili ordinariamente. Venturi traduttore di Dionigi di Alicarnasso è pie no di tali cadenze. Forse a dire amarono, lassarono &c.vi contribui pur LA DOLCEZZA per non avere insieme tre o finali amorono, lasso rono & c. Nel modo poi che il vit era supplito da un o nella prima conjugazione; lo fi pure nelle seconde e nelle terze: e quindi sono le voci temeo, credeo, poteo, aprio, finio, udio, e simili, tanto frequenti ne gli Scrittori. Ora queste desinenze, per le prime conjugazioni sono spente in tutto: ma nelle altre conjugazioni rimangono tuttavia per li poeti, e l'uso moderato può riuscire utile non meno che dilettevole. Chi non bene conosce le primizie della lingua, meravigliasi che imo di poteo, lemeo, udio &c. fossero comunissimi. I Grammatici dissero che l'o finale SI AGGUNSE PER LICENZA POETICA. Ma cið non ispiega perchè voci di questo conio abbiansi frequentissime ne'vecchi prosatori, come nelle Storie dei Villani, nel Davanzati, ed in altri. Dir finalmente che l’o si accresceva per non finire in accento, era un luogo comune, un parlar di abitudine, e nulla più. Si doveva avvertire, che quest'ori ceveasi da tutte le conjugazioni nelle terze persone singolari de'pre  16 Nell'amor proprio tanto l'abbracciao ; Che n'antepose se al creatore. E la Giustizia tanto s'indignao; Che la spogliò di tutto suo onore: Ciascheduna virtù l'abbandonao, Gli fu il demonio dato possessore: Nel tom. 12 degli Scrittor. Ital. Del MURATORI trovasi inserita la Memoria di Messer Lodovico di Buon Conto Monaldesti su la coronazione del Petrarca: costui, che lavidediperse, cosìscrive:Poi comparve lo Sena tore in mezzo a muti (molti)cittadini, e portao allo capo soio (suo) na corona di lauro,ese assettao alla sedia, e poi s'inginocchiaoallo senatore & c. Si vede in questi esempi, che si accento l a preceden te il vit,e questo vit fu supplito con un o.Più volteho notato, che presso alcuni contadini appunto ne'dintorni di Roma dicesi difforme mente amà ,lassà,&c.per amò, lasciò come ora è laregola: Tocca al filologo accorto di rintracciarne le provenienze:esse non sono che per lo scorcio naturale,che si faceva della lingua parlata sotto questo cie lo da'nostri antenati.   teriti , e la uniformità medesima avrebbe fatto conoscere , che era un supplemento del vil, risecato dalle voci latinecorrispondenti , o pure una proprietàdi cadenza;e con cið sarebbesi dichiarato perchégliAn tichiusassero temeo, udio,e simili,promiscuamente in ogni scrittura, senzascrupolodiriprensioni. E'poitantomanifestochequell'O non si aggiungeva per non finire in accento , che nel Dittamondo si tro va unito anche alle prime persone della terza conjugazione, leggen dovisi nel 3 lib. cap. 15 udio per udii : 22. Tornando al nostro principio , apparisce dal fin qui detto che sitento chiudere in tutte le conjugazioni con desinenza simile allaprima:ma perchè l'uso non eraancora ben fissoe comune, si tento per eguale maniera terminare tutte le terze singolari d e' prete ritiinE,comein E finisce la terza singolare nella seconda conjugazione. Quindi è che troviamo amoe, teme, finie, e similicon tan ta abbondanza di esempj. Faz. Dittam. lib. 4 cap. 20 23. La chiusa delle terze persone tutteinO,ovverotutteinE,de riyava dallevoci corrispondenti latine, finite tutte in un modoamavil, timuit,audivit.Era difficile abbandonare ogni somiglianza nell'italiano,с  17 Passato poi Suasina , io udio & c. e cap. 16 Secondo ch'io udio , e'l nome prese e cosi nel lib. 4 cap. 4 vi si legge sentiu per io sentii, e nella Vin LadiGiosaf.pag.31 uno essemplo tidico chel'udio direa uno molto savio uomo : e pag. 34 lo ritornerò nella mia casa onde io uscio. Novell.ANTIC. Firenz.1572 novel. 20 lo poi che mi partio,abbo avuto moglie efigliuoli. Etic.di Arist. compend. da Ser BRUNET.ediz. Lion. pag. 100 quando io udio le loro parole, non mido lea &c. Gli o dunque di udio ,finio , lemeo & c. in terza persona, non sono licenze di poeti,non aggiunteper iscansare gliaccenti,ma regole o modi di terminazione, e risultati di una lingua , che in altra si trasmutava,come or ora meglio dichiareremo. Che amoe si;che'lsipuò dir percerto. e cap. 20. Che rifutoe l'onor di tanta manna . Vit. de S S . P P.  inciampo e in una pietra, e fece alcuno strepito: pag.10 con molte lagrime cantoe salmi, e pag.6 ľani male si levoe a corsa, e fuggie:pag. 43 per la sele l'uno morie,e pag. 47 udie una voce che gli disse & c.'Or questa uniformità fa vede re,come dianzi ho pur detto,una proprietà di cadenza nelle terze persone singolari del preterito in su le origini della lingua, e quin di è che se ne abbiatanta copia ancora ne'prosatori;e tanto èlun gi che l'E si aggiungesse perevitare l'accento,che ci è facile tro yare temè,ma non temee; se non forse per la rima.Cosl Dante dis sePurg.3212 senza la vista al quanto essermife e permife,voce interain sestessa,come vedremo nella seconda parte al num.6 del verbo Fare .   dopo che le altre persone omologhe del preterito si erano concordate nella desinenza.Così tutte le prime escono in I,amai, temei,udii, tutte le seconde in sti, amasti,temesti,udisti:e tuttelepluralihan pari concordia di finale. Or come poteasi tralasciare quesť armonia nelle sole terze del singolare? Questa è la origine vera degli O e degli E che si aggiungevano, e non le sognate fra le minuzie di una grammatica, che inaridisce. Col progressodel tempo sivolle trascurare quellaparitàdicadenza, e le voci sichiuseroin 0, in E, inI,ac centandole finalmente, sebbene quelle chiuse in O si trovino spesso tra gli Antichi senz'accento comeinFazio degli UBERTI, e nelle NoVELLE ANTICHE.Ed oranoi,lucidiesseridi unsecolointelligente, go diamo su la idea dolcissima di una lingua perfezionata. Ma i gravis simiAntichi,colle mire ch'essi aveano,questi Antichi io dico, risor gendo,ne sarebbero in tutto persuasi?  E cid su le terze persone singolari de'preteriti: ora torniamo al verbo temere o dovere, dalle considerazioni del quale siamo qui per venuti. Si noti che doverono e temerono ammettono le tre solite scor ciature Lemeron, temero,temer,come amaron, amaro, amàr,perchè da lemeron ci troviamo all'altra desinenza intera temèro prodotta da ti muere,come dovèro dadebuere: laddovedovellerononsopportacheuna scorciatura appena,potendosi faredovetter, ma non proceder più oltre; perchè le nuove scorciature non ci fanno casualmente trovare in altra desinenza compiuta in se stessa.Tanto è vero quelloche siadditonel 3. 17. E'certo che ne'perfetti delle seconde conjugazioni italianeso no le irregolarità più grandi: ma non ho veduto che altri notasse in esse un incontro curioso: cioè la irregolarità non concerne mai se non la prima persona singolare,e le dueterze singolare e plurale,mentre tutte le altre persone si trovan sempre comela regola chiederebbe. Cosi nel preterito rompere abbiamo ruppi, ruppe, ruppero anomale; e le altrevocisono rompesti,rompemmo,rompeste,come vorrebbe la indo le di un perfetto italiano regolare rompei , rompè & c. Tal cosa è so vente osservata e confermata con esempj nel prospetto. E m m i più vol. te nato il prurito d'indovinare onde sia talearcano di lingua. A me ne sembra la origine dall'avere le terze persone plurali una seconda desinenza derivatadal latino,per esempio rupere ond'èruppero,enon daruperunton d'èrupperono, oromperonoBo'i reg.2, chepursitro ya negli Antichi: vedi ilprospetto di questo verbo. Romperono ha l'ac cento,che riposa in su l’E: e quindila terza singolare non può es. sereche rompe, e la prima rompei; laddo veruppero hal'accento nell'U, restandobrevelaE.Quindi perleggedicorrispondenzalaterzasin golaredee tenere l'accento anch'essa nella vocale precedente, e non nella finale; altrettanto dee succedere nella prima singolare: e per ciddeemancarel'E diEInella desinenza, giacchèl'E diEIintutte le conjugazioni seconde è gravato di accento; efinalmentedee cavar seneruppi, ruppe,ruppero. Ma rompesti, rompeste,rompemmo non pos.  18 già   26. Ma diciamo qualchecosa de'perfetti de'verbiausiliari.Nascono fuit fusti fosti C2  sono non avere l'accento sull'E in forza dellaformazione loro,essen do in esse la E seguitata dalla doppia consonante S T , M M . Quindi non possono non esser tali come romperono , quantunque poco o nulla usate, come avviene in molti se provenissero da rompei, rompe, verbi irregolari. E per cið l'anomalia de'preteriti non può concer nere se non la prima singolare , e le due terze persone singolare e plurale de'perfetti. Questo discorso vale eziandio ne'verbi ano mali di terza conjugazione ; dicendo dell'I quanto si è detto dell'E. Potremo da ciðtantomeglio persuadersi, cheamaro, temero,&c. sono desinenze piene in se stesse , e non sincopi di amarono merono & c. fuisti Fui da Fui fuistis fuerunt fuere fummo fuste foste furono 19 fuimus furo Questo tempo somiglia in tutto al preterito debui o timui della se conda conjugazione latina,alla quale appartiene ilverbo esse,o pure essere secondo che leggesi in Plauto. Pure esso nelle persone non ha subito la legge di mutare l'UI:ma ciò non è stato senza una ragio ne: Imperocchè dando luogo a tal mutazione, sarebbe risultato fei, fe sti,fe & c, e questo è il preterito appunto del verbo fare: purtroppo si osservano tra gli Antichi talvolta le voci del preterito del verbo sostantivo piegate in quelle del verbo fare: Cosi Fazio degli UBERTI nelsuo Ditcam.1.4c.8 dissefoperfu. Per il diluvio chefositene broso:Filip.Vil,nelprologo allesueStorie:con lo stile che aluifo possibile:e Faz. Nel Ditlam. lib.3 cap.22 infinescrivefonno perfurono,e Fr.Guitt.let.12, scrivefoe per fu:e Fra Jacop.1.2 can.172 scrive fom per fummo.Per nonconfondere dunque una cosa con lealtre,non doveasi praticarela legge anzidetta: nei tempi debui,debuisti periva in. tuttele persone l'UI,eccetto l'Ifinalenellaprima perfareil cambiamen toindicato. Infuisti, fuimus &c. sièritenuto l'U, edèperitol'I:edin fuerunt è peritol'E. Si noti cheil fuit dagli Antichi si rendeva,e nesonopienii libri, perfue. Igrammaticihancreduto l'Edifue come una giunta per non terminare quell'E non è che la E nella quale dovea mutarsi l'UI, supplita in questo luogo per dare alla terza singolare del perfetto la desinenza in E,comune a tutte le persone simili di altri verbi di questa con jugazione, dicendosi lemè, iemelte, crede, ruppe & c. Tanto siam dunque lontani che l'e di fue siasi una giunta, che anzi era lettera distinti va della persona, ed una conseguenza dellamutazione, che aveasi a faredelUI in E, come più si poteva. E quando sparì quell'E, sitol fue fu in accento la semplicefu:mą   serealmente,non si cesso di aggiungerla.Ed ora ci rimane il sem plice fu, voce cheesce affatto da ogni regola di terminazione. da Habui E le voci avesti, aveste, avemmo sono comunissime: delle altre avei, avè, averono, se pur furono in uso, non ho presente nemmeno un esempio; e solamente mi ricordo che in Fr. Jacop.si legge avi per ebbi, ed avvero per ebbero. Di buon ora s'introdusse la irregolarità, la qua le concerne, come ho detto, la sola prima singolare, e le due terze singolare e plurale, e si fece ebbi, ebbe, ebbero; presa la occasione c o m e s'intende pel S. 17 dal habuere: perché se ne dovea cavare ha . bero,con lapenultima breve,donde ne seguitava habe per terza sin golare, ed habi per prima; e somigliando queste due voci ad altre dell'antico presente abbo, abb i & c, non potè non cambiarsi l’A in E , condirsiebi,ebe,ebero,ebbi,ebbe ebbero.IPoetitalvoltaco me PETRARCA Trionfo Fam.cap. : ora investighiamo, come da’pre teriti più che perfetti latini ne derivassero gl'italiani, che tanto sem brano differenti. E certamente i Latini esprimevano col tempo la qua lità che si affermava, ossia la cosa che siera fatta: e tali erano a m a yeram,fueram,habueram.Ma negliitaliani sidecomposero gliattri buti, e si disse io aveva amato,io aveva avuto,io era stato.Possiamo però conoscere che tra'Latini medesimi si aveano i semi di simili riso. luzioni. Cosi Cic. nel 15 Fam . 20 disse , quantum ex tuis litteris h a beo cognitum per cognovi:od in Verr.7 63 hodie sic homines ha bent persuasum: cosìnel 4 Ac. comprehensum animo habere atque perceptum; ed altrove assai volte. Pertanto nel passare da'preteriti più che perfetti latini agliitaliani,nonsifeceche ampliareciocchè giàsi usavadai Latinimedesimi. Abbiamopiù voltenotato,che  20 per la rima scrivo. no ebe con un b solo:qualche Antico ciò praticava quasi per abitu dine, come può vedersi nel Dittamondo di Fazio degli UBERTI l'uso finalmente ha stabilito ebbi , ebbe : ma ,ebbero:vociche varianonel principio e nel fine come appunto i preteriti greci. 28.Ma bastisu'preteritisemplici avesti ayè avemmo aveste averono avero. 27.Seguendo le leggi descritte dovea nascere ancora Habuisti Habuit Habuimus Habuistis Habuerunt Habuere I Ayei v.92, li che incominciano ad imparare il latino quel lo scordano, facilmente ,o che per disusoin parte esprimono le azioni trapassate col verbo habe re,e col participiopassato latino. va linguagl'Italiani erano Or siccome nelle originidella in rispetto della lingua latina nuo punto chi principia ad apprenderla come ap , o chi per disuso l'ha quasi di   menticata; così l'analogia e la voglia di esprimersi inqualche modo gl'indusseade comporre,edireioavevaamato,io avevaavuto. &c; lasciando in amalus ed habitus gli S finali, e mutando gli U in 0 secondoleleggidelş ireg:2e3, dalle qualiappuntorisultaamalo ed ayuto con i cambiamenti suggeriti appresso dall'uso. 29. Quanto al verbo essere:il più che perfetto latino è fu -eram , fu-eras,fu-erat&c:t alivocisonocompostedi eram,eras,erat,e fuo fuit: quasi dicasi io erafu:tu eri fu &c.Seguendo pertanto l'indole del tempo aveasi ad indicare tal nozione che spontanea si presenta: cioè dovevasi indicare che questo era spettante alfueram; non era indeterminato,e pendente come chiamano i Grammaticil'imperfetto, ma era piuttosto di un tempo definito e certo. E'noto che i Latini appuntocon la voce status, stata, statum upita al giorno o tempo accennavano i giorni e tempi definiti. Cic. Offic.37 status diessit cum hoste:o come Plinio disse stato tempore. Quindiin tempo che la lingua degenerava o si decomponeva si disse io era stato,cioè in tempogiàfisso, giàpassato,e non pendente:tueristalo,cioèintempo fisso & c, egli era stato, &c. La voce stato fu dunque come una giunta o segno di cosa passata, e non altro:ed in seguito si aggiunse a tutti itempi,che lo richiedevano nel verbo essere.I Grammatici han creduto, che stato sia il participio del verbo stare applicato al verbo essere. M a non dee presumersi che la formazione del verbo stare pre ceda quella di essere, che èil primo de’verbi,e verbo per essenza: edaggiungo che sto,stas tra'Latini,da'quali derivava in gran parte la lingua,se non è privo diparticipio, certamente ne somministrava un uso ben raro, come può intendersi, consultando il Forcellini sul verbo sto sta.Per taliriflessièda concepire,cheilverbo esserenon abbia participio se non quello dedotto da stalus, stala & c. usato in principio come segno e non più, di cose precedenti e consumate. 30. E da ciò nacque, che a poco a poco si tentò creare un par ticipio proprio di essere,facendosi essuto,issulo, o suto. Quindi AlBERTAN. Giud.cap.44pag.100 ediz.Fir.1610maggioronoreglisareb be essuto s'egli se ne fosse rimaso. Amm AESTRAM . degli Antic.pag.93 Nella Grecia la Filosofia non sarebbe stata in tanto onore s'ellanon fosse essuta invigorita per contenzione. Collaz. Ab. Isac. pag. 59 E se l'uomo avesseconosciuto lasua infermilate nelprincipio e avessela veduta ; non sarebbe essuto negligente. Questo participio pareva il più naturale: pur si disse anche issuto; ma più di raro: AMMAESTRAM.de gli Antic. pag. 303 la nuora il seguente di che è issuta menata, di. manda &c.Ma più di tutti fu in uso ilparticipio sutopiùanalogo a sono,sei &c,e molti nesonogliesempj in Boccaccio,nelle Croniche diLionardo MORELLI, nelMorgante del Pulci, nell'ARIOSTO, ed in altri: ne allego un solo tratto da' FIORETTI di S. Francesco cap. 38 a.me si è suto rivelato che tu & c. A fronte di tali sforzi non irragionevoli lavocestato, laquale nonera che unsegno,divenneilparticipio legittimo, esclusone ogni altro, 21    Ed eccone gli esempj. Fra JACOP. Poes, Spirit. lib.1satir.i averanno reg.2, 3,7 perchè se nell'habebo si cambiavano i due B in Vrisultava havevo e quindi havevi,haveva &c.come nell'imperfetto:nonvolendosi dun que ritenere il secondo B, fu necessità cambiarlo in altra consonante, e fu questa la R , e se n'ebbe averò, averai, averà & c. in forza delle regole generali citate: mapresto sitolseanchel'Eintermedio,esi fece Ayrd Avremo ayrai  22 Sempre serai in tenebria Ditlamon.lib.icap,25 eris erit erimus eritis erunt avrete ayrà avranno serai sera seremo Serete seranno. LATINO habebis AveròS.Ireg.7 31. Venendo ai futuri dirò prima come derivassero quelli de’ver bi ausiliari. Nel verbo essere è il futuro Ben serai crudo se gli occhi non bagni. FBA Guit, let. 3_pag. 13,e anche sera di molti. Dittamon. 1.2 c.31 L'ITALIANO nelle origini Sero Le cose quivi ne seran più conte. Novell,ANTIC,99 seranno queste le novelle che io porterò. Chileg. gegli Antichi trova questeésimili vocinon infrequenti.Manifesta mente dunque derivano dalle latine con la giunta di un S in prin cipio per uniformarle con sono, sei, siamo & c. Del resto eris,erit, giusta le regole, danno erai, erà,S. 1, e quindi serai, serà. Presso al cuni popoli ancora si ode ladesinenza serimo, serile, che presto fu ridotta in seremo, serețe & c. Al presente si trova cangiato anche il pri mo E,dicendosisarò,sarai.Questo cambiamento è1'usuale,ma non forse il migliore, secondo le regole. Vedi il verbo essere n. 13. Quanto al futuro di avere era il habebit averaiS.Ireg.5,e7 averemo reg.2, 3 habebitis LATINO Ero Habebo habebimus avera S. i reg 6, 7 averete reg. 2,5, 7 habebunt L'ITALIANO   e talvolta a simiglianza delle mutazioni occorse nel presente si tolse anche l'V,esen'ebbe Aremo arai arete arà E stabilita una volta la cadenza de'futuri ne’primi verbiessereed avere inserò, sarò, arò per continuadiscendenza dallatino;qualmeravi. glia che siestendesseposcia ai futuri di ogni verbo, esi dicesse amar),amerò,temerò&c. 32. Può nondimeno assegnarsi altra origine dei nostri futuri, sem-" plice al paro che universale. Nel nascere della lingua si scrisse raggioper amarò,faraggio per farò come leggonel B.Jacop. lib.2c.15, elio faraggio questa convenenza: edice raggio per dirò come lostesso autore scriye lib. 2.c. 25 or m 'udite in cortesia Però crudele, villano, e nemico Sarabbo, amor,sempre ver te se vale &c. In alcuni villaggi d'intorno a Roma si ode anch'oggi la desinenza in ajo, come farajo, amerajo & c. A ben riflettervi tali voci non senoncheamar-aggio, dicer-aggio,far-aggio &c:vuoldire aggioa fare,aggio a dire,aggio adamare:formole intutto del futuro:per chè colui,il quale ha afare, non ha fatto, nè fa, ma riserbasia fare: cioè dichiara l'azione sua come futura. E perché in luogo di aggio si disse ancora ajo; quindi è che si hanno pur le cadenze amerajo , farajo&c.Ma siccome in progresso abbo, aggio, ajo degenerarono nelle più semplici ho, hai, ha, avemo, ayete, e per sincope aemo, aele, han no;cosìda ultimosifeceaver-ho, aver-hai,aver-ha, enelpluraleaver emo, averele, lasciato l'a del dittongo in aemo, ed aete, e finalmente aver-hanno:ed eposto l'hozioso nel mezzo di tali composizioni,sieb be aver-o,aver-ai&c.Ma perchèho, ha,come monosillabe han suono tutto raccolto in esse,e grave come per accento; quindi è che poco a poco simise ancorl'accentonelleprimee terzesingolari,dicendo si averò, averà & c. Pari è la origine di serò, serai, serà & c.voci del futuro del verbo sostantivo, quali usarono da principio per sarò, sarai, sarà & c. Risultavano dall'infinito essere,troncatene le due prime let tereES,come insono, sei &c, tanto che se ne avessesere,equindi  aranno, come si scorge ne'libri degli Antichi: Così Lell. 5 tra quelle del B. GIOVANNI delle Celle: solo tanto l'arò a immutare, e nella letter. XI a Guido, arai Dio teco, e più sotto, dove arai a stare in eterno , e lett. 13, che mai non arannofine. FR. JACOP. lib. 2. cant. 3 pianto harete é dolore: tali yoci si hanno pure ne' GRADI di S. Girolamo nell'Eneida di Annibal Ca'Ro , e nel Cavalca, e comunissimamente nell'Orlando del BERNI. Diceraggiovi via via. FraGuit. ediz.Rom.1745lett,3 lamoremioparteraggio,elett.16 folle acquisto far mi guarderaggio: e tal volta ne'scuri principj della lingua s'incontra la desinenzain abbo,farabbo,amerabbo & c.per il futuro. GUITTON. d'Arez.Son. ame 23 Ard sono   ser-ho, ser-lai, ser-ha, ser-emo, ser-ete, ser-hanno:e finalmente sarò, sa rai,sarà&c.Siapplichi lateoria dichiarata ancheagli altriverbi, ed avremo amar-ò,amar-ai,amar-à,amar-emo,amar-ele,amai-anno, comesidisse originalmente: le Letteredi $.Caterina di Siena ediz. di Aldo son piene di questa desinenza,ed ilVarchi,egregio maestro di lingua, ne fa uso ben grande nelle opere sue.Ora l'A precedente l'R fina. lesicambia inE,non sapreiperqual vezzoirragionevole(vediama re nel futuro del prospetto:) e siè prodotto amer-ò,amer-ai,amer-à, amer-emo &c. Dicasi cid proporzionatamente di temerò,temer-ai,sentir-ò,sentir-ai & c. 33. Si noti, che la terza singolare del presente di avere era have, hae, ha. Spesso inluogodiadoperarehanelcomporre ilfuturo,fu adoperata la voce hae,con dire aver-lae, aver-ae, amer-hae , amer -ae , far-hae,far-ae. Questadesinenzaè frequentissimain alcuniantichi Scrittori. I nostri Grammatici han creduto che l'Ediaverae,farae &c. fosse un aggiunta, per genio della lingua, che non soffriva di termi nareinaccento:ma essa non èchelaE dihave,hae; etantoèlun gichefosseun'aggiunta,che anzidicendosiora averà,amerà,non già si è cessato di aggiungerla,ma si è tolta propriamente laE spet tante all'have,hae.Siapplichi quanto ho detto alla desinenzaameroe per amerò lemeroe,per temerò & c. E'difficile trovar parola italiana terminata in anno,la quale si scorci,eccetto le terze persone hanno, danno, fanno, stanno,vanno , formate tutte a simiglianza di hanno. Quindi le terze plurali avran no, ameranno &c.non si dovrebbero troncare;ma perchèson esseun composto di aver-hanno,amar-hanno;cosi queste voci non han po tuto perdere lo scorciamento particolare di hanno, e degli altri dan no, fanno & c. foggiati a simiglianza di esso, come si vedrà nel trat tare partitamente de'verbi.Anzi aggiungo,che hanno, fanno, slan no &c.intanto si scorciano perchè nelle origini si diceva fano,stano, e così forse hano:voci idonee tutte agli scorci,restando han, fan, dan:e siccome pur queste sirinvengono mozzando hanno,fanno&c, perciò sono ricevute. Chi volesse notomizzare più sottilmente questa materia, potrebbe trovare forse le tracce del futuro del presente nel futuro del congiuntivo. Cosi lasciato da amavero, celavero &c. ilve per simiglianza di quan to si pratico nel fissare la derivazione dei preteriti, si avrebbe ed accentandoli celaro  24 54. Riguardando a tal seconda spiegazione,i nostri futuri non sa rebbero quei de'Latini trasmutati:ma solo deriverebbero quanto ne derivano gl'infiniti de'verbi,ed il presente del verbo ave re, che ne sono gli elementi componenti. dal latino da Ama(ve)ro cela(ve)ro amaro & c. 55. Quanto agl'imperativi ognun vede che l'amato, il timelo, il legito, el'auditode'Latini,altrononèche l'amatu,temitu,leggi Amaro   lu,odi lu degl'Italiani. Le altre voci italiane sono pur le latine tra dotte:ma perchè questesono lestessedei presenti,partedelcongiuntivo, eparte dell'indicativo,overo del futuro dell'indicativo; cosìnon bi sogna se non investigare come que'tempi si diramino dal latino,cioc chè si è fatto, e si farà tuttavia. 36. Eccomi pertanto ad esaminare il congiuntivo de'Latini,dal quale hanno origine tutte le voci del nostro ottativo e congiuntivo. Ames Amet Amemus Ametis Ament Nelle voci amemus, ametis l’E si volge in IA, perchè nel tradurle si riguardanotalivocicomedipendenti dalla seconda singolare conlagiun t a d i a m o o diate, ami - amo , ami -a l e . Del resto sebbene l ’ E finale avanti la S dovea mutarsi in I; e la E di amem o di amet dovea secondo leregole conservarsi; pure ne'principj non erano questi limiti abbastanza riconosciuti: e diceasi promiscuamente io ame,tu ame, que gliame:desinenza era questa originale, perchè meno distante dalla latina, taciutene le consonanti in fine, e resta tuttavia tra’ Poeti, spe cialmente per la rima: nondimeno si crede che questa sia termina zione di licenza , e non primitiva e spontanea. Tale è ilprogresso delle cose,c h e dimentichiamo gli usi più naturali, sostituendone altri men proprj ,che poscia il tempo caratterizza come legittimi!Vedi amare num. 14. Nelle altre conjugazioni, lasciate o mutate le consonanti finali se condo le regole S. 1 , e lasciato l'E, o l'I precedente l’A finale, S. I reg.4,risulta dal LATINO Timeas Timeat Timeamus Timeatis Timeant Tema Temi, e poi tema Tema Temiamo Temiate Creda  d 25 1 Timeam ITALIANO Ame,ed ora ami L'ITALIANO LATINO Amem Credam Temano Credi, e poi creda Creda Crediamo Crediate Credano Credas Credat Credamus Credatis Credant Ami Reg. 4 e 2 Ame,ed ora ami Amiamo Amiate Amino.   E ne verbi ausiliari. Nel qual mutamento l'EdiHabeam & c.èdivenuta per eccezione o dolcez. za un I, ed ilB siè raddoppiato, osservate ancora le regole generali. Quanto alsim, sis, sit, simus, sitis, sint, siccome il verbo essereè di seconda conjugazione, e tutte le seconde conjugazioni anno il presente del congiuntivo terminato in A nel singolare, almeno nella prima e terza persona; quindiè che si fece iosia, tusia,o sii,quegli sia, noi siamo, siate, siano. 37. Ma perchè nelle origini della lingua non era ben decisa la terminazione, con cui chiudere levocidel presente nel congiunti vo, si tento talvolta, o si dubito modificarle in tutte le conjugazioni, come nella prima. E siccome la prima era terminata in io ame ovvero 38. Così pure essendosi terminata la prima conjugazione in I nel presente del congiuntivo,siterminarono talvoltain Ipurlevoci delle altre: e si trova abbi per abbia, giunghi per giunga, vadi per vada &c,in terzapersona: Lett.S. Cat.pag.31. Deh!nonsirendi più il cuor nostro ambiguo,cieco, e negligente.E quindi è che tra'Cin quecentisti generalmente le terze plurali abbiano,temano,leggano fu Abbia  Habeam 26 tu ame Ilabeas Habeat Habeamus Habeatis Habeant Abbi ed abbia Abbia Abbiamo Abbiate Abbiano io ami quegli ame quindi èche si quegli ami; trovano anche i verbi di altreconjugazioni figurati. Così AB. Isac. Collaz. cap.2. cosi con scrive,abbie preziosa operazione: e cap. 12 abbie paura della superbia, ed ALBERTANO Giudice l'uno de Scrittori più antichi assegnato all' anno 1260 in circa, scrive vece diabbia al principio del cap. in 6 tu abbie: e si dice abbie cari tade e fa ciò che tu vuoi, e cap.9 dci render lo beneficio all'amico con usura se puoi:e se no; abbie spesso lo beneficio a te dato memoria: e cosi nel cap. 3 usa in pieper diche per dichi, enel 5 in finesap sappi: e nel cap. 9 sie per sia. Sie largo di dar mangiare Tuoi conti ecari amici,e nel alli cap• 38 de'tuoi beni e dello stato che Dio l'ha dato ţi stie contento.Tali formole parrebbono a chi non guarda alle origini, tutte licenziose, laddove ri naturali,quando erano modi primitivi e la lingua pendeva ancora indecisa circa la desinen za.Ora eccettosie efie,le quali pur vogliono gran parsimonia piùnon siuserebbono talivoci. Vediesserenot.17, avverto che tali voci abbie Del resto io non all'imperativo ,sie&c.spettano al congiuntivo come . tu amirono abbino , temino , leggh i n o & c ., che poi l'uso ragionevolmente 27 ha ri pudiate, perchè rimanesse un divario tra le cadenze , onde riconoscer ne le conjugazioni. ec.1491. Are ( avrebbe) quelcolpo gillatigiù mille. E qual sare'colei che nol facessi? In questo esempio il primo sare sta per sarei, e l'altro per sarebbe . Eguali manieresiscontranoancora,ma più rare assai,nell'Orlanda del BERNI:così nel c.5.16  39.  Quanto all'imperfetto amarem ,amares,amaret; taciutene le consonanti finali risultava amare , voce non distinta dall'infinito: si aggiunse per cið un I finale, e si fece amerei:e siccome il per fetto dell'indicativo termina in I, dicendosi amai, temei, sentii, e da questa si ebbe per seconda persona amasti, temesli, sentisti; cosi fu con progresso consimile terminata la seconda di questo tempo, dicen dosiameresti, temeresti, sentirestiaggiunto un TI ad amares,timeres, sentires,il quale in origine non era che un lu, e perciò trovasi tal volta ameres-tu, vederes-tu per amaresti, vederesti &c.Cosi PASSAVAN ti nel suoSpecchio di Penitenza pag.107. Avrestuoffeso intaleolal cosa?&c.Laterzaamaret,gittatoilT,divenneamare nuovamente, e per distinguerla si fece amerie,ovvero ameria per essere ne' prin cipii non ben precisa la vocale distintiva da aggiungersi. Quindi in FRA Jacop.lib.4 cantic.30 silegge fariemiconsumare,permifaria consumare;e nellib.5can.27 si ha vorrielo perlo vorria,eDan.Par. 29: 49 usa giungeriesi per sigiungeria. Nel Morgante del Pulci s’in contra un uso speciale, ma certo molto analogo a dimostrare la ori gine di questa persona.Egli più volte in vece di modificare diver samente la voce, o desinenza amare, aggiunge un apostrofe ,e scrive amere',sare',potre'perameria,saria,potria.Vedi c.12,13,c.13, 13 e 38. E son qui per provarquelchel'hodetto. 'Amaremus diede ameremo mutatol'us in mo secondo le regole generali: ma perchè ameremo è pur del futuro , si aggiunse un'M , facendosiameremmo:amaretisdiedeamereste,come da amarespro viene ameresti; o come da amasti proviene amaste. amerieno da amerie; ovvero mutato il T di amarent in secondo le regole,siccomerisultaamereno;cosi coll'inserirviun'I,sen'ebbe amerieno. Amerie, ovvero ameria, ecostamerienosonodunque desi nenze originali:e questa è laragione, per cui ne' Prosatori antichi, come ne'Poeti, si trova tante volte la cadenza inieno,amarieno,te merieno,farieno: la quale ora è mutata in iano , ameriano , temeria AO & c.da ameria, cemeria, che prevalse sopra di amerie, temerie E disse sare'io, ch'era pursaggia, Che a cosi degno amante non piacessi, Purchè mai tempo e luogo accaggia; Ancormi dare il cord'uscirne nello, ipo d2   chissimo usate fin da principio.I Poeti,sovrani conoscitoridella dol cezza degl'idiomi, ritengono tuttora, usandola amplissimamente ,la terminazione in ia ed iano. I Prosatori l'hanno quasi dismessa: nè io credo che ciò seguisse con piena ragione: giacchè si allontanarono davoci, le quali presentano laoriginelorodallalingualatina che ne era lamadre:e potevano variare con ogni dolcezza il discorso. Inluogo di ameria,ameriano sottentraronole altre amerebbe,ame rebbero, ovvero amerebbono. Queste voci a somiglianza di quelle del futuro sono composte ancor esse, ma dall'infinito e dalle terze del perfetto diavere, amar-ebbe, amar-ebbero,ovvero amar-ebbono.Può no tarsilamarciaincostantedegli uomini:mentre sonostatiesclusi tantiB dagl'imperfetti, e dai futuri,qui ne sono stati riprodotti con usura: la desinenza è divenuta più lunga, e talvolta quasi indistinta, essen dovi alcune terze. Resta a dire qualche cosa intorno la desinenza amassi, temes si&c.laqualeesprimeilpresentedell'ottativo,e l'imperfetto del congiuntivo. E 'manisesto che questo tempo è tratto dalle voci sincopizzate del più ch  perfetto de’ latini nel CONGIUNTIVO, tolto n e il v i come nel perfetto dell'indicativo, e serbate leregole generiche delle vocali finali, lasciato l'M , e mutata l'E in I & c. Amassi Amasse Amassimo Amaste Amasseno .  del perfetto, che somigliano, come crebbe, increbbe, bebbe, ecc. E poco vedo cosa abbia a fare ebbe e debbero, vocidel perfetto, convocidel soggiuntivo, lequalihannodell'imperfet persone to, cioè che resta da fare. Possono osservarsi al verbo amare , dove trattasi della desinenza in ia , ed iano, altre incongruenze. Ma l’uso ha già prevaluto, e chi parla dee parlare conl'uso. Tale appunto sorse la terza plurale: ed ancora n e restano degli esempj Fra Guit.  let.I pag.8 se'reiabitasseno,elett.2ev'entrassenoalcore. PETRAR. son. 154 che andassen sempre lei sola cantando&c.Ma posteriormente di “amasseno” si fa “amassono”, ed ora dicesi “amassero’ co munissimamente. Si noti che la seconda plurale amaste involge una mancanza di lingua: perchè non più vi resta il ssi o sse, caratteristi co di questo tempo, e perché amaste è voce plurale ancora nel perfetto dell'INDICATIVO. Ed è certo un difetto con una voce stessa esprimere tempi, emodi tanto differenti. Forse è natodaciòchetalvolta s'in contra voi avessi per voi aveste, come in Antonio Pucci Centiloquio cant.69 terz.58. Se voi in qua non m'avessi menato. Anzi ho notato che MACCHIAVELLI tanto conoscitore della sua lin Amassi nel suo 28 Ama (vi)ssem Ama (vi)sses Ama (vi)sset Ama (vi)ssemus Ama (vi)ssetis Ama (vi)ssent   Ma primach'iosentissetalruina&c. FRA JACOP.lib.6 c. 18. 28. 42. E siccome questo tempo nell'italiano esprime il presente dell'OTTATIVO, e l'imperfetto del congiuntivo, i quali non E cosìnella Gerus. 8.24. : "Quel partissi addita azione già fatta.  29 gua , spesso in tal tempo usa la seconda singolare per la plurale con premettervi il pronome.Cosi nell'Arle della guerra ediz. Cosmopoli Far este voi differenza di qual arte voi li scegliessi, e pag.63 iodcsiderereichevoivenissiaqualcheesempio,pag.233.so lovorrei che voimi solvessiquesti dubbj,e 236 vorrei chemi dices si&c.Un tale scriveresidirebbeartifiziosoonegli gente?Glieru diti decideranno se forse era meno male così scrivere. Certo se replichiamo nel singolare io amassi, tu amassi,perchè non farlo nel plurale? Amassetesarebbestata,parmi,lavoce idoneae conseguente:ma sealtri la dicesse ora , sarebbe uno sgraziato, un imperito . Tanta è la prepon deranza degl’abusi, resi venerandi per vecchiezza. L'origine di questo tempo è similissima in tutti gli altri verbi.Così da timuissem è temessi, da legissem è leggessi, da audivissem udissi, &c.e nezliausiliaridafuissemfossi,dahabuissem avessi,mu tato al solito il B in V , e ľ U I in É come in “timuissem” , timui ecc. e tutti soggiacciono all'inconveniente anzidetto.Del resto ne'principj della lingua pendette incerto alcun poco se avesse a farsi amassio amasse di amassem , e così sentissi o sentisse di sensissem. Quindi Fazio nel Dittam. lib. 1 loro discordano, ma PROVIENE DAL LATINO, che era un più che passato. Così le di lui voci medesime scorrono a significare cose passate non senza un pocodi confusione:ma egliè male di origine, esivuol condonare:peress.SEGNERI Predic.358.10Visovviend'altroreo,che mai tollerasse una o più tragica o più tirannica forma di tribunale? E'chiaro che quel collerasse esprime cosa passata:tale è pur quello nelle Vit. De'SS.PP. tom.1pag.83.E allora conosceretechefuil meglio per m e ch' io m i partissi molto fra D'amarli e di servir, quant'io potesse. BARBER ch'io gli mandasse a quello. Giosafat ed io non sarei savio se io tale cosa manifestasse. Novell. ANTIC.37 s'iovolesse dire una mia novella&c.Nel primo tom.delle Delizie degli Erudili Toscani pag. CL.sinotanoaltriesempj disi mili desinenze. E se piaciuto pur fosse là sopra ch'iovi morissi, il meritai coll'opra. Quanto agli altri tempi amaverim , amavero & c. sono decom posti negl'italiani,che io abbia amato, o io avrò amato & c. Sicchè non vi resta presso a poco da osservare, se non quanto si disse in torno di habueram, fueram ecc DIPENDENZA delle conjugazioni italiane dall'infinito, e loro somiglianza generalissima. Conjugare i verbi italiani non èchevariarediversamentel'in finito,secondoimodi,itempi,lepersone,inumeri,come altrove si è detto. Or volendo conoscere queste variazioni e somiglianza loro generale, si avverta. Ogni infinito termina in “-RE”: “amare”, “lemere”, “credere”, “sentire”; e quasi tutte le variazioni succedono appunto in questo RE finale:solamente talvolta subisce de cambiamenti anche la vocale precedenteilRE.Cos)per avere I participj presenti, il “-RE” si muta in “-NTE” nelle prime e seconde conjugazioni: “amante”, “credente” &c.E nelle terze tutto l'IRE, per ess. di sent-ire si muta in ente, sentente; ovveroilREsimuta inENTE;obedi-re,obedi-ente.Per avereil par ticipio passato,aparlar generalmente, basta nella prima e terza con jugazione mutare il “-RE” in “-TO”: “ama-re” > “ama-to” ,senti-re,senti-lo.nelle altreconjugazionisicambiatuttol'EREinUTO lem-ere,tem-ulo, cred-ere, cred-uto. 2. Quanto ai tempi per avere il presente singolare si lascia il RE dell'infinito, e lavocale precedente il “-RE” simuta in “-O” per le prime persone, e dove bisogna in Iperleseconde;ma perle ter ze persone, tolto ilRE, I'lsicambiainE nelleterzeconiugazioni: nelle altre non bisogna variazione ulteriore. Ama-re teme-re Crede-re a m a teme crede senti ne’plurali il “-RE” dell'infinito si muta in “-MO”, “-TE”, e “-NO”, per le prime seconde,e terze persone. Ama-mo Teme-mo Crede-mo ama-te teme-te crede-te senti-te a m a -n o teme-no crede-no Senti-mo  30 E cosi trovansi presso gli Antichi terminate le prime e terze plurali. E per dare qui un qual ch'esempio su le terze plurali, CASTIGLIONE nel suo perfetto cortigiano usa commoveno, rivesteno, discerneno, occorreno, cadeno, moveno, serveno, ed altre moltissime. Nell’archisihagiaceno, soggiaceno,ed altre. Ma ora l'uso porta che anche le vocali precedenti il “-RE” hanno subito de'cambiamenti, dicendosi tutte le prime persone amiamo, temiamo, crediamo, sentiamo:enelleultimedue conjugazioni terminandosi le terze persone plurali in ono , temono , cre sente -n o 1 S. III. 1. amo temo credo sento ami temi credi Senti-re sente. Quanto ai verbi della terza conjugazione, ne’’ qualivi è la doppia cadenzacome abborroeabborrisco (vediquestoverboinfine della prima parte ) sappiasi che la cadenza in isco esce di regola nei pre senti dell'indicativo, imperativo,e congiuntivo. Tutto il divario è che in questi presenti le persone, prima, seconda, e terza singolare, si formano come prima secondo le regole, e che poi alla vocale fi nale si antepone la sillaba ISC in ognuna di queste solamente, on de si abbia: la terza plurale si trae dalla prima così mutata, aggiuntole il “-N O”, segno della pluralità ne'verbi. “Abborrisco-no.” Ossia all'infinito abborri re, tolto il R E si congiunge sco, sci, sce, scono , abborri-sco , abbor ri-sci, abborri-sce,abborri-scono. 4. Il Re dell'infinito si muta in VA VI VA pel singolare a m a -re teme-re crede-re senti-re ama-va teme-va crede-va sentiva Ne plurali alla prima, o terza di ciascun singolare si aggiungono le distintive dette di sopra MO,TE,NO. amaya-mo temeva-mo sentiva-mo amava -te temeva-te credeva-te credeva-no sentiva.no Perfetti dell'indicativo per la terza persona l'ultimo “A” di “amasi” muta in “-O” accentato. Nelle altre conjugazioni si accentuano la E o l'I; masiaggiunge MMO  31 dono,sentono &c, come se aggiungasi ilNO alle prime persone, temo, temono,credo,credono,sento,sentono,laddove essendole terze plurali un multiplo di terza e non di prima persona singolare, non dove asiaggiungere il NO, segnodipluralità,senonallaterza sin golare, come dicesi ama, amano, e non amono. amava-no temeya -no STE 1) sentiva -te ama-vi ama -va t e m e -vi teme-ya “senti-va” credevi sentivi Imperfetti dell'Indicativo 2 ) personeplurali, RONO 3 crede-va credeva -m o abborr (isco abborr(isc)i abborr(isc)e 5.ToltoilRe dell'infinitosiaggiungeIperlaprima,eSTIper laseconda persona: per le   senti-sti senti ama-mmo teme-mmo crede-mmo senti. mmo amo teme crede ama-ste teme.ste crede-ste a m a -rono teme-rono 6.Ma nelle seconde conjugazioni,come in temere e credere, ol tre la legge universale,il RE dell'infinito spesso si muta per le pri m e in singolari in T T I; per le terze singolari in T T E , e per le terze plurali in TTERO ovvero in TTONO dicendosi Temei temetti Credei credetti Temė Futuri dell'Indicativo 7. Il solo E finale dell'infinito si muta, o cresce in O accentato 1 ) A I nelle amar-o temer-6 sentire amar-ete creder-emo sentir-emo Presenti dell'Ottativo IIRE si muta in “senti-ste” crede-rono senti-rono creder-o  33 ama-re tem e - re cred e -r e ama-sti teme-sti crede-sti amar-emo temer-emo temer-ete creder -ete sentir-ete amar-anno temer-anno I SSI SSI SSIMO SSE . STE SSERO SSONO sentir-à senti i amar-ai temer-ai creder-ai sentir-ó amar-a temer-à creder-à sentir-ai ama-i teme-i crede-i amar-e temer-e creder-e Credé Temerono temettero temettono Crederono credettero credettono 2 ) del singolare A accentato 3 EMO ETE nelle2) delplur. ANNO 3) temette credette Si noti che ora si volge in E anche l'ultimo A di amare , almeno dagli Scrittori, non senza equivoco. Vedi amare nel prospetto not. 9. crederanno sentiranno sentire ama-re teme-re crede-re a m a -sse teme-sse crede-sse crede-ssimo ama-ste teme-ste senti-ssi serti-ssimocic. BBERO solamente nella prima conjugazione si è preso il COSTUME – forse NON RAGIONEVOLE – di cambiare 1A precedenteilRE dell'infinitoinE. sentire sentire-i credere-sti credere -bbe credere-mmo sentire-mmo credere-ste sentire -ste credere-bbero sentire-bbero credere-bbono sentire-bbono Si noti che le aggiunte che qui si fanno per le due prime per sone singolari eplurali sonole stesse dei perfettie che quelle che si fanno per le terze sono , direi , le terze del perfetto di avere, ebbe, ebbero,ciocchè facilita di molto la formazione di questo tempo, presente del congiuntivo AMO ATE credere credere -i sentire-sti sentire-bbe  ama-ssi a m a -ssi teme-ssi teme-ssi crede-ssi crede-ssi senti-re senti-ssi ama-ssimo teme-ssimo Amare Io ami Imperfetto dell'Ottativo Conjugazione 1." Si toglie il RE dell'infinito, e la vocale precedente il “-RE” si muta in I, e nel plurale si aggiunge 3 1 sentisse credeste, amassero amassono temessero temessono credessero credessono 33 I alla 1) S T I 2 ) del singolare BBE 3) MMO I) STE 2)delplurale amare amere-i amere-sti amere-bbe amere-m m o “amere-ste” amere-bbero amere -bbono 9. L'infinito resta immutabile e si aggiungono Tu ami Colui ami Ami-amo Ami-ate Ami-no temere temere -i temere-sti temere -bbe temere-m m o temere-ste temere -bbero temerebbono NO 2 person .  La vocale precedente il -re dell'infinito si muta in “a” in tutto il singolare, e nella terza plurale. Il resto è come nella prima :anzilla seconda singolare può terminare come nella prima conjugazione; i che sarà considerato ne verbi rispettivi. Credere Creda Creda o Credi Creda Crediamo Crediate Credano. Queste sono le variazioni. Gl’altri tempi composti risultano da alcuno de' tempi già esposti, presi da'verbi essere ed avere, e dal participio passato del verbo particolare, il quale si usa; e però non occorrono nuovi cambiamenti nell'infinito. Quindi si dovranno cercare nel prospetto. Intanto si potranno raccogliere alcune regole, e sono: Tutte le prime persone singolari dell'indicativo eccetto il perfetto e l'imperfetto finiscono in 0. Tutte le seconde in I in ogni tempo. Tutte le prime plurali in ogni tempo e modo in “-mo”, e le seconde in “-te”, e le terzein “-no” o “-ro” in alcuni tempi. Ma in tutte le prime plurali dei presenti di ogni modo, degl'imperfetti, e futuri dell'indicativola Mè semplice: amiamo, amassimo, amavamo, ameremo, temiamo, temessimo, temevamo, temeremo, &c. Ma ne'perfetti dell'indicativo e negl'imperfetti dell'ottativo la “m” è doppia: “amammo”, ameremmo, temeremmo, crederemmo, &c., e cosi le seconde plurali in que stid u e tempi ed anche nel presente dell'ottativo anno la “s” avanti ilTe finale dicendo siamásle amereste &c.!,le altre anno il semplice “-te.” Parimente, questi tre tempi possono finire in “-no” ed in “-ro” nelle terze plurali: amaro, amarono, amerebbero amerebbono, amas, amaranno, amarino. Gli. •BIBLIOTECA- LVCCHESI -PALLI- BIBLIOTECA LUCCHESI • PALLI III.» SALA Scaffale. Pluteo. N.» CATENA. h Digitized by Google Digitized by Gopgle COLLANA DEGLI ANTICHI STORICI GRECI VOLGARIZZATI. Digitized by Google Digitized by Google Dìgitized by Google Digit zec! ov \Vo3^ LE ANTICHITÀ ROMANE I DI DIONIGI D’ALIGARNASSO VOLGARIZZATE DALL’ AB. MARCO MASTROFINI già’ frofessore di matematica e di filosofia NEL SEMINARIO DI FRASCATI MtmOKX KOrJMMKTt USCOKTIUTÀ COI TM3T0 BAh TKÀBVTTOBt TOMO PRIMO MILANO DALLA TIPOGRAFIA De’ FRATELLI SONZOCMO 1823. Digitized by Googic Dìgitized by Google Digitized by Google I MARCO MASTROFINl AI LETTORI NOTIZIE su DIONIGI DI ALICARNASSO. I. Dionigi^ di Alessandro fu di Alicarnasso , reggia un tempo della Caria , della quale pur furono Eraclito il poeta ed Erodoto di gr^ca istoria padre come Petrarca lo intitola nel terzo de' capitoli sul trionfo della Fama. E difficile determinare V anno , non che il giorno della sua nascita. Fozio nella sua Biblioteca (cod. ^4) dice che egli precedette Dione Cassio , ed Appiano Alessandrino, espositori aneli essi di Storie Romane. Errico Dodwello che meditò gra- vemente quelt argomento non seppe ristringersi ad altra particolarità , se non a questa , che Dionigi debbo essere nato fra t anno (i"G e ^oo di Roma calcolali alla maniera di V airone. DIOyiGI , toma ^ ‘ ■ , X / 2 I(. Dionigi sentiva in sè la nobiltà del cor suo] c si mosse verso la capitale del mondo, e venne a Roma nelt anno F^arroniano ja5 , cioè finita la guerra interna di Augusto contro di Antonio ; domd è che egli non vi giunse prima dell' anno suo venticinque- simo. Fi si trattenne 22 anni: vi compose le opere critiche , e vi apprese intanto diligentemente C idioma del popolo vincitore su la mira di leggerne gli antichi monumenti nazionali, e di scriverne infine con greco stile una stona per uso de’ Greci suoi che troppo la ignoravano. Egli riusci nell intento , e la scrisse, e la divulgò nell anno Fcu roniano y47 sotto il nome di Antichità Romane come l ebreo Giuseppe Jion molto dipoi , forse ad imitazione di lui , e certo con più proprietà, pubblicò sotto il titolo di Antichità Giudai- che la storia del popolo ebreo , la quale era insieme la storia della origine stessa del mondo. III. Par che Dionigi delineasse la storia col di- segno stesso con cui Firgilio cantava la Eneida: vuol dire l uno e l altro spargevano fiori appiè de’ trion- fatori non senza il lusinghevole desiderio di guada- gnarne la grazia : non leggera conquista per uomini inermi , autorevoli solo per sillabe , per parole, e per periodi ! 'Dionigi fece sapere a’ suoi che il popolo del Campidoglio non era poi barbaro ; anzi che era pur esso greco di origine, e che assai conosceva leggi e costumi ; e ciò perchè riuscisse il comando romano , se non pregevole , certo men duro nella Grecia d’ Asia e di Europa , paesi che una volta orati patria e tempio di fortezza e di libertà. Digilized by Google 3 IV. Egli distese il suo scrino in venti liLri ; ma non sopravanzano che i primi dieci e parte dell’ un- decimo; tutto il resto perì per la ingiuria de' tempi. Per quanto ci racconta Fozio (i) che aveala letta per intero, scorre ane la narrazione dagli Aborigeni e dalla venuta di Enea nella Italia fino alla guerra de’ lio- mani con Pirro , monarca degli Epiroti ; perchè ivi appunto comincia la storia Romana deli altro greco scriuor precedente , Polibio da Megalopoli. Quest or- dine di storie si consideri diligentemente ; perchè da indi apparisce che Dionigi dee precedere c non se- guire Polibio, come parve al primo che dispose la Col- lana Greca , e come trovo fatto pur questa volta irre- parabilmente su Cantico disegno (a). Siccome un estero per la novità che v incontra , può notare ì. costumi varj de' popoli meglio che il nazionale che cresce e invecchia con essi ; così questi due Greci conversando co’ Romani seppero distinguervi e descriver più cose che i Romani stessi non han descritto e trasmesso con la successione de’ tempi ai tardi nipoti. Or ciò dovea tanto più seguitarne quanto che scrivean quelli pel greco il quale non avrebbe gustata nè intesa la loro narrazione se non esponevano minatamente le cose notissime tra Romani. E quindi è che Polibio delincò su la milizia romana quello che non si legge in niuno de’ romani scrittori medesimi: e Dionigi toccò tante picciole circostanze che meglio dichiarano le ori- ,gmi, il complesso, ed il termine degli eventi: cioc- (i) Bihiiotre. cod. 8f>. ( 1 ) Ediz. romana di Vinccoio Pojryiuli delT anno Digilìzed by Google che ne ha rendalo , e ne renderà sempre , preziosis- simo quanto sopravanza delle storie di lui. V. Livio rimpelto a Dionigi è come il compendio rimpello all' opera estesa ; tanto che il primo racco- glie in tre libri ciocché l’altro dilata in undici. Nè io saprei dolermi su tanta espansione quando le cose vi fossero state moltiplicale in proporzione. Ma per dirne ciocché io ne penso, e dare intanto il paragone degli autori fin qui da me volgarizzati che sono Sallustio, Quinto Curzio , Lucio Floro , e Dionigi ; mi è sem- pre parato che in Sallustio non capano i sentimenti dentro le parole , che in Curzio si pareggino compiu- tamente gli uni alle altre, che in Floro le parole su- perino alquanto i sentimenti, e che in Dionigi fincd- mente- ( siami cosi lecito di esprimermi) le sentenze galleggino affatto tra le parole. Sallustio é come il fior vivo, che di sé promette gran cose , ma stretto in parte ancora dalla sua buccia : Curzio è il fior copioso , odoralo , aperto graziosamente al sole che 10 vagheggia ; Floro è il fior vago , ma tutto spam- panato con molte le f rendette e poco t odore; e Dio- nigi finalmente è il fiore delle ampie e libere frondi 11 quale sot^ di sé nasconde il picciolo guscio che ravvolgevalo , e par sorgere pomposo e vario tra le aure che lo investono , ma troppo , se lo stringi , è minore delle belle apparenze. Dionigi era un greco dell jfsia, e fa sentire in sé la prolissità propria di quella vastissima parte del globo. Le parlate in lui sono lunghissime , e per ordinario non ripetono se non ciò che presentano le storiche narrazioni ; lad- Digilized by Google ■ 5 doue in ,Tilo Livio sono lampi e folgori, sentenze e risultati. V ultimo lascia a pensare , il primo li lascia senza pensieri prima che finisca di parlare ; nelV uno senti il capitano ed il console , nell altro lo storico «d il declamatore : quegli è pieno di entusiasmo e di fuoco su gt interessi della sua nazione , /’ altro vi si spazia sopra come il panegirista che loda non per affetto , ma in vista di ricompense , o per moda. Forse tanta loquacità non piacque nemmeno tra' suoi nazionali; e Dionigi voglioso di essere letto , s’indusse a ristringere in un compendio di cinque libri quanto avea steso in venti. Fozio nella sua Biblioteca [cod. ^4) parla eziandio di un tale compendio ; e lo dice più utile per questo , che non contiene se non le cose necessarie alla storia. Egli paragona Dionigi in quel nuovo scritto ad un re che giudica e tiene intanto in mano lo scettro; e sentenzia ma con la precisione e col tuono di chi comanda (i). Vr. Quanto allo stile i giudizj ne sono difformi : vi è chi lo chiama scrittor soave , scrittore elegante ; e non vi è dubbio che e"li abbia de' bei tratti, dei pellegrini concetti , e gravissimi documenti. Nondimeno vi è chi dice risolutamente che Dionigi rimpetlo a Senofonte è come il duro e licenzioso jépulejo rim- pclto alle maniere delicate e spontanee di Livio. Dio- nigi fa pur troppo conoscervi che egli non era nativo deir Attica. Fra le sue formole ne occorrono alcune (i) La prcsealc versione fu stampala in Roma l’anno i8ia. Dopo quest’ anno il Compendio fu creduto rilrovato in Milano. Se ne patterà nel tomo quarlo là dove sono i fiammcnli. Digitized by Google G nuove , Ialine (T indole , o certo non abbastanza monde da solecismo ; tantoché vi si violano le regole prò- poste da esso medesimo nelle opere sue critiche per gli storici e per gli oratori. Ad ogni modo Dionigi é come la miniera ampia di oro , e come V archivio ricco di monumenti preziosi in mezzo di altri che sono anzi un ingombro ; dond è che un tale scrittore , come ho toccato dianzi , sarà caro finché saran care le storie. Ora diciamo qualche cosa delle versioni del nostro Autore. VII. Lapo lìira^o fiorentino il primo diede una versione latina di Dionigi. Questa fu pubblicata la prima volta in Trevigi Hanno i48o, e poi di nuovo in Basilea nel i53a. Il Glareano ebbe cura di tal seconda edizione e la purificò da sei mila errori co- ni egli dice. Boberto Stefano vedendo pubblicato Dio- nigi nella lingua non sua, trasse il greco originalo dalla Biblioteca dei re di Francia, e lo mise in luce l’anno ì5^(i. Il Gelenio divulgò colle stampe in Ba- silea [ anno iS/fg una nuova versione latina de’ dieci primi libri. Silburgio rettificò con critica squisitezza le tante lezioni non sane che ci aveano nel greco dello Stefano , e nel latino del Gelenio , e congiunse i due testi e li stampò V anno i586 in Francfort. In questa edizione vi é la traduzione dell’ undecimo libro fattu da Silburgio medesimo , li frammenti ricorielti delle Legazioni già pubblicale da Fulvio Ursino , ed un libro di annotazioni in fine. Mentre apparecchia- vasi o compivasi da Silburgio questa edizione ; Emilio Porto diede su t originale dello Stefano una nuova Dìgilized by Googlc 7 traduzione latina delle antichità con amplissime an- notazioni, imprimendo anche il libro delle legazioni con la trina interpretazione dì Stefano, di Sitburgio e di Porto. JSel 1704 si ebbe la vaghissima edizione fatta in Oxford la quale comprende il testo greco di Dionigi colla versione di Porto , emendata dove nera il bisogno , e le legazioni secondo la impressione fat- tane da falesie riunite a quelle già pubblicate da Ursino. Si cominciò finalmente nel 1774» ^ ^i com- piè nel 1777 lO' edizione riputata la più corretta di Lipsia colle note varie di Errico Stefano , di Silbur- gio , di Porto , di Casaubono , di Fulvio Ursino , e di Giangiacomo Peiscke. Vili. Francesco Venturi fiorentino ci diede nel 1545 colle stampe venete la prima versione italiana delle sole antichità di Dionigi. In quell'epoca il testo greco non era nè stampato nè rettificato , e quindi avendo egli lavorato su di ^un manoscritto, frequen- tissime sono le aberrazioni dcd vero senso. Aggiungasi che lo stile è contorto , implicato , nè sempre regolare: in somma risente tutte le imperfezioni del primo tra- duttore latino Lapo Birago : nè questi potè sempre capire il senso del testo , ma dove ciò non potè fu contento di volgarizzare le parole greche , appunto come significavano , una per una. Il signor Desiderj nel continuare in Roma V anno 1 794 la edizion sua della Collana Greca ideava, parmi , riprodurre la ver- sione stessa del Venturi; ed il primo periodo di questa è del V snturi in gran parte ; ma fatto accorto che grande ne era la oscurità, e poca la naturalezza. \ .Dìgitized by Google 8 continuò a pubblicare non il resto del Venturi, ma una traduzione di traduzione; t'uol dire , diede alla Italia un Dionigi tradotto , forse non sempre ade- guatamente , e certo non sempre con purità di stile , sopra la traduzione francese , e non sid greco origi- nale. Al primo leggere il Dionigi del Desiderj mi parve ravvisarvi una fisionomia anzi francese che gre- ca. Adunque paragonai la versione framese del padre Francesco la Jai Gesuita con la produzione del De- siderj a luogo a luogo , e fui convinto che era ciò veramente che io sospettava. Questa immagine éT im- magine , questa eco di eco che scolora le fattezze , e deprime sempre più la energia dell originale , questa stampa non greca , non francese, e forse non italia- na , non dee numerarsi tra le versioni , degna almeno di un tal nome ; tanto più che quella versione fraru- cese essa stessa non lascia gustare la vena ampia , continua , maestosa del greco originale , ma presenta la inquietudine, lo scintillamento , e come la spezi satura consueta delle parli. IX. Che io sappia niun altro ha poi volgarizzalo tra noi Dionigi. La mia versione è diretta su la edi- zione di quest' autore intrapresa in Lipsia nel i Chi vuol ragione di ciascuna delle mie interpretazioni dee consultare il testo greco , la versione latina , le note in piè di pagina, ed in fine de’ tomi. Spesso a fissare i sensi ho consideralo anche la versione fran- cese , supplitami dalla Biblioteca del Collegio Romano nella nuova mia dolcissima dimora in quel luogo nel- l’ anno 1 8 1 1 , la quale mi concedè calma profondis- Digilized by Google 9 sima da compiervi quasi per intero la traduzione che ora presento. Sarebbemi piaciuto ugualmente di con- sultale la traduzione inglese di Eduard Spelman im- pressa in Londra t anno 1759; ma per quanto la ricercassi tra le Biblioteche , tra i libraj e tra gli amatori di libri , non mi venne fatto di rinvenirla in Roma. Aveva io già presso che terminato questo mio travaglio quando mi ju significalo che in Francia si pubblica una nuova versione di Dionigi: ho il piacere che l'Italia he veda contemporaneamente un altra sua, lavorata quasi tutta in Roma , ove lo storico di Ali-, carnasso stendevano già t originale. Roma i8ia . 1 1 I. UANTU^■QUE alieno io ne sia , pur sono astretlo ad una prefazione , com’ usa nelle storie , e sopra di mfe ; non già per diffondermi nelle lodi mie proprie , che so quanto , udite , dispiacciano , o nelle accuse di altri scrittori , come fecero Teopompo ed Anassilao gli sto- rici, ne’ prologhi loro ; ma solo per dichiarare le cagioni per le quali mi diedi a .quest’opera , e per dire de’ mezzi , onde io seppi ciocché son per iscrivere. E certamente chi risolve lasciare a’ posteri monumenti d’ ingegno , i quali , come i corpi , non vengano meno per anni , e molto più chi scrive le istorie, nelle quali, tutti conce- piamo che siavi la verità, principio del sapere e della prudenza ; costui dee per mio sentimento , scegliere argomenti vaghi e magnifici , come bene fruttuosi a chi legge ; e poi dee preparare le materie opportune al subjelto con assai previdenza e lavoro. Imperocché chi ponesi a trattare di cose vili, abominate , indegne delle cure di una storia , sia che brami rendersi chiaro , ed acquistare comunque una fama , sia che voglia manife- stare la idoneità sua nell’ arte del dire , non sarà mai da’ posteri né invidiato per la fama sua , né per 1’ arte encomialo ; lasciando a chi leggelo da sospettare che egli amasse nel vivere le maniere appunto che descrisse ; per essere gli scritti la immagine de’ cuori , come da tutti si giudica. Colui ^ poi che ottimo sceglie l’argo- mento; ma ne scrive scioperatamente, e come per caso , seguendo i ronoorl del volgo, nemmen’ esso ne ottiene lo- de niuna ; imperocché si spregiano , se negligenti sle- no e confuse le storie delle città famose e de’ principi. Or pensando Io per uno storico esser questi I canoni sommi ed inviolabili, ed avendone tenuto cura gelosa ; non volli nè trasandare il discorso su di essi , nè com- partirlo altrove , che nel proemio. II. £ che io scelsi argomento, bello, grandioso, uti-' lissimo; non bisognano, credo, molte parole a con- vincerne chi non affatto Ignora la storia comune. Im- perocché se alcuno recando 41 pensiero su’ governi an- tichissimi delle città e delle genti e contemplandoli , parte a parte , o nel paragone dell’ uno coll’ altro , vo- glia saperne qual di esse fondasse principato più grande, o che più splendesse per azioni belle , in guerra ed in pace; vedrà che la signoria di Roma sorpassò di gran lunga quante prima di lei se ne additano , non solo jper grandezza d’impero e per luce d’imprese, cui niuno mai lodò' quanto basta , ma per la durazione ancora del tempo che abbraccia , 6no al presente. Fu pur antica la signoria degli Assirj , e ne chiama fino ai secoli fa- volosi ; ma non comandò che su picciola parte dell’Asia. Abbattè la monarchia de’ Medi quella degli Assiri , e crebbe a potenza maggiore sì , non però molto diutur- na , cadendo alla quarta successione. I Persiani fiacca* t ono il Medo , e dominarono infine quasi per tutto nel* r Asia ; ben si gettarono poi su gli Europei , ma noti molto vi profittarono , e tennero poco più che dugen- t’ anqi II comando. Il Macedone , vinti li Persiani , su- però colla sua tutte le dominazioni che precederono : Don però fiorì lungo tempo , comiuciaiido a declinare alla morte appunto di Alessandro : imperocché smem- brato da’ successori il potere in molti principi , sosten- nesi la monarchia fino alla terza o quarta generazione ; ma resa debole per sé stessa, fu distrutta finalmente dai Romani : nou tenne poi mai servi tutti i mari e le ter* re : che non vinse in Africa se non l’ Egitto , il quale non è vasto , nè sottomise tutta l’Europa ; ma nel set- tentrione di questa si estese alla Tracia , e nell’ occaso fino all’ Adriatico. III. Pertanto i più famosi degl’ imperj che precede- rono , giunti , come sappiam dalla storia , a tanta forza e grandezza , rovinarono. Con essi non sono poi da pa- ragonare le Greche potenze le quali nè spiegarono mai si ampia la signoria , nè lo splendore si diuturno. Gii Ateniesi quando più poterono in mare , ne dominaro- no per anni sessantotto la spiaggia , e non tutta , ma quella solamente tra l’ Eusino ed il mar di Pamfilìa. E gli Spartani impadronitisi del Peloponneso e del resto della Grecia stesero fino alla Macedonia le leggi; ma non prevalsero che per quarant’ anni (i) nemmeno in- teri, e trovarono ne’Tebani chi li depresse. Ma la Re- pubblica romana signoreggia tutta la terra , non già la (i) testa uri o?ici in TpmiccfTx: cioè nemmeuo iuteri treo- t’aimi. Isacco Casaubono vi saslilui rinrxfxi'oyTX cioè quaranta. Pur questa emenda fu tolta, nè so perchè : concedendosi comune- mente che gli Spartani dopo vinti gli .Ateniesi al fìuinc Egio furono gli arbitri più che 33 anni. Ciò stando non può dirsi nel testo m-m- meno interi treni’ anni , ma usando un numero rotondo , dovremo leggere quaranta come il Casaubono. l4 PROEMIO, deserta , ma quanta ne è 1’ abitata : signoreggia tutto il mare non solo  nai mente Oenotro diciassette generazioni avanti che a Troja si combattesse. E questa è l’epoca nella quale mandarono i Greci nella Italia una colonia. Oenotro poi si levò di Grecia ; perché non pago della sua parte : giacché nati essendo a Licaone ventidue figli; aveasi l’Ai^ cidia a dividere in altrettanti. Per tale cagione lasciando OcDOiro il Peloponneso, passò con fiotta gié preparata il mar Ionio, e passavalo teco Peucezio l’uno de' fratelli di lui. Navigavano con essi molti della sua gente , po^ pelosissima , come si dice , nelle origini ; e quanti altri de’ Greci non aveano terreno ^he loro bastasse. Peucezio pigliò sede in sul promontorio Japigio , appunto ove prima sbarcò nella Italia , cacciando chi v’ era , e da lui furono Pcucezj chiamati quanti abitarono que’ luoghi. Oenotro guidando seco il più dell’ esercito , venne ad altro seno più occidentale d’Italia, Ausonio allora chia- mato dagli Ausonj, che la spiaggia nc popolavano. Ma quando i Tirreni diventarono i padroni de' mari prese il nome che tien di presente. IV. E trovando la regione bonissima da pascolarvi o da ararvi , ma deserta in moltissimi tratti , anzi con poco popolo ov’ era abitata j dìé la caccia a’ barbari in tina parte della medesima , e fondò citt.ì non grandi Digilized by Google a4 DELLE antichità’ ROMANE si, ma frequenti in sui mouli ; com’era stile antichissi> mo , di situarsi. Così tutta la regione fu detta Oenotria, essendone amplissimo lo spazio occupalo ; ed Oeuotr) pure si dissero gli uomini tutti a’quali comandava , mu- tando nome per la terza volta ; mentre Ezei si chiama- vano dominandoli Ezeo , e poi subito Licaonj quando al governo succedè Ligaone. Menati però nella Italia da Oenotro , Oenotrj si nominarono per un tempo : nel che Sofocle il tragico mi è testimonio net suo Tripto- Icmo : perciocché vi s’ inU'oduce la madre degli Dei che dimostra a Triptolcmo quanto spazio debba trascorrere per seminare i semi eh’ ella dati gli aveva. Or ella , mentovato prima l’ oriente d’Italia dal promontorio J.i- pigio 6uo allo stretto Siciliano, e poscia additata la Si- cilia che sta dirimpetto; volgasi tosto alla Italia occi- dentale , e numera i popoli più grandi della spiaggia , cominciando dagli Oenotrj: ma bastino le sole cose da lei dette ne’ jambj , percl)è dice : Questo é do tergo ; a destra siegue tutto La Oenotrìa , il mar Tirreno , e la Liguria. Antioco di Siracusa , scrittore antichissimo , annoverando i primi ad abitare la Italia e le parli occupale da ognu- no , afferma che gli Oenotri in questo precederono ogni altro di cui s’abbia ricordo, dicendo: jéntioco il fi- gliuolo di Zenofanle compilò su la Italia queste cose, le più credibili e più manifeste ira vecchi monumenti', la terra che ora Italia dimandasi la ebbero antkhism simamente gli Oenotri : poi discorre in qual modo la governassero , e come Italo un tempo divenisse re loro . 35 cd Itali ue fossero oomioati : e poi Morgili per essere a Morgite venato quel principato. E siccome stando Sicolo per ospite presso Morgite , e tentando appro- priarsene la signoria , ne divise le genti ; conclude : cosi gli Oenotri divennero e Sicoli e Morgiti ed Italiani. V. Ora dichiareremo quanta fosse la gente degli Oenotri allegando per testimonio nn altro vecchissimo autore, io dico Ferecide, non secondo a niuno degK Ateniesi che trattasse delie genealogie. Egli fa su quelli che dominaron 1’ Arcadia questo discorso: nacque Li- caoue da Pelasgo e Dejanira e sposò Cillene , una ninfa dell» Najadi dalla quale ebbe nome il monte Cillene: poi divisando i generati da questi e quai luoghi cia- scuno abitasse , fa menzione di Oenotro , e di Peucezio dicendo : Oenotro , donde Oenolrj son detti gli abi- tatori Italia ; e Peucezio onde sono i Peucezj lungo il golfo Ionio. Tali sono le cose dette da’ vècchj poeti e mitologi sul popolarsi d’Italia, e su la origine degli Oenotri. In forza di che, se greca veramente è la stirpe degli Aborigeni , come disse Catone , e Sempronio e molti altri ; io penso che provenisse da questi Oenotrj : perocché trovo e Pelasgbi e Cretesi , e quanti altri abi- taron l’ Italia , venuti in tempi di poi : nè so vedere spedizione più antica di questa , che si recasse dalla Qrecia alle parti occidentali di Europa. Giudico poi che gli Oenotri occupassero molti luoghi d’Italia, o deserti, o poco popolati, e parte smembrati ancora dalle terre degli Umbri , e che Aborigeni si chiamassero per le abitazioni, come gli antichi le amavano, prese ne’ monti: cosi pur v’ ebbero in Atene que’ della spiaggia e dd monti. Che ie alcuni per indole non ricevono di subito senza prove quanto si afferma su cose antiche , nem- men subito decidano esser questi , o Liguri ovvero Um- bri , o tali altri de’ barbari : ma sospendendo finché apprendano le cose che restano , giudichino poi da tutte qual ne sia la più verìsimile. VI. Delie città che furono degli Aborigeni , poche ora ne sopravanzano : perocché premute la maggior parte dalle guerre , o da altri mali che straziano , fini- rono in solitudini. E secoudo che Terrenzio Varrone scrisse nelle anlichilà , ve ne erano nell’ agro Reatino non lungi dagli Appennini ; e le meno disgiunte da Roma , ne disiavano per lo viaggio di un giorno. Di esse io ridirò le più celebri secondo la storia di lui. Palazio è l’ una , lontana venticinque stadj da Rieti , cittade abitata da’ Romani fino a miei giorni , presso la strada Quinzia. Siede Trebula a sessanta stadj pur da Rieti , su dolce collina : e da Trebula con pari inter- vallo disgiungesi Vesbola dicontro a’ monti CerauBj: lad- dove quaranta stadj ne è lungi Soana , città famosa con antichissimo tempio di Marte. Discostavasi Mifula da Soana per trenta stadj , e se ne additano ancora le ror vine, e le vestigia de’ muri. A quaranta stadj da Mifula elevavasi Orvinio, città, quanto altra mai, chiara e grande in que’ luoghi : e segno ancora ne sono i fondamenti delle mura di lei come le tombe di antica struttura , e li recinti pe’ cimiterj comuni su’ monti altissimi : e là pure vedessi nella sommità di lei 1’ antico tempio di Minerva : lungi dieci miglia da Rieti , procedendo per la strada Giulia , là presso il monte Corito v’ era Car- arbari , e soprattutto ai Sicoli , loro conGnanti. E sa le prime pochi bravi , quasi giovani sacri mandati da genitori in traccia de’ bisogni della vita , nscirono se- guendo un primitivo costume , che pur vedo seguito da molti de’ Barbari e de’ Greci. Imperocché quante volte le città moltiplicavano tanto in popolo che non più bastassero ad esse i proprj viveri ; quante volte fa terra danneggiata dalle mutazioni del cielo rendea meno dell’usato; e quante volte altro caso non dissimile buono o rio le necessitava a minorarsi di gente ; consacrando allora agl’ Idd^ d’anno in anno una serie di discendeuti Digitized by Google libro I. 2g gii armavano , e li congedavano. E con fausti augurii gli accompagnavano se giusta le patrie leggi sacrificando, rendevano grazie ai cieli per la generazione copiosa , o per le vittorie tra Tarmi : laddove se pregavano i Numi irati a rimovere da loro i mali che tolleravano ; li di- mettevano pure slmilmente , ma rattristandosi , e chie- dendo die loro si perdonasse. E quei sen partivano quasi non più avendo una patria, se pure altra non sen facevano che li raccogliesse o per amicizia , o combat- tendo , e vincendo ; ed il Nume al quale i congedati eran sacri parca per lo più cooperare con essi , ed al- zarne sopra la espettazione le colonie. Su tale consue- tudine gli Aborigeni , floridi allora in popolazione , e schivi , perchè noi credeano il meno de* mali , di ucci- dete alcuno de’ posteri , consacravano agl’ Iddii d’ anno io anno le generazioni, e via via dimetteano gli allievi, già grandi fatti , dalla patria. Uscitine questi non desi- sterono di far contro i Sicoli , e derubarli. Ma non si tosto conquistarono alcuna delle contrade inimiche ; di- venutine ornai più sicuri ancora gli altri Aborigeni i quali bisognavano di terreno , insorsero parte a parte su’ confinanti : e fondarono alcune città , e quelle , abi- tate ancor di presente , degli Antemnati , de’ Tellenesi , e de’ Ficolesi presso i monti Cornicli nominati , e dei Tiburtini finalmente , tra’ quali evvi un luogo della città che pure a dì nostri si chiama Siciliano. Nè furono ad altro vicino più molesti che incontro de’ Sicoli. Sorse da tali contrasti guerra con tutte le genti ; talché mai non fu per addietro la più grande in Italia, e v’ infierì lungo tempo. Dopo questo alcuni de’ Pelasgbi che abitavano la regione ora detta Tessaglia costretti di trasmigrarne , divenuei'o gli ospiti degli Aborigeni ; ed i compagni di arme, contro de’SicoIi. Gli accolsero gli Aborigeni forse {icr la speranza , io penso , di un utile , ma più per la comunanza di origine: perocché son pure i Pelasgbi un greco lignaggio , antichissimo del Peloponneso : quan» tunque sciaurati per molte cose e principalmente per la vita errante , nè mai stabile in sede ninna. E certo , come molli affermano su di essi, abitarono su le prime la città che ora chiamasi Argo di Acaja ; traendo il nome di Pelasgbi da Pelasgo , loro sovrano , generato da Giove e da Niobe la figlia di F oroneo , quando il Dio si congiunse la prima volta con donna mortale , come è ndle favole. Poi nella sesta generazione lasciato il Peloponneso, passarono nella Emonia che ora Tessa* glia si nomina ; e duci furono del passaggio Acheo e F tio , e Pelasgo , figli di Larissa e di Nettuno. Giunti nella Emonia ne cacciarono i barbari che 1’ abitavano , e la divisero in tre regioni cognominandole da’ condot* tieri , F liotide , Acaja , e Pelasgiote. Fissi colà da cin- que generazioni , lungamente vi prosperavano , profit- tando pur de’ campi migliori della Tessaglia: ma intorno la sesta generazione ne furono espulsi da Cureti , e da Lelegi che ora sono gli Eioli ed i Locri, e da più altri che abitavano intorno del Parnasso , guidando i nemici Dencalione il figlio di Prometeo e di Glimene nata dall’ Oceano. ' X. Dispersi nella fuga , altri vennero io Creta , altri ottennero alcune deile Cicladi. Alcuni abitarono la re* Digitized by Google LIBRO I. 3 1 gione intorno di Olimpo e di Ossa, ora detta Estiotidc: ed altri furon portati nella Beozia, nella Focide e nella Eiubea : alcuni tragittandosi in Asia occuparono molte delle spiagge deli’ Ellesponto e molte delle isole dirim> petto , e quella che ora Lesbo si chiama , mescolatisi alla colonia che prima andavaci dalla Grecia sotto gU auspizj di Macaro Gglio di Criaso. La maggior parte però dirigeudosi entro terra a’ loro parenti i quali al- bergavano in Dodona , ed a' quali , come sacri , niuno facea guerra , abitarono quivi alcun tempo : ma poiché si avvidero che eran di aggravio, non bastando la terra a nutrire tutti in comune, se ne involarono, mossi dal- r oracolo che ordinava loro di navigare in verso la Ita- lia , allora chiamata Saturnia. E fatto apparecchio in copia di navi, passarono il mar Jonio, procurando giun- gere in parti presso la Italia. Ma pel vento di mezzo- giorno , e per la imperizia de’ luoghi , portati più oltre capitarono ad una delle bocche del Pò chiamata Spi” itelo e quivi lasciarono le navi, e la turba meno idonea ai travagli con un presidio , per avervi una ritirata , se i disegni non riuscivano. Or questi rimanendo in quella regione circondarono di muro il campo dell’ esercito , cd introdussero colle navi copia di vettovaglie. E poi che videro succedere loro le cose come voleano , fab- bricarono una città coLnome appunto della- bocca del fiume. Quindi prosperando più che tutti su le spiagge dell’ Jonio , e prevalendo lungo tempo sulle onde , por- tarono quant’ altri mai, decime vistosissime in Delfo alla Divinità , de’ beni tratti dal mare. Da ultimo però ve- nendo amplissima guerra su loro da’ barbari intorno , ' losciarono la città , donde anche i barbari furono dopo nn tempo cacciati da’ Romani. Cosi mancarono i Pela minandola da Larissa , metropoli loro nel Peloponneso. Delle altre città ne resta pure alcuna fino a miei giorni, quantunque variati spesso gli abitatori: ma Larissa è di- strutta già (la gran tempo : nè presenta dell’ antica esi- stenza altro segno più manifesto che il nome , e nem- meno questo è noto a moltissimi. Era non lontana dal foro chiamato Popilio. Finalmente possederono , toglien- doli a Sicoli , molti altri luoghi entro terra , o lungo la spiaggia. XIII. I Sicoli ornai non più valevoli a resistere ai Pelasghi ed agli Aborigeni, riunendo i figli e le mogli e quanto aveano di moneta in oro ed argento, si leva- rono in tutto da quella terra. Ripiegatisi a’ monti verso del mezzogiorno , e trascorsa tutta l’ Italia inferiore , siccome dovunque erano discacciati , apparecchiarono in fine delle barche nello stretto , e notandovi il flusso e (piando era fausto , passarono dalla Italia in su l’ isola vicina. Allora i Sicani , Spagnuoli di origine , la poue- devano , nè da gran tempo vi erano stati ammessi, cer- cando uno scampo dai Liguri; e già per essi era detta Sicania l’isola un tempo chiamata Trinacria^ per la fi- gura sua di triangolo. Non molti erano in questa gran- d’isola gli abitatori; ma la più gran parte vedeasi ancora deserta. Giunti i Sicoli ad essa , ne abitarono su le prime i luoghi occidentali , e mano a mano più altri , talché l’isola ne fu detta Sicilia. Cosi la gente de’ Sicoli abbandonò la Italia ', tre generazioni , come Ellanico di Lesbo scrive , prima delle cose trojane , correndo in Argo r anno vigesimo sesto del sacerdozio di Alcione. Perciocché stabilisce due passaggi fatti dalla Italia nella Sicilia il primo degli Elimei cacciati dagli Oenotri , e l’altro dopo cinque anni degli Ausoni, che fuggivano i Japigi. Dice che re di questi fu Sicolo , donde ebbero il nome gli uomini e 1’ isola. Filisto però di Siracusa scrisse che 1’ anno di quella discesa fu 1’ otuntesimo in- nanzi la guerra trojana: e che non Sicoli, non Ausonj, non Elimei , ma Liguri furono gli uomini trasportati dalla Italia , conducendoli Sicolo , figliuolo di Italo , e che dalla signoria di quello furono Sicoli nominati. La- sciavano i Liguri le patrie terre , astrettivi dagli Umbri e da’ Pelasghi. Antioco di Siracusa non distingue il tempo del tragitto; ma Sicoli dichiara quelli che tra- gittarono, premuti dagli Oenotrj e dagli Umbri, piglia- tosi nel trasmigrare Sicolo per condottiero. Tucidide scrive che Sicoli furono i profughi , e Opici quelli che li fugavano , per altro molti anni dopo la guerra di Troja. E queste sono le cose che affermansi da uomini riguardevoli intorno de’ Sicoli , passati dalla Italia nella Sicilia. XIV. Impadronitisi i Pelasghi di una regione ampia e bella , ne ebbero pur le città ; poi fondandone altre ancor essi , crebbero presto e molto in forze , in ric- chezze , ed altri beni ; non però ne goderono lungo tempo. Ma sembrando floridi troppo per ogni parte fu- rono sbattuti dall’ ira de’ celesti , e quali ne perirono per divine calamità , quali pe’ barbari confinanti : e la parte più grande ne fu dispersa tra’ barbari , o nuova- mente Ira’ Greci , e lungo ne sarebbe il discorso se per Digitized by Coogle tninuto seguissi un tal fatto. Pochi ne sopravanzaronc nella Italia per cura degli Aborigeni. Parve alle città che la origine prima di un tale struggersi di famiglie fosse la siccità che intristiva la terra, talché non restava frutto alcuno Gno al maturarsi negli arbori; ma innanzi tempo cadevano 5 nè i semi che sbucciavano in germi, vegetavano Gnchè le spighe floride si empiessero nei tempi naturali , nè bastavano i pascoli alle greggio. Non più le fonti eran atte a toglier la sete , guaste , impic- ciolite o spente dagli estivi calori. Consentivano con ciò le vicende delle bestie e delle donne nel generare : e quale sconciavasi in aborti , e quale dava Agli , morenti nel parto , o fatali nell’ utero ancora alle madri. Se scampavano 1 pericoli del parto , mutili , o storpi , o manchevoli per altro disagio , non eran’ utili , onde si allevassero. L’ altra moltitudine poi , specialmente la più vegeta era colta da mali, e da morti frequenti più del- r usato. E consultando l’ oracolo per quale violazione di genj o di Nomi questo patissero , e per quali pratiche mai fosse da sperare una calma in tanti orrori, udirono ciò essere perchè esauditi ne’ loro desiderj , non aveano penduto quanto promisero ; ma dovevano ancora agli Dei cose preziosissime. Imperocché li Pelasghi l’idotti a penuria di ogni cosa nelle loro terre , si votarono a Giove , ad Apollo , ed ai Cabiri (i) di santiGcare ad essi le decime di ogni prodotto. Appagati nella pre- ghiera presero ed offerirono agli Dei parte delle messi e de' frutti , quasi votati si fossero per questo soltanto. (i) Forte Castore e Polluce. E certo che erano Dei di Sanietracia. Digilized by Google 38 DELLE Antichità’ romane Mii'silo di Le$bo scrive ciò quasi con le parole medesi- me , toltone , che egli chiama Tirreni e non Pelasghi quegli uomini , di che dirò più sotto le cause. XV. Ascoltato 1’ oracolo non sapevano interpretarlo. Fra dubbj loro un più vecchio, raccogliendone i sensi, disse che erravano affatto , se credevano che gli Dei li punissero a torto : volere il diritto ed il giusto , che si desse loro la primizia di tutto : nondimeno aspettavano ancora parte della generazione degli uomini , cosa più che tutte ad essi accettissima: se avessero questa, l’ora- colo sarebbe adempito. Parve ad altri che costui parlasse rettamente ; ad altri che tendesse delle insidie. E pro- ponendo un tale che s’ interrogasse il Dio se gradiva che si facessero per lui le decime , ancora degli uomini ; inandarono i sacri vati per questo , e rispose che si fa- cessero. Quand’ecco sedizione fra loro sul modo di de- cimarsi : e prima surse a vicenda tra’ capi della città ; poi l’altra moltitudine prese i suoi magistrati io sospetto: nè già sollevavansi con regola alcuna, ma come per en- tusiasmo e per divino furore. Cosi molte case furono abbandonate, trasmigrandosi parte di essi, nè sostenendo gli attenenti di essere abbandonati dai loro carissimi , e restarsene tra i più crudi nemici. Primi questi levandosi dall’ Italia errarono per la Grecia, e molto tra’ barbari: quindi ancor altri incorsero ne’ mali medesimi , conti- nuandosi ogni anno la decima. Nè i magistrati la so- spendevano , ma sceglievano le primizie de’ giovani più robusti pe’Numi, quantunque nel proposito di soddisfare agli Dei , temessero i moti di chiusciva a sorte per vittima. Erano ancora non pochi espulsi dagli avversar) . 3^ per nimiclzia , lutto che sotto specie di oneste cagioni. Laonde spessissime furono la partenze ; e la gente Pe- lasga errò dispersa in più terre. XVI. Erano i Pelasghi , vivendo in mezzo a genti bellicose tra cure e pericoli , divenuti assai buoni nelle armi , e più ancora nella nautica per avere coabitato co’ Tirreni. La necessiti che ne’ stenti della vita ispira coraggio, fu loro maestra e direttrice in tutti i cimenti. Perciò non difUcilmente dovunque ne andavano vince- vano. Erano chiamati ad un tempo Pelasghi e Tirreni dagli altri uomini si pel nome delia regione donde par* ti vano , come in memoria della origine antica. Ora io dico ciò perchè alcuno udendoli chiamati Pelasghi e Tirreni da’ poeti e dagli storici , non meraviglisi come abbiano ambedue le denominazioni. Tucidide in Atte di Tracia fa menzione di loro e delle città che vi era* no , abitate da uomini bilingui : e questo è il dir suo su’ Pelasghi. Ivi sono de Calcidesi , ma i più sono Pelasghi , cioè que’ Tirreni che abilarono un tempo Lemno ed Atene. E Sofocle nel dramma suo dell’ I- naco fa questi versi detti dal coro : Inaco genitor, figlio de' fonti Bel padre Oceano, assai splendendo , reggi Le terre d’ Argo e di Giunone i colli E i Tirreni Pelasghi. Quindi il nome de’Tirreni risuonava in que’ tempi nella Grecia : e tutta la Italia occidentale lo assunse ancora per sé , lasciando i nomi speciali de’ suoi popoli. Oc- corse già pari vicenda nella Grecia e nella regione ora detta Peloponneso: giacché dagli Achei, che eran Tuno de* popoli che v’ abitavano, fu detta Acaja tutta la Pe« nisola ov’ erano gli Arcadj , c li Jonj , ed altre nazioni non poche. XVII. L' epoca nella quale cominciarono i Pelasghi a decadere fu quasi nella seconda generazione innanzi la guerra di Troja, e durarono, direi, dopo ancora di questa 6nchè si ridussero ad un gruppo di gente. E , salvo la città di Crotone , famosa nell’ Umbria , e tale altra, se pur v’ ebbe, data loro ad abitare dagli Abori- geni , perirono tutte le rimanenti de’ Pelasghi. Crotone serbò lungo tempo l’antica sua forma, ora non è molto, ha mutato nome ed abitatori , e divenuta colonia ro- mana, si chiama Cortona (i). Varj poi furono c molti che occuparono le sedi abbandonate da’ Pelasghi secondo che ciascuno vi confinava ; ma le migliori e le più si rimasero pe’ Tirreni. Quanto ai Tirreni v’ è chi li dice naturali d’ Italia e chi forestieri. E quei che li stimano propri della regione , affermano che si diè loro quel nome per gli edifizj sicuri , che essi i primi di quanti vi erano, si fabbricarono : imperocché le abitazioni con muri e con tetto son tirseis chiamate dai Tirreni come da’ Greci. Cosi pensano imposto loro quel nome per accidente come nell’ Asia ai MosinIcI dalle mosine che sono le case di legno abitate da essi , altissime in for- ma di torri. XVIII. Ma quelli che favoleggiano che i Tiireni sono stranieri , additano un tale, detto Tirreno, che fa (i) Ssronito altri Cotorni'n . 4 1 duce della colonia , e dal quale ebbe nome la nazione. Dicono che originario fosse di Lidia , chiamata già Meonia; e che da indi antichissimamente si trasmigrasse; e che egli fosse il quinto dopo di Giove. Imperocché narrano che da Giove e dalla terra nacque Mani , il primo a regnare in que’ luoghi : che da questo e da Calliroe. figlia dell’ Oceano nascesse Coti ; che da Coti sposatosi con Alle , figlia di Tulio , uomo paesano , germinassero due figli Adie ed Ati : che da Ati e da Callitea figliuola di Coreo sorgessero Lido e Tirreno : e che Lido rimastosi in que’ luoghi succedesse al regno paterno , e Lidia lo denominasse dal suo nome ; ma che Tirreno fattosi duce di una colonia occupò gran parte d’Italia, Tirreni chiamando il luogo, e quanti lo seguitarono. Erodoto però dice che Tirreno nacque da Ati figlio di Manco , e che P andarsene de’ Meonj nel- r Italia non fu volontario. Imperciocché narra che re- gnando Ati si mise la penuria tra Meonj : che gli uo- mini ritenuti dall’ amore della regione si argomentarono in più modi a vincer quel male , taluni di colla parsi- monia , e tal altri con 1’ astinenza : ma che prorogan- dosi la sciagura , tutto il popolo diviso in due , decise per le sorti chi dovesse di là trasmigrarsi , e chi rima- nere y e che perciò 1’ un figlio di Ati si stette , parten- dosi r altro : la moltitudine che pendeva da Lido trasse colle sorti il suo meglio , e si stette ; ma 1’ altra pi- gliando quanto le si dovea per le sorti in danaro , na- vigò verso r occidente d’ Italia , e postasi dove erano gli Umbri , vi fondò città che duravano ancora al suo tempo. Ben so che altri non pochi scrissero , ap- punto come io scrissi , della origine de’ Tirreni ; ma che altri ne variano il fondatore ed il tempo. Imperoc- ché dissero alcuni che Tirreno era figlio di Ercole e di Onfale Lidia : che venuto questo in Italia , espuke i Pelasghi dalle loro città , non però da tutte , ma da qnelle poste di là del Tevere su le parti boreali. Altri però ci fan vedere in Tirreno un figliuolo di Telefo venuto in Italia dopo la rovina di Troja. Zanto lidio perito quant’ altri mai delle storie antiche , e creduto nelle patrie non inferiore a niuno, nè mentova in parte alcuna de’ suoi scritti un tirreno signore de’ Lidj , nè conosce passaggio alcuno de’Meonj nella Italia, nè parla mai de’ Tirreni come di Lipia colonia, sebbene parlasse di cose ancora bassissime. Dice che Ati generò Lido e Toribo , che dividendosi il regno paterno si rimasero ambedue nell’ Asia , c che diedero il nome loro a’ po- poli su’ quali comandavano. Imperocché scrive: da Lido si fecero i Lidj , e da Toriho i Toribi 5 poco d’ am- bedue differisce l’ idioma , e gii uni , come li Jonj e li Doriesi , usano a vicenda le parole degli altri : Ellanico di Lesbo dice che i Tirreni chiamati già Pelasghi as- sunsero il nome che or hanno , quando abitarono la Italia ; imperocché nel suo Foronide (i) scrive , da Pelasgo re loro , e da Menippe figliuola di Peneo nacque Fraslore , da questo surse Amintore , che diede Teutamide , e da Teutamide ebbesi Nanas j regnando il quale i Pelasghi , profughi dalla Grecia (1) Opaieolo di Ellaaieo; ne fa meniione Ateneo nel lib. 9. . 4^ lasciarono le navi dove il fiume Spineto esce nel mare Ionio (i), ed invasero entro terra la città di Crotone; e di là movendosi fondarono quella che Tirrenia ora si chiama. Mirsilo sponendo come Ellauico le altre co- se , dice tuttavia che i Tirreni quando erravano profu- ghi dalla patria , furono detti Pelasghi per certa somi- glianza loro con le cicogne, pelarghi chiamate; giacché passavano in truppa per le terre de’ Greci e de’ barbari: aggiunge che essi alzarono il muro detto Pelargico in- torno la rocca di Atene. XX. A me però sembra che s’ ingannino quanti si persuasero che i Tirreni e i Pelasghi non sieno che una gente ; perciocché non è meraviglia che alcuni ab- bian talvolta il nome di altri , mentre in pari vicenda incorsero ancora altri popoli greci o barbari come i Trojani ed i F rigi , perchè prossimi di regione. Eppure molti fanno di questi due popoli Un solo, quasi distinti di nomi, non di lignaggio. I popoli poi d’Italia, nom« meno che quei d’altri luoghi , furono confusi ne’ nomi. E v’ ebbe un tempo quando Latini , Umbri , Ausoni , e molti altri si chiamavano Tirreni da’ Greci ; riuscendo ogni ricerca di questi men chiara per la lontananza di que’ popoli : anzi molti degli scrittori pigliarono Roma ancora per città de’ Tirreni. Io dunque penso che que- ste genti mutassero il nome , variandosi fino il vivere : non penso però che una fosse la origine di ambedue , per molte cagioni , e più per le voci loro non simili , (i) Qui si estende il nome di ionio all’interno dell’ Adriatico. Spesso gli storici antichi cosi praticarono contro 1’ uso de’ geografi che distinguono 1’ uno dall’ altro mare. ma diversissime. Imperciocché nè li Crotoniati (i) come scrive Erodoto , nè li Piaciani ne’ proprj luoghi parlan la lingua dei circonvicini ; ma una ne parlano tutta lor propria; donde è manifesto che serbano i caratteri del- r idioma che aveano quando in que’ luoghi si traslata- rono. Meraviglisi poscia chi può che li Crotonlati somi- glino nell’ idioma al Piaciani , popoli ne’ lidi dell’ Elle- sponto , nè somiglino intanto a’ vicini Tirreni. Erano que’ primi ambedue Pelasghl ne’ principj loro : e se la unità di origine prendesi per causa della uniformità nei linguaggi ; dunque la differenza di origine è pur causa del divario di essi ; non dando un principio medesimo contrarj gli effetti. Certamente , se avvenga , ben è ra- gionevole quello , cioè che uomini di una gente mede- sima domiciliatisi lontani fra loro non conservino i ca- ratteri de’ proprj idiomi per lo conversar col vicini; ma che poi negl’idiomi non somiglino popoli di una origine istessa , e d’ istesse contrade, ciò non è ragionevole per ninna maniera. XXI. Seguendo tali indizj convincomi che differi- scono i Pelasghi dai Tirreni ; nè credo i Tireeni un tralcio de’ Lidj ; perocché nè parlano la lingua mede- sima , nè può dirsi che se non la parlano , ritengono almeno alcuni vestigi della teiTa materna , nè tengono per IdJj que’ che da’ Lidj si tengono ; nè li somigliano per leggi o per abitudini , ma in ciò dai Lidj si diver- sificano più , che da’ Pelasghi. Pertanto sembrano più verisimili quelli , che dicono un tal popolo , naturale ( I ) Cortoncsi . Digilized by Google LIBRO I. 4^ della contrada , non venutovi altronde : pérciocchè si rinviene antico in tutto ; nè simile ad altri nel parlare , o nel vivere : e niente ripugna che avesse un tal nome da’Greci o per le abitazioni fortissime (i) o per l’uomo ancora che li dominava. Ma i Romani con altri nomi li chiamano Etruschi dalla Etruria , regione dove un tempo abitarono : ed ora li dicono Toschi men pro- priamente , avendoli come i Greci , nominali prima con più verità Tioscovi per lo magistero nelle cerimonie del culto divino, nelle quali sorpassano lutti, Que’ po- poli inoltre distinguono sè stessi dal nome di Rasenna r uno già de’ loro comandanti. Sarà poi dichiarato in altro libro quali città fossero abitate dai Tirreni e con / quali forme di governo , quanta fosse di tutti insieme la potenza , e quali , se pur degne ne ebbero di ricor- danza , le azioni ne fossero , e le vicende. 1 Pelasghi che non perirono , nè si disgiunsero per fare colonie , si rimasero, pochi di molti, con gli Aborigeni , sotto le leggi de’ luoghi ne’ quali si lasciavano , e ne’ quali col volger degli anui i posteri loro fondarono Roma. E tali sono le novelle intorno de’ Pelasghi. XXII. Dopo non molto tempo , nell’ anno , al più , sessantesimo come narrano i Romani , prima della guerra trojana , capitò ne’ luoghi medesimi un’ altra spedizione di Greci la quale abbandonava il Pallanteo , città del- r Arcadia. Il duce erane Evandro , figlio di Mercurio , e di una ninfa , abitatrice di Arcadia. I Greci la ten- gono per ispirata da’ Numi , e la chiamano Temide ; (i) Tirseis delle di *opa J xvii. ma Carmeiita è delta nella patria lingua da’ romani che scrissero le antichità di Roma: perocché la ninfa avrebbesi a dir propriamente Tespi-ode con greca pa- rola : ma le odi chiamansi carmi da’ Romani , e quindi è Carmenta : si consente poi che tal donna presa dallo spirito divino presagisse , cantandole , le cose avvenire ai popoli. Non venne quella spedizione di comun senti- mento; ma nata sedizione del popolo, la parte inferiore, di voler suo si spatriò. Dominava di que’ tempi su gli Aborigeni Fauno, un discendente come dicono di Marte, uomo di azione e di prudenza , e riverito da’ Romani con sagrifìzj e con inni come un genio del loco. Ricevè' costui con assai benevolenza gli Arcadi che erano po- chi , e diede loro della sua terra , quanta ne vollero ; ed essi , come Temide gli avea , vaticinando , ammae- strati , presero un colle poco lontano dal Tevere , il quale ora è nel mezzo di Roma , e tanto vi fabbrica- rono , che bastasse alle genti venute con le due navi dalla Grecia. Era questo il principio segnato dai. destini per formare col volger degli anni una città , non pareg- giala mai da greca o barbara città per grandezza di abitazioni, di comando, e di ogni bene, e certamente memorabile soprattutto finché dureranno i mortali. Pal- lanteo chiamarono quel fabbricato come la metropoli loro in Arcadia: ora Palagio è detto da’ Romani per la confusione che inducono i tempi ; e ciò diede a molti la occasione di stolte etimologie. XXIIl. Dicono molti , e tra questi Polibio di Me- galopoli , che quel nome viene da Pallante, un giovi- netto ivi morto , nato da Ercole e da Cauna la 6glia Digitized by Google LIBRO I. 4? di Evandro: perchè facendogli questo avolo materno in quel colle un sepolcro , chiamò ' Pallanteo , quel luogo dal giovinetto. Io nè mirai in Roma la tomba di Fal- lante , nè conobbi che vi si praticassero funebri onori , nè potei conoscere nulla di slmile : quantunque la fami- glia di lui non sia dimenticata , nè priva del culto col quale i semidei sono venerali dagli uomini. Perocché vidi che i Romani faceano gelosamente ogni anno pub- blici sacriGzj ad Evandro e a Carmenta, come agli altri genj ed eroi : e vidi gli altari dedicali a Carmenta appiè del Campidoglio presso la porta carmentale , e quelli dedicali ad Evandro appiè dell’ altro colle detto Aven- tino , non lungi dalla porta trigemina ; nè vidi intanto cosa ninna di queste latta inverso Fallante. Gli Arcadi i quali coabitavano appiè del colle, eressero pure altri monumenti nelle forme della patria , e santi riti v’ isti- tuirono ; ma per ispirazione di Temide, innanzi lutti a Pane Liceo , Nume il più antico e più riverito tra quelli di Arcadia , in sito idoneo , che i Romani chiamano Lupercale , e noi diremmo Liceo. Ora empiuto essen- dosi di abitazioni il suolo intorno ; non è facile rintrac- ciarne la natura del luogo. Era questo , come dicono , appiè del colle, una spelonca, vetusta , grande, coperta da una querce, ramosa qual bosco : profonde bulicavano le fonti abbasso delle pietre ; e lo spazio appresso ai dirupi era opaco per arbori , altissime e folte. Qui col- locando un altare a quel Nume compierono il patrio sagriGzio , che i Romani , non mutando cosa alcuna delle antiche allora fatte, ripetono ancora di presente dopo il solstizio d’ inverno nel mese di febbrajo. La maniera del sagrìGzio sarà detta più innanzi. Ergendo poi su le cime del colle un tempio alla Vittoria, stabi- lirono in questo ancora annui sagriGzj che i Romani tributano ancora. XXIV. Gli Arcadi favoleggiano che questa sia figlia di Fallante generata da Licaone : e Minerva , fece , che ricevesse da’ mortali gli onori che le si rendono ; impe- rocché fu essa educata colla Dea , giacché la Dea nata appena fu consegnata da Giove a Fallante, e presso lui fu nudrita finché ascese alle stelle. Fondaronoancora un tempio a Cerere ed il sagrifizio, che faceano le donne ma non usate al vino , com' era la pratica de' Greci : nel che 1’ andare del tempo non ha cagionato muta- zioni , fino a miei giorni. E Nettuno Ippio ebbe pure il suo tempio e le feste , dette Ippocratie da’ Greci , ma ConsucUi da' Romani: e Roma in esse libera per uso dal travaglio cavalli e muli, e ne incorona le teste di fiori. Consecraronu similmente altri tempj , altri al- tari, altri simulacri, costituendo purificazioni e sacri- fici , ritenuti ancora ne’ modi medesimi. Né già sarei meravigliato se alcune di queste cose neglette , come antiche troppo , non avessero più ricordanza tra’ po- steri : nondimeno le consuetudini presenti danno ancora assai da congetturare su’ riti arcadici d’ allora , de’ quali diremo altrove più pienamente. Dicesi che gli Arcadi recassero i primi nella Italia 1’ uso delle lettere greche, note ad essi da poco , e la musica della lira , della ti- bia e del trigono , non sonandosi ivi altri armonici stromenti che le sampogne de’ pastori : e dicesi che vi introducessero le leggi , vi raddolcissero le maniere del vivere , 6ere in gran parte , e che vi diflondessero le arti , e le istruzioni , ed altre utili cose in gran nume* ro« onde assai ne furono rispettati dagli ospiti. Questa greca moltitudine , seuouda dopo i Pelasghi , giunta nella Italia ebbe comune 1’ abitazione con gli Aborigeni in uno de’ bonissimi luoghi di Roma. XXV. Pochi anni dopo degli Arcadi vennero nella Italia altri Greci, guidati da Ercole il quale avea do- mato la Spagna , e le parti , fiu dove il sole tramonta. Alcuni di loro , implorato da Ercole il congedo dalla milizia , si fermarono in questi luoghi ; e trovando un colle opportuno , lontano al più tre sladj dal Pallanteo, vi si accasarono : chiamalo alloca Saturnio , o Crònio come i greci direbbono , ora si chiama Capitolino. Erano quei che rimasero per la più parte del Pelopon- neso , io dico i F enueati , e gli Epei della EUide , di- samorati di viaggiare in verso la patria, perchè deva- stata nella guerra con Ercole. Mescolavansi ad essi al- cuni de’ Trojani &tti prigionieri quando Èrcole prese già Troja , regnandovi Laomedonte. E pormi che in quei luogo si annidassero ancora tutti di quell’esercito , quanti o stanchi dalla fatica , o dal rigirarsi ottennero levarsi dalla milizia. Alcuni , come ho detto , stimano antico il nome del colle ; tanto che gli Epei gli si affezionarono nommeno in memoria del colle , Gronio chiamato nella Elide in su le terre di Pisa lungo le rive dell’ Alfeo. Gii Elicsi riputando quel poggio loro sacro a Saturno vi si adunano in fìssi tempi, e l’onorano con sacriGzj e con altro colto. Nondimeno Eusseno , ed altri mitologi VIOlfJGT , tomo I. i 5o nr.Italiani pensano che i Pisani per la simiglianza del Cro- mo loro dessero il nome anche all’ altro : che gli Epei con Ercole erigessero a Saturno l’ altare che trovasi alle falde del colle presso la via che mena dal Foro al Campidoglio : e che essi istituissero il sagriCzio che i Romani v’ immolano ancora con greche cerimonie. Ma io , paragonando , trovo » che prima della venuta di Ercole nella Italia quel luogo era sacro a Saturno , e Saturnio chiamavasi da’ terrazzani : e che tutta 1’ altra regione, che ora dimandasi Italia, era dedicata ancor essa a quel Nume, e Saturnia nominavasi dagli abitanti, come trovasi detto nelle risposte date dalle sibille o da altri Iddii. Eid in molti luoghi di questa sonovi de’tempj alzati a quel Nume , ed alcune città da lui si denomi- nano , come allora tutta la Italia: e portano ancora il nome del Dio molti luoghi, singolarmente i monti e le rupi. XXVL Col volger degli anni fu detta Italia per un uom potentissimo , Italo nominato. Antioco di Siracusa lo dipinge per uomo destro e filosofo , il quale convin- cendo molti popoli col dire e molti colla forza, ridusse in poter suo quanto v’ è tra ’l golfo Napitino (i) e quello di Scilla : e quel tratto fu il primo che Italia da Italo si dicesse. Dopo ciò scrive che divenuto più forte, fece che molti altri gli ubbidissero; perocché mise il cuore su’confinanti , e ne prese molte città: e scrive finalmente eh’ egli era Qenotro di nazione. Ella- (l) Cluverio in tini. Aniiq. I. IV crede die deliba Irgf’ersi La- me/in* in Tece di IVrpitino. Filoguno k di parere die Lamet città di Lucania desse nome a questo golfo. Digitized by Google MBRO J. !) I iiko di Lesbo narra die Ercole coiiJucevasi i bovi di Gerione alia volta di Argo , ma che essendo già nell' I- talia il tenero figlio di una vacca spiccossegli dall’ ar- mento , e profugo vi errò da per tutto ; finché solcalo il mare interpostp giunse nella Sicilia : che cercando Ercole quell’ animale , e chiedendo ovunque capitava , se alcuno lo avesse veduto de’ paesani , siccome poco intendevano il greco , e da’ segni lo chiamavano come aneli’ oggi si chiama nella patria lingua vitello ; cosi Vilalia chiamò tutta la regione da questo percorsa. Non è poi meraviglia che uu tal nome si tramutasse com' è di presente ; mentre tanti greci nomi eziandio subirono pari vicende. Ma , sia che prendesse quel no- me , come dice Antioco, dal condottiero, il che forse è più probabile , sia ebe dal vitello come pensa Ella- nico ; raccogliesi da ambedue che lo prese intorno ai tempi di Ercole , o poco prima ; essendo chiamala iu- nanzi Esperia ed Ausonia dai Greci , e Saturnia da [laesani , come di sopra fu detto. XXVII. Coutasi ancora tra qne’ popoli la novella ebe innanzi al principato di Giove ivi Saturno regnasse: e che tra loro più che altrove si avesse quella vita sì famosa , beata per tutti i beni , quanti le stagioni ne apportano. Ma se alcuno risecando ciocch’è di favoloso nel discorso , vaglia Intenderne la bontà di quella gioite , dalla quale il genere umano , sorto di recente dalla terra , come è vecchia fama , o d’ altronde , ne raccolse vantaggi moitissiini , e giocondissimi ; non tro- verà [>cr tal fine suolo pili acconcio di questo. Iiiipe- rocciiè se paragonisi una terra con altra di eguale gran- àezza , T Italia pei* mio giudizio è la migliore neU' Eu- ropa, e dovunque. Non ignoro clie io sembrerò dir cose incredibili a molti, i quali risguardano l’Egitto, la Li- bia , e Babilonia , e quante altre vi sono beate contrade: ma io non pongo la ricchezza della terra in una specie sola di prodotti , nè invidierei di abitare dove pingui sono le campagne , nè vi si scorge altro bene se non tenuissimo: ma quella regione chiamo la migliore la ^ale sia bastantissima a sé Stessa, e che meno abbisogni deir altrui. Sono poi persuaso che la Italia paragonata con altra qualunque, appunto sia la terra datrice di ogni frutto , e di ogni utile* XXVIII. E certamente, se comprende campagne fe- lici e molte , non perchè madre è di messi , è men propizia per gli arbori : e se vale assai per ogni genere di alberi, non perchè tale, è poco ubertosa^ nel semi- narvi: o s’ è bonissima per ambedue questi usi, non per questo è men propria pe’ bestiami : nè perchè varia si dimostri ne’ prodotti e ne’ pascoli è disamena poi se vi si abita. Ma direi che di ogni agio soprabbonda e di ogni diletto. E qual terra mai frumentaria vince le terre dette della Campania, bagnate dalle acque non de’fiumi, ma del cielo f Io vi contemplai campagne che davano tre raccolte nudrendo dopo i semi del verno , quelli per la state , e dopo gli estivi , gli altri in 6ne per 1' autunno. Quale coltivazione supera in olio quella dei Messapj , de’ Daunj , de’ Sabini e di altri? Qual mai suolo con vigne sorp rende più che il Tirreno, l’Albano e il Falerno 7 il quale ama così le viti, che ne porge col tnen di lavoro amplissimi frutti e bonissimi. Ma oltre le terre che si lavorano, ivi molte pur se ue tro- vano, riservate per le capre e per le pecore ; ma più mirabili ancora sono quelle da pascervi le mandre dei cavalli e de’ bovi: imperocché soprabbondandovi l’erba palustre c dei prati , e riuscendovi fresca e rugiadosa nelle parti che si coltivano , dan pascoli senza limite in tutta l’estate , e mantengono in fiore gli armenti. Qual dolce spettacolo ivi sono le selve per balze , per valli , per colli non culti , e di qnale e quanto niateriale per le navi e per altre operazioni ì Nè già cosa alcuna di queste è dilTìcile ad ottenerla , nè rimota dall’uso degli ^ uomic» : ma tutte sono pianissime, e tutte facili a tras- mettersi per la moltitudine de’ fiumi , i quali scorrono tutta la regione : e li quali con utile vi agevolano i tra- sporti e le permute dei prodotti della terra. Vi si tro- vano ancora in più luoghi delie acque calde , propriis- sime a’ bagni , e bonissime per le cure di mali diu- turni. E metalli vi sono d‘ ogni genere , e cacce d’ani- mali in copia , e mari fecondissimi , come pure altre cose moltissime ; e più utili e più meravigliose. Benis- simo soprattutto ne è 1’ aere per la dolce sua temperie secondo le stagioni, e poco opponesi con calori o freddi eccessivi al formarsi de’ fratti , ed al vivere degli animali. XXIX. Non è dunque da meravigliarsi che gli an- tichi prendessero quella terra per sacra a Crono , o Saturno; concependo che questo Dio vi fornisse , e sa- ziasse i mortali d’ogni bene. Ma sia che chiamisi Crono come da’ Greci, sia che Saturno (i) come da’Romaui; (i) Stefano r fiasaubono credono ebr qui fosse nel testo K«^ac Digilìzed by Google ìy!^ dkt.i.t; Antichità’ koma^e •omprenJeitilo ciascuno di essi la natura tutta delle cose ; tu lo nomina come più vuoi. Nemmeno è da meravigliarsi cbe contemplando in quella ogni abbon- danza e delizia , commoventissime cose , ne credessero ogni luogo più acconcio , degno degli Dei , com' era de’ mortali ; e li monti e le selve si ascrivessero a Pane, i prati e floridi luoghi alle ninfe , e le rive e le isole ai geuj marini , ed ogni altra parte ad un genio o a un Dio , come più couvenivagli. È fama che gli antichi im- molassero a Crono umane vittime , come in Cartagine , ^ mentre esistè , come tra’ Celti , e come in mezzo di altri occidentali ; e che Ercole volendo precludere U barbarie di quel sacrificio, innalzasse l’ altare nel colle Saturnio, e facesse che vittime pure vi si ardessero con puro fuoco. E perchè que' popoli non sen corucciassero quasi spregiasse i patrj sacrifizj, è fama die gli ammo- nisse a placare l’ira di quel Nume; e piuttosto che gli uomini gettare nel Tevere legati nelle mani e ne’piedi , a gettarvi i simulacri loro , vestiti appunto com’ essi. Egli serbava una immagine degli antichi costumi , per- chè si sterpasse alfine, quanta superstizione, ' restava an- cora ne’ cuori. Conservavano i Romani tal pratica ancor ucl mio tempo , rlnovandola poco appresso all’equinozio di primavera nel mese di maggio nelle idi che chia- mano, le quali vogliono che ricorrano il giorno aj>- punto , cbe è il ipezzo del mese della luna (i). In questo il che «linde > «azieti , e bcDÌssiraa corrisponde alla pa- rola Ialina di Saturno i e perh di sopra abbiamo usala il verbo sa- ziata. Crono poi non h che il tempo ; cd il tempo lutto prepara , a di tallo ioruiicc ^li iiooiini col suo corso. (i) 1 fiamapi «Inp» \nraa regolavano l’anuo sul corsa delia Urna, . DD i ponteGci , vale a dire i primi tra’ sacerdoti , come le vérgini , custodi del fuoco inestinguibile , i pretori , e gli altri che esser possono all’ opera santa , dopo avere com- piuti secondo la legge il sagriGzio , gettano del ponte sublicio nel Tevere, trenta simulacri in forma umana Argei (i) nominati. Ma de’ sagriGzj e delle altre divine cerimonie^di Roma , nazionali o greche di maniere , diremo in altro libro ; richiedendo ora il subjetto che più riposatamente seguitiamo Ercole nella sua venuta in Italia, nè trasandiamo cosa da lui fattavi, degna di lode. ! XXX. E su questo Dio diconsi delle cose , quali più vere e quali più favolose : e cosi stanno le favolose. Ercole , oltre gli altri travagli , comandato da Eurisleo di condurgli da Eritea li bon di Gerione in Argo , tornando dalla impresa in sua casa , venne in molte parti d’ Italia e della terra degli Aborigeni, prossima ai Pallanteo. E trovandovi copioso e buon pascolo , vi addusse i bovi, ed egli, quasi stanco dalle fatiche, die* desi al sonno. Intanto un ladro paesano, Caco di nome, capitò tra’ bovi , pascolanti senza custòde , e se ne in-' vaghi. Ben conobbe che Ercole si riposava ; ma vide che> nè puteali tutti involare occultamente , nè facile ne sarebbe la impresa. Quindi ne ascose pochi solamente ed il principio della nuora luna era principio insieme del nnoT» mete. Di qui nasce che faceano combinare te idi di maggia c«l plenilunio o col mezzo del mese lunare. (i) Queste figure erauo di giuoco: si chiamavano Argei, qnsai rappreseiilasscro tanti Argivi che si slarmioavann come nemici degli Arcadi. nell’ antro vicino , dov’ egli vivea , traendoveli via via retrogradi per la coda , perché vedendovisi le pedate contrarie all’ ingresso , potesse render vano ogni argo- mento sa di essi. Ma levatosi Ercole poco appresso , e numerati i suoi bovi ; come vide che ne mancavano , dubitò su le prime, ove fossero andati , e li cercò mano a a mano come erranti da’pascoli. Nè raggiungendoli ancora ; venne alla spelonca sebbene sconsigliatovi dalle pedate , niente meno pensando , quanto che ivi ne ritroverebbe il covile. Standone Caco dinanzi l’entrata, e richie- stone , dicendo non averle vedute , nè volere che ivi più si cercassero ; anzi convocando clamorosamente i vicini , quasi patisse violenza dal forestiero ; Ercole , dubbioso in prima come istrigarsela , prende in fine a ' dirigere all’ antro ancor gli altri bovi. Ma non sì tosto quegli da entro sentirono la nota voce e 1’ odore , la- sciarono verso gli altri di fnora un muggito , e fu quel muggito r accusatore del furto. Caco, vedutosi reo ma- nifestamente , ricone alla forza convocando tutti i suoi compastori. Ecco Alcide investirlo colla clava , ed ucci- derlo e sprigionarne i suoi bovi: poi vedendo, com’era la spelonca un refugio opportuno pe’ rubatori, la dirupò. Quindi, parificatosi con Tonde del fiume dalla strage, inalzò presso quel luogo a Giove ritrovatore un altare , ora visibile in Roma nella porta trigemina ; sacrifican- dovi un vitello al Nume onde ringraziarlo su’ bovi ricu-, perati. Roma porge ancora quel sacrificio, tutto con greci riti , come Ercole lo istituì. XXXI. Gli Aborigeni e quegli Arcadi che abitavano il Pallanteo come seppero della morte di Caco , c mirarono Èrcole , nemici già del primo per le rapine, siu> pirano all’ aspetto del secondo , credendo non so che divino in lui per la grande avventura sua nella vittoria. I poveri tra loro spiccando ramnscelli di alloro , copioso in que’luoghi , ne coronarono Ercole e sè stessi ; ed accorrendo i loro monarchi lo invitarono ad ospizio. Come poi dal dir suo ne conobbero il nome , il lignag- gio , e le imprese ; prolferivano a lui per benevolenza il i-egno e sé stessi. Ed Evandro che anticamente udito avea da Temide stessa, volere il destino che Erctde, il figlio di Giove e di Alcmena, cambiasse per la virtù la natura mortale colla immortale , appena ravvisò chi egli fosse, ansioso di prevenire tutti e di rendersi propizio l’eroe con gli onori de’ Numi, alzò di repente con assai cura un alure , sacrificandogli dove l' oracolo avea già significato, un giovenco, intatto ancora di giogo, e supplicandolo a ricevere da lui le primizie di un culto. Meravigliatosi Ercole delle accoglienze , tenne il popolo a convito, immolando parte de* bovi , e separando per ciò le decime delle altre prede : poi donò a quei re che assai Io bramavano , molte delle terre de’ Liguri ^ e di altri confinanti , cacciando da esse alquanti ribaldi. Dicesi ancora che egli fe’ la ricerca , giacché i primi de’ paesani lo tenevano per un’ Iddio , che gli perpe- tuassero quegli onori , sagrificandogli ciascun anno un giovenco non domo, e santificandone l’azione con gre- che cerimonie : e dicesi che insegnasse queste a due famiglie le più riguardevoli perchè vittime in tutto ac- cette gli si offerissero: essere poi quelle de’Potizj e dei Pinarj , le famiglie allora istruite del greco rito , e le loro generaziout aver lungo tempo continuata la cam de’ sagriiìzj , come v’ erano da colui depuute : talché i Potizj erano i capi nella santa operazione , ed aveano le primizie al bruciarsi delle vittime; laddove i Pinarj non ammetteansi a parte delle viscere , e teneano sem- pre i secondi onori nelle cose comuni ad ambedue. E cagione a questi della onorificenza minore fu la tardanza loro nel presentarsi; giacché comandati di venire sul far del mattino , giunsero essendo già consumate le viscere. Ora r incarico del santo ministero non è più de’ posteri loro: ma di servi comperali dal pubblico. Dirò poi nel suo luogo le cause per le quali il costume fu varialo , e le significazioni del Dio quando i santi ministri si permutarono (i). L’ara ov’ Ercole offerì le sue decime, chiamasi Massima da’ Romani , e trovasi presso al foro detto boario , veneratissima , quanto altra mai , da’ pae- sani : imperocché su questa fa patti e giuramenti chiun- que vuole stabilità negli accordi ; e su questa si offrono spesso ancora le decime a compimento de’ voti. Nondi- meno un tale altare nelle fattezze è minore della sua gloria. Vi ha de’ tempj di questo Nume altrove ancora in più luoghi d’ Italia ; e gli'altari ne sono per le città e per le strade: e diffìcilmente trovcrebbesi una popo- lazione che non lo adorasse. E questo ci tramandan le favole intorno di Ercole. (i) Il testo ove DioDÌp spiegava tali cose è perito. Potrà veder- seue ciocché ne scrive Livio oel libro nouo. Egli dice occorsa la mutaiioDc quando Appio Claudio esercitava le funxinni di censore. Allora in un anno perirono dei Potizj trenta tnaschj abili a rinovaro le famiglie , a cosi la stirpe virile corse al suo termine. Ma il più vero è quest’ altro : e molti die scrissero le imprese di lui , cosi nella storia lo delinca- rono. Ercole divenuto potentissimo in arme tra tutti dei suo tempo, e postosi con esercito numeroso scorse tutta la terra cinta dall’ Oceano , levando , se ce ne aveano , qualunque tirannide, grave e molesta ai sudditi, e qua- lunque impero di città contumelioso e nocevole agli altri vicini colla condotta dura e colle uccisioni ingiuste degli ospiti , e stabilendo monarchi onesti , governi savj , c costumi socievoli ed umani. Scorse ancora tra’ Greci e tra’barbari, neirinterno de’ mari e delle terre, in mezzo popoli infidi , intrattabili : fondò città .su luoghi deserti, diresse fiumi che inondavano i campi, aprì vie su monti impraticabili , e mille cose fece onde i mari tutti e le terre si comunicassero ogni vantaggio. Giunse finalmente in Italia ma non già solo , nè con mandre di bovi ; perocché non è questa regione in senti«‘o per chi viene dalle Spagne in Argo , nè conseguito ci avrebbe tanti onori per causa di un passaggio. Egli vi giungea dalle Spagne conquistate, ma con esercito amplissimo per sot- toporsela , e dominarvi. Se non che fu costretto a con- sumarvi gran tempo, e perchè lontana era la sua fiotta, stanti le bnrrasche ree dell’ inverno , e perchè le genti d’ Italia , non tutte spontanee gli si abbassavano. E per non dire di altri barbari , i Liguri , popolo numeroso e guerriero, posto ne’ passi delle Alpi, tentarono d’impe- dirgli colle arme 1’ ingresso nella Italia , e là s’ ebbero i Greci battaglia fierissima , esaurendovi tutti gli strali. Eschilo , poeta antichissimo , menziona questa battaglia nel suo Prometeo disciolto (i). Ivi inducesi Prometeo (he presagisce ad Ercole non che le altre vicende , quelle che gli sovrastavano nella spedizione contro di Gerione , e nella guerra co’ Liguri , certamente non fo- cile : e questi ne sono li versi : À fronte là de" Liguri starai. Imperterrita gente : onta e rammarco Non ti fa guerreggiarli , e per destino , Pugnanda , ti vedrai mancar gli strali. XXXIII. Ma poiché , vincendo , s’ impadronì di quei passi ; alcuni , specialmente se greci di origine , o non valevoli a resistere , sottomisero volontai^' le loro città ; ma i più vi furono astretti con le arme e con gli as- sedj. Quanto ai vinti in battaglia, dicesi che Caco, quel si noto per le favole de’ Romani , barbaro principe di barbara gente , gli si opponesse perchè dominava luoghi assai forti , il che lo rendeva molesto ancora ai vicini. Costui poiché seppe che Ercole si accampava ne’ piani contigui apparecchiatosi all’ uso de’ ladroni , appari con subita scorreria su 1' esercito di lui che dormiva , e ne involò le prede , quante ne erano senza guardia. i Ma rinchiuso poscia per assedio da’ Greci che ne espugnavano le fortezze , finalmente anch’ egli soggiacque , e nel mezzo de’ suoi baluardi. 1 suoi castelli furono rovesciati; ed i compagni di Ercole , Evandro con gli Arcadi , . c Fauno con gli Aborigeni suoi pigliarono ciascuno per (i) Eboliìlo sdisse il suo Proiueleo ignìfera, il suo Promeleo legato, ed il Prometeo seioUo. Strabono nel lib. i , Ateneo nel 14 liarlarono dell’ ultimo. Il secondo ci resta ancora.  I.' 6l 9Ò parte delle terre del vinto. Ma ben può taluno im- magnare che i Greci rimasti in quella regione furono gli Epei , e gli Arcadi originar) della città di Feneo , e li Trojani, lasciativi a presidiarla. Perocché tra le arti imperiali di Ercole fu pur quella nommeno sorprendente che le altre , di sospingere tra le sue milizie uomini divelti a forza dalle città conquistate , e di metterli al- fine , se animosi combattessero , ad abitare le terre in- vase , arricchendoli dell’ altrui. Per tali cagioni , e non per II viaggio che niente area di rispettabile , il nome e la fama di Ercole divenne grandissima nell’ Italia. XXXIV. Aggiungono alcuni, che ne’ luoghi ora abi- tati ^a’Komani egli vi lasciasse due suoi figliuoli gen^ retigli da due donne. Pallente era 1’ uno natogli da Launa (i) la figlia di Evandro: Latino è l’altro, natogli da una donzella boreale. Egli la conduceva seco dataci dal padre in ostaggio , e custodivaia finché candida si maritasse ; navigando però verso 1’ Italia ne fu vinto dall’ amore , e la fecondò. Ma essendo egli ornai per tornarsene in Argo concedè che si restasse sposa di F anno , re degli Aborigeni ; e per tale cagione molti tengono Latino per figlio di Fauno , e non di Elrcole. Narrano che PaUante morisse nel fiore primo degli anni: ma che Latino , adulto fatto , succedesse al comando degli Aborigeni : e che venuto lui meno senza stirpe virile , il regno , per la battaglia co’Rutòli confinanti , restasse al figlio di Anchise , vale a dire ad Enea, che (i) Quesu nel S Zini, precedeatemente è chiamata Canna, ed ora « chiama Launa. Forse non k che la tanto nota Lavinia detta da Greci Launa, Labina, Laiinia , o Laouinia.  iliveuae suo genero'; ma queste cose accaddero in altro tempo. XXXV. Ercole , ordinate come volea , le cose tutte d’Italia, e giuntagli la flotta, salva dalle Spagne, ofTerl con sagrifizio agl’ Iddii le dècime delle sue prede, e là , dove alloggiavasi la milizia navale , eresse una piccola città , dandole il nome di sè stesso (i) , la quale ora albergaci Romani, e giace tra Pompeiano e tra Napoli con porto sicurissimo per ogni tempo. Cosi divenuto tra gl’ Italiani simile ad un Dio per gloria , per emu> lazione , per onori , fece vela per la Sicilia. Gli uomini lasciali custodi ed abitatori dell’ Italia , là , d’ intorno al colle di Saturno , si ressero un tempo da sè stessi : ma non molto dopo compartendo i proprj costumi, le leggi, i santi riti agii Aborigeni , come già fecero gli Arcadi, e prima i Pelasgbi , divennero coudttadini degli Abo- rigeni , talché sembrarono in (ine una gente medesima. E questo sia dettò su la spedizione di Ercole nella Ita- lia , e su quei del Peloponneso che vi restarono. Nella seconda generazione dopo la partenza di Ercole , nel- r anno cinquautesimoquinto al più regnava su gli Abo- rigeni ornai da trentacinque anni Latino il Aglio di Fauno il discendente di quel magnanimo. XXXVI. In quel tempo i Trojani fuggendo con Enea da Ilio già debellata approdarono a Laurento , .spiaggia degli Aborigeni in sul mare Tirreno non lon- tano dalle bocche del Tevere. Ed avendo da’ paesani'uu luogo per abitarvi, c quanto chiedevano, alzarono poco (i) (^uMia citi à di Ercole, si crede dorè ora è la torre del Grt-cu nel gulfe di lungi dal mare in un colie uqa città cui chiamarono Lavinia. Ma da indi ’ a non molto , cedendo 1’ antico nome , ebbero quello di Latini dal re di que’ luoghi ; e levandosi da Lavinia insieme co’ terrazzani fondarono una città più grande, Alba denominata. Donde uscendo di tempo io tempo fabbricarono molte e molte delle città de’vecchj Latini, abitate in grandissima parte ancor di presente. Sedici generazioni 'dopo la presa di Troja spedirono- una colonia nel Pallanteo , e nella Saturnia , dove già fabbricato avcano i Pelopounesj e gli Arcadi , e dove erano pur le reliquie di essi, e fecero che vi ^ abitasse. Allora cinto di mura il Pallanteo prese la prima volta la forma di una città. Allora ebbe il nome di Ro- ma dal duce della colonia , io dico da Romolo , dicias- settesimo tra’ posteri di Enea. Ma , perciocché gli scrit- tori , parte ignorano, e parte ricordano variamente quanto è della venuta di Enea nella Italia , non io vo' trattarne come di fuga , ma prendendo ciò dalle storie , almeno più accreditate de’ Greci e de’ Romani. Ora tali sono le cose narrate su quell’ argomento. XXXVII. Espugnato ilio da’ Greci .sia per l’ inganno del cavallo di legno , come è presso di Omero , sia pel tradimento degli Aulcnoridi , o per altra maniera , perirono in città la popolazione , e gli alleati , sorpresi ancora nelle camere loro ; sembrando che la sciagura gii assalisse , non guardandosene , tra la notte. Enea e con esso i Trojani venuti da Dardano c da Olrinio a soccorrere gl’lliesi , c quanti altri conobbero in tempo la sciagura, che era preso il basso della città, fuggendo a luoghi più forti di Pergamo occuparono il castello , Digilized by Coogle 64 DELLE Antichità’ romane difeso da proprj muri, ove, come ia saldissima parte, erano le sante cose di Troja , e danaro in copia , in- sieme col fior dell’ esercito. Standosi colà respingevano chi tentava di espugnarveli; ma per la perizia ne’ sot- terranei vi riceveano chi vi si riparava dalia città già pigliata. Così più furono quelli che ne scamparono, che non quelli che caddero prigionieri. Con tal metodo Enea conseguì che l' impeto col quale i nemici ovunque infuriavano, non comprendesse in un tempo ogni cosa. Poi calcolando nelle sue probabilità l’avvenire , siccome era impossibile conservare la città , perdutane già la più gran parte , si rivolse al partito di cedere le mura ai nemici, e di salvare almeno le persone , e le sante cose della patria , e quanto potea trasportarsi di danaro. Così deliberato , comandò che fanciulli , e donne, e vecchj , e quanti abbisognavano di pausa nel fuggire , s’ incam- minassero intanto verso le cime dell’ Ida ; mentre ~gli Achei tra T ardore di espugnar la fortezza non curereb- bero d’insegnire la moltitudine che levavasi dalla città: destinò parte di milizie in guardia di ehi si avviava perchè la fuga riuscisse più certa , e nello stato presente men dura; avvertendoli insieme che occupassero i luoghi più forti dell’ Ida. Intanto ( col resto dell’ esercito , ed era il più rilevante ) egli persistendo su le mura , te- neavi dis’ ratti i nemici che le attaccavano , e rendeva meno disagiato lo scampo ai suoi , che sfilavano : se non che salendo poi Neptolemo co’ suoi la fortezza , e convocandovi d’ ogn’ intorno i Greci perchè lo ajutas- sero; Enea finalmente si ritirò. Spalancate le porte , . 6 !) deuominate perla fuga di tanti (i), anch’egli uscì per esse , ma in ordine di batiaglia tra quelli che gli re- stavano , portando su di ottime bighe il genitore , i pa- trj Dei , la sua donna , i figli , e quante v’ erano per- sone , o suppellettili più riguardevoli. XXXVIII. Intanto gli Achei, presa di for/.a la città , spaziandosi intorno la preda , lasciavano ai fuggitivi grande comodità di salvarsi. Enea raggiungeva via via gli altri suoi, finché raccoltisi tutti in un corpo, occu- parono i luoghi più forti deir Ida. Sopravvennero ivi ancora quelli che abitavano in Cardano ; perocché ve- dendo lanciarsi da Ilio fiamme copiose fuor dell' usato , abbandonarono tra la notte insieme la loro città , leva- tine gli altri , i quali partirono prima coti Elimo ed Egesto , avendosi apparecchiate delle navi. Poi vi giunse tutto il popolo della città di Ofrinio , e vi giunsero dalle altre città Trojane quanti aveansi cara la libertà , sicché in poco tempo la milizia vi divenne grandissima. Ora questi', fuggiti con Enea dal cader prigionieri , tenen- dosi in quei luoghi sperarono di rendersi dopo non molto alle patrie , appena i Greui via navigherebbero : ma i Greci sottomettendo Troja e le adjacenze , e de- vastandone le fortezze , apparecchiavansi a porre sotto giogo ì rifuggiti ancora ne’ monti. E mandando questi gli araldi perchè desistessero , nè li necessitassero alla guerra , si venne per le suppliche a trattative , e tali ne furono gli accordi. Enea e li suoi recandosi tjuanlQ (i) ni/Asf ^vyciéits , porle de' fu(;giiÌTÌ. s DIOAIGI t l. aveano salvalo nella fuga partissero in dato tempo dalla Traode , e consegnassero le fortezze : i Greci in apposito ovunque dominavano in mare ed in ter- ra , vi procurassero la sicurezza à Trojani che viag~ giovano a norma de’ patti. Enea consentendo a lai leggi, anzi bonissime riputandole per le circostanze ; manda Ascaiiio il più grande de’ figli con banda di milizie per 10 più frigie , alla terra detta Dascilite ove ora è il lago uiscanio, perchè invitatovi da’ paesani a prendervi 11 comando. Ascanio andò , e vi stette ; ma non molto : perocché giugneudogli dalla Grecia Scamandrio e gli altri Ettoridi , rilasciativi da Necptolemo , egli guidan- doli ne’ regni paterni , si rimise in Troja. E tanto è quello che si narra di Ascanio. Enea però com’ ebbe pronta la flotta , vj assunse gli altri figli , il padre , le cose auguste de’ Numi , e navigò su 1’ Ellesponto alla penisola vicina, chiamata Pallene, la quale giace dirim* petto di Europia (i). Ivi un popolo ci avea , di Traci si , detto Cruseo , ma bellicoso e fidissimo tra quanti erano gli alleati de’ Trojani nella guerra. XXXIX. Tale è il racconto il più verisimile fatto da Ellanico , scrittore antichissimo , intorno la fuga di Enea 1 (i) Nel teilo si legge: ZufUTns Europa: ciocebè ha prodotto degli equivoci: la vera lezione deve essere cioè di Europia la quale h regione della Macedonia che prende nn tal nome dal fiume Europo. Pailene talvolta è detta ancora città di Tracia, per- chè li Traci vi comandarono. Del resto essa è pib distante che la Tracia a quelli che navigano dall’ Asia per 1’ Ellesponto. E Dionigi Den propriamente 1’ ha chiamala vicinissima per questi, essendo tale pinitesto la Tracia. Digitized by Gopgle là dove tratta delle cose Trojane. Se ne hanno ancora degli altri e non simili in altre leggende , ma non si , come io penso , persuasivi. Decidane chi gli ode , come più vuole. Sofocle il tragico nel suo dramma su Lao« coonte , esseudo già Troja in sul termine , rappresenta Enea che va con le sue robe in sull’ Ida , seguendo i voleri del padre Anchise , pieno dei ricordi di Venere, e mirando la distruzione ornai della patria ne’ freschi portenti avvenuti su’ figli di Laomedonte. E tali souo i versi di lui ma pronunziati da altra persona : £cco il fgliuol di tenere alle porte ; In dorso ha il padre, a cui di [bisso pende Cerulea veste dalle spalle , tocche Dalla folgore un tempo ; intorno intorno Gli fin turba i domestici , e le schiere Non si grande però , come tu pensi , De‘ Frigi , amanti d’ aver sede altrove. Menecrate di Zante fa saperci che Enea mise la patria nelle mani de’ Greci , tradendola per l’odio suo contro di Alessandro , e che gli Achei per tal merito gli con* cederono che salvasse la sua casa (i). Egli comincia la sua storia dalla sepoltura di Achille in tal modo. Erano gli Achei liete afflizione , sembrando a sè stessi co- me privi del capo della milizia. Nondimeno ergendo- gli una tomba guerreggiavano di tutta lena ; finché Ti'P]a fu presa per tradimento di Enea. Quest’ uomo, perche spregiato da Alessando , ed escluso dagli onori (i) Piccolo dooo aozi nullo: raentte Enea aveva luLio questo, c più ancora, sema il iradìmento: yorrei dire che Meuecraie non è savio , uel tulio aluaeuo de’iUCt;outì , e quindi cUc poco stm» da aiifudarsi. sacerdolali , rovesciò la reggia di Priamo , e divenne per tali opere come uno de' Greci. Altri però narrano eh’ Enea di quel tempo si trovava dove ferme si stava- no le inavi trojane, ed altri che nella Frigia , spedi- tovi da Priamo con soldatesca pe’ bisogni della guerra ; anzi evvi pure chi; assai piò favoleggia su la partenza di Enea : ma ne senta ognuno come vien persuaso. XL. Le vicende di lui dopo la partenza mettono più incertezza ancora in molti; perciocché taluni gui- dandolo in Tracia dicono che ivi compiesse la vita ; e tra questi sono Cefalone Gergitio, ed Egesippo il quale scrìsse intorno Pelleiie , antichi entrambi e rispettabili. Altri ripigliandolo dalla Tracia lo sieguono 6no all’ Ar- cadia ; e dicono che abitasse in Orcomeno di Arcadia , e nel luogo , che , sebbene entro terra , cangiossi in isola , per le paludi e pel fiume , che le colonie che ora chiamansi Cafie sursero per Enea e pe’ compagni , ma Gamie nominandosi allora da Capi trojano. Sono questi racconti di varj e di Aristo che scrisse le cose degli Arcadi. Novelleggiasi ancora eh’ Enea capitasse veramente in que’ luoghi , non però che in essi moris- se , ma nell’ Italia : e ciò da molti attestali , come da Agatillo , Arcade poeta , nelle elegie scrivendo : Feline in Arcadia e generò nell’ isola Con le due donne Antèmone e Codone , ■ Due ,/iglie ; e scorse nell' Italia , e quivi Del gran Romolo suo padre divenne. La venuta di Enea e de’ Trojani nella Italia la sosten- gono tutti i Romani ; e monumento ne sono le pratiche nelle feste e ne’ sagi'ifizj , i libri sibillini , gli oracoli Pitici , e ben altre cose , le quali niuno trascurerà , quasi aggiunte per ornamento. In Grecia ne restano tuttora molti indizj notissimi , come il porto nel quale approdarono , ed i luoghi ne’ quali si . trattennero , non essendo il mare navigabile. Siccome dunque sono tanti , io ne farò come posso menzione , ma breve. Primiera- mente dunque vennero in Tracia approdando alla pe- nisola detta Pailene , tenuta , come indicai , da’ barbari chiamati Crusei , e v’ ebbero ospizio sicuro. Passando ivi r inverno edificarono in un promontorio un tempio a Venere , e fondarono la città di Enea , dove lascia* rono quanti non poteano pe’ disagi più navigare , o quanti voleano rimanere , vivendovisi come nella patria. Questa durò fino al regno de’ successori di. Alessapdro , ma nel regno poi di Cassandro fu distrutta, quando sorse Tes.salonica : e gli Eneati e molti altri passarono alla nuova città. , ; XLI. Salpando da Pailene vennero i Trojani a Deio , ove Anio signoreggiava. E , finché - Deio fu popolata r e (lorida , molti erano gl’ indizj della venuta di • Enea , e de’ compagni nell’ isola. Dalla quale navigando a Cite- rà (1) aUra isola incontro del Peloponneso ’ vi edifica- rono un tempio a Venere. Da Citerà tornandosi al mare e trovando morto non lungi varono i Trojani con Eleno. Ottenuto l’ oracolo sulla nuova loro sede, offersero al Dio cose trojane , e tra queste crateri di bronzo , de’ quali alcuni manifestano ancora con iscrizioni antichissime gli oblatori : e quindi si ricondussero camminando quattro giorni alle navi. Intendesi la venuta de’ Trojani a Butrinlo da un colle ove accamparono , che ancora chiamasi Troja. Da Bu> trinto sospinti lido lido Gno al porto detto, dopo un tal fatto, di uincitise ed ora chiamato con nome men chia* ro (a), eressero ancor ivi un tempio di Venere : e pas- sarono il mar Ionio avendo per guida della navigazione molli , che volontari li seguitavano , e li quali menava- no con sé Patrone da Turi con la sua genie ; ma li più di questi , giunta l’ armata nell’ Italia , tornaronsi alle patrie : rimasero però nella flotta Patrone ed alquanti de’ suoi mossi a far causa con Enea , nel cercar nuove sedi ; quantunque alcuni dicano che il domicilio mettes- sero in Alunzio di Sicilia. In memoria di tal beneGzio col volger del tempo i Romani donarono agli Acarnani Leucade ed Auaitorio , togliendole ai Corintii ; e per- misero ad essi che lo bramavano , di rimettere ne’ pro- (i) Regia dirimpetto a Corfb dalla qnale è lontana 13 miglia. (a) Il Casaubono crede questo porto quello che da Tolomeo h chiamato Onchesmo, e da Strabone Oochismo ; il quale incontra- Tasi dopo Butriuto e Cassiope ( ora Januia ); crede che in principio si chiamasse di Anchise , poi di Anchesmo , o d^i Anchismo , e quindi men chiaramente , di Onchesmo , o di Oncbismo. Digilìzed by Google 7^ nm.LE antichità’ romane prj averi gli Oniadi , e di godere in comune con gli Etoli il frutto delle isole Ecliioadi. Calarono i compagni di Enea , ma non tutti in un luogo a terra ; approdan- do coi più delle navi al capo japigio , detto allora dei SalenUni ; e con le altre al lido , prossimo a quello cliiamato di Minerva nel quale Enea stesso sbarcò. Era questo sito ancora un promontorio ma con porto estivo denominato di Venere , appunto dopo quel giorno. Poi navigarono , quasi col piè sulla terra , fino allo stretto di Sicilia , lasciando, ovunque andavano, de’ monumenti, e tra questi là nel tempio di Giunone, la caraffa me* fallica , la quale con antichissimo scritto manifesta 4I nome di Enea che porgevala in dono alla Diva. XLIII. Fattisi ornai vicini, eccoli nella Sicilia final- mente a Drepano , dir non saprei , se portativi per di- segno di sbarcare, o se per le burrasche de’ venti, con- suete in quel mare. Qui s’imbatterono coi compagni di Elimo e di Egesto fuggiti prima di loro da Troja. Fa- voriti questi da’ venti propizj e dalla sorte, nè gi'avati di molte bagaglio , erano in poco tempo approdati in Sicilia , e fabbricato aveano intorno al fiume Crimiso in una terra che i Sicani aveano amorevolmente ad essi ceduta , per essere Egeste nodrito già nella Sicilia e congiunto col sangue di loro per questo Caso. Uno dei maggiori suoi , famoso trojano , cadde nell’ ira di Lao- medonte , e quel re pigliandolo , certo per una incol- pazione , lo uccise , uccidendo nemmeno tutta la stirpe virile di lui perchè alfine non • sen vendicasse ; ma le vergini figlie giudicò bensì cosa non degna lo ucciderle, ma uon sicura nemmeno a permettersi che si accasassero. 73 eoa Trujani. Pertanto le diede a mercadanti con ordine che lontanissime le portassero. Or queste rimovendosi navigò con esse un cospicno garzone, il quale preso già dall’amore di una maritollasi , e trassela nella Sicilia; e là dimorandosi nacque di loro il fanciullo Egesle nomi- nato. Apprese i costumi e la lingua del loco : infine morendogli i genitori , e dominando Priamo in Troja , brigossi per lo ritorno. E militò pur egli contro gli Achei ; ma prendendosi ornai la città, navigò di nuovo per la Sicilia , fuggendo con Elimo su tre navi , usate già da Achille quando saccheggiava la Troade , e poi da esso abbandonale perché  portn bello ^ o buono, ma nel co- dice Valicano ai La porto cattivo: il che varia la àeuicuta quali finge Nettuno che presagisca la grandezza avvenire «li Enea , come de’ posteri , con tali maniere : Ifo , non i dubbio ; la virtù di Enea /leggerà li Troiani , e re^ranli Be’ figli i fgli, e chi verrà da loro. G^ncependo da ciò , che Omero conosciuto avesse che questi regnavano nella Frigia ; inventarono qnel ritorno di Enea, quasi fosse impossibile che abitando nella Italia dominassero genti trojaue. Eppure ben poteano coman- dare a Trojani già diretti nei viaggio e stabilitisi altrove: vi saranno forse altre cause per le quali diasi a vedere r inganno. XLY. Che se alcuni sien turbati da questo : che la tomba di Enea si dica e si additi in più luoghi , non potendo in più luoghi esser lui tumulato ; riflettano es- ser tal dubbio comune su molti uomini , specialmente su gli insigni per sorte , e vivuti sotto cielo ognor va- rio : e sappiano che una è 1’ urna che accoglie i loro cadaveri, ma molti tra le nazioni li monumenti per gra- titudine sul bene che vi operarono, massimamente se tra quelle esistano stirpe o città che da essi provengano , o se lungo vi fecero ed amorevol soggiorno. Or tali ap- punto conosciamo che furono i casi che del nostro eroe si novelleggiano. Costui dopo aver operato che Ilio nel- r esser preso non fosse totalmente distrutto , dopo aver operato che gli alleati si ritirassero salvi in Bebricia che chiamano; lasciò sovrano della Frigia 'Ascanio suo figlio, eresse in Pailene una città col nome di sé medesimo , maritò la figlia nell’ Arcadia, e fissò parte de’suoi nella Sicilia : e sembrando che segnalato avesse la sua dimora in più altre parti , beneficandovi ; ne acquistò la bene- vola propensione per la quale gli eroi quando cessano la vita dell' uomo si onorano , e con pompa di monu- menti in più luoghi. £ veramente quali altre cause mai potrebbe alcuno ideare de’ monumenti di lui nell’ Italia ? Ma di ciò sarà detto nuovamente secondo che le materie de’ subjetti si dorran rischiarare. XLVI. Che poi l’armata trojana non veleggiasse verso parti più remote di Europa, ne furono cagione gli ora- coli , i quali prendéano compimento appunto in quei luoghi, e la divinità che tante volte avea rivelato, cioc- ché si volesse. Laonde approdati a Laurento alzarono le tende in sul lido. Ma stentandovi su le prime per la sete , perchè il luogo mancava di acque ; ecco vedonsi , ( dico ciò che ne udii tra’ paesani ) prorompere dalla terra spontanei rampolli di acque dolci , dalle quali fu tutto abbeverato 1’ esercito , ed irriguo ne divenne quel campo , scorrendo co’ rivoli loro dalle sorgenti fino a gettarsi nel mare. Ora però non si le acque abbondano che ne trascorrano , ma scarsissime , si restano in un cavo luogo , credute da’ paesani sacre al sole : e presso queste si additano due altari, trojani monumenti, rivolto r nno all’oriente l’altro all’occaso, ove favoleggiano che Enea facesse il primo sagrifizio in ringraziamento al Nume per le fonti che scaturirono. Poi sedutisi in terra per desinarvi , posero i cibi secondo molti su degli strati di appio come su le tavole ; ma secondo altri , per mondezza maggiore , li posero su focacce di farina : se non che finitisi i cibi apparecchiati , prima 1’ urto , indi r altro mangiava già 1’ appio o le focacce sottoposte ; quando com’ è fama , uno de’ Ggli , o certo della tenda slessa di Enea disse : oh ! Gn le tavole ci divoriamo. Destossi all’ udir ciò fra tutti un entusiasmo , uno stre- pito , come allora si compiessero i primi oracoli che riceverono : essendo già fatto ad essi un presagio , in Dodona secondo alcuni , o come altri dicono in En- tra (i) nelle vicinanze dell’Ida ove sta la Sibilla, fatidica ninfa di que’luoghi. Questa annunziò loro che navigas- sero verso /’ occidente , finché giungevano in luogo , dove sarebbero mangiale le mense : e che prendesse- ro , quando vedeano ciò verificaio, per guida un qua- drupede, e dove stanco del viaggio sdrajavasi, ivi fon- dassero una città. Ricordevoli di quest’oracolo, chi per comando di Enea portava custoditi com’ erano i simu- lacri de’ Numi dalle uavi a luogo destinalo , e chi pre- parava basi ed altari per essi. Le donne accompagna- vano le sante cose con ululati e con danze. InGne es- sendo già tutto pronto pei sacriGzio , i compagni di Enea stavano coronati intorno l’ altare. XLVII. E già questi facevano de’ voti , quando la porca già pronta pel sagriGzio ,gravida nè lontana dal parto , dibattendosi tra le mani de’ sacri ministri che la tenevano, fuggissene in parti più remote del mare. Enea concependo esser questa il quadrupede di cui 1’ oracolo signiGcò che sarebbe loro di guida le tiene dietro , non (i) Vi ebbero pià Lrilre ; I’ una in Beoiia l’altra in Tessaglia; (jui si parla della terza nella Jooia tra Llazomcns c Teon. Ma questa Krilra non era poi cosi vicina dell’ Ida : il che fa vedere che il testo non è puro abbastanza : seppure la idea di vicinanza non è qui relativa a distanze beo grandi. Digitized by Google  legni e cose di rustico apparecchio su le quali appariva che dolentissimo ne sarebbe chi ne era privato. In quel tempo Latino re guerreggiava co’ Rutoli , suoi vicini , ma con poca pro- sperità nelle battaglie. In tale suo stato gli annunziano , esagerando le imprese di Enea : che un esercito di fo- restieri gli devastava tutto il litlorale: che se non davasi presto a riutuzzarlo, avrebbe poi manifestamente guerra più aspra con essi , che non co’ vicini. Temè Latino a tal nuova , e ben tosto , sospesa la guerra presente , mosse con esercito poderoso contro a’ Trojani. Ma ve- deudoli armali alla greca , intrepidi , in buon ordine , aspettare il cimento , si arrestò , difGdando di poterli sottomettere in un colpo , come avea già speralo nel moversi contro di essi. Ed accampatosi in un colle pensò che dovevaiuuanzi tutto ricrear le milizie dalla molta fatica , sostenuta nel lungo e coutinuo travaglio. Adunque ivi riposò quella notte; ma disegnò di lanciarsi al fare del giorno sul nemico. Fra tali risoluzioni un genio del loco venne a lui tra ’l sonno , e gl’ impose di ammettere i Greci che venivano a grande utilità di Latino , e bene comune degli Aborìgeni. Parimenti i Dei patrii, svelandosi tra la notte ad Enea, suggerivano che inducesse Latino a concedergli spontaneamente una sede nel luogo che bramava, e rendersi i Greci alleati, e non competitori nelle arme. Tal sogno contenne l’uno e r altro dal cominciar la battaglia. E non si tosto fu giorno, elle milizie mossero in campo; ecco gli araldi venire da ambe le parti ai capitani per chiedere un vi- cendevole parlamento; e si tenne.* XLIX. Latino il primo querelatosi della guerra im- provisa e non intimata , chiedeva ad Enea che dicesse chi fosse , e con quale disegno invadeva e derubava que’ luoghi , non avendone mai ricevuto alcun danno , e non ignorando che gli assaliti rispingono gli autori della guerra. E laddove tutto esibivasi a lui se moderate ne erano le dimande, e potea rinvenire tutto nella cor- tesia degli abitanti ; egli violando la giustizia comune degli uomini , voile impudentemente anzi che da ono- rato , arrogarsi ogni cosa colla forza. Enea rispose : Noi siamo Trojani di lignaggio , e veniamo da una città non ignota affatto tra Greci. Essi espugnandola con gueira di dieci anni ce la tolsero ; ed ora vaga- bondi ci rigiriamo , sema città , senza regione , ove prendere sede finalmente. Siamo qui venuti seguendo i voleri de' Numi ; annunziandoci gli oracoli che que-_ Digitized by Gopglc LIBRO I. 8 I »ta è la tota terra che ci lascia come requie da tanti errori, Abbiam preso dalle wstre terre quanto ri era bisogno ; Noi provvedevamo anzi alla nostra infelicità che al decoro, lutto che non volessimo far cosa meno di questa, come novizj in tai luoghi. Ma ne daremo copiose e buone ricompense. Vi offeriamo i nostri corpi, le nostre anime, costumati ahbaslanza ai tra- vagli. Comunque usar ne vogliale ; noi custodiremo come inviolabili le vostre tene , noi ci lanceremo ad acquistarvi quelle de' nemici. Noi vi supplichiamo che non ascriviate ad odio le cose operate; non avendole noi fatte per ingiuriarvi ma dalla necessità violentati; e ciò che non è volontario è pur degno di scusa. E se ora ce ne scusiamo , se ne imploriamo voi sten- dendovi le mani supplichevoli; già non si conviene che ci destiniate alcun male, Altrimente invocheremo gli Dei, invocheremo gli Genj di queste terre perchè ci condonino quanto abbiamo fatto o necessitati faremo. Noi tenteremo respingervi la guerra se ce la incominciate ; chè non è questa la prima nè la massima di quante ne abbiamo sostenute. Latino ciò udendo sog- giunse : Io sono propenso inverso di tutti i Greci e mi struggono il cuore i mali necessarj degli uomini. E pregerei moltissimo di salvarvi se poteste mai far- mi chiaro che qua venite bisognosi di una sede, per aver parte nelle nostre terre e su quanto vi sarà dato per amicizia , non per involarmi colle armi il coman- do. Se questo dir vostro è vero ; se ne dia , chiedo , la vostra fede e se ne riceva la nostra : e saranno queste le mallevadrici pure de' patii. Dtomet , Hmt r. s  L. Enea encomiò quel parlare ; e si giurarono tali patti tra i due popoli : Darebbero gli Aboiigeiti ai Trojani quanta terra volessero in qualunque parte del colle , dentro il giro di cinque miglia da questo. Li Trojani entrerebbero a parte della guerra che gli Abo- rigeni aveano tra le mani, e militerebbero con essi in qualunque altra li chiamerebbero. Farebbero in co- mune ambedue col senno e colla mano t utile vicen- devole. Stabiliti tali patti , e confermatili con gli ostaggi, combatterono insieme contro le città dei Rutoli : e sog- giogando in brevissimo tempo ogni cosa , presentaronsi ad ultimare la trojana città non compiuta , e tutti con un ardore vi fabbricavano. Enea le diè nome di Lavi- nia , come dicono i romani scrittori , dalla figlia di Latino, chiamata anch’ essa Lavinia; e secondo alcuni de' greci mitologi dalla figlia di Anio re tra Deliesi , Lavinia nominata ugualmente : perchè morendo questa nel primo costruirsi degli edifizj, e datale sepoltura ap- punto nello spazio dove Enea fabbricava (i), la città ne era il monumento. Dicesi che navigasse co’ Trojani conceduta dal padre alle istanze di Enea , come donna di senno e di profezie. È fama che i Trojani nel fab- bricare Lavinia ne avessero questi segni. Accesosi jl fuoco da sè stesso in una valle, narrano che un lupo vi traesse colla bocca e gittassevi aride materie ; e che (i) si spiega per infermarsi, travagliarsi, quasi Dionigi dica che la donna fu sepolta dove infermava ; ma tal voce significa ancora fabbricare e rende il senso pib acconcio e concorde. Altronde non è facile che uno seppeliscasi nel luogo appunto o aiansa. o tenda dove si ammala. Digitized by Gopgle LIBKO I. 83 no’ aquila volaado , Vi eccitasse le (ìamtue col battere delb ale ; ma che una volpe in contrario si desse ad estinguerle colla coda , bagnatala iu un Hume : e die ora vincendo chi accendeva ed ora chi ammorzava, al> fine , prevalessero le due ale , partendosi la volpe senza che nulla più vi potesse: che Enea da quello spettacolo conchiudessc , come la colonia diverrebbe magniCca , meravigliosa , celeberrima ; darebbe il crescere di essa invidia ed affanno ai vicini ; ma ne vincerebbe ogni ostacolo , ricevendo dagl’ Idùii fortuna più potente del- l’odio de’ mortali in combatterla. Questi sono i portenti famosi , nati colla città : e per memoria se ne custodi- scono ancora da tempo antichissimo in mezzo al foro di Lavinia le immagini metalliche di quegli animali. LI. Poiché fu compiuta la città de’ Trojani entrò desiderio in tutti di giovarsi a vicenda ; e primi ne die- dero r esempio i monarchi accomunando pe’ matriinonj il grado de* paesani e de’ forestieri , e sposando Latino la sua figlia Lavinia ad Enea. Quindi presi ancor gli altri da brama eguale, dandosi in breve a gara 1’ uno all’al- tro leggi , costumi , sacrifici , congiungendosi in città di cure e di consorzio , e divenendone tutti un corpo e chiamandosene Latini dal re degli Aborigeni , osser- varono con tal fermezza gli accordi , che uiun tempo mai più li divise. .Tali sono le genti che vennero e si congiunsero, e dalle quali è la stirpe de’ Romani, pri- ma che si fondasse la città che otn gli alberga. Erano i primi gli Aborigeni , i quali cacciarono dalle proprie .sedi i Sicoli 4 greci antichissimi del Peloponneso , di quelli , io credo , spatriatisi con Eouotro dalle terre ora Digilized by Coogle 84 DELLE Antichità’ romane dette di Arcadia . erano secondi ì Pelasghi , usciti dal>' r Emonia , ora chiamata Tessaglia : ed erano terzi quei che vennero con Evandro nell’ Italia dalla città del Pal- lanteo. Si ebbero dopo questi gli Epei ed i Feneati del Peloponneso , militari di Ercole , a quali si mescolava- no alquanti Trojani; e gli ultimi furono i Trojani scam- pati con Enea da Ilio , da Cardano e da altre loro città. LII. Che poi li Trojani ancora fossero Greci, prin- cipalmente di orìgine , usciti un tempo dal Peloponneso fu già detto da molti , ed io pure lo dirò brevemente: e cosi stà quel racconto. Atlante divenuto primo re dell* Arcadia che ora chiamano, abitava intorno al monte detto Taumasio. Sette erano le figlie di questo ora tras- ferite , dicesi , nel cielo col nome di Plejadi. Giove sposandosi 1’ una di esse vi generò Giasone e Cardano: Glasoue si tenne celibe, ma Cardano sposò Crise la fi- glia di Palante, e gli nacquero Ideo e Cimante, i quali due regnarono nell’Arcadia, succedendo al trono di Atlante. Poscia avvenendo il gran diluvio in Arcadia ; i campi ne divennero paludosi , nò più coltivabili per lungo tempo. Gli uomini ridottisi ad abitare nei monti , e con scarsi viveri, consentendo ad una voce che le terre intorno non erano più bastanti a nutrirli , si divi- sero in due. Rimastisi gli uni nell’Arcadia crearono so- vrano Cimante il figlio di Cardano > gli arltri partirono su gran flotta dal Peloponneso ; e direttisi in verso di Europia giunsero al golfo detto di Me lane , recandosi ad un* isola della Tracia , non saprei se abitata allora o deserta , cui chiamarono Samo Tracia con nome com- posto dal duce e dal luogo , per essere questo nella Digilized by Google usno I. 85 Tracia , e Samone 1’ altro , figlio di Mercurio e di Re- ne , ninfa Gillenide. Ma non a lungo vi dimorarono ; cbé non era ivi una facile cosa la vita , avendosi a lot« tare con terre ingrate e mare disastroso. Adunque la- sciando un gruppo di loro nell’ isola, li più se ne mos- sero nuovamente inverso dell’ Asia sotto gli Auspicj di Bardano ; perocché Giasone era morto fulminato nell’ i- sola per avervi appetito il concubito con Cerere. Ve- nuti al mare chiamato Ellesponto , e sbarcatine , abita- rono la terra detta poi di Frigia. Ideo con la parte da lui retta della milizia di Bardano , abitò ne’ monti che • Idei si appellano da lui , ne’ quali ergendo un tempio alla madre degl’ Iddii v’ istituì misteri e sacrifici , du- revoli ancora in tutta la Frigia: e Bardano nella Troa- de che dicono , fondandovi la città coi nome di sé me- desimo , e ricevendone delle campagne da Teucro re , dal quale Teucria fu nominata la terra. Molti, tra’ quali Faiiodimo che scrisse delle antichità dell’ Attica , nar- rano che Teucro ancora passasse dall’ Attica nell’ Asia , e regnasse in sul popolo di Zipeta ; allegando su ciò molti argomenti. Quivi dominando egli campagna am- pia p buona , ma non molto popolata , desiderò di ve- dere Bardano , e li Greci con esso venuti , si per avergli alleati nelle guerre co’ barbari , sì perchè la sua terra non giacesse deserta. LIU. Ora porta il subjetto eh’ espongasi da quali Enea discendesse : ed io ciò laro ; ma brevemente. Bardano morendogli Crise la figlia dL Fallante dalla quale avea due fanciulli , si sposò òon Batia la figlia di Teucro. Di lei nacqn^li Elrittooio, creduto tra’ mortali felidssif Digitized by Gopglc 86 dt:lle antichità’ eomane mo per la*cloppia eredità della signoria paterna , come deli’ altra fondata dall’avo materno. Da Erittonio e de Callii’oe figlia di Scamandro nacque Troe dal quale ebbe nome la nazione. Da Troe e da Acalide fisiia di O Euniida sorse Assaraco : e da questo e da Glitodora figlia di Laomedonte ebbes! Capi. Poi questo e la ninfa, Kaide chiamata, generarono Anchise: e di Anchise e di Venere è figlio Enea. Cosi avrò dichiarato che i Tro- iani siano Greci di origine. LIV. Su 1’ epoca della fondazione di Lavinia scrivesi variamente : a me sembrano piò verisimiii quelli che r assegnano all’ anno secondo dopo la partenza da Troja. Imperocché Ilio fu preso nel fine della primavera , il giorno diciassettesimo prima del solstizio estivo , mancan- dovi otto giorni a compiersi il mese Targhilione secon- do la cronologia di Atene: e dopo il solstizio rimaneanci venti giorni a terminare quel giro di anno. Pertanto nei trentasette giorni decorsi dopo quella presa io stimo che gli Achei provvedessero su le cose della città , che rice- vessero le ambascerie di quelli che erano usciti , e giu- rassero dei patti con essi. Nell’ anno seguente e primo dopo la espugnazione , i Trojani salpando da quella terra circa l’ equinozio autunnale passarono 1’ Ellesponto: e portati nella Tracia ivi dimorarono quell’ inverno, rac^ cogliendo gli altri che giungevano ancora dalla fuga, e preparando la navigazione. Levandosi dalla Tracia in sul fare biella primavera tragittarono fino alla Sicilia dove riparatisi spirò intanto quell’ anno : ivi spesero il secondo inverno fabbricando città con gli Elimi. Ma divenuto il pela^ navigabile fecero vela dall’ isola , e Digitized by GoogieLIBRO I. 87 valicando il mare Tirreno vennero finalmente sul mezzo della estate a Laurento , spiaggia marittima degli Abo- rigeni , e presavi terra , vi fabbricarono Lavinia mentre compievano 1’ anno secondo dopo la invasione di Troja. Per tali detti sarà chiaro quanto io su ciò concepisco. LV. Enea fornendo la nuova città di tempj e di altri edifizj i più de’ quali persistevano ancora a’ miei giorni, alfine nell' anno seguente , terzo della sua emigrazione , regnò ma su’ Trojani solamente. Morendo però Latino nel quarto , ebbe anche il regno di questo si per 1’ af- finità sua con esso, di cui Lavinia era la erede, si per essere lui già duce degli eserciti nella guerra coi vicini. Imperocché li Rutoli si erano di bel nuovo ri- bellati da Latino scegliendosi per capitano Turno un disertore di Latino , e cugino di Amata , regia moglie di lui. Questo giovine alle nozze di Lavinia comccia- tosi dell’ affine suo che tenesse anzi cura degli esteri che de’ parenti , e sospinto da Amata e da altri , andò cM>lle milizie delle quali era capo , e si congiunse coi Rutoli. E mossasi per tali richiami la guerra perirono in battaglia vivissima Latino e Turno e molli altri ; trionfandone Enea. Da quell’ epoca ebbe questi lo scet- tro del suocero , e regnò dopo la morte di lui tre anni ancora ; ma nel quarto morì combattendo : perocché gli uscirono contro dalle loro città tutti in arme li Rutoli e Mezenzio re de’ Tirreni che per le sue regioni te- meva , conturbato al vedere che la greca poteuza via via si ampliava. Si dié la battaglia , ma fortissima non lungi da Lavinia; soccombendone molti da ambe le parti, finché la notte sopravvenendo , divise gli eserciti. ENEA più non apparve ; e chi lo disse trasferito Ira’ Numi , chi perito nel fiume , presso cui fu la pugna. I Latini gli eressero un tempietto iscrivendolo : del Padre e Dio del loco il quale regge il corso del Jiume Numicio. Pur vi è chi dice edificato il tempio da Enea per An* chise , morto P anno avanti tal guerra. L’ edifizio è non grande : ma tiene arbori ordinatamente intorno degne da vedersi. LVI. Passando Enea da questa vita , al più I’ anno settimo dopo la presa di Troja , assunse il comando su’ Latini Eurileone , quegli che . nella fuga intitolavasi Ascanio. Erano allora i Trojan! chiusi tra le mora , e la forza nemica ognora più spaventava ; nè bastavano i Latini a soccorrere gli assediati a Lavinia. Ascanio dun» que il primo chiese pace e condizioni onorate ai ne» mici : ma non giovando la inchiesta , fu costretto ren» dersi pienamente , e finire la guerra come il vincitore ne giudicasse. Ma siccome il monarca de’ Tirreni oltre le tante cose intollerabili comandava come agli schiavi che si recasse ogni anno ai Tirreni quanto vino pro- ducerasi dalla campagna latina ; cosi per la ìndegnissi» ma condizione Ascanio prima , e dopo lui li Trojani dichiararono co’ decreti loro sacro' a Giove ogni frutto della vite. E confortandosi gli uni gli altri ad impren- dere da valentuomini , e chiamando i Numi a parte dei loro pericoli , si mossero di città ma tra notte non chiara per luna. E sopravvenendo improvvisamente, presero in un subito il campo nemico il più vicino alla città , ri- putato antemurale ancora delle altre milizie , perchè te- nuto su luogo forte e difeso dal fiore de’ giovani tir- Digitized by Google LIBRO I. 89 reni , comandati da Lauso , figlio di Mezenzio, Intanto che questo luogo espugnavasi le soldatesche attendate nei piani vedendo la luce insolita , ed ascoltando le voci degli oppressi fuggirono ai monti. Ivi sorse fra loro paura e strepito grande qual suole tra schiere mosse di notte , che apprendano già già di essere assalite , ma nè ordinate uè provvedute abbastanza. I Latini all’ opposito poiché vinsero per assalto quel presidio , e conobbero lo scompiglio deir altra milizia , le furon sopra incal- zando e trucidando : e questa non potea nemmeno sa- pere i suoi mali; non che pensasse ricorrere alla forza. Quindi confusi , incerti che fare chi s’ avvia tra .dirupi e ne soccombe , chi tra luoghi cavi ma senza esito , ed è preso. Li più non distinguendosi tra loro si trattaro- no ira le tenebre a vicenda come uemicì ; e ben fu la sciagi>ra micidialissima. Mezenzio occupato un colle con pochi , poiché vi seppe la morte del figlio, quanto eset- cito gli fosse perito , ed in quai luoghi ora si fosse iin tempo in cui fu costrutta la città , signora al presente delle cose. Ma quali ne fossero i fondatori , con quali vicende recassero la colonia , o le fondassero la città , molti già lo narrarono , discordandone alcuni in più casi. Io sceglierò da' monumenti le cose più persuade- voli ; te quali sqn queste. LXYIl. Dopo che Amulio usurpò colla forza la reggia di Alba eliminando dagli onori paterni Numitore il fra- tello. più grande , scorse ad altre infamie col molto abuso dei diritti, macchinando all’ultimo distruggere la stirpe di Numitore per timore di subirne la vendetta , e per desideri^ di perpetuarsene il principato. E macchinando ciò da gran tempo , notò primieramente dove recavasi alla caccia Egeste il figlio già pubescente di Numitore, e, fattegli delle insidie nel meno visibile di que’luoghi , lo uccisse appunto che inseguiva le fiere , dando opera che si dicesse poi , che il giovine fu vittima de’ladroni. Ma tal voce artificiosa uon potè soffocare la verità che . lacevasi; perocché molli ebbero cuore di palesarla , con pericolo ancora. Ben conobbe Nunillore il successo ; ma tollerando con saviezza bonissima fìnse non conoscerlo per differirne i risentimenti a tempo meno pericoloso. Amulio tenendo la vicenda per occulta , fece ancora , che la figlia di IVumitore detta Rea secondo alcuni , e poscia Ilia quando fu matura per le nozze , si dedicasse al sacerdozio di Vesta perchè andando subito a marito noti partorisse un vindice della sua gente. Dee iren- l’anni, e nommeuo rimanersi candida da cose maritali lina donzella messa alla cura del fuoco inestinguibile, o per altro religioso ministero serbato per legge alle sue pari. Compieva Amulio tutto ciò co’ bei nomi di onorare c distinguere il parentado : perchè non avevane egli introdotto la legge : anzi essendo già praticata non astringeva il fratello, sicché la prima volta esso tra’ no- bili si valettse di quelli onori. E pregiavasi tra g]i Al- bani che le donzelle più nobili ministrassero a*\^esia. Ben vedea Numitorc che il fratello non facea Ciò per amore del meglio: tuttavia non espresse l’ira* sua, ma tacque profondamente ancora su questa ingiuria per .non esserne malmenato dal popolo. Dopo quattro anni Ilia recatasi al bosco sacro di Marte ad attingervi limpide acque pc’ sacriGzj vi fu violentala da uno, dicono, de’ giovani innamorato della donzella : o da Amulio non si per amori che per in- ganni , tutto in arme , e travisatosi quanto poteva , onde essere terribilissimo a vedere. Molli però novelleggiano che fu in persona il Nume del loco, acconciando a tal fatto varie circostanze divine , e che il sole se ne ascose.  I()3 e le tenebre si spnrsero in cielo. Essersi ,la immagine di quel Dio presentata augusta più che la umana per la mole e per la bellezza. Aggiungono che colui che aveala violata ( e da ciò conchiudono che fosse un Id- dio) dicesse alla fanciulla che si consolasse, non si afflig- gesse per la vicenda* essere a lei fatte le cose de’ma- trimonj dall’ unirsele del genio del loco : ne partorirebbe due figli y potentissimi in arme. Narrano che, ciò di- cendo , nna nuvola lo circondasse , e che spiccatosi di terra , si elevasse per 1’ aere. Non è poi questo il luogo, ma bastino i detti de’ filosofi , per discutere la sentenza da aversi su queste cose, cioè se debbano dispregiarsi come opere umane imputate agli Dei, la natura de’quali felice nè corruttibile non subisce niente d’ indegno ; o se debbano riceversene le narrazioni , perchè 1’ universo è un composto di tutte le sostanze , tra le quali haccene pure una intermedia tra la umana e divina , che ora mescendosi agli uomini , ora ai Numi , genera la stirpe degli eroi. La donzella dopo la violenza si diè per in- ferma : consigliatavi dalla madre per la sicurezza di lei , come per la riverenza de’ Numi : nè più andava alle sante cose ,' ma se dovea porgervi l’ opera sua , supplivano le vergini , compagne nel ministero. LXIX. Amulio , sia che mosso dalla coscienza , sia che da’ concetti del verisimile, spiava attentissimo le ca* gioni per le quali tcneasi tanto tempo lontana da’ riti divini. E mandò de’ medici su’ quali fidava moltissimo : ma pretestando le donne non essere un tal male da presentarsi ai maschj , mise la moglie sua per guardia della fanciulla. Ma non si tosto colei gli accusò la in(loie del male , conghietlurando da indizj muliebri , ignoti alle altre ; egli fe’ custodire co’ soldati la donzella: perchè il parto , ornai prossimo , non si occultasse. £ chiamando a collocjuio il fratello , disse la violazione recondita , dolendosi che i genitori vi stessero a parte con la fanciulla, e comandò che non tacessero, anzi pub- blicassero il fatto. Asseriva Numitore eh’ egli udiva cosa incredibile: ma che egli era innocente in tutto, e chie- dea tempo per chiarire la verità. £d ottenutolo a stento, poiché seppe dalla moglie la cosa come erale narrata in principio dalla fanciulla , gli riferì la violenza fatta dal Nume, e le cose dette su’ due gemelli, e dimandò che si prestasse fede a tanto , se da quel parto nasceane la ]>role cora’ era presagita dal Nume. Non essendo ornai lontano il parto ; egli non sarebbene deluso lungamente : intanto esibiva donne in custodia della figlia, nè ricu- savasi a prova ninna. Acconsentivano quanti erano in parlamento: Amiilio però diceva che non aveaci punto di buono in que’ detti , e diedesi per ogni guisa a pci^ dere la lànciulla. Intanto presentansi gl’ incaricati per invi- gilare su quel parto , e narrano aver lei dato in luce due maschi. Insistè Numitore ben tosto in dimostrare che a'veaci. r opera del Nume, e richiedÈva che oltraggio non si facesse alla vergine incolpabile. Amulio nondimeno concepiva che ci avesse della cabala umana anche nel parto mer desimo , con essersi procurato 1’ uno de’ fanciulli da al- tra donua , ignorandolo o cooperandovi le custodi ; e molto su ciò fu disputato. Come i consiglieri videro che il re piegavasi ad ira inesorabile , sentenziarono an- eh’ essi , com’ egli volea ; che si applicasse la legge , la quale ordina che uccidasi , battuta con verghe , la ver* gine profanata nel corpo, e gettisi ciò che è nato da lei ndla corrente del fiume. Ora però le leggi per le sacre cose prescrivono che tali donne seppelliscansi vive. LXX. Fin qui la più parte degli scrittori narrano le cose medesime o con picciolo divario , altri seguendo più la favola , ed altri la verisimiglianza. Ben però discordano su ciò che vi rimane ; dicendo altri che la condannata fu tolta immantinente di mezzo , ed altri che serbata in carcere oscura fe’ nascere nel volgo la idea della oc- culta morte di lei. Scrivono che Amulio a ciò s’indu- cesse vinto dalla figlia supplichevole che chiedevagli in dono la cugina ; già nudrite insieme , e pari di età vo- leansi il bene di sorelle. Amulio che non avea se non quella figlia , gliela concedette ; nè più compiè la morte di Ilia , ma tennela rinchiusa, nè visibile; finché fu li- berata col morir del medesimo. Cosi le antiche scritture discordano intorno di Ilia , ma tutte presentano un ap- parenza di vero ; e perciò ne ho fatta menzione. Chi legge intenderà da sè stesso quale sia più credibile. Quanto ai figli d’Ilia cosi scrive Fabio detto il Pit- tore , cui seguirono Lucio Cincio , Porcio Catone, Cal- purnio Pisone, e la più degli storici. « Alcuni de’ mini- stri prendendo per comando di Amulio i fanciulli, posti in un cestello, ve li U'asportavano per gettarli nel fiu- me , lontano quasi cento venti stadii dalla città. Ma co- me vi si approssimarono e videro che il Tevere per le pioggie incessanti usciva dall’ alveo suo naturale in su i campi , discesero dalle cime del Pallanteo fino alle acque più vicine ; uè polendo avanzarsi più oltre , deposero il cestello appunto ove il fiume toccava , inon- dando le falde del monte. Ondeggiò quello alcun tem- po ] ma poi ritirandosi la fiumana dalle parti più ester> ne , il vasello percosse in un sasso , e deviatone , tra- volse i fanciulli ^ che vagendo in sol fango si dimena- vano. Quando apparendo una lupa , fresca di parto» e gonfie le mammelle di latte ne porse i capi alle te- nere bocche de’ medesimi , tergendoli via via colla lingua dal loto onde erano intrisi. Frattanto sopravvengono dei pastori che guidavano le greggi ai pascoli ; potendosi già per que’ luoghi camminare. Al vedere 1’ uno di essi come la bestia carezzava que’ pargoletti , restossi estati- co per lo spavento e per la incredibilità dello spettacolo. Quindi ( perciocché non era col solo dire creduto ) an- dando, e raccogliendo quanti potea de’ vicini pastori, li con* duce a mirare il portento. Approssimatisi questi, e vedendo come la bestia molcea que’ pargoletti, e come i pargoletti usavano colla bestia quasi colla madre , parvero a sé st«si presenti a celeste meraviglia : ma congregatisi e proce- duti ancora più oltre tentarono col tuonare delle grida impaurire la lupa. E questa non incrudita affatto dal giungere degli uomini , ma quasi domestica fosse, riti- randosi passo passo da’ fanciulli, si levò ( mutoli restan- done ) dalla vista de’ pastori , essendovi non lungi un luogo sacro , opaco per selva profonda , ove le fonti sgorgavano da pietre cave. Dicesi che quello fosse il bosco di Pane ; ed un allare’per lui vi sorgeva. In que- sto venne la fiera e si ascose. Ora il bosco non è più: ma ben additasi 1’ antro dal quale scorrevano le acque , in vicinanza del Pallanteo , lungo la via che mena al- }  107 r Ippodromo ( 1 ) : scorgesi ivi prossimo un tempietto ov’ è j come effigie del fatto , una lupa che offre a due fànciullini le poppe ; metallico e di antico lavoro è quel monumento. Era questo luogo , com’ è fama , sacro per gli Ai'^ cadi che vi si accasarono con Evandro. Allontanatasi la fiera , i pastori presero i fanciulletti provvedendo che si allevassero appunto , come se volessero gli Dèi che si conservassero. Era tra questi un placido uomo , il capo de’ regj pastori , F austolo nominato , il quale trovavasi in città per alcun suo bisogno , nel tempo che lo stu- pro vi si riprendeva ed il parto d' Ilia.' Dopo ciò men- tre erano que’ teneri putti portati al fiume , egli nel tornare ài Pallanteo , tenne per incontro divino la stra- da medesima di quelli che li portavano. E non dando vista di sapere principio alcuno del fatto , dimandò per sè que’ miserelli , e presili con voto comune , e recan- doseli , venne alla moglie. E trovatala che avea parto- rito , e dolente , che il parto erale morto, la racconsolò, e le diede que’ fanciulli da sostituirsi ; contandole dalle origini la vicenda che li riguardava. Poi crescendo, chia- mò r uno di essi Romolo e Remo 1’ altro. Fatti adulti / non somigliavano per la bellezza dell’ aspetto e della prudenza a pastore niuno di gregge immonde o di bo- vi , ma chiunque numerati li avrebbe tra’ regj figli , specialmente tra quelli creduti di generazione divina , come in Roma cantano ancora nelle patrie canzoni. Era la vita loro fra’ pastori , e col travaglio la sostenevano, (i) Cirro oTc -garrpgiavasi col corso Je’ cavalli.  fissando per lo più su’ monti e legni e canne in guisa che dessero in un tempo alloggio e tetto. Ed ancora nel lato che dal Pallanteo piegasi verso l’ Ippodromo V sopravanza 1’ uno di questi abituri , detto di Romolo > cui guardano come sacro , ma nulla vi aggiungono on-, de renderlo più venerando. Che se parte alcuna ne vi6a meno per anni o tempeste , la suppliscono , riparando- la , quanto possono con simiglianza. Giunti a’ diciotto anni ebbero dispute su de’ pascoli co’ pastori di Numi- tore i quali tenevano i loro bovili sull’ Aventino , colle situato rimpetto del Pallanteo. Ricbiamavansi spesso gli uni su gli altri, che pascessero i campi non proprj , o soli si tenessero i campi comuni , o per cose altrettali, se ne avvenivano. Davansi per tali dissidj colpfdi mani e di armi ; e ricevendone da’ giovani assai li servi di Numitore , e perdendovi alcuni di loro, ed essendone esclusi a forza dalle campagne, cosi macchinarono. Dis- posero in valle occulta le insidie su’ giovani , e concor- dato con quei che le disponevano il tempo di eseguirle , gli altri intanto andarono in folla alle roandre de’ me- desimi. Romolo di quel tempo crasi co’ paesani più ri- guardevoii recato alla città detta Genina per farvi a no^ me della comune i patrj sacrifizj. Avvedutosi Remo della incursione volò per la difesa , prendendo in un subito le armi , e li pochi venuti a lui per unirsegli dal vil- laggio. Non aspettarono quelli , ma fuggirono per tirar- seli dietro , dove rivolgendosi a proposito gli assalissero. Ignaro della trama , seguitandoli Remo lungamente , si ingolfò nel luogo delle insidie ; e le insidie proruppero e li fuggitivi si rivolsero ; e circondando lui co’ seguaci . 1 09 e tempestando co’ sassi , gli arrestarono, com’ era il co- mando de’ loro padroni che volevano vivi que’ giovani nelle mani. Cosi 'fu Remo condotto prigioniero.Ma Elio Tuberone uomo grave , e ben cauto nel tessere le istorie scrìve : che avendo que’ di Numi- tore preveduto che i due garzoncelli erano per ofTerire a Pane ne’ lupercali 1’ arcade sagriGzio come era isti- tuito da Evandro , tesero gli agguati pel tempo appunto del santo ministero , quando bisognava che I giovani , abitanti il Pallanteo, correswro dopo le oblazioni nudi per la terra , e velati solo nel sesso con le pelli recenti delle vittime. Era questo un tal rito patrio di espiazio^ ne , praticato ancora di presente. Standosi nel più an- gusto de’ sentieri i nemici a tempo per le insidie su quei facitori di sante cose , ecco venirsene ad essi la prima banda con Remo , seguitando più tarda 1’ altra con Romolo per essersi la gente loro divisa in tre masse, e distanze. Non aspettando quelli il giungere degli al- tri , dato un grido, uscirono in folla sa’ primi, e cir- condatili , gl’ investirono > chi con dardi e chi con sassi o con altro , comunque gli era alle mani. Sbalorditi questi dall’ inaspettato assalto , e mal sapendo che fare , inermi contro gli armati , furono assai facilmente arre- stati. Con tal modo, o con quello tramandatoci da Fa- bio , divenuto Remo il prigioniero de’ nemici , fu tratto in Alba. Romolo, al conoscere le ingiurie sul fratello, pensò dover subito tenergli dietro col Bore de’ suoi pa- stori , quasi a ricuperarselo ancora tra via : ma ne fu distolto da Faustolo che vedea la insania del disegno. Era F austolo ancora tenuto come padre , avendo sempre occultato ai due garzoacelli i loro primi tempi , perchè non si mettessero di slancio a’ pericoli , prima della robustezza degli anni. Allora peiTò vinto dalla ne- cessità rivela , solo a solo , a Romolo ogni cosa. E Ro- molo in udire tutta la sciagura che areali involti 6n dalla nascita, impietosito per la madre venne in grande ansietà verso di Nnmitore. E molto consultandosi con Faustolo conchiuse che doveva allora contenersi da ogni impeto ; sorgere poi con apparato più grande di forze a redimere la sua famiglia dalle ingiustizie di Amulio , e subire fin 1’ ultimo rischio in vista de’ grandi risul- tati , operando col padre della madre , quanto egli nc risolvesse. LXXII. Stabilito ciò per lo m^lio , Romolo convo- cando i paesani , e pregandoli a recarsi di subito in Alba , non però tutti io folla , nè ad una porta perchè non si eccitasse in città sospetto di loro , c a tenersi nel foro , pronti per eseguire , s’ incamminò per il pri- mo verso di quella. Intanto quei che menavano Remo presentatolo ai regj tribunali , ve lo accusavano delle in- giurie, quante ne aveano da lui ricevute, e vi addita- .vano le ferite dei loro protestando che abbandonerebbero tutte le manche , se non erano vendicati. Amulio vo- lendo fare cosa grata alla moltitudine accorsa , come a Numitore, forse presente ad incolparlo per altri (i), volen- do la tranquillità del paese, e stimando insieme sospetta la baldanza del giovane , imperterrito in sue parole ; lo ( i) Secondo Dionigi , Numitorc ignaro della condiziona di lìcmti, lo accusava a nome de’ suoi clienti. . Ili .condannò con rendere Numitore 1’ arbitro del castigo , e con dire che chi fa ree cose , non dee rintuzzarsene da altri quanto da chi le ha sostenute. Intanto che Re- mo era condotto con le mani addietro legate, ed erane vilipeso da’ pastori (i) che sei conducevano Numitore postoglisi appresso ne ammirava la bellezza delle forme che aveano molto del regio , e ne contemplava la no- biltà de’ sentimenti , che egli conservava in mezzo an- cora a terribili cose , non volgendosi a far compassione nè importunando , come tutti fanno in simili casi , ma procedendo con silenzio maestoso al suo termine. Giunto in sua casa , Numitore fece che gli altri si ritirassero , ed egli , solo con solo , chiese a Remo chi fosse , e da quali parenti ; non potendo lui , : ootal giovine , essere da ignobile stirpe. E soggiungendo Remo quanto ne sapea dal suo nutritore. , come dopo la nascita era stato esposto bambino nella selva col germano , gemello di lui , come raccolto da’ pastori fosse poi stato allevato ; colui , sospesone alcun tempo , alfine , sia che in ciò vedesse  vole sospettando che egli non pensasse come parlava , cosi rispose : I giovani , come è loro mestieri , vanno pasturando de' bovi pe' monti. Io men veniva in no- me di essi cdla madre per dichiararle come stieno i loro fatti. Ma udendo come tu fai guardare questa donna , io dirigevami a supplicare la figlia tua perché a lei m' introducesse. E questo cestello , io recavalo meco per certificare i miei detti. Ora poiché tur sei fermo di ricondurre qua li garzoncelli , ne esulto ; e manda con me chi vuoi , che io dimostreroUi , perchè loro si annunzino gli ordini tuoi. Cosi dunque diceva per allontanare la morte de’ giovani , e sperando egli insieme fuggire da quelli che sei menavano , quando sa- rebbe ne’ monti. Amulio immantinente invia con esso i più fidi tra’ suoi militari , ordinando però segretamente che afferrino , e gli rechino quelli che il pastore dimo- strerebbe. Intanto deliberò chiamare il fratello e farlo custodire , ma senza catene finché 1’ affare presente se gli acconciasse. Lo chiamò dunque ma in vista ben di altre cose. Mosso l’ araldo speditogli , dalla benevolenza e dalia compassione de’ mali di lui che pericolava non tacque i disegni di Amulio a Numitore : e questo ma- nifestando a’ giovani l’ infortunio che pendeva su loro , e confortandoli a farla da valentuomini , -andò alla reg» già tra le arme di clienti , di amici , e di non pochi servi fedeli ; e lasciato il mercato pel qual erano venuti in città , vi andarono ancora co’ pugnali sotto degli abiti i contadini, gente robustissima. £ forzando tutti con impeto comune l’ ingressa , non presidiato da molli ,  I. I l5 bea tosto uccisero Amulio , e presero poi la fortezza. Cosi Fabio ne racconta su ciò. ' LXXV. Altri però giudicando non convenirsi punto di favoloso alla storia dicono inverisimile che la proje> zione de’ fanciulli non seguisse com’ era ordinata ; e di- cono che l’amorevolezza della lupa che porge le- mam- melle ai fanciulli è piena di comiche incoerenze. Rac- contano invece che Nnmitore al conoscere la gravidanza d’ Uia , ne tramutasse poi nel parto i figliuoletti , sup- plendovene altri nati di fresco ; e dandoli in fine ai cu- stodi della parturieute , perchè al re li recassero. Sia che la fedeltà di questi fosse comperata con oro , sia che la sostituzione fosse compiuta per mezzo di fem- mine ; ad ogni modo Amulio prese ed uccise gli spurj; laddove i figli d’ llia cari più che ogni cosa a Numito- re , furono da lui salvati, e consegnati a Faustolo. As- seriscono che un tal F austolo era un Arcade , originato da’ compagni di Evandro , alloggiato in sul Pallanteo colla cura degli armenti di Amulio ; e che condiscen- desse di allevare i figli di Numitore , indottovi da Fau- stino (i) , fratello sno , presidente de’ bestiami di ]Vn- mitore i quali pascolavano per 1’ Aventino : essere stata la nudrice , la esibitrice delle poppe sue , non la lupa , ma com’^ verisimile la moglie di Faustino detta Lau- renza , e Lupa con soprannome da quei del Pallanteo perchè prostituiva il suo corpo. Certamente era questo (i) Questo nome si legge Tariaroenle. Plutarco io Rumalo Io chiama PUiacino. Altri Io ha chiamalo Fausto: perchè tra Faustolo e Fausto siavi somiglianza come tra Romolo e Remo : ed altri con molla con- fusione lo chiama Faustolo come il fratello. il greco aatico ^ soprannome per le femmine le quali si vendono ne’ riti di amore , e le quali ora con più gen- til nome, amiche si appellano. E «quindi alcuni che ciò non sapevano ne tesserono la fàvola della Lupa , cosi chiamandosi quella bestia tra’ Latini. Aggiungono che i fanciulli slattati appena , filrono dagli aj loro man- dati a Gabio città non lontana dal Pallanteo perchè vi prendessero greca istruzione ; e che nudriti colà presso gli ospiti di Faustolo Gno alla pubertà furono ammae- strati nelle lettere , nel canto , e nell’ uso greco delle armi ; che rivenendo poscia ai padri loro putativi bri- garonsi co’ pastori di Numitore intorno de' pascoli co- muni , e li percossero , e gli allontanarono colle greg- gie : essere tali cose state fatte col volere di Numitore perché si avesse un principio di ridami, ed una causa onde la turba de’ pastori in città si recasse : che dopo dò Numitore fe’ lamentanze contro di Amulio , quasi per grave danno e ruberie de’ pastori di lui ; diman- dando che se egli non avead parte, gli desse nelle mani il porcajo , reo delia lite , e li Ggli di quello : che Amulio a rimuovere da sè quella . incolpazione , ordinasse a tutti gli accusati , ed a quanti si dicevano essere stati presenti al successo di comparire in giudizio per Numi- tore : che insieme concorrendo molti altri sul pretesto di quella causa, Numitore dicesse a’ nipoti quanta, scia- gura gli avea perseguitali : e dimostrando^ lui che quella, se altra mai ve ne fu , quella appunto era 1’ ora della vendetta , iramautiuenle volarono colla turba de’ pastori all’ assalto. E queste sono le memorie su la origine e su la educaziouc de’ fondatori di Roma. Ecco poi le cose avvenute nella fondazione: ciò clic mi resta anche a scrivere, ed ora mi vi accin- go. Poiché Numitore col morirsi di Amulio riebbe il principato ; spese breve tempo a riordinare su le anti- che maniere la città , già premuta colla tirannide , e ben tosto fabbricandone un’ altra , meditava di crearvi anche un regno pe’ figli. Pareagli bello , essendosi il po- polo suo troppo moltiplicato , levarne totalmente la parte almeno già sua contraria , per non più sospet- tarne. E comunicatosi co’ figli , ed essendone questi di- lettati ; diè loro , perchè vi regnassero , le terre dove erano stali allevati , e la parte del popolo divenuta a lui sospetta , e disposta ancora per fare innovazioni , e quanti voleano spontaneamente mutar sede. Ci avca tra questi , come per una città che si mova , molti della plebe , e buon numero de’ più potenti , anzi pure dei Trojani reputati più nobili , de’ quali esistevano ancora a’ miei giorni , almeno cinquanta famiglie. Diede a’ gio- vani danaro , arme , frumento , schiavi , bestie pe’ tras- porti , è quanto ricercasi per la fondazione di una cit- tà. Poiché questi ebbero cavato da Alba il popolo loro, aggregarono ad esso quanti rimaneano nel Pallanteo e nella Saturnia , e ne divisero tutta la massa in due parti. Sembrava loro che ciò desterebbe dell’ ardore nella gara di compiere più speditamente un lavoro ; quando fu causa del pessimo de’ mali , cioè di una sedizione. Im- perocché celebrando le due parli il suo capo , ciascuna lo inalzava come il più idoneo al comando di tutti: al-tronde li due capi non più avendo una mente e non quella di fratelli , ma di soprastanti 1’ uno su 1’ altro , ornai non curavano 1’ eguaglianza , e moltissimo ambi'^ hivano. Celatasi fin qui , proruppe finalmente la loro ambizione per questo incontro. Non piaceva ugualmente a ciascun d'essi il luogo per fabbricarvi la città : vdleala Romolo sul Pallanteo per più cause , e per la prospe- rità del luogo , essendovi stati salvati e nudriti : ma sembrava a Remo da edificarsi nella sponda che ora da lui lìomoria si addi manda (i). Ben erane il luogo ac- concio per una città , su di un colle non lontano dal Tevere , in distanza di circa trenta stadj da Roma. Da tal gara appalesaronsi ben tosto le voglie di soprastarsi; apparendo assai chiaro che qual, di essi prevaleva sul- r altro dominerebbe ancora su tutti. Passato intanto alcun tempo, nè sceman. dosi punto il dissidio , parve ad ambedue da rimetter- sene all’ avo materno , e si recarono in Alba. E colui suggerì che lasciassero giudicare agli Dei , quale di loro due desse nome e comandi alia colonia. E predestinan* do ad essi il giorno , ordinò che si trovasserò di buon mattino separatamente ciascuno nel luogo ove 'bramava porre la sede : e che sagrificandovi prima secondo le usanze agl’ Iddii vi osservassero gli uccelli propizj : e qudlo di loro due per cui sarebbero gli uccelli più fausti , quello comandasse la colonia. •! giovani lodato il consiglio partirono , e trovaronsi poi nel giorno deci- sivo , appunto come avevano convenuto. Prendeva Ro- molo gli augurj sui Pallanteo dove ujeditava fissare la (i) Pesto con altri colloca Komeria nelle cime dell’ Arentino : ma Dionigi sembra collocarla più lontana. Sarebbero mai state due que- ste Romnrie , o Remurie t colonia : ma Remo nel colle contiguo , detto Aventino, o Romoria , come altri raccontano. Erano con essi le guardie , perchè non permettessero che alcuno de’ due dicesse altre cose che le vedute. Postisi ambedue nei luoghi convenienti ; Romolo dopo un poco , per ansia, -e per invidia del fratello , e più che per invidia , per impulso forse di un qualche Nume , innanzi di avere osservato alcun segno , quasi il primo avesse veduto lo augurio lieto , spedi messaggeri al fratello, perchè a lui ne 'venisse prontamente. Ma non accellerandosi questi , perchè vergognosi di portare un inganno p intanto sei avvoltoi , volandogli a destra , apparirono a Remo. Era costui lietissimo delia veduta , ma dopo non molto gli inviati da Romolo , movendolo , sei menarono al Pallaa" teo. Dove giunti , Remo chiedeva da Romolo , quali uccelli avesse veduto : e dubitando Romolo come rispon- dere ; ecco dodici avvoltoi , propizj col volo gli si mo- strarono. Inanimato al vederli disse, addiundoii a Re- mo: che cerchi tu s pel tempio , e per gli usi del comune. Tale era la partizione fatta da Romolo ne’ terreni e negli uo* mini diretta alla massima eguaglianza comune. Vili. Ora dirò della partizione degli uomini per con- cedere privilegi ed onori secondo la dignità di ciascu- no. Scevrò gli uomini cospicui per nascita, o lodati per virtù , o comodi secondo quel tempo per danaro , pur- ché avessero prole , dagl’ ignobili , dagli abietti e dai bisognosi. E plebei nominò quelli di sorte deteriore , che il greco appellerebbe dimolici ; ma intitolò padri quei di fortuna migliore sia che per la età maggioreg- giassero su gli altri , sia perchè avessero figli , sia per la chiarezza della prosapia, sia per tutte queste cagioni ; pigliando , come può congetturarsi , 1’ esempio dalla repubblica degli Ateniesi , quale esisteva in quel tem- po. Imperocché questi chiamavano Eupatridi principal- mente o patrizj li più distinti per nascita , e più potenti per danaro , a’ quali afQdavasi la cura della repubblica : e chiamavano agrici , o rustici gli altri che di niente eran arbitri sul comune: ma col volger degli anni fu- rono ancor essi elevati agli onori. Per tali cagioni di- cono gli scrittori più credibili delle cose romane che Padri fossero nominati que’ valentuomini , e patrizj i squadre de* cavalieri erano divise in decurie come i chiaro da Var- rooe e da Polibio.  li. i35 loro discendenti. Ma coloro che guardano 1’ affare con occhio d’ invidia , e malignano su le origini vili di Ror ma , non dicono che i patrizj avessero questo nome per tali cagioni , ma perchè soli potevano additare gli autori della loro generazione ; quasi gli altri non fossero che vagabondi, o senza liberi padri. E davano per sicuro argomento di ciò , che quando piaceva al re di convo> care i patrizj , gli araldi gl’ intimavano pel nome loro e per quello ancora de’ padri ; laddove pochi banditori invitavano alle adunanze i plebei rinfusamente col buc- cinare de’ corni da bove : ma nè la intimazione per mezzo di araldi è buon segno degl’ ingenui natali , nè il snon della buccina è simbolo della ignobilità de’plebei: ma la prima recavasi per onorificenza ; spandevasi l’altro per compendio ; non riuscendo invitare in poco tempo a nome tutta la moltitudine. IX. Poiché Romolo segregò li più degni dai men ri- guardevoli , ordinò per leggi le incombenze degli uni e degli altri. Adunque stabili che i patrizj intenti con esso alle cure pubbliche fossero i sacerdoti , i magistrati , i giudici , ma che li plebei , liberi da tali sollecitudini per la imperizia e per la penuria , lavorassero le terre , al- levassero i bestiami , ed esercitassero le arti mercenarie, perchè non sorgesse fra loro sedizione, come in altre città , quando gli uomini di grado spregiano gli igno- bili , o quando i vili c poveri invidiano la preminenza degli altri. Affidò , qual deposito , a’ patrizj i plebei , concedendo a ciascuno di questi di eleggersi liberamente tra quelli un patrono. Greca antica consuetudine era questa ritenuta lungamente da’ Tessali , e dagli Ateniesi  quando ancora conoscevano il meglio : ma poi declina** rono al peggio, ed insolentirono su’ clienti; comandando loro cose non degne di uomini ingenui, minacciandoli di battiture se non ubbidivano, ed abusandoli con altre maniere , quasi schiavi comperati- Gli Ateniesi chiama- vano Thitas pe’ servigi che rendevano , i Clienti , ed i Tessali li chiamavano Ponesti (i) vituperandone fin col nome stesso la condizione. Ma Romolo fregiò con nome conveniente , chiamandola patronato , la garanzia de’ bi- sognosi e degl’ infimi : e date all’ uno ed all’ altro utili cure , ne rendè la congiunzione benevola veramente e cittadina. X. Le obbligazioni stabilite da lui sul patronato e conservatesi lungo tempo tra’ Romani erano queste: do- veano i patrizj informare i clienti della legge che igno- ravano , doveano prender cura di loro ugualmente, fos- sero o no presenti , e far su di essi come i padri su’ figli, quanto alla roba , ed ai contratti su la medesima ; mo- vendo liti pe’ clienti se altri ne era danneggialo , su contratti , e subendola , se altri la moveano. E per dir molto in poco , doveano proctware. ad essi tutta la ti'an- quillità della quale abbisognavano nelle cose domestiche e nelle pubbliche. I clienti a vicenda se i patroni scar- seggiavano di beni doveano coadiuvarli , maritandosene le figlie : doveano riscattarli da’ nemici se alcuno di essi (i) Diouigi qui paragona i clienii Romani, i TMti drgli Ateniesi ed i Penesti dei Tessali : ma i Thili erano almeno liberi , e servi- vano per la miseria o pe' debiti. 1 Penesù dei Tessali erano un in- termedio tra gli schiavi e gli uomini liberi. Non era cosi de’ c.ieuti Romani. Questi non di raro parteggiavano o superavano la fortuna dc'pauoui.  ir. 187 o de’ figli rtmaDeva prigioniero : pagare del proprio per loro non a titolo di prestito , ma di gratitudine le liù perdute , e le pubbliche multe tassate in moneta : e con- correre quasi ne spettassero alle famiglie , nelle spese di essi per le magistrature , per gli onori , e per le altre pubbliche dimostrazioni. Quanto ad ambedue poi non era lecito o giusto pe’ clienti o patroni che gli uni ac- cusassero gli altri ; che si dessero testimonianze e voti contrari ; o si lasciassero cercare gli uni per nemici degli altri. E se alcuno era convinto di aver fatto l’opposito, soggiaceva alle leggi di tradigione promulgate da Ro- molo : ed era per chiunque santa cosa lo ucciderlo , come vittima a Dite ; costumando i Romani di consa- grare agl’Iddj , spezialmente infernali , le persone alle quali volevano impunemente dare la morte, come fece allora anche Romolo. Adunque perseverarono per molto tempo tramandandosi da figlio Jn figlio le congiunzioni dei patroni e dei clienti, senza che niente differissero dai ligami strettissimi di parentela. Ed era gran lode per uomini d’ inclita stirpe aver clienti in più numero , cu- stodendo i patrocini lasciati loro dagli antenati , ed acquistandone altri ancora colla propria virtù. E mera- vigliosa era la gara di ambedue per non lasciarsi vin- cere gli uni dagli altri nella benevolenza ; proferendosi li clienti a far quanto potevano verso de’ patroni ; nè volendo i patrizi dar loro molestia con riceverne da- nari in dono. Così era tra loro il vivere condito con ogni diletto ; e . la virtù non la sorte era la misura della felicità. XI. Non solamente poi vivea sotto l’ ombra de’ patrizi i38 la plebe di Roma; ma quella delle colonie di lei, quella delle città confederate ed amiche , e quella ancora delie conquistate colle armi tenevasi per custode e protettore qual più voleva de' Romani. E più volte il senato ri- mettendo ai protettori le controversie di città e di na- zioni confermò le sentenze date da essi. Anzi era tanta la concordia de’ Romani cominciando dall’ ora che Ro- molo ne fondava i costumi , che mai per secento venti anni tumultuarono con stragi e sangue, sebbene nasces* sero intorno del comune molte e gravi dispute tra la plebe e li magistrati , come nascono in tutte le città , picciole o popolose : ma illuminandosi , e persuadendosi a vicenda , e parte concedendo , parte ottenendo racche- tavano le interne dissensioni. Dacché però Cajo Gracco, divenuto tribuno , sconvolse 1’ armonia della città , non cessano dal sopraffarsi colle stragi e con gli esilj ; nè risparmiano misfatto per vincersi. Ma per dir tanti mali avrem poi luogo più acconcio. XII. Ordinate tali cose , ben tosto Romolo deliberò di creare i consiglieri co’ quali dividere le pubbliche cure , e trascelse cento de’ patrizj cosi facendone la se- parazione. Prima nominò fra tutti il più idoneo , a cui si afBdasse lo stato , quando egli coll’ esercito uscireb- bene dai confini. Quindi prescrisse a ciascuna tribù di scegliersi tre uomini , savissimi per età come insigni per nascita. Fissati questi nove impose ancora che ciascuna delle curie eleggesse tre li più opportuni fra li patrizj. Infine unendo ai primi nove dichiarati dalle tribù li novanta determinati col voto delle curie , e facendo pre- sidente di tutti quell’unico prescelto da lui ; compiè la Digitized by Google LIBRO II. 1 39 serie di cento consiglieri. Potrebbe il consesso di «pesti signiBcare tra’ Greci un senato , e con tal nome chia- masi appunto tra’ Romani. Nè io saprei deGnire se un tal nome se lo acquistasse per la età senile , o per la virtù dei membri che vi furono incorporati. Certo so- lcano gli antichi dir seniori i più maturi negli anni e nelle opere. Quanti ebbero luogo in senato furono chia- mati e si chiamano ancora Padri Coscritti. Greca isti-tuzione era questa : perocché quanti regnavano , sia pei^ chè succeduti a’ diritti paterni , sia perchè nominati capi dalla moltitudine, aveano un consiglio di ottimi uomini, come attestalo Omero , e poeti antichissimi : nè le mo- narchie primitive de’ principi erano, come ora , assolute, e Gsse agli arbitrj di un solo. XIII. Ordinato il consiglio de’ cento seniori, vedendo che egli avea bisogno di una gioventù regolata da usarla in guardia del corpo suo , come per incumbenze di af- fari pressanti , unì trecento i più robusti delle più in- signi famiglie. Le curie nominarono ciascuna dieci di questi giovani come aveano nominato li senatori ; ed egli tenea sempre con sè tali uomini. E tutti , panti erano stabiliti in quella schiera , aveano il nome di Ce- leri , come dai più si scrive , per la speditezza ne’ loro servizj ; chiamandosi Celeri dai Romani gli uomini pronti e spedili nell’ operare. Ma Valerio Anziate dice che lo derivarono dal duce loro , Celere nominato. Era un tal duce riguardevolissimo nel suo grado ; ed a lui ubbidi- vano tre centurioni , ed a’ centurioni altri capitani mi- nori. Questi lo accompagnavano per la città colle aste, pronù ai suoi cenni: ma nel campo erano propugnatori e custodi : e spesso dirigevano a buon fine ia battaglia,- primi a cominciarla , ed ultimi a levarsene. Combatte- vano, dove il luogo consenti vaio , a. cavallo; ma appiè, dove era aspro , nè proprio da cavalcarvi. Sembrami cbe un tal uso lo derivasse da’Lacedemoni coll’intendere die tra quelli vegliavano alla custodia dei re, e li pro- teggevano nelle guerre giovani generosissimi, buoni per militare a cavallo ed appiede. XIV. Composte in tal modo le cose , comparti gli onori ed i poteri cbe volevano in ciascuno ; presceglien- done tali primizie pe’ monarchi. Volle dunque cbe avesse il -re primieramente la presidenza de’ templi e de’ sagri- fizj , e che tutte per lui si compiessero le sante cose in verso de’ Numi : cbe fosse il custode delle leggi e dei patrj costumi: che avesse cura dei diritti provenienti dalla natura o dai patti : che esso giudicasse delle in- giustizie capitali ; ma rimettesse il giudizio su le altre ai senatori , e provvedesse che niente si peccasse ne’ tri- bunali: cannasse il Senato, convocasse il popolo, e pri- mo vi dicesse il parer suo , ma seguitasse quello dei più. Tali sono le prerogative che egli riservò pe’ mo- narchi, oltre quella di un comando indipendente nelle guerre. Al consesso poi de’ senatori attribuì questi onori, e questa autorità : cioè , che esaminassero le cose che il re proporrebbe , e ne votassero , ma vi prevalesse la sentenza dei più. Trasse quest’ uso ancora da' Lacede- moni : perciocché li re de’ Lacedemoni non si pre- ponderavano da fare a lor modo , ma l’ autorità su-t prema terminavasi nel senato. Lasciò da ultimo al popolo il potere di eleggere i magistrali , di appro- , l4l Tare le leggi e discutere intorno la guerra quando al re ne paresse, non però deOnitivamcnte se contrario tosse il senato. Il popolo dava i sufTragj non tutto in un corpo , ma convocato per curie ; e riferivasi poscia al senato ciocché le più sentenziavano. Ora cangiata è la consuetudine ; imperocché non è il senato che ratifica le sentenze del popolo ; ma il popolo è 1’ arbitro delle sentenze, del senato. Io lascio , che chi vuole esamini quale di queste due consuetudini sia la migliore. Con tali scompartimenti le cose civili prendeano marcia savia e regolata , e le militari altresì la prendeano docile e pronta. Imperocché quando fosse piaciuto al re di muo- ver l’ esercito , non aveansi a creare i tribuni dalle tri- bù , nè li centurioni dalle centurie , nè li maestri dai cavalieri ; nè restava àd alcuno di essere coscritto , o scelto , o di ricevere il posto che gli conveniva. Ma il re intimava i tribuni , e li tribuni i centurioni. All’ av- viso di questi ciascuno dei decurioni cavava i soldati , subordinati a sé stesso. Così per un solo comando la milizia, secondo che era chiamata , in parte o del tutto, presentavasi colle arme al luogo destinato. Xy. Romolo abilitando la città pienamente per la pace e per la guerra con tali istituzioni , la rendè con esse grande e popolosa : obbligò primieramente gli abi- tanti ad allevare tutta la prole virile, e le primogenite delle femmine , con ordine che non uccidessero niun in- fante più recente di tre anni , se pure non era storpio, o mostruoso fin dalia nascita. Tali sconci bambini non proibì che via si esponessero , se presentatigli a cinque uomini dei più vicini , vi consentissero. E per chi vio- Digitized by Google i43 delle Antichità’ romane lasse questa legge stabili fra le altre pene la con6sca di una metà delle loro sostanze. Considerando poi che molle delle città d’ Italia erano miseramente premute dalla tirannide di uno o di pochi; procurò di ricevere e di tirare a sè li tanti che ^ne fuggivano , purché fos- sero liberi , senza esaminarne i pregiudizi , o la sorte , e tutto per ampliare la potenza romana , e diminuire quella de’ vicini. Adunque fe’ ciò cogliendone una bella occa- sione su le apparenze di onorare gl’ Iddi!. Fondatovi un tempio , non saprei deci ferace a quale de’ Numi , o dei genj , dichiarò come asilo per chi ricorrevaci il luogo tra ’l Campidoglio e la fortezza, ora detto nell’ idioma de’ Romani il basso tra le due selve , e nominato allora cosi , per essere quinci e quindi coperto dalle ombre delle piante amplissime delle terre contigue ai due colli. Inoltre per la riverenza de’ Numi, promise a chi rifug- givasi al santo luogo che non ci avrebbe molestie dai nemici , anzi , che se voleva albergare presso di lui , parteciperebbe ai diritti sociali , ed alle terre che leve- rebbe altrui guerreggiando. Pertanto vi si affollavano d’ ogn’ intorno uomini che fuggivano i mali domestici ; nè altrove poi si trasferivano allettati dai colloquj , e dalle cortesi maniere di lui. XVI. La terza istituzione di Romolo , degna soprat- tutto che i Greci la osservassero , e certo la migliore , come io penso di tutte , la quale fu principio della li- bertà stabile de’ Romani , nè poco contribuì per la for- mazione dell’ impero , la terza istituzione fu di non uc- cidere tutta la pubertà delie città debellate , nè di ri- durre queste come terre da pascervi , ma di mandare \ li: 1 43 in esse chi se ne avesse in parte i campi , e di ren- derle , quando erano vinte , colonie de’ Romani, e tal- volta ancora di ammetterle ai diritti stessi di Roma. Introducendo queste e simili pratiche fe' grande la co- lonia sua di picciola , come la cosa stessa dichiaralo. Imperocché quelli che fondarono Roma con esso, erano non più che tremila fanti nè meno che trecento cava- lieri ; laddove quando egli spari dagli uomini vi lasciò quarantaseimila fanti , e poco meno che mille cavalieri. Ma se egli basò tali regole , le custodirono poscia i re die gli succederono , e dopo i re li magistrali che pi- gliavano di anno in anno il comando, aggiungendone altre per modo , che il popolo romano trovasi non in- feriore a niuno tra quanti sembrano i più numerosi. XVII. Ora paragonando con questi i Greci costumi , non so come lodare le pratiche de’ Lacedemoni , dei Tebani , e degli Ateniesi che tanto pregiano sé stessi per sapere. Essi gelosi troppo dell’ incorrotto loro li- gnaggio, non comunicarono se non a pochi i diritti della propria repubblica , per non dire che taluni ripu- diavano anche gli ospiti. Da tale arroganza però non solo non raccolsero alcun bene, ma gravissimamente ne scapitarono. Cosi gli Spartani battuti nella pugna di Leut- tra con perdervi mille settecento de’ suoi : non solo non poterono mai più rilevarsi da quel danno , ma deposero turpemente il comando : e cosi li Tebani , e gli Ate- niesi per la sola sconfitta riportata in Cberonea furono in un tempo spogliati da’ Macedoni e della preminenza su la Grecia , e della libertà. Ma Roma , brigata in guerre gravissime nella Spagna e nella Italia , brigata a i44  ricuperare la Sicilia e la Sardegna che le si erano ribel-' late , quando ardevano tutte in arme contro lei la Grecia e la Macedonia, quando Cartagine eie varasi novamente a disputarle il comando , quando l’ Italia , non che essere quasi tutta in rivolta, trae vale addosso la guerra detta di Annibaie ; Roma in mezzo a tanti pericoli , quasi contemporanei , non solo non si abbattè ; ma ne rac- colse forze maggiori che dianzi , proporzionandosi fino per contrapporle a tutti i mali. Ne consegui già questo per favore di sorte propizia come alcuni sospettano ; mentre per conto della sorte sarebbe andata in rovina con la sola sciagura di Canne ^ quando di sei mila suoi cavalieri ne rimasero appena trecentosettanta , e di ot- tanta mila soldati ne scamparono pochi più che tre mila. Ora queste e le cose che io son per aggiun- gerne fanno che io prenda meraviglia su Romolo. Im- perocché avendo concepito che le cause dello stato flo- rido di una città sono quelle che tutti decantano , ma pochi seguitano, cioè primieramente la carità verso gli Iddii, colla quale tutte le cose degli uomini si risolvono in bene , e secondariamente la temperanza e la giustizia, per la quale men si offendono e più concordano fra loro , nè misurano la felicità co’ sozzi piaceri, ma colla rettitudine , e finalmente la fortezza nel combattere , la quale rende utili a chi le possiede anche le altre virtù ; ciò, dico, avendo Romolo concepito, non pensò che tali perfezioni provenissero per sè stesse, ma conobbe che le leggi provvide , e la bella emulazione nel disci- plinarsi, formano appunto una città pia, prudente, giu- sta, bellicosa. Adunque molto in ciò vigilando , cominciò dal cullo de’ genj e de’ Numi : e seguendo le leggi migliori de’ Greci mise in pregio le sanie cose , io dico i templi , gli altari , le statue , le immagini , i simboli , le forze, i doni co’ quali gli Dei ci beneGcano, e le feste convenevoli per ogni genio o Nume; e li sacriGzj coi quali gradiscono essere venerati dagli uomini , e le ces- sazioni dalle arme, e li concorsi, e li riposi dalle fati- che , e quanto si addita di simile. Ripudiò le favole che sen divulgano , sparse di bestemmie e di accuse contro di loro , giudicandole ree , dannevoH , obbrobriose , in- degne di un uomo dabbene non che de’ Numi ; e ri- dusse gli uomini a dire e sentire magniGcamente su’Nu^ mi , non a gravarli di cure aliene da una natura beata. XIX. Già non si ode tra’ Romani nè Gelo castrato da' Agli , nè Crono che stermina i figli per timore di essere da loro assalito , nè Giove che scioglie il regno di Crono, e rinchiude il suo genitore nella prigione del Tartaro. Non le guerre vi si odono , non le ferite, e le catene e le servitù degli Dei presso gli uomini : non feste vi si usano atre e dolorose per gli cluiaii e per il lituo di femmine che piangono gli Dei levati loro , come in Grecia il ratto si piange di Proserpina, e le avventure di Bacco , e cose altrettali. E quantun- que ornai li costumi vi si corrompano , niuno ravvisa colà nè uomini invasali da’ Numi , nè furie di coribanti, nè baccanali , nè misteri iuelfjbili , nè veglie notturne di femmine e raaschj nei templi , nè osservanze consi- mili , ma ravvisa tutto praticarvisi e dirvisi verso gli Dei con tanta pietà con quanta non si pratica o dice BIONICI, tomo I.  tra’ Greci o tra’ Barbari. Eid io vi ho soprattutto ammi- rato, che sebbene sieno venute a Roma tante migllaja di esteri necessitati a venerare ciascuno i suoi Dii coi riti delle patrie loro ; pure mai questa , come pur troppo succedette ad altre città , non venne in desiderio di ri- ceverne pubblicamente il culto peregrino : e seper le risposte degli oracoli introdusse talvolta sante cose come quelle della madre Idea , le onorò co’ riti suoi propri! , escludendone quanto ci avea di superstizione e di favola. Quindi i pretori ogni anno apprestano alla diva Idea sagrifizj e giuochi secondo le leggi romane : ma un fri- gio , ed una donna , fHgia ancor essa , le immolano il sacriGzio. Questi la recano in giro per la città que- stuando per la dea come è loro costume, fregiati di immaginette ne’ petti , movendo il passo , e percotendo i timpani intanto che altri gli accompagnano col suono delle tibie , e cantano gl’ inni della gran madre : ma ninuo de’ Romani nativi ornato con veste di vario co- lore va per la città questuando o sonando di tibia , o venerando con frigie adorazioni la diva (i) ; e tutto è secondo le leggi ed il voto del senato. Tanto è cauta la città su gli usi forestieri interno de’ Numi ; e tanto ne ripudia le osservanze vane nè decorose ! (i) Questo (ratto su la madre Idea non è ben chiaro. Sembra che il culto de lei fosse ricerulo ed eseguito in una parte solamente colle leggi romane. Quei riti che non erano ricevati non poteano esercitarsi dai Romani. Dei resto Dionigi forse afferma senza verità che gli Dei forestieri adottati in Roma non si veneravano co' riti ancora de' forestieri . Arnob. lib. a e Valerio Massimo lib. primo possono dimostrare il contrario. . 147 XX. Nè credasi che io non sappia che alcune delle favole greche sono utili agli uomini. Certamente talune dimostrano allegoricamente le opere della natura : e ta- lune furono simboleggiate per confortarci ne’mali; altre levano i 'turbamenti ed i terrori dell’ animo , e lo pur- gano dalle opinioni non sane , ed altre ancora per altro buon termine furono immaginate. Ma quantunque io nommeno che gli altri , conosca tali cose , pure vi sono assai cauto , ed ammetto piuttosto la teologia de’ Roma- ni; considerando che tenui sono i beni derivati dalle favole greche e che non possono far utile se non a pochi , a quelli cioè che investigano le cagioni per le quali furono inventate. Ora ben rari possiedono questa fìloso6a ; ma la moltitudine ignorante suole rivolgere al peggio i discorsi che se ne fanno , e patirne 1’ una o l’altra miseria , cioè di spregiare gl’ Iddii come implicati in 'tanto malfare, o di non contenersi m.ii più da in- giustizie e da vituperi , vedendo die sono questi gli esercizi de’ Numi. XXI. Ma lascisi ciò da contemplare a quelli che que« sta parte sola si appropriano di filosofia. Quanto al go- verno istituito da Romolo io reputo degne della storia queste cose ancora : e primieramente il numero delle persone che egli deputò per le cure religiose. Certo niuno potrebbe additare in altra nuova città stabilitovi fin da’, principi .tanto sacerdozio e tanto ministero dei Numi. Per non dire de’ sacerdoti gentilizi, furono sotto il regno di lui creafi sessanta 'sacerdoti che fornissero le pubbli- che divine funzioni delle curie e delle tribù. Nè io qui ridico non le cose che descrisse nelle sue antichità t Terrenzio Varrone , peritissimo tra quanti Borirono ai suoi tempi. Poi siccome altri per lo più fanno ineonsi- deratamente , e malamente la scelta de’ sacri ministri ; siccome altri ne mettono a prezzo le dignità per la voce de’ banditori; e siccome altri infine le compartono a sorte; egli non volle che fossero il premio dell’argento, o della sorte , ma decretò che si nominassero da ' ogni curia due uomini , maggiori di cinquanta anni -, pteemi- nenti di lignaggio , insigni pe’ meriti , agiati abbastanza di averi , nè difettosi in parte della persona. E comandò che questi avessero quegli onori non a tempo ma du- rante la vita , e che essendo per la età già liberi dalle cure militari , lo fossero per legge dalle politiche. E siccome alcuni sagrifizj si aveano a fare dalle femmine , ed altri da’ giovani , aventi tuttavia pa- dre e madre ; cosi perchè questi ancora degnamente si amministrassero , ordinò che le donne de’ sacerdoti fos- sero le compagne de’ mariti ancora nel sacerdozio ; che esse compiessero le sante cose che le leggi della patria non permettevano agli uomini, ed i figli loro prestassero il servigio, proprio de’ giovani: Che se non avevano prole scegliessero dalle altre case nella curia loro i più graziosi tra’ fanciulli e fanciulle, perchè ministrassero, quelli fino alla pubertà , queste finché erano pure senza le nozze (i). Io credo che Romolo derivasse questé pra- tiche ancora da’ Greci ; mentre ciò che ne’ Greci sacri- (i) Qnesii fanciulli cosi eleni anche dalle altrui case erano chia- mati Camillì e Camille. Plutarco nella vita di Numa accenna elio cosi chiamavansi que’giovinelti che ministravano «1 sacerdote di Giove, . 1 49 ficj forniscono quelle che Canifore si domandano , lo compiono tra’ Romani quelle che Camille (i) son dette, cinte di ghirlande la testa , come da’ Greci la testa in- ghirlandasi delle statue di Diana Efesina. E quanto èse- guivano un tempo fra’ Tirreni e prima già fra’ Pelasghi i Cadolj nelle adorazioni dei Cnreti e degli Dei Grandi, lo ministravano nel modo medesimo ai sacerdoti i garzon* celli nominati Camilli tra’ Romani. Prescrisse inoltre che intervenisse da ciascuna tribù ne’ sagriGzj un indovino , che noi chiameremmo Jeroscopo , ed i Romani chia- mano aruspice , serbando in qualche tenue parte la de- nominazione primitiva ; e statuì , che li sacerdoti ed i ministri loro fossero tutti nominati dalle curie, ma con- fermati da quelli che interpretavano i voleri de’ Numi colla divinazione. XX [II. Ordinate tali cose intorno al servigio divino , divise ancora , secondo che era per cosi dire opportuno , alle curie le sante cose, destinando a ciascuna i Numi ed i genj che in perpetuo adorerebbe ; e tassò per le sante cose le spese che aveansi a supplire dal pubblico. Celebravano coi sacerdoti le curie i sagriGzj a loro as- segna ti. facendo per le feste il convito nelle case delle curie.' Perocché vi era in ciascuna curia un cenacolo , ed insieme vi era un’ edifizio comune , consacrato per tutte ; -.come i Pritanei tra’ Greci. Que’ cenacoli , quegli edifizj, curie si, chiamavano , e si chiamano, come le partizioni stesse del popolo (a). E tale istituzione sem- . (j) La voce Camille manca nel tetto : ma par troppo coerente colla totalità del senso, Canifore vai quanto portatrici de' canestri. (a) Varroiie uellil>. 4 della lingua latina diceche gli edirizj ciita- brami che Romolo se l’ avesse dalla disciplina che fio- riva allora tra’ Lacedemoni ne’ riti sociali. Licurgo avea ciò , fluttua quella fra le tempeste ; e che però debbe un uomo savio di stato , legislatore o sovrano che sia dar leggi che rendano i privati prudenti e giusti nei vivere; Ma qon tutti mi sembra che vedessero egxial- mente còn quali industrie e leggi si rendessero tali , e sembrami che alcuni assai , per non dire interamente , mancassero, nelle parti essenziali e primarie della legi- .slazione.; come subito ne’sposalizj e nel convivere colle femmine , donde un legislatore dee cominciare , come ne cominciò la natura l’ ordine armonioso di noi tutti. Imperciocché taluni pigliando esempio dalle bestie vol- lero i congiungimenti del maschio colla femmina pro- miscui e liberi , quasi fossero cosi per liberare la vita Digitized by Google i52 delle Antichità’ homane dalle furie amorose, e preservarla dalie gelosie che uc> cidono , e rimoverla dai tanti mali che per causa delie femmine invadono le intere città , non che le famiglie. Altri esclusero dalla città tali silvestri e ferali eoocu» bili accordando un uomo per una donna : in custodia però delle nozze , e della moderazione delle mogli , non tentarono più o meno far leggi , ma se ne asten- nero; quasi impossibile fosse il contrario. Aluri nè la- sciarono, come taluni de' barbari, le cose amorose senza leggi , nè le mogli senza premunirle come i Lacedenào- ni, ma vi promulgarono molte e castissime regole. E vi furono pur quelli che fondarono un magistrato che invigilasse intorno la purità femminile : ma non bastarono tali provvidenze alla cura. Fu quel magistrato languido più del dovere , nè potè ridurre a pudicizia chi mal ci avea contemperata la natura. XXV. Ma Romolo non dando azione all’uomo contro donna se adulterava , o se abbandonavagli la casa ; nè dandola alla femmina che accusava l’uomo di pes- sima amministrazione o d’ ingiusto ripudio ; non for- mando leggi sul ricevere e sul restituirsi della dote , nè definendo altra cosa qualunque , consimili a queste; ne stabilì solamente una , migliore assai ( come il fatto dichiarò) delle altre, colla quale fe’ le donne' savie e pudiche e di ogni onoralo contegno. E la legge fu: che la femmina maritala la quale secondo le sacre leggi recavasi alt uomo , divenisse partecipe de’ beni e delle sacre cose di lui. Gli antichi chiamavano con formola romana nozze sacre e legittime la confarrea- zioiie per l’uso conume del farro .che . noi Zea chia- . I 53 nilamo. E come noi Greci tenendo l’orzo per antichis- simo diam principio con esso a’ sagrifìzj ; ed que- sto. cliiamiamo: cosi li Romani giudicando cibo primi- tivo e pregevolissimo il farro; incomincian col farro , quante volte una vittima si abbruci. E ul rito persiste, nè si compensò con altre squisite primizie. L’ essere le donne fatte partecipi con gli uomini di un cibo il più sacro e primitivo, e della sorte di essi , qualunque fosse, aveva un nome dalla comunanza del farro , e ciò por- tava un ligame indissolubile di appropriazione, e niente polca disfare quel matrimonio. Questa legge necessitava le mogli eome prive d' altro rifugio a vivere co’ modi di chi aveasele maritate, e faceva agli uomini tenere le donne come cose proprie nè separabili. Quindi una moglie pudica e docile in tutto al marito, era appunto come r.uorao , l’ arbitra della casa. Morendo 1' uomo , ne era la erede , come la figlia del padre : se moriva senza figli e senza testamento , essa era la padrona di ogqi cosa lasciata da lui , ma se avea de’ figli essa era coerede di parte eguali con questi. Che se colei pec- cava , avealo giudice della delinquenza , cd arbitro della grandezza della .pena : se non che li parenti ancora in- sieme coir uomo la giudicavano fra le altre reità , se avea contaminato il suo corpo , o se bevuto del vino , mancanza certo nel parere de’ Greci tenuissima. Ambe- due queste colpe, come le estreme delle colpe femminili, ordinò Romolo che si -castigassero : la contaminazione qual priimipio d’ insania , e la briachezza qual principio della contaminazione. E lungo tempo seguirono ambe- due queste colpe ad avere odio implacabile tra’Romani. Ora che buona fosse questa legge su le donne; lo at> testa la esistenza lunga di essa ; consentendosi che per dnquecento venti anni non si sciolse in Roma niun matrimonio. Solamente narrasi, che sotto il consolato di Marco Pomponio , e di Cajo Papinio , nella olimpiade centesima trentesima settima Spurio Garvilio , uomo non ignobile , il primo lasciasse la moglie , costretto In- nanzi però dai censori di giurare , che la donna sua non abitava in sua casa per generare con esso. Certa- mente la sua donna era sterile: ma egli per quest’ o- pera, quantunque la necessità ve lo' inducesse , ne ‘in- corse r odio perpetuo del popolo. Tali sono le leggi egregie di Romolo colle quali rendè le donne piu disposte inverso de’ -mariti. Assai più gravi e più convenienti di queste e molto diverse dalle nostre sono le leggi sul rispetto e su la corrispondenza de’ 6gli , perchè onorino I genitori col dire e col fare quanto comandano. Coloro che ordina- rono i governi de’ Greci, istituirono che i' figli rima- nessero un tempo , troppo breve , sotto la potestà dei loro padri: vuol dire istituirono alcuni che vi restassero tre anni dopo la pubertà ; altri , fin che erano celibi ; ed altri finché non erano scritti nelle curie pubbliche: e questo a norma della legislazione appresa da Soloné, da Pittaco, da Caronda, uomini di sapienza riconosciuta. Preordinarono ancora delle pene ; ma non gravi su'figli indocili , permettendo ai padri di espellerli e diseredarli e non altro. Ma le pene miti uon bastano a correggere la precipitanza e la caparbietà de’ gióvani , nè a ren- derli nel bene attenti di trascurati. Dond’ è che assai . l55 vlluperii si commettono da’ Ogli contro de’ padri nella Grecia. Ma il legislatore di Roma diede a’ padri sul • figlio per tutta la vita autorità compiuta di escluderlo , di batterlo , di vincolarlo a’ lavori campestri, e di ucci- derlo ancora se cosi volessero , quantunque il figlio già trattasse le cose pubbliche , già sedesse tra’ magistrati supremi , e già si avesse gli applausi per lo zelo suo verso del popolo. In forza di questa legge uomini rag- guardevoli concionando da’ rostri su cose contrarie al ' senato', e care al popolo e divenuti perciò famosi, fu- ròno di là staccati e rapiti altrove da’ padri , perchè su- bissero la pena che iie voleano ; e traendoseli per lo foro , ninno potea liberarli non il console , non il tri- buno , e non la plebe da essi adulata , sebbene questa *■ valutasse tutti men che sé stessa in potere. Ometto di dire quanto i padri uccidessero de’ valentuomini , spin- tisi per virtù e per ardore a far magnanime imprese ma diverse da quelle prescritte dai padri , come abbia- mo di Mallio Torquato e di altri, de’ qnali diremo a suo tempo. Né il legislatore di Roma ristrinse a questo soltanto i padri; ma permise loro anche di vendere i figli , niente attendendo che altri vinto dalla sua tene- rezza riprendesse la concessione come dura e gravosa. SopratUttto, chi fu allevato colle maniere molli de’Greci riguarderà come a(Cerbo e tirannico, che lasciasse i pa- dri utilizzare su’ figli eoi venderli fino a tre volte , dando licenza più grande a’ padri sn’ figli che non a’ padroni su gli schiavi. -.Perocché il servo venduto una volta se riacquista poi la libertà rimane in seguito padrone di sè : ma il figlio venduto dal padre se diviene libero ri-' cade di nuovo sotto il padre: e quantunque rivenduto e liberatosi per la seconda volta; pur trovavasi ancora servo del padre come in principio ; ma dopo la terza vendita più non era del padre. Osservavano da principio i re questa legge stimandola rilevantissima, scritta o non scritta che fosse , ciocché non posso decidere. Disciolta poi la monarchia , quando piacque ai Romani che si affiggessero nel foro, manifeste ad ogni cittadino., tutte le leggi e le consuetudini patrie e quelle ricevute di fuori , perchè il diritto comune non finisse col potere de’ magistrati ; i Decemviri che erano incaricati dal ' po- polo di compilarle, e distenderle , scrissero ancora questa legge colle altre: e trovasi nella quarta delle dodici ta- vole, che chiamano, che essi esposero nel .fòro. Che * poi li decemviri , eletti trecento t^nni appresso per la ordinazione delle leggi, non diedero essi i primi questa legge ai Romani , ma che ricevutala come antica molto, non osarono toglierla, lo deduciamo da molle fonti ,- e principalmente dai decreti di Numa tra’quali era scritto; Se un padre conceda al figlio di prender moglie la quale secondo le leggi sia partecipe delle cose sacre e de' beni , questo padre non avrà fin dt. allora più facoltà di vendere il figlio. Or ciò non avrebbe., cosi scritto, se per le leggi antecedenti non era permesso af padri di vendere i figli. Ma basti su 'ciò : frattanto vo- glio dcllneare come in compendio la . bella istituzione colla quale Romolo ordinò la vita de’ privati. XXVIII. Vedendo che le adunanze politiche, ove i più sono indocili , non si riJucouo con magistero di . iSj parole a vivere temperantemente , a preferire il giusto all’ utile , a dumr la fatica , nè riputare cosa alcuna più onorata del retto procedere ; ma che piuttosto si dirigono ad ogni virtù colle consuetudini buone ; e vedendo che quelli ohe si disciplinano anzi di forza che spontanea- mente, ben presto, se niente impediscali, ritornano ai geiij loro; non concedette che ai servi ed a’ forestieri di esercitare le arti sedentarie , illiberali , fautrici dei turpi desideri , come quelle che guastano e profanano i corpi e le anime di chi vi si applica. E lungo tempo rimasero queste ingloriose tra’ Romani, e ninno che nativo fosse di que’ luoghi , vi rivolse le industrie sue. Lasciò solamente per gl’ ingenui le due cure della cam> pagna e delle armi ; perocché vide che con tali maniere di vivere gli uomini signoreggiano il ventre , e meno languiscono tra gli estri amorosi, nè sieguono quella voglia di arricchire che dissocia i cittadini a vicenda , ma quella che trae 1’ utile dalle terre o da’ nemici. Ri- putando imperfette , anzi litigiose queste vite se disgiunte, non ordinò già che una parte si desse ai lavori del campi , e 1’ altra andasse e derubasse i nemici come la legge disponeva tra’ Lacedemoni; ma prescrisse in co- mune li rustici e li militari travagli. Se godea pace, ; costumavali a star tutti intenti per le campagne , salvo il giorno ( ed erari da lui destinato ogni nono giorno ) • in cui faceano mercato ; perchè allora amava che accor- rendo iu città vi commerciassero. Ma se prorompeva la guerra , addestravali a farla , e non cedere gli uni agli altri nel faticarvi o lucrarvi; pèrocchè divideva tra loro ugualmente, quanto involava al nemico, campi, schiavi, danari , e xciidcali con ciò volenterosi ad imprendere. Spediva , non prolungava i giudizj su le of- fese scambievoli ; c quando giudicavale da sé medesimo e quando per mezzo di altri: e proporzionava ai delitti le pene. Considerando che la paura più* che tutto re- spinge gli uomini dalle scelleraggini , coordinò più cose per incuterla, come un tribunale, ove sedea giudicando , nel più visibile luogo del foro , imponentissimo l’ appa- rato de’ soldati , trecento di numero , che lo seguivano , e le verghe e le scuri portate da dodici uomini li quali nel foro stesso batteano chi avea colpe degne di batti- ture , o nella' pubblica luce lo decapitavano, se altri ne avesse più grandi. Tale fu l’ ordine del governo in- dotto da Romolo , e da queste cose ben si può con- ghietturare su le altre. XXX. Quanto alle altre opere civili o beUiche di un tal uomo , queste ne furono tramandate , degne che si intessano ad una storia. Siccome i popoli circonvicini a Roma erano molti, e grandi, e bellicosi , nè punto amici di essa ; deliberò conciliarseli co’ matrimoni , mezzo gii>* dicato dagli antichi saldissimo di procacciar le amicizie. Considerando però che tali genti non si unirebbero spontaneamente con loro, nuovi di colonia, impotenti per danaro , e privi d’ ogni gloria di belle operazioni , e che altronde cederebbero violentati , se oltraggiosa non fosse la violenza; risolvè, (ciocché avea NumitOre l’avo suo materno già suggerito) di faré, ed in copia, i 'ma- trimòni col ratto delle vergini. Cosi risoluto , fe’ Voti al Dio guidatore dei disegni reconditi , che se la prova gli riusciva appunto come la ideava, gli tributereUie ogni anno e feste e sagrifizj. Quindi riferito il .disegno in  li. 1 5() senato , e comprovatovi , propose di celebrare giuochi solenni a Nettuno , e ne sparse la nuova per le città vicine ; invitando chiunque al concorso ed ai giuochi , che giuochi sarebbero moltiplici di cavalli e di uomini. iVenuii forestieri in copia alla festa insieme colle mogli e co’ figli , e compiti già li sagriCzj a Nettuno e li giuo- chi, infine nell’ ultimo giorno quando era per dimettere la moltitudine fe’ intendere ai giovini che al dare di un segno certo, tutti involassero quante a loro ne capita- vano , le vergine accorse agli spettacoli , le custodissero però quella notte inviolate , ed a lui le recassero nel pros- simo giorno. Compartitisi i giovani in truppe non si tosto videro elevato il segno convenuto ; si volsero a far preda di vergini. Sorgene un tumulto un damore de’ forestieri che maggiore ne sospettavano il male. Condottegli nel prossimo giorno le vergini , Romolo consolavale disani- mate , con dire che tendea quel ratto a maritarle non a vilipenderle. £ dichiarando che Greco , e primitivo , e nobilissimo era il modo tenuto da lui tra tutti i modi co’ quali si procurano le nozze alle femmine ; invitavale ad amare gli uomini che la sorte ad essi offeriva. Dopo ciò numerando le donzelle e trovandole secenlo ottan- talrè ; scelse bentosto altrettanti de’ suoi non maritati , e con essi congiunsele. Egli legandole colle nozze se- condo il rito della patria , rendeale partecipi dell’ acqua stessa , e del foco ; e quel rito mantienesi ancora. Alquanti scrivono che avvenne un tal fatto nell’ anno primo del regno di Romolo : Gneo Gellio lo assegna nell’ anno terzo , e ciò pare più verisimile. Im- perocché non è- probabile che il capo di una città uascente si accingesse a tal opera prima clic ne avesse costituito il governo. Altri stimano cagione di quel ra- pimento la scarsità delle femmine , altri l'impulso a far guerra; ed altri più persuasivi, a’ quali io m’attengo, la necessità di aver amicizia cogli abitanti vicini. Ripe- tevano i Romani anche al mio tempo la festa allora consacrata da Romolo chiamandola Consuali (t). In essa un altare sotterraneo, scalzato intorno intorno di terra,, posto vicino al circo massimo , onorasi con sagriOzj , e primizie che bruciansi. Evvi corsa di cavalli sciolti , o congiunti ai carri. Conso chiamasi da’ Romani il Nu- me a cui tributano questi onori : e taluni con greca interpretazione dicono che sia Nettuno , scotitore della terra , e che si venera appunto in altari sotterranei , perchè questo Dio possiede la terra : ma io ne so’ pure altra origine perchè udii che la festa era celebrata per Nettuno , e per Nettuno li s giuochi equestri; ma che r altare sotterraneo era stato consecrato infine ad un genio ineffabile , guidatore e custode de’ segreti disegni. E certamente Nettuno in niun luogo tiene altari invi- sibili inalzatigli da’ Greci o da’ barbai'i. Pure è difficile a diffinire come stiasi la verità. XXXII. Come la fama del rapimento delle vergini e gli eventi de’ giuochi si sparsero per le città vicine; altre si corucciaron su 1’ opera , ed altre invesugando 1’ af- fetto ed il fine ond’era avvenuta, la sopporlavanu in (i) I giuochi isliluili da Romolo nel ratto delle Sabine furono chia- mali Consuali perchè fatti in onore del Dio Conso. Appresso furono detti Circensi quando Tarquinio Prisco fece il circo massimo. Sem- bra che la prima volta fossero celebrali nel campo Marso. . l6l pace. In fine però ne proruppero delle guerre , alcune sicuriiniente ben facili ; ma grave e disastrosa fu cjuella co’ Sabini. Felice fu l’esito di tutte, come prima che si cominciassero ne aveano presagito gli oracoli, i quali significavano che grandi ne sarebbero i travagli , ed i pericoli , ina lietissimo il fine. Le città che prime si misero a tal guerra furono Genina, ed Ànlemna , e Crustumero , in apparenza pel ratto delle vergini e jicr vendicarsene ; ma la cagione vera che ve le spingeva era la fondazione , era il créscere di Roma divenuta grande in poco tempo , e la voglia di non trascurare che più si estendesse quel male , comune a tutti i vi- cini. Ben tosto dunque spedendo ambasciatori ai Sa- bini gl’ invitarono perchè fossero i capi nella guerra , essi che erano i più polenti di arme e di danaro , de- gni di comandare ai vicini , nè oltraggiali menu degli altri; essendo le vergini rapite per la maggior parte Sabine. Ma poiché niente profittavano , pere he gli ambasciadori di Romolo contrariavano, ed appiacevoli- vano con parole e con opere quella gente ; stanche al- fine di perdere più tempo coi Sabini i quali esitavano c rimettevano ognora a tempo più rinioto il consiglio di guerra , destinarono fra loro di combattere esse i Romani; pensando che avrebbono suificieiiza in sè stesse di forza , se univansi tutte tre , per invadere una città sola , nè grande. Così dunque si coiicerlarouo ; ma non si espedirono già per concentrarsi tutti in un esercito ; insorgendo innanzi gli altri i Ceuiuesl , pi'imarj già nel volere la guerra. Ora avendo questi mossa l’ armata , e devastando il campo contiguo , Romolo usci colle sue truppe : e piombando repentinamente su' nemici che non seu guardavano ; ben presto ne espugnò gli alloggia- menti , che appena erano formati. Poi gettatosi appressa quelli i quali si rifuggivano nella città , dove non crasi udita ancora la sciagura dei suoi , non trovandovi nè guardate le mura , nè chiuse le porle ; la invase a pri- mo impeto, ed uccise, combattendo, e spogliò colle sue mani delle arme il re di essa venutogli incontro con forz^ poderosa, Cosi prendendo e* comandando la città che gli consegnasse le armi , e togliendosene per ostaggio , que’ gioviui che più volle; marciò contro gli Antemnati. Rendutosj colla subita incursione padrone delle milizie di questi , sbandate ancora a far preda , come crasi pa- drone renduto delle precedenti , e trattati i vinti nella maniera medesima; ricondusse a casa l'esercito, recando le spoglie degli oppressi in battaglia, e le pripiizie delle prede ai Numi i quali onorò con assai sagriSzj. Andava-, massimo della pompa egli stesso in veste di porpora , e coronato di alloro le tempie, ma su di una qua- driga (i) per serbare la dignità di monarca. Seguivano (i) Plutarco scrive c>;e Dipoigi uon dice bene quando afferma che Romolo veniva su di un carro. FwyueAer it vac piia-tt Aisrue-rur. Tito Livio scrive che Roipolo spo- lia ducis hostiunt cacti tuspensa , fabrieato ad id apté ferculo , ge- rent , i/t capholium asce/idit. Il Casaubono pensa che Dionigi per la non piena peiizia delia lingua latiua interpretasse quel ferculum di ^vio, dal quale derivava tali racconti, per cocchio;' quando eia ir. ' i63 le milizie de’ fanti e de’ cavalieri, ornate secondo i loro gradi , magnifìcando gl’ Iddii colle patrie canzoni , ed il capitano con gli slanci di versi improvvisi. Quelli della citii recatisi loro incontro colie mogli e co’ figli, e schie- rai isi quinci e quindi per le vie si congraiulavano con essi per la vittoria, e davano ogni altro segno di ami- ^ cizia. Entrata la truppa in città trovò crateri spumanti di vino e mense colme di ogni varieià di cibi appiè delle case più riguardev.oli pei’chè a piacere vi sì saziasse. Cosi andava con trofei e sagrifizj la pompa della vit- toria istituita la prima volta da Koniolo , e chiamata dai Romani trionfo : ma ora, trascendendo ogni antica sem- plicità , spiegasi magnifica e clamorosa come in tragico rito , anzi per gala di ricchezze che in prova di virtù. Dopo la pompa e dopo i sagrificj Romolo edificò su le cime del cimpidoglio un tempio a Giove detto Fé-, retilo da’ Romani : Non era grande il sàiito edificio ; apparendone ancora i primi vestigi, e vedendosene! iati maggiori meno lunghi oi dal vero chi voglia questo (jiove Feretrio a cui Romolo offerse le anni , chiamarlo il Dio che tiene i trofei , o che porge come altri dicono , le spo- glie de’ nemici , o il Dio preeminente , perché supera ed abbraccia tutta intorno la natura ed il movimento degli Esseri. piutlo.s(o come iuterprela Plulaico ciocché ni direbbe trnfeo. Lo stesso Plutarco ìoscgiia che Lucio Taripiaio Piiscu fu il (irinio che tiiuufasse sul cairu. Poiché Romolo ebbe tributalo agl’ Iddìi le primizie ed i sagrifìzj di ringraziamento , deliberò, pri- ma di far al irò , col senato, com’erano da trattarsi le città debellate ; ed esso il primo ne dichiarò la sentenza che ottima riputava. E piaciuta questa come la più si- cura e la più luminosa a quanti erano in quel consesso, ed encomiatone pe’ vantaggi che a Roma ne risultavano non pur di presente , ma in ogni avvenire; comandò che venissero a lui le donne di Cenina e di Antemna cadute prigioniere con altre. Riunitesi sconsolaté^, e pro- stratesi , e piangendo esse la sorte della patria; accennò che frenassero i pianti e tacessero e poi disse: hen do- vrebbero i vostri padri , i vostri fratelli , e le intere vostre città subire ogni male , perchè scelsero anzi che r amicizia la guerra , e guerra non necessaria nè one- sta. Nondimeno abbiamo noi deliberato di essere cle- menti con essi per molle cagioni, e perchè appren- diamo la vendetta de' Numi , pronta contro i superbi, e perchè temiamo la indignazione degli uomini, e perchè giudichiamo essere la compassione compenso non lieve de' mali comuni , noi che già la dimanda- vamo dagt altri : e finalmente perchè pensiamo che ciò non sarà caro e grazioso poco per voi , congiunte finquì co' vostri mariti senza che possano querelar- sene. Condoniamo questo delitto , nè togliamo a’ vo- stri cittadini non la libertà , non i poderi , non altro bene qualunque. Lasciamo noi dunque ( nè già se ne avranno a pentire) lasciamo libera a tutti la scelta di rimanere in patria se il vogliono , o di traslatar- sene. Ala perchè niente pià faccia abberrare le vostre  città, perchè niente più trovisi in esse che possa ri- dividerle dcdla nostra amicizia’, rìputianio espedientis- simo e saluberrimo per la concordia e sicurezza di ambedue se le rendiamo colonie di Roma , e se da Roma vi mandiamo abitanti che bastino. Àndcde : statevi di buon animo : moltiplicatevi nelt ossequio e nella benevolenza de’ vostri mariti; tra’l dolce senti- mento che liberi per voi sono i vostri figli , liberi i vostri fratelli, libere le patrie vostre finalmente. Ti-i- pudiando in udir questo le donne e lagrimando viva^ niente di gioja partirono dal Foro. Romolo mandò in ciascuna città trecento uomini e le città cederono ad essi , dividendolo a sorte , il terzo de’ loro terreni. In opposito menò in Roma quanti Antemnati e Ce- ninesi vollero trasferirvisi , e raeuovveli colle mogli e co’ figli mentre ritenevano in que’ luoghi i campi ad essi toccati , e portavano seco il danaro che possede- vano. Li descrisse il re ben tosto nelle curie e nelle tribù ; nè furono men di tre mila : tanto che ne’ cata-^ loghi romani si numerarono allora la prima volta sei mila fanti. Genina ed Antemna città non ignobili avean greco lignaggio : imperocché tolte ai Sicoli caddero in potere degli Aborigeni , i quali erano una parte degli Oeijoirj , venuti già dall’ Arcadia , come nel primo li- bro fu detto, ma ora finita la guerra divennero colonie romane.  Romolo dopo ciò condusse Tesercito incon- tro de’ Crustumerini , apparecchiati meglio che i primi : e vintili, quautiinque stati fortissimi (i), nella battaglia (i) Qui Dionigi è contrario a Livio il qnale scrive:' Poi t’in-  \ in campo e su’ muri, non volle che patissero più oltre; ma fece della città , come delie altre una colonia ro- mana. Era Cruslumero colonia degli Albani speditavi mollo tempo innanzi di Roma. Divulgando la fama in molte città la fortezza militare del capitano e la cle- menza in verso de’ vinti; si congiunsero ad esso ancora non pochi valentuomini ; i quali con tutte le famiglie a lui trasferendosi, gli recarono forze non dispregevoll. Ed uno de’ colli di Roma ancora chiamasi Celio , da Celio che uno fu di que’capi venuti dalla Etruria. Anzi a lui si diedero Intere città, cominciando dalla città dei Medullini , le quali divennero colonie romane. I Sabini al veder ciò se ne conturbarono, accusandosi a vicenda che non avessero messo iiu argine alla monarchia dei Romani in sul nascere, o che si avessero a brigare con lei fatta già grande. Nondimeno parve ad essi che fosse da correggere il primo errore collo spedire un esercito rispettabile. E riunitisi a congresso In Curi la più co- spicua e la più imponente delle loro città , vi decisero co’ loro voti la guerra ; creaudone generalissimo Tito Tazio re dei Cureli. Deliberato ciò ripatiiaronsl e pre- pararono i Sabini la guerra per marciate In su la nuova stagione con esercito poderoso contra Roma. Intanto Romolo si apparecchiò fortlsslma- mente onde jìsosplugere uomini fiorentissimi in arme. Elevando le mura del Palatino e torrioni più alti di camminò contro de* Crustomenesi g i quali portavano la guerra z ftia qui ci ebbe men di contrasto perchè già gli animi erano abbaia tuli per le sconfitte degli altri»  1 67 esse perché dentro vi si stessè con sicurezza , e circon- dando con fossi e irincere 1’ Avventino , ed il Campi- doglio che ora chiamano, colli ambedue dirimpetto dei primo, e presidiandone l’uno e l’altro con salda guar- nigione; ordinò che nella notte vi si riparassero e greg- gio e villani. Munì similmente con fossi e palizzate , e guardie ogni altro luogo opportuno per la loro sal- vezza. Intanto Lucumone , divenuto amico suo non molto di prima , Lucumone uomo operoso ed insigne nelle arme , venne a lui con buon sussidiodi Toscani da Vetulonia ; e vennero pure da Albano in copia , ( e mandavagli 1’ avo materno ) combattitori . commis- sari, arteBci di militari stromenti. Diè loro frumento ed arme e quanto facea di mestieri, e largamente ne diede per ogni vicenda. Poiché furono apparecchiati ambedue per r impresa , i Sabini al sorgere della primavera , ornai sul pnnto di cavar le milizie , deliberarono di spedire , e spedirono prima a’ nemici un ambasceria la quale esigesse le donne e la soddisfazione della rapinà di esse ; perchè se ’l giusto non ottenevano , apparisse che spinti dalla necessità davano alle arme. Romolo pregò in opposito che si permettesse alle donne rima- nersene con quelli a’ quali si erano maritate giacché re- stie non ci convivevano: che se abbisognavano di altra cosa, volessero da lui riceverla come da un amico, non lo investissero colla guerra. I Sabini non contentati in alcuna dimanda menarono in campo venticinque mila pedoni e quasi mille cavalli. Non molto differiva dalla milizia sabina la romana ; numerosa di ventimila fanti , e di ottocenfp cavalieri , ed accampatasi divisa in due parli dinanzi la città , teneva con una parte il colle Esquilino sotto gli auspicj di Romolo, e con l’altra il Quirinale ( che allora non avea questo nome ) , e Lu- cumone il Tin'eiio erane il capitano. Al conoscere tali disposizioni Tazio re dei Sabini levandosi di notte , traversò coll’ esercito la campagna , non già per danneggiarla , ina per mettersi prima del nascer del sole in sul campo tra ’l Quirinale ed il Campidoglio. Ma vedendo che tutto era custodito dalle guardie vigili de’ nemici, e che non ci avea luogo sicuro per lui , cadde in gravi dubitazioni senza rinve- nire intanto come avea da usare quel tempo. Fra tante dubitazioni sorsegli una prosperità non pensata ; essen- dogli consegnato un de’ luoghi fortissimi con questo successo. Rigirandosi appiè del colle Capitolino i Sabini per esplorare se ci avea parte niuua , donde potesse espugnarsi con sorpresa , o di forza ; videli dall’ alto Tarpeja , una vergine cosi nominata , figlia del valente uomo al quale era la cura hdata di que’ luoghi : s’ in- vaghì la donzella , come scrive Fabio e Ciucio , dei braccialetti che que’ Sabini s’ aveano intorno la sinistra , e s’ invaghì degli anelli. Brillavano allora di oro i Sa- bini, molli nommen che i Tirreni nel vivere. Ma Lucio pisone il censore narra che la fanciulla ciò fece sul bel desiderio di esporre ai cittadini i nemici , nudi delle arme colle quali si difendevano. Ben può da quel che siegue raccogliersi qual sia di queste due cose la più verisimile. Mandando fuora una serva per una tal por- ticina che niun si avvide che fosse aperta, fe’ richiedere il monarca Sabino che venisse a lei senza compagni per nn colloquio ; ed essa parlerebbegli di cosa grande e necessaria. Accettò Tazio l’ invito su la speranza di un tradimento , e recatosi al luogo additatogli , e venutavi ( che ben lo potè ) la donzella , disse che il padre suo quella notte si era allontanato per un tal bisogno dalla fortezza , e che le chiavi delle portò erano presso di lei : consegnerebbele se a lei venissero quella notte , e se in premio della consegna le si dessero quelle fulgide cose che ì Sabini portavano tutti nella sinistra. Piacque a Tazio 11 partito, e contraccambiatasi ambedue la pro- messa con giuramento di non illudersi ne’ patti ; la ver- gine distinse la parte per la quale avrebbero a venire a quel fortissimo luogo , e distinse 1’ ora della notte in che meno s' invigila ; e poi ritornossene , nè quelli che eran dentro ne seppero. Concordano Gn qui ma non già nel resto gli storici romani. Pisone il censorino del quale abbiam detto di sopra scrive che Tarpeja spedì quella notte un messaggiero che signiGcasse a Romolo gli accordi fatti tra i Sabini e tra lei ; e come ella esigerebbe le arme difensive di essi , deludendoli coll’ ambiguità de’ trattati : egli dunque mandasse altra milizia nella fortezza , e vi sorprenderebbe i nemici col capitano spogliati di arme. Aggiunge però che il messaggero fuggendosi presso il re de’ Sabini gii accusasse i disegni di Tarpeja. Ma nè F abio nè Cincio dicono che ciò avvenisse , e sostengono che la donzella mantenesse i patti del tradimento. Dopo ciò continuano tutti la storia con slmiglianza. Imper- ciocché narrano che avvicinatosi il re dei Sabini col Gor dell’ esercito colei per adempiere le promesse aprisse a’ nemici la piccola porla concordata , e che destate le guardie del luogo le stimolasse a scampare sollecita- mente per tragitti ignoti ai Sabini che ornai possedeano la fortezza. Narrano inoltre che i Sabini al fuggire di quelli, trovatene le porte aperte, occupassero la fortezza abbandonata ; e che la donna avendo prestato i servigi pattuiti , ne chiedesse il premio secondo i giuramenti. XL. Dopo ciò scrive Pisene che essendo i Sabini pronti di dare l’oro di che riluceano ne’bracci sinistri; Tarpeja la donzella ue pretendesse non i fregi ma gli scudi : che Tazio andasse in collera per l’inganno, ma pur si guardasse dal violare i trattati : che era a lui sembrato perciò che si dessero alla vergine le arme ri- chieste ma per modo , che ricevutele non potesse va- lersene : che ben tosto dunque , comandando di essere imitato dagli altri , lanciasse lo scudo con quanta avea forza contro Tarpeja : la quale investita d’ ogn’ intorno e sopraffatta da tanti colpi e si gravi succumbè sotto delia tempesta. Ma Fabio ascrive a’ Sabini la frodolenza su’ trattati. Perocché dovendo secondo i patti dare a Tarpeja le auree cose che dimandava , rattristatine per la grandezza di esse , scagliarono su lei le arme colle quali si difendevano , quasi scagliar le medesime fosse un darle come aveano promesso quanto giurarono. Se non che sembra che i fatti consecutivi rendano più ve- risimile il giudizio ultimo di Pisone. Certamente fu la giovine, dove cadde, onorata di tomba , e la tomba sta nel più augusto de’ sette colli , e Roma ivi le replica ogni anno sacre libagioni. Io dico ciocché scrive Pisone. Cioè se ella fosse morta tradendo la sua patria non Digilized by Google LIBRO II. I 7 I avrebbe ottenuto niuno di questi due onori nè da quelli che ne erano traditi , nè da quelli che ne furono gli uccisori : anzi se avanzo mai v’ era del tuo cadavere sarebbe stato poi disotterralo e gittato per atternre i posteri , e respingerli da simili operazioni. XLI. Tazio e li Sabini impadronitisi di quella for- tezza , e pigliato senza disagi il più degli appareccbj de* Romani , facevano ornai la guerra da luogo sicuro. Cosi tenendosi dunque ambedue le armate dirimpetto a piccola distanza fra di loro , molti erano in molte occasioni li tentativi e gli attacchi senza grandi risultati di danno o di utile per ninna delle parti. Due furono le battaglie più rilevanti date con tutte le milizie , schierate 1’ una contro l’ altra; e grande ne fu la strage vicendevole. Ma tirandosi in lungo , ambedue li re con- corsero nel sentimento di venire a decisiva giornata. E recatisi nello spazio intermedio ai due accampamenti i capitani migliori nelle armi ed i soldati già sperimentati in mille cimenti fecero memorabili prove dando e ri- battendo gli assalti , e traendosene e rimettendovisi ugualmente. Coloro i quali contemplavano da luogo munito la equilibrata battaglia, e che d’ora in ora pie- gava dall’ una o dall’ altra parte , incitando , ed accla- mando incoraggivano chi vi si distingueva ; o con pre- ghiere e pianti richiamavano chi vacillava o lasciavasi ornai sopraffare , perchè vile sempre non rimanesse. Dond’ è che gli uni e gli altri erano necessitati a so- stenere travagli , maggiori delle forze . Cosi tenuta avendo la battaglia nel giorno con sorte eguale ; alfine essendo già notte si ravviarono lieti ai proprj alloggia- menti. Ne’ di seguenti dando sepoltura ai morti rista- bilirono i feriti , e procurarono insieme altre forze. Poiché parve loro di farsi nuovamente alle mani , tor- nati jiel luogo medesimo vi combatterono fino alla notte. Prevalsero i Romani in ambe le ale; reggendone Romolo stesso la destra , e Lucumone il tirreno la si- nistra. Ma restando dubbia ancora nei centro la sorte delle armi ; Mezio , cognominato il Curzio, uomo me- raviglioso per le forze del corpo , magnanimo nelle arme , e chiaro soprattutto perchè noa turbavasi a pe- ricoli o terrori , impedì la disfatta totale de’ Sabini e portò di nuovo contro de’ vincitori le schiere che sor- vanzavano. Costui messo a dirigere 1’ armata del centro avea già vinto i nemici che gli stavano a fronte. Vo- lendo poi ripristinare lo stato delle ale sabine ornai sbattute , e presso a dar volta , esortandovi la sua mi- lizia si mise ad inseguire i nemici che fuggivano sban- dati da lui, cacciandoli fino alle porte, cosicché Romolo fu costretto a lasciare imperfetta la sua vittoria , e ri- volgersi ad accorrere contro la parte de’ nemici che era vincitrice. Cosi quel corpo de’Sabini il quale pericolava si riebbe j allontanaudosegli Romolo colla sua gente : e tutto il nembo si raccolse inverso di Curzio e de’ suoi che erano già vittoriosi, e questi tenendo fronte per un tempo ai Romani combatterono luminosamente. Ma poi rovesciandosi troppi su loro ; piegarono e rìpararousi negli alloggiamenti , assai contribuendo Curzio alio scampo col ritirarli grado a grado , non col fargli in- seguire in disordine. Egli flesso arrestavasi in arme , e. facea fi'onte a Romolo che lo investiva. E grande e . 1^3 bella a vedere fu la gara de’ capitani che si attaccavano. Alfine essendo già Cur/io ferito, già esausto di sangue, riucnlava poco a poco , quando eccogli addietro una palude profonda ; difficile da girarla intorno , perchè cinta da’ nemici , e dilficilissima da traversarla per lo fango che ammassavasene alle sponde , e per le acque , che altissime vi erano in mezzo. Inoltratosi dunque vi si lanciò con tutte le arme. E Romolo sul pensiero che colui quanto prima perirebbe nella palude non poten- dovisi perseguitare pel fango e per le molte acque ; si rivolse contro degli altri. Ma Curzio dopo molti e lun> ghi stenti emerse finalmente còlle arme dalla palude , e fu portato a’proprj alloggiamenti. Rimanea la palude nel mezzo quasi del foro romano , e lago chiamasi di Curzio dalia vicenda ; ma ora è tutta ricoperta dalla terra. Romolo inseguendo gli altri avvicinasi al Cam- pidoglio. Spaziava nella speranza di rivendicarselo : ma travagliato da molte ferite, e più da un colpo di pietra lanciatogli dall’alto nelle tempia fu preso ornai semivivo da’ compagni , e riportato dentro le mura. Sbigottirono i Romani più non vedendo il capitano, e dicdesi l’ala destra alla fuga. Sostenevasi ancora la sinistra diretta da Lucumone , uomo chiarissimo nelle arme , e segnalatosi per molte e belle imprese in tal guerra. Ma nemmeno questa più resse alfine ; quando colpito in un fianco da'Sabini cadde pur Lucumone rifinito di forze. Allora la fuga fu universale. I Sabini imbaldanziti gl’ incalza- vano verso le mura: se non che giungendo alle porte pe furono respinti , sboccandone contro loro i giovani a’ quali aveva il re dato in guardia le mura. Ed a(Yrct- taiidosi quanto potè per soccorrerli Romolo stesso, ria- vutosi già dalla percossa ; la sorte assai ne variò della battaglia. Imperocché li fuggitivi mirando iuaspettata- ineute il sovrano , risorti dalla paura , si riordinarono , uè più s’ indugiarono a volar su’ nemici. Questi che aveano finora pressato i Romani e concluso non esservi schermo , che impedisse di prendere la loro città culla forza ; non si tosto videro il cambiamento inopinato e* repentino , pensarono come scampare sè stessi. Il ritorno al campo era precipitoso per essi , inseguiti dall' alto , e per istrada profonda. Quindi grande fu la strage loro in questa ritirala. Cosi pugnato avendo quel gioruo da pari a pari , ma involgendosi ambedue tra casi inaspet- tati ; alfine ornai tramontando il sole , si divisero. XLIV. Ne’ di seguenti consultarono i Sabini se aves- sono a ricondurre in patria l’esercito devastando intanto il più che poteano le campagne nemiche , o se di là ne chiamassero un altro , ivi trattenendosi cd insistendo fiuchè dessero buon fine alla guerra. Ben era misera cosa per essi partire, donde mauifeslcrebbcsi la infamia che niente aveano conseguilo; ed era misera cosa noni- meno il rimanersi non riuscendo loro disegno alcuno come speravano. Concepivano poi, che venire a trattali co’ nemici, unica maniera conveniente a levarsi di gueiv ra , gioverebbe anzi a’ Romani che a loro. Tuttavia uon meno , anzi assai più che i Sabini , erano i Romani caduti in gran dubbio intorno le cose da fare. Imperoc- ché nè volevano rendere nè riteuere le donne ; riputando la prima cosa un seguito di uua [lerdila mauilcsta , cd  n. 175 un preludio di aversi nccessariamenle a sottomeltere an- che ad altri coaiaudi : ma 1’ altra cosa presentava molli e gravi mali , distrutte le patrie campagne , e la gio> ventò più florida trucidata. Se faceansi a trattar coi Sabini , parca loro che questi non ser berebbero alcuna misura , per molte cagioni e principalmente perchè i superbi insolentiscono non condiscendono col nemico che volgesi agli ossequj. XLV. Mentre ambedue cosi cogitabondi , e così di- sanimati dal cominciare o battaglie o discorsi di ricon- ciliazione dispergevano il tempo ; le mogli de’ Romani , quelle che erano sabine di origine, quelle per le quali ardeva la guerra , congregatesi ed abboccatesi fra loro in un luogo medesimo risolverono d’ intramettersi con ambi per la pace. Dava tal partito alle altre Ersilia , non ignobile di legnaggio tra’ Sabini. Di lei dicono che rapita già come vergine con altre donzelle , ora fosse maritala. lN|a più verisimile è chi scrive che ella si fosse rimasa spontaneamente colla unigenita sua , 1’ una delle derubate. Riunitesi a tal sentimento andarono le donne in Senato , ed ottenutovi di parlare , ve lo diffusero , chiedendo di uscir per un colloquio co’ loro parenti. Annunziavano che aveano molte e belle speranze di fiduiTe unanimi le due genti e stringerle di amicizia. Come udirono ciò quelli i quali consultavano col mo- narca assai ne furono dilettati , riputando che questo fosse r unico spediente in tanto inviluppo di cose. Adunque si decretò che quante Sabine avean Agli tante lasciando questi co’ mariti , avessero la potestà di an- darne oralrici ai lor nazionali: che quelle però le quali eran madri di più 6gli ne recassero con sè la parte che più volcano , e trattassero la riconciliazione de’ po- poli. Uscirono dopo ciò tra lugubri vesti , e talune coi teneri Ggliuoletti. Giunte al campo sabino mossero col piangere e col prostrarsi appiè di chiunque iucontravale tanta compassione , che ninno de’ riguardanti potea rat- tenere le lagrime. E Tannatosi per esse il fior del Se- nato, e comandate dal re che dicessero le cagioni della venuta; Ersilia, autrice e guida della S])edizioue, feceiie una lunga e patetica sposizione , implorando che do- nassero pace a’ mariti appunto in grazia di esse per le quali dicevano intimata la guerra. Si adunassero i prin- cipi loro; ed essi, veduto 1’ utile puliblico, discutessero le condizioni ,per le quali cessassero le discordie. XLVI. Ciò detto caddero prostese co’ teneri figli ap- piè del sovrano e vi si tennero, finché quelli che erano presenti non le rilevarono da terra con promettere che farebbono quanto era onesto e possibile. Fattele uscire dal Senato , e consultando fra loro , si decisero per la pace. E prima si fece la tregua : poi riunendosi i re , si concordò su la pace ancora. E tali ne furono le convenzioni che sen giurarono. Sarebbero ambedue re dei Romani Romolo e Tazio con eguali poteri ed onori. La città serbando il nome del suo fondatore chiamerebbesi Roma , e romano ogni suo cittadino come per l’addietiv- Ma tutti insieme si chiameiiano generalmente Quiriti desuntone il nome dalla patria di Tazio. Si domicilierebbero que’ Sabini che voleano, in Roma , ma comunicandosi le sante cose , c pren- dondo luogo nello tribù c nelle curie. Giurate questo cose , ed eretti gli altari ove far 1’ alleanza , in mezzo quasi della Via 1 Sacra, si mesoolarono insieme. Poi rao* cogliendo ogni duce li suoi , tornarono alle proprie magioni. Si rimasero in Roma Tazio il monarca e con esso tre de’ più , riguardevoli Valerio Voleso , Tallo , soprannominalo il Tiranno , ed in fine Mezio Curzio , quegli che : avea colle armi trapassato la palude , e vi ebbero gli onori che i discendenti loro pur vi godcronow Anzi con questi si rimasero amici , consanguinei , e clienti , non minori di numero agli altri di Roma. Mentre ordinavano queste cose parve ai so» vrani di raddoppiare il numero de’ patrizj per essersi la popolazione moltissimo arnpbata. Adunque segnando in X catalogo colle famiglie più nobili tanti cittadini novelli , quanti erano i primi , chiamarono patrizj ancor’ essi. Poi trascelli cento di «questi col voto delle curie gli connumerarono ai senatori antichi. E su ciò concordano presso a poco tutti gli scrittori delle cose romane : dif- ferisce taluno sul: numero de’ sopraggiunti : dicendo che non cento cui cinquanta furono gl’ inseriti al Senato. Non consentono però gli storici romani su F onore che i re concederono alle donne perchè gli aveano rioou» dotti aUa pace. Perocché scrivono alquanti che diedero ad esse distintivo grande e moltiplice non pure i prin- dpi, ma le curie : le quali essendo trenta , come già dissi , presero nome ognuna da queste , giacché trenta furono ancora le oratrici. Ma Terrenzio Varrone si di» scosta da questi in tal capo, aflermando che i nomi erano stati imposti -alle curie anteriormente da Romolo, quando divise la prima volta il suo popolo: c die quei nomi furono desumi da’ capi di esse , o dalle antiche lor patrie. Aggiunge che le femmine andate amba- sciadrici non furono trenta ma cinqueceutotrentatrè : dond’ è che noti sia verisimile che il re concedesse ad alcune poche di esse quell’onore, escludendone le altre. A me nè tali son parute queste cose da non farne pa- rola , nè tali da scriverne dtra il bisogno. Ora l’ordine stesso della narrazione dimanda che io dica quali e donde fossero i Cureti alla città de’ quali apparteneva Tazio , e quei eh’ eran seco. Noi cosi ne sappiamo. Nel tempo che gli Aborigeni posse- deano 1’ agro Reatino una vergine nobilissima natia di que’ luoghi entrò , per danzarvi , il tempio di Enialio. Enialio lo chiamano Quirino i Sabini , ed , ammae- strati da essi , i Romani , senza che sappiano dire più oltre s' egli sia Marte , o tal altro , eguale a Marte in onore. £ li primi pensano che 1’ uno e 1’ altro nome dicasi del Nume arbitro delle guerre ; ma gli altri che sia quel doppio nome non di uno, ma di due Dei bel* licosi. La vergine danzando già nel tempio fu dallo spirito investita del Nume; e lasciale le danze si ritirò ne’ penetrali santi di lui , dove , come a tutti sembra , fecondatane , diede un fanciullo , che Modio fu detto , ed ebbe soprannome di Fabidio (i). Or questi, adulto (i) Vi è chi pensa che il Modio Fabidio sia il Afe £>iuj Fidius de’ fìoinaui , forinola colla quale riguardavaisi il Nume tutelare della fede, o pure Ercole figlio di Giove. Se ciò lesse, Diouigi avrebbe malameuie iuierpiaato quella formula Romana di giura- mento.. 179 feuo nella persona, ebbe forma non umana, ma divina, e combattè con preemiuenza di tutti i valentuomini. Preso poi dal desiderio di abitare una città che avesse la origine da lui, congregando gente io copia da luoghi d’intorno, eresse in tempo assai breve quella che Curi addimandasi , denominandola , come narrano alcuni , dal Nume , dal quale è &ma che egli fosse generato , e come altri asseriscono dall’ asta , poiché Curi chiamasi 1* asta in. Sabina. Cosi scrive Terrenzio Yarrone. XLIX. Ma Zenodoto Troizinio uno scrittore del- l’Umbria, narra che le genti di essa furono prima abi- tatrici de’ campi detti Rèalini : che espulse da’ Pelasghi se ne vennero alla terra dove ora soggiornano , e dove mutato nome coi luoghi , si chiamarono Sabini per Umbri. Porzio Catone dice imposto tal nOme ai Sabini da un Nume di que’ luoghi Stoino ( 1 ) Sanco , e che Sanco per alcuni vai quanto Dio Fidio, Dice che fii domicilio primitivo di essi un villaggio nominato Te- strina presso la città di Amiterna ; che movendosi da questo inondarono i Sabini 1’ Agro ReatioQ abitato al- (1) Silio nel libro ottavo scrive. Ibant et laeti pars tanctum voce canehanl, Auetorem genlis , pars laudes ore ferebant , Sahe , Uuis , qui de patrio cognomine primus . Dixisli poputos magna ditione Sabinos. Forse dunque nel testo di Dionigi dee leggersi Sabo e non Sabino. Festo e Yarrone additano che Sanco tra’ Sabini siguifìca Ercole. Ora Plutarco nel suo Noma e Servio nel libro 8 dell’ Eneide de- rivano i Sabiui dagli Spartani, e gli Spartani da Ercole. Quindi quel Sabo Sanco non sarebbe che Ercole ; tanto più che Sanco '«redesi il me Diut Fiditu, c questa par furatola per additare Ercole. Digitized by Google i8o DELLE Antichità’ romane lora dagli Aborigeni , e da Pelasghi : e che ne otten- nero colla forza delle armi Colina la loro città più cospicua : che spedendo dal contado Reatino delle co- lonie fondarono altre città non poche , ove , senza cin- gerle di mura , si viveano ; e tra queste la città che Curi fu nominata : che occuparono campagne lontano circa dugento ottanta stadj dall’ AdrìaUco , e dugento quaranta dal mare Tirreno: e dice che stendeasi la lun- ghezza di quelle poco meno che mille stadj. Secondo le storie paesane intorno de’ Sabini abitavano con essi già dei Lacedemoni quando Licurgo tutore di Eunomo, nipote suo , . dava a Sparta le leggi : e questo perchè impazientiti alcuni dalia dura legislazione di lui , stac- caùsi da’ compagni abbandonarono affatto la città ; e corso ampio tratto di mare , e desiderosi ornai di pren- dere terra dovunque, si legarono per voto cogl’Iddii di abitare quella appunto ove imprima giungerebbero. Ve- nuti nell’ Italia ai campi detti Pomentini nominarono , dal mare che aveali portati , Feronia il luogo dove prima approdarono , e vi eressero un tempio alia Diva Feronia alla quale aveano fatto i lor voti ; e la quale mutatane una lettera ora Faronia si chiama. Alcuni da indi rimovendosi ne andarono a dimorar tra’ Sabini : e però spartane sono molte delle loro istituzioni , spartani principalmente gli amori per la guerra ; la parsimonia e la durezza nelle opere tutte della vita. Ma ciò basti su la origine de’ Sabini. L. Ben tosto Romolo e Tazio ampliarono la città congiungendole altri due colli , 1’ uno chiamato Quiri- nale , e Celio r altro. E ponendo separatamente le case . 1 8 1 viveasi ognuno nelle sedi sue. Avessi Rouiolo il monte Palatino ed il Celio , monte contiguo col primo. ^azÌo avevasi il Campidoglio , occupato già ne’ principi da esso , ed il Quirinale. Recisa la selva la quale spande- vasi appiè del Campidoglio , e ricoperta in gran parte di terra la palude , la quale per la concavità dei sito rooltiplicavasi dalle acque scese da’ monti , fecero ivi il foro, dei quale servonsi ancora i Romani. E là tenendo le adunanze, consultavano nel tempio di Vulcano, cbe quasi al foro sovrasta. Inalzarono i tem^q , e consacra- rono gli altari ai Numi , a’ quali gli aveano promessi co’ voti nelle battaglie. Romolo ne eresse uno a Giove Statore presso la porta òe Muggiti la quale mena dalla via sacra al Palatino , perché quel Nume esaudendo i voti di Romolo fe’ cbe l’ esercito suo già fuggitivo si arrestasse,, e si volgesse a fronte dei nimico. Tazio ne eresse al Sole , alla Luna , a Crono , a Rea , ' come pure a Vesta, a Vulcano, a Diana, ad Eniàlio ed altri difScili a nominarsi con greca parola. Mise in tutte le Curie le mense per Giunone Quirizia (i) le quali esi- stono ancora. Dominarono cinque anni insieme senza dissidio, e compierono in quel tempo con impresa co- mune la spedizione contro de’ Camerini. Impercioccbè questi mandando delle masnade assai danneggiavano loro il paese : e tuttoché chiamativi non erano mai comparsi a darne ragione. Adunque schieratisi a fronte di essi , e vintili in campo , e poi nell’ assalto delle mura , gli astrinsero a cedere le arme e la terza parte della re- (i) Secondo Pesto vuol dire Giunone coW atta, vedi $ 4^ prc- oedenle. • Digitized by Google iSa PFLLE Antichità’ romane gione. Continuando nondimeno i Camerini ad Infestarla riuscirono nel terzo giorno I re coll’ armata e li fuga- , rono , e ne divisero ogni cosa ai proprii soldati , con- cedendo solamente che quelli , se volevano , si domici- liassero in Roma. Quattromila quasi ve ii’ ebbero , e lì compartirono tra le curie. E Camaria , sorta già tanto tempo prima di Roma , Camaria già domicìiio famoso degli Aborigeni , e poscia di un ramo di Albani , fu ridotta colonia de’ Romani. Tornò, nei sesto anno il comando a Romolo so- damente , morendo Tazio per le insidie de’ primarj tra Laurenlini tesegli per questa cagione. Scorsi gli amici di Tazio a far preda nel territorio de’ Laurenlini ne aveano rapito danari in copia , e menato via de’ be- stiami t uccidendo o ferendo chiunque presentavasi a rivendicarseli. Spedita quindi dagli offesi una legazione a reclamar la giustizia , Romolo sentenziò che gli o^ fensori le si consegnassero. Tazio però sollecito degli amici , non istimava bene che si desse alcun cittadino perchè si portasse in giudizio tra forestieri e nemici. Laonde intimò che quanti si richiamavano della ingiuria venissero e discutesserla ne’trihunali di Roma. Cosi non trovando giustizia partirono indispettiti gli ambasciadori. Ma datisi per isdegno alcuni Sabini a seguitarli gli assalirono , che dormivano tra le tende lungo la via sorpresivi dalla notte : e spogliatili di ogni cosa , ne scannarono quanti giaceansi ancora ne’ letti. Si ricon- dussero alia loro città quauti si avvidero a tempo dei- r insidie e fuggirono. Dopo ciò venendo ambasciadori da Laurento e da molte città si dolsero su’ diritti vio- lati, ed intimarono la guerra, se non erano compensati. LITtP.O IT. l83 LII. Sembrava a Romolo , com’ era , terribile 1’ ol- traggio d(^li ambasdadori e degno di una subita espia- zione , es:;endosi profanata una legge santa. E vedendo che Tazio tcneane picciolo conto , egli senza più indu- gio presi e legati i complici, li diede agli ambasciadori \ ortato a Roma ebbe magnifica se- poltura , e la città gii rinnova ogni anno pubblici sa- grifizj. LUI, Romolo trovandosi un’ altra volta solo nel prin- cipato purificò la infamia commessa contro gli amba- sciatori pubblicandone privi dell’ ncque e del fuoco gli autori , faggitt già tutti da Roma al primo udire la morte di Tazio. In opposito essendogli conseguati da Laurento ero la vittoria per saviezza del capitano, il quale occupato di notte un monte non molto lontano da’ nemici teneavi in agguato il fiore de’cavalieri , e dei fanti , giuntigli ultimamente da Roma. Tornati in campo ambedue per combattervi come prima , non si tosto diè Romolo il segno convenuto a quelli del monte , corsero schiamazzando dalle insidie alle spalle de' Vejentani : e piombando essi , freschi ancora su uomini stanchi , non durarono lunga fatica a travolgerli. Pochi ne morirono in campo ; ma molti piò nellt; acque del Tevere , il qual fiume scorre presso Fidene, lanciativisi per iscampare nuotandovi. Perocché parte per le ferite e la stanchezza non resse a compiere il transito , e parte per la impe- rizia del nuoto e la confusione dell’ animo in vista dei pericoli soccombè tra’ vortici non preveduti. Se i Vejen- tani avessero ponderato seco stessi , quanto furono scon- sigliati la prima volta , e se avessero dall’ora in poi cei^ cato la calma , non sarebbero incorsi in disastri , più gravi ancora. Ma sjierando di riaversi de’ mali passati , e pensando che vincerebbero di leggeri , se uscissero con apparato maggiore ; bentosto arrolate milizie in copia dalla città loro , e procuratene presso de’ nazionali secondo i trattati di amicizia , marciarono per la seconda volta con- tro de’ Romani. Si combattè di nuovo ferocemente presso piiuii. iiy Ci( •• LIBBO II. ' 187 Fidene ; e di nuovo i Bonnani vi superarono i Yejenti, e ve ne uccisero, e più ancora ve ne imprigionarono. F 11 invasa la loro trincierà piena di danari , di arme, di S( biavi: furono prese le barche lluviali cariche di vetto- vaglia copiosa e con queste per lo fiume trasportati in Roma li prigionieri. Fu questo il terao trionfo di Romo- lo ma più brillante assai de’precedcnti. Venne dopo non molto un' ambasceria de’ Vejenli per chetare la guerra e chiedere perdono de’ mancamenti , e Romolo ne se- condò le istanze imponendo : che cedessero i terreni contigui al Tevere nominati Setlepagi : che non si ac- costassero alle saline presso le bocche del Jiume : e che dessero cinquanta ostaggi in pegno , che non fa- rebbero innovamenti. Si rimisero i Vejeiiti alle leggi: e Romolo fece tregua con essi per cento anni , e ne scolpi su più colonne le condizioni. Rilasciò senza com- penso i prigionieri vogliosi di andarsene ; ma rendè cit- tadini di Roma quanti pregiarono di rimanersene, ed erano più numerosi degli altri , e li comparti fra le cu- rie , e diè loro in sorte le campagne di qua del Tevere. . Quest» furono le guerre di Romolo degne di stima e di ricordanza : e parmi , che se egli non sotto- mise ancora altri popoli vicini , ne fosse cagione la fine prematura di lui , quando era florido ancora per le armi. Di questa fine varj e molli ne sono i racconti. Coloro .che più ne favoleggiano dicono , che intanto che arin- gava le milizie , abbujatosi l’ aere sereno , e fattasi pro- cella terrìbile , Romolo diventasse invisibile , e che Marte il suo genitore in alto se lo rapisse. Ma chi scrive cose più vcrisimili dice che da’ suoi cittadini fu morto ; e dice elle gliene fu cagione 1’ aver egli restituito senza il voto del popolo , contro la consuetudine , gli osti^gi presi gii da' Vedenti ; il non serbare la eguaglianza tra i cittadini antichi e novelli , ponendo i primi in altis- simo onore, e trascurando gli ultimi: e Gnalmente Tin- crudelire nelle pene dei delitti , e lo insuperbire. Impe- rocché sentenziando , solo , da sé comandò che fossero precipitati dalla rupe non pochi nè ignobili uomini, in- colpati di essere scorsi a predare i vicini. Ma soprat- tutto ,ne fu cagione , 1’ essersi ornai renduto pesante , e dispotico f e tiranno , anzi che principe. Per questo , narrano, che i patrizj, congiuratisi, ne decisero la mor- te, e la eseguirono nel Senato ; e che divisone in brani il cadavere , perclté non se ne sapesse , uscirono occul- tandone sotto le vesti ognuno la parte sua , che pdi seppellirono , onde renderle invisibili. Altri però nar- rano che egli aringando fosse tolto di mezzo da’ citta- dini nuovi di Roma ; e che m lanciassero ad ucciderlo quando appunto abbuiatosi il cielo, crasi il popolo di- leguato , ed egli rimasto senza guardia : e però dicono che un tal giorno tien nome da quel dissiparsi di po- polo , chiamandosi tuttavia fuga della moltitudine. Sem- bra che gli eventi ordinati da’ Numi sui concepimento e sul termine di quest’ uomo diano non piccola occasione a coloro che fanno de’ mortali un Iddio , e che ne spin- gono al cielo le anime più segnalate. Perocché nella .compressione della madre di lui sia per uno Dio , sia per un nomo , affermano che il soie si ecclissasse , e che tenebre , totali come nella notte , coprissero la terra; e che il simile avvenisse por nella morte. ROMOLO IL FUNDATORE DI ROMA, il primo , assunto da lei perchè la do- mioasse, cosi narrasi che finisse. E tutlodiè nella età di cioquanlactnque anni , e già monarca da trentasette non lasciò rampolli di sua generazione. Novello in tutto del- r impero de’ popoli , se lo ebbe nell’ anno suo diciotte- simo come unanimi lo ripetono gli storici di queste cose. LVII. Nell’anno seguente non si fece alcun re dei Ro- mani : ma vigilava su la comune un magistrato detto interré, costituito in questa maniera (1). I Patrìzj ascritti da Romolo in Senato , dugento , come dissi , di numero si divisero io decadi. Poi traendo le sorti diedero la reggenza sovrana a que’ dieci che primi erano favoriti dalle sorti ; non già che i dieci reggessero tutti in un tempo , ma successivamente ciascuno cinque giorni, nei quali avea con sé li fasci , e gli altri simboli del regio comando. Il primo cedeva il comando ai secondo, que- sti al terzo e cosi fino all’ ultimo. Decorso lo spazio dei cinquanta giorni, fisso . pe’ dieci , primi nel comandare, succedea la decade seconda al governo , e poi le altre via via. Finalmente piacque al popolo di abolire questi decemvirati , essendo ornai stanco da tanto trasmutarsi di comandanti , varj nella natura e ne’ genj. Allora dun- que i Senatori convocando l’ adunanza del popolo per tribù e per curie renderono ad esso il potere di discutere la forma del governo , cioè se volevano un re ; o se an- nui magistrati. Ed il po[K>lo non decise già esso , ma fece che scegliessero i Senatori , pronto di attemperarsi (i) Ciò fu nell’anno 713 avanti Cristo : secondo Catone nell’ an- no 38 e secondo Varrone nel 4 ° di Roma] all’ ordìae che approverebbei'o. Parve a tutti di fondare la regia domiuasione ; ma non tutti concordavano tra i quali si avesse ad eleggere il futuro monarca : e chi pen- sava che tra vecchi e chi volea che tra’ novi Senatori ossia tra gli aggiunti di poi , à dovesse trascegliere il |>er8onaggio che regnerebbe su Roma. LYIII. Procedendo la disputa, si convenne finalmente su questi due punti : che i Senatori antichi scegliessero il monarca non però del ceto loro , ma qualunque altro ue giudicassero idoneo; o che farebbono ciò li Senatori novelli. Presero essi la scelta i Senatori più antichi , e molto consultandone stabilirono ; di non dare , giacché essi ne erano esclusi , il principato a niuno degli emuli, ma di creare monarca un personaggio cercato ed intro> dotto di fuori, nè aderente ad alcuno de’ due > princi- palmente perchè semi non ci avessero di discordie. Ciò deliberato , destinarono co’ voti loro , il figlio del chia- rissimo nomo, Pompilio Pomone , Sabino di lignaggio , Numa di nome , e per età prudentissimo , come non mollo lontano dall’ anno quarantesimo. Regia ne em la dignità dell’ aspetto ; e grandissima la riputazione per la sapienza non pur tra’ Cureti ma tra popoli intorno. Pertanto riuniti in questa sentenza aduna- rono il popolo ; e fattosi in mezzo l’ uno di loro , in- terré di que’ giorni , disse : che piaceva a tutti i Se- natori di fondare un regio governo : e che egli inca- ricalo di trascegliere chi lo assumesse trasceglieva in Numa Pompilio il monarca di Roma. Dopo ciò de- putando dei Patrizj ; gli spedi perchè invitaswro il va- lentuomo alla Reggia. E fu questo nell’ anno terzo della Digitized by Google gemati da Romolo per non essere stati con'esso in guerra niuna , non godevano terre , nè utile alcuno. Questi senza case , e vaganti per la miseria , erano di neces- siti nemid ai più ricchi, e vogliosi di mutamenti. Fra tali agitamenti fluttuava Roma quando Numa ne prese le redini , e su le prime ricreò la classe de* poveri , compartendo loro porzione delle campagne possedute da ROMOLO, ed un tal poco ancora de’ terreni dei pubbln co. Non togliendo quanto godeano, ai patrizj fondatori di ‘Roma , e concedendo ai patrizj più recenti altri onori, ne chetò le discordie. Proporzionata come uno stromento tutta la moltitudine all’ oggetto unico del pubblicò bene; ed ampliato il giro della città con inchiudervi II Quiri- . naie, colle non ancora cinto di mura , si rivolse ad al- tre istituzioni. E concependo che grande e beata diver- rebbe la città che se ne adorna ; procurava queste due cose : la pietà primieramente , insegnando agli uomini , che gl’ Iddi! sono i datori e li custodi di ogni bene alla mortale natura ; e poi la giustizia, dimostrando che per essa i beni dispensati da’ Numi arrecano delizioso godi- mento a chi li possiede. Non reputo però che slan tutte da scrivere le leggi e le pratiche per le quali consegui 1’ uno e l’altro intento e con tanta amplitudine; perchè temo la pro- lissità de’ racconti , uè la vedo necessaria ad una storia pe’GrecI. Solo ne dirò sommariamente le cose principai lissime , idonee a dimostrare la mente di un tanto uoimo, cominciando dalle disposizioni di lui sul culto divino. Lasciò nel pieno vigore lé consuetudini e le leggi die  trovò fondate da ROMOLO , credendole benissimo istitoite: ne supplì quante ne erano state da lui pretermesse ; e diè sacri luoghi a’ Numi , non adorati ancora , c fece al- tari e tempj , e compartì feste per ognnnp , e ministri per le sante cose. Finalmente ne ordinò colle leggi la illibatezza, le espiazioni , le suppliche e tante altre ono- ri Gcenze e tanto culto ; quanto non mai ne ebbe non- barbara gente, nè Greca, nemmeno delle più famose un tempo per la pietà. Comandò che Romolo ancora , di- venuto più che uomo , s’ intitolasse Quirino , e si ono- rasse con templi e con annui sacrifizj. Perocché non sa- pendosi ancora come Romolo fosse sparito, se per di- vina provvidenza , o se per Iraude umana ; venne in mezzo del F oro un tal Giulio , un agricoltore della stirpe di Ascanio , uomo incolpabile di costumi , nè capace di mentire per utile alcuno. Ora costui disse che tornan- dosi di campagna vide Romolo che partivasi di città colle arme ; e che fattoglisi più da vicino gl’ intimava : O Giulio va , riferisci in mio nome ai Romani ; che il Genio che ni ebbe in sorte per custodirmi quando io nacqui ; questo, ora che io compiei la mortale car- riera , mi solleva tra Numi , e che io sorto Quirino, Noma stese in iscritto tutte le ordinazioni su le cose divine , dividendole in otto classi, quante erano quelle de’ sacerdoti. Diè l’ incarico primo delle funzioni religiose ai trenta Curioni de’ quali io diceva che coinr pieano i sacrifizj comuni delle curie : diè 1’ altro si Ste- fanofori detti da’ Greci , e Flamini dai Romani , cosi nominati dai portare delle berrette e delle bende ( 1 ) le (i) Nel usto PUot e stemma. 0 ptimo era una specie di berretta quali portano ancora , e le quali Flama si chiamano : diede il terzo ai capitani dei Celeri , soldati come addi- tai, che combàttono a piedi e a cavallo in guardia dei monarchi; e certo que’ capitani ancora fornivano divini ordinati esercizj : diede il quarto a quelli che interpe- trano i segni mandati dal cielo , e dichiarano se con- ceróOno private o pubbliche cose. I Romani chiamangli Auguri dall’ indole dei precetti dell’ arte loro , e noi OionopoU li chiameremmo, uomini scenziati in ogni di- vinazione de’ segni del cielo , dell’ aere , e della terra. Il quinto alle vergini , custodi del fuoco sacro, appellate Vestali fra loro dal nome della Diva a cui servono. Noma il primo fondò il tempio di Vesta , e misevi delle vergini che ministrassero nel culto di lei. Su che rileva che io dica alcune poche còse le più necessarie ; diman- dandole il sobjetto ; perocché degna ne è la ricerca , e degna pur si stima da’ romani scrittori in questo luo 30 a consola di una tomba , non 1’ esequie , non altro rito niuno legittimo. Molti sono gl’ indiz) di mancanza nel santo ministero, e principalmente lo spegnersi del fuoco: accidente che i Romani temono più di tutti i mali, pi- gliandolo , e sia qualunque Torigine di esso , come pre- sagio della rovina ultima di Roma. E molto ossequiando e placandolo; di nuovo riconducono il fuoco nel tem- pio. Ma di ciò sarà detto a suo luogo. > LXVIIL Ben è degna che raccontisi l’assistenza ma- nifestata delia Dea per le vergini indegnamente accusate. Credesi questa da Romani , quantunque ioconcepibile , e molto gli scrittori ne ragionarono. Quei che vansene a ma- niera degli Atei filosofando, se filosofare dee dirsi mai que- sto , ripudiano tutte le assistenze de’ Numi avvenute tra Greci e tra Barbari , e molto ne deridono i racconti , ascrivendole a ghiattanza nmana, quasi niuno de’ celesti prenda cura delle cose de* mortali. Ma quelli che non levano agl’ Iddi! questa cura , e li giudicano propiz) ai buoni, e malafifetU a’malvagj, venendosene con istorie moltissime , non prendono per impossibili tali divine manifestazioni. Narrasi dunque che smorzandosi un tempo il fuoco per poco avvedimento di Emilia, che allora ne era la guardiana , perocché ne avea trasmessa la cura ad una compagna novella , e di fresco ammaestrata ; Borsene in città turbamento ben grande , e si cercò dai pontefici se violazione ci avesse nel ministero santo del fuoco. Allora, dicono, che Emilia, la incolpabile Emi- lia, non sapendo che farsi nell’evento stendesse io pre- senza de’ sacerdoti e delle vergini le mani in su l’altare e dicesse: o Vesta, o tu Dea, custode di Roma, se 2o5 io santamente , e debitamente compiei le sacre tue cerimonie ornai da treni anni , se pura l anima mia, se immacolate ti si presentarono le membra di questo mio corpo , deh ! tu soccorrimi , nè volere trascurare^ che la tua sacerdotessa miserandamente si muoja. Ma se io pur commisi alcuna cosa men pia , deh ! che nelle pene mie la pena si dissipi di Roma. Ciò detto è fama che spiccando il lembo dalla veste di lino onde era coperta lo gittasse in so 1’ altare : e che dopo la preghiera , essendo la cenere già fredda , e già senza favilla ninna, brillasse di.su per quel lembo una damma copiosa , talché più non abbisognò la città né di puri'* ficaztoni , né di fuoco novello. Più meraviglioso ancora e più somigliante ad una favola è ciò che io sono per dire. Narrano che un tale accusasse Tuzìa 1’ una delle vergini ma «>n alle» gazioni non vere di congetture e di testimonj ; non polendo affermare che fosse per lei venuto meno il ìkoco : e che la vergine comandata rispondere dicesse che smentirebbe co’ fatti le calunnie : che ciò detto in- vocata la Dea perché le fosse guida nelle sue vie, s’in? camminasse verso del Tevere concedendolo i pontefici, seguita dalla moltitudine: che giunta in riva del fiume, si ponesse a cimento impossibile, ora passato in pro- verbio : cioè, che prendesse acqua con un vaglio vuoto e ve la recasse fino al Foro, quivi ai piedi spargendola de* pontefici. E narrano che dopo ciò 1’ accusatore di lei , per quante ne fossero le ricerche , né vivo più nè morto si ritrovasse. Ma quantunque dell’ intramettersi della Dea potrei soggiungere più cose ; reputo che ba- stino le dette finora. 2o4 delle Antichità’ romane La sesta parte delie istituzioni religiose fa quella intorno àe Salii che chiamansi In Roma. Numa stesso li nominò scegliendo dodici decentissimi giovani patiizj. Stansi le sacre loro cose nel palazzo ; ed essi ne sono chiamati Palatini. Ma gli Agonali , de’ quali serbansi le sacre cose nel poggio Collina , questi co- gnominati Salj Collini , furono istituiti dopo Noma da Ostilio re pel voto fatto da lui nella guerra co’ Sabini. Del resto i Salii tutti sono danzatori e lodatori dei Numi delle arme. Tornano le loro solennità arca i tempi delle nostre Panalenee nel mese detto di marzo : si celebrano a pubbliche spese per piò giorni , ed in questi guidano per la città cori di saltatori al Foro, al Campidoglio , ed altri luoghi speciali , o comuni. Va- riopinte ne brillano le toniche traversate con cinture di rame ; ed affibbiate sono le trahee loro che chiamano, luminose di porpora intorno. Sono le trahee in Roma pregiatissime, e proprie del luogo. Torreggiano loro sul capo tiare (i) alte con forma di cono, apici dette fra loro , ma cirbasie tra’ Greci. Ognuno è cinto di spada; stringe colla destra mano un’asta o verga, o cosa con- simile ; e colla sinistra uno scudo romboidale , stretto ne’ lati , quale è quello de’ Traci , e quale , dicesi che in Grecia lo portino quelli che vi celebrano le 'sacre cose dei Curetl. I Salj , per quanto io conosco , sareb- bero con greca Interpetrazione I Cureli , denominati (i) Nel testo sono detti piUi, ma le cirbasie erano specie di tiare secondo Esicbio la lesione dello scudo romboidale è del codice V a- ticano e par la migliore. . 2o5 cosi tra noi dalla età giovanile (i) ; ma tra’ Romani hanno quel nome dal moversi faticoso : perocché spio carsi e battere co’ piè la terra tra lor si chiama salire. Per questa ragione medesima quanti altri noi chiame- remmo dallo spiccarsi e battere con tal modo , essi gli chiamano salitorì con voce originata dai Salj (a). Che poi dirittamente io do questi nomi, può chi vuole, concluderlo dalle cose che fanno. Movonsi colle arme regolatamente al suono delle tibie , ora insieme , ora a vicenda , e danzando intuonano patrie canzoni. Ora se dee con antichi monumenti procedersi, i Gureti furono primi che insegnarono a danzare armati tripudiando e battendo con le spade gli scudi : nè bisogna che io ri- peta ciocché ha la fàvola su loro , essendo noto poco meno che a mtti. Ben molti sono gli scudi che portano i Salj , 0 che i loro ministri portano sospesi in su de’bastoni: ma tra questi uno ce ne ha che dicesi caduto dal cielo. È fama che fosse nella reggia ritrovato di Numa , non avendovelo recato ninno , anzi neppur conoscendosene la forma nella Italia. Argomentarono da tali due segni 1 Romani che fosse quell’ arme celeste di origine. E volendo, Numa che lo scudo si onorasse , e recasse nei dì solenni per la città da’ giovani cospicuissimi , e ri- scotesse annui sagrifizj ; e temendo che i nemici in oc* (i) Quasi aiaao Ktft$ gioTaoi , ma forte ebbero cuti nome ^wi rnt cioè dalla tontora : perchè erano tosi nella parte an- teriore del capo. (a) Si saltava anche prima de’ Salj, però la voce salùores che pre- cede non è pptieriote al nome de’ Salj. culto lo ÌDsidiassero e rapisserio; dicono che fabbricasse molti scudi uniformi a quello caduto dal cielo , accin- gendosi Mamorìo artefice a questo , che f arme divina per la somiglianza egualissima con altre umane non più potesse contrassegnarsi e riconoscersi da chiunque vi macchinasse un inganno. Ebbe quel rito de* Cureti ac- coglienza e pregio tra’ Romani , come io lo deduco da più seghi , e principalmente dai spettacoli nel circo e nei teatri. Ne’ quali spettacoli giovinetti già puberi , ac- conci d’ abito con cimiero , con spada , e con scudo , moTonsi come con le leggi di un ritmo armonioso; e £u- tlioni chiamansi i duci della pompa , dalla invenzione fattane , sembra , nella Lidia. Questi sono , a me pare , immagine de’ Salj ; perocché non fanno appunto come i Salj cosa ninna in foggia de’ Cureti sia negl’ inni sia ne’ salti; e prendonsi da ogni condizione; laddove i Salj deggiono esser liberi e naturali del luogo , e ricchi di padre e di madre. Ma perché mai rigirarmi più a lungd su queste cose? È la settima parte delle leggi sacre indiritta a dar ordine a’Feciali che chiamano. Questi con greca significazione giudici si direbbono della pace : scelgonsi tra le più illustri famiglie , e restansi per tutta la vita ht santo ministero. Numa anch’egli dava la prima volu ai Romani tal ceto venerando. Io non so definire sé egli ne derivasse l’esempio dagli Equicoli, come alcuni pensano , o se, come Gelilo scrive , da Ardea : bastami dir solamente che innanzi Numa non erano Feciali tra i Romani. Numa quando era per dar guerra a’ Fidenati, perchè aveano fatto scorsa e ruberia nel territorìu'dt  lui ; Numa gl’ ioslitul , perchè vedessero se voleano pa> ciGcarsegli senza le arme, come vinti dalia necessità poi fecero. E poiché non ci ha nella Grecia tribunale di Feciali; giudico necessario di adombrare quante e quali De sieno le incombenze; perchè coloro che ignorano la pietà che i Romani coltivano , non si meraviglino che tutte ad ottimo fine riuscissero le guerre loro : certa- mente imprendeano queste con prìncipj e cagioni one- stissime, dond’è che aveano propizj gl’ Iddi! ne’ pericoli. Non è già fiicile , per la moltitudine , comprendere le cure tutte de’ Feciali. A delinearle però con tocco lieve son tali : debbono cioè provvedere ' che i Romani non movano guerre ingiuste a ninna città confederata ; che cominciando taluna a rompere i trattati verso loro , vadano ambasciatori , e ne dimandino il giusto prima con parole , poi v’ intimin la guerra , se non ubbidi- scono. Similmente se mai confederati alcuni dicendosi offesi da’ Romani chiedano de’ compensi , debbono i Feciali riconoscere, se quelli han sofferto contro dei patti; e se par loro che lamentinsi con diritto fan pren- dere e consegnare i colpevoli ai danneggiati. Giudicano su gli oltraggi degli ambasciadori , e vegliano per la Osservanza fedele dei trattati : fan le paci o le annulla- no , se fatte sieno contro le leggi sacre : decidono ed espiano , quante sono , le violazioni fatte de’ giuramenti e delie alleanze' da’ capitani : ma di ciò dirò ne’ suoi Inoghi. Quanto ali’ andarsen’ essi come araldi per esigere soddisfazione da città che sembrino offenditrici , ne ho conosciuto (peste cose , non indegne ancor esse che si risappiano, per la molta cura che involgono della giu-." sUzia e della pietà. Uno de’ Feciali eletti a voti dagli altri , cinto degli abiti e delle insegne sacre perchè fra tutti distingnasi, vassene alla città rea: ai primo toc- carne i conGni , attesta Giove ed altri dumi che egli' viene perchè Roma sia compensata : poi giurando che, dirigesi alla città colpevole, ed invocando s’ei mentisce, maledizioni terribili contro sè stesso e contro Roma , slanciasi olure i conGni. Quindi protestandosi ancora col primo che gli s’ imbatte , rustico o cittadino che sia , C; ripetendo l’ esecrazioni medesime, continua di andare iu città ; ma prima di entrarvi protestatosi nel modo ine>. desimo col portinajo e con qual’ altro nelle porte gli capita il primo, s’inoltra sino al Foro; ove giunto parlamenta co’ magistrati ; aggiungendo tratto .tratto giur ramenti , ed imprecazioni. Se danno soddisfazione con- segnandogli li colpevoli , egli menali seco e vassene , amico già , dagli amici. Che se dimandano tempo per consultarsi , ripresentasi dopo dieci giorni , e pazienta Gno alla terza dimanda. Decorsi trenta di se la città non siegue il dover suo , egli invocati i Numi celesti e grinfemali se ne parte, questo solo dicendo, che Roma deciderebbe , tra la sua calma , su loro. Poi recatosi cogli altri Feciali in Senato , dichiaravi come tutto fu compiuto secondo le leggi sacre, quanto convenivasi : e che se vogliono risolversi per la guerra niente vi si oppone dal canto degl’ Iddii. Senza tali pratiche nè il popolo , nè il Senato può conchiudere col voto suo j la guerra. Questo è quanto abbiamo risaputo su’ Feciali. Nelle ordinazioni di Numa intorno le,, cose divine v’ ebbe in ultimo la classe la . quale ottennero quanti aveano in Roma sacerdozio ed autorità superiore. Questi con patria voce si chiamano pontefici dal rifarsi di un ponte di legno che è uno degl’ incarichi loro ; s son gli arbitri di cose grandissime. Imperocché giudi- cano tutte le cause sacre de' privati , de’ magistrati e de’ ministri de’ Numi : fissano le cose religiose non scritte nè solite ; scegliendo le leggi , e le consuetudini che stimano più acconcie : esaminano tutti i magistrati o tutti i sacerdoti a’ quali è fidata la cura de’sagrificj e ' della venerazione de’ Numi: provvedono che i loro mi- nistri e cooperatori non violino punto le sacre leggi : espongono ed interpetrano il culto de’ Numi e de’ Genj a’ privati che lo ignorano; e se colgono alcuno, disub- bidiente agli ordini loro, lo puniscono secondo i delitti: ma essi non soggiacciono nè a giudizio nè a multe , non rendendo ragione nè al Senato nè al popolo. Non travierà poi dal vero chiunque vuole chiamare tali sa- cerdoti o dottori , o dispensatori , o custodi , oppure interpetri delle sante cose. Mancando ad alcuno di loro la vita gli viene sostituito un altro , il più idoneo ripu* .tato tra’ cittadini ; nè già il popolo sceglielo ; ma essi medesimi : 1’ eletto però piglia il sacerdozio , quando propizj gli siano gli augurj. E tali sono , oltre alcune più piccole , le leggi più grandi e cospicue di Numa sulla pietà, compartite secondo i rami varj del culto , per le quali Roma ne divenne più religiosa. Moltissime poi sono le leggi che guidano r uomo a vita frugale e temperata , e che ingenerano r amore della giustizia' la quale custodisce in città la coacordia : altre però di queste sono scritte , ed altre non scritte ma passate pel lungo esercizio in abitudini. E lungo sarebbe a dire di tutte ; ma basterà dire di due più degne di ricordanza , e cbe sono argomento delle altre. La legge su’ confini da’ poderi fu causa che oguuno si contentasse de’ proprj ; non gli altrui deside- rasse. Imperocché comandando a ciascuno di marcare intorno i proprj poderi , e di porvi de’ sassi per ter- mini , dichiarò sagri que’ sassi a Giove Terminatore , e volle che tutti periodicamente ogni anno recatisi in sul luogo vi facessero sopra de’sagrifizj, e stabili parimente una festa in onore degli Dei termini. I Romani chia- mano la festa Terminali , da que’ sassi o termòni, che essi con simiglianza al nostro idioma, chiamano termini ^ mutata una lettera soia. E se alcuno involava o traspo- neva que’ termini fu per legge sacro agl’ Iddii ; talché potesse , chiunque volevalo , uccidere qual sacrilego im- punemente , e senza macchia di colpa. Nè stabili tal diritto su’ poderi de’ privati solamente , ma su quelli del pubblico eziandio , circondandoli di con&ni ; perchè gii Dei termini tenessero distinte le terre comuni dalie in- dividuali , e quelle de’ Romani dalle altre de’ convicini. Praticano i Romani pur ne’ miei tempi un tal rito , al- meno per apparenza , come ricordatore de’ tempi : pe- rocché riguardano i termini come Numi , e sagrificano ad essi focacce di fior di farina , ed altre primizie di frutti , e non già cose animate ; essendo profanità ri- putata insanguinarne le pietre. E bisogna che rispettino la cagione medesima per la quale fecero d’ogni termine un Dio , contenti de’ poderi proprj , non arrogandosi gli altrui colla forza , o coll’ inganno. Ora però con- trassegnano i propri  ma a propagare la giustizia e la moderazione ; e con questi tenne il comune di Roma ordinato più ancora di una famiglia. Con quello poi che ora io sono per dire egli fe’ Roma sollecita procnratrice delle cose necessarie e delle dilettevoli. Considerando il valentuomo che una città istituita per amar la giustizia e serbare la tempe- ranza non dovea penuriare delle cose necessarie ; divise tutta la campagna in porzioni chiamate pagi, assegnando per ciascuna un capo che la visitasse e curasse. Questi recandovisi di tempo in tempo , e notandovi i buoni o tristi cultori , ne riferivano poscia al sovrano ; ed il sovrano ricompensava i buoni con lodi e con altre gen- tili maniere ; e svergognava i tristi o mullavali , onde accenderli a cultura migliore. Quelli dunque che sciolti dalle core della guerra o della città sen vivevano in ampio ozio , pagandone col vitupero o colle multe la pena , diventavano tutti operosi in lor bene , e riputa- vano la ricchezza della terra che è la più giusta di tutte, essere ancora più dolce della militare, che incerta fluttua ognora. Segui da ciò che Numa fu amato dai sudditi , emulato da' vicini , e celebrato da’ posteri. Per opera di lui nè sedizione interna disunì la città , nè guerra esterna la distolse dalla disciplina sua bonissima e mirabilissima. E tanto i circonvicini furono alieni da prendere la calma inerme de’ Romani come occasione d’ invaderli; che se prorompea guerra alcuna tra quelli, assumevano i Romani per mediatori; e deliberavano di spegnere le inimicizie su le condizioni date da Numa. Pertanto io non prenderei vergogna di collocare questo uomo tra’ più famosi per sorte beata. Nato di regia stirpe ebbe regia presenza, e si esercitò nelle discipline non già di lettere vane, ma in quelle donde apprese la pietà verso i Numi , e la pratica di altre virtù. Giovine fu riputato degno di prendere il comando di Roma : ed invitatovi a prenderlo per la bella fama delle sue virtù , regnò per tutta la vita su popolo docilissimo. Complesso com' era di persona ^ nè danneggiatone mai dalla sorte , giunse a lunghissima età. Finalmente con- sumato dalla vecchiaja venne meno a sé stesso con morte placidissima. Quel medesimo genio di felicità che gli era toccato da principio , quello sempre lo accom- pagnò finch’ egli non fu tolto dall’ aspetto de’ mortali. Visse più di ottant’anni , regnandone quaranlatrè. Di lui restarono , come i più scrivono , quattro figli , ed una figlia , de’ quali conservasi ancora la discendenza : ma Gellio scrive che egli non lasciò che una figlia , dalla quale nacque Anco Marzo , terzo re di Roma dopo lui. Tutta la città si abbandonò , lui morendo al dolore ; facendogli nobilissima sepoltura. Egli riposa nel Gianicolo di là dal Tevere. E tali sono le (jose che ‘ abbiamo risapute su Numa. DELLE ai4 ANTICHITÀ ROMANE D I DIONIGI ALICARNASSEO. IVEancatO Numa Pompilio, i Senatori arbitri nuo- vamente de’ pubblici affari deliberarono di conservare il governo medesimo: nè già il popolo era di altro avviso. Adunque deputarono un numero certo de’ Seniori i quali comandassero intanto nell’ interregno. Da questi , approvandolo tutto il popolo , fu nominato re Tulio , Ostilio , di cui la origine fu , come siegue. Un tale , Ostilio di nome , uomo nobile e facoltoso di Medullia , città fondata dagli Albani , presa a condizioni da Ro- molo e venduta colonia romana , trasportatosi , per do- miciliarvisi , a Roma , vi tolse in moglie una sabina , la figlia appunto di quella Ersilia , la quale , ardendo la guerra co’ Sabini , consigliò le sue nazionali di ao-  libro in. 2 i 5 darne oralrici ai padri loro su de’ mariti , e la quale sembra la cagion principale che i due popoli si rac- chetassero. Compagno costui di Romolo in più guerre, e segnalatovisi per opere grandi ; moti finalmente , la- sciando un unico figlio, nel combattere co’ Sabini, e fu sepolto dai re (i) nella parte più insigne del Foro , onorato di una iscrizione , che la virtù ne ricordava. Cresciuto 1’ unigenito suo , e legatosi con nobile matri- monio, ne ebbe un figliuolo; e Tulio Ostilio fu questi, uomo elBcace. Dichiarato monarca dal voto , dato se- condo le leggi dal popolo; i Numi ne approvarono con augurj propizi la scelta. Quando egli prese il comando, volgea r anno secondo della olimpiade vigesima settima nella quale Euriboto ateniese vinse nello stadio essendo arconte Leostrato (a). E nello stringere appena lo sceu tro si affezionò la classe de’ mercenari e de’ poveri con questa liberalissima azione. Aveansi i re predecessori eletto ampio e bel territorio , colle rendite del quale fornivano i templi di sagrifiz) , e le regie case di ab- bondanza moltiplice. Romolo avealo tolto a’ primi pos- sessori colla legge delle armi : e morendosi lui senza figli , aveaselo goduto Numa che gli succedette nel re^ gno. Laonde non era allora quel podere del popolo ; ma perpetuamente dei re. Tulio nondimeno concedè che si compartisse tra’ Romani privi in tutto di campa- gna; dicendo essere a lui sufficienti le sostanze paterne per le cose de’ Numi , e della regia famiglia. Sollevò (i) Romolo e Tazio. ( 3 ) Anni di Roma 84 secondo Varrone , 8 a secondo Catone , avanti Cristo 670.] Goa questa beneGcenza li cittadini bisognosi ; tanto che non più stentassero in servigio degli altri. E perché ninno fosse privo di alloggio aggiunse a Roma il monte Celio chiamato. Ivi quanti non aveano magione se la fabbricarono, pigliatovi sito che bastasse : ed egli stesso la sua residenza vi collocò. E tali sono le operazioni urbane di quest' uomo degne di ricordanza. II. Ma delle militari molte se ne raccontano , ed io mi accingo a parlarne , cominciando dalla gueiTa di lui con gli Albani. Gluvilio , un Albano , allora magi- strato supremo , fu cagione che i dne popoli consan- guinei si scindessero , e separassero. Punto da invidia , e mal più la invidia potendo rattemperare su la pro- sperità de’ Romani, come superbo e maligno per indole, risolvè d’ implicare i due popoli in guerra vicendevole. Non sapendo però come volgere gli Albani a commet- tergli che portasse 1’ esercito contro Roma ; altronde non avendone alcuna causa giusta e necessaria; macchinò' questa o simile trama. Concitò, promessane la impunità, li più poveri e li più baldanzosi degli Albani a far preda su’ campi romani: dond’ è che seguendo un gua- dagno senza pericolo molti che tra ’l pericolo ancora seguito r avrebbero , empierono le terre vicine di assalti e di latrocinj. E ciò fece con disegno non alieno, come r evento stesso lo dimostrò. Perciocché prevedea che i Romani non sofierendo le rapine correrebbono all’ armi , che egli potrebbe accusarli al suo popolo come primi a romper la guerra : e prevedea che moltissimi Albanesi invidiosi delia prosperità della colonia , riceverebbero C6n piacere le accuse , e farebbero la guerra contro di senti se fosse da accettarsi il partito. A16ne , ascoltatine i roti , tornò nel consesso e disse: A noi non sembra o Tulio che abbiamo a lasciare solitaria la nostra pa- tria , deserti i templi paterni, vuote le case degli an- tenati, e desolata infine quella sede che i nostri padri tennero quasi per cinquecento anni; tanto più che nè guerra ce ne bandisce , nè flagello niuno del cielo. Non però ci dispiace che formisi un Senato , e che una sia la città che domini, sut altra ancora. Scrivasi questo se così vi pare , tra le condizioni , e levisi ogni seme di guerra. Concordi 6n qui , difTerivano poi sa la città che prenderebbe il comando. E molti furono i discorsi quinci e quindi tenuti, giustificando ognuno che dorea la propria città signoreggiare su l’ altra. L’ Al- bano insisteva su questo diritto : Noi o Tulio siam da- gni di comandare anche al resto d Italia, perchè una gente siamo di Grecia, e la più potente che qui in» torno si alloggi. Crediamo giusto di precedere i La- tini almeno , se non altri , nè già senza cagione; ma per la legge comune data dalla natura a tutti gli uomi- ni , che 1 padri comandino ai figli : crediamo che ci si convenga il Comando su la vostra città, piucchè su le altre , che pur sono nostre colonie , delle quali non possiamo finora dolerci. Noi abbiamo inviato la colo- nia nella vostra ; nè già da tanto tempo che siane per t antichità svanito ogni legame di sangue ; ma indietro da tre generazioni. Quando la natura avrà capovolte le leggi umane facendo che i giovani mag- gioreggino su veechj , e li posteri su gli antenati; al- lora , e non prima , noi sottoporremo la nostra città madre perchè sia governata dalla colonia. Questo è ìuno de' titoli della nostra superiorità, nè questo mai ce- deremo spontaneamente. Il secondo è tale. Voi lo pren- dete , detto non come per calunnia o doglianza , ma per sola necessità. Il popolo di Alba mantienesi an- cora qual era sotto de' fondatori : nè può alcuno ad- ditarvi altro ramo di uomini , se non Greci o Latini, partecipi della nostra repubblica: ma voi avete con- traffatto la sì gran purità della vostra cittadinanza in- trinsicandovi Tirreni e Sabini , ed altri barbari molti, erranti e senza patrj lari. Tanto che poco soprawanzavi di quell ingenuo lignaggio che da noi vi si diramava, ed è questo, come un solo, tra i moltissimi, rice- vuti dt altronde. Se noi vi cediamo il comando; il ». non ingenuo comanderà su l ingenuo , il barbaro al Greco , i estero al patriota. Nè già potreste voi dire che non permettete a peregrini di amministrare il co- mune , e che voi , naturali del luogo , voi presiedete e regnate : voi creale re forestieri , e senatori in gran parte di altri popoli. Dite: v'inducete a ciò di vostro

volere? Ma chi mai di voler suo f chi se più sia va- leni uomo abbandonasi cd governo dei meno riguarde- voli ? E se apparisce , che voi siete a ciò sospinti da necessità , ben sarebbe grande tj pravità , grande la manìa nostra se volontarj a tanto c inchinassimo. Da ultimo così dico ; in Alba niuna parte ancora si è smossa della repubblica : corre già , da che vi si abita la decima ottava generazione ; e V ordine ancora vi si mantiene , e le abitudini primitive. Ma la vostra città senza buorì ordine e senza bel complesso , come nuo- va , e sorta da più genti , assai bisogna di tempo e di vicende , perchè inferma e scissa , com’ ella è , sì articoli e calmisi. Tutti poi concederanno che deono le cose ordinate antistare alle disordinate , le cose note alle ignote , e le sane alle inferme. Voi dunque chie- dendoci in contrario ; non bene adoperate. A Fuffezio che cosi ragionava sottentrando Tul.> lo rispose, o Fuffezio , o uomini di Alba noi li ab- biamo uguali con voi li diritti della natura e del me- rito de* progenitori ; perocché vantiamo ambedue la origine da capi medesimi. Quindi niuno è di noi da meno , o da più dell’altro. Noi non istimiamo nè vero nè giusto che debbano le città madri , quasi per legge indispensabile della natura, dominare su le colonie. E molte sono le nazioni dove le città madri servono, non comandano alle colonie. Massimo , luminosissimo aSi esempio del proposito mio si è Sporta , elevatasi a comandare non pur gli altri Greci: ma fino i Do- riesi da’ quali discendeva. Sebbene e che giova dir su gli altri? Voi stessi , voi padri della colonia che fece tlioma , voi non siete che un tralcio de’ Laviniesi. Quindi se diritto è della natura che le città madri regnino su le colonie, non saranno con precedenza i Laviniesi li legislatori de’ nostri popoli ? E ciò sia detto sul primo de’ vostri titoli sì bello nelle appa- renze. Siccome tu poscia o Fuffezio ti davi a contrapporre r una all’ altra città, quali sono, dicendo che il puro lignaggio di Alba rimanesi tale ancora; laddove il nostro si è degenerato col tanto soprajfondervi de' fo- restieri , e che non sono degni i non ingenui di co- mandare agli ingenui , nè i forestieri agl’ interni ; vedi, quanto anche in ciò ti sei deviato. Tanto è lungi che noi vogliamo vergognarci di rendere la patria no- stra comune a chi vuole; che anzi ,, di ciò moltissimo ci gloriamo : nè già siamo noi gli autori di tale isti- tuzione : ma ce ne diede Atene l’esempio , Atene tra Greci famosissima per questo, almeno in parte se non in tutto. E questa pratica è sorgente a noi di molti beni non che ci dia rimprovero e pentimento , quasi per essa, mancassimo. Tra noi comanda e prov- vede , e tali altri onori si gode chi di essi è degno non chi tiene il molto oro , nè chi può la serie ad- ditare degli avi sempre nazionali : perciocché non po- niamo in altro la nobiltà che nella virtù. ; l'altra mol- titudine non è che il corpo della città il quale somministra potenza e forza a savissimi consiglieri. Con tale benevolenza si è la nostra città fatta grande di piccola , e formidabile d' ignobile tra’ popoli intorno, ed è cominciata tra noi la forma di signoria , che tu o Fuffezio condanni , e che niuna ornai de’ latini può disputarci'; perocché sta la potenza delle città nella forza delle armi ^ e la forza delle armi nella moltitudine delle persone. Ma le città piccole , e spo- polate , e però deboli non comandano le altre , anzi nemmeno sé stesse. Jo generalmente stabilisco che uno debbe esaltare il proprio governo e riprovare quello degli altri, quando può dimostrare che la sua città col metodo che le ascrive , diviene glande e felice, e che le altre se ne decadono e sconciansi appunto col non seguirlo. Ora così vanno le cose; la vostra città già nel fior della gloria , già ricca di molti beni , si è ridotta ad uno scarso abitato ; e noi movendoci da piccioli principi abbiamo tra non molto tempo ingran- dito Roma più d’ ogni altra città vicina, e colle isti- tuzioni che tu ne biasimi. Le. nostre sedizioni, poiché di queste ancora tu ne in- colpi o Fuffezio, nontendono alla depressione o rovina, ma sibbene alla salvezza ed incremento del comune. I giovani vi contendono co’ schiari , i nuovi con gli an- tichi cittadini chi più debba operare il pubblico bene. E per dir tutto in breve , spettano alla città che dee comandare le due qualità , forza nel guerreggiare , e saviezza nel risolvere; e queste tra noi sono ambe- due. Né ce ne fa testimonianza un millantarsene vano, ma il fatto che supera ogni dire. Imperocché non era  ni. 233 possibile che la nostra città nella terza generazione appena dopo la origine, fosse già divenuta sì grande e' potente , se non abbondavano in lei senno e valore. Argomentano la nostra potenza le tante città. Ialine le quali sebbene da voi fondate , pure voi dispregiane do , si concederono a noi per essere comandate anzi da Roma che da Alba. E questo perchè potevamo noi prosperare gii amici e por già gl’ inimici ; ma non potfiono gli Albani altrettanto. Ben altre cose e for- tissime o Fuff&sio potrei rispondere ai diritti che ne presentasti. Ma considerando che vano è il disten- dersi , perciocché il dir breve vale quanto il prolisso con voi che siete i competitori , ed i giudici; cesso tT insistere. Aggiungo soltanto , e finisco, che io penso che tunica maniera , bonissima per togliere le nostre controversie, della quale si valsero greci e barbari ne’ dissidj di principato edi territorj sia questa , cioè che gli uni e gli altri veniamo a battaglia con una parte solamente dell’esercito, vincolando la sorte della guerra alla vita di pochissimi , e concediamo che la città che co’ suoi guenneri vince i guerrieri delt emu- la , quella domini ancora. Ben è giusto che ove le parole non vogliono , i brandi decidano. Tali furono le dispute di que’ due principi su la preminenza delle città : ma il seguito delle dispute non fu se non quello suggerito dal Romano. Imperocché quelli di Alba e di Roma presenti al colloquio cercando ^ un sollecito fine alla guerra ; deliberarono di risolver la lite colle armi. G)ncluso ciò, si ebbe controversia intorno ai numero de combattenti; non sentendone ambedue li capilani in un modo. Imperocché Tulio voleva che si de- cidesse la gara col menomo delle persone , contrappo- nendo per combattere uno de’ più riguardevoli Àlbahi ad altro simile de’ Romani : ed egli stesso era pronto a spendersi per la patria, invitando TAlbano ad emularlo. Diceva che era pur bello che quelii che prendono il comando delle schiere , prendano pur la tenzone pel comando e pel principato o vincano de’’ valent' uomini, o vinti ne siano. E qui ricordava quanti capitani e quanti re cimentarono la vita loro per lo comune , tenendo essi a vii cosa di partecipare al più degli onori , ed al men della guerra. L’ Albano credea ben detto che do- vessero le due città rischiarsi con pochi: discordava però su la battaglia di un solo contro di un solo. Esponeva che bello, anzi pur necessario è il combattimento da solo a solo intorno la sovranità pe’ capi degli eserciti quando fondano la propria potenza; ma che stolido anzi vituperoso è ne’ suoi pericoli quando ne disputano due città sia che sperimentino sorte propizia sia che malva- gia. Adunque consigliava che tre valent’ uomini dell’una e tre deU’allra città pugnassero in vista di tutti gli Al- bani e Romani ; essendo questo numero , come avente principio , mezzo e fine , propriissimo alla total decisione della controversia. Ciò stabilito per voto de’ Romani e degli Albani il congresso fu sciolto ; e ciascuno ritornò nei proprj 'alloggiamenti. Poi convocando i capitani ciascuno le loro mi- lizie a parlamento , riferirono la disputa vicendevole , e le condizioni ricevute per la soluzion della guerra. Ap- provarono vivamente gli eserciti i patti di ambedue li capitani ; e gara meravigliosa di onore comprese centu- rioni e soldati ; desiderando moltissimi di riportare la palma di quel combattimento , e studiandovisi non pur con parole , ma profTerendovisi con preludj di bell' ar- dore ; tantoché si rendette malagevole ai duci il giudi- ziosu quelli che erano i più idonei. Se alcuno vi era nobile per luce di origine , o forte per gagliardia di corpo , o cospicuo pe’ fatti di arme , o segnalato co- munque per eventi ed ardire, insisteva che mettessero lui primo fra i U'e. Ma tali fiamme di emulazione che più e più si dilatavano in ambedue gli eserciti le ri- presse il capitano di Alba col riflettere che la provvi- denza celeste antivedendo già da tanto tempo la tenzone che sarebbe tra le due città , ne avea preordinato che quelli che vi si cimenterebbero fossero non ignobili di lignaggio , buoni in guerra , belli a vedere , nè simili a molti pe’ casi della nascita rara, meravigliosa , impen- sata. Sicinio un di Alba avea nel tempo medesimo ma- ritato due figlie gemelle , 1’ una ad Orazio Romano, e r altra a Curazio (i) un Albano di popolo. Ingravida- rono ancora ambedue queste donne in un tempo , ed ambedue diedero nel primo parto prole virile , e trige- mina. I genitori pigliandone buon augurio per sé , per le famiglie, e per le patrie allevarono e perfezionarono tutti que’ gemelli. Iddio , come io dicea da principio , diè loro beltade, robustezza, magnanimità; talché non cedeauo a niuno de’ben avventurati per indole. A questi (i) Mei testo Corazio. Sigonìo crede che vada bene e che in Tito Livio si debba leggere Curazio , com' egli ha trovato in un mano- scritto e non Cariazio come comnnementesi legge. deliberò FufTezio di appropiare la battaglia sa la pre- minenza de’ popoli. Quindi invitando vid un colloquio il re di Roma gli disse: XIV. Un Dio , sembrcuni o Tulio che provvedendo le nostre città, dia loro segni manifesti di benevo- lenza in p ià cose; come su la tenzone imminente. Cer- to ben dee parere in tutto opera divina e meravigliosa che si rinvengano per combatterci uomini non inferiori a niuno di prosapia , buoni nelle armi , belli a ve- dere j originati da un padre , nati da una madre sola, e venuti', ciò che è pià singolare, in ungiamo stesso alla luce ; e tali sono gli Orazj fra voi , tali fra noi li Curazj. Che dunque non abbracciamo una tale provvidenza divina , e non assumiamo ambedue per questa gara di sovranità que trigemini ? Bisplendono tn essi ancora le doti sublimi, quante altre mai ne brameremmo in chi fosse per uscire al paragone delle armi; ed essi pià che tutti gli Albani e Romani han pure il bene che essendo fratelli non abbandoneranno, pericolano , i compagni nella impresa. Cesserà su- bitamente rimpetto a loro la emulazione difficile a calmarsi per altra maniera in altri giovani , de' quali tnolti tra voi penso che di virtà competerebbero , come Ji'a gli Albani competono. Noi persuaderemo questi di leggeri , se additeremo loro come la bontà Divina ba prevenuto le sollecitudini umane , dandoci con. egualità chi decida con le armi le contese della pa- tria. Nè già crederanno di essere superati dalla virtit dè' fratelli trigemini; ma da certa prosperità di na- tura ed opportunità di fortezza eguale in essi per competere. Cosi disse Fuffezio , e comune ne fa I’ appro- vazione , quantunque presenti vi fossero i più bravi di Alba e di Roma. Soprappensò Tulio un poco , e se- guì : Ben sembra o Fuffezio che abbi tu saviamente concepito. Imperocché meravigliosa è la sorte che ha dato in questa generazione ad ambedue le città prole tanto simile; quanta altra volta mai non vi s’incontrò. Mi sembra però che non abbi tu considerato che as- sai rattristeremo i giovani se chiediamo che fra loro dontendano. Imperocché la madre degli Orazj nostri è sorella della madre de' vostri Curazj : e questi cre- sciuti giovanetti nel seno di tali due donne si carez- zano ed amansi come fratelli. Bada che non sia forse, indegna cosa dare le armi e sospingere gli uni alla morte degli altri, questi, congiunti per fratellanza e per educazione. Il sangue se vi si astringono , il san- gue di cui si lordano ritornerà su noi che ve li astrin- giamo. Replicò F ufTezio ; iVbn ignoro o Tulio , il pa- rentado de’ giovani ; nè io già , se li ricusano , sono per violentare i cugini alla battaglia. Ma non sì tosto mi venne in pensiero di mandare dal canto mio li Curazj di Alba io gli investigai se porrebbonsi vo- lentieri al cimento. E ricevendo essi il dir mio con enfasi incredibile e meravigliosa, io fui deliberato allora di svelare e proporre quel mio sentimento. Sug- geriscoti che anche tu facci altrettanto chiamando quei tuoi trigemini, ed esplorandone i cuori. Che se vor- ranno anch’ essi esponersi per la patria , tu ne ac- cetta la benevolenza : ma se ricusano , tu per niun modo non isforzarvegli. Io di loro presagiscoti cioc- c/l’ è degli altri miei. Se come abbiamo ascoltato ( giac~ chè venuta è fino a noi la fama della loro virtà ) sa~ migliano i pochi bennati, e se bellicosi ancor sono per indole ; abbracceranno prontissimi , e senza che niuno ve li necessiti , di combattere per la patria. XVI. Accolse Tulio il suggerimento : e conchiusa una tregua di dieci giorni per consultarsi, e tentare 1’ animo degli Orazj, e risponderne ; si ricondusse a Roma. Deli- beratosi ne’ primi sei giorni co’ migliori , e vedutili per lo più propensi agl’ inviti di Fufiezio; chiamò li fratelli trigemini , e disse : Fu/fezio o uomini Orazj , abboc- catosi meco nell' ultimo congresso nel campo , mi annunziò , che crasi fatto per la provvidenza degli Iddii , che si cimenterebbero per V una e per V altra città tre bravi , de quali invano ne cercheremmo altri più. valorosi, o più idonei, cioè li Curazj per Alba, e voi pe'Jìomani. Ciò conoscendo , mi disse, che aveva egli primo investigato , se que vostri cugini si espor- rebbero volontari per la patria : e trovatili che ar- dentissimi correrebbono ad ogn impresa, inanimatone mi propose V evento , invitandomi perchè io vedessi di voi parimente , se voleste offerirvi per la patria , e rispondere in campo ai Curazj , o se lasciaste ad altri tanta emulazione. Ben io mi argomentava che voi per lo valore dell’ animo, e per la possanza delle mani , doti in voi non occulte , spontanei più che tutti, vi rischiereste per trionfare : ma temendo che la con- sanguinità vostra co’ tre gemelli di Alba non fosse un impedimento al vostro ardore , chiesi tempo a ri- solvermene , e feci tregua con lui di dieci giorni. Restituitomi in Roma adunai li senatori, e proposi l’qf- fare sicché ne discutessero. Parve al più, di loro che se voi spontanei vi mettereste alla impresa, bella e degna di voi , impresa che io già voleva , solo io per tutti combatterla ; allora ve n esaltassi e v ac-^ cettasi. Ma se voi, restii contro al sangue de vostri, e non già confessandovi pusillanimi, dimandereste al- tri fuori della vostra famiglia ; allora , parve loro , che io non dovessi farvene la menoma violenza. Così pronunziava il Senato : nè già ne avrà egli ramma- rico se voi riguarderete la impresa come grave: ma non picciola è la gratitudine che dovravvene , se voi pre- gierete la patria più de’ parenti. Or su ponderate col bene vostro , ciocché siate per farvi. Udendo i giovani questo ; si ritirarono , e con- ferirono brevemente. Tornatisi quindi a rispondere cosi disse il maggiore fra loro : Se noi fossimo liberi; se fossimo gli arbitri unici delle nostre risoluzioni; e tu ci avessi o Tulio incaricato di consultarci su la pu- gna contro i nostri cugini: già ti avremmo risposto de' nostri voleri. Ma perocché vive il nostro genitore senza cui niente vorremo dire nè fare ; preghiamoti che ci concedi alcuna requie a risponderti , finché ce ne intendiamo con esso. Encomiando Tulio la pietà loro , e volendo che cosi appunto facessero ; partirono in verso dei padre. Dichiaratogli l' invito di F uffezio, il colloquio di Tulio con essi , e la risposta vendutagli ; alfine insisterono perchè dicesse ciocch'egli ne sentisse. E colui sottenlrando disse : Pietosamente o figli ado- peraste riserbandovi al padre , nè risolvendovi senza a4o lui. Ma ò tempo ornai che voi pure vi manifestiate idonei a tali consigli : concepite già venuto il fine dei miei giorni; palesatemi ciocché scegliereste di fare , deliberandovi tra voi sema del padre : Allora cosi rispose il maggiore: Noi o padre assumeremmo a noi di combattere per la preminenza di Roma, e ci por- remmo alle vicende che a Dio si piacessero; bramosi anzi di morire che di vivere indegni di te e degli oìv- tenatì. Il ligame del sangue co’ nostri cugini non lo avremo noi sciolto i primi; ma come sciolto già dalla sorte , placidi lo mireremo : perocché se i Corcai; sti- mano la parentela men che il benfare ; nemmeno agli Orca] parrà quella più. onorevole della virtiu Come il padre conobbe i loro sentimenti , divenutone lietissi- mo, e sollevando le mani al cielo , parve che rendesse copiose grazie agl’Iddii, perchè gli avessero dato figli onesti e generosi. Quindi prendendoli uno per uno , e dando loro soavissimi amplessi e baci di amore , voi vi avete, disse, magnanimi figli , anche il mio voto. An- • date j rispondete a Tulio i pietosi e belli sentimenti. Allora giojosi quelli per le ammonizioni paterne si di- visero, e corsi al monarca accettarono la battaglia. E colui convocato il Senato , e mollo encomiativi i gio- vani spedisce messaggeri alPAIbano per dichiarargli che i Romani sieguono ,il suo volere , e pongono gli Oraz) per combattere sul principato. Ora dimandando il subbletlo che rappresentisi diligentemente la forma della battaglia , nè scorrasi di volo su’ casi che la seguirono, simili a quelli di una tragedia , tenterò di pareggiare , quanto io posso , coi detti ogni cosa. Venuto il tempo di compiere le con- disioni , uscirono tutte in campo le milizie romane , e dopo le milizie , fatte prima suppliche ai Numi , usci- rono i giovani. Essi ne andavano compagni del re , mentre il popolo per tutta la città gli acclamava , e spargeva loro de’ fiori sui capo. Erano già uscite an- ch’esse le schiere albane. Collocatesi le une in vicinanza delle altre destinarono per teatro dell’ azione il campo che separa i confini di Alba e di Roma ove già s’ al- loggiavano entrambi gli eserciti. Quivi sagrificando giu- rarono anzi tutto Romani ed Albani su le vittime che ardevano di essere contenti della sorte la quale per r una e per l’altra città risulterebbe dal combattere dei cugini, e di osservare santamente i patti senza mescervi inganno , essi nè i posteri. Compiuti tali sacri riti in verso de’ Numi si avanzarono in arme dal proprio campo , spettatori gli uni e gli altri della battaglia ; la- sciando , tre stadj o quattro di spazio intermedio pei combattitori. Prescntaronsi indi a non molto il capitano di Alba ed il re di Roma conducendo quello i Curazj, e questo gli Orazj , armati splendidissimameute , e con apparato quale il prendono , uomini destinati alla morte. Giunti gli uni vicino agli altri consegnarono le loro spade agli scudieri ; e corsero e si abbracciarono, pian- gendo vicendevolmente , e chiamandosi co’ più teneri nomi; talché datbi tutti intorno alagrimare, accusavano la grande inumanità loro , e de’ capitani , perché po- tendo definire la lite con altri , l’ aveano ridotta al sangue de’ parenti ed ai contaminarsene delle famiglie. Staccatisi CDalmente i giovani dagli amplessi , ripigliale dagli scudieri le spade , e già ritiratisi quanti s’ aveano intorno , si contrapposero secondo la statura , e si av- ventarono. . XIX. Stavansi Gn qui le milizie placide e senza cla- mori : ma poi da ambedue proruppero grida frequenti , esortazioni scambievoli per chi avea da combattere e voti e rammarichi , e continui suoni di voce , varj se- condo r ondeggiare vario della mischia , quali per le cose fatte e vedute dall’ una e dall’ altra parte , e quali per le cose future o pronosticale : ma più dalle imma- ginazioni ne derivavano che dai successi ; perocché la visione fatta in tanta distanza non era ben chiara ; e passionandosi tutù pe’loro combattenti, prendeano come avvenuto quanto ideavano. E gli assalti incessanù , le ritirate degli emuli , e li passaggi rapidi , e li rivolgi- menù (i) degli uni in su i luoghi degli altri levavano ai riguardanù la forza del distinguere. Durò tal vicenda gran tempo; perocché gli uni e gli altri aveano pari le forze del corpo , pari la generosità degli animi , e bo- nlssime le armi che li circondavano; nè rimaneano loro membra alcune indifese ; tanto che feritivi , subito ne morissero. In tale stato molti Romani e molti Albani in mezzo all’ansia di vincere e nel commovei'si pe’loro atleti , s’ inGammavano , elGgiandosi appunto con gli affetti di quelli , quasi volessero anzi star nel conflitto , che rimirarlo. AlGne il maggiore degli Albani serratosi col Romano che stavagli a fronte , e dando e ricevendo (1) Cioè il voiiat della taccia, molalo luogo. colpi su’ colpi ; immerse non so come la spada nel> r anguinaja dell’ emulo. Questi ingrevilo già da altre ferite ai riceverne l’ ultima e mortale , cadde , rilascian* dosi nelle membra , e spirò. Alzarono a tal vista gli spettatori tutti le grida ; gli Albani come già vineitori , e li Romani quasi già vinti ; concependo i due loro fàcilissimi da essere conquisi dai tre degli Albani. Frat' tanto il Romano che era per soccorrere il caduto com> pagno y vedendo quanto l’Albano rabbellivasi ai fausto evento , si spiccò come un lampo su lui , e menando e riportando ferite in copia , alfine gli cacciò la spada nella gola e lo uccise. Ricambiatisi in poco d’ ora i successi de’ combattenu , e le affezioni degli spettatori , elevandosi i Romani dal primo abbassamento , e per^ dendo gli Albani la esultazione ; un’ altra volta ancora la sorte spirò contraria ai Romani, e ne umiliò le spe concio ; por zoppicandone , ed appoggiandosi via via su lo scudo , reggeva ancora , e si ritirava presso del fra- tello rimastogli , che starasi alle prese col Romano. Re- stava a questo F uno de' contrarj a fronte , venendogli r altro da tergo. Allora temendo che avendola a fare con due che da due lati lo investivano , sarcbbenc facilmente rlnthiuso : e trovandosi invulnei^to ancona ; pensò di separare i nemici e combatterne . 1’ uno dopo r altro. Concepì che avrebbeli facilmente disgiunti se facesse vista di fuggire; non potendo ambedue segui* tarlo , giacché vedeane l’ uno infermo del piede. Cosi deliberato fuggi con quanto avea di velocità , nè gli vennero meno le speranze. L’ albano che non avea piaga mortale , tennegli immantinente appresso; ma l’ invalido a camminare si rimase più addietro che non dovea. Qui gli Albani confortavano i suoi : riprendevano i Romani il proprio guerriero : anzi cantavano quelli e si magui- fìcavano , come sul termine glorioso della impresa ; ma s addoloravano gli altri come non più potesse la for- tuna rasserenarsi verso di loro. Quando ecco il Roma- no, coltone il punto, si rivoltò rapidissimo ; e prima che r Albano potesse guardarsene , gli diè colla spada in un braccio , e spiccoglielo nel gomito. Fattagli . ca- dere la mano e colla mano la spada gli sopraggiunse un colpo , e con questo la morte. Quindi si lanciò su r ultimo albano e lui già derelitto , già semivivo scannò. Poi spogliati i cadaveri de’ cugini , corse in città ; volendo esso il primo dare al padre la nuova della vittoria. Portavano però i destini che essendo mortale anch’ egli non avesse prospera ogni cosa ; ma sentisse i morsi ancora della invidiosa fortuna. Lo avea questa iu pochi momenti venduto grande di picciolo, e sollevato a chiarezza inaspettata e mirabile, e questa appunto nel medesimo giorno lo gittò dentro amara sciagura, spin- gendolo ad uccidere la sorella. Come egli fu vicino alle porte di Roma , videvi moltitudine immensa che fuori se, ne versava, e vide accorsa con essa ancor la sorella.^ Tnrbato ài primo vederla perchè essa, donzella ornai nubile, ave^ lasciato la custodia materna, e si fosse esposta in mezzo di turba incognita ; ne formava pen- sieri funesti: ma si rivolse alfine ad altri più miti e be« nevoli , quasi ella cedendo al muliebre genio avesse ne*, gletto il decoro per desiderio dì salutare primieramente il fratello salvo , e d’ intenderne i fatti virtuosi degli' e- stinti. Colei però s’era ardila di mettersi alla insòlita via non' per desiderio del fratello ma vinta dall’ amore di uno de’cugini , col quale aveale il padre fuo concordate le. nozze. Celavano colei l’ ineffabile afletto ; ma poiché seppe da un tal dell’ esercito gli eventi della giornata ; non più lo contenne : ma lasciati i domestici lari corse come furiosa alle porle di Roma, nemmeno volgendosi alla nutrice che la seguiva , e la richiamava. Uscita dalla città come vide il fratello festevole colle ghiriande trion- fali dntegli dalle regie mani , e gli amici che portavano le spoglie degli estinti , e tra le spoglie ancora 1’ am- manto vario , che essa avea colla madre tessuto e màh- dato in pegno delle nozze allo sposo, giacché usano gli sposi futuri tra’Latini abbigliarsi di ammanto vario; come vide il caro suo dono macchiato di sangue ; si lacerò le vesti , si battè con ambe le mani il petto; ululò , richiamò l’ amato cugino ; tanto che grande stupore ne invase quanti in quel luogo si stavano. £ pianto il destino dello sposo folgorò col fisso sguardo sul fratello , e gridò: Tu esulti o sozzissimo uomo su la occisione decagoni, e tu , scellerato , tu privasti con ciò dello sposo la mi- sera sorella tua. Nè pietà senti de’ trafitti parenti che pure chiamavi fratelli tuoi; ma f innebrj di gioja quasi per buonissima impresa y e vai fra tanti mali coronato. E qual cuore è mai il tuo ? forse di una fera ? ■■ anzi , colui replicò , di un cittadino che ama la patria ; di uno che punisce chi le vuol male , siasi egli un estraneo o siasi un domestico. E tra questi colloco te pure , te' che vedendo i beni grandissimi , e i grandissimi mali in un tempo awemUici, la vit- toria della patria che io qui ti presento , e la morte de tuoi fratelli ; già non esulti o malvada pe’ beni comuni della 'patria , nè ti addolori pe’ domestici in- fortuni > spregiati i fratelli , non sospiri che lo sposo ; e profani te stessa non fra le tenebre ; ma nel pubblico aspetto di tutti. A me la mia virtù, rimproveri , a me le mie corone ! O non vergine , non ‘sorella, e non degna degli avi! Poiché dun- que non piangi i fratelli ma lo sposo ; poiché tieni il corpo co’ vivi , ma V anima colf estinto ; va , ten corri a lui che richiami, nè più. disonorare il geni- ' tare , e i fratelli. Cosi dicendo , più non serbò misura nell’ odio della scellerata ; ma le immerse con quanto area d* ira la spada ne’Ganchi; ed uccisala andossene al padre. I costumi e gli animi de’ Romani erano allora cosi pieni dell’odio del male, e cosi fermi in questo; che se alcuno li voglia paragonare co’ nostri , dirà che erano aspri e duri, nè diversi molto da quei delle fiere. Il padre udita la spaventevole uccisione non -solo non se ne corrucciò ; ma la tenne come debita e decorosa ; perciocché nè permise che fosse portata nella sua casa ; nè procurò che la seppellissero nelle tombe degli avi ;  nè clic fosse con esequie e fregi, c conianque coTunebri riti onorata. Ma coloro che passavano dove giacevasi uc> mettono che uccidasi alcuno impunemente, e riferendo gli esempi dati dagl’iddi! su le, città che non vendicano gli scellerati. Faceva il padre le difese del giovine, ed incolpava la Gglia ; pretestando eh’ ella non ebbe morte, ma castigo : che niuno era nella domestica sciagura giu- dice più acconcio di lui come genitore di ambedue. Mol- tiplicandosi da arabe le parti i discorsi, assai fu per- plesso il monarca come avesse a terminare il giudizio. Eigli per non portare la colpa, e la maledizione nella magione sua da quella dell’ autore di esse credea bene che non si assolvesse chi dichiaravasi reo del sangue della sorella , sparso prima di ogni condanna, e per ca- gioni per le quali vietano le leggi che uccidasi : non ammettea però che si avesse ad immolare come un omi> cida chi avea scelto di cimentarsi per la patria e tanta signoria le avea procacciato , mentre nou tenealo per colpevole il padre stesso a cui la natura e la legge danntT ' i primi diritti di risentimento per la figlia. Incerto come decidersi , tenne da ultimo per lo meglio rimetterne al popolo la sentenza. Il popolo Romano divenuto allora la prima volta giudice di un omicida si attenne alle de-^ siinazioni del padre , ed assolvette il suo liberatore dalla morte. Pure non istimava il re che' bastasse a chi volea mantenere la pietà verso i Numi tal giudizio venduto dagli uomini: ma chiamati i pontefici commise loro .che placassero i Geni! e gl’ Iddi! , e mondassero il giovine colle espiazioni le quali purificano da morti involontarie. . a 49 E quelli eressero due altari, l’uno a Giunone, Dea difenditrice delle sorelle , e 1’ altro ad uno Dio , chia- mato (i) Genio da’ nazionali , col nome appunto de’cu- gini Curazj uccisi dal giovane. E facendo su questi de’ sagrifìzj , ed usando nondimeno altre espiazioni, da ul- timo passarono 1’ Orazio sotto il giogo. Costumano i Ro- mani , quando diventano gli arbitri di nemici che ab- bassano le armi , di piantare due aste diritte , acconcian- done una terza supina su di esse ; e poi di passarvi sotto li prigionieri, e dimetterli alfine liberi verso le patrie loro. E questo è ciò che chiamasi giogo. Coloro che lustra- rono J1 giovane si valsero di tal ultimo rito nel puri- ficarlo. I Romani tutti stimano sacro il luogo della città dove fu praticata la cerimonia. Rimane questo nell’ an- gusta via che mena giù dalle Carene coloro che ven- gono all’angusta via Cipria. Ivi sorgono altari allora edi- ficati , e su gli altari stendesi 1’ asta supina confitta ai due muri contrapposti: pende questa sul capo di quelli che ne escono , e chiamasi nel parlar de’ Romani asta o legno della sorella. Questo luogo onorato con annui sagrifizj ricorda in Roma ancora la sciagura del giovane: ma ricorda il valor suo tra la battaglia la colonna an- golare che è principio del portico secondo nel Foro dalla quale pendevano già le spoglie de’trigemini Albani. Le armi vennero meno per gli anni ; ma la colonna ser- bane ancora la denominazione chiamandosi pilastro Ora- zio. Che anzi evvi in Roma una legge nata da tal fatto , (i) Genio Curazia: fu così detto perchè destinato a placare le ombre de' Coratj . Ed Orazio meritava appunto di essere espiato dal sangue della sorella e de’ cugini.  ed osservatavi pur nel mio tempo , a riverenza e gloria de’ giovani immortali, la quale ordina che nascendo dei tiigemini si dispensino per essi a pubbliche spese i vi* veri Gno alla pubertà. Tal Gne ebbe la serie delle cose degli Oraz] iniessuta d’ inaspettate e meravigliose vi- cende. Indugiatosi il re de’ Romani per un anno onde apparecchiare quanto era d’uopo alla guerra; inGne de- liberò di avanzar coll’ esercito contro Fidene. Preodea le cagioni di guerra da questo , che invitau i ciuadioi di essa a giustiGcarsi circa le insidie ordite su gli Al- bani e Romani non aveano ubbidito , anzi dando in un subito alle armi e chiudendo le porte e congregando le schiere ausiliarie de’ Yejenti , erai^si manifestamente ri- bellati. Aggiungevasi , che andati gli oratori per inten* dervi le ragioni della rivolta, i Fidenati non altro ri- sposero , se non che non aveano essi cosa alcuna co- mune co’ Romani Gn dalla morte di Romolo al quale si erano , giurando , congiunti di amicizia. Su tali ca- gioni armò le sye milizie , e fe’ richiedere le conJede- rate , delle quali Mezio F uffezio recava da Alba le più numerose in apparato bellissimo ; tantoché superava ogni altra forza amica. Tulio commendò Mezio, come detet^ minato a prendere seco lui la guerra ardentissimamente, in ogni miglior modo ; e Io rendè consapevole di tutti i disegni. Ma quest’ uomo incolpato già da’ suoi come rio capitano di guerra , anzi calunniato di tradimento ; questo dopo che si era tenuto per tre anni sotto 1’ au- torità suprema di Tulio , alGne sdegnando un princi- pato schiavo dell’ altrui principato , e di essere diretto . s5l pimtosto che dirigere; macchinò cosa non degna. Im- perocché mandati messaggeri segreti a’ nemici de’ Ro- mani , irresoluti anewa per la ribellione , gl’ infiammò ^ , che non piò dubitassero ; promettendo che in mezzo della battaglia investirebbe egli stesso i Romani. E tali cose macchinando e facendo ; potè rimanersene occulto. Tulio apparecchiate le milizie sue e quelle de’ com-i pagni le portò su’ nemici, e valicato il fiume Aniene si pose non lungi da Fidene : ma scoprendo innanzi di questa io ordinanza un gran numero di Fidenati e loro compagni si tenne in calma tutto quel giorno: nel se- guente convocando 1’ albano F nlfezio , ed altri de’ piò intimi amici ponderò con essi com’era da praticare la guerra ; e poiché parve loro che fosse da combattere spe> ditamente, senza indugiarvisi ; egli preaccennando i po- sti e r ordine che ognuno prenderebbe , e destinando per la zuffa il prossimo giorno , congedò l’ adunanza. Quindi FufFezio che ancora tenevasi occulto con molti degli amici sul tradimento che meditava , fatti a sé ve- nire i più cmpicui tra’ suoi centurioni e tribuni disse: Tribuni , centurioni , io sono per comuni- carvi grandi , inaspettate cose , che vi tacqui finora. Vi raccomando se non volete distruggermi che voi pure le taciate : anzi che miei cooperatori vi siate , se utili a compiersi vi parranno. Il tempo angusto non consente che io distesamente vi parli di ogni cosa; e ristringomi alle primarie. Io per tutto V intervallo che fummo subordinati a' Romani fino a questo giorno ; io m’ ebbi una vita piena di vergogna e di ramma- rico j eppure fui onorato dal monoica loro della ma- aSa  gisàratitra 'suprema , oggimaì da tre anni, è lo sarò' nemmeno per sempre se il voglio. Ma perciocché mi parca t estremo de* vituperj che io' solo mi fossi felice' nella sciagura comune ; e vedeva intanto io bene che eravamo stati spogliati della sovranità contro tutti i diritti sacri dell’ uomo ; cosi mi diedi a considerare come potessimo ricuperarla , ma senza rischiarvi gran fatto. E discorrendola io meco moltissimo ti-ovai una via sola facile nè pericolosa che guiderebbe all’ in- tento , cioè che sorgesse loro una guerra da confinanti. Imperocché prevedeva io che i Romani avrebbono a chiamare le truppe ausiliarie , e le nostre massima- mente , e prevedeva dopo ciò che non avrei gran bi- sogno di persuadervi che più. bello , e più giusto è combattere per la nostra libertà , che per istahilire' r impero de’ Romani. Spinto da tali pensieri produssi a’ Romani la guerra de’ sudditi loro Fidenati e Ve- jenti risolvendoli alle arme con esibire che io pren- derei parte con essi. Fin qui si rimase occulta a’ Ro- mani la pratica ; ed io provvidi intanto per me la occasione di assalirli. Ora considerate quanto sia questo opportuno. Primieramente , grande in una ri- bellione manifesta , sarebbe il pericolo o di avventu- rare ogni cosa mentre siamo sprovveduti per la fret- ta , e contiamo unicamente su ciò che potrebbero le nostre forze ; o di essere sorpresi da essi già pronti mentre ci apparecchiamo e ci procuriamo dagli altri un ajuto. Noi però così non manifestandoci non cor-- reremo nè V uno nè V altro disastro ,• e ne avremo raccolto almen questo bene. Secondariamente noi non. . a53ci daremo a percuotere la grande , la bellicosissima potenza e fortuna degli emuli con le violente manie- re, ma si bene colle artijiziose e scaltre, con le quali si prendono finalmente le cose trascendenti , e meno facili a battersi colla forza ; nè già saremo a far questo i primi , o li soli. Inoltre siccome le nostre milizie mal potrebbero schierarsi in campo a fronte di quelle de’ Romani e degli alleati ; così abbiamo congiunto a noi le forze sì grandi , come vedete, dei Veìenti e de Fidenati. Anzi si è da me provveduto che le ardite schiere di questi ne diano con effetto il soccorso che ne ho cercato. Imperocché già non sarà J.a pugna nelle nostre campagne; ma battendosi i Fidenati per le proprie , difenderanno in esse an~ coro le nostre. E quello che riesce dolcissimo agli uomini , quello che di raro occorse ne’ tempi andati ; questo ancora per voi si combina : noi giovati dai nostri alleati sembreremo di avere ad essi giovato, E se r affare si termina a piacer nostro, come par ve- risimile; i Fejenti e li Fidenati che avranno liberato noi da un durissimo giogo , essi noi ringrazieranno quasi col favor nostro ottengano un pari benefizio. .Questi sono i successi che da me con gran diligenza procurati mi sembrano bastare ad ispirarvi confiden- za, e viva prontezza ad insorgere. Ora udite in qual modo io voglia por mano alla impresa. Tulio mi ha destinato appiè del monte ; perchè io vi governi luna delle ale. Ma quando sa- remo per attaccarci co’ nemici ; io non attendendo allora tale destinazione ; mi ritirerò poco a poco sul monte. Voi seguitemi allora ordincUamente. Giunto alle cime ed in salvo , udite come io continuerò. Quando vedrò le cose che qui dico riuscirmi come io le disegno ; quando vedrò infiammati di corono i nemici perchè noi cooperiamo con essi, umiliati e spaventati come traditi i Romani ; e come è verisi- mile, già più. intenti a pensare la fuga che le difese; allora io starò su loro : ed io coprirò de’ loro cada- veri il campo ; perocché scendendo dcdC altura destra a basso , mi gitterò su di essi sbigottiti e dispersi con esercito pieno di beW ardore e di ordine. 'Rile- vantissima è nelle guerre la fama sparsa di un tra- dimento anche falso degli alleati, o del giung.'re di altri nemici ; e sappiamo che grandi eserciti furono totalmente da tali vane apprensioni rovinati, più che da altri spaventosissimi casi. Il nostro adoperare però già non sarà fama vana , nè arcano spauri- mento ; ma cosa più che tutte terribile a vedersi e provarsi. Ma ( dicansi pur le cose consuete a pre- sentarsi contro la espettazione , giacché la vita ne involge molte, nè verisimili ) se gli eventi riusciranno contro i disegni ; anch’ io farò cose ben altre da quelle che in mente io ravvolgevami. Allora io piom- berò co’ Romani su nemici ; co’ Romani raccoglierò la vittoria , simulando di aver prese le alture per cingere gt inimici. Ben avran fede i miei detti con- cordandosi le opere colle finzioni : tanto che noi non comunicheremo cogP infortuni di niuno , e solo par- teciperemo lo belle vicende dell’ uno o delC altro. Io tali cose ho deliberato : e tali cose eseguirò col favorB degV Iddii come bonissime non solo per gli AU boni ma per tutti i Latini. Bisogna che voi guardiaie prima che tutto il silenzio : poi, che serbiate il buon ordine, che vi prestiate immantinente ai comandi, che guerrieri vi siate pieni di bell’ ardore , e che tali rendiate pur quelli che vi ubbidiscono ; considerando che il combattere nostro per la libertà non somiglia al combattervi degli altri, consueti ad essere coman- dati , e lasciati da loro padri in tale condizione. Noi liberi siamo naU dai liberi : anzi i nostri avi ci han tramandato il comando su vicini ; serbarono questa forma per cinquecento anni ; nè di questa si trove*- ranno per noi spogliati li posteri. Nè tema chi vuole far questo , quasi rompa i trattati , e violi i giura- menti fatti sopra di essi: pensi piuttosto che egli i diritti ripristina rotti e violati da' Romani : nè già i tenui diritti ma quelli che la natura ci ha dato degli uomini , quelli che la legge ha fondato comune ai Greci ed ai Barbari , vuol dire che i padri coman- dino j i padri dian leggi ai figli , e le città madri alle colonie. Questi sacri diritti che mai saranno cancellati dalla natura degli uomini , questi noi vo- lendo che siano perpetuati , nè frangiamo alleanza fàuna, nè genj nè Dii ci si potran corrucciate quasi non sante cose facciamo , se mal pià comportiamo servire cì nostri discendenti. Cnloro però che li hanno conculcato i primi , e che con opera indegna han ten- tato di far prevalere la umana alla le^e divina ; coloro , corn è giusto , e non già noi , s' avranno a fronte V ira de’ Numi , c su di essi non su noi soi't  gerà la vendetta degli uomini. Pertanto se queste vi sembrano le cose migliori / eseguiamole , e chiamia^ movi protettori gl’ Iddii. Ma se alcuno sente in con- trario e sente o t una o t altra delle due cose ; vuol dire o che più, non debba ricuperarsi t antica dignità della patria ; o che debbasi aspettare un tempo pià acconcio del presente ^ e differire; costui' non esiti, a dire i suoi pareri; e quello sarà fatto che a tuui sembri il migliore. Alfìae lodato nel dir suo dagli astanti, e pro- mettendosi questi a far tutto ; esso ne obbligò ciascuno col giuramento, e dimise radunanza. Nel prossimo giorno all’ uscire appunto del sole , uscirono da’ proprj allog- giamenti le milizie de’ Fidenati e degli alleati, e si schie- rarono per la battaglia: vennero nemmeno di fronte i Romani , e si ordinarono. Tulio stesso e i Romani si opponeano coll’ala sinistra ai Vejenti i quali formavano la destra nel corpo loro. Nell’ ala destra dei Romani si stava Mezio Fuffezio e gli Albani presso del monte in- contra de’ Fidenati. Rendutisi ornai vicino gli uni degli altri , gli Albani prima di essere a tiro si staccarono dal resto dell’ esercito , ascendendo ordinatamentè sul monte: I Fidenati ciò vedendo e cerziorandosi della realtà del tradimento promesso dagli Albani si portarono più bal- danzosi contro de’ Romani. L’ala destra de’ Romani , es- sendosene tolti gli alleati , erane ornai rotta e molto in pericolo. Combattea però bravissimamente 1’ ala sinistra e Tulio con essa in mezzo di scelti cavalieri. Quan- d’ ecco un cavaliere affrettandosi verso quelli i quali pugnavano presso del monarca, o Tulio, disse, la nastra ala destra è sul perdersi : gli jilbani , abban- donatala , ascendono il monte , ed i Fidenali che li teneano schierati dinanzi, ora preponderando a fronte ilelt ala tanto indebolita j già la circondano. I Ro- mani ciò ndcmlu , e vedendo T accelerarsi degli Albani in sul monte; temerono di essere avviluppali da' nemici, taulu che non aveano cuore nè di combattere , nè di restare in quel luogo. Or qui , dicesi , che Tulio niente commosso all* aspetto di un male si grave e tanto ina- spettato facesse uso dell’ avvedutezza : e che salvasse con questa 1* esercito ornai nel pericolo manifesto di essere circondato; c disfacesse e terminasse tutto il bene degli inimici. ltn[>erocchè non si tosto il messaggero ebbe det- to; egli a gran voce sicché i nemici, la udissero, o Bo- mani , esclamò , li nemici son vinti. Gli Albani sul mio comando hanno occupato come vedete il monte prossimo a noi per piombare alle spalle de' nimici. Mirale ! gli abbiamo pin e al nostro buon punto gli impiegabili awersaij. Noi siamo loro dirimpetto , e gli Albani alle spalle : pià non possono aveutzare , ISO retiocedei e. Dall' uno de' lati rinserrali il fiume , dall’ altro il monte : ci daran pure le pene meritate. Andate : avventatevi intrepidamente su loro. Cosi esclamando ne andava tra le milizie. E ben presto i Fidenati furono presi dalla paura che quel tra> dimenio, si rivolgesse fìnalmente su loro per frodolenza del capo degli Albani : perchè nè lo vedeano schierarsi contro i Romani , nè fulminarsi contro di essi come avea già promesso. Altronde avea quel parlare iniiammati di VIOSIGI , P>m» l. ir ardire e riempiuti di confidenza i Romani. Adunque scop« piando in un grido e ristrettisi lanciarousi all’ inimico. Piegarono allora , e fuggirono i Fidenati in disordine alla loro città. Il re de’ Romani rilasciando la cavalleria su questi atterriti e turbati li perseguitò qualche tempo; ma vedutili poi sbandati, senza animo di raccogliersi e senza forza , permise che fuggissero ; e si rivolse con- tro r altra parte de’ nemici ancora ordinata. Ivi era bat- taglia viva tra’fanti; e più viva ancora tra’ cavalieri. Im- perocché li Yejenti quivi schierati non che sbigottirsi e dar volta , resistevano all’ impeto de’ cavalli romani. Alfine vedendo che l’ ala loro sinistra era battuta, e che- l’esercito de’Fidenati e degli alleati fuggiva tutto precipitosa- mente, anch’cssi per timore di non essere colti in mezzo da’ nemici che tornavano da inseguire gli altri, diedero volta, e si scomposero e tentarono di salvarsi a traverso del fiume. I più robusti , e men carichi di ferite , nè impotenti a nuotare passarono senza le armi il fiume e scamparono: ma quanti non aveano l’uno o l’altro di que’ requisiti , affondavano tra’ vortici ; essendo il Te- vere presso Fidene rapido e tortuoso. Tulio intanto impose a parte de’ cavalieri di uccidere i nemici che . accorrevano al fiume , ed egli conducendo il resto del- r esercito assali gli accampamenti de’ Vejenti e gl’ in- vase. E tali sono le operazioni che diedero, a’ Romani salute inaspettata. Quando il re d’Alba vide manifestamente vit- toriose le milizie di Tulio ; egli per dare a vedere che faceala da alleato , calando dal monte le sue , le menò contro de’Fideuuti che fuggivano ; e molli in tale stalo. ... a!xg ne uccise. Tulio vedendo il suo fare , ed esecrando la nuova sua tradigione , dissimulò di presente , finché lo avesse nelle mani : ansi diè vista di lodare tra* molli come l>onissima l’ andata di lui su pel monte : e spc- una banda di cavalieri lo richiese che desse ultimi contrassegni di zelo, incaricandolo , che cercasse con diligenza , e trucidasse que’ Fidenati che non po- tendo ripararsi tra le mura , vagavano dispersi intorno • in tanto numero per la campagna. Colui quasi avesse, già conseguila Tana delle due cose che sperava, e quasi, fosse accetto veramente a T ullo , ne fu dilettato ; e ca- valcando gran tempo per que’ campi fe’ strazio, de’ prò-, fughi i quali sopraggiungeva. E già tramontato il sole, condusse i suoi squadroni da tale persecuzione al campo Romano , c vi festeggiò con gli altri la notte. Tulio di-, inoratosi nell’ accam|)amento de’ Vejenti fino alla prima vigilia vi esplorava da’ prigionieri più riguarderoli quali fossero mai stati li capi della rivolta. Come poi seppe che ci avea tra congiurati anche 1’ Albano Mezio Fuf- fezio, gli parve che i fatti di lui concordassero colle in- dicazioni de’ prigionieri. Adunque montato in sella si ri-, condusse cavalcando in città fra lo stuolo dc’suoi più fidi. E prima della mezza notte convocando dalle case loro i Senatori ; disse del tradimento degli Albani , dandone |)er teàlimonj li prigionieri ; e narrò gli artcGzj co’ quali egli avea deluso i nemici e li Fideuali. E poiché la guerra avea fine bonissimo ; invitò loro a discutere come si avessero a punire i traditori, perchè Alba si rendesse |>iù savia per 1’ avvciiire. Parve a tulli giusto anzi ne- cessario che si ['Unissero quanti si erano messi ad ojteia tanto «cellerata. Si ondeggiò però molto intorno la ma-' oiera facile e sicura della esecuzione. Sembrava loro im> possibile che tanti cospicui Albani si potessero involare con morte tenebrosa e nascosta. Che se tentassero arre- starli e punirli palesemente , torneasi che quel popolo, piuttosto che ciò non curare , volasse alle armi. Non voleano poi combattere in nn tempo co’ Fidenati/ coi Tirreni , e con gli Albani loro consocj.- Ora non espe- dendosi essi ; diè Tulio in6ne uu suo parere cui tutti en- comiarono. Io ne dirò dopo un poco. Siccome non era Fidene distante da Roma se non cinque miglia ; ' cosi egli eccitando con tutto r ardore il cavallo si restituì negli alloggiamenti : e pri- ma che il giorno brillasse’ laminoso , chiamando Marco Orazio il superstite de’ trigemini , e dandogli li fanti e li cavalieri piò scelti , ordinò che marciasse con questi ad Alba , che vi s’ introducesse in sembianza di amico ; che , quando ne avesse in sua balia gli abitatori rovinasse da’ fondamenti la città, non risparmiando edifizio alcuno privato o pubblico, se non i tempj: non vi uccidesse però nè vi oltraggiasse uomo ninno, ma consentisse che ognuno s’avesse le sue cose. Spedito questo egli aduna tribuni e centurioni , palesa ad essi il decreto del senato , e forma di loro la guardia del corpo suo. Si presentò dopo non molto 1’ Albano in gaudio per la vittoria co* mune , e per congratularsene con Tulio t e Tulio ser- bando tuttavia li segreti suoi , Io encomiava , confessa- valo degno di gran doni, ed invitavalo a scrivere i nomi de’ valentuomini che si erano più distinti nel combat- tere e portarglieli perchè tutti partecipassero ai beni della villoria. Inondatone costui dal jnacere diè su di una tavoletu in iscritto i nomi de’ suoi più fedeli, de’ quali si era valuto ne’ disegni reconditi. Allora il re di Roma invita a radunarsi lutti , senza le arme , e radunatisi ; fece che il duce degli Albani, come li centurioni e tri- buni si collocassero presso di lui , e che gli altri Al- bani ordinatamente si compartissero ; ponendo dopo lo- ro il resto degli alleati e dietro tuui infine circolai-- mente i Romani , tra’ quali ce ne avea de’ magnanimi , co’ brandi sotto degli abiti Quando poi gli sembrò di avere a suo bell’ agio i nemici ; sorgendo cosi ragionò : Romani , amici , compagni di arme , fi- nalmente abbiamo col favore degl' Iddìi portala la vendetta su Fidene e su quanti partigiani di lei , fu- rono arditi investirci con guerra manifesta. Seguirà da questo t una delle due , vale a dire che quanti ci molestavano si cheteranno ; o ne daranno pene tanto più spaventose. Ora venule già le prime nostre im- prese a buon termine , é tempo iche puniamo quei guerrieri che avendosi il nome di amici nostri , ed assunti a questa guerra da noi perchè facessero con- tro (i nemici comuni , abbandonarono la loro fedeltà verso noi , si strinsero con patti segreti a nemici , e macchinarono la universale nostra rovina. Ben sono essi peggiori de' nemici manifesti , e perciò degni di pena più grande. Imperocché facile cosa è deludere le insidiose lor trame , e ribattere si possono se ci assaliscono come nemici : ma né riesce di leggeri cautelai si da amici che la fan da nemici, né si pos- sono risospingere se ci prevengano. Ora tali sono i guerrieri che Alba ci manda\>n : ingannevoli alleali ! eppure non danneggiati , ma beneficati grandemente , e in tante cose da noi. Noi , ramo già della lor gente , non toglievamo punto della lor signoria , ma 'la nostra forza , la nostra potenza fondavamo qol domare i nostri nemici. Premunendo di mura la no- stra patria contro genti amplissime e bellicosissime abbiamo prodotto ad essi un alta sicurezza in fra le guerre de’ Tirreni e de’ Sabini : tantoché serbandosi la nostra città prosperamente , dovean essi rallegrar- sene principalmente ; e decadendo questa non dovean meno rattristarsene che per la propria città. Essi però si ostinarono ad invidiare non solamente il nostro ben • esseio , ma il proprio ancora nel nostro : e da ultimo non potendosi più Iodio nascondere, ci hanno premeditato la guerra. Ma perciocché vedeano noi benissimo acconci a ripeivoterli , non essendo essi valevoli contro di noi , c invitarono a trattati ed ami- cizia , e richiesero che la lite sul principato si deci- desse con la tenzone di tre combattenti. Acoetlammo t invito e vincemmo ; e ci fu la loro città sottomessa. Or , dite : che abbiamo noi fatto dopo questo ? Po- tendo noi ricevere gli ostaggi da Alba, polendo met- tervi guarnigiotìe , e qual’ uccidervi , qual cacciarne de’ principali a por dissidio tra t uno e t altro po- polo; potendo cambiarvi in favor nostro la forma del governo , smembrarne il territorio , prescrivervi de’ tri- buti , e torlo infine le arme ciocché era facilissimo , ed avrebbe tanto più noi convalidato ; polendo noi tutte queste cose ; non abbiamo pur voluto farvene in. 263 nemmeno una, mossi anzi dalla pietà versò loro, che dalla sicurezza del nostro principato. E preferendo cioccK era il decoio all’ utile abbiamo conceduto che si godesse ogni suo bene. Permettevamo che Mezio Fujfezio, che essi avevano elevato à primi gradi come il più degno , vi amministrasse ancora la repubblica. Ed essi ( ascoltate qual .contraccambio ce ne rende- rono quando più bisognavamo dell’ amicizia , e delle armi loro ) ! si convennero in segreto col nemico co- mune di assalirci insieme tra la battàglia ; e quando t inimico e noi eravamo già già sul combattere ; essi lasciando il posto della ordinanza , corsero a’ monti vicini onde preoccuparne le alture più forti. E se la cosa andava loro a seconda , niente avrebbe impedito che noi tutti perissimo 'circondati dagli amici e dai nemici ; e che tulli i combattimenti da noi sostenuti per la signoria della nostra città , tutti in un giorno , ■svanissero. Ma poiché tal disegno riuscì vano primie- ramente per disposizione benefica degV Iddìi da quali ripeto quanto io fo mai di buono e di bello , e poi per t avvedimento mio che non poco valse a scorag- gir t inimico ed accendere i nostri, essendo stato mio stratagemma il dire che gli Albani ^ ordine' mio preoccupavano il monte per cingere t inimico ; poiché t affare si terminò coll utile nostro ; noi non sarenp- mo , quali essere ci conviene , se non punissimo i traditori ; quelli io dico i quali, doveano se non per altro , almeno pe' ligami di parentado serbare gli ac- cordi ed i giuramenti , fattici di recente , e li quali non temendo gl Jddii che fecero testimonj de’ loro trattati , non riverendo la giustizia stessa , non la ri- provazione degli uomini, non calcolando la grandezza del pericolo se il tradimento sconciavasi, tentarono in miseranda maniera di perdere noi progenie , noi be- nefattori loro , essi nostri fondatori , e congiurali con gt implacabili nostri nemici. Dicendo lui queste cose prorompeano gli Albani in gemiti, e preghiere d’ogni modo. ÀHermavail popolo non aver lui saputo niente dei disegni di Me- zio : simulavano' i capitani non aver conosciuta la mao chinazione, se non che nel darsi della battaglia, quando più non era in poter loro d’ impedire , o non fare i comandi. Riferivano altri il lor fatto alla insuperabile necessità di congiunzione e di parentado ; quando il re, fatto silenzio disse: niente,. Albani, niente ignoro, di quanto allegate per iscusannivi. E penso che il più di voi noi sapesse quel tradimento, perchè dove molti sono i consapevoli , non si tacciono , neppur brevissi- mo tempo le cose : penso che de’ tribuni e de’ centu- rioni la parte minore fosse la complice ; ma che la più grande non era che aggirata , e ridotta a passi non volontari . Che se niente di ciò fosse vero ; se voi tutti Albani , quanti qui siete , e quanti si rima- sero in Alba, vi aveste in cuore di danneggiarci, nè già da ora, ma da tempo antichissimo ; pur s avrebbe il liomano nella sua parentela una ben forte cagione a pazientarne le ingiurie. Perchè però non più vi aduniate a consulte ingiuriose contro noi , non più violentati , non più sedotti vi troviate da’ capi della vostra città ; ito abbiamo pure sebbene unico , questo rimedio : vale a dire che divenendo tutti cittadini di una città riguardiamo - questa sola per patria , e par- tecipiamo ciascuno ai beni e mali di tei, coma essa ne incorre. Finché saranno come ora discordi i pa- reri , finché disputeremo su la preminenza; non sor- gerà mai stabile pace fra noi ; principalmente se gli uni i primi siano per insidiare gli altri con vista di dominare vincendo , o di essere come parenti impuniti se perdono. Imperocché quelli die sono assalili ten- teranno riscuotersi coll estremo de' mali , nè fuggi- ranno modo alcuno onde nuocere gli tdtri quali ne- mici, come ora addivenne. Pertanto sappiate: avendo io nella scorsa notte adunalo il SeruUo , i Romani per bocca sua emanavano, ed io firmava il decreto che la vostra città fosse disfalla , nè si permettesse che vi restasse in piedi edifizio niuno privato nè pubblico alf infuori de' templi : che quelli che vi abi- tano ritenendo ogni bene , non ispogUali di schiavi , non di bestiami, non di oro pongano da ora innanzi la sede in Roma: che gli Albani poi, che non hanno campo alcuno se lo abbiano , purché non sia de' po- deri sacri co’ quali si procacciano i sagrifizj : che io provveda i luoghi della città dove le abitazioni si fondino degli emigrati , e supplisca a chiunque di voi più ne ahbisogna , i mezzi onde tompierle : che tutta la vostra moltitudine prenda la forma del nostro po- .polo ; comportasi in, curie e tribù; abbia parte nel Senato e nelle magistrature più insigni, e si ascrivano alle famiglie patrizie le famiglie de'Giulj, de' Servi Ij, de Geranj , de Metelj , de’ Corazj , de’ Quintìlj (i) , e de’ Cluvilj ; che finalmente Alezio e quanti delibe- rarono con esso il tradimento , se ne abbiano le pe- ne , e noi le stabiliremo queste , giudici sedendo di ogni causa ; mentre a ninno dee negarsi giustizia e difesa. XXXI. Intanto che Tulio cosi diceva i poveri tra gli Albani gradendo di essere fatti abitatori di Roma, e di parteciparne le campagne , lo acclamavano a gran voce. All’ opposito i più cospicui per grado o più agiati per sorte si affliggeano che avessero ad abbandonare la pro- pria città , e le case paterne , e vivere per 1’ avvenire in terra altrui; nè più sapean che dire in tanto orribile necessità. Poiché Tulio ebbe investigato i pareri della moltitudine , impose a Mezio , che allegasse , volendo , le sue giustiBcazioni r e costui non sapendo che repli- care alle accuse ed alle testimonianze t disse che il Se- nato di Alba avealo segretamente incaricato di far ciò quando usci per guerreggiare; e pregava gli Albani ai quali avea tentato di racquistare il comando , che lo soccorressero , nè guardassero con indifferenza la patria che rovinava , e tanti cittadini degnissimi che erano strascinati al supplizio. E già nasceane tumulto nella moltitudine , e volavano alcuni ad afferrare le armi ; quando i Romani che circondavano l’adunanza sguaina- rouo , datone il segno , le spade : ed essendone tutti aiierriti ; sorse Tulio un'altra volta e disse: Albani, non qui vi è dato d' insorgere, nè di trawiarvi: giac‘ (i) Lrsino , e Patino de Famil. Romanor. leggono Quinzf.  ’ ^6'J cJtè tulli, se ariìiste commovervi, sareste trucidali da questi : ( E cosi dicendo additava le spade de’ suoi ). Prendete ciocché vi si dona , diventale fin da oggi Romani. È per voi necessità , domicitiaivi in Roma , o non avere più patria sulla terra. Marco Orazio andò sulC ordine mio fin dalC aurora per abbattere la vostra città dai fondamenti , e condurne in Roma gli abitanti. Ora sapendo che ornai questo è fatto , non vogliate correre alla morte; ubbidite. Metio Fuffezio, quesf occulto nostro insidiatore , che nemmen ora te- me d’ invitare alle armi i turbolenti e li sediziosi'; questo ne darà le pene , degne del perfido cuore e scellerato. Sbigottì ciò udeudo la parie irritata degli adunali , come vinta da insuperabile necessità. Fremea Fufiezio per l’ opposi to , e vociferava , ma solo , e re- clamava r alleanza , egli che era accusato di averla tra- dita , nè perdea la baldanza , anche in mezzo de’ mali ; quando i littoii per comando di Tulio afferrandolo gli squarciano in dosso le vesti e lo caricano di battiture. Poi quando parve che ornai quel supplizio bastasse ^ avvicinando due carri , legarono con lunghe redini le braccia di lui nell’ uno di questi , e li piedi nell’ altro. Allora spingendo gli aurighi quinci e quindi i due carri ; egli strascinato e tirato in parti contrarie , fu subitamente ridotto in brani. Tale fu il termine mise- rando e vergognoso di Mezio. Infine io stesso re mise un tribunale per gli amici e complici di lui nel tradi- mendo ; punendoli , come li scopriva rei , colla morte >, a norma delle leggi su’ disertori e su’ traditori. Intanto che si laccano tali cose, Marco Orazio spedilo innanzi con scelta milizia a distruggere Alba compiè’ ben tosto la marcia , e se ne impadroni ; tro- vandovi le porte non chiuse , nè difese le mura. Poi convocando la moltitudine le palesò quanto era acca- duto nella battaglia , e quanto il Senato di Roma ne decretava. Contrariavano quelli, e dimandavano tempo almeno per ispedire degli ambasciadori. Ma costui senza indugio spianò case , muri ; e tutti in somma i privati e pubblici ediGzj ; scortandone con assai diligenza a Ro- ma gli abitatori , che menavano e portavano ogni loro bene con sé. Tulio ritornato dal campo gli comparti ira le curie e tribù romane , li coadjuvò per fabbricare ne’ luoghi , che sceglievano in Roma , le case : dispensò porzione sufGciente de’ terreni del pubblico fra i loro meroenarj , e sen cattivò con altre amorevolezze la mol- titudine. Ma la città di Alba già fondata da Ascanio nato da Enea figlio di Anchise , e da Creusa figlia di Priamo , quella che per quattrocento ottanlasette anni dalla sua fondazione era tanto cresciuta di popolo, di ricchezze , di ogni ben essere , quella che aveva pro- pagato trenta colonie in trenta città del Lazio e che era sempre stata la capitale della nazione , quella alfine vit- tima ^i) dell’ ultima delle sue colonie giace squallida an- cora e desolata. Prese requie nell’ inverno il re Tulio ; ma nel sorgere della primavera cavò nuovamente l’ eser- cito contro Fidene. Non era venuto a’ Fidenati, nè lo pretendeano , pubblico soccorso ninno dalle città confe- derate : solamente da più luoghi erano venuti de’ mer- (i) Anni di Roma 88 secoodo Catone; 90 secondo Varane , e G 6 f aTanli Cristo] cenar} ; e contando su questi osarono un’ altra volta esporsi in campo. Schierativisi , uccisero molti de’ nemi- ci; ma poi furono rispinti di nuovo tra le mura. Come però Tulio cingendo la città di argini e fosse la ridusse alle ultime angustie ; vinti dalla necessità , si renderono a discrezione. Divenuto costui padrone della città vi uccise nemmeno gli autori della ribellione. Lasciò gli altri a sé stessi ; concedendo ebe godessero i lor beni : e restituendo ad essi la forma che aveano di reggenza , congedò 1’ armata. Restituitosi a Roma onorò gl’ Iddii con la pompa trionfale e co’ sagrilìzj promessi , e fu questa la seconda volta che trionfò. Si eccitò dopo questa a’ Romani la guerra de’ Sabini ; e tale ne fu la cagione. Onorasi da’ Latini e Sabini in comune il tempio, sacrosanto più che ogni altro , della Dea nominata Feronia , che taluni con greca interpetrazione chiamano la portatrice de’ fiori ^ 0 r amica dei serti , o Proserpina. Essendosene an- nunziate le feste , erano dalle eittà d’ intorno venuti molti per supplicare , e sagrificare alla Dea , e molti , mercadanti , artefici , agricoltori per guadagnare nel concorso ; ivi tenendosi fiera famosissima più che in altri luoghi d’ Italia. Recavansi per avventura a questa luogo alquanti non ignobili tra’ Romani , quando alcuni Sabini concertatisi , li circondarono e derubarono. E 1 quantunque si spedissero de’ messaggeri , non voleano su questo i Sabini rendere la giustizia : ma riteneansi 1 danari e le persone degli arrestali ; imperocché dole- vansi anch’ essi de’ Romani che avessero dato ricetto ai fuggitivi de’ Sabini , costituendo il sacro asilo , come si dicliiarò nel primo libro. InSammanciosi da tali queri> monie alla guerra uscirono con moltissime schiere in campo aperto. Fecesi ordinata battaglia , e pari splen- deavi il coraggio de’ combattenti ; tanto che separatine dalla notte lasciarono la vittoria indecisa. Ke’ giórni ap- ]>res$o considerando ambedue la mohitudiue degli estinti c de' feriti , ricusarono ogni altro cimento ; ed abban- donando gli accampamenti , si ritirarono. Ma tenutisi iu cylma per quell’ anno uscirousi di nuovo a fronte con. forze più formidabili. Si appiccò la zuffa presso di Erelo lontana centoquaranta sladj da Roma , c molti vi soccombeano da ambe le parli. E pendendo questa zuffa ancora lungo tempo sospesa , Tulio elevò le mani al cielo, votandosi che se vinceva in quel giorno i Sabini istituirebbe delle feste a Saturno ed a Rea con pubblica s])esa. Celebrano ogni anno i Romani tali feste dopo che barino riportato tutti i frutti della terra. Egli facea voto insieme che raddoppierebbe il numero de’ Salj. Derivano questi da nobile prosapia ,, e ne’ debiti tempi si cingono di arme , e saltano accordando al suono delle tibie i salti , e cantando patrie canzoni , come ho spiegalo nel bbro primo. A quel volo si mise tanto ar* dorè ne’ Romani che questi pressando , come freschi soldati, gli stanchi, ne ruppero le schiere in sul man- care del giorno , e ridussero gli stessi capitani a dar principio alla fuga. E seguendo essi li fuggitivi ai pro- pri irincieramcnli , ne raggiunsero la maggior parte vi- cino alle fosse. Tuttavia nemmeno dopo ciò retrocede- rono : ma rimanendosi ivi nella notte imminente , e respingendo i uciuici che pugnavano da entro il vallo , . 271 invasero alRne gli accampamenti. Trasportaronsi dopo ciò quanta preda voleano dalle campagne sabine : e sic- come niuno più presenlavasi a combatterli , si ricon> dussero in casa. Fece il re per questa battaglia il terzo trionfo. Quindi per le molle ambascerie de’ nemici de- pose le armi , avendone da essi li suoi disertori , e li soldati suoi caduti prigionieri ne’ pascoli; ed esigendone la multa decretata contro loro dal Senato di Roma il quale avea calcolato in argento r danni ricevuti da’ ne- mici negli armenti, nelle bestie da giogo, e nelle altre cose tolte ai coltivatori dei cttmpi di lei. Fransi cosi scioiii dalla guerra i Sabini : e scrittine su colonnette i trattali, gli aveauo collocati nei tempj. Ma suscitatasi per le cagioni che tra poco dire- mo , la guerra di Roma con le città latine , congiurate fra loro , guerra che non parea da essere ultimata nè con prestezza nè con facilità ; li Sabini afferrarono di Lenissima voglia tale occasione , e dimenticarono quasi non fatti , i giuramenti e i trattati. E reputando esser questo il buon punto da rivendicare anche il multiplo del danaro sborsato a’ Romani ; uscirono su le prime , in pochi , ed occulti a predarne le campagne vicine. E succedendo in principio il disegno secondo il desiderio, perchè non accorreva milizia ninna in difesa de’ colti- vatori ; si adunarono in gran numero e palesemente : e spregiato l’ inimico macchinarono di recarsi fino su Ro- ma. Adunque congregarono le soldatesche da ogni loro città, brigando di congiungersi co’Laiini. Ma non venne lor fallo di ottenere nè amicizia uè lega ninna con quella gente. Imperocché Tulio veduti i loro peusieri , fe tregua colle città latine , e deliberò di volgere le* annate contro di essi. Egli aveva in arme il doppio di allora , quando mosse alla presa di Alba , ed aveà rac* colto il più che potea di sussidj dagli alleati. Già 1’ e— sorcito de’ Sabini crasi concentrato. Quindi avvicinatisi- entrambi alla selva della dei malfaUori (i) si accam-t parono a picciola distanza fra loro. Nei giorno appresso investendosi , combatterono , ma con dubbia sorte gran tempo ; finché violentati al far della sera i Saliini dalla ’ cavalleria romana piegarono ; e molta ne fu nella ' fuga ' la uccisione; spogliarono i vincitori i cadaveri de’ iie-> mici ; invasero quanto ci avea di danaro negli alloggia- menti ; e conducendosi dalle campagne il fiore delie prede , tornaronsi a casa. Tal fine ebbe pe' Romani la guerra Sabina nel regno di Tulio. Erano le città Latine divenute allora per la prima volta discordi da Roma , perchè essendo distnitta Alba , ricusavano fidare il comando di sé stesse ai Ro- mani che ne erano i distruttori. Tulio, volgendo l’anno quindicesimo dalla caduta di Alba avea spedito amba- seladori alle città filiali , o suddite di questa le quali eran trenta, per chiedere che ubbidissero ai Romani, pa- droni di ogni cosa degli Albani , e con ciò dell’ imperio ancora - su’ Latini. DIcea che due sono i titoli pe’ quali gli uomini diventano gli arbitri di altrui : la libera de- dizione e la necessaria : e che i Romani se gli aveano ' tutti due per dominare le città già ligie degli Albani : [tercliè i primi avevano vinto i secondi dichiaratisi loro (1) Livio la chiama tj-lva malUiom.. 2*; 3 nemici , e fra le arme , ed aveano poscia accomunato Roma ad essi che aveano perduto la patria. Ora da ciò seguitava che gli Albani o vinti o volontarj cedeano ai Romani l’imperio de’sndditi loro. Non risposero le città Latine una per una agli oratori : ma congregatesi pei deputati a Ferentino decisero co’ voti loro d^ non sotto- mettersi a’ Romani ; e crearono immantinente due capi- tani arbitri della guerra e della pace , 1’ uno Anco Pu- blicio della città di Cori , e 1’ altro Spurio Vecilio di Lavinia. Si fece per queste cagioni guerra tra* Romani e tra’ popoli di una gente medesima : continuò cinque anni ma quasi civilmente secondo 1’ antica temperanza. Imperocché venendo le intere milizie degli uni a batta- glia ordinata con le intere milizie degli altri , mai non si fece gran danno , nè piena occisione ; nè mai ninna loro città vinta in guerra , soggiacque alla distruzione , alla schiavitù , o ad altre insanabili disavventure. Ma gettandoti gli uni ne’ territori degli altri ne’ tempi della raccolta pascolavano e predavano e ritiravansi in casa , e cambiavansi lì prigionieri. Tulio solamente cinse di as- sedio Medullia città latina, divenuta come fu detto nel libro antecedente fin da’ tempi di Romolo colonia dei Romani , ed ora congiuratasi co’ suoi nazionali , e con ciò la ridusse a non più tentare innovamenti. Non oo- corse a ninna delle due parti alcun altro de’ mali con- sueti nella guerra perché le guerre de’ Romani di quei giorni eran subite, e per la subitezza non iochiudevano tanto rancore. Cosi adoperava nel suo principato Tulio Osiiiio, r uuo de’ pochi uomini degni di lode per l’ar> dire felice tra le arme , e per la saviezza ne’ pericoli ; c più che per tali due cause, per ciò che egli non era precipitoso a far gueire, ma postovi si, non mirava che a silperare in tutto i nemici. Dopo uu regno di trenta due anni mori per l’ incendio della sua casa , e con lui pur morirono nel fuoco medesimo la moglie , i figli , i domestici. Vi è chi dice che la casa di lui fu messa in fiamme dai fulmine ; essendoglisi irritato il Nume per alcuna sua non curanza di sante cose , perchè si erano sotto lui tralasciati dei sagrifizj della patria , introdu- cendovisi in parte gli altrui. Ma i più raccontano che fu quel disastro per insidia degli uomini ; ascrivendolo a Marzio , re , successore di lui : perocché Marzio sde* guavasi , dicono , che egli nato di regio lignaggio dalia figlia di Numa Pompilio vivesse tra’ privati : e vedendo già grande la prole di Tulio , altamente ne sospettas’a , che' se costui periva , passasse il regno a’ figli di lui. Fra tali concetti insidiava da gran tempo la regia vita. £d essendogli molti Romani, fautori per dargli lo scet- tro , e Tulio essendogli amico , ed era creduto fidissi- mo; spiava la occasione di sorprenderlo. Era Tulio per fare in sua casa un sagrilizio al quale non volea pre- senti che i suoi più congiunti; ma divenuto per avven- tura quei giorno ferale per tenebre , per pioggia , per nembi , le guardie aveano lasciato deserti gii atrj della reggia. Parendo questo il buon punto s’introdusse Mar- zio e i compagni co’ brandi sotto degli abiti : uccisero il monarca , i figli e quanti vi erano : vi appiccarono il fuoco in più bande e poi divulgarono la novella del fuoco. Ma io non ricevo la novella , perocché , nè vera la credo, nè verìsimile : e piuttosto m’ appìglio 'alla prima opinione , e penso che quest’ uomo per ira degli Iddìi corresse tal sorte. Imperocché non è facile che la congiura , operandola molti , si resusse occulta : nè il capo di essa era sicuro che egli sarebbe proclamato monarca da’ Romani dopo la morte di Tulio Ostilio: e quando fosse tutto stato sicuro per lui dal canto degli «omini , non potessi confidare che somiglierebbero i divini agli umani pensieri. Bisognava dopo il voto delle tribù che propizj gli augurj comprovassero il regno per lui. Qual genio o qual Nume avrebbe mai sopportato ebe un uomo cosi lordo di delitti e di sangue si acco> stasse agli altari suoi per compiervi de’sagrifizj, o altre pie cerimonie ? Per tali cagioni io riferisco quell’ evento agl’ Iddìi , non alle trame degli uomini. Tuttavia ne giudichi ognuno come più vuole. Dopo la morte di Tulio Ostilio fu creato secondo i patrj costumi l’ interré dal Senato ; e l’ in- terré dichiarò sovrano della città Marzio , che Anco denominavasi. E Marzio , dopo confermati i decreti del Senato dal popolo , dopo renduti agli Iddii quanto a loro si conveniva, e compiuta a norma delle leggi ogni cosa, assunse il comando nell’ anno secondo della ohm- \ piade 35 .* nella quale vinse Sfero spartano , nel tempo che Damasìa esercitava in Atene l’annuo magistrato (i). Ora osservando questo re la trascuraggìne delle pratiche religiose istituite da Noma , avolo suo materno , esser- ti ) Anni 114 secondo Catone, e 116 secondo Varroae dalla foa- dasione di Ruma e 638 aTanti Crist] vando die il più de’ Romani erano divenuti guèrrieri è dediti a vili guadagni , nè più si volgeano come prima ai lavori della terra; chiamati tutti a parlaménto, esortò che ripigliassero il culto degl’ Iddii come a’ tempi di Numa ; dimostrando che per tali negligenze delle sante cose erano venuti in città morbi e pestilenze ed alu'i Hagelli che ne aveano desolata parte non picciola : e che lo stesso re Tulio perchè non vegliavane quanto doveva alla custodia, travagliato per molti anni da tutti i generi de’ mali , nè più essendo padrone della stia mente , ma decadutagli questa come il corpo , incone in catastrofi miserande egli nemmeno che la sua stirpe." E lodando a’ Romani la pubblica forma indotta da Nu- ma come egregia e savia , e generatrice di abbondanza quotidiana per giustissime cause ; raccomandò che la ravvivassero e volgessero l’ opera loro , a coltivare le terre , ad allevare i bestiami , e ad altri lavori , liberi dalle ingiustizie della violenza e della rapina , e spre- giassero in fine le utilità che nascono dalla guerra. Con questi e simili detti risvegliava iu tutti il dolce trasporto per la calma , aliena dalle armi , e per la in- dustria sapiente. Convocando poi li pontefici , e pren- dendone le leggi delineate da Numa intorno le cose divine , le scrisse ed esposele in su tavolette nel Foro a chiunque volesse vederle. Ora quelle tavolette vennero meno: perocché non usavano ancora le colonne di me- tallo ; ma scriveansi in tavole di querce le leggi del fero e de’ templi. Dopo la cacciala dei re furono H- prodolte in pubblico dal pontefice Cajo Papirio, il quale avea la cura suprema delle cose divine. Rendendo il suo splendore ai ministeri negletti de’ sacerdoti , e rendendo ai lavori suoi la turba oziosa ; encomiò gli utili agricol- tori, e ne biasimò gl’improvidi, come cittadini non veri. Lusingavasi al favore di tali istituzioni di vivere sempre libero da guerre e disastri come 1’ avo materno : tuttavia non ebbe pari ai desiderj la sorte ; ma in onta del cuor suo fu necessitato alle arme , e ravvolto in tutta la vita fra turbolenze e pericoli. Im> perocché nel primo ascendere al comando appena diede calma allo stato , i Latini ve Io dispregiarono : e pen- sandolo per codardia non idoneo alla guetra; tutti man- darono entro i confini di lui bande di rubatori , che ' assai danneggiarono molti Romani. E spedendo il so- vrano degli arobasciadori a chiedere compensagioni pei Romani secondo i trattati, finsero ignorare in lutto quei latrocini , non die fossero con pubblica autorità con- certati. Diceano pertanto non dovere di cosa alcuna ri- sponderne a’Romani; tanto più che i trattati erano con Tulio e non co’ presenti; e Tulio mancato, erano periti con esso gli accordi. Necessitato da tali pretesti e cavil- lazioni de’ Latini Marzio portò conti'O loro l’ esercito. Postosi all’ assedio della città di Politorio , la prese a condizioni prima che i soccorsi le giugnessero de’ Latini. Non infierì già cogli abitanti , ma portossegli tutti a Roma co’ beni che avean seco, aggregandogli alle tribù. Ma siccome i Latini mandarono nell’ anno seguente nuovi abitanti a Politorio , e ne coltivavano i campi , così Marzio pigliando I’ eserdto lo ricondusse contro di loro. Uscirono dalle mura i Latini e combat- terono; ma egli li vinse, e prese la città per la seconda volta. E peixìhè più non fosse un richiamo de’ nemici . nè più lavorassero i campi di lei , ne abbattè le mura , ne incendiò gli edi6zj, e parli. Recaronsi nell’anno ap- presso i Latini a Mednllia ov’ erano de’ coloni romani , e dandole d’ ogn’iniomo l’assalto la espugnarono. Maiv 'zio andato di quel tempo contro la città di Tillene e divenuto vincitore in campo , c poi su le mura , la sottomise. Non tolse a’ prigionieri nulla di quanto aveano: ma li trasse in Roma ove. diè loro de’ luoghi perchè vi edi6cassero le abitazioni. Soggiacque Medullia per tre anni ai Latini , ma nel quarto la riconquistò con molle e grandi battaglie. Espugnò dopo non molto Fidene(i), città presa tre anni addietro per condizioni ; e ne 4ra- sferl tutto il popolo a Roma ; e non danneggiando la città più oltre , parve che si diportasse anzi con man» sneludine che con' prudenza. Imperocché li Latini vi supplirono nuovi abitanti; e sen tennero e sen goderono il tet^ritorio ; tanto che fu Marzio costretto di accorrervi per la seconda volta; e divenutone per la seconda volta padrone a grande fatica ; ne abbandonò le case alle fiamme , e ne devastò le mura. XL. Occorsero dopo ciò due battaglie tra’ Latini e Romani. Durò la prima lungo tempo : e gli uni sem- brandovi eguali agli altri , si distaccarono , e ritiraronsi a’ proprj alloggiamenti. Nella seconda i Romani vinsero i Latini e gl’ incalzarono fino alle trinciere. Dopo ciò più non vi ebbe fra loro battaglia ordinata : ma conti- nue furono le scorrerie degli uni su le terre vicine degli (i) Vi i ehi legga Ficolara per Fidrue. E verameaie più sotto si parla della ribtIlioBe di Fideue. . 279 altri ; > econtinua le scaramucce tra cavalieri e fanti che volteggiavano; ma per lo più colla meglio de’ Romani i quali teneano in campo aperto appiè di castelli oppor- tuni un armata sotto gli ordini di Tarquinio Toscano. Ribellaronsi intanto que’ di Fidene da’ Romani , nè già' dichiarando guerra manifesta ; ma danneggiandone a poco a poco con occulte incursioni le campagne. Marzio' però presentandosi loro con esercito ben fornito innanzi che si apparecchiassero alla guerra si accampò d’appresso alia città. Fingeano i magistrati non supere per quali affronti i Romani fossero venuti contro di loro : e di-- chiarando il re che veniva per aver soddisfazione dei latrocinj e danni fatti da essi nella sua terra ; si escu- sarono che niente era stato con pubblica autorità , e chiesero tempo per esaminare e discernere i complici delle ingiustizie. Procrastinavano intanto , non adempie- vano gli obblighi loro , adunando in segreto de’ sussidj , e travagliando all’ apparecchio delle arme. Marzio conosciutine i disegni scavò de' cunicoli dal suo campo fino alla città : e compiutone il lavoro suscitò le schiere, conducendole con molte scale e mac^ chine e stromenti proprj per gli assalti, alle mura, non' però dove riuscivano sotto queste le vie sotterranee, ma in tutt’ altra parte. Accorsi in folla i Fidenati dove era- r assalto, bravamente lo rispingevano, quando ì Romani incaricatine , dato 1’ ultimo traforo ai cunicoli , sboc- carono dentro la città; e trucidando chiunque capitava, spalancarono le porte agli assalitori. Soccomberono nella presa della città molti de’ Fidenati; Marzio impose agli altri che cedessero le armi : poi fattili per la voce dei banditori congregare in luogo certo , ne battè con Ter- ghe e ne uccise alcuni pochi , autori della ribellione ; e concedè che i soldati saccheggiassero le case di tatti. ÀlSne lasciato quivi un presidio marciò coll’ esercito contro de’ Sabini. Nemmeno questi eransi tenuti ai patti conchiusi con Tulio ; ma gettandosi nelle terre de' Romani ne aveano devastato le più vicine. Marzio , cono» sciato dagli esploratori e dai disertori il tempo acconcio ad investirli , andò con i suoi iànti , e mentre i Sabini spargeansi a predar le campagne prese di assalto le loro trincierò , fornite di pochi difensori ; ordinando intanto che Tarquiuio piombasse con la cavalleria su i nemici che divisi rubavano. Al vedere la cavalleria ro- mana verso loro lasciarono i Sabini la preda e quanto seco portavano o conducevano di proficuo , e fuggirono agli alloggiamenti. Ma non sì tosto mirarono questi hr potere de’ fanti ; dubitarono dove rivolgersi , finché si sparsero per le selve e per le montagne. Perseguitati pelò da* soldati leggeri e da' cavalieri , ne scamparono pochi, soccombendone la parte più numerosa. Spedirono dopo ciò nuovi ambasciadori a Roma ed ottennero l’a- micizia che voleano. Imperocché la guerra , permanente ancora, co’ Latini rendea necessaria la tregua o la pace con gli altri nemici. Xl.II. Intorno al quarto anno dopo questa guerra Marzio il re de’ Romani andò colle sue milizie e col più che potè delle ausiliarie contro de’ Vejenti , e de- vastò gran parte della loro campagna; imperocché questi si erano i primi gettati nell’ anno precedente sul terri- torio romano; e molto vi saccheggiarono, e vi uccisero. Ben uscirono  sperità , grandi oltre il dire , su le prime si diedero in pochi a scorrerne e derubarne le campagne : poi lusin- gati dal guadagno misero palesemente in piede un eser- cito ; e le desolarono. Ma non riuscì loro di portarsi via que’ guadagni , nè di partire impuniti. Imperocché venuto provvidamente il re de’ Romani , e posto il stio presso al campo de’nemici, gli astrinse a fare giornata. Sorse dunque battaglia terribile , e molti perirono da ambe le parti : nondimeno per la sperienza , e per la tolleranza de’ travagli , antica fra loro , prevalsero finale mente di gran lunga i Romani , e fecero ampia ucci- sione, seguitando immantinente i Sabini che disordinati e disgiunti riparavansi agli alloggiamenti. Poscia inva- dendo pur questi pieni di ogni ricchezza, e ricuperando i prigionieri usurpati da’ Sabini quando predavano ; sen tornarono in patria. Tali si dicono le gesta guerriere di questo re , credute degne di ricordanza , e di stima da’ Romani : sono poi le politiche , quelle che mi ac- cingo a narrare. Primieramente aggiunse alla città non piccìola parte rinchiudendo fra le mura 1’ Aventino. E questo un colle alto leggermente, con perimetro di circa stadj diciotto : r occupavano allora piante di ogni genere e più che tutto lauri bellissimi , dond’ è che una parte di esso chiamasi laureto da’ Romani : ora è tutto ingom- brato di case , e tra’ molti edi6zj , il tempio sorgevi di Diana. Dividevalo valle angusta e profonda dal colle della città ^ chiamato Palatino , dove fu Roma nel na «cer suo collocata : ma ne’ tempi appresso l’ intervallo tra* due colli fu riempiuto di terra : ora vedendo che un tal colle sarebbe un luogo forte per un* armata ne- mica se nini si avvicinasse, lo circondò di mura e fossi, e inisevi ad abitare le genti trasportate da Telline , da Poiilorio , e da altre città soggiogate. Celebrasi tale istituzione del re come utile e bella , perchè Roma ne divenne più ampia , e meno espugnabile per quanti nemici mai le soprastassero. Migliore del regolamento anzidetto è 1’ altro che la rendè più felice nel vivere, e la mise ad im- prese più generose. Imperocché scendendo il fiume Te- vere dai monti Appennini , passando appiè di Roma, e scaricandosi attraverso de’ lidi del mare Tirreno , dirotti e senza porti , rende alla città picciolo bene , e certo non memorabile , perchè dove si scarica non evvi un emporio il quale riceva e cambj a’ mercadanti le merci portatevi dal mare, e giù colla corrente stessa del fiume. Altronde essendo il Tevere navigabile fin dalle origini con barche fluviali mezzane , e dal mare fino a Roma co’ legni grossi da trasporto ; egli deliberò di fare ivi un luogo da ricever le navi , servendosi della imboc- catura come di porto ; tanto più che ivi il fiume si spande amplissimo , e formavi gran seni appunto come ne’ siti de’ porti migliori. E , ciò che porge più mera- viglia , il Tevere non è traversato nella sua foce da cu- muli di arene , come altri gran fiumi , nè dilagasi in stagni o paludi , nè consumasi con altre maniere prima che giintga nel mare : ma sempre navigabile si scarica per una sola bocca naturale, separando a forza le acque marine , quantun(]ue ivi spiri un vento occidentaie grande e malagevole. Adunque le navi lunghe per quanto grandi, e quelle da carico, capaci ancora di tre mila misure , si avanzano per la bocca del medesimo e giungono a Roma , sospintevi con remi e funi : ma le navi maggiori fermate colle ancore presso la imboc- catura si vuotano su barche fluviali, che succedono ai trasporU. Tra lo spazio cui cingono il mare ed il Gume con forma di cubito , il re fece erigere una città chia- mandola Ostia , o come noi diremmo , porta dall’ uso che presta , rendendo con ciò Roma mediterranea e marittima , talché godesse i beni ancora d’ oltremare Inoltre cinse dì muro il Gianicolo che è un colle alto di là dal Tevere , e posevi guarnigione che bastasse per difendere chi navigava in sul Game ; im- perocché li Tirreni tenendo lutto il tratto di là dal Gume infestavano e derubavano i mercadanti. E dicesi che egli soprapponesse al Tevere il ponte Sublicìo , il quale dee per legge esser tutto di legno , senza rame nè ferro , ed il quale , perchè sacro lo estimano , con- servasi ancora. E se parte alcuna ne pericola, i ponteGci la curano , compiendo insieme patrj sagriGzj mentre riparasi. Operate nel suo principato tali cose degne di storia. Marzio dopo un regno di ventiquattro anni moti, lasciando Roma non poco migliore di quello che aves- sela ricevuta , e lasciando due Ggli 1’ uno fanciullo an- cora, r altro di più anni, e già nubile. Dopo la morte di Marzio , il popolo rimise al Senato la scelta del governo che più bramava ; ed il Senato Gssò di litenerne la forma consueta. Adunque furono gl’ interré dichiarati ; e questi riunirono pe’ coi^ mizj la moltitudine , e scelsero Lucio Tarquiuìo per monarca (i). E confermando i segni divinf la elezióne della moltitudine ; egli assunse il regno nella olim- piade nella quale Cleonida tebano vinse nello sta- dio, mentre era arconte in Atene il figliuolo di Enioco. Ora , secondo che io ne trovo negli scritti di que’ luo- ghi, dirò di quali parenti, e di qual patria fosse questo Tarquinio , per quali cagioni venisse in Roma , e per quali arti giugnesse al comando. Un tale di Corinto , ( Demarato ne era il nome ) della stirpe de’ Bacchiadi , risolutosi di commerciare navigò per la Italia con nave propria e proprie merci. Vendutele nelle città tirrene allora le più prosperose d’ Italia , e fattovi assai guada- gno , non volle più rigirarsi per altri porti ; ma tenne continuamente lo stesso mare , portando le greche cose ai Tirreni , e le tirrene ai Greci ; donde ricchissimo né divenne. Nata però sedizione in Corinto , e postasi la tirannide di Cipselo attorno de’ Bacchiadi , egli ricco uomo , e del grado degli ottimati , più non credendo sicuri col tiranno i suoi 'giorni , raccolse quanto potea di sue robe , e fece vela per sempre da Corinto. E perchè stante il commercio continuato egli aveva amici molti Tirreni, anche riguardevoli; specialmente in Tar> quinia , città, grande allora e felice, quivi si domiciliò,' prendendovi una nobile donna per moglie. Da questa nacquero a lui due figli, chiamandone con tirreni nomi Aronle 1’ uno , e 1’ alu'O Lucumone. Diè loro greca é (i) Anni di Roma l3S secondo Catone, i^o secondo Varrone, e 6i4 acanti Cristo] tirreoa istituzione, e adulti fatti , li cougìaute per ma- trimonio colle più insigni famiglie. Mori non molto dopo il primogenito suo, non avendosi ancora di lui prole distinta (i). Da indi a po- chi giorni si mori per l’ ambascia Demaralo ancb’ esso destinando erede di ogni sua cosa Lucumone il Aglio superstite. Investito questi de’ beni paterni , che erano assai grandi, desiderò di essere nom pubblico, di ma- neggiare il comune, e Ggurare co’ primi della città. Ma respinto in ogni parte da’ paesani , e non aggregato non dico a’ primarj ma nemmen co’ mediocri , mai sopportò quel dispregio. E sentendo come Roma accogliea con beneplacito i forestieri , e facevali cittadini , e gli onorava secondo i lor gradi ; risolvette di trasferirvisi. E raccolte per ogni modo le cose sue menò seco moglie, amici , e domestici quanti ne vollero ; e molti vollero con lui trasmigrarsi. Giunto al colle chiamato Gìanicolo , che è quello donde Roma presentasi in prima a chi .vien di Toscana , un aquila calatasi di repente , gli ghermisce il pileo che tieu sul capo , e sollevatasi , roteandosi a volo, si occolu al Aae nell’ allo delK aere : poi d’ improvviso rimise in capo a Lucumone il suo pileo come eravi quando sei portava. Riuscì tal segno inaspettato e me- raviglioso a tutti: e Tanaqaila (che tale ne era il nome) la' moglie di Lucumone , sperimentata assai nell’ arte pa- tema degli auguri > menatolo in disparte . lo abbracciò colmandolo di belle speranze , come se dalla condizione de’ privati a quella gingnerebbe dei re. Desse dunque (i) Latoiò la moglie graeiJa : e da essa aacrjua poscia Arunlc dopo la morie di Demaralo]. opera , moitranJosene degno , di ricererc il comando dai Romani spontaneamente. Lieto Lucumone de’ successi , ornai presso alle porte , supplicò gl’ Iddi! che verificassero gli augurj ; supplicò che gli dessero un* ingresso felice , e si mise dentro la città. Quindi venuto a colloquio con Marzio il regnante indicò primieramente chi egli fosse, poi co> ni’ egli era deliberato domiciliarsi in Roma ; che avea perciò portate seco le paterne sostanze, delle quali pos* sedendone piucché un privato , esibivale fin d’ allora in servigio de' Romani e del re. Lo accoke questi di buon grado , ascrivendo lui co’ Tirreni compagni in una curia e tribò. Cosi fabbricò Lucumone in città la sua casa , avutone in sorte il sito che bastasse , e ricevutane pure' una parte di campagna. Ciò fatto , e divenuto del nu-> mero de’ cittadini , osservando come ogni Romano ha un nome comune , ed inoltre uno patronimico e gentilizio , e volendo in ciò conformarsi , assunse , per suo nome comune quello di Lucio in luogo di Lucumone , e pel gentilizio quello di Tarquinio dalla città dove ebbe i natali e la educazione. In breve divenne 1’ amico del sovrano , donandogli ciocché si avvedea che più gli bisognava , e porgendogli danari , quanti ne erano di mestieri per la guerra. Combattitore benissimo a piede e a cavallo contavasi per sapientissimo quante volte bi« sognassero opportuni consigli. Nè già col divenire caro al monarca aveasi perduto la benevolenza de’ Romani , ma si vincolò molti de’ patrizj co’ beneficj , e tentò di affezionarsi la plebe col chiamarla , e salutarla , e con- versarla piacevolmente , e col porgerle danari ed altre significazioni di amore. Tale era Tarqulnio , e per tali cagioni vivendo Marzio divenne il più cospicuo de’ Romani ; e morendo questo fu da tutti proclamato degno del trono. Salitovi fece guerra in principio con gli Apiolani , popolo non ignobile del Lazio. Imperocché gli Apiolani, come tatti del Lazio , credendosi colla mone di Marzio sciolti dai trattati di concordia devastavano le campagne romane pasturandovi , e saccheggiandovi. Di che volendo Tar- quinio farli pentiti usci con grande armata , e disfece quanto era il meglio del territorio di quelli. Ben so- pravvenne gran soccorso per gli Apiolani da’ popoli vi- cini del Lazio : ma egli attaccò due volte battaglia con essi , e vintala due volte , si ristrinse all’ assedio della città, spingendovi a mano a mano delle schiere 6n alle mura. In opposito dovendo quelli della città combattere pochi di numero e senza intermissione contro i molti e freschi , soccomberono alfine. Presa la città di forza , i più degli Apiolani morirono con le arme in pugno : e se taluni le cederono , furono venduti colle altre prede. Furono le donne e i fanciulli condotti schiavi da’ Ro- mani : fu la città lasciata al saccheggio , e dopo il sac- cheggio alle fiamme. Il re dopo' questo , e dopo rove- sciate le mura da’fondamenti ricondusse in casa le milizie; rivolgendole poi contro la città de'Crustumerini: colonia anch’ essa de* Latini , la quale erasi ceduta a’Romani nel tempo di Romolo : ma cominciava di nuovo a tenersela co’ Latini , dacché Tarquinio prese il comando. Nè già bisognarono a questo assedj e travagli per umiliarsela. Imperocché li Crustumerini vedendo la moltitudine ve- nuta contro loro, la debolezza propria, e la niuna aita de’ Latini verso di essi , aprirono le porte ; ed uscitine i più anziani e più riveriti consegnarono a lui la citld , supplicandolo che usa^e moderazione e clemenza. Ben fu l’ evento propizio ai desiderj: perciocché andato quel inotutrca in città non vi uccise ninno, ma banditine per sempre alcuni pociù , amatori della ribellione , concedè che gli altri ritenessero i beni loro , e partecipassero come) prima alla cittadinanza romana. Ma perchè più non si rimovessero , lasciò de’ Romani con essi. LI. Egual sorte incontrarono i Nomentani datisi a pari consigli. Imperocché spedendo bande di ladroni ne’ campi de’ Romani si costituirono aperti loro nemici ; coutidaudu nella confederazione de’Latini. Ma giuguendo Tarquinio su loro, e tardando il soccorso latino, e non b.isiando essi contro tanti nemici, uscirono 'di città coi simboli di pace, e si renderono. Gli abitanti di Collazia 111 archi narono far battaglia co’Romani ed emersero dalle mura di essa : ma superati in tutti gli attacchi e molto danneggiatine ; furono costi-etti rifuggirsi tra le mura , e spedirono alle città de’ Latini per chiederne truppe compagne. Ma indugiandosi questi, e presentando i ne terre, ninno resistendovi, e messo il campo dinanzi la città , ne invitava gli abitanti a far pace. Ma ricusando questi , e confidando su le fortibcaziooi dei ricinti , e concependo che -verrebbero per loro schiere confederate d’ogn’ intorno, il re ne circondò con truppe le mura , e le assalì. Resisterono lungo tempo i Corni- colani combattendo virilmente , e coprendo di ferite gli assalitori , ma stanchi pei dalla continuità de’ travagli , e piò stanchi eziandio dalla discordia, perchè non erano più unanimi fra loro volendo altri la resa , ed altri la difesa della città Gno agli estremi ; furono alGne espu- gnati. Li più generosi di loro perirono fra le arme nella presa della città : gli altri , salvatisi come ignobili , fu- rono venduti schiavi insieme co' fanciulli, e colle donne, la città fu prima abbandonata al saccheggio , e quindi alle Gamme. Dicchè malcontenti i Latini deliberarono con voto comune di uscire io campo contro a’ Romani: e fatto grande apparecchio di forze , si gettarono su le terre più buone di essi , e v’ invasero assai prigionieri, e vi divennero signori di amplissime prede. Volò Tar> quinio contr essi coll’ esercito spedito e pronto : nè po* tendo raggiungerli , portò su le terre loro simili cala- mità. Cosi per le vicendevoli incursioni ne’ campi vicini. . 2()r molle lerano le perdite e gli acquisti di ambedue. Ven- nesi con tutte le forze a battaglia ordinata presso Fi^ deoc; e molti ne perirono da ambe le parti; ma vin- cendo inCne i Romani , costrinsero i Latini a lasciare il campo , e fuggirsene tra la notte alle loro città. Dopo quel comlntti mento marciò Tarquinio colle milizie schierate alle città de’ Latini esibendo ad essi la pace. E queste non avendo né riunite le forze' comuni, nè ben confidando su’ proprj apparècchj , accettarono  batteano questi nell’ ala destra ed aveano già fugato gli emuli che eran con essi alle mani , ma l’ inaspettato presentarsi di lui li sorprese e sconvolse. Intanto la fanteria romana riavutasi dalla paura piombò su’ nemici. Allora grande fu la strage de’ Tirreni, e piena la rotta dell’ala destra. Tarquinio dato avviso ai duci della fau> teria di tenergli appresso in buon ordine, e passo passo, spinse di tutta lena i cavalli in su gli alloggiamenti ne* mici; e gl’ invase a prìm’ impeto, prevenendo quelli che vi si riparavano dalla fuga. Imperocché quelli che ne erano in guardia non avendo prima saputa la sciagura che invalse su i loro , né potuto distinguere per la ra- pidità del corso quali cavalli venivano , lasciarono che entrassero. Invasi gli alloggiamenti de’ Latini , quelli che dalla fuga vi accorrevano come ad asilo , vi erano sor- presi ed uccisi da’ cavalieri che lo aveano preoccupato : e se altri si fossero affrettati di là verso il piano s’ im- battevano' colla fanteria romana , e ne perivano : li più di loro spintisi e concnlcatisi a vicenda soccomberono con ignobile e miserabile fino intra i valli , e li fossi. Dond’ è che quanti vi sopravanzavano non avendo via ninna di salvezza erano costretti di rendersi ai vincitori. Tarquinio impadronitosi di persone , e robe in copia vendè le prime , e concedè le seconde in premio ai soldati. LV. F allo ciò si diresse alla città de’ Latini onde prendere combattendo quelle che a lui non si davano : non però vi fu bisogno di assalti : ma si rivolsero tutte alle umiliazioni ed alle preghiere ; e mandando oratori a nome del comune supplicarono che desse fine alla gtierra co’ patti che gli piacevano , e si renderono. 11 re divenutoi cosi l’arbitro delle città fu moderatissimo e mitissimo verso di tutte : perocché non uccise , non bandì , nè multò niuno de’ Latini. Lasciò che godessero -le terre loro , e conservassero le leggi delia patria : ma comandò che rendessero ai Romani i disertori ed i pri- gionieri senza prezzo ninno: che restituissero ai padroni i servi, quanti presi ne aveano nel fare le prede , agli agricoltori il danaro quanto ne aveano derubato ; e compensassero tutti gli altri danni o guasti , se causati ne aveano nelle scorrerie. Fatto ciò dichiarò che sareb-- bero gli amici e li confederati de' Romani se pronti sarebbero in tutto ai loro comandi. A tal fine venne la guerra de’ Romani co’ Latini ; e cosi Tarquinio vinse e trionfò. L’ anno appresso prendendo 1’ esercito , lo conduce contro i Sabini , avvedatisi già molto innanzi dei disegni e de’ preparamenti suoi contro di loro. Non aspettarono questi che la guerra passasse in sul proprio territorio ; ma premunitisi di forze sufilcienti si avanza- rono tutti ad un luogo. Fattasi ne’ confini battaglia fino a sera non vinsero né gli uni uè gli altri , anzi molto ne furono afiaticati. Quindi ne’ giorni appresso nè il duce Sabino nè il re dei Romani cavarono le milizie dagli accampamenti: ma via via trasmutandoli , senza danneggiare le terre , si ricondussero in casa ; ambedue coi disegno di piombare nella primavera con armata più grande 1’ uno nel territorio dell’ altro. Poiché furono ambedue preparali , primi si mossero i Sabini fiancheg- giati da sussidio sufficiente di Tirreni , e collocarousi presso Fidene, dove l’ Aniene concorre col Tevere. Fecero questi due campi, l’uno dirimpetto, e come in continuazione dell’altro; avendoci tra tutti due 1’ alveo delle correnti riunite , e sull’ alveo un ponte di legno congegnato di picciole barche , il quale rendea spedito il transito dall’ uno all’ altro campo , anzi rendeali di due uno solo. Tarquinio uditane la irruzione aach’ egli cavò le sue genti , e si trincerò presso 1’ Aniene , al- quanto più sopra di loro in una munita collina. Erano venuti ambedue con tutto l’ardore a tal guerra ^ por non vi ebbe ninna battaglia ordinata , non grande nè picciola. Imperocché Tarquinio con iscaltrezza di capi- tano prevenne ed isconciò tutte le opere de’ Sabini , e ne distrusse l’ uno e l’ altro campo. Lo stratagemma fa questo. Preparate e riempiute piociole barche fluviali di legna aride e di zolfo e di |>cce *ul fiame presso al quale esso accampava , e poi colto uii vento propizio , ordinò che nella vigilia mattuliiia si desse fuoco a qnei combustibili e si lasciassero le navi a seconda della Cor- rente. Queste scorrendo iu breve tempo la distanza in- termedia percossero il ponte, e vi comunicarono ' in più luoghi r incendio. Accorsi per ajuto i Sabini a tanta fiamma improvvisa , e datisi a far tutto , quanto giovasse ad estinguerla , ecco intanto gingnere su l’alba Tarquinio coU’eseixito in ordinanza; ed investire l’nno de’ campi , deserto di guardie, andate in gran parte contro del fuoco. Pochi dunque sorsero a resistervi ; talché senza fatica gl’ invase. Mei tempo di tale opera- zione altre milizie romane sopravvenendo espugnarono anche il campo Sabino posto di là dal fiume: premesse da Tarquinio nella prima vigilia erano su piccioli na- vigli valicate da sponda a spanda , laddove fattosi di due fiumi uno solo, rimarrebbero invisibili nel passaggio. Appena poi videro il ponte iu fiamme piombarono ( che tale ne era l’ accordo ) in sul campo dei Sabini : ove quanti ne erano o combattendo caddero appiè dei Romani, o gittatisi a nuoto nella 'confluenza de’ fiumi nè resistendone all’ impeto , si affondaron tra’ vortici : peri nou picciola .parte ancora per liberarne il ponte , tra le fiamme. Tarquinio, preso l’uno, e l’altro cam- po , diede a’ soldati . le robe che vi erano percltè se le compartissero , ma ' condusse in Roma e guardò ’ con molta diligenza li prigionieri ; ben molti in tutto, Sabini e Tirreni. Sentirono a tale sciagura i Sabini la propria debolezza , e mandando gli ambasciadorì concbiusero, 00 ’ Romani una tregua di sei anni. I Tirreni mal sop-, porundo che fossero tante volte vinti , e che Tarquinio j»er quante istanze ne facevano, non s rendesse i loro prigionieri , anzi li ritenesse come ostaggi ; decretarono di spingere tulle generalmente le città Tirrene in guerra contro de’ Romani e di non più riguardarla come al- leata , se taluna se ne ricusava. Cosi deliberati cavarono in campo le milizie , e tragittato il Tevere si trincie- rarono presso Fidene. E prima s’ impadronirono di questa con frodoienza , per esservi sedizione tra’ citta- dini: poi fatti prigionieri in buon numero, e condottesi via via gran prede dal territorio romano ^ tornarono in patria. Fidene sembrava loro una piazza bonissima d'ar* me in tal guerra; e vi lasciarono guernigioue quanta ne bastasse. Ma Tarquinio mettendo per la stagione se- guente in arme tutti i Romani , e congregando il più che poteva di alleali marciò sui giugnere della prima- vera contro i nemici prima che riunitisi dalle varie città venissero su lui come 1’ anno d’ innanzi. Dividendo in due parti tu'.ia 1’ armata , egli stesso ne andò colla mi- lizia romana contro le città de’ Tirreni : e fidate le truppe ausiliarie , per lo più latine , ad Egerio il suo consanguineo , gl’ ingiunse di marciare conU'O Fidene. E queste piene di disprezzo per l’ inimico , accampatesi in luogo non ben sicuro presso delia città ; non fiirono per poco tutte disfatte. Imperocché le guardie di Fideue procuratosi un rinforzo occulto dai Tirreni , e spiatone il tempo opportuno , fecero una sortita ed invasero il campo nemico non bene difeso , e grande fu la strage di qaein che erano usciti per foragghtre. la opposito la milizia romana sotto gli ordini di Tarquinio , mano- metteva e depredava le terre di Vejo , e traevane molti vantaggi. Ben si riunirono poi grandi snssidj da tutte le cittA de'Tirreni in sostegno di Vejo : ma Tarqnioio diede ad essi battaglia, restandone non dnbbiamente vincitore. Poi scorrendo a bell’ agio il paese nemico lo devastò : Cnalmente lattivi molti prigionieri , e presevi assai cose come in terre felici , essendo ornai per finire la state , si ricondusse in casa. Straziati i Vejenti da quella battaglia non usci- vano più di città , ma dentro vi si teneano , mirando intanto sterminarsi le loro campagne : Perocché Tarquinio uscito per la terza volta , privavali per il terzo anno dei prodotti delle loro campagne , desolandole in gran parte : e non avendo poi come più danneggiarli condusse 1’ eser- cito alla città di Cere, sigilla chiamavasi la città quando i Pelasghi ne erano gli abitanti , ma soggiacendo poscia ai Tirreni fu Cere nominata. Era questa felice e popolata quanto altra mai fra’ Tirreni. Quindi ne uscì valido esercito a combattere per le proprie campagne , e molti vi straziò de’ nemici ; ma perdendovi più ancora de' suoi , rifug- gissene alla città- Rimasti i Romani padroni di una terra la quale somministrava tutto in abbondanza vi si trattenero molti giorni ; finché venuto il tempo di ritirarsene me- narono con sé quanta preda potevano , e si ridussero in casa. Riuscitegli come desiderava le operazioni su Vejo , Tarquinio ricavò l’esercito contro i nemici di Fidene per cacciameli , con ansia di punire quei che aveano la ci ttà consegnata a’ Tirreni. Vi fu batttaglia tra’Romani Digitized by Google LÌBRO III. 299 tf tra le ihilizie ascile da Fidene , e' poi darò contrasto nell’ assalto delle 'mura. Fu la città pigliata di forza, e tatti li prigionieri Tirreni legati e custoditi. Dei Fidenaii giudicati autori della rivolta quale ne fu battuto pub- blieatnente e poi decapitato , e quale bandito per sem- pre. I Romani lasciativi per abitatori e custodi della città misero a sorte e se ne appropriarono i beui. ■ LX. Occorse l’ ultima battaglia fra Romani e Tir- rani' presso di Ereto nella Sabina. Imperocché lì Tirreni erano venuti attraverso di questa incontro al Romano persuasi dai potenti di que' luoghi che i Sabini militereb- bero insieme con essi. E certamente già era spirata la tregua sessennale conchiusa da questi con Tarquinio , e molti ardevano dal desiderio di emendare le antiche dis- fatte, essendo già cresciuta nelle città gioventù numerosa. Non pelò succedette ciò come ideavano : perchè ben to- sto si presentò l’esercito Romano, nè potè farsi che ab cuna delle città mandasse un soccorso ai Tirreni ; e solo vi si congiunsero alquanti volontari , e pochi reclutali a gran soldo. Fu questa guerra la più grande di quante ne sorsero infra loro ; ed i Romani ne crebbero mera- vigliosamente , riportandovi una segnalata vittoria, ed il Senato ed il popolo decretarono a Tarquinio il trionfo, lu opposito lo spirito ue decadde ne’ Tirreni ; perchè avendo spedito da ogni loro città tutte le milizie , non riebbero salvi, se non pochi di tanti; gii altri o perirono tra la battaglia , o fuggiti in luoghi non idonei per Io scampo , si arresero. Colpiti da tanta sciagura i primarj delle città la fecero da savj ; perchè prendendo Tarquinio una nuova spedizione su loro , essi riunitisi a consiglio deliberarono trattare della pace ; e mandarono da ogni città plenipotensiarj anziani e riipettabili per concilitiderla. Teneano questi al re che gli udiva ragionamenti, induttivi a misericordia e moderazione , e ricordavano il parentado di lui colla lor gente; quando Tarquinio disse che volea sapere unicamente , se disputavano ancora intorno ai diritti e venivano per fare la pace con certe riserve ; o se confessavausi vinti , e rendevano a lui le proprie città. E rispondendo questi che le rendevano , e che desideravano la pace comunque loro si concedesse , egli dilettatone disse : ascoltale con quali condizioni sono per dare la pace , e quali benefizj vi dispenso con essa. Non io rn ho già nelt animo di uccidere , o bandire , o multare alcuno de' Tirreni. Lascio Ifs vostre città senza guarnigioni , senza tributi : lascio che vivano arbilre di sè stesse , e colla forma primi- Uva di governo. Ma per tante cose che io concedo a voi giudico che questa sola da voi mi si dia , cioè che io m'abbia la direzione suprema che pur ni avrei delle vostre città quand anche voi noi voleste , finché io sono il vincitore. Piacemi aver questo da voi sporta taneamerUe anziché di mai animo. Andate, riferitene alle vostre città, lo vi prometto sospendere le armi , finché torniate. Ricevute queste risposte andarono di volo gli ambasciadori; e dopo pochi giorni ritornarono portando non già parole nude, ma i fregi stessi del comando coi (i) Anni di Roma i 65 «ecoado Caioae, 177 secondo Varrone , 587 avanli Cristo] ' 3oi qnali adornano i proprj monarchi , la areano seguali di giogo e di esecrasione. Ma se acquistano in guerra una vittoria ; se il irj di ogni città : e prima che 1’ armata de’ Romani venisse nelle terre loro , essi menarono la propria nelle campagne di quelli. Come il re Tarquinio udì che t Sabiui aveano passato 1’ Aniene e che devastavano per tutto intorno de’ loro accampamenti , prese : i giovani ro nani più spediti e piombò di tutta fretta su’ nemici sparsi a predare. Ed uccisine molli , e ritolta loro la preda che si recavano , mise il campo suo presso del loro. Passati cosi pochi giorni , finché gli era di città venuto il resto delle milizie, e le truppe ausiliarie dagli alleali , presentò la battaglia. LXV. Vedendo i Sabini i Romani venuti con ardore per combattere, cavarono la propria armata ancor essi, non inferiori nè di numero , nè di valore. Investitisi combatterono con tntto 1’ aadire fin eh’ ebbero a fare coi soli schierati di fronte : ma poi fatti accorti che mar- ciava loro alle spalle un altro esercito ordinato e ben fornito; abbandonarono le bandiere e dieronsi alla fuga. Era di Romani 1’ esercito che apparve alle spalle , fanti lutti e cavalieri scelti , disposti insidiosamente da Tar- quinio tra la notte in luoghi opportuni. Spaventali i Sabini da questi nomini inaspettati che li raggiungevano non fecero più ninna bella azione ; ma quasi colti dagli inganni de’ nemici , ornai sotto il nembo di danno irre- parabile , tentarono chi d’ una e chi d’ altra via salvare sè stessi. Allora appunto però soggiacquero a strage grandissima inseguiti e rinchiusi d’ ogn intorno dalla cavalleria de’ Romani ; tanto che pochi in lutto si ri- pararono nelle città vicine : gli altri , quanti non cad- dero combattendo , rimasero prigionieri. Imperocché que« gli lasciati negli alloggiamenti nè ardivano respingere r assalto de’ nemici , nè uscire in battaglia : ma cosier- pati dal male impensato renderono senza combattere sè stessi e quel posto. Le città de’ Sabini vinte come dai stratagemmi e dagl’ inganni non dalia virtù dei nemici , si accinsero a mandare ben tosto milizie più copiose , e capitano piu sperimentato, Tarqajuio vedendo il loro dise^o, guidò soliecitameotc l’ esercito , e passò 1’ A- nieue prima che quelli si potessero tutti riuuire. A tal nuova il duce Saltino andò prestissimo quanto polea colla nuova armata e mise il suo presso al campo ro- mano su di un colle erto e dirotto : non giudicava però ben fatto dar battaglia se prima a lui non giungevano le altre milizie de’ Sabini. Solamente spedendo • delle bande de’ cavalieri , e postando delle coorti nelle balze e nelle selve contro quelli che uscivano a foraggiare , impedì che i Romani infestassero colle scorrerìe la campagna. Per tal sua condotta di guerra molte erano le scaramucce, ma di pochi fanti e cavalli , e niuna la battaglia universale. Adunque temporeggiandosi , e sde- gnandosi Tarquinio dell’ indugio , risolvè di andare col- r esercito alle trinciere de’ nemici , e più volte ne fece l’assalto: ma vedendo che non era farìle espugnarli per la fortezza del luogo , destinò di abbatterli colla penu- ria. E stabilendo delle guardie su tutte le vie che me- navano’ al colle , nè permettendo che i nemici andassero a far legna , e recassero foraggi pe’ cavalli , o prendes- sero altro che facea di mestieri dalla regione; li ridusse a gravi disagi. Tanto che furono costretti , cogliendo uoa notte burrascosa per vento e pioggia, lasciare vergogno* samenle quel luogo; abbandonandovi giumenti e tende, e feriti , ed ogni apparecchio militare. I Romani cono*; seiutane al nuovo giorno la partenza , e lattisi padroni del campo senza contbattete vi predarono tende, e giu- menti ed ogni cosa , e conducendosi i prigionieri si rav- viarono a Roma. Continuò questa guerra cinque anai , 3o5 c gli uni (levasUnJo le campagne degli altri; .diedero via via delle battaglie piu o men grandi , vinte di raro da’ Sabini , e spessissimo da’ Romani : i ma nell’ ultimo cimento ebbe interamente il suo termine. Imperocché li Sabini non già di aumo in mano come dianzi ma quanti per la età ' lo poteano , erano tutti in uh tempo stesso marciati alla, guerra. In opposito i Romani tutti, raccolte le forze aosiliarìe latine , tirrene , ed in genere degli alleati erano venuti a fronlè del nemico. 11 duce Sabino dividendo le milizie ne avea fatto due campi : aveale il re dei Romani compartite in tre corpi in tre campi non molto lontani fra loro , ed egli comandava i Romani; dato ad Aruntc figliuolo del suo fratello il governo de’ Tirreni , e quel de’ Latini e degli altri ad un valentuomo per consiglio e per arme , ma forestiero e privo della patria. Servio era il nome di lui, e Tullio quello della sua stirpe : e fu quegli appunto cui dopo Tarquinio , morto senza prole virile , i Romani inalza- rono ai trono per amore del suo ben lare tra le arme e nell’ uso della repubblica. Io sporrò ma nel suo luogo la prosapia , la educazione , le avventure di quest’ uo- mo , c come gl’ Iddii per lui si manifestassero. Allora dunque , poiché gli uni e gli altri vi * furono apparecchiati , diedero la battaglia. Avevano i Romani l' ala sinistra , i Tirreni la destra standosi i Latini schierati nel centro. Durò vivissima tutto il giorno la battaglia finché viuserla di gran lunga i Romani. Uccisero molti de’ nemici segnalatisi nell’azione; e più ancora ne presero prigionieri tra la fuga. Espugnatone INTONICI y t *»n> T, >0 l’uao e r altro accampamento ne ammassarono ricchezze in copia , e signoreggiarono senza timore Hitla la cam- pagna: e messala a ferro e fuoco, e distruttivi gli al- loggiamenti sen tornarono a casa ornai tramontando la estate. Tarquinio a questa vittoria trionfò per la terza volta nel suo principato. E preparando nelf anno se- guente r esercito nuovamente per condurlo contro le. città de’ Sabini , non più concepirono questi nulla di magnanimò e di grande , ma deliberaronsi tutti per la pace prima di mettere a pericolo sè stessi dei giogo, e le patrie della rovina. Pertanto vennero da ogni città li Sabini principali a Tarquinio uscito con tutta 1' ar- mata , e cederongli le terre loro supplicandolo di miti condizioni : e colui propensissimo ricevendo , perchè senza pericolo , il sottomettersi di quella gente , fe’ tregua e pace ed amicizia co’ modi appunto co’ quali aveala in- nanzi fatta co’ Tirreni, e rendè loro pur senza prezzo li prigionieri. Tali sono le imprese militari di Tarquinio: le urbane e pacifiche son come sieguono; che già non voglio passarle senza ricordo. Giunto appena ai comando desiderando , come aveano fatto i re predecessori , di conciliarsi la plebe , se la conciliò con questa benefi- cenza. Scelti fra tutto il popolo cento nomini a’ quali il pubblico grido accordava virtù guerriere , o civil sa- pienza , li nominò patrizj aggregandoli a’ senatori : i quali essendo fin’ allora dugento ampliaronsi al numero di trecento fra’ Romani. Poi , quattro essendo le vergini (i) Ad. di Boom 171 secoudo Catone, 173 secondo Varronc, e. 58 i avanti Cristo] 3o7 custodi del fuoco inestinguibile egli ve ne sopraggiunse altre due: imperocché cresciuti i pubblici sagrifizj ai quali doveano intervenire le vergini Vestali ; non parve che quattro più ne bastassero. Seguirono la istituzion di Tarquinio ancor gli altri principi , e sei pur ne’ miei tempi si additano le vergini ministre di Vesta. Ed egli sembra il primo, che guidato dalla ragione, o forse; dalle insinuazioni de’ sogni come pensano alcuni , ideò li castighi co’ quali i sacerdoti puniscono quelle che la verginità non conservano : e gl’interpreti delle sante coso dicono che que’ castighi si rinvennero dopo la morte di lui ne’ libri delle Sibille. Certo ne’ giorni suoi fu ravvi- sato che Pinaria Vergine , la figliuola di Pubblio , an- (lavasi con membra non pure ai sacri ministeri. Ho poi già dichiaralo nel libro innanzi qual sia di tali castighi la forma. Egli abbellì circondando di officine di arte- fici , c di altri apparecchi il Foro ove si arringa e si giudica , e compionsi altre pubbliche cose : egli il primo deliberò di costruire con gran pietre lavorate a misura i muri della città, già vili e grossolani: ed egli prese a cavar la cloaca o canali sotterranei pe’ quali tutto , quanto scola dalle strade , vasseiie a scaricare nel Te- vere : meraviglioso è questo edifizio , e maggior di ogni dire. Io tengo in Roma per tre magnificentissime cose, c donde la potenza rilevisi dell’ impero ; gli acquedotti, i lastricati delle strade , e le cloache ; non già che io ne rifletta la utilità della quale dirò ne’suoi luoghi, ma si bene 1’ amplissima spesa. E ben può questa argomen- tarla taluno da un fatto solo del quale io nc fo mal- levadore Cajo Aquilio. Scrive costui che non più scorrendo , perchè negligentale , le cloache , i censori le diedero a spurgare e racconciarle per mille talenti. F e pur Tarquiuio il circo massimo tra ’l colle Aventino e tra’l Palatino costruendovi il primo intorno intorno sedili coperti. Certamente il popolo per addietro starasi in piede agli spettacoli in cima a’ palchi , fon- dati su cavalletti di legno. Compartì similmente il luogo in trenta spazj assegnandone uno per ogni curia , per^ chè ciascuna sedesse e mirasse dal posto che le si do- veva. Anche questo edifìzio sarebbe col volger degli anni numerato tra le meraviglie bellissime della città. Perocché stcndesi il circo per lungo tre stadj e mezzo , spandendosi quattro jugeri per largo. Cinge i due lati maggiori ed uno de’ minori una fossa profonda e larga dieci piedi per raccogliere le acque , e dopo la fossa i portici sorgono con tre piani. I portici terreni han di pietra e poco elevati i sedili come ne’ teatri ; ma di le- gno sono ne’ portici più alti. Concorrono i due lati maggiori ad un tutto e congiungonsi fra di loro per via del minore che formato in guisa di luna li termina: cosicché risulta da tre ordini un sol porticato amGtea- trale di otto stadj capace di cento cinquantamila persone. L’altro de’ lati minori che restasi aperto contiene !e mosse donde i cavalli si rilasciano, spalancandosi tutte in un tempo , ad un suono. • F uori dell’ amfìteatro evvi pure altro portico ma di un piano solo, il quale in sè contiene le òfTGcine c sopra le officine le abitazioni. In ognuna delle officine sonovi 'ingressi e scale per chi viene agli spettacoli ; e con ciò' nOri siegue confusione tra tante migliaja che vanno e tornano. Si accluse il re similineatc a iàbbricare il tempio di Giove , di Glaaoue, di Minerva per adem> plere il voto da lui fatto a quegl’ Iddìi nell’ ultima guerra co’ Sabini. Ma siccome il colle destinato per la santa magione abbisognava di radili travagli , perché non era questo agevole da salirlo nè eguale , ma scosceso e tutto ' acuto in su la cima; eg^i ponendo intorno intorno altri ripari, e tra’ ripari e la cima assai terra lo rendè piana ed acconcio! pel tempio. Non però s’ebbe il tempo di metterne le fondamenta, Tnon essendo egli vissuto che quattro anni dopo il fin della guerra. Molti anui ap> presso , Tarquinio terzo re dopo lui, quegli che fu espulso dal trono , ne gitlò le fondamenta , facendo gran parte del sacro edilìzio : ma noi compiè nemmen' egli, e solo ebbe il tempio il suo termine sotto gli annui magisirati da’ consoli dell’ anno terzo. Ben’ è convenevole che le cose ricordinsi accadute prima della erezione di questo, come pur le ricordano quanti scrìssero la storia di quei luoghi. Deliberatosi Tarquinio a far qnel tempio impose primieramente agli auguri, convocandoli, che spiassero co’ divini riti quale in città ne fosse il loco più accon* do e più caro a que’Numi. E riferendo esser questo il colle che sovrasta al Foro, colle detto Tarpeo di quei giorni , ed ora del Campidoglio , comandò che replicati i riti santi additassero in qual parte principalmente del Campidoglio aveansene a porre le fondamenta. Non era ciò cosi fàcile a definirsi ; perchè sorgendo io sul colie a riverenza de’ genj , e de’ Numi altari in gran nume* ro ; doveasi trasportare questi , e lasciar libera l’ area pel tempio novello degl’ altri Iddìi. Parve agli auguri di fare le divinazioni loro so di ogni altare , e poi moverlo se il proprio Nome Io concedeva. Consentirono alquanti genj e Numi che i loro altari fossero altrove portati : ma il Dio Termine è la dea Gioventù per quanto gli auguri pregassero e ripregassero non gli udirono ; nè condiscesoro a cedere il luogo. Adunque furono gli altari loro inchiusi nel tempio che destinavasi: ed ora r uno resta nel vestibolo, e l’altro nel sacro ricinto stesso di Minerva presso al simulacro di lei. Presagi- rono da ciò gl’ indovini che ninna età mai nè li ter- mini moverebbe né il florido stato di Roma : ciocché si é già verificato fino a’ di miei per ventiquattro ge- nerazioni. Nevio chiamavasi per nome proprio, ed Azio col nome della prosapia il più insigne degli auguri , che trasferì quegli altari, definì il tempio di Giove, ed altre celesti cose ridisse per la sua divinazione al po- polo. Si consente che carissimo egli fosse agl’ Iddii fi:a tutti del santo suo ministero , e che conseguito avesse riputazione grandissima per le prove da lui date incre- dibili e trascendenti nell’arte sua divinatoria. Io ne ri- corderò solamente una la quale mi fu meravigliosissima infra tutte , dicendo innanzi per quale incontro di casi, e per quali divine occasioni venne in tanta chiarezza che fe’ tutti li coetanei comparir dispregevoli. Povero fu il padre di lui , cultore d’ ignobile campicello. Nevio il suo figliuoletto porgeagli l’opera sua , quanta per la .età ne poteva, e guidava de’ porci, e pascevali. Caduto una volta nel sonno, nè più rinvenendo al riscuotersi alcuni di quegli animali , ne pianse per timore de’ paterni castighl. Ma poJ venendo al tempietto sacro agli eroi nel suo campicello, pregò che a lui concedessero di trovare le perdute cose ; egli prometteva loro se ciò concedes- sero il grappolo più grande del suo poderetto. Trovò indi a poco gli animali, e volea recare i promessi doni agli eroi: ma 'grande era 1’ ambiguità sua nel decidere il maggiore ira’ grappoli. Adunque conturbatone suppli- cava gl’ Iddii che volessero col mezzo palesargli degli uccelli ciò che cercava. Or qui per divino favore gli venne in mente di dividere la vigna in parte destra e sinistra , e notare gli auspicj che in ognuna occoire»- sero. Apparsi in una delle parti gli uccelli com’esso ve li bramava , suddivise pur questa in due considerando gli uccelli che vi capitassero. Determinandosi con tale distinzione di luoghi, e venendo da ultimo alla vite in- dicala dagli uccelli: ebbe un tal grappo incredibile nella sua forma. Egli recavalo appiè delle immagini sante degli eroi , quando il padre lo vide. E meravigliato questi di una tal mole del frutto , e domandando d’ onde se lo avesse : il figlio narrò dalle origini tutto il successo. Concependo colui , ciocch’ era , che fossero questi na- turali preludi della divinazione nel figlio , lo condusse in città, e lo sottomise a’ maestri delie lettere. E poiché fu nelle comuni discipline istrutto quanto bastava , af- fidollo all’ augure più dotto fra’ Tirreni perchè Io eru- disse nel suo sapere. Nevio che avea naturali lumi per la divinazione , aggiungendovi pur gli altri de’ Tirreni ; superò di gran lunga quanti erano intesi agli anspicj. Quindi nelle consultazioni sul pubblico tutti gli auguri della città v’ invitavano lui quantunque non fosse del Digitized by Google 3i2 delle Antichità’ romane ceto loro , per la reltitudiae sua nel pronosticare , ti« cosa mai vaticinavano , se non ' approvata da lui. Ora volendo Tarquinio creare tre nove cen- turie (i) di cavalieri da lui scelti , ed intitolarle dal nome suo e degli amici , questo Nevio il solo magna- nimamente gli resisti , non permettendo che alcuna si alterasse delle istituzioni di Romolo. Disgustato per la proibizione il sovrano , e sdegnato con Nevio diedesi a vilipenderne 1’ arte come di nn vano nè veridico parla- tore. Con tale intendimento chiamò Nevio nel suo tri- bunale essendovi moltissimi presenti del Foro.. Egli avea già divisato con qnei che lo circondavano i modi onde convincere l’aagure di menzogna: e lacendosegli questo dinanzi lo accolse con degnevoli salutazioni : ed ora , disse , o Nevio è il tempo di mostrare il potere del- f arie tua divinatoria. Siccome io macchino di pormi ad una gran cosa ; vorrei per f arte tua risapere se possa riuscirmi. Or va : consultane co' riti tuoi , o toma il più presto per dirmene : io qui su questa sede ti aspetto. Esegui l’ augure i comandi , e dopo non molto tornò dicendo che propizj erano gli auspicj, e fattibile £ intento di lui. Diè Tarquinio in un riso a tali voci, e cavando dal seno una cote ed un rasojo gli disse: ora ben apparisce o Nevio che tu mi deludi, deluso che se’ manifestamente dagl Iddii , dacché ar- disci anrutnziarmi possibili , le impossibili cose : per- (i) Nel testo ^vXmt tribù : ma i chiaro che parlandosi di cava- lieri non debba pensarsi a tribù : Forse vi ò qualche sbaglio. Gli altri storici in questo luogo chiamano centurie quelle che Dionigi chiama tribù ciocché io meditava se potessi col rasojo fendere que- sta cote per mezzo : ridevano tutti d’ intorno , e Nevio niente commosso dalla beffa e dallo strepito : ferisci , disse, o Tarquinio animosamente come ideavi la cote: perciocché ne sarà divisa , e se no ; mi ti offero ad ogni pena. Sorpreso il re della confidenza dell’augure mena il rasojo su la cote , e l’ acume del ferro ne pe- netra r interno e dividela, incidendo anche in parte la mano che la teneva. Esclamarono per la novità quanti contemplavano la incredil.'ile e meravigliosissima cosa. Tarquinio vergognatosi del cimento dato a quell’ arte , c voglioso di emendare la indecenza de’ vilipendj ^ pri- mieramente cessò da que’ suoi tentativi su 1’ ampliar le centurie ; poi risoluto di onorare Nevio come il più caro di tutti i mortali ai celesti, obbligosselo con pegni vari e copiosi di benevolenza ; e perchè la memoria se ne perpetuasse tra’ posteri collocò la statua di lui , fab- bricala in rame , nel Foro : e questa , più picciola di nn uomo mezzano , e velata il capo , esisteva pur nel mio tempo dinanzi la curia , da presso del fico sacro. Dicesi che poco lungi del fico sia la cote sepolta ed il rasojo sotto di un’ ara sotterranea ; e quel luogo chia- masi il pozzo da’ Romani. Tali sono i ricordi che si hanno su questo indovino. Tarquinio ornai chetavasi dalla guerra, vec- chio già di ottanta anni ; quando mori tra gl’ inganni de’ figli di Anco Marzio. Aveano questi macchinato fin da principio di balzarlo dal trono , e più volte vi si erano adoperali su la speranza che, balzatone lui , di- verrebbe di loro come trono un tempo del padre , e die (li leggieri ad essi darebbonlo i cittadini. Delusi via via dalla speranza gli ordirono alfine insidie insuperabili che gii Dei non permisero che restassero impninite. Io narrerò la forma delle insidie. Quel Nevio del quale io dissi che erasi opposto al re che volea di meno far più le centurie , questi (piando più per le arti sue Boriva , quando potea sopra tutti i Romani come augure nobi- lissimo , allora sia per invidia degli emuli , sia per in- sidie de’ nemici , sia per altra sciagura , spari di subito da’ mortali ; nè alcuno potè de’ congiunti indovinare il destino di lui , nè più trovarne il cadavere. Addolora- tone il popolo , e mal sopportando il suo danno , e molto sospettando di molti; i figli di Marzio ne ristrin- sero su Tarquinio l’ accasa. E non potendo allegare ar- gomenti e non segni della calunnia ; insisterono su queste due ombre di ragione. Era la prima , che volea Tarcpiinio far molti e gravi attentati contro le pubbliche norme ; e che però si era tolto d’ intorno chi sarebbe •per contrapporsegli come per l’addietro : la seconda era poi, perchè succeduto tanto infortunio non aveane fatta niuna ricerca , ma trasandavalo in tutto : nè avrebbe mai cosi praticato chi non era tra’ complici. E fattosi col dispensare de’ loro beni , gran seguito di patrizj e di plebei diedero gravissima accusa a Tarquinio , e sti- molarono il popolo a non trascurare un tanto scellerato che stendea le mani su le sante cose , e la regia auto- rità contaminava ; molto più che egli non era un ro- mano , ma un estero , anzi uno senza patria. Tali cose dicendo nel Foro uomini ; autorevoli nè infacondi ; con- citarono molti plebei perchè lo rispingessero se venivaci come impuro da quel luogo. Ora cosi fecero , perchè nè poleano combattere la verità nè persuadere al popolo che dal trono il cacciassero. Se non che dissipando lui con difesa validissima le incolpaeioni , e Tullio il genero suo , potentissimo tra la moltitudine , risvegliando verso lui la tenerezza de* Romani ; furono quelli avuti per calunniatori e scellerati, e carichi di vergogna partirono dal Foro. Sconciati in tal tentativo , ma tuttavia per> donati per opera degli amici , perchè Tarquinio conte- nevasi a fronte di tanta perfidia in vista de’benefizj pa gravidasse , e ne partorisse poi Tullio. Certamente non par la novella affatto credibile : pur la rende inverisi- mile meno un tal altro segno divino inopinato e mera- viglioso intorno di quest’ uomo. Imperocché sedendosi un' tempo egli di mezzodì nella regia camera , e presovi dal sonno ; una fiamma gli usci balenando dal capo. Videro questa la madre di esso e la regia consorte , che per la camera passeggiavano , e quanti erano presenti alle donne : e luminosa gli si tenne intorno intorno del capo finché accorsa la madre riscosselo. Allora insieme c ciansi nemmeno le picciolo ingiustizie , e solleverai li poveri co’ benefizj , e co’ doni ; e quando ne parrà tempo , (diora diremo che Tarquìnio è morto ; allora gli daremo pubblica sepoltura. O Tullio ! tu nudrilo , tu educalo , tu renduto partecipe da noi di tanti beni quanti ne derivano i figli da padri e deUle madri, tu congiunto alla nostra figliuola , tu se mai divieni , o Tullio, re de’ Romani , è giusto che almeno in riguardo mio la quale tanto in ciò ti coadjuvai , presenti la benevolenza di un padre verso questi teneri fanciuU letti : e che quando siano già grandi , quando già bastanti a regnare , tu renda (diora al primogenito la corona di Roma. V. Così dicendo diede' 1’ uno e 1’ altro fanciullo in braccio alia 6glia ed a! genero : e risvegliò tenera com- passione verso di ambedue ; poi quando ne fu tempo , uscita di camera impose ai domestici che assistessero , come richiedeasi , per la cura , e convocassero i me- dici. Lasciala passare la notte , siccome nel giorno ap- presso accorse gran turba alia reggia ; ella si fe’ vedere alle finestre che rispondono alla via dinanzi dell* atrio : e su le prime scoperse quelli che aveano congiurata la morte del sovrano , e quindi presentò tra le catene i sicai'j mandati per compierla : e quando vide il popolo in pianto per la sciagura , quando videlo fremere contro de’ malvagi ; alfine gli disse , che pur non era la perfida trama riuscita , e che potuto non avevano trucidare Tar* quinio. Confortavansi tutti all’ annunzio ; quando ella mostra in Tullio il personaggio eletto dal re, finché guariscasi , per curare le private sue cose , e le pubbli- che. Adunque andossene il popolo , lieto come se il re non avesse niente patito di terribile, e gran tempo si rimase con questo concetto. Tullio cinto da’ regj littori marciò con valida schiera al Foro, e fece pe’ banditori intimare che venissero i Marzj al giudizio. E siccome questi non ascoltarono ; ne proclamò 1’ esilio perpetuo , ne confiscò li beni ; e cosi tenne sicuro lo scettro di Tarquinio. Ma sospendendo alquanto la narrazione , vo’ dir le cause per le quali io nè con Fabio consento nè con quanti scrivono che i fanciulletti lasciati da Tarquinio eran suoi figli ; perchè se altri si avviene in quei scritti non creda che io improvvisi quando non figli li chiamo, ma nipoti. Essi divulgarono ciò su que’ garzoncelli , ma per' negligenza ; niente considerando gli assurdi eie im cuni Storici Romani levarli con altri assurdi, e dissero che non era già madre de’ fanciulli Tanaquilla ma Ge- gania , una donna , di cui nulla additarono le istorie. Ma in tal caso riesce improprio il matrimonio di Tar> quinio nella età quasi di ottanta anni, e certo inverisi- mile riesce in quella età la generazione di figli. Nè già egli era mancante di prole ; tanto che ne languisse pei desiderio : ma egli avea due figliuole e queste già ma- ritate. In forza di tali assurdi e di tali impossibilità dico che que’ fanciulli non eran figli ma nipoti di Tacqui- nio ; nel che sieguo Lucio Pisene, uomo savio, e funi- i co che ciò scriva ne’ suoi annali. Ma forse eran questi , nipoti a Tarquinio per nascita , e figli per adozione , e forse fu questa la origine dell’ abbaglio di tutti gli Sto- rici delle cose Romane. Or dopo un tal prologo egli è tempo di ripigliare la narrazione. Vili. Poiché Tullio prese le redini del ^ornando , e dileguata la fazione de’ Marzj , giudicò di averselo con- solidato ; fe’ con magnifica pompa trasportare Tarquinio, come spirato alfine per le ferite ; condeoorandolo di un cospicuo monumento e di altri onori : e tutore essendo de’ regi fanciulli ; e curò e guardò fin d’ allora le pri- vale loro cosce le pubbliche (i). Non andavano tai fatti a grado de’ patrizj , ma doleansi e sdegnavansi , mal sof- fiando eh’ egli a sé stabilisse il regio potere senza le (i) Addì, di Roma sec. Catone, 179 scc. Varrooe : e 577 avanti Cristo] forme prescritte dalle leggi. E riunendosi più volte i più potenti , trattavano fra loro de’ mezzi onde abbattere TiU legittimo governo. Ora parve ad essi , come fossero la prima volta adunati , per tenere il Senato , da Tallio di violentarlo a lasciare i littori e le altre insegne del comando ; e fatto ciò di nominare gl’ interré da’ quali si scegliesse regolarmente chi dominasse. Tallio , risa- puto il disegno , si diede a favorire il popolo , c soc- correrne i poveri , sperando coll’ opera sua di ritenere r impero. £ chiamata la moltitudine a concinne , pre- sentò dinanzi la ringhiera i fanciulli ; e poi disse : IX. Molle cause o cittadini ihi astrinsero a prender cura di questi teneri garzoncelli. Perciocché Tarquinio l m>olo loro accolse e curò me privo di padre e di patria, nè fecemi punto meno che a un figlio; ma diedemi la sua Jìgliuola in isposa, e mi amò finché visse , e mi onorò sempre , come sapete , quasi fossi da lui generato : e poiché fu colto dalle insidie egli affidatami in caso di morte la cura de' fanciullettì. Ora e chi mi stimerebbe pietoso verso gl Iddf , chi giusto verso gli uomini , se io trascurassi e tradissi questi oifani a quali tanto io sono debitore? Ma nè io tradirò la mia fede, né darò per quanto è da me, 1 ultimo abbandono , a fanciulli già derelitti. Ben è giusto che ricordiate voi li benefizj che l avolo suo dispensava su voi quando a voi subordinava tante città Latine emide del vostro principato, quando vi umiliava i Tirreni i pià potenti tra tutti i vicini, e quando neces^ sitava al vostro giogo i Sabini ; procurandovi ognuna di tali cose in mezzo a grandi pericoli. Speltavasi a voi per tanta sua beneficenza di essere grati a lui finché visse, e di esserlo dopo la morte in verso dei posteri -suoi, e non già di seppellire coi cadaveri dei benefattóri la memoria ancora delle opere. Pensatevi dunque tutti eletti custodi de’ fanciulli , reusicurate per essi il regnò che t avo ad essi lasciava. Già non tanto bene- risentiranno essi dalle cure di me che son uno, quanto ‘dal soccorso, comune di voi tutti. Io mi vedo necessitato a dir questo ; sentendo che > alcurù com- movonsi contro loro , e vogliono dare ad altri il co» mandò. Io vi. supplico o Romani, che memori ancora siate de' combattimenti che .io feci pel vostro princù» pato , i quali np pochi sono nè piccoli. Ma ben sa^ pendolo voi , non occorre che altro io vi dica , se non che rivolgiafe su questi fanciulli gli obblighi che me ne avete. Imperocché non io per me fabbrico il prir^ cipato : nè se io mel cercassi , ne era già meno degno degli altri; piacemi solamente amministrare il comune in sussidio della stirpe di Tarquinio. Io vi raccomando che non vogliate ahbtmdonare a sé stessi questi farin ciuUi ora che il regno ne pericola : sarebbero anche espulsi da Poma , sé fauste riuscissero le prime mosse ai nemici. Ma non debbo io più dilungarmi su ciò , mentre sapete voi quello che dee farsi , anzi siete per fare quanto conviene. . Ora udite il bene , che io a voi apparecchio , e pel qua- le qui vi adunai. Quanti a debiti saziacele nè potete levarvene per la indigenza,, tutti sarete da me soccorsi come cittadini, e come già tanto affaticati, in servigio della patria; pert;hè voi che avete fondata la libertà di lei , la vostra non perdiate : io porgerò del mio da- naro onde i debiti estinguiate. Inoltre quanti torranno ad imprestilo io non più soffrirò che sieno imprigio- nati per debito : ma porrò per legge che niuno dia de' prestiti assicurandoli su la persona di uomini li- beri, mentre io penso che basti agli Usuraj di riva- lersi su bèni de' contraenti. E perchè da 'ora in poi sosteniate più di leggeri il tributo pubblico , pel quale i poveri sono gravati, e ridotti a far debito ; coman- derò che si registrino tutti i beni , e che ciascuno dia secondo l' aver suo , come odo che si pratica rtelle città più grandi e meglio ordinate ; mentre ancK. io credo più giusto e più vantaggioso al Comune che chi più possiede più paghi, e meno chi meno, Piacemi inoltre che il terreno pubblico f quello che avete cors- quislato colle Urrtse > non sia come ora de* più impu- denti , nè che per compera ve lo abbiate , nè indarno: ma che quelli se lo abbiano infra voi che privi sono di terre : perchè voi liberi essendo non serviate , nè coltiviate le campagne altrui , ma le pròprie ; imperoc- ché già non allignano generosi pensièri' ov’è disagio del vitto quotidiano. Soprattutto ho deliberalo render pari e fàcile il governo per tutti , e dàce a tutti eguale azione contro chiunque; perciocché sono alcuni venuti in tanta baldanza che oltraggiano il popolo, nè. liberi stimano i poveri fra voi. Ora perchè i più grandi nem- meno che gl’ infimi esigano' e Soffrano il giusto;, io farò leggi proibitive della violenza, e lonservOtrici dei diritti lomuni: nè mai lascciò di provvedere a questa libera procedura di lutti conlto tutti. Sorsero , lui cosi dicendo , grandi elogj tra la moloi gli esuli , e di ceden’i ai figli di Marzio , a quelH che vi lumno ucciso Tarquinio, quel re si buono, e sì amico di Roma , a quelli che macchiatisi in tanta scelleraggine , non osando risponderne in giudizio, si tolsero a voi colla fuga , a quelli in fine a quaU avete voi t acqua interdetta ed il fuoco. E se ben tosto non vòlavane a me t avviso, tali patrizj eccitando una forza straniera, avrebbero di bel nuovo introdotto nel cuor della notte i fuorusciti in Roma. Ben vedete voi quan- tunque io le taccia , le seguile , come i Marzj favoriti da' patrizj sarebbonsi impadroniti senza fatica di tutto, atsalendo primieramente me che il custode sono della regia prole , me che t autore fui del giudizio contro di loro , e spegnendo finalmente i regj fanciulli, e tutti I consanguinei , e tutti gli amici , quanti ve ne resta- no , di Tarquinio. Misere le nostri ritogli , le nostre madri , le nostre figlie , e misere le femmine tra noi! le avrebbero que' ribaldi ( tanta lumno di brutale e di tirannico ! ) terwie in' conto di schiave. Ora se tanto o popolani piace a voi pure , che qua si riammettano, anzi che re si proclamino i parricidi , e che i figli se rie scaccino de’ vostri benefattori , e dal trotto .« tol- gano che V avo ad essi lasciava ; se tanto , dico , a voi piace ; io mi cheto su destini. Ma deh ! per gli Iddj , deh / pe’ genj tutti , quanti le mortali cose ri- guardano ( e noi colle nostre donne , noi co’ nostri figli supplichiamo voi pe’ tanti benefizj ancora che Tar quinio su voi spondeo perpetuamente , e pe’ tanti, eh’ io stesso vi procurava ) , deh ! coruredeteci questo dono ; manifestateci i vostri voleri una volta. Se voi credete altri più degni di noi di tale onore ; questi fanciulli f e tutto il parentado di Tarquinio, partiran- Ho, abbandoneranno la vostra città. Io poi ben altri più generosi consigli ho per me ! Ahbcatanza vissi alla virtù , abbastanza alla gloria : mancatami la vostra be^ nevolenza , quella che io pregiava più che tutti i beni, già non voglio io vivere indecorosamente presso di ab- tri. Prendete i vostri fasci , dateli , se così piacevi , ai patrizj. Io mel vedrò , -nè mi oppongo. Cosi dicendo , e già standosi in atto di ritirarsi sorse un clamor vivo per tatto , nn pregare , an pian- gere , perchè restasse , e governasse nè temesse. Allora alcuni, sparsi ad arte qua e là pel Foro, gridarono che si creasse re , che si convocassero le curie , e sen chie- dessero i voti. Così preordinato T evento; ben tosto il popolo tutto vi propendè. Tallio ciò vedendo non tra- scurava la occasione: ma professandosi ad essi obbliga- tissimo che memori fossero de’ benefizj , e prometten- done più ancora se re lo creasseró ; prescrisse il gionu> de’ comizj ; ordinando che v’intervenissero lutti dalla cam- pagna. Accorso il popolo ; egli chiamando una per una le curie consegnava ad esse i lor voti. E giudicato da tutte le curie degno del trono ; vi ascese. : nè curò del Senato che non volle come solea ratificare la scelta del popolo. Cosi re divenuto fondò molte altre istituzioni, e fece grande e memorabile guerra co’ Tirreni. Io dirò prima delle istituzioni. Appena strinse lo scettro comparti tra’ merce- narj Romani le terre del comune : poi fe’ comprovare le leggi su i contralti e su le ingiustizie dalle curie , estese ^illora a cinquanta , quantunque non sia ora ciò da ricordare. Aggiunse a Ronia il Viminale , e l’Esqui- lino due colli , cosi nominati , capaci T uno e 1’ altro di nna città liguardevole, dispensandoli parte a parte ai Romani privi di case , perché ivi se le fabbricassero ; anzi egli stesso ivi ediCcò la sua nel sito più idoneo delle Elsquilie, Fu questo 1’ uhimo re che ampliò il cir- cuito, della città , congiungendo ai cinque gli altri due colli, dopo avere presi gli aiigurj e compiute le usate pie cerimonie inverso gl' Iddj. Non poi la citti mise mai più da largo le sue mura ; non avendolo, come dicono , permesso i destini : ma tutti intorno i sobborghi che pur sono molti e grandi, si resuno so>perti, non chiusi da mura, ed espostissimi, se nemico mai sopravvengavi. Che se alcuno mirando a questi , voglia la grandezza racco-r glierne di Roma ; egli errerà certamente : perocché noo avrà nino certo seguo , dal quale discernere fin dove la città si oontinua o dove si termina. Cosi bene que’ sob- borghi al fabbricato inleroo si congiungono , che pre- sentano a chi li contempla la immagine come di una città che stendesi all’ iii6nito. Ma se taluno prendendo regola dalle mura , certamente malagevoli a distinguersi per le molte case fabbricatevi intorno , ma che pur sevv bano via via de’ vestigj dell' aulica loro struttura voglia risaperne il circuito in ristretto dei circuito di Alene; vedrà che il ricinto di Roma non molto eccede quello di Atene. Ma quanto alla grandezza e bellezza che Rpma presenta a miei giorni ; avremo appresso luogo più ac- concio a discorrerne. Poiché Tullio comprese entro un giro solo di oiura i sette coili ; divise la città in quattro parti ; - de-' nominandole da que’ colli , 1’ una Palatina ^ l’ altra Sii- burrana , la terza Collina , e 1* ultima Esquilina. Cosi distese a quattro le tribù che erau tre sole. Intimò poi che chiunque abitava 1’ una delle quattro parti , quasi paesano di quella nè portasse in altra il suo domicìlio , nè in altra desse il nome suo pe' cataloglù militari , nè il tributo per le spese della guerra : in somma che noi^ rendesse in altra i servigi che doveansi pel comune; nè più ordinò le milizie secondo le tre tribù disposte come prima per genti ( i ) ma secondo le quattro da lui create e compartite ne’varj luoghi ; destinando per ciascuna un capo qual sarebbe un tribuno o prefetto , il quale dor vesse conoscere il domicilio di ognuno. Quindi ordinò che in ogni quadrivio si facessero da’ vicini picciole sa- cre cappelle agli Dei lari custodi della contrada , isti- tuendo per legge che ogni anno si onorassero di aa- grifizj , e che ciascuna famiglia porgesse loro le obbla-- zioni sue : comandò che assistessero e ministrassero à chi facea tal sagri6zio non gl’ ingenui ma i sèrvi ; di- lettandosi quegl’ Idd) del ministero di questi. Continuano i Romani pur nel mio tempo pochi giorni dopo de’Sa* tumali tal festa , veneranda in tutto e magniBca , e detta compitale da’ quadrivi che compiti da .loro si chiamano. (i) Romolo fece ire tribù eecondo te diverse genti : erano la tribù , la prima Ramnentù dei Romani posti ad abitare nel Pala- tino , la seconda TatUnsU da Tasio , ebbe il monte Capitolluq , e la tersa dei Luceri a luco o dal bosco dato per asilo i era degli stranieri che aveano ivi cercato nn rifugio. Col progresso del tempo siccome la gente aggregala a Roma superara il popolo primitiro ; COSI Tullio fece una nuova divisione di tribù. . a 5 Serbano nel* sagrifìzio 1’ anticx) rito, placaodo gl* Iddj Lari con intrametlervi i servi , a’ quali tolgono in quei giorni quanto tien forma di servile; perchè riconfortati da tali dolci maniere ove è misto del grande e dell’ono* , riGco sì affezionino più vivamente ai padroni e men sen> tano il peso della loro condizione. Inoltre , come Fabio scrive , divise tntla la cam- pagna io ventisei parti , chiamandole tribù parimente : e congiunte queste alle quattro urbane se ne ebbero trenta inAutte : ma Yenonio dice che se ne ebbero tren- tuna : laddove Catone ben più autorevole di essi (,) af- ferma che le tribù ne’ tempi di Tullio furon tutte, non però distinguene il numero. Tullio dunque secondo gli atupizj divisa la campagna in tante parti, quante mai furono , apparecchiò su luoghi montuosi e fortissimi de- gli asih\ chiamandoli pagos con greco nome o castelii, onde renderne salvi i coloni. Imperocché .quivi tutti si rifuggivano ndle irruzioni de’ nemici , e quivi spessis- simo pernottavano. Ci aveano in questi de’ presidi inca- ricati di conoscere i nomi de’ coloni, conti*ihnenti a quel borgo , e li poderi su quali viveano. E se mai portava il bisogno di convocare que’ contadini per le arme , o di esigere da ciascuno le lasse ; questi li congregavano, o ne raccoglievano le somme. £ perchè la moltitudine non fosse difGcile a trovarsi , ma facile a descriversi e palese; fece erigere degli altari ai Numi contemplatori e custodi del luogo , perché quella ogni anno vi si riu- nisse e ve gli onorasse con pubblici sacri Gzj , istituendo (i) Di Fabio • di Venonio.  tal (ine la festa soleanissima delta dei viUagi (i)."^Anzi intorno a tali sagrifizj scrisse leggi che i Romani ser* bano ancora. Per tal sagriSzio , per tal celebrità volle cbe contribuissero tulli una data moneta, altra però gli uomini , altra le donne , ed alu'a gl’ impuberi : talché numerandosi queste dai, presidi delle sante cose rileva- vasi il totale degl’ individui secondo il sesso e la . 6tà. E volendo , come scrive Lucio Pisone nel primo degli annali , conoscere quanti erano domiciliati in Roma, quanti vi nasceano o vi morivano , o toccavano * la età virile; stabili qual moneta dovessero i parenti vergare per ognun che nasceva nell’ erario di Eileitia , detta dai Romani Giunone Lucifera , o in quello che chiamano di Venere Libitina , là nel bosco , per ognun che mo- riva , o in quello della Dea Gioventù per ognuno che alla virile età perveniva. Da queste monete intendeasi ogni anno quanti erano in tutto , e quanti aveano ido- neità militare. Ciò fatto diede ordine, che i Romani. re- gistrassero, apprezzandoli inargento, i lor beni, e giu- rando di apprezzarli come dee 1’ uomo candido e buo- no t e che insieme dichiarassero quanta era la età loro, quali i padri loro , le mogli, ed i figli ; aggiungendovi dove in città soggiornassero, o in quale de’ villaggi d^Ho campagna ; e chi non &cea pari stima era in pena spo- gliato de’ beni , flagellato e Venduto. Dorò questa legge lungo tempo tra Romani. XVI. Cosi prese da tutti 'le stime, e rilevatone il nu- mero di essi , e la grandezza de’ beni loro introdusse (l) Ciut Paganaliu. una instituzione savissima che fu poi larga fonte di beat a’ Romani , come il fatto stesso Io dimostrò. La islit»* zione fu di segregare dal resto del popolo quei che aveano sostanze più grandi non però minori di cento mine , e di ordinarli in ottanta centurie (1) , le quali , armandosi , portassero scudo argolico , elmo di bronzo, corazza , stivali , asta e spada. Poi separandole tutte in due parti formò quaranta centurie di giovani per le spe> dizioni in campo aperto , e quaranta de’ più adulti , le quali in città si restassero per custodirla quando le altre uscivano per la guerra. E questa era la milizia , prima di ordine ; per altro i giovani aveano sempre il primo luogo onde proteggere tutta l’armata. Dal residuo quindi del popolo segiegò quelli ancora che aveano meno di cento mine non però più scarse di settantacinque, compar» lendoli in venti centurie che portassero arme , simili a quelle de’ primi , toltane la corazza e dato ad essi lo scudo lungo in luogo dell’ argolico (u). E dividendo quelli di oltre quarantacinque anni dagli altri che aveano età militare formò dieci centurie di giovani, le quali an- (1) Nel Cesto Xt^gn: questa roce k ambigua: può sigaificare cen- turia , manipolo , coorte. Il traduttore latino la interpreta per cen- turia : e questa pare la nozioue piti acconcia : ma deve riflettersi che cengia: vai quanto compagnia di cento , laddove in questo luogo non significa cento esattamente ; ansi ne] paragrafo iS di questo libro significa ben altro che cento. Tra I LATINI ci ebbe io Cfypeut e lo tculuni. Il primo era detto «cevrir da’* Greci , ed il secondo Bv/i»f i il primo era più breve e sièrico, l’altro piò lungo. La nostra lingua, come di un popolo che più non usa quelle armi non ba forse parole ben disliute o note pet indicare la doppia forma. Targa , Rotella o Broccbiero può forse dirsi il C/fpeus , e scudo è voce generica di ogni sorta di quelle armi. Digitìzed by Google a8 DELis Antichità’ romane dassero in guerra per la patria , « dieci di anziani che in gtiardia rimanessero delie mura. Era questa la mili- zia , seconda di ordine , e prendea luogo dopo de' primi nella battaglia. Una terza ne fece di quelli che aveano meno di settantacinque mine non però sotto le cinquanta; ma ne minorò T armatura non solo delle corazze come alla seconda; ma de’ stivali ancora. Descrisse pur questi in venti centurie dividendoli parimente secondo 1’ età , talché se ne avessero dieci de’ più gióvani, e dieci de’ più maturi. Era il luogo loro nelle battaglie appunto do- po quelli che seguivano i primi. XVII. Trasse un quart’ ordine di soldati da quelli che avean meno di cinquanta , e non meno mai di ven- ticinque mine; disponendolo in venti centurie , dieci dei floridi , dieci de’ provetti per anni , come avea fletto co- gli altri ; e dando loro per arme scudi , aste , e spade , e r ultimo posto nelle battaglie. Reclutò la quinta mi- lizia da quelli che avean meno di venticinque mine , non però meno di dodici e . mezzo , acconciandola k- condo gii anni di ognuno in trenta centurie , quindici de’ più avanzati , e quindici de’ più giovani. Diè loro strali e Sonde , ma luogo fuori deli’ esercito , Uiesso in battaglia. Comandò che quattro centurie allatto inermi accompagnassero tutte le altre : cioè due di annajuoli , di falegnami , e di altri per altro militare lavoro, e due di sonatori di trombe e timpani e di altri stromenti pe’ bellici segni. Ma gli arteflci seguitavano la miUzia dà second’ ordine : e distinti anch* essi per età , quali se . guitavano le bande de’ giovani , e quali degli anziani. I^addove i sonatori di trombe e di timpani lenean die- tro alla miUzia quarta di ordine ; distribuiti anch’ eglino in giovani e vecchi. Erano li centurioni tmcelti fra' tutti li più insigni nelle arme; e reggea' ciascuno la sua cen- turia docilissima ai cenni. Tale era il metodo onde avessi la soldatesca legionaria e leggera. Scelse poi la cavallerìa dai più facoltosi , e più cospicui di lignaggio , e formatene di- ciotto centurie le dié compagne alle prime ottanta cen- turie de’ legionarj. Erano pur di queste diciolto , chia- rissimi lì centnrioni. Finalmente ridusse ad una centu- ria gli altri tutti , ben più numerosi de’ primi che aveano men che dodici mine e mezzo , e gli escluse dalla mi- lizia e li rese immuni da ogni tributo. Cosi risuitaron sei ordini che i Romani dicono classi denominandoli con greca parola : imperocché quello che noi signifi- chiamo colla voce imperativa colei ( chiama ) lo signifi- can essi coll’altra cala (>) ed anticamente caleseis pro- nunziavano in vece di classi. Comprendeano queste classi cento novanutrè centurie. Formavano la prima Bovantotto centurie compresevi quelle de' cavalieri : ven- tidue cogli artefici la seconda : venti la terza : di nuovo ventidue co’ sonatori di trombe e di timpani la quarta ; trenta la quinta : ed era dopo queste una centuria uuica la classe de’ poveri (a). (i) Calo catas tt» antico veibo latino por chiamare j donde pur cbbesi la noce Calerule. (a) Classe prima. - 9S -- seconda aa — ' tersa. ao — quarta aa — quinta 3 o - — sesta. Introdotto un tale sistema , iatimava i soldati per la guerra secondo le centurie , e li tributi secondo li beni. Quante volte a lui bisognassero dieci o venti- mila soldati ; avendo distinta la moltitndine in cento novantatrè centurie, imponea ebe desse ognuna la sua parte. Calcolando, le spese da farsi pe’ frumenti e per gli bisogni di guerra ; egli stesso le compartiva secondo gli averi di ognuna tra le centurie , ordinate in cento no- vantatrè. Seguitò da questo ebe i possidenti piò grandi essendo minori di numero ma divisi io più centurie fossero sensa requie astretti a più guet're , e vi contri- buissero danaro più ohe altri : laddove i possidenti mez- xani e piccioli quantunque più numerosi, ridotti in meno centurie , non combatteano che alternativamente e di raro , né pagavano se non leggeri tributi ; e quelli che non possedeano quanto rìchiedevasi , erano intatti da ogni molestia. Nè ciò facea senza causa ; ma persuaso che gli averi sono per 1* uomo il premio della guerra , . e ohe ciascuno travaglia per difenderseli ; riputò giusta cosa , ohe chi pericola su più beni , più ancora al pe- ricolo si opponga colla robba e colla persona : che men di molestia risenta in ambedue chi men perderebbe: e finalmente che chi non teme per cosa ninna non sia nemmeno in cosa alcuna aggravato , immune da’ tributi perchè bisognoso , e libero dalla guerra perchè libero da’ tributi. Imperocché li soldati Romani militavano al- lora , ciascuno a spese sue non lo stipendio riceveano dal pubblico ; nè pensava altronde che avesse a contri- buire chi non aveane i mezzi e stentava il vitto quoti- diano : nè che colui che non contribuiva militasse a spese altrui qual mercenario. G)sl rivolse Ai più ticchi tatto il carico de’ pe« ricoli e delle spese : vedendo però che sen disgustavano^ nè raddolcì per altro modo il mal contento , e ne rat* temperò lo sdegno , concedendo ad ewi tal prerogativa per cui gli arbitri sarebbero del pubblico esclusine i poveri. Nè comprese il popolo di ciò che facessi le con* srguenze. Era la prerogativa ne’ comitj , ove dai popolo risolveansi. le cose le più gravi. Ho già detto di sopra come il popolo secondò le antiche l^gi era 1’ arbitro di tre cose grandissime e necessarissime : cioè di eieg> gere i suoi capi in città e nel campo , di ammettere o di abrogare le leggi , e di conchiudere la guerra o la pace.' E tali cose discuteva , e decidevate il popolo per curie , parrggiandovisi il voto del grande a quello del picciolo possidente. ^ E siccome pochi , come avviene , erano i facoltosi ; ma più assai li poveri; cosi preva» leano questi ne’ comlej. Tullio ciò vedendo trasferì nei ricchi la prepotenza de’ voti. Imperocché quando pare» vagli di' far creare i Magistrati o discutere le leggi , o Conchiudere la guerra teneva i comizj non più per ci^ rie , ma secondo le centurie anzidette. E prima chia» mava a dare il Suo volo le centurie di maggior possi» densa le quali èrano ottanta di fanti e diciotto di ca- valieri. Or' queste più numerose che le altre di Un tre (i) quando fossero unanimi , superavano le altre ; e la di» scussione avea fine. Che se non si univano queste in uu parere ; invitava allora le ventidue scritte nel se* coud’ ordine*., £ se i voti sciudcvansi ancora ; soprac» (i) Erauo noTanioUo, e le altre tutte novauUoinijue. cbianuva le centarie di terz’ ordine : iodi quelle del quarto, e cosi via via, finché novantasette centurie si trovassera consentanee (i). Che se ciò non ottenessi nep- pure colla quinta, chiamata , ma le cento novantadue centurie si contrapponeano con parti eguali.; invitava allora 1’ ultima centuria che era de’ bisognosi , e però libera dai tributi e dalla milizia. E qualunque fosse la parte alla quale accostavasi questa centuria ; quella pre- ponderava. Ma ciò era ben raro a succedere , per non dire impossibile ; mentre il più delle discussioni termi** navasi col chiamar de’ primi ordini senza procedere al quarto. Doud’ è che l’ invito de’ quinti e degli ultimi superduo riusciva. Istituendo tal sistema e tal prerogativa inverso de’ ricchi , Tullio deluse , come ho detto i poveri ; né sei conobbero , e furono esclusi dalle cariche. Immagi- navano questi che essendo richiesti un per uno a dare il suo voto, ciascuno nella sua centuria, avessero egual parte nel tutto : ma s’ ingannavano : perchè uno era il voto della intera centuria , e qual centuria conteuea . men cittadini e quale più i^sai ; e perchè prime vota- vano le centurie più ricche, più numerose per serie, quantunque con men cittadini. Aggiungi che un solo era il voto de’ bisognosi , quantunque fossero i molti ; ed aggiungi che ultimi si chiamavano. Per tal metodo i ric- chi , quatunque assai soggiacessero a spese , né avessero mai requie da’ perìcoli della guerra , men sentivano il (i) Erano le centurie senza l’ultima 193. numero la cui metà è 96. Affinchè dunque vi , fusse preponderanza doveva un parlilo nascere almeno da 97 e I' alito da 96 ocniutia.peso ; perchè erano gli ariìitri divenuti di gravissime cose , ed aveano tolto agli altri tutto il potere. Altronde i poveri se non aveano che la minima parte nelle pab- bliche cure sei comportavano placidi e ebeti, perchè li- beri dai tributi e dalla guerra. Dond* è che que’ mede- simi i quali consigliavano ciocché era da fare ; quegli appunto se ne mettevano ai pericoli ed alle opere. Durò tal sistema per molte età tra’ Romani. Ma ne’ tempi miei fu variato, e renduto più popolare per forza di grandi necessità , non perché le centurie fossero disciotte ; ma perchè non più serbavasi 1* antica diligenza nel chia- marle; come io stesso, presente più volte ai comizj, ho veduto.: ma non è questo il tempo conveniente a parlar di ciò. Tullio data cosi regola al censo , comandò che tutti i cittadini andassero colie armi al campo più grande dinanzi Roma : e là , messi in squadre i cavalieri , or- dinati li fanti in battaglia , e ridotti i soldati leggeri , ciascuno nelle proprie centurie ; li espiò con un toro , un ariete ed un capro. Egli fatte condurre prima tre volte le vittime intorno dell’ esercito le sagri Beò poscia a Marte, Nome sovrano di quel luogo. Anche a miei giorni vengono i Romani purificati con egual cerimo- nia , che essi chiamano lustro , dopo &tto il censo , da que’ che n’ esercitano' il magistrato santissimo. Come ri- levasi da’ libri de’ censori , il , catalogo de’ Romani che si registrarono ascese allora ad ottantaqnattro mila set- tecento. Prese questo re non picciola provvidenza per ampliare le classi del popolo, ideandone de' mezzi sfnggiti a suol predecessori. Imperocché provvidero questi a far moltitudine ricevendo i forestieri e consociandoseli senza divario di natali o di sorte. Ma Tullio concedè che entrassero a parte della repubblica pur gli schiavi Fenduti liberi , se mai non volevano ripatriare. Àdon« que permettendo che registrassero le loro sostanze iu- sieme con gii altri uomini ingenui gli ascrive fra le tribù urbane che erano quattro fra le quali ritrovasi aa« cora la discendenza dai liberti , e fece che vi godessero quanto gli altri vi godeano di diritti.  Disgustandosi di questo e mal sopportandolo i Patrizj ; egli convocatane la moltitudine disse : cho meravigUctvasi primieramente de' malcontenti se credei vano che t uomo libero differisse dal servo per natura piuttosto che per la , sorte : e secondariamente se mv~ stiravano gli uomini degni di onori non dai costumi né dalle maniere , ma dalla prosperità, vedendo quanto caduca , e quanto mutabile sia la prosperità , mentre TÙuno , nemmeno de’ più felici, può dire quanto tempo gli durerà. Considerassero quante città barbare e gre^ che erano di serve divenute libere , e di libere serve. E qui condannava la grande loro incongruenza mentre rendevano liberi uomini degni di esserlo, e poscia ad essi invidiavano la cittadinanza : e consigliavali piuttosto a non liberarli, se malvagi li riputavano: ma -se ripa* tavanli buoni, non li vilipendessero quantunque fore- stieri. Dicea , che ben era informe nè savia cosa che essi ammettessero alla loro cittadinanza tutti i forestieri, senza distinguerne la sorte , o por mente , se erano servi divenuii liberi ; e poi tenessero come indegni di tal graeia ^elli stessi che erano da loro liberati : e dicea , che essi i quali credeano più saperne che gli altri non ve- deano poi le cose presenti , elementari , e piane anche ai più inetti': cioè che assai penserebbero i padroni anon rendere liberi cosi di leggeri i servi se poi do- veano accomunarseli alle cose più grandi fra gli uomi- ni : e che i 'servi assai più si studierebbero di far Fatile de’ padroni , se capivano che resi liberi sarebbero an- cora cittadini di una città grande e beata ; e che am- bedue questi beni Se gli avrebbero appunto dai padroni. Da ultimo fattosi a ragionare su F utile pubblico ricor- dava a chi io sapeva , ed a chi noi sapeva insegnava , che una città che aspiri al comando , una città che pre* pansi alle grandi cose, non dee niun bene cercare quanto F aumentò del popolo , onde aver forze contro tutte le guerre , e non distruggere Ferario con assoldare gli estra- nei , perciò dicendo che i primi re concedevano a fo- restieri la cittadinanza. Che se ora adottavano la sua legge; aggiungeva che per loro via via crescerebbe una gioventù numerosa , nè sarebbero mai scarsi di soldati ; anzi che ne avrebbero abbastanza quantunque fossero astretti far guerra contro di tutti. Vi sarebbero ancora oltre le pubbliche, altra utilità non poche pe’ ricchi se lasciavano che gli schiavi renduti liberi avesser parte nelle adunanze ; mentre ne sarebbero in queste nel mag- giore bisogno favoriti co’ voti o con altre decenze , e la* scerebbero ne’ discendenti di essi altrettanti clienti ai posteri loro. Consentirono a tal dire i patrizj che si am> mettesse un tal uso in repubblica: e vi persevera anco- ra, custodito come una delle leggi sacre ed inviolabili. E poiché son venuto a tal parie di narrawo— ue ; parmi necessario adombrare i costami de’ Romani in que’ tempi sopra gli schiavi ; perchè niuno riprenda nè il re che tentò volgere in cittadini gli schiavi già li- beri , né quei che la legge ne ammisero , quasi abbiano incautamente abolito istituzioni bellissime. Ottenevano i Romani dei schiavi per giustissime guise:' imperocché gli aveano o comperandoli dal pubblico che metteali qual preda all’ incanto, o concedendo un capitano che si appropriassero i presi in gnerra insieme con altre cosej o redimendoli da altri che gli aveano . con eguali mar- niere acquistati. Mé Tallio che lo introdusse, nè gli altri che lo riceverono e serbarono; tennero come vituperoso e nocivo al pubblico il costume pel quale si ridonasse la libertà e la patria da chi possedeali come schiavi, a quegli uomini che spogliati in guerra di patria e di li- bertà si erano utili dimostrati verso i primi che gii aveano soggiogati, o verso altri che gii avevano comperati dai primi. Ricuperavano moltissimi la libertà gratuitamente in vista deir onesto e bel procedere loro : e questo era il più onoridco mezzo onde riaversi : pochi ne sborsa- vano un prezzo, accozzato con legittime e caste fatiche. Non è però così di presente , ma sono le cose in tanta confusione , e cosi belle virtù de’ Romani sono invilite e bruttate; che chiunque trae danaro da crassazionl^ da sfasci, da prostituzioni o per altre ree guise , costui con tal prezzo redimesi , e diviene un Romano. Otten- gono altri un tal dono dai loro padroni , divenutine i complici degli avvelenamenti , delle uccisioni , e. delle in- giustizie contro la : repubblica e contro gl’ Iddj : tal altri Digitized by Goo e de’ Veietiti, -già prime ad insorgere, e colpevoli di aver mosso le altre alla guerra co’ Romani , queste in pena le multa della campagna, coi divise in sorte tra gli ammessi di fresco alla cittadinanza di Roma. Compiate tali cose in guerra ' ed in pace, e fondati due tempj l’uno nel Foro boario, e l’altro in riva del Tevere alla Fortuna sembratagli propizia tutti i suoi giorni , e da lui chiamata Kirile come chiamasi ancora (i) ; alGne provetto assai per età, nè lontano ornai dal suo termine, morì tra le insidie dei genero suo e della Gglia. Io dirò di queste insidie ma ripigliandone il GIo alquanto da lungi. Avea Tullio due Gglie , nategli da Tarqui- nia , sposata a lui dal re Tarquinio medesimo. Divenute nubili le donzelle, cugine dal canto materno a’ nipoti di Tarquinio , diedele appunto a questi per mogli , la più grande al più grande , e la minore al minore ; cosi pa- rendogli che meglio converrebbobo a chi le prendeva ; (i) Tullio fondò piò che due tempj. Fiutar, in quest. Rom. 74 * Ma la fortuna ViriU fu coosccrata da Anco e non da Serrio secondo lo stesso Plutarco De Fortuna Roman, se non che per la diflbrmità de’ costami si trovò ì’ua genero e l’ altro accoppiato col sao contrario. Lucio il maggiore , baldanzoso , caparbio , tiranno per indole , ebbesi la fanciulla , savia ^ mansueta , piena di amore paterno: laddove Arunle il più tenero, mite molto per genio e tutto affabile , se ne ebbe la iniqua, e tutta ardire, e tutta odio contro del padre. Ora seguiva che movendosi ognuno a seconda del genio suo venivane ripiegato in contrae rio dalla sua donna. Ardea lo scellerato dal desiderio di balzare il suocero dalla reggia : ma intanto che a tale disegno applicavasi, erane dai voti contrariato e dal pianto della consorte. In opposito il mite sposo , fermo in cuor suo che non aveasi ad offender il suocero ma che do* veasi aspettare che la natura ne consumasse la vita , ni tollerando che il fratello commettesse quella ingiustizia, era spinto in contrario dalia ribalda sua compagna , che lo istigava e garrivalo , rimproverandolo come vile. E poiché niente poteano nè le suppliche della savia donna che insinuava il suo meglio al non giusto suo sposo , nè le istigazioni della malvagia che provocava ai delitti Taomo suo, che non era temperato a commetterne; ma ciascuno seguiva l’indole sua tenendo per molesta la compagna perchè non avea desiderj uniformi ; la prima ne piangeva , ma comportava l’acerbo suo caso , quando l’altra fremevane audacissima, e cercava come togliersi dal sno camerata. Or qui levatasi di mente la scellerata, considerando quanto bene a lei si confarebbe il marito della sua germana , sei fa eh iamare , quasi per abboc* carsegli di necessarie cose. E poiché fu venuto; ordinando che si rititasserò quanti eran seco per discorrere sola con solo» Or su, disse, o Tarquinio posso io liberamente e senza pericolo ridire quanto medito pel bene di am- bedue ? Lo celerai tu quanto sei per udire ? o vai meglio che io taccia , nè palesi V arcano' consiglio ?, £d invitandola Tarquinio à dire, e certificandola coi giuramenti, qualunque ne volesse, cbe-taóerebbe i di- scorsi ; ella non più contenuta dalla verecondia >neO‘ amici che abbondano , ed altre comodità copiose e grandi per imprendere. Che più, dunque t’ indugj ? u4 spetti forse il tempo che per sé stesso venga e ti dia la corona senza che pur te ne brighi ? Quando ? dopo la morte di Tullio ? Jippunto la fortuna riguarda gl’ indugj degl’ uomini , appunto la natura pon fine alle vite secondo la pro- porzione degli anni ! Anzi oscuro , incomprensibile è f esito delle cose mortali. Sebbene , io lo dirò pur francamente , quandi anche tu me ne chiami temera- ria , una a me sembra , una la causa per la quale niente commoveti , non l’ amor degli onori non della gloria. Hai tu donna mal conforme a tuoi modi; e questa li lusinga , e t’ incanta , £ ammollisce : e da questa rendalo men che uomo diverrai finalmente un ignoto. Così pure quel marito eh’ è meco, tutto paura, e senza nulla di virile , quegli ha depresso me ch’era nata alle grandi cose , quegli ha fatto il fiore lan- guir di bellezza che mi avvivava. Se portava il de- stino che tu prendessi me per moglie ed io te per marito , già non saremmo tanto tempo vivati nella ignobilità de’ privati. Che dunque non emendiamo le colpe della sorte ? che non trasmutiamo il matrimo- nio ? che non togli tu dalla vita cotesta tua donna ? Io sì che apparecchio per quel mio marito /’ egual trattamento. E quando , spenti questi ^ ci sarem con- jugcUi y allora consulteremo con 'sicurezza sul resto , liberi già dagli ostacoli che ci conturbavano. Che so altri per cUtre cause teme la ingiustizia ; già non è da riprendersi chi tutto ardisce per dominate. Mentre Tullia cosi diceva, ne ascoltava Tai> quinio con diletto i disegni : e dando immantinente e ricevendo i pegni di fede, e le primizie dell’ empie noz- ze , si ritirò. Non andò guari tempo ; .e perirono p^ eguale sventura la primogenita di Tullio, ed il minor de’ Tarquinj. E qui sono astretto a far parola di nuovo di Fabio, e riprenderne la negligenza nell’esame dei tempi. Imperocché fattosi alla morte di Arante non. pecca per questo capo solo come io dinanzi dicea, che deaeri- velo per figlio di Tarqninio ; ma per l’ altro ancora che narra , che mortosi Arunte fu sepolto dalla madre Ta- naquilla , la quale non potea di que’ tempi più vivere. Conciossiachè giù di sopra fu dimostrato che costei nu- merava settantacinque anni , quando mori Tarquinio. Ora aggiungi a questi altri quarant’ anni , giacché sap- piam dagli annali che Arunte mancò nell’ anno quaran- tesimo del regno di Tullio; e saran gli anni di Tana- quilla cento quindici. Tanto picciola nelle storie di que^ st’ uomo é la cura intorno la ricerca del vero ! Dopo ciò Tarquinio senza indugio riprese in Tullia una mo- glie , ricevendo lei da lei stessa , e senza che la madre approvasse , o consolidasse il padre quelle nozze. E come que’ due impurissimi , come que’ due micidiali si con- giunsero , tentarono di cacciare se noi cedea di buon grado, Tullio dal trono: e teneano perciò delle conventicole , e raunavano que’ senatori che aveano cuore alieno da lui e dalie forme di un governo’ popolare, e comperavano i più bisognosi della città quei che non Bveau cura ninna della giustizia , facendo intanto tutto senza nasconderlo. Tullio vedendo ciò , ne fu contur» baio , e temette di essere sorpreso da qualche infortu- nio. Nè dovrebbesi meno se dovesse far guerra alla figlia ed ai genero , e pigliarne vendetta come di nemiri. Adunque invitò molte volte Tarquinio a discorso in mezzo degli amici ; ora redarguendolo, ora ammonendolo ed ora esortandolo a non far contra lui mancamento. Poiché però costui non lo attendeva , e pretestava che direbbe in Senato i suoi diritti; egli stesso adunando il Senato , incominciò : Tarquinio o senatori ( e ben mi è ciò manifesto ) Tarquinio tien dei congressi; Tar~ quinio m insidia lo scettro. Io da lui voglio , pre- senti voi, risapere, qual privata ingiuria ha da me sostenuta , o qual vede che io ne ho fatta sul pub- blico per insidiarmi. Rispondi Tarquinio, non '{infin- gere , di che avresti tu mai per incolparmene? È que- sto il Senato , ove di essere udito desideravi. E Tarquinio replicò : Breve o Tullio sarà il dir mio , ma giusto ; e però voleva io profferirlo tra questi. Tarquinio V avolo mio possedè la reggia di Roma , e molti e grandi travagli sostenne per essa. £ lui morto , io , gli debbo succedere secondo le leggi comuni de’ Greci e de Barbari. E convenivasi , come si conviene a quei che succedono agli avi , che io ne ereditassi non pur le monete , ma la reggia : e tu mi davi le une, come lasciate da esso, e mi toglievi la reggia , e già da tempo la tieni , senza averla mai ricevuta a norma delle leggi : perocché nè gl’ interré vi ti scelsero , nè i senatori mai per te davano il voto , nè assunto vi eri dacomizj legittimi come l’avo mio e come tutti i re precedenti. Tu andavi al trono,- e comperando e subornando per ogni modo una turba di vagabondi e di miseri, una turba rovinata nella stima per le accuse e pe’ debiti , una turba infine niente sollecita del pubblico bene : e così andandovi nemmeno dicevi di stabilirlo per te , ma davi' le viste di custodirlo per noi orfani e pargoletti: e dichiaravi, udendolo tutti , che quando saremmo già adulti , lo renderesti a me che sono il pià grande. Se dunque volevi tu far la giustizia, quando mi consegnavi la casa , quando il danaro dell’ avo ; dovevi tu conse- gnarmene nommeno la reggia seguendo V esempio dei tutori onorati e dabbene, i quali ponendosi alla cura de’ regi figli, orfani de loro padi’i, rendono ad essi appena son grandi puntualmente e santamente la si- gnoria degli antenati. Che se ancora non io semhra- vati idoneo a pensieri convenienti , ìiè bastante pei giovani anni a città si popolosa , dovevi almeno re- stituirmene il governo quando io giunsi ai treni anni che son gli anni vegeti del corpo e della mente , e ne’ quali tu mi davi la tua figlia in isposa. Avevi pur tu questa età quando prendevi la cura della no- stra casa e del regno. Ti sarebbe , cosi facendo , accaduto di esserne detto pietoso e giusto , di essere il partecipe de’ miei consigli, il partecipe degli onori, e di udirmiti chiamar padre , e benefattore « e salvatore ; e con ogni bel nome , quanti ne sono destinati dagli uomini per le assioni le pià preziose ; nè io già da quaran- taquattr anni sarei privo del regno , io non informe di corpo , io non disadatto di mente. E ciò stando y osi pur dimandarmi quale aggravio io ne senta, sicché io labbia per inimico, e te ne accusi? Anzi dX, Tullio , dì per qual causa non mi stimi tu degno degli onori delt avo ; dì , qual ne trovi , qual ten ^ngi buon ti- tolo di tal mia privazione ? Non pensi forse che io sia germe puro di quella stirpe, ma intrusovi e spu- rio ? Come dunque tu curavi un estraneo da quella famiglia ? o come , quando ei crebbe , gliene rendevi la casa ? O pensi che io non lontano molto dai cin- quant’ anni > io pur siegua ad essere un orfano ? un incapace ed moneti del pubblico ? Lascia dunque gli schemi di domande invereconde; cessa una volta di esser malvagio. Che se hai giuste cose a rispondere io, son pronto di rimetterle a questi giudici , de’ quali tu non potresti ih città rinvenirne altri migliori. Ma se di qua levandoti ricorri tu , come sempre solevi , a quella tua ligia moltitudine ; già non sarà che io mel soffra. Io qui sono appeaecchiato disputare sul giusto ; ma lo sono ugualmente per eseguirmelo , se non mi- ascolti. Al tacere di lai ripigliando Tullio il discorso, così disse : Quanto è vero o senatori che dee t uomo aspettarsi ogtd caso pià impensato nè crederne as- surdo rduno, se fn questo Tarquinia sta per levarmi dal pritKÌpato : questo Tqrquinio , else io prendea , che io salvava fanciulletto da’ nemici che lo insidia- vano , che io educava e crésceva , e cresciuto, ' com- piaceami di avermelo a genero, ed erede infine di tutto se io patissi umana vicenda. Ma poiché tutto mi riesce in contrario , e che ne sono ami accusato come ingiusto ; serberommi a piangere la mia sorte , rispondendo ora su miei diritti a fronte di lui. O Tar- quinio , io presi la cura di voi lasciati fanciullini : nè già di voler mio , ma costrettovi dalle brighe , la presi. Imperocché si dicea che quelli ette aveano ma- nifestamente ucciso I avolo vostro onde riprendersi il tròno , avrebbero occultamente insidiato • anche tutto il parentado : e quanti a voi per sangue si riferi- scono , tutti confessano , che se quelli restavan gli arbitri del comando , non avrebbero pur seme la- sciato della stirpe de’ Tarquinj. Non ci avea curar tore , non tutore ninno di voi se non una donna , la madre del vostro padre , . bisognosa ancor essa di alr tri curatori per la cadente età siui. Rimanevate vm solo a me corifidati , custode unico dell orbitade vo- stra , a me che ora chiami un estraneo , un che niente a voi si appartiene. Jn tali turbolenze ponendomi al comando io punii gli uccisori' deU’ avolo vostro', e ’ voi crebbi allo stato di uomini , nè avendomi prole virile , io vi eleggea ^perchè à me succedeste. E que- sto o Tarquinio il discarico della mia ‘cura; nè già potresti in parte alcuna imputarmene di menzogna, . Ma quanto al regno , poiché di questo mi accusi, odi come io me ìo abbia^ e le Cause per le quali non a voi lo ceda , nè ad altri. Quando io presi 11 governo , avvedutomi che mi si tramavano delle insidie , volea nelle mani riporlo del popolo. E chia- mando tutti a concioAe , io già faceami a cedere il comando per cambiare con una vita di calma e senza pericoli^ la vita del comcmdare , la quale è piena di invidia ,■ e sparsa pià di amarezze che di piaceri. Non comportarono i Romani che io tanto eseguissi , nè vollero alcun altro sul Comune , e me ritennero , ed a me diedero col consenso de’ voti , il régno , quel possesso loro, o Tarquinia , e non vostro. Così pure l'Oveano già dato all’ avolo vostro tuttoché forestiero, e niente congiunto col re precedente ; sebbene Anco Marzio lasciava de’ figli maschi e floridi per anni ^ e non de’ nipoti , e piccioli , come Tarquinio voi la- sciò. Se legge è comune di tutti, che chi eredita le sostanze e i danari dei rei che cessano , debba in- sieme r,iceverne il regno , dunque non fu Tarquinio l’ avolo vostro che al morire di Anco ottenne là co- tona , ma il figlio primogenito di questo. Ma il po- polo di Roma chiama al comando t uomo degno di averlo, e non il successore del p’adre. Imperciocché giudica che le sostanze sieno di chi le possiede, ma che il regno sia di quelli che il diedero ; giudica con- venirsi che ottengano quelle gli eredi per sangue o per testamento se i padroni sén muojono , e che tomi l’ altro a chi ’l diede se vien meno chi preselo a reg- gere •; se non forse hai tu da contrappormi che I avolo tuo ricevette il regno con tal condizione che non po- tesse pià tortegli, e che lo tramandasse a voi suoi discendenti; sicché non fosse pià t arbitro esso po- polo, di conferirlo a m«, levandolo a voi. Ma se hai tu punto di simile, che noi produci? Ma non gli hai tu questi patti. Che se io non ebbi il regno per buona via come dici , non- eletto dagf interré , noti portato dai senatori agli cffari, né compiendo il re- sto a norma dette leggi; questi dunque, .questi ho 10 vilipesi e non te : e questi e non tu , saria giusto che V autorità men finissero. Ma nè io violai questi, né cdtro chiunque. Jl tempo tn é buon testimonio’, che 11 potere mi fu dato legittimamente, e che legittima^ mente mel tengo. Imperocché già ne volge I armo quarantesimo e niun Romano pensò mai che io com- mettessi , avendolo , una ingiustizia ; e non il po- polo, non il Senato mai si mosse a spogliarmene. Ma lascisi pur tutto ità : diasi pur luogo alle tue ragioni. Se io te privava di un deposito del- t avo , se io mi ascrissi il tuo regno contro . tutti i diritti degli uomini, convenivasi che tu a quelli ne andassi che mel diedero : che con quelli ti ramari- cassi e garrissi che io mi tenga te cose non 'mie ; è che essi mi si obbligarono col dispensarmi t. altrui: e se tu il vero dicevi; di teneri gli [avresti persiut- si. Che se tu non certificavi ciò co- tuoi parlari ; e tuttavia pensavi , indebita cosa che io regnassi, e che tu sei pià acconcio al maneggio del pubblico ; potevi almeno , fatta ricerca diligente de miei errori , e nu- merate le belle tue gesta , riclamartene giuridicamente la precedenza. Ma tu non hai fatta, nè luna nè F al- tra cosa; e dopo tanto tempo , finalmente , quasi riavendati da lunga ebbrietà , vieni per accusarmene » e nemmen ora dove si dee. Canciossiachè, già non con- viene che queste cose qui dichi ( e voi non ve ne sde- gnate o Padri., mentre io cosi parlo non perchè vi si tolga questa causa , ma per dichiararvi li costui vanilotfuj ) , ma conveniva che preaccennandomi tu. che aduneresti il popolo a conciane là mi accusassi. Ora ciocché hai tu schivato , lo supplirò io questo per te :• convocherò il popolo , lo Jarò giudice delle Mense che òuoi : lascerò che decida di nuovo , qual sia pià idoneo di nói per comandare ; e quello che là desti- nasi, quello adempirò. Ma basti il fin qui detto a risponderti : perciocché toma allo stesso dir poche o molte ra^ni eon emoli che non le apprezzano , men-, tre questi per indole nemmen soffrono ciocché li per-, suada ad essere umani. Ben io mi meravigliava o senatóri che sdeuni di voi (se ve ne sono ) volendo depor me , co- spirassero con costui. F^olentieri udirei da loro per qual mia ingiustizia mi fan guerra, o da quale mio trattò inaspriti. Sanno essi forse che assai nel mio principato , perirono senza essere uditi, assai furono spogliati, di patria , assai delle sostanze, o con altro sciagure affitti ? o non avendo a ridire su me niun tirànnico modo di questi , sono essi forse conseqtevoli delle, mogli lóro da ma disonorate ; delle prof ansate loro verini figlie, o di tal altra mia incontinenza su ingenue persone ? Egli è giusto se in me sorto tali eplpe , che io sia , nonuì del regno privato , che della vita. O può .dire alcuno che un superbo io sono , un esoso per la mia durezza, un-iiHollerabile per la mia caparbietà nel governare ? Qual mai dei re predeces- ■ sori fu così moderato , così umano nel suo potere ,« o qual fu con tutti come me , quasi un tenero patire co’ figli? Io quel potere che voi mi deste, voi custodi di ciò che avete dagli avi ricevuto io non lo volli questo nemmen per intero : ma creai leggi, ( e voi le approvaste queste leggi) su cose principalissime ,• e le intimai perchè tutti esigeste e rendeste cots-esse i diritti , ed io stesso il primo mi vi sottoposi , docile come un privato agli ordini , che io dava per nitri. Che più : non io mi tenni giudice di tutte le ingiusti-‘ zie ; ma commisi che voi stessi giudicaste delle pri-, vate} ciocché ninno uvea fatto dei re precedenti. ^Laon* de , non vedesi in me colpa sicché altri me ne con- trarino. O turbano voi forse i benefizf miei verso del popolo ? Ma non sarebbe così pensare un offendeivi ! se già tante volte con voi me ne giustificai. Se non- ché niente bisognano discorsi tali : se a voi pare che- questo Tarquinio , preso il govermo, sia per ammii- nistrarvelo anche meglio : io non invidio a . Roma .il suo miglior principe. Restituendo il comandò al po-^ polo che mel diede, e tornandomi tra privati , farò che vedasi chiaramente che io sapea tanto, ben' «io» minare , ' quanto io posso dignitosamente servire^ . 55 ascese in tribuna , e tennevi un patetico e Inngo ragio- namento óve numerò le gesta militari eh’ egli iece men- tre viveva Tarquinio e dopo , e .ricordò mano a mano le istitnaioni donde sembrava il Cornane prosperato di, molte ; e grandi utilità. E venendogli dal dir di ogni fatto -amplissime lodi, e desiderando ornai tutti sapere perchè li ridicesse , palesò finalmente come Tarquinio accusa- • vaio di' egli tenesse a torto un regno che a lui si do- veva : e come apaigeva che l’avolo gli avea nel morire lasciato con le ricchezze anche, il regno , e che non po-, teva il popolo concedere ciocché suo non era. E qui -^Vegliatosi in tutti clamore , ed. indignazione , egli inti- mando silenzio, piega vali, che non impazientissero nè tumultuassero a quel dire : ma chiamassero Tarquimo , e se. forse aveva giuste cose da esporre le conoscessero: e se lo trovassero offeso, e se. piò idoneo a reggere , gli affidassero pure il comando di Roma : egli se ne al- lontanerebbe , e renderebbelo ad essi da’ quali lo .ebbe. Cosi lui dicendo e movendosi già per,i iscendere dalla ' tribiina , , proruppe da tutti un grido , un gemito , un pregar vivo ebe non cederne ad alui.il comando. E ci avea por chi esclamava elve si avesse a tempestare Tar- qninio : e colui , vista in fremito la moltitudine, temendo che non gli desser di mano ; foggiasene cogli amici in casa. Allora tripudiando tutto il popolo ricondusse tra gli applausi e le acclamazioai Tullio alla reggia. Tarquinio, veuutogK meno, quel tentativo, fremè dal rancore, che il Senato non gli dess^ alcnn aiuto, quàndo egli fidava su questo principalmente; e teuniesi per alcun* tempo in casa non conversandolo che gli amici. Quando la donna sua gli si fece a dire elle più non dovea star mollemente a bada , ma ebe dovea^ lasciate le parole , Tenire ai fatti, e primieramente cer- car pace per mezzo degli amici da Tnib'o , perché co- lui credendoselo riconciliato, meno il guardasse. E pa- rendogli eh’ ella ben consigliasse , finse di esser pentito, e più volle per .mezzo degli amici Orò caldamente Tul- lio affinchè lo perdonasse ; né difficilmente ve lo indusse, essendo placabilissimo per indole, ed alieno da nna guerra inestinguibile colla figlia e col genero. Ma venutogli po- scia il buon ponto , essendo il popolo sparso ne’ campi per la raccolta , egli usci cìnto di amici co’pngnali sotto ' d^li abiti: dati i fasci ad alcuni de’ servi, e* presa per se regia veste ed altri simboli del comando , si recò net F oro ; e standosi dinanzi la Curia , intimò che il ban- ditore convocasse il Senato. E siccome ci aveanO già pel Foro appostatàmente molti de’Patrizj consapevoli ed isti- gatori del delitto ; allora si concentrarono. Intanto corso alcuno in casa di Tullio lo informa come Tarquinio' ersi uscito con regie vesti , e chiamava i Padri a consiglio. Stupitosi Tullio dell’ ardimento andò tra piccfolo seguito con più velocità che saviezza: e giunto nella Curia) e vedutolo in sul trono , e con gli altri distintivi reali , chi , disse , chi , scelleratissimo uomo , ti concedè que- sti onori? e colui, /ìi, replicò, l’ardire tuo; fu la tua inverecondia o J\dlio ; perocché non essendo tu libero , ma servo nato da serva « e posseduto qual pri- gioniero dalT avolo mio, ti arrogasti il comando di Roma. Tullio , ciò udendo , inaspritone , à biqciò fnor di proposito su lui , come per isbalzaflo dal trono. Vide . 5'J TaitjaÌDio ciò con diletto ^ e sorgendo dalla regia sede afferra e trasportasi Ini vecchio , che grida , ed invoca i suoi. Giunto fuori della Curia egli florido e forte, le* vaio in alto > e trabalzalo giù per le scale che mettono al luogo de* contizj. Alzatosi appena dalla caduta il vec- chio , cóme vide intorno , pieno tutto de* partigiaui di Tarquioio , e deserto e vuoto de* cari suoi , partesene malconcio e mesto con pochi che lo sostengono , e ri- coóducoDO , mentre riga intanto la via di sangue.Narransi dopo ciò le opere dell’ empia e barbara figlia, tremende ad udirsi, come portentose nè credibili a farsi. Costei sentendo che il padre era ito in Senato vogliosissima di conoscerne la fine , venne in sul cocchio nel Foro : e conosciutavela , e veduto Tarqui- nio in su le scale della Curia , essa la prima a gran voce lo salutò monarcA , supplicando gF Iddii , che il regno di hii riuscisse propizio a Roma. E salutandolo monarca altri ancora de’ cooperatori suoi , • lo trasse in disparte e di^se: Le prime cose o Tarquinia te hai Ut faUe come àoveansL Ma finché vive TuUio non potrpi renderli stabile il regno. Egli se abbia picciolo tempo di questo giorno ; ecciterattene incontro il po- polo ; e tu sai’ quanto il popolo tutto è per lui. Su dunque' prima ih* ei torni in casa , manda chi lo uo cida ; te ne libera. Ciò detto , e sedutasi di nuovo in sul cocchio ,. parti. Tarquinio convinto che la iniquis- sima donna ben consigliava , spediscegli contro alquanti de’ suoi ■ co* brandi : e quelli trascorrendo rapidissima- ménte la via raggiunsero Tullio pressò la casa , e lo uccisero. Abbandonato palpitavane ancora il cadavere per la strage recente ; quando la figlia sopraggiunge : ma stretta essendo la via donde avessi à passare le mule a tal vista si spaventarono : e 1’ auriga stesso .che le guidava mosso da compassione si fermò e si volse a colei. La quale dimandandogli perchè mai non pro- cedesse : Non vedi , disse , o Tullia , che qui giace U morto tuo padre , nè vi è transito fuorché, sul cada-* vere suo ? E sdegnatasene quella , e levatosi lo scAbello da’ piedi e lanciatoglielo disse : ’E non le guidi o stolto in sul morto ? E colni gemendo anzi per la compas- sione elle per la percossa spinse forzosamente le mole so del cadavere: E la via chiamata Olbia (i) per ad- dietro, fu dopo il tragico e barfiAro caso, detta nélF i— dioma de* Romani scellerata.  Tale è il termine di Tullio dopo quaranta- quattro anni di regno. Dicono che qnest’nomo il primo alterasse ì patrii costnmi e le leggi .ricevendo il prin- cipato non' dal Senato insieme, e dal popolo come tatti i re precedenti ma dal popolo . sedo , guadagnane dosene la classe > indige nte con' distribnzione e'donii, ^ altri sedncimentL E cosi sta la'veritè; perciocché' nei •> *- (l) OAjStar >0 greco saU fiUce , firtunaUn sareiiba il teina che la vìa ftlice fortunata fu delta scelterata pel delitto. Alcuni leggono »va-fi»s io luogo di tXfittf, certamente, secondo che scrive Var— rime nel lib. ^ , de lingua laiina, i Sabini quando tinnirono ai Ro- mani , chiamarono Cipria la contrada di Roma nella quale si allog- giarono come per buono angario, perché Cjrprwn tra’ SaiNui tigni— Scava il bene. E secondo ciò la contrada, detta Cipria o. buona dni Sabiui pel buon augurio, sarebbe appunto quella ghe fu. poi della scrllerata per la empietà commessavi. Ma Varrone .scrive che questa contrade cran prossime , e non già le. medesime. . prifni tempi quando un re moriva , il popolo dava al corpo del Senato la podestà di stabilire la forma che pià volessero di governo, ed il Senato nominava gl’in- terré, e gl’ interré sceglievano per sovrano 1’ uom più pregevole sia de’ cittadini , sia de’ nazionali, sia de’ fo- restieri : e se il Senato ’ne approvava la scelta, se il po- polo co^ voti suoi r aotorizzava , se gli anspizj la con- fermavano, còlui prendeva il comando. Che se mancava alcuna di queste condizioni, ne; nominavano nn 'secon- do ; e poi un terzo, se avveniva che il secondo non avesse propiziò quanto era d’ uopo dal cielo e dagli' notami. Ma Tullio, come innanzi fu detto, assumendo in ■principiò il carattere di regio tutore , e poi guada- gnandosi il popolo con gli amorevoli modi', fu -re no- minata solamente da quello* Poi • diportandosi come uo- mo temperato e clemente fe' colle opere successive ta- cere le accuse*, che non avesse* adempita ogni cosa a norma delle Ipggi ; lasciando a > molti il 'sospetto , che se non era presto > levata; avrebbe' ridotto- lo Stato- a forma di una repubblica. E (|nesta é la cagion princi- pale. per «ui dicesi che alenai de’ palrizj lo insidiassero^ Pionr potendo con altro modo hnirne il comando , ini- sero -TarqUinie alla impresa e gli cooperarono il regno^ per voglia di deprimere -il •'popolo fornài troppo potente pel ' governo  tura un giorno ; nella prossima notte spirò. S’ ignorava però da molti la maniera del termine suo. Diceano al- cuni eh' ella stessa aveasi data da sé la morte , an- teponendola al vivere. Altri però diceano che era stata uccisa dalla figlia e dal genero come troppo ad- dolorata e benevola inverso lo sposo. Per queste ca- gioni il corpo di Tullio fii privo di regj funerali , e di magnifico monumento : conseguì però coUe opere sue memoria perenne in tutti, i tempi. Anzi quanto iegU | fosse caro agl’ Iddìi lo., fece eziandio palése nu se- gno celeste : dond’ è che alcuni tennero ancora per vera la opinione incredibile e fiivolosa intorno la nascita sua come dianzi fa detto. Appiccatosi il fuoco id tempio delia fortuna , che egli area già fabbricato, mentre tutto era preda delle fiamme ne rimase intatta solamente la statua di lui in legno dorato. . Il tempio e quanto .è' nel tempio rifabbricati dopo l’ incendip sul modo antico presentano le traccie di un’ arte recente: ma la statua , antica com* era nelle fattezz^. vi riscuote ancora il qulto dai Romani. E ciò è quanto abbiamo ricevuto sopra Tullio. Dopo di lui prese la siguoria di Roma Laicìo Tar^illnio non gi^ fecondo le log^ ma colle armi nel- r anno quarto dell* olimpiade sessantesima prima nella quale vinse nello stadio Agatarco , essendo arconte di Atene Tericleo (i). Cosmi spigando la popolar mol- titudine , spregiando i patria] da’ quali era stato con- dotto al trono, e confondendo e sconciando ogni co- stume- e legge e disciplina colla quale i re precedenti ave'ano dato forma a Roma; rivolse il governo in nna manifesta tirannide. E primieramente mise intorno a sé guardie di bravi , naaionali ed esteri , con spade e lan* ce, i quali vegliando di notte negli atrj della reggia , é scortandolo di giorno, ovnnqne ne andasse, lo scber» missero appieno dalle insidie.' Inoltre non usciva nè di continuo , né con periodo certo , ma di raro , e quando non aspettavasi. Deliberava su le cose comuni molto in sua casa , e poco nel F oro , in mezzo a’ parenti più stretti cbe lo guardavano. Non concedette che alcuno di quei che il volevano si presentasse a Ini se noi chiamava : e presentatoglisi , non era giè con esso , compiacevole e mite , ma grave ed aspro ' come un ti- ranno, e terrìbile ansi che gioviale a vedere. Definiva le controversie su’ contratti in conformità de’ costumi suoi , non delle leggi e del dritto. Per le quali cagioni i Romani lo denominaron superbo , ciocché nell’idioma nostro vuoi dire soperchiatore contrassegnando l’ avo col soprannome di Prisco, o come noi diremo antico per nascita, giacché quello aveva i nomi appunto del giovine. (i) NelP annp »e di Roma secondo Catone, a» seconde Vat- reus , e &3a avanti Cristo. Qaaado poi concepì di aver già consolidato il suo regno , concertandosene co’ più ribaldi de’ suoi ami> d, avviluppò tra accuse capitali i piò cospicui de’ cit- tadini ; e primieramente i contrari suoi , quei che già non^voleano che Tullio si levasse dal trono , e quindi altri li quali immaginavaseli malcontenti del cambia- mento , o li quali abbondassero di riccbezae. Coloro che in giudizio li riducevano, gli accusavano l’un dopo l’altro con delitti falsi, e con quello specialmente che tendevano insidie al re che ne era il giudice. Ed egli quali ne condannava alla morte , e quali all’ esilio: e confiscati i beni degU uccisi o banditi , dispensavane alcun poco tra gli accusatori , serbandone la piò gran parte per sè. Pertanto molli de’primar} vedendo le ca> gioni per le quali erano insidiati, lasciarono , prima di essere complicati in delitti, Roma tutta al Uranno. Vi furono pure alcuni sorpresi ed oppressi di furto da lui nelle case o ne’ campi : uomini ben degni di riguardo , ma non piò sen trovarono nemmeno i cadaveri. Di- Btrutla così la maggior parte del Senato con su*agi e con esilii perpetui la supplì con chiamare agli onori di quei che mancavano i propri amici: nè però concedette loro di fare o dire se non quanto egli avesse prescritto. Tanto che li senatori già scelti da Tullio , e superstiti ancora nel Senato , e contrarj fin’allora al popolo sul concetto che la mutazione tornerebbe in lor bene per le promesse avutene da Tarquinio ingannevoli e tradi- uici , vedendo infine che non aveano piò parte nelle pubbliche cose, anzi che aveano' come il popcdo per* dula la libertà ne sospiravano : ma temendo un avvenire ancor più tetribile , nè potendo impedire «pianto faceagi , chctaronsi necessariamente a’ mali presenti. Or vedendo il popolo dò , pensava che stesse lor bene , e godea sul «Hintraccambio , quasi là tt> rannida foste per essere 'grave a quelli soltanto e non pericolosa per lui ; quando non molto dopo ne vennero i mali ancora più su di esso : imperocché Tarquinio annullò tutte le leggi di Tallio per le quali il popolo rendeva ed esigeva il giusto con diritti eguali senza es> seme come prima sovverchiato da’ patria) ne’ contratti : né lasciò pur le tavole dove erano scritte , ma fattele levare dal Foro le distrusse. Poi tolse i daz) , propoiv zionevoli ai registri delle sostanze , tassandoli novamente sul modo antico. E se mai bisognavano a lui denari, Contribuivane il più ' povero quanto il più ricco. Or tale regolamento esaurì subito colla prima imposizione gran parte dei popolo; essendo astretti a pagare dieci dramme a testa. Intimò 'che non più si facessero quei concor» , quanti sen facevano per villaggi, per curie', o per vicinati , a Roma , o nella campagna in occasione di feste o sagri6zj comuni , perchè riuneudovisi molti non vi macchinassero occultamente fra loro di abbattere il principato. Ci aveano qua e là disseminati , ignoti osservatori e spie dei detti e de’ fatti , e questi intra punto contro il governo scandagliavano gli animi: e se scoprivano alcuno esasperato da’ mali introdotti lo in- (xilpavano presso del tiranno: ed aspre» irreparabili ne erano le pene , se restava convinto. Né gli bastò di abusate m tal modo' del popolo : ma raccogliendo dal meazo di esso quanti ci area 6di e proprj per la gnerra , astrinse gli altri a lavorare in città, riputando che i re moltinimo pericolano, ae i più scellerati e poveri stieno oziosi. E desiderando vi- vamente che si ultimassero nel suo regno le opere la- sciate imperfètte dall’ avo suo, che si continuassero; fino al fiume le cloache cominciate da quello e si circondasse di portici coperti il Circo Massimo il quale -non aveane che le gradinate; si applicarono a questo lavoro; e ne i ottennero parco frumento i poveri , altri tagliandone i materiali, altri guidando i carri che li trasportavano, ed altri portando su le spalle i pesi. Chi scavava sotterra- nei canali e largure : chi facea volte in essi ; e chi sn. Tarquinio perché aveasi scelto Mamilio per genero e non lui , fece uda lunga accusa di Tarquinio nmne- randone le op^re di orgoglio e di soperchieria , come il nou essere venuto in consiglio, dove eran già tutti, e dove gli aveva esso • stesso invitati. Difendealo Ma- roilio , imputando l’ indugio a cause urgenti^ime, e chie- dea che diiferissero ; e differirono il consiglio al prossi- mo giorno , indotti dai suo parlare i Latini. (t) Livio nel lib. i dice che era della Aiceia : Tur /mi Herdo- »iui ai Arida. Forte la gran vicinanta di Coriolo e dell'.tfr(cM Ccce prender l’nna per l’altro. Coriolo era fra i terrìtorj Amiate, Ardcatinp , ed Aricino , tal monte Giov». toJOttlQGiunto nel giorno appresso Tarquinio , e con- gregato il consiglio , e toccato di volo l’ ittjiagio suo ^ fecesi a discorrere della preminenea che a lui cecnpe-* teva come posseduta già dall’avo per la forza delle armi; e presentò gli accordi delle città fatti ctm quello. Lungo fu il suo ragionamento intorno dei diritti -e def patti; e grandi le premesse di beneficare le città se amiche gli si tenessero , e provocavale infine a far guerra con esso ai Sabini. Come dié fine al dir suo. Turno recatosi in- nanzi accusava la tardanza di lui, nè permetteva che li compagni gli cedessero il principato, perchè nè dovuto a lui per giustizia , nè possibile a darsegli con utile dei Latini. E molto ragionò su l’nna e su l’altra cosa dicendo che i patti che avean segnati ccfll’avo suo quando gli ac- cordarono la sovranità finirono colla sua morte, per non essere scritto in quelli che il dono esienderebbesi anche ai posteri suoi. E qui dimostrava eh' egli chè pretendeva succedere ai diritti dell’avo, era il più ingiusto, e mal- vagio ' de’ mortali : e ne allegava le opere da lui latte per aversi il comando di Roma. Adunque scorrende^ i tremendi e molti suoi delitti , conchiuse infine che egli non tenea legittimamente nemmeno Roma, non aven- dola come i re precedenti ricevuta da’sudditi spontanei.; Egli t lui presa , disse , colla violenza e ' colle armi: & fondatavi la tirannide , uccide , esilia, confisca , e tò- glievi fin la libertà di parlare, non che quella del vi~ vere. Ben sarebbe grande la stoltezza, grande la in- giuria inverso gli Iddj ripwmetlersi mai tratti umani e benevoli da un empio e da uno scellerato , e cre- dere che chi non ha perdonato nemmeno agi intimi Digilized by Googl LIBRO IV. 67 ruoi j nemmeno al suo sangue , risparmi poi gli altri. Esorlavali dunqne giacché noa eransi ancora sottoposti al giogo , a combatto^ per non sottoporvisi. Da ciò che pativano gli altri di terribile argomentassero ciocché sa* rdibero essi per sopportare. Vaiatosi Turno di questo discorso, ed assai commossine i più; Tarqainio dimandò per difendersene il giorno seguente , e lo ebbe. E sciolto appena il con- siglio ; convocati i suoi più intimi , esaminò con essi ciocch’ era utile a farsi. £ quali suggerivano le ruposte di apologia , quali ragionavano fra loro de’ mezzi onde era da blandirsi la moltitudine. Soggiunse Tarquinio che niente di ciò bisognava, e disse il parer suo di le* vare l’accusatore , anziché di purgarsi dalle accuse. E lo« datone da tutti e concertatosi con essi; pigliò tali vie per l’intento, quali non sarebbero cadute in mente di uomo che macchina o si difende. Imperciocché cercati U servi più rei che menavano i giumenti o curavano le robbe di Turno , e corrottili con argento , gl’ indusse a prendere da sé stesso nella notte assai spade e portarle nell’ ospizio del padrone e nasconderle , e lasciargliele tra le bagaglio. Poi nel giorno appresso , riunitosi il consiglio, e venutovi : Breve è , disse , topologia su le mie colpe , e giudice ne stabilisco t accusatore mede^ simo. Questo Turno , o compagni , giudice stabilito delle reitadi che ora mi ascrive , questo da tutte as- solveami già, quando chiese in isposa la mia figlia. Ma poiché ne fu rigettato , com' era ben giusto ( im- perocché qual savio mai rispinto avrebbe Mamilio, un si nobile , un sì potente Latino , e prescelto avrebbe per genero costui, che mal può delincar la sua stirpe, fino al trisavolo ? ) poiché ne fu rigettato, indispetti- tone mi assalisce colle accuse. Doveva , se per tale mi conoscea qual mi accusa, non desiderarmi per suo- cero : o se mi tenea per onesto quando mi chiese ‘la figlia, non doveami ora come un ribaldo accusare. E ciò basti su mei perciocché non si debbe ora più discutere se buono o malvagio io mi sia , quando voi, o compagni , voi correte il più grave de’pericoli. E. su me potete aruor dopo chiarirvi : ben ora dee colla sal- vezza vostra la libertà provvedersi della patria. 1 pri- marj delle città , quei che ne maneggiano il pubblico, tutti sono insidiati da questo bel capo-popolo, il quale apparecchiasi , uccidendo i più cospicui, torsi il regno del Lazio. E questo , questo é il fine che qua lo menava. Né già io parlo immaginando , ma di pienis- sima scienza , datami nella notte andata da uno dei complici della congiura. E se voi vorrete meco alt ospi- zio di costui venire, io ven darò documento infallibile del dir mio, le armi che vi occxdla. Or lui cosi parlando sciamarono tutti, e chie> sero , temendo per sè , che certificasse il fatto , . non gK illudesse. E Torno, come lui che non avea preveduto le insidie, disse che volentieri ricevea la inquisizione, e chiamò li primarj per compierla , aggiungendo che se- guirebbe l’una delle due, o che egli morirebbe se il trovassero con apparecchio di altre arme che pel viag- gio , o che le pene sue subirebbe chi lo calunniava. Cosi piacque ; ed andarono e trovarono nelf albergo cU liti tra le bagaglie le spade na$costevi da’ servi. ÀUora Dòn lasciando nemmen che parlasse gillarono Turno in UDS voragine , e coprendolo , vivo ancora , di terra lo aterminaron sul fatto. Ed encomiando nell’adunanza Tar> quinio come benefattore comune delle città, perchè ne àvea salvalo gli ottimati , lo crearono capo della nazione co’ diritti appunto co’ quali ne aveano già creato Tarqui« nio r avolo suo , e poi Tullio. Scrissero in su colonne que’ patti , e datosene il giuramento per la osservanza , si congedarono. Tarquinio divenuto capo de’ Latini spedì mes- saggeri alle città degli Eroici e de’ Yolsci invitandoli a far seco amicizia ed alleanza. Ma de’ Volaci due sole cittadi Echetra, ed Anzio secondarono l’ invito ; laddove gli Eroici si decisero tutti per 1’ alleanza. Ora curando Tarquinio che gli accordi colle città si conservassero in ogni volger di tempo ; deliberò fissare un tempio co- mune ai Romani , ai Latini , agli Eroici ed ai Volaci confederatisi, perchè riunendosi ogni anno al luogo de- stinato vi mercantassero , e banchettassero , partecipando de’sagrifizj medesimi. Ed ascolundone tutti con piacere la idea , scelse quanto era possibile in mezzo de’ popoli per luogo della riunione il monte sublime , il quale so- vrasta alla città di Alba : e dichiarò per legge che in questo fbsser le fiere, in questo fosse triegua di tutti in verso di tutti , e conviti si facessero e sacrifizi co- muni a Giove detto Laziale , prescrivendo quanta parte dovesse ogni città contribuire per essi , e quanta rice- verne. QuaranUsette furono le città compartecipi delle feste e de’ sacrifizj ; e tali sagrifizj e tali feste le conti* nuano ancoc di presente i Romani che Laiine le chiamaoo. I^e città compagne nel sagrificare portano agnelli^' o cacio , o latte , o tal’ altra oblazione in fratti e fari- ne. Immolandosi però da tutte un sol toro, ciascuna prendeane per sè la parte stabilitale. Il sagnfizio è per tutti , ma presiedono al rito santo i Romani. ^ L. Poi cb’ ebbe rassodato il regno con tali confedera- zioni ; risolvè di porure Tarmata contro i Sabini. E re- clutando de’ Romani quei che men sospettava che fareb- bonsi liberi se otteuevau le armi, e conginngendo con essi truppe alleate, più numerose ancora delle* sue , de- vastò le campagne Sabine : e vintivi quei che vennero con esso a battaglia ; menò l’esercito contro de’ Pomen- tini. Abitavano questi la città di Sessa e pareano i più felici de’ conBnanti, anzi per la felicità molesti e gravi a tutti. Avendo egli già reclamato ad essi per alquante rapine e prede , e richiestili che dessero de’ compensi , non aveano dato che orgogliose risposte: e quindi po- stisi in arme aspettavano pronti la guerra. Adunque ve- nuto con essi in sul conBne alle mani , ed uccisine molti ; ne respinse e rinchiuse gli altri fra le mura : e poiché non più ne riuscivano , accampatosi dirimpetto , li circondò di fossa e vallo , investendo la città con as- salti continui. Resisterono quei che v’erano dentro, durando assai tempo fra stenti luttuosi. Ma poi venendo ad essi meno ogni mezzo , infiacchendo ne’ corpi , e non ricevendo soccorsi , nè requie mai , anzi travagliando di e notte ; furono sopraffatti dalia forza. Impadronitosi della città trucidò quanti vi stavan colle amie: lasciò che i soldati rapissero donne , fanciulli , quanti sop- portavano di cader prigionieri , e moltitudine non facile a calcolarsi di servi : e concedè' che invadessero e si portassero qnant’ altro veniva loro ' alle mani sia nella città , sia per la campagna : ma 1’ oro e l’argento, quanto se ne trovò , lo fe’ tutto rammassare in un luogo , e de- cimatolo per la fondazione del tempio , ne divise il re- sto fra le milizie. Tanta poi ne fu la somma che ogni soldato rioevè cinque mine di argento e la decima per gr iddj non fu minore di quattrocento talenti di ar' gento. LI. Ancora egli stavasi a Sessa quando gli giunse un messaggio , eh' era uscita la gioventù horentissiroa dei Sabini: che gettatasi in dne corpi nelle terre de’ Ro- mani devastavano le campagne , l’ uno tenendosi presso di Ereto , e 1’ altro presso di Fidene : e che se una forza non le si opponesse, ben tosto tutto soccombe- rebbe. G>m’ ebbe ciò udito lasciò picciola parte dell’eser- cito in Sessa con ordine che vi guardasse le prede e bagaglie : e prendendo con sé il resto della milizia , spedita e leggera , e marciando contro quei che erano accampati presso di Ereto, si trincerò su le alture a pic- ciolo intervallo da essi. Decisero i due Sabini dar la bat- taglia in sul mattino; e spedirono perchè venisse l’eser- cito ancor di Fidene. Ma scuoprl Tarquinio il disegno per essere stato preso chi portava le lettere dagli uni agli altri. Per tal successo ei si valse di questo accorgi- mento. Divise r esercito in due parti , e ne mandò l’ una fra la notte di nascosto de’ nemici su la via che viene da Fidene , e schierando l’ altra in sul brillare del gior- no , la menò dagli alloggiamenti alla battaglia. Corag- giosi gli uscirono incontro i Sabini non vedendo gran serie de' nemici , e credendo non altro mancare aliare mata di Fidene , se non di gingnere. Coti venutisi que-> sti a fronte combatterono , e la pugna pendè gran tempo dubbiosa, quando li soldati spediti nella notte da Tar— quinio ripiegarono la marcia , e correvano a tergo dei Sabini. Sbalordirono questi al vederli , e ravvisarli dalle insegne e dalle armi , e gettando le proprie» tentarono di salvarsi : ma il tentativo rìnsd difHcilissimo , essendo essi circondati da’ nemici e rinchiusi dalia* cavalleria dei Romani postata d' ogn intorno. Pertanto pdchi ne scam- parono e tra duri casi : i più ne perirono , o cederono. Quelli eh’ erano lasciad agli alloggiamenti non li sosten- nero ; e quel luogo di sicurezza fu invaso al primo as- salto. Furono qui prese le robbe de’Sabini, e qui molti de* prigionieri , e qui le robbe de’ Romani quante ne erano intatte, e tutto fìi salvato per chi le aveva perdute; LIL Riuscito il primo saggio a Tarquinio secondo il cuor suo , prese 1’ esercito, e ne andò contro i Sabini accampati giù in Fidene, a’ quali non era ancor nota la disfatta dei loro. Usciti questi dagli steccati erano per avventura tra via: ma non si tosto furono più da vicino e videro le teste de’loro capitani confitte alle aste ( che ve le aveano i Romani confitte ed ostentavanle per ispa- ventare i nemici); conoscendo com’era l’altro lor campo distrutto , più non tentarono nulla di generoso , ma ri- voltisi alle suppliche ed alle umiliazioni si resero. Cosi devastati miseramente , e vituperosamente nell’ uno e nell’ altro esercito , e ridotti i Sabini a speranze tenuis- sime , anzi timorosi che fossero le loro città pigliate di assalto ; spedirono ambasciadori per la pace., profierendosi per sudditi e tributar). Pertauto lasciò la guerra, e ricevute appunto «>a tali coudizioni le loro città , si ri- condusse a Sessa ; e ritiratene le milizie lasciatevi , e le prede ed ogni bagaglio , tornossene a Roma coll’ eser- cito carico di ricchezze. Poscia fe’ molte incursioni su le terre de’ Yolsci, quando con tutte le forze, e quando con parte , ne ottenne gran prede. Ma riuscitegli per lo più le cose a voler suo ; gli si eccitò una guerra coi con&nanti* ben lunga pel tempo , giacché durò sette anni continui , e ben grande pe’ casi inaspettati e terribili. Ora io dirò brevemente le cagioni per le quali nacque, e qual ne fu 1’ esito , essendo stata terminata per in- ganni e per stratagemmi non preveduti. LUI. Una città , Latina di gente , e colonia già degli Albani, lontana cento stadj da Roma ( Gabio ne era il nome) sorgeva in su la via che mena a Palestrina. Città popolosa allora e grande qnant’ altre , ora non tutta si abita , ma solo presso la strada per uso degli alloggi. E ben può raccoglierne la grandezza e la ma- gnificenza , chi mira le rovine in più luoghi delle case ed il giro delle, mora , che in gran parte esistono an- cora. Eransi qua concentrati alquanti involatisi da Sessa, quando fu presa da Tarquinio , e molti fhggiti da Ro- ma. Or questi supplicavano e pressavano quei di Gabio a prendere vendetta di loro , promettendo gran doni se ai beni proprj tornassero ; e dimostrando possibile e fa- cile la distruzione del tiranno. Adunque ve gl’indossero sul riflesso che in Roma a ciò coopererebbero , e che lì Volsci erano ad altrettanto animati; giacché mandate aveano delle ambascerie, bisognosi anch’essi di ajutO’ per imprendere la guerra contro di Tarquinio. Si fe^ cero dopo questo irruzioni con eserciti poderósi , fi scorrerie su 1’ altrui territorio e battaglie , com’ è Veri»» simile, ora di pochi con pochi, ora di tutti contro di tutti: e quando i Gal^, respinti fino alle porte i Ro- mani, ed uccidendone diedero intrepidamente il guasto ai lor campi ; e quando i Romani incalzando i Gabj e rinchiudendoli nella loro città , • sen portavano schiavi , e preda copiosa. . • . • . LIV. Or ciò facendosi di continuo, fu l’una e l’altra parte costretta a cinger di mura, e presidiare i luoghi forti delle proprie terre in ricovero de’ contadini. Di là prorompevano su’ predatori , e scendendo folti , stra- ziavano , se ne vedeano , i piccoli corpi staccati dal resto dell’ esercito , o li disordinati per poca apprensìon de’ nimici , come accade nei pascere. Similmente te- mendo r una parte gli assalti improvvisi dell’ altra fu costretta a munire dì fosse e di muri le città facili a scalarsi ed a prendersi. Adoperavasi in ciò principal- mente Tarquinio : e rassicurò con molte fortificazioni il tratto intorno la porta la quale menava a Gabio , sca- vandovi fosse più larghe , elevandone più alte le mura , e coronandole di torri più spesse : imperocché la città sembrava in tal canto men solida , quando era nel resto dei suo circuito sicura abbastanza, nè facile da inva- derla. Se non che si fece in ambedue le città penuria di ogni vettovaglia , e costernazione gravissima per l’av- venire , essendo le campagne diserte per le incursioni incessanti de’ nemici , né più somministrando de’ frutti come accade a’ popoli avvolti in guerre diuturne. 11 disagio però’ stringeva i Romani più che i Gabj ; tanto che U poveri infra quelli, angustiatine più che gli al- tri , giudicavano essere da venire a trattati, e far pace comunque coi Gabj , se la volessero. LV. Or dolendoti Tarquinio altamente de* successi , e non sofierendo di' deporre obbrobriosamente le armi^ nè polendo altronde resistere più inmmzi ; volgevasi a tutte le prove , a tutti gl’ inganni. Quando il figlio più grande ( Sesto ne era il nome (i) ) scoperse al padre un suo disegno. Egli parea mettersi ad impresa audace quanto pericolosa ; pur non essendo impossibile , con- cedettegli il padre che operasse di voler suo. Sesto dun- que ‘fintosi in discordia col padre per voglia di por fine alla guerra : ne fu battuto colle verghe nei F oro , e con altri modi oltraggiato ; tanto che se ne sparse in- torno la fama. E su le prime inviò come profughi i suoi più fidi perchè dicessero occultamente ai Gabj che egli deliberava far guerra al padre , e che ne anderebbe tra loro se gli desser parola di proteggerlo come gli altri refugiaii Romani , senza renderlo ai padre per isperanza di finir col suo danno le proprie nimicizie. Udirono con diletto quei di Gabio il discorso , e con- cordandosi di non offenderlo , egli venne , e con lui molti compagni e clienti come fuggitivi; e per meglio (i) Tito Lirio dà questo nome e' questa impresa al figlio minore : ma il disparere col padre e l’ incarico assunto pare più yerisimile in chi area più diritto di succedere ad un regno . direnuLo assolu- to, e tale era il figlio maggiore. Pertanto il racconto di Uiouigi sembra più naturale, qualunque fosse il nome del finto rilielle. Vedi S 65 di questo 'libro. accreditare la ribellione sua dal padre portò seco molto di argento e di oro. Dopo ciò sotto velo di fuggir lar tirannide molti a lui confluirono ; tanto che ornai glie n’ era intorno un corpo ben forte. Concepivano quei di Gabio che avrebbono grande incremento dal giu- gnere di tanti ad essi , e lusingavansi che tra non molto .avrebbono suddita Roma, illusi ancor più dalle opere di quel ribelle , il quale scorrendo di continuo la cam* pagna , raccoglievane prede ubertose. Ed il padre ap- punto, risapendo prima in quai luoghi il figlio verreb- be , ubertose glie le apprestava , e senza guardia se noa di scelti cittadini che egli v’ inviava come a lui sospetti per farli distruggere. Su tali significazioni molti creden- dolo amico fido , e buon capitano , e molti arrenden- dosi all' oro suo ; lo inalzarono al comando supremo delle milizie. Sesto divenuto per frodi e per illusioni T ar- bitrò di un tanto potere spedi , senza che i Gabj se ne avvedessero , un tale de’ servi suoi per dichiarare al pa- dre r autorità che avea preso , e per udirne ciocch’era da fare. Tarquinio volendo che il servo non intendesse ciocché ordinava al figlio di fare , venne ( e conducea seco il messo ) al giardino , congiunto al regio palagio. Aveaci là de’ papaveri nati spontaneamente , già pieni di frutto , e maturi per la raccolta. Or tra que’ papa- veri aggirandosi e dando co’ bastoni in su le tòste de’ più alti , abbattevali. Congedò ciò fatto il messaggiCro niente rispondendogli , quantunque interrogato ne fosse più volte. Egli imitava per quanto a me sembra la prudenza di Trasibulo Milesio. Imperocché chiesto da Periandro, allora tiranno di Corinto , per via di un messaggiero , con quali modi possederebbe più saldamente il coman- do, non rispose pur sillaba , ma fatto cenno all’ inviato die lo seguitasse, il. condusse in un campo di biade, ed ivi percosse le spiche più eminenti , le atterrò ; signiBcaudo che. cosi dovea pur egli troncare , e di- smettere i -primi delle città. Or facendo Tarquinio al- lora somigliantemente. Sesto ne intese le mire, e co- me ordinavagli di por giù li più insigni di Gabio. E convocò la moltitudine , e le tenne un lungo ragiona- mento su questo, ehe egli ricorso cogli amici alla, lor buona fede , rischiava ornai di esser preso da alcuni, e dato al padre: ma che era pronto a deporre il co^ mando, an^i che Lucerebbe la città prima di cadere in tanto infortunio ; e qui lagrimava e deplorava la sorte sua , come quelli che di cuore si dolgouo su’mali estremi. , Lyil. Irritatane la moltitudine, e ricercando sollecita quali mai fossero per , tradirlo , esso nomina Antisiio Petrone, il personaggio più distinto di Gabio. Egli erane il più insigne divenuto pe* molti belli suoi rego- lamenti in pace, e pe’ molti capitanati in campo eser- citati. Reclamando intanto quest’ uomo , ed offerendosi come Hbero da’ rimorsi ad ogni esame , disse 1’ altro che volea che se ne investigasse la casa: e che vi manderebbe perciò degli amici: egli intanto aspet- tasse TtelP adunanza finché ritornassero. Imperocché già era Sesto riuscito a corrompere con argento alquanti servi di lui perché prendessero e ponessero in sua casa lettere contrassegnate co’ sigilli paterni, e macchinate in Digiiìzed by Google --8 DELLE Antichità’ romane rovina di Pelrone. Or come gl’ inviali alla indagine (che non aveala Pelrone contradetla ma concednla) vi rinvennero le carie occulutevi, tornarono recando al- l’adunanza molte lettere indicatrici , e quella scritta ad Anlistio; e dicendo Sesto che vi riconosceva il sigillo del padre la sciolse; e la diede allo scriba perchè la recitasse. Scriveasi in questa che gli consegnasse il fi- glio , vivo principalmente ; o se ciò non poteasi , almeno glie ne mandasse la testa recisa. Diceva, che darebbe ad esso ed d complici , oltre le taglie promesse già pri- ma , la cittadinanza di Roma : che gli ascriverebbe tutti frd patrizj ^ ed aggiungerebbe case e poderi e doni, grandi e copiosi. Arsero dallo sdegno i Gibinj ; dialordtva Antistio dalla sciagura impensata , mancando-* gli fin la voce: ma quelli co’ sassi lo tempestano e lo uccidono ; lasciando a Sesto la cura di far la ricerca e la vendetta su gli altri, compartecipi in ciò di Petrone. E Sesto fidando le porte agli amici suoi perchè gl’ in- colpali non s’ involassero mandò per le mise- più illa- stri , e vi uccise molli de’ valentuomini. Intanto che ciò faceasi ed era in Gahio tuiv- bolenza pe’ sì gran mali ; Tarquinio avvertitone per lettere vi marciò coll’ esercito , e giunto prima della mezza notte ed apertegli le porte da ■ uomini posti ad arte per questo , ed entratele ; s’ impadronì senza stento della città. Come il male fu ravvisato , deploravano tutti sè stessi , e le stragi , e la schiavitù che patirebbono, e temeano insieme gli orrori , quanti ne vengono su por poli sorpresi da’ tiranni. Quando pur li trattasse mitis- simameute ; immaginavansi la perdita della libertà , e de’ beni , e cose altrettali. Pure Tarquinio sebbene scel- lerato, sebbene implacabile in punir gl’ inimici non fe’ ntilla di ciò che aspettavano e temevano ; nè uccise , nè liandl , nè disonorò , nè multò persona ninna di Ga- bio. Ma convocando la moltitudine, e prendendo regie maniere in luogo delle tiranniche sue , disse che re- stituiva la propria città ; che concedeva ad essa i lor beni; e che donava inoltre a tutti cittadinanza quale appunto r avevano i Romani : non già che ciò facesse per benevolenza inverso de’ Gabj ; ma per consolidare a sè con essi .la signoria su’ Romani; pensando che di- verrebbe presidio stabi^imo per sè e pe’ figli la fe- deltà di un popolo che fuori di ogni speranza era salvo, e ricuperava tutti i suoi beni. E perchè non più temessero per 1’ avvenire nè dubitassero se stabili sareb- .bero. tali parole ; scrisse le condizioni colle quali sareb- bero* amici,' e le giurò subito nell’ adunanza , e poi toccando gli altari e le vittime. Monumento di quest’al- leanza esiste in Roma nel tempio di Giove Fidio, chia- mato Sango da’.Ròmani , uno scudo circondato colla pelle del bue sagrlGcato allora appunto per compierne il giuramento , su la quale scritte ne sono con antichi caratteri le condizioni. Ciò fatto , e dichiarato Sesto re di Gabio, ritirò le milizie; e tal fine ebbe la guerra con quella città. Dopo ciò Tarquinio dando requie al popolo dalle cose militari e dalle battaglie; si mise alla ere- zione de’ templi, desideroso di compiere i voti dell’avo. Erasi questi nell’ ultima guerra co’ Sabini votato a Gio- ve , a Giunone , a Minerva di fondare ad essi de’ tempii se vincesse. E già , come fu detto nel libro prece» dente , avea con grandi ripari e con terra|)ieni accori» data l’altura ove destinava di erigerli; ma non potè' poi compierne la impresa. Deliberatosi Tarcpilnio di ultimarla colle decime delle spoglie raccolte in Sessa posevi a lavorare tutti gli artefici. Or qui narrasi che. accadesse un meraviglioso portento sotterra , doè che scavandosi per le fondamenta , e che già molto essendo gli scavi profondati , si rinvenisse la testa di un uomo ucciso come di recente, con faccia simile a quella dei vivi , stillandone ancora dalla ferita un sangue tepido e fresco. In vista di tale prodigioi^arquinio comandò gli opera) che sospendessero lo scavo : e convocando gli indovini della patria dimandò che mai dir volesse quel segno. Ma non rispondendone , anzi dando' essi la scienza di tali cose ai Tirreni , ricercò da loro e seppe qual fosse fra’ Tirreni l’ interprete più famoso de’ por» tenti ; ed a questo inviò messaggieri i più pregievoli cittadini. Giunti i valentuomini alia casa dell’ augure , si le loro incontra un giovinetto a cui dissero di essere ambasciatori di Roma , vogliosi di consultare il vate , e pregavano che a lui li presentasse. Il giovine allora : Colui, disse, che ricercate, è mio padre: egli è di presente occupato : ma presto a lui passerete. Ora intanto che lo aspettate , ditemi perchè mai ne venite. Così voi se mai per imperizia foste per ishagliar la dimanda; istruiti da me non errerete. E le giuste interrogazioni non sono già la minima cosa nell arte de’ vaticini . Or piacque a coloro di secondarlo, e sveUrono a lui quel portento. Ckime il giovine gli ebbe ndiù , sopraslando breve tempo , ascoltate , disse o Bo- ntani. Il mio padre ve lo interpreterà tal prodigio , e senza menzogne ; che certo ad un vMe non si con- vengono. Ma perchè neppur voi erriate , nè mentiate su le cose che direte o risponderete ; apprendete da me questo > che assai rileva che vel sappiate. Quando esposta gli avrete la meraviglia ; ei soggiungendo di non intendere appieno ciò che vi dite , descriverà colla verga quanto un picciolo tratto di terra , e poi vi dirà : seco la svrs tarsìa qvzsta nè la partx CMS GUARDA l' ORISNTS , quSSTA CBS L OCCASO: QUS- STA È LA PARTS SOREALS , QUSSTA LA OPPOSTA. Ed indicandole intanto colla verga vi chiederà da qual canto fu tiltvenuta la testa. Or che vi esorto io che rispondiate ? appunto che non concediate che fosse trovata in alcuna delle parti eh' egli addita colla ver^ ga , e ve ri interroga , ma che in Eotna tra voi fu veduta su la rupe Tarpea. Se tali risposte serberete; se punto col dir suo non ve ne allontanate; allora egli ravvisando che il fato non può cangiarsi, vi sve- lerà , non vi occulterà quel prodigio che volete , che interpetri. LXL Ammaestrali in tal modo i legati , «piando il vate ne ebbe comodità , venne un tale che a lui li con- dusse , e parlarono del portento. Ora lui sofisticando , e descrivendo in terra circonferenze e linee rette, e facendo in ogni quadrante interrogazioni sul trovamento, non si turbarono punto di mente i legali , ma tennero la ridata , come aveala suggerita il 6glio dell’ indo- Tino, nominando sempre Roma e la rupe Tarpea , e pregando l’interprete che non travolgesse il segno, ma ne dicesse a proposito , e schiettissimamente. Cosi non potendo il vate nè illudere gli oratori , nè imbrogliarè r augurio , soggiunse ; Andate , annunziate o Romàni a vostri concittadini , portare il destino che il luògo dove avete il teschio trovato sia capitale di tutta l’I- talia. Dall’ ora in poi capitolino fu detto il luogo del travamento; capi chiamando i Romani le teste. Tai>i quinio udendo ciò da’ legati rimise gli opera] su'lavori; e molto fece del tempio, ma noi compiè, cadendo 'in breve dal regno. Roma alfine lo perfezionò nel terzo consolato. Fu basato il tempio su di una altura la quale aveva un circuito di otto plettri , ed ogni lato di esso apprassimavasi ai dugento piedi col picciolo divario nem- meno di quindici piedi interi tra la lunghezza e la la- titudine. Perciocché il tempio riedificato dopo l’incendio a’ tempi de’ nostri padri su’ fondamenti medesimi diffe- risce dall’ antico per la sola preziosità della materia. Dalla parte della facciata che guarda il mezzogiorno circondalo un ordine triplice . di colonne : ma doppio solamente è quell’ordine nei lati. Tre sono’ in uno i templi , e paralleli , e divisi da mura comuni. Sacro è quello di mezzo a Giove , e quindi è l’ altro . di Giu- none , e quinci di Minerva : ed un solo tetto , di un comignolo solo li ricopra. Questo tempio terminara a Iriargolo : la cima del. triangolo in tutto il tetto ossia il colmo del letto è ciò che cbiamasi comì- gnolo. Uno de’ nostri lempj a tre narate sotto un tetto comune può foeilitare t’ intelligenza di questo luogo. Dicesi che nel regno di Tarquinio occorresse ai Romani un’ altra propizia e meravigliosa avventura sia per dono di un nume sia di un genio , la quale salvò la città non per poco tempo ma finché visse, più volte, da gravi mali. Una donna , nè già nazionale , venne al tiranno , vogliosa di vendergli nove libri di oracoli Si- bilini : ma ricusando Tarquinio comperarli al prezzo cei> catogli ; colei partita ne spiccò tre libri e li arse. Ri- porundo dopo alquanto i libri superstiti gli ofierl sul prezzo medesimo. Riputatane stolta , e derisane perchè di minori volumi n’esigea la somma appunto che non aveane potuto ricevere quando erano più; si ritirò nuo- vamente e bruciò metà dello scritto che rimaneva. Tornò quindi co’ tre libri ancor salvi, e chiese l’oro di prima. Attonito Tarquinio su i disegni della donna fece cercar gl’ indovini , e narrò 1’ evento, e dimandò ciò ch’era da fare. Or questi conoscendo da alquanti segni che ripu- diavasi un bene mandato dal cielo , e dichiarando che grande era la sciagura che non avesse comperato tutti i volumi ; comandò che si numerasse alla donna il valor dimandato, e che gli astanti prendesser gli oracoli. La donna che avea dato que’ libri , inculcò che si custodis- sero con diligenza , e sparve dagli uomini. Tarquinio creando tra’ cittadini i duumviri o due riguardevoli per-i aonaggi , e subordinando ad essi due ministri pubblici ; diè loro la’cura de’ libri : ma poi cucitolo io una otre bovina gettò nel mare Marco Acilio 1’ uno de’ due ri- gnardevoli perchè parea sfregiare la buona fede , ed era accusato di pai-ricidio da uno de’pubblici ministri. Dopo la cacciata dei re , fattasi la repubblica a sostenere gli Oracoli , nominò custodi loro, durante la vita, personaggi chiarissimi, liberi da ogni militare e civile incomben 2 a , consociando ad essi ancor altri pubblici uomini , senza i quali non poteano i primi consultare que’scritti. A dirla in breve , i Romani non guardano ninna cosa con tanto zelo non i poderi sacri , non i tempj , quanto le rispo- ste divine delle Sibille. Yalgonsi di queste i Romani quando il Senato sta per votare in tempo di civil sedi- zione , o di grave infortunio in guerra , o di portenti e grandi visioni , malagevoli ad intendersi , come avven- ne più volte. Fino alla guerra chiamata Marsica gli ora- coli posti in un’ ama marmorea ne’ sotterranei del tem- pio di Giove Capitolino furono custoditi dai decemviri. Ma braciandosi poi questo dopo 1’ olimpiade centesima settantesima terza sia per insidie , come pensano alcuni , sia per caso ; arsero colle votive cose del nume, anche i libri. C gli oracoli che ora si hanno , furono.' portati in Roma da più luoghi , quali dalle città d’ Italia, quali da Eritra dell’Asia, speditivi per decreto del Senato Com- missarj a trascriverli , e quali da altre città , trascrittivi da' privati. Ma sen trovano confusi co’ Sibillini anche aluri , come convincesi da que’ che acrostici si diman- dano. Io qui dico ciocché Terrenzio Varrone ha scritto nelle sue teologiche trattazioui. Avea Tarquinio operate queste cose in guerra ed in pace ; avea fondate due colonie , l’uja Cioè Segni, per caso , perché svernando ivi i suoi soldati aveansi il campo come una città ridotto ; e la seconda Circea-per disegno , perché ponessi nella campagna Pomentina , la più grande intorno del Lazio, e contigua col mare, in bel sito , alto discretamente , che sporge quasi penisola nel mare Tirreno ; ed abitato già com’ è fama da Circe la figlia del Sole : avea dato qnesle due colonie a due figli suoi che ne erano i fondatori, Circea ad Anmte, e Segni a Tito. Ma quando in niun modo temea del suo principato ; allora per la ingiuria fatta ad una donna da Sesto il suo primogenito , fu cacciato dai principato e da Roma. Àveano gl’ Iddj dato il segno della calamità futura della sua famiglia con molti augurj de’ quali qu^ sto, fu l’ultimo. Venute nella primavera delle aquile in un luogo adjacente alla reggia fecero il nido su di un’alta palma : mentre però teneano i figli ancor senza penne, volandovi in folla degli avoltoi disfecero il nido: ed uc« cisane la prole, e bezzicando e ferendo co’rostri e colle ali , respinsero dalla palma le aquile che tomavan dal pascolo. Vide Tarquinio l’augurio, e vegliava per istor- name se poteva il destino: ma non potè superarne la forza ; e perdette il regno , congiurando su lui li pa» trizj , e cooperandovi il popolo. Io tenterò dichiarar bre- vemente gli autori della congiura ; e come si fecero ad eseguirla. Guerreggiava Tarquinio colla città di Ardea sul pretesto che ricettava i fuggitivi da Roma, e mac- chinava di rimetterli in patria : ma in realtà perchè ne aspirava le ricchezze come di una delle città più felici d’ Italia. Ribbattendolo però gli Ardeatini generosamente, e prolungandosi l’assedio loro; stanchi quei del campo per la diuturnità della guerra e quei di Roma impotenti a più contribuirvi; si disposero a ribellarglisi , appena ve ne fosse un principio. Intanto Sesto il primogenito de’ figli di Tarquiaio spedito dal padre nella cittì chiamata Collazia per compiervi talune incombenze militari si al- loggiò presso il congiunto suo Lucio Tarquinio detto Collatino. Fabio delinea quest’uomo come figlio di Ege- rio, del quale ho sopra dichiarato ch’era figlio dei fra- tello di Tarquinio l’antico , re de’Romani. Da lui messo al governo di Collazia ne fu chiamato Collatino, la- sciandone la denominazione anche a’ posteri suoi. Io sono persuaso che questi era nipote ad Egerio se avea la eti conforme ai figli di Tarquinio , come Fabio ha scritto e molti con esso ; e la cronologia conferma tal mio concetto. In que’ giorni Collatino era nel campo. Adunque la moglie di esso, una Romana, figlia di Lu crezia riposava , e colla spada in mano vi penetrò, non sentito nemmeno da quelli che prossimi alla porta dor- mivano della camera. F attesi al letto , e svegliatasi la donna col giu- gnere delle insidie , e chiedendo chi fosse , colui svela il nome ; e comanda che taccia e resti nella camera , minacciando lei della vita, se tentava fuggire, o gri- dare. Cosi, sbalorditala, propose alla donna di scegliere .qual più le piacesse o lieta vita , o morte infame, ó'e t’ induci , disse , a compiacermi , io te farò mia spo~ sa y e tu regnenù meco , ora s.u la città che mio par- dre mi assegna, e dopo la morie del padre sii Ro- 'mani , sii, Latini, sii Tirreni e su quanti egli domi- na. Io, tu lo sai, primogenito de' suoi figli, io sarò t erede del regno , come à ben giusto. E quali beni inondano i re, de' quali' tutti sarai tu meco possedi- trice ; che giova che io qui ti additi, se tu ne sei pe- ritissima? Che se tenti resistermi per salvare la tua pudicizia , ucciderò te prima , poi scannando un dei servi porrovene a lato i cadaveri , e dirò che sorpresa avendoti in obbrobrio col servo, io vi punii tutti due per vendicare la ingiuria del mio congiunto ; tanto che turpe , ignominiosa sarà la tua fine, nè la morta Uia spoglia saià di sepolcro onorata nè di altre funebri cerimonie. Ora siccome assai minacciava , insisteva, giu> rava a^ ogni suo detto ; Lucrezia sbigottita di una morte infame venne nella necessità di cedere agli arbiirj amo- rosi di lui. Fattosi giorno; costui sazio della voglia scel- lerata e Ainesta , tornossene al campo : Lucrezia però corucciata per l’evento ascese quanto potè frettolosa in sul carro , e venne a Roma , cinta di lugubri vesti , ed occultandovi sotto il pugnale; non salutando , salutata, negl’ incontri , né rispondendo a chi voleva intendere de’ suoi mali , tutta cogitabonda , e mesta , e lagrimosa. Giunta a casa dal padre '( e ci aveano alquanti parenti ) ella prostratasi e stregasi ai ginocchi del padre vi sin- ghiozzò , ma senza parole : e sollevandola e stimolandola il padre a dire ciocché solTerto avesse: Padre, disse, ecco la supplichevole tuai se tremenda , se insanabile è tonta mia, padre la vendica: non trascurare Ut figlia tua, in- corsa in mali più gravi della morte. Stupitosi il padre, e con esso par gli altri , eccitavala a dire chi offesa 1’ a- vesse , e di qual modo. E colei ripigliava: Le udirai le mie ingiurie ; ma hrevissimamenle o padre: e solo or tu mi concedi questa grazia che prima te ne chie- do. Convoca gli amici , e i parenti che puoi , perché da me la odano, da me, non da altri la calamità che io patii. Quando tavrai conosciuta la terribile, la ver-, gognosa necessità ch’io sostenni; tu deciderai con essi la vendetta che dei per me fare e per te. Ma deh / non indugiarmi tu lungamente. Corsi all’ invito sollecito 'e premurosissimo i più riguardevoli nella casa com’ ella dimandava , narrò loro , pigliandolo dalle origini , tutto l’ evento. E qui abbracciandosi ai padre , e molto lui supplicando, e gli astanti e gl’Iddj, eli patri! lari che solleciti la scioglie»* sero dalla vita ; trasse il pugnale che celava sotto le ve* sti e, portandosene una piaga sui petto , 6no al cuore se lo internò. Clamore intanto e gemiti e femmineo tu- multo turbando tutta la casa ^ il padre avviatosene al corpo la circondava , la richiamava, la curava quasi po- tesse redimerla dalia ferita : ma colei tra le sue braccia palpitando e spirando Gai. Parve il caso agli astanti si terribile e si miserando che una fu la voce di tutti che era mille volte meglio morire per la libertà che patire ingiurie siffatte dai tiranni. Era tra questi Publio Vale- rio , discendente da uno de’ Sabini venuti con Tazio a Roma , uomo intraprendente e destro. Costai fu da loro spedito in campo perchè narrasse al marito di Lucrezia r evento , e perchè ribellassero , uniti , le milizie dal ti- ranno. Uscito appena dalle porte eccogli per avventura incontro Collatino il quale veniva dall* armata a Roma ignaro de’ mali che straziavano la sua casa ; e Lucio Giu- nio soprannominato Bnilò cioè stolido se tal nome ne interpetri con greche maniere. E poiché li Romani ad- ditano quest’ultimo come principalissimo nell’ abolir la tirannide; porta il pregio che preaccennisi brevemente chi , di qual sangue egli fosse , e come sortisse un tal nome . niente a lui consentaneo. Di costui fu padre Marco Giunio , prove- niente da uno di que’ che menarono con Enea la co- lonia , e distintissimo per la sua virtù tra’ Romani : fu la madre Tarquinia , figlia di Tarquinio 1’ antico. Egli ricevè la educazione , e tutta la coltura nazionale , nè la indole sua contrariavasi a niun de’ bei pregi. Dappoiché Tarquinio ebbe ucciso Tullio levò segretamente di mezzo con molti uomini probi anche il padre di lui non già pe’ delitti , ma per la ingordigia d’ invaderne le ric- chezze ereditate da pingue , antico patrimonio di fami- glia : levò similmente con esso il figlio primogenito di lui nel quale appariva non so che di generoso , e che sofferto non avrebbe invendicata la morte del padre. Bruto giovinetto ancora , -e privo in tutto del soccorso de’ parenti si rivolse al mezzo savissimo di fingersi , stolido divenuto. Dall’ ora in poi , finché non gli sem- brò di averne il buon tempo , ritenne le apparenze dello stolido ; e se n’ ebbe il soprannome , ma si liberò con questo dalle ire del tiranno , mentre tanti egregj uomini ne soccombetrano. Tarquinio trascurandone la demenza apparente e non vera , spogliatolo di tutti i beni paterni , e da- togli un tal poco pel vitto quotidiano, lo custodi presso di sé, come garzoncello orfano , e bisognoso di chi lo qurasse , e concedè che oo’ figli suoi conversasse ; nè già per onorarlo qual congiunto suo , come fingea tra’ pa- renti , ma perchè desse da ridere a’ propj figli, dicendo costui le mille frivole cose , e facendone le simili agli stolidi veramente. Anzi quando mandò li due figli Àronte e Tito per interrogare 1' oracolo di Delfo su la peste ( giacché nel regno suo proruppe una peste insolita su le vergini e su i fanciulli che in copia ne perivano , e più terribile ancora e men curabile su le gravide , che morte cadeano col proprio feto in su le vie ) quando io dico mandò questi per conoscere dal nume le cause del male e lo scampo, allora congiunse ancor lui co’ figli che gliel chiedeano perchè avessero intanto chi beffare e deridere. Giunti all’oracolo i giovani ed ascoltatolo su la causa ond’ erano inviati porsero sacri doni al nu- me, e lungamente risero di Bruto che avea consecrato ad Apollo una bacchetta di legno ; ma colui trapanatala tutta come una fistola aveaci offerto , senza che ninno ne sapesse , una verga di oro. Poi consultando essi il nume chi mai , portavano i destini, che divenisse re di Roma ;-^rispose che il primo che bacerehhe la madre. E non intendendo i giovani la mente dell’ oracolo concor- darono di baciare insieme la madre onde regnare in co- mune. Bruto però penetrato ciocché 1’ oracolo volea significare , non si tosto discese nell’ Italia , prostratosi , ne baciò la terra , giudicando questa la madre di tutti. £ tali SODO i fatti precedenti di quest’uomo. Come Bruto udi da Valerio i successi di Lo» eresia e la storia della morte di lei sollevando le mani al cielo disse: O Giove, o Dei tutti, quanti vegliate su la vita de’ mortali , è dunque giunto finalmente il tempo per aspettare il quale io contrafeci finora me stesso ? Fuole dunque il destino che Roma sia da me liberata e per me dalla insojfribil tirannide ? E ciò dicendo vassene sollecito in casa insieme con Collatino e Valerio. Entrata la quale, appena Collatino videvi Lucrezia stesa nel .mezzo, col padre allato, scoppiando in copi ge« miti la slringea , la baciava, la chiamava , e fra tanta sciagura uscito di mente tenea colla estinta il discorso, quasi fosse ancor viva. Or essendo lui tutto in pianto, e con esso il padre a vicenda, e tutta rimbombando la casa di lamenti e di gemiti; Bruto, rimirandoli disse: O Lucrezio , o Collatino, o voi tutti , parenti di que^ sta donna, beri avrete altra volta il tempo di piangerla. Ora ( e ciò deesi alla ingiuria presente ) pensiamo ^ come vendicarla. Egli sembrava dir giusto : adunque se* dendo soli fra sè , sgombrata immantinente ogni turba dimestica , esaminarono ciò ch’era da fare. Bruto comin- ciando il primo a dire sopra sestesso che la sua demenza non fu vera , qual parve a molti , ma simulata ; e sve- laudo le cause per le quali diedesi a fingerla , e giu- dicatone savbsimo infra tutti ; alfine , allegatene molte , ed acconcio ragioni , animò tutti al parer suo di cac- (t) Plinio sul fine del libro XV. scrive che Bruto baciò la terra di Delia , a non dall* Italia. dare Tarquinio e li figli da Roma. E vedmili ornai tatti consentanei, disse Che non era pià tempo di parole e promesse, ma di opere; e che egli imprenderebbela il primo se cosa alcuna fosse da imprendere. Ciò di- cendo , e stringendo il pugnale con cui la donna fini sestessa , e venuto al cadavere di lei , che giaceva an- cora spettacolo compassionevole a tutti , giurò su Marte, e su gli altri Dei Che farebbe tutto , quanto potea , per abbattere la tirannide di Tarquinio , che non pià si riconcilierebbe co' lii'anni , nè permetterebbe che altri si riconciliasse con essi: ma terrebbe per nimico, chiunque non volesse fare altrettanto ; e perseguite-^ rebbe fino alla morte la tirannide e li partigiani di essa. Che se mancava a quel giuramento , imprecava per sè e pe’ figli un termine della vita , quale il ter- mine fu della donna. Ciò detto invitò pur gli altri a simile giura- mento : e quelli, niente esitandone, levaronsi, e dandosi a mano a mano il pfignale giurarono , ed investigarono poi qual fosse la maniera di dar principio all’ impresa. Bruto cosi consigliò : Primieramente poniam le guardie alle porte , perchè Tarquinio non penetri niente di ciò che in Roma si dice o si opera contro la tirannide , innanzi che noi siamo ben preparati. Quindi portando il cadavere della donna , lordo comi è di sangue , nel Foro, ed esponendovelo, chiamiamovi a parlemento il popolo. E quando siavisi congregalo, quando ne vedremo già piena ( adunanza; allora Lucrezio e Collatino pre- sentandosi narrino H orribile caso , e deplorino la loro sciagura ; poi qualunque altro facciasi innanzi ed oc- f)3 ousi la ^tirannide , e provochi li cittadini a liberarsene. Oh! come avran caro di veder noi patrizj insorgere i primi perla libertà. Stanchi del Tiranno , e de’ molti e terribili mali che ne han sofferto , non abbisognano die St un primo impulso appena. Quando vedremo la moltitudine in furia per togliere la monarchia ; far- remo c^ risolva co' voti, che Tarquinio non dee più regnare su Roma , e solleciti ne spediremo il decreto in campo all' esercita- Ivi quando coloro che han tarmi conosceranno che tutta si è la città ribellata da Tar- quinio , infiammeransi per la libertà della patria , in- sensibili a tutti i doni del tiranno , essi che non più reggono agli affronti de' f gli , e degli adulatori del perfido. Or avendo lui cosi detto soggiunse Valerio: Tu mi sembri o Giunio che abbi giustamente parlato su le altre cose ; ma quanto ai comizj vorrei da te sor pere chi li potrà convocare legittimamente, e chi dare alle curie i voti; essendo questo offizio de' magistrati, e niun di noi trovandosi magistrato. Ripigliando allora Giunio : o Valerio, io, gridò, sono tale; imperocché sono il tribuno de Celeri , e per legge mi è dato d inti- mare quando voglio le adunanze. Tarquinio dava tal massimo incoi ico , a me come stolido , e che appresa non ne avrei la potenza , o che se appresa V avessi , non saprei prevalermene. Ma io mi son quegli che il primo arringherò contro del tiranno. Detto ciò lo applaudivano tutti come lui che prendeva le mosse da principio legittimo e buono ; e lo pressavano a dirne anche il seguito ; ed egli disse : E poiché ci piace far questo , vediamo ancora qual ma- Digitized by Google J)4 delle antichità* romane gistrato , e da chi mai crealo, debba reggerci dopo Ut espulsione dei re : anzi vediamo qual Jorma daremo allo Stato f liberi dalla tirannide ; imperciocché prima ài accingersi ad opera siffatta vai meglio di avere de» liberata ogni cosa , anzi che se ne lasci alcuna non discussa , né premeditata. Ora dica ciascuri di voi su tali cose ciocché ne pensa. Dopo ciò si tennero molti discorsi e da molti. Chi numerando i gran beni fatti da tutti i re precedenti , amava che si riordinasse la regia dominazione; e chi ricordando le tiranniche ingiustizie di altri e di Tarquinio finalmente su’ proprj cittadini , non voleva il Comune sotto di un solo , ma che piuttosto arbitro se ne dichiarasse il Senato come in molte delle greche città : varj però non anteponeano nè 1’ uno né r altro , ma consigliavano che si fondasse un governo popolare , conne in Atene , esponendo le ingiurie , le . avanìe de’ pochi ^ e le sedizioni de’ miseri contro de’ po- tenti, e dichiarando che in città libera il comando più sicuro e più degno è quello delle leggi , eguali per tutti. Ma sembrando a tutti malagevole ed arduo il giudizio su la scelta pe’ mali che sieguono da ogni governo ; alfine Bruto , ripigliando disse : O Lucrezio, o Collatino , o voi tutti , quanti qui siete , uomini buoni , e JigU ancora di buoni-, io quanto a me non penso che noi dobbiam di presente dar nuova forma allo Stato. Troppo é picciolo il tempo a cui siamo ri- dotti, perché ci sia facile staBilirvela armoniosa ; lu- brico altronde , e pericoloso , é tentar di cambiarvela, quantunque benissimo su di essa avessimo risoluto. Quando ci saremo levati dallà tirannide , allora po- trem finalmente , consultandoci con più agio e più feria , trascegliere il governo migliore a fronte de' menò buoni j seppur avvene uno migliore di guei'^ che 7?o- molo e Numa e gli altri re successivi stabilirono e ci "lasciarono , donde la città ne crebbe e ne prosperò , signora fin qui di più popoli. Solamente vi esorto che si emendino , e che provvedasi ora che più non v ab- biano i mali terribili solili prorompere dalle monar- chie , pe’ quali si mutano in tirannidi crude , e pe' quali tutti le abborrono. Ma quali son queste provvidenze ? Primieramente giacché molti attendono ai nomi , è secondo i nomi vanno al male o fuggono t utile ; e siccome è succeduto che ora molto attendasi a quello di monarchia; vi consiglio che il nome cangiate del governo , fe che da ora in poi quelli che vi comandano non più re li chiamiate , non più monarchi, ma con appellazione più discreta ed umana : poi , che non più rendiate un sol uomo arbitro di ogni cosa , ma fidiate a due la potenza dei re, come odo che i Lacedemoni fanno da molte generazioni, e che perciò ne hanno più di tutti i Greci leggi buone, e stato felice. Diviso il comando in due , e l’ uno potendo appunto quanto F altro ; meno acconci saranno a violarci , e meno ad opprimerci: anzi da tale egualità dee seguirne princi- palmente la verecondia, il ritegno vicendevole dell’uno per F altro , sicché noti si sfrenino , ed una viva gara per la fama della giustizia. E poiché molti sono li regii distintivi , io giudico che y impiccioliscano o tolgano quelli che àddolorano a rimirarli o sdegnano il popolo , io dico gli scettri , dico le corone di oro ^ e le clamidi eli oro intessute e di porpora, se non forse si asswnono ne' giorni festivi e ne’ trionfali per magnificare g/i Jddj ; mentre usate di raro non offendono. In oppo- sito penso che si conservi a questi uomini la sedir curule ove siedono rendendo ragione , e la veste can- dida cinta intorno di porpora , e li dodici fasci che il venir loro precedano. Oltracciò perchè quelli che prendono il comando non molto ne abusino, io penso utilissima e principalissima cosa , che non lascinsì comandare tutta la vita. Imperciocché riesce a tutd grave un comando ind^nito , uft comando che non pià dia di sè ragione ; e di qua vien la tirannide. Ma si limiti come tra gli Ateniesi f autorità del co- mando ad un anno. Quel- comandare a vicenda e quell' essere comandato , quel deporre il pMere prima che il pensar vi si guasti , preoccupa le indoli vane, nè lascia che vi / inebbrino. Se .così stabiliamo , go- deremo i beni che sono il frutto di una regia domi- nazione , e schiveremo i mali che né conseguitano. E perchè il nome regio , consueto già tra' nostri avi , ed introdotto in questa città co t gli augurj propizj degl Jddj che lo favorivano , ti custodisca , almeno per tale riguardo ; si faccia continuamente , a vita , ed onorisi un re del Culto ^ un che libero dalle cure militari in questo solo si occupi e non in altro, cioè che abbia , quasi re ne fosse , l’ arbitrio sovrano de’ sacrifizj. Ora udite come fia ciascuna di queste cose.  ’ Io , poiché dalle leggi mi si concede , io raccoglierò, come diceva, l’adunanza del popolo, e riesporrò la mia mente di bandire Tarquinia colla moglie e coi figli da Roma e suo territorio , escludendoneli per sempre essi e la lor discendenza. Quando avran ciò stabilito co’ voti , io dichiarando allora il governo che pensiamo fondare, eleggerò V interré, il qual nomini quelli che prendano le redini della repubblica. Quindi io deporrò la prefettura dei Celeri; e V interré da me creato , proporrà gl’ idonei all’ annua preminenza , rimettendoli al voto de’ cittadini : e se il pià delle centurie ne tien buona la proposta , se propizj gli oracoli la favoriscono , assumano i fasci e le insegne del potere sovrano , e provvedano che libera abitiamo la patria , nè pià li Tarquinj vi ritornino. Imperoc- ché questi , abbiatelo per certo , se non invigiliamo su loro , tenteranno colla persuasiva , colla forza , coll’ inganno , per ogni via finalmente , rimettersi nell impero. Queste sono le somme , le principalis- sime cose, che io dir posso e raccomandar di pre- sente. Quelli poi che avranno il comando devono , come io giudico , esaminare una per una , le cose particolari, giacché troppe, nè facili a discutersi pie- namente ; e noi siamo stretti dal tempo: anzi'deono, come usavano i re ponderarle col corpo del Senato , non concludendone alcuna senza noi ; e quando siano approvate dal Senato , rapportarle , come f accasi tra i nostri maggiori , al popolo non levandogli niun diritto di quanti s’ avea nel principio. Così le sue magistrature saranno sicurissime e bellissime. DIOSIGI, tomo ir, - Digilized by Google DELLE antichità’ ROMÀNE LXXVI. Proferendo Giunio Bruto tal suo parere tutti lo commendanino ; e datisi ben tosto a consultare, de- cisero che si nominasse interré Spurio Lucrezio il padre di colei che uccise sestessa: e che da lui si scegliessero per avere il potere dei re Lucio Giunio Bruto , e Lu- cio Tarqninio Collatino. Stabiliscono che tali sopra- stanti nell’ idioma loro si chiamassero Consoli , vnol dire consiglieri o capi del ronsiglio , interpetrando in greco tal nome , giacché i Romani ciocché noi simbou- las diremmo chiaman consiglio. Coi volgere però del tempo i consoli furono per l’ ampiezza del potere chia- mati Ypati dalia Grecia , comandando essi a tutti e t^ neodo.il più sublime de* gradi; e chiamandosi da’ nostri antichi Ipaton quanto sopralzasi, e maggioreggia. Dopo tali consulte e tali istituzioni supplicarono co’ voti gli Iddj che fossero propizj ad essi .intenti ad opera si giu non colla sepoltura a norma delle leggi : e Tarquinia la donna di que- sto ch’egli dovea venerare qual . madre , come sorella del padre, Tarquinia già tanto .sollecita in suo bene, % egli la strangolava , sì, questa misera , innanzi che prendesse il lutto , e che rendesse in su la tomba al marito gli ultimi onori. Così contraccambiava quelli da quali fa salvo , da quali fu nudrito , ed. a quali avrebbe pur succeduto sol che avesse un poco aspet- tato finché venisse loro naturalmente^ la morte. Ma perchè più, su questo riprendolo , quan- do , oltre i delitti contro de’ consan^inei e de’ suo- ceri , ho pur da accusarne le tante prevaricazioni contro la patria , e contro noi tutti , se prevarica- zioni son queste , e non sovversioni e rovine di ogni costume e di ogni legge. E per comiiKiare subito ^dal regno , come lo prese egli questo ? forse come i re precedenti? ma quando mai? molto nè egli lontano. Imperocché quei tutti furono da voi portati al trono secondo i patrj costumi e le leggi , prima col decreto del ' Senato che è il capo di ogni pubblica delibera- zione , poi degl’ interré scelti ed incaricati dal Senato per nominare il pià idoneo al comando f e co’ voti dati ne' comizj dal popolo , da cui , la legge vuole , che si ratifichi ogni cosa più rilevante , e finalmente cogli augurj f colle vittime , e con altri segni propizj senza i quali niente giovano i maneggi e le previ- denze degli uomini. Or dite , qual di voi mai vide una parte almeno fatta di ciò quando Tarquinio prese il comando ? qual vide decreto preliminare del Senato? quale scelta degl’ interré? quali suffiragj del popolo ? per non dire dov è tutto questo ? quantun- que se egli voleva il regno lecitamente , non dovea parte ninna pretermettersi di quanto chiedesi dalle leggi. Certo se alcuno può dimostrarmene fatta pur una di queste cose , più non vo’ che si brontoli su le altre che si tralasciarono. Come dunque egli si spinse al trono ? colle arme , come i tiranni , colla violenza , colla congiura degli scellerati, noi riprovan- dolo , e dolendocene, E fattosi re , comunque ciò fosse , la sosteneva egli V autoràà tua regalmente ? Emulava i suoi predecessori i quali co’ detti e co’ fatti costanti così ressero, che lasciarono a’ posteri la città più felice e più grande che presa non V avessero ? Chi , se pure è sano di mente , chi potrà mai dir ciò , vedendo quanto miseramente e scelleratamente siamo stati da lui malmenati. Tacio le sciagure di noi senatori, le quali, pur un nemico , udendole , ne piangerebbe , e come siam pochi rimasi di molti , come rendati abbietti di granài , e come venuti a disagio e stento , cadendo dai tanti e sì ampj beni. Que’ grati j que’ potenti ,. Io3 que cospicui uomini , po' quali questa nostra città era un tempo magnifica , quelli perirono , o fuggono la patria. E le vostre cose y o popolo , come stan esse ? Non ha tolto . a voi le leggi ? non i concorsi soliti per le feste e pe’ sacrifizj ? Non ha fatto ces- sare i comkj , i suffragj , e le adunanze tutte su le pubbliche cose? Ridotti siete, quali schiavi comperati, ai vilipendi di tagliare , di portare pietre ed arbori , di logorarvi tra gli antri e i baratri senza requie mai, neppur tenuissima dai mali. Or quando avran fine mai tali strazj ? fino a quando li starem soppor- tando ? Quando la patria libertà vendicheremo ? .. . Al morir del tiranno ? Appunto ! Dite ci sarà allora pià facile ? E perchè non piuttosto assai meno ? se per un Tarquinio ne avrem tre molto pià scellerati? Se chi di privato è divenuto monarca, se chi tardi ha cominciato a nuocere, ha percorsa tutta la mal- vagità de’ tiranni , quali , pensate , esser debbono i discendenti da lui , scellerati di stirpe , scellerati di educazione , che mai non poterono vedere nè appren- dere in città misure politiche di moderazione ? E per- chè non per congetture , ma intimamente conosciate la perversità loro , e quai cani latratori alleva contro voi la tirannide di Tarquinio ; specchiatevi in un a- zione sola del primogenito. E questa la figlia di Spurio Lucrezio , lasciato prffetto in Roma dal Tiranno nelP andare alla guerra , e moglie insieme di Tarquinio Colla- Uno , del consanguineo de’ tiranni che pur tanto ha da loro sopportato. Or questa per serbarsi pudica. e tutta agli amori del suo marito , come fanno le virtuose , avendo Sesto qual parente preso ospizio appo lei , mentre Collatino era lungi nelt armata , non potè schivare nella passata notte le onte. sfre- nate della tirannide; ma violentata come una schù^va sostenne ciocché libera donna non dee. Pertanto esa- cerbatane , e presa la ingiuria per insoffribile , dopo che ebbe narrato al padre e a congiunti le vicende ree che la desolarono , dopo che ebbe pregato e scon- giurato che la vendicassero per tanti mali; alfine traendo il pugnale che celava nel seno , profondos- selo, e vedendola il padre j o Romani, nelle viscere. O tu certo mirabile , o tu di encomj degnissima per la nobile ' risoluzione ! t’ involasti, moristi non reg- gendo agli obbrobri del tiranno , e ■■ ricusasti le dol- cezze tutte del vivere perchè simile calamità non ti avvenisse. Avrai tu dunque o Lucrezia nella tua fem- minil condizione K avuto il. cuore de’ valentuomini , e noi , uomini - nati , noi saremo in viltà men che le femmine ? Tu perchè predata a forza del fiore im- macolato della tua pudicizia , avrai tu reputato la morte pià dolce e pià beata della vita; e noi non avrem pur nell’ animo , che Tarquinio non da una notte , ma già da venticinque anni ci opprime , e ci ha colla libertà levato gli agi tutti del vivere ? No ; pià non dobbiamo , o Romani , noi vivere avvolgen- doci in tanti pericoli , noi che discendenti siamo di que bravi , che vollero fondare i diritti fin per gli altri, e lanciaronsi a tanti .pericoli per la sovranità e la gloria : ma V una delle due si dee scegliere o libera vita, o morte onorata. È pur venuto il tempo che bramavamo ; perchè lungi è il tiranno dalla città, e perchè duci sono della impresa i patrizj , e perchè se con animo pronto ci facciamo ad imprendere , non abbisogniamo di cosa niuna non di uomini , non di danari , non di arme , non di capitani , non di altro apparecchio militare ; essendone Roma pienissima. Siaci pure una volta vergognà che noi che cerchiamo signoreggiare i Volsci , i Sabini , ed altri moltissimi^ noi stiamo • ad altri servendo , e che mentre tante guerre imprendiamo per in^andire Tarquinio , niuna per la nostra liberuì ne facciamo.Ma di quali incora^menti ci varrem per la impresa , di quai leghe ? È questo che rima- nenti a dire. Primieramente c incoraggiremo su la speranza negl’ Iddj de’ quali Tarquinio viola le sante cose , i templi , gli altari , libando e sacrificando con mani lorde di sangue, e di ogni scelleraggine contró de cittadini; appresso c incoraggiremo su la speranza che abbiam su noi stessi che nè pochi siamo , nè inesperti di gierra ; e finalmente sul rinforzo di que- gli alleati i quali non ardiranno far novità se noi non ve 'gV invitiamo ; ma se vedono che noi il valor nostro raccendiamo , lietissimi ci si uniran per com- battere ; nemico essendo della tirannide chiunque vuole esser libero. Che se alcuno di voi teme quei cittadini che in campo si porran con Tarquinio per militare con esso contro noi ;• non bene teme costui. Anche ad essi è grave la tirannide , ed ingènito in tutti è V amore della libertà : ed ogni occasione di mutamento basta a chi è misero necessariamente. Che se voi li chiamerete col voto vostro a soccorrer la pa- tria , non timore li riterrà co’ tiranni , non grazia , e non cosa ninna la quale sforzi o persuada , a mal fare. E se in alcuni si è per la ria natura , e la trista educazione abbarbicato V amor dei tiranni ; ri- durremo ancor essi , che molti non sono , con insu- perabile necessità sicché utili ci divengano i malevoli ; perciocché teniamo in città quali ostaggi i loro figli , le mogli , i parenti , pegni carissimi che ognuno pre- gia più che la vita. Or se noi prometteremo di ren- dere questi , se decreteremo per essi la impunità quando distacchinsi dal tìrannno ; di leggeri li per- suaderemo. Cosicché fatevi cuore o Romani , concepite belle speranze per V avvenire , uscite per una guerra, certo la più gloriosa di quante mai ne imprendeste. Si , palrj Dei , propizj curatori di questa terra , sì Genj , tutelari già de nostri padri, sì, città caris- sima infra tutte ai Celesti nella quale nascemmo e cresciamo , sì noi vi difenderemo co’ pensieri, colle parole , colle opere , colla vita ; pronti a tutto sof- frire , quanto la fortuna porti ed il fato. Presagi- scorni che alla impresa buona seguirà fine bonissinto. Possano quanti confidano , quanti decidonsi come noi, voi salvare ed essere da voi salvati parimente. Mentre Bruto aringava , faceansi ad ogni suo detto acclamazioni dal popolo in signiBcazione , che esso appunto cosi voleva, e comandava. Ed i più sen- tendo quel parlare maraviglioso ed inaspettato lagrima- vano per tenerezza. Inondavano passioni varie nè punto 1 07 amSi ogni petto: e dove il rancore, dove la gioja trion- favano , là pe’ mali già sostenuti , qua pe’ beni che si aspettavano. Dove era audacia , dove timidità , quella che incitava a non curar sicurezsa contro i subjetti , odiati perchè intenti a far male ; e T altra che oppo» neasi agl’ impeti delia prima , perchè vedea non facile la rovina della tirannide. Ma non sì tosto colui cessò dal parlare ; tutti , quasi con una bocca , ad una voce esclamarono, che guidassegli alle arme. E Bruto dilet- tatone , sì , disse , ma quando prima avrete udito , e confermata co’ voti vostri i decreti del Senato. E noi decretiamo CHS i TAsqvatj s tutta la consangvu HIT a' loro svogano ROMA E QUANTO È Ds' ROMAICI : CBS NIUNO FOSSA DIRE O BRIGARE SUL RITORNO DEI tiranni; e se contravviene; si" uccida. Or se volete che un tal parere si adotti ; compartitevi in curie , e datene i voti. Questo incominci per voi li diritti della' vostra libertà. Disse ; e cosi fu hitto : e poiché tutte le Curie ebbero decretato 1’ esilio del ti- ranno ; Bruto fattosi innanzi , ripigliò : Giacché avete voi ratificato quanto deesi , le prime cose ; ascoltate U resto che abbiam deliberata su lo Stata. Esami- nando noi qual magistrata esser dee V arbitro del comando , ci è piaciuto , non già di rinnovare il co- mando di un solo , ma di creare ogm anno due capi con regio potere , che voi stessi eleggerete ne’ comizj, votandovi per centurie. Or se volete anche ciò ; da- tene il voto. Il popolo lodò questo ugualmente; nè vi fu pur un voto contrario. Quindi ripresentatosi Bruto , nominò Spurio Lucrezio per interré , perchè secondo le patrie leggi prendesse cura de’comisj. Costui sciogliendo ' r adunanza , ordinò che tutti subito si recassero in arme al campo , dove solcano tenere i comizj. Recativisi ; scelse due Bruto e Gollatino che facessero quanto fa- cevano i re. Ed il 'popolo chiamato per centurie con» fermò la magistratura a que’ due. Tali sono le cose ai» lora fatte in città. Tarqninio come udì da messaggeri sottrat» tisi per avventura da Roma prima che le porte se ne chiudessero , che Bruto (perché narravano questo solo) fattosi capo-popolo , aringava i cittadini , e suscitavali a rendersi liberi , parti senza dirne le cause , prendendo se^o i figli , ed altri più fidi , e correndo a briglie sciolte onde prevenire la ribellione. Ma trovando chiuse le porte , e piene le mura di arme , tornossene , quanto potè , veloce nel campo affligendosi e lagrimando : se non che già le sue cose erano qui pure in iscompigUo. Imperocché li consoli antivedendo la sollecita venuta di lui verso Roma aveano per altra via spedito all’armata, invitandola a togliersi dal tiranno , ed annunziandole i decreti di quei della città. Or Tito Erminio e Marco Orazio lasciati dal tiranno nel campo prendendo quelle lettere le recitarono nell’ adunanza : e dimandando via via per centurie ciò che era da fare , e piaciuto a tutti che si ratificassero le deliberazioni della città ; più non riceverono Tarquinio che tornavasi a loro. E caduto pur da questa speranza fuggisseue con pochi alla città di Gabio f della quale , come ho detto di sopra , avea creato monarca , Sesto il suo primogenito. Esso già ca- nuto per anni avea tenuto per cinque lustri il comando. Digilized by Google LIBRO IV, 1 09 Erminio ed Orazio , concbiusa una tregua di quindici anni cogli ÀrdeatinI , ricondussero in patria le milizie. Per tali cause e da tali uomini fu tolta in Roma la regia dominazione, conservatavisi per dugcnto quaranla- quattr’ anni dalla sua fondazione , e divenuta in fine tirannide sotto 1’ ultimo re. DELLE ANTICHITÀ ROMANE O I DIONIGI ALICARNASSEO OloMSERVATASl in Roma la regia dominazione per dugento quarantaquatlr anni e cangiatavisi poscia in ti- rannide sotto r ultimo re fa per le cagioni anzidette abolita da tali uomini (i) sul principio della olimpiade sessagesima ottava , nella quale Iscomaco da Crotone vinse allo stadio , mentre Isagora esercitava in Atene r aunuo magistrato. Ed istituitasi la signoria de’ pochi , mancando quattro mesi al compiersi di quell’anno , as- sunsero i primi il comando supremo , Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquioio Collatino col nome di consoli, (i) Anni 345 fecondo Catone e i 47 'ecjndo Varrone dalla fonda- ilone di Roìna , e So; avanli Cristo] cosi chiamandosi da* Romani, come già dissi, nel patrio idioma i capi del Senato. Poi congiungendo questi a sè gli altri che numerosi tornavano dal campo in città dopo conchiosa la tregua con gli Àrdeatini ; e pochi giorni appresso la espulsione del Tiranno convocando il popolo a parlamento , e ragionando copiosamente su la concor* dia ; fecero di bel nuovo decretare co’ voti , come già quelli che erano in Roma lo avevano decretato , bando perpetuo ai Tarquinj. Dopo ciò puri6cando la città , fattone sacrifizio ; essi i primi , stando intorno le vitti- me , giurarono , e ccndussero pur gli altri a giurare , che mai più dal bando richiamerebbero il re Tarquinio, nè la prole di lui , nè i figli de’ figli : anzi che non più iarebbono re ninno in Roma , nè tollererebbono chi far cel volesse. Cosi giurarono su’ Tarquinj , su* figli, e su la prosapia loro. E , couciossiachè pareano i re , stati autori di molti e gran beni inverso del pubblico, deli- beratisi a conservare il nome almeno di tal signoria , finché Roma durava, comandarono ai pontefici ed agli auguri di eleggere il più idoneo tra’seniori, perchè tolto da tutte le cure , se non dalle religiose , presedesse in sul culto, e Me si chiamasse non delle politiche, non delle militari , . ma delle sante cose. Per tanto fu delle sante cose nominato re per il primo Manio Papirio , uomo patrizio e dedito alla dolce calma (i). II. Stabilito ciò , temendo , io credo , che non si ge- nerasse negli altri sui nuovo governo la idea non vera, che in luogo di uno dominavano due re la città mentre Secondo Feslo il primo re tacriJieuUu , fa Sicinnio Beliulo , ed in cfò discorda da Dionigi e da Livio. Ir uno e 1’ altro de’ consoli avca come un tempo i re le dodici scuri ; deliberarono preoccupar tal concetto, e sce- mare la invidia del comando, e fecero cbe l’uno de’con- soli portasse dodici scuri , e F altro dodici littori colle verghe coronate solamente (i) come narrano alcuni: tal- ché le scuri le assumesse e recasse ora l’uno ora F altro vi- cendevolmente per un mese intiero. Animarono con que- sto F umile plebe a conservar quel governo ; e con simili cose non poche. Imperocché rinnovarono tutte le leggi scritte da Tullio su’ contratti ; le quali si tenean per umane e popolari , e Tarquinio aveale tutte soppresse : e comandarono che si facessero come a’ tempi di Tullio, i sagriGzj che in città si faceaiio o nella campagna , riu- iiendovisi que’ di Roma e de’ villaggi. Concederono che il popolo si radunasse per le cose più rilevanti , e desse il voto , e ripigliasse a voler suo gli usi primitivi. Pia- ceano tali cose alla moltitudine ravvivatasi dal servir lungo a libertà non aspettata. Nondimeno ci ebbero al- quanti i quali desiderosi de’ mali della tirannide per de- menza o per avarizia congiurarono di tradire la patria e richiamarvi i Tarquinj , trucidandone i consoli : ed io dirò quali ne fossero i capi, e come im provvedutamente scoperti , mentre credeansi occulti a- tutti, ma riassumerò le cose alquanto più addietro. III. Caduto Tarquinio dal trono , si tenne per un tempo, non lungo, in Gabio, raccogliendo quanti a (i) Il lesto non è ben fìsso : e fotse dee leggersi verghe curve o grosse nella lesta. Il codice Valicano avendola voce xafvtat e noa xtfà/tttt favorisce la idea di verghe grosse in testa. Silburgio pro- pende per le verghe ricurve iu cima lui ne venivano amici della tirannide pià che delia li- bertà , e confortandovisi in su le speranze de’ Latini , quasi potessero questi ricondurlo alla reggia. Ma poscia che le città non io ascoltavano nè voleano per lui fare una guerra ai Romani ; disperandone alfìne il soccorso fuggissene a Tarquinj città Tirrena , donde era la ma- terna origine sua. E cattivandosi que’ cittadini co’ doni , e prodotto da essi in piena adunanza , rinnovò 1’ antica congiunzione con loro, e commemorò li benefizj deU r aiuolo suo con tutte le città Tirrene , e gli accordi che avean fatto con lui. Poi si lamentò con tutti della sciagura che avealo preso , e come travolto in un sol giorno da lietissima condizione , ora profugo con tre 6gli e bisognoso fin del necessario , era costretto ricór- rere a popoli , un tempo, sudditi suoi. Scorrendo su tali cose pateticamente e con molte lagrime, indusse il* popolo a spedire il primo a Roma uomini che portas» sero parole di pace per lui , quasi i potenti ivi fossero per favorirlo, ed ajutarlo* al ritorno. Nominati quelli eh’ egli volle per ambasciadori , ed istruitili delie cose che erano da dire e da fare gli spedi con alquanto di oro e con lettere de’ fuorusciti con esso dirette con preghiere agli amici e domestici loro. IV. Venuti questi a Roma dissero hi Senato : che chiedea Tarquinia la franchigia di venire con pochi prima in Senato, e poi, quando ciò fossegli conce-- duto dal Senato , nell adunanza del popolo per darvi conto delle opere sue fin dai principj del regno , falline giudici tutti i Romani , se alcuno mai lo accusasse. Che se appien si giustifica, se persuade che egli non ha colpe degne dell esilio ; allora se gUel concedano , regnerà novamente con que' limiti che gli prescriveranno : se poi decreteranno di non voler più. come per l’ addietro la sovranità dei re , ma di fon-^ darne un altra qualunque , egli uniformandovisi al pari degli altri reslerassene colla sua famiglia in Ro- ma, sua patria, libero almeno della vita degli erranti, e de' profughi. E ciò detto supplicavano il Senato pei comuni diritti che vogliono che niun si condanni senza discolpe e giudizj , a concedere una difesa della quale essi giudicherebbero. Che se ciò non volevano a lui concedere , fossero compiacevoli almeno in vista della città la quale s' intrametteva. Compiacendola , tutto- ché senza discapito loro , assai onorerebbero la città che ciò conseguiva. Uomini essendo , non si elevassero sopra la sorte degli uomini: nè serbassero immortali sdegni in cuori mortali : ma in grazia degt inter- cessori si sforzassero anche contro lor voglia di usare mansuetudine ; considerando eh' egli è da savio con- donare le inimicizie per le amicizie ; ma da stello e da barbaro volgere in nemici gli amici. V. Aveano ciò detto , quando Bruto sorgendo re- plicò : Sul ritorno de' Tarquinj in Roma cessate o Tirreni di più ragionarne. Imperciocché già si è qui J volato irreparabilmente per l'esilio loro: ed abbiamo tutti ^giurato agC Iddj di non restituire i tiranni, e di non tollerare che altri ce li restituisse. Ma se chie- deste con altra moderazione a cui nè le leggi nè li giuramenti si oppongono', manifestatevi. Or qui faitùi innanzi gli ambasciadoi’i soggiunsero : Terminale ci sono contro la espettazione le prime dimandet am- basciadori per uno che si raccomanda , per uno che vuole dare a voi conto di sè stesso , abbiamo chiesto qual grazia ciocch’ era diritto per lutti : nè potemmo ottenerlo. Ora poiché ve n è parato così ; non più vi presseremo sul tornar de' Tarquinj. J\oi facciamo istanza per un altro diritto di cui la patria c incari- cava , e su cui non legge , non giuramento impedi- scavi, cioè che rendiate al monarca i beni clm [ avolo suo possedeva senza toglierli a voi nè di forza nè in occulto , ma portati qui avendoli , come ereditati dal padre. A lui basterà , se lo ricupera, il suo, per vi- vere altrove Jelicemente, senza vostra molestia. Riti- raroDsi ciò detto gli ambasciadorì. Bruto T uno de’ con- soli suggeriva che si ritenesser que' beni in compenso delle ingiustizie sì gravi e sì numerose dei tiranni contra del pubblico , e per util di Stato : perchè non si dessero ad essi de mezzi co’ quali far guerra ; preammonendo, che nè si affezionerebbero ad essi i Tarquinj col riavere i lor beni nè sosterrebbero una vita privata , ma porterebbero su Romani le arme di altri popoli , e tenterebbero di tornare colla forza al comando. Collatino però consigliava il contrario , di- cendo che non gli averi , ma le persone dei tiranni noceano la città. Pertanto scongiuravali a guardarsi prima dalC incorrere nella rea fama di avere espulso i Tarquinj per invaderne i beni , e poi dal porgere ad essi cosi spogliandoli , giusta occasione di guerra : dicea che non era chiaro , che ricuperando i beni si accingerebbe^ ancora ad una guerra con essi , lad- dove era ben manifesto , che non ricuperandoli f rion si cheterebbero. VI. Cosi dicendo i consoli ; e molti sentendola col- r uno e coir altro ; il Senato dubitò come avesse a ri- solvere. E ripigliandone per più giorni l’ esame , e pa- rendogli che Bruto consigliasse il più utile , ma Colla- tino il più giusto ; in ultimo deliberò che giudice ne fosse il popolo. Or qui dette essendo più cosedairnno> e dall’ altro de’ consoli , e venendo alBne le curie , che eran trenta di numero , ai voli , preponderarono le une alle altre con si piccini divario che quelle le quali in- timavano che si rendessero i beni superarono di uà sol voto le altre le quali voleano che si ritenessero. I Tirreni avuta la risposta dai consoli : e molto lodando' la città che anteponesse all’ utile il giusto ; spedirono a Tarquinio perchè mandasse chi ricevesse i beni di lui ; frattanto essi resiavansi a Roma sul titolo del trasporto de’ mobili, o di dar sesto a ciò che non potessi menar via j nè carreggiare : ma in realtà spiando e brigandovi, come il tiranno aveali incaricali. Perocché ricapitarono' le lettere de’ profughi agli attinenti loro ; pigliandone le altre di replica. E conversando , e studiando le affe- zioni di molti , se ne trovavano alcuni facili ad essere guadagnati per la poca fermezza , per la inopia , o pel desiderio di 'empiersi nella tirannide, davansi a subor- narli coir oro e con ampliarne le belle speranze. Vi sarebbero secondo le apparenze in città si grande e si popolata, alquanti non degl’ infimi solo ma de’riguar- devoli i quali anteporrebbono il governo men buono al migliore 'y or furono tra questi i due Giunj Tito e Ti> berio , figli di Bruto il console , puberi appena, e con essi i due Geli] (i) Marco e Manio fratelli della moglie di Bruto , idonei a’ pubblici affari : Lucio e Marco Aquìlio, figli ambedue della sorella di Collatino, altro consolo , e conformi di anni al figli di Bruto , presso a’ quali , non più vivendo il lor padre , per lo più si adunavano e ctmcertavano sul ritorno de’ tiranni. VII. Tra le molte cose , per le quali a me sembra che Roma giugnesse per la provvidenza de’nnmi a stato si prospero , non sono le infime quelle che avvennero allora. Imperocché si mise in que’ sciaurati tanta de- .menza , e tanta cecità , che osarono fino scrivere al tiranno di propria mano lettere che indicavano il nu- mero copioso de’ congiurati ed il tempo nel quale as- salirebbero r uno e r altro console , lusingati dalle epi- stole del perfido ad essi per le quali volea sapere i .compensi che avrebbe a dare, tornando in trono , al Romani. Ebbero i consoli queste lettere per tale in- contro. Eransi i prlmarj de’ complici riuniti in casa, degli Aquilj nati dalla sorella di Collatino , invitativi come a sante cose e sagrifizj. Dopo il convito ordi- nando che quei che lo aveano ministrato uscissero e si • tenessero nell’ anticamera; confabulavano infra loro su • la rintegrazione del tiranno , e segnavano ciascuno , i .mezzi che glien parevano di mano propria in lettere che gli Aquilj doveano far giungere ai messaggeri Tir- reni, e questi a Tarquinio. Intanto uno schiavo (Vin- (i) Sigonio ne* scogtj LÌTiani pone Vitel^ in luogo di Gellj se- guendo le antoriià di Livio e di Plnisrco. dicio ne era il nome ) della città di Genina , il quale fervito gli avea di bevanda, sospettando dalla remoaione de’ servi che coloro macchinassero qualche scelleraggine, si stette solo fuori della porta , ed applicatovisi in una fessura ben lucida , ne udì li discorsi , e ne vide le lettere che vi si scrivevan da ognuno. Quindi a notte avanzala uscendo come in servigio de’ padroni , non ardi di andare ai consoli sol timore che volessero per r amor de’ congiunti che il fatto si occultasse , e ' levas~ sero di mezzo chi porgea la dinunzia : ma recatosi a Pubblio Valerio l’ uno de’ quattro , primarj nel tor la tirannide y congiunsero a vicenda la destra , e giuratagli da lui sicurezza , gli svelò quanto odi , e quanto vide. Colui , saputo il fatto , si presentò • senza indugio su r alba in casa degli Aquilj con valida schiera di clienti e di amici , e penetrandone senza «>ntesa le porte co- me per tutt’aliro affare , s’impadronl delle lettere men- tre pur v’ eran que’ giovani , i quali menò seoo innanzi de’ consoli. Vili. Ora essendo io per dire le sublimi , e meravi- gliose gesta di Bruto di che tanto i Romani si magni- ficano , temo che sembrino austere troppo nè credibili ai Greci , giacché tutti sogliono per natura giudicare le cose che di altri si dicono dalle proprie, e secondo queste aversele per credibili o non credibili. Nondimeno io le dirò. Non si tosto fu giorno, sedutosi Bruto in tribunale , ed esaminando le lettere de' congiurati , ap- pena scopri quelle de’ figli distinguendole dai sigilli , e dopo rotti i sigilli , dai caratteri; ordinò primieramente •he lo scriba leggessene 1’ una e l’ altra , sicché tutti le udissero, e quindi che i Ggli dicessero su ciò se vo- leano. Niuno de’ due ardiva rivolgersi impudentemente a negarle per sue, ma quasi avessero già condannato sè stessi, piangevano. Egli soprastando breve tempo sorse ; ed intimalo silenzio , ed aspettando tutti qual ne sarebbe la flne , disse , che condannavali a morte. Or qui alzarono tutti la voce , alienissimi , che avesse un tal uomo a punire sè stesso colla morte loro, e voleano condonare al padre la vita de’ figli. Ma egli non com- portando nè le voci nè i pianti comandò a’ satelliti che di là rimovessero i giovani che lagrimavano e supplica- vano e co’ nomi più teneri lo chiamavano. Riusciva spettacolo meraviglioso a tutti che un tal uomo niente piegato si fosse nè per le preghiere de’ cittadini , nè per la commi aerazione inverso de’ figli : assai però parve più portentosa 1' austerità di lui circa il supplizio. Imperoc- ché nè permise che si uccidessero i figli allontanati dal cospetto del popolo , nè egli , almeno per fuggirne la terribile vista , si ritirò dal Foro finché non furono pu- niti : nè condiscese pure , che subissero , non disonorati co’ flagelli almeno , la morte destinata. Ma custodendo tutte le consuetudini , e tutte le leggi quante ve n’ ha su’ malfattori , egli stesso nel Foro tra la pubblica vista presente a tutto , fattili prima straziar colle verghe ; concedette alfine che con le scurì si decapitassero. Sor- prendente soprattutto , inconcepibile era in quest’ uomo la immobilità degli sguardi senza indizio nemmeno di compassione. Tanto che piangendo tutti , egli solo fu visto non piangere sul destino de’ figli: nè sospirò per sè stesso , nè per la solitudine la quale facevasi nella sua casa , nè diè segno in tutto di debolezza: ma senza lagrime , senza lamenti , e come inalterabile , portò ma- gnanimamente la sua sciagura. Tanto era forte di ani- mo , tanto costante in compiere le risoluzioni , e tanto superiore agli affetti che turbano la ragione ! IX. Uccisi i &gli fe’ chiamare immantinente gli Aqui- Ij , 6gli della sorella dell’ altro console , presso a’ quali teneansi i congressi de’ congiurati. E comandando alle scriba che ne leggesse l’ epistole sicché tutti le udis- sero ; intimò ad essi che sen difendessero. Ma i giovani venuti dinanzi al tribunale, sia che ammoniti ne fossero dagli amici , sia che di per sè lo risolvessero , si gitta- rono a piedi dello zio per essere da lui salvati. Ma co- mandando Bruto ai littori che li svellessero , e li traes- sero se non voleano giustificarsi alla morte ; Collatino sopraggiunse a questi , che sospendessero alquanto fin- ché abboccavasi col collega , e pigliatolo da solo a solo orò lungamente pe’ garzoncelli ; parte escusandoli che fossero caduti in tale stoltezza per inesperienza e per compagnie triste di amici , e parte eccitandolo a con- donare la vita di parenti , dimandandolo in grazia lui che non d’altro mai più lo vesserebbe , e parte facendo riflettere che turberebbesi il popolo tutto se davausi ad uccidere chiunque sembrato fosse tenersela co’ fuoru- sciti perchè ritornassero ; imperocché dicea eh’ eran molti , e parecchi non ignobili di lignaggio. Ma non venendogli di persuaderlo; ne chiese almeno pena più mite che non la morte, dicendo: mal convenirsi che i complici si avesser la morte , mentre il tiranno non so- stenea che l’ esilio. E perciocché Bruto ripugnava da pene più mi», nè voleva (ciocché chiedeva da ultimo il suo collega ) nemmeno differire il giudizio de’ colpe- voli , e minacciava , e giurava di darli tutti appunto iu quel giorno alla morte ; Coliatino sdegnatosi in fine che niente ottenea ; soggiunse : io , pari tuo , to scamperò que' giovini se tu se tanto intrattabile e duro : E Bruto indispettitone , no , disse, Coliatino ; non potrai finché 10 vivo far salvi i traditori della patria : anzi tu pure darai tra non molto le pene che meritL X. Ciò detto, e messa una guardia su’ giovani chiamò 11 popolo a parlamento : e riempiutosi il Foro, perchè il supplizio de’ figli suoi , già si era in città divulgato , egli facendosi in mezzo , cinto da’ più cospicui de’ se- natori disse : lo vorrei o Cittadini , che Collatino , questo mio compagno , fosse concorde con me su tutto, ed odiasse e combattesse i tiranni non pur colla voce, ma colle opere. Ora poiché lo trovo manifestamente contrario e congiunto in tutto a' Tarquinj di sangue, di voglie , e di brighe onde riconciliarceli , anzi col-- [ utile suo che del comune ; io sono risoluto di op~ pormegli perché non compia le ree sue macchinazioni, e perciò vi ho qua convocati. Io dirò primieramente in qitanto pericolo sia la città ; poi come t uno e t altro di noi siasi diportato. Biunitisi alquanti in casa degli Aquila nati dalla sorella di Collatino , e tra questi ambedue li miei figli e li fratelli della mia moglie , ed altri non ignobili ; stabilirono , e congiit- rarono la mia morte , e di restituirvi in Tarquinio il monarca. E già erano per mandare ei fuorusciti /efr- tere contrassegnate da loro caratteri e sigilli. Ma si fe ciò , la Dio mercede , a noi manifesto , indican- docelo questo uomo , che è un servo degli jiquilj , di quelli presso i quali si adunarono e scrissero nella notte precedente le lettere ; e noi , le abbiamo noi , queste lettere. Io già ne punii Tito e Tiberio miei figli : e niente , non leggi , non giuramenti , furono da me violati per la clemenza di un padre. Ma Col- latino mi ritoglica dalle mani gli Aquilj con dire che non soffrirebbe che partecipassero la sorte de' miei figli , se partecipato ne aveano i disegni. Ma se co- storo non soggiacìono a pena , nemmen dunque vi dovran soggiacere non i fratelli della mia moglie , non quanti sono , i traditori della patria. E qual di- ritto più grande avrò io contro questi, se risparmiatisi quelli ? Dite , qual contrassegno c mai questo , di amici della patria , o del tiranno , di conferma del giuramento che avete voi tutti prestato noi preceden- dovi , o di sconvolgimento e di perfidia ? Se egli ri- manevasi occulto , pur sarebbe in preda alle fune e sotto la vendetta degli Dei che spergiurava. Ora poi- ché vi si è palesalo a voi si spetta , a voi di punirlo. Vi persuadea costui pochi giorni addietro che rende- ste i suoi beni al tiranno , non perchè la città se gli avesse per usarne in guerra contro i nemici , ma per- chè li nemici gli avessero per usarne contro la città. Ed ora si arroga di esentare dalle pene i congiurati a restituirvi i tiranni , in favore come è chiaro di questi , perchè se mai tornano , sia di forza , sia per tradimento egli in vista di tanti servigj ne ottengcL come amico , quanto dimanda. Ed io che non ho perdonato a’ figli miei , io dovrò, o Collatino, te rispar- miare , che sei con noi di presenza , ma coll’ animo tra’ nemici ? E tu che salvi i traditori della patria , tu me che per essa travagiiomi , ucciderai ? Or potrà farsi ? Eh ! che lontani siamo di molto. E perchè non possi nulla di simile , ti levo dal consolato e cornandoti che in altra città ti conduciti. E voi o citi- iadini voi chiamerò ben tosto per centurie , e presi i voti, deciderete se dobbiam così fare. Intanto , (e vivissimamente avvertitelo ) voi l' una delle due mi dovete , escludere Collatino , o Bruto. XI. Or lui cosi dicendo ; Gollatino esclamando ed angustiandosi , cbiamavalo di cosa in cosa calunniatore e traditore degli amici : e purgandosi dalle incolpazioni contro di lui , pregava intanto pe’ fìgii della sorella: ma perciocché non permettea che si dispensassero i voti contro di lui ; inferocivane il popolo , levandosi a re- more in ogni suo dire. Ora essendo cosi inferocito nè soffrendo discolpe , nè volendo preghiere ma solo che si dispensassero i voti ; ed interponendosene il suocero Spurio Lucrezio , uom pregiatissimo , per timore che Collatino non perdesse ignominiosa mente ad un tempo il magistrato e la patria , chiese da ambi i consoli fa- coltà di parlare. Ed ottenutala , esso il primo , come dicono gli storici Romani , giacché non v* era ancor r uso che un privato aringasse il comune ; diedesi pub- blicarrtente a pregare 1’ uno e 1’ altro de’ consoli , Col- latino perché non si ostinasse e non ritenesse il comando a mal cuore de’ cittadini , che spontanei gliel diedero ; ma se pareva a que’ che gliel diedero di ripeterlo , volontanamente lo restituisse , e levasse co’ fatti , non coi detti le accuse contro di lui : prendesse le sue cobbe e si recasse ad abiure altrove, dovunque voleva, Gnchè 10 Stato non era in salvo ; cosi porUndo 1’ utile pub- blico : riflettesse come in altre ingiustizie gli uomini se ne sdegnano , quando sono commesse : ma che sospet- undosi di tradimenti stimano anzi saviezza temerne in- vano e guardarsene', che trascurarli e lasciarsene rovi- nare. Persuadeva poi Bruto , che non cacciasse dalla città con vergogna e con vitupero quel magistrato com> pagno col quale avea preso le risoluzioni più belle {>ér la patria : ma che desse a lui , s’ avea cuore di lasciare 11 suo grado e di trasmigrarsi , tutto 1’ agio a raccor le sue robbe , e gli aggiungesse a nome del popolo un dono come pegno di consolazione nelle sue calamità. Cosi consigliando quel valentuomo , inUnto che il popolo ne lodava i discorsi , Collatlno depose la sua dignità , contristato che per la pietà de’ parenti era astretto a lasciare e senza demeriti la patria. All’ oppo- sito encomiavalo Bruto perchè risolveva il migliore per la sua Roma e per sè , e pregavalo a non. disamorarsi nè verso di lui , nè della patria : trasportando al- trove la sede , considerasse ancor sua , la patria che lasciava , nè si meschiasse a’ nemici contro lei non colle parole , non colle opere. Considerasse in somma questo transito suo qual pellegrinalo , non qual bando, o fuga: tenesse il corpo presso quei .che lo ricevevano , ma V affetto suo , lo . tenesse questo , presso quei che lo mandavano. Or, cosi avendo am- monito quest’ uomo persuase il popolo a regalarlo di.’ laS venti talenti , con aggiungerne egli cinque del suo. Ca» duto Tarquinio Cotlaiino in tale disgrazia si ritirò a Lavinia , antica madre de’> Latini dove carico di anni mori. Bmto non sopportando di essere solo al comando, per non dare sospetto , che levato avesse il compagno dalia patria per fervisi re , chiamò bentosto il popolo al campo dove usava eleggere i sovrani- e gli altri magi» strali , e creò per collega nel consolato Pubblio Yale» rio , uno dei discendenti , come sopra fu detto , dai Sabini , uom degno di ammirazione e di lode per le molle suo doli , e principalmente per la sobria sua vita. Egli trovando in sé stesso una luce naturale di filosofia , la fece brillare in più affari , come poco ap» presso diremo. Unanimi questi in tutto, immantinente diedero a morte , quanti erano , i congiurati al ritorno de’ fuom» sciti , e dichiararono libero e cittadino il servo . che aveali denunziali , colmandolo di oro. Poi fecero tre bellissimi ed utilissimi regolamenti , che la città con- temperarono a pensare tutta di un modo , sminuendo il favor pe' nemici. Il primo spediente fu di scegliere i migliori della plebe e di crearli patrizj , onde compier con essi un Senato di trecento. Appresso esposero al pubblico le suppellettili del tiranno , concedendo che ognuno se ne avesse , quanto toglievano ; e comparti- rono i terreni di esso a chi non aveane , riservandone unicamente il campo tra ’l fiume e tra la città , dedi- cato già dal voto degli antenati a Marte , come prato benissimo pe’ cavalli e per gli esercizj de’ giovani in arme. Tarquinio però , sebbene prima di lui fosse già sacro a qnel nume , aveaselo appropiato , e sem inavaci : di che è sommo argomento la risoluzione allora presa da’ consoli sul ricollo che sen ebbe. Imperocché sebbene avessero conceduto al popolo di prendere e portarsi quanto era del tiranno , non però consentirono che al- cuno si arrogasse il grano germogliatovi , sia che fosse nelle spighe , sia che nell’ aja , sia che già lavorato ; ma decretarono che si gettasse nel fiume come esecraa* do , né degno che se lo avessero in casa. £ di tal giuo sopravvanza ancora , monumento famoso , la isoletta sa- cra ad Esculapio , bagnata intorno dal fiume , prodotta, dicono , dagli ammassi delle paglie corrotte , e dai fango che vi si appiccò nel correr delie acque. Rispetto a quelli che eransi fuggiti a Tarquinio accordarono ad essi generale perdono , e ritorno sicurissimo in patria fra venti giorni , intimando a chi venuto non fosse in quel termiue , 1’ esilio perpetuo e la confisca de’ beni. Or tali provvedimenti impegnarono ad ogni cimento quei che godeano le robe , quante mai fossero del ti- ranno, sul timore che non venisse ior meno l’utile che ne aveano; come impegnarono a favorire non più la tirannide ma la patria , que’ lutti che per le gesta loro sotto dei despoti , eransi esiliati da sé stessi , per timore di non pagarne le pene. Ciò fallo , si diedero co* pensieri alia guerra te- nendo intanto 1’ esercito in campo presso di Roma sotto le insegne e li capitani per addestrarvelo ; perchè aveano udito che i fuornscili apparecchiavano centra loro ua armata dalle città dell’ Etruria , e che quelle de’ Tar- quinj e de’ Vejenii , potentissime ambedue, cooperavano manifettamente al ritorno di essi , mentre gli amici loro adunavano dalle altre de’ stipendiati e de’ volontarj. Ma non si tosto seppero che l’ inimico moveasi , delibera- rono di farsegli incontra ; e passando prima di esso il fiume , s' inoltrarono e si accamparono vicino ai Tirreni nel prato Giunio , presso la selva sacra ai genj di Ora- to (i). Trovaronsi ambedue le milizie quasi pari di nu- mero con ardore eguale per combattere. £ su le prime, surse , appena si videro , picciola mischia tra’ cavalieri , innanzi che le fanterie prendessero campo. Cosi gli uni sperimentarono gli altri , e non vincitori e non vinti si ritirarono ciascuno al corpo de’ suoi. Quindi messa la fanteria nel centro , e la cavalleria nelle ale si mossero da ambe le parti coll' ordine stesso fanti e cavalli gli uni contro degli altri. Conducea l’ala destra Valerio il console , contrapponendosi a’ Yejeuti : Bruto reggea la sinistra avendo a fronte la n^ilizia de’ Tarquiniesi co- mandata da’ figli del tiranno. XV. Erano già già per venire alle mani quando ' avanzandosi dalle fila de’ Tarquiniesi 1’ uno de’ figli del tiranno , ( Aruute ne era il nome) il più vago di aspet- to , e più magnanimo de’ fratelli, e spinto il cavallo verso i Romani in parte, dove tutti ne intendesser la voce, coperse d’ ingiuria il duce Romano , chiamandolo fe- rino , selvaggio , lordo del sangue de’ figli , imbelle e vile , e lo sfidò per tutti a combattere solo. E colui non (i) Cosi nel Codice V.iticano. Alcuni peto leggono jirslo in luogo di Orato , perchè secondo Tilo Livio e Valerio Massimo jfrtia si idiiamava la selva. più bastando alle ingiurie , spronò dal suo posto il ca- vallo senz' attendere gli amici che nel distoglievano , correndo fortissimamente alla morte che eragli apparec- chiata dai fati. Rapiti ambedue da pari ardore , intenti a ciò che era da fare non a ciò che ne patirebbono , avventano impetuosamente i cavalli uno a fronte dell’al- tro , e vibransi colle aste colpi vicendevoli , non repa— rabili cogli scudi , nè con gli usberghi , immergendone la punta chi nelle coste , e chi nelle viscere. Urtatisi per la foga del corso i cavalli nel petto , eievaronsi su pie’ di dietro , e girandosi colla cervice rovesciarono i cavalieri. Cosi caduti giaceansi versando sangue in copia dalle ferite , e lottando colla morte. Come le milizie videro caduti i duci loro , spiccaronsi tra clamori e stre- pito , e sorsene battaglia , quant’ altre mai ferocissima , di fanti e di cavalieri ; con sorte non dissimile. Impe- rocché li Romani dell’ ala destra comandati da Valerio console vinsero li Vejenti , ed incalzandoli 6no agli alloggiamenti , copersero il campo di stragi. Per l’ op— posito i Tirreni dell’ ala destra guidata da Tito e da Sesto figli del tiranno misero in volta i Romani dell’ala sinistra , e corsi presso alle loro trincierò usarono per- fino tentare se poteano in quell’ impeto primo espu- gnarle. Ma contrastati e feriti assai da quei che v’ erano dentro , si ripiegarono. Àveanci di guardia i Triarj , cosi detti , veterani peritissimi di guerra pel lungo eser- cizio, e soliti riservarsi pe’ cimenti più gravi , quando ogn’ altra speranza vien meno. XVI. E fattosi già il sole presso l’ occaso , tornarono gli uni e gli altri a’ proprj alloggiamenti non ti lieti per la viuoria , che doleati per la moltitudine de’ per- duti compagni. E se doveasi far nuova battaglia non credeano bastarvi quanti erano intatti fra loro ; essendo i più feriti : se non che più grande era I’ abbattimento, e la diffidenza ne’ Romani per la morte del comandante; in guisa che venne a molti in pensiero che fosse il loro migliore di abbandonare prima del di le trìnciere. Ma intanto che cosi pensavano e dicevano usci circa la prima vigilia dal bosco presso al quale accampavano una voce , sia del genio tutelare del bosco medesimo , sia di Fauno che chiamano , la quale rimbombò su l’uno e l’altro esercito, sensibilissima a tutù. A Fauno ascriveano i Romani i panici timori , e tutte le visioni che varie ne’ luoghi varj presentansi spaventosamente ai mortali : e di questo Dio dicono che sian opera le chia* mate fatte dal cielo , le quali tanto perturbano chi le ascolta. Animava questa voce i Romani a bene operare quasi avessero vinto , significando come era morto uno di più tra’ nemici : e dicono che levatosi a tal voce Valerio ne andasse nel cuor della notte agli alloggia- menti de’ Tirreni, e che uccidendoveli per la più parte, o fugandoneli s’ impadronisse del campo. Tal fu l’esito di questa battaglia. Nel giorno appresso i Romani spogliarono i cadaveri de’ nemici ; • seppelliti quelli de’ suoi , partirono. I migliori de’ cava- lieri , presolo con molta onorificenza e con lagnme , riportavano a Roma il corpo di Bruto in mezzo ai fregi della propria virtù. Mossero all’ incontro di essi il Se- nato che avea decretato che si portasse il duce con pompa trionfale , ed il popolo che ricevè l’ esercito con BIOaiGl , torneai. crateri colmi di vino e con mense. Giunti nella città ; il console ne trionfò come i re soleano , quando solen- nizzavano i sagriBzj e le pompe pe’ trofei ; ed offerse a’ numi le spoglie , e fe' di quei giorno una festa , convitando i più riguardevoli de* cittadini. Pigliata nel giorno appresso lugubre veste , ed esposto il cadavere di Bruto su magnidco letto in splendido ornamento nel F oro , vi convocò la moltitudine , e salito in palco , ve ne recitò 1’ elogio funebre. Io non so ben discemere se Valerio il primo introdusse in Roma quel costume , o se dai re io desunse : ben so che ti*a* Romani antichis- sima é la istituzione degli elogi nella morte de’ valentuo- mini ; e so da’ pubblici documenti di poeti antichi , e di storici famosissimi che non i Greci i primi la fon- darono. Imperocché le vecchie storie danno a conoscere che ci aveano in morte di uomini insigni , combatti- menti equestri e ginnici , come Achille ne fe’ su Pa- troclo , e come Ercole , prima ancora , su Pelope : ma che gli encomj se ne recitassero , ninno lo scrive se non i tragici di Atene , i quali adulando la propria città , favoleggiarono che avesse ciò luogo nei sepolti da Teseo. Laddove tardi istituirono gli Ateniesi per legge le funebri laudazioni ; sia che le incominciassero su quelli che morirono per la patria ad Artemisio , a Sa- lamina , a Platea , sia che su quelli i quali caddero a .Maratona. E la impresa di Maratona , se in quella sì cominciarono gli elogj pe’ defonti , è più tarda della morte di Bruto per sedici anni. Che se alcuno, lasciando d’ investigare quali stabilissero prima i lugubri encomi , voglia esaminare presso chi sia la legge meglio ordinata ; la troverà tanto più savia tra questi che tra quelli, quanto che gli Ateniesi introdussero i pubblici elogi mortuali , pe’ defunti in battaglia , quasi estimassero la bontà del solo termine glorioso della vita , sebbene al> tronde indegnissima : laddove i Komani destinarono tal6 onore non al soli estinti nel combattere , ma a tutti gli uomini , insigni per sublimi consigli , o per belle operazioni , sia che in città , sia che in guerra avessero comandato, ovunque morissero , giudicando che debbansi i valentuomini celebrare non per la sola morte luminosa , ma per tutte le virtù della vita. Così muore Giuoio Bruto, colui che schiantò la tirannia , che primo fu console dichiarato , che tardi rendutosi illustre 6orl sì , piccini tempo , ma fortissimo parve fra tutti. Non lasciò prole non di maschi non di femmine , come scrivono gli storici i quali esaminarono le cose de’ Romani , ancor le più chiare : di che ne allegano molti argomenti ; e questo infra gli altri non facile a vincersi , che egli era dell’ ordine de’ patrizj ; laddove quei che si dicono originati da lui li Giunj e li Bruti eran tutti plebei, perocché conseguivano le ca- riche degli edili e de’ tribuni , che son quelle che per legge a’ plebei si permettono , e non il consolato , cui niun conseguiva fuorché li Patrizj. E quando questa di- gnità si concedette ancora a’ plebei coloro non la otten- nero se non tardi. Ma lasciamo che discutano ciò quelli a’ quali si appartiene conoscerlo più chiaramente. XIX. Dopo la morte di Bruto , Valerio il collega suo , divenne sospetto al popolo quasi cercasse lo scet- tro ; primieramente perchè tenea solo il comando , dovendo far subito eleggersi un compagno , come quando Bruto ripudiò Gollatino ; e poi perchè aveasi fabbricato la casa in sito invidiato , preso nella parte alta e dirotta del colle , il quale chiamasi Yelio e domina il Foro. Convinto però da' suoi come ciò dispiaceva al popolo , pre&sse il giorno pe’ comizj e fe’ darsi un compagno in Spurio Lucrezio. E morendo costui dopo pochi giorni della sua magistratura , sostituì Marc' Orazio ; e trasferì r abitazione sua dalle cime alle radici del colle , perchè i Jtomani , come ei disse concionando , potessero tem- pestarlo co* sassi date alto se trovavano eh* ei facesse ingiustizia. E volendo rendere il popolo più certo della sua libertà levò le scuri dai fàsci , dando ai consoli sue* cessivi il costume , durevole pur ne’ miei giorni , di usare le scuri quando escono di città , ma di non por- tare nell’ interno di essa che i fasci soli. Fondò leggi piene di amicizia e di sollievo inverso del popolo; proi- bendo con una manifestamente che niun de’ Romani andasse alle magistrature se dal popolo non le prendeva; con pena di morte a chi contravvenisse , e licenza a tutti di ucciderlo. Con altra legge si decretava : Se un magistrato Romano voglia uccidere, o battere, o mul- tare alcuno in danari; possa f uomo privato appel- larne al popolo senza che intanto niente ne soffra dal magistrato finché il popolo ne sentenzii. Or sic- come onoravasi con tali regolamenti il popolo ; cosi ne diedero al console il nome di poplicola , che in greco appunto significa curatore del popolò. E tali sono le cose fatte in quell’ anno dai consoli. Nell* anno seguente è di nuovo creato console VALERIO, e con esso LUCREZIO: ma non si fece nulla di memorabile se non il censo de’ beni , e la tas* sazion dei tributi per la guerra secondo le istituzioni di Tullio re : cose tutte sospese nel regno di Tarquinio , e rinovate da essi la prima volta. Trovaronsi in Roma idonei alle arme cento trenta mila : e fu spedito un esercito per guardia a Sincerio (z) , luogo di frontiera contro i Latini e gli Ernie! da’ quali si aspettava la guerra. Creali consoli (3) Valerio detto Poplicola per la terza volta e Marc’ Orazio con esso per la seconda, 'Laro , re di Chiusi nell’ Etrurìa , quegli che Porsena si cognominava , promise ai Tarquinj ricorsi a lui , 1’ una di queste due cose , o di riconciliarli co’ Romani pel ritorno , e la ricuperazion del comando o che ripiglie» rebbe e renderebbe ad essi i beni de’ quali erano stati spogliati. Imperocché spediti 1’ anno precedente amba>> sciadori a Roma , i quali portavano preghiere miste a minacce , non aveaci ottenuto nè la riconciliazione , nè il ritorno de’ Tarquinj; pretestando il Senato le impre- cazioni e li giuramenti fatti contro di questi, nè aveaiie riavuto i beni , negando restituirli coloro che se gli aveano divisi , e godevanli. E non contentato in niuna delle domande , e chiamandosene vilipeso e conculcato , (i) a46 secondo Catone e a4S secondo Varrone dalla fondazione di Roma , e 5o6 STanti Cristo. (a) Nel Codice Vaticano sì legge Tiiionirio. (3) a47 sec. Ceti e a4g see. Var. dalla fondazione di Boma , e 5o5 avanti Cristo] arrogante altronde , e briaco per 1’ ampiezza delle sue ricchezze e dominio , credette avere cagioni assai per abbattere la signoria de’ Romani , come già per addie- tro desiderava , ed intimò loro la guerra. A lui si con* giunse Ottavio Mnmilio il genero di Tarquinio sul di- segnò di mostrare tutto 1' ardore suo per la guerra. Egli si mosse dalla città del Tuscolo e menò seco i Carne - rifai , e gli Antemnati , lignaggio latino , alienali già pa- lesemente da’ Romani , e molti volontarj suoi fautori , delle altre genti Latine le quali ricusavansi ad una guerra manifesta contro di una città confederata , e tanto po- derosa. Saputo ciò li consoli romani ordinarono a’tml- tivatori di portare masserìzie , bestiami , e schiavi ai monti vicini , fabbricandovi -ne’ luoghi forti de’ castelli , opportuni a difendere chi vi si riparava. Quindi pre- munirono con più potenti maniere e con guarnigioni il Gianicolo , alto colle , cosi chiamato , nelle vicinanze di Roma di là dal Tevere, e provvidero con ogni diligenza perchè non divenisse un baluardo pe’ nemici contro la città, e vi depositarono gli apparecchi per la guerra. Quanto alle cose interne della città le disposero , ancor più propiziamente verso del popolo , diffondendo assai beneficenze su’ poveri , perchè questi non si ripiegas- sero in verso de’ tiranni , nè tradissero per 1’ utile proprio , il comune ; imperocché decretarono che fos- sero immani da’ tributi pubblici , quanti al tempo dei te ne pagavano , nè soggiacessero a spese di milizia e guerra , giudicandoli assai contribuirvi se la persona esponevano per la patria. Collocarono nel campo dinanzi Roma la milizia preparata ed esercitata già da gran tempo. Giunto il re Porsena coll’ esercito espugnò di assalto il Gianicolo , spaventandovi i Romani che lo presidiavano, e sostituendovi guarnigione tirrena. Quindi marciò verso la città quasi avesse a prenderla senza fa* tica. Ma fattosi ornai prossimo al ponte , e visti accam- pati i Romani nella riva a lui più vicina del fiume - si apparecchiò per combattere , in guisa da sopraffarli col numero, e spinse assai spregiantemente innanzi la mi- lizia. Reggeano l’ ala sinistra Tito e Sesto figli di Tar- quinio , tenendo sotto gli ordini loro i fuorusciti da Roma , il fiore della gente di Gabio , e stranieri , e mercenari non pochi. Mamilio il genero di Tarqninio comandava la destra ov’ erano i Latini ribellatisi da’ Ro- mani: finalmente il re Porsena avea la fanteria schierata nel centro. Ma Spurio Largio , e Tito Erminio teneano l’ala destra de’ Romani contro ai Tarquinj: Marco Va* lerio, fratello del console Poplicola, e Tito Lucrezio il console dell’ anno precedente stavano colla sinistra a fronte di Mamilio e de’ Latini. Moveano tutti due i consoli il corpo fra le due ale. Fattasi alle mani combattè virilmente l’una e l’altra milizia con lunga resistenza; superando i Romani per esperienza e fortezza i Tirreni e i Latini ; ma po- tendo questi assai più de’ primi col numero. Alfine ca- dendone quinci e quindi in gran copia s’ intimorirono prima i Romani dell’ aia sinistra in vedere i loro duci Valerio e Lucrezio feriti , e portati fuori della batta- glia ; e poi , quando mirarono in piega i loro compa- gni, sbigoltironai aneli’ essi, quei dell’ala destra sebbene ornai vincitori delle schiere de’ Tarqainj. E fuggendosi tutti alla città , |>recipitosi , in folla , su per un ponte solo ; piombavAno intanto su loro ferocissimi gl’ inimici : e poco mancato sarebbevi che Roma priva di mura dalla banda del fiume , fosse espugnata , se i vincitori investita 1’ avessero misti co’ fuggitivi. Se non che so- stennero r inimico , e salvarono tutto 1’ esercito tre uo- mini , due seniori , Spurio Largio , e Tito Erminio , appunto i duci dell’ ala destra , e Publio Orazio , un giovine, il più beilo, il più valoroso de’ mortali Coclite detto dallo strazio degli occhi , per essergliene stato di* velto uno in battaglia. Era questi figlio dei fratello di Marc’ Orazio console , e traeva la origine sua generosa da Marco Orazio 1' uno de’ trigemiai che vinse già li tre Albani ,. quando le città guerreggiando per la pre- minenza . accordaronsi a non cimentarsi con tutte le forze , ma con soli tre uomini , come fu dichiarato nei libri antecedenti. Questi soli fattisi alla lesta del ponte disputarono gran tempo il passo al nimico , fermi sul posto medesimo , in mezzo a nembo di strali e tra ’l fulminar delle spade , finché tutta l’armata ripassò di qua dal fiume. Come però videro in salvo i suoi , Erminio e Largio , laceri già nell’ armatura pe’ colpi incessanti , si ritirarono a grado a grado. Orazio però , sebbene dalla città lo richiamassero i cittadini ed il console , e tentassero per ogni via di salvare un tal uomo ai pa- renti e alla patria , Orazio solo non ubbidì , ma nel posto suo si rimase come dianzi , raccomandando ad Erminio di dire in suo nome ai consoli che tagliassero verso la città, quanto prima potevano il ponte. Era di quel tempo il ponte uno solo e di legno , con tavole congiunte per sè stesse e non per ferrei grappi , quale custodiscesi tuttavia dai Romani : raccomandò nemmeno che quando avessero sconnesso il più del ponte , quando picciola parte resterebbe a disfarne , a lui lo dichiaras- sero con certi segni , o con sonora voce. Lasciassero a lui poi la cura del resto. Cosi ricordando a que’due si tenne in snl ponte, e parte col ferir della spada, parte col dar dello scudo, ne respinse , quanti investendolo , vi si avventavano. E già quelli che perseguitavano il romano non ardivano più venire alle mani con esso , come preso da furore e fermo di morire *, molto più che non era facile andar fino a lui , che aveva a destra e a sinistra il fiume , e dinanzi un monte di cadaveri e di armi : ma tenendosegli discosti Io bersagliavano in folla con lance, e dardi, e sassi quali empirebbon la mano ; o coi brandi e coi scudi degli estinti , se non aveano i primi stromenti. Resistea colui colle armi loro medesime : tirando su la moltitudine ; sempre , com’ è verisimile, colpiva alcuno. E già percosso , già carico egli era di ferite in più parti del corpo , già un colpo portatogli direttamente per la coscia alla testa del fe- more , lo addolorava e difficoltava nel caminare; quando, udendo gridarsegli addietro essere il ponte nella sua più gran parte disciolto, si gettò di un salto colle arme nel fiume. E valicatolo a stento, perchè divenuto rapido e molto vorticoso per le travi che già sostenevano il pon* te , e che ora abbattute rompevano il corso delle acque, fecesi a terra finalmente senza avere in quel tragitto perduta niuna delle armi. Tale azione produsse a lui gloria immortale : e li Romani coronandolo lo portarono immantinente per la città com’ nno degli eroi tra’ cantici trion&li. RU versavasi la urbana moltitudine, finché le era permesso, per desiderio di vederlo , almeno nell’ ultimo presentar- sele; sembrandole che tra non molto morirebbe per le ferite. Scampò tuttavia da morte; ed il popolo mise nella parte più cospicua del Foro la statua metallica di lui com’ era fra le armi ; e diedegli del terreno pub- blico quanto ne potrebbe in un giorno un pajo di buovi arare d’ intorno ; e senza contare i pubblici doni , ogni uomo o donna , i quali erano insieme più che trecento mila, gli recarono ciascuno il vitto di nn giorno men- tre era fra tutti terribile la peuorta. Orazio dimostrala in tal tempo tanu virtù parve più che tutti i Romani invidiabile. C quantunque, divenuto perchè zoppo, inu- tile ad altr’ incarichi nou potesse in vista di tale scia- gura conseguire nè il consolato, nè altre militari presi- denze ; nondimeno per le gesta meravigliose fatte da lui, vedendolo tutti ì Romani, in quella battaglia, me- rita di esserne encomiato quanto mai lo fosse ciascuno de’ più famosi per la fortezza. Cajo Muzio , sopranno- minato Cordo , sceso da chiari antenati , anch’ egli si mise ad una nobilissima impresa. Io ne dirò tra poco dopo esposti i mali che allora ingombravano Roma. Dopo quella battaglia il re dei Tirreni col- locatosi nel monte vicino, dal quale avea discacciato il presidio romano , dominava tutta la campagna di là dal Tevere. Li figli di Tarquinio , e Mamilio il genero di lui tragittando le milizie loro picciole barche aU . ' i3y r altra riva per cui vasai a Roma , accampamsi in luogo ben forte. Donde slauciandosi davano ilguasto alle terre , ed agli alloggi pe’ bestiami , e piomavano su’ bestiami stessi che uscivano dai sicuri luo^i per pascere. Ora essendo tutto 1* aperto in balìa el iie» mico, nè più di qua, nè più sopra il fiume reandoai in città le merci se non scarsissime; vi riuscì be tosto carestia gravissima ; consumandovi tante raigliaja Iprov- vigioni già fattevi , che non erano copiose. Allea gli schiavi, abbandonandoli ogni giorno, in buon nttiero, disertavano dai padroni , e li più malvagi del ppolo trasferivansi alle parti del tiranno. In vista di ciò arve ai consoli di supplicare i Latini i quali riverivano' le> gami del sangue , e sembravano fidi ancora , che ian> dassero come prima potean de’ rinforzi : e di spjire ambasciadori a Cuma nella Campania, ed alle itià Fomentine per ottenerne dei grani. Non sovvenneri ad essi i Latini ; come quelli che non credevano giusti far guerra con Tarquinio nè co’ Romani , avendo con m- bedue vincolo di amicizia : ma Erminio e Largio pe- diti commissari pel trasporto de’ frumenti, avendo trin- cate da’ campi Pomentini più barche di ogni vettva- glia , le introdussero in una notte senza luna dal tare EU pel fiume, in occulto de’ nemici. Ma venuta mno ben tosto pur questa provvigione, e ridottisi gli uoainì ai disagi di prima ; Porsena chiarito dai disertori cime , que’ eh’ eran dentro vi penuriavano , mandò arabi ad essi intimando che ricevessero Tarquinio se veleno li- berarsi dalla guerra e dalla fame. Non comportarono i Romani il coaando , risola piuttosto di subirne ogni male. Ma prevedendo > Musi' che l’una delle due ne seguirebbe, o che vinti dal bogno non terrebbono gran tempo la parola , o che aendola ne perirebbono sgraziatissimamente; pregò li coioli che gli adunassero il Senato , come volesse proprgli grandi e rilevantissime cose : e radunatosegli , disse Io medito o senatori una impresa, donde il popo nostro s’involi da’ mali presenti. Ardita molto ella ì questa , ma facile , io penso , da compierla. Beri , riuscendomi , poco , ower nulla io spero su la mie vita. Ora essendo io per espormi a tali pericoli, anaaiovi da speranze sublimi, non ho voluto che , voitutti lo ignoraste ; perchè se mi accada di mancar la trova , io sitine celebrato almeno per V azione bel- lis.ma , e me ne abbia gloria eterna in luogo del capo mortale. Già non era sicuro palesar quanto mcchino al popolo , perchè niuno spinto dall util suo ne riferisse à nemici, quando è ciò da nascondersi cote arcano indicibile. Pertanto a voi primi e soli ma- niestolo, i quali , ne confido, lo tacerete: gli altri da vo r udiranno a suo tempo. La impresa che io medito è mesta : Fintomi disertore , andrommene al campo Treno. Se non mi ciedono e muojo , voi non avrete peduto che un cittadino : laddove se mi riesce intro- dumi in quel campo ; io vi prometto di uccidervi il sue re. Caduto Porsena , sarà per voi finita la guerra. Io pronto sono ad ogni sorte , qualunque gli Dei me ne òstinino : e tenendo voi per consapevoli e tesli- monj miei presso del popolo , e pigliando il genio buoni della patria per guida , portomi^ e vado. Encomiatone dai senatori presenti , ed avuti gli augurj propizj per la impresa , passa il Tevere : e giunto agli alloggiamenti de’ Tirreni , ne penetra come nno di essi le porte , deludendone le guardie : perchè non portava arme visibili , e perchè parlava alla tir> rena , come eravi fanciullo stato istruito dalla sua na- trice tirrena. Approssimatosi al Foro ed alla tecda del principe vedevi un uomo cospicuo per grandezza e complessione di membra seduto in veste di porpora nel tribunale in mezzo a molti che armati lo circondavano. Or pensò , ma indarno , che costui fosse Porsena, non avendo altra volta mai veduto il re de’ Tirreni : ma egli non era che il regio scriba il quale sedea nel tri- bunale e numerava i soldati , e registravano i paga- menti. Inoltrasi a tal vista tra la moltitudine fino allo scriba, e salito, senza esserne impedito perchè inerme, snl tribunale , cava il pugnale che celava sotto l’abito , e daglielo in capo. Ucciso con un colpo lo scriba, egli è preso immantinente e portato al re già consapevole della strage. Il quale vedutolo appena , Ah scelleralis- simo ! esclama, pagherai ben presto le pene che me- ritasti. Dì , chi sei ? donde vieni ? e su qual confi- denza osasti un tanto attentato ? Destinavi la sola morte delio scriba, o la mia parimente ? quali com- pagni hai tu della perfidia? Non celarmelo, o li tor- menti vi ti forzeranno. E Muzio non presentando pur un segno di paura non col variar del colore , non colla fissezza dei pensieri, nè con altre affezioni solite in chi dee punirsi (li morte gli rispose : lo sono un Romano: venni qual diserlom ed tuo campo , nè già per causa vile , ma per liberare la patria dalla guerra, lo voleva uccidere te , qu$nUmque io non ignorava che o riuscissi o fai' lèssi tujl colpo io ne dovrei morire : io destinava con' secrard alta patria la vita , e lasciarle pel corpo che essa àveami dato , una gloria sempiterna. Errai : e causa ifelT errore furono la porpora , lo scanno , e le altre irfsegne del comando. Uccisi chi non voleva ! . . lo scriba tuo per te stesso. Pertanto io non ricuso la morte thè io decretava a me medesimo nell accingermi a rfuesta impresa. Che se tu giuri per gli Dei di ri- sparmiarmi li tormenti e gli ohbrobrj ; io prometto che ti svelerò cose , gravissime per la tua salvezza. Cosi Muzio diceva per deluderlo. E colui come attonito, e temendo pericoli non veri da molti , glie lo giurò. Muzio allora ideato un inganno del quale non potea convincersi : disse : O re , trecento Romani tutti a ma pari di età , tutti patrizj di condizione , abbiamo mac' chinata di ucciderli , dandocene vicendevoli giuramenti. Pavé, a noi quando ci consultavamo su le maniere insìiiarli , che non tutti insieme ci ponessimo a questa impresa , ma ciascuno da sà , tacendo perfno ai compagni , quando , dove , come , e con quale oc- casione £ investirebbe , acciocché facile ci fosse di occulterei. Cosi macchinando , ci demmo le sorti , ed io me la ebbi il primo per cominciare la impresa. Istruito tu dunque che tanti valentuomini hanno sete egiude di gloria, e che forse alcuno la sazierà con successo più fausto del mio ; deh ! considera se possi more mai guardia abbastanza che ti d fenda. Il re ciò udendo comanda al «atelliti che in- calenino costui , se lo menino , e lo custodiscano diii> gentissimamente : egli poi convocando i più amici , e facendo che Arunte il figlio suo gli sedesse da presso , ragionò con essi le maniere da far vane le insidie : ma suggerendone gli altri picciole cose ; non pareano co- gliere il punto : quando il figlio suo propose un consi- glio , superiore all’ età ; perciocché volea che non si pensasse a guardie onde precludere i mali, ma piuttosto a far quello per cui le guardie non bisognassero. E maravigliandosi tutti del suo consiglio , e desiderando sapere come lo eseguirebbe ; col farci , ei disse , amici i nemici , e col pregiare o padre, la salvezza tua più che il ritorno degli esuli. Soggiunse il re: cìut egli ben diceva, ma essere da consultare come consdignità si pacificassero. Sarebbe gran vitupero , se egli che uvea superato in battaglia , e tenea ristretti i Romani fra le mura si ritirava , senza compiere quanto avea pro- messo ai Tarquinj , quasi vinto dai vinti , e quasi fuggisse chi non ardiva nemmeno uscire dalle porte. Facea conoscere che l’unico mezzo da togliere le ni- niicizie sarebbe , se gli avversar) mandassero ambasciadori per trattare gli accordi. Cosi disse in quel giorno agli astanti ed al figlio: tuttavia pochi giorni dipoi fu necessitato egli il primo a fare proposizioni di pace per questa cagione. Sbandatisi intorno i suoi militari , e datisi a predar di continuo quei che recavano in città le merci; i consoli Romani se ne misero in buon luogo alle insidie , e molti ue uccisero , e più ancora ne imprigionarono. Di Digitìzed by Coogle i44 DELLE Antichità’ romane ohè nuioontenti i Tirreni ne facean crocchio e sussurro iocolpaodo il monarca e i duci suoi sul tanto prolungarsi della guerra , e sfogandosi in desiderj di rendersi alle lor case. Or vedendo come tutti gradirebbero ma* nilestamente la pace spedi per trattarla i più intimi suoi. Scrissero alcuni che fu con essi spedito anche Muzio sul giuramento di tornare poscia al monarca: ma vo* glion altri che fosse piuttosto custodito come ostaggio nel campo fino alla pace : il che forse è più verisimile.' Questi poi furono gli ordini che il re diede a’ commise sarj ; non dicessero parola sul ritorno de Tarquinj ; ma ne raddomandassero i beni , principalmente gli ereditar] dal canto di Tarquinio P antico , già posse- duti da essi bitoncunenle : e se ciò ricusatasi; dessero almeno , quant’ era possibile , i compensi delle case , de' bestiami , de' campi ,» delle raccolte , come purea loro espediente , col danaro del pubblico , o de' pos- sessori , ed usufruttuarj atlucdi de' beni. E ciò quanto ad essi. Chiedessero poi > per lui che deponea le inimi- cizie li sette pagi , cosi detti , antico luogo dell' Etru- ria , invaso da Romani nella guerra e tolto aproprielarj , e finalmente chiedessero de' giovani delle famiglie più insigni , per ostaggio , che i Romaai si terrebbono amici costanti de' Tirreni.Venuti i deputati a Roma , il Senato per in* sinuazione di Poplicoia console si risolvè di accordarne tutte le dimande in vista della penuria che alHigeva il popolo e . la classe de* poveri ; onde accettissima sarebbe loro una pace , giusta nelle condizioni. Il popolo ratificò tutti gli articoli del decreto del Senato; non soffri però die si vendessero i beni , o si desse a’ Tarquinj dana- ro , privato nè pubblico , e volle che si mandassero am- basciatori a Porsena perchè si contentasse degli ostaggi e della regione che dimandava. Quanto ai beni egli giudice fosse tra’ Romani e tra Tarquinio , udisse 1’ una e r altra parte , e ne sentenziasse non per favore nè per nimicizia. Partirono i Tirreni con questa risposta , e con essi gli ambasciadori del popolo i quali condu- ceano per ostaggi venti giovani delle famiglie più illu- stri , avendo i primi dato i consoli Marco Orazio il 6gl lo, e Publio Valerio la figlia, idonea già per le nozze. Pervenuti questi nel campo , il re dilettatone , e molto- lodati i Romani, conchiuse una tregua per un numero certo di giorni, e prese a giudicare la causa. Baltristaronsi però li Tarquinj , caduti dalle speranze più lusinghiere , che avrebbegli quel monarca ricondotti sui trono ; e per necessità dovéttero acconciarsi alle circostanze, e prendere clocch’era lor conceduto. Giunti da Roma al tempo ordinato i più anziani de’ senatori e gii oratori della eausa ; il re sedutosi cogli amici nel tribunale, ed assunto anche il figlio per giudice ; intimò che parlassero. Trattavasi ancora la causa , quando un tale annunziò che gli ostaggi s’ eran fuggiti. Perciocché le donzelle tra' questi , avuta come la chiedeano , la facoltà di andare e di bagnarsi nel fiume , andatevi , dissero agli uomini che alquanto se ne discQstassero , finché la- vate e rivestite si fossero, sicché non le vedessero nude. Or questi cosi facendo ; quelle gitlatesi a nuoto ripara- ronsi a Roma , eccitatevi da Clelia che le precedeva. A ul nuova Tarqutnto assai rimproverava li Romani di iperginro e di mala fede , e provocava il sovrano per- chè più non gli adisse , come divenuto il giuoco dei loro tradimenti. Esciisavasi il console , dicendo queir opera , tutta delle donzelle , senza voler del Senato: e che pre- sto dimostrerebbe che niente era per inganno. Persua- sone il re concedè che andasse e rimeuasse come prò- mettea le fanciulle. Andò Valerio appunto con tal fine: Dia Tarquinio e il genero macchinarono in onta di ogni diritto un opera infanóissima, e spedirono in su la strada una banda di cavalieri per sorprendere le fanciulle ri- condotte , il console , e quanti tornavano al campo , e ritenersene le persone pe’ beni tolti da’ Romani a’ Tar- qninj , senz’ aspettare il fine del giudizio. Ma non per- misero gl’ IJdj che succedesse loro secondo il disegno : perché mentre gl’ insidiatori uscivano dal .campo Latino per sopraffarsi a que’ che venivano , il console romano era già passato innanzi colle fanciulle : e già era alle porte degli alloggiamenti Tirreni quando fu sopraggiunte da’ persecutori. Si fe’ qui mischia fra loro, ma ben pre- sto fu nota a’ Tirreni , e ne corsero frettolosissimi in ajuto il figlio del re con de’ cavalieri , e la schiera dei fanti che stava di guardia innanzi del campo. Sdegnatosi di ciò Porsena convocò li Tir- reni > e narrò come essendo egli fatto giudice da’ Ro- mani di quello ond’ erano accusati da Tarquinio ; gli espulsi , e bene a ■ diritto , da loro , aveano tentato di violare, le persone sacre degli ambasciadori e degli ostag- gi , in tempo di tregua , e prima che si decidesse la causa. Dond’ è che i Tirreni assolvettero su di ogni richiamo i Romani , e togliendosi all* amicizia di Ma- nilio e di Tarquinio , intimarono loro cb’ entro il pros* rimo giorno si ritirassero. Così lì Tarquinj » pieni in principio di belle speranze per 1’ ajuto de* Tirreni, o di essere di nuovo i tiranni di Roma, o di ricuperare*! loro beni , perderono 1* uno e 1* altro per la offesa degli ostaggi e degli ambasciatori , e partirono con infamia , e con odio dai campo. Il re poi de* Tirreni facendosi condurre gli ostaggi dinanzi dei tribunale gli rendette al console , dicendogli che pregiava la fedeltà de' Ro- mani più di ogni ostaggio. R lodando Clelia , che avea persuaso le compagne di passare a nuoto il fiume, come ne* suoi pensieri maggiore del sesso e della età , e feli* citando Roma perchè allevava non pure de* valentuo* mini ma delle eroine , regalò la donzella di un cavallo generoso , e magniCcamente bardato. Sciolta radunanza fe’ cogli ambasciatori de* Romani gli accordi e li giura- menti di pace e di amicizia , e li onorò come ospiti , e restituì senza prezzo, perchè li recassero in dono alla loro città , tutti li prigionieri , che eran pur molti : or- dinò che rimanessero com* erano i padiglioni suoi, fatti non come per breve durata su le terre altrui , ma fre- giati , quasi una città, con private e pubbliche spese; quantunque i Tirreni dopo avervi alloggiato , usassero di. t noti  serbarli. E fu questo , se in danaro si .calcola , non picciolo dono pe* Romani , come lo di* chiarò la vendita fattane da* questori dopo la partenza del re. Tal fu la fine della guerra de’ Tirreni e di Laro Porsena la quale avea ridotto i Romani a tanti Dopo la partenza de’ Tirreni adunatosi il Senato Romano decretò che si mandasse a Porsena.il trono di avorio, lo scettro, il diadema e la veste trion- fale colla quale i re si adornavano: e che Muzio , espo* stosi alla morte per la patria, e cagione principalissima del termine della guerra , si premiasse a spese del pub- blico ,> come già Orazio che resistè sul ponte, con tanto terreno; di là dal Tevere, quanto poteane in un giorno solcare intorno coll’ aratro : e questo è il terreno che pur nel mio tempo si chiama il prato di Muzio. Cosi fu decretato su gli uomini. Quanto a Clelia concede- rono che una statua di metallo se le innalzasse , ed i , padri 'delle donzelle glie la innalzarono nella via sacra,' dove mette al Foro : tifa noi non più ve l’ abbiamo tro- vata ; e dicesi che mancò per un incendio delle case d’intorno (i). Fu quest’anno compiuto il tempio di Giove Capitolino, dei quale partitamente abbiamo scritto nel libro antecedente. E Marco Orazio console lo con- sacrò , e lo intitolò prima che potesse tornare Valerio il compagno , uscito per avventura dalla città coll’ esercito , per difenderne la campagna : perocché Mamilio speden- dovi a far preda, assai vi danneggiava li coltivatori éhe vi si erano di fresco l'icondótti , lasciate le fortezze. -E questo è ne’ fasti dèi terzo consolato. Spurio Largio e Tito Erniinio consoli del- l’anno' quarto (2) io compierono senza guerra. Morì nel 1 • ; I • ■ • • (i| Plutarco sclibenè poslèriore a Dionigi dice che la statua di Clelia esisteva aucora su la via sacra là donde vasai isf e-asAttrter in palatiwn. Casaub. (3) Ad. 348 secondo Catone, e aSo secondo Vatrone dalla fuuda- sioue di Roma , e 5o4 avanti Cristo] 149 loro consolato Aruote il 6glio di Porsena re de' Tirreni» Assediava già da due anni , la città della Riccia , per- ché conchiusa appena 1’ alleanza co’ Romani , prese dal padre metà dell’ esercito , e marciò contro quella città per sottoporsela , e dominarvi. Ma essendo ornai per espugnarla , sopravvennero a questa de’soccorsi da Anzio, . dal Tuscolo , e da Cuma della Campania. Egli schierò le milizie sue' minori contro le più numerose: ma dopo respinti , dopo incalzati gli altri 6no alla città , peri finalmente , vinto egli stesso dai CumanI condotti dalr r Aristodemo , che Malaco si chiamava. Fuggi, non sostennesi a tale caduta 1’ armata di lui. Molti ne ^ soc- comberono incalzati da’ Cumaui ; ■ ma più ancot^ : sban- dati ; ridotti senz' arme , nè più Idonei per le ferite a. fuga più lunga , ripararonsi nel territorio non lontano di Roma. Se li menarono i Romani dalle .campagne' in citté^ nelle proprie case, portandovene i più malconci a cavallo., o su carri, o su cocchi: e ciascuno a proprie spese li nudrirono, e curarono, e ristorarongll con sol-, lecitudine molto affettuosa. Di talché molti di loro le- gati da tanta benevolenza desiderarono non di tornarsene in patria , ma di rimanersi fra tali benefattori ; ed il Senato assegnò loro perclié vi si fabbricasser le case , la valle tra ’l Palanteo , ed il Campidoglio, lunga presso a quattro stadj. Chiamasi questa anch’ oggi nell’ idioma de' Romani la contrada Tirrena ; e vi si passa venendo dal Foro al circo massimo. E per tali cortesi maniere ebbero dal re di quella gente dono non lieve , e che assai li dilettava , la campagna di là dal fiume , ce- duta già da essi quando ne ottenner la pace. Cori iSó trìbuUroao agl’ Iddj li sagnfiz) magoìBci che aveano già promesso co’ voti se ricuperavano mai li sette pagi. Correa nell’ anno quinto dopo la espulsione dei re la Olimpiade sessantesima nona , nella quale Iscomaco Crotoniate vinse allo stadio, Acestoride fa 1* arconte di Atene per la seconda volta , e furono con- soli Romani Marco Yalerìo , fratello di Valerio Popli- cola, e Publio Postumio , detto Tuberto (i). Arse nel loro consolato un’ altra guerra co’ vicini , la quale co- minciò colle prede , e procedette a numerose e grandi battaglie : finché cessò da indi a quattro consolati , dopo essersi nel tempo intermedio sempre stato fra le arme. Imperocché alcuni Sabini considerando Roma indebolita per gl’ incontri suoi co’ Tirreni , quasi non dovesse mai più ricuperare l’antica dignità, ne assalirono , affin di predarli , e certo molto ne danneggiarono , li coltiva- tori , i quali calavano di bel nuovo dai luoghi forti alla campagna. I Romani prima di prendere le armi spedi* rono ambasciadori a chiedere conto e soddisfazione, tal> ché non più molestassero chi lavorava i terreni. Ma non ricevendone che orgogliose risposte , intimarono ad essi la guerra. Valerio il console il piimo con truppe eque- stri e con fiore di milizie leggere scorse tu que’ ruba- tori de’ campi , e grande fu la uccisione de' sorpresi nri pascoli , sbandati , com’ è verisimile , nè provvidi del venir de’ nemici. E spedendo i Sabini contr’essi un (i) An. a49 ài Rom. ucondo Caioae, e aSi secondo Varronr, e &o3 «vanii Criaio, Digitized by Google LiBno V. 1 5 1 esercito sotto un duce perito di guerra , i Romani usci* rono di bel nuovo con tutte le forze , dirette da ambi li consoli. Postumio mise il campo nelle alture prossime a Roma , pei'cbi uon vi si facesse una subita irruzione da’ fuorusciti. Ma Valerio marciò di fronte al nemico iu riva all’ Aniene , fiume che nella città di Tivoli casca da rupe altissima , e poi corre , dividendoli fra loro , i campi de’ Romani e de’ Sabini , finché vago in vista e dolce a beverne , scende nel Tevere. Erano i Sabini dall’ altra parte del fiume non lungi dalla corrente su di un colle non molto forte, e che poco a poco degrada. In principio gli uni rispet- tando gli altri esitavano a passare il fiume e farsi alle mani. Ma poi non per calcolo e previdenza di beni, ma rapiti dfiir ira e dall’ ardor di combattere , furono alle prese. Imperocché venuti ad abbeverare i cavalli e far acqua , inoltraronsi molto entro il fiume , vmile allon nel suo corso , perché non accresciuto dalle acque in* vernali : e siccome bagnavali appena , poco più su delle ginocchia ; lo trapassarono. Attaccatisi in su le prime pochi con pochi , ecco accorrere altri a difenderli , ognuno dai proprj alloggiamenti , e via via sopraggiun- gerne di rinforzo , come questi o quelli erano superati. E quando i Romani respingevano i Sabini dal fiume, e quando i Sabini ne toglievano l’uso ai Romani. E molti uccisi e feritivi, ed eccitativisi tutti a combat- tere , come avviene nelle scaramucce fortuite , sorse ar- dore eguale di passare il fiume ne’ duci stessi degli eserciti. E primo passandolo il console Romano e con esso r armata sua , ' piombò su li Sabini. Non eransi questi ancora nè bene armati , uè schierati ; pure non esitarono ad accettar la battaglia , inanimiti molto è spregianti , perchè non arcano a farla nè con ambi li consoli , nè con tutte le milizie Romane , e slanciatisi , combatterono con furia di baldanza e di odj.  Ardea rivissi ma la battaglia ; ma se 1’ ala destra , or’ era Postnmio il console, superava gli avversar] ed avanzavasi ; la sinistra ‘era travagliata e respinta al fiume. Or saputo ciò 1’ altro console usci coll’ esercito suo : marciava egli pian piano colla fanteria , ma fe’ precedere in fretta colla cavalleria Spurio Largio Se- niore , e console dell’ anno precedente. Andato costui di tutta briglia passò facilmente il fiume , che non era guardato da alcuno , e giratosi attorno l ala destra dei toemici pigliò di fianco la cavalleria de’ Sabini., Or qui sorse battaglia diuturna e grave di cavalleria con caval- leria. Frattanto avvicinatosi anche Postumio co’ suoi fanti a queU’ ala ed investitala , molti ne uccise , e molti ne disordinò : di modo che se non sopravveniva la notte, i Sabini avviluppati da’ Romani che già prevalevano, sa- rebbero stati del tutto disfatti : ma le ombre occultarono qùei'che fuggivano dalla battaglia come inermi e radi, e salvi si ricondussero alle lor case. Impadronironsi i consoli senza combattervi de’ loro alloggiamenti, abban- donati dalle guardie al veder quella fuga : ed occupa- tevi molte suppellettili, e datele in preda all’esercito, *lo rimenarono in patria. Cosi riavutasi Roma , allora la prima volta , da’ inali suoi co’ Tirreni , senti lo spirito antico , ardi come prima arrogarsi 1’ impero su’ vicini , decretò pe’ due 'consoli insieme un trionfo , e di più che si desse a Valerio che era I’udo di questi, un sito nella parte- più distinta del Pallanteo , dove gli si fon- dasse una casa a spese del pubblico. Questa è la casa innanzi alla quale sta il toro di bronzo , e questa tra tutti i privati e pubblici ediCzj è la sola che ha le porte che aperte si girano in fuori (i). XL. Presero dopo questi il consolato Publio Valerio Poplicola per la quarta volta , e Tito Lucrezio, di bel nuovo collega suo (a). Quest’ anno le città Sabine, te- nuto un congresso comune, decretarono far guerra ai Romani , quasi fosse finita 1’ alleanza loro , per essere caduto dal trono. Tarquinio a cui 1’ aveano giurata. Aveale indotte a ciò ,1’ uno de’ figli di Tarquinio, Sesto di nome , il quale coll’ onorare e supplicarne i citta- dini primari di ognuna , metteva in tutte un animo per la guerra : anzi aveva a sé guadagnate, e consociate a queste pur le due città Camcria e Fidene , ribellatele da’ Romani. In contraccambio le città lo elessero gene- ralissimo loro con facoltà di reclutare milizia da ognuna, come quelle che aveano perduta la prima battaglia per la insufficienza delle forze , e del capitano. Ed in ciò si adoperavano questi : ma la fortuna volendo contrap- pcsare i beni al mali di Roma , le diede in luogo degli alleati che le si eranp tolti , un rinforzo , quale non 1(■) Tra i Greci era grande onarificenia aver le porte che ai apria- aero au.la pubblica strada; e questa servitù della pubblica strada coiopcravasi a gran presso: come è chiaro da ciò che si legge d’I- ficrate presso di Aristotele negli Economici. (a|)'An. di Bom. aSo secondo Catone, e aSa secondo Varrone, e 5oa av. Cristo] imperava dal canto de’ nemici. Tito Claudio , un Sid>mo domiciliato a Regillu , nobile e denaroso , fuggissene in seno di lei menando con sé gran parentado , ed amici e clienti in copia , i quali spatriavano con le famiglie ; tanto che tra, questi ce ne avea cinque mila buoni per le arme. E questa dicesi la cagion cbe lo spinse a tra» sferire in Roma la sede. I primar) delle città più cospi- cue alienatisi da lui -lo aveano incolpato di poca affe- zione verso il pubblico bene , citandolo qual traditore ; come r unico che mal soffriva la guerra , e che avea ripugnato in consiglio a quei che voleano sciolta 1’ al- leanza , nè permise che i suoi cittadini AtiGcassero il decreto degli altri. Or temendo egli un giudizio , ove le non sue città sentenzierebbero della sua sorte , rac- colse le sue robe , e gli amici , e si congiunse ai Ro- mani , non senza picciolo sbilancio degli affari ; talché parve a tutti la cagion principale dell’ esito propizio della guerra. Per tanto il Senato ed il popolo lo ascris- sero tra’ patrizj , lasciandogli in città quanto sito volle per fabbricarvi ; e gli donarono i terreni pubblici tra Fidene e Picenza perchè li • compartisse co’ suoi com- pagni , da’ quali risultò poi la tribù Claudia che ancora tiene quel nome. Apparecchiatasi appuntp l’ una e 1’ altra parte, li Sabini i primi cavarono le milizie e fecero due ac- campamenti , r uno all’ aere aperto non lungi da F ide- ne, r altro in Fidene a difesa del popolo , come in ri- fugio dell’ esercito esterno in caso di sciagura. I consoli Romani al sapere la venuta de’ Sabini contra loro ,• usci- rono anch’ essi con floride scltiere , e presero campo , separati T ano dall' altro , Valerio a fronte degli allog» ' giatnenti sabini all’ aere aperto , e Lncreaio poco più di sopra , in un* altura donde potea vedere l’ armata com- . pagna. Era disegno de’ Romani di venire quanto prima a giornata per decidere subitamente , e visibilmente la guerra. Ma' il capitano Sabino temendo di attaccare in pieno giorno la baldanza e la robustezza romana, sem- pre ferma , contro ai casi anche più duri , deliberò di investirla di notte. Quindi facendo preparare quanto era necessari a riempire le fosse , e trascendere il vailo , quando ebbe pronto tutto, voleva tor seco il 6or deU r esercito , ed assalire nel primo sonno le trincee de’Ro* mani. Su tal disegno avea fatto intendere all’ armata di Fidene che quando si avvedessero del giunger suo ve- nissero anch’ essi dalla città , ma con armi leggere : ed avea posto in luoghi opportuni gli agguati con ordine, che se andavano dei rinforzi a Valerio dall’altro campo, uscissero loro alle spalle e gli assaltassero fra strepito di voci e di arme. Sesto con tale risoluzione, istruitine e trovativi pronti li centurioni , non aspettava che la opporiobità. Ma un suo disertore venuto al campo ro- mano disse di quella trama al console. Giunsero non molto dopo i cavalieri con dei Sabini che usciti a far legna furono presi. Interrogati questi separatamente c/te mai preparasse il lor capo , risposero , che scale e ponti : ma che dove , o quando fosse per valersene , non lo sapeano. Valerio ciò udendo spedi Marco al- r altra armata per divisare a Lucrezio che vi comandava r animo dei nemici , e come si dovessero questi assalire. Poi chiamando egli stesso tribuni e centurioni, dicendo quanto avea raccolto dal disertore , e da’ prigionieri ; confortandoli ad esser magnanimi , e credere cb’ era giunto alfine il tempo sospirato onde prendere' su’ ne» mici una luminosa vendetta ; prescrisse ciocché doves- sero fare , diede i segni , e rinviò ciascuno alla sua schiera., XLII. Non era ancora la notte a mezzo , quando il duce Sabino fatti levare i soldati , ne condusse il fiore al campo romano , imponendo, a tutti che , taciti, avan- zassero senza strepito di arme ; perchè i nemici non si avvedessero di loro prima che fossero giunti. Or come i primi a procedere furono vicini al campo, nè videro ivi lume di fuochi , nè voci vi udirono di sentinelle , assai riprendeano di stoltezza i Romani , quasi tralasciata ogni gtiardia , se la dormissero : c già riempiute le fosse in gran parte , le passavano senza ostacolo alcuno. I Romani però si teneano , non veduti si per le tenebre, ma schierati nello spazio tra i valli e le fosse, e quando chi le passava era loro alle mani, uccidevanlo. Rimase alcun tempo occulta la rovina di chi precedeva a quei, che seguivano. Ma non si tosto quei eh' erano vicini alle iosse videro col chiarore della luna che nasceva, i mucchi incontro de’ cadaveri de’ compagni , e le schiere valide de’ nemici che resistevano; gettarono le armi, e fuggirono. Allora alzato i Romani un altissimo- grido , perchè quel grido era segno all’ altra armata, corsero in folla su loro. Lucrezio a quei clamori, spediti su- bito 1 cavalieri per ispiare se ci aveàno insidie nemi- che , si mosse indi a poco egli stesso col fiore della fanteria. Imbattutisi i cavalieri con gli usciti da Fidene per insidiare , li fugarono: ma la fanteria perseguitava) ed uccidevali , : ornai disordinati e sena’ arme , quelli che erano venuti ad assalire il campo romano^ Morirono in teli òombaltimenti circa tredici mila tra Sabini ed al* leali, rimanendone prigionieri! quattro mila dugento: ed il campo loro fu preso nel giorno medesimo.  la stoltezza , e chia- mandoli degni di morte quanti ve ne erano , giacché nè erano grati pe’ beneGzj , nè faceano senno pe’ mali ; ne batterono alla vista del pubblico culle verghe, e poi vi uccisero i più cospicui per nobiltà. Quanto agli altri lasciarono che albergassero come prima , ponendo a coa- bitare con. essi la guarnigione che era decretata dal Se- nato , e dandole parte de' terreni tolti a quelli. Dopo ciò ritirarono le truppe dalle teiTe nemiche ,■> e trionfa- «• rono secondo il decreto del Senato. E tali furono le geste di , questo consolalo. Creato consolo Publio Postumio Tuberto per la seconda volta , e con esso Menenio Agrippa Lana- to (i) , fecesi ma con piu schiere la tersa Irmzione dei Sabini prima che i Romani se n avvedessero, e pro> cedette 6n presso le mura di Roma, Risultarono da questa molte uccisioni non solo di agricoltori romani , colti repentinamente da nembo che non aspettavtno prima di ricoverarsi ne’ castelli vicini , ma di quelli eziandio che in città dimoravano. Imperocché Postumio il console riputando insopportabile quella ingiuria; uscì di tutta fretta , con truppe comunque per soccorrere i suoi , pih animoso in vero che savio. I Sabini , visto con quanto dispregio , disordinati , e sbandati si avan- zassero verso loro , e latto disegno di ampliarne ancor più la negligenza , partirono con marcia più che ordir naria , quasi fuggissero addietro , finché giunsero ad una selva profonda ove il resto celavasi delle loro milizie. Or qui voltando faccia contrastettero a chi gl'inseguiva; ^ come pure gli occultati nel bosco ne uscirono , vocife- rando. Ed essendo essi in buon ordine e molti , pro- stesero gli altri che combattevano disordinati , sbandati , ansanti per lo viaggio ; e rinchiusero in una pendice deserta quanti ne fuggirono , con preoccupare le vie che menavano a Roma. E perocché già la luce era mancata ; posero le arme presso di quésti invigilandoli tutta la notte , sicché taciti non s’ involassero. Saputosi in città r informnio , vi fu gran turbamento , e concorso * ai muri, e. timor comune, che i nemici trasportati, dal successo propizio , si presentassero in quella notte a (i) An. di Rom. aSi secoado CaioDe, a53 secondo Varrone, e Sol av. Crino. . 1 5g Roma: e là com piange vans! i morti; qua »i commise- ravano li sopra vanzatt , come quelli che 'se nop erano immaniineote soccorsi , caderebbero prigionieri per la penuria. Passatasi con tanto mal' in cuore senza sonno la notte, Menenio , nato il giorno , armò li più floridi per anni , e li guidò ben forniti e con ordine a liberare gli assediali nel monte. I Sabini al vedere che ti avan> cavano non li aspettarono ; e tolto il campo si ritira- rono , pensando che bastassero loro i vantaggi presenti: e senza indugiarsi gran tempo , tornarono festeggiando alle patrie , ricchi di bestiami , di schiavi , di danari. XLV. Rattristati i Romani dal danno , e credendolo causato da Postumio il console ; deliberarono di mar> ciane sollecitamente con tutte le forze contro la Sabina, desiderosi di rifarsi della perdita inaspettata ' e turpe j molto più che assaissimo gli aveva esulcerati 1’ amba- sceria recente e contumeliosa e superba colla quale i nemici , come già vincitori , e prenditori senza contrasto di Roma se non erano ubbiditi , comandav.vno che ren- dessero ai Tarqninj la patria, cedessero ai vincitori r imperio , e stabilissero il goverho e le leggi , come sarebbero ordinate da questi. Aveano i Romani replicato a tali messaggi , che annunziassero alle loro comuni che i Romani comandavano ai Sabini , di deporre le armi, di sottomettere le loro città , di ubbidire ,come per addietro , e ciò fatto di venir supplichevoli per iscusarsi dalle ingiustizie e da’ mali onde gli aveano violati nelle incursioni passate , se voleano pace ed amici- zia : ma se ricusa vansi a tanto, aspettassero tra non molto la guerra su le loro città. Cosi comandando e comandati a vicenda, quando ebbero tutto in pronto ; uscirono per la guerra. Conducevano i Sabini il -fiore de’ giovani di ogni città con arme bellissime : e li Ro- mani tutta la milizia urbana e le guarnigioni , conce- pendo che i domestici e li schiavi , e quanti superavano ^ la età militare, bastassero in difesa di Roma e dei ca- stelli della campagna. Cosi concentrati si accamparono ambedue con breve intervallo fra loro non lungi da Ereto , città de’ Sabini. Come gli uni sepper degli altri o per con~ gettura dall’ampiezza degli alloggiamenti, o per ciò che ne udivano da’ prigionieri ; si eccitò ne’ Sabini confi* denza e disprezzo inverso la scarsezza degl' inimici ; ma timore ne’ Romani per la moltitudine di essi. Pur fe- pero cuo^e , e pigliarono qualche speranza su la vittoria pe’ segni mandati loro dal cielo, e per 1’ ultima visione , quando erano 'per ischierarsi , che fu questa : Su le punte dei lanciotti (sono queste le armi che i Romani scagliano nel farsi alle mani; bastoni grossi che ti em- pion le mani , e lunghi , con ferrei spuntoni nell’ uno e nell’ altro estremo , diritti , nè minori di tre piedi , tanto che le armi , compresovi il ferro , somigliano ad aste mezzane ) su le ferree ponte di . questi lanciotti , piantati tra padiglioni , brillarono delle fiamme ; talché per tutto il campo fu luce continua come di accesi fa- nali , gran tempo delia notte. Ora come gli auguri - di- chiaravano ( nè già era difficile intenderlo ) , concepirono che gli Dei con tal visione annunziassero loro una sol- lecita e luminosa vittoria : imperocché tutto cede al fuoco , nè cosa vi è che per esso non consumisi. E _ Dpercfac le fiamme brillarono su le armi loro; uscirono con assai fiducia dalle trinciere , e nell’ estero di tale fi* ducia , attaccatisi combatterono , sebbene di tanto mi- nori , co' Sabini. La sperienza eh’ era in essi col vivo amor dei travagli , elevava li a spregiare ogni pericolo. Postumio il primo ebe guidava 1’ ala sinistra , inteso a riparare la passata disfalla urtò 1’ ala destra de’ nemici , non curando la vita per la vittoria : e come chi rapito è da furore , e fermo per ogni via di morire, si lanciò nel mezzo di essi. Allora i soldati i quali erano nell’ al* tr’ ala con Menenio ornai stanchi , ornai cacciati di po* sto , al conoscere che que’ di Postumio prevalevano su gli emoli , rimbaldanzirono e turbinaronsi su gli avver- sar] loro. Cosi piegò 1’ una e 1’ altr’ ala de' Sabini , e diedesi pienamente alla fuga. E dopo la perdita delle ale nemmeno quelli che erano ordinati nel centro per* sislerono , ma forzati dalla cavalleria Romana che gli assaliva si misero in volta. Tutti al proprio alloggia- mento si riparavano , ma i Romani seguendo e inve- stendo , ne invasero 1’ uno e 1’ altro. C se l’esercito ne* mico non fu totalmente distrutto , ne fu cagione la notte ed il luogo della sconfitta , che era nella Sabina. Impe- rocché per la perizia de’ siti chi fuggiva salvavasi in casa più facilmente di quello che lo potesse , per la imperizia sua , sorprendere chi 1’ inseguiva. Nel prossimo giorno i consoli , bruciati i ca- daveri dei loro , e raccolte le spoglie , e tra queste le armi abbandonate dai vivi nel fuggire, e trasportando seco non pochi fatti prigionieri, c le robe invase' (non compresevi quelle tolte da’ soldati ) colla pubblica vendita delle quali cose ogaaao riebbe i prestiti , contri'* baiti per la spedizione ; tornarono con una luminosa vittoria nella patria. Quindi per decreto del Senato Tubo e r altro ne trionfarono ; Menenio col trionfo primario sedendo su regio carro, Postumio col secondario, e men grandioso , che chiamano della ovazione , altera'- tone il nome che era greco, sicché più non distin- guesi (i). Conciossiaché per quanto io ne concepisco o ne trovo in molli degli storici Romani questo trionfo chiamavasi nelle origini Evezione da ciò che vi si pra- ticava : ed il Senato , come Licinio racconta , ora per la prima volta ne ideò la pompa. Differisce quest’ onor secondario dall’ altro, primieramente perchè chi sei gode, entra la dttà colle schiere a piedi e non sul carro come in quello: e poi , perchè non porta come l’altro la toga contraddistinta pe’ ricami varj e per l’oro ; nè la corona pur di oro; ma la toga candida contornata di porpora, la quale è l’ abito nazionale de’ comandanti e de’ con- soli , e la corona di alloro (a) : e se tien le altre cose ; in questo cede al primo trionfante , che noU va collo sceturo. Postumio poi , sebbene più che altri segnalato (i) OTaxione tu detta originalmente evatio ; qnindi % !a voce di Virgilio I. 6. Ea. Evantes orgia circum ducehat Phrygias. Questo ovari era dal greco tva^nt il qnale esprimeva le accismasioni fotte con dire s«s lasserò Tarquinio , Mamilio , gli Aricini , e cbiunqae davasi per accusatore di quella , iìuchè uditili tutti , seu- tenziarono essere stata l’alleanza rotta dai Romani; e fecero intendere a Valerio che col suo tempo discute- rebbero come aveano a vendicarsi di loro che aveano i diritti calpestati del sangue. In mezzo a tali vicende congiurarono molti servi d’ invadere i luoghi riguarde- voli di Roma , e d’ incendiarla in più parti. Se non che datone indizio da’ complici , ne furono ben tosto chiuse le porte dai consoli , e preoccupati i siti forti dai ca- valieri. Allora quaiiU erano denunziati partecipi della congiura presi immantinente tra i domestici , o portati dalla campagna , perirono tutti , battuti , tormentati , crociGssi. E tali sono le cose operate in quel con- solato. Sotlentrati a tal dignità Servio ^ Sulpizio Came- rino , e Manio Tullio Longo (i), alcuni di Fidene con* vooando de’ soldati dal popolo de’ Tarquiniesi occupa- rono il castello di essa , e parte uccidendo , parte esi* liando quelli che si opponevano , ribellarono di nuovo Fidene ai Romani. Venutivi degli ambasciadori da Ro- ma, erano per malmenarli come nemici: ma contenutine da’ seniori , gii esclusero dalla città senza udir nè ri- spondere. Il Senato quando seppe tali cose' non voleva ancor far guerra co’ Latini , perchè aveva udito che non a tutti piaceano le risoluzioni del congresso , che i po- ti) An. di Roma 354 secondo Catone, aS 6 secondo Varrone, a 498 STtnli Cristo] poli ia ogni città vi si ricusavano , e perchè certo di- ceansi più quelli che voleano mantenere 1’ alleanza , che gli altri i quali sciogliere la voleano. Pertanto decretò che Manio un de’ consoli marciasse con armata poderosa contro Fidene: e questi, depredatane impunissimamente la campagna senza che niuno gli si opponesse , ne andò coir esercito fin sotto le mura , e provvide che non più vettovaglie vi s’ introducessero , nè armi , nè soccorso niuno. Ridottisi i Fidenati a guardare le mura , spedi- rono alle città de’ Latini per implorarne solleciti ajuti. Convocarono i capi di quelle un congresso comune di tutte : e datavi di bel nuovo facoltà di parlare ai Tar- quinj come agli altri che venivano dagli assediati, invi- tarono i consiglieri , cominciando da’ seniori e più co- spicui , a djcbiarare il lor voto , e come aveasi a far guerra ai Romani. Dicendovisi molte cose , e prima su la guerra se dovesse ratificarsi , i più torbidi fra i con- siglieri insistevano perchè si riconducesse Tarquìnio al trono , e sì volasse in soccorso di Fidene. Essi miravano con questo ad ottenere cariche di comando militare , e mescersi ai grandi affari ; e quelli vi miravano soprat- tutto , i quali cercavano in patria preminenza , e tiran- nide , lusingati che avrebbero ad essi ciò procacciato i Tarquinj se ricuperavano il regno. Ma i più agiati e miti ( ed eran questi i più accreditati nel popolo ) chie- deano che si stesse ai patti , non si corresse ciecamente alle armi. Respinti quei che brigavansi per la guerra dai consiglieri di pace , persuasero all’ adunanza che mandasse almeno oratori a Roma perchè la pregassero, ed esortassero a ricevere i Tarquinj e gli altri fuoruscili senza pena e senza memoria d’ Ingiurie : giurasse que» ' sto , e si governasse poi di suo modo. Ritirasse però r armata da Fidene ; non potendo essi guardare con Indifferenza che i parenti ed amici loro si spogliassero della patria.' Ma se ricusasse far 1’ una e l’altra di que- ste cose , le s’ intimasse , che deciderebbonsi per la guerra. Non ignoravano costoro che Roma non pieghe* rebbesi nè all’ una nè all’ altra dimanda : ma cercavano pretesti decorosi onde romperla , sperando Intanto di rendersi col tempo e colla buona grazia benevoli i loro contrarj. Concluso questo , fissarono un anno , ai Ro- mani per deliberarsi , come a sè per apparecchiarsi : e nominati gli ambasciadori come parve ai Tarquinj; sciol* sero r adunanza. Separatisi i Latini , ognuno per la sua patria , Mamilio e Tarquinlo vedendo che i popoli propende- vano alla pacej deposero le speranze che aveano su loro come istabili in tutto. E cangialo consiglio si rivolsero a mettere in Roma stessa una guerra interna , nè pre- veduta , svegliandovi sedizione tra’ ricchi e tra’ poveri. Imperocché già disunita vi si era , nè più riguardava al ben pubblico una gran parte del popolo, quella princi- palmente dei bisognosi e degli oppressi dai debiti; e ciò appunto per 'gli usura) che non usavano moderazione ne’ crediti , ma fin carceravano e malmenavano i debi- tori come schiavi comperati. Su tale notizia spedì Tar- quinio a Roma Insieme co’ messaggeri latini persone non sospette con oro. Intramettendosi questi co’ poveri e coi baldanzosi , e parte dando , e parte promettendo se ivi il re sen tornasse; aveano subornato moltissimi. Àdunque fecesi contro i3e’ potenti una congtnra de’ poveri ingenui , e de’ servi màlvagi , i quali stimolati dal desi- derio di esser liberi , e disamoratisi de’ padroni perchè aveano punito nell’ anno antecedente i loro conservi , gl’ insidiavano. Ed essendo malcreduti e sospetti , come se venutone il tempo essi pure gli assalirebbero ; con piacere si diedero a chi gl’ invitava. Il disegno poi della congiura era tale. Doveano i capi di essa occupare in una notte senza luna i luoghi eminenti e forti della città ; gli altri poi come intenderebbero dai gridi che gitteriano , aver loro già preso que’ siti opportuni , do- veano uccidere tra ’l sonno i proprj padroni , saccheg- giare le case doviziose, e spalancare ai tiranni le porte. Ma la providenaa celeste la quale in ogni tempo ha salvato , e salva tuttavia Roma y fe’ traspirare i di- segni al consolo Sulpizio. À lui ne diedero indizio due già propensi a Tarquinio, anzi principalissimi nella con> giura , Publio e Marco fratelli , della città di Laurento necessitati da impulso divino. Imperocché si presenta- rono loro tra’l sonno visioni spaventevoli, minacciandolt di pena gravissima , se non si chetavano e toglievansi dall’ impresa. E già parca loro che i rei genj gl’ incal- sassero, li battessero, e sterpassero loro gli occhi, col- mandoli di altri mali terribili. Dond’ è che spaventati e tremanti destaronsi , nè più poterono pel turbamento aver calma nel sonno. E su le prime per togliei'si ai genj rei che li conculcavano , tentarono i sagrifizj di propiziazione co’ quali si allontanano i mali. Non traen> done però niun frutto , si rivolsero alla divinazione : e celando lì disegni, perchè non eran da dirsi, cercarono solamente d’intendere se tempo fosse da compiere cioc' chè volevano. Ma rispondendo l’oracolo eh’ essi teneano via di delitto e di perdizione , e che se non mntavan proposito, ne perirebbero infamissimamente; investiti dal timore che altri non li prevenisse nel portare in luce l’arcano, lo indicarono essi medesimi al consolo che in città si trovava. Costui lodatili , con promessa grande ancora di beneficarli se il dir loro a’ fatti corrispondesse; li ritenne ambedue presso di sè y tacendone con chiun- que. Allora introdotti in Senato i deputali latini , tenuti a bada fino a quel giorno per la risposta, disse di con- certo co' padri : amici , compagni , andate , riferite al comun dei Latini che il popolo di Roma non condi- scese prima il ritorno al tiranno su le istanze dei Tdrguiniesi , nè punto appresso vi si commosse irt forza di tutti i Tirreni che ciò domandavano, e gui- dati da Porsena ci portavano la pià orribile delle guerre; ma che seppe vedere i suoi campi manomessi, ed arsivi li casolari , e perfino ridursi a difendere le sole sue mura per esser libero , e non comandato a fare ciò che non vuole. Dite , che meravigliati ci sia^ mo che sapendo voi ciò , siale venuti a comandarci che ricevessimo il tiranno, e ci levassimo dall assedio di Fidene , con intimarci la guerra se ricusassimo. Cessino di opporci ornai più tali pretesti, fiacchi, im- persuasibili, di nimicitia. Nondimeno se vogliono per questo scindersi dalla nostra alleanza e far guerra , più non s’ indugino. Data tale risposta agli ambasciadori , ed accom- pagnatili per significazione di onore fuori della città , poi disse in Senato delia occulta cospirazione ciocché aveane appreso dai delatori : ed avutane autorità piena d’ investigare L complici , e trovarli , e punirli , non tenne già mezzi orgogliosi e tirannici , come un altro ridotto a tale necessità gli avrebbe tenuti, ma si rivolse a mezzi ragionati , salutevoli , e convenienti al governo d' allora. Imperocché non deliberò che i satelliti snoi svellessero per le case i cittadini dall’ amplesso delle mogli , de’ figli , e de’ padri , e li traessero a morte ; considerando quanta pietà ne sarebbe tra gli attinenti nel distacco de’ cari lor pegni , e temendo che alcuni , disperatisi , corressero alle arme , e si necessitassero ai male a costo di sangue civile. Non deliberò che si eri- gessero de’uribunali contro di essi; riflettendo come tutti negherebbero , e come non avrebbero i giudici argo- menti incontrastabili e saldi , ma semplici denunzie , e colle quali , se credeansi , dovrebbero sentwaziare la morte de’ cittadini. Ma per sorprendere i novatori ideò tal metodo , per cui li capi si adunassero prima spon- taneamente in un luogo , e quindi arrestati vi fossero per argomenti indubitabili , che non lasciavano mezzo a discolpe : ideò che fosse questo luogo di unione non una solitudine , o ritiro , dove pochi osservassero , e convincessero; ma il Foro, talché scoperti alla presenza di tutti ne fossero in proporzione puniti , nè sorgesse in città turbamento nè sollevazione degli altri , come suole ne’ castigi de’ congiurati , massimamente in tempi pericolosi. Forse un altro, quasi poco sia bisogno di pre- cisione in tai cose, penserà che basti dir sommarianieute che arrestò tutti i complici de’ maneggi secreti , e gli uccise; ma io riputando degna che ricordisi la maniera onde furono presi, ho risoluto non tralasciarla; percioc- ché giudico che non basti all’ utile di chi legge le storie conoscere il termine solo de' fatti, (piando brama piut- tosto ognuno che gli si espongane le cagioni , le guise delle operaxioni , i pensieri di chi praticavate, e come i Numi li favorissero ; nè gli si taciano le conseguenze che per natura vi si congiungono. Molto più ch’io vedo essere tali cognizioni necessarie agli uomini di Stato , perchè abbiano d^lì esempj co’ (piali dirigersi ne’ varj casi. Or questa fu la maniera ideata dal console per l’arresto de’ congiurati. Chiamati i più validi de’ senatori ordinò che al segno convenuto occupassero in città con seguito di amici e di parenti i luoghi forti ne’ (piali per avventura abitavano : istruì poi li cavalieri a tenersi ar- mati nelL' case più acconcie intorno del Foro, e com- piere ciocché sarebbe lor comandato. E perchè nella presa de’ cittadini i loro fautori non si elevassero , nè ci avessero interne stragi nel tumulto, scrisse al console che assediava Fideoe , perché al far della notte mar- ciasse col fior dell’ esercito alla volta di Roma , e lo accampasse nelle alture intorno de’ muri. Ciò preparato; impose ai delatori che venissero circa la mezza notte nei Foro ai capi de’ congiurati con i compagni loro più fidi come a ricevervi 1’ ordine , il posto, ed il segno, in somma come per udirvi ciascuno ciocché avrebbe egli a fare. Or ciò appunto si fece. E poiché tutti questi si furono accolli nel Foro; imman- tinente al darsene di un segno arcano per essi, i luoghi foni farooo pieni di uomini , armatisi per la patria ; e r intorno del F oro fu guardato da’ cavalieri , sen.ia che via vi lasciassero per chi volea ritirarsene. Intanto Manio r altro console si presentò coll’ armata in campo Marzo. Nato appena il giorno i consoli , cinti da uomini di arme , recaronsi ai tribunali , e fecero che i banditori ~ invitassero pe’ quadrivi il popolo a parlamento. Concorsa la moltitudine , le rivelano il maneggio sul ritorno del tiranno, e le presentano i delatori. Quindi concedendo che si difendesse chiunque volea per ambigua 1’ accusa, nè volgendosi pur uno a respingerla ; passarono dal Foro in Senato per chiedervene la sentenza dai padri: e presa e scrittavela ; tornati al popolo gliela pubblica- rono, e tale ne era il tenore. Si desse ai due denun- ziatori la cittadinanza , e dieci mila dramme di ar- gento a testa, e venti jugeri de’ terreni del pubblico ^ e se così ne paresse al popolo si prendessero i com- plici della congiura , e si uccidessero. E ratificando il popolo quel decreto, ordinarono che uscissero dal Foro quanti vi erano per 1’ adunanza : e chiamati i littori colle arme , intimarono che dessero morte a tutti li congiurati : e quelli , circondandoli ; appunto ov’ eran già chiusi , trucidarono li colpevoli. Uccisi questi , non che ammettere le incolpazioni su degli altri partecipi , ne assolvettero qualunque era salvo ancora dal suppli- zio ; e ciò per togliere ogni turbolenza da Roma. Cosi finirono quei che aveano macchinata la congiura. Ap- presso il Senato ordinò che tutti si purificassero per essere stati ridotti a sentenziare la morte de’ conci ttadini : nè concedersi loro d’intervenire alle sante cose ed ai sagrifizj , prima di esserne rendati mondi e tersi colle espiazioni consuete. E poiché da quei che dirigono le cose divine , a norma delle leggi della patria fu com- piuto quanto ricercavasi per sanliGcarli , decretò che ia rendimento di grazie si facessero sagriGcj e giuochi agonali per tre giorni. In questi giuochi sacri e deno- minati di Roma Mauio Tullio 1’ uno de’ consoli caduto tra la pompa dal carro sacro nei circo , ne mori da indi a tre giorni : e perchè poco rimaneva dell’ an- no , Sulpizio tenne in questo tempo il consolato senza collega. Furono designati consoli per l’anno seguente Publio Veturio , e Publio Ebuzio Elva (i). E di questi Ebuzio fu incaricato delle cose politiche le quali sem- bravano abbisognare di cure non tenui, perchè i poveri non facesservi mutamento. Veturio poi menando seco metà dell! esercito , devastò le campagne de’ Fidenati senza che ninno gli ostasse : e postosi all’ assedio della città, davate assalti continui. Ma non potendola espu- gnare con questi , la cinse di vallo intorno e di fosse per sottometterla colla fame. E già ne eran gli abitanti nelle angustie , quando venne un soccorso di Latini spedito da Sesto Tarquinio, e grano, ed arme, ed altre cose utili per ia guerra. Cosi ringagliarditi osarono uscire dalla città con forze non piccole , e mettersi in campo aperto. Allora non più giovò pe’ Romani la cir« convallazione ; ma parve che vi bisognasse una battaglia. Diedesi questa vicino alla città ; pendendone qualche (i) Ad. di Roma aS5 secondo Catone , 357 secondo Varrone , s 4 o 7 av. Cristo. . l'jj tempo dopo l’ esito incerto. Infine , quantunque più co- piosi di numero , sopraiTatti i Fidenati dalla fermezza Romana ne’ travagli , acquistata col molto esercizio, fu> rono ridotti alla foga. Non fu la strage loro copiosa , per essersi tra non molt^ ritornati in città mentre gli altri respingevano dalle mura chi gl’ incalzava. Dissipa- tesi dopo ciò le truppe ausiliarie sen partirono senza avere punto giovato gli assediati ; e la città ricadde ne’ mali e nella penuria di prima. Intanto Sesto Tar- quinio marciò con un armata Latina sopra di Segni do- minata da’ Romani come per occuparla a prira’ impeto^ Ma resistendogli da entro generosissimamente , tentò di stringerli ad abbandonarla almeno per la fame. Se non che spesovi gran tempo senza opera niuna degna di ri- cordanza , e giunte vettovaglie e rinforzi dal canto ? dei consoli ; ne perde la speranza ; e ritirandone 1’ armata , ne sciolse l' assedio. > • LIX. Nell’ anno seguente i Romani elessero consoli Tito Largio Flavo e Quinto delio Sicolo. delio , dolce per indole e popolare , fu messo dal Senato con metà dell’ armata su le cose politiche per vegliare contro dei novatori: Largio ordinate milizie e stromenti da impren- der gli assedj , parti per la guerra co’ Fidenati (i); E spossatili colla diuturnità dell’ assedio , e col disagio di ogni cosa , desolavali ognora più , minando i muri , ei^ gendo terrapieni , avvicinando macchine, nè lasciando di e notte di stringerli , tanto che sen prometteva in breve il t. I i (i) All. >li Roma lS6 secondo Catone, aSR eecondo Varroue , • /Jg6 avanti Cristo] di espugnarli. Né le città Latine, su le quali contando ì Fidenati trovavansi in guerra , potevano ornai più sal- varli. Imperocché niuna città bastava sola da sé per li- berarli dall' assedio: nè le forze comuni di tutte si erano riunite ancora : ma li capi del|e città Latine a’ frequenti messaggi de’ Fidenati rispondeano sempre di un modo , cioè che presto giungerebbe loro il soccorso: non però mai nino fatto moveasi pronto su le promesse , né le speranze scintillavano più in là delie parole. Nondimeno i Fidenati non diffidavano in tutto de’ Latini: ma per- sistevano su la espettazione di essi affronte di tutti i mali , sopialtutto della fame , la quale facea senza com- battere strazio grande degli uomini. Spedirono , è vero, alfine come stanchi da’ mali a chiedere al console tregua di un numero certo di giorni per deliberare intanto su la pace co’ Romani , e sui modi onde riordinarla. In realtà però ciò non cbiedeano per deliberare , ma per fornirsi di compagni di arme, come alcuni diser- tati di fresco da essi indicarono , giaoché nella notte innanzi aveano spedito i cittadini loro più cospicui , e più validi tra’ Latini , perchè iu forma di oratori sup- pbcassero quel popolo. Largio , ciò saputo , ingiunse agli ora tori che deponessero le armi e spalancassero le porte, e poi fa- vellasser di tregua : iu altro modo non pace , non armi- stizio , non moderazione , non umanità presumessero dai Romani. Frattanto provvide che gli ambasciadori deputati ai Latini . non rientrassero in città ; preoccupando con guardie rigorosissime le vie che vi conducevario. Tal che diffidatisi gli assediati di un ajuto qualunque degli alleali si videro astretti a pregar veramente l’iaimico. B riunitisi , conohiusero di soiTrire la pace , comunque il vincitore la desse. Altronde il console ( tanto i costumi de’ capitani di que’ tempi respiravano 1’ amor della pa> tria , e tanto erano lontani dalle maniere tiranniche che pochi san fuggire de’ capitani presenti , invaniti dal C 0 i mando I ) il console sebbene prendesse la città niente vi permutò di voler suo : ma fattala deporre le armi , e presidiatala , conducendosi a Roma e convocando il 3^ nato , lasciò che esso ne deliberasse. Lieti i Padri del rispetto del valentuomo verso loro dichiararono che i più nobili dj Fidene secondo che il console li giudi» - casse capi della ribellione , si battessero colle verghe , e ei decapitassero : su gli altri poi disponesse egli stesso come glien parrebbe. Largio divenuto 1’ arbitro di tutti sparse in vista del pubblico il sangue, e confiscò li beni di alcuni pochi accusati dal partito contrarlo; ma con- cedè che gli altri ritenessero la patria e le robe loro , e solamente ne dimezzò le campagne , poi dispensate a sorte tra’ Romani lasciati in guardia della fortezza. Alfine dopo ciò ricondusse in casa 1’ esercito. LXI. Risaputasi fra’ Latini la espugnazione di Fidene, ogni città ne fu sospesa e tremante , e mal soddisfatta de' capi suoi ; come tradito avessero li confederati. C fattosi consiglio in Ferentino, quei che persuadevano la guerra , assai vi accusarono gli altri che la dissuadevano. Erano de’ primi Tarqulnìo , e Mamilio il genero di lui e li capi tra gli Aricini. Rapiti dal dir loro, quanti erano i Latini, vollero generalmente la guerra contro de' Ro- mani , e diedero scambievole giuramento , che tiiuua l8o città tradirebbe il comune , nè farebbe pace sema il consenso delie altre decretando : che qualunque non os-> servasse i patti decadesse dalla lega alla esecrazione e nimicizia di tutti. Sottoscrissero e giurarono questi patti i deputati degli Àrdeati , degli Aricini , dei Boiaiani , dei Bubentani , dei Coresi , dei Corventani , dei Gabj , dei Lavrentini , de' Laviniesi , dei Labiniani , de' Labi- cani , de' Nomentani , de' Moreani , de' Prenestini , de' Pedani , dei Querquetulani , de' Satricesi , de' Scap- tini , de’ Sezzesi , de' Teliini, de' Tiburtini , de'. Tu- scolani , de' Tolerini , de' Trienni , de' Veliterni (i). Doveansi scegliere tra gl’ idonei alle armi , tanti in ogni città quanti ne parrebbono ad Ottavio Mamilio e Sesto ^ Tarquinio , i quali erano generalissimi nominati. E per giustifìcare ancor più li titoli della guerra spedirono a Roma da ogni città li personaggi più insigni come ora- tori. Venuti questi in Senato dissero : che quei della Riccia si richiamavan di Roma , perchè ■ qucuido i Tir- reni mossero contro loro la guerra , essa non solo die a’ primi libero il passo per le sue terre , ma li coadjuvò su quanto era d' uopo , ricoverandoli mentre poi ne fuggivano e salvandoli tutti , inermi e feriti : eppure non ignorava che quelli portavano guerra al corpo tutto della nazione : e che se avessero domalo (i) Dioaigi nel namerare questi popoli siegue l’ordine dell’ alfa- beto latino e non del greco : del resto numera popoli quando nn tal Bruto nel lib. VI. di quest' opera § 74 dice ebe furono trenta i popoli latini concorsi a tal guerra. Dovrebbero dunque additarsene altri sei. Nel codice Vaticano si numerano ancora i Tolerini che noi abbiamo ugualmente allegali nel testo. La nomenclatura per quanto aia stata emendala non par libera ancora da ogni storpiatura. . ' i8r la Riccia; niente pià gli avrebbe impediti , sicché non soggiogassero le altre città. Pertanto annunziavano che se Roma voleva darne conto a quei della Riccia nel tribunale comune de’ Latini , e rimettervisi al giu- dizio di tutti, non avrebbon essi cagioni di guerra. Ma se tenendosi all alterigia sua consueta ricusava affatto condiscendere sul giusto e su V onesto inverso de’ confederati ; minacciavano che i Latini tutti la moverebbero con tutte le forze la guerra. LXn. A tale invito il Senato alieno di fare cogli Ari* cini una causa dov’ essi giudicherebbero , e dove preve- deva che i nemici non sentenzierebbero di questo sola* mente , ma vi aggiungerebbero ordinazioni ancora più gravi , decise che accettava la guerra. Argomentava dal valore e dalla sperienza de’ suoi tra le arme che Roma non incorrerebbe in danno ninno: apprendendo però la moltitudine de’ nemici , sollecitò più volte con ambascia* tori le città vicine per confederarsele ; se non che spe* divano i Latini ancora nelle stesse città legazioni che accusassero a lungo Roma , e la contrariassero. Gli Err nici adunati a consiglio di stato diedero all’ una e al- r altra ambasceria risposte sospette nè salutevoli , dicendo che per ora non si vincolavano con alcuno; ma voleano posatamente discutere qual de’ popoli seguisse causa più giusta , e prendeansi per discuterne un anno. I Rutoli in contrario promisero senza arcano mandare soccorsi ai Latini : ma dissero che se Roma volea deporre le ini- micizie , essi mansuefar ebbono i Latini , e ne concilie- rebbono gli accordi. Risposero i Volaci che si stupivano della impudenza de’ Romani ; perciocché sapendo essi quante volle gli avessero offzzl conTenlftnti a «pcgnere ^elfa tnrblo ratiBcò; dando t principj certi di una tirannide a norma  : Quindi i capi del Senato si fecero a conside- rare lungamente e providamente il personaggio che avreb- be a comandare. Paiea loro che vi fosse necessità di un nomo espedito negli affari , più che perito nell’ arme, e savio , e temperato , sicché poi non > delirasse per l’am- piezza del comando; insorama di uno il quale oltre le belle doti , quante ai buoni comandanti si convengono , sapesse presieder con fortezza, nè cedere mollemente alle istanze. Di un uomo tale appunto abbisognavasi allora. .Videro concorrere doti siffatte quante seu chiedeano in Tito Largio, uno de’ consoli ; laddove delio il colle- ga, uomo altronde buonissimo, non era nè attivo, nè bellicoso , nè imponente , nè temuto , ma edite troppo in punire chi non ubbidiva. Nondimeno il Senato pren- dea .verecondia di levare a que^o un’autorità che aveva secondo le leggi, e di concentrare .nell’ altro il potere di ambedue , anzi un poter più che. regio. .Teniea per qualche maniera che delio riflettendovi, non si gravasse della rimozione sua , come disonorato dai Padri ; e camhiale le maniere del vivere , si ponesse alla testa del popolo , c turbasse dal fondo la repubblica. Esitando tutti , e gran tempo , per la verecondia di proporre ciocché ideavano, un seniore, venerabilissimo tra gli uo- mini consolari , diede un tal suo parere , per cui fu salvo l'onore di ambedue li consoli, scegliendo essi ap- punto il personaggio più acconcio al comando. Diceva : Poiché il Senato ha risoluto , ed il popolo ha ratifi- cato che il poter del comando si affidi ad un solo , restano ai Padri due cure non picciole : chi debba sottentrare ad una autorità pari alia monarchia , e chi possa legittimamente nomiruuvelo. Or egli suggeriva che l’uno de’ consoli sia per cessione, sia per sorte', eleggesse il romano più idoneo , a far 1’ utile e il bene della patria: giacché trovandosi allora in città magistrati sacrosanti , non vi abbisognavano gl’ interré come nella monarchia , per eleggere di accordo chi succedesse al comando. ' i Applaudivano tutti al partito , quando leva- tosi un altro disse : Ali sembra o Padri che debbasi alia sentenza aggiungere: che reggendo di presente la repubblica, due valentuomini, de’ quali non trovereste i migliori , V uno 'debba dare la nomina , e l’ altro riceverla , talché scelgati essi fra loro il più idoneo ; e C uno e i altro se ne abbia onore e soddisfazione uguale, quello perchè sceglie nel collega il più degno, c questa perchè scelto sen trova : dolcissime e bonis- sime cose ambedue. Ben vedo che sebbene io non avessi ciò aggiunto ; pure avrebbono i consoli così DWaiGI , toma II. il praticalo ; egli è meglio^ nondimeno che il facciano eziandio col vostro volere. Parve a tutti ciò detto a proposito , e niuno più notandovi altra cosa , ne decre- tarono. I consoli ricevuto il potere di eleggere fra loro il più idoneo al comando , fecero una mirabilissima cosa , e ben varia dalle affezioni dell’ uomo. A vicenda r uno dicea 1’ altro , e non sè , degno del comando : così passarono tutto quel giorno , encomiando l’ un l’altro, e insistendo ciascuno per non comandare: tanto che gli astanti in Senato ne furono in grandi perples- sità. Sciolto il Senato , i parenti più prossimi di cia- scuno , e li Padri più venerabili recatisi a Largio assai lo stimolarono £no a notte avanzata , dichlaraùdogli come il Senato poneva in esso ogni speranza , e di- cendo che le sue ritrosie volgevansi in pubblico danno: egli tuttavia ricusava , ora supplicando , ed ora contra- dicendo. Adunatosi nel prossimo giorno il Senato , mentre colui ripugnava, nè levavasi ancora dal suo pa- rere su le istanze comuni , Clelio sorge , e lo nomina , come gl’interré solevano nominare, e lascia il consolato. Fu questi il primo che, solo, fu reso àr- bitro in Roma della guerra , della pace , d’ ogni affare, col nome di Dittatore (i) sia per la podestà di ordi- nare e dettare leggi su’ diritti e sul bene degli altri , come glien pareva e piaceva , chiamandosi da’ Romani Editti gli ordini e prescrizioni sul giusto e su l’ ingiu- sto : sia per essere allora un tal. uomo detto e dichia- rato da un solo e non dal popolo secondo i riti della (i) Ad. di Roma aS6 socondo Catone, a58 secondo Varrone , • ar. Cristo] patria , perché comandasse. Guardaronsi dal dare al magistrato di una città libera un nome esecrabile e grave per rispetto di quelli che ubbidivano , sicché in odio del titolo non si conturbassero , e per rispetto di chi prendeva il comando , sicché nè fosse costui offeso dagli altri senza saperlo, uè gli offendesse egli co’ modi consueti nel grande potere. E certo il nome di dittatore non bene l’ ampiezza ne significa del potere ; non es- sendo la dittatura che un Dispotismo elettivo. Sembra che i Romani ne traessero pur da’ Greci la istituzione. Imperocché gli Esimneti che chiamavansi antichissima- mente tra loro erano, come dichiara Teofrasto nel libro intorno del regno , despoti elettivi. Li creavano le città non per tempO' indefinito o perpetuo , ma nella circo- stanza , e fin quando sembrava che giovassero loro , come li Mitilenei già scelsero Pittaco contro gli esuli , compagni di Alceo poeta. Tennero questo metodo I primi che aveano appreso per esperienza ciò che giovava. Imperocché nelle origini era ogni greca città sovraneggiata , non però dispoticamente come tra’ barbari , ma secondo le leggi e le patrie consuetudini : ed un re si avea tanto più per potente quanto era più giusto , e più fido alle leggi , e men schivo de’ patrii costumi : ciocché s’ in- tende per Omero il quaì nomina i sovrani, vindici del diritto , e de/f onesto (i). Tennesi lungo tempo la si- gnoria dei re come quella de’ Lacedemoni sotto fisse (i) Mèi testo: intarrtXnt , e SiftttTttrtXuf. cioè che si rer- uuio sul giusto e su C onesto .  costituzioni. Ma cominciando poi taluni di questi a tra- scendere gli usati poteri , poco concedendo alle leggi e molto ai genj loro ; ne furono i popoli in tutto disgu- stati , e rovesciarono 1’ autorità de’ monarchi , e le loro maniere : e stabilendo leggi e creando magistrati , as- sunsero questi come custodi delle città. Ma perciocché non bastavano nè a proteggere il giusto le leggi poste da essi , nè a coadjuvare le leggi li magistrati o li co- missarj che avean cura di queste ; e percioccliè il tempo col volger suo mena tanta varietade ; furono astretti a fare stabilimenti non ottimi si , ma certo i più consen- tanei alle vicende che li sorprendevano o di sciagure abborrite , o di smoderate prosperità. Per le ' quali con- fondendosi ' lo stato della città, e bisognandovi un pronto riparo ed un arbitro immediato , furono necessitati a rialzare l’autorità dei monarchi e dei re, velandone coi nomi la esistenza. Cosi li Tessali denominarono Tettar' ~ chi questi arbitri, e gli Spartani li chiamarono Armosti per timore d’ intitolarli tiranni o monarchi : aggiungi . che teneano per cosa scellerata rinovare poteri abattuti tra giuramenti ed esecrazioni su 1’ oracolo de’ numi. Quindi , come ho detto , a me sembra che i Romani prendessero da' Greci l’esempio: Licinio però crede che i Romani ideassero un dittatore a norma degli Albani ; scrivendo cbe questi, venuta meno la regia discendenza dopo la morte di Numitore e di Amulio , eleggessero annui presidenti col potere appunto dei re, ma con ti- tolo di dittatori. Io non ho voluto esaminare onde Ro- ma derivasse il nome, ma sibbene onde pigliasse la idea dell’ autorità che in tal nome si ' addita. Se uon che forsb non è pregio dell' opera che scrivasi di ciò più luDgameate. Ora dirò brevemente ciocché Largio il primo dittatore facesse , e con quale apparato decorasse la sua dignità ; persuadendomi che siano più utili ai lettori le materie appunto che porgono in copia esempj splendidi ed opportuni pe’ legislatori, e capi de’ popoli, in somma per quanti vogliono governare e maneggiare il pubblico» Imperciocché non io prendo a descrivere le istituzioni > e li modi di una città vite e negletta , né li consigli e le pratiche di uomini ignobili e di niuna espettazione, sicché lo studio mio su tenui e volgari cose paja ad altri frivolezza e molestia : ma di una città legislatrice di tutti, e di capitani che la sollevarono a tanto potere; cose tutte che se un amante della sapienza giunga a non ignorare ; ne sarà per politico ravvisato. Investito Largio appena del suo potere dichiarò maestro de’ ca- valieri Spurio Cassio , già console nella olimpiade 70.* Osservavasi tal costume da’ Romani fino a’ miei giorni , e ninno mai , scelto per dittatore , ne tenne la dignità senza maestro de’ cavalieri. Quindi a rilevare la potenza di una tal dignità, per imporre piuttosto che per osar- ne , ordinò che i littori marciassero per la città con fasci e scuri secondo il costume ivi proprio de’ re , tra- lasciato poscia da’ consoli , e primieramente da Valerio Poplicola per diminuire la odiosità del comando. Spa- ventati con questo ed* altri segni di regia dominazione i turbolenti eà i novatori , comandò a lutti i Romani di adempiere la migliore delle leggi .di Servio Tullio , sovrano popolarissimo , cioè di assegnare per tribù li loro beni, li nomi delle mogli e de’ figli , e la età loro e de’figli. Terminato in breve il registro per la severità de’ castighi , perdendosi da’ contravventori i beni e la cittadinanza ; si rinvennero cento cinquanta mila sette- cento e più Romani adulti. Poi separando gli uomini di età militare dai provetti , e riducendoli in centurie ; li divise tutti , fanti e cavalieri in quattro parti : e ri- tenutane una , che era la migliore , per sé , fece che delio già suo collega nel consolato se ne eleggesse un altra qualunque tra le rimanenti : che Spurio Cassio il prefetto de’ cavalieri avesse la terza , e Spurio Largio il fratello la quarta ; la quale fu comandata trattenersi e presidiare insieme co’ vecchi la città. Egli poi , com’ ebbe pronto quanto biso- gnava per la guerra, menò le milizie in campo aperto; appostando tre armate ne’luoghi appunto donde sospet- tava che i Latini uscirebbono. E considerando esser proprio de’ savj capitani fortificare le sue cose come debilitare quelle del nemico , e terminare le guerre senza battaglie e stenti, o certo col minimo danno delle milizie ; anzi considerando che sciauratissime e luttuo- sissime più che tutte sono le guerre tra’ popoli amici e congiunti ; concludeva che si aveau queste a finire con tratti di clemenza piuttosto, che di rigore. Adunque spedendo occultamente persone non sospette ai più ri- guardevoli de’ Latini, li persuase a rendere la pace alle loro città: e spedendo insieme apertamente ambasciadori ad ogni città , come alla rappresentanfa generale di tutte; ottenne senza difficoltà che non tutti avessero più l’antico ardore per la guerra; alienandoli principalmente cogli ossequiosi modi e co’ benedzj dai duci loro. In opposilo Mamilio e Sesto , che aveano da’ Latini rice« TUto il generai comando , riunite nel Tnscolo le forze , si apparecchiavano come per piombare su Roma ; se non che spesero su ciò gran tempo o che aspettassero le città le quali tardavano , o che non buoni apparis- sero loro gli auguri santi. Intanto alcuni di loro spic- catisi dall' esercito devastavano la campagna romana. Largio , risaputolo , spedi delio su loro col fiore dei cavalieri e de’ soldati leggieri : e costui , presentatosi inaspettatamente , gli assalì , e ne uccise , imprigionan- done la più gran parte. Largio curatine li feriti, e gua- dagnatiseli con altre amorevolezze li rinviò senza offesa o prezzo al Tuscolo ; mandando riguardevolissimi ro- mani ton essi per ambasciadori. Or questi operarono che si sciogliesse l' armata latina , e si facesse tra le città la tregua di un anno. Largio, ciò fatto, ricondusse l’ armata dalla campagna: e designando i consoli depose prima che ne spirasse il tempo la dittatura senz’ avere ucciso , o ban- dito , o ridotto comunque a gravi mali un romano. Cominciato T invidiabile esempio da un tal uomo si mantenne in quanti ottennero poi quella dignità fino alla terza generazione prima della mia. Imperocché la storia fino a quest’ epoca non presenta ninno il quale non esercitasse quella dignità moderatamente e qual cit- tadino , quantunque Roma fosse astretta più volte a sospendere le magistrature ordinarie, e concentrare tutto nelle mani di un solo. E non sarebbe gran meraviglia se personaggi ottimi della patria pigliando la dittatura solamente nelle guerre cogli esteri si fossero tenuti in- corrotti nella grandezza del potere: ma pigliandola nelle sedizioni interne, grandi e molte, per togliere I sospetti di regni e tirannidi rinascenti , o per altra sciagura , lutti , quanti la ottennero , conservaron sestessi iqinia- colati , e simili al primo dei dittatori. Tanto che tutti unanimemente conclusero che la dittatura era 1’ unico rimedio contro de’ mali intrattabili , e 1’ ultima speranza dii salute quando sparse sono le altre speranze . dalla procella. Quattrocento anni però dopo la dittatura di Tito Largioj a memoria de’ Padri nostri parve tal carica biasimevole ed esecranda per Lucio Cornelio Siila che primo ne abusò , vendicativo e 6ero : talché li Romani allora sentirono a prova , ciocché aveano prima igno- rato , che la signoria de' dittatori non era se,, notk liran* nide : imperocché costui ordinò un* Senato di uomini comunque , infìacchi 1’ autorità del tribunato , devastò città intere , distrusse e creò regni , ed altre cose fece e disfece dispoticamente, le quali lungo sarebbe a rac- contare. Oltre i cittadini uccisi in battaglia , ne trucidò nemmeno di quaranta mila , datisi a lui prigionieri , dopo averne prima tormentati alcuni. !Non è questo il tempo di discutere se egli fe’ ciò necessitato o per utile del comune : solamente ho voluto dimostrare che ne divenne abominato c spaventevole il nome di dittatore: ciocché pur succede ad altre cose ammirale e disputate dagli uomini, non che alle sole dominazioni: perciocché tulle le cose appariscono belle e giovevoli se bene si .adoperino , come danncvoli c turpi se mal si dirigano ; di (he ne è causa la natura che in lutti i beni ha sparso i germi dei male ; se noa die di tali cose di- remo altrove più propriamente. L’ anno prossimo a questo nella olimpiade 'j i ^ nella quale vinse allo stadio Tisicrate Croloniatej- essendo Ipparco F arconte di Ale* ne , presero il consolato Aulo Sempronio Atratino e Marco Minucio. DELLE ANTICHITÀ ROMANE D I DIONIGI ALICARNASSEO Li anno prossimo a questo nella olimpiade 71.* nella quale vinse allo stadio Tisicrate Crotoniate essendo Ipparco arconte di Atene , presero il consolato Aulo Sempronio Atralino e Marco Minucio (i), ma niente vi operarono degno di ricordanza , nè in città nè fra le armi : perciocché la tregua co’ Latini dava loro placida calma cogli esteri , e la legge decretata dal Senato di sospendere la esazione dei prestiti , finché la guerra imminente avesse buon termine , avea sopito le som- fi) Àn. di Roma aS7 secondo Catone, 259 secondo Vairone, • 4 recchi per la guerra. Il complesso de’ Romani era vo-* lentei'oso e propensissimo a combattere ; ma il più dei Latini eravi disanimato e forzato : dominando per le città uomini quasi tutti corrotti dai doni e dalle prò» messe di Tarquinio , e di Mamilio , rimossi dalle cure pubbliche quanti favorivano il popolo e ripudiàvan la guerra. Cosi non più dandosi a chi la volea la facoltà (li discorrere , si ridussero i più corucciati a lasciare in copia la patria , e fuggirsene in Roma. Nè quelli che dominavano ve gl’ impedivano , ma teneansi obbligatis- simi ai competitori , dell’ esilio spontaneo. Li riceveano i Romani e compartivano tra le milizie interne, e me- scbiavano alle coorti urbane quanti ne venivano con mogli e figli , ma spedivano gli altri a' castelli intorno e per le colonie , sopravvegliando intanto che non fa- cessero' mutamenti. E consentendo tutti che bisognavaci novamente un arbitro assoluto il qual potesse ordinare a suo modo ogni cosa , fu nominato dittatore Aulo Poslumio il console più giovine da Virginio il collega : e costui , come già 1’ altro dittatore scelse per suo maestro de’ cavalieri Tito Ebuzio Elva , e registrati in poco tempo tutti i Romani già puberi , ordinò la mi- lizia in quattro parti , reggendone egli 1’ una , dandone a reggere la seconda a Virginio il compagno nel con- solato , la terza ad Ebuzio il maestro de’ cavalieri , c (i) An. di Roma aSS secoado Catone, aCo secondo Varrone, • 4e essi agevole- rebbero ossea più le cose loro. Se non che mentre de- liberavano ancora giunse coll’ armata sua da Roma Tito iVirgiuio r altro console , marciato improvvisamente nella notte dinanzi : e prese anch’ egli campo in altra altura assai forte. Di modo che i Latini rimasero intracchiusi , nè più idonei ad un assalto , avendo a sinistra il con- sole e a destra il dittatore. Adunque tanto più sen con- turbarono tra quelli i capitani i quali non voleano se non partiti sicuri , e temerono che tardando si ridu- cessero a consumare le loro provvigioni , le quali non erano molle. Postumio notando quanta fosse la impe- rizia loro nel comandare spedi Tito Ebuzio maestro dei cavalieri col nerbo de’ cavalli e de’ soldati leggeri ad .occupare un monte rilevantissimo in su la via , per la quale recavansi i viveri dalle loro terre ai Latini. Andò questa milizia espedita con la cavalleria , e condotta di notte tra selve non frequentate ; prese il monte prima che i nemici se ne avvedessero. V. I capitani nenuci osservando invasi anche i posti forti che erano loro alle spalle , nè più avendo spe- ranze buone sul trasporto indubitato de’ viveri da’ paesi loro , deliberarono respingere i Romani dal monte prima che vi si assicurassero ancora cogli steccati. Adunque Sesto r un d’ essi presa la cavalleria vi si lanciò con impeto ; quasi la cavalleria Romana non si tenesse a ribatterlo : ma tenendosi questa bravissimamente contro gli assalitori , Sesto durò qualche tempo ora dando voi* ta , ora tornandole a fronte. Ma perciocché quel luogo riusciva opportunissimo a chi ne avea le alture , e co- stava assai travagli e ferite a chi vi si recava dabbasso ; e perciocché giungeva ai Romani un soccorso di milizia legionaria mandata appresso da Postumio ; egli ritirò , non potendo altro fare, la cavalleria negli alloggiamenti. I Romani impadronitisi appieno del luogo , si misero a fortificarlo pubblicamente. Dopo ciò parve a Sesto e Mamilio ndn essere più da indugiare gran tempo , ma doversi decidere la sorte con una pronta battaglia : e parve allora anche al dittatore di esporvisi, quantunque avesse ne’ principi ideato di dar fine alla guerra senza combattere , sperando giungere a ciò , specialmente per la imperizia de’ capitani. Imperciocché da’ cavalieri cu- stodi delle strade furono sorpresi de’ messaggeri che an- davano dai Yolsci a’ Latini con lettere di avviso che , indi a tre giorni al più , verrebbe milizia copiosa di rinforzo da loro , come altra dagli Eroici. Or ciò ri- dusse i duci Romani a venire , sebbene contro il proposilo , a pronta giornata. Datosi da ambe le parti il segno della battaglia ; si avanzarono gli uni e gli altri al campo intermedio , e cosi vi ordinarono le armate. Sesto Tarquinio ebbe a reggere 1’ ala sinistra de’ Latini, ed Ottavio Mamilio la destra. Tito 1’ altro figliuolo di Tarquinio comandava il centro óve erano i disertori e fuorusciti Romani. La cavalleria divisa in tre parti fu dispensata alle ale ed al centro. In opposito Tito Ebuzio ebbe 1’ ala sinistra de’ Romani contro di Ottavio Mami- lio , e Tito Virginio il console si contrappose colla de* stra a Sesto Tarquinio; Empiva de’ genj suoi Postumio stesso il dittatore 1’ armata di mezzo , e moveala contro Tito Tarquinio ^ e gli esuli da Roma j i quali eran con lui. Il complesso delle milizie venute a combattere erano ventiquattro mila fanti e tre mila cavalieri nella parte Romana , e quaranu niila fanti , e tre mila cavalieri nella Latina. VI. Quando erano per andare a combattere i capitani Latini , aringando ognuno i suoi , diedero mille ecci- tamenti di coraggio , e ricordarono lungamente cioc- ché bisogna al soldato. Dall' altra parte il Romano ve- dendo cbe i suoi temeano come quelli che cimentavansi con gente assai più numerosa , e volendoli sollevare da quella paura , fe’ radunarli , e poi tra corona di sena- tori , onorabili per anni e per credito , cosi concionò : Gli Dei cogli aitgurj , colle viltime , con ogni segno divinatorio promettono alla nosti'a patria Li libertà , ed una propizia vittoria; contraccambiandoci della pietà verso loro , e della giustizia esercitata da noi verso gli altri in tutta la vita : per lo contrario , inìmici sono , come deano , de' nostri nemici , perchè tante volte e tanto da noi beneficali , essi parenti , essi amici nostri ', essi legatisi a noi di giuramento per avere appunto gli amici stessi ^ i nemici , ora spregiato ogni vincolo , ci movono una guerra ingiusta non per decidere qual di noi si abbia la preminenza e il comando , ciocché sarebbe il meno de mali ; ma in favor dei timnni , e per fare la patria nostra che è libera', schiava ai Tarquinj. Ora intendendo voi o centurioni e soldati , che militano con voi gli Dei , quelli stessi che hanno sempre difesa Roma , si con^ viene che rnagnanimi vi dimostriate in questa bat- taglia : molto più che ben sapete che gli Dei fa- voriscono i bravi combaltitori , quelli che quanto è da loro fan tutto per vincere , e non quelli che fig- gono i 'pericoli, md quelli che li sostengono per sal- vare' sè stessfi Inoltie a voi sono apparecchiati dalla sorte altri mezzi non pochi per la vittoria , e tre so- prattutto manifèstissimi. Vn. Il primo è la fedeltà scambievole , requisito principaliss'tmo in chi disegna vincere l’ inimico ; im- p^ciocchè non' dee già cominciar • questo giorno a rendervi amici fidi e costanti; ma la patria ha da tanto tempo preparato' a voi tutti un tal bene. V oi allevati in urta terra, educati di una maniera sagri- ficate agl’ Iddj su di altari medesimi : . e voi avete fin qui partecipato i tanti beni e sperimentato in- sieme i tanti mali, i quali rinforzano, anzi rendono indissolubili, le amicizie fra gli uomini , quante volte presentasi loro un cimento comune su gravissime cose. In secondo luogo , se voi soggiacerete .ai nemici , già non sarà che alcuni di voi restino immuni , altri su- biscano r estrema degl' infortunj ; ma tutti, sì, tutti perderete la gloria vostra , f impero , ' la libertà j noit più padroni delle mogli , non più de' figli , non più _ •' delle sostanze, non più altro bene vostro qualunque. ^ E li vostri capi, li vostri pubblici magistrati ‘ miseran- damente moriranno tra flagelli e tormenti. Se già non offesi da voi punto nè poco , fecero a voi tutti ogni maniera cT ingiurie ; e che mai potete aspeltarvene ora se vincano , nella memoria che hanno de’ mali ; che gli avete ridotti fuori della patria , che gli avete spogliati de’ beni , nè consentile che tornino alle case , paterne ? L’ ultimo de’ mezzi indicàtir, nè minore de- gli altri se rettamente sen giudichi,, è che noi troviamo le cose tra’ nemici men prospere che non pensavamo. E certo vedete voi da voi stessi che tolto gli Anziati, niuno è qui per soccorrerli nella guerra. Noi conce- pivamo che verrebbero per essi tutti i Eolsci ; e Sa- bini ed Ernici in copia , e mille altre vane paure ci i fingevamo. Erano questi tutti sogni de’ Latini , imma- I ginati su promesse vane , su speranze senza base. Quindi altri nel meglio ne abbandona la causa, spre- giando r euUorità de’ sì belli capitani:, altri li terranno ^ anzi a bada che li soccorreranno , temporeggiandoli con lusinghe ; e quelli che or si apparecchiano , come tardi per la battaglia , inutili diverranno. ■ I Vili. Che se alcuni di voi pensano che giusto sia I ciocché io dico , eppur temono . la quantità de' nemici, j . a I I ■ €onoscanò per una breve iilruzione, o piuttosto ricordo, che essi temono non temibili cose. E prima conside\ tino che il pià di' loro è stato forzato alle arme con- tro di ìtoi , come ce lo ha con tante opere e detti mànìfestato ; e che gli spontanei , quelli che di lor pia- cere combattono pe’ tiranni sono ben pochi , e piut- tosto una parte insensibile rimpetto di voi. Appresso considerino che le guerre guidale a buon successo non la superiorità' nel numero , ma nella fortezza. E lun- ghissima opera sarebbe ricordar quanti eserciti di bar- bari, quanti di Greci, tuttoché preminenti di numero, siano stati disfatti da piccioli corpi e quasi non cre- dibili a dir. Ma tralascio gli esempj altrui : dite ^ quante guerre non avete voi ben guerreggiato con ar- mata minore della presente, e contro apparecchi assai pià potenti di questi ? Dite ; voi fin qui teiribili agli altri che avete combattuti e vinti, siete ora voi dispre- geiSbli a questi Latini, ai Folsci loro alleati, perchè non vi han essi mai sperimentato Jra le arme ? Sa- pete pure voi tutti quante volte i nostri padri gli hanno in campo superati ambedue. E vi par verisimile che la condizione da’ vinti sia dopo tante perdite migliore, e peggiore sia quella de' vincitori dopo tanti bellis- simi fatti ? E chi ,' se abbia mente , chi mai dirà questo ? Anzi ben io mi 'stupirei se alcuno di voi paventasse questa turba ove si pochi sono li bravi, e spregiasse la milizia nostra si forte e si numerosa ; che nè pai' numerosa nè pià forte mai ne abbiamo finora schierato in battaglia. Che pià : deve , o cittadini ì esservi impulso grandissimo a non temere , nè ricusare i pericoli t ej- sere come vedete qui pronti ai pericoli, e correre con voi la sorte stessa delle arme i primarj de’ senatori , quelli che la età o la legge gli esenta dalla milizia. Che^sl; che egli sarebbe vituperoso che -uomini nel fior degli anni temessero i pericoli quando i provetti gli affrontano, Avran cuore i vecchi di ricevere per la patria la morte se dare non là possono ai nemici; e voi li sì . vegeti , voi che ben potete • f una e l’ altra cosa , o salvarvi e vincere senza danno , o certo ma- gnanimamente operare , e soffrire , voi non vorrete nè cimentare la sorte , nè la Jama .procacciarvi de’ va- lorosi F No , ciò di vói non è degno , o Homani , ai quali sopravvanzan tante mirabilissime gesta degli an- tenati , le quali niuno loderebbe mai quanto basta : e se voi vincerete questa guerra, i vostri posteri an- cora si gioveranno di tante vostre gloriosissime im- prese. Ma perchè nè sia senza frutto chi si delibera K alle grandi azioni ; nè si trovi col danno chi ne teme i rischj oltra il debito , udite prima d incorrerla, Indite qual sarà la sorte dell’ uno e delt altro. Chiun- que ìlei combattere imprende belle e magnanime gesta ne sarà da chi ’l vede encomiato ; ed io, quando di- spenserò li premj che .ciascuno' -dee raccoglierne. se- condo il costume della patria j quando. darò insorte le, terre pubbliche , io costui ne appagherv, sicché pià di nulla abbisogni. Al contrario chiunque nel cuor suo vile, offensivo de’ numi , si deciderà per la fuga , costui si troverà per me colla morte che fogge ; chè ben è meglio per esso e per altri che un tale cittadina perisca : e così perendo , non che attere i fune- bri onori eia tomba ^ si resterà, non emulato' nè pianto , in abbandono agli uccelli e alle fiere. Con ioli previdenze , andate : combattete alacremente ; e V abbiate per guida alle grandi azioni la speranza buona , chè dato a questo cimento un termine gene- roso , come tutti desideriamo , avrete ottenuto amplis- simi beni, avrete liberato voi dal timor dei tiranni , avrete , come doyeasi , corrisposto alla patria , che chiedea la gratitudine vostra per avervi generati e nudriti , avrete operato eh» i teneri vostri figli , le vostre mogli non sqffrano oltraggio da nemici, e che ì vecchi vostri genitori vivano in calma il picciolo avanzo di vita. Felici voi d quali riservasi tornare da questa guerra col trionfo, mentre li figli vostri' ve ne aspettano , e le spose , e li genitori. Quanto sa- rete celebrati , quanto ' invidiati pel coraggio di dare voi stessi per là patria ! Tutti deano morire valen- tuomini o no] ma il moribe con dignità' e CON GLORIA NON È PROPRIO CHE DE' VALENTUOlilNI- Ancora egli continuava tali detti magnanimi ; quando ecco spargersi nell’ esercito un ardore divino , e tutti ad una voce gridare : ardisci , e guidaci. E qui Postuniio encomiando la loro prontezza; e votandosi agl’ Iddj , se avea buon successo nella guerra , di fare grandi e sontupsi sagrilìzj , e ^lendidissimi giuochi da rinnovarsi in. Roma ogn’ anno rilasciò le milizie perchè si oi'dimssero. Quindi come i duci diedero il segno e le, trombe l’invito a ^mbattere; lanciaronsij gridando, quinci c quindi prima i soldati leggeri e li oavalietà , e poi le lej^ioni le quali aveano schierameotd ed armi consimili. Fecesi di tutti una mischia vivissima , ^dottasi tutta al dar delle mani. Tennesi questa lungo tempo contraria alla espcttazione di ambedue, sperando gli Ubj e gli altri che non avrebbero nemmeno a combattere , ma che a prim’ impeto forarebbero , ed intimorirebbero rinunieo; i Latini alhdati alla cavalleria loro numerosa quasi i’ urto ne fosse irreparabile alla cavalleria Romana; e li Romani aU’andarne audaci c spregianti ai perìcoli , quasi cosi avessero a soprailare l’ inimico. Non ostanti tali primitivi concetti degli uni su gli altri , vedeano tutti seguire il contrario. Quindi considerando che il mezzo di salvarsi e di vincere era la propria fortezza non la paura de’ nemici ; militarono bravlssimamente anche so- pra le forze ; e varie ne furono le vicende e le sorti. XI. Primieramente li Romani del centro dov’ era il fiore de* cavalli con Postumio dittatore, e'dove combat- teva egli stesso tra’ primi , cacciano di posto i loro com- pettitori dopo ferito con uno strale in una spalla , cd inabilitato a valersene , Tito l’ uno de’ figli di Tarqur- nio ; sebbene Licinio c Gellio senza esaminare le cose verisimili e possibili, suppongano esser questo che mili- tando a cavallo restò ferito lo stesso re Tarquinio, uomo più che nonagenario (i). Caduto Tito , le sue milizie (i) .\nofaa Tito Lhrio i di - questo parere, quantunque avesse considerata la difficoltà degli anni : ^li scrìve in Postumiwn prima inacìesuos aiihortantem i/utruentemtfua , Tarquinius super but quam- quam jam alate et viribus crai graiùar equnm infestas admitil. Nà SODO mancsti altri re che in quella ^ fornivano tutti gl' incarichi del regno o còmbattevano. Massiuissa fu I’ uno di.questi, cd .àntea re degli 'Setti mori combattendo, vecchio pi4 (he di novant’anni tennero fronte alcun tempo , e sollecite ne raccolsero vivo il corpo , non però fecero altro più di generoso , ma rinculavano incalzate via via da’ Romani , 6nchè soccorse da Sesto l’ altro 6glio di Tarquinio co’ fuoru- sciti Romani , e da truppa scelta di cavalieri si arresta- fono , e tornarono su l’ inimico. Cosi ripigliato Corano combattevano questi nuovamente. Intanto negli altri coi> pi (i) segnalandosi più che tutti i duci Ebuzio e Ma- milio , fugando ovunque volgeansi chi resisteva , e rior* dinando i loro se scompigliavans! ; vennero a disfida in fra loro : lanciatisi 1’ uno su l’ altro portaronsi colpi gra- vissimi , ma non mortali , Ebuzio spingendo 1’ asta per la corazza al petto di Mamilio , c Mamilio traforando il braccio destro di Ebuzio: tanto che ne caddero ambedue da cavallo. Portali amedue fuori della battaglia Marco Va* lerio che era un’ altra volta luogotenente anzi il più vecchio, prese le veci di Ebuzio maestro de’ cavalieri : ma contrastando colla sua la cavalleria nemica , e contenen* dola per breve tempo , infine fu violentato e respinto assai lungi ; perocché gèinsero in ajuto al nemico i fuorusciti Romani a cavallo , o di milizia leggera: e Maiadìo stesso riavutosi dalla percossa era tornato in campo con caval- eon Filippo Macedooe. E Luciioo scrive che Tarqptinio superbo più che nonagenario viveva robustissimo in Coma. Forse Licinio e Gellio non son dà riprendere. Dee poi notarsi, che Tarquinio; anche secondo Dionigi , visse più di novani’anni. Vedi § ai di questo libro. ' (i) Cioù Mamilio nell’ ala destra de’ Latini ed Ebutio nella si- nistra de’ Romani , percbù già stavano appunto in queste aie ; uù Diouigi lia (inora dello che avessero cambiato posto. Digitized by Googlc 2i6 delle Antichità.’ romane lerla numerosa e col nerbo de’ soldati espeditì ; anai in questa pugna cadde trafìtto da un’ asta Io stesso luogo- tenente Valerio (i) quegli che il primo avea trionfato de’ Sabini , e rialzato lo spirito di Roma infìacchito pei danni ricevuti da’ Tirreni : e con lui pur caddero altri molti nobili e valorosi Romani. Sorse sul caduto corpo di esso una lotta vivissima facendosi scudo allo zio li due Publio e Marco , fìgli di Poplicola. Or questi con- segnandolo intatto colle armi sue , mentre respirava an- cora , ai scudieri perchè Io riportassero agli alloggia- menti; lanciarono sestessi in mezzo al nemico spinti dall’onta ricevuta e dall’ardore dell’ animo : ma piom- bando d’ ogn’ intorno i fuoruscili su loro , alfine carico r uno e r altro di ferite mori (a). Dopo tale infortunio r armala Romana fu cacciala di posto , ed assai mal- menata dalla sinistra fino al centro. Il dittatore al co- noscere che i suoi fuggivano , ben tosto si staccò per soccorrerli con i cavalieri che aveva d’ intorno : e dato ordine a Tito Erminio di andare coll’ ala della caval- (i) Intende il Valerio fratello di Valerio l’oplicola: però il pri- mo Valerio è detto tio de’ fìgli di -Poplicola. Il Valerio del i- gotliti , li menò contro 1’ armata di IMamilio , ed egli stesso avventandosi addosso di lui die era il più grande e più gagliardo di quanti gli erano a fronte, lo uccise; ma fattosene a spogliare il cadavere, egli ancora vi soc- combò trafitto .dal brando di un tale in un lato.* Sesto Tarquinio, duce dell’ala sinistra Latina, resistendo tut- tavia tra tanti mali , avea cacciata di posto 1’ ala destra de’ Romani : come però vide Postumio venire su lui col uei'bo de’ cavalieri , disperatosi corse in mezzo a’ nemici. E qui circondato da’ fanti e da’ cavalieri ed investito , quasi una fiera d’ ogu’ intorno , mori , ma non senza averne anche egli stesi molti di quelli che lo investi- vano. Caduti i duci , pienissima fu la fuga de’ Latini , e la presa de’ loro alloggiamenti , abbandonati pur dalle , guardie. Dicchè i Romani se n’ebbero molti e belli van- taggi. Gravissima fu la perdita de’ Latini , tanto che moltissimo ne decaddero : e la strage fu tanta , quanta mai più per addietro ; imperocché di quaranta mila fanti e tre mila cavalli , come ho detto di sopra , nemmeno dieci mila tornarono salvi alle case. XIII. È fama che in questa battaglia si rendesser vi- _sibili al dittatore, ed al seguito suo due cavalieri adorni del Gore primo di giovinezza , grandi e belli assai più 2i8 delle antichità.’ romane che la condizione non sostiene dell’ uomo ; e che po- nendosi alla testa della cavalleria romana , peKotessero colle aste i Latini che le si avventavano , o' li sospin- gessero a rapidissima fuga. E fama è similmente che dopo la fuga de’ Latini , e la presa de’ loro alloggia- menti, presso al crepuscolo vespertino, appunto quando la zuffa ebbe fine, si dessero a vedere in abito militare nel F oro romano due giovani altissimi , e vaghissimi ', spirando in volto ancora 1’ ardore della battaglia , dalla quale venivano , e reggendo cavalli , molli di sudore. Dicesi che smontati l’ uno e 1’ altro da’ cavalli, lavavansi nell’onda, la quale sorgendo presso il tempio di Vesta forma una lacuna , picciola si , ni» profonda : ma che fattisi molli intorno di loro , e chiedendone se punto recassero di nuovo dall’ esercito , rilevarono ad e»i Ciocch’era della battaglia, e come 1’ aveano guadagnata: e che partiti poscia dal Foro non più furono veduti da alcuno , tuttoché seu facesse ricerca grandissima dal comandante lasciato in Roma« Come però nel giorno appresso riceverono i capi della città lettere dal ditta- tore , e conobbero 1’ assistenza dei due numi , e tutti i successi della battaglia ; giudicarono che i .due perso- naggi apparsi fossero , com’ era verisimile , gl’ Iddii stessi , e conchiusero che erano le immagini di Polluce e di Castore. Attestano la comparigione inaspettata e meravigliosa di questi Numi , molti segni ancora, come il tempio fondalo a Castore e Polluce nel Foro , ap- punto dove comparvero j e la fonte vicina , chiamati c creduta sacra finora , e li sagrifizj magnifici che il po- polo ne celebra ogni aqno per mezzo de’  a fare nè 1’ una nè l’ altra di queste due cose: che. era bensì, da giovine iL trasporto d’ allora per combattere ; ma che assai più biasimevole sarebbe' il fuggirsene a casa : e che qualunque de’ due parliti seguissero , andrebbe a genio de’ nemici. Era il parere di questi , cbe di presenta 'si triucierassero e preparas- sero quanto bisognava per la battaglia , e clic intanto spedissero ai Volaci per chiedere che inviassero nuove forze onde pareggiare quelle de’ Romani , o che richia- massero le altre già’inviate. La sentenza però sembrata più persuasiva e ratificata da’ capi fu di mandare al campo romano alcuni osservatori col nome di amba- sciadori onde preservarli , li quali , complimentandolo , dicessero al capitano, che il comune de' Volsci man- davali per ajuto de'Bomani: si doleano però che giunti tardi per la battaglia non troverebbero uemmen grati- tudine di tanto amore, vedendo come l’aveano già vinta a grande lor sorte , anche senza degli alleati. Con tali dolci maniere illudendo , c dandosi per amici , andas- sero , spiassero , conoscessero la moltitudine de’ nemici, le arme , gli appareccbj , i disegni. Conosciuto ciò , discuterebbesi qual fosse il migliore, lo aspettare nuove truppe , o menare le presenti all’ assalto. Poiché si riunirono tutti in questa sentenza, ne andarono gli oratori eletti da essi al dittatore : e poiché recati nell’ adunanza vi esposero gl’ insidiosi loro discorsi ; Postumio soprastando alcun tempo, alfine ri- spose: Voi siete o Volsci venuti qua con rei consigli sotto belle parole,: nemici nelle opere , volete presso noi la stima di amici. Voi foste inviati dal vostro comune ai Latini per combatterci. Ora. non essendo voi giunti a tempo per • la bat&iglia ; anzi vedendo questi già vinti, cercale deluderci con dirne cose con- trarie a quelle che eravate per Jdré. Ma nè sincera è r amicìzia del parlare che assiunete in vista del tempo presente , nè sincero il titolo della vostra le- gazione ; ma pieno è di malizia e d’ inganno. Non voi veniste sensibili pe nostri beni , ma per investi- gare qual sia lo stato tra' noi di debolezza 'e di forza. Messaggeri ne' detti , voi non siete che esplo- ratori nè fatti. E negando questi, ogni cosa , soggiunse che presto li convincerebbe. E qui produsse le lettere dei Volsci intercettate da lui prima delia battaglia, e chi le portava ai duci dei Latini , nelle quali prometteano mandare a questi un soccorso. Riconosciute le lettere , e palesato dai prigionieri il comando che aveano ; arse la moltitudine di manometter que’ Volsci , quali spie sorprese nel delitto. Non però volle Postumio che essi, nomini probi , si diportassero come i malvagi ; dicendo esser meglio serbare  permesso a quelli a’, quali solcasi , che die^fes^ i loro pareti ; Tito Largio, il primo de’ dittatoti create già per l’anno antecèdente (i) consigliò che ■usassero'*^ la sorte sobbria- mente. Diceva ' essere encomio grahdissimo per una città come per un uomo se rion lasciandosi corrom- pere dalle prosperità , le sostiene con regola e con dignità : odiarsi tutte le prosperità , quelle principal- mente per le quali possono ingiuriarsi , e gravarsi i (i) Vuol dire tre anni addietro: come fu notalo da Silburgio. miseri e li sottomessi. iVon confidassero su la sorte , essi che àveano sperimentato tante volte ne’ beni, e ne' mali proprj , quanto fosse mal ferma e mutabile: nè Kiducessero i nemici 'alla necessità di pericolo estremo per la qualè ipesso gli uomini s’ innalzano , e combattono sopra le forze. Temessero , se prèn- deano pene irreparabili e dure su chi avea mancato, di provocarsene f ira comune di ogni popolo sul quale aspiravano di comandare ; imperocché decaduti dalle maniere consuete colle quali eransi rendati chiari di oscuri parrèbbono aver fatto ' della sovranità una ti- rannide, nqn lìn governo éd un patrocinio. Dieea che mezzana non irremisibile è la colpa , se città già li- bere ,• anzi usate al comando, nOn sanno dall’ antico grado discendere. Se quei che anelano il meglio , siano sé falliscono il colpo , vendicati immedicabil- mente ^ niente ipipedirà, che gli uomini, generati tutti con intimo amore della libertà si distravano gli uni cogli altri. ^AggiuDgefra che assai piti nobile , assai piti fenho è il principato^ che amministrasi tenendo i sudditi colld beneficenza ' non co’ supplizf : perciocché dà quella' nasce la benevolenza , e dà questi il timore ■> e ciocché si teme , ^^si odia vivàmente per ne- cessità di natura. Da ultimo pregayali a pigliar per esempio le opere bellissime pqr le quali gli antenati loro'tajfto erano encomiati'^ ' e qui ridiceva com' èssi aveano niàgnificatò" Bonia ^à piccola , non diroccando le città prese',' nè Spopolandole nè spegnendovi al- meno gli adulti , ma riducendqle colonie di Bofna , e concedendo la cittàdLinanza a tutti i yinti che in Jtoina vollero domiciliarsi. Tilo Largib mirava col dir sao principalmente a questo , che si riqovasse co’ Latini l’alleanza, com’ eravi staU,'nè più ingiuria dcun% di qualunque città si ricordasse. Servio Sulpizio punto non contradisse intorno la pace e la rinovazione dell’ alleanza. Siccome di oomini che aveano tr^viatot E costui pigliandone -vesti e cibi per r esercita, ^e . scegliendone trecento .. ostaggi, dalle famiglie più cospicue , _ parti come ^ avesse dissipata la guerra. Non però fu, questo un dissolver!^ 'ma .piuttosto un dlHerirla , e dar causa di apparecclij ad essi, preoc- cupati dal giungere loro inaspettato. Ritiratosi l'esercito romano, si accinsero i Volaci di bel nuovo alla guerra, e munirono e meglio presidiarono le città , ed ogni luogo acconcio da rifuggirvisi. Si consociarono con essi per l'impresa i Sabini, e gli Ernie! svelatamente ; ma segretamente molti altri ancora. I Latini, essendo venuti ad essi a,mbasciadori per chiederne 1’ alleanza , li lega- rono e menarono a Roma. Fu sensibile il Senato alla / costanza della lor fede , e più ancora alla prontezza colla quale > solcano spontaneamente per esso cimentarsi, e combattere, ^^iudi restituì loro gratuitamente, cioc- ché pur vedea di’ essi desideravano , ma vergognavansi dimandare, intorno atbeimila fatti prigionieri nelle guerre eoa essi : e perchè il dono, prendesse una forma degna de’ parenti , -li rivestì tutti con abiti proprj di uomini liberi. Del resto fece intendere che non abbisognavasi di sòccorso latino , dicendo che bastavano a Roma le proprie forze . per vendicarsi de’ ribelli. E cosi risposto - ai Latini'^ decretò la guerra contro de’Volsci. Ancorò il 'Senato sedeva nella Curia, ancora considerava quali milizie destinasse a marciare ; quando fu visto nel Foro un uomo che antichissimo di anni , sordido ne’ vestimenti , e ha^'buto ^ capelluto ., gridava ed invocava soccorso dagli uomini, Accorsa la moltitu- dine Intorno; égli postosi in luogo donde fosse visibile disse: Io. generato libero y dopo. 'èssere finché n era la ptà., marciato in tutte le spedizioni , dopo averi' sostenuto vent’ otto battaglie ^ e riportato pià volte ,i premj militari.,' alfine quando sopravvennero i tempi che strinsero Jìonm alle ultime angustie fui necessi- tato a prendere wi prestilo per supplire al tributo che mi si chiedeva: perchè il mio campicetlo' era desolato da’ nemici , e le' rendite urbane tutte. per la penuria de’ viveri mi si consumavano. Cosi non avendo come più redimere il debito , fui condotto dal pre- statore con due miei figliuoli a servire. Comandan- domi poi quel padrone non facili cose io contraddis- si ; e ne fui con moltissimi talpi battuto^ E così di- cendo squarciò la lurida veste ; ,e mostrò pieno il petto di ferite, e grondanti le spalle di sangue. E. qui ulu- lando , e piangendone la moltitudine .?■' ^1 Serrato si di- sciolse : e tutta la città fu percorsa da’ poveri che. de- ploravano la infelice lor swte , ^ cliiedeano soccorso da’ vicini. Uscirono allora dalle Case (i) tutti quelli che erari servi pe’ debiti, «abbuffati le chiome, e la maggior parte colle catene alle mani,,' e co’ ceppi nei piedi, senza che alcuno osasse reprimerli: e so altri osava pur toccarli, erane manomesso co’ dU'ittL della, forza. Tanta rabbia in quel punto invase il' popolo ! Nè molto dopo il popolo fu pieno di uomini che fuggivano la forza di chi signoreggiavali.. Appio a, come .autore non ignoto de’ mali , temette coutfa di sè le ffe della moltitudine , e s’involò, fuggendo, dal-Foro. Ma Servilio deposta la veste contornata di porpora , e gettatosi lagrimando ap- pie di ciascuno ; a stento li persnase a contenersi per quel giorno, e tornar; nel seguente, mentre il Serrato  provvederebbe iij qualche modo su loto. Cosi dipendo , Ds’ creditori e comandando al banditore di proclamare , die ninno de’ creditori potesse trar seco pe’ debiti alcun cittadino , finché il Senato su ciò deliberasse , e che tutti gli astanti 'ne andassero ove più /deano senza timore ; chetò la turbolenza. Partirono allora dal Foro: ma nel prossimo giorno vi' si riunì non solo la moltitudine della città , ma r altra ancora de’ campi vicini; tanto che sull’ alba già .il Foro ne ribolliva. Adunatosi il Senato per discu» te re ciocché era da fare , Appio chiamava il compagno adulatore del popolo e capo' della insolenza de’ poveri : e Servilio rimproverava lui come austero , caparbio , e fabbro de’ mali che pativano: nè ci avea niun fine alla disputa; Intanto latini cavalieri spronando vivissimamente i cavalli si apprésentarono al Foro , annunziando essere già usciti 1 nemici con -.esèrcito poderoso , e già sovra- staìre alle cime -de’ monti loro. Cosi dissero questi : e li cavalieri , e quanti avéano ricchezze e gloria ereditaria , armaronsi in fretta, come.su. pericolo estremo; laddove i poveri ;• sjngolarmenle gravati da’ debiti, nè toccavan armi, né -soccorrevano in alcun* modo a’ pubblici biso- gni: anzi gioivano , ed accoglievano con desiderio la guerra esterna , come quella che redimerebbe loro dai mali presenti. E se altri, gli' esortava a respingere gli inimici , mòstràvanò a lui le catene é. li ceppi , e lo confondevano addinrtandando , se Cosse mai degno com- battere per difendersi tanto benefizio. Anzi taluni osa- rono perfino dire., esser meglio servire ai -Volsci , che soffrire i vilipendj de’ patrizj. Infine., era tutta la città ripiena di ululàti; di tumulti , e di ogni lutto di femmine. A tale spettacolo i senatori pregarono ii console Servilio, come più autorevole presso del popolo, a soccorrer la patria. E costui convocandolo al Foro , dimostrò la urgenza del tempo presente , e coiùe non ammettesse discordie civili : pregava e supplicava che piombassero unanimi tutti sul nemico , non che tol- lerassero che rovinasse la patria , ov’ èrano le divi- nità paterne, e le tombe. degli antenati, cose prezio- sissime tutte presso i mortali. Sentissero verecondia pe genitori incapaci a difendersi per la vecchiezza ; e pietà delle donne che bentosto sarebbero astretti a subire gravi ed inesplicabili affronti : ioprattiitto commiscrassero che teneri figliuoletti , cèrto non edu- cati a tale speranza , avessero a finir tra' le ingiio'ie e i vilipendj spietati. Quando tutti al paio concordi, tutti al paro infiammati , avessero tolto il rischio presente; allora discutessero comèra da ordinare un governo eguale, comune, salutevole a tulli, e 'tale, che nè i poveri insidiassero ''agli averi , del. ricco ,, nè il ricco i poveri ne conculcasse ^ cose tutte in società dannosissime. Allora discutessero con quale pubblica discrezione fosse da provvèdere ai poveri, con quale agli altri li quali dopo - dati i prestiti per soccorrere, ora ne erano ingiuriati : nè dalla sola Roma si le- verebbe la fede do contralti, bene principalissimo tra gli uopiini e cuslóde dell' armouia nel corpo delle città. Dette queste e slmili cose , quali convenivano al tempo, da ultimo provò com’ era la benevolenza sua stala sempre costante verso del popolo^ e.pregò'che in contragcamblo , almeno di questa , si unissero per la spedizione j essendo a' lui data ^'.amministrazione della guerra, e quella di Ron^a alt compagno. Protestava che la sorte avÉvd così destinate a Ipro le. parti : che il Senato tn>evalo\ assicurato di cpncedere quanto egli prometteva al popolò ■; ,.'e- che egli aveva assicurato il Senato cìie\ il .pòpolo non tradirebbe la patria ai nemici. Ciò detto ido^ose al banditore dì pubblicare che hiunof poiessé- arrogarsi le case di quelli che rnilitassètó. oon lui. ccfntro.^i Vblshi , nè venderle , nè impegnarle^ nè. rendet .sérVQ' pe' contratti alcuno della stirpe di èostbro, np impedire : veruno a guerreggiare : perwtessero pei^' Sècjondò^ i patti le 'azioni de’ pre^ stamri.'coutre'qaellijche -noli, prendeano le armi. Co- me i pòveri ódirono tiòj. decisero, e lanciaronsi tutti , pienirdi ardore aUa guerra'; vchi stimolato dalla ape- rto» dì, guadàgnare ; cbi ..dalla benevolenza pel capi- tano,,^ et gVan'.-p.firte' per. levarsi da ‘Appio e dai vilipendi; ^ersQ q^^rv lllnrra et » ! màli : finché , vinsero no- Ro- fecero che lungo tempo si 'oppo’neàiercr ai sopravvenendo’ ài ^Rqmani'laVlèro cavalleria vamente 'i, Sabini r ’e fatta'assai' strage , ttfrnaroho a Ro- ma conducendo seéo'in’’cópia li prigidhl«n.''ETmpnb^oi cei/cati e messi nella 'carcere feSabln^éhefècaùsi a. Roina sul titolo, di veder gli ^spettàcoli , dóveariq’ se^rido Tac- cordo all’ avvicinàrsi*'aéi lóro, prebccuparne ^ T luoghi piu forti :* e li sagnfizj ihterrbttK per' (a guerra fiiroho per decreto del Senato raddoppiati ; talché oc fu ^oju e riposo nel popolo. Ancora festeggiavano 1 quand’ ecco ambascia- dori dagli Arunci , popolo che occupava i più be’ luo- ghi della Campania. Presentatisi questi in Senato diman- davano' il territorio tolto dai Romani ai Volsci Eccetrani e dispensato agli nomini mandativi per guardia della nazione : dimandavano insieme che tal guardia si richia- masse; altrimenti verrebbero quanto prima gli Arunci su’ Romani, e vendicherebbero tutti i mali che aveano causato ai loco vicini. Replicarono a ciò li Romani. Ambasciadori , annunziate agli Arunci che noi Tlo- mani teniamo per ^uslo che altri lasci a’ posteri suoi ciocché ha conquistato per valore su nemici : che la guerra degli Arunci non la temiamo ; giacché non è questa per noi nè la prima nè la più terribile : che noi costumiamo combattere con chi vuóle per t impero e pel bene ; e se la cosa riducasi ora all arme , in- trepidamente all arme verremo. Dopo ciò movendosi gli Arunci con esercito poderoso, e li Romani con quello che aveano sotto gli ordini di Servilio ; si scon- trarono presso la Riccia città lontana centoventi stadj (1) da Roma. Accamparonsi ambedue su di alture forti , e poco distanti fra loro: e poiché vi ebbero trincierati gli alloggiamenti , scesero al piano per combattere. Avendo Appio cosi detto , ed acclamando- velo strepitosamente i giovani , quasi egli desse il ben della patria ; Servilio ed altri seniori sorsero per con- traddirlo : furono però sopraffatti da* giovani che erano venuti preparati ed insistevano con forza grande; tan- toché prevalse inGne la sentenza di Appio. Dopo ciò li consoli , sebbene i più volessero Appio per dittatore , come l’unico da por freno alle sedizioni, pure lo esclu- sero di concerto , ed elessero Marco .Valerio frateDo di Pubblio già primo console , uomo anriano e popolaris- simo di credito , persuasi che a lui basterebbe la terri- bilità della sua carica; e che si abbisognasse più che tutto di un uomo placido , perchè non si ^cessero delle innovazioni (i). ^ XL. Valerio investito della sua dignità, e scelto per maestro de’ cavalieri Quinto Servilio fratello d> Servi- lio , collega di Appio pel consolato ; ordinò che il po^ polo si radunasse a parlamento. E raduna tovisi albra la prima volta ed in gran moltitudine , da che guidato all’ armata erasi poi scisso manifestamente al dimettersi di Servilio dai magistrato ; Valerio ascese in ringhiera e (i) Qursto Valeria nel § 13 delMibro presente si dice ucciso in baiiaali* ; ed ora si desorWe colile diitaiore. Vedi la nota al S 11 ciiaia. disse : Sappiamo o cittadini che sempre di vostro buon grado hanno a voi comandato alcuni della stirpe dei p^alerj , da' quali liberati dalla dura tirannide , non foste mai rigettati nelle' oneste domande^ nè temeste violenza ; affidandovi a quelli che sembravano e sono popolarissimi infra tutti. Pertanto non io qui parlo y quasi voi abbisognate di essere illuminati che noi convalideremo al popolo la libertà la quale gli ab- biamo da principio vendicato : io parlo per ammo- nirvi solo brevemente affinchè siate pur certi che vi manterremo quanto promettiamo. Non ammette che vi deludiamo V età nostra venuta alla perfezione ^e men sostiene che vi ri^riamo , il grado supremo che ab- biamo , e finalmente dMbianm pur vivere V avanzo dei nostri giorni tra voi per iscontarvela se parremo di avervi abusati. Io tralascio però queste cose giac- ché non abbisognano di molto discorso tra voi che le conoscete. Ma ciò che avendo voi sopportato dagli altri, pormi che dobbiate ragionevolmente temerlo da tutti, nel vedere che sempre il console che v’invitava contro i nemici , prometteavi dal innato, senza man- tenervele mai , le cose , per voi necessarie ; questo io vi convincerò che non dovete di me sospettarlo , principalmente per tali due argomenti : prima perchè a deludervi in tal modo' mai sarebbesi il Senato abu- sato di me che amantissimo sono del popolo, aven- done altri più. acconci : e poi perchè non mi avrebbe mai condecorato della dittatura per la quale io posso concedervi anche senza di lui ciocché il vostro meglio mi sembra. Digitized by Googli !ì5o delle Antichità’ romane. Non crediate che io dia mano al Senato per ingannarvi f nè che io consultando con esso vinsidii. E se voi così giudicate ; fate ciocché pià volete di me, come del più, scellerato tra’ mortali. Ma liberate, datemi udienza , da tale sospetto gli animi vostri : ripiegate la collera dagli amici su vostri nemici che vengono per levarvi la patria , e per fare voi schiavi di liberi , sollecitandosi a premervi con tutti i mali y riputati gravissimi dagli uomini. Già non lontani si dicono dalle nostre campagne. Sorgete , accingetevi , mostrate loro che la milizia Romana in discordia , tissai pià vale della loro , tutta unanime. Se presi noi tutti da un ardore , piomberemo su loro ; o non ci aspetteranno , o prenderanno le pene degne del^ r audacia loro. Considerate che i nemici che a voi portano la guerra sono i Fblsci, sono i Sabini, quelli che tante volte avete combattuti e vinti: e che non ora han fatto pià grande il corpo nè pià generoso di prima il cuore ; ma che ben altro se lo hanno ; tuttoché ci disprezzino per le patrie gare. Quando avrete punito V inimico , io vi prometto che il Senato darà buon fine alle vostre contese pe’ debiti, ed alle oneste dimando secondo la virtù che mostrerete nella guerra. Intanto libere siano le sostanze , libere le persone , libera la fama de’ cittadini Romani dalle azioni de’ prestiti , e di ogni altro contratto. Per quelli poi che combatterai!, con impegno bellissima corona fia la patria ridiriaata , luminosa la gloria tra com- pagni , e pari la nostra ricompensa a vivificar le fa- miglie , c magnificarne cogli onori la stirpe. Siavi  aSi esempio , ve n’ esorto , V ardor nùo verso de' pericoli : io stesso come imo combatterò de’ pià robusti tra voi. Udì tali detti , coDsoIandosi il popolo , e come quello che non più sarebbe deluso, promise di arrokrsi per la guerra; e sen fecero dieci corpi militari, ciascuno di quattromila uomini (i). Prese ogni console tre di questi corpi con quanta cavalleria gli fu compartita. Il dittatore prese gli altri quattro col resto de’ cavalli. Ed apparecchiatisi ben tosto, marciarono a gran fretta Tito Velurio contro gli Equi, Aulo Verginio contro i Vol- aci, ed il dotatore Valerio contro de’ Sabini; rimanendo a guardia della città Tito Largio co’ più vecchi , e con piccolo corpo di giovani. La guerra co' Volsci ebbe prontissima risoluzione : imperocché necessitati a com- battere , pensando gli antichi mali , e come aveano mi- lizia più numerosa , piombarono i primi , anzi pronti che savj , su’ Romani , appena si videro accampati , gli uni dirimpetto degli altri. Attaccatasi vivissima la batta- glia , fecero molte magnanime cose ; ma scontramdone ancor più terribili, fuggirono finalmente. Il loro campo fu preso , e Velletri loro città principale fu ridotta per assedio. Lo spirito poi de’ Sabini fu invilito ancor esso in brevissimo tempo , essendosi 1’ una e 1’ altra parte deliberata a campale battaglia. Dopo ciò la campagna fu saccheggiata , e presi alcuni villaggi , ove i soldati acquistarono schiavi e roba in copia. Gli Equi all’udire la fine de’ compagni , riflettendo la propria debolezza (i) An. iti Roma a 6 o secondo Catone, 363 secondo Varrone, a Ì93 av. Cristo. si misero su luoghi forti ; e ritirandosi alia meglio per le cime di monti e balze presero tempo e mantennero alcun poco la guerra. 'Non però poterono ricondurre illeso r esercito , perchè sopravvenendo i Romani ardi- tissimamente su pe’ dirupi ; ne espugnarono a forza il campo. Dond’ è che fuggirono dalle terre de’ Latini , e le città si ridiedero colla facilità , colla quale erano^ già state prese al giungere del nemico. Alcune però furono espugnate , non cedendone le guarnigioni ostinate il comando. Riuscitagli la guerra secondo il disegno , Va* lerio trionfò , com’ era 1’ uso, per la vittori^ e congedò la milizia , quantunque non paressene al Senato tempo ancora, afBnchè i poveri non esigessero le promesse. Quindi a diminuire la sedizione in Roma , scelse al- quanti di questi, e li mandò nelle terre acquistate colle arme 'e tolte ai Volsci , perchè le possedessero , e le presidiassero. Ciò fatto chiese ai Padri che avendo avuto il popolo tanto pronto a combattere , gli osservassero le promesse. Non però davano questi udienza , ma si op- ponevano come dianzi all’ intento,; perchè li giovani e più violenti e più numerosi tra loro , fatto partito , brigavano ancora in contrario, e chiamavano con alta voce la prosapia di-^ lui adulatrice del popolo , e con- duci trice alle ree leggi, tanto care ai Valer] su le adu- nanze e su’ tribunali; 'malignando che aveano con queste annientato tutto il potere de’ patrizj (i). Esacerbatone (i) Allude alla legfi^ falla da Valerio 1’ aano 347 di Roma se- condo Catone , colla quale davasi ad un privato il diritto di ap- pellare al popolo dai magistrali che lo aveano condannalo. Vedi 1. 5, S «9- molto Valerio , e dolutosi come se calunniato a torto patisse pel popolo , compianse il vicino fin d’ essi cbe cosi consigliavano : e com’ è verìsimile nel suo caso , presagendo loro pi& cose , altre per passione , altre per intendimento maggiore degli altri, s’involò dalla Curia, « convocato il popolo disse : Cittadini , dovendovi io piena riconoscenza per la prontezza colla quale mi vi deste per In guerra ; e più. per la virtù la quale dimostraste in combattere ; io molto mi adoperai perchè foste voi ricompensati con ogni modo , princi- palmente col non essere delusi nelle promesse che io vi feci a nome de’ Padri , quando fui scelto con- siglierò ed arbitro di ambe le partì, onde ridurvi al- lora scissi, a concordia. Nondimeno ora sono impe- dito di soddisfarvi da uomini che non mirano il bene della 'comune ma solo il proprio, almen di presente. Questi prevalendo di numero prevagliono con una potenza che ad essi la gioventù concede più che la perizia degli affari.' Ed io , sono vecchio come -.vedete e vecchi pur sono i miei compagni buoni solo nel consigliare, ed invalidi per eseguire, e la provvidenza su la repubblica sembra ridotta propriamente a que- sto , che r una parte pregiudichi V altra. Io sembro al Senato un vostro fautore, e voi mi accusate come benevolo troppo verso del Senato. 5e il popolo innanzi carezzato da me fosse venuto meno alle promesse del Senato , sarebbe la giustif razione mia, che voi. siete i mancatori, e non io. Ora però non mantenendosi i patti dal Senato , mi è necessario dichiarare che è senza mia parte quanto patite , e che io medesimo sono come voi , anzi più, di voi, circonvenuto e deluso. Imperocché . non solo io sono offeso con ingiuria a tutti comune, ma in ispecie con quante mormorazioni di me vanno facendo. Di me si mormora che io per far f utile de’ privati dispensai senza il voto del Senato a’ poveri Va voi le spoglie prese nella guerra ; che io rendei del popolo ciocché era di tutti , e che per impedire che il Senato vi malmenasse , licenziai , ripugnandovi lui, la milizia che dovea tenersi ancora nelle terre nemiche fra le marce, e i Vavagli. Mi si rimprovera la spedizion de’ coloni nella regione de’ V^olsci , per- chè ho io comportilo una terra ampia e buona a po- veri Va voi , piuttosto che donarla a pcUrizj ed a ca- valieri. Soprattutto mi si provoca indignazione moltis- sima perchè io nel fare la leva ho assunto più che quattrocento do’ vostri tra cavalieri ; don^ è che ricchi ne son divenuti. Se ciò mi avveniva quando fiorivano gli anni , ben avrei insegnato co’ fatti a’ nemici , qual uomo avessero vilipeso. Ora essendo io più che set- tuagenario , invalido a provedere fino a me stesso , e reggendo che non più la vostra sedizione può da me racchetarsi ; rinunzio la' dittatura : e chi vuole , io gliel concedo , faccia di me come giudica , se crederi comunque da me danneggiato, XLY. Intenerirousi tutti a que’ detti e gli fecero se* gulto quando parti dal Foro. Ma questo appunto esa- sperò contro lui li senatori: e ben tosto ebbe tali con- seguenze. I poreri non più celatamente nè di notte , come per addietro, ma pubblicisshnamente riunÌTansi,c trattavano di scindersi da’ patrizj. Il Senato , disegnando impedirneli , diede ordine ai consoli di non dimetter r esercito. Certamente eran questi arbitri ancora delle reclute , come sacre pe’ ligami de’ giuramenti militari. £ per questi vincoli ninno attentavasi di abbondonaroe le insegne ; tanto la riverenza potea de’ giuramenti ! Alle^ gavasi per titolo della ritenzione , che gli Equi e li Sa^ bini eransi convenuti per la guerra contro de’ Romani. Ora essendo i consoli usciti colle schiere , ed essendosi accampati non lontani 1' uno dall’ altro , i soldati radu* naronsi tutti in un luogo colle arme , e per istigazione di un tal Sicinio Belluto se ne ribellarono ; appropian- dosi le insegne , cose tra’ Romani onoratissime e sante , come simulacri di Numi (i). E creatisi nuovi centurioni, ed un capo in Sicinio Belluto; occuparono non lontano da Roma presso 1’ Aniene un monte che sacro si chia- ma 6n da queir epoca. Pregando , sospirando , prornet- tendo , li richiamavano i consoli ed i centurioni ; ma Sicinio replicò: Qual fare è il vostro o Patrizj che ora vogliate richiamare quelli che avete espulso dalla patria , e che di liberi gli avete schiavi rendati ? Con qual credito mai ci assicurerete le promesse, le quali siete rimproverati di aver tante volte tradito? Piutto- sto , poiché volete in città , soli , aver tutto ; andate ; abbialevelo : non vi angustiate pe' bisognosi, e pe miseri. Per noi sarà buona ogni terra; e qualunque ne terremo per patria , solchè vi si abbia la libertà. Annunziatesi tali cose in Roma , tutto vi fu (i) .\n. dì Roma a 6 o tccoudo Catone, 263 secóndo Varrone, e 49 ^ «T. Cristo. romore e pianto: e là correva il popolo, intento a la> sciar la città , qua li patrizj cbe voleano alienameli , colla forza ancora , se ricusavano. Soprattutto eravi clamore e pianto alle porte ; ed ingiurie vi si facevano , come tra’ nemici , con parole e con opere , niun più riverendo nè la età , nè l’ amicizia , nè la gloiia della virtù. Non potendo però, come scarsi , i soldati di guar- dia destinativi dal Senato custodire le uscite, le abban- donarono , sopraffatti dalla moltitudine. Allora versando- sene fuora gran popolo ; parca lo spettacolo , còme la città fosse presa. Gemeano, si rimproveravano quelli che ' restavano , vedendo che desolavasi. Dopo ciò si fecero molte consultazioni ; si accusarono gli autori delia sepa- razione; ed intanto correano li nemici , depredando la campagna , 6no a Roma. Li fuorusciti presero i viveri necessarj drile terre intorno , nè punto più le danneg- giarono. Tenendosi in campo aperto accoglievano quanti venivano da Roma , o da’ castelli intorno ; tanto che ne divennero numerosi ; perciocché vi concorrevano , non solamente quelli che voleano levarsi dai debiti , dai giu- dizj, e da altri; angustie imminenti, ma tutti eziandio gl’ inBngardi , gli oziosi , i malcontenti ; quelli che in malfar si emulavano, che Invidiavano l’ altrui ben essere, o che per altri mali , e cause comunque , discordavano dal governo. XLVII. Adunque si eccitò ne’ patrizj turbazione , ed angustia grande , e paura , come se li fuorusciti e li ne- mici stranieri fossero per venire quanto prima contro di Roma. Poi , quasi tutti ad un segno , prendendo coi loro clienti le armi , altri corsero alle strade donde pensavano clie giungessero gl’ inimici , altri ai castelli per difenderne i posti forti , ed altri ai campi innanzi la città per trincerarvisi , e quei che per la vecchiaja non poterono iàr nulla di ciò, furono distribuiti per le mura. Come però seppero che i fuoruscili nè si univano coi nemici , nè saccheggiavano la campagna , né faceano al- tro danno considerabile , respirarono dalla paura ; e mu- tato pensiero , esaminarono come si riconciliassero. Sug- gerirono i capi del Senato mezzi di ogni genere , di- versi per lo più fra loro; ma li più anziani suggerirono i più discreti , e più convenienti ai tempi ; facendo ri- flettere che il popolo twn ti era separalo da loro per malizia , ma in forza de proprj mali , o delle pro- messe non mantenutegli , e che auca così risoluto V u- tile suo piuttosto tra la collera che tra la calma della ragione , vizio consueto nella ignoranza. Aggiungevano che i più di questi conoscevano di avere mal delibe- rato , e cercavano emendarsene , se il buon punto ne avessero iiche già ne' ei^an le opere come di chi si pente ; e che volentieri tornerebbero nella patria se potessero, augumrvisi un avvenire felice , dando loro il Senato perdono , e pace decorosa. In mezzo a tali consigli supplicavano che essi che erano i gratuli non sentisser la ira più che i minori’, nè differissero stolti a riconciliarsi allora .quando fossero necessitati a far senno , e curare il male più piccolo col più grande , vuol dire , quando' avessero a tedere le armi, e le per- sone , e togliersi da sè stessi la libertà : cose tutte quasi impossibili a farsi. Usassero moderazione , pròponessero i primi gC ulili consigli, e la riunione , av- vertendo che se era proprio de' patriiù] comandare e dirigerò ; era propria ancora de' buoni C amicizia e la pace. Mostravano che la dignità del Senato non mi- norasi quando provede alla sicuiozza col sopportare pazientemente le perdite necessarie ; ma quando op- ponesi tanto ostinatamente alla sorte che la repub- blica ne rovini : gli stolli trascurare la sicurezza per amor del decoro : ben essere da ceivare ambedue queste cose : ma dove sia da cedere V una o C altra, doversi la salvezza riputare più necessaria. Era l’intento «li tali consiglieri che si mandasse a fuorusciti per trattar della pace non altrimente che se la colpa loro non fosse insanabile. Piacque cosi appunto al Senato ; e scelti per- sonaggi accontissimi , li diresse a quelli che erano in campo con ordine d’ intenderne i bisogni e le condi- ' zioni colle quali volessero in cittlt ritornare ; perciocché se fossero discrete e fattibili, jl Senato non le rigette- rebbe : intanto se depenessero le arme , e tornassero in Roma , promettea loro perdono e dimenticanza perpe* tua di tutto il passato : come belle ed ntili le ricom- pense a chi servisse valoroso , ed affrontasse ardente- mente i pericoli per la patria. Recarono gli oratori e comunicarono tali voleri al campo , aggiungendovi cose consentanee. Non accettarono' i fuorusciti l’ invito : anzi rimproverarono a’ patrizi T orgoglio , la dnrezza , le si- mulazioni loro perchè fingevano ignorare i bisogni del popolo, e quelli pe’ quali si era separato. Ci assolvono, diceauo, da ogni pena per la ribellione , come fossero i padroni, essi che abbisognano dell’ ajulo nostro. Quando giunga su loro , e sarà tra non molto , con tutte le forze il nemico ; non potranno alzare nem- men lo sguardo contr esso , e pur ci voglion far cre- dere che non sia bene loro t esser difesi ; ma felicità di chi si unisce a difenderli. Aggiunsero a tal dire che se vedevano già le angustie di Roma ; comprendereb-* bero poi meglio con quali nemici avessero a guerreg- giare : e qui minacciarono molto e veementemente. Non contraddissero a ciò, ma partirono, e dichiararono i legati a’ patrizj le risposte dei segregati: e Roma, uditele, se ne turbò ; e temette più che per addietro. Il Senato non sapendo come espedirsi o diffenrc , si disciolse , dopo avere più giorni ascoltate le infamazioni e le ac> cose vicendevoli de’ suoi capi fra loro. Il popolo rimasto in Roma per benevolenza verso de’ patrizj , o per de- siderio della ..patria più non somigliava sestesso; dile- guandosene gran parte nascostamente o in pubblico > nè sembrandone il resto affatto più stabile. Fra tali vi- cende i consoli , avendo poco più tempo per coman- dare , fissarono il giorno pe’ comizj. Venuto il tempo nel quale aveansi a riunire nel campo Marzo e scegliere i proprj magistrati; ninno ambiva , nè sostenea di esser consolo. Adunque nella Olimpiade setlantesÌDa seconda nella quale Tisicrate da Crotone vinse allo stadio, essendo arconte in Atene Diogneto ; il popolo rielesse al consolato due vecchi consoli Postumio Gominio e 'Spurio Cassio, uomini cari alla moltitudine ed ar grandi , da' quali già domati i Sabini aveano lasciato di competere dell’ impero con Roma. Or questi riassumendo il loro grado alle calende di settembre, vale a dire prima del tempo consueto ai consoli precedenti , convocarono innanzi tutto il Senato per deliberarvi sul ritorno del popolo (i). CbieslO' il’ parere di tutti ; invitarono a dire Menenio Agrippa , uomo allora venerabile per età, credulo più che gliaU tri insigne in prudenza , e lodato principlmente' per loi scelta de’ suoi regolamenti, perchè teneasi^al mezzo non fomentando 1’ arroganza de’ nobili , nè lasciando che i| popolo operasse tutto a suo modo. Or questi esortando il Senato alla riconciliazione , disse r Se quanti qui siamo o Padri Coscritti fossimo tutti di un animo; e se niuno si opponesse a far pace col popolo , comtm- que la facessimo , per giuste o per ingiuste condizùy- ^ ni ; e se questo fosse proposto unicamente d diseu^ tere ; dichiarerei , con poche parole dà che ne penso. Ma perciocché alcuni giudicano che sia dà ponderare ancora se forse riesca più utile far guerra a fuoru- sciti ; non credo che io possa in ^ poco- insinuare dà che dee farsi: ma sento il bisogno tt istruir ampia- mente su la pace quanti tra voi ne discordano. Im- perocché questi conducono a cose contraddittorie ; spa- ventano voi , che già ne temete , su mdli da nulla o lievi a curarsi, e trascurano gl' immedicabili e gravi. Certamente cosi propongono perchè non decidono del- r utile colla ragione , ma col furore e coll’ impelo. E come si direbbe che essi provvedono le cose proficue, o fattibili almeno , quando stimano che Roma , una (i) A^oi di Roma a6t «ceoodo Catóne, o63 secondo Varrone,e 4{)t arami Critu».  a6i città si grande , ed arbitra di tante genti ^ e già in~ yidiata e molestata da’ vicini , possa ritenerle e difen- derle facilmente senza il suo popolo , o che possa in luogo del suo sì scellerato introdurre altro popolo che per lei combatta del principato ; che con lei sia di buon accordo su la repubblica , e sempre moderato in pace ed in guerra ? Eppure non altro potrebbono dirvi quei che tentano dissuadervi dalla pace. L. Ma qual sia la più stolta di queste cose, vorrei che voi stessi lo decideste dalle opere. Considerate , che alienatisi da voi li più poveri perchè abusaste della loro infelicità senza modestia e senza politica , e che recatisi appena fuori della città senza farvi o macchi- narvi altro mede , col solo intento di averne una pace non ingloriosa , molti de’ vostri nemici abbracciarono con trasporto questa occasione come dono della sorte, e riedzan lo spirito , e credono venuto per loro fitud- mente il tempo felice da battere il vostro impero, di Equi , i Eolsci , i Sabini , gli Etnici , questi che mai si alienano eìal farci la guerra , esatperali ora dalle sconfitte recenti, già devastano le nostre campagne. Que’ Campani , que Tirreni die vacillavano nella no- stra soggezione ora parte fi abbandonano matdf està- mente , parte in occulto • vi si preparano. E gli stessi LeUirti , quantunque nostri congiunti, a me non sem- ■hran procedere di buona fede, costanti neW amicizia; ma odo che guasti sono in gran numero per amore di un cambiamento , che tanto gli uomini alletta. Noi die abbiamo fin qui portato in campo aperto la guerra su gli altri; noi ci stiamo or qui dentro , difensori delle mur^; lasciando senza seminarli i nostri terreni, anzi 1 vedendovi saccheggiali i villaggi , via levale le predo , e fuggirsene di per sestessi gli schiavi , senza che abbiamo rimedj a tanti mali. Non pertanto noi ' tutto soffriamo , perchè speriamo ancora che il popolo ci si riconcilj , ben sapendo che da noi dipende il togliere- con un solo decreto la sedizione. Ma se pessimo è lo stato nostro in campagna;, non è meno funesto e terribile dentro le mura. Noi ' non ci siamo .apparecchiati già da gran tempo , come per un assedio , nè bastiamo di numero contro tanti nemici. La nostra gente è poca, nè da guerra, e ple- bea, per gran parte, merce nar f , clienti, artefici, cu- stodi tton affatto saldi dello stato turbato degli Otti- mali : e le continue loro diserzioni verso de’ fuorusciti ce li hanno rendati tutti sospetti. Soprattutto essendo le nostre campagne dominate da nemici, ed impossi- bilitato il trasporto de’ viveri ; abbiamo a temer di una fame : e quando a tal disagio saremo; tanto più ci spaventerà la guerra , la quale senza questo ancora non concede mai calma allo spirito. Quello poi che supera tutti i mali è vedere le donne dei segregati, vedere i teneri figli , i padri cadenti , che sqqallidi e miserandi si rigiran pel Foro e per le vie , che pian- gono e supplicano e stringono a ciascuno la destra e i ginocchi, e deplorano la solitudine loro presente e più ancor la futura, spettacolo in véro desolante ed insopportabile ! Niuno è si barbaro che non s inte- nerisca a mirarlo , e non si appassioni sul destino de- gli uomini. Che se abbiamo a diffidar su plebei ; dofremo rimoverne gt individui, altri come inutili nel- r assedio , ed altri come amici non saldi. Or se questi rimovansi , quid forza rimane in guardia di Roma ? o da quale soccorso animati ardiremo star contro dei mali ? V unico nostro rifugio , P unica nostra buona speranza è la gioventù patrizia : ma poca come vedete ella è questa , nè bastante a darci i grandiosi disegni. Che dunque impazzano , quei che propongon la guer^ ra , o perchè mai ci deludono , e non consigliano piut~ tosto di cedere fin da ora senz ar^ustie , e senza sangue Roma ai nemici ? Ma forse io ciò dicendo son cieco , e predico per terribili , cose che non son da temere. Roma non corre altro rischio che di un cambiamento , cosa certo non difficile ; potendovisi facilissimamente introdurre mercenarj e ' clienti in copia da ogni gente e luogo, posi van divulgando molli de* contrarj al popolo, uo- mini , viva . Dio y non dispregievolì. A tanta stoltezza vengono alcuni ; che non propongono già consigli sa- lutevoli , ma desideri impossibili I Ora io volentieri dimanderei questi uomini quode tempo mai ne si, dia per far tali cose , essendone tanto vicini i nemici : qtude condiscendenza alt indugio o al ritardo del giu- gnere degli alleali in mezzo à mali che non tempo- reggiano , nè aspettano ? Qual uomo , o qual Dio mai vi terrà sicuri , o congreghem da ogni luogo in gran calma , e qui ci porterà de’ sussidj ?. Inoltre e quali tuoi saran. ' quelli che lasceranno la patria per venir- sene a noi ? Quelli forse che haruus case e Dii Lari € viveri ed onori tra proprj cittadini per la nobiltà degli antenati, o quelli che per la gloria risplendono de' pnoprj meriti ? E chi mai sosterrebbe di abhem- donare i proprj commodi, e partecipare vergognosa^ mente i mali altrui ? Eppure a noi si verrebbe non per dividere con noi la pace e le delizie, ma la guerra e i pericoli, e questi incerti, se a bene riescano ! Convocheremo forse una -turba, qual fu quella riget- tata da noi, plebea e senza lari? Ben è chiaro che pe' disagi suoi , io dico pe’ debiti , per le penalità , c per cause altrettali prenderà volentierissima . dovunque una sede : ma sebbene questa plebe sia utile , c ( per concederle questo ancora ) sebbene sia moderata ; tuttavia ci riuscirà generalmente , assai, meno 'buona della nostra , perchè non è rutta tra nci, nè come noi disciplinata , e perchè ignora i nostri costumi, le no- stre leggi , e le nostre maniere.  celebrasi la vostra clemenza ,  il quale nè manda a noi per conciliarcisi esso che à C offensore , nè porge risposte umane e socievoli a quelli che noi stessi gli abbiamo inviati : ma s’ inal- bera e minaccia , nè lascia conoscere quello che vo- glia. Udite voi dunque ciò che iò consiglio che^ fac- ciasi. lo nè penso il popolo irreconciliabile a noi > nè > ohe mai farà quanto mincucip, ; dióchà mi sono buon argomento le opere sue che a’ detti non somi- gliano. -Dond’ è che io lo credo assai piò che ■ noi sollecito di pacificarsi. Certamente noi abitiamo una patria onoratissima , e teniamo irt poter nostro le so- stanze di lui, le case, i genitori, a tutte le cose pià preziose : ed egli si trova senza patria , senza ma- gioni , senza i pegni suoi più, cari , e senta V abbon- danza ancora del .^vivere quotidiano. Che se alcuno mi chieda perchè mai fra tanti patimenti egli nè ac- cetti gl inviti nostri , nè mandi a noi per istanza niuna , rispondo s ciò essere manifestamente , perchè Digitized by Google 2G8 delle antichità’ romane fin (jid mn intese dal Senato che parole senza ve- derne poi le opere o di benevolenza o di modera- zione ; e perchè crede di essere stato molte volte in- gannato da noi che promettevamo di provvedere su lui, senza avervi mai provveduto. Non ci spedisce am- basciadori perchè son qui tanti che ce» lo accusano , e perchè teme non ottenere ciò che dimanda : e forse così gli suggerisce un ambizione non bene conside- rata; nè già è meraviglia. Imperocché son pure tra noi non pochi , difficili , contenziosi , i quali colle brighe loro non vogliono che cedasi punto ai cóntrarf , e cercano per ogni via di sopraffarli senza mai con- discendere essi i primi , finché loro non sottomettasi chi vuole essere beneficato. Or ciò considerando io penso che debbansi spedire al popolo ambàsciadori , principalmente di stia confidenza : e consiglio che questi ambasciadori siano plenipotenziarj , perchè le- vino la sedizione coi patti che essi terranno per giu- sti , senza rimettersene al Senato. Questo popolo che ora vi pare sì spregiante e grave , questo darà loro utlienza , al vedere che voi cercate veramente la con- cordia , e ridurrassi a condizioni più mitij senza chie- derne alcuna vituperosa , o non fattibile. Imperocché tutti, e specialmente i plebei, ne’ dissidj s' irf urtano con chi su loro insolentisce ; ma si ammansano con chi li blandisce. Cosi disse Menenio; e levossene in Senato gran romore , parlandovi ciascnno alia sua volta. I fautori del popolo esortaVansi a vicenda a dar tutta la mano per- chè rlpatriasse, avendo per capo di questo consiglio il pii riguardevole de* patrizj. Per Topposìto quegli ottimati die cercavano che nulla si alterasse de’ costumi della patria mal sapeàno ciò che avessero a fare , nò voleano condiscendere; nè poteano ostinarsi. Nondimeno uomini integerrimi né caldi per l' uno o 1’ altro partito voleano la pace , intenti a questo di non essere assediati tra le mura. Or qui fattosi da tutti silenzio il più anziano dei 'ìonsoli encomiò Menenio della sua generosità , stimo» landò anche gli altri a somigliarlo nella cura della re- pubblica , a dir francamente ciocché ne sentissero , e compiere senza strepitò ciocché sen decidesse: indi nel modo stesso cercandolo dei suo parere , chiamò per nome Manio Valerio, nomo infra tutti gli ottimati ca- rissimo ài popolo, e fratello all’uno di quelli che aveano liberato Roiòa dai tiranni. Costui levatosi in piede ricordò ai Padri i suoi provvedimenti , e come avendo egli presagito più volte i terribili casi avvenire , ne tennero pochissimo conto : poscia esortò li contrari discutere ornai su la moderazione , ma solo a vedere ( giacché non aveano permesso che si estirpasse quando era ancor piccola ) di racchetare ora , comunque , il pià presto , la sedizione , perchè , trascurata , non proce- desse pià oltre , e non divenisse incurabile f o presso che incurabile , e sorgente di mali senta fine. Di- chiarò che le dimande del popolo non sarebbero come per r avanti; e pronosticò che non si accorderebbe colle condizioni di prima insistendo per la sola re- missione dei debiti , ma che vorrebbe forse un qual- che difensore , onde tenersi illeso nell' avvenire : af- fermava che dopo introdotta la dittatHra era venuta- meno la le^e tutelare della Uhtrià la quale non per^ metteva a’ patrizj di uccidere alcun cittadino non giu- dicato , nè di cederlo giudicato reo nelle mani de’ loro- contradditori , e la quale concedeva a chi volea V ap- pelto f di portare le cause al popolo da’ patrizj f tanto che quello si eseguisse che il popolo ne decidesse^ Poco mancarvi che non fosse statà tolta al popolo tutta la potenza esercitela già da esso ne' tempi ad* dietro , quando non potè ottenere dal Senato per le imprese rmlitari il trionfo a Pubblio Servilio Prisco, uomo infra tutti degnissimo di quest’ onore. Pertanto- ben essere verisimile che il popolo cosi ojfeso sconfortisi nè abbia se non triste speranze della sua sicurezzaj Non il console , non il dittatore aver potuto soccorrerà il popolo , quantunque il volessero,; .anzi averne par- tecipale le incurie e V avvilimento , perchè studia» vansi provvedere su lui. Essersi poi cospirati per im» pedirli non uomini autorevolissimi fra li patrizj , ma uomini oltraggiosi , avari , . acerrimi ne’ rei guadagni, « quali , pe’ grandi prestiti a grandi usure , aveano ridotto schiavi ì pià de’ cittadini ; dicea che questi facendo loro leggi dure , orgogliose . aveano alienata tutta la plebe da patrizj ; e che datosi per capo Ap- pio Claudio , odiatore della plebe , e propizio ai po- chi y rimescolavano tulli gli affari di Roma. E se la parte savia del Senato non si contrapponesse , la repubblica pericolerebbe di essere schiava o distrutta. Da ultimo dichiarò ben fatto valersi del parer di Me- nenio , e chiese che si spedisse al popolo qiumto prima: procurassero i deputati quanto volessero la calma della sedizione : ma se il popolo non accet- tava le dimando loro , essi quelle accettassero del LIX. Sorse , invitato , dopo lai Appio Claudio , uomo contrario al popolo, e grande estimatore di sestesso, nè senza cagione. Perocché nel vivere suo quotidiano era moderato e santo , nobile nella scelta de' provvedimenti, e tale da conservare la dignità de’ patrizj. Costui pren« dendo occasione dell’ aringa di Valerio , disse : Certa- mente sarebbe Valerio men riprensibile se palesava unicamente il suo parere , senza condannare quello de’ contrarj ; giacché non avrebbe nemmen egli ascoU tato i suoi vizj. Siccome però non fu pago di dar consigli onde renderci schiavi ai cittadini pili vili, ma sferzò pure i suoi contrarj , cimentando anche me ; così vedomi necessitato assai di rispondere , e di respingere primieramente le calunnie a me fatte. Son io rimproverato di una condotta nè' sociale , nè decorosa , quasi io cerchi per ogni via far danari , quasi spogli molti de’ poveri della libertà, e quasi da me sia derivata in gran parte la separazione del popolo. Ben vi è facile però di conoscere che niente di ciò è vero , niente probabile. Or su , dimmi , o Valerio , quali sono quelli che ho io ridotti servi pei debiti , quali i cittadini che ora tengo nella carcere ? (filale dei fuorusciti si è privato della patria per la durezza e per V avarizia mia ? Certo non potrai tu dirlo. .Anzi tanto è lungi che alcuno sia da me ri- ilotto servo pe’ debiti che. io sparsi tra molti V aver mio , nè mi rendei schiavo , nè disonorai niuno di quei che mi hanno defraudato : ma tutù ne son U- beri, e tutti me ne ringraziano , e stansi nel numero degli anici e de clienti miei pià familiari. Nè ciò dico per incolpare chi non opera come me, nè per ingiuriare chi ha faUo cose concedute dalle leggi; nta solo per levas'e da me le calunnie. In ciò poi che mi accusa della durezza e del patrocinio mio sui scellerati, chiamandomi odUpopolo ed oligarca perchè favorisco il comando de’ pochi , in ciò son io da riprendere quanto voi che avete ricu- sato , come pià riguardevoU , di soggiacere ai men degni , e di lasciarvi togliere il comando dei vo- stri antenati da una democrazia , pessimo infra tutti i governi. Nè già perchè egli soprannomina oli- garchia il comando de’ pochi dovrà questo disciogliersi per le beffe del nome. E pià giustamente e propria- mente possiamo noi riprendere lui come un adulatore del popolo , ed un ambizioso di tiranneggiare. Per- ciocché niuno ignora che la tirannide nasce dalle adu- lazioni della plebe : e che la via speditissima a ren- dere le città schiave è quella che mena al comando col mezzo de’ cittadini peggiori. Or egli ha fin qui carezzato costoro , nè tuttavia cessa di carezzarli. Ben vedete che questi abietti , questi miseri , non avreb- bero . mai ardito d’ insolentire in tal modo se non fossero stati eccitati' da questo sì riguardevole e bello amatore della patria , come se l’  tali trattare, Abhiam per ostaggi le loro mogli, i loro padri, e tutto il parentado , dei quali non potremmo ckiedtrne altri migliori dd\Numi, Questi , li collocheremo • nói, questi al cospetto dei loro congiunti , minacciando , se tentano assafirti , di uc- ciderli con estremi supplizj: ina, credetemi, dove ciò sappiano , voi li riceverete inermi', supffikhevoli, pian- genti , pronti ad ogni pena. Terribili sono tali neces- sità , e frangono , ed annientano ogni baldanza.E questi sonod riflessi -^pd quali non dob- biamo la guerra temere degli esuli. Le mirtacce poi di altri popoli rum ora Ut prima volta si trovarono fnire in paroUf; ma 'per ^addietro ancora ci si sco- prirono sempre rtùnori delt apparenza quante volte i popoli fecero di noi paragone. M quelli che tengono per insufficienti le intime nostre forze, e però temono appunto la guerra , quelli non bene le han calcolate. Ai citrini da noi separati, se il vogliamo , possiamo contrapporre scegliendoli e liberandoli , il ' fiore de’ servi. Certamente vai meglio donare a questi la libertà , che lasciarsi torre da quelli il comando : tanto più che stati essendo questi tante volte presenti ne’ nostri campi hanno sperienza che basta di guerra. Per com- battere poi cogli esteri usciremo ' noi stessi pieni di ardore e meneremo con noi tutti i clienti, e tutto il resto del popolo : e perchè sia questo ' cspedito a ci- menti , rilasceremp ciascuno privatamente , e non max per legge , ad esso i suoi debiti. Se dobbiamo in vista de’ tempi cedere in parte e temperarci; non dee mai farsi questo con cittadini che ci s' inimicano , ma cogli amici , perché sappiasi che noi concediamo grar zie, eomthossi e non violentali’, che se queste non bastino, se bisognino altre fòrze , f arem venirne dai presidii e dalle colonie: e quanta sia- la moltitudine loro , è facile raccoglierlo dalC ultimo censo. 1 .Romani atti (die arme son cento trenta mila, e di questi appena la settima tparte è fuggita ' da noi ( 1 ). Non commentoro qui le' trenta città de’ Latini , le quali come voitre alleate ^ combatteranno di bonissima vo- glia per voi, sol che decretiate di ammetterle alla vostra cittadinanza che > sempre .vi hanno domandata. Ora vi aggiungo' (.e finisco ) quello che ri- leva fra le arme assaissimo , e che voi non avete av- vertito , o certo niun dice de’ Padri. Chi cerca il buon esito delle guerre, di niente ha tanto bisogno, quanto di egregi capitani. Or di questi la nostra città soprob- [Questo ceuso non par quello fatto da T. Largio primo dituiorr, ma l’altro fissato da Sigouio oell’ anno sGu di Roma, ov« dice eba furono numerati più che centodieci mila ciuaUini. benda , ma scarsissime ne sono quelle de' nemici. Lè grandi milizie se ricevano duci mal atti alle arme, si svergognano , e rovinano di per sestesse con danno tanto maggiore, quanto sono più numerose: ma i buoni condottieri presto rendono grandi anche picciole ar- mate. Di qua seguita che fiiìchà avrem uomirU buoni al comando, mai avremo penuria di quelli che fac» cianci comandare. Or ciò considerati^ , e ricordando voi le imprese di Roma ; certo mai non porrete de- creti meschini , vili , indegni. Che dunque , se alcuno tnel chiede , ( e già forse bramate da gran tempo sa- perlo ) che dunque io propongo che facciasi ? Io pro-> pongo che nè spediscansi ambaseiadori d fuorusciti ^ nè sen decida arti , finché raccolto il voto de’ se- natori SI dedicassero ai voleri dei più. Se violato 1’ uno e r altro di questi cousigli, faceano di lor voglia la pace ; protestavano che noi permetterebbero , ma vi si opporrebbono di tutto lor animo, colle parole finché dovevasi , o colle arme in ultimo se bisognava. Era que> sto partito J1 più forte , aderendovi quasi tutta la gio« ventù palriaia. In opposito piegavano al partito di Me-s uenio e di Valerio tutù quelli che aveano cara la pace, p cbe torneano soprattutto per 1’ età loro, considerando quanti siano .nelle città li mali delle guerre civili. Mossi però dai clamori e dai tumulto dei giovani , adombrati dall’ ambizione loro , e dall’ arroganza contro de’ consoli , e timorosi che indi a poco si venisse alle mani se nou cedevano; si volsero in ultimo a piangere, e supplii care , piangendo , i conirarj. Sopitosi coi tempo lo strepito, e tornato il silenzio , i consoli abboccatisi fra loro, cosi conchiusero. Noi vorremmQ primieramente o Padri Coscritti , che voi tutti foste unanimi d intelligenza e di volere in^ torno la salvezza del comune : se no , che i più gio^ vani almeno cedessero , non ripugnassero d seniori , considerando , che ancK essi giunti alT età di questi avran pari onori dai discendenti. Ora siccome vediamo voi caduti in una discordia , rovinosissima fra i mali umani , e sorgere qui mollo f arroganza de’ giovani ; e siccome poco ornai soprawanza del giorno, nè pos- sono aver fine le discussioni ; ritiratevi dal SeruUo : tornerete in cUtra adunanza più placidi e con sentenze migliori. Che se qui persevera l’ amore delle contese, non più ci varremo de' giovani por giudici , né per consiglieri su ' quello che giova : ma precluderemo il disordine con una legge ; determinando la età che aver dee chi consiglia. Quanto a’ seniori se non si uniscono ne' sentimenti ; torneremo a dar loro la pa- rola , e ne risolveremo le dispute per una via spedi- tissima , la quale è meglio che voi udiate e conosciate precedentemente. Voi sapete che noi abbiamo fin dalla fondazione di Roma , che il Senato è t arbitro, è vero , di ogni cosa , ma non di creare- i magistrati, rum di fare le leggi , rum di portare ■ o cesseue la guerra ; le quali tre cose il popolo le difinisce in "ul- timo col suo voto. E siccome ora non consultiamo che su la guerra e la pace ; cosi debbe il popolo, li- berissittur ne' suoi voti ratificare indispensabilmente i vostri decreti. Quando voi dunque avrete dichiarato i vostri pareri , ru>i scguerulo questa legge , inviteremo la moltitudine al Foro , perchè ne sentenza. Così le' contese avran fine ; mentre ciò che la pluralità dei voti destinavi , quello abhracceremo. Senza dubbio son degni di quest’ onore quelli che si tennero finora he- naffetti alla patria , io dico i compartecipi de' nostri beni e de mali. Sciolsero, ciò detto, radunania. Fecera nei giorni appresso annunziare a tutti de’ villaggi e della campagna che si presentassero, e similmente al Senato che si riunisse nel di stabilito ; e qnaudo videro la città riempita di popola, e gli animi de’ patrizj mossi dalle preghiere fatte tra le lagrime , e tra’ lamenti de’ vecchi genitori , e de’ teneri '6gli de’ profughi , recaronsi nel tempo destinato sul finir della notte al Foro , angusto a tutta ia moltitudine. Venuti al tempio di Vulcano donde solcano aringar l' adunanza , lodarono primiera- mente Il popolo dello zelo e della prontezza nell* accor- rere in tanta frequenza: quindi lo esortarono che aspet- tasse in calma la risoluzione del Senato; animando in- tanto gli attenenti de' profughi a buone speranze, come quelli che riarrebbero tra non molto i loro pegni dol- cissimi. Dopo ciò passando in Senato vi tennero benigni e modesti ragionamenti , ed invitarono ancor gli altri a proporre consigli vantaggiosi , ed umani. Chiamarono innanzi tutti Menenio , il quale alzatosi in piede rivenne ai suggerimenti di prima stimolando il Senato alla pace : e riproponendo che si deputassero ai segregati bentosto de’ personaggi , arbitri di concordare. Invitati poi secondo 1’ età sorsero a mano a mano gli uomini consolari: parve a tutti questi che fosse da seguire il parer di Menenio ; finché toccò ad Appio di favellare. Or questi sorgendo t'eggo , disse , o Padri Coscritti che piace ai consoli e poco meno che a tutti di rimpatriare- il popolo colle condizioni eh’ ei vuole: che fra tutti i contrarj della pace or io rimangomi solo , esposto aie odio di quello , e niente utile a voi. Ala non per questo rimovomi dalle mie prime deli- berazioni : nè ripudio da me stesso ciò che intendo su la repubblica. Quanto piò. restomi derelitto da quelli i quali come me ne sentivano ; tanto piò col volger degli anni ne sarò pregiato tra voi , sarò in vita coronato di gloria , e morto sarò benedetto dalla ricordanza de posteri. Sia pure o Giove Capitolino , o Dei presidenti della nostra città , o eroi e genj , e quanti in guardia avete il suolo Romano, sia pur Diomcj, urna IT. i** a8a .  hello ed utile a tutti il ritorno de fuorusciti , e de- lusa resti la espettazione eh’ io ni' avea su 1’ avvenire. Ma se pe’ consigli presenti dee venire (e fia ciò pa- lese tra non molto ) alcun disastro su Roma , deh ! rettyicateli voi prestamente , e fate la nostra salvezza. Deh ! siate benevoli e propizj a me che non avendo mai voluto dir le piacevoli per le utili cose , non tradirò nemmen’’ ora il comune per la mia sicurezza. Io così volgomi a pregare gV Iddj ; perchè non abbiso- gnano più, parole. Ripeto la sentenza di prima : as- solvasi IL POPOLO RIMASTO IN CITTa’ DAI DEBITI ; MA COMBATTANSI CON TUTTO L ARDORE I FUORUSCITI TINCBÈ STARANNO SU LE ARMI. E ciò detto Gnl. Poiché le sentenze de’ seniori concordaronsi con quella di Menenio , e poiché venne il discorso ai giovani ; standosi tutti in espettazione , sorse Spurio Nauzio , un rampollo della prosapia nobi- liasima originata da quel Mauzio compagno di Enea nel guidar la colonia, e sacerdote di Minerva m'bana, il quale nel trasmigrare aveane portato seco il divin simu- lacro , dato poi successivamente in custodia a’ suoi di- scendenti (i). Ora Nauzio che parea per le sue belle doti più nobile ancora di tutti i giovani , nè lontano mollo dall’ ottenere la dignità consolare , cominciò la difesa comune di questi : diceva che quando nel Senato (i) Anche Virginio fa meniioue di questo Nauxio , che egli chia- ma Pfautt , nel libro 5. Tum senior PfaMes , unum Triionia Paìlas , Quaeitt docuit , muUaqus insignem reddidit arte , Haec responsa datai precedente avetmo pronunziato in contrco'io de' padri non fu già per amore di contendere o insuperbire con essi, ma solo mancando , se aveano pur mancato, per inesperienza di anni : e qui soggiunse che fareb- bero fede di ciò col variar sentimento : che lascia- vano a loro come più savj decidere co’ voti il ben del comune : essi non contrarierebbono , ma secon' darebbero i seniori. E dichiarando Io stesso ancor gli alni giovani , toltine pochi , legati di parentado con Appio ; i consoli ne lodarono la verecondia ; ed esorta» tili ad essere sempre tali ne' maneggi ' pubblici , elessero tra’ seniori piÀ cospicui dieci deputati , uomini consolari tutti, fuori che uno. Furono gli eletti, Manio Valerio, Tito Largio , Agrippa Menenio figlinolo di Gajo , Publio Servilio figliq di Publio, Postutnio Tuberto figlio di Quinto, Tito.Ebuzio Flavio figlio di Tito, Servio Sul» picio Camerino figliuolo di Publio, Aulo Postumio Albo  prima alle tose loro quei che le aveano lasciate. Presi tali ordini, partirono i deputati nel giorno (1^ Nel testo si omeltoDO Maoio Valerio , Tito Largio , e si no- lano altre maacaaxe in questo luogo. Noi alitiamo seguita la lesione di Porlo medesimo. Precedè la fama il giunger loro, divulgando nel campo tutte le cose fatte in città : dond’ è che la- sciando tutti le fortificazioni uscirono immantinente in- contro a’ deputati che erano in via. Aveaci nel campo un uomo turbolento affatto \ e sedizioso, acuto a preve- der da lontano ciocché avverrebbe, nè insufficiente , come parlator lusinghiero , a dirne quanto ne pensava. Chiamavasi questi Lucio Giunio col nome appunto di lui che tolse i tiranni : e voglioso di assumerne il nome per intero , facessi intitolare Bruto ancora. Rideano i più su la cura vana di esso^ e Bruto il chiamavano quando pungere lo volevano. Or questi mise in cuore a Sicinio , duce dell’ esercito , che il bene del popolo non istava nel rendersi troppo facilmente , sicché men degno ne fosse il ritorno per le umili condizioni ; ma nel re- sistere lungamente , simulando come in tvia tragedia. E profferendosi egli a Sicinio di parlare in favore del po- polo , e suggerendogli altre cose che erano da fare o dire , lo persuase. Dopo ciò Sicinio , convocato il po- polo , impose a’ legati che dicessero le cagioni per le quali venivano.Recatosi in mezzo Manio Valerio come il più provetto e popolare , e contestatagli dalla moltitudine la sua benevolenza con grida e saluti amichevoli , alfine , fatto silenzio, disse: Niente, o popolo proibisce che vi riconduciate alle vostre case , niente che vi paci- fichiate co’ Patrizi . Il Settato ha per voi decretato' un ritorno utile e decoroso j e di non pià ricordare o vendicare il fatto finora. E noi che vedeva propen- sissimi per voi , come da voi rispettati , ha qui deputato con poteri assoluti di concordare : affinchc noi non opinando nè congetturando su vostri desiderj , ma udendo da voi stessi con quali condizioni chie- dete riconciliarvici , ve le accordassimo se moderate , se non impossibili , nè impedite da indecenza insa- nabile , sene’ aspettare il voto de’ Padri , e senza in- tristire V affare colle dilazioni , e colla invidia dei contrari (i). Avendo il complesso de’ Padri così per voi decretato ; ricevetene il dono lieti , pronti , e benevoli s pregiandone degnamente una sorte sì bella , e rin- graziando vivamente gV Iddj che Roma , la domina- trice di tanti popoli , che il Senato , regolatore di tutto il bene che è in essa , mentre V usanza della patria non permette che cedasi ad alcuno , cedano alle istanze vostre solamente , nè pretendano come i più. grandi su’ men grandi discutere minutamente quanto conviene ad ambedue , ma primi essi vi spe- discano per . la pace : che non piglìasser con ira le risposte imperiose da voi fatte ai primi ambascia- dori , ma pazientassero alt orgoglio e fierezza di una ostinazione giovanile , come il buon padre sul figlio non savio : che volessero indirizzarvi una seconda ambasceria , diminuire i loro diritti', e rimettervisi dove la moderazione il consente. Giunti a tanta felicità non esitate a dime ciocché bisognavi, e non esorbitate o cittadini : lasciate le sedizioni : tornatevi giubilando alla terra che vi ha generati e nudriti : (i) Allude ai scDatorì che arrebbono perorato in contrario nei Senato. Già non le deste voi li trofei e le ricompense pià belle , riducendola quanto è da voi solitaria, o come un campo da pascolarvi. Se trascurate questa oc- casione , forse ne richiamerete pià volte la somi- gliante. Taciotosi Valerio fècest innanzi Sicinio , e I disse , che chi ben consulta non riguarda V utile da una banda sola , ma lo contempla nel suo rovescio ancora , principalmente in affare di tanta importanza. Pertanto comandò che chi volea rispondesse a ciò , deponendo ogni verecondia e timore. Non permettere la natura delle cose che essi benché ridotti a tante angustie cedessero per paura o per vergogna : E qui, fatto silenzio , e gli uni riguardando su gli altri , e cer- cando chi perorasse pel comune; ninno si presentò. Ma replicando Sia aio altre volte l’ istanza venne alfine in mezzo secondo gii accordi quel Ludo Ginnio desideroso di essere cognominato Bruto : ed avuto a far dò grandi significazioni dalla moltitudine , tenne questo ragiona- mento : Il timore che avevate de’ Patrizj o compagni è scolpito ancora per quanto vedo , e triorfa negli animi vostri. Abbattuti da questo timore esitate far qui , udendovi tutti , i discorsi che usavate tra voi. Forse ciascuno confida che il vicino suo aringherà sul comune , e che piuttosto incorrerà tra’ perìcoli ogni altro e non egli : ami che egli tenendosi in sal- vo , goderà senza perìcoli parte del bene che possa mai nascere dall ardire degli altri : ma stolto è que- sto concetto. Imperocché se tutti aspettiamo la stessa cosa , la codardia di ciascuno sarà nocevole a tutti; c dove ognuno figurasi la sua sicurezza; ivi insieme con tutti rovinerà la comune. Ma se non avete ap- preso finora che per le arme ci togliemmo la paura, e per le arme avete consolidata la vostra libertà ; conoscetelo ora almeno , ed i Patrizj , essi stessi ve 10 insegnino. Questi orgogliosi, questi durissimi uo~ mini , non vengono come prima comandando e mi- nacciando , ma supplicandoci , ed esortandoci a tor- nare alle nostre case : e già cominciano a trattarci come liberi veramente. Che dunque or più vi anne- ghittite e tacetq ? Che non la Jote da liberi uomini ? c se avete già scosso il freno : che non dite qui ora pubblicamente ciocchò avete sopportato da loro ? O miseri ! e quali patimenti temete ? se io stesso v in- vito a parlar francamente ? Io dunque , io stesso mi rischierò di dire liberamente per voi ciocché è ffusto, senza niente occultare. E poiché Valerio dice che niente proibisce che vi rendiale alle case vostre conceden- dovisi dal Senato il ritorno , ed essendosi decretato di non perseguitarvi ; io risponderò a lui cose nem- meno vere che necessarie a dire. Oltre i motivi ben grandi e varj , tre ne sono o Valerio fortissimi e chiarissimi che c impe- discono di rimetterci a voi deponendo le armi. Il primo è che venite a noi per esortarci come traviati; e Radicate beneficenza vostra accordarci il ritorno : 11 secondo è che invitando noi a pacificarvici , niente dichiarate le condizioni compiacevoli o giuste su le quali possiamo ciò fare : è poi ! ultimo che niente di quanto ci promettete sarà per essere stabile , giacchè avete continuato a rigirarci e deluderci tante volte. Discorrerò di ciascuna di queste cose , incominciando dai diritti ; giacché sempre dai diritti si vuol comin- ciare sia che trattinsi le cose private, sia che le pub- bliche. Noi dunque se ve ne abbiamo mai fatte , noi non chiediamo nè impunità nè dimenticanza delle in- giurie. E non yorremo piò. rio starci a parte della vostra città , ma dandoci in balia della sorte e dei genj che ci guidino , ci fermeremo là dove .porta il destino. Ma se per colpa vostra noi siamo ridotti alla condizione in cui ci troviamo ; e percpè non confes- sate che voi li quali foste gli oltraggiatori , voi abbi- sognate anzi di perdono e di dimenticanza ? Come dite di accordarci voi questa ; quando avreste a di- mandarcela ? Come così vi magnificate quasi voi cal- miate lo sdegno verso di noi , quando dovreste cer- care che noi verso di voi lo placassimo ? Cosi con- fondete la natura della verità , così la dignità dei diritti pervertite ! Che poi non siate voi gli offesi ma offensori; che voi beneficati tante volte e tanto dal popolo per fondare la libertà e V impero, lo abbiate non bene contraccambiato ; uditelo , e convincetevene. Io non parlerò se non di cose che voi sapete , e se alcuna mai sarà falsa ; reclamate per gli Dei ve ne prego , non che stiate a bada pazientando. Il nostro governo primitivo fu monarchico, e lo abbiamo conservato per sette generazioni. In tutti que’ principati il popolo non fu mai conculcato dai re , specialmente dagli ultimi. Anzi lascio di dire che derivò da quel dominio molti e segnalati vantaggi; . a8g impemcchè per obbligarlo a sestessi e console porgeva al popolo, noi non più memori verso di voi dei mali antichi, noi pieni di lusinghiere speranze per f avvenire , ci dedicammo tutti a voi stessi; e dissipate in poco tempo tutte le guerre , tornammo con seguito folto di schiavi e di prede bellissime. E voi, ne avete voi dato ricompense giuste , o degne de’ pericoli ? ma quando mai ? troppo lungi ne siamo. Anzi ne avete tradito le promesse che imponevate al console di farci a nome del co- mune. E quest’ uomo bonissimo , del quale abusavate per deluderci , lo avete . questo privato del trionfo , quando degnissimo ne era più che tutti i mortali. Nò già per altra cagione così ancor lo spregiaste , se \ non perchè vi dimandava che adempiste le pro- messe , e perchè sdegnato mostravasi che ci bef- faste. Ultimamente ( vi aggiungo questo solo intorno al diritto , e finisco ) quando gli Equi , i 5a- bini , i Volsci insorsero di comun voto , e concitarono ancor gli altri, non foste ridotti, voi venerabili e gravi , a ricorrere a noi negletti e vili , colmandoci di promesse per iscamparvela ? e non volendo parer d’ ingannarci come altre volte , trovaste per coprir la impostura questo Mania Falerio , uomo amantissimo della plebe. E noi credendogli come a uomo dal quale non saremnw traditi perchè dittatore , ed ami- cissimo nostro f ci consociammo novamente a voi per questa guerra , e vincemmo i nemici con ‘ battaglie non poche , nè pieciole , nè ignobili Ridotta la guerra a bellissimo fine prima ancora delle sperante comuni, tanto foste alieni da renderne grazie , e ben copiose al popolo , else cercavate ritenerlo anche senza voglia, sotto le insegne e fra V armi , per trasandar le pro- messe , come trasandarle destinavate fin dal princi- pio. E non tollerando il valentuomo la beffa, nè la infamia delV opera , e riportando in città le bandiere, e rilasciando tistti per le proprie case ; voi , presone motivo onde non far la giustizia , ingiuriaste lui , nè serbaste a noi veruna delle convenzioni con tre abusi gravissimi , perchè profanaste la maestà del Senato, annientaste il credito di un tal uomo , e rendeste inutile cC vostri benefattori il merito delle fatiche. Omj potendo noi dir queste e simili cose non poche , non abbiamo o Patrizj voluto piegarci (die umiliazioni ed alle preghiere, nè accettare come i rei di gravissime colpe , il ritorno su la obblivion del passato. Seb- bene , essendoci noi qui riuniti per concordare ; non dobbiamo ora investigare pià sottilmente queste cose, ma vociamo trascurarle e dimenticarle , • e tener- cele. Che non dite voi dunque palesemente a qual fine siete qui deputati, e qual cosa venite per chiederne ? Su quali speranze volete in città ricon- durci ? Qual sorte abbiamo a prendere per guida del nostro ritorno ? Qual giubilo , quale benevolenza ci aspetta ? Fin qui non abbiamo punto ascoltate esibi- zioni umane e benefiche , non onori , non magistra- ture , non sollevamento dalla indigenza, nè altre cose qualunque , sebbcn tenuissime. Quantunque non dovea già dùcisi ciocché siete per fare , ma ciò che fate , perchè sperimentandovi subito benevoli nelle opere vostre , vi argomentiamo ancor tali per l’ avvenire. Ma io penso che voi risponderete a ciò , che voi siete qui plenipotenziari , e che qualunque^ cosa ci persua- deremo a vicenda, sarà stabilita. Or_ sia ciò vero; e ne sieguano conformi gli effetti ; niente vi contraddico. Bramo però sapere le cose che da loro ci si faranno dopo queste. Vale a dùe , quemdo avremo noi detto su quali condizioni vogliamo il ritorno ; e quando ci saran concedute ; chi ci sarà di esse - mallevadore ? Su quale sicurezza deporremo le armi , e metteremo le nostre persone di bel nuovo nelle lor mtmi ? Su quella forse dei decreti che si faran dal Senato , non essendovene ancora ? Ma qual cosa mai impedirà che annullino questi con altri decreti , quando così paja ad Appio e ad altri che pensan com’ egli ? Con^ teremo forse su la dignità dei deputati che ne por- gono in pegno la fede loro ? Ma prima ancora ci han deluso colla interposizione di tali uomini. Riposeremo forse ne trattati fatti innanzi agV Iddj , e confermati da loro co' giuraménti? Ma io temo di ogni fede umana consimile , vedendola da quei che comandano vilipesa. E so , nè già ora per la prima volta , che i trattati forzosi tra chi brama esser libero e chi vuol dominare han vigore soltanto finché la necessità così porta. Or quale è queir amicizia e quella fede nella quale siamo costretti ad ossequiarci contro voglia , insidiando t uno il tempo dell' altro ? Allora inces- santi i sospetti e le calunnie; allora le invidie e gli od] ed ogni maniera di mali: allora la gara di preoc- cuparsi a distruggere V emolo ; riuscendo ogn indugio a mal termine. Non vi è , come tutti sanno , guerra più. trista della civile : questa i vinti fa miseri, ed in- giusti li vincitori : e li 'vinti han dagli amici i lor mali, i vincitori agli amici li causano. Or voi dun- que o Patrizi vogliate chiamar noi a pari cir- costanze , a pari bisogno non desiderabile ; e noi o plebei non ci rendiamo loro mai più: ma come la sorte ci ha divisi , così teniamoci in calma. Abbian pur essi tutta Roma , senza noi se la godano , e ne raccolgano soli ogni bene , essi che han ridotto fuor della patria noi miseri, noi disonorati plebei. E noi andiamocene pure dove gt Iddj ei guidano , conside- rando che non la nostra ma t altrui città lasciamo. Niuno di noi qui lascia non campagne proprie , non abitazioni paterne , non sacerdozi , non ‘ magistrature comuni come in sua patria per t esercizio delle quali siavi ritenuto pur contro voglia ; anzi nemmeno la- sciammo qui per noi la libertà, quella che ci ave- vamo colle arme e con tanti travagli acquistata. Im- perocché parte i nemici , parte la miseria quotidiana, parte V alterigia degli usurieri ci han guasto e con- sunto e tolto ogni cosa : tanto che noi- miseri eravamo ridotti a coltivare le terre di questi zappando , pian- tando , arando , pasturando , divenuti conservi degli schiavi loro da noi presi colle arme; e chi di noi portavamo catene alle mani , chi ne piedi , chi nella cervice finalmente , come fere intrattabili. E qui non ricordo le ferite , gli avvilimenti , le battiture , le fa- tiche da notte a notte (i) , ed ogni altra sevizia , e non le ingiurie , e non C orgoglio che ne abbiam so- stenuto. Liberati , la Dio mercè , da tanti e sì gran nudi , fuggiamo ben contenti quanto possiamo e sap- piamo , e prendiamo per. duci della fuga la sorte e gl’ Jddj li quali veglian per noi, considerando come patria nostra la libertà , e la virtù còme nostrà ric- chezza. Ogni popolo nè, ammetterà, sì perchè non molesti, come perchè utili a chi ne riceve. E ci siano in ciò' di esenqtio molti Greci, (i) Dal tempo prima dell’alba fiuo a aera.  e molti barbari , e principalmente gli antenati tii quelli e di noi. Gli antenati nostri passando con Enea dal£ Asia nelC Europa fondaronsi nel Lazio una patria : e poi spiccandosi da Alba sotto gli au» spicj di Romolo che guidava la colonia , pigliarono sede ne' luoghi appunto abbandonati da noi. Abbiamo noi forze non già poco maggiori che essi, ma tripli- cate, e celione molto più giusta di trasmigrare. Quelli partivan da Ilio perseguitati da nemici, e noi di quà dagli amici : e ben è più misera cosa essere espulsi dai domestici , che dagli estranei. Quei che a Romolo si ligaroho per compagni trascurarono la patria per cercare terre migliori : ma noi lasciamo un vivere senza città , un vivere senza case paterne quando re- chiamo la colonia : e certo la rechiamo non odiosa agl Idàj , non molesta agli uomini , nè gravosa a terra niuna ; non rei' del sangue e della strage de’ cit- tadini che ci han discacciati , non rei del ferro o del fuoco messo ai campi che abbandoniamo, nè di altro monumento qualunque fondatovi di eterna inimicizia; come spinti da necessità sconsigliata rei se ne fanno i popoli traditi nett aUeanza. Noi chiamati in testi- monio i genj e gl' Iddj che guidano con giustizia le cose mortali, e lasciandQ'che essi prendano per noi la vendetta , abbiamo chiesto unicamente di riavere i nostri teneri figli, i (secchi Padri, che in città si ri- masero , e le mogli in fine , se alcune pur vogliono dividere con noi la nostra sorte. Contenti di ricevere questo, non altro dimandiamo da Roma, E voi tanto impolitici f tanto insocievoli verso de' miseri , vivete felici, e come più desiderate. Appeaa Bruto ebbe ciò '' detto si tacque. Parve agli astanti tutto vero quanto disse intorno ai diritti , e quanto per accusare la superbia de’ senatori , principalmente quando dichiarò che la semplicità dei patti era tutta piena d’ intrico e d’inganni: ma quando infine delineò gli alTronti che aveaoo patito dagli usucierì, e ciascuno ricordò li suoi mali ; niup v* ebbe sì fermo di animo , che non si desse a piangere , e lamentare i danni comuni. Nè impietosirono già sol essi, ma fino gl’ inviati dal Senato. Non poteano que’ seniori conte- nere le lagrime , pensando la calamità per la separazione de' citudini : e rimasero gran tempo tra 1’ afflizione , e tra ’l pianto senza sapere ornai che più dire. Cessali gli alti gemiti , e tornato il silenzio nell’ adunanza , proce- cedelte per farvi le difese Tito Largio autorevole sopra tutti i citudini per anni , e per dignità , come lui che due volte console , e già rivestito della ditutura , avea con esercitarla bene più che gli altri , renduu venera- bile, e sanu una carica altronde odiata. £ datgsi a par- lare sopra i diritti , e ulvolta incolpando gli usuraj per- chè aveano operate cose durg , e disumàne ; talalira rimproverando i poveri come non giusti nel' chiedere che si rimettessero ad essi i debiti per forza anzi che per grazia, e nell’ esacerbarsi col Senato piuttosto che con quelli che impedivano che si'ccmcedesse loro alcuna cosa anche moderaU; e dippiù tentando mostrare cl^e pic- ciola era la parte del . popolo, .ingiuriosa suo mal grado, e necessiuta a dimandate per la igopia gravissima la condonaeione dei debiti , ma più grande assai la parte la quale esigeva ciò perche viveasi scorretta , insolente , voluttuosa , e preparata a supplire co’ furti alle sue pas- sioni , talché ' doveansi ben distinguere i poveri dai ri- baldi, quelli che erano da compatire da quelli che erano da odiare ; ed aggiungendo in (ine discorsi consimili , veri si ma non grati generalmente; non soddisfece tutta la udienza. Dond’ è che sorsene strepito grande di voce, altri sdegnandosi . quasi rincrudisse loro gli affanni , ed altri confessando che dicea pur troppo il vero. Ma per- ciocché gli ultimi erano assai minori di numero , scom- parivano tra la moltitudine degli altri , e prevaleano soprattutto i clamori degli adirati. À queste cose ne aggiugnea Largio poche altre su la partenza e precipitanza loro , quando ripi- gliando la parola Sicinio il capo del popolo ne riaccese assai più lo sdegno con dire : che ben poleano da un tal parlare, comprendere quali onori e quali ringra- ziamenti ne avrebbero , se tornassero nella patria. Se quelli che slansi nel colmo de’ pericoli , ed abbiso- gnano del braccio del popolo , e per questo a lui vengono , non san trovare nemmen ora discorsi mo- derati ed umani; qual animo dee credersi che avranno quando siano .le cose riuscite loro secondo il disegno, e quando chi offendono ora colle parole , sia sotto- messo loto ancora nelle opere ? Da quali insolenze mai si conterranno ? da qual; flagelli , o da quali tiranniche sevizie ? Se a voi dà il cuore , ei dicea , di servire tutta la vita incatenati , battuti , straziati col ferro , col fuoco , colla fame , con ogni guisa di maU;  su , non perdete tempo , gettate le armi , seguitateli. Ma se V è pure in voi desiderio di libertà ; non pa- zientate ornai più. Ambasciadori ! o dite su quali corti- dizioni ci richiamate ; o partite daW adunanza ; per- chè non lasceremo più che vi parliate. E qui tacendosi lui , tutti gli astanti ne strepitarono , acclamandolo , perchè area detto a propo- sito. Restituitasi quindi la calma Menenio 'Agrippa il quale areva interloquito in Senato sul popolo , e pro- posto e fatto principalmente che gli s’ inviasse un’ am- basceria plenipotenziaria , fe’ cenno di volere aneli’ egli discorrere. Riuscì la richiesta gratissima ; e parea come r augurio che udirebbe nsi allora Analmente condizioni giuste , e salutevoli ad ambe le parti. E subito escla- marono tutti a gran voce , che parlasse. Poi si chetaro- no , e si profondamente , quasi fessevi solitudine. Parve uu tal uomo , com’ era verisimile , assai persuasivo nei suoi discorsi, e tutto confacevole ai voleri della udienza: è' fama però che in ultimo proponesse una tal favola sul gusto delle Esopiane espressivissima delle circostanze, e che con questa principalmente li guadagnasse. Dond’ è che la favola fu creduta degna di ricordanza , e rap- portasi io tutte le storie antiche. L’, aringa di lui fu questa : Popolo , noi veniamo dal Senato a voi , non per difendere lui , nè per accusarne voi: nè già pormi che il tempo ciò chieda , nè che ciò sia prosperevole per la sorte della .repubbUca. Ma noi veniamo con tutto f ardore e V efficacia per 'levar le discordie , e rimettere la > repubblica nel 'buon ordine primitivo^ rivestiti per ciò fare di^ un potere assoluto. Pertanto non pensiamo che ,sian ora da esaminare i diritti > come fece con orazione lunghissima questo Giunio ; pensiamo piuttosto che debbansi con gli amorevoli modi ricongiunger gli spiriti. Qual fede sia poi per garantire le nostre convenzioni , ve lo esporremo , appunto come ne cibiamo deliberato. Considerando noi else le sedizioni si curario in ogni città col to« gliere i semi delle discordie , abbiamo giudicato ne» cessarlo di conoscere e spegnere le cause produttrici della divisione. Or trovando noi che le esazioni dure de’ presuli sono la origine de’ mali presenti ; così le correggiamo. Decretiamo che quanti soggiacciono a debiti , nè possono estinguerli , ne siano del tutto as- soluti. Decretiamo Uberi tutti , quanti son detenuti per aver differite le paghe oltre i tempi legittimi , e de- cretiamo liberi infine quanti furono in mano conse- gnati dei creditori per sentenze speciali di giudici^ annullando noi queste totalmente. Cosi ripariamo ai contralti precedenti tenuti come causa della sedizione: ma quanto a centratti avvenire facciasi come ne or- dinerà la legge che sarà costituita da voi, da tutto il popolo , dal Senato. Dite , non erano queste le cose che vi alienas>ano da’ Patrizf ? Non giudicavate voi che sareste conienti , e che altro di più non brame- reste , se le impetravate Oggi vi si concedono ; an- date , tornatevi' gittiilando alla patria. I riti poi- che convalideranno ed assicu- reranno questi trattati saran quelli appunto delle leggi, usati nel depórsi delle inimicizie. Il Senato appro- verà pur egli questi trattati ^ e darà loro forza di Digilized by Google 3o2 delle Antichità’ romane leggi quando scritti gli avremo. Anzi schiviamoli qui noi come ne piace ; ed il Senato vi sarà sottomesso. E che questi si rimarranno indelebili ; che il Senato non potrà mai sopraggiungervi nulla in contrario , noi qui deputati , noi li primi ne facciam garanzia sul corpo , e vita , e stirpe nostra , e con noi pure ve ne fan garanzìa li senatori che firmeranno il decreto. Imperocché mai , ripugnandovi noi si decreterà cosa niuna contro del popolo ; giacché noi -siamo li primi del Senato , e noi li primi a dichiarare i nostri pa- reri’. ven farà da ultimo garanzia la fede comune atutti i Greci, e a tutti i Barbari, quella che niun tempo mai potrà cancellare , quella che con giura- menti , e libagióni rende i Numi vindici degli accordi, e su la quale chetaronsi tante, e non picciole nimi- cizie de’ privati , e tante guerre di repubblica con re- pubblica. Or questa fede ricevetela ancora voi ; sia che vogliate permettere a noi, pochi si , ma capi del Senato , di giurarvi a nome di questo ,^sia che vo- gliate che tutti i Padri sottoscrivano *e giurino con rito santo di serbarvene i patti inviolati. E tu, o Bruto , non incolpare il pegno delle destre , non le libagioni, non la fede data invocandone i Numi, né togliere tali espedienti bellissinii degli uomini: e voi non vogliate tollerare che costui ricordi le promesse tradite dai scellerati e dai tiranni , da quali tanto è lontana la virtà de’ Romani. Or lasciate, che io soggiunga (e terminò) una cosa non ignorata i fiè controversa da rtiun dei/ mortali. Ma quale è mai questa? Essa importa >'t utit colmine , . e saU/a le parti f una colt altra : essa è r unica e sola che ci raccolse già tutti in un corpo , e che mai farà separarci. Abbisogna , nè mai cesserà di abbisognare la moltitudine imperita di sas>j che la dirigano ; come un complesso di savj idonei a dirigere abbisogna di chi lascisi governare. Nè ciò per imma- ginazioni sappiamo , ma per esperienza. Che dunque ci riduciàmo a tremare brigandoci gli uni con gli al- tri ; o che ci logoriamo in triste ^parole ; essendoci facilissimo tornare alt utile nostro ? Che dunque non ci espandiamo , ed abbracciamo , e voliamo (dia pa- tria , aUe antiche delizie , agli oggetti di tanti dolcis- simi e soavissimi nostri desiderj ? A che cercare im- possibili assicw'ozioni? A che fidanze malfide^ come in guerra nemici fierissimi che in tutto sospettano il peggio ? A noi, o plebei , a noi membri del Senato, basta la sola vostra parola , clte non sarete se tornate iniqui con noi: e perchè ? perchè sappiamo il vostro buon allevamento , la istituzione legittima , e le altre virtù che avete in guerra ed in pace dimostrate. E se i contratti oggi ottengono a nome del comune una riforma , così dimandando la fedeltà , così la speranza , degli uni verso degli altri ; teniam certo ancora che siano per corrispondere in voi le altre buone doti : e niente da voi cerchi (uno ^i giuramenti, niente gli ostag- gi , nè altro pegno qualunque di sicurezza ; nè però mai contrarieremo le vostre dimande. Ma ciò basti su la fedeltà intorno • la quale Bruto c incolpava. Che se in voi resta aricora alcuna, invidia non degna , che vi àccita a pensar' pravanten^s del Senato •, io dùò pur. di questa : e voi attenti , in calma , ascoltatemi o plebei. 1 ' Somiglia ad un corpo umano una repub- blica : perciocché l uno e t cdtra risultano da più par- ti ; nè ciascuna delle parti in essi ha forze eguali , né porge un uso medesimo. Adunque se le membra del corpo umano ricevessero tutte , come il senso , la voce , e poi nascesse discordia fra loro congiurandosi tutte le altre ad una ad una contro del ventre, e, li piè si dolessero che il corpo intero poggia- su loro , le mani che solo esse traltan le arti , procacciano il ne- cessario , combattono co’ nemici, e pongono molti t^ri beni in comune-, gli omeri perchè p'orVan essi ogni peso , la bocca perchè parla , la testa percitè vede , perchè ode, e perchè comprende tutti i sensi onde il complesso vive del corpo ; e se quindi dicessero , or tu buon ventre fai tu niuna di queste cose ? quale riconoscenza, qual utile tu ci rendi? Anzi tanto sei lon- tano dal cooperare e dal compiere con nei alcun utile comune ; che ne impedisci e conturbi, e quel che è più intollerabile , ci necessiti a servirti , e portarti di ogn intorno quanto ti sazj negli appetiti tuoi. Orsù; chè non ci rendiamo noi liberi, nè cessiamo dalle cure che .in grazia di lui sosteniamo ? Se così piacesse loro , se nhtna parte più fornisse le proprie funzioni-, or potrebbe il corpo a lungo 'sussisterne ? Anzi in pochi dì consumerebbesi dsdla fame , pessimo fra tutti i mali ; e niuno può dirne il contrario. Or concepite pure altrettanto di una repubblica. Compiono questa molti generi di persone niente, infra li>r ,sornigUanti'; e ciaicùno le porge un uso proprio di lui t come le nsembra lo porgono al corpo. Chi coltiva i campi f chi pe' campi combatte co' nemici : chi ne reca assai beni tr^Jicando pe' mari ; e chi travaglia in su le arti necessarie. Se ciascun genere di queste persone- insorga contro il Senato , che è l’ ordine degli otti- mali , e dica ; qual cosa , o Senato , tu ci fai di be- ne ? e per qual causa, non avendone tu alcuna; vuoi, comandare su- gii altri? Non ci terremo una volta da questa tirànnide tua ? nè vivremo indipendenti ? Se con tali pensieri si levasse ognuno dalle usate incombente ; cosa impedirà che una tale sconcia re- pubblica miseramente- perisca per la fame, per la guerra , per ogni male ? Istruiti dunque , o voi del popolo , che come ne' corpi nosU'i il ventre accusata a torto da molti, nudrito nudrisce, conservato con- serva ; e quasi uim dispensa universale , porge ad ogmino il' suo bene , e la sussistenza in un tutto ; così nelle repubbliche il Senato che matteria il co- mune e provvede a ciascuno V utile suo , tutto salva e custodisce e dUrige ; cessate di lanciar contro lui voci ccUunniose , quasi per lui siate fuori della pa- tria , e ne andiate raminghi e mendici. Il Senato non volle mai questo, nè farawelo : anzi vi chiama, evi supplica, e vi stende le mani, e vi spalanca le porte, e raccoglievi. Intanto che Menpnìo concionava, sorgeano ad ora ad ora voci varie e molte da^i astanti. Ma pai> chè sul fine del suo ragionatiteoto si diede a comma» veri! , e 'deplorare le disgrazie e la sorte immiucnle su DlOUtai, lomo II. a* di ambedue , su quelli rimasi in città e su gli altri che ne erano usciti ; si misero tutti a piangere , ed unanimi ad una voce gridarono che li riconducesse alla patria , né più s’ indugiasse. E poco mancò che partissero tutti a furia dall’ adunanza ; rimettendo ogni cosa ai deputati senea brigarsi più oltre della sicurezza. Se non che Bruto facendosi innanzi ritardò l’ impeto loro , dicendo : che erano pur buone per quei del popolo le promesse del Senato , e chiedendo che grazie appieno gli si ren- dessero per le cose a loro concedute. Aggiungeva an- cora di temere per l’ avvenire che uomini una volta oppressivi, si dessero, venutone il tempo, a ricor- dare , e punire le cose operate dal popolo. Jtimanervi una sicurezza sola per quelli che temono questo dagli Ottimati , cioè quella di rendere indubitato che , se vogliono , non posson piii offenderli. Finché sta in essi il poter danneggiare , non mancheran de mal- vagi che il vogliano. Pertanto se il popolo ottenga tal sicurezza ^ -non altro resteragli da chiedere. Ripi- gliando Menenio , ed invitandolo a dire qual sicurezza pensava che al popolo bisognasse , concedeteci , disse , che noi ci scegliamo ogni anno dall' ordine nostro alcuni magistrati i quali non siano ad altro autoriz- zati che a proteggere gli oltraggiati , e gli oppressi nel popolo , nè lascino che alcimo sia defraudato de' suoi diritti. Alle^ cose accordateci aggiungete in grazia ancor questa , ve ne preghiamo , ve ne suppli- chiamo , se la pace esser dee non in parole , ma in fatti. . 11 popolo udendo un tal dire lo accompagnò con grandi e lunghe acclamazioni , raccomaiidau* dosi ai deputati che gli concedessero anche questo. I deputati ritirandosi daU’adunanza, e conferendo alquanto in fra loro , vi ritornarono dopo jion molto. Taciutisi tutti , Menenio fattosi iunanzi disse : La dimanda è grande e piena o plebei di enormi sospetti. A noi viene timore ed ansietà che non abbinasi a fare due città di una sola. Quanto è da noi , nemmeno in ciò vi ci opporremo , or voi compiaceteci (tende anche (Que- sto al ben vostro ) date a tre deputati che tornino in Aonuif e narrino al . Senato la richiesta. Non ci arr roghiamo noi di risolverne > quantunque abbiamo da esso U potere di concordare come ne piace , arbitri in tutto di prafnettere.. Siccome il caso che ci occorre è inaspettato e nuovo ; così ce ne riportiamo ai Pa- dri , quasi in esso V autorità ci si limiti. Ci persua- diamo, pelò ‘ che essi ne sentiran come noi. Frattanto io qui resto >, e con me parte dei deputati. Valerio e gli altri onderanno. Stabilito ciò gl’ incaricati d’ infor- mare il - Senato spronarono i cavalli alia volta di Roma. Proponendo i consoli in Senato la richiesta; Valerio opinò che si concedesse. Appio , nimico Gn da princi- pio di ogni, accordo , contraddisse anche allora chiaris- simameute , esclamando e rilevando , chiamatine in te- stimonio i Numi , i germi dei mali che impiantavano alla repubblica. Non però convinse la pluralità , desi- derosa, come ho detto, di .spegnere la discordia. Adun- que il Senato autorizzò con suo decreto lè promesse dei deputati ai popolo , come pure che gii accordas- sero la sicurezza che dimandava. Fatto ciò tornando il giorno ap|>resso i deputati nei vi eapoM0a4.";^HH Ieri del Senato. Quindi esortando ' Menenio- U'^poii^lD d’inviare alquanti a’ quali il Senato desse la Sull' ftdé ; fu spedito Lucio Giuùo Bruto, del qnale abbiÀtt'i^no di sopra , e Marco Decio , e Spurio Icilio con esso. Andò metà dei deputati compagna di Bruto in Roma. Agrippa , pregatone , si rimase nel campo , per istender la legge a norma delia quale il popolo creerebbe i suoi magistrati. 'Nel di seguente Bruto rìlortiò già fatti i patti col Senato per mezzo de’ Feciali , che cfaia> mano. Divisosi allora il popolo in Fratrie , * come ah tri qui nominerebbe quelle che essi dipono Curie , dichiarò suoi, magistrati dell’ anno Lucùr Gìnnio Bruto, « Cajo Sicinio Belluto, 6 no a > quel di loro capi, e con essi ancora Ca}o e Publio Licinio ì e Cap Icilio Ru- ga (i). Assunsero questi cinque- i primi' la^ potestà tribu- nizia , quattro giorni avanti le idi di ’decembre {%) , CO 7 me pur nel mio tempo si pratica. Firttterle ’eiéEÌoni'parve a’ deputati del Senato, adempito l’ intento della loro mis- sione. Ma Bruto , convocata l’ adunanza ' del popolò, con- sigliò che dichiarassero i suoi magistrati Santi ed: invìo- (1) Lìtio, Dionigi, ed altri storirn antichi non ben si accordano sn la nomina di questi magistrati. Livio dice che i due i primi no- minati furono Cajo Licinio, e L. Alhiud . e che questi poi si scef- aero tre colleglli tra quali fiv Sicinio V autore delia seditìone. -Ma^ Dionigi pone per primi Lucio. _Giunio Bru^o , e C. Sicinio Bellirto : a quindi C. e Fuhiio Liciuro , e C. Icilio Ruga. (3) Anni di Roma 361 secondo Catene , s63 aeeondo Varrona , a 491 avanti Cristo. . 3o9 labili slabilenilone la sicurezza colle leggi e co’giiiramenti. Piacque ciò a tutti , e si fece su lui e su collcghi la legge : che niuno forzaste un tribuno ) come un altro qualunque a far mai cantra sua voglia ; ni lo bat- tette , ni lo uccidesse , né ordinasse ad altri di bal- te rio , o di ucciderlo. Che te alcuno a dà contravvenga anche in parte ; itane reo capitale ; se ne diano a Cerere -i beni : e chiunque lo uccide , abbiasi coma puro dalla strage. E perchè non si potesse mai più far cessare questa legge , ma restasse immobile iu ogni ar« venire ^ si stabili che ì Romani giurassero tutti co’ riti santi dì osservarla ' essi , ed i posteri loro perpetuamente.E si aggiunse ai giuramenti la preghiera , che gli Dei superni , ed inferni fossero propizj a' chiunque favoriva la legge , ma contrarj a quanti la violavano, come coo- taminati di delitto gravissimo. Da indi sorse ne’ Romani il-cosWme che persevera pur ne’ miei giorni, di riguai^ dare le persone de’ tribuni come sacrosante. XC. Concordato dò, fecero un aitare su le dme della montagna ovo s’^erano accampati, e lo denomina» rono nell’ idioma, loro , l’altare di Giove la cito su la fiducia di respingere i nemici che si avan* zavano ; ma costretti bruttamente a fuggire^ prima di dare alcuna nobile prova , nemmen fecero punto di ger nevoso combattendo poi su le mura. Adunque i Ro> mani in un sol gioruo s’ impadronirono sehzà tere dei lor territorio , e , ne presero a forza la citti , nè con molto travaglio. Il comandante Romano concedè ' . .. 'V (t) Vuoi' (lire Edile. Era qacsto vócaboìo proprio d«’ RoroasK' che le miline si approp lasserò le robe invase; e presi» diala la città , ne andò col resto deli’ esercito contro l'altra città de’ Volsci , chiamata Polusca, non molto lontana da Longola. Nè osando alcuno di uscirgli in- contro , percorse facilissimamente U campagna , e ne investi le maia. E datisi i soldati , chi a spezzare le porte, chi a scalare le mura ed ascenderle; Polusca anch’essa fu presa nel giorno medesimo. Il console scel- , tivi alcuni pochi, autori della ribellione, li fe’ morire : e multati gli, altri in danari, e spogliatili delle arme; gli astrinse a dipendere in avvenire dai Romani. Lasciato anche in guardia di  Digitized by Google 3aa Delle antichità’ romane ni. Volgendo la olimpiade sessantesima quarta , in-' tanto che Milziade 'era arconte di Atene, i Tirreni dei contorni del golfo Jonio , cacciati poscia di là dai Galli, e gli Umbri con essi , e li Dauuj , ed altri barbari in copia tentarono distruggere Cuma , Greca città tra gli Opici fondata dagli Eretrj e da’ Calcidesi (i) , senz’ al- tra vera cagione, se non che ne odiavano la prosperità. Imperocché Cuma famosissima di quei tempi in tutta r Italia per la ricchezza , per la potenza , e per molti altri beni , avea le terre le più fruttuose della Campa- nia , con porti utilissimi presso al Miseno. Invidiandone i barbari il si gran bene, le mossero incontro con di- ciotto mila cavalli e con cinquecento mila fanti (a), e non meno. Accampatisi questi non lungi dalla città surse un portento meraviglioso, quale non ricordasi accaduto mai nè tra’ Greci dovunque, nè tra’ barbari. I fiumi che scorreano presso gli alloggiamenti ( Volturno no- minavasi 1’ uno , e l' altro il Ciani (3) ) lasciando lo (i) Gli Eretrj ed i Calcidesi erano popoli dell’ Eukea o Ne^o* ponte. Elrelrìa era distante venti miglia da Calcide. Vi erano dus altre Eretrie. Vedi tom. i , la not. al S 4^» parla della prima. (a) Par troppo torrente contro di una città : forse vi à d>aglio nei numeri . (3) Vi sono altri lìami di pari nome. Questo à quello additato da Virgilio 1. a, Georg. , Vicina Veitvo Ora jugo ,el vaeutt Ctanius non aeqmt acervis. Antonio Boudrand: (vedi novum Lexicon Geographic.) chiama que- sto fiume Agno ; e dice che passa presso di Acerra , di Aversa e Mintomo. Forse il Ciani h quello stesso fiume che ora chiamasi JPatria nelle catte geografiche scendere lor natarale » si ripiegarono , rifluendo gran tempo dall’ imboccatura alle fonti. Vista la meraviglia , fecero core i Cnmani di piombare su’ barbari , come se i Numi fossero per deprimere l’altezza di quelli , e per sublimare loro che depressi ornai ne pareano. Pertanto dividendo in tre corpi la gente militare , con uno guaiw darono la città , con altro le navi , e coi terzo , «:hie- ratoio avanti le mura , aspettarono l’ inimico che inoU travasi. Seicento erano i cavalli Cumani, e quattro mila cinquecento i fanti : pure si pochi di numero tennero fronte a tante migliaja I IV. Ck>me i barbari seppero che eransi appareo:hiati per combattere , dato un grido , coi*sero in barbara for> ma , disordinati e misti , cavalli e fanfl , appunto per annientarli tutti in un colpo. Il luogo, dove innanzi la città si affrontarono, era una valle angusta , rinchiusa da lagune , e da’ monti , propizia al valor de’ Cumani , ma nemica alla fdUa de’ barbari. Dond’ è che, travolgendosi e calcandosi questi , gli uni gli altri in più luoghi , e principalmente su pel fango intorno la palude , si di- strussero in gran parte fra loro , senza pur venire aUe mani colia Greca milizia di Cuma : e quell’ esercito ap- piedi si numeroso , e disfatto , e sbaragliato da sestesso, fini qua e là fuggitivo , senz’ avere operato nulla di generoso. Li cavalieri però si avventarono , e molto tra- vagliarono i Greci : ma non potendo circondar l’ inimico per r angustia del loco , e temendo i destini che com- batteano per Cuma colle piogge, co’ tuoni, co’ fulmini , si diedero anch’ essi alla fuga. In questa battaglia i ca- valieri Cumani militarono tutti luminosamente, ricono- Digiiized by Google 3a4 delle Antichità’ bomane sciutine quindi come autori della vittoria. Si distinse so»' pra tutti Aristodemo cTiiamato Màlaco ; imperocché solo opponendosi , uccise il capitano nemico , e molti valo- rosi. Finita la guerra porgeansi sagriGzj di ringrazia- mento ai numi , e davasi magnifica sepoltura agli estinti in battaglia : ma quando si ebbe a decidere a chi si dovesse la corona , come al più forte ; assai se ne di- sputò. Li giudici più ingenui , e con essi anche il po- polo , voleano che ad Aristodemo si concedesse ; ma i più potenti , e con loro tutto il Senato , ad Ippo'me- donte , duce de’ cavalieri. Di que’ tempi era in Guma il governo degli ottimati , nè molto il popolo vi potea : ma natavi sedizione appunto per tal controversia , i se- niori temendo che tanta ambizione finisse colle armi e colle stragi , persuasero ambedue li partiti di dar "pari onore all' uno e all’ altro di que’ valorosi. Da quell’ ora divenne Aristodemo Malaco il protettore del popolo : e poiché ‘si avea procacciato una persuasiva nei discorsi di Stato , commovea con questa la moltitudine , allet- tando lei con stabilimenti gradevoli , beneficando coll’aver suo molti ' de' poveri , e rimproverando i potenti che si appropiavano ciocché era del comune. Dond’ é che ne divenne ai primi degli ottimati molesto e terribile. , V. Venti anni dopo la battaglia co’ barbari vennero ambasciadori dalla Riccia co’ simboli di pace al Cumani per supplicare che li soccorressero nella guerra contro i Tirreni. Imperocché Porsena re di questi dopo la pace con Roma dando metà dell’ esercito , come esposi ne’li- bri antecedenti, ad Arunte suo figlio, lo aveva inviato, voglioso che n’era, ad acquistarsi un dominio : e costui di quel tempo appunto assediava gli Arieini rifugiatisi tra le ;nura , sulla idea di prenderne tra non molto la città colla fame. A tale ambasceria li primi degli otti- mati odiando Aristodemo e temendo che non causasse alcun male al governo ; concepirono di avere il buon punto di levarsel d’ intorno con delicate maniere.v Per- suadendo il popolo a spedire due mila per soccorso de- gli Aricini , e nominandone capitano Aristodemo come il più insigne nelle armi, fecero poi tal maneggio , nde iusingarsi che colui perirebbe o per le battaglie co’ ne- mici , o per le fortune di mare. Imperocché resi dal Senato arbitri di scegliere quei che dovrebbero andare di rinforzo , non v’ inchiusero alcuno de’ più famosi e più riguardevoli ; ma reclutando i più poveri e più scel- lerati .da’ quali aveano sospettato sempre delle sommosse, ordinarono con questi l’ armata , e riducendo in mare dieci navi antiche , pessime a correr le acque , e dan- done il comando a Cumani poverissimi , ve la soprap- posero , con minacciare di morte chiunque ne disertasse. VI. Aristodemo , dicendo unicamente che non igno- rava le mire degli avversar) che in apparenza Io man- davano per soccorrere , ma in realtà per farlo soccom- bere ; assunse il comando dell’ esercito. E facendo ben tosto vela co’ deputati Aricini , e superando a stento e con pericolo il tratto interposte, di mare , approdò sui lidi più prossimi dell’ Aricia. E lasciata guarnigione sufBciente alle navi , e fatto nella prima notte il cam- mino il quale vi restava , che certo non era lungo , si presentò su 1’ alba inaspettato agli Aricini. Accampatosi presso di loro , e persuasi gli assediati di uscire all’ aperto sfidò ben tosto i Tirreni a battaglia. Schieratisi ed attaccatisi , gli Aricini resisterono piòciolo' teinpo , e piegarono e rifuggironsi in folla tra le mura. Aristodemo però coi pochi scelti Gumani che avea d’ intorno , so~ Bienne tutto il forte della battaglia , ed uccisone di sua Diano il duce , mise in fuga i Tirreni , riportandone una vittoria nobilissima. Ciò fatto , e magnificato dagli Aricini con doni copiosi rinavigò speditamente verso Cuma peressere egli stesso nunzio della vittoria. Teneano dietro a lui molte barche Aricine colle spoglie e coi schiavi presi ai Tirreni. Avvicinatosi a Cuma e messe a proda le navi , concionò tra 1’ armata. E molto accusando i capi della città , e molto encomiando quelli che si erano se- gnalati nella battaglia, e dispensando argento e parteci» pando a ciascuno i doni degli Aricini; pregò che di tali beneficenze si ricordassero , quando sbarcherebbero nella patria , e lo fiancheggiassero se mai gli ottimati gli creavan pericolo. Confessandosi tutti obbligatissimi per la salvezza insperata che aveano da lui ricevuta , come perchè tornavano colle mani non vuote in fami- glia ; e protestando che darebbero a' nemici anzi sestessi che lui ; Aristodemo , rirtgrazionneli , e sciolse 1’ adu- nanza. Quindi chiamandone al suo padiglione i più ma* liziosi e prodi , e guadagnandoli tutti co' doni , co' bei discorsi, e colle spc>anze lusinghiere, li fé* pronti a mutare il governo che vi era. VII. Presi questi per ministri e per combattitori , istruitili parte a parte su ciò che avessero a fare , e messi in libertà gli schiavi che conduceva per obbligarsi ancor essi, viaggiò piò oltre colle navi coronate (i) 6no ai porti di Cuma. I padri e le madri de’militari , tutto il parentado, i Ogli insieme e le mogli, venutili ad in- contrare mentre scendevano a terra , lagrimavano , gli abbracciavano ,. li baciavano , li chiamavano con teneris- simi nomi. Tutto il resto della moltitudine urbana rice- vette fra tripudj ed acclamazioni il capitano , accompa- gnandolo fino alla casa. Di che dolenti i capi della cittò, quelli principalmente che gli aveano affidato 1’ armata e ne aveano con altri modi tramato la rovina, facean tristi colloqui su T avvenire. Aristodemo lasciati decor- rere alquanti giorni onde rendere agi’ Iddj li suoi voti ^ e ricevute intanto le sue navi da carico rimaste indietro, alfine venutone il tempo , disse voler esporre in Senato le cose operate nella guerra e mostrargli le prede ripor- tatene. Riunitisi in numero i primarj , ed i magistrati nel Senato, egli fattosi innanzi prese a dire e narrare tutte le cose operate nella battaglia : quando gli uomini apparecchiati da lui per 1* impresa , accorsi in folla nel Senato co' pugnali sotto gli ‘ abiti , vi uccisero tutti gli ottimati. Si diedero allora a fuggire e correre , chi alle proprie case, chi fuori delia città, quanti erano al Foro, eccetto i complici del disegno , i qnali avevano occupato la fortezza , il porto , ed ogni luogo monito delia città. Nella notte seguente sprigionando quanti vi erano ( e molti ve ne erano ) dalle pubbliche carceri , destinati alla morte, ed armandoli con altri suoi amici, tra* quali (t) In segno della -riltoria riportala. G>si ae’trionfì ai coronavano ancora LI FASCI erano gli Schiavi Tirreni , ne fece un corpo di guardia per la sua persona. Fatto giorno, convocato il popolo a parlamento , ed accusativi a lungo gli uccisi , disse che erano stati meritamente % puniti ; avendo per tante volte insidiata a lui la vita : ma che , quanto agli altri .cittadini , egli darebbe loro la libertà , la eguaglianza .dei diritti , ed altri beni copiosi Vili. Ciò dicendo , ed elevando tutto il popolo a speranze meravigliose , stabili due regolamenti , pessimi tra tutti i regolamenti ^ ed iniziativi di ogni tirannide , io dico la nuova division delle terre e la remissione dei debiti. Figli promettea provvedere su l’una e l’altra cosa, purché fosse eletto comandante assoluto , finché il comune fosse in salvo, e v’ordinassero uno stato popolare. Con piacere ud) la plebe e tutti i peggiori che avrebbonsi a ghermire i beni degli altri: ed egli, avutone un potere indipen- dente , aggiunse un nuovo decreto col quale deludendo ancor essi , alfine tolse a tutti la libertà. Imperocché fingendo temere torbidi e sedizioni de’ nobili contro dei .plebei per le assoluzioni dai debiti e per le divisioni nuove de’ terreni , disse che a precludere una guerra ed un eccidio civile , trovava un solo rimedio, cioè che , tutti prima di ridursi a tal male , recassero dalle loro case le arme , e le consacrassero agl’ Iddj per averle nel bisogno pronte contro i nemici esterni se ne venivano , e non contro sestessi: pertanto esser bonissima cosa che stessero quelle presso de' Numi. Persuasi di tanto i Cu> mani ; egli nel giorno stesso ebbe le armi di tutti , e negli altri appresso fe’ cercare le case di • ognuno , \ic- cldendovi molti buoni , sul pretesto che non avessero portate ai Numi tutte le armi. Dopo ciò fortificò la ti- rannide sua con tre generi di guardie : il primo fu di que’ vilissimi e reissimi cittadini co’ quali tolse 1’ auto- rità degli ottimati : il secondo fu de’ servi indegnissimi renduti liberi da esso perchè aveano trucidati i loro pa> droni : ed il terzo furono i militari assoldati da’ barbari più inumani. Erano questi nommen di due mila , e va- lidissimi più che gli altri nelle arme. Tolse le immagini degli uccisi da ogni luogo sacro e profano supplendovi in vece loro le sue. Le case , i campi , ogni avere di questi lo donò tutto ai complici suoi nel preparargli la corona , riservando per sè l’ oro e 1’ argento , e quanto altro è base della tirannide. Ma li doni più numerosi e più grandi li profuse tra gli assassini dei loro padroni ; i quali chiesero perfino in moglie le donne e le figlie de’ padroni medesimi. Quantunque però niente avesse in principio cu- rata la stirpe virile degli uccisi , alfine si accinse a ster- minarla tutta in un giorno , sia che per un qualche oracolo , sia che per computi verisimili concludesse che perpetuava con questa a sestesso uno spavento non pic- colo. Ma perciocché vivamente nel distoglievano quelli (i) presso a’, quali dimoravano i figli e le madri , egli vo-lando concedere loro* un tal dono, gli assolvè, sebbene contro sua voglia , dalla morte. Per cautelarsi però da loro sicché congiurandosi non .insorgessero contro il suo regno ; comandò che uscissero tutti dalla città chi verso r uno e chi verso l’ altro luogo : e vivessero per le (i) I Saidliti del tiraoDu alli quali egli stesso le area mariiate campagne senza istruzione e coltura , propria di liberi giovinetti , con pascer le greggi o con altri campestri esercizi , minacciando di morte chiunque di loro in città fosse preso. Cosi quelli , abbandonati I patri > so- steneansi come schiavi per le campagne, servendo agli uccisori medesimi de’ padri loro. E perchè niente) pi& ci avesse di virile o di generoso prese ad effeminare colle Istituzioni sue tutta la gioventù Cumana , toglien- dole I ginnasi e gli esercizi militai , e variandone le maniere già consuete del vivere. Volle che I giovani come le donzelle nudrisser la chioma , e bionda la ri- ducessero e ricciasserla , e ricciata di reti lievi la cii^ condassero ; e portassero toghe talari e ricamate , e clamidi sottili e molli , vivendosi all’ ombra. Donne , educatrici loro , li accompagnavano, recando parasoli e ventagli ai spettacoli di suono e danza e simiglianti musiche dissolutezze: ed esse li lavavano , esse porta- vano ai bagni i pettini , e gli alabastri con gli unguenti, e gli specchj. Con tal modo ammorbidiva i giovani fino ai venti anni, concedendo allora che passasser tra gli uomini. Ma egli che avea cosi vituperato e danneggiato i Cumani , egli che non avea risparmiato loro nè im- pudenze , nè sevizie , egli alfine già vecchio , quando si credea sicuro nella tirannide , Sterminato con tutti, i suoi , ne pagò le giustissime pene ai Numi ed agli uo- mini. X. I prodi che insorgendo liberarono la patria dalla tirannia di lui furono i figli de’ cittadini uccisi : quelli che egli avea risoluto in principio di trucidare tutti in nn giorno, ma che poi risparmiò, come ho detto, vinto dalle istanze de’ satelliti suoi , maritati da lui colle ma- dri loro, comandando che abitassero per le campagne. Pochi anni appresso viaggiando egli pel contado e ve- dendoli già adulti e molti e floridi ; temè che non n congiurassero ed assalisserlo : e macchinò di prevenirli ed ucciderli tutti prima che niuno se ne avvedesse. Adunque consultandosene • cogli amici , deliberava con essi le maniere sollecite e piane ma occultamente, onde spegnerli. Sepperlo que’ giovinetti per indizio forse di alcuno che ne era consapevole, e, forse mossi da con» getture probabili , fuggironsi ai monti , dando di piglio ai fèrri degli agricoltori. Corsero ben presto in ajuto loro i fuorusciti Cumani rifugiati in Capua , tra’ quali erano i più cospicui , e seguiti in gran parte dagli ospiti loro Campani , i figli d’ Ippomedonte , di quello che nella guerra Tirrena avea comandato la cavalleria. Essi armati recavano a’ compagni le armi con una truppa non picciola di amici e di mercenarj della Campania. Alfine riunitisi scorrevano e turbavano predando i campi nemici , ritoglievano gli schiavi dai padroni , ed ogni altro qualunque dalle carceri , e gli armavano , e quanto , non poteano trasportare o menar seco lo davano alle fiamme , o alla mòrte. Ansio dubitava il tiranno come avesse a combatterli , perchè nè sapeasi quando impren» derebbero , nè teneansi fermi sempre in luoghi mede- simi , ma regolavano le loro incursioni o colla notte fino all’ aurora , o col giorno fino alla notte. Avendo più volte spedito milizie ma' indarno a guardia delle cani» pagne , a lui ne venne un tale degli esuli malconcio di battiture , spedito ad arte da essi quasi un disertore. Costui chiedendo la impunità promise al tiranno di guidare 1’ armata che manderebbe con lui , nel luogo appunto ove quelli sarebbero nella notte imminente. In- dotto il tiranno a credergli perchè non chiedea verun premio , e porgea sestesso in ostaggio , spedi li suoi duci più fidi , seguiti da molli cavalieri e da’ mercenari , con ordine di conduire a lui , legati almeno , i più , se non tutti quegli esuli. Il disertore eh’ erasi a ciò posto menò tutta la notte 1’ armata a disagi gravissimi per vie non trite e per boschi , in parti le più lontane dalla città. Come i ribelli e l profughi posti per le insidie intorno all’ Averno , monte vicino alla città , conobbero pe’segnali dati dagli esploratori che l’armata del tiranno era uscita, mandarono circa sessanta i più arditi di loro che cinti da irte pelli portavano fi)sci di sarmehti. Or que- sti nell’ ora , quando accendonsi i lumi , chi per l’ una e chi per 1’ altra parte entrarono, quasi opera) , la città senza essere conosciuti; ed entrali cavarono da’ sarmenti le spade che vi occultavano , e si raccolsero tulli ad un luogo. Donde marciando in schiera alle porte che me- nano all’Averuo, ne uccisero i custodi che dormivano, e spalancatele , v’ introdussero tutti i loro che v’ eran già prossimi, nè per tanto il fatto ^ ravvisa vasi ancora. Scontravasi per sorte in quella notte una pubblica festa, ond’ è che tutti oziavano per tutto in città tra le bevande ed altri diletti. Or ciò diè loro gran sicurezza di trascorrere tutte le vie che guidavano alla casa del ti- ranno : e nemineu qui trovando nelle entrate molti , nè .vigilanti , ve gli uccisero senza stento , oppressi dal sonno o dai vino : ed internatisi in folla trucidarono nell’ abi- tazione , quasi una greggia, tutti gli altri, ornai pei vino non più arbitri de’ corpi nè degli animi loro. Or qni preso Aristodemo , i figli , e tutti i parenti , e battutili gran parte della notte , e torturatili , e devastatili con ogni male , gli uccisero finalmente. Cosi sterminando dalle radici quella stirpe di tiranni fino a non lasciarvi non fanciulli , non donne , non consanguineo ninno ; e rintracciati tutta la notte tutti li cooperatori a fondar la tirannide ; andarono , nato il giorno , nel F oro , e con* Tocatovi il popolo , e depostevi le arme , renderono la patria a scstessa. Or questo Aristodemo nel quartodecimo anno della sua tirannide in Cuma , questo vulcano gii esuli compagni di Tarquinio cbe giudicasse tra loro e la pa- tria. Ripugnarono alcun tempo i deputati de’ Romani , come quelli cbe nè erano a tal fine venuti, nè avevano dal Senato i poteri per difendere ivi Roma. Non pro- fittando però niente , anzi vedendo quel despota pro- pendere in contrario per le brighe , e per le istanze degli esuli ; chiesero un tempo per le difese , e deposi- tarono una somma per garanzia di eseguirle essi stessi. Ma poi nel correre di questo tempo, quando niuno più vegliava su loro , fuggirono , ritenendosi il tiranno gli schiavi , li giumenti , e li danari che aveano portalo per comperare de’ viveri. Tali furono gl’ incontri di queste legazioni , e così riuscì loro di tornarsene in patria seb- bene senza l’ intento. Ma la legazione spedita neU’Etruria comperatovi miglio e farro lo trasportò su barche fluviali a Roma , e Roma ne fu nudrita sebbene per  poco ; fiocbè consumatili , ricadde ne’ disagi medesimi. Non erari genere di alimenti a cui non si rivolgesse. Dond’è che non pochi tra la scarsezza, e la inconve- ' nienza de’ cibi non soliti , s’ avean male nella persona , o diventavano a tutto impotenti , non soccorsi nella pcv- vertà. Come ciò seppero i Yolsci domati di fresco, s’ isti- garono con vicendevoli occulti messaggi a riprender le armi , quasi fosse impossibile che i Eomaui resistessero bersagliali dalla guerra e dalla fame. Ma i numi propiz) che vegliavano perchè non rimanessero in preda a’ ne- mici , ne dimostrarono allora più chiaramente la prote- zione. Di repente si mise tra^Volsci una tal pestilenza, quanta non leggesi mai stata in Greche o barbare terre, disfacendoli promiscuamente di ogni età, di ogni fortu- na , di ogni temperamento , validi o invalidi. Mostrò soprattutto gli eccessi del, male Yelletri, città insigne, de’ Yolsci, e grande allora e popolosa. La peste appena ne rispailniò la decima parte , investendovi e consu- mandovene le altre. Ond’ è che i superstiti a tanto in- fortunio , mandati ambasciadori , e dichiarata a' Romani la loro solitudine , sottomisero fa città. E siccome aveano prima ricevuto de’ coloni da essi ; ne chiedeano di pre- sente ancor altri. XIII. Impietoùrono, sapendoli , ai loro mali i Ro- mani ; nè pensarono che si avessero a premere come nemici fra tanta sciagura , dacché pagavano agl’ Iddj le pene per ciò che voleano fare su Roma. Piacque loro , di riammetter Yelletri, e spedirvi numero non picciolo di coloni presagendone sommi vantaggi. Parea che il posto , se presidiavasi acconciamente , sarebbe ostacolo grande e ritardo a chiunqae si voleva rimescolare e sommoversi. E concepivasi che la penuria di Roma non poco si scemerebbe se una parte notabile di popolo al- trove si trasferisse. Inducevali soprattutto a spedire una colonia la sedizione che vi si riproduceva , non essen- dovi ancora sopita in tutto la prima. Imperocché il po- polo discordava un altra volta come per addietro , e ne odiava i Patrizj : e molta era 1’ amarezza dei discorsi co' quali accusavano la poca cura, e la scioperatezza di essi perchè non aveano a tempo preveduta nè riparata la penuria futura , dicendo alcuni perfino che ad arte aveano procurato la caresua per astio e desiderio di af- fliggerne il popolo in memoria della ribellione. Per tali riguardi sollecitissima fu la spedizione della colonia , de* slinativi dal Senato tre condottieri. Da principio udiva il popolo con diletto che trarrebbonsi a sorte i coloni, perchè sarebbe cosi levato dalla fame , e perchè vive- rebbe in terra felice : ma poiché rifletté che la peste ge* aeratasi nella città che gli avrebbe a ricevere aveva di- strutto i suoi cittadini , e temè che in tal modo ancora maltratterebbe i coloni, variò poco a poco di sentimento. Tantoché non molò , anzi meno assai che il Senato ne permetteva , esibironsi per la colonia : e questi bentosto ne furon pentiti come sconsigliati, e scansavano di usci- re. Da tale vincolo erano trattenuti questi e quanti al- tri non più si acconciavano ad andare. Ma dertretato avendo il Senato che la colonia si ricavasse dal com- plesso di tutti i Romani secondo le sorti , e stabilendo dure ed irreparabili pene per chi ricusava ; alfine fu per tale necessità condotto il numero conveniente in iVelle- Digitized by Googl 336 DELLE antichità’ ROMANE tri. Noo raoUi giorni appresso un’ altra colonia fu tra> sferita in Norba, città non ignobile dei Latini -(i). XrV. Non però segui da ciò ninna delle cose con~ gbietturate da’ patrizj secondo la speranza di spegnere- le discordie. Imperocché la plebe rimasta intrisi più an- cora, vociferando con assai clamore contro de’ padri nelle adunanze prima di pochi , indi di molti , per la fame divenuta gravissima; e concorrendo al Foro vol- geasi lamentosa ai tribuni suoi perchè 1’ aiutassero. Or tenendo questi adunanza , fattosi innanzi Spurio Icilio allora capo di essi perorò lungamente contro de’ padri aumentandone quanto potè la malvolenza. Egli istigò pur altri a dire pubblicamente ciocché sentivano , e prin- cipalmente Siccinio e Bruto allora edili , invitandoveli a nome, appunto come capi già del popolo nella prima sedizione , ed inventori , anzi magistrati la prima volta della podestà tribunizia. Presentatisi dissero anch’essi, udendoli il popolo vogliosissimamente , malignissime cose già da molto tempo premeditate , come se la carestia fosse procurata per malizia de’ ricchi , perchè il popolo- avea loro malgrado , ricuperata colla sedizione la libertà. Dissero che i ricchi non aveano pur la miaima parte del disagio dei poveri : molta essere la loro non curanza de’ mali , perchè aveano cibi occulti e danari onde com- perarli se introducevansi , laddove i plebei mancavano di ognuna di queste due cose: protestarono che mandare i coloni a’ luoghi contagiosi , era un avviarli a rovina visibile e funestissima, aggravando quanto più poteana (i) A tempo di Plinio era nn ammasso di rovine. Restava circa sei miglia lontana da Segni a- measogiomo. con parole il male. Chiedeano qual sarebbe il fine a tante sciagure , e richiamavano loro in memoria gli an> tichi Hagelli , ond’ erano stati malmenati da’ ricchi ; ag> giungendo ancora iinpuuissimamenie cose consimili. Da ultimo Bruto la Gni minacciando , dicendo cioè , che se secondavano , egli necessiterebbe quanto prima a spe- gner r incendio quelli stessi che eccitato Taveano. E così r adunanza fu sciolta. XV. Intimoriti i consoli su tali innovazioni , e solle- citi che le adulazioni di Bruto verso del popolo iiou terminassero in grandi sciagure , intimarono nel prossi- mo giorno il Senato. Ivi si fecero discorsi molti e varj da essi , come dagli altri seniori. Pensavano alcuni che si dovesse blaudire i plebei con ogni dolcezza di parole e promessa di opere , e renderne i capi più moderali con esporre lo stato delle cose , e convocarli e consul- tare insieme il bene comune : io opposito altri consiglia- vano che non cedessero , uè si abbassassero verso del popolo : essere la moltitudine, imperita , e caparbia : in- solente , incredibile 1’ ardore dei capi che 1’ adulano : facessero piuttosto costare che non ci avea ne’ patrizj colpa ninna , c promettessero ovviare , quanto potè vasi , al male. Redarguissero e miuacciassero di pene conde- gne i sommovitori dei [K>polo , se nou si chetavano. .\p- pio era il primo in tal sentimento , e prevalse in mezzo alle grandi opposizioni de’ padri. Tanto che il popolo turbalo all’ udirne tanto da lungi i clamori accorse alla curia , e tutta la città fu sospesa nella espeltazione. Dopo ciò li consoli usciti adunarono il popolo , restandovi breve DlOXlGi t Zumo 21.parte del giorno , e tentarono di esporgli i voleri del Senato. Contraddissero i tribuni , nè già fu vicendevole nè ordinato il colloquio. Gridavano, interrompevansi ; tanto che non era facile agli astanti distinguere i loro pensieri , e ciò che volessero. Diceano i consoli cb’essi come di autorità pre- mineute doveano comandare in tutto alla città ; laddove i tribuni replicavano che i consoli avean dritto in Se- nato , ma su le adunanze del popolo i tribuni : questi aver tutto il potere su quanto si dee discutere e sen- tenziare da’ voti del popolo. Prendea parte , vociferava per essi la moltitudine , pronta ad assalire se bisognava, chiunque ostasse loro. Altronde i patrizj acclamavano , e davan animo ai consoli , circondandoli. Vivissima era la contesa per non cedere gli uni agli altri ; quasi allora appunto si cedessero i diritti una volta per sempre. Già il sole era per tramontare , e tuttavia concorrea dalle case nuovo popolo al Foro: e se la notte non li tron- cava, forse i dissidj* finivano a colpi , ancora di pietre. Bruto perchè ciò non seguisse , fecesi innanzi , e chiese ai consoli di parlare ; promettendo di sedare il tumulto. Concederono questi che parlasse , parendo loro che si deferisse ai consoli mentre quel capipopolo ciò chiedeva da essi , presenti i trihuui. Fatto silenzio , Bruto senza dir altro interrogò li consoli di tal modo: Ki ricordale voi che lasciando noi le divisioni, ci accordavate per^ diritto che quando i tribuni adunassero sotto qualun- que fine il popolo , i patrizj nè intervenissero all’ a- dunanza , nè la turbassero ? Ce ne ricordiamo , disse Geganio. E Bruto ripigliò : qual male aveste voi dunqué da noi che c impedite , nè permettete che i tri- buni dicano ciocché vogliono? E Geganio rispose: per- chè non voi , ma noi consoli avevamo chiamato il popolo a parlamento. Se fosse stalo invitalo da voi, non V impediremmo ; anzi nemmeno curiosi ci brighe- remmo in ciò che si tratta : ora essendo da noi con- vocalo , non v' impediamo che Jdvelliale ; ma che noi ne siamo impediti , ciò non è giusto. Allora Bruto , abbiamo vinto , disse, o popolo: concedesi a noi dagli awersarj q> anlo chiedes’amo : ora desistete , chetatevi, ritiratevi : domani promettevi dichiarare quanta forza V abbiale. E voi tribuni cedete ad essi di presente nel Foro : non sempre già qui cederete qiumdo ab- biate compreso ( e presto lo comprenderete , io pro- metto chiarirvene ) il potere del vostro magislialo. Abbasserete cotanta loro preminenza : e se troverete che io V abbia deluso , fate ciocché vi piace di me. XVII. E uiuno più contraddicendo, ritiravausi tutti dall’ adunanza : non però gli uni e gli altri con pari divisaniento. Credeano i poveri che avesse Bruto ideato qualche nobile impresa , e che non indarno la promet' lesse : ma i patrizj trascuravano la leggerezza di lui , pensando che T audacia delle promesse non andasse più in lò delle parole; non essendo conceduta dal Senato ai tribuni altra autorità che di proteggere il popolo , se non facevasi ad esso ragione. Non però la cosa parca spregevole a tutti , specialmente ai seniori , ma che do- vesse attendersi che la manìa di un tal uomo non ge- nerasse mali insanabili. Bruto la notte appresso svelato il parer suo fra i tribuni , e raccolta una massa non tenue di popolo , ne andò di conserva nel Foro : e prima clie si facesse di chiaro, occupato il tempio di Vulcano donde eglino soleano concionare , invitarono il popolo a parlamento. Empiutosi il Foro di un concorso, quale mai più V* era stato , presentasi Icilio il tribuno, e par- lavi luughissimamente contro de’padri. Egli commemora quanto han latto in danno del popolo , e come nel giorno addietro aveano impedito lui fin di parlare con- tro i poteri ancora della sua dignità. E qui disse : e di che altro tarem più padroni se noi siam di parlare ? Come potremo soccorrere voi se ojffesi , quando ci si toglie la libertà di adunarvi ? Son le parole i preludj delle operazioni : nè ignorasi che quelli che non pos- sono dir ciocché pensano , nemmen possono far cioc- ché vogliono. Pertanto o ripigliatevi, disse, la potestà che ci deste , se non volete mantenercela inviolabile; o proibite con legge che alcuno più ci si opponga. A tal dire provocavalo il popolo che egli stendesse la leg- ge : e siccome teneala già scritta , la lesse. £ , dispen- sati i voti , fe’ che il popolo immantinente ne decidesse ; parendogli non esser questo un affare da esitarne , o differirlo , perchè non avesse altri inciampi dai consoli. La legge era questa : Concionando un tribuno al po- polo , niuno aringhi in contrario , nè interrompalo : e se alcwio contravvenga , dia mallevadori ai tribuni di pagare , chiamatone in giudizio , la multa che gl im- porranno : e non dandoli, egli sia punito di morte, li beni di lui sien sacri , e tutte le controversie su tali multe spettino al popolo. I tribuni confermata coi voli la legge dimisero 1’ adunanza : ed il popolo si ritì rò , tatto di bu on anirno , e pieno di riconoscenza per Bruto , come per 1’ autore della legge. Dopo ciò li tribuni ripugnavano ai consoli molto , e su molte cose : nè il popolo ratificava i de- creti del Senato , nè il Senato approvava decisione niuna della plebe. Cosi teneansi contrapposti e sospetti. Non però r odio loro , come avviene in simili turbolenze , procedette a danni irreparabili. Imperoccbè nè i poveri investirono mai le case de’ ricchi ove concepivano che troverebhon de’ cibi riservali ; nè mai si lanciarono su pa- lesi merci per involarle : ma pazienti comperavano a gran costo il poco , e sostcneansi di radici e di erbe se pe- nuriavan di argento. Nè mai li ricchi per dominare soli nella città violentarono colla forza propria, o de’ clienti, (eh’ era pur molta) la classe indigente, esiliandone o trucidandone ; ma conduceansi come padri savissimi in- verso de’ figli , con cuore sempre benevolo e premuroso tra le lor delinquenze. Or tale essendo lo stato di Roma, le città vicine invitavano qual più volealo de’ Romani tt traslatarsi nel seno di esse , allettandoli con dar loro la cittadinanza , ed altre propizie speranze : ma le une in- vitavano mosse dai bei genj per benevolenza e pietà nei mali altrui , le altre (ed eran le più !) per invidia della prosperità passata della repubblica. E furono ben molli quei che partirono con tutte le famiglie, e posero al- trove il soggiorno : ma taluni di questi , riordinato lo stato , ripatrìarono , e tal’ altri mai più. Or ciò vedendo i consoli parve loro , per voler del Senato, che avesse a farsi una iscrizione di soldati, e porre in campo un esercito. Prendeano occasione speciosa a tanto dall’ essere la campagna tante volte dan- neggiata dalle scorrerie , e saccheggi de’ nemici ; calco- lando ancora i beni che nascerebbero dall’ inviare un esercito di là da’ confìni : mentre quei che restavano avrebbero , come diminuiti , le vettovaglie in più copia: e gli altri colle arme vivrebbero io siti più abbondanti a spese dell’ inimico , e la sedizion tacerebbe , almen quanto si tenesse in piedi l’armata. Tanto più poi sem- brava che resùiuirebbcsi la calma tra patrizj e plebei , quanto che dovrebbei'o militare insieme , e partecipare i beni e i mali a fronte de’ pericoli. Non però la mol- titudine ubbidiva , nè si presentava spontanea , come al- tre volte , per essere iscritta. Non vollero i consoli foi^ zare secondo le leggi i renitenti : ma alcuni patrizj s’iscris- sero volontarj co' loro clienti , congiungendosi ad essi che uscivano , anche picciola parte di popolo per mili- tare. Era duce di quest’ esercito quel Caio Marcio , il quale espugnò la città de’ Coriolani , e riportò la corona dei forti nella pugna cogli Anziati. Or vedendo lui per capitano , i più de’ plebei che aveano piglialo le anni vi si confermarono , altri per benevolenza , altri per la speranza di esserne diretti a buon fine. Imperocché famosissimo egli era quest’ uomo , e gran- tal esercito fino ad Anzio ; impadronendosi di schiavi ^ e di bestiami in copia , senza dirne il mollo grano che era ne’ campi ; tornandone indi a non molto ricchissimo fatto di viveri : tanto che quei che s’ eran rimasti, eran mesti e dolenti verso de’ tribuni, pe’ quali sembravano privi di un tanto bene : cosi Geganio e Miuucio consoli di queir anno trovatisi in tempeste varie e grandi , e più volte in pericolo di rovinar la cilli, non operarono nulla con troppa efficacia : pur salvarono la repubblica più savj che prosperi nell* uso delle circostanze. XX. Marco Minucio Augurino, ed Aulo Sempronio Atraiino eletti consoli dopo loro , presero per la se- conda volta quel grado (i). Non imperiti nell’arme, e nel dire , empierono con assai provvidenza la città di grano e di ogni maniera di viveri , come si ristringesse all’ abbondanza la concordia del popolo. Non però po- terono ottenere 1' uno e 1’ altro bene ; ma venne colla sazietà pur l’orgoglio in quelli eh’ eran saziati. E quando meno pareva , allora fu su Roma il pericolo maggiore che mai per addietro. I commìssarj spediti pe’ grani , comperatone negli emporj entro terra o sul mare , lo aveano già trasportato a' pubblici serbato)'. Quand’ ecco i negozianti pure di viveri ne condussero d’ ogn’ intorno in Roma : e Roma comperando a pubbliche spese i lor carichi , li custodiva. Vennero i primi i commissarj spe- diti in Sicilia , Geganio e Valerio con piene assai bar- che ; portavano in esse cinquanta mila moggia siciliane di grano , metà procacciato a lievissimo costo , e metà regalato e mandato a spese sue dal tiranno. Nunziatosi in città 1’ arrivo delle navi portatrici de’ grani siciliani ; discussero i patrizj longamente come avesse a dispor- sene. I più moderati e popolari fra loro , considerata la pubblica calamità , consigliavano che il grano donato dal re si donasse ancora a tutti del popolo , e che 1’ altro (i) Anni iti Roma 263 seconda Catone , 265 secondo Varone , e 469 avanti Cristo.  tìet.le Antichità’ hotmane comperato coll’ erario , si vendesse loro a picciol mer- cato , ricordando clie per tali beneficenze principalmente si ammansano gli onimi de’ poveri verso de’ ricchi. Per r opposito i più arroganti fra loro , ed amici del co- mando dei pochi , sentenziavano che aveasi con tutto r ardore e l’ ingegno a deprimere il popolo, ed eccita- vano a non fargliene se non carissima la vendita , per- chè la necessità li rendesse per innanzi più savj e più conformi alle leggi. Fra questi amici del comando de’ pochi era pur quel Marcio , chiamato Coriolano , uè già dicea come gli altri in occulto e con riguardo i proprj sentimenti , ma di proposito , e con ardore , sicché molti del popolo lo udirono. Avea costui non che le cause comuni con- tro del popolo, motivi privati e recenti onde parer di odiarlo meritamente. Cercando esso ne’ comizj ultimi il consolato , il popolo se. gli oppose, ad onta de’ padri che lo sostenevano , nè permise che lo conseguisse ; per- chè sospettava che un tal uomo colla chiarezza ed ar- dire suo prendesse ad abbattere il tribunato ; e tanto più ne temea che vedeva che tutti i patrizj aderivansi a lui , come a niun altro mai per addietro. Inbammato costui dalla ingiuria , e macchinando riordinar la repubblica su le antiche maniere , adoperavasi , come ho detto , pale- semente , incitandovi pur gli altri, aU’annientamento del popolo. Lui cingeva un seguito di molti nobili e ric- chissimi giovani , e per lui stavano molti clienti , pro- speratine già nella guerra. Esaltato da questi , andavano fastoso, e minaccievole , e fra tutti chiarissimo; non però ne ebbe termine fortunato. Adunatosi pe’ casi presenti il Senato e proponendo , com’ è costume , il pro- prio parere prima li seniori , tra quali non molti con* trariarono manifestamente la plebe ; alfine ridottasi la disputa ai giovani , egli chiese da’ consoli il poter dire ciocché voleva : e tra ’l favor grande , e la grande atten- zione di tutti cosi contro del popolo ragionò. Che U popolo non siasi ribellato per neces- sitA e per disagi , ma sollevalo dalla rea speranza di abbattere il comando de' pochi , e farsi egli stesso l’ arbitro del comune ; credo ornai che lo abbiate o padri compreso voi tutti , considerando la inconten- tabilità sua nel pacificarcisi. Non era il solo disegno suo di violare la fede de' contratti, e di abolire le leggi che la garantivano , senza passare più oltre. Esso per levare il magistrato de' consoli , ne fondava un altro nuovo , c lo rendeva sacrosanto ed immune per legge, ed ora, e voi non vel conoscete, lo ha con un ple- biscito recente immedesimato al poter dei tiranni. E per certo , quando gC incaricati di un tal magistrato col pretestare i bei titoli di proteggci'e i plebei mal- menati opereranno con esso e disporranno come a lor piace , quando niuno , non uomo privato , non pub- blico , potrà impedirne gli abusi per timor della legge la qual toglie anche il dire non che il fare , minac- ciando la morte a chi pur lascia fuggirsi una libera voce in contrario ; dite , e qual altro nome dee met- tere allora chi ha senno a tal magistrato se non quello di ciò che è veramente , e che voi tutti confesserete , quello cioè di una tirannide ? Siasi un solo che tiran- tt^ggia , siasi il popolo tutto , e qual divario ? quando uno appunto è l’operar di ambedue? Era ottimissima cosa non lasciare mai che il seme s’ introducesse di un simil potere y e soffrir prima tutto, come il valo- rosissimo jéppio voleva, antivedendone da lauto tempo le ree conseguenze. Ma giacché ciò non si fece , ora almeno sradichiamolo , gettiamolo dalla città mentre è debole ancora, e facile da superarlo. Certo voi non siete , o padri coscritti , nè i primi , nè i soli a’ quali tocchi ciò fare ; quando molti già tante volte deviando dalle buone risoluzioni su di affari gravissimi ; e rav- voltisi in necessità sconsigliate , tentarono estinguere il mal già cresciuto , se impedito nel nascere non lo avcano. E quantunque la penitenza di chi lardi fa senno sia da meno della previdenza ; tuttavia sott’ al- tro rispetto apparisce non inferiore , rmnullando V er- rar già commesso coll’ impedir che si termini. Se alcuni di voi han per gravi le opera- zioni del popolo , se pensano doversi lui prevenire sicché più non esorbiti, ma vien loro la verecondia di parere i primi a rompere i patti e li giuramenti; sap- piano , che se fan ciò, saranno incolpabili innanzi gl’ Iddj , e compiran la giustizia col? utile proprio ; giacché non eomincian essi /’ oltraggio ma lo respin- gono , non tolgon essi i patti , ma chi prima li tolse puniscono. E grandissimo argomento siavi che non voi cominciate a rompere i patti, non voi l’alleanza, ma il popolo il quale non più soffre le leggi colle quali ottenne il ritorno. Non chiese già egli i tribuni per danneggiare il Senato ; ma per non essere dan- neggiato. Eppure or ne usa non per ciò che lo dee^ nè per ciò che fu crealo , ma per turbare e confon- dere lo stalo della repubblica. Ben vi ricorda dell ul- tima adunanza , e delle cose dettevi dot tribuni , e quanta euroganza e quale disordine vi dimostrassero. Ed ora , niente più savj , quanto fasto non menano al vedere , che tutta la forza della città sta ne’ voti , e ne’ voti ci vincon essi , tanto maggiori di numero ? Se dunque han essi incomincialo a frangere i patti e le leggi; che dobbiamo noi fare se non rispinger la ingiuria p se non ripigliarci giustamente ciocché ingiu- stamente ci han tolto ? e frena' tante lor pretensioni ognora più grandi? e ringraziare gl Iddj che non han permesso che essi coll acquisto del primo potere di- venissero savj per t avvenire ; ma gli han ridotti a tal vituperio e briga per la quale voi di necessità tentaste ri- cuperare il perduto, e custodir ciocché resta, come si dee? Se volete riavervi; non altra occasione mai fia così buona, quanto la presente. Ora la più parte di essi è vinta dalla fame , e /’ altra non potrà resi- stere lungamente per l indigenza , se abbia i viveri scarsi e cari. Li più rei , quelli non mai propensi al comando de’ pochi , ridurransi a lasciarci, ma gli altri più miti diverranno ancora più docili , nè mai più vi turberanno. Custodite dunque , non iscemate di prezzo i viveri, e fate che vendansi il più caro che mai. Voi ne avete oneste occasioni, e pretesti lodevoli nella ingratitudine di un popolo che mormora , quasi ab- biate voi prodotta la carestia , nata dalla ribellione loro , e dal guasto che diedero alle campagne, levan- done e trasportandone ciocché vollero come da terre nemiclie , e nelle spese dell’ erario per la spedizione de’ commissarj in cerca di viveri , e nelle tante altre ingiurie , onde foste oltraggiali. Conoscansi fin da ora quali sono i mali co’ quali ci afliggeranno , se non facciamo tutto a piacere del popolo, come i capi loro dicono per atterrirci. Se vi lasciate fuggir di mano questa occasione ; ne sospirerete le mille volte una simile. E se il popolo sappia una volta che voi mac- chinavate di abbattere tanta sua forza , ma ne desi-, steste ; tanto più vi si renderà gravoso , tenendovi nei vostri voleri come nemici, e come impotenti ne’vostri timori. Si divisero a tal dire di Marcio i pareri , e molto si romoreggiò nel Senato. Imperocché quelli che da principio contrariavan la plebe , e ne ammisero mal- grado loro la pace , tra quali erano i giovani , quasi tutti , e li più ricchi e più riguardevoli de’ seniori ; esasperandosi della impudenza di essa , encomiavan que- st’ uomo come generoso , come amico della patria , e che parlava il ben del comune. Ma quelli che propen- deano , come prima , verso del popolo , nè stimavano le ricchezze oltre il dovere , nè credevano cosa alcuna necessaria quanto la pace, eransi corucciati a tal dire, non che vi aderissero. Volevano che si vincessero i po- veri colle dolci , non colla violenza : essere la dolcezza una cosa non solo conveniente ma necessaria ; prin- cipalmente per la benevolenza verso de’ eittadini : e chiamavano que’suoi consigli non libertà di detti, e di opere ; ma delirj : nondimeno questo partito , come pic- ciolo e debole , era sopraffatto dall’ altro più forte. Oi! dò vedendo i tribuni ( eran questi presenti , invitati in Sonato da’ consoli ) gridarono e fremerono , chiamando Marcio peste e rovina della città ; come lui cbe usciva in discorsi si rei contro del popolo. E se i patrizj non lo frenavano coll’ esilio o con la morte , mentre svegliava in Roma una guerra civile , essi , diceano , che lo pu- nirebbero. Or qui nato un tumulto ancora più vivo pei discorsi dei tribuni , principalmente dal cauto dei gio- vani cbe mal sopportavano quelle minacce ; Marcio ani- matone parlò più veemente ancora e più risoluto. Io , diceva, io se voi non la finite di far qui turbolenza, e di sommovere i poveri; io da ora innanzi mi farò can- tra voi non colle parole , ma colle opere. Or qui riscaldatosi più ancora il Senato, i tri- buni vedendo che più erano quelli che volevano richia- mare , che serbare i poteri conceduti alla plebe , fug- girono dal Senato gridando , e protestando gl’ Iddj , vin non fate voi parer vere le calunnie che di voi si spar^ gono ? e che savj sono pel pubblico , quanti consi- gliano che non pià crescer si lasci questa vostra po- tenza violatrice delle leggi ? A me così par certa- mente. Afa se vorrete far cose , contrarie a quelle delle quali vi accusano , moderatevi , ve ne consiglio : ricevete a cor placido , e non con ira , i discorsi dai quali siete investiti. F’oi se così fate, ne parrete uo- mini dabbene , e coloro che vi odiano , ne saran/w pentiti. Avendovi cojè noi fatto ragione amplis- sima come pensiamo , non siate , ve n esortiamo , indegni di voi. Folendovi noi implacidire non esa- sperare ; miti , umane furono le opere colle quali vi abbiamo trottato : io dico , per tacere le antiche , quelle fattevi di recente pel vostro ritorno. Certa- mente sarebbe pur giusto che voi vi ricordaste di queste ; mentre noi vorremmo dimenticarcene. Tuttavia la necessità ci stringe a ricordarvele per chiedervi in contraccambio di tanti e grandi benefizj che noi già concedevamo alle istanze vostre , che nè si uccida , nè bandiscasi Un uomo amantissimo della patria , e nobilissimo infra tutti nella guerra. Non poca sarebbe la perdita , voi lo vedete , se Roma fosse privata di tanta virtà. Egli è giusto che mitighiate lo sdegno verso lui , risgiiardando almeno quanti ne salvò di voi nella guerra , e ripetendone le belle sue gesta , non perseguitandone lé vane parole. Niente vi hanno i detti nociuto di lui, ma moltissimo i fatti vi giovarvno. ' Che se pur siete inflessibili in suo riguarda, donatelo almeno a noi, donatelo al Senato che vel chiede : rendete una volta la stabile calma, e la sua unità primitiva alla patria. E se voi non vi piegherete alle nostre persuasive ; riflettete che neppur noi ce- deremo alle vostre violenze. Così il popolo messone a prova o sarà cagione a tutti di amicizia sincera e di beni maggiori; o nuovo principio di una guerra civile , e di gravissimi mali. I tribaoi , avendo Minuzio cosi perorato , consideratane la moderazion del dire , e come la plebe mossa dalia dolcezza delle sue promesse , ne furono sdegnati e dolenti , e soprattutti Cajo Sicinio Belluto , quegli che avea suscitato i poveri a ribellarsi da’ patrizj ed erane stato nominato capitano , 6nchè fìiron su Tar- mi. Nemicissimo degli ottimati, era perciò stato portato a grande chiarezza da’ cittadini. Ora creato per la se- conda volta tribuno giudicava che a ninno giovasse men che a lui che la città fosse appieno concorde, e ripigliasse la forma antica. Imperocché vedeva che se governavano gli ottimati, egli nato e cresciuto ignobile , senza luce alcuna d’ imprese in pace o in guerra , non avrebbe più gli onori , nè la influenza medesima ; anzi che correrebbe pericoli estremi , come sommovitore dei popolo , ed autore di tanti suoi mali. Fissato adunque ciocché avrebbe a dire e fare , e consultatosene co’ tri- buni compagni , poiché li ebbe unanimi , sorse , e la- mentata brevemente la disgrazia del popolo, lodò li consoli perchè degnati si fossero di rendere ragione ai plebei , senza spregiarne la loro bassezza : e d'sse che rìngraziava i patrizj ancora , perchè nasceva finaluaente in' essi la cura della salate de' poveri ; e che molto più egli ciò contesterebbe 'a nome di tutti i colleghi, quando darebbero pur le operc> simili ai hitti. Cosi proemiando , e parendone anzi sedato, e propenso alla pace , si volse a Marcio presente ai con- soli V e disse i E tu o valentuomo niente ti difendi coi tuoi cittadini su quanto hai detto in Senato ? Chè non supplichi piuttosto , e ne plachi lo sdegno , sic*’ chò miti sieno nel sentenziartene ? Già non 'vorrei che tu negassi un tale tuo fallo , avendolo tarili ve* ; nè che , tu Marcio , tu pià altero in cor tuo che un privato , ti volgessi ad invereconde difese. Sarà parato non indegno ai consoli ed ai patrizj di aringare essi in tuo bene , nè parrà per te degno che tu lo facci su te stesso? Or ■cosi parlava -costui ; ben conoscendo che quel generoso non soffrirebbe mai di essere T accusator di sestesso , e chiedere come col- pevole la esenzion della pena , nè mai contro l’ indole sua ricorrerebbe alle umiliazioni ed alle suppliche: ma che o ricuserebbe fare ogni difesa ; o facendola coll’ in- nato ardimento suo , niente tempererebbe nè il popolo , nè il dire. E cosi fu ; perchè taciutisi , e presi i plebei, quasi tutti , da bel desiderio di liberarlo , purché- egli ne &vorisse la occasione , manifestò tanta insolenza e dispregio per essi ; che nè , presentatosi, negò le parole da lui dette in Senato , nè come pentitone , si diede ad impietosirli e placarli: ma fin sul principio non li volle, come privi di autorità competente per giudici di cosa ninna , pronto per altro a sottomettersi , com* era la  legge , al tribunolc de’ consoli , se alcuno volesse ac> cusarvelo , e cbiederoe soddisfazione pe’deui, o per le, opere. Diceva eh’ egli era, colà venuto , giacché vel chia- marono , parte per riprendere le loro prevaricazioni , e la incoutentabiUlà j manifeslala aemprepiù nella separa- zione y e dopo il riiomo ; e parte per consigliarli, per fiammata , soffiandovi , 1’ ira del popolo , concluse l’ao cosa , che il tribunato ne sentenziava la morte , per r oltraggio fìtto agli edili , che egli percosse e respinse, mentre per ordin suo lo arrestavano il di precedente: non finire che su chi gC incarica, gli oltraggi de’ mi- nistri, E così dicendo ordinò che portassero Marcio al* l’altura che sovrasta sul Foro. È questa un dirupo ro> vinoso e vasto donde solcano precipitare i rei condan* nati alla morte. Corsero gli edili per prenderlo: ma dato un altissimo strido , si levarono conira loro in folla i patrizj , e quindi contro de’ patrizj il popolo : e molto era in arabe le parti il disordine , molto lo in* giuriarsi. Io spingersi, Tassalirsi. Se non che gli autori di un tanto moto furouo rattenuti e necessitati a mo- derarsi dai consoli i quali , cacciatisi in mezzo, coman* darono ai littori di rimover la turba. Tanta era allora negli uomini la riverenza per quel magistrato, e tanto il pregio deir autorità suprema ! Intanto Sicinio non piò saldo , ma perturbato , e timoroso di ridurre i partiti a respingere forza con forza , non volendo lasciare , nè potendo continuare la impresa una volta tentata , era pensierosissimo su >ciò che fosse da fare. XXX VL Or lui vedendo in tanti dubbj Lucio Gin* nio Bruto , quel capipopolo che ideò le condizioni della concordia , uomo acuto specialmente in trovare , ove mancano, gli espedienti, venne, e solo con solo, sug- gerì che non si ostinasse in una disputa ardente , nè legittima : mirasse tutti i patrizj irritati , e tutti pronti alle armi se vi fossero invitati dai consoli , ma dubbiosa la parte migliore del popolo , nè ben animata a permettere senza previo giudizio la morte dell' uomo più. insigne di Roma : cedesse per allora , egli così consigliava; badasse a non combattere i consoli per non eccitare mali manieri : piuttosto in- dicesse a un tal uomo , fissandone un tempo qua- lunque , di perorar la sua causa , i cittadini votas- sero per tribù su lui: e ciò sen facesse che la plu- ralità de’ voti dichiarerebbe. Non competere che ai tiranni la violenza che ora minacciavasi , facendosi il tribuno accusatore in un tempo e giudice ed arbi- tro della pena : ma in una repubblica doversi agli accusati le difese come voglion le leggi , ed il gastigo secondo il voto dei più. Cedette Sicioio a tale consi- glio non trovandone altri migliori , e fattosi innanzi disse : Foi vedete o plebei V entusiasmo de’ patrizj per la violenza e le stragi : vedete come tengon voi tutti da meno che un solo caparbio che oltra^a una intera repubblica. Non conviene che noi li somigliamo e corriamo alla nostra rovina, cominciando o respin- gendo una guerra. Ma perciocché alcuni di loto al- legano , come onorevol pretesto , la legge la qual non permette che uccidasi un cittadino ' senza previo giu- dizio , ed allegandola ci tolgono d infliger le pene ; diasi pur luogo alla legge ; quantunque ne’ nostri di- sagi abbiamo noi mai sofferto nè cose giuste , nè secondo le leggi da essi. Dimostriamoci anzi probi colle clementi maniere , che del numero de’ vostri of- Digitized by Google Linno VII. 36 1 Jénsori colla violenza. Ritiratevi ; aspettate , nè già sarà molto , il tempo avvenire. Noi preparando in^ tanto le cose che importano , fisseremo a codest’ uomo un tempo perchè si difenda , e non eseguiremo se non la vostra sentenza. Quando v' avrete in mano i suffragi secondo la legge , votatene allora la pena che merita. E ciò basti su questo proposito : Che poi giustissima facciasi la compra e la distribuzione dèi grani , noi vi provvederemo , se questi (\) ed il Se- nato non vi provvedono. E ciò detto disciolse i' adu- nanza. Dopo questo evento i consoli convocando il Senato considerarono posatamente come dar fine alla discordia presente. Sembrò loro primieramente che do- vessero cattivarsi il popolo con vendergli i viveri a pic- ciolo e fàcil mercato , e poi persuadere i lor capi a che- tarsi in grazia dei Senato , nè astringere più Marcio al giudizio , e temporeggiare in fine lunghissimamente , se non lasciassero persuadersi , finché l’ ira del popolo si diminnissc. Ciò decretato portarono e proclamarono al popolo tra pubblici applausi l’ editto su i viveri cosi concepito che : sarebbero i prezzi de' generi necessari al vitto quotidiano , tenuissimi come innanzi la sedi- zione. Poi col molto insistere presso de’ tribuni ebbero per Marcio dilazion quanta vollero, se non piena asso- luzione. Anzi essi stessi gli procacciarono altro indugio , valendosi di questa occasione. Gli anziati , spedita una banda di pirati , aveano predato non lu ngi dal lido , (i) I CoDsvii.mentre tornavano in casa , le navi e i deputati del re di Sicilia , che aveano recalo i grani in dono ai Ro- mani , e volgendone ogni cosa come di nemici ad olile , ne teneano in carcere le persone. I consoli , ciò saputo , spedirono agli Anziati : ma non potendone per ambasciadori ottener la giustizia , decisero marciare colle armi su loro. Adunque fatto il ruolo di tutti gl’ie- gli ninna delle cose ordinate dalle leggi su de’ giudizj. Pareva ai consoli , deliberatisi col Senato, che non fosse da permettere che il popolo s’ impadronisse di un tanto potere. Or si diè loro un titolo giusto e legittimo d’im- pedirneli ; e credeano, usandolo, di renderne vani lutti i disegni ; tanto che invitarono a colloquio tutti i capi del popolo. Congregitisi cou quanti erauo gli opportuni per essi , Minucio disse : Tribuni , ci è piaciuto decre- tare che bandiscasi la sedizione da Jloma con tutte le forze , nè più nudrasi contesa ninna col popqlo ; vedendo voi principalmente che tornavate dalla vio- lenza alla giustizia ed alla ragione. Or noi lodando voi di questo proposito , abbiamo reputato che il Se- nato , come è patria usanza, vi precedesse co’ suoi decreti. E potete contestare voi stessi che dalP ora che i nosU'i avi fondarono Roma , il Senato che la ebbe , ritenne sempre questa precedenza : e che il popolo senza la previa risoluzione idi lui mai nò giu- dicò , nè votò non solo in questi tempi, ma nemmeno in quelli dei re. Tanto che li re non rimettevano al popolo , se non le cose decise in Senato , e così le confermavano. Non vogliate dunque levarci questo di- ritto , nè abolire tal bella istituzione primitiva. Preanv- monile il Senato, se avete il bisogtto di cose mode- rate e giuste , e quello che il Senato ne avrà giudi- cato , quello notificate al popolo , e ne decida. Cosi discorrendola i consoli , Sicinio mal sopportavali , nò volea render aibitro di cosa ninna il Senato. Ma gli altri , eguali a lui di potere , seguendo i suggerimenti di Lucio (i) consentirono che si facesse questo previo decreto. Imperoccbé ancor essi avevano (i)- Lucio Bruto: forte come pensa il Ccleoio , dee leggersi Decia in luogo di Imcìo, .Certamente in questi affari elibe parte anche De- ciò nominato prima e poi da Dionigi: vedi I. fi, § 8S. Bruto aveva, tt vero il pronome di Lucio ; Ma Dion'gi nou lo ha mai contratte* guato ancora col solo pronome.  r)ELLr* antichità’ romane falla ( nè i consoli la esclusero ) la istanza ragionevole ; Che il Senato desse la parola anche ai tribuni, che sono i procuratori del popolo , come agli altri che volevano aringare favorendo, o contrariando; e che infine , dopo udite le discussioni di tutti , -allóra cia- scun padre porgesse il suo voto , premesso il giura- mento legittimo , come ne’ giudizj , e dichiarasse cioc- ché gli paresse il giusto e V utile della repubblica : e quello si tenesse per valido che i più. preferissero. Concedendo i tribuni che si decretasse come i consoli dimandavano ; si divisero. Raccoltisi nel giorno appresso i padri in Senato , i consoli vi esposero le convenzioni: e quindi chiamando i tribuni gl’ invitarono a dire le cause per le quali venivano. £ qui fattosi innanzi Lu- cio , colui che avea condisceso che si facesse il previo decreto , disse : Potete ravvisare o padri ciocché sia per suc- cedere , vuol dire che noi saremo accusati appresso il popolo dell’ essere qui venuti, e che V accusatore sarà quel nostro collega , per quel previo decreto che V abbiam conceduto. Pensava costui che -non doves- simo noi chiedere da voi quello che ci attribuiscon le leggi , nè prendere per benefizio quanto avevamo per diritto. Chiamali in giudizio correremo in rischio non tenue , che condannati , abbiamo a soffrire bruttissi- mamente come chi diserta , e tradisce. Ma quantun- que ciò sapessimo ; noi siamo qui venuti , superiori a noi stessi j confidando su la rettitudine della cau- sa , e mirando ai giuramenti secondo i quali voi do- ' 'vete dirigere le vostre sentenze. Noi tenui siamo , e disacconci pià assai che non conviene , a parlar di tali cose, che piccole certamente non sono. Porgeteci non pertanto udienza y e se queste vi parranno giuste ed utili , e vi a^iungo , necessarie ancora pel conw ne , vogliate spontaneamente concedercele. Primieramente dirò sul diritto. Quando o se- natori cacciaste i monarchi avendo noi compagni nel- r opera, e fondaste il governo nel quale ora siamo, ed il quale noi non riproviamo , voi vedendo i plebei aggravati ne’ giudizj se mai li facevano ( e molti scn facevano ) co’ patrizj , emanaste per suggerimento di Publio Valerio consolo una le^e per la quale per- mettevasi a tutti i plebei sowerchiati da quelli di ap- pellare al popolo : e per niun altra, quanto per que- sta legge , procacciaste la concordia di Soma , e re- spingeste i re che vi tornavano in seno. Jn forza di questa l^ge citiamo codesto Caio Marcio dinanzi al popolo , e gli prescriviamo che risponda su cose nelle quali tutti ci diciamo da lui sowerchiati ed offesi. Nè su questo abbisognavi previo decreto del Senato. Imperocché voi siete gli arbitri di deliberare i primi, ed il popolo di confermare co’ voti quello su cui le le^i non pollano ; ma dove ci han le leggi , sono immobili , e debbono osservarsi , quantunque niente ora voi , perchè si osservino , decretaste. Già non dirà ninno che in caso di aggravio ne’ giudizj un privato appelli validamente al popolo , nè valida- mente v’ appellino i tribuni. E forti per tale conces- sion della legge , veniamo qui , non senza pericolo , ad esser sotto voi giudici. Pel diritto della natura , diritto che non è scritto , nè introdotto come le altra leggi , noi vogliamo che il popolo non sia nè da pià nè da meno di voi : mentre con questo diritto ha con voi sostenute molte e grandissime guerre, e mostrato ardore vivissimo per compierle , contribuendo non poco perchè Roma le desse , non ricevesse da alwi le leggi. Or voi farete che noi non siamo da meno che voi se frenerete col terror di un giudizio chiunque attenta contro le nostre persone e la libertà. Pen- siamo che i magistrati , le precedenze , gli onori deb- bansi compartire ai primi e pià virtuosi tra voi : ma pensiamo pure ben giusto che essendo tutti sotto un governo , tutti dobbiamo ugualmente e senza riserva o non essere offesi ^ o riceverne pari soddisfazione. Come dunque a voi concediamo que’ gradi sublimi e luminosi, così non vogliamo esser privi dei diritti eguali e comuni. Ma sebbene potrebbero aggiungersi le mille cose , bastino le dette fin qui sul diritto. XLII. Or quanto sian utili queste cose, quanto il popolo le apprezzi se faccianst , lasciate che io bre- vemente ve lo esponga. Su dunque : se alcuno vi di- mandi qual pensiate il pià grande de’ mali, quale la cagioH pià pìonta della roiàna delle città ; non di~ reste che sia questa la dissensione? certo che sì. Or chi è si stolido , chi sì fatto a rovescio , chi ■ sì ne“ mico della eguaglianza , il qual non veda, che se concedasi al popola di giudicare le cause che gli spettano , avrem la concordia ; ma se gli si neghi , leverete a noi per fino la libertà ( chè la libertà si toglie , a chi le leggi si tolgono e li giudizj ), e ci ridurrete ad insorgere nuovamente , e combattervi ? Certo che nelle città dalle quali si escludono i giu- dizj e le leggi , la discordia soUentra e la guerra. Chi non si è trovato in guerre civili non è meraviglia che per la inesperienza non senta ribrezzo de mah antecedenti , nò precluda i futuri. Ma quelli , che caduti come voi tra pericoli estremi , felicemente se ne liberarono , sgombrando i mali come permetlevasi dalle circostanze ; quelli , io dico , se vi ricadono , qual mai scusa aver possono sufficiente e decorosa ? Chi non condannerebbe la stoltezza e delirio vostro grandissimo , considerando che voi li quali per non avere la plebe discorde vi piegaste , non ha gìiari t a tante concessioni , forse non tutte convenevoli ed utili , ora vogliate in discordia tornarvela , tutto che non siate offesi negli averi , nelf onore , o in altre pubbliche cose , e solo per favorir chi la odia ? Se non che voi ciò non farete se savj. Con piacere io V interrogherei quali concetti erano i vostri quando ci concedevate il ritorno colle condizioni che chietle- vamo. Ne apprendevate voi forse ragionando un be- ne ? o fu necessità che vi ridusse a cedere ? Se ne apprendevate il bene di Roma , e perchè ora non vi ci attenete ? se fu necessità , se impossibilità di es- sere diversamente , or che vi dolete del fatto ? Biso- gnava , se pur tanto potevate , non cedere forse da principio ; ma ceduto avendo una volta , non dovete più rimproverarvene. A me sembra o padri che voi seguiste il vostro migliore nel paci/icarvici : ma se fu necessità di scendere a condizioni; ella è pure necessità man- tenercele. Voi gV Iddj chiamaste vindici degli accor- di , imprecando molte e terribili pene a chiunque li violava di voi o de nipoti in perpetuo. Ora io non Pedo perchè dobbiamo tediare pih a lungo voi che tanto bene il sapete , con dire che giuste ed utili sono le nostre dimande , e molta la necessità che vi astringe a corrisponderle , se memori siete de Mura- menti. Voi capite , o piuttosto ( giacché io non dico cosa che voi non sappiate ) voi tenete presente che rileva per noi non poco il non desistere dalla impresa per violenza o per inganno, e che un fortissimo sti- molo ci ha qui condotti , offesi gravemente , e pià che gravemente , da quest’ uomo. Date dunque su quanto ho detto il vostro voto , ma, dandolo , consi- derate qual sarebbe il vostro animo verso quel ple- beo , se alcuno pur ve ne fosse , il quale tentasse dire o fare centra voi nelle adunanze , ciò che qui codesto Marcio ha pur tentato di dire. Le convenzioni della pace sacrosante al Senato , quelle che munite più -che con vincoli ada- mantini j ninno di voi , per averle giureUe , nè de’ vostri discendenti può sciogliere , finché Roma fia Ro- ma ; quelle ha il primo codesto Marcio tentato di rovesciarle , non essendo nemmen quattro anni che si conclusero , e tentato ha di rovesciarle non col silen- zio , non da oscurissimo luogo , ma qui , pubblicissi- mamente , al cospetto di voi tutti', sentenziando, che non dovea più lasciarsi , ma ritogliersi a noi la po- destà tribunizia, che è la primaria ed unica difesa della libertà , e col mezzo della quale potemmo ri^ congiungersi. Nè qui C ardinsento finì del suo dire , ina vi consigliava a ritorcela ; divulgando come una ingiuria la libertà dei poveri , e tirannide nominando r uguaglianza. Risovvengavi ( era questa la più infame delle istanze sue ) com’ egli disse allora , che era pur venuto il tempo di ricordar tutte le ingiurie del po- polo nella prima discordia , e come esortava quindi a mantenere la stessa penuria di viveri , giacché il popolo , logoro dai disagf diuturni si ridurrebbe a cedere in tutto ai patrizj. Non resisterebbero i poveri gran tempo comperando a carissimo prezzo cibi scar-^ sissimi ma parte se ne andrebbero lasciando la cUtà, e parte rimanendovi, perirebbero infelicissimamerUe, E così delirava , così era in ira ogF Iddj ciò persua~ dandovi; che non discerneva che oltre i tanti mali co* quali travagliavasi per annientare i trattati del Se- nato , quando avrebbe ridotto i poveri i quali eran pur tanti , alle angustie de* viveri , questi poveri ap- punto farebbonsi addosso agli autori delle angustie, non più tenendoli per amici. Tanto che se voi pur delirando approvavate il suo parere; non restava più mezzo : ma ne andava la rovina intera del popolo , o de* patrizj. Imperocché non ci saremmo già dati quasi schiavi a spatriare o morire : ma chiamando i genj ed i numi in testimonio de' mòli che soffriva- mo ; avremmo riempiute , ben lo intendete , le piazze, e le vie di ukdergogne ; sin che tu abbi un altra difesa qua^ Itlnque; scendi da quel tuo enlusiatmo orgoglioso e tirannico , toma , o sciaurato , ai concetti del popolo : renditi simile agli altri', prendi come chi ha peccato e raccomandasi , un abito dismesso , addolorcvole * conforme ai disastri , e cerca il tuo scampo ; umilian- doti, non insolentendo dinanzi gli oltraggiali da te. Sianti esempio di bella moderazione^ le opere , le quali se tu avessi ùnitalo , non saresti ora ripreso dai tuoi cittadini , io dico, quelle di tanti buoni , quanti qui ne vedi, segnalati per tante virtù militari e ci- vili, quante non sarebbe facile nemmeno in grati tempo pen.orrere. Li quali quantunque grandi e ris- spettabili ; niente mai fecero di duro , niente di or^ goglioso contro noi si tenui e bassi , e primi intromiì- sero discorsi di pace , primi la pace offerirono , quando la sorte ci avea separati, e concedcron la pace non su le condizioni che essi riputavan migliori, ma su quelle che noi chiedevamo ; dandosi infine premura grandissima di levcu'e i disgusti recenti su la dispenstt de' grani per la quale noi gli accusavamo. Ma tralasciando le altre cose , quali ptc*- ghiere non fecero per te , nel tuo superno acceca- mento , presso tutti , e presso ciascuno del popolo per involarti alla pena? Appresso i consoli ed il Settato, i> quali invigilano su questa , tanto grande città , cre- deron bene che al giudizio ti sottomettessi del pò- polo , nè tu o Marcio a bene lo tieni ? Questi tutti non han per un biasimo il pregare per tuo scampo il popolo , e tu per biasimo tei prenderai? JVè ciò li bastava , o magnanimo ; ma quasi fatta una belV o» pera , ne vai con fronte altera e magmfìcandoti , e niente adoperandoti a mansuefarli? per non dire che insulti , che rimproveri , che minacci la plebe. E pre- tendendo lui quanto niuno di voi ; non vi sdegnerete , o Padri , a tanto orgoglio ? Se voi tutti risolveste di accingervi ad una guerra per esso ; egli dovrebbe amarvene , e tenersi tutto pronto per voi, non accet- tar però mai un tal bene privato col danno comune, ma sottomettersi alle difese , alla sentenza , a tutte infine le pene , se bisognasse. Questo- sarebbe l’ ob- bligo di un vero cittadino , di uno che vuole il bene colle opere , non colle parole. Ma le violenze pre- senti qual ne additano mai C indole sua , quale la inclinazione ? quella appunto di violare i giuramenti , di tradire la fede, di rescinder gli accordi, di far guerra al popolo , di oltraggiare le persone dei ma- gistrati , di non sottometter la propria per niuna mai di queste cause , e di girarsela franchissimamente, non come un eguale di tanti cittadini, ma come uno che niun teme , e di niuno abbisogna , immunissimo in tutto da tribunali e discolpe. Or non è questo un vi- vere alla tirannica? certo che jì / Eppure a conforto di quest’ uomo spargono aure lievi e suoni dolci, al- cuni tra voi che pieni di odio implacabile verso del popolo non san vedere che questo male si termina anzi contro de’ nobili che degl’ ignobili , e credonsi affatto sicuri, sol che deprimano il partito che è loro contrario per natura. Ma non così sta il vero , ingan- nati che siete. Prendete a maestra la esperienza che Marcio stesso vi somministra , prendetene il corso dei tempi: illuminatevi per gli esempj stranieri insieme e domestici.^ e ravvisale , che la tirannia la qual nu- dtesi contro i plebei , contro tutta la città si alimene ta: e che la tirannia che ora contea noi s’ incornine eia , fortificatasi , contea tutti ruggirà. Ragionate queste cose da Oecio , e supplite da’ triboni compagni quelle che mancar vi sembravano , quando il Senato nè dovè sentenziare , levaronsi i primi in piedi i seniori tra gii uomini consolari , inviati se- condo r ordjne consueto dai consoli , e quindi via via gli altri men riguardevoli per queste qualità : seguirono ultimi i giovani , ma non disser parola ; perocché ci avea di que’ giorni ancora tra’ Romani la verecondia , che niun giovane si arrogava saperne più degli anziani. Pertanto accostaronsi essi alle sentenze de’consolarì. Erasi preordinato che i senatori presenti giurassero prima , come ne’ tribunali , e poi dessero il voto. Appio Clau- dio il patrizio , come ho detto , più acerbo col popolo, e che mai non aveva approvato che si concordasse con esso, mal soffriva che ora si facesse un pari decreto, e disse : Avi'ei veramente voluto , e più voltf ne ho supplicato i numi , essermi sbagliato io circa il sentimento su la pace col popolo , vede a dire che il ritorno de’ fi frusciti non era nè giusto , nè decoroso , nè utile; tanto che quante volte sen prese a trattare^ tante io primo ed ultimo mi vi opposi , anche abbona donalo da tutti. Anzi avrei voluto o padri , che voi li quali per le speranze concepute del meglio , cora-^ Digilized by Google 3-y4 delle Antichità.* boriane (UscendesCe ed popolo sul giusto e su t ingiusto , He compariste ora più savi di me. Hiuscitevi però le cose, non come io desiderava , anche pregando_ne i numi , ma come io prevedeva , e cangialevisi le beneficente in vilipendio ed odio ; io lascerò , come estraneo a ciò che dee farsi , di riprendervi e di contristarvi in vano per le vostre mancanze , quantunque sarebbe pur facile , ed è pur questo f uso dei più. Dirò piut- tosto ciò che può rettificare le cose passate , quelle almeno che non sono in tutto insanabili, e renderci più savj circa le presenti. Quantunque non ignoro , che dicendo io liberamente i miei sentimenti , parrò farneticare e sagrifìearmi , ad alcuni di voi , li quali considerino quanto sia disastroso il parlar francamente, e riflettano la calamità di Mcuxio, il quale non per altra cagione ora corre perìcolo della vita. Ma io non penso che la cura della propria salvezza sia da pre- giarsi più che il pubblico bene. Già questa mia per- sona è tutta pe’ vostri pericoli , tutta pe' cimenti della patria ; tanto che gl’ incontrerò generosissimamenle , come piace agl’ Iddj , con tutti voi , o con pochi ^ e solo ancora , se bisogna. Nè finché io vivo , mai mi terrà la paura dal dire quello che io penso. E primieramente io voglio elte vi persua- diate una volta senza eccezioni che il popolo è ma- laffetto , e nemico al governo presente f e che qua- lunque cosa gli avete , coma deboli , corueduta , £ avete spesa vanissimamente , e vi è stala cagione di vilipen- dio , quasi conceduta £ abbiate per forza , non a ra- gion veduta , c per beneplacito. Considerate come il popolo si appartò da voi , pigliando le armi , e come ardi mostrarvìsi palesissimamente per inimico , non o^eso da voi realmente , ma fingendosi offeso : per- chè non polca corrispondere a suoi creditori, e di- cendo , che se decreten ate la remissione dei debiti, e la condonazione delle colpe commesse per la sedi- zione , non desidererebbe più oltre. 1 più di voi, non però tutti , sedotti da vani consiglieri ( cosi /atto mai non lo avessero ! ) deliberarono di anntdUire le leggi, mallevadrici della fede pubblica , nè più ricordane , nè perseguitare l’ esorbitanze passate. Egli però non si tenne già contento di questa concessione , pel solo bisogno della quale diceva di essersi ribellato ; ma ben tosto pretese altra prerogativa più grande, e meno legittima : io dico quella di eleggersi ogni anno dal- t ordin suo i tribuni , pretestando il troppo nostro potere, peichè fossero scudo e rf i^io d poveri oltrag- giati ed oppressi, ma in realtà tendendo insidie alio stato delta repubblica , e volendola ridurre democra- tica. Adunque vi persuasero questi consiglieri a la- sciare che entrasse in repubblica il tr ibunato ; come in fatti vi entrò per isciagura comune , e princìfxd- mente in onta del Senato , mentre io , se bene ve ne ricorda , tanto ne schiamazzava , protestando ai numi ed agli uomini , che introdurreste tra voi una guerra interna ed implacabile , e presagendovi tutti i mali, quanti ve ne avvengono. E questo buon popolo che vi ha egli fatto dopo che gli avole conceduto il tribunato? Non ha già va- luta’o degnamente tanto dono , anzi nemmeno da voi prese con prudenza , e con verecondia , come so glie lo abbiate accordato , premuti e costernali dalle forze di lui. Ha detto che aveasi a rendere sacro , inviolabile, sicuro pe giuramenti , ed ha pretesa un autorità migliore che rwn quella da voi destinata pei consoli. E voi avete tollerato ancor questo, e là tra le vittime giuravate la roidna di voi e de’ vostri di-- scendenti. E dopo questo ancora che vi ha fatto egli mai questo popolo ? In luogo di riconoscervene ,  dolora per le altrui sciagure, e sa compatire gli uomini costituiti in dignità, se la sorte loro travolgasi. Tuttavia diresse a Marcio la maggior parte del discorso mista di ammonimenti , di esortazioni , e di preghiere che face- vano violenza. E giacché egli era la causa . della discor- danza del popolo dal Senato , e calunniavasi come ti- rannica la esuberanza delle sue maniere, e temeasi che per lui si desse principio alle sedizioni e ai mali gra- vissimi, quanti ne sorgono dalle guerre civili; pregavalo a non verificare , o non confermare almeno le incolpa- zioni e le paure con quel suo nou gradito contegno : assumesse un abito più umiliato : sottomettesse la sua persona per dar conto a quelli che chiamavausi oltrag- giati da lui : si presentasse alle difese contro di un ac- cusa ingiusta si , ma che in giudizio appunto si annul- lerebbe. Sarebbe un tal fare più sicuro per la salvezza, più splendido per la fama che desiderava , e più con- sentaneo colie opere antecedenti. Dichiarava che se ostinavasi anziché raddolcirsi , e se riduceva , persua- dendoli , i padri a subire ogni pericolo per òsso , mi- sera sarebbe per loro se vinti la perdita, ma turpissima se vincitori , la vittoria. E qui tutto davasi al pianto , riepilogando i mali gravi e non dubbj che straziano nelle discordie le città. LY. Tali cose esponendo con molte lagrime non artificiose 'e noa finte , ina vere , egli venerabillstima per anni e per meriti , come videne commosso tutto il Senato , cosi con più confidenza seguitò , dicendo : Se alcuno di voi conturbasi , o padri , pensando che in- troducesi un tristo costume nel concedere al popolo di votar su patrizj , e che non produrrà niun bene f autorità de' tribuni che tanto si fortifica , sappiate che voi siete errici , e v ideate il contrario di quel che conviene Imperocché se mai vi sarà metodo sa- lutare , metodo per cui non si tolga né la libertà nè le forze a Romec, e per cui le si conservi in perpetuo la concordia ; senza dubbio il metodo principalissimo sarà quello che assumasi anche il popolo al goverrto, talché non sìa questo nè pretta oligarchia , nè demo- crazia, ma un tal misto di tutti. E questa la forma che più che tutte ne giovi ; perchè ciascuna delle al- tre , applicata sola , com* è per sestessa , scorre faci- lissimamente alle insolenze ed alle ingiustizie; laddove quando una forma si abbia ben contemperata da tutte , allora se una parte commovesi ed esce dal- r orditi suo , vien contenuta sempre dall altra, che è savia, e tiensi al dovere. La monarchia divenuta dura^ superba , tirannica , suole abbattersi da pochi valenti uomini : la oligarchia , qual voi t avete al presente , se troppo s' innalza per le ricchezze e per le ade- renze, nè più tien conto della giustizia e della virtùf si annienta da un popolo savio : un popolo savio e che vive secondo le leggi , se poi volgesi ai disordini ed alle ingiustizie; è sopraffatto dalle arme, e rimesso piomat , tamo II. ' . j5 Digìtized by Google 386 DELLE antichità’ ROMANE in dovere dal pià forte. Voi trovaste, o padri, rimedj efficaci perchè il potere di un solo non si mutasse i n tirannide. Voi scegliendo in luogo di un solo due capi della repubblica , e dando loro il comando non per un tempo illimitato, ma per un anno; destinaste oltracciò per invigilarli i trecento patrizf, i più anziani e più grandi , da' quali è composto il Senato. Ma voi , per quanto si vede , non avete fin qui messo per voi niun che vi osservi , e tenga in dovere. CeT’~ tornente io finora non temei che vi corrompeste ancor voi tra t abbondanza , e la grandezza dei beni, per-- chè non è molto che avete liberato Roma da una vecchia tirannide ; nè aveste mai comodo di scapric- ciarvi e cC insolentire per le guerre continue e lunghe. Ma riflettendo io ciocché può succedere dopo voi , e quante mutazioni suol produrre la diuturnità dei tempi ; temo che i potenti del Senato si rimescolino, e riducano per occulte vie finalmente il governo in tirannide. Ma se comunicherete il comando col popolo, non sorgerà quindi alcun male. E se altri ( giacché tutto dee prevedersi da chi consulta su la repubblica) se altri tenti elevarsi più de’ colleghi e del Senato , procacciandosi un seguito di uomini pronti a congiu- rare e ad offendere ; costui citato dai tribuni al po- polo, per quanto egli sia grande e magnifico, renderà conto ai negletti ed ai poveri : e trovatosi reo , ne subirà le pene che merita. Ma perchè il popolo con tal potere non insolentisca nemmen esso , nè guidato da capi rei s’ inalberi contro de' buoni, tiranneggiando che nasce tmcìie nel popolo la tirannide ) ; lo invi- gilerà , nè pennellerà che ne abusi un uomo distin- tissimo per saviezza. Un dittatore eletto da voi con potere assoluto, inappellabile , separerà dalla città la parte infetta di popolo, nè lascerà che la sana se ne corrompa. Egli , riordinati i costumi e le preclare maniere del vivere, nominati i magistrali, che giudica savissimi per la cura del pubblico , ed eseguili tali cose in sei mesi , rientri di bel nuovo nella classe de’ privati , conservando per sè t onore , e non più. Pertanto considercutdo vqì questo , e giudicando bo- nissima tal forma di repubblica , non vogliate da ciò che chiede escludere il popolo. Ala come avete attri- buito al popolo che scelga ogni anno i magistrali che regolino , che ratifichi o annulli le leggi , e decida della guerra e della pace, cose tutte rilevantissime e principali tra quante in uno stato sen facciano ; nè avete di niuna di esse lasciato cubitro indipendente il Senato ; cosi chiamale anche il popolo a parte dei giudizj , massimamente se alcuno sia accusato di of- fendere la stessa repubblica, eccitando sedizioni, pre- parando la tirannide, convenendosi co’ nemici di tra- dirci, e macchinando mali consimili. Imperocché quanto più renderete terribile agl indocili ed ai superbi la trasgression delle leggi , e le innovazioni di Stato , mostrando intenti su loro più occhi e più guardie ; tanto più la repubblica starà nel suo fiore. Dette queste e cose consimili , tacque. Con- vennero nel parere medesimo gli altri senatori sorti dopo lui , eccettuatine pochi. E standosene ornai per formare il decreto ; chiese Marcio la parola e disse : Quale, o padri coscritti , io sia stato verso la repub^ blica , come io sia venuto in tanto pericolo per la benevolenza mia verso di voi , e come ora io ne sia da voi contraccambiato fuori della mia espettazione , voi tutti il vedete , e meglio lo intenderete ancora dopo dato un fine alle mie cose. Ed oh ! se come la sentenza di Valerio prevale ; così vi giovasse , ed io mi sbagliassi nelle mie congetture sul futuro. Al- meno però perchè voi che siete per emanare il de- creto , conosciate le cause p^r le quali mi consegniate al popolo , nè io ignori su che sarà combattuto nel- t adunanza di esso ; intimale ai tribuni che dicano alla presenza vostra la ingiustizia su la quale mi ac- cuseranno , e qual titolo diasi a questo giudizio. LVin. Egli cosi diceva , perchè congetturava che a* vrebbe a difendersi appunto pe’ discorsi fatti in Senato, e perchè voleva che i tribuni convenissero che su que» sto appunto verserebbe l’azione. Ma i tribuni consulta- tisi lo accusarono che brigato avesse la tirannide, e su. questa accusa chiedevano che venisse a difendersi. (Schivi di restringere 1’ accusa ad una sola causa , e questa nè valida nè cara ai Senato ; riserbavansi il potere di ac- cusarlo su quanto volevano > pensando che resterebbe così Marcio spogliato di tutto il soccorso del Senato ). Marcio dunque replicò: se io debbo essere giudicato su questa calunnia , mi sottometto ed giudizio del popolo , nò mi oppongo che ne stenda il Senato 'il decreto. Piaceva al più de’ padri che su ciò si rigi- rasse l’accusa e per due fini: perchè da indi in poi non più sarebbe un senatore incolpato per dire cioc> chè pensava nelle consultazioni ; e perché di leggieri quel valentuomo se ne purgherebbe, sobbriissimo altron« de , ed irreprensibile nella vita. F u dunque , secoudo ciò , steso il decreto pel giudizio : e dato a Marcio tem* po per preparar le difese da indi al terzo mercato. Te- nevasi allora , e tuttavia si tiene da’ Romani il mercato in ogni nono giorno. In questi adunandosi i plebei dalle campagne in città ; vi cambiavan le merci, e vi discu- tevano le liti private : e ricevendo i voti ; sentenziavano su le cause pubbliche , riservate loro dalle leggi , o dal Senato. Negli otto giorni intermedj a’ mercati viveansi nelle campagne , essendone i più di loro lavoratori e poveri. I tribuni preso il decreto, e recatisi al Foro, v’adunàrono il popolo : e lodatovi con ampj encomj il Senato , e lettavene la sentenza ; intimarono il giorno nel quale si finirebbe quella causa ; raccomandando a tutti d’ intervenire , perchè discuterebbono importantis- sime cose. LIX. Divulgato ciò ; vivissime furono le cure e i ma* neggi de’ plebei e de’ patrizj ; di quelli come per punire un arrogante , e di questi perchè non restasse all’ arbi- trio de’ loro avversar] il difensore del comando de’ po- chi. Pareva ad ambi che si mettessero in quella causa a pericolo i diritti tutti della vita e della libertà. Giunto il terzo mercato , si ridusse dalle campagne in città tanta moltitudine , quanta mai più per addietro , occu- pando infino dall’ alba il Foro. I tribuni la invitarono a riunirsi per tribù , separando con funi il sito dove ciascuna si alluogherebbe. L’ adunanza su quest’ uomo fu la prima la quale votasse per tribù ( i ) , sebbene as- sai si opponessero i palrizj perchè ciò si facesse ; chie- dendo che si tenessero, com’era l’uso della patria, i comizj per centurie. Imperocché ne’ primi ten>pi se il popolo dovea votare su di una causa qualunque rimes- sagli dal Senato ; i consoli adunavano i comizj per cen- turie, compiendo prima i sagrifìzj legittimi , che in parte si compiono ancora. Il popolo ordinato come nei tempi di guerra sotto i centurioni e le insegne , adu- navasi nel campo di Marte posto innanzi della città. Quivi non prendevano e davano tatti insieme il lor voto ; ma ciascuno nella propria centuria , secondo che eran chiamate dai consoli. Ed essendo le centurie cento novanta tre , e dividendosi queste in sci classi , chiama- vasi innanzi tutte , e dava il suo voto la prima classe , la quale formata dei più riguardevoli per sostanze , e primi negli ordini militari , comprendeva diciotto cen- turie equestri , ed ottanta appiedi. Appressò votava 1’ al- tra classe la quale men comoda per sostanze , seconda nell’ ordine della battaglia , e men cospicua de' primi per armatura , formava venti centurie; aggiuntene ancor due di artefici , i quali apprestano legni e ierro , ed ogni altra macchina militare. Costituivano i chiamati nella terza classe venti centurie , inferiori tutte nell’ onore , nell’ ordine della battaglia , e nelle armi , non simili a quelle de’ precedenti. Gli altri chiamati appresso , rispet- tabili anche meno in pregio di sostanze e di armi , ma più sicuri di posto nella battaglia , divideausi ugualmente (i) Anni di Roma a63 secoado Catone, aR5 secondo Varrone , a 4^ ae- Cristo.  ia venti centurie ; alle quali se ne univano altre due y di suonatori di corni e di trombe. Qiiamavasi per quIn-i>. 4 t S'So j ù tratta la materia medesima. I soldati che qui si dicoDo immuni dai cataloghi militari, erano certameule liberi dalle coscrizioni: peral- tro potevano militare se volevano. (a) Nella prima classe ci aveano ottanta centnrie appiedi a diciotto a cavallo, ìu lutto novanlollo vedi loco citato. Le altre classi in tutto costituivano novantacinque centurie : perchè la seconda classe com- prendeva venlidua centurie: la terza venti: la quarta di nuovo ven* lidne : e la quinta trenta; risultaudo la sesta da una sola. Digitized by Google 3q2 delle antichità’ romane bio da ricorrere al voto fioale de’ poveri. Era questo il refìigio estreirio , se mai le cento novantadue centu- rie scindeansi in parti eguali ; e ne preponderava la parte alla quale quell’ ultimo voto si volgeva. Chiedeano i difensori di Marcio che si adunassero i comizj ordinati secondo gli averi, immaginandosi forse che il valentuomo sarebbe liberato dalle novantotto centurie' della prima classe quando le chiamavano, o dalie altre almeno della seconda o della terza. Ma sospettando eziandio ciò li tribuni , conclusero che si avesse a riunire il popolo per tribù , e così renderlo giudice della contesa ; perchè nè i poveri ci avessero men potere dei ricchi , nè i soldati leggeri men di quelli di grave armatura , nè la molti- tudine , differita per 1’ ultima chiamata , fosse impedita a dare egnal voto. Divenuti tutti pari nell’ onore . e nel voto , avrebbero ad una sola chiamata dato i loro suf- fragi tribù. Or pareano i tribuni più giusti che gli altri , col pensare che il giudizio del popolo fosse ve- ramente del popolo , non della parte fautrice degli ot- timati ; e che su le offese di tutti , tutti dovessero sen- tenziare. Conceduto ciò con stento da’ patrizj , essendosi ornai per disputare la causa , Minucio 1’ altro de' con- soli ascese il primo in ringhiera , e disse quanto eragli stato commesso dal Senato. E prima ricordò tutte le be- neficenze , quante il popolo ne avea ricevute da’ patri- zi : e poi chiese in contraccambio di queste , eh’ eran pur tante, che il popob concedesse una grazia, neces- saria ad essi che la domandavano , pel pubblico bene : quindi lodò la concordia e la pace e rilevò di quanti beni Sten causa I’ una e T altra nelle citUi: condannò le sedizioni e le guerre intestine; e mostrò, che ne erano stale distrutte le città con gli abitanti , anzi le • intere nazioni : raccomandò che secondando l’ira non isceglies* sero il peggio per lo migliore: che provredessero il fu- turo con saviezza , non si valessero in consultazioni gra» vissime dèi consiglio de* cittadini più tristi , ma di quelli che tenean per bonissimi , da’ quali sapeano «sere stata tanto giovata in guerra ed in pace la patria , e de’ quali non era giusto che diffidassero, quasi avessero già mu- tato > natura. Era 1’ intento di tanti discorsi , che non dessero niun voto contro di Marcio , ma in vista prin- dpal mente di essi assolvessero quel valentuomo ; ricoi> dandosi quale egli era stato per la repubblica, quante guerre avea portato a buon termine per. la libertà e per r impèro di Roma , e come non farebbero cosa nè pia; nè giusta, nè degna di . loro, se ingrati alle opere segna- late di lui ne punissero le vane parole. Esservi bellis- sima la opportunità di dimetterlo ; giacché egli presen* tava la sua pmeona ai nemici , per subirne in pace il giudizio che di lùi formerebbero. E se non che ricon- ciliarsegli , persistevano duri , implacabili con esso , al- meno giacché il Senato trecento i: più insigni della città, facevasi a supplioudì , s’ impietosissero e mansuefacessero, ciò considerando ; nè per punire un nemico ributtassero le {««ghiere di tanti amici , ma in grazia di tanti va- lealuomini condonassero la pena di un solo. Dette que- ste consimili cose , aggiunse in ultimo , che se assol- vesserò dopo dati i voti un tal uomo , parrebbouo ril.i- aciarlo per non esser stato un ofTeusore del popolo : ma se proibivano di prosegniroe il giudieio , mostrerebbero di donarlo a tanti che per lui supplicavano. E qui taciutosi Minucio, fecesi innanzi Sicinio il tribuno, e disse: che. uè egli tradirebbe la libertà del popolo , nè permetterebbe di buon grado che altri la tradissero. Pertanto se i patiizj sottomettevano realmente un tal uomo al giudizio del pòpolo , iàrebbe che su lui si votasse, nè punto da ciò i si scosterebbe. ^ E; qui su- bentrando Minucio replicava : Poiché- siete o tribuni fermi in tutto eli dare il voto su quest’uomo; almeno non lo accusale di altro che della offesa imputatagli. K poiché lo dinunziaste reo di ambita tirannide di* chiarate e convincete, ciò con gli argomenti t ma' non vogliate .nè ricordare nè accusare le parole , le quali 10 incolpavate, di^ carer . detto in Senato.^ Imperocché 11 Senato lo dichiarava immune da que'sta colpa j e sentenziò phe al popolo si. presentasse '..per le cause convenute. E qui lesse la seuteoBa. E pò ,bn gli altri più potati de’ tfibutii. Ma- non eà' tosto' tocoù atMarciu-di perórare , combaciando da capo , numttò quante spedizioni mili- tari avea sostenuto dalla prima età sua>per.^ blica , quante corone trionfali avea' riportate da saoi cc.^^ mandanti , quanti erano i nemici presi da lui prigionie- ri , quanti li Cittadini salvati nelle battaglie. E ad ogni dir suo mostrava i premj dati al suo valore, e ne profferiva io testimonio I capitani , e ne chiamava a nome i cittadini liberati. E questi si presentavano sospirando e supplicando i cittadini a non uccidere , nè distruggere come nemico chi era la causa della loro salvezza ; chie- dendo la vita di un solo per quella di tanti , ed esi- bendo in luogo di lui sestessi , perchè come più vo- leano ne disponessero. Erano i più di loro del popolo » anzi al popolo utilissimi. E preso il popolo da verecon- dia all’ aspetto ed alle lagrime di tanti ne impietosi , e ne pianse. Quando Marcio squarciandosi 1’ abito , mo- strò pieno il petto , piene le altre membra di cicatrici , e dimandò se credeano poter esser le opere di un uomo stesso salvare il popolo in guerra dà nemici, e saU alo opprimerlo nella pace : e se chi fonda una rannlde , caccia dalla città una porle del popolo, dal (filale principalmente la tirannide si alimenta e cor- rohora. E lui parlando ancora , tutti i più mansueti , e più umani del popolo esclamavano, che si rilasciasse: e vergognavansi che stesse fio dal principio in giudizio per simil cagione un uomo che avea tante volte spre- giata la propria salvezza per quella di tutti. Ma tutti i più invidiosi , tutti i più malevoli ai buoni , e più pronti alle sedizioni , soffrivano di mai in cuore di avere a li- berare un tal uomo : tuttavia non sapeano che più fare, non apparendo in esso indizj nè di tirannide , nè di ambizion di tirannide , e su ciò dovessi giudicare. Or ciò vedendo quel Decio che avea ragio- nato in Senato , e procurato che si stendesse il decreto per la causa , levatosi in piede fece silenzio e disse : Poiché , o popolo , i patrizj hanno assoluto Marcio dalle parole dette in Senato , e da fatti violenti e superbi che le seguirono: nè vi hanno lasciato mezzi onde accusarlo ; udite , non le parole , no , ma la egregia cosa che questo valentuomo vi apparecchiava ; uditene £ orgoglio , la sovverchieria , e conoscete qual vostra legge , egli privatissimo uomo , violasse. Koi tutti sapete che quante spoglie nemiche ci riesce di acquistar col valore , tutte per legge son del comune, e che niuno, nemmeno lo stesso capitano , non che un privato , ne è £ arbitro ; sapete che il questore le prende , le vende , e , fattone danaro , lo versa nel pubblico erario. Or questa legge che niuno da cheRoma è Roma non solo non ha mai violato , ma nemmeno ha ripreso come non buona ; questa già firmala , invalsa , questa ha £ unico Marcio con- culcata, appropriando le prede che erano del comune, £ anno scaduto , e non prima. Imperocché essendo noi scorsi su le terre degli Anziati , e pigliato aven- dovi prigionieri , e bestiami , e frumenti , ed altro in copia ; egli non depositò già tutto' nelle mani del questore: e nemmeno, alienandolo, ne mise il prezzo nel£ erario : ma divise in dono agli amici suoi per cattivarseli, tutta la preda ; or questo io dico eh’ egli è argomento certissimo di tirannide. E come no ? Costui beneficava col tesoro pubblico li suoi adulatori, li custodi della sua persona , li cooperatori della ti- rannide. E vi affermo che questo fu come un abro- gare manifestamente la legge. Or su, facciasi pure innanzi Marcio , e dimostri £ una o £ altra delle due; omelie egli non compartì le belliche prede a’ suoi amici ; o che se bene ciò fece , non ruppe la legge. Ma egli non potrà dire ninna di queste due cose. Imperocché voi sapete ( una e V altra , la legge e t opera : Nè mai potrete coll assolverlo , dar vista di conoscere i diritti ed i giuramenti. Lascia o Marcio le corone ed i premj , lascia le ferite ed ogni osten- tazione , e rispondi a questo , su che li concedo ornai che tu parli. Cagionò tale accusa grande mutazione; e li più dolci, e più premurosi per I’ assoluzione di questo uomo si rallentaron ciò udendo. E li più perfidi , quali erano i più della plebe , deliberati allatto di perderlo , vi si ostinarono ancor più , per una occasione si gran- de , e si- manifesta. EU’ era ben vera la distribuzion della preda , non era però fatta per mal genio , nè in vista di una tirannide , come Decio calunniava, ma solo con fine benissimo , con quello cioè di riparare ai mali della repubblica : perchè essendo allora il popolo di- scorde ed alienato da’patrizj , i nemici dispregiandoli, ne scorrevano e ne predavano di continuo le campagne. E quante volle parve al Senato di spedire una forza che li reprimesse , ninno usciva del popolo , anzi giubbilava contemplando i casi d’ intorno , nè le forze dei patrizj ba- stavano a contrapporsi. Or ciò vedendo Marcio promise ai consoli, se lo creavano capitano, di portar su' nemici un’ar- mata spontanea, e di pigliarne ben tosto vendetta. Ottenuto Marcio il potere , congregò li clienti, gli amici , e quanti voleano partecipare le sue fortune , e la sua gloria nelle armi. E quando parvegli che si fosse raccolta milizia suf- ficiente ; la menò su’ nemici che niente ne prevedeano. Scorso in region doviziosissima , ed arbitro divenuto di amplissima preda , permise alle sue milizie che tutta se la dividessero , afUnchè li compagni dell’ impresa , rac- coltone il frutto , andassero pronti anche agli altri ci- menti : e quelli , che impigrivano in casa, considerando da quanti beni , a’ quali poteano partecipare , gli allon- tanasse la sedizione; divenissero più savj per le spedi- zioni seguenti. Tale era su ciò la idea del valentuomo. Ma la turba invida e tenebrosa , considerandone con malvolere le operazioni, credette vedere in esse un pre- dominio , nna largizione tirannica. Dond’ è che il Foro si riempié di clamori e di tumulto : nè più Marcio , nè il consolo , nè alcun altro sapeano che rispondere , riu- scendo la incolpazione inaspettata ed improvvisa. Poi- ché dunque ninno più faceane le difese; i tribuni di- spensarono alle tribù li suffragi , proponendo per pena del delitto Y' esilio perpetuo , io credo perchè temevano, che se proponevano la morte, non sarebbevi stato con- dannato. Dato da tutti il voto , e numeratili , non vi fu gran divario. Imperocché essendo allora ventuna le tribù le quali ottennero il voto , nove si decisero per la li- berazione di Marcio , tanto che se altre due vi si ag- giungevano , sarebbe stato , còme ordina la legge , libe- rato per la uguaglianza (i). (i) Se le trìbCk erano at , e nove si dichiararono per Marcio: dunque dodici lo condannarono; e però ire o non due altre trilnt ci Toleano per uguagliare i Voli della condanna e dell’ assoluzione. Forse Dionigi Tuoi dire che se la tribù condaunaTauo cd undici assolvevano, l’efHcacia de’ voli era la stessa in guisa, che per uu voto di più non cnndannavasi il reo, ma si rilasciava. Se ciò è, nel lesto non vi è discordia , ma la voce dovrà tradursi I Fu questa la prima oitasione di un patrizio al popolo per esserne giudicato : e d’ allora in poi fu stabilito il costume che i tribuni chiamano chi lor piace de’ cittadini a subire il giudizio del popolo. £ dopo tal fatto ancora assai il popolo si elevò , decadendo nom- tneno il potere de’ pochi , perché ne furono ridotti ad ammettere > plebei nel Senato , a concedere che aspi- rassero agli onori , a non vietare che prendessero i sa- cerdozi , e a dividere con essi per forza e loro malgra- do , o per provvidenza e saviezza , i tanti bei pregi , un tempo proprj solo de’ patrizj , come ne’ luoghi op- portuni diremo. Del resto l’ uso di citare i cittadini pri- mai'j al giudizio della moltitudine può somministrare ma- teria ben ampia di discorso a chi vuol biasimarlo o lo- darlo ; perciocché molli uomini probi ed egregj ne so- stennero cose non degne della loro virtù , fatti inglòrio- sameute uccidere e malvagiamente pe’ tribuni : e per r opposito ne pagarono pnre la debita pena molti uomini aiToganti e tirannici , astretti a dar conto del vivere e procedere loro. Quando dunque vi si faceano con cor buono le discussioni , e vi si reprimevano le esorbitanze dei graudi , quella sembrava mirabilissima cosa, ed erano da tulli lodata : ma quando a torto il merito vi si pro- strava de’ valentuomini egregj nel governo del comune ; sembrava orribilissima , e gli autori se he accusavano non per la uguaglianza de' voti come abbiamo (allo ma per la effi- cacia de’ voti. Sappiasi in fioe che talono de’ critici afferma che le tribù allora erano 3i, e non 3i ; ma il Sigonio de civiiate Rom. G. 3, ed Onofrio Vanvlno al c. 8 , sostengono che erano realmente Tcntuna. della coDsnetudtne. Esaminarono , evvero , più volte i Romani se la dovessero annullare , o custodire come r aveano ricevuta dagli antenati ; ma non diedero mai fine all’ esame. E se pur io debbo dirne ciocché ne pen- so, a me ne sembra la istituzione, se per sé si consi- deri , vantaggiosa , anzi necessariissima a Roma ; esservi però più o mcn bene riuscita , secondo il carattere dei tribuni. Imperocché se scontravansi savj , giusti , e sol- leciti del pubblico , più che del proprio lor bene , e se chi offendeva la patria ne era , come dovea , castigato; in tal caso un timor vivo frenava ancor gli altri dai fare altrettanto. E 1’ uomo buono , 1’ uomo avvanzatosi eoo cuore puro ai maneggi pubblici né subiva pene vergo- gnose , né gìudizj , alieni dal procedere suo. Ma quando aveansi il poter tribunizio nomini scellerati , intempe- ranti , avari , succedeane tutto l’opposito. Tantoché non dovessi rettificar come erronea la consuetudine , ma curar piuttosto come si avesser tribuni probi ed onesti, senza che tanta autorità temerariamente si conferisse. Tali furono le cagioni , e tale il termine della prima sedizione de* Romani dopo la espulsione dei re. Io ne parlai lungamente , perché ninno si meravigli come i patrizj permisero che il popolo si attribuisse tanto po- tere , nè succedessero intanto come in alure città , gli eccidj e le fughe degli ottimati.' Ciascuno brama cono- scere delle insolite cose la cagione ; proporzionandosene a questa la credibilità. Dond’è che io conclusi che non sarei stato creduto in gran parte o in tutto , se io di- ceva nudamente , e senza allegarne le cause* , che i pa- trizj aveano ceduto ai plebei la primazia ; e che polendo dominare come nei comando dei pochi, aveano fenduto il popolo arbitro di affari gravissimi: e cosi concludendo ; volli esprimerle tutte. E poiché ira loro non si violentarono e necessitarono colle armi, ma coo- cordaronsi colla persuasiva , giudicai portare il pregio dell’ opera , che si esponessero soprattutto i discorsi te- nuti allor dai primari ciascun dei partiti. E ben io mi stupirei che taluni pensassero doversi i falli della guerra descrivere minutissimamente , e taivoha consu- massero tante parole intorno di una sola battaglia di- cendo la natura de’ luoghi , la proprietà delle armi , la forma delle ordinanae , le ammonizioni del capitano , e tatti i motivi , quanti coadiuvarono la vittoria ; nè poi credessero che narrando i movimenti, e le sedizioni ci- vili sen dovessero insieme riferire i discorsi pe* quali si operarono impensate e maravigliosissime imprese. Certa-' mente se nel governo de’ Romani vi fu portento degno di encomi, e della emulazione di tutti, fu questo a parer mio , famosissimo più che i tanti , che pur vi fu- rono stupendissimi , vuol dire che i plebei spregiando i patrizi non si avventa sser su loro, uccidendone in co- pia i più insigni , ed usurpandone i beni , e che quelli che esercitavan le cariche non conquidessero di per sestessi o co’ soccorsi di fuori tutto il popolo , rimanen- dosene poi liberi da paure in città ; ma che a guisa di fratelli co’ fratelli , e di figli co' padri in una savia fa- miglia , la discorresser fra loro su’ diritti comuni , e finis- sero le controversie col dialogo e colia persuasione, senza permettersi gli nni contro degli altri azione alcuna inir DtOSttGl, tomo //• iG qua ed insanabile , come nelle loro sedizioni ne fecero i Corciresi , come gli Argivi , i Milesj , e la Sicilia in- tera , e tant’aliri. E jier queste cause io volli anzi esten- derne che ristringerne la narrazione ; e ciascuno ne pensi come glien pare. . Avuto allora il giudizio un tal esito , il po- polo si parti con una vana ghiattauza; concependo aver tolto il comando dei pochi. Altronde i patrizj ne an- davano umiliati e mesti , ed incolpavano Valerio per suggerimento del quale avevano rimessa al popolo la sentenza. E quelli che riconducevano Marcio , impieto- siti , ne sospiravano e ne lagrimavano : non però ve- deasi Marcio né piangere , nè lamentare la sorte sua , nè dire o fare cosa qualunque , non degna de’ sublimi suoi genj : anzi dimostrò più ancora la generosità e for- tezza deir animo suo , quando giunto in casa ridevi la moglie e la madre che aveansi squarciata la veste , e pesto il petto , e gridavano , come sogliono in simili casi, donne separate dai loro più cari per 1’ esilio , o per la morte : niente invili tra le lagrime , niente tra’ clamori delle donne. Ma dato loro un amplesso , le animava a tollerar virilmente la disgrazia , raccomandando ad esse i suoi figli. Grande era 1’ uno di dieci anni , ma sosteneano l’ altro colle braccia ancora. E senza dare al- tri pegni della sua benevolenza , e senza tor seco cioc- ché bisognavagli per 1’ esilio , usci sollecitamente dalle porte , non indicando a ninno , dove si trasferiva. ,Venuto pochi giorni appresso il tempo de’co- mizj , furono dal popolo scelti consoli Quinto Sulpicio Camerino e Spurio Largio Flayo per la seconda volta. Turbarono quest’anno la città molti segni di ce- lesti terrori. Imperocché apparvero a molti visioni inso- lite , e voci si udirono senza niun che parlasse ; le ge- nerazioni degli uomini e delle bestie assai scostandosi dal naturale tendevano al mostruoso ed all’ incredibile: e si udivano m più luoghi risonare gli oracoli , e donne da divino furor sorprese annunziavano alla città lamen- tevoli e terribili sorti. Si aggiunse a tanto un tal contagio nella- moltitudine. Fece questo assai strage di bestiame , ma non molta fu la mortalità degli uomini , non esten- dendosi il morbo più in là che a far dei malati. E chi diceva succedere l’ infortunio per disegno de’ numi i quali si vendicavano dell’essere espulso dalla patria il migliore de’ cittadini ; e chi dicea che gli eventi non erano opera divina , ma fortuiti , come tutte le vicende degli uomi- ni. Poi si presentò , portatovi in una lettiga , un infer- mo , chiamato Tito Latino di nome , vecchissimo d’anni, fornito a sufficienza di beni , e che avea per lo più vi- vuto nella campagna, lavorandola colie sue mani. Co- stui venuto in Senato rivelò che avea tra il sonno ve- duto Giove Capitolino che standogli a fronte, ua , disse ; fa intendere d tuoi cittadini che nelT ultima pompa che mi celebrarono, non mi diedero un buon capo per la danza. Pertanto mi ripetano , e compiano un altra festa di nuovo , non avendo io accett ata la pri- ma. Dicea costui che risvegliatosi non faeea verun caso delia visione , ma teneala come una delle comuni ed il- lusorie. Quando ecco infine gli si presentò nel sonno (i) Anni di Roma a64 secondo Catone, *66 secondo Varrone, e 48iS av. Cristo. la immagiue stessa , e bieca e sdegnata , che non avesse annunziato i comandi al Senato , e minacciandolo , se non gli annunziava immantinente che apprenderebbe con grave suo danno a non trascurare gt IddJ. Que- sta seconda visione, egli disse , che la riguardò come la prima, vergognandosi di assumer rincarico , egli vec- chio e lavoratore , di portare al Senato i sogni suoi , pieni di augnrio e di terrore , perchè non vi fosse de- riso. Or pochi giorni appresso il vago e giovine suo figlio , senza malattia , e senza niuna causa sensibile fu rapito da morte improvvisa. E ben tosto il simulacro stesso del nome apparendogli nel sonno gli dichiarò che egli area già colla perdita del figlio subita la pena della sua trascuraggine , e del dispregio delle celesti voci , ma che ben tosto ne subirebbe ancor altre. Udendo tali cose disse che contentissimo ne accettava Uannun- tio , Se avesse a morirsi , non più curando la vita: che non gli diede il nume però questa pena , ma che gl'in- ternò per tutto il corpo dolori acutissimi ed insoffri-^ bili , non potendone movere parte alcuna senza tor- mento estremo. E che allora infine comunicato ^evento agli amici , venivane per consiglio loro al Senato. Pa- t^a , ciò dicendo , che poco a poco si riavesse dal do- lore. Alfine compiuto il discorso , usci di lettiga, ed in- vocato il nume , ne andò per la città libero e sano in sua casa. Il Senato ne fu spaventato ed attonito (i) , (i) Questo fatto è riportato aoclie da Livio. Cicerone Io allega nel lib. I de Dininalione. Quanto è facile sognare con chi sogna l Ma il Senato avea bisoguo d’ illudere un popolo superstiiiuso , e ne secoudò li delirj . Per tali vie la verità si confonde , e si allouuna! nè sapeva inf]ovinare ciocché il nume signifìcasse , e qual fosse nella festa antecedente il duce, de’ salti che buono a lui non paresse. Àlfìne un tale , memore del- r evento , lo disse ; e tutti se gli accordarono. Qr fu r evento cosi : Un Romano non ignobile consegnando un suo schiavo agli altri conservi perchè lo menassero alla morte , ordinò per renderne più romorosa la pena, che lo traessero , flagellandolo , pel Foro , e per tutti , quanti erano , i luoghi più insigni della città. Precedè costui la festa che la città avea prescritto che si facesse in quei tempi a tal nume. Coloro che lo spingevano al supplizio slargandogli e legandogli ambedue le mani ad un legno, postogli dietro il petto e diretto per le spalle fino agli estremi delle braccia , lo seguivano , e lo bat- tevano nudo co’ flagelli. Stretto costui da tale necessità gridava e con sconce voci , quali il dolore gliele sug- geriva, e tra salti indecenti, per le battiture. Or questo giudicarono tutti che fosse il saltatore non buono indi- cato dai nume. E giacché sono a tal parte d’ istoria penso non dover tralasciare i riti che nella festa si tengono dai Romani: non perchè più bella ne sia la narrazione per giunte teatrali e per fioriti discorsi , ma perchè sia più credibile il proposito rilevantissimo , vuol dire , che greche furono le colonie fondatrici di Roma , e venute da famosissimi luoghi , e non barbare e non prive di case , come alcuni hanno esposto. Imperocché nel fine del primo libro, tessuto da me su la origine sua , pro- misi convalidarla con mille forti argomenti di leggi, di costumi , d' industrie che vi persistono ancora , quali si ricevette dagli avi ; nè giudico che basti a chi scrive le storie antiche de’ luoghi delioearle come degne di fede perchè tali si odono da’ paesani , ma per l’ opposito giudico che a renderle credibili abbisognino queste di altri documenti invincibili , quali 'sono principalissima* mente le cerimonie , ed il cullo usato in ognr città verso i numi e i genj patrj. Certamente li Greci e li barbari custodiscono queste gelosamente per lunghissimo tempo frenati dalla riverenza de’ numi vendicatori. E ciò fanno i barbari soprattutto per molte cagioni da non essere qni ricordate. E ninno ha mai persuaso a dimenticare o corrómpere alcuna delle divine cose gii Egizj , i Lìbj , li Celti j gli Sciti , gl’ Indi # e general- mente tutti i barbari, seppure caduti sotto il comando di altri non furono necessitati ancora di volgersi ai riti loro. Roma però non fu mai ridotta a tal sorte , anzi essa diede agli altri le leggi perpetuamente. Se traeva da’ barbari l’origin sua, dovette pur da’barbari derivare s le istituzioni nazionali, per le quali g[iunse a tanta for- tuna : e quindi dovette astringere tutti i sudditi a ve- nerare gl' Iddj con le forme Romane come niigliori. Se dunque i Romani eran barbari , niente poteva ritardare che barbara si rendesse tutta la Grecia che ornai da sette generazioni ne porta il giogo. Alcuno forse crederà che bastino per segno non piccolo delle pratiche antiche, quelle che ancor vi si usano. Ma perchè altri noi prenda come insufhciente per la opinione non giusta , che i Romani quando vinser la Grecia , con piacere ne assunsero i costumi come migliori , ripudiando i proprj ; ho deliberato aiv _ gomentar dal tempo quando essi non ci dominavano ancora , nè avevano olire mare 1’ impero , valendomi deir autorità di Quinto Fabio senza che altra me ne bisogni. Imperocché antichissimo tra quanti scrissero le cose ror.. .u. , ce le accredita -non solo perciò che ne ha udito , ma perciò che ne ha veduto ancora. Il Senato , come ho detto di sopra , aveva decretato quella lesta , per adempiere il voto fattone da Aulo Postumio dittatore , quando fu per combattere le cittàribellatesi de’Latini, che tentavano rimettere Tarquinio sul trono: ed aveva decretato che si applicassero ogni anno pt*r li sagriGcj e pe’ giuochi cinquecento mine di argento ; e puntualmente ve le applicarono fino alla guerra con i Cartaginesi. In questi sacri giorni si faceano molte cose conformi alle greche usanze circa il concorso , 1’ acco- glienza de’ forestieri , e le immunità, cose tutte > ben difficili a descriversi. Le cose poi , che concernono la pompa , i sagrifizj , ed i certami, erano come sieguono, e ben da queste si possono argomentare , quali fossero ancora , le tante cbe sen taciono. Prima cbe si desse principio ai giuochi , le persone che aveano il potere più graude, avviavano dal Campidoglio la pompa, conducendola pel Foro al Circo Massimo : e nella pompa eran primi i lor figli prossimi alla pubertà : ma que’ garzoncelli che poteano per 1’ età far parte della pompa ne andavano a cavallo se fossero di equestre famiglia , o a piedi , se a piedi dovessero mili^'U'e; e .quali nc andavano ad ale e caterve, e quali a corpi ed ordinanze maggiori come per essere istruiti: e ciò ptrcliò fosse visibile ai forestieri la gioventù Romana che era per giungere alla età militare , e quanto ne fosse il numero^ e quanta la bellezza. Venivano ap- presso loro i guidatori di quadrighe , di bighe, ed altri che pompeggiavano su cavalli non aggiogati. Seguivano quindi i combattitori di certami leggeri o gravi; e nudi si vedevano, se non quanto velavano le parti del sesso. E tal costume conservasi ancor tra' Romani come nei prìncipi aveasi pure tra’ Greci , finché tra’ Greci vi fu tolto dai Spartani: Perchè il primo che prese a nudarsi il corpo e nudo corse ne’ giuochi Olimpici nella olim- piade decimaquinta fu Acanto di Lacedemonia; laddove innanzi lui vergognavansi i Gi'eci di avere tolto nudo il corpo ne’ spettacoli , come certifica Omero scrittore antichissimo e degnissimo più che tutti di fede, il quale introduce gli eroi cinti da una zona. Quindi descrìvendo il certame di Ajace e di Ulisse ne’ funebri onori di Pa- troclo disse : Sceser cimi di zona ambi alla pugna. E ciò dichiara ancor più nell’ Odissea , narrando il pu- gilato di Irò e di Ulisse in tal modo : SI disse ; e tulli encomiaro Ulisse , E di una zona circondàndo i lombi , Gli ampi e voghi suoi femori scopria , ' E nude Sen vedean le vaste spalle , , Nudo il petto t e le braccia. Ed introducendo quel misero che non volea combattere, ma ne temea ; scrive : Cosi diceano : ad Irò il cor si scosse .• . Cinserlo i proci di una zona , e tutto Tremante lo sospinsero alla pugna. Tal costume primitivo de’ Gred serbato fino ali’ ultimo tempo dai Romani dimostra che questi non lo appresero ultimamente da noi , anzi che non lo mutaron col • tempo , come abbiamo noi fatto. Teneau dietro agli atleti , cori di saltatori divisi in tre bande : erano i primi adulti , imberbi gli altri , e giovani gli ultimi ; venivano quindi sonatori che davan fiato a tibie di an- tica forma , e picciole , come costumasi ancora , e cita- redi che toccavan col plettro lire eburnee di sette corde, ed altre ancora di più , barbiti nominati. DI questi era mancato l’uso ne’ miei tempi tra’ Greci quantunque fosse lor proprio : ma tra’ Romani conservasi In tutti i sagri- fizj 'di antico rito. Erano 1’ apparato de’ saltatori pur- puree toniche , cinte con metalliche fasce , e spade che ne pendeano , ed aste anzi corte che giuste : vedeasi negli altri uomini elmo di bronzo con cimieri vaghi , e pcnnacchj che P adornavano. Era di ogni coro il duce un uomo il qual dava agli altri la forma del ballo ; rappresentando moti marziali e vivi , con ritmo per lo più proceleusmatico. Era greca antichissima pratica anche quella di saltare colle armi e Pirrica si chiamava, sia che Minerva cominciasse la prima dopo la disfatta de’ Titani a danzare e saltare colle arme tra cantici trionfali per la vittoria ; sia che prima ancora fosse il (i) Proceleusmatico cbiamaTasi no piè metrico di quattro sillabe brevi : e quiudi si diceauo fttrfi i versi che conteueano que' piedi. Forse furono cosi detti perché soleano pre- mettersi, caulandoli , r»7r rttXtvrfitiTt vuol dire alle esortazioni o comandi. Quindi il ritmo proceleusmatico ne’ balli dovrebbe avere allusione a tali piedi o versi , ed esortazioni. rito Introdotto da’ Cureti , quando educando Giova vo- leano carezzarlo col suono delle arme, e con lièti moti e cadenze , come la favola narra. Omero più volte , e principalmente nella foiDiazione dello' scudo che dice * donato da Vulcano ad Achille, mostra l’ antichità • di questo rito, e la nascita sua tra’ Greci. Imperocché rap- presentando in esso due città , l' una ornata di pace bella, e l’ altra straziata dalla guerra, delinea, com’era naturale, la felicità di quella con feste, con matrimonj, e conviti , e dice : Faeton la danza i (Rovani , e frattanto Vdiati il suon di tibie , e cetre ; e tutte , Meravigliando ai limitar di casa , Stavan le donne. E di nuovo elogiando con vago ornamento nello scudo un altro coro di giovani e di vergini Cretesi dice : Aveaci espresso V inclito Vulcano Un vario coro somigliante a quello . Che Dedalo formò per Arianna , Che in si bei ricci avea la chioma attorta : Qui giovinetti e ver^nelle vaghe. Tenendosi per man , facean lor dama. Ed esponendo 1’ ornamento di questo coro per dichia- rare che i giovani saltavano colle arme , scrive ' E quelle 'avean vaghe ghirlande, e questi Aurate spade a cinti argentei appese. E parlando dei duci del salto loro , di quelli che da- vano agli altri le prime mosse , dice : . Il popolo prendea dolce diletto Intorno al coro; e due de' saltatori Clan cantando e danzando a tutti in mezzo , Nè solo potrem yedere la somiglianza co’ greci riti da qnf*sie danze marziali ed ordinale , usate da' Romani ne’sagrifìcj e nelle pompe, ma dalle danze ancora sati* ricFie e derisorie. Dopo i cori armati vedeansi in mostra cori imitatori de’ satiri , non dissimili dalla greca Sicin- ne (i). L’abito in chi Vappresentava un Sileno erano ispide vesti , chiamale da alcuni Cortee (2) ; e manti con ogni varietà di fiori: in quelli poi che somigliavano un satiro erano perizomi e pelli caprine, e sui capo criniere irte di lioni , e cose altrettali. Or questi beffa- vano e contraffaceano serj moti , spargendovi del ridi- colo : e gli andamenti de’ trionfi assai palesano che era antico e proprio de’ Romani il motteggio e la satira. Imperocché permettevasi u quelli che segui van la pompa lanciar beffe e giambi so gli uomini più riguardevoli , c fino su’ comandanti ; siccome un tempo in Alene era^ permesso che nè lanciasser quelli che sul carro se^i- tavau la pompa , e che ora cantan versi improvvisi. Eid io ne’ funerali di personaggi cospicui , specialmente se già fortunati , vidi tra le altre pompe cori in forma di satiri che precedevano il feretro, e saltavano come nella Sicinne. Che poi il gioco e la danza alla guisa de’ satiri non fu ritrovamento de’ Liguri nè degli Umbri nè di altri barbari , abitanti dell’ Italia , ma de’ Greci ; temo di sembrare molesto , volendo a lungo convincere una cosa della quale già si conviene. Dopo questi cori pas- A (1) Vossio scrive più cose intorno a qeeslo genere di saltasione nel I. a c. 19. lusiiiul. Poei. (a) Cortee proviene questa voce da ^cfTts r:hc siguitica Jìeno, er- ba CC. ’ » e savano molti sonatori di tìbie e di cetere : e poi quelli che portavano profumi di aromi e d’ Incensi , e quelli che portavano lavori meravigliosi di oro e di argento sia de’templi, sia del comune. Venivano In ukimo della pompa recati su le spalle di nomini I simulacri divini foggiati come quelli de’ Greci quanto alla forma , agli , abiti , al simboli ed al doni, secondo che que’ numi es-‘ sendooe stati I trovatori , gli aveano , ciascuno. , donati ai mortali , nè solo v’ erano I simulacri di Giove , di Giunone , di Minerva , di Nettuno , e degli altri che li Greci contano tra I dodici numi (i); ma di altri più antichi da’ quali la favola origina i dodici ; io dico i simulacri di Saturno , di Rea , di Temide , di Làlona , delle Parche, di Miiemosine , in somma di lotti, quanti hao templi , ed are fra i Greci , come quelli de’ numi che favoleggiansi nati dopo che Giove ottenne l’impero, vuol dire quelli di Proserpina , di Lucina, delle Ninfe, delle Muse, delle Ore, delle Grazie, di Bacco, e quelli de’ semidei, l’ anime de' quali spogliate de.l corporeo frale diceansi andate in cielo, e goilervi onori simili ai divini, cioè quelli di Ercole , di Esculapio, di Castore e Poi* luce , di Elena , di Pane , e di altri mille. Se dunque i fondatori di Roma eran barbari, e se v’istituiron tal festa; com’era possibile mai che adorassero tutti I numi e genj della Grecia , negligentando I propr) ? Almeno mi si dimostri un altra gente non greca, la quale avesse (i) Erodoto narra nel libro seconda che: i Greci derivarono que- sti dodici Numi dagli Egiij. L’interprete di Apollonio scrive die questi erano : Giove , Apollo , Mercurio , Nettuno , Marte, Vulcano, Giunone, Diana, Pallade, Cerere, Venere, e Vesta. tali sante cose come nazionali ; ed allora si condanni la mia dimostrazione come non buona. Terminata la pompa facean sagri Gzio i consoli e que’ sacerdoti a’ quali spet- tavasi, e la forma del santo rito era quale appunto tra noi. Lavatesi le mani , lustrate le vittime con acqua pura , sparsi i frutti di Cerere sul capo di esse , e poi fatti de’ voti, comandavano infine ai loro ministri d’ im- molarle. E quale di questi mentre la vittima era in piede ancora ne percotea le tempia colla mazza , e quale nel cadere la trafiggeva colle coltella. E poi scor- ticandola c squartandola prendean le primiziedi cia- scuno de’ visceri e di ogni membro : e sparsele con fa- rina di fiiTo , le portavano ne’ bacini a quelli che sa- grilìcavano : e questi soprappostele all’ altare , le arde-^ vano, e spruzzavano intanto di vino. E poi facile in- tendere dalle poesie di Omero essersi ciascuna di queste cose fatta secondo le leggi istituite da’ Greci pe’sagrifizj: perciocché descrive gli eroi che si lavan le mani ed usano farina di farro con sale dicendo : E lavaron le mani, e sparser farro : E che ne tagliano i capelli e li gittano al foco in quei detti : Ma cominciando il santo rito getta 1 capelli sul foco ; E li descrive che colpiscono colle mazze in fronte le vittime , e che cadute le immolano come fa nel sagri- fizio di Emeo. Percotela , di quercia alzando un tronco , Cui rapido poi lascia ; e lascia insieme Lo spirito la vittima , e qui gli altri Miseria in inani , e ne arrostino. E descriveli che pigliano le primizie delle viscere , e di altri membri , e le infarinano , e le bruciano su gli altari: come fa nel sagri fì ciò medesimo. E da ogni parie le primìzie piglia Be’ membri tutù, e crudi ancor li copre Di grasso , e di farina ; e dagli al foco . Ora io so per averlo veduto , che i Romani osservano ancora tali riti ne' loro sagrificj : e su questo argomento, anche solo , mi rendei certo, clie i fondatori di Roma non furono barbari , ma grecivenuti da tutte le parti. Ben può essere che alcuni baiiiari somiglino in pane ai Greci nelle istituzioni de’ sagriliz) , e delle feste ; ma che in tutto somiglino loro , ciò non è verisimile. Mi resta ora di dir brevemente de’ giuochi che faceano dopo la pompa. Era prima la corsa delie quadrighe , delle bighe , e dei cavalli sciolti, come nei giuochi Olimpiaci e Pitiaci de’ Greci in antico , e fiu di presente. Ne’ certami equestri si conservano ancora tra’ Romani due istituzioni antiche , come furono fon- date in principio , quella cioè de’ carri a tre cavalli , la quale ora in Grecia è cessata ; sebben vi fosse an- ticbissima e già ne’ tempi eroici ; introducendo Omero de’ Greci che ne usarono nelle battaglie. Imperocché essendo due cavalli congiunti come nelle bighe un terzo accompagnavali contenuto e tratto colle redini , e chia- mato parioron appunto dall’ esser più libero ; e non come gli altri in biga. L’ altra cosa di cui restano an- cor le vesiigie ne’ riti aniichi di alcune poche città di Grecia è la corsa di quelli che anduvau su’ Carri ; peroccliè finite le gare a cavallo , smontati dal carro quelli clt e sedere  presso  del  focolare  in  silensio  era un  aulichissioia  maniera  di  supplicare.  Addita  anche  ciò  Tucidide nel  t libro,  discorrendo  di  Temistocle:  e si  vede  un  tal  rito  piò chiaramente  io  Plutarco nella  vita  di  Coriolano,  appunto  iu  questo luogo.  le  calamità  che  lo  (lageilavaDO , e lo  ìnchinaTano  a ri- correre perfino  ai  nemici , pregavalo  ad  avere  idee  miti e benevole  verso  chi  rivolgevasi  a lui , non  a tenerlo , mentre  davaglisi  nelle  mani , come  avvemrio , nè  a mostrar  la  sua  forza  contro  gl'  infelici  e depressi , e ri* flettere  piuttosto  quanto  istabili  fossero  le  sorti  degli uomini.  £ ciò  puoi  , disse  , apprendere  principidmente da  me , che  già  potentissimo  fra  tutti  in  città  grandis- sima, ora  derelitto,  infelice  , bandito  , senza  patria, debbo  correr  la  sorte  che  vuoi  tu  destinarmi.  Io , se tu  amico  me  ne  rendi , io  ti  prometto  far  tanto  bene ai  Volsci , quanto  male  ad  essi  cagionai , mentre  ne era  nemico.  Ala  se  prevedi  tuU'  altro  di  me , siegui r ira  tua , dammi  in  sulC  atto  la  morte , immolando colle  stesse  tue  mani  il  supplichevole  tuo , presso  a’ tuoi  focolari. IL  Or  lui  cosi  dicendo  , Tulio  gli  stese  la  destra , e sollevandolo , animavaio  a confidare  ; perocché  non  sof^ frirebbe  cose  indegne  della  sua  virtù  : professavasi  in- sieme obbligatissimo  che  avesse  ricorso  a lui,  per  essere questa  non  picciola  significazione  di  onore  : promise che  renderebbegli  amici  tutti  i Volsci  , cominciando dalla  patria  sua  , nè  mentite  ne  furono  le  parole.  Dopo non  molto  tempo  deliberandone  da  solo  a solo,  Marcio e Tulio,  conchiuscro  di  movere  la  guerra,  Tulio,  con- centrando tutte  le  forze  de' Volsci,  voleva  marciare  im- mantinente su  Roma,  mentre  era  agitata  ancora  dalla sedizione , e sotto  consoli  imbelli.  Marcio  in  opposito pensava  che  vi  abbisognasse  prima  un  titolo  onesto  e giusto  di  guerra  ; dicendo  che  gl’  Iddj  mcschiavansi  a tulle  le  cose  , e panico  Urmenle  a quelle  della  guerra quanto  sono  più  rilevanti , ed  oscure  nell’  esito.  Aveaci allora  tra’ Volsci  e tra' Romani  sospension  d’arme,  e tregua  ed  amicizia , conchiusa  poco  innanzi  per  due anni.  Se  tnovi , disse , inconsideratamente  e precipito- samente la  guerra , tu  sarai  colpevole  di  aver  rotti  gli accordi,    te  ne  avrai  propizj  gVIddj  ; ma  se  aspetti che  i Eomani  ciò  facciano  ; si  giudicherà  che  tu  ri- sospingali, e protegga  la  confederazione  che  violano. Ben  ho  io  con  assai  provvidenza  trovato  come  ciò  fac- ciasi , e come  essi  i primi  volgansi  alle  arme , e noi siam  giudicati  et  imprendere  una  guerra  giusta  e san- ta. Bisogna  che  per  maneggio  nostro  essi  i primi  of- fendano il  giusto  : e tale  è questo  maneggio  che  io finora  ho  celato  profondamente , aspettandone  il  tem- po , e che  ora  di  necessità  , sollecitissimo , ti  svelo  , procurandone  tu  la  esecuzione.  Debbono  i Romani far  sagrifizj  e giuochi  assai  sontuosi  e magnifici,  e molti  accorreranno  di  fuori  agli  spettacoli.  Attendi  la occasione,  ed  accorri  tu  pure  a tanto  apparato , dando opera  insieme,  che  vi  accorra , il  più  che  per  te  si  possa de’  Volsci.  Come  tu  sia  in  città , fa  che  alcuno  degli intimi  tuoi  vadane  ai  consoli , e dica  loro  secretissi- mamente , che  i Volsci  tra  la  notte  assaliranno  Ro- ma , e che  perciò  vengono  in  tanta  moltitudine.  Tu ben  sai  quanto  apprezzeranno  la  nuova  : vi  cacceran senza  indugio  da  Roma  , e vi  porgeranno  un  titolo giusto  di  risentimento. HI.  Esultò  Tulio  meravigliosamente  , ciò  udendo  : e differito  il  tempo  d’ imprendere  ; diedesi  ad  apparecchiare  la  gnerra.  Approssimatisi  poi  gli  spettacoli,  ed essendo  già  consoli  Giulio  e'  Pinario  ; am>rsevi  da  tutte le  città  la  gioventà  più  florida  dei  Yolsei , come  Tulio bramava.  La  maggior  parte  non  avendo  ricetto  ndle case  e pre»o  degli  ospiti , presero  alloggio  in  sacri  e pubblici  luoghi;  e quando  giravansi  per  le  strade,  ne andavano  a crocchi  e moltitudini  : tantoché  già  su  loro in  città  si  faceauo  discorsi  e sospetti  non  buoni.  In  que- sto mezzo  venne  ai  consoli  un  delatore  apparecchiato da  Tulio , come  avea  Marcio  suggerito  : e quasi  avesse a svelare  a'  nemici  una  pratirà  arcana  in  danno  degli amici  suoi , strinse  ’i  consoli  a giurare  di  salvar  lui , né  mai  dire  ad  alcuno  de’ Yolsei  chi  avesse  ciò  pale- sato, e poi  dinuneiò  gli  assalti  mentiti.  Parve  ai  con- soli vero  il  racconto , e ben  tosto  invitati  i senatori  ad uno  ad  uno , si  congregarono.  Presentatovi  il  delatore , ed  avutene  le  eguali  promesse , replicò  la  dinunzia  me- desima. Coloro  a’  quali  parea  già  cosa  piena  di  sospetto che  venuta  fosse  agii  spettacoli  tanta  gioventù  di  una sola  nazione  nemica , assai  più  ne  temerono , aggiun- gendovisi  ora  una  dinunzia  della  quale  ignoravano  la frodolenza.  Parve  a tutti  che  si  cacciasser  di  città  quei forestieri  prima  che  il  di  tramontasse  con  bando  di morte  a chi  non  ubbidisse;  e che  li  consoli  invigilas- sero sicché  tranquilla  ne  fosse  la  uscita , e senza  offese. lY.  Decretato  ciò  dal  Senato  , altri  scorrendo  le  strade intimavano  ai  Yolsei  di  partire  immantinente  tutti  per la  porta  detta  Capena  , ed  altri  con  i consoli  li  scor- tavano , mentre  partivano.  Or  qui  più  che  altrove  si conobbe  quanta  mai  fosse , e quanta  vigorosa  quella moltiiadine  ; uscendo  In  un  tempo  tutu  per  una  porU. Usci  sollecitissimo  Tulio  prima  che  tutti , e prese  non lungi  da  Roma  un  tal  posto  , dove  raccogliere  gli  altri che  seguitavano.  E quando  tutti  furono  giunti , convo> catane  l' adunanza , assai  v’  incolpò  li  Romani  , dichia> rando  grave  ed  indicibile  1’  affronto  de*  Volsci , unici  ad essere  espulsi  fra  tanti  forestieri  : ed  eccitandoli  tulli perchè  ciascuno  lo  raccontasse  in  sua  patria , e vi  trat- tassero le  maniere  di  vendicarsene  e reprimere  per  l’av- venire tanta  insolenza  ne’  Romani.  Cosi  dicendo  ed  in- fiammandoli , dolenti  già  per  1’  oltraggio , sciolse  1’  u- dienza.  Ricondottisi  in  patria , ridissero  ciascuno  ai compagni  la  ingiuria  , esaggerandola , unto  che  ne  fu- rono tutti  esacerbali  , nè  poleano  rattemperarne  lo  sde- gno. E spedendo  una  città  all’  altra  degli  ambasciadori , chiesero  un  congresso  generale , per  concordarvisi  in- torno la  guerra.  Succedeva  tutto  ciò  per  briga  di  Tulio principalmente.  Cosi  li  magistrati  di  tutte  le  città , e moltitudine  grande  ancora  di  altri  adunaronsi  nella  città di  Eccetra  , ripuUU  la  più  acconcia  per  congregarvisi. Dettevi  assai  cose  dai  capi  di  ogni  città , si  dispensa- rono i voli  finalmente , e prevalse  il  partito  di  mover la  guerra  , avendo  primi  i Romani  conculcato  gli  ac- cordi. Y.  E qui  proponendo  i magistrati  varj  che  si  discu- tesse la  maniera  di  fare  la  guerra,  presentatosi  Tulio consigliò  che  si  chiamasse  Marcio , e da  lui  si  udissero i metodi  di  abbattere  la  potenza  Romana  ; giacché  ninno più  di  lui  conoscea  da  qual  lato  questa  fosse  inferma , e da  quale  vigorosa.  Il  consiglio  piacque  e tutti  cscla-   I I tnarono  che  si  chiamasse  immantinente  il  valentuomo. Marcio  ottenuta  l’ occasion  che  volea  , presentatosi  mesto e piangente  (i)  soprastette  alcun  tempo  e poi  disse:  Se 10  vedessi  che  tutti  pensaste  ad  un  modo  su  la  mia disgrazia , giudicherei  non  essere  necessario  difender- mene. Ma  considerando  che  Ira  indoli  tante  e varie  ev- vene  forse  alcuna  che  forma  concetti    veri    degni sopra  di  me  , quasi  il  popolo  m'  abbia  per  cagioni  so- lide e giuste  espulso  di  patria  ; debbo  innanzi  tutto dir  qui  tra  voi  circa  il  mio  esigilo.  E voi  che  ben sapete  P infortunio  che  io  m’  ho  da'  nemici , e come indegnamente  io  sia  perseguitalo  dalla  sorte,  voi, mentre  qui  lo  espongo,  contenetevi,  prego,    vogliate desiderare  d intendere  ciocché  dee  farsi , prima  che  ne abbiate  compreso  chi  sia  che  i^i  consiglia.  Breve  ne sarà  il  discorso  quantunque  pigliato  dalle  origini.  Era 11  governo  Romano  da  principio  un  tal  misto  del  co- mando di  un  solo  e dei  pochi  ; fnchè  Tarquinio  , r ultimo  de'  monarchi , tentò  volgerlo  tutto  in  tiran- nide. Adunque  i capi  nel  comando  de’  pochi  insorgen- done , lo  espulsero  : e subentrando  essi  al  maneggio del  pubblico  , basai  orto  una  reggenza  più  savia  per confessione  di  tutti , e più  buona.  Ma  da  ora  in  die- tro non  più  che  Ire  o quattf  anni , i più  miseri , e li più  oziosi  de'  cittadini , dandosi  capi  scelerati,  ne  co- perser  d ingiurie  ; tentando  infine  di  abbattere  l'  au- lì] Queste  lagrime  forse  le  TÌile  più  Io  storico  che  Marcio.  It contegno  Ji  >{uesto  valoroso  era  stalo  hen  altro  coi  tribuni  e col popolo  «li  Roma  come  apparisce  dal  libro  antecclcnte  j e 'come  può coucloJersi  dal  $ del  presente.  /oriUÌ  de  pochi.  I capi  del  Senato  ne  incollerirono tutti  , e cercarono  come  reprimere  la  insolenza  de'  ri- voltosi. Di  mezzo  a c/uegli  ottimati  udppio  C uno  dei seniori , degnissimo  di  lode  per  tanti  titoli , ed  io V uno  de’  giovani , parlammo  sempre  liberissimamente non  per  combattere  il  popolo  , ma  perchè  sospetta  ci era  la  prepotenza  de'  ribaldi;  non  per  rendere  schiavo niuno , ma  per  garantire  a tutti  la  libertà  , come  ai migliori  il  comando  sul  pubblico. VI.  Or  ciò  vedendo  que’  tristissimi  capipopolo  vol- lero in  priruipio  tor  di  mezzo  noi  franchissimi  oppo- sitori : e gittarono  le  mani , non  già  su  tutti  due  in un  tempo  perchè  il  fatto  non  fosse  grave  troppo  ed esoso , ma  su  me  primieramente  che  era  il  più  gio- vane , e men  dijfcile  da  opprimere.  Cosi  tentarono  di perdere  me  prima  senz'  (uUorità  di  giudizio , e poi mi  chiesero  dal  Senato  per  la  morte.  Ala  venuti  lor meno  ambedue  que  tentativi  ; mi  citarono  ad  un  giu- dizio ( ed  essi  aveano  ad  esserne  i giudici ) per  in- colpazioni di  bramala  tirannide  ; nè  videro  che  rùun tiranno  tenendosela  co’  pochi  combatte  il  popolo  , e che  piuttosto  egli  col  popolo  conquide  il  partito  più valido  nella  città.  Un  giudizio  mi  destinarono  non per  centurie  , com’  era  C uso  della  patria,  ma  un  giu- dizio come  tutti  consentono  , iniquissimo , e,  la  prima e f unica  volta , su  me  praticato  , un  giudizio  dove  i merccnarj  , li  vagabondi , e quanti  insidiano  gli  averi altrui , preponderavano  su'  boni  che  voleano  salvi  i diritti  ed  il  pubblico.  E tante  erano  in  me  le  ragioni per  non  esserne  condannato  , che  sottomesso  ai  giu-   1.3 ditj  di  una  turba  , odiatrice  in  gran  parte  de' buoni , e però  mia  nemica^  non  fui  sopraffatto  che  per  due voti:  sebbene  i tribuni  divulgassero  che  assai  sareb- bero disonorali  nel  loro  comando  , e patirebbono  da me  l estremo  de  mali  se  io  fossi  assoluto  , ed  insi^ stessero  intanto  contro  me  con  tutto  F ardore  e la sollecitudine  nella  causa.  Così  malmenato  damici  cit^ ladini , reputai  che  più  non  sarebbe  vita  la  mia  , se non  prendessi  di  loro  vendetta.  Quindi  sebbene  il potessi,  ricusai  vivere  senza  cure,  o tra’ parenti  nelle città  de’  Latini , o nelle  colonie  fondale  di  recente dà  miei  maggiori  : e tra  voi  mi  ricorsi  , che  io  ben sapeva  essere  tanto -offesi  da’  Romani  e nemicissimi loro , per  farne  con  voi  quanto  -potessi  le  vendette colle  parole,  se  le  parole  vi  bisognavano  ; o colle opere,  se  le  opere.  Intanto  io  vi  rendo  amplissime grazie  ; perchè  mi  avete  voi  ricevuto  , e perchè  mi  date tali  significazioni  di  onore , niente  ricordando , nò contando  i mali  che  un  tempo  voi  rtemici  miei,  avete da  me  sostenuto  fra  le  arme. VU.  Or  dite , e qual  genio  sarei  io  mai  se  spo- gliato da  uomini  per  me  beneficati , della  riputazione e degli  onori  quali  tra  miei  mi  si  competevano,  e privato  della  patria , della  famiglia , degli  amici , dei numi  patemi , delle  tombe  avite  e di  ogni  altro  bene; se  ritrovate  tra  voi  tutte  queste  cose  per  le  quali  già in  grazia  ài  essi  v infestai  colia  guerra  ; ora  terribile non  mi  dimostrassi  con  quelli  che  nemici  mi  furono in  luogo  di  cittadini,  e propizio  agli  altri  che  amici mi  si  rerìdono  di  nemici  ? Io  sicuramente  non  terrei nemmeno  per  uomo  chiunque    ax>esse  nitnicizia  per chicli  fa  guerra,    benevolenza  per  chi  lo  ha  salitilo  :■non  iilitno  mia  patria  una  città  che  mi  ha  ripntliato, ma  quella , dove  sehben  forestiero  divengovi  cittadino  : nè  già  reputo  amica  la  terra  ove  sono  oltraggiato  , ma quella  ove  trovo  la  sicurezza.  E se  Dio  ne  porga  il favor  suo  , e voi  pronta  , com’  è giusto , C opera  vo- stra ; seguiranno  , spero  , grandi  e subiti  cambiamenti, foi  ben  sapete  che  i Romani  cimentatisi  con  tanti nemici  non  han  temuto  niun  più  che  voi  ; e che  niente cercati  più  attenti  quanto  indebolire  Ya  vostra  nazione. E pigliandole  colle  arme , e devUmdovele  colle  spe- ranze di  amicizia , ritengonsi  le  vostre  città  per  que- sto, appunto , perchè  unendovi  tutti  in  un  corpo  non portiate  su  loro  la  guerra.  Se  voi  dunque  a vicenda persevererete  procurando  il  contrario  ; e se  avrete  co- me ora , tutti  un  animo  per  la  guerra  ; Jacìlmente abbcUterete  la  loro  potenza. Vili.  E poiché  ricercale  il  parer  mio  sul  modo  di entrate  in  campo  e dirigervi,  sia  per  attestato  della esperienza  mia , sia  della  vostra  benevolenza , sia  per [ uno  e { altro  ; io  dirò  tutto , e senza  velo.  Primie- ramente vi  esorto  a vedere  che  vi  abbiate  una  causa religiosa  e giusta  di  guerra.  E come  religiosa,  come giusta , come  utile  insieme  ve  l’ abbiate  ( in  udite.  Pic- ciolo , sterile , aveano  da  principio  i Romani  il  lor territorio , ma  vasto  , e buono  è quel  che  vi  aggiun- seio  , togliendolo  a’  vicini  ; e se ciascuno  dei  derubati tipela  il  suo,  tiiutia  città  diverrà  quanto  Roma  pic- ciola , debole  , bisognosa.  Or  io  penso  che  voi  doiHate  i primi  cominciare.  Spedite  ambasciadori  che richiedano  le  vostre  città , quante  ne  tengono , e che intimino  loro  di  abbandonare , quanto  han  fabbricato per  le  vostre  campagne  , e li  premano  a rendervi , quanto  si  hanno  di  vostro  appropriato  colle  armi:  nè vogliate  prima  che  vi  rispondano , romper  la  guerra. Cosi  facendo  otterrete  V una  o t altra  delle  cose  che più  bramate.  Vuol  dire , o ricupererete  le  cose  vostre, senza  pericoli  e spese  ; o rinvenuto  avrete  il  titolo onesto  e giusto  di  prender  le  arme  : giacché  tutti confesseran  per  bellissima  la  condotta  di  non  chieder r altrui , ma  il  proprio;  e di  combattere  in  fine  se non  ottengasi.  Or  su , qual  cosa  pensate , faranno  i Eomani  a tali  vostre  proposte  ? che  renderanno  forse le  vosUe  regioni  ? ma  qual  cosa  impedirebbe  più  mai che  lasciasser  tutto  t altrui?  se  verrebbero  poi  gli Equi  e gli  Albani  , se  i Tirreni  e tanti  altri  a ripe- tere ognun  le  sue  terre.  O pensate  che  riterranno  le vostre  cose , nè  vorranno  affatto  la  giustizia  ? Così appunto  io  ne  penso.  Voi  dunque  protestandovi , i primi , offesi  da  loro;  e volgervi  per  sola  necessità alla  guerra  ; avrete  compagni , quanti  spogliati  de’ beni hanno  fin  qui  disperalo  ricuperarli  altrimenti , che per  le  arme.  Bellissima  è poi  la  occasione,  e di  cui non  avrete  mai  più  la  simile  per  andar  su  Bomani , preparata  fuori  di  ogni  speranza  dalla  sorte  propizia agli  offesi;  perciocché  li  Romani,  discordi  e sospetti fra  loro  a vicenda,  nemmeno  luin  capi  idonei  per  la guerra.  E questo  è quanto  io  poteva  suggerire  e rac- comandar con  parole  agli  amici,  detto  lutto  con  cuor sincero  e benevolo  : quanto  poi  si  dovrà  provvedere  e compier  colle  opere,  lasciate  che  i duci  deli  armata lo  curino.  RispeUo  a me  son  per  voi , comunque  di me  disponiate;  e mi  sforzerò  di  non  riuscirvi  U pm ignobile  sia  de’  soldati  sia  de’  centurioni  , sia  de'  ca- pitani. Spendetemi  dove  pià  vi  son  uUle  , e tenetevi cerio,  che  io,  che  già  contro  voi  guerreggiando,  tanto vi  ho  danneggiato;  ora,  per  voi  combattendo altret- tanto vi  gioverò. IX.  Marcio  cosi  disse  , e U Volsci , menlre  parlata ancora , davan  segno  di  gradirne  i discorsi  : ma  poi  che ucque , miti  a gran  voce  allesUrono  che  benissimo consigliava  ; e senza  concedere  che  altri  più  disputasse, ratificarono  il  parer  suo.  Quindi  stesone  il  decreto,  e scelti  immantinente  i personaggi  più  riguardevoli  di  ogni cillA  , gl’  inviarono  ambasciadori  a Roma  : dichiararono Marcio  membro  de’ consigli  in  ogni  città,  e lo  auumz- zarono  a conseguire  in  ciascuna  le  magistrature  e gli onori  più  grandi  che  vi  erano.  Per  altro  anche  innanzi le  risposte  de’  Romani , si  diedero  agli  apparecchi  di guerra.  E quanti  erano  ancora  disaaimali  per  le  perdite nelle  battaglie  antecedenti , tutù  si  rincorarono  quasi fossero  per  abbattere  la  potenza  Romana.  Gli  oratori spediti  a Roma , presentali  al  Senato , dissero , che  sa- rebbe a’  FoLsci  carissimo  cessare  le  controversie  coi Romani  , e viverne  da  ora  innanzi  alleati  ed  amici senz  artifici  ed  inganni  : e dichiarano  che  stabile  sarà questa  fede  e quest'  amicizia , se  riabbiano  le  terre  e le  città  che  furono  tolta  loro  da’  Romani  : laddove  in altro  modo    pace  mai  vi  sarà , né  amicizia  coslan- .  1-j te  ; giacché  V offeso  è naturalmente  in  guerra  perpe- tua colf  offensore.  Cliiecleaao  pertanto  di  non  essere colla  esclusione  delle  giuste  dimcuide  necessitati  alla guerra. X.  Detto  dò , fecero  i padri  ritirar  gli  oratori , e consullaron  fra  loro.  E cónchiusa  la  risposta  ^ li  riobia> maroQO  in  Senato , e dissero  : Conosciamo  o Fólsci che  voi  non  f amicizia  cercate  ; ma  pretesti  splendidi di  guerra  : perocché  ben  vedete  che  mai  vi  saran concedute  le  dimande , per  le  quali  venite , indegne , inammissibili.  Se  voi  date  ci  aveste  da  voi  stessi  e pentitine'  poi  ci  raddomandaste  le  vostre  terre  ; non sareste  affatto  oltraggiati , non  riavendole.  Ora  però voi  oltraggiate  noi , pretendendo  ciocché  è degli  altri: giacché  non  eravate  voi  gli  arbitri  delle  terre  , se  la légge  delle  armi  ve  le  toglieva.  ^ noi  teniam  per giustissimo  quanto  possediamo . per  le  vittorie  : nè primi  noi  abbiamo  fondata  questa  legge  , nè  la  cre- diamo degli  uomini  , anziché  degli  Dei.  E se  i Greci, se  i barbari  tutti  se  ne  valgono  ; noi  non  tlaremo  già in  ciò  segrà  di  debolezza , nè  renderemo  punto  delle nostre  conquiste.  Imperocché  ben  sarebbe  vituperosis- sima cosa  lasciarsi  per  timore  e per  stoltezza  rito- gliere ciò  che  per  senno  e per  nuignanimità  si  pos- siede. Noi    a combattere  vi  necessitiamo , se  non volete  ; nè  se  volete , ve  ne  ritiriamo.  La  rispingere- mo , se  ce  la  incominciate , la  guerra.  Riportate  ai Folsci  queste  risposte,  e dite,  che  se  pigliano  essi i primi  le  arme , noi  gli  ultimi  lo  deporremo, Diomai , tomo  ut. Prese  qpeste  risposle  Je  riferirono  gli  tmibascia* dori  al  Comune  de*  Volaci.  E convocato  di  bel  nuovo U Consiglio,  si  concbiuse  in  fine  d’ intimare  a nome  di tutta  la  nazione  la  guerra  ai  Romani.  Quindi  scelsero Tulio  e Marcio  con  assoluto  potere  capitani  di  tutta  1’  ar- mata, e decretarono  che  si  ascrivesser  milizie  , si  con- tribuisser  danari,  c si  facessero  altri  apparecchi,  quanti ne  vedean  necessarj  per  la  impresa. 'E  già  essendo  per isciogliersi  l’ adunanza  ; Mar*.io  levatosi  in  piè  disse  e Bonissimo  è quanto  si  è qui  decretato  dal  vostro  Co- mune ; e facciasi  pur  tutto  a suo  tempo.  Intanto  però che  qui  scrivonsi  le  milizie , e preparansi  le  altre  cose che  dimandano  cura  e tempo  ; io  e Tulio  ci  porremo in  su  r opera..  Seguite  noi,  quanti  volete  , saccheg- giando le  campagne  nemiche , partecipare  a gran  prede. Io  vi  prometto  , se  il  del  ne  ajuta , molti  e grandi vantaggi.  Li  Romani  non  sonasi  ancora  apparecchiati, vedendo  che  noi  non  abbiamo  riunito  le  forze;  sicché potremo  senza  paura  scorrere  a nostro  bell  agio  tutte le  loro  campagne. Accettato  da’ Volsci  anche  questo  partito,  j duci uscirono  immantinente , e prima  che  in  Roma  se-  ne sapesse , con  molta  soldatesca  volontaria.  Tulio  si  gettò con  parte  di  essa  nel  territorio  latino  per  impedire  i soccorsi  che  di    ne  andrebbero  al  nemici , e Marcio guidò  le  altre  aUe  campagne  di  Roma.  11  male  giunse improvviso  a quelli  che  vi  erano  ; e . caddero  in  poter de' nemici  molti  ingenui  Romani  e molti  schiavi;  e bovi  e giumenti’,  ed  altro  bestiame  non  poco.  Quanto era  derelitto  di  grano  , di  ferramenti , o di  altro  onde la  terra  cohirasi , tutto  fu  predato  , o disfatto.  Dii  uU timo  recando  'fino  il  fuoco  , lo  gettarono  i Volscl  pe’ca» sali  ; tanto  che  quelli  che  ne  furono  spogliati , non  po3  secondo  Varrone  c 486  aranii  Cristo. perocché  ne  andarono  ai  Volsci  appena  si  ebbe  la  guep. ra  , e concordarono , e giurarono  T alleanza.  Or  questi spedirono  a Marcio  la  milizia  più  numerosa  e più  riso- lutai.  Dato  da  questi  un  principio  , molti  altri  ancora favorivano  occultamente  i Volsci  ; mandando  loro  dei sussidi  non  però  per  decreto  o pubblica  approvazione. E se  taluno  de’  loro  voleva  a quelli  coogiungersi',  've gl’  incitavano  , non  che  gl’  impedissero.  Dond’  è che  i Volsci  accozzarono  in  breve  tempo  tanta  milizia,  quanta mai  più  per  addietro , nemmen  quando  le  loro  città  più 6orìvano.  Marcio  che  ne  era  il  duce  la  gittò  di  bel  nuovo su  le  campagne  di  Roma  ; e tenendovisi  molti  giorni  , devastò  quanto  crasi  lasciato  nella  prima  incursione.  Non prése  però  questa  volta  prigionieri  molti  ingenui  uo- mini , giacché,  raccolte  le  cose  più  pregévoli,  «ransl questi  ritirati^  in  Roma o ne’  castelli  più  vicini , e me- glio fortiGcalj.  Ma  depredò  il  bestiame  che  non  arcano potpto  ridurre  altrove , e gli  uomini  che  lo  pasturavano, come  il  grano  tenuto  ancora  nelle  aje  ed  altri  prodotti che  raccoglie vanSi o che  erano  già  pe’ grana).  Cosi  de- rubata 6'  guastata  ogni  cosa , non  osando  alcuno  di conlrapporglisi,  riportò  nuovamente  in  patria  1’  esercito  , carico  di  grandi  acquisti,  e quindi  lento  in  sua  marcia.   I Volsci  veduto'!’ ampio  guadagno,  e convin- tisi dell’  abbattimento  de’  Romani , che  predatori  già delle  robbe  altrui  , miravano  ora  devastarsi  impunemente le  proprie;  ne  imbaldanzirono  soprammodo,  e conce- pirono pur  la  speranza  di  dominare  , quasi  fosse  per loro  facilissima  e vicinissima  cosa  annientare  il  potere degli  avversar].  Adunque  facaano  agl’  Iddj  sacriBzj  di nngrauamento , oraavapo  i templi  ed  i pubblici  fori di  spoglie  che  dedicavano.  E tutti  iu  feste,  in  sollazzi, ammiravano  e celebravano  Marcio , qual  uomo  ipsignit- ■ aimo  fra  gli  altri  nella  guerra , e qual  duce  cui  ntun pareggiava  non  Romano,  non  Greco,  non  barbaro  cajii- tano. . Soprattutto  lo  felicitavano  della  sua  prosperità  ; vedendo  che  quanto  intraprendeva , riuscivagji  tutto speditissimamenle , secondo  i disegni.  Tanto  che  ninn v’era  di  età  militare  il  qual, volesse  non  esser  con  lui; ma  spiccavansi,  e venivano  da  tutte  le  città  per  aver parte  nelle  sue  gesta . Il  duce , corroborato  ]’  ardore  dei Volici , e depresso  il  coor  de’  nemici , e ridottolo  ad irrisolutezza  indegna  de’  valentuomini , marciò  coll’  e- sereito  contro  le  città  che  alleate  di  essi  teneansi  ajncora fedeli:. ed  avendo  ben  tosto  apparecchiato  quanto  ricer- cavasi  per  gli  assedj  , piombò  su’  Tolerini  , gente  del , Lazio.  I Tolerini , preparatisi  molto  prima  per  la  gueiv ra , e portalo  in  dllà  , quanto^  bisognavacl  della  cam- pagna , ne  scontraron  l’ assalto.  Ben  resisterono  alcup tempo  , combattendo  e ferendo  ip  copia  i nemici,  dalle mura  , ma  risospinti  è travagliati  poi  fino  a sera  dai feombolierì  , le  abbandonarono  in  gran  parte.  Marcio , compreso  ciò , diede  ordine  ad  altri  che  applicasser  le scalchila  parte  derelitta  del  ricinto:  ed  egli  ne  àndò col  fior  de’  bravi  alle  porte  ; sebbene  infestato  cogli strali  dalle  torri  : e là  ^^zzali  *i  serragli , il  primo  si mise  in  città:  ma  perciocché  si  era  disposta  alle  porte una  schiera  folla  e poderosa  di  nemici;  questi  lo  rice- verono virilmente  ; disputandogli  lungo  tempo  intrepidi r intento , finché  perdutine  molti , dieder  volta , e sbanduiì  fuj^ronsi  jier  le  vie.  Gl*  insegoi  Marno , acciden- (Ione  c|uanli  ne  sopraggiangeva  ; se  'gettate  le  anni  non volgeansi  alle  preghiera.  lolanto  gli  asc^i  per  le  scale impadronironsi  delle  mura.  Cosi  la  città  fu  presa , e Mar- cio separò  dalle  prede  quanto  era  donativo  pe'  numi , o decorazione  per  le  città  de’  Yolsci , abbandonando  il  re- a’  soldati,  Aveanci  nell’acquisto  uomini , danari , grani; tanto  cUe  non  riuKl  facil  cosa  a vincitori  tor  via  tutto in  un  giorno.  Adunque  menandoselo , o trasportandolo successivamente  di  per  seslessi ,   assalto  , prese  ad  investirne  in  gran  parte le  mura.  I Bolani , aspettatane  1’  ora  conveniente , spa- lancano le  mura  ; e sboccandone  in  numero , a schiera, e con  ordine  ; si  avventano  su  quelli  che  stavano  a fronte: ed  uccisone  molti , e più  antera  feritine , e ridotti  gli altri  a turpissima  fuga , cioulraron  le  mura.  Marcio  , che non  era  presente  al  sito  dell’  inforinnio  , conosciuta  la  fuga de  Volsci  accorse  di  tutta  fretta  con  pochi  : e raccogliendo quei  che  vagavan  dispersi , li  ticongiun^  e rìaoimò  : poi riordinatili,  e- dimostrato  ciocch’ era  da  fare;  comandò loro  di  attaccar  la  città  verso  le  porte  appunto.  Ricor- sero i Bedani  a’  tentativi  medesimi , emergendo  in  gran mollitudine  dalie  porte.  Non  gli  aspettarono  i Volsci, ma  ripiegandosi  fuggirono  giù  pel  declivio  come  il  duce avea  già  suggerito.  Non  videro  i Bolani  l’ inganno , e tnoltissime  li  seguitarono  : quando  slontanatisi  già  dalle mura  ; Marcio  che  avea  seco  il  fiore  de’  giovani , diede su  loro  : e qui  molta  ne  fu  la  uccisione  ; fuggissero  o resistessero.  Seguitando  poi  li  respinti  fino  alle  porte , li prevenne;  internandovisi  a 'forza,  prima  che  si  richiu- dessero. Impadronito^si  il  duce  appeua  delle  porte  ; ecco giugnere  altra  moltitudine  di  Volaci.  Li  Bolani  abban- donate le  mura , rìpararonsi  nelle  case.  Divenuto  in  tal modo  r arbitro  anche  di  questa  città , concedette  a’  sol- dati di  farne  schiavi  gli  uomini , e di  porne  a sacco  le robe.  E trasportatane , come  altre  volte  , successivamen- te, a grand’  agio  , tutta  la  preda  , abbandonò  la  città finalmente  alle  fiamme. Pigliando  quindi  1’  esercite , ne  andò  su’  Labi- càni.  Eran  questi,  come  altri , 'Colonia  già  degli  Albani, ma  popolo  allora  ancb’  esso  dei  Latini.  Or  egli  per  at- terrirli fin  denti*o  le  mura , sparse , giuntovi  appena  , su’Joro  campi  il  fuoco,  principalmente  in  quelli  donde era  .per  essere  più  visibile.  Ma  i Labicani , avendo  ben fortificate  le  mora    sbigottirono  p?r  1’  arrivo  di  lui , nè  diedero  segno  alcuno  di  debolezza  : ma  si  opposero e pugnarono  generosamente;  trabalzandoli  piùjvolte  fin da  sopra  le  mura.  Non  però  resisterono ' con  successo; combattendo  pochi  contro  di  molli , e senza  requie  mai, nemmen  picciolissima  i giacché 'frequenti  erano  intorno la  città  gli  assalti  successivi  de’  Volsci  ; ritirandosene  via via  gli  stanchi , e cimentandosi  altri  l'ecpnti.  Adunque data  per  un  intero  giorno  battaglia,    fattasi  pausa «emmen  su  la  notte-,  furono  dalla  stanchezza  astretti  a lasciare  in  fine  le  mura.  Marcio,  espugnatele,  ne  rendè é schiavi  li  cittadini  , e dté  tutto  in  preda  a’  soldati.  Di  là trasferendo  1’  esèrcito  io  ordinanza  contro  la  città'  de’  Pe- dani , Latina  anch’  essa  di  popolo  , la  pigliò  di  forza , giuntovi  appena.  E trattatala  come  le'  altre  già  prese  , levandone  in  su  1’  alba  le  truppe  , le  menò  béntotfto  sa Corbione.  Ma  nell'  approssirharvisi  gli  abitanti  1’  apersero, ed  uscirongli  incontro  , presentando  simboli  di  pace , e la  ' resa  loro  senza  combattcrè.  Ed  egli , encomiatili  come savj  nel  provvedere  a séslessi , comandò  che  gli  portas- sero grano  ed  argento , come  l’ esercito  ne  bisognava  ; e ricevuto  tutto  secondo  i comandi , marciò  co*  snoi  con- tro Coriolo.  Gederonò  gli  abitanti  pur  questa  senza  re- sistenza ; ma  perciocché  con  pienissima  propensione  sup- plirono viveri,  danari,  e quanto  Kn  chiese  , nè  ritirò 1*  armata  ; come  su  territorio  àmico.  E per  fermo  ; egli procurava!  con  ogni  sollecitudine  che  quelli  che  si  ren- devano non  subissero  i mali  causati  dalla  guerra  ; ma riacquistassero,  intatte  le  loro  terre , e li  bestiami , e gli schiavi  che  aveano  lasciati  ne’  loro  poderi  : nè  permet- teva che  le  truppe  alloggiassero  belle  città  di  essi  ; per- chè non  fossevi  danno  di  furti  o prede , ma  le  accam- pava presso'  le  mura. XX.  Di 'qua  mosse  l’esercito  verso  Bovilla  (1)  città cospicua  allora  è contata  tra  le  primarie  de’ Ladini,  che (1)  Nel  lesto  dice  Boia:  ma  forse  dee  leggersi  Bovilta  \ percbl;' Co- riolgoo  già  era  stato  ai  Toleriai , a Bota , a Labico  , a Pedo,  a Cor- bipne , ed  a Coriolo. -Potrebbe  dubiigrsi  se  sia  scritto  Bovilla  nel $180  nel  presente  di  questo  libro  : Si  descrivono  tulle  due  come so  r alture  ; parlandovisi  di  declivj  ; e Boriila  eia  nella  via  Appia in  piano  , secondo  Cloretio. erair  pochissime.  Nod  Io  accolsero  già  quei  che  v’  erano dentro,'  confidati  nelle  fortificazioni 'assai  vàlide,  e nel numero  dei  difensori.  Adunque  egli  eccitando  le  trupper a combattere  generosanaente , e proponendo  amplissimi premj . a’ primi  che  ne  salisser  le  mura;  si  accinse  all’as^ salto.  Or  qui  vivissima   sava  ; n^i  perchè  , spalancate  le  porte ne  uscirono  in furia  ed  in  copia , e ne  incalzarono'  abbasso  quanti  ne erano  a fronte.  Assai  perirono  di  Voisci  in  quella  sorti- ta , e diuturna  fu  la  zuffa  sopra  le  mura  ; sicché  mai più  speravano  d’ invaderle.  Ma  il  duce  supplendo  nuovi soldati  non  fe’ conoscere  la  perdita  degli  altri:  e raccese l’ardore  dei  vacillanti;  portandosi  egli ‘stesso  alla  parte di  esercito  che  pericolava  : Nè  spiravano  coraggio  i delti soli , ma  i fatti  ancora  'di  lui  : corse  a tutti  I pericoli , nè  lasciò  tebtativo , finché  non  si  preser  le  mura.  Iril- padronitosi  poi  della  città,  messa  parte  dei  vinti  a 61  di spada  per.  le  leggi  dei  forti , e parte  rendulala  schiava , ricotadusse  f esercito.  E^Ii  rimenavalo  dopo  una  segnalala vittoria  c^'co  di  spoglie  bellissime,  e ricco  de’  tanti  da- nari , ivi  presi , quanti  in  ninna  delle  città  coqquistate. Dopo  ciò  tutta  la  regione  percorsa  'Era  in  po* ter  sùo , nè  più  gli  resisteva  ninna  'città  se  non  Lavinia, la -prima  delle  città  fondate  da’ Trojani  approdati  con Enea  nell’  Italia , dalla  quale  dm  vano  i Romani  come di  sopra  fu  dichiarato.  Gli  abitanti  pensavano  dover  pri- ma incontrare  ogni  male,  che  'mancar  di  fede  ai  discen- denti loro.  Adunque  vi  ebbero  attacchi  terribili  su  le mura,  e battaglie  veementi  per  le  forltficazioiu:^non  però sì  espugnarono  a prini*  impeto  ; ma  parve  abbisògnarvt assedio , e tempo.  Postosene  Marcio  all’  assedio  cinse intorno  la  dtià  di  vailo  e fossa , e guardò  le  strade  , perché  non  le  si  recassero  esterni  soccorsi  e viveri.  I Romani  udita  la  rovina  delle  città  vinte , compresa  la necessità  delle  Fendutesi  a Marcio , pressati  da’  messaggi quoiidiaid  delle  altre , fedeli  ancora  , che  imploravano ajulo,,  spaventati  insieme  dalla  circonvallazione  che  tira- vasi  intorno  Lavinia , e convinti  che  se  cadea  questo iurte  > la  guerra  verrebbe  addirittura  su  loro , crederono uno  solo  il  rimedio  a tanti  mali , decretare  il  ritorno  di Marcio.  Tutto  il  popolo,  gridava  questo  , e li  tribuni voleano  lare . una  legge  per  annullarne  la  condanna  : ma^ li  patrizj  si  opposero,  ricusando  che  si ' annullassé  al- cuna sentenza  enianàta.  E petuo.  Che  dunque  impedisce  che  rivenghi  alla  dolce, alla  carissima  vista  de' tuoi  pià  congiunti,  e ricuperi t amatissima  patria , e comandi,  come  ti  si  conviene, a chi  comanda,  e sii  duce  de' duci,  e ne  lasci  C am- plissima gloria  a'  tuoi  figli  e nipoti  ? E che  tali  e tante  promesse  avran  prontissimo  effetto,  noi,  quanti qui  vedi , noi  tutti  ne  siamo  i mallevadori.  Finché  nè stai  di  fronte  col  campo  e colla  guerra , non  parve al  Senato    al  popolo  far  su  te  decisione  ninna  di clemenza  e di  moderazione  ; ma  se  ti  levi  dalle  ar- me , avrai , né  tardi , e noi  lo  porteremo , il  decreto del  tuo  ritorno. Tali  sono  i beni  se  alla  patria  ti  riconcilii: ma  se  ti  ostini , se  t odio  non  deponi  verso  noi  ; dure  e molte  ne  saranno  le  conseguenze  : ed  io  due le  pià  manifeste  te  ne  addito  ; vuol  dire  : la  prima che  avresti  il  barbaro  amore  di  un'ardua  anzi  im- possibile cosa , di  abbattere  cioè  la  potenza  di  Ro- ma , e colle  arme  de'  Volsci  : C altra  che  quando pure  tu  ben  ^ indirizzi  e riesca  alf  intento  , ne  sa- rai creduto  il  pià  sciaurato  de'  mortali.  E perchè  io così  congetturi  su  te  ; lo  ascolta  o Marcio , nè  t’  ina- cerbare  sul  franco  mio  dire.  E prima  ne  intendi  la impossibilità.  Molta  è in  Roma , e tu  U>  sai,  la  gio- ventìi  paesana  : e se  le  si  tolga  ( e torrassele  per  la necessità  presente  in  tal  guerra  ) la  sedizione , rac- chetando il  timore  comune  tutti  i dissidj , non  pià  li V jIscì  , ma  niuna  gente  d’ Italia  ci  abbatterrà.  Molte sono  le  milizie  de*  Latirù , molte  quelle  degli  alleati, coloni  di  Roma , le  quali  aspettati  che  in  breve  giun- gano per  soccorrerci.  1 capitani , come  te , seniori  o giovani , tand  sono  di  moltitudine , quanti  in  tutte  lo altre  città  non  sono.  Ma  t ajuto  pià  grande  di  tutti, quello  che  non  ei  ha  mai  deluso  ne’ grandi  accidenti, e che  pili  vale  di  tutte  le  forze  degli  uomini,  è la beneifolenza  de’  numi , per  la  quale  teniamo  questa città  già  da  otto  generazioni  non  pur  libera,  ma  fe- lice , ed  arbitra  di  tante  nazioni,  JVon  pareggiarci  ai Pedani  , ai  Tollerim  , agli  altri  popoletti , de’  quali sormontasti  le  cittadelle.  Anche  un  altro  duce  minore di  te , e con  esercita  minore  che  questa  tuo  , violen- tato avrebbe  tali  fiacche  e poco  presidiate  munizioni. Ma  considera  la  grandezza  della  nostra  città  , la luce  sua  per  tante  imprese  guerriere , e C ajuto  di- vino pel  quale , già  picchia , tanto  s’  inff-andì  : nè concepire  che  si  diversifichi  codesta  tua  forza  colla quale  vieni  a tanta  cimenta  : anzi  ricordati  che  un esercita  meni  di  Folsci  e di  Equi  che  noi  stessi  ab- biam  vinta  in  tanto  battaglie  in  quante  osarono  di affrontarci  : Talché  ben  vedi  che  porti  a combattere i men  forti  contro  i pià  valorosi,  e chi  sempre  per- dette contro  vincitori  costanti,  E quand’  anche  fosse il  contrario  ; pur  sarebbe  da  meravigliare  , che  tu perita  di  guerra  non  sappi , che  ne'  pericoli  non  è pari  r artlire  in  ehi  difende  i suoi  beni , ed  in  chi cerca  gli  altrui  ; che  questi  se  non  vincono , niente  vi scapitano;  ma  niente  agli  altri  pià  resta,  se  perdono- E questa  principalmente  è la  causa  che  le  grandi armate  svaniscono  contro  le  piccole,  e le  migliori . contro  le  men  buone.  Chè  può  la  terribile  necessità , ponno  i pericoli  estremi  spirare'  corono  anche  ad indoli  che  non  ne  abbiano.  E quanto  alC arduità  deb r impresa  potrei  dire  piò  cose , ma  bastino  queste. Mi  resta  a fare  un  solo  discorso,  cui  se accompagnerai  colla  ragione  non  colf  ira , vedrai  che esso  è giusto , e ti  verrà  pentimento  del  procedere tuo  : ma  quat  è mai  questo  discorso  ? Gli  Dei  non concessero  a niuno  che  nasce  mortale  solida  scienza delt  avvenire  : nè  troverai  da  tutti  i secoli  alcuno  cui tutto  riuscisse  propizio  senza  mai  contrarietà  della sorte.  Perciò  li  piò  awanzati  in  prudenza , quale  il vivere  lungo  e la  molta  esperienza  la  recano , deano prima  di  accingersi  ad  una  impresa  considerarne  il termine,  non  solo  se  riesca  come  pur  lo  vorrebbono, ma  nel  caso  ancora  che  devii  dai  disegni:  e ciò  deano i comandanti  principalmente  delle  ‘ guerre , a'  quali , quanto  piò  essi  dispongono  gravissimi  affari,  tanto piò  tutti  ascrivon  la  origine  de'  buoni  o tristi  suc- cessi ; tal  che  se  vedono  esser  niuno , o ristretto  e piccolo  il  danno  dell'  azione  se  la  sbagliano , allora la  intraprendono  , ma  se  vario  e grande  lo  vedono , la  tralasciano.  Or  fa  tu  similmente  ; prevedi  avanti di  operare  ciocché  sia  per  incontrarti , se  manchi , o se  tutto  non  ti  viene  a seconda  nella  guerra.  Tu  sa- rai colpevole  presso  gli  ospiti  tuoi  di  aver  tentato  im- prese , grandi  piò  che  eseguibili.  Concepisci  ( nè  già lasceremo  impuniti  quelli  che  han  preso  ad  offen- derci ) che  r esercito  nostro  vengavi  novamente  ^ e devasti  le  loro  campagne  : non  potrai  evitare , 0 di essere  obbrobriosamente  trucidato  da  quelli  a’  quali sei  causa  di  mali    grandi , o da  noi  che  ora  vieni per  uccidere  e per  soggiogare.  Forse  essi  stessi  in- nanzi di  patirne  alcun  male  , tentando  far  pace  con noi  dovran  consegnarti  alla  patria  che  ti  punisca  : e già  Greci  e barbari  assai,  ridotti  a pari  vicende  , dm'ettero  ciò  sopportare.  Or  ti  pajono  queste  picciolo cose  , non  degne  a discorrerle , o tali  che  debbansi trascurare , o non  piuttosto  mali  estremi  a patirsi  ^ fra  tutti  i mali? XXVni.  Ma  via;  n abbi  tu  pure  il  buon  termine; e qual  frutto  allora  ne  avrai  così  desiderabile , così meraviglioso  ? qual  mai  gloria  ne  avrai  ? Deh  ! con- sidera questo  ancora.  Ti  succederà  primieramente  di esser  privo  degli  obbietti  che  piò,  ami , e piò  ti  ap- partengono ; io  dico  della  madre  alla  quale  porgi amara  la  ricompensa  di  averti  generato  e nudrito,  e de'  tanti  travagli  che  sostenne  per  te  : dico  della  sa- via consorte  la  qual  vedova  e solitaria  sta  desideran- doti , e deplorando    e notte  il  tuo  esilio  : e final- mente de'  due  tuoi  figli  a quali  aspettavasi , come  ai posteri  di  egregj  progenitori , che  ne  percepissero pieni  di  fama  buona  gli  onori  se  la  patria  fosse  fe- lice. Di  questi  tutti  sarai  costretto  a vedere  le  dolo- rose e sfortunate  catastrofi , se  ardirai  sospingere  fino alle  mura  la  guerra  ; giacché  a ninno  de'  tuoi  perdo- neranno gli  altri  che  temono  pe'  ctai  loro , e che  pa- tiscono disastri  eguali  da  te.  Concitati  dalla  propria calamità  doranti  terribilmente  e spietatamente  a balterli,  ad  ingiuriarli,  e far  loro  ogni  specie  di  vili- pendj  : e di  ciò  non  questi  che  il  fanno  ma  tu  ne sei  r autore , che  ve  gli  astringi.  Tali  i frutti  sono che  gusterai , se  ti  giunge  V intento.  Or  su  contempla la  lode  che  te  ne  avrai , la  emulazione,  gli  onori,  cose tutte  desiderevoli  a buoni:  Z’  uccisore  sarai  nominato della  madre , C uccisore  de'  figli , il  traditore  della consorte  y la  rovina  della  patria.  £ ninno  buono  , niun  giusto  vorrà  , dovunque  tu  capiti,  partecipare  ai tuoi  sagrifizj , alle  tue  libagiorU , al  tuo  consorzio  : nè  sarai  caro  a quelli  nemmeno  per  la  benevolenza de’  quali  ciò  fai  : ma  godendo  dascun  d'essi  il  frutto della  tua  empietà  , detesteranno  la  ostinazion  del  tuo cuore.  Lascio  di  dire  come  senza  /’  odio  che  avrai  fin da  piò  miti , ti  sarà  intorno  la  invidia  [non  piccola degli  eguali , il  sospetto  degl’  inferiori  , e per  queste due  emise  , le  insidie  , c ta/ui  altri  infortunj , quanti è verisimile  che  sopravvengano  ad  un  uomo,  privo  di amici  in  terra  di  estranei.  Lascio  di  dire  le  furie  che ispiransi  da’  numi  e da’  genj  negli  empj  e ne’  faci- norosi, dalle  quali,  straziati  ne’  corpi  e nelC  anima, vivono  sciaurata  la  vita  , aspettandone  misera  ancora la  fine.  Tali  cose  considerando  o Marcio  ' correggiti  ; e cessa  d’ inseguir  la  tua  patria.  Riguardando  la sorte  come  autrice  de’  mali  che  hai  da  noi  tollerato , ■ o fatto  a noi  , toma  felicissimo  a'  tuoi  , ricevi  gli empiessi  carissimi  della  tua  madre  , le  amorevolezze soavissime  della  tua  sposa , ed  i baci  dolcissimi  dei • tuoi  figli  :  almen  simili  cose  di  sè.  Ma  qual  altro  può gloriarsi  o centurione , o comandante  d aver  presa come  io  la  città  de’  Coriolani  (i)f  O qual  altro  in un  giorno  stesso  ruppe  f annetta  nemica  come  io  ruppi quella  degli  .daziati,  che  veniva  per  soccorrere  gli assediati  7 Lascio  di  ricordare  che  dopo  tesi  pegni  di tnrtà  potendo  io  prendere  in  copia  dalle  prede  oro  , argettto , schiavi,  giumenti,  gceggie , e terre  vaste,  e feconde  , non  volli  : ma  intento  a serbarmi  principal- mente senza  invidia,  pigliai  per  me  solamente  dalle prede  un  cavallo  militare  , e da  prigionieri  t ospite mio , ponendo  tutto  il  resto  ad  util  comune.  Dite  : era  io  per  tanto  degno  di  premj  o di  pene  ? Dovea subire  la  legge  da’  vilissimi  cittadini , o darla  io  lo- ro ? O non  mi  espulse  il  popolo  pcf  questo , ma  per- (i)  La  lode  h,  perebt  Coriolano  prese  con  pochi  la  città,  sema essere  ni  ooniaodanle,    tribuno,  a' qMii  sarebbe  alato  unto  piti facile  invaderla  colle  milisie  dipendenti.  chè  io  era  nel  retto  della  vita,  un  intemperante , un suntuoso,  un  senza  leggi?  Ma  chi  potrà  dimostrarmi un  solo,  pe*  miei  piacer  non  legittimi  esule  dalla  pa^ trio,  spogliato  dalla  libertà,  privato  degli  averi,  o ridotto  ad  altra  sciagura  qualunque  ? se  nemmeno  i nemici  mai  di  tali  cose  m’  incolparono  o calunniaro- no, contestando  anzi  tutti  come  irreprensibile  la  vita mia  quotidiana?  La  scelta,  dirà  taluno,  abbonila de  tuoi  governamenti  ti  procacciò  questo  male  ; Ut polendo  eleggere  il  meglio  ti  appigliavi  al  peggiore  : e dicesti  e facesti  tutto  perchè  in  patria  cadesse  il comando  degli  Ottimati,  e s' impadronisse  del  comune la  moltitudine  imperita , e scellerata,  O Minucio  ! Ben  io  mi  adoperava  in  contrario  , e provvedeva  che il  Senato,  maneggiasse  in  perpetuo  il  comune  , e re- stasse la  patria  forma  di  governo.  Per  tali  belli  sta- bilimenti , creduti    pregievoli  da’  nostri  antenati , io me  n ebbi  dalla  patria  la  si  fausta  e beata  ricom- pensa , cacciatone  non  solo  dal  popolo  , o Minucio , ma  molto  innanzi  pur  dal  Senato  , il  quale,  quando io  mi  opposi  a'  tribuni  che  m incolpavano  di  tiran- nide, mi  animò  da  principio  con  vane  speranze,  quasi osso  fosse  per  operare  la  mia  sicurezza  , ma  poi  te- mendo de’  plebei  mi  si  distolse  , e mi  cedette  a’  ne- mici. O Minucio  ! tu  eri  console  quando  faceveui  il previo  decreto  pel  giudizio,  e quando  Falerio,  cita tanto  ne  fu  lodato  , esortava  col  dir  suo , che  io fossi  al  popolo  consegnato.  Ed  io  temendo  dal  Se- nato un  decreto  che  mi  consegnasse  ; condiscesi , e promisi  di  andare  f e presentarmi  io  stesso  in  giudizio. Ma  dP  Minucio , rispondi  : parvi  al  po- polo solo , o pure  al  Senato  ancora  io  parvi  degno di  castigo  per  lo  buon  inaneggio  e condotta  mia  pub- blica ? Se  così  edlora  a tutti  ne  parve  ; e tutti  mi scacciavate;  egli  è chiaro  che  quanti  così  deliberavate, odiavate  allora  la  giustizia,    restava  in  Roma  al- cun luogo  che  sostenesse  il  bene.  Che  se  il  Senato  , violentato  , si  rendette  al  popolo  , e quella  fu  /’  o- pera  della  necessità  non  del  cuore  ; confessate  che  siete il  gioco  degli  scellerati,    resta  al  Senato  podestà niuna  su  qurmto  mai  scelga,  E ciò  stando  , mi  chie- derete che  io  men  venga  ad  una  città  dove  i buoni son  vittima  dei  ribaldi?  Troppo  di  stolidità  mi  con- dannate ! Or  su:  diamo  che  io  persuadami,  e che deposta , come  chiedete  , la  guerra  , ne  andiamo  ; qual  sarà  dopo  ciò  f animo  mio  ? quale  la  vita  ? Sebbene  eletto  il  partito  piò  sicuro  e meno  pericolo- so t cercando  io  poi  li  magistrati,  gli  onori,  ed  al- tro che  io  credo  competermi  , soffrirò  di  adulare  la turba  che  li  dispensa?  vilissimo  diventerei  di  magna- nimo , e niente  più  V antica  virtù  mi  gioverebbe.  O restando  ne’  miei  costumi , e serbando  le  istituzioni mie  del  viver  civile  mi  opporrò  a quelli  che  diverse ne  sieguono  ? Or  non  è manifesto  che  il  popolo  di nuovo  mi  combatterebbe  , che  a nuove  pene  mi  cite- rebbe, cominciando  l'accusa  da  questo,  che  io  rido- nato da  esso  alla  patria  , pure  ai  piaceri  di  lui  non mi  conformo  ? Certo  non  dee  dirsi  cdtrimente.  E qui sorgerà  tal  altro  insolente  tribuno  che  simile  agl'Icilj ed  ai  Decj  m incolpi  di  scindere  i cittadini  fra  lorOf d insidiare  il  popolo , di  tradire  la  patria  a'  nemici , di  tentare  , come  Decio  me  ne  imputava , la  tiran- nide, o taC  altra  ingiustizia  , come  ad  esso  ne  paja; giacché  non  mancano  a chi  ti  odia  i pretesti.  Pro» durransi  dopo  queste  , nè  già  tardi , le  imputazioni ancora  su  le  cose  da  me  fatte  in  tal  guerra,  che  io percossi  la  vostra  regione,  che  rapii  prede,  che  espu- gnai città,  che  di  quelli  che  le  difendevano  parte  ne uccisi,  e parte  a’  nemici  li  consegnai.  E se  gli  accu- satori allegheran  tali  cause  ; che  dirò  io  per  ispedir- mene  ? o con  quale  soccorso  sosterrommi  ? Non  è dunque  chiaro  o.  Minucio  che  belle v'  avete , ma  pur  finte  le  parole , e che  un  bel  velo date  ad  un  impuro  disegno  ? Non  a me  concedete  il ritorno  ; ma  vittima  al  popolo  me  portate  ; e forse ( giacché  buone  idee  su  voi  non  mi  vengono  ) vi  siete concertali  a ciò  fare , seppure  ciò  non  voleste,  senza prevedere  ( e vi  si  accordi  ) i mali  che  ne  avrei  da soffrire.  Or  che  varrebbemi  la  vostra  ignoranza  ? che  la  vostra  stoltezza  ? se  non  potreste  , anche  vo- lendo , niente  impedire  , necessitati  di  concedere  an- che questa  colle  altre  cose  alla  plebe.  Se  non  che non  piti  bisognan  parole  a mostrare  che  questa,  che io  chiamo  via  prontissima  di  rovina  : niente  , sebben voi  la  chiamate  ritorno , gioverammi  per  la  salvezza. Che  poi  ( giacche  m'  invitavi  a riguardare  ancor  que- sto ) niente  o Minucio  mi  giovi  per  la  buona  fama , niente  per  P onore , niente  per  la  pietade  , anzi  che io  opererei  turpissimamente  ed  empiiss imamente  se  a voi  mi  rendessi;  ascoltalo  dalla  mia  parte.  Io  mili- tai già  contro  questi  Folsci , e molto  nel  militare  li danneggiai  ; procacciando  alla  patria  impero  , forza  , chiarezza.  Non  convenivasi  thè  io  fossi  onorato  dai beneficati , ed  abborrito  dagli  offesi  ? jdppunto  ; se a ragion  si  operava.  Ma  la  sorte  perverti  tutto , e rivolse  ciocché  t uno  e C altro  mi  doveano  in  con- trario. Voi  per  le  cose  onde  io  era  a questi  nemico , mi  spogliaste  di  tutto  il  mio,  e , quasi  ciò  fosse  nul- la , mi  bandiste  : laddove , questi  che  avean  tanto infortunio  da  me , mi  raccolsero  questi  nelle  proprie città  povero  , abbietto , senta  casa  e senza  patria- Nè  bastando  loro  questo  splendido  , questo  genero- sissimo tratto  ; mi  han  conceduto  cittadinanza , ma- gistrature y onori , quanti  ven  sono  piti  grandi  in  tutte le  loro  città.  Ma  lasciamo  questo  : ora  mi  han  fatto comandante  assoluto  delV  esercito  posto  oltra  iete  a chiedere  , e non  4^  me , la  pace  o la  tregua. Tuttavìa  non  vi  do  questa  risposta  : ma  venerando gl’  Jddj  patenti , rispettando  le  tombe  avite  , commi- serando la  terra  ove  nacqui , le  femmine , i fanciulli non  degni  che  su  di  essi  ricadano  le  colpe  de’  geni- tori e degli  altri  ; e j nommen  che  per  questo  o Mi- nucio , in  grazia  di  voi  che  foste  qua  deputati  dalla città  ; vi  rispondo , che  se  i Romani  rendono  ai  fol- sci  le  terre  tolte  loro  , e le  città  che  ne  tengono  , ri- chiamandone i proprj  coloni;  se  fanno  pace  con  essi « comunanza  perpetua  di  diritti , come  co’  Latini , e giuramenti  ed  esecrazioni  contro  de’  violatori  de’  patti; io  do  fine  alla  guerra.  Annunziate  primieramente  ad essi  questo , poi , come  avete  presso  me  perorato  , aringate  presso  loro  sul  giusto  : e quanto  è bella cosa  che  ognun  s’ abbia  il  suo , e vivasi  in  pace  : quanto  pregevole  che  niun  tema    i nemici , nè  i tempi  : e come  è biasimevole  che  chi  ritiene  l’  altrui si  esponga  senza  necessità  alla  guerra  con  pericolo delle  cose  anche  proprie.  Dimostrale  loro  che  non eguali  sono  i premj  vincendo  o perdendo  per  chi  ap- petisce r altrui  : e se  vi  piace  aggiungete  , che  quelli che  han  voluto  prendere  le  città  degli  oltraggixti , se infine  poi  non  prevalgono , perdono  pur  la  terra , e la  città  loro  , e vedono  malmenate  obbrobriosamente le  mogli,  portati  i figli  agli  affronti,  e li  padri  lorOj fatti  schiavi  di  liberi  , nelC  estrema  vecchiezza  ; Per- suadete insieme  il  Senato  che  dovrà  tanti  mali  alla stoltezza  sua  non  a Marcio.  Terocchè  potendo  fcàre  il giusto  ; potendo  non  incorrer  ne’  mali  ; corrono  agli ultimi  rischi , aspirando  sentpre  alC  altrui.  Questa  è la  risposta;    potreste  altra  averne  dame:  andate, ponderate  ciocché  a fare  v abbiate  : io  vi  do  trenta giorni  per  decidervi.  In  questo  tempo  ritiro  o Minw- ciò  in  riguardo  tuo  e degli  altri  t esercito  da  questi campi,  che  asscù  se  vi  rinuuiesse,  ne  sarebbero  dan- neggiati, Al  ventesimo  giorno  mi  ci  aspettate  a pi- gliarne la  risposta. Ciò  detto  sorse  , e sciolse  1’  adunanza  : e nella  notte  seguente  presso  1’  ultima  vigilia  levò  l' eser- cito , e lo  condusse  OMilro  le  altre  città  Latine , sia  ebe realmente  fosse  persuaso  che  di    verrebbono  de’  sussid) a’  Romani , come  1’  ambasciadore  avea  detto , sia  che egli  ne  spargesse  la  voce  per  non  sembrare  d*  interrom- per la  guerra  in  grazia  de’  nemici.  E piombando  sopra Longola , ed  impadronitosene  senza  fatica , e fattovi come  nelle  altre,  dei  schiavi , e delle  prede;  venne  alla città  de’  Satrìcani.  Presala  , e tenutovisi  pitxiolo  tempo , ordinò  che  parte  dell’  esercito  recasse  le  spoglie  raccolte da  ambedue  queste  città  in  Eccetra , ed  egli  marciando coir  altra  parte  venne  a Ceda,  che  chiamano.  Otte* nutala  , e derubatala  -,  si  gittò  nel  teiritono  de’  Polu« scani  (1).  Non  valsero  nemmen  questi  a resistere  ; ed espugnatili , si  avanzò  verso  le  altre  città  : prese  di  as- (i)  Questa  Toce  è aiqbigaa.  Lirio  nooiioa  Tiebbia  ; ed  altri  ia questo  luogo  di  Oiooigi  vorrebbe  por  Silia  Seste  : ma  questa  par troppo  lootaaa  pel  viaggio  di  Marcio. (ij  Lapo  parve  leggere  Ttuelarù. salto  gli  Albieti  ed  i MugiUaui  ; e ricevette  a patti i Corani.  Divenuto  in  trenta  giorni  padrone  di  sette citti  ; si  rivolse  a Roma  con  più  milizie  che  prima  : e fermandosene  lontano  poco  più  che  trenta  stadj , si  ac- campò presso  la  via  Tuscoiana.  Intanto  che  prendeva  ed univa  a sé  le  città  de’  Latini , parve  ai  Romani , con- sultale lungamente  le  proposte  di  lai  , di  non  far  cosa indegna  della  repubblica.  Pertanto  , se  i Yolsci  partis- sero dal  territorio  loro , degli  alleati  e de’  sudditi , e lasciasser  la  guerra  e spedissero  ambasciadori  per  trattare la  pace  ; il  Senato  decidesse  allora  e ne  riferisse  al  po- polo le  condizioni  : non  decidesse  però  mai  nulla  di umauo  su  loro , finché  stavano  con  ostili  maniere  su  le campagne  di  Roma  e degli  alleati.  Couciossiachè  li  Ro- mani (Muervarono  sempre  altamente  di  non  far  mai  nulla pe*  comandi , nè  pel  terror  de’  nemici  ; ma  di  compia- cere, e contentare  gli  avversar]  pacificatisi,  e rendutisi, nelle  dimande  se  fosser  discrete.  E Roma  ha  mantenuto tale  sublimità  di  carattere  in  molti  e grandi  pericoli , nelle  guerre  co*  cittadini  e cogli  esteri  , e tuttavia  lo mantiene. Deliberate  tali  cose , il  Senato  scelse  am- )>asciadori  altri  dieci  tra’  consolari , perchè  dimandassero a Marcio  che  non  desse  ordini  duri    indegni  di  Ro- (i)  Silbnrgio  sospetta  ebe  io  luogo  di  Albiètì  debba  leggersi  La- hitiiati  ciot  Laviniaui  di  Lauinio , la  presa  del  quale  era  stata  tra- lasciata , come  si  t veduto  di  sopra.  Il  cognome  di  Lucio  l'apirio Mugillaoo  prova  che  vi  ebbe  una  città  Multila  di  nome  , donde tono  i MugiUani. montai . ama  Ili.  t Digitized  by  Google 5o  DELLE  Antichità’  romane ma , ma  deponessc  le  nimicizie , ritirasse  le  truppe  dal territorio  , e cercasse  di  trattare  con  modi  persuasivi  e conciliativi , se  voleva  che  gli  accordi  tra  due  popoli fossero  permanenti  ed  eterni  ; giacché  gli  accordi  sia privati , sia  pubblici , conceduti  per  la  necessità  e pei tempi,  finiscono  appunto  co’ tempi  e colla  necessità.  Or questi , eletti  ambasciadori , non  si  tosto . udirono  l’ ar- rivo di  Marcio , andatine  a lui , dissero  assai  cose  atte a guadagnarlo , badando  di  non  offendere  co'  discorsi  la maestà  della  repubblica.  Marcio  però  non  rispose  altro se  non  che  consigliavali  ( e questa  era  1’  unica  tregua che  dava  ) a tornar  fra  tre  giorni  con  deliberazioni  mi- gliori. E volendo  essi  replicare  ; non  lo  permise  : ma impose  che  partissero  immantinente  dal  campo.  E mi- nacciando che  li  tratterebbe  come  spie  se  non  ubbidi- vano ; quelli  ammutoliti  partirono  incontanente.  I sena- tori quantunque  udite  le  risposte  ostinate  e le  minacce di  Marcio , pnre  non  decretarono  di  portare  1’  esercito di    dai  confini , sia  che  ne  temessero  , come  raccolto in  gran  parte  di  fresco  , la  inesperienza  , sia  che  1’  ab- battimento temessero  dei  consoli  , poco  intraprendenti per  sestessi  , e giudicassero  pericoloso  il  cimento  ; sia che  i segni  celesti  interdicessero  loro  quella  uscita  per mezzo  degli  uccelli , degli  oracoli  Sibillini  , o di  altra visione  : cose  che  non  sapeano  gli  uomini  di  allora  , come  i presenti  , trascendere.  Adunque  deliberarono  di guardare  la  città  con  vigilantissima  cura,  e di  respingere dalle  fortificazioni  gli  aggressori. Ciò  fatto  e preparato  ; nè  tuttavia  dispe- rando di  piegar  Marcio  , se  lo  pressassero  con  deputazione  più  augusta  e più  grande , decretarono  che  pon- tefici ed  auguri,  e quanti  arcano  sacri  onori  e ministeri nelle  pubbliche  divine  cose  ( e molti  sono  fra  loro  e sacerdoti  e santi  ministri , e questi  i più  cospicui  pel sangue  paterno,  o pel  merito  proprio)  andassero  in  copia co’ simboli  delle  divinità  riverite  e festeggiate  in  Roma, e cinti  di  sacre  vesti , al  campo  nemico , e vi  replicas- sero gli  stessi  discorsi.  Giunti  questi , e dettovi  quanto aveano  dal  Senato , Marcio  non  rispose  nemmeno  ad essi  per  ciò  che  chiedevano;  ma  consigliò  che  partendo adempissero  gli  ordini  se  volevan  la  pace;  o la  guerra in  città  si  aspettassero  : del  resto  intimò  che  non  più ritornassero  a lui  per  far  parlamento.  Caduti  ancora  di questo  tentativo , e deposta  ogni  speranza  di  pace , si apparecchiavano  i Romani  per  1’  assedio  ; , collocando  i giovani  più  vigorosi  alle  fosse  ed  alle  porte  , e li  ve- terani già  licenziati  ma  pur  buoni  ancor  per  le  armi , alle  murai Le  mogli  loro , quasi  approssimatasi  già  la tempesta , lasciato  il  decoro  col  quale  si  tenevano  in casa , correano  ai  templi  piangendo  ed  abbracciandosi a’  simulacri  de’  numi.  Ed  ogni  sacra  magione  , special- mente  quella  di  Giove  in  Campidoglio,  risonava  di  ie* minei  ululati  e di  suppliche  : in  questa  una  matrona preminente  per  lignaggio  e per  dignità  trovandosi  allora nei  meglio  degli  anni  , attissima  a provveder  ciocché deesi  (Valeria  ne  era  il  nome)  sorella  di  quel  Popli- cola  il  quale  aveali  già  liberati  dai  tiranni',  eccitata  da istinto  divino , si  fermò  nel  grado  più  alto  del  tempio  , convocate  le  donne  compagne  , primieramente  le  consolò  ed  animò  a non  smarrini  ne’  mali , poi  diede  a vedere  che  restavaci  una  speranza  di  scampo,  riposta in  loro  nniramente , se  faceano  quanto  era  d'uopo.  Al- lora r una  di  esse  ripigliò  : Con  quale  opera  nostra mai  potremo  noi  donne  salvcwe  la  patria , non  sa- pendo  più  fare  ciò  gli  uomini  ? E qual  forza  ah- hiam  noi,  deboli,  sciaurate F E Valeria,  non  le  arme, disse  , abbisognano , non  le  mani  ; dispensandoci  da ciò  la  natura,  ma  le  arnorevolezze  e la  persuasiva. Or  qui  , fàltusi  clamore  , e pregandola  tutte  a svelarlo se  pur  ci  avea  rimedio  alcuno , disse  : In  questo  lutto , in  questo  disordine  di  vestimenti  prendete  compagne anche  altre  donne,  e menando  con  voi  li  vostri  figli, ne  andiamo  in  casa  di  Veturia  la  madre  di  Marcio. E ponendo  i nostri  figli  dinanzi  le  ginocchia  di  essa, e lagrimando  ; scongiuriamola  che  impietosita  di  noi non  colpevoli  di  male  ninno,  e della  patria  ridotta  in pericolo  estremo , vada  al  campo  nemico  ; e vi  meni i suoi  nipoti,  la  madre  loro  e noi  tutte,  le  quali  la seguiremo  co'  nostri  figlioletti  : e che  interceditrice presso  del  figlio,  lo  dimandi,  lo  supplichi  a non  fare la  calamità  della  patria.  Lei  piangendo  e rimovendo- lo; nascerà  forse  alcuna  compassione  o mite  pensiero in  quesF  uomo , che  già non  ha  si  duro  ed  impene- trabile il  cuore  da  respingere  fin  la  madre  che  ab- braccigli le  giruscchia. XL.  Poiché  le  astanti  ne  approvarono  il  dire;  ella supplicando  i numi  di  dare  persuasiva  e grazia  alle  istanze, loro  pari)  dal  tempio.  La  seguitarono  le  altre  ; e prese dopo  ciò  per  comp-igne  alti’e  donne  , ne  andarono  in fòlla  alla  casa  della  madre  di  Marcio.  Volannia  la  mo» glie  di  Marcio  seduta  presso  la  suocera  si  meravigliò nel  vederle  , e disse  : E che  possiamo  noi  farvi , o donne , cito  in  tanta  moltitudine  venite  ad  una  casa di  sciagura  e di  aflizione?  E Valeria  soggiunse:  i?t- doUe  a pericoli  estremi  noi,  con  questi  fanciullelli , veniamo  a te  supplichevoli,  o Feturia,  per  implorare^ tonico  e solo  ajulo,  e primieramente  che  abbi  pietà della  patria  non  mai  fin  qui  stata  in  man  de'  nemici, eicchè  non  vegli  soffrire  che  ora  la  libertà  le  si  tolga dai  Folsci;  seppur  conquistando  la  patria  la  rispar~ mieranno,  non  la  struggeranno  dai  Jondamenti.  Dipoi per  noi  preghiamo  e per  questi  miseri  fgU,  sicché non  veniamo  tra  gli  strazj  degf  inimici,  noi  niente ree  de  mali  accaduti.  Se  un  cuor  ti  resta  in  parte  al- meno, clemente  ed  umano;  deh!  tu  ne  compassiona, o F fluria , tu  donna , e tu  partecipe  de'  diritti  sacri , inviolati  delle  donne  (i):  prendi  teco  Folunnia,  que- sta ottima  donna,  e con  essa  i suoi  figli,  prendi  coi figli  nostri  pur  noi  supplichevoli  a un  tempo  e ma- gnanime , e vieni  al  tuo  figlio , persuadi , insisti , ni dar  fine  alle  suppliche  , finché  pe'  tanti  benefizj  tuoi non  ottieni  da  lui  che  si  rappacifichi  co’  suoi  citta- dini, e rendasi  alla  patria  che  lo  ridomanda'.  Ut,  ben 10  sai,  trionferai  di  lui,  che  pietoso,  certo  te  non dispregierà  prostrata  a’  suoi  piedi.  E tu  riconducendo 11  figlio  tuo  alta  patria,  ne  avrai,  corni  è giusto, splendore  sempiterno  , perchè  C avrai  liberala  da  tale ())  Meli’  uso  della  Religione  comune rischio  e terrore:  e sarai  cagione  a noi  di  essere  oHo~ rate  presso  degli  uomini  ; perchè  avremo  sciolta  la guerra  che  non  potè  da  essi  dissiparsi.  Parremo  cojI le  discendenti  veramente  delle  femmine  che  mediatrici terminarono  la  guerra  di  Romolo  co’  Sabini  ; e conm giunsero  duci  e nazioni,  e grande  renderono  di  pie— dola  la  città  (i).  Magnìfica  sarà  t impresa,  o Fetu- ria , d' aver  seco  riportato  il  figlio  , d’aver  liberata  la patria  > salvate  le  sue  concittadine  ; e di  lasciare  ai posteri  suoi  luce  indelebile  di  virtù.  Dacci,  o Fetum ria , con  cuore  spontaneo  e vivido  questa  grazia  ; vieni  , ti  accelera  ; poiché  grande , imminente  il  pe- ricolo non  ammette  più  indugio , o consiglio. XLI.  Giù  detto  , tutta  in  pianto  , si  tacque.  E pian- gendo pur  esse,  e pregando  vivamente  le  compagne; iVeturia,  vinta  dalle  lagrime,  dopo  breve  silenzio,  disse: Foi  seguite  , o Falena , leggera  e fiacca  speranza  ; promettendovi  un  ajulo  da  noi  ; donne  infelici.  Ben abbiamo  tenerezza  per  la  patria , e volontà  di  saL'ore I cittadini,  qualunque  mai  siano;  ma  la  potenza  e la efficacia  ne  mancano  per  compiere  ciocché  vogliamo. Marcio  , o F ileria , ne  rifugge  da  che  il  popolo  fe’ di  lui  r amara  condanna  , ed  odia  tutta  la  casa  in- sieme colla  patria.  E ciò  diciamo , sapendolo  da  Mar- cio stesso',  non  da  altri;  perocché  quando  soggiaciuto alla  condanna  venne  in  casa  in  mezzo  agli  amici , trovando  noi  addolorate  , abbattute  , co’  figli  suoi  su le  ginocchia , e che  piangevamo  , corri  era  giusto , e (i)  Vedi  1.  a,  $ 4^  » espone  disicsantenle  tale  storia deploravamo  la  sorte  che  ci  soprastava  nel  perderlo  ; egli  fermatosi  alquanto  da  noi  lontano,  insensibile  come una  pietra,  e co’  sguardi  fissi,  partesi,  disse  ^ Marcio  da voi,  o madre,  o Volunnia  donna  bonissima,  cacciato  dai suoi  cittadini  perchè  prode,  perchè  amico  della  repubblica, e perchè  subito  ha  tanti  travagli  per  la  patria.  Voi  so- stenete , come  si  conviene  a femmine  virtuose , tanta calamità  , non  facendo  mai  nulla  d’ indegno , mai  nulla di  vile:  consolandovi  in  questi  fanciulli  sulla  mia  priva- zione , educateli  degni  di  noi  , e della  stirpe.  Gli  Dei concedano  ad  essi , uomini  divenuti , sorte  più  buona  ; ma  virtù  non  minore.  Addio.  Io  vado , e lascio  questa città  che  più  non  cape  gli  onesti  uomini.  Addio  numi tutelari,  e tu  Vesta,  paterna  divinità,  e voi  quanti  siete Dei  di  questo  luogo.  Appena  ciò  disse , noi  misere  , noi  dal  dolore  impedite,  scoppiando  in  gemiti,  e per^ cotendoci  il  petto  portai'amo  a lui,  per  riceverli  an~ cara , gli  amplessi  estremi  : ed  io  menava  meco  il maggiore  de’  figli , e la  madre  avevasi  in  braccio  il minore.  Quando  egli,  ritirandosi  e rispingendoci,  disse: Da  ora  innanzi  Marcio  non  più  sarà  tuo  figlio , o ma- dre, togliendoti  la  patria  in  esso  il  sostenitore  della  tua cadente  età  , nè  più  sarà  da  questo  giorno  il  tuo  spo- so, o Volunnia:  ma  sii  pur  felice,  un  altro  cercan- dotene più  di  me  fortunato  : nè  più  sarà  padre  vostro o figli  carissimi:  ma  orfani  e solitarj  presso  queste  cre- scete fino  agli  anni  virili.  Ciò  detto  , nè  soggiungendo altro,    comandando,  e non  significando  nemmeno ove  andasse , uscì  di  casa , o donne  , solo , senza servi , in  disagio  , senza  portare  seco  delC  aver  suo neppure  il  vitto  di  un  giorno.  E già  volge  t anno quarto  eh’  egli  fuggì  dalla  patria,  e riguarda  noi  tutto come  straniere , niente  scrivendo  , niente  mandandoci a dire,  e niente  volendo  di  noi  risapere.  Or  presso un  cuore  si  duro , si  impenetrabile  , o Troieria , qual forza  avranno  le  preghiere  di  noi  alle  quali  non  dava, partendo  £ ultima  volta , non  un  amplesso , non  un bacio , non  significazione  niuna    affetto? Che  se  tuttavia  domandate  voi  questo , e vo- lete in  tutto  vederne  wniliate  ; concepite  , che  io  e Volunnia  a lui  ci  presentiamo  co’  figli.  Quali  discorsi io  madre , dirìgo  la  prima , quali  preghiere  porgo  al mio  figlio  ? Dite  , ammaestratemi.  Chiederò  che  per^ doni  a suoi  cittadini  da  quali  ( e senza  che  offesi  gli Oi’esse  ) fu  privato  della  patria  F Chiederò  che  inte- neriscasi o compassioni  la  plebe,  che  su  lui  non  seppe intenerirsi , tré  compassionarlo?  Che  abbandoni  e tra- disca quelli  che  esule  lo  hanno  raccolto , i quali  seb- bene malmenati  già  un  tempo  da  lui  tanto  e sì  fe- ralmente , pur  non  £ odio  gli  mostrarono  di  nemici , ma  la  benevolenza  di  amici  e di  congiunti  ? E con qual  cuore  pregherei  io  mai  questo  mio  figlio  che amasse  chi  lo  sterminava,  ed  oltraggiasse  chi  lo  sal- vava ? Non  sono  questi  i discorsi  di  una  madre  savia al  suo  figlio  , non  di  una  moglie  al  marito  : nè  voi ci  astringete , o donne , che  imploriamo  da  lui  cose non  giuste  presso  degli  uomini,    pietose  presso  gli Iddii:  piuttosto  lasciate  noi  misere  nella  umiliamone ove  siamo  per  la  sorte  , senza  che  noi  pure  svergfs- gniamo  piu  ancora  noi  stesse. Taciutasi  lei,  surse  un  tanto  lamentarsi  di femmine,  e tale  un  pianto  ne  riinbotnbò,  che  udendo- sene i • clamori  per  gran  parte  della  cUlà , si  empierono di  popolo  le  vie  d’ intorno  la  casa.  Poi  rinovando  Va- leria più  lunghe  e più  commoventi  preghiere , le  altre donne , com’  erano  congiunte  di  amicizia  o di  sangue con  r una  o l’ altra  di  loro , supplicavano  ancora  in atto  di  stringerne  le  ginocchia.  Tantoché  non  più  re«- stendo  per  l’ afflizione  fra  tanto  piangere  e supplicare; cedette  infine  Vetutla  , e promise  di  andarne  oratrice per  la  patria  co'  figli  e colla  moglie  di  Marcio , 'e^  con quante  cittadine  voleano.  Racconsolatesi  allora  vivaiùeuté, ed  invocati  i numi  a favorire  le  loro  speranze  , parti- rono dàlia  casa , e nunziarono  ai  consoli  il  fatto.  E questi,  lodandone    buona  volontà,  convocarono  ed interrogarono  i padri , se  fosse  da  concedere  che  le femmine  ^uscissero.  Or  molto,  e da  molti  se  ue  disputò; tanto  che  giunti  a sera  dubitavano  ancora  ciocché  fosse da  fare.  Dicevano  molti  non  essere  piccolo  cimento  per- mettere che  le  donne  andassero  co’  figli  al  campo  dei nemici;  imperocché  se  questi,  spregiando  le  leggi  sacre degli  ambasciadori  e de’  supplichevoli , volessero  che  le femmine  non  più  'rìtornassero , prenderebbono  Roma senza  combattere.  Pertanto  consigliavano  che  si  lascias- sero andare  a Marcio  solamente  le  donne  che  a lui  si appartenevano  insieme  cu’  figli.  Altri  però  giudicavano che  non  si  concedesse  che  andassero  nemmeno  rpieste; anzi  esortavano  di  custodirle  gelosamente  , e di  consi- derai le  come  ostaggi  sicuiissimi,  perchè  la  città  nou  subuse  grave  disastro.  Per  l’ opposito  altri  proponevano che  si  accordasse  a quante  donne  volevano  , di  uscire  , perchè^  le  donne  congiunte  a Marcio  , fornissero  con  ' più  dignità  la  mediazion  per  la  patria.  Dicevano  che non  succederebbe  ad  esse  niente  di  sinistro;  giacché  ne sarebbero  mallevadori  primieramente  i numi  col  favore santo  de’  quali  si  moveàno  ad  intercedere  ; e poscia  il duce  stesso  al  quale  ne  andavano , come  uomo  puro ed  inviolato  in  sua  vita  da  ogni  ingiusto  ed  empio  at- tentato. Vinse  finalmente  il  partito  che  accordava  alle dònne  di  andare,  e còn  decoro  amplissimo  di  ambedue; del  Senato  come  savio , perchè  vide  ciocché  era  a farsi il  migliore , senza  punto  turbarsi  al  grande  perìcolo  ; e di  Marcio  finalmente  per  la  sua  pietà,  perché  fh  confi- dato, che  niènte  oliraggerebbe  tal  parte  imbelle,  espostasi a lui  quantunque  egli  fosse  nemico.  Steso  il  decreto , e recausi  l consoli  al  Foro,  e raccoltovi  il  popolo,  essendo già  notte , vi  palesarouò  il  voler  del  Senato  , e preor- dinarono , che  tutti  al  nuovo  giorno  accorresserò  alle porte  per  accompagnarvi  le  donne  che  uscireld)ero.  Busi frattanto,  diceano,  che  curerebbero  quanto  era  d'uopo. Era  ornai  l’alba  vicina;,  quando  le  donne  por- tando i figli  loro , andarono  colle  faci , e presa  in  sua casa  Vcinrìa  , la  condussero  alle  porte.  I consoli  idle- sUte  mule  da  tiro,  e carri , ed  altri  trasporti  moltissi- mi, ve  le  acconciarono,  e seguironle  per, lungo  tratto: le  accommiatavano  intanto  i senatori  ed  altri  in  buon numero  con  auguri,  con  preghiere,  con  eocomj , ren- dendone cosi  più  dignitoso  il  viaggio.  Come  si  potè dal  campo  distinguere , che  donne , lontane  ancora , si àvanzavano  , Marcio  spedi  de’  cavalieri  per  apprendere che  fosse  quella  moltitudine , e perehé  dalla  catti  ne veoisse.  E risapendo  da  loro  che  venivano  le  donne Romane  oo*  6gli , e che  innanzi  -di  tutte  era  la  madre di  lui,  e la  moglie  co’  figli  suoi;  stupì  da  principio  che femmine  potessero  aver  cuore  di  avanzarsi  co’  Ggli  senza guardie  al  campo  nemico , e darsi  a vederè  ad  uomini insoliti , lasciata  la  verecondia  conveniente  * a matrone ingenue  e pudiche , e la  paura  del  pericolo  nel  quale incorrerebbero , se  questi  volgendosi  airutile  più  che  al giusto  , volessero  acquistarle , . e giovarsene.  Ma  poscia- cbè  furono  vicine , deliberò  di  uscire*  dal  campo  con alquanti  ' verso  la  madre , comandando  ai  littori  che quapdo  le  fossero  dappresso  deponessero  le  scuri , e le abbassassero  i fasci.  Usavano  i Romani  questo  rito  quando i magistrati  minori  s’  incontravano  co’  maggiori  ; ed  il rito  persevera  ancora.  Osservò  Marcio  allora  tal  pratica, e rimosse  tutti  i segnali  dell’  autorità  sua  ; quasi  egli dovesse  presentarsi  ad  una  autorità  maggiore  : tanta  fa la  riverenza , tanta'  la  sollecitudine  sua  per  la  pietà verso  la  madre.' XLV.  Fattisi  ornai  vicini  , si  avanzò  la  prima  per riceverlo  la  madre , ahi  ! quanto  miseranda  , squallida vestunenti , e logora  gli  occhi  dal  piatito.  Come  la vide , Marcio , duro , imperturbabile  fin’  allóra  contro tutti  gli  assalti , non  più  valse  a persistere  nel  propo- sito suo:  ma  vinto  dagli  affetti  del  cuore  umano  corse, la  strinse , la  baciò , la  chiamò  con  tenerissimi  nomi:  e molto  lagrimandone , e curandone  ; la  sostenne,  mentre venuta  meno  abbandonavasi  a terra.  Soddisfiitta  la  tenerezza  sna  verso  la  madre , ricevendo  la  donna  sna  che sea  veniva  co’  figli  disse  ^ Fornisti  o Koluimia  gli  of- fizj  di  ottima  donna , > uh’endoli  presso  la  mia  geni- trice: ed  io  godo  come  su  dono  dolcissimo  infia tutti,  che  non  t qhbandonasli  nella  sua  solitudine. Dopo  ciò  chiamato  a sé  1’  uno  e l’altro  de’  figli  , e ca- rezzatili come  si  conveniva  ; si  rivolse  noVamente  alla madre,  invitandola  a dire  per  qual  fine  veniva:  ed  ella soggiunse  che  il  direbbe , udendola  tutti  ; giacché  non chiederebbe  se  non  giustissime  cose.  Lo  esortava  dunque che  sedesse  nel  luogo  appunto  dal  quale  solea  far  giu- stizia a’  suoi  militari.  Con  piacere  udì  Marcio  la  propo- sta , pen    varrebbesi  di  assai  più  regioni  per  rispon- dere alle  istanze  .di  essa  , e darebbe  dv  opportunissimo luogo  fra  la  turba  la  risposta  (i).  Adunque  recatosi  al tribunal  militare  fe*  da  indi  rimovere  e calarne  al  pian- teiTeno  la  sedia  , giudicando  non  dover  lui  tenersi  p’ù alto  che  la  madre , nè  còn  maestà  niuna  contro  di  lei. Poi  fatti  sedere  presso  di    li  più  cospicui  de’  capitani e dei  centurioni , e lasciando  che  intervenissero  quanti volevano  ; significò  alla  madre  che  incominciasse. Veluria  , poste  innanzi  del  tribunale  la  donna di  Marcio  co’  figli  e le  altre  più  ragguardevoli  tra  le Romane , ' pHmieramente  rivolti  gli  occhi  alla  terra  , pianse  lungamente , p mosse  tenera  compassione  negli astanti  : poi  raccogliendo    stessa  disse  : Le  donne  , o (i)  Perché  sarebbe  siala  risposta  pubblica;  udendolo  cbi  Tclcea  ; e perché  cjuel  luogo  stesso,  di  dignità  e di  comando  aerebbé  ricor- dalo «Ila  madre  le  ubbligaiionf  Che  egli  arcTa  co'  Votaci. (a)  Anni  di  Roma  a06  sccoodu  Calorie,  a63  secondo  Varoue, e 4^  arami  Criaio. Marcio  figlio,  considerando  gC  info rtunj  che  su  di esse  piomberebbero  se  la  città  divenisse  de  nemici , diffidatesi  di  ogn  altro  soccorso  , poiché  tu  davi  le  sì dure,  le    ostinate  risposte  agU  uomini  che  chiedeano un  fine  alla  guerra  ; queste  donne  , o Marcio ^co’  /?- glioletti , in  questo  lugubre  apparato  ricorsero  a me tuà  madre , ed  a V olunnia  tua  sposa  per  supplicarci 'a  non  permettere  che  avessero  tanto  male  ‘da  te,  più che  da  ogn  altro , esse  cfie  non  ci  aveano  offeso punto    pocO',  e che  grande  ci  aveano  dimostrata la  benevolenza  nella  nostra  sorte  felice,  e viva  nom- meno  la  compassione  quando  ne  dec'ademmo.  Noi  ben possiamo  testificarti  che  dalf  ora  che  tu  lasciavi  la patria , daW  ora  che  noi  restavamo  derelitte  nella  so- litudine , e nel  nulla  , esse  di  continuo  ci  visitarono , ci  consoletrono  , e piansero  al  pianto  nostro.  Memori di  tanto  io  e questa  tua  donna , coabilatHce  mia , non  abbiamo  già  ripudiato  le  loro  preghiere , ma preso  abbiam  cuore  di  cercarti  ; e pregarti  , corno  ci atìdimandavano  , per  la  patria. E lei  parlan(h>  ancord  , Marcio  ripigliava  : rnadre  ! se'  tu  venuta  per  un  impossibile  , venendomi a chiedere , che  io  Iralisca  quelli  che  mi  hanno  ri- cettato a quelli  che  mi  bandivano , quelli  che  mi  do- navann  i beni,  più  grandi  fra  gli  uomini  a quelli  che tutto  il  mio  rn  involavano.  Io  pigliando  questo  cofnan- do,  dos  a malle\'adori  i genj  ed  i numi,,  che  non  avrei tiadito  gU  ospiti  miei,    finita  la  guerra  se  cosi  non fosse  piaciuto  a tutti  i Volsci.  Pertanto  adorando gt  Iddìi  su  quali  giurai,  riverendò  gli  uomini  a quali vincolai  la  mia  fede,  guerreggieiò  fino  alla  decisione co'  Romani.  Se  renderanno    f^olsci  le  terre  che"  ne possiedono  colla  forza  ; e se  amici  se  ne  fwanno  , accomunando  ad  essi  tutto , come  co'  Latini  ; deporrò ' le  armi  : altrimente  mai  contro  di  essi  le  deporrò  / Voi  dunque  andatene.,  o donne,  riferite  ai  vostri  un tal  dire  , e persuadeteli  a non  pretendere  ingiusta- mente [ altrui,  ma  contentarsi  del  prpprio  , quando altri  lascia  che  lo  abbiano.  Non  aspettino  che  si  ri- tolga loro  colla  guerra  , quanto  colla  guerra  usurpa- rono ai.  Volsci;  perocché  li  vincitori  non  saranno  già paghi  di  ricuperate  i lor  beni,  ma  vorranno  quelli ancora  de’,  vinti.  Se  ritenendosi,  e difendendo  ostina- tamente ciocché  lor  uon  si  spetta,  vanno  incontro  m pericoli,  accusino  sestessi,  e non  Marcio,  e non  altri de'  mali  che  piomberanno  su  loro.  E tu  -daW  altra parte',  o madre , io  figlio  tuo  le  ne  prego  , non  mi sollecitare  a cose  non  degne,    giuste;  nè,  unendoti d miei  e tuoi  malevolissimi , volete  credere  a te  con- trarj  quelli  che  ■'ti  sono  per  natura  amicissimi  : ma standoti , coni  è ragìc^nevole , presso  me , vegli  riguar- dare per  patria  quella  che  io  riguardo',  e possedere per'  casa  quella  che  io  possiedo,  e godere  con  me  gli onori  miei , e la  mia  riputazióne , presi  per  parenti , per  amici  e nemici  tuoi,,  quelli  appunto  cK  io  pren- dami. Bandisci,  o misera , f afiìanno  sostenuto  finora per  la  mia  fuga,  e pesfa  in  tale  tua  forma  .di aflig- germi.  Gli  altri  beni , o madre  , più  belli  della  spe- ranza, più  grandi  del  desiderio  mi  son  dati  da  mimi, e dagli  ùomini.  L’affanno  che  io  prendea  su  te,  non contraccambiandoti  col  nudrirli  ne'  senili  tuoi  giorni, diffuso  per  le  mie  viscere,  amareggiava  e levava  la mia  vita  da  ogni  bene.  Se  meco  ti  rimani,  se  parte- cipe ti  fai  di  ogni  mia  cosa;  più  non  mi  mancherà alcuno -tra  L mortali. XLVIII.  E qui  taciutosi  lui  , Veturia  sopraslando breve  tempo  &nchè  , cessassero  le  lodi  cbe  molte  e grandi gli  si  fecero  da’ circostanti,  soggiunse:  Non  io.  Marcio figlio  , ti  voglio  il  traditore  de'  Volsci , che  ricevitori tuoi  nelC  esìlio  , ti  onorarono  in  iMtte  guise  , e ti affidarono  il  comando  di  ses tessi  ; nè  voglio  che.  tu da  te  solo  finisca  senza  il  voto  comune,  la  guerra contro  i patti  e i giuramenti,  chè  facevi  loro,  quando prendevi  armata  : nè  temere  che  la  madre  tua  siasi di  tanta  malvagità  riempiuta  ; ‘ che  inviti  C unigenito e carissimo  figlio  a cose  vituperose  e non  giuste:  ma cJtiedo  che  tu  levi  col  pubblico  voto  la  guerra , ridu^ cendo  i V ytsci  a temperanza , e ponendo  tra  le  due genti  pace  ì>ella  e decorosa.  E ciò  sarà  fatto  , se  al presente  movi  t armata  e la  ritiri,  e fai  tregua  per un  anno  ; perocché  spedendo  e ricevendo  in  questo tempo  ambasciadori , procaccerai  pace  stabile  , e vera amicizia.  Tu  ben  -sai  che  f Romani  , se  il  disonore , o la  impossibilità  non  lo  vieta  ; faranno  vinti  dalle persuasive  ogni  cpsa  : laddove  violentali , come  ora vuoi  tu  violentarli  , non  concederanno  mai  cosa  pic- ciola  o grande , come  puoi  tu  conviruertene  da  tanti esempj  , ed  ultimamente  dalle  cose  concedute  ai  La- tini che  deposeco  le  ormL  1 Volsci,  dirai,  sono  assai  ' più  pertinaci,  come  avviene  ai  gran  fortunati.  Ma  se ricordi  loro  che  ogni  pace  vai  più  della  guerra:  e che più  stabile  è quella  che  si  fa  per  amicizia  la  quale rende  i cuori  propizj  , che  non,  f altra  la  quila  per necessità  si  riceve:  esser  proprio  de’ sa>’i  moderare  la sorte,  quando  stimano  averla;  non  però  mai  ft^  cosa indegna  nelle  vicende  infelici  e meste  ; se  dirai  loro gli  altri  documenti  quanti  sen  trovano  ( notissimi  a voi che  il  pubblico  maneggiate ) per  indurre  a dolcezza  a mansuetudine  ; scenderanno  dalt  eUterigia  ove  sono  , e concederanno  che  facci  quanto  credi  a loro  giove- vole, Ma  se  resister^anno  , se  non  ammetteranno  il dir  tuo  , sollevati  dalle  belle  Jbrluna  provenute  da  te e dal  tuo  comandare , cqme  siati  quéste  immutabili  ; rendi  loro  palesemente  co  lesto  tuo  capitanato  , nè  il traditore  sii  di  chi  te  lo  afJidcR>a  , nè  il  combattitore de’  congiuntissimi  tuoi  ; cose  , T una  e t altra  inde- gnissimo. Queste  soao , o Marcio  figlio , le  cose  che io  vengo  a supplicarti  che  sian  fatte  da  te  , non  im- possibili come  tu  dici,  ma  pure  da  ogni '' rimorso  di ingiustizia  , e di  malvagità. Tu  temi  '(  sono  questi  i titoli  che  vai  ma- gn'ficanio  col  discorso  ) tu  temi  d’  incorrere    fai quanto  consiglioU,  la  taccia  rea  come  d’ ingrato  versa i tuoi  benefaUori , i quali  ti  accolser  nimico  , e ti a nmisero  a tutti  i-loro  beni , quali  se  gli  hanno  co^ loro  che  nacquero  cittadini.  Ma    j non  hai  tu  len- dulo  toro  il  molliplice  e bel  contraccambio  ? non  hai suj'ferato  i benefizj  loro  colt amplitudine  immensa  dei tuoi?  Costoro  che  leneano  pel  sommo  e pel  più  ama- bil  de  beni  viversi  liberi  usila  patria  ; gli  hai  tu  ridutU  (fuesti  non  solo  arbitri  stabilmente  di  sestessi , ma  tali  infine  da  bilanciare  , se  tornasse  lor  megliò, di  abbattere  la  potenza  de' Romani,  o di  partecipare, ugualmente  alla  repubblica  che  Roma  ha  fondato. Lascio'  di  dire  con  quante  spoglie  abbi  ornalo  le  loro città  per  la  guerra,  e con  quanta  ricchezza  premiato quelli  che  vi  militav vedo  che^  gU  orgogliosi  che quei  che'  spregiano  le  preghiere  -de  supplichevoli,  cor- rono all  ira  de'  numi  ed  alia  sciagura  finalmente. Certo  gl'  Jddii  • istituirono  e ne  dierono  tale  costume  ,- essi  i pruni  ptrdanano  s e fqcili  si  rappaciane';,  e molti  si. placarono  già  pe’  voti  j e'  pe'  sagrifizj  verso di  uomini,  lontani  per  grandi  reità  da  loro".  Quando o A/arcio  tu  tioti  vagli  che.  l’  irà  de’  celesti  sia  mor-^ tale , ma  immortale  quella  , degli  'uoniini  ; • forai  con rettitudine  f e con  dignità  tua  o della  patria , se  ne condoni  gli  errori , essa  già  correggendosene , e pla- candotisi , e rendendoti  quanto  prima  ti  levava. LI.  Che  se  implacabile  ti  rimani  , rendimi  questo deposito,  questo  benefizio y i quali  niun  altro  può  ri- peterti i e pe’  quùli  hai  tu  non  le  minime  , ma*  le auiplissinte  è pregiatissime  doti ,' onde  tutto  ottenesti,, rendimi  il  corpo  tuò  e l’ànima.  Derivate  le  hai  que- ste da  ma;  ; nè  luogo  o tempo  , nè  beneficenze  , nè  • grazie  di  Fblsci  o di  altri  mai  tanto  ' eccederanno  e saliran  fino^  ai  cieli  ;.  che  tu  possi»  csmcellar  la  natu- ra, ,nò  pù't  udirne  i diritti.  Mio  sarai  pur  tu  semproj e sempre  il  bene  del  vivere  a me  dovrai  per- la  pri- ma, e 'farai  senza  scusartend  quanto  ti  additnando- Ciò  prescrive  la  natura  ai  viventi  che  sentono  e che ragionano  { >e  di  ciò  confidata  puf  io  , ti  supplico  o Marcio  figlio  a non  portaré  guerra  alla  patria;,  o qui  sto  per  oppormiti  se  le  fai  violenza.  O me  tua madre  che  mi  ti  oppongo  sagrijicherai  prjma  di  tua mano  alle  furie , e cosi  darai  principio  alla  guerra; o,  se  temi  la  infamia  di  matricida,  cedi  o figlio  alla madrfi  tua  ; dammi  , flie  il  puoi , questa  grazia.  Se questa  leg^e  che  niun  tempo  ha  mai  tolto,  mi  assiste, mi  protegge  > non  è giusto  o Marcio  che  io  sola  sia da  te  priva  degli  onori  che  essà  mi  concede.  Ma  Ics- sciando  questa  legge  , ricordati  la  tanta  e gran  sc^ie de'miei  benefizj.  Io  prendendo  a curar  te  fanciulletto, orfano  del  padre  tuo védova  me  ne  rimasi , e gli stenti  tutti  soffersi  onde  allevasi,  madre  tua  non solo , ma  padre  in  ur[  tempo  , educatore  é sorella dimoetrandomiti  , ed  ogni  altra  spficie  . di  teneri  .og- getti. Divenuto  tu  grande,  potendo  io  liberarmi  dalle • cure  , nutritandomi  ad  •altri , e darmi  nuovi  figli  e nuove  speranze  sostenitrici  della  vecchiezza;  non  volli, hià  restài  ne'  tuoi  lari  'domestici , contenta  della  vita medésima,  e ristringendo  a 'te  sólo  ogni  mia  conso- lazione, ogni  bene.  Di  questi  ine. ne  privasti-  tu,  parte di  voler  tuo , parte  senza  volerlo  , rendendomi  infe- licissima tra  le  madri.  ^ qual  tempo,  da  che  toccasti l' età  •virile , qual  tempo  io  pissr  mai  sene’  agitazioni e terrori?  e quando  ebbi, mai  l'  anintà  tranquilla  so- ' pra  di  te  , vedendo  che  acciimolavi  guerra  a guerra  , che  passavi  da  battaglia  a battaglia,  e ricevevi  ferite su  ferite  ? . . Lll.  E quando  ti  desti  alla  repubblica  cd  al  ma- Digilized  by  Google ’ - Lifino  vm.  69 ncggìo  de'  pubblici  affari , gustai  forse  io  tua  madre diletto  alcuno  ? Eh  ! Che  ne  divenni  allora  più  mi- sera , mirandoti  in  mezzo  alla  civil  sedizione.  Impe- rocché le  uìe  provvidenze  pér  le  quali  più  sembravi valere , e per  le  quali  sostenendo  i patrizj , spiravi indignazione  contro  del  popolo , queste  mi  spaventa- vano tutta , considerando  , per  quanto  tenui  motivi tramutasi  la  sorte  degli  uomini:  e sapendo  dai  tanti casi  uditi  che  qualche  ira,  divina  traversa  i valentuo- mini , e la  invidia  umana  li  perseguita.  E_  così  non fossi  stata  , come  io  ' m'  era  troppo  vera  indovina degli  eventi!  fa  civile, invidia  t' assalì,  ti  sopraf/kee, ti  sifclse  dalla  patria,.  Il  refto  della  vita  mia,  se  vita può  dirsi  da  che  partendoti  ' mi  lasciasti  co'  figli  tui , passò  tra  questa  desolazione.,  Va  questo  apparato  di lutto.  Per  tutto  questo  io  che  molèsta  mai  non  ti  fui, nè  ti  sarò  finché  vivo  , ti  prego  che  vagli  serenarti una  volta  co' tuoi  cittadini  f' c finir  C Ira  acerbissima che  nudri  contro  la  paù'kt.  E con  ciò  di  cosa  io  ti prego  non  buona  per  me  solq,  ma  per  ambedue.  Per le  Se  tea  persuadi  , nè  scorri  ad  azioni  non  degne  ; perchè  avrai  C anima  immacolata  e libera  da  ogn’  ira, da  ogni^  terrore  di  furie  persecutrici , e p6r  me  poi  , perchè  la  fama  che  men  yetrà  , mentre  vivo,  dai cittadini,  e dalle  cittadine.  Tenderà  beati  i miei  .gior- ni f e quella  che  mi  sarà  dispensata  come  io  presa- gisco , dopo^  morte  , renderà  sempiterno  il  mio  nome. E se  'dopo  morte  riceve  alcun  luogo  le  anime  sciolte da  corpi;  riOn  riceverà  già  la  mia  quel  sotterràneo rp tenebroso  ove  dicono  che  i detnoni  soggiornano  ; nq 1 il  ampo  che  chianìdn  di  Lete;  ma  C etere  sublime  e puro,  ove  dicono  che  albergano  con  prospera  e beata sorte  i JigUifoli  de’  numi.  JB’ià  divulgando  anima min  la  pietà  e le  grazie  onde  m’hai  riverita,  ten  chie- derà per  sempre  dagt  Iddii  la  degna-  ricompensa. LUI.  Ma  se  dispregi  la  madre  tua  , se  inonorata la'  rimandi  n  per  me  fortunata nò  per  le,  la  quale  hai  salvato  la  patria,  e perduto insieme  il  pietoso  ed  amantissimo  tuo  figliuolo.  Cosi detto , si  ritirò  ne'  siioi  padiglioni  ; comandando  che  lo seguitassero  la  inoglie;  la  madre  -,,  i fi^i  : é vi  si.  tenne tutto  il  resto  dei  giorno , eonsultaudo , con  esse  ciocché era  da  fare.  Enrono  le  risoluzioni  : che    il  Senato proponetse  al  popolo  , nè  il  popolo  decretasse  nulla del  suo  ritorno  , prima  che  .si  persuadesse  aWolsci r amicizia  e la  cessaziofs  della  guèrra.  Egli  leverebbe e ritirerebbe  /'  esercito , marciando  cofne  tu  terre  di amici:  Dato  conto  del  suo  capitanato,  e dimostratina  - i beni;  pregherebbe  quelli. che  glie  lo  aveano  càtfi» flato,  a’  volersi  ricongiungere  per  giuste  condizioni  ai nemici ,.  ed  incarieore  lui  pefchè  vi  fosse  ne  patti  t o- fpùtà  , senza  niuna  fmdolenza.  Che  - se  protervi  pei successi  filici  non  aecettósser  la. pace;  egli  si  spoglie* rebì>e  del  comando.  In.  tal  caso  o non  sosterrebbero essi  di  ^leggete  un  altro  per  ^mancanza  di  buoni  capi* ioni  ; o cimentandosi  di  'affidare  le  forze  ad  un  altro qualunque,  imparerebbero  a grande  lor  danno,  ciocchi era  V utile  a Jare.  Tali  sono  le  deliberazioni  ira  loro tenute,  e riconosciute  per  eque  e giuste,  e capaci  presso tutti  di  buona  faina,  oggetto  principalissimo  delle  cure  del valenluomo.  Ben  erano  essi  agitati  da-  un  timido  sospetto che  la  turba  irragionevole  speraozala  di  debellar  riiiinii* co,  delusane,  alfìne  infuriasse;  e setiz’amihctter  discorso trucidasse  come  traditore' quel  suo  capitarlo;  tuttavia  deli- berarono d’inedutrere  non  pur  questo  ma  ogn^allro  più tetro  pericolo,  e serbare  vh-tuosameule  la  fede.  E poiché il  giorno  piegava  a sera;  datesi  vicendevoli  signiflcaziout di  affetto , uscirono  da'  padiglioni , e quindi  le  donne tornarono  a Rema.  Esitose  Marcio  agli  astanti  le  cause che  lo  inducevano  a scioglier    ,guerra  , e pregò  lun- gamente t sòldan  che'gb'el  condqnassero , e che  tornati in  patria  , ricordevoli  de’  suoi  beneQzj ,.  non''  permettes- sero essi  compagni  suoi , che  subisse  alcun  reo  tratta- mento dagli  altri.  Ej  ragionate  altre  cose , tutte  persua- sive , t:omandò  che  iaces^erq  le  b^gagHe , oude  partire la  notte  'seguentPi LVi  Coinè  seppero  dalla  fama  ,' percorsa  alle, donne, die  Icvavasi  il  pericolo  loro , uscirono  lietissimi  i Ro- mani dalia  dtlà  per  incohlcarle;  dicendo  e fàcendo  ora a cori,  ora  ad  uno  ad  uno,  salutazioni  e' cantici  e tri- pudj , quali  gli  latino  e li  dicono  quelli  che'  da  rischio terribile  passano  » prosperità  non  pensata.  Si  menò  poi Ja  notte  tutta'  In  feste  e conviti  : nel  giórno  appresso  il Senato  adunato  da  consoli  su  Marcio  dichiarò  che  si differisse  in  tempo  più  acconcio  a risolver  gli  onori  da farseglt  : ma.  che  per  lo  zelo  ditnostrato    desse  alle donne  nc’ pubblici  antichi  registri  un  elogio  che  ne'por- tasse  eterna  la  memoria  , tra’  posteri , ed  un  donativo  , Digitized  by  Google / LIBRO  Vili,  , -)3 qual  sarebbe  il  pti\  car ed  ' ' i Romani  -colende  ; giorno  appunto  che  disciolse  la 1 “ ^ , (i)  Cotiolano  si  approssioiò.due  volte  a Roma  j 'la  prima  volU ai  accampò  preaso  le  fosse  delle  Cluvìlie.-io  distaosa  di  ciitipie  mi- glia, e la  seconda  io  luogo  anche  piò  vicino  a Roma,  iiitburgio scrive,  che  io  questo  secondò  luogo  appunlo  fu  eretto  il  tempio  delta Fortiuia  Mulirhrc.  A questa  sci\tei]sa  sembra  corritpondero    ricchezze , noh  ricéVò  con  dispiacere  la  iùtérro* zvon  della  guerra , e^  favorendo  il  valentuomo , escu- savàlo  se  non  la  dltlmava,  mosso  daUe  prègbieve  e dalla compassion  della  madre.  Ma  la  gioveUtù  rimaka  nelle città,,  tocca  da  invidia  per.  le  grandi  prede  fatte  dalFe» scrci'to,  e’  delusa  delle  speranze  che  aveva,  se  prendei»^ dosi  Roma  ne  era  Oaccàto  l’orgoglio;  ne  fremette , e fi  esulcerò  contrd'del  capitano.  £ finalmente  assunti,  per ca|)i  della  scellcrsgginc  uomini-  .potentissimi  tra  quelle Digilized  by  Google DELLE  A^ITICHITA’  BOMANE genti , imbarbarì  , e commise  nn  indégnissimo  fatto.  Isti- gavala  aoprattattO  Azzio  Tulio  circondato  da  non  pochi di  ogni  città.  Costui  non  polendo  più  la  invidia  sua contro ‘Marcio*;  aveva  già  da  uii  tempo  risolato  di  uc- ciderlo occultamente  e frt^dolentemeote , se  quel  duce xiuscendo  ne’  disegni e 6accando  Roma  tort^Va  - dal sottometterla  ai  Volsci  , o di  darlo  manifestamente  ai suoi  partigiani  ^d  ucciderlo  come  traditore,  se  falliva nella  impresa , è tornavane  senza  l’ intento.  Ora  ciò  fece appunto.  Imperocché ' convocando  gente  non  poca;  le accusò  quel  .valentuomo  argomentando  dal  vero  il  falso, e conghietturando  dalle  cose  già' state,  quelle -che  non sarebbero  mai  t poi  comandò  che  deponesse  il  comando, e desse  conto  del  suo  capitanato.  Once  costui  delle truppe  rimaste  nelle  città , come  ho  detto  di  sopra,  ‘era l’arbitro  di  raccogliere  le  adunanze,  e di  chiaipare  chi voleva  in  giudizio.  Marcio  giudicava  non*  dover  contrapporsi  a ninna  delle  dué  intimazio.ni  ; solamente  discordava  nel metodo  di  soddisfarvi  ; 'credendo  che  égli  dovesse  prima dar  conto  de’  fatti  della  ' guerra , e pqi  deporre , se così  paresse  a tutti  i 'Volséi , il  comando.  Affermava che  non  dovesse  di  tanto  esser  arbitra  una  sola  città corrotta  in  gran,  parte 'da  Tulio;  ma  tutta  la  nazione, raccolta  in  comizj  legittimi , ove  fossero  spediti  deputati da  'ogni  . città,  come  portava  il  'costucrie,  quando  aveansi a discutere  i grandi  jeffari.  Opponevasi  a ciò  Tulio,' ben vedendo  cbe  se  Marcio , ahroòde  parlatore , facciasi  tra la  pompa  di  capitano  a dar  conto  delle 'tante  e belle sue  gesta  trionferebbe^ della  moltitudine  ; c non' cbe  suhire  le  pene  • de’ traditori , ne  diverrebbe  più  onorato  e )>iù  grande.  Impe^occbé  ’ sarebbero  per  concedergli  tutti che  solo  finisse  a piacer  suo  la  guerra  , ed  arbitro  re» stereljbe  di  ogni  cosa.  Adunque  per  molto  tetnpo  se  no suscitarono  ogni  giorno  dicerie  vicendevoli , e reclami in  Senato,  éd  altercazioni  vive  nel  Foro  ; uou  essendo lecito  a niun  di  essi 'far  violenza  all’ altro  , garautito dalla  dignità  pari  della  magistratura,.  Or  poiché  non dovasi  fine,  alla  disputa  ; Tulio  comandò  a Marcio  di venire  in  dato  giorno  a deporre  il  suo  gradò,  e sotto- mettersi ai  proressi  di  tradimento,  E sollevati  eon  lu- singhe' di  benefizi  > uomini  audacissimi , e messili  per capi  della  scellcraggiuc  indegna;  si  portò  nel  Foro  de- stinato. 'Asceso  ' nel  tribunale  accusò  Marcio  con  tòòlte incolpazioni  ; ed  istigò  la  moltitudine  a'  degradarlo  a fo4'za , se  spontaneo  non  lasciava  il  comando. ' LIX,  Accese  Marcio  anch’  esso  per;,  far  le  difese  ; ma ì grandi  clamori  de’ seguaci  di  Tulio  gli  tolsero  di  par- lare. Dopo  ciò  gridandosi:  {ira , ferisci , lo  efreonJa- ' rouo , e con  .nembo  di  sassi  lo,  uccisero  uomini  inso-, lentissimi.  Ed  essendo  lui  strascinato  Foro  , quelli che  erano  presenti  allo  spettacolo,  e quelli  che  Vi  so- pravvennero dopo  eh’  egli  erst  spirato  , deplorarono  il valeniaoiiio  ; perchè'  non  degna  avea  da  loro  la  ricatu- pensa.  E Hdiceano  quanto  bene  avea  fatto  al  comune, e r arresto' .voleanO  degli  uccisoci,  perchè  dato.aveano esempio  di  opèra.  ingiusta,  e lesiva  delle  '.città,  spe- gnendo senz’iimmelterne  le  difese  violentemente  un  di loro , c questo , , comaudante.  Ne  fremeauo  soprattutto i compagni  di  lui  uclle  spedizioni.  Epoiché  non  erano stati  da  tanto  d’ impedirne  i mali-  mentre  viveva  ; delU berarono  riconoscerlo  de’benefizj,  almeno  dopo  la  mor- te; recando  al  Foro  quanto  alla  deliha  onorificenza  ri- cluedesT  de’'valentoomini.  Quando  lutto  fu  pronto  > col- locarono lui  con  veste  di  capitano, su  letto  vaghissima- mente ornato  : poi  facendo  precedere  quelli  che  reca- vano le  prede,  le  spoglie,  le  cotone,  le  immagini  delle citli  prese  da  lui  ; ne  sollevarono  il  feretro  i giovani più  segnalati  fra  le  armi.  Lo  portarono  al  sobborgo  più ragguardevole  , accompagnandone  il  cadavere  i 'cittadini tutti  con  gemiti  e la^inDe.  uomo  il.  più  grande di  tutti  'al  suo  tgmpo'  nelle  armi.  Continente  da  lutti  i pacetri  che  traspòrUmo  i giovani  , seguiva 'la  giustizia ifon  involontario  per  le  leggi  che  forzano  col  timore de’ supplizi',  ma  spontaneo,  come  per  inclinazione  d’in- dole bennata.  Non  tenea  per  virtù  non  offendere  ; e bramava  non  solo  di  esser  puro  egli  stestd  da  ogni malfare,  ma  credea  giusto  di  astringervi -anche  gli '^allri. Magnanimo' , liberale , intentissimo  a soccorrere  quando cpnoscevalo , il  bisogno  degli  amici , npn  era  inferiore a ninno  de’  patrizj  nel  roaneggio.del-  pnbblico.  C se  fa sedizione  della  città  non  lo  avesse  impedito  da'  pubblici Digitized  by LIBRO  Vili.•(Tari , forse'  Roma  preso  avrebbe  da'  regolamenti  suoi grande  aògumeolo  d’iiQpero.  Ma'già.  non  può  farsi  cbe tuKe  le  virtù  si  uniscanó  nella  natura  di  un  nomò  ; nè da  seme  mortala  e caduco  sorgerà  mai  niutlo  per  ogni parte  peidetto. LXI.  Il  ‘destino  che  ' propizio  area  sparso  in  esso  i germi  di  tali  virtù«^    ne  mise  alfiri  ancora  di  sciagure e dì  mali.  Non  era  dolcezza    illarità  ne’ suoi  modi, non  degnevolezza  ne*  salmi  e ne’  colloqui , ..  non'  facilità di  placarsi , non  moderazione  nell’  ira  se  contro  alcnno la  concepisse , grazia  in6ne,  quella  «die  adorna  tmte le  nmane  cose.  ¥élnto  lo  avresti  sempre  difficile,  e sempre  acerbo,  f^ocquero  a lui  mólto  tali  maniere,  e soprattutto  la  severità  sua  ^moderata,' incredibile,  e senza scintilla  mai  di  chnuenza  ne|)ar  custodia  dei  giusto  e delle leggi.  Ma  ben  sembra  vero  il  detto^d^  filosofi  antichi , che  le  virtù  specialmente  quelle  delia  giustizia , . sono moderàzioni , e non  estremità  de  costumi  : perocché sia  che  la  ginstizia  manchi  dal  mezzo  , sia  'che  lo  ec- ceda ; non  più  giova  i mortali , cagionando  talvolta  gran danni , e ridùcendo  a stragi  > miserande , ed  immedica- bili inali.    fu  cbe  la  troppo  sollecita  e troppo  austera esigenza  del  giusto  la  quale  ridusse  Marcio  fuori  della patria,  e senza  il  frutto  delle  altre  belle  sue  doti.  Po- tendo- piegarsi  per  atòunà  maniera  al  popolo,  e lasciare qualche  cosa  af  loro  desiderj  e divenire  il  primo  fra loro  ; non  volle  : ma  contrariandoli  in  qualunque  cosà  ' la  quale  ad  essi  non  si  dovea,  se  ne  concilò  l’ odio , c fu  cacciato  dalla -patria.  Potendo,  appena ^ sciolse  la guerra,  lasciare  il  comando  deifarmata,  e trasferire  al- & 8o  trove  la  sua  dirnora  , Gncbè  gli  fossi!  conceduto  il  ri« torno  alU  patria,  anzi 'che  esporre  ^ stesso  à nemici, ed  alle  stoltezze  della  moltitudine  ; ne  vide  la  necessità di ‘farlo  , e non  volle.  Ma  giudicando 'dovere  affidare sè  stesso  a chi  gli  aveva  affidata  T armata , .c  conto del  suo  capitanalo,  e se  irovavasi.  reo  di  co.sa  alcuna subirne  le  pene  secondo  le  leggi;  raccolse  amaro  U frano  di  tanta  giustizia.  Pertanto    col  disciogìiersi  de’  corpi  aiicUo l’anima,  qualunque' cosa  ella  sia,  si  discioglic,    punto ne  so^ravvanza;  io  non  vedo  come.- chiamare  beati quelli  elle  non  goderono  della  loro  virtù  niun  frutto, anzi  pci*^  essa  perirono.  M.i  se  le  anime  nostre  ’Soprav-* vivono  Immortali  affatto  come  pensano  alcuni  ;'0  qùal- ebe  tempo  almeno  dopo  la  .-partenza'  loro  dal  corpo,  il più  lungo  quelle  do’,  buon;  , ed  .il  più  breye  quelle  dei malvagi  (it;  certo  parrà  beq  grande  ai.  virtuosi  l’ onore che  li  seguita,  loipérocclié  sebbene  la  fortuo»' stasi  loro contrapposta;  avranno  buona  fama  e langbissima  la  ri« cordanza  tra’ vi vanti,  come  appunto  ' accadde  a questo uomo.  Perocché  non  solaincute  ’mofto  io  piansero  e Io onorarono,  i Yolsci  come  virtuosissimo;  ma  li  Romaui , conosciutone  appena  il  caso , riputandolo  sciagura  altis- sima di  Roma , ne  fecero  pnvalo  e pultbJ/co  lutto.  Le donne  come  usano  in  morie  dei  domestici  loro  amaiis- s.ifni , lasciarono  da  un  canto  l’ oro , la  porpora  , ei • V . (i)  [1  Vossio  nel  lil>*  i ^ de  IJoloturia  dctltice    f|iicslo  passo ch^  Diouigi  crcdctle  che  le  auhne  esùtono  J«pu  !a  tnofie  del  colpo ma  solo  -per  un  tempo  limitalo  ; e per  ciò  lo  ridice  nella  classe  dt (|iicl!i  che  pensavano  quaulu  alla  durazioue  delle  anime  come  gU  Stoici» \  8 I atterono  fra  loro  senza  re- gola, senza  comando,  misti  e confusi:  tanto  che  grande ne  fu  la  strage  in  ambe  le  parti  ; e forse  totale  ne  sa- rebbe stata  la  rovina , se  il  sole  non  tramontava.  Ma cedendo  , loro  malgrado , alla  notte , che  inipedivali  di contendere  , separaronsi , ed  alloggiaronsi  ciascuno  nel (i)  Aa.  di  Ruma  aGG  secondu  Catoue,  aGS  secoudu  V'arrooe , e 48G  8T.  Cristo.DJONICI . tomo  Iti.  fi proprio  campo.  La  maltina  i duci  lerando  le  truppe  si ricondussero  alle  loro  case.  Udirono  i consoli  dai  diser.- tori  e da  altri  divenuti  prigionieri  col  fuggire  dalla  bat- taglia , qual  furia  e quale  flagello  divino  fosse  nell’eser- cito; non  però  colsero  la  occasione  tanto  a proposito per  essi  non  lontani  più  di  trenta  stadi,    gl’  incalza- rono nella  ritirata  : nel  qual  tempo  se  essi  freschi , in buon  ordine , avessero  perseguitato  gli  emoli  stanchi , feriti,  confusi,  e già  pochi  di  molti,  di  leggieri  gli avrebbero  totalmente  distmtu.  Sciogliendo  aneli’  essi  il campo,  tornarono  in  patria  sia  che  fossero  paghi  del bene  dato  loro  dalla  fortuna , sia  che  non  fidassero  su r annata  loro  non  disciplinata , sia  che  assai  valutassero il  perdere  anche  pochi  soldati.  Ma  giunti  in  città  vi furono  vituperati , riportandovi  fama  di  pusillanimi  per tale  condotta.    facendo  altra  spedizione , rassegnarono il  poter  loro  a’  consoli  susseguenti. Presero  l’ anno  appresso  il  consolato  Cajo i^quilio  e Tito  Siccio  , uomini  periti  di  guerra  (i).  E facendo  questi  proposizioni  di  guerra;  il  Senato  decretò che  si  spedisse  un’  ambasceria  per  chiedere  soddisfazione secondo  le  leggi  dagli  Ernici,  popolo  amico  e confede- rato, il  quale  aveva  offesa  Roma  nel  tempo  della  guerra de’  Volsci  e degli  Equi  con  prede  e scorrerie  su  le terre  contigue  : e decretò  che  intanto  che  ne  avessero la  risposta  i consoli  iscrivessero  milizie  quante  ne  pote- vano , convocassero  con  messaggi  gli  alleati  , ed  appa- recchiassero sollecitamente  col  mezzo  di  molti  ministri (■)  Ao.  di  Roma  a07  secondo  Catone,  369  secondo  Varrooe, e 485  av.  Cristo. Digitized  by  Google LiDno  vili.  83 armi  , grano , (lanari , e quanto  è necessario  ()cr  la guerra.  Tornali , cspcKero  gli  ambasciadori  le  risposte degli  Ernia,  i quali  diceano  non  esservi  pubbliche  con- venzioni tra  loro  e tra’  Romani  , e che  pensavano  già sciolte  quelle  che  vi  furono  tra  loro  e tra  Tarquinio  , come  detronizzato  , e morto  in  terra  straniera  : che  le prede  e le  incursioni  non  furono  ingiustizie  del  pub- blico, ma  di  privati  intesi  al  guadagno:  e che  non  do- veano  però  nemmeno  gii  autori  di  quelle  consegnarsi  al supplizio:  e lamentandosi  che  avessero  anche  gli  Eroici patito  altrettanto  ; signiQcavano  che  volentieri  accette- rebbero la  guerra.  Il  Senato , ciò  udendo , decretò  che si  dividessero  in  tre  parti  le  nuove  reclute  descritte:  che il  console  Cajo  Aquilio  marciasse  coll’  una  sugli  Eruict già  in  arme  aneli’ essi:  che  Tito  Siccio,  l’altro  console, ne  andasse  coll’ altra  su  i Volsci  : che  Spurio  Largio  , nominato  da’  consoli  comandante  della  città  , prend cero  ciò  primi  li  Volsci  ; e ben  tosto  la  ottennero  ; dando  l' argento  multato  dal  console , e somministrando quani’  altro  bisognava  all’  esercito  ; dopo  avere  promesso che  sarebbero  ì sudditi  de’  Romani,    più  da  tali  ao> cordi  si  leverebbono.  In  ultimo  gli  Eroici  vedutisi  rima- sti soli , trattarono  coi  console  di  amicizia  e di  pace. Ma  Cassio  assai  richiamandosi  di  essi  con  gli  ambascia- dori  , disse  , che  prima  doyeano  far  quanto  conviene ai  vinti  ed  ai  sudditi,  e poi  discorrer  di  pace;  e soggiungendo  gli  ambasciadori  che  lo  farehhono  se moderata  e possibile  ne  fosse  la  esecuzione , co- mandò loro  che  gli  portassero  in  grasce  i viveri  di  un mese,  ed  in  argento  la  somma  onde  stipeudiarue  t sol- dati secondo  il  solito  per  sei  mesi:  e definendo  un  nu- mero di  giorni  entro  cui  potessero  tutto  apprestatali  ; concedette  intanto  ad  essi  una  tregua.  Presentarono  gli Ernici  ogni  cosa  con  prestezza  ed  impegno,  e spedirono di  bel  nuovo  i parlamentar]  di  pace.  Li  lodò  Cassio  c li  rimise  al  Senato.  Ne  deliberarono  i padri  a lungo;  e piacque  loro  che  si  ammettessero  questi  all’ amicizia,  c Cassio  il  console  esaminasse  , e decidesse  le  condizioni de’  trattati  da  conchiudersi.  Approverebbero  i padri  cioo- ch’  egli  ne  stabiliva. Prescritto  ciò  dal  Senato;  Cassio  tornando  in città  chiedeva  un  secondo  trionfo  per  aver  sottomesso i popoli  più  riguardevoli  : ant>gavasi  però  quest’  onore per  le  aderenze , piuttosto  che  di  giustizia  lo  ricevesse tinperocchc  non  avendo    prese  città  per  assalto,  nè disfatti  eserciti  in  campo  aperto  ; non  potca  menar  seco in  spettacolo  i prigionieri  e le  spoglie  che  sono  gli  or- namenti dei  trionfi.  Ma  lo  amare  il  piacer  suo  ; non  le risoluzioni  simili  a quelle  degli  altri , gli  concitò  subi- tissima invidia.  Impetrato  il  trionfo  pubblicò  la  concor- dia , com’  aveala  firmala  con  gli  Eroici.  Erano  le  con- dizioni trascritte  da  quella  conchiusa  già  co’  Latini. Dicchè  mollo  si  dolsero  i più  provetti  ed  autorevoli , e tennero  lui  per  sospetto , sdegnati  che  gli  Eroici , estra- neo popolo , fossero  pareggiati  di  onore  ai  Latini  loro congiunti  ; e quelli  che  dato  non  aveano  neppur  minimo segno  di  benevolenza  partecipassero  le  cortesi  retribu- zioni di  chi  tanti  dati  ne  avea.  Soffrivano  ancora  di mal'  animo  la  superbia  di  quest’  uomo , perché  onorato dal  Senato  non  aveali  a vicenda  onorati , fissando  e pultblicando  i patti  come  glie  ne  parve  ; non  di  concerto comune  coi  padri.  Così  la  troppa  felicità  nuoce , non giova  ; divenendo  insensiòilmente  per  molli  cagione  di orgoglio  incredibile,  e stimolo  di  desiderj  superiori alla  natura;  come  avvenne  a costui.  Condecorato  al- lora dalla  città  egli  solo  fra  tutti  con  tre  consolati  e due trionfi  ampliava  l’ onorificenza  sua , ambizioso  del  regio potere.  Considerando  però  che  la  via  più  sicura  per  chi ambisce  il  regno  e la  tirannide  è quella  di  guadagnare il  popolo  co’benefizj,  e di  costumarlo  ad  essere  alinien» tato  da  chi  dispensa  le  pubbliche  cose  ; a questa  si  ri- volse , e senza  manifestarsene  ad  alcuno.  E perocché  ci aveva  un  terreno  amplissimo  del  comune  ma  trascurato e goduto  da^  ricchi  ; deliberò  di  compartire  questo  tra’l popolo.  E se  contentato  si  fosse  di  procedere  fin  qui  ; forse  riuscito  sarebbe  ue’ disegni.  Ma  trasportatosi  a trop- po ; cagionò  sedizione  nou  picciola , e fine  sciaurato  a sestesso.  Imperocché  presunse  congiungere  alla  divisioa del  terreno  non  pure  i Latini  ; ma  gli  Ernici , ricevuti ultimamente  per  cittadini. Tali  cose  ideando  a conciliarsi  quelle  nazioni, convocò  nel  glotoo  dopo  il  trionfo  il  popolo  a parla- mento. Quindi  asceso  in  tribuna  com’  è 1’  uso  de’  trion- fatori , prima  dié  conto  delle  opere  sue,  delle  quali  era la  sostanza  : che  fatto  console  Ut  prima  %>oUa  vinse  i Sabini,  e li  rendè  sudditi  a Roma  alla  quale  dispu- tavano il  comando  : che  fatto  console  per  la  seconda, racchetò  la  civil  sedizione , e restituì  la  plebe  alla  pa- tria : e ridusse  amici  e (compartecipi  della  cittadinanza di  Roma,  i Latini  che  erano  consanguinei,  ed  emoli eterni  delt  impero  e della  gloria  di  lei;  tantoché  non più  la  contrariarono , ma  riguardarono  Roma  come patria  loro.  Chiamato  la  terza  volta  al  consolato  ne- cessitò li  V ilsci  ad  essere  amici , di  nemici  che  erano, colle  armi,  e sottomise  spontanei  gli  Ernici,  popolo vicino,  grande,  potente,  ed  attissimo  a nuocer  molto, o giovare.  Eisponendo  queste  e simili  cose  chiedeva  al popolo  che  attendesse  a lui , provido  soprattutti  ora  e per  sempre  della  repubblica , e chiudendo  il  discorso disse  che  farebbe  e tra  non  molto  tali  e tante  benefi- cenze che  supererebbe  quanti  erano  encomiati  di  aver amato  e salvato  il  popolo.  Oisciolta  1'  adunanza  invitò nel  giorno  appresso  a raccogliersi  il  Senato  sospeso  e timoroso  pe’ delti  antecedenti  di  lui.  Prima  di  ogni  altra cosa  propose  un  tal  suo  sentimento  tenuto  occulto  alla plebe  , e chiese  ai  padri  che  giacché  questa  era  stata  si utile  per  la  libertà  dando  mano  a farli  dominare  su  gli altri , prendessero  cura  di  lei  e le  dispensassero  il  ter- reno , pubblico  in  sestesso  per  essere  acquistalo  colle armi , ma  goduto  in  fatti  senza  niun  dritto  da  patrizj impudentissimi  : e poi  chiese  che  si  rendesse  dal  pubiuale  fu  sopraimominaiu  Poplicola. potenti  per  aderenze  e ricchezze  , e tutto  che  giovani  , non  inferiori  a niun  pari  loro  nei  trattare  le  pubbliche cose  esercitavano  la  questura.  Ed  arbitri  per  questo -di intimar  le  adunanze  accusarono  al  popolo  con  incolpa» zioni  di  tirannide  Spurio  Cassio  il  console  dell’  anno precedente,  che  osò  d’introdurre  le  leggi  su  la  partizione delle  campagne  ; e • preGggendogli  il  giorno,  lo  citarono a giustiCcarsene  presso  del  popolo.  Adunatasi  nei  giorno prescritto  gran  gente  essi  invitandola  ad  ascoltare  di- mostrarono che  le  opere  manifeste  di  quest’  uomo  non comprendeano  nulla  di  buono  : primieramente  perchè mentre  i Latini  appagavansi  di  essere  ammessi  alla  cit- tadinanza , e riputavano  sommo  il  favore  se  la  ottene- vano; egli  console  non  solamente  concedè  la  cittadinanza che  dimandavano,  ma  decretò  che  si  desse  loco  il  terzo delie  spoglie  della  guerra,  se  in  comune  la  sostenessero: secondariamente  perché  rendette  amici  in  luogo  di  sud- diti , concittadini  in  luogo  di  tributar)  gli  Eroici  che , vinti , doveano  ben  esser  contenti  se  non  erano  dan- neggiati  collo  smembramento  delle  lor  terre;  anzi  ordinò che  si  desse  loro  pur  la  terza  parte  delle  prede  e 'Tlelle campagne  che  fossero  mai  per  conquisure.  Tanto  che divisa  la  preda  in  tre  parti  doveano  i sudditi  e foresuerì pigliarne  due  parli  , ed  i paesani  e padroni  una  sola. Dimostravano  che  da  questi  due  assurdi  ne  segnirebbe r uno  o altro , se  volessero  pe’  molti  e segnalati  servigi condecorare  un  altro  popolo  come  i Latini,  o come  gli Eroici  che  ninno  prestato  ne  aveano,  vuol  dire:  o che non  avrebbero  che  dar  loro  (i)  , o se  volessero  pareg- (i)  Il  lesto  di  Rciske   si  togUmero e confiscassero  i beni  del  padre  che  ne  avea  svelato  le brighe  per  la  tirannide  ; e per  questo  io  decidomi  piut- tosto per  la  prima  narrazione.  Le  ho  nondimeno  riferite ambedue,  perchè  coloro  che  leggono  aderiscano  a quale più  vogliono. Insistendo  poscia  alcuni  perché  si  uccides- sero i figli  ancora  di  Cassio;  parve  al  Senato  aspra  la inchiesta    utile.  E congregatosi  decretò  che  si  rila- sciassero , c vivessero  sicurissimi  da  esilj  , da  infamie  , da  ogni  sciagura.  Da  quel  fatto  si  stabili  tra’  Romani r uso  , custoditovi  fino  a’  miei  giorni , che  vadano  im- muni da  ogni  pena  i figli  di  padri  delinquenti , sian essi  figli  di  tiranni , di  parricidi  o di  traditori , che  tra loro  è il  massimo  dei  delitti.  E quelli  che  vicini  al  no- stro tempo , circa  il  fine  della  guerra  Marsia  , e della guerra  civile  dandosi  ad  abolire  quest’  uso , impedirono finché  dominarono  che  i figli  dei  proscritti  da  Siila giungessero  agli  onori  paterni  e prendessero  posto  in Senato  , sembrarono  far  opera  degna  della  esecrazione degli  uomini , e della  vendetta  de’  numi.  Perocché  col volger  degli  anni  raggiunse  loro  la  giustizia , vendica- trice non  riprovata , per  la  quale  furono  dal  colmo  della gloria  precipitati  ai  fondo  delia  miseria;  non  lasciandosi del  lignaggio  loro  se  non  la  prole  nata  di  femmine.  E colui  (i)  che  li  distrusse  riordinò  quei  costume  com’era ne’ prìncipi.  Pfeaso  di  alquanti  greci  però  non  è così mite  il  costume;  perchè  alcuni  credono  giusto  che  i gli  de’  tiranni  co’  tiranni  finiscano;  ed  altri  con  perpetuo esilio  li  punistxtno;  quasi  non  consenta  la  natura  che sorgano  figli  buoni  da’  padri  rei  ; nè  figli  rei  da  buoni padri.  Ma  su  ciò  lascio  che  altri  discuta,  se  migliore  è l’uso;  de’  Greci  o migliore  quel  de’  Romani  : ed  io  pro- sieguo la  storia.  Dopo  la  morte  di  Cassio  i fautori  del  co- mando de’ pochi  divennero  più  baldanzosi,  e spregiatori del  popolo.  Laonde  gl’  ignobili  per  nome  e sostanze  se ne  abbatterono  ; accusando  molto  sestessi  di  stoltezza  , perchè  aveano  colla  condanna'  di  lui  distmito  il  custode fidissimo  della  fazion  popolare.  Era  questa  la  causa  per la  quale  i consoli  non  eseguivano  il  decreto  de’ senatori pel  quale  doveano  eleggere  i dieci  che  determinassero la  terra  pubblica  , e riferire  in  Senato  quanta  parte  ne fosse  da  dividere , ed  a quali  persone.  Adunque  si  te- nean  de’  crocchi  mormorandovisi  in  ciascuno  so  l’ in- ganno , ed  incolpandovisi  più  che  tutti  i tribuni  pre- cedenti come  traditori  del  comune  ; slmilmente  faceansi dai  tribuni  d’  allora  continue  le  adunanze  e le  richieste della  promessa.  Or  ciò  vedendo  i consoli  deliberarono rimovere  col  pretesto  di  guerra  la  parte  sediziosa  della (1)  Aagatto. città  ; percccbé  di  qae*  tempi  il  territorio  era  iofesiato da’  ladronecci , e dalle  scorrerie  de*  popoli  circonvicini. Adunque  per  far  la  vendetta  degli  aggressori  aveano inalberato  i segnali  di  guerra , ed  iscriveano  le  milizie della  città.  Ma , non  dando  i poveri  il  nome  loro,  non  • potevano  astringervi  a nonna  delle  leggi  gl*  indocili  , {jerocchè  li  tribuni  proteggevano  la  moltitudine , e lo avrebbero  impedito,  se  altri  tentava  portar  la  violenza su  le  persone  , o le  robe  di  chi  ricusava.  Adunque lanciarono  i consoli  molte  minacce , che  non  permette» rebbero  che  alcuno  rivoltasse  la  moltitudine  ; e sveglia- rono ne’  cuori  un  secreto  sospetto  che  nominerebbero un  dittatore  il  quale  sospendesse  tutti  gli  altri  magistrati, ed  avesse  egli  solo  un  potere  supremo  ed  irrefragabile. In  tale  apprensione  i plebei  temendo  che  il  dittatore fosse  Appio , uomo  duro  e dlflìcile , piegaronsi  a sof- frire ogni  cosa , piuttosto  che  questa. Descrittone  il  molo , i consoli  presero  le milizie , e marciarono  su  l’ inimico.  Gettatosi  Cornelio nel  territorio  de’Vejenti  ne  portò  via  la  preda  sorpre- savi. Allora  i Yejenti  spedirono  ambasciadori , ed  egli rilasciò  loro  i prigionieri  per  date  somme,  e concedè la  tregua  di  un  anno.  Fabio  coU’altr  armata  piombò  su la  terra  degli  Equi  , e quindi  su  quella  de’  Volsci.  Pa- zientarouo  i Yolsci  alcun  tempo,  ma  non  molto,  che fossero  i campi  loro  predati  e devastati:  poi  spregiando i Romani come  venuti  con  armata  non  grande  impu- gnarono in  buon  numero  le  armi , ed  uscirono  su  le terre  degli  Anziati  per  Incontrarli  : se  non  che  ne  an- darono anzi  precipitosi  che  savj  : perocché  se  giungevano  inaspettati,  e K>rprendeano  i Romani  mentre  erano qua  e là  dispersi;  ne  avrebbero  assai  variato  le  vicende; ma  il  console  istruito  del  giunger  loro  dagli  esploratori, richiamò  bentosto  i suoi , sbandati  com’  erano , da’  fo- raggi , e dié  loro  la  ordinanza  conveniente  alla  guerra. Come  i Volaci  che  .-venivano  confidando  e spregiando, videro  fuori  dell’  imaginazione  tutte  le  forze  nemiche ordinate  e raccolte , sbalordirono  alio  spettacolo  inopi- nato : nè  più  curando  la  salvezza  comune , provvide ognuno  alla  sua,  e dando  volta,  con  quanto  aveàno  di velocità,  fuggirono  tutti  chi  per  una  e chi  per  altra  via; salvandosene  la  maggior  parte  nella  città  (i).  Solamente nu  picciolo  corpo  il  quale  era  più  che  gli  altri  ordinato ritirandosi  alla  cima  di  un  monte  , quivi  pose  le  armi e vi  pernottò.  Ma  ne’  giorni  seguenti  essendo  dal  con- sole circondala  1’  altura  e chiusene  tutte  le  uscite , ne- cessitato dalla  fame  si  sottomise  , e cedette  le  arme.  11 I console  fe’  vendere  pe’  questori  quanto  vi  era  , prede  , spoglie,  prigionieri,  onde  riportarne  danaro  alla  patria. Non  molto  dopo  levò  1’  esercito  dalle  terre  nemiche  e a suoi  lo  ricondusse  , ornai  standosi  1’  anno  per  termi- nare. Giunto  il  tempo  da  creare  i magistrati , i patrizj che  vedevano  il  popolo  irritato  e pentito  della  condanna di  Cassio  , deliberarono  di  sopravvegliare  perchè  non facesse  movimenti  elevato  di  nuovo  a speranze  di  do- nativi e di  divisioni  di  terre  da  taluno  che  prendesse gli  onori  consolari  pieno  della  facondia  per  aringarlo e travolgerlo.  Parve  loro  che  se  il  popolo  desiderasse ponto  di  ciò,  potesse  impedirsegli  con  eleggere  un  console  ad  esso  non  £tvorevole.  Ck>nchiuso  ciò  confortano perchè  aspirino  al  consolato  Fabio  Cesone  1’  uno  degli accusatori  di  Cassio»  fratello  di  Quinto,  console  attuale^ e Lucio  Emilio  » altro  patrizio  propensi^mo  agli  Otti» mali.  Non  potendo  il  popolo  impedir  questi  due  che aspirassero  al  consolato , usci  dal  campo  e si  levò  dai comizj.  Perciocché  ne’comizj  centuriati  tutto  il  poter de’snfiragj  assorbivasi  da’ cittadini  più  illustri  e primi  di ordine  ; e di  raro  cosa  alcuna  si  decideva  col  voto  an- cora delle  centurie  intermedie  di  ordine:  la  classe  estre- ma poi  nrila  quale  votava  la  parte  più  misera  e più numerosa  non  avea , come  innanzi  fii  detto,  se  non  un voto  solo  , il  quale  era  1’  ultimo. Adunque  negli  anni  dugento  settanta  dalla fondazione  di  Roma  (i)  essendo  Nicodemo  1’  arconte  di Atene  divennero  consoli  Lucio  Emilio  figliuolo  di  Ma- merco,  e Fabio  Cesone  figliuolo 'di  Cesone.  Ora  suc- cedette loro  secondo  il  desiderio  di  non  essere  pertui> bati  da  sedizioni  civili;  per  essere  la  repubblica  investita di  fuori.  E le  cessazioni  delle  guerre  esterne  sogliono rieccitare  le  nazionali , e dimestiche  tra’  Greci , tra’  bar* bari,  e dovunque,  principalmente  tra’ popoli  che  vivono Ira  le  armi  e i travagli  per  amore  della  bbertà  e del comando  ; perchè  gli  animi  avvezzi  a bramare  ognora più , ridotti  senza  gli  esercizj  consueti  difficilmente  si contengono.  Su  tal  vista  comandanti  savissimi  fomentano sempre  alcuna  discordia  cogli  esteri;  giudicando  migliori le  guerre  nelle  regioni  altrui  che  nella  propria.  Allora (i)  Anni  di  Roma  ^70  secondo  Giatonc,  373  secondo  Varrone, e Cristo]  I 1 I fecondo  il  genio  appunto  de’  consoli , occorsero  come bo  detto,  le  insurrezioni  de’ sudditi.  Imperocché  li  Volsci sia  che  hdassero  ne’juoti  interni  di  Roma,  contendendo il  popolo  co’  magistrati  ; sia  che  fremessero  per  la  infa- mia della  precedente  disfatta,  ricevuta  senza  combattere; sia  che  insuperbissero  per  le  forze  loro  che  eran  gran- dissime;* sia  che  seguissero  tutte  insieme  queste  cagioni; aveano  deliberato  ikr  guerra  ai  Romani.  E raccogliendo i giovani  da  tutte  le  dtté  marciarono  con  parte  dell’e- sercito contro  le  città  de’  Latini  e degli  Ernici , e col- l’ altra  che  era  la  più  numerosa  e più  forte  teneansi pronti  a ribattere  chiunque  si  avanzasse  contro  le  loro. 1 Romani  ciò  saputo  deliberarono  dividere  1’  armata  in due  corpi,  e guardare  con  uno  le  terre  degli  Ernici  e de’  Latini  , e correre  coll’  altro  a depredare  quelle  dei iVolsd. Avendo  i consoli , com’  è loro  costume  , tirato  a sorte  le  milizie  ; Fabio  Cesone  assunse  il  co- mando di  quelle  che  andavano  a soccorrere  gli  alleati  , e Lucio  marciò  colle  altre  contro  la  città  degli  Anxiati. Avvicinatosene  ai  confini , e vedutevi  le  armi  nemiche, si  accampò  su  di  un  colle  a fronte  di  ^e.  Ma  uscendo i nemici  ne’  giorni  consecutivi  più  volte  in  campo  , e sfidando  alia  battaglia;  egli  credette  avere  il  buon  pun- to, e cavò  le  sue  schiere.  Ed  ammonitele , e riammo- nitele prima  del  cimento  ; alfine  diedene  il^egno  e le avventò.  Bentosto  i soldati  alzato  il  grido  consueto  della battaglia  pugnarono  folli  , a schiere  e coorti.  Esaurite poi  le  lance  , i dac;di  cd  ogni  arme  da  tiro  si  scaglia- rono, rotando  le  spade,  gli  uni  su  gli  altri  con  ardire e desiderio  eguale  di  misurarsi.  Era  iu  ambedue  simi« lissima  la  maniera  di  combattere  : nè  maggiore  tra*  Ro* mani  la  saviezza  e la  sperieuza  che  gli  aveva  rendati già  più  volte  vincitori , nè  maggiore  la  costanza  e la sofferenza  per  1*  esercizio  di  tante  battaglie  ; ma  le  doti stessissime  brillavano  pur  tra’  nemici  6n  dall’  ora , che fu  duce  loro  Marcio,  famosissimo  duce  romano.  Adun- (jne  gii  uni  resistevano  agli  altri  senza  cedere  il  posto preso  in  principio.  Ma  dopo  alquanto  i Volaci  a poco a poco  si  ritirano , schierati , e con  ordine , tenendo fronte  ai  Romani.  Tendea  quel  movimento  a dividere le  milizie  di  questi  e combatterle  da  lut^o  elevato. In  opposito  i Romani  credendo  che  questi principiasser  la  fuga  tennero  anch’  essi  a passo  a passo in  buon  ordine  dietro  loro  che  si  ritiravano.  Ma  poiché videro  che  a rilancio  conevano  agli  alloggiamenti  an- ch’ essi  rapidissimi , in  disordine  li  seguitarono.  Intanto le  centurie  estreme  e la  retroguardia  , quasi  già  vinci- trici , spogliavano  i morti , e davansi  a predare  la  re- gione. Vedendo  ciò  li  Voisci  che  facean  credere  di fuggire , giunti  appena  alle  Urincee , voltata  faccia  , si contrapposero  : e quelli  che  erano  negli  alloggiamenti , spalancate  le  porle  , accorsero  numerosi  da  più  parti. Or  qui  cambiarono  le  vicende  della  battaglia  : chi  per- seguitava fugge , e chi  fuggiva  perseguita.  Perirono , com’  è naturale , molti  bravi  Romani  incalzati  giù  pel declivio  , e circondati  ; essi  pochi , dai  molti.  Non  dis- simile sorte  incontrarono  quanti  eransi  dati  a spogliare e predare  , impediti  di  retrocedere  schierati  e con  oi^ dine  ; imperocché  sopraHatti  ancor  essi  da'  nemici  restavano  iracidali  o prìgiooierì.  Quanti  però  di  questi  o di quelli  respinti  giù  pel  monte  fuggivano  in  salvo  ; soc- corsi , benché  tardi,  dalia  cavalleria,  tornavano  al6ne a’  proprj  alloggiamenti  : e parve  che  a non  essere  intc-ramenie  distratti  giovasse  loro  un’acqua  dirottissima  dal cielo , ed  un  bujo  qual  formasi  per  nebbia  profondissi- ma ; perocché  non  potendo  i nemici  vedere  più  di  lon« tano  , infkslidirottsi  a seguitarli  più  oltre.  La  noue  ap- presso il  console  movendo  l’ armata  la  ritirò  cheta , in buon  ordine  , sicché  1’  inimico  noi  comprendesse.  Al tornar  della  sera  mise  il  campo  presso  la  ciué  di  Lon- gòla  t scegliendo  un’altura  idonea,  onde. respingerne  gli assalitori.  E qui  fermatosi  curava  gli  egri  .dalle  ferite, e rianimava  gli  aiHitti  dalla  vergogna  delia  disfatta  im- pensata. Tale  er^  lo  stato  de’  Romani.  Li  Volacipoi  come  al  nascere  dei  giorno  conobbero  che  quelli eransi  di  loggiati;  portarono  più  da  vicino  il  campo  loro. Quindi  spogliato  avendo  i cadaveri  de’  nemici , raccolto i semivivi  che  davano  speransa  di  guarigione , e seppel- lito gli  estinti  loro  compagni  , rientrarono  la  città  di Anzio  che  prossima  rimaneva.  Qui  cantando  inni  e por- gendo in  ogni  tempio  sagrifìzi  per  la  vittoria , si  diedero ne’ giorni  seguenti  ai  conviti  e piaceri.  E se  teneansi  a quella  vittoria,    intraprendevano  altra  cosa;  la  guerra avrebbe  avuto  per  essi  nn  esito  fortunato.  Imperocché li  Romani  non  aveano  cuore  di  uscire  dagli  alloggiamenti per  combattere  ; anzi  desideravano  di  lasciare  le  terre nemiche , anteponendo  nna  fuga  ingloriosa  ad  una  morte DIOIfJGI , tomo  ut.   manifesu.  Infiammati  però  da  speranae  maggiori , per- deroDO  la  gloria  ancora  della  prima  vittoria.  Udendo  da- gli eipioratori  e dai  disertori  che  i Rbmani  andati  salvi eran  pochi , e per  lo  più  feriti  ; ne  concepirono  disprezzo grandissimo , ed  impugnate  le  armi  marciaron  sa  loroi Li  seguitarono  senza  1’  armi  moiri  della  città  per  vedor la  batuglia , e per  fare  insieme  prede  e guadagni.  Ma quando  giunti  all*  altura  circondarono  gli  alloggiamenti , e presero  a svellerne  gli  steccati  ; proruppero  prima  su di  essi  i oivalieri  Romani , postiti  a piede  per  la  con- dizione del  luogo,  e poi  li  triarj , schieratisi  strettissimi. Sono  questi  i veterani  a’  quali  si    la  guardia  degli  al- loggiamenti , se  le  milizie  escono  per  combattere  , ed a’  quali  per  mancanza  di  altri  ripari  si  ha  restrerao  in- dispensahil  ricorso  quando  avviene  strage  funesta  de’  gio- vani. Ne  sostennero  i iVolsci  la  irruzione  e pugnarono gran  tempo  pieni  di  valore.  Ma  non  favoriti  poi  dalla natura  del  aito  se  ne  rimossero  : e fatto  a’  nemici  danno tenue,    degno  di  memoria,  e ricevutolo  essi  più grande  ancora;  calarono  alia  pianura.  Messi  quivi  gli alloggiamenti , schierarono  ne’  giorni  appresso  1’  armata, e provocarono  i Romani  alla  battaglia  : nè  pertanto  usci- rono questi  al  paragone.  1 Volsci  vedendo  ciò  li  spre- giarono : e convocate  le  milizie  dalle  loro  città  ; si  ap* pareccbiarono  per  espugnarne  le  trincee  colla  moltitu- dine. E ben  erano  per  fare  alcuna  cosa  di  grande  ri- ducendo per  patri  e colla  forza  il  console  e i suoi  che già  penuriavano  ; ma  giunse  prima  di  loro  il  soccorso Romano  , e furono  traversati  da  compiere  con  bellissimo (ìpe  la  guerra.  Imperocché  Fabio  Cesoue  l’altro  console, .  I I 5 Mpen rono  compartiti  pe’  corpi  varj.  I consoli  dopo  avere  sup> plite  le  coorti  mancanti , tirarono  a sorte  il  comando degli  eserciti.  Prese  F abio  l’ esercito  sostenitore  degli alleati , e Valerio  1’  altro  che  * accampava  tra’Yolsci  ; re- candovi le  nuove  reclute.  I nemici  saputo  il  giugner  di lui , deliberarono  far  venir  nuove  troppe , trinderarsi  in luogo  più  forte,    coìrere,  come  prima  , per  lo  di- spregio rovinose  vicende.  F orqirono  i duci  tutto  ciò  spe- ditissimàmente  , intenti  l’ uno , e l’ altro  a guardare  le trincere  sue  dagli  assalti  , non  ad  assalir  le  inimiche , per  espugnarle.  Cosi  decorse  non  poco  tempo  fra  ter- ror  vicendevole  che  1’  ano  1’  altro  investisse.  Non  pote- rono però  l’uno  e l’altro  osservare  sino  al  fine  il  pro- posito. Imperocché  quante  volte  spedivasi  alcuna  parte di  esercito  pe’  frumenti  o per  altro  bisogno  ; davansi  at- tacchi e percosse,  con  esito  non  sempre  vittorioso  per ' (i)  Cesare (a)  Altenlare  so’  Iribaoi  era  delitto  graTÌssimo , perchè  le  per- sone loro  si  riguardavano  come  sacre  ed  inviolabili  : Quindi  Cice- rone nel  lib.  3 de  legibns  scrive:  quodque  ii  prohibessint , quod- que  plcbem  rogaisint  ralitm  està  ^ taneiique  turno.   vin.  I ig UD  de'  partiti.  Ne  perirono  in  tante  scaramacce  non  po- chi ; restandone  feriti  ancor  più.  Non  riparava  le  perdite Romane  alcun  nuovo  rinforzo  venuto  altronde  ; mentre i Volsci , sopravvenendo  ad  essi  schiere  su  schiere , si erano  moltissimo  ampliati.  Dond’è  che  animatine  i duci loro , cavarono  dalle  trincee  1’  esercito  per  la  battaglia. Usciti  i Romani  nommeno  e schieratisi  a fronte,  insorse  una  mischia  grandissima  di  cavalli,  di  fanti, di  soldati  leggeri  , pieni  tutti  di  ardore  e di  > sperienza e ciascuno  col  disegno  che  dipendesse  da  lui  solamente la  vittoria.  Cadutine  dall’  una  e dall’  altra  parte  molti estinti , e piò  ancor  semivivi  ; si  ridussero  a pochi  quelli che  tuttavia  rimanevano  tra  la  mischia  e il  pericolo.  Or non  potendo  questi  fare  le  azioni  di  guerra  perchè  gli scodi  destinati  a difendere , pieni  di  dardi  conGccativi  ^ aggravavano  la  sinistra  , né  permettevano  che  si  tenesse ferma  in  atto  di  ripercotere  i colpi , e perchè  le  spade erano  ornai  spuntate,  rotte  , - inutili  ; tanto  più  che  il combattere  di  tutto  il  giorno  gli  aveva  stancati,  mer^ vati  , illanguiditi  a ferire , e la  sete,  il  sudore , l’aiTanno travagliavali  come  chi  combatte  a lungo  nelle  ardentis- sime ore  di  estate;  la  battaglia  non  prese  termine  me* morando  , ma  1’  nnò  e l’ altro  duce  ritirarono  ben  vo* lentieri  le  armate  : e tornarono  a’  proprj  alloggiamenti^ Non  uscivano  più  gli  uni  o gli  altri  a combattere,  ma standosi  dirimpetto  spiavano  a vicenda  le  sortite  degli emoli  pe’  bisogni  ■ di  guerra.  Parve  nondimeno , e molto in  Roma  se  ne  discorse  , che  la  milizia  Romana  , po- tendolo , non  facesse  nulla  di  luminoso  per  odio  contro del  console  , e per  indignazione  su’  patrizj  , mentitori nella  dÌTÌsione  delle  terre.  In  opposito  i soldati  acctisa» vano  il  console  come  insulficiente  ; scrìvendone  ognuno lettere  ai  suoi.  Tali  furono  gli  eventi  nel  campo  in  Roma intanto  molti  segni  celesti  annunziarono  l’ira  divina  con voci , e viste  inusitate.  E tutti  i segni  concorrevano  a questo , come  i vati  e gli  spositorì  delle  sante  cose , te» nutone  consiglio  , interpretavano  , che  alcuni  de’  numi erano  esacerbati , perché  non  riceveano  gli  onori  legit* timi,  o riceveano  sagrifizj  non  puri,    pii.  Faceasi dunque  grande  ricerca,  6nchè  diedesi  indizio  a’  sacerdoti che  l’ una  delie  vergini , custodi  del  fuoco  sacro  ( Opi- mia  n’ era  il  nome)  avea  la  verginità  contaminato,  e con  la  virginità  le  sante  cose.  Or  questi  con  indagini e discussioni  chiarìtlsi  .esser  vero  pur  troppo  il  fello  in- dicato , spogliarono  quella  delie  sacre  bende,  e condot- tala di  su  |»1  foro,  la  seppellirono  viva  tra  sotterranee pareti.  Flagellarono  poi  nella  pubblica  luce  ed  uccisero due  convinti  del  fello  con  essa.  E ben  tosto  favorevoli le  sante  cose , e favorevoli  si  ebbero  le  risposte  degl’in- dovini , come  per  la  pace  venduta  da’  numi. - XC;  Giunto  il  tempo  de’comizj , e venutivi  i consoli, ebberì  briga  e contenzione  assai  viva  tra’  patrìzj  e tra  ’l popolo  su’  personaggi  che  avrebbero  da  pigiare  il  co- mando. Voleano  quelli  promovere  al  consolalo  giovani intraprendenti    amici  della  plebe  ; e per  insinuazione loro  chiedevalo  il  figlio  di  Appio  Claudio , di  quello  ri- putato già  si  contrario  al  popolo  ; ed  era  questo  figlio pieno  di  orgoglio  e di  audacia  , e potente  per  amicizie e clientele  più  che  lutti  dell’  età  sua.  Per  l’ opposito  il popolo  nominava  a far  l’ utile  pubblico  e volea  per  con-   vm:  1 3 1 soli  personaggi  anziani , notissimi  per  le  d^ci  maniete sole  vi  marciasse  colle  armate.  Fu  tal  decreto  un  sub> bjetto  di  contraddizioni  : perocché  molti  non  lasciavano che  la  guerra  uscisse , ricordando  a’  plebei  la  partizion delle  terre  decisa  già  da  cinque  anni  dal  Senato , e come tra  le  belle  speranze  furono  defraudati , e protestando che  non  particolare  ma  comune  sarebbe  quella  guerra , se  la  Etruria  tutta  levavasi  unanime  a soccorrere  ì suoi nazionali.  Non  poterono  però  nulla  tali  sediziosi  discorsi; imperocché  per  le  insinuazioni  di  Spurio  Largio  anche il  popolo  ratiScò  la  sentenza  de’  padri  : pertanto  i con- soh*  cavarono  gli  eserciti , e gli  accamparono  separati r uno  dall’  altro , non  lungi  da  Yejo.  Si  tennero  in  tal modo  più  giorni:  non  uscendone  però  l’inimico  coll’ar- mata  ; datisi  a saccheggiarne  i campi , sen  tornarono  con quanta  poteano  più  preda  in  patria.  Or  ciò  e non  altro vi  ebbe  di  memorabile  sotto  questi  consoli. DELLE ANTICHITÀ  ROMANE n I ALICARNASSEO  L JLj  anno  appresso  nacque  disparere  tra  ’l  popolo  e tra  i senatori  su  la  scelta  de'  consoli  : imperocché  que- sti voleano  promovere  al  consolato  due  di  cuore  patri- zio , laddove  la  moltitudine  due  ne  volea  popolareschi. Arse  la  disputa  finché  tra  loro  si  persuasero,  che  am- bedue le  parti  dovessero  nominare , ciascuna  , un  console. Pertanto  il  Senato  elesse  Fabio  Cesene  per  la  seconda volta , quello  appunto  che  aveva  accusato  Cassio  come reo  di  tirannide,  ed  il  popolo  creò  Spurio  Furio  (i) (i)  Anno  di  Roma  s;3  tecoado  Catone,  375  Mcoodo  Vairone,  c 479  av.  Cristo. .  laS nella  olimpiade  settantesima  quinta  ; essendo  Calliade Arconte  in  Atene , al  tempo  appunto  che  Serse  fece  la sua  spedizione  contro  della  Grecia.  Or  avendo  questi preso  appena  il  comando  , yennero  in  Senato  gli  am- basciadori  Latini  per  supplicarvi,  che  si  mandasse  loro coir  esercito  l’ uno  de’  consoli , il  quale  non  permettesse che  la  insolenza  degli  Equi  procedesse  più  oltre.  An- nunziavasì  insieme  che  la  Etruria  tutta  era  in  moto , e che  tra  non  molto  uscirebbe  colle  armi  per  essersi  già riunita  in  (x>mizj  generali  : come  pure  che  avendo  i Vejenti  insistito  per  congiungersele  contro  i Romani, ne  aveano  Gnalmente  ottenuto , che  potesse  ogni  Tirreno parucipare  alla  impresa:  dond’ è che  fatto,  si  era  un corpo  riguardevole  di  Vejenti  volontari , per  militarvi. Or  ciò  vedendo  i magistrati  Romani  deliberarono  che  si recintasser  le  armate , e che  li  consoli  uscissero  con  esse r uno  per  combattere  gli  Equi , ed  esser  il  vindice  dei Latini  ; e l' altro  per  marciare  contro  l’ Etruria.  Oppo- nessi a ciò  Spurio  Sidnio  (i)  l’uno  de’tribnoi,  è con* gregando  ogni  giorno  il  popolo  a conclone  raddoman- dava  le  promesse  dal  Senato , e protestava  che  non  pen> metterebbe , che  si  eseguisse  niuna  delle  cose  decretate da’  padri  su’  nemid  o su  la  dttà,  se  prima  non  creavano i Died  , per  deBnire  le  terre  del  pubblico  , e non  le compartivano  , come  eransi  obbligati  in  verso  dd  popolo. Implicavasi , nè  sapeva  che  fare  il  Senato  ; quando  Ap> (i)  In  atconì  codici  ti  legge  Icilio:  e Lirio  stesso  nel  lib.  4, dice  : auetoret  fuitte  tam  Uberi  popolo  mffrayì  leitios  accipio  , ex  famitia  i/ifeetUtima  patribue  Irei  in  eam  antuun  Uibunot  plebù ereaioi. Digilized  by  Google 156  DELLK  Antichità’  romane pio  Claudio  suggerì  che  si  procurasse  la  dissensione  tra questo  e gli  altri  Tribuni  ; perciocché  vedea , eh'  essendo r oppositore  inviolabile,  ed  impedendo  col  poter  dei^ leggi  i decreti  de’ padri,  non  rimaneva  altra  via  da  rin- tuzuraelo,  se  non  quella  che  un  altro  di  eguale  onore e potenza  operasse  in  conurario , e proibisse  ciocch’  egli proibiva:  consigliava  inoltre  che  quanti  prenderebbero successivamente  il  consolato  si  adoperassero , e mirassero sempre  ad  avere  iàmigliari  ed  amici  de’' tribuni , ripe» tendo  non  esservi  altr’  arte  da  iuvalidame  il  potere , se non  quella  di  ridurli  discordi. II.  Parve  ai  consoli  che  Appio  ben  consigliasse,  ed essi , e gii  altri  de’più  potenti  si  afiàticarono  vivamente, perchè  quattro  de’  tribuni  si  dessero  ai  voleri  del  Se> nato.  Or  questi  cercarono  alcun  tempo  persuadere  colle parole  Sicinio  a desistere  dalla  mira  che  i terreni  si' di- videssero innanzi  la  fin  della  guerra.  Ripugnando  e giu- rando , e dicendo  però  costui  protervissimamente , che vorrebbe  piuttosto  vedere  la  città  caduta  in  poter  dei Tirreni  e di  altri  nemici , che  lasciare  placidi  a sestessi que’  che  godeansi  le  terre  del  pubblico , pensarono  di prender  quindi  la  bella  occasione  di  parlare  , e di  ope- rare contro  tanta  arroganza , non  udita  con  piacere , nemmeno  dal  popolo.  Adunque  dichiararono  che  gliel proibivano  ; e fecero  svelatamente , quanto  piacque  al Senato , ed  ai  consoli.  Dond’  é che  Sicinio  rimasto  solo non  era  più  1’  arbitro  di  cosa  niuna.  Fecesi  dopo  ciò la  iscrizion  dell’  annata , e si  apparecchiarono  dai  pri- vati , e dal  pubblico  con  ogni  diligenza  le  cose  tutte necessarie  per  la  guerra.  I consoli , tirata  a sorte  la  spe- .  127 dÌEioQ  loro,  uscirono  ben  (osto  all'aperto,  Spurio  Furio contro  le  città  degli  Equi , e Fabio  Casone  contro  i Tirreni.  Corrispondevano  i successi  appunto  ai  disegni  di Spurio  ; non  avendo  i nemici  nemmen  cuore  di  venire alle  mani  : e potè  di  quella  spedizione  raccogliere  da- nari e prigionieri  in  buon  numero  ; imperocché  per  poco non  scorse  tutto  il  territorio  nemico  , menando  o por- tando via.  Concedè  tutte  le  prede  in  dono  ai  soldati  : e se  parea  già  da  gran  tempo  l’amico  del  popolo;  più che  mai  se  lo  accarezzò  con  tal  suo  capitanato.  Del quale , finito  il  tempo , ricondusse  l’ esercito  intero,  in- violato , ricchissimo  divenuto , alla  patria. IIL  Fabio  Cesone  diresse  nemmeno  bene  il  comando deir  armata  , por  andò  privo  delle  lodi  delle  opere , non per  colpa  sua , ma  perchè  fin  d’ allora  che  fe’  giudicare, e dare  a morte  Cassio  il  console,  come  intento  alla  ti- rannide , non  avea  più  lafiètto  del  popolo.  Donde  che li  soldati  suoi  non  erano  disposti    ad  ubbidire  colla prestezza  la  quale  abbisogna  al  duce , che  ordina , nè ad  espugnare  con  ardore  quantunque  muniti  di  fòrze convenienti  , nè  a guadagnare  colle  insidie  i posti  op- portuni al  buon  successo  , nè  a fare  cosa  niuna  dalla quale  raccogliesse  onore  e fama  buona  pe’  comandi  che dava.  Le  altre  iocongruenze  poi  colle  quali  spregiavano esso  capitano  erano  per  lui  meno  gravi , nè  di  tanta  ro- vina per  la  patria.  Se  non  che  quel  che  fecero  in  ultimo creò  pericolo  non  lieve,  e grande  ignominia  per  ambe> due.  Imperocché  scesi  a battaglia  campale  fra  i due  colli su  quali  alloggiavano  diedero  molte  e splendide  prove di  valore , fin  a scingere  i nemici  a dar  volta  ; non però  gl'  inseguirono  nella  fuga , sebbene  il  capitano  ve gli  scongiurasse , né  vollero  con  fermezza  asserliame gli  alloggiamenli  ; ma  lasciata  la  bell*  opera  imperfetta , si  ritirarono  alle  proprie  trincee.  Anzi  tentando  il  con- sole capitano  dire  alcune  cose  (i):  molti  a gran  voce ne  lo  beffarono,  e redarguironlo  che  avesse  per  la  im> perizia  sua  nei  comandare,  fatto  tra  lor  la  rovina  di tanti  valentuommi:  ed  aggiungendo  altre  maldicenze  e querele , esigerono  che  sciogliesse  il  campo , e li  ricon- ducesse a Roma , come  insufficienti  ad  una  seconda  bat- taglia , se  il  nemico  su  loro  tornasse.    puntò  si  pie* garouo  per  le  ammonizioni , nè  si  commossero  pe’  g»> miti , e per  le  suppliche  di  lui , nè  le  grandi  minaccie ne  riverirono  { ma  sd^nandosene  ognora  più  si  osti- narono. Per  le  quali  cose  tanta  , e tanto  universale  fu la  insubordinazione , e il  dispregio  pel  capitano;  che  le-vatisi intorno  la  mezza  notte , dismisero  le  tende , e rac- colsero le  armi  ; trasportandone  li  feriti  , senza  comando ninno. ly.  Il  duce  vedendo  ciò  fu  costretto  dare  il  segno per  tutti  della  partenza  ; temendo  1*  audacia  e l’ anarchia loro  : ed  essi  come  salvatisi  colla  fuga , pervennero  in gran  fretta  su  1’  alba  presso  di  Roma.  Le  guardie  delle mura  ignorando  che  fossero  amici , brandirono  le  armi , e chiamaronsi  a vicenda  ; e tutto  il  resto  della  ciltè  si empiè  di  confusione  e tumulto , come  per  grande  scia- gura : nè  si  aprirono  le  porte , se  non  a di  luminoso , quando  si  ravvisò  eh’  era  1’  esercito  loro.  Questo  poi  , (i)  Secondo  ua’ altra  leiione  il  teaio  Mrebbe  : ami  tentando  ai- euni  dare  ai  cotuoU  nome  d' Imptradore  ec. per  tacere  la  infamia  deli' abbandono  del  campo,  corse a riscbio  non  lieve , traversando  disordinatamente  di notte  le  terre  nemiche.  Imperocché  se  gli  emoli  se  ne avvedevano , e lo  inseguivano  , niente  impediva  che  lo sterminassero.  Cagione , come  ho  detto , di  questa  irra- gionevol  partenza , o fuga  , fu  l’odio  del  popolo  contr» dei  capitano,  e la  invidia  su  la  onoriBcenza  di  lui,  af> finché  più  autorevole  non  divenisse  per  la  gloria  del trionfo.  I Tirreni  conosciutane  al  quovo  di  la  rimozione, spogliarono  i cadaveri  de’  Romani , presero  e trasporta- rono i feriti , e saccheggiarono  nelle  trincee  tutti  gli apparecchi , certamente  ben  grandi , come  per  guerra diuturna . Alfine  dopo  avere , quasi  vincitori,  depredate le  terre  nemiche  più  prossime , ricondussero  in  patria 1’  armata . V.  Creati  consoli  dopo  questi  Cajo  Malllo , e Marco F abio  per  la  seconda  volta  , siccome  il  Senato  decretò, che  marciassero   contro  Vejo  con  armata  quanta  po> teano  numerosa , intimarono  il  giorno  per  la  iscrizioa dei  soldati.  Ben  pose  loro  Impedimento  per  questa  Ti- l>erio  Pontificio  T uno  dei  tribuni  con  reclamare  il  de-creto su  la  partizione  delle  terre  : ma  essi,  come  aveano fatto  i consoli  antecedenti , guadagnando  altri  de’  tribu- ni , disunirono  que'  magistrati , e cosi  diedero  esecnzlone pienissima  ai  voleri  del  Senato.  Finita  in  pochi  di  la coscrizion  militare , uscirono  contro  de’  nemici  ; condu- cendo ciascuno  due  legioni , reclutate  dalf  interno  di  Anno  di  Roma  a^4  secondo  Catone , 376^  tecoado  Varrons ■ av.  Cristo] Roma , e milizia  non  minore  ; spedita  dalle  colonie  e da’  sudditi.  Giunse  dai  Latini  e dagli  Emici  il  doppio del  soccorso  intimato , non  però  li  consoli  lo  usarono tutto , ma  rimandandone  la  metà , li  ringraziarono  am- plissimamente di  tanto  buon  animo.  Accamparono  in- nanzi di  Roma  una  terza  armata  floridissima  di  due  le- gioni , per  guardia  del  territorio  , se  mai  vi  si  presen- tasse altro  esercito  nemico  improvviso  ; e lasciarono  a difenderne  le  fortezze  e le  mura  gli  altri  non  più  com- presi nella  iscrizion  militare,  ma  validi  ancora  per  le armi.  Quindi  guidando  gli  eserciti  fin  presso  di  Vejo ne  misero  il  campo  su  due  colli  non  molto  lontani  fra loro.  Accampavasi  davanti  la  città  l’armata  nemica , nu- merosa e buona  pur  essa  ; anzi  maggiore  non  poco  della Romana  per  esservi  accorsi  i primarj  di  tutta  la  Etmria co'lor  dipendenti.  All’aspetto  di  tanta  moltitudine,  allo splendore  delle  armi , assai  temerono  i consoli  di  non listare  a vincere  , se  metteano  l’ esercito  loro  non  bene concorde  a fronte  dell’ esercito  unanime  de’ nemici.  Adun- que deliberarono  i consoli  fortificare  il  campo  , e pren- der tempo , finché  l’ audacia  nemica , elevata  da  un  ir- ragionevol  disprezzo , desse  loro  la  opportunità  di  ben fare.  Seguivano  dopo  ciò  preludj  continui  di  battaglie, e brevi  scaramucce  di  soldati  leggeri  ; non  però  mai nulla  di  grande  o di  lumino»). VI.  Mal  soffrendo  t Tirreni  la  dilazion  della  guerra accusavano  i Romani  di  viltà  perchè  non  uscivano  a bat- taglia , e magnifica vansi , quasi  avessero  questi  ceduta loro  r aperta  campagna.  Anzi  tanto  più  si  elevavano  a spregiare  le  milizie  nemiche  e vilipenderne  i consoli  ; .  1 3 I quanto  che  credeano  gl’  Iddj  combattere  pc’  Tirreni.  E certo  caduto  un  fulmine  nel  quartiere  di  Cajo  Mallio ]'  uno  de’  consoli,  ne  abbattè  la  tenda , ne  mandò  sosso* pra  i focolari , ne  macchiò  le  arme  , le  bruciò  d’  intor* no , o in  tutto  glie  le  distrusse  ; e ne  uccise  il  più  co» spicuo  de’  cavalli  dei  quali  valessi  nel  combattere , ed alquanti  de’  servi.  E condossiacbè  gl’  indovini  diceano che  i numi  annunziavano  la  presa  del  suo  campo,  e la rovina  de’  personaggi  più  riguardevoli  ; Mallio  levò  l’ e* centrò nel  campo  stesso  del  compagno.  I Tirreni  co- nosciuta la  traslazione , ed  uditane  la  causa  da’  prigio- nieri , s’ ingrandirono  tanto  più  nel  cuor  loro,  quasi  il c*ielo  ancora  guerreggiasse  i Romani;  e moltissimo  con- fidarono di  vincerli.  E gl’indovini  loro  i quali  sembrano aver  meglio  che  quelli  di  altri  popoli  esaminato  i segni superni,  e d’onde  scoppino  i fulmini,  e dove  finiscano dopo  il  colpo,  da  qual  Dio  vengano , e con  quale  pre- sagio di  bene  o dì  male;  esortavano  che  si  andasse  al nemico  , inlerpetrando  il  segno  avvenuto  a’  Romani  in tal  modo  : poiché  il  fulmine  cadde  nella  tenda  con- solare ov'  è il  centro  del  comando  , e disfecevi  tutto insino  ai  focolari  ; egli  è indizio  divino  a tutto  l’  e- sercilo  deir  abbandono  del  campo  espugnato  a forza, e della  rovina  de'  più  riguardevoli.  Se  dunque  , di- ceano , coloro  che  ebbero  U fulmine  restavansi  nel luogo  fulminato,    trasportavano  ciocci*  erano  signi- ficato infra  gli  altri  ; la  presa  di  un  campo  , e la distruzione  di  un’armata  sola  avrebbe  appagato  lo sdegno  del  nume  cite  U contrariava.  Ma  perciocché cercando  precedere  col  senno  gli  Dei  si  trassero  aiì aluo  campo,  lasciato  deserto  il  proprio,  quasi  il  segno celeste  fosse  pel  luogo  non  per  gli  uomini  ; quindi è che  [ ira  ' dà' ina  fulminerà  lutti  e chi  trasmutatasi , e chi  li  raccolse.  E siccome  mentre  la  necessità  divina prenunziava  la  presa  del  campo  essi  non  aspettarono, ma  lo  cederono  di  per  sestessi  a nemici , così  non  il campo  abbandonato  sarà  preso  di  forza , ma  quello che  ricettò  chi  lo  abbandonava. I Tirreni,  udite  tali  cose  dagl’indovini,  invasero con  parte  dell’  esercito  il  campo  derelitto  da’  Romani  , per  valersene , contro  dell’  altro.  Erane  il  luogo  ben forte,  e mollo  accomodato  per  impedire  chi  da  Roma andava  all’  esercito.  Fatte  poi  diligentemente  altre  cose colle  quali  superar  l’ inimico  , recarono  in  campo  1’  ar- mata. Ma  standosene  i Romani  in  calma , i più  audaci fra  loro  scorsi  e fermatisi  a cavallo  presso  le  trincee  , rampognarono  tutti , quasi  femmine  : e dicendo  simili  i duci  loro  agli  animali  più  timidi , gli  sbeffavano , e chiedeano  l’ una  delle  due , vuol  dire  ; che  se  disputa- vano altrui  la  gloria  delle  armi  ; scendessero  in  campo, e ne  decidessero  con  una  sola  battaglia  : ma  se  ricono- sceansi  per  codardi  ; cedessero  le  arme  ai  più  forti  , subissero  la  pena  delle  opere,    più  aspirassero  a nulla di  grande.  Replicavano  altrettanto  ogni  giorno:  ma  per* ciocché  niente  ne  proGttavano  ; deliberarono  rinserrarli intorno  intorno  con  muro,  per  astringerli,  almeno  colla fame,  alla  resa.  consoli  lungo  tempo  guardarono  so- lamente ciocché  facevasi  non  per  codardia    per  mol- Icsza,  essendo  Tuno  e l’ altro  animoso  e guerriero;  ma perchè  temevano  il  mal  talento,  e la  ritrosia  nata  e perpetuatasi  ne’  soldati  plebei  fin  d’ allora  che  il  popolo tumultuò  per  la  division  delle  terre.  Ancora  stavano loro  su  gli  orecchi , e su  gli  occhi  le  cose  che  avea fatte  nell’  anno  precedente  per  astio  sul  console , vitu- perose né  degne  di  Roma,  cedendo  la  vittoria  ai  vinti, e sostenendo  fin  gli  obbrobrj  di  una  fuga  non  vera  , affinchè  colui  non  trionfasse. Vili.  Volendo  tor  vii»  finalmente  dall’  esercito  la  se- dizione e richiamare  alla  concordia  primitiva  la  molti- tudine ; e dirigendo  a ciò  tutti  i disegni  e le  providen- Ee  ; poiché  non  poteano  ravvederla    co’  supplizj  par- EÌali  come  protervissima  ed  armata,    co’ discorsi  come insofferente  di  essere  persuasa , concepirono  che  due vie  rimarrebbero  per  la  riconciliazione;  vuol  dire;  la infamia  di  essere  vilipeso  da’ nemici  per  gli  uomini  (che pur  ce  ne  avea  ) d’  indole  moderata , e la  necessitò , coi  tutti  paventano , per  gl’  indocili  al  bene.  Adunque per  effettuare  ambedue  queste  cose,  lasciarono  che  i nemici  li  disonorassero  colle  parole , biasimando  la  cal- ma loro  come  la  calma  de’  vili  ; e li  necessitassero  coi fatti  pieni  di  arroganza  e disprezzo  a tornar  valentuo- mini , se  tali  non  dimostravansi  per  sestessi.  Speravano, se  ciò  faceasi , grandemente  che  accorrerebbero  tutti  al quarlier  generale  fremendo  , gridando  , ed  istando  di esser  condotti  al  nemico.  Or  ciò  appunto  addivenne  ; imperocché  non  si  tosto  prese  il  nemico  a rinchiudere con  fossa  e steccalo  le  uscite  dal  campo , i Romani considerata  la  indegnità  dell’  opera  , ne  andarono  prima in  pochi  , indi  in  folla  alle  tende  dui  consoli  , c vi  schiamazzarono,  e come  di  tradimento  li  redarguirono; protestando  infine  die  se  niun  de’  due  li  guidava , essi di  per  sestessi  volerebbero  colle  armi  alla  roano  su  gli avversar).  Ciò  fatto  da  tutti,  giudicando  i consoli  venuta alfine  la  opportunità  che  aspettavano , imposero  agli araldi  di  chiamarli  a parlamento.  Allora  Fabio  recatosi innanzi  disse  : IX.  Sohìati , capitani,  tarda  è la  vostra  indigna- zione su  vilipendj  che  vi  si  Jan  da’  nemici  ; nè  più in  tempo  è la  volontà  che  at'ete  di  combatterli,  pei'- che  m annestatasi  troppo  dopo  il  bisogno.  Allora  do- veasi  ciò  fare  quaruìo  li  vedeste  la  prima  volta  scen- dete dalle  trincee , e cercar  la  batiaglia:  jdllora  bello era  il  combattere  pel  comando , e degno  della  subli- mità de’  Romani.  Ora  necessario  ne  si  è reso,  e certo non  di  egtuile  decoro , quatulo  ancora  vincessimo. Nondimeno  sta  pur  bene  che  vogliate  una  volta  ri- ' scuotervi,  e riavervi  delle  occasioni  tralasciate,  E molto siete  lodevoli  per  tale  ardore  verso  le  nobili  gesta  ; imperocché  procede  da  virtù , e vai  meglio  cominciar ciocché  deesi  aruhe  tardi,  che  mai.  Ed  oh!  cosi  tutti V abbiate  sentimenti  consimili  per  t util  vostro  , e vi animi  tutti  uno  zelo  medesimo  per  combattere.  Pa- ventiamo noi  però  che  i trasporti  de’  plebei  contro de’  magist  rati  per  la  division  delle  terre,  siano  cagione al  pubblico  di  sciagure,  E ciò  noi  paventiamo,  perché i clamori , e le  istanze , e la  insofferenza  per  uscire, non  è forse  in  tutti  t ejffctto  di  un  disegno  medesimo. Ma  quali  di  voi  anelale  uscir  dai  campo  per  punir f inimico  ; e quali  per  fuggirvenc.  E cagione  del  tintor  nostro  non  sono  già  gl’indovini,  non  le  conget- ture; ma  fetui  più  che  notorj  e non  antichi,  anzi  fre- schi delt  anno  precedente,  come  tutti  sapete,  quando uscendo  contro  questi  nemici  medesimi  un  esercito nostro  numeroso  e forte  , e pigliando  fn  la  prima battaglia  un  esito  propizio  per  noi  , mentre  Cesane mio  fratello,  console  condottiero  poteva  espugnare  gli alloggiamenti  loro  e riportare  alla  patria  una  vittoria luminosa,  alquanti  presi  da  invidia  della  gloria  di  lui perchè    era  popolare    mirava  nel  suo  governo  a far  le  voglie  de’  poveri , levarono  le  tende  la  notte stessa  dopo  la  battaglia , e fuggirono  fuori  di  ogni comando,  senza  valutare  il  pericolo  che  comprendevali nelf  andare  privi  di  ordine  e di  capitano  per  le  terre nemiche  , e fra  la  notte  , e senza  riguardare  quanta vergogna  ri  avrebbero  , perchè  quanto  era  in  loro , cedevano  C impero  a nemici,  essi  già  vincitori  ai  viziti. Tribuni , centurioni , soldati  ! in  vista  di  tali  uomini, non  buoni    per  dominare , nè  per  farsi  dominare , che  pur  sono  molti  e caparbii , e colle  armi  , non abbiamo  noi  fin  qui  voluto  la  battaglia  , nè  osiamo ancora  per  tali  compagni  decidere  in  campo  la  somma delle  cose  , perchè  non  sian  essi  tT  impedimento  e di danno  a chi  presenta  tutto  il  buon  animo.  Ma  se  la divinità  richiami  ancor  essi  a buon  senno,  se,  lasciate da  parte  le  discordie  per  le  quali  ha  il  nostro  comune tanti  mali  e sì  gravi , e differitele  ai  tempi  di  pace  , vorranno  redimere  ora  col  valore  { obbmbrio  passalo: niente  impedisce  che  ne  andiamo  caldi  di  belle  spe- ranze al  nemico.  Oltre  le  tante  opportunità  di  vinrere  , le  più.  grandi  e più  solide  ce  le  porge  la  stoli^ dità  degli  avversar]  medesimi.  Costoro  superiori  a noi di  molto  nel  n limerò,  ed  atti  con  ciò  solo  a contrah- hilanciare  t animosità  e perizia  nostra , han  privato sestessi  fin  di  quest’  unico  vantaggio , consumando  il più  delle  milizie  in  guardia  delle  loro  fortezze.  Ap-presso , quantunque  dovrebbero  fare  ogni  cosa  con diligenza  e saviezza  considerando  con  quali  e quanti grand  uomini  abbiano  a misurarsi,  pur  vanno  conarroganza  ed  incuria  al  cimento  , come  sian  essi  in- vincibili, e noi  sopraffatti  dal  terrore  di  essi.  E le fosse  con  che  ci  cingevano  , e le  corse  a cavallo  fin sotto  ai  nostri  alloggiamenti , e tan^  altre  ingiurie colle  parole  e colle  opere,  questo  appunto  dimostrano. Or  via  dunque,  ciò  riguardando  e le  tante  e sì  belle antiche  battaglie  nelle  quali  gli  avete  vinti  : andatene con  ardore  a questa  ancora.  E quel  luogo  dove  cia- scuno sarà  collocato , quello  concepisca  essere  la  casa, i poderi , la  patria  sua  : concepisca  che  chi  salva  il vicino  in  battaglia  salva    ancora:  e che  abbandona sestesso  a nemici  chi  abbandona  il  compagno.  Ilam- mentatevi  soprattutto  che  di  quelli  che  persistono  va- lorosi e combattono  , pochi  no  soccombono  ; laddove pochi  ne  scampano,  e a stento,  di  quelli  che  piegano, e figgano. X.  Egli  seguitava  ancora  , in  mezzo  a lagrime  co- piose , tal  discorso  animatore  , e chiamava  a nome  cia- scuno de’  tribuni , de’  centurioni , e de’  soldati  , nolo a lui  per  le  belle  prove  di  valore  date  nel  combattere, e prometteva  a chi  più  segnalato  sarebbesi  nella  batlaglia  molti  e gran  pegni  di  benevolenza  , onori  , r;c> cliezze  , soccorsi  d’  ogni  guisa  in  parità  delle  imprese  ; quando  proruppe  da  tutti  una  voce  che  inviuvalo  a con6dare  , e portarli  al  nemico.  Cessata  questa , gli  si fece  innanzi  dalla  moltitudine  Marco  Flavoleio  , plebeo di  condizione  ed  arteGcc  , non  vile  però  , ma  per  le sue  virtù  pregiato  , e prode  in  guerra  ; e per  tali  due rispetti  condecorato  in  campo  di  una  presidenza  lumi- nosa , cui  sieguono  ed  ubbidiscano  per  legge  sessanta centurie.  I Romani  chiamano  primipili  nel  patrio  idio- ma tali  condottieri.  Or  quest’  uomo , altronde  grande  e bello , postosi  in  parte,  donde  fosse  a lutti  visibile,  al- fine disse:  K oi  temete,  o consoli,  che  le  opere  nostre non  corrispondano  alle  parole  ? Io  per  il  primo  vi darò  su  mestesso  le  assicurazioni  meno  equivoche della  mia  promessa.  E voi  cittadini , voi  compagni della  sorte  medesima , voi  che  avete  risoluto  di  pa- reggiare ai  detti  le  opere  , non  sbaglierete  facendo quanto  io  fo.  E qui , sollevando  la  spada , giurò  con formola  sacra  e solenne  ai  Romani  , per  la  sua  buona fede , di  non  tornare  , se  non  dopo  vinti  i nemici,  alla patria.  Sorsero  al  giuramento  di  Flavoleio  lodi  amplis- sime d’ogn’intorno.  Fecero  bentosto  altrettanto  i consoli e mano  a mano  i duci  minori , tribuni  e centurioni  ; e la  moltitudine  finalmente.  Yidesi  dopo  ciò  molto  buon animo  in  tutti,  molta  benevolenza  fra  loro , molta  con- fidenza , e fermezza.  Partiti  dall’  adunanza  , chi  metteva il  freno  ai  cavalli,  chi  le  spade  aguzzava  e le  lance  ; e chi  riforbiva  gli  scudi  ; ond’  è che  tra  poco  tutta  1’  ar- mala fu  in  pronto  per  la  battaglia.  I consoli , invocali  gl' Iddìi  con  voti,  con  ugrifizj , con  suppliche,  perchè fossero  i duci  essi  stessi  di  quella  uscita , portavano fuori  degli  steccati  l’esercito,  schierato  in  buon  ordine. I Tirreni  vedutili  scendere  dalle  loro  trincee  , ne  stu- pirono , e vennero  ad  incontrarli  con  tutte  le  forze, XI.  Come  furono  gli  uni  e gli  altri  sul  campo,  e le trombe  annunziarono  il  seguo  delta  battaglia  , corsero quinci  e quindi  con  alti  clamori.  E fattisi  i cavalieri su  i cavalieri,  ed  i fanti  so  i fanti;  pugnarono,  e molu fu  la  occisione  in  ambe  le  parti.  I Bomani  dell’ala  de- stra comandati  dal  console  Mallìo  malmenavano  il  corpo che  li  contrastava  , e smontati  da  cavallo  combattevano appiedo:  ma  quelli  dell’ala  sinistra  erano  circondali  dal corno  destro  de’  nemici.  Imperocdiè  essendo  ivi  la  mi- lizia tirrena  più  elevata  e più  numerosa  , i Romani  ne erano  battuti,  e coperti  di  ferite.  Comandava  in  questo corno  Quinto  Fabio  luogotenente  e già  due  volte  con- sole. Egli  resistè  lungo  tempo  , ricevendovi  ferite  sopra ferite  ; ma  poi  trafitto  da  una  lancia  nel  petto  fino  alle viscere  , esangue  ne  stramazzù.  Come  ciò  udì  Marco Fabio  il  console  che  crasi  ordinalo  nel  centro , pigliò seco  i più  bravi,  e,  chiamato  Fabio  Cesone  l’uno  dei fratelli , marciò  verso  1’  altro  Fabio  (i).  E proceduto buon  tratto,  e trascorso  all’ala  destra  de’ nemici,  venne a quelli  che  circoudavano  i suoi.  Dato  l'assalto,  causò strage  cupa  a quanti  avea  tra  le  mani,  e fuga  ad  altri che  erano  da  lontano.  Trovato  il  fratello  che  respirava (i)  Il  ferito.  Par  questo  il  senso  migliore.  Nel  testo  si  legge in  luogo  di  Fabio.  Qui  dunque  si  hanno  tre  Fabj, Marco  , Quinto  , c Cesone,  fiaiclli  lutti  tre.  ancora,  lo  soUcTÒ;  ma  questi  non  molto  sopravvivendo, morì.  Crebbe  qui  l’ira  a’ vendicatori  suoi  su’ nemici.  Nè più  riguardando  la  propria  salvezza  lanciatisi  in  piccieda sebiera  nel  mezzo  di  essi , dove  erano  più  folti , vi  al- zarono monti  di  cadaveri.  Pericolò  da  questa  |>arte  la milizia  toscana  , ed  essa  che  prima  incalzava  en  incal- zata dai  vinti.  Per  l’ opposto  c|oelli  dell’ala  sinistra  che gii  crollavano  , e gii  meticvansi  in  piega  li  dove  era Mallio,  quelli  fugarono  i Romani  contrapposti.  Imperoo cbè  trafitto  Mallio  con  una  lancia  da  banda  a banda  in un  ginocchi  o , c riportato  da’  suoi  che  lo  circondavano agli  alloggiamenti  ; i nemici  lo  credettero  estinto  , e se ne  animarono  ; ed  assistiti  pur  da  altri  forzavano  i Ro- mani , ridotti  senza  duce.  I Fal^  dunque  lasdalo  il corno  sinistro  furono  di  nuovo  astretti  a soccorrere  il destro.  I Tirreni , vistfli  che  venivano  con  esercito  po- deroso , desisterono  dall’  inseguire  : e strettisi  fra  loro  , combatterono  io  ordinanza  , perdendovi  molti  de’  loro  ; e molti  nocidendovi  de’  Romani. XII.  Intanto  i Tirreni  ebe  avevano  invaso  gli  allog- gia menti  lasciati  da  Mallio , aizaione  il  segnale  dal  ca- pitano, marciarono  con  gran  fretta  ed  ardore  verso  gli altri  alloggiamenti  Romani  perchè  non  bene  forniti  di guardie.  Era  il  loro  concetto  verissimo  ; perché  tolti  i triarj  e pochi  giovani,  non  v’  erano  se  non  mercadanii, e servi  , ed  artefici.  Ma  ristringendosi  molti  in  picciolo spazio  presso  le  porte,  ebbevi  una  viva  e terribile  zuffa con  strage  copiosa  e vicendevole.  Accotzo  con  i cavalieri Mallio  il  console  per  ajuto  ; cadde  col  cavallo,    po- tendo risorgere  per  le  molle  ferite  vi  morì.  Perirono ancora  intorno  a lui  molti  giovani  valorosi  : e per  tale infortunio  gli  alloggiamenti  furono  espugnati  ; vcriGcan* dosi  cosi  li  vaticini  fatti  ai  Tirreni.  E se  avessero  ben usato  la  sorte  presente,  e guardato  quegli  alloggiamenti; sarebbero  stati  gli  arbitri  delle  provvigioni  de’  Romani  e gli  avrebbero  costretti  a partire  obbrobriosamente  : ma datisi  a predare  le  cose  rimastevi  , e li  più  a ristorarsi ancora , lasciaronsi  fuggir  di  roano  una  bella  occasione. Imperocché  nunziatasi  appena  all’  altro  console  la  presa del  campo  , accorsevi  co'  fanti  e cavalieri  migliori.  Li Tirreni  saputo  che  veniva  cinsero  le  trincee  ; e fecesi battaglia  ardentissima  tra  chi  voleva  ricuperar  le  sue cose , e chi  temea  , se  ricuperavansi , 1’  ultimo  eccidio. Ma  traendosi  in  lungo  , e riuscendovi  migliore  assai  la condizione  de'  Tirreni , perchè  combatteano  da  luogo elevato  contra  uomini  stanchi  dal  'combattere  di  tutto  il giorno;  Tito  Siccio  legato  e propretore,  consigliatosene con  il  console , intimò  la  ritirata  ; e che  si  riunissero ed  attaccassero  tutti  le  trincee  dal  canto  più  facile. Trascurò  la  banda  verso  le  porte  per  un  discorso  plau- sibile che  non  lo  ingannò;  per  questo  cioè,  che  i Tir- reni sperando  salvaf&i  , ne  uscirebbero  : laddove  se  di ciò  disperavano  circondati  da  nemici  senza  uscita  niuna; sarebbero  necessitati  a far  cuore.  Portatosi  in  una  sola parte  l’assalto;  non  più  si  diedero  i Tirreni  a resistere; ma  spalancate  le  porte , salvaronsi  ne’  proprj  alloggia- menti. II  console  , rimosso  il  pericolo , scese  di  nuovo a dar  soccorso  nel  piano.  Dicesi  che  questa  battaglia de’  Romani  fu  maggiore  di  tutte  le  antecedenti  per  la mollltudine  degli  uomini  , per  la  durazione  del  tempo , e per  l’ alleraarvi  della  sorte  ; imperocché  venti  mila erano  i fanti,  tutti  di  Roma,  floridi  e scelti,  oltre  mille dugento  cavalli  che  univansi  alle  quattro  legioni  ; ed  aU trettanta  era  la  milizia  de’  coloni , e degli  alleati.  La }>attaglia  conunciaia  poco  prima  del  mezzogiorno  si  estese 6no  air  occaso , e la  sorte  ondeggiò  quinci  e quindi gran  tempo  tra  vittorie  e tra  perdite.  Occorsevi  la  morte di  un  console , di  un  legato  , stato  due  volte  console  , e di  tanti  altri  capitani , tribuni , e centurioni , quanti mai  piu  per  addietro.  Il  buon  esito  della  giornata  fu creduto  de’  Romani  non  per  altro  , se  non  perché  li Tirreni  fra  la  notte  lasciarono  il  proprio  campo,  e pas- sarono altrove.  Il  giorno  appresso  fattisi  i Romani  a saccheggiare  il  campo  Tirreno  abbandonato  , e seppel- lire le  morte  spoglie  dei  loro  ,tornarono  agli  alloggia- menti. Dove  riunitisi  a parlamento  diedero  i premj  di onore  a quelli  che  avevano  combattuto  da  valorosi , e primieramente  a Fabio  Gesone  fratello  del  console,  che avea  fatto  grandi , e meravigliose  gesta  : in  secondo luogo  a Siedo,  cagione  che  gli  alloggiamenti  si  ricu- perassero ; ed  in  terzo  a Marco  Flavoleio  duce  di  una legione,  si  pel  giuramento,  che  per  la  magnanimità  sua tra*  pericoli.  Rimasero  dopo  ciò  per  alquanti  giorni  nel campo  ; ma  ninno  più  dimostrandosi  per  combatterli  tor- narono alla  patria.  In  Roma  per  battaglia  si  grande  laquale  prendea  fine  bellissimo  , voleano  tutti  aggiungere r onor  del  trionfo  al  console  che  tornava  : ma  il  con- sole stesso  noi  consentì , dicendo,  non  essere  pia  cosa, nè  giusta , che  egli  s’  avesse  pompa  e corona  trionfale per  la  morte  del  fratello  e del  collega.  E qui  lasciate le  insegne , e congedalo  1’  esercito  , depose  ancora  i) consolato  due  mesi  prima  del  termine  suo  , non  po> tendo  ornai  più  sostenerlo  per  la  grande  finta  che  lo travagliava  e riduoevalo  in  letto. Il  Senato  scelse  gl’  interré  pe’  comizj , e convo- cando il  secondo  interré  la  moltitudine  nel  campo  Mar- zo, vi  fu  nominato  console  Tito  Yerginio , e per  la terza  volta  Fabio  Cesone,  colui  che  ebbe  i primi  premj della  battaglia  ed  era  fratello  insieme  del  console , che avea  deposto  il  comando.  Questi,  decidendo  ciascuno  per sé  l’esercito  col  mezzo  ddle  sorti,  uscirono  in  campo, Yerginio  per  combattere  i Yejenti  e Fabio  gli  Equi  che scorrevano,  depredando,  le  campagne  Latine  (i).  Gli Equi  all’  udire  che  i Romani  venivano , si  levarono  iu fretta  dalle  terre  nemiche , e ritiraronsi  alle  proprie  città, sopportando  che  si  derubassero  le  terre  loro  : tanto  che il  console  col  subito  venir  suo  s*  impadroni  di  danari  , di  persone,  e di  altre  prede  in  copia.  Si  tennero  i Ve- jenti  in  principio  tra  le  mura  ; ma  quando  parve  loro di  avere  il  buon  ponto , usarono  su’  Romani  sbandati , ed  intenti  alla  rapina  delie  campagne.  E perciocché piombarono  numerosi  , in  buon  ordine  contro  di  essi , non  sedo  ue  ritolser  le  prede;  ma  uccisero,  o fugarono quanti  si  opposero.  E se  Tito  Siccio  legato  non  accor- reva , e li  frenava , con  soldatesca  ordinata  appiedi  e a cavallo , niente  .impediva  che  I’  esercito  in  tutto  si  di- struggesse. Ma  giunto  lui  per  impedir  ciò,  si  affretta- ci) Adoo  di  Room  37S  aecaudo  Catone,  377  secondo  Marrone  e 479  av.  Cristo]  I 43 rono  a rlunirsegli , senza  eccettuarne  alcuno , tutti  i di- spersi. Coocenlralisi  tutti  occuparono  a sera  un  colle,  e vi  pernottarono.  Animati  dalla  prosperità  li  Vejenti  ac- camparonsi  presso  del  colle  e chiamarono  altri  dalla  città, quasi  avessero  addotti  i Romani  in  luogo,  privo  in  tutto de’  viveri , e poiessero  tra  non  molto  necessitarli  ad  ar- rendersi. Accorsavi  gran  moltitudine , si  misero  due campi  ne’  lati  possibili  ad  espugnarsi  del  colle  ; ed  altre picciole  guarnigioni  in  siti  men  facili  ; tanto  che  tutto ribbolliva  di  armati.  Fabio  l’ altro  console  intendendo per  le  lettere  del  compagno  che  gli  assediati  nel  colle erano  agli  estremi,  e sul  punto  ornai  di  rendersi  per  la fame  , se  alcuno  non  li  soccorreva  ; raccolse  1’  esercito  , e corse  su’  Vejenti.  E se  giungeva  un  giorno  più  tardi; niente  gli  sarebbe  valuto  , ma  trovato  avrebbe  l’ esercito rovinato.  Imperocché  quei  del  colle  costretti  dalla  pe- nuria ne  uscirono  per  correre  a morte  più  onorata  ; e fattisi  alle  prese  co’  nemici , combattevano  esausti  dalla fame , dalla  sete , dalla  veglia , da  ogni  disagio.  Ma dopo  non  molto,  quando  videsi  l’esercito  di  Fabio  che giungeva  numeroso,  in  buon  ordine,  tornò  la  conBdenza ne’  Romani  , e la  paura  negli  avversar).  Dond’  è che  i Tirreni  più  non  estimandosi  acconci  per  fare  giornata cx>ntro  di  un  esercito  fresco  e potente , abbandonarono l’ impresa , e partirono.  Ma  non  si  tosto  le  due  armate Romane  si  ricongiunsero , fecero  un  amplisnmo  campo in  luogo  munito  presso  della  città.  Trattenutisi  quivi più  giorni  , e saccheggiatone  il  meglio  del  territorio  di Vejo;  rimenarono  in  ‘patria  gli  eserciti.  Avvedutisi  i Vejenti  che  le  milizie  Romane  eransi  levate  dalle  insegne , presa  ia  gioventù  più  spedita  che  essi  tenevano  ia arme  , e quanta  ne  era  presente  de’  loro  vicini , si  get- tarono su  campi  confinanti , e li  depredarono  pieni  di fratti , di  bestiami , di  uomini  ; per  essere  i contadini calati  da’  castelli  a pascere  i bestiami  c lavorare  le  terre su  la  fiducia  che  aveano  nell’  esercito  Romano  trincie- rato  innanzi  di  loro.  Non  eransi  questi  ai  partir  dell’e- sercito affrettati  a ritirarsi  colle  cose  loro,  non  temendo che  i Vejenti , tanto  danneggiati , dessero  cosi  pronta la  ripercossa  a’ nemici.  Fu  la  irruzione  de’  Vejepti  pic- cola se  se  ne  guardi  il  tempo  ; ma  grandissima  per  la quantità  de’  campi  saccheggiati  : ed  avanzatasi  fino  al Tevere  verso  il  monte  Gianicolo  a meno  di  venti  stadj da  Roma  ; le  recò  dolore  e vergogna  insolita  ; non  es- sendovi sotto  le  insegne  milizie  che  impedissero  a quella di  estendersi.  Cosi  l’esercito  de’  Vejenti  prima  che  que- ste si  riunissero  ed  ordinassero , corse  desolando , e parti. XV.  Adunatisi  quindi  il  Senato  e i consoli  , c datisi a considerare  in  qual  modo  fosse  da  far  guerra  a’  Vc- jenti  ; prevalse  il  partito  di  tener  ne’  conOni  milizie  di osservazione  pronte  sempre  in  campo  per  la  difesa  del territorio.  Couturbavali  che  grande  ne  diverrebbe  il  di- spendio , laddove  l’ erario  era  esausto  per  le  imprese continue  , nè  più  bastavano  i beni  ai  tributi  ; e molto più  contnrbavali  la  recluta  di  tali  presidj  da  spedirsi  * perocché  ninno  voleva  star  in  guardia  per  tutti:  doven- dosi travagliare  non  a volta  a volta,  ma  sempre.  Essen- do per  tali  due  cause  mesto  il  Senato;  i due  Fabj  (a) (i)  1 due  Fabj  sono  Marco  Fabio,  e Fabio  Cesoue  nomiaati  di  topna.;  145 convocarono  qnanti  partecipavano  il  loro  lignaggio.  Con* saltatisi,  promisero  al  Senato  di  andare  spontaneamente essi  per  tutti  a tal  rischio , conducendo  seco  amici  e clienti , e militandovi  a proprie  spese  ; finché  durerebbe la  guerra.  Ed  esaltandoli  per  la  disposizion  generosa , e contando  tutti  di  vincere  anche  per  (jnesta  opera  sola , pigliarono  essi  famosi  in  città  le  aripe  tra’sagrifizj  e tra i voti,  e ne  uscirono.  Era  duce  loro  Marco  Fabio  il console  dell’  anno  precedente,  quegli  che  vinse  i Tirreni in  batuglia.  Esso  menava  presso  a poco  quattro  mila , clienti  per  la  maggior  parte  ed  , amici  , ma  trecento  sei ve  n’ erano  delia  stirpe  de’Fabj.  Usci  non  molto  dopo su  le  orme  loro  l’armata  Romana,  comandata  da  Fabio Cesone,  Tuno  de’ consoli.  Avvicinatisi  al  Cremerà,  fiume non  molto  discosto  da  Vejo  , fordficaroiio  su  di  una balza  precipitosa  e dirotta  un  castello  opportuno  a di- fendere tante  milizie,  e vi  scavarono  intorno  doppie fosse , e vi  elevarono  torri  froquenti.  Cremerà  fu  nomi- nato ancor  esso  il  castello  dal  fiume.  E conciosnachè molti  esercitavano,  ed  il  console  stesso  coadiuvava  quel lavoro , fu  terminato  prima  che  noi  pensassero.  Allora cavò  r esercito , e marciò  su  1’  altra  parte  alle  terre  dei yejenti , poste  incontra  al  resto  della  Etruria , dove quelli  tenevano  i bestiami , non  aspettandovi  mai  l’arme Romane.  Fattavi  gran  preda  se  la  recò  nel  nuovo  ca- stello , esultandone  per  due  cause  , cioè  per  la  vendetta non  tarda  pigliata  su’  nemici , e per  1’  abbondanza  che dava  copiosissima  ai  soldati  che  lo  presidiavano,  percioc-  « chè  niente  ne  riservò  per  l’  erario , o ne  dispensò  tra  lo DIONIGZ  , tomo  in.   sue  milizie,  ma  tulio  concedette  a quelli  che  guarda^ vano  la  regione,  greggi,  giumenti,  gioghi  di  buoi, ferramenti , e quanto  era  utile  per  la  coltura.  E dopo ciò  rlmenò  1’  esercito  a Roma.  Erano  dopo  fondato  il cartello  i Vejenti  a mal  termine  ; non  polendo    lavo* t^re  con  sicurezza  le  terre , nè  ricevere  esterne  vetto> vaglie.  Imperocché  li  Fabj  (i)  diviso  in  quattro  parti  la gente  loro , con  una  difendevano  il  castello  , e le  tre altre  scorrevano  la  regione  nemica  pigliando,  e traspor> landò.  E quantunque  molte  volte  i Vejenti  gli  assalirono con  truppe  non  poche  nell’  aperto , e se  li  tirarono dietro  in  terre  piene  d' insidie  ; essi  nondimeno  vinsero r uno  e r altro  pericolo  ; e fatta  glande  uccisione , n ricondussero  salvi  al  castello.  Pertanto  non  osavano  più li  nemici  d’ investirli  , ma  tenendosi  per  Ib  più  tra  le mura  , np  faceano  furtive  sortite.  E cosi  ne  andò  quel* r inverno. XVI.  Entrati  l’anno  appresso  (a)  in  consolato  Lucio Emilio , e Cajo  Servilio  , fu  nunziato  a’  Romani  , che i Volsci  e gli  Equi  eransi  convenuti  di  portare  su  loro la  guerra,  e d’ invaderne  tra  non  molto  le  terre;  e ve- rissimo ne  era  1’  annunzio.  Imperocché  , armatisi  gli  uni e gli  altri  prima  dell’  aspettazione , corsero  , e devasta- rono , ciascuno , la  regione  vicina  a sestesso  , persuasi che  non  potrebbono  i Romani  combattere  in  un  tempo i Tirreni , e rispiiigere  altri  che  gli  assalissero.  Poi  so- (i)  Cioè  quelli  i quali  prcaidiavauo  il  casiello  aoUo  gli  auspicj di  Marco  Fabio. (a)  Addo  di  Roma  37C  lecoudo  Catone,  3^8  lecoodo  Varroae  ; e 476  *v.  Cristo] {iravveiiendo  altri  ridicevano  che  I’  Elriiiia  tutta  levavasi in  guerra  coulro  i Romani , e preparavasi  di  s[>edire  ia comune  un  soccorso  a’  Vejenti.  Or  lo  avevano  i Ve> jenti  f incapaci  di  espugnare  il  castello , imploralo  qu»> sto  soccorso  ; commemorando  la  unità  del  sangue , 1’  a- micizia,  e le  tante  guerre  che  aveano  insieme  combat- tute. Anzi  aVeano  dimandata  l’ alleanza  loro  nella  guerra co’  Romani  non  si  per  questi  riflessi , come  per  quello ancora  , che  i Vejenti  erano  su  la  frontiera  dell’  Etra- ria ; e frenavano  una  guerra , che  versavasi  da  Roma  su tutta  la  nazione.  Convinti  di  tanto  i Tirreni  promisero mandare  tutti  i sussidj  che  richiedevano.  Per  1’opposto il  Senato,  informatone,  risolvette  spedire  tre  eserciti.  Ed arrolate  in  fretta  le  milizie;  fu  spedito  Lucio  Emilio  sa i Tirreni.  Usci  pur  con  esso  Fabio  Ceso  ne  , colui  che avea  di  fresco  deposto  il  comando , ottenuta  dal  .Senato la  facoltà  di  ricongiungersi  in  Cremerà , e partecipare  t pericoli  della  guerra  colle  genti  Fabie  che  il  fratello aveaci  condotte  in  difesa  del  luogo  : ma  egli  v’  andava co’  suoi  compagni  ornato  di  autorità  proconsolare.  Cajo Srrvilio  l'altro  console  marciò  contro  i Volsci,  e Servio Furio  proconsole  contro  gli  Equi.  Seguivano  ciascun  di essi  due  legioni  Romane  , e truppe  alleate  non  minori di  Eroici , di  Latini , e di  altri.  Servio  il  proconsole espedì  la  guerra  con  termine  rapido  e lieto  ; perciocché fugò  gli  Equi  con  una  battaglia  , e senza  stento  ; im- paurendoli al  primo  investirli  : e poi  rifuggitisi  questi ne’ luoghi  forti  ; ne  devastò  le  campagne.  Ma  Serviliu  il console  fattosi  a combattere  con  fretta  ed  orgoglio,  in- contrò ben  altra  sorte  da  quella  che  ne  aspettava:  Opposiiglisi  i Volsci  bravissimameote  , vi  perdette  molti  va* lentuomini:  tanto  che  si  fidasse  a non  far  più  battaglia: ma  standosi  negli  alloggiamenti  , deliberò  di  mantenere la  guerra  con  tenui  mosse  e scaramuccie  de’ soldati  leg- geri. Lucio  Emilio  mandato  nell’  Etruria  , trovando  accampati innanzi  della  città  li  Yefenti  con  grandi  rinforzi di  quella  nazione , non  indugiò  per  imprendere  : ma dopo  un  giorno  da  che  erasi  trincerato , presentò  le schiere  in  battaglia.  Vi  si  lanciarono'  i Vejenti  arditis- simamente: ma  divenuta  questa  eguale  in  ambe  le  parti; prese  i cavalieri , e.  gli  avventò  su  1’  ala  destra  de’  ne- mici ; e perturbatala;  corse  su  la  sinistra,  combattendo a cavallo  dov’era  luogo  da  cavalcarvi,  e dove  no,  smon- tando , e combattendo  a piede.  Venute  in  travaglio  am- bedue le  ale  , nemmeno  ' il  centro  potè  più  sostenersi , forzato  dalla  fanteria  : e fuggirono  tutti  verso  gli  allog- gitrmenti.  Emilio  allora  gl’  inseguì  con  le  milizie  ordi- nate, e molti  ne  uccise.  Giunto  presso  gli  alloggiamenti diedevi  con  mute  continue  1’  assalto , ostinandovisi  tutto quel  giorno  e la  notte  seguente  : finché  nel  giorno  ap- presso languendo  i nemici  pel  travaglio , per  le  ferite , e per  la  veglia  , se  ne  impadronì.  Quando  i Tirreni videro  i Romani  trascendere  le  trincee  , le  abbandona- rono, e fuggirono  quali  in  città,  e quali  a’ monti  vicini. Tennesì  il  console  per  quel  di  negli  alloggiamenti  ne- mici ; ma  nel  giorno  prossimo  onorò  con  doni  conve- nienti i più  segnalati  in  combattere,  e concedette  a’ sol- dati quanto  era  ivi  stato  lasciato  , giumenti , schiavi  , c tende  piene  di  ogni  ricchezza.  E 1’  esercito  Romano  se ne  ricolmò  quanto  non  mai  per  altra*  battaglia;  impe-   1 4p rDcclièJi  Tirreni  vivono  vita  delicata  e sontuosa  in  pa- tria , ed  in  campo  ; e portan  seco , non  che  le  cose necessarie , suppelletlili  ancora  di  pregio  e di  artifizio  , ond’  esserne  in  piaceri  e delizie. Ne’  giorni  appresso  stanchi  da’  mali  i Vejenti spedirono  ambasciadorì  i più  anziani  della  città  cq^  modi de’ supplichevoli  per  trattare  intorno  la  pace  col  console. Or  questi  sospirando,  prostrandosi^  e dicendo,^  tra  molte lagrime,  quante  cose  mai  sogliono  impietosire;  indus- sero il  console  a questo,  che  permettesse  loro  d’inviare oratori  a Roma  per  dar  fine  in  Senato  alla  guerra  : e che  non  danneggiasse  in  tanto  la  terra  loro  , finché  ne tornassero  colie  risposte.  Ad  ottenerne  però  questo,  pro- misero , come  volle  il  vincitore , dar  grano  per  due mesi , e danari  per  sei  pe’  stipeudj  di  tutta  V armata.  E portate , e ricevute , e dispensate  tra'  suoi  tali  cose  , il console  conchìuse  con  essi  la  tregua.  Il  Senato  , uditi gii  ambasciadori , viste  le  lettere  del  console  che  molto pregava,  e raccomandava  che  si  finisse  il  più  presto  la guerra  co’  Tirreni  ; deliberò  dar  la  pace  che  dimanda- vasi  : e che  nel  darla  il  console  Lucio  Emilio  stabilisse le  condizioni  che  gli  sembrasser  migliori.  Il  console  a tale  risposta  si  concordò  co’  Vejenti , facendo  una  pace anzi  umana , che  utile  pe’  vincitori , senza  riserbare  per essi  delle  terre , senza  impor  nuòve  multe,    garantire i patti  cogli  ostaggi.  Or  ciò  lo  mise  in  grand’  odio , e fu  causa  che  non  avesse  dal  Senato  ringraziamenti,  come savio  nel  procedere  suo.  Imperocché  chiese  il  trionfo; ed  i padri  si  opposero  ; incolpando  1'  arbitrio  de'  suoi trattati , definiti  senza  il  pubblico  voto.  AlìGaché  però nou  sei  prendesse  ad  ingiuria  , nè  sen  corucciasse  ; lo destinarono  a portare  le  armi  contro  de’  Volaci  in  soc- corso dell’altro  console,  perchè,  come  fortissimo  nomo eh’  egli  era , desse  ivi  , se  poteasi , buon  fine  alla  guer- ra , e dissipasse  1’  odio  dell’  azion  precedente.  Ma  costui sdegnato  sa  la  negazion  degli  onori  fece  presso  del  po- polo lunga  accasa  de’  senatori , cpiasi  dolesse  loro  che spenta  fosse  la  'guerra  co’  Tirreni.  Diceva  , che  ciò  fa- cevano ad  arte  in  conculcaménto  de*  poveri  , perchè i poveri , delusine  già  tanto  tempo,  non  insistessero  per la  division  delle  terre , se  tornavano  dalle  guerre  di fuori.  Queste  e simili  contumelie  lanciò  con  indigna- zione vivissima  su’  patrizj  , e sciolse  1*  armata  che  avea con  lui  combattuto , e richiamò , e congedò  1’  altra  che era  tra  gii  Eqni  sotto  Furio  proconsole.  Con  die  re- nelle con- ti ricchi  i poveri. Presero  quindi  il  consolato  Cajo  Orazio , e Tito  Menenio  (t)  nella  olimpiade  settantesima  sesta, quando  vinse  allo  stadio  Scamandro  da  Mitilene,  es- sendo in  Atene  Fedone  P arconte^  Il  torbido  interno impedì  questi  a principio  ne*  fatti  del  comune,  fremendo la  moltitudine , nè  tollerando  che  si  fornisse  niuna  pub- blica cosa  innanzi  la  divisione  delle  terre.  Ma  poi,  vinto il  popolo  dalla  necessità , lasciò  quanto  facea  sommossa e tumulto , e ne  andò  spontaneo  in  sul  campo.  Impe- rocché le  undici  popolazioni  Tirrene  non  comprese  nella ( I ) Anno  di  Roma  377  secondo  Catone  , 27;)  secondo  Varrone , e 4y5  av.  Cristo. stimi  molto  potere  ai  tribuni  di  malignare doni  contro  del  Senato ,,  e di  alienare  n  ciò principio  alla  guerra.  Levaronsi,  ciò  convenuto  , dal  par-» lamento.  Indi  a non  mollo  spedirono  i Yejenti  a raddo» mandare'  da’  F abj  il  castello , e già  tutta  1'  Etruria  era sa  r arme.  I Romani , conosciuto  ciò  per  lettere  spedite da’  F abj , decretarono  che  uscissero  ambedue  i consoli r uno  alla  guerra  che  sorgea  dall’  Etruria  , e 1’  altro  a quella  che  ardeva  già  co’  Yolsci.  Orazio  marciò  con  due legioni  e con  truppe  alleate  ben  forti  contro  de’ Yolsci, Menenio  dovea  con  altrettanta  soldatesca  incamminarsi contro  r Etraria.  Ma  intanto  che  si  apparecchia,  e s’in> dogia  ; il  castello  di  Cremerà  fu  preso  , e distratta  la stirpe  de’  F abj.  La  sciagura  de’  quali-  si  narra  a due modi  r uno  non  persUadevole , 1’  altro  piò  prossimo  al vero.  Io  gli  esporrò  tutti  due , come  gli  ebbi. XIX.  Narraoo  alcuni  che  sovrastando  no  patno  sa- grideio  che  doveasi  porger  da’Fabj,  uscirono  gli  uomini con  pochi  clienti  per  compierlo  , ed  andarono , senza esplorare  le  strade  , non  ordinati  sotto  le  insegne  , ma incauti  e negligenti , quasi  passassero  terre  amiche  , nei giorni  lieti  della  pace.  I Tirreni , saputane  anzi  tempo r andata  , disposero  tra  via  le  insidie  con  parte  dell*  e> sercito , mentre  1’  altra  parte  veniva  in  ordinanza  non molto  addietro.  Approssimatisi  i Fabj,  sorsero  i Tirreni dalle  insidie , e gl’  invasero  di  fronte  , e di  fianco  ; as- salendogli non  molto  dopo  da  tergo  il  resto  de’ Tirreni. Circondatili  d’  ogn’  intorno  con  fionde  , con  archi , e dardi  , e lance  ; gli  uccisero  tutti  colla  moltitudine  dei colpi.  Or  tale  racconto  a me  sembra  poco  persuasivo. Imperocché  non  par  verisimile,  che  tali  uomini,  addetti com’  erano  alla  milizia,  ne  andassero  dal  campo  in  città senza  il  voto  del  Senato  per  sagrìficarvi  ; potendo  il santo  rito  fornirsi  per  altri  del  lignaggio  medesimo,  già provetti  negli  anni.  Che  se  tutti  erano  partiti    Roma senza  che  stesse  ne’patrj  lari  alcuno  de’ Fabj;  nemmeno può  credersi , che  uscissero  dal  castello  quanti  di  questi il  guardavano;  imperciocché  se  ne  andavano  tre  o quat* tro , bastavano  a compiere  il  santo  rito  per  tutta  la  pro- sapia. Per  tali  cagioni  a me  non  sembra  credibile  questo racconto. L’  altro  che  io  reputo  piò  verisimile  su  la  di- struzione di  essi , come  su  la  presa  del  cartello  , così procede.  Andando  questi  di  tempo  in  tempo  per  forag- giare, e.  spandendosi  ognora  più  da  largo,  come  quelli che  prosperavano  ne'  tentativi  ; i Tirreni , raccolte  gran forze,,  si  accamparono,  senza  che  il  nemico  ne  sapesse, in  luoghi  vicini  : poi  facendo  uscire  da’  castelli  masse  di pecore , di  buoi , di  cavalli , come  per  pascere , accen- devano i Fabj  ad  invaderli:  ond’ è che  venendo  questi predavano  i pastori , e menavano  seco  i bestiami.  Davano i Tirreni  di  continuo  tal  »ca , traendo  i nemici  sempre piii  lontani  dal  campo  : or  quando  ebbero  con  gli  allst- lameoti  perpetui  dell’  utile  rallentate  le  provvidenze  loro per  la  sicurezza;  misero  di  notte  gli  agguati  in  luoghi opportuni , intanto  che  altri  stavano  su  le  allure  per esplorare.  Nel  giorno  appresso  mandali  innanzi  alcuni soldati , come  per  difesa  de’  pastori,  cavarono  mollo  be- stiame da’  castelli.  Come  fu  nunziato  ai  Fabj , che  se andavano  di    dai  colli  vicini , troverebbero  ben  tosto il  piano  ripieno  d*  ogni  bestiame  senza  valida  guardia  : lasciarono  nel  castello  un  idoneo  presidio  , e vi  si  di- ressero. E trascorrendo  frettolosi , ardenti  veri,  e dicendo  opera  loro,  quanto  è l’opera  di 'una sorte  improvveduta  , ed  inevitabile  ; li  renderono  inso- lenti, se  già  erano  esasperati.  Fra  tanti  mali  i consoli spedirono  con  molti  danari  chi  comperasse  grano  dai luoghi  vicini  : e comandarono  che  chi  teneane  in  casa oltre  i bisogni  moderati  della  vita  , lo  recasse  al  pub- blico: e destinatone  i prezzi  convenienti,  e fatte  queste e cose  altrettali , ammansarono  i poveri  che  si  sfrena- vano , e si  rivobero  di  bel  nuovo  agli  apparecchiamenti delia  guerra. E certo  tardando  a giugnere  le  vettovaglie di  fuori , e finite  in  breve  le  interne,  non  aveaci  altro scampo  da’ mali:  ma  doveasi  nece»ariamente  o rischiare tntte  le  forze  e snidare  i nemici  dai  territorio,  o morire tra  le  mura  per  le  discordie  e la  fame.  Adunque  eles- sero farsi  incontro  ai  nemici , come  al  meno  dei  mali. E levatbi  di  città  coll'esercito  valicarono  circa  la  mezza notte  su  picciole  barche  il  fiume,  e prima  che  il  giorno fosse  luminoso  , già  teneano  il  campo  presso  a’  nemici. Donde  cavato  nel  giorno  appresso  1’  esercito , 1’  ordiua- (i)  Di  ani  illiberali  • sordide.  Silbtirgio  inleade  (|r«.  Quindi  è che  se dividasi  390U  per  laS  risulta -i6.  Casaub. le  trasmutarono  in,  àlire  di  pecore  e’  buoi , tassato  an- che il  numero  di  questi  per  le  ammende  avveniife , che i magistrati  imporrebbero  su’ privati.  La  condanna  di Menenio  fa  causa  che  i patriaj  si  sdegoas'sero  col  p- polo , nè  più  gli  permettevano  di  fare  la  divisione  delle terre , nè  voleano  in  cosa  ninna  condiscendergli.  Ma  tra non' molto  lu  potilo  il  pplo  de’ suoi  giudizj , appunto nell’  udire  la  morte  di  Menenio..  Imperocché  non  crasi questi  mal  p(ù  veduto  nelle  adunanze , o"  ne’  pubblici luoghi:  e polendo  pagare  l'ammenda  (giacché  non  po- chi de’  suoi  eran  pronti  a soddisfarla  pr  esso  ) , e con ciò  non  perdere'  niun  pubblico  diritto  j non  volle  : ma giudicando  pri  la  ingiuria  alla  morte;  si  tenne  in  casa, nè  più  ammise  prsona  , e rifinito  dal  dolore  e dalla ’ fame  ' abbandonò  la  vita.  E tali  sono  le  ■ Operazioni  di quest’  anno.  Divenuti  consoli  Pulsilo  Valerio  Poplicòla  e Cajo  Nauzio,  fa  condotto  a giudizio  capitale  anche un  altro  patrizio  Servio  Servilio,  console  dell’anno  pre- cedente, non  laokò  -dopo  che  aveva  lasciato  il  coma'udo. Due  tribuni  Ludo  Cedicio , e.Tito  Stazk)  erano  quelli che  lo  accusavano’  al  popolo-  chiedendo  ragione  non d' ingiustizia  alcuna , ma  degl’  infortuni  suoi , perchè nella  ballagUa  co’  Tirreni  spintosi  egU  fin  sotto  alle  trin- cee nemiche  con  più  ardirò  che  prudenza  , e-  rincal- zatone da  quei  d’ entro' che  ne  uscirono  in  copia  , vi prJetle  il  meglio  de’  giovani.  Questo  giudizio  parve  ai patrizi  il  più  duro  di  tutti.' E congregavansì , e doleansi , (i)  Abdo  di  Roma  979  Mcoado  Catoast  aSi  secondo  Varrone, e 473  >r.  Cristo] lG5 è teneano  per  gran  male  se  il  bell’  ardire , e il  non  ri* cu  sarsi  ai  pericoli  accusarasi  ne’  capitani  che  non  tro* vavan  propizia  la.  sorte,  e da  quelli  che  non  erano nemmeno  stati  ne’  perìcoli  : dicevano  , che  qne’  giudizj aarebbero , coni’  era  verìsimile , cagione  di  timori  e di ignavia  ne’ comandanti,  e di  non  &r  loro  mai  piu  con* cepire  nuovi  trovameoti  : che  perita  ne  sa.rebbe  la  li- bertà, come  annientata.!’ antorità  del  capitano.  Ed  in- sistevano caldamente  presso  la  plebe >.  perchè  non  con- rebbe il  . danno  se  puoi  vanti  i dttci  > pe’  successi  non buoni.  Venuto  il  tempo  del  giudizio , fattosi  innanzi Lneio*  Cedicio,  uno  de’ tribuni,  accusò  Servilio  di  avere per  imprudenza  ed  imperizia  di  comando  menata  i’  ar- mata incontro  a pericoli  manifesti  , e rovinato  il  Bore della  repubbnca  : tanto  ohe  se  informalo  beo  tosto  il console ' compagno  della  sciagura  volando  a lui  coll’e- sercito,  non  respingeva  i nemici,  e salvava  i suoi;  niente impediva  che  non  fosse  disfatta  anche  tutta  1’  altra  mi- lizia , e che  in  avvenire  per  metà  decadesse  , non  che si  ampliasse  la'' potenza  di  Ronìa.  E cosi  dicendo  presen- tava per  testimOnj  i centurioni , quanti  ve  n’  erano , èd alcuni  soldati,  i quali,  volendo  rilevare  sestessi  dall’  infa- mia della  disfatta  e della  foga,  d’  allora  , versavano  sul capitano    colpa  degl’  infortito)  del  combattimetnto. Quindi  inspirando  viva  compassione,  verso  gli  estinti  in quella  giornata,  exl  esagerando  quel  male,  ne  ricordò  con. molto  .disprezzo  ancor  altri , i quali  detti  in  comune contro  i ' patrìzj , scoraggiavano  chiunque  di  loro  volesse intercedere  per  Servilla  ; é dopo  ciò  gli  concedè  la  dii- E Servilio  pigliando  a difendersi  disse  ^ Cif- tadini , se  mi  chiamale  al  giudizio,  e cìuedete  ragione del  "mio  capitanalo  ; san  pronto,  a renderla  : ma  se mi  oliiàmate  ad  una  pena  già  risoluta , e'  mente  pift giova  eh’  io  dimostri  che  non  v oJ[esi;  prendete  fusa-, temi  come  avete  già  stabilito.  .Egli'è  pur  meglio  eh’ io mora  non  giudicato  cK  ottener  le  difese,    persua-, dervele  ; perciocché  ■ sembrerei  patir  con  giustizia  ogni cosa  che  su  me  sentenziaste.  Altronde  voi  meno  sa~ rete  colpevoli,  se  togliendomi  le  difese,  jnentre  oscura ancora  c la  mia  colpa , se  colpa  ho  mai  fatta  ; secon- date 1 vostri  risentimenti.  Il  pensier  vostro' dalla  vostra udienza  mi  -sarà  chiaro  : il  silenzio  o'  il  tumulto  mi saran  d argomento  se  m’ avete  alle  ^scolpo  chiamato, o alla  pena.  E biò  detto  si  tacque.  E fatto  silenzio,  e gridando  ben  molli  che  facesse,  cuore , e dicesse  ciocché voleva,  cosi  ripigliò:  Cittadini,  se  .voi  siete  i‘ giudici, non  i nemici  miei  ; di  leggeri  spero  XOftVincervi  , che non  v’  oj^esì  ; e comincio  da  ciò  cito' tutti  sapete.  Io fui  scelto  console  ’coll  ottimo  V-erginio , quando  i Tir^ reni  fortificatisi  nel  colle  imminente  a Ronìà , domi» navano,  tutta  intorno  la  campagna,  sperandosi  di  abo- lire ben  tosto,  ambe  il  vostro f principato.  Eravi  in città  fante  , discordia  , defeienza onde  risolvette.  In- contratomi in  tempi  così . turbati  e terribili  ruppi , unito  al  collega , due  volte  in  battaglia  i nemici , e gli  astrinsi  a lasciare,  il  castello  , 'che  guardavano. Feci  dopo  non  molto  cessare  la  fame  , ricondotta t abbondanza  npl  ■ Foro  , e consegnai  d consoli  susse- guenti sgombro  da’  nemici  il  territorio  che  n’  era  pie-HO,  e Roma  sana  da  tutti  i mali  politici , i cot pipopoU  l’  avea/io  inabissata.  So  dunque  non  è de^ litio  vincere  gt  inimici , e di  che  mai  son  io  ’^lpevole presso  vai  ? O conte  ha  Servilio  offeso  il  popolo',  se alcuni  bravi  incontraron  la  morte  col,  maU:hio  combai* tere  ? Già  non  v’  è niun  Dio  che  asiicuri  ai  capitani la  vita  de*  suoi  militari  ; nè  prendiamo , d , comando con-  patti  e formale  di  vincer  lutti  i nemici  ^ e non perdervi  aldino  de'  nostri.  E chi  mai , s egli  è uomo^ chi  si  offrirebbe  di  riunire  in    tutti  i bei  tratti  di consiglio  buono  , e di  sorte  ? Anzi  i grandi  risuUad con  pericoli  grandi  s'  ottengono. Nè  già  io-  sono  il  primo  éte  m’  avessi  tale ÒKonlro  in  combattere,  ma  se  l ebbero,  dOei,  quanti fecero  pericolose  battaglie  con  poche  schiere  contro  lè molte  nemiche.  Incalzarono  alctzni  i nemici , e poi furono  incalzati:  ne  uccisero,  e ne  furono  decisi,  an- che in  più  nurhero.- siri  capitani , riuscitici  altri  con  termine  buotto  , ‘altri con  doloroso  ? E perchè  dunque^  lasciate  gli  altri , e me  'giudicale  ; se  a norma  - ponderale  delle  leggi  le opere , non  degne  della  sapienma  e del  capitanato  ? Quante  imprese  più  audaci  ancor  della' mia  cadde  in pensiero  capitani^  di  compierle , quando  la  circo- stanza non  ammetteva  consigli  sicuri,'  é già  maturati^ Chi  strappando  le  insegne  dalle . mgni  de'  soldati , le gittò  fra  nemici  , perchè  i suoi  scoraggiati  ed  intimo- riti » d -rìànimassero  a-  forza,  istruiti  , che chi  non salvatale  ne  avrebbe  morte  ingloriosa  dal  comandante, jiltri  scorrendo  sul  territorio  nemico , ucdicarono  e ruppero  i ponti  de'  fiumi  valicati,  perchè  i soldati  non . vedessero  scampo  nella  fuga,  se  la  tramavano , e com^battessero  coji  ardore  e ferrnezza.  Altri-  dando  alle fiamme  le  bagagUe  e le  tende  , necessitarono  ' i suoi a ritrovare  nelle  terre  nemiche  quanto  lor  bisogna- va. 'Lascio'  mille  altre  imprese',  audaci  tutte , ed ideate  da  capitani , che    .potrei  pur  dire  'su  la  sto- ria , e su  la  sperienza , e per  le  quali  ninno  mai , faUilagli  .la  prova,  soggiacque  alle  pena  E già  niuno può  redarguirmi  che  mettendo  i compagni  ad  aperto pericolo , io  xnen  tenessi  lontano.  Se  io  mi  vi  esposi cogli  .altri , se  ultimo  me  ne  ritolsi  , se  vi  'corsi  la sorte  comune  di  tutti  ; e di~che  • sono  io  reo  ? Ma basti  il  fin  qui  detto  su  me. Voglio  ora  dirvi  alóune  poche  cose  intorno del  Senato  e de’  patrizj , perocché  f odio  pubblico contro  di  loro  per  la  division  sospesa  àeUe  terre  deot* neggìa  eutcora  a me,    l accusatore  mio  occultò  que-^ sto facendomene  parte  non  piccola  delt  accusa.  E questo  dir  mio  sarà  libero  ; giacché  diversamente  nè io  saprei  parlarvi,    > voi  profittarne»  Popolo!  voi  nè giusti  siete    retti non  rendendo  grazie  al  Senato de'  tanti  e 'grandi  benefit j che  ne  aveste  ; e sdegnan- dovi che  non  'per  invidia  ma  per  calcolo  di  ben  pub- blico, vi  si  oppone  .in  cosa  che'-  dimandate , la  quid conceduta  tusai  nocerebbe  '.al  comune.  Piuttosto  do- vevate accettarne  i consigli  pome' nati -da  principj  sol* dissimi , pel  bene  di',  tutti  , e tenervi  dalle  sedizioni'} 0 se  non  potevate  con  tal  sano  discorso  frenar  gli appetiti,  t non  sani , dovevate  implorar  te  dimande , persuadendo  , non  violentando,  Imfièroechè  li  doni spontanei  titnpettp  de’  violenti  son  più  cari  per  chi  li dona  y e più  stabilì  per  . chi.  H riceve..  Or  • voi  , viva Dio  , non  ' avete  ciò  cónsiderato  : nia  commossi  ed inaspriti  dai  capipopolo,. come  il  mare  dai  venti  che insorgano,  F un.  dopo  F altro  , non  avete  lasciato  che la  patria  riposasse,  nemmen  picciolo- tempo.,, tra  la xoima , 'e  il  sereno.  Dondt  è che.  noi.  dobbiam  pensare migliore  per  noi  la  guerra,  che  la  pace  ;^iacchà  nella guerra  maltrattiamo  i nemici,  ma  gli  amici  nella  pace. Se  voi  lipulate  tutti  burnii  e lutti  utili,  come  sono, 1 decreti  del  Senato  ; perchè,  non  avete  riputato  tale anche  questo  ? E se  credete  che  il  Senato  non  prov- veda con  semplicità,  mq  che  male,  e vituperosamente amministri , 'perché  noi  degradate  / voi  tutto  , e ven prendete  le  cariche  , e consultate  e guerreggiale  voi  per  la  potenza  di  Roma , ma  , lo  stuzzicate , e lo  in- debolite poco  a poco  , chiamandone  i personaggi  più illustri  in  giudizio?  Certo  sarebbe  pur  meglio  che  fos» situo  tutti  insieme  combattuti , che  càìunmati  ad -uno ad  uno.  Sebbene , non  siete  voi , con»’  io  diceva , la cagione  di  ciò,  ma  i capi  del  popolo  che  vi  sommo- vano , non  sapet^o  essi    ubbidire  y nè  comandare. E per  ciò  che  spetta  alla  loro  imprudenza  ed  impe^ rizia',  già  più  volte  sarebbefi  la  nave  rove^aicita.  Ep- pure il  Senato  che  ha  riparato  tante  volle  i loro  sba- che.  fa  che  la  vostra  repubblica  navighi  rettamente,  ' ascolta  ^ peggio  della  maldicenza  da  loro.  Or  queste cose , vi  piacciano  o no-,  le  ardisca  io  dire  con  ogni verità:  e vorrei  piuttosto  morire;,  videndorm  di  una libertà  'profittevole  ab  pubblico  { . che  salvarmi  adu- landovi. G}si, dicendo  ,, senza  volgei^i  a lamentare  o deplorar  la  sciagura , senza  uniilianti  a suppliche,  e pro- slrai^ioni  non  degne  y e senza'  ..palesai^  affezione  alcuna men  che  generosa  , lasciò  che  parlassero  gli  altri , 'do- gliosi di ' coadiuvarlo  arringando,  o testificando:  Lui  di** scolpavano,  molti  che  eran  presenti , singoK\rmente  Ver* giuio  , gii  cpnsòle.  co'n  euo  lui  , riputato  l’autore  della vittoria!  Coitui  non  solamente  dimostrò  Servilio  irre- prensibile, ma  degno  che  si  encomiasse  ‘ed  otiofasse come  peritissimo  in  guerra , e savissimo  tra’  capitani. Diceva  che  se  credeano  buono    termine  della  gaerra dovevano  ringraziar  lutti  due  ; o tutti  dile  punirli  se sci  aurato  ; giacché  avevano  .tntti;.dne  avuto 'doiiiu  ni  i consìgli , le  opere  , la  fortuna.  Commovea  non  solo  il discorso  di  lui  ma  la  vita  intera,  speriménUtta  in  tutte le  belle  ationi.  A^iungevasi , ciocché  ispirò  piò  com- passione , la  forma  addoloievole , (piai  suoL  essere  in qiielli  che  han  sofferto,  o siano  per-  soffrire  tamii  ter- ribilL  Tanto  che  li' congiunti  degU  uccisi,  quelli  che pareano  più . implacabili  contro  1*  autore  tl^l  danuo  , Ia sciaronsi  vincere-,  e deposer  lo  sdegno  che  ne  aveano manifestato  ; imperocché  qinna  tribù  nel  dare  il  voto  ló diede  per  la  condanna.  E tal  fu  la  fine  de’  pericoli  di Servilio.  Marciò  non  mólto  dòpo  contro  i Tirreni r armata  Romana  sotto  gli  auspicj  dei  console  Pubfio Valerio,  perocché  si  era  d^  bei  nuovo  levau  in  arme la  città  di  Vejo , ubendpsde  i Sabini , alieni  fino  a quei giorno  di  unirsele , quasi  aspirasse  cose  impossibili  : quando  però  vider(>  Menenio  in  fuga  e presidiato  il monte  prossimo  a Roma  , giudicando  ^ scadute  le  forze Romane , e sbaldanzito  1’  animo  di  quella  'repuUilica , eoncertaronsi  co’  Tirreni , spedendo  loro  milizie  nume- rose. I Vejenti  confidati  su  le  schiere  proprie  e su  quelle giunte  di  fresco^  da’  Sabini  frattanto  che  aspettavano  le ausiliarie  degli  altri  Tirreni  anelavtino  , di  volarsene  a Roma  col  più  dell’  esercito , quasi  ninno,  ne  uscirebbe  a combattere , ma  dovessero  per  assalto  espugnarla , o ri- durla con  la  fame.  Indugiandosi  però  essi  ed  aspettando i confederati,  lehti  a ingiungersi,  Valerio  ne  prevenne i disegni , guidato  contra  loro  il  fiore  de’  Romani , .e gli  alleati,  con  sortita  non  manifesta,  ma  occulta  quanto polevasi.  Imperocché  .uscito  da  Roma  sul  far  della  sera, e valicato  il  Tevere  ; si  accampò  non  lontano  dalla  città. Poi  levando  F esercito  su  la  mezza  notte , si  avanzò  con marcia  oi-dinata;  e prima  che  fosse  il  giorno,  investi r nna  de’  campi  nemici.  Erano  due  questi  campi  ; di^ sgiunti , ma  non  molto , fra  loro , l’ uno  de’  Tirreni , r altro,  de’ Sabini.  Fattosi  primieramente  stil  campo  Sa* bino,  assalirlo  fb  prenderlo  ; ''dormendovi  i più  senza' guardia  sufficiente,  'come  in  terra-  amica  , e liberi  da ogni  sospetto  , nwntre  non  si  annoqziavano  in  parte  ai* cuna  i nemici.- Preso  il  campo , quali  furono  uccisi  tra il  sonno  , quali  ^orti  appena’,  o mentre  si  armavano , e quali  armati  già , mal  resistendo  disordinati  e dispersi: la -più  parte  peri,  fuggendo  verso  .1’ altro  campo,'  sor- presa dalla  cavalleria. Valerio',  invaso'  il  'campo  Sabino , marciò  su r altro  de’  Vejenti , postisi  in  luogo  non-  abbastanza  si- curo: ma  non  poteano  più  gli  assalitori  ghingeM  oc-' culti , per  essere  il  giorno  già  chiaro  ; e datoyi  da  fng- gitivi  r avviso  della  strage  Sabina  , e di  quella  immi- nente ai  Tirreni.  Pertanto  eca  necemario  andar  con fortezza  al  nemico.  'Ecco  dunque  resistere  con  ardore sommo  i. Tirreni  avanti  j^i  alleggia'menti , e fervisi' aspra tenzone  e strage  vicendevole.;  stando  'lungo  tempo  in- cert^  e pendendo  or  quinci  Or  quindi  la  sorte  della guerra.  Alfine  dan  volta  i Tirreni  , sospinti  dalla  ca- valleria Rpmana  , e ricacciansi  tra  le  uincee. . Segueli il  consolé  , ed  approssimatosi  alle  trinclere  nè*  ben  for- mate , nè  in.  luogo  , come  ho  detto  , abbastanza  sicuro , le  assaU  da  più  parti  ; travagliandovi  tutto  il  resto  del giorno  , nè  desistendone  por  nella  notte  appresso.  I Tir- renivinti  da’  mali  incessanti  / a'bbandonano  su  l’ alba  il CAmpo  ; altri  in  città  iuggeo4o$i , altri  dispergendosi  pei boschi  vicini.  Il  console , invaso  par  questo  campo,  diè riposo  ; in  quel  giorno  all’  esercito  : e net  seguènte  com> parti  la  preda  copiosa  de’ due  alloggiameuti  tra  le  Site milizie , coronando  co*  premi  ^ usati  chiunque  s’ era  più segnalato  nel  'combattere.  SenrUio  il  console  dell’  anno precedente  , quegli  che  sfuggi  le  ^ne  popolari , man- dato ora  luogdtenente  di  Valerio,  parsé  aver  pià  che tatti  risplenduto  fra  le  arme,-  e sospinto  i Vejeqti  alla fuga;  è per  tale  SUO  merito  ne  ebbe  il  primo  i premj, riputati' più  grandi  tra' Roiliani. 'Fatti  quindi  spogliare  i cadaveri  nemici , e>  seppellire  quelli  de’suoi , marciando, e venendo  il  console  coll’  esercito  ne’  campi  prosskni  a Vejo;  sfidò  quelli  d’  entro  per  la  battaglia.  Ma  non  pre- sentandovisi  alcono , e conoscendo  altronde  esser  cosa ben  ardua  pigliarli  di  assalto , come  chiusi  in  città  for- tissima, scorse  in- gran  parte  il  lor  territorio,  e si  glttò su  s quello  dé’  Sabini.  E saccfaeggikto  pei^.,  più  giorni', pur  questo  , ^ che  era  ancora  intatto  ; ricondusse  l’ eser- cito carico  di  prede  àmplissimi  in  patria.  ‘ Usci  di  città molto  a dilungo  per  incontrarlo  ' il  popolo  cintp  di  ghir ciò  Furio  (i);  il  Senalo  decretò  che  Tnino  de’due  mar*, classe  ^contro  di  Vejo  , ed  essi  decisero,  come  u$ayasi, colle  sortì,  chi  andasse.  E 'toccato  a Malliq,  vdlò  col- r armata,  e mise  il  campo  presso  a’ nemici.  I Vejenti ristrettisi  fra  le  mora , resisteroùO  intanto ,.  e spedirono alle  città  Tirrene, _ ed  ai  Sabini,'  recenti  loro ' alleati , chiedendone  che  mandassero  sollecito  ajuto,  .Ma  percioc- ché non  furono  secondati -e  consumarono  .tra  poco  i viveri  ; alfine  ^ necessitati  dalla  fame , uscirono,  i perso- naggi  più  provetti  e 'più  veóer;iodi  e co’ simboli  di.  pa- ce , ne  andarono  ambasaiadori  ai  console  per  intercedere  ' da  esso  il  fin  della  guerra.  M^o  comandò  che  poetas- sero a lui  li  viveri  di  due  mesi  per'.tulta.rarmsui).  o tanto  di  argento  da  stipendiamela  per  un’anno,  e ciò . (i)  Anno  di  Roma  a&u  secoado  .fatoae^  aSa  secoado  Vacroae, 4t  473  av.  Cristo. fatto , «perirebbero  al  Senato  per  trattarvi  la  pace.  Ac> cattarono  i Vejenti  le  condiaioai,  e dati  beu^tosl»  gli stipendi , e per  concession  del  console , anche  in  luogo del  grano  il  suo  prezzo , ne  andarono  a Roma.  Intro- dotti in  Senato  cercarono  perdono  t delle  cose  operate fin’ allora,  e requie  dalla  guerra  in  tu.tio.  l’ avvenire. Disputate  più  cose  per  l’una  e l'atra  sentenza,  al  line prevalse  quella  che  insinuava  la  riconciliazione , e ven- nesi  ad  Una  tregua  di  quaraot*  anni.,  Gli  oratori,  avuta la  pace,  assai  de  ringraziarono  Roofa  , e partirono.  In opposito  Mallio  vi  tornò  finita  la  guerra , e vi  chiese  , e n’ebbe  il  trionfo  a piede  (i).  Fecesi,  reggendo  questi consoli , il  censo  ; ed  i cittadini  che  assegnarono  sè Stessi,  i beni,  e li  figli '^ià  puberi,  fotono,  poco  più. che  cento  fneUta'  mila;  Giunti  dbpo  quesU  al  consolato  . Lucio Emilio  Mamertx)  per  la  terza  volta  e Giulio  Yopisco nella  olimpiade  settantesima  settima  (a) , nella  quale vinsè  allo  stadio  Date  Argivo , mentre  Caritè  era  l’a»  ' conte- di  Atene  ; ebbero  assai  travaglioso  e turbato  il comando , sebben  tacesse.  la  guerra  di  fuori.  Standosi ogni  nemico  in  calma  ; ineprsero  per  le  se4izìoni  in- terne , in  pbricoti , prossimi  a rovinar  la  repubblica. Sciolto  il  popolo  dalia  otilizia  insistè  ben  tosto  per  la division  delle' lem.  'Imperocché  fra  i tribuni  aveacene uno  baldanzoso,    disacconcio  alle  arringhe.  Gneo Genuzib.eia  deiso,  l’ istigatore  dei  popolo.  Egli  ad  ora (1)  L’ovatiooe.  *'  ‘ (a)  Aano  di  Roma  aSi  secondo  Catone,  aS3  secondo  Varrauc  , e 471  a».  Cristo] .  177 nJ  ora  adunauJolo  , per  conciliarsi  i poveri  ; pressava i consoli  all  eseguire  il  decreto  del  Senato  sa  la  divi» sion  delle  terre.  E questi  ricusavano  dicendo , non  es- serne la  esecuzione  stabilita  pel  consolato  loro , ma  per quello  di  Vergiiiio , e di  Cassio  a’ quali  era  diretto  il decreto  : similmente  che  gli  ordini  del  Senato  non  erau leggi  perpetue , ma  previdenze  , valide  per  un  anno. In  mezzo  a tali  pretesti  non  potendo  costringere  i con- soli che  aveano  autorità  più  grande  della  sua  ; diedesi a protervi  consigli.  Mise  in  pubblica  accasa  Mallio  e Lucio  , consoli  dell’  anno  precedente , e prescrisse  loro il  giorno  nel  quale  dovésse  giudicarsene , pronunziando svelatamente  per  titolo  dell'  accasa  , ch’essi  aveano  offeso il  popolo  col  non  avere  nominati  i decemviri , com'era il  decreto  del  Senato , per  dividere  finalmente  i terreni. Che  se  non  menava  in  giudizio  altri  consoli  quando dodici  erano  i consolati  dalla  emanazione  del  decreto , ma  faceva  rei , questi  due  soli , della  promessa  tradita; davano  per  cagione  la  mansuetudine  sua.  In  ultimo  disse; che  i consoli  attuali  allora  unicamente  ridurrebbonsi  a divìder  le  terre , quando  vedessero  alcuni  de’  trasgres- sori puniti  dal  popolo , considerando  che  avverrebbe anche  ad  essi  altrettanto. Ciò  detto , esortati  tutti  a venir  pel  giu- dizio , giurò  per  le  sante  cose , che  egli  osserverebbe  il proposito  , ed  insisterebbe  con  tutto  l’ardore  su  la  con- danna di  quelli,  e prefisse  il  giorno  in  cui  sen  farebbe la  causa.  I patrizj , ciò  udito , caddero  in  molto  timore e sollecitudine  , come  dovessero  liberare  que’  due , e reprimere  1’  audacia  del  tribuno.  Deliberarono  resistere DIOXIGI  . tomt  Iti.  i> al  popolo  fortissimameote , e bisogoandovi , colie  armi ancora , né  permettergli  cosa  ninna  , se  mai  la  decre- tasse contro  la  dignità  consolare.  Non  però  vi  bisognò violenza  ninna , cessando  il  pericolo  con  risoluzione  ina- spettata e repentina.  Imperocché  quando  mancava  al giudizio  un  giorno  solo;  Genuzio  fu  rinvenuto  morto nel  suo  letto  p senza  indizio  niuno  di  uccisione  non  per isu-azio  , o capestro , o veleno  , nè  per  altre  insidiose maniere.  Risaputosi  il  caso , e portatone  il  cadavere  nel Foro  , parve  questo  come  un  impedimento  divino  , e ben  tostò  il  giudizio  fu  tolto.  Imperocché  niun  tribuno osò  di  riaccendere  la  sedizione , anzi  molto  condannò  le lune  di  Genuzio.  ' Se  dunque  i consoli  quando  il  cielo chetò  la  discordia  avessero  ceduto,  non  insistito  in  con- trario ; non  sarebbero  incorsi  in  altro  pericolo.  Ma  da- tisi ad  insolentire  e spregiare  il  popolo,  e fatti  vogliosi di  mostrargli  quanto  era  il  potere  del  loro  comando  ; causarono  mali  gravissimi.  Intimata  una  iscrizioa  mili- tare , e forzandovi  chi  ricusava , con  multe  e verghe  : ridussero  il  più  del  popolo  alla  disperazione,  principal- mente per  tali  motivi. Publio  Valerone  , un  plebeo , d’  altronde illustre  fra  le  arme,  e già  capitano  di  centurie  nelle guerre  precedenti , fu  segnato  da  essi  per  semplice  le- gionario. Or  lui  reclamando , e ricusando  un  posto  che lo  disonorava  quando  non  aveva  demeriti  anteriori,  sde- gnaronsi  i consoli  de’  liberi  modi  , e comandarono  ai Kttori  di  nudarlo  a forza , e di  batterlo.  Il  giovine  in- vocava i tribuni , e chiedeva , se  era  colpevole  , di  es- sere giudicato  dal  popolo.  Ma  non  udendolo , ed  insistendo  i consoli  perchè  i latori  sei  menassero , e lo  bal^ lessero;  egli  riguardò  la  ingiuria  come  insoffribile,  e divenne  appunto  il  vindice  di    stesso.  Imperocché, fortissimo  eh’  egli  era  , trae  de’  pugni  in  faccia , ed  at- terra il  littore  che  primo  lo  investe , e poi  l’ altro.  Esa- sperandosene iconsoli,  e comandando  a tutti  insieme  i satelliti  di  avventarsegli  ; parve  raiion  superbissima  ai plebei  ebe  eran  presenti.  E congregandosi  ; e schiamaz- zando  per  istigarsi  1’  uno  V altro  alla  vendetta;  ritolsero il  govane,  e respinsero  colle  percosse  i littori.  Alfine si  spiccavan  su  i consoli , e se  questi  non  isparivan  dai F oro  ; sarebbevisi  fatto  male  gravissimo.  Per  tale  evento tutta  la  città  se  ne  scinde  ; ed  i tribuni  placidi  fin’  al- lora , fremendo  ne  accusano  i consoli  : e le  contese  per la  ditnsion  de’  terreni  cangiaronsi  in  altra  più  grave  su la  forma  del  governo.  Imperocché  irritandosi  i paU-isj come  i consoli  , quasi  fosse  l’ antorilà  conculcata  di questi  ; voleano  precipiur  dalla  rupe  l’ audace  che  in- sorse su  i littori.  Per  1’  opposi to  i plebei  riuni vansi , e vociferavano  e conciUvansi  a non  tradire  la  libertà.  Si rimettesse  la  causa  al  Senato , vi  si  accusassero  i con- soli, e se  n esigesse  un  castigo , perchè  non  lasciarono goder  de’  suoi  dritti , e traturono  come  uno  schiavo,  e diedero  a battere  un  uomo  libero  , un  cittadino  , che chiedeva  l’ ajuto  de’  tribuni , e di  essere , se  fosse  reo , giudicato  dai  popolo.  Fra  tali  contrasti  e ritrosie  di  ce- dere gli  uni  agli  altri  , decorse  tutto  il  tempo  di  quel consolato  senza  fatti  di  guerra,  o di  governo,  belli  e memorandi. Xh.  Venuto  il  tempo  de’comizj  furono  dichiarati consoli  Lucio  Pina  rio  e Publio  Furio  (i).  In  principio di  quest’  anno  la  cilià  fu  piena  ben  tosto  di  religiosi  e divini  terrori  pe’  molli  portenti  e segni  che  apparvero. £ li  vali , e gl'  interpreti  delle  sante  cose,  dichiaravano tutti , esser  questi  gl’  indizj  dello  sdegno  celeste  per  al- cuna sacra  cosa , fatta  con  ministero  non  pio , nè  puro. E dopo  non  mollo  ne  venne  su  le  donne  un  morbo , chiamato  contagioso  , e tanta  moruliià  per  le  gravide principalmente , quanta  mai  più  per  addietro.  Imperoc- ché partorendo  prole  immatura  e già  morta , perivan con  essa.  IVè  le  suppliche  ne’  templi  e nelle  are  de’nu- mi,    i sagrifizj  di  espiazione  fatti  a scampo  della  pa- tria o delle  famiglie , portarono  un  fine  ai  mali.  In  tal rio  stato  un  servo  diè  cenno  a’  pontefici , che  una  delle vergini  sacre , custodi  del  foco  inestinguibile  , ( Orbilia ne  era  il  nome  ) avea  la  sua  verginità  estinta , e che non  pura  sagrificava  ; ed  essi  traendola  dai  Santiìario , e dandola  a giudicare  ; poiché  per  gli  argomenti  fu  rea manifesta  , la  batterono  , e condottala  con  pompa  lugu- bre per  la  città  , la  seppellirono  viva.  Di  quelli  poi  che ebbero  il  mal'  affar  colla  vergine , 1’  uno  si  diè  la  morte di  per    stesso;  l’altro  fu  preso  nel  Foro  pe’ sopra- stanti delle  sante  case , e flagellato  come  uno  schiavo , ed  ucciso.  Dopo  ciò  fini  ben  tosto  la  infermità  soprav- venuta alle  femmine  , e la  tanto  lor  perdita. La  sedizione  già  si  diuturna  in  Roma  de’plebet co’  patrizii , vi  ribolli  per  opera  di  Publio  Valerone  tri- buno , quello  che  ntll'  anno  precedente  aveva  disubbi- |i)  Anno  di  Roma  aSa  secoudo  Catone,  aS;  secondo  Varrone,  e 4^0  av.  Cristo] dito  i consoli  Emilio  e Giulio  quando  il  segnavano per  legionario,  di  centurione  che  era.  Costui  nato  di stirpe  vilissima , e cresciuto  in  grande  oscurità  e disa- gio , fu  creato  tribuno  dal  ceto  de'  poveri , appunto perchè  sembrava  che  avesse  il  primo  tra’  privati  umi- liato il  grado  consolare  , autorevole  Gu’  allora  come  quello dei  monarchi,  'e  molto  più  per  le  promesse  che  dava di  togliere , giurilo  al  tribunato , la  potenza  de’  patrizj. Costai  quando  l' ira  del  cielo  era  cheta  , convocando  il popolo,  fece  uba  legge  su  le  elezioni  popolari  trasmu- tando i comizj  che  i Romani  chiamano  per  curie  in quelli  per  tribù.  Io  sporrò  qual  sia  la  differenza  degli uni  e degli  altrL  Li  comizj  curiati  perchè  fossero  va^ lidi , conveniva  che  precedesseli  il  decreto  del  Senato , che  il  popolo  vi  desse  il  voto  di  curia  in  curia  ; e che oltre  questi  due  requisiti , niun  segno , nè  augurio  ce- leste vi  si  opponesse  : laddove  gii  altri  comizj  compi- vansi  dalle  tribù  con  un  giorno  solo  senza  decreti  an- teriori del  Senato  , senza  sagriGzj , e senza  le  divinazioni degli  auguri.  Due  degli  altri  quattro  tribuni  volean  co- m’ egli  la  legge  ; ed  esso  tenendosi  amici  que’  due  ; ne andava  superiore  a fronte  degli  altri  che  la  ricusavano i quali  eran  meno.  I consoli , il  Senato  , i patrizj  in- tendeano  tutti  a distoglierla  e renderla  vana.  E recatisi in  folla  al  Foro  nel  giorno  preGsso  dai  tribuni  per  fon- dare la  legge  , vi  furono  aringhe  di  consoli , di  sena- tori provetti , e di  chiunque  il  volle , per  dimostrare  gli assurdi  di  essa.  Risposero  i tribuni , e di  bel  nuovo  i consoli  ; e prolungandosi  mollo  le  altercazioni  , fecesi notte  , e l’ adunanza  fu  sciolta.  Proposero  nuovamente i tribuni  pel  terzo  mercato  la  diacussion  su  la  legge  ; ma concorsavi  gente  anche  in  pi  & copia , se  n’ebbe  un fine  simile  al  precedente.  Or  ciò  vedendo  Publio,  de- liberò di  non  permettere  ai  consoli  di  accasare  la  legge , nè  al  patrizj  di  trovarsi  al  dar  de’  sufiì'agj.  Perocché questi  co’  loro  amici  e clienti  non  pochi , ingombravano gran  parte  del  F oro , facendo  animo  a chi  denigrava la  legge  , e remore  a chi  difendevala  , e cose  altrettali che  nel  dar  dei  voti  sono  indizio  di  violenza  e disordine. XLII.  Se  non  che  ne  interruppe  i disegni  tirannici nn’ altra  calamhé  mandata  dal  cielo.  Imperocché  sorse in  città  nn  morbo  pestilente  che  infuriò  pnr  nel  resto d’ Italia  ; non  però  quanto  in  Roma.    valeva  per  gii infermi  soccorso  umano , morendovi  del  pari  e chi  era con  ogni  diligenza  curato,  e chi  non  lo  era.  Nemmeno giovarono  allora  suppliche  , sagrifizj  , espiazioni  private o pubbliche , alle  quali  necessitati  si  rivolgono  gli  uo- mini io  tali  casi  per  estremo  rimedio.  Il  male  non  di- stinse non  età , non  sesso  , non  vigore  , non  debolezza, non  arte  , non  cosa  ninna  di  quelle  che  pajono  ren- derlo più  leggero;  ma  comprendea  del  paro  Uomini  e donne , giovani  e vecchi.  Non  però  durò  gran  tempo , e questo  impedì  che  la  città  ne  perisse  totalmente.  Si gettò  come  torrente  o incendio  su  gli  nomini  con  im- peto furibondo , ma  passeggero.  Quando  il  male  diè requie  ; Publio  era  per  uscire  di  carica.  E siccome non  potea  stabilire  in  quel,  resto  di  tempo  la  legge  ; soprastando  i comizj  j chiese  di  nuovo  il  tribunato  per l’anno  seguente,  fatte  molte  e grandi  promesse  al  po- polo: e di  nuovo  se  lo  ebbe  egli,  e due  de’ compagni. Per  Topposito  i patrizj  tentarono  far  console  un  uomo aspro,  odiatore  del  popolo,  e che  non  lascerebbe  punto diminuire  l’ autorità  de’  pochi  : io  dico  Àppio  Claudio , 6glio  di  queir  Appio  eh’  crasi  tanto  opposto  al  ritorno del  popolo.  Or  quest’uomo  che  moltissimo  contraddiceva alla  scelta  dei  tribuni , questo  che  non  avea  nemmeno voluto  venire  al  campo  p«’ comic],  sei  crearono  con-* sole , quantunque  assente , avutone  precedentemente  il decreto  del  Senato. Terminati  ben  tosto  i comic]  > per  esserne partiti  i poveri  appena  udito  il  nome  di  Appio  ; pre^ sero  il  consolalo  Tito  Qninuo  Capitolino  ed  Appio Claudio  Sabino,  nomini  non  simili  di  caratteri  e di voglie  (i).  Perocché  Appio  voleva  distrarre  tra  le  mi- lizie di  fuori  il  popolo  ozioso  e povero  , afGnchè  coi suoi  travagli  guadagnasse  dai  beni  ' del  nemico  il  vitto giornaliero , di  cui  tanto  penuriava , e rendendo  UliK servigi  alla  patria , non  fosse  malafFelto  e molesto  a’  pa- dri che  governano  il  comune.  Dicea  che  avrebbe  puiv le  cagioni  plausibili  di  guerra  una  città  che  si  procac- ciava il  comando  , e che  era  da  tutti  invidiata  : chie- deva che  argomentassero  dalle  cose  passate  le  future , esponendo  quanti  moti  erano  stati'  in  città , e come sempre  nella  cessazion  della  guerra.  Quinzio  però  non pensava  di  portare  ad  altri  guerra  : dichiarando  che  do- vea  bastar  loro  quando  il  popolo  ubbidiva  chiamato contro  ai  pericoli  esterni , che  sopravvengono  e strin- gono , e dimostrando , che  se  forzassero  nel  caso  pre- ti) Anno  di  Roma  a83  secondo  Catone  , aSS  secondo  Varrone, av.  Cristo] sente  gl'  indocili , indurrebbero  la  disperazione  come  i consoli  precedenti  1’  avevano  indotta.  Dont}*  è che  por- rebbonsi  essi  a repentaglio  o di  opprimere  la  sedizione col  sangue  e colle  stragi , o di  scendere  con  vitupero  ad appiacevolire  la  plebe.  Comandava  Quinzio  in  quel  me- se ; tantoché  non  potea  1’  altro  console  far  nulla  senza il  consenso  di  esso..  Ma  Publio  e li  compagni  ripiglia- rono senza  indugio  la  legge , che  non  aveano  potuto stabilire  nell'  anno  precedente  , aggiungendo  a questa  , che  si  creassero  ne'  comizj  stessi  ancora  gli  edili:  o che tutto  in  fine,  quanto  si  trattava  o risolveva  dal  popolo, si  trattasse  e risolvesse  nel  modo  medesimo  con  i co- mizj per  trìbùr  Or  ciò  era  l’ annientamento  manifesto del  Senato  , e l’ inalzamento  del  popolo. A tale  notizia  mpensierirono , e discussero i consoli  , come  togliere  pronti  e sicuri  la  sommossa  e la  sedizione.  Appio  consigliava  che  si  chiamassero  al- r armi  quanti  volean  salva  la  forma  della  repubblica  ; e che  si  numerassero  tra’  nemici  quanti  si  opporrebbero ad  essi  che  le  impugnavano.  Ma  Quinzio  giudicava  che si  dovesse  prendere  il  po[x>lo  colla  persuasiva  , e con- .vincerlo  die  per  ignoranza  de’ -veri  interessi  sla  nciavansi a rovinose  risoluzioni.  Dicea  esser  t estremo  'della  de^ menta  estorcere  colla  forza  da’  cittadini  ritrosi  ciocché aver  ne  poteano  di  buorr  grado.  Ora  approvando  pur gli  altri  senatori  il  parere  di  Quinzio  ; i consoli  ne  an- darono al  Foro,  e chiesero  da’ tribuni  un’aringa,  ed il  giorno  in  cui  farla.  Ottenuta  a stento  l’una  e l’altra istanza,  venuto  il  giorno  richiesto,  e concorsa  al  Poro moltitudine  d’ ogni  genere  preparata  per  opera  de’  due magistrati  in  favor  loro , presenlaronsì  i consoli  per  cen- surarvi la  legge.  Quinzio , uomo  altronde  discreto , e persuaso  che  il  popolo  avessi  a guadagnar  col  discor- rere , chiese  il  primo  udienza , e ragionò  cose  a propo* sito  , e con  piacere  di  tutti  ; cosicché  li  fautori  delia legge  impotenti  a dir  cose  pii^  giuste  o benigne,  assai ne  furono  imbarazzati.  B se  il  console  collega  non  la- vasi ancora  troppo  gran  moto  ; forse  i plebei  ricono- scendo che  non  cercavano    il  giusto , nò  il  bene  ri- pudiavan  la  ■ legge.  Ma  perciocché  colui  tenne  un  discorso superbo , e grave  ad  udirsi  da’poveri  ; il  popolo  ne  fu crocciato , implacabile , e discorde  , quanto  mai  piò  per addietro.  Non  parlò  costui  come  a uomini  liberi,  a cit- tadini arbìtri  di  fare  e disfare  le  leggi  : ma  quasi  par- lasse con  nomini  vili  , forestieri , né  liberi  solidamente; vi  lanciò  detti  amari,  insoffribili:  vi  lamentò  le  assolu- zioni dei  debiti , e ricordò  la  separazione  dai  consoli  ; quando  dato  di  piglio  alle  insegne , che  pur  sono , san- tissima cosa , abbandonarono  il  campo , volgendosi  ad un  esilio  volontario.  Richiamò  li  giuramenti  che  avean fatti , quando  presero  per  la  patria  le  armi , che  poi contro  lei  sollevarono.  Pertanto  diceva  che  non  sarebbe meraviglia  se  essi  che  avevano  spergiurato  gl’iddj , lasciato i capitani , e diserta  , quanto  era  in  loro , la  p^ttria , e che  vi  erano  tornati,  confusavi  la  buona  fede,  e sov- vertitevi le  leggi  ed  il  governo  , ora  non  si  dimostras- sero moderali  ed  utili  cittadini  : mai  incitati  da  nuòvi desideri  ed  eccessi , talvolta  chiedessero  magistrati  pro- prj , scelti  dall’ordin  loro,  e questi  iudipendentì  , in- violabih  ; tal’  altra  chiamassero  in  giudizio  per  cagioni turpissime  que’palrizj  che  loro  paressero,  trasferendo dal  celo  più  puro  al  più  sordido  i poteri  con  cui  Roma faceva  un  tempo  giudicare  sull’  esilio  e la  morte;  e ta- lora i mercenari  e privi  de’  palrj  lari  com’  erano , fis- sassero leggi  ingiuste  ed  oppressive  contea  i bennati , senza  lasciare  al  Senato  la  facoltà  di  proporle  prima col  sno  decreto  , tolta  ad  esso  una  prerogativa  che  aveva V sempre  avuta  senza  contrasto,  fin  sotto  de’monarchi,  e de'  tiranni.  E dette  molte  altre  cose  consimili , senza lasciare  indietro  memorie  amare,    risparmiare  nomi ingiuriosi  ; alfine  pronunziò  questo  ancora  per  cni  tntto il  popolo  ne  infuriò , vale  a dire  che  mai  la  città  che* terebbesi  totalmente  dalle  sedizioni  ma  che  sempre  in- fermerebbesi  per  nuovi  mali , finché  fossevi  il  poter  dei tribuni  ; affermando  che  negli  affari  politici  si  dee  ve- dere che  i principi  sian  buoni  e giusti , giacché  da  buon seme  si  ha  frutto  buono  e felice,  ma  infelice  e reo  da reo  seme. XLV.  Diceva  : se  questo  potere  fosse  erttraio  in città  di  buon  accordo  per  ulil  comune;  venutovi  col favor  degli  augurj  e della  religione , sarebbe  stalo  a noi  causa  di  molti  e gran  beni , di  unione , di  leggi savie,- di  speranze  belle  dal  ctmto  dé’ numi,  e di  mille altre  cose.  Avendovelo  però  introdotto  la  violenza,  la prevaricazione  , la  discordia , il  timore  di  una  guerra interna,  e tutti  i mali  più  odiati  fra  gli  uomimf  come con  tali  principii  ne  sarà  mai  fausto  e salutare?  Ben è superfìua  cosa  cercar  farmachi  e cure  quante  sen possono  ai  mali  che  ne  germogliano  finché  restavi  la radice  viziata.    mai  vi  sarà  termine  , mai  requie alcuna  dallo  sdegno  celeste , finché  ques^  invìdia , in» saziabile  furia  in  città  s’  annida  , e lorda , ed  infra- cida tutto.  Ma  per  tali  cose  vi  sarà  discorso,  e tempo più  acconcio.  Ora,  poiché  si  vuole  rimediare  alle  còse presenti  ; io  lasciando  ogni  acerbità , vi  dico  : « N& » questa  legge,    altra  qualunque  non  approvata  prima » dal  Senato  sarà  mai  valida  nei  mio  consolato.  Ma  so> n Sterrò  con  parole  gli  ottimati , e quaudo  anche  1’  o- » pere  vi  bisognino  , nemmeno  in  queste  sarò  vinto » dagli  avversar).  E se  non  prima  ayete  saputo  quanta » sia  r /lutorità  de'  consoli , nel  mio  consolato  lo  sa- a prete,  a Àppio  cosi  disse , quando  Cajo  Lettorio  il piò  provetto  e più  venerabile  de’  tribuni , uomo  rico- nosciuto non  ignobile  in  guerra , e buono  al  maneggio degli  affari , sorse  e replicò  , cominciando  da  alto  , e ragionando  a luogo  sul  popolo  , quante  diftìcili  spedi- zioni avessero  intrapreso  i poveri , da  lui  vilipesi , non- solo  nel  tempo  dei  re , quando  forse  era  necesiiià  , ma dopo  la  espulsione  loro  per  acquistare  alla  patria  la libertà  e il  comando.  Pur  non  ebbero  , dicea  , ricom- pensa ninna  da  palrizj , né  goderono  alcuno  de'  pub- blici beni;  ma  quasi  presi  in  guerra  , furono  privati injino  della  libertà  : e se  volevano  conservarsela  do- vettero . abbandonare  la  patria , cercando  una  terra ove  non  fossero , essi  liberi  uomini , insultati^  Senza violentare , senza  obbligare  colle  arme  il  Senato  , eb- bero nella  patria  il  ritorno , condiscendendo  a lui  che chiedeva  e pregava  che  si  rendessero  alle  abbandonate lor  cose,  fi  qui  spose  i giuramenti , e rammentò  gii accordi  fatti  per  questo  ritorno;  tra’ quali  v’era  I* amni- stia di  tutto  il  passato,  e la  concessione  a’  poveri  di eleggersi  magistrati  i quali  proteggessero  loro  , e resi- stessero a chiunque  volesse  mai  conculcarli.  Scorrendo su  ^li  subjetd , aunoverò  le  leggi  fondate  poco  prima dal  popolo  ; come  quella  su  la  iraslasion  dei  giudizj  per la  quale  il  Senato  cedeva  ài  popolo  che  chiamasse  in giudizio  qual  più  volesse  de’  patrizj  ; e 1’  altra  sul  dar dei  suffragi,  la  qual  rendeva  arbitri  de’ voti  i comìzj  per tribù , non  quelli  per  centurie. E così  ragionato  Sul  popolo  ; rivolgendosi  ad Appio  disse  : E tu  ardisci  et  insultar  quelli  pe’  quali la  repubblica  divenne  di  piccola  grande , e luminosa d' ignobile  ? tu  chiami  sediziosi  gli  altri  ^ e rimproveri loro  tome  fuorusciti  ? Quasi  non  tutti  rammentino ancora  ciocché  avvenne  tra  noi , vuol  dire  che  gli  avi tuoi  levarono  il  capo  contro  de’  magistrati , abbando- naron  Ut  patria,  e supplichevoli  qui  s' alloggiarono.  Se non  forse  voi  che  avete  abbandonala  la  patria  per amore  della  libertà  , voi  v avete  fatto  un  opera  belìa^ fié  ^ella  è quella  de’  Romani  che  han  fatto  altret- tanto, Tu  ardisci  calunniare  l’ autorità  de’ tribuni  conte introdotta  a mal  fatto  ; e persuadi  qui  noi  che  c in- voliamo questo  sacro , questo  immobile  rifugio  de’  po- veri , confermatoci  da  numi  a dagli  uomini  per  tanto grandi  cagioni  ? Ta  tirannissimo , ninUcissimo  che sei  del  popolo  ! E non  giungi  nemmeno  dunque  a vedere , che  ciò  dicendo  , oltraggi  il  Senato , oltraggi la  tua  mùgislratura  ? Insorse  pure  ' tutto  il  Senato contro  dei  re , più  non  potendo  so  ferirne  la  superbia c gli  affronti  ; e fondò  il  consolalo  , e prima  di  ban- dirli da  Rema  f coesi  altri  ministri  del  regio  potere. 2'antochè  ciò  che  dici  contro  del  tribunato  come  in- trodotto mal  fato,  per  la  origine  sediziosa,  ciò  dici ancora  contro  del  consolato  ; giacché  non  altra  causa il    nascere  se  rwri  lo  scuotersi  de’  patrie j contro  dei re.  Ma  che  parlo  io  di  queste  cose  con  te  quasi  con cittadino  buono  e Moderato  , quando  tutti  sanno  che tu  sei  di^ stirpe  mal  grazioso , anzi  acerbo , anzi  in- festo al  popolo , nè  buono  da  ingentilire  la  salvati- chezea  tua  ? X)  perchè  non  pospongo  i detti , e ^ in- vesto co’  fatti , e ti  mostro  che  tu  che  non  ti  vergogni di  chiamare  il  popolo  un  sordido , e senza  casa , tu non  sai  quanta  sia  la  forza  di  lui  ? quanta  quella  del suo  magistrato  a cui  le  leggi  ti  obbligano  di  dar  luo- go e di  cedere  ? ma  già  lasciati  1 rammaricìd  delle parole , comìncio  le  opere. E ciò  detto  giurò  col  giuramealo , più  rive* reado  infra  loro , di  sostenere  la  legge;  o di  morire.  E qui  taciutisi  lutti , e latti  empiutisi  di  ansietà  su  ciò che  farebbe  : comandò  che  Appio  ne  andasse  dall*  adu- nanza. E perciocché  non  ubbidiva  , ma  cingendosi  coi littori  e colia  turba  che  aveasì  perciò  condotto  di  casa, ripugnava  ad  andare  ; Lettorio , intimato  pe’  banditori silenzio,  consigliò  che  i tribuni  facessero  portare  il  con- sole nella  carcere.  E qui  la  guardia  di  lui  si  avanzò  , comandata , come  ad  arrestarlo  ; ma  il  littore , che  il primo  se  la  ebbe  innanzi , la  battè  e respinse.  E levatosi romor  grande  e rammarico;  v’accorse  lo  stesso  Lettorìo, eccitando  la  turba  in  ' suo  ajulo.  Se  gli  oppose  Appio con  giovani  bravi  e numerosi;  ed  eccone  quinci  e quindi viluperauoni , grida , spinte  ; talché  la  contesa  divenivane  zuflà , ornai  cominciandovisi  il  trar  delle  pietre. Se  non  che  ripresse  tali  colpi , e fece  chn  il  male  non procedesse  più  oltre  Quinzio  l’ altro  console , caccian- dosi egli  c li  più  anziani  de’  senatori , tra  le  minacce  , e supplicando  e scongiurando  tutti  a desistere.  Non avanzava  allora  se  non  picciola  parte  del  giorno,  e però si  divisero  finalmente  , ma  di  mal’  animo.  Incoiparonsi i magistrati  a vicenda  ne’  giorni  appresso  : il  console accusava  i tribuni  che  tentassero  di  annientare  il  suo grado  col  volere  in  carcere  chi  lo  rappresentava  ; ed  i tribuui  il  console  , pe’  colpi  portati  su  persone , sacre ed  inviolabili  per  la  legge  ; e de’  colpi  avea  Lettorio  i segni  manifesti  nel'  sembiante.  Intanto  stavasi  la  città scissa  e fremente.  I tribuni  ed  il  popolo  occuparono  il Campidoglio,  non  tralasciandone  mai  la  guardia,  giorno' e notte  : il  Senato  adunatosi  tenne  lunga  e travagliosa discussione  intorno  ai  modi  di  chetar  la  discordia , con- siderando la  gravezza  del  pericolo  , e come  nemmeno  i consoli  fossero  uniti  fra  loo);  giacché  volea  Quinzio conr^dere  al  popolo  le  istanze  • moderate , ed  Appio  vi ripugnava , a costo  ancora  della  vita. E poiché  ninna  cosa  avea  termine , Quinzio presi  nn  per  uno  i tribuni  ed  Appio , orando, scongiurando , raccomandava  loro  di  antepoiTe  il  ben  pub- blico al  proprio.  E vedendo  alfine  ornai  rimplacidili quelli,  ma  duro  in  sua  caparbietà  il  console  compagno; persuase  Leitòrio  e i seguaci  di  lui,  sicché  rimettessero al  Senato  l’esame  de’ privati  e pubblici  risentimenti.  ConTocato  quindi  il  Senato,  lodativi  ampiamente  i tribuni, e scongiurato  il  compagno  a non  contrastare  la  salvezza pubblica , invitò  tutti , secondo  il  solito , a dirne  il  pa- rer suo.  Invitato  per  il  primo  Publio  Valerio  Poplicola, disse:  che  doveansi  dal  pubblico  condonare,  non  por- tare in  giudizio  le  incolpazioni  vicendevoli  de'  tribuni e del  console  su  quanto  s’ avean  fatto  o sofferto  nel tumulto;  perchè  non  erosi  fatto  per  mal  animo,  nè per  ben  propiro  , ma  per  gara  di  preminenza  in  re- pubblica: quanto  alla  legge  poi  sen  facesse  previo decreto  in  Senato  ; giacché  Appio  console  non  voleva che  senza  questo  al  popolo  si  proponesse.  Del  resto provvedessero  tribuni  e cofisoli  insieme  il  buon  ordino, e C armonia  de'  cittadini  nel  dar  de'  suffragi.  Appro- varono lutti  quel  dire  ; e ben  tosto  Quinzio  fe’  dare  il volo  a’  senatori  su  la  legge.  AcCusolla  Appio  per  più capi,  e -molto  i tribuni  se  gli  opposero,  ma  vinse  (ìnal- mente  di  gran  lunga  il  partito  per  introdurla  ì stesone il  decreto  del  Senato,  ne  tacquero  le  gare  de’ magistrati, il  popplo  di  buon  grado  lo  accolse  , e fece  co’  sufTragj suoi  la  legge.  Da>quelip  (i)  fino  a miei  tempi  i comizj per  tribù  decidono  col  volo  loro  la  scelta  de’  tribuni  e degli  edili  ^enza  dipendenza  ninna  dagli  augurj^e  dalle cose  di  religione.  E tal  fu  la  soluzione  de’  dissidj  che di  que’ giorni  conturbarono  Roma. L.  Piacque  dopo  non  molto  ai  Romani  di  arrolar  le milizie , e spedire  ambedue  ^ consoli  contro  gli  Equi  e li  Volsci:  perocché  nunziavasi  loro  eh’ erano  uscite  truppe (i)  Addo  di  Roma  a83  secondo  Catone,  a85  secondo  Varrone, * 4^  UT.  Cristo] in  gran  numero  deli’  uno  e dell’  altro  popolo  e depre- davano  gli  alleati  Romani.  Apparecchiati  dunque  in  fretta gli  eserciti , e sceltone  colle  sorti  il  comando  ; Quinzio marciò  contro  gli  Equi,  ed  Appio  contro  de’Volsci.  Ma ciascun  dei  due  consoli  v’  ebbe  le  vicende  che  meritava. Imperocché  l’armata  di  Quinzio  benevola  al  vaientQomo per  la  moderazione , e per  la  dolcezza  di  lui , ne  ubbi- diva pronta  i comandi , e le  più  volte  anche  senza  co- mandi affrontava  i pericoli , per  acquistargli  fama  ed onore.  Dond’è  che  scorse  in  gran  parte,  saccheggiando, la  region  de’  nemici  ; senza  eh’  ardissero  questi  venirne alle  mani  : e raccoltevi  amplissime  prede  , e vantaggi , e dimoratavi  alcun  tempo  scevra  in  tutto  da  mali;  si  pre- sentò di  bel  nuovo  in  patria , rimenandovi  il  suo  capi- tano luminóso  per  le  belle  azioni.  Ma  1’  arntata , anda- tane con  Appio , lasciò  per  odio  di  lui  ipulti  patrj  do- véri; perocché  fu  mal  animata  in  ogni  spedizione  e poco curante  il  suo  duce:  e quando  le  bisognò  far  battaglia co’ Volscl , schieratavi  da  . esso,  ricusò  di  venire  alle mani.  Centurioni  ed  antesignani , chi  lasciò  la  schiera sua , chi  gettò  1’  insegna , e rifuggironsi  agli  alloggia- menti. E se  gl’inimict,  sorpresi  dalla  stranissima  fuga, ed'  intimoriti  per  essa  di  un  qualche  inganno , non  de- sistevano dall’  incalzarli  ; perivane  il  più  de’Romani.  Or ciò  faceauo  a mal  cuore  del  capitano  , sicché  egli  sul- r esito  di  fauste  battaglie,  non  crescesse  col  trionfo,  e con  altri  onori.  Nel  giorno  appresso  ora  il  console  re- darguendoli per  la  fuga  -ingloriosa , ora  esortandoli  a cancellarne  la  infamia  con  un  generoso  combattimento, ora  minacciandoli  che  varrebbesi  del  rigor  delle  leggi  se ig3 non  teneansi  fermi  contro  a’  pericoK  , essi  ìadociii  tut>' lavia  Io  intronarono  colle  grida , e cltiesero  che  li  ri«> tirasse  dalla  guerra  , come  invalidi  a pi&  resistervi  per le  ferite.  E quasi  feriti  davvero , ' aveansi  alcuni  fasciate membra  sanissime.  Appio  adunque , necessitatovi , ritirò r esercito  dalle  terre  nemiche;  ed  i Volaci  tenendogli dietro,  ne  ticoisero'non  pochi.  Giunti  in  terre  amiche, il  cònsole  convocatili , e fintine  i grandi  lamenti , an- nnnrìò  che.  punirebbeli  come  i disertori.  E quantunque seniori  e magistrati  militari  assai  lo  pregassero  a tem- perarsi , nè  volgere  la  patria  di  danno  in  danno  ; egli non  tenne  conto  di  alcnno , e stabili  la  pena.  Quindi i centarìoni  le  cui  centurie  fuggirono  «'e  li  portatori delie  bandiere , che  le  aveano  peivlute , gli  nm  furono decapitati  colle  scuri , e gli  altri  Colle  verghe  battuti  e morti.  Del  resto  della  diilizia  ne  peri , tirata  a sorte , la  decima  parte  per  tatti.  Tale  fra*  Romani  è il  castigo per  chi  lascia  l’ ordinanza  , o getta  la  insegna.  .Dopo ciò  egli , duce  odióso  , condocendo  1’  avanzo  dell’  eser- cito mesto  è disonoralo  ; ornai  sovrastando  i oomiz)  , si rimise  in  patria. Dichiarati  consoli , dopo  questi , Lncio  Valerio per  la  seconda  volta  , e Tiberio  Emilio  (i);  i Tribuni contenutisi  già  per  qualche  tempo  , introdussero  di  bel nuovo  il  discorso  su  la  division  de’ terreni.  £d  andatine ai  consoli , chiesero  supplichevoli  ed  insistenti  che  si mantenessero  al  popolo  le  proihesse  fattegli  dal  Senato   Addo  di  Roma  384  *,  piacciavi  udirle  o no,  vi  dico,,  veracissimo e libero  , come  utili  di  presente , e sicure  per  P avve- nire , se  lascerete  mai  persuadervene  ; quantunque  per. me  che  affronto  pel  pubblico  bene  l'odio  altrui  saran causa  di  mali  non  pochi.  Imperocché  ragionando  an- tivedo , e presentami  i casi  altrui  come  norma  de'miei. Appio  cosi  disse  , e consenlendo  con  lui  quasi tutti , fu  sciolto  il  Senato.  Irriuronsi  i tribuni  per  la ripulsa  : e partitisi , considerarono  come  punirne  un  tal uomo.  In  mezEO  al  molto  discutere  piacque  loro  di  sot- toporre Appio  ad  un  giudizio  capitale.  Pertanto  accu» sandolo  .nell’  adunanza  del  popolo , invitarono  tutti  a venire  in  giorno  determinato , per  sentenziare  su  lui. Sarebbero  queste  le  incolpazioni , vuol  dire  che  stabiliva massime  ree  cofilro  il  popolo  ; che  riaccese  in  città  la sedizione  ; che  alzò  viqlento  le  mani  sul  tribuno  ad onta  delle  leggi  sacrosante  ; e che  duce  delC  esercito , sen  tornò  pieno  di  sciagura , e (T  infamia.  Annunziate tali  cose  al  popolo  , e destinato  il  giorno  in  cui  di(^ vano  che  ne  farebber  la  causa , intimarono  ad  Appio  di comparire  a difendersi.  Sen  dolsero  e prepararonsi  i padri  Con  tutto  l’ ardore  a salvarlo.  Eid  esortandolo  a cedere  al  tempo , e prender  abito  conveniente  alle  cir> costanze  ; replicò  che  mai  non  farebbe  azione  vile , nè degna  delle  precedenti;  e che  sosterrebbe  anzi  mille morti  che  prostrarsi  supplichevole  ad  alcuno.  Rimosse alquanti ‘che  eran  pronti  d’ Intercedere  per  lui , dicendo: die  sarebbegli  stata  doppia  vergogna , se  vedesse  altri fare  per  lui  ciocché  non'  dovea  fare  nemmeno  per  sè stesso.  Dette  queste , e cose  consimili , senza  cambiar vestimenti,    tener  di  sembiante,    llul  fìnsero  che  per  una  Infermità morisse.  Portatone  quindi  il  cadavere  nel  Foro  , -il  Gglio di  lui  fattosi  innanzi  ai  tribuni  ed  ai  consoli  » dimandò che  convocassero  Tadananza  legittima;  e ^mettessero a lui  di  lare  sul  padre  suo  la  -funebre  laudazione,  usala in  morte  de’ Valentuomini.  Intimarono  ai  consoli  l’adu* nanzB  ; ina  vi  ripugnarono  itribuni , ed  imposero  al giovine  di  tor  via  quei  cadavere.  Non  sofferse  il  popolo né  guardò  con  indifferenza  clte  inonorato  il  cadavere  si rimovesse  ; ma  concedette  al  > 6glU>  di  rendere  i con- sueti onori  al  padre  : £ tale  fu  la  fine  di  Appio. I consoli  arrotarono,  e cavarono  di  città  le  mi- lizie ; Lucio  Valerio  per  combattere  gli  Equi  e Tiberio Valerio  i Sabini  ; perciocché  gli  ultimi  ne’  tempi  della sedizione  entrarono  il  territorio  romano,  e danneggiatane gran  parte , ne  partirono  con  amplissima  preda  : gli  Equi  poi  venuti  più  volte  alle  mani , e presevi  molte ferite,  eransi  riparati  in  luogo  fortissimo,    più  ne scendevano  per  combattere.  Ben  tec^ò  Valerio  di  asse- diare quelle  trincee , ma  ne  fu  proibito  dal  cielo.  Im- peròcclié  mentre  v’andava  e ponessi  all’opera;  si  mise il  cielo  in  caligine , in  pioggie  , in  fulgori  , e tuoni spaventevoli.  Se  ne  sbandò  l’ esercito , ma  sbandatosi appena  cessò  la  procella  : e fecesi  grande  serenità.  Prese il  console  come  cosa  di  religione  un  tal  fatto  : e per- ciocché gl’  indovini  diceano  non  essere  da  por  quell’as- sedio ; egli  diè  volta,  e saccheggiò  la  terra;  e lasciata in  utile  de*  soldati  la  preda  , ricondusse  in  patria  l’eser* cito.  Tiberio  Emilio  però  scOrrea  fin  dal  principio  con assai  negligenza  le  regioni"  de’ nemici,    aspettavano ornai  più  le  milizie;  quando  uscirono  a fronte  i Saliini, e sen  fece  battaglia  ordinata , quasi  dal  mezzodì  fino  a sera.  Sorprese  dalla  notte  ritiraronsi  le  armate  ciascuna aoi al  suo  campo  , nè  vincitori    vinte.  Ne’giorai  appresso i duci  presero  cura  de’  loro  estinti , e munirono  di  fossa gli  alloggiamenti  ; ambedue  con  proposito  di  difender' visi , non  di  uscirne  per  offendere.  Poi  col  volger  del tempo  levarono  le  tende , e partironsi  cogli  eserciti. L’  anno  dopo  nella  olimpiade  settantesima ottava  in  cui  vinse  nello  stadio  Parmenide  di  Possido> nia  , mentre  Teagene  «vea  l’ annuo  magistrato  di  Atene, furono  in  Roma  consoli  Aulo  Verginio  Cclimoutano  e Tito  Numicio  Prisco.  Ascesi  appena  questi  al  comando, ridicevasi  che  giungevano  i Volsci  con  esercito  poderoso. Nè  mólto  dopo  fu  invaso  da  essi , e dato  alle  Gamme un  posto  ne’  dintorni  di  Roma  : e non  essendo  questo mollo  lontano  ; il  fumo  stesso  annunziava  alia  città  l’in» ibrtunio.  Immantinente,  essendo  ancor  notte,  inviarono i consoli  de’  cavalieri  per  osservare , e misero  guardie su  le  mura;  ed  essi  stessi  schieratisi  fuori  delle  pqrte co’  soldati  più  spediti , v’  a^ettavano  i ' rapporti  de’  ca- valieri. Fatto  giorno  raccolta  la  milizia  che  avevasi  iu Roma,  andarono  contro  a’ nemici:  ma  questi,  derubato il  luogo'  ed  incendiatolo,  ne  erano  ben  tosto  partiti. Liberarono  r consoli  )e  cose  che  ardevano  ancora , e lasciatovi  un  presidio  sen  tornarono  a Roma.  Pochi giorni  appresso  usci  coll’  armata  propria  , e con  quella degli  alleati  l’ uno  e 1’  altro  console  : Yergiulo  contro degli  Equi  e Numicio  contro  de  Volsci  : e ciascuno  se n’  ebbe  fra  le  armi  il  successo  che  desiderava.  Deva- stando Verginio  le  terre  degli  Equi  non  ardirono  questi (i)  Attuo  di  Roma  z85  tecondo  Calotte,  >87  secondo  Varroac  , e 4^  av.  Cristo. di  venire  alle  mani.  Ben  posero  nna  imboscata  di  uo- mini scelti  ove  speravano  di  piombare  su  l’inimico  sban> dato;  ma  vanissima  ne  fu  la  speranza.  Imperocché  sa- putosi «ben  tosto  pe’  Romani , fecevisi  vigorosa  battaglia: ove  gli  Equi  tanto  perderon  de’  suoi  ■ die  più  allora  non vennero  al  paragone  delle  armi.  Numicio  marciò  su  la città  degli  Anziati , 1’  uua  allora  delle  primarie  tra’VoI- sci , ma  non  se  gii  oppose  armata  niuna  , riducendosi tutti  a rispingerlo  da  entro  le  mura.  Fu  dunque  sac- cheggiato gran  tratto  della  lor  terra,  e presa  una  citta- della in  sui  lido,  la  quale  era  per  essi  come  arsenale ed  emporio,  ove  concentravano  il  molto  che  andavano depredando  sul  mare.  L’  esercito  si  attribuì  per  conces- sione dei  console  gli  schiavi , i danari , i bestiami , le merci  : ma  gli  uomini  liberi  che  non  erano  periti  tra  la guerra  furono  presentati  all’ incanto.  Si  acquistarono  nom- meno  su  gli  Anziati  ventidue  navi  lunghe  , ed  apparec- chi ed  armi  di  navi.  Alfine  per  comando  del  console  i Romani  ne  bruciarono  le  case , ne  devastarono  l’ arse- nale, e ne  distrussero  da’ fondamenti  le  mura;  perchè, ritirandosene  essi  , quel  luogo  non  fosse  un  castello vantaggioso  per  gli  Anziati.  Tali  furono  le  azioni  se- parate de’  consoli  ; poi.  gettatisi  insieme  sui  territorio  dei Sabini , e depredatolo  , rimenarono  a Roma  gli  eserciti; e r anno  finì.  L’anno  appresso  fatti  appena  consoli  Tito  Quin- zio Capitolino,  e Quinto  Servilio  Prisco,  tutta  la milizia  romana  fu  in  arme , e spontanea  si  presentò Auno  di  Roma  aS6,  secondo  Catone,  aS8  secondo  Varrone, e 4^  av-  Cristo. .  ao3 quella  degli  alleati , prima  che  richiesti  ne  fossero.  Dopo ciò  fatte  suppliche  ai  nami,  ed  espiato  l’esercito,  mar> ciarono  i consoli  contro  a*  nemici.  Li  Sabini  contro  ai quali  era  andato  Servilio , non  che  schierarsi  in  batta> glia  , non  nscirono  nemmeno- all’  aperto:  ma  tenendoM dentro  del  chiuso,  lascravano  che  si  devastassero  loro  le terre,  s’ incendiasser ’ le  case,  e gli  schiavi  se  ne  fuggis*  . sero.  Dond’  i che  i Romani  tornarono  a grand’  agio dalle  lor  terre , carichi  di  preda , e risplendenti  di  glo* ria.  E cosi  terminò  la  spedizion  di  Servilio.  Quinzio, ed  il  seguito  suo , movendosi  con  marcia  più  che  mili» tare  contro  gli  Equi , ed  i Volsci,  venuti  ambedue  dalle regioni  loro  in  un  sito  stesso  a combattere  per  gli  al- tri , ed  accampatisi  davanti  di  • Anzio  : diedesi  a vedere improvviso.  E fermatosi  non  lungi  dal  campo  loro  in tm  luogo , basso  per    medesimo , che  era  quello  ap> punto  dove  prima  fa  veduto  e vide  gli  avversar) , po- sevi  le  bagaglie  per  far  mostra  di  non  temere  i nemici, quantunque  superiori  di  numero.  Or  com’  ebbero  am- bedue tutto  in  punto  per  la  battaglia , uscirono  in  cam- po , cd  avventatisi  pugnarono  infino  al  mezzogiorno. Non  cedevano,  non  superavano,  quésti  o quelli,  risto- rando sempre  la  parte  che  vacillava , co’sussidj  ordinàli per  questo.  Allora  quando  come  superiori - di  nnmero, cominciarono  i Yolsci  e gli  Equi  a vantaggiare  ^ e pre> valerne;  non  avendo  i Romani  moltitudine  , pari  all’ar- dore , Quinzio  veduti  estinti  molti  de’  suoi , e ferito  il più  de’  superstiti , era  per  intima  ve  la  ritirata  : ma  te- mendo poi  di  dar  vista  ài  nemici  di  fuggire;  concluse, ch’egli  dovea  cimentarsi.  E scelto  il  nerbo  de’cavalieri. Digitized  by  Google 2o4  delle  antichità’  bomane vola  in  soccorso  de'  laoi  nell'  ala  destra  , dove  princi- palmente perìcclavaoOi  Ed  ora  sgridando  di  codardia  li duci  stessi , ora  ricordando  le  passale  battaglie , e di- pingendo la  infamia  ed  il  pericolo  loro  se  fuggivano; alfine  disse  una  cosa  Gota  sì , ma  cbe  rincorò  li  suoi più  che  tutto , e sbigottì  F ibiiuico.  Egli  divulgò  che r allr  ala  sua  incalsava  già  gli  avversar} , e già  stava prossima  agli  alloggiamenti  r e divulgandolo,  spronò  sui nemici  ; e sceso  di  cavallo  co’  bravi  suoi  cavalieri,  prese a combattere  di  piè  fermo.  Tornò  l’ audacia  aUora  nei suoi  che  ornai  si  abbandonavano  , e divenuti  quasi  altri da  quelli  cbe  erano,  fulminaronsi  tutti  sul  nemico.  Tal- ché li  Volsci  contrapposti  -appunto  in  quella  parte,  dopo aver  luogo  tempo  résislito  , piegarono  finalmente.  Quinzio fiigaiili  appena  , rimonta  il  cavallo e corre  all’  al- tr’ala,  e mostravi  a’ fanti  suoi  disfatta  l’ala  nemica,  e raccomanda  che  non  sieno  per  virtù  minori  de’compagni. Dopo  ciò  niono  più  de' nemici 'tenne  fronte, ma  fuggirono  tutti  alle  trincee.  Non  gl’  inseguirono lungo  tempo  i Romani , ma  beutoste  se  he  rivolsero forzali  dalla  stanchezza,    più 'avendo  ornai  l’arme, pari  al  bisogno.  Decorsi  alquanti  giorni , convenuti  per seppellire  gli  estinti e curare  i mal  conci , avendo  già riparato  quanto  mancava  loro  per  combattere,  fecero nuovo  conflitto  intorno  gli  alloggiamenti  romani.  Impe- roccliè  venute  nuove  reclute  ai  Volsci  e agli  Equi  dalle terre  circonvicine,  inanimito  il  capitano  perchè  i suoi erano  il  quintuplo  de’  Romani  , e perchè  vedeva  le  trin- cee di  questi  su  luogo  non  abbastanza  munito , cre- dette il  buon  punto  d’  assalirvegli.  Con  tal  disegno  guidò .  . ao5 su  la  mezza  notte  1’  esercito  intorno  al  vallo  de’  Roma- ni , e cinseli , e t«ineli  in  guardia , percbè  inosservati non  s’ involassero.  Quinzio  saputa  la  moltitudine  de’ ne- mici , ebbe  caro  di  accoglierla.  Ed  aspettaudo  che  fosse  • giorno,  e principalmente  Tura  nella  quale  il  Foro  suol riempirsi , quando  vide  > che  i nemici  venivano  ornai stanchi  dalla  vigilia  e dalle  scaramucce,  non  per  centu- rie, nè  in  schiera  , ma  confasi  e sparsi;  immantinente, spalancale  le  porte , precipita  su  loro  col  nerbo  de’  ca- valieri , mentre  i fanti  lo  seguitavano  serrati  e stretti. Sbalorditi  i Yolsci  dall’  audacia  , dopo  aver  sostenuta bteve  tempo  la  furia  della  irruzione,  rinculano,  e la- sciano gli  alloggiamenti.  E percbè  non  lungi  da  questi aveasi  un  colle  alquanto  elevato  ; vi  accorrono  , come a riprendervi  requie  ed  órdine. 'Non  riuscì  però  loro  di fermarsi  e di  riaversi , giungendo  ben  tosto  i nemici , stretti  quanto  poteano  colle  coorti  , per  non  esserne trabalzali , nell’  ascendere  a forza  la  pendice.  Fattasi azione  vivissima  per  gran  parte  del  giorno,  ne  perirono molti  diagli  ani  e degli  altri.  I Volaci , 'tuttoché  supe- riori nel  numero,. e rassicurati  dal  posto  occupalo,  nou goderono  alcuno  de’  dué  vantaggi  : ma  violentati  dall’ar- dore e dalla  virtù  de’  Romani  , abbandonarono  il  colle. F uggendo  però  verso  le  trincee , molti  ne  soccombe- rono. Imperocché  non  cessarono  i Romani  d’inseguirli , ma  tennero  immantinente  .dietro  loro  , senza  desisterne , finché  ne  presero  a forza  il  campo.  Impadronilivisi  dei prigionieri  e di  ogni  cosa  lasciatavi»  cavalli  , armi , da- nari , che  erau  pur  molli , passarono  ivi  la  notte.  Nel giorno  appresso  il  console,  apparecchialo  ciocché  biso- Digitized  by  Google 2o6  delle  antichità’  romane goava  per  un  assedio , diresse  1’  esercito  alla  città  degli Ansiati , uon  lontana  più  di  trenu  stadj.  Per  avvenlora ivi  slavan  di  guardia  alquanti  Equi  ausiliarj  e custodivan le  mura , e questi  per  terrore  della  baldanza  romana naacchinavan  fuggirsene.  Saputo  dagli  Anziati , ed  impe- diti partirne , congiurarono  dar  la  cittade  a’Roraani  che si  appressavano.  Gli  Anziati  avuto  sentore  pur  di  que- sto , cedettero  al  tempo  : E imnvenutisi  cpn  loro  ; si  die- dero a Quinzio , in  modo  che  gli  Equi  pe^  patto  si dimettessero,  accettassero  gli  Anziati  in  città  la  guarni- gione , e seguissero  i comandi  de’  Romani.  Divenuto pertanto  il  console  arbitro  della  città,  pigliatine  stipendi ed  altri  bisogni  dell’  esercito , e presidiatala,  se  ne  ritirò. Uscitogli  per  tal  gesta  incontra  il  Senato,  lo  accolse gratissimamente,  e lo  onorò  del  trionfo. L’anno  -appresso  furono  consoli  Tiberio Emilio  per  la  seconda  volu,  e Quinto  Fabio  Ggliuolo dell’  uno  dei  tre  fratelli , duci  già  della  guarnigione  spe- dita in  Cremerà^  ed 'ivi  periti  co’ loro  clienti.  Ora.  fa- vorendo Emilio  console  ai  tribuni , e rimescendo  qu^ti di  bel  nuovo  il  popolo  intorao  la  divisione  de’  campi  ; il  Senato  voglioso  di  cattivarselo , e sollevarne  i poveri, stabili  di  compartir  loro  uu  tratto  del  territoifio  conqui- stato r anno  avanti  su  gli  Anziati.  Furono  deputati  per la  divisione  Tito  Quinzio  Capitolino , quello  appunto  a cui  si  erano  gli  Anziati  venduti  , e Lucio  Furio  ed Àulo  Verginio.  Non   stumio  Albino  per  la  prima  volta , ■ e Quinto  Servilio Prisco  per  la  seconda.  Nei  lor  giorni  gli  Equi  risolvei* (t)  Anno  di  Roma  -aSS  secondo  Catone,  390  secondo  Vsrrone, e 4^4  Cristo. Digitized  by  Google 2o8  delle  antichità’  romane tero  vioiai-e  i patti , recenti  co’  Romani , per  questa  ca- grane.  Gli  Aoziati  che  avevano  case  e campi , rimasero nella  lor  patria , coltivando  le  terre  ad  essi  concedute , come  quelle  attribuite  ai  coloni  , a’  quali  davano  con regole  Gsse  parte  del  frutto  :quelli  perd  che  unila  più avevan  di  questo,  si  trasmigrarono.  Gli  accolsero  di  buon grado  gli  Equi  fra  loro  ; ma  uscendone  , d^>redav«x> le  terre  latine  : dond’  è cbe  'i  più  audaci , e più  poveri ancora  degli  Equi , fecero  causa  con  essi.  Lamentarono i' Latini  r insulto  in  Senato,  e'tdiiesero  che  mandasse loro  un  esercito,  o loro  concedesse  di  ribattere  gli  au- tori delia  guerra.  Il  Senato  , udito  eiò , nè inviare  un  esercito , né  permise  ai  Latini  che  lo  menas- sero : ma  scelti  tre  ambasciadori,  capo  de*  quali  era  Fa- ,bio , quegli  che  l' anno  avanti  avea  conchiuso  il  trat- tato, ordinò  loro  di  chiedere  dai  primarj  della  nazione, se  mandava  il  pdbtdico  per  qite’  latrocini  ne’campi  degli alleati  di  Roma  , anzi  di  Roma  stessa , ne’  quali  eransi anche  fatte  alcune  scorrerie  da , quegli  esuli  : o se  il pubblico  non  avea  di  ciò  colpa  ninna  : E se  diceano che  r opera  era  de’  privati  senza  volere  del  popolo  ; chiedessero  nelle  mani  le  predé  nomuMno  ohe  i preda- tori. Venuti  gli  oratori , ed  ascoltatili  ; gli  Equi  diedero oblique  risposte  , dicendo , che  1’  opera  non  era  certo fatta  per  pubblico  voto,  ma  che  non  istimavano  bene consegnarne  gli  autori , perché,  ridotti  già  senza  patria, e vaganti  , erano  come  supplichevoli  stati  ricevuti  nelle campagne  (t).  AddoloravaSi  Fabio,  e reclamava  i patti (i)  Vuol  c^ita  pareva  loro  come  tradire  la  fede  oepiiale  , $e  ti conergnaTeoo.  Linno  IX.  - 209 traditi , pur  vedendo  che  gli  Equi  s’inGngevano , e di- mandavano tempo  a consultarsi  , e lo  intrattenevano come  pe’  doveri  ospitali  ; si  rimase  infra  loro  con  di> segno  di  esplorare  le  cose  della  città.  E visitando  ogni luogo  sul  titolo  di  vagheggiarvi  le  cose  dei  templi  e del  popolo  , gli  opifizj  delle  arme  da  guerra  o Gnite o che  si  lavoravano , comprese  i loro  disegni.  Tornato ■n  Roma  disse  in  Senato  quanto  aveva  udito , e ve- duto. Ed  il  Senato , non  più  dubbioso  , decretò  che si  mandassero  i F eciali  per  intimare  agli  Equi  la  guer- ra , se  non  cacciavan  da  loro  i fuorusciti  di  Anzio , nè promettevano  rintegrare  i danneggiati.  Replicarono  gli Equi  baldanzosi , Gno  a dir  che  accettavano , nè  già  di mala  ' voglia, la  guerra.  Li nigione  su’*  turbolenti  di  Anzio , onde  rassicurarsene  , e Spurio  Furio  l’altro  de’consoli  coll'esercito  contro  degli Equi.  Marciò  ben  tosto  1’  uno  e 1’  altro  ; nfa  gli  Equi udendo  uscita  già  l’armata  romana  si  mq^sero  da’ campi degli  Ernici  per  incontrarla.  Vedutisi  appena  fra  loro  , tutto  che  non  fossero  molto  distanti  , per  quel  giorno si  trìncierarono.  Nel  giorno  appresso  i nemici  vennero quasi  alle  trincee  de’Romani  per.  esplorarvenè  gli  animi. E poiché  questi  non  uscivano  alla  battaglia,  fattevi  delle scaramucce,  e niente  di  memorando,  sen  partirono  assai (i)  Allude  ai  Romaui' portali  non  molto  prima  iif  Aniio , come coloni  pcrchi  nel  tempo  slesto  invigilassero  e lenestero  iit  soggeunn^ Ig  città  proclive  alla  ribellione magnificandosene.  Il  cohsole  lasciate  nel  giorno  seguente quelle  trincee,  come  non  molto, sicure  , trasposele  in sito  più  acconcio  , e vi  scavò  fossa  più  profonda  ^ e vi piantò  steccati  più  alti.  Crebbe  a tal  vista  il  cuor  dei nemici , e molto  più  quando  ad  essi  pervennero  altri snssidj  de’  Volaci  e degli  Equi  ; tanto  che  senza  più indugi  marciarono  al  campo  romano. Il  console  considerando  che  a lui.  non  bastava r>esercito  contro  le  dpe  nazioni,  spedisce  alcuni  cavalieri con  lettere'  in  Roma  perchè  mandisi  a lui  pronto  soc- corso , pericolandogli  tutta  l’ armata.  Giuntivi  questi  su la  mezza  notte , Postumio  il  collega  di  lui  ricevendole, fe’  convocare  per  via  di  molti  araldi  i padri  in  Senato: e prima  che  il  di  si  chiarisse,  crasi  decretato  che  Tito Quinzio  già  console  per  la  terza  volta  portasse  bentosto con  autorità  proconsolare  il  fior  de’  giovani  a piedi  ed a cavallo  sul  nemico  , c che  Aulo  Postumio  il  console raccolte  il  più  presto  le  altre  milizie , a raccoglier  le quali  vi  abbisognava  più  tempo,  li  soccorresse.  Quinzio riuniti  sul  principio  del  giorno  presso  a cinque  mila volontari,  dopo  non  molto  marciò.  Gli  Equi  ciò  sospet- tando non  istavansi  a bada  : ma  deliberati  d’  assalir  le trincee  de’  Romani  prima  che  vi  giungesse  il  soccorso  , si  divisero  in  'due  corpi  , e t’  andarono  per  espugnarle colla  forza  , e col  numero.  Fecesi  per  tutto  il  giorno calda  battaglia  , spingendosi  questi  audacemente  in  più parti  su’ ripari,    reprimendosene  pe’ tiri  continui  delle lance  , degli  archi , e delle  fionde.  Adunque , conforta- tivisi  a vicenda,  il  console  ed  il  legato  spalancando  in uri  tempo  le  porte  , ne  sboccano,  e piombando  co’soldati  più  validi  da  ambedue  le  parti  del  campo  su  i ne* mici,  ne  rispingono  quanti  vi  salivano.  Messili  in  fuga, il  console  insegai  breve  tempo  i soldati  a lui  coatra- posti,  e poi  si  ripiegò:  ma  il  fratello  suo  e Publio  F urio il  legato  trasportati  dalla  impresa  e dall’  ardore  corsero incalzando  e uccidendo  fino  al  campo  nemico  ; e non avean  seco  se  non  due  coorti , numerose  in  .tutto  di mille  uomini.  Gli  avversar)  loro  «be  erano  intorno  a cinque  mila,  osservato  ciò,  si  avventano  dagli  steccati. . E mentre  questi  vengon  di  fronte , la  cavalleria  , fatto un  giro,  prende  alle  spalle  i Romani.  Publio  ed  il  se- guito suo  cosi  circondato  e disunito  dal  resto  de*  suoi ben  potea  salvarsi  se  cedeva  le  arme,  esibendogli  questo i nemici , cbe  assai  valutavano  far  prigionierì  que’mille bravi,  quasi  potessero  in  vista  di  essi  ottener  pace  ono* rata:  ma  i Romani  spregiato  l’invito  ed  animatisi  a non far  cosa  indegna  della  patria,  combatterono  e spirarono tutti  Ira’  cadaveri  de’  nemici. Morti  questi , gli  Equi  inebbriati  dal  buon successo  presentaronsi  alle  trincee  romane  elevando  con- fitto alle  aste  il  capo  di  Publio  e di  altri  cospicui,  per iscoraggirne  quei  d’ entro,  e necessitarli  a ceder  le  arme. Ma  se  venne  ad  essi  pietà  per  la  sciagura  degli  estinti compagni  , e se  ne  pianser  la  sorte  , si  moltiplicò  ben anche  lo  spirito  per  combattere  e l’ onorato  amore  di vincere  o di  morir  come  quelli  prima  che  andar  pri- gionieri. Circondati  dunque,  com’erano  de’ nemici,  pas- sarono i Romani  senza'  sonno    notte , riordinando  le parli  che  aveano  soiferto  nelle  trincee  , e quant’  altro mai  potea  respingere  gl’  inimici  se  tentavano  un  altra volta  investirveli.  F ecest  nel  giorno  appresso  di  bel  nuovo r assalto  , schiaotandovisi  lo  steccalo  in  più  parti.  Più volte  furono  gli  Equi  respinti  da  quei  d*  entro  che  ne uscivano  a schiere  , e più  volte  nell’  audacia  delle  soi> lite  , lo  furono  questi  dagli  Equi.  Durò  tutto  il  di  la vicenda:  quando  fu  il  console  romano  ferito  nel  femore da  uno  strale  a traverso  dello  scudo,  e feriti  pur  furono  ^ molti  de’  più  rignardevoli , quanti  li  combattevano  infoiano. Ornai  vacillavano  t Romani  , quando  su  l’ im- brunir della  sera  ecco  inopinatamente  apparire  Quinzio per  soccorrerli  col  corpo  de’  prodi  volontarj.  I nemici  , vedutili  che  avanzavano , diedero  di  volta, lasciando l’assedio  imperfetto:  ma  quei  d’  entro  incalzandoli  nella ritirata  facean  strazio  della  retroguardia : se  non  che indeboliti  per  la  più  parte  dalle  ferite,  non  gl’  insegui- rono a lungo  ; ma  presto  si  ripiegarono  verso  il  lor campo.  Dopo  ciò  si  tennero  gli  uhi  e gli  altri  lungo tempo  fra  le  trincee  , guardando  sestessi. Quindi  mentre  il  nerbo  de’  Romani  era  im- pegnato in  campo  , altre  milizie  di  Equi  e di  Volaci credendo  il  buon  punto  d’ ime  depredando  la  regione  , uscirono  tra  la  notte  ; ed  invasala  in  parte  lontanissima dove  gli  agricoltori  viveano  scevri  d’ogni  paura,  occu- parono non  poco  di  robe  e di  nomini.  Non  però  ne ebbero  bella  in  ,dné    facile  la  ritirata  , imperocché Postumio  il  console  mepaudo  agli  assediati  nel  campo  i soccorsi  adunati , appena  udì  le  operazioni  de'  nemici , si  presentò  loro  contro  la  espettazione.  Non  sbalordironsi essi,    tremarono,  ma  ponendo  a bell’agio  le  bagaglio e le  prede  in  luogo  sicuro  , e lasciandovi  guarnigione delle  antichità’  romane che  bastasse,  marciarono  ordinali  al  nemico.  Venuti  alle mani , sebben  pochi  contro  molli , fecero  memorabili prove.  Imperocché  precipitandosi  giù  dalle  campagne uomini  in  copia  cinti  di  lieve  armatura  conir’  essi  che eran  tutto  arme  il  corpo  , fecero  grande  uccision  dei Romani  ; e per  poco  non  si  ritirarono  , lasciando  nel- l’altrui territorio  un  trofeo  su  gli  assalitori.  Ma  il  con- sole e con  esso  i cavalieri  più  scelti  spronandosi  a re- dini abbandonate  su’  loro  , dov^  erano  il  forte  , e com- battevano ; ve  li  sbaragliarono  «e  prostrarono  in  copia. Battuti  que’  pnmi , anche  il  resto  dell’  armata  respinto fuggì  : e la  guaniigìone  delle  bagaglie , lasciatele , s*  in- volò di  su  pe’  monti  vicini.  Cosi  pochi  moriron  di  essi nella  battaglia  ; ma  moltissimi  nella  fuga , perchè  ignari de’  luoghi  ed  inseguiti  dalla  cavalleria  de’  Romani. Intanto  Servio  1’  altro  console  persuaso  che  il collega  ne  veniva  a lui  per  soccorrerlo,  e temendo  che 1 nemici  ^non  gli  uscissero  incontra  e glien  traversasser la  strada  ; risolvè  frastornameli , con  assalirli  negli  aU loggiamenti.  Questi  però  lo  prevennero;  perciocché  sa- puu  la  sciagura  de’  compagni  dai  predatori  salvatisi  , levarono  il  campoj  e nella  notte,  che  fu  la  prima  dopo la  battaglia,  rientrarono  in  città,  senza  che  avesser  po- tuto tptanto  aveano  disegnato.  Ma  se  ne  periron  di  loro tra  le  battaglie  e i foraggi  ; ne  soggiacquero  nella  fuga d’ allora  assai  più  di  prima  (ra  quelli  che  restavano addietro.  Aggravati  questi  dal  travaglio  e dalle  ferite  , Iraendosi  a stento  innanzi , perchè  non  .prestavansi  ad essi  i lor  membri , stramazzavano  , vinti  principalmente dalla  sete  , presso  de’  ruscelli  e de’  dumi  : e raggiunti da’cavallert  romani,  erano  trncidali.  Netnraeno  i Romani tornarono  felici  in  tutto  da  quella  f guerra  ; perdutivi molti  valentuomini,  ed  il  legato  che  vi  si  .era  segnalato, più  che  tutti , nel  combattere.  Non  pertanto  rivennero in  patria  con  una  vittoria  non  inferiore  a ninna.  E ciù fecesi  in  quel  consolato.  Sacceduti  consoli  Lucio  Ebusio , e Pnblio Servilio  Prisco  (1);  k Romani  plinti  da  mori>o  con- tagioso , quanto  mai  più  per  addietro , non  fecero  in queir  anno  cosa  ninna  degna  di  rimembranza    in guerra    in  pace.  Gettatosi  quel  morbo  in  prima  tra gli  armenti  de’  cavalli , e de’  bovi , e poi  delle  capre  e delle  pecore  , disfece  quasi  tutti  i quadrupedi.  Quindi serpeggiando  tra'  pastori  e tra’  coloni  via  via  per  tutta la  regione , in  ultimo  invase  anche  Roma.  Non  è facile ridire  quanti  servi,  quanti  mercenàrj,  quanti  della  , classe indigente  perissero.  Da  principio  se  ne  trasportavano  i cadaveri  a mucchi  su’  carri  : ma  poi  quelli . de’,  men  ri- guardevoli  si  gettarono  nella  corrente  del  fiume.  Con- tasene perito  il  quarto  de’ senatori  , e con  essi  i due consoli,  ed  il  più  de’  tribuni.  Cominciò  quel  morbo  in- torno a’  primi  di  settembre  , e prosegui  per  un  anno in^ro  , investendo  e consumandone  di  ogni,  sesso  e di ogni  età.  Saputosi  tra’ vicini  il  disastro  romano,  gli  Equi ed  i Yolsci  lo  riputarono  occasione  bonissima  da  levare sene  il  giogo  , e fecero  patti,  e giuramenti,  di  alleanza fra  loro.  Quindi  preparato  quant’  era  d'  uopo  per  1’  as- sedio , uscirono  gli  uni  e gli  altri  il  più  presto  colle (1)  Anno  di  Roma  391  secondò  Catone,  39!  secondo  Vartoae  , e 4^1  av.  Cristo. Digilized  by  Google 2i8  delle  antichità’  romane milizie;  inondando  su  le  prime  il  territorio  de* Latini  e degli  Emici,  onde  precludere  a Roma  il  soccorso  degli alleati.  E nel  giorno  che  giunsero  ai  Senato  gli  oratori de’  due  popoli  assaliti  per  ottenerne  ajuto  , in  quei giorno  appunto  era  morto  Ebuzio  1’  uno  de*  consoli  » standosi  già  Servilio  , eh*  era  1’  altro  , per  morire.  Or questo , sopravvivendo  anche  un  poco , convocò  il  Sepa to.  Portativi  i più  de’  padri  malvivi  su  le  lettighe  di- chiararono ai  legati  di  annunziare  a lor  popoli  ^ che  U Senato  concedeva  ad  essi  di  respingere  col  proprio  va- lore i nemici , finché  il  consolo  si  risanasse  , e fosse raccolto  un*  esercito  per  soccorrerli.  A tali  risposte  i Latini  concentrato  ciocché  poteano  dalie  campagne  , guardavano  le  mura,  trascurando  ogni  altro  danno.  Ma gli  Eroici  non  reggendo  al  guasto  ed  al  sacco  de’ campi, diedero  all’ armi,  ed  uscirono.  Infine  dopo  fatte  luminose battaglie  con  perdervi  molti  ^de’  loro  ed  uccidervi  molto più  de*  nemici , fuggirono  , necessitati , fra  le  mura , né tentarono  più  di  combattere. Pertanto  gli  Equi  ed  i Volsci,  depredatone il  territorio,  si  avvanzarono  impunemente  ai  campi  Tu- scolani.  E derubati  pur  questi  senza  che  ninno  li  re- spingesse , scorsero  fino  ai  Sabini  ; e giratisi  impune- mente anche  su  le  terre  loro , avviaronsi  a Roma.  Ben poterono  essi  turbarla;  non  però  conquistarla.  Quanlun* que  languidi  nella  persona , e perduta  1*  uno  e F altro console,  mortone  di  fresco  ancora  Servilio,  armatisi  ol- tre le  forze  i Romani , si  misero  su  le  mura.  Estese allora  per  circuito  quanto  quelle  di  Atene,  sorgeano queste  parte  su  i colli  e su.  scogli  dirotti,  fortissimi  per ,  a 19 natura , e bisogoevoli  appena  di  difesa , e parte  assicu- rate dall’ alveo  del  Tevere,  fiume  largo  quattrocento piedi  (i),  profondo  da  navigarvisi  con  legni  grandi; rapido  quant*  altri  e vorticoso  nel  corso.  Non  passasi questo  appiedi  se  non  per  vìa  de’  ponti , de’  quali  ve n*  era  allora  sol  uno  , e di  legno, cui  disfacevano  nei tempi  di  guerra.  Il  lato  di  Roma  men  arduo  ad  espu« gnarsi  dalla  porta  chiamata  Esquilina  fino  alla  Collina era  fortificalo  eoli’ arte;  imperocché  scavata  innanzi  ci avevano  una  fossa  , larga , dove'  eralo  il  meno , più  di cento  piedi , e cupa  di  trenta , è quinci  e quindi  su  la fossa  elevavasi  un  moro,  cinto  da  argine  interno  ampio ed  alto,  talché    battere  quello  si  potrebbe  cogli  arieti, né  rovesciar  sbucandone  le  fondamenta.  Lungo  questo lato  circa  sette  stadj  spandesi  cinquanta  piedi  per  largo. Or  qui  schieratisi  in  folla  i Romani  respingevano  1’  as« salto  nemico  :perocché  noù  sapevano  allora  i mortali né  far  testuggini  sotterranee , né  macchine  espugnatrict delle  mura.  Diffidatisi  gli  assalitori  di  prendere  la  città ritiraronsi  dalle  mura , e devastandone , ovunque  passa- vano la  campagna,  sea  tornarono  in>patria. I Romani  come  sogliono  quando  restano  senza chi  comandi , scelsero  gl’  interré  per  tenere  i comizj , e vi  crearono  consoli  .Lucio  Lucrezio  e Tito  Veturio Gemino  (z).  Sotto  questi  ebbe  requie  la  pestilenza;  puc (i)  'Wel  testo:  ntritfit  rìkirftr  : la  toco  rXtrftr  »’  interpreta da  altri  per  jugero  : Svida  la  interpreta  per  cesto  piedi.  Ma  tale cspoiisione  noa  corrisponde.  ' (a)  Aano  di  Roma  aga  secondo  Catone,  394  secondo  Varrone, e 46a  av.  Qrisio.  1 furono  diflerite  le  controversie  civili  private  o pubbliche: e tentando  Sesto  Tito  T uno  dé’  tribuni  >,  riaccendere quella  su  la  division  de’ terreni;  il  popolo  gli  si  oppose, e rimisela  a tempi  più  acconci.  Eccitossi  in  tutti  in  vece I un  desiderio  di  punire  quanti  aveano  dato  guerra  alla repubblica  ne’ giorni  del  morbo.  Cosi  decretata  la  guerra dal  Senato,  e ratiScata ' dal  popolo,  si  arrolarono  le soldatesche  : e ninno  di  anni  militari , quantunque  pri> vilegiatone  per  le  leggi,  cercò  sottrarsi  da  quell’  impresa. Diviso  r esercito  in  tre  parti  1*  una  fu  lasciata  in  guar- dia di  Roma  sotto  gli  auspicj  di  Quinto  Fabio,  uomo consolare  ; e le  altre  seguirono  i consoli  contro  i Yolsci e gli  Equi.  Aveano  gii'  fatto  altrettanto  i nemici.  Riu- nitesi le  milizie  migliori  d’  ambedue  quelle  nazioni , te- neano  il  campo  aperto  sotto  due  capitani  per  cominciare dalla  terra  degli  Ernici  , dove  ' allor  si  trovavano  , a devastarne  quanta  ne  soggiaceva  ai  Romani  : la  parte men  atta  delle  ipilizie  crasi  lasciata  in  custodia  delle città,  perchè  su  di  esse'  ngn  venisse  irruzione  improvvisa dagli  emoli.  Avuto  infra  loro  consiglio , crederono  i consoli  il  meglio  d’ investire  innanzi  tutto  le  lorp  città sul  riflesso  che  la  unione  delle  armate  si  scioglierebbe, se  ciascuno  udisse  ridotta  in  pericolo  estremo  la  sua  pa- tria ; giacché  riputerebbero  assai  meglio  salivare  le  pro- prie cose  che  guastar  le  ini  miche.  G)sl  Lucrezio  piotnbò su  gli  Equi , e Yeturio  su  i Yolsci.  Gli  Equi  trascu- rando ogni  rovina  di  fuòri  guardavano  la  città  e li  ca- stelli. In  opposito  i Yolsci  ardimentosi , arroganti , spregiando  1’  armata  Romana  come  diseguale  contro  la  Lisno  IX.  221 lor  ffloltitudiae , uscirooo  4 combattere  pel  territorio proprio,  e misero  il  campo  presso  di  Yeturio-  Ma  come accade  a milizie  receuti , raccolte  per  la  circostanza  alla rinfusa  di  mezzo  a villani  e cittadini , privi  in  gran parte  di  arme  o di  sperienza  , non  ebbero  cuore  nem- men  di  venire  alle  mani  : e perturbatine  i più  fin  dal primo  avventarsi  de’  Romani , non  reggendo    al  suono delle  arme  percosse , nè  ai  gridi , preludio  della  batta- glia , tornarono  con  dirottissima  fuga  in  città.  Dond’  è che  incalzati  dalia  cavallwia  ne  perirono  molti  nello stretto  de’  sentieri , e più  ancora  mentre  a gara  si  cac- ciano tra  le  porte.  A tale  disastro  accusarono  i Yolsct sestessi  d’ imprudenza , nè  più  tentarono  di  cimenUrsi. Li  capitani  però  che  tenevano  in  campo  aperto  le  mi- lizie dei  Yolsci  e degli  Equi  all’  udire , com’  erano  in- vestite le  loro  città,  deliberano  di  fare  ancor  essi  alcuna magnanima  impresa , levandosi  dalle  terre  de’  Latini  e degli  Eroici  , e marciando  «on  quanta  avean  furia  e prestezza  su  Roma.  .Ancor  essi  avean  mira  che  rinscisse loro  r uno  o 1’  altro  de’  due  belli  disegni  , cioè  d’  inva- dere Roma  ,improvvista  , o di  richiamarvene  le  armate di  lei  dai  loro  territori,  necessitando  ti  consoli  a soc- correr la  patria.  Su  tale  pensiero  marciarono  a gran fretta  per  essere  inaspettati  su  Rotna , coll’  effetto  del- r opera. Avvicinatisi  di  nuovo  al  Tuscolo,  udendo  che le  mura  di  Roma  erano  tutte  piene  di  arme,  e che  in antecedente  aveva  tentalo  il  primo  d’  iikrodiuTe  tale eguaglianza  ; ma  dovette  lasciar  I*  opera  imperfetta,  tro-; vandosi  U gran  numero  del  popolo  nell'  armata  in  sai' campi  nemici , tenutovi  ad  arte.  ,da’  consoli  , finché  il tempo  finisse  del  loro  governo. IL  Postisi  quindi  a tale  impresa  il  uibubo  Aulo  Veo- ginio’e  li  colleghi , t voleano  consumarla:  ma  i consoli, col  Senato, e . con  ■ altri  in  città . più  potenti  adoperavansi costantemente  per  ogni  maniera  ,,  affinchè  ciò  non  seguisse , nè  dovessero  governare  secondo  le  leggi  : e.  più volle  sen  tenne  1’  adunanza  del  Senato,  piA  volte  quella del  popolo  ; facendo  i lor  magistrati  ogni  sforzo  gli  uni contro  degli  altri  ; doiid’  era  a tutti  viàbile  che  verreb!>e da'  tanto  Jisàdio  alla  città  disastro  insanabile  e grande. A tali  |>resagj.  dai  canto  degli  uomini  agglongevansi  i terrori  dal  canto  del  cielo  , d’  alcuni  de'  quali  non  Iro- vavansi  L àmili  ne’  pubblici  scritti , né  , par  monumento qualunque.  Ben  trovavanà  occorse  ancora  in  antico  e coiTuacazioni  soorrenti  pelcielo  ed.  accensioni  fissa  in  un luogo,  muggiti  e scosse  continue  delia  terra,. e larve qua  e-    vaganti  per  l’aere,  e voci  desolatrioi , e cose alirallali:  ma  ciò  che  non  erasi  mai    sperimentalo-  nà udito,  e che  più  che  lutti  perturbava.,  era  che  il  cielo navigò . dirottamente  pQn- già  con  nembo  , dii  neve  , ma con  brani,  più  o men  grandi  di  carne;  che  tali  cairn momot , ltrio  di  ''contndirla  fino  al ritorno  del  terso  mercato.  Or  molti,  d^l  Seoatè  giovani e vecch) , nè  giè  de’  più  dispregevoli , la  contraddissero per  più  giorni  cou  as^ai  studiati  discorsi.  Stanchi  poscia 1 tribuoi  per  tanto  consumarsi  di  tempo , più  non  per> misero  che  altri  aringasse  in  contrario:  ma  predesti» Dando  il  giorno  nel  quale  espedire  la  legge , invitarono i plebei  a raccogliersi  appunto  in  quello , giacché  non sarebbero  più  conturbati  dalle  lunghe  concioni , ma voterebbero  su  di  essa  per  tribù.  Cosi  promisero , e sciolsero  4’  adunanza. Dopo  ciò  li  consoli  e li  patrizj  più  potenti  an- datine più  esasperali  ad  essi  reclamarono , e dissero  che non  permetterebbero  che  introducessero  leggi  senza previo  decreto  del  Senato  : SSSMUS  IM  lecci  t patti DELLE  ANTICHITÀ’  ROMANE DSL  COMVNS  DELLB  ClTtjC  IfOTf  DI  ONA  PARTE  DS~. GLI  ABlTAafl  DI  QUESTE  : CHE  QUAWDO  LA  PARTE-, MEIf  SANA  VI  da'  leggi  ALLA  MIGLIORE  A PRSf.UDlO MANIFESTO  DI  DANNO  TRISTO,  INSANABILE , SCON» GISSIMO. Quale.  , aggiuDgevaQO  qtuU  potere  avete  voi o.  tribuni  di  far  leggi  o distruggerle  ? Voi  non  avete con  questi  diritti  ricevuta  dal  Senato    magistratura: voi  chiedeste  il  tribunato  in  difesa  de'  poveri  offesi o soverchiati , non  per  altra  briga  niuna.  Che  se  aveste già  prima  tal  potenza  cedendo  il  Senato  ad  ogni  vo- stra pretensione  ; non  C avete  voi  questa,  perduta  col mutar  dei  comizj  ? perciocché  non  i Pereti,  del  Sor- nald',  non  i voti  dati  per  centurie  destinano  voi  per tiibuni: voi  non  premettete  ai  comizj  per  la  vostra creazione    i sagfijicj  dovuti  per  legge  , né  altri  os- sequj  verso  de'  numi  , nè  pietose  -opere  verso  degli uomini.  Come  a voi  si  appartiene  far  cose  ( quali  ap- punto  sono  le  leggi)  che  ahbisognavtmo' di  culto  e di sagrifizj  di  un  dato  rito , se  i riti  tutti  violate  f Coai «lissero  ai  tribuni  i patrixj  seniori , cosi  li  giovani , .che andarono  cinti  da  un  seguito  per  la  città  : e rìcuperà^ rono  colle  dolci  i cittadini  più  miti  spaventando  i ca-, parbj  e K turbolenti  se  non  faceano , senno,  col  terroc de’  pericoli  : anzi  battendo  come  schiavi , ed^  escludendo dal  Foro  alcuni  de’ più  bisognosi  ed  abjelti,  i qualt non  curavano  se  non  l’ utile  proprio.  • V.  L’  uno  di  quelli  ebe  ebbe  maggior  seguilo , e che poteva  aUora  più  di  lutti  i giovani  fu  Quinzio  Cesone, figlio  di  Lucio  Quinzio  chiamato  Cincinnato , nobile , Straricco , bellissimo , valentissimo  nelle  armi , e nel  dire« Or  questi  molto  allora  si  scaricò  su'  plebei , non  aste* nendosi'    da  parole  , molesiissitne  ad  uomini  liberi  , nè  da’  fatti  corrispondenti  alle  parole,  Pertanto  i pairizj lo  onoravano,  e ^istigavanlò  più  a tener  fronte  ai  perìcoli , promettendogli  sicurezza  essi  stessi  : ma  i plebei r odiavano  più  che  ogni  altro.  Or  da 'un  tal  uomo  risolverono liberarsi  * i tribuni  avanti  tutto  per  abbattere in  esso  gli  altri  giovani  , e necessitarli  ad  esser  più  savj. Ciò  risoluto , e preparati  assai  discorsi  e lestimon}^ , lo dtardno  come  reo  di  pubblica  * offesa  per  punirlo  'di morte.  Intimatogli  di  presentarsi  al  popolo,  venutone  il giorno , e convocata  1’  adunanza  , perorarono  a lungo coofra  lui  ; nunierando  tutte  le  violente  fatte  , ed  alle- gandone gli  offesi  stessi  per  teslimonii.  -Or  .qui  data  li- cenza di  parlare  ; il  giovine  chiamato  a difendersi  non ubbidiva  : ma  volea  soddisfare  ai  privati  in  'quanto  di- ceansi  oltraggiati  da  loi  > secondo  le  leggi , tenutone  il giudizio  innanzi  de’  consoli  : ma,  il  padre  di  lui  vedendo i plebei  sofferime  malamente  le  ritrosie , prese  a difen- ’^erlo  egli  stesso  ; dimostrando  le  tante  delle  accuse  coqic false  f ed  insidiose  , e dimostrandole , . quando  negar  non poteansi , come  picciole  , leggere  , nè  dégne  dell’  ira  del popolo , e su  cose  , fatte  non  per  trama  o disprezzo , ma  piuttosto  per  enfasi  giovanile  di  gloria.  Per  questa diceva  eh’  eragli  occorso  talora  di  fare  e tal  altra  di  pa> rire  forse  incautamente  nelle  contese;  non  essendo  lui nel  fiore  degli  anni  e del  senno.  Pertanto  pregava  il popolo  non  solamente  che  non  se  gli  adirasse  pel  di- scorrere suo  , ma  che  giel  condonasse  in  vista  delle  belle gesta  di  esso  le  quali  operarono  fra  le  armi  la  libertà de’  privati  ed  il  comando  della  patria  , ed  invocavano fin  d’  allora  per  lai  quando  Avesse  mancato  la  clemenaa ed  il  soccorso  di  tcuti.  E qui  narrò  le  campagne  da  lai sosténute  , -e  le  battaglie  nelle  quali  avea  riportato  dai capitani  la  corona  de’  prodi , quante  volte  eravi  stato  la diiesa  de’  cittadini , e quante  avea  primo  salito  le  mura de’  nemici  : da  ultimo  ri  rivolse  ad  impietosire  e scon- giurare il  popolo  in  riguardo  della  modera^'one  sua verso  tutti , e del  vivere  ‘suo  conosduto  sempre  come innocente  ; chiedendo  che  in  grazia  almeno  gli  salvas- sero il  figlio.  ' ' ' VI.  Compiacevasi  il  popolo*  a tali  discorsi  , e delibo- ravasi  rendere  H 6glio  al  padre.  Se  non  che  riflettendo Yerginio  che  se  costai  non  subiva  le  pene  ; ne  diver- rebbe intollerabile  1’ audacia, e la  caparbietà  de’ giovani, sorse  e disse  : Contestata  o Quinzio  è la  tua  virA , la tua  benevolenza  verso  del  Spopolo  e te  ten  debbe  tutta la  stima:  ma  la  molestia , e la  insolenza  di  codesto  tuo figlio  verso  tutti  non  ammette  escusàzione  o perdono. Egli  educato  con  la  tua  disciplinà    discreta,  cpme  tutti sappiamo  , e si  popolare  ; ne  abbandonò  gli  ammae- stramenti e seguì  V arroganza  de  tiranni , - e la  sfre- natezza de' barbari , portando  in  città  gf  incentivi  a tristissiiHe  opere.  E sia  che  tu  noi  conoscessi  per tale  ; ora  che  tei  conosci  ben  dei  con*  noi  e per  noi concitartene  : che  se  per  tale  il  sapevi , e lo  coadiu- vavi in  quanto  egli  inviliva  ognora  pià'  la  sorte  dei poveri  ; eri  anche  tu  lo  scellerato  , e mal  souavati intorno  la  fama  di  uom  probo.  Afa  tu  non  vedevi ( ed  io  stesso  potrei  contestartelo  ) quanto  egli  dalla .  . a3i tma  uirtà  degenerava.  Sebbene  io  tenga  però , che  al- lora tu  non  partecipavi  con  esso . nelF  offenderci  ; dolgomif  che  ora  come  noi  non  te  ne  sdegni.  Ma. perchè  tu  meglio  conosca  qual  niostro'  abbi  nudrito senza  avvedertene  contro  la  patria,  quanto  tirannico, c non  . puro  nemmeno  tlal  sangue. . dk'  cittadini  ^ odi la  egregia  opera  sua  , e contrapponi  a questa , se puoi  , U bellici  suoi  prèmji  E voi , quanti  siete  imo pioto  siti  al  pianger  di  un  padre  , considerate  se  stia bene  che  risparmisi  un  tal  cittadino.  ' • VII.  E qui  fe'  cenno  a Marco  Volscio  T uno  de’  suoi colleghi  perchè  sorgesse  e dicesse  quanto  sapeva  di  quel giovane.  E fatto  silenzio  , e grande  espettazioiie  ; V(d> scio  soprastando  alcun  poco-,  disse  : Oltraggiato , e pià che  oltraggiato  che  io  fui  da  quest’uomo , ben  avréi voluto  pigliarmene  , o cittadini , le  pene  che  ut  erano concedute  dalle  leggi  : ma  impeditovi  allora,  dalla mia  debolezza  , dalf  esser  mio  di  plebeo  , prenderò ora  che  mi  è dato  f le  parti  di  testimonio  , se  quelle non  posso  di  accusatore.  Udite  le  acerbità , le  inde- gnità che  men  ebbi.  Era  Lucio  , fraltel  mio  , ,che  io amava  piti  che  tutti  i mortali  Avea  \ questi  cenato mecò.  presse  di  un  amico  , quando  al  giungere  della notte  di  levammo  , e partimmo.  E già  passavamo  per il  Foro  , quando  si  abbattè  con  noi  codesto  petuUui- ,te , seguito  da  giouani  pari  suoi:  li  quali,  ebbrj  ed 'arroganti  che  erano , beffarono  ed  insultarono  noi , quanto,  insultato  e beffato  avrebbero  i meschini  e gli .ignobili.  Così  provocati  j V uno  di  noi  parlò  liberis- simamente. Or  codesto  Cesane  estintando  . ria  cosa ttdire  ' ciocché  non  voleva  , gU  s'  avventò  , lo  battè  : e mainìenalolo  con  i calci  e con  ogni  guisa  di  sevizio^ e cT  ingiurie;  io  uccise.  Ucciso  lui,  manomise  ancor me , che  ne  gridava  , e ne  repugnava  quanto  io  po~ tev'a  : nè  mi  lasciò  , se  non  dopo  credutomi  estinto  , ài  vedermi  immobile  in  terra  , e senza  voce.  Allora se  no'  andò  giubilando  come  per  bellissima  prova  ; ed  allora'  gli  astanti  raccòlsero  noi  lordi  dal  sangue  j e riportarono  a casp  Lucio  il  fnio  fratello  , morto  , come  ho  detto  , e me  presso  che  morto  , e che  certo ornai  poco  sperava  di  sopravvivere.  Occorse  ciò. sotto i consoli  P^ublio  Servilio  , e Lucio  Ebuzio  , quando spaziava  in  Boma  la  ff-an-' pestilenza,  alla  quale  era- vamo soggiaciuti  atKor  noi.  Quindi  non  potei  diman- darne ragione  , morti  /essendo  i consoli  tutti  due.  Suc- cederono  poi  consoli  Luaezio  e Tito  Terginio.  Io voleva  allora  ' citarlo  in  giudizio  ; ma  ne  fui  impedito dalia  guerra , fasciando  ambedue  per  essa  la  città. Jiitomati  .questi  dal  campo  , quanto  volte  16  citai presso  de*  òiagittrati , quante  volte  mi  vi  accostai , tante  ( e ben  molti  lo  sannò  ) fui  da  esso  ferito.  E questo, 'o  popolo  , che  io  ne  ho  tollerato,  questo  vi ho  detto  con  tutta  la  verità.  • ■ ' ' . Vili.  Alzarono  a quel  dire  , gli  astanti  le  grida  , (eo- landone  molti  la  vendetta  colie  lor  inani.  Ma  vi  si  op- posero i consoli , ed  i più  de’  tribuni , alieni  che  in  città s’  introducesse  la  tea  consuetudine  ; tanto  più  che  la parte  più  sana  del  popolo  non  voleva  che  si  toglicssero le  difese  a chi  pericolava  in  giudizio  della  vita.  La  cura duirque  della  ginsUzut  represse  allora  gii  empiti  della  iur scienza  , ed  il  giudizio  fii  differito  non,  senza  conten- zioni e dobbj  non  piccioli,  se  dovesse'  intanto  il  reo serbarsi  neiia  carcere , o dare  i mallevadori  per  la  sua dimissione  , come  il  padre  di  lui  dimandava.'  Il  Senato adunatosi  decretò  che  se  no  desse  malleverìa  • sotto  ob-> biigazion  pecuniaria  ; ed  egli  libero  andasse  finché  di lui  si  giudicasse.  Or  mancando  il  giovine  di  comparire  • al  suo  tempo  ; . i tribuni  convocarono  il  giorno  appresso la  molthndine  , e contro  lui  sentenziarono  ; dond’  è che i mallevadori , eh’  eran  dieci , pagarono    multa  conve- nuta in  sicurezza  delia  sua  presentazione.  Colto  dunque fra  tali  insidie  dai  tribuni  che  guidavano  tutta  la  trama  , colle  itestimobianze  di  Volscio  , che  poi  false  si  riconób- bero , Cesone  fuggi  nell’  Etruria.  Il  padre  di  lui  venduto il  più  di  sue  cose , e rintegrati  i mallevadori  delle  multe obbligate  visse  tra  il  disagio  e lo  stento  in  un  poderétto; che  aveasi  con  picciolo  abituro  lasciato  di    dal  Tevere, coltivandolo  con  ponchi  servi,    più  rècandosi  in  città per  1’  afflizione,  b la  inopia,    riabbracciando  gli «mici , né  iniramettendosi  -a  festa  , o ricreazione  niuna. Ai  tribuni  però  succedé  ben  altro  che  le  loro  speranze: imperocché  non  .solo  qon  se  ne  chetò  pér  alcun  modo la  gioventù  contenziosa  ammaestrata  dai  mali  di  Cesone  ; -ma  ne  imperversò  più  ancora , contrastando  co'  detti  e co’  fatti  la  legge;  talché  non  poterono  affatto  stabilirla, cousumandosi  in  brighe  la  loro  magistratura.  Pertanto il  popolo  confermò  pel  nuovo  anno  i tribuni  medesimi. ' fX.  Ascesi  ai  grado  consolare  Valerio  Popiicola , e Cajo  .Claudio  Sabino  (i),  Roma  corse  in  pericoli  « quanti (i)  Anoo  di  Roma  39!  secondo  Catons , 396  secondo  Varrone, c 4''8  av.  Cristo. uiai  più  ^ per  la  guerra  cogli  i esteri , attiratale  dalle  d!«i «cordie  domestiche , come  af  eano  j preoooziato  i libri sibillini,  e li  segui  dimostrati  1’  anno  precedente  dai numi.  Io  sporrò  cagione,  che  suscitò  U guerra , e ciò che  fu  per  queau  operato-  allora  da’  consoli.  Li  tribuni preso  di  nuovo  il  lor  grado  su  la  speranza  di  fondare la  legge  , vedendo  console  Ca)o  Claudio  pieno  di  odio ereditario  contro  del  popolo,  e sollecito  per  ogni  guisa nd  impedire  quanto  facevano  ; e vedendo  i più  potenti de’  giovani  trascorsi  -iu  fùria  manifesta  da  non  combatterli colla  forza , ed  i più  della  plebe  obbligati  da'  servigi de’  patrizj , e rimasti  senza  il  primo  ardore  per  la  leggQ deliberarono  spingersi  all’  intento  con  mezzi  più  risoluti , onde  atterrire  quei  della  plebe , e far  desistere  il  console. Su  le  prime  procurarono  spargere  voci  varie  per  la  città, poi  sederono  da  mattina  a sera  coosultaudosi  visibiloRate senza  comunicarne  ad  alcuno    consigli    parole.  Ma quando  parve  loro  tempo  di  .eseguire  i disegni,  finsero delle  lettere  ; facendosele  recare  mentre  sedeano  nel  Foro da  un  ignoto.  E come  prima  Je  lessero  , , battendosi  la .fronte  , e contristandosi  ne’  set^bi^nti  ; levaronsi  in  piede. Accorsa  gran  moltitudine,  ed  insospettitasi  che  fosse  in quelle  lettere  indicato  alcun  grande  infortunio,  essi  or* dioaroiio ,pe’ banditori  silenzio  e dissero;  La  repubblica o cittadini  sta. negli  estremi  pericoli.  E sé  la  benevo^ lenza  degl  iddj  non  avesse  provveduto  a chi  era  per. incorrervi  : noi  tutti  saremmo  in  fetali  sciagure.  Chie- diamo che  vi  tfiniale  qui  breve  tempo , finché  riferiamo al  Senato  eiocohè  ne  si  avvisa,  e facciamo  di  cornuti volo  oiocché  si  debbo  ; E ciò  detto  , ne  andarono  ai consoli.  Frattanto  che  il  Senato  si  radunava,  faceansi pel  Foro  molti  e svariati  discorsi;  ripetendo  altri  appo> stalaroente  ne’crocchj  ciocché  era  stato  intimato  loro da’  tribuni  ; ed  altri  pubblicando  , come  detto  ai  tribuni, ciocché  temeano  essi  stessi  , che  succedesse.  Chi  dicea che  i Volsci  e gli  Equi  aveano  accolto  Quinzio  Cesone il  giovine  condannalo  dal  popolo  , creandolo  comandante assoluto  delle  due  genti  e che  leverebbe  .gran  forze  e marcerebbe  contro  di  Roma:  echi  dicea  che  quel  gio- vine d’  accordo  cp’  patrizj  tornava  con  esterne . milizie  , perché  si  abolisce  una  volta  per  sempre  il  magistrato che  era  il  presidio  de’  plebei  : altri  aggiungeva  che  eosì non  sentivano  tutti  i patrizj  ma  i giovani  soli:  e. vi  fu chi  ardi  fino  dire  che  colui  si  stava  occulto  in  città  , e che  occnpenebbe  i posti  più  acconci.  Ondeggiando  cosi tutta  la  città  per  |a  espeUazioue  de’  mali , e sospettan- dosi tutti , e guardandosi  gli  uni  dagli  altri  : i consoli convocano  il  Senato  : ed  i tribuni  vengono  e palesano ciocché  avvisavasi  loro:  parlava,  per  tutti  Aulo  Yerginlo e disse  : - „ >>  • f > X.  Finché  gli  annunzj  che  ci  si  davan  de'  medi  ^ ci  sembrarono  non  accureUi , ma  vani  e senza  fondai mento  , sdegnefmmo  o padri  coscritti , di  pubblicarlit tal  timore  che  non.se  ne  eccitassero  grandi  txirba- menti , come  sogliono  , alP  udirsi  triste  cose  , e con riguardo  di  non  essere  da  voi  creduti  anzi  precipitosi che  savj.  Non  però  lasciammo  tali  annunzj , trascu^ rondo  li  eiffaUo  : anzi  ne  abbiamo  i investigata  la  ver rità , quanto  per  noi  si  potè..  Ora . poiché  la  provit denzu  celeste , la  quale  ci  ha  ‘sempre  salvato  la  repubblica , ci  benefica  p svela  i segreti  consigli  y e le ree  macchinazioni  di  uomini  nemici  agt  iddj  , e te- niamo fin  delle  lettere  che  abbiamo  di  fresco  ricevute in  pegno  di  benevolenza  da  ospiti,  che  voi  poscia adirete  ,*  e poiché  concorrono  e concordano  gC  indizf Interni  con  gli^  altri  di  fuori , e gli  affari  che  abbiam tra  le  mani  non  ammettono  più.  indugio  e riserva  i deliberiamo  , com’  è giusto  , palesarli  a vói , prima che  al  popolo.  Sappiale  dunque  che  hanno  contro  il popolo  congiuralo  uomini  non  ignobili , tra'  quali  di- pèsi-esser  parte,  non  grande  però,  degli  anziani, ascritti  al  Senato  , ma  più  grande  de’  cavalieri  che ascritti  non  vi  sono  ; e questi , quali  siano  , non  è tempo  ancora  di  rivelarlo.  Questi , come  udiamo  , colta  una  notte  oscura,  sono  per  assalirci  tra’l  son- no , quando    può  risapersi  ciocché  è fatto  , nè  va- Uomo  a congregarci  e difenderci.  Fermi  sono  d'in- vestire ‘e  di  uccidere  nelle  case  noi  tribuni  e quei plebei  che  st  opposero  iy  o fossero  mai  per  opporsi ad  essi  circa  la  libertà.  Quando  avran  tolto  noi , pensano  di  aver  da  voi  ciò  che  resta , sicurissima-  ' mente  , cioè  che  revochiate  di  comun  voto  le  concessioni da  voi  fatte  alla  plebe.  Fedendo  però  che  han bisogno  per  compiere  ciò  di  prepararsi  occultamente una  milizia  di  fuori , e non  piccola  , si  hanno  eletto capo  queir  esule  nostro,  quel  Ceso» e , convinto  del- V eccidio  di  cittadini , e della  discordia  della  città , • e pure  fatto  per  alcuni  di  qua  entro  , fuggir  salvo dal  giudizio  e da  Roma , con  promettere  di  procurar- gli il-  ritorno  , magistrature  , onorificenze , ed  altri, compensi  de' servigj.  E questo  Cesene  ha  protnesso di  conduf  loro , milizia  di  Equi  e di  Eplsci , quanta abbisognane.  Egli  verrà  tra  non  molto  co’  più  audaci, introducendoli  a pochi  a pochi  e '.sparsamente  in  ci/r tà:  l^  altre  milizie,  quando  saremo  periti  noi  capi del  popolo  si  avventeranno  su  gli  alpi  del  popolo stesso , i quali  difendessero  ancora  la  libertà.  Queste, o padri  coscritti  sono  le  terribili , le  impurissime opere  che  disegnano  far  tra  le  tenebre , senza  temere r ira  degli  iddj , nè  riguai  dare,  la  vendetta  degli uomini.  Agitati  da  tanto  pericolo  , a voi  ne  veniamo supplichevoli , o padri,  voi  scongiuriamo  per  gf  iddj, voi  pe  genj  adorati  dalla  patria , voi  per  la  memoria dei  tanti  e gravi  nemici  da  noi  combattuti  in  coma-, ne,  affinchè  non  lasciate  che  noi  patiamo  le    dure, ed  indegnissime  offese  : ma  v’  'empiate  come  noi  di risentimento , e ne  soccorriate , e puniate  , come  delf~ Lesi,  tali  macchinatori  tutti , o nei  capi  almeno  della infame  congiura.  E prima  che  tutto  , dimandiamo  o padri  che  decretiate,  come  è giusto,. che  inquisiscasi da  noi  tribuni  su  le  cose  deferiteci;  perciocché  oltre, la  giustizia , la  necessità  dee  rendere , inquisitori  di-, agentissimi  gV  investiti  dal  pericolo.  Che  se  alcuni tra  voi  son  disposti  di  non  compiacerci  punto , anzi di  contrariarne  in  , quanto  vi  diciamo  del  popolo  ; volsntieri  conoscerò  da  essi  quale  vi  disgusti  delle. nosVe  dimande , e ciò  che  vogliate  da  noi  finalmente Che  non  facciamo  forse  niuna  ricerca , ma  trascu~ riamo  la  si  bufa  e si  rea  tempesta  che  pende  sul popolo  ? E chi  direbbe  li    fatti  decisori  esser  sani, e non  corrotti)  e non' partecipi  della  congiura  anzi chi  non  direbbe  che  temono  per  sestessi  , temono  di essere  scoperti , e quindi  scansano  che  si  esamini  • il vero  ? Perciò  non  debbesi  attendere  a tali  uomini.  O vorranno  forse  che  non  siamo  noi  gl'  inquisitori 'di dò;  ma  il  Senato  e li  consoli?  Ma  che  impedirebbe che  i tribuni  pure  dicessero , che  a loro  che  han preso  a difendere  il  popolo  / a loro  si  spetta  la  in- quisizione de*  plebei , se  alcuni  mai  congiurassero contro  de'  padri  e de'  consoli , e macchinassero  la rovina  del  Senato  ? Or  che  seguirebbe  da  ciò  ? que- sto appunto  , che  mai  la  indagine  si  farebbe  ma- neggi  reconditi.  Noi  però  mai  ciò  nort  faremmo,  per- chè sospetta  ne  sarebbe  f ambizione  : e così  voi  non bene  adopererete  dando  mente  a coloro  che  non  vo- gliono che  noi  pure  slam  pari  a voi  ne’  casi  nostri , per  fare  F esame;  ma  benissimo  adopererete  riguar- dando questi , come  nemici  comuni.  Al  presente , o padri  coscritti , niuna  cosa  tanto  bisogna  , quanto  la sollecitudine:  glande,  imminente  è il  pericolo;  e C in- dugio a salvarsi  è sempre  intempestivo  ne’  mali  che non  indugiano.  Lasciando  dunque  le  altercazioni , e i lunghi  discorsi  decretate  ornai  ciocché  F utile  vi sembra  della' repubblica.  eraoo  i padri  come rìsolfere:  e riflettevano  seco  stessi,  e ripetevano 'fra loro  , come  fosse  ugualmente  arduissima  cosa  concedere e non  concedere  ai  tribùni  di  fare  inquisiaione  su  loro, in  affane  comune  e gravissimo.  Ma  Cajo  Claudio  1’  uno  ajg de*  consoli , che  tenea  per  obliqua  quella  loi^  propo- sta , sorse  e disse  : iVon  penso , o Kergìnio , che  co- storo sospettino  me  come  partecipe  della  congiura  che dite  macchinata  cantra  voi , e cantra  il  popolo  e sospettino  che  io  sorga  a contraddire , perchè  temo  per me  o per  alcuno  de  miei  che  n è complice  ; giacché il  tenore  della  mia  vita  esclude  in  tutto  da  me  tali sospetti.  Io  dirò  sincerissimamente  e sema  riguardi ciocché  reputo  £ utile  del  Senato  c del  popolo.  Molta , anzi  affatto  s’  inganna  Ferginio  , se  concepisce  che alcun  di  noi  sia  per  dire  ohe  si  lasci,,  sema  discu- terlo , im  tal»  affare    grande  e necessario  ; e che non  debbono  aver  parte , nè  star  presenti  alla  inda- gine i magistrati  del  popolo.  Niuno  è sì  stolido  , niuno    malevole  al  popolo  che  voglia  ciò  dire:  Che se  dunque  alcun  chiede , qual  ne  ho  male  , ohe  in- sorgo contra  cose  che  io  concedo  per  giuste; e che presumo  io  mai  col  mio  dire  ; io  , viva  Dio , ve' lo esporrò:  Io  penso,  o padri  coscritti,  che  i savj  deb- bano considerar  sottilmente  i germi  e le  linee  prime di  ogni  affare  : imperocché  deesi  di  ogni  affare  discorrere secondo  che  ne  stanno  i principj.  Ora  udite da  me  ciocch'  è V intrinseco  del  subietto  presente  , e quale  il  disegno  de  tribuni.  Non  riesce  ora  loro  di ultimare  ninna  delle  cose  incominciate    proseguite nelC  anno  antecedente , perchè  voi  vi  opponete  ad essi  come  allora , nè  pià  il  popolo  li  favorisce.  E ciò conoscendo  cercano  necessitare  voi , sicché  cediate loro  anche  vostro  malgrado , ed  il  popolo , sicché cooperi  a quanto  mai  vogliono.  Ma  per  quanto  se  ne consultassero,  per  quanto  volgessero  da,' ogni  banda, V affare , non  trovando  mezzi  semplici  e buoni  per V uno  e V altro  intento  ; alfine  così  la  discorsero. . » Lainenliamoci  che  alenai  nobili  han  congiurano  di> abballcre  il  popolo  / e di  uccidere  quanti  ne  proca- » nino  la  salvezza.  E quando  avrem  &UO , che  tali  cose, » preparale  da  gran  tempo,  siano. in  cittA  disseminate,; » e sembrino  credibili  «I  popolo  (e  credibili  le  renderà a la  paura)}  allora  fiugeremo  delle  lettere  da  presenti » larcisi  per  un  ignoto  in  presenza  di  molti.  Ne  amdre> » mo  quindi  In  Senato,  ci>  sdegneremo,  ci  dorremo, » e cercheremo  il  poter  d’ inquisire  su  le  dinunzie  dateci. » Se  i patria)  ci  si  oppongono,  prenderemo  ‘da  indi » ^argomento  di  calunniaiii  presso  del  popolo;  ed  il a popolo  esacerbato  contro  di  essi  diverrà  ^ propizio  a X .quanto  noi  vogliamo.  Che  se  cel  concedono  leveremo X di  città , come  trovati  complici , i più  misgnanimi  frA » loro , e più  nemici  nostri  , vecch j ^o  giovani.  Impe- » rocchè  coloro  intimoriti  di  essere  condannati  o pat- » tuiranno  con  noi  di  non  più  contrariarci  ; o saran » costretti  a lasciare  la  patria  : e co^  la  fàzipn  contrap- » posta  sarà  desolata  ». XIII.  Tali  sono  i loro  disegni p padri  coscritti,  e quando  li  vedevate  che  sedeano  o consultavano  ^ al~ lora  tesseano  C inganno  contro  i più  riguwrdevoli  tra, voi,  allora  complicavan  la  rete  contro  i cavalieri  più puri.  E che  ciò  sia  vero  ; presto  ve  lo  dimostro.  Dì , yèrginio  , dite  voi , su  quali  pende  il  pericolo  , da quali  ospiti  aveste  la  lettera  ? dove  abitano , come  vi conoscono',  come  seppero  tali  nostre  cose  ? Perché differiste  a svelare  i lor  nomi , perchè  prometteste dirceli  poi , nè  li  avete  già  detti  ? Qual  fu  V uomo che  vi  portava  le  lettere  ? che  noi  menate  voi  qui  y sicché  su  lui  cominciamo  a diicutere , se  vere  elle siano  y o se  piuttosto  , come  io  penso  finte  da  voi  ? E gt  indizj  interni  che  si  accordano  co’  segni  di  fuori quali  sono  mai  questi?  o chi  mai  ve  li  diede  ? Per- chè ne  celate , non  ne  pubblicate  le  prove  ? Se  non. che  mal  si  trovano  prove  di  cose  che  non  furono mai come  io  credo  , nè  mai  saranno.  Questi  o pa- dri coscritti  non  sono  indizj  di  una  congiura  contro loro  ma  piuttosto  delle  insidie  e del  mal  animo  che essi  covano  contro  di  voi  , come  C affare  dichiaralo  • per    stesso.  Ma  voi  siete -di  ciò  la  causa,  voi  che concedeste  loro  le  prime  cose,  e portaste  a tanta  po- tenza codesto  insano  1 loro  magistrato , quando  lascia- ste nell’  anno  antecedente  che  giudicassero  per  falsi titoli  Quinzio  Cesone  y 'e  soffriste  che  strappasSer dal  seno  un  tanto  difensor  de'patrizj.  Da  ciò  nasce che- pili  non  serban  misura , nè  tolgon  di  mira  i no- bili ad  ano  ad  uno,  ma  investono  e scacciatio  in  un globo  tutti  i migliori  della  città  : E- ciò  che  è peggio  j non  permettono  nemméno  che  contraddiciate  Biro  , e V atterriscono  con  darvi  per  i sospetti  , e calunniarvi come  complici  de’ segreti  disegni  ^ con  dirvi  ben  tosto inimici  del  popolo  , e citarvi  al  popolo  stesso  , per- chè -subiate  la  pena  de’  discorsi  qui  fatti.  Ma  su  ciò diremo  altrove  pià  acconciamente.  Ora  per  istringere e non  prolungare  il  discorso  , ammoniscavi  che  vi PTOIftCr  , tomo  in.  ' it guardiate  da  codesti  turbatori  di  'Jioma  , dti  codesti seminatori  de’  mali.    celerò  già  al  popolo  quanto qui  dico  ; ma  gli  sporrò  liberissimo  che  non  pendo su  lui  niente  di.  male  , se  non  quanto  glien  fanno  i tristi  ed  insidiosi  ..tribuni , benevoli  ne'  sembianti  e nemici  ne' fatti.  Sorse  al  dire  del  console  clamore  m» tomo  ed  applauso  ben  grande , e sciolsero  1’  adunanza senza  ^pertncHve  che  '^pià  i tribuni  parlassero.  Dopo  ciò Yergiaio  convocato  il  popolò,  vi  accusò  il  Senato  ed  i consoli.  Ma  Clandio  ve  li  escusava  apptmio  co’  discorsi tenuti  in  Senato.  Presero  i più  discreti  del  popolo  per vana  quella  paura:  ma  i più  sjolidi  per -vera,  credendo le  dicerie  : e quanti  ne  erano  I più  soellerali , ^anti  i più  bisognosi  ognora  di  un  cambiamento , vi  xercaròno un  pretesto  -di  sedizione , je  di  torbido  , doù  che  mi> ressero  a far  disceraere  il  Vero  dal  falso. Intanto  un  Sabino  non  ignobile  di  lignaggio  , potente  in  averi  (Appio  Erdonio  ih  chiamavano.)  si pose  in  cuore  di  - abbattere  la  potenza  romana  , sia  che ne  cercasse  per    la  tirannide  , sia  che  una  grandezza ed  un  dominio,  ai -Sabini,  sia  che  tina  fama  luminosa al  suo  nome.  Comnni'catosi,  in  quanto  a tale  idea,  con' molti  amici , divisata    maniera  dell’  impresa  , ed  ap- provatone ; riuni  li  clienti , e li  più  baldanzosi  de’  servi suoi.  Concentrati  In  poco  tempo  intorno  a quattro  mila uomini , ed  apparecchiate  arme,  viveri  , e quanto  biso- gnava per  una  guerra,  gl’  imbarcò  su  legni  fluviali.  ?ia- vigando  sul  Tevere  , gli  approssimò  a Roma  dalla  ban- da, ove  sorge  il  Campidoglio  , non  lontana  nemmeno uno  stadio  dal  fiume.  Era  la  notte  in  sul  mezzo:  ed  in » Roma  calma  grandissima.  Egli  dunque  al  favore  di  queo  ottenuti  i luoghi  piu  acconci,  ricever^  gli  esuli,,  liberare,  gli  schiavi, sdebitar  con  promesse  i poveri , e consociare  a sestesso 4utti  gli  akti  cittadini  clie  dal  basso  loro  stato  invidia- vano ..ed  odiavano  i potenti,  e seguivano  con  diletto  la mutazione.  La  iipniagine.  che  deludevalo  intanto  che  lo isperariziva  di  ottenere  quanto  aspettava , era  la  civil sedizione,  per  la  quale  concepiva  che  più  non  vi  fosse amicizia  , nè  ligame  tra  i plebei  e tra’  patrizj.  Che non  fosse  a lui  riuscita  ninna  di  tali  cose  r allora  dise- gnava chiamare  con  tutte  le  milizie  i Sabini , i Yolsci ed  altri  vicini , quanti  voleano  iredimerst  dal  giogo  ese- crato de’  Romani.  . ^ ' XV,  Occorse,  però  che  s’ ingannasse  in  lutto  ; jmpe«> aocchè    si  diedero  a lui  gli  schiavi,    gli  esuli  ripa- triaronb,    gl’ indebitati  q disonorali 'anteposero'!’ utile proprio  al  comune,    i sqcj  esterni  ebbero  spaziò  ab- bastanza da  preparare  la  guerra:  giacché  tale  affare,  che diede  tanta  paura  e turbamento  a^  Romani  , ebbe  Gne ben  tosto  ne’  primi  tre  o quattro  giorni.  E per  verità  , presa  appena  la  fortezza  , datisi  gli  abitanti  dei  luoglù (1)  Questa  porta  fu  chiamala  ancora  scellerata  perchè  poterono per  essa  uscire  ma  non  tornare  i Pabj  che  andarono  a Cremerà contro  i Toscani  j come  iuiUcano  Testo  ed  Ovidio.  Fasi.  a. intorao  che  non  erano  rimasti  uccisi  , a gridare  e fug-' gire  ; il  popolo  non  sapendo  che  mai  fosse  , impugnò le  armi , e Corse  parte  ne*  siti  eminenti  y o ne’  spaziosi  , che  eran  molti , della  città , e parte  ne’  campi  vicini. Quanti  perduto  il  fiore  degli  anni  erano  nella  impotenza delle  forze  , salirono  colle,  mogi)  ai  tetti  delle  case  per combattere  di    li  forestieri , parendo  loro  ogni  luogo pieno  di  nemici.  Fatto  giorno,  come  seppesi  che 'erano in  città  prese^  le  fortezze , e chi  prese  le  avesse  ; i coa- soli andarono  al  Foro , e chiamarono  i cittadini  alle arme.  Li  tribuni  convooita  la  ' moltitudine  dissero  che non  voleano  far  cosa  contraria,  alla  patria  ne’ suoi  peri- coli ; ma  che  riputavaào  giusto , che  il  popolo  il  'quale espoùevasi  a tanto  cimento  vi  si  esponesse  con  patti espressi  : Se  i patrìzj  , diceano , promettono  , chiamarti done  mallevadori  gli  Dei,  che  Jinifa  la  guerra  cìoon^ cederanno  di  creare  i legislatori  , e di  vivere  pari  a noi  ne  diritti  per  t avvenire;  liberiamo  con  essi 'la patria  : ma  se  ricusano  ogni  partito  di  moderaziode  ; e perchè  mai  cimentarsi  ?'  perchè  gettile  la  vita , quando  niun  bene' ce  ne  ridonda  ? Mentre  cosi  dice- vano ed  il  popolo  se  >ne  persuadeva  tiè  udiva  le  voci di  chi  altro  gli  suggerisse  ; Claudio . disse  ohe  non  tJ>- bisognavasi  di  tali  che  soccorressero  la  patria  non volontari , ma  per  prezzo  e non  ' lieve  : che  i pcurizj armando  sestessi  e i clienti,  e chiunque  univasi  loro spontaneamente  assedierebbero  le  fortezze  ; Che  se tali  milizie  non  pareano  sufficienti;  ne  chiamerebbero ancora  dai  Latini  e dagU  Ernici  : e se  la  necessità stringesse , prometterebbero  la  libertà  agli  schiavi  :  cAe  infine  inviterebbero,  tutti,  piuttosto  che  quelli  che in  tal  congiuntura  profittavano  della  odiosità  de'  vec~ chj  fatti.  Contraddiceva  a tanto  Valerio  1’  altro  console  : e giudicando  che  non  dovesse  mettersi  in  guerra  coi patris)  la  plebe  già  adirata  con  essi  .-consigliava  che  si cedesse  al  tempo  : si  pretendesse  da'  nemici  esterni  il diritto:  ma  si  usasse  helle  gare  domestiche  equità  e dolcetta,  E sembrato  egli  al  più  dei  padri  di  aver  dato il  consiglio  migliore,  ne  venne  all’ adunanza  del  popolo,e tenutovi  un  ' conveniente  discorso  , lo  ■ terminò  , giu> rando  , che  se  i plebei  si  unissero  a , lui  con  ardore sella  guerra,  q, riordinassero  le  cose  della  città;  con- cederebbe ai  tribuni  di  far  discutere  al  popolo  la  legge che  essi  progettavano  su  la  eguaglianza  ne’ diritti,  e che terrebbe  modo  onde  ciò  che  fosse  à questo  piaciuto  si eseguisse  nel  suo  consolato.  Ma ‘non  portava  il  destinò eh’  egli  adempiesse  alcuno  de’ patti,  seguendolo  ornai  da presso  la  morte. Sciolu  i’ adunanza  , intorno  a’ crepuscoli  ve- spertini accorse  ciascuno  a’  suoi  posti  per  dare  a’  capi  il suo  nome,  ed  il  militar  giuramento;  e fra  tali  due  cure si  consnmò  qncl  giorno  e la  notte  che  lo  segui.  - Nel giorno  appresso  furono  compartiti  e còllocati  da’  consoli i tribuni  sotto  le  insegne  sante , aiTollandovisi  la  niolti- tndine  ancora  abitatrice  della  campagna.  Ordinata  così ben-  tosto  ogni  cosa , i consoli  divisero  le  milizie,  e ne tirarono  a sorte  il  comando.  A Claudio  toccò  d’ invigi- lare innanzi  le  mura  , aIBnché  non  entrasse  in  sussidio altr’  armata  di  fuori  ; perocché  sospettavasi  di  un  moto assai  grande,  e temeasi  che  piomberebbero  forse  tutti  i nemici  su  loro.  Portò  la  sorte  che  Valerio  si  mettesse all’  assedio  delle  fortezze.  Altri  duci  furouò  destinati  sb I di  altri  luoghi  muniti,  interni  alla  città ^ ed  altri  su  le* vie  che  menano  al  Cartipidoglio  per  impedire  che  vi passassero  al  nemico  gli  schiavi  e li  bisognosi  temuti soprattutto.  Non  venne  a Roma  sussidio  di  alieniti  , se non  de’  Tnscolaili , informati  ed  apparecchiati  in  una notte  e guidati  da  Lucio  Mamilio  , uomo  operosissimo , e capo  allora  della  nazione.  Questi  soli  entrarono  con Valerlo  a parte  de’  pericoli  , et  dimostrandovi  Ihtta  la benevolenza  e lo  zelo  ; rivendicarono  con  eSso  le  for- tezze. Diedevisi  da  tutte  le  parti  1’  assalto  : chi  adattava su  le  donde  vasi  pieni  di  bitume  e ■ pece  incendiaria  , e lanciavali  dalle  case  vicine  in  sul  colle  : chi  recava , fasci  di  sarmenti  , e fattine  cumoli  ben  àltj  su  lo  sco- ' sceso  della  rupe  gli  ardeva , lasciando  che  il  vento  ne trasportasse  le  damme:  i più  magnanimi  ristrettisi  nelle Schiere  salivan  alto  di  su  per  vie  manufatte  : ma  la motti(udine  colla  quale  tanto  sorpassavano  1*  inimico  , niente  giovava  ad  essi  che  ascendevano  per  sentiero angusto , pièno  sopra  di  sassi  da  trabalzameli , e tale che  i pochi  vL  divenivano  bastanti  contro  i mólti  : nè la  costanza  acquistala  tra  le  molle  ‘‘guerre  incontro  ai pericoli  valeva  punto  per  chi  rampicavasi  diritto  sa  pei scogli.  Pcroccliò  facessi  la  battaglia  con  colpi  lontani  e Dòn  a corpo  a corpo  onde  moslraiwi  audacia  e forza  ; le  arme  lanciate  da  basso  in  alto  giungevano  , cotn  -è verisimile , se  colpivano , languide  e tarde  ; laddove quelle  scagliate  dall’  alto  in  basso  piombavano  penetranti e piene  , secondandone  il  peso , \ lor  tiri.  Non  però invilivano  gli  assalitori  , ma  persistevano , necessitati , tra'  mali , senza  rèquie  alcuna  diurna  o notturna  : tanto che  mancate  finalmente  agli  assediati  le  arme  e le  forze, dopo  il  terzo  giorno  gii  espugnarono.  Perdeèouo  i Ro« mani  in  questa  battaglia  molti  valentuomini , ed  il  con- sole', valentissfmo , come  tutti  concedono.  Costui  seb- bene ricevute  molte  ferite  , non  si  levava  da’  perìcoli  : ma  saliva  tuttavia  la  rocca , finché  gli  precipitarono  ad* dosso  un  macigno  , che  gli  tolse  • la  vittoria  e la  vita. Espugnata  la  fortezza , Erdonid  robustissimo  che  era  di corpo-,  e bravissimo  in  arme  , destò  strage  incredibile idtornct  di  sé,  ma  sopraffatto  infine  dai  colpi  morì.  Tra quelli  che -avevano  occupato  con  esso  il  castello,  pochi furoRO  pigliali  vivigli  più  trafissero  sestessi,  o perirono precipitandosi  dalla  rupe. XVII.  Finito  cosi  l’attacco  de’ Ladroni,  i tribuni  ri- produssero le  ‘interne  discordie  , chiedendo  dal  console superstite  che  adempisse  le  promesse  circa  la  istituzioa della  legge  fatte  loro  da  Valerio , estinto  nella  battaglia. Trasse  GlandLò  in  lungo  qualche  tempo,  ora  con  espiar la  città , ora  con  fare  agl’  Iddii  sagrifiz)  di  ringrazia- mento , ed  ora  dilettando  il  popolo  con  spettacoli  e giuochi.  Alfine  mancatigli  tutti'!  pretesti  disse,  che  do- vessi nominare. in  luogo  del  defunto  un  altro  console, perocché  le  cose,  fìtte  da  lui  solo  non  sarebbero    le- gutime  ',    salde,' ma  salde  saqebbero , e legittime  fatte da  ambedue.  Respintili  con 'questa  replica,  prefisse  il giorno  pe’  oomizj  ove  farsi  un  collega.  Intanto  i capi dei  Senato  concertarono  con  maneggi  occulti  fra  loro  il console  da  eleggersi.  Venuto  il  giorno  de’comizj,  quando il  baDclitore  chiamò  la  prima  classe,  le  diclotto  ceniarie de’ cavalieri  e le  ottanta  de’fanti  ricchi  di  più  possideusa entrate  nel  luogo  dimostrato  nominarono  console  Lncio Quìdeìo  Cincinnato,  il  cui  figlio  Cesone  ridotto  a già* di^o  capitale  da’  tribuni , avea  per  necessità  lasciato  la patria:  >nè  più  si > chiamarono  altre  classi  a dare  il  lor voto,  giacché  le  centurie  che  lo  aveano  dato  superavano per  tre  centone  le  rimanenti.  Il  popolo  si  ritirò  prono- sticando il  suo  male , perché  sarebbe  il  consolato  in mano  di  chi    odiava.  Il  Senato  spedi  uomini  che prendessero  e menassero  il  suo  console  al  comando. Quinzio  arava  allora  per  avventura  un  campo  per  se- minarvi , ed  egli  stesso  scinto  di^  tonica , col  pilco  in testa , e con  fascia  ai  lombi , teneva  dietro  ai  bovi  che lo  fendevano.  Or  vedendo  i molti  che  a lui  si  recavano, fermò  1’  aratro , e dubitò  buon  tempo  chi  fossero  , e perchè  sen  venissero  ; ma  precorrendo  un  tale  ed  am- monendolo ad  acconciarsi  , andò  nell’  abituro , e accon- ciatovisi  riuscì.  Gli  uomini  spediti  a riceverlo , lo  salu- tarono tolti  non  dal  suo  nome  , ma  come  console  : e messagli  la  veste  circondata  di  porpora , e dategli  le scuri , e le  altre  insegne  de’  consoli , lo  pregarono  che in  città  si  portasse.  £ colui  soprastando  alcun  tempo  e lagrimandone  disse  : questo  mio  campiceUo. in  qilesto anno  restar^  dunque  non  seminato,  ed  io  correrò  pe- ricolo di  non  avere  come  alimentarmene.  E qui  salu- tata la  consorte,  ed  intimatole  che  provvedesse  alle  coso dimestiche, sen  venne  a Roma.  Or  questo  mi  son’  io condotto  a dirlo  non  per  altra  cagione  , se  non  perchè sì  conosca  quali  erano  allora  i primarj  di  Roma,  come operosi  , collie  savj  ; e come  , non  che  gravarsi  di  noa povertà  onorata  , ricusavano  , non  ambivano  i sovrani poteri.  Dal  che.  sarà  manifesto , che  i moderni  non  so* migliano  a quelli  nemmen  per  poco  , eccettuatine  ai- quanli , pe’  quali  vive  ancora  la  maestà  romana  e ser- basi una . immagine  di  que*  tempi.  Ma  basti  su  ciò. Quinzio  preso  il  consolato  (i)  chetò  li  tribuni dalle  innovazioni  e dalle  brighe  su  la  legge  , con  inti- mare , ehe  àc  non  la  finivano  , porterebbe  tutti  i citta- dini fuori  di  ' Roma  , minacciando  una  spedizione  sui Volsci.  E replicando  i tribuni  che  lo  avrebbero  impe- dito di  arrolare  l’esercito;  egli  convocata  un’  adunanza, disse  che  lutti  si  erano  vincolati  col  giuramento  militare di  seguire  a qualunque  guerra  fossero  chiamati,  li  con* soli;  come  di  non  lasciar  le  bandiere  e di  non  far  cosa contro  Ja  legge.  Diceva  che  con  assumere  il  consolato, ei  tenevali  tutti  sotto  quel  giuramento.  Ciò  detto , giu-> rando  che  si  varrebbe  delle  leggi  contro  gl’  indocili , fe’  cavar  le  bandiere  da’  tèmpli.  £ perchè  disperiate  di ogni  aggiramento  di  pòpolo  nel  mio  consolato  , non tornerò,  disse',  da  cnmpi  nemici  se  non  dopo  Jinitone il  tempo.  Apparecchiatevi  dunque  in  quanto  v è ne- cessario , come  per  isvernare  nel  campo.  Sbalorditili con  tal  parlare,  quando  li  vide  alquanto  più  mansuefatti supplicarlo  di  esser  liberi  dalla  spedizione,  dichiarò  che sospenderebbe  in  grazia  loro  la  guerra,  purché  non  fa* cessero  movimenti,  lasciassero  eh’  egli  reggesse  il  con- [fi) Aanb  di  Roma  394  secondo  Catone,  996  secondo  Varrone',  a 4S8  av.  Cristo] -solato  a suo  modo,  e dessero  ed  esigessero  scambievole mente  il  giusto. Calmata  la  turbòienza,  ristabilì  su  le  istanze loro  li  giudizj  interrotti  da  tanto  tempo  , ed  egli  straso decise  il  più  delle  cause  colla  equità  e colla  giustizia, sedendosi  quasi  tutto  il  giorno  nel  tribunale , > io  atto sempre  compiacevole , mite , umano  verso  de’  ricorrenti. Operò  con  questo  die  il,  governo  non  sembrale  aristo* cratico , che  i poveri , gl'  ignobili , ed  altri  infelici  co- munque conculcati  da’ potenti,  OOn  avessero  bisogno  dei tribuni, 'nè  desiderassero  piu  nuova  legislazione  per  es- sere trattati  cOn  eguaglianza  , anzi  che  amassero  e gra- dissero tutti  il  ben  essere  attuale  delie  leggi.  Fu  iodato nel  valentuomo  questo  procedere,  òome  pure,  che  fluito il  suo  comando , ricusasse  non  che  lieto  riaccettasse  il consolato  offertogli  nuovamente.  Imperocché  il  Sanato che  vedea  la  moltitudine  non  alièna  di  obbedire  aU’uom buono  , rivolealo  a grand’  istanza  nel  consolato , perché li  tribuni  brigavansi  a non  lasciare  uemmen  pel  terzo anno  il  magistrato,  ed  egli  sarebbesi  ad  essi  contrapposto rattenendoli  dalle  innovazioni  colla  verecondia  o col  ter- rore. Disse  che  non  appcovava  cJte  i tribuni  non  ce- dessero il  grado  loro  ^ ma  che  egli  non  incorrerebbe ' neir  acciua  di  essi.  E convocato  il  popolo  e lamenta- tovisi  lungamente  de’  riottosi  a deporre  , il  comando  , giurò  solennissimamente  di  non  ricevere  il  consolato  in- nanzi di  averlo  ceduto.  E prefisse  il  giorno  pe’  comizi, e designativi  i consoli , si  ritirò  di  bel  nuovo  nel  suo picciolo  abituro  , c visse  , come  dianzi , col  travaglio delle  sue  mtini.  > X -  aSi XX-  Divenuti  consoli  Fabio  Ylbolano  per  la  terza volta  , e Lucio  Cornelio  (i),  e celebrando  i patrj  spet> tacoli  , frattanto  circa  eeì  mila  Eqof , uomini  scelti , marciarono  in  lieve  armatura  nella  notte  , e la  notte durando  ancora  giunsero  al  Tuscolo  , città  latina  , di*- stante  nemmeno  di  cento  stadj  da  Roma.  Trovatene aperte  come  in  tempo  di  pace  , le  porte  , nè  '"custodite le  mura,  la  invasero  al  giunger  primo,  in  odio  de’Tu- scolaci  > perchè  erano  gli  ardenti  cooperatori  dei  Ror mani , e principalmente  perchè  essi  gli  unici  aveano fatto  causa  - di  guerra  con  loro  nell’  assedio  del  Campi- doglio. Uccisero  certo  degir^uomini , non  però  molti nella-  invasione  della  città  ; perocché  mentre  prendeasi quei  che  v’ -erano  , eccetto  gl*  invalidi  per  vecchiezza  e per  mali , fuggirono ^ spingendosene  fuori  per  le  porte. Fecero  prigionieri , le  donne , i fanciulli,  i servi,  e diedero  il  sacco  alle  robe.  Nunziatasi  in  Roma  la  espu- gnazione,, i consoli  conclusero  che  si  dovesse  bemosto provvedere  ai  fuggitivi  e rendere  loro  la  patria.  Oppo- nendosi però  U tribuni,  non  permettevano  che  si  arro- lasscr  soldati,  se  prima  non  si  desse  il  voto  su  la  legge. Cònlurbandosene  il  Senato,  e ritardandosi    spedizione, sopravvennero  altri  messi 'da’  Latini  colia  nuova  che  là città  di  Anzio  erasi  manifestamente  ribellata,  accordan- doviki  i Volsci  , antichi  abitatori  di  essa,  e, li  Romani venutivi  come  coloni  , e compartecipi  de’  terreni.  Giun- sero contemporaneamente  de’  nunzj  ancora  dagli  Eroici e dissero , che  già  era'-  uscita  , e già  stava  nel  lor  ter- (i)  Adqu  «li  Roma' 395 secondo  Catone  , 397  secondo  Varrone-,  « 457  av.  Cristo] -ritorio  un  armata  grande  di  Volaci  e di  Equi.  A tali a^unzj  parve  al  Senato  che  dovesse  > ornai  ,non  indù* giarsi  , ma  corrersi  con  tutte  le  forze  da  entrambi  i consoli  : e che  chiunque  ciò  ricusasse  , romano  o con- federato : si  avesse  per  inimico.  Or  qui  li  tribuni  cede- rono  , e li  consoli  descrissero  quanti  aveano  età  milita- re, e* convocate  le  truppe  alleate,  uscirono  bentosto  in campo  ; lasciando  il  terzo  delle  milizie  urbane  in  guar- dia di  Roma.  Fabio  n*  andò  di  fretta  coIF  esercito  su gli  Equi  fra’  Tuscolani  : li  più  di  quelli  saccheggiata  la città  , sen’  erano  già  ritirati  : ma  pochi  ne  difendevano ancora  il  castello.  E questo  assai  forte , uè  bisognavi molto  presidio.  Adunque  alcuni  dicono  che  le  guardie del  castello , dal  quale,  come  elevato , scopronsi  dj  leg- geri tutti  i dintorni , vedendo  uscire  da  Roma  un’  ar- mata, lo  abbandonassero  spontaneamente:  altri  però  di- cono , ebe  postovi  da  Fabio  l’ assedio  si  renderono  a patti , e passando  sotto  giogo  ebbero  in  dono  lai  vita. XXI.  Fabio  venduta  la  patria  ai  Tnscolani,  levò  l’e- aercito  sul  far  della  sera , e marciò  di  tutta  fretta  coiv tro  a’ nemici  ^ Equi  e Volsci  che  accampavano,  come udiva  , con  armata  numerosa  intorno  alla  città  dell’  Al- gido. Viaggiando  tutta  la  notte  si  trovò  su  l' alba  a fronte  dei  nemici  alloggiati  nel  piano  senza  vallo , senza fossa,  come  nel  proprio  territorio',  con  disprezzo  degli avversar).  Or  qui  confortati  i suoi  a farla  da  valentnq- mini , piombò  prima  sul  campo  nemico  con  la  cavalle- ria , mentre  i frati  alzato  il  grido  militare  la  seguita- vano- Altri  furono  uccisi  che  dormivauo , altri  che  sorti appena  davano  all’  armi , e volgeansi  a resistere  : ma  li .  a53 più  gettaronsi  alla  fuga  e si  dispet^ro.  Presi  con  molta fiicilltà  gli  alloggiamenti,  concedette  a’ suoi  che  vi  s’im- padronissero di  robe  e persone,  salvo  quanto  era  dei Tuscolani.  Non  istette  quivi  gran  tenapo  , e menò  1’  ar- mata'su  la  città  degli  Eccctrani,  riguardevolissima  allora tra  quelle  de’  Volaci,  e fondata  in  fortissimo  luogo.  Te- nutovisi  più  giorni  da  presso  coll’  esercito  su  la  Speranza che  quei  d’  entro  uscissero  per  combattere  , nè  uscen- done ; diedesi  a devastare  la  loro  campagna  piena  di bestiami  e di  uomini;  non  avendone  gii  assediati  ritirato prima  ciò  che  v’  era  pel  troppo  repentino  giungere  dèi nemici.  Fabio  'lasciò  che  i soldati  facessero  anche  qui le  prede  per  loro , e consumati  più  giorni  nel  farle  ; alfine  con  essi  ripatriò.  Cornelio  T altro  console  mossosi contro  i Romani  di  Anzio,  e li  Volsci  sen’ imbattè  col- r esercito  loro  che  l’aspettava  a’ confini.  Fattovisi  alle mani  , uccisine  molti , e fugatine  gli  altri , s’ avanzò  col campo  fin  presso  fe  mura:  ma  non  osandovisi  più  uscirne a combattere  ; prima  desolò  la  lor  terra , e poi  ne  rin- chiuse la  città  con  fossi  e steccati.  Vinti  allora  dalla necessità  , ne  uscirono  novamente  con  tutte  le  forze  , che  erano  molte  si , ma  disordinate.  Paragonatisi  in  bat- taglia , sostenutala  , ancor  peggio , e fuggitine  scoraggiti e svergognati , si  rinserrarono  un’  altra  volta  tra  le  mura. Il  console  non  dando  ad  essi  tempo  di  riaversi , portò le  scale  alle  mura,,  e ne  abbattè  con  gli  arieti  le  porte: e cenciossiachè  da  entro  vi  resistevano  affaticati  e lan- guidi; ve  li  espugnò  senza  molto  travaglio.  Quanto  eravi monetato  , quanto  di  oro , di  attuto , di  rame,  fe’  por- tarlo neU'erario  : gli  schiavi , e le  altre  prede  le  fe’  raccogliere  e venderle  da’  questori  ; lasciando  a’  soldati , quanto  ve  n era  , alimenti , vesti , e cose  • altretuli  di lor  giovamento.  Poi  scelti  tra  i coloni  e t^a  gli  Anziaii nativi  i capi,  clie  eran, molti,  più  cospicui  della  rivolta, e battutili  lungamente  e decapitatili  inSne , si  ravviò coir  esercito  alla  patria.  Il  Senato  usci  all*  incontro  dei consoli  che  tornavano  , decretando  che  ambedue  trion» lasserò:  si  concordò,  per  finire  la  guerra,  cogli  Equi, che  aveano  perciò  spediti  oratori , e nei  patti  fu , che ritenessero  le  cittò , e eie  terre  che  *aveauo  nel  tempo che  si  conehindeva  la  pace , ma  ubbidissero  ai  Romani; non  pagassero  tributi,  ma  somministrassero  ideile  guerre, come  gli  altri  alleati  , truppe  ausiliarie.  secondo  >1  biso- gno : e con  ciò  l’ anno  spirò. XXII.  L’anno  appresso  (i)  fatti  consoli  Cajo  Nauzio per  la  seconda  volta,  e Lucio  Minu^io  ebbero  per  qual- che tempo  guerra  domestica  su’  diritti  civili  con  Vergi- nio  e li  compagni  di  lui , tribuni  già  da  quattro  anni. Ma  poi  venendo  alla  città  guerra  da-’ popoli*  iotorno , e paura  che  le  tógliessero  il  régno  ; presero  con  trasporto l’ evento  come  dalla  fortuna  : e fatti  i cataloghi  militari , divise  in  tre  parti  le  milizie  interne  e confederate,  e bsciatane  una  in  città  sotto' gK  ordini  di  Fabio  Vibo- lano  ; essi  alia  testa  delle  ^ altre  uscirono  immantinente  , Nauzio  contro  de’  Sabini , e Minucio  contro  degli  Equi. Iniperoccbé  questi  due  popoli  s’ erano  di  que’  giorni  ri- bellati a’  Romani  : li  Sabini  manifestamente  tanto,  che  si erano  avanzati  sino  a Fideue,  città  dominati  da  Roma, (i)  Anno  di  Roma  396  secouòo  Catone,  398  secondo  Varrouc  , e 456  av.  Cristo. I.  a55 che  ne  era  distante  quaranta  stadj  ; laddove  gli  Equi ferbavano  colle  parole  i ^diritti  dell’  ultima  pace  ; facen- dola nelle  opere  da  nemici,  con  movere  guerra  ai  La- tini , confederati  di  Roma , quasi  i^el  trattato  di  pace non  «ressero  mcbiuSo  ancor  essi.  Comandava  l’armata  loro Gracco  delio  ^ uomo  intraprendente  , che  avea  renduto quasi  regio  il  potere  arbitrario  di  cui  era  stato  adornato. Costui  ne  andò  fino  al  Tuscolo  , città  pigliata  e sac- cheggiata ancora  nell’  anno  antecedente  dagli  E^ui,  che poi  ne  furono  espulsi  dai  Romani , e rapi  dalle  campa- gne quanti  uq  sorprese‘ uomini  in  copia-  e bestiami , guastandovi  i fruiti  , buoni  già  da  ricoglierli.  E giunta un’  ambasceria,  dal  Senato  per  intendere  le  cause  per  le quali  guerreggiavano  contro  gli  alleati  de’Romani  quando erasi  di  fresco  giurata  pace^con  essi , nè  frattanto  era occorso  disturbo  alcuno  tra’due  popoli , e dovendo  que- sta ammonir  Clelio  a dimettere  i prigionieri  che  avea di  quelli , a ritirare  1’  armata  , e ‘ subire  il  giudizio  su le  ingiurie  o danni  fatti  a’ Tuscolani  ; colui  s’  indugiò lungamente  scuz’  abboccarsele come  impedito  dalle  oc- cupazioni. Alfine  quando  gli  parve  tempo  di  ammettere r ambasceria,  e quando  i.  membri  di  essa  ebbero  espresso gli  annunzi  del  Senato  $ egli  Soggiunse:  Mi  meraviglio, o Romani,  come  voi  per^dominare  e tiranneggiare., temale  per  Turnici  lutti  gli  uomini , anche  senza  es- serne  offesi.  Voi  non  permettete  che  gli  Equi  si  venr dichino  de'  Tuscolani,  contrarj  loro.,  senza  che  ciò  si concordasse  nella  pace,  firmala  con  voi.  Se  dite  che abbiamo  oltraggiato  e danneggialo  voi  ; vi  rinlegre- temo  a norma  de'  patti  : ma  se  venite  a chieder  conto Digilized  by  Goc^le 2 56  dell?:  Antichità.’  romane su  Tuscolani  ; nienle  vale , che  a me  parliató , o vai quanto  parliate  con  quella  pianta;  e frattanto  additò loro  un  &ggio  (i) , che  prossimo  frondeggiava. I Romani  cosi  vilipesi  da  colui  non  cavarono subito , abbandonandosi  all*  ira , gli  eserciti  : ma  repU- carono  un  altr  ambasceria , e mandarono  i Feriali  che chiamano  , uomini  sacrosanti , . per  attestare  i genj  ed  i numi , che  essi  porterebbero , necessitati , una  guerra legittima  , se  non  erano  soddisbuti  ; e dòpo  ciò  spedi- rono il  console  colle  milizie.  Gracco  all’,  intendere  che i Romani  venivano,  levò  l’esercito,  e lo  portò  più  ad* dietro,  seguendolo  pasto  passo  i nemici.  Egli  volea  ri- durli in  luoghi  da  vantaggiarsene  ^ come  addivenne. Imperocché  tenendo  in  mira  una  valle  cinta  da  monti, non  si  tostò  i Romani  vi  s’ internarono , egli  voltò  fac- cia , e si  accampò  su  la  strada  che  conduce  fuori  di quella.  Segui  da  questo  ,.che  i Romeni  misero  il  campo non  dove  il  volevano  , ma  dove  la  circostanza  lo  per- metteva. Ivi    era  facile  il  pascolo  pe’  cavalli , per.  es- sere il  luogo  chiuso  da  monti  ripidissimi  e nudi  ; nè facile  I dopo  aver'  consumato  quelli  che  portavano  , pro- cacciare a sestessi  gli  idimenti  dalle  terre  nemiche  , o mutare  il  campo;  standogli  a fronte  i nemici,  e, proi- bendone r uscita.  Risolverono  dunque  usar  la  violenza , e cacCiaronsi  avanti  per  la  battaglia  : ma  respinti  e feri- tivi largamente  si  richiusero  fra  le  loro  trincee,  delio inanimato  dal  buon  succedo  li  circondò  con  fosse  e steccali  , su  la  fiducia  che  premuti  dalla  fame  gli  si « (>)  Lìtio  chiama  quèrcia  quella  che  i delta  fiisgìo  da  Dioiùgi..  2,5'J reoJerpbbero.  Giupta*  in  i\oma  la  ao|i»a  di  ciò.  Quinto FabÌ9  lasciatovi  comandaute,  scelse  il  fiore  ed  il  nerbo suoi  militari, , e li  spedi  per  soccortere  il  console  , sotto  gli  ordini-  di -Tito  Quinzio  uome  cousoUre  , e questore.  Mapdò , oopomeno  letiére  a rCsuaio  ra  , e le  .altre  insegne  ornamento  un tempo  de\.  re.  Saputo^  che  Roma  .oIeggeval(>  diltàtore  , non  solo  non ' si  rallegrò  di  up  4anio  onore,  ina  conr tuebandoseoe  disse , adiaufue  per  io  mio  occupdzioni perud',pw  e il  fi  allo  di  ifUest'  unno  e noi.tidti  rje avremo  grande  il', disàgio  ! Dopò  ciò  recatosi  a Ro- ma ( 1^,  confortò  su  le  prime  i cittadini  con  discorso  al (•y'-Amio  «li  Roma  agS  secu'mla  Caloof  , ajS  fecondo  Vsernas, t 4^  sv.  Lfista.  • . ZJYw.v/(;/ . /tZf  'popolò'  dà'enapierlo  di  beile  speranze!  Poi'^coavocAti mai  i giovani  dalia  Oittà'  e dalia  campagnì , soncenlrate le  truppe  ausiliarie , e nominalo  maestret  de’  cavalieri .Lucio  ' Tarquinio  , 'ignobile  per  la  povertà  ma  nobilis- simo in  arme,  Usci  coll’esercito  riuaiio  e gianto  >af questore  Tito  Quinzio  c6e  io  aspettava , prese  ' pur  le sue  schiere  , e né  andò'  sul  nemico.  Appe'Oi#  ebbe  con- siderata la  natura  de' luoghi  ov’ erano  gli  accampamenti cOilooò  parte  dell'armatA  ntdie  aliuiié  onde  precladerc agli  ^quà  i sussidi  ed  i meri,  e' riieneodo 'seco  le  - ah  re naHizie    avanzò  cOn  -ordiqe  de  'battaglia,  ■ GleliO  phnto tion  si  sbietti , perocché    la  sua  gente  era  poca , 'Oè poco  il  cor  suo  nella  guerra,  e lo  seooti^  nel  sUo^  gia- gnerè , e ne  sorse  ■una  pugna  ostinata;  Era  decorso buon  tempo,  e li  Romani  oom'e  cresciuti ’fi'à'''  le  arme rinovavansi  Ognora  al  travaglio,  *e  la  cévallérià  soccorrea |yron;a  ove  erano  ì iaHti'*iti  pericolo.  Criccò  dunque Eopra0altone  , si  ritirò  nel  suo  cantpo.  Quinzio  ' éllora 10  cifis^e  con  aho  steccato  e torri  frequenti ,-  e'  quando seppe  a!6nc  che  penuriava' de’ vivevi,  lo  investi  con  as- salii contigui  nel  stio  oéntfpo,' ordinando  a hSinucfó  che uscisse  dall^altVà  parte.  Esausti  gli  Equi  di  viveri  , di*- speraii  di  un  soccorso  ,*  -e  streiii  per  ogn’  intorno  Hal- r assedm  , furouo  nécéssitéti  à prender  ibr&a  *dì  ' su[^ {tlichevbli , e spedire  a Qoìozìq  per  la  pace.  E-  colai replicò  che  la  daitebbe , 'e  lasccrebbe*  agli  Equi  iSalva  la persona  , se  deponessero  le  arme  , é-  passassero  ad'  uno ad  uno  sotto  giogo:  traliersbbe  però' qual  nemico  Gracco 11  capo  tkUa  guerra,,  e gli  altri  consiglieri  delia  rivolu. £ qui  comandò  che  gli 'recassero  tali  '^ùoraiai  in  ferri. Digilized  by  Googl turno  X.  a59 [/milìaVaiui  gli  Equi' a lutto;  quando' egli  ordioó,  che giacobè  aveano  senza  "esserne  oilest  previamettie , sog- gettilo e derubato  il  Tuscolo  città  coufederau  di  Ruma, essi  consegnassero  a lui  ' CorbioBe -,  città  loro  perchè  ne lutasse  altrettanto.  Prese  tali  -rrsposta  partirono  gli  ora- tori , e dopo  non  molto  tornarono  traendo  .con  st Gracoo  è i Compagni  incatenali.  Essi  poi  cedute  le  arme, e lasciate 'le  trincee  t ne  andarono  ^so  t(o  ^iogo,  come era  il  volere  del  diltaiort  , . à traverso  .del.èaiupo  ro- mano. Consegnarono  tiorbione  , e ebn  restituire  ,i  pri- gionieri tuscolaai  ottennero  soUmeotè  che  ialiti  prima ne  uscissero  gli  uomini  iagfenai. Quinrio  ricevuta  ht"  città,  comaodd  ■ che.  le prede  pià -wgqardevoU  sr  trasportassero  in  Roma  , .concedéndo  che  le  altre  si  dispensassero  tra’  soldati  venuti con  esso,  e tra- gir  altri  spediti  prima  con  Quinzio  il questore  ;,  e"  soggiungendo  , che  a^  soldati  rinchiusi  «mi console.  Miiiudo  avea  dato  ànjplissimó  «lono , quando  li rivenaiet-  dajla-  morte.  Ciò  'fano  , obbligando  Minucio.a dhnettérsi  djl  suo  grado,  si  ripiegò  verso  IVoma,  e'ne menò.  Uionfo  luminoio,  più.  che  tutti  .i  duci  meuato- Io avessero perche  in  sedici  giorni  de’ die  avea  preso  il còniaotfo , 'uvea  salvalo  l’  esercilò  anaico,  disfatto  i’ altro floridissilno  de’  nemici  ; saccheggiata  la  loto  città  , mes- savi guarnigione,  e comku» va • séco  In  catene  il  capo, e.  gli  altri  primarj  di’qneUa  gueira.  . FaoeVa  soprattutto ùieravigliu  die  avtmdo  ricevuto  quel  magistrato  per  sci mési  non  sei  tenne  quuito  eonòedeva  la'>  legge  : • ma  coni vocata  la  plebe  , e ragipjiatuJe  delie  cos«r  operate  ; lo depose.  E pregandolo  il  Schato  che  prendesse  quanto vote»  delle- terre , degli  schiavi delle  prede  conquistate colle  armi , e pressandolo  che  vivificasse  la  tenaiti  sua con  ricchexaa  ginata,  ché  egli  possederebbe  'glónosrsaitna, come 'tratta  colle  proprie  iàticbe  dal  nemico',  ed=o(fe« rendo'gli'  amici-  e pai'enli amplissimi  doni , e pregiando più  che  tutto'  adagiare  un  tal  uomo  , egli  ' lodatane  la cortesia,  non  prese  nulla,  ma  si  ricondusse  nel  piodolo suo  campicello  „ ' ed  antepose  ad  nna  splendida  vita  la vita 'tua  travagliósa,-  nobiliubdosi  per  la  ^povertà,  più che  altri  .non.  sogliaho  per  l’ opulenta.  Dopo  non  molto Nanzio  f altro  console  vinse  in  battaglia  i vamente  le  armi  contro  de’ Romani,  e scorKro- «accheg- jgiando  assdi  della  lòr  terra  tanto  che  quei  che'  veai« vano  int.copia  fuggendo  dalle  campagne,  dicevano  tatto in  poter  loro  , quanto  è tra  Fidene  e Cmstumera^  An- che gli  .Equi  sottomessi  ultimamente  sorsero^ im’ afira volta  alle  armi:  e recandosene  > tra  la  notte  i più  robusti a Corbìone , città  ceduta  da  essi  Panno  antecedente  ai Romani,  c sorpresavi, la  gnamigioDe  nel  sonno >;  ve  la uccisero,  salvo  podhi‘^  che"  per  .ventura  non  v’  erano.  Gli altri  marciarono  ju  gran  moltitudine  contro 'di  Ottona, Anno  di  Roma  397  'secondo  Catone,  399  seconda  Varronc,  a 4S5  Cristo.  ■'  . olimpiàde  otlan» dr  Gitene  vinse cìni  de*  Latini  , e -presala  a prim’ impeto,  fecero  per  la rabbia  su  gli  alleati  de’ -domani , docebè  non  potevano su’  Romani  medesimi  ' uccisero  tutti  > puberi , eccetto quelli -ette  efan  fuggiti  udì’ invadersi  della' cillà-r  rende-, rono  prigionieri,  donne,  fanciulli,  vecchj,,  e raccoltovi in  fretta  quanto  poteano  trasportar  di  pregevole ,' ripar* tirono  prima'' che  v’accorressero  tutti.!  Latini. ,11  Senato saputo  ciò  da’  Latini , e da’  militari  salvatisi  della  guarr. nigione , decretò  di 'iàr  uscir  le  milqsie  y e con  ùse  i due  consoli.  Ma  Verginio  e i colieghi , tribuni  già  da cinque  anni  davano  a ciò  ritardo  , opponendosi  come negli  -anni  antecedenti  alla  scelta  militare  , , che  faceasi pe’coqsojij.u  reclamando  che.  si  Sdisse  prima  la  guerra domestica,  -con  rimettere  al  popolo  l’esame  della. legge, che  davano    la  eguagliauaa  .dei  diritti  : e la  plebe ooadjuvava  t ttibaui  che  asiaf  malignavano  , contro,  del Senato.  Imapto  temporeggiandosi , nè  comportando  i consoli,’ che  si  facesse  in  Senato  il  previo  decreto  su  la legge  e si  proponesse  al  - popolo    volendo  i tribuni concedere  la  leva  e la  marcia  delle,  milizie,  an^i  facen- dosi accuse  inutili  e dice^e  vicendevoli  belle  concioni  e nella  curia,,  alSne  fu  ideato  da’ tribuni -uu  altro  disegno^ che  sorprese  l padri  e chetò >U  sedizione  attuale,^~ma fu* causa  di  molto  ingrandimento  per  il  popolo:  ed  io sporrò  .come  il  popolo  se  lo  ebbe  questo  incremento. Essendo  manomesso  e predato  il . territorio de’  Romani  e de’  cOufederati , e spaziandovisi  i nemici come  per  una  solitudine  su  la  speranza  che  nou 'Usci- rebbe oontr’  essi  esercito. alcuno  a causa  dcHe  sedizioni di  Róma,  i consoli  -adunarono-  il  Senato  per  consultare come  sy  pericolo  estcetno.  Tenutisi  raoUi  discórsi , li- ichestò  il  primo  dei*  parer  suo  Lucio- (^uiozio , il>  dit* latore  dellVarìBO,  aotecedents  , >ttomq  ,noo/^solo  -il  più grande  allora  fra  le  armi',*; ina  creduto  ancora-  savissimo nel  govefoo',  propose  il  coniglio  d ^ale  poi  persuase più  che  tnttq'i  tribuni  e gli  altri,  che  si  dij^erine  in tempo  più  accóncio  t esame  allora  ‘non  riecessario della  legge,  è si  /accise  con  tutta  prontezza  la  guerra alfutJe’,  scorsa  ornai  /no,  su  la  etllà  r nè  si  perdesse imbeflemente  e Mtuperosasnente  il  comando  con  tanti stenti  acqmstato.  H che  se  il  popolo  non  -ià-s'  tmi*- ceva;  si  armassero  patrizj  e clienti,  con- guanti  altri vòleano  far  causa  con  essi  in  qaeil  aringo  ‘nobilissimo della  patria,  e ne  andassero  ardenti  al  nemico,- pren^ dendo  per  duci  dell  andafpiento  i Numi 'protettori  di Roma.  Imperocché  ne  verrebbe  lune  'o  laUi^  buono e bel  fratto^  vuoi  dire  ò che  riporferebbefo  ima  vit- toria la  più  gloriósa  fra  tutte  le  riportate  "dai  loro ptaggiori  , o che  magfianimi'  niorirebbero  pe'  beni  che sìeguòno  la  vittoria.  'Annnnzìaira  c4e>  egli  stesso  ^n si  ricuserebbe  a tanto  .esperimento , ma  presento  vi pugnerebbe'  qeaniq  i più  coraggiosi',  e ‘che  rpempieno manchérebbevi  alcuno  seniori  che  amasse-.la  libertà e li  buon  nome. Così  piacitito  a tutti , Senza  che  alouna  vi ù -óppon%sc  , i consoli  convocarduo  il  popolo.' Cbacorsi quanti  erano  in  Roma  come  per  ndieofa  di  nuov^  co* se,  fattosi  innanzi  Cajo  Orazio,  l’uno  de^ consoli,  tentò volgere  spontaneamente  i plebei  anche  alia  guerra  pre* sente.  Ma  perciocché  i tribuni  vi  'ripugnavano,  'ed  i LTUno  X.  , 263 plebei  ,!a> senti v«n  coq  essi;  recatoseli  console  Un  altra volta  in  tneszo  disse-  : Beìia marlwigliasa  impr^a  ifi vero  é^la  vostra -o  f^ejrginìo  ck^.  abbiale  stacpatò  U popolo  dal  Senato  ! e cho.  dal^  canto  vostro  avesstmo già  perduto  quanto  abbiamo,  ereditato  dagli  .avi , e ffuanlo  .oUepiUo  co')Ttoftrì  sudori  Ma  noij  npn,  cede- remo noi  questo,  senza  lordarsi  nemmeno  di  polvere) ma  impugnando  le  orini  con  .quanti  vprrap  salva  la patria  ne  andremo  al  cimento,  i^erantiti  su  la  bontà dell’impresa.  E se  àLui}' Dio  rimìui.  le  belle.,,  le' giu- stissime imprese')  se  la  sorte  che  da  tanto  ' tc/Apo  prò-  • spera  questa  cillà  -,  non  t ahbqndona  sqibnonte- reniò  il  nemico. , Ma  se  alcun,  Dio  me  gravita . sopra  4 c’  ci  si  oppope  per , bt  salvezza  . di  -Jiqma  ) certo  JC voler  nostro  x di  nostra  propensione  non  perirà-;  che Jortissimamente  per  la  pat/ia  moriremo.  'E  voi  li  belli, U generosi  capi  che  siete  di  ' Roma  , guardata  pure colle  vostre  mogli  le  case,  abbandonando  e tradendo noi:,,  ma    te  noi  vinciamo  onoràta-  sarà  la  vostra vita,    sicura  se  perderemo.  Se  pur  non  siete  ■‘ani- mali (lidia  misera  speranza  che  inémici  dàpo.' rovinati i patrizj , preserveranno  voi  per  gratitudine  , a cori- cederànuo  che  godiate  la  vostrd  patria,  la  libèrtà,  il comando  , e tuUi  t befù  -^/ie  ora  v’  avete.  Sb,  questo appunto  a voi  copeederanao  cfue’ nemici  a'  quali  men-  / tre  vói  pensavate  pìà  'saviamehte  avete  levato  tardo iersìtorio,  distratte  ttgtle  c'ktà,  JaUine' schià^i  i >popoli, ed  irudzati  toni i- trofei,  tanti  manUmérUi  di  nemicizfa, e sì  luminosi,  che  mai^per  età  non  perirahpo.  Ma perchè  io  mi  addoloro  còl  popolo  il  qtude  non  fu  mqi taUù’o  ài  voter  non  piit  tosto  o Vt^fginìo  con Voi  che  per  si  bella-  maniero,  io  dirigete  ? Noi'  certo necessitali  b.  non -pensar  bassamente  noi  deliberata abbiamo , e ninno  cel  vielirà  , 'di- farci  a combattere per  la  patria:  jna  voi  che  abbandonate,  voi  che ^ tra- dite il  comune,  voi  ne- avrete  condegna,  irreprensibil vendetta  dal  cielo:  nè' fuggirete ‘già  questa,  se  quella fuggite  degli  uomini.    crediate  già  che  io  ciò  dica pertatterrirvi  : 'ma  sappiate  che  quanti  siano  qui  la- sciati per  guardia  dèlia  città,  se  mai  gf  inimici  pre- valilo Ho  ^ ne  destineremo  come  a noi  si  conviene.'  Se od  alcuni^  ìfarbatì  , ornai  tra  le  unghie  de'  nomici  , venne  in  cuore  di  non  lasciare  ad  essi'  non  le  mogli, ~hon  i figli  , non  le  cùlà,  ma  di  ardere  .gueste  , e di uccidere 'quelli;  non  farànno  altrettanto  sé"  li  Èo- mani  de' quali  è proprio  il  dominare.?  ' Certo' degeneri non  saratmo  : ma  còmi  notando  da  vqi  > che'  nemicis- simi Stata  ,s.  ogrii  amica\lor  cosa  distruggeranno.-  ^on- sidarMe  ora  up'i  questo  , ié>  considerandolo  ; fatevi -le adunatvte  e-  le  leggi.  - ' ~ • Detto  tali  ^ose  e ‘molte  consimili,  presentò  li più  provetii  de  patrie]  che  piangevano.  A tale''s[>euaoolo molti  del  popolo  boa  contennero  nemmeno  essi  le  la» gtime:  t destatasi  grande  commoxlone  per  gli  acmi  e per la  maestà  di  tali  uomini,  il  console  sopraÀandò  alquanto disse  : 'Impugneranno  questi  seniori  le  'armi  per  voi giovani nè' voi  ve  nè'  vèrgognelete , occultandovi' fin .sollotarm  é"  vi  terrete  lontani  da  questi  duci,  che padri  sempre  , avete  nominati  ? 'Sciaguo^i  voi  ! nè degni  pure  di  èsser  detti-  cittadini  -di  questa  èittà  fonSala  "da  c'olbro  che  àveano  por  iole  fpaile  il  pa- dre, aperto  loro    numi  lo  teatnpo  ^ra  le  armi  e le fiàmmè-  Catm  Yergioìo  temè  ciré  il  pòpolo  fosse  com- mosso dà)  quel  discorso  per  non  SDfhii{V  'dl  dover  met- tersi « quella  guerra  coOlro  il  sub  dire,  fecési  avanti'  e soggiunse;-  Noi  non  vi  abbandoniamo'- né.  Vt'  6-adiamo, Hè  mai  vi  .abbandoneremo  o padrii  come  per  addietro mai'^ foste  da  noi  derelitti  su,  et  impresa  niurtae  di  met- tere custodi'  delia  libertà  te  leggi  a cui  tutti  ubbidi- scano^ Che  se  ciò  vi  .sa  male  p,  Se  sdegriate-  concederle a' vostri  cittadini  questa  grazia,'  e'^  riputate  com’  essere la  mocte.  vostra  ammetlére-  il  popolo  nelC eguaglianzd; non'  pià  vi  darem  briga  su    ,■  ma  vi  chiederemo  ' altro'  dono  , avuto  il  quale  farse  noh  avrem  pià  bi- sognò di  nuova  legislazione:  se  nonché  ci  vien  paura che  non  ottérremo  nemttten  questo  , sebbene  non  sia ponto  lesivo  dei  Senato,-  e sia  ^uUo*  bmief  ce- ed- ono- revole al  popolo.  E replicando  il 'console- che  se  rimetteanb  la istanza  vai  Senato , non  sarebbe  oegata  loro  cosa,  che discrcia  fosse-;  ed  invitandoio  a dire  ciocché  dimanda*- sero , ' Verginio  abboccatosene  alquanto  ^co’-suoi  colleght rispose , che  lo  dirèbbe  - al  Senato,  'fiopo  ciò  Ji  consoli adnnarooo  il  Senato  , ed  egli  - venutovi  ^ e divisatovi quanto  edmpetevasi  al  po>pólo,  chiede  che  si  duplicassero i magistrati  del  pòpolo,  ed  .ogni  anno  in  luogo  ;d>  ciò que  ài  nonaipaiserD  dieci',  tiibuni.  Alcuoi,  ca{>0  de’qaaii era  Laoio  QuipzioV  àatorevolissinto  Pilota  , in  v Senato  , pensavano  clie.ciò  pon.  offenderebbe*  Ja  repubblica e ooDsigll nico  vi  si'dppose  Cajo  Claadio  , figlio  di  Appio /dau* dio , deir  avvertano  'perpetuo  a voleri  del  popolo  , se non  erano  ^a  nórma  'delle,  leggi.  Egli  ereditati  i ' senti- menti del  padre,  impedì  quando. fu  console  che  si  con- cedesse ai'  tribpni  d.*  inquisire  contro  de’  cavalieri,  calun- niati di  congiure,  ed  ora  con  iuiligo  ragionamento  di^ mostrava  , che  il  popolo  non  diverrebbe  più  moderato e più  docile  y ma  più  incansiderato  e più  grave.  lùipe- rocchù  appelli  che  sarebbero  ' dt  poi  giunti  'al  iribonaio noi  prenderebbero  gii'  per*  questo*  eoa.-  legame'*  .che  li tenesse  ai  patti,  ma  beP. presto  tratter^bero  di  divìsioue di 'terre  4^  « dl,e^[}ia|ità    drritir',,e  certdtei;ebbera  par- lando e ..brigando  de  cqiUe  cose  , estensive  'delia  potenta del  popolo,  eotne  dmpaqenti  1*  onor  del  .Seoato^.-ìlfosse ntolti*  tH^  tal  dire  graodemeote  i.  ma  Quinzio  a ri- trasse ammaestrandoli voler  1’  otite  del  Sedato  che  i tribooS  si  moltipKcttseil» , giacché  i molti  men  *8’ at^r- dan  dei  poclii  t esser  rocspediziooe>^  Toccò  a MìducÌo  Ja  gaem  co’  Sabfm  ad*  Orazio  1*  altra'  eoo  gli Eqaiy- e ben  lostb  marciarono ‘atubedi^e.  L Sabini  gtuuy* dando  le  Idko  città.;  non  curarono  .'che' ì Romani  si menassero  >6  portasae.ro  quanto  .r’ era  pez  le  campagne. Gii  Equi  a|ledirono  'Ito’ armala' per  coalrxitarli;  ma -tutto ebe  pugnassero  nobilissimamente  / non  poterono  supe- rarli, e si  - ritirarono  ne^sitatt  oeile  loro^  città,*  perduto il  castello  pel  quale  avaano  co/nbattùlo'.  Orazio  respinti i nemici  , -iPatto  assai  danno  alle,  lor  itette.^  abbattè  le mura  di  Corbinne  r ne  rovesciò  da’  fondamenti'  le  mse  , e -ricondusse  in  Roma    e(wreito. Sotto  Marco  Vaieriòy*  e Spurio  Verìpoio  con- soli delH  anno  segne'nte ,(i)  non  osci  dà’ confini  nato,  e • convoràlv.  il  Senato.  E condosslachè  un  littóre, comandatone,  rispinse  T- araldo  ; icilio  e i suoi  coUeghi ■degnatine  presero  e trassero 'il  littore  me  per  balzarlo ^la  ‘ rupe  I consoli  tuttoché  sen  tenesseró  's[^giatls$inù non  poteano.fiir  violenza,  e redimere  quel  prigioniero: e''^i  volsero  ptf  ajuto  agli  altri' tribuni-: 'Perooché  niuu pifò  sospendere  p proibire  gli  atti  di-  alcun  tribuno,  se non  quegli  che  tribuno,  sia  parimente  giaqchéji  tribuni s’ erano preoccupati già, da  molti  e potenti.  Unico  -contraddisse  .a.tal  dire Caju  Claudio  , comprovandolo  molti  ; ma  -si  decretò  che il  silo  al -popolo    concedesse.  Dopo  ciò.  presenti  i pon- tefici,‘ gli  auguri,  e due  sagrificatori  , fatti  secondo  il rito.sà^ifizj  e preghiere  , e convocati  da’  consoli  i 00- niizj  centurìati  si  'confermò  la  leg^e  , e descritla  sQ  co- lonna^ metallica  , e portata  ne|l’  Avventiòq  ' fu  collocata nel  tempio  di  Diana.  Poscia-  coqgregatisi  J plebei  tira- rono a sorte  il  suolo  dove  fabbricare  e fabbricarono  , occupando  ciascuno , lo  spa^o  che  poteva.  Unironsi  al-r . • i  r edifiso    qò^lcke  cak  due  o M'  pèrsone , e talvoiu più- ancora,  prendendosi  uno  i pianterreni  ».  e gl!  ahri i piani  ,'àupdnori.  E 'cosi  tl’.  armo  si  consumò  eoj^i^b- bricare.  Riusoi  pesò  complicatò  e varìo e pie*o  di grandi  avVenluee  l’  anno  seguente  (j)’,  nel  optale  eletti consoli  .T'ito' Ro™iliO  e Cafo  Veturio,  furono  riassunti al  Hribanale ‘Icilio  e i coUegbi.  {mperoccfaè  fu  di  nuoro suscitata  da’ tribuni  la  d*ril  sedizione  ebe  parea  venuta ihene;  e sorsero  guerre  dagli' esteri  : ma  queste  non 4^e  danneggiarla  , ' giovaróno  non  poco  la  repubblica  , non  toglierne  gl’  in^rlH  diSsidj  ; essendole’  consueto  e viceodevole  di  ' esaére  ’anaoime  tra  le  guerie,  * ma  discor> diosa'  nella  pace,  distraiti  - di  ciò  quanti  salirano  al  con- solato» prendevano  eoo  trat^rtOi  se  nascevaoo,Te  guerre cogli  esteri.  E ce  i ^oemìd  erim'  'cheti  ; essi  stèssi  finge- vano’ manoanze  pretesti   0' debi- ^litavasi  tra  lo  sedizioni.'  Animati  nel  modo  'stesso  i-'oOn* soli 'di  quest’'am^,  deliberarono  cavar  1' esercito'  contro L taemìci spi  timore  che  i'  poveri  e gli  oziosi . qoaiìn- ctassero  a perturbare  - la  pacel  Or  essi-  ben  la  rutebde* vano  ,'cbe  'vuoisi-  distrarre  la  mollitudioe  ndle  gtiè'rre cogli  esteri  i’hia  non  beò  intendevano  com’ eseguiscasi.' ' Quando  avrebbero  dovuto  flir  leve  moderate  ì Qotìae  ilo città  mal  affetta  ; si  diedero  a 'castigarvi  colla  forzà  tùtii i ’ranitenti  i senza  Cfonsazione  o dispensa,  iriando  ine- sorabili ^il  rigor  4elie.  leggi    gli  àVen>  e su  le  persone. 'ny  Anqo  di' Roma  agg  secoodo  Calooc , joi  seoondo  Varroue,  a 453  av.  Critto.. Presero  da  tal  proceder^  ■ occasioae  di  bel  onovo  i tri* buoi  di  concitare  la  plebe  ; e radonatala  , vi  strepitarono per  più  cause,  come  ancora, perchè  aveano. .fatto  portar nella  carcere  molti  che  reclamavano  1’  ajuto  de’  iriboni: e dissero  che'  essi  che  soli  he  aveano  l’ autorità  dalle leggi , gli  assolveano  da  quel  rechi  [amento. ' Vedendo però  che  niente  ne  profittavano , anzi  ' che  laccasi  la coscrizione  piti  severamente  , incominciarono* ad  oppor» visi  co’  fatti.  E resistendo  I conscM  .colla  forza  del  grado loro  ; sen  fecero  altercazioni  e scaramnCce.  La  tenea  pei consoli  la  . gioventù  patrizia  , ma  teneala  • pe’  tribuni  la turba  oziosa  e povera  : e quel  giorno  assai-  prevalsero  i LODSolif  su'  tribuni.  Ne'  giorni  appresso  - versandosi  in>  città più  turba. dalle  campagne  , i tribuni , vedutisi  òmai  con forze'  da  contrapporsi , convocarono  assai  spesso  il  po- polò-, ^e  mostratigli'! ‘minbui  loro  malconèr  ' dalle  pia- ghe , prolestaropo  che  deporrebbero  il  magistrato  se non  erano  da  esso  gàraoliti.  Irritatasene  la  nioltitudiée  ; dt^'no  i coiv* soli  a ' dar  conto  al  popolo  del  procedete'  loro.  Nóp  gli attesero  questi;  ed  andatine  i 'iribòni  alia  curia* ove  il Senato  ^a^e va 'già  consultandoqe  lo.aupplicaroooi  a non trascurare  essi  tribuni,  offesi  -bruttisiihiàmrate , uè  il spopolo,  che  era  dell’  aita  loro  privato. -^E  qui ùàrracono quante  ne  aveano  sopportate  da’  consoli , e le  mapohi- nazioni  di  quesb  contr*  essi  ond’  erano  svergognati'  non pure  flel  grado ) ma'-  nelle  penonc.  Laonde  chiedeaao che  ^.consoli  facessero  l*  Una  delle  due  , vuol-  dire  , se negavano  di  aver  fatto  . cesa  vietata  datie  leggi  controde’  tribuni  « vemsserò  e giurando*  Ift  negassero  all’ adoaaaza  ; se  di  giurare  non  sostenevano , venissero , c vi  rendessero,  conto  ; e le  tribù  «entenziereLbero  su  loro. Si  difesero  i cousoli , . dando  a vedere  ebe  i tribuni erano  la  origine  de’, mali,  per  la  caparbieti  , per  l’auda- cia di  profanare  Je  persone  de’ consoli,  prima  con  avere imposto  ai- satelliti  jorp 'e  agli  edili  di  portare  in  carcere uonjini  rivesliti  di  ogni  potere,  e poi  con  tentar  di  as- salirli col  raeazo  de'  plebei  più  temerarj  ; e qui  sponeano quanto  fosse  il^  divari  a dalla  tribunizia  alla, consolar  di- gnità, piena 'questa  di  regio  potere,  e nata  l’altra  solo per  protegger'  gli  ttppressi.  Tanto  esser  lungi  che  po- tes^ro  far  votare  la  moltitudine  contro  de' consoli,  che noi  póteauo  nemmeno  contro  il  minimo  de’  patriz|  senza un  decreto  espresso  del  Senato.  Pertanto  'minacciavano, se  i,  tribuni  faceano' votar  la  moltitudine  di  dàr.  rju’me a*  patria).  Continuandosi  ‘ppr  tutto.il  giorno  i  pochi  contro  de) ' r •  . (0  Vedi  Ii  che  si  ripiegasse lo  sdegno  su’  lor  fautori , castigandoli  a norma  delle leggi.  Se  quel  giorno  i tribuni  trasportati  dall’ira  lan- ciavansi  a far  cosa  alcuda  contro  del  Senato,  p de* con- soli , niente  avrebbe  impedito  che  la  città  di  per    ro- vinasse. Tanto  eran  tutti  pronti  per  armarsi  e .combat* Uni  t Ma  perché  sospeser  1’  afiàre , dando  ' a sé  tempo per  meglio  consigliartene;  serbarono  essi ' moderazione  , e r fra  del  popolo  n'n  fu  mitigÀa.  Intimarono  pel  tc^'zo mercato  dopo  quel  giorno  una  assemblea  popolare- ove condannire;  i consoli  ad  una  emenda  in  mgeoto,  e sciol- sero 1’  adunanza.  Approssimandoti  pe^ò  quel  -giórno  de- sisterono anche  da  lah*  intrapreta  dicendo,  di  coneedecp ciò  alle-  istanze  di  uomini  i più  'venerandi  per  anni  e • per  grado.  Poi  congreg-indo  il  popolo;  dichiararono  die essi  rimettevano  le  offese  proprie , sul  desiderio  di  motti buoni,  a’ quali  nop  era  lecito  contraddire  : ma  che  le ingiuri^  fette  al  popolo  e punirebbero  queste  , anzi  le toglierebbero.  Imperocché  diretumente  aggiùngereb- bero tra  le  leggi  pnr  quella  su  la  divisiori  delle  terre differìlit  ornai  da  treni’  anni , e quella  su’  diritti  eguali r • N.  ’ (i)  Kel  lesto  »v^it  nuot’aiiante , forse  ot    per  dono  ,> nè  per  compera  , nè  per  altro  legittimo  mezzo  che^ possa  dimòstrarvisi.  Se  ne  avessero  questi  dimandata parte  pià  grande , che  noi  dopo  • avere  come  noi  tra~ vagliato  neW  acquistarle  ; certo  non  sarebbe  stato  de» gno  di  uomini  , degno  di  cittadini  che  pochi  si  ap» propiassero"  ciocché  era  di  tutti;  ma  pur  stata  una causa  vi  sarebbe  a tanta  ingordigia^  Ma  quando  non potendo  dimostrare  alcuna  opera  grande  e magnanima per  la  quale  si  tengono  ciocché  è nostro , non  sen vergognano 'né  lo  rilasjdano  y nemmeno  convintine  ; chi  potrà  comportarli? Or  su,  per  Dio,  se  io  nfetilo  in  ciò  , venga  chiunque  di  questi  onorandissimi , venga , e dimostri  per  quali  splendide-  e belle  gesta  presuma pià  parte  di  me.  Forse  ha  guerreggiato  pià  anni,  in pià  battaglie  , con  pià  ferite  , con  pià  onore  di  po« rotte  di  spoglie , di  prede  , o di  cUtre  marcfm  da vincitore , per  le  quali  /’  inimico  se  ne  umilia , e la  , patria  > magnificata  ne  sfol^ra  ? Dimostri  il  decima almeno  di  quanto  io  v ho  dimostrato.  Per, certo  i pià d’  essi  non  potrebbero  allegare  nemmen.  la  minima parte  delle  mie  gesta  : anzi  alcuni  di  loro  non  par.^ rebbero  di' avere  sofferto  nemmen  quanto  il  popoletlo pià  basso.  Grandi  essi  ne  detti  , noi  sono  certo  nelle armi, pià  vagliano  contro  l' amico  , che  a fronte dell'  inimico  : non  pensano  essi  di  avere  una  patria a tutti  comune , ma  propria  di  loro , quasi  non  siano stati  per  noi  liberati  da’  tiranni , ma    tiranni  ab-^ biano  noi  preso  come  un  lòt  bene.  Questi  (perocché bacaselo  /e  ingiuriò  continue  pià  o men  ^andi  j eh» tutti  sapete  ) sono  giunti  a tanta  in  scienza  ^ efu^.non soffrono  che  alcuno  di  noi  dica  libere  yoci,  o che solo  apra  la  bocca  su  la  patria.  E 'Sputió  Cassio  , quello  che  ptimó^  parlò  su  la  le^e  agraria-,  quello che  illuitre  per  tre  eonsólati,  e per,  due  trionfi  glo- riosi, e che  avea  dimostrato  tanta  solerzia  nel  co- mando nplitare  e civile  , quanto  niun  altro  in  quei tempii  qùeH'  uomo  si  grande  lo  accusarono  i con- •soU’j  come  intento  alla  tirannide,  lo  sopraffecero  con falsi  teslìmonj , e,  Jìnalniente^  precipitandolo  dalla rupe ,, Io  uccisero',    per  altra  cagione  se  iwn  per- ché era  V amico  della  patria  e del  popolo.' E Cajo Genuzh)  tribuno'  vòstro- che  riproduceva  - dopo  undici anni  la  stessa  legge , e citM>a-  in  giudizio  i consoli deir  anno  antecedente  come  trascurati  'a  compiere  i v decreti  del  Senato  tu  la  partition  delle  terre  , lo  lè- varon  di  mezzo  appunta  il  giorno  avanti,  il  giudizio con  occulte  maniere  i non  potendolo  colle  manifeste. Donde  tte  venne  .a*  successori  grave  timore,  e niun più  st  mise  a quel  rischio  : e già  sono  trend  anni che  sopportiamo , quasi  perduta  il  nostro  potere  nella tirannide. Ma  lasciamo  il  resta.  I magistrati  vostri attuali , quelli  che  voi  avete  rendati  siseri  per  le^e ed  mvMabili , a quanti  mali  non  incorsero  per  vo- glia di  difendere  gli  oppressi  tra  7 popolo  ? Non  fu- rono questi  ètpulsi  dal  Foro  a pugni  e calci,  e con ogni  altra  guisa  di  vilipendj  ? Vò  'siro  era  V affronto; e voi  vel  comportaste    cercaste  vendicarvene  con.  , i'^g darne  i voti  almeno , in  che  solo  vi  resta  la  libertà. e Ma  su  prendete  spirita  o miei  cpmpopoUiri.  Presene tino  i tribuni  la  legge  su  la  partizione  delle- campa- gne';  _e  voi  la  confermate  co’  voti  vostri , nè  soffrite pur  voce  chi  reclami.  Voi  non  abbisognate  o tri- buni di  esortazione  a questi  opera  ; voi  posti  vi  ci siete , e benissimo  fate  a non  desisterne.  E se  la caparbietà',  se    insolenza  de’  giovani  vi' si  opponga, e rovesci  le  urne  in'' che  i voti  raccolgonsi  , o./i  voti vi  levino,  o scondita  tal , altra  cosa  nel' dar  de  sofì fragi  ntastrate  -loro  quanta  ' il  potere  siasi  del  tri-  i bunato.  Che  se  non  è lecito  degradar^  i constai,  sot* topOnete  ai . giudizio  i privati , de’  quali  si  vatgonó per  le  violenze  ; e fate  che  il  popolo'  voti  su  loro come  su  conculcatori  delie  leggi  sacre  y e distruttori del  dostro  magistrato.  Or  Jui  cosi  dicendo, ta  moltiludibe    fa  cóm> mossa  tanto  intimainente , e manifestò  tanta  ira  contro gU  oppositori,  che,  copie  ho  divisato  dai  princt[yio,  non vofesa  memmen  tollerarne  t discorsi.  Quaodo  sorgendo Icilio  tribuno  dii^e  : che  eran  pur  buoni *1  suggerimenti di  Siccio,  e lan^mcnte  lo  encomiò,  tuttavia  dimostrò cìie  non  era  cosa    giusta , nè  sociale  negar  la  parola a chi  vojeya  perorare  in  contrario , prìncipalmeote'  di> acutendosi  una  legge  colia  quale  far  prevalece  il  diritto alla  Ibraa varrebboosi  di  occasioni  consitnili , qpelK che  non  avevano  pensieri  eqni    ginstì  sul  popolo  , a turbar  la  pUè  novamentp,  e'rimovetae  ciocché  le  gio* /asse.  E ciò  detto  prescrivendo  ^ il. giorno  seguente  ai  , contraddittori  della  legge , sciolse  1’  adunanza.  I consoli  a4umildjili  «oiuiglio  privato  de^'pairìxj  più  energici  al» lora  e più  floridi , dimostrarono  cbe  dovea  leg^ impedirsi  per  ogni  modo  prima' colie  parole,  è poi  colle opere,  se  il  popolo  non  lasciasse  persuadérsi.  AdunqH^ raccomandavano  a tutti  che  andassero  la  ma^a  al  poro ciascuno  quanto  più  poteva  con  amici  e cliènti:,  e quindi che  alcuni  ài  stessero  .ed  aspettassero  intorno  la  tributiti onde  parlasi  all’  adunanaa  , ed  altri  in  più  crttcchj  tna>. versassero  il  Foro , per  intraccbiudere,  il  popolo,  é vie- tarne la  riunione.  Parve  questo  U partito  migliore , e prima  cbe  il  di  si  chiarisse  , erano  molli  posò  del  Forò presi  gii  'da’  patriÉj. Vennero  dopo  ^ciò  li'  Iriboni  e li  consoli, quando  il  banditore  invitò  chiunque  voleva  dir  contro la  legger  Presemaronsi  perciò  molti  onesti  uomini , ma il  remore  e il  disordine  non  lasciai  ascoltarne  le  voci. Imperocché  qoal  déflli  astanti  esortava 'ed  animava  i di* ^ cuori,  e quale  gli  urlava  e'rigettavali nè  la  lode'pre- yalèva  de’fautori,    lo  strepito  degli  avversar):*  Sdegna* ronsi  « .protestarono  r consoli,  che  il  popolo  dava  prìn* cipio  alla  vioTenza  col  non  volere  ascoltare  : ma  repli- carono i triboni  che  avendo* essi  ascoltato  ben  per  cin- que anni , non  laceano  cosa  da  odiarnéli , se  non  voi- leaoo  più*  tollerare  trite  contraddizioni , e rant^de.  Còsi ne  andara  il  più  delia  giornata,  quando  il  popolo  chiese di  votare/  Allora  i giovani  patria)  credendo  che  più  non iCoise  da  sufferire , impedirono  il  popolo  che  si  racco- gliesse in  tribù,  tolsero  a chi  li  portava  i vasi  de' voti, e battendo  e spiugendo,-  cacciarono  quanti  erano  a ciò deputati,    $en  parlivauo.  Alzarono  le  grida  i tribadi e géttaronsi  nel  _ méz^o  di  essi  : e questi  cederono  e là» sciarono  die  ipvioiati  ' passassero  ovnnqne,  ina  passare ovnnque  nob  Isàdavano  il  popolo'xbe  li  seguitava  , o quello  che  tumultuando  e disordinandosi  qua  e là  per lo  Foro  moveasi  verso  di  loro.  Cosi  divenne  inutile  al popolo  il  soccorso  de’ tribuni  : ed  i patrizj  ila.  vinsero  , nè  lasciarono  che  si  ammettesse  la  legge.  Le  famiglie che  più  sembrarono  coadjuvare  i consoli  furono  le  tre de’  Posiumj , de’  Sempronj , de’  Clelj,  cospicuissime  tutte per  lo  splendor  de’ natali,* e potenti  assai  per  amicizie; per  ricchezze  , e riputazione , .come  insigni  per  le  im- prese nella  guèrra.  Si  consente  che  da  questi -dipendè prìncipalmebte  che  la  legge  non  si  ammettesse. Nel  giorno,  appresso  i tribuni  prendendo  i l>le* bei  più  rlguardevolT  discùssero  ciocché  fosse  da ‘fare:  e tutti  di  comun  voto  statuirono  di  non  citare  in  giudizio i cposoli  , ma  i'  privati  che  erano  stati  loro!  minjstrij; la  punizione  de*  qudi  ecciterebbe  come  Siccio'  avvertiva meno  diceria  contro  del  popolo.  Adunque  cominciarono dih'geotemcnte  a discutere,  quabti 'fossero  da  : processare, qpal  titolo  Ressero  al  giudizio  « e qtialé.  ne  sarebbe, '.e quanta  la  pena.  1 più  buj  di  carattere  consigliava    che si  desse  a tutta  un  aria  di  graveùa  e di  terrore  f in opposito  i' più  miti  voleano  moderazione  e ^clemenza,  é Siccio  era  ,il'  capo  di  questi , e-  ve  li  persuase  ; io  djco colui  che  perorò  per  la  partizion  delie  terre  diuonti  del popolo.  Parve  loro  che  si  trascùraasero- gli  àitri  patrizi, e si  menassero  al  popolo  i Clelj,  i Posiumj,  i Sempronj a subirne  le  pene 'delle  opere' fotte  : *si  ! accusassero,’ .di aver  soverrbiato  .ed  rnipedUo  i tribuni  dal  forc'uliiiiutre la  deftsioQ 'della  legger  qa«ido    l^gt  facre  -dei  Senato-- e del  popolo  ,hqn  tsoucedoM  ad;  alcuno , di  p/dl^i  ri chiuso  t ed  alfine  sen  venne  il  tempo  di  giudicare  co- loro. I cooteli  ed  i , patria]  («rau  questi  i migliori)  a^^ sunti  per  consultatvisi -opinavano  che  si  dovesse  con- cedere a!  tribuni , la  punigione  , affinché  i|upedki  Uoa causassero  male  tpaggiore  1 e lasciare  che  i ^plebei  furi-' Ixmdi  versassero*  r ira  loro    le.soÀanxe  degli  accusati affiprhè  paesane  arendeita  quanta  ne  voleanp  ,  V iirq>U- cidnsero  pér  l’ avveAire prinoipalmente  ché  il  danno negli  averi  potrebbe  risarcirai  a chi  aosteuevalo.  Or  Unto appunto  àddivénne.  Imperocché  condannati  questi,  scnaa- apptfrìre  in  giudizio,  il  popolo  Inasprito  se  ne^raddolci,- ì tribuni  pensarono  che  fossè  rendalo,  loro  un  moderato eivil  potere  e sostegno:  ed  i'patrizj -restituirono  ai-  con- dannati le  lo'to  ^stanze  reiHmendole,  a prezzo  eguale da  chi  areale  dal  pubblico  comperate.  Con  tali  riparisi- dissiparono  i mali  imminenti  ^lla  repubblica.  Dopo  non  molto  riprodussero  i.  tribuni  il  di- scorso su  la  legg^y  àia  l’avviso  delia- irmzioae  repeatina de’ucjidci  sul  Tusoolo  fu  causa  bastante  ad  im^edirneli. ^ceeiuccliè  precipitandosi  li  Tuscolani  in  folta  a , Roma «'dicendo  essere  giunta  una  artnaNi  grande  di  Equi, che  av«a-  già  devaatatq  le  foro  campagne  , e ohe  tra pochi  gieini  ne  espugnerebbero  fin  k ciwà  se  ben  tosto non  sibccorpeTauo  ; iK  Senato  decretò  ‘che  v’ andassero entrambi  U consolù  .ed  i consoli,  intimata  la  leva,  fchk* tnarono  tutti  i dttsdini  alle  anni.  Ebbevi  anche  allora del  snsurro,  oppibnendovisi  i tribnni  alla  iscrizion  mili^ tare , né.  volendo  die  gl’  indocili  si  pòm'ssei'O  col  rigor delie  leggi:  ma  tutto  io  indarno.’ Imperocché -il  Senato, raccoltosi,  decretò  che  uscissero  alia  guerra  i ' patck)  coi loro  clienti  : che  quanti  voleano  avér  parie  nel  aalvaro la  patria,  avessero  ancor  parte  nelle  sante  cose  de’ numi, ma  che  niuna  più  ve  n’  avessero  quei  -che  lasciavano  i consoli.  Saputosi  il  decreto  del'Sen^o  nell’  adunanza del  popolo  mólti  si  misero  spontaneamente  all'  impresa. Vi  si  misero  i p{ù  ingenui  per  la  verecondia  'di  non soccorrere  toha  città  confederata  ,'  diauuta  wmpre  per r aderenza  sua  con  Roma  : tra  questi  fu  Siceio  1’  accu- satore presso  del  popolo  degli  usurpatori  delle 'pobblidie terre , -il  quale  menava  seco -ottocento  uomini,  timi  co» me  -lui  di  età  superiore , nè  piè  vincolati  dalla  legge  ^a combattere  ma  pieni  della  riverenza  del  valentuomo pe’  grandi  benefizj  ricevutine  aveano  ripntato  cosa  non degna  di  abbandonarlo,  mentre  rinsciva  egli*  a fitr guerra.  Òr  questa  tra  la  milizia  d’  allora  fu  di  gran lunga  la'  migliore  per  la  perizia  iu  combattere  , Come per  T'ardire  tra’ pericoli.  Seguitarono  anepr  altri  T eaer- cito-  vinti  dall’ aderenza  e dalle  istanze  de' seniori.  - E il èri  pur-  k milizia 'pronta «sempre  a tnui  {.pericoli  per amor  deUe  prede  , che  si  fan  tra4e  arme..  Pertanto  in poco  tempo  ebbest  un  armata  numerosa  , e .'fornita splendidissimameute.  .!■  nemici  udite  che  i Romani  marcercbbero  contre  ^ essi  , ravviafóQO  terso  la"  patria r esercito  : ma  i consoli  avanzando  ,a  .gran  >freilao per  6eno,  e gl*  investirono  improvvisi,  mentre  scendevano a tor  r acqua  ; e più  volte  a battaglia  li  provocarono. XLIV.  -Or  attagiia  ; e cavò le  milizie  dalle  trincee#. e comparti  fcavslieriie  fanti  per coorti,  ciascuno  ne’luoghi'  Convenienti  ; alfine  chiamando Siede  gli  disse  : iVbi  combattiamo  da  quindi  o Succio, 1 nemicL  Tw-  mentre  noi  ed  efsi  ci  risparmiamo  ap- parecchiandocip  va  di  fianco  per-  quella  via  sul  monte ove  è il.eaatpo  nemico,  e v assalùci  quei  che  ilo guardano  , affinchè  gli  altri  che  slan  contro’  noi  ne teman  la  perdita,  e tentando  soccQnjerlo  ci  volgari  le spalle  ; e cor/ie.  avviene  ^in  una  subita  ritirata , si  affi. foUirt  tutti  per  una  strada  , e con  fUcilità  li.,  conqui- diamo : o se  qui  si  rimangono  ; lo  perdano  il^  campo  ^ loro.  La  milizia  che  -lo  presidia,  per  quanto  seti  con- cepisce, già  non  è.  per    foige,  ma  pan  mettere  tutta la  fiducia  bliquamente  per  quella  slracbi , impossibile  a salirsi di,  rutscosòr  dei  nemici:-  ma  io  vi  condurrò  per  vie non, visibili  ad  essi;  e ben  mi  presagisco  trovarle  tali òhe  ci -guidino  sul  morite,  e sul  campo.  Inanimiìevi Digitized  by  Googlc « . , LlDnO  X.  ‘ 387 dunque  i e speràlCk  Ciò  detto  s*  avviò  Wk  fa  selva , '>« eorsooe  buoa  tratto,  a’ imbattè  con  un 'cHtadioo , parti» tosi  non  so  d’  onde  , e fattolo  arrestare  ; , sei  prese  a guida.  E colui  rigirandoli  gran  tempo  attorno  del  mon* te , li  pose  al  fine  su  di  nn  colle  rimpetto  degli  aHog la  battaglia  ebb^  un fine  decisoli  Imperocché  -Siccio  co’  suoi,  non  Si  toifo  - fu -presso  degli  alloggiamenti  , trovalbne'' il  danto  verso  di sè  derelitto  dalla  iniliiia , intenta  tutta,  come  n spetta» cólo  dal  canto  verio  del  combattimento  > vi  diede  faci» lissimitmente assaltò  , -e  sonrontpvvi  : . e prorompendo in  grida  ; corsele  come  dall’ alto  ^ addosso.  Sopraffatta quella  dal  mate  impensato  e concependo  che  venisse non  qne’  pochi  ma  l' altro  console  colle  > sue  schiere  si precipitò  fuori  delle  trincee,  per  la 'più.  gran  parte senz’arme.  Que’di  Siccio  ne'  uccisero 'qua    ne  presero, e signori  già  degli  alloggiamenti  , ripiombarono  sa  gli altri  nel  piano.  Gli  Equi  , conoscinta- dalla  foga  e dar damori  la  presa  degli  alloggiamenti,’  e veduti  dopo  non molti^.i  nemici  correre  loro  alle  spalle,  noo 'mostraùlno .già  cnof 'generóso  , ma  dnordinadsi , ceecàrono  scanapo per  varj  sentieri.  Ma  iu  questi  appunto  fecesi  strage copiosa  , non  avendo  i Romani  lasciato  d’  iusegnirli  a trucIdarvegU  fino  alla  notte.  Siccio  ne  era  l’uccisor-  più graude  Ira  Ilice  d’imprese  bellissime:  e quando  vide  le cose. nemiche  ornai  ridolte  al  suo  temiihe,  egli  già  fatta notte  , tripudiando  e forte  magnificandosene  rimenò  la sua  coorte  agli  alloggiamenti  espuguati.  1 suoi  npn  sedo illesi  ed  inviolati  da’  mali  che  ne  temeyanó  „ ma 'em- piutisi tutti  di  gloria  vivissima  , lo  chiamavano  padre  y salvatore,  Dio,  ed  ogni  altro  bel  nome,    finivano  di felicitarlo  con  amplèssi  ed  -altre  esuberanze  di  'gioja. Intanto  r altra . milizia  romana  tornava  al  campo  tuo ‘ dall’  inseguire  i nemici.  > , . . XLVIL  Era  già  la  mezza  notte  , quando'  Sfecio  ra- minando  1’  odio  suo  'bontro  de’  (Gasoli  che  ,lo  oveano spedito  alia  morte  -,  si  pose  in  ' animo , dì  tor  loro  la gloria  4el  buon'  successo.  Rivelato  il  cor  suo  tra’  com- pagni , e sembratone  a tatti  benissimp  , anzi  ammiran- done Ognuno  i concetti  e F ardire,  .^li  prese  e fe’' prender  le  armi  , e prima  uccise  guanti  trovò 't|tnvi nomini,  cavalli,  ed  altri  animali  degli  Equi,  e pòi  mise in  fiamme  i padiglioni , pieni  di  arme  , di  vesti  , di apparecchi  di  guerra  , e di  robbe  moltissìmé , recàtevi dalla  [ureda  tascoiaua  : al  fine , dopo  svanita  ogni  cosa tra  r incendio,  parti  su  I’  alba  senza  altro  che  le  arme, e rientrò  con  marcia  rapidissima  in  Roma.  Osservativisi questi  appena  , solleciti  tra  le  arme , tra  ’b  sangue , tra i cantici  della  vittoria  , eccovi  grande  il  concorso , e la smania  di  visitarli  , ed  intenderne  le  cose  .operate.,  Ed essi,  andatine  al- Foro,  ve  le  narrarono  ài  tribuni:  ed i tribuni,  intimata  un’adunanza;  comandarono  loro  che vi  favellassero.  Era  già  grandè  la  moltitudine  ; quando Siedo  recatolesi  iunanzi  narrò  la.  vittoria  \ e' le  maniere del  combatlimentp  j >e  come  il  campo  nemico  era  preso per  ie  ' forze  sae>e  degK  ottocento  suoi,  spediti  dal  con- sole a morire,  e come  infine  le  altre  • milizie  combattute^ dai -consoli  ne  ifurono  ridotte  a fiìggjre,  Chiedea  per« tanto  che  non  sapessero  grado  , se  non  a luì  dèlia vittoria  dicendo  in' ultimo  : noi  veniamo  sMve  le  per- sone e le  arme  , nè  pattiamo  coià  ninna  grande  o picciola  delle  involate  ài  'nemico.  Il'  popolo  -alf  udirli', impietosì,  lagrìmò  , vedendo  la  età  , considerando  la fortezza  de’  valentuomini , e crucciandosi , • e smabiandó so  chi  voluto  ne  aveva  privare  la  patria.'  Sorkène,  come era  l’intento  di  Siccio  , l’odio  di  tutti  contro  de’ con* soli.  Il  Senato  srésso'non  soffrì  ciò  di  buon  animo,  nè decretò  per  essi  il  trionfo'  o altro  pe’ fausti  cornetti- menti.  H popolo  poi  veduto  if  tempo  della  scelta  dei magistrati  , nominò 'Siedo  tribuno  ; conferendogli  la  di- gnità della  • qpale  erà'  1’  arbitro.  E tali  furono  le  cose più  rilevanti  operate  in  qòeiranno.  '•  1 XLVllI.  Spurio  Tarpeo , ed  A11I9  (i^  Térmipio  pr^ sero  il  consolato  per  l’  anno  seguente  (0).  Questi  carezzarono di  continuo  il  popolo  con  più  medi  , ccène  col previo  decreto  del  Senato  su’ magistrati  (3);  imperocché “ * » * (i)  Si  coniulti  SigoDÌo  su  Livio.  Di    si  raccoglie  cìie  forse  dea Irggtt ti' jfterh.  \ ' (a)  Anna  di 'Roma  3ao.  secondo  Catone.. ^o»  secoado  Varrone, e av'.  Cristo.  , . ' (3)  Cioi  che  si  potessero  multare  i magistrati  arrogami  o clie trascendevano  i limili^dei  loro  poteri.  Vedi.g  5o^i  rjueito  libro. Nondimeno  vi  è chi  crede  che  vi  si  parli  del  senatusconialto  fallo emanare  dai  consoli  perchè  li  tribuni  potessctp  ìar  approvare  dal DlOillGT,  amo  Iti.  • ' » ' ' nsoli  ultiini.  Intanto  prima  che*  d*  di  Sén Venisse 'di' quella  causa.^  facendo  l’uno  e^l’ altro  d^li accusati  calde  brighe  e raccomandaziodi,  essi,  come  già consoli , assai  speravano  su  del  $éQato  ; • e teneano  per leggero.,  il  pericolo , promettendo  i seniori  di  quel  ceto ed  i giovani  che  ilon  lascerebbero  far-  tal  giudizio.  Ma ì tribuni  prevependo  tutto  da  lontabo,  e non  valutando preghiere;  non  minacce,  non  pericoli  ; a{q>ena  giunsene il  tèmpo,' convocarono  .il  popolo.  Eransi  già  riversati da’  campi  in  città  poveri  e lavoranti  in  gran  numero  : or  .-questi  aggiunti  alla  moltitudine  interna  'empierono  il Foro,  e le  vie  che  vi  conduconp. popolo  il  progetto  sa  la  formasione  del.le  leggi  , eguali  per  tatti  ; 'argomeaio  allora  di  controTeraie , -come  apparisce  dalle,  coa'e  pre- cedenti/'’ -• (r)  Forae  Icilio  tribuno  dell’  anno  precedente.  .- ».r-XLIX.,  laQ^oUo.per  il  primo  il  gÌRdluo' tU' Romi« lio , .Sieda  fattoti  (^vaati  .accurà  le>  violenze  di  lui  nel •DO  consolato  contro  de’  tribuni , e le  insidie  contro  di aè  e della  sua  coorte  nel  suo  capitanato.  E endo  egli  voluto  esimere'  da  quella  spe- dizione. Matxo  .Jciiio  , coetaneo  ed  qmico'SUOf  figlio di'  uri  tale  dellfi  coorte^,  perchè  qifesti  non  ujttme.  ài un  tempo  col  ^adre    morire  ^ e che  avendo  ottenuto da  Aulo  V srginio , zio  suo , e luogotenente  afiqrq delle  nfilizie  di  recarsi' ai  consoli^  chiederne  quésta grazia  ; i coruiyli  ebbero  cuore  di  .coatraddirh  , ed egli, fa  ridotto  al  conforto  nùsero  delle  lagrime  ^ non restar^do  à (iti  che  dèplorare- la  calamità,  delf  amico  : che  t antico  pel  quale  pregqvaf  udito  ciò,  se_n  venni, 9 chiesto  di  parlate  protestò  choj  avea  pur  grandi  gli obblighi  agi  inteAiessori  suoi,  rna  che. mai  grad^ebbe anche  ottenutala  una  concessione  che  levavagli  d' esser pietoso  inverso  del  sangue  suo  : nè  nidi  si  Hmove/ubbe dal  padre  quanto  più  si  avyiava  a. morte,  certa  come tutti  sapeane  : anzi  ne  andrebbe  con  lui  pey  difen- derlo fin  dove  potrebbe  , e correrne,  la  sorte  medesi- ma, Or  costui  ridicendo  tali  cose , niun  fu  " che  nou commiscrasse  la  sorte  di  tali  uomini  : ma  quando  poi chiamati , comparvero  per  attestarla  , (cilio  ' padre  , e figlio,  e oarrarono  cioochè  era. di  loro;  non  poterono i più  del  popolo  contenere  le  lagrime.  'Perorò,  se  ne difese  Ròmilk>,'non  ossequioso,  non  pi^érole-ai  tem« pi  ; ma  fastoso , e,  grande  ne’  concetti  ' suoi , coÉàe  non si  avesse  a dar  cónto  del  consolato.  ■ Adunque  l’ira  ne crebbe* de’ cittadini , e rendati  arbhri  di  sentenziame  , deliberarono  ripercoterlo,' e condannarlo  co’voti  di'  tutte le  tribù  ; . talché  la'  condanna  fosse  una  ' multa  di  assi dieci  mila.  Siccio,  'sembrami,  risolvè  ciò  non  senza  nna .provi  denza  : ma  perchè  scadesse  il  favór  de'  patrizj  su costui,    facessero  broglio  nel  darsene  ih  voto,  consi- derando che  la  emenda  era  * in  danari  e non  ‘altro  ; e perchè  li  plebei  fossero  più  pronti  a .pronunziarne  la pena,  non  dovendo  spogliare  l’àom  consolare  di  patria, nò  di  yita.  Condannato  Romilio  fu  dopo  pochi  giorni condannato  eziandio  Yeturio.'  Anche  la  multa  sua- fa pecuniarìa,  ma  suddupla  di  quella  del   consolato.  Adunque  non  \ più  governavano  misteriosa- mente, ma  Con  intento  manifesto  ai  vantaggi  del  popolo. E priipa  stabilirono  ne’comizj  benturiati  per  legge:  che tutti-  i magistrati  potessero  punire  quelli  i quedi  ecce* devono  o disordinavano  i loro  poteri  , perchè  per  ad- dietro non  altri  che  i consoli  pòteano  far  questo.  Per (i)  Qoi  di'cinqoa  mila  aui.  Ora  ciò  sembra  ragionevòle;  per- chè esseodo  Romilio  oppositore  più  che  Velario  de’  tribooi  , dovea sentirne  danno  maggiore.  Nondimeno  Livio  afTerma  che  Romilio  fa condannalo  per  dieci  mila  assi , e Velario  per  (piiadjci  mila  ; il  che ha -fallo,  interpreiare  la  voce  a/oUssi qui  dire  minatamente , a voi , che  vef.  sapete  , quanto ho  sofferto  dal  pòpolo  non  per  mie  private  ingiusti- zie i ma  per  la  henevolenza  mia  verso  di  voi;  tuttavia ciò  ricordo  per  neceisità,  affinchè  vediate  che  io  parlo per  lo  migliore  ,,  non  per  adulare  il  popoìp  , che  mi è eontrarioi    alcuno  si  meravigli , -je-  io  che  fui d altro  asviso  più  volte , e quando  fui  ^console  e prima,  ora  mutato  mi  sia  sttbitamenté  ;J    vogliate concepire  che  non  bene  consigliassi  allora , , o non bene  mi  ritratti  ah  presente.  Io  finché  vidi , o padri  , , superiore  lo  .stato  de  nobili,  lo  favorii,  come  doveasi, non. curando  quello  dei  popolo.  Ma  poiché  fatto  savio da’  mali  miei,  vidi. a gran  costo  che  il  poter  vostrq  è minore  dei  vostri  voleri  ; e che  piegaridovi  alta  necessild  più  volle  avete  lasdèUo  manometter  dal  popolo quelli  che  vi  sostetievimA  , rdiora  più  ,non  tenni  gh antichi  pensieri.  E ben  vorrei  che  rion  fossero  a me, nè  al  collega  mio  succedute  le  cose  per  le  tjtiali  voi tutti  su  noi'vi  condolete.  Ma  poiché  finite  sono,  tali nostre  vieef^e,  e possiamo  solo  curar'  t avvenire,  prov- vedendo 'che  ailri  non  soffran  Iq  stesso  , v'i  esorto  ad uno.  xid  uno  I é tutti  insieme che  órdinialé  m bene, almeno  il  presente:  àmpcrocchò'JèUcissimamente  go- vernasi una  repubBlica  , la  qual  si  èontempera  alle sue  cose;  quegli  è il  consiglierò  migliòre  che  pòrge  il parer  suo  per  cònio  di  utile  pubblico^ -non  di  nirnid- xte  private  o furóri;  e benissimo  lei.  porgerà  su'tempi di  poi  chi  pigha  esempio  delle  cose  JWhtre  dalle  pas- sale. Noi.,  o padri,  quante  sfolte  si ■ disputò , si  'don- lése  tra'l  Senato  e tra ’l  popolò  ; tante  ne  àvemmo per  alcun  modo  la- peggio  con  morti,  «v»  esilj  , con sfingi' (T  Uomini  insigni.  Or  quale  sciagura  maggiore per  una. repubblica  che  le  si  tolgano  i cittadini  mi- gliori , ò senza  Una  cauia  ? Pertanto  io  vi  esorto  che questi  ve  ù risparmiate;    gettiate  i consoli  presenti a''màmfesti  pericoli , abbandonaisdoli  poi  tra  la  tem- pesta, al  pentimento.  Deh!  che  non  gettiate  ai ‘peri- coli niim  altro  qualunque,  e sia  pur  egli  piccolissimo per  la  repubblica.  La  principale  fierò  delle  cose  che vi' raccomando  , è che  mandiate  deputati  ,'qiusli  nelle grecite  città  d"  Italia , e quali  in  Alene  ; perchè  vi cerchìn  le  leg'gi  migliori  , e più  confacevoli  a’ nostri costumi,  e Sce  le  fìpot'i.iio:  che  Ibrnnti  questi,  i con- soli propongano  al  Senato  , quali  debbansi  'scegliere per  legitlatori  con  Jfual  potere  , , per  quanto  tempo  , e cosp  altrettali  come  - egli  le  crederà  spedienti  : fi- nalmente che  lasciate  le  discordie  col  popolo  , e di cofinetlervi  disgrafia  a disgrazia  , principalmente  per una  legislazione  , la  quale  ha  seoo , se  tiòn  altro  » uM apparqto  'almeno  di  maestà.  . - LU.  Seooodarooo  i dpe  consoli  ài  parer  di  Rqntiliò con  più  ragioni  premediut^  e , molti  altri  xonsiglieri  lo secoodaronof;  tanto  cbè  la  plorftità'vi  ^ deprsj^.  E già già  se-  ne  slendeva  ài  decreto,  quando  Slocio'.il^  trtbimot quegli  cbe  zyevz  accusalo  iLomilio  sorse,  e fattone  ekn gio  copioso , ne  laudò  la  mutazione  , e cbe  non  ayesse anteposto  Je  nimicizie  sue  all’  util  comune  ,-,ma  ^tto ingennào^entè  9ÌÒ.  eb’era  il  bene.  Peritai  meritp^  sog- giunse , IO  gir  rendo  qvesC  ossequio , 0 ^ptesta  ricono^ saenza  : io  U>  assolvo  dalla  multa  impostagli' nel  giu- dizià  , e dà  pra  in  poi,  me  ^ riconcilio  : perocché  ci ha  sopra^atlo  ftel  .bpne.  Egli  disse } e già  altri  tribuni presenti  acconsenlironò.  I^on  sostenne  RomiUo- dà,  pren- derne quel  conlnccambio  ; ma  lodati  i .tribuni  protestò cbe  pagherebbe  la  multa,  essere  questa  sacra  ai  numi: e non  fare  ■ cosa    giusta    pia,  chi  spoglia  h numi di  quanto  si  dee  laro  per  legge  : e.  coti  £e$;9.  Steso  il decreto  dal  Senato , 'e  confermato  dal  popolo  , ' furono eletti  a prendere  le  leggi  da*  Greci  Spurio  Posiiunio  , Setvio.  Sulpicio , ed  Aulo  MalHò  (i).  Furono,  questi  a ' . , " ^ „ (I)  In  Lirio  si  legge  PuM-  Sulpicio  .in  laog'o  di  Servio  Salpido come  scrivesi  '.in  Dionigi.  Servio  Sulpicio  fu  eOosdle  l'anno  193,  ma Publio  non  si  trova  cbe  'mai  lo  fosso.  Tanto  Liiio  quanto  Dionigi numeraao  Aulo  Manlio  Ua  i depùiati,  cd.  Aulo  Maoliq  seooado pubbliche  spese  forn^  di  triremi- e > di  ogni  arredo  ; quanto  si  convenisse  ialia  maestà  ' dell' impéno  ; e cosi l’anno -spirò.  ''  ‘ ' LUI.  Nella  olimpiade  ottantesima  seconda,  quando Lieo  Tessalo'  di  Larissa  vinse  allo  stadio  , e Cherofiino era  l’arconte  di  Atene,  compiutosi  1’ anno  ,trecent«imo dalla  fondasionb  di  Roma,  cretti  consoli  ' Publio  Orazio, e Sesto  Qaintilip  j[i) , proruppe  nella ^città  up  morbo coptagioso  , il  inaggioi%  di  quanti  ue  erano  ricordatL Vi  'perirono  quasi  tutti  i sèrvi , e circa  .Una  metà  di cittadini.  Non.  piò  i medici  avean  cuore  d(  curare  gl’ in- iermi  , non  i domestici , non  gli  amici  di  porgere  loro le  cose  necessarie  ; perocché  volendo 'assistere  gU  -altri còl  tatto  e col  commercio  ne  coutr^evan  i malu  Donde è che  piò  famiglie  si^  desolarono  per, deficiènza  di  assi- stenti. Non  era  la  minima  delle  sciagure*  quella  so  la esportazion  de- cadaveri,  ^ certo  era  causa'.cliè  il  morbo non  venisse  meno  subitamente.  Su  le  prime  per  la  ve- recondia , e la  copia  de’  funebri  apparecchi  bruciavano o seppellivano  i -morti  : ma  poi  curando  poco  la  vere- condia , o non  avendo  ciocché  bisognava , ne  gettavano molti  nelle  chiaviche , e più  ancora  nella  corrente  del fiume.  nd’  è che  spinti  ai  scogli  e alle  arene  delle rive , songeane  danno  gravissimo  ; perchè  spiccavasene Oiooipi  fu  contotq  r aono  s8o  i laddove  io  Livio  leguaai  .ia  quel- l’anno per  coufole  G.  Manlio.  S;  dunque  ì deputali  erano,  còm'a veri$imile,  tuui  uomini  co^olari  , il  tèsto- di  Dionigi  in  questi -lue- gbi  trovasi  più  eastigato  che  quello  di  LCvio.  t .-(t)  Aono  di  Roma  3oi  secondo  Catone ,,  3o3.  secondo  Varrone, e 45»  av.  Crisio.  • ■ • ’ Digilized  by  Google f ..  "‘uBao  x;  ' 297 un -odor  fetidissimo,  il  quf^e  col  corso  dé’ reali  causava subite  mutezioni  ai  corpi  anche  saqi.    l’acqua  portatq dal  dame  era  più  buona  da  beveme  si  per  1’  odor  tri» sto,  ri  per  le  ree  digestioni  a designarvi  i consoli,  e designatili ', propoiTebbero'  io* sieme  con  questi  ai  padri  la  scelta  de’  legislatori.  ^ Ao- cordativisi  i tribuni , essi  intimarono  -i-  comizj  prima assai  deir  usato  , e destinaieno  consoli  Appio  Clandio  , 0 Tito 'Genuzio.  Dopo  questo  .omettendo  , quasi  già fòsser  di  altri,  .tutte -li  cure  {fùbliliche,  più  non  datano ascolto  ai  tribuni  ',  e solo  miravano  a sottrarsi  di-  briga nel  resto  delia  loro  raagistratnra.  Occorse  intanto  cbo Mencaio  l’ iroò  de’  consoli-  s’  ìnfernuMe  di  juna'  lunga malattia , e vi  fu  chi  disSe  che  il  languore  sopravvenu- togli per  -l’ affanno  e per  1’  abbattimento,  la  rendeva  in* sanabile.  E'  Séstio  sol  titolo  che  egli  non  "potea’  solo  per .  . 1 , a()9 aè  fiir  aiedle,' respingeva  4e  istanzt  de’ tribuni,^  e voleva che  si  vbigessero  a miO^i  niagislrati.  E questi  non  avendo altoo  lYiodó,  furono  astretti  in  privato,  e nelle  adunanze pufablicbe  dirigersi  ad  Appio , e suo  collega , quantun> qùe  non  avessero  ancora  preso  il  coniando.  Or  gli  ri- dussero alQue  questi  uomini,  empiendoli'  di  grande  spe> ranza  di  onori  e,  di  potere , se  prendessero  a*” cuore  gli interessi  del'popdfo.  Imperocché -Appio  iu  invaso  dal- 1’  ambizione  di  avere  una  qualche  nuova  magistratura , di  fondare  leggi  di  cònCordia  e di  pace",  e di  far  che tulli  estimassero  'che  la  patria  sola-  comandava^«u‘  citu* dini.  Ornato  però  di  una' grande  magistratura  non  vi  à contenne;  ma  inebbriàtone  da’ poteri  sublimi  ,^^tr^orse ai  furori  di  perpetuarsela  , e per  poco  non  giuose  alla tirannide  ; cqme  spbirò  ne’ suoi  tempi.  - LV.‘  Allora  dunque  cosi  pensaodota  con  cuore  -buono, '6no  a {lersuademe  il.* collega  egl’ invitato  più' volte  dai tribupi  alle  adunanae  , vi  'si  (^dusSe  , e 'tenpevi  molti ed  umani  ragionamenti.  I quali  rigiravansi . ip  t^eslo che  piaceva  a hd  come  al  collega  suo',  prÌTtcipalmeiUe che  si  destinassér  le  leggi,  e si  chetassero . le  ■ discara die  civili  su  diritti  ; e diceano  ciò  ' palesissimàmeute  ; come  pure  che  ''essi  ',  perchè  non  entrati  al  comando  , non  aveano  'facoltà  di  nominare  i cosUtutori' delle leggp  ‘ che  noH  si  opporrebbero  per  ' mòdo  'alcuno  a Menenio’  console  e suo  ^collega  se  dava  esecuzione  al decreto  del- Senato,  anzi’ che  do  - coadj'uverebbero  e ringràzierebbyo  ; che'  se  Menenio  e il  compiano  re- ylica  e protesta- ( Soggiungevano) , che  trovandoci  noi designati  per  consoli  f Tton  ^uo  ' nominare  altre' magislrature    quali  prendano  podestà  pari' alla  consola- re ; noi  dal  canto,  nostro  non  saremo  V ostacolo  della operazione  : perchè  sporttanoi  cederemo  la  nostra  so- prastanza, se  cosi  • piace  in  Senato,  ai  nuovi  che  sce- glieransi  in . ^ogo  de'  consoli.  Elocomiava  it  popolo'  la buona  volonlà  di  tali  .uomini  ; e spiolMÌ,  tutti  ia  /olla nella  curht , Sesto  ( non  poiendoviai  tcovare  Menenjo per  la  iufern^ità  ) costretto  a convocare  egli  solo  il  Se- nato, propose  la  deliberazione  su  le.  leggi.  Ben  si  disputò qninci  e quindi  copiosaiaeute da.  chi  lodava  l’essere coiuanihto  dalle  leggi , e da  chi  chiedeva  che  si  rite- nessero le*  costumanze  paterne:  ma  prevale  il  , parere de’  consoli  designati  propostovi  da  Appio  Claudio  , in- terrogatone per  il  pritpo  : vuol  dire  cAe  si  icegliessero dieci  i più  cospicui  tra  padri  : che  forrtandastero  su tutta  la  repubblica  per  un  anno  dal  giorno  deità  ele- zione'col  potere' che 'ci  aveatip  i consoli',  e primari re  : e che-.fiotànto  che  governavanp  i decemviri  .ces- sasse ogni  altra  .màgislralura:  che  qqesti  proponessero le  leggi  più  utili  alla  ivpubblica , scegliendone  le  mi- gliori da  quelle  riportate  pe'  deputali  dalla  Grecia  , e dalle  usante. della  patria;  che  le  leggi  scritte  da  de- cemviri, approvale  • che  fissero  dal  Senato  e ratificate dal  popolo  ,,  valessero  per  tutto  f avvenire;  e che  i magistrati  che  si  creerebbero  a norma  di  queste  leg- gi , discutesteror  a rtórma  appunto  di  esso  i,  conti  atti d'e' privali,  e pròvyedessero  al  pubblico. - .,LYL.  Preso  questo  decreto  ne  anderonò  i tribuni al/ adunanza,  e letto  velo;  assai  vi  encomiarono  i padri, ed  Appio  che  lo  aveva  proposto.  Giunto  poscia  il  tempo :^  . ‘ 3oi de’  comizj , i iribun!  convocatovi  il  popolo , fecero  ve« Dirvi  i censoU/ designiti  perchè  g[li  osservà^ro  le  pro- messe: e questi  presentatisi  ; deposero  il  consolato.  Non finiva  il  popolo  di  encomiarli  e lodarli:  fattosi  quindi a dare  il  voto  pe’  legislatori scelse  a tal  grado  -ipiestl due  per  i 'primi.  Imperocché,  ne’  comizj  per  centurie furono  eletti  legislatori  Appio  (gaudio,  e>Tito  Genuzio^ li  due' che  doveano  èsser  consoli  l’anno  seguente  :*  Pu« blio 'Sestiò.,  «insqle ^ dell’ anno  corrente,  li  tre  Publio Postnmió  , Cervio  Sulpicio  , ed  -Aulo  Mallio  -, . r qusfli aveano  riportate  le  leggi  da’  Greci;  Romilio  il  console dell’  anno  antecedente  (i)  il  quale  condannato  peo  le accuse^  di'  Sfócio  dal  popolo , fu  poi  sentito  il  primo  a dir  senlèDEe  fautrici ^ cemVirato • f LVtll-  Dettesi  quinci  0 quindi  più  cose»' vinse' final- tnente.il  partito  di  chi  consigliava  che    tenesse  ancorsi il ■ decemvirato  su -là  repubblica;  peroccbè' compilata  in picciolo  ,t$mpo  la  legislazione  non  pareva  La  .tutto  ulti- osata.,  e -pareva  ancora  ;che  bisognasse  un  magistrato assoluto  per  .obbligare  , volessero  0 no , tutti , a quanta ne  èpa  già -stata  decretata.  Ma  ciò-,cbe  gl’. indusse  più che  tutto,  a preeleggere  i dieci. fu, rinlenlo  di  spegnere- il  tribunato , ciocché  bramavano  sommanaenie.  ''Tali  fa- tono  i risaltati  delle  - pùbbliche  « cousuUaziom  : ma.  in privato  i primi  del  Senato  disegnavano  procurare  per sè  quel  magistrato  Sui  timore  che  intrqduceodovisi  uo- mini turbolenti  nen  cagionassero  grandi  sciagure.  Il  po* polo  ricevè  con  diletto , e ratificò  Con  pieno  trasporto  , dandone  -il  voto  , le  sentenze  -dej  Senato. . I dieci  pre- fissero il  tempo  de’.comiàj-,  e li  più  provetti  e più  ri- spettabili de’  patrizi  ambirono  quel'  magistrato,  b*  fptì molto  ebeomiato  da  tutti  JVppio  , il  pruno  ^allora  del decemvirato  , * ed  il  popoip  vo)ea  .couifermarvelo  ,-  -come se  niou  altro  meglip  di  lui -lo  remerebbe.  Egli-  fingea su  le  prime  di  escusarsene  e 'cbiodeva  ebe  Ip  esimessero  da  nn  incarico  , pieno  di  travagli  e d*  invidia  : ma poi  Btimolandovelo  tutti;  fecesi  a chiederlo  nottamenle  ; anzi  dolendosi  dei  migliori  ' de’ competitori  , come  di animo  non  buono  verso  lui  per  4a  ' invidia  ; favori  gli amici  suoi  palesissimamente.  Egli  dunque  nc’comizj  per centurie  fu  crealo  per  la  seconda  volta  datore  di  leggi: e eoa  esso'lai  furono  creati' Quinto  Fabio  detto  Vibo^ lado  , già 'per 'tre  volte  console;  ed- irreprensibile  6no a quel  tempo  in  ogni  bel  costume  : e ira  gli  altri  pa-^ trii)  diletti  ^uoi;  Mai‘co' Cornelio,  Marco  Sergio,  Lucio MinuCio  , Tito  Antonio  , e Manio  Rabulejo , .uomiut non  molto  chiari  : de’  plebei  poi  Quinto  Poetelio , Ce- sbne  Duellio  , e Spurio  Oppio.  Aveaci  Appio  assunti por  questi  per  adulare  il  popolo  coi  dire  che',  1’  equità voleva  , • «he  , stabilendosi  una  magistratura  uòica  su tutte  le  -còse  ; aves^ro  parie  in  essa  anche  i plebei. Applaudito  in  unte'  queste  cose  , . e ‘parendone  il  mi- gliore dei  re  , e de’  soprastand  annuali  ; prese  la  magi.i stratura  per  l’ anno  che  seguiva.  Or  questo  e non  altro ' è quanto  si  operò  degno  di  ricordauza  nel  primo  de- cemvirato presso  de’  Romani.  ' ^ LtX.  Presero  nell' anno  ^guente  -la  podestà  suprema i dieci  con  Appio  alle*  idi di  maggio.  Allora  i mesi legolavausi  colla  Iona , e cadeva  in  quelle'  idi  appunto il  plenilooio.  Or  prima  legandosi  tra  sagrifizl , arcani alla  plebe  , convennero  di  non  contrariarsi  mai  fra loro,  'di  ratificare  tutti  quanto  ciascuno  giùdicherebbe: di  ritenersi  la  magistratura  ih  vìta\    Jasciare  che altri  vi  sottentrasse  : di  aventi'  tutti  onore  e potere eguali  : di  ricorrere  di  rarii  , e per  necessità  sola , ai.  . 3o5 i>oti  del  Senato  e del  popòlo  , e di  ultimare  per  lo più  le  cose  colC  autorità  propria.  Poi  jrenuto  il  gio;^o da  pigliare  il  comando , ( è questo  giorno  sacro  ai  Ro- mani , e guardansi  tutti  di  ascoltare  o vedere  cose  non liete  ) ^ fatto  prima  sagrifìzio  agl’ Iddìi  secondo  il  rito, uscirono  ben  tosto  i.  dieci  su  la  mattina  con  tutti  i di- stintivi di  nn  regio  potere  (i).  Come  il  popolo  vide, che  non  osservavano  più  |e  mauiere  popolari  e, modeste di  preminenza  , e che  non  avvicendavan  fra  loro  come prima  i segni  del  comando  supremo;  assai  ne  decadde nell’  aspetto  e nell’animo.  Temè  le  scuri  messe  tra’ fasci portati  da  dodici  licori  dinanzi  a ciascuno,  i quali  fa- cean  largo  , dando  de’  colpi  come  prima  ai  tempo  dei re.  Era  stator  questo  costume  abolito  ben  tosto. dopo  la espulsione  dei    da  Publio  Valerio , uomo  popolare  , quando  ne  succedette  al  comando.  E paréndo  essere stato  autóre  di  ottima  cosa;  tutti  i consoli  posteriore  fe> cero  come  lui,    più  misero  tra’  fasci  le  scuri,  se  non quando  marciavano,  all’ armata,  o per  altro  intento  usci- vano da  Roma’.  Or  quando  portavano  guerra  agii  esteri, quando  visitavano  i sudditi,  assuiueans  le  scuri  ; .perchè r aspetto  terribile  di  esse- , . come  dirette  contro  de’  ne- mici e de’  servi , si  rendeva  mec  grave  pe’  cittadini. LX.  Veduto  ciò,  che  riputavasi  il  segnate  di  nn  re- gno , si  temè , come  ho  detto  , moltissimo , credendosi pòduta  la  libertà , e creati  dieci  per  un  solo  monarca. Con.  tal  modo  sbalordirono  i dieci  la  moltitudine  : e (f)  Anòo  di  Roma  394  secondo  Catone,  3g6  secondo  Varrous, e 448  ar.  CrJslo.  ' '1 PlOStGt  , Itipu)  in.  ■ ' - . * IO fermi , cbe  avrebbero  a dominare  per  1’  avvenire  col terrore  ; ciascuno  fecesi  Un  seguilo    ^oyanl  i più  le- Dterarj , e opporiuui  per  esso.  Ben  era  da  aspettare , o sperare  cbe  i più  de’  poveri  e sciaurati  si  dimostrassero fautori  della  tirannide  ; anteponendo  l’  utile  proprio  al pubblico  ; ma  non  era  da  aspettare  , nè  da  sperare , e certo  egli  fu  meravigliosissimo^  che  molli  patrizj  potendo grandeggiare  per  'sestauze  e per  , sangue  soffrissero  di opprimere  co’  decemviri  la  liberi^-  della  patria.  ' Costoro datisi  a tutti  i piaceri , quanti  sottopongono  1’  uomo  , comandavano  superbissitnamente  : e legislatori  insieme  e giudici  , tcncano  per  niente  il  Senato  ed  il  popolo,  ed uccidevano  e spogliavano  , conculcando  ogni  diritto.  E perchè  azioni  illegittime  e biasimevoli  sembrassero  noux indegne,  anzi  operale  per  giiislizia;  nomsi  accingevano a farle  se  non  previo  esame,  ed'uu  giudizio.  Erano gli  accusatori  inandaii  da* fondatori  stessi  delta  tirannide, creali  i giudici  dal  ceto  de’ loro  amici;  laDlochè  solcano questi  in  coniraccaràbio  sentenziarne  per  compiacerli. Molte  cause  però',    di  poco  rilievo,  le  defìnivano  i dieci  per  sesiessi.  Cosi  quelli  che  erano  per  essere  de- fraudali del  loro  diritto  , non  trovando  altro  scampo  , conducevansi  necessariamente  a renderseli  amici.  Ood’  è che  col  volgere  del  tempo  videsi  la  parte  corrotta  ed inferma  maggiore  della  innocente.  Imperocché  coloro che  v'  erano  concul^cati  da’  decemviri  sdegnavano  di  ri- manervi , e si  ritiravano  «nelle  campagne  , Bspettandovi il  tempo  de  comizj  , ^quasi  coloro  finito  1’  apno  fossèro per  deporre  il  comando , ed  eleggete  nuovi  ^nagislrali. Appio  intanto  £ i colleghi  ^crisscA)  le.  leggi  che  rimanevano  in  altre  due  tavole,  e le  aulroao  alle  prime.  In queste  eravt  traile  altre  lajegge,  che  non  concodeàsi a^atrizj  il  matrimonio  co’ plebei:  e ciò  non  per  altro, io t j * ■ , !•  OLGENDO  la  olimpiade  ottantesipia  ' terza  nella quale  Grisoue  Imero  vinse  allo  stadio  mentre  Filisco era  1 arconte  di  Atene  , i Romani  annientarono  il  de- cemvirato il  quale  governava  già  da  tre  anni  la  repub- blica. Ora,  io  tenterò  descrivere  dalle  origini  per  qual modo  , quali  nomini , con  i|uali  cause  e pretesti  , se- guendo la  libertà , si  lanciassero  a schiantare  una  si- gnoria che  ovea  già  profonde  le  radici  ; perciocché  ne reputo  la  cognizione  bella  e necessaria  principalmente al  Glosofo  die  contempla , ed  all’  uomo  dr  stato  che amministra , per  non  dire  a tutti.  E certo  .molti  non  si contentano  ^ conoscere  dalia  storia , solamente  come gli  Ateniesi  ed  i Lacedemoni  vinsero , per  esempio',  la ^ guerra  col  Persiano , aiTrontandosi  in  due  battaglie  na- vali ed  nna  campale  contro  - un  barbaro  che  area  tre milioni  di  nomini , essi  che  'aveano  appena  cento  dieci mila  nomini  insieme  cogli  alleali;  ma  vogliono' por  co», noscere  dalla  storia  i luoghi  ove  occorsero  , .ed  kiten» dere  le  cagioni  per    quali  si  compiecono  le  meravi- gliose ed  incredibili  gesta  , come  apprendere  quali  fos- sero i duci  delle  armate  greche  e persiane  , nè  essere  , per  cosi  dire , defraudati , di  cosa  niuna  fatta  ne’  com- battimenti. Imperocché  dilettasi  la  mente  dell’ nomo  por*, tata  quasi  per  mano  dai  racconti  alle  opere , e come  a vederle  dopo  ascoltatele;  E quando  gli  uomini  odono le  civili  vicende  , non  appagansi  di  udire  la  somma  ed il  termine  degli  ’ affari , per  esempio.,  come  gli.  Ateniesi permettessero  el^e  gli  Spartani  demolissero  le  mura , conquassassero  le  navi  di  Atene  , ponessero  guarnigionè nella  Iqr  cittadella  è vi  trasmutassero  il  governo  del  po- polo in  quello  de’pochi^  senza  nemmeno  combattere  (.i); ma.  bentosto  dimandano  quali  erano  le  angustie  di 'quella città  , onde  incorse  in  tali  orrori  è miserie , quali  e di chi  li  discorsi  che  ve  1’  acchetarono , e quanto  seguila tali  cose.  Dilettarsi  poi  della  contemplazione  totale  di quanto  ■concerne  gli  affari  è cQmifuq  a tutti ,.  come  agli uomini,  pubblici  , tra’  quali  colloco  àncora  i fUosofì , quelli  almeno  che  pongono  la  filosofìa  non  già  nelle (i)  Occorsero  tali  fatti  oelf''aoao  Hltimo  detta  goeri'a  del  Pelo- poaneso  ; conws  pu&  vedersi  io  Senofoute  nel  libro  secoado  lAasx- nel  lib.  -i3  di  Di  odoro , t nel  LitandrQ  di  Plutarco.,  I parole , ma  nelf  esercizio  delle  opere  belle.  Cd  oltre questo  diletto,  ne  segue,  > no  , e riducendd' quanti  ner  credevano  IntorTerablle  il giogo  ; a lasciare  colle  -mogli  e co’  figli  lo^  patria  , ed alloggiarsi  nelle  città  vicine,  ricevutivi  da’Lallni  in  forza de*'- parentadi  , e dagli  Eroici  per  essere  stati  di  fresco creati-  cittadini  da'  Romani.  DI  guisa   teaoo  traversarne  'le  opere  ; nè  vi  rimasero  nemmeno gli  asciiitl  al  Sentito  I qu^li  doveano  per  necessità  star pronti  pe’  decemviri  ; ma  l più  trasferendosi  con  quanto aveano  in  famiglia;  dimoravano,  abbandonate  lo  case , per  le  carrqiagne.  Non  dispiaceano  gli  allontanamenti de’  grandi  personaggi  agli  amatori  del  decemvirato  per più  cause,  e principalmente,  perchè  I più 'giovani  di questi  erano  divenuti  don  che  scellerati,  molto  insoleati, né  poteauo  tollerare.  1’  aspetto  di  qtielll  , innanzi  dei quali  doveano  arrossirsi  della  loro  impudenza. III.  Derelitta  cosi  la  città  dal  fior  degli  uomiai  (^) , e cadùlavi  ogni  libertà  ; gli  Equi  già  vinti  da'  Romani , cogliendo  la  Occasion  propizia  di  combatterli , di  con» (i)  Anuo  di  Roma  3o5  Mcondo  Caioua,  ìof  ascondo  Vartoae  , c av.  Cristo. Digitized  by  Googie 3i2  delle  antichità’  romane traecambiarlt  delle  iogiorie  sostennlene , e riveodicarsi quanto  perduto  ci  aveano  , apparecchiaronsi  all’ armi , e marciarono  con  grandi  eserciti  contro  di  lei',  malconcia pel  comando  de’  pochi    idonea  a tener  fronte , nè  a concordarsi  , nè  a'  cura fecesi  innanzi  e disse  che  portavasi  a -Roma,  la  guerra,  da  due  parti, quinci  dagli  Equ^ , e quindi  da’  Sabini  ; tenendovi  un discorso  ariifiziosissimo* , indirilto  a far  votare  la  leva delle  milizie  e condurle  imipzntioeDtc  in  campagna , 3i4  DELLE  Antichità’  romane non  peùnetteodo  T «Ifare  che  » indagiasse.  Or  lui  cosi dicendo  insorse  Lucio  Valerio,  soprannominato  Polito  , uomo  che  grande  tenessi  |>e' grandi  genitori:  certamente era  stalo  padre  di  lui    più,  importano, conte  sarebbe  il  buon  ordine  della  moltitudine,  e che la  cosa  stessa  apparisca  utile  a tutti , rimovendo dalla  città  la  ingiustizia  e la  soverchieria  che  vi  do- mina, e rendendo  l’  antica  forma  al  governo;  in  tal caso  sbattuti  quelli  che  ora  inorgogliano  , e gettate le  armi,  verranno  a noi  tra  non  molto  per  saldarne le  ingiurie,  e trattare  la  pace  : e noi,  ciocché  i savj tutti  desiderano  , potrein  finir  senza  le  armi , la guerra  con  essi.  Or  ciò  considerando,  poiché    grave tra  le  mura  è la  turbolenza  ; io  giudico  che  debbasi per  ora  sospendere  ogìti  cura  di  guerra,  e concedere a chi  vuole  di  proporre  mezzi  di  concordia  , e buon ordine  interno.  Noi  chiamati  da  queste  magistrato non  abbiamo  potuto  già  prima  di  essere  addotti  a questa  guerra , consultare  su  lo  stato^  de’  nostri  pub- blici affari,  e conoscere  se  scóncio  alcuno  ci  avesse. Ed  ora  assai  riprensibile  sarebbe  chi,  lasciata  la occasione  , •cercasse  di  altro  discorrere  : e niuno  dir può  con  sicurezza  che  trascurato  questo  tempo,  come Digitized  by  Google 3ao  DELLE  Antichità’  romane men  congruo,  un  altro  ne  avremo  pià  acconcio.  Anzi se  alcuno  vuol  concludere  V avvenire  dal  passato  ; trascorrerà  gran  tempo  senza  che  possiamo  qui  riu- nirci per  deliberare. IX.'  Io  prego  te  , Appio  , e voi  tutti  presidenti  di Honta , voi  che  dovete  provvedere  non  al  bene  vostro privato  , ma  a quello  Ai  tutti , a non  corucciarvi , se io  parlo  secondo  la  verità , non  secondo  il  genio  vo- stro. Voi  dovete  por  mente , che  io  parlo  , non  per malignare,  o vilipendere  il  vostro  magistrtUo;  ma  per additare  , se  pur  vi  è , una  via  di  salvare , e diri- gere la  repubblica  , dopo  mostratine  i /lutti  da’  quali è sbattuta.  Quanti  han  cara  la  patria,  debbono  forse qui  tutti  discorrere  dell’  util  comune , ma  io  princi- palmente. Imperocché  io  debbo  per  la  onorificenza fattami  dar  principia  ad  opinare  : e saria  vergogna e stoltezza  grande,  se  io  che  sorgo  il  primo  non  di- cessi le  cose  che  prime  son  da  correggere  : Appresso trovandomi  io  zio  paterno  di  Appio  il  capo  decem- viro,  accade  che  più  di  tutti  mi  consolo,  o rattristomi secondo  che  bene  o non  bene  governano  la  repub- blica. Aggiungi  che  ho  io  ricevuto  da’  maggiori  miei la  civil  consuetudine  di  curare  anzi  l'  utile  -pubblico che  il  mio  , senza  guartlare  a privati  pericoli  ; nè  io , la  tradirò  io  questa  civil  consuetudine , nè  profanerò le  gesta  di  que'  valentuomini.  Orjt , che  il  governo presente  male  a .noi  si  conviene  anzi  che  incomoda  , direi  quasi  tutti  ; siane  questo  l’  argomento  gravissi- mo , che  quanti  trattavano  le  cose  civili  ( nè  già  po- tete voi  soli  ignorarlo  ) ràiransi  ogni  giorno  da  Ho - Digilized  by  Google LIBRO  XI.  3ai ma,  lasciando  le  paterne  case  deserte.  Qual  de' plebei più  rìguardevoli  trasferisce  la  propria  sede  colle  mo- gli  e co' figli  nelle  città  più  vicine , e quale  nelle campagne  più  lontane  da  Roma  : E molti  de'  patrizj nemmen  essi  in  città  se  ne  vivono,  ma  li  più  si  di- morano per  le  campagne.  Ma  che  giova  parlare  degli altri  j quando  appena  in  città  se  ne  stanno  alcuni pochi  senatori  uniti  a voi  per  amicizia  o per  sangue, e cercan  gli  altri  la  solitudine  più  che  la  patria?  E quando  voi  v'aveste  il  bisogno  di  adunche  il  Senato, tornarono  invitati  ad  uno  ad  uno  dalle  campagne que'  dessi  che  solcano  insieme  co'  magistrati  guardare la  patria,    mancare  mai  da  affare  niuno  della  re- pubblica. Or  tdie  pensate  voi  che  gli  uomini  ahban- donande  la  patria  fugano  i beni  o li  mali  ? certo che  i mali.  E t essere  abbandonata  da  plebei  , de- relitta da'  pevrizii  senza  incontri  di  guerra  , di  pesti- lenze , e di  altri  disastri  mandati  dal  deh  , , ella  è sciagitra  questa  non  seconda  a niuna  per  una  città, massimamente  per  Roma , la  quale  abbisogna  di molle  milizie , tutte  sue  ; se  vuoi  dominare  stabil- mente su'  vicini. X.  Folete  udir  voi  le  cagioni  che  riducono  i po- poli ad  abbandonare  i templi  e le  tombe  degli  avi , e lasciar  diserti  i poderi  e le  case  paterne' ^ e cre- dere ogni  altra  terra  più  necessaria  della  patria  ? Certamente  tali  cose  non  avvengono^  senza  cagioni, ed  io  sporrovele  queste , non  occulterowele.  Molte Appio  sono  le  accuse  e di  molti  sul  vostro  magistrato  : vere  o false  che  siano  , noi  cerco  per  ora  : certo  che  vi  si  fatino.  Ninno  , se  non  del  vostro  se- guito j trova  il  ben  suo  nell' orditi  presente.  I ^andi, figli  pur  essi  di  grandi  , à quali  spettavano  i sacer- dozj , le  magistrature  , e gli  altri  onori  goduti  dai loro  padri , fremono  di  essere  da  voi  respinti  e tolti dalle  dignità  degli  antenati.  Quei  del  celo  di  mezzo che  cercati  la  calma  del  vivere  , v imputano  lo  spo- glio ingiusto  de  beni  loro , lamentano  il  disonore  che fate  alle  lor  mogli,  la  effrenatezza  verso  le  loro figliuole  nubili,  ed  altri  oltraggi  molti  e gravi:  e la parte  più.  bassa  del  popolo , non  più  arbitra  per  voi de'  voti  e delle  elezioni,  non  più  chiamata  alle  a4u- nanze , nè, partecipe  di  alcuna  civile  uguaglianza , ve ne  maledice  appunto  per  questo  , e tirannico  chiama il  vostro  governo. XI.  Ora  come  voi  correggerete  questi  abusi,  come la  lingua , incolpati  che  ne  siete  , accheterete  del  po- polo ? questo  è ciò , che  rimanemi  a dire.  Facciane il  Senato  previamente  il  decreto  : fate  che  il  popolo deliberi,  se  torni  a lui  meglio  ripristinare  i consoli, i tribuni  e gli  altri  magistrali  della  patria , o conti- nuare r ordin  presente  : se  tutti  i Romani  avran  caro il  comando  de'  pochi , e dinoteran  co’  lor  voti  , che ve  lo  abbiate  voi  questo  comando  ; voi  terrete  un magistrato  legittimo  , non  violento.  Ma  se  vorranno di  nuovo  i consoli,  di  nuovo  gli  altri  mostrati  ; voi sarete  decaduti  per  legge  , nò  più  crediate  dominare, se  ìton  da  tiranni  su  gli  eguali  , non  prendendo  gli ottimati  il  comando  , se  non  da'  cittadini  spontanei. E nel  far  questo  , o u4ppio , tu  dei  dar  principio  , c tu  disciogliere  un  comando  da  te  stahilUo , utile  un tempo  , ed  ora  noceyole.  E m’ odi  ciocché  ne  guada- gni, se  mi  ti  arrendi,  se  ne  deponi  codesto  malve- liuto  comando.  Se  li  tuoi  colleghi  a ciò  s’ indurranno'; ciascwi  dirà  che  buoni  fatti  su  /’  esempio  tuo  vi  si indussero  t laddove  se  questi  si  ostinano  a tenere  un dominio  illegittimo  ; sarai  tu  benedetto  che  volesti , altnen  solo  , compiere  il  giusto  ; mentre  i contumaci saran  con  infamia  e danno  gravissimo  degracUtti.  Che se  mai  ( lo  che  potria  ben  essere  ) fermato  v'  aveste infra  voi  secreti  trattali  e parole  , pigliandovi  i Dei per  mallevadori , fa  pur  conto  che  siasi  empietadv osservarli , e vera  pietà  vilipenderli , come  contrarf ai  cittadini , e alla  patria.  Imperocché  sogliono  i numi esser  presi  mallevadori  su  gli  accordi  buoni  e giusti; non  su  gV  ingiusti  e vergognosi. XII.  Che  se  tu  esiti  lasciare  il  comando  per  timor de'  nemici , sicché  non  ten  venga  pericolo , nè  sii stretto  a dar  conto  delle  opete  tue  ; certo  non  è ra- gionevole questo  timore.  Non  è sì  picciolo  , non  sì sconoscente  il  Romano  da  ricordare  i tuoi  sbagli  , c scortlarc  i tuoi  benefizj  : ma  contrapponendo  i beni presenti  ai  mali  passati  giudicherà  degni  questi  di perdono  , c quelli  di  lode.  Potrai  tu  rappresentare al  popolo'  le  tante  belle  tue  gesta  innanzi  del  Decem- virato , ed  in  .vista  di  queste  ottenerne  ajuto  e sal- vezza , e difenderti  in  più  modi  dalle  accuse , come ad  esempio , che  non  eri  tu  che  abusavi , ma  un  altro senza  tua  saputa;  che  non  bastavi  a reprimerlo  come tuo  pari:  o che  eri  necessitato  a soffrire  per  areme altra  cosa  più  utile.  Ma  troppo  lungo  sarebbe  il  di- scorso , se  numerare  volessi  tutti  i modi  delle  difese. Coloro  che  non  han  discolpa  niuna  giusta , nè  plau- sibile , pur  confessando  il  delitto  , e raccomandan- dosi, ammolliscono  il  cuor  degli  offesi , con  allegare il  poco  giudizio  degli  anni , la  pravità  de'  tompagnì , la  vastità  del  comando,  o la  sorte  che  travia  ne  cal- coli loro  tutti  i mortali.  Or  tu  se  deponi  il  comando, tu  n avrai , lo  prometto , amnistia  generale  de’  man- camenti , e riconciliazione  col  popolo , decorosa  in mezzo  de'  mali. XIII.  Ma  io  temo , che  il  pericolo  siati  pretesto non  vero  a non  lasciare  il  comando  ] essendo  a mille riuscito  di  rinunciar  la  tirannide  , nè  scontrarne  al- cun danno  da  cittadini.  Le  cagioni  non  dubbie  sono un  ambizione  vana  che  cerca  le  apparenze  di  una gloria  vera , una  propensione  pe'  rei  piaceri , quali  il vivere  concedegli  de’  tiranni.  Ma  se  pià  che  andar dietro  alte  immagini , e alle  ombre  degli  onori , e de’  piaceri  , ne  vuoi  tu  ciò  che  è solido;  rendi  alla  pa- tria la  tua  preminenza , ricevi  le  dignità  dagli  eguali tuoi  , acquistati  la  emulazione  de’  posteri , e lascia loro  in  luogo  del  mortala  tuo  corpo  , sempiterna  la fama.  Questi  sono  gli  onori  fondati  e veri , questi gt  indelebili  e cari    rincrescevoli  mai.  Pasci  V animo ti.'o  de’ beni  della  patria:  già  non  parrai  di  aver- glìt.^e  dato  la  menorna  parte,  liberandola  da  signo- ria ce'ti  dura.  Prendi  esempio  dagli  antenati , consi- dera chs^  niun  d’ essi  mise  affetto  ad  un  potere  di- Digitized  by  Google LiBBO  XI.  3a5 spotico  ^ nè  fu  lo  schiavo  vilissimo  de  piaceri  del corpo  ; eppur  furono  onorati  in  vita  , e morti  sono celebrati  da  posteri  ; giacché  tutti  fan  loro  testùno- niama  , che  furon  custodi  fidissimi  delC  aristocrazia  ^ che  Roma  fondò , dopo  espulsi  i monarchi.  Non  di- menticare  i detti  ^ non  i fatti  tuoi  gloriosi;  perciocché belle  pur  furono  le  prime  tue  mosse  nella  repubblicUf e pur  grandi  per  la  speranza  ^ che  davano  della  tua virtù.  Deh  ! che  siano  consentanee  ancor  le  altre  tue opere.  Deh  ! ritorna  a quella  indole  tua  Jlppio  fi- gliuolo : sii  nel  genio  del  governo  un  ottimate  , non un  tiranno.  Fuggi  quelli , che  adulando  , ti  parlano , quelli  pe'  quali  , se’  lungi  dalle  utili  istituzioni  , er- rante dal  diritto  sentiero,  già’  wotr  È rzRtstitiLE , CHS  AtTSt  SIA  DI  SSL  HVOrO  SXWDUTO  BDOIfO  , DA CHI  già’  FSSSIXO  lo  RStfDk. Xiy.  Quante  volte  dir  ti  volli  tali  cose  da  solo  a solo  j per  instruirviti  dove  le  ignoravi , o per  ammo- nirtene, dove  vi  mancavi!    già  venni,  per  ciò  sola una  volta  in  tua  casa,  ma  i servi  tuoi ,me  ne  riman- darono , e con  dire , che  non  avevi  tu  ozio  da  inti'at- tenerd  con  un  tuo  congiunto  ; ma  clu:  avevi  a fare cose  più  necessarie  ; seppur  v è cosa  più  necessaria della  pietà  verso  i suoi.  Forse,  i tuoi  servi , ciò  co- noscendo y mi  vietarono  di  per    stessi  t entrata , e non  per  tuo  comando.  E ben  io  vorrei,  che  così  fosse. Certamente  questo  mi  ridusse  a parlarti  di  ciò.  che io  volea  nel  Senato , non  avendolo  mai  potuto  da solo  a solo.  Ma  .le  buone  , e le  utili  cose  dovunque, 0 rippùj  y son  da  dire  tra  gli  uomini,  piuttosto  che 'JaG  DELLE  Antichità’  romane sempre  tacerle.  E che  io  a le  rendessi  gli  ojfizj  do- vuti alla  nostra  prosapia  ; ne  attesto  gl'  Iddj  de'  quali noi  dell’ Appio  sangue  veneriamo  i templi  e gli  altari con  sagrifiej  comuni:  ne  attesto  i genj  degli  antenati, a’  quali  porgiamo  del  paro  gli  onori  secondi , e li ringraziamenti , dopo  de’  numi  : e soprattiMo  attesto questa  terra,  la  qual  tiene  nelle  sue  viscere  il  padre, ed  il  fratello  mio  , che  io  dedicava  a te  la  vita  e la voce  per  sit^erire  il  tuo  meglio.  Pertanto  desideroso di  rettificare , per  quanto  io  posso  , gli  sbagli  tuoi  ti prego  a non  rimediare  male  con  male  } à non  per- dere le  cose  tue  mentre  aspiri  ad  altre  pià  gratuli  ; e finalmente  a non  dominare  agli  eguali  e a maggiori , ed  essere  dominato  da' pià  vili,  c più  tristi.  Se  noti che,  volendoti  io  ra^nar  di  più  cose  e più  a lungo, non  so  ridurmici  : perocché  se  Dio  ti  rivuole  a buon senno;  sóprawanzano  le  cose  anzidetle:  ma  seti  ab- handona  al  tuo  peggio  , sarebbero  indarno  , quante io  ne  aggiungessi.  Eccovi , o padri  coscritti , e capi tutti  di  Poma , il  mio  sentimento  per  dar  fine  alla guerra , ed  ordine  alla  repubblica  perturbata.'  Se altri  tien  cose  migliori  a ridirne  ; vincano  pure  te ottime. XV.  Cosi  disse  Claudio  ; assai  speranzandosene  i pa- «Iri , che  i Dieci  deporrebbero  il  loro  magistrato.  Non replicava  Appio  nulla  in  contrario  ; quando  fattosi  in- nanzi Marco  Cornelio  altro  Decemviro  disse  : Non  ab- bisognano, o Claudio,  i tuoi  consìgli:  su  Futile  no- stro provvederemo  noi  da  noi  stessi;  perocché  tale appunto  ò'  la  nostra  olà,  da  non  disconoscere  ciò che  ne  giova  , nè  scarsi  siamo  di  (uaici , età  consul- tar nel  bisogno.  Pertanto  dispensati  da  opera  intem- pestiva ; non  dare  o gran  veccJào  consigli , ove  non se  ne  richiedono.  Che  se  vuoi  di  cosa  alcuna  ammo- nire t o pià  propriamente  , inveire  su  di  Appio  ; in- veisci a tua  voglia  y ma  quando  se’  fuor  di  Senato. Quivi  entro  però  di  ciò , che  ten  pare  su  la  guerra t co’  Sabini , e con  gli  Equi  , circa  la  quale  se’  chiesto del  parer  tuo  ; e cessa  da  vaniloqui  fuori  di  argo- mento.  Sorse  a lai  voci  Claudio  nuovamente  tutto  me- sto, e pieno  gli  occhi  di  lagrime,  e disse:  Appio  o padri , Appio  , presenti  voi , non  reputa  me  , lo  suo zio  , degno  nemmeno  di  risposta.  Egli  precludemi , quanto  è da  esso , il  Senato , come  già  la  sua  casa. Anzi  levami , a dirlo  più  veramente , dalla  città  ; perocché  non  io  potrei  rimirarvi  di  buon  occhio  un indegno  degli  antentUi  , un  emulatore  de'  tiranni.  Io dunque  raccolti  i miei , e le  mie  cose  , vammene  tra i Sabini , per  abitarvi  la  città  di  Jiegillo , dond’  è la oiigine  mia , e tenermivi  finché  questi  trionfano  nel sì  bel  magistrato , ma  quando  ( nè  dee  molto  tarda- re ) fta  di  questo  decemvirato , ciocché  ne  antivedo  ; allora  tra  voi  mi  renderò.  Ma  ciò  basà  su  me.  Quanto alla  guerra , e sue  cose , consigliavi  o padri , che non  diate  sentenza  niuna , finché  i nuovi  magistrati non  si  abbiano.  Cosi  dicendo , e svegliando  grandi  ap> plausi  nel  Senato  pel  maschio  e libero  suo  spirito;  se- dette. E qi)i  rizzandosi  in  piede  Lucio  Quinzio  Cin- cinnato , Tito  Quinzio  Capitolino  , Lucio  Lucrezio , e lutti  i primari  1 senatori , seguirono  il  parere  di Claudio. l Digilìzed  by  Google 3a8  DELLE  antichità’  romane XVI.  Comarbatine  i coilegbi  di  Appio;  risolverono di  non  più  chiamare , a dir  la  sua  mente , niodo  io vista  degli  anni,  e dell’autorità  sua  nel  consigliare;  ma solo  in  vista  delia  intrinsichezza , e dell’  aderenza  con esso  loro.  E qui  procedendo  in  mezzo,  Marco  Cornelio fe’  sorgere  Lucio,  Cornelio  il  fratello  suo,  uomo  operoso nè  infacondo  nella  ragione  politica , e già  compagno  di consolato  a Quinto  Fabio  Vibulano , mentre  Fabio  era.  • console  per -la  terza  volta.  Ora  costui  sorto  disse:  Egli  r è mirabile  , o padri , che  uomini  di  tatua  età  quanta ne  kan  quelli  li  quali  hanno  prima  opinato , e li quali  cercano  primeggiar  nel  SeiuUo , portino  per gare  politiche,  un  odio  implacabile  ai  capi  dello  sta- to , quando  dovrebbero , quanto  è d'uopo  difenderli , animare  i giovani  a combattere  intrepidi  per  la  buona causa,  e tener  per  amici,  non,  per  nimici  i sosteni- tori del  pubblico  bene.  Ma  mollo  pià  mirabile  egli è,  che  trasferiscano    malvolenza  privata  alle  atse della  repubblica , e vogliano  anzi  perir  co’  nemici , che  con  tutti  gli  amici  salvarsi.  Eccesso  di  furore  , e direi  accecamento  divino  egli  è questo;  eppure  cosi li  capi  si  comportano  del  nostro  Senato.  Sdegnati questi  che  nel  concoirere  al  decemvirato,  che  ora  ac- cusano , furon  vinti  da  altri  che  apparvcr  pià  idonei , fan  loro  eterna,  irreconciliabile  guerra:  e sì  stolida, e sì  furiosa  ; da  ìovesciare  da  capo  a fondo  la  pà- tria, per  calunniare  presso  voi  li  Decemviri.  Vedon essi  la  nostra  regione  in  preda  a nemici  : vedono che  ornai  giungono  a Roma , giacché  breve  è lo  spa- zio che  ne  li  separa  ; ed  in  luogo  di  esortare , e di Digitized  by  Google LIBRO  XI.  339 incitare  i giovani  a combattere  per  la  patria , e di soccorrerla  essi  stessi  con  tutta  la  diligenza,  e l’ or- dorè  , quanto  la  età  loro  ne  ammette  ; vogliono  che ora  voi  provvediate  ad  ordinare  il  governo , a creare nuovi  magistrati , e far  tutto  piuttosto-,  che  conqui- dere gC  inimici  : nè  san  vedere  che  danno  sentenze  , anzi  che  tengono  desiderj  impossibili. XVII.  E certo , fate  cosi  ragione  : il  Senato  emani il  decreto  de'  comizj  : i Decemviri  lo  riferiscano  al popolo  , destinando  il  giorno  del  terzo  mercato  dal giorno  presente  ) perocché  -,  e come  staà  mai  valido ciocché  si  vota  dal  popolo  j se  non  compiasi  a norma delle  leggi  ? Poi  quando  abbiano  le  tribà  dato  il voto  , prendano  i nuovi  magistrati  la  repubblica  , e propongano  a voi  la  guerra  perchè  ne  discutiate.  Se in  tempo    grande , quanto  ve  n ha  da  ora  ai  co- mizj, si  avanzino  intanto  i nemici,  e vengano  fino alle  mura;  noi  che  faremo,  o Claudio?  Diremo  loro: « atpettate  per  Dio , finché  ci  avrem  fatti  nuovi  magi* a straM  ? Certo  Claudio  suggerìvaci  a non  decretare , a nè  riferire  mai  cosa  al  popolo  , nè  scriver  le  leve  , a se  prima  non  siasi  deciso  come  vogliamo  su'  magi- a strati.  Itene  dunque,  e quando  udirete  creati  ì con- a soli , creati  i magistrati , e tutto  pronto  per  le  armi a tornate  allora  per  trattare  con  noi  della  pace  ; giac- B cbè  voi  senza  essere  offesi  da  nei  d avete  i primi a oltraggiato  ; e d ricompenserete  , secondo  la  giusti* a zia , in  danaro  i danni  delle  vostre  incursioni  : non a però  vi  conteremo  le  stragi  degli  agricoltori , non  le a inginrie , e le  insolenze  sperimentate  da  femmine  in* M g«uuc,    altro  male  insanabile  ».  Ed  essi  li  nemici a tal  nostro  invito  useranno  moderazione  , e lasciato che  la  repubblica  crei  li  nuovi  maestrali,  e faccia gli  apparecchi  di  guerra  ; tomeran  poi  portando  ùi luogo  delle  armi , suppliche  per  la  pace  ; ed  arren» dendo  a voi    medesimi. Xyni.  O pur  stolti  coloro  d-  quali  van  pel  pen- siero tali  delirj  ! e milènsi  noi  se  non  ci  corucciamo con  quei  che  li  propongono:  anzi  sosteniamo  di  udirli, quasi  consultino  su  nemici , non  su  la  patria  e su noi!  Che  non  leviamo  di  mezzo  i cianciatori    fatti? che  non  decretiamo  sul  punto  , che  marcisi  a difen- dere il  territorio  , il  quale  ci  si  devasta  ? che  non armiamo  quanti  vi  sono  idonei  de  cittadini  ? anzi , che  non  portiamo  le  armi  contro  le  città  loro  ; ma ce  ne  stiamo  qui  a bada,  ed  accusando  i Decemviri, ideando  nuovi  magistrati , e discutendo  forme  di  go- verno , lasciamo  quant'  è nelle  nostre  campagne,  come nella  pace  , esposto  al  nemico  ? Che    ; che  infine  , se  permetteremo  che  la  guerra  giunga  alle  mura  , corriamo  noi  rischio  di  essere  schiavi , e che  ne  sia lì  orna  stessa  distrutta.  Non  sono  queste  , o padri coscritti,  le  maniere  di  uomini  sani,  non  le  maniere di  una  social  provvidenza , la  quale  antepone  al  ben pubblico  gli  odj  privati  ; ma  le  maniere  piuttosto  tli una  contenzione  intempestiva , di  un  disamar  sconsi- gliato, di  una  invidia  sciaurata,  la  qual  non  lascia esser  savio  chi  ne  vieti  preso.  Tacciano  per  Dio  le controversie  ; che  tenterò  di  esporre  ciò  che  avete  a decretare  salutevole  per  la  patria , ed  espediente  per  1 1*01 , come  terribile  pe’  nemici.  Stabilite  ora  la  guerra co*  Sabini  f e cogli  Equi  : arrolate  diligentissinù  e prontissimi  le  milizie  da  guidare  contro  ambedue  : e quando  la  guerra  abbia  avuto  buon,  termine  , quando siansi  in  città  ricondotte  le  milizie  ^ quando  sia  già rinata  la  pace  ; allora  volgetevi  ad  ordinare  il  go- verno , allora  chiedete  conto  dai  dieci  delle  opera- zipni  loro  nel  mostrato  , allora  createvi  nuovi  ma- gistrati , fondatevi  nuovi  tribunali  ; e quando  da  voi dipendono  queste  cariche  onoratene  i personaggi  che ne  son  degni  ; avvertendo  , che  pud  tboppo  non  seb» FONO  I TEMPI  Alts  COSE  MA  LE  COSE  AI  TEMPI. Spiegatosi  Cornelio  in  questa  sentenza  vi  aderirono, toltine  pochi,  anche  gli  altri  che  dopo  lui  ragionarono, altri  perchè  la  stimavano  necessaria , come  -convcnien' lissima  a'  fatti  presenti , ed  altri  perchè  piegavansi  e blandivano  i Dieci  per  timore  delia  loro  autorità  , la quale  avea  costernato  non  picciofa  parte  de’  padri. XIX.  'Alfine  essendosi  opinato  dalla  più  parte,  e cora* parendo  quelli  che  volcano  la  guerra  superiori  di  nu- mero agli  altri  ; invitaron  tra  gli  ultimi  a dire  Lucio Valerio , quello  che  volea  fin  da  principio  proporre  la sentenza  sua , ma  se  fu  ritardato , come  già  scrissi.  Or costui  sorgendo  tenne  questo  ragionamento  : Fedele  , o padri  j C inganno  dei  Dieci]  Non  permisero  questi che  a voi  favellassi , com'  io  volea , nel  principio  , ed  ora  tra  gli  ultimi  mel  permettono  ! quando  pen- dano che  io  punto  non  giovi  la  repubblica,  sebbene io  segua  il  partito  di  Claudio  , perchè  ben  pochi  vi si  appigliarono.  Che  se  io  mi  dichiaro  per  altro  consigilo  , sia  quanto  si  vuole  bonissimo , ne  sarò  va- nissimo difensore  ove  io  contraddica  gli  espósti  da loro.  Annoverar  si  possono  facilmente  quei  che  dopo me  sorgeranno  per  dire  : e quando  pure  consentano tutti  con  me,  che  può  mai  risultarmene , non  facendo essi  nemmen  picciola  parte  rimpetto  ai  fautori  di Cornelio  ? Ma  sebbene  io  ciò  veda  ; pur  non  dubito dire  il  mio  sentimento:  a voi  si  spetta,  quando  udito lo  avrete  , di  volgervi  al  meglio.  Quanto  al  Decem- virato , e le  cure  sue  del  ben  pubblico^  concepite  che io  ven  dica  le  cose  tutte,  che  il  prestantissimo  Clau- dio ven  diceva  : e che  debbesi  far  nuovi  magistrati prima  che  votisi  per  la  guerra,  giacché  pur  questo chiedea  con  purissimo  'fine  quel  valentuomo.  Tentò Cornelio  mostrarvi  impossibili  i cos/.ui  su^erimenli  , pretestando  il  gran  tempo  che  abbisognavi  per  le  civili r forme , quando  la  guerra  ne  ò sopra.  Egli  mise  in burla  , cose  niente  burlevoli , e con  ciò  commosse  , ed  ebbe  molti  di  voi:  ma  io,  fofò  vedervi,  che  non è impossibile , no , - la  sentenza  di  Claudio  ; come niuno  di  quanti  la  derisero  osò  dirla  nocevole  : e vi mostrerò  come  salvisi  il  territorio ,' e puniscasi  chi temerario  danneggialo  : come  ristabiliscasi  intanto  il comando,  che  era  qui  degli  ottimati;  e come  tutto  si compia , cooperandovi  i cittadini , senza  che  niuno tenti  il  contrario.    sarà  già  questa  una  mia  sa- viezza ; ma  io  non  vi  addurrò  se  non  gli  esempli  di cose  operate  da  voi;  imperocché  qual  luogo  hanno tnai  gli  argomenti  dove  la  sperienza  stessa  ne  am- maestra su  ciò  che  giova  ? Fi  ricorda  che  i popbli  stessi  che  ora  le  man- ti a/w  , spedirono  ancora  milizie  in  un  tempo  stesso  , già  è r mino  nono  o decimo^  su  le  terre  nostre  e de^ gli  alleati,  sotto  i consoli  Cajo  Nauzio,  e Lucio  A/i* maio  F Foi  mandando  allora  molta  florida  gioventà contro  i due  popoli  ; f uno  de' consoli  ridotto  a trio- cerarsi  in  luoghi  disastrosi,  non  potè  far  nulla , anzi videsi  assediato  nel  >suo  campo  medesimo  , e,  sul  ri- schio di  esservi  preso  per  la  penuria  de'  viveri.  Nau- zio  poi  contrapposto  a'  Sabini,  impegnato  da  battaglie continue,  non  potea  nemmeno  accorrere  verso  i suoi che  pericolavano  : non  ignoravasi  che  se  periva  V e- sercito  contro  degli  Equi,  non  avrebbe  nemmeno  po- tuto resistere  V altro  contro  de’  Sabini , riunendosi insieme  i nemici.  E fra  tanti  pericoli  intorno  della città  , mentre  nemmen  ci  avea  nelC  interno  suo  la concordia , qual  rimedio  voi  ritrovaste  ? Congregativi su  la  mezza  notte  in  Senato  ( lo . che  giovò  sicura- mente ogni  cosa , e dirizzò  la  patria  che  rovinava ornai  miseramente  ) , creaste  un  magistrato  solo  , ar- bitro della  guerra  e della  pace,  sospendendo  tutti gli  altri  ; e prima  che  fosse  giorno , ebbesi  un  ditta- tore neir  ottimo  Lucio  Quinzio  , sebbene  si  trovasse allora  non  in  città,  ma  in  campagna.  Foi  ben  sapete le  imprese  operate  dipoi  dal  valentuomo , come  ap- prestò forze  idonee , liberò  V armata  che  pericolava  , e punì  gV  inimici,  pigliandone  fino  il  duce  prigioniero. E fatto  ciò  con  soli  quattordici  giorni , e riparlato quan^  altro  pur  v era  di  male  nella  repubblica , de- pose il  comando.  Così  niente  impedì,  volendolo  voi Digilized  by  Google 334  DELLE  Antichità’  noiviANE che  si  creasse  il  imovo  magistrato , solamente  in  un giorno  ; e così  dovete  > credo , imitarne  V esempio  , e scegliere , poiché  altro  non  potete , un  dittatore , pri- ma che  di  quivi  usciate.  Se  trapassiam  questo  tempo , i Dièci  non  pià  vi  aduneranno  per  consultazione  al- cuna. E perchè  sia  il  dittatore  nominato  legittima- mente eleggete  un  interré  nel  pià  idoneo  de  cittadini; come  solcasi  fare  quando  i re  mancavano  , o li  con. soli , nò  si  aveano  affatto  , come  ora  non  le  avete , legittime  autorità.  Spirato  che  fosse  per  questi  il tempo  del  comarulo  ; la  le^e  a sé  ne  richiamava  i poteri.  Or  questo  o padri,  che  è sì  fattibile  ed  utile, è ciò  che  vi  eswlo  di  fare.  La  opinion  di  Cornelio porta  la  dissoluzion  manifesta  del  comando  degli  ot- timati ; imperocché  se  i Dieci  divengano  una  volta padroni  delle  arme  per  tale  occasione  di  guerra  ; temo  che.  valercnisene  contro  di  noi.  (^uei  che  non voglion  deporre  i fasci  ,-  depotranno  essi  mai  le  ar- mi f Considerate  ciò  : "'guardatevi  da  tali  uomini  ; provvedete  contro  tutti  gC  inganni  ; poiché  vai  meglio provveder  che  pentirsi;  cotne  é cosa  pià-  savia  discre- dere gli  empj  ; che  , credutili , accusarli. XXI.  Piacque  il  dir  di  Valerio  ai  più  come  potè  ri- levarsi dalle  voci  loro  e da  quelli  che  sorsero  dopo  di lui  ; perciocché  doveano  opinare  ancora  i giovani , e questi , eccetto  pochi , lenean  per  bonissitno  ,quel  con- siglio. Cosi  quando  tutti  ebbero  opinato  , e le  delibe- razioni aver  dovevano  un  termine  ; Valerio  chiese  che i decemviri  proponessero  la  ritrattazion  dei  pareri  , c che  di  nnovo  s invitassero  a dire  tutti  i senatori  ; c persuase  ciò  fàcilmente  , volendo  molti  di  loro  cangiar eli  partito.  Cornelio  che  avea  consigliato  che  si  desse  a decemviri  il  tornando  deHa  guerra , opponeasi  poten- tissimamente;  dicendo  esser  questo  un  affare  già  discus- so , e portato  giurìdicamente  al  suo  fine  col  voto  di tutti  : pertanto  si  annoverassero  i voti    cosa  ninna  si rìnovasse.  Alternavansi  tali  detti  ostinatamente  a gran voce  da  ambe  le  parti,  essendone  scisso  il  Senato;  pe- rocché tutti  quelli  che  voleano  riformato  il  disordiu  ci- vile , favorivan  Valerio  ; ma  peroravano  per  Cornelio quanti  preferivano  il  peggio  , e-  temeano  de’  perìcoli  da un  cambiamento.  I decemviri  presa  occasione  di  fare  a lor  modo  per  la  turbolenza  del  Senato  , si  -attennero  al parer  di  Cornelio.  Ed  Appio  , quell’  uno  di  essi , re- . catosi  in  mezzo  disse  : JVoi  v abbiamo  qua  convocati o padri  perchè  deliberaste  su  la  guerra  cogli  Equi  e co’  Sabini , e per  questo  abbiam  /alto  che  interlo- quissero quanti  il  volevano  ^ chiamando  voi  tutti  dal primo  aia  ultimo , ciascuno  ordinatamente  , al  suo tempo.  I tre  uomini • Claudio , Cornelio,  e Valerio  in fine , ne  diedero  tre  pareri  ; e voi  tutti , quanti  altri qui  restavate  , li  ponderaste  : e ciascuno  , udendolo tutti,  espose  il  partito  al  qual  si  appigliava  Tutto fu  a norma  delie  leggi  : ed  essendo  ai  pià  di  voi parato  che  Cornelio  abbia  presentata  la  sentenza  mi^ gliore  ; dichiariamo  che  questa  prepondefa  ; e scritta Ut  pubblicfdamo.  f^alerio  e ti' suoi  partitoni,  annul- lino se  vogliono , ma  quando  sian  consoli , i giudizj già  finiti  : ed  invalidino  le  sentenze  già  firmale  da tutti.  E'  cosi  dicendo  , c comandando  che  io  scriba  legesse  3 decreto  del  Senato  , col  quale  ordinava»  che  i dieci  làcesser  la  leva  delle  milizie  , e ammiuistrasser  la guerra  ; sciolse  1’  adunanza.  ■ XXII.  Quei  della  panie  decemvirale  ne  andavano dopo  ciò  superbi  e gonfi  , come  vincitori , e come  riu- sciti con  esser  gli  arbitri  delie  arme  , nell’  intento , che non  si  abolisse  il  loro  comando.  Per  contrario  quelli che  aveano  voluto  il  bene  della  repubblica  suvansi  ti- midi e mesti;  come  se  non  più  ne  sarebbero  gli  arbitri in  maneggio  ninno.  Dond’  è che  si  divisero  con  risolu- zioni diverse  ; riducendosi  i meno  ' generosi  per  indcde a concedere  tutto  ai  vincitori , e consociarvisi  ; laddove i men  paventosi  teneansi  in  placida  vita  lontani  dalie pubbliche  cure  ; e li  più  eccelsi  di  spìrito  faceansi  ua seguito  proprio,  intenti  a difènder  sestessi,  e trasmutare il  governo.  Capi  di  queste  unioni  erano  Lucio  Valerio e Marco  Orazio  , que’  dessi  appunto  che  intrepidi,  pro- posero i primi  al  Senato  di  ritogliersi  al  decemvirato  : e questi  custodivano  la  propria  casa  colle  armi , e se- stessi con  valida  guardia  di  'clienti  e .di  servi  per  non patir  violenza  , e non  mostrar  di  temerla  insidiosa  o palese.  Quelli  che  non  voleano  in  Roma  part^giar  coi più  forti  , nè  brigarvisi  in  cure  pubbliche , nè  giudica- vano intanto  ben  fatto  di  starvi  in  ozio  indolente  ; ne uscivano  , . parendo  loro  cosa  non  facile  di  vincere  i dieci  colle  arme,  anzi  impossibile  di  abbatterne  la  grande potenza  ; ed  era  lor  condottiero  1’  insignissimo  uomo Ca)o  Claudio,  lo  zio  di  Appio  Clandio  capo  decemviro^ il  quale  adempiva  le  promesse  fatte  in  Senato  al  figlio del  fratello  quando  stimolavalo  a deporre  3 comando.   xr.  , 337 ne    Io  indusse  (1).  Lui  seguivano  torbe  di  amici  e clienti;  ma,  datovi  da  esso  il  principio,  abbandonarono la  patria  ancor  altri  colle  mogli  e co’  Ggli , non  già  di nascosto  ed  in  pochi;  ma  a moltitudini  ed  in  pubblico. Altronde  i compagni  di  Appio  indispettiti  del  fatto  si misero  ad  impedirlo,  cbiudendo  le  porte,  e ritraendone alquanti  de’  profughi.  Ma  poi  venuti  in  paura  , che  gli impediti  si  rivolgessero  alla  forza  , e considerando  più rettamente  come  era  meglio  che  uscissero  che  rimanes- sero, nemici  loro,  a conturbarli;  spalancarono  le  porte, e lasciarono  andarne  quanti  mai  vollero;  incolpatili  però come  disertori  , ne  invasero  le  case , i poderi  , ed  ogni cosa  non  potata  portar  via  per  l’esilio,  apparentemente a conto  del  fisco , ma  in  sostanza  beneficandone  i loro fautori,  quasi  comperata  l’avessero.  Or  tali  imputazioni date  a’  primarj  esasperarono  più  ancora  i patrizj  e i plebei  contro  ai  decemviri.  Nondimeno  se  qiiesti  non aggiungevano  novi  errori  ai  già  detti;  parmi  che  avreb- bero tenuto  ancora  lungo  tempo  il  comando.  Imperoc- ché stavasi  ancora  in  città  la  sedizione,  mallevadrice  del poter  loro , cresciuta  da  tanto  tempo , e per  tante  ca- gioni : le  quali  facevano  esultare  a vicenda  gli  uni  pei mali  degli  altri  ; li  plebei  perchè  vedevano,  mancato  il cuor  ne’  patrizj  , e nel  Senato  ogni  arbitrio  su  la  re- pubblica; e li  patrizj,  perchè  vedevano  il  popolo  ridotto in  tutto  senza  libertà  e senza  forze  , fin  d’ allora  che  i dieci  gli  tolsero  l’autorità  de’ tribuni.  Ma  perciocché  tali decemviri    moderali  in  campo,    prudenti  ìu  Roma, (1)  Vedi  S i5  di  questo  libro.  4 v ptONlGl  > ITI’  , la iasistevaDO  con  assai  durezza  centra  l'uno  e Tallro  par* ti(o,  lo  astrinsero  infine  a riunirsi,  e deporli  colle  arme stesse  , avute  per  la  guerra.  Tali  poi  furono  gli  ulllmi delitti  pe’  quali  svergognato  il  popolo  , ne  infuriò. XXIII.  Dopo  che  ebbero  stabilito  .in  Senato  il  de» creio  per  la  guerra  ; descrissero  in  fretta  le  milizie  , e divisele  in  tre  parti,  ne  serbarono  due  legioni  per  guar* dia  deir  interno  della  città.  Piesedeva  a queste  due  Ap* pio  Claudio  il  capo  decemviro  insieme  uon^  Spurio  Op* pio.  Intanto  Quinto  Fabio  , Quinto  Poeteiio  e Manio Rabuleio    andarono  con  tre  legiodi  contro  de' Sabini: partirono  con  altre  cinque  per  la  guerra  .contro  degli Equi  Marco  Cornelio  , Lucio  Minucio  , Marco  Sergio , Tito  Antonio , e Cesone  Duvilio  finalmente.  Militarono con  essi  le  truppe  latine  , e di  altri  alleati  , non  meno numerose  delle  romane.  Ma  con  tantb  milizie  urbane , con  tante  ausiliarie  , niente  riuscì  loro  secondo  il  dise- gno. Imperocché  li  nem'tci  spregiandoli  come  nuove  re* clute  , si  accamparono  vicinissimi  a loro;  e ne  invade- vano i viveri  che  erano  ad  èssi  portati  , insidiando  le strade  , e gli  assalivano  mentre  uscivano  ai  pascoli.  E se  mai  venivano  ordinati  alle  mani,  cavalieri  con  cava- lieri, e fanti  con  fami;  riuscivano  da  per  tutto  vincitori i nemici  ; perocché  non  pochi  Romani  mandavano  alla peggio  ogni  cosa  , indocili  al  capitano  , come  restii  per combattere.  Quelli  che  erano  tra’  Sabini , renduti  sav) da  mali  minori,  deliberarono  da  seslessi  di  abbandonare il  campo:  e levandosene  circa  la  mezza  notte  ripassarono con  una  ritirata  , simile  ad  una  fuga,  dal  territorio  ne- mico nel  proprio;  fino  a Crustumero,  città  nou  lontana Digitized  by  Google tiBno  jfi.  339 da  Roma.  Gli  altri  che.  teneano  il  campo  nell’  Algido della  regione  degli  Equi,  ne  riceverono  ancor  essi  non poebe^  percosse.  Ma  ostinandosi  incontro  a’ pericoli,  quasi a riaversi'  dalie  perdite , incorsero  in  danni  lagrimevoli. Imperocché  spintisi  i nemici  su  loro , cacciarono  quelli che  erano  in  guardia  degli  steccati;  e salite  le  trincee  , occuparono  il  campo , e vi  uccisero  i pochi  che  resi- stevano , uccidendone  anche  più  nell’  inseguirli.  Quelli che  scamparono  colla  fhga,  feriti  in  gran  parte,  e quasi tutti  privi  di  arme,  ripararonsi  al  Tuscolo.  Del  resto tende , giumenti , danari , schiavi  e tutti  gli  altri  appa- recchi furono  preda  ai  nemici.  Saputasene  in  Roipa  la nuova  i nemici  del  decemvirato  , quelli  ancora  che  ne occultavano  1 odio,  si  dichiararono,  esultando  su  la  rea condotta  de’  capitani.  E già  grande  era  Ja  moltitudine presso  di  Orazio  e di  Valerio,  capi  , come  fu  detto, de'  crocchi  aristocratici. XXIV.  Appio  e Spurio  somministrarono  a quelli  che comandavano  in  campo  arme , danari , grano  , ed  ogni bisogno,  pigliandone  superbissimamente  da’  privati  e dai pubblico:  e reclutando  dalle  tribù  tutti  gl’idonei  a com- battere ; gl’'  inviarono  loro  in  supplemento  de’  morti , e delle  schiere.  Invigilarono  diligentissimi  su  Roma  , pre- sidiandovi i luoghi  più  acconci;  talché  il  seguito  di  Va- lerio non  fosse  occulto  nel  sommoversi.  Commisero  per vie  sécretissime  ai  capi  dell’esercito  di  sterminare  i loro contrari , in  occulto  se  riguardevoli , ma  palesemente  se ignobili,  sempre  però  con  qualche  pretesta,  perchè  pa- ressero giustamente  levati.  Altri  mandati  da  essi  a fo- raggiare , altri  a proteggere  i trasporti  de’  viveri  ; ed altri  ad  altre  belliche  incombenEe  lisciti  dagli  alloggia- menti , non  furono  mai  più  vedùti  in  alcun  luogo.  Ma li  più  ignobili  accusati _ di  aver  dato  princi'pio  alla  fuga, o portato  secreto  notizie  ài  nemico , o non  mantenuto r ordine,  erano  in  pubblico  trucidati  per  ispavento  co- mune. Così  le  milizie  erano  in  due  modi  disfatte  : le fautrici  del  -decemvirato  pe’  cimenti  col  nemico  , e pei capitani  le  altre  che  ridesideravano  jl  governo  degli ottimati. XXV.  Appio  co’ suoi  commetteva  in  città  delitti  con- simili e non  pochi  : la  plebe  tenne  picciolo  conto  di alcuni  estinti  quantunque  fossero  molti  di  numel-o  : ma la  morte  barbara , ingiusta  di  uno  de’  plebei  più  cospi- cui, celeberrimo  per  le  belle  virtù  sue  nel  combattere, operata  nell’ accampamento  ov’ erano  i tre  capitani,  de- cise quanti  vi  erano  alla  ribellione.  Sicciu  fu  I’  ucciso  , quegli  che  avea  combattuto  le  cento  v^nti  battaglie  , raccogliendone  sempre' il  premio  de’ prodi  , quegli  che disobbligato  già  per  gli  anni  dal  > guerreggiàre  , si  diè spontaneo  per  'la  guerra  ,con  gli  Equi  menandovi  per r amor  che  gli  avcano , altri  ottocento,  già  liberi  ancor essi  a norma  delle  leggi  da’  servigj  militari  : quegli  che spedito  dall’  uno  de’  consoli  contro  le.  trincee  nemiche a rovina  come  parea  manifesta;  pur  le  invase,  e preparò pienissima  la  vittoria  pe’  consoli.  Or  quest’  uomo  , cer- cando Appio  co’ suoi  di  levarsel  d’intorno,  perchè  avea molto  parlato  in  città  contro  i duci  del  campo  come codardi  e imperiti»  io  trassero  a discorsi  amichevoli, lo  invitarono  a deliberare  con  essi  intorno  le  cose  del campo,  e dire  come  fossero  da  emendare  gli  errori de’  capitani  i e Io  indussero  infine  ad  andare  in  forma di  legato  all’  armata  di  Crustumero.  È tra’  Romani  il legalo  onoratissima  e santa  rappresentanza  , con  l’ auto- rità de’ comandanti,  e con  la  riverenza  e la  inviolabilità de’  sacerdoti.  Lo  accolsero  al  giunger  suo  con  benevo- lenza i duci , e lo  stimolarono  affinchè  stesse  e coman- dasse con  essi  ; anticipandogli  de’  doni , e promettendo- gliene ancora.  L’uom  d'arme,  tutto  ingenuo  in  seslesso, deluso  dai  scellerati,  come  lui  che  non  capiva  i presti gj delle  parole  , e quanto  erano  ingannevoli  ; suggerì  loro le  cose  che  utili  riputava,  e soprattutto  che  trasferissero il  campo  dal  territorio  proprio  a quello  de’  nemici  ; additando  i mali  che  ivi  soffrivano , c rilevando  i beni che  da  tale  passaggio  nascerebbero. XXVI.  Fingeano  que’duci  udirne  con  diletto  gli  am- mpnimenti  : Adunque  che  non  ti.  fai  tu  duce,  gli  dis- sero , di  questo  transito  , preeleggendone  il  sito  op- portuno , tu  si  perito  do'  f ioghi  por  le  tante  tufi  spe- dizioni ? Noi  ti  daremo  schiera  eletta  di  uomini  , espediti  per  armamento  leggiero.  Avrai  tu  cavallo come  alT  età  tua  si  com’iene , ed  armatura  degita . dei tuoi  pari.  Tenne  Siccio  l’invito,  e chiese  cento  uomini scelti.  Quegli,  essendo  ancor  notte,  spediscono  lui  senza indugio  , c con  lui  cento  i più  baldanzosi  de’  loto  fau- tori , istrutti , e mossi  ad  ucciderlo  con  lusinga  ahiplis- sima  di  ricompense.  Or  questi  giunti,  ornai  ben, lungi dal  campo  , in  luogo  montuoso , angusto,  e difficile  di ascenderlo  a cavallo  , se  non  di  passo , ordinaronsi  , datone  il  segno  , in  maniera  da  serrarsi  in  folla  su  lui. Un  tale , sostenitore  e servo  di  Siccio , valoroso  tra  le 34 a,  arme  , indovinando  il  cor  loro  , diedene  cenho  al  pa- drone. Il  quale  vedutosi  in  tanto  disagio  di  sito  da  noa potervi  nemmen  slanciar  con  forza  il  cavallo',  ne  salta  , e postosi  coir  unico  sostenitore  suo  in  una  balza  per non  esservi  circondato  , aspetta  che  ve  lo  assalgano.  Or tutti  ( ed  erano  molti  ) assalendovelo  ; ne  uccide  intorno a quindici,  feritone  il doppio  : e parca  , se  lo  assaliva» da  presso  , che  avrebbe  , combattendo  , straziato  ancor gli  altri.  Ma  questi,  conceputolo  per  invincibile,  e come non  era    prenderlo  a corpo  a corpo  ; non  vennero in  tal  modo  alle  mani:  ma  tenendosi  lontani  da  lui;  lo fulminarono  con  dardi , sassi  , e legni.  Ed  altri  avan- zandosi di  fianco  in  &ul  motttc,  e riuscendogli  a tergo, rotolavano  dall’  alto  macigni  stragrandi  : talché  per  la moltitudine  de’  dardi  lanciatigli  conira  , e per  la  enor- mità de’  sassi  che  cade.mu  romorosi  dall’  alto  , lo  op- pressero in 'fine:  e questo  fu  il  termine  incontrato  da Siccio. XXyiI.  Tornaitono  gli  uccisori  co’  feriti  nel  campo  , e vi  pubblicarono  che  una  insidia  ióiprovvisa  di  nenrici avea  spento  Siccio , e gli  altri , che  assalirono  i primi , e che  essi  he  erano  a stento  scampati,  ricevutine  molle ferite.  Pareano  questi  dir  vero  ; non  però  si  giaeque occulta  la  loro  per6dia  : ma  sebbene  avvenisse  1’  eccidio in  luoghi  deserti  e senza  testiinonj  ; i fati  stessi  e la giustìzia  che  invigila  le  cose  umane,  lo  diedero  a co- noscere per  segni  indubitati -(i).  Imperocché  quei  del campo  riputando  1’  uom  forte  degno  di  pubblica  sepol- (i)  A quella  icotenza  somiglia  quella  lauto  vera  di  Arioslo  can.  6 e tanto  poco  tenuta  in  peotieio  dagli  nomini. Digilized  by  Google LIBRO  • XI.  343 tara . e di  onori  distinti  rispetto  degli  altri,  per  più  cau- se , e'  principalmente  pel  carattere  suo  di  legato,  e per* cbè  libero  già  da’  servigj  militari, eravisi  cimentata  di nuovo  per  util  comune;  decisero  di  unirsi  dal  complesso di  tre  legioni  e di  uscjre  cosi  per  investigarne  il  cada- vere , onde  riportarselo  con  pieno  decoro  e sicurezza. Concederono  questo  i capitani  per  non  dare  sospetto alcuno  delle  insidie  : e prese  le  arme  uscirono  intenti all’^opcra  bella  e degna.  Giunti  al  sito  e vistovi  non selve  , non  valli , non  luoghi  consueti  per  le  insidie  , ma  una  balta  tuttar  nuda  ed  aperta  ,.ed  angusta  a pas- sarla; sospettaron  bentosto  ciocch’era.  Avvicinatisi  quindi ai  cadaveri  % mirato  Siccio  e gli  altri  derelitti,  ma  senza essere  spqgliati;  si  meravigliarono  che-i  nemici,  vincen- do , non  avessero  levate  loro  non  le  vesti  , nè  le  anni. E specolando  ihtoroo  ogni  cosa , nè  trovando  vcstigia di  cavalli  o di  uomini  se  non  le  impresse  nel  sentiero; tennero  per  impossibile  che  i nemici  fossero  su  loro* venuti  improvvisi , quasi  uccelli.,  o uomini  discesi  dal cielo.  Ma,  più  che  questi  e simili  indi^,  il  non  trovarsi ivi  cadaveri,  di  avversar)  fu . loro  argomento  evidentissi- mo , che  gli  amici  ne  erano  stati  gii  uccisori  e non  i nemici.  Imperocché  non  parea  loro  che  Siccio  , e quel Miscr  chi  maV  oprando  si  confida , Che  ngnor  star  debba  il  maleficio  occulto  ; Che  quando  ogn’  altro  taccia  intorno  grida V aria  e la  terra  ittetsa  in  che-d  tepultq^  . E Dio  fa  spesso  che  'I  peccato  guida Il  peccator,  poi  cV alcun  di  gli  ha  indulto- Che" si  medesmo  , seni'  altrui  richiesta JnavOedutamstnle  mastifesla.  ■^44  nF.LT,E  antichità’  ROMANE sosteuitore  suo,  e gli  altri, che  seco  perìroofi,  sarebbero morti  inulti , specialmente  se  venuta  si  fosse,  quanto  si può , (la  vicino  alle  mani.  Rac(:olsero.  ciò  ancora  dalle ferite  : perocché  Siccio , come  quel  suo,  sostenitore  , ne avea  molte  per  colpi  di  sassi  o di  strali  e di  spade  ; laddove  gli  uccisi  da  loro  avean  colpi  di  spade  si,  non di  sassi , o di  strali  e di  saette.  Adunque  .ne  sorse  in- dignazione , e claipore  , e lutto.  Alfine  compianta  la disgrazia  ; raccolsero  e portarono  il  cadavere  ai  campo  : e là  gridarono  altamente  contro  de’  capuani , esigendo allora  allora  secondo  la  legge  militare  la  morte  degli uccisori  ; o che  sen  fidasse  almeno  il  giudizio  ; e già molti  erano  pèr  ,farvisi  accusatori.  Ma  conciossiaché  non davano  loro  udienza,  e nascondeano  gli  uccisori,  e^ne differivano  il  giudizio  , con  dire  che  in  Roma  darebr bero  a chi  la  volea  la  podestà  di  accusarli  ; ben  vtdesi che  la  trama  era  de’  (ùpitani.  Adunque  portarono  (xm * magnifica  pompa  Siccio  al  sepolcro,  alzandogli  una  pira meravigliosa,  e tributandogli  secondo  il  loro  potere  altre primizie  che  la  legge  concede  negli  onori  estremi  dei valentuomini.  Alienaronsi  allora  tutti  dal  decemvirato; e pensarono  come  liberarsene.  Cosi  l’ esercito  presso Chistumero  r Fideue  era  nimico  a’  suoi  capi  per  la morte  di  Siccio  legato. XXVIIl.  L'  esercito  acc;impato  nell’  Algido  della  re- gione degli  Equi  , e la  molutudiiie  in  Roma  crasi  per tali  cagioni  esacerbata  tutta  con  essi.  Lucio  Verginio  un plebeo,  non  secondo  a niuuo  nella  milizia,  starasi  capo di  una  centuria  nelle  cinque  legioni,  belligeranti  con  gli Equi.  Avea  costui  per  avventura  una  figlia  vaghissima fra  ratte  le  donzelle  romane.  Ella  portava  il  nome  del padre,  ed  avealasi  pattuita  in  isposa  Lucio  Icilio,  uomo tribunizio,  qome  6glio  (i)  di  quell’ Icilio  che  primo  fe’ stabilire  , e primo  assunse  T autorità  di  tribuno.  Appio Claudio  il  capo  decemviro  vista  la  verginella  che  leg- geva in  una  scuola  ( stavansi  allora  le  scuole  pe’  giovi- netti intorno  del  Foro)  bentosto  ne  fu  preso  dalla. bel- lezza ; anzi  vinto  dalla  passione  era  così  tòlto  a sestes-^ so  , che  non  potea  non  passare  più  volte  intorno  della scuola.  Or  non  potendo  torlasi  sposa  come  già  sacra  ad altri  , anzi  perchè  egli  avea  pur  moglie  , e perchè  non istavagli  bene  donna  plebea  di  lignaggio  contro  il  suo grado  e la  legge  scrìtta  da  lui  nelle  dodCci  tavole  ; su le  prime  tentò  corrompere  co’ danari  la  giovinetta.  Egli mandava  ad  pra  ad  ora  delle  donne  con  doni  e pro- messe maggiori' alle  nudrici  di  essa,  orfana  già  della madre  ^ avea  però  comandate  le  donne  che  tentavano le  nudrici  a non  dire  chi  fosse  l’amante  della  fanciulla, ma  solo  eh’  egli  erg  un  tale  che  potea , volendo , -bene- ficare e nuocere.  Non  potendo  però^  guadagnarle  , anzi vrt.duta  la  donzella  guardata  più  che  prima  , si  mise , caldissimo  che  ne  era  d’  amore  , a camminare  altra  via con  meno  ancora  di  sénno.  Fattosi  chiamare  Marco Claudio  , r uno  de’  suoi  clienti , uomo  ardito  e pronto ad  ogni  servigio , gli  additò  la  Gamma  sua  : e prescrit- (t)  Forse  nipote’,  perchfc  dalla  islitusione  del  tribonato  all' anso prescote  decorsero  45  aooi.  Pertanto  Lucio  Icilio  di  cui  qui  ai  ra- giona o era  nipote  ni*, Icilio  Ruga,  o coOTÌen  dire  che  di  molto  ec- cedesse gli  anni  di  Virginia  destinatagli  sposa  ; seppure  non  voglia dirsi  che  Icilio  Ruga  generasse  beo  tardi  quel  figlio.  > togli  cioccliè  volea  che  facesse,  e dicesse  ; lo  spedi  con allato  uomini  impudentissimi.  Costui  recatosi  alla  stuoia, vi  tolse  la  vergine  , b volea  recarsela  palesemente  pel Ford.  Impedito  però  dai  clamori  e dal  grande  «oucor- so,  di  recarsela  dove  avea  stabilito;  venne  al  magistrato. Sedessi  allora  nel  tribunale  Appio*'  solo,  rendendo  ri- sposte e r&gioni  a chi  ne  chiedeva.  Or  volendo  colui dire  , sòrsene  rumore  e sdegno  tra*  circostanti , i quali tutti  reclamavano  , perché  si  aspettasse  6nchè  venissero i parenti  della  fanciulla  ; ed  Appio  ordinò  che  in  tal modo  appunto  si  facesse.  Passato  appena  picciolo  tem- po; ecco  presentarsi 'Publio  Numitore  nomo  insigne  tra i plebei,  zio  materno  di  lei,  con, seguito  di  molti  amici e parenti;  e dopo  non  molto  ecco  giungere  con  numero poderoso  di  giovani  plebei  Lucio  Icilio,  quegli  che  per le  promesse  dèi  padre  aver  dovea  la  donzella  in  isposa. E questi  , tutto  sospeso  ed  ansio  nel  respiro , avanzan- dosi al  tribunale  , addimandò  chi  osato  avesse  toccare la  giovine' cittadina  , g (die  mai  ne  pretendesse. XXIX.  Fattosi  intanto  silenzio.  Marco  Claudio,  que- gli appunto  che  avessi  preso  la  donzella,  così  ragion:^; O j^ppio  Claudio  , niente  ho  io  fatto  di  temerario  , niente  di  violento  contro  la  fanciulla.  ' Signore  , come io  tono  di  lei , secondo  le  leggi  me  la  conduco.  Or odi  comi  ella  siasi  la  mia.  Ho  io  una  tal  serva  pa- terna che  ministrami  già  da  tempo  lunghissimo.  Or questa  , familiare  che  ne  era , usava  di  andare  alla mo"liè  di  f^érginio;  e la  moglie  di  Ferginio  persuase lei  gravida  a concederle  , quando  che  fosse  , il  frutto del  suo  ventre.  La  donna  , partoiita  una  figlia , ( ed era  questa ) serlà  le  promesse  ; e àiedela  a Numito- ria,  con  fingere  presso  noi  che  uscita  fosse  la  di  lei prole  già  morta.  Numitorià  tuttoché  madre  non  fosse di  fanciulli  o fanciulle,  la  pigliò,  la  fé'  sua,  la  nudrì, senza  che  io  sapessi  nel  principio  la  vicenda.'  Or la  so  per  indizj  di  molti  e buoni  testimonj  : io  ho fatto  t esame  di  quella  serva , e ricorro  alla  legge comune  per  tutti  ha  quale  vuole  « che  sia  la  prole  non » di  chi  la  impostura  per  sua , ma  di  chi  1’  ha  gene- » rata  ; e che  libera  sia  se  nata  di  libera , e serva  , se » nata  di  serva , de’  padroni  stessi  delle  madri  u . Su questa  legge  esigo  di  riportarmi  la  figlia  della  mia serva  , pronto  a subirne  il  giudizio:  Che  se  alcuno  la reclama  per  sua,  dia  certi  mallevadori  di  riprodurla  in giudizio  : ma  se  anzi  vuole  chi^  ora  qui  sen  tratti  la causa  io  lo  secondo , voglioso  c^e  si  espedisca  anzi che  si  procrastini , e che  io  mi  assicuri  con  malleva- doii  la  vergine.  Scelgano  qual  più  vogliono  di  questi partiti. XXX.  Claudio  cosi  disse  aggiungendo  vive  preghiere di  non  essere  considerato  meno  de’‘suoi  competitori  per  amici , e torlasi  a forza quando  glie  la  ripresent'avano  per  la  sentenza.  E perchè 11  giudizio  fosse  con  buona  forma  , sul  pretesto  che  il padre  di  lèi  non  erasi  presentato  ; diè  lettere  a cavalieri fedelissimi , e li  spedi  nel  campo  ad  Antonio , cdroan- dante  della  legione  ov’ era  Verglnio,  con  ordine  che ritenesse  quest’  uomo  cautissima  mente  , talché  udite  le vicende  della  figlia , da  fui  non  s’  involasse.  Ma  Io  prejr vennero  , attinenti  che  erano  alla  donzella  , il  figlio  di Numitorio,  cd  il  fratello  d’ Icilio , spediti  avanti,  sul nascere  appena  della  sommossa.  Giovani  pieni  di  corag- gio fornirono  prima  il  vaggio  sferzando  i cavalli  ed  ab* Digilized  by  Google 35a  DELLE  Antichità’  bomane baudonando  loro  le  redini  j e _ narrarono  a Vergitiio l’evento.  E Verginio,  ^cimane  ad  ^Antonio  la  cagione vera  , e fintogli  di  aver  udita  la  morte  di  un  suo  pa« rente  di'  cui  doveasi  fare  il  trasporto  , e la  sepoltura secondo  la  legge  , ebbe  il  congedo.  E presso  1'  ora  in cbe  accendonii  i lumi  ; se  ne  andò  con  que’  giovini , ma  per  altra  via  , temendo  , come  avvenne  , di  essere inseguito  da  quei  del  campo  e della  città;  perocché Antonio,  ricevuta  la  lettera  circa  la  prima  vigilia,  spedi contr  esso  una  banda  di  cavalieri,  mentre  un’altra  spe* dita  da  Roma  guardò  per'  tutta  la  notte  la  strada  che vi  conduceva  dal  campo.  Ma  non  si  tosto  un  tale  ridisse ad  Appio  che  Yerginio  era  l’unto  contro  la  espetta- zione;  egli,  uscito  di' senno , ne  andò  con  gran  seguilo al  tribunale , e fece  che  a lui  si  chiamassero  i con- giunti della  donzella.  Venuti' questi , Claudio  ripetè  lo stesso  discorso , e dimandò  cbe  Appio  senza  indugio decidesse  l’affare;  dicendo  esser  pronto  chi  lo  esponeva, e chi  lo  attestava  , fin  la  serva , madre  vera  della  fan- ciulla. Simulava  in  tutti  questi  atti . che  assai  si  sdegne- rebbe , se  esso  per  essere  cliente  di  lui  non  ottenea come  prima  la  giustizia  egualmente  che  gli  altri  ; e di- mandava che  ajutasse  chi  dicea  cose  più  vere,  non  chi più  lamentevoli. XXXIV.  Il  padre  della  donzella  e gli  altri  patenti escludcano  la  supposizione  del  parto  con  molti  argo- menti giusti  e veri , per  esempio  che  non  ebbe  cagion plausibile  di  farla  la  sorella  di  Numitorio  c moglie  di Verginio  maritatasi  vergine  ad  utl  giovine  la  quale  par- torì tra  non  molto  : appresso  perchè  sebbene  voluto avesse  iotradere  in  sua  casa  un  6glio  altrui  ; v’  avrebbe intruso  non  il  figlio  di,  una  donna  schiava , ma  quello di  una  ingenua,  amica  o parente  sua,  onde  ritener  fe- delmente e stabilmente  ciocché  TÌce'«’eaiée  : ed  arbitra  in tutto  di  Scersela  Come  volea  ,*  scelta  s’  avrebbe  la  prole non  femipea,  ma > vivile}  imperocché  la  donna  che  par- torisce, vinta  dall' aderenza  pe’ 6gli  che  partorisce,  ama e nudre  ciocché  la ‘natura  le  porge:  laddove,  la  donna che  imposturasi  un  6g)fO  sei' cerca  del > sesso  migliore, non  del  più  ignobile.  Contro  lui  poi  che  dava  .l’ indi- zio,'e .contro  i molti  tesu'monj- edibili  da  Claudio  come degni  di  fede . allegavano  cagioni  tratte  dal  verisimile  : vuol  dire  che  Numitoria  non  avrebbe  operalo  imai  pale- semente e presenti  molti  ingenui  tekùmònj  tur  fatto  che abbisognava  di  silenzio , e che -pbtea' fornirsi  col  mini- stero di-  un  solo  ; e c|ò  perché  la  prole  edncatà  non fosse  col  tempo  ritolta  dai  padroni  delia  madre.  Ag- ginngeano  che  la  dilazione  non  picoiola'  era  segno  evi- dente che  il  calunniatore  non  prolTeriva  niente  di  vero: perocché  colui  che  dié  l’ indiziò  'della  supposlzioue  e gli  altri  che  la  cooteslano  -l’avrebbero  molto  'iuoansi svelata,  non  tenuta  Segretissima  per  quindi^,  anni.  Frat- tanto redarguivano  le  pròve  degli  accusatori,  come  non vere  'né  credibili,  e chiedeano  che  si  paragoudssero colle  altre  loro,  nominando  molte  doqpe  non  ignobili le  quali  dicevano  aver  veduta  Numitoria  gravida  cOn pienezza  di  utero.  Olirà  queste  ne  additavano  altre  che in  fom  del  parentado  venute  pel  parto  o per  la  pimr- pera  aveano  mirato  k prole , ed  iuasievano  perché  s’ iu- Viomci  , tome  III.  .1  »i  • Digilized  by  Google 354  delle  antichità.’  romàne terrogassero.  Era-  poi  di siderando  queste  e simili  cose,  e fra  lóro  discorrendole, ne  piangevano.  Appjo  altronde , come  non  cauto,  per matura , e corrotto  dalia  grandezto  del  potere , invanito di  sestcsso , e caldo  ' di  amore  nelle  viscere , non  ohe attendere  al  parlare  dei  difensori , e commoversi  alle lagrime  della  vergine , adiravasi  per  la  compassione  che di -lèi' Sentivano  >i  circostanti  (Juasi  di  compassitme  egli fosse  più  degno,  e patisse  mali  più  grandi,  ridotto  pri* ■gioniero    quella  bellezza.  Da  tali  cause  infuriato  ardi fin  di  'fare' impudenti  discorsi  (pe’ quali,  coloro  che  già ne  sospettavano  ,'  foron  -chiari , 'che  sua  era  1-  impostura contro  la  donzella  ) > e compiere  infine  la  barbara  c ti- rannica azione. Àncora  parlavano , quando  egli  iu- Uqoò  sUeniiio  ; e . feoesi.  jbtanlò  la  moilitudine  che  era nel  Foro  , ^ntenendo  lo  adegno  si  spinge  innanzi  per desiderio  d’ intendere  ciocché  direbbe  ; ed  esso  volgeo'. dosi  qua  c là  per  numerare  col  guardo  i crocchi  degli amici  co* quali  avea  p|:ima  occupato  il  Foro  cosi  favellò: O Verginio  j o voi  qui  presenti  con  , esso  f fiqn  io sento  ora  la  prima  voltd  un  tal  fatto , ma-  lo  sentii prima  ancora  di  giutfgere  a questo  magistrato.  Or udite  ; Come  ' lo  sentàsL  11  ^ padre  di  questo  Marco Claudio  ornai . spiratido  la  fitfl  y pregavnmi  die  io prendessi  la  tutela  del  figlio  lascialo  da  lui  piccélo  ; giqcchò  essi  fin.  dagli  antichi  loro  son  . clienti  della ìiostra  famiglifc.  Or  mentre  io  rn  era  il  tutore  di  esso udii  della  donzella  e .come  Numitoria  sala  suppone; prendendola  dalla  sert>à  di  Claudio:  ed  esaminatala; trovai  che  appupto  cosi  pava  •' dettai  c, giudico  esser  Claudio  pa- drone della  serva. Digitized  by  Google 356  1 DELLE  antichità’  EOJHAME XXXVII.  Udito  ciò , quanti  ivi  erano  fiomlni  iniegrì , sostenitori  di  que’  che  dicevano  il  giusto  , levarono  le mani  al  cielo  , con  “"un  grido  misto  d’  indignazione  , e di  pianto  : per  1’  opposlto  i partigiani  de’  Decemviri  , mandavano  voci  atte  ' a confortarli  ed  animarli.  Irritatasi però  l’adubanza,  e riempiuta»  di  ogni  guisa  di  afTetti, e discorri  ; Appio  intimo  silenzio  , e disse  : O tutbo- lenti , o inutìii  a tutto  nella  guerra  e nella  pace  !•  se non  cessale  di  sonunover  la' patria  , e di  contropor- vici  ; farete  alfin  senno  per  forza.  Non  pensate  , jche abbiamo  noi  messo  un  presidio  nel  Campidoglio  , e nella  fortezza  soltanto  contro  i nemici  di  fuori , e che  lascèremb  poi  fare  quei  iT  entro  , i quali  scon- ciano ih  Roma,  ogni  cosa.  'Prendete  consiglio  migliore  ^ thè  non  avete  o . voi  tutti  a quali  non  spetta  C af- fare ; andatene  per  le  cose  vostre  in  buon  ora.  £ tu Claudio  recati  ria  pel  toro  ' la  donzella  : non  teme- re ; giacche  i dodici  miei  Colle  scuri  ti  saran  guar- dia. A ul  dire  gli  altri  ululando,  battendosi  la  froòte, nè  potendo  raffrenare  le  lagrime,  partirono  dal  Foro; e Claudio  succò  via  la  donzella,  che  stringeva,  che baciava  il  padre  suo , e con  voci  affettuosissime  lo  in- vocava. Fra  tanti  mali , Yerginio  si  mise  in  pensiero un’  azione , amara  , addolorevole  ad  un  padre  , ma  de- gna di  ud  nomo  liberò,  -di  un  Uomo  generoso.  Egli intercedette  di  salutare  ancora  una  volta  la  6glia , e di parlare  a lei  le  cose , che  volea  da  solo  a solo  ; prima che  dal  Foro  la  involassero.  Condiscesone  dal  capitano  , e ritiratisene  alquanto  i satelliti  , abbraccia  la  figlia  che sviene , che  abbandonasi  ; e cosi  la  sostiene , richiamandola,  baciandola',  rasciugandola  dalle  lagnile,  che  la inondavano.  Poi^  trattala  seco  un  poco , non  si  tosto  fu presso  la  officina  di  un  niacellajo,  rapiscene  di  su  dal banco  la  coltella,  ed  immersela  nelle  viscere  della  figlia gridando:  Figlia  (i  mando  Ubera  e casta - ai  nostri sotterra:  per  colpa  del  tìrarmo  già  ntm  potevi  tu  viva serbare  questi  pregi. . SóHevatisi  intanto  ■ de' clamóri  ; tenendo  in  pugno  il  ferro  insanguinato,  egli  stesso  gron- dante del  sangue , sebitaato  su  lui , nell’  uccidere  della figlia  , corse  furibondo  , peó  la  città  , reclamandovi  la libertà  ; de*  cittadini.  Passate  a fona  le  porte,  àìcese  il cavallo , ebe  ■ tenessi  per  Ini'  preparatp  , e rivelò  nel campo , riaccompagnatovi    Icilio , e da'  Knmitórlo  , i giovanetti  ebe  ne  *1  cavarono.  Teneano  loc' dietro  anche altri  plebei  non  pochi, Jn  numero  quasi  di  ^attro.* cento.  j ' ; XXXVIIT.  Appio  al  caso  della  ^giovinetta,. levatosi  da sedere,  si  slanciò  cpme  per  inseguire  Verginio , dicendo, e facendo  cose  non  degne  : ma  eiroondandolo , e pres- sandolo gli  , amici  a non  traviare  , si  ritirò  , pieno  di rabbia  su  tutti  : quando  ornai  -presso  della  sua  casa  udì da  taluni  de'  suoi  fautori , che  Icilio  il  .suocero  , e Nut raitore  lo  zio  , ridottici  con  altri  - amici , e congiunti intorno  al  cadavere,  gridavano  contea- Ini  an  colpe  no*> te,  e non  note  concitando  tutti  a rendersene  liberi  una volta.  Colui  spedì  per  la  rabbia»  che  ne'  ebbe,  alcuni de’  littori , -con  ordine  d’  imprigionare  i maledici , e di levare  dal  Foro  il  cadavere;  opera,  insana  in  v?ro  , « sconvenientissima  al  tempo.  Imperocché  mentre  dovea- carezzar  la  moltitudine  incollerita  giusUmente,  e-jóedere 358  * DELLE  Antichità’  bomane in  principio  al  tempo  , e poi  rdifendersi , pregare  , be- neficare onde’  riconciliarsela  ; egli  'corso  Alla*  violenza  , ridusse  tutti . a disperarsi.  Pertanto  non  permisero  che gl’  inviati  levassero  la  estinta , o'  portassero  alcuno  nella carcere  : ma  gridando , ed  animandosi  gli  uni  gli  altri  ; cacciarono  dai  Foro  coll’impeto,  e oolle  percosse  i mi'- nistri  della  violenza.  Talché  Appio,  ciò  udendo,  fu  co- stretto dì  recarsi  con  molte  partigiani  e clienti  nel  F oro , e comandare  'che  battessero , e sbandissero  , chi  v*  era  ,* ne’ capi  delle  vie.  Orazio  e Valerio,  duci  come  ho  detto degli  altri  a riprendere  la  libeiné , sentito  il  disegno dell’ uscir  di  colpi,  menarono' con    molti  bravi  gio- vani , e si'  misero  dinanzi  k estinta.  E qpando  ebbero più  \icini  {'compagni  di ‘Appio,  prima  inveirono,  (jnanto poterono , su  loro  cOn  -clamori  .ed  ingiurie  ; é quindi , pareggiando  ai  detti  le  opere , ferirono  e rovesciaronoquanti  osarono  lanciarsi  su  lOro.  * XXXiX.  Appio  mal  .sofferendo  l’ostacolo  impreve- duto , nè  trovando  come  trattare  tali  nomini  \ risolvette di  correre  Una  viaria  più  rOvinOk.  Impéròccbè  porta- tosi al  tempio  di  Vulcano  ; invitavi  a parlamento  la ' plebe,  quasi' benevola  ancora  verso  di  esso:  e prendevi ad  accasare  la  inginslizia,  t la  dnsojenza  di  tali  uomini, lusingandosi  per  l’ autorità  sua  .tribunizia , e per  le  vane speranze , ebe  la  moltitudine  gli  concedesse  di  precipi- tarli dalTa'  rupe..  Afa  i compagni  di  Valerio  occupata l’altra  parte  del  Forò,  e postovi  il  cadavere  della  ver- gine visibilissimo  a .tutti , ''convocarono  un*  altra  adu- .'nahza;  facendovi  vivissime  aCcusé  di  Appio  e de’ suoi. Occorse,  com’era  vcrisimile’,  che*’aUÌt'andovene  altri 'la Digilized  by  Google LIBRO  XI.  . 359 riverenza  per  ^questi  ' nomioi ,,  altri  la  commiserazioae vereo  la  dctazella  soggiaciuta  a vicènde  dure,  ,e  più,  che dure  per  la  sv>a  bellezza  infelice,  ed, altri  H.  desiderio stesso  della  forma  .precedente  df  governo  , vi  si  rioni più  gente  che  intorno  di  Appio  : tanto  che  non  rima-c seto  presso  questo  'se  non  pochi , appunto  i partigianir ira'qtuli  cc  ne^avéa  pur  alèoni , che  per  molte  cagìoivi  ■ mal  più  si  acconcravano  eoi  Decemvirato ,,  contèntissimi di  rivolgersi agli-  avversar)  , sé  il  partito  loro  si  fortiG- easse.  Appio  vedendosi  - derelitto  ^ -fo  cpstretio  i mutar COtasigHo  ,'e  ' ritnrarsi  dèi  Fpro^*cioecll&'  moitissiUo  gii giovò.  Imperocché  prèso  a cólpi- 'dalia  moltitadioe  pa- gata le  avrebbe  le*  giustissime  pene.  Dopò  .ciò  Valerio  . acquistata  preponderanza,  quanta 'ne  volle,  si  sfogò  pe- rorando contro  ai 'Decemvirato  , e decise  in  favor  suo perGno  i dubbiosi.  Molto . più'  poi  conjpccia'rono  la  moU titudiiie  contro  ai  Dètèiòviri  i parenti  della  vergine, recando -al  Foro  .il  feretro , -e  T altro  lagubre  apparato, maguiGco  quanto  potevano  , è facendo  ..la  traslazione  del cadavere  per  le  .vie  più  illustri,  di  Roma  , onde  fóssevi più  rimiralo;  imperocché  còrreabu  fuori  di  casa  matrone e donzelle  per  piangere  la  sciagura  e qual  d’esse  get- tava su  la  bava  Gori^e  ghirlande*',  e qual  veli  e. nastri  . e fiV;gi  pel  capo  di  .una  vergine,  e quale,  in  Gne.te anella  de’  Vecisi  capelli  : iiratlantor  molti  uomini  •nobilita* vano 'la  liinèbre  pómpa  con' doni*  convenienti,  presi  grsì- tnitamente’  o con  pfeézró  dalie  prossime  olBcIce.  Tanto che  divulgaiissima  era  per' la  citrii  la  lagrimevole  ceri- mònia , éd  avea  tulli  acceso  il  desiderio  di -spègnerti  la' lirannlde.  Ma  qnei  chè  la  difeudeano  f isirntii  che 1 ' ; ‘ ".jd  ny erano  di  arme , davano  grande  spavento  ; laddove  Va^ lerio  W SUOI  non  volea  finire  col  sangue  de’  duadim la  disputa.  " . Tale  era  in  Roma  la  turbolenza.  Intanto  Ver- ginio  che  avea^  come  ho  detto  ^ itccisa  di  sua  mano  la figlia  spronando.' a briglia  sciolta  il  .cavallo i giunse  agli alloggiamenti  presse  l'  Algido  su  l’ imbruttir  della  sera  , tutto  lordo  -di  sangue , e . colla  ooltelitt , in  pugno  , ap- punto . com’  era  fuggito  da  Roma.  Vedi^tolo , i soldati che  stavansi  a guardia  innanzr  del  campo  ^ non  sapeano indovinare  ciocché  . avessè  patito^  e lo  accompagnarono per  intenderne  1*  alto.'  e terribile  caso.  E colui  tuttavia camminava  piàngendo,  e significando-  a quanti  gli  erano intorno  di  .seguitarlo.  Uscivano  fin  di  mezzo  alJf  cena da’  padiglioni , presso  i quali  passava  , soldati  Jn  folla  y con  faci  e làmpade,  pieni  di  mestizia  e tumulto,  e fa* cendogli  corona^  lo  accompagn#ano.  Alfine  giunto  in un  luogo  spaziose  del  campo.,'  e salita  una  eminenza ov’ essere  da  tutti  veduto,  nar^ò.  le  disavventure  sue, dandone  per  testimou)  quanti  erano  con  esso  , venati  da Roma.  E quando  infine  videne  molti  addolorati  e pian- genti-; fecesi  allora  a supplicarli  e scongiurarli  di  non permettere  che  restassero ,. egli  invendicato,  ^ concai- cataria  patria.  E lui  coti  dicendo,  ecco. in  tutti- grande la  voglia  di. udirlo  e viva  1». istigazione  perchè  parlasse. Adunque  tamtx  più  animoso 'inveì  su’ Decemviri , mo- strando di  quanti,  aveano  essi  tolte  le  sostanze,  di  quanti flagellato  il  corpo,  e quanti  ne  aveano  ridotti  senza colpa  niuna  a lasciare  la  patria  ^ e numerando  insieme le  ingiurie  verso  le  matrone , i ratti  delle  donzelle . nubili,  i '.disoBoramenti  de’ liberi > garzoncelli,  e, le,  tante altre  ingiustizie  e tirannidi.  E così,  disse,  ci  calpestano * (Questi , senza  che  ne  aibiano  il  poterti  non  dulia legge , non  dal  Senato  , non  dal  popolo.  Imperocché spirato  è /’  anno  dflla  loro  magistratura  ; e spirato  ; doveano  in  altre  mani>  trasmetterla'.' violentissimi  però la  ritengono  ; spregiando  in  noi  , quasi  in  femmine  , la  paura  grande  e'  la  codardia.  Ognun  • di  voi  qui ricordi  quanti^  mali  ha  da  loro  sofferti,  o veduto  sof- ferirsi  dagli  e^i.  Che  se  alcuni  qui  blanditi  da  essi mai  con' piaceri  o favori , non  temete  il  Decemvirato, ne  apprendete  che  eguali  mali  siano  per.,  venire  un giorno  su  voi,  sappiate  che  non  vi  è fede  pe  tiranni, sitppicUe  che  non  donano  t'  potenti  per  benevolenza , e sapendo  queste  e simili,  cose  , Uorreggetévene  : ed unanimi  tutti  Iterate  da  tù'onni  la  patria , quella dove  sono  i templi  de\ vostri  Dii,  dove  le  tombe  dei vo.stri  maggiori,  ! quali  voi  riverite  appresso  gV  Iddj , dove  li  veóchi  genitori  che  .dimandano  il  premio  dei travasi  e delle  tante  cure  per  voi ^ dove  le  mogli, vostre  legittime  ^ dove  le  figlie  nubili,  alle  quali  deesi non  tenue  Id  Vigilanza:  dove  infine \i  vostri  figli  ma- schi , che  aspettano  da  voi  cose  degne  dèlia  natura loro^  e de’  progenitóri.  Taccia  le  vostre  case,  i vostri poderi , i vostri  ■ danari  acquistati  con  tome  fatiche dagli  antenati  e >da^  voi  : , delle,  quali  cose  tutte  pià non  pofrtle  essere  i certi, padroni  'finché  i Dieci  qui tiranneggianox  ' . XLI.  Già  non  è da  savj ,. non  da  valenùtompii  cer» care  colla  fortezza  le  cose  altrui  ^ nè  curare  poi  che Digilized  by  Coogle 36a  DELLE  antichità’  romane per  viltà  si  rovinin.  le  proprie  far  co»  gli  Equi  ^ co’  Fblsci , co’  Sabini , a ' con  tutti  intorbo  i vicini guerre  diuturne  » indefesse  per  la  indipendenza  e pel principato , nè  vbter  poi  nemmeno  prendere  le  armi per  la^  vostra  sicurezza  e la  libertà  cantra  uomini  il- legittimi che  fi  comandano.  Che  nòn  ripigliate  lo  spi- rito' delia  patria  ? Che  non  tornano  - in  voi  li  sensi degni  degli'  antenati?  cU  quelli  che  per  V oltra^ìo  di una  femmina  solà  profanata  da  un  de  •Tarquìnj  ed ucàisasi  da  sestessa  per  le^  vergogna , 'tanto  rie  incol- lerirono e infierirono  , e tanto  comune  tipqtaron  la ingiuria';  che  sbandirono  di  Roma  non  il  solo  Tqr- quinio,maJ  re-:    piti  soffersero^  die  magistrato alciùfó  vi  comandasse  in  vita,  e senza  doverne  far conto  : di  quelli  che  ne  fecero  altisiunto  giuramento fitto  con  imprecazione  su  paetèri'  se  noi'  compievano  ? Of  essi  non  avran  sopportata  la  incuria  di  un  sol giovinastro  su  di  una  libera-  donna'  soltanto  ; e voi vi  state  Comportando  una  tirannide  di  tante  teste  , •ehé’ scorre  ad  ogti  ingiustizia  e libidine  ^ è scorrerawi anche  pià  se  pià  tra  vói  la  tenete  ? Non  la- ebbi  io sole  una.  figlia  vaghissima  , che  jippìò-- accirigevasi palesemente  a violentare  e lordare  : le  avete  anche molti  infra  voi‘'rhogli  o ; figlie  e figli  avvenenti:  Or chi  difhn'dele  mai  che  ' ' alcuno  de'  Dièci  nón  fàccia loro  come  /dppio  ? Vi  raccertano  forse  gt  Iddf  che so  lasciate  impunita  la  insolenza  ' a me  fatta,  no/i  si avanzi  questa  fin  su  molti  di  voi;  e che  ^ nmor  ti~ tannò  , giunto  alla  mia  figlia , ivi  si  'rimanga  e si plachi  rispetto  degli  altri  fanciulli  e faiKÌiille?  Quanto stolula , quanto  atfena  cosa  è dire  che  mai  tali  idee si  -effettuerànno  ! Illimitate  sono  de'  tiranni  le  pas- sioni, perchè  superiori  alle  leggi,  e al^  timore.  Su dunque  fate  le  mie  vendette , prepardte  la  sicurezza vostra,  per  non  subire  egual  male , rompete  o miseri una  volta  la^  cótena:  riguardate  ‘con  intenti  sguardi la  libertà  : ~E  per  qual  altra  occasione  mai  fremerete pià  che  per  queéta;  quando  ne  si  tolgon  le  figlie  prè- testandooele  per  ischiave , e quando  via  ne  si  porlan le  spose"  co’  littori?  E se'ora  che  siete  tutti  cinti  di arme  la  trascurate  la  occasione e:  quando  mài  \ quando  il  genia- di  libertà  ripiglierete?  -, XLU.  Ma  iotaato  cKe  egli  parlava  molti  gli  promct- teanò,  gridando,  la  vendetta:  e chiamati  a nomr  i dnci delle  schiere  gl’  invitaronó  a por  mano  aff  impresa  ; molli  ancora  , se  ne  avéano  riéeTuto  alcun  danno  , fa- ceansi coraggiosi  innanzi,  e lo  rivelavano'.  'Udito  ciò  li cinque,  capi  come  ho  detto  delle  legioni,  temendo  che la  moltitudine  facesse  qualche  soròmossa ' Cóntro  di  essi corsero-  tutti  'al  pretorio  e vi  consultarono  con  gli  amici, se  poteanO  chetarne  il  tumulto  cinti  dalle  arme  de  par*  ' tigiani.  non  si  tosto  intesero  che  i soldati  eransi  .tri* tirati  'nelle  tende  , che  caduto  e cessato  era  il  tumulto , senza  sapere  intanto  che  il  piò  de’cènturioni  aveva  con- giuralo occultissimamente  d’ insórgere  e liberare  la  pa- tria ; destinarono  , appena  fosse  giorno  , imprigionare Verginió  che  istigava  la^  moltitudine  , e raccolto  l’ eser- citò condurlo  ed  acc^parlo  tra’  nemici , . e desolarvi  H meglio  elei  lor  lerritorj  ; nè  più'  lasciare  chè  ognuno investigasse  Curioso  ciocché  facevasi  in  Roma , ma  tutti   perocché  , chiamato  Vergioio  ai  pretorio , i ceatnriooi non  permisero  che  v’  andasse  pel  sospetto  che  vi  peri» colasse:  e scoperto  com’era  ne’ratpi  'il  proposito  di  por- tare l’armata  tra’ nemici.  Io  riprovavano,  dicendo:  Me- ramente ci  avete  prima  comandato  benissimo,  perchè ora  isperanzili  vi  seguitiamo  f Duci  voi  di  'tanta  mili- zia , quanta  ninna  ntai  ne  portò  da  Roma  f e dagli alleati  non  sapeste    vincere  , nè  danneggiare  i ne- miti.  V oi  dimostrandovici  odi , imperiti , colf  accam- parci male  , e col  desolare  , quasi  asversarj  , le  terre nostre , ci  rendes^  poveri , e bisognosi  delle  cose  le quali  noi  conqOistayamo  col  prev/dere  in  bailaglia  , quando  i nostri  capitani  \ eran  migliori  che  voi.  Ora  il nordico  inalza  contro  noi  li  trofei i il  nemico  si. porta le  cose  nostre;  saccheggiandoci  tende ^ schiavi y ottm, danari. . XLUl.  Verginio  per  la  rabbia  , e perché  non  più temea  que’  capitani  .inveiva  più  libero  conti»  di  essi  , 'chiamandoli  corruttori  e distruttori  delia  patria,  ed  ani- mando i centurioni  a tor  le  insegne,,  e ricondursi  in Roma  colle  milizie.  Molti  non  ardivano  ancora  movere le  insegne , che  sono  inviolabili  ; né  riputavano  cosa onesta  e.  sicura  abbandonare  i loro  capitani  ' e ^i  co- mandanti ; perocché  il  giuramento  militare , die  i Ro- mani avvalorano  più  che  tutti,,    che  il  soldato  siegua i suoi  comandanù  , dovunque  Io  guidino  : e la  legge concede  a questi  di.  uccidere , nemmen  giudicandoli  . gl’ indocili  e li  disertori.  Verginio,  vedendoli  tenuti  an- Digitized  by  Google ' LIBRO  XI.  365 cora  da  tal  riverenza , mostrò  ' loro  che  La  le^e  stessa avea  sciolto  quel  giuramento  : giacché  dea  ehi  có- manda  gli  eserciti , esser  scelto  a norma  delle  leggi  ; e r autorità  de’  decemviri  era  tutt^  contro  le  leggi, trapassalo  t anno  per  cui  fu  destinata  ; far  poi  gli ordini  di  chi  comanda  contro  le  leggi  non  è ubbi- dienza, nè  pietà,  ma  demenza  e furore.  Or  ciò  aden- do , giudicarono  udire  il  vero  : e suscitatisi  a vicenda  ; e quasi  dato  lor  cuore’ dagl’  Iddi!;  tolser  le  insegne,  e ne  andarono.'  In  mezzo  d’  indoli  tanto  varie  , nè  tutte conoscitrici  del  meglio,  si  rimasero,  co’ decemviri,  com’è verisimile,  centurioni  e soldati',  minori  però  molto, non  eguali  di  numero  agli  altri.  Quelli  clie  partirono dal  campo  , viaggiando  tutto  il  giorno  , giunsero  al  far della  sera  in  città  , seuzaqhè  alcuno  ve  li  annunziasse  ; nè  poco  la  costernarono , credula  cbe  giugnesse  il  ne> mica.  Adunque  tutto  tri  divenne  clamore  , moto  , di- sordine ; ' ma  non    a lungo  , da  nascerne  òiale  : pe- rocché quelli  passando  pe’capi  strada,  vi  gridavano  che eran  gli  amici,  e venivano  in  bene  della  pàtrio:  e con- formarono le  Opere  ai  detti , non  offendendovi  alcuno. Recatisi  ali' Aventino,' colle  il  piò  acconcio  entro  Roma per  accamparvisi,  allogaronsi  presso  il  tempio  di  Diana. Nel  giorno  seguente  fortificato  il  campo,  e destinati  dieci tribuni  miljtàri , de' quali  era  capo' Marco  Oppio,  sul comune , si  tennero  in  calma. XLIV.  Dopo  non  molto  giunsero  in*  sussidio  loro con  molta  milizia  dal  campo  di  Fidene  i centuribni  mi- gliori delle  tre'  legioni  , alienatisi  da’  comandanti  fin  di allora  che  fecero  trucidare  , come  ho  detto  , Siedo  il  legato  ; .e  timidi  non  pertanto  di  cominciare  i primi  la ribellione  in  vista  . delle  cinque  legioni  delK  Algido  , quasi  fossero  amiclie  ai  Decemviri.  Ora  però  saputane la  insurrezione;  acceuarotjo  di  tatto  buon  grado  il  favor della  sorte  :■>  anche  di  queste  milizie  eran  capi  dieci  tri- buni eletti  in  mezzo  alla  marcia  , ma  Sesto  Manlio  ne era  il  più  ragguardevole.  - Congiuatisi  tutti , e deposte le  arme,  incaricarono  i venti  tribuni  a poter . dire  e fare quanto  dovessi  pel  comune.  .Elessero  di  questi  venti come  capi  consiglieri  i due  più  rispettabili,.  Marco  Op- pio, e Sesto  Manlio.  E questi  .formata  un  coùsigUo  dei centurióni  maneggiavano  tutto  ,cpn,.  essi.  .Non  essendo ancor  c^arl  al  popolo  i (prò  disegni , Appio  .consape- róle  a ses tesso  di  essere  la  cagione  di  quella  turbolenza, e de’ìUali  che  ne  verrebbero,  tenòvasi  in  casa,  non 'ehe ardisse  far  pubblici  atti.  Sbigottì  su  le  prime  anche Spurio  Oppio  , costituito  , come  lui  , su  la  città  , quasi fossero  ben  tosto  per  assalirlo  nemici,  e fossato  appunto per  questo  venutL  Quando  però  vide  che‘'uon  fàceano innovazioni]  rallentando  le  paure  ^ convocò  li  Senatori nell.^  curia  , intimatili  ad  uno  ad  ano  per  le  case.  E ' standovi  questi  ancora  adunati:  ecco  giungere  i cpman- danii  dall’ armata  di  Fidane,  irritati  che  la  milizia  avesse abbandonato  T uno  e.T  altro'  campo  , -.ed.  insistere  col Senato  perché  ne  prendesse  degna  vendetta.  Ora  do- vendo ciascuno  dare  il  sno  voto  su  questo.  Ludo  Cor- nelio disse , porlqre  il  dovere ,che  tornussero  i spillali 'ttcl  giorno  stesso  daW  Avenlitto  lot' campi,  ed  ese- guissero gli  ordini  des  comandanti.  Con  ciò  non  sa- 'rebhero  tenuti  rei  di  quanto  s'  era  fatto  , so  noti  gli autori  sali , della  ribellione  ; à qvudi  imporrebbe  la pena' il  duce  ^medesimo  : ma  se  non  ubbidwanq  ; il Senato  delibererebbe  su  loro  ,,  camq  su  disertori  dei posti , affidati  ad  essi  da'  capitani  , e come  su  viola- tori  del  giuramento  ipiUtare.  Lucio  .Valerio  gli  contrae riava  (i)....  Ma    conviene  che  no»  facclaosi  af&tto' pa- role delle-  leggi  romane  ehe  troviamo  nello  dodici  tavole, essendo  tanto  venerande  e più  insigni  delia  grecai  legi- slazione ; nè  conviene  che  sen  facciano  oltre  il  dovere , prolungando  la  storia  delle  leggi  medesime.  --  - XLV.  Tolto  il  decemvirato  ebbero  i primi  ne’oomizj cenluriati  la  dignità  consolare,  dal  popolò  come  ho ‘detto Lucio  Valerio  Potilo,  -e  Marco  Orazio  Barbato  (2),  uo- mini popolari  per  indole,  come  per  educazione  eredi- tari*'. Fidi  alla  promessa  che  avcan  fatta  al  popolo quando  lo  indussero  a,  deporre  le  armi  , di  maneggiare sempre  il  governò  in  suo  bene  ; stabilirono  ne’  coraizj centuriati,  mal  grado  i palrizj  che  vergognavansi  di  re- clamarvi , oltre  le  leggi  che  non  rileva  qdi  scrivere , anche  quella  coUa  quale  ordinavasi , che  i decreti  faixi dal  popolo  ne  comizj  per  tribù  valessero  conìé  i de- creti emanati  ne'  comizj  ceniuriati  per  ogni  classe  di cittadini  ;■  sotto  pena  t in  caso 'di  convinzione  , per chiunque^  abrogasse  o trasgredisse  questa  legge,  della (t)  Qdì  miaca  1’ aliimo  SYÌluppo  de*  fatti  co*  quali  fa  tolta  la eppreaaione  Decemvirale.  -Perdita  non  ignobile  ; traltSadoYiti  di  uno de*  graudi  oambiameati  di  stato.  . . , *• (a)  Aeuo  44^  avanti  Cristo  , dalla  fondaiiooe  di  Aoma  ,3o6  se- condo Catone^  Quest*  anuo  è tralasciato  nella  cronologia  di  Varroue e però/ le  dne  cronologie  differiscono  dopo  questo  per  un  anno  solo, non  per  due  com^  per  I*  addietro.  ‘ Digilized  by  Google 368  DELLE  Antichità’  romane morie  e della  confisca  de'heni.  Questa  risoluzione  levò le  controversie  tra’  plebei  e tra'  patrizj  , i quali  ricusa- vano di  ubbidire  ai  d^eti  latti  dai  primi , e riguar- davano i decreti  emanati  ne’comizj  per 'tribù  come  leggi singolari  di 'esse  non  'come  universali  di'  Roma  intera: laddove  ciocché  fosse  stabilito  ne’comizj  per  centurie  lo riputavano  ordinato  a sestessi  come  a tutti  i cittadini. Fu  gié  détto  innanzi  che*  ne’ comiz)  per  tribù  li  poveri e li  plebei  prevaleano  su’ patrizj  , come  i patrizj/ quan- tunque assai  minori  di  numero  , prevalevano  su’^plebei ne’  comizj  per  centurie.  » ' ' . • XLVI.  Stabilita  da’  consoli  questa  legge  con  altre leggi , fautrici  ’anch’  esse  , 'come  ho  detto  , del  popolo  ; ben  tosto  i tribuni  credendo  vénnto  il  tempo  di  vendi- cami di  Appio  e de’ colleghi  di' esso,  pensarono  d’  in- timar loro  il  giudizio  >e  chiam'arveli  non  tutti  insieme perchè  gli  uni  non  giovassero  gli  altri  ; ma  l’ uno  dopo l’altro,  su  la  idea  di  convioceryeli  più  facilmente.  Ora considerandu  su  chi  prima  incominciassero  più  a pro- posito , deliberarono  mettere  in  istato  di  accusa  Appio , il  più  esoso  al  pqpolo  per  le  oppressioni , e per  le  in- degnità recenti  contrò  la  vergine.  Parea  (oro  che  assi- curatisi ''di  questo , disporrebbono'  facilmente  pur  degli altri;  laddove  se  cominoiassero  dai  men  furti,  parea  loro che  l’ira  de’ cilladtni , calda  oe’ primi  gludizj«  s’inde- bolirebbe, come  spesso  accadde,  per  giudicare  in  ultimo i rei  più  segnalati.  Deliberato  ciò , sopravvegliarono  i rei  ,(j)  ordinando  a Verginìo  di  accusare  Appio',  senza , * ' t • • |i)  Cioè  gli  aliti  DeceniTiri  aùìaebè  non  soccorceMcto  Appio.  LIBRO  XI.  369 nemmeno  decidere  colle  sorti  chi  Io  accusasse.  Appio dunque  accusato  da  Yerginio  nell’ adunanza  fu  citato  al giudizio  del  popolo  , e chiese  tempo  per  giustificarvisi. £ siccome  non  si  ammisero  per  v lui  mélievadorì  ; ■ fu tratto  in  carcere  per  custodii^elo  finché  di  lui  si  giu- dicasse. Ma  prima  ' chu  giùngesse  il  di  prescritto  pel giudizio  mori  nella  carcere , per  opera  come  molfi  so- spettano de’  tribuni  : ma  secondo  che  divulgarono  altri, che  li  discolpano , egli,  appiccò    medesimo.  Dopo  lui fu  tradotio  al  popolo  Spurio  Oppio  da  Publio  Numi- torio  altro  tribuno  : ma',  dategli,  le  difese , vi  fu  con- dannata a pienissimi  voti  : e portato  in  carcere  fini  nel giorno  stesso  la  vita.  Gli  altri  decemviri  pfima  di  essere necessitati  al  giudizio , ■ condannarono  sestessi  all’  esilio. 1 questori  incorporarono  all’eràrto  i beni  degli  uccisi  e degli  esuli.  Fu  nommeno  citato  Marco  Claudio  quegli che  si  accinse  a tor  via  come  schiava  la  donzella  da Icilio  lo  sposo  : ma  preiéstando  i comandi  di  Appio  fu scampato  da  morte  ^ e 'gettato' in  esilio  perpetuo.  Gli altri' ministri  ^elle*  ingrastizie 'dèi  decemviri  non  .subi-' irono  giudizio  pubblico  ma  diedesi  a tutti  la  impunità. Suggerì  pari  economìa  Marco  Duilh'o  il  tribuno  per essere  ornai  turbati  i cittadini,  e.  timorosi  di -essere  fi- nalinente  anch’  essi  giudicati. XLyiI.  Chetate  le  turbolenze  interne',  raccolto  il Senato,  decretatio  che  esca  immantinente  T armata  con* tro , a’ nemici.  Ratificato  dal  popolo  il  decreto  del  Se- nato, Valerio  l’uno  de’ cònsoli  , marciò  eoa  metà  delle schiere  contro  gli  Equi  e li  Yolsci  i quali  miliuvano ' PtOSIGt , itmo  III.  .- 370  DELLE  antichità’  ROMANE insieme.  (Consapevole  però  thè  gli  Equi  , imbaldanzili pe’ vantaggi- precedenti,  elevavansi  fino  a sprecar  gran- demente la  milizia  romana  , cercò  renderli  ancora  più temerari  e vani  con'^are  di    vista  ingannevole,   pra  de’  Romani  r -ma  dimostrando  r cavalieri  un  ardor sommo  ottenne  una  segnalata  vittoria  , - nccisivi  molti nemici , imprigionativene  pii^  ancora  , e preso'  i loro alloggiamenti  dereKtti.  IvÙ trovò  •molte  provvigioni  da guerra,  e tutta  la  preda  già  tolta,  dal  terchoi^'dé’'Ro- mani  : anzi' detenuti  molti  de’ suoi  che  liberò;  non. es- sendosi alTretlati  i Sabini  pel  disprezzo  che  aveano  del nemico  a riporre  in  sictirb  4anti  loro  vantaggi.  'Adunque diede  a’  soldati  la  roba  nemica , preelcggeudone  ciocché era  da  offerire  agl’  Iddii  1 ' ma  ‘ rendette  te  prede  a chi n^era  stato  spogliato.  ‘ XUX.  Fatto  ciò  ricondusse  1’  eserdto  in  Roms  ove giunse)- contemporaneamente  anche  . Valerio  : ambedue sentivansi  grandi  per    vittoria  , e'  se  ue  auguravano luminosi  trioufi.  Non  però  uiccedette  cobi’  essi  ne  spe- rayano  .imperocché  Raccoltosi  il  Senato'  per  essi  'dtie- efae  stavansi  coli’  esercito  sul  campo  -Marzo , ed  esami- natine'le  gesta  , non  accordò  loro  il  sagrifizio  per  1» vittoria  : essendo  oontrarìati  da  molti. , e da  alcuni  ma- nifestamente , soprattutto  da  Cajo  Claudio  , zio come scrissi  di  Appio,  vuol  dire  del  fondatore  dei  decemviri, e tolto  non  ha  guari  di  mezzo  .da’  tribuni.  Cajo  ricor- dava le  leggi  colle  quali  ajrean  essi  ‘ diminuita  rautorilà del  Senato , e ricordava  le  altre  maniere  da  essi  tenute perpetuamente  ' nel  gorernare  : ricordava  ‘ le  morti  o le conCfohe'de’beni  dc’decemviri,  traditi  da  esu  ài  tribuni 37»  DELLE  ANTICPITA’  ROMANE contro  i patti  ed  i giuramenti  essendosi  in  mezEO  alle vittime  convendta  tra’  patrizi  e tra’  plebei  la  dimenti« canza,  e la  impunità  su  tutto  il  passato.  Protestava  cbe Appia  non  era  caduto  morto  innanzi  al  giudizio  di  sua mano  , ma  per  malizia  de’  tribuni  : aflìncbè  nell’  essere giudicato  non  ottenesse    difese , nè  misericordia  : co* me  polea  ben  ottenerle , se  potatalo  in  giudizio  metteva ÌDuanzi  al  guardo  la  nobiltà  della  sua  gente,  e le  molle beoefìcenze  di  essa  verso  la  repubblica  ; se  reclamava  i giuramenti  e' la  buona  ^fede- su  la  quale  gli  uomini  ri- posano) e rendonsi  a far  pace;  se veniva,  co’ suoi  figli» co’  parenti.,  jn  àbito  di  umiliazione  ; in  somma  con  -gli altri  modi  pe’  quali  uo  popolo  si  disacerba  , s’ intene- risce, e perdona. '{fra  tali  rimproveri  dati  loro  da  Cajo Claudio , e da  altri  presenti , fu  coucluso , che  si  con- tentassero i'  due,  di  non  pagarne  le  pene:  del  resto  non essere  nemmeno  in  picciobssima  parte  d^gui  del  trionfo, o ,di  concessioni  non  dissìmili. L.  Valerio  ed  il  coUega  esclusi  ^al  trionfo  ,'  lenen- dosene ofTcsìssimi , e sdegnandosene  ; convocano  il  po- polo , e vi  accusano  vivamente  il  Settato.  .Peroravano per  loro  i tribuni^  e proposero  e ne  ottennero  dal  po- polo il  trionfo:  ed  essi  ..primi  di  tutti  i Romani  pro> dussero  tal  cot^uetudine.*  Dopo  ciò  rinacquero  ‘i  dissid), e le  incolpazioni  tra’  patrizj  f e tra’  plebei.  Li  tribuni raccendeano  questi  ogni  giorno  concionandoti.  Irriuyali soprattutto  il  sospetto  cbe  li  tribuui  cercavano  di  cor- roborare con  romori  incerti , e di  amfdìare  con  divina- zioni varie,  come  se  li  patriz)  fossero  per'  )tnnienUre  le leggi  stabilite  dai  consoli,  Valerio  e suo  collega:  c quel Digitized  by  Google LIBRO  ’XI.  $7  3 lupetto  ornai  tanto  prevaleva  che  degenerava  la  fede. E tati  sona  gli  eventi  di  qnel  consolalo. LI.  Nell’ anno  appresso  foron  consoli  Laro  Erminio,  e Tito  Verginio  (i).  Snccederon  loro  Marco  Geganio..>(a). LH.    rispondondo  essi,  ma  sdegnandosene;  Scatùo fecesi  di  nuovo  innanzi  e disse  : ecco  o cittadini  che si  concede  dai  litiganti  medesimi  che  essi  pretumonb, parte  che  a lor  non  compete f della  noslrà  campagna', or  voi  considerando  ciò  decidete  ciò  che  é giusto  e congruo  co'  giuramenti.  Scattio  cosi  diceva  : ma  i con- soli ardevano  dalia  vergogna  in  riflettere  , che  il  giudi* aio  prenderebbe  un  ' termine . nè  giusto  , uè  onorato  , se’ il  popolo  il  quale  qiai  non  aveast  attribuito  ' la  campagnar disputata,  ora,  elettone  giudice,  se  T attribuisse , con toglierla  ai  litigami.  Adunque  ad  iscansare  èiò  si  ten- nero dai  consoli"  e dai  capi  del  Senato  molli  e molti discorsi  ; ma  ihvauo.  Impetocchè  quelli'  che  aveano  pi- (i)  Ando  di  Roma  3o7  fecondo  Catone,,  3o3  fecondo  Varrone  , e 445  *v.  Ctifio. .-(a)  E C.  Giulio  secondo  che  si  ricava    Livio.  Net  consolato di  Erminio  e  venissero persuasi  in  contrario , annullerebbero  alcuna  delle  rìso- kizioni  proprie. LV.'  In  vista  di  .tali  minacce  .adunati  gli  Ottimati  Ji piu  anziani  e principali  da'  consoli  a consiglio  privato  , ponderavano  ciocché ''fosse  da  fare.  Cajo  Claudio  come U men  popdiarc  , ed  erede  degli  antenati  in  tal  genio di  procedere,  inculcava  ostinatissimo,  che  non  si  ce- dessero al  popolo    i consolati , nè  altro  magistrate qualunque;  e che  senza  riguardo  di  persona . privata  o pubblica  si  frenasse  colle  armi , se.  non  l'eodeasi  per  le parole,  chiunque  tentasse  il  contrario.  (mpero.cché  chiun- que tentava  sommovere  le  patrie  costumanze  o discio- gliere la  forma  primitiva  del  governo  era  non  cittadino ma  nimico.  Per  1’  opposito  Tito  Quinzio  non  voleva  che si  reprintessero  gli  avversari  colla  violenza , .né  si  venisse alle  armi  ed  al  sangue  civile  colla  plebe:  tanto  più  di- ceva che.  -noi  abbiamo  contrarj  i tribuni , che  i nostri padri  dichiararono  sacri  ed  inviolabili;' facendo  igenj  e gl'  fddj  mallevadori  dell’  accordo  con  imprecatone  gra- vissima delia  rovina  loro  e'  de’  figli , se  da  indi  in  poi lo  avessero  mai  violato  anche  in  parte. LVI.  Accosta vansi . a questo  partito  . ancor  gli  altri chiamati  a'  congresso  , quando.  Claudio  pigliando  la  pa- rola disse  : Non  ignoi*o  quaji  Jòndamento  pongasi  di mali,  per  tulli  noi,,  se^-concediamo  che  il  popolo  fac- ciasi a volare  su  questa  legge':  ma  non  avendo  cosa pià  farmi,    come  resistere  a voi;  che  tanti  siete  ; ahbattdonomi ' ai  vostri  consigli.  Ben  è giusto  cJte LIBHOXI. . 377 ognun  dica  Ciò  che  sente  deU  util  comune:  ma  poi siegua  ciò  che  i più  ne  conchiudono.  Jar,  eome  esortasi in  c^fan  che  aggravano , nè  si  vogliono , vi  esorterei che  non  cedeste    ora    poscia  il  consolato  a ninno, se  non  ai  patrtzj , i quali  è giusta  è pia  cosa  che  lo abbiano  : ma  qustndo  come  cd  presente  , siete  alla  n«- cessità  ridotti  di  far  partecipi  anche  gli  altri  cittadini del  grado  e del  potere  più  grande  ; vi  dico  che  assu^ miate  i tribuni  militari  in  luogo  de'  consoli , defineie- ione  un  numero  { otto  -o  sèi  forse,  chè  tanti  credo bastarne  ) riel  quale  i patrizj  e i plebei  si  pareggino. Così  Jrscendo    renderete  il  córuolato  magistratura  di uomini  indegni  ed  abbietti  •,    parrete  per  voi  f ohe hricare  un  comando  ingiusto , coll  escluderne  affatto i plebei.  Ed  approvando  tatti  , senza  reòlamt>  niuno  un lai  voto}  udite  soggiunse , .ciocché  restami  a dire  a voi consoli.  Prefisso  il  giorno  in  cui^  stabiliate  quel  previo decreto  ^ e ciò  che  daf  Senato  si  giudica , lasciale  che parlino  su  Ha  legge  chi  la  difende  e chi  C accusa.  Fi~ mia  la  disputa  , quando  fio  t ora  d’  irttendeme  i voti, non.  vogliate  da  me  cominciare , non  da,  codesto  Quirtr zio , nè'  da  altro  seniore  ma  dsU  popolafissimo  sena- tore Lucio  Valerio;  interrogando  appresso  Orazio  , se punto  vuol  dire,  Bicercate  così  le  .loro  .sentènze , or- dinale che  noi  seniori  diciamo.  Jq  sporrò  liberissirrta- mente  il  parer  mio  'contrqrio  ai  tribuni  ,•  e fa  questo [ utile  della  repubblica.  .Questo  Tito  Genuzio , se  il volete,  dia  la  proposta  su*  tribuni  militari.  Parrà  que- sto il  partilo  più  congruo  e meno  sospetto  se  proget- tisi o Marco  Genuzio-  dal  tuo  fratello.  I(  consiglio  sena- l Digitized  by  Google O'jS  DELLE  antichità’  ROMANE brò  giusto  , e parlironsi'  dU  oiAigresso.  T^merbuo  i tri* buui  la  secretissima  aduuanza,  come  intenta  a gran  danno de’  plebei , perché  fatta  in  casa  , _ non  in  pubblico , e senz' .ammettervi  alcuno  de’ capi 'del  popolo.  Adunque raccogliendo  anch’  essi  un  consiglio  di  uomini , amantis* simi-  della  plebe  ^ idewono  ript|ri  e guardie  contro  le iusidìe  che  aspeitavansi  da’  patrizj. . LVIL  Giunto  il  tempo  preacritlo  per  fare 'il  previo decreto , i consoli  convocato  il  Senato , ed*  esortatolo grandemente  al  buon  ordine  ed  alla  concordia;  invitarono, prima  di  ogn’  altro  j a parlare  i tribuni  deUik.  plebe,  i quali  propónevano  la  legge.  Fe^i  avanti  Cajo  Canule)o, un  di  loro  ; ma  egli  non  che  dimostrarla , bon  mentovò nemmeno  la  giustizia  e la  utilità  della  legge.  Diceva  c/te si  stupiva  de  consoli  che  avendo  fra  loro  ponderato  ù deciso  ' ciocché  jsra  da  fare  , ora  quasi  pi  abbisognasi sero  consigli  e decisioni , metteansì  a proporlo  ai  Pa» dri  , e 'davano-  facoltà  di  cBingaxyi  con  simulakione non  cbnvèniente    alt  età  loro  , r\è  alla  ' grandezza del  comando.  Diceva  che  irttroducevan  t esempio  di tristissime'  pratiche  , quando  umvansi  in  casa  et  con- gressi recondite,  jtè  vi  chiamavano  tutti  i Senatori , ma i soli  favorevolissimi  loro.  E qui  soggiungeva  che  poco faceva^li  meraviglia  che  fossero  esclusi  da^quel  coa- 1 sigho  edtri  sonatori;,  ma  ^grandissima  gliene  ftcevache 'avessero  tenuti  indegni  da  invitarveli  Marco  Grazia, e Lucio  L aierio , qaell(  che  avetìno . tolto  il  Decemvi- rotò,  ambedue  uomini  consplari  %nè  idonei' -men  di chiunque  a deliberare  su  la  repubblica:  lui  non  poter, concludere  appunto  In  cauta  .di  tal  procedere  ; indovi- Digitized  by  Google LIBBO  XI.  . 379 nco  iie  però  quest'  unica:  valé^  a direi  cfie  essendo  essi per  allegare  -disegni' ingiusti  trovinosi  alla  piche,  non vollero,  convocarvf  persone  di  essa  amantissime , per-  ' chè  sdegnate  arti  popolaresche  ; numerando  fin  da  principio,  tutti  i |>ericoli  venuti  su  Roma  per  colpa  di  quelli  phe  vole- vano conU'ario  governo;  rilevando  come  l’odio  versola plebe  crasi  renduto  dannoso  a quanti  lo  ebbero;  e lo- dando amplìssimamente  il  popolo  .come,  autor  principale delia  libertà  e del  comando  delia  repubblica;  alfine  ra- gionate queste  e simili  cose  , concluse  non  poter  e^ser libera  quella  città  dalla  quale  tolgasi  /’  eguaglianza  z e quindi  sembrare  a lui  giusta,  la  legge  la- qual  vuole che  concorrano  al  consolalo/  tutti  i Boinani  purché  siano irreprensibili  ne  costumi  e degni  per  le  opere  di  lai tanto  onore  : non  essere  però,  quello  il  tempo  oppor- tuno da  trattare  legge  siffatta  in  tanta  turbolenza  di guerra  per  la  repubblica.  Pertanto  consigliava,  ai  tri- buni di  permettere  che  si  réclutassèro  i soldati,  e che reclutati  uscissero:  ai  consoli  poi  di  pubblicare,  appe-j \ Digitized  by  Coogle V',  i.iBHó  xr.'  '*  38 1 na  detto  buon  alla  guerra  il  previa  decreto  su  la legge:  e si  scrivessero  e si  corueruissero  fin  et  alloratali  cose  da  ambe  ’ie, parti.  Ta^è  fu  la  senteuza  di  Va- il  secoudo  da*' consoli:  non ^ però  ne  fu  pari  1*  affetto  io tutti  gli  astanti.  Imperocché  quelli,  che  voleaoo  preclusa la  legge,  ne  udirono  f!Ot>  piacere  la  dilazione , non'peré con  piacere  ne  adirono  éhe  essa  dovesse  decretarsi  dopo la  guerra:  air  opposito  quelli  che  volevano  che   ac- cattasse la  legge  dal  Senato  iotesero  con  trasporlo  che giusta  si  dichiarava  : ma  con  isdegno  intesero  che  se  ne ritardasse  il  decreto.  ■ j > LX.  filato  taraulto  ('oom' è verisimile  , perchè  questa sentenza  non  soddisfaceva  in  tutto  ad  ainhe  le  parti , il console  fattosi  innanzi  interrogò  per  il  terzo  Cajo  Claudio il  quale  sembrava  ostinatissimo  e/  potentinimo  fra  tutti i primari  della  fazione  opposta  alla  |>lebe.  Costui  tenne un  dùtcorso  premeditato  contro  del  popolo-,  rilevando  di luì  tutte  le  cose  che  gPien  parevano  contrarie  a begli usi  della  patria,  fra  lo  scopo  principale  ove  tendeva  il dir  suo,  che  i consoli  non  pcoponessero  al  Senato  l’^esar* me  di  quella  legge    allora'  - uè  mai , ooine  diretta  a distruggere  il  comando  degli  Ottimati,  e confondere  ogni buon  ordine.  Cresciuto  a tal  dire  il  tumulto , sorse  in- vitato il  quarto  , Genuzio  , fratello  dell*  a^tro  con- sole.-Costui  j discorse  breveménce  le  circostanze  della  città, e come  la  cótnplicav^^no  all*  uno  o all’  altro  disastro , o di  far  prosperare  ^i  nemici  per  la  discordia  e 1*  ambiziojie de’  citudinij  e, di  dare  mal  termine  alla  guerra  interna e domestica  .|>er  espedirsi  dajl’  altra  che  le  era  portata DELLE  A^ìTICHITA’  ROMANE di  fuori,  disse,  che  essendo' due  i maiì'  ed  essendo  ne- cessità d’  inwyrreme  , loro  mal  grado,' l’^udo  o Y altro , credeva  coufacevole  ai  Padri  lasciar  che  il  popolo  urtasse alcune  istituzioni  proprie,  anzi  che  rendere  la  patria  Io scherno  di  forestieri'  e nemici^  E cosi  dicendo"  propose la  sentenza  approvata  nel  congresso  di  ^elli  che  si  erano in  casa  riuniti , sentenza  come  io  dichiarai  suggerita  da Claudio , che  si  eleggessero  ift  luogo  de'  consoli  i tri- buni militari  , tre  de’  patrizj , e tre  dd  plebei , tutti con' potestà  superiore  : chè  quando  -^nìrebbefo  questi il  lor  tempo,  e si  dovrebbero  creare  i nuovi  magistra- ti ; allora  unitisi  di  bel  nuovo  il  SerUUo  ed  il  popolo decidessero  quali  più  voleano  riassumesre  al  cornando  li tribuni  militari  o li  consoli  : che  per  valido  si  tenesse quello  che  il  voto  comune  destinerebbe:  e che  pari decreto  si  rinovpsse  ogni  anno.  ■ , ' ' LXI.  Eu  la  opinion  di  Genuzto  acclamata  da  tutti: e gli  altri  che  sorsero  a sentenziar  dopo  lui  -la  tennero, quasi  tutti , per  b migliore.  ' Se  ne  stese  dunque  da' consoli  il  decreto , ed  i tribuni  della  plebe , pigliatolo  , oe  andarono  , tripudiando,  al' Foro.  E convocatovi  il popolò,  vi  lodarono  amplissimamente  il  Senato^  e vi  di* nunziaronoV  cbe  doncorresse  pure  a’  magistrati  .‘insieme co'  patrizj  chiunque  il  volea  de*  plebei.  '.Se  non-  ohe  il desiderio  senza  cagione , Speciàlmemc'  nel  popolo  ^ è per sé"  dori  vano,  e cori  pronto  ' a dar  luogo  arcOnirario  ; ohe  quelli  i quali  facevano  ogni  prova  per  essere  a parte  ' del  magistrato  , risoluti  se  non  concedeasi  ciò  da’ patrlz}, di  abbandonare  la  patria  come  1'  avevano  abbandonata altra  volta  , o dì  usurparselo  colle  armi , ottenutane  ap*  LIBRO  XI.  383 pena  la  pertnissione , rattemperacono  sestessi , e rivolsero altrove  i loro  favori.  E quantunque  molti  de’  plebei  aspi- rassero al  militar  tribunato,  e" facessero  per  giungervi insistenze  caldissime  ; non  riputarbno  alcuno  degno  del grande  onore.- Cosi  quando  vennesì  al  voti  nominarono al  militar  tribunato  tra’  patria)  che  yi  còneorrevano  , Aulo Sèmpronio  Atratino^  Lucio  Attilio  Longo,  e Tito  delio Sieelo.  . ' ; . y ‘ ^ ■ i * LXn.  Questi  assunsero  i piWi  qu^  grado  in  luogo del  consolare  nell’  anno  terzo  della  olimpiade  ottante- sima quarta  essendo  Di61o  arconte  in  Atene  (i):  ma ritenutolo  settantatrè' giorni  lo  deposerq  secondò  gli  usi della  patria’ spontan^atOébte  ;•  perché  alquanti  segni  ce- lesti vietavano  loro  il  maneggio  de’  pubblici  affari.  ' Le- vatisi questi  dal  comando;  il  Senato- si  raccolse,  e no- minò gr;ìn(errè.  U quali  prefìssero  il  tempo  de’  comizj e proposero;  da  risolvere  al  popolo  se  voleat  rieleggere li  tribuni  o li  «008011 1 il  popolo  decise  attenersi  agl)  nsi primitivi;  ed  essi  cont»derono  che  chiunque  il  volea  de* palrizj  concorresse  al  consolato."  Adunque  si  elessero  di' nuovo  i' consoli’ dell’  ordin  patriuo , e fuf'onò'  Lucio Papirio  Mugiliano , e Lucio  Sempronio  Atratino , fratello di  uti  de*  tribuni  che  s’  eran  dimessi.  Dond*  è che  furono in  -fiLoma  tu  un  anno  stesso  due  magistrature  supreme. Non  però  comparisce  1’  una  e l’ altra  magistratut^  in  tutù gli  annali  Romani  : ma  in  alcuni  trova'nsi  i 'soli  tribuni, (i)  Aodo  di  Roma  3ii  $ècon{lo  Catone,  3ia  secondo  Varronc  , e 44*  ^v.  Ccisle.  Tilo  Livio  dice  cbv  i tribuni  militari  entrarono maghtraii  sul  termidare  dall*  anno  3io  , e perciò  toccarono  anche l’inno  3 11. Digitized  by  Google 384  DELLE  Antichità’  romane ÌD  altri  i consoli  soli , osservandosi  in  non  molti  T .una e r altra.  Noi  ci  atteniamo  agli  ultimi    senza  ragione, affidandoci  alla  testimonianza  de'  libri  sacri  «'recònditi. Sotto,  questi  consoli  nou  occorse  altra  cosa  civile  o mi- litare degna  di  ricordanza;  fecesi  però  trattato  di  ami- cizia e di  alleanza  colla  cidi  degli  Ardeali , peroccliè spedirono  ambasciadori  , pe*  qliali , lasciate  le  querimonie intorno  la  campagna  , dimandarono  di  essere  gli  amici e gli  alleati  de’  Romani.  I consoli  ratificarono  questo trattato. LXIII.  11  popolo  confermò  co'  suoi  voti  che  si  cf'eas* s^  i consoli  anche  per  1’ anqo  seguente  ; e nel.  pleni- lunio di  Dicembre  presero  il  consolato  Marco.  Geganio Macerinó  per  la  secotula  volta , e Tito  Quinzio  Capi- tolino per  la  quinta  (i).  Questi  rimostrarono   mentre  i più  inutili  e più  svergognati  eran  fuori  ài  ogni registro,  e cangiavano  luogo  con  luogo  affine  di  viverci come  loro  piaceva.  , i. (i)  Addo  di  Roma  3ia  se'coado  Catone,  3i3  seeuado,  Yatione  , 41»  ar.  Cristo. SUPPLEMENTI  E FRAMMENTI DEI  NOVE  LIBRI  PERDUTI DELLE  ANTICHITÀ  ROMANE DI DIONIGI  DI  ALICARNASSO. DZONlGt,  fmo  Ut. Digitized  by  Google Digitize(J  by  Googli 387 IL  TRADUTTORE AI  LETTORI. U tomai    AUcartiosso  scrìsse  le  Antichità  Ro- mane dalie  orìgini  di  Roma  fino  alla  prima  guerra Punica  in  venti  libri  estesissimamente , e di  questi, poi  diede  un  compendio  in  cinque  libri  come  fu  già detto  nella  prefazione  al  tomo  primo.  De'  venti  libri perirono  qualche  parte  deW  undecimo  , e tutti  i nove ultimi , salvo  alcuni  frammenti  pubblicati  più  volle e ridotti  in  fine  secondo  P ordine  de'  tempi  in  ciò che  narrano.  ’ Avendo  io  trasportato  nel  nostro  idioma  gli  undici primi  libri,  e li  frammenti  già  noti  de'  rimónéitti,  fu tutto  dato  in  luce  U anno  ii5ia  per  Fìncenm  Pog- gioli, editore  in  Roma  della  Collana  Greca  tradotta in  Italiano.  Quattro  anni  appresso  però , cioè  nel 1816,  apparve  in  Milano  una  stampa  Grecolatina della  quale  il  titolo  latino  è:  DiONTsii  Halicarnassei RomaDarum  AntiquitaUim  pars  hactenus  desiderata  nunc denique  ope  codicum  Ambrostanorum  ab  Angelo  MaJO Ambrosiani  Coliegii  doctore  , quantam  licuit , restitala. Quella  stampa  comprende  gli  antichi  frammenti  dei nove  libri  smarriti,  e parti  riguardevoli  derivate  dal compendio,  collocate  prima  c dopo  di  essi  frammenti Digitized  by  Google 388 per  ordinare  un  tutto  il  quale  dia  compenso  e lume di  ciò  che  erano  i nove  libri  perduti  di  Dionigi. Jn  questo  letterario  ordinamento  ci  si    ciò  che si  è trovato  , e non  sopra.  Del  resto  la  versione  la- tina è precisa  , corrispondente  , elegante  , buona  , anzi  molto  : te  note  opportune , nè  vi  si  desidera  di- ligenza : e ciò  basti  su  quell’  opera. Considerando  come  i frammenti  veri  de’  nove  libri presentati  di  nuovo  in  quella  stampa  erano  già  vol- garizzati , C editore  in  Roma  della  Collana  Greca tradotta,  cercò  più  volte  di  avere  anche  il  volgare  di que’  supplementi  raccolti  come  si  potè  dalla  Epitome o Compendio  di  Dionigi:  ed  uUirnumente  vi  aggiunse pur  le  sue  premure  il  nuovo  editore  in  Milano  della Collana' Greca , presa  la  occasione  dal  valersi  egli ancora  della  mia  traduzione.  Su  tali  istanze  ho  con- segnato il  volgare  di  que’  Supplementi  ordinato  coi vecchi  frammenti  appunto  come  si  ha  nel  testo  Gre- colatino.  E ciò  è quanto  basta  a dar  luce  alla  giunta seguente. Roma  aa.  Settembre  i8a3. Digilized  by  Google V 389 DELLE  ^ ANTICHITÀ  ROMANE DI  > . • ‘ DIONIGI  ALICARNASSEO LIB^lO.  DUODECIMO.  • SDPPLEMENTI  (i). i • £jglI  avendo  radtinato  Intorno  a sé  uomini  di ogni  reo  genio,  li  nudrìva,  quasi  fiere,  contro  la  patria. (i)  Suppiementi.  Cos\  li  chiamo  per  dittiogaerli  dai  Frammenti. Qnetti  tono  parti  vere^  dei  libp  perduti  f gli  altri  tono  parti  deri- Tite  dal  compendio  de’ Tenti  libri  delie  anpchilà  di  Dionigi  troraio in  Milano  ueil’ Ambr*>a°a  io  due  dodici,  l'nno  intitolato:  Di  Dio- nigi di  jilicarnatto  Archeologo  Romano  t l’altro:  Dionigi  di  Ali— tarna$$o  Archeologo  dplle  cote  Romane.  E chiaro  che  questo  titolo i dato  da  altri.  Li  supplementi  avran  sempre  doe  TÌrgole  in  prin- cipio ed  in  fine  dei  paragrafi  per  dùtiognerli  dai  frammenti., DELLE  antichità’  ROMANE Tuttavia  se  ascoltava  me , se  confofmavast  alle  leggi , egli  faceva  un  gran  colpo  per  la  difesa  , dando  segno non  piccolo  di  non  aver  cospirato.  Ma  sbattuto  dalla sua  cosdenza  si  ridusse  dove  quelli  si  riducono,  i quali siegnono  scellerati  disegni  contro  dei  loro  più  congiunti; deliberò  di  non  presentarsi  al  giudizio  ; e respinse  a colpi  di  mannaja  li  cavalieri  spediti  su  lui  (i)  ....  li suolo -della  sua  casa  i Romani  Io  chiamano  equimelio: conciossiacbè  equo  è detto  da  loro , ciò  cbc  non  ha prominenze.  Cosi  il  luogo  soprannominato  Mclio  in principio  fu  di  poi  detto  Equimelio  alterandosi  i dne nómi  in  un  solo  (2)  ». II.  « Guerreggiando  i Tirreni , i Fidenati , e li  Ve- jenti  co’  Romani  (3j , « Laro  Tolumuio  re  de’  Tirreni segnalandovisi  spaventosamente  ; un*  tribuno  romano  , Aulo  Cornelio  cognominato  Cosso,  spronò  il  cavallo  su lui.  F attisi  a combattere  già  moveano  ai  colpi  le  aste  ; quando  Tolumnio  feri  nel  petto  il  cavallo  dell’  emulo  , talché  il  cavallo  ne  infuria  e lo  atterra.  Ma  Cornelio internando  I’  asta  per  lo  scudo  e 1’  usbergo  nel  fianco di  Tolumnio  rovesciò  pur  lui  da  cavallo.  Ben  sorgea questi  ancora , quando  fu  colto  nell'  anguinaja.  Con  ciò Cosso  Io  ucdsc  e lo  ' spogliò , non  solo  respingendo quanti  accorrevano  fanti  e cavalieri  , ma  disanimando  e t . (1)  Qo«sla  h parte  òel  discorso  di  Cineinnato  sa  Spn^o  Melio Deciso  come  reo  di  ambita  lirannido. (a)  La  occisione  di  Spurio  Melio  co4) corre  con  l’anno  3r5.  II libro  XI  di  Dionigi  non  eccede  1*  anno  Sia.  Pertanto  cib  ebe  manca a dar  conliuna  la  storia  delle  Àniichiià  Romane  con  quella  del  Coca- pendio  b la  serie  dei  fatti  dell’  anno  3i2  e dell!  due  sdenti. (3)  Anno  di  Roma  3i^.  • Digilized  by  Google • LIBRO  XII.  ' 391 impaurando  quanti  erano  alle  mani  neN'  uno  e nell*  al- tro cornò  »• IH.  « Essendo*  consoli'  ntiovamenie  Aulo  Gjmelio Cosso,  e Tito  Qtrinzio  (i)  ; penuriò  la  terra  per  gran siccità;  mancando  non  che  le  pio^e,  fin  le  acque  nelle sorgenti.  Donde  nniversaie  fa  lo  scapito 'di  pecore,  di giumenti , di  bovi  : e moitè  -fra  gli  uomini  le.  malattie , quella  principalmente  che  scabbia  à detta,  assai  molesta per  lo  rosore  nella  cute , c più  Rtolesta  ancora  se  inni- ceravasi  : infermità  miserabile  in  vero , e cagione  solle- citissima di  rovina  ». IV.  ....  « Mal  sembrava  a’  primarj  del  Senato  ad- dimesticare il  popolo  alla  pace  e prolungargliene  la  cal- ma , sul  riflesso  che  per  la  pace  si  schiudono  in  città , vizj  , piaceri , e sedizioni  , e solean  queste  prorompere ad  ogni  occasione  , difficili    interrotte , appena  si  lo- gliean  le  guerre  di  fuori  ....  E meglio  superar  1*  ini- tnico  beneficando , che  punendo  : imperocché  di    sie* gue  se  ' hon  altro , almeno  la  speranza  loro  più  dolce sopra  de’  Numi V.  . . a Appena  conobbe  che  i nemid  Io  assali- vano alle  spalle  , chioso  com’  era  per  ogn’  intorno  da, essif  disperò  di  retrocedere.  Egli  tenea  grave  sul  cuore che  nel  pericolo  comune , essi  pochi  contro  de'  molti , essi  gravati  dalie  arme  conira  milizie  leggere  perireb- bero turpissimamente  senza  dar  segno  di  opera  generosa. Adunque  vista  un’ allora  conveniente    lontana  destinò di  occuparla  » VI.  « Agrippa  Menenio,  e Publio  Lucrezio  e Servio (3)  Anno  di  Roma  3i6. Digitized  by  Google ' 392  DELLE  Antichità’  romane Nauzio  tra  gli  ODorì  di  tribuai  militari  scopersero  and insurrezione  di  servi  destinata  coaUx>'di  Roma  (1).  Di- segnavano i congiurati  dar  fuoco  tra  la  notte  in  un tempo  a più  case  in  più  luoghi,  e quando  vedeano  gli altri  intenti  a reprima.  1*  incendio  , allora  invaderne  il Campidoglio,  ed  altre  parti  munite,  e quindi  provocare ad  esser  liberi  lutti  gii  altri  Servi,  e.  con  essi  ucciderne i padrom',  onde  averae  le  mogli  e li,  beni.  Manifestatasi la  prauca  , i capi  di  essa  furono  presi , battuti , e cro- ciassi : e que’  due  servi  che  la  manifestarono,  ottennero essi  la  libertà  veramente , e miUe  (2)  dramme  a testa dal  pubblico  erario  a.  . ' . , VII.  Adoperavasi  il  tribuno  romano  a compiere  la guerra  iu  pochi  giorni,  come  lui  che  credea  facilissimo, e quasi  posto  nelle  sue  mani  , sottomettere  còn  una batuglia  i nemici.  Per  contrario.Jl  comandante  nemico apprendendo  la  perizia  de’  Romani  tra  le  armi , e . la costanza  ne’  pericoli , non  avea  cara  una  battaglia  in campo  aperto  con  pari  circostanze;  ma  Uaeva  la  guerra tra  le  arti  e 1*  inganno  , aspettandone  chq  gli  si  pre- sentasse un  vantaggio  (3)  . . . . ferito  e morto  venuto appena  ».  , , Vili.  « In  quest’anno  fu  l’ inverno  rigidissimo,  in Roma  (4) , tanto  che  dove  la  neve  caduta  era  meno , ( i)  .tnno  di  Roma  335.  ^ (a)  Il  mille  mauca  oel  lesto.  È presso  a pòco  il  nomerò  pbe  dee supplirai  consideralo  ciò  che  se  ne  ha  presso  di  Livio  lib.  4,  o.  aS. (3)  Questo  racconto  consente  per  qualche  modo  con  ciò  che narra  Livio  net  capo  4^  del  libro  quarto  , intorno  la  disfalla  dei Romani  contro  degli  Equi.  ' r ^ (4)  Anno  di  Rema  355. Digitized  by  Google LIBRO  XII.  393 ivi  era  alta  li  sette  piedi  (1).  Vi  perirono  alquanti  uo- mini, e molte  greggi,  ed  altro  bestiame  non  poco,  so- praffatto dal  gelo  o dalla  fame  per  mancanza  de’pasccdi. Le  arbori  firuuifere  inusitate  alle  grandi  nevi  o perirono in  tutto,  o seccate  ne’ tempo  in  tali  regioni  alquanto  più boreali  del  mezzo , seguendo  il  circolo  parallelo  il  qual viene  per  1’  Ellesponto  sopra  di  Atene.  Allora,  per  la prima  ed  unica  volta  1’  ambiente  di  questa  regione  si allontanò  dalla  sua  temperatura  fa)  a. IX.  « I Romani  fecero  le  feste  dette  letxistermi  nel- r idioma,  dei  luog.o.  Or  furono  ammoniti  a tanto  pe’  li- bri Sibillini:  giacché  gli  astrinse  a consultarne  l’ oracolo nn  morbo  pestilenziale  mandato  loro  da'  Nomi , nè  sa- nabile'per  cura  umana.  Adunque  acconciarono,  come voiea  r oracolo  tre  ietti , T uno  ad  Apollo  e Latona  , r altro  ad  Ercole  e Diana  , ed  il  terzo  a Vulcano  e Nettuno.  Fot  per,s?'tte  giorni  fecero  pubblici  sagrifizj  , come  pur  fecero,  ciascuno  secondo  le  forze  sue,  private offerté  ai  Numi , e conviti  sontuosi  ed  accoglienze  di forestieri  (3)  ». « ^ , I I ' (1)  Livio  raeconu  I.  ▼,  c.  i3  cb«  il  Tevere  non  pelea  navigard. (3)  Questo  fraocbiaaiUko  tcnvere  & desiderare  le  cautele  dell’aa- tore  dei  veoli  . libri  delle  Aulichità  Aooiaae.  Le  muiasioai  anche rarieeime  dcll'elmosfera  ooa  perché  non  sono  scriue  pel  tempo  paa- laio  , può  concludersi  che  non  avvenissero  mai  piò . (3j  Livio  parla  di  ul  festa  nel  lib.  t , 0.  i3 , la  dice  occorsa  3p4  DELLE  ANTICHITÀ,’  ROMANE X«  « Pìsone  il  censore  fa  negli  annaK  suoi  quest’ag> giunta  : cioè , che  sebbene  fossero  sciolti  tutti  i servi  ^ tenuti  io  ferri  dai  padroni , sebbene  Roma  si  empisse di  forestieri  , ' e sebbene  ’si  tenessero    e notte  spalan* cate  le  case,  penetrandovi  chi  volea,-senz* ostacolo  ; pur ninno  si  dolse  che  avessene  furio , nè  oltraggio  ; quan« tnnque  i giorni  festivi  sogliano  per  'le  brìachesze  dar largo  il  campo  a disordini  ed  ingiustizie XI.  «r  Stando  i Romani  all’  assedio  di  Vejo  (i)  sul nascere  delia  canicola  quando  gli  stagni  diminuisconsi  e tutti  li  fiumi  all’  infuori  ' dell’  Egizio  {filo  (a) , il  . lago de’ monti  Albani,  distante  non  meno  di  quindici  miglia da  Roma,  presso  al  quale  fu  già  la  città  madre  de’Ro* ' mani  , crebbe  senza  piogge  , senza  nevi , e senz’  altre apparenti  cagioni , per  le  sole  inteMe  sue  fonti'  a tal dismisura , che  'inondò  buon  tratto  delle  adiacenze  con molte  case  di  agricokorì.  E finalmente  aprendosi  a forza , il  passo  tra-  monti  si  versò  con  terribile  sbocco  ne’  campi sottoposti  , ■ ' Della  estate  contagiosa,  la  qual  s^cedcltc  all' inverao  rigidissimo descritto  diantì. (i)  Addo  di  Roma  356. (a)  Aie  infuori  delV  Egitto  Nilo-  Questa  cceetione , &t  cono- scere, parmi,  che  l’autore'del  compendio  non  i Dionigi.  Imperoc- ché egli  nato  in  Alicamasso  città  dell’  Asia  , e già  spettante  al  re- gno di  Persia , come  tatto  il  corso  dell'  Eufrate , non  poterà  , e certo  non  dorerà  ignorare  in  tanta  naturai  tua  diligenia  che  P Eu- frate anch*  esso  nel  luglio  assai'  cresce  e trabbocca  , come  si  legge in  Arriano  iibro  ni,  par.  ao,  greco  per  esso,  e scrittore  delle  gesta di  Alessandro.  Lo  stesso  Arriano  scrire  nel  lib.  r,  paragr.7  secondo la  nostra  tradusione,  che  anche  i fiumi  Indiani  nell’estate  ingrossano fuor  di  modo  e neU’inrerno  scemano. Digitized  by  Google LIBRO  XII.  395 XII.  • Vedalo  ciò  li  Romaai  , da  princìpio  , (jQast 10  sdegno  del  cielo  minacciasse  Roma,  decretarono  pia* care  con  sagrifizj  i Nomi  ed  i Genj  del  luogo  , con- saltandovene  pur  gl’  indovini , se  ne  eressero  mai  co$a da  significare:  .Se  non  che    il  Iago  ripigliava  l'ordine SQO,    gTinterpetri  sapean  dirne  a proposito,  ma  sng~ gerirono  che  si  mandasse  per  intenderne  P oracolo  in Delfo  ».  ' XIIL  « Intanto  un  di  Vejo  perito,  per  Ipmc  avutone da’ maggiori,  dell' arte  divinatoria  di'  qne* luoghi,  sfavasi per  avventura  in  gnardiè'deNe  mura/  Era  cosini  noto ad  un  centurione  romano.  E • quél  centurione  venato una  volta  presso  le  mura  lo  salutò  come  usava  ; aggiu- gnendogli  di  commiserare  Ini  come  tutti  i suoi  pe’mali imminenti  nella  espugnazione  dellai  cittè.'Per  l’opposito 11  Tirreno,  il  qual  già  sapeva  In  inóndàziooe  del  lago Albano,  e sapeva  gli  antichi  oracoli  intorno  di  questa  , replicò  , sorridendo , guanto  é bene  conoscere  t ot'tv- nt're.  Voi  per  non  conoscerne  sostenete  una  guerra senza  fine , e travagli  irriuscibili , disegnandovi  la distruzione  di  Vejo.  Se  alcuno  vi  rivelasse  portare  il destino  di  questa  città  che  allora  sia  presa , quandó U lago  Albano  impoverendo  nelle  acque  sue , non più  si  mescoli  al  mare,  cessereste  di  tenere  voi  nella fatica,  e noi  tra  le  molestie.  Assai  ne  impensierì  ciò udendo  il  romano  , e parti  ». XIV.  « Nel  giorno  appresso  il  romano , comunica- tone il  disegno  co’  tribuni',  rivenne  allo  stesso  luogo  , ma  senza  le  armi , onde  il  Tirreno  non  sospettasse  af- fatto d’ insidie.  Ripigliò  I’  usato  saluto  , e poi  disse  in- Digilized  by  Google 396 DELLE  antichità’  ROMANE nanzi  tutto  l’ incertezza  la  quale  agitava  il  campo  de! Romani , e cose  altrettali  da  rallegrarne , com’  egli  cre- deva , il  Tirreno.  Poi  chiedealo  spositore  di  alquanti segni  e portenti  occorsi  di  recente  ai  tribuni.  Gnidi- scese  colui  ' niente  sospettando  d’ inganni.  E fatto  ritirare gli  altri  i quali  erano  con 'lui  si  mise  egli  solo  col  .cen- turione : £ questi  U passo  a passo  lo  allontanò  dalle mura  con  discorsi  diretti  a deluderlo  ; Or  come  fu presso  alle  muniuoni  romane. lo  abbracciò  con  ambe  le mani , e sei  portò  negli  alloggiamenti  ». XV.  B Quivi  i tribuni  or  lusihgando  or  minacciando lo  ridussero  a dire  quanto  celava  sul  lago  Albano , e poi  lo  mandarono  al  Senato.  Non  parvene  u tutti  i pa- dri in  un  modo  : e chi  tenea  costui  per  pno  scaltro  ^ per  un  impostore,  per  uno  che  mente  su  gli  oracoli de’  Numi,  e chi  dicea  lui  parlare  a punto  il  vero  ». XVI.  « Fluttuando  fra  tali  incertezze  H Senato,  ecco i deputati  - al  Nome  in  Delfo  riportarne  (i)  le  divine risposte,  concordi  a quelle,  date  già  dal  Tirreno:  vncd dire  che  gli  Dei  e li  Genj  li  quali  aveano  in  sorte  la città  di  Vejo  promettevano  mantenervi  costante  la  pro- sperità trasmessavi  dagli  antenati  finché  le  acque  sor- genti del  lago  Albano  ne  Uaboocassero  e corressero  al mare  : Ma  quando  quelle  acque  , .mutata  la  fonte  e il corso  antico  , deviassero  altrpve , nè  più  si  mescolassero al  mare,  allora  pur  Vejo  ne  andrebbe  sossopra.  Parve che  potesse  pianto  ottenersi  da’.  Romàni  , se  scavando delle  fosse  intorno  al  lago  V*  incanalavano  l’ acque  le quali  sboccavano,  dirìgendole  in  campi  lontani  dal  mare. • (i)  AjBno  di  Homa  357* »  L^O  XII. 397 G>DOsc!ato  ciò  li  Romaai  bentosto  misero  gli  operaj  su r intento  », XVIL  w Rendutine  i Vejenti  consapevoli  per  nn  pri* gioniero,  deliberarono  spedire  a chi  li  assediava,  a fine di  toglier  la  guerra  innanzi  ch^  la  città  soccombesse:  e scelsero  de’ seniori  per  deputati.  Rigettata  dal  Senato  la pace  , lasciavano  questi , taciuirni , la  curia  : quando  il più  Cospicuo  fra  loro  e più  famoso  nel  divinare , fer- matosene alla  porta  e girato  lo  sguardo  su  tutti  se- natori disse:  bel  decreto  v avete  voi  fatto  o Romani! e degno  di  voi  U quali  cercate  dominare  per  tutto intorbo  , quando  ricusate  aver  suddita  una  città  nè piccola    ignobile  la  qual  depone  le  armi  e si  ren- de, e destinata  abbatterla  da’  fondamenti  senza  te- meme^t  ira  de'^Numiy    la  vendetta  degli  uomini. Or  ne  verrà  per  questo  su  voi  la  giustizia  punitriea de’  Numi  con  pari  vicenda  ; Voi  che  spogliate  li  Ve- jenti di  patria  , voi , tra  non  molto  perderete  la  vo- stra (i)  ». XVIII.  « Prendendosi  (a)  dopo  breve  tempo  Yejo, taluni  de’  cittadini  ne  andarono,  e stettero  da  valebtno- mini  contro  a’  nemici , e ne  uccisero  e furono  uccisù: altri  diedero  a sé  stessi  la  morte:  ma  quanti  per  co dardia , e bassezza  di  spirito  risguardavano  ogni  altro successo  come  più  mite  della  morte , abbandonarono  le armi  e sè  stessi  al  inncitore  ». (i)  Anche  Cicerone  nel  lib.  r,  c.  44  èe  Natura  Deoram  fa  men- xione  di  quella  ambasceria  , e dell'annunxio  del  castigo,  succeduto, ^oni’  egli  scrive  , sei  auui  dopo  la  presa  di  Vejo,  col  piombare  dei Galli  su  Roma. (3)  Anno  di  Roma  35K. DELLE  ANTICHITÀ.’  ROMANE XIX.  « GatniUo  sotto  la  dittatitra  del  quale  Ve)o  fu presa , stando  co’  Romani  pili  insigni  su  luogo  elevato donde  tutta  quella  città  si  scopriva,  prknieramente  fèli- qitava    stesso^della'  Iiella  avventura  con  che  gli  era accaduto  di  espugnare  e senza  gran  costo  una  città grande  e prosperosa , - la  quale  erà  parte  , uè  gii  la più  ignobile  'della  Etmria , allora  fiorentissima  , e po- tentissvna  tra'  popoli  dell’  Italia , e la  quale  avea  dispu- tato |1  principato  ai  Romani  con  guerre  moltiplicate  per dieci  generazioni  (i)  con  cimentarsi  alfine  a tutti  i mali tra  r assedio  non  interrotto  di  nove,  anni  (a)  ». XX.  a Di  poi  ponsiderando  per  qual  lievissimo  bil- lico  trascende  la  sorte  umana , e come  nino  bene  tien fermezza  , alzò  le  mani , sopplichevole  ' a Giove  e agK altri  Nomi,  perchè  tanta  felicilà  non  chiamasse  l’invidia su  lui  principalmente  , nè  su  la  patria  : e se  per  Con- trario pubblici  disastri  pendeano  su  Roma,  o privati  sa lui,  almen  fossero  questi  i più  lievi  e più  tollerabili  ». XXI.  « Non  minore  di  Roma  per  gli  cdificj , godea Vejo  terreni  ■ ampj , d’  assai  frutto  , dove  piani  , e dove montuosi  in  aere  purissimo  e salutevolissimo,  senza  pa- ludi vicine  , dalle  quali  sorgono  aliti  gravi  ed  ingrati  , e senza  ninn  fiume  il  qual  dia  troppe  fredde  le.  aure del  mattino:    scarse  vi  son  Tacque  (3),    condot- ti) Ciok  per  circa  irecento  anni  asjegaaado  treni' anni  ad  ogni generaaione;  Imptroccbè  Vejo  cominciò  tali  tae  gaerre  con  Romolo: poco  prima  della  aua  morte,  e loocomM  l’anno  358  di  Roma. (3)  Livio  ed  aliti  dicono  durato  quello  asi^io  dieci  anni  : vuol diro  nove  furono  gli  anni'  interi  ciocché  scrive  I’  autore  dell’  Epi« tome , ma  non  intero  fu  1’  ultimo. (3)  Dionigi  nel  paragr.  i5  del  libro  iz  scrive  che  non  lungi  da Digitized  by  Google , , LIMO  xil;  399 levi  altronde  , ma  vi  scatnrtacono  copiose  • nommeoo  , ohe  bouissime  a beverne  a.  ■ * XXII.  «'Dicono,  che  quando  Enea 'figlio  di  Anchise e di  Venere  approdò  nell' Italia  volesse, far  sagrìfizio  ad un.  tale  de’  Numi  ; e che  fatte  già  le  preghiere , stando ornai  per  operare  su  la  vittima  apparecchiata  , mirasse venir  da  lontano  tm  greco,  Ulisse  forse  quando  fu  per r oracolo  di  Avemo  , o Diomede  quando  si  recò  per soccorso  di  Danno.  E dicono  che  disgustato  Enea  del- l’incontro,  tenesse  come  inaugurata  la  vista  dell’ inimico tra  le  sante  cose,  e che  volendo  respingerla  si  bendasse e volgesse  altrove  ; finché  dopo  la  sparizione  di  colui lavatesi  di  nuovo  le ^ mani  fece  il  sagrìfizio:  e siccome vi  si  rendè  fàusta  ogni  cosa  , e^U  ne  fu  dilettato  per .'nodo  da  custodihie  di  poi  nelle  sante  cose  la  cerimo- nia; conservandola  per  ciò  li  posteri  di  Ini  quasi  legge dei  sacro  ministero  ». XXUI.  « In  conformità  de’  patrii  riti  , fatta  la  sup- plica Camillo  ancora  si  trasse  in  sul  capo  il  manto  , e volea  rivoltarsi.  Ma  travoltoglisi  ciò  che  avea  di  sotto  a piedi , nè  potendosene  rattenere , ne  andò  supino  a terra.  Or  questo  rovescio  , indizio  che  egli  di  necessità cadrebbe  per  una  miseranda  caduta , questo  rovescio fàcilissimo  da  intenderlo  senza  calcoli  e divinazioni,  an- Vejo  è il  fiume  Cremerà,  e che  da  questo  fiume  fu  denomioaio Cremerà  il  caetello  edificato  da  Romani  contro  di  Vejo.  Qui  ai •crÌT»  che  non  vi  è niun  fiume  il  ^oalc  dia  troppo  fredde  le  aure del  mattino  : che  anche  senza  fiume  vi  abbondano  le  acque.  Questo esservi  e non  esservi  un  fiume  & concepire  che  lo  scritture  del  com'.^ pendio  non  è Dionigi.  4oO  DELLE  ANTICHITÀ.’  ROMANE  LIBRO  XIlJ che  da’  meoo  periti , questo  egli  ■ noi  pensò  degno  da guardarsene  e da  espiarsene  f ma  lo  ridusse  tale  da. consolarsene  come  se  li  Numi  avessero ‘esaudito  le  pre glie  pii\  illustri  a' quali  esso  era  maestro  di. lettere,  li \ » * ' • t * (i)  Narrano  che  Dionigi  divise  il  suo  campcndie  in  cinque  libri. Ambedue  li  codici  trovati  del  compendio  delle  aiilicbilà  non  hanno 0 non  ritenpoiio  indiaio  ninno  della  distinsiooa  in  libii. (a)  Aaoo  di'  Roma  36o BfOHlGI,  urna  III.  j ,S Digitized  by  Google 4o2  delle  Antichità’  romàne cavò  fuori  delie  porte  come  per  passeggiare  dinanzi  le mura  , e far  loro  visibile  il  campo  romano.  Poi  sionla* nandoli  poco  a poco  dalla  città , li  ridusse  presso  le guardie  Romane:^  queste  accorsero;  ed  egli  cedè    stesso, e gii  altri.  Menato  a Camillo  disse  , che  da  gran  tempo egli  volea  rendere  la  città  de’  Romani  : ma  non  avendo in  sua  balla    la  fortezza , nè  le  porte , nè  le  armi , si argomentò  di  mettere  nelle  mani  di  lui  li  6gli  ^e’dtta^ dini  primarj , consideràndo  cbe  necessiterebbe  li  padri , solleciti  di  salvarli , a dar  la  città  quanto  prima  ai  Ro- mani. E cosi  diceva,  immaginandosene  maravigliòsi  pre^ mj  pel  tradimento,  a II.  « Camillo , dati  da  custodire . il  maestro  e (i  fan- ciulli, scrisse  al  Senato  il  successo,  chiedendone  cièche fosse  da  fare.  ■ Lasciatogli  dal  Senato  di  lÀrne  il  lueglio che  a lui  ne  paresse  , egli  cavò  dagli  alloggiamenti'  il maestro  e li  fanciulli,  e fece  alzare* il  suo  tribunale  non lungi  dalle  porte  , presentandosi  immensa  la  folla  su  le mura , e dalle  porte.  Quindi  primieramente  distinse  ai Falisci  quanto  il  maestro  fosse  stato  ardito  di  olTeuderli. Appresso  ordinò  che  i servi  gli  traesscr  la  veste  , e lo canninasser  ben  bene  colle  sferzate  ; e quando  tal  pena gli  parve  bastare  ^ .allóra  ‘diè  delle' verghe  ai  fanciulli  , e fece  che  sèi  menassero  innanzi  alla  città,  legato  colle mani  al  t&rgo,  battendolo  e malmenandolo  per  ogni  ma- niera. I Falisci  ricuperalo  i fanciulli,  e punito  il  maestro in  proporzione  del  suo  malfare , sottomisero  la  patria  a Camillo.  «'  , I ' . , -•  , ^ - , f » III.  n Lo  stesso  Camillo  nella  spedizione  su  Vejo  (i) (i)  Anno  di  Homa  36o. Digitized  by  Coogle ' ' LIBRO  XII. lece  volo  a Giunone^ 'Dea  sovrana  del  luogo,  di  collocarle se  prendea  Yejo  , la  statua  iu  Roma',  istitoendoveue insiemé  cpito  magnidco.  Pertanto  dopo  espugnalo  Vejo, man^ò  de’  cavalieri  più  rìguardevoli  a prendere  dalla  sua sede  it  simulacro.  Appena  gl’  inviati  vennero  al  tempio, r uno  (K  loro  sia.  p^erilmeitte  e per  beflTarsene , sia  per fame  l’augurio,  addimandò  la  Dea  se  voleva  tra^mn grarsi  a Roma , e colèi  soggronsè  volere  con  chiarissima voce  della  statua  ; e due  volte  lo  aggiunse.  Impérocchè non  potendo  que’  giovani  peiiuadersi  che  la  statua  fosse quella  che  «vea  parlato , replicarono  la  dimanda , e ne adirono  un*  altra  volta  la  voce  stessa  (i).  » IV.  «'Tra  il  comando  de’  consoli  dopo  Camillo  pro- ruppe in  Roma  un  morbo  contagioso  , apparecchiato  dal non  piovere  e dall'  anura  estrema.  Afflitti  con  4:iò  git' albereti  e li  senànati  porsero  frutti  pochi,  e nocevoli'  agli uomini  , e pascoli  scarsi  e malsani  ai  bestiami.  Odd’  è che  ■ il  male  consuase  pecore  e giumenti  senta  numero non  sedo  per . • quantunque  non  igno- rassero che  U multa  eccedèVa  non  poco  gli  averi  di  ]ui: ma  ciò  vollero  perchè  messo  ' in  fcavcere  scapitasse  nella riputazione  chi  tanta  ne  avea  per  'hobitissiole  guerre , amministrate  per^  eecellenia.  Li ‘congiunti  e li  clienti  ac- cozzarono e diedero  la  son^ma-  richiesta  afBnchè  egli non  soggiacesse  a vilipendj  ; ma  H valentnonio  riputando intollerabile  la  ingiuria.,  abbandonò  (a  patriq.  » VI.  « Nel  giungere  alle  porte  fra  gli  astanti  • addo* lorati  e piangenti  per  la  perdita  che  farebboho,  bagnò di  largo  pianto  anch'esso  il  senAbiante, -e  lamentò  la  in- famia in  che  era  mesio  dicendo  : > ^  Adunque  disperando  i barbari  prendere la  fortezza  per  inganno  o di  furto-,  si  diedero  a trattare del  prezzo , cui  dato , i Romani  riavessero  la  cittù.  » XIIL  a Dopò  giurati  gli  accordi;  i Romani  portarono r oro  , e Vckiticinqae  talenti  era  la  somiina'.la  quale'  do- veano  ricevere  i Galli.  Disposta  la  bilancia  ècco  il  Gàllp imporvi  un  peso  maggiore  deKgiusto:  se  ne  querelarono i Romani  : ma.  il  nemicò-  tanto  fu  alieno  dal  rettificarlo, che  lo  aopmccaricò  delia  sua  spada,  levatosela  dal  cinta E chiedendo  il  questore  che  volea  mai  significate  quel fatto  ; rispose  , ^ubt    vinti.  E poi  che  il  peso  ivi  po- sto, ampliato  com’  era-,  non  si  pareggiava , anzi  mancava un  terzo'  di  tanto , i Romani  si  ritirarono  chiesto  tempo da  raccoglier  l’ intero.  Sosteneano  tanta  insolenza  ignari delle  cose  operate  ] come  al>biàm  detto , in  campo  dpe  il  'corpo  ad  un  tempo  e lo  spirito;  converseodola oibei  Uòndi  nasposto^ma  palesemente.  Addolorato  Arante per  lo  distacco  della  donzella  non  più  reggeva  alia  in- giuria-, cbe  ne  avea  da-  ambedue  : né  potendo  pigliarne Vendetta  si  mise' ad -ùn  viaggio  sótto  .vista  di  liegoziare. Udì  con  trasporto  il  giovine  lo  andare  , dandogli  ciò  che era  l^sogao  ai  goadàgiii,'  e T altro  poftò,  nelle  Gallie  molli earri  eoa  Q^i  di  vinoV  di  olio  ^ e 'tnollr.'ata  ceste >di fichi,  a ' r ‘ . a I Galli  di  quel  di' non  conoseeano  il  vino delle,  vili,    1’  olio-,  quale  fi'a-uoi  1q  danno  ie  olive: ma.teneano  vin  d’orab,  festnefatato  in  acqqà , ó foglia- me. tetro  all*  odore  , usando  per  olio  ^assi  vecebj  di porco  , ingrati  a odorarne  e gustarné/>  CoiQe  provarono frutti  non  prima  gustati  ne  presero  dilatto  masaviglioso, iuierrogaodo  il  forestiere , dove  e come  ciascuno  di  questi si  generasse,  n -'t  ■ XVII.  « E. colai  replica*,  the.'iimpìa  e buona  è la terra  che  li  produci , è questa  posseduta  da  uomini  , pochi  di  numero:    punto. migliori  delle  Jìemraine  in far  guen'a.  Suggeriva;  ,chc'non  ricevessero  più 'tali  cose dagli  altri  ad  on  péezzq,  ma  cacciassero  i possessori  an- tichi, e se  le  appropriassero.  ( i ).  Mossi  da  quel  dire  ven mi.  Ma  i 'GaRii  ne  misero  in  fuga  la  molhtudine  , ed occuparono  tutta  Róma  , salvo  il  Campidoglio. v Con  c'ò  gran  eommrrcio  praesdente.  Cioachè  non  ti  accorda  con la  DoTÌlà  deacriiia  .dei  prodotti  recati  da  Aruoti  nelle  Gallif.  Won a facile  a connidemi  ube  una  natione  ai  ecciti  e commo^a  a tfa- tmtgrare  pa’ racpooti    un  aTTeuttrriero.  Livio  tcrive  Iv  5.  i4> .Eoa  ( Gallt  ) ^lu  oppufinavtrunt  CUuiunì . non  fuh$t  qui  primi  alpet trantUrint^  latù  óonstat.  0uel  .aarii  eo/iitat  impoHa  Alt  lai  «ni- diaione  era  comune  in  Roma  a'iAreno  Ira!  leueraii  'oi  t,empi  di  Livio, che  sod  (joelli  di  Augatcn  ,,  .nel  cui  regno^^  anche  Dionigi  vino,  io Roma  luogo  tempo.  Panai  duiiqae  da  coocluderbe  che  lo  scritto  ai risente  di  alquanto  nosiooi  te  'quali  .uoo  erano  del  diligentissimo  aa- tore  della  aiilicbità  : ciot  questo-  tjompoodio  k di  t>n  greco  il  quale non  essendo  £>rao  vivulo  nell*  Italia  , S compendiando  Dionigi , 'vi lasciava  conoscere  la  vena  dell*  ingrfpio  ano  non  ai  para  quanto  quella di  Dionigi.  ■ ; ' s * (t)  Anno  di  Roma.  551.  DELLE  ’,  •!  '• * » • f ' ■ ANTICHITÀ  ROMANE  - DIONIGI  ALIGARNASSEO ) V • » \ , • rodar(7ao,  nel  lesto  edeltan,  donde  celtico e poi  ceillca,  , , Digitized  by  Googlc 4i3  delle  Antichità.’  romane dopo  V incendio  generò  dal  ceppo  un  tirgnlto  , come  dì Un  cubito , volendo  gli  Dei  manifestare  ^e  ben  presto la'  città , ricreando  se  stessa,  darebbe  germi  novi  in  vece degli  antichi.  » ' y.  H Anche  in ‘Roma  il  picciolo  tempio  di  Marte  in cima  al- Palatino  ,  'i  Romani  pensano' chò  debbasi  operare ben  alirimen)Ì  debbasi  a’  vecchj benefìzi  sagrificare  la  coliéra  per  gli  oltraggi  recenti. IXt  -Cerltmenle  della  Romana  grandezza  ben.  fu  me- raviglioso. quel  ^axto,  che  non  malmenarono,  pia  lascia- rono ille^  tjttti  i Tuscolani  ‘^u^ntuòque  colpevoli  f tna più  meraviglioso  ancora  fu  quanto  eòncedesouo  ad  essi dopo*  il  perdono  (3).  Imperocché  fattisi  % provvedere  che non  .saccedesse  più  nòlla  di  Simile.,  nella  loro  città  , né più  ci  avessero  alcuni  comodità  di  far  cose  nuove , non conclusero  già  di  mettervi  guarnigione  nella  fortezza , nè (l'I  Anno  di  Roma  }-4-  , ^ (a)  Questo  e li  tre  seguenti  paragrafi  sono  fratOmeaii  dei  venti  libri delle  autichltà  Romane  acUtte  da  bioaigt  e àul''  dal  Gomptndjo  ; aono  picciolo  parti  dèli’  opera  vara' e noi»*  parti*  derivata  altronde per  supplirla,  il  tasto  grec»  e-la  tradaàioqe  latina  ai  ara  atampata più  volte.  Li  framosenti  ai  dislingtsuao  dal  non  avere    virgole  nè in  principio    in  fin^  dei  paragrafi.  ' (3)  Anne  di  Roma  3^3 . ' . > . .  lasciarono  contro  il  sangue loco  eccessi  ùi  oltraggi  che  i barbari  più  empj  potessero sopraggiungervi.  . ^ - 'i'  . 'XI.tE  potrei  allegare’  altri  errori' infìnhi  'di  quelle repubbliche  ; ma'  li  tralascio;  giaocbè  spiaeemi  ; - fino l’aver  menzionato  gli  ànzidetti.  Imperocché  vorrei  che la  nazione  Greca . si  distinguesse '‘dà  . quelle  de’  barbari non  col  nome  solo. e col  dialetto;  ma  per  la.inlelligeoza eia  scelta  delle  utili  costumanze;  c sopratthtto  che  infra loro  noit  si  desolassero  con  ingiurie  più  che  disumane. E   ad  esercitare i lor  corpi  o faticare  nelle  armìv  ne  ausavano  di  con- tinuo, e vi  grondavano  dal  sudore,  costretti  a desisterne innanzi  P awiSo  de’ capitani  ».  . XUI.  ‘ a Udito  ciò  f ' Camillo  dittatore  de’  RomaOi , adunò  le  sue  milizie , e condonò  • tra  loro  , . assai  vivifi- (»ndole  ad  imprèndere:  0 ‘Romani  ^ e^i  disse,  nói abbiamo  assai  più  cùU  it  nemici  benfatte  le  arme , le corazze  y gli  elmi,  gli  stivali,  gli  teuài  saldi,  coi  tiuaU guardiamo  tutto  il  corpo  , le  spade'  d due  tagli , ed in  luogo  dell  asta,  saette  iP  irreparaòH  colpo.  Le  armi colle  qutdi  ci  copriamo  son  tali'da  ndn>  fdcilitare  su noi  le  ferite:  laddove  quelle  con    quedi  nodiamo  'ci abilitano  per  ogn  impresa.  B poi  - ruiao  è il  càpo  dei nemici,  nudo  il  petto  ed  i lati, 'nudo  il,fem&re  è la ( 1 ) Aiuio  di  Roma  S87 . DELLE  XNTICHn:A’  ROMANE gamba  mfino  piedi.  Altro  noti  hanno  die  li. mu- nisca se  nonf  lò'  scudo  : nè  adiro   tanto  picchiar  degli scudi  , e guani  altro  ostentano  di  barbara  e stolido  a bravar  t inimico  , guai  vantaggio  daranno  ad  essi  i guali  assalgono  senza  regola  , .a-,  guai  mai  terrore  a chi  con  tanta  re^la  sta  tra  i pericoli  ? » XVI. ,  B Considerando  tali  cose:  voi  tutti  guanti  ne foste  nella  prima  guerra  cpì  Galli  e guanti  non  vi foste , non  ‘diserrate.'  o voi  ohe  vi  foste  C arUica  vir- tù , col  temere , e;  vai  che  non  virfbste  non  siate  da meno  che  gli  altri  net  jegntdarvi  co' fatti  (i).  Andate (i)  La  prima  gnarra  ocoqrae  l’ aooo  364  I*  acMiida  ueii’337 Digitized  by  Google LIBRO  XIV.  4 * 7 bravi  giovani  : dimostratevi  degni  de'  padri  valorosi , correte  intrepidamente  al  nemico  ; Sarà  con  voi  la  ' mano  degC  Iddìi  per  tentarvi  à punire  • quanto  volete, questi- impìacabili.  Io  vi  son  duce,  al  qucde  tanto  te- slificate  buon  senno  e Jbrlunà.  Da  ora  in  poi  saréte felici,  sia  che  riporterete  alla  patria  la  iwbilo  corona della  vostra  virtù  , sia  che  qui  finendo  la  vita  lasco- rete  a’  teneri' figli]  e ai  vecxhj  padri  per  un  fragile corpo  una  splendida  fama  immortale.^  Ma  già  non  è più  da  tenervi,  Ecco  t irUaùco  sen  viene  ; ofidaie , presentatevi  in  schiera  ». XVII.  « Era ‘'il  combattere  de’ Barbari  ansi  brutab: e maniaco  senza  le  cure  e la  scienza  delle  e vi ascese.  Accorsa  la  molUtudine  'urbana  allo  spettacolo  , egli  primieramente  fece  voti  alBncbè  11  ^umi  avvèrsa- aero  l’ oracolo  , e facessero  nascere  molti  , eguali  a lui di  valore  bella  patria.  Dopo  ciò  lasciate  le  redini  e ' dato  di  sprone  cavallò  precipitò  nella  voraginet  Sopra lui  furono  gittate  in  quell’  abisso  nioltè.  vittime  , nìolti frutti,  molte  ricchezze,  molte  preziose  Vesti  ^ «'molti oggetti  di  arti  di  ogni  maniera,  e senza  più  la  terra  si ricongiunse  ( i ) ■•  ' ’ XXn « Il  Gallo  area  corpo  straordinario,  il quale  molto  eccedeva  la  proporzione  comnne  ....  Li- cinio Stolone  stato  dieci  volte  tribuno  , quegli  il  ‘‘quale fu  capo  alla  fstitnzlone  delle  leggi  , per  la  'quale  dieci anni  fu  sedizione,  alfine'  vinto  iu  giudizio  e condannato ad  una  multa  in  danaro  ())  disse:  che  non  vi  è bestia alcuna  pià  callivà  del  popolo,  il  qutde  non  nsparmia nemmeno  chi  lo  sostenta  ». XXIII.  B Assediando  Marcio  console  que’di  Piperno , ridotti  senz’  altra  speranza  spedirono  a lui.  E Marcio  , indicatemi , disse , come  solete  voi  trattare  li  servi  li quali    voi  si  ribellano  ? tome  si  dee  , soggiunse  il legato  più  anziano  , punir  chi  desidera  ricupenve  la r (i)  Sie  mai  ri  fu  questa  Toragiae , ciò  che  può  beo  essere,  ta ricoopuDtione  di  lai  mode  ò tutta  (àvolosa.  Livio  assai  propiiio  a tali  raceopti  aon  la- fiiTorisce.  Vedi  lib.  7.  4*  . (3)'.\nao  di  Roma  3^7. Digitized  by  Google 4ao  DELLE  Antichità’  romane liberti  ncUiva.  DlIetUtosL  Marcio  del  franco  parlare , e se  nei , dicea , se  noi  ci  lasciassimo  piegare  a'  lispar^ miarvi  ogni  cruccio,  quali  pegni  ne  darete  voi  di  non farla  mai  più  da  nemici  ? q V anziano  tipigUava.  Sta in  te  o Marcio  e ne'  tuoi  Romani'  sperimetttm-lo.  So con  la  patria  Uberi  torniamo  , vi  ci  terremo  • pen sèmpre  costanti  amici  : ma  tali  mai  vi  saremo , 'se  ci astringerete  a servire.  Marcio  ne  ammirò  li  magnanimi M‘q^i , e sciolse  1’  assedio  ».   D^I/LE ANTICHITÀ  RÒMÀNE D I DIONlGI  ALICARNASSEO t ■ * ^ ^ . . LIBRO  DECIMOQUINTO, . -SUPPl^MENTl  E FRAMMENTI. L « IV^EMTAE  i GaQi  guerreggiavano  Roma,  un  priil'» cipe  di  questi  sfidò  qm^lunque  de’ Romani  a venire  con esso  al  paragone  dello  armi,(i).  Un  Marco  Valerio  tri- buno proveniente  da  Valerio  PopUcola’  il  quale  insieme con  altri  ' Uberò  la  città  dai  tiranni  , si  fece  innansi  pel combattimento.  Venuti 'alle  mani,'  un  ooryo  .si.  mise  in su. r elmo  di  Valerio,  sgrid^do  e guardando  terribil- mente il  barbaro  f e se  mai  lo.  vedeva  portare  de’ colpi sul  romano  / gli  si  avventava  ora  colie  unghie  alle (i)  Addo  di  Roma  4»5.  j . ' ; Digilized  by  Google 422  .DELLE  ANTICHITÀ’  ROMANE guance  lacerando , ed  ora  col  rostro  agli'  Occhi , pun- gendo. Tanto  che  il  Gallo  ne  andava  fuori  di  se  , non potendo  trovare  come  ribatter  1'  emolo  , nè  come  'guar- darsi dal  corvo  »!  ' ' II.  « Ma  traendosi  la  zuffa  in  lungo,  il'  Gallo  fu  col ft;rro  sU  T altro  per  internarglielo  coll'  impeto  nel  seno. Corsogli  il  corvo  agli  occhi  Onde  forarglieli,  colui  alzò Io  scudo  a respingerlo  : e tenendolo  alzato , il  Romano che  ne  seguiva  1e  mosse  , menò  da  basso  la  spada  , e lo  uccise,  Camillo  (i)  il  comandante  lo  insigni  .con aurea  corona  soprapnominaudolo  Corvino^  dall’  uccello compagno  di  lui  nel  combattimento  ; perocchò  li  Ro- mani chiamano  corvi',  gli  oicoelll  che  noi  coracas  chia- miamo. E costui  da  quel  fatto  ebbe  1’  elmo  ornato-  di un  corvo.  In  guisa  che  qùanti  fecero  statue  o pitture di  lui , lutti  gli  acconciarono  sul  capo  quell’  uccello  ». III.  « Devastavano  le  campagne  ricche  di  ogni  bene... nomini  sfìaiti  dalla  g^uerra  • e simili  ai  cadaveri , se  non quanto  respiravano  . . . Essendo  calda  ancora  la  penero come  dicono  dell*  ucciso  ...  Fu  vittin»  miseranda  del- r inimicO’Uomo  il  quale  saziava  la  iuvidia  sua  poi  san- gue civile  . . . Dispensò  tra’  soldati  parte  de’  vantaggi nè  questa  la  più  piccola,'  ma  tale*  da  sommergéK  frà le  ricchezze  la  inopia  dt  ciascùtlo  . . . diedero  il 'guasto ài  seminati’ già  colmi  per  h ' raccolta tnalmetiando  il meglio  dellB^ terre  fruttifere  »:  ' i ■ I • , . . . f I * * * • " ' t , (i)  Queste  Cemitlo  il, quale  apparisce  ora  aalHaaao'4e&  Roma i Uli  tìglio  del^ftmoso  Furio  Csmiflo  morto  i6  ano,!  adòiciro.  .Au- cb'esso  viute  S fugò  con  ifna  iniigue  battaglia  i Galli,  tuttavia  mo- lesti ai  Romani.  Livio  lib.  7.  aS.  aC.  'Ma  percl^è  spesso  e molto  danneggiavano  i Campani  come  iorp' amici  (i).  Pertanto  -il  Senato  ro« manò  su  le  istanze  e lamenti  replicati  dé’ Campani  .con* tro  de*  Napoletani  spédi  a questi  ordinando  che  non più  nòcessero  ai*  sudditi  della  repubblica  ; ma  ne  aves- sero e rendessero  ciò  ch’  era  ^usto  -:  e nascendo  coih- (roversìe  fra  loro,  le  dJscutesserò  co’gindizj  non'cqlle armi , ' secQudo  le  convenzioni  che  ne  farcbbono  : del resto  mantenessero  la  pace  con  lutti  ìnlornó  i popoli  , non  corseggiassero  il  mare  Tirreno    tentassero  eséi per      .cooperassero  con  altri  imprese  disdicevoli ai  Greci.  Soprattutto  istmi,  gli  .ambasciadori  che  ’ cer- cassero , Se  venivano  il  destro , di  alienare  co’  bei  modi verso  de’  potenti  la  loro  città  dai  Sanniti , e renderla amica  di  Roma.  ' , . y.  Ti-òvavansi  di  quel  tempo  (a)  in  Napoli  come ambasciadori  di  Tatanto  uomini  rispettabili , e , po’  li- gami  del. sangue,  ospiti  antichi  di  que’ cittadini:  ma  por altri  ,vi  si  trovavano  inviativi  da’ Nolani , cooSuanti  dei Napoletani,  e tutti  dediti'  ai  Greci,  i quali  vi  brigavano in  contrario  onde  non  copcórdassero  co’  Ifomani  nè co'  sudditi  di  essi)    lasciassero'  l' amicizia  verso  dei Sanniti.  'Che  .se  r Romani  set  pigliassero  a pretesto di  guerra  { rton  temessero  , nè  invilissero , come  in^ su^rabile  rie  fosse  la  forza  ; ma,  perseverassero  , e combattessero  come  i jbraoi  Grecf.,  confidando-    le - » (i)  Manca  il  principio  dj  questo  raccolto:  puj>  coninliar^i  Livio nel  lib.  8 , c.  aa.  Questo 'pangrafo  e tutto  il  resto  del  libto 'sono Frammenti  veri  dei  libri  perduti  delle  aatichità  di  Dionigi.*  . (a)  Anno  di  Aoina  497. Digilized  by  Google /^24'  DELLE  antichità’  ROMANE schiere  proprie  ^ e su  le  ausiìiane^  che  verrehhono  dai Sanniti.  Riceverebbero  se  ne  abbisognavano  , pià delle  loro,  le  forte , navali  dà' TaretUim  , le  quali eran  tanUs  e. si,  buone. VI.  Adunato  il.  Sanato,  e tenutivi  molti  dlsconi  dai legati  « loro  fautori , vi  si  divisero  i senbmenti  : ma  li piu  autorevoli  parfianO  tenerla  ' pe’  Romani.  Non  fecesi per  quel  giorno  decréto  alcuno  , ma  riserbato  per,  altra sessìonè  l’esame  intorno  ai  legati;  recaronsi  a Napoli  in folla'  i primarj  de’  Sanniti.  Or  quésti  * Conciliandosi  con ossequióse  manio:e  i capi  del  comune-,  pregarono  il Senato  a far  si  che  decidesse  il  popolo  dell’,  utile  pub» blico.  Quindi  recandosene  all’  adunanza , vi  ricordarono i loro  benefizj  , poi  vi  fecero  le  mille  - accuse  di  Roma come  di  una  ingannevole  e perfida  : e finalntente  pro- misero- le  meraviglie  ai  Napoletani  se  deliberavann  per la  guerra:  vale  a dire  che  mauderèbbero  loro. milizie  , quante  ne  bisognassero  ‘ per  difender  le  ptura  , come Tarmata  e 4utta  la  ciurma  per  le  na#I.  Davano  insieme a vedere  che  subirebbero  tutte’  le  speso  guerra  non solo  pe’  soldati  proprj , m»  pe’  loro.;  che  respinto  T .e- sercito  romano  ■ ricupererebbero  ,Cuma  ,-  occupata  dai Campani,  erano  già  due  generazioni  {i),  .cén  esdnderM gli  abitanti  : che  renderebbero  la  patria  ai  Cumani , accolti  , quando  U perderono  , dai  Napoletani , e fatti partecipi  di  ogni  lor  bene:  che  'darebbero  ai  Napoletani un  trat^  assai  grande  del  territorio  che  tenevasi  dai Catppihi.  , - , ' r ' , vn.  Ih  mezzo  a .tal  dire,  la  parte  calcolatrice  dei (i)'Auno  di  Roma  335. Digitized  by  Google - . LIBRO  XV.  . 4^5 Ntpoletani , la  quale  vedea  da'  .lontano  i mali  xhe  ver* rri>bero  colle  battaglie,  su  la  città  , dimandava  che  ai conservasse  la  ^ace:  ma' la  parte  amante  di  :cose  nuove ^Ja  quale  cercava  insieme  un.  mezsp  .  arricchire  nelle ttsbolenze  lanciavasi  verso  le  guerra:  'Pertanto,  elevafonsi a vicenda  e -voci  e mani  ; procedendo  la  contesa  fino al  tiro  delsàss).  Alfine  prevalendo  il. partito  men  buono, gli.  oratori  di  Roma  dovettero  tornarsene  senza  Tintento. Dond’^è  che  il"  Senato  romano  .decreti^  'd’ inviare  un eseacito  contro  de’ Napoletani.  . , ' .Vln.  1 Romani  all’  udire  5^10  i Sanniti  apprestavano un  esercito,  vi  spedirono  prima  Rmbasciadori.(i).  E di essi  quelli  eh’ erano  scelti  dell’ ordine ..  senatorio  venuti ai  consiglieri  de’ Sanniti  dissero:  Voi  fatfi  ÌQgiustamonte o Sanniti  violando  i p'attati  cha  ovate  con  noi  con^ cordato.  Amici  vi  eijt^nete  di  nome  , nemici  che  ne siete  di  fattL  Vìnti,  voi  da  Romani  in  tanti  condtat» timenti,  sciolti  per  le  istanze  vostre  caldissime  dalla • f . . ' guerra  j oiténuta  la  pace  come  la  volevate'  ^ e desi- derosi poi  di  essere  gli  amici  e gli  alleati  di  Roma; giuraste,  alfine,  di  avere  amici  e nemici  quelli  appvinto che  per  tali  riconosceva  la  nostra  repubblica. ^ IX.  Ed  ora  immemori  di  tutto  questo  , e fin  posti in  non  cale  i , giuramenti  , avete  abbandonato  noi nella  jguerra  co'  Latini  e ci>i  Volsci,,cpn  que’  pòpoli io  dioOf  che  sono  divenuti  nemici  nostri  appunto  per voi , perchè  avevamo  noi  ricusqtò  di  unirci  con  essi net  dare  a wi  guerra.  JE  nelt  anno. J precedente  voi avete 'istigato  con  tutta  la  premura  e f ardore  , anzi (1)  Addo  di  Roma  4’8. Digilized  by  Coogk 4? 6 DELLE  antichità’  ROMANE. voi. avete  necessitato  i Napoletani  che  temevano  far- lo , a prendere. contro  noi  la  guerra^  e voi  ne  sup- plite'le  spese  : voi  la  loro  città  ven  tenete.  Ed  ora tutti  intenti  ad  apparecchiarvi  raccogliete  d'  ogn  in- torno milizie  ,>  coh  pretesto  , come  pare , innocente  , ma:  in  realtà  con  disegno  di  guidarle  contro' i nostri cotoni.  Ed  a tanta  ingiustizia  invitate  i .Fdndiani  e i Formiqni' ed  altri,  i (fuaii  abbiamo  no,i  pOr^^iato ne'  diritti  ai  nostri  cittadini. X.‘  Or  'voi  profanando  così  scopertamente  9 turpe- mente i trattati  'di  amicizia  e di  alleanza  ; il  Senato ed  il  popolo  romano^  deliberarono  di  spedirvi  amba- sciadori  , e iperitnentai'vi  colle  parole  , innanzi  di procedere  ai'  fatti.  E queste  sono  le  cose  che  ami tutto  vi  dimandiamo,  queste  quelle,  ottenute  le  quali, crederemo  soddisfatti  i nostri  risentimertti  : Chiediamo primieramente  che  ritiriate,  le  truppe 'inviate  in  soc- corso ai  Napoletani:,^  e poi  che  non  mandiate  milizie condro  i nostri'  coloni  , nè  provochiate-  affatto  i sud- diti nostri  a voglie  ambiziose.  Che  se  dite  che  tali cose  non  piacciono  a tutti  fra  voi , ma-  che  le  fitnno alcuni  solamente  contro  il  ‘votò  comune;  cónsegHàteci dunque  voi  questi  perchè  ne  giudichiamo  , 0 cen  ter- remo contenti:  ma  se  non  gli  avremo  noi  tjuesti  nelle mani  j né  prenderemo  in  ) testimonia  i Numi  , ed  i Genj  invocati  da  voi  -nel  giurare  i trattati  ; e pSrciò siam  qua  venuti  co*  Eeciali.  ' • • r • XI:  Dòpo  H parlar  del  romano  consaìlatisl  infra  loro quei  capi  de’  Sanniti  diedero*  questa  risposta  : Non  è già  colpa  del  comune  che  i nostri  sussidj  giungessero Digitized  by  Google •LIBRO  XV.  4^7 a poi  tardi  per  Ut  guerra  'cóntro  i Latini,  Imperocché si  era  appunto  decretato  che  questi  a voi  s’ inviasse- ro : ma  i capitani  assai  ' s’  irtdugiOrono  nell  àppre- starveli  ; come  voi  troppo  vi  acceleraste  a dar  la battaglia  ] e coti  giunsero  quelli  tre  o Quattro  giorni dopo  il  bisogno.'' Jiispetto'  a Napoli  poi -dove  sono alquanti,  de 'nostri , tanto  siamo  lantàni  dcUt  oltrag- giarvi soccorrendola  in  qualche  fnodo  mentre  perico-  ' la-;  che  noi  pensiamo  di 'essere'  piuttosto  gli  oltrag- giati e gravemente  da  voi.  Foi,  tutto  che  non  òjfesi, v'  adoperale  a soggiogare  questa  città , confederata ed  amica  nostra  non  già  da  poco  , né  d^  allora  che con  voi  ci  concordammo  , ma  da  due  generaeioni en>antS , e per  grandi  e copiosi  ben^tij  ricevutine. XII.  .Tuttavia  non  é la  comun  dei  Sanniti  che  of- fendavi nepimeno  in  questo  ; imperocché  di  propria voglia  ìóccorpono  Napoli , come  udiamo  , alcuni  no- stri , ospiti  ed  amici  loro  , o stipendiati  , per  la  in- di^nta’fbrse  del  vivere.    abbiam  poi  bisogno  di staccare  da  voi'  li  sudditi  yostri  ; imperocché  senza que’  di  Fondi , ^ e . li  Formiesi , noi  , necessitati  alla guerra  , bastiamo  a noi  ■ stessi.  -Apparecchiamo  un esercito- non  per  levare:  a^ yostri  colorii  le  còse  loro  ; ma  per  difendere  le  nostre  propriamente.  A vicenda noi  dimandiamo  da  voi  j se -volete  far  la  giustizia, che  partiate  da  Fregelli , città  da  " noi  conquistata tanto  priiHa  col  mezzo  delle  armi,  che  è mezzo  di- rittissimo di  possedere  ; e voi  sera  alcun  titolo  ve t avete  , già  sono  due-  anni  , ' appropriata.  ' Or  tali Digilized  by  Google 428  DELLE  Antichità^,  romane cose  ci  si  concedano  > nè  crederemo  di , essere  stati oltraggiati.  . • XUI.  Allora»  subentrando 'al  discorso  il  Pedale  Ro- mano , ripigliò  : Niente  impedisce  che  violando  voi così  manifestamente  i trattati  di  pacOy  i Bomani  pas- sino alle  armi  : nè  già  ponete  lepnerUarvi  di  essi , ma  de'  non-  sani  vostri  consigli.  Ornai  da  loro  si  è /atto  qtuuUo  doveàsi  per  .le  leggi  rsacre  e civili  della patria , o di  pio  verso  i Numi , o di  giusto  verso  i mortali.  Gli  Dei  che  per  sorte  soprawegliano  alla guerra,  giudicheranno  tfuale  de  due  popoli  osservasse i tràttati.  £/  qpi  recatosi  in  atto  di  partire  , e tiratosi al  capo  il  lembo  onde  cingevasi  gli  omeri , .alzò  come era  il  costume  j le  mani'  al  cielo , orando  don.  impreca- zione gl'  Iddii  : che  se  Roma  ingiuriata  da  Sarmio  , non  potendo  riaversi  dalla,  ingiuria  cotle  jrsfrole  e co'  tribunali  ^ procedeva  finabnerite  alle  operé  , U dessero  per  la  mente  ctmsigU  bùqni,.  e.  condotta,  pro- pizia per  la  guerra.  Afa  se  in  opposito  Rorna  ìrà- scurando  i legami  santi  delV  amicizia,' accattava  pre- testi non  giusti  onde  romperla , -.non  la  dirigessero 0 ne  consigli  o ftelle  opere. XIV.  Levatisi  gli  uni  e gli  altri  dal  .colloquio  ; e di- chiarate alle  loro  città  le  CMe  disputatevi  ; dascuno  dei due  popoli  pensò  molto  diversamente  su  Tabro.  I San- niti come  £an  essi  quando  iqtprendon  la  guerra  , te- ndano per  lent^  assai  |e  operazioni  de’ Romani;  laddove 1 Romani  immaginavano  rannata  di  Sannio. ornai  pros- sima a . piombare  ^u  i*  Fregèllaui’,  loro  còloni.  Donde ne  avvenne  a ciascuno  ciocché  erane  consentaneo:  Imperocché  li  primi,  apparecchiandosi  e indugiandosi  ro- vinarono la  opportunità  ’d^  imprendere  : per  T opposito i Romani  tenendo  tutto  pronto , udita  appena  la  risponsóli.  E prima  che  i nemici  ne  udissero la  marcia;  tanto  le  milizie  reclutate V , ‘ i.  ' • '  . - ' • ■ , DELLE • • , ^ f » * ANTICHITÀ  romane DIONIGI  ALIGARNASSEO LIBRO  DEGIMOSESTO! r SUPPLEMEÌTTI  E FRAMMENTI. / . ■ * ' ■ r ' ' -non.  di»:etidere in  teiTa  , ma  .dalla  terra  elevarsi.  Imperocché  nell’  e^ero stan  le  sorgenti  del  fuoco  divino  ». II.  a Ciò  che  si  dimo^ra  pel  fuora  .nostro  sia  che lo  abbiam 'da.  Prometeo  , sia  che  da  Vulcano.  Impe^ rocché  quando  è sciolto  da’  vincoli  pe’  quali  è necessi- uto    rimanere  fra  noi , corre  subitamente  per  1’  aria verso  1*  altro  fuoco , suo  connaturale,  ed  Q quale  doge d’interno' tutta  la  natura  del  mondo^  Cosi  donque  l’al.  ■■  l6-  e Livio  più  dislesamente  nel  lib.  9.  i5. (3)  Il  tratto  aegnenic  sembra  parte  della  ri^tosia  di  Poaaio  ai- rinviato  de’ Romani. 4 Digitized  by  Google 4^2  DELLE  Antichità’  /Romane neUe  guerre  han  ■perduto  i jìgti,  quanti  i fraleìli, e quanti  gli  amici?  Ne’>  quali  tutti  come  pensi  che  dee traboccatne  la  bile  ^ se  alcuno  ' gf  impedisca  placare ^ue'  morti  eoa  tante  vite  di  nemici  le  quali  sole  son credute  un  ossequio  in  verso  gU  estinti  ì, V.    Ma  supponiamo  che  •persuasi,  o forzali^  o per qualunque  maniera  vinti  mi  si  arrendano , e contxdano che  questi  continuino  tìi  vita,  or  ti  pare,  che  sian  per cqnce'dere'che  ritengano  insieme  ogni  lor  cesa,  q sema pur  neo  di  vergogna'  se  ne  vadano  quando,  a tbr  pia» ce  , 'quasi  eroi . qui  apparsi  per  felicitàrne  ? O non piuttosto  sopravvenendomi  j quasi  fiere,  mi  sbranereb- bero appena  tentassi  dit  questo?  O non  vedi  come  i cani  da  caccia  quando  è presa  la  fiera  la  qual  chiusa dà  essi  va  nella  rete , circondano  il  ceuciatort , chie- dendo parte  della  preda  ? e se  non  ottengono  bttntosto il  sangue  o le  viscere , non  yédi  come  lo  sieguonó , e pressano,  e malmenano,  nè.  respinti  sèn  pdrtono , nè percossi  ? » » • , ■ ■ VI. ...  « Faticarono  tuUo'il  di  cotnbaltendd,  ma^i che  le  ombre  tobero  di  rafhgurare  gii  amici  e i nemici, tornarono  a proprj  alloggiamenti  . . . Appio  Gaudio  non so  per  qual  mancanza  intorno  de*  sagrifizj  perdé  la  vi- sta, e ne  fu  denominato ->^f£'eco  ; 'perocché  li' Romani cosi  chiamano  chi  non  vede  ^ ^ . le  scritluce'  custodite tra  1 murs  (i) , formate  con  lettere/  accuratissime  , odo'- rifere  per  lo  misto  in  che  sono,  presentano  tal  iloridez* (t)  È diifieite  iotarpetrare  dove  miri  «iitesio  rottame.-  Fn  detto che  alle  «nti  Freoettine'.  * . • LIBRO,  tVl.  ,•  i 4^3 u . ^ . I RonUuii  ckUmaQO  calende'  le  ncòmeaie  . come  * none  dtiamano  la'  mezza  IbQa , ed  idi  il  pleoiluaio.  » VII.  « Era*. la  falange  nel  rnsAZO  disgiunta  ié.  mal piena  : cori  quelli  che  ivi  erano  disposti  id  òontrario, le  furono  sopra,  e ne 'respinsero  i>coDÒfc|auenli  l’'iaosa,  guàra  aitàccò  tutto  il  fiore  dc^  cita Uomini  sacerdoti , onorati  Co’  sacri -minirieii'. Quest’  uomo  pien  di  trasporti  senza  consiglro,  insolen> tissimo , deliberando  e ctmcentrando  in    tutti  i poteri per  la  guerra  E poi  tu  ardisci  di  accusare  ia sorte,  turche  la  usavi  pessimarnente,  postola  su  barca già  rovesciata  ? Così  eri  stolto  ? \ , .^jilcuni  i membri abbisognano  di  cura,  e tali  altri  cicalritzcmdosene  .> . « ■VQt  (i)  Ma  vo’ ricordare  ancora  un’ arion' dvile -de* gna  degli  «noom)  di  tutti  i mortali , dalla  iquale  sia  chiaro ai  .Greci  quanto  Roma ' allora  abborrisse  soellerati  , e come  fosse  inesorabile  contro  chi  viola  i diritti  comuni della  natura.  |Ca jo  Letorìo  soprannominato  Mergo , uomo illtutre  pe’^  natali , , còme  >non  ignobile  per  le'  belliche imprese  ; dichiarato  trìbW>'  militare*  nefia 'guetta  -San- nitica^  Ittsiqgò  per  un  tempo  un  giovinetto^  sub  came- rata , vago  più  eh’  altri  di  aspetto  , perchè  rendere  si volesse  agli  amorosi  diletti  di-  lui  (a).  Ma  perchè  noi guadagnava  cb’'donl , uè  còlle  gentili  maniere,*  ornai  più non  bastando  a sesiesM , cpr§e  alla  violen^.  Divulgato- sene il  disordine  tra  le  miliziè  ,,  i tribuni  • della  plebe y « ; V » ' ' - (i)  Qoaoto  Si«go»Ja  questo  .libro , er^etlaato.  it*  paragrafo  lO'A lutto  frammenti.  . . ^ *•  * V > (r)  Anno  di  Roma  4^,  . • . > PÌONIGI,  lama  111.  . 1 ' , . U 4^  DELLE  Antichità’  romane • ripuUQ^Io  oltraggiò  comune  della  {repubblica  , me  die» dero  .accusa  .pubblica  al  reo-,  cpudannatone  quindi  dal .popolò  a Qiorte  eoo  voti  pieqi.  Peroécbè  non  tollerò questo  ebe  uomini  di  grado  ,nell',;fsercilo  profanassero con  ingiurie ‘ùmpìabili  e contrarie  ali^  -natura  Tirile, ' persone -iagentté,  mentre  esse  per  la  libertà’ co  njballe-; vano  (i)i  .•  ...  . - ' IX.  .Se  non  che  non  molto  prima -di  questo  fece^ttn’ opera  ‘ aaeor  piò  tp^evigliosa  per  T ingiuria  recata  ad  un altra  persona,  quantunque  servile.  Il  (àglio  di  PubKo,io dico  t di  uno  di  que’  tribuni  milUari  che  umiliarono  ai Sanniti  l’ esercito  e n&  andarono,  sotto  giogo , fa  co- stiletto,  come  lasciato  iir  grave  pénuria,  a ter -danari ad  usura  pe’ funerali  del  padre ,- ^qtfasi  ch%  sarebbene quanto  prima  rilegato  da’  parenti.'  Ma  deinsò  nelle  sue speranze,  e scadutone  il  termine {vfa  présir'egU  Stesso pel: debito,  giovinetto  èòm’  era.  e vaghissimo  nc’  sem- (t)  Valtrìo  Masshiro  pirla  di    a(  capo' primo ' ' ' ' ^ Le  deecrjsione  qui  «ecala  b l' una' de’ tram  meati  de’ libri  per- doti-di  Oiop^i.  ,II'£|ito  fi  narra  pur  aél  compendio  in.  tal  modo: Ua  tal  Romano^,  Cajo  Leutrio , intUleva  cpn  un  giovine  , suo  eu- merata,  ond’ avir  tUo  diletto  da  lui  y vago  della  persona.  'Ma  non essendo  il  giovane  goodagnalq  nb  per  doni  v né  pér  eavetse  , alta Jiite  divalgato  il  disordine  dell’uomo,  i tribuni  lo  condannaranò . ‘-'IXdnigi , ’Oòm'Vne'^reaiaieoii , leone  per  ciseostinta  gravissima del  fitto  la  vipleoia, usala  in  noe  dg  Letorio  : -Se  cglf  compendiava sè  atess >Ta  le  carni  ^acci&ct^  appena-^  si'riseajtooo  e ' commoTOusi  ifid  tanto  eh*. gli  «piriti . nalnrali  di  esse  yio* lentano  i p.ori , e $i  dissipa'no.  Questa  •>, pur  la  cagione de’  terremolwià  Roma.  Conciossiaché  tutta  vuota  di  setto per  grandi  e contiqùatl  canali  pe’  quali  conducesi  T afana tien  m'ohe  sflatatoje^  per  le  quali  sen.esca.il  vento  rio- r.hiusovit  ma.  quando  il  vento 'rimastovi  prigiohiero  ' sia troppo  e veemente^  questo^  somioove'  Roriù  e rompene il  suolo  (a),  a •'  ; . (iX  Si^ consenta  in  generata  ani  liplo  rfi  qi|eSto, giATÌnetto  : ma  si discorda  autonome,  su  la  famìglia',  e sul  ten^)0.  Valerio' Massimo nel  lihA  ^ lo  chiama  *fity  Vetório  figlto  noa  di  Pubblio  ma  di  quel Tito  Veturio  che  net  aifq  consolato  fu  dato  ai  Saooiti  (lal.  cfattaio obbrobrioso  coocluso  con  essi.  7(10  Livio  chiama  it  giovine  Cajo Publicio,  ed  assegna  il  fauo  all’  anqo  .'4^7  di  lioma  aolto  i oontoli C.  Poeleliu  fc  Lucjo  Pepino,  vispi  4irùclusa  la  pace  co’  Romani , soprastettero  breve'  tempo i Saiteiti,  e poi,,  stimolati    un*  antiéa  ingiuria,  mar* ' ciaróno  coll'  armata  tra  i Lucani,'  loro  cónfinauti.  Questi affidati  da  principio  'alle  forze  proprie  sosienner  la  guér* ra  : ma- pòi  vinti  in  tutte  le  battaglie,  pelòta  gran parte  del  territorio , e già  prossimi  » perdere^  anche  il resto , si  videro  necessitali  ad  implorare  rajuto-  di  Roma» J£  quantunque'  consapevoli  a sestessi  di  aver  tradito  i patti  cdnclusi  Uria  volta  con  lei  di  antiòizia  e di  allean- zaf  non-  disperSròne  ch^  concorderebbe  di  nuovo,  se  le inviassero  in  ostaggio  insibme  òon  gli  oratori 'i  giovinetti più  rignardèvoti  di  tutta  la  repubblica  loro.  ■ XU.  Qr  questo  appunto  ne  seguitò.  Perciocché  Ve- nutivi gli  oratori^  e supplicandovi  ca^dissimamente ; il Senato  deliberò  di- ricever  gli  ostaggi  e render^  ai -Lo* cani  r amicizia;  ed  il  popolo    comprovò- la  sentenza. Firmati  gii  accordi  con-  gl'  inviati  de'Lh'cani , il  Senato elesse  i più  provetti  per  anni  è per  onori  ^ e li  diresse ambasciadori  al  consiglio' generale  dèi  Sanniti;  affinchè dichiarassero 'ad  èssi  che  ‘i  Luoùni  erano  git  amici  , e gli  alleati  .di  Bontà , e gli  esortassero  a render  lóro le  terre  usurpatene  , nè  più  tramarli  ostilmente  : già non  permetterebbe  la  repubblica' che  alleati  suoi  che a ' lei  ricorret'àna , rinutnessero  esclusi , dal  proprio, territorio.  ...  • tata  levar  tutu  levando,  i oaneli.  Pìi(  volentieri  diremo  che  le  mosee de' venti  ttnterranei  seno  éfletlo  4ie'unemoti  ausi  che  la-  priout eafione.  * (t)  Anno  di  Roo»  4^6. Digitized  by  Google UBBO  XVI,  4^7 , . XIII.  I Sanniti  gli  mnbasciadcwi  incollerìrono  e replicarono  primicramentò  ; che  i trattati  di  pace  non erano  Jdtt}  'Con  accordo  'che  essi  -non  mossero  per. amico;  o , nemicò  se  /ton  ^quello  che  -assegnassero  • loro per  tale  i Romani  i Appresso  , che  i Romàni  ~s'  avje- vano  renàuto  amici  i Lficani  non  già  in  antico,  ma  di recerite  quand'  erano  questi  già  inoolli-  nella  ~^guerra co' ^Sanniti  ; oh  A è che  non  avevano-  titolo  nè,  giusto nè  decoroso  per-  romperla  co'  Sanniti  Risposero  i Ro- tofiixì'.'che.  coloro  i quaU  avevano  promesso  di  soggia- cere, ottenendo  appuntò  con  ciò-  la  pace,  dovevano obbedire  in  tutto,  a chi  presedeva.;  '.e  minacciavano  in caso  contrario  di  portare  sa  essi  la  guerra.  I 3aimiù ripuianjlo  intollerabile  |a  ptresunaione  di  Roma  intima- roflo  agli  ambasciadori  cht  partiasero  su.  T istante  ; e de- ntarono che  sL  apparecchiasse  spianto  bisognava  per  la guerra  di  tutta .1»  fazione,  e di  ogni  citti^^^  ^ XrV.  Pèrtanto' la  ; cigìon  manifesta,    ingloriosa  a" raccontarla ,.  della  guerra  Sanuiliea , fu  .la  voglia  di  soc- Q>rrere  i Lucani  caccòmmuidatisi  a Roma quasi  fosse già  pubblico  e^  vecchio  costume  * di  essa  ^difendere  gli oppressi, che  la  invocavano:  ma  la  oagion  recondiu.,  e che  più  \li  sospinse  a romper  la  pace  , era  la  potenza Saimitica,  divenuta  già  grande,  e la  qnal$' crescerebhene ancora,  se  domati  i.l,ucani  ed  i confinanti  di  questi  si volgessero  ad  essi  anche  le  barbare  genti  .che  stayansf appresso.  Cosi  tornati  appena  gli  ambasciadori  la  pace fu  rotta  , e sì  àfrolarono  due  armate. XV.  Postumio  già  console  , ■ venuta  1*  oca  di  esserlo DELLE  AJWICHITa’  ROMANE ii«vatneiue  - ( i ) , teniasi  grande  per  to  splendor  de*’na- taii , come  pel  gemino  consdato»  Doleasene  sa  ie  prime il  collega  di  Ini  quasi  escluso'  daU’  essergli  Uguale,  e più volle  ne  fece 'in  Senato  rimostranxa.  Alfine  qUah  plebeo venuto  in  luce  da  poco,  riconosoendosegli' mìAore  per gli  antenati,  per  gli  amici,  e per  àltre  eccellènze,  .n'mi* liossegli , e gli  concedette  di  per  si  stesso  il  comandò della  guerra  Sanuitica.  Diede  grande  invidia  aPostumio un  tal  fatto,  come  nato  dalla  media  arroganza  sua';  ma poi  glien  ' diede  un  altN , ancona  più  indegno  di  un duce  -Romano.  linperoccbè  separali  due  mila'  difi  esercito suo  li  ridusse  nelle  campagne  sue  proprie'  senza  i fèrri con  ordine  l'nsieme  ebe  potassero  "un  qùerceto,  leneu- doK  gran  tempo  in  òpere  ài  mercenari  e dà  schiavi. XVI.  E superbo  tanto  ^ prima  di  Uscire  |Kr  la  s|>è- dizione,  apparve,  più  InioUeraUle  ancora  nel  compierla; dando  al  Senato  ed  al  popolo  catise*  giustissime  òndè r abborrissero.  E ceno,  • avendo.  i|  Senato  definitó'che Fabio  il  console-  dell’  àttnò  precedente,  il  quale  area  vinto i Sanniti  cbiamali'  ’FeHtri'{i)  si-  rimanesse  nei  campo .con  aniorità  proconsolare  per  guefreg^are  con-  la  parte stessa  de' Sanniti,  ^gli.oon  ieiterrs(ia'  gl'  intimò  di  par* tirne  , come  spettasse  e lui  sólo  còmaudarvi.- Spedirono i FUdtì'a  ^chiederlo  ebe  non  impedisse  al  proconsole di  stTtre,    ripugnaste 'ài  loro  decreti;  ed  'agli  non  diede se  nOn.  òrgegboae  e*  tiranne  rlsposfe,  dicèndó:*cAe  fin- (■)  Anno  (li  Roma  ' (a)  Aocbe  Litio  fa  mauaionè  di  quelli  SaoaÌM  : nondimeau  Cla- tetio  li  tralatoia  Della  ina  Italia  antica. Digitized  by  Google LIBRO  xn.  43 a . . > . IV.*-*  beticippe  IvaocdeaiOBe-ìùteyVÓgÀido  l’oracolo, dove  portaste  il  destino  * che  egli  cc/’^stiei  '‘prendessero tede,    ascoltò  chè  dovessero  Aavìgare-AllMuiia,  «divi (i)  Caprifico,  fico  «ilvcstfe.  La  voce  greca  tigoifica  ca'pro e pr«s$o  .glcuui  popoli  caprifico.  Quindi  P ambiguiii  d*  iulerprcUrc la  voce  per  capro  o-  capritico.  ^ Digilized  by  Google LÌfiRO  XVII.  • 443 ahbìtàre  dove  approdati  rimanessero  un 'giorno  ed  una notte.  Approdata  la  flotta  intorno  di  Gallipoli 'in  un  tal campo  de^T^renlinì,  dilelliito'Leacippo  della  aalbra  del luogo  , operò  coi  Tarenlini  .afllnchè  gli  isonCedessero  di stanisi  ii  giorno  e la  notte.  ^ Cosi  passatine  più  giorni  ; voleano  ' i ^Tarentini  che  ne  partissero  ì -ma  colui  noti ditd^  lor  mente,  dicendo  che  secondò  ^li  accordi  uvea iU  loì^  quel  tUoigo  pel  giorno  e per  la  notte",  e però sino  a Umto^che  fosse  o furio  o f altra  non  se  ne  parti- rebbe.'I  Taréalini  vistisi,  nell’ inganno,' coQsentirono  che rimanessero  (ì).  » > > ' 'V.  u I Looresi  popolando  Zefirio  (3)  , «Ina  punta d’  Itali»;  ne  flirtino  soprannominati'  Epizeflrii  .X.  . Stav tniropo.  che  rimanesse  nel  hiogo  in  che  era , soste- nendone la  ^ecn.  che  ne  derivava  .«.  furono  dissipati tra  selve  e valli  e ripidezze,  s Vi.  « Un  TarentiOo,  uomo  empio,  e deditO/-à  tatti i piaderf  p«*  la  incpntinenztr  e prostituzione'  della  Sua bellezza  fln'da  ^ovinetto  / ne' iu  nominato  Taide  . . . . Fatta  ià' scelta  dal  popolò  erano'' partiti  ....  Vilissimi e petulaaUssìml  tra*  cinadini.'  » ■ • VII.'  (3)  Fu  Postumio  spedito  ambàsciadore  ai  Ta- rentinr  : ma'  facendovr  rimostranza  ; questi  non-T  iitte> sero , nò  ' pigliaronp  il  contegno  de’  saVf  i quali -òòmuliino su    patria  che  pericola  : anzi , se  nieoiotavitno  mai  che cóldi  non  parlava  accuratissimo  il  greco  'Idioola  , ve! (1)  Siraboàs  pel  libro  setto- dà  questo '«Sdetiaid  racconto  per  la origine  di  Melapoalo.  ■ ^ ‘ r (a)  Cosi  detto  perebà  risolte  al  vento  Ztflro  ciot  di  Ponente. (3)  Questo  e li  tre  paragrafi  srgoenti  tono  frammenti.  - Digitized  by  Googlc 444  DELLE  Antichità’  romane deridevano , ed  elevando  1i;m  le  mani  o la  voce  , se  ne irritavano,  e barbaro  lo  chiamarono;  jtantt>  che  1q  espul- sero infine  .dal  teatro  (i).  E già  costui  m ne  andava co’ suoi,  quandd  per  istrada  si  avvenne  con  essi ,.  Fi- lopide  , un  accattone  (a)  di  Tasanto  il  ' quale  sopran-j nomina  vasi  Colila  dalF  uso  che  avea, ‘continyo  di  bria> carsi.  Caldo  del  vino,  ancora  del  di  precedente , come ebbe  vicini  i Romani , si  tirò  su  la  veste  : e scompó- stosi in  atto  indegnissimo  da  «vederlo , sbrufTè  sul  manto sacro  de’  Legati  ciocché  non.  pttò  nominarsi  ' nemmeno con  decenza.  , , Vili.  Scoppiatene  da  tutto  '3  teatro  le  .visa',  e sbat- tendoglisi  per  fino-  le  mani  da'  più  protervi ,-  EoStumio riguardandolo  disse  : accettiamo  o tvtissimo  uomo  / au- gurio  : giacché  ci  date  fin  le  cose  che  nòn  chiedi/ama. Poi  rivoltosi  alla  moltitndine  ,■  mostratovi  contaminato  il suo  manto , e sentitevi  uuiversaliN  aucora  'e  più,  grandi  le risa,  anzi  le  voci  nemmeno  , di  àlcUni  che'sen  compia- cevano , e lodavansi,  della  contutUelid  : -ridete  f disse  , finché  V é dato  ; ridete,  pure  o "Tarenùni  ; ehè  assai ne  sospirerete  dii  j>oi.  Fremendo  alquanti 'alla  minaccia iò  ; replicava  , perchè  pià  Jremiale  vi  aggungo  ; che assai  laverete  col  sangue  :quesUi , mia  Cosi  spre- giati dai  'prijvati  e(kl  pubblico,  e tosi •pcoaunziatp  quasi come  un  vaticinio  divino  , su  loro  / sciolsero  ,d  legati  dal porto    Taranto.  „ ' . • v ' * « ^ ' IX.  Giunti  questi  sotto  Emilio  fiarbula  magisti^to (i)  Aono  di  Roma al  Altri-  alla  idea-dj  acoattone- soatitaiacono  quella  *di  od  aomo brflardo  t garrulo , ellione  de**  Lucani  e de*  Bruzj  ‘j  e finch’  era'  indomita la' nazione' grande  le  bellicosa  de*  Sanniti  , e 1*  altra 'de*  questi  son  fatti  a\dar  buoni auguri  , a chi  cerca  mantenne  i beni  pri>prii.  Ma.  chi cerca  r altra!,  spii  queiU  augnrf  da  uccelli  di  pronto  e rapido  impeto  per  lontauT  Via^.  Ginciossiaché  questi uccelli  sieguooo  e pcocacciansi  ciò  che  nbn  hanno  : ma gli  altri  guardano  e''cnstodiscòno  ciò    saltité  ».  ■Pormi  sa- viezza mandar’ lettere  di  minàcce  aC sudditi:  ma  vi&t pendere  come  uomini  da  pocoro  da  nulla- Uomini  dei quali  non  siansi  considerate  le  milizie  -nò  conosciuto il  valore  , questo  è indizio  di  forsennato  , o di  chi non  sa  ciò  che  è senno.  3Ia  noi  sogliamo  punire  i nemici  co  folti  , non,,  colle  parole.    fàteiamo  te giudice  de’  nostri  richiami  co’  Tapentùti , oo’  Sanniti  , e con  altri:    prendiam  te  garante- dà  far  valere  ciò che  tu  . giudichi.  Decideremo  colle  armi  nostre  la  di- sputa pigliandone  la  pena  che  ne  vohemo.-  Su  tali 'notizie . apparecchiati  come  nimico  ^ noa  come  giudice nostro  ».  - , » ' XVIII.  « Vagli  poi  considerare  quali  ’ garanti  ne darai  per  te  da  soddisfare  le  ingiurie  >che  tu  ci  fai  : non  ricevere  a carico  tuo  che nè^  farentim . né  sdtri nemici  opprimeranno  i diritti.  Se  luti  deliberato  di int- prendere  per  ogni  rqdnierà  la. guerra' contro  di  nói  , tieni  certo  che^ti  succederà    Se  di  ^ 'necessità  suc- cede a chi  vuole  combattere  innanzi  di,  aver  ponde- ralo con’ chi  sia- per  .combatterò.  'Abbi 'tutto  in  pen- siero , e poi  se  cosa  ti  bisogna  da  noi,  aìlo'ntàna- le minacce  , pon  già.  quella  tua  regia  fierezza  V vieni  al Senato  , informalo  ,,  persuadilo  uè' vedrai  -mtuteanS non 'il  tjlirilto,  e non  £ equità  a.  V i'»9 • DELtE  ' ANTICHITÀ  ROMANE n I DIONIGI  ALICARNASSEO > • J . ' LIBRO  DECIMOTTAVO.  . SUPPLEMENTI  E FRAMMENTI. I.  « JLìevino  console  ramano  (i),  preso  un  esploratore «li  Puro  (e  prendorfe  alle  sue.  milizie  le  armi  e schie>r rarsì  : poi  mostratone  a lui  lo  spettacolo  gl’  impose  di riferirne  a cbv  lo  mandava,  tutta  la  verità  : e che  oltre le  cose  vedute  dicesse  che  Levino  il  console  de’Komani lo  ammoniva  a -non  inviare  occultamente ‘altri  per  os- servare : venisse  egli  'e  vede^  palesissipiameate,  e spe* rimenlasse  ciò  che-gian  Tarmi  romane  ». (■)  Addo  (li  Roma. 474- n/ÓJV/C/.  lówà  III.  ' ' '>9 Digitize(j  by  Google 45o  DELLE  antichità’  ROMANE IT.  « Ua  tal  Oblaco,  loprannominato.VuUinlo,  dace de'Fereatani,  al  vedere  che  Pirro  non  avea  posto  certo, ma  presentavasi  rapido  dòvuoqnc.  .tra’  soldati , diresse r attenzione . a.' lui  solo  : e dove'  che  ,ne  andasse  il  re cavalcando , ivi  piegava  anch’  esso  il  proprio  cavallo. ' Osservando  'ciò  Leonnato  di  Macedonia  figlio  di  Leo- fante , .l’nno  de*  compagni  del  re,  se  ne  empi  di  so- spetto, e scoprendolo  a Pirro  disse  fvMarortaro(^o.  Dopo  quell’  incontro  il  monarca afEne   fidisstihó  e valorosissimo  fra’  coin|>kgni  la  da* mide  sua  di  porpora  e di  Oro  usata  da  Ibi.  nel  com- battere, c l’armatura,  migliore  delle  altre  per  la  materia e pei  'tavqro , ed  Segii  prese  la  clamide  bruna  , e 1’  u- sbergo  e la  causia  colla  quale  , Megacle  difendeva  il capo  dagli  ardori.  E questo  fu  cagione , sembra  , a lui dj  salute  a. ‘V.  (i).  Dopo  (Jbe  Pirro  signore  degli  Epiroti  aveva portato  r esercito  contro  - ai  Romani , deliberarono  spe* dirgli  ambasdadoH  pel-  riscatto  de'^rigiouieri , sia  che colui  volesse'  restituirii'cambiandoli,  sia  che  tassando  un prezzo  per  ciascuuo  di  essi  (a).  Pertanto  dichiararono ambasciadori' Cajo  Fabrizio  , il  quale  gii  console  , ad- dietro da  tre  anni , vinte  i Sanniti , i Lucani  , i Bruzj con  strepitose  battaglie  , e disciolse  1’  assedio  ‘di  Turi , e Quinto  Etnilio  il  quale  éelTega  un  tempo  di  Fabrizio fece  la  guerht  co’  Tircehi«,  è Pdbiio  Cornelio  il  quale gii  console  addiètrct  da  quattré'  atini  atuccò  ^utti  i Galli  chiamati  Scnoni,  nenvcilsfmi'de’^omani, 'e  'mitene a 61  di  spada  tutù  gli  adulti.' VI.  Venuti  quésti  a Pirro , e -discorsogli  qninto concerneva  il  subjelto  , come  la  sorte  non  Imttoposta a calcoli , corno  repentini  sOno  *i  eangiamenti  fra  le  ar- mi, e .come  niun  può' di  leggieri  antivederne  il  futbro; proposera  a- lui  che  sceglieste    rendere  i -prigionieri a p-szzo  o permuta.  . . • ’ * • ' • - •■  * • (t)  Anno  di  Roma  47S.  ' ( ' 001101  rispose  : jirduo  cimento  è il  vostror  o Romani  , . che  ricusate can^iungervi  meco  di  aiaicieia  , e richied/ete  i vostri prigionieri  da  usarli  in  altre' battaglie  in  mio.dannoi Voi  se  desiderate  il  bene.,  se  intenti  siete  tdX  utile comune  a noi  due  ; pacificatevi  con  me  , e ee’  miei confederati,  e ripigliatevi  gratuitamente  1 vostri  pri- gionieri, alleati,, 0 cittadini  che  sieno.  In  altra  moda non  soffrirò  che  vi  abbiate  un'  altra  volta-  tanti,  Je ^ tanto  valorosi.  Corì  disse  presenti  i tre  'legéti  , ma  poi prendendo  Pabrizio  in  disparte  soggiunse:, Vili.  Odo  o Fabrizio  che  tu  se  prestantissimo  nel guidare  una  guerra,  che  se’  giusto,  e sobbrio  e pieno d’^ogni  virtù,  dell’  uomo  privato  , ma  che  intanto  sei povero  di  sostanze,  e depresso  in  ciò  solò  dalfis  sor- te ; onde  noli  vivi    eoa  più  agio  cher . gV  infimi  se- natóri. Ora  io  volendo  sollevarti  anche  in  ciò,  ti  af- ferò tanta  quantità  di  argento  e di  oro  da  superarne il  più  facoltoso  tra’  Romìmi.  Imperocché  io  reputo liberalità  bellissima. , e degna  di  citi  presiede  , be- neficare i valentuomini  i ‘ qiysli . per , la  povertà  non vivono  con  dignità  de’  lor^  genj  bennati,  e- questi  io reputo  doni,  questi  monunten{i  luminosi  per /una  re-: già  potenza.  ' , IX.  Or  tu  vedendo  '0  Fabrizio  il, voler  mio,  lascia ógni  verecondia  ',  vieni  ,a  parte  de’  miei  beni  ; e con- cepisci che  mi  farai  piacer  grande,  . . e.  che  sarai presso  me  riverito  come  un  amico  , o un,  congiunto  , o certo  coni  uno  degli  ospiti  più  onorevoli.    già per  questo  mi  dovrai  tu  p/eslare  l’ opera  tha  in  cose  LIBRO'  xvnì.  4'^^ non  giuste,  o non  degne,  md  in  coj&  onde  tu  ne  sia piti  stimabile  e grande  ancora  nella  tua  patria.  E primieramente  pròvecherai  spianto  puoi  perchè  faccia la  pace  'cotesto  tu&  Senato , fin  qui  duro  , e privo  di niodprati  contigli.  Dirai  che  ia  venni  in  danno'  di Roma  promettendo  soccorrere  i Tarentini  ed  altri d'  Italia  : che  ora  non  sarebbe  giusto, , né  decoroso che  gli  cdibandonassi  io  presente  qui  coll'  esercito',  e vincitore  già.,di  tuia'  battaglia:  che  nondimeno  affari imperiosi  e molti  avvenutimi  poscia  -mi  richiamano alla  reggia.  • ‘ ' X.  Ed  io  qui  ne  do  , sii  tu  solo  o am  gli  altri compagni  , le  assicurazioni  più.  ferme  , c&è  io  son intento  a tornarmene  se  ì Romani  mi  si  concordano per  la  pace  : talché  puoi  dirlo  pur  francamente  ai tuoi  cittadini  se  alcuni  mai  - ve  ne  ‘fossero  d quali mal  suona,  il  mme  di  un,re,  come  quello  di  un fi4o , ne’  trattati,  e-témessero  di  me  similmente  perchè taluni  monarchi  si. videro,  sorpassare  i giuramenti,  e tradire  gli  accordi..  Fatta  la ■ XV.  Magro  ò il  nfio  poderetto:  eppure  amando  io di  lavorarvi  ed  appiicàndomene  prudenzialmente  ->  i frutti  t somministramb  tutto  il  bisognevole;  riè  la  na- tura ci  viohnUf  a cercare  pià  che  il  bisogiievole. "Soave  m’  è f alimento  cui  la  fame  còridiscemi,  dolce la  • bevanda  Cui  la  seté  procurasi  , e molle  il  sonno cui  la  stanchezza  precede.  '&ijfèientissima  rrì  è la vèste  Che  mi  difènde  dal  fredda  , come  acconcissimo, il  -vose  meri  prezioso  fra  quanti  datino  P uso  mede- simo. Noti  saria  ^unquè  giusto  accusare  la  sorte,  la quale  mi  pòrge  quanto  basta  alla  natura,  e la  quale se  'non  dovami  H'  abbondanza , non  tri'  impresse  netn- tnèno  desiderf  superflui.  • XVL  Io  non  hb  mètri' è vero  da- soccorrere  riti- si debbe  ;~'ma  nemmeno  diedemi''Dio.  su  le  ricchezze quella' cognizione . certa  j 'o  divinatoria  per  la  quale gioitasi  chi  he'  abbisogna  , come  nemmeno  diedemi tante -altre  cose.  Partecipo  ciocché  ho  colla  patria  e gli- amici;  porgo  loro  còme  comuni  le  cose  mie  , be- Digilized  by  Google 456  DEixE  Antichità’  romane neficando  come  posso  chi  ne  abbisogtia  , nà  'quindi io  credo  mancare.  K quesfe  sono  quelle  manierp  mie che  tu  giudichi,  prestantissime  , e else  sei  pronto  di comperale  a sì  gran  prezzo.  - , XVll.  Che  se  poi  la  ^ gran  possidenza  sia  degna che  procqrisi  po/t  tante  premure , e gare  appunto  per benefitare  chi  ne  abbisogna  » e se  questa  rende  più Jelici  i pià  ricchi  come  sembra  a voi  re  j qaoii  vie saran  le  migliori,  da  pi'ocurarsela,  quellè  per  le  quali vuoi  tu  'che  io  me  l'  abbia  ingloriosamente  , o quelle per  le  quali  io  V avrei  prima  ottenuta  con  decoro  ? Certamente  gli  affari  di  stato  mi  diedero  tante  volte per  addietro  > mezzi  da  arricchirne  principalmente quando  già  da  tre  anni  fui  • consolo  , spedito  col- f esercito  cantra  , XVIII.  K potendo  di^  tali  acquifU  applicarmene quanto.io- voleva  ; • non  veppi  toccarne  I 0 trascurai per  amor  della  gloria  uua  ricbhezza  anche  giusta  ; come,  fece  falcfio  Poplicola,' e ,come  pur  fecero,  altri moltissimi  pc’  quali  - Roma  tante  'ne  è grandiosa,  Ma da  te  quali  doni  mi  si,  apparecchìanà  ? Non  cans- hierei  forse  il  meglio  col  peggio  ? Sal'ebbe  quella prima  maiiiera  di  possedimento  stata_uiùin  colla  sod. disj azione  del  cuore,  con  un  apparalo  di  giustizia,  e Digilized  by  Google , j LIBRO  XVIU.  ' 4^7 decoro;  ma  da  codesta  tua  Ujopfia  tatto  ciò  manca. Imperocché  qpAttVO^  uquo^accstta  dall’  nomò  k cotta  ca  knseTiro  csb-gu  gravita-  iNTOthro  riw cuk  SOL  oottrairifA  i k NAseoaDASf  purb  . la  etA- TORÀ  DBL  PRESTITO  .co' tfÙMI  SPSCIOSf , DI  DONLf  Dt favori  ; DI  BiOfBFfCBmBE.'  , , o XIX.  Or  su  poni  che  io  uscendo  da  me  prenda C oro  che  mi  offerì,  e ciò  divulghisi  tra’  Homani.  I magistrati  irreformabiU , quelli  . che  noi  chiamiamo censori , a’  quali  spetta  esaminare  U' vivete  de'  ife>« mani  e castigar  ehi  devia  -dalle  cóasuetadini  della patria  , quelli  mi  citino  e m’  astringano  a-  dar  conto de’  doni  ricevuti , al  cospetto  del  pubblico  e,  dicano  : ;,xt.  « Noi  (i)  ti  abbiamo  inviato  o.  Fabticio  con due  consoUpi  al  monarca  per  trattare  il  riscatto  dei prigionieri.  Tu  rivieni  dalla  spedizione  ‘ feoza  li  pri- gio/tieri , e sene’  altro  bene  por,  la  eittà  : Bitorni  col» mà  , e m solo^  e npn.  i tuoi  compagni ,,  delle  regie .( se  non  da  ciò  die  tu  ne  tradisci  al  -ne- mico, sì  che  egli  coi  tùo  mezzo  soggioghi  per    /’/- talia  , e tu  col  mezzo  di  lid  tòlga  alla  patria  la  li- bertà ? Così  fan  tutti  gli  nomini  di  una  v^tà  simu- lata," e non  vera,  quando  si  sono  avanzati  al. grande e forte  degli  affari  «.  « . > . , • XX.I.  w Che^fe  non  -tu- adorno  ddla  dignità  sena- toria,-e  non  da  nemici,  cnom^per  tradire  e far  ti- ranneggiare la  patria  avessi  accettato-  que  doni,  ma soltanto  come  privato  da'-un  re  cotfederato,  e senza ombra  di  male  pel  comune,  dì,  non. saresti  da  pu- nire anche  per  questo  che  depravi  li  giovani  , insi- nuando nella  loro  vita  il  genio  per  la-  ricphezza,  per le  delizie  , • e per  Its  sontuosità  dd  monarchi-^quando abbisognavi  condnenza  estrema  a preservar -la  repub- blica? Svergogni,  li  tuoi  maggiori  de'  qu^i  niuno  de- viò dagli  usi  della  patria    mutò  la  povertà  deco- rosa con  turpi  ricchezze  : Si  tennero  tutti'  nel  tenue patrimonio,  che  fu  riceyesti,'ma  poi  “riputasti  minore di  tC  n'  . , K ' XXII.  u Anzi  tu  ' dissipi  la  gloria  a te  risultata pe’  fatti  anteèedenli , la  qiiaL  possedevi  di  uom  tem- perante , e superiore  ai  bassi  desìderj.  Ti  diletterai di'  esser  fatto  malvagio  di  proho , quando  dovevi  an- che cessare  dall'  esSer  inalvagió  , se  eri  mai  tale? 'O  sarai  da  ora  in -poi  messo  a parte  mai  più  degli onori  dovuti  ai  buoni  ? anzi  levati  piuttosto  dalia città,  o dal  Foro  almeno.  E se  ciò  dicendo  mi  cas- i.  ' LIBRO  XVIII.  4^9 sasserp  dai  Senato  , e mi  riducessero.  disonnati, qual  cosa  ftqtrei  replicare  , o.  quid  Jar  giustamente in  contrario  ? E, dopo  ciò  qital  vita  vivrei  io  mai, caduto  in  tanta, infamia t‘~e  versatola  in  tutti  i iniei posteri  ? n • , , - XXIlI.  u Quanto  a te  poi  come-  darò  segno  mai più  di  giovarti , se  tra  miei  perdo  la  influenza  e Ut riputazione  , per  le  qatdi  ora  cerchi,  di  afJezionap~- miti  ? Quando  non  potessi  più  nuUa  nella  patria  , non  mi  rimarrebbe  che  uscirne  cottr  tutta  la  Jìtmiglia, condannandomi  da  me  stesso  ad  un  obbrobrioso  esilio.' Ma  dove  mi  starei  da-  indi  in  poi  , qual  ' luogo  mi ricetterebbe  » ridotto^'  ^eom’  è conseguenza  , senza  la libertà  del  parlare  ?>  Forse  il  tue  regno?  Viva- Giovo se  mi  apprestassi  tutta  la  règia  tua  prosperità,,  non mi  daresti  tanto  bene  quanto'    ne  togli' , . levatami la  libertà,  preziosissima  innanzi    ,n . * XXI-V.  u Còihe  potrei  tener  vita  tanto  divérta  ^ tardi  ammaestrato  a servire?  Se  cJù-  è nato  ne’ regni e nelle  tirannidi  quàhdo  abbia  cuor  generoso  , ama la  libertà , stì/nando  ogni  -benè  meno  difessa  ; come chi  è cresciuto  ùt  città  libbra  e consueta  dominare^ su  gli  altri  , passerà  volentieri  di  bpie  in -mole  , di libero  in  suddito  per  imbandire  laàte  ogni  giorno  le mense,  pie  .aver  gran  seguito  intórno  di  servi,  e pigliar  diletto  senza  rifeèya  eoa''  femmine  e donzelli formosi  quasi  'la  ùmana  felicità  sia  riposta  in questo  0 non  già  nella  virtù  ?-n XXY.  u'Ma  sùm  pure  questo  e cose  altrettali  de- gnissime \di  esser  cercate  , or  quando  /’  uso  ne  sarà Digitized  by  Google 46o  DELLE  Antichità’  romane  / tnai  lieto  se  non  sono  mai  stabili  ? Se  a voi'  sta concedere  tali  amabili  còse.;  voi  le  ritogliete  uguale mente  ,■  quando  vi  piace.  Lascio  di  ridire  le  gelosie  , le  calunnie  , la.  vita  sempre-  in  pericolo  , sempre  in timore , e tutti  gli  altri  sconci , non  degni  del  wx» lentuomo  , quanti  ne  porta  lo  sfar  presso  ai  moìiar- chi.  Già  non  colpirà  tanta  stoltezza  Fabrizio  da  ab- bandonare la  famosissima  Roma  per  vivere  nelC  E- piro;  o da  ridurlo  chk  merUre  può  far  da  capo  nella città  dominante , voglia  essere  dominato  da  un  solo , pien  di  sestesso,  e .còhsueto  di 'udire  dagli  altri  sol- tanto ciò  che  diletHa  ».  j XXVI.  « Già  non  potrei  levare  il  grandioso  nei pensieri t nè  impiccolirmiti , anche  volendo,  sicché  tu non  debba  sospettare  niun  danno.  E rimanendomi come  la' natura  e-'glt  usi  della'  patria  mi  han  fatto  , ti  parfè  grave , ■ e quasi  tirare,  da. ogni  pòrte  il  co- mando verso  di  me.  Generalmente  debbo  avvertirti ctie  non  vagli  ricevere  nel  - tuo  regno,  nè . Fabràio,  nè altri , sia  maggiore  sia  .'pòri  tuo  nella  virtà  , . ni  af- fatto chiunque  sia'crescitUò  iti,  città  Ubère  con  sensi più  grandi  deiiP  nomo  privato.  Già*  non  è sicura ai. principi    cara  la  dimestichezza  con  uomini,  di mente  eccelsa.  • Mà. su: V utile  tuo  vagli  tu  da  te,  di- scernere ciò  eli  è da  fare:.-quaoto  a prigionieri  nostri scéndi  ai  miti  consigli,  lasciane  aitdare  ». . XXVII.  Appena Fabrizio  (ìae,  maraviglialo della  magnanimità  sua,  lo  prese ‘per  la  (lesira  dibendo: Già  non  mi  vlen  maraviglia  che  la  vostra  città  sia tanto  celebrala  , • la  cresciuta  a tanta  signoria , dap- Digilized  by  Google LIBRO  XVllI.  4^1 poiché  dia  nudre  tali  valentuomini.-  Ben  avrei  caro che  non  fosse  stata  fra  noi  briga  ninna  fin  dalle origini,  fifa  poiché  vi  fu,  poiché  taluno  de'  numi  volle che  noi  misurassimo  a vicenda  le  nostre  forze  e iL valore , ^ misuratolo  ci  riconciliassimo  ; son  pronto. E cominciando  io  la  benignità  la  quale  dimandate  , restituisco  'in  dono,  e non  a prezzo  i suoi  prigionieri a Roma  n.  ^ , •' Digitized  by  Googli 46a DELLE , ANTICHITÀ  ROMANE di"  ' . I » DIONIGI  ALICARNASSEO LIBRO  DECIMONONO. r . SUPPLEMEirri  B FRAMMEHTL I.  « X^ECto,  un.  Campano,  lasciàtd  da  Fabrizio console  romano  per  capo  ddia  gbarnìgione  di  Regio  (t), invaghito  dei  beni  di  questa , finse  venutagli  lettera  da un  ospite  suo  nella  .quale  si  annunziava  che  il  re  Pirro manderebbe  cinque  mila  soldati  a Reggio  per  invaderla, promettendogli  li  cittadini , di  aprir  loro  le  porle.  Su tale  pretesto  uccise  cinque  di  Reggio,  e poi  comparti le  maritate  e le  nòbili  tnt*  suoi  militari,  » vi  si  fece (i)  Anno  di  Roma  47^. Dìgitized  by  Google CELLE  antichità’  ROMANE  LIBRO.  XIX.  4®'^ tiranno  (i).  Alfine  caduto  nudato  degli  Occhi  mandò cercando  • in  Messina  Dessicrate  medico  » prestaatissimo secondo  che  udiva.  ...>,.»  r II.  « Pirro  recitò  li  versi  che  Omero  mise,  in  bocca di  Ettore  verso  Achille  ,'qnast  detti  da’  Romani  versò di  Pirro; . , Ma  te  tale  e Xaot’  nomo  io  gHi  non  voglio  , Cól  guardo  seguitandoti , di.'forto  , ■ ^ Ma  palese  ferir^  se  mi  riesca  i ' • ■ Poi'  soggitmgendo  che  egli  seguiva  forse  nn  tristo  $u> bjetto  di  guerra  contro  Greci , buonissimi  e giustissimi , ma  rimanevaci  un  solo-  e bel  termine  ; che  li  rendesse 4 amici  di  nemici  , con'*  principio  magnifico  di  benevo- lenza. n • ‘ III.  tt  Quindi  fattisi  veaire'  li  prigionieri  de’  Romani, diede  a tutti  vesti  convenienti"  ad  uomini  liberi  , e le spese-  del  viaggio,  Con  esortargli  infine  a ricordarsi  quale egli  foése  staio-  inverso  'di  essi,'  a manifestarlo  - agh  altri, e cooperare  con  (utlb  1’  impegno  ‘ a .rendergli  amiche  le patrie  loro  , quando  vi  giungessero,  .'i  . 1 Certamenté r oro  de’  principi' ticn  forza  insuperabile,    fu  dagli uomini  trovato  -fin  qui  riparo  contro  di  arme  siffatta.  »... IV.  CKnia  da  Crotone  uomo  soperchiatore  privò  di libertà  le  cittadi,  'cOn  dar  fritnehigia  ad  esuli  e schiavi numerosi' de’ 'luoghi  intorno  (a).  Fondata    tirannide (i)  Quel  di  Reggio '«ve  vano  cercalo  il  presidio  Romano,  temendo tanto  de*  Cariagipeai  quanto  di  Pirrol  Dacib  uccise  li  cinque  qni  si- gnificali in  un  convito.  Ma  li  soldati  ne  uccisero  assai  più  per  le  case, come    racc'bgjlie'  da  Dione.  ''  ' (a)  Questo  paragraie  , e l(  tegajeuti  lino  al  duodeoimo  sono  fram- menti. DCLi.E  Antichità’  Domane col  mezEO  di  questi  uccise  o bandi  li  Grotoniati  più rìguardevòli.  Anassilao  oocopò  la  fortezza  di  Keggio , e ■ ritennela  per  tutta  la  vita,  lasciandola  appresso  al  figlio suo  Leofrone  (i'.  Dopo  questi  anche  altri  facendosi'  a dominar  le  città  vi  sconvolsero  ogni  cosa^ V.  Ma  il  dispotismo , ultimo  a nascere  e massimo  ad- opprimere  le  città  d’ Italia , fu  quello  di  Dionigi , tiranno della  Sicilia.  Imperocché  passato  nella  Italia  in  soccorso de’  Locresi  che  vel  chiamavano  a danno  di  que’  di  Reg- gio , che  erano  loro  nemici , ebbe  incontro  eserciti  Ita- liani numerosissimi  ; ma  postovisi  in  battaglia  uccise moltissimi , e presevi  a forza  due  città.  Poi  tornato  un’ altra  volta  in  Italia  svelse  dalle  loro  sedi  gl’  Ipponiesi traendoli  nella  Sicilia  : invase  Crotone  e Reggio  e vi tiranneggiò  per  dodici  anni  fiqché  queste  città  sopraffatte dal  timore  di  lui  si  diedero  ai  barbariv  Ma  poi  premuti pur  da’  barbari  come  nemici , si  rimisero  nelle  numi  del tiranno.  E fluttuando,  come  le.  acque  dqli’  Euripo , si volgevano  senza  requie  qua  e là  fortuitamente , levan- dosi da  chiunque  li  malmenasse. VI.  Scese  PiiTo  di  bel  nuovo  nell’  Italia,  non  riu- scendogli. nella  Sicilia  le  cose  come  le  ideava  , perchè il  governo  di  Ini  sembrò  dispotico  anzi*  che 'regio  alle città  principali.  E per -vero  dire,  iutrodoftp  questo  in Siracusa  da  Sosistrato  che  allora  vi  presedeva , e^da Toinone  capitano  della  fortezza  (a),  e ricevnto  da  essi r erario  , e presso  che  dngento  navi  rostrate  , e sotto- (i)  Ciurlino  uel  lil>.  a fa  mcniione  di   più zelante  per  pubblica  ^confessione  e più  attivo  nel  dar mano  a Pirro  pèrcbé  scendesse  nell’  isola  e vi  regnasse , giacché  si  eca  .costui  recate  colla.  fidUar^er  incontrarlo^ e gli  av^a  renduta  l’ isoletta , da  Idi,  presidiata  in  Sira- cusa (i)..  Ma  tentando  sorprèndere  ugualmente  Sosistrato fu  ddosò.;  perocché  costui  previde  le  insidie , * e fùggì. - ' r ' ‘ • ' ' i * ' ' *’ ,(r)  ^irapnsiT'pcr  quatuo  rileviamo  da  Lucio  l^loro  era  coma  aoa ciùà  composta  da  tre  cittàio  delle  quali  ngoiina  /ra  cir- oonJata  di  mora.  Vedi  le  uote  lib.'  a , c.  nella  faoSlra  tlradu- xKltoe  ^i  quello'  icritìera.  • , ' DIÓA’TGI  f tomo  ///.  , i , Digilized  by  Goc^le 4G6  DELLE  Antichità’  romane Poi  coniinciaiKlo  a scouyolgeoi  le  cose  di  Itti  ; Carta> gine  credette  avere  il  buon  tempo  da  riprender  nell’isola i luoghi  perdniivt,  e' ti  spedi  sollecita  un’ arinata. . IX.  Evagora  figlioolo  di  Teodoro , ^alacro  ' figliuolo di  Mieapdro , e Dinarco  figliuolo'di  Nicia , tristi , infàmi sopra  tutti  gli  amici  di  Pirro  ,*  emoli  com’  erano  in  dar consigli , alieni  da’  Dumi  e dal  culto , vedendo  il  mo- narca in  disagio,  cercar  vie  da  conseguire  danari , glie ne  proposero  una  indegnissitna^  i^e  era  quella  di  aprire i tèsoli  sacri  di  Prosèrpina  (t).  Imperocché  nella  città stessa  eravene  un  tempio  aaitvo , il  quale  serbava  oro in  copia , intatto  da  tempo  antichissimo , e dove  altro ven'  era  invisibile  a tutti,  come  posto  occnltistimamente sotterra.  Sedotto  ^da  tali  adulatori,  e riputando' la  neces* sità  superiore  a'  tutto,  si  valse  de’  consiglieri  medesimi per  lo  spaglio  sacrilego.  Quindi  tutto  riconfortato  im- baroò  con  altre  ricckecze  Toro  venutogli'! dal  tempio, spendendolo  a.  Taranto. X.  Ma  la  provvidenza  giusta  degl’  Iddj  maoifcslò  T ef- ficacia sua.  Perocché  ariose  dai  porto  pròcéderono  in principio  le  nari' col  fi^re  A t/n.  venm  terra  ; ma poi  cambiatosi  questo  iu  altro  coo^rìo  ii^pestà  per tutta  la  notte , e quali  ne  affondò , . quali  ' ne  miruse  al golfo  di  Sicilia  ; e spinse  ai  fidi,  di  liocrs  quelle  ov’  èra- no portati  i doni' , già  votivi  ne’  tempj , e P oro  'am- Jtnas&atooe  : e qui  disfacendosene  i legni  foce  perire  i nocchieri  naufoaghi  pel  riflusso  deUe  onde  , e sparse )’  oro  sacra  su  la  spiaggia  appunto  più  prossima  a Ix>cri. Donde  costernato  rese  il  mouaroa  alla  Dea  tulli  gli  or- (>}  Anao  di  Roma  4/8- Digilized  by  Google LIBRO  XIX. namenti  e i tesori , quasi  per  allontanare  con collera.  » 4G7 ciò'  (a Stollo  ! che  non  vede»  t/ùali  tormenti Tf«  ìncorrerì*  : 'chè  facili  non  tono  , ■ , , . Thnla  a mutarti  le  celesti  menti,  * ' ' Come' Ai  détto  da  Omero  (r).  Dappoiché  stese  la  mano lemerliria  su  1’  oro  sacro,  onde  valersene  in  guerra,  la Dea  lo  iniìitQÒ  nè*  Consigli  » per  esempio'  e 'documento de’  posteri.  t XI.  E per  questo  appunto  ' io  vlcrto  colle  armi  da’  Ro  praticati  don  éagli  uomini,  ma  dàlie capre  per  lo  selvoso  e scosceso  in  che  sorto  : cd  erano  , per  andare  senza  ordine  alcùno  spossandosi  dalla  sete  e (1)  Odissea  111-,  , ):^micllUà  Romane  di  Dionigi. Tulio  il  resto  t auppliio  col  compendio  formala  su  li  medesimi verni  libri.  ' , . )Digitized  by  Google 4^9 DELLE  ■ ANTICHITÀ  ROMANE . ' - '01  ,  parecchio.  Conciossiachè  ivi  crescono  in  copia  abeti  al- tissimi e pioppi , e la  pingue  picea , e il  pioppo  e il pino  > e r ampio  fàggio , e il  frassino , fecondati  dàlie acque  che  vi  trascorrono  ^ ed  ogni  altra  sorta  di  alberi, la  qual  densa  ne’  rami  tiene  continua  1’  ombra  su  la montagna  1»).  » s - \ VI.  a Eh  questa  sélva  gir  alberi  prossimi  al  mare  e ai  fiutni  tagliati  interi  dal  ceppo  e recati  ai  porti  ricini forniscono  a tuttà  T Italia  materiali^ per  navi  e case:  gU alberi^  lontani  dal  mare  e da’  fiumi , ridotti  in  pezzi , e riportati  su  le  spalle  dagli  uomini somministrano  remi V " (t)  Àpao  di  Roma  481.'  ‘ '• (a)  Stra'bufu  nel  lilwo  V-I  di«  che  questa  selva  eré  lunga  tcllc- cento  stadj. Digilized  by  Goc^le 4 7 "2  DELLE  Antichità’  romane e pertiche,  e mezzi  di  ogni  arme,  e rasi  domestici:  fi* naimcnie  la  parte  di  piante  più  grande  , e più  oleosa vien  preparata  a dar  le  resine , e scn  fornia  la  resina chiamata.  Bruzia-.,  la  più  odorata  , -e  la  piu  soave  infra quante  io  ^ne  conosca.  Or  dagli  affitti  di  unto  Roma  ne ha  ciascon  anno  cospicue  rendite.  » VH.  « Io  Reggio,  iecesi  un’  altra  sommossa 'dal  pre- sidio lasciatovi  di  Romani  e di  confederati  : seguitatidone da' ciò  stragi  ed-  esilii  noti  pochi.  Per  tanto  Gajo  Ge- micio  r altro  de’ consoli  usci  coll’  esercito  a punir  quei ribelli.  Presa  la  città  colle  ardii  rendette  ai  citudini  prò* fughi  gli  averi  loro,  edarresuto  il  presidio  lo  condusse prigioniero  in  Roma.  Or  su  questi  tanta  fu' Pira,  c tanto  il  dispeuo.-Dcl  Senato  e uel  popolo  che- non  vi fu  I pietà  di  partiti  : nm  da  tutte  le  tribù    senlenziau su  tutti  la  pena  di  morte  come  presciivono  le  leggi  su tali  malfattori  (■).  » > ' ' . Vili,  a Stabilita  la  sentenza  di  morte  furono  pianUti de’  tronchi-  nel  foro  e condottivi  e legati  trecento  a cor- po nudo  i quali  aveanq  già  i cubiti  avvinti  dietro  le spalle:  e poi  battuti,  e poi  decapitati  con  le  scuri.  Dopo ì primi  vi  furono  puniti  altri  trecento,  e quindi  altret- tanti ancora  4 findiè  in  t'uttO  furono  quaMro  m'da  dn- (i)  La  Irgiooe  Campaoa  con  Decio  capitano  occupi  Ecgg'o  l'an- no 4/4  Roma  poco  ifopo  la  venuta  di  Pirro  nM’  ftalia  , occorsa appunto  in  quell’  ann^.  La  legione  ribelle  fu  punita  l’anno  4^^ sotto  il  contole  Genucioi  Livio  XX Vili , aS.  dice  clic  la  pena  fu dicci  anni  dopo  il  delitto  , é ebe  li  póniti  in  Roma  furono  quattro rada.  Nel  testo  ai  parla  della  ribellione  come  aeconda.  Non  k chiaro se  la  indicata  io  questo  luogo  eia  detta  seconda  in  rispetto  a quella di  Dcciu , o di  altra  antecedente. Digitized  by  Google V LIBRO, XX.  ,47  3 quecento.  Non  ebbero  questi  sepoltura  , ma  tirati  dal Foro  in  luogo  aperto  dinanzi  la  città  vi  si  abbandona- rono, pascolo  di  uccelli  e di  cat^i.  » IX.  . « La  turba  mendica  non  tenea  cura  delPo* nesto    del  giusto.  Però  sedotta  dal  Sannite  (i)  si  rac- colse in  un  corpo  , e su  le  prime  vivea  por  lo  . più  pei monti  nelle  campagne.  Ma  poi  cbe  fu  cresciuta  in  nu- mero ornai  da  tener  fronte  occupi  una  città  forte  , dalla quale  prendea  le  mosse  a depredare  le  terre  ihtomo. ÌÀ  consoli, cavarono  la  milizia,  contro  di  questi.  Ricu- perata senza  gran  briga  la  città  batterono  ed  uccisero gli  autori  della  ribellione , véndendone^  gli  altri  all’  in- canto. Era  già  1’  anno  avanti  stata  venduta  la  terra  e g^i altri- acquisti* fatti  colle'  armi  e l’argento  risultatone  dal prezzo  èra  stato  comparilo  ai  cittadini  (1).  n fi)  Ano»  di  Roma  4^-  ' ' ' ' - ’ > ’ ' Qui  81  attude  «Ila  guerra  concitata  da  LoUio  Sannite  il  quale  fug- gito da  Roma  dove  era  ostaggio,  raccolse  gente,  prese  un  luogo munito  della  sua  regione,  e vi  padrone'ggiava,  e. predata. (a)  Dionigi  nel  lib.  1.  9 dice  di  tessere  la  storia  sua  fioo  al  prin- cipio della  prima  guerra  Punica  1 Questa  occorse  Panno  488  di Roma  ; e le  cose  di  quest’  ultimo  paragrafo  concernono  P anno  {85 . Tanto  che  il  eoiApendio  ha  prossima  corrispondensa  alla  storia  delle aSA*itA  «Usa  in  venta  libri.  • > - J '•  ..  ' • . - • i t , . . PINE/ DELLE  iNTICniTÀ*  ROMÀNE ■ ‘ ■ DI  ntONir.l  DI  ILIClRMASSO. •I  r-. ■T — Digitized  by  Google 474 INDICE DELLE  COSE  PllT  NOTABILI  IN  DIONIGI DI  ALldARNASSO. tl  mmero  romano  accenna  il  libro  t P altro  numero  iparagnf. A .A-borigeoi.' Sono  porto  degli  Oeootri  di  Arcadia.  Tt  36.  Se* condo  alcani  non  diiT ' >. Agricoltnra.  Romolo-  conginnge  le  cure  di  essa  con  «joelle della  miliaia.  II.  a8.  Anco  Maraio  raccomanda  Tagricoltara e li  pascoli  pinttoato  dié  la  gneira.  III.  3G.  ^ Agilla  cpsi  chiamata  dai  Pelasgi  fa  poi  détta  Cere  dagli  Etra- sci.  I.  1 1 . Agrippa  vedi  Menenio.  f Alba  Lunga,  suo  fondatore  e sito.  I.  5^.  Sua  durasione. III.  5i, Albani:  da  quali  genti  r|snltassero,  IL  2.  Catalogo  dei  loro re.  I.  Ga.  Dopo  la  morte  di  A,mnlio  e di  Nnmitore  ebbero annui  magistrati.  V. Al)«>nza  degli  Albani  e de'Romani sotto  Romolo,  III.  3.  Guerra  tra,  i' due  popoli;- loro  capi- tani, ed  esito  della  medésima  , 2 e segg.  Traflaziqne  degli Albani  in  Roma,  2q,  • Albani,  campi  fertili  di  ave  e frutti,  t.  28.  Bontà  premi- nente del  suo  vino  , 5^.  'Monte  Albano,  Vili.  87.  Ferie Latine',  ivi.  1 > Alceo  , poeta  esiliato.  V.  ^3.  ... Algido.  I Volaci'»  gli  Equi  vi  accampano.  X.  21.  XI.  3.  i Romani  .vi  sono  danneg^ati  ,23.  ■ Alsio,  Inogo  degli  Aborìgeok  I.  11.  '' Amiterna  Inogo  dei  Sabini.  ’I.  6.  IL Amnlio  , ipoglia  il  ano' fratello  Enmitore.  I.  €7.  Regna  XLII anni,  G2.  Viene  aaaalito,  ^5,  ' • Ancbiie , figlie  di  Capi  -e  padre  di  Enea.  I.  53.  Sua  tomba, 55.  Porto  di  Anchise,  4L  '^Itri  looghi  i qnaR' ebbero  nomo per  Aflcbise,  64.  ' t Ancile  o scudo  caduto  dal  cielo.  II.  70. Digitized  by  Google 47^  ■ Anco,  prenome  di  Marzio  re  e di  t*ablioio  Corano,  Vedi  que- sti nomi. Anfittioni  e loro  congressi.  IV.  25, Aniene , Game,  III.  22.  Non  era  lontano  dal  Monte  Sacro. VI,  45.  Era  ricino  * Fidene.  Ili,  55,  Si  ecarioa  nel  Te- vere , ivi. Anterana,  sna  fondazione,  l.  8.  È tolta  ai  Sicoli  dagli  Abo- rigeni. II.  35.  Fn  resa,  colonia  Romana  , ivi.  Si  unisce  a Marnilio  TuScolano  per  soccorrere  Tarqninio  contro  i Ro- mani. V.  21. Antistio  Petrone  i ucciso  per  inganno' da  Sesto 'Tarquinio , IV.  57. Ansio , è fondata  da  Anzio  figlio  di  Ulisse.  I.  G3.  B cittì  pri- maria de*  Volaci.  VIII.,i.  IX.  56.  Fa  lega  con  Tarquinio superbo.  IV.  49.  Soccosre  quei  della'  Ricoia.  V.  36.  Soc- corre i Latini  contro  i Romani.' VI.  3vSoceorre  quéi  di Goriolo,  f)2.  & preso  il,  porto  e la  campagna  di  essa.  IX. 56..    rende  a Qoinaio,  .5R,.  Parte  delle  sue  terre  divisa  tra i Romanì,«5().  Oli  Anziati  spogliati  delle  terre  ne  partono  , sono  ricevuti  dagli  Equi,  e fanno  scorrerie  su  campi  de’ La- tini, 60.  Gli  Anziati  si  ribellano.  X.  20. Apiolani  espugnati  da  Tarquinio  Prisco.  III.  40* Appello,  la  legge  Valeria  permise  a chiunque. di  appellare  dai ' magistrati  al  popolo  sa  le  condanne  .di  morte  o di  battitore. ' V.  20.  Si  voglicmò  paniti  i consoli  perobi  impediscono  que- st'appello. IX.  3g.  .,  ■ Appio,  prenome  Sabino  de’  Claudi  e di  Erdonio.  Ve£  ffuesù homi.  : . ^ Aquìdotti  magni Gcentisai mi  di  Romq.  III.  67. Aqaillo,  C.  console.  Vili.  64*  Vinoe  gli  Erpici,  ,65.  Ne  ot- tiene la  ovaz'ione,  67. AquìI),  L.  e M.  conghirati,  vicende  nella  loro  pena.  V.  g. Ara  massima.  I.  3i.  ' * , Digitized  by  Google 477 Arcadi,  i primi  fra  i Grecj  veogooo  ad  abitare  l'Italia.  I.  3.  ^ dove  abitassero,  36. Arcadia  fa  già  detta  Licaonia.  II.  i.-  Atlante  fa  ano  primo re.  I.  Si.  Dilario  di  Arcadia,  Sa,  5g. Ardea  è fondata  da  Ardeas  figlio  di  Ulisse,  I.  63.  È città del  Lazio.  V.  6i.  Tarqpinió  superbo  1* assedia.  IV.  6{. Fa  fregna  coi  Romani, '85.  V.  i.  È toko  loro  parte  del territorio.  XI.  54 Aurunci,  popolo  d’Italia.  I.  12.  Loro  qualità,  ivi,  e VI.  Ss. Occupavano  la  parte  più  bella  della ’Gampa'oia,  ivi.  Sono vinti  da  Servili 0 , ivL  Ridomandano  i caiòpi  degli  Ecce- tranì,  ivi.  . , Ao  sonia  era  l’Italia.  I.  27.  Il  .seno  Apeonio  fu' pei  chiamato il  seno  Tirreno , 3i  Oli  Ausoni  cacciati  dai  iapigi  vanno in  Sicilia  , i3.  ' . ' Auspizj  s’ imprendono  ooA  cui  le  cose  ardne.  V.  28.  Si  de- cide con  essi  li' sito  di  Roma.  I.  77,  Più  volle  sono  di- sprezzati.  Ut  G. Digitized  by  Google 479 A»io  Nevio  Aogare  > tua  «ccelienu.  I-  6i.  E tolto  di  mez- 10,  63. Aizio  Tallo  capo  de*  Volaci.  Vili.  l.  Accogllè  benigoameote, Coriolaoo,  3.  Stimola  i Volaci  coìitro  i romam  : fa  dicbia-' rare  Coriolaoo  per  (mmandante  delle  MÌlicie , i3.  Ne  pro- oara  la  morte,  ^7  « segg.'E  uoeiso  in  gaeira , 69.  Suo olrattere,  ivi.  * . . * ; B Babilonia,  eoa  celebrità.  I>  27.  Sne  mora.  IV.  25. Bacco , pianto  dei  Greci  en  j caeì  di  Bacco.  II.  g.  Tempio  ' inalzatogli  da  Fostumio  dettatóre.  VI.  17.  Coneagrasioae  ' fattane, Battaglia  impedità'  dai  et^ni  celeetì.  IX.  55-  Prima  \di  altóc* caria  fanno  preghiere  e eagriiiaio,  10. Balia  luogo  degli  Aborigeni.  I.  i5.  ^ ' Bighe,  gara  delle  roedeeime.  VII.  93. Bitumo,  rasi  pieni  di  bitnme  e pece  drati  colle  Condo  eu  i nemici.  X.'iC.  ' Boario,  Poco.  I.  3i.  Servio  Tallio  vi  forma  un  tempio  della Fortuna.  IV ' t . Canne  raconfilta.  II.  17.  . . . ‘Capi.  I.  ,62.  ' , ' ' ' . • Capitolino,  colle,  già  detto  Saturnio.  II.  O Tarpee.  III. 6q.  Perché  poi  ai  cfaianiasae  Capitolino.  IV.  Gì.  Romolo  lo fortiGca.  II.  07.  In  citna  di  qoeato  colle  osala  Catppidoglio vi  i il  tempio  di  Giove  Feretrio,  5{.  Tarqoipio  Prisco  vi conaìncia  un  tempio , Tarqoinid  anperbo  ve  lo  continua  , sua  Innghezza  e larghezza.  IV.  Ci.  È poi  compito,  e M. Orazio  lo  dedica.  V.  35.  Vja  in  lìàmme.  IV.  61.  E.  riedi- ficato, ivi.  * . . ‘ ' Capua  , città  della  Campania.  VII.  10.  Eb^e.  noMer-da  Capi. I.  64. Carine  luogo  di  Roma.  1.  5g.  III.  22.  Vili.  79. Carmenta.  I.  22  a aeg.  • - ‘ ^ Carmenlale  porta.  I.  22.  X.  i4.  , v ^ . -f Carsola.  I.  C.  ' Cartagine.  Timeo  Sicolo  dice  che  fu  fabbricata  circa  i Xempi Digilized  by  Google • (li  Roma.  I.  G5.  Toroa  a cercare  di  naoTO  T Impero.  II. 1'^.  I Cariagineai  sono  eipuUi  dal  mare.  Proemio,  3.  Loro viitime  umane/  2r).  , • ' Catiandro  re  di  Macedooiar  L ^o. Carvilio  (Sp.)  il  primo  ripadia  la  moglie  qon  prima  delt’anno 5lo  di  Roma.  II.  2$. CaMÌo  (Sp.)  Uscelltoo  trionfa  dei  Sabini.  V.  Tito  Larglo Dittatore  Io  prende  -per  maestro  de’  cavalieri , 'jb.  Senti- u)eolo  doro  di  osto  circa  il  castigo  dei  Latini  ribelli.  VI. 20.  E fatto  console  di  nuovo,  40’  Guarda  la  città,  gì.  De^ dica  il  tempio  di  Cerere  e di  Bacco  , g5.  Diviene  consolo per  la  tersa  volta.  Vili.  C8.  Noi  resto  di  questo  libro  sie- gue  il  (racconto . dell’  ambisione  di  lai , degli  Sforai  per  in- trodurre la  legge  Agraria , le  accuse  , ed  il  suo  tkagico fine,  'jg.  I figli  di  Castio  non  sono  privati  nA  della  pa* tria  , nè  de’  beni  , nè  degli  onori  pe’  delitti  del  padre  per decreto  del  jSènato.  Vili.  8o.  Il  popolo  si  pente  di  aveiio condannato  , *82.  ' ' ~ ^ . Castore  e Pollace  diconsi  apparsi  in  Roma.  VI.  i3.  Monu- menti in  Roma  della  loro  apparisiooe , giuochi  , feste,  ivi. Cavalieri.  Servio  Tallio  li  ordinò  in  18  centurie.  IV.  18.  Piò di  quattrocento  plebei  souo  aggiaiiti  all’ ordine  de’'cava- . lieri.  VI.  4i.  . Cecilio  IL.  Metello)  , suo  trionfo  e zelo  nel  oonservare  le  cose di- Vesta,  e statua  di  lai.  nel  Campidoglio.  II.  6G. Cecidio  (L.^)  tribuno  della  plebe  accusa  Servilio  uomo  con- solare. IX.  28. Celeri,  origine  del  loro  nome.  II.  i5.  .Loro'incoiubenze  , GL Tarquinio  snperbo  costituisce  Bruto  prefetto  di  eui.  VI. 92.  Bruto  Uscia  questa  prefettura  , '^5. Celti  o Galli  fanno  vittiose  umane  a Saturno.  I.  2g. Censori , loro  uffizio.  IV,  Come  permettono  il  divorzio DIorriGJ,  tomo  II/.  3, Digitized  by  Coogle 48a di  Garvilio.  11.  2 5.  CommenUrj  o regùtri  de’  oentori.  I. 65.  IV.  22.. Cento  de’ Romani,  oome  ùtitnito  da  Servio  Tollioi  IV.  i5. C latti Bcaaio ne  de’ Romani  , iG.  VII.  5g.  Sfumerò  di  citta- dini-IV.  22.  Geiuo  fatto  ancora  dai  contoli.  V.  .20.  Cento sotto  Tito  Largio  primo  Dittatore,  g5.  Altro  cento  ove  tro- vanti cxxs  mila  cittadini.  VI.  C3.  Cento  dell' anno' 261 di  Roma.  VI.  gC.  Cento  dell'  anno  2^8  di  Roma.  IX.  25. Cento  dell’anno  280.  IX.  36.  Cento  rettituSta  dopo  ig anni.  XI  in  fine. Centurie,  te  ne  fanno  ]g3  e ti  dividono  in  tei  datai.  IV. 18.  VII.  5g.  Di  raro  ti  chiedeva  il  voto  della  tetta  clatte. IV.  20.  Luogo  tpeciale  delle  oentnrie  negli  tpettacoli. III.  «8.  - Ceoturiati,  comiaj.  IV.  20.  VII.  $g.  Come  differiacano  dai comiaj  per  tribù.  IX.  Ut,  XI.  46*  Intimazione  dei  eomitj oentnriati.  V.  10.  Loro  forza.  XI.  55.  I Patrizi  vi  preva- levano. Vili.  82.  XI.  4^*  I decreti  di  qtietti  eoli  comizj ' nn  ^empo  erano  riguardati  come  leggi  dai  patrbi , ivi.  L’in- terré-oonvoca  queati  comizj.  VII.  go. Centurioni,  loro  scelta.  IV.  i>j.  Dove  collocati.  X-  iG. Cecere  insegna  l’agricoltura  a Triptolemo.  I.  4*  Tempio  e tacrifitj  di  Cerere , ^4-  Pottomio  Dittatore  le  fonda  un tempio  per  voto.  VI.  l'j.  Se  le' innalzano  tUtne  metalliofae. Vili.  2g.  A'  Iti  ti  contagrano  i beni  di  quelli  che  facevano violenza  ai  -tribuni.  VI.  8g.  X.  4>.  ^ Cipria , via  in  Roma.  III.  22. Circe , dove  abitatae'.  IV.  G3.  Telegono  figlio  di  essa  e di ditte,  45*  Circei  donde  denominiti.  IV.  G3.  Si  rendono  a Minio.  Vili.  i4' Circo  Massimo.  lL''3i.  Chi  lo  incominciaste.  III.  68.  Vi  era tal  termine  il  tempio  di  Cerere.  VI.  g4> Citerà,  itola.  L 4l> Digilized  by  Googl 483 Citt;idini  romani  come  da  Romolo.  II.  Come  Servio Tallio  volle  rieaperne  il  oamero,  il  ietto  e l’ rià.  IV.  l5. Come  ne  accrebbe  il  nomero,  91.  Tullio^  vuol  pareggiare il  diritto  de’  ciUadini , Non  era  lecito  battere  nn  citta- dino. IX.  39.  Non  poteva  nociderai  eenaa  cogniaioii  della canta.  VII.  3G.  Qoali  arti  non  potette  eiercitare.  IX.  x5. Claudia,  gente  oriunda  da  Regillo  città  di  Sabina.  XI.  i5. È condotta  in  Roma  da  Tito  Claudio.  V.  4o*  Tribà  Clan- dia  , ivi. Claudio  (Appio)  Sabino,  nega  che  potrà  levarti  la  leditione  con donare  i debiti.  V.  60.  È Contqle.  VI.  23.  Discorda  dal  col- lega'circa  dei  poveri  i4  , e Sol  trionfo  di  lui,  3o.  Suo  di- ' scorso  per  chetare  le  seditiooi,  38.  E chiamato  nemico  del popolo  , 48-  Suo  discorto  circa  il  ritorno  del  popolo , C6  e tn  la  legge  agraria.  Vili.  ^3.  Suo  consiglio  per  frenare  i tribuni.  IX.  10.  X.  3o.  ' • Claudio  (Appio)  nipote  di  C.  Clàudio  per«  parte  del  fratello,  è console.  X.  54.  È creato  Decemviro,  56,  (9.  E creato  di nuovo  Deceniviro , 58  e ritiene  un  tal  grado  pel  terzo anno,  Ci.  Seguito  delle  sue  vioende,  XI.  4 • eeg.  Muore in  carcere.  ^.6. Claudio  (C.)  Sabine , sio  del  Decemviro  è console.  X.  9.  E contrario  anobe  egli  alla  plebe , ivi.  Sua  parlala  in  Senato contro  i Decemviri.  XI.  7.  Si  ritira  in  Sabina,  22  , Claudio  (M.),  cliente  del  Decemviro  : sue  pretensioni  su  Vir- ' gioia.  XI.  32, Claudio  (Neròne);  console  per  la  seconda  volta.  Proemio , 3. Clelia  fugge  con  gli  oslaggj.  V.  53  e teg. Clienti  o Clientela.  Proemio,  8. Cloache,  loro  grande  artificio.  Ili,  67. Cluvilio,  capo  degli  Albani,  occasiona  la  guerra  di  questi  coi Romani.  III.  2.  Sna  morte,  repentina ,'  5.  ' Cluvilio  Graooo,  sommo  comandante  drgli  Equi.  X 21.  Sua Digilized  by  Coogle 484 riapoaU  orgoglioaa  ài  Romani.  X.  22.  Gli  arviluppa  , 25.  E vinto  e portato  in  trionfo  , 2/(..  , Clovilip  (Q.^  Sicoioj  è conaole  , e reata  alla  gnardla  di  Roma, e perchè.  V.  5 9.  Depone  il  contolato  e nomina  Largio  per Dittatore,  92.  Fa  prigionieri  parte  de'  predatori  latini  , er.  escludere  i scellerati  dalla  città  propria. IV.  2$.  Colonie  divenute  maggiori  delle  città  madri.  III.  11. Colonne , vi  ai  descrivono  le  alleanze.  IL  55.  Talvolta  si  cn- stodivano  ne’ teibpi.  III.  33.  Vi  s'incidevano  li  leggi.  X. 32.  In  tempi  pib  antichi  le  leggi  si  scrivevano  ip  tavole  di quercia.  HI.  36.  ' Cominio  (Post.)  console.  V.  So.  Dedica  il  tempio  di  Saturno. VI.  I.  È console  per  la  seconda  volta,  49 ed  in  qnal  epoca.  V.  1 1 . Confarreazione.  Ilt  2 5-. Consoli , prkni  cemioli  Brolo  e Collatino.  IV.  Loro  di- stintivL  III.  Ga.  IV.  V.  75.  X.  5q.  Diritto  di  convo- car le  concioni.  VII.  17.  Il  Senato  di  loro  1*  autorità  dì crncloder  la  pace.  Vili.  18,  Il  oonsole  è privato  del  con- solato dal  Dittatore.  X.  25^  I consoli  si  rendono  amici  al- cuni tribuni  per  contrapporli  agli  altri.  IX.  i , '2.  l 'consoli sono  citati  al  collegio  de’  tribuni.  X.  3i.  Contrasto  coi  tri- buni , ivi.  Sono  citati  dii  tribuni  ai  popolo,  3^.  Comin- ciano a governare  favorendo  la  plebe,  ^8.  1 consoli  tengono nn  Senato  privato  in  casa,  55.  Contesa  dei  patrizj  e della plebe  per  creare  consoli  cìascnno  della  soa'  fazione  : Un oonsole  si  sceglie  fra  i fautori  'della  plebe,  uno  tra  i fau- tori dot  patrizj.  Vili,  qo  e a«g.  Si  creano  i Decemviri  in Inogo  dei  consoli.  X.  56.  Si  terna  a creare  i consoli.  XL 45.  Si  creano  i tribuni  militari  in  luogo  de' consoli  | Ga. GonsolaH , nomini , citati  in  giudizio  dai  tribuni  finite  il  con- solato per  la  trascnratesza  sa  le  cose  agrarie.  IX.  37.  Sono multati  in  danaht  in  Inogo  di  esporli  a pene  personali , e perchè.  X.  49'  Ordine  nel  ohieder  loro  i.  pareri  in  Senato, 5.  Limiti  deir  autorità  consolare.  IV.  75.  4.  Toi*na  in  potere  degli  Equi , 26.  È distratto  dai  Ro- mani, 80.  ■>  ' Gorciresi  , loro  sedizione.^  VII.  66. Cordo,  cognome  di  Mnzio.  V.  aS.  ' Digilized  hy  Googlc 486 Gorilla  0 Coriola  paoae  dei  Latini.  IV. Goriola , oittà  famosa  de’  Volaci  tiene  assalita  da  Poslumio Gominio.  VI.  92.  Si  rende  a Marcio  Gnriolano,  Vili.  19. Marcio  ebbe  nome  appunto  d*' Goriola.  VI.  94* Gornelio  (L.  Siila)  , durissioio  nella  sua  dittatura.  V.  77. Gornelìo  (L.)  console.  X.  20.  Espufgna  Ansio,  21.  Suo  pa- rere su  le  istanze  dei  Decemviri.  XI.  16  e aopra  i r'Idali che' abbandonavano  il  campo  dei  Decemviri , 44- Gornelio  (M.),  fratello  di  Looio  Gornelio,  è Decemviro.  X.  68. Sna  risposta  a G.  Glaudio.  XI.  16.  invita  Lucio  eoo  fra- tello a dire  il  suo  parere,  iC>  Marcia  contro  glj  Equi,  2Ó. Gornelio  (Ser.),  console,  fa  tregua  per  un  anob  coi  Vedenti. Vili.  8a. GorneUnì,  popolo  del  Lazio.  V.  Gz. Gornicolo , città  del  Lazio.  IV.  1.  Gade  in  potere  di  Tarqoi- DIO  Prisco.  III.  5l.  ' Gorni  di  bove  :.  si  convocava  con  essi  la  plebe  romana. IL  8.  > Corona  di  oro  donata  dai  Romani  a Porsena.  ,V.  35.  Gorona di  oro  data  a chi  aveva  salvate  le  bandiere.  X.  36.  Gorona civica  donata.  Vili.  29.  X.  07.  Gorona  anurale,  ivi.  Il  po- polo esce  coronato  ad  incontrare  il  vincitore.  IX.  35. Gote  , segata  cpo  un  rasojo.  III.  71. Greraera,  castello  presidiato  dai  Romani  contro  i Vejeoti.  IXi i5.  E preso  dagli  Etrusohi , 2Ò. Grotone , quando  fondata.  IL  69.. Grotone  nella  Etrnria  tolta  dai  Pelssghi  agli  Umbri.  I.  1 1* Muta  abitatori  e nome,  ed  A chiamata  Goiornia.  17.  Lingua de*  Grotoniati , lo.  . **eoe  tiranno  , 8.  Come  le  ne  li* bera  , li.  Viene  occnpat'a  dai  Gampapi.  Tomo  £e^s/on/.  In- contro in  Coma  dei, Legati  Romaqi.  Manda  nn  Mocono  ■ quei  della  Riccia.  V.  36.  ‘ • Goraxj.  III.  iL  Loro  spoglie  portate  in  Roma,  21. Cori , sna  origine.  II.  48- Coreti , loro  rili.  IL  90.  Faroleggiati  ohe  educassero  Gìore fanciollo.  II.  61.  1 Coreti  dei  Greci  sono  gl' istessi  cbe  i Salj  dei  Latini,  'jo.' Carie  erano  parti  anbalteme  delia  divisione pii  generale  dei  cittadini  in  Roma.  IL  Se  avessero  nome dalle  matrone  Sabine,  47*  Sbotto  Romolo  scelsero  i Senatori , ed  i Celeri,  3,  Ordinano  coi  loro  voli  che  ai  restituiscano i beni  a Tarqainio  superbo. -V.  6. Cariali.  Vedi  Comizi  e Centurie  tì.^ Gnriasj.  Vedi  Cumtj.-  . il Cnrieni^  capi  delle  Carie.  IL  7.  Facevano  pnbblico  sacrifizio per  le  Carie.  IL  64 Difesa  , non  dee  negarsi  ad  alcuno.  V.  4-  \Tcmpo  acoordato per  difendersi.  VII.  58.  , Dittatore  , origine  dtl  nome.  V.  73..  S'na  anlorilà  e dnraaione. VII.  56.  Creavasi.  nel' tempi  diffioili  della  repubblica.  XI. 20.' Condotta  del.  primo  dittainre  Tito  Largio.  V.  75.  Imi- tato dagli  altri  dittatori  6uo  a Siila  ,77»  Anio  Poslnmie Digitized  by  Google ditutor»  «econdo.  TI.  >.  Mjnio  TaWrìo  dilUtore  terw*.  VL  ^ 3g.  Loeio  $.  Vinte  le Spagne  viene  io  Italia  , ivi.  Uccide  Caco  , 33  e .diviene insigne , 34>  Abolisce  i sagriGsj  umani  soliti  a farsi  a Sa- tarno,  28-  Evandro  gli  tributa  onori- divini,  3i.  Soci  com- , pagiii  che  si  fissano  presso  dèi  Pallanteo.  II.  i.  Alenai  han crednto  che  egli  lasciasse  de’  figK  nell’  Italia.  I.  3^. Ercole,  Arconte  di' -Atene.  .IV.  4 >• Erdonio  Appio  «conpa  il  Campidoglio^  X.  1 i-  Muore  combat- tendo talerosamente  , iC.  ' Erdonio  (Turno),  resiste  a Tarquinio  superbo,  cabala  di  que- sto per  Deciderlo.  IV.  e seg. Ereto , città  Sabina.  III.  5q.  Battaglia  data  in  Breto  eontro  i Toscani.  IV.  3.  Sua  distanza  da  Roma.  III.  3i.  Restava presso  del  Tevere.  XI.  3.  I Sabini'- vi  al  aocampanp,  ivi. Vi  tono  vìnti  da  Tarquinio.  aoperbo.  IV.  5l. Erinni,  venerate  dai  Groci.'II.  Jj.  • r Elitra , luogo  dell’  Asia  minore.  IV.  62. Ermmio  (Lar.)  conscie.  XI.  5i. Erminio  (Tito),  i latciatò  Inogotenente  da  Tarqninio  nel  cam- po , suo  zelo  per  liberare  la  patria  dal  medesimo.  IV.  8. E UDO  de’ capitani  contro  Porsenna.  V.  22.  Tito  Erminio console , 36,  Lnogotenente  del  Dittatore  impedisce  la  foga ' \ Digilized  by  Goc^le 49* dc'RomaoL  VI*  Uocide  Manulio,  io  cpoglia  ed  4 uo> oieo , ifi.  , , ' , r-  • firnici , popoli  *icini  ai  Romani.  Vili.  Si  collegano  eoa Tacqninio  , inperbo.  IV.  4q-  Ritpondoao  ambiguameote  ai Romani  che  dimandano  loccorto.  V.  Promettono  ajuto ai  Latini  contro  i Romani.  VI.  5.  Risposta  loro  superba  ai Romani.  Vili.  64*  Lasciano  gli  alloggiamenlt  di  notte  a faggono,  C6.  Chieggono  la  pane  e la  ottengono,  G8  « seg. Cassio  vuol  che  partecipino  alla  ilivisìone  ilelle  terre,  90 , 9 ■ . Mandano  >i  Romani  il  doppio  de’  sussidi  ricercati.  IX. 5.  Dimandano  ajnto  ai  Romani  contro  gli  Equi  e gli  Er- niciy  C9.  X.  20. Ersilia  Sabina , antrice  della  Legasione  muliebre  ai  Sabini dopo  il  ratto.. II.  4^.  III.  1. Esequie,  Tarquinio  Superbo  le  proibisce  in,qlQrle.di  Servio Tulliò.  IV.  4o.  Escq  uic  per  Virgioia.  XI,  39.  . ' Espiasione.  Romolo  fa , saltare  ^il  popolo  attraverso  le  Gamme per  espiarlo.  I.  99.  Espiazione  per  acciskme  non  volonta- ria. IIL  2 2.  Espiasione  pe^  causa  di  un  morbo  cohtagioso. JX.  ^o.  Espiasione  o lustrazione  di  Roma  dopo  ia  morte di  Erdonio.  X.  19.  ' Esploratori  mandati  in  qualità  di  J/gatu  VI.  i5.  ' ' ■ Esquilino , colte,  il.  5'f.  Servio  Tullio  lo  oniOoe  a Roma.’IV. là.  Tribù.  Esqnilio'r,  ì4-  Porta -Esquilioa.  IX.  68. Etrunia  ; E la  stessa  che  la  Tirrrnia  o Toscana,  è fertile  in vino.  I.  28.  E divisa  in  dodici  principati  ed  à potentissima per  terra  e per  mare.  VI.  95.  • Etrnachi  delicati  e sontuosi  nel  vivere.  IX.  16.  Mandano  soc- corso ai  Latini  contro  i Romani.  111.  3>.  Coma  ai  Sabini, 65.  Sono  vinti  da  Tarqninio  Prisco,  ivi,  e da  Servio  Tal- lio. IV:  29.  Sono  battali-  da  quei  delta -Riccia  ed  accolti dai  Romani.  V.  36.  Ricusano  socoot^reàa  tanto  i Romani , quanto  I Latini,  42.  Destinano  socoòrrere  i Vejentì  contro Digitized  by  Googte 49» - i Romani.  IX.  i.  E'K' toecorretto,  C.  Abbandonano  gli  ao campamenti,  i3.  Stacenno  i Yeieotì  dall’ amiciaià   ’ mani.  IX.  i8.  Ocenpano  il  OiamenU,  2ó.  Foggono  di  notte a Vejo,  aG.  Etmachì  vebati  ad  abitare  nr  Roma.  I.  So.  Via Elrnica  o Tirrena  in  Roma.  'V.  36.    de^i  Etmsci  : loro diatiotivi.  III.  Gl.  ' Evandro.  L 92.  Viene  e prenda  sede  cOn  gli  Arcadi  dn  Pa- la tia.  I.  So.  II.'  I.  (Inori  che  porge  àd  Ercole.  L'3i.  Dina o Lavinia  figlia  di  Evandro,  a3.  ' ' Eariléone  Aacanio  figlio  di  Enea  , re  de’  Latini.  I.  5G.‘ i F • ‘ ‘ Fabia  , gente  cccvi.  Fabj  marciano  per  difesa  di  Roma  contro di  Vcjo..  IX.  1 5.  Il  consoilato  fa  per  sette  anni-  contiabi nella  casa  dei  Fabj  fratelli  Cesene,  Marco,  e (Quinto,  22. Se  necièt  i trecento^sei  Fabj  sopravvanzasse  nella  gente  F^* bia'  nn  aòlo  fanoiollo,  ivi.  ' Fabio  (Cesène),  fratello  di  Q.  Fabio,  estendo  questore  accasa Cassio  di  tirannide.  Vili.  7^.  B fatto  console,  83.  Va  a ■oocorrere  gli  alleati  di  Roma,  S(.  Diviene  oonsole  per  la seconda  volta.  IX.  1.  L’esercito  non -lo  ubbidisce  e lo  in- salta’ e mettevi  in  marcia  senza  il  comando  di  Ini,  3.  E Io priva  di  una  segnalata  vittoria , ivù  Diviene  console  per  la tersa  volta,  Soccorre  il  Collega,  ivi.  Va  qaal  proconsole ai  Fabj  che  presidiavano  Oreoieral,  16. Fabio  (M  ),  fratello  di  Cesene,  é console.  IX.  21.  È' mandato a soccorrere  gli  alleati.  Vili.  88.  Depone  il  consolato  e ricasa  il  trionfo,  iZ.  Va  con  gli  altri  Fabj.  contro  Ve- jp,  i5.  . • ' , Fabio  (Q-),  storico  Romano, anlichisshaó.  Proemio,  6.  ' Fabio  (Q.),  Pittor»  cosa  narri  dei  dne  gemelli  di  Ilia.  I.  70. Gota  del  tradimento 'di  Tarpea.  IL  38eseg.  Si  rigetta  Iacea* s Digilized  by  Google teoz»'di  >rai  circa  i figli  di  Tarquiaio  Frjico.  lY.    Seoti- menlo  di  Fabio  aa  di  Egerio,  G4>  Foca  ma  diligenza  nella cronologia^  3o.  , Fabio  (Q.)  r.ooDtole- Vili.  77-.  Marcia  contro  gli  Eqai  ed  i Volici,  83.  Q.  Fabio , figlio  di  Ccione , console  per  la  se- comU  Tolte,  QO.  È ncciso,  20. Fabio  (Quinto),  figlio  di  uno  dei  tre  Fabj  i qnali  preiiede-* rano  alla  guarnigione  di  Cremerà , diriene.^  console.  IX. 5g.  Fa  pace.oon  gli  Eqni,  ivi.  Q.  Fabio  Vibnlano  & còn- sole per  la  .seconda  volta.  IX.  6i.^.Debella  gli  Eqni,  ivi. Q-  Fabio  Vibolano  console  per  la  tersa  volta  marcia  contro gli  E  delibera  sa  la  guerra  contro  i Romani.  V. ‘ 5o,  Sa,  Ci.  ^ • Feciali,  Noma  istitnises  il  collegio  de’ Feciali  in  Roma.  II. •ji.  Sono  impiegati  nel  'cènoiliare  la*  plebe- col  Seiuto.  VI. 89.  Loro  incombente.  II.  93.  ' . Ferelrio , Giove.  II.  34-  ' Fidene-,  è fabbricata  dagli  Albani.  II.  53.  Era  lontana  cinque miglia  da  Roma. 'III.  2ij.  X.  22.  Romolo  la , rende  colonia Romana.  III.  2*  prende  Tar- • qninio  Prisoo,  58.  Per  impulso  di  Sesto  Tsrquinio  si  ri- ■ bella  dai  Romani,  V.  4^-  6 riacquistata,  45.  I Sabini  ac- campali a Fidene  sono  vinti.  IV.  5s. Fido  Giova  Saiico.  IV.  58.  Sp.  Postnmio  consagra  il  tempio di  Giove  Fidio.  IX.  Co. Figli.  I delitti  de’  figli  non  privano  il  padre  de’  propri  beni. Vili.  80.  Figli  come  soggetti  al  padre.  Vedi  padre. Flanmii , pecchi  cbs)  chiamati.  IL  C4. Ftanleio  (M.),  sna  bravura,  premio,  esortasioni.  IX.  io. Fortuna.  Ser.  Tallio  le  fabbrica  due  te(npj.  IV.  2’j.  Uno  di questi  tempi  s’ incendia , 4^2.  Giuochi funebri.  V.  jj.  Oraiioni  funebri  aolite  in  morte  de*  vaien* tuomini.  IX.  54*  Qual  popolo  le  intradnceaae.  V.  ijt  Ora- aio  padre  non, rende  i funebri  onori  al)a  figlia  percbi  non amica  ‘della  patria.  III.  ai.  , Fario  (Lnoio)  , console.  IX.  36.  ~ Furio,  triumviro  per  dividere  i terrenj.  IX.  5g.  -*  . Furio  (Sta.)  , oòniole.  Vili.  i6. Furio. (Spor.),  oopaole.  IX.  i.  Corre  e saccheggia  le  campa'- gne  degli  Equi,  a.  . - /4g.  ■ Geganio.  (L.),.  fratello  di  T.  Gegaoio  oonsole,  i spedito  a com- prare i grani  in  SiciK».  VII.  i.  Suo  ritorno,  lo. Gegaoio  (M.  Macerino),  console.  XI.  5i. Geganio  (T.  Macerino),  console.  VII.  i. Geli)  , i dne  fratelli,  nipoti  di  Bruto  congiurati.  V.  €.  '* Gellio  (Gn.),  senteosa  di  lui  oirca  Tanno  del'ratto  delle  Sa- bine. Il,  3l.  Altra  sul  collegio  de' Feoiali,  gl.  Scrisse che  Numa  lasciò  una  figlia,  Suo  parere  sul  venir  di Digitized  by  Google Tarqainio  a Roma.  IV.  C.  È oegligeatt'  nella  ■ oronologia. - VII.  I.  , ' Gelone,  iuocede  ad  IppocraU  nella  tirannide.  VII.  i . Manda ■ framenlo  in  dono  li  Romaoi,  so.  ‘ Gennaio  (On.),  tribuno  della  plebe,  insiete  per  la  legge  agraria  e si  ritrova  morto.  IX.  Z’j,  38.  E ohiamato  Cajo  in  .Inogo di  Gneo.  X.  38.  4Tito  Gennaio  obiama  in  gindiaia  Tito  Me- nenio. Titn  Livio  chiama  Gennaio  sempre  Tito  e non  Cneo nè  Cajo.  IX.  27.  • ' . '   PorseOa  lo'  occnpa.  V.  22^  Lo ooonpano  gli  Etruschi.  IX-  2{.  Lo  abbandonano,  2C. Giapigia  , promontorio 'Saleolino.  I.  ^2. Giove,  spoglia  Saturno  del  comando.  IL  1 9.  Tarquiàio  Prisco comincia  a fabbricare  id  comune  un  tempio  a Giove,  Giu- none e Minerva.  III.  C9.  Giove  Feretrio.  II.  34.  Fidio , vedi  questa  parolk. , Giove'  Capitolino,  ammonisce  i Romani  a replicare  i giuochi  in suo  onore.  VII.  68.  Sagrifis)  a Giove  nel  monte  Albano. Vili.  87.  Romolo  alsa  un  tempio  a Giove  Statore.  IL  5o. Giove  Terminale.  II.  74. Digitized  by  Google 497 Ginlia,  famiglia  traiferiu  da  Alba  a Roma.  III.  29.  Giulio  il pili  grande  de’  figli  di  Ascanto  diede  origine  e uomo  alla gente  Giulia.  I.  61. Giulio  Proolo  , suoi  racconti  eu  Romolo.  II.  C5. Giulio  (Cajo)  Cesare  rende  alle  loro  cariche  i tribuni  espulsi da  Pompeo.  Vili.  ^8. Giulio  (C.)  Ginlo  console.  Vili.  i. Giulio  (C.)  console.  Vili.  90. Giulio  Decemviro.  X.  5C. Giulio  Vopisco  console.  IX. Giulio  (L.)  Bruto  perchè  detto  Bruto.  IV.  G7.  Sua  perora- zione contro  la  tirannide  ^ 70.  Bruto  e Collatioo  i primi sono  destinati  consoli , 7G.  Austerità  sua  nel  punire  i oon- giorati  a favorir  la  tirannide.  V.  8.  Fa  rimovere  Collatino dal  consolato  e prende  P. /Valerio  per  collega,  12.  È uc- ciso da  Arante  Tarqninio  in  battaglia  j i5.  E riportato  in Roma:  aoa  pompa  funebre,  17  e seg. Giunio  (Brolo  L.)  , nomo  plebeo.  Vedi  Bruto. Ginnj  (Tito  « Tib.)  figli  del  console  oongiurano  e sono  pa- niti. V.  8. Giunone , suo  tempio.  I.  ^1.  Sul  Campidoglio  insieme  con quello  di  Giove  e di  Minerva.  IV.  61.  Giunone  Luci~ fera,  i5. I Icilio  (C.)  Ruga,  è creato  tribuno.  VI.  89. Icilio  (L.)  tribuno  della  plebe  per  la  seconda  volta.  X.  33. Riprova  in  parte  il  parere  di  Siccio , 4». Icilio  (L.)  destinato  sposo    Verginia.  XI.  28.  La  soccorre,' ivi.  Perora  in  suo  favore,  3i  e seg. Icilio  (M.)  coetaneo  e compagno  di  Sp.  Verginio.  X.  49* mOJSIGI.  tomo  ut.  Si Digitized  by  Google 498 Icilio  (Sp.)  è spedito  dalle  plebe  al  Senato  insieme  con  Im Gionio  Brolo,  e M.  Decio.  VI.  88.  Sne  querele  contro del  Senato  per  la  carestia  e per  la  colonia  mandata  in luoghi  malsani.  VII.  i4  , 19.  Sp.  Icilio  Roga  edile  tenta di  arrestare  per  ordine  dei  tribuni  Goriolano  ed  ò ri- spinto dai  patria),  26.  Icilio  tribuno  aumenta  il  potere  della plebe.  X.  3i. Itia  figlia  di  Numitore.  I.  6'}.  È falla  Vestale,  ed  ingravidata, ivi.  Partorisce  doe  gemelli  , 69. Imatiooe,  Remo  Gglio  di  esso.  I.  63. Imperiale,  abito.  Vili.  Sq. Interri , quando  si  creava.  XI.  20.  Interri  creati , morendo un  console  e stando  malato  1*  altro.  IX.  i4*  O morendo tolti  dne  i consoli,  69.  Interri  creati  per  cagìon  de’comis). XI.  Ga.  OfGsio  degl*  interri.  II.  58.  IV.  4o>  So* Interregno  dopo  la  morte  di  Romolo.  II.  5'}.  Dopo  la  morte di  Tulio  Ostilio.  III.  3C.  Fatto  l’ interri  cessarono  tolti  gli altri  magistrati.  Vili.  90. Italo,  Oenotro  di  origine  regnò  nell’ Italia  e le  diede  il  nome. I.  26.  Sicolo  creduto  figlio  d’ Italo  diede  nome  alla  Sicilia, i3.  Ad  Italo  soccedette  Morgete , 64* Italia  ebbe  nome  da  Italo.  I.  26.  Fu  già  delta  VItalia.  2’).  E dai  Greci  Esperia  ed  Ansonia , ivi.  Come  Saturnia  dai  pae- sani, ivi.  Bontà  dell*  Italia,  2';,  28-  Limiti  dell’ Italia , a. Antichi  limiti  della  medesima,  64*  Città  Greche  nell’Italia. X.  54-  L’Italia  si  ribella  dai  Romani.  IL  17. L Labìcani  , popolo  del  Lasio.  V.  4*.  Erano  colonia -degli  Al- bani. Goriolano  gli  espugna.  Vili.  19. Lacedemoni  , loro  colonia  passala  tra  i Sabini.  II.  49*  Uno Sparlano  il  primo  si  espose  nudo  affatto  a compiere  i giuo- Digilized  by  Goc^le 499 chi  olimpici  : non  concedevano  agli  esteri  il  diritto  di  cit- tadinaosa se  non  rarissimamente,  ij.  S*  impadroniscono  di Atene.  XI.  i.  I Re  loro  erano  dne.  lY.  q'S.  Sottoposti  alle leggi.  V.  jii  II*  ìAi  Autorità  somma  nel  Senato,  ivi. Così  crebbero.  IV.  Perderono  il  comando  con  ignomi- nia. II.  7. Largio  Sp. , capitano,  protegge  l’esercito  che  si  ritira.  Y.  23, 2Ì,  Procura  i viveri  a Roma,  sf,  È console,  3iL  Sp.  Lar- gio consolare  marcia  a soccorrere  Valerio  , Sp.  Largio fratello  di  'T.  Largio  Dittatore /resta  in  gnardia  di  Roma, 7 5.  Sp.  Largio  Flavio  console  per  la  seconda  volta.  VII. 68.  Sp.  Largio  mandato  ambasciadore  oon  altri  a Gorìo- laoo.  Vili.  23^  Spurio  Largio  stando  a difendere  Roma  ne protegge  le  vicine  campagne.  Sp.  Largio  interré  , go. Consiglia  la  guerra  contro  i Vejenti , Qi. Largio  (T.)  oons.  V.  ^ T.  Largio  Flavo  cons.,  5g.  Sua  mo- derasione,  60,  E dittatore  il  primo,  7^.  Sna  condotta, 75.  Sentenza  di  lai  sol  pacificarsi  coi  Latini.  VI.  ^ Sai ristabilire  la  concordia  interna  ed  esterna,  e seg.  È la- sciato in  guardia  di  Roma,  4^.  Sno  diacorso  alla  plebe  ri- tiratasi, 81. Largio  (T.)  legato  di  Postumo  Cominio  espugna  Coriola.  VI. Larisse,  due,  nna  in  Italia. I.  l2.  L’altra  in  Tessaglia.  X.  iL Latino  figlio  di  Ercole  ma  creduto  figlio  di  Fauno , e per- chè. L 34.  Re  degli  Aborigini  : il  suo  regno  passa  ad Enea  , ivi. Latino  Silvio  Re.  L Ql, Latini , ebbero  questo  nome  sotto  Latino,  L 1 , 56  , 5_l,  Le città  Latine  ricusano  di  ubbidire  ai  Romani  dopo  la  caduta di  Alba.  III.  34,  Sono  vinte  da  Anco  Marzio,  E da Tarquinio  Prisco,  4S:  Si  collegano  con  esso,  54.  Decretano far  guerra  contro  i Romani  per  favorire  Tarquinio  Super- bo,  61.  Vinti  cercano  la  pace.  VI.  1 Volaci  cercano Digilized  by  Google 5oò •nmiDOVftre  i Latini  , e questi  ne  portano  gli  ambasciailori legati  a Roma,  e ne  tono  premiati.  VI.  zi.  Sono  infettati  dai Volaci.  Vili.  L2.  E da  Curiolano,  ^ Catsio  vuol  che  par- lecipiuo  alla  divisione  delle  campagne  come  i Romani,  6r). Cercano  toocorto  dai  Romani  contro  gli  Eqni./4X.  L.  Man- dano il  doppio  de*  snttidj  dovuti  ai  Romani,  ^ Sbaragliano gli  Equi  ed  i Voitci,  Sì.  Chiedono  di  nuovo  ajoto  dai  Ro- mani contro  gli  Equi,  Co . 67.  Città  Latine.  VI.  63  , 7^. Vedi  Ferentino.  Ferie  latine  istitnite  da  Tarqninio  superbo sni  monte  Albano.  IV.  ^ Se  ne  aggiunge  una  seconda  per la  espulsione  del  tiranno  stesso  il  qnale  le  aveva  istituite  , ed  una  tersa  pel  ritorno  del  popolo.  VI.  q5. Lazio  , era  luogo  della  regione  degli  Opici.  L 63. Lavina  o Lavinia  figlia  di  Anio  o di  Latino.  L Lavina  figlia di  Evandro  , Lavioio  metropoli  del  Lazio,  e di  Roma.  Vili.  3o.  E fon-' data  dai  Trojani.  I.  36.  Vili.  2 1 . Coriolano  l' assedia  , ivi. Quei  di  Lavioio  cercano  soddisfasione  dai  Romani  per  l’ol- traggio  fatto  ai  legati.  IL  .*)  2. Lanrento  città  d' Italia.  L 44 . 46.  Era  degli  Aborigeni, Situazione  di  essa,  36. Legge , si  esaminava  prima  dal  Senato  , e poi  si  proponeva' al  popolo.  IX  .45.  Tempo  richiesto  per  I’  esame,  4j_ì  Di- ritto di  formare  le  leggi  presso  del  popolo.  II.  i_4.  1 pa- trizi tenevano  per  leggi  quelle  sole  emanate  dai  comiz|  cen- toriati.  XI.  Ma  poi  riconoscono  anche  le  altre  dei  Co- mizj  per  tribù  , ivi.  Leggi  di  Romolo.  IL  z3.  Leggi  di  Servio Tullio.  IV.  i_3.  Il  tiranno  Tarqninio  toglie  tutte  le  leggi  di Tullio,  43.  Legge  di  Romolo  sol  matrimonio.  IL  £3.  Legge del  medesimo  circa  la  potestà  patria,  ìQ.  Compilazione  delle leggi.  Vedi  7)ece/nviro/o.’ Queste  leggi  sono  proposte  all’esame del  popolo.  X.  5^  Ne  risultano  le  leggi  delle  dodici  tavole. Co.  Le  quali  furono  stimatissime.  XI.  44- Digilized  by  Google 5oi L4‘ttorìo  G.  tribano  della  plebe  rttponde  al  console  Appio  Gl.  a nome  della  plebe.  IX.  4^  Suo  tumulto  |>er  arrestare  Appio,  4^ Licinio  storico  : sue  narrazioni  su  la  strage  di  Tazio.  II.  5a  « 54.  Su  Tarqninio  Prisco.  IV.  ù±  Su  la  ovazione.  V. Su  Tarqninio  superbo.  VI.  1 1.  Sua  negligenza  nell'  esame de'  tempi.  -VII.  u Licaoni , dne.  L 1. Licinj  C.  e Pab.  creati  triboni.  VI.  8^ Lioorgo , dà  leggi  severe  agli  Spartani.  II.  42:  Divulga  di averle  apprese  da  Apollo  Delfico,  f)  i . Lidi  o Lydi , inventori  di  nn  dato  giuoco.  II.  'jL. Littori , precedevano  il  re  con  fasci  di  verghe  e con  scure. III.  ILl,  Difendono  il  console  ooniro  il  tribuno.  IX. Rimovono  per  comando  dei  consoli  la  torba  che  tumnltoa. VII.  IL  Ogni  Decemviro  fa  precedersi  da  dodici  littori.  X. 5q.  I tribuni  risolvono  di  far  gittare  dalla  rupe  tarpea  oa littore  perchè  aveva  ubbidito  al  consoli.  X.  3i, Liguri , loro  emigrazione  dall'  Italia  nella  Sicilia.  L lL  I Li- cori contrastano  il  passo  ad  Ercole  nelle  Alpi  , Liri , fiume.  L L, Lista,  metropoli  degli  Aborigeni.  L S, Liti,  e cause  discusse  ne’ tempi  de' mercati.  VII.  fiS. Locri  , f n tempo  Lelegi.  L Q. Longola  città  de' Volaci  è presa  da  Postumo  Cominio.  VI.  qi. • È presa  da  Goriolano.  Vili.  56. Lucani,  infestati  dai  Sanniti.  Tomo  III.  Lfgationi.  Sono  vinti  5-  Perchd  chiamati  Aborigeni , 5. Vengono  dall’Arcadia  con  Oenotro.  II.  i. Oenotro , ana  nascita  e venata  in  Italia.  I.  3. Opici , popolo  : loro  porto.  I.  44*  La  regione  loro  abbracciava anche  il  Lazio,  C3.  Gli  Opici  cacciano  i Sicoli,  i3. Opimia,  Vergine  Vestale;  è condannata  per  lo  stupro.  Vili.  8q. Oppio  (M.)  capo  dell’  esercito  che  si  ritira  dai  Decemviri. 21.  44. Oppio  (Sp.)  Decemviro.  2.  58.  Resta  con  Appio  Glandio  a proteggere  la  cittii.  21.  a3.  Convoca  il  Senato,  44*  R con- dannato a pieni  voti  dal  popolo  e more  lo  stesso  giorno  in carcere,  4C. Orbilia  Vestale  è punita  per  lo  stupro.  12.  4c. Ostia  città,  da  ohi  formata.  III.  44. Ovazione,  perchè  cosi  chiamata.  V.  47  Doao  maodato dai  Remaci  al  medesimo  « 35. Porta  Capeoa.  TIII.  4-  Carmentale.  I.  23.  Mogooia.  IL  5o. Sacra.  X.  i4-  Trigemina.  I.  a3.  3o. Porzio  (M.)  Catone,  eoo  racconto  su  dne  gemelii  d'Ilùu  I.  ^o. Sa  l’anno  della  fondazione  di  Roma,  65.  Su  le  tribù  sta> bilite  da  Tallio.  IV.  i. Fostamio  (4.)  consolo,  è nominato  dittatore.  VI.  2.  Marcia contro  de’  Latini , 3.  Parla  all’  esercito  per  animarlo , 6. Trionfa  dei  Latini,  17.  Lascia  la  dittatura  e rende  i suoi magistrati  alla  Patria , 23.  A Postnmio  Albo  combatte  bra- vamente contro  gli  Aoranci , 33.  ' Fostamio  (A.)  Albo  console,  collega  di  Furio  lo  soccorre. IX.  65. Fostamio  (P.)  Taberto  console  con  M.  Valerio  , marcia  a eoo correrlo.  V.  3q.  P.  Postnmio  Taberto.  console  per  la  se- conda volta,  è battuto  per  la  troppa  audacia,  .(4*  Ripara r infamia , vince  bravamente  i Sabini , gli  si  accorda  1’  o- vazione , 47>  Postnmio  Taberto  è legato  alla  plebe  pro- fuga » 9- Postnmio  (Sp.)  Albino  console.  IX.  60.  Dedica  il  tempio  di Giove  Fidio , ivi.  Spur.  Postnmio  va  legato  in  Grecia  a raccoglier  le  leggi.  X.  52.  E creato  Decemviro,  56. Postamj , impediscono  la legge  Agraria , ed  il  popolo  li  con- danna ad  una  emenda.  X.  4a> Postnmio , legato  vilipeso  dai  Tarentini.  Tomo  III.  Lega- zioni. Preda,  parta  data  ai  soldati  , parte  all’  erario.  X.  21.  Preda venduta  dai  questori  con  metterne  il  denaro  nell’  erario. VIII.  82.  Colle  decime  della  preda  se  ne  fan  sagrifizj,  VI. 17.  Primizie  della  preda  date  ai  valentuomini,  q4. Prenestini , popoli  del  Lazio.  V.  4i*  Prenestina  via.  IV.  53. Proca  Silvio , Re  di  Alba.  I.  62. Digilized  by  Google 5i2 Prole.  È deliUo  di  ucciderla.  I.  8.  Quando  polesse  eaporei secondo  la  legge  di  Romolo,  II.  i5. Fi'oserpina,  «e  ne  dedica  il  tempio.  VI. Punica,  prima  gnerra  per  la  Siotlia.  II.  6C.  Suo  comincia- mento , quando.  Proemio,  8.  ' Q Quadrighe,  combattimenti  con  ewe.  VII.  'jz,  '^3. Questori,  Vendono  la  preda.  VII.  05  e ne  portano  il  danaro nell’  erario.  Vili.  82.  Vendono  i beni  dei  profughi , e ne recano  il  prezao  nell'  erario.  XI.  06.  Sono  comandati  di fare  a spese  pubbliche  i funerali  di  Menenio.  VI.  q6.  Ac- cusano Cassio  come  reo  di  tirannide  al  popolo.  Vili.  ^7. Querqnelnla , popolo  del  Lazio.  V.  Oi. Questura  , la  esercita  un  nomo  consolare.  X.  23. Qaintilj  trasferiti  da  Alba  in  Roma.  III.  2^. Quintino  Sesto  console , muore  per  la  peste.  X.  55. Quinzia , via.  I.  6. Quinzio  C.  o Curzio  console.  XI.  5z. Quinzio  Cesene  figlio  di  L.  Quinzio  Cincinnato,  si  oppone  ai plebei  : è accusato  al  popolo.  X.  5.  Va  in  esilio  , 8. Qnhizio  (L.)  Cincinnato,  padre  di  Cesene,  fa  la  causa  del  figlio presso  del  popolo.  X.  5.  Venduti  i suoi  beni  paga  per  la sicurtà  del  suo  figlio , e si  ritira  io  un  suo  poderelto  di là  dal  Tevere.  X.  g.  Donde  è chiamato  al  consolato,  l’j. Sna  condotta , e seg.  £ chiamato  dal  suo  poderetto  alla dittatura  , 24.  Soddisfa  al  bisogno , e torna  privato  al  suo rampo  , 25.  Suo  parere  sul  frenare  i tribuni,  1'}.  E sol duplicarne  il  numero  , 3o. Quinzio  Tic  Capitolino  console , discorda  da  Appio  suo  col- lega. IX.  4i-  Ammansa  il  popolo,  ivi.  Divide  la  rissa  dei tribuni  e del  sno  collega , 48>  È console  per  la  seconda Digitized  by  Google 5i3 volta.  IX.  ^ Vince  gli  Equi  e i Volaci , ivi  Ne  trionfa, È console  per  la  terza  volta , Qjj  Proconsole  porta  ajoto ■ Ser.  Furio,  Questore  porta  ajuto  a Miuuoio  circon- dato dai  nemici.  X.  22,  Parere  di  lui  su  le  richieste  dei Decemviri.  XI.  i2>  E console  per  la  quinta  volta,  02, Quirino,  vedi  Romolo  e Marte. Quirinale.  II.  58.  K congiunto  a Roma  da  Romolo,  e Tazio, 2q,  Noma  lo  ricinge  di  mora , , Quiriti , nome  di  tatti  i cittadini  di  Roma  derivato , da  Curi patria  di  Tazio.  II.  ^6.  . . Rabolejo (C.).  tribuno,  come  divise,  come  dii'  fine  alle  oou* tese  dei  consoli.  Vili.  5^ Rabnlejo  (M.)  Decemviro.  X.  28,  Marcia  contro  i Sabini. XI.  a5.  ■ ' ‘ ' • Rasena  duce  Tirreno.  L 21,  . . _ Ratto  delle  Sabine.  II.  2tL  In  grazia  di  esse  lasciasi  ai  loro cittadini  vinti  la  patria,  la  libertà  , li  beni,  55. Reatino  agro,  fu  tenuto-  dagli  Aborigeni.  II.  I Reatini  ac- colgono i Listani  profughi.  L 6* Regillo  , città  Sabina , patria  della  gente  Claudia.  V.  4°^ Claudio  a tempo  dei  Decetnviri  protesta  ritirarvisi  di  nuovo. XI.  i2, Regillo , lago  nel  Lazio.  V.  ' v Regno , Numa  lo  ricusa.  II.  Ila.  Suo  diritto  TÌmaneva  nei  col- latori.  IV.  ^ Si  regnò  lungo  tempo  sotto  certe  condizioni.  . V.  2^  Perchè  gli  antichi  talvolta  togliessero  il  governo  re- gio ; ivi.  Quanto  durasse  in  Roma.  IV.  82, Re  delle  cose  sagre,  vedi  Manto  Papirio. Rea  , figlia  di  Numitore.  L Rea  , ossia  Opi , suo  tempio.  II. vio.vicr,  toma  III.  ^ ' il Digitized  by  Googlf 5i4 Religione,  quanto  ne  fouero  ouer?aatt  gli  antichi.  Vili.  o-). Rem  uria.  1.  ^6. Ren>o>  nome  dato  da  Fanalaio.  I.  ^o.  È fatto  prigioniero,  ’ji. £ aoiolto . ^a.  Sua  morte  e tomba,  78. Roma,  Donna  Trojana,  vi  è chi  scrive  che  desse  il  nome  alla città  regia  di  Romolo.  I.  65. Roma , se  ne  additano  tre.  Proemio , 7.  FondaaioDe  fattane da  Romolo.  II.  2.  Il  suo  popolo  derivaTa  dai  Greci  non dai  Barbari.  VII.  72.  Romolo  e'  Tasio  l' ampliSoano.  II.  So. Servio  Tullin  vi  aggiunge  i|  Viminale.,  e 1’  Esqnilino.  IV. i3.  Dividendola  in  quattro  p.irii,  e tribù  ; tanto  che  i colli di  Roma  divennero  sette,  i{.  Brolo  la  rende  libera.  Vedi Giunlo  Bruto.  Re’  suoi  pericoli  più  grandi  conservò  sempre ^ la  sua  dignità.  Vili.  36.  Non  usava  cedere  punto  ai  nemici. VI.  71.  In  tempo  di  pace  era  sedisiosa  , i laddove  era  una- Btmc  in  tempo  di  gnerra.  X..  33.  Fa  rifugio  a quanti  vi cercavano  sede  sicara.  V.  56.  Moltitadine  della  colonia  che vi  andò  con  Romolo.  II.  2.  Quando  presa  dai  Galli.  I.  65. Fn  dominata  prima  dai  Re  {'quanto  ciasenno  vi  dominasse, 66.  Quindi  ebbe  per  capi  i consoli,  poi  K Decemviri,  e di nnnvo  i consoli,  i triboni  militari,  e di  nuovo  i consoli. Vedi  queste  parole. Romilip  (T.^  console.'  X.  33.  Gommissioni  (die  egli  diede  a Siccio,  Siocio  lo  accusa  al  popolo,  ^ condannato, ivi.  Sèntensa  di  lui  su  la  compilazione  delle  leggi.  So.  E creato  Decemviro  , 56. Ronsolo  figlio  di  Enea.  I.  Nascita  di  Romolo  e Remo,  6q,'7«.  Era  decimoseuimo  nella  disceadeosa  da Enea  , 36.  Non  ennenrda  col  fratello  sol  laogo  di  fabbri- care Roma , 76.  Uccide  Remo  e se  oc  pente , 78.  Fonda- aione  di  Roma.  II.  a.  È creato  re,  dal  16  al  56,  delio stesso  libro  si  esprime  la  condotta ‘di  Romolo  nel  regno; muore,  56.  Noma  gli  inalza  un  tempio  e la  venerarlo  con annui  tagriCzj , 63. Digitized  by  Google 5i5 Ro*tri  nel  Foro  Romano.  L 20: Rutuli,  fanno  guerra  a Latino.  L 4^  Si  ribellano  di  nuovo (la  Latino  , Enea  niuor*  combattendo  con  eui , iei.  Pro* mettono  di  mandare  ajulo  ai  Latini.  V.  4^ S Sabini  j cosi  denominati  da  Sabino  o Sabo.  II.  4^  Vi  è chi li  crede  Spartani  di  orìgine  in  gran  parte.  IL  Un  tempo erano  molli  come  gli  Etruschi  , 58.  Prendono  Lista',  me- tropoli degli  Aborigeni,  Sotto  il  comando  di  Tazio  por- tano guerra  ai  Romani , 5iL  Condizioni  con  le  quali  con- cludono la  pace  con  Romolo  , 4^  Tallo  Ostilio  li  debella. 111.  Ili  Rompono  1'  alleanza  e li  debella  di  nuovo , Come  pure  li  vinco  Anco  Marzio , 4»  . 4--  Promettono ajute  ai  Latini  contro  t Romani  « ìlL,  Li  vince  anche  Tar> quinìo  Prisco,  55  , G^.  E Tarquinio  so|)erbo.  IV.  5o.  fi li  consoli.  V.  Esultano  per  una  leggera  vittoria  e sono  disfatti  novamente  , i_5.  Ottengono  la  pace  , saliscono  i Romani  mentiv;  erano  in  festa.  Yi«  3_L.  Movono guerra  di  nuovo  ai  Romani , 34.  Promettono  soccorrere  i Volaci , e sono  vinti , 4A:  Soccorrono  i Vejenti  conlro  i Ro- maoi.  IX.  ^ Sono  vinti , ìjL  Fra  la  sedizione  di  Roma ne  devastano  la  campagna  , 5^  Tutti  due  i consoli  deva- stano la  loro  campagna  , 56.  Servilio  consdle  li  desola  ao- vamente,  5‘j.  Scorrono  sino  a Fidene.  X.  2^  Manomettono di  nnovo  I’  agro  romano.  X.  zfL  Di  nuovo  fanno  s>:orreria ne*  coo6oi.  XI.  5 . Combattono  co'  Romaui  pel  comando. VI. Sacro  Monte.  VI.  45^  Lai  plebe  vi  alza  nn  altare  e vi  sagri- Aca , 90.  Via  sagra.  IL  4C . 5o.  V.'35.  Classi  otto  di  mi- nistri sagri  istituite  da  Jfuma  , ii.  Cause  spettanti  a cose sagre  deciJevansi  dai  Poatefici,  ’)5.  Legge  sagra:  cioè  quella su  la  inviolabilità  dei  tribuni.  VI.  ^ Cittadini  lordi  di Digilized  by  Google 5i6 sangue  sparso  si  espiano  prima  di  accostarti  alle  sagre  cose. V.  ^ Sacrifisj , dopo  la  viUoria  per  render  grazie  ai  nnmi.  X. Vili.  6^  Sagrifìzi  per  il  termine  della  peste  , ivi. Salj , istituiti  da  Nama.  II.  2^  Tallo  Ostilio  ne  raddoppia  il numero.  III.  2l2.  Salj  Palatini , e Collini , 2^  Ancili  o scudi  de’  Salj , 2i_! Saline  antiche  all’  iniboccatora  del  Tevere.  II.  5^ Samotracia  i«o|a  , perchil  così  chiamata.  L iz.  Enea  porta   Sanniti , sconsigliano  i Napoletani  dall’  amicisia  de’  Rolnani  , loro,  guerra  (>oi  Lucani  eo.  Tomo  III.  Legazioni. Satirico  , giochi  e salti.  VII.  2^ Satrieo , popolo  del  Lazio  , Corìolano  lo  riduce  colla  forza* Vili.  . . Saturnia , colonia  degli  Aborigeni.  L SiL  L’ Italia  fu  detta Saturnia , e perchè  , sJL  Saturnio  colle  fu  detto  il  CaunpU doglio , ivi. Saturno  regna  io  Italia.  Ì.  22*  SagriEsj  fatti  a Saturno  « zq. Ercole  alza  un  altare  a Satùrno , VI.  1,  Tempio    Sa- tnmo  snl  colle  Capitolino,  ivi. Saturnali.  IV.  i^.-  - Scattini  popolo  del  Lazio.  V.  S_L.  ■ Scellerata , via.  IV.  59. Scola  letteraria  nel  Foro.  XI.  a8. Scriba  ucciso  in  luogo  di  Porsena..  V.  z8> Scuri  , vedi  Fasci. Sedia  Curale.  V.  4^  Coriolano  fa  mettere  a basso  la  sedia eoa  al  venir  della  madre.  Vili.  4^  '' Sempronio  (Q.)  Alratino  console.  VI.  l.  Postumio  dittatore lo  lascia  a presedere  à Roma , !•  Console  per  la  seconda volta.  VII.  20.  Sentenza  sua  su  le  cose  agrarie.  Vili. Sempronio  (A.)  Atratino  interré.  Vili.  E tribuno  militare in  luogo  di  console.  XI.  Ci.  ■ ■ Digitized  by  Google * 5i7 Sempronio  (L.)  Atratino  coniole.  XI.  fìa.' Semprooj , impediscono  la  legge  agraria , e ne  sono  paniti. X.  ^ e seg. Senato,  donde  cos)  detto.  II.  1_Z,  OfBsj  del  Senato,  Pri- vilegi. Romolo  stabilisce  nn  Senato  di  cento.  II. 1-1_.  Vi  si  aggiangnno  altri  cento  dopo  cbe  i Sabini  farono messi  a parte  delle  cose  di  Roma  , ^ Tarqninio  Prisco ne  aggiunge  altri  cento , rendendo  il  Senato  di  trecento. III.  ^ -Strazio  del  Senato  sotto  il  tiranno  Tarquinia.  IV. 4-2,  Dopo  espulsi  i re  si  ascrivono  dei  plebei  nel  Senato per  supplire  i trecento.  V.  il.  Siila  pone  in  Senato  ogni feccia  di  nomini , 2Jz  Senato  era  il  freno  dell*  antorilà consolare.  VII.  55.  II  console  aduna  il  Senato  di  notte.  IX. 65.  XI.  2jk  I Senatori  sono  convocati  ad  uno  ad  ano  in affari  ardui.  Vili.  5,  I tribuni  tentano  convocare  il  Senato sebbene  tal  diritto  fosse  dei  consoli.  X.  3.1  e seg.  I con- soli adunano  in  casa  loro  un  corpo  di  senatori  pi&  scel- ti , 4^  ^ Quali  fossero  f primi  a dire  il  loro  pa- rere in  Senato.  VI.  84^  I censori  esaminano  la  vita  dei Senatori.  IV.  2^, Seaatusconsnlto  avea  forza  per  un  anno.  ^X.  Ricercavasi il  Senatusconsnlto  su  cose  intorno  le  quali  non  vi  era  leg- ge. VII.  I'  tribuni  presentano  alla  pdebe  il  sefatusoon- snlto  scritto  dai  consoli.  XI.  Gj,  La  plebe  approva  il  sena- tnscoosulto.  X.  5^  , » ■ ' Sette  acque , luogo.  LG,  • ' Sette,  pagi.  1 Vejenti  li  consegnano  ai  Romani.  II.  55.  I Ko  • mani  li  rendono  a Porsena.  V.  5G, Sequinio  Albano.  III.  i5. Serg  io  (M.)  Decemviro.  XI.  25, Servii)  trasferiti  da  Alba  a Roma.  III.  2^ Servilio  (C.)  console,  poco  felice  contro  i Volaci.  IX.  iG, Servilio  (P.)  Prisco  console  discorda  da  Claudio  ano  collega VI.  25,  Placa  i poveri,  3G,  Eccita  i plebei  alla  gnerra,  28. Digitized  by  Google UiS Vince  i Voitcì.  VI.  19.  Si  arro(>a  I*  ovasione  eenza  beneplacito del  Senato  a vinca  gli  Aaruaci  ,02.  / Servilio  (P.)  Prisco  console , prossimo  a noprte  convoca  il Senato.  IX.  6'j.  Muore  di  peste,  68.  ' Servilio  (Sp.)  console.  IX.  25.  Più  andace  che  felice  contro gli  Etruschi,  26.  È citalo  al  gìodiaio  del  popolo  appunto per  questo,  28.  E assolalo,  33.  È legato  di  Valerio  nella guerra  co’  Vejenti  e si  distiogoe,  35. Servilio  (Q.)  è fatto  maestro  dei  cavalieri  dal  dittatore  Vale- rio. VI.  4o. Servilio  (Q.)  Prisco,  console.  IX.  5^.  Devasta  la  regione  Sa- bina, ivi.  Q.  ^ervilio  console  per  la  aecouda  volta.  Co. soccorre  i Latini , ivi. Servi  reodoti  liberi  nelle  grandi  urgenze  di  guerra.  VII.  55. Servo  quando  torna  di  suo  diritto.  II.  2^.  Cospiraaione  dei servi  contro  la  fepubblica.  V.  5i. Sestio  (P.)  , console.  X.  5(.  Diviene  Decemviro,  56. Setini  popolo  del  Lazio.  V.  61.  Coriolano  ne  prende  la  loro città  Seizet Sibille  Oracoli.  I.  .{o.  Oracoli  della  Sibilla  Eritrea , 46*  Libri Sibillini  esibiti  a Tarquinio  superbo.  IV.  62.  A chi  dati  in custodia , e quando  consultati  , ivi.  Si  consultano  in  una grande  carestia.  VI.  17.  Como  in  caso  di  segni  portentosi. X.  2.  I libri  Sibillini  si  bruciavo,  e ai  procurane  altre  col- lezioni di  oracoli  e dà  quali  luoghi.  IV.  62.  Privilegi  dei custodi  dei  libri  Sibillìai , ivi. Sicania  fu  detta  un  tempo  la  Trinacria  o Sicilia  dai  Sicani , popolo  delle  Spagne.  I.  i3. Siccio  (L.)  Dentato  : sue  parole  al  popolo  per  la  legge  agra- ria. X.  5u.  Propone  consigli  più  miti  di  altri  , 4-*  Siegue i consoli  in  guerra  , ma  si  scusa  dall*  adempirne  certi  co- niaudt  , 4S-  Come  si  vendicasse  dei  consoli,  46  e seg.  PI fatto  tribuno  , 47*  Accusa  Romilie  console  al  popolo,  48. Si  riconcilia  con  Romilio , $2.  E ncciao  per  la  perfidia  dei Digilized  by  Google 5i9 Decemviri.  XI.  36.  L*  eeercito  gli  fa  iplendidi  fanarali,  2']. Da  alcaiii  è chiamalo  L.  Sicioio  Dentato, Siccio  (T.)  console  vince  i Yolsci.  Vili.  67.  Ife  triooEa,  ivL T.  Siccio  legato  saggcrisce  a Fabin  come  riprendere  gK  ac- campamenti , 68.  Ottiene  i premj  delia  eoa  prodeiaa , ivi. Sicilia  fu  detta  dai  Siedi , popolo  italiano , quella  che  un tempo  ai  chiamava  Sicania  o Trinacria.  I.  i5.  Roma  ipe- disCR  in  Sicilia  a provvedere  i grani.  VII.  1.  La  Sicilia  ai ribella  ai  RomanL  IL  17. Sicinio  (C.)  Bellbto  nomo  sedizioso  prooora  di  sollevare  ì soldati  plebei.  VI.  VII,  33.  Son  risposte  ai  legati  dai consoli.  VI.  45.  Aduna  la  plebe  nel  i.ionte  sagro  e permette che  i legati  del  Senato  vi  parlino , e fa  che  i plebei  rispon- dano. VI.  71  , 72.  E creato  tribuno  dai  plebei,  8q.  E tri- bnno  per  la  seconda  volta.  VII.  33.  Sue  invettive  contro Goriolano  , 3{.  Cita  Goriolano  al  popolo,  38.  Fa  che  il popolo  ne  sentenzi  ,61. Sicoli , qnal  gente  fossero  d’ Italia  , e dove  abitassero.  II.  i . Italiani  nominati  Sieoli  da  Sioolo  re.  I.  4-  Un  tempo  abi- tarono Roma,  I.  Ne  sono  cacciati  dagli  Aborigeni  e dai Pelaighi , ivi.  Passano  dall’Italia  nella  Sicania , i3.  Legati Sicoli  assaliti  dagli  Anziati.  VII.  37.  Vestigi  de’  Sieoli  in Italia.  II.  I. Sicolo  figlio  d’italo  porta  nna  oolooia*di  làgqri  nell’Italia.  I. i3.  Sicolo  re  di  Ausonia,  ivi.  Siedo  prologo  da  Roma viene  a Morgete  , 64. Signia , colonia  di  Tarquinio.  IV.  63.  Sesto  Tarqninio  tenta invano  di  prenderla.  V.  58. Silvio  figlio  postumo  di  Enea  cosi  denominato  dalle  selve.  I. Gl.  Ebbe  il  regno  de' Latini  dopo  la  morte  di  Ascanio,  ivi. Da  lui  furono  Silvj  denominati  tutti  i re  di  A^ba , ivi. Soci  del  popolo  Romano  dovevano  mandargli  de’  sossidj  nella guerra.  X.  2i.  Leggi  date  ai  Latini  circa  i sussid;.  VITI. i3.  E Su  racquieto  de’ nnovi  campi,  74. Digitir.rd  by  Googli 520 Sole , ano  (empio.  II.  5o.  Fonte  dèi  aole.  I.  46. Sparla , Spartani.  Vedi  Lacedemoni. Spineto  j bocca  del  Po.  I.  io. Spoglie.  Vedi  Prede. Sterile,  moglie  ripudiata.  IL  25. Sobarrana^  tribb.  IV.  i4.  ' • Sneasa  Fomexia^  cittì  rignarderole dei  Volaci.  VI.  2^  Tarqni- nio  àoperbo  la  espagna.  FV.  5o.  Servilio  la  prende.  VI.  2g. Abbondansa  della  ana  preda  , I Soeaaani  profoghi  ec- citano i Cab)  a far  guerra  a Tarqniuio.  IV.  53.  ' - Suffragi.  Vedi  Ceiftiz/. Solpizio  (Q.)  Camerino  oonaole.  VII.  68. Sitlpiiio  (Q.)  Uno  dei  legati  apediti  a Coriolano.  Vili.  32. Sulpiiio  (Ser.)  Camerino  coniole.  V.  52.  Sua  prndeoxa  nello acoprir  la  congiura , 53.''  Dopo  la  morte  del  collega  egli prosiegue  aolo  a reggere  il  consolato,  5^. Sulpizio  (Ser.)  Camerino  console.  X.  i.  Ser.  Solpixio  mau- dato  per  le  leggi  in  Grecia  j Sz.  È creato  Decemriroj  56. Sona  Soana,  paeae  degli  Aborigeni.  I.  6. * J T Tanaqnilla  moglie  di  Tarqnìnio  Prisco  perita  degli  augurj  e d*  interpretare  i segni  portentosi.  III.  4’}-  IV.  2.  Sua  pru- densa.  IV.  4-  Sno  - favore  per- Servio  Tullio,  ivi.  Se  Tana- qoilla  seppellisse  Arnnte  figlio  di  Tarquiaio.  IV.  3o. Tareolini , sconsigliano  i Napoletani  dall*  amiciaia  de’  Romani. Tomo  III.  Legaùom.  , Tarpeja  , suo  tradimento,  morte  e sepoltura.  II.  38  e vg. Tarpeo  , colle',  poi  detto  Capitolino  e perchè.  III.  6g.  Tarpea, rupe-,  aoprastava  al  Foro,  e vi  ai  precipitavano  i rei.  Vili. 98.  IX.  4a. Tarpejo  (Spnr.)  console.  X.  48. Tarquinj  , cittì  ricca  di  Etmria.  III.  46. Tarqninieai  cospirano  co'  Vejenli  contro  i Romani.  IV.  zj. Digitized  by  Googic Ss  I Intercedono  per  Tarqoinio  supèrbo.  Y.  ^ procurano colle  armi  il  ritorno  in  Roma  , Tarqnioio  Arante,  è messo  dittatore  in  Collazia  donde  prende il  nome  di  Gollatino  , esso  e snoi  discendenti.  III.  So. Tarqninio  Arante  , fratello  minore  di  Tarqniiiio  superbo  prende per  moglie  Tnllia.  IV E fatto  re  , 4^  Da  questo  § fino  al  termine  del  lib.  Ili  si narrano  le  imprese  di  Tarqninio  re , e la  morte  in  fine. Tarquinio  (L.)  superbo,  prende  in  moglie  la* figlia  maggiore di  Servio  Tullio.  IV.  Le  òk  la  morte,  e prende  la minore , Come , e quando  s*  impadronisse  del  regno  e perchè  fu  chiamato  snperbo,  4Ai  Da'  questo  § fino  al  ter- mine del  lib.  IV  si  espongono  le  'sue  azioni  fino,  alla  per- dita del  regno.  Esule  tenta  più  volte  di  ricuperare  il  trono. V.  ^ Porsene  si  distacca  da  lui , Tarquinio  incita*  gli Etruschi  contra  i Romani  , 5i  , 6i.  Procura  sedizioni in  Roma,  S3,  Quanto  tempo  regnò.  L OS,  Muore  in  Coma. VI.  ai, Tarqnioio  (L.)  Collatino  torna  dal  campo  in  casa.  IV.  Gj.  La ritrova  piena  di  lotto , ivi.  E destinato  e fatto  console  insie- me con  Bruto  , , 8i.  Rinunzia  il  consolato  e-  si  ritira  a Lavinia.  V.  LI,  Ove  muore.  Vili.  4^ Tarquinio  (L.)  maestro  de*  cavalieri  sotto.  T.  Qainzio  Ditta- tore. X.  2^. Digitized  by  Google r 9 5 Tarquiaio  (P.)  e Marno  di  Laurealo  rivebno  una  coapirazio- nr,  V.  5^  Premio  dato  loro , 5^ Tarqoiiiio  Sesto  Gglio  del  superbo  : suo  messaggio  al  padre da  Gabio.  IV.  ^ £ creato  Re  di  Gabio  , Violenta Lucrezia , ^ Esule  fa  guerra  par  il  padre.  V.  aa  , afL  É creato  capitano  dei  Sabini , Manda  sussidi  ai  Fideoati assediati,  5S.  E capitano  dei  Latini  contro  dei  Romani ^ (Ll, E ucciso.  VI.  L2. Tarquinio  (T.)  figlio  del  superbo  porta  una  colonia  in  Si- gnia.  IV.  Egli  a Sesto  fan  guerra  per  il  padre.  V.  aa^ a6.  È ferito.  V.  1 1. Tarquinia  moglie  di  Ser.  Tullio  muore  d’improvriso.  IV.  4^ Strangolala  da  Tarquinio  superbo  , Tazio  (T.)  re  di  Curi  e duce  de*  Sabini  contro  i Romani. II.  2ÌL  Fatta  la  pace  si  fissa  in  Roma  , e regna eoo  Romolu  , ho.'  Erige  altari  a più  Dei  , ivi.  Muore , 5l. Telefono  figlio  di  Circe  e di  Ulisae.  IV.  4ì_- Tellene  città  del  Lasio.  III.  V.  Qì.  Chi  ne  fosse  l’ autore. L & Anco  Marsio  la  espugna  e ne  porta  in  Roma  i cit- tadini. III.  !>& Tiirsosio  (C.)  tribnno  della  plebe  primo  tenta  introdnrre  leggi e diritti  nella  repobblioa.  X.  La  , Terenzio  Varrone,  che  dica  su  i Sacerdoti  istitnili  da  Romolo. 11.1  2±,  So  la  origine  del  nomo  delle  Curie , 4^ oracoli  Sibillini.  IV,  fil, Tebaoi  tolgono  l'impero  agli  Spartani.  Proemio,  ^ Sono  sol* touessi.  II.  l 'j. Temistocle  Arconte  di  Atene.  VI.  54» Teologia  dei  Romani  migliore  di' quella  de*  Greci.  II. Termenio  Cossia  Aterio  console.  X.  4d. Termini  Dii  , loro  sagrifisi  e festa.  IL Testrina  o Testrnna,  paese  Sabino.  II. Tenero  Re  della  Teucri.!  o Troade  nella  Frigia.  L ^ Tevere,  passa  vicino  a Fidcne.  11.  hh,  Cliiamavati  Albula  e Digitized  by  Google 5a3 prette  altro  nome  ila  Tiberino  Re  orlak>  dalla  corrente  di  esao.  L Gz. Tibnrtini , popolo  del  Laaio»  V.  4i-  Loro  fondatori.  L 8* Timeo  Siculo,  storico  non  affatto  diligente,  eioccbè  scrive  sa gli  Dei  Penati.  L Gfi.  E sa  1*  epoca  della  fondasiona  di  Ro« ma  , (15. Tiora,  paese  degli  Aborigeni.  L 6. Tisicrate  Grotooiate  vince  nello  stadio.  V.  VI.  43* Tisio  (Ses.)  tribuno  della  plebe.  IX.  Cg. Toga , soB  forma.  III.  Gì.  Intessnta  di  oro.'  V.  4^! Tolerini  espugnati  a farsa  da  Coriolano.  Vili, Tuoni  e lampi  spaventevoli  dissnadono  Valerio  il  console  dal> r assalire  il  campo  degli  Equi.  IX.  55. Trabea,  o Tibeuna.  VI.  i5. Trebnia  paese  degli  Aborigeni.  L IL Triarj , quali  soldati.  V.  lL  Vili.  SG, Tribuni,  prefetti  delle  trib&.  II. Tribuni  dei  Celeri  e loro  ofGsj.  II.  64^ Tribuni  dèi  soldati , venti  creati  nel  ritirarsi  le  armate  dai Decemviri.  XI.  4i^ Tribuni  militari  destinati  in  luogo  dei  consoli.  XI.  6t.  Depon- gono  il  tribunato  militare  dopo  acttanlatri  giorni  , Ga, Tribuni  della  plebe  quando  creati  e quanti.  VI.  8 aegneiize  , ^ Si  arrogano  Tarbitrio  di  accnaare  qaalnnqne patrizio,  5g.  Nel  caso  di  Coriolanoj  ivi.  Cominciano  a ci- tare al  popolo  qnalanqne  cittadino  « Si  oppongono  a Cassio  per  la  legge  Agraria.  Vili,  Si  oppongono  alla leva  de*  soldati,  87.  Impediscono  col  loro  potere  i comizj , 90.  Nella  penuria  de*  viveri  incitano  la  plebe  contro  i Con- soli. IX.  Chiamano  al  gindisio  del  popolo  i già  consoli perchè  diano  conto  del  loro  consolato  , ^ , 28.  Restano pel  secondo  anno  nelle  cariche  loro  , Sforzi  loro  per- chè 8*  imprigioni  nn  console ,'  48^  Insistono  sn  la  formazione delle  leggi.  X.'l.  Sono  chiamati  in  Senato  a consnltarvi  sa la  salute  pubblica , 2.,  Cacciano  con  finti  delitti  Quinzio Cesene  da  Roma.  X.  8.  Restano  pel  terzo  anno  nella  loro carica,  ^ E per  il  quarto , 21,  Confermati  per  nn  qninto anno  impediscono  la  leva  innanzi  che  il  Senato  decreti  per la  formazion  delle  leggi , 28,  Tentano  di  convocare  il  Se- nato , il  che  aspettava  ai  consoli,  3i.  Il  Senato  conceda che  L tribuni  siano  dieci  in  luogo  di  cinque  , 3^  Gitano al  popolo  i consoli  i quali  non  ubbidiscono  , ^ Sono  im- pediti nella  legge  agraria , 4i  ° *eg>  La  peste  ne  uccida quattro , 88,  Cessano  col  crearsi  dei  Decemviri , 4^  Vedi Decemviri.  Ristabiliti  si  vendicano  dei  Decemviri.  XI.  46. Istigano  di  nuovo  la  plebe  contro  i patrizj , Pretendono che  anche  i plebei  possano  chiedere  il  consolato,  82,  Cac- ciati da  Roma  vanno  a Cesare  nelle  Gallie.  Vili.  87. Tribè,  Romolo  ne  forma  tre,  -divise  in  dieci  curie.  II.   25.  Anco  Marsio  li  vince,  ^i.  Come  poro Tarquioio  Prisco,  58.  E Servio  Tullio.  IV.  2>].  Teotaoo riportare  al  trono  i Tarquinj.  V.  i4>  Sono  «ioti  dai  Ro- mani, i5.  Cornelio  accorda  loro  la  tregua.  Vili.  82.  Sac- cheggiano il  territorio  di  Roma  e ne  sono  repressi,  Qi. Cercano  il  soccorso  degli  Etruschi  contro  i Romani.  IX. 1,5.  Assalgono  i Romani  dipersi , 19.  Scorrono  frao  al Gianoioolo , ivi.  Implorano  soccorso  dagli  Etruschi  contro i Romani , 16.  Appoggiati  all*  aiolo  degli  Etruschi  e dei Sabini  riprendono  di  nuovo  le  armi  contro  i Romani , 34. Ottengono  una  tregua  di  aoni  quaranta  , 3G.  Si  acuingono a ribellarsL  XI.  54. Velia  Inogo  di  Roma.  I.  11.  V.  ig. Vellelri  , città  dei  Volaci  si  rende  ad  Anco  Marno.  III.  ^2. E presa  da  Verginio  console.  VI.  ^2.  Rifinita    popolo dalla  peste,  chiama  dei  coloni  da  Roma.  VII.  iz. Vesbola  o Suessola  paese  degli  Aborigeni.  1.  6. Vesta  è la  terra.  II.  GG.  Perchè  siale  consagrato  il  fuoco  : e a chi  siano  note  le  cote  sacre  di  essa  , ivi.  Tempio  di  Ve- sta , So.  Da  chi  prima  fosso  fabbricato  e dove,  65.  Perchè vi  si  onstodisse  il  fnooo  e dalle  Vergini,  GG.  Nel  tempio non  potevano  pernottare  de’ maschi,  G^j.  Fonte  al  tempio di  Vesta.  VI.  i3. Vestali  , vergini  nobilissime.  I.  Gl.  Da  obi  foMero  prima  isti- tuite. II.  G5.  Quante  ne  stabilisse  Niima  , e qnaute  gli  altri Re , G7.  Tarquiuio  Prisco  ne  aggiunte  due.  III.  G’;.  Of- fiij  loro.  II.  6G.  Quanto  tempo  dovessero  conservare  la  ver- Digilized  by  Googk 5i’j ginilil.  I.  C8>  IL  67.  Dopo  qnetto  tempo  poteaoo  maritarti. IL  67*  Onori  delle  Vestali , ivi.  Loro  gastigo  se  lasciavano eorromperai.  L C^.  IL  C7.  III.  G7.  Veatale  convinta  di etupro  aottoposta  a pene  solenni.  IX.  4*  Vili.  8g.  Suppli- xio  dei  corruttori  delle  Vestali.  Vili.  89,  IX.  4** Vetoria,  madre  di  Corlolano.  Vedi  Coriolano> Vetnrio  (G.)  console.  X.  $2. Vetnrio  (P.)  console.  V.58- Veturio  (T.)  Gemino  console.  VI.  3i.  IX.  69.  Marcia  contro i Volaci.  IX.  G9.  Ne  trionfa:  ne  ottiene  la  ovaiione  , 71. E fatto  Decemviro.  X.  67. Virginio  (A.)  Mentano  console.  VI.  3(.  Va  oontro  i Volaci, Va  Legato  alla  plebe  profuga  , G9. Virginio  (A.)  oonsole.  IX.  i5. Virginio  ^A)  Celimontano  console.  IX.  5G.  1 Virginio  (A.)  triumviro.  IX.  Sq. Virginio  (A.)  tribuno  della  plebe.  X.  S e seg. Virginio  (Op.)  Tricosto  console.  V.  /(g.  ' Virginio  Poolo  console.  Vili.  58,  71. Virginio  (Sp.)  console.  X.  3i.  ^ Virginio  (T.)  console.  VI.  J. Volsci  , sono  ridotti  in- dovere  da  Anco  Marsio.  III.  4i.  Do* città  dei  Volaci  ai  coliegano  con  Tarqninio  superbo.  IV.  .49. Il  quale  infetta  il  terrtìorio  delle  altre,  52.  Mandano  am- basciatori a Gabio  perchè  voglia  far  guerra  con  essi  a Tar- qninio , 53.  1 Volaci  ricusano  socoorrere  i Roiiani  contro  i Latini.  V.  4 A.nsi  apparecchia  osi  a soccorrere  i Ladini  eon- tro  i Romani.  VI.  5.  Giungono  in  soccorso  dei  Latini  dopo la  battaglia , i Mandano  ambasciatori  al  campo  Romano per  esplorarlo,  i5.  SI  nmiliaoo  e tornano  a ribellarsi,  25. Servilio  li  debella,  29.  In  pena  ne  sono  uccisi  in  Roma  gli ostaggi , 3o.  Servilio  ne  trionfa  contro  il  voto  del  Senato , ivi.  Mandano  legati  in  Roma  a richiedere  ciocché  era  stato tolto  loro,  3{.  Sono  costretti  a ricevere  i coloni  Romani, Dkjiii^tid  by  Google 528 VI.  43  e s«g.  Dopo  la  goerra  Latina  i primi  fomentano  la bellione  dai  Romani,  >}C.  Poatomio  Gominio  li  debella,  91. In  tempo  di  fame  macchinano  contro  i Romani , ma  la  pe- ate li  raffrena.  VII.  13.  Volaci  comandati  ohe  cacano  da Roma  tatti  per  nna  porta.  Vili.  4-  Ridomandano  per  meazo di  legati  le  loro  cose  ai  Romani , q.  Intimano  gnerra  ai Romani  e creano  capitano  Coriolano  , ii.  Il  quale  gli  ac- costuma alla  disciplina  militare  dei  Romani , Marciano con  gli  Equi  contro  i Romani  , e si  attaccano  fra  loro,  G3. Chiedono  pace  dai  Romani,  68.  Q.  Fabio  li  vince , 9i.  Si confederano  di  onovo  con  gli  Eqni  contro  i Romani.  IX. iC.  Resistono  bravamente  a Serrilio  console  , ivi.  Nansio console  devasta  le  loro  campagne,  35.  Sono  presi  i loro accampamenti , 58.  In  tempo  di  peste  cospirano  con  gli Equi  contro  i Romani,  6'].  Sono  respinti,  70.  Valerio  li sbaraglia.  XI.  47* Volscio  (M.)  tribuno  della  plebe.  X.  7. Voinnnia  moglie  di  Coriolano.  Vili.  io.  Come  ricevuta  da Coriolano , i5. Volnnnio  (P.)  console.  X.  i. INDICE Delle  Tavole  a Carte  contenute  nelli  tre  dolami  delle  Antichità Romane  -dX  Dionigi  di  AUearnasso. Tom.  I.  Ritratto  dell'Autore in  principio » » Carla  delli  Antichi  Contorni  di  Roma  . . . n ivi n li.  La  Porca  00'  3o  porcelli;  e la  Lupa  del  Campidoglio  o ivi » n Carla  topografica  dell’antica  Rmna  . . . . n ivi M n Ritratta  di  Giunto  Bruto  ....  ...»  89 » 111.  Tav.  1.  eli.  Tempia  di  Giano  e sne  vetligia. FINE. Marco Mastrofini. Mastrofini. Keywords: implicature, Delle cose romane di Floro, l’antichita romane di Dionigio, le cose memorabilia di Ampelio, il sistema verbale della lingua Latina – del verbo latino, aspetto verbale – la filosofia del verbo – tempus, azione, la concettualizazione dell’evento e l’azione nel verbo latino --, categorie sintattiche e morfologiche e semantiche e prammatiche dell’aspetto verbale nella lingua Latina. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mastrofini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Masullo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e la scissione dell’inter-soggetivo – i lottatori della tribuna – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Avellino). Filosofo italiano. Avellino, Campnia.  Insegna a Napoli.  Ha trascorso vari periodi di ricerca e di insegnamento in Germania. Direttore del Dipartimento di Filosofia dell'Napoli.  È stato socio dell'Accademia Pontaniana, della Società Nazionale di Scienze Lettere ed Arti di Napoli e dell'Accademia Pugliese delle Scienze.  È stato insignito della medaglia d'oro del Ministero per la Pubblica Istruzione.  Candidato nelle liste del Partito Comunista Italiano prima e in quelle dei Democratici di Sinistra poi, ha ricoperto la carica di Deputato, è stato Senatore della Repubblica. Trascorre i primi anni della sua vita a Torino. Si trasferisce a a Nola, dove compie gli studi superiori frequentando il liceo classico Carducci. Fequenta il corso di laurea in Filosofia a Napoli. Si laurea con Nobile discutendo una tesi su Benda. Napoli era dominata prevalentemente da Croce; esistevano comunque altri personaggi capaci di una riflessione autonoma e originale come fu Aliotta che con il suo sperimentalismo offrì importanti stimoli a M.. Studia l'esistenzialismo che andava diffondendosi in Italia. Assistente volontario alle cattedre di filosofia e tiene seminari per Nobile, Aliotta, e Valle. Compie la sua formazione filosofica a Napoli soprattutto con Carbonara. Carbonara era impegnato attraverso i suoi studi di estetica a ripensare l'attualismo gentiliano. La sua posizione prende il nome di materialismo critico. Attraverso il confronto con Carbonara, M. si addestra al rigore concettuale e inizia ad elaborare una propria posizione originale.  Nella formazione e nella costruzione della prospettiva filosofica di Masullo si combinano diverse componenti. Il neoidealismo, crociano e gentiliano, lo sperimentalismo d’Aliotta, e, tra idealismo e materialismo, il materialismo critico di Cleto Carbonara.  M. però, mosso dalle proprie inquietudini e dalle impressioni suscitate dai tragici eventi bellici, studia anche l'esistenzialismo e lo spiritualismo. Infine il bisogno di comprendere l'uomo concreto e le sue reali tribolazioni lo conducono ad avvicinarsi alla fenomenologia.  Il soggiorno di studio a Friburgo gli consente di approfondire lo studio della fenomenologia e di conoscere Weizsäcker, il quale aveva introdotto nel filosofese il concetto di “patico.” (cf. anti-patico, sim-patico, em-patico). Esistenzialismo, spiritualismo, idealismo e fenomenologia sono correnti di pensiero variamente intrecciate tra di loro. Ciò che attraversa trasversalmente questi movimenti di pensiero è la radicale problematizzazione del rapporto tra pensiero e vita, tra il pensiero e il suo negativo, ciò che pensiero non è.  Il pensiero Intuizione e discorso è un testo in cui, avvalendosi degli stimoli che provenivano dalla epistemologia, M. si confronta con l'idealismo attualistico e storicistico per riflettere sul carattere “difettivo” della coscienza e sul suo rapporto con la conoscenza.  M. in Intuizione e discorso sostiene che i poli del fatto e dell'idea, del senso e della coscienza, della vita e delle forme dello spirito sono legati da un vincolo dialettico. Voler ridurre l'uno all'altro conduce ad un idealismo soggettivistico o ad un empirismo cieco alle dimensioni dello spirito. Bisogna comprendere le modalità del vincolo che lega spirito e corpo. Il pensiero che voglia essere critico, cioè che non voglia ingannarsi, deve riconoscere che esso si fonda su processi biologici e fisiologici che gli sono irriducibili. M. approfondisce in Germania lo studio della fenomenologia, ancora poco diffusa in Italia. A Friburgo frequenta i circoli husserliani capeggiati dall'allievo di Husserl Fink e conosce Weizsacker del quale M. svilupperà il concetto di "patico". M. stesso, tornato in Italia, traduce e commenta alcuni testi di Husserl in un piccolo libriccino ormai introvabile -- Logica, psicologia, filosofia. Un'introduzione alla fenomenologia, Napoli, Il Tripode -- il cui contenuto in parte è poi confluito nel successivo truttura, soggetto, prassi.  M. considera Husserl un grande esploratore della coscienza. Husserl cerca di dare un fondamento filosofico alle scienze positive indagando il modo in cui la coscienza costituisce il mondo che la scienza prende ad oggetto delle proprie particolari ricerche. Masullo però, elaborando gli stimoli dell'antropologia medica di Weizsacker, lavora al passaggio dalla fenomenologia alla patosofia.  Struttura, soggetto, prassi è il testo che documenta il rinnovamento della ricerca di Masullo. Fa riferimento alle scienze positive per mostrare che la coscienza è qualcosa di vivo e concreto e non è «intellettualisticamente sofisticata», trasparente a sé stessa, come vorrebbero le filosofie speculative le quali riducono la vita psichica alla vita cosciente e non tengono conto o minimizzano il peso della dimensione psichica inconscia, svalutata come qualcosa di filosoficamente irrilevante.  S. Non è possibile una conoscenza diretta, per introspezione/riflessionecome vorrebbero le filosofie speculativedi ciò che pensiero non è. Il pensiero come esperienza intersoggettiva, sociale (lo Spirito, il Soggetto) può conoscere i suoi prodotti, i pensieri, il pensato, ma non può conoscersi come processo, esperienza del pensare, atto, tempo, «paticità» (cioè il pensare come esperienza soggettiva, esistenza). D'altronde il pensiero come processo non può essere conosciuto neanche per inferenza da parte delle scienze positivo-sperimentali. Queste possono misurare i processi, ma non possono misurarne i vissuti.  Lo scacco, il limite della conoscenza è l'apertura alla prassi e all'etica: riconoscere il nesso operativo tra senso e significato, crisi e ordine, «patico» e cognitivo, corpo e mente. Analizza i grandi modelli idealistici e fenomenologici della soggettività. In particolare, seguendo un'indicazione di Fichte, sviluppa la tesi secondo la quale il fondamento dell'uomo, cioè la condizione per la quale l'uomo assume i caratteri della soggettività (libertà, storia, ricerca, progetto, autodeterminazione) è l'intersoggettività. Di questo fondamento Masullo analizza le modalità di funzionamento.  M., con i suoi studi sulla «intersoggettività» e il «fondamento» degli anni sessanta e settanta (Lezioni sull'intersoggettività. Fichte e Husserl, Napoli, Libreria Scientifica Editrice,  La storia e la morte, Napoli, Libreria Scientifica, La comunità come fondamento. Fichte, Husserl, Sartre, Napoli, Libreria Scientifica; Il senso del fondamento, Napoli, Libreria Scientifica Editrice, Antimetafisica del fondamento, Napoli, Guida), analizza le «operazioni nascoste» in base alle quali si costituisce l'io e in base alle quali si costituisce l'oggettività del mondo e individua nella originaria struttura intersoggettiva il fondamento del mondo umano. Il fondamento è la comunità, ma essa funzionalmente rimane nascosta all'io per permettergli di istituirsi ed operare, come ben spiega nell'importante saggio Il fondamento perduto, in cui rielabora e sviluppa spunti presenti negli ultimi capitoli di Il senso del fondamento  e raccoglie in modo compiuto i risultati teoretici di due decenni di ricerche intorno al tema della comunità-intersoggettività come fondamento. M. pubblica inoltre il testo Fichte. “L'intersoggettività e l'originario” in cui riprende e aggiorna il saggio su Fichte contenuto in La comunità come fondamento. Fichte, Husserl, Sartre. Pubblica Metafisica. Storia di un'idea. Il capitolo finale, Il sentimento metafisico, è l'indicazione del passaggio a una nuova fase del pensiero di M., una fase in cui il tema dell'intersoggettività lascia il posto alla esplorazione delle dimensioni del vissuto del soggetto, quindi lascia il posto ai temi della paticità, del senso, del tempo.  In effetti anche i suoi corsi universitari di quegli anni rivelano questo momento di transizione. Si dedicati al tema dell'inter-soggettività ma vengono trattati anche i temi caratteristici della seconda stagione della sua riflessione. Tratta della “difettività del soggetto”; nel corso invece si occupa di “comprensione del tempo e interpretazione morale, definitivamente centrati su “i patemi della ragione e l'inter-esse etico.”  Nei studi su «tempo», «senso», «paticità» (Filosofie del soggetto e diritto del senso, Genova, Marietti, “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza, Roma, Donzelli, “Paticità e indifferenza” (Genova, Melangolo). Sostiene che il pensiero critico, nella sua incapacità di pensare il passaggio, il processo, la trasformazione, il cambiamento (sustenuto in La problematica del continuo in Aristotele e Zenone di Elea, seppure solo sul piano logico) è incapace anche di pensare la soggettività la quale è una forma particolare di cambiamento, è tempo, prodursi delle differenze all'interno di un campo strutturato, fortemente centralizzato, l'organismo umano, portatore della coscienza di sé.  In questi studi degli anni ottanta e novanta Masullo considera le modalità affettive e psicobiologiche dell'esser soggetto. In “Filosofie del soggetto e diritto del senso” Masullo si confronta con Kant, Hegel, Dilthey, Heidegger e Merleau-Ponty, i quali storicamente hanno posto il tema della soggettività non riconoscendo però la differenza tra «significato» e «senso». M. rivendica il «diritto del senso» ad essere riconosciuto nella sua radicale e irriducibile diversità dal significato. Molto più rilevante nella costruzione della sua prospettiva filosofica è invece il saggio intitolato Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza, nel quale M. illustra la sua concezione della frammentazione della soggettività a partire da alcune considerazioni sui concetti di esperienza e di tempo. I lessici delle lingue europee antiche e moderne consentono di distinguere la dimensione orizzontale dell'esperienza propriamente detta (έμττεŀρία, experientia, Erfahrung) la quale ha un carattere prevalentemente cognitivo rispetto alla dimensione verticale dell'esperienza meno propriamente detta (πάθος, affectio, Erlebnis), cioè il vissuto, il quale ha invece un carattere affettivo anziché cognitivo. Da una parte abbiamo il giudizio su ciò che abbiamo provato, dall'altra abbiamo il provare come avvertimento immediato dell'accadermi di qualcosa.  Ciò introduce a un'ulteriore precisazione filologica che riguarda la differenza tra il cambiamento e il tempo. Il tempo non è il cambiamento. Il cambiamento è il continuo prodursi delle differenze nell'organizzazione delle forme della vita. Il tempo è l'avvertimento interiore di questo cambiamento, cioè l'avvertimento di sé attraverso il cambiamento.  L'uomo, a differenza degli altri viventi, è intrinsecamente tempo. Egli istituisce il tempo nel senso che mette in relazione i cambiamenti a dei sistemi oggettivi di riferimento, ma ancor più radicalmente l'uomo è tempo in quanto avverte i cambiamenti del mondo esterno solo in relazione al proprio modificarsi. Questo avvertimento, il «senso», è l'indice della soggettività. L'avvertimento della perdita, il senso del cambiamento, in una parola il tempo, accende l'allucinazione del sé, scatena il desiderio di permanenza.  Parallelamente alla esplorazione della soggettività, in Il tempo e la grazia M. segue gli sviluppi di un'emergente epistemologia caratterizzata anch'essa dalla contingenza e irreversibilità del tempo fisico così come la cosmogenetica ce lo illustra. Il versante umanistico e quello scientifico convergono nel disegnare un'antropologia la cui etica non è più la moderna e rassicurante etica reattiva che salva la società con le sue formulazioni sull'ordine del mondo.  L'etica che M. vede in prospettiva scaturire da questo nuovo contesto è un'etica attiva che salva il tempo, cioè il soggetto, dal vivere la perdita prodotta dal cambiamento come «disgrazia», mutilazione. La perdita è un momento necessario nella vita di un essere, l'umano, che non semplicemente cambia, ma si rinnova e costruisce intenzionalmente il proprio futuro.  Una volta riconosciuto il diritto del senso ad essere inteso nella sua irriducibilità al cognitive;  una volta esplorato il campo del senso-tempo-patico alla luce della psicanalisi, della letteratura e della filologia; una volta riconosciute le epocali trasformazioni degli scenari epistemologici, antropologici ed etici, M. in Paticità e indifferenza, si chiede quale può essere ancora, in questo nuovo contesto, il ruolo della filosofia. La filosofia è «saper assaporare i sapori della vita, gustare a fondo i sensi vissuti, … elevare i sensi sensibili a sensi ideali e cogliere nei sensi ideali la possibilità dei sensibili, è la “sapienza del patico” ovvero, se si ricalca interamente l'etimo greco, è la “patosofia”».  Da un pensiero così articolato derivano alcune indicazioni e cautele etico-pedagogiche. Essendo l'uomo intrinsecamente temporale, essendo la temporalità umana irreversibile, l'uomo non può essere fatto oggetto di conoscenza come un qualsiasi ente. M. distingue la conoscenza dalla cura. Egli inoltre distingue le esperienze (che sono comunicabili e sono i materiali sui quali si costruisce la conoscenza) dai vissuti (che sono invece costitutivamente «incomunicativi» in quanto riguardano l'immediatezza del sentire individuale che non è mai trasparente neanche all'individuo stesso che li vive). La conoscenza è la dimensione orizzontale dell'esistenza. Essa guarda alla universalità. Mentre la cura ne è la dimensione verticale. Essa invece guarda alla unicità-identità, ai vissuti da assaporare e da sublimare in valori da condividere.  Mentre la ricerca di Masullo prosegue in questi anni curvando verso nuove direzioni, pubblica alcuni nuovi libri. Sscrive Filosofia morale per una collana di libri che illustrano ciascuno il nucleo delle varie discipline filosofiche. In effetti Filosofia morale non è un elenco di temi, personaggi, concetti ma un percorso molto personale all'interno delle questioni e dei nodi fondanti della disciplina: la specificità della filosofia morale e la distinzione tra morale ed etica; il bene quale orientamento dell'azione umana; il soggetto della vita morale, la persona; il dovere, la responsabilità e il vincolo che ci lega agli altri. Scrive, intervistato dal giornalista de Il Mattino, Scamardella, Napoli siccome immobile. Scamardella, in uno degli ennesimi momenti difficili per la città di Napoli, cerca la figura di un saggio, di un'autorità morale capace di interpretare il presente e prefigurare il futuro di questa città malata. Trova questa figura in M., filosofo ma anche protagonista della vita civile e politica della città con concrete iniziative quali, nel 2006, gli incontri con i giovani e la popolazione nell'ambito del “Manifesto per salvare Napoli”. Il libro è un lungo dialogo sulle tante debolezze della città presente che si conclude con un'analisi delle risorse che danno speranza nel futuro.  M. pubblica La libertà e le occasioni, che sviluppa il tema del suo ultimo seminario all'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici di Napoli.  L'impegno politico Negli anni sessanta e settanta la contestazione studentesca segnalava il bisogno di rinnovamento dell'università italiana. M., per i caratteri originali del proprio insegnamento, è considerato dagli studenti uno dei professori progressisti. Egli in quegli anni fu eletto deputato come indipendente nelle liste del Partito Comunista Italiano, ed in seguito  come senatore, si occupò sempre dei problemi del sistema scolastico. Inoltre come parlamentare europeo lavorò al fianco di Nilde Iotti nella Commissione legale.  All'inizio degli anni ottanta alcuni importanti provvedimenti modificano l'organizzazione didattica e gestionale dell'università (vengono istituiti i dottorati di ricerca, riordinate le scuole di specializzazione, creati i Dipartimenti). Terminato l'impegno parlamentare Masullo dirige per due mandati il nuovo Dipartimento di Studi Filosofici dell'Napoli intitolato ad Aliotta. Anche attraverso questo incarico egli incide sulle direzioni della ricerca filosofica a Napoli.  M.  si mette di nuovo al servizio della politica quando dopo la crisi politica e sociale degli anni ottanta, agli inizi degli anni novanta si verifica un generale risveglio della coscienza collettiva. A livello locale egli dapprima anima per oltre un anno, ale “Assise di Palazzo Marigliano”, un movimento che si opponeva al progetto NeoNapoli previsto dal preliminare di Piano Regolatore.l, del quale ottenne il rigetto, suggerendo la demolizione e il rifacimento integrale dei Quartieri Spagnoli. Forte della popolarità acquistata con questa esperienza è capolista del PDS nelle elezioni amministrative e poi, protagonista a Napoli della innovativa esperienza della "giunta del sindaco".  A livello di politica nazionale M. è di nuovo impegnato per due legislature al Senato. Egli è membro della Commissione di vigilanza dei servizi radiotelevisivi e, come negli anni settanta, della Commissione per l'istruzione pubblica e i beni culturali in anni nei quali i provvedimenti relativi a istruzione, università e ricerca sono numerosi e importanti. Amante dei libri e della cultura dei bambini, lo spessore del Maestro filosofo emerge inoltre quando in aula si discutono disegni di legge relativi a temi quali l'ergastolo o la procreazione assistita.  Saggi: “Intuizione e discorso,” – Grice: “Good connection.” (Napoli, Scientifica); “La problematica del infinito del continuo – l’infinitesmale – la categoria della quantita – flat and variable,” – Grice: “Excellent philosophical problem.” Napoli, scientifica,  “Struttura soggetto prassi,”Napoli, scientifica  “La comunità come fondamento,” Grice: “Masullo’s first attempt at a conceptual analysis of the inter-subjective; but it takes a philosopher to understand that that is what stands behind ‘community,’ or ‘population,’ as I prefer, or the conversational dyad.” Napoli, scientifica,  “Anti-metafisica del fondamento” Napoli, Guida, “L'inter-soggettivo” Napoli, Guida, “Filosofie del soggetto e diritto del senso,” Genova, Marietti,  “Il tempo e la grazia. Per un'etica attiva della salvezza,” Roma, Donzelli,  “Meta-fisica: storia di un'idea,” – Grice: “Perhaps Aristotle never had an idea; after all ‘ta meta ta physica’ is later and means: “the stuff the master wrote after the ‘physika’!” Roma, Donzelli, “La potenza della scissione” o diaresis, Napoli, Scientifiche, “Gografia e storia dell'idea di libertà,” Reggio Calabria, Falzea. – cfr. Grice: “The history of ‘free’ is hardly a ‘natural history’!” “Paticità e in-differenza,” Genova, Melangolo, -- Grice: “Masullo’s concept of ‘pathos’ is essential – while you may have self-pathos, the implicaure is that there is ‘empathy.’” “Inter-soggettivo” G. Cantillo, Napoli, Scientifica,  “Filosofia morale,” Roma, Riuniti, “Scienza e co-scienza” – Grice: “This pun is only possible in Italian: conscious and science are less of a parallel word formation!” “tra parola e silenzio” Grice: “This is my reading between the lines – i. e. the implicature” atti del convegno (Monte Compatri), P. Ciaravolo, Roma, Aracne, “Il senso del fondamento,” Napoli, scientifica, G. Cantillo, Napoli, scientifica, Napoli, siccome immobile. Intervistato, Napoli, Guida,  La libertà e le occasioni, Milano, Jaca,  I linguaggi della follia e i passi della salvezza. Il lavoro psichiatrico, in S. Piro. Maestri e allievi, Napoli, Scientifica,. Il filosofo della coscienza, Corriere della Sera, La grazia della filosofia e della politica, su rainews, Napoli, chi era il più grande filosofo, su interris, A. Fioccola, Magazine dell'Università degli Studi di Napoli l'Orientale. Aldo Masullo. Masullo. Keywords: l’intersoggetivo, la scissione di Hegel, il continuo dei velini – velia, infinitesimal – l’innamorato di Parmenide -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Masullo” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Matassi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale e la filosofia della seduzione dei giocatori di calcio – filosofia marchese -- Afilosofia italiana – Luigi Speranza (San Benedetto del Tronto). Filosofo italiano. San Benedetto del Tronto, Ascoli Piceno, Marche. Grice: “I like Matassi; but then I like football – I was the football team captain at Corpus – and aesthesis, the seductor seduced – “la condizione desiderante” indeed!” Allievo di Garroni, è stato Professore di Filosofia morale, coordinatore scientifico della sezione Filosofia, Comunicazione, Storia e Scienze del Linguaggio del Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo dell'Università Roma Tre; in precedenza era stato direttore del Dipartimento di Filosofia. Si è occupato anche di Estetica musicale.  È stato Presidente della Società Filosofica Romana e ha fatto parte del comitato direttivo nazionale della Società Filosofica Italiana.  È stato nel comitato d'onore della Fondazione Amadeus. Presidente dell’Accademia Estetica di Rapallo, responsabile della sezione filosofica di Villa Sciarra, Roma, membro della giunta del CAFIS dell'Università Roma Tre. È stato anche membro del Comitato scientifico della Fondazione Résonnance dell'Losanna.  Ha diretto la collana Musica e Filosofia per la Mimesis Edizioni di Milano e quella su I Dilemmi dell'Etica per la casa editrice Epos di Palermo. Ha tenuto un blog sul "Fatto quotidiano" sui temi che legano la filosofia alle dimensioni del contemporaneo. Ha collaborato con la rubrica Ricercare, dedicata alla filosofia della musica, al mensile Amadeus e al mensile Stilos. È stato direttore della collana Italiana per Orthotes Editrice (Napoli). È stato anche membro del comitato scientifico-direttivo delle seguenti riviste: Colloquium philosophicum, Paradigmi, Quaderni di estetica e di critica, Bollettino di studi sartriani, Filosofia e questioni pubbliche, Links, Lettera Internazionale, Phasis, Itinerari, Prospettiva Persona, Metabolè, Babel online, Civitas et Humanitas. Annali di cultura etico-politica. Per quanto concerne il settore estetico-musicale è presente nel comitato direttivo della rivista internazionale Ad Parnassum. Hortus Musicus, Civiltà musicale, Orpheus, Itamar. a ricoperto la presidenza di giuria per il Premio Frascati Filosofia.  Menzione speciale della giuria al premio di saggistica “Salvatore Valitutti”, per Bloch e la musica.  È stato uno dei principali collezionisti al mondo di incisioni relative alle esecuzioni delle sinfonie e della liederistica di Mahler (circa mille tra vinili e compact disc). Si è occupato di filosofia tedesca, in particolare di Hegel, delle scuole hegeliane, del criticismo tedesco, del marxismo occidentale e della scuola di Francoforte. Un suo saggio è stato dedicato alle Vorlesungen hegeliane di filosofia del diritto e all'interpretazione fornitane da Gans. Si è occupato di Lukács, iutilizzando per la prima volta il celebre manoscritto "Dostoevskij" si è poi occupato di Hemsterhuis, l'autore della celebre Lettera sui Desider e del dialogo Alessio o dell'età dell'oro.  Le sue ricerche hanno riguardato la filosofia della musica moderna e contemporanea e in particolare su quella di Bloch, di Benjamin e  Adorno, fino ad elaborare un'originale filosofia dell'ascolto, le cui suggestioni si possono rintracciare nella teoria musicale moderna di Ernst Kurth, elaborata nei Fondamenti del contrappunto lineare. In tale prospettiva di ricerca, filosofia della musica e filosofia dell'ascolto sono strettamente compenetrate, fino a diventare il paradigma di una rivoluzione formativa che mette al centro del sistema educativo contemporaneo la musica nella sua declinazione storico-teorica come in quella pratica.  All'interno di tale prospettiva svolge un ruolo centrale Mozart, il "più ascoltante tra gli ascoltanti" come lo definì Martin Heidegger.  Saggi: Le Vorlesungen-Nachschriften hegeliane di filosofia del diritto” (Roma, Sansoni, Lukàcs. Saggio e sistema” Napoli, Guida); “Hemsterhuis. Istanza critica e filosofia della storia, Napoli, Guida); “Eredità hegeliane, Napoli, Morano, “Terra, Natura, Storia,” Soveria Mannelli, Rubettino, “Bloch e la musica,” Salerno, Fondazione Menna, Marte editore, Musica (Napoli, Guida) “Bellezza,” Soveria Mannelli, Rubettino); L'estetica. L'etica, Donzelli, Roma, L'idea di musica assoluta, Nietzsche e Benjamin, Rapallo, Il ramo, “La condizione desiderante. Le seduzioni dell'estetico”- Il nuovo melangolo, Genova; Filosofia dell'ascolto” (Rapallo, Ramo); “Lukàcs. Saggio e Sistema” (Milano, Mimesis); “La Pausa del Calcio, Rapallo, Il ramo. “Il calcio,” Rapallo.. In: Du Nihilism à l'hermenéutique, Hemsterhuis Franciscus “Sulla scultura; a c. di M. Palermo. Convegno sulla bellezza", presso il Centro di Studi Rosminiani di Stresa, Musica e Creatività Intervista a Rai Notte "La musica assoluta" Inconscio e Magia, Teatro dell'Opera di Roma, Seminario di formazione del PD Le parole e le cose dei democratici Pisa, Palazzo dei Congressi, Intervento alla Summer School della Fondazione Italiani-Europei, sui rapporti tra democrazia e capitalismo,  Commento al concerto jazz di Donà, "Tutti in gioco", Porto Civitanova, Bloch e la musica. Utopia a misura d'uomo. Intervista, Ornamenti, Arte, filosofia, letteratura, M. Latini, Armando, Roma, RAI Filosofia, su filosofia.rai. Il Potere e la Gloria. Juventus e Inter Il Fatto Quotidiano, s MLatini, in. tervista su Amare, ieri, di Anders, rivista on-line «SWIF-Recensioni filosofiche»,  M.  Latini, Doppia risonanza sul mondo (a proposito di "Musica" Napoli), “Il Manifesto”, C. Serra, Recensione a "Musica". Grice: “Unfortunately, Matassi, being Italian, or an Italian, is more interested in Nordic Kierkegaard, to pour sorn on their coldness, than in Ovid’s ‘ars amatoria’ which would interest an Oxonian!” -- Cf. “La palestra di Platone”. Elio Matassi. Matassi. Keywords: la filosofia del calcio, in-duzione, se-duzione – Ovidio, ars amatoria, desiderio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matassi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Matera: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – i segni del zodiaco e la semiotica di Peirce – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Matera). Filosofo italiano. Matera, Basilicata. Grice: “Only in Southern Italy is a philosopher also responsible for the astrological edification of the city’s cathedral!” Uno dei più grandi studiosi e divulgatori di astrologia occidentale e filosofia dell'epoca. Insegna dapprima a Matera, e successivamente a Napoli.  Vive nel periodo in cui la Contea materana era dominio degli Angioini e su richiesta di Filippo IV detto "il bello", il re di Napoli Carlo II d'Angiò, detto "lo zoppo", invia Alano a Parigi. Lì insegna e divenne noto come dottore universale, profondamente versato in filosofia. In quegli anni infatti astronomia e astrologia vieneno collegate poiché si crede che gli astri potessero esercitare un influsso sulle azioni umane. Nei periodi di soggiorno a Matera, abita, secondo Verricelli nella contrada di Lo Lapillo tra il castello e il puzzo dove sorge l’acqua della fontana hera la sua vigna con una casuccia di pietre, piccola, mal fatta casa propria di filosofo quale oggidì si chiama la vigna e casa di Alano. Si tratta della collina dove poi fu edificato il Castello Tramontano. In quella casetta il grande filosofo passava intere notti ad osservare il cielo e gli astri con strumenti rudimentali. Di Alano è il motto presente nel “Glora mundis”: La goccia perfora la pietra non colpendola due volte con forza, bensì colpendola continuamente, così tu trai profitto studiando non due volte ma continuamente. È l'esortazione con cui invita a raddoppiare impegno e curiosità sulla strada della conoscenza. Secondo alcuni, il perfetto orientamento delle facciate della Cattedrale di Matera e del suo campanile lungo i punti cardinali si deve alle osservazioni astronomiche di Alano.A Matera una strada, trasversale di via Nazionale, tra le vie Salvemini e Di Vittorio, è dedicata ad Alano. G. Fortunato, Badie, feudi e baroni della Valle di Vitalba, ed.Lacaita, Personaggi della storia materana, Altrimedia, per i Quaderni della Biblioteca provinciale di Matera  Morelli, Storia di Matera, Montemurro,Volpe, Memorie storiche di Matera, ed. Atesa, Dizionario corografico del Reame di Napoli, ed. Civelli, Biografie dei personaggi illustri di Matera, sassiweb.  ntonio Giampietro, Personaggi della storia materana, Alano di Matera. Matera. Matera. Keywords: implicature, la collina del castello tramontanto, la catedrale di Matera, astrologia, astronomia, dottore universale, Napoli, Bologna, Parigi, the semiotics of astrology, Grice on zodiac signs, semiotic, semiology, astrology, astronomical chart. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Matera” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Mathieu: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’uomo animale ermeneutico – filosofia italiana – Luigi Speranza (Varazze). Filosofo italiano. Varazze, Savona, Liguria. Grice: “There are various things I love about Mathieu: his idea of the ‘uomo, animale ermeneutico’ is genial – and true!” Grice: “Mathieu rightly focuses on Kant’s problems with emergentism, i.e. the fact that life (or ‘vivente’) cannot be reduced. I love that.” Grice: “Mathieu has emphasised the irreductionism alla Bergson. I like that.” Grice: “Mathieu makes an apt analogy between Goedel’s work for alethic systems – that they cannot self-reflect, and deontic systems --.” Dopo il liceo, si iscrisse a orino. Si laureò con Guzzo, filosofo rappresentante dello spiritualismo ced autore di importanti studi su  Kant (un filosofo che sarebbe stato centrale nella vita intellettuale di Mathieu).  Libero docente nella filosofia, è stato professore incaricato, e  Professore di filosofia teoretica a Trieste. Primo vincitore del concorso di Storia della filosofia, è stato ordinario di filosofia fino al ruolo di professore emerito di filosofia morale a Torino -- è stato membro del Comitato del CNR;  è stato membro e poi vicepresidente del Consiglio esecutivo dell'UNESCO (Parigi). È stato membro del Comitato Nazionale di Bioetic; è socio dell'Accademia dei Lincei e membro del Comitato Premi della Fondazione Balzan.  Ha fondato con Berlusconi,  Colletti ed altri il movimento politico Forza Italia. Si è candidato al Senato della Repubblica nel collegio di Settimo Torinese: sostenuto dal centro-destra (ma non dalla Lega Nord), ottenne il 33,2% e venne sconfitto dal rappresentante dell'Ulivo, Tapparo.  Con il sindaco di Brindisi Mennitti ha dato vita alla Fondazione Ideazione, per il cui quotidiano ha curato una rubrica fino alla chiusura della testata. Nel luglio  (in connessione con la sua carica di presidente del collegio dei probiviri del PdL che è chiamato a giudicare l'operato dei finiani di Generazione Italia) diversi organi di stampa riprendono la voce, già circolante da tempo, di una sua adesione all'”Opus Dei.” A tale proposito sono giunte alla redazione del Corriere della Sera che aveva pubblicato la notizia le smentite sia dell'Opus Dei che dell'interessato. Ha offerto contributi significativi in almeno quattro ambiti della ricerca filosofica:  la filosofia della scienza; la storia della filosofia; l'estetica; la filosofia civile. Ha indagato i limiti interni ed i limiti esterni della scienza. Tale indagine ha avuto due filosofi del passato come suoi principali punti di riferimento: Kant e Bergson. Ha infatti ripreso e sviluppato le ricerche di Kant sui limiti interni della scienza e sulla sua fondazione. A tale riguardo pubblicò il saggio "Limitazione qualitativa della conoscenza umana" a cui fece seguito, "L'oggettività nella scienza e nella filosofia".  Seguendo Bergson, ha valorizzato anche altre forme della conoscenza e della espressività umane non riducibili alla cienza, ma non per questo ad esse opposte. Ha infatti sempre ritenuto che la realtà, e segnatamente la realtà umana, non possa essere esaurita dalla scienza, e richieda invece una costante attività interpretativa.. L'uomo, dunque, è chiamato ad essere scienziato della natura ed ermeneuta della cultura. Sarebbe però riduttivo non ricordare che i suoi contributi alla filosofia della scienza riguardano una pluralità estremamente diversificata di temi. Ad esempio, sono ddue studi pionieristici sull'applicabilità del teorema di Gödel al diritto. Gödel aveva scoperto che non si può dimostrare la coerenza di un sistema all'interno del sistema stesso; M. ritiene che, almeno analogicamente, la scoperta di Gödel possa applicarsi al problema della fondazione di un sistema deontico. Uun'autorità non può legittimarsi da sola in modo formale e, dunque, anche il diritto richiede fondamenti esterni (etici, non emici): l'efficacia e la giustizia. Ha realizzato alcune traduzioni fondamentali. E forse il suo contributo maggiore alla storia della filosofia è consistito proprio in un'opera che combina traduzione e ricostruzione critica, ovvero l'opus postumum di Kant. Tale opera affronta questioni teoriche tutt'oggi aperte (soprattutto nella fisica e nella biologia teoriche), come il problema della forma degli oggetti solidi o il problema del “vivente,” cioè il problema della vita in quanto tale e non ridotta a semplice. Ha curato poi le edizioni di opere di Leibniz: si è trattato di un ampio lavoro che si è raccolto in "Scritti politici e di diritto naturale" "Leibniz e des Bosses" "Saggi filosofici e lettere" e "Saggi di teodicea: sulla bontà di Dio, sulla libertà dell'uomo, sull'origine del male.” La sua estetica, pur nella varietà dei temi trattati, rimanda ad una problematica essenzialmente ontologica: lo svelarsi dell'ente. Cioè, l'opera d'arte è heideggerianamente concepita come il modo attraverso cui gli uomini possono cogliere il passaggio dal nulla all'essere.  Di estetica è "Goethe e il suo diavolo custode", edito per i tipi di Adelphi. Al centro di questa ricerca vi è la figura di Mefistofele, analizzata in tutta la sua profondità e capacità genealogica.  Nei suoi volumi sull'estetica della musica sviluppa la tesi affascinante che ascoltare la musica è un ascoltare il silenzio. Grande è la potenza significante di ciò che non significa nulla, perché è il nulla a far emergere l'essere delle cose. E la musica e la luce si situano proprio in questo iato insuperabile fra l'essere e il nulla. Entro i suoi molteplici contributi alla filosofia civile, si staglia netta, per importanza e originalità, una triade di saggi edicati a quello che potremmo chiamare "stato spirituale dell'Occidente". Si tratta di opere scritte in un periodo dunque estremamente critico per l'Italia, ma che mantengono ancora una grande attualità. Fa percepire al lettore il pericolo valoriale in cui è venuto a trovarsi l'Occidente e pone in essere una critica serrata alle ideologie totalitarie o nichiliste. In questo senso, vi è un'aria di famiglia con i lavori di quei filosofii come Horkheimerche ha prospettato i rischi di un'eclisse dell'individuo nella società tecnologica di massa. Un articolo sul Corriere della Sera  rettifica sul Corriere della Sera  smentita sul Corriere della Sera. Saggi: “Bergson, Torino); “La filosofia trascendentale” (Bibliopolis, Torino); Leibniz e Des Bosses, Torino); “L'oggettività nella scienza e nella filosofia contemporanea, Torino; L’esperienza” (Trieste); Dio nel "Libro d'ore" di Rilke, Olschki); “Dialettica della libertà, Napoli); “La speranza nella rivoluzione, Milano, Vincenzo Filippone-Thaulero, Salerno Temi e problemi della filosofia, Roma, Perché punire, Milano, Cancro in Occidente, Milano, La voce, la musica, il demoniaco. Con un saggio sull'interpretazione musicale, Spirali, Filosofia del denaro, Roma, Elzeviri swiftiani, Spirali, La mia prospettiv, Barone; Melchiorre, Gregoriana Libreria, Gioco e lavoro, Spirali, La speranza nella rivoluzione, Spirali); “Nazionalismo”; S. Cotta, Japadre, Perché leggere Plotino, Rusconi); Tipologia dei sistemi e origine della loro unità, Lincei, Orfeo e il suo canto. Scritti, Zamorani,  Il nulla, la musica, la luce, Spirali, La fedeltà ermeneutica, Paoletti Laura, Armando, Per una cultura dell'essere, Armando L'uomo animale ermeneutico, Giappichelli, Le radici classiche dell'Europa, Spirali, Goethe e il suo diavolo custode, Adelphi, Privacy e dignità dell'uomo. Una teoria della persona, Giappichelli, Plotino, Bompiani, Perché punire. Il collasso della giustizia penale, Liberi libri, Introduzione a Leibniz, Laterza,  In tre giorni, Mursia,; La filosofia, Marcovalerio, Kant Bergson. quotidiano  Ideazione, il fatto quotidiano. 3del portavoce dell'Opus Dei sulla non appartenenza alla Prelatura dell'Opus Dei, su archive ostorico.corriere. Vittorio Mathieu. Mathieu. Keywords: al di la del bene e del male, la fedelta ermeneutica, l’uomo animale ermeneutico, il demoniaco, l’angelo custode, il demonio custode, il diavolo custode.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mathieu” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Maturi: la ragione conversazionale e l’ implicatura conversazionale --  l’io e l’altro – io e l’altro – i duellisti – filosofia campanese -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Amorosi). Filosofo.  Amorosi, Benevento, Campnia. Grice: “There are two main things I love about Maturi, and I hate it when philosophers just dismiss him as an ‘Italian,’ or worse, ‘Neapolitan’ Hegelian – as when they refer to me as a member of the Oxford school of ordinary language philosophy! The first is his typically Neapolitan-hegelian school account of what he calls ‘autocoscienza recognoscitiva,’ which is something I do take for granted in my conversational theory of inter-ratiationality; the second is his elaboration of what he calls the passage from the non-human animal to the ‘human-animal’ in a sort of pirotological passage.” Grice: “What I like about him is that he considers each ‘stage’ as just as fundamental as the other; which implicates that actually the ‘higher’ stage has a ‘foundation’ on the previous one. Here ‘foundational’ makes perfect sense; and it gives Maturi an excuse to rather pompously label the concept: ‘forma fondamentali’ of the ‘vita.’ It’s exactly like my soul progression, -- which I explore in ‘Philosophy of Life.’” It is not surprising that Gentile loved Maturi and forwarded his “Introduction to philosophy.” sDocente prima nei licei e poi nell'Napoli. Dopo i primi studi nella cittadina natale, si trasferì a Napoli ove conseguì la licenza liceale. La frequentazione di Bertrando Spaventa e di Augusto Vera, lo introdusse alla filosofia hegeliana  destinata ad esercitare nel suo pensiero un'influenza duratura.  Laureatosi in giurisprudenza, tre anni dopo vinse un concorso per uditore giudiziario.  Ottenuta l'abilitazione, insegnò filosofia nei licei di varie città. Conseguita la libera docenza, tenne corsi di filosofia hegeliana nell'Napoli quando ritornò all'insegnamento liceale presso l'istituto Umberto I della città partenopea. Inizia una corrispondenza con Croce e Gentile, i maggiori esponenti dell'idealismo italiano, ai quali fu legato da un rapporto di amicizia. Saggi: “Soluzione del problema fondamentale della filosofia” – Grice: “He implicates there is one. Cf. Strawson, Solution to the problem of the king of France’s hair loss.” “Bruno.” Grice: “Italians seem to have a predilection for philosophers who were burned.” “L'ideale del pensiero umano; ossia, la esistenza assoluta di Dio.” Grice: “For Kant, and my friend D. F. Pears, existence is not a predicate, for another of my friends, J. F. Thomson, it is!”  “Uno sguardo generale sulle forme fondamentali della vita” Grice: “The key concept is ‘forma fondamentale’ as applied to ‘vita.’ --  Grice: “My favourite is his description of the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the non-human animal to the ‘forma fondamentale’ of the ‘vita’ of the human animal.” L'idea di Hegel. Grice: “When I told Hardie that I was reading “The idea of Hegel,” he said, ‘what do you mean, ‘of’?” “For Maturi, it’s the same, and it is delightful to see that he can quote Hegel in ‘Deutsche’ without caring to translate! Them was the days when European languages counted!” La filosofia e la metafisica” Grice: “The ‘and’ is aequivocal: cf. Durrell, “My family and the animals.”“Principî di filosofia” (apparently by Spaventa – Maturi has an introduction to philosophy). Grice: “I must confess that I love the word principle, but again, Hardie would say, what do you mean ‘of’ – my principle of conversational helpfulness – or when I speak of the principle of conversational self-love and the complementary principle of conversational benevolence,” I’m not sure who I apply it to! The conversationalist like me, I s’ppose.”  “Una relazione scolastica.” Grice: “He doesn’t mean Russell.” “But what he means is a syllabus which is illustrative of Neapolitan Hegelianism!” Dizionario Biografico degli Italiani, riferimenti in. Mario Dal Pra, Milano, Bocca, Guzzo, Brescia, Morcelliana, A. Gisondi, Forme dell'Assoluto. Idealismo e filosofia tra Maturi, Croce e Gentile, Soveria Mannelli, Rubbettino, G. Giovanni, "Filosofia hegeliana e religione. Osservazioni", Benevento, ed. Natan,.  Hegelismo Idealismo Neoidealismo italiano. G. Calogero, Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario Biografico degli Italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. LA   FILOSOFIA 01 GIORDANO BRUNO   DISCORSO   DI f    SEBASTIANO MATURI    letto nel di della festa letteraria 17 inarco 1872  nel T{_. Liceo di Trapani       AVELLINO   TIPOGRAFIA TULIMIERO ,E C.   1878      ' |               I      »   XAXAXX^^XXXAAÀAAAAAXXAAXXAAAXXXXX^^OOUUUk    »    \   Signori,   Giordano Bruno appartiene alla illustre falange degli  eroi del Risorgimento . I quali, scuotendo il pesante giogo,  che gravava da lunghi secoli sullo spirito umano, inalbe¬  rarono la bandiera di quella indipendenza e sovranità del  pensiero, donde si origina tutta quanta la civiltà moderna.  La più parte di questa illustre falange di eroi furono fi¬  gli dell’ Italia nostra, ma ,la figura più spiccata, il genio  più alto e più originale, la tempra più ferma e più ga- i  gliarda, che allora onorasse l’Italia e in cui si annunzias¬  se più chiara la bella aurora del nuovo spirito del mon¬  do, fu senza fallo il Bruno.   Ma Bruno, o Signori, non fu soltanto un grande eroe;  egli fu eziandio un gran filosofo. Anzi, esprimendo libe¬  ramente il mio pensiero, aggiungerò che, sotto un ceno      I    — 6 —   riguardo, Bruno è il piu g rande filosofo italiano. Impe¬  rocché, fra tutti i nostri pensatori, quello che è penetrato  più addentro nei segreti della scienza, quello che più pro¬  fondamente ne ha compresa la vera natura , quello che  più d’ogni altro ha sostenuto a spada tratta e a visie¬  ra levata gli etem.i dirilt i Jclla Ugjfipe si è appunto il  filosofo di Nola. Egli è vero che, se si considera il Bruno  per ciò che riguarda la trattazione speciale e determinata  delle singole dottrine filosofiche, si deve confessare che,  per questa parte, egli si trova inferiore a molti altri; ma,  sejij)on mente alla sostanza del pensiero speculativo, bi¬  sogna allora convenire che questa sostanza, come c ò nel  Bruno, non c’ è in nessun altro filosofo italiano.   In questo discorso io non posso trattenermi su tutti  gli aspetti del Bruno, perchè, quando si tratta di un per¬  sonaggio gigantesco e moltilatero come questo, è già ben  troppo, se si piglia ad abbozzarne un lato solo nella bre¬  vità del tempo, di cui io posso disporre. Costretto adun¬  que a limitarmi, io mi farò a guardare nel Bruno soltanto  la stia dottrina filosofica. E fo questa scelta tra perchè è la  filosofia quella, che costituisce il titolo maggiore della gran¬  dezza del Nolano, e perchè questa è la scelta, cui mi a-  stringe con debito speciale il posto, che ho l’onore di oc¬  cupare in questo Liceo.        — 7 —    Signori, se noi ci facciamo a considerare in un modo  generale il carattere proprio della speculazione nel periodo  del Risorgimento, scorgiamo soprattutto due cose. In pri¬  mo luogo, tutti questi filosofi, quantunque con forze disu¬  guali, pure, chi più chi meno, combattono la Scolastica.  In secondo luogo, questi stessi filosofi, se da una parte  combattono la Scolastica, dall’ altra ciascuno di essi esplica  in certa guisa, o almeno avvia la esplicazione delle pro¬  fonde esigenze, che in quella si acchiudono. Ma, fra tutti  questi filosofi , ò Bruno quello , che più fieramente guer¬  reggia la Scolastica, e nel medesimo tempo è lo stesso Bru¬  no quello, che più di tutti gli altri traduce in atto, per  quanto è possibile ai suoi tempi, le esigenze poste dalla  Scolastica nella storia della filosofia.   Per occuparmi adunque, con quella brevità che sap¬  pia maggiore, della filosofia Bruniana, io devo innanzi tutto  accennare quale sia la posizione del pensiero filosofico nella  Scolastica, e quali siano quelle esigenze dell’attività spe¬  culativa, che in siffatta posizione si rivelano.   Ebbene la posizione del pensiero filosofico nella &  |^^ca^ è la seguente. In questa filosofia l’intelletto con¬  cepisce la verità come es istente della natura e f  dell’ uomo; c quindi considera tanto F una che P altro co-  me affatto destituiti di ogni elemento divino. La natura,    Wi   Mimi* /sJaVu'M   W” te     1        dinanzi allo intendimento scolastico, non ha valore di sorta;  essa è pura ombra, puro giuoco, e onninamente sfornita di      qualsiasi significazione ideale ed assoluta. Per la stessa ra¬  gione, l’uomo è considerato come una semplice creatura  e come essenzialmente contaminato dalla colpa: tutto quel¬  lo che riguarda 1’ uomo, tutto che gli si attiene in proprio  comecchessia non è altro che miseria, abiettezza, vanità.  Per tal modo, dinanzi allo intendimento scolastico, Dio re¬  sta spogliato di tutti quei principii ideali, che si svolgono  nella natura e nello spirito umano; appunto perchè tanto  il mondo naturale che il mondo umano sono considerati  come una sfera ed una evoluzione del tutto estrinseca al-  1 assoluto, e non già come la estrinsecazione propria del-  1 assoluto medesimo e la effettuazione sempre più verace    della sua unità (i). »   Intanto, mentre da una parte il pensiero scolastico    (l) « In der tibersinnlichen Welt war keine Wirklichkcit dcs  denkenden, allgeuaeincn, vernùnftigcn Selbstbewusstseyns anzutreffen:  in der umnittelbaren Welt der sinnlichen Natur dagegen keine Gòtt-  lichkeit, weil sie nur das Grab des Gottes, wie der Gott ausser  ihr, war. — Gott war wohl im Selbstbewusstesyn, dodi von Aussen  und zugleich ein ihm Anderes, eint andere Wirklichkeit: die Natur  von Gott gemacht, sein Geschòpf, kein Bild seiner » (Hegel, Ge-  schichte der Philosopliie, Zweiter Theil, S. 178, 204, Zweite Auflage).       rimuove in tal guisa e discaccia la verità da tutti gli es¬  seri, e quindi anche da £è stesso, dall’altra parte poi ha  la pretesa di voler comprendere la verità medesima colle  semplici forme vuote ed astratte della propria attività. Que¬  sta pretesa è quella che spiega perchè gli Scolastici det-  tero tanta^ im portane d lo^iudio^ldwPgllsi^rg , fletto, cioè,  al^) studio ^ di_g^m^^|^ch£poi a ragione fu appellata lo¬  gica scolastica. Ed in effetti dovea esser cosi, perchè quante  v volte, ad onta che si sostiene essere la verità estrinseca  al pensiero, si fa tuttavia ogni sforzo per arrivare a de¬  terminarla mediante le forme proprie del pensiero, egli è  giuocoforza che tutto il lavorio preliminare e fondamen¬  tale della speculazione si faccia consistere nello studio di  queste forme.   Considerando però attesamente questa posizione del-   9   l’intelletto scolastico t non si può non iscorgere in essa  una profonda e radicale contraddizione. Imperocché, affer¬  mando che la verità è affatto l«ori del mondo, quella ra¬  gione, che è nel mondo, dovrebbe abbandonare qualsiasi  aspirazione alla conoscenza di essa, e quindi rassegnarsi a  non cercare altrove il proprio obbietto che nella bassa  sfera della esistenza puran^nte fenomenica e peritura. Ma  la Scolastica, ardente come è dell’ amore della verità, e  profondamente agitata dal bisogno dell’ eterno c dell’ as-       ro —    soluto, non potrebbe, per certo, acconciarsi a questa d-   9   miliante condizione. Ed è per questo die, quantunque ella  abbia collocata la verità fuori della natura e fuori dello  s pirito , tuttavia si fa a, cercarla con un ardore indescrivibile,  e il cielo, in cui intende a trasportarla, si è appunto il cielo  del pensiero. Ma, siccome un simile tentativo — quando si  è stabilito un ra pporto di asso luta estrinseche zza tra la verità  ed il pensiero — deve tornare necessariamenie infruttuoso  ed inane, cosi è che, mentre la Scolastica si argomenta con  tutte le sue forze di raggiungere la verità, non riesce che  a notomizzare le forme del proprio intelletto, e, in vece  della verità, non ottiene altro che tritumi, sottigliezze ed  astrattaggini. Sotto questo rapporto adunque si può ben  dire clic la j _^|^srica è una barbara filosofia dell’ intelletto  astratto, una filosofia senza contenuto suo proprio, una fi¬  losofia, che non offre nessun verace interesse ed alla quale  non ò più possibile ritornare (i).   Mi limito a queste poche riflessioni per ciò che ri-  *   (!) « So hoch auch die Gegenstàndc waren, die sie (die Schola-  Stikcr) untersuchten, so cdele, tiefsinnige, gelelirte Individucn es auch  unter ihnen gab: so ist doch diess Ganze eine barbarischc Philosophie  dcs Vcrstandes, oline realen Inhalt, effe uns kein wahrhaftes Interesse  erregt, und zu dcr wir nicht zuruckkehren kOnnen » Hegel, Geschich-  te der Philosophie, Zweiter Theil, S. 177-78.           ri    ■’uarda il lato debole della Scolastica. Ma oltre questo lato   f? - -L.W -- 4'Ji i k - uli-^ .r-t - ‘   la Scolastica ne Ita anche un altro, ed è quello appunto  in cui, se io non m’ingannò, cpnsiste il suo vero signi¬  ficato, e-per cui essa si connette colle filosofie posteriori,  e trova nelle medesime il suo proprio esplicamento. Qui  intanto mi si permetta una breve digressione. Ordinaria¬  mente, quando si fa la critica di una dottrina filosofica, si  crede esser bastevole mostrare gli errori, che in essa si ac¬  chiudono. Eppure egli è un fatto che, in quella guisa stessa  che nel mondo della realtà etica il male ha la sua ragione e  il suo principio nel bene, cosi simigliantemente, nella realtà  storica del pensiero filosofico, l’errore ha la sua segreta  radice nella verità. Per la qual cosa la semplice confuta¬  zione dell’ errore non può costituire che il lato meramente  astratto e negativo della critica filosofica, il cui arduo e  gravissimo compito' consiste, in vece, nello investigare  quella verità, che si nasconde sotto lo involucro apparente  dell’ errore, e senza di cui terrore stesso non sarebbe pos¬  sibile. La storia della filosofia, che è appunto 1’obbietto  della critica filosofica, e che ò critica filosofica essa stessa,  non è un’arena di dispute infeconde, non è una vicenda  di avventure di cavalieri erranti, clic si vadan battendo  soltanto per proprio conto , che si agitino e si affannino  senza scopo, e le cui gesta si dileguino, senza che resti di     12    loro la menoma traccia. Egli è, nella stessa guisa, asso¬  lutamente falso che la storia della filosofia ci presenti lo  spettacolo di tale, che arzigogoli di qua, e di tale altro, che  almanacchi di là a suo proprio talento: egli havvi, all’ in¬  contrario, nel movimento storico del pensiero speculativo,  una continuità ideale e necessaria, ed un procedere deter¬  minato dalle leggi stesse della ragione (i). Chi non è con¬  vinto di questo vero, chi non ammette questo governo del¬  la Provvidenza nella storia della filosofia, come nella sto¬  ria dell’ umanità in generale, non. può intendere affatto il  valore intrinseco di nessun sistema filosofico, e non può  investigare, mediante la critica, quelle ragioni ideali, che  fecero apparire i diversi sistemi, e che, ad onta di tutte le  contraddizioni, fecero passare gli anteriori nei posteriori,  come nella loro propria espressione e nella loro verità. È  con questa convinzione adunque che io mi fo a determina*   (i) Die Thaten der Geschichte der Philosophie.sind   nicht nur eine Saramlung von zufàlligen Begebenheiten, Fahrten ir¬  render llìtter, die sich fur sich heruraschlagen, absichtlos abmOhen,  und deren W’irksamkeit spurlos verschwunden ist. Eben so wenig hat  sich hier Einer etwas ausgeklfigelt, dort ein Anderer nach Villkùr;  sondern in der Bewegung des denkenden Geistes ist wesentlich  Zusamraenhang, und es geht darin vernùnftig zu (Id. ib. Einleitung,   S. 32).         — 13 —    re brevissimamente iMato vero della Scolastica, quel lato,  cioè, in cui consiste il significato storico e razionale della  medesima.   Come ho già innanzi accennato, la Scolastica fa due    cose: da ^yjyyxt^e^one la verità fujp della natura e fuori  dello spirito, e dall’ altra si argomenta, benché indarno, di  trasformare la medesima in contenuto razionale. Ora io  domando in primo luogo: perchè la Scolastica pone la ve¬  rità fuori della natura e fuori dello spirito?      idi*    Ebbene la risposta vera per me è questa. L^^jcok^-  stica ha un profondo sentimento dell’infimtacmKretezza  dell’ Idea cristiana; essa sa che questa Idea è superiore alla  natura ed allo spirito finito, e che la sua realtà non è  quella isolata, astratta e fugace, che ha luogo nella sfera  delle cose sensibili £d illusorie. Egli è vero che, mentre la    Scolastica ha questo profondo sentimento dell’ infinita con¬  cretezza dell’Idea cristiana, dall’altra parte poi non si av¬  vede che questa concretezza si trasforma in una mera a-  strazione, qualora le si sottraggano tutti quei principii, che  si manifestano nella natura e nella spirito; imperocché, in  tal caso, in vece di avere 1’ ente realissimo, la realtà delle  realtà, la idea delle idee, non si ottiene altro che un as¬  soluto indeterminato, solitario e trascendente, un assoluto,  a cui fu tolto tutto quanto il regno della realtà e della       14 —    vita. Ma la Scolastica non poteva accorgersi di questo er¬  rore; imperocché, non essendo ancora sceverata nella na-  ura e nello spirito la esistenza ideale ed eterna dalla e-  sistenza empirica e passeggera, essa non potea fare altro,  che quello che fece: dov ea porre P assoluto fuori della na¬  tura e fuori dello spirito .   Però, se i grandi pensatori della Scolastica ritornas¬  sero in questi tempi, nei quali la scienza ha messo in ri¬  lievo la forma eterna ed immutabile delle cose, certamente  essi non esiterebbero un istante a riconoscere la vita stessa  di Dio in tutto questo contenuto infinito ed imperituro  della realtà naturale e della realtà umana (i). Se adunque  la Scolastica vilipende e degrada in tal guisa la realtà della  natura e dello spirito, questo sbaglio non appartiene a quel  pensiero interiore, da cui essa è animata e a quelle ragioni  ideali, che l’hanno fatta sorgere nella storia, ma appartiene,  in vece, alla semplice posizione immediata e, dirò cosi,  provvisoria, in cui si muove. Quello che appartiene al suo  pensiero Interiore c profondamente speculativo si è il con¬  cetto, benché vago, di una più alta realtà, si ò il bisogno  di un mondo migliore, si è la esigenza di una natura spi-   (i) È inutile dire che questa scienza, di cui qui parlo, non è  certamente il trasformismo,    4           — *5 —    i   rituale, redenta, deificata, di una natura, in cui ci sia dato  ravvisare la realtà stessa di Dio e quindi scernere in ogni  cosa un’ idea assoluta ed immutabile. E difatti, se la Sco¬  lastica rifugge dal mondo, se lo dichiara una vanità, ciò  è perchè nella sua coscienza si agita 1* idea del vero mon¬  do, di quel mondo, in cui ha luogo la vera presenza del-  l’infinito, e in cui perciò si trova realmente conciliato l’e-  lemento mondano col divino.   Egli è vero che fu questa stessa idea quella, che pro¬  dusse nel medio evo la più mostruosa confusione del di¬  vino e dell’ umano, e la più spaventevole barbarie, che im¬  maginar si possa; ma egli è vero altresì che, in fondo a  quella confusione e a quella barbarie, vi è un significato  della più alta" importanza, vi è la sorgente di quella ve¬  race conciliazione, in cui consiste il fondamento incrolla¬  bile della vita moderna (i).   La seconda cosa, che troviamo nella Scolastica, si è lo ^   (i) Es hilft nichts, das Mittelalter eine barbariche Zeit zu nen-  nen. Es ist eben eine eigenthùmliche Art der Barbarei, nicht eine  unbefangene, rohe, sondern die absolute Idee und die hòchste Bil-  dung ist, und zwar durchs Denken, zur Barbarei geworden; was einer-  seits die gràsslichste Gestalt der Barbarei und Verkehsung ist, ande-  rerseits aber auch der unendliche Quellpunkt einer hòhern Versóh-  nung (Id. ib. Zweiter Thell, S. 179).      sforzo di riprodurre il contenuto della fede in una forma  razionale. Ora io domando di nuovo: che cosa vuol dire  questo sforzo? Vuol dire, naturalmente, che la Scolastica, ad  onta di tutte le apparenze contrarie, non si accontenta affatto  di una verità inaccessibile, di una verità, che non sia fatta per  r intelletto umano. Quello, in vece, che essa cerca, quello,  a cui aspira ardentamente, si è appunto la forma razionale  della verità della fede, e tutta l’attività, tutta l’energia infati¬  cabile delle sue profonde meditazioni non tende ad altro  che a tradurre queste verità nel linguaggio proprio della  ragione. Ed in effetti tutti i grandi pensatori della Sco¬  lastica non si accontentano della pura e semplice fede:  essi vogliono credere e credono davvero, ma vogliono  credere pensando ed intendendo; essi, come dice S. An¬  seimo , non cercano d’intendere per credere, ma credo¬  no per intendere; e tutto ciò perchè sanno che la reli¬  gione è fatta per 1’ uomo, non per l’animale e che le  verità, che in essa si contengono sono state rivelate da  Dio, che è la ragione assoluta, e che perciò devono essere  necessariamente razionali (i). Egli è vero che gli Scola-    (i) L’ Hegel, parlando di S. Anseimo, dice cosi: Sehr merkwùrdig  sagt er, was das Ganze seines Sinnes enthàlt, in seiner Abhandlung  Cur Deus homo (i, 2), die reich an speculationen ist: « Es scheint       stici fanno distinzione di verità intelligibile e di verità so¬  vrintelligibile, ma questa distinzione ha tutt* altro signifi¬  cato da quello che si crede ordinariamente. In effetti la  Scolastica non fa questa distinzione, perchè forse ritenga  essere davvero sovrintelligibili in sè stesse quelle verità, che  essa chiama con siffatto appellativo, ma la fa in vece per¬  chè, fino ad un certo punto, essa supera sè stessa, ed ha  una certa coscienza della posizione storica in cui si muove.   %   In altri termini la Scolastica si accorge che quell’ intelletto,  di cui fa uso e i criteri logici, di cui dispone, non sono  sufficienti a far comprendere la natura e le determinazioni  della verità cristiana. Ma con tutto ciò ess? non si arrende e  non si scoraggia, ma si fa in vece a lottare gagliardamente  colla sua stessa posizione storica e dichiara, per cosi dire, col  fatto stesso delle sue profonde lucubrazioni, che 1* impo¬  tenza del pensiero non può essere assoluta ed insupera-   mir eine Nachlàssigkeit zu seyn, wenn wir ini Glauben fest sind,  und nicht suchen, das, was wir glauben, auch zu begreifen ». Utzt  erklàrt man diess fur Hochmuth; unmittelbares Wissen, Glauben hall  man fur bòiler als Erkennen. Anselmus aber und die Scholastiker   haben das Gegentheil sich zum Zweck gemaclit.Dénn der   Gedanke, durch ein einfackes Raisonnement zu beweisen, was ge-  glaubt wurde — das Gott ist —, liess ihm Tag und Naclit keine  Ruhe, und quàlte ihn lange. Ib. S. 146.    3        bile. Ed è per questo che il perpetuo tormento, che tra¬  vaglia quei {orti intelletti di Anseimo, di Abelardo, di Pie¬  tro Lombardo, di Duns Scoto, e via dicendo, è riposto  addirittura in quelle verità, che chiamano sovrintelligibili.  Dal che si può scorgere che, in quehe mjjjafoU^ri^ ed  asmuu^jgmdella Scolastica, vi è un arditissimo ed immenso   tentatm^w ò il tentativo dell’ assoluta autonomia, del-   " .... —   1’ attualità infinita della ragione. In altri termini, vi è quel  colossale tentativo, che poi produsse, sotto lo aspetto reli¬  gioso, la Riforma, sotto lo aspetto sociale, la rivoluzione  francese, e che alla fine divenne filosofia tedesca e parti¬  colarmente filosofia Hegeliana. E fu appunto in questa fi¬  losofia che venne soddisfatta l’aspirazione divina del pen¬  siero scolastico, e trovò il suo adempimento il vaticinio  di Cristo: Ego rogabo Patron et alitivi Paracletum dabit  vobis, S piritimi Veritatis : ille vos docebit omnia.   Come è chiaro adunque da questi pochi cenni, quel-  1’ attività filosofica, che si agitava nella Scolastica, studiata  nelle sue intime ragioni, ha il significato di una duplice  esigenz a, che essa pone nella storia della filosofia. La pri¬  ma è quella che ho già detta, cioè la esigenza di una na-         t ura ideale, di una natura spiritualizzata e in cui si possa  daddovero ravvisare il regno e la realtà di Dio (i).   La seconda esigenza, la quale deriva dalla prima, si è  quella di un intelletto superiore, di un pensiero tale che,  contenendo in sè la verità, sia, per ciò stesso, in grado di  attingerla dal suo fondo medesimo e di provarla in un modo  assolutamente razionale.   Ebbene tutta la storia della filosofìa moderna altro  \   non è che 1’ attuazione successiva e sempre progrediente  di questa duplice esigenza; e la prima, benché parziale, at¬  tuazione df essa si è appunto la filosofìa del Risorgimen¬  to. A me qui spetta di mettere in rilievo brevemente la  gran parte, che ebbe il Bruno nell’ attuazione di questa  duplice esigenza, £ di chiarire come egli, per servirmi delle  sue stesse parole, sia davvero nella mattina per dar fine  alla notte, e notì nellà sera per dar fine al giorno.    (i) È stato detto che ogni scoperta della scienza È una detro¬  nizzazione di Dio. Questo pronunziato è vero soltanto per rispetto  al falso concetto di Dio. Quanto al Dio vero, al Dio cristiano la  sentenza giusta è, in vece, che ogni scoperta della scienza non può^  essere che una nuova affermazione, una nuova prova della esi¬  stenza di Dio.        20 —      cacaXcip    ^tf    cVi\>    Signori, il principio fondamentale della filosofia Bru-  niana è il seguente. Bruno concepisce Dio come essenzial¬  mente creatore. Il che vuol dire che nella creazione il  Bruno non vede già un fatto accidentale ed arbitrario, nè  una verità di second’ ordine, ma ci vede la essenza stessa  di Dio. Dinanzi alla mente del Bruno, Dio in tanto è quello  che^ è, in quanto crea; se non creasse, non sarebbe Dio,  perchè non farebbe atto di divinità. Il Dio del Bruno, in  somma, è il Dio cristiano, è il Dio creatore, o per dir me¬  glio, è il Creatore (i). Anchejhniobe'p^nj pjqmi nostri. lia  conshi^gw^uestaveritj^igji^J^jjigjj^jj^jjj^jjh^^^la   ma nel Gioberti però questa verità non è ac¬  compagnata da una chiara coscienza. Il Gioberti dice sem¬  pre che 1 ’ atto creativo è la verità sup rema. e che nella  contemplazione di quest’ atto, tanto in sè stesso che nelle  forme particolari della natura e dello spirito umano, con¬  siste appunto la vera riflessione filosofica. Il fatto è però  che, quando si* va a vedere, questa grande verità (e che  è realmente il principio e la radice di ogni verità), nella  filosofia del Gioberti, si riduce ad una semplice parola:    (0 Sulla imperl'ezioue di questo concetto come è nel Brnno  vedi in fine.            «    — 21 —   è un detto, di cui egli stesso non si rende conto, e che  perciò non gli giova nè alla sistemazione generale della  sua dottrina, nè, molto meno, alla trattazione speculativa  di una parte qualsiasi della scienza. Nel Bruno in vece  almeno fino ad un certo punto, la cosa non va così. E U v,»   per verità il Bruno dice nettamente: « In Dio il potere e il  f are è tutt’ uno . Egli non può essere altro che quello che  è; non può essere tale, quale non è; non può. .potere altro  che que llo che può: non può. volere altro che quello che  vuole, e necessariamente non può fare altro che quello  che fa. L’ ajone^ sua è_ necessaria, perchè procede data- -t~  le volontà che è la stes sa n ecessità. In lui libertà, volon¬  tà , necessità sono affatto medesima cosa, e il fare col  potere volere ed essere» (i). Ed è per questo appunto che  egli arriva a concepire il principio universale del tutto  come unità di materia e forma ( 2 ). È vero che anche il    (1) De l’infinito Universo e Mondi, Opere itti. Wagner, v. 2,  p. 25 — 26.   (2) L’ Hegel, dopo di aver citato il bellissimo luogo del Bruno  (De la Causa, Principio et Uno, Dial. 3, pag. 261) dove dice: « Se  sempre è stata l a potenza di far e, di produrre, di creare, sempre è  s tata la p o tenza di esser fatto , prodotto e creato; perchè l’una po¬  tenza implica l’altra ecc, soggiunge: Diese Simultancitàt der wir-      l ujtl*   4/C [rifa             — 22 —    Gioberti ha detto che il principio universale non è nè  l’ idea, nè il fatto, ma il fatto ■ ideale. Però questo fatto i-  deale del Gioberti non è che una espressione diversa del  lo stesso atto creativo, e perciò non aggiunge nessun  valore veramente filosofico al principio medesimo. Questo  principio, nella filosofia del Bruno, è la chiave di tutto il  sistema, è il centro vero c produttivo di tutta la sua dot¬  trina, ed è come la fonte, da cui scaturisce liberamente e  consapevolmente tutta la ricchezza delle sue meditazioni.  Nella filosofia del Gioberti, in vece, quantunque la parola  non manchi mai, tuttavia il principio stesso dell’ atto crea¬  tivo ci si trova, come dire a pigione, rincantucciato ora  in nn angolo, ora in un altro, senza aver mai la forza  di girare la mazza a tondo, di cacciare via tutte le rap¬  presentazioni della coscienza ordinaria, e di dichiarare  solennemente che la casa della filosofia è casa sua.   Egli è d’uopo però confessare che, anche nella filosofia  del Bruno, questo principio non arriva a spiegare tutto   kenden Hraft und des BeWìrktwerdens ist eine sebi 1 wichtige Bestim-  mung; die Materie ist nichts ohne die Wirksatrilfeit, die Form also  das Verm&gen und innere Leben der Materie. Vare die Materie bloss  die unbestimmte Móglichkeit, wie k-ame man zum Be'stimniten? Ib.  S. jo8.        il suo valore. Ciò si può vedere, chiaramente quando si  osservi che, se da una parte il Bruno pone la rivelazione  di Dio come essenza stessa di lui, dall’ altra poi non fa  consistere tutta quanta la essenza di Dio in questa rive¬  lazione medesima. Secondo Bruno , Dio rivela^ solo una  gran parte di sò stess o; un’ altra parte, quantunque mini¬  ma e quasi ridotta ad un punto microscopico ed insigni¬  ficante, resta però assolutamente irrivelabile. Dal che si  scorge che Bruno non sa disfarsi in tutto del vecchio so¬  vrannaturale della Scolastica, e mettersi cosi pienamente  d’ accordo con sé medesimo. Imperocché, quantunque egli,  tr asfon d endo la vita di_ Dio nella realtà della natura , ridu¬  ca quel sovrannaturale a minime proporzioni, lo assottigli,  lo scarnifichi e scheletrizzi in guisa da poterlo anche met¬  tere in canzonatura ed abbandonarlo quasi balocco alla me¬  ditazione dei teologi, ciò non ostante lo lascia li come  qualcosa che non si estrinseca, che non cade nella crea¬  zione, che non diviene materia di quell’ atto assolutissimo,  nel quale, secondo lui stesso, consiste la vera essenza di  Dio. Quantuque però quest’ultima .ombra del vecchio Dio  tenebroso induca un grave difetto nella filosofia Bruniana,  tuttavia egli è da osservare che la correzione di questo  difetto è data già, implicitamente, nello stesso concetto,  che il Bruno si forma del principio universale delle cose.           Ed è per questo che Spinoza, continuatore di Bruno, potò  sbarazzarsi totalmente di quel caput mortuum del medio  evo, e recare così a grado di esplicamento più compiuto  il concetto di Dio, o della verità che dicasi, come atto crea¬  tivo. La necessità di questo esplicamento storico e razio¬  nale del principio del Bruno si può vedere agevolmente,  quando si rifletta che la idea di Dio come il Creatore im¬  porta che, non potendo egli avere una doppia natura, non  può, per ciò stesso, nulla contenere, che rimanga al diso¬  pra dell’ atto creativo, e non giunga a grado di esplica¬  zione reale e vivente nella realtà infinita dell’universo.  Dire da una parte che al disopra dell’ atto creativo resta  nell’ assoluto qualche cosa, che non si rivela e non piglia  il suo posto nè nella natura, nè nello spirito, e dire poi  dall’altra che la essenza di Dio consiste nella rivelazione  ^di sè medesimo, sarebbero pronunziati contradditori. Spi¬  noza adunque, rompendola assolutamente con quella falsa  idea dell’ estramondano, non fece che esplicare logica¬  mente il principio fondamentale della filosofia del Bruno.   Da questo principio, di cui ho brevemente discorso  e che costituisce quello, che vi ha di più intimo nella fi¬  losofia Bruniana, come in ogni vera filosofia, perchè non  esprime questa o quella forma dell’ Idea, ma l’Idea stessa  nella sua intrinsechezza ed universalità, da questo princi-        — 2 Ì —    pio, dico, ne scaturiscono due altri, c sono: la esistenza j /  eterna ed ideale di tutte le cose, e quindi la vera imma¬  nenza di Dio nell’universo. Questi due principii, vera¬  mente, non sono che due modi diversi di considerare, e  direi quasi di esprimere, lo stesso concetto; ma questi due  modi hanno una cosi grande importanza nella filosofia del  Bruno e nella filosofia in generale, che io credo mio de¬  bito fare una parola e dell’ uno e dell’ altro. Cito un bre¬  ve tratto relativamente al primo modo di considerare il  detto principio. Il Bruno adunque dice cosi: « Le sole  forme esteriori delle cose si cangiano e si annullano, per¬  chè non sono cosi) ma delle cose, non sono sostanze, ma  delle sostanze sono accidenti e circostanze. Che se delle  sostanze si annullasse qualche cosa, verrebbe ad evacuarsi ^  il mondo. Nulla cosa si annichila e perde 1’ esserg^eflffi- Jj  to che la forma accideittidL£atSàQtS-0^£S2Ì£? P c ™ tiUV  to la materia quanto la forma sostanziale di che si voglia  cosa sono indissolubili e non annichilabili » (i).    Da queste poche parole, che ho citato, si può vedere,  senza una difficoltà al mondo, comedi Bruno sia davvero  un idealista di prima forza. Per Bruno ogni cosa, consi-  derata nella sua forma interiore, è una natura determina-     (i) V. Dialogo 5-° e 4.° De la Causa, Principio et Uno.   4 '       — 26 —    ta, eterna ed immutabile; ogni cosa ha la sua idea. Tut¬  to 1’ universo non è che una trama di principii o for¬  me assolute, le quali si sviluppano e si rinnovano eterna  mente nella loro esistenza esteriore e sensibile, ma con¬  servano eternamente la loro natura ideale ed incorrutti¬  bile. Per tal modo la essenza di tutte le cose dell’ uni¬  verso non è niente di indefinito o di arbitrario. Tutto ciò  che è ha la sua legge, in fondo a tutte le cose vi è un  eterno statuto che le modera e governa; ed è questo sta¬  tuto appunto quello, in cui deve travagliarsi la meditazio¬  ne del filosofo. Egli ò vero che in tutti gli esseri vi ha  numero, differenze e moltiformiti, ma il numero, le dif¬  ferenze e la moltiformità di un essere qualsiasi altro non  è che lo sviluppo di un principio unico e fecondo; e quin -  di anziché importare mutazione o cangiamento nella na- .  tura di esso, ò in questo sviluppo, in vece, che si effet¬  tua e s’invera sempre più compiutamente la natura del-  1’ essere medesimo.   Signori, se il Bruno avesse spinta più oltre la inve¬  stigazione di questo principio, e si fosse fatto ad appli¬  carlo alla storia, egli avrebbe potuto porre un secolo pri¬  ma, almeno in un certo qual modo generale, quel gran  concetto, che forma la gloria di Giambattista Vico. E  s^pWtt^rió^che^èhah^uaidea. se tutto quello        — 27 —    che si svolge nell’ universo ha la sua legge, e come dire,  il suo codice eterno ed immutabile, anc he la storia dev e  a vere la sua legge e il suo statuto ; e quindi deve esser  possibile la ricerca di questo eterno statuto della storia ,  deve esser possibile, io voglio dire, l a^ filosofia della sto -  ria. Il Bruno però, bisogna confessarlo, non ha piena co¬  scienza di tutti quei tesori, che si acchiudono nella sua dot¬  trina. Ciò derivi, in parte, dal soverchio entusiasmo, on-  d’ egli si abbandona e si dimentica nella contemplazione  della infinita natura; e, in parte e principalmente, dalla  profondità stessa e dalla fecondità inesauribile dei suoi prin¬  cipi , dei quali, certamente, non si poteva avere ai suoi  tempi una chiara e perfetta coscienza.   Confessando però che il Bruno non giunse a questo  gran concetto del Vico, io debbo aggiungere che, con tutto  ciò, il Bruno non è affatto inferiore al Vico; anzi, espri¬  mendo liberamente quel che penso, dirò che Bqjqq, come  metafisico, gli $ di gran lunga superiore. Nel Vico que.  sto gran concetto della storia ideale ed eterna non si ap¬  poggia su di una metafisica seria e profonda, anzi questo  concetto è in assoluta opposizione colla metafisica del Vico.  E per vero , quanto a metafisica, il Vici) non esce dalla  posizione dello intendimento scolastico; e credo anche non  sia ingiustizia lo aggiungere che, se si paragona il filosofo        1AV    la    tettar                         napoletano coi più grandi pensatori della Scolastica, que¬  sto riscontro non può riuscirgli molto favorevole. Dal che  si può inferire, che il gran concetto della storia ideale ed  eterna, se da un lato e per ragion di scoperta è tutto pro¬  prio del Vico, dall’ altro poi e per ragion di natura, esso  fa parte della dottrina del Bruno. Imperocché, quantunque  il Bruno non si sia innalzato alla contemplazione del di¬  segno ideale della storia, tuttavolta è nella metafisica del  Bruno e non in quella del Vico il fondamento e la pos¬  sibilità di siffatta contemplazione. Egli è vero che il me¬  rito del Vico non consiste soltanto nell’ avere ammessa    una storia ideale ed eterna , e perciò nell’ avere ricono-     | differisce essenzialmente da quella, che governa la natura.       Nella natura, dice Vico, è Dio che ope ra, mentre nella  storia opera 1’ uomo, e pure, operati lo lui, compie il di¬  segno eterno della storia, effettua gli eterni decreti della  Provvidenza. Cosi l’uomo, in questa nuova posizione, non  è soltanto /’ infinito effetto della infinita causa, non è sem¬  plicemente /’ eterna genitura dell’ eterno generante , ma è  eziandio qualche cosa di più. E in questa posizione sol¬  tanto è possibile la vera filosofia compiuta, la vera con-          templazione di Dio come Causa sui. Questo concetto della  Causa sui , cioè della Causa della Causa non c’ è_^_dav-  vero nell' assoluto Bruniano (come non c’ è neppure in  quello di Spinoza), quantunque sia appunto questo con¬  cetto quello, che travaglia incessantemente la sua coscien¬  za e quello stesso di cui fa uso, come mostrerò in ap¬  presso, nella sua dbttrina della conoscenza e della libertà.   Tutto ciò adunque non si nega. Ma non si può ne¬  gare però, d’ altra parte, che questa nuova e più alta po¬  sizione, in cui ci colloca la dottrina del Vico, è resa pos¬  sibile soltanto dalla posizione Bruniana. Solo ammetten¬  do l’Idea, come essenzialmente manifestazione di sè me¬  desima, si può e si deve arrivare, quandochessia, al con¬  cetto di quella tale manifestazione, la quale esprimendo dav¬  vero V Idea , ed essendo essa proprio quello stesso che è  I Idea , e perciò rappresentando non più una manifesta¬  zione esteriore, ma il ritorno dell’ Idea in sè medesima, de¬  ve necessariamente essere governata da una legge affatto  differente da quella, che governa le manifestazioni este¬  riori, non effettuatrici esse stesse del principio assoluto.  Stando in vece alla posizione della metafisica'del Vico,  non solo non è possibile ammettere questa legge fonda-  mentale della storia, ma non si può neppure ammettere  il concetto generale di una storia ideale ed eterna.    30 —    f- VK^/   5 ^ .    Passando ora al secondo aspetto del principio che  sto esponendo, cito in prima un breve tratto del Bruno.  Nel primo dialogo della Cena delle ceneri il Bruno si e-  sprime cosi: Noi « conoscemo tante stelle, tanti astri, tanti  numi, che son quelle tante centinaia di migliaia eh’ assi¬  stono al ministerio e contemplazione del primo, univer¬  sale, infinito cd eterno efficiente. Non è più imprigionata   la nostra ragione con ceppi di fantastici mobili e motori.   Conoscemo che non è eh’ un cielo, una eterea regione im¬  mensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie di¬  stanze , per comodità de la partecipazione de la perpetua  vita. Questi fiammeggianti corpi sono que’ ambasciatori che  annunziano 1’ eccellenza de la gloria e maestà di Dio. Cosi  siamo promossi a scoprire V infinito effetto de l’infinita  causa, il vero e vivo vestigio dell’ infinito vigore, et abbia¬  mo dottrina di non cercare la divinità rimossa da noi, se  l’abbiamo a presso, anfi di dentro, più che noi medesimi  siamo dentro a noi ».   Signori, questo principio della imma nenza di.Dio ne^Ja  natura e nello j>£Ìrito sorge la prima volta col Bruno nella  storia della filosofia. Fu Bruno il primo che si fece a cer¬  care davvero la Divinità nell’ infinito mondo e nelle infinite  cose, e fece di questa ricerca la esigenza fondamentale e  lo scopo unico di tutto quanto il sapere filosofico. « Di        — 3i —    questa infinita presenza di Dio nell’ universo, dirò colle  belle parole del nostro più profondo pensatore vivente ,  nessun filosofo ha discorso con tanto entusiasmo e con¬  vinzione , quanto Bruno. La sua voce era come il primo  grido di gioia della natura che ora cominciava a scoprire  sè stessa e a conoscersi n#l suo reale valore » (i).   Premesse queste poche cose, io posso ora determi¬  nare il significato che ha nella filosofia Bruniana la dot¬  trina dell unita dell universo. Ciò facendo, resterà meglio  dualità la importanza di quel poco che ho esposto finora.  Ma prima cito un breve tratto del nostro filosofo. « Quan¬  do l’intelletto, dice il Bruno, vuol comprendere la essenza  di una cosa, va semplificando quanto può; voglio dire, da  la moltitudine si ritira, rigettando gli accidenti corruttibi¬  li... Cosi la lunga scrittura e la prolissa orazione non inten-  demo, se non per contrazione ad una semplice intenzione.  I.’ intelletto in questo dimostra apertamente come ne P u-  nità consiste la sostanza de le cose, la quale va cercando o  in verità, o in similitudine.... Quindi è il grado de le intel¬  ligenze, perchè le inferiori non possono intendere molte  cose, se non con molte specie, similitudini e forme; le su¬  periori intendeno migliormente con poche; le altissime con    (t) Spaventa, Saggi di Critica, p. 228.       — 32 —    pochissime perfettamente; la prima intelligenza in una idea  perfettissimamente comprende il tutto... Cosi adunque, mon¬  tando noi a la perfetta cognizione, andiamo complicando la  moltitudine, come, discendendosi a la produzione de le cose,  si va esplicando l’unità ». Quindi è che « ogni cosa che  prendemo nell’ universo, perchè ha in sè tutto quello che  è tulio per tutto, comprende in suo modo tutta l’anima del  mondo. E cosi non è stato vanamente detto, che Giove  empie tutte le cose, inabita tutte le parti dell’ universo ».  È per questa ragione che « quelli filosofi hanno ritrovato  la sua amica Sofia, li quali hanno ritrovato questa unità.  Medesima cosa a fatto è la Sofia, la verità, la unità » (i).   La ragione di questo principio nella filosofia del Bru¬  no risulta già chiaramente da quel poco che ho detto fin  qui. Imperocché se Dio è immanente nella natura e nello  spirito, egli è manifesto che quel principio, che si attua  nell’ uomo e che dà luogo a tutte le forme del suo svi¬  luppo , non può, considerato in sè, essere altra cosa dal  principio che pone la natura. Ammessa la dottrina della  immanenza, /’ arte interna del pensiero , per servirmi delle  stesse parole del Bruno, deve necessariamente appartenere    (i) De la Causa, Principio et Uno, pag. 287, 28}, 282. 283.       — 33 —    allo stesso artefice- interno della natura; e quindi quel prin¬  cipio, che forma i minerali, le piante, gli animali, deve  essere quello stesso principio, che pensa nell’uomo. Il che  vuol dire che, se da una parte tutte le forme della natu¬  ra e dello spirito hanno una sostanzialità loro propria, una  loro natura specifica e diferenziale, dall’ altra cosi le pri¬  me come le seconde non possono essere che gradi diversi  della stessa unità fondamentale del tutto, di quell unità  della materia e della forma, del reale e dell’ ideale, in cui  consiste la radice di ogni esistenza. Ed ò per tal modo  soltanto che si può cessare l’assoluta separazione di spi¬  rito e materia, di realtà consciente e di realtà naturale,  separazione che degrada tanto 1’ una che l’altra, e che fa  dello spirito qualcosa di astratto e d’inconcepibile, e della  natura un mondo senza vita, senza ragione e senza finalità.   Signori, per questa dottrina il Bruno è stato gene¬  ralmente accusato di panteismo; ed anche in questi ultimi  anni la maggior parte di coloro, che in Italia hanno trat¬  tato del Nolano, si son fatti a rinnovare questa vecchia  accusa, senza però investigare seriamente, e spogli di pre¬  concetti, il vero senso della dottrina Bruniana e il signi¬  ficato preciso della teoria panteistica. Io qui, naturalmen¬  te , non posso far la critica di questa accusa. Dirò sol¬  tanto alcune cose principali. E in primo luogo osservo   5        — 34 —    che, anche quando il Bruno non fosse altro che un sem¬  plice panteista, bisognerebbe sapergli grado almeno per  questo: voglio dire che bisognerebbe sapergli grado perchè,  dop o le astrattezze della Scolastica, egli avrebbe posto al¬  meno il principio della unità del mondo, e quindi ricollocata  la filosofia sul suo terreno naturale. Imperocché, si dica pure  tutto quel che si voglia, il principio su cui si fonda il pan¬  teismo, c che è l’unità dell’infinito e del finito, dell’ideale e  del reale, è quel principio, da cui appunto comincia la filo¬  sofia, e senza di cui nessuna filosofia è possibile. E per ve¬  ro dal momento medesimo che comincia la speculazione  filosofica, e quindi la ricerca della essenza universale di tutti  gli esseri, comincia per ciò stesso una certa unificazione,  o identificazione, se così piace dire, di tutte le cose in un  principio unico ed assoluto. Questo principio adunque è  come la prima lettera dell’ alfabeto del pensiero; e chi non  ha pronunziato ancora questa lettera, chi, cioè, non si è  ancora innalzato a questo nesso universale in cui si uni¬  fica e cielo e terra, e che è come il pernio, a cui si ap¬  punta tutto quanto 1’ universo, chi, dirò colla bella imma¬  gine dell’ Hegel, non si è ancora bagnato in questo etere  purissimo della unità del mondo, deve essere ancora cer¬  tamente assai lontano dall’ augusto santuario della coscien-     — 35 —    za filosofica (i). Fino a questo punto adunque la dottrina  panteistica, anziché essere un sistema particolare di filosofia,  é la filosofia stessa nella sua più intima essenza. Onde  è che, se una filosofia si differenzia da un’ altra, questa  differenza non può nascere dilli’ ammettere o non ammet¬    tere l’unità, ma soltanto dal modo diverso di concepirla  e di determinarla; imperocché, come ha già detto bella¬    mente il Bruno, medesima cosa affatto è la Sofia, la ve¬  rità, P unità. La qual cosa è stata vista lucidamente anche  dal nostro acutissimo filosofo Roveretano, Antonio Rosmi¬  ni. Il quale, pur respingendo da sé ogni possibile accusa  di panteismo, ha tuttavia sostenuto anch’egli un principio  unico universale, ed ha considerato tutte le forme della  realtà natur ale, della realtà upiana, e della realtà di Dio  come diversi modi di essere, come diverse determinazioni  del principio medesimo.   Che se poi noi ci facciamo a considerare la dottrina  panteistica non più rispetto a quell’ idea fondamentale che    Ile   r- <K    (i) « Wenn man anfangt ni philosophiren, muss die Seele zuerst  sich in diesem Aether der Einen Substanz baden, in der Alles, was  man fur wahr gehalten hat, untergegangen ist; diese Negation alles  Besondern, zu der jeder Philosoph gekommen seyn muss, ist die  Befreiung des Geistes und scine absolute Grundlage » Id. ib. Drit-  ter Theil, S. 337.    t       — 36 —    in essa si contiene, e per cui il panteismo e la specula¬  zione filosofica in generale fanno tutt’ uno, ma rispetto a  quella determinazione particolare della stessa idea, dalla  quale solamente la dottrina panteistica attinge il suo signi¬  ficato e 1’ essere proprio di sistema speciale di filosofia, in  tal caso non possiamo avere che due soli ed opposti con¬  cetti di siffatto sistema. Imperocché, o il panteismo si con¬  cepisce come identificazione dell’ infinito col finito nella  sua immediatezza e quindi come deificazione di tutte le  cose, ovvero come risoluzione ed annullamento di unte  le differenze ideali dell’ universo nella vuota identità della  pura sostanza. Il primo concetto del panteismo, che è ap¬  punto quello che hanno avuto in mente i nostri critici del  Bruno, non trova affatto qualsiasi riscontro nella filosofia  del Nolano. Il Bruno non ha mai confuso l’infinito col  finito, non ha fatto mai 1’ apoteosi della esistenza caduca  e corruttibile delle cose, non ha mai deificato le forme  accidentali, esteriori e materiali, le quali per lui , come  per ogni vero filosofo, non sono cose, ma delle cose, non  sono sostanze, ma delle sostanze sono accidenti e circo¬  stanze. Il Bruno ha deificato soltanto /’ infinito mondo, la  infinita natura, le infinite cose, ha deificato la eterna genitura  dello eterno generante; la qual dottrina non ha nulla che  fare col panteismo. Questa dottrina è in vece eminente-       mente cristiana, anzi è la essenza stessa del cristianesimo;  e la negazione di questa dottrina non è solamente la ne¬  gazione della vera filosofia, ma è la negazione altresì di  tutti i principii del sapere moderno, e della possibilità stes¬  sa della scienza in generale.   Ma c’ è di più; imperocché questa pretesa confusione  dell’ infinito col finito non pure non si trova affatto nella  filosofia Bruniana, ma non ha nemmeno il suo riscontro  in qualsiasi sistema di filosofia. Tutta la storia della filo¬  sofia , per quanto è lunga e larga, non ci presenta al¬  cun sistema, in cui si possa ravvisare questa strana con¬  fusione ; in quella guisa medesima che la storia della re¬  ligione non ci mostra nessun popolo, che abbia proprio  adorato il finito come finito (i). Lo stesso Bruno, par¬  lando degli Egizi, dice a questo riguardo, le seguenti me¬  morabili parole: « Non furono mai adorati coccodrilli, galli,   (i) ....Diejenigen, welche irgend eine Philosophie fiiir Pantheis-   mus ausgeben.. batteri. es vor Alleni aus nur als Faktum zu   konstatiren, dass irgend ein Philosoph oder irgend ein Mensch in  der That den Alien Dingen an und fur sich seiende Realitat, Sub-  stantialitat zugeschrieben und sie fur Gott angesehen, dass irgend  einem Menschen solche Vorstellung in den Kopf gekommen sei ausser  ihnen selbst allein. Id. Encyklopàdie, Dritter Theil, § 573. Vedi an¬  che: Aesthetik, Zweiter Theil, S: 478.      - 38 -    cipolle e rape, ma la Divinità in coccodrilli, galli, cipolle  e rape ». E parlando dei Greci, si esprime cosi: « I Greci  non adoravano Giove come fosse la Divinità, ma adora¬  vano la Divinità come fosse in Giove » ; il che , come  ognun vede, è cosa assolutamente diversa (x).   Quanto poi all’ altro concetto del panteismo, cioè a  quel concetto secondo il quale Dio non è altro che la  semplice unità astratta dell’ infinito e del finito, dell’ ideale  c del reale, egli è d’uopo riconoscere che una tal dot¬  trina c’ è davvero nella storia della filosofia. Forse non  sarebbe difficile provare che questa dottrina, considerata  nella sua assoluta purezza non ha luogo, in una forma  veramente speculativa, che soltanto nella filosofia Parme-  nidea. Anche la filosofia di Spinoza, quando la si intenda  bene, non è poi addirittura quel rigido panteismo che or¬  dinariamente si crede. Ma, lasciando stare queste rifles¬  sioni, il fatto è che nella filosofia Bruniana il princip io  dell’ unità dell’ ideale e del reale, il concetto della identità  non ha affatto quello stesso significato, che ha nella dot¬  trina panteistica pnra. Imperocché nel puro panteismo que¬  sta unità esclude assolutamente ogni qualsiasi determina¬  zione , ogni differenza, e perciò è la negazione di tutto   (1) V. Spaccio della Bestia Trionfante, Dial. 3. p. 226—27.           — 39 —    quanto 1* universo intelligibile, mentre, nella filosofia Bru-  % niana, questa unità si muove, si distingue, si va specifi¬  cando e, come dire, spezzando in tutte le forme della natura  e dello spirito. Ammettere questo dirompimento dell’unità  universale, guardare in tutte le cose un principio eterno ed  immutabile come forma vera e totale dell’ unità medesima,  riconoscere in somma un mondo infinito, tutto questo non è  affatto panteismo; anzi è la critica vera e positiva della dot¬  trina panteistica. E tale è in fondo, considerata nel suo spi¬  rito, la filosofia Bruniana. Il che è tanto vero che il Bru¬  no è arrivato fino a vedere — cosa degna veramente della  più alta ammirazione — che la vera esigenza della filoso¬  fia, che il vero segreto dell’ arte, come egli dice, consiste  appunto, non già nel semplice innalzarsi all’ unità del mon¬  do , ma nel procedere dall’ unità stessa a tutte le forme  differenziali ed opposte, in cui essa si va esplicando, e in  cui si manifesta la vita tutta dell’ universo. « Profonda  magia, ha detto il Bruno, è trarre il contrario, dopo aver  trovato il punto dell’unione » (i). Se adunque, io dico,   (i) L’ Hegel dopo di aver citato questo passo di Bruno: « Aber  den Punkt der Vereinigung zu finden, ist nicht das Gròsste; sondern  aus Demselben auch sein Entgegengesetztes zu entwickeln, dieses  ist das eigentliche und tiefste Geheiranis der Kunst » soggiunge en-  faticamente: « Dicss ist ein grosses Wort, die Entwickelung der Idee   *    •. '        — 4 ® —    il Bruno ha visto financo che il segreto della filosofia sta  nel tirare le differenze ideali dell’ universo dalla sua unità,  o, in altri termini, nel contemplare 1’ atto proprio del dif¬  ferenziarsi dell’ unità, quell’ atto, che, come egli dice, non  pure è potenza di tutto, ma è atto di tutto, come si può  sostenere che la sua filosofia sia panteismo ? Ha forse il  Bruno inabissate, ha forse estinte nell’ unità assoluta tutte  le forme ideali dell’universo? E non è vero in vece che  la esigenza della sua dottrina si è appunto quella di di¬  stinguere nell’ unità assoluta un mondo intelligibile, un u-  niverso infinito? Ovvero si vuol sostenere che il Bruno è  panteista sol perchè non ci ha presentato, ai suoi tempi,  in una forma veramente speculativa, tutto questo suo u-   è   niverso infinito? perchè, in altri termini, non ci ha dato  una filosofia della natura e una filosofia dello spirito ?  Una simile pretesa non sarebbe certamente degna di una  mente sana. Ma altro è dir questo, anzi altro è anche ag¬  giungere che la dottrina di Bruno non è nemmeno un  sistema nel senso vero della parola, altro è affermare che    so zu erkennen, dass sie eine Nothwendigkeit von Bestimmungen  ist ». Geschichte der Philosophie, Zweiter Tchil, S. 209.              — 41 —   1’ assoluto Bramano sia addirittura come la notte, in cui  tutte le vacche son nere (i).   Ma io mi avveggo, o Signori, di essermi soverchia¬  mente dilungato su questo punto. Dirò dunque ora pro¬  prio di volo, prima di conchiudere, pochissime parole sul-  P applicazione di questi primi principi più generali della  filosofia del Bruno alla teoria della conoscenza e della li¬  bertà. Senza fare ciò non si può vedere la vera impor¬  tanza di questa grande filosofia.   (i) Br uno si può dire pant eista in un senso solo, cioè nel senso  che nella sua filosofia manca il concetto della vera ed assoluta esi¬  stenza di Dio, manc^lconcettodiDio^conHSjjersonalità assoluta.   Il Dip del Bruno vive nell’ infinito universo, ma non ha una vita sua  propria come principio assoluto, non ha una sua realtà distinta,  nella quale si raccolga tutto il mondo intelligibile; inso mma il Di o *  del m Bruno non è l’Idea come autocoscienza assoluta, e perciò non è  ancora realmente Dio=Dio. Tutto questo è vero. Ma siffatta critica  della dottrina Bruniana si può fare soltanto dal punto di vista del-  l’Hegel, non già dal punto di vista de’nostri critici del Bruno. È  l’Hegel soltanto, che ha dritto di chiamare il Bruno panteista. La  spiegazione e la critica del Bruno, a me pare la seguente. Bruno^con-  templa Dio come cosmogonia, come attivitàcosmogonica (ciclo di o-  rigine), ma non contempla il cosmo come teogonia, come attività teo-  gonica (ciclo di ritorno). Egli è vero che non c’ è cosmogonia senza  teogonia, come non c’ è intuito senza riflessione; ma c’ è teogonia e    I           42 —    In ordine alla conoscenza il Bruno insegna che la ve¬  rità di essa non si ha e non si può avere immediatamente,  cioè nella sua forma originaria c primitiva, e finché dura il  carattere proprio della medesima. Il carattere di questo pri¬  mo grado della conoscenza si è quello di essere legata alla  natura esteriore, sensibile, accidentale, e quindi è la estrin-  sechczza del pensiero a sè medesimo. Per potersi scioglie¬  re da questi legami col mondo esteriore e fenomenico, e  giungere davvero a possedere sò stesso, lo spirito ha d uo¬  po o della fede o della scienza. Ma, nella fede, l’uomo  non s’innalza alla verità colle sole forze della ragione e  in un modo assolutamente libero: nella fede 1 uomo, fino  ad un certo punto, accoglie in sè la verità come vaso o  recipiente, e perciò in guisa non corrispondente del tutto   teogonia, come c’è riflessione e riflessione. Ora il Bruno non ar¬  riva al concetto di quella forma del cosmo che non è solamente  una certa teogonia, ma che è la vera ed effettiva teogonia; non ar¬  riva al concetto del cosmo veramente teogonico; e perciò non ar¬  riva alla vera esistenza di Dio. Dunque la personalità assoluta di Dio,  in questa filosofia, è impossibile. Ma d’ altra parte neppure è pos¬  sibile arrivare a questa idea, uscendo da Bruno assolutamente. È  sulla via aperta dal Bruno che bisogna camminare per raggiungerla.  Chi vuole adunque questa idea, accetti il Bruno, vada avanti, e la  troverà.          — 41 —    alla vera eccellenza della propria natura. Nella scienza, al  contrario, lo spirito si eleva alla contemplazione della ve¬  rità colla sola libera energia della sua mente, e produce  la coscienza di essa come vero artefice ed efficiente. Il  processo della contemplazione della verità consiste nel pro¬  fondarsi nel profondo della mente e nel circuire per i gra¬  di della perfezione, cioè nel percorrere col pensiero le di¬  verse manifestazioni dell’ infinito vigore , e perciò nell an¬  dare non già dal finito all’infinito, o viceversa, ma nel¬  l’andare dall’infinito all’infinito. Lo scopo ultimo di sif¬  fatta contemplazione si è di capire quell ' atto assolutissimo  che t medesimo coll’ assolutissima potenza, e di effettuare  così la vera immanenza di Dio in noi colla virtù stessa  della nostra mente.   In conformità di questo concetto della conoscenza, il  Bruno determina il concetto della libertà nel modo che  segue. La verità e, la legge sono tutt’uno. Perciò, come VC/àU  la verità è intima allo spirito umano, cosi anche la legge  è intima all’umana volontà. Questa adunque non si può  considerare come una facoltà vuota ed indeterminata. D al¬  tra parte, nella guisa medesima che la verità non è pos¬  seduta dallo spirito originariamente c senza la sua stessa  attività, così anche la volontà non è oggettivamente li¬  bera, e quindi non è vera ed assoluta volontà, finché non       si ò elevata alla legge ed alla verità. La verità adunqne è  il fondamento ed il contenuto della libertà. Fuori della ve¬  rità, fuori della legge la vera libertà non è possibile. Per  tal modo la libertà non è arbitrio, ma è necessità. Que¬  sta necessità però non è esterna, non è fatalità, ma ap¬  punto perchè s’immedesima colla stessa verità, è neces¬  sità interna e razionale.   Signori, io non ho bisogno di fermarmi sulla impor¬  tanza pratica di questo concetto Bruniano della libertà.  Senza che il dica, ognun vede come in questo concetto  si acchiuda ad un tempo la critica della falsa libertà, e  della falsa autorità, e come sia appunto in questo concetto  che sta il fondamento della nuova vita sociale e il prin¬  cipio animatore di tutta la civiltà moderna. A me qui  spetta soltanto di chiarire brevemente il valore speculativo  di queste applicazioni dei principi metafisici del Bruno, e  di mostrare come in queste applicazioni si possa scorgere  il germe di una più alta filosofia.   Ebbene egli è facile vedere che queste idee del Bru¬  no, relativamente alla conoscenza ed alla libertà, più che  semplici applicazioni del suo principio metafisico, sono in  vece delle conseguenze, che hanno una portata di gran  lunga superiore allo stesso principio. Bruno in queste  applicazioni supera davvero sè stesso, egli va al di là     I    — 45 —   dello jtesso suo punto di partenza. E per vero il punto  di partenza del Brudo è Dio come semplice atto crea¬  tivo , Dio come semplice creare, e perciò come ge¬  nerare ; e quindi l’universo Bruniano è si la infinita,  la eterna creatura o genitura di Dio, ma non è altro  che la eterna, la infinita creatura o genitura di Lui. In¬  tanto il concetto Bruniano della _libertà e della cono¬  scenza ci presenta una vera reazione sullo stesso principio  assoluto : esso importa un’ attività superiore al semplice  creare, importa un’ attività, che non è mera estrinsecazio¬  ne del principio eterno delle cose, ma ò una effettuazione  vera del principio medesimo, come atto dello stessa crea¬  tura fi'). Il Gioberti ha detto ai giorni nostri, in un mo-  mento di profondo intuito filosofico, che l’uomo ren¬  de a Dio la pariglia; anzi egli ha detto anche in genera¬  le che l’atto creativo è essenzialmente atto teogonico. Ora  questo rendere a Dio la pariglia, questa forma di atto crea¬  tivo, che è nel medesimo tempo atto teogonico , è appunto   (i) O meglio: come atto di Dio stesso, ma in quanto creatura.  Col linguaggio della religione si direbbe: come atto dello stesso  Padre, ma m quanto Figlio. Si sa poi che questo atto del Padre,  che è atto di lui in quanto Figlio, è quello che là la verità del Fi¬  glio e la verità del Padre ; e che questo atto è appunto lo Spirito: la  vera Ferità.    ' <     - 46 -    quella idea, che noi non possiamo ravvisare nel principio  metafisico del Bruno, ma che però troviamo adoperata  nella sua dottrina della conoscenza e della libertà. Si può  adunque affermare che, nella filosofia del Bruno, le con¬  seguenze contengono più delle premesse; ma siffatta con¬  traddizione anziché menomare il merito del nostro filoso¬  fo, è appunto quella, se io non mi sbaglio, in cui si ri¬  vela la più alta potenza della sua speculazione. Nè var¬  rebbe il dire che il Bruno non finisce come comincia; impe¬  rocché il Bruno, ha cominciato bene, come era possibile  ai suoi tempi, ed ha finito molto meglio. E se tra il Prin¬  cipio ed il Fine, tra 1* Origine ed il Intorno la sua filosofia  non pone quell’ accordo, in cui consiste la vera Idea, di ciò  non si può fare un’accusa al nostro grande pensatore,  stante che un tale accordo è il risultato di tutta quanta la  speculazione moderna; e perciò non si può pretendere dal¬  la filosofia del Bruno. Nè si può pretendere dal Bruno la  coscienza della contraddizione, che corre tra il suo prin¬  cipio metafisico e la sua dottrina della conoscenza e della  libertà, perchè una tal coscienza non poteva sorgere nella  storia, se prima i due estremi, cioè il Principio ed il Fine,  1’ Origine ed il PJtorno, non avessero spiegato separata-  mente tutto il loro valore e non si fossero presentati dinan¬  zi al pensiero speculativo come le due somme ed opposte      potenze (Teli* universo, 1’ una predominante nel mondo del¬  la natura, 1’ altra in quello dello spirito. La filosofia Car¬  tesiana rivelò il potere del Trincipio, la filosofia Kantiana  (precorsa solo dal Vico) mise in evidemza l’attività indi-  pendente ed assoluta del Fine , e fu perciò solamente la  posteriore filosofia tedesca quella, che potè innalzarsi alla  contemplazione del Principio-Fine, dell’ Origine-Ritorno, e  porre cosi un nuovo e più alto concetto di Dio, il con¬  cetto di Dio come Sviluppo, come Spirito, e quindi una  nuova filosofia: la filosofia dello Spirito.   Raccogliendo adesso le fila del mio ragionamento, io  posso conchiudere così.   La filosofia del Bruno ha riabilitata e {ligni ficat a la  * e l ia restituito il suo vero valore, 1’ ha innalzata a  manifestazione reale e vivente di Dio; dunque il primo ar¬  dente desiderato del pensiero scolastico, in questa filosofia,  è soddisfatto. Ma c’ è di più; imperocché il Bruno, aven¬  do concepito Dio come immaii ^q^ nella coscienza umana  in lorza dell’ attività stess^ai^ essa , ha posto in questo  concetto la possibilità di quella intelligenza superiore, che  formava la seconda e più alta aspirazione dei grandi pensa¬  tori della Scolastica, e la cui attuazione non poteva essere  che il risultato finale di tutta quanta la filosofia moderna. Sebastiano Maturi. Maturi. Keywords: implicature, Bruno, Vico, Aquino, Spaventa, I duellisti, l'io e l’altro – riconoscimento, la dialettica del signore e del servo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Maturi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia campanese -- filosofia napoletana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “People sometimes asks me how my intentionalist approach can be applied to history. I always respond: Read Maturi!” Grice: “Maturi’s ‘Interpretazioni,’ thus in plural, ‘del risorgimento’ is a classic --.” Grice:: “Even in London, the risorgimento had at least two interpretations! One in Woolwich, and another one elsewhere! And there is possibly a gender distinction too with “Speranza,” Wilde’s mother, being somewhat fanatic about it!” – Compe la sua formazione culturale a Napoli dove si laurea con SCHIPA, uno dei firmatari del manifesto degli intellettuali antifascisti redatto da CROCE. Del suo maestro, per la lezione di rigore che gli aveva impartito, Maturi conservò un commosso ricordo ed ebbe modo di esprimere pubblicamente la sua gratitudine in occasione della morte di Schipa, pronunciandone il necrologio. Seguì con attenzione ed interesse, ma anche con spirito critico, le lezioni di Croce conseguendo una laurea in filosofia con Gentile con una tesi su Maistre.  Impostato sulla lezione crociana è il saggio “La crisi della storiografia politica italiana” a cui seguì quello dedicato a Gli studi di storia moderna e contemporanea, inserito nel primo dei due volumi dell'opera del “La vita intellettuale italiana.” Il suo primo lavoro Il concordato tra la Santa Sede e le Due Sicilie pubblicato fu giudicato positivamente dalla critica s di Omodeo che lo recensì ne La Critica. Frequenta la Scuola storica per l'età moderna e contemporanea diretta da Volpe e fu segretario e bibliotecario dell'Istituto storico per l'età moderna e contemporanea. Collaboratore dell'Enciclopedia italiana per la quale scrisse numerose voci tra le quali quella dedicata al "Risorgimento" ispirata alle sue idee liberali.  A causa di questo episodio, nonostante il suo disinteresse per la vita politica attiva, fu allontanato dall'Istituto storico per l'età moderna e contemporanea.  Nei suoi saggi di storia politica i suoi punti di riferimento sono Croce, Meinecke, Salvemini, e Volpe.  Dapprima come incaricato di storia del ri-sorgimento e poi come ordinario tenne le sue lezioni a Pisa dove ha modo di scrivere numerosi saggi come alcune importanti voci nel Dizionario di politica a cura del Partito nazionale fascista, il saggio Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento, e l'accurata biografia Il principe di Canosa. I corsi di storia della storiografia tenuti a Pisa furono continuati a Torino quando ha la cattedra di Storia del Risorgimento e quella di Storia delle dottrine politiche che occupa sino alla sua inaspettata scomparsa.  Le sue lezioni di quest'ultimo periodo furono raccolte nell'opera postuma Interpretazioni del Risorgimento considerata di primaria importanza dagli storici. Saggi: “Interpretazioni del Risorgimento, coll. Biblioteca di cultura storica Einaudi,'Enciclopedia italiana, Accademia delle scienze di Torino, In memoria, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, Roma 1Interpretazioni storiografiche del Risorgimento. Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Walter Maturi. Maturi. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maturi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Maurizi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della vendetta di Bacco – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice: “I like Maurizi; of course his ‘vendetta di Bacco’ makes sense only in the context of Nietzsche’s rather recherché dichotomy!” – Grice: “His idea of the ‘suspected ‘I’’ is good, but he is not, as I was, having in mind Reid, but Freud!” Si è laureato in filosofia della storia presso l'Università degli Studi di Roma "Tor Vergata" e ha conseguito il dottorato di ricerca nella medesima università discutendo una tesi su Cusano e il concetto di non altro da cui è nato il volume La nostalgia del totalmente non altro. Cusano e la genesi della modernità (Rubbettino). Dopo un periodo di formazione in Germania attualmente svolge la sua attività di ricerca presso l'Università degli Studi di Bergamo. Pubblica le sue ricerche su alcune prestigiose riviste come la Rivista di filosofia neo-scolastica, il Journal of Critical Animal Studies, Dialegesthai, Alfabeta, Lettera Internazionale, e collaborando, inoltre, con i quotidiani Liberazione e L'Osservatore Romano. Partecipa alla stesura del secondo volume di L'Altronovecento. Comunismo eretico e pensiero critico (Jaca) ed è il traduttore e curatore dell'edizione italiana di Lukács, Coscienza di classe e storia. Codismo e dialettica, Alegre, Roma di Acampora, Fenomenologia della Compassione, Sonda, Casale Monferrato,, e ha tradotto, con Dalmasso,  Derrida, Teoria e prassi. Corso dell'École Normale Supérieure Jaca, Milano,. Ha contribuito alla fondazione delle riviste scientifiche "Liberazioni" e Animal Studies. Rivista italiana di antispecismo.  Pensiero Maurizi ha suddiviso i suoi interessi di ricerca tra la filosofia dialettica (Cusano, Hegel, Marx, Adorno), la teoria critica della società e le implicazioni politiche di una visione "sociale" dell'antispecismo a partire da una rielaborazione del pensiero della scuola di Francoforte. Tanto le sue ricerche su Adorno, quanto quelle su Cusano si incentrano sul tentativo di porre in evidenza il tema della storicità dell'umano non in termini di un astratto e formale "essere-nel-tempo", quanto più propriamente nel vedere nell'essere storico, in tutta la sua determinatezza, l'irriducibile istanza di verità dell'umano stesso: l'essere storico è in tal senso irriducibile ad ogni ontologia dell'essere temporale seppure ciò non porti necessariamente ad un relativismo storicista. Prendendo spunto dalla lettura critico-negativa di Hegel portata avanti da Adorno, infatti, M. sostiene la leggibilità e razionalità della storia come segno del dominio, l'universale storico non come traccia di un positivo che si farebbe strada attraverso il negativo delle vicende umane, bensì come questo stesso negativo che informa di sé la civiltà, imprimendo ad essa la direttrice di un progresso della razionalità strumentale che è l'antitesi della redenzione. La sua rilettura del pensiero della filosofia di Francoforte ha così costituito un punto di partenza per una ridefinizione dell'opposizione natura/cultura e lo ha portato ad estendere la critica ai meccanismi di dominio anche al controllo e allo sfruttamento del non umano, e più in generale della Natura. Il suo pensiero riguardo alla filosofia antispecista è in continuità con quello espresso dal sociologo David Nibert ed in netta opposizione all'utilitarismo di Peter Singer criticato da M. come un antispecista metafisico. Un punto centrale nell'argomentazione filosofica di M., che rende originale il suo lavoro rispetto a quello degli altri teorici dei diritti animali, riguarda l'interpretazione in termini storico-sociali dello specismo. Ogni attività intellettuale «antispecista», secondo Maurizi, consiste quindi essenzialmente nel fare propria questa scelta di campo: sottolineare come la questione animale sia un aspetto irrinunciabile di ogni ipotesi di trasformazione dell'esistente. Secondo Maurizi l'antispecismo è dunque essenzialmente politico  e non possiamo affrontare, come fanno Peter Singer o Tom Regan, la questione animale da una prospettiva astrattamente morale. All'attività di filosofo, Maurizi ha così affiancato quella di attivista per i diritti animali, intrecciando l'attività speculativa con quella politica; risultato di questa attività è il libro Al di là della Natura: gli animali, il capitale e la libertà (Novalogos, ). M. è stato inoltre fondatore delle riviste di critica antispecista Liberazioni e Animal Studies, della rivista online Asinus Novus che prende il nome dal suo breve testo Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità (Ortica, ). Nel  l'associazione Per Animalia Veritas raccoglie alcuni suoi scritti che rappresentano un sunto aggiornato del suo pensiero sulla filosofia antispecista: Cos'è l'antispecismo politico (Per Animalia Veritas, ). Sulla scia delle riflessioni adorniane, Maurizi ha anche lavorato sulla filosofia della musica e la teoria critica musicale. Le sue teorie sull'antispecismo politico sono abbondantemente discusse nel libro di Lorenzo Guadagnucci Restiamo Animali: vivere vegan è una questione di giustizia (Terre di Mezzo, ), da Matthias Rude Antispeziesismus. Die Befreiung von Mensch und Tier in der Tierrechtsbewegung und der Linken (Schmetterling, Stuttgart ) e altri autori della scena antispecista di lingua tedesca. Saggi: “Il tempo del non-identico,” Jaca); “La nostalgia del totalmente non altro” – La genesi della modernità, Rubettino, “Al di là della natura: gli animali, il capitale e la libertà,” Novalogos, “Asinus Novus: lettere dal carcere dell'umanità,” Ortica, “Cos'è l'anti-specismo?” Per animalia veritas, “L'io sospeso: l'immaginario tra psicanalisi e sociologia, Jaca, Grice: “This reminds me of my fantasies on ‘I’ – “The suspected I’ is a genial phrase!” -- “Chimere e passaggi” Mimesis, “Altra specie di politica, Mimesis, “Musica per il pensiero. Filosofia del progressive” -- Mincione, “La vendetta di Dioniso” --  la musica contemporanea da Schönberg ai Nirvana, Jaca, “Quanto lucente la tua in-esistenza” --- L'Ottobre, il Sessantotto e il socialismo che viene, Jaca. Intervento di M. su questi temi per la Casa della Cultura di Milano: youtube.com/watch?v= ZNfJrRx-7fo  Intervista su questo tema a cura del collettivo Tierrechtsgruppe Zürich (Zurigo) M. La genesi dell'ideologia specista in Liberazioni:/ M. Per una cultura antispecista in Asinus Novus: rivista di antispecismo e filosofia: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress. com. Intervento M. per il primo convegno nazionale antispecista: youtube.com/watch?v= JwZiW4ngrag  Intervista a M. e Caffo sulle nuove prospettive dell'animalismo: youtube Testo recensito da L. Pigliucci per la rivista "Lo Straniero" di Aprile: Copia archiviata, su asinusnovus. wordpress Intervista di F. Pullia sul quotidiano "Notizie Radicali" Una recensione del testo: Copia archiviata, su asinusnovus.wordpress B. Le GocM. M., Musica per il pensiero. Filosofia del progressive italiano, Mincione, Roma.  Antispecismo Diritti degli animali Scuola di Francoforte. Asinus Novus. Antispecismo e Filosofia, su asinusnovus.net. Animal Studies. Rivista Italiana di Antispecismo, su rivistaanimal studies. wordpress. Marco Maurizi. Maurizi. Keywords: la vendetta di Bacco -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Maurizi” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Mazio: la ragione conversazionale all’orto romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Friend of GIULIO (si veda) Cesare and Cicerone. He writes on food and trees and takes an interest in the philosophy of the Garden. Gaio Mazio.

 

Grice e Mazzarella: l’implicatura conversazionale – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Napoli, Campania. Grice: “I love Mazzarella’s ‘necessary word’ – not precisely what I was thinking when philosophising about conversation, but for Mazzarella, the conversational motivation is to HELP in the most authentic fashion – Compared to his ‘parola necessaria,’ my principle of conversational helpfulness, while based in part in the desideratum of conversational benevolence, looks pretty lame!” -- Grice: “I like Mazzarella. The fuss he makes in translating Heidegger, whom I have elsewhere called ‘the greatest living philosopher’ – he was living then –.” Grice: “Mazzarella, who is relying on somebody else’s translation, is especially focused on Heidegger’s Latinate ‘fakt.’ From ‘Fakt,’ Heidegger gets an abstract noun. But he also uses the Germanic for ‘deed.’ Relying on the cognateness of ‘fakt’ with ‘fatto’ – cognate itself with ‘effetto,’ Mazarella agrees that the translation goes from ‘factivity’ to ‘effectivity.’ And it should inspire all philosophers into seeing how similar these two concepts are – if indeed two concepts they are, seeing that they come from the same Roman root! But M. would know that – you wouldn’t!” –  Professore a Napoli,  è tra i principali interpreti di Heidegger. Deputato al Parlamento nella XVI Legislatura per il Partito Democratico.  Dopo essersi laureato presso l'Università degli Studi di Napoli “Federico II” con Masullo, inizia la sua attività di ricerca come borsista DAAD in Germania, e successivamente presso l'Salerno. In seguito è professore incaricato di Estetica presso l'Università dell'Aquila. Dopo essere stato professore associato di Filosofia Teoretica presso l'Catania e di Filosofia della storia presso l'Napoli “Federico II”, diventa professore straordinario di Storia della filosofia presso la Facoltà di Magistero dell'Salerno e dal 1993 Professore di Filosofia Teoretica presso l'Napoli “Federico II”. Dirige il Dottorato di Ricerca in “Scienze Filosofiche” dell'Napoli “Federico II” e cura la programmazione e le relazioni internazionali per la Facoltà di Lettere e Filosofia, di cui è Preside. Deputato del Parlamento italiano, divenendo componente della VII Commissione Cultura della Camera.  Opere In una delle sue opere principali, Tecnica e Metafisica. Saggio su Heidegger, Mazzarella indaga i processi decostruttivo-ermeneutici sottintesi all'heideggeriana storia della metafisica occidentale, fino a formulare un'ipotesi "ecologica"(in senso originario, come pensiero relativo all'abitare dell'uomo) relativa alle interpretazioni del "logos" eracliteo e della categoria aristotelica della "physis" riscontrate nei saggi successivi alla cosiddetta "svolta" del pensiero di Heidegger.  In Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico, le aporie di una metafisica del fondamento sono affiancate alla dimensione tecnica della contemporaneità, intesa storicisticamente come epoca del compimento del nichilismo. Centrale diventa l'idea di un "essere-alla-vita", categoria che richiama in modo lampante l'"essere-nel-mondo" di heideggeriana memoria; le questioni teoretiche vengono così ridotte a questioni etiche riguardanti un'ontologia minima, ove la filosofia prima si trasformi in filosofia seconda, lasciando il posto ad un programma metafisico-antropologico di custodia e mantenimento della e nella propria epoca. L'essere-alla-vita necessita di intendere la cultura come “endiadi di natura e storia, ma in questa endiadi natura prima ancora che storia”.  Pensare e credere. Tre scritti cristiani rappresenta un altro orizzonte del pensiero di M.; il rapporto tra religione rivelata e filosofia si gioca sullo sfondo di una prospettiva storicista di matrice diltheyana, sebbene non siano esenti dalla riflessione Hegel, Schelling e la teologia dialettica contemporanea. Interessante è la prospettiva di una religione come "integrazione" e apertura all'amore fraterno, configurato nel concetto di "agape".  I suoi scritti sono in ogni caso contrassegnati, com'è tipico della recente scuola di pensiero napoletana, sorta sulla scia delle dottrine di Croce, da una ripresa di temi propri dello storicismo (Nietzsche e la storia. Storicità e ontologia della vita).  In un dialogo costante con i teologi più liberali e moderni, quale ad es. Forte, M. si è occupato specificamente dei temi della bioetica, coniugando il tema della tutela della vita alla ripresa del concetto di sacralità (Sacralità e vita).  In Opera media ha inoltre messo in luce un talento poetico non indifferente, che gli è valso l'apprezzamento della critica e diversi riconoscimenti. Ha composto quattro raccolte di poesie, e pubblicato singoli componimenti in diverse antologie.Finalista al Premio di poesia “Città di Vita”, Firenze, e nel 1999 ha vinto il Premio Speciale “La finestra” al Premio Nazionale di poesia “Alessandro Tanzi” perUn mondo ordinato.  Saggi: “Tecnica e metafisica” -- saggio su Heidegger (Guida, Napoli); “Nietzsche e la storia: ontologia della vita” (Guida, Napoli); “Storia metafisica ontologia” -- Per una storia della metafisica” (Morano, Napoli, -- Grice: “What Mazzarella is proposing is what I did for the BBC: a history of metaphysics; philosophical tutees are too accustomed to ‘history of philosophy,’ but surely each branch requires a separate history! “storia della metafisica” does just that!” – “storia della semantica” hardly sounds as sexy, and “storia della pragmatica” sounds repugnantly academese!” --   “Ermeneutica dell'effettività” -- Prospettive ontiche dell'ontologia” (Guida, Napoli, -- Grice: “Note that Mazzarella is exploring the ‘effectivity,’ not the ‘affectivity’ – ex-fecto, not ad-fecto – “Filosofia e teo-logia” --  di fronte a Cristo (Cronopio, Napoli); “Sacralità” -- e vita, Quale etica per la bio-etica? (Guida, Napoli); Heidegger oggi, M., Mulino, Bologna, “Pensare e credere” Morcelliana, Brescia, “Vie d'uscita. L'identità umana come programma stazionario metafisico” (Melangolo, Genova); Opera media. Poesie, Melangolo, Genova, Lirica e filosofia, Morcelliana, Brescia, Vita Politica Valori. Sensibilità individuali e sentire comunitario, Guida, Napoli, “Anima madre,” Art studio Paparo, Napoli, “L'uomo che deve rimanere,” Quodlibet, Macerata,. S. Venezia, Nota bio-bibliografica, in Amato, Catena, Russo, L'ethos teoretico. Scritti in onore di M., Napoli, Guida,  Archivio degli articoli di Eugenio Mazzarella nel sito "ilsussidario.net". Curriculum vitae, pubblicazioni e attività di ricerca nel sito dell'Università degli Studi di Napoli Federico II, su docenti.unina. Grice: “The fact that he calls himself a Christian has me calling him a NON-PHILOSOPHER!” – Eugenio Mazzarella. Mazzarella. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzarellla” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Mazzei: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – filosofia toscana – filosofia fiorentina -- -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Poggio a Caiano). Filosofo italiano. Poggio, Toscana. Grice: “Not every philosopher has a city, ‘Colle,’ named after him!” -- Grice: “I like Mazzei; he is hardly a philosopher, but the Italians consider among the ‘filosofi italiani,’ – there is a good wine, “Mazzei,” since Mazzei, when travelling to the Americas, transplanted a grape from his paese – the descendants still grow it! In oltre, he was influential in the ‘risorgimento’!” -- essential Italian philosopher.Massone e cadetto di una nobile famiglia toscana di viticoltori, probabilmente risalente all'XI secolo e ancora esistente nel XXI secolo, fu personaggio energico ed eclettico, illuminista, promulgatore delle libertà individuali, dei diritti civili e della tolleranza religiosa. Visse una vita avventurosa e movimentata, con alterne fortune economiche.  Sebbene sia sconosciuto al grande pubblico, partecipò attivamente alla guerra d'indipendenza americana come agente mediatore all'acquisto di armi per la Virginia, ed è ritenuto dagli storici uno dei padri della Dichiarazione d'Indipendenza americana, in quanto intimo amico dei primi cinque presidenti statunitensi: George Washington, John Adams, James Madison, James Monroe e soprattutto Thomas Jefferson, di cui fu ispiratore, vicino di casa, socio in affari e con cui rimase in contatto epistolare fino alla morte.  Iniziato alla Massoneria, fu poi spettatore privilegiato della rivoluzione francese.  La sua figura storica è riemersa alla fine Professoregrazie all'infittirsi degli studi accademici in occasione del bicentenario della rivoluzione americana, fino ad essere onorato in occasione del 250º anniversario della sua nascita nel 1980 con un'emissione filatelica congiunta speciale delle poste italiane e statunitensi.   Dopo gli studi compiuti tra Prato e Firenze, nel 1752, in seguito a dissapori con il fratello maggiore Jacopo sulla gestione del patrimonio familiare, si stabilì a Pisa e poi a Livorno, intraprendendo con successo l'attività di medico. Dopo solo due anni lasciò la città e si trasferì a Smirne (Turchia) come chirurgo a seguito di un medico locale. Gunse a Londra dove, dopo un iniziale periodo irto di difficoltà economiche che lo vide arrangiarsi con l'insegnamento dell'italiano, riuscì nel corso dei tre lustri successivi ad arricchirsi con il commercio dei prodotti mediterranei, principalmente del vino, inserendosi lentamente nei salotti dell'alta borghesia londinese.  Una breve parentesi italiana si concluse con un precipitoso ritorno in Inghilterra, a seguito di una denuncia al tribunale dell’Inquisizione per “importazione di libri proibiti”. L'illuminismo e le idee di libertà religiosa che animavano il Mazzei, ben tollerate nella Londra di fine XVIII secolo, erano ancora tabù nella realtà italiana.  La Rivoluzione americana In questi circoli londinesi Filippo M. conobbe Franklin e Adams, che da lì a pochi anni sarebbero stati tra i protagonisti della rivoluzione americana.  Le colonie americane si autogovernavano, perlomeno sulle questioni locali, tramite assemblee di delegati liberamente eletti dai capifamiglia, e l'ordinamento giuridico era ispirato al meglio della legislazione inglese, che pure in quegli anni era probabilmente la più avanzata, garantista e liberale che esistesse.  Invitato dagli amici d'oltreoceano, spinto sia dalla curiosità dell'inedita forma di governo, ma soprattutto dalla disponibilità di terre e quindi dalla prospettiva di impiantare nel nuovo mondo coltivazioni mediterranee, Mazzei si trasferì in Virginia, con al seguito un gruppo di agricoltori toscani. A lui si unirono anche una vedova Maria Martin, che egli sposò, e l'amico Bellini che sarebbe divenuto il primo insegnante di italiano in un'università americana, il College of William and Mary in Virginia.  Inizialmente diretto in altro sito, Mazzei si fermò presso la tenuta di Monticello per incontrare Jefferson, con il quale già intratteneva rapporti epistolari e vantava amicizie comuni, e fu da lui convinto a trattenersi in loco, arrivando a cedere circa 0,75 km² della sua tenuta in favore dell'italiano. Da questa cessione nacque la tenuta di Colle (il nome deriva da Colle di Val d'Elsa, perché il Mazzei aveva preso ad esempio la campagna attorno alla città toscana), successivamente ampliata. Lo univa a Jefferson un sodalizio commerciale, con il primo impianto di una vigna nella colonia della Virginia, ma soprattutto un sodalizio intellettuale, frutto di una comune visione politica e di ideali condivisi, che si sarebbe protratto per oltre 40 anni.  Il livello delle frequentazioni americane trascinò velocemente Mazzei, arrivato con mere intenzioni imprenditoriali, nella vita politica della ribollente colonia della Virginia. Fu autore di veementi libelli contro l'opprimente dominazione inglese, inneggianti alla libertà ed all'uguaglianza. Alcuni di questi scritti furono tradotti in inglese dallo stesso Jefferson, che rimase influenzato da tali ideali, tanto da ritrovare successivamente alcune frasi di Mazzei trasposte nella Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti d'America.  Eletto speaker dell'assemblea parrocchiale dopo solo sei mesi dal suo arrivo in Virginia, ebbe modo di esporre le sue idee sulla libertà religiosa e politica a un vasto oratorio, composto anche di persone umili e ignoranti, che lo ascoltavano assorte. Un suo scritto, Instructions of the Freeholders of Albemarle County to their Delegates in Convention, redatto come istruzioni per i delegati della contea di Albemarle alla convenzione autoconvocatasi dopo lo scioglimento forzato dell'assemblea della Virginia imposto dal governatore inglese, fu utilizzato da Jefferson come bozza per il primo tentativo di scrittura della costituzione dello Stato della Virginia.  La sua affermazione politica seguiva di pari passo i rovesci economici, perché il clima e il terreno della Virginia non si erano dimostrati particolarmente graditi a vite e olivo, e nel 1774 un'eccezionale gelata aveva distrutto buona parte delle stentate coltivazioni impiantate con tanta fatica.  Naturalizzato cittadino della Virginia, volontario delle prime ore nella guerra d'indipendenza americana, e inviato in Europa da Jefferson e Madison per cercare prestiti, acquistareo meglio, contrabbandarearmi e ottenere informazioni politiche e militari utili alla nascente nazione.  In questo periodo scrisse articoli, fece interventi pubblici e cercò di avviare rapporti commerciali e politici tra gli Stati europei e la Virginia. Per tali servizi fu ufficialmente retribuito dallo Stato dell Virginia.  Rientrato in Virginia, con suo grande disappunto non fu nominato console. Ricevette I'incarico di amministratore della contea di Albemarle, ma solo due anni dopo nel 1785 lasciò per l'ultima volta il suolo americano, mantenendo comunque contatti epistolari con molti di quelli che sono definiti “padri della patria” statunitensi e in particolare con Jefferson, che ebbe modo di reincontrare successivamente a Parigi. Sua moglie rimase fino alla sua morte alla tenuta del Colle, che Mazzei aveva donato alla figliastra, Margherita Maria Martini e al di lei marito, il francese Plumard, Comte De Rieux.  La Rivoluzione francese e le vicende europee  Targa a Pisa, sulla casa in cui morì/ A Parigi pubblicò una voluminosa opera in quattro volumi Recherches historiques et politiques sur les États-Unis de l'Amérique Septentrionale. Si trattava della prima storia della rivoluzione americana pubblicata in francese. L'opera è tuttora una preziosa fonte di informazioni sul movimento che innescò la rivoluzione americana.  Il successo del libro e la notorietà delle sue idee, uniti alla costante attività di propaganda a favore dei neonati Stati Uniti d'America, lo fece venire in contatto con re Stanislao Augusto di Polonia, illuminato sovrano liberale, di cui divenne prima consigliere e poi rappresentante a Parigi.  Da questa posizione privilegiata poté seguire la rivoluzione francese, di cui condannò la deriva giacobina. Preso atto della rovina economica, nel 1791 si trasferì a Varsavia, assumendo la cittadinanza polacca e contribuendo alla stesura della costituzione.  Dopo un anno passato a Varsavia, a seguito della spartizione della Polonia nel 1792 rientrò definitivamente in Toscana, stabilendosi a Pisa. Lì sposa Antonina Tonini, da cui ebbe una figlia, Elisabetta. E testimone dell'arrivo delle truppe repubblicane francesi a Pisa e poi della loro cacciata, e fu coinvolto pur senza danni nei successivi processi intentati dal bargello ai liberali pisani che si riunivano durante la breve occupazione al Caffè dell'Ussero sul lungarno.  Ultimi anni M. visse quietamente altri 17 anni, dedicandosi ai propri studi di orticoltura e limitandosi a frequentare una ristretta cerchia di salotti praticati da giovani liberali, di cui era ispiratore. In conseguenza del dissolvimento della Polonia operata da Russia e Prussia nel 1795, lo zar Alessandro I si accollò i debiti della corte polacca e Mazzei poté fruire di un vitalizio. M. rimase sempre nostalgico della Virginia e dei suoi amici americani, che ne auspicavano il ritorno e con i quali mai interruppe il contatto epistolare. Nonostante i ripetuti progetti di un viaggio in America, Mazzei non fu mai capace di affrontare questa nuova avventura. Ebbe modo di assistere all'ascesa e alla caduta di Napoleone Bonaparte e scrisse le proprie memorie, pubblicate nel 1848, oltre trent'anni dopo la sua morte a Pisa.  Saggi: “Stanislao Re di Polonia” (Roma: Istituto storico italiano per l'età moderna e contemporanea); “Ricerche storiche  sull’America” (Firenze, Ponte alle Grazie); “Memorie” Gino Capponi, Lugano, Tip. della Svizzera Italiana); “Del commercio della seta fatto in Inghilterra dalla Compagnia delle Indie Orientali” S. Gelli, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano); “Le istruzioni per i delegati alla convenzione” (Firenze, Morgana); “Opere di suor Margherita Marchione “Scelta di scritti e lettere,”“Agente di Virginia durante la rivoluzione americana” “Agente del Re di Polonia durante la Rivoluzione Francese”“La vita avventurosa di M,” Cassa di Risparmi e Depositi, Prato. Marchione Margherita: La vita avventurosa Marchione Margherita, Curiosità.A inizio degli anni 2000, fra alcuni intellettuali toscani appassionati della sua figura è circolata la speculazione che Mazzei potrebbe aver ispirato persino la bandiera statunitense, adottata dal Congresso  un anno dopo la Dichiarazione d'Indipendenza. La suggestione nasce dall'importanza che l'alternanza dei colori rosso e bianco ha nell'araldica toscana e non solo e di cui un esempio famoso è l'insegna di Ugo di Toscana. Potrebbe forse aver discusso anche di araldica con gl’americani. Le radici storiche della bandiera americana sono, in realtà, nella Grand Union Flag.  In suo ricordo è stato istituito il premio The Bridge. La cerimonia è stata istituita a Roma per celebrare un toscano che insieme ai padri costituenti degli Stati Uniti d'America da vita alla stesura della dichiarazione d'indipendenza. Sua era la frase. Tutti gli uomini sono per natura liberi ed indipendenti. Russo, Nasce a Firenze un museo che racconta la massoneria, in La Repubblica, Firenze, Riferito al museo dedicato alla storia della Massoneria in Italia.  Premio. Dalla Toscana all'America: il suo contributo, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Becattini Massimo, Mercante italiano a Londra, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Bolognesi Andrea, L. Corsetti, L. Stadio, Mostra di cimeli e scritti, catalogo della mostra a cura di, Poggio a Caiano, palazzo Comunale, Comune di Poggio a Caiano. Camajani Guelfo Guelfi, un illustre Toscano: medico, agricoltore, scrittore, giornalista, diplomatico, Firenze, Associazione Toscani, Ciampini Raffaele, Lettere alla corte di Polonia Bologna: N. Zanichelli, Corsetti Luigi, Gradi Renzo, Avventuriero della Libertà, con scritti di Marchione e Tortarolo, Poggio a Caiano, C.I.C. Associazione Culturale "Ardengo Soffici", Di Stadio Luigi, Tra pubblico e privato. Raccolta di documenti inediti, Poggio a Caiano, Biblioteca Comunale di Poggio a Caiano, Fazzini Gianni, "Il gentiluomo dei tre mondi", Roma: Gaffi, Gerosa Guido, Il fiorentino che fece l'America. Vita e avventure Milano, Sugar, Gradi Renzo, Un bastimento carico di Roba bestie e uomini in un manoscritto, Poggio a Caiano, Comune di Poggio a Caiano, Gradi Renzo, Parigi: Scritti e memorie, Comune di Poggio a Caiano, Giovanni, Figure dimenticate dell'indipendenza, Francesco Vigo, Roma: Il Veltro, Giancarlo, Iacopo, L'America fu concepita a Firenze, Firenze: Bonechi,Tognetti Burigana Sara, Tra riformismo illuminato e dispotismo napoleonico; esperienze del cittadino americano, Roma, Edizioni di Storia e letteratura, Tortarolo Edoardo, Illuminismo e Rivoluzioni. Biografia politica di M., Milano, Angeli, Łukaszewicz, M., Mazzini; saggi sui rapporti italo-polacchi Abolizionismo Rivoluzione americana Rivoluzione francese Franklin Henry Jefferson Mason Monroe William Paca Stanisław August Poniatowski Padri fondatori degli Stati Uniti d'America Italo-Americani Dichiarazione d'indipendenza degli Stati Uniti. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana su siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le Soprintendenze Archivistiche. Jefferson, e Vigo (video), su youtube. com. Jefferson Encyclopedia, su monticello. org. Il circolo Filippo Mazzei Pisa, su circolo filippomazzei. net.  M., chi era costui?, su mltoscana. blogspot.com. Clan Libertario Toscano M., su mltoscana. blogspot.com. Il circolo Filippo Mazzei, su geocities. com. Carteggio Thomas Jefferson M. I processi contro  ed i liberali pisani, su idr.unipi. Monticello the home of Thomas Jefferson, su monticello.org.  famous americans. net. Another Site about P.Mazzei and other famous Italian American, su Cleveland memory.org.  M., Thomas Jefferson e gli scultori carraresi per la costruzione del Campidoglio degli Stati Uniti di Nicola Guerra su farefuturofondazione. premio Filippo mazzei. com. Memorie della vita e delle peregrinazioni del fiorentino. Grice: “The more Italian historians of philosophy, in their pretentiously and fake patriotic prose, keep referring to this or that as ‘un illustre toscano’, the less I am leaned to see Mazzei as ITALIAN at all!” – Paeseism with a vengeance!” – Grice: “As a Brit, I find Mazzei a traitor – to his country, and to mine!” -- Filippo Mazzei. Mazzei. Keywords: implicature, mazzei wine, vino mazzei, la rivoluzione del nuovo mondo. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Mazzei," per il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria, Italia.

 

Grice e Mazzini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la giovine italia – filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice: “Of course it is difficult for an Italian philosopher to approach the philosophy of Mazzini cooly; it would be like me approaching the philosophy of Horatio Nelson!” – Grice: “I’ve found ‘Il pensiero filosofico di Giuseppe Mazzini’ quite helpful – the equivalent would be the pretentious sounding, “The philosophical thought of Sir Winston Churchill,’ say!” --  Grice: “Luigi Speranza loves to cherish the fact that an old street in Woolwich, of all places, is named after him, in a way ‘Speranza,’ just because Garibaldi visited!” Grice: “Luigi Speranza also cherishes the fact that Lady Wilde preferred ‘Speranza’ just to defend Mazzini!” Esponente di punta del patriottismo risorgimentale, le sue idee e la sua azione politica contribusceno in maniera decisiva alla nascita dello STATO UNITARIO ITALIANO. Le condanne subite in diversi tribunali d'Italia lo costringeno però alla latitanza fino alla morte. Le teorie mazziniane sono di grande importanza nella definizione dei moderni movimenti europei per l'affermazione della democrazia attraverso la forma repubblicana dello stato. Nacque a Genova, allora capoluogo dell'omonimo dipartimento francese costituito da parte del regime di Bonaparte. Il padre, Giacomo, e medico e docente universitario d'anatomia originario di Chiavari, una cittadina del Tigullio all'epoca capoluogo del dipartimento francese degli Appennini, successivamente parte della provincia di Genova, figura politicamente attiva nella scena pubblica locale, sia durante l'epoca della precedente repubblica ligure, sia, in tempi successivi, dell'Impero napoleonico. Alla madre, Maria Drago, una fervente giansenista originaria di Pegli, un comune autonomo, accorpato nel comune di Genova, fu molto legato per tutta la vita. Affettuosamente chiamato "Pippo" dalla famiglia, una volta terminati gli studi superiori presso il cittadino Liceo classico Cristoforo Colombo, si iscrisse a Genova. Si segnala per la sua ribellione ai regolamenti di stampo religioso che imponeno di andare a messa e di confessarsi. E arrestato perché, proprio in chiesa, si rifiuta di lasciare il posto a un generale austriaco. Lo appassiona la letteratura: si innamorò delle letture di Goethe, Shakespeare e Foscolo (pur senza condividerne la filosofia materialista), restando così colpito dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis da volersi vestire sempre di nero, in segno di lutto per la patria oppressa. La passione per la letteratura, insieme a quella per la musica (e un abile suonatore di chitarra), la ha  per tutta la vita: oltre agli autori citati, lesse Dante, Schiller, Alfieri, i grandi poeti romantici come Byron, Shelley, Keats, Wordsworth, Coleridge e i narratori come Dumas padre e le sorelle Brontë. Ha il suo trauma rivelatore. Al passaggio a Genova dei federati piemontesi reduci dal loro tentativo di rivolta, si affacciò in lui il pensiero che si puo, e quindi si deve, lottare per la libertà della patria. Cominciò ad esercitare la professione nello studio di un avvocato, ma l'attività che lo impegnava era quella di giornalista presso l'Indicatore genovese, sul quale inizia a pubblicare recensioni di saggi patriottici. La censura lascia fare per un po', ma poi soppresse il giornale. Compone il saggio, “Dell'amor patrio d’Aligheri”. Ottenne la laurea “in utroque iure”. Entra nella carboneria, della quale divenne segretario in Valtellina.  Ho a lottare con il più grande dei soldati, Napoleone. Giunsi a mettere d'accordo tra loro imperatori, re e papi. Nessuno mi dette maggiori fastidi di un brigante italiano: magro, pallido, cencioso, ma eloquente come la tempesta, ardente come un apostolo, astuto come un ladro, disinvolto come un commediante, infaticabile come un innamorato, il quale ha nome: Giuseppe M.. (Klemens von Metternich, Memorie ed. Bonacci). Per la sua attività cospirativa e arrestato su ordine di Felice di Savoia e detenuto a Savona nella Fortezza del Priamar. Durante la detenzione idea e formula il programma di un nuovo movimento politico chiamato “Giovine Italia” che, dopo essere stato liberato per mancanza di prove, presenta e organizzò a Marsiglia dove e costretto a rifugiarsi in esilio.  I motti dell'associazione erano Dio e popolo e unione, forza e libertà e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica repubblica con un governo centrale quale sola condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli invasori stranieri. Il progetto federalista infatti, poiché senza unità non c'è forza, ha fatto dell'Italia una nazione debole, naturalmente destinata a essere soggetta ai potenti stati unitari a lei vicini. Il federalismo inoltre avrebbe reso inefficace il progetto risorgimentale, facendo rinascere quelle rivalità municipali, ancora vive, che avevano caratterizzato la peggiore storia dell'Italia medioevale. L'obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto con un'insurrezione popolare condotta attraverso una guerra per bande. Durante l'esilio in Francia, ha una relazione con la nobildonna repubblicana Giuditta Bellerio Sidoli, vedova di Giovanni Sidoli, ricco patriota di Montecchio Emilia. Giuditta aveva condiviso con il marito la fede politica che, portandolo a cospirare contro la corte estense, aveva costretto la coppia a esiliare in Svizzera. Colpito da una grave malattia polmonare, muore a Montpellier.  Poiché la vedova non aveva ricevuto alcuna condanna, ritorna a Reggio Emilia presso la famiglia del marito con i suoi quattro figli: Maria, Elvira, Corinna e Achille. Dopo il fallimento dei moti dove fuggire in Francia dove conobbe Mazzini a cui si legò sentimentalmente. Dopo il vano tentativo del 1831 di portare dalla parte liberale il nuovo re Carlo Alberto di Savoia con la celebre lettera firmata "un italiano", insieme a Berghini e Barberis, M. fu condannato in contumacia a "morte ignominiosa" dal Consiglio Divisionario di Guerra, presieduto dal maggior generale Saluzzo Lamanta. La condanna venne poi revocata nel 1848, quando Carlo Alberto decise di concedere un'amnistia generale. Rifugiatosi  nella cittadina svizzera di Grenchen, nel canton Soletta, vi rimase sino a quando fu arrestato dalla polizia cantonale che gli ingiunse di lasciare la Confederazione entro 24 ore. Per impedirne l'allontanamento l'assemblea dei cittadini di Grenchen conferì al giovane profugo la cittadinanza con 122 voti a favore e 22 contrari, invalidata però dal governo cantonale. Mazzini, nascostosi nel frattempo, fu scoperto e dovette lasciare la Svizzera assieme ad altri esuli, tra i quali Agostino e Giovanni Ruffini.  Comincia il lungo soggiorno a Londra, dove M. raccolse attorno a sé esuli italiani e persone favorevoli al repubblicanesimo in Italia, dedicandosi, per vivere, all'attività di insegnante dei figli degli italiani; qui conobbe e frequentò anche diverse personalità inglesi, tra cui Mary Shelley (vedova del poeta P.B. Shelley), Anne Isabella Milbanke (vedova di Lord Byron, idolo di gioventù di M.), il filosofo ed economista John Stuart Mill, Thomas Carlyle e sua moglie Jane Welsh, lo scrittore Charles Dickens, che finanziò la sua scuola. Il poeta decadente Algernon Swinburne gli dedicò Ode a Mazzini. Nello stesso quartiere di M. visse anche Marx.  Durante il soggiorno londinese M. ebbe una lunga relazione di amicizia con la famiglia Craufurd, documentata da copiosa corrispondenza epistolare. Sempre a Londra ebbe rapporti con la famiglia di Ashurst e con il genero di questi, il politico Stansfeld, la cui consorte Caroline Ashurst Stansfeld e sostenitrice della società "Society of the Friends of Italy". Per la causa dell'unificazione italiana M. collaborò anche con il secolarista George Holyoake.  Fondò poi altri movimenti politici per la liberazione e l'unificazione di vari stati europei: la Giovine Germania, la Giovine Polonia e infine la Giovine Europa. Quest'ultima, fondata a Berna in accordo con altri rivoluzionari stranieri, aveva tra i suoi principi ispiratori la costituzione degli Stati Uniti d'Europa. In questa occasione Mazzini estese dunque il desiderio di libertà del popolo italiano (che si sarebbe attuato con la repubblica) a tutte le nazioni europee. L'associazione rivoluzionaria europea aveva come scopo specifico l'agire dal basso in modo comune e, usando strumenti insurrezionali e democratici, realizzare nei singoli stati una coscienza nazionale e rivoluzionaria. Sulla scia della Giovine Europa M. fonda anche l'Alleanza Repubblicana Universale.  Il movimento della Giovine Europa ebbe anche un forte ruolo di promozione dei diritti della donna, come testimonia l'opera di numerose mazziniane, tra cui la citata Bellerio Sidoli, ma anche Cristina Trivulzio di Belgiojoso e Saffi, la moglie di Saffi, uno dei più stretti collaboratori di M. e suo erede per quanto riguarda il mazzinianesimo politico. M. continuò a perseguire il suo obiettivo dall'esilio e tra le avversità con inflessibile costanza, convinto che questo fosse il destino dell'Italia e che nessuno avrebbe potuto cambiarlo. Tuttavia, nonostante la sua perseveranza, l'importanza delle sue azioni fu più ideologica che pratica.  Dopo il fallimento dei moti del 1848, durante i quali M. era stato a capo della breve Repubblica Romana insieme ad Aurelio Saffi e Carlo Armellini, i nazionalisti italiani cominciarono a vedere nel re del Regno di Sardegna e nel suo Primo Ministro Camillo Benso conte di Cavour le guide del movimento di riunificazione. Ciò volle dire separare l'unificazione dell'Italia dalla riforma sociale e politica invocata da M.. Cavour fu abile nello stringere un'alleanza con la Francia e nel condurre una serie di guerre che portarono alla nascita dello STATO ITALIANO ma la natura politica della nuova compagine statale era ben lontana dalla repubblica mazziniana.  A Londra per reagire alla caduta della Repubblica Romana e in continuità con essa, M.  fonda il Comitato Centrale Democratico Europeo e il Comitato Nazionale Italiano, lanciando il Prestito Nazionale Italiano, le cui cartelle portavano appunto lo stemma della Repubblica romana e l'intitolazione del prestito «diretto unicamente ad affrettare l'indipendenza e l'unità d'Italia». A garanzia del prestito le cartelle recavano la firma degli ex triumviri Mazzini, Saffi e, in assenza dell'irreperibile Armellini, Mattia Montecchi. La diffusione delle cartelle nel Lombardo-Veneto ebbe come immediata conseguenza la ripresa dell'attività cospirativa e rivoluzionaria, soprattutto a Mantova.. Messina fu chiamata al voto per eleggere i suoi deputati al nuovo parlamento di Firenze. M. era candidato, nel secondo collegio, ma non poté fare campagna elettorale perché esule a Londra. Pendevano sul suo capo due condanne a morte: una inflitta dal tribunale di Genova per i moti (in primo grado e in appello); un'analoga condanna a morte era stata inflitta dal tribunale di Parigi per complicità in un attentato contro Napoleone III. Inaspettatamente, M. vinse con larga messe di voti (446). Dopo due giorni di discussione, la Camera annullava l'elezione in virtù delle condanne precedenti.   Il letto di morte di M., distrutto dagli aerei degli Stati Uniti durante il bombardamento di Pisa. Maschera mortuaria di M., gesso, Domus Mazziniana, Pisa Due mesi dopo gli elettori del secondo collegio di Messina tornarono alle urne: vinse di nuovo M. La Camera, dopo una nuova discussione, il 18 giugno riannullò l'elezione. IM. viene rieletto una terza volta; dalla Camera, questa volta, arrivò la convalida. Mazzini, tuttavia, anche nel caso fosse giunta un'amnistia o una grazia, decise di rifiutare la carica per non dover giurare fedeltà allo Statuto Albertino, la costituzione dei monarchi sabaudi. Egli infatti non accettò mai la monarchia e continuò a lottare per gli ideali repubblicani.  Lascia Londra e si stabilì in Svizzera, a Lugano. Due anni dopo furono amnistiate le due condanne a morte inflitte al tempo del Regno di Sardegna: Mazzini quindi poté rientrare in Italia e, una volta tornato, si dedicò subito all'organizzazione di moti popolari in appoggio alla conquista dello Stato Pontificio. L'11 agosto partì in nave per la Sicilia, ma il 14, all'arrivo nel porto di Palermo, fu tratto in arresto (la quarta volta nella sua vita) e recluso nel carcere militare di Gaeta. Partito da Basilea e in viaggio nel passo del San Gottardo, conobbe in una carrozza Nietzsche, allora poco conosciuto filologo e docente. Questo incontro sarà testimoniato dallo stesso Nietzsche anni dopo.  Costretto di nuovo all'esilio, riuscì a rientrare in Italia sotto il falso nome di Giorgio Brown (forse un riferimento a John Brown) a Pisa. Qui, malato già da tempo, visse nascosto nell'abitazione di Pellegrino Rosselli, antenato dei fratelli Rosselli e zio della moglie di Nathan, fino al giorno della sua morte, avvenuta quando la polizia stava ormai per arrestarlo nuovamente.  Traversie della salma  M. morente, Silvestro Lega La notizia della sua morte si diffuse rapidamente, commuovendo l'Italia; il suo corpo fu imbalsamato dallo scienziato Paolo Gorini, appositamente fatto accorrere da Lodi su incarico di Bertani: Gorini disinfettò la salma per permettere l'esposizione. Una folla immensa partecipò ai funerali, svoltisi nella città toscana il pomeriggio del 14 marzo, accompagnando il feretro al treno in partenza per Genova, dove venne sepolto al Cimitero monumentale di Staglieno.  Le esequie furono accompagnate dalla musica della storica Filarmonica Sestrese C. Corradi G. Secondo. Successivamente Gorini ricominciò a lavorare sul corpo di M., onde pietrificarlo secondo la sua tecnica di mummificazione; terminò il lavoro qualche anno dopo. Avvenne la ricognizione della mummia, che fu sistemata ed esposta al pubblico in occasione della nascita della Repubblica Italiana: da allora riposa nuovamente nel sarcofago del mausoleo.  Mausoleo Benché sia incerta l'affiliazione di M. alla Massoneria fu l'associazione stessa a commissionare il mausoleo all'architetto mazziniano Grasso che lo realizzò in stile neoclassico adornandolo con alcuni simboli massonici.  Il sepolcro reca all'esterno la scritta “M” e all'interno sono presenti numerose bandiere tricolori repubblicane e iscrizioni lasciate da gruppi mazziniani o da personalità come Carducci. Sulla lapide è scolpita la scritta "M.. Un Italiano" che era la firma da lui apposta nella lettera a Carlo Alberto, e l'epitaffio: «Il corpo a Genova, il nome ai secoli, l'anima all'umanità. Testimonianze di alcuni personaggi storici e una corrispondenza dello stesso M., citati nell'opera dello studioso Luigi Polo Friz fanno ritenere che verosimilmente M., a differenza di altri celebri personaggi dell'epoca, come Garibaldi, non sia mai stato affiliato alla massoneria, anche se questa ha ripreso molti degli ideali mazziniani, simili ai suoi.  La principale obbedienza italiana, l'unica attiva all'epoca di Mazzini in Italia, il Grande Oriente d'Italia, afferma l'impossibilità di provare l'appartenenza di Mazzini, che pure ebbe influenza nella società, anche se non partecipò mai alla vita dell'associazione, occupato com'era nella causa della "sua" società segreta, la Giovine Italia. In effetti M. fu carbonaro, ma la Carboneria fu presto distinta dalla massoneria. Montanelli afferma invece che probabilmente Mazzini fu massone. Dello stesso parere è Massimo Della Campa, che in una "Nota su Mazzini" fa riferimento al libro dell'ex-Gran Maestro del grande Oriente d'Italia Giordano Gamberini, Mille volti di massoni (Erasmo, Roma), che a119 scrive a proposito di M.: «Iniziato a Genova, secondo G. Fazzari e F. Borsari (Luce e concordia). Ricevette dal Fr. Passano il 32° grado del R.S.A.A., necessario per corrispondere in Carboneria al livello di Vendita Suprema, nelle carceri di Savona. Con decreto del S. C. di Palermo ricevette l'aumento di luce al 33° grado e la qualifica di membro onorario del medesimo Supremo Consiglio. Fu membro onorario delle LL. Lincoln di Lodi e Stella d'Italia di Genova. Scrivendo a Logge, Corpi rituali e Fratelli usò sempre i segni massonici. Nessun contemporaneo mise mai in dubbio l'appartenenza di M. alla Massoneria.»  M. stesso sembrerebbe però smentire la sua partecipazione all'associazione in una lettera al massone Campanella, Sovrano Gran Commendatore del Supremo Consiglio del Rito scozzese antico ed accettato di Palermo, in cui, restituendogli le carte che questi gli aveva fatto recapitare scriveva. La Massoneria accettando da anni e anni ogni uomo, senza dichiarazioni d'opinioni politiche, s'è fatta assolutamente inutile a ogni scopo nazionale. Per farne qualche cosa bisognerebbe prima una misura d'eliminazione ed una di revisione delle file, poi una formula nazionale o politica per l'iniziazione... Chi vuol intendere intenda. La patria è la casa dell'uomo, non dello schiavo – M. Ai giovani d'Italia) Per comprendere a pieno la dottrina politica di Mazzini bisogna rifarsi al pensiero religioso che ispira il periodo della Restaurazione seguito alla caduta dell'impero napoleonico. Nasce allora una nuova concezione della storia che smentiva quella degli illuministi basata sulla capacità degli uomini di costruire e guidare la storia con la ragione. Le vicende della Rivoluzione francese e il periodo napoleonico avevano dimostrato che gli uomini si propongono di perseguire alti e nobili fini che s'infrangono dinanzi alla realtà storica. Il secolo dei lumi era infatti tramontato nelle stragi del Terrore e il sogno di libertà nella tirannide napoleonica che, mirando alla realizzazione di un'Europa al di sopra delle singole nazioni, aveva determinato invece la ribellione dei singoli popoli proprio in nome del loro sentimento di nazionalità.  Secondo questa visione romantica dunque la storia non è guidata dagli uomini ma è Dio che agisce nella storia; esisterebbe dunque una Provvidenza divina che s'incarica di perseguire fini al di là di quelli che gli uomini si propongono di conseguire con la loro meschina ragione. Da questa concezione romantica della storia, intesa come opera della volontà divina si promanano due visioni contrapposte: una è la prospettiva reazionaria che vede nell'intervento di Dio nella storia una sorta di avvento di un'apocalisse che metta fine alla storia degli uomini.  Napoleone I è stato, con le sue continue guerre, l'Anticristo di questa apocalisse: Dio segnerà la fine della storia malvagia e falsamente progressiva e allora agli uomini non rimarrà che volgersi al passato per preservare e conservare quanto di buono era stato realizzato. Si cercherà dunque in ogni modo di cancellare tutto ciò che è accaduto dalla Rivoluzione a Napoleone restaurando il passato.  La concezione reazionaria contro cui M. combatté strenuamente assume un aspetto politico-religioso che troviamo nel pensiero di Chateaubriand che nel Génie du christianisme (Genio del Cristianesimo) attaccava le dottrine illuministiche prendendo le difese del cristianesimo e soprattutto nell'ideologia mistica teocratica di Joseph de Maistre, che arriva nell'opera Du pape (Il papa)  al punto di auspicare un ritorno dell'alleanza tra il trono e l'altare riproponendo il modello delle comunità medioevali protette dalla religione tradizionale contro le insidie del liberalismo e del razionalismo. Un'altra prospettiva, che nasce paradossalmente dalla stessa concezione della storia guidata dalla divinità, è quella che potremo definire liberale che vede nell'azione divina una volontà diretta, nonostante tutto, al bene degli uomini escludendo che nei tempi nuovi ci sia una sorta di vendetta di Dio che voglia far espiare agli uomini la loro presunzione di creatori di storia. È questa una visione provvidenziale, dinamica della storia che troviamo in Saint Simon con la concezione di un nuovo cristianesimo per una nuova società o in Lamennais che vede nel cattolicesimo una forza rigeneratrice della vita sociale. Una concezione progressiva quindi che è presente in Italia nell'opera letteraria di Manzoni e nel pensiero politico di Gioberti con il progetto neoguelfo e nell'ideologia mazziniana.  Concezione mazziniana «Costituire l'Italia in Nazione Una, Indipendente, Libera, Repubblicana – M.,  Istruzione generale per gli affratellati nella Giovine Italia) Magnifying glass icon mgx2.svg Mazzinianesimo. Dio e popolo «Noi cademmo come partito politico. Dobbiamo risorgere come partito religioso. L'elemento religioso è universale, immortale: universalizza e collega. Ogni grande rivoluzione ne serba impronta, e lo rivela nella propria origine o nel fine che si propone. Per esso si fonda l'associazione. Iniziatori d'un nuovo mondo, noi dobbiamo fondare l'unità morale, il cattolicismo Umanitario. Il pensiero politico mazziniano deve dunque essere collocato in questa temperie di romanticismo politico-religioso che dominò in Europa dopo la rivoluzione ma che era già presente nei contrasti al Congresso di Vienna tra gli ideologi che proponevano un puro e semplice ritorno al passato prerivoluzionario e i cosiddetti politici che pensavano che bisognasse operare un compromesso con l'età trascorsa.  Alcuni storici hanno fatto risalire la concezione religiosa di M. all'educazione ricevuta dalla madre fervente giansenista (almeno fino agli anni '40 fa spesso riferimenti biblici ed evangelici) o ad una vicinanza ideale col protestantesimo e le chiese riformate ma, secondo altri, la visione religiosa di Mazzini non coinciderebbe con quella di nessuna religione rivelata. Il personale concetto mazziniano di Dio, che per alcuni tratti è avvicinabile al deismo settecentesco, con evidenti influssi della religiosità civica e preromantica di Rousseau, per altri versi al Dio panteistico degli stoici, è alla base di una religiosità che tuttavia esige la laicità dello Stato (questo nonostante la dichiarata contraddizione poiché se, come egli crede, politica e religione coincidono, non avrebbe senso separare la sua concezione teologica da quella politica e l'assenza di intermediari tra Dio e il popolo. Per ciò e per il ruolo avuto nella storia umana e italiana, define il papato la base d'ogni autorità tirannica. Un altro influsso sulla sua concezione religiosa è stato visto nella considerazione che ha per la religione CIVILE di ispirazione ROMANA e per l'ammirazione verso la prima Roma, antica e pagana, che passando per la seconda Roma, cristiana e medievale, prepara il campo alla terza Roma future. Un mito questo, romantico-neoclassico, che e fatto proprio da Carducci e poi dal fascismo, con il filosofo Ricci -- e dalla massoneria con l'esoterista Reghini e avvicina il mazzinianesimo anche al culto massonico del Grande Architetto dell'Universo. In realtà rifiuta non solo l'ateismo (è questa una delle divisioni ideologico-teoriche che egli ebbe con altri repubblicani come Pisacane) e il materialismo L'ateismo, il materialismo non hanno, sopprimendo Dio, una legge morale superiore per tutti e sorgente del Dovere per tutti...»), ma anche il trascendente, in favore dell'immanente: egli crede nella reincarnazione, per poter migliorare di continuo il mondo e migliorare sé stessi. Una concezione questa tratta probabilmente da Platone o dalle religioni orientali come l'induismo e il buddismo, religioni alle quali Mazzini si era interessato. Come altri patrioti, letterati, rivoluzionari delle società segrete francesi, inglesi e italiane Mazzini vide nell'abate calabrese Gioacchino da Fiore, l'autore di una profezia riguardante l'avvento della Terza Età o Età dello Spirito Santo quando sarebbe sorta la Terza Italia che sarebbe rinata, libera dalle dominazioni straniere, come la nazione che avrebbe esercitato un primato sulle altre per la presenza della Chiesa cattolica: tema questo poi ripreso da Gioberti nel suo Primato morale e civile degli Italiani.  M. ebbe grande interesse per Gioacchino tanto da volergli dedicare un trattato rimasto inedito Joachino, appunti per uno studio storico sull'abate Gioacchino], che considerava un suo precursore per gli ideali sociali e politici da realizzare tramite un'unità spirituale e storica.  Religione civile La sua è stata anche definita una religione civile dove la politica svolgeva il ruolo della fede e dove la divinità si incarna in modo panteista nell'Universo e nell'Umanità stessa, che attua la Legge che nel Progresso si rivela. Egli afferma di credere che Dio è Dio, e l'Umanità è il suo Profeta, che il popolo romano è immagine di Dio sulla terra e vi è«un Dio solo, autore di quanto esiste, Pensiero vivente, assoluto, del quale il nostro mondo è raggio e l'Universo una incarnazione. Per lui non conta che la sua intima credenza sia razionale o no, come il Dio di Voltaire e Newton che è invocato come la causa prima dell'ordine naturale, poiché «Dio esiste. Noi non dobbiamo né vogliamo provarvelo: tentarlo, ci sembrerebbe bestemmia, come negarlo, follia. Dio esiste, perché noi esistiamo» anche se, specifica, «l'universo lo manifesta con l'ordine, con l'armonia, con l'intelligenza dei suoi moti e delle sue leggi. E altresì convinto che fosse ormai presente nella storia un nuovo ordinamento divino nel quale la lotta per raggiungere l'unità nazionale assumeva un significato provvidenziale. «Operare nel mondo significava per il M. collaborare all'azione che Dio svolgeva, riconoscere ed accettare la missione che uomini e popoli ricevono da Dio. Per questo bisogna «mettere al centro della propria vita il dovere, senza speranza di premio, senza calcoli di utilità. Quello di M. era un progetto politico, ma mosso da un imperativo religioso che nessuna sconfitta, nessuna avversità avrebbe potuto indebolire. «Raggiunta questa tensione di fede, l'ordine logico e comune degli avvenimenti veniva capovolto; la disfatta non provocava l'abbattimento, il successo degli avversari non si consolidava in ordine stabile.». La storia dell'umanità dunque sarebbe una progressiva rivelazione della Provvidenza divina che, di tappa in tappa, si dirige verso la meta predisposta da Dio.  Esaurito il compito del Cristianesimo, chiusasi l'era della Rivoluzione francese ora occorreva che i popoli prendessero l'iniziativa per «procedere concordi verso la meta fissata al progresso umano». Ogni singolo individuo, come la collettività, tutti devono attuare la missione che Dio ha loro affidato e che attraverso la formazione ed educazione del popolo stesso, reso consapevole della sua missione, si realizzerà attraverso due fasi: Patria e Umanità.  Patria e umanità  Targa in onore di M. sulla casa londinese Senza una patria libera nessun popolo può realizzarsi né compiere la missione che Dio gli ha affidato; il secondo obiettivo sarà l'Umanità che si realizzerà nell'associazione dei liberi popoli sulla base della comune civiltà europea attraverso quello che Mazzini chiama il banchetto delle Nazioni sorelle. Un obiettivo dunque ben diverso da quella confederazione europea immaginata da Napoleone dove la Francia avrebbe esercitato il suo primato egemonico di Grande Nation.  La futura unità europea non si realizzerà attraverso una gara di nazionalismi ma attraverso una nobile emulazione dei liberi popoli per costruire una nuova libertà. Il processo di costruzione europea, secondo M., doveva svolgersi prima di tutto attraverso l'affermazione delle nazionalità oppresse, come quelle facenti parte dell'Impero asburgico, e poi anche di quelle che non avevano ancora raggiunto la loro unità nazionale.  Iniziativa italiana In questo processo unitario europeo spetta all'Italia un'alta missione: quella di riaprire, conquistando la sua libertà, la via al processo evolutivo dell'Umanità: la redenzione nazionale italiana apparirà improvvisa come una creazione divina al di fuori di ogni inutile e inefficace metodo graduale politico diplomatico di tipo cavouriano. L'iniziativa italiana che avverrà sulla base della fraternità tra i popoli e non rivendicando alcuna egemonia, come aveva fatto la Francia, consisterà quindi nel dare l'esempio per una lotta che porterà alla sconfitta delle due colonne portanti della reazione, di quella politica dell'Impero Asburgico e di quella spirituale della Chiesa cattolica. Raggiunti gli obiettivi primari dell'unità e della Repubblica attraverso l'educazione e l'insurrezione del popolo, espressi dalla formula di Pensiero ed azione, l'Italia darà quindi il via a questo processo di unificazione sempre più vasta per la creazione di una terza civiltà formata dall'associazione di liberi popoli.  Funzione della politica  Il mausoleo di M. nel cimitero monumentale di Staglieno, realizzato dall'architetto mazziniano Grasso. La politica è scontro tra libertà e dispotismo e tra queste due forze non è possibile trovare un compromesso: si sta svolgendo una guerra di principi che non ammette transazioni; M. esorta la popolazione a non accontentarsi delle riforme che erano degli accomodamenti gestiti dall'alto: non radicavano, cioè, nello spirito del tempo quella libertà e quell'uguaglianza di cui il popolo aveva bisogno.  La logica della politica è logica di democrazia e libertà, non accettabili dalle forze reazionarie; contro di esse è necessaria una brusca rottura rivoluzionaria: alla testa del popolo vi dovrà essere la classe colta (che non può più sopportare il giogo dell'oppressione) e i giovani (che non possono più accettare le anticaglie dell'antico regime). Questa rivoluzione deve portare alla Repubblica, la quale garantirà l'istruzione popolare.  La rivoluzione, che è anche pedagogico strumento di formazione di virtù personali e collettive, deve iniziare per ondate, accendendo focolai di rivolta che incitino il popolo inconsapevole a prendere le armi. Una volta scoppiata la rivoluzione si dovrà costituire un potere dittatoriale (inteso come potere straordinario alla maniera dell'Antica Roma, non come tirannide) che gestisca temporaneamente la fase post-rivoluzionaria. Il governo verrà restituito al popolo non appena il fine della rivoluzione verrà raggiunto, il prima possibile.  La Giovane Italia deve educare alla gestione della cosa pubblica, ad essere buoni cittadini, non è, perciò, esclusivamente uno strumento di organizzazione rivoluzionaria. Il popolo deve avere diritti e doveri, mentre la rivoluzione francese si è concentrata esclusivamente sui diritti individuali: fermandosi ai diritti dell'individuo aveva dato vita ad una società egoista; l'utile per una società non va mai considerato secondo il bene di un singolo soggetto ma secondo il bene collettivo. Non crede nell'eguaglianza predicata dal marxismo e al sogno della proprietà comune sostituisce il principio dell'associazionismo, che è comunque un superamento dell'egoismo individuale.Questione sociale M. affrontò la questione sociale negli scritti più tardi, ad esempio nei Doveri dell'uomo Rifiuta il marxismo, convinto com'è che per spingere il popolo alla rivoluzione sia prioritario indicargli l'obiettivo dell'unità, della repubblica e della democrazia. M. fu tra i primi a considerare la grave questione sociale presente che era soprattutto in Italia la questione contadina, come gli indica Pisacane, ma egli pensava che questa dovesse essere affrontata e risolta solo dopo il raggiungimento dell'unità nazionale e non attraverso lo scontro delle classi, ma con una loro collaborazione (interclassismo), da raggiungersi però organizzando l'associazionismo e il mutualismo fra gli operai, il soggetto più debole. Un programma il suo di solidarietà nazionale che se non contemplava l'autonomia culturale e politica del proletariato non si rivolse solo al ceto medio cittadino, agli intellettuali, agli studenti, fra i quali raccolse i consensi più ampi, ma anche agli artigiani e ai settori più consapevoli dei propri diritti fra gli operai.  M. criticò il marxismo e fu da Marx biasimato per gli aspetti dottrinali idealistici e per gli atteggiamenti profetici che egli assumeva nel suo ruolo di educatore religioso e politico del popolo. Marx, risentito per gli attacchi di M. al comunismo, da lui definito col termine inglese «dictatorship» (cioè «dittatura»), lo definì in alcuni articoli teopompo, cioè «inviato di Dio e papa della chiesa democratica, dandogli anche sprezzantemente del «vecchio somaro» e paragonandolo a Pietro l'Eremita. Forte sarà il contrasto tra Marx e l'inviato personale di M. (oltre che con Garibaldi che ne prese le difese) alla Prima Internazionale. Critica i socialisti per il proclamato internazionalismo dei loro tempi, venato di anarchismo e di forte negazionismo, per l'attenzione da essi rivolta verso gli interessi di una sola classe: il proletariato. Inoltre egli definiva arbitrario e impossibile a pretendere l'abolizione della proprietà privata: così si sarebbe dato un colpo mortale all'economia che non avrebbe premiato più i migliori. La critica maggiore era rivolta contro il rischio che le ideologie socialiste estremistiche portassero a un totalitarismo: egli previde con lungimiranza quello che avverrà con la Rivoluzione in Russia, cioè la formazione di una nuova classe di padroni politici e lo schiacciamento dell'individuo nella macchina industriale del socialismo reale. Da queste critiche ne venne la valutazione negativa di Mazzini sulla rivolta che portò alla Comune di Parigi. Mentre per Marx e Michail Bakunin quello della Comune era stato un primo tentativo di distruggere lo stato accentratore borghese realizzando dal basso un nuovo tipo di stato, Mazzini, legato al concetto di Stato-nazione romantico, invece criticò la Comune vedendo in essa la fine della nazione, la minaccia di uno smembramento della Francia. Per salvaguardare l'economia e allo stesso tempo per tutelare i più poveri, M. punta su una forma di lavoro cooperativo: l'operaio dovrà guardare oltre una lotta basata solo sul salario ma promuovere spazi via via crescenti di economia sociale con elementi di «piena responsabilità e proprietà sull'impresa».  M. punta sul superamento in senso sociale e democratico del capitalismo imprenditoriale classico, anticipando in questo sia le teorie distribuzioniste sia le teorie che esaltano il valore dell'associazione fra i produttori. In Doveri dell'uomo scrisse: «Non bisogna abolire la proprietà perché oggi è di pochi; bisogna aprire la via perché i molti possano acquistarla. Bisogna richiamarla al principio che la renda legittima, facendo sì che solo il lavoro possa produrla.  La sua influenza sulla prima fase del movimento operaio fu per questo molto importante e anche il fascismo, in particolare la sua corrente repubblicana e socializzatrice, si ispirerà al pensiero economico mazziniano come terza via corporativa tra il modello capitalista e quello marxista.  Cospirazioni e fallimento dei moti mazziniani  M. in una fotografia con autografo scattata da Domenico Lama I moti mazziniani, ispirati ad un'ideologia repubblicana e antimonarchica furono considerati sovversivi e quindi perseguiti da tutte le monarchie italiane dell'epoca. Per i governi costituiti i mazziniani altro non erano che terroristi e come tali furono sempre condannati.  «Trovai tutti persuasi che la Giovine Italia era pazzia; pazzia le sette, pazzie il cospirare, pazzie le rivoluzioncine fatte sino a quel giorno, senza capo né coda»  (Azeglio, Degli ultimi casi di Romagna) Giovine Italia  «Su queste classi così fortemente interessate al mantenimento dell'ordine sociale le dottrine sovversive della Giovine Italia non hanno presa. Perciò ad eccezione dei giovani presso i quali l'esperienza non ha ancora modificate le dottrine assorbite nell'atmosfera eccitante della scuola, si può affermare che non esiste in Italia se non un piccolissimo numero di persone seriamente disposte a mettere in pratica i principi esaltati di una setta inasprita dalla sventura.»  (Camillo Benso conte di Cavour). M. si trova a Marsiglia in esilio dopo l'arresto e il processo subito l'anno prima in Piemonte a causa della sua affiliazione alla Carboneria. Non potendosi provare la sua colpevolezza infatti la polizia sabauda lo costrinse a scegliere tra il confino in un paesino del Piemonte e l'esilio. Mazzini preferì affrontare l'esilio e passa in Svizzera, da qui a Lione e infine a Marsiglia. Qui entrò in contatto con i gruppi di Filippo Buonarroti e col movimento sainsimoniano allora diffuso in Francia.  Con questi si avviò un'analisi del fallimento dei moti nei ducati e nelle Legazioni pontificie. Si concordò sul fatto che le sette carbonare avevano fallito innanzitutto per la contraddittorietà dei loro programmi e per l'eterogeneità delle classi che ne facevano parte. Non si era riusciti poi a mettere in atto un collegamento più ampio delle insurrezioni per le ristrettezze provinciali dei progetti politici, com'era accaduto nei moti di Torino quand'era fallito ogni tentativo di collegamento con i fratelli lombardi. Infine bisognava desistere dal ricercare l'appoggio dei principi e, come nei moti dei francesi.  Con la fondazione della Giovine Italia il movimento insurrezionale andava organizzato su precisi obiettivi politici: indipendenza, unità, libertà. Occorreva poi una grande mobilitazione popolare poiché la liberazione italiana non si poteva conseguire attraverso l'azione di pochi settari ma con la partecipazione delle masse. Rinunciare infine ad ogni concorso esterno per la rivoluzione: «La Giovine Italia è decisa a giovarsi degli eventi stranieri, ma non a farne dipendere l'ora e il carattere dell'insurrezione. Gli strumenti per raggiungere queste mete erano l'educazione e l'insurrezione. Quindi bisognava che la Giovane Italia perdesse il più possibile il carattere di segretezza, conservando quanto necessario a difendersi dalle polizie, ma acquistasse quello di società di propaganda, un'«associazione tendente anzitutto a uno scopo di insurrezione, ma essenzialmente educatrice fino a quel giorno e dopo quel giorno anche attraverso il giornale La Giovine Italia, fondato del messaggio politico della indipendenza, dell'unità e della repubblica.  Durante il periodo dei processi in Piemonte e il fallimento della spedizione di Savoia, l'associazione scomparve per quattro anni, ricomparendo solo in Inghilterra. Dieci anni dopo, il 5 maggio 1848, l'associazione fu definitivamente sciolta da M., che fondò al suo posto l'Associazione Nazionale Italiana. Entusiastiche adesioni al programma della Giovane Italia si ebbero soprattutto tra i giovani in Liguria, in Piemonte, in Emilia e in Toscana che si misero subito alla prova organizzando una serie di insurrezioni che si conclusero tutte con arresti, carcere e condanne a morte. Oganizza il suo primo tentativo insurrezionale che aveva come focolai rivoluzionari Chambéry, Torino, Alessandria e Genova dove contava vaste adesioni nell'ambiente militare.  Prima ancora che l'insurrezione iniziasse la polizia sabauda a causa di una rissa avvenuta fra i soldati in Savoia, scoprì e arrestò molti dei congiurati, che furono duramente perseguiti poiché appartenenti a quell'esercito sulla cui fedeltà Carlo Alberto aveva fondato la sicurezza del suo potere. Fra i condannati figuravano i fratelli Ruffini, amico personale di M. e capo della Giovine Italia di Genova, l'avvocato Andrea Vochieri e l'abate torinese Gioberti. Tutti subirono un processo dal tribunale militare, e dodici furono condan morte, fra questi anche il Vochieri, mentre Jacopo Ruffini pur di non tradire si uccise in carcere mentre altri riuscirono a salvarsi con la fuga.  Tentativo d'invasione della Savoia e moto di Genova. L'incontro di M. con Garibaldi nella sede della Giovine Italia Il fallimento del primo moto non fermò M., convinto che era il momento opportuno e che il popolo lo avrebbe seguito. Si trovava a Ginevra, quando assieme ad altri italiani e alcuni polacchi, organizzava un'azione militare contro lo stato dei Savoia. A capo della rivolta aveva messo il generale Ramorino, che aveva già preso parte ai moti, questa scelta però si rivelò un fallimento, perché il Ramorino si era giocato i soldi raccolti per l'insurrezione e di conseguenza rimandava continuamente la spedizione, tanto che quando si decise a passare con le sue truppe il confine con la Savoia, la polizia, ormai allertata da tempo, disperse i volontari con molta facilità.  Nello stesso tempo doveva scoppiare una rivolta a Genova, sotto la guida di Garibaldi, che si era arruolato nella marina da guerra sarda per svolgere propaganda rivoluzionaria tra gli equipaggi. Quando giunse sul luogo dove avrebbe dovuto iniziare l'insurrezione però, non trovò nessuno, e così rimasto solo, dovette fuggire. Fece appena in tempo a salvarsi dalla condanna a morte emanata contro di lui, salendo su una nave in partenza per l'America del Sud dove continuerà a combattere per la libertà dei popoli.  M., invece, poiché aveva personalmente preso parte alla spedizione con Ramorino, fu espulso dalla Svizzera e dovette cercare rifugio in Inghilterra. Lì continuò la propria azione politica attraverso discorsi pubblici, lettere e scritti su giornali e riviste, aiutando a distanza gli italiani a mantenere il desiderio di unità e indipendenza. Anche se l'insuccesso dei moti fu assoluto, dopo questi eventi la linea politica di Carlo Alberto mutò, temendo che reazioni eccessive potessero diventare pericolose per la monarchia. La vita mi pesa, ma credo sia debito di ciascun uomo di non gettarla, se non virilmente o in modo che rechi testimonianza della propria credenza.»  (M., lettera di risposta ad Angelo Usiglio, Londra. Altri tentativi pure falliti si ebbero a Palermo, in Abruzzo, nella Lombardia austriaca, in Toscana. Il fallimento di tanti generosi sforzi e l'altissimo prezzo di sangue pagato fecero attraversare a Mazzini quella che egli chiamò la tempesta del dubbio, una fase di depressione, in cui, come in gioventù, come ricorda nelle Note autobiografiche, pensò anche al suicidio, da cui uscì religiosamente convinto ancora una volta della validità dei propri ideali politici e morali. Dall'esilio di Londra,  dopo essere stato espulso dalla Svizzera, riprese quindi il suo apostolato insurrezionale. Nello stesso periodo esce il saggio La filosofia della musica sulla rivista L'italiano pubblicata a Parigi. Fratelli Bandiera.  Esecuzione dei fratelli Bandiera a Cosenza Nobili, figli dell'ammiraglio Bandiera e, a loro volta, ufficiali della Marina da guerra austriaca, aderirono alle idee mazziniane e fondarono una loro società segreta, l'Esperia e con essa tentarono di effettuare una sollevazione popolare nel Sud Italia. I fratelli Emilio e Attilio Bandiera parteno da Corfù (dove avevano una base allestita con l'ausilio del barese Vito Infante) alla volta della Calabria seguiti da 17 compagni, dal brigante calabrese Giuseppe Meluso e dal corso Pietro Boccheciampe. Era loro giunta infatti la notizia dello scoppio di una rivolta a Cosenza che essi credevano condotta nel nome di M.. In realtà non solo la ribellione non aveva alcuna motivazione patriottica ma era già stata domata dall'esercito borbonico. Quando sbarcarono alla foce del fiume Neto, vicino a Crotone, appresero che la rivolta era già stata repressa nel sangue e al momento non era in corso alcuna ribellione all'autorità del re. Il Boccheciampe, appresa la notizia che non c'era alcuna sommossa a cui partecipare, sparì e andò al posto di polizia di Crotone per denunciare i compagni. I due fratelli vollero lo stesso continuare l'impresa e partirono per la Sila.  Subito iniziarono le ricerche dei rivoltosi ad opera delle guardie civiche borboniche, aiutate da comuni cittadini che credevano i mazziniani dei briganti; dopo alcuni scontri a fuoco, vennero catturati (meno il brigante Meluso, buon conoscitore dei luoghi, che riuscì a sfuggire alla cattura) e portati a Cosenza, dove i fratelli Bandiera con altri 7 compagni vennero fucilati nel Vallone di Rovito.  Il re Ferdinando II ringraziò la popolazione locale per il grande attaccamento dimostrato alla Corona e la premiò concedendo medaglie d'oro e d'argento e pensioni generose. «Mazzini, colpito da tanta fermezza e da tanta sventura, restò commosso da quell'efferata barbarie e celebrò la memoria di quei martiri in un opuscolo uscito a Parigi. Vdendo nel loro sacrificio la realizzazione dei propri ideali così scriveva in un opuscolo a loro dedicato: «Il martirio non è sterile mai. Il martirio per un'Idea è la più alta formula che l'Io umano possa raggiungere per esprimere la propria missione; e quando un giusto sorge di mezzo a' suoi fratelli giacenti ed esclamaecco: questo è il vero, e io, morendo, l'adorouno spirito di nuova vita si trasfonde per tutta l'umanità. I sagrificati di Cosenza hanno insegnato a noi tutti che l'uomo deve vivere e morire per le proprie credenze: hanno provato al mondo che gl'Italiani sanno morire: hanno convalidato per tutta l'Europa l'opinione che una Italia sarà. Voi potete uccidere pochi uomini, ma non l'Idea. l'Idea è immortale. Dopo i moti e capo, con Aurelio Saffi e Carlo Armellini della Repubblica Romana, soppressa dalla reazione francese. Fu l'ultima rivolta a cui M. prese parte direttamente.  Moto di Milano  e sollevazione in Valtellina. Ispirato al mazzinianesimo e alle ideologie socialiste fu il moto di Milano, a cui tuttavia M. non prese parte, e che fallì; analoga sorte ebbe la rivolta in Valtellina dell'anno seguente. Nel moto milanese si mise in luce Felice Orsini, che di lì a poco avrebbe rotto con Mazzini e organizzato l'attentato a Napoleone III, fermamente condannato dal genovese poiché risoltosi in una strage di cittadini innocenti. Spedizione di Sapri.  Pisacane Il piano originale, secondo il metodo insurrezionale mazziniano, prevedeva di accendere un focolaio di rivolta in Sicilia dove era molto diffuso il malcontento contro i Borboni, e da lì estenderla a tutto il Mezzogiorno d'Italia. Successivamente invece si pensò più opportuno partendo dal porto di Genova di sbarcare a Ponza per liberare alcuni prigionieri politici lì rinchiusi, per rinforzare le file della spedizione e infine dirigersi a Sapri, che posta al confine tra Campania e Basilicata, era ritenuta un punto strategico ideale per attendere dei rinforzi e marciare su Napoli.  Pisacane s'imbarca con altri ventiquattro sovversivi, tra cui Nicotera e Falcone, sul piroscafo di linea Cagliari, della Società Rubattino, diretto a Tunisi. Sbarca a Ponza dove, sventolando il tricolore, riuscì agevolmente a liberare 323 detenuti, poche decine dei quali per reati politici per il resto delinquenti comuni, aggregandoli quasi tutti alla spedizione. Il 28, il Cagliari ripartì carico di detenuti comuni e delle armi sottratte al presidio borbonico. La sera i congiurati sbarcarono a Sapri, ma non trovarono ad accoglierli quelle masse rivoltose che si attendevano. Anzi furono affrontati dalle falci dei contadini ai quali le autorità borboniche avevano per tempo annunziato lo sbarco di una banda di ergastolani evasi dall'isola di Ponza.  Il 1º luglio, a Padula vennero circondati e 25 di loro furono massacrati dai contadini. Gli altri, per un totale di 150, vennero catturati e consegi gendarmi. Pisacane, con Nicotera, Falcone e gli ultimi superstiti, riuscirono a fuggire a Sanza dove furono ancora aggrediti dalla popolazione: perirono in 83; Pisacane e Falcone si suicidarono con le loro pistole, mentre quelli scampati all'ira popolare furono poi processati. Condan morte, furono graziati dal Re, che tramuts la pena in ergastolo.  Senso dell'impresa Pur essendo quella di Sapri un'impresa tipicamente mazziniana, condotta «senza speranza di premio», in effetti essa rispondeva alle idee politiche di Pisacane che si era allontanato dalla dottrina del Maestro per accostarsi a un socialismo libertario espresso dalla formula "Libertà e associazione". Contrariamente a Mazzini che riguardo alla questione sociale proponeva una soluzione interclassista solo dopo aver risolto il problema unitario, Pisacane pensava infatti che per arrivare ad una rivoluzione patriottica unitaria e nazionale occorresse prima risolvere la questione contadina che era quella della riforma agraria. Come lasciò scritto nel suo testamento politico in appendice al Saggio sulla rivoluzione, «profonda mia convinzione di essere la propaganda dell'idea una chimera e l'istruzione popolare un'assurdità. Le idee nascono dai fatti e non questi da quelle, ed il popolo non sarà libero perché sarà istrutto, ma sarà ben tosto istrutto quando sarà libero».  Vicino agli ideali mazziniani era Pisacane invece quando aggiungeva nello stesso scritto che quand'anche la rivolta fallisse «ogni mia ricompensa io la troverò nel fondo della mia coscienza e nell'animo di questi cari e generosi amici... che se il nostro sacrificio non apporta alcun bene all'Italia, sarà almeno una gloria per essa aver prodotto figli che vollero immolarsi al suo avvenire. La spedizione fallita ebbe in effetti il merito di riproporre all'opinione pubblica italiana la questione napoletana, la liberazione cioè del Mezzogiorno italiano dal malgoverno borbonico che Gladstone definiva negazione di Dio eretta a sistema di governo.. Infine il tentativo di Pisacane sembrava riproporre la possibilità di un'alternativa democratico-popolare come soluzione al problema italiano: era un segnale d'allarme che costituì per il governo di Vittorio Emanuele II uno stimolo ad affrettare i tempi dell'azione per realizzare la soluzione diplomatico militare dell'unità italiana.  Appoggio a Garibaldi e ultimi tentativi M. appoggiò moralmente la spedizione dei Mille di Garibaldi, che egli considerava una valida opposizione a Cavour. Dopo l'Unità riprese la lotta repubblicana, ma le persecuzioni della polizia sabauda e le condizioni di salute limitarono i suoi ultimi tentativi.  Controversie  Stampa raffigurante Mazzini con l'epitaffio della tomba a Staglieno Conflitto con Cavour M., che dopo la sua attività cospirativa fu esiliato dal governo piemontese a Ginevra, fu uno strenuo oppositore della guerra di Crimea, che costò un'ingente perdita di soldati al regno sardo. Egli rivolse un appello ai militari in partenza per il conflitto: «Quindicimila tra voi stanno per essere deportati in Crimea. Non uno forse tra voi rivedrà la propria famiglia. Voi non avrete onore di battaglie. Morrete, senza gloria, senza aureola, di splendidi fatti da tramandarsi per voi, conforto ultimo ai vostri cari. Morrete per colpa di governi e capi stranieri. Per servire un falso disegno straniero, l'ossa vostre biancheggeranno calpestate dal cavallo del cosacco, su terre lontane, né alcuno dei vostri potrà raccoglierle e piangervi sopra. Per questo io vi chiamo, col dolore dell'anima, deportati. Quando Napoleone III scampò all'attentato teso da Orsini e Pieri, il governo di Torino incolpò M. (Cavour lo avrebbe definito "il capo di un'orda di fanatici assassini" oltreché "un nemico pericoloso quanto l'Austria"), poiché i due attentatori avevano militato nel suo Partito d'Azione. Secondo Denis Mack Smith, Cavour aveva in passato finanziato i due rivoluzionari a causa della loro rottura con M. e, dopo l'attentato a Napoleone III e la conseguente condanna dei due, alla vedova di Orsini fu assicurata una pensione. Cavour al riguardo fece anche pressioni politiche sulla magistratura per far giudicare e condannare la stampa radicale. Egli, inoltre, favorì l'agenzia Stefani con fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai privati. Così l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con Cavour divenne, secondo Fiore, un fondamentale strumento governativo per il controllo mediatico nel Regno di Sardegna. M., intanto, oltre ad aver condannato il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco nei confronti del primo ministro, pubblicato sul giornale Italia del popolo: «Voi avete inaugurato in Piemonte un fatale dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere. Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità nazionale, voi l'ingrandimento territoriale»  (M.]) Timori di M. per la cessione della Sardegna  Estratto di articolo di giornale inglese Mazzini temeva che Cavour, dopo la cessione della Savoia e di Nizza, potesse cedere anche la Sardegna, una delle cosiddette “tre Irlande”, sulla base di altri supposti accordi segreti di Cavour con la Francia, in cambio di una definitiva unificazione italiana, accordi che preoccupavano anche l’Inghilterra, la quale era intervenuta presso Cavour per avere rassicurazioni sul fatto che non sarebbe stato ceduto altro territorio italiano alla Francia. Russell commenta a Hudson, in Torino, di dire al Conte di Cavour, che il Governo inglese, informato di un disegno per la cessione della Sardegna alla Francia, protestava e chiedeva promessa formale di non cedere territorio italiano. Il dispaccio era comunicato il 26 a Cavour.»  (da Scritti editi e inediti di M., per cura della Commissione editrice degli scritti di Giuseppe Mazzini, Roma]) Riguardo alla cessione della Sardegna alla Francia, M. affermava anche. L’opposizione minacciosa dell’Inghilterra e la nostra, possono renderlo praticamente impossibile.»  (da Scritti editi ed inediti di Giuseppe Mazzini, per cura della Commissione editrice degli scritti di M., Roma) Alcune affermazioni di Giovanni Battista Tuveri, esponente del cattolicesimo federalista, deputato per due volte al Parlamento Subalpino e amico di M., confermano la possibilità di accordi segreti relativi alla cessione della Sardegna alla Francia per una definitiva unificazione del resto della penisola: «Vicino a M. ed a Cattaneo, ma con una propria originalità di pensiero, il Tuveri fu sempre fedele alle sue convinzioni federaliste o, in mancanza di meglio, autonomiste, né esitò ad impegnarsi nell'azione pratica quando circolò insistente la voce che Cavour, dopo Nizza e la Savoia, intendesse cedere alla Francia anche la Sardegna»  Anche il giornale britannico "The Illustrated London News"  citava l'inopportunità di cedere la Sardegna alla Francia, commento che aveva suscitato reazioni nella stampa francese e fatto suggerire altre ipotesi. Mazzini suscita continuamente energie, affascinò per quarant'anni ogni ondata di gioventù e intanto gli anziani gli sfuggivano. Quasi tutti i grandi personaggi del Risorgimento aderirono al mazzinianesimo ma pochi vi restarono. Il contenuto religioso profetico del pensiero del Maestro, in un certo modo rivelatore di una nuova fede, imbrigliava l'azione politica. M. infatti non aveva «la duttilità e la mutevolezza necessaria per dominare e imprigionare razionalmente le forze». Per questo occorreva una capacità di compromesso politico propria dell'uomo di governo come fu Cavour. Il compito di Mazzini fu invece quello di creare l’animus. Quando sembrava che il problema italiano non avesse via d'uscita «ecco per opera sua la gioventù italiana sacrificarsi in una suprema protesta. I sacrifici parevano sterili», ma invece risvegliavano l'opinione pubblica italiana e europea. La tragedia della Giovine Italia «impose il problema italiano a una sempre più vasta sfera d'Italiani: che reagì sì con un programma più moderato ma infine entrò in azione e quegli stessi ex mazziniani che avevano rinnegato il Maestro aderendo al moderatismo riformista alla fine dovettero abbandonare ogni progetto federalista e acconsentire all'entusiasmo popolare suscitato dalle idee mazziniane di un riordinamento unitario italiano. Le idee politiche di Mazzini furono alla base della nascita del Partito Repubblicano Italiano. Tramite la Costituzione della Repubblica Romana, ispirata al mazzinianesimo e considerata un modello per molto tempo, fu uno dei pensatori le cui idee furono alla base della Costituzione Italiana. Inoltre ebbe una grande influenza anche fuori dall'Italia: politici occidentali come Wilson (con i suoi Quattordici Punti) e Lloyd George e molti leader post-coloniali tra i quali Gandhi, Meir, David Ben-Gurion, Nehru e Sun Yat-sen consideravano Mazzini il proprio maestro e il testo mazziniano Dei doveri dell'uomo come la propria "Bibbia" morale, etica e politica. Mazzini conteso tra fascismo e antifascismo  M. sul letto di morte L'eredità ideale e politica del pensiero di M. è stata a lungo oggetto di dibattito tra opposte interpretazioni, in particolare durante il Fascismo e la Resistenza. Già prima dell'avvento del FASCISMO, il cinquantenario della sua morte e celebrato con una serie di francobolli. In seguito, nel Ventennio fascista M. e oggetto di citazioni in libri, articoli, discorsi, fino al punto d'essere considerato una sorta di precursore del regime di MUSSOLINI. Secondo un appunto diaristico (intitolato "Ripresa mazziniana") diBottai, però, l'utilizzo che ne fa MUSSOLINI e strumentale.  La popolarità di M. durante il periodo fascista è dovuta anche ai numerosi repubblicani che confluirono nei Fasci di combattimento, iniziando il loro percorso di avvicinamento a MUSSOLINI durante la battaglia interventista, soprattutto nelle aree dove maggiore era la presenza del PRI, cioè in Romagna e nelle Marche. Sulle pagine de L'Iniziativa, l'organo di stampa del PRI, si guardava a Mussolini come al «magnifico bardo del nostro interventismo». Particolare e il caso di Bologna, città in cui i repubblicani Nenni, e i fratelli Bergamo presero parte attivamente alla fondazione del primo Fascio di combattimento emiliano per poi abbandonarlo poco dopo diventando avversari del fascismo. Tra i più famosi repubblicani che aderirono al fascismo vi furono Balbo (che si era laureato con una tesi su "Il pensiero economico e sociale di M. e del quale Segrè ha scritto: «Balbo, prima di aderire al Fascismo nel '21, esitò a lasciare i repubblicani fino all'ultimo momento e considerò la possibilità di mantenere la doppia iscrizione»), Malaparte e Ricci, che nel FASCISMO vede la perfetta sintesi fra «la Monarchia d’ALIGHIERI e il Concilio di M. L'intellettuale mazziniano. Cantimori, nella prima fase del suo percorso politico che lo portò prima ad aderire al fascismo poi al comunismo, considerava il fascismo «compimento della rivoluzione nazionale iniziatasi con il Risorgimento, che doveva riuscire dove il processo risorgimentale e il cinquantennio successivo avevano fallito: nell'inserimento e nell'integrazione delle masse nello stato nazionale, nella creazione di una più vera democrazia, ben diversa dal "parlamentarismo" e lontana dall'"affarismo", dal "particolarismo", dall'"inerzia" che avevano caratterizzato l'Italia liberale». Inizialmente la tesi delle origini risorgimentali del fascismo fu fatta propria anche dai comunisti. Togliatti, polemizzando con il movimento Giustizia e Libertà e il suo fondatore  Rosselli, in un articolo su Lo Stato operaio critica il Risorgimento e indicò in M. un precursore del FASCISMO. La tradizione del Risorgimento vive quindi nel fascismo, ed è stata da esso sviluppata fino all'estremo. M., se fosse vivo, plaudirebbe alle dottrine corporative, né ripudierebbe i discorsi di MUSSOLINI sulla funzione dell'Italia nel mondo. La rivoluzione anti-fascista non potrà essere che una rivoluzione "contro il Risorgimento", contro la sua ideologia, contro la sua politica, contro la soluzione che esso ha dato al problema della unità dello Stato e a tutti i problemi della vita nazionale. La stessa posizione fu assunta d’Amendola, durante il confino a Ponza, nel primo di due corsi sul Risorgimento tenuti per i confinati, per poi rivedere tale impostazione nel secondo corso, dopo la svolta unitaria (che segnò l'inizio della politica del fronte popolare con la conclusione di un "patto d'unità d'azione" con i socialisti), allorché insistette sulle origini risorgimentali del movimento operaio. I fascisti, inoltre, rivendicavano una continuità con il pensiero mazziniano anche riguardo l'idea di “patria”, la concezione spirituale della vita, l'importanza dell'educazione di come strumento per creare un uomo nuovo e una dottrina economica ispirata alla collaborazione tra le classi sociali. Baioni scrive a proposito della contemporanea celebrazione nell’anniversario della morte di Garibaldi e del decennale della Marcia su Roma che le principali manifestazioni sembrano confermare il nesso tra il bisogno di presentare il fascismo come erede delle migliori tradizioni nazionali e la volontà non meno forte ad enfatizzarne le componenti moderne, che avrebbero dovuto distinguerlo come originale esperimento politico e sociale. Negli anni della Resistenza la situazione si complica maggiormente: il fascismo della repubblica sociale italiana intensifica naturalmente i richiami a Mazzini. Ad esempio la data del giuramento della guardia nazionale repubblicana venne fissata nel giorno della proclamazione, quasi un secolo prima, della repubblica romana che aveva avuto alla sua testa il triumviro Mazzini. Ma anche gli anti-fascisti, in particolare i partigiani di Giustizia e Libertà di Rosselli, iniziano a richiamarsi sempre più apertamente al rivoluzionario genovese. Proprio Rosselli scrisse che agiamo nello spirito di Mazzini, e sentiamo profondamente la continuità ideale fra la lotta dei nostri ante-nati per la libertà e quella di oggi. A seguito della caduta del fascismo e dell'armistizio di Cassibile, la lotta contro il nazi-fascismo vide la partecipazione dei repubblicani (il cui partito era stato sciolto dal Regime) anche attraverso la formazione di proprie unità partigiane denominate Brigate M.. Anche un comandante partigiano, proposto per la medaglia d'oro al valor militare, Manrico Ducceschi, ispirò la sua azione all'ideologia mazziniana adottando in onore di Mazzini il nome di battaglia di "Pippo", lo stesso pseudonimo usato dal patriota genovese. Altri saggi: Atto di fratellanza della Giovane Europa in Giuseppe Mazzini, Edizione nazionale degli scritti., Imola, s.e., 1Dei doveri dell'uomo Fede ed avvenire Editore Mursia  Doveri dell'Uomo  Editori Riuniti university press Roma  Pensieri sulla democrazia in Europa, trad. Mastellone, Feltrinelli, Milano, Andrea Tugnoli, La pittura moderna in Italia, Bologna, CLUEB, Antologia di scritti Dal Risorgimento all'Europa Mursia  Periodici diretti da M. L'apostolato popolare Il nuovo conciliatore L'educatore Le Proscrit. Journal de la République Universelle Il tribunoNote  La Civiltà cattolica, La Civiltà Cattolica,   «La politica acquista pathos religioso, e sempre più col procedere del secolo... la nazione diventa patria: e la patria la nuova divinità del mondo moderno. Nuova divinità e come tale sacra.» in F. Chabod, L'idea di nazione, Laterza, Bari); Da Dei doveri dell'uomoFede e avvenire, Paolo Rossi, Mursia, Milano; L'uomo nuovo in Montanelli, L'Italia giacobina e carbonara, Rizzoli, Milano, Schmid, Michael Rossington, The Reception of  Shelley in Europe  Citato nell'Edizione nazionale degli Scritti di Giuseppe Mazzini a cura della Commissione per l'edizione nazionale degli Scritti di M., Cooperativa tipografico-editriceGaleati; per la citazione vedi anche: Memoriale M.-Domus Mazziniana; Introduzione a Jessie White Mario, Vita di M. su Castelvecchi Editore; Giuseppe Santonastaso, Edgar Quinet e la religione della libertà, edizioni Dedalo; Felis, Italia unità o disunità? Interrogativi sul federalismo, Armando editore,, pag. 7.  Comune di Savona  Liguria magazine in.  Gilles Pécout, Il lungo Risorgimento: la nascita dell'Italia contemporanea Pearson Italia S.p.a., 01  Patria, nazione e stato tra unità e federalismo. M., Cattaneo e Tuveri, CUEC, University Press-Ricerche storiche, La tesi del figlio sicuramente di Mazzini è sostenuta in Bruno Gatta, Mazzini una vita per un sogno, Guida, Il dubbio invece che si trattasse veramente di un figlio di Mazzini è espresso in Luigi Ambrosoli (M.: una vita per l'unità d'Italia, ed.Lacaita): «Ma proprio il ritardo con cui venne comunicata a Mazzini la notizia della morte di Adolphe fa sorgere qualche dubbio sulla supposizione, per le altre ragioni accennate ben fondata, che si trattasse di suo figlio». Dubbi simili vengono riportati in Mastellone, M. e la "Giovine Italia",  Domus Mazziniana, («D'altra parte, è da aggiungere che nelle lettere inedite a Ollivier, che pubblichiamo, M., pur parlando di Giuditta come della propria amica, se accenna ad Adolphe come figlio di Giuditta, non allude al bambino come proprio figlio:...») Barberis, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M. a Londra  È l'autrice del romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus). Curò le edizioni delle poesie del marito Shelley, poeta romantico e filosofo. Era figlia della filosofa Mary Wollstonecraft, antesignana del femminismo, e del filosofo e politico William Godwin.  Susanne Schmid, Michael Rossington, The Reception of P.B. Shelley in Europe  Seymour, Mary Shelley, M., il cospiratore senza segreti  Lettere di Mazzini ad Aurelio Saffi e alla famiglia Crauford Giuseppe Mazzatinti Soc. Alighieri  Politica e storia Buonarroti e altri studidi Pia Onnis Rosa Edizioni di storia e letteratura Roma M. «pavese» e l'Unità d'Europa  Quando M. scatenò il patatrac sognando la Repubblica pbmstoria. Legnago a Giuseppe Mazzini, Grafiche Stella, S. Pietro di Legnago (Verona) Scarpelli, La scimmia, l'uomo e il superuomo. Nietzsche: evoluzioni e involuzioni  Pensiero di M., brigantaggio: la Repubblica nasce nel nome di M., su pri.Carducci scrisse una famosa lirica intitolata Mazzini i cui versi finali sono rimasti nella storia: «E un popol morto dietro a lui si mise. Esule antico, al ciel mite e severo Leva ora il volto che giammai non rise, /Tu solpensandoo ideal, sei vero».  La stessa semplice scritta volle Spadolini, politico e storico repubblicano, sulla propria tomba a Firenze  Luigi Polo Friz, La massoneria italiana nel decennio post unitario: Lodovico Frapolli, Franco Angeli, Storia della Massoneria in Italia. L'influenza di M. nella Massoneria Italiana   in.  La stanza di Montanelli L' unità d' Italia e la Massoneria  M. massone?  A.Desideri, Storia e storiografia, IEd. D'Anna, Messina. Gli sconvolgimenti operati dalla Rivoluzione francese avevano fatto dubitare a molti uomini della razionalità della storia, così altamente proclamata nel secolo precedente. L'unica alternativa allo scetticismo parve allora la fede in una forza arcana operante provvidenzialmente nella storia» in A. Desideri, Ibidem  «S'identificò la storia della civiltà con la storia della religione, e si scorse una forza provvidenziale non solo nelle monarchie, ma sin nel carnefice, che non potrebbe sorgere e operare nella sua sinistra funzione se non lo suscitasse, a tutela della giustizia, Iddio: tanto è lungi dall'essere operatore e costruttore di storia l'arbitrio individuale e il raziocino logico». Adolfo Omodeo, L'età del Risorgimento italiano, Napoli. Così il genere umano è in gran parte naturalmente servo e non può essere tolto da questo stato altro che soprannaturalmente... senza il cristianesimo, niente libertà generale. e senza il papa non si dà vero cristianesimo operoso, potente, convertitore, rigeneratore, conquistatore, perfezionante.» (cfr. Maistre, Il Papa, trad. di T. Casini, Firenze)  M., Fede e avvenire, M., Fede e avvenire. Ha una visione utopica, romantica e anche sincretistica della religione, che egli considerava come il contributo, in termini di princìpi universali, delle varie confessioni e fedi alla storia collettiva.» SenatoDoveri dell'uomo, M., Dei doveri dell'uomo  Fusatoshi Fujisawa, La terza Roma. Dal Risorgimento al Fascismo, Tokyo, M. il patriota scomodo  Reghini a metà strada tra fascismo e massoneria  «Noi dissentivamo su diversi punti: sulle idee religiose, ch'ei non guardava, errore comune al più, se non attraverso le credenze consunte e perciò tiranniche dell'oggi; sul cosiddetto socialismo, che riducevasi a una mera questione di parole dacché i sistemi esclusivi, assurdi, immorali delle sétte francesi erano ad uno ad uno da lui respinti e sulla vasta idea sociale fatta oggimai inseparabile in tutte le menti d'Europa dal moto politico io andava forse più in là di lui: sopra una o due cose delle minori spettanti all'ordinamento della futura milizia; e talora sul modo d'intendere l'obbligo che abbiamo tutti di serbar fede al Vero. Ma il differire di tempo in tempo sui modi d'antivedere l'avvenire non ci toglieva d'essere intesi sulle condizioni presenti e sulla scelta dei rimedi» (M. su Pisacane)  Lettera a Forte Londra. Noi crediamo in una serie infinita di reincarnazioni dell'anima, di vita in vita, di mondo in mondo, ciascuna delle quali rappresenta un miglioramento ulteriore…» (M., in Bratina). La vita d'un'anima è sacra, in ogni suo periodo: nel periodo terreno come negli altri che seguiranno; bensì, ogni periodo dev'esser preparazione all'altro, ogni sviluppo temporale deve giovare allo sviluppo continuo ascendente della vita immortale che Dio trasfuse in ciascuno di noi e nella umanità complessiva che cresce con l'opera di ciascuno di noi» (Dei doveri dell'uomo).  Leggeva Dumas e i testi buddisti Il volto inaspettato di Mazzini  Il Foscolo, che scriveva di aver visto da giovinetto a Venezia un "libercolo" attribuito a Gioacchino, in cui erano indicati i papi futuri, affermava che la fama dell'abate era "santissima" tanto che Montaigne, desiderava di poter vedere questa meraviglia: «le livre de Calabrois, qui prédisait tous les papes futurs, leurs noms et formes»  G. da Fiore, Concordia Veteris et Novi testamenti, B. Rosa, Gli appunti manoscritti di Mazzini, Impronta, Torino, Sarti, M. La politica come religione civile, con postfazione di Mattarelli, Roma-Bari, Laterza,  A.Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti, Mondadori, Milano,  «L'Italia trionferà quando il contadino cambierà spontaneamente la marra con il fucile». in C. Pisacane, Saggio sulla rivoluzione, ed. Universale Economica, Milano; M.: comunismo vuol dire dittatura  Il "Manifesto" di Marx? Scritto contro Mazzini  Doveri dell'uomo, capitolo XI, punto 3°  M., Doveri dell'uomo, cap.XI (in Baravelli, L'Italia liberale, ArchetipoLibri,  A. Gacino-Canina, Economisti del Risorgimento, Torino, POMBA, 1G. Mazzini, Istruzione generale per gli affiliati nella Giovine Italia in Scritti editi e inediti, II, Imola, M., op. cit.  Nome col quale i greci indicavano l'Italia antica  L. Stefanoni, G. M.: notizie storiche, Presso Barbini, Ricordi dei fratelli Bandiera e dei loro compagni di martirio in Cosenza  Documentati colla loro corrispondenza, Dai torchi della Signora Lacombe, Pisacane. Volantino pubblicato su "Italia del popolo", G. Cataldo, Chi ha paura di M.?, in la stampa. D. Smith, M., Rizzoli, Milano, D. Smith, Contro-storia dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento, Milano, Gigi Di Fiore, Cappa, Cavour, Laterza, definizione di Cavour riportata da The Morning Post. We have three Irelands, in Sardinia, Genoa and Savoy  La terza Irlanda, Gli scritti sulla Sardegna di C. Cattaneo e M., Cattaneo, M., Francesco Cheratzu, 8pagg. M. La Sardegna Tip. A. Debatte Livorno, Risorgimento Rassegna The Illustrated London News In A. Saitta, Antologia di critica storica, Laterza, Le citazioni sono tratte da A. Omodeo, Introduzione a M., Scritti scelti, Mondatori, Milano, (Fusaro); Benedetti “M. in Camicia nera” edito della Fondazione 'Ugo La Malfa'; Dal diario di Bottai. Spesso, all'uscita dei cento e più volumi dell'edizione nazionale di M. trovo il Duce, a palazzo Venezia, immerso nelle folte pagine. O meglio, v'immergeva, a ferire di pugnale, il suo metallico tagliacarte: e ne tirava fuori brandelli di M. A quando a quando il brandello anti-francese, anti-illuminista, anti-nglese, anti-socialista, etc. etc. Brandelli, mai tutt'intero, nella sua viva, molteplice e pur varia personalità; S. Luzzatto, Riprese mazziniane, Mestiere di storico: rivista della Società italiana per lo studio della storia contemporanea (Roma: Viella); P. Benedetti "Mazzini nell'ideologia del fascismo"  G. Belardelli, “Camerata M., presente!” Gentile, Balbo, Rocco, Bottai: tutti i fascisti tentarono di arruolarlo, Corriere della Sera; “Manifesto realista” pubblicato sulla rivista L'Universale Cromohs Pertici Mazzinianesimo, fascismo, comunismo: l'itinerario politico di D. Cantimori, R.  Pertici, Mazzinianesimo, Fascismo, Comunismo: L'itinerario politico di Cantimori Cromohs, La memoria e le interpretazioni del Risorgimento, Guerra e fascismo da 150anni. Togliatti, Sul movimento di «Giustizia e Libertà», in Lo Stato operaio, antologia F. Ferri, Roma, Riuniti); Fatica, Amendola, Giorgio, in Dizionario biografico degli italiani,  Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Mieli, "L'Italia impossibile di Mazzini un fallito di genio", Corriere della Sera, M. Baioni, Il Risorgimento in camicia nera, Carocci, Roma; Corriere della Sera in Arianna editrice  Mario Ragionieri Salò e l'Italia nella guerra civile, Ibiskos, P. Mieli, art. cit.  Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia. “Saggi”, A. Saffi e di E. Nathan, Roma, “Lettere a Saffi e alla famiglia Craufurd, Società Dante Alighieri di Albrighi, Segati, Roma); “La democrazia in Europa, trad. a cura di S. Mastellone, Feltrinelli, Milano, V. Marchi, Ricostruzione della filosofia religiosa, in Dio e Popolo, Marchi, Camerino Joseph de Maistre, Il Papa, Firenze, A. Omodeo (Milano, Mondadori); A. Codignola (Torino, POMBA); Omodeo, “Il ri-sorgimento italiano, Napoli, ESI, Chabod, L'idea di nazione, Bari, Laterza, Monsagrati (Milano, Adelphi); Batini, Album di Pisa, Firenze, La Nazione, F. Peruta, I rivoluzionari italiani: il partito d'azione, Milano, Feltrinelli, Il processo a Vochieri, Alessandria, Lions; Albertini, Il Risorgimento e l'unità europea, Napoli, Guida, Smith (Milano, Rizzoli); S. Mastellone, Il progetto politico di Mazzini: Italia-Europa, Firenze, Olschki); Desideri, Storia e storiografia, Messina, Anna); R. Sarti, La politica come religione civile (Roma, Laterza, Mattarelli, Dialogo sui doveri (Venezia, Marsilio); Galletto, Nella vita e nella storia” (Battagin);  N. Erba, Unità nazionale e Critica storica, Grasso , Padova. N. Erba, Il Contributo italiano alla storia del pensiero Ottava Appendice. Storia e politica, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma, Dear Kate. Lettere inedite di M. a Katherine Hill, A. Bezzi e altri italiani a Londra, Rubbettino; Saggio sulla rivoluzione, Universale Economica, Milano); I sistemi e la democrazia. Pensieri Con una Appendice su La religione di M. scelta di pagine dall'Opuscolo Dal Concilio a Dio, V. Gueglio (note al testo, repertorio dei nomi e saggio introduttivo) Milano, Greco); Giuseppe Mazzini verifiche e incontri Atti del Convegno Nazionale di Studi, Genova, Gammarò, Tufarulo, G,M.- L'Iniziatore, l'iniziato, Dio e popolo. La tempesta mazziniana nella rivoluzione del pensiero Cultura e Prospettive, Filmografia Viva l'Italia di R. Rossellini. Film incentrato sulla spedizione dei Mille. M., sceneggiato RAI, regia di P. Passalacqua, Il generale, sceneggiato RAI, regia di Magni.  M. è interpretato da Bucci. Noi credevamo di M. Martone. Mazzini è interpretato da T. Servillo. Garibaldi, miniserie di Rai 1 ; interpretato da Lombardo. L'alba della libertà, cortometraggio, regia di Emanuela Morozzi, Associazione Mazziniana Italiana Domus Mazziniana Doveri dell'uomo Mazzinianesimo Monumento a M. (Firenze) Museo del Risorgimento e istituto mazziniano Pensieri sulla democrazia in Europa Risorgimento.  su Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia. Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,.  su sapere, De Agostini. hls-dhs-dss.ch, Dizionario storico della Svizzera. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, storia.camera, Camera dei deputati.  Istituto Mazziniano a Genova; Rai Tv: "La Storia siamo noi": una certa idea dell'Italia, su la storia siamo noi.rai. 3Mazzini e le frontiere d'Italia su viacialdini. Pagine mazziniane: "il pensiero e l'azione", dal sito della Biblioteca Nazionale di Napoli, su vecchiosito bnn Domus Mazziniana di Pisa, su domusmazziniana. Associazione Mazziniana Italiana, Scritti Prose politiche, Cenni e documenti intorno all'insurrezione lombarda e alla guerra regia, Scritti editi e inedit, Celebrazioni mazziniane Mazzini, Triumviro della Repubblica Romana, A. Saliceti Aurelio Saliceti. Giuseppe Mazzini. Mazzini. Keywords: la giovine italia, la tesi di laurea di Benedetti su Mazzini nella ideologia fascista, ideologia fascista, gentile, bobbio, garibaldi, nazione italiana, stato nazionale, stato unitario. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzini” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Mazzoni: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – la vita attiva dei romani – filosofia emiliana -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Cesena). Filosofo italiano. Cesena, Emilia Romagna. Grice: “Mazzoni is important on various fronts: he loves Dante, or Alighieri as Strawson calls him – his library in organised alphabetically; the other front I forget!” Compì i suoi studi di lettere a Bologna e quelli di filosofia a Padova. Membro dell'Accademia della Crusca, fu tra i preferiti del papa Gregorio XIII che lo avrebbe voluto prelato; Mazzoni preferì proseguire nella carriera universitaria. Dapprima fu all'Macerata, ed in seguito a Pisa, dove ebbe la cattedra di filosofia. Nella città della torre pendente, conobbe un giovane insegnante di matematica, Galilei, con il quale instaurò ottimi rapporti. Invitato ad insegnare all'Università La Sapienza di Roma. Benché avesse da poco preso questa cattedra, seguì il cardinale Pietro Aldobrandini nei suoi incarichi a Ferrara ed in seguito a Venezia. Ammalatosi sulla strada del ritorno, si recò nella sua Cesena, dove si spense. Opere: “Difesa della Commedia di ALIGHIERI Grazie alla sua preparazione letteraria, giunse alla notorietà per il suo tomo Difesa della Commedia di Dante, pubblicato a Bologna inizialmente, sotto pseudonym e poi l'anno successivo sotto il suo vero nome, in cui criticò aspramente Leonardo Salviati. Nel testo egli risponde ad alcune contestazioni fatte alle sue elucubrazioni sul sommo poeta Dante Alighieri. Parimenti nel libro si occupa anche di argomentazioni pertinenti alla filosofia ed alla poetica”; “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia Interessato anche all'astronomia, Mazzoni espone le sue teorie in quello che risulta il suo testo più importante ovvero In universam Platonis et Aristotelis philosophiam preludia. In questo saggio egli sostiene il sistema geocentrico aristotelico contro la sempre più diffusa e apprezzata teoria copernicana eliocentrica. Questo volume è divenuto molto noto poiché Galilei, dopo averlo letto, gli inviò una lettera, nella quale difendeva Copernico e le sue teorie. Questa missiva rappresenta la più antica testimonianza dell'adesione alla teoria eliocentrica di  Galilei. M., Prefazione, in Mario Rossi, Discorso di Mazzoni in difesa della "Commedia" del divino poeta ALIGHIERI, S. Lapi.Saggi: “Discorso de' dittongi” (Cesena, Rauerio); “Discorso in difesa della Comedia del divino Alighieri contro Castravilla” (Cesena, Raveri); “De triplici hominum vita ACTIVA nempè, contemplativa, et religiosa methodi tres, quaestionibus quinque millibus, centum et nonagintaseptem distinctae in quibus omnes Platonis et Aristotelis, multae vero aliorum Latinorum in universo scientiarum orbe discordiae componuntur” (Cesena, Raverio), “Della difesa della Comedia di Alighieri -- distinta in sette libri” (Cesena, Rauerio), “Intorno alla risposta e alle opposizioni fattegli da Patricio, pertenente alla storia del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo poeta della Pleiade” (Cesena, Raverio); “Ragioni delle cose dette e d'alcune autorità nel discorso della storia del poema Dafni, o Litiersa di Sositeo” (Cesena, Raverio), “In universam Platonis et Aristotelis philosophiam praeludia” (Venezia, Guerilius); TreccaniEnciclopedie Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Toffanin, M. nciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M., su sapere, De Agostini.  Davide Dalmas, M. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. M., su accademicidellacrusca Accademia della Crusca. Opere di M., su ope nMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di M., Benedetto, M. in Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia, Dizionario Enciclopedico Brockhaus Efron, Маццони, Джакомо. Ostracismum laudabit huius ce Reipub. formam ciae et A J de Repub. ses, illud affequebantur, quod improbi meliores essent co- Achen. oss ditione, quàm probi, quod quid ememanavit ex eo, quod REI PUBLICAE ROMANORVM FELICITAS cibiadis. VITAE ACTIVAE. Ficienda erant, ad Confu pertinebat examinare diligenter, coaciones quoties opus est et evocare, So Cspopulore ferre, quicquidque maior parsius filler exequio1 quin etiam in his quae ad belli apparatum et castrensem disciplinam pertinet, hi summon i imperium habebant. Hiseniius erat sociis quic quid visunt eller imperare, Trib. militum creare, de l e ett uniq. Habere, ad haec de his qui sub corum imperio erantin castris arbitratu suo supplicium fumiere, his praeterea licebat comitante quaestore, lacse dulo imperata faciente, publiciaeris, quantum resipsa posset, Rei-pub. forniani Regiam esse.  Senatus autem primo quidem acrarii totius dominus erat atg; administrator: nam et redditus omnes in eius erant potestate, et eiusdem arbitratu im pensae fiebant, malefi ciaque et crimina PER ITALIAM commissa, de quibus iudicium publicae fieri debebat, ut puta proditionis, coniurationis, beneficii, caedis, at q ; insidiarum ad Senatum refeerebantur, eiuss; de his erat cognitio quod si vlla APUD ITALOS controversia dirimenda, si publica, vel privatim qui spiam, vel civitas ob iurganda, si cui auxilium, aut praesidium ferendum esset, de his omnibus curam Senatus ad hib ebat. codemo  popularis Rei-pub. fornia videtur.  Consules enim ante quam ex urbe legions educerentur quinimo et quaede Res Publica per populum transigenda. Et có. ,{{1 Pin !! porro tulerit impendere quod fi quis ad hanc partem respexerit, probaliter dicere videre licet tuni Regiam, optimorum, populiģ; gabernationem: quoties enim Consulum imperiuint ueamur, Re gia, quoties verò Senatus authoritatem optimarum admianistratio, quoties autem populi potestatem respicimus, banaruni omnium rerum ins, atq; imperi una habebant: his et enim caeterionines magistratus praeter Tr.Ple.fa? bijci ebantur, hi legationes in curiam traducebant, hic ea leriter quae errant decidenda ita tuebant, negociaģ; magna ad Senatum: referebant, et penès ipsos vtquae patres de: creuissent sedulo perficerentur cura omnis et administratio erat METHODVS. codemq; modo fi extra ITALIANI ad aliquos legat somittenda esset, vel ad aliquid decidendum, vel ad foedus faciendum, vel ad cohortandum, vel ad imperandum, aut poftre mo ad resrepetendas, aut ad bellum in dicendum, haec in yrben venerint agendum, quid eis respondendum in populo commune, ad eo ut quoties quis ad urbem consulibus ab sentibus profectus esset, prorsusei Respublica optima tum confilioregi et gubernari videretur, quod fanem multi graecorum et regum per sua sum habuerunt, quod negocia, quae in urbe haberent ferem, omnia per Senatum tra is incos, qui maiores magistratus gessissent, admittebatur solus autem capite damnandi potestatem habuit, qua in re illuds anèapudeos commemoratione dignissinum fuit, quod eorum instituto iis qui capitis damnati fuerant, ut on ex urbe palan egrederentur, permittebatur, acfi Tribuum una ex his, quae iudicium exercebant reliqua fuerit, quae in non dum suffragium tulerit, exiliun: reo sibi arbitratu suo deligendi facultas dabatur, exulesautem Neapoli [NAPOLI], Praene siæe,Tybure, atg; in alia quauis foederatorum urbe tuto elle deferebat, lege etiam comprobandi, ac sanciendi ius habebat et quod caput eitis de pace de bello, defoedere, decom trouersiis decidendis, aur componendis deliberavit, atque unum quod quem horum ratuni, aut irritum faciebat, quibus, ex rebus probaliter pofleta liquis dicere, populuni si bi maxima min Res Publica partem vindicasse, ac Rei publicae formam Senatus ipse curabat, et providebat. Praetere a quid delegationibus ex terarum gentium, quae  ex populi administratione confatam fuisse. Quò igitur pacto Res Publicae, in partes diftributa fueritiam sigerentur suae tianı populo, et eaquidem amplissima pars reli&a est: poterant praeterea populus ipse magistratus dignissimis quibusque Senatus voluntate, arý; arbitrio pofitumerat.  atq; horum quidem, quae superius dicta sunt nihil est cum folusenini in Republica et poenae, et praemiis potestatem habebat, et plerunq; in aliis etiam qua estionibus quoties gra priuior alicui maleficijmulata irrogannda esset et praesertim ditum  VITAE ACTIVAE rendas, ac perficiendas idoneus hauderat conttar enim legionibus eorum aliquid missum, quae illis publice suppeditari solebant, namq; fineS.C.neớ; frumentum , neq; vestimenta, nec obsonia legionibus administrari poterant, ad eo ut eorum, qui exercitus duxissent expeditiones et consilia omnia, quoties eis obstare, cum eila; maligne agere Senatus inanimum induxisset, irritaredde rentur, et minimem ad exitum perducerentur: quin ut quae ili animo et cogitatione complexi fuerant, ac sibi proposuerant perficere possent, ili Senatus voluntate positum erat: nam is post quam niannuum tempus praeterierat, aut successors mittendi, aut imperium prorogandi potestatem habuit, ac etiam penem se undem fuit ducum res gestas et dignitatem velex tollere, atý; ornare, velele vare, ac deprimere :nani triumphos, neộ; ut I decet apparere, neġ; ducere cuiquam licebat, ni aliensus fusset S e longissime abfuiflet, populi certe aflen su opus erat, quodq; est omnium ferem maximum , omnes imperio deposito, populo eorum quae gesserint rationem reddere oportuit, qua propter Consulibus, caeteris; Imperatoribus minime expediebat, Se. po. quem voluntatem erga se conteninere rursu siani Senatus quam uistant umin Res Puplica potuerit po illius authoritatem approbasset populus, praetereasi quisex Trib. pleb, intercesserit, nedum Sena erat 1 natus, et ineius fumptum erogasser necessaria. Et siquis ex prouincia decedere voluisset, quamuis domo pulum tamen intueri, ac illius rationem habere coactus fuit: in maximis enim ,atg; atrocissimis quaestionibus eorum maleficiorum, quae contra Rempub.conmislaca-. piteple&untur ,nihilSenatus ex equipotuiffet, nisi prius tus nihil eorum quae decreuerat perficere: sed ne sedere quidem, automnino incuriamvenire poterat: Trib.autí 11 di & um est: nunc autem quaratione potuerint partes illae quoties voluerint, sibimutuo repugnare, fibiq; inuicem opitulari, dicendum eft: enimuerò Consul poft quameani, quam superius dixi facultatem adeptus, copias eduxerat, funini o quid e mille cum imperio videbatur esse: verum populi, ac Senatus auxilio indigebat, ac sine his adresge 1   erat officium id femper exequi: quod populo visunr fuerat ciasý voluntatem quani maximè respicere, his omnibus cepissent, eos relevandi; siquae difficultas, aut publicuni seei sintortunium; quo minus ellent foluendi obstitisser, loca . tionemg prorfusin ducendi, ius et potestatem habuit. 7 eodenie modo Consul ut hac tionibusti midem, ac minime libenter aduers ab an turtum populus, tum Senatus caniforis, militiaeque; universus exercitus, et singuli, quia fub c o ad se inuice miuuandun, et impediendum adomnes rerum 217;.occasiones; ex opinione Polybije aminterse aprem, conue Bodi nichteré connexae; dispofitaeq; fuerunt,vt hac nullam e Izifior, praestantiorg Rei pub formare periti potuerit.' name, cum habeant omnes Res pub. In orbe quandam có 11.4, versionem et mutationem. Nullam ipse hac firmior emar Essen bitratus eft, fiquidem poft uniuersalia dilaniaa missis, ac sublatis artibus et studiis, aliquo post tenporis intervallo rursus humanum genus auctum et propagatum fuit, quo tempore in homini bas naturale arbitrary debemus, quod etia in in ratione carentium animalium generibus comtin gerevidenius, inquorum gregibus fortiffimus quisý; manifestò principatum fibi vendicat: omnes enim fortissimum et potentissimum fectabantur, aró; ita vnius dominiuni oliniigitur quisemel honore illo digni habiti sunt in regnis consenescebant iusta studia fe& antes nullaq; propter eos invidia, fi qui de m non magna in eis aut v i et tis, aut verò omnibus Senatus praeerat. idem diem proferendi, fiquam publicani calaniitate mac rum imperio, ac potestate eflent.i Haecporrò cum elfét vnius cuiusý partium vis et facultas METHODVS decáüllis multitudinem Senatus metuebat, ad populique : voluntatem , studi uni et cogitations suas dirigebat. At contra Senatu i populus ipse obnoxius, et subie&userat, eumque universim, et singulatim colere, arg; obseruare sua per magni interesse putauit, cum enim effent in ITALIAM ul bidid tave et igaliuni genera, quae Censores in fumptus appara 33°53.stusd; publicos locare solebant:in his omnibus conducen discurandis populus implicitus esse confutu i c :his ve constitutum eft. 287 H Iitus   kitus gracatio cernebatur: verum funiperin emculisciuium wi t a n i lag cotes, eaem qua populus victus ratione vte ban 7 sed post quàm horum filij cum iam comparata haberent imperio, essent differre et ad haec licexe etiam spemine  : prae metu contradicente: in concesus concubitus appetore, ató;ita coorta eft ex RegnoTyrannis. Noći atg hoc manifestem liquet, ex Cyri, Cam.bylif que imperio, fortissimis viris coniurationes, adinuante etiam ducum En suorum consilia multitudine, atg; ilius imperii quodpe nesvnum erat forma facile vedelereture ueniebat, atque indeiam optimatum principalu sortunt, atque initium accepifient, educati abinitio in poteltate, ang honoribus apparatus, alijsad vim mulieribus per Itapra, et raptus inferendam , alijdenių; adaliaturpiale conuertebant, atậ; ita optimatum principatus ad paucorun dominationem hinc illorum imperioper idem quod tyrannos oppresserat in fortunium finiş imponebatur, ncq; praeterea Regen creare libuit sobiniuftitiac, qua superiores vsi fuerant metum, neg; pluribus committere Rem publicam audebanttam re centi rei malae gestacniemoria ad suanı igitur fidem publica recipiebant, atq, ita popularis fornia effe et aeft horum postremo filii plus caeteris in Res Publica posse contendebant; atg; sinhanc cupiditatem, maxime locupletiores incidents maximis pecuniae largitionibas plebem cor runipebant  VITAE ACTIVAE paternis, propter eaae quabilis, communisų libertatis ru ;,-des& ignari, alijvinolentiam ;& luxuriofosconuiuionum translatuseft. praesidia,& rebusadvi&um pertinentibus,magis quàm pro neceffitate abundarent, ob nimiam bonorum copiam, atq; aff.uentiam cupiditatibus obsequentės, arbitratifunt oportere principes, ornatus et epulisabijs, quifubeoruni f :: quod& Herodotus affirmat contra huiusce modi principes fiebantàgen crofiffimis,& 1 1 tur . duxit . hiprinò administratione gaudentes commun ivtilitate del nihil antiquius habuere, 31.disinijinsi. Sed emi a n i eorum liberi e andem å patribus potestatem  METHODUS I rumpebant, quae affirefacaaliena bonaconselle, vitách; suae spem omnem in alienis fortunis ponere facileducem elaro animo, ace; audacise et abatut,atý;tum Rei publicae for mailla, cuius conservatio in flavum fiducia posita est, nascebatur, fiqui deintum plebs in vnum coactacaldem facere, ciues eijcere, proscriptorum; agrosdiuiderein Scipiebat, donec facuum tuufus, &erforatum, vniusiruperit *0 um reperiretur, qua propter his motus rationibus eamprae caeteris lau Res publicae benainaliam bonam non mutetur quam bona innalam, siquidem ut Aristoteles dicit in habentibus infi dese symbolum facilior eft tramlitus, an quia fimilitudo ila, ali neracione. Quam qaog contrarieta temr equirit? quodquidéin Ele's atme mentorum trasmutatione liquid paret:  inhisverò Reip. niutaionibus, quis fimilitudineni, & contrarietateinnes gabit) FACVLTAS ROMANORVM . quo ad leges veròattinet, quibusviifunt ROMANI, occur rimtnobismulca, quae vt figillatim esplicentur,rom ab otoexordientur; & inprimisant equam ROMULUS [ROMOLO] leges 1.2. demai. vixit .pokea loges quasdam ipse tulit, cum alijs sequentibus Ro. gibus, quas curiatas appellarunt, fequidem conuacat oper triginta curias populo Imgalifý; curiis inseparatas epra constitutis et sententiam rogatistege solim ferebankor,;? quae populi congregario comitia curiata dicebantur, à cocundo; quòd populuscoiret,et viri timlogesterret, et dicerScruiusTulliusRex hunc mioremimuutle: camépo pulo eaporekasrelictaest, vt plebiscita, & leges comitijs.  Dät Polybius, quaeonines Rerum pub. forniasin seconti not atg congregat, ne quacar uim vlera quàm facis fit au & a 1ist. & prouceta in sibi adherenteni,& coguatam pernicien in: -b.cideret: fódvniuf cuiufớiroboreac potential interfeinui liseem obnitentesulla ciuitatispars vfquam declinaret, ne 1.Dvivein altum propenderer. ex supradi& isautem dubucabit forfan aliquis,curfaciliusa Pomp.in suriaras ferret populus incerto iurs, incertis que legibusparis. H 2 curiaris LECALI vinil  1.& ler VITAE ACTIVAE. COROLLARIVM Augusto [OTTAVIANO] hinc et Suetonius ait Tiberium à  [GIULIO CESARE] in foro legecu riaelle adeptatum, hoc eft suffragiis populi percurias collectis. quidam retulerunt. pe: TAPE PTA LEGALIA ! Ilarunt, ad haec verò addita su t plebiscita, Senatus consulta, practorumedicta, et principum placita,exquibus EJSER Servorum verò (cuius origo deiu regentium fluxit) iuxta curiatis ferrentur,iii IB":NOI 3quaedam .de iur. 8oz idem parierro relabitur ybi putabat,cum quiinciuitate sua Facinus patrasset, si in alium lo cum peruenisse t accusam o m . iud. ai tik di t e r e a sunt prudentum declarationes, quas responsa appeluorum fi Ергл. 800exa& isdeinceps Regibus lege Tribunicia Regum leges antiquataesunt, poftquècaepit POPULUS ROMANUS incer tomagisiure& consuetudine aliquavti; quamlegelata, done e decem viri leges à Graecis petierunt, quas in tabu liseburneis praescriptas pro roftrisappo fuerunt,vt faci lius percipipoffent, atý;cum animaduerfumeffet aliquid 1 primisistislegibusdeelle; aliasduaseisdem tabulis,adie cerunt,& itaexaccidenti appellate esuntleges duodecim 14 'ride illo crimine non potuisse exemplo Hermiodori. Qui demomn eius ROMANORUM coaluit. 804 quod quidem universum refertur, vel ad personas,velad res, vel ad a & iones. Iureconsulti verba vnatantunt fuit conditio, istig;domi defta.ho. nioalieno contra naturam subijciebantur. :.ning Liberi in li. cum TABULARUM, quarum ferendarum authorem fuiffe X Cicerone .I.v.in. viris Hermodorum quendá Ephesum exulantem in ITALIA Tus, argumentum ad exules. net ibni I PERSONAE lib.3.f. dedos hominesautem autliberisunt,autferui. fta.ho. li ? رز inli.2.de80r rationeveròhuius  Hermodorinon rectè colligitBaldus  {,oz inillisautêquiafummaeratobscuritas desiderataeprop habent,quodlibet faciendi legenon prohibitum , atý;isto rum , alij sunt liberti, alij libertini, alij ingenui. Quià mortein vita millosre uocarunt, appellabantur. -horun, autem alij ciueserant ROMANI, qui vindicta, censu,Vlp.cap.s. : aut testamento nullo iure impediente n i anumis li sunt, alij instic. latiniIuniani,quiexlegelunia interamicos manumisli funt, alijdeditiorum numero, qui propter noxam torti nocételáinuenti sunt, deinde quoquomodo nianumisli. LIBERTINI. INGENVI. $ 11. Ingenuorum veròalijluisunt iuris, alijverò alieno iuri fubie&i.  et savie quialieno iuris ubie et isuntfilij familias appellan-1.1.f.&his tur, qui inditione, et potestate patris sunt vel natura, velquisútlui adop.  natura sunt qui ex nuptiis uxoris et maritioriuntur. NVPILAE. Nuptia cverò apud ROMANOS tribus per ficiebantur modis Bəê in2: tiaeper coemptionem. Mulieres autem quae in manu per coenuptionem conue nerant matres familias vocabantur, quaeveròvsu, velfar reationeminime. caeterae aliaevxoresvsu erant. Anim aduertendum est autem maximam fuisse differentia adoptione. Farreatione nempè, coemptione, &ylu, & fanèfar reatio Top. Cicerone folis pontificibus conueniebat. coeniprioverò cereis solemnitatibus per agebatur, fese.n. 1. 2. ff.de METHODVS Liberi sunt qui nullius imperio subie &I facultatem liberā LIBERT1. Liberti funt quos domini ex iustaserui. Il convito di Platone. Discorso de' Dittonghi di M. all'Illustrissimo Signor il Signor Francesco Maria de Marchesi del Monte. In Cesena Appresso Raverio. Questo Discorso sitrova altresì inserito nella celebre Raccolta degli Autori del bel Parlare, impressa nella Basilicata. II.Discorso di M. indifesa della Comme dia del divino Poeta Dante. In Cesena per Bartolomeo R a verii in4.Ladedicaè AlMoltoMag.mioSig. Osservandissimo il Sig. Tranquillo Venturelli . Da Cesena. De’ motivi, che indussero l’autore a scrivere questo dotto ed ingegnoso Discorso, se ne ragiona qui addietro a cart.19. e segg. III. M. Oratio in funere. Guidiubaldi Fel trii de Ruvere Urbinatium Ducis .Pisauri apud Hierony mum Concordiam. in4. IV.M. Cæsenatis deTriplici HominumVita , Activa nempe, Contemplativa , ei Religiosa Methodi tres, Qyestionibus quinque millibus centum etnonaginta septem distincta. In quibus omnes Platonis et Aristotelis, multæveroaliorum Græcorum, Arabuin, et LATINORUM in universo Scientiarum Orbe discordiæ componuntur. Quaomnia publice disputanda Roma proposuitAnno salutis Ad Philippum Boncompagnum S.R.E. Cardinalem amplissi mum. Cæsena Bartholomæus Raveriusexcudebat in  Questo volume contiene le celebri conclusioni di quasitutte le scienze, che M. difese pubblicamente con meraviglia di tutta  S2 . 1 1 Ita   1T Della Difesa della Commedia di Dante ec. Parte Pri ma, che contiene li primi tre libri, pubblicata a beneficio del mondo letterato. Studioe Spesa di D. Mauro Verdoni, D. Domenico Buccioli Sacerdoti di Cesena , e da essi dedi cata all'Illustriss. eReverendiss.Monsignore Sante Pilastri Patrizio Cesenate dell'una e dell'altra Segnatura Referendario, Abbreviatore de Curia , e della Santità di N. S. In nocenzioXI.eSua Cam. Apost. CommissarioGenerale.In Cesena Per Verdoni. in  e V. Della Difesa della Commedia di Dante distinta in seta te libri; nella quale si risponde alle opposizioni fatte al D i s corso di M. e sitratta pienamente dello arte Poetica , e di molt altre cose pertenenti alla Filosofia, e alle belle Lettere Parte prima ; che contiene i primi tre libri.Con due Tavolecopiosissime.AllIllustrissimo eRe verendissimo Sig.il Sig. D. Ferdinando de'Medici Cardinale di Santa Chiesa . In Cesena Appresso Bartolomeo Raverii in4. . Italia . N o n seguì però questa famosa Disputa in Roma, com' egli avea disegnato di fare, ma bensìinBologna nelFebbrajo dell'anno seguente; on degliconvennemutare il frontispizio al suo libro, e porvi: Quæ omnia publice disputanda Bononia proposuic Anno Salutis Veggasi qui addietro ove sitrattaampiamente disìfatta disputa,e delmeritodi questo libro.Della Difesa della Commedia di Dante distinta in sette libri, nella quale si risponde alte opposizioni fatte al Disa corsodiM. M. esitratta pienamente dell' Arte Poetica , e di molte altre cose pertinenti alla Filosofia , ed alle belle lettere. che contiene gliultimi quattro libri nonpiù stampati; edora pubblicata incuisitrova, cosìpergloriadel M., come per le insigni qualità del Prelato, che vi si rilevano, cred o ben fatto di riportarla in questo luogo, e dèla seguente.  a beneficio del Mondo letterato. Studio eSpesa diD. Mait ro Verdoni,eD. Domenico Buccioli Sacerdoti diCesena,. da essi dedicata Ad Albizzidell'una e dell'altra Segnatura Re ferendario , Giudice della Sacra Congregazione di Propagan da, ePrelato domestico di N. S. Papa Innoc. XI. in Cese na per Severo Verdoni in 4. Nell'occasione , che D. Mauro Verdoni , illustre letterato di Cesena , ebbe ri soluto di pubblicare questa seconda parte della Difesa di Dante , vedendo che la prima era di già divenuta assai rara , si determinò d i dover ristampare anche questa , siccome fece, dedicandola a Monsig. Sante P i laseri Prelato Cesenate per dottrina e per esemplarità di costumi riguardevolissimo, il quale aveva prestato a tal effetto al Verdoni ed ajuto e favore . M a essendo Monsig. Pilastri passato a miglior vita in tempo che appena n'eraterminata la stampa, convenne aglieditori procacciarsi un nuovo Mecenate , cui subito ritrova rono senza uscire dellalorpatria nelladegnissima per sona di Monsig. Dandini Vescovo diSinigaglia, Prelato anch'esso digran nome ; onde è avvenuto che quasi tutti gliesemplari siveggono con nuova dedica indirizzati a questo secondo , ede'primi non m'è riu. scito discontrarne cheuno,ilquale siconserva pres so dime unitamente all'altro dedicatoaMonsig. Dandini. La dedica a Monsig. Pilastri è in data, e quella a Mopsig. Dandino è de'17. dello stessomese edanno. Epoichè questa prima dedica merita assolutamente d'essere tratta dall'oblivio ne Illuge  'animo fatociperultimare que sta grande impresá frastornataci da tanti ostacoli) abbia mo stimato convenientissimo debito presentarla a V. S. Illu striss. per una particella di dovuta restituzione , eriman dar (comesidice) questo FiumealsuoMare. Nepunto erriamo, sesottonone di Mare ricopriamolavastità delsa pere , la profondità della prudenza , i tesori delle Cristiane virtù,cheadornano l'anima di V. S. Illustris.Avvenga che, se sirifletta con quanta carità dispensa ella a'Poveri isussidjdellavita, a'suviConcittadinilegrazie, con quan ta magnanimità , emulando la pietà de'suoi Avi, eregga agli Eroi del Paradiso gli Altari;sovvengaleCongregazioni del Taumaturgo Fiorentino , ed in specie questa della Pa che con tanta esemplarità dal Porporato , che ci regge, ècomunemente protetta,e progredisce ne dettami delpiosuo Illustriss. eReverendi ss.Monsig. Comparisce sulla scena del Mondo alla seconda lucelaPri. ma Parte di cotestaDifesa fregiata del pregiatissimo nome di V.S. Illustriss.per contestare, che volume si prezioso meritò sempre ne'suoi natali uscire ornato in fronte del no me d'uno d'e primi Personaggi, che venerasse il Secolo. Ed invero,sesiconsiderinoledignità,merito,virtù,e l'altre venerabili doti, che adornano l'animo di V. S. III., puossi senza veruna nota concludere, che sia sempre stato secondato da segnalatissimi favori nelli suoi ingegnosi parti il nostro M.; mentre questi sono stati sempre genero samente accolti, edalle prime Cattedre, eda'primiSavj del mondo, leggendosi sino da’Chinesi iportenti di questo grandeingegno. Ondenoiin considerazione delle grazie tan tevolte compartiteci,e dell tria , ' Fondatore , non potiamo, nè dobbiamo concludere altro della religiosa prodigalità della sua mano , se non quello, che della mano dispensiera di Probo cantò Claudiano: Præ 1    Præceps illamanus Auvios superaba tIberos,  zioni,eprove dell'amore che V. S. Illustriss. le porta ed in udire tutto giorno i religiosiattestati della sua pietà a risplendere o ne' Tempii, o negli Altari, non le consacri tuttose stesso in olocausto? Se nontemessimo tormentar quivi la sua modestia , proseguiressimo a mostrar con mille prove la sua gran dilezione verso la Patria, e noi tutti ; giac chivisonopochi,chenonrammentino legrazie,ifavori, eisovvegni conseguiti dalla bontà diV. S.Illustriss., ch'e Aurea dona voinens . A questo Mare adunque, la di cui gentilissima aura hacci sovvenuto a condurre alporto un Opera contrastataci da im. petuosi aquiloni di mille infortunj, abbiamo noi presentato nella tavola de nostri voti questo eruditissimo libro, col solofinedi rimostrare all'universale Repubblica diDotti, che se la nostra Patria ha saputoprodurre i M., i > Chiaramonti, i Dandini, e gli Uberti, preseduti alle pri me Cattedre di Roma, di Parigi, di Bologna, e di Pisa, ha ancora nelmedemo tempo avuto nobilissimi Figli, chegli hanno generosamente accolti,  favoritiegraziati. Egiacche questa Difesa per se stessa rende immune da qualsisia di fesa l'Autore, che ha saputo mettersi in tal quadraturii coll' altissimo suo sapere , che non paventa veruna offesa; resta perciò liberaa V.S. Illustrissima lasola difesa epro tezione di noi, che abbiamo volentieri registratoin questo Libro lossequiosissiino e riverentissimo tributo della nostra divozione al di leigran Nome; che non potrà mai ricor darsi e da noi, e dalla Patria tutta senza rassegnargliene con un eccessivo ossequio un tenerissimo affetto. Perciocchè chi è , che nella Patria in vedere le affettuose dimostra f > mula di quelGrande, neque negavit quidquam peten tibus; et ut quæ vellent, peterent, ultrò adhortatus est.  Cesena. Sacerdoti Cesenati, VJ. Discorso di M. intorno alla Risposta ed alle opposizioni fatregli da Patricio , per  est . M a vaglia per tutti, e sia ne' fasti dell eternità a caratterid'oro registrata la grande restituzione , che ha fat to alla Patria del suo gloriosissimo, e primo seguace del Redentore, Martiree Pastore d'EvoraS. Mancio ladi cuimemoria quasi quiestintaèstata dalla dilei Pietà ravvivata ; le di cui Sante Reliquie , fatte portare dalle ultime regioni del Tago , siccome hanno impietositi gli Altari , così ancora hanno indotta tal venerazione del di leiNome , che ingegnosamente si dice , meritar ella corona più preziosa di quella , che da' Romani donavasi a chi rendeva i suoi Cittadini a Roina; ovvero che solamente lapietà di Monsig. Sante ha saputo accrescereifigliSanti allaPatria;eche sopra questo fortissimo Pilastrosivede ogni giorno più sta bilita la divozione verso gli Eroi del Paradiso in Cesena. Viva dunque il nome di V. S. Illustriss., e fino che i nostri celebratissimi Rubicone e Savio tributeranno i loro liquidi argenti all'Adriatico, resti impressa negl’animi di tutti la memoria di si gran Benefattore. Vivaquesto Cesenate Ti moteo , a cui non Atene, ma Cesena , che è pur l'Atene della Romagna, ergapertrofeouna corona di cuori. Mentrenoi. restringendocia supplicarladigradire quest'attestato delno stro umilissimo ossequio, riverentemente inchinati, la sup plichiamo anon isdegnarsidi permetterci, che ci pubblichid mo per sempre Di V.S. Illustriss.e Reverendiss. Vmiliss.e Reverentiss. Servi Obblig. D.Verdoni , e D. Buccioli > te  145 tenente alla Storia del Poema Dafni , oLitiersa di Sositeo Foeta della Plejade. InCesena appresso Bartolomeo Raverii .in4. VII. Ragioni delle cose dette , ed'alcune autorità citate da Jacopo Mazzoni nel Discorso della Storia del Poema Dafni oLitiersa di Sositeo . In Cesena per Bartolomeo R a verii  in4. Del merito diquesti dueOpuscoli, e della cagione, che indusse l'autore a scriverli , si vegga acart.78.e segg.,eacart.84. e85. Jacobi M. Cæsenatis , in almo Gymnasio Pisano Aristotelem ordinarie, Platonem vero extraordinem profitentis, in universam Platonis et Aristotelis Philosophiam Preludia, sive de comparatione. Platonis et Aristotelis. Liber Primus. Ad Illustrissimumet Reverendissimum CarolumAn sonium Pureum Archiepiscopum Pisanum .Venetiis Apud Joannem Guerilium in fol. Questo volume , che dal Mazzoni era,forse non senza ragione, riputato il suo capo d'opera, si vede al presente giacere quasi in una totale dimenticanza , colpa de' nuovi sistemi di Filosofia , che di poi si sono introdotti . Ad ogni modo è opera dottissima, e quanto mai si possa di -. re ingegnosa, e nel suo genere affatto singolare; con tenendo quasituttiisistemi degli antichi Filosofi esa  In Exequiis Catherina Medices Francorum Regine. Florentia apud Philippum Jun ctamin 4. L'Autore dedica questa sua Jacobi Mazonii Oratio habita Florentia Idus Orazione al Duca di Bracciano per 1 ! i molti favori , che avea ricevuti da questo m a gnanimo eliberalissimo Signore;dallacuigentilepro pensione verso di sè dice, che sisentiva tratto a scri vere, epresentargli un giorno cose molto maggiori .mi . T   minati ed illustrati in una maniera sorprendente. Lettere . Una lettera del Mazzoni scritta a Belisa rio Bulgarini si trova impressa a cart. 121. delle Consi derazioni del medesimo. Bulgarini sopra il Discorso di esso M. in difesa della Commedia di Dante . In Siena appresso Bonetti. in 4. Tre altre scrit teparimente alBulgarini sileggono a carte e delle Annotazioni , ovvero Chiose Marginali dello stesso Bulgarini sopra la prima parte della Difesa di Dante di M.. In Siena appresso Luca Bonetti. Ed una indiritta a Speron Speroni staa cart.355. del volume quinto di tutte l’Opere di esso Speroni dell'ultima edizione di Venezia. Dialoghi in difesa della nuova Poesia dell'Ariosto. Di questi dialoghi fa menzione M, medesimo alla pag. 20. delsuo Discorso de’ Dittonghi; e dice ch'era presto, a Dio piacendo, periscamparli, il chepoinon fece, forse per essersi ricreduto sovra tale materia; giacchè allora, che era molto gio Considerazioni sopra la Poetica del Castelvetro. Que ste furono mandate dal Mazzoni al Barone Sfondrato, che ne dà ilsuo giudizio inuna lettera scritta all'autore t r a quelle del Vannozzi. vane XIII.Commentarj sopratutti I Dialoghi di Platone.P rea se M. a scrivere questi Commentarj per soddisfazione di Francesco MariaII, della Rovere Duca d'Urbino, ed egli medesimo ne fa menzione in una lettera scritta a Veterani Ministro del Duca, come pu . re   a reinaltraa Belisario Bulgarini, cheleggesi acart.213. delle Annotazioni ovvero Chiose marginali ec. di esso Bul garini. M. medesimo poiacart. della DifesadiDante nomina isuoi Commentarj sopra il Fedone, XIV . Libri de Rebus Philosophicis , fatti ad imitazion di Varrone. Compose M. quest'opera inunasua villetta sulla riva del Savio , e. disse a Roberto Titi che pensava di pubblicarla prima della seconda parte della Difesa di Dante. Veggasi quan toda mesenediceacart. 44.e98. delpresentevo lume. Censura del primo Tomo degli Annali del Cardinal Baronio . Il celebre Simon in una lettera a Dandini, che si legge a cart. della sua Biblioteca Critica , afferma d'aver inteso da questo Prelato , che M. avea scritto contro il primo tomo del Baronio , tosto che questo uscì in luce ,  e che il manoscritto di quest'opera sic onservava nella libreria delGran Duca. Discorso d'una breve Navigazione, chesi puòfare da Portugallo nell'Etiopia, e nel Paese del Prete Janni . A Buoncompagni General di S. Chiesa, e Marchese diVignola. Questo si trova in una Miscellanea della Biblioteca Vaticana. Discorso sopra le Comete. Anche questo Discorso, lodatissimo dalSig. Guidubaldo de' Marchesidel Monte celebre Astronomo, dovrebbe ritrovarsi nella Libreria Vaticana tra'Codici Urbinati; ma per diligen zefattenon siè potuto rinvenire al num.513., allegato dal Conte Vincenzo Masini nelle Annotazioni al primo libro del suo Poema del Zolfo, e dietro a lui da Muccioli a cart.116. del suo bel Catalogo della Bi . Biblioteca Malatestiana . Veggasi ciò , che del pregio di quest'operetta si è da noi detto alla pag. 101. La Fisica , e i Dieci Libri dell'Etica d'Aristotile. Tadini scrive che il manoscritto originale di quest'opera , mancante però e imperfetto , si conser vava alquanti anni sono presso ilSig. Gio: Antonio Al merici Nobile Cesenate. Il medesimo si afferma da Ceccaroni in alcune memorie mano scritte, comunicateci dal Ch.Sig. Arcidiacono Chia ramonti , dalle quali si apprende , che lo stesso Cecca roni avea fatta copia dell'originale inedito dell' Etica; ma sento che questa copia ancora sia andata insinistro,epiù non siritrovi. In universam Platonis Rempublicam Commentaria. Della Rupubblica di Platone da sé commentata fa ri cordo M. medesimo nella lettera di ZQ  / 148 ν gata al Sig. GiulioVeterani; dicendo,che quantopri ma pensava di mandarla , o di recarla esso medesimo al Sig.Duca d'Urbino. alle La X X . Orazioni . Di varie Orazioni dal nostro autore composte in diverse occasioni , e non mai pubblicate, si è fatto memoria nel decorso di quest'opera , prima viene accennata a cart.89. , detta in Pisa nell' aprimento degli Studi in lode della Filosofia . La se conda scrittada lui eloquentissimamente per movere il Pontefice Clemente VIII. a ribenedire il Re Arrigo IV. di Francia a cart. 99. La terza detta ne' funerali del celebrePierAngelio da Bargaacart. 100. El'ultima final mente recitata nell'Archiginnasio Romano , facendo una comparazione tra l'antica Roma e la moderna ; . della quale sifavella acart.112. Lezioni. Quattro Lezioni altre sì scrive M. sopra che mai non videro la luce . Elle furono reci. tate in Firenze , due nell'Accademia Fiorentina per ri schiaramento di due luoghi di Dante; e l'altre in quella della Crusca sopra i Brindisi ,e le feste Vinali degli Anti chi.Veggasi a cart.77.94.95.e97. Lettere. Di alquante lettere del M. si conservano gli originaliin Pesaro nella libreria Giordani, delle quali lach.me.del dottissimo Sig. Annibale degli Abati Olivieri si compiacque giàmandarmi copia; e sono tre scritte al Cardinale Giulio della Rovere, una al Duca d'Urbino , due a Giulio Veterani, ed una a Piermatteo Giordani. Altre parimente originali scrittea Belisario Bulgarini si trovano in alcuni Codici esistenti nella Libreria dell'Università di Siena. Oltre aquest'opere ilTadini afferma, essercime moria, che dal Mazzoni sieno state scritte anche le seguenti , cioè I. In Homerum Paraphrasis. II. Numi smatum Græcorum Interpretatio. In Lullum Commentaria.IV. Naturalis Philosophie Arcana.V. Secretoperco noscere da'Bigari e Quadrigati , denari Romani, qual fazione restasse vittoriosa ne' Giuochi Circensi, se la Veneta o Prasing Rossa o Bianca. Tractatus de Somniis. L'originale di questo trattato de'Sogni dice, che fu venduto molti anni sono da certuno al Sig.Pier Girolamo Fattiboni Gentiluomo Cesenate. Ma che avea incontrata la stessa disgrazia degli altri, non si essendo più trovato. Forse tutti questi mss. dovettero essere in quelle dieci casse di libri di M., che rimasero dopo la di lui morte presso Girolamo Mercuriali in Pisa, come il Dottor Ceccaroni nell'accennate Memorie afferma apparire da un pubblico Documento rogato. Per   Per ultimo il sopralodato Sig. Arcidiacono Chiara monti mi assicura, esservi anche al presente chi sostiene doversi attribuire al M., così la Canzone composta in lode del Torneamento fatto in Cesena nel Carnovale, la quale incomincia Mostra l'alterafronte,come la difesa della medesima, che fu pubblicata sotto nome del Bidello dell'Accademia con questo titolo; Risposta di Matteo Bidello delloStudio di Cesena al Parere d'incognito Oppositore fatto sopra la Canzone Mostra l'altera fronte. In Cesena conlicenza de Su periori Per Bartolomeo Raverii. in8.; machenon avea avuto modo di verificare veruna di queste voci. lo per altro non averei difficoltà di credeCre, che così la Canzone,come ladifesa potesser essere fattura del nostro autore , essendo la Canzone assai bella ; e la difesa molto dotta e giudiziosa , e degna assolutamente del nostro grande e celebratissimo M.. Mazzoni. De triplice vita. Mazzni. Keywords: implicature, repubblica romana, the Latins on ‘vita activa’, I romani e la vita attiva. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Mazzoni” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Mecenate: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza.  (Roma). Filosofo italiano. Gaio Cilnio Mecenate. Interessi filosofici prova lui, il potentissimo consigliere d'Ottaviano. Di origine etrusca, e probabilmente aretina, discende da stirpe regia, ma volle restare semplice cavaliere romano. Combattè a Filippi per i triumviri e e intimo di Ottaviano che egli cerca di conciliare con Marc'Antonio, siechè ha luogo l’incontro di Brindisi. Per conto di Ottaviano si reca presso Marc'Antonio affinchè partecipasse alla guerra contro Sesto Pompeo. Lui e il rappresentante di Ottaviano a Roma e in Italia con poteri illimitati. Ottaviano si serve di Mecenate in pace e in guerra e trova sia in lui che in Agrippa il sostegno più sicuro del suo principato. Ma egli deve la sua fama imperitura alla protezione che concesse ai maggiori filosofi del tempo suo. Restano pochi frammenti dei scritti del MECENATE in versi e in prosa, nei quali, e specialmente nel Simposio o convito, opera che introduce in Roma un genere letterario molto coltivato in Grecia, mostra di subire l’influsso dei filosofi dell’Orto. Interessi filosofici e influssi epicurei si manifestano negli seritti dei maggiori filosofi del circolo del Mecenate. Maecenas wrote several works, none of which have come down to us. Their loss howerer is not much to be deplored, siuce, acoording to the testimony of many ancient writers, they were written in a very artificial and affected manner (Suet. ‘Octv.,’ ; Sen., ‘Epist.’; Tac. ‘Dial. de Orat.,’, who speaks of the ‘calamistros Maecenatis. They consist of poems, tragedies (one entitled ' Prometheus,' and another 'Octavia'), a history of the wars of Augustus (ORAZIO, 'Carm.' ), and a symposium, in which VIRGILIO and ORAZIO were introduced. The few fragmente which remain of these works have been collected and published by Lion under the title of ‘Maecenatiana, sive de C. Cinii Macenatia Vita et Moribus,’ Göttingen. Maecenas' known works include a Symposium, with such notables on the guest list as Horace, Virgil, and Messalla, and, if a fragment from Plutarcocan be trusted, some pretty clever dinner conversation. Servius, Aeneid: Facilesque oculos fert omnia circum: physici dicunt ex vino mobiliores oculos fieri. Plautus faciles oculos habet, id est mobiles vino. Hoc etiam Maecenas in Symposio ubi Vergilius et Horatius interfuerunt, cum ex persona Messallae de vi vini loqueretur, ait 'idem umor ministrat faciles oculos, pulchriora reddit omnia et dulcis¡uventae reducit bona.' Cf. Plut. Mor. frag. 180: 'Ev tô cuvosívo tỘ toû ManvaTúTEÇa ¿YYóo, N unò tị Koía tò HéyE0os HeyíGTh Kai kán2os auaxos. kai ola sikòsETAVOUV ARZOL ANNOS AUTHV O SE TÓPTIOS, OUK EXOV O TI MAp ¿AUTOû TEpaTEÚGaGOaL,Glyñ ysvousn, "EKsivo dE ouK ¿vvosits, d pior Guunótal, Oc otpoYyún sotì Kai ayavrEpIpEp'S." ¿ TOÍVUV TẬ ¿páTO KORaKsia, Ó5 tÒ siKóS, yéS KatEppáyn. For the possibility that this incident may come from Maecenas' Symposium see Jiráni 1932, 1-12; Lunderstedt 1911, 92-93. Perhaps Maecenas's Symposium should be added to the list of possible antecedents for Petronius' Cena. %//» ftt.y.     !f '8 )>:   9 . ■éffsuz^ncsÉ -   OtjJ    A,   «a   k.Sm    i   • •    1 V    /    /' «    , j    w     -3   "■’f   N       STORIA   DI   CAJO CILNIO   MECENATE   CAVALIERE ROMANO   SCRITTA , X DEDICATA  A  S. A. S. il Signor Principe   FEDERICO DI SAXE-GOTH A   DaU’Avv. Sante Viola P. T.     ROMA i8£Ó.  Presso Francesco Bourlié  _ \ Con Lic. de' Sup.   ■ — — — mm. 9   A spese degli Eredi Raggi Libra]  al Camita N. 1 89»    Digitized by Google    /V.';       I    Pigjtized byCoggle    «1    ALTEZZA SERENISSIMA    /    .Allorché io mi occupava a racco-  gliere le Memorie Istoriche della Vi-  ta di Cajo Cilnio Mecenate 9 pensai     Digitized by Google    It   di procacciare al mio Libro un Pro-  tettore nella Persona dell’ A. V. S.  sapendo quanto sia benemerita della  Letteratura , delle Arti , e de’ loro  Coltivatori ; e sebbene la piccolez-  za della mia Offerta dovesse sgomen-  tarmi , tuttavia fatto coraggioso dal-  la grandezza del suo magnanimo  cuore , restai fermo nel mio pensie-  ro , persuaso , che la Storia delle  geste civili, politiche, e morali di  quell’ esimio Cavalier Romano , do-  veva presentarsi ad un Principe i  nel quale si ammiravano per singo-  iar modo trasfuse le doti più belle \  di cui era quello fregiato .   E come non dovrà celebrarsi  P A. V. S. nel vederla animata dal  genio istesso del gran Cibilo riguar-  do al progresso, ed al miglioramen-  to delle Arti > e delle Scienze ? In    Roma , Capitale di un vasto Impero,  Mecenate avvalorava i talenti , pro-  teggeva i Dotti , e dava così un im-  pulso potente alla Civilizzazione del  Genere umano ; e F A. V. 5. nell*  istessa Capitale , ora Sede , e Maestra  del buon Gusto , e delle Arti , acco*  glie con amorevolezza , onora con  discernimento , protegge con costan-  za tutti gli Artisti, e Letterati, de’  quali la stima , la venerazione , e  T amore sono ben dovuti all* A. V.  per quella soavità di maniere , ed  eminenti virtù , che in tanta copia  brillano i n tutte le di Lei azioni .   Se l’A. Y. S. si degna di accogliere  sotto la benefica , e valevole sua  Protezione questo mio qualunque  siasi lavoro, andrà esso fastoso ve-  dendosi onorato di qùelNome illu-  stre, che ridesta la dolce memoria de*    TI   grandi Avi dell’ A. V. S. i quali in  ogni epoca recarono decoro alla Pa-  tria , onore , e gloria alle Contrade  Alemanne .   Supplico PA.V.S. di aggradire i  sentimenti di quella profonda vene-  razione , ed invariabile ossequio ,  con cui ho , l’onore di rassegnarmi .   .Di V.A.S.    Vino Dmo Obbmo Servo  SANTI VIOLA,    Digitized by Google    VII   PREFAZIONE   Nello scrivere la Storia di Caio Cilnio  Mecenate ebbi di mira soltanto la riconoscenza  dovuta alla memoria di questo grand' Uomo ,  che fù il più zelante promotore delle belle Let -  ter e , l'Amico sincero, il Protettore liberale  di tutti li Letterati suoi contemporanei.   Per lo spazio di circa tredici , o quattordici  Secoli il nome di Mecenate fu sepolto , per dir  cosi , nel seno dell' oblio ; effetto della bar-*  borie de' tempi . Giovanni Meibomio fù il  pririio a raccogliere tutte le notizie relative  alla Vita di questo esimio Cavaliere Roma-  no , e nel i6Sj. ne stampò in Leida un Libro  avente per titolo : Maecenas , sive de Caji Cli-  ni Maecenatis Vita , moribus , et rebus ge-  stis . Prima del Meibomio ne aveva scritta una  Storia Gio. Paolo Martire Rizzo in- lingua Ca -  stigliarla . Ma quest’Opera non potè procac-  ciarsi un incontro felice per le stravaganze , di  cui era ripiena , portando l' impronta piutto-  sto di un Romanzo , che di una Storia , con-  forme osserva il lodato Meibomio (l ) .   (l) Praeloq. ad Lect. : Historia Vitae Mae-  cenatis a Jo . Paulo Martire Rizzo Lingua Ca-  st igliana de script a . . Tantum enimabest , ut  illa sit historia , ut parum absit ad fabulas  abeat .    Digitized by Google     Vili   Circa treni' anni dopo l’Opera di questo ,  cioè nel 1684. , Gio. Battista Cernii diede alla  luce in Roma con le stampe di Francesco Laz-  zari una Vita di Cajo Mecenate ; ma questa  Operetta per lo stile inelegante , ed uniforme  al gusto di quel secolo , sembra che non ripor •  tasse tutta V approvazione de' Letterati , es-  sendo caduta in una quasi totale dimentican-  za ; ciò non ostante l' Autore , con la scorta  del sudetto Meibomio , non omise di riunire  molte notizie sulla Storia di Mecenate , estrat-  te dagli Autpri antichi .   Altri ancora posteriormente hanno parlato ,  e scritto sul medesimo soggetto . Nel 1 j 46. fu  publicata in Parigi da M Riclier una Vita di  Mecenate, e successivamente V Abb. Souchay  fece una raccolta di notizie in una Disserta-  zione inserita nelle Memorie dell' Accademia  dell’ Iscrizioni , intitolata Ricerche intorno  Mecenate (1 ) .   Avendo profittato de' lumi , che questi Au-  tori diffusero nelle loro Opere, e non avendo  omesso di esaminare li Scritti di Livio , Dione  Cassio, Appiano, Tanfo, e Vellejo Pater-  colo fra li Scorici antichi , non che quelli dì  Seneca, Macrobio , Orazio Flocco , Virgilio,  Properzio , ed altri , ho tessuto questo qua-  lunque siasi lavoro , con aver procurato di non   CO Tiratosela Stor. della Lett. ltal. part.  3. lib.3. ... r j    Digitized by Google    IX'   deviare nella narrazione de' fatti dà un ordine  regolare , e cronologico . Fra li moderni ho  fatto uso delle Storie del dotto Inglese Lorenzo  Echard (1) , e degli eruditi Catrou , e Rovil-  lè (2 ) , nelle quali oltre a non poche notizie  relative al mio assunto , ho toltili materiali  sulla Storia contemporanea , con aver però ri-*  scontrati li fonti, in cui quelli avevano ati  tinto ,   Lapresente Operetta è divisa in IV Li-  bri . N el primo si sono rintracciate le Notizie  sull’ origine , e sulle qualità della Famiglia de'  Cilnj ; si fissa l’epoca , in cui il nostro Mece-  nate può essere entrato nella CorQe di Ottavio  Augusto , e si nota tutto ciò che vi ha di più  rimarchevole sulle di lui geste e precedenti al  Triumvirato , e dopo di esso fino alla Cuerra  detta di Perugia , cagionata dagl intrighi di  Fulvia Moglie del Triumviro Marcantonio .  Contiene ancora le operazioni del medesimo  Mecenate , e prima , e dopo la disfatta di Bru->  to , e Cassio nelle Campagne di Filippi ,   (1) Storia Romana dalla Fondazione di Ro-  ma sino alla Traslazione dell’ Impero sotto Co-  stantino scritta in idioma Francese dall’ Abb.  delle Fontane sopra l’Originale Inglese . Vene-  zia 1751.   (*) Histoire Romaine depuis laFondation  de Rome par les RR. PP. Catron , et Rovillè .  Paris 1735.    I X?'    Il secondo Libro comprende la serie de* folti  relativi alla Storia di Mecenate dalla indetta  disfatta di Bruto fino alla morte del succe rinato  Marcantonio , c della famosa Cleopatra , Epo-  ca , in cui Ottavio rimase il solo Dominatore  della Romana Gran dezza .   N el terzo Libro si vedrà il Congresso tenuto  da questo con Agrippa , e Mecenate per delibe-  rare , se , stante V estinzione del Triumvira-  to , dovesse ristabilirsi nel suo stato primitivo  il sistema Republicano , o se dovessero gettar-  si le basi di una Monarchia Universale , e qui  si leggeranno li giudiziosi , e politici discorsi,  recitati l’uno da Agrippa , che perorò per la  Repuhlica , e l’altro da Mecenate , il quale fa  di opposte sentimento , ed opinò per lo stabili-  mento della Monarchia ; e come Ottavio ante-  pose le ragioni di questo alle riflessioni di  quello .   ■ N eli’ ultimo Libro si conoscerà quale fesse  l influenza di Mecenate sullo spirito di Otta-  vio , divenuto Imperadore , e quale la defe-  renza di questo verso di quello . Si ravviserà  inoltre quanto grahde fosse la protezione , c la  liberalità di Mecenate verso i Letterati , e  quale impegno avesse per il progresso dèlia  Letteratura , e delle Scienze . In fine sipar-  io della Morte .   . Hò creduto di aggiungere , dopo la Storia ,  ««Appendice divisa in tre Discussioni , che  sonuninistrano de' schiarimenti , ai altre- me-    Digitized by Google    XI    morie , che in quella, q erano state omesse , o  appena accennate . Le prime due Discussioni  abbracciano Le notizie relative ai celebri Giar-  dini , ed Abitazione , che Mecenate possedeva  in Roma, ed alla magnifica sua Villa situata  sulle sponde dell ’ Aniene presso Tivoli . La  terza si aggirerà sulla pretesa Febre perpetua,  e Veglia Triennale , che Plinio il Naturalista  attribuisce a Mecenate «   Tutte le volte , che questo grand’Uomo trovò  degl' imitatori nella protezione , e nel favore  delle Lettere , e dei Coltivatori delle medesime  si viddero comparire degl ' ingegni prodigiosi ,  e la Letteratura fece mirabili progressi , In  fatti a questa imitazione siamo debitori di tante  utili scoperte , e di quelle venuste produzioni  dello spirito umano , che viddero la luce sotto  i Leoni, sotto gli Alfonsi , e in tutte le altre  epoche , nelle quali le fatiche de' Dotti furono  r.icompcnsate , ed avvalorati li talenti . Se per-  tanto questa imitazione non sarà posta in oblìo,  e se il nome di Cajo Cilnio Mecenate non sarà  dimenticato , li Secoli successivi saranno sem-  pre più migliorati , ed illuminati dallo svilup-  po delle umane cognizioni . „   LI Poeta Marziale , che vivgpa in un epoca ,  in cui la Letteratura inclinava alla sua deca-  denza , si lagna, e fa conoscere , che allora  non esistevano dei Mecenati , che non erano  le scienze protette , e che perciò non si vede-  vano comparire ingegni sublimi . „ Ti meravi -     „ gli > 0 Fiacco , che a tempi nostri . . . man-  „ chino ingegni simili a quello di Virgilio  ,, Marone , c che niuno sappia cantare le mi-  ,, litari imprese con una tromba eguale alla  „ sua . Io ti rispondo , che se vi fossero de *  „ Mecenati , come quelli , che vissero sotto  „ I Impero di Ottavio Augusto , vedresti svi-  „ lapparsi altri Genj niente inferiori a quello  ,, del Poeta Mantovano . Era stata a questo  „ rapita la sua piccola Possessione presso Crc-  „ mona , implorò la protezione di Mecenate ,  ,, pianse , e sotto il nome diT itiro cantò in  ,, stile boschereccio le perdute pecorelle . Rise  „ al suo flebile , ma dilettevole canto il To-  „ scavo Cavaliere , e tantosto fugò da esso la  ,, maligna povertà . . . Allora Virgilio con-  „ copi la grandiosa idea dell ’ Eneide ... Se  „ tu dunque , o Fiacco , sarai benefico co-  „ me Mecenate , e mi ricolmerai di doni , ti  ,, assicuro , che anche io diverrò Virgilio (l).   ( i) Martini. Lib. 8. Epigr. 55. ad Flaccnm.   Temporibus nostris   ìngenium sacri miraris abesse Maronis ;   Nec quemquam tanta bella sonare tuba .  $int M ae cenate s, non deerunt, Flacce,Marones.   Jugera perdiderat miserae vicina Cremonae,  y Flebat et adductas T ityrus aeger opes .   Jìisit Tuscus Eques , paupertatemque malignarti   Rcpulit, et celeri jussit abire fuga ,    Digitized t    XIII   Nello scrivere la presente Storia non pre-  tendo di aver fatto un lavoro completo , nè di  aver raccolto tutte le Memorie sulle avventure  politiche , morali , e civili di questo esimio Ca-  valiere Romano . Se non vi sono riuscito , non  fu colpa della mia volontà , o effetto di trascu-  ratezza . Qualunque mancanza si deve attri-  buire alla ristrettezza delle mie cognizioni , e  de’ miei talenti . Può essere però , che all' im-  pulso di quésto mio travaglio altri si scuotano  in seguito , che forniti di migliori materiali ,  ed ingegno più elevato , sappiano supplire alli  miei difetti- Io gioirò allora nel mio cuore , e  leggendo novelle prbduzio'ni , e nuove scoperte  intorno alle geste del mio Eroe , sarò ben con-  tento di apprendere da altri , ciocchi io aveva  tentato di conoscere colle mie fatiche .    Protinus Italiam concepii , et arma virumque .   Ergo ero Virgilius si munera Maecenatis  E>es wihi . . v w . v    . i     y*   N A    STORIA   ' * '* ’•*»*» . *     X   >    DI CAIO CILNIO MECENATE   ^ 1   LIBRO t: ,   •   _| ràle famigli» le più antiche , e dovizio-  se di Arezzo nell’Etruria meritamente è an-  noverata quella de’ Cilnj . Circa la metà del  quinto Secolo dopala fondazione di Roma , e  duecento novant’ anni puma dell’Era volgare  la medesima figurava luminosamente non solo  nella propria Città:, ma eziandio sopra tutta  la Nazione ; se noti che le grandi ricchezze  avendola resa troppo orgogliosa , e prepo-  tente , si procacciò l’odio , e l’ invidia, delle  altre famiglie , e de’ suoi concittadini , e fu  sottoposta a disgustiose vicende .   Nell’ epoca succenuata , e precisamente  nell’ anno 4S0. di Roma , fu ordita nel seno  stesso della sua Patria contro di quella una  terribile congiura # e quantunque , per mez-  zo de’ suoi rapporti , ne giungesse al disco-  primento , , non potè però impedirne l’esplo-  sione . Gli Aretini presero le armi risoluti di  discacciarla dalla Città, e non avrebbe potuto  disimpegnarsi dalla pericolosa situazione ,  se non avesse trovato un appoggio nelle forze  della Romana Republica. ,   Questa aveva già sperimentato più volte la   A    Digitized by Google    *   potenza, ed il valóre degli Etrusci , che in  quel tempo costituivano una nazione popolosa,  formidabile; e guerrierafi) e se aveva su  di questa riportate delle vittorie , TEtruria  non faceva ancora parte delle provincie Ro-  mane ad essa confinanti . In questa occasione,  o fosse realmente per soccorrere li Cilnj » o  più probabilmente per profittare delle interne  dissensioni , Roma vi spedi il Dittatore Marco  Valerio Massimo con un’ armata .   Sebbene lo Storico Livio narri il principio,  il progresso, ed il termine di questa insurre-  zione degli Etrusci , nutladimeno , secondo  il medesimo, sembra, che riuscisse al Gene-  rale Romano di calmare li sediziosi movimenti  degli Aretini , e di riconciliare la Plebe , con  la detta famiglia de' Cilnj i senza alcun fatto  d’armi rimarchevole , e sanguinoso,, Correva  ,, la voce ( dice Livio ) cbe l’Etruria avesse  „ inalberato lo stendardo della rivolta , e  che erasidato principio! alla medesima dalle  „ sofnmosse degli abitanti di Arezzo, nella  qual Città la prepotente famiglia de’ Cilnj ,  invidiata perle ricchezze , voleva scacciar-  „ si colle armi Alcuni Autori , che   (l j> Livio lib.q. Cap.iqi Prodigato Samni-  tium bello ; . . . Etrusci belli fama exorta  èst , non erttt ea tempestate gens alia , cujus  . . , . arma terribiliora esscnt cum propin-  qui tate agri , tum muli ita din è hom&nutn, y    Digitized by Google    — « «— I    3   t) tengo presso eli me, affermano , che per  „ iopera del Dittatore , calmati li sediziosi mo-  „ vimenti degli Aretini , e ricpnciliata  Plebe con la famiglia de’ Cilnj , fosse ri-  „ condotta la quiete nell’Etruria , senza alcun  „ fatto d’ armi memorabile (i).   Dopo due anni però , cioè nell’anno 453,  si accese nuova guerra fra questa , e laRe-  publica Romana . Sene ignora la, cagione, e  non si conosce qual parte vi prendessero i  Cilnj , e sebbene l’E trulla fosse costretta a  chiedere la pace , tuttavia dopo breve tempo  fu indotta a novelle ostilità dai Sanniti .   Questi popoli guerrieri sempre inquieti >  benché sempre vinti dai Romani , nell anno  557. tornarono all’ armi , e fecero tptti li  sforzi per stringere un'alleanza offensiva con  le popolazioni Toscane „ Etrusci ( cosi par-  „ larono li Deputati de’ Sanniti ) piu d’nna  „ volta ci siamo cimentati ne’ campi di Marte  „ con le Coorti Romane ; abbiamo dimandata   ( 1 ) Lib. io. num. 3. e 5 . Multiplex de in-  de exortus terror . Etruriam rebellare ab  Aretinorum scditionibus , mota orto , nuntia-  batur , ubi Cilriiurn genus praepotens , divi-   tiarum invidia pelli armis ceptum Ha*   beo Auctores , sine allo praolto pacatam a Di-  ttatore Etruriam esse , seditionibus tantum,  Aretinorum compositis , ctCilnio genere cuoi  plebe in gratiam redacto . . L . . v )    Digitized by Google      4   » la pace , quando non potevamo sostenere   „ più lungamente il peso della guerra . Siamo  „ tornati ora a' prendere nuovamente le ar-  „ mi , perchè la pace ci era più dura degli or-  „ rori di quella L’unica nostra speranza pe-  „ rò, la sola nostra risorsa risiede nella na-  „ zione Toscana , nazione ricca , bellicosa , e  „ fertile di guerrieri . Se noi avremo il vo-  „ stro ajuto , e voi risveglierete ne’ vostri  „ petti quel coraggio ,. con cui Porsena, e i  „ ^vostri Maggiori spaventarono Roma istessa,  „ nulla avremo a desiderare (i) .   Li Sanniti ottennero ciò , che bramavano .  Gli Etrusci accedettero alla lega , e la guerra  cominciò con furore . Ma non era ornai più  tempo di resistete alle forze delle Republica  Romana già divenuta invincibile .'Eglino fu-  rono superati , e la sorte, che incontrarono  in questa , incontrarono ancora nelle altre  guerre posteriori , finché furono costretti a  sottoporsi alle leggi , ed all' impero di quella .   Quantunque la Storia ci abbia occultato le  avventure de’ Cilnj , dopo che l’Etruria fu da’  Romani soggiogata , pure sembra potersi cre-  dere, che continuassero sempre ad occupare  un rango distinto fra le famigliedella Nazione .  Imperciocché se deve -prestarsi fede al Poeta  Silio Italico, nella seconda guerra Punica un  individuo di essa famiglia militò contro Anni-   • I . , N 1 • * *. .   (i) Tit. Liv. lib.io. cap.x i. w . • • • .    Digitized by GooqIc    5   baiò sotto le bandiere Romane e tuttoché  restasse prigioniero , diede argomenti di co-  raggio , e di valore .   Avendo Annibaie superato le Alpi , incon-  trò nelle vicinanze della Liguria il Consolo  Cornelio Scipione , che con un’ armata Roma-  na voleva contrastargli la marcia ; ma impa-  ziente il Generale Africano di dare esecuzione  al già meditato progetto di conquistare l’Italia*  e impadronirsi ancora del Campidoglio, attaccò  l’esercito nemico . La battaglia fn incomincia-  ta , e sostenuta con accanimento dalla Caval-  leria Numida , e le truppe di Scipione furono  completamente disfatte. Egli stesso rimase feri-  to, e sarebbe caduto frà le mani de’Cartaginesi,  se non avesse combattuto al sno fianco Scipione  di lui figlio denominato posteriormente Afri-  cano. Questo giovane guerriero, benché in  età di soli diciotto anni , salvò il padre con  il suo coraggio , e diede in tale occasione li  primi saggi de’ suoi talenti militari . Questa  terribile battaglia , e questo disastro dai Ro-  mani sofferto accadde tra il Pò , ed il Ticino  nell'anno di Roma 536. (i) .   (i) Dion. Cas. lib. 14 . Eutrop. lib.3. Flo-  rus lib.a. Cap. 6 . Ac primi quidem impetus tur-  bo inter Padum ac Ticinum valido statim frago-  re delonuit . Tunc Scipione Duce ,fusus Exer-  cicus , saucius et ipse venisset in hostium ma -  nus Imperator,niii protectum patrem praetex -    «I    6   Frà li molti prigionieri di distinzione fatti  da' Cartaginesi si numera un Cilnio della Cit-  tà di Arezzo nell’ Etruria . Giovanetto anch'  esso , come il figlio del suo Generale, com-  batteva nella Cavalleria Romana. Il suo Ca-  vallo ferito cadde nella pugna , ed egli restò  prigioniero. Il surriferito Silio Italico, che  narrò in versi tutte le azioni di questa guer-  ra formidabile , cosi si esprime „ Cilnio d’ il-  ,, lustre prosapia , e nato nella Città di A-  „ rezzo, situata nelle contrade Toscane , da  „ un destino crudele era stato spinto sulle ri-  „ ve del Ticino , benché giovanetto; quivi  „ nel furor della mischia, balzato al suolo  ,, dal suo Cavallo divenuto furibondo per una  ,, ferita, era stato costretto a sottoporre il  „ collo alle Libiche catene „(i).   Annibaie bramando di conoscere le geste ,  e l’origine di Fabio Massimo Dittatore Roma-   tatus admodum filius ab ipsa morte rapuisset .   (i ) Sii. Italie, lib.7. de Bell.Punic. ver.ao.  At Libyae Ductor postquam nova nomina lecto  Dìctatore vigent .........   • ••«•••••••* •   Oeyus accìtum captivo ex agmine poscit  Progenicm,rituscjue Ducis,dextr aeque labores;  Cilnius Arreti Tyrrhenis ortus in orit  Clarum nomea erat , sed laeva adduxerat fiora  Ticini juvenem ripis , fususque ruentis  V ulnere equi , Libycit praebebat colla catenu .      D icjitizert, by Cop ale    i   no» di cui tante cosq narrava la fama , ne in-  terroga il sudetto Cilnio suo prigioniero .  Questo appaga il Generale Africano , ma gli  parla con franchezza, e coraggi^, e gli fa  Conoscere in fine, che piu della schiavitù , cui  era stato per disavventura sottoposto , amala  morte . Offeso .quello dall’ardita risposta di  Cilnio , cosi lo rampogna . „ Indarno , q fol-  „ le, cerchi di accendere il mio sdegno, è  „ di schivare con morte, che desideri ,  », la schiavitù . Viyrrai tuo malgrado , e il  tuo collo sarà riservato al peso di catena  „ più pesanti .,,(1) .   « Dopo la battaglia del Ticino i Annibaie  continuò a trascorrere l’Italia , riportando  segnalate vittorie . La più strepitosa, e me-  morabile fu quella presso Canne piccolo , ed  ignobile Borgo della Puglia nell’anno di Roma  $ 38 . La perdita della Romana Republica in  questa fatale giornata fu immensa . Tutte le  famiglie furono ricoperte di lutto , perchè  ognuna vi ebbe delle vittime da compiange-  re (a) ; e la terribile strage non afflisse Roma   (1) Sii. Ital. loc. cit. vers. 40. et seq.   Qnem ( Cilnium ) cernens avidurn leti post   talia Pocnus   Nequidguam nostras , demens , ait , elicis iras ,  Et captiva paras moriendo evadere vincla ;  yivendurn est , arefa servàntur colla catena. \   ( 2 ) Lucius Fior. Lib. a. Capi 6. Ultimwn    8   soltanto; essa aveva fatttf leva di frappe dar  tntte le Provincie o conquistate , o collega-  te , onde sù di qneste si diffuse non meno l’or- 1  rore prodottoda quella battaglia sanguinosa *  Perciò anche TEtruria dovette dolersi de’  suoi guerrieri estinti nelle campagne della  Paglia , e frà gli altri di un illustre Pcrsonagf.  gio chiamato Mecenate , e dell' iste.ssa famiglia  de’ Cilnj . Il sndetto Siliò Italico dettaglian-  do li soggetti di distinzione , che erano periti  a Canne , fa menzione particolare di questo  èon tali espressioni „ Te'ancora trafitto nelL*  „ inguine da Tiri© strale Veggio cadere estin-  to , o Mecenate , nomeMllustre per li scettri  „ Toscani, e venerato per la patria, che ti  „ diede i Natali „ (i).   Se fosse incontrastabile l’autorità di questo  Poeta potrebbero farsi alcune riflessioni , re-  lativamente all* oggetto della Storia , che si  descrive ; Nella battaglia del Ticino è fatto  prigioniero un Cilnio cittadino di Arezzo, di  prosapia illustre ; in quella presso Canne ,  cioè dne anni dopo , cade estinto altro soget-  to chiamato Mecenate , parimenteToscano, mà   bulnus Imperli , Canna e , ignobili s Apuliae  V icus , sed magnitudine c/adii , emersit ; et  quadraginta millium eacdr parta nobilitai ; Ibi  in exitium infelicis exercitus dux , terra , coe-  lum, dia, tota denique rerum natura contentiti  ( i) Lib. io. vers. 39.    Digitized by Google      li antenati del quale erano stati Monarchi : Et  sceptris olirti celebratum' nomen Etruscis : Ora  l'uno , e l'altro discendevano dalla stessa fami-  glia de’Cilnj, o erano di due separate famiglie ?  Come poi , e quando , e chi delle medesime  venne a stabilirsi in Roma ?   La notte del tempo , e la mancanza di memo-  rie ci toglie tuttU lumi necessari, onde ravvi-  sare la verità senza incertezza , e giungere allo  scioglimento di tali dubbiezze • Dall' anno  538. epoca della ìsudetta battaglia presso Can-  ne fino all’anno 66a. dì Roma ci si presenta un  vuoto penoso, che nulla ci fa scorgere sull'  oggetto ricercato; in quest’anno però sembra ,  che comincino a diradarsi le tenebre , ea  presentarcisi un qualche raggio rischiaratore  per conoscere , che allora la famigliar Mecena-  te già erasi stabilita in Roma , leggeudo , che  un Cajo Mecenate , aggregato al corpo de’  Cavalieri , figurava luminosamente in quella.  Capitale .   In tal epoca , e precisamente nel detto  anno 66a. era Tribuno della plebe Marco Li-  vio Druso . Questo cittadino Romano fornito  di nobiltà , di ricchezze , e di eloquenza attac-  cò le prerogative esistenti nell’antico , e no-   * - • - ».   Oppetis, et Tyrio super inguina fixe veruto,  Maecenat , cui maeonia venerabile terra ,   Et sceptris olirti celebratum nomen Etruscis.    IO   bil ceto de’ Cavalieri » e -vedeva , thè » me-/  diante una Legge,' venissero; questi.' spogliati  dei-diritto sulla Giudicatura , dritto annesso,  óna volta, al Senato iifi) j -, . . -   ' Per riuscire nel suo progetto Druso fece  ogni sforzo, e non trascurò dt mettere in ino»  vimento tutte le risorse della politica, dell'  eloquenza, e della saviezza ± mà oltre ad ave?  re incontrato delle forti opposizioni fra li stes-  si Senatori , -Cajo Mecenate ,• Flavio Pugione,  e Gneo Titinmo , Cavalieri di specchiata pro-  bità si opposero energicamente alle di lui po-  tenti manovre , e con lai loto fermezza , ed  influenza* mandarono a . vuoto il progetto di  Legge > che già quello aveva modellato (2) .  ? L’Oratore Marco Tullio Cicerone nell’O-  razione a favor di Cluenzio , presentandogli   I * • ; ‘ • ;   ■ \ i •• 1; i   - ( 1) Vellej. Patere. Lib. a. Art.i 3 .De inde f  inter jectis paucis annis , TriburuUum iniiejtf.  Livius Drusus , vir nobilissimus , eloguentis -  simus , sanctissimus , qui cum Senatui priscum  restituire cuperet dccus , et judicia ab Equi -  ti bus ad eum transfer re Ordinem . . . in its  tpsis , quae prò Senatu moliebatur , Senatum  habuit adversarium ,   (a. ) Liv. in supplem. lib. 71. art. ar. Adeo-  que Cajus Flavius Pus io , Gn.Titinius , Cajus  Maecenas Principes Equestri s Ordinis Curiata  hit le gibus ingredi aperte ree usar unt . *    re   l'occasione di rammentare questo avvenimento  de’ fasti Romani , fa un’elogio , e di Cajo Me-  cenate , e degli altri due Cavalieri ne’ termini  seguenti „ Allora Cajo Flavio Pugione , Gneo  ,, Titinnio, e Cajo Mecenate, que’ potenti  „ sostegni del popolo Romano non agirono ,  „ come ha ora agito Clueuzio , quasi che ri*  >, cnsando pensassero di far ricadere sopra  „ di essi un qualche principio di colpa , ma  „ ricusando apertamente, energicamente , ed  „ onestamente fecero conoscere, che eglino  „ avrebbero potuto sollevarsi per giudizio  „ del Popolo a cariche sublimi, se avessero  >, direttele loro cure a richiederle ... ma  ,, che , contenti del solo ordine Equestre ,  „ incui si trovavano , in cui erano vi»-   „ suti ancora li loro Maggiori , avevano sti-  „ mato di seguire una vita quieta , e tran*  „ qui Ha lungi dalle procelle , che sogliono  „ suscitare l’invidia , e gl’intrighi de* giudi-  »> zj , simili a quello , di cui.si tratta ( i )- '   i. • • ..t   ( i) Oraf prò Cluentio nnm. 56. 0 Virot  fortes , Equites Romanos ! qui ho mi ni Claris -  simo , oc potentissimo M. DrusoTribuno pie-   bis restiterunt Tane C. Flavius   Pusio , Cn. Titinius , Cajus Maecenas , illa  robora papali Romani , ceterigue hujusmodi  Ordinis non fecerunt idem , guod nane Cluen -  tius , ut aliquid culpae susci pere se putarent  recusando, *ed apertissime r spugnar unt , cunt    Qigilized by Goo jle    i iDa questo Caio Mecenate , di dui parla Cu  cerone ,~fiho all’anno della nasci ta dèi nostra  CajoCtlnio' Mecenate non trascorsero , .che so-  li anni ventiquattro-, essendo egli n3to , come  fra poco si vedrà /udranno di Roma 686. ,  cosi che se , quando quello si oppose all’ in-  trapresa dal Tribuno Druso nell’Anno 663.  non era in età provetta , poteva vivere: ancora  quando ebbe principio resistenza di questo .  i E sebbene sia sembrato irreperibile il suo  preciso anuo Natalizio ,, tuttavia riflettendosi  sull ’ annoi della nascita * e sù quello della  morte del Poeta Orazio Fiacco , si potrà co-  noscere , e forse con qualche sicurezza , che  il nostro Cajo Cilnio Mecenate fu messo al  mondo nell indicato anno 686. dopo la fonda-  zione di Roma , ed anni sessantotto prima  dell'Era volgarp .  et Lucio   Asinio Gallo Consulibus .   ( 5 ) Fast. Cons. loc. cit. pag. 107.    Digitized by Google    i5   quantasette , qual periodo’ di vita appunto  gli assegnano Eusebio di Cesarea (i ) Pietro  Crinto ( oc) ed altri . ,   Sembra anche certo egualmente , che il no-  stro Cajo Cilnio Mecenate morisse di anni ses-  santa , è nell* anno istesso , in cui cessò di.  vivere Orazio ; ( 3 ) anzi non s'ignora, che  il primo mori verso il mese di Settembre, ed il  secondo nei mese di Novembre ( \) ’•[ Dunque  Mecenate aveva preceduto di tre anni, resi-  stenza di Orazio , che visse cinquantasette an.  ni conforme si è detto , ed essendostata fissata   ; 1 ;!/   (i) InChronich. Horatius quinquagesimo  septimo aetatis siiae anno Romae moritur .   (a) In Vit. Horat. Mortuus est autemHo -  ratius anno aetatis suae septimo , et quinqua-  gesimo .   (i ) Dion. Gas. lib. 55 . Morery Gran. Di-  ction. Histor. art. Maecen. Briet. Ann. Mund.  Tom. j. part. 3 . ad ann. 746. Consulibus Cajo  Mario Censorino , et C. Asinio Gallo fnensi Se-  stili indìtum est Augusti nomea .... Obiìt  etiam hoc anno Maecenas Litterarum praesi-  dium , et decus Nequc diti suo Mae-   cenati supcrvixit Horatius Flaccus Poeta Lyri-  cus . Obiit enim non aetatis anno 60 , ut ali -  qui , non 5 o , ut alti , sed 5 j, hisque Consu -  li bus . v   ( 4) Cafrou.Hist. Eom. Tom. 19.    16   la nascita di questa all’ anno 689. il Natale  di quello deve rimontare all’ anno 686. dopo  la fondazione di Roma , ed. all' anno 68. prima  dell’Era volgare »   Con maggior certezza poi si conosce il  giorno preciso , in cui il sudetto Cilnio fu re-  gistrato nel numero de mortai} , che fu il gior-  no i3. Aprile. La verità di questo punto isto-  rico risulta dalle Odi del surriferito Orazio  Fiacco. Volendo quest» Poeta celebrare la ri-  correnza del sudetto giorno Natalizio del suo  amico Mecenate , invita Fillide alla Festa, e  cosi si esprime „ Ed affinchè conosca , o Filli—  „ de , a quali esultanze io ti chiami , sappi ,  „ che dovrai celebrare con ime il dì , che in  „ due divide il mese di Aprile, sacro a Ci-  „ prigna; giorno per me giustamente solen-  „ ne, e più sacro ancora dj quello , nel qua-  ., le io nacqui; giacché in esso incomincia a  ,, numerare gli anni della sua vita il mio Me-  „ cenate . (1)   1 . .   ( 1 ) Lib. 4. Od.i 1.   Vi tanica noris , quibus advoceris  Gaudiis ; Idus tibi sunt agendac ,   Qui die* mcnsem Veneri s marinai  Findit-Aprilem .   J are sole mais mihi , sanctiorque   Paene Natali proprio , quod ex hac  Luce Maecenas meus ajfluehtes  Ordinai annoi ,    »7   Avendo procurato di rintracciare alla me-  glio l'anno , ed il giorno della nascita del no-  stro Cilnio,, stimo pregio dell'opera di fare al-  cune osservazioni relativamente al suo Padre,  ed alla sua Stirpe . Quel Cajo Mecenate , che  nell' anno 66a. faceva in Roma una comparsa  brillante, era ascritto nell’ordine de’ Cava-  lieri ; ciò si è dimostrato coll' autentica te-  stimonianza di Cicerone , ed anche con le au-  torità di Livio testé riferite .   Inoltre l’ istesso Cicerone ci fa conoscere ,  che il Cajo Mecenate , di cui fa egli gloriosa  menzione, non aveva alcuna ambizione, nè  curava di sollevarsi ad impieghi luminosi , ai  quali pur troppo avrebbe potuto giungere per  la buona opinione , che godeva presso il Popo-  lo ; ma che contento del semplice titolo di  Cavaliere , amava di passare una vita lieta ,  e tranquilla ad imitazione de’ suoi Maggiori.  „ Se potuisse ( sono parole di Tullio sopra-  ,, enunciate ) Judicio populi Romani in am-  „ plissimum locum pervenire, si sua studia  ,, ad honores petendos conferre voluissent  sed Ordine suo , Patrumque suo-  „ rum contentos fuisse , et vitam illarn  „ tranqnillam , et quietam .... sequi ma-  ,, luisse .   Ora il carattere , che forma Cicerone di  questo Cajo Mecenate, non è similissimo a quel-  lo del nostro Cilnio ? Tal circostanza si cono-  scerà nel decorso della sua Storia , ma intan-   B    j8   to possiamo accennare , che questo aveva tut-  ti li mezzi per inalzarsi a cariche le più emi-  nenti , e decorose , stante la grande amicizia,   di cui era onorato da Augusto , ma che pa-  go del suo stato , e del semplice titolo di Ca-  valiere , mai volle , ne dimandò altri onori ,  e nuovi impieghi. A ciò si può aggiungere  l'epoca del tempo, in cui quello viveva, ed  era celebrato per uno de’ sostegni del popolo  Romano , ed in cui sono fissati i natali di que-  sto , e dal tutto insieme ne risulterà un grado  di probabilità non del tutto dispregevole ,  per credere , che il sudetto Cajo Mecenate  potè essere l’Autore del nostro Cilnio .   Potrebbe la nostra assertiva essere smentita  da una antica Iscrizione riportata da Dionisio  Lambino ( i ) nella quale si parla di Mecenate  figlio di Lucio ; poiché se questa avesse rela-    - ( i) Lambin. in Com. adOd.i. lib. i. Horat.  £ 7 ni us praeterea Marnioris antiqui testimo—  nium producala , quod Romae visitur in Aedi-  bus Fusco aura e regione aediurn Farnesia-  rum , in quo haec sunt incisa .   Lieertorvm et Libertarvm  C. Maecenatis .   R. F. Pontif. Posterisq. eorvm  Et qvi ad xd tvendvm   - _ CONTVLERVNT CONTVLEIUUT «    *9   zione al nostro Mecenate , sarebbe stato figlio  di Lucio Mecenate , non di quel Cajo da Cice-  rone accennato . Ciò non ostante pare che un  tal documento non Taiga , nè a somministrare  schiarimento sull'oggetto , di cui si parla , uè  a distruggere la detta nostra assertiva , i.  peri hè non costa , che quella Iscrizione seco  porti un carattere di sicura autenticità ; a.  perchè non si conosce dal contesto della me-  desima l’epoca del tempo , in cui fa incisa ,  né a qual Cajo Mecenate debba riferirsi . Ve-  niamo ora alla Stirpe del nostro Cilnio .   Gli Autori antichi, e moderni, tutti li Com-  mentatori di Virgilio , di Orazio , di Proper-  zio , ed altri si sono divisi di opinione nel fis-  sare la nobiltà della discendenza di questo  grand’Uomo . Orazio ('i) Properzio (a) ed  anche Marziale ( 6 ) chiaramente hanno scritto,   (i) Od.j.Lib.i.   Maecetias atavis edite Regibus ,   O et praesidium, et dolce decus rneum!    Maecenas eques Etrusco de sanguine Regum,  Intra fortunam qui cupis esse tuam .   ( 3 ) Lib. la. Epigr. 4.   Quod Fiacco , Varioq.fuit ,summoque Ma-*  roni   Maecenas atavis Regibus ortus eques .   B a    Od. ug. lib. 3 .   Tyrrliena Regum prò genies ,  (2) Lib.3.Eìeg.7.    30   che egli era di stirpe reale . IlTorrenzio ( t)  Commentatore di Orazio , descrive una linea  genealogica degli Antenati reali di quello , e  crede , che il suo Bisavo fu Cecinna Re degli  Etrusci. Acrone ('a) altro Commentatore an-  tico di Orazio è dallo stesso sentimento , « fa  seguito dall’ autore dell’ Elegia attribuita all’  Albinovano ^ 3 ) , e dal Beroaldo Commentato'  re di Properzio ; anzi quest’ ultimo suppone ,  che discendesse dal famoso Porsena parimente  Re de’ Toscani . (4^   Al contrario Dione Cassio , ( 5 j e Vellejo   ( 1 ) Comment. ad Od. 1. lib. 1. Horat. An-  tiquis Regibus prognate: cui Menodorus Pater,  Menippus Avus , Cecinna li ex Etruscorum  fuit A t avus .   (2) Comment. ad Od.i. Lib.r. Horat. Edite  Regibus : quo ni arn dicitur (lux i ss e originerà ab  Etruscis Regibus , et contempsisse Seuatoriam  dignitatem .   ( 3 ) Eleg. in obit. Maecenat.   Rcgis eros genus Etrusci , tu Caesaris  olim   Dcxtera , Romanae tu vigli Urbis eros ,   (4) Com. ad Eleg. cit. Propert. Etrusco de  sanguine Regum : quia fuit oriundus a Porse-  na Rege Etruscorum .   ( 5 ) Lib. 19. pag. 534. Reliquas res non Ro-   mae modo , sed per totani Italiam Co*    Patircelo (t) , benché spesso parlino del me-  desimo non gli attribuiscono un origine reale ,  ma lo caratterizzano soltanto per un indivi-  vuo di ragguardevole e splendida famiglia . Il  Dacier (2) poi , ed il Pallavicini ( 3 ) sono  d’avviso $ che dalle indicate espressioni di  Orazio , di Properzio , e di Marziale non può  con certezza dedursi , che frà le vene del no-  stro Gilnio scorresse un regio sangue ; giac-  ché è noto altronde , che le parole Re , e Re-  gina , nel senso de’ migliori Autori , segna-  tamente Poeti , spesso significano Signori po-  tenti , Uomini , e Donne di qualità , e distin-  zione ; e cosi aveva ancora in sostanza pensa-  to il Porfirione (4) prima de' sudetti Dacier ,  e Pallavicini . Riguardo ai Poeti contempora-  nei però non tutti han parlato sull'oggetto ip  questione , come. Properzio , ed Orazio . li  Poeta di Mantova più d’una volta si volge col  discorso a Mecenate nelle sue Georgiche , ep-   jus Maecenas , equestris dignitatis vir admi -  nistravit .   (1) Lib. 2. art. 83 . Tum Urbis custodiis  praepositus Cajus Maecenas equestri , sed  splendido genere natus.   (2) Annot. crit. sopra Oraz. Tom. i.pag.7.   (" 3 ) Canzon. di Oraz. pag. i 5 i.   (4) Comment. ad Od.i Horat. Maecenas ,  ait , atavis Regibus editus , quia Nobilibus  Etruscorum ortus sic .    lì   pure non Io ha mai decorato di nna reai prò-»  sapia(i) •   La diversità di queste opinioni potrebbe ini  qualche guisa conciliarsi , se , come si è so-  pra accennato , sussistesse realmente ciò che  abbiamo veduto asserirsi dal Poeta Silio Itali-  co nella seconda guerra Punica . Impercioc-  ché si è in quel luogo rimarcato , che quel  Cilnio fatto prigioniero nella battaglia del Ti-  cino non è chiamata di stirpe Regia; e che  quel Mecenate , che mori posteriormente  presso Canne era celebrato per li Scettri To-  scani . Nella verità di questi fatti potrebbe    (i) Georg lib. i.vers.i. e seq.   Quid faciat laetas segete s , quo sidere terram  V ertere, Maecenas, ulmisq. ad/ ungere vites  Conveniat    Hinc cane re incip iam .   Lib. a. vers. 40.   Tuque ades inceptumque una decurre laborem  Maecenas pelago que volens da vela petenti  Lib. 3 . vers. 40.   IntereaDryadum sylvas , salt us que scquamur  Intactos , tua , Maecenas , haud rnolliajussa  Lib. 4 vers. i-   Protinus aerii melili , coelestia dona  Exequar , hanc etiam , Maecenas , excipe  partem .    Digitized byGoogle    aà   dirsi , che Orazio , Properzio , Marziale , e  gli altri , che danno al nostro Cilnio una Regia  discendenza , lo abbiano fatto derivare dal se-  condo ; e che Virgilio , Dione, Vellejo, e  gli altri segnaci dell' opposto parere nbbian  fissato per Capo della sua famiglia , o per uno  de’ snoi Antenati il primo .   Si è disputato ancora in qnal’epoca , a qua-  le degli Antenati del nostro Cilnio , e per qual  motivo venisse aggiunto il nome di Mecenate .  Riguardo all’ epoca , nell’ anno 450. di Roma  la famiglia de’ Cilnj ancora non portava que-  sto nome , conforme si è osservato da Livio .  Ottantotto anni dopo , cioè nel 538. si comin-  cia a vedere in quel Mecenate , che mori pres-  so Canne , sempre però sull’autorità poetica  del surriferito Silio Italico * Nell’anno 66a-  trovasi in Roma già celebre , e rinomato in  quel Cajo Mecenate encomiato da Cicerone . Il  MeibomiO (t) riporta un frammento del Libro  terzo delle Storie di Sallustio , estratto da  Servio Commentatore di Virgilio, in cui si fà  menzione del famoso Sertorio , e di un Mece-  nate Segretario del medesimo . Sertorio morì    (i) Jn Vit. Maecenat. Praeloqi adlect. Ex-^  tot Sallustii fragmentum apud Servium adLib.  X. Eneid. Virg. ex Histor. illius lib.g „ Igitur ,  inquit , discubuere Sertorius inferior in medio,  tuper eum Lucia s F alias Hispaniennt S* notar    34 , „   nell’anno di Roma 68a. Terenzio Varrone,  che viveva , e scriveva nell’ epoca istessa ,  in cui mori Sertorio , fa uso ancora esso nelle  sue opere della parola Maecenas {i) e di cui si  tornerà in appresso a parlare . Da tuttociò  sembra chiaro , che nel settimo Secolo di Ro-  ma già fosse commune alla sudetta famiglia  il nome di Mecenate .   Ma riguardo a conoscere a quale degli Ante-  nati di Cilnio, e per qual motivo fosse aggiun-  to quel nome, il Martini ingenuamente con-  fessa , e si protesta , che il tutto è involto  nelle tenebre, e nella incertezza, (a) Ag-  giunge però che se fosse lecito di promuovere  sn questa sconosciuta materia qualche rifles-  sione , che possa aver luogo , non già sul ve-  ro , o sul verisimile , ma sul possibile , si po-    sa: Proscriptis ; in summo Antonini , et infra  Scriba Sertorii Versius , et alter Scriba Mae-  cenas in imo .   (i) De Ling. Latin.Lib.7. in fin.   (a) Lexic. Philolog. art. Maecenas. De ori-  gine nominis nihil certi , et *'ix aliquid proba-  bile dici potest ; quia certum est, esse nomea  proprium ,■ nec vcrum satis certum mihi qui -  dem est , cujus linguae vox sit , et historia de -  stituor cui , et ex qua causa primum juerit im-  posi tum . Addo , quod ctiam de vera scriptum  dubitai ur .    Digiti?ed    iS   trebbe dire , che la voce Mecenate è un voca-  bolo Etrusco derivante dall’ idioma de’ Caldei,  dalla qual nazione gli Etrusci hanno avuta la  loro origine ; primieramente, perchè la fles-  sione di detta voce seco porta un non so che  di straniero ; in secondo luogo , perchè li  nomi de’ Caldei si solevano ordinariamente  prendere dalle forze naturali degli oggetti mo-  rali , dalle facoltà, dalle azzioni , e dalle  passioni ( i) .   Il Catrou è d’avviso (a) che con Tantorità  di Varrone , e di Plinio possa trovarsi nn  qualche schiarimento per sapere, come fosse  dato un tal nome alla famiglia de’ Cilnj . Se-  condo quello , si rileva dal succennato Te-  renzio Varrone , li nomi degl’ individui, che  finivano in as , significavano qualche luogo    (i^ Loc. cit. Si licei aliquid de hujusmodì  prorsus incognitis dicere , quod ncque inter  vera , neque inter verisimilia , sed tantum in-  ter possibilia ponantur , sit nomen Etruscum ,  ex Caldaea(inde enim Etruscis est origo ) prae-  sertim , quia forma flexionis peregrinitatem  sapit . Nomina autem fere a naturalibus viri-  bus , a ut a moralibus objectis , facultatibus ,  actionibus , aut passionibus imponi consueve-  runt , tamquam monumenta quaedam de iis ,  quae rebus insunt, vel adsunt , vel ab eis sunt .  (a) Loc. cit, tom.i 8. lib. 1 6 . nelle Note .    s6   particolare dell' individuo medesimo (i\ Pli-  nio poi ci avverte , che fra li vini scelti dell*  Italia erano celebrati quelli ancora , che si  raccoglievano dalle Vigne Mecenaziane (a) :  perciò conclude il detto Storico , che il no-  me di Mecenate provenisse a quella famiglia  da qualche terra , o possessione alla medesima  spettante . Ma , ad onta di tali dilucidazioni ,  sembrando la cosa tuttora incertissima , se-  condo il sullodato Martini , dobbiamo soffrire  una tale ignoranza senza sgomentarci , e  con quella docilità , e rassegnazione j con cui  soffriamo l’oscurità, e l’incertezza di tante  altre materie più interessanti (3 ) .   Potrebbe qui aggiungersi ancora una qual-  che riflessione sulla formamateriale della paro-  la Maceenas, ed esaminare se debba scriversi    (i) Loc. cit. Hinc quoque dia nomina Le*  nas , Ufcnas , Lavinas , Maecenat , quae  cum essent a loco , ut Vrbinas , et tamen Urbi -  nas ab his debuerunt dici ad nostrorum nomi -  num similitudincm .   (*) Lib. 14 . Cap. 6 . In Mediterraneo vera  Caesenatia , ac Maeccnatiana ( vina ) ; In  Vcroncnsi itemi F altre us tantum posthabita a  Virgilio.   (3) Loc. cit. Qui enim multo potiora pa-  tte nter ignorarmi! , edam et hoc , et similia ,  •ine pudore possumus nescire .    Digitized by Google    a 7   con il dittongo nella prima , o nella seconda  sillaba, se in ambedue, o se debba leggersi  senza dittongo alcuno ; ma un tale articolo  potendo presentare una discussione, o estra-  nea , onojosa, rimettiamo gli Eruditi al ci-  tato Lambino , il quale ne’Commenti alla pri-  ma Ode di Orazio ne ha parlato con precisio-  ne , e dottrina ( i) .    ( i) Il Lamiino nel commentare la parola  Maecenas , che leggesi nell’Ode i.del i.lib.  di Orazio, tosi sviluppa il punto da noi succcn-  nato , In omnibus fere manuscriptis Codici-  bus , quibus usus sum , nomea Moecenas scri-  ptum reperi et in prima , et in.secunda sylla-  ba sine diphthongo ; quam scripturam tametsi  non probe m omni ex parte , sequor in eo ta -  men , quod secunda per e vocalem , non ut  vulgo per oe diphthongum scribitur . Adjuvat  me Codex Orationum M.Tullii Ciceronis calamo  exaratus in Cluentiana , quo loco scriptum  etiam est hoc nomea sine diphthongo in utraque  syllaba . J am vero quod ad primam attinet  Graecorum auctoritate moveor , apud quos  M aiKnya( per ai diphthongum scribi solet in  va syllaba, ut in secunda per v quae vocalis  Ver ti tur in e longum . Quia JElianus , qui cum  Romanus esset graece scripsit lib.XlI.   «/ «f hanc scripturam retinet . Praeterea apud  Publium Victorcm lib. de Reg. Uri. et Priscia»    Dopo di aver raccolto le descritte notizie ;  e prodotto quelle poche riflessioni finora ac-  cennate sulla stirpe, sulla patria, sull’ au-  tore del nostro Cilnio , e su tutt’altro relativo  al suo nome , sembra , che ornai dobbiamo  occuparci sulla relazione delle sue geste , e  de’ suoi costumi , e sulla Storia della sua vita ;  ed in primo luogo dovremmo parlare della sua  educazione , sotto quali maestri , ed in quali  Accademie venisse istruito ; ma su di ciò man-  cando notizie sicure , qual vantaggio potrebbe  ricavarsi da congetture vaghe , ed inconclu-  denti , da riflessioni possibili , o estratte dal  fondo di un immaginario probabilismo ?   Ciò non ostante si pnò dire , che l’educa-  zione di Mecenate fu proporzionata, ed uni-  forme al rango , che li suoi Maggiori occupa-  vano nella società , e nella classe de’ cittadini  Romani . Fornito dalla natura di non ordinarli  talenti , ebbe tutta la cura di svilupparli , al-  lorquando fu adulto , perchè non erano stati  oziosi, ed incolti nella sua adolescenza . Ma  se egli venisse istruito in Roma , o altrove,  e quali fussero li Dotti , cui venne affidata la  sua letteraria educazione , s’ ignora piena-  mente .   Crede il Cenni , che Mecenate fosse man-  na»! de Accent. in Exemplaribus Aldinis , sine  ulta varietale perpetuo ita scriptum, est hoc  nomen .    I    Digitized by Google      - a 9   dato in Apollonia , allora Città ragguardevole   della Macedonia ; suppone inoltre * che men-  tre quivi attendeva alle scienze , vi si trovas-  sero ancora per lo stesso oggetto Marco A-  t grippa , ed Ottavio Cesare , e che in tale oc-   casione si stringessero con i dolci legami dell’  amicizia , o almeno facessero unà reciproca  conoscenza. Sembra però , che questa circo-  stanza non sia stata accennata da verunAutore  antico ; nè il Meibomio , ed il capriccioso  Caporali , ne’ scritti de quali attinse il Cenni  la sua supposizione , sono forniti di qualche  autorità valevole , e concludente .   Quello, che può asserirsi con qualche cer-  tezza , e che risulta dalle opere di Dione ,  di Appiano , di Orazio , e di Properzio , si  è che il nostro C. Cilnio Mecenate , se  non divenne amico di Ottavio nell’ epoca de’  loro studj , di buon’ ora cominciò la carriera  de’ servigj , e consigli da esso a questo sommi*  Bistrati fino all’ ultimo respiro della sna vita.   Ottavio venne in Roma , dopoché Giulio Ce-  sare suo padre adottivo fu dai Republicani pu-  gnalato Egli seppe la disgustosa notizia nella  sudetta Città di Apollonia ( i ) . Aveva allora  appena oltrepassato il quarto lustro di sna vi-  ta , e correva l’anno di Roma 710. Giunto in  » quella Capitale , diede subito saggi manifesti   ( 1 ) Sveton. in Octavio art.8 e io Naucler.  Chronog. ad au. 7*0 Tom.j pag. 483.     *    3o   di una grande elevatezza d’ ingegno , e benché  in età giovanile , di nn senno maturo • Comin-  ciò a procacciarsi la puhlica opinione, la sti-  ma de’ Grandi , l'affetto della Plebe, e dei  Soldati . In tale occasione , ed in tale epoca  sembra potersi stabilire , che Mecenate en-  trasse nella Corte di Ottavio , e che questo lo  prendesse per Consiglierò de’ suoi progetti , e  delle sue future intraprese .   Dopo la morte di Giulio Cesare , Marco An-  tonio governava , per dir cosi , dispoticamen-  te la Republica Romana , conciosiachè egli  aveva tptta 1* influenza , e sul Senato , e sul  Popolo , e snU’Armata . Ottavio fece istanza  presso di esso , affinchè , come Erede Testa-  mentario di quello , gli venissero consegnati  quegli effetti , che gli erano stati nel Testa-  mento lasciati .   f Antonio , poco curando la tenera età del  medesimo, accolse piuttosto con disprezzo la  di lui giusta , e regolare dimanda . Mecenate ,  che allora già trovavasi al fianco di Ottavio ,  non maucò di consigliarlo a sopportare con cal-  ma , e rassegnazione P ingiustizia , e T insul-  to del prepotente Romano , e nel tempo stesso  gli fece conoscere, che bisognava momenta-  neamente abbracciare la causa del Senato,  stantechè da tutte le circostanze scorgevasi im-  minente una guerra Civile .   11 Senato proteggeva l’attentato commesso  dagli uccisori di Giulio Cesare, ed Antonio     3i '   aveva inalberato lo stendardo guerriero con-  tro di questi . Ottavio , come figlio adottivo  del famoso Dittatore pareva , che dovesse unir-  si ad Antonio, e secondare le mire del mede-  simo , ma Mecenate da previdente , ed accor-  to Politico credette , che dovesse per allora  uniformarsi ai voleri del primo . In fatti il  Senato , per opporlo all’ambizione del sudetto  Antonio , cominciò a fargli mille buoni uflìcj ,  ed a colmarlo di onori , e di carezze . Intanto  questo faceva la guerra a Decimo Bruto uno  degli assassini di Giulio Cesare , che assediò  in Modena . Allora il Senato incaricò li Conso-  li Panza , ed Irzio a marciare con un’Armata  contro il nemico del sudetto Decimo Bruto, ed  Ottavio fu ad essi associato in tale spedizione .   Questa guerra fu fatta con differente suc-  cesso , nè l’impresa di Antonio potè cosi sol-  lecitamente reprimersi; ma lilialmente in una  battaglia campale fu egli completamente di-  sfatto , fu levato l’assedio di Modena , e Bru-  to liberato, mercè li talenti militari di Otta-  vio , al quale fu attribuita la maggior gloria  di quella giornata ; in essa vi morì il Consolo  Irzio, e Vibio Panza mortalmente ferito eb-  be tempo di parlare ad Ottavio, lasciandogli  salutevoli istruzzioni , e consigliandolo segna-  tamente ad unirsi con Antonio .   Questo fatto storico si pone all’anno di Ro-  ma 711. epoca , in cui Oitavio correva nell’an-  no vi^esimo primo della sua vita , e Mecenate    3a   parimenti nel fiore della sua gioventù , ed in  età di circa venticinque anni , già stava al sho  servizio . Abbiamo di ciò ne’scritti di Proper-  zio un argomento di certezza, che pare non  possa incontrare eccezzione . Imperciocché il  sndetto Poeta , uno de’più cari amici di Mece-  nate, scrivendogli una robusta, ed elegante  Elegia , gli dice , che se avesse talenti da po-  ter cantare gli Eroi, non canterebbe già li Ti-  tani , e la loro guerra contro Giove , allor-  quando ammonticchiarono le montagne di Pe-  lio , ed Ossa , non canterebbe neppure le bat-  taglie degl'antichi Tebani , o l’ Incendio di  Troja , il primo Regno di Romolo , l’ardimen-  to della superba Cartagine, le minaccie de’  Cimbri, e le vittorie di Mario ; “ Ma cante-  ,, rei ( soggiunge il Poeta ) o mio caro Mece-  », nate , le guerre , e le azzioni illustri del  », tuo Cesare, e mostrerei, che in tutte le  „ sue imprese , tu occupi il posto secondo .  », Canterei la guerra di Modena , le tombe  „ degli estinti presso la Città de’Filippi, la  „ guerra di Perugia , la battaglia di Azio , e  », la conquista dell’Egitto (i).   ( t) Lib. a Eleg. i .   Quod mihi si tantum , Matcenas,fata dedissent,   V t possem Heroas ducere in arma manus ;   Non ego Titanas canerem, non Ossan Olympo   hnpositum , ut Coeli Pelion esset iter ^     sd by Google    33   Ora se Mecenate non fosse stato già al fian-  co , ed al servizio di Ottavio nella guerra ‘di  Modena , il Poeta non avrebbe detto , che  quello nelle imprese di questo occnpavadl pò*  sto secondo , e facendo la serie di tali impre-  se , non avrebbe descritta per la prima la su-  detta battaglia di Modena . Properzio voleva  fare un elogio al suo Protettore , al suo Ami-  co, al suo Benefattore , ma questo elogio non  sarebbe stato giusto , e veritiero , se realmen-  te Mecenate non avesse avuto il posto secon-  do , ossia , se non fosse stato il Consiglierò di  Ottavio fin dall’epoca sudetta della liberazione  di Modena. Dal che sembra potersi dedurre  altra valevole congettura , onde credere , che  quello entrasse nella Corte di questo nell’anno    Non veteresThebas ,necP er gama nontenHomcri ;   Xersiset imperio bina coiste vada ;   Regnane prima Remi , auC animos Carthaginis  altae ,   Cymbrorumque minas , et benejacta mari .  Bellaque , resque fui memorarem Caesaris , et tu   Caesare sub magno cura secunda jòres .   Nam quoties Mutinam , aut civiltà busta Phi -  lippos ,   A ut canerem Siculae classica bella fugae ,   » . . . • • • • *  Aut canerem Aegyptum , et Nilum cum tra —  ctus in Urbem   Septem captivi! debilis ibat aquis .   ' C    8 *   precedente 710. conforme abbiamo accennato  pocanzi.   Ad onta della perdita dei due Consoli Ir*  sio , e Panza, la surriferita vittoria riportata  contro Marco Antonio ricolmò di gioja Roma ,  ed il Senato . Allora fn , che Cicerone si sca*  tenò contro di quello con tutto 1'entusiasmo  della sua maschia , ed inimitabile eloquenza .  Quc* Senatori , e quella porzione di Popolo ,  che nutrivano ancora un qualche sentimento  per il Governo Rcpnblicano , ascoltavano con  estasi, ed ammirazione li fervidi discorsi di  quell’ Oratore , ed aderivano ciecamente ai  suoi voleri . Infatti Antonio fu proscritto > fu  risoluto di continuare la guerra fino al di lui  esterminio , furono destinate le Armate , scel-  ti li Generali ; eppure questa volta , nelle  nuove disposizioni marziali , non si fece men-  zione di Ottavio , benché ad esso fosse dovu-  to tutto l’esito vantaggioso della passata Cam-  pagna .   Il Senato era già divenuto geloso della glo-  ria di quello , col non curarlo voleva umiliar-  lo , ed abbassare l’orgoglio , che le già ese-  guite favorevoli Imprese avevano potuto inspi-  rargli . Ottavio , e Mecenate conobbero in tal  .congiuri tura la condotta poco lodevole , e di-  sobbligante del Senato . Allora memore il pri-  mo delle istruzioni ricevute dal moribondo  Consolo Panza , e penetrando il secondo  nell’artificiosa politica di quello ± determina*    Digitized by Google    H   rono di procurare una riconciliazione cqn, il  detto Marco Antonio .   Il progetto esigeva una somma precauzio*  ne , ed ima impenetrabile segretezza , ma  ni uno poteva maneggiarlo più vantaggiosamen-*  te di Mecenate , che , fra le altre sue virti»  politiche , possedeva in particolar maniera  quella del segreto, conforme narrano Sesto  Aurelio Vittore (i), ed Eutropio (a).   Ottavio nella guerra di Modcaa aveva fatto  ad Antonio molti prigionieri * Per dare prin-  cipio alla riconciliazione , gli rimandò li pii  distinti , e ragguardevoli . Fra gli altri vi era  Decio , brava persona , e molto affezionata  al suo Padrone ; anche a qnesto concesse la li-  bertà. Decio separandosi da Ottavio , gli ri-  chiesi , che cosa doveva dire ad Antonio “ Di-  „ te ad Antonio da mia parte ( rispose Otta,.  „ vio ) che io credo aver egli tanta penetra-  „ zione per interpetrare la mia condotta . Se  ,, nulla ha compreso , sarei imprudente 4  » spiegarmi più diffusamente „ .   Intanto Ottavio , e Mecenate fissarono la  loro attenzione sull’indicato Marco Tullio Ci-   l   (1) In Epit. de Vit. et Morib.Imper.Romao,  Cap. 1 . In amicai fidai extitit ( Augustus ) ,  quorum praecipui erant ob taciturnitatem Mac*  cenas , ob patientiam laborit , modestiamque ,  4grippa ... ...   (a) Lib. 7 in Augusto.   C a    *6   cerone, penetrando con la loro previdenza ,  che bisognava cattivarsi l’animo di quell'Ora-  tore . Imperciocché egli aveva in quell’epoca  un dominio irresistibile e sullo spirito del  Popolo , e sul cuore de’Romani Senatori . Ot-  tavio dunque onde ottenere l’intento gli scris-  se una lettera in tali termini concepita Io  ,, sono giovane e quasi privo di esperienza  „ negli affari ; sarò occupato tutto il resto  £, dell’anno a perseguitare Antonio nostro ne-  „ mico fino a piè delle Alpi ; cosi voi rimasto  ,, solo in Roma coll’autorità , che danno li  ,, Fasci Consolari, avrete il tempo , e l’occa-  „ sione di ristabilire lo Stato Republicano,  „ ed uguaglierete la gloria del vostro secondo  „ con quella del primo Consolato ( i ) ,, .   Tullio benché avesse tutti i lumi del più  grande Letterato del suo Secolo , non aveva  quella finezza di politica , di cui era feconda  la testa di Mecenate . Egli cadde nella rete;  credè sincera la deferenza, e la dichiarazio-  ne di Ottavio, e cominciò ad encomiarlo , e  proteggerlo in publico Senato ; che anzi ebbe  anche il coraggio , o piuttosto la debolezza di  proporre , che gli venisse conferito il Conso-  lato “ Quanti dispiaceri (diceva Tullio), o  „ Padri Coscritti , non ha ricevuti da Voi l’e-  », rede del nome , e de'beni di Giulio Cesa-  *• ,  (1) Dion. lib. 46 Piotare, in Cicer. Catrou  Tom. 17IU). 4 , £    j/ re ? Poco accorti nelle nostre risoluzioni ,  noi non cessiamo d’irritarlo senza riflette-  „ re , che egli comanda a Legioni vittorio-  „ se. Perchè non procuriamo di calmarlo?  „ Sebbene giovanetto aspira al Consolato , e  „ potrà ottenerlo malgrado la nostra ripu-  „ gnanza . Contentate le sue brame per gli  „ onori . Nell’età , in cui sì trova , questa  „ brama è più vivace , che in tempo della  >, vecchiezza, perchè è cosa più gl oriosa di  „ ottenerlo prima del tempo dalla Legge pre-  scritto . In ciò però è necessaria una limi-  si fazione. Date al giovane Ottavio un Colle-  » ga di età matura, che gli sia di guida, e  „ maestro . Questo reprimerà il fuoco di quel*  „ lo , e l’amministrazione della Republica sa-  „ l à al sicuro sotto il primo , mediante i con-  „ sigli dell'altro (i)„.   Non ostante la potente influenza di Cicero*  ne, le sue premure per Ottavio non ebbero  alcun effetto vantaggioso , mercè l’inalterabi-  le fermezza del Senato . Li Padri Coscritti co-  noscendo , che una tale richiesta trovavasi in  opposizione con le Leggi fondamentali dello  Stato , stante l’età di Ottavio , non potevano  realmente secondarla ; ma questa ragione pian*  sibile poco forse avrebbe operato in un tem-  po , in cui le Leggi Repnblicane erano inope-  rose , e senza vigore , ed in coi l’antica Co-    (a) Appian. lib. 3 Catron loc. cit.    ÌLxìob. «api >*>«■ >“ a . in ,ln '' ”f "V   La ma^eior parte de’Membn componenti il Se-  “no allora , o compiici de» aa.amo.0  ai celare , o aderenti ai medesimi . Temeva.  *0 pertanto , che , sollevando ad un grado di  potenza coli eminente l’Erede di qnelk , , | P£  irebbe avere i mezzi , e trovarsi m «tato di   vendicarne la morte • , j   Ottavio adunque , vedendo , che con le  buone non poteva ottenere il Consolato , cer-  có altre risorse più efficaci ; scrisse diretta  mente ad intorno . preveneodolo dell, neon-  ciliazione . Questo , che aveva avuto già qual-  che sentore di una tale disposizione di animo  di quello , e mediante il rinvio de pronte-  ri e le parole dette a Decio, accolse con  trasporto le lettere del suo rivale , ed il pro-  getto , che gli faceva ; Incontanente si diè  tutta la premura di dargli esecuzione . 11 pri-  mo passo che fece , fu quello di riunirsi con  Marco Lepido, Soggetto anche esso poco be-  Questo allorquando ebbe la notizia dell u-  nione di Antonio con Lepido , fremè di rat  bia, e deliberò di disfarsi di ambedue . Per  lo che , supponendo che Ottavio fosse reai,  mente nemico dell'uno , e dell’altro , lo inca-  ricò di marciare all' istante con le sue Leeoni   contro qne’due ribelli . - . . . «   Ottavio mostrò , o piuttosto finse di uhM*.  re, ma li veri suoi disegni erano gd altrog'    Digitize   in Roma , e con una Armata bellicosa , non eb-  bero più vigore , costanza , e coraggio di prò*  seguirla . Bruto , Cassio , e tutti i complici  degassassimo di Giulio furono condannati , e  proscritti con decreto solenne di quello stesso  Senato , che pocanzi aveva spedite Legioni ,  Armate , Consoli , ed il medesimo Ottavio in  «)nto di essi .   Intanto Antonio , che era già in una piena  corrispondenza con Ottavio , si dxè premura  di prevenirlo , che il partito de’Republicani si  andava ingrossando nelle Provincie della Gre»  eia, dell’Asia, e nell’ Oriente ; che perciò  era tempo di abbandonare Rema ,ed unitamen-  te marciare contro di quelli .   Ottavio profittò di questo avviso per poter  prendere le necessarie precauzioni . Egli do-  veva ancora occultare al Senato la seguita ri-  conciliazione , e corrispondenza con Antonio ,  e perciò ebbe ancora bisogno di circospezione,  e di quel segreto impenetrabile , di cui era  capace il solo Mecenate .   Per secondare il Collega , e per imbrogliare  al tempo istesso la testa de’Senatori fece spar-  gere la .notizia allarmante , che M. Antonio ,  e Lepido^meditavano di marciare alla volta di  Roma per saccheggiarla; che perciò sembrava  cosa urgentissima di uscir contro di essi, e  combatterli ; Il Senato credulo , ed ingannato  prestò fede alle voci diffuse, ed alle rimostran-  ze di Ottavio, ed all'istaute lo incaricò di par»    4 *   tire da Roma , ed opporsi agli avanzamenti j  ed alle supposte minacele di quelli . .. :   Non bastava però tuttociò alla penetrante  politica di Mecenate , e del suo Padrone * Vo-  levano , che il Senato rivocasse , e cassasse il  Decreto di proscrizione emanato contro de’  sudetti Lepido , ed Antonio . Restò in Roma  Luogotenente di Ottavio Quinto Pedio , per-  sona totalmente consagrata alli suoi interessi „  Egli fu incaricato di ottenere la revoca sndet-  ta, ed è probabile , che della medesima ope-  razione delicata fosse a parte ancora Mecena-  te . Si fece riflettere al Senato , che , cassan-  do qnel Decreto > mostrerebbe un tratto di  clemenza , e di generosità capace a spegnere  nella sua origine il fuoco di una guerra civile ,  ed a calmare la collera , ed il risentimento de'  due Colleghi . Il Senato si fece vincere , ed il  sovraindicato Decreto di proscrizione fu an-  nullato .   Ricevuta Ottavio questa notizia consolante  ne prevenne con la massima sollecitudine Le-  pido , ed Antonio ; allora questi , e quello si  avvicinarono con le loro Armate respettive ,  e stabilirono un Congresso . Uua Isolctta for-  mata sul piccolo fiume Reno , che scorre tra  Modena , e Bologna , fu scelta per il luogo  memorabile , in cui li tre Guerrieri dovevano  unirsi a parlamentare . L’abboccamento durò  più giorni , il di cui risultato fu lo stabilimen r  to del celebre Triumvirato , mediante il quale    4 »   yenne scagliato un colpo mortale alla Costitu-  zione Republicana , e venne immaginata la  proscrizione troppo nota , e funesta, nel vor-  tice e negli orrori della quale fu involto anco-  ra il riferito Marco Tullio Cicerone (i) .   Dopo qualche tempo Antonio , ed Ottavió  marciarono a grandi giornate contro Bruto, e  Cassio , e si trasferirono con le respettive Le-  » gioni nella Macedonia incontro all’Esercito de’  Repnblicani . È troppo conosciuta la sorte in-  felice di questi nelle Campagne di Filippi per  non essere costretto a tesserne la storia dolen-  te , e che sarebbe fuori del mio assunto . La  vittoria si dichiarò a favóre de’Triumviri , e  Bruto cadde estinto , non già da ferro nemi-  co , ma con un disperato suicidio si sepelli  da se stesso, per dir cosi, tra le ceneri della  spirante libertà Romana .   In questa battaglia si trovò ancora il Poeta  Orazio Fiacco , di cui già si è fatta menzione .   (r) Piotare, in Ant. pag. 679. Congressi  tres illi in modica Insula amne circumfluo ,  triduum in colloquio fuere . De celeris conve-  nie inter eos facile , totumque Imperium intcr  se steut patrimonium suum sunt partiti , sed  disceptati dcillis , quos statuerant interficere ,  detinuit eos .... Tandem fervore in eos, qui  aderant , et cognatorum rtverentiam , et ami -  c orum benevolentiam postniittentcs, Ciceronem  teseti Caesar Antonio , - • - • 1    i    Digitized by Google     43   Amico di Bruto, e fautore del partito Repu-  blicano , seguì quello nelle Campagne di Fi-  lippi in qualità di Tribuno (i). Afferma il  Porfirione (a) , che Orazio restasse prigionie-  ro ; che in seguito non solo fosse liberato per  intercessione di Mecenate , ma ancora , che  per mezzo di questo si procacciasse il favore ,  e l’amicizia di Ottavio . Lo stesso si legge in  una Vita di Orazio d’incerto Autore prodotta  da Giovanni Bon (3) . Altri credono di più,  che fatto prigioniero , per opera dello stesso  Mecenate , venisse liberato immediatamente ,  e sul Campo di battaglia . Ma tali assertive so-   ( i ) Sidon. Apoi. in Paneg. ad Major.   Et tibi , F Iacee , acìes Bruti , Cassique stenta  Carminis est auctor , qui fuit et veniae .   Sveton. in Vit. Horat.   Sello Philippensi excilus^Horat\xis)a M. Bruta  Imperatore , Tribunus Militum meruit .   (a) Presso il Mancinel. in Vit. Horat. Por-  phìrion addit , Horatium captum fuisse a Cae-  «are , sedpostea , beneficia Maecenatis , non  solum servatus , sed etiam Caesari in amici-  tiam traditus .   (3) Edi*. deli’Opere di Orazio Lug. Batav.  an. i663 . Coluitque adolescens Bruturn , sub  quo Tribunus militum militavit ; captusque a  Caesare post multum tempus , beneficio Macce-  natis non solum servatus , ted etiam in amici-  tiam acceptus est ,    I    H   do smentite dalf autentica testimonianza dellT-  stesso Poeta- >.'• ’-n  ed in questa occasione per  mezzo di Asinio Pollione acquistò la grazia , e  la protezione di Mecenate . Dopo questa epo-  ca pertanto deve fissarsi quanto scrive Orazio  nella Satira testé riferita ; e siccome la su-  detta battaglia presso Filippi , accaduta verso  il mese di Novembre 71 a , (i)è anteriore di  molti mesi alla venuta di Virgilio in Roma , co-  sì sembra evidente , che allora Mecenate , che  ancora non aveva conosciuto il detto Virgilio ,  non poteva conoscere netampoco Orazio , nè  cooperare alla di lui salvezza sul Campo di  battaglia .   Orazio adunque fu in primo luogo debitore  del suo futuro benessere alla tenera amicizia  di Virgilio , e di Vario , e quindi al nostro C.  Cilnio Mecenate , il quale mercè li buoni uf-  fici di quelli , non solo lo mise nel numero de’  suoi amici , ma vennto in cognizione da se  stesso del raro di lui ingegno per la lirica  Poesia, ne concepì tanta stima, che impetrò  per esso il perdono da Angusto , e successiva-   (1) De la Rue Hist. Virg. ad an.7ia. Circa  Novembre ni pugnalar ad Philippos in Macedo-  nia , pereuntque Cassius , et Brutiu .    4 *   mente gli procacciò eziandio la sua amici»  zia(i  e meritava la di lui affezione . Ancora  giovinetta di una beltà superiore all’altre Da-  me Romane era vedova di C. Clodio Marcello ,  che era stato Consolo nell’anno 704 .   Non essendo dispiaciuto ad Ottavio il su-  detto progetto , che gli presentò Mecenate ,  chiamò la sorella , e la persuase ad accettare   £    66   la destra di Antonio . La virtuosa Ottavia non  *i ricusò alle premure del Fratello , ed «al be-  ne , che le sue nozze potevano recare alla Pa-  tria, ed Antonio non rifiutò la sua destra. Il  matrimonio in fatti segui con reciproca sodi-  •fazione nell’anno 713 ; e Mecenate ebbe il  contento di vedere effettuato pienamente il  suo progetto .   La gioja de’Romani fu grande , ed univer-  sale , perchè ognuno credeva , che , median-  te questa alleanza di parentela, e di sangue ,  anderebbero a cessare per sempre le guerre  civili ; e che li due putenti Rivali avrebbero  vissuto in una pace inalterabile (r). Ma li  progetti dell’Uomo sono sottoposti incessante-  mente alli capricci , ed alla volubilità dell’Uo-  mo istesso , ed i matrimonj formati dalla Po-  litica , rare volte seco portano una seguela di  felici avvenimenti .   Conchiuso il sopradetto matrimonio ,li due  Triumviri vivevano con una intelligenza , che  giungeva alla familiarità . Si accordavano   (1 ) Plutarc. in Ant. pag.683 Edit. Basileae  an. i564 . Has nuptias suaserunt ornncs , quod  Oetaviam sperarent , quac excellentiae formae  gravitatela , et prudentiam habebat adjun-  ctam , ubi Antonio conjuncta csset , atque ut  talis foemina , haud dubie ab eo adamata,  omnium rerum ipsis saluterà, et concordiam al -  Laturam „    6 ?   scambievolmente ciò che l’uno all’altro propo-  neva , sempre però a discapito del Regime re-  publicano . Imperciocché stabili rono fra le al-  tre cose , che iu avvenire essi nominerebbero  li Consoli , quando non vorrebbero esercitare  eglino stessi il Consolato , togliendone la elez-  zione alle Centurie ; e che , dopo la loro se-  parazione , Antonio farebbe la guerra ai Par-  ti , e Cesare attaccherebbe Sesto Pompeo nel-  la Sicilia, ad onta della buona fede, su cui  questo si era da essi separato .   Gli amici di questo , saputo il tradimento ,  ed il nuovo progetto de’Triumviri non manca-  rono di prevenirlo minutamente . A tale noti-  zia Sesto animato da un risentimento naturale,  e non ingiusto , non aspettò a farsi sorprende-  re , e facendo uso di una straordinaria attivi-  tà, prevenne li suoi nemici , e diede princi-  pio alle ostilità . Ricopri delle sue Flotte li  mari d’Italia , e ne bloccò tutti li porti , af-  famando in tal guisa la Capitale .   La carestia divenne terribile . Romalangui-  va dalla miseria , eoli Romani conoscendo , che  la loro penosa situazione era l'effetto della cat-  tiva politica de’Triumviri , cominciarono a  mormorare apertamente , ed accadevano di-  sordini , e sollevazioni .   Antonio, ed Ottavio stretti da queste im-  periose circostanze, cercarono la maniera di  calmare Pompeo , e di riconciliarsi con esso .  Sebbene quello fosse profondamente penetrato   £ a    68   dal torto ricevuto , ed avesse l’animo irritato  contro li Triumviri, tuttavia, stante l'inte-  resse , che avevano preso per la pace Libonc  suo Suocero , e Muzia sua Madre , condiscese  a tenere un congresso a Baja , e come altri  vogliono a Miseno (i) .   Le discussioni del Congresso furono lunghe,  e spinose , e più d’una volta venne disciolto  per le condizioni che promoveva Pompeo ,  piuttosto dure , ed umilianti per li suoi Avver-  sar] ; finalmente furono spianate tutte le diffi-  coltà , e fu sottoscritto un Trattato di pace .   Secondo Appiano Alessandrino (2) , dopo  qualche tempo dalla conclusione di questa pa-  ce , sembra , che Ottavio trovasse il pretesto  di romperla . Forse 1 ’csistenza del Successore  del gran Pompeo attraversava la vastità delle  di lui mire politiche , e perciò cercava la ma-  niera , o di umiliarlo all’atto , o anche distrug-  gerlo ( 3 ) . Pompeo anche in questa circostan-  za prevenne il suo nemico. Mandò subito in  corso molte navi corsare , che, scorrendoli  mari d’ Italia , intercettavano li viveri per  Roma .   * Ottavio scrisse ad Antonio, prevenendolo  della guerra, che andava ad intraprendere  contro di Sesto , e facendogli conoscere , che   (1) Appian. Lib. 5 .   (2) loc. cit. Dion. lib. 48.   (S) Appian. loc. cit.    6   vi era stato costretto l Antonio sorpreso della  novità , e più sincero questa volta nell’adem-  pimento del sagro dovere detrattati , nonap-  provò le mosse ostili., e l’intenzione del suo  Gallega , e lo consigliò a desistere dalla medi-  tata intrapresa . • .   Non ostante la disapprovazione di quello ,  Ottavio continuò gl’ incominciati armamenti ,  perchè nello stato in cui si trovavano le cose T  credeva , che ne resterebbe leso il suo deco-  ro , e compromessa la sua gloria , se retroce-  deva , e se avesse dovuto proporre un accomo-  damento al. suo nemico -, ma egli restò umilia-  to dal valore di questo , che disfece pienamen-  te la sua flotta navale , e ne riportò una com-  pleta vittoria .   Roma frattanto già sentiva gli effetti funesti  del blocco , che nuovamente avevano posto al-  li Porti d’Italia le Flotte vittoriose di Pompeo,  e già la fame cominciava di bel nuovo a disten-  dere la sua mano devastatrice sugli infelici  abitanti . Si mandavano al cielo imprecazioni  contro l’Autore di questi mali , e voci 9orde ,  e dispiacenti si diffondevano contro del mede-  simo nel publico , che venivano avvalorate  dagli amici , e partitanti di Pompeo .   Da questa pericolosa , e critica situazione  forse Ottavio non si sarebbe disimpegnato con  onore , e forse non avrebbe superato que pe-  ricoli , da quali era minacciato , senza l’assi-  stenza , li consigli , la destrezza , e la politi-    Digitìzed by Google     di cui quello facesse uso presso di questo iu  un affare così importante , e delicato ; nè si  sà su quali basi poggiasse la discolpa del suo  Padrone nella guerra attuale da esso continua-  ta, nonostante la manifesta disapprovazione  del suo Collega ; ma sappiamo bensì , chel’efc-  ficace eloquenza , li talenti politici , la de-  strezza , e le di lui cognizioni rapporto a ma-  terie diplomatiche prevalsero a tutte le ragio-  ni , che fino allora avevano reso Antonio neu-  trale .   Che anzi Sesto Pompeo naturalmente non  aveva mancato di profondere dell’oro , e de’  presenti presso li Ministri, e nella Corte di  Antonio, non aveva trascurato d’inviargli De*  putati, ed Oratori , architettar cabale , e pro-  fittare di ogni risorsa per indurlo ad unirsi se*  co lui contro il dominatore dell’Occidente , o  almeno per ritenerlo costante nelPabbracciato  sistema di neutralità ; ma l’arrivo , e la pre-  senza di Mecenate nella Grecia , in Atene , e  nella Corte di Antonio sconcertò tutte le pre-  cauzioni , fece andare a vuoto tutte le mano-  vre , e tutti gl’intrighi di Sesto ; cosicché per-  suaso Antonio , che Ottavio aveva operato  giustamente , e che il torto era dalla parte di  Pompeo , fece lega con quello , e si dichiarò  eontro di questo (i).   Con si felice succèsso ultimato l’affare , Me-   . A   ( 1 ) Appian. loc. cit.    7 a   cenate non tardò nn momento a ragguagliarne  con esattezza il suo Padrone , sapendo , che  doveva esser agitato da una penosa folla di cu-  re, e di pensieri molesti. Ottavio infatti sa-  peva , che la salvezza de’suoi interessi , della  sua gloria, ed anche della sua vita , dipende-  va dall’impresa , che Mecenate si era addos-  sata , e che tutto sarebbe perduto , se la fedel-  tà di questo Ministro non fosse stata incorrut-  tibile; perciò, in attenzione dell’esito della sua  missione , de’suoi progetti , e delle sue tratta-  tive , lo stato del di lui cuore non poteva es-  sere il più felice , perchè scosso quindi, e  quinci da tutte quelle moltiplici impressioni ,  che sogliono mettere in movimento in simili  circostanze la dubbiezza , il timore, e la spe-  ranza ; ma ricevuta la notizia consolante , pri-  mieramente in iscritto , e quiudi a viva voce  dallo stesso Mecenate , che , tornato in Roma ,  gli presentò il Trattato con Antonio conchiuso,  Ottavio si consolò , bandi ogni sollecitudine  affligente , e conobbe appieno , che l’abilità ,  li talenti , e piu la fedeltà di un Ministro vir-  tuoso possono alle volte salvare uno Stato, e  recare un bene inestimabile al Principe , ed  alla Nazione .   In seguito diede principio a nuovi prepara-  tivi militari , affinchè con questi , e col soc-  corso , che Antonio gli avrebbe recato , po-  tesse rimuovere il blocco dai porti d'Italia ,    73   ricondurre l'abbondanza nella Capitale , e mi-  surarsi nuovamente col sua rivale .   Antonio intanto , fedele alle promesse  fatte a Mecenate , ed al trattato conchiuso ,  parti da Atene nella primavera , con una flotta  di trecento Vascelli , ed approdò a Brindisi ,  ove era ilquartier generale di Ottavio .   Non ostante le premure , e l’impazienza di  questo in avere il bramato soccorso , sembra ,  che appena si avvicinarono le due Armate, na-  scessero dissapori , e diffidenze fra li due  Triumviri. Il motivo di questa strana muta-  zione resta ascoso sotto il velo di quegli ar-  cani , che la politica, e l’ambizione rendono  imperscrutabili , seppure non debba dirsi ,  che fu effetto di gelosia di stato. '   Antonio già pensava di ritirarsi , e forse con  sinistri disegni contro il Collega ; già le reci-  proche contestazioni erano giunte a tal segno ,  che si presagiva una manifesta rottura , se non  fosse divenuta mediatrice Ottavia sposa di An-  tonio , e se non si fossero trovati al campo  Mecenate, ed Agrippa , altro Favorito , e Mi-  nistrò di Ottavio . i , .b   Quella donna virtuosa non omise alcun mez-  zo per dileguare dall’animo del fratello qua-  lunque sospetto, che potesse nutrire contro  del marito , ma sebbene da qdello venisse ac-  colta con ogni dimostrazione tutte le volte ,  che andò presso di esso, tuttavia non ebbo  mai alcuna risposta precisa, e consolante .    74   Impaziente però dell’esitck nella intrapresa   mediazione , si rivolse ad Agrippa , e a Mece-  nate, conoscendo la grande influenza, che ave-  va , segnatamente il secondo , sullo spirito di  Ottavio . Perciò essendosi portata da essi ,  animata da quel vivo entusiasmo , che le veni-  va inspirato dal doppio amore , e zelo del ma-  rito, e del fratello , cosi si espresse “ Otta-  „ via, che vedete avanti di voi, benché nel  „ più alto rango, a cui possa giungere una  „ donna , sarà per ritrovarsi ben tosto nella  „ situazione la più deplorabile , se i vostri  „ consigli non prevengono i mali , che essa  „ paventa. Sorella di Ottavio, e moglie di^  „ Antonio , Roma , l’Italia, e le Armate aspet-  „ tano dalla sua mediazione il loro riposo , e  „ credono , che da essa soltanto dipenda di  „ poterlo ottenere , dileguando que’dissapori  „ che intorbidarono l'alleanza recentemente  ,, fra quelli conclusa . Ah! quale sarà lamia  „ sorte , se non potrò disarmarli ? Senza pa^  „ ce tutto è a temersi per me; si tratta di  „ un fratello, e di uno sposo. In istato di  „ guerra io dovrò piangere l’uno , e l’altro  „ per sempre . La vostra virtù, la publica  „ stima , e quella di Ottavio verso di voi ,  „ potranno contribuire decisamente alle mie  ,, premure ; ed io saprò mostrarvi tutta la  ,, mia riconoscenza , se la tùia mediazione ,  ,, avvalorata dalla vostra, influenza , preude-     che prima di due mesi non avrebbe  potuto agire nuovamente . ' ,   Questo disastro di Ottavio risvegliò il co-  raggio , e le speranze degli amici segreti di  Sesto , che stavano in Roma , e nelle Provin-  cie , e credendo, che egli volesse profittare  de’vantaggi, che gli recavano inaspettatamen-  te gli elementi , già prevedevano la distruzzio-  ne di quello , ed il trionfo del successore del  gran Pompeo. >   Ottavio , prevenuto di qneste circostanze  da esso presagite per una conseguenza quasi  naturale della sofferta disgrazia , spedi con-  tutta sollecitudine Mecenate nella Capitale ;  ove giunto non mancò in primo luogo di dissi-  pare ogni inquietezza dall’animo degli amici  del suo padrone ; quindi seppe prendere mi-  sure cosi giuste contro li malintenzionati , che  furono costretti a rientrare nella taciturnità ,  e nel silenzio ; e la calma tornò nella Città .   Non può non ravvisarsi , che Pompeo in que-  sta occasione non seppe approfittarsi delle cir-  costanze favorevoli , che gli somministrava la  mina della Flotta del suo rivale . Egli si con-  tentò di vedere la sua fuga , o piuttosto la sua  ritirata , credendo , che non potesse mole-  starlo ulteriormente ; ma in ciò non agi con  tutta quella previdenza , degna di un bravo  Capitano , giusta la riflessione dello storico    7 «   Appiano (r). Se esso avesse assalito Ottavio  nel disordine , in cui lo aveva gettato la tem-  pesta, avrebbe senza meno riportata una vit-  toria completa , e forse decisiva , e gl’inte-  ressi del suo partito avrebbero sicuramente  migliorato .   In fatti Ottavio rimase talmente sconcerta-  to dalla tempesta , e dai torbidi in Roma acca-  dati , che voleva abbandonare l’impresa, e  lo avrebbe fatto , se Mecenate , che conosce-  va l’attuale situazione delle cose , e prevede-  va politicamente il futuro , non lo avesse per-  suaso diversamente . Egli gli fece conoscere ,  che Roma soffriva per la fame; che la fazione  di Pompeo non sarebbe pienamente abbattuta ,  che le mormorazioni del popolo non sarebbero  cessate , finché non si fosse quello allontanato  dai mari dell’Italia , e scacciato dalla Sicilia ;  che se gli elementi avevano malmenata , e re»  sa momentaneamente inservibile la sua Flotta ,  quelle di Lepido , di Agrippa , e di Statilio  Tauro trovavansi ancora in buon stato ; che  perciò bisognava con costanza proseguire la  spedizione , e profittare segnatamente dell’er-  rore commesso dal nemico dopo la tempe-  sta (a) .   In vista di tuttociò Ottavio segui li consigli   (1 ) Loc. cit.   ( a) Dion. lib. 48 Appian. lib. 5 Catrou  Tom. 18 .     79   del sno Ministro , e mentre questo conteneva  in Roma Io spirito de’faziosi , e sopprimeva le  scintille del malcontento , con una condotta  degna del piu grande politico , quello si occu-  pò di rimediare ai disastri della tempesta ; ri-  sarcii! vascelli maltrattati, sostituì degl’aitri  a quelli perduti ; ed in tali operazioni agi con  tanta celerità , che nella prossima estate si  trovò in istato di uscire nuovamente in mare  con forze eguali , ed anche maggiori di quelle  della scorsa campagna .   La sorte però non aveva ancora rivolto le  spalle a Pompeo , e tuttora gli si mostrava be-  nigna . Imperciocché venuto alle mani con Ot-  tavio , e datasi una battaglia campale , que-  sto fu totalmente disfatto , e non salvò la vita,  che dandosi ad una fuga precipitosa accompa-  gnato da un solo soldato (i) .   Questo novello rovescio tornò ad infiamma'  re la testa ai partitanti di Pompeo , perchè  Mecenate si era allontanato da Roma . Ma egli  anche questa volta seppe riparare ed alla per-  dita de’ vascelli , ; ed ai disordini , che accade-  vano per opera de’Pompejani .   Si spedirono immediatamente degl’ordini a  tutti li Generali di Ottavio, e segnatamente a  Marco Agrippa Ammiraglio sperimentato, per-  chè accorressero con le loro Flotte iuajuto .   In seguito Mecenate volò in Roma , ove tro-   ( 1 ) Appian. loc. cìt.    Digitìzed by Google     So   vò , che il male era maggiore di quello , che  si era creduto ; ma non per questo si sgomen-  tò l’anima sua intraprendente . Facendo uso di  una fermezza senza pari , e di misure con tut-  ta la saviezza applicate , seppe sconcertare an-  che per la seconda volta li progetti sediziosi  de’seguaci di Pompeo , alcuni de’quali più in-  quieti , « recidivi condannò all'estremo sup-  plicio , ed in tal guisa ricondusse il buon or-  dine , la quiete , e la sicurezza nella Città (i ).   Intanto Ottavio rinforzato dalla Flotta di  Marco Agrippa , che , obbediente agl’ordinl  ricevuti , era accorso in ajuto , e più incorag-  gito dalla presenza di questo fedele , ed intre-  pido Ammiraglio , riprese arditamente l’offen-  siva , attaccando replicatamele le Armate di  Pompeo ; questo non lasciava di difendersi ,  e di schivare gl’incontri , che potevano essere  dubbiosi , e comprometterlo ; ma già si avvi-  cinava 1’ estremo periodo della sua brillante  carriera , e la Parca crudele già gli andava  preparando quel destino ferale , cui fu sotto-  posto sulle spiagge Africane l’iufelice suo ge-  nitore .   Dopo differenti parziali combattimenti , la  Squadra di Ottavio , commandata da Marco A-  grippa , si azzuffò con quella di Pompeo .  C’urto fu de'più formidabili , e si combattè con  furore da una , e dall’altra parte ; infine però    ( 1 ) Appian. loc. cit.    8i   la vittoria si dichiarò a favore di quello , e la  Flotta di questo ebbe una rotta cosi spavento*  6a , che sarebbe restato egli stesso prigionie-  ro , se non fosse fuggito sù di un piccolo Bri-  gantino, ritirandosi in Messina.   Quivi appena giunto gli fu recata la dispia-  cevole notizia , che il resto della sua Armata,  sfuggita all'eccidio , era passata sotto le ban-  diere nemiche . Allora riflettendo più seria-  mente alla sua salvezza , fuggi ancora da Mes-  sina con poche navi , che gli erano restate fe-  deli, dopo avere imbarcato la figlia , il dana-  ro , gli amici , e tutte le cose preziose ( i ) an-  dò errando qua e là per l'Asia , ora con prospe-  ra , ed ora con iufelice fortuna . Finalmente,  per ordine segreto di Marco Antonio fu messo  a morte in una Città della Frigia (a^ .   La disfatta, e la fuga di Sesto Pompeo ri-  colmò di gioja il giovane Ottavio , perchè si  vedeva liberato da un pericoloso , ed inquieto  rivale , ma in questa istessa circostanza ebbe  1 * occasione ancora di disfarsi di Marco Lepido,  Collega nel Triumvirato , e quello , che ,  in privato , forse più degl' altri aveva abu-  sate della potenza usurpata .   Lepido aveva comandata una Flotta nella   ( i ) Dion. lib. 49 .   (n) Strab. lib. 3 . Vellej. lib. a cap. 790  87 . Oros. lib. 6 cap, 19 . Usser. Annal.   pag. 434. i   F    pigitized by Google    8a   guerra testé riferita , ed anche egli aveva in  parte contribuito all’ esito vantaggioso dell’  impresa . Dopo qnella battaglia campale , in  cui Pompeo fu rotto , e fuggi , nacquero delle  contestazioni tra quello , ed Ottavio , o per-  chè Lepido voleva attribuirsi tutto il pregio  della vittoria , o per altra ragione non bene  nella Storia conosciuta . Tali contestazioni  avevano anche preso un aspetto serio , e peri-  coloso , e si potevano temerne conseguenze  disgustose.   Mecenate , cui rincresceva altamente , che ,  appena spento il fuoco di una guerra civile *  dovesse accendersene un' altra , cercò di  prevenirla con una di quelle politiche risorse,  di cui egli era capace .   Nella Flotta di Lepido vi erano già degli  amici, e partigiani di Ottavio , il cui nume-  ro si era aumentato inseguito delle surrife-  rite contestazioni . Si aprirono delle rela-  zioni con questi ; delle giudiziose istruzioni,  che vennero loro comunicate , li prevenne-  ro del progetto ., che si meditava . Lepido  non era amato dai Soldati , e perciò lo svi-  luppo dell’ intrigo, non incontrò ostacolo al-  cuno , e fu sollecito , e vantaggioso.   All’ improvìso l’intiera Flotta di quello pas-  sò ad unirsi alla Flotta , ed agl’ interessi di  Ottavio,. IUrdasto abbandonato , solo , ed  inerme , si vide Lepido ridotto in una si-  tuazione incapace affatto a reali zzarp qualche    Digiti; ,b)i£,oogIe.    «3   idea di civile discordia , che forse andava  machinando .   Che anzi , siccome egli era di nn animo de-»  iole , e di carattere vile a fronte delle di-  sgrazie , cosi temendo maggiori sciagure , si  portò supplichevole ad implorare la clemen-  za di Ottavio . Alcuni avrebbero voluto  la di lui perdita , ma questo si contentò di  spogliarlo di quella autorità, di cui era rive-  stito , e di ridurlo ad una vita privata .   „ In tal modo ( secondo l’espressione di  ,, Appiano ) Marco Lepido , uomo di si gran-  „ de impero , ed autorità , che aveva pro-  „ nunciata la Sentenza di morte contro tanti  „ Cittadini di nobile , ed illustre lignaggio^,  „ fu balzato dalla volubile , e fallace fortu-  „ na ; in guisa che con abito privato , ed in  ,, atteggiamento di colpevole al cospetto di al-  „ cuni di quelli stessi da esso condannati , fu  „ ridotto a vivere senza riputazione , ed a  „ morire ignominiosamente . ( i )   Ottavio, sistemati gli affari delle nuove  Provincie aggiunte alla sua Dominazione dopo  la fuga di Pompeo , e la destituzione di Lepi-  do , fece ritorno in Roma . Il suo ingresso fu  un Trionfo . Fu accolto con entusiasmo, e  con applauso dal Senato, e da tutti gli Ordini  de’ Cittadini , perchè credevano, che ai ton-  fi) App.loc. cit. Dion. lib. 49. Sveton. in  Octav.Art. 16.   F a    I    8 4   bidi passati sarebbe snccednto l'ordine , l’ab*  bondanza , ed una pace generale ; ed erano  cosi persuasi di questo novello sistema di co-  se , e segnatamente della pace , che inalzarono  in onore di Ottavio una colonna con questa  Iscrizione " Il Senato , ed il Popolo Ro-  w mano hanno inalzato questo Trofeo a Cesa-  ,, re Ottavio , perchè ha stabilita la pace ge-  „ nerale per mare , e per terra , che prima  M era bandita da tutto il Mondo . (i)   Roma infatti cominciò subito a respirare .  Lo spirito di partito cominciò a dissiparsi , ed  una reciproca confidenza già assicurava la  quiete di ognuno, tanto in quella Città , che  .nelle Provincie .   Quello però , che contribui più d’ogn’altro,  mediante la sua incomparabile prudenza , alla  tranquillità dell’ Italia , e di Roma, fu il no-  stro Mecenate . Si è già veduto , che Ottavio,  allorquando era occupato nella spedizione con-  tro Sesto Pompeo si era più volte servito de’  talenti], dell’abilità, e dell’intrepidezza di  qnesto Ministro per assicurare gl'interessi del  «uo partito nella Capitale . Da ciò si rileva  chiaramente , che già fin d’allora lo aveva  nominato Governa tore , o Prefetto di Roma ,  e che di questa carica sublime era pur auco  rivestito nell’epoca, che ora si descrive.   • . . • • - .O   (i) Appian. loc, cit,   ■ . . *   Queste j ed altre simigliane contestazioni  reciproche diffusero le prime elettriche scin-  tille , foriere del turbine devastatore -, che in  breve sarebbe andato a precipitarsi sull’oriz-  zonte politico di Roma, e formarono l’oggetto,  e la materia a que' pretesti^ che aveva già  Mecenate preveduti .   Non bastava però ad Antonio di aver offeso  in tante guise Ottavio , ed il Senato , e di  aver commesso , per dir cosi , in Oriente  tanti delitti a disonore del nome Romano .  Per colmo della sua sfacciatagine , o piuttosto  cecità , volle aggiungerne un altro . Mentre  la virtuosa Ottavia gli dava argomenti li più  sinceri della sua conjugale premura , del suo  zelo, e di un tenero affetto y egli la discacciò  bruscamente , e la ripudiò , per immergersi  pienamente negli amori illegìttimi di Cleopa-  tra ( l ) • Questo fatto clamoroso , e degno  di tutti li rimproveri , rivoltò contro di esso  la publica opinione ed in Roma , e nel Se-  nato , e nell' Italia , ed in tutti que’ luoghi ,  ove erano conosciuti li pregi , e le virtù' della.  Sorella di Ottavio . Allora si ravvisò appieno,    * (r) Plutarc, in Ant,    i . >    . i     88   che la condotta di Antonia offèndeva ornai  troppo manifestamente la grandezza Romana ,  il decoro del Senato , eia purità della Costi»  tuzione ; che in consequenza non era più de*  gno di comandare , nè doveva , nè poteva  ulteriormente tollerarsi . s   La guerra adunque fu dichiarata contro di  quello , ed i Romani diedero principio ad una  operazione bellicosa , che doveva cagionare  la perdita totale del sistema Republicano , e  nel cui funereo fragore dovevano ascoltarsi  gli estremi accenti , e l'ultimo anelito della  loro spiraute IjhljrtA . b*;ù»q.**6J«swi i»y:  Ottavio prima di allontanarsi da Roma per  portarsi a combattere Antonio , raccomandò  la cura di questa Capitale , e dell'Italia al suor  Mecenate , che tuttavia esercitava la Prefet»  tura dell’ una , e dell’altra . La tante volte  sperimentata fedeltà di un cosi abile Ministro *  rassicurava pienamente il di Ini animo , ed era  del tutto persuaso, che nella sua lontananza ,  e durante questa nuova, e civile discordia ,  gl* interessi del suo partito non avrebbero  sofferto alterazione veruna . Con questa fidu-  cia parti da Roma , e prese il camino là dove  il supremo Direttore degli umani avvenimenti  lo chiamava per divenire il primo, ed il più  potente Monarca del Mondo .   Alcuni hanno creduto , che in qtiestaspedr-  sione militare Mecenate seguisse Ottavio , e  che anch’ esso si trovasse presente alla memo»    Digitizèd by Google     rablle bavaglia di Azio . Dedussero questa  credenza dall’ Ode I. degli Epodi di Ora*  zio Fiacco , nella quale il Poeta si fa a parla**  re a Mecenate in tal guisa “Tu dunque, o ami-  ,, co Mecenate, andrai sulle agili navi Libnr-  ,, ne /disposto ad incontrare tutti i pericoli  „ di Ottavio , incontro gl’ alti bastimenti di  ,, Antonio? (t) •   Il Grammatico Acrone , fondato su queste  parole , sostiene , che Mecenate non so-  lo andasse nella battaglia di Azio , ma inol-  tre è d’avviso , che da Ottavio venisse nomi-*  nato Comandante delle navi Liburne \ espri-  mendosi , come siegue “ Orazio parla a Me-  j, cenate , che va con Augusto alla battaglia  ,, navale contro Antonio , e Cleopatra . .   », Mentre Cesare Angusto sta per andar-e  .> alla spedizione presso Azio , affidò a Me-  „ cenate il comando delle navi Liburne (a)\  che anzi il Continuatore di Tito Livio suppone   •I.- . » • ?. . ■ • ^ V   - (*) Epod. Od.r. - *• »■ -■   * Ibis LiburnU inter alta naviutn , ■   Amice , propugnacula ,   P aratus orane Caesaris perìculun  Subire, Maecenas, tuo.   • (2) Comm. ad Od. i.Epod.Horat. : Mae*  cenatem prosequitur euntem ad bel/urn nasale  cura Augusto adversus Antonium , et Cleopa-  tram ; ad Actiacum bellurn iturus Cacsar Au~  gustai , Liburnis praeposuit Muecenatem . t _     9 *   di più , che dopo la battaglia , e la fuga di  Antonio , Ottavio ordinasse a Mecenate d’ in-  seguire li fuggitivi con le sue navi Libur-  ne ( 1). Il Mancinelli sembra essere dello stes-  so sentimento , dicendo „ Anche Mecenate  „ segui Augusto contro Marco Antonio , e  ,, Cleopatra presso Azio , Promontorio di  „ Epiro (a) • Segnaci di Acrone , e del Man-  cinelli sono Stati il Turnebò ( 3 ) , il Mcibo-  mio (4) , il Cenni ( 5 ) ed il Volpi (6 ) .   Il Torrenzio però, sull’autorità di Dione  Cassio, e di Virgilio , è di contrario parere .  ,, Deggio avvertire , ( dice egli ) che nella  „ celebre battaglia presso Azio , non fu pre-  ., sente Mecenate , il quale in quell’ epoca  „ era Prefetto di Roma , e dell’Italia, come  », rilevasi dal Libro hi. di Dione Cassio ; Di  „ più Virgilio , che fa menzione del solo   ( 1) Suppl. in Liv. lib. 73. art. 9. .• At Cae -  sar misso curri Liburnis Maecenate , qui lori-  gius insequeretur fugientes , ad honores Deo -  rum , a quibus adjutus credi volebat , se con-  tulit. ».   fa) Com. in 1. Epod. Secutus itera Augu-  stum Maecenas est contra M. Antonium , ef  Cleopatram apud Actium Epici Promontórium .  _ ( 3 ), Com. in 1 . Epod. Horat. v. . ..   (4) Vit.C. Cilnj Maecenat.   ( 5 ) Vit. di Mecenate lib.i. Postil.9. -,   (6) Lat.vetus tom.io.part.x.pag.a37.      Digiti;    ile    ,> Agrippa , e che lo eguaglia allo stesso Otta-  » vio, non avrebbe omesse le lodi ancora  „ del suo Mecenate , se anch’esso si fosse tro-  ,, vato in quell'azione . Laonde Orazio scria»  >» se questa Ode nel supposto della futurapar-  „ tenza di quello . ( i )   Su tale articolo sembra , che il sentimento  di questo Comen tato re sia il più giusto , ed  il più fondato „ se si legge con qualche ri-  flessione ciò che narra il suceennato Dione ,  e prima e dopo la disfatta di Antonio , e di  Cleopatra presso Azio . Imperciocché con  tntta chiarezza rilevasi dagli scritti di que-  sto autore che Mecenate era Prefetto di Ro-  ma , e quando Ottavio parti per la spedizione  contro Antonio , e durante 1’ epoca della me-  desima , e dopo la riportata vittoria , come  si è anche accennato di sopra .   Di più Velie jo Patercolo (a) descrivendo la   ( O Co®- in Epod. : Illud monendum me  existimare , celebri ad Actium pugna non in-  terfuisse Maecenatem tane temporis Romae ,  et Italiae administrandae Pracfiectum , tjuod  significare videtur Dion. lib.5l. Virgilio» sane  solius Agrippae Theminit , insigni laudatione  ipsum Caesari aequiparens , non omisurus  Maecenatem suum , modo adfuisset . Quare  carmen hoc sola opinione futurae profcctionis  tcripsit Horatius .   (a) Lib.a, art. 85.: Dcxtrum navium } ur-     9 *   sudetta battaglia di Azio * domina individùak  mente l'Ammiraglio , ed i Comandanti subal-  terni della Flotta di Ottavio > e non fa pa-»  loia di Mecenate , il quale * secondo Acro-  ne , sarebbe stato il Comandante delle navi  Liburne. Ecco le parole di Vellejo „ L’ala  ,, destra delle navi di Ottavio fu affidata a  „ Marco Lario, la sinistra ad Arunzio, ed  >, il centro ad Agrippa , Ammiraglio di tutta  „ la Squadra . Ottavio f che trovavasi per  ,, tutto, era destinato dovunque veniva dal*  ,, la fortuna chiamato,. Torniamo in sentiero.   Ottavio lasciata la direzione degl’ affari di  Roma , e dell’ Italia a Mecenate , come si è  detto , si portò in Brindisi , ove era ancora-,  ta la sua Flotta . Essendosi quivi imbarcato ,  fece vela verso l’Epiro , onde avvicinarsi ad  Antonio, che già stava nella Città di Azio,  e che aveva adunati li suoi Vascelli nell’ in-  gresso del Golfo di Ambracia . Ottavio entri  nello stesso Golfo , e si disponeva a dare una  battaglia; ma avendo osservato, che il suo  equipaggio non era completo , e che non era  prudenza azzardare un fatto in luogo si angu-  sto, si tirò in alto mare , lasciando il suo  nemico nella primiera posizione .   r '■:> > 4 . ‘J> i'.i   lianarum corriti M. Lario commitsum , laevum  Aruntio , Agrippae omne classici certamìni s  arbitrium ; Caesar ci parti destinatili , in,  quam a fortuna vocaretur , ubique adertiti     Intanto giunse ad Antonio con varie Legio*  ni Canidio . Questo Generale Romano , che  seguiva sinceramente il partito di quello ,  avendo veduto Cleopatra nel Campo , lo con-  sigliò a doverla assolutamente allontanare ,  sembrandogli cosa pericolosa ritenerla in  mezzo all’Armata . Lo consigliò inoltre ad  evitare una battaglia navale , ed a portarsi  nella Macedonia , ove con il soccorso del Re  de’ Gesti , avrebbe combattuto per terra , e  la vittoria non sarebbe stata dubbiosa . Non  ostante la saviezza di questi consigli prevalse  1’ influenza della Regina di Egitto , e fu riso-  luto di combattere sul mare .   Non solo Canidio , ma ogn 'altro sperimen-  tato Militare conosceva , che l’ esporsi ad  una battaglia navale , era un errore . Infatti  mentre Antonio trascorreva la Flotta , e dava  gli ordini opportuni > uno de’ suoi vecchi  soldati , ricoperto di ferite gli disse ad alta  voce ,, Come , o Signore , andate a confidare  » la vostra gloria alla meschina , e pericolosa  « risorsa di una battaglia di Vascelli? La-  „ sciate, lasciate il mare alli Egizj , ed ai  „ Fenicj , che sono nati per questo elemen-  *' e mettete a combattere li Romani sul  „ Continente . Se allora periremo , la nostra  ,» morte sarà da veri Soldati , e sarà com-  „ pensata dalla vita de\nostri Nemici . An-  tonio nou rispose al Soldato , e persisti per     94   sua disavventura nel Piano stabilito . (i)  Essendo stato il mare per alcuni giorni  furiosamente agitato non si fece alcun movi»  mento nè da una parte , nè dall’altra: Essen-  dosi in fine calmato , ambedue le Flotte po-  sero alla vela per dar principio ad una bat-  taglia , che doveva decidere della sorte del  Mondo; Il sudetto Vellejo accennando il gior-  no di questa battaglia memorabile , cosi si  esprime 6   dolore , e della sua disperazione . Lacera  le proprie vesti , si percuote il volto , ed il  petto, e chiama replicate volte il suo amante  con nomi non meno teneri , che rispettosi ;  Antonio , benché prossimo ad esalare lo spi-  rito , tuttavia non è meno occupato di Cleopa-  tra . La esorta a conservarsi , finché possa  vivere con gloria, a non rammentarsi tanto  del suo tragico fine , quanto dello splendore di  sua vita, e degli onori, ond’ essa lo aveva  veduto circondato ; Ed a riflettere , che egli  non era stato vinto , che da un Romano , dopo  essere stato egli stesso il più illustre fra i Ro-  mani ; quindi spirò , pronunciando queste ulti-  me parole .   Antonio ( conchiude il sudetto Storico In*  glese ) aveva passata la sna vita fra i perigli ,  e fra i piaceri . Era posto in paragone con  Cesare per il valore , e per la capacità mili-  tare ; ma l'amore gli fece perdere il senno ,  il coraggio , l’onore , la stima , l’affetto de’  Romani , e l’ Impero , e la vita . Cleopatra  con una morte egualmente spontanea seguì  l'ombra di Antonio , ed nn monumento istesso  chiuse le ceneri dell’uno , e dell’altra .fi)    (i) Diou. lib. 5t. Piotare, loc. cit. Sveton.  in Octay. art.i 7 . Echard. loc. cit.     Digitized by Google     LIBRO III .    JVlentre Ottavio in tal guisa trionfava  nell’ Egitto del sno rivale , ed ultimava con  tanto successo qnest3 guerra Civile , si atten-  tava tacitamente alla sua vita nel senoistesso  della Capitale ; ma vegliavano a sua difesa la  fedeltà , Vattaccamento ? e la vigilanza di Me-  cenate .   Marco Lepido il giovane aveva dei risenti-  menti particolari contro di Ottavio , e nutriva  nel petto un odio mortale , perchè 1’ ambi-  zione , e prepotenza di lui avevano balzato  Marco Lepido il padre da quella superiorità, e  e da quel potere, che gli dava il Triumvirato,©  lo avevano ridotto a menare una vita oscuta ,  e negletta . Era questo Giovane Romano figlio  di Giunia , sorella di Bruto morto nella bat-  taglia di Filippi : Egli voleva adunque vendi-  care nel tempo stesso , e la morte dello zio ,  e l’avvilimento del padre . (i)   (i) Vellej. Patere, lib. a. cap. 88. : Dum  ultimam bello Actiaco , Alexandrinoque Cae~  sar im ponti manum , Marcus Lepidus ,juvenis  forma , quam mente melior , Lepidi ejus , qui  T riumvir fuerat Reipublicae constituendae , fi-  li us , Iunia Bruti torore natus , interficicndi^     io8   Formò a tale effetto una pericolosa congiu-  ra per uccidere Ottavio , qnando dall’Egitto  avrebbe fatto ritorno in Roma . La cospira-  zione non focosi segreta, che non giungesse  a notizia di Mecenate Prefetto di Roma . Egli  seppe con tanta quiete , e simulazione pene-  trare il nero progetto del traditore , e con  tanta celerità impedirne le consequenze fune-  ste, che Lepido venne arrestato, giudicato,  convinto , e condannato all' ultimo supplicio ,  senza che venisse punto alterata la tranquillità  di Roma . In tal guisa Mecenate , secondo Vel-  iero ( i ) , con una sorprendente destrezza  seppe spegnere le perniciose scintille di una  nuova, e rinascente guerra Civile .   Servilia moglie di Lepido , forse complice  della congiura , non volendo sopravvivere al  marito , nè soggiacere aH’obbrobrio , ed alljt   «    timul in Vrbem revertissct , Caesaris Consilia  inierat .   ( i ) Loc. cit. Tunc Urbis custodiis praeposi-  tus Cajus Maecenas .... Hic speculatus est  per surnmam quieterà , ac dissimulai ione nt  prae cip itis consilia J uvenis , et mira celerità-  te , nullaque cum perturbatione aut hominum ,  a ut rerum , oppresso Lepido , immane novi ,  ac resurrectui i belli civilis restinxit initium ,  et ille quidem male consultoruni poenas exsol -     log   pena dovuta, si uccise da se stessa con aver*  inghiottiti de* carboni ardenti . (aj   Anche Giunia moglie del vecchio Lepido fu  accusata di complicità in questa congiura del  Figlio ; ma contro di essa non esistevano , che  semplici sospetti; tuttavia Mecenate la obligò a  dare la cauzione nel Tribunale di Balbino,   (i) Liv. in Snpplero.lib. i 33 . art. 72. Ser-  vilia Lepidi Vxor curn superesse viro non sub-  stinerct , et diligenti familiarium custodia ni -  hil adipisci mortiferum posset , pruuis ar-  xlentibus deVoratis , vita abiit\: Vellej. loc. cit.  Aequatur praedictae Calpurniac Antistii , Ser—  vilia Lepidi Vxor , quae vivo igne devorato ,  praematuram mortem immortali nominis sui  pensavit memoria Roberto Riqucz nelle  irate a questo articolo di Vellejo, fa le se-  guenti osservazioni relativamente aCalpnrnia.  Ciò che narra Vellejo di Servitia è attribuito  comuneme nte a Porzia moglie di Bruto . In-  fatti Valerio Massimo , esatto Scrittore del  Secolo , in cui si suppone accaduto quel fatto ,  non ne fa menzione . Di poi la moglie di Lepi-  do non fu Ser vilia , ma Antonia figlia del  Triumviro : Ciò non ostante il Vossio non osa  negare la verità del fatto a Vellejo , 1. perchè  Lepido, ripudiata, o morta Antonia, potè  passare alle seconde nozze con Ser vilia ,* 2.  perchè Eliano Var. Histor. lib. 1 4 - cap.45. an-  novera fra le illustri D ame Romane una Ser’»  vilia .    ,!*•   uno de’ Consoli . Allora Lepido di lei marito  si presenta a questo, e cosigli parla" Voi  „ sapete con certezza , o Balbino , che io  „ non sono stato complice del delitto di mio  „ Figlio , e sapete egualmente , che non ebbi  „ parte alcuna il quell’Editto di proscrizione  „ emanato , quando la sorte mi faceva domi-  ,, naie , e nella quale foste anche voi com-  „ preso . Se rifletterete per un moménto  „ alla mia passata grandezza > io spero ,  „ che alla vista di un supplichevole , di cui  „ rispettaste altre volte li decreti, sarete  „ per ascoltarmi con cuore placato . Giunia  „ mia consorte non ha che me per adempie--  „ re alFohbligo , che gli è stato ingiunto . Ri-  „ cevetemi adunque per la sua cauzione , o  „ permettete , che io vada fra le prigioni con  „ essa ,, Balbino sensibile alle preghiere di un  uomo, che prima del cambiamento della sua  fortuna, la potenza aveva reso formidabile ai  Romani , e conoscendo ancora del tutto insus-  sisteute l’accusa contro la sudetta Gunia pro-  mossa , dichiarolla innocente ( r ) .   Intanto Ottavio avendo posto fine alla guer-  ra di Egitto, al Triumvirato , ed alla esisten-  ^ dell’ unico competitore , che gli restava ,  fece ritorno in Roma ove fu accolto con in-  compreusibile allegrezza; vi trionfò per tre  giorni, e chiuse il Tempio di Giano, che.    /    (i) Appian. lib.4. Catrou loc. cit.     per il corso di dne secoli , era stato aperto.  Benché rimasto solo padrone della vasta do-  minazione Romana , tuttavia non cercò , che  di farsi amare con le maniere popolari , ed  affabili , con le sue liberalità * e con le più sa-  vie disposizioni prese e per il bene publico ,  e per quello di ciascun Cittadino in partico-  lare .   Mecenate , che gli stava al fianco , e senza  il consiglio del quale per cosi dire , Ottavio  non faceva passo , non mancò di fargli pren-  dere tutte quelle determinazioni necessarie  per preparare insensibilmente l’esecuzione di  quell’ ardito progetto-, che già da gran tem-  po andava meditando .   In fatti la condotta di quello, dacché ritor-  nò dall'Egitto , fu tale, che il Senato, il Po-  polo , e tutti gli ordini dello Stato già senti-  vano gli effetti di un Governo Monarchico ,  benché ognuno fosse persuaso , che la Repu-  hlica andasse a momenti a riprendere l’antico  suo lustro , e splendore .   Ottavio però mostravasì indeterminato, e  dubbioso* se dovesse salire sul Trono , o se  dovesse rientrare nella classe di semplice Cit-  tadino , ristabilendo laRepnblicà nel suo sta-  to primitivo . Da una parte gli si affacciavano  all’ immaginazione agitata li pericoli , a cui  la sna potenza quasi illimitata poteva esporlo ;  richiamava al suo pensiero il crudele destino  di Giulio Cesare suo padre , e li rimproveri ,    112   che gli aveva fatti Antonio altre volte ,» che  „ egli travagliava meno per il publico bene ,  „ che per la sua propria grandezza,, dall’al-  tra parte si lusingava , che la Republica ,  stanca dai furori delle guerre civili , preferi-  rebbe un giogo pacifico , e salutare ad una in-  dipendenza funesta , bastante a richiamare  tutti gli orrori passati . Credeva anche di ri-  marcare , che il Popolo Romano avesse perdu-  to lo zelo geloso , e l’amore costante per la  libertà ; che il Senato non avesse più P infles-  sibile fermezza , che era scoglio alla Tirannia;  e che ad ambedue mancassero Soggetti capaci ,  ed intraprendenti per formate una formidabile  Fazione . ( i )   Queste riflessioni, e la sua indetermina-  zione era un peso , che Ottavio portava con  pena ; pensò pe rtauto di discaricarsene nel  seno dei due suoi più fedeli amici. Noi l’ab-  biamo già osservato , uno era Agrippa , Uomo  tanto sincero ne suoi con sigli , quanto era in-  trepido nelle battaglie . Unito alla Corte di  Ottavio fin dall* infanzia , crasi acquistata la  sua stima, e la sua tenerezza più ancora con  l’esatta sua probità, che per gl’importanti  eervigj nelle armi ; era un guerriero de’ tempi  antichi paragonabile ai Curj , ed ai Fabri-    ( i) Catrou Tom. 19. lib. 5 . Echard. lib. 3 .  cap. 7.    1 13   cj i fi) L'altro era Mecenate . Dal fin qui  detto abbiamo conosciuto , che egli era un  amico disinteressato di Ottavio , fornito di  uno spirito franco , e leale * il Politico più  raffinato del suo tempo , il più destro, ed il  piu giudizioso de’ Cortegiani . Agrippa adun-  que, e Mecenate consultò Ottavio per fissare  la sua irrisolnzione , e per decidere sul gran-  de oggetto . Agrippa parlò il primo con una  fermezza, conforme alla rettitudine del suo  cuore , all’ amore , che aveva sempre con-  servato per la sua Patria, ed alla riconoscen-  za , che doveva al suo Padrone (a).   , „ Se io avessi di mira ( diss’ egli ) li miei  ,, interessi soltanto , vi esorterei a profitta-  „ re all’ istante delle circostanze del tempo ,  „ e a divenire il Padrone assoluto della Ro-  ,, mana grandezza ; ma, facendo usodiquel-  „ la sincerità propria del mio carattere , e   fi) Catrou loc. cit.   (a) Dion.lib. 5 a. pag. 61 1. : Hoc autem  anno vere iterum pencs unum Hominem s u /ri-  ma rn totius Reìpublicae esse coepit , quamquam  armorum deponendorum , resque omnes Sena-  tus,Populique pot est atit rade ndi consiliumCae-  Sar agitaverit ; ad quam deliberationem , curi  Agrippam , Maecenatemque adhibuissct , nani  cum his de omnibus suis arcanis communicara  solebat , prior inhanc sententiam Agrippa lo -  cutusest . *   II    J‘4   » già da voi altre volte sperimentata , credo ,  „ o Cesare, clic bandito ogni privato riguardo  „ debba parlarvi , e manifestare il mio senti-  „ mento per il vostro , e per il publico bene .   ,, È principio certo in Politica , che il  „ sottoporre ad un governo Monarchico un  „ popolo geloso della sua libertà , forma un  „ opera dilEcile ed eseguirsi . L’amore della  ,, indipendenza nasce con noi , ed è un attri—  „ buto quasi necessario dell’umanità. Que-  „ sta inclinazione universale in tutti gli uo-  5 , mini aumenta , o s’ inde.bolisce per mezzo  ,, dell'educazione , ed è più , o meno poten-  ,, te , secondo i pregiudizj della Nazione *  ,, nella quale abbiamo avuto la sorte even-  „ tnale di nascere . Perciò la natura , li co-  „ sfumi, l’edutazione , e la lunga abitudine  ,, dovranno rendere ai Romani insopportabile  „ il dominio di un solo .   „ Li popoli assuefatti al giogo di un Padro-  „ ne hanno un debole sentimento di quella  „ generale pendenza, che la natura ispira  „ per la libertà ; ma quelli al contrario , cui  ,, per successione è stata trasfusa la massi-  „ ma, vera o falsa che sia , provarsi cioè  ,, minor servitù in un Governo formato da  „ Magistrati di loro scelta , si rattristano  ,, altamente , e fremono al solo pensiero di  ,, un Sovrano . Potrà la forza tenerli per  qualche tempo soggetti, ma questa forza  „ istessanon sar» giammai capace a distrug-    Digitized by Google    m5   „ gere ne’ cuori quel germe vivifico, che la  „ natura v’ infuse , e che dalla educazione  ,, venne quindi allentato .   „ Finora , o Cesare , le vostre imprese  „ sono state legittime, e la gloria da voi  „ acquistata, non ha in veruna guisa scema-  „ to lo splendore della vostra virtù . Imper-  ciocché nella guerra di Perugia opprimeste  „ degli ambiziosi , che col pretesto di ven-  „ dicare la morte di Giulio Cesare , preten-  „ devano d’inalzare un Trono sulle ruine del-  „ la Dittatura . A Filippi purgaste la terra  „ di due assassini di un Zio , che vi aveva  „ adottato per figlio . La Sicilia , invasa da  „ un Tiranno , che spacciandosi per difenso-  „ re della Repilblica , ne cagionava la mina ,  „ fu liberata dalle vostre armi . De’ due Col-  „ leghi, che per mezzo del Triumvirato sa-  „ peste con saviezza associarvi , uno vive  „ tuttora nell’ oscurità , enei disprezzo, e   ,, l’altro ha cancellato con la sua morte il di-   sonore , che recava al nome Romano . Do-  „ po tante vittorie , è giunto , o Cesare ,  „ l’istante fatale , incili dovete pronunciare  „ sulla sorte dell’ Universo .   ,, Quale mai , e qaanto grande sarà la vo-  }J stia gloria, se , divenuto abbastanza po-  ,, tente per assoggettarlo da Monarca , sapre-  „ te in guisa superare gl'impulsi dell’amor  „ proprio , che lo ridoniate a’ suoi veri Pa-  „ droni ’ Allora vedreste sollevarvi al di so-  li a    1 16   „ pra de' Camilli, e dc’Scipiorti , e consa-»  „ orarvi Tempj ,come a Divinità tutelare dal  „ Senato, e dal Popolo , ristabiliti nell’an-  >, tica loro autorità , e nel primitivo stato di  „ eguaglianza. (i^A questa eguaglianza di  ,, Cittadini appunto noi siamo debitori della  „ conquista del Mondo , e finché li Romani  >, ne furono in possesso pacifico , si viddero  „ sortire dal seno della Republica , e Gene-  „ rali scelti con riflessione , e Soldati premu-  ,, rosi di rendersi degni di poter un giorno  *, anch’ essi comandare . Ah , Cesare , io  >, temo , che se Roma cesserà di esser Repu-  ,, blica , cessi ancora per qualche tempo di  „ vincere, e di conquistare ,   ,, Quando il sistema Republicano dovesse  ,, cangiarsi in Monarchia , a quali timori, a  „ quanti incarichi laboriosi , e pesanti non  j, va a sottoporsi il nuovo Monarca , e sopra-  ,j tutto l’autore di un ! tal cambiamento ? Li  ,, Comizi > ed il Senato riuniti affrontarono  >, immensi travagli per regolare 1’ ammini-  „ strazione di tante Nazioni comprese nella  „ vastità della Republica Romana . Ora po-  „ trà un solo nomo supplire all’esercizio,  „ che su di quelli gravitava, e la salute la   più robusta potrà sostenere le fatiche ine-  „ renti al governo dell’ Universo ? Il solo   ( 1 ) Dion. lib. 5a. pag. 6i3. : JEqualitatis  et nomen est speciosum > et res j ustissima ,    Digttlzedb    *»7   dipartimento delle Finanze non presenta  ,, una sorgente inesauribile d’imbarazzi , di  „ pensieri , e di cure ? Io convengo , o Ce-  „ sare, chele rendite- dello Stato sono gran-  >, di , ma saranno sufficienti a mantenere tante  „ Armate esposte su tutte le frontiere dall’  „ Oriente all’Occaso ? In una amministrazio-  ,, ne popolare si concorre agevolmente , e  „ con piacere ai bisogni dello Stato , e l'istes—  „ sa avarizia cede alla ragione del bene co-  „ mune . Allora la liberalità de’Cittadini for-  >, ma per essi un merito per inalzarsi agli ono*  ,, ri, ed agl’ impieghi (i) . Al contrario in  „ un Governo monarchico le publiche intra-  „ prese di un Sovrano sono riguardate come  „ suoi affari personali . Ognuno crede , che  ,, da quello soltanto si debba supplire del suo  „ proprio tesoro a tutte le spese del Governo ,  „ Ogni nuova imposta produrrà nuova que-  ,, rela , nuove satire , e nuove amarezze per  „ il medesimo , e sempre con la forza , o di  „ mala voglia si vedrà il Cittadino effettuare  » il pagamento delle Tasse quantunque ordi-  „ narie , e regolate dalla Legge .   „ Quale odio poi non si procaccia un Giu-  „ dice universale , incaricato di punire da se   l   ( i) Dion. loc. cit. : Ubipenes Populum est  Imperium , multi multam pecuniam conje -  rune , etiam ut liberalitatis opinionem conse-  qunntur , ac prò Ut ho noia mcritos adipi-  scantur.    ti8   >, solo tatti li colpevoli ’ In un cambiamento  i t di Governo, il numero de’ malvagi si mol-  -, tiplica all’ infinito , e li sediziosi , e mal-  i, contenti sortono , per dir cosi , dal seno  ,, stesso della terra . Non potendosi tutti ri-  „ durre al buon sentiero nè colla dolcezza ,  „ nè coiresempio del rigore usato con alcuni ,  „ sarete dalla necessità costretto a pronuncia'   i, re contro de* medesimi , decreti o d' igno*  „ minia , o di bando , o di morte , e sebbe-  f , ne sarete nel punire moderato , ciò non  ,, ostante si crederà , che gli effetti della vo-  ,, stra giustizia necessaria , siano piatto-  ,, sto il risultato di un particolare risenti-  ci mento .   4 i. Vedrete inoltre li piò potenti Cittadini ,  „ e le famiglie de’ Patrizj accendersi di gelo-  ,, sia, e d' invidia per il vostro inalzamento  „ al Trono, e perciò non pochi di essi non  „ temeranno di censurare primieramente la  >, vostra condotta , e quindi anche formare  ,, delle congiure a danno della vostra esisten-  „ za , e del sistema da voi introdotto . Se  „ perciò vorrete punirli , ed umiliarli , si  susciterà contro di voi la publira indigna-  zione , e se li lascerete vivere senza oppri-*  ,, merli , la vostra sicurezza , sarà compro-   j, messa , c sarete circondato incessantemen-  ■„ te da mille pericoli . ( i)   (r*) Dion. loc, cit. : Hos ncque , si augeri    ' Digitized by Google    99    ji 9   ,, Voi solo non potrete ultimare alcuni prò»  getti, 1 ’ esecuzione de’ quali esige indi—  ,, spensabilmente 1 ’ opera , e la confidenza  „ di Generali rispettati dal Soldato per la lo-  „ ro nascita . Questi riceveranno da voi il  „ comando delle Armate, ma quindi rivolge-  ,, ranno contro voi stesso quelle forze , che  ,, ad essi affidaste . A quale espediente allo-  ,, ra dovrete appigliarvi ? Bisognerà , che  „ facciate uso d’ individui di vile estrazio-  „ ne . Questo rimedio però potrebbe com«  „ promettere la tranquillità dello Stato, eia  33 vostra gloria ; imperocché , se per caso  3, questi nomini oscuri riescono nelle impre-  „ se, diverranno insolenti , se poi soccombo*  ,3 no , a voi solo sant addebitata la perdita .   ,, Ah ! Cesare , preferite pure , preferite.  „ le dolcezze di una vita tranquilla all’ im-  33 barazzo di una potenza tumultuosa . Un  ,, momento di piacere puro , e solido è supc-  33 riore a tutto il fasto della grandezza.   „ Che cosa pretendo conchiudere da tatto-  ,» ciò, e quale è-il mio scopo? Voglio forse  33 violentare il vostro animo a rinunciare per  „ sempre a quella superiorità , che avete  „ coll’ armi acquistata ? Nò certamente : io  „ vi darei un consiglio pregiudizievole , se  ,, vi esortassi a restituire la Republica al Po-  „ polo Romano nella situazione, in cui si   pattare , tutus vivet , neqiie si opprimere ca-  ncri} ,juste ages .    „ ritrova al presente ; essa ha bisogno di ri-  j,, forma, prima che gli antichi Padroni ne  „ vengano ripristinati al possesso .   „ Profittate pertanto di quella Sovranità ,   ,, di cui la vittoria vi ha rivestito per miglio-  „ rare quel campo , che avete acquistato, e  ,, perseverate nell’ esercizio della medesima  ,, per tanto tempo , quanto sarà necessario  „ per ristabilire le Leggi , richiamare la prat-  „ tica' delle antiche costumanze , corregere li  », abusi del Comiz'o , reprimere 1’ ambizio-  ,, ne della Nobiltà , porre de’ limiti alle pre-  „ tenzioni del Senato , moderare il potere de’   „ Tribuni , regolare l’uso delle Finanze , e  », e raffrenare la cupidigia de’ Publicani .   Quanto glorioso allora sarà per voi di com-  „ parire da semplice Cittadino in uno Stato, /  >, di cui foste il Ristoratore ! Siila autore di  », tante proscrizioni , ed il carnefice della sua  », Patria , seppe dimettersi a tempo , e mori  », rispettato , e tranquillo . Giulio Cesare  „ vostro Padre, il meno sanguinario degl’Uo-  „ mini, e il più inclinato a perdonare , fece  ,, perpetua la sua Dittatura , e trovò degli  », assassini frà li suoi amici più cari .   M discorso di Agrippa fece una forte im-  pressione sullo spirito di Ottavio . Egli forse  avrebbe abbracciato il sistema da quello pro-  posto , sagrificando le sue vittorie al ristabir  limento della Repubbra , ma Mecenate, es-  sendo di contrario sentimento , entrò neH’are-    ~Diqitizécl TSyGoogle    121   uà , e parlò con tale facondia, e vivacità,  che ottenne nna completa vittoria sullo spirito  di Augusto . „ Se si trattasse ( rispose egli )  „ di delineare un Campo , e di prendere del -  „ le misure per dare una battaglia , io non  „ oserei di parlare in presenza di Agrippa ;  ,, ma , aggirandosi la discussione intorno a  „ materie politiche, credo di potere con sin-  ,, cerità azzardare il mio giudizio, avendo  „ su di quelle lungamente riflettuto , e trat-  ,, tato non poehi affari dello Stato in diffe-  „ renti , ed anche difficili occasioni . Com-  „ prendo la solidità de’ dubbj proposti , ma  ,, conosco ancora , che lo scioglimento di essi  „ non può imbarazzare un Eroe già Padrone  ,, sovrano , e capace d* ultimare colla sua  ,, prudenza ciò , che ha incominciato colla  ,, forza .   „ La Republica, o Cesare, è caduta in  „ uno stato d’ infanzia , ha bisogno perciò di  ,, esser messa in tutela . Ora non siamo piq  „ in que’ tempi felici, in cui la virtù soste-  ,, neva questo gran Corpo , ed in cui le sue  „ forze non erano state indebolite dal vizio;  ,, ma l’avarizia è succeduta all’amore della  „ povertà , l'ambizione agli onori , la tem-  „ peranza alla frugalità , e 1’ incontinenza al  ,, modesto pudore ; è impossibile pertanto di  ,, trovare al presente un numero diMagistra-  „ ti disinteressati, sobri, casti, virtuosi,  „ e simili a quelli , che fecero onore ai primi     f aa   „ secoli di Roma . Tanti mali invecchiati vi-»  a chieggono una roano capace a poterli gua-  >» lire .   f . Si , Cesare , voi dovrete affrontare pe-  i, santi incarichi nel prestare la vostra opera  „ ad una cura cosi difficile ; e preveggo, che  ,, saranno assai grandi li vostri pensieri, la  „ vostra vigilanza , li vostri travagli ; ma  „ nell’attuale stato delle cose sono divenuti  i, necessarj ; e sebbene potrebbe sembrarvi  „ spaventevole un tale prospetto , tuttavia  „ sono persuaso , che non avrete il coraggio  „ di abbandonare il Governo nel pericolo di  ,> non ricuperare giammai la sua perfetta sa-  ,, Iute ,   f . Non è possibile di rimediare ai mali pre*  ,, senti con una Dominazione passeggierà . U  „ ristabilimento del buon ordine in Roma coll’  ,, ajuto delle leggi , e de’ regolamenti è un  idea di speculazione , che non può aver luo-  go in prattica; bisognerebbe , che quelle  „ venissero infinitamente moltiplicate per po-  „ ter correggere li disordini , che le passioni  „ hanno introdotti . Come poi potrebbero  „ trovarsi de’ Cittadini, ih cuore de’ quali  „ fosse abbastanza incorruttibile , e li costu-  „ mi abbastanza puri per mantenerne l’osser-?  „ vanza ?   „ LaRepublica è ridotta in tali circostanze,  rt che ha bisogno di una Legge vivente , che  f, ordini , e che faccia al tempo stesso ese-    133   „ guire . Appena la maestà di un Padrone per-  „ petuo basterà per imprimere il rispetto;  ,, ma che cosa accaderà , se Magistrati di un  „ anno saranno incaricati della Riforma f Li  „ Cittadini indocili , e pertinaci spereranno  » r impunità nel governo di Successori più de-  „ boli , sostituiti ai più rigorosi . E’ necessa-  ,, ria una Autorità permanente per distrugge-  ,, re inclinazioni perverse , che rinascono  „ incessantemente , e che non è tanto facile   99 di estirpare .   „ Voi, o Cesare, vi dovete alla Patria ,  „ divenitene Padrone per sempre per sua com-  „ passione. Fate sì, che il Senato sia com-  „ posto di Soggetti di sperimentata saviezza ;  „ confidate le vostre Armate ad abili Gene-  „ rali, e scegliete li vostri Legionarj frà le  ,, Famiglie povere , le quali porranno som-  », ministrare Cittadini eccellenti ; ma conser-  ,, vate il dominio , e sulla Nobiltà , che iin-  » piegherete nelle cariche, e suiti Comandan-  » ti degli eserciti , e suiti soldati medesimi .   „ Ne con ciò pretendo, che il peso degli   affari debba sopra voi solo gravitare ; Ne  #> dividerete la cura con li Cittadini ptimarj  „ delle antiche Famiglie , che renderete i ! 1 u -  „ stri, con renderli laboriosi. Riguardo al  ,, Popolo , bisogna regolarsi con tal cautela ,  „ che sia sempre contenuto nell’ umiliazione .  „ Finché li plebei s’ interessarono della sola  „ cultura delle terre , Roma fu tranquilla ; si    \    I   134   « ridderò però divenire insolenti , allorqnan-  », do , associati ai publici affari col soccorso  i, de’ loro Tribuni , rovesciarono più volte la  ’ Costituzione dello Stato ; c necessario per-  », tanto , che rientrino in quella subardina-  », zione , dalla quale furono levati dalle Fa-  » zioni ( i ) .   „ Disprezzate le publiclie voci tendenti a  », denigrare la vostra condotta . Forse si di-  „ rà , che avete vinto perii vostro solo in-  „ grandimento ; ma Roma parlerà con altro  „ linguaggio, quando sotto l’ombra de’ vo-  „ stri auspicj vedrassi al colmo della feli„   jy Cltil «   ,, Non dovrete temere alcun attentato alla  ,, vostra persona , divenuto Monarca ; al con-  ,, trario i vostri giorni saranno in pericolo,  y, se , spogliato del supremo potere , rifen-  ì, trerete nella classe di semplice Cittadino ;  „ .chi mai in questo caso potrà garantirvi dal-  „ la perfidia di que' scellerati , e malconten*  „ ti, che sopravissuti alla distruzione nelle  », passate guerre civili , si aggirano ancora e  ,, in Roma , e nelle Provincie ? Esistono sicu-  ,, ramente de’ turbolenti partegiani delle Fa-  zioui di Sesto Pompeo , e di Antonio . Que-   (i) Dion. loc. pit.: Ilio, enimPlebis lice ris-  tia , qua optimus quisque servire cogitur , et  acerbissima est , utiisque cominunem pcrniciein  * ffert . . . .     nS   A sti , serbando contro la vostra persona odio,  „ risentiraento , e livore , cercheranno di  „ vendicare l’affronto , che loro recaste per  ,, averli vinti , ed umiliati , e col vostro as-  ,, sassinio immolare una vittima gradita all’  s , ombre de’ loro Amici estinti o sulle cam-  f> paglie di Filippi , o sulle spiagge dell’ Epi-  „ ro . Siavi d' esempio Pompeo il grande , il  ,, quale , spogliatosi spontaneamente di quel-  „ la potenza, che colla vittoria si era acqui-  stata, fu miseramente ucciso, mentre fa-  ceva degl’ inutili sforzi per ricuperarla :  ,, Alla medesima dissavventura sarebbero stati  „ esposti ancora Mario , ed altri potenti Cit-  „ tadini , ie non l’avessero prevenuta colla  morte. (i,) • t > *■   (i) Diòn. loc. cit. : Quis enim libi parcet ,  ubi omnes res , uti mine ace sunt , P apuli ,  àlior urn que‘ Potè stati praemitlis, cu/n et pcr-  multi a te sint offensi , et omnes fere summam  rerum tentaturi , quorum alteri et ulcisci te ,  alteri adversarium te e medio tollera cupicnt 1  Balsac nel cap.45. del Print. cosi su tal pro-  posito ragiona : Si va incontro ad egual pe-  ricolo tanto nell ’ impossessarsi , che nel dis ■*  farsi del s/lpremo potere . F aiaride era pron-  tissimo a dimettersi dalla potenza usurpata l  ma chiedeva- un Nume per sicurezza della sua  vita , se rientrava nella classe di Cittadino  privato , £’ stata sempre comune opinione >     136   „ Sul Trono però la maestà , che imprime  „ il rango supremo , e la guardia d’ ond’ è  ,1 circondato , spegne ne’ cuori gl’ istessi de*  „ siderj della vendetta . D’altronde , o Cesa-  „ re, la vostra gloria, e le vostre precau*  „ zioni sapranno preservarvi da qualunque  „ timore . Koma vi riguarda . come un dono  ,, ricevuto dai Numi , e voi passate per una  ,, Divinità tutelare , che il Cielo volle ser-  „ bare iniftezzo a tanti Nemici per assicurare  „ il loro benessere , e la loro felicità .   „ Si è detto , che il peso dell’ Impero è  „ troppo grande ; ma questo è un vano terro-  „ re capace a «coraggi re tutt’ altri , che il Fi-  ,, glio adottivo di Giulio Cesare . La metà del  ,, Mondo ha già ubbidito alle vostre Leggi ;  „ finora non foste, che Triumviro , e l’ Im-  „ pero dell’Occidentè non fu per voi un in-  »; carico troppo pesante . Presentemente tut—  „ te le Nazioni godono quella pace , che voi  ,, «apeste ad esse procurare ; le nostre Fron-   che quelli , li quali hanno preso le armi con-  tro la loro patria , o contro il loro legittimo  Sovrano , sono ridotti in certa guisa nella ne-  cessità di continuare nel male , per. La poca si-  curezza , che trovano nel fare del bene . Non  osano di divenire innocenti per timore di sotto-  porsi alla discussione delle Leggi , che hanno  offese , e persistono ne loro errori , credendo ,  che il loro pentimento non trovi compassione .    ja?   •„ Nere sono difese da Governatori di vostra  „ scelta , e gl’ ordini non derivano , che da  „ voi dal Caucaso, ed il Mar rosso fino all’  „ Oceano Brittannico . Non si tratta più di  „ cercare, in che guisa potrete divenire il  ,, Padrone dell’ Impero ; ma con quali mez-  „ zi potrete sostenere quel peso , che il Cie-  „ lo ha voluto addossarvi;. Io spero di potervi  „ somministrare li mezfci ricercati.   », Formate Un Senato , che sia composto di  », persone sagge , e tranquille , nè la pover-  ,, tà deve essere un motivo , onde escluderne  „ li buoni Cittadini ; sarà non meno cosa van-  „ taggiosa , se unirete ai Senatori Romani  „ de’Soggetti stranieri scelti ancora Frà nostri  „ Alleati. Con questo temperamento, potrete  » ricevere de 1 buoni consigli , sia per il go-  ,, verno della Capitale , sia per contenere le  » Provincie lontane , e le cabale saranno meno  » frequenti tra Individui di diverse Nazioni .   » L’ordine de' Cavalieri è rispettabile, ma  » trovasi circoscritto da troppo anglisti con-  „ fini . Ammettetè ih questo ceto illustre , sen-  i, za fissarne il numero > tutti que’ sudditi  >> delle Provincie Romane , che ne sono de-  », gni , e per li natali , e per li servigj pre*  ,, stati , e per le ricchezze .   >» Li Pretori devono scegliersi dal Corpo  „ de' Senatori dopo cinque anni di servizio*   „ e dell’ età di anni trenta , giacché in avve, gerete iui Giudice subalterno col nome di  „ sotto-Censorc , che prenderà cognizione di  „ que’ leggeri disordini de’ Cittadini , che  , , non giungono al delitto , ma, che sogliono  „ cagionare delle inquietezze nelle famiglie ,  „ e che tolgono la quiete publica , ed il buon  „ ordine della Città . La carica di questi due  ,, Magistrati potrà essere a vita , non po*  „ tendo concepire alcun timore di due Uomini  „ inermi, che eserciteranno la giustizia sot-  „ lo i vostri occhii   „ Io non so, o Cesare , se il mio discorso  „ incontrerà la vostra approvazione , ma ciò ,  ,, che ho detto , mi sembra troppo necessario  „ a rendere il vostio regno pacifico . Conte-  ndete liberamente il diritto di Cittadinanza  ,, a qualunque Individuo , che ne sia degno *  „ delle Città alleate , e soprattutto delle Co-  „ Ionie , e cosi avvilirete questo titolo di  „ Cittadino Romano , che rende il Popolo  „ della Capitale si fiero , e affezzionandovi le  „ Nazioni straniere , ve le renderete fedeli *  i. Crescerà poi il loro affetto , se facendo con  „ precauzione una scelta de’ Soggetti li più    Digitized by Google    l3i   ,, ragguardevoli , li farete partecipi anche  y, degli onori del Senato . Che cosa importa ,  „ se il numero de’ nostri Senatori oltrepasse-  „ rà li trecento ? Più saranno gl* impieghi , e  „ le cariche da conferirsi , e più autorità vi  „ acquisterete , ed anche maggior sollievo .   „ E’ giusto , che sia fissato uno stipendio  „ per i Consoli , ed i Pretori , che mandere-  „ te nelle Provincie , giacché è cosa del tutto  „ vituperevole , che per mezzo di enormi  ,, concussioni , si aggiudichino da se stessi li  „ salarj de’ loro travagli , ed impongano tas-  „ se arbitrarie sulle Popolazioni , che go-  „ vernano. Se si porteranno delle lagnanze  „ contro l’avarizia di alcuni di quelli , do-  „ vranno richiamarsi all* istante , benché non  „ siano finiti li tre anni dell’esercizio della  „ loro carica ^ In generale poi sarà una giu-  yv sta misura di non prolungare ad alcuno il  „ tempo della sua amministrazione oltre a  „ cinque anni .   „ Ho detto , che bisognava moltiplicare il  » numero de’ Cavalieri ; perchè da questo  » Corpo rispettabile dovrete scegliere levo-  „ stre Guardie , a cui assegnerete de’ Capi-  „ tani . Allora la vostra Persona sarà più si-  „ cura, e se P uno di questi Capi diviene so-  » spetto , l’altro per emulazione veglierà con  y, zelo salii vostri giorni ; qneU’autorità poi,  >, che loro darete sul resto della vostra Casa ,  ' « li affezzionerà maggiormente al servizio , ,e   I a    i3a   „ se si conoscerà , che le loro incombenze  „ fossero troppo moltiplicate, potranno in  ,, parte discaricarsene su di alcuni subalterni  „ col nome di Luogotenenti -, che parimente  „ potrete nominare . Dallo stesso corpo de’  „ Cavalieri potrete estrarre ancora e gli Co-  j, mandanti della Polizia , che in tempo di not*  ,, te veglieranno sulla quiete di Roma, e gl*  „ Intendenti de' viveri, e li Presidenti del  „ pnblico Tesoro , e li Ricevitori delle rendi-  ,, te delle Provincie, (ij   „ Oltracciò oserò dirvi , che sarà bene  „ d’ impiegare ancora de’ Liberti per la ri-  „ scossione del pnblico danaro . Questa qna-  „ lità di nomini sarà adattata per sopportare  ,, l’odio inerente all* impiego di Esattore .  „ Con questo mezzo potrete far uso , e distri—   ( i ) L’ ordine de' Cavalieri desume il suo  stabilimento parimente da Romolo , il quale  avendo fatta la scelta di trecentpGiovani lipiù  valorosi , c benfatti , ne formò il Corpo di guar-  dia della sua Per sona . Allora erano chiamati  Celeri , ma posteriormente furono sottoposti ad  altre variazioni di nome al dire di Plinio lib.  32 presso il Sigonio de Antiquo Jure Civ. Rom.  Jib.t. cap.3. : Equitum nomea saepe variatum  est , in his quoque , qui adequitatum trahe -  bantur . Celerei sub Romulo , Regibusque ap-  pellati sunt, deinde Flexumincs, postea Trotta-  li : Fedi il sudetto Sigonio loc. cit.    Digitized by    i33   „ buire degl* impieghi , che serv'irannó di ri-  ,, compeiiza ai vostri domestici , e popolando-  „ rOriente,e l’Occidente d’individui fedeli.»sa-  „ rete con esattezza prevenuto della situazio-  „ ne delle Provincie lontane .   ,, Una delle cure le più importanti di un  „ Sovrano è di vegliare attentamente sulla  „ educazione della Gioventù in tutto 1’ Impe-  ,, ro. Vi siano adunque per questa delle pu-  „ bliche Scuole , delle Accademie per formar-  ,, la nel mestiere delle armi , e de’ Maestri  „ ben pagati per istruirla nell’ esercizio dcl-  ,, lo spirito , e del corpo . Da questa dipen-  „ de la forza dello Stato , e questi fiori colti-  „ vati con saviezza , produrranno il frutto a  „ suo tempo , e luogo . Procurerete però ,  „ che non venga educata nella mollezza, e  „ nella indolenza, altrimenti se ne risenti-  „ ranno in seguito gli effetti funesti ; Roma  ,, cesserà di esser feconda di Eroi , e tntto  „ l’obbrobrio ridonderà a carico dell’Autore  ,, della Monarchia, (i) "t   •• •• ■ •   ( i) Dion. lib 5a. pag.63a. : Hoc quoque te  summopcre hortor insticuas , ut Putridi , E-  questrisque Ordinis homines, dum adhuc pueri-   tiam agunt ,ludos literarios frequentent Ita e-   nim statini apuero discentes, et exercentes omnia  ea , qua e adultis sunt usurpanda , ad omnia  ne goda aptiorcs habebis. Optimi enim, ac egre -  gii Principi* est , non modo ipse ut omnia e*    v_    IS4   „ Anche le Truppe esiggono una particola.  „ re attenzione , come quel Corpo , che forse  ,, costituisce la porzione più necessaria, e  „ interessante dello Stato . Allorquando la  „ maggior parte delle vostre città godrà il di-  „ ritto della Cittadinanza Romana , vi riusci-  „ rà facile di rimpiazzare le vostre Legioni di  ,, Cittadini Romani • Fatene la leva in tutte le  „ contrade dell’ Impero ; siano puntualmente  „ pagate ; preparate loro de’ buoni quartie-  ,, ri , e non permettete , che invecchino sotto  „ le armi , poiché da ciò ne derivano le sedi-  „ zioni militari . Ogni Veterauo è ordinaria-  „ mente ardito, e presuntuoso ; perciò è ne-  „ cessarlo, che questa porzione di Truppe,  ,, facciali suo servizio senza interrompimen-  „ to dopo il fiore della gioventù fino al princi-  ,, pio della vecchiezza ; le vostre Legioni sia-  „ no sempre sul piede di guerra , ed in nu-  „ mero sufficiente per difendere le Frontiere.  „ Siano escluse dal vostro governo quelle le-  „ ve istantanee , e tumultuose , come soleva  „ altre volte praticarsi in caso di estremo  ,, bisogno . Fate si , che una porzione de'   nostri Contadini eserciti tranquillamente  ,, l’Agricoltura , nè i loro rustici lavori sie-  „ no turbati dal timore di dover ascoltare ad  „ ogni istante il suono della tromba guerric-   officio agat , verum , ut qua rat ione etiam re-  liqui omnes quarn optimi fiant , prospiciat.    Dii    ^Ciooglc    i35   „ ra , che ad essi annunzi degli arredamenti in-  „ volontari . ,Le Armate saranno assai deboli ,  „ allorquando non sono fonnate, che di suddi-  „ ti forzati a servire.   „ Si dirà , come trovare somme considere-  „ voli., onde mantenere tante Armate conti-  », imamente sul piede di guerra , e pronte  „ sempre a marciare a qualunque cenno del  „ Sovrano ? Questo è il punto decisivo , e  „ l’oggetto di terrore , che vi è stato pre-  „ sentato ,   ,, Ogni Stato ha le sue rendite , e voi pote-  „ te divenir padrone del Tesoro publico de’  ,, Romani . Basterà questo per dare esecu*  ,, zione al progetto , che io vi propongo ? Nò  », certamente; ma con una prudente , e savia  », economia vi si potrà supplire. Vendete le  ,, spoglie delle Provincie conquistate , e for-  „ matene , col prodotto, un fondo per libi-  7 , sogni straordinarj . Promulgate de’ sa vj re-.  „ golainenti , affinchè le campagne siano con  „ impegno , e profitto coltivate dai Proprie-  », tarj , ed esigetene un tributo sul loro pro-  „ dotto . Non è forse giusto , che con il sa-  „ grifizio di una tenne porzione delle loro so-  „ stanze , si acquistino la sicurezza , che voi  \, procurate ad essi , e a tutto lo Stato ?   Vegliate sulle miniere de’ metalli , che  „ si discopriranno nelle diverse contrade dell'  t, Impero . Esiggete puntualità nella riicos-    rU   „ sione delle tasse per testa , senza permette-  „ re , che li debiti si moltiplichino •• ' «   „ Procurate, che non si rappresentino al-  „ tri giuochi fuori della corsa de’ carri , e de’  „ cavalli, perchè ordinariamente le Città le  „ più opulente , sogliono esaurire le loro rie-  •„ chezze in futili divertimenti * Riguardo alla  „ «Capitale dell’Impero, gli edificj deggiono es~  „ sere in essa sontuosi , è li Spettacoli ma-  „ gnifìci; la Capitale è il centro di tutte le  „ Nazioni , e la maestà del Padrone , che gor  „ verna , si misura con la Città , ove risiede  „ conia sua Corte. Fuori di Ironia proibite  „ agli abitanti 1* eccessività delle spese , e  „ quindi con questo provido temperamento  „ tutti saranno in istato di pagare li tributi .  „ Si potranno inoltre dispensare le Provincie  „ a fare Deputazioni così frequenti . Li Go-  „ vernatoti respettivi ultimeranno gli affari  „ sulla faccia del luogo ; e se fosse necessa-  „ rio, che quelli dovessero rimettersi al vo-  „ atro Tribunale , li rimanderete al Senato .  „ Allora voi detterete le sne risposte , e sfug-  ,, girete di prendere sopra voi solo l’odio ,  „ che quelle potranno seco portare .   „ Fate partecipe il Senato delle querele ,  „ che gl’inviati delle Nazioni nemiche, o dei  „ Re stranieri potranno promuovere , ed a voi  „ solo riservate la cognizione delle grazie ,  » che loro vorrete accordare .   „ Non dovrete mai più permettere al Po-    „ polo la decisione de’ delitti capitali . Qne-  *> sta dovrà essere una ispezzione esclusiva  „ del Senato , il quale si crederà onorato di  „ un tale imbarazzo , e voi ne resterete con  piacere discaricato . Io però non parlo de’  delitti comuni , la di cui punizione è stata  regolata dalle Leggi . Per li attentati contro  »» la vostra persona (giacché tutto può acca-  „ dere ) siatene voi stesso il delatore , ma non  „ giudicate giammai nella vostra causa . Fate,  », che altri ne pronuncino la sentenza, e voi  ,, non dovete interessarvenc , che per mode*  », rare la pena .    55      » Non dovete fissare la vostra attenzione,  », come già ho accennato , nè alle parole in-  »> considerate de’ malintenzionati , nè alle sa-  j» tire , che si diffonderanno, contro di voi  ,, nel publico, e non curate di venire in co-  », gnizione degli autori ; poiché dovete figli-  » rar ?i , come situato in una sfera superiore ,  »• in cui siete invulnerabile , come li Dei .  *» La vostra collera non deve accendersi , che  » contro li sediziosi , che , posti alla testa  „ di una Armata, avranno rivolte le vostre  ,, armi contro di voi stesso . Il giudizio di que*  „ sti scellerati , e colpevoli di Stato , Indivi*  ,, dui ordinariamente di alta considerazione ,  „ dev essere rimesso per commissione ai Con*  >» soli antichi ; la qualità di tali Giudici darà  », peso alla decisione , che saranno per prò*    «38   „ nunciare . Vi saranno delle cause, dall’e-  „ game delle quali non potrete dispensarvi*  ,, imperciocché pii affari di onore fra gliUfh-   „ ciali delle vostre Armate , e gli Appelli dai  „ T ribunali del Prefetto di Roma , e del sotto*  ,, Censore devono tornare a voi; allora sce-  „ gliete degli Assessori fra i Patrizio al tri Sog-  „ getti qualificati , che possano figurare con  ,, voi in una Assemblea giudiziale .   „ La grande saviezza di un Padrone indi-  li pendente consiste nell’ ascoltare volentieri  ,, gli altrui consigli . Accogliete pertanto gra-  ti ziosamcnte tutti quegli Amici , e Cittadini,  „ che saranno per darvene dei salutevoli;  ,, ma non discacciate con orgoglio coloro, i  „ quali potrebbero suggerirvcne alcuni non  „ sodisfacenti. Quelli, dalla bocca de’qua-  ,, li sortono consigli poco utili , possono aver  „ avuto retta intenzione : Accade di que-  „ sti , come dei Generali di Armata battuti  ,, dal nemico ; Spesso l’errore non è imputa*  „ bile nè agl’ uni , nè agl’altri ; e siccome  „ non si può sempre rispondere degli avveni-  „ menti della guerra , cosi non deve riguar-  „ darsi con occhio bieco quell’ Uomo , che di   buona fede dà un consiglio poco sensato .   „ Li Filosofi procureranno sovente di gui*  „ darvi con le loro speculazioni . E’ vero,  ,, che avete sperimentato , quanto erano van-  *, taggiosi li consigli di Areo , e di Atenodo*    ,, 1-0(1^), ma generalmente parlando, le opi-  nioni di tali Uomini sopo difettose per man-  canza di esperienza nel maneggio degli affari -  Le meditazioni del Gabinetto sono spesso le  meno sicure in prattica • ( 2 )    ( i ) Atenodoro Filosofo Stoico era nativo  della Città di Tarso . Fa maestro di Augusto ,  dal quale Ju decorato di molti onori . ed anelli  di Tiberio . Aveva il talento particola) c per far  apprendere con facilità le scienze a' suoi Di -  scepoli . Le sue cognizioni erano cosi estese , e  tanta la forza della sua eloquenza , clic Sallu-  stio lo assomigliava al fuoco , che accende  tutto ciò , che gli si avvicina : Athenodorus  Stoicus Philosophus ( dice Suida f sub Octa -  vio Romanorum Imperatore omni-   bus ad Philosophiani subsidiis , tam ab iji ge-  nio , quam recta animi voluntate instructus  erat .... idemque dilucido discipulis suis  explicabat . Hunc Sallustius oh studiuni admi-  ratus , igni similem esse dixit , omnia propin-  qua incendenti : Secondo Strabope lib. 1 4 . pag.  463- aveva l' abilità di rispondere estempora-  neamente a qualunque argomento , e fu ono-  rato ancora da Marco Antonio il Triumviro ,  ììi lode del quale scrisse un Poemetto , dopo la  battaglia presso Filippi .   t fa') Dion. loc. cit. : Neque enìm quia A-  reum. , et Athenodorum bonos , ac honestos vi-  ro s expertus es , omnes alias idem studium prua-    i4o   „ Ecco , o Cesare , alcune massime geuera-  „ li per il Governo , clie renderanno la vostra  „ amministrazione Sovrana meno difficile, e  „ meno pericolosa di quello’, che vi è stata  ,, rappresentata . • .   ,, Le qualità personali del Monarca , so-  », pratutto quando è 1’ autore dellaMonarchia,  », devono eguagliare la sublimità del rango,  », al quale egli è giunto . Io credo , e so*  », no persuaso , che quello non deve in-   difierentemente accettare tutti i titoli , e  „ tutte le distinzioni , che l’adulazione potrà  „ deferirgli . La realtà della Monarchia vi  „ deve bastare sotto qualunque nome la rite*-  ,, niate . Che importa di esser chiamato Cesa-*  » re , o al più Imperadore , quando voi am-  „ ministrate sovranamente lo Stato Romano ?   „ Bisogna , che con una irreprensibile con  „ dotta v'innalziate dei monumenti perenni sul  „ cuore de’ Sudditi . Che cosa servono quelle  „ Statue d’oro , o di argento ? Sono stati eret-  „ ti nelle Provincie alcuni Templi a vostro  „ onore , ciò poco interessa ; ma non dovrete  » giammai permettere , che ve ne sieno con*  „ secrati in Roma , perchè sarebbe un oggetto  „ di disprezzo per le persone sensate , ed una   seferentes , similes eorum indicare debes , curri  hac specie usi multi infinita mala populis ,  privatisene hominibus adjeraut ,    . . , * 4 *   y, spesa inùtile , che pot là essere meglio im-   i, piegata.   - „ Fate uso voi stesso di economia nelle vo-  * stre spese particolari , ed in quelle della vo~  „ straGasa.La buona opinion, e,di un uomo frn-  » gale vi farà più onore di un grande numero  »> di tempj , di altari , e di statue . Questo  „ culto esteriore , e materiale diverrà comu-  „ ne ai buoni , ed ai malvaggi Principi .   „ D’altronde non si recherebbe insulto ai  Numi , con eguagliare i vostri onori a quel-  li , che il Popolo suole ad essi deferire ?   „ Un Sovrano , che cerca di essere onora»  to deve sempre mostrare della pietà verso li  „ Dei immortali , perciò nón permetterete,  ■„ che s’ introducano in Roma delle Sette re-  ligiose straniere . Una novità in materia  5 , di Culto , ne porta sempre delle altre , e  „ e quindi ne risultano attruppamenti sedi-  „ ziosi , e pericolose congiure . Ammetto ,  „ che restino frà noi degli Auguri , che con-  „ suiti , chi vuole ; ma non devono assoluta-  „ mente tollerarsi gli Astrologi , ed i Maghi ;  j) imperciocché dalle loro predizioni false , o  „ vere, che siano » hanno principio sempre  „ le intraprese dei perturbatori del publico  „ riposo, (i)   ... -fi) Dion. loc. cit. : Deos quoque senipcr ,  et ubique ita cole , ut moribus Patriae est recc-  ptum,ad eumdemque cultura ahos compelle. Pc-    * 4 *   „ Voi avrete indiverse parti delatori -, e.  „ spioni ; questa razza di persone saranno  „ necessarie, ma guardatevi di deferir cie-  „ eamenre ai loro rapporti . Spesso l’odio ,  „ rinteresse , la vendetta, o altre passioni  „ sciolgono agl’ uni la lingua , e chiudono   agl’altri la bocca . Qui è dove fa dnopo  ,, avere continuamente la bilancia in mano ,  „ e procurar di farla inclinare piuttosto a  „ favore degli Accasati .   ,, Li vostri antichi Amici , ed i vostri Do-  ,, mestici li più familiari devono esser per  ,, voi non meno un soggetto di precauzio-  ,, ne . Disprezzarli , sarebbe, un ingratitu-  ,, dine , sollevarli , ed arricchirli soverchia-*  ,, mente , produrrebbe contro di voi un ar-  „ goinento perenne di rimproveri, e dimor-  „ morazioni . Si giudicherà di voi per mez-  „ zo de’ vostri Amici , e i loro difetti sa-  „ ranno a voi attribuiti . Cercate adunque  „ di disfarvi dei meno discreti , e di quelli ,   „ che sono nelle loro brame insaziabili »   • ‘ ' v   • ... \ • 1 • i   regrìnarum vero Religionum auctor esodio , ac  Supp liciis prosequere , . qui nova numi -   na introducane , multos ad peregrinis Legibus  utendum pelliciunt ; inde conjurationet , coi- -  tioncs , et conciliabula existunt , minime unius  principe fui commodae res ; itaque nequeDeo-  rum contemptorem , ncque praestigiatorem al-  lum tolerabi * .    Digitized by G, regolato Governo : L’ingiusta preferenza  „ produce del malcontento , e quindi può  „ ancora cagionare il rovescio totale di quel-  „ lo. Siate il protettore dei Grandi fino ad  „ un certo punto, ma l’eterno sostegno dei  „ deboli, ed il vendicatore degli oppressi.  ,, Proteggete con energia le arte utili , clic  „ esercita il basso Popolo , e bandite gli  „ oziosi . Ordinariamente le sommosse popo-  „ lari incominciano da pe rsone disoccupate ,  *, e sono fomentate da nomi di partito , che  ,, si danno reciprocamente per farsi ingiuria;  „ ciò forma la sorgente delle rivolte , che   Fa duopo distruggere nella nascita.   „ L’abuso della propria autorità è il più  ,, grande dei mali per un Sovrano . Dare ese-  „ cuzione a tutto ciò , che si può , è lo stes«  i, so soventi volte , che fare più di quello è  >, permesso . Più utio si conosce potente , o  „ più bisogna > che vegli sopra se stesso per  „ non farsi trascinare dai proprj desiderj. Gli  ,, Adulatori vi lusingheranno sopra i vostri di?  : b fatti > ma segretamente vi biasimeranno .  „ Abbiate dunque per massima di regolare la  ,, vostra condotta , non tanto su quello, di   i, cui siete stato redarguito , ma sù quello ,  „ per cui potrete essere rimproverato . Ri-  „ flettete sopra voi stesso , e non già come  ,, Sovrano , ma come Suddito responsabile   j, di tutti i vostri andamenti al Publico , il    144   » quale vi osserverà con tnttà 1 attenzione ,  ,, e vi giudicherà con rigore maggiore di  quello , di cui voi userete verso di esso .  „ Ecco, o Cesare, il dettaglio delle qua.  „ liti, che voi dovete acquistare , c de'sco-  ,, gli, che dovete sfuggire. La sapienza , di  „ cui il Cielo ha voluto decorarvi , vi servi-  ,, rà di. guida , e 1* esperienza vi faciliterà  „ l’arte di governare . Entrate adunque ,  „ entrate con confidenza nella carriera, che  „ le vittorie vi hanno aperta ; Roma , e l’U-  „ niverso vi reclamano , come il solo Uomo  „ capace di riparare ai disordini di una  „ Repnblica andata in decadenza . Quelli ,  „ che vi esortano a consumare la Rivoluzio-  , ne , amano sinceramente la Patria . Che  ., dolcezze non gusterete in una amministra-  „ zione tranquilla , in cui voi farete la feli-  „ cita di un Mondo intero 1 Ninna cosa è più  „ dolce del dominio, allorquando il Domi-  „ natore è capace di procurare la comune fe-  „ licita. Non vogliate discacciare la fortuna ,  „ che vi ha scelto fra mille per sostener Ro-  „ ma vicina a cadere . Regnate senza prende-  „ re il nome di Re , e siate Sovrano senza  „ altro titolo , che quello di Cesare , o d'Im-  „ peradore . In una parola, la regola più si-  „ cura onde rendere amabile il vostro Im-  „ pero è quella di governare li popoli a voi  ,, soggetti , come bramereste di essere ga-    Digitized by    145   ,* vernato voi stesso, se i Numi vi avessero  ,, fatto per ubbidire (i).   Il tX scorso di Mecenate dissipò le dubbiez-  ze di Ottavio , gli trasfuse nell'animo maggior  sicurezza , e non esitò ulteriormente per  aderire al progetto di quello . 11 bravo Agrip-  pa non restò malcontento al vedere posposto  il suo sentimento, perchè comprese anch’es-  80, che il suo Padrone rischierebbe meno di  quello , che non si era creduto , sul posto  eminente > nel quale veniva consigliato a per-  petuarsi > e che l’utilità publica si trovereb-  be unita alla gloria del medesimo . Egli non  potè non ammirare la saviezza , e profondità  delle massime politiche di Mecenate , propo-  ste per rendere felice un'Amministrazione  Monarchica ; e perciò l’esperienza ci ha fat-  to quindi conoscere > che tutti li Re vera-  mente degni del Trono hanno formato il loro  piano sù quello , che il sudetto Mecenate pre-  sentò ad Ottavio . La lettura del suo discor-  so > che per intero ci è stato dallo Storico  Dione trasmesso è un Capo d’opera , che an-  che ai nostri giorni, ed in ogni tempo può  istruire li Sovrani a divenir felici , procu-  rando la prosperità de’ loro Sudditi (a).   Il laborioso Catrou , da noi tante volte, ci-  tato , suppone , che non ostante l' efficacia   *. ' «. .   ( 1 ) Dion. lib. 53 . Catrou Tom. 19 .   ( 2 ) Catrou loc. cit. lib. 5 .   K    t+6   delle ragioni dettagliate da Mecenate , V à~  nimo di Ottavio restasse tuttora perplesso ,  ed irrisolato ; e che il Poeta Virgilio deter-  minasse qnesta sua ir risolutezza , e lo indu-  cesse ad ahbracciare definitivamente il prò*  getto della Monarchia . Il Catrou parla in tal  guisa (i,) „ Osare, avendo ripieno lo spirito  „ di tutto ciò , che aveva ascoltato da Me-  „ cenate , non ebbe rossore di consigliarsi  ,, ulteriormente con uno de’ suoi domestici i  „ nomo di bassi natali , nato in un villag-  „ gio da poveri genitori , ma li di cui ta-*  „ lenti erano sublimi Questo fu il famosò  „ Virgilio, Poeta, la memoria del quale si  ,, conserverà in tutti i secoli . Da lungo tem-  ,, po egli era al servizio di Cesare Ottavià-  „ no, e per mezzo di vili principj èraginn-  „ to a meritarsi il favore delsno Padrone .  ,, Mecenate lo aveva tirato dalla polvere -,  „ ed egli aveva già spiegato quel genio in-  „ comparabile , che faceva presagire un al-  „ tro Omero .... Virgilio fissò la irrisointez-  „ za dell’ lmpefadore con queste parole :  ,, Tutti quelli , che si sono finora impadrb-  „ nifi del Governo non visorio riusciti, fe  „ perchè f Perchè po.o giusti verso degli  ,, altri , han dovuto, incessantemente paren-  ,, tare le mani vendicatrici de 'malcontenti *  „ Voi al contrario , o Signore, che il Cielò  - - *1 • -   ( i) loc. cit.     „ ha fatto nascere giusto , e moderato, pas-  „ serete giorni avventurosi , facendo pro-  ,, vare ai Romani un impero amorevole .   Sembra però, che il Catrou in questo luo-  go siasi fatto sorprendere da quella Vita di  Virgilio , che viene attribuita a Donato  Grammatico , e dì cui si è fatto di sopra  menzione (i). Siccome però questo scritto ,   (l) Il Succennato Autore della Vita di  V irgilio si spiega nel modo seguente . Postca-  quam Augustus summa rerum omnium poti -  tus est , venit in mcntem , an conduceret Ty-  rannidem omittere , et omnem potestatem an-  nuii Consulibus , et Senatui Rempublicam red-  dere . In qua.re diversae sententiae consu/tos  habuit Mae cenai eni , et A grippata . Agrippa  enim utile sibi fare , edam si honestum non  esset , relinquere Tyrannidem longa oratione  contendit , quod Maccenas dehortari magno-  pere conabatur . Q tiare Augusti animus et hinc  ferebatur , et illinc . Erant enim diversae scn-  tentiae , variis ratiombus firmatae . Rogavit  i gi tur Maro ne m , an conferat privato homi -  ni, se in sua Republica Tyrannu/n faccre .  Tum ille : Omnibus ferme , inquit , Rempu-  blicam aucupantìbus molesta ipsa Tyrannis  futi, et Civibus ; quia necesse crat odia sub-  ditorum , aut eorum injustitiam , magna su-  spicione , magnoque timore vivere . . . Q uare  si jusCitiam , quod modo facis , omnibus in   K a    a sentimento di tuffigli Eruditi, è pie nò di  errori, e di favole , cosi non può fissare la  nostra attenzione su quanto narra di Ottavio  nel momento , in cui stava per decidersi sul-  la scelta o della Monarchia , o del ristabili-  mento della Republica .   Se sussistesse ciò , che ivi si legge , cioè >  che Vi rgilio determinasse il sudetto Ottavio  ad uniformarsi al sentimento di Mecenate,  non si sarebbe certamente omesso da tanti va-  lenti Biografi , « he hanno parlato diffusamen-  te , e di Virgilio, e di Ottavio ; e Dione se-  gnatamente , che ha trasmesso alla posterità  gli eloquenti , e giudiziosi ragionamenti di  Agrippa , c di Mecenate , e che inoltre af-  ferma positivamente , che Ottavio si attenne  al parere del secondo , sembra , che non  avrebbe occultata una notizia cosi interes-  sante , e rimarchevole.   11 De la Rue accenna appunto questa ragio-  ne per escludere la verità di quella circo-  stanza narrata dal sudetto Donato „ Se non  „ fosse un fatto del tutto assurdo ( dice egli )  ,, che Virgilio consigliasse Ottavio ad aderì-  ,, re al progetto di Mecenate, e che deter-  ,, minasse l’animo vacillante di quel Princi-   futurum , nulla hominum facta compositione ,  distnbues ì dominar i te , et tibi conducet , et  orbi * . . Ejus sentcntiam sequutus Cattar Pria-  eipatum tenuit »     149   » pc , non si sarebbe narrato dal solo pseu-  i, do-Donato, ma sarebbe stato ai posteri  „ trasmesso dalla penna ancora di Storici  il rispettabilissimi (i).   V Ambrosi, che pensava come de la Rne ,  nel premettere alla sua magnifica Edizione  dell'Opere del sudetto Virgilio la indicata Vi-  ta di Donato, cosi previene il Lettore infi-  ne della medesima e in cui visse •.  „ Imperciocché nveutre Sesto Pompeo , fi-  ,, gliò del gran Pounpeo, richiede il Patri-  „ monio paterno , sconvolge , e mette sos-  „ soprali mari d’Italia, e di Sitilia; men-  », tre Ottavio si vendica degli Uccisori di  „ Giulio Cesate ano Padre , si divellano  „ scene sanguinose nelle Campagne della  », Tessaglia; mentre il genio incostante, e  ,, e volubile di Marco Antonio , o deprezza  », Ottavio , corno successo re di Cesare , o  ,, acciecato dagli amori di Cleopatra , in-  „ dina a divenire un assoluto padrone del  „ Governo , il Popolo Romano no» potè tro-  ,, vare il. suo seampo » che gettandosi in brac-  • „ ciò alla schiavitù . Ma buon per noi, che   «, in cosi terrihile sconvolgimento di cose»  i, le redini del comando caddero nelle mani  ,, eli Ottavio Cesare Augusto, il quale eoa  », la sua sapienza , e con la sua sagacitàsep-    Digitized by Google    I    - J    i5a   „ pe riordinare le membra scomposte dell’   „ immensa mole dell’ Impero , che non sa-  „ rebbero tornate sicuramente al suo luo-  » go , se dalla meote , dal senno , e dalla  „ abilità di un solo non fosse stato il Gover-   no diretto (; ) .   ( 1 ) Fior. lib. 4 Cap. 3 . Populus Poma-  nus , Caesare , et Pompe\o trucidati , redas-  se in statum pristinac libertutis videbatur ;  et redierat , nìsi aut Pompcjus Liberos , aut  Cassar haeredem reliquisset ; vel quod utro-  qua perniciosius juit , si non collesa quoti -  ,tlam , mox acmulus Caesarianae potentiac ,  fax , et turbo sequentis saeculi , superfuissec  Antonius . Quippe durn Scxtus paterna repe-  tit , trepidatum foto mari ; dum Octavius mor-  tevi patris ulciscitur , ite rum fuit mo venda  Thessalia ; dum Antonius , varius ingenio ,  aut successorem Cassar i indignai ur Octavium,  aut amore Cleopatrae desciscit in Pegem j  nam aliter salvus esse non potuit, visi con-  fugisset ad servitutem . Gratulandum tamen  in tanta perturbatione est , quod potissimum f   ad Octavium Caesarern Augustum somma re-  rum rediit , qui snp lentia sua , acque soler -  tia , perculsum undique , et perturbatovi or-  dinavi Impcrii corpus ,i quod ita haud d ti-  bie nunquam coire , et consentire potuisset ,  nisi uni us Praesidis nutu , quasi anima , et  mente , regcretur , ... / v. : v    Digitized by Google.    IIBRO IV.    .... ' : . I ' - • ;   Il grande progetto della Monarchia unfc*  versale da Mecenate proposto , non era co-  nosciuto , che da esso , da Agrippa , e da  Ottavio . Siccome il silenzio è l'anima del-  le imprese delicate , cosi questo dovette esi-  gere da Agrippa un segreto inviolabile , do-  vendosi mettere in esecuzione con metodo,  con circospezione , lentamente , e senzacbe  i Romani potessero avvedersene , giusta le  istruzzioni dell’Antore del medesimo . Otta-  vio segni in tutte le parti li consigli di que-  sto savio Politico , e gli fu debitore della suar  gloria , e della felicità del suo Regno .   In fatti riformò subito il Senato.; ed es»  eludendo que’ Soggetti , la di cui presenza in  quel Corpo rispettabile , o non poteva reca-  ve alcun vantaggio, o cagionargli del male ,  ve ne sostituì degli altri di sperimentata pru-  denza . Usò in questa riforma la precauzio-  ne di far vedere , che da esso era quello  in special maniera onorato , per non cade-    «54   re nella stessa disavventura , alla quale fn  sottoposto Giulio Cesare , il di. cui disprez-  zo ingiurioso per un Magistrato composto del-  le più illustri Famiglie di Roma, fu più ve-  ramente la cagione della sua morte funesta ,  che l’interesse della publira libertà (i).   Aboli tutti li debiti dai Cittadini contratti  con lo Stato. Dichiarò nulli tutti gli Atti,  che la necessità del tempo aveva fatti pro-  mulgare nell’epoca del Triumvirato , Abbel-  lì Roma di grandiosi Monumenti , e diven-  ne ristoratore di un grande numero di Tem-  pli , li quali o le guerre passate avevano  rovinati , o per mancanza ,di denaro, erano  stati negletti. ? ,   Stabili, che la distribuzione gratuita del  grano, che, per costume antico j; soleva far-  si .al Popolo sopra li fondi, del publico Te-  soro , fosse più frequente , e che in ogni di-  stribuzione se ne dasse alle povere famiglie  una misura quadrupla di quella , che prima  era in usanza . Questi , ed altri regolamenti  salutari gli conciliarono una stima generale ,  ed era, per dir cosi, idolatrato da tutti.   Allora Mecenate si avvide con la profon-  dità delle sue viste politiche , che il suo Pro-  getto era giunto alla maturità, e che il Se-  nato, Roma, e tutti gli Ordini dello Stato  erano già disposti a riconoscere l’impero di   ( 1 ) Echard loc. cit, ...... .    Diqitized by Google    un solo nella persona del sno Padrone ; per-  ciò concepì un secondo Progetto , per ulti-  mare il primo , che sembrava piuttosto stra-  vagante , e pericoloso, ma che doveva inse-  guito produrre tutto il suo effetto .   Consigliò pertanto ad Ottavio', che si pre.  sentasse in Senato, e con un discorso politi-  co , ed artificioso rinunciasse al comando  assoluto , che allora riteneva , rimettendolo  nelle mani de'snoi antichi Magistrati . Gli fe-  ce riflettere , che con questo mezzo non solo  non lo perderebbe , ma anzi avrebbe ottenu-  to , eh’ egli , il quale finallora era stato ar«  bimanamente Padrone del Mondo, per con-  senso di tutta la Nazione , sarebbe divenuto  Monarcha legittimo ; inoltre , che , median-  te le riforme già fatte e nel Senato , e nel-  le altre Magistrature, erasi procacciato una  quantità di Partegiani , che per le sue libe-  ralità, per la sua giustizia , e per lesile ma-  niere obbliganti era sommamente amato dal  Popolo ; che in conseguenza , allorquando  questo , ed il Senato avrebbero inteso pro-  nunciarsi da]la bocca del loro benefattore la  rinunzia alla direzione del Governo, o per  riconoscenza , o per rispetto , o per politi-  ca , o per non perdere le dolcezze della vita ,  e del buon ordine , ch’esso aveva introdotto ,  non solo non avrebbero accettato la propo-  sizione , ma lo avrebbero pregato a perpe-    — •BTgitized by Google     1 56   tnarsi in quell’impero , acni finallora aveva  preseduto .   Ottavio adunque penetrato , e persuaso  dalle ragioni , donde era stato dal suo Mini-  stro istruito, si presenta in Senato, e con  un’aria d’ingenuità , e di franchezza sorpren-  dente , in tal gnisa si fece a parlare : La   >, proposizione , che io vengo a farvi , Padri  t3 Coscritti , sarà da pochi approvata , e da  molti stimata incredibile . Soventi volte la  j, diffidenza , con cui sogliono riguardarsi le  ** persone costituite in dignità, fa rendere  sospette le medesime , anche quando par-  „ lano , ed agiscono sinceramente , Io mi  „ esporrei immancabilmente a questo peri-  n colo, se non fossi determinato di dare una  s pronta esecuzione a quanto sono per prò-  A porvi . Voi vedete , Padri Coscritti , a qual  » rango sublime mi hanno fatto giugnere la  ,, sorte delle armi , ed una condotta modera-  „ ta . Capo assoluto , ed indipendente della  „ Repnblica , io sono in istato di far uso del-  »» m i a potenza , e di perpetuarmela . Ap-  ,, pena uscito dalla fanciullezza , impugnai la  >1 spada , e volai a vendicare l assassimo di  „ un Zio , che mi aveva adottato per figlio,   ,, Nel momento, in cui entrai in questa car-  n riera, presi la giustizia per guida , e la  ,, vittoria divenne mia compagna . Fui co-  iì stretto a combattere con nemici di diver-  ,, so carattere , e di qualità differenti . Bi*    ,, sognò dissimulare con alcuni , ed aprire con  „ essi delie relazioni per non soccombere  j> sotto il peso della moltitudine . Mi con-  „ venne in seguito perseguitare gli altri ar-  dilaniente , e costringerli a rivolgere con-  „ tro essi stessi quel braccio , che era stato  „ funesto a Giulio mio Padre . Mi associai  „ alcuni compagni delle mie vittorie , e divi-  „ si con essi il peso del Governo . Che cosa  „ quindi ne accadde ? Lepido in Africa lasciò  decadere con la sua negligenza gli affari di  „ Roma ; Antonio , esposto nell' Egitto , e  „ nell’Asia , come su di un teatro , disonorò  „ con la sua turpe condotta il nome Romano ,  j, e lo rese abbominevole a tutto l’Oriente .  „ Il Cielo secondò quello zelo , che esso stes-  „ so mi aveva trasfuso per riparare a tali di-  „ sordini v Antonio non esiste più, e Lepido  ,, vive nell’ozio giorni felici per un uomo  del suo carattere .   * „ Che cosa vi aspettate , Padri Coscritti ,  ,, da un Vincitore, padrone del suo, e del  vostro destino? Tutte le Fazioni sono di-  „ strutte; ogni corpo di armata sulle Frontie*  ,, re è comandato da Geuerali, che godono tut-  ,, ta la mia confidenza . Li Re nostri Alleati  ,, non ricevo.no l’impulso , che da miei cenni ,  „ ed i loro soccorsi non marciano , che agli  „ ordini miei. Il denaro proveniente dalle  „ nostre rendite non è versato , che nel mio  i} tesoro , e non ne va nelle publiche casse ,    158   „ che quanto io ne permetto . Fiù . Io eono-  „ sco i vostri cuori , e quello del Popolo Ro-  ,, mano in generale . Io potrei rispondere del  „ vostro affetto verso di me , e riposarmi  „ sulla publica benevolenza . L’indipendenza  „ adunque , e la Sovranità possono andare  „ più oltre? Ma perchè tenervi più lunga-  „ mente sospesi ? Ascoltate con attenzione le  „ mie parole , ed il suono delle medesime  „ faccia passaggio alla più lontana posterità .   ,, Questo Vincitore , Sovrano assoluto ,  „ questo Generale Supremo di tutte le forze  „ di Roma , questo linperadore adorato dal  „ popolo sagrifica al bene della Patria gli ono-  „ ri , di cui lo avete ricolmato , li titoli ,  ,, che gli avete Conferiti , in fine tutto il frut-  „ to delle sue vittorie . In questo istesso  „ istante io vi restituisco li miei diritti sulle  „ Armate, sulle Leggi, sulle Finanze, sul  „ governo delle Provincie , in una parola sù  „ tutto ciò , che voi mi avete accordato , e  „ che la necessità delle circostanze mi haco-  „ stretto ad accettare. Che volete di più?   Ora si dica pure , che io non ho travaglia-  „ to , che per il mio ingrandimento , quando  „ mi esposi a tutti li pericoli delle battaglie .   ORoma, tu fosti sempre presente agl’oc-  ,, chi miei ! A Perugia , nelle Campagne di  „ Filippi , in Sicilia , nel Golfo di Ambracia,  ,, e nell’Egitto! A te sola io allora immolava  >, li tuoi , e li miei Nemici , e non fui prodi-    1S9   if go del mio sangue , che per assicurare la li-  „ berta Romana . Ah fos'se piaciuto ai Numi ,   „ che io non avessi impiegato il mio Ministero  „ in guerre civili , che ci hanno esaurito di  „ Cittadini , e spopolato le Provincie . O mia  „ cara Patria , perchè non ti trovai tranquil-  „ la , conte al tempo de’ Padri nostri ! Cielo t  „ tu non me lo hai permesso ! Benché giova-  •„ netto mi scregliesti per essere il vendicato-  }> re del più perfido assassinio , il riparatore  „ degl’insulti recati alla Nazione Romàna , il  „ ristoratore della nostra gloria eclissata, e  „ finalmente il pacificatore di tutto il Mondo!  ,, La mia opera è compita > ed ho pienamente  „ sodisfatto ai miei destini .   „ Permettete > Padri Coscritti , che iomen  „ vada nella solitudine a bearmi di quella fe-  >, licità , che io stesso ho procarata . Ora non  „ posso , senza ingiustizia ritenere più lun-  ,, gamente un potere , che a voi appartiene ;  ,, e questa mia volontaria cessione è dovuta  „ alla mia propria sicurezza , per mettermi  „ al cotperto degli assassini . Che anzi non so-  ,, lo vi rendo le vostre leggi , e tutti li vostri  „ antichi privilegi , ma vi dono eziandio l’o-  „ pulento mio patrimonio , e le prerogative ,  che io posseggo per diritto della mia nasci-  ta(i).    (i) Dion. lih. 53. Catroutom. 19 . » dotta , e nelle tue operazioni , nè mire am-  >» biziose , nè avarizia , nè verun’ altro di  ,, que vizj , che sogliono albergare ne Cor-  „ tigiani, e nelle Corti . (i)   Properzio scrivendo allo stesso Mecenate ,  ci da à conoscere , che quel suo disinteresse  per gli onori sublimi , ai quali avrebbe potuto  pervenire , prodnceva un’ azione si gloriosa ,  e commendevole , che il di lui nome sarebbe  dalla fama, e dai posteri celebrato al pari di  quello de’ Camilli . (a)   (1) Apnd Pontan. in Symb. Georg. Virgil.  lib. a. pag.aay.   Regis eros genus Etrusci , tu Caesaris olirà  D exter a , Romanac tu vigili] ibis eras .  Omnia curri posscs tanto tam carus amico ,   T e sensit nemo posse nocere tamen .   ( 2 ) Lib. 3 . Eleg.7.   Maecyias eques Etrusco de sanguine Regum,  Intra fortunam qui cupis esse t narri    Di più questo suo morigerato contegno, e  Mobile disinteresse serviva anche d’esempio  alle famiglie le più cospicue de’ Romani Cava-  lieri , e ne ebbe imitatori, ed ammiratori.  Crispo Sallustio, fri gli altri, nipote di una  soìclla dello Storico di questo nome , seguì  perfettamente il tenore di vita di Mecenate . „  „ Sul finire di quest’anno (Scrive Tacito) mo-  ,, rirono due illustri personaggi Lucio Volu-  „ sio , e Sallustio Crispo . * . . Questo, ni-  „ potè di una sorella di quel Cajo Crispo Sai*  „ lustio elegantissimo Sri ttorc delle Storie Ro*  ,, mane > da cui fu associato alla sua Famiglia ,  ,, aveva tutti li mezzi li più potenti per otte*  „ nere qualunque dignità ; tuttavia , emù*  ,, landò la condotta di Mecenate , senza il ti-  „ tolo di Senatore , Superò in potenza molte  „ famiglie,che erano state decorate delTrion-  „ fo , e Consolari » . » . Mentre visse Me-  tani libi romano dominas in honore sccures ,   Et liceat medio ponere jura foro . >    Et tibi ad effectum vires dei Caesar, et omni  T empore tam faciles insinuentur opes ;  Parcis , et in tenues h umile m le collegi* um-  bras ,   Velorum plerMs subtrahis ipse sinus .   Crede mihi magnos aequabunt ista Camillos  Jndicia , et veniet tu quoque in ora virum ,    Ì76   ,) cenate , Crispo fu il secondo > cui venivano  „ affidati li segreti Imperiali ; fu il primd  i, però , quando quello cessò di vivere, (i)   Ciò non ostante Augusto procurava di com-  pensare questo commende’vole distacco dagli  onori luminosi del suo Favorito colli tratti del*  la più tenera amicizia , e della più sincera  confidenza . Imperciocché , allorquando il  peso, e la serie degli affari del Governo gli  lasciavano qnalche tregua, si portava sovente a  visitarlo anche nella maestosa Villa , che pos-  sedeva sulle fertili sponde dell’Aniene . ( a )   Quivi Ottaviosi compiaceva di rivedere l’a-  mico, di consultarlo, e di riceveie sempre  consigli , istruzzioni , e massime per ben g ■  vernare, e per ben governarsi ; che anzi vi  è chi crede , che il memorabile Congresso frà   (1 ) Tacit. Andai, lib.3. cap-.3o. : Fine anni  concessere vita insignes Viri L. V olusius , et  Sallustius Crup us . . » . . Crispum equestri  crtum loco , C. Sallustius , rerum Romanarum  flore ntissimus auctor , sororis nepotem in no-  mea adscivit ; atque Me , quamquam prompto  ad capesse ndos honores adita, Maecenatem ae-  mulatus , sine dignitatc Senatoria multos  Triumphalium , Consulariumque potentia an-  teiit ...... Igitur incolumi Maecenate   proximus , mox praecipuus , cui secreta Im-  peraiorum inniterentur .   (a^ Marquez Dis. sulla Vita di Mecenate.    *77   Ottavio , Mecenate , ed Agrippa , e le deli-  berazioni per rinunciare , od accettare la So-  vranità fossero tenute nella tranquilla solitu-  dine, e nel dilettevole silenzio di questa Vil-  la deliziosa . Ed in vero qual luogo più oppor-  tuno per trattare con riflessione , maturità , e  quiete un oggetto cosi grande , che aveva rela-  zione con gl’interessi dell’Universo ? ( 1 )   Di più ; se Ottavio era sottoposto a qualche  infermità, non già restava nella Corte, in  mezzo a suoi domestici , ed agli adulatori .  Esso non si trovava contento , e non sentiva  sollievo alle sue fisiche indisposizioni , che  nelle mura dell’abitazione , e fra le braccia    (i) Volpi Lat. Vet. lib.18.Cap.?. Cumvero  bis Augustus deliberaverit de su.mma Imperli  abdicando , et inpristinam restituenda Reipu-  blicae libertate , et in gravissima e deliberatiti—  nis consultationem Agrippam generum , et  Maecenatem amicissimum arbitros , et consilia-  rios assumpserit , quemadmodum in majoris mo-  menti rebus omnibus consueverat .... Agrip-  pa ad illum longissimatn prò abdicando ora -  tionem habuerit , prò retinendo ac optime in -  stituendo rerum regimine Maecenas , haec in  nostra Tiburti Villa Maecenatiana , ut potè in  serhoto à turbis , securoque odo , agitata fuis-  se , vehementer , ut suspicor , inclinat ani-  mus .    M     178   del suo Mecenate . Svetonio (i) ci dice chia-  ramente , che quello in tempo delle sue malat-  tie riposava nella casa di Mecenate . Ma la  stima , la tenera amicizia , la fiducia , il ri-  spetto , che dimostrava Augusto verso Mece-  nate , non si limitavano soltanto a queste sem-  plici dimostrazioni , che possono chiamarsi  materiali, e passeggere; egli amava di esse-  re istruito incessantemente da quello nelle vie  difficoltose del Governo , e ne riceveva anco-  ra con tutta la rassegnazione li più umilianti  rimproveri , quando conosceva, che erano  diretti contro le sue passiotai t-   Fra le altre istruzioni benefiche , e saluta-  ri , che MècènAte aVevà suggerite ad Ottavio ,  vi era quella , coti la quale gli veniva rac-  comandata la moderazione , perche aveva co-  nosciuto, che l’animo di questo inclinava al-  la severità, ed all’ira . A tale effetto pare ,  che si facesse seguire da Mecenate in tutti li  suoi andamenti , ed in particolare maniera *  quando doveva sedere nel Tribunale , come  Giudice supremo .   Allora Mecenate esaminava le sue mosse  la sua voce , e li suoi delineamenti , e se ri-  marcava , che T lmperadore agiva con dol-    fi) In Octav. in Art. 77. Aeger autetìi  ( Augustus ) in domo Maeccnatis cu.ba.bat »    *79   eezza , con giastizia , a sangue freddo , e non  si faceva sorprendere dal risentimento , che  porta con se la severità , lasciava , che ope-  rasse liberamente , e se ne compiaceva ; ma  se scorgeva , che nel Giudizio Voleva far nso  di nn rigore soverchio , eccessivo , e non  giusto, anche sul Tribunale»- in mezzo alla  moltitudine > che lo ascoltava > e dond’ era  circondato, lo redarguiva , lo faceva torna-  re in calma , egli faceva rammentare la sua  massima salutare ,   GTIstorici tutti hanno avuta l’attenzione di  trasmettere alla posterità un esempio memora-  bile del dominio , che Mecenate aveva sullo  spirito di Augusto per farlo marciare con la  moderazione > e con la dolcezza al fianco in  ogni sua intrapresa . Sedeva egli una voltata  qualità di Giudice alla presenza di molti Accu-  sati , che attendevano la loro sentenza . Me-  cenate si avvide , che stava per pronunciare  contro quegl’ infelici la sentenza di morte .  Siccome conosceva» che era ingiusta , e la  folla del popolo non permetteva di avvicinarsi  al Tribunale, e nel luogo , sù di cui sedeva ,  •crisse queste parole ardite nelle sue tavolet-  te incerate > e nello stesso tempo gettolle ad  Ottavio „ Sorgi , o carnefice , ed esci da que-  sto luogo „ Ottavio conobbe la mano di chi le  aveva scritte , si rammentò subito di ciò , che  forse per nn momento aveva dimenticato, si     i8o   levò dal T risanate , e dimandò assolati quegli  Accasati (i) .   Che Mecenate avesse un impero irresistibi-  fé suH’ahimo di Angusto , e particolarmente  ne’movirtie'rtti dell’ira , e della severità , lo  fece conoscere lo stésso Angusto , quando  quello aveva cessato di vivere , e di assister-  lo . Giulia sua Figlia aveva ricoperto di  scandalo la Corte con le sue dissolutezze .  Il Pad re sommamente rammaricato non poteva  rimediare n questo disordine domestico . Tr.v  sportato dall’impeto della collera, rilegò la  Figlia , e rese publica la di lei disonestà . Po-  co dopo rientrato in se stesso, si penti de’suoi  trasporti inconsiderati , e di questa publicità,  che disonorava la sua casa . Allora ricordan-  ti^) t>!on. lib. 55. pag. ^ 20 . Tarn vero si -  cubi ira impoteutius efferretur , utile m cura sibi  habuit , a quo ab ira ad mansuetiorem animum  reduceretur . Unus ejus rei documentarti prof e-*  ram . Praesetite aliquando Maecenate , Augu.  stus prò Tribunali stdens , cum multos esset  morte damnaiuras , praevidens hoc /ore M ac-  cenni , cum per circumstantium coronam ad  ipsum irrumperè , ac proximc assistere ne qui -  rct , haecvcrba in tabella scytpsit : Surge ve-  ro tandem , Carni fex ; vamque Tabellam , qua*  si atiud quid indicantem , in sinum Augusti  projecit , qua lecca , is statini suri exit , nomi *  ne morte mulctato .    i8l   dosi di Agrippa , e di Mecenate , e della sag-  gezza de’consigli , che da essi soleva ricevere  quotidianamente , esclamò replicate volte .  « Ah , che questo non mi sarebbe accaduto ,  „ se o Mecenate , o Agrippa fossero stati  „ ancora al mio fianco fi ).   Dal contesto della Storia , che ha parlato di  Angusto , e di Mecenate , si rileva agevolmen-  te , come , dopoché quello si assise , e conso-  lidò sul Trono Imperiale , e fu messo in piena  esecuzione il sistema della Monarchia univer-  sale, questo si ritirasse affatto dalla grande  amministrazione degli affari politici . Finché  il suo amico lottava co’nemici , che si oppo-  nevano alla di lui grandezza futura , egli com-  pariva in mezzo alle imprese le più rilevanti ,  e spinose, affrontava delle ambascerie mala-  gevoli , contribuiva a trattati di pace li pia  vantaggiosi , diveniva Prefetto , Amministra-  tore , ed Arbitro dell’ Italia , e di Roma ; quan-  do però quello non ebbe più nemici a combat-  tere , più rivali da distruggere , e restò cqn-   ( 1 ) Seneca de Benef. lib. 6. Cap. Di-  vus Augu, tus filiam intra pudicitiae male di-  ctum impudicam relegavi! , et flagiti* Pi ilici-  palis domus in publicum emisit . . . deinde cum  interposito tempore .... verccundia gemens ,  quod non illa silcntio pressisset . ... Saepe ex -  clamavit ; Horum mihi nihil accidisset , ti ani  A grippa , autMaecenas vixistet    . 1 8a   vinto , e persuaso a gettare la base della sudet-  ta Monarchia universale , e che a tale effetto  gli fu presentato il Piano, furono fissati li  principj , e le più savie istruzzioni ; in una  parola, dopoché fu sistemato il nuovo Gover-  no politico , Mecenate , che aveva a tutto con-  tribuito, che aveva collocato il suo Amico , e  il suo Padrone sul Trono deirUniverso , e sul  rango il più eminente , a cui potesse giungere  un mortale , abbandonò , per dir cosi , le va-  nità del mondo , ritirandosi fra le dolcezze di  una vita privata, e tranquilla . Continuò a  prestare li suoi servigi all'Imperadore , ma  lungi dallo strepito della Corte ; consigliando-  lo sempre a farsi amare , e a fare amare il suo  Governo .   Dopo questo ritiro però. Mecenate non  già viveva nell’ozio , nell’oscurità, e nell’in-  dolenza . 11 genio del grand’Uomo non era ve-  nuto sulla terra per desistere , negli anni mi-  gliori della sua vita , dal far del bene ai suoi  simili , ed alla posterità . Coll’aver consiglia-  to Ottavio ad accettare l’Impe ro in quell’epoca,  e in quelle circostanze , aveva reso un gran-  de vantaggio all’ umanità , giacché con que-  sto mezzo aveva troncato la testa al mostro  spaventoso delle fazioni , sempre famelico di  sangue umano , e di stragi ; aveva ricondot-  to la sicurezza , e la concordia nelle famiglie ,  la pace nella Capitale , nell’ Italia , e nelle  Provincie le più remote . Egli però voleva ,    i83   e doveva fare di più; -una nazione già colta,  doveva migliorarla, un secolo già istruito do-  veva perfezionarlo . Protesse in grado emi-  nente , e fece proteggere da Augusto le ar-  ti , li letterati , e le scienze , e nacque su-  bito il secolo d’oeo del Fune , c delle altre .   Si ; dobbiamo pur confessarlo, e confessarlo  con tutta giustiziala posterità è debitrice all’a-  nima benetica di Mecenate di tutto ciò , che di  bello,riguardo alle arti , ed alle scienze risultò  in quel secolo avventuroso , che noi riguardia-  mo con ammirazione al presente, e che non  meno dovranno ammirare tutte le colte future  generazioni . Amando quello , e proteggendo ,  facendo amare , e proteggere dal capo dal Go-  verno li talenti , fece si , che questi si svilup-  passero con energia , e prodigassero opere  capaci ad istruire , e migliorare lo spirito ,  ma incapaci ad essere eguagliate .   Li Poeti migliori di quel serolo hanno cele-  brato questo favore , e questa protezione di  Mecenate , e ci hanno fatto conoscere al tem-  po stesso , che egli era un protettore pieno  di discernimento , illuminato , che non conce-  deva il suo affetto , che a soggetti veramente  colti , e di talenti forniti , e che fra quelli ,  che esso accoglieva, e proteggeva, regnava una  concordia inalterabile „ Nella Casa di Mecena-  „ te (dice Orazio) regna la purità, e la  ,, schiettezza ; vi sono banditi tutti que’disor-  „ dini, che sogliono eccitare l'invidia 4 la     1S4   ,, gelosia, e la falsa emul azione , ed ognuno  „ indistintamente occupa il suo posto , nè si  „ bada a chi sia più dotto , o più ricco (i) .   Mecenate riguardava negl’uomini il solo me.  rito . Ogni dotto veniva da esso con amorevo-  lezza accolto , qualunque fosse la di lui estra-  zione. Secondo li suoi prìncipj saggi , e fonda-  ti sulla natura, ognuno era nobile, quando  era virtuoso " Sebbene , o Mecenate , ( sog-  „ giunge il detto Poeta ") ninno sia più illustre  „ dite, fra tutti quelli , che vennero dall’  „ Asia a popolare le Toscane Contrade , e  „ e sebbene un di li tuoi grandi Avi , co-  „ mandarono vaste Regioni , tuttavia sei   (1) Horat.Sat. 9. Lib. 1.   . . . Maecenas quomodo tecum ?   Hinc repetit . Paucorum hominum , et mentis  bene sanae ,   Nemo dexterius fortuna est usus . Haberes  Magnum adiutorem , posset qui ferrc secundas ,  ffunc hominem velles si tradere ; dispeream ni ,  Summosses omnes . Non isto vìvimus illic ,   Quo tu rere modo i Domus hac nec purior ulla  est ,   Nec magis hit aliena malis ; nilmi officit um~  quarti ,   Ditior hic , aut est quia doctior ; est locus uni -  Cuique suits . Magnum narras , vix credibile ;  atqul   Siehabet . . ' . ,    i85   „ tanto buono , e modesto , che non sai ego-  „ mentarti , ne aggrinzare il naso , come fan-  „ no li superbi , nella società di gente igno-  ,, bile , quale , fra gli altri sono io , figlio di  „ nn padre libertino; Imperciocché taserbi  „ la massima degna di tutti gli elogj , che nul-  „ la nuoce ad nn individuo la bassezza de’ 03"  „ tali , quando egli sia virtuoso (i ) .   Ed in fatti , che cosa egli non fece a vantag-  gio di un istesso suo Liberto , chiamato Melis-  so , perchè lo conobbe fornito di talenti , ed  erudito? Era questi della Città di Spoleto , e  benché nascesse libero, tuttavia perla discor»*  dia de’ genitori , fu venduto , e sottoposto all’  altrui dominio ; Avendo avuto la sorte di es-  sere educato con ogni cura j ed attenzione,   ( i ) Lib. i. Sat. 6.   Non, quia, Maecenat , Lydorum quidquid  Etruscos   Incoluit fines , nemo geaerosior est te ;   N ec , quod Avus tibi maternus fuit , atque pa »  ternus ,   Olim qui magnis regionibus imperitarunt /   Ut plerique solent , naso suspendis adunco  Ignotos ; ut me libertino P atre natum.  Quum referrc negus , quali sit quisque parente  Natus, dura ingenuus : persuada hoc tibi vere ,  Ante potestatcm Tulli, atque ignobile regnum ,  Multos saepe viros , nullis majoribus ortas ,   Et vixisse probo s , amplis et honoribus auctof ,    jS6   fece grandi progressi nelle scienze , e fu data   in qualità di Grammatico a Mecenate , il quale  avendo subito conosciuto il merito letterario  del suo Liberto, raddolci talmente la sua si-  tuazione , che lo riguardava piuttosto , come  tin amico , che come un servo . Mecenate pe-  rò non permise , che lungo tempo continuasse  a portare un tal nome ; lo cancellò subito dal  ruolo de’servi , e lo fece tornare al possesso  della sua libertà naturale , col nome di Cajo  Melisso Mecenate ; quindi proseguendo a be-  neficarlo , e ad avvalorare li suoi talenti , gli  procacciò il favore, la grazia, e la prote-  zione dcH’istesso Sovrano , dal quale fu inca-  ricato di ordinare le Biblioteche esistenti nel  Portico di Ottavia (1 ) ,    (i) Sveton. de illust. Gram. Cap. ai. Co-,  jus Melissus , Spoltti uatus , ingenuus, sedob  discordiam Parentum expositus , cura et indu-  stria Educatoris sui altiora studia percepii , ac  Maecenati prò grammatico rnunere datus est .  Cui cum se gratum , et acceptum in modum Ami-  ci videret .... permansit in statu servitutis ,  praeseritemquc conditionem vcrae origini ante—  posuit ; quare cito manumfssus , Augusto et  insinuatus est ; quo delegante , curam ordinan-  darum Eibliothccarurn in Octaviae porticu su -  scepit : Vedi Lil. Greg. Girai. Hist. Poet. dia-  log. 8. pag. 3 1 5. Arduino in Indie. Anct. Plinii    187   La protezione pòi di Mecenate non era sol-  tanto di parole , e di raccomandazioni , non  era nna protezione sterile , ed infeconda .  Egli faceva parte ai Letterati delle sue ric-  chezze , e de’suoi beni . Il lodato Orazio te-  mendo , come già si è di sopra accennato , che  . il suo Mecenate potesse allontanarsi da Roma ,  e andare con Ottavio nelja guerra contro Mar-  co Antonio, e Cleopatra, gli scrive una Ode  vaghissima , nella quale ci fa conoscere , che  egli era stato arricchito dalla generosità di  quello , e glieue mostra cop effusione di cuo*  re , e con tenero canto la sua ricouoscenza «  », Tu pure adunque , ( dice Orazio ) o mio ca-  ,, ro Mecenate , marcerai sulle navi Liburne  ,, nella guerra contro Marcantonio , disposto  „ a soggiacere a qualunque periglio di Cesa-  „ re ? Ed io intanto , che cosa farò ? Senza  ,, di te , le ore del viver mio saranno affanno*  „ se, e moleste. Dovrò forse assiso nel doi-  „ ce ozio , toccare le corde della mia cetra ,  „ e tessere degl’inni ? Ma senza la tua preseti-  „ za, senza l’amabile tua compagnia , lamia  », cetra sarà dissonante , e la mia voce roca ,  „ e spiacente .... Dovrò coraggiosamente se-  ,, g, u irti , o per le alpestri balze delle Alpi ,  „ o sulle vette dell’inaccessibile Caucaso , od  „ anche fino alle ultime spiaggie dell’Occiden*   Art. Melissus . Catron Tom. 19. pag. 4. Tirabo*  schi Stor. della Lett. Itati. Tom. 1. pag. 298. .    V    183   » te? E vero , che essendo di debole tempe-  „ ramento la mia risolnzione non potrà recare  „ alcun sollievo alle tue fatiche; ma trovando-  ,, mi a tc vicino , saranno meno intensi li miei  f , timori , e meno penosa la mia angoscia ....  „ Io dunque affronterò non solo questa , ma.  „ qualunque altra militar spedizione , a solo  „ oggetto di compiacerti, e di mostrarti la mia  „ riconoscenza , e non già perchè divenga-  „ no più numerosi li miei aratri , perchè le  ,, mie agnelle prima della Canicola faccian  „ passaggio dai pascoli della Calabria alle te-  „ nere erbette della Lucania , o perchè giun-  f , ga a possedere sulle Colline deliziose del  „ Tuscolo una Villetta , la quale debba esten-  „ dersi fino alle muta della Città . Io, o mio  v Mecenate , null’altro desidero , e sono ap~  „ pieno contento della tua generosa munificen-  „ za, che già mi fece dovizioso abbastanza ( i ).   (i) Epod. i.   Ibis Liburnis inter alta navium ,   Amice , propugnacula ,   Paratus orane Cacsaris periculum  Subire , Maecenas , tuo .   Quid nos ? guibus te vita si superstite ,   Jucunda ; si contra , gravi s ?   Vtrumne jussipersequemur otium  Non dulce , ni tecum simul ?   • • • • • • • •   • et te vcl per A Ipium juga ,     Digitized by Google    - Non solo in questo luogo ; ma soventi volte  Orazio ci avverte de’bene&cj , e delle ricchez-  ze , di cui era stato da Mecenate fornito “ Se  „ il crudo Verno ( ripete egli ) ricoprirà di  „ neve le campagne Albane , allora il tuoPoe-  „ ta scenderà sulla Marina ; quando poi co-  annoieranno a vedersi le prime rondini, ed  a sentirsi il soffio de’primi zeffiri , allora ,  „ o dolce amico Mecenate , tornerò , purché  ,, lo permetterai , a rivederti . Tu mi face-  >, sti ricco , non già come l’ospite Cala-    Inhospitalem et Caucasufn ,   Vd Occidenti s usque ad ultimimi sinum ,   Forti sequemur pectore ?   Roget , tuum labore quidjuvem meo ,   Imbellii , ac firmai parum ?   Comes minore sum futurus in meta ,   Qui major aìscntes hab:et ;   • • • • • • • • è   ■Libenter hoc , et omne militabitur  Bellum in tuae spem gratiae :   Non ut juvencit illibata pluribut  Aratro nitahfur me a ,   Pecusve Calabris ante iidus fervidum  Lucana mutet patcuis .   Nec ut tuperni Villa candens Tusculi  Circaea tangat moenia.   Satis , superque me òenignitas tua   Ditavit ......    t$0   } , brese , che suole apprestare allo stanco  „ viaggiatore frutta soltanto (i).   Che anzi era tale il di Ini zelo , ed im-  pegno nel beneficare i Letterati , che dopo di  averli arricchiti , sarebbe stato prodigo con  essi anche di beni maggiori , se li avessero  richiesti , e se ne avessero mostrato deside-  rio . Nell'opere dello stesso Orazio si rinvie-  ne il testimonio di una tal circostanza, e  quantunque il Poeta parlidi se stesso, tut-  tavia sembra doversi credere , che lo stesso  tenore serbasse con gli altri “ Sebbene le  „ api Calabresi ( soggiunge il Poeta ) non tra-  „ vaglino per mio uso, e vantaggio favi do-  „ rati ; sebbene nelle mie botti non invecchi  ,, il vino proveniente dalle Vigne della Cam-  „ pania , o i pingui pascolali della Gallia non  „ mi producano lane squisite , tuttavia , o  „ Mecenate , mercè la grandezza del tuo ani-  „ mo generoso , sta lungi dalla mia Casa la   molesta povertà ; e conosco , che più mi da-   ( i) Epist. 7. Lib. 1.   Quotisi bruma nives Albanis illinet agris ;   Ad mare descendet Vates tuus . ... .   . . . . te 3 dulcis Amice , reviset   Ctim zephiris, si conccdes, et hiruntline prima :  Non quo more pyris vesci Calaber jubet hospes  ■Tu me fecisti locupletem »».»»••    /   I    J 9*   •„ resti, se fossi petulante a chiederti altri  „ beni ( x ) .   Lo stesso Virgilio nelle sne Georgiche , ope-  ra composta ad istanza di Mecenate , dà bene  a comprendere di quante cose egli era a que-  sto debitore , e che l’amore, e l’amicizia,  di cui l’onorava davano l’impulso alla sua men-  te, onde produrre idee sublimi “ O Mecena-  », te, ( dice Virgilio ) o tu i che sei il mio  i, decoro , che con Cagione posso chiamarti  « la massima parte della mia celebrità, deh  », vieni ad avvalorarmi , e meco trascorri l’in-  „ cominciato lavoro ; senza di te la mia men-  „ te non è capace di stendere un volo subli-  'me.(a)   Properzio quell’aureo , ed elegante scritta  re della tenera Elegia di sopra accennata , an-  ch’csso godeva la familiarità , e la protezio-  ne di Mecenate , anch’esso era stato benefica-  to^ veniva da questo mcoraggito ad impiegare,  ed esercitare li suoi poetici talenti “ O Me-   (i) Lib. 3. Od. 1 6 .   'Quamquam nec C alabrae mella f erutti ape* ,   N ec Laestry gonia Bacchus inamphora   Languescit mihi , necpinguia Gallicis  Crcscunt veliera pascuis ;   Importuna tamen pauperies abest ;  jNec , siplura velini , tu dare dcneges .   (a) Georg. Jib.i. e lib.a. cit.    Digitized by Google    1    „ cenate , ( cosi pària il Poeta ) o tu , la-d!  t, cui stirpe deriva dal sangue dei Re Toscani,  i) perchè vuoi , che io m’ ingolfi nel vasto pe-  n Jago dell’eroica Poesia ? Le vele grandiose  it non sono adattate alla mia piccola navicella  Ma io appresi li precetti della vita  )s da te , e perciò sulTorme tne , e col tuo  }} esempio sono spinto a superarti» « . . Tu  t, generoso mio Protettore , prendi le redini  „ dell’ incominciata mia giovanile carrie-   ra . ( i )   Il Poeta Lucano , benché posteriore al seco-  lo , in ctii vissero Orazio , Virgilio * e Pro-  perzio , e benché non avesse partecipato delle  liberalità di Mecenate , tuttavia egli pure en-  comia altamente la protezione straordinaria,  di coi quello onorava li Poeti . “ Virgilio(dice  y> egli ) fu quel Poeta , che cantò fra li Po*    (i) Life. 3. Eleg, y.   M aecenas , eques Etrusco de sanguine R cguitl ,  Intra fortunata qui cupis esse tuatn ,   Quid me scribendi ,tam vastum mittis in aequorl  Non surit opta mede grandia vela rati .    At tua , Maecenas , vitae pratcepta recepì ,  Cogor et exemplis tc superare tuis .   Molli* tu coeptae f autor cape lorajuventae .    Pig itized by Google    n poli dell’ Atisonia le grand’ imprese del fi.  „ glio di Anchise , e che provocò con il poeti-  co stile romano il genio divino del vecchio  „ Omero . Ma quello sarebbe forse restato se-  „ polto sotto le ombre di quelle selve , che fu*  ,, rono pur anco oggetto del suo canto ; la sua  „ Cetra avrebbe tramandato uno sterile suono,  ed esso stesso sarebbe sconosciuto alle Na-  „ «ioni , se Mecenate non lo avesse animato  con la sua tenera amicizia , e con le sue be-  „ neficenze . Ma questo non solo protesse , ed  „ onorò il Poeta di Mantova ; egli avvalorò  „ il genio di Vario a scuotere il palco teatrale  „ con il tragico coturno ; mostrò ai popoli  „ della Grecia , che ancora le corde delle Ce-  „ tre latine sapevano risuonaie dell’ augusto  „ nome di Giove , ed eccitò, produsse , ed  „ arricchì 1’ italica Lira del Poeta Venosino :  „ 0 Mecenate, o decoro, ed onore delPar-  ,, naso , degno della venerazione di tutte le  „ generazioni , e di tutti i cuori , sotto le ali  ,, benefiche del tuo patrocinio verun Poe.ta pa-  ,, ventò le miserie della cadente , e molesta  ,, vecchiezza . (1 )   CO Paneg, adCalpur. Pison. vers. at8., e  seq.   Ijtse per Ausonias jEneia carmina genteis  Qui sonat, ingenti qui nomine pulsai olympum ,  Maeoniumque senem Romano provocai ore }  Fersitan illius ncmoris latuisset in umbra ,   N    I    194   Questo favore prestato da Mecenate alle  lettere traeva la sua origine dall’esserne egli  stesso coltivatore . Che egli fosse colto , ed  istruito ,e che producesse ancora delle Opere in  varj generi di Letteratura non mancano fonda-  menti per esserne persuasi . Orazio lo chiama  dotto nella lingua greca , e latina (1) . Seneca  ha lasciato scritto , che egli era fornito di un  ingegno grande , e robusto , che avrebbe dato  nn luminoso modello della Romana eloquenza ,  se non l’avesse snervata con la soverchia nata*   ralezza.(a)   *   Quod canit , et sterili tantum cantasset avena,  Ignotus populis , si Maeccnate carcret .   Qui tàmen haud uni patefecit !im in a Vati ,  Nec sua Virgilio permisit nomina soli ,  Maecenas, tragico quatientem palpita gestu  Evexit Varium . Maecenas alta Thoantis  Eruit , et populis ostendit nomina Grajis.  Carmina Rornanis etiarn resonantia chordis ,  Ausoniamque Chtlyn gradi is patefecit Horatl s  O decus , et toto merito venerabile aevo ,   Pierii tutela chori ! quo praeside futi  Non umquam Vatés inopi timuere scnectae ,   (O Lib.3.0d.8.   Docte sermo nes utriusque linguae.   ( 2) Epist. 19- : Ingeniosus vir ille fuit  ( Maecenas ) magnum cxemplum Romanae elo-  quentiae datar us, nisi tllum enervasset foelici-*    *    Digitized by Google    Sappiamo ancora dal niedesimo autore , che  scrisse un Libro intitolato ilPrómcfeo,, Vo-  ■„ glio narrarti ( dice Seneca ) ad detto di Me-  „ cenate , cioè „ L’Uomo , che è in supremo  „ grado, ed in una somma altezza di stato vive  ,, sempre in timori , ed in tempèste a guisa del  „ tempo , che tuona „ Se mi domandi in qnai  „■ libro egli parlò in tal gnisa , ti rispondo ,  „ che lo ha detto in quel libro intitolato da  esso Prometeo „ ( i ) Di più secondo lo stesso  Seneca, scrisse altra opera avente per titolo  de culto suo »   11 Cenni afferma, che queste due opere fos-  sero scritte da Mecenate in versi, e che il  Prometeo era una Tragedia. Aggiunge inoltre,  che altra Tragedia intitolata Ottavia è pari-  menti à quello attribuita. (2)   tas : Epist.93. : Habuit enìm ( Maccenas ) in-  genium et grande , et virile nisi illad ipse  discinxisset .   ( i ) Senec. Epist.i 9. ; Volo Ubi rej erre hoc  loco dictum Maecenatis,, Ipsa enim altitudo at-  tonat summa ,, Si quaeris , in quo libro dixerit,  in eo , qui Promethcus inscribitur .   (a) Cenni Vita di Mecenate pag. 126- : In  questo luogo l’autore si è dato caricò di trascri -  vere tutti li frammenti delle opere , delle qua-  li fu autore Mecenate, estracndoli da varj Bio-  grafi. Lo stesso ha fatto Lilio Gregorio Gt-   N a    I    I   delle altre in prosa , e segnatamente dei Trat-  tati concernenti materie di Storia naturale .  Imperciocché si rileva da Plinio, che quello  fuAutoredi un libro sulle differenti specie  delle pietre preziose . (i ) e da Prisciano , che  aveva scr tto una Storia in dialoghi intorno  agli Animali , citandosi da quello il dialogo  decimo . Di più , secondo Solinò scrisse anco-  ra una Storia delle imprese di Augusto . ( 2)   In fatti si può conoscere dalle Odi di Ora-  zio , che Mecenate aveva tutta la premura,  onde fossero celebratele geste gloriose del suo  Sovrano , che perciò venisse quel Poeta viva-  mente stimolato ad occuparsene , che questo  si scusasse , dicendo , che non conveniva alla  lirica Poesia di cantare oggetti gravi , e stre-  pitosi ; ed esortando lo stesso Mecenate a scri-   raldi nel Dialog.4. hist. poet. che possono con-  sultarsi .   (1) Lib.i. Hist. Nat. pag.49. cumNot.Har-  duini .   (2) Apud Harduin. in Indie. Auctor. lib.i»  Plin. Art.Maecenas : Maecenas eques romanus ,  Augusto gratissimus , cujus res gestas lietcris  consignavit , ut ex Solino discimus cap. 12.  pag.gx. ejus Dialogorum lib.10. laudai Pri-  seianus lib.i .pag.61.: Vedi Catrou lib. 7. Tom.  19. nelle Note .    9 6   Oltre le snccennate opere in versi compose     *    vere la Storia , che tanto bramava « Cessa di  ,, stimolarmi, o Mecenate, ( scrive Orazio )  „ a cantare ron le deboli corde della mia Lira,  ,, oil lungo assedio di Numanzia , o il fiero  ,, Annibale , o il mar Siciliano rosseggiante di  ,, sangue Cartaginese , o l’ardita impresa de’  „ Giganti , li quali fecero tremare la fulgida  „ Regia del vecchio Saturno , debellati quindi  „ dal valore di Ercole, giacché tu stesso po-  „ trai, meglio di me , trasmettere alla poste-  „ rità con unaStoria le battaglie di Augusto,  ,, li trionfi , ed il numero dei Re dal medesi-  „ rao soggiogati . ( i )   Anche Servio è d’ avviso , che Mecenate  scrivesse la Storia di Angusto , appoggiando    ( i) Lib.a. Od. 13.   Nolis longa fcrae bella Numantiae  Nec dirum A anibaie m , nec Siculum mare  Poeno purpureum sanguine , mollibus  Aptari Cithar ae modis :   N eo saevos Lapithas   . . domitosque Hcrculea manu   Telluri s juvencs, unde periculum  Fulgens contremuit domus .   Saturni veteris ; tuque pedestribus  Dices historiis proeliaCaesaris  Maecenas melius , ductaque per vias  Regum colla minacium    i  „ Iettato, e molle del tutto riprova, e per  „ ischerzo imitando deride . (a )    ( r ) Macrob. Satur. lib. a. pag. 1 58. : Idem  Augustus , qui Maecenatem suurn noverai esse  stilo remisso , molli , et dissoluto , taltm se  in epistolis , quas ad eum scribebat , et contro  casti gationem loquendi , quam aliis ille seri -  bendo servabat , in epistola ad Maecenatem  familiari plura in jocos effusa subtexuit : Vale,  inquit , mel gent rum , mclculc , ebur ex He -  truria , A da mas super nas , T iberinum marga—  ritum , Cylniorum smaragde , hyaspis figu-  lorum , berylle Porsennae : Vedi il Turnebio  Advers. lib. x 3. cap. 2 ,   ( 2 ) Sveton. in Octav. Art. : Oenus elo~  quandi secutus est ( Augustus ) elegans, et tem-  perai uni , vitatis s catene iarum ineptiis , atque     300 *   Tacito parlando dell’ottimo, e perfetto ge-  nere dell' eloquenza , e della forma del di-  scorso, insegna frà le altre cose , doversi sfug-  gire r impeto di Cajo Gracco , e li belletti di  Mecenate . (i) Quintiliano ancora riprova  nella di lui maniera di scrivere una certa tra-  sposizione di parole, che rendono il periodo  lussureggiante , oscuro , e vizioso . (a)   Se poi si dovesse dare ascolto al surrife-  rito Seneca , Mecenate sarebbe stato 1 * uo-  mo il piu immorale , e il più cattivo   inconcinnitate . . . pari fastidio sprevit , et  Cacozelos , et Antiquarios . Exagitabat non -  numquam in primis Maecenatem suum , cujus  p«X«« , ut ait, cincinnos usquequaque per-  scquitur , et imitando per jocum , irridet .   (i) Tacit. Dialog. de Clar. Orat. cap. 26.  Ceterum si omisso opt imo ilio , et perfettissi-  mo genere cloquentiae , eligendo sit forma di -  tendi , malim hercule Caji Gracchi impetum  • . . quam Maecenatis ealamistros .   (a) Quintil. Instit. Orat. lib.9. Cap.4. pag.  386. : Quaedam vero tranigressiones , et lon -  gae sunt nimis ... et interim etiam composi-  tione vitiosae , quae in hoc ipsum petuiUur ,  ut exultent , atque lasciviant , quales iUae  Maecenatis „ Sole, et Aurora rubent pluri-  ma : inter sacra movit aqua fraxinos . Ne exe-  quias quidem unus inter miserrimos viderem  meas „ quod inter hacc pessimum est , quia in  re tristi ludit composi ciò .    \    Digitizécf by Google    *01   Scrittore frà quanti sono itati ammessi nella  Kepublica letteraria . Con qual fiele non si  scaglia contro di quello nella Lettera 1 15, ed  altrove ancora nelle sue opere il Maestro di  Nerone ? Parlando egli di Mecenate ora scrive :  » Tu vedrai adunque l’eloquenza di un Uomo  •> ubriaco inviluppata, errante , e piena di  „ lingue „ Ora attaccando anche li di lui co-  stumi soggiunge “ Quando tu leggerai li suoi  „ scritti , e le parole cosi viziosamente orna-  „ te , cosi negligentemente buttate , così po-  „ ste fuori dello stile di tutti, mostreremo,  „ che non meno li suoi costumi fossero nuovi,  „ depravati , p singolari ( 1 )   **   (0 Seneca Epist.iió.Edit. Lugd.i 5 p*. :  Quo modo Maecenas vixerit , notius est , qitam  ut narrar i nunc debeat. Quomodo ambulavetit ,  quarti delicatus fuerit , quam cupierit videri ,  quam vitia sua latere nolut . Quid ergo ? Non  oratio ejus aequerite saluta est , quam ìpse di-  scine t us ? Non tam insignita illius verba sunt,  quam cultus , quam comitatus , quam domus ,  quam uxor . Magni ingenii vir fucrat , si illud  egisset viarectiore , si non vitasset intelligi ,  si non etiam in oratione difflueret . Videbis  itaque eloquentiam ebrii hominis involutam, et  crrantem , et licentiae plenam : Maecenas in  cultu suo .' Quid turpius ani ne , silvisque ripa  comantibus ? Vide ut alveum lyntribus arcet,vcr *  soque vado remittant hortos , . .      — Digitized by Google    303   Ma Seneca era troppo invidioso della fama ,  della riputazione , e delle doti brillanti di  Mecenate , il di cni splendore ancora traspi*  rava chiaro, e vivace nel secolo , nel quale  quello viveva , e come Ministro , e Consiglie*  rodi Nerone, conoscendo, che non aveva po-  tuto, ne’poteva eguagliare le sublimi virtù  politiche , di coi andava nobilmente fregiato  il Ministro, e Consiglierò di Augusto , ne di-  venne l’nnico, e il più maligno detrattore.  Ter prova di ciò invochiamo 1* autorità di tutti  li Biografi all* uno , e all’ altro contempora-  nei 4   Non ostante però tutto il male, che dice  ne’ suoi scritti , di Mecenate , Seneca sapeva  benissimo, che questo nel tempio della gloria   Non statim haec cum legeris, hoc Cibi occurret,  hunc esse , qui , solutis Cunicis , in Urbe sera-  per inccsserit ? Nani edam cum absentis  partibus Caesaris funger et ur , signum a di -  scindo petebatur .... Hunc esse qui Uxo-  rem millies duxit , cum unam habueritì Haec  verba tam improbe strucca , tam negligenter  abjecta , tam extra consuetudinem omnium po-  sila, ostendunt mores quoque non minus novos,  et pravos , et singulares fuissc . Quasi della  stesso tenore parla Seneca di Me cenate , ed in  questa, medesima lettera , e nella diecinovesi-  ma nella nonagesimaterza nella ceutoventi e  pc/Lib.x. cap.3. de Providentia .    \    Digitized by Google    &o3   occupava il posto di un grand’ uomo di Stato ,  di un eccellente Ministro , di un Consiglierò  illuminato, e di un Favorito nou infetto dai  vizj abominevoli dell’ avarizia , e dell’ inte-  resse , H quali al contrario avevano ad esso  procacciato il possesso di più milioni , estrat-  ti con dure estorsioni dal sangue de’ sudditi  Romani . Sapeva inoltre , che quello aveva  meriti grandissimi , conforme fu costretto a  manifestare pubicamente, e in faccia allo stes-  so Nerone, allorquando, decaduto dal di lui  favore , aveva forse cessato di screditarlo ,  Imperciocché sappiamo da Tacito, che do-  po la morte diJJurro, mori ancora, pèr dir  cosi, la potenza di Seneca . Allora si accreb-  bero a carico del medesimo le satire, e le mor*  morazioni furono universali per le immense  ricchezze , che aveva accumulate , e segnata-  mente per la grandiosità de’ snoi Giardini , che  eguagliavano quasi gl* istessi Giardini Impe-  riali . Seneca volendo dileguare , se fosse sta-  to possibile , dall’animo del suo Padrone .ogni  sinistra impressione , dimandò di essere ascol-  tato , lo che avendo ottenuto , recitò al suo  Sovrano un discorso artificioso , o pipttosto la  sua Apologia, nella quale fra }e altre cose ,  ricordandosi di Augusto , di Meceuate , e di  Agrippa , e dei meriti politici di questi , disse  cosi : „ Il tuo antecessore A u 6 ust0 Cesare ,  ,, permise a Marco Agrippa il ritiro di Mitile-  „ ne , e a Cajo Mecenate un ozio pellegrini)     204   „ nella stessa Capitale . 11 primo , come com-  ,, pagno d’armi di quel Monarca , ed il secon-  ,, do come quello , che seppe disimpegnarsi  „ da molti incarichi laboriosi anche in Roma ,  „ ricevettero dal loro Sovrano ampie ricom-  3 , pense in vista de’ meriti grandi , di cui era-  „ no forniti, (i)   Si attribuisce ancora al nostro Mecenate  1 ’ invenzione di scrivere in abbreviatura. Dio-  ne (a) afferma , che egli trovasse alcune note   \   ( i ) Tacit. Annal. llb. 1 4 . art. 5a. , et 53. :  Mors Burrhi infregit Senecae potentiam ....  variis cr i mi nat io 1 libili Senecam adoriuntur :  tamquam ingentes , et privatum supra modum  evectas opes adhuc augeret .... hortorum  quoque amoenitate , et villarum magni ficent la,  quasi Principem super greder et ur . . . At Se-  neca criminantium non ignarus . . . tempus  sermoni orat : et accepto , ita incipit . . .  Atavus tuus Augustus Marco Agrippae Mi-  tylenense seeretum , Caio Maecenati in ipsa  Urbe velut peregrinum otium permisit ; quorum,  alter bellorum socius, allcr Romae pluribus la~  boribus jactatus , ampia quidem , sedpro in-  gentibus meritis , proemia acceperant .   fa) Lib. 55. pag. 720 . : Primusque ( Mae -  eenas ) ad celeritatem scribendi notas quasdam  literarum exeogitavit , quam rem , Aquilae  Liberti ministerio , multos doaj.it .    *o5   per scrivere con celerità , e che insegnasse  questo metodo a molti per mezzo di Aquila suo  Liberto. 11 Catrou (i) è di sentimento, che  tali note costituissero un Trattato per poter  scrivere abbreviando le parole . In fatti è in-  dubitato , che la maniera per scrivere con  prontezza , e sollecitamente è quella , che  istruisce a scrivere col soccorso delle abbre-  viature , e siccome nel caso , di cui si parla ,  Dione dice , che Mecenate prirnus cxcogitavit,  così pare non possa mettersi in questione , che  prima di questo un tal metodo di scrivere era  affatto sconosciuto , e che egli ne fosse il primo  inventore .   Isidoro di Sicilia dice (a) che il poeta En-  nio fosse 1’ autore di mille e cento note per  scrivere ; che il primo , il quale in Roma fa-  cesse un commento di queste note , fosse Tiro-  ne Liberto di Marco Tullio Cicerone ; che  dopo di questo Persannio , Filargio , ed Aqui-  la Liberto di Mecenate ne inventassero delle  altre , e che Seneca finalmente ne ordinasse un  numero di cinquemila .   Riguardo però ad Aquila Liberto di Mece-  nate non sembra giusta l’asserzione delEaccen-  nato Isidoro , attribuendogli E invenzione di  alcune note per scrivere , giacché abbiamo  rimarcato da Dione , che il sudetto Liberto di   ( 1 ) Lor. cit.   ( 2 ) Lih.i.orig. cap.aj.'      l    \     Digitized by Google     ioó   Mecenate non ne fu inventore , ma che fu il  propagatore del ritrovato , e dell* opera del  suo Padrone, e che esso stesso , istruito da  questo , ne istruisse degli altri .   Dallo stesso Dione sappiamo (i) ancora,  che Mecenate recò ai Romani un altro rimar-  chevole vantaggio , qnale Fu quello dei Bagni  delle acque calde . Dal che si ravvisa , che  questo specifico salutare , ed alla umana salu-  te profittevole , non era in Usanza in Roma  prima dell’ epOcà di Mecenate ; cosicché que-  sto, il qnale , secondo le osservazioni già fat*  te, era intelligente della Storia naturale ,  avendone in prattica sperimentato gli effetti  benefici , ne introdusse fra li Romani l’uso , e  l’esercizio . ( a)   Mentre Mecenate passava nel ritiro le ore   ( 1) fjOC.eit . Idem primus ( Maecenas ) Ro-  maeN atatorium aquis calidis refertuminstitu.it .   (2) P linio attribuisce a Mecenate V intro-  duzione nelle mense de’ figli lattanti dell'Asi-  na , li quali in quell epoca erano preferiti alli  Onagri , o Asini selvatici . Aggiunge inoltre ,  che il gusto per questa sorte di pietanze svanì  con la sua morte . Ecco il testo di Plinio lib.8.  cap.46. ‘ dd mutar um maxime partus , aurium  referre in his et palpebrar umpilos ajunt . .  . . . : Pullos earum epulari Maecenas insti-  tu.it , multum eo tempore praelatos Onagris .  Post eum intcriit authoritas saporis .    pìgitized by    della snà vita m comporre delle opere io  prosa , ed in versi , in presentare ai Romani,  ed alla società delle tifili invenzioni > in pro-  teggere, animare, e arricchì re li Letterati,  ed in promuovere il progresso della Letteratu-  ra; Augusto , che in tutti li suoi bisogni non  mancava di consultarlo > gli diresse una let*  tera .   Dal contesto di questa si rileva, che quello  era lontano da Roma , e c he se ne stava fra le  delizie della sua Villa Tihurtina con la dolce  comitiva dé’ Dotti, e fra il soave concento del-  ie Cetre de’ m gliori Poeti . Augusto aveva  bisogno di un Segretario , e per mezzo di  quella lettera richiese il Poeta Orazio , che  stava presso di Mecenate. “Prima poteva da me   stesso ( dice Angusto ) scrivere delle lette-  „ re ai miei amici,ma ora.o mio Mecenate, che  ,, sono occupatissimo, ed infermo, bramo,  „ che mi mandi il nostro Orazio . Io sò qnan-  M to vive contento presso di te, ma spero,  ,, che lasceràlesue mense squisite, e verrà  „ nella mia Regia per ajutarmi in qualità di  » Segretario.fi)   (i) Sveton. in Vit. Horat. : Ante ipse suffi-  ciebam scribendis epistolis amicorum ; nunc  occupatissima s , et infirmus , Horatiam no-  strum te cupio adduccre . Vcniet igitur ab  ista parasitica mensa ad hanc Regiam , et aos  in epistolis scribendis adjuvabit ■.    Non sappiamo con sicurezza , sé le brame di  Angusto in ciò venissero appagate . Mecenate  non avrà mancato di rappresentare ad Orazio  il grande onore , che gli si voleva compartire  con quell’impiego luminoso , ma il Poeta, che  amava la calma , che per lo più , lungi dallo  strepito della Capitale, e della Corte ^ desi»  derava di ragionare con le Muse , o presso le  onde sussurranti del fonticello di Blandnsia ,  o sotto le ombre taciturne del boschetto di Ti-  burno , avrà mostrato tutta la renitenza di ac-  cettare un tanto onore , e per disimpegnarsi  dalle richieste del suo Sovrano (i).   Sebbene adunque Mecenate si fosse ritirato  spontaneamente dai grandi affari della Corte ,  tuttavia Augusto continuava a rispettarlo , e a  deferire in tutto , e per tutto alli suoi consi-  gli . Ma questo rispetto , questa amicizia ,  questa fiducia, questa uniformità di pensieri  fu sempre eguale fra l’uno , e l’altro ?   Se dobbiamo seguire 1’ autorità di Dione  sembra esserci stata un’epoca di tempo , nella  quale un adultero amore sconcertasse quella  bella armonìa , che per tanti anni era stata fra  di essi inalterabile . Terenzia moglie di Me-  cenate era una donna arricchita dalla natura   (i) Sveton. loc. cit. Vixit plurimum in se -  eessururis sui Sabini , aut Tiburtini , do mus-  ane ejus ostenditur circa Tiburniluculum : V e-  di il de Sanctis Dissert. sulla Villa di Orazio «    a9   tìi tatti li vetti, e di tutte le grazie seducen-  ti , che sogliono distinguere il bel sesso .   Si suppone , che Augusto , il quale aveya  occasione di vederla sovente , come sovente  soleva vedere il marito , ne divenisse amante ,  e che Terenzia non fosse insensibile alli di lui  teneri sentimenti . Si suppone inoltre , che la  fiamma di quello si rendesse cosi vivace , che  Roma ne mormorava ; che per involarsi dalle  mormorazioni , e dai rimproveri de’ Romani ,  se ne andasse nelle Gallie , portando con se  la detta Terenzia . Soggiunge Dione , che da  questi amori nascesse il motivo di quella fred-  dezza , che si ravvisò per qualche tempo tra  Mecenate , ed il suo Sovrano , e che per lo  stesso motivo non fosse quello lasciato da que-  sto Prefetto di Roma , quando intraprese il  sudetto viaggio .   Sentiamo^ come parla lo Storico . ,, Vedendo  „ Augusto , che la sua lunga permanenza nel-  „ la Capitale riusciva a molti molesta ; che se  ,, puniva alcuni colpevoli ; si sarebbe fatti  „ altrettanti nemici ; che se doveva passare  ,, sotto silenzio i loro delitti , sarebbe stato  „ costretto ad offendere esso stesso la nuova  i. Costituzione , e a ledere l’osservanza delle  „ sue leggi, stabili, ad esempio di Solone,  „ di andare lungi dalla patria . Vi furono pe-  „ io alcuni, li quali sospettavano, che egli  ,, si portasse nelle Gallie , a cagione di Te-  „ renzia , moglie di Mecenate , affinchè , stan-  ti    310   „ ti le voci diverse , che si divulgavano pe*  „ Roma , de’ loro amori , potesse in questo  „ viaggio vivere con essa lontano da ogni ru«  „ more . ; ; . . Lasciò in qualità di Prefetto  ,, di Roma , e dell’ Italia Statilio Tauro ,  „ giacché Agrippa era stato inviato nella  „ Siria , e Mecenate era già con esso in qual*  ,, che disgusto per motivo della sua mo-  » glié (0 •   Ad onta però dell’autorità di qnesto Scrit-  tore non pare abbastanza provato il fatto , di  cui si parla, e che narra riguardo agli amo-  ri di Terenzia, ed Angusto ; al viaggio nelle  Gallie a tale effetto intrapreso; ed ai disgu-  sti di quello con Mecenate . Imperciocché   (l ) Dion. lib. 54. pag. 697. Cu/n enim diu-  turna ejus in Urbe commoratio molesta multis  esset , ac multos , qui contra leges deliquis-  sent plectens offender et , multis parcens ,  eogeretur suas ipse leges praevaricari , pere «  gre abire , Sblonis exemplo -, statuii . Fuerunt  qui , propter Terentiam Moecenatis Uxorem,  eurn discedere suspicarentur , ut quoniam mul-  ti Homae de ipsorum amore sermones per vul-  gus darentur , in peregrinatione sua citra om -  nem rumorem ejus rei cùm ea vivete posset . . ...  Deinde Urbis , et Italiae gubernatione Tauro  injuncta , nam statim Agrippam. in Syriam  mite rat ; e rat autem ei Maecenas propter Uxo *  rem minus j am gratus . ...    Dione non parla di questi pretesi amori , co-  me di un fatto sicuro . Asserisce semplicemen-  te , che alcuni sospettavano , che correvano  per Roma delle Voci diverse ; ma questi sospet-  ti , e queste voci non valgono ragionevolmen-  te a costituire una prova tale , che non possa ,  nè debba credersi altrimenti ; tanto più , che   10 stesso Diohe , premette il motivo positivo ,  per cui Augusto volle allontanarsi da Roma.   D'altronde Svetonio , Tacito, Vellejo, ed  altri antichi Biografi di vaglia , hanno parla-  to , e scritto chi più , e chi meno della vita  publica , e privata di Augusto , e niuno ha ri-  ferito , e neppure accennato li pretesi di lui  amori con la moglie di Mecenate . É vero , che   11 detto Svetonio non omise di narrare , che  quello non fu esente da’vizj , e che fra questi  non esclude l’adulterio, ma non ha mancato  di aggiungere , e di prevenire la posterità ,  che questi Vizj deturparono soltanto i giorni  della sua prima giovinezza , e che se commise  degli adulterj , non già cadeva in questo di-  sordine per libidine , ma per discoprire, per  mezzo delle mogli altrui , l’animo , e li segreti  de’ suoi nemici , „ La sua giovinezza ( scrive  „ Svetonio di Augusto ) fu sottoposta all’im-  „ famia di vari difetti .... Gli stessi suoi  ,, amici non negano , che fosse dedito agli  ,, adulterj ; ma in ciò lo scusano, dicendo,  „ che questa sua condotta non era l’effetto di  „ una passione disordinata , e libidinosa , ma   O 2    aia   ,, che lo faceva per discoprire più facilmente  „ l'animo de'snoi nemici per mezzo delle loro  i, mogli fi).   Ora se Angusto commetteva degli adulterj ,  non già per libidine , ma quasi direi , per po-  litica , e per quel punto di politica , che nel-  le testé riferite espressioni si è rimarcato , ciò  non poteva aver luogo con Terenzia moglie  di Mecenate, , sulla sperimentata fedeltà del  quale non poteva quello , nè giammai aveva  potuto sospettarle i Inoltre Svetonio riferisce,  che l’epoca di alcuni vizj del medesimo Augu-  sto fu la prima sua gioventù , inconseguen-  za resta escluso quel tempo , in cui si suppone  l’amorosa passione con Terenzia, ritrovan-  dosi egli allora in età di circa anni quaranta-  cinque fa) .   Meno prova ancora, che partendo perle  Callie , non lasciasse Prefetto di Roma Mece-  nate , perchè era con esso irritato a motivo  degli amori 6 udctti . Imperciocché si è di già  osservato , che questo , elfettuato il novello  Sistema politico della Monarchia universale *   ( i ) In Octav. Art. 68 . e seg. Prima \uven-  ta variar um dedecorum in/amiam subiit , > . «  adulterio guide in exer.cuisse , ne amici guiderà  negant ; excusuntes sane , non libidine , sed  ratione eommissa , guo facilius consilia adver-  sariorum per vujusque mulieres cxquircret .   (3) Dion. loc. cit.    Digitized by Google    n3   si ritirò dalla Corte , e da’grandi affari , nè  curò impiego veruno . Si è osservato altresì,  che nella nuova Costituzione dal medesimo mo-  dellata si era parlato del rimarchevole im-  piego di Prefetto di Roma , e si era stabilito  per massima , che questo doveva essere di più  lunga durata , e che dovesse addossarsi a per-  sone di specchiata probità , e consolari . Come  dunque può recar meraviglia , se Augusto al-  lontanandosi da Roma , per andare nelle Gal-  lie , non nominasse Prefetto di Roma Mece*«  nate ? A llora quasi tutte le leggi della succen-  nata novella Costituzione erano in una piena  osservanza .   Di più l’assertiva di Dione sù tal punto sto-  rico, sembra , che venga del tutto smenti-  ta da Cornelio Tacito , il quale a chia-  re note dichiara , Ghe Augusto per tutto il  tempo dei torbidi , e delle guerre civili , la-  sciò sempre Prefetto di Roma , e dell'Italia  Mecenate , e che dopo di essersi sollevato alla  Sovranità impiegò soltanto personeConsolari a  coprire questa carica ,, Del restai dice Taci-  „ to ) Augusto , in tempo delle Civili discor*  ,, die, nominò alla Prefettura di Roma, e  „ dell’Italia CajoCilnio Mecenate dell'Ordinò  „ de’Cavalieri . Divenuto però Sovrano asso-  , x luto, addossò questo impiego a Soggetti Con-  „ solari .... Il primo , che venne rivesti-  „ tedi questo potere, fu Messala Corvino . *    ài4   ,, . . il secondo S'tatilio Tauro . . . . quindi  „ fu eletto Pisone (O*   Dopo ciò , che cosa può addursi di più con-  vinceute per conoscere , che se Augusto , par-  tendo per le Gallie,non lasciò Mecenate Prefet.  todi Roma , fu per tntt'altra cagione di quella  immaginata da Dione ? In quell’epoca per leg-  ge , e principio fondamentale della Costituzio-  ne , dovevano rivestirsi di tal carica persone  Consolari ; Mecenate era semplice Cavaliere  Romano ; non poteva dunque esercitarla , sen-  za ledere l’ordine , e l’integrità della Costitu-  zione medesima ; e siccome esso stesso era sta*  to Fautore della Legge , cosi quantunque Au-  gusto lo avesse voluto decorare della Prefet-  tura anche in tali circostanze , T averehbe  francamente ricusata , come incapace di met-  tersi in contradizione co’suoi principi , Co-  munque sia però, ed ammessa ancora laveria  tàdel racconto di Dione , li pretesi dissapori  fra Mecenate ed Augusto dovettero essere    ( 1 ) Anna!, lib. 6. cap. 3a. Cetetum Au,gu~  stus bellis civilibus Cilnium Maecenatcm eque-  stri s Ordinis , cunctis apud Romani, atque Ita-  liani praeposuit . Mox rerum potitus , ob ma-  gnitudinem Populi , ac tarda legum auxilia ,  sumpsit e Coruularibus , qui coerceret servi-  ti a .... primusque Messala Corvinus eam  potestatem .... accepit .... Tum Tau -  rus Statili us . . . Dein Pis ». ■ •„    « » *     * 1 &   di poco momento , e passeggeri , sapendo da  Plutarco , che quello nel giorno suo natalizio  offriva sempre in dono a questo una Tazza .  ,, Cesare Augusto ( dice Plutarco ) riceveva  „ ogn’anno da Mecenate in dono una Tazza nel  „ giorno suo natalizio (i ).   Ma finalmente Mecenate dopo aver veduto  p ratticamente , che le sue fatiche , le sue ve»  glie , li suoi lumi , e la sua politica avevano  formata la felicità, di Koma , e dello Stato ;  che il suo Padrone , o piuttosto il suo Amico  era divenuto il più giusto, ed il piu potente de’  Monarchi; che le sue liberalità, ed il suo zelo,e  la protezione accordata alle lettere , ed ai Let-  terati avevano dato un favorevole impulso al  progresso dello spirito umano , del genio della  letteratura , e del buon gnsto, Mecenate , dissi,  doveva anch’egli offrire l’ordinario , e indi-  spensabile tributo alla natura.   Se è vero , se è possibile ciò che Plinio il  Naturalista suppone , negli nliimi tre anni del-  la sua vita , fu quello sottoposto ad una ma-  lattia di tal carattere , che il sonno non chiu-  se mai le sue luci per tutto quel non breve  spazio di tempo ; che ad onta de’mezzi li più  efficaci , e potenti , che furono messi in opera   - ( i ) Apopht. Princ. et Reg. Apopht. nltinj.  Cattar qui primus Augustus ett cognomina j*>  tus .... a Maecenate , cum quo vitam agebat ,  yuotannit in natalieiit dono acoipiebat pateram .    I    ài6   per giovargli , fosse costretto a vegliar sem-  pre , ed a soffrire più sensibilmente li no)osi  effetti di una febre continua , dalla quale,  secondo lo stesso Autore , sembra , che fosse  attaccato ('i) . '   Per l’esame di questo fatto da Plinio riferi-  to , abbiam creduto di riunire alcune riflessio-  ni in una breve Discussione uell’Appendice  dell’Opera , alla quale rimettiamo il Lettore .  Intanto, proseguendo la nostra narrazione,  possiamo asserire , che Mecenate neH’nltimo  periodo della sua vita fu sottoposto a delle fi-  siche indisposizioni , delle quali si doleva con  li amici più cari , e segnatamente eoa Orazio .  Questo Poeta riconoscente, e sensibile si ta-  pinava all’eccesso della peno6y» situazione del  suo amico , del suo benefattore , del suo tut-  to, e procurava di consolarlo con l’espressio-  ni della più tenera amicizia , animato dal dol-  ce , e mellifluo suono della sua Lira „ O Mece-  „ nate ( gli scriveva Orazio ) o mio sublime  „ ornamento , e sostegno delle mie sostanze ,  „ perchè mi rattristi con le tue querele ? Non  >, piace nè a me, nè agli Dei t che prima  „ della mia debba distruggersi la tua esi-  „ stenza . Ah! se la Parca crudele sarà più  ,, sollecita a troncare lo stame della tua vita ,  „ che è porzione della U)ia, come io potrò  y, restare superstite ? Si > o mio caro-Mece-    f'i) loc. cit.     i    _—Oi«|ii*ed-by Coogle    ,, nate , benché tn volessi precedermi , pure  „ insieme entreremo nel cammino dell*éterni-«  „ tà; nè mai potranno distaccarmi dal tuo  ,, fianco nè le vampe dell'ignivoma Chimera ,  », nè le cento braccia del mostruoso Gigante»  ,, se tornasse sulla terra . È scritto già nel  », libro de’destini , che io , il quale vissi eoa  „ te , debba con te trapassare egualmente , c  i, che un istesso giorno debba segnare il ter-  », mine della vita di ambedue . i .   Avvicinandosi l’ultima ora della sua mortale  carriera. Mecenate fece il suo testamento, e  volendo mostrare al Publico , ed alla posterir   ( i ) Od. 17. Lib. a. • ’   Cur me querelis exanimas tuis ?   Nec Dis amicum est t noe mihi , te priut   Obire , Maecenas , mearum   Grande decus , columenque rerum .   Ah ! te meae sipartem anitnae rapii  Maturior vis , quid moror altera ,   Nee carus aeque , nec superstes  Integer ? Ille dies utramque  Ducet ruinam . . . . k . \   Utcumque praecedes , supremum -   Carpere iter comites parati .   Me nec Chimaerae spiritile igneae ,   Nec si resurgat centimanusGyas  • Divellet unquam : sic potenti   Justitiae , placitumque Parcis ,    r    • tg   là , .che tra esso > ed Angusto / vi era passata  un'amicizia sempre eguale , e costante , o che  se in qualche occasione venne alterata , non  .ebbe una tale alterazione , che una durata pià  piomentanea di una elettrica scintilla , lo Ì6tir  lui Erede de’suoi beni con il peso spontaneo  ài alcuni Legati agl’altri suoi Amici , e Lette-  ralir^.i _■> , ■ ; , . • : ..   Siccome poi il Poeta Orazio più d’ogn’alti Q  lo aveva cousolato , ed assistito ne'giorni del-  la sua infermità , cosi a questo volle consagra-  xe, per dir cosi , Teatreme sue voci , e dare  l’ultimo pegno della sua beneficenza , raccom-  mandandolo in maniera speciale al suo Monar-  ca ,, Ti raccommando , o Cesare , Orazio Flac-  » co , come un’altro me stesso (a) .   ( i) Dion. Lib. $5. Haec in causa fuere cur  vehementem lituani M aecenatis mors Augusto  afferret,quo ea e(iam accessit, quoti Maecenas ....  haeredem eum nuncupavit , ac praeter mitiima  quaedam , in e)us pot estate reliquie , si velie!  Amicis suis quaedam. dare . ■ _   (a) Svet, in Vif. Ilorat. Maecenas quanto-  per è eum. ( Horatium ) flilexerit , satis testa-  tur ilio Epigrammate :   Ni te visceri.bus meis , Horati , ■ ■   Plus \am diligo , tu tuum Soclalem  N inaio videas strigosiorem,   Sed multo magie extremis judiciis , tali ad Au-  gustum elogio-. Horatii Fiacri, «t mei# esto  raemor .    Digiti    ( Google    l    Mori in età di sessantanni , conforme ac-  cennammo ancora nel Libro i., cinque anni  prima dell’Era volgare , ventitré dopo la bat-  taglia di Azio , epoca , in cui Dione stabilisce  il principio dell’Impero Romano , e nell’anno  746. della Fondazione di Roma ( i) .   Egli morì senza successori. Risulta ciò chia-  ramente , e dal testamento di sopra accenna-  to , e dall’ uniforme testimonianza di tutti li  Biografi, che hanno di esso parlato. È sebbe-  ne ne’ tempi alla sua morte posteriori abbiano  vissuto altri Soggetti aventi il nome diMecena-  te , tuttavia non può dirsi . nè costa , che  fossero discendenti di quello, e che avessero  col medesimo relazione alcuna di parentela.   Si trova sotto l’Impero di Vespasiano un  Publio Mecenate Olimpico, di cui si conosce il  solo nome , inciso in una base grande , e qua-  drata disotterrata nell’ anno 1417. in Roma  presso l’Arco di SettimioSevero ; (a) parimen-  te si conosce il solo nome di un Mecenate  Elio ( 3) . Nel Regno dell’Imperatore Gordia-  no il giovane si vede figurare in Roma un per*   : b   (0 Dion. Lib. 55,   (a ) Meibom. loc. cit. : Sub Vespasiano vi-  xit P ublius Maecenas Olimpicus ; ejus memo—  ria super est Romae in basi marmorea grandi ,  et quadrata An. 1417. ad Arcum Septimii Se-  veri effossa, v   ( 3 ) Gruter. Tom. I.par.a. pag. 614. t     920   sonaggio ragguardevole chiamalo Mecenate ,  conforme rilevasi da Giulio Capitolino ( O , e  da Erodiano ('a) ; ma T origine di questo è  involta nelle tenebre istesse , in cui trovansi  e l’Olimpico , e l’Elio , e non può neppure  congetturarsi , che avesse un qualche rappor-  to col nostro Cajo Cilnio Mecenate,.   J/annunzio funesto della di lui morte fu un   ;l . i -    Curtia.j.L. Prapis  Cui pars dimidiahujus /   Moni menti concessa est ab     Ma le sue virtù rifulsero con luce brillante ,  allora appunto , quando Ottavio divenne asso-  luto Monarca dell’ Universo . Che coija non  poteva pretendere , che cosa non doveva spe-  rare , quali posti luminosi -, quali onori , qua-  li distinzioni ? Eppure quello , che in tutte le  sue operazioni aveva per oggetto soltanto il  benèssere della Patria , e la felicità de 5 suoi  simili , nulla volle per sa > nullà curò , e  quésto nobile disinteresse, r3ro nella Storia  de’ secoli , lo accompagnò fino alla Tomba .  Amò le Lettere , che coltivò esso stesso, pro-  tesse , animò li talenti , e fù prodigo delle  sue liberalità colli Dotti ; Affinchè poi le  scienze salissero a qual grado supremo , in cui  si viddero al tempo di Augusto , fece si , che  questo secondasse il suo Genio • Angusto lo  secondò in fatti con tutto il calore, e con zelo,  ed iVirgilj,iProperzj,gliOrazj, liTibùllMiLivj,  e tanti altri spiriti sublimi illustrarono la pri-  ma epoca del gran’ Impero Romano , arric-  chirono il regno della Letteratura , e ferero  tanti vantaggi alla Società ; perciò Cajo Ciluio  Mecenate fu amato da tutto il mondo , la sua  riputazione è passata fino alla più lontana po-*    *34   sterità , ed è qaasi estesa , quanto quella del-  lo stesso Augusto . (t)   (O Tillemont. Histojr. des Emper.Tom.i.  Catrou Tom.i9.Lib.7.    FINE.    t    Digitized by Google    APPENDICE^   ». V •   ALLA STORIA   DI CAJO CILN10 MECENATE   • t -   GIARDINI   IN ROMA AL MEDESIMO SPETTANTI   DISCUSSIONE I.   Insisteva nella Regione Esquilina dell'an-  tica Roma un locale , in cui venivano sepolti  li cadaveri delle genti plebee : Essendosi rico-  nosciuto col progresso del tempo , che da que-  sto luogo s’ inalzavano delle putride esalazioni,  nocevoli alla salubrità dell’ atmosfera , ed alla  salute de’ Cittadini , Augusto lo fece nettare ,  onde depurar P aere , ed adornare insieme la  Città di edifizj. >   11 sudetto locale appellavasi Puliculi , o  perchè per antica costumanza le sepolture con-  sistevano in pozzi , o perchè ivi si putrefa-  cevano li cadaveri , conforme nota il Pomey “  „ Minutae vero plebis , mancipiorumque se-  „ pulchra extra portam Esquilinam Viseban-  „ tur, quem locum. Puticulos , vel a puteis ,   P     ti6   „ inquosconjiciebantur , vel a putore cadè-  „ veroni vulgo appellabant . (ij Lo stesso  afferma l' erudito Alessandro Donato sull’au-  torità di Festo “ Cnm in campo Esquiiino ( e-  „ gli dice ) extra Urbem plebs humaretur , un-  3 , de Populus Romanus odoris , atìt coeli gra-  „ vitate laborabat,Augustus locum expnrgavit,  „ Urbemque aedificis auxit , ornavitque , Pu-  „ ticuli antea locus appellatns , quod vetustis-  „ mum genus sepulturae in pnteis fuerit , et,  „ ut ait Festus , dicti P liticali , quod ibi ca-  „ davera putrescerent . ('a) Quivi ( scrivé  „ Orazio ) poc’anzi solevano trasportarsi su  ,, vile cassa li cadaveri de’ schiavi , e de mi-  ,, serabili , dopo esser stati rimossi dalle loro  ti anguste , e misere celle , e qui sorgeva la  ,, tomba comune alla plebe meschina .   „ Hoc prius angustis ejecta cadavera cellis,   ,, Conservo, vili portanda locabat in Arca ;   „ Hoc miserae plebi stabat comune sepul-  chrum (3 ).   Questo luogo pertanto, che formava una  specie di Cimiterio di Roma , stava fuori della  Città, giacché era generalmente vietato di   (i ) De Funeribus Cap. 2 . §.3.   (o.) De Urb. Rom. lib. i. Cap. i3. Vedi il  Turnebio AWers. lib. 5. cap. 6. 11 Minutolo  Rom. Antiq. Dissert. 6. de Sepulchris , ed H  detto Pomey loc. cit.   (3) Satir.8. lib.t.   \    Digitizod by GOogli    2*7   seppellire li cadaveri dentro le mora ; (i)ed  era destinato , come si è accennato , per la  qilebe soltanto . Le tombe de’ Re , degl’ nomini  illustri , e delle doane di nascita ragguarde-  vole venivano collocate nel Campo Marzo .che  stava parimenti fuori della Città, secondo la  testimonianza di Appiano . e di Strabone pres-  so il rife rito Pomey . ( a)   Dopo però , che da quella Regione furono  tolte le sepolture plebee . e fu nel recinto di  Roma racchiusa, vi si inalzarono numerose  abitazioni , e vi fece ritorno 1’ amenità , e  Paria salubre “ Postea vero ( soggiunge il  ,, Donato ) quam amota sunt sepulchra , rece-  ,, ptusque intra Urbis ambitus , loci amoe-  n nitatem , tectorumque frequentiam secuta   (r) E’ nota su di ciò la Legge delle XII.  Tavole. Hominem mortuum inUrbe ne sepelito,  neve urito : Può vedersi il lodato Minutolo ,  il quale nella cit. Dissertazione ne farla con  critica , ed erudizione.   C 2 ) Loc. cit. : Locas ad sepulturam o rna-  tissimus extra Urbem fuit Campus Martius ,  Appiano teste , qui scribit , selos ibi Regcs ,  horninesque illustrissimo* sepelùi consuevisse ,  non tamen sine Senatus decreto ; idque Strabo  confirmans locurn illum fuisse Romanis maxime  sacrum ac venerabile m , ideoque pracstantissi -  morum virorum , ac joeminarum monumenta ili  fuisse collocata .   P 2     3*8   i) est nova coeli salubri'tas .( i) .Ora poi ( sog-  li giunge anche Orazio ) che dalla Regione Es-  « quiiina sono state rimossfe le tombe , hè  „ più si osservano sii di un infontie campagna  ii le ossa spolpate degli estinti , vi si gode un  ,, ameno diporto sotto un cielo salubre .  m Nunc licet Esquiliis habitare salubribus ,  atque   „ Aggere in aprico spatiari , quo modo tristes  „ Albisinformem spectabant ossibus agrum(a )   Porzione di quel terreno fu donato da Au-  gusto , mediante anche un decreto del Senato ,  al suo Mecenate, il quale vi fece sorgere in se-  guito quc* deliziosi Giardini, la di cui celebri-  tà è giunta fino a noi , secondo la testimonianza  del Marliani (3),del riferito Minatolo ( 4 ),e di  Samuele Pitisco „ Cum igitur ( dice questo )   (i) Loc. cit.   , tem. (a)   Abbiamo osservato nella Storia di Mecena-  te ( i ), che esso fu il primo ad introdurre in  Roma.!’ uso de’ Bagni caldi ; Ora essendo in-  contrastabile ,che li suoi Giardini, e la gran-  diosa Abitazione in essi esistente , e di cui si  parlerà fra poco , dovessero contenere tutti   (i) Loc. cit. cap.a3. Lib.3.   ( a) Loc. cit. Art. Hort. Maecen.   (3) Lib.4. .    a3i   gliagj, che sa immaginare l'umano raffinamen-  to, e la voluttà , cosi non sembra fuori di pro-  babilità, che quello qnivi stabilisse li nnovi  Bagni , eihequivi ne facesse sperimentare li  primi vantaggi , prima■}**•?'.'•••• • *   „ Jamdudum apùd me est . Eripe temorae:   • • 1 • • • • • • p • »   *, Fastidiosam desere copiam, et  », Molem prepinquam nubibus arduis :   0 matte mirali beatae  ,, F umum ,^et opes » strepitnfeque  - Romae . ( i)   Il Palazzo , o la Tórre di Mecenate esisteva  tuttora ai tempi di Nerone . Questo folle , ed  insensato Monarca , dopo aver dato l'ordine  ferale di metter fuoco alla più bella, e vasta  Città del Mondò*,' alla Sede del suo Impero,  non fece in essa ritorno , se non quando, fu pre-  venuto , che 1* incendio si avvicinava alla sua  Regia , che era stata dal medesimo ampliata  fino al Palatino , ed alti Giardini di Mecenate .  „ Nero ( scrive Tacito }. non ante in Urbetn  „ regressus est , quam domiti ejus, qua Pala-   V   (i) Eib.3. Od.ao.   ♦ ' * * r .     /    Digiiized Ijy Gooflle ,    a33   » tinnii et Maecenatis hortos continuaverat ,   „ ignis appropinqnaret . (i)   Rientrato quel Tiranno in Roma , sen’ cor-  re ai Giardini di Mecenate, e sale nel luogo  più eminente della Torre sopradetta . Quivi  rimira con occhio insensibile , e truce’ii vor-  tici delle fiamme , .che distruggono la sua Ca-  pitale, ed ascolta a sangue freddo li gemiti,  e le strida degl’ infelici abitanti , che perisco-  no . Allora compiacendosi dello spettacolo a-  • C l )   Il Pitisco , fondato su di un passo di Tacito,  mette in dubbio il fatto narrato da Svetonio, e  dagli altri riferiti Autori . Egli suppone , ebe,  secondo il detto Annalista, venissero distrutte  dalle fiamme e il Palazzo di Nerone , e la Ca-  sa di Mecenate , e li Giardini, e il Palatino,  e tutt’altro , che intorno a questi luoghi esi-  steva , cosicché in tal c$so non avrebbe potuto  quel Monarca cantare l’incendio di Troja sulla  Torre Mecenaziana. „ Neronem ex Torri Mae-  » cenatiana prospectasse,(dice Pitisco^ iisdera  „ pene verbis repetunt P.Diaconus &c.„. Taci-  „ tus dubium fecitutrumque. Non Urbem eniiq  „ is tantum , sed domum etiam ipsam Maecena*  ,, tis, et hortos, et Palatium , et cuncta circum  » l°ca eodem momento a Neronis incendiario  ,, igne,sed ipso absente,hausta commemorala )   Non sembra però che Tacito accenni la di-   (i) Lib^.cap.^.   (*) Loc.cit. Art. Turris Maecenatianae .    •trazione delli Giardini di Mecenate , e suo  Palazzo annesso ; racconta semplicemente , che  quando Nerone seppe , che le fiamme dell’ in-  cendio si avvicinavano alla sua Casa fece ri-»  torno in Roma ; che non ostante, la rapidità  di quelle non potè ritardarsi , e fu distrutta  anche la sna Casa , e tuttoció , che vi stava in-  torno. “ Eo in tempore f narra Tacito ) Ne-  „ ro Antii agens , non aute in Urbem re»  „ gressus est , quam domili ejus , qua Pala-  „ tium , etMaecenatis hortos contjuuaverat ,  ,, ignis appropinqua ret ; neque tamen siati  „ jjotuit, quin et Palatium, et Domus , et  „ cuncta circuiti haurirentur (i ) .   Qui si parla del Palatino, e del Palazzo di Ne»  rone , e con l’espressioni, cuncta circuru hauri-  rentur, pare che si voglia indicare tuttoció, che  stava intorno all’uno, e all’altro. Ora la magni-  fica Abitazione, e li Giardini di Mecenate erano,  come si è detto, nell’Esquilino, e benché confi-  nassero con la Casa Neroniana , tuttavia pare ,  che non possa con sicurezza dedursi , che con-  temporaneamente all’ incendio di questa venia»  serodistrntti ancorali sudetti Giardini conTan»  nesso Palazzo; in tal guisa non si troverà in con-  tradizione l’autorità rispettabile del detto An-  nalista con quella egualmente rispettabile dello  Scrittore delle Vite de’ primi dodici Impera-  dori ; tanto più che anche quello accenna il   ( i ) Annal lib.i5. cap.àq.     aS6   fatto narrato da questo , come si vede nel tev  sto seguente: “ Sed solatinm Populo exturba-*  ,, to , et profugo Campum Martis, et monuraeti-  ,, taAgrippae , hortos qnin etiam suos pa-  „ tefecit . . pretiumque frumenti minutum . . .   Quae quamquam popola ri a in irritino cade-  ,, bant , quia pervascrat rumor , ipso tempore  ,, flagrantis Urbis inisse enm domesticam sce-  „ nam , et cecinisse Trojanum excidium . ( i )   Giacomo Lauro ( a) ammettendo , che la  Torre , cd il Palazzo di Mecenate fosse una  stessa cosa , ne fa una elegante descrizione,  dicendo, che era un meravglioso lavoro ri-  partito in quattro Piani l’nnoall'altro superio-  re , sollevandosi in alto 3 guisa di Torre ; dico  ancora, che la sommità della Fabbrica termina'  va in un Teatro , dal quale non solo poteva  godersi l’amenità de’ sottoposti Giardini , ma  eziandio l’ampiezza di tutta l'immensa Capitale  del mondo .   Non piace però al riferito Pitisco il senti-  mento del Lauro, e degl’altri , che pensano  come questo , supponendo , che non vi siano  prove confacenti “ Sunt qui ( dice il Pitisco )  „ inter quos Jacobns Lanrus .... qui Do-  „ munì Maecenatis cum Tnrri uuam , eam-  „ demque faciunt . Fuisse enim , ajunt , Do-   (i) Loc. cit.   (a) Splend. Ant. Urb.Rom. apu’d Pitiscum  loc. cit.    13?   , V„nm Malcerti. admirabili Vtraetorfl  ^ spartitam quatoor ordimbos, et plamt.ebus,   ^ una super alte.an. in altum ad motomTur-   ris excrescentibus , c«,us fast,g ; um dearne   „ bat inTheatrnm, nnde pataer.t »djject«,   - 4 non tantum in hortorum amoemtatem ,   „ tonus Urbis amplitudine® . Atqne et.am m  , e am formam aLauro depingitur . Verno un-  ’ de illi haec habeant, me quidemlatet .( i j  ’ Ma se questo dótto Autore del Lessico delle  Romane antichità dubita della realtà d, ciò che  asserisce il Lauró relativamente alla materia   struttura dell’abitazione di Mecenate, si pi   forse con esso andare d'accordo , ma se p .  de che la Torre , e la detta Abitazione fos  due fabbriche diflerenti,pareche voglia oppor-  si alla comune Opinione, ed ancheall autori a  sopra accennata di Orazio . In fatti nói t tede»  2 i» ,»««> Poca, che piando MPAb, a»   De di MecenUe, e facendo uso dell espiessiom,  ora di alta doma, ora di molem F c pinquam nw-  *ibu.s arduis ( i) , descrive brevemente , e  conoscere, che l’altezza di M»clla era a gntsa di  Torre sublime , che si avvicinava alle nubi 1, Mecenate Tnrris Maecenatiana ("dièc quello)  „ cognominata est , vel maxime halosi Neronis,  ,, et Urbis incendio celebrata . . . quaedam ve-  „ stigia extare sunt ex Antiquariis Romae, qui  „ asserunt . ( i) Questi avanzi, secondo il Piti-  sco, sono da alcuni ravvisati, in qnel monumen-  to antico chiamato Torre Mesa , che si trova  scendendo per quella parte del Quirinale , che  risguarda il Foro di Nerva„Hoc scio, descenu-  3 , ris hodie a Colle Quirinali, qua is Forum Ner-  », vae’prospectat.Turriscujusdam ruinas,et ru-  „ dera etiam none monstrari; quam T*>rre Me-  „ ta Romani vocant, et partem domus , sive  i, Turris Maecenatianae fnisse volunt . ( a)   Biondo Flavio scrive , che a tempo , in cui  esso viveva, la sudetta Torre esisteva quasi  intiera, e che per sincope era chiamata Mesa in  vece di Mecenaziana » Aggiunge inoltre ,che in  quella contrada, in cui si vedeva , era fama co-  stante , che quella fosse la Torre esistente ne’  Giardini di Mecenate , e sulla quale Nerone  rimirò l' incendio di Roma ; Ecco le parole del  lodato Biondo : “ Eadem in Esquiliarum par-  u te , qua ex eo monte prospectU6 est in de-  „ pressam Urbis partem , Hortorum Maecena-  „ tis visuntur reliquide Extatque pene inte-  „ gra Tnrris, ex qua Svetonins Tranquilla Ne-  t, ronem scribit spectasse Urbis incendia in, et   ( i ) Loc. cit.   (a) Loc, cit. .o •. /    Digitized by Google    t , in scenico habitn decantasse .Qnam Turrim  ■„ vulgo nnnc vèrbo . . . syncopato Mesam  „ prò Maecenatianàm appellant . . . Nec est  ,, in ea Regione foemelia , quae quid fuerint  „ il lae ingente* ruinae interrogata, non di-  >, cat , eam fuisse Turrim , ex qua Nero cru~  „ delis Urbem incendio flagrantem, ridcns ,  gaudensque spettavi t . (i)   Al contrario il Pitisco , ed il Donato sono  di avviso , che il Biondo , e li suoi seguaci  abbiano su di ciò preso un equivoco ; giacché  la sudetta Torre Mesa non esiste nell’ Esqui-  lino , ma piuttosto nel Quirinale . Aggiungono  inoltre , che le vestigia di quell’ antico monu-  mento dovevauo e ; 6ere , o di un Tempio dedi-  cato al Sole dall' itrperarore Aureliano, o di  una Curia , o piccolo Senato fabbricato sul  Quirinale da Eliogabalo per le donne, acuì  egli fece presedere la sua Ava chiamata Mesa,  e la sua Madre Saemi ; conforme risulta da  Lampridio nella vita del detto Monarca ; di-  ce di più il Donato , che nello stesso luogo  potevano esservi ancora , e la Curia succenna-  ta , ed il Tempio del Sole in torta delle con*  getture , di cm égli fa uso , ragionando in tal  guisa „ In hortis Coiumnensibus marmorei ae~  „ dificii pars exurgebat vulgo Maesa jam dira*  „ ta. Biondo* Turrim Maecenatis falso nuncu-  >, pat.Ubi enim hic Esquiliae,etNerouiaui& tae-   (i) Blond.Flav.delnstaur.Kom.lib.i^Art.xoo.    A 40   „ dis ardens in conspectù Rotila ? Àlii partem  ,, templi Solis pronunriant , qnod ab Amelia-  „ no , auctorc Flavio Vopisco , extructum est  „ ad eam formam , quam viderat in Oriente   „ Quid si aedificium illud partera   „ Senaculi , seu Curiae dicerem , quam Ilclio-  „ gabalus in Quirinali mulieribus extruxit ad  „ conventus habendos , quibus avia ipsins  ,, M lesa nomine > et mater Soaemis praeside-  „ rent ? Quod duplici conjectura elicitur . Al-  „ teram praebet nomen . Maesa enim diceba-  „ tur, ut avia Heliogabali . Alteram ipsius  ,, aedifici i forma. Serlius enim Ai chitectus sic  „ eain nobis linea vit , ut domicilii piane figu-  „ rara descripserit freqnentibus scalis , aulis,  „ peristylis , ac porticibus . • . Palladius  >, autem . . . practer alias aedificii partes ,  „ in templi quoque formam descripsit amplis-  „ simi, magnisque columnationibus insiguis.  „ Quare eodem fonasse in loco fuit olim Solis  ,, Templum . ( 1 )   Nell’ ameno diporto de’ sudetti Giardini , e  della grandiosa Abitazione Augusto sovente so-  leva portarsi a visitare il suo amico Mecenate ,  ed ivi ancora sovente li Poeti dall’uno , e dall’  altro beneficati , e protetti facevano sentire  il dolce suono della loro Cetra „ Celebrati sunt  „ ("dice il Giraldi jMaecenatishortiinEsqui-  „ liis , quo loco cum Caes.ire versari frequen-   /   ( 1 ) Lee. cit. lib.3. capa 5.    Diaitizec    I    i, ter consnevit; et perindc etiam illtìc Poe-  „ tae conveniebant . ( 1 ) Lo stesso dice Pie-  tro Crinito nella sua opera de’ Poeti Latini al  cap.45. “ Hortos Romae habuit ( Mece-  »> nate ) pulcherriinos inEsquiltis, ubi ver-  „ sari interdum consnevit , deque liberalibns  ,> discipliiiis serriionem habere cum amicis  „ suis . Ad hoc persaepe divertit Caesar Octa-  »> vius propter loci amoenitatem , velut qui  »> animarti libertini haberet a cnris in eo quie-  „ tis secessi! .   Esisteva ancora ne’ Giardini medesimi un  Tempietto , o piuttosto uba Cappella dedicata  da Mecenate al Dio Priapo . Li Poeti , che fre-  quentavano quel luogo, come si è accenuato, so-  levano scrivere sulle pareti di essó Tempietto  de’ versi scherzevoli , ma poco purgati . La  raccolta di questi diede luogo a quel libro in-  titolato la Priapeja dato alla luce dal Giraldi ,  e dallo Sdoppio" Sacellum Priapi ( scrive Pi-  >» fisco /fuit in hortis Maecenatis ab ilio ex-  », tructtim , et dedicatimi . Poetae , qui Mae-  t, cenateci suum quotrdie visebant , versicu-  » los aliquot jocosos in Sacelli parietibus no-  „ tarunt , et hosPriapejorum nomine in unum  „ collegit libellum , et vulgavit .... Girai-  ,, dus, etScioppius. ( a ) Questo autore ri-   .4 - .  Priapeja ( dice questo ) carmen obscenum ,  „ quod nonnulli Virgilio , alii Ovidio adscri-  *» bunt ; quamquam Verosimilius est , mul-  „ torum id opus esse ob argumenti similitu-  „ dinem unum in volumen conjunctum . (2)  Su tale articolo potranno aversi maggiori  schiarimenti e presso il lodato Giraldi , e pres«  80 il nominato Pitisco ne’ luoghi citati.   fi) Loc. cit.   (2) Lexicon. Ling. lat. art. Priapeja ,     Q 3    \     Digitized by Google    144 VILLA IN TIVOLI   DI MECENATE :   DISCUSSIONE IL   solo Mecenate possedeva li deliziosi  Giardini , e la magnifica abitazione sull’Esqui-  lino, onde sollevarsi dalle cure del Governi?  insieme con il suo Cesare Angusto , e bearsi  colla sempre piacevole comitiva de’ Poeti , é  de’ Letterati , ma eziahdio per lo stesso og-  getto egli aveva fatto edificare sulle sponde  dell' Aniene una Villa maestosa , ed elegante .   La celebrità di questa è ornai nota a tutte le  colte Nazioni dell' uno , e l'altro Elnisf ero ,  perché ne hanno parlato , e scritto infiniti  Scrittori , e se ne legge la memoria in tutti lì  Libri , di cui fa uso il Viaggiatore critico*, e  pensante . Infatti Lilio Giraldi , Francesco  Marzi, Marc’Antonio Nicoderao , Antonio del  Re, Nicola Orlandini , Fulvio Cardulo , Gio:  Zappi , Pirro Ligorio , Atanasio Kirker , ed  a tempi nostri il Volpi (i) , Fausto del Re (2)>  e il Marquez f 3 ) , non che altri Autori ezian-  ( i ) Lat. vet.Tom.q. part. i. lib. 18.0.7.   ( a) Ville di Tivoli pag. 36 .   ( 3 ) ' Illustrazioni della Villa di Mecenate ià  Tivoli.    * 4 &   dio di materie antiquarie hanno costantemen-  te asserito, che in Tivoli esisteva la Villa di  Mecenate in quel luogo , che si accenna , e  descrive dai sullodati Volpi , del Re , e Mar-  quez , e sul quale tuttora si scorgono con am-  mirazione le immènse reliquie della medesima.   „ Il primo ammirabile oggetto ( scrive il  „ Volpi ) che si presenta allo sguardo del  „ Viaggiatore , che va a Tivoli è la Mole su-  „ perba di quel CajoCilnio Mecenate Cavalier  ,s Romano , il più grande amico , ed il più fi-  „ do consigliere di Augusto , il quale superò  t , molti Re in potenza , cd in ricchezza . Que-  >> sta Yilla per concorde testimonianza di tut-  „ ti li Scrittori , che trattarono delle cose  ,, Tiburtine , s’ inalzava presso la detta Città  „ sulla sponda ministra dell’Aniene . . . così  „ costantemente hanno asserito Lilio Giraldi  „ . . . e tutti gl’ altri , che descrissero le  „ maestose reliquie di quell’antichissimo Edi-  „ fido ; ciò poi , che deve sorpassare Lauto-  >, revole usiertiva di tanti Autori si è la remo-  ìt tissima tradizione , e fama, per cui si è in  „ ogni tempo creduto fra liTiburtini, che  „ presso le mura della loro Città fp I4 Vili# d»  „ Mecenate (1) . \ *.   • * • J   ! ( 0 L° c - cit. pag.a x j : Prima igitur omni-  um sete Tybur adeuntibus admirandum , ve -  jtigandumque offerf ingcntis molis Villa  Macccnatiana , scili cet Caji Cilnii Mqeceqa-    146   Nnlla fu omesso per rendere questa Vili*  vaga insieme , e grandiosa . L’oggetto più caro  il cuore di quel grand’Uomal, i Letterati , non  fu preterito , e però vedeansi jn essa amene  passeggiate , e portici deliziosi , ove si riuni-  vano li Dotti, che mercè l’ illimitata prote-  zione di Mecenate , nel seno; del silenzio , del-  la calma, e di tutti gl’agj , travagliavano in-  defessamente per il progresso dello spirito  umano nelle arti , e nelle scienze ,■ Quivi , co-  me in un altro Parnaso, in u* altra Accademia,  in un altro Peripato , in un altro Liceo , Filo-  sofi , Istorici , Poeti , ed Oratori discutendo,  perorando , e meditando , procuravano di  compiacere al loro munificentissimo Protetto-   tis Equitis Romani Augusto Ce.es ari ami-  cissimi , fidclissimique consiliarii , quiqìie Re-  ges permultos non solum aequavit , sed etiam.  amecelluit opibus , et potcnìia . Haec concordi  omnium, qui de Tiburtinis rebus c gerani, S cri-  ptorum testimonio , ad ipsum Tibur fuit in  sinistra Anienis ripa . . . ‘ Ita LiPius Giral-  dus . . . aliique omnes , qui ingentia Aedi -  fidi hujus antiquissimi extaritia adhuc fràg-  menta , et rudero niemorapcrunt , a ut descri—  pscrunt unanimitcr , atque constantcr Maece—  natis hanc V illam Tibur tem nominaverunt ;  quodquc ipsos etiam Siriptóres auctoritate Vin-  cere debet vetustissima , a majoribus per ma -  nus tradita fama id nobis affirmat .     i 4 7   yt , e cosi per impulso del genio benefico di  questo recavano servizj inesplicabili al Gene-  re umano, e travagliavano per la sua civilizza-  zione (i) .   Il Cenni dopo aver parlato de’ Giardini di  Mecenate in Roma , non manca di parlare ezian-  dio con stupore della’ Villa del medesimo in  Tivoli. “Nè solamente in Roma ( dice quello)  „ ebbe Mecenate le sue delizie , ma per non  „ goder sempre mai la Villa negrOrti , che  „ egli aveva , le ampliò fuori di quella anco-  „ ra , ed in Tivoli ne fe pompa meravigliosa .  ,, Quivi fabbricò egli Una Città più che una Vil-  „ la, palesandola tale fin'oggi le superbe reli—  „ quie , e le rovinose grandezze della mede-  „ sima , e quivi parimenti nel ritifo , che fa-  „ cevano dallo strepito cittadino , trovavano  3 , il loro riposo le muse romane . (a) Il Pati-  sco , benché ne parla compendiosamente , pu-  re la chiama Villa ripiena d’ogni sorte di de»   * > • » . • a   (i) Volpi loc. cit. pag. 220. : Atque hue  litteratorum homìnum congregatas polissi — •  mum erudita s Catervas sub Maecenatis patro-  cinio ac tutela Philosophorum , inquam , Ora-  torum , Historicorum , ac omnium maxime  Poetarum turmas, ad dìssercndum } recitandum,  fabulandum , meditandum edam , atque otianr*  dum animi ergo in Parnaso voluti quodam , auC  Stoa , aut Peripato , A ccademia , voi Lyceo.   fa) Vit. di Mecenate libra, pag.^ 8 .    I    Digitized by Google    a 48   lizie , opera meravigliosa , e che per la vasti-  tà della sua mole non cede ad alcun altra Fab?  brica de’ Romani ( i ) .   Ma sarebbe stato troppo poco per il cuore  magnifico di Mecenate il rimunerare li Dotti  coll’uso soltanto di quegl’ agj , che si rinveni-  vano o ne’ suoi Giardini di Roma , o nella Vil-  la di Tivoli: la sua generosità si estendeva  molto più oltre; soleva bastantemente proveder-  li di tutto il bisognevole (a), come è noto ,  e conforme abbiamo dimostrato nel quarto li-  bro della Storia , e perciò presso la detta Vil-  la di Tivoli , o nelle sue vicinanze li Poeti ad  esso più cari possedevano Casini di campagna ,  deliziose Villette, e possessioni ragguardevo-  li ; e queste proprietà si acquistavano da quel-  r • : ■ t   (l ) Lexic. Antiq. art. Villa i Villa Maece-  natis in ultimo T yburtinae Urbis Clivio , omni-  um deliciarum genere conferta , ab ilio est ex-  tructa . . . opus sane admir abile , quod sane  vasta sua mole nulli ex Romanorum fabricis  cedit .   (a) Pet.Crinit. de Poet. Lat. rap.45. : Vub-  gatum est de Maeccnate quantum Litteris , ac  Litteratis omnibus faverit , cum in Urbe unus  hic potissimum haberetur , ad quem Poetae  omnes , atque Oratores , ve/ut ad certam  anchoram , per/ugiuni sibi haberent ; itaque ab  eo vehementer dilecti sunt , ppcraque , et mu -,  nf ribus amplissimi honestati .    li mercè la liberalità del medesimo, onde av-  valorare sempre piòli talenti poetici di Orazio,  di Properzio, e di Virgilio, e perchè ognuno di  essi potesse vivere contento anche quando esso  non poteva trattenerli sotto l’ombra de’ porti-t  ci maestosi della sua Villa . Inoltre possedendo  que’ Poeti delle proprietà in Tivoli, mentre  Mecenate vi possedeva la Villa grandiosa , più  spesso , e più agevolmente poteva egli vederli,  e più volentieri abbandonavano lo strepito fra-  goroso della Capitale per passare giorni quie-i  ti , p delle ore pacifiche nella calma de’ loro  deliziosi, e campestri ritiri, soggiorno per-  petuo delle Muse , e di Febo .   Che il Poeta Orazio avesse un Casino di cam-  pagna in Tivoli quasi di fronte alla Villa di  Mecenate , non può mettersi in questione , e  benché Domenico de’ Sanctis ( i) ponga in dub-  bio l’esistenza.in Tivoli di una Villa spettante  a quel Poeta , tuttavia conviene , che questo  Vi avesse una Casa di Campagna, nella quale  egli vagheggiava l’antro muscoso della risonan-  te Albunea , le onde dell’Aniene , che si pre-  cipitano dall’ alto delle rupi . 1 ! ombro-  so Boschetto di Tiburno , li Giardini irri-  gati dalla molle attività di scherzevoli ruscel-  letti (a ) , nella quale desiderava arden-   (t) Dissert. sulla Villa di Orazio Fiacco.   (a ) Ode 7. lib. 1.    a5a   temente di finire i suoi giorni (i). Essendo;  pertanto dimostrato per confessione ancora  delio stesso Orazio , come si è veduto nella  Storia al Libro 4° che esso era stato arricchir  to da Mecenate , sembra del totto chiaro , che  la liberalità di questo gli procacciassero il   .. j • .   Me nec tam patiens Lacedacmon ,   Ncc tam Larìssae percussit campus opimae ,  Quam dora us Albuncae resonantis ,   Et praeeeps Andò , et T iburni lucus , et uda  Mobilibus pomaria riyis .   (1) Od. 6 . Lib. a.   T ybur , A rgeo positum colono ,   Sit mene sedei ut in am. senectae !   Sit modus lasso marie ì et viarum ,  Militiaeque ! i   • 4 • • • • y • * • •   lite terrarum mihi praetedomnes  Angulus ridet , ubi non Hymetto  Mella decedunt , viridique ccrtat  Bacca Venafro j   V er ubi longum , tepidasque praebet >  J upiter brumai ; et amicus Aulon ,   Fertili s Baccho , minimum Falernis '   InvidetUvis. t   Ille te mecum locus , et beatae  Postulant arces ; ibi tu calentem  Debita sparger lacryma favillarli \  Vatis amici. . .   * v     a5*   possesso del surriferito Casino di Campagna in  Tivoli .   Si potrebbe stabilire jn Tivoli anche una  Possessione al Poeta Properzio , ma niuno de*  Scrittori delle Antichità Tiburtine ne ha fatto  menzione ; ciò non ostante si rileva dai scrit-  ti di questo Poeta , che egli ayeva in Tivoli  la sua Amorosa , dalla quale ricevè nella mez-  za notte unà Ietterà , in etti lo invitava a por-  tarsi in detta Città 1 “ Quando il carro di Boo-  „ te ( dice Properzio ) era giunto nel mezzo  „ della sua carriera ricevo una lettera dalla  » mia Bella , che mi ordinava di portarmi  „ all’ istante presso di essa ; la lettera veni-  va daTivoli, ove le biancheggianti vette  » fanno mostra delle sublimi due torri,e l’onda  „ dell’Aniene siprecipita in ampie lagtJne.(i )  In altro luogo poi il Poeta facendo la de-  scrizione patetica di un sogno , finge di vede-  re , che Cinzia sia morta , tal’ era il nome  della sua Bella ("a). Fa parlare l'ombra di   (i) Lib.S. Eleg.i 3.   Nox media , et Dominac mihi venit epistole^  mstraej   Tybure me mista jussit adesse mora ;  Candida qua geminas ostendunt culmina  turres,   Etcadit in patulos lympha Anima lacus .  (a) Il vero nome della donna Tiburtina a-  mata da Properzio era Ostia , tome rilevasi da'     a5a   questa , la quale gli ordina , che nel di lei se-,  polcro sia scolpita una funebre iscrizione , che  essa stessagli detta “ La dove il potnifero A-  „ ,nieue(parla Cinzia ) scorce placidamente per  „ le tqrtuose campagne , e dove ,1’ avorio  „ giammai impallidisce mercè la potenza del  „ Dio Ercole (i) scrivi nel m ezz P di nna Co-  ,, lonna , questa epigrafe degna di me > che  „ possa leggere il passeggero “ Qui giace la  „ bella Cinzia sepolta nel suolo Tiburtiuo ^   1 ■ ' ' * ? '   Apulejo presso il Crinito nella vita di questo,  Poeta :j Sextus Aurelius Propertius, ( dice il  Crinito'). . . Mae cenati , et Cornelio Taci-,  to maxime acceptus fait . . . . Cum i(i Elegiis,  ut inquit Plinius , forct egre gius . . . Libros  quatuor Elcgiarumconiposu.it , in quibus fere  suos calarti , et Mosti ae laude m , et formam  celebrai ; nam in pucllam Hostiam miro qui -  dem affectu exars (t , quatn mutato nomine , ut  est auctor L. Apule] us , Cyntiam appellare  maluit .   (i) Correva la voce a tempi di Properzio ,  ed uriche posteriormente , cirriforme si rileva, da  Silio Italico , c da Marziale , che l’uria T ibur-  tina somministrava alle cose ur\a bianchezza  potentissima . Properzio ripete questo privile-  gio da Ercole divinità tutelare dal Paese , e  che era in special maniera venerato in quella  Città. Il Beroaldo ne' commenti del! accen-  nata Elegia di Properzio alle parole : polle?    I    N aì>3   la sùa tomba, o Amene , accrébbe decoro  J, alla tua fertile sponda .(i)   Se io volessi ricavare da queste espressioni  di Properzio resistenza di una sua Villa in Ti*  Voli mostrerei forse troppa prevenzione per il  Suolo , che mi diede i natali ; ma essendo cer-«  to , che quello aveva la sua Amorosa ih quella  Città , cbé era amicò di Orazio , e di Virgilio,  e che godeva il favore del benefico Mecenate ,  sembra non 'affatto inverisimile , che anch'es-  so avesse , o qualche cosa di campagna , o  qualche altra possessione presso la Villa del  sudetto Mecenate , frutto , e risultato della  beneficenza del medesimo .   • ■ ' • i   tbur ; parla in fai guisa i 'Còclum Tyburti~  num dicebatur rebus praestare candorém pò-  tentissimum e bori , unde ait Silius: Tyburit  dura pascit ebur : Et Martialis ,   T'ybur ih Herculeum migràvit nigra Tycoris *  Omnia dum fieri candida credit ibi .   Hoc fieri Poeta ait , nu mine Herculeo ; T V  bur enim Herculi dicatum , et Herculeum co~  gnohtindtur .   ( l )Ramosis Ariio qda pòmifér incubai afvis.  Et nunqUam Herculeo numìne pallet Ebur',  Hoc carmen media dignum me scribe columna ,  Sed breve, quodeutrehs Vectór ab Urbe legar,  Hic Tyburtina jacet bure a Cynthia terra -,  'Accessit ripae , laus , Aniene , tuac.    I    _ JDigitized by Google    I   a$4   Se è certo , che Orazio , se non è improba-  bile , che Properzio avessero nel Territorio  di Tivoli, e nelle vicinanze della Villa di Me-  cenate una qualche possessione , non è fuor di  credenza , che il Principe de’ Poeti Latini vi  possedesse anch’ esso un luogo di delizioso  soggiorno . Li Scrittori delle cose Tiburtine  hanno serbato su di ciò un profondo silenzio >  ed il solo Volpi accenna , ma dubitando, una  tal circostanza (i ) . Sapendo però quanto Me-  cenate stima sse , proteggesse , e beneficasse  non meno quel grande Poeta , si può , e forse  con non debole fondamento asserire , che que-  sto eziandio possedeva presso la Villa del suo  Benefattore o qualche abitazione di piacevo-  le permanenza > o qualche altra possessione .   Infatti, se Orazio era stato arricchito da Mece-  nate^ se quanto quello àv$ya, doveva ripeterlo  dalla beneficenza di questo,cbe cosa dovrà dirsi  di Virgilio , che in meriti letterarj non er?  certamente inferiore al Poeta di Venosa , e che   ■»' ‘   .... .. ..... \   ( ij Volpi Latinm Vetuslib. 18. cap.7. pag.   4S. : Villani in Ty burle habuisse Virgiliani,   suut qui putant , Villae proximam Maecenatis ;   eum tamen neque locum de s igne ni , nec ullus   hoc Auctor scripsit , quod quidem perlegcrim , 1   neque ex ipso Virgilio tei hujus lumen ullum ef-   fulgeat , id asseverare nonausim.     ' Digitized by Google    a 55   aveva dedicato a Mecenate il suo dotto, ed ele-  gate poema sulla coltivazione ? ( i )   Di poi non mancano congetture di qualche  rilievo per credere ciò , che finora si è detto  riguardo alla Villa di Virgilio . L’Ughelli ri-  porta un Diploma , estratto da un Codice ma-  noscritto della Biblioteca del Card» Francesco  Barberini , la di cui antichità non è stata fino-  ra contradetta . Questo Diploma è dell’ anno  945., ed in esso il Vescovo di Tivoli Uberto  è confermato nel possesso di tutti li suoi beni,  che possedeva nel Territorio di quella Città,  e frà gli altri fondi si fa menzione della posses-  sione Virgiliana : Fundus Licerana , Picianus ,  'Galliopini , Vicianus , Virgilianus .(a)   % ’ì ■   ( 1 ) Petrus Crinit. de Poet. Latin. lib. 3 .  cap. 45. : Pùblius Virgilius adhunc Maecena -  tetri libros suos misit , qui Georgica inscribun-  tur , absolutissimum omnium opus , quae in eo  genere composita unquam ab alio fuerint .   (a) Ughelli Ital. Sag. Tom. i. pag. 1304. :  Hucber,tus Episcopus Tìburtinus vixit tempori-  bus Martini Papae an. 94?. Ab eodem Pontifice  omnia privilegia ab Anteccssoribus Ecclcsiac  Tyburtinac concessa , hoc diplomate revocati  meruit , cujus exemplar . , , extat in MSS.  Cod. Biblioth. Card. Francisci Barberini N.  130S. . ..   che quella anticamente spettava al Poeta Vir-  gilio , e che vi era stata qualche Villa di sua  pertinenza 7 Difatti quante contrade del Ter-  ritorio di Tivoli sono anche oggi denominate ,  Pisone , Cardano , Paterno ec. dai nomi di  quegli antichi Romani , che quivi ebbero del-  le Ville , e la verità delle quali non può recar-  si in dubbio dopo lo scoprimento di monumenti  irrefragabili , e. sicuri ?   Se la località di quel fondo Virgiliano non  si fosse smarrita nella notte del tempo , forse  agl’ indagatori delle cose Tiburtine non sareb-  bero sfuggiti li mezzi , onde verificàre la sem-  plice tradizione •, e coll’ ajuto de' scavi i e  coll’ esame di qualche marmo, iscrizione, o  altra reliquia di antichità , si sarebbe potuto  conoscere il sito , ove esisteva , ed anche la  qualità del medesimo ; e non accade così di   Nicolai , Jvan.-et Leonis , quae vetustate con -  sumpta renovantur temporibus D. Martini  Sum. Pont. .... Potitific. ejus scilicet an,  g. , Sugerentc Hucberto Tyburtinae Eccle-  siae peccatore , ethumili Episcopo . Clausura  universa . . . Fundus Li cerata , Pidanus ,  Calliopi/ti , Vicianus , Virgilianus .     Digitized by Goqgle     lion poche altre Ville , la di cui memoriaper  lunga serie di secoli si vedeva soltanto sotto  il velo della tradizione ?   Nè la forza delle addotte riflessioni , e con-  getture può essere scemata dal silenzio di tutti  li Scrittori Tiburtini , e segnatamente de' più  moderni Cabrai , e del Re ( i); conciosiachè è  certo altronde , che tanto questi , che gl’altri  omisero di accennare -, che Plinio il giovane  ebbe in Tivoli una Villa ; eppure è indubitato,  che anche una Villa di quell* esimio Scrittore  abbelli il territorio di questa Città. Egli ne  parla espressamente scrivendo al suo amico A-  pollinare,e facendogli il dettaglio de'pregj dell’  altra Villa , che possedeva in Toscana. ,, Ecco  „ le ragioni ( dice Plinio ) perchè io ante-  ■», pongo la mia Villa Toscana alle altre, che  '» posseggo nel Tuscolo, ih Tivoli , ed inPre-  ,, neste ; perchè oltre li soprariferiti pregj  5, vi si gode un ozio maggiore , più abbondan-  „ te, e però più sicuro , e con meno distur-  bi kl. Non vi é necessità alcuna di vestir Toga;  >, non vi è chi venga a chiamarci , e a invitar-  ,, ci dalle vicinanze , ed ogni cosa si fa con  „ pace , e quiete . Torniamo alla Villa di  Mecenate .    CO Ville di Tivoli pag.36.   (.*) Plin. Epist.6. lib.5. : ffabes causas cur  ego T uscos meos T usculanis , Tyburtinis ;  Praenestinisque meis praeponam ; narri super   R    a 5 S   È noto , che il sullodato Poeta Virgilio  credendo , che la sua Eneide fosse un lavoro  imperfetto lasciò per testamento , che venis-  se consegnato alle fiamme , e che Tucca , e Va-  rio suoi amici fossero nominati dal medesimo  esecutóri di questa sua ultima volontà , con-  forme hanno lasciato scritto Gellio , Macro-  bio , e Plinio presso il Volpi ( i ) .   Augusto non permise , che si dasse esecu-  zione agl’ ordini di tal natura , senza prima  meditare, e ponderarne la sostanza ; perciò  essendosi ritirato con li sudetti Tucca , e Va-»  , rio nel silenzio , e nella calma tranquilla della  Villa di Mecenate , quivi , previo un esame ma-  turo sull’oggetto delicato , fu risoluto secondo  Il pensiero di Lilio GiraWi , seguito dal Vol-  pi (a), che ad onta nelle disposizioni testamen-  tarie dell’Autore , quell" opera divina dovesse  sopravvivere, e trasmettersi alla posterità;   illa , qua e retuli , altius ibi otium , et pin-  guius , eoque securius ; nulla necessitate  togae i nemo arcessitor ex proxima ; placi-  da omnia , et quiescentia: Vedi Marquez Vil-  le di Plinio paga 1 3 .   (i ) L0c.cit.pag.a4S. ,   (a) Loc. cit pag. a44. : Porro eam delibe-  rai io n em in hac V illa Maecenatis Tyburte su-  sceptam ab iis ( Tucca , e Vario ) cor am Au-  gusto putat Lilius Gir aldi .    conforme frà gli altri riferiscono Plinio (1) ,  e Sulpicio Cartaginese (a ) .   Non è fuori di probabilità, che Mecenate mo-  risse in questa sua Villa di Tivoli . Egli aveva  qui fatto un lungo soggiorno , e si pnò dire an-  cora una permanenza non interrotta negl' an-  ni estremi segnatamente della sua esistenza ; e  perciò sembra , che abbia voluto esalare l’ul-  timo respiro, dove aveva trovato le sue deli-  zie , la sua pace , e il suo sollievo nell' ultimo  periodo della sua brillante carriera . Augusto  erede di quello, come si è detto , ereditò an-  cora la sua Villa sulle sponde dell'Aniene, per  cui posteriormente fu chiamata Villa di Cesare  Augusto , conforme accenna il Kirker ( 3 ) , è  dopo di esso il Pitisco „ E' fama ( dice questo  ,, Scrittore ) che Mecenate prima di morire i-  3 , stitnisse crede della sua Villa di Tivoli lo  ,, stesso Augusto,al quale nella medesima aveva  „ per tanti anni esibita la sua ospitalità, per  ,, cui posteriormente , ed anche fino al pre-   (i) Plin. lib.7. cap. 39. : Divus Augustus  carmina Virgilii cremati con tra testamenti  ejus verecundiam vetu.it .   (a) J usserat haec rapidis aboleri carmina   flammis   Virgilius , Phrygium quae cecinere ducem .  Tucca vetat , Variai simili, tu, maxime Caesar,   Non sinis , et Latiae consulis historiae .   ( 3 ) Lat. vet. et nov. lib. 3 > n.4. §.1.   R 2     Digitized by Google      !* 6 o   „ sente giorno si chiama Villa di Cesare Augna  „ sto . (O   Potrebbe ora darsene una descrizione to-  pografica , ma su di ciò si farebbe un lavoro  del tutto superfluo , nè potrebbe dirsi di van-  taggio i nè meglio parlare di quello , che h an-  no detto , e parlato li succennati Pitisco , Ca-  brai , e recentemente il Marquez nella sovra-  indicata Dissertazione. Se questo valente Scrit-  tore aveva dato saggi commendevoli delle sue  cognizioni , e del suo criterio nelle opere a  quella antecedenti, e segnatamente nel Libro  sulle Ville di Plinio il Giovane , e nell'altro  sulle Case di Città degli antichi Romani ; nel-  le Illustrazioni sulla Villa di Mecenate ha  fatto conoscere la penetrante oculatezza del  suo 1nge2.no nel discoprire, e disegnare le noti-  zie relative airuscnraAntichità;eperciò ad es-  se Illustrazioni ritaettramo gli eruditi Lettori.   (1) Loc cit. Art. Villa : Maeccnas moritu -  rus , cum tot jant annis Augustum hospitem in  hac Villa recepisset , eumdem Villac haeredem  constituisse fertur , ut proinde vel ex hocco -  pite non Maecenatis dumtaxat , sed et Augusti  C cesar is in hutic diem appclletur .    s'6t   FEBRE PERPETUA   » febris est , sicut Cajo Maecenati . Eidem  „ triennio supremo nullo horae momento con-  „ tigit somnus . (i)   L’Arduino nelle notea questo luogo di Plinio  ci previene , che Giovanni Schenk nel libro-  primo delle sue mediche Osservazioni riporta  varii esempj d’ Individui , che non viddero il  sonno per lo spazio di quattordici mesi , .ed  anche per un intero decennio . (a )   ('i ) Lib. 7. cap.Sa.   (2} In Not. cap. 5 a. lib: 7: Plin. : Afjìrt  exempla nonnulla eorum, qui mtnsihus quatuOr-    “ZT ' 7    a 6»   Non è mio scopo di esaminare , se cosi  lunghe veglie possano darsi in natura, come  ancora se possa un mortale vivere gran tempo  con la compagnia disgustosa di una febre con-  tinua. Questo esame forma 1’ oggetto, e la  materia esclusiva di que’ Dotti , che sono nell'  arte medica versati , e perciò io mi tratterrò  nel vedere , se quel Cajo Mecenate , di cui par-  la Plinio , è il Mecenate , di cui si è scritta la  Storia; e posto che d’esso sia, si osserverà se  sussista la realtà di quella febre perpetua:, e  della pretesa veglia triennale .   Pietro Crinito afferma non esser certo , che  il Mecenate allegato da Plinio sia quel Mecena-  te Consiglierò , Favorito , ed Amico di Au-  gusto. „ Notatum est a Plinio ( dice quello ) in-  j, ter mirifica Naturae officia eum ( Meceua-  „ te ) nnmqnam horae momento dormisse per  „ totum trieimium ante obitum , sed hoc non  „ piane compertum est , an referendum sit ad  ,, alterum Maecenatem . (i)   Al contrario il Cenni è di opposto sentimen-  to, ed impugna il Crinito in questi termini:  ,, Ma sia detto cou pace del Crinito, questo  „ dubbio parmi senza ragione . Da Plinio si  ,, parla del nostro , e non di altri Mecenati ...   ' . ‘   decim , qui decennio Coto somnum non viderint  Jo.Schenkius Observat. Medie, lib. i. pag. p3.   ( i ) De Poet. lat. lib. 3. cap. 45 . .    Qicuxi ^ 00 Jsx-Cl o Qg I   , Ora è possibile t che questo soltanto ayes-;  se la notizia cosi precisa di questi fatti , e che   ■ ’ o •   (i^Lib.a.Art,t>$_. ; ;    - Digitized by Google     a63   la medesima sfuggisse a Vellejo , e a Cornelio  Tacito contemporanei di esso Plinio , e s’igno-  rasse da Svetonio , da Appiano , e da Dione,  che vissero , e publicarono le loro Storie nel  secolo posteriore all’esistenza di quel Natura-  lista? Di più Macrobio ne’ suoi Saturnali ,  opera critica , ed erudita , non omette di  parlare di molte qualità personali di Cajo Me-  cenate , delle quali si è fatto già menzione , e  serba un profondo silenzio sulla febre perpe-  tua , e sulla veglia triennale , di cui si parla .  Lo stesso deve dirsi di Seneca ; Egli mormora  spesse volte , aguzza la lingua nelle sue Opere  sulla condotta del Consiglierò di Angusto, ne  critica il lusso , le ricche abitazioni , le squisi-  te mense ec. , ma benché sia contemporaneo di  Plinio nulla dice di preciso sul fatto contro-  verso .   Ma si supponga , che il Mecenate accenna-  to da quello sia il Mecenate, che fu T ogget-  to delle nostre storiche ricerche . Sussisterà  in questa ipotesi quella febre continua , e  quella veglia triennale ? Pareva incredibile al  lodato Giraldi questa veglia triennale, e peno-  sa del nostro Mecenate, e non ne sarebbe giam«  mai restato persuaso , se la sua credulità non  fosse stata sorpresa da un’ altro fatto più stra-  vagante s riferito da Olimpiodoro Alessandri-,  no , ij quale suppone , che un Uomo vivesse  senza mai dormire , pascendosi di sola aria ,  o di luce „ Quindi io giudico ( scrive il    ?6q   ,, raldi ), che proveniése a Mecenate quella è-  „ sica indisposizione di non aver potuto dormir  »» mai per no intiero trienoio ; ciò che mi   i, sembrava quasi incredibile prima che leg-  ■»* gessi in Olimpiodoro Alessandrina . . . che  « nn Uomo visse senza mai dormire , pascen-  „ dosi di solo aere solare , ed in conferma di  >» tale portento cita quello l’autorità di Ari-  » statele . (i)   Alcuni,frà quali il sullodato Cenni (assono  d avviso, che Seneca abbia parlato della sudet-  ta veglia triennale di Mecenate, allorquando  fauna specie di parallello frà questo, ed il  celebre Attilio Regolo „ Veniamo ora ( dice  » Seneca ad Attilio Regolo . Perchè la fortn-  »> na gli nocqne quando egli diede quel gran*  »» de argomento di fedeltà , e di pazienza ?   j. Trapassano li chiodi la sua cute , dovun-  y, que rivolge , ed inclina le sue membra affa-  », ticate incontra una ferita , e le sue luci so-  », no aperte ad una veglia perpetua . . . Cre-   • / . • * ♦   C i ) Loc. cit. pag. 1 5o. : Mine illi ( Mece-  nate ) existimo cantigisse , c/uod a Plinio scri-  bitur , ut per triennium non dormieril , id quod  ego vix credideram ni ti antiquum apud Olim-  piodorurn Alcxandrinum in Phaedonis Commen-  tar io legissem , hominem insomnem vixisse ,  qui solo aere solari nutriretur , atque in eo mi-  racolo Aristotelem citai. ■ ■■   (a,) Loc. cit. . . ' •     >, di tu , che sia più fortunato Mecenate , il  », quale divorato dagli amori , c da replicati  », ripudj della ricalcitrante consorte , si pro-  ,, caccia il sonno mercé l’armonia de’ musi-  si cali istromenti , che da lungi echeggiano  », soavemente ? Ma benché egli prenda sonno   colla forza del vino , scuota , ed inganni  „ il suo animo col mormorio dell’acque caden-  „ ti , e con mille altri generi di piaceri , tnt-  „ tavia veglierà nelle piume , come Attilio  », Regolo nella croce . ( i)   Non si comprende però come Seneca in que-  sto luogo voglia indicare la pretesa veglia tri-  ennale di Mecenate, giacché la sostanza dei  suo discorso si è che questo , essendo vessato  dall’ amore sconcio , e dal carattere inquieto   (i) DeProvid. Cap.3. : Veniamus ad Re-  gulum : quid illi fortuna nocuit , quod illud  documentimi j Idei , documentimi patientiae fe-  tic ? Figunt cutem davi , et quocumque fati-  gatum corpus reclinai , vulneri incumbit , et  in perpetuam vigiliam suspensa sunt lumina  .... F eli ciorem ergo tu Maecenatetn patos ,  bui amoribus anxio , et morosae Uxoris quoti-  diana repudia deflenti , somnus per sympho-  niarum caritum a longinquo lene resonanlium  quaeritur ? Mero se licei sopiat , et fragori-  bus aquarum avocet , et mille voluptatibus  mentem anxiam fallat , tam 'vigilabit in piu-  ma , quam ilio in croce .    *63   di Terenzia stia moglie , che egli arnav^  perdutamente (i) , procurava di sollevarsi  con il vino , con lo strepito piacevole delle  acque cadenti dalle rupi , e con altri mezzi ca-  paci a discacciare , o mitigare la noja dello  spirito ; aggiunge inoltre , che ad onta di tut-  to questo , Mecenate non trovava sollievo , co-  me Attilio Regolo tormentato dalla barbarie  degli Africani nella botte guarnita di punte di  ferro (2).   É’ pur troppo vero, che una moglie fornita  di un Carattere infedele , caparbio, ed inco-  stante potrà tenere in grandi inquietezze un  onesto marito , dal quale è amata , manonpa-»  re verisimile , nè credibile , che tali inquie-  tezze possano giungere fino al grado di cagio-  nare una veglia non interrotta di più anni .  Perciò si può convenire nella supposiziqne di   , . •’ ;   (1) Girald. loc. cit. Porro Terentiam Mac-  cenas miro amore deperiti } .ut Acron , & Por-  phirion tradidere .   (2) Joseph Cantei, in Not. ad Valer. Max.  lib.l. de Relig, § .1 4. Dir is sane suppliciis cru-  cactus est Attilius : primum quidem , et id  tantum cibi datum est , un de vitam aegre su-  stentaret , et adductus Ltiphas , a quo territus  nec animo , nec corpore conquiesceret : tum ,  praecisis palpebris ne connivere posset , solis  radiis'objectus est : in dolio denique inclusus  praefixo davi culti , quorum acuti it misere la,-,  cerai us inceriti ,    '■— *    Qigitized by Google     Seneca riguardo alla' sùdetta Terenzia moglie  di Mecenate ; si può convenire , che ella sarà  stata di Un umore capriccioso , ed indocile ;  che Mecenate ne avrà provati disgusti , ed  amarezze , e che per discacciarle lóntand dal  suo spirito filosofico , avrà profittato di tutte  le possibili risorse ; non si può però ragione-  volmente , e giustamente conchiudere, che per  tal motivo non potesse procacciarsi il sonno  per il non breve intervallo di un intero trien-  nio; nè si può comprendere^! torna a ripetere,  come Seneca abbia nel citato luogo voluto si-  gnificare ciò , che Plinio ha riferito sulla pre-  tesa veglia triennale del nostro Mecenate i  Passiamo alla febre perpetua .   La febre è annoverata fra li pallidi morbi >  che affliggono miseramente la specie umana .  Quell' individuo , che da una febre viene mo-  lestato , e da febre di tal carattere , che non  abbandona giammai il povero paziente , è im-  possibile , che possa agire con energia , e  trattare affari di sommo rilievo . Da quanto si  è detto nel decorso della Storia del nostro Me-  cenate, risulta pienamente , che egli fin dall’  età più verde incominciò a prestare i suoi ser-  vigi ad Ottavio Augusto prima del Triumvira-  to , fin dopo inalzato al Trono . Si è rimarca-  to , che iu tutto questo tempo affrontò le im--  prese le più faticose ; segui qualche volta il  suo Monarca anche frà lo strepito delle Armi }  governò lunga stagione Roma , e l’Italia , dis-  sipò congiure pericolose, ed usò in tutte le    i    Digitized by Google    370   operazioni , che gli furono affidate , eorag».  gio , fermezza , e straordinaria vigilanza .   Se pertanto fosse stato sottoposto ad una  malattia di una febre perpetua, come è pos-  sibile , che avrebbe egli potuto agire con tan-  ta energica attività per disimpegnare gl’in-  carichi laboriosi , che tutto giorno riceveva  da Augusto? Ola febre è una malattia, o non  è malattia . Se non è una malattia tutto è con-  ciliabile , ma siccome non può mettersi in que-  stione , 'ch’ella sia un malore , che sconvolge il  sistema fisico deirUomo , cosi sembra potersi  dire, che Plinio in quel luogo , 0 ha parlato  di qualche altro Mecenate , o se ha parlato  del nostro le sue assertive non possono in ve-  run conto fissare la fiostra attenzione .   Impugnando però questo passo di Plinio, noi  non abbiamo avuto il pensiere di divenire il  censore di quel celeberrimo , e laborioso  scrittore della Storia naturale . Égli esige  tutto il rispetto de’ Letterati , li quali cono-  scono , che quella sua Opera magnifica gli pro-  cacfciò meritamente un posto brillante nel tem-  pio deU’immortalità ; ma in un si grande la-  voro , in cui dovette giovarsi, e profittare  degli occhi , e delle mani di molti , non deve  recar meraviglia , se egli avesse inserito una  qualche opinione grossolana , e popólare .   Il medesimo ( 1) ha detto ancora , che quel  Cajo Melisso Mecenate , Liberto del nostro Cil-   (0 Tiraboschi -Stor, della Lett.Ital.Tom.a.,    * 7 *   «io per guarire da uno sputo di sangue , no»  parlò mai per lo spazio di tre anni . Questo fat-  to è pure singolare , meno però di quello della  febre perpetua, e della veglia triennale . (i)   (ij Plin. Lib.28. C3p.6. Sect. i 7. : Jamet  sermoni porci multis de causis salutare est .  Triennio Maecenatem Mclissum accepimus si-  lentium sibi imperavisse a convulsione reddito  sanguine . L' Arduino nelle note a questo luogo  di Plinio osserva , che in alcuni Codici invece  di Melissum si legge Messi um , conchiude però,  'che ne Codici più accurati si trova scritto Me-  lissum . Potrebbe dubitarsi se il Melisso , di  cui qui si parla , sia veramente il Liberto di  Mecenate , giacche Sveto nio Lib. .de lllust.  Gram. Cap. 3 . nomina are Melisso Lenèo . Ful-  genzio \ib. 2.. Withol. fà menzione di un Melis-  sp Euboico . Alberto Magno Lib. 6 . de Anim.  Tract. i.cap.6. loda un Melisso Autore di un li-  bro sugli Animali . E Laerzio lib. 9. pag. 445.  rammenta parimenti un Melisso ; Ma il lodato  Arduino è d'avviso , che il Melisso accennato  da Plinio è il Cajo Melisso Mecenate Liberto  del nostro Mecenate : Meminit Svetonius  ( Hard, in Ind. Auct. Plin. ) . . . Caji etiam  M elissi , quem Maecenati gratissimum etiam  fuisse ait, ac Biblidthecarum in Octaviae Por-  tico ordinandarum curam accepisse , a Patro~  no suo Cajus Melissus Maecenas dictus est .  Hic eriim illc est , quem Maecenatem Melissum  scribi oportet , apud Pliriium lib.aS. Sect.i     -V      C>.Luigi Speranza, “Grice e Mecenate”, The Swimming-Pool Library. Mecenate.

 

Grice e Medio: la ragione conversazionale al portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Medio. Porch. A contemporary of Plotino. He wrote a number of essays. Medio.

 

Grice e Megistia: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone --  Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilicata. A Pythagorean according to Giamblico di Calcide. Grice: “Cicero argued that anything written in Greek is not part of Roman philosophy; I guess he has a point. Whereas we do consider things written in Latin by Englishmen PART of English philosophy, we do not consider anything written by the Old Britons before the Anglo-Saxon Conquest to be a part and parcel of Sorley, “History of English philosophy’!” -- Megistia.

 

Grice e Meis: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – IL FU MATTIA PASCALE – lo spirito abruzzese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bucchianico). Filosofo italiano. Bucchianico, Chieti, Abruzzo.  Grice: “I agree with Meis’s naturalism; he proposes a three-stage development: vegetal, animal, man – his naturalism has a Hegelian side to it, while man is more old fashioned, more Kantian!” Figlio di un medico aderente alla carboneria e di ideali mazziniani, nacque a Bucchianico, dove compì i primi studi: li prosegue presso il Regio collegio di Chieti e poi a Napoli, dove e allievo dei letterati PUOTI, SANCTIS, SPAVENTA e RAMAGLIA. Si laurea e divenne socio degl’Aspiranti naturalisti, di cui diventerà presidente; e poi medico aggiunto dell'Ospedale degli Incurabili e apre una scuola di grande successo, dove insegna filosofia naturale. E poi rettore del Collegio di Napoli.  Dopo la promulgazione della costituzione nel Regno di Napoli, venne eletto deputato per la circoscrizione Abruzzo Citra: sostenne la protesta di Mancini contro la repressione operata dalle truppe borboniche contro i manifestanti e l'accusa di tradimento al re.  E quindi costretto all'esilio. Dopo un soggiorno a Genova e a Torino, si stabilì a Parigi. Esercita la professione di medico per gli esuli e gli emigrati italiani. Insegna antropologia filosofica lall'università ed entra in contatto con il mondo filosofico parigino, diventando assistente di  Bernard e ottenendo da Trousseau l'incarico di insegnare semeiotica. Strige anche un proficuo rapporto con Cousin. Rientra in Italia,  prima a Torino e poi a Modena, dove insegna.  Torna a Napoli e divenne assistente di SANCTIS, ministro dell'istruzione nel governo provvisorio, e venne eletto membro del Consiglio Superiore della Pubblica istruzione.  E deputato al Parlamento del Regno d'Italia sedendo tra i ministeriali.   Busto di M. al Pincio (Roma) Non si sa né dove né quando e iniziato in massoneria, è certo tuttavia che e membro della Loggia Felsinea di Bologna. Insegna a Bologna. Il suo naturalismo lo spinse a cercare un fondamento filosofico alle scienze della natura, che egli trova nell'idealismo di Hegel. E anche amico intimo e collega di SICILIANI, del quale condivise in parte la speculazione intorno al positivismo.  Venne citato, di passaggio, nel romanzo di PIRANDELLO (si veda), “Il fu Mattia Pascal”. E costruito il palazzo della Biblioteca di Chieti, in piazza Tempietti romani, dedicata a M..  V. Gnocchini, L'Italia dei Liberi Muratori, Erasmo ed., Roma, M. su treccani.  Il protagonista del romanzo infatti ascolta casualmente, durante un viaggio in treno, una conversazione fra due filosofi, e dato che è uscita la notizia della sua morte, sceglie come proprio nuovo cognome "Meis", traendolo da "De Meis". Il nome sarà "Adriano", udito dal fu Mattia nella stessa conversazione, che attribuiva a M. la tesi che due statue nella città di Peneade rappresentassero Cristo e la Veronica -- colei che si sostiene abbia asciugato il viso di Gesù durante il calvario. In queste pagine del romanzo pirandelliano, Mattia Pascal prova uno straordinario senso di ebbrezza legato alla propria libertà.  Tessitore, M. Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Colapietra, M., politico “militante”, Napoli, Guida, Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M. Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  M., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  openMLOL, Horizons storia.camera, Camera dei deputati.  M. di Giacomo de Crecchio, in Biblioteche dei filosofi, Scuola Normale Superiore di Pisa Cagliari. L'Unificazione, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Nella prima edizione di Il fu Mattia Pascal figura qui un GIUSEPPE De Meis, che nelle successive si precisa nel nome di un seguace piuttosto atipico di SANCTIS, il filosofo abruzzese M. Difficile immaginare che questa schelta sia del tutoo casual, altrettanto difficile sondarne a fondo le ragioni e avanzare qualche ipotesi. A meno che non si pensi al saggi in cuil M. (“Darwin e la scienza”) tenta una sistesi tra evoluzionismo e dialettica hegeliana dello spirito; o non si immagini che possa essere la sua filosofia, sull’IMPOSSIBILITA della demo-CRAZIA in Italia, alla radice di uno sfogo politico de Adriano Meis. Meis, del quale Mattia Pascale prende parte del cognomen, e autore di una specie di impegnativo paradosso politico (IL SOVRANO), nel quale sostene la necessita di una REGALITA forte, come punto di mediazione disinteressata tra le passioni laceranti di varia strati della popolazione. E questo E il solo possible filo che riusciamo a intravedere tra lui e questo improvviso (ma forse non del tutto imporgrammato) sfodo di Adriano Meis. Antichità Oggettivismo. Oggettivismo primitive da Talete ad Anassagora Soggettivismo pratico individualista Sofisti. Soggettivismo pratico universalista Socrate Oggettivismo ideale assoluto Platone Soggettivismo incompiuto Aristotile Tempo moderno — Soggettivismo. Soggettivismo pratico intuitivo Stoicismo Epicureismo Scetticismo Ne-oplatonismo Cristianesimo  Oggettivismo ideale particolarista Roscellino. Occam Oggettivismo sensibile Bacone. Condillac. Diderot, d’Holbac. Passaggio alla soggettività Hame. Kant. Oggettivismo ideale universalista Anseimo. S. Tommaso. Scoto . » Soggettivismo tendente alla oggettività Cartesio Oggettivismo assoluto Geulinx. Mollebranche. Spinosa Oggettivismo dogmatico individualista — Lcibnitz. Wolf Passaggio alla soggettività —Berlielei/. Kant Tempo recente Soggettivismo assoluto. Soggettivismo trascendentale — Kant Soggettivismo assoluto astratto — Fichte Oggettivismo assoluto Schelling Soggettivismo positivo assoluto — Hegel . La storia della medicina .Cosa è lo Stato?  Lo Stato è l'uomo grande; è la società umana  individuata. L'ha detto Aristotile: lo Stato è la società  che basta a se stessa. 11 che appunto vuol dire che lo  Stato è il grande organismo umano, l'individuo gran-  de, compiuto in sé stesso, indipendente ed assoluto.  L' uomo piccolo è una scala ascendente di funzioni. Egli ha per base la funzione vegetativa, per cui  mangia e beve e si nutre, veste panni, abita un nido  e si riproduce: la funzione riproduttiva è l'apice, e la  corona della vita vegetativa. Egli è questo il sistema dei suoi bisogni materiali, vegetativi ed animali. Ma 1' uomo elementare non è soltanto un vegetabile compenetrato e avvolto da un animale; egli è anche un animale, un'anima, sormontata dall'unità  dello spirito, avviluppata e compenetrata dalla coscienza  umana. La riproduzione è la corona della vita vegetale; la coscienza è la corona della vita animale; e la  coscienza assoluta è la corona e l’apice della vita  spirituale.   Come spirito l'uomo è per prima cosa, e per  prima base, morale. La moralità, la virtti privata, è la  forma più naturale dello spirito: essa è il patrimonio  dell'individuo, e resta confinato e chiuso in lui. Il dritto è l’uomo aggrandito; egli è l'individuo  che si aggiunge una porzione della natura esterna;  ed è una estensione del suo corpo, e della sua anima;  ampliazione della sua natura organica, ed esplicazione  della sua natura giuridica spirituale. E a tutto questo sovrasta l’IO, la libera coscienza,  che è come il perno intorno a cui tutto gira: centro  e circonferenza del circolo umano. L'IO è la conoscenza di se. Nella pura coscienza  l'uomo conosce sé come sé, come semplice forma;  ed egli aspira a conoscere anco l’interno di se, la sua  propria natura. E Si conosce infatti: nell'arte, come  bello, e per dir così semi-infinito: nella religione,  come infinito sensibile; nella scienza, come infinito  di pensiero, e sì come pensiero infinito. Tale è il sistema spirituale nell' uomo piccolo,  nell’individuo particolare. Nell’uomo grande, nell' organismo politico-individuale che si chiama LO STATO, ci sono le stesse funzioni. Ci è la funzione economica, agricola, industriale,  commerciale: produzione materiale, frumento o libro;  trasformazione ed assimilazione; circolazione e scambio;  nutrizione e consumazione: relazione sensibile fra tutti  gl'individui dei quali il corpo sociale è formato. Ci è la funzione morale, non più chiusa nell'individuo, ma estesa alla società, manifestata come relazione attuale fra gì' individui umani. La morale individua diventa dritto comune; materia della polizia,  e del dritto penale. Nessun uomo ha il dritto di offendere e usar vie di fatto contro un altro uomo,  perchè tutti hanno il dritto che la loro coscienza morale sia rispettata. Il reo non fa contro uno, ma contro tutti; e non è quindi uno o pochi, sono tutti  contro di lui: il sentimento della comune natura umana reclama la sua punizione. Nessun uomo ha il  dritto di maltrattare un bruto; perchè non è il bruto,  è il sentimento della fondamentale unità della natura  umana e animale eh' egli ferisce e maltratta in tutti  gli uomini civili e sensibili. La morale individua è  il rispetto della natura; il dritto morale è l'azione  conforme ai fini, ai principii, ai sentimenti naturali.  Egli è dunque una relazione psichica, spirituale, poiché  spirituale è il suo fine. Ci è la funzione giuridica, ed è la relazione dell'individuo coi suoi annessi naturali agli altri individui similmente costituiti di cui la società è formata.  Quello che invade l’altrui , non occupa solo una porzione di natura; egli occupa e viola l'anima di un  uomo, la quale è pur quella di tutti gli uomini, membri di uno stesso corpo sociale; e perciò tutti si levano contro l'ingiusto invasore. Questo tutti è la legge,  che funziona e si esercita in forma di Tribunale. La  legge penale sta di rincontro alla barbarie, alla passione violenta ed alla guerra privata; un tribunale criminale è in realtà una corte marziale. La legge  civile è il principio e la regola della pacifica decisione. Essa è la libera ragione che si leva di mezzo  agli opposti interessi; e il contrasto troncato in germe, e definito in forma di piato, non solo non giunge, ma  neppur tende alla violenza ed alla guerra. La guerra  è la barbarie; la civiltà è la pace, perchè è la legge,  e perciò questa a ragione è detta civile; e i suoi sono  tutti giudici di pace. Ci è finalmente l’IO comune, conoscenza e volere  generale; ed è, come tale, una funzione formale a cui  servono di contenuto e di soggetto tutte le funzioni  speciali. Cosa è dunque lo Stato?   Lo Stato è l’insieme di tutte le funzioni materiali  ed economiche, morali e giuridiche, in quanto sono  unificate nell'IO comune, che tutte le penetra e le  regola, ed è il punto a cui mette capo ogni particolar  movimento, e da cui parte ogni azione generale. Lo Stato è adunque l'IO,  la coscienza sociale. Tale è la forma: il contenuto è la virtù pubblica, il  dritto civile, il dritto penale, e la pubblica economia.   Lo Stato è il giusto, dice ALBICINI (si veda). Sì certamente;  ma il giusto non è che una parte del suo contenuto;  è un elemento della sua natura, il quale piglia nell’organismo giuridico la sua forma particolare, e la sua  realtà naturale. Ma un principe non è solo un Gran Giudice, e un Parlamento non c'è soltanto per fare  il Codice Civile. Giusto io lo piglio in senso di legge:  e la legge io la piglio in senso di relazione umana  in genere. Ed io allora la piglio in senso di relazione cosmica universale. Bisogna finirla una volta con  le idee vaghe ed astratte, e con le parole indeterminate e generali. Lo Stato è la virtti; dice Montesquieu: la virtìi  è il suo principio ed il suo fondamento, e il vizio è la sua rovina. Idee generiche, astratte, indeterminate,  piene di confusione e di errori. La virtù, la morale,  non è che un elemento, ed una sfera dello Stato. Essa ò  per se individuale; ma quando esce dall'individuo, e  promove o turba e nega l'ordine sociale inferiore, e per  così dire individuale, essa allora di privata diventa pubblica, ed appartiene allo Stato. Che se dall' infima sfera  delle relazioni individuali l'azione si leva alla sfera giuridica, o se anche penetra nella sfera politica, allora  essa perde man mano il suo carattere morale. Un delitto politico è per poco un non-senso, quando non è  che politico: e tale egli è quando l'animo è puro.  Omnia mwnda mundis: puro vuol dir non-individuale,  assoluto, generale. E allora non è a parlar di delitto  e di colpa: in politica non ci è che prudenza ed imprudenza, serietà e leggerezza, verità ed errore, successo ed insuccesso. Lo Stato ordina i premi e le pene, e  le proporziona alla loro natura morale, giuridica o politica : se non che una pena politica è quasi un non-senso:  essa in realtà non è che un semplice fatto di guerra,  un puro atto di difesa. La virtù, dirà il Montesquieu,  io la piglio in senso di forza, di energia politica. Ed io la piglio in senso di energia magnetica, elettrica,  nervosa, muscolare. L’antiche repubblica romana e  fondata sulla sobrietà e sulla severa continenza, sulla  parsimonia e la povertà del privato cittadino. Roma  cadde perchè vi penetrò la ricchezza, la voluttà, il  lusso dell'Asia. Quella io chiamo virtù, questo vizio,  rilassatezza, corruzione, dice Montesquieu, e ripete  Napoleone III, e con lui tutti, dal primo all'ultimo,  i francesi. — francesi, questa che voi fate non è  la storia, è il fatto; è la materia appena un po' digrossata, non è l'idea che la determina e la informa; è il  fenomeno, non è il pensiero della storia. E lo vedrete.  Lo Stato è il ben essere, la prosperità, la ricchezza, dice Fourier. Sì, certamente: anche questo  è lo Stato: ed egli cura la produzione, promove ogni  maniera d'industria, e favorisce il commercio con  istituzioni, e leggi , e procedure speciali. Ma la ricchezza non è che il sostrato, il sottosuolo dello Stato.  La ricchezza è la materia , lo Stato è il pensiero: 1' una  è il corpo, l’altro è l' anima. L' anima fa il corpo , ma  non è corpo per questo; e l'Economia politica non è  la Politica, non è lo Stato. IL PRINCIPIO DELLO STATO ITALIANO E LA RELIGIONE, è la Bibbia  degli Ebrei, dice Aquila di Meaux, e per quel tempo  non vola male. Ora però, sarebbe il peggio che si  potesse dire. Cotesto ora non è piti un volare, è uno  strisciar per le terre, o come talpa andar per le cieche  latebre, odiando la luce e il puro e libero aere della  ragione. E se Dupanloup pure insiste e perfidia, allora io dico che il principio dello Stato è l'arte,  è la Divina Commedia e il Decamerone , il Barbiere di  Siviglia e la Trasfigurazione. Tanto ci ha che far l'una  quanto l'altra, ed io avrò altrettanta ragione. Il principio dello Stato è Dio, dirà Dupanloup. Sì, certamente; ora finalmente ci siamo.  Non è però il Dio della Religione e dell'Arte, ma il Dio  del corpo sociale, il Dio dello Stato. Questo è che costituisce i Re, che direttamente o per suoi organi crea  tutti i poteri e le autorità politiche; e questo Dio non  abita nel cielo; lassù non v'è che il Dio della Natura:  il Dio dello Stato abita nel petto del cittadino, ed è  a lui eh' egli ubbidisce quando rende ubbidienza alle  autorità che ne sono i ministri, il braccio e la parola. Lo Stato non e corpo, è anima. Anima è sapere  e volere, coscienza e azione; e la funzione dello Stato come Stato consiste nel sapor di essere, e nel volere  essere Stato. Questa non è che la sua forma; ma questa forma è appunto il vero Stato; e la coscienza assoluta ch'egli ha di sé, e l'azione comune in cui  questa si traduce e si spiega, è per l'appunto la sua  funzione essenziale. La coscienza dello Stato per intrinseca ed assoluta  necessità prende una esistenza naturale, e spontaneamente si crea il suo particolare organismo. Essa è  l'anima; ed il sistema dei poteri politici è il corpo  che si crea , e in cui si fa reale. È una creazione immediata e diretta, ovvero indiretta e mediata, come  quella d' ogni principio vitale; ma in definitivo è la  coscienza pubblica, ed è sempre lo Stato che crea i  poteri e le autorità dello Stato. Questa funzione creatrice è 1' elezione. Ma questo corpo in cui l'anima generale si traduce e si concentra, in realtà non è che una pura  anima: è il semplice potere legislativo. Quest'anima  effettiva ed attuale creata dall'elezione, si crea a sua  volta il suo proprio corpo. Tale è 1! esercito : l' esercito  amministrativo e l' esercito militare ; e la finanza è il  sangue di questo corpo generale. L' esercito amministrativo serve per eseguire o  render possibili tutte le funzioni, che compongono  la triplice natura dello Stato: la funzione economica,  la morale, e la giuridica. Un magistrato, un impiegato, il ministro, il Sovrano, è un soldato; e il suo  onore è d'ubbidir fedelmente alla legge, all'anima  dello Stato. L'esercito militare ha un ufficio anche pili essenziale. Esso serve allo Stato per essere, per esistere; gli  serve a difendersi dalle potenze nemiche, esterne o interne, che ne minacciano la vita economica, politica  o morale. Il soldato è il braccio della legge, e dello  Stato; il suo ufficio è di respinger l' assalto o l' insulto  di un altro Stato , e di reprimere le passioni colpevoli  che si sfrenano contro la legge del suo paese, e le istituzioni del proprio Stato: nobile ed alto ufficio tanto  nel primo come nel secondo caso.   I due eserciti sono entrambi assoldati. Sono il  corpo, e il sangue vi dee circolare. Il potere legislativo è l'anima; ed è perciò che non è pagato. Il Sovrano ha una lista civile perchè unisce in sé le due  nature: egli è il tratto d' unione fra il potere legislativo e l'esecutivo, e personifica in lui l'unità dello  Stato : ed è perciò eh 9 egli è sacro. Sovranità, potere legislativo, potere esecutivo; tutto  questo è forma di forma: la forma essenziale , il vero  Stato , è l”IO assoluto , la coscienza e la volontà generale. Ma non vi è la pura coscienza e l'astratto  volere, e non è possibile una funzione puramente  formale. Si è conscii di essere questo o quello , si vuole  e si fa sempre qualche cosa: e lo Stato conosce e fa da  un lato, e dall'altro esegue, la legge economica, la  legge penale, la legge civile. Il Sovrano, il legislatore, l’impiegato, il soldato, tutti vogliono che lo Stato sia;  vogliono che sia prospero, giusto, savio, forte di tutte  le fotze morali, e che possa tutte liberamente spiegarle, ed esser felice. L'Io è la forma; la forza economica, la virtù, il dritto, è il contenuto dello Stato. Ma la forma prevale, e domina il contenuto. La  morale domina l'economia: la produzione non è possibile, e il guadagno non è realizzabile s'egli è immorale. Il dritto domina la morale: la virtù pubblica  impone alla virtù privata. L'Io, la pura funzione formale, domina e modifica tutte le funzioni speciali che  sono il suo essenziale contenuto: lo Stato domina e  modifica il dritto e la morale. Un assoluto vince l'altro: tutti per sé assoluti, sono fra loro assolutamente  RELATIVI (“il relativo hegeliano”). Il volgo riguarda come piti eccellenti gli assoluti inferiori, perchè piti naturali, e di più immediata e più sensibile idealità. Il più alto è per lui  l'ordine morale; che sovrasta e primeggia sull'ordine  giuridico; 1' ordine politico è subordinato a tutti e due. In realtà il più eccellente è l'ordine dello Stato, perchè  più generale, e più assoluto e divino; e quando l'armonia fra i tre ordini e le tre funzioni si rompe, è la  funzione formale, la funzione assoluta dell'essere,  quella alla quale appartiene il primato, e prende  sopra l' altre la mano. Scoppia la RIVOLUZIONE dal basso  o dall'alto: ribellione, COLPO DI STATO. Slealtà, tradimento, illegalità, delitto. È vero. La coscienza morale lo riprova, la coscienza giuridica lo condanna;  ma v'è (vi può essere) una coscienza superiore che  l'approva; e se non è la coscienza politica dei contemporanei, sarà di certo la coscienza politica degli  avvenire. La storia approva IL COLPO DI STATO  e LA RIVOLUZIONE popolare, quando è vera funzion di essere:  quando cioè l' essere apparente dello Stato non corrisponde al suo VERO essere , a quello che esso è nella  coscienza del corpo sociale, sia che oltrepassi, o sia  che rimanga al di sotto di questa misura ideale. Invadere la proprietà d' un cittadino è ingiusto;  ma lo Stato può farlo; ed è una giusta ingiustizia, ed una legale illegalità, perchè in tal guisa realizza  il suo essere, il benessere della comunità, o dell’intiero  corpo sociale. La ragione e il titolo è la pubblica  utilità. Questo è un vedere solo il lato esterno del  fatto, che vi è di certo e non può mai mancare, ma non  la sua vera ragione. Si vede la comodità sensibile, ma  non si vede il suo interno principio, l'essere generale  realizzato. Ma non è meraviglia. IL CODICE ITALIANO E POCO MEN CHE TRADOTTO DEL FRANCESE. Le nostre leggi  fatte esse pure dal risorgimento, parlano la sua lingua  e ne riflettono le idee. Ammazzare un uomo è ingiusto ed immorale:  è un violar l'ordine naturale; è un toglier all'uomo  una proprietà che 1'uomo non ha creata. Ma lo Stato  anche questo può fare. Lo Stato è funzion di essere; egli è, vale a dire una forza: e l' elemento di questa forza è la sua corrispondenza e la possibile eguaglianza con la coscienza  generale. Lo Stato è debole quando il suo concetto  resta al di sotto o supera quello del corpo sociale. Il secondo, e non già il primo, è di gran lunga il caso  dello STATO ITALIANO. Egli è perciò che quando la  società vede nella pena di morte un elemento di solidità, ed un pegno di sicurezza generale, abolirla è  un errore: è una fallace utopia, una velleità teorica, difetto di serietà pratica, scipita sentimentalità,  filantropia fuor di proposito; bontà di cuore forse, ma  certo debolezza di mente, che ad altro non condurrebbe che a crescer la debolezza, già così grande, dello  Stato, accrescendo la distanza che lo divide dalla coscienza pubblica, di cui deve render l' imagine , ed essere la fedele espressione. Quando l'opinione sarà progredita; quando la coscienza dei pochissimi si troverà  in armonia con la coscienza dei moltissimi, allora lo Stato e forte, e allora la pena ingiusta, immorale ed  inumana della morte si potrà, e si dovrà senza altro  indugio, abolire; perchè allora il PAESE, divenuto meno  incolto e per dir così più spirituale , avrà cessato di  riguardarla come un elemento di esistenza; e non sentirà il bisogno di una garanzia sensibile tanto barbara  e immane. Allora non saranno soltanto pochi pubblicisti  ignoranti e frivoli, ed alcuni legislatori ridicoli, saranno moltissimi, se non pur tutti, a reclamarne l’abolizione. Si parla sempre dell'utilità della pena di morte. È l'argomento dei sostenitori, ed è l'achille degli  oppositori. Questo è da una parte e dall' altra un vergognoso errore. Necessità non è utilità; e quando lo Stato opera in funzion di essere, egli è in una sfera ideale e  assoluta, superiore alla regione della utilità e del senso.  Ma questo sì vergognoso errore era la verità del Risorgimento; ed è perciò che non se ne vergognava,  anzi l'accettava, e ne andava giustameute superbo:  il senso e l'utilità e tutta la sua filosofìa, ed egli  condanna allora la pena capitale come non utile. Venuto più tardi a miglior sentimento, il Risorgimento  respinge l’utilità , e condanna la pena di morte  come utile. Egli scambia per utilità la necessità ideale;  e non si vergogna, perchè questo sofisma è la sua  verità: egli è il da ubi consistam della FILOSOFIA positiva. Ma se ne vergognerà di certo quando di risorgimento sarà passato a secolo decimonono. Ammazzare un uomo, turbarne i dritti, e violarne il possesso, attentare all'esistenza dello Stato,  che è quanto dire alla vita delle sue istituzioni, è  immorale ed ingiusto; e sarà assai di più ammazzare  moltitudini di uomini, insignorirsi, recare in sé il dominio (e sia pur l'alto dominio) delle loro proprietà, e distruggere uno Stato. Questo il cittadino  non lo può, non lo dee fare; ma può e dee talvolta  farlo lo Stato. L' usurpazione e la violenza privata è  ingiusta; la violenza pubblica e la pubblica usurpazione non è giusta; è più e meglio di questo, è politica; e si chiama guerra e conquista, e non più  violenza ed usurpazione. La guerra è buona, e la conquista è giusta legittima e veramente politica, (e dico buona, legittima,  giusta per convenzione, ed in mancanza d'altre parole)  quando in esse lo Stato opera in funzione di essere:  quando guerreggia e conquista per vivere per essere,  o per diventare quello che è in sé, e deve anche attualmente essere. Vi sono società naturali, che la violenza, l'arbitrio, la passione, il caso in una parola, divide in  più corpi sociali , per cui DI UNO SI FORMANO PIU STATI. Ma in tutti rimane la coscienza della loro identità politica, e della loro natura storica comune. Yi sono ancora società originariamente separate,  in cui l’accidente, cioè l'arbitrio, la violenza, le passioni umane, col concorso di altri accidenti ed opportunità naturali, crea una coscienza comune. LA LINGUA ITALIANA, vale a dire la comunità e la somiglianza fondamentale dei DIALETTI ITALIANI  (non mai la loro identità, che  non e' è mai, e non può esserci in natura, ed è una  finzione assurda dei pedanti) è l'organismo sensibile,  e l'espressione approssimativa, e la meno inadeguata,  di quella nuova coscienza. La comune storia è il processo per cui di un gruppo accidentale di popoli e  di Stati si forma a poco a poco un tutto naturale e  vivente con una interna unità e un' anima generale.  LA GEOGRAFIA è la condizione esterna dello sviluppo,  e l' occasione più o meno accidentale di questa formazione ideale.  La comune coscienza che si è conservata dopo lo  spartimento dello Stato unico originario, non è più  coscienza, ma tende a ripigliare l'antica forma e la  primiera attività; e la coscienza comune che si è sviluppata in un gruppo di Stati eterogenei non è che  il sentimento della loro comune unità: e nell' un caso  e nell'altro questo sentimento è la nazionalità , la coscienza nazionale. E nell' uno come nell' altro caso  ciascuno Stato si trova diviso in se stesso; è un' anima  scissa , con due coscienze distinte ; che l' una è la coscienza propria di Stato, l' altra è la coscienza comune  di NAZIONE. Esso è dunque in realtà due anime, due  esseri, uno attuale, e l' altro possibile; il primo è Stato,  l'altro non è che nazione. LA NAZIONE E LA POSSIBILITA NATURALE DELLO STATO. Ma esso anche quest'altra parte  di sé vuol recare ad atto; esso ha bisogno di esser  tutto il suo essere, e irresistibilmente aspira a far della  sua coscienza politica effettiva, e della sua coscienza  nazionale astratta, una sola coscienza reale. Egli è perciò  che lo Stato fa la guerra, e conquista gli Stati connazionali. È la buona guerra, e la legittima conquista;  ma è ancora il processo barbaro, violento, inconsapevole, passionale, irrazionale. Era altra volta la buona  soluzione; ora è divenuta cattiva: il decimonono secolo  è tempo di coscienza e di ragione, e non ammette  che la soluzione consapevole, volontaria e razionale.  Questo succede quando in tutti i corpi sociali si sviluppa più o meno egualmente di sotto alla loro particolare e diversa coscienza politica la comune coscienza nazionale. Tutti allora aspirano, e tutti finiscono per fondersi in un solo corpo di nazione, in  una stessa società, in cui l'antica coscienza nazionale  si eleva e si perde ben presto nella coscienza politica comune. Non è più. la soluzione forzata, è la  soluzione spontanea e razionale.  Egli è nel primo modo che si sono costituite le  nazioni moderne; formazioni accidentali, prodotti di  guerre e di conquiste senza ragione, e di nozze fortunate. Tu felix Austria, tu felix Gallia, etc... nube. La coscienza nazionale non esiste, è venuta dopo. L'Austria felicemente accozzava delle società affatto eterogenee, fra cui non vi è stato che un principio di fusione. Si è formato senza dubbio nella Boemia, nell’Ungheria , nella Iugo-Slavia, una coscienza austriaca. Ma la vera coscienza politica è la coscienza boema,  ungherese e slava; e ciò perchè l' austriaca è una coscienza astratta, occasionale, non è una possibilità naturale effettuata e completa; non è lo sviluppo e la  realtà della coscienza nazionale. La Francia riuniva  con lo stesso metodo delle nozze, delle guerre ingiuste e delle astute diplomazie , degli Stati meno  inomogenei, in cui pur v’era un avanzo di un'antica  LINGUA COMUNE – FIGLIA DELLA LINGUA MADRE LATINA, testimone di una comune coscienza,  di politica rimasta puramente nazionale, reminiscenza  di una potente antica unità; IL FRANCESE E UNA LINGUA AVVENTIZIA E FORZATA, ma che ha finito per essere adottata -- coscienza avventizia, ma che era pur venuta, ed aveva finito per essere LA COMUNE ESSENZIALE UNITA DEL MONDO ROMANO.  Ed ecco perchè quei corpi insieme posti finirono per  formar le membra di un solo corpo morale: fatte però  le dovute e ben note eccezioni. Ora la Francia avrebbe  l'intenzione di seguitare in questa via, ed applicare  ancora il metodo antico, barbaro, medieyale. Ma si  oppone la natura e la ragione. La ragione è la coscienza  nazionale, è LA LINGUA, ed è la storia. La natura è la  geografia: un fiume non è un confine, ma una via ed  un mezzo di unione. La Francia è fuor dei suoi confini  naturali e nazionali.   La soluzione spontanea razionale e naturale delle quistioni nazionali e serbata al secolo della ragione;  ED E L’ITALIA CHE NE HA DATO AL MONDO L’ESEMPIO, ed è  il suo onore immortale, e il suo vero primato civile  e morale. Questo esempio la sorella dell'Italia, la Grecia,  si appresta ad imitarlo. La natura lo richiede. La greca  penisola è un tutto geografico perfettamente circoscritto; si direbbe una regione, un nido apprestato  per una sola razza. La ragione lo esige e lo impone;  lingua, storia, coscienza nazionale, solo in parte venuta a coscienza politica, tutto è comune alla Grecia;  e v' è un altro comune principio che la unisce, ed è la religione. Tutto dunque chiede l'indipendenza e  r unità della Grecia, tutto vuole che la Nazione Greca  diventi lo Stato Greco; ma l' Inghilterra non vi trova  il suo conto, e con tutte le forze si oppone, e l'Europa  delle crociate, divenuta la positiva e irreligiosa Europa  del Risorgimento , custodisce e protegge con una edi-  ficante unanimità il barbaro e immondo straniero,  il musulmano oppressore.   L' Italia è stata piu fortunata. Un grand' uomo  uscito dal suo sangue, pervenuto ad. assidersi sopra un  nobile trono straniero, rammenta l'antica madre  per la quale giovanetto aveva pugnato, e pugnava  ancora per essa, e le dava la mano a farsi di una  nazione astratta, uno Statò reale. ITALIANO, IO NON SO CHE QUESTO. Tutto l'altro io l'ignoro, perchè la Storia  non è ancor venuta, e non ci ha giudicato sopra. Ora  non vi è che la morale e il dritto, e le piccole passioni politiche dei francesi, tutti incompetenti nella  quistione. Ma di quel che il grand' uomo ha operato  per l'Italia siamo competenti noi; e non sono ingrati  tutti gì' Italiani. L'Italia per viriti propria, e per generoso aiuto,  che appena è che possa dirsi straniero, è salita dalla coscienza nazionale alla coscienza politica. Ma se quella  è forte e potente, questa è ancor debole ed incompleta. Le sette antiche coscienze politiche, nelle quali  la sua coscienza nazionale era scissa, non si sono  tutte egualmente amalgamate in una coscienza politica comune. Le deboli sono scomparse; ma ve n'è  qualcuna forte, che resiste e permane, ed è L’ANTICA COSCIENZA PIEMONTESE. Il Piemonte ha tre coscienze in lotta fra loro.  La coscienza nazionale, che in lui era, ed è senza dubbio ancor forte, non si è pienamente trasformata. Essa  è rimasta nazionale , astratta; ed ha solamente prodotto  di sé una coscienza politica italiana debole, parziale,  incompleta, poco men che astratta, piena di riserve  e di eccezioni. Essa è incompleta e debole di tutta la  realtà e la forza che rimane alla VECCHIA E TENACE CO-SCIENZA PIEMONTESE, di cui la permanente è l'espressione. Questo SAMMARLINO (si veda) lo ignora ; ed è in una perfetta buona fede. Egli in travvede in lui una forte  coscienza nazionale, e allato a una profonda coscienza  municipale (certo indebolita da quello che era prima)  vi trova un chiaroscuro di coscienza politica italiana,  e dice: io sono quanto si può più essere italiano. E se lo crede. Sammartino non ha tutti i torti : egli è  senza dubbio italiano; ma quel suo quanto si può essere,  o quanto altri sia, è una sua ESAGERAZIONE.. Nobile esagerazione, inganno volontario e generoso, illusione  che genera in lui la coscienza nazionale, la quale fa  sentirgli il bisogno di giustificarsi ai proprii occhi e  agli altrui. Ma in tanta complicazione il valente uomo  non ha tale abito e tal forza d'analisi da rendersi  conto del proprio essere, per cui diviene il giuoco  della sua immaginazione. Egli è perciò che è in buona  fede. Tutti gli uomini ci sono qual pili qual meno  allo stesso modo. Ma il tempo è galantuomo; e s’egli ha potuto  sviluppare in tutto il mondo antico una COSCIENZA ROMANA: se sulla vera coscienza magiara , czeca e jugoslava ha potuto inserire una coscienza austriaca; se  finalmente nella tedesca Alsazia e nella Lorena punto  del mondo francese, ha potuto (incredibile a dirsi, e  mostruoso a pensare) destare una coscienza politica  francese: ben saprà creare una vera coscienza italiana  in quel Piemonte, che pure è il primo fra tutti i paesi  della moderna Italia: in quel Piemonte, che nel momento in cui la grande storia italiana del Medio Evo  ha termine, quando tutto intorno tace, s'avviliva  e s'abbandona, e la nazione intiera scende nella  tomba della servitù straniera e papale, egli solo non  s' abbandona; e che rimasto jnfino allora nell'ombra,  sorge a un tratto giovane e vigoroso, e ripigliava  in sua mano il filo e creava la nuova storia italiana,  e per lui ed in lui l'Italia vive ancora. E quando  a nostra memoria si riapriva 1' antica tomba , e l'Italia  vi scende di nuovo , rimaneva egli solo sulla breccia,  e lottava animosamente, eroicamente, e compiva alla  fine il destino della patria: onore a cui dalla provvidenza della storia era visibilmente riserbato. Ah non  tutti gl'Italiani sono ciechi e ingrati! Certo il tempo  saprà identificare la coscienza piemontese, che dopo  tanta e così grande storia, fuor di proporzione con la  materiale grandezza di quella nobile provincia, è naturale sia permanente e resista alla grande coscienza politica italiana. E sarà allora galantuomo davvero. Quando ciò sia avvenuto, e che in tutta l'Italia  non vi sarà che una sola coscienza politica, allora non  vi sarà più soltanto una grande nazione, ma un vero  e forte Stato Italiano. L'Io, la coscienza sociale, è adunque il vero e  proprio elemento dello Stato; ed è una funzione puramente formale che domina e modera e modifica la  funzione giuridica, e la funzione morale. Lo Stato toglie  la vita, e turba e invade la proprietà del cittadino;  fa la guerra per esser quello eh 9 egli è, o quel che  dev'essere, e toglie la proprietà, la vita, l’essere indipendente, allo Stato vicino. Tutte cose che l'uomo  privato non può fare, e che gli sono permesse, doverose anche talvolta y quando, divenuto uomo pubblico,  la sua coscienza s' immedesima e si confonde con la  coscienza assoluta dello Stato. Allora è illecito e reo  tutto ciò eh' egli può far nel suo particolare interesse,  ma è lecito e buono tutto ciò che fa in vista dell' interesse generale. La fusione e l'amalgama succede  sempre in una certa misura, ed è tanto pili completa  quanto l'uomo è più alto locato, finche nel capo dello  Stato i due interessi non ne fanno più che un solo. Dal momento che si separano, il tiranno è perduto:  egli allora non è piu lo Stato, è un altro; è un corpo  estraneo contro a cui l'intiero organismo si solleva,  e scoppia la crisi. La crisi, la rivoluzione, è un processo di guarigione. Il morbo è la tirannia, l'anarchia:  forme dello stesso disordine; tutte e due passione e  sfrenato arbitrio; ed anarchia tutt' e due. U&rche non è  né questo, ne quello; né uno, né pochi, ne molti, ne  tutti: l’arche è la ragione.   Il principio dello Stato, la sua vita, il suo vero  essere, non è il giusto, non è il morale, non è l' economico. Tutto questo egli lo contiene in sé; ma come  Stato egli è l'unità consapevole organizzatrice e moderatrice di tutte le forme, di tutti gli organi, di tutte  le funzioni sociali. Questo è lo Stato, e qui finisce l'attività politica,  la vita pubblica; ma qui non finisce la vita umana, e  non è anche tutta la storia. Sotto allo Stato vi è il dritto, la morale, la pubblica economia; ma vi è sopra allo Stato un mondo piìi etereo, piìi,assolutò ed universale che non è il suo;  vi è il mondo dell'arte, il mondo della scienza, e il  mondo della religione. Il mondo della verità è di sopra  al mondo della natura e dell'azione. Lo Stato è l'unità, la coscienza, la forma pili alta, e la pili perfetta e più generale esistenza delle funzioni a lui inferiori. Lo Stato non è che la base e la reale possibilità  delle funzioni a lui superiori. L'Arte è una funzione naturale, e perciò rimane  affatto individuale. Vi è un mondo estetico, ma non  vi è una società artistica: vi sono soltanto degli artisti  e dei poeti ; e la parte dello Stato è di render possibile lo sviluppo del talento estetico, e rispettarne la  spontaneità ed il libero giuoco. Egli non ha dritto  sull'artista se non quando egli abusa e tradisce l'Arte,  ed esce dalla sua natura. L'Arte non è la morale o il dritto, e può essere  immorale e ingiusta a sua posta: ma finché rimane Arte la sua immoralità non contamina, e la sua ingiustizia può esser sublime, atta solo a sollevare e fortificare i caratteri, non mai ad avvilire e degradar  l' animo umano. Ma dal momento che essa esce dalle  sue condizioni di Arte, essa non è pili che immorale  ed ingiusta, e allora lo Stato interviene: interviene in  nome della giustizia offesa, e della morale violata;  funzioni inferiori, che gli sono tutte e due subordinate, ch'egli dirige ed ha in sua tutela. L'Arte non è la religione, e può a sua posta  essere empia ed irreligiosa: ma la sua irreligione è  sublime ispiratrice di grandi e puri pensieri , e di religione vera e pura. Che s' ella trasgredisce le proprie  sue leggi, ed esce dalle sue condizioni vitali, e non  è più che semplice e sguaiata irreligione; in tal caso  lo Stato non interviene. Egli dirige e modera le funzioni che sono al di sotto e dentro di lui, ma non  amministra la verità religiosa che gli è superiore. L'Arte non è la Scienza; è in un certo senso il  suo contrario: che s' ella esce dalla sua natura di senso ideale, e si atteggia a ragione e a idea; tanto peggio  per lei. La Religione è una funzione dirò così spiritiforme: la sua natura è sensibilmente spirituale, ed il suo  carattere è di essere naturalmente universale. Egli è  perciò che mentre l'arte rimane nella sua inconsapevole particolarità, la religione viene a coscienza, e si  forma un Io sociale superiore all'Io dello Stato: e di  fuori e di sopra alla società politica si forma una  società religiosa. Il luogo di questa alta società non è  la terra, è il cielo: l'uomo religioso ha i piedi su questo umile suolo, ma la sua anima è altrove. La sua  funzione è tutta celeste; essa è riflessione e adempimento del destino umano: contemplazione della infinita natura dell'uomo, rappresentata nel mondo infinito della grande fantasia; conseguimento della infinita felicità mediante il possesso dell' infinito della religione.  La funzione religiosa dello Stato è di render possibile  la formazione, e libero lo sviluppo e l'azione, della  società religiosa. La religione non è né scienza, né arte, ne economia, ne morale. Essa può dunque essere a sua posta  inestetica e goffa, creare simboli mostruosi e informi,  miti ributtanti e triviali; PUO PROFESSAR TUTTI GLI ERRORI FILOSOFICI astronomici, teologici, politici CHE VUOLE. Tanto meglio per lei; sarà più creduta, e più stimata  e rispettala. Può la religione professare tutte le assurdità morali e giuridiche che le piace. Può attribuire a Dio  tutte le passioni umane, sopratutto le piu barbare,  e pu perverse e colpevoli, quelle che l'uomo moderno pih si rimprovera, e maggiormente arrossisce  quando se ne lascia sorprendere e dominare. Sarà per  lei tanto meglio: maggiore sarà la riverenza, il terrore  religioso, il timor di Dio. La religione può a suo beneplacito credere ed  insegnare che i figli sieno responsabili dei peccati dei  padri, come lo insegna e lo crede Mosè, in un  tempo ed in un paese in cui non v'E ANCORA IL DIRITTO ROMANO , e il Codice Civile era di là da venire.  Se questo vi fosse stato , non sarebbe venuto in mente  a Mosè una siffatta idea, e non avrebbe insegnato  un così sterminato errore. Quella era pertanto la verità giuridica e la verità religiosa del suo tempo: due  gradi e due forme non per anco distinte, confuse  ancora in una verità sola. Oggi la distinzione è avvenuta: la verità giuridica del Codice Mosaico, convinta e condannata di falsità, è sostituita dalla verità  giuridica del Codice Civile, nel modo istesso che all'astronomia di Giosuè e del Santo Uffizio è sottentrata l'astronomia di Copernico e di GALILEI. Ma come verità religiosa è rimasta in piedi: crede il popolo  ed il comune che l' innocente è colpito col reo dalla  vendetta divina. E si crede anche oggi come tre mila  anni sono il dogma che insegna che la colpa del primo  uomo s' è naturalmente trasmessa a tutti gli uomini. Questo dogma non è che l'applicazione in grande del principio giuridico-religioso di tre mila anni sonò, e  quel che lo rende piti meraviglioso, e perciò più credibile al popolo ed al comune, si è che quella colpa  era la curiosità di sapere, il bisogno di conoscere il  vero : jcolpa grave, imperdonabile agli occhi del dogma  religioso. Un dogma simile viola apertamente il Codice  Civile, e violentemente urta ed offende il 'senso morale; ma non è che una offesa ed una violazione religiosa, e lo Stato non interviene per far rispettare il  Codice Civile ed il senso comune. La rappresentazione  succede in una sfera superiore, e lo Stato ne rende  possibile lo sviluppo e libera la manifestazione, e  la rispetta qualunque ella sia. Ma se l' azione religiosa  esce di questo campo, e deposto il proprio carattere, si  spinge nella sfera dello Stato, e diventa irreligiosamente immorale, ingiusta ed impolitica, allora lo Stato  interviene, e si fa rispettare. Questo inevitabilmente  succede alle religioni che di spirituali si fanno temporali. Peccato è loro e non naturai cosa: di loro è la  colpa e non dello Stato: e perciò tanto peggio per loro. Finalmente, al di sopra dello Stato, e sì dell'Arte  e della Religione , vi è la scienza , LA FILOSOFIA. Ma qui  l'individuo s'identifica e si perde nel puro assoluto  universale, per cui l'Io filosofico non prende alcuna  forma naturale. Non vi è quindi una società filosofica,  vi è soltanto il mondo della filosofia, il mondo del  pensiero , della verità assoluta. Lo Stato non interviene  in nessun caso in questo ultimo empireo: egli né il  dee, né il può; egli è natura, e non ha presa su ciò  che non è naturale. Lo Stato non può entrare nella  sfera della scienza senza disertare la sua, senza perdere  il suo carattere essenziale, e cessar di essere Stato. Lo Stato del decimonono secolo lascerà dunque  insegnare chi vuole, e checché vuole, anche il Prete ed anche il Demagogo? Non già; non mai. Insegnare  non è pensare e recare in mezzo il proprio pensiero;  è invece agire, educare e preparare all'azione, ed  appartiene quindi allo Stato; e insegnare un principio  repugnante e contraddittorio a quello dello Stato, è uno  scalzare lo Stato, che non può certo trovarci il suo  conto. Lo Stato è funzion di essere, di vivere; e nessuno ha gusto di lasciarsi ammazzare, sia di ferro o  sia di veleno; e i cattivi principii sono velenosi allo  Stato. Il principio politico dei Gesuiti è la Religione, la  loro; e quello a cui in ultima analisi tutto mette capo,  ed a cui il cittadino ubbidisce, è l' autorità religiosa. Il  principio dello Stato moderno è invece l'Io, la ragione;  è la coscienza pubblica, la pubblica opinione; e quello  a cui il cittadino ubbidisce, è lui stesso: in ciò consiste la libertà civile.   Il principio del Demagogo è la libertà sensibile,  e l’eguaglianza materiale. Il principio dello Stato moderno è la libertà ragionevole, l'eguaglianza assoluta,  ideale.  Egli è perciò che lo Stato limita e nega la libertà  del Demagogo e del Prete, e li pone tutti e due fuor  dello Stato — né elettore né eleggibile — e fuor della  scuola — né maestro pubblico, né insegnante privato.   Il giornale è una scuola, e non può quindi godere  una libertà illimitata. Ogni cosa ha il suo limite nella  sua propria natura, e la libertà ha il suo limite nella  natura dello Stalo. Questa è la libertà vera e buona,  perchè concreta: la libertà indefinita, astratta, è la  stolta, .assurda, micidiale e pestifera; e perciò lungi  da noi. La libertà non appartiene che alla libertà.  Solo quella stampa, queir insegnamento, e quella qua-  lunque siasi attività dee poter liberamente agitarsi e spiegarsi nella sfera dello Stato, che ne osserva  e professa il principio generale, e vive dello stesso  elemento assoluto. La religione, l'arte, la scienza  non sono assolutamente libere che nel proprio elemento, e nella loro sfera speciale, e qui lo Stato non  può, non dee, non ha facoltà di mettere il piede.  E però quando io vedo un Ministro chiuder la bocca  a un insegnante né demagogo né prete, ma liberale,  perchè professa delle particolari idee che in un certo  mondo — Dio sa che mondo — non sono ricevute ed  accettate; io lo rispetto troppo per dir eh' egli abusa  delle sue facoltà, ma dico che varca il limite, ed oltre-  passa la sfera dello Stato : dico che agisce in nome di  un principio particolare, religioso o scientifico, io non  lo so; so soltanto che non è il suo; e non ha come  Stato facoltà di porvi la mano: e che il Ministro mi  scusi, e mi perdoni il Consiglio Superiore.   Lo Stato non è adunque che la possibilità effettiva  e naturale della vita artistica, della società religiosa,  e della pura attività scientifica. La sua funzione con-  siste nel renderle tutte e tre possibili mediante l'Istruzione e la Pubblica Educazione ; ma non ha ufficio,  e non può altrimenti intervenire nell'arte, a pro-  mulgar le leggi del gusto, e prescriver la rettorica e  la poetica mediante decreto: e così non può decretare la verità religiosa. Non vi è, non vi può essere,  una religione dello Stato: cotesto è un controsenso,  un non senso, un errore. Sent from the all new AOL app for iOS  Opere di M. Studi su M. - Opere ed articoli che a lui accennano - Recensioni di suoi scritti »  La vita e la storia del pensiero di M. . La famiglia e i primi anni Nel R. Collegio di Chieti La vita intellettuale a Napoli Le scuole private. Gli studi letterari, filosofici, scientifici M. a Napoli. I suoi studi. La sua scuola privata . Gli avvenimenti a Napoli  Le vicende di M.. Il processo e l'esilio. La dimora in Francia. Il De Meis medico A Torino «quando l' Italia era colà » . M. e i suoi amici: SPAVENTA, SANCTIS, MARVASI. La corrispondenza col De Sanctis. L'attività intellettuale di M. e la sua metempsicosi; M., professore all'Università di Modena. Il ritorno a Napoli M. a Bologna. L'insegnamento. La vita famigliare, sociale e politica. La morte. Il testamento La personalità di M. Lo svolgimento del suo pensiero. Perchè la sua opera è frammentaria I momenti di sviluppo del pensiero di M. Il Dopo la laurea. La storia della filosofia esposta dal M.. L'antichità o il periodo dell' oggettivismo. Il passaggio dall' oggettività alla soggettività. La filosofia moderna o soggettiva La filosofia hegeliana giudicata da M. Rapporti fra medicina e filosofia. La medicina hegeliana . Influenza dell'hegelismo sulla scuola medica napoletana. M. e gli altri hegeliani di Napoli. Limite tra la fisiologia e la metafisica, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. .Il Dopo la laurea e l’orientamento filosofico. Gli scritti scientifici, Lettere geologiche sul M. Majella negli Abruzzi, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia, Saggio sintetico sopra 1' asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie per rispetto alla loro sede. Intorno l'asse cerebro-spinale. Considerazioni anatomiche sul salasso locale Teoria dell'ascoltazione Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali; Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica; Del principio vitale; Idea della fisiologia greca;  Le opere scientifico-filosofiche; Idea generale dello sviluppo della scienza medica in ITALIA nella prima metà del secolo. Del metodo delle scienze mediche ( Considerazioni sopra l'infiam.   Il momento rivoluzionario e il momento moderato del De Meis. L'evoluzione delle sue idee politiche e la trasformazione del partito liberale italiano li. L* idea dello Stato. Lo Stato come campo libero all' arte, alla religione, alla scienza e alla filosofia. Lo Stato e l'indi- viduo. Stato e nazione. Stato oggettivo e Stato soggettivo. Il limite dello Stato; L'idea della sovranità. Il culto per la dinastia Sabauda .La lotta contro il pensiero e contro 1' azione del partito progressista. Il suffragio universale e lo scrutinio di lista. II giurì. La legislazione e le ingiustizie sociali. Il socialismo secondo M.  Contro l'abolizione della pena di morte Il divorzio. La donna I rapporti fra lo Stato e la Chiesa. L'abolizione delle cor- porazioni religiose. Le corporazioni religiose e l' insegnamento. Le spese del culto e i culti non cristiani. L' Italia e il papato; Lo Stato e l'istruzione pubblica. Insegnamenti obbligatori e insegnamenti facoltativi. I tre gradi di ogni insegnamento scien- tifico. Le facoltà universitarie. Il liceo Magno e l' istituto tecnico  inazione dei vasi sanguigni.  I mammiferi. Fisiologia. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nell'anno scoi. Gl'ippocratici e gli antippocratici Lettere fisiologiche Le opere scientifico-filosofiche La jatrofilosofia. La medicina sperimentale. La medicina storica o razionale. La medicina religiosa. La natura medicatrice. La patologia storica IV. Jlncora il terzo periodo. La filosofia della natura. La creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi. L' accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. Le idee politico-sociali e pedagogiche.  medico. L'insegnante unico. Gli esami. La libertà d'insegnamento. I malefici della cattiva coltura e di Mazzini. Due discordi Sacerdoti d'idee: M. e il Mazzini. Le idee estetiche e religiose. La coltura letteraria. Il suo stile. Il suo epistolario. I suoi giudizi sulla terminologia scientifica, sulla lingua italiana, sull' affratellamento delle lingue e sull' uso del fran- cesismo. M. critico letterario II. La profonda religiosità del De Meis. La sua negazione di un Dio personale e la sua critica del Dio cartesiano, dell' antinomia kantiana e dei dogmi dei Santi Padri. Il suo giudizio sui culti non cristiani, sul cristianesimo e sulle varie forme di esso III. La «metempsicosi» dell'arte e della religione nella filosofia secondo M.. La storia del genere umano: oriente, antichità, tempo moderno o cristianesimo. Il tempo moderno : medio evo, risorgimento, secolo XIX. Il mondo latino e il germanico. Il risorgimento o negazione e i suoi prodotti : il romanzo, la filosofia positiva, la musica. Il secolo XIX e l' unificazione di tutte le correnti umane. La religione e l'arte considerate come gradi e forme del vero. Valore degli argo- menti storici e logici addotti da M. Ottimismo e misticismo del De Meis. Rapporti tra il suo hegelismo e il suo misticismo e la sua mentalità scientifica. Significato e valore della sua filosofia della natura. Lettere geologiche sul Monte Majella negli Abruzzi, nel Lucifero, Gior- nale scientifico - letterario - artistico - industriale, Napoli, Filippo Cirelli, Anno IV, Uomini utili alla società: Samuele Pierantoni, nel giorn. // Vigile di Chieti, Sul sessualismo e la fecondazione delle piante in coerenza alle dottrine della morfologia. Memoria letta alla classe fisico-matematica della Reale Ac- cademia bavara delle scienze dal Prof. Martius, dal tedesco voltata in italiano da M. , nel «Filiatre-Sebezio» Giornale delle scienze mediche diretto e compilato dal cav. Salvatore De Renzi, Napoli, Tip. del Filiatre-Sebezio, Saggio sintetico sopra l'asse cerebro-spinale e la diagnosi delle sue malattie, per rispetto alla loro sede di A. C. De Meis socio dell'Accademia degli aspiranti naturalisti e medico aggiunto dello Spedale degl'Incurabili. Presentato al 5° congresso degli scienziati italiani - convocato in Lucca. Na- poli, Coster.  Intorno l'asse cerebrospinale. Memoria di Giuseppe Meneghini tradotta dal latino da A. C. De Meis per cura e per uso dello studio privato del prof. Pietro Ramaglia, Napoli, Barnaba Cons, Considerazioni anatomiche sul salasso locale, presentate al VII Congresso degli scienziati italiani celebrato in Napoli, Napoli, Stab. Coster, Teoria dei fenomeni acustici della respirazione, Napoli, F. Vitale,  [Dedicato a Luigi La Vista]. Teoria dei fenomeni acustici della circolazione, citato dall'Autore in Teoria dell'ascoltazione, Torino, Pomba, p. Vili [La Teoria dell'ascoltazione (v. infra) riunisce sotto un titolo comune questa dissertazione e la precedente]. Dello stato e del carattere attuale delle scienze naturali. Discorso di M. presidente dell'Accademia dei naturalisti di Napoli - detto nella pubblica adunanza, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, M. deputato di Abruzzo Citra agli elettori della sua provincia, Napoli. Discorso inaugurale di A. C. De Meis neli'assumere l'ufficio di rettore del Collegio Medico. Pronunziato  e pubblicato dagli alunni del Collegio Medico, Napoli, F. Vitale, Proposta di un nuovo sistema di insegnamento pel Collegio Medico. Napoli, Federico Vitale, Discorso di A. C. De Meis ex-rettore del Collegio Medico nel deporre il suo ufficio, Napoli, Vitale,  Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica. M. già deputato al Parlamento. [Manifesto]. Nuovi elementi di fisiologia generale speculativa ed empirica di M. già deputato al Parlamento Nazionale. Del principio vitale. Napoli, F. Vitale, Lezioni orali, raccolte per cura degli uditori ed amici dell'Autore, e, lui assente, da essi pubbli- cate ». (Cfr. la bibliografia che precede la Teoria dell'ascoltazione, To- rino, Pomba). Sono nove lezioni, dedicate a Pietro Ramaglia].   Chiarimenti al teorema di Hamberger sull'azione dei muscoli intercostali, Napoli,  Fisiologia generale. Evoluzione logica del principio vitale. Idea della fisiologia greca per A. C. De Meis ex-deputato, Napoli, Stab. tip. all'insegna dell'Ancora, [Dodici lezioni in conti- nuazione dei Nuovi elementi ecc.]. Teoria dell'ascoltazione, Torino, Cugini Pomba e comp. edit., Idea generale dello sviluppo della scienza medica in Italia nella prima metà del secolo. Note di A. C. De Meis. Torino, Tip. Pavesio e Soria. [Dedicate alla memoria di Luigi La Vista e di Casimiro De Rogatis]. Del metodo delle scienze mediche. Lettera al professore Carlo Demaria, To- rino, in Giornale della R. Accademia medico-chirur- gica di Torino, anno VII, voi. XX, Torino, Favale Considerazioni sopra l'infiammazione dei Vasi sanguigni nel Giornale della R. Accad medico-chirurgica di Torino, Tip. di G. Favale e Compagnia, Torino,Torino, Torino,  [Nella seconda, nella terza e nella quarta puntata il titolo è : Considerazioni sopra la flogosi dei Vasi sanguigni. Nella quinta puntata e nelle successive il titolo è : Considerazioni critiche sopra la flogosi ecc.]. / mammiferi,Torino,Tip. del Picc. Con. d'Italia. L'opera è preceduta da un'affettuosa lettera dedicatoria « al professore Francesco De Sanctis a Zurigo. Sulla copertina dei Mammiferi si legge: « Quest'opera si com- porrà di tre volumi : il primo conterrà YIntroduzione, il secondo i Generi, il terzo le Specie dei mammiferi, e sarà pubblicata a fascicoli di circa 5 fogli a ragione di centesimi trenta per ciascun foglio. Tutta l'opera sarà composta di circa 70 fogli... »]. Fisiologia, Torino, Franco, Estratto dalla Nuova enciclopedia popolare del Pomba).  Gl'ippocratici e gli antippocralici, nella Rivista contemporanea, Torino, dalla Società l'Unione tip. editrice, Lettere fisiologiche. Lettera I, nella Rivista contemporanea, Torino, dal- l'Unione tip. Editrice. Definizione della vita], . [Il De Meis, sotto la data di Modena, espone l'idea del corso di fisiologia iniziato in quella Università « e che con dispiacere sono ora costretto ad interrompere ». Cfr. infra: Prelezione al corso di fisiologia ecc.]. Agli elettori di Manoppello, (ppNapoli Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Università di Modena nel- l'anno scolastico Napoli, Stabil. tipogr. di T. Cottrau,  Il Collegio Medico-chirurgico di Napoli e la « Monarchia nazionale », Na- poli, Stab. tip. F. Vitale, [Polemica anonima contro il giornale la Monarchia nazionale. Reca la data del 2 gennaio 1862]. Degli elementi della medicina, Prelezione di M. professore di storia della medicina nella R. Università di Bologna, Bologna, Monti, Della natura medicatrice. Lettera prima al prof. Cesare Taruffi, in Bullettino delle scienze mediche pubblicato per cura della Società medico-chirurgica di Bologna. Bologna, Tipi Gamberini e Parmeggiani, La chimica fisiologica, Lettere, Fano, nel giornale L'Ippocratico). [Sono due lettere: I. La vita; La chimica inorganica. - l De Meis si era proposto di scriverne dodici, e di pubblicarle pei tipi del Le Monnier. Questi insistette molto, anche per mezzo di Marianna Florenzi-Waddington, per averle dall'Autore ; ma invano]. / naturalisti, Dialogo 1°, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis, La natura a volo d'uccello : Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze, Niccolai, dir. da A. De Gubernatis,  La natura a volo d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà Italiana, Firenze,  [Questo dialogo e i due pre- cedenti sono citati nei “I Tipi animali” col titolo: “I tipi naturali.”   De Meis deputato di Chieti ai suoi elettori, Bologna, Monti,Reca la data: Bologna tipi VegetaU. Ad uso delle scuole italiane, Bologna, Monti,[È, dedicato alla contessa Teresa Gozzadini]. Lettere [il testo: lettera] sulla patologia storica. Lettera I. Si dimostra che l'uomo era in origine assolutamente sano. Estr. dal Bull, delle scienze mediche di Bologna,  Delle prime linee della patologia storica, Prelezione al corso di storia della medicina per M., Bologna, Monti,  Il sovrano, nella Rivista bolognese, periodico mensuale di scienze e letteratura, compilato da Albicini, Fiorentino, Siciliani e Panzacchi, Bologna, Monti, [Ristampato, con notizie e documenti della polemica a cui lo scritto diede luogo tra Carducci e Fiorentino, da CROCE, nella Critica, Vili Dichiarazione nella Gazzetta dell'Emilia,  [Si riferisce alla polemica ora accennata. Fu pubblicata anche nel giornale La Patria di Napoli, a. Vili; e fu ri- stampata dal CROCE, nella Critica, Vili sovrano. Al signor G. B. Tahiti. [Articolo Il|, nella Rivista bolognese, Bologna, Monti,  [È una lettera, con la data: Bologna.  Dopo la laurea - Vita e pensieri [parte prima|, Bologna, Monti, Bologna, Monti, Le prime cinque lettere erano state pubblicate qualche anno prima nel giornale L'Ippocratico di Fano. L'Intermezzo pubblicato nella Rivista bolognese, prima della pubblicazione del volume]. La natura medicatricc e la storia della medicina, Lettera al prof. Salvatore Tommasi, Bologna, Monti, (Estratto dal fase. 8° della Rivista bolognese, Bologna. [Fu pubblicata anche nel Morgagni, Della medicina sperimentale, Prelezione, Bologna, pubblicata anche nel Morgagni di Napoli, Lo Stato, nella Rivista bolognese, Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese, Della utilità dello studio della storia della medicina, [Prelezione], Estratto dalla Rivista Partenopea Testa e Bufalini. Lettere IV, Fano, Lama, 1870 (estr. dall'Ippocratico). Sintesi ed episintesi, Prelezione, Bologna, Monti, Pubblicata sotto il titolo di « Prelezione » nei Tipi animali.  I tipi animali, Lezioni, [parte prima], Bologna, Monti,  [La Prelezione era 3 stata pubblicata prima (v. Sintesi ed episintesi). La lezione fu pubbl. nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, dir. da Spaventa, F. Fiorentino e V. Imbriani, col titolo: I tipi animali (Da Linneo a Darwin)]. Prenozioni, Bologna, Tip. di G. Cenerelli, Del concetto della storia della medicina, Prelezione, Bologna, Monti, La medicina religiosa, Prelezione, Bologna, Monti,pubblicata anche nel Giornale napoletano di filosofia e lettere, scienze morali e politiche, diretto da Fiorentino). All'onorevole signor commendatore Gaspare Monaco La Valletta senatore del Regno, presidente dell'Associazione costituzionale di Chieti, Bologna, Monti, [È, una lettera, con la data: Bologna,  Il canonico di Campello e la stampa tedesca, nella Gazzetta dell Emilia,  [Anonimo. Si finge tradotto dal tedesco]. La malattia dell' on. Sella, nella Gazzetta d'Italia, [giorn. di Firenze],  [Anonimo]. Agli elettori del 1° Collegio di Chieti, Bologna, Monti, Filosofia e non filosofia, Discorso inaugurale per la riapertura degli studi nella Imperiale Accademia di Krenztburg del dott. E. K. Mayow, prof, di zoologia in detta Università, tradotto dal tedesco, Bologna, Monti,  Francesco De Sanctis, Bologna, Fava e Garagnani [Estratto dai nu- meri 8-11 della Gazzetta dell'Emilia, opuscolo di pp. 18, in -16°, firmato « Camillo ». Ristampato nel volume In memoria di Fr. De Sanctis, Na- poli, Morano, XVII Spaventa [Necrologia di], nella Gazzetta dell'Emilia (Monitore di Bologna). Fiorentino, Necrologia, Bologna, Fava e Garagnani, [Estratto dalla Gazzetta dell'Emilia, Opu- scolo. Spagnolismi e francesismi. Note di Ange i Antonio Meschia maestro elementare in Zangarona Albanese, Bologna, Monti. Darwin e la scienza moderna, Discorso del prof. Camillo De Meis per la solenne inaugurazione degli studi nella R. Università di Bologna nell'anno scolastico,  Bologna, Monti. [Stampato anche neWAnn. della R. Univ. di Bologna]. Rialzare gli studi, Estratto dal giornale L'Università, Bologna, Società Tip. già Compositori, (pp. 12, in -8°). Repubblica o monarchia (Da un album), nel Sancio Panza, Bollettino quo- tidiano di Bologna, stampato e redatto nella sede dell'Esposizione Emiliana, N. Primo; segue una polemichetta nel giorn. cit. numeri  [La pagina d'album e la polemica furono ripro- dotte in un opuscolo, edito a Bologna, Fava e Garagnani,]. Corso di storia della medicina nella Università di Bologne - Appunti sul- l'introduzione al corso e sulla medicina orientale, nell'Università, Bo- logna, A. Idelson, . [Uscì pure in un opuscolo, estratto dall'Università, Bologna, Azzo- guidi]. Lettere di M. a Spaventa, pubbl. da G. GENTILE, Napoli, Melfi e Joele, 1901, per nozze Salza-Rolando [Tre lettere ed un telegramma di M. sono state pubblicate in Maria Teresa di Serego-Allighieri Gozzadini, seconda edizione ampliata con pref. Di CARDUCCI, Bologna, Zanichelli, (la prima è la dedicatoria dei Tipi vegetali); una lettera da G. CANEVAZZI, Autografi inediti pubblicati per le auspicatissime nozze del tenente nobile Orazio Toraldo di Francia con la gentile signorina Gina Mazzoni, celebrate in Firenze il III luglio MCMXI, Modena, Soc. tip. Modenese. Altre lettere di M. sono state pubblicate da CROCE nel volume Silvio Spaventa - - Lettere scritti documenti, Napoli, Morano, 1898; e negli articoli su // De Sanctis in esilio - Lettere inedite, nella Critica, ed una in FRANCESCO De SANCTIS, Lettere da Zurigo a Diomede Marvasi, Napoli, Ricciardi, Il Croce preparava anche, sin dal 19i4 ('), un florilegio del carteggio inedito del De Meis per gli Atti dell'Accademia Pontaniana. Molte lettere del De Meis sono possedute da Bruto Amante, e saranno probabilmente pubblicate a spese del Consiglio Provinciale di Chietij). La religione cristiana è già distrutta nel mondo civile latino. Vive solo nell'ancor barbaro mondo germanico. La riforma è il secondo medio evo germanico. Il soprannaturale non illude più. All'epica religiosa del medio evo, ed all'epica giocosa del risorgimento, parodia generica del -- Questo pensiero risulta dalle pagine del Dopo la laurea, pur senza  esservi enunciato esplicitamente, e chiarisce le apparenti contraddizioni notate  dal GENTILE, La filosofia in Italia,  Le idee estetiche e religiose -- soprannaturale nel principio, poi caricatura smaccata e cinica  della religione, succede la drammatica senza soprannaturale. La distruzione è compiuta in Italia; in  Francia erano irreligiosi i pochi uomini colti, ma la nazione  era incolta, e per questo la riforma potè attecchirvi, come vi  attecchì nel secolo XVII il giansenismo, una riforma mitigata; ma nel secolo XVIII la Francia, divenuta centro di  coltura, fu anche centro di incredulità. Il secolo XVIII è il  secolo della filosofìa sofistica e negativa. Alla tragedia di Voltaire, priva di vita poetica quando ha per fine l'irreligione, ed a quella dell' Alfieri, in cui tutto è umano e  naturale, succede la lirica moderna, che non lascia alcun  margine fra sé e l'assoluta riflessione, e giunge all'ultimo  limite della poesia. Anche in Germania, in parte  per riflessione spontanea e in parte per influenza del risorgimento italiano divenuto sudeuropeo, si è iniziato il  risorgimento, che DIFFERISCE DAL LATINO in quanto non è la  semplice rappresentazione del naturale, ma la negazione del  soprannaturale, rappresentata e sviluppata nelle sue conseguenze. Secondo M., i due risorgimenti, IL LATINO e  il germanico, che già nel sec. XVII reagivano l'uno sull'altro, si fondono in un solo risorgimento, un solo  mondo di poesia e di pensiero, in cui la religione, divenuta  indifferente, è appunto per questo perfettamente tollerata.  E a questa fusione delle due Europe in una sola Europa  spirituale seguirà certo fra non molti secoli la fusione in una  sola Europa giuridica e politica.   Il secolo XIX durerà finché duri l'uomo. S'inizia nel  secolo XVII, quando a lato a Bacone — che mettendo fin  da principio fuori causa lo spirito non lo ritrova più in se-  guito, e nega la possibilità di conoscerlo, consolidando la  opera del risorgimento negativo, — sorge Cartesio, che con-     [Dopo la laurea, [Le idee estetiche e religiose.] verte subito il dubbio nell'intima certezza di sé, del pensiero del suo pensiero, Il vangelo di Gesù è quello del  cuore, il vangelo di Giovanni quello della fantasia, il Discorso del metodo è il vangelo dello spirito. Tu es Petrus. Il cogito cartesiano è la pietra su cui sorgerà la vera Chiesa cattolica, un edifizio che avrà le proporzioni dell'universo  ed accoglierà tutto il genere umano, destinato a formare un  solo ovile sotto un solo pastore, il pensiero. Dopo Cartesio, il moderno Anassagora, viene Kant, il Socrate moderno,  che leva di mezzo la metafìsica e la natura, e parla dello  spirito, uno spirito fenomenico sì, ma dal quale egli fa scaturire la vita, la virtù, la morale, attribuendo alle cose dello  spirito un pregio infinito. Vero è che questo infinito, questo  divino, questo assoluto e universale non è che individuale.  Ma solo per Socrate. Dopo di lui viene Platone — leggi  FICHTE — , che con profonda intuizione vede come l'universale e il particolare di Socrate si compenetrino in una sola  unità. E dopo Platone viene Aristotele, viene Hegel, che nulla concede alla intuizione e alla fantasia, procede con rigore, esattezza e precisione, tanto che il suo regno non  durerà solo diciotto secoli, come quello dell'antico Aristo-  tele, ma diciottomila, o meglio finché duri questo attuale  genere umano.Hegel, ponendosi nella posizione di  Cartesio, rifa per intero il processo della conoscenza e trova  il processo della creazione. Questo grande movimento, che si compie nel nord, si  era iniziato nel sud; ma il sangue di BRUNO (si veda) era stato versato invano ed VICO (si veda)  non era stato compreso da nessuno, [Pel giudizio di M. circa il sistema cartesiano, v. qui addietro,  ; e cfr. Cfr. qui addietro, V. Dopo la laurea,   Le idee estetiche e religiose.] un po' per colpa del papato e molto più pel carattere delle loro creazioni, che sono intuizioni isolate del genio, più  che momenti di uno sviluppo storico ordinato e necessario. La storia della filosofia moderna è una storia tutta settentrionale. La Germania è la nuova Grecia europea. Nel MONDO LATINO non giunge che tardi l'eco indebolita e sfigurata della  grande filosofia. Cartesio, il padre della filosofia moderna,  non procede da BRUNO, non è inteso da VICO, né da GIOBERTI finché egli non si e “spapificato. Spinoza fa rabbrividire l'Italia e la Francia. M. ritene che a  Napoli si fosse sempre conservato, in mezzo al risorgimento,  un fil di tradizione di BRUNO e di VICO: la quale, così  guasta e superficiale come era diventata nelle mani degl’avvocati, pure erstata bastante a farne un paese a parte;  ma crede che i germi gettati dalla filosofia italiana avessero  germogliato in Germania. SPAVENTA si era molto  preoccupato del problema della filosofia nazionale. E M. accoglie in questo proposito l'opinione del suo Bertrando, da lui ritenuto il primo filosofo vivente dell'Italia,  e forse di tutta l'Europa, la Germania inclusive  Ora  che la storia della filosofia moderna sia concentrata tutta esclusivamente nella sola Germania — concedendo soltanto un posto al cogito cartesiano — è una opinione che Spaventa, e a traverso Spaventa M.,  accettano dai romantici tedeschi. Ad essi, e a tutti coloro  che hanno fede assoluta di essere nel vero, il nostro Autore  rassomiglia anche in questo, che il valore di ogni singolo  filosofo è per lui in ragione diretta della distanza che lo  [SPAVENTA, La filosofia italiana nelle sue relazioni con  la filosofia europea, a cura di G. GENTILE, Bari, Laterza, e Frammenti di studi sulla filosofia italiana nel secolo XVI, nel Monitore bibliografico di Daelli, Torino,  V. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] separa dalla sua propria concezione. Caratteristici in questo  proposito i giudizi circa SERBATI e la evoluzione del  pensiero giobertiano. Dopo Hegel, secondo M., religione e poesia  cedono in Germania il posto alla teologia e all'estetica. Nel MONDO LATINO la tradizione cartesiana si è dispersa; è rimasto  padrone del campo il risorgimento sofìstico, ateo e negativo. Ma l'uomo non può vivere senza un Dio, e il tempo moderno, quando il risorgimento ebbe distrutta la religione cristiana, si volge al passato, al medio evo sacerdotale e simbolico, e moltiplica gli sforzi per creare una nuova religione. Sforzi vani, che la religione cristiana, religione di  Dio, del vero spirito, della sua trinità, della sua umanizzazione, è l'ultima di tutte le religioni, e solo potrà trasformarsi e purificarsi. Mentre questi vani sforzi si compiono nella Germania  volgare — non in quella pensante — , nel sud, dove un elemento pensante manca, la parte più elevata, non però pensante e moderna, tardivamente inaugura il secolo XIX: è  un secolo XIX non filosofico, perchè non è rischiarato che  da un debole raggio di riflessione ; è pseudo-religioso e  pseudo-poetico; si apre col Concordato e col Genio del Cristianesimo, parti infelici della riflessione travestita da immaginazione. La riflessione, non avendo piena coscienza di  sé come nel mondo germanico, coesiste nel MONDO LATINO a  fianco alla poesia; e dà origine ad una pseudo-epopea, al  romanzo, genere ibrido, anfibio, tra la storia e la finzione,  tra la poesia e la prosa, tra l'arte e la scienza. Il romanzo,  genere equivoco, compare per la prima volta nel principio  del secolo XIX dell' antichità, ricompare nel nostro se-   [Dopo la laurea, [Dopo la laurea, Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] e rinasce in Germania, col Goethe, genio equivoco,  tra la poesia e la prosa, in cui l'universo si riflette tutto intero;  si sviluppa in Inghilterra, paese equivoco, tra latino e germanico, e raggiunge la sua perfezione in Italia, paese equivoco anch'esso, mezzo liberale e poetico e mezzo prosaico e papale, e precisamente in un uomo, come Goethe a cui  somiglia, equivoco: MANZONI. Si osservi che M., una volta stabilito che il  romanzo è un genere equivoco, trova che sono equivoci tutti  gl’individui e tutti i popoli presso i quali il romanzo fiorisce, prendendo — si noti — la parola equivoco nella accezione di misto e complesso, sì che ad ogni popolo e ad ogni  individuo potrebbe indifferentemente applicarsi. Dopo Scott e MANZONI, il romanzo perde il  carattere epico, e diventa sempre più storico, riflessivo e  prosaico con l'Hugo e con la Sand, finché in Kock e  Poe la prosa assorbe ed avviluppa in se la poesia. Nel risorgimento moderno, come nell'antico, la lotta comincia antireligiosa e finisce antifilosofica: prima la riforma,  uno scetticismo che distrugge 1' Olimpo cattolico ; poi il  deismo, uno scetticismo più progredito; infine l'ateismo, uno  scetticismo assoluto, la pessima delle filosofie. E non è  finita ancora la triplice serie, osserva M., fedele  sempre alle sue triadi. La Germania è per tre quarti protestante; la Francia è prevalentemente deista, e in parte atea. L’ITALIA HA UNA VENTINA DI MILIONI D’ANALFABETI, TUTTI PAPO-TEMPORALI; i semi-analfabeti sono in gran parte demagoghi.   Il risorgimento produce quella filosofia che è la bestia  nera di M., la filosofia positiva. E la filosofia che gli  ha preso fra i suoi artigli, strappandolo alla fede hegeliana, un caro amico — rimasto tale malgrado la irreconci-  [Dopo la laurea,  Le idee estetiche e religiose.] liabile opposizione delle opinioni filosofiche. Villari, al quale così frequenti e amichevoli frecciate sono  dirette nel Dopo la laurea; e la filosofia che accoglieva  la teoria dell'evoluzione del Darwin; e la filosofia opposta  alla hegeliana nel principio, nella essenza, nel metodo. Mai  M. si lascia sfuggire una occasione di combatterla :  trova che la filosofia scettica dichiara irraggiungibile la natura delle cose; ma la filosofia nuova, la filosofia positiva o  iperscettica, non ne fa neppur materia di dubbio o di discussione, ed è una filosofia dell'apparenza, cioè una filosofia  antifilosofica. Il risorgimento iperscettico non può trovare  la verità, perchè ha l'occhio sempre rivolto alla natura esterna,  e non mai alla natura interna, al pensiero dell'uomo, che è  la verità stessa. Secondo M., la filosofia sedicente  positiva è di fatto negativa, poiché nega il negabile, la conoscenza dell'essenziale, e non pone che la conoscenza dell'apparente, del reale e dell'accidentale, che nessuno ha mai  pensato a negare. Questa pseudo filosofia si sviluppa come la vera. Il primo  atto è il principio. La scena è in Italia: TELESIO scopre l'apparenza come principio. Il secondo atto è il metodo. La scena  è dapprima in Italia, poi in Inghilterra; il metodo galileo-baconiano, ovvero induttivo sperimentale, ha due parti: la  descrizione e la legge dei fenomeni. Il terzo atto è il sistema,  che ha pure due parti: la classificazione e la filiazione dei  fenomeni. La filosofia positiva è una terza corrente, che si caccia  fra la corrente poetica e la filosofica, ed è il sangue della  [Dopo la laurea, passim; cfr.  VlLLARI, La filosofia positiva e il metodo storico, nel Politecnico  di Milano; e SPAVENTA, Scritti filosofici, nota, per quanto si riferisce alle critiche mosse a questa pubblicazione dal WYROUBOFF, dal MAIANI, dal FIORENTINO, dal TOCCO. Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose] filosofia; l'osservazione e l'esperienza ne è lo stomaco; l'induzione baconiana il polmone sanguificatore. La legge positiva il torrente della circolazione. Ed essa, la filosofia, è il  cervello, in cui il sangue positivo diventa anima e pensiero  speculativo. Giorno verrà in cui lo stomaco baconiano non  avrà più nulla a digerire, né il polmone a respirare; e la  natura divenuta tutta sangue circolerà dentro dell'uomo. Allora questa terza corrente, tutta e sempre prosaica, sarà divenuta un mare, ed avrà confuse le sue acque col mare della  religione, della poesia e della filosofia. La terza parte del gran dramma della filosofia cristiana  è il tempo nuovo. Dopo la riflessione negativa del risorgimento, la filosofia moderna, come ogni filosofia, muove alla  ricerca di un principio. Il nuovo Talete è BRUNO; il  nuovo Pitagora è Leibnitz. Per passare dal naturalismo dinamico di BRUNO e dal neo-pitagorismo e, per così dire, dall'atomismo ideale leibnitziano, dal principio naturale al principio umano, occorre un nuovo Anassagora, e venne Cartesio. Il principio cartesiano, come tutte le cose del mondo,  nasce non perfetto; in Cartesio è uovo o tutt' al più embrione. Il secondo atto della filosofia moderna si volge  al metodo. Nel perfezionare il metodo antico, l'antica dialettica, proporzionatamente alla più perfetta natura del principio moderno, e nell' esplorare più completamente il principio, consiste il lavoro del secondo atto del secolo XIX,  che termina poco dopo la fine del secolo XVIII. L'atto terzo  è il sistema, è il principio di Cartesio e dello Spinoza, del  Kant e dello Schelling, corretto e metodicamente sviluppato.  Ed è nella sua essenza, se non nella sua esecuzione, il sistema più compiuto e perfetto, ne altro ve ne potrà mai essere in eterno. Il principio è il germe e l'assoluta possibilità  dell'universo, ed è quindi uno, come uno è l'universo; tutti   [Cfr. qui addietro,  Le idee estetiche e religiose.   i principi a traverso ai quali la riflessione greca è passata  non sono che le forme e i gradi della sua cognizione. E  uno è per conseguenza il metodo : e quando si giunge a un  punto nel quale il principio contiene in se il tutto % e il metodo  si confonde col processo evolutivo del principio, e il sistema  è il tutto spiegato; quando la filosofìa giunge a comprendere  il creante e il creato in un attivo processo di creazione,  non ha più dove andare, a meno che non voglia indietreggiare,  come fa la Grecia dopo Aristotele, o uscir dell'universo. E  se il tempo moderno non vuole indietreggiare, bisogna che si  contenti del suo nuovo Aristotele. Non è possibile un terzo  Aristotele, perchè il tempo antico ha ricevuto nel moderno il  perfezionamento essenziale, il solo di cui fosse capace : di oggettivo è diventato soggettivo, di totalità immobile vivo processo di cognizione e di creazione. Vivo di riflessione filosofica, non d'immaginazione. Un sistema, per concreto che sia, è  sempre un'astrazione, e l'astrazione è la morte dell'anima  umana. L'anima vive finché la fa, ma quando l'ha fatta, quando della realtà vivente, ossia di se stessa, ha composto quell'estratto che si chiama pensiero filosofico, allora l'azione si  arresta, e con l'azione è finita la vita. Quando Aristotele creato un grande sistema, perfetto e compiuto per l'antichità,  lo spirito antico vi si chiude come in un sepolcro per secoli ;  e torna alla vita solo quando ricomincia a sentire e a fantasticare. Quando la Germania crea il vero sistema  del mondo, e recata la religione cristiana nella forma di un  cristianesimo assoluto, allora la vita si congela nell'astrazione, e lo spirito germanico rimane assiderato. Ma presto  si scuote, e, brancolando nel buio dell'astrazione hegeliana,  trova il risorgimento negativo ed ateo ed il risorgimento negativo-positivo. Congiungendosi col primo, produce mostri  filosofici ed aborti strani; col secondo la medicina naturali- [Dopo la laurea, Le idee estetiche e religiose.] stica e la storia naturale materiale. Ma la Germania materialistica e naturalistica è più morta della Germania hegeliana. Come la pura riflessione, così la pura contemplazione  è la morte. La vita è pensiero apparente, è unità di riflessione e di contemplazione, di metafìsica e di filosofìa positiva, di poesia e di filosofìa. La storia universale è una sequela di creazioni, identiche  fra loro quanto al ritmo e alla legge, sempre più pure e  perfette quanto al contenuto, che comincia dalla pura forma  dello spazio, e termina nella forma più pura del tempo. Ogni  creazione ha come fine la creazione successiva ; ciascuna vive  di quella dalla quale nasce e serve di alimento a quella a  cui dà origine, che le si sovrappone e l'avviluppa in se stessa,  senza distruggerla. Così dalla natura nasce il regno vegetale,  da questo l'animale, dall'animale l'uomo finito e particolare,  e da questo l'uomo universale. Tutto questo è il regno umano  inferiore, e tutto si spiega nella forma dello spazio, e coe-  siste come nella natura. L'uomo di sopra, il regno umano  universale, ha esso pure la sua storia, ed è una serie di  sfere, che l'uria avviluppa l'altra; prima l'arte, poi la religione, poi lo spirito, che universalizza la natura, e dà valore  assoluto e infinito al particolare e al finito. Tlàvta qsI . Eterna è solo l'idea ed immortale è soltanto  la natura. Come la natura, così l'uomo, lo spirito umano,  natura anch'esso, ha una legge inflessibile e costante. « Sono  due nature diverse, certo, e ciascuna ha la sua legge partico-  lare e propria, ma in fondo è una natura sola, ed una sola  legge naturale. Le forme e gli elementi naturali ed  umani sono del pari indistruttibili, e la legge comune della  loro attività è immutabile: nascere, crescere, decadere e  perire è destino comune agl’uomini, agl’animali, alle piante  Dopo la laurea, I tipi  animali, Le idee estetiche e religiose.   e ai sistemi planetari. Ma gl’elementi della natura sono  l'uno fuori dell'altro, e anche quando si combinano non si  compenetrano. Quelli dello spirito sono compenetrati ed intimamente unificati, ne mai si scompagnano nella realtà, variando solo quanto alla proporzione. E il prodotto piglia forma  e natura dall'elemento preponderante e più attivo. La natura  è come una scala a piuoli. Lo spirito come una scala a corda,  che raggiunta la meta si raggruppa in se stessa. Nell'uomo-cosmos gl’elementi spirituali sono tutti in  uno stato di assoluta quiete e di completa indifferenza. Solo  il genio, l'immaginazione e attiva da principio. Poi entra  in attività il senso. Anche la natura, poiché si muove, deve  avere il senso naturale, nella forma inferiore di senso chimico  ed in quella superiore di senso meccanico. Poi l'uomo di  sistema solare si fa pianta. Nella pianta l'unico elemento  spirituale attivo è il senso chimico. Nell'animale v'è il senso  meccanico in nuove forme; v'è un arco diastaltico, di cui  l'impressione, il senso naturale è il primo atto, e l'ultimo è  il movimento, la contrazione; e nel sommo dell'arco cominciano ad entrare in azione gl’altri elementi umani: immaginazione, sensazione, memoria, e ristretta in una sfera tutta  animale una piccola induzione, e per poco la famiglia umana,  e talvolta la società umana in forma animale. Finalmente  nell'uomo entra in attività la coscienza, la riflessione, e con  questa gli elementi spirituali superiori, la poesia, la religione. Manca la riflessione della riflessione, la scienza; predomina  il senso (vegetale, animale ed umano). Questo è lo stato  naturale di cui parla Rousseau. Nel secondo tempo l'attività passa alla fantasia, e si conciliano le disuguaglianze fra  gl’uomini. Queste si vanno poi via via accentuando per opera  della riflessione, che si è andata rinvigorendo alle spese del  sentimento e dell'immaginazione. Ma contemporaneamente a  questo processo di divisione e di analisi, si compie nella  storia un lavoro di unificazione e di sintesi. La grande ragione  avviluppa la piccola, poiché è sempre la facoltà superiore che unifica in sé e dà la sua forma alla facoltà inferiore,  da cui riceve in contraccambio LA VITA. Questa seconda coscienza non è un trovato della odierna metafisica, che anche  Aristotele parla di due vovg, l'uno poietico o attivo, l'altro  patetico o passivo ; e nel secolo XVI qualcuno e arso vivo  per aver parlato di quel secondo spirito. La vera vita dello spirito, unità vivente, è in una moltitudine di individui ad un tempo ; e però la storia dello spirito  si compone di una successione di grandi unità. Il primo  stato embrionale del genere umano è la natura (M.,  hegeliano e medico, prende spesso come termine di confronto l'organismo umano); la vita fetale è il vegetabile e  l'animale. Terza muda è quella dell'uomo positivo, l'infante  del genere umano. Egli con la sua piccola positiva riflessione  vede intorno a se un mondo finito, e si fa un Dio finito e positivo; non soddisfatto di questo breve corso mortale, senza  scopo in se stesso, sogna una seconda vita, ha fede in essa,  ed è religioso. Questa religione, questa fede, si trasforma  a poco a poco in un ideale, in un caro sogno poetico. Poi  dalla prima nasce una seconda coscienza, e l'uomo intuitivo diventa — quarta muda — l'uomo riflessivo e intellettuale. La nuova coscienza, mentre si appropria la coscienza  finita e positiva, imprime in tutte le diverse funzioni umane  il suggello della sua infinita unità, pur lasciandole nella loro  distinzione naturale; e così permangono l'agricoltore, l'avvocato, il medico, e via dicendo. Ma nella sfera superiore le  due coscienze si unificano, ed il poeta ed il prete rimangono  assolutamente identificati nel pensatore, perchè una volta sviluppata la coscienza intellettiva l'uomo non può più deporla per ritornare uomo positivo ovvero semi-uomo, così come  non poteva deporre la coscienza positiva e tornar ad essere   [ Dopo la laurea,  Del Vecchio-Veneziani - animale. E la poesia si trasforma in estetica; la religione  in critica e in filosofia. Oggi la poesia non c'è più al mondo,  perchè essa non è una combinazione di fantasia che afferra  e trasforma e di natura afferrata e idealizzata ; ma è una  sola unità, « è l'universo pervenuto a grado di spirito, che  inconsciamente si trasforma e si purifica nella conscia anima  di un solo uomo, spettatore più che autore della sua propria  trasformazione ».   È un fatto di ragione che la vita umana comincia con  l'assoluta barbarie, col puro senso materiale e col semplice  istinto naturale; e termina nella riflessione intellettuale, che  è la vera vita e l'assoluta e definitiva civiltà. È un fatto di  osservazione e di ragione che si va dall'una all'altra passando  per la forma intermedia della immaginazione. La religione  e l'arte è il regno dell'immaginazione: è una barbarie civile  ed un senso spirituale. L'epica è la poesia immaginativa e  barbara, e perciò più perfetta; la lirica è la poesia riflessiva  e civile, e perciò più imperfetta; la drammatica è la forma  intermedia. Essa è più riflessiva dell'epica, e sviluppa un  elemento di questa; è epico- religiosa nell'antichità, raggiunge  la perfezione nel risorgimento, e decade nel secolo XIX,  nel greco-romano come nel latino-germanico, per eccesso di  riflessione. Analogo arco descrive la lirica, che sviluppa un  elemento della drammatica, e, finita come poesia, durerà  come lirismo filosofico finché duri il secolo XIX, ossia finché  duri il genere umano.   La poesia sensibile ed oggettiva è la barbarie dello spi-  rito umano, la filosofia intellettuale e soggettiva è la sua ci-  viltà ; dall'una all'altra si passa a traverso la forma inter-  media della religione, che è tutt'insieme oggettiva e sog-  gettiva, è sensibilmente intellettuale, è la barbarie civile  dello spirito umano. La religione più barbara, più naturale,  più oggettiva e più epica è la religione indiana; la più civile,  più umana, più soggettiva e più lirica è la cristiana. Tra la religione epica orientale e la religione lirica occidentale,  la religione passa per una stazione intermedia, la Grecia, e  vi prende una forma intermedia, la forma drammatica. Nella  religione indiana troviamo tutti gli elementi e tutti i caratteri di un sistema religioso completamente sviluppato; il  politeismo greco è la prima caduta della religione, la quale  risorge nel tempo moderno. L'oriente moderno, ossia il medio  evo, pone gli elementi essenziali della religione, che sono  quelli stessi del pensiero, nella vera forma religiosa; l'anti-  chità moderna, ossia il risorgimento, spezza questa forma;  il secolo XIX, il vero tempo moderno, li pone nella forma  di pensiero : invece della riflessione filosofica del medio evo  è una filosofia religiosa. L'oriente è essenzialmente epico;  la Grecia è, nella sua stessa epopea, principalmente dramma-  tica; il tempo moderno è tutto umano e tutto divino ed è  tutto lirico e riflessivo. E del tempo moderno il medio evo  è religioso ed epico; ma è un'epica lirica, ispirata dalla  grande riflessione: tale è la poesia dantesca. Il risorgimento  è irreligioso e drammatico. Il fantastico si cangia nel meraviglioso; poi il meraviglioso stesso sparisce dalla poesia. Il  secolo XIX è di nuovo religioso ed è tutto lirico: il principio è epico-lirico; poi viene la drammatica, che comincia  storica e finisce cittadinesca e domestica; e all'ultimo viene  una lirica tutta stravolta per voler essere ultra-poetica. Ormai  la riflessione ha superata l'immaginazione; il sentimento e  la fantasia sono stati oltrepassati e ravviluppati dentro al  pensiero; quindi quella del nostro tempo deve essere una  poesia lirica, drammatica ed epica ad un tempo; il prodotto  di tutte le facoltà riunite, la filosofia vivente, poetica e  religiosa, la filosofia dell'universo, cioè dell'uomo. 11 secolo XIX, cominciato lirico-poetico, termina lirico-prosaico-  filosofico-poetico-religioso ed assolutamente cristiano. La  poesia non è morta; ha subita una metempsicosi, uscendo dalla forma di immaginazione per entrare in quella di FILOSOFIA, e in quella vive ed eternamente vivrà.   La forma e l'elemento della poesia e della religione è,  come abbiamo visto, l'immaginazione. Quando il risorgimento  ha distrutta l'immaginazione, allora il sentimento, che prima  era in germe, assorbe tutto l'uomo e tutta la natura. E sorge  la musica f 1 ), forma di poesia della quale il sentimento è solo  elemento e sola sostanza, e il tempo V unica forma. La  musica è l'ultima delle arti ; la poesia è la prima. Le arti  plastiche usano una materia più naturale, meno ideale, deb-  bono sostenere con questa una lotta più lunga, e giungono più  tardi a perfezione. Viene prima la scultura, poi la pitiura.   Certo la musica è nata, come tutto il resto, con l'uomo;  ma nel medio evo antico è un esercizio secondario, subor-  dinato alla poesia e alla religione ; nel risorgimento sofistico  è bensì un'arte, ma rimane di gran lunga inferiore alla scul-  tura e alla pittura ; nel medio evo moderno la musica è epico-  religiosa, e rimane subordinata alla religione. Solo nel risor-  gimento moderno la musica si sviluppa, mentre le arti pla-  stiche decadono: dapprima, nel risorgimento drammatico,  la musica non è che un compimento e un aiuto del dramma ;  acquista un proprio assoluto valore solo nel risorgimento li-  rico, che è il tempo della negazione del pensiero, ossia dell'essenziale, e quindi è il tempo del nulla. Questo vuoto  sentimento si traduce in un vuoto suono, che diviene arte  e poesia. La musica è dunque una lirica vacua, è un'arte  oltre-lirica, è l'arte del nulla. È l'ultimo prodotto del risorgi-  mento, ed è quello che meglio ne scopre il carattere, poiché  il fine è il grande rivelatore. Ma il nulla al quale il risor-  gimento mette capo, se in apparenza è la fine, in realtà è  il principio, quello stesso dal quale in origine usciva l’universo. Da quel punto istesso l'universo, ossia l'uomo, rico- [Dopo la laurea] mincia da capo, tutto intero, in seno alla filosofìa. Questa  nuova creazione è il tempo dell'essere, il secolo XIX, che  ha per necessaria preparazione il risorgimento progressiva-  mente negativo e per divisa: negazione di negazione. Il secolo XIX nega quel vuoto universo di suoni ; fa della musica  quello stesso che già prima ha fatto della poesia, la dissolve  a poco a poco ; comincia dallo snaturare la musica a furia  di sapere e di meditazione, dando sempre meno alla me-  lodia e sempre più all'armonia, e la riduce ad essere una  scienza musicale. Questo è già avvenuto in Germania, dove  allato al risorgimento scorre il tempo moderno; nell'Europa  italo-celtica prevale ancora il risorgimento lirico, e tocca  ormai l'estremo punto dell'assoluta negazione; già la musica  si avvicina al suo limite prosaico ; già il pensiero positivo  comincia a sopraffare e ad assorbire il sentimento e l'immaginazione.   Il tempo moderno è la vita che rinasce dal seno della  morte, la fede che spunta dalla negazione. Non il tempo  moderno dell'antichità, perchè sopravviene nell'anima ro-  mana, mentre il dramma del risorgimento si era combattuto  nell'anima greca, ma il vero tempo moderno che è la continuazione e l'adempimento del risor-  gimento cristiano. In questo secolo il sentimento dell'uma-  nità, che è un aspetto del sentimento della natura, prenderà  la sua vera forma in una nuova poesia, nella quale la lirica,  la drammatica e l'epica saranno ricomposte in una unità  assoluta e definitiva. L'unificazione non è però avvenuta ancora nel campo  della poesia, né in quello della religione e della filosofia.  La poesia primitiva o naturale, invariabile come la natura,  sussiste presso il popolo analfabeta; e c'è la poesia medio-  evale e quella del risorgimento, immodernate e ormai vuote.  Così è delle forme religiose. Analogamente delle forme filosofiche : esiste presso il popolo apostolico primitivo la  filosofia primitiva o religione ; ed esiste pure la filosofia medioevale, la scolastica, e la filosofia del risorgimento, con tutte le sue gradazioni progressivamente scet-  tiche e negative e con tutte le sue forme positive. Abbiamo  oggi la massima complicazione di indirizzi e di forme ; non  è però difficile distinguere le diverse funzioni storiche in  atto, né prevedere un continuo avvicinarsi ad una assoluta  unità.   A questa teoria di M. si mossero da Silvio Spaventa  e da altri obbiezioni, che possono ridursi sostanzialmente  a questa : Come può lo spirito umano perdere due delle sue  funzioni essenziali, l'arte e la religione? M. risponde  che SPAVENTA ha ragione se, basandosi sulla filosofia  kantiana, afferma che lo spirito umano sarà sempre tratto a  fare degli assoluti giudizi religiosi ed estetici, ad unire al  concetto della mente la intuizione che deve dargli corpo e  vita; ma ha torto se crede che la intuizione da accompa-  gnare all'ideale debba essere sempre fantastica e falsa. Nel  principio l'intuizione religiosa e l'intuizione estetica è creata  dalla fantasia, ed è a vicenda distrutta perchè non è la vera,  non è assoluta, e non agguaglia l'assoluto concetto; e di  qui nasce da una parte una serie di capolavori tutti relati-  vamente perfetti — se son davvero capolavori — , perchè  l'ideale dell'arte, come finito ch'egli è, può accordarsi con  una intuizione finita; e ne viene dall'altra parte una serie  di religioni tutte imperfette e però tutte transitorie, perchè  l'ideale religioso è infinito, e la fantasia non sa creare che  delle immagini finite. Ma le due serie hanno una legge, perchè [Dopo la laurea, e cfr. Poesia ed arte, Lettera di  G. FRANCESCHI a M., nella Rivista bolognese. Franceschi dice che M., togliendo all'uomo la religione e la  poesia, lo abbassa all'abbaco e al pane ; egli non comprende che M.  intende anzi di innalzarlo alla sua filosofia religioso-poetica.     Le idee estetiche e religiose. hanno un termine : e il loro termine non può essere che la  vera e reale intuizione corrispondente al concetto dell'arte  ed all'ideale della religione. E difatti abbiamo da un lato  una serie di forme estetiche l'una meno perfetta dell'altra,  e sempre meno rispondenti alle condizioni assolute dell'arte;  e sono sempre meno naturali e spontanee, meno epiche e  fantastiche, sempre più spirituali, liriche, filosofiche e reali;  e sì l'intuizione dell'arte è sempre meno lieta e bella, e più  trasparente ed immediata all'ideale. È, dunque una serie  regressiva e discendente. La serie religiosa è al contrario  ascendente e progressiva. Ogni forma religiosa è meno fan-  tastica, più razionale, più reale della precedente. Per cui  l'ultima, la cristiana, è assolutamente vera e perfetta; in  essa al mondo della ragione corrisponde un mondo fanta-  stico quanto esser può più adeguato e spirituale : il cristianesimo non ha altro difetto che quello di essere una reli-  gione. La religione cristiana si va sempre più perfezionando;  e il suo perfezionamento consiste nell'essere sempre più  storia, più realtà, più verità, e sempre meno religione. E  così per contrarie vie, l'una scendendo e l'altra montando,  la religione e l'arte corrono al loro fine, al vero. Il vero  è l'eguaglianza della realtà e dell'idea, del pensiero e del-  l'intuizione. L'intuizione estetica, da principio fantastica e  non realmente assoluta, diventa a gradi sempre più somi-  gliante al concetto assoluto dell'arte, finché raggiunge l'asso-  luta e reale intuizione. Allora la natura è concepita come  un solo essere vivente, indipendente, assoluto; e ciascuna  sua parte è intuita come membro dell'intero, ed assoluta  essa stessa : giacché le due intuizioni ne fanno una sola. La  intuizione religiosa, essendo finita, non è adeguata alla sua  idea, che è infinita. La verità religiosa non è mai la vera,  perchè è una combinazione di finito e di infinito, anzi che  di infinito con infinito. Ma la intuizione religiosa si va  sempre più allontanando dalla forma naturale, e si fa sempre  più veriforme fino a diventar vera ; il che avviene quando  l'infinito ritrova se stesso, ed è a un tempo concetto e  intuizione. Allora al falso succede il vero, e la religione fi-  nisce. Questo non è perdere una funzione; è risolvere e  trasfigurare. Le funzioni inferiori dello spirito, come la mo-  rale, il diritto, lo Stato, conservano una esistenza separata,  perchè partecipano ancora della qualità della natura; ma la  religione e l'arte hanno per oggetto il vero; sono i gradi e  le forme del vero pensiero, e perciò quando il pensiero ac-  quista una esistenza distinta, esse la perdono e rimangono  unificate in lui. L'arte è per sua natura illusione e la reli-  gione è per sua essenza errore ; ora l'illusione è fatta per  trasformarsi in certezza e realtà, l'errore in verità. L'arte  si trasforma nella vera cognizione naturale ; la religione nella  vera cognizione spirituale. In questa trasformazione consiste  la storia; il suo compimento è il fine della civiltà ed il limite  del progresso umano, che è temporalmente indefinito, ma  idealmente determinato. L' ideale è provvisorio, e sparisce  nell'idea. Così termina la parabola religioso-poetica, della quale  il primitivo oriente è il ramo ascendente; l'antichità pagana,  tutta arte e mistero, è la cima; ed il ramo che discende è  l'era cristiana, in cui la religione e l'arte vanno progressi-  vamente diventando più riflessive, sino a ridursi ad essere,  oggi, il pensiero e la scienza cristiana. L'uomo moderno  cerca l'ideale e trova l'idea, cerca il concetto dell'arte e  trova il vero concetto, cerca il divino fuori di se e trova in  se l'umano; cerca il sovrannaturale e trova il naturale. Il  nuovo uomo crede e pensa; e pensando ricrea l'universo, dal  suo pensiero una prima volta creato. Questo nuovo universo  è un'opera d'arte in cui la forma eguaglia il concetto ; ed il  concetto fatto conscio di se vince la forma, ed è bello  e sublime ad un tempo. Questo nuovo universo è un capolavoro, di cui il nuovo uomo, poeta e critico insieme, intende  il magistero; è un tempio, di cui il pensiero umano è il nume    [ Le idee estetiche e religiose. ] e ciascun uomo il sacerdote, che a quel Dio sacrifica ciò  ohe è in lui di non buono. E il nuovo uomo continua questa  creazione con azioni generose ed alti pensieri. « Ed è così  che egli è più che mai non sia stato religioso e poeta,  quando non è più che scienziato e libero pensatore ». L'uomo  parte dalla tenebrosa unità della natura e del senso, e, a  traverso la piccola riflessione e la grande immaginazione,  giunge alla luminosa unità della riflessione intellettiva, avvivata dalla fede religiosa e poetica, che sole restano della  religione e della poesia. Naturalmente gli argomenti logici addotti dal M. a sostenere la sua tesi della « metempsicosi » della religione  e dell'arte nella filosofia hegeliana sono validi solo se si  ammette l'esistenza di un concetto assoluto, universale, defi-  nitivamente vero, al quale le intuizioni estetiche e le reli-  giose possano gradatamente adeguarsi; solo, in una parola,  se si accoglie l'hegelismo dell'Autore. Il compendio di  storia del genere umano tracciato per convalidare queste  argomentazioni non raggiunge lo scopo, perchè in esso non  la storia conduce alla dimostrazione, ma la dimostrazione,  se pur non modifica la storia, certo la coglie nei momenti  e negli aspetti a lei giovevoli, sorvolando sugli altri. E le  molte e molte pagine che l'Autore consacra alla dimostra-  zione della sua tesi riescono invece a dimostrare questo : che  egli ha avuta la somma fortuna di trovare nella sua conce-  zione dell hegelismo la sua filosofia, la sua religione e la  sua poesia.   M. è certo che le tre grandi correnti umane, — la  contemplativa religioso-poetica che nasce dalla natura e la  riflessivo-filosofica che, nata dalla precedente, si suddivide  in altre due : la filosofica positiva o filosofia della sostanza e  Tanti filosofica negativa che bentosto diviene afilosofica, negativo-positiva, pseudo-riflessiva o filosofia dell'apparenza — ,  dopo aver proceduto isolate fino al secolo XIX, suddividendosi in altre molte correnti o scienze pseudo-positive,  accennano oggi a ri convergere. L'unità dell'apparenza e del  pensiero, con la precedenza di questo su quella, è l'unità  del pensiero. Per avere l'unità della natura non basta che  le due filosofie astratte si fondano in una sola filosofia con-  creta; bisogna che la corrente religioso-poetica mescoli le  sue acque con la corrente unificata della filosofia. La cor-  rente filosofica, scaturita dalla religione e dalla poesia, tor-  bida in principio, si allarga, si purifica, diviene trasparente  sino a perdere ogni potere nutritivo; ma poi, a poco a poco,  invade e travolge il tutto, l'uomo e la natura, la religione  e la poesia; e fa di tutto una sola unità vitale. E allora la  filosofia sarà la vita, sarà l'unità spontanea ed armoniosa della  natura : un pensiero pieno d'amore vivificherà una natura  piena di fantasia, l'amerà come natura umana, e l'adorerà  come natura divina.   Qui alcuno potrebbe chiedersi : in questa identificazione  della filosofia con la vita, non subirà la filosofia stessa un  assorbimento analogo a quello subito dall'arte e dalla reli-  gione ? La forma superiore non sarà la vita e l'azione ? Ma M. non distingue dalla vita quella sua filosofia del-  l'avvenire. Egli afferma che è difficile precisare come tale  unificazione vitale si compia, e perchè quest'opera è appena  cominciata, e perchè avviene nella profondità del pensiero,  al di sotto della coscienza. Sono cose tanto lontane —  dic'egli — e c'è di mezzo una tal nebbia di tempo avve-  nire, che è impossibile vederci chiaro: bisogna contentarsi  di averne un'idea generale, a Ma —soggiunge — a questa  generalità io ci credo, e giurerei, tanto ne sono certo, che  le cose passeranno così in generale ; e che tutto anderà a  terminare nella fusione di tutte le forze, di tutte le cono-  scenze, e di tutte le realtà, in una sola vita umana. La  sua filosofia sarebbe forse un atto di fede? L'uomo è un sistema vegetativo, un sistema riproduttivo,  un sistema animale e un sistema spirituale. Ciascuno di questi  quattro sistemi umani è attivo e si muove; ed ha, come natu-  rale, la causa del suo movimento fuori di se, nella natura.  La natura della causa esterna che move è corrispondente e  proporzionata alla natura della sfera interna che è mossa;  mentre è una stessa natura che fa l'una per l'altra, ed è  sempre la seconda che move se stessa con la prima natura.  Ma se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragione-  vole cattiva natura interviene, e rompe la legge, e viola la  ragione; se l'arbitrio umano o naturale modifica la qualità  della causa motrice, e ne muta la relazione, e ne altera la  proporzione con la interna sfera umana, questa si altera e  si disordina. Il disordine della sfera direttamente colpita si  comunica alle altre, ed è una successione e una complica-  zione di morbi; ma, isolati o uniti, non vi sono che quattro  morbi umani essenziali: i vegetativi, i riproduttivi, gli ani-  mali, gli umani o mentali. La patologia preistorica dice che  di questi quattro morbi il primo è stato il morbo vegetativo.  L'uomo primitivo, uscito sano, valido ed innocente dalle mani  del Creatore, rimane sano, finché rimane innocente; non  ammala che per irragionevole arbitrio estemo o naturale ; non  è esposto che agli accidenti meccanici, alle malattie trauma-  tiche. Ma l'animale umano è, a differenza degli altri, capace  di colpa; egli trasgredisce il precetto e oltrepassa la natura:  felice colpa, perchè lo fa accorto di poterla oltrepassare.  Di là dalla natura l'uomo trova se stesso : trova la sua libertà  e la sua propria natura, e fa della necessità animale, istintiva ed involontaria, una necessità umana, spirituale e volon-  taria: e così di colpevole ritorna innocente. Ma non è più  la primitiva innocenza dell'animale ignaro e meccanico; è  l'innocenza dell'uomo che si vede nel suo interno, e si sa  libero ; e liberamente vuole se stesso, ed ama e venera la sua  propria natura. Ma bentosto egli oltrepassa questo se stesso,  supera questa sua natura, e diviene di nuovo colpevole, e  si rifa sempre di nuovo innocente, finché non abbia raggiunto  tutto se stesso e la sua vera natura spirituale, e non sia com-  piuto il fato umano. Così l’uomo naturale diventa in principio civile, e poi da una civiltà passa in un' altra. La  civiltà ha certamente i suoi morbi; e sopratutto nel momento del passaggio e della colpa il morbo si impadronisce  dell'uomo, e cresce e si moltiplica ed imperversa. Allora  l'uomo è annoiato di se stesso, e perciò si corrompe. E il  morbo, fecondato dalla corruzione, genera nuovi e più cru-  deli morbi. La corruzione sensuale moltiplica i morbi vegetativi ; le voluttà naturali e preternaturali generano i morbi  riproduttivi. Le cause psichiche non moltiplicano solo le  cause naturali, ma operano anche per proprio conto, generano per diretta azione le malattie nervose e le psichiche.  D'altra parte, nelle nature più elette, invece di una corruzione sensuale, nasce un principio di fermentazione intellet-  tuale, che dà origine alle malattie dello spirito. Ma tutto  questo avviene con una certa legge. Tre grandi civiltà si  succedono: la prima naturale, la seconda umana, la terza  divina. E ciascuna ha il suo proprio carattere e la sua par-  ticolare natura; e ciascuna si corrompe, ed ha le sue proprie  e particolari malattie. La civiltà naturale quando è nel suo  primo fiore e nella sua perfezione originaria è senza morbi,  altro che accidentali e meccanici ; ma la sua corruzione porta  seco le cause fìsiche e chimiche, e genera morbi fisici e  morbi chimici: cause cosmiche, naturali, che danno origine  a morbi naturali, sopratutto vegetativi, prima ai morbi nutri-  tivi, e più tardi ai morbi formativi. La civiltà umana — il  paganesimo — nel suo fiore è di nuovo senza morbi ; ma la  sua corruzione porta seco le cause umane, sensuali, passio-  nali, e dà origine ai morbi riproduttivi ed ai morbi animali:  ai nervosi prima, e quindi ai psichici. La civiltà divina —  la cristiana — nel suo primo fiore è del pari senza morbi ;  essa è la reazione della medicatrice natura umana, è la gua-  rigione dell'anima e la salute del corpo, rimedio radicale  di tutti i morbi umani. Ma la reazione eccede tosto il segno  della umana natura, ed è principio di nuovi morbi. Mistica  e tutta entusiasmo e religioso sentimento, essa reca le cause  mistiche, che danno origine alle malattie psichiche mistiche e  religiose. La corruzione cristiana riproduce la corruzione  pagana, e con le cause passionali rinnova le antiche malattie.  Ma di sotto alle rovine del primo spunta il secondo cristia-  nesimo, la nuova e vera civiltà divina, e riconduce le cause  spirituali e le nuove malattie mentali. Quando quest'ultima  civiltà avrà raggiunta la sua definitiva perfezione, allora spa-  rirà il male e l'uomo spirituale sarà di nuovo senza morbi,  come era in principio l'uomo animale. Tale è il primo e più  generale risultato, la prima legge della patologia storica :  l'uomo ha quattro vite, quattro anime, ed ha quattro qua-  lità di morbi, che sono le categorie primarie della patologia. Ma ciascuna anima può oltrepassare nell'uno o nell'altro  senso quei limiti della sua attività entro i quali ha luogo la  oscillazione normale ; ed allora concepisce un morbo positivo  o negativo, stenico ovvero astenico. Sono queste le cate-  gorie secondarie della patologia. La categoria primaria, la  natura e la qualità fisiologica del morbo, è l'essenziale, e  mai non manca, né può mancare ; invece la categoria secon-  daria, il grado e la quantità innormale, può mancare, e manca  infatti, o non è sensibile ed apparente. Certo non vi è qua-  lità senza quantità ; ma nelle piccole applicazioni cliniche  la quantità innormale può mancare del tutto, perchè è supplita dalla quantità normale ; nelle grandi applicazioni sto-  riche la categoria secondaria trasparisce sempre dentro alla  categoria primaria. Le categorie primarie e secondarie ci danno la pianta  della patologia storica; non l'edilìzio con tutte le sue parti.  Le quattro grandi sfere contengono minori sfere, i quattro  grandi sistemi contengono sistemi sempre più piccoli : apparecchi, organi, tessuti, elementi istologici: le anime gene-  rali non esistono veramente che nelle anime elementari o  cellulari. I fatti sono complessi organici e naturali di categorie, le più generali chiuse nelle più particolari, e queste  ricoperte dalla loro buccia innominabile ed accidentale. A  forza di aggiungere categorie a categorie il vacuo si riempie  e si consolida l'astrazione. La patologia storica congegnata da M. è veramente  originale; e sebbene, volendo dedurre da pochi principi  e compendiare in pochi schemi tutti i fatti umani, abbia tal-  volta dell'artinzioso, non è certo nel complesso senza genia-  lità, e coglie con acume i nessi che legano i singoli morbi  alle varie forme della civiltà umana. Ancora il terzo periodo — La filosofia della natura. La creazione secondo M.. La lotta di M. contro la teoria  darwiniana. Il suo metodo trimorfo. La dimostrazione dei suoi principi.  L'accidentale e il necessario nella sua concezione filosofica. M. non puo limitare la sua speculazione entro  l'ambito della jatronlosofìa. Dalla sua stessa concezione di   [Delle prime linee della patologia storica, Prelezione, Bologna,  Monti. Della sua patologia storica l'A. scrive (Delle prime linee della patologia storica): « ...Sarà vera o falsa, buona o cattiva...; ma sarei  curioso, e ben vorrei vedere chi di questa bazzecola, come d'ogni altra mia  piccola cosa infino a una menoma parola, sarebbe capace di reclamare la  priorità. Nella prel. qui cit. l'A. non tracciò che lo schema generale di  questa sua costruzione. Ma svolse poi l'argomento nel successivo corso di  lezioni universitarie, mai dato alle stampe. Cfr. SICILIANI, Gli hegeliani in  Italia. Per gli argomenti trattati in questo  paragrafo, si vedano: / naturalisti, La natura a volo d'uccello: Forza] questa, oltre che dall'indole del suo ingegno e dall'influenza  dell'ambiente filosofico nel quale era stato educato, egli  doveva essere e fu infarti condotto alla costruzione di una  filosofìa della natura. Ma se egli parte dall'affermazione che l'essere è pensiero,  e non vede chiaro il significato di questa identità e non ne  deduce logicamente tutte le conseguenze, se egli pone le  fondamenta in modo arbitrario e nelle singole parti confuse  e cozzanti fra loro, non può innalzare un edifizio solido e  fermo. E la sua filosofìa della natura è infatti un castello in  aria, sebbene edificato con ingegnosità, pazienza e tenacia  ammirevoli. Sono pagine che succedono a pagine, volumi  che succedono a volumi, e rivelano una profonda conoscenza  dello svolgimento di tutte le scienze mediche e naturali, dai  tempi più antichi fino a quelli in cui viveva l'Autore: geologia, chimica, fisica, zoologia, anatomia umana e comparata, fisiologia, patologia, terapia; e sono ipotesi e conquiste  scientifiche messe in relazione con sistemi filosofici e con  periodi storici. Sono analisi di animali e di vegetali, di specie,  di classi, di ordini, di generi; e descrizioni di organi, di  funzioni, il cui nascere e modificarsi vuol essere spiegato  dal crearsi della idea divina. Ma in tutta la costruzione si  risentono le conseguenze della incertezza fondamentale. M. afferma che creare è diventare, è spiegare successivamente le forme di cui si ha il germe nel proprio essere. Il pensiero originario compie la propria creazione, e  di semplice essere si fa a poco a poco pensiero assoluto. Ma poi aggiunge che il pensiero è il fondamento, il tetto e  e materia, Un nuovo corpo semplice, I tipi vegetali,  Deus creavit,  I tipi animali, Filosofia e non filosofia, Darwin e la scienza moderna,  ecc.  Deus creavit, Dialogo I, nella Rivista bolognese] la travatura dell'edilìzio della natura. Egli viene così ad ammettere che il pensiero non basta ad esaurire tutta la realtà,  perchè il fondamento e la travatura non sono tutto l'edifizio. Non resta dunque fedele alla concezione idealistica, secondo  la quale la natura è un momento del pensiero, che si risolve  interamente nel pensiero stesso, e senza la quale lo sviluppo  del pensiero non sarebbe né completo, né possibile.   Egli distingue nella natura due gradi e due modi di  creazione: l'una sensibile, individuale, l'altra tipica, ideale,  individuale anch' essa. La prima creazione è quella che  F idea dell' uomo fa dell' individuo umano; ma 1' idea del-  l'uomo è naturale, e le idee naturali restano latenti finché  l'idea divina, prima causa di sé e della natura, le renda  attuose, le fecondi e ne determini la trasformazione. Quando  l'idea divina è naturata nell'uomo, la creazione cessa nella  natura e ricomincia nella storia, finché l'uomo si è ricongiunto  al suo principio, e l'idea divina esiste tutta in forma di idea  spirituale. Anche l'idea spirituale esiste solo legata all'acci-  dente, cioè come individuo. Quindi, come nella natura, così  nello spirito accade una doppia creazione : quella dello spi-  rito individuale e quella dello spirito universale. Il primo  ripercorre le forme storiche passate dell'umanità sino all'at-  tuale, l'altro crea le nuove e più perfette forme storiche.  La storia della natura umana, quella della natura vivente e  quella della natura cosmica sono le tre forme vitali di uno  stesso assoluto individuo temporale, il mondo. Sono tre crea-  zioni : una divina, eterna, infinita; l'altra essa pure ideale,  ma temporale e finita, universale e particolare insieme; la  terza materiale, individuale, accidentale. Dio si realizza nel mondo, e il mondo nell'individuo;  quindi anche Dio si realizza nell'individuo. L'universo fa  nel tempo come Dio fa nell'eternità: comincia nella forma  più semplice del suo essere, la natura; si divide in due forme  opposte, il vegetale e l'animale, e infine si raccoglie in una [Del Vecchio-Veneziani - Le opere scientifiche e la filosofia della natura. ]  forma completa, lo spirito umano. Le forme dell'idea divina  passano eternamente l'una nell'altra, senza annullarsi; e così  pure le forme dell'idea naturale; ma nella materia una forma  esclude l'altra, e però nell'individuo sensibile, pur rimanendo  tutte idealmente, spariscono via via sensibilmente. Come un  mammifero passa per le forme animali inferiori e le proto-  vertebrate prima di assumere ra sua forma specifica, così l'in-  dividuo umano principia selvaggio, e poi riproduce le tre  forme moderne essenziali, ed è prima immaginativo, indi ra-  gionatore, e finalmente pensatore: medio evo, risorgimento,  tempo nuovo. L'uomo ordinario, nel suo sviluppo, si arresta  alle forme storiche già create; l'uomo di genio crea forme  nuove, opera come spirito universale, traendo da Dio l'im-  pulso e l'ispirazione creatrice. E sempre esisteranno oltre ai  più, agli uomini evolutivi, anche i pochi, i creativi, finché,  come la natura, anche l'umanità non sia giunta alla sua forma  vera, già tracciata da Dio. E perciò ora coesistono i vari  gradi e le varie forme in cui il tipo divino si squaderna nella  natura.   Questi gradi sono una scala di mezzi e fini, in cui la  forma inferiore è organo e mezzo all'esistenza della superiore. Il ciclo tipico concepisce il moto creativo e produce  il ciclo superiore. Quando la natura è fatta, comincia la vita;  e quando è chiusa la creazione vitale comincia lo spirito  umano. I cicli secondari, anche prima di essersi svolti interamente, cominciano a produrre i tipi corrispondenti del ciclo  superiore. E la creazione ideale è creazione sensibile ; la  creazione di una specie è produzione di molti individui in  cui appare la nuova forma. Il concetto precede l'esecuzione,  e la successione effettiva e naturale presuppone la succes-  sione logica, ideale. La funzione è la vita, la forma è la  natura, che precede il contenuto vitale, e non se ne lascia  tuttavia assorbire e soverchiare ; e quando il contenuto spa-  risce la forma rimane. Nei tipi superiori la funzione assorbe  e domina sempre più la forma, ma la sua vittoria non è mai  completa. L'equilibrio fra la forma e il contenuto si ristabilisce non nel corpo, ma nello spirito umano. La vita passa  come il tempo; la natura è più tenace. Altra è la successione di tempo, altra di idea. La suc-  cessione naturale va non da ciclo a ciclo, ma da tipo a  tipo ; e perciò in tutte le epoche della creazione tutti i  tipi primari sono, più o meno completamente, rappresentati.  Ogni tipo incomincia col riprodurre i tipi formali che lo precedono, indi prende la sua forma propria, e infine arieggia  al tipo che gli deve succedere. Anche diverso è il modo di accrescimento nella natura,  nella vita e nello spirito. Essendo la natura pura esteriorità,  i corpi inorganici crescono per moltiplicazione quantitativa  esteriore, e non hanno altra unità che la loro forma comune. Nello spirito, che è pura interiorità, la esterna moltiplicità  diviene interna e qualitativa. Infine, essendo la vita uno spirito naturale, un misto di esteriorità e di interiorità, di apposizione e di intuscezione, Tessere organico si sviluppa per  una moltiplicazione quantitativa ed esterna e per una moltiplicazione interna e qualitativa, con prevalenza dell'una o del-  l'altra secondo che si tratti di una forma più o meno pros-  sima alla natura. Mai la vita è tanto esterna che non abbia  la sua interiorità ; mai la forma organica è tanto molteplice  che non abbia la sua unità. Ma quest'unità è diversa nel vege-  tale e nell'animale. Nel vegetale la vita di ogni individuo  elementare si unifica nella vita comune dell'aggregato; nel-  l'animale deve prevalere l'unità dello spirito umano, e l'in-  dividuo, semplice e libero al di fuori, è molteplice e tutto  qualificato al di dentro. Le forme superiori [sono la chiave I tipi animali, , Bologna, Monti; Cfr. Lettere sulta patologia storica, I tipi animali] necessaria a spiegare ed interpretare le inferiori, per se stesse  oscure, indistinte, indeterminate; e sono alla loro volta spiegate dalle forme inferiori in cui appariscono nella primitiva  semplicità. Ma il riscontro non è utile se non cade sulle forme  fra le quali corre una particolare e più diretta e più intima  relazione tipica, secondo il vero metodo evolutivo, in cui  l'idea unisce le forme ed organizza le serie, non col metodo  empirico, capace solo di conclusioni generali arbitrarie, arti-  ficiali, ovvero, se alla vacuità sostituisce il preconcetto dar-  winiano, di una inestricabile confusione.   Come Giorgio Hegel aveva combattuto e denigrato il  Newton, così M.  lancia in quasi tutte le sue opere  strali frequenti contro il Darwin e i darwiniani. Il naturalista  inglese è per lui un genio, ma il genio dell'ignoranza, perchè  pone il cieco caso in luogo della ragione vitale. Egli pretende che tutte le forme dell'intera serie animale sieno venute  l'ima dall'altra per l'aggiunta di sempre nuove particolarità  organiche nate a caso, e perchè utili ritenute nella selezione  naturale, e trasmesse dall'eredità, senza che mai in una forma  nulla preesistesse dell'altra che da essa proviene. M. afferma che qui c'è un progresso sul Lamark, in quanto la  modificazione dell'essere vivente è primitiva, spontanea, in- [M.dice che la proposizione in cui si compendia la scienza  dell'astronomia : « I sistemi solari sono i primi uomini, il cosmos è il mondo  umano primitivo... non è possibile che alla filosofia della natura: motivo per  cui Newton, il divinissimo astronomo, non la sapeva altrimenti; egli nel  cielo ci vedeva Dio, e per questo ci voleva poco, ma non ci vedeva  l'uomo». - Dopo la laurea, li, [I tipi animaci, pel giudizio di M.  circa la teoria darwiniana, Dopo la laurea, Deus  creami, Darwin e la scienza moderna, I tipi animali; Filosofia e non filosofia, Lettera sulla patologia storica] genita, e non prodotta soltanto da agenti esterni; ma egli  non sa comprendere come si possa affermare che tale modifi-  cazione è casuale, irrazionale, e che la ragione c'entra poi,  introdotta dal caso. Ammette che in ciascuna delle teorie  di Mosè, Zaratustra, Firdusi, Diodoro, Lamark, Darwin, è  qualcosa di ragionevole, cioè di serio e di vero. La verità  più ragionevole, sebbene espressa in modo goffo e materiale,  è quella di Mosè: Deus creavit! — la meno ragionevole è  quella darwiniana. La teoria adattativa del Lamark e quella  selettiva del Darwin, pur essendo tutte e due sbagliate, hanno  di vero lo schema comune, ed è questo: gli animali formano  tutti una sola famiglia naturale ; il principio che unisce e lega  le forme è l'eredità; il principio della divergenza delle forme  è la variabilità. Se non che questi tre punti debbono essere  integrati rispettivamente così : gli animali sono tutti in fondo  uno stesso animale ; la generazione è creazione ; la variabilità  deve essere determinata, perchè nella natura e nella scienza  la potenza sta nella determinazione.   Secondo M. , è vero che l'individuo varia senza  legge e senza ragione, fuorché quella di essere individuo  accidentale; ma varia anche con ragione, perchè è posto fra  la cieca necessità della natura e la conscia assoluta libertà  dello spirito umano. Dio è il grande modincatore, il vero e  solo creatore dei nuovi organi e delle nuove funzioni vitali,  perchè una funzione è un'idea, e per creare un'idea ci vuole  un'idea. Il non essere non può creare l'essere, l'irrazionale  non può creare la ragione, la natura ossia l'accidente non  può creare i tipi e le funzioni. Senza l'idea divina non potrebbe nascere dall' antropoide 1' antropo, intercorrendo fra  loro una differenza ideale anche, e di gran lunga, maggiore  dell'organica, e neppure potrebbero nascere nuove forme,  perchè ogni fonma ha un suo proprio valore assoluto, e si sviluppa secondo il ritmo assoluto del mondo, secondo il disegno  eterno della creazione. L'idea, e non il sangue, fa l'unità  delle forme vitali. Fra coloro che non riducono la scienza ad una storia accidentale, alcuni — i seguaci della scienza  antica, essenzialmente religiosa e intuitiva — ammettono due  storie ideali, una fuori della natura e del mondo, un'altra  secondaria, riflesso della prima, sviluppantesi nel seno della  natura e dell'essere vivente; gli altri, i seguaci della scienza  moderna, riflessiva, non riconoscono che la forma e la storia  intrinseca alla natura, all'animale, allo spirito umano, con-  siderando la storia extramondana come un effetto ottico ope-  rato dalla intuizione.   Vi sono tre maniere diverse di considerare le forme vitali. L'una consiste nel distinguere fra gli elementi comuni  a tutte quelli che sono propri di alcune soltanto. E si consi-  derano questi elementi formali come caratteri costitutivi di  un tipo più o meno comprensivo. È la maniera astratta, quella  di Linneo, di Jussieu, di Decandolle, di Cuvier, di Milne  Edwars, di Owen. V'è una seconda maniera, che si riassume tutta nella frase : una forma è simile ad un'altra perchè  il figlio è simile al padre e il padre all'avo. Questo è pel  I. il finis Poloniae, la comune e l'internazionale della  scienza moderna. Vi è infine una terza maniera, che con-  siste nel cogliere la forma nel suo movimento, e considerare  i vari tipi come i momenti evolutivi di un tipo ideale assoluto,  il quale è l'unità, la verità, la ragione, il principio e il ter-  mine di tutte; e questo tipo è il vero animale. È la maniera  concreta, quella di Schelling, di Hegel, di Oken. Dopo di  loro il solo Baer l'ha presentita, ma non ne ha fatta una  applicazione sistematica e conseguente alle varie forme  animali. M. dice che egli intende di fare un tentativo  di questa specie. Secondo lui, tutte le forme preesistono  idealmente l'una nell'altra; tutte preesistono in una forma  [I  tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura] germinale di cui sono lo sviluppo creativo, interno, spontaneo. La creazione consiste nella determinazione ideale  originaria di schemi indeterminatissimi, e nella loro delimitazione naturale, ossia accidentale. Una forza interna a un  dato momento, aiutando le condizioni esterne da lei stessa  preparate, trasforma l'embrione in larva e la larva nell'individuo completo, facendolo attraversare una serie di forme  l'una più perfetta dell'altra, immagine della palingenesi uni-  versale. Questa forza ricevette una prima spinta dalla gene-  razione. L'uomo dà l'impulso prima alle forme semplici e  generali, quiescenti l'una nell'altra, che sono nella natura  e pur non sono naturali; le desta, le crea, le differenzia, le  delimita; dei puri e semplici momenti della legge formale  fa delle forme vive, reali, accidentali; muove la materia in-  forme a creare il sistema solare e l'uomo a traverso alla  serie delle forme cosmiche e vitali. L'uomo eterno, l'uomo  intelletto umano, è dietro al caos ed a tutte le forme, è la  forma, l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in  cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta par-  ticolarità esiste, ma nella forma di principio, di universa-  lità, di necessità, ed in questa contraddizione consiste la  sua attività creatrice. Il pensiero assoluto si trasferisce e si  effettua nella realtà dell'universo, e lo fa a sua immagine,  e seco vi trasporta il metodo assoluto della sua evoluzione  attuale. La forma è un principio e una forza indipendente  dalla funzione; e questa forza ha una legge che ne deter-  mina lo sviluppo e l'azione, ed è la stessa*legge dell'uni-  verso, è il metodo della natura, del vegetabile, dell'animale  e dell'uomo, il metodo insomma di tutto il creato, perchè è  quello intrinseco alla divinità creatrice. Secondo questa legge,  ogni sviluppo essenziale si fa in tre momenti: tesi, antitesi,  sintesi. Al movimento puro, assoluto, astratto, corrisponde il [I tipi animali, Le opere scientifiche e la filosofia della natura]  movimento concreto della forma, ai tre momenti ideali corri-  spondono tre tipi sensibili : amorfo, antimorfo, teleomorfo.  E perciò l'universo è una gran trilogia: è amorfo nella na-  tura, antimorfo nella vita, teleomorfo nello spirito umano. La  natura (amorfopan) è indifferenza senza opposizione essenziale ; è tutta forma senza unità, senza fine, senza ragione,  senza la forma della forma. La vita (antipan) è essenzialmente  opposizione fra corpo ed anima, fra molteplicità ed unità, fra  vegetale ed animale. Esiste fra vegetale ed animale una  doppia antitesi : l'una di natura e l'altra di funzione (antitesi  psichica e antitesi corporea). Lo spirito umano (teleopan) è  teleomorfo. Lo spirito è 1' opposizione spinta all' estremo,  poiché l'antitesi non è più solo fra corpo ed anima, fra senso  e sensibile, ma fra intelligenza e intelligibile, fra Dio e  l'uomo. Lo spirito comincia con l'opporsi alle idee e finisce  per riconoscersi in quelle, e con lo stesso colpo si riconosce  nelle cose : sì che egli è l'unità reale e distinta delle cose  e delle idee. L'anima nella natura è interna, nel vegetale  apparisce al di fuori, ma è corporea; nell'animale diventa  corporea, ma rimane particolare; nell'uomo diviene assoluta,  universale e puramente ideale, e la opposizione è finalmente  risoluta e conciliata. La natura, la vita, lo spirito umano hanno  ciascuno a sua volta il proprio sviluppo trilogico essenziale. Questo metodo trimorfo, come egli stesso lo chiama, è per M. il filo ariadneo che deve guidarlo a traverso al  labirinto delle forme vegetali ed animali. Per lui tutte le  forme e i tipi più eterogenei e dissimili sono in realtà uno  stesso identico animale in via di formazione : l'uomo. E  dei tipi animali egli vuol tracciare la storia ideale, perseguendola a traverso alla descrizione. Confessa che la descri-  zione gli riesce troppo completa e determinata, mentre ogni  tipo è sfumato ed evanescente innanzi alla sua realizzazione,  è il mobile oscuro che da dentro fa forza e opera lo sviluppo  creativo, cominciando da sé, creando a mano a mano le pro-  prie determinazioni. Invece i sistematici ordinari, tutti  intenti alla diagnosi delle forme, poco si curano delle differenze di quantità ; essi hanno bisogno di caratteri qualitativi specifici, possibilmente esclusivi, precisamente quelli  più materiali, che non significano nulla appunto perchè non  passano in altre forme. Tipo è forma con significato.   Questi sistematici hanno una logica difettiva a forza di  astrazione; non pensano che nel quanto è rinchiuso il quale.  Seguono la vecchia tendenza separatrice, diagnostica, arti-  ficiale, bisognosa di abissi e avida di caratteri esclusivi, isolatori. La nuova morfologia invece cerca le comunanze e  le transizioni, benché non arrivi ancora a ravvisare la transizione ideale dove manca quella materiale. Per la vera  morfologia il primo è la forma, che pone i lineamenti gene-  rali dell'essere; poi viene la funzione ideale che la accomoda e la modifica; e in ultimo viene la funzione reale e  la selezione naturale. I darwiniani invece ignorano l'omo-   [I tipi animali] Dopo aver chiarita la differenza fra le due morfologie, Meis soggiunge che il suo scritto è un lavorìo tutto di pensiero, condotto con  un organo che nel cervello dei naturalisti, darwiniani o antidarwiniani ch'ei  sieno, dev'essere assolutamente atrofizzato: « è tutta da capo a fondo (apriti  cielo)... una ricostruzione a priori. Ma lo scandalo sarà piccolo, perchè non  ci sarà di certo chi ci si voglia rompere il capo. Questo scritto non si fa per  stamparlo, si stampa per farlo ; e si fa per uso e consumo esclusivo, e per  supremo divertimento dell'autore, che quando sarà tutto stampato tirerà tanto  di chiavistello sulle pochissime copie che ne avrà fatto tirare ». Le opere scientìfiche e la filosofia della natura] la formale; per essi la funzione è tutto e fa tutto, ed è  una funzione prodotta dall'organo, la nutrizione, non la funzione essenziale, «principiale)), a loro ignota e inconcepibile,  Le dottrine materiali non hanno nulla a che fare con la  scienza, perchè questa non è la ragione dell'uomo che la  fa, ma la ragione della cosa. Il caratterizzatore vede crollare  come castelli di carta le sue classificazioni più o meno inge-gnose. Il rimedio è uno solo: a Non caratterizzare, non clas-  sificare; pensare e ripensare. Seguendo il metodo trimorfo, si riconosce che nel vege-  tale l'amorfofito è indifferente ed informe; l'antifìto è il  centro della formazione, il punto in cui si spiega l'opposi-  zione fra il corpo e l'anima vegetale ; nel teleofito le due  sfere sono egualmente sviluppate. Il vegetale amorfo è l'alga,  prima chimicamente e poi anatomicamente semplice, indi  molteplice, ma tutta disgregata nei suoi elementi cellulari.  11 vegetale antimorfo è da un lato la felce vegetativa, dal-  l'altro il fungo riproduttivo. Il vegetale teleomorfo è il coti-  ledonato, in cui la forma vegetativa e la forma riproduttiva  sono egualmente sviluppate. Analogo è lo sviluppo tipico  dell'animale. L'amorfozoo è informe e indifferente; nell'antizoo, punto centrale di tutta la formazione, si sviluppa  l'opposizione fra corpo e anima, fra sistema vegetativo e  sistema riproduttivo ; nel teleozoo i due opposti sviluppi sono  riuniti e in giusta proporzione fra loro. L'amorfo animale è  il protozoo, cioè il rizopode e l'infusorio; l'antimorfo è il  radiario, il mollusco e l'articolato; il teleomorfo è il verte-  brato: pesce, anfibio, rettile, uccello, mammifero. I nomi  di amorfozoo, antizoo e teleozoo sono preferibili a quelli di  vertebrato ed invertebrato, che esprimono solo la presenza  o l'assenza di un elemento secondario.   Finché M. sta fedele al suo programma di dimo-  strare solo col farli muovere i principi filosofici ai quali  [I tipi animali,  Le opere scientifiche e la filosofia della natura] crede, egli lavora a meraviglia: originali le applicazioni  alla scala degli esseri viventi, alle varie forme della vita,  della scienza, della filosofìa, della storia; particolarmente  geniali e nuove le applicazioni alla patologia. Ma a volte  — rare volte, è vero — egli sente il bisogno di tentare una  dimostrazione logica di quei principi, e riesce invece, senza  avvedersene, a dimostrarne 1' ìnsuffìcenza, 1' arbitrarietà, la  nebulosità. Ciò gli accade nel Deus creavit, e nei tre dia-  loghi : / naturalisti ; Forza e materia ; Un nuovo corpo semplice. Nel Deus creavit — già lo abbiamo visto — egli  tenta, senza riuscirvi, di dimostrare che il pensiero è fin dal  primo momento essere. Nei Dialoghi affronta lo stesso problema in forma più concreta : ricerca il punto in cui l'essere  ed il pensiero si identificano, lo ricerca con la sicurezza di  chi sappia di rintracciare cosa esistente nella realtà ; e con  lo stesso metodo, lo stesso procedimento, lo stesso linguaggio,  e quasi la stessa mentalità con cui un naturalista potrebbe  studiare un essere da lui non visto ancora, ma del quale, per  descrizione autorevole e per indizi indiretti e certi, gli fosse  nota l'esistenza e i caratteri.] vero lutto è l'uomo, l'uomo come pensiero, in cui  l'uomo della natura, che in sé ricompendia tutta la natura,  si risolve ed unifica perfettamente. Ma come questo pensiero  eterno passa nel realizzarsi per tutti i gradi della natura ?  E che è questa natura ? Quale il suo primo grado ? Retroce-  dendo nella storia del processo naturale si perviene ad un  muro saldo, incrollabile, oltre al quale non si può andare:  quel muro è la materia. Certo la materia suppone lo spazio;  ma spazio senza materia non ci può essere. Chi dice spazio [I naturalisti, Diagolo 1°, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo d'uccello: Forza e materia, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze, La natura a volo  d'uccello: Un nuovo corpo semplice, Dialogo, nella Civiltà italiana, Firenze,  Le opere scientifiche e la filosofia della natura.   dice tempo, e chi dice tutti e due dice moto; e dir moto  è dir qualche cosa che si muove, è dire — insomma — la  materia, moto immobile, forza latente ed inerte dell'universo.  La forza diviene sempre materia a traverso un suo sviluppo :  da forza chimica, semplice affinità, a forza fìsica, e da forza  fìsica a forza meccanica, e infine corporea. Ogni forza è la  materia della forza inferiore ed il germe della superiore : e  così il moto è il tempo materializzato; il tempo è lo spazio  divenuto più materiale. Sempre la materia è la realtà, il  limite di una forza; e la forza è la materia nel suo spon-  taneo svolgimento. La forza del pensiero da principio non  pensa ancora, ma si vuol pensare, ed è chiusa nella forza  semplice in cui tutte le forze speciali sono latenti ; e come  la più forte, le urta di sotto e fa uscire la forza chimica, che  si comunica a tutta la massa della forza semplice, sì che  tutto diventa forza chimica reale, affinità e materia puramente  chimica ; e fa di questa affinità informe un imponderabile  informe, e di questo un informe ponderabile, un corpo sem-  plice informe.   L'uomo senza influsso di esterno accidente, mentre egli  era da per tutto ed era tutto, non poteva scegliere un punto  del tempo e dello spazio in cui operare la trasformazione  della materia semplice in corpo sémplice. E l'operò in un  punto del tempo e dello spazio che erano tutto il tempo, tutto  lo spazio. Quell'attimo, quello spazierello» si riempì di ma-  teria reale, naturale, diventò da spazio ideale spazio reale,  interminato, e con esso cominciò la natura. La forza del pen-  siero, come ha trasformato il moto, la forza semplice, in  forza chimica, così trasforma questa in forza fìsica, e la  forza fìsica in forza meccanica; e dallo stesso oscuro fondo  fa scaturire dietro a quelle forze la materia chimica, che si  trasforma in materia fìsica e indi in meccanica; e all'ultimo  in vera materia, in corpo chimico imponderabile, ponderabile. È la materia semplice che successivamente si modifica  e si realizza; è la proprietà chimica, è la speciale natura  Le opere scientifiche e la filosofia della natura.] fisica, è la figura meccanica, geometrica, cristallina, che si  aggiunge alla forza chimica imponderabile, ponderabile, e  le dà un primo corpo ed una nuova realità; gli è un corpo  incorporeo, una materia immateriale, una realità non sensi-  bile. Le forze, e le loro forme, le loro proprietà, sono semplici, indifferenti, indistinte; esse sono avviate all'atto, alla  esistenza naturale, ma non ci sono giunte ancora. La forza  è molto pensiero e poca natura, e non ha tal realità e tal  valore da fare di uno spazio-pensiero uno spazio-natura; ma  la proprietà è più natura che pensiero ed è perciò atta ad  empire di se lo spazio ; onde appena il pensiero umano dietro  a quelle tre forze fa scaturire quelle tre semi-materie, subito  mette fuori lo spazio, e lo distende, e vi spiega le tre pro-  prietà; e queste vi portano seco le loro forze, e le dissemi-  nano egualmente in tutti i suoi punti. Non perciò lo spazio  è pieno ed ha compiuta realtà. Egli è estensione, è materia,  ma non corpo, perchè non è ancora sensibile.   11 primitivo pensiero umano ha dentro di sé un limite  che è esso stesso pensiero, ed è il germe e l'origine del senso;  di questo limite fa lo spazio-pensiero e il tempo-pensiero, e  il moto, la forza-pensiero, e persino il qualcosa, la materia  pensiero: e tutto questo rimane dentro di lui, rimane lui  stesso, ed è ancora poco men che pura ragione e semplice  pensiero. Ma poi egli, premendo di più su quel limite, fa  dello spazio-pensiero uno spazio-estensione, e di questo un  corpo sensibile prima al corpo, e poi, per mezzo del corpo,  anche all'anima. E poi, facendo del moto-pensiero un moto  reale, farà del tempo-pensiero un tempo durata; e poi farà  tutta la natura, e la vita — il vegetale — , e l'anima — l'animale ; e all'ultimo si rifa pensiero, e pensa se stesso e l'opera  sua. Di quel suo limite originario, che era un senso-pensiero,  egli ha fatto a poco a poco un senso-senso. E di questo senso  farà nella natura formata vari sensi distinti, e così farà del-  l'anima. Se noi facciamo la storia della natura, troviamo  all'origine della forza e della materia uno stesso identico germe, il quale è in uno pensiero umano e senso umano  originario. Quel germe, pur mantenendo sempre la sua ori-  ginaria identità, si sviluppa di grado in grado, ed è prima  natura, poi vegetale, poi animale, e da ultimo uomo; e in  ogni grado conserva quelle due cose opposte, la forza e la  materia, sempre distinte e sempre unite in una perfetta iden-  tità. Nell'uomo, nell'io, nel pensiero reale, l'unità delle due  cose opposte è naturata, personificata, e incorporeamente  corporalizzata. Questa unità veduta nella nostra natura ci  fa più facilmente riconoscere l'unità dei due elementi nelle  nature inferiori, la psichica, la vitale, la naturale. Nell'af-  ferrare ciò consiste la scienza. Questa è la storia della natura amorfa, in cui tutto è  quiete ed immobilità, in cui non c'è che un corpo semplice,  omogeneo, uniforme, informe. Poi — dice l'Autore — verrà  la natura antimorfa, lo sviluppo delle forze e delle materie,  il caos. Infine vedremo sorgere una nuova forza, che a tutte  le forze del caos darà una legge e una norma, a tutte le  materie una forma comune ; e sarà la natura olomorfa, il  cosmo. E vedremo la forza cosmica trasformarsi nella forza  vitale, e la forma cosmica divenire la forma vitale, vegetale.  E con questo programma egli termina il secondo dialogo,  Forza e materia; ma non pubblica più che un terzo dia-  logo (*), nel quale riassume la storia del pensiero umano, che  da prima tutta interna, tutta dentro un punto, si squaderna  poi nello spazio e si sgomitola nel tempo, e all'ultimo si  ritrasforma di natura in pensiero, e si riduce di nuovo ad  un punto, e questo punto è l'io. Come in principio il punto  originario, così ora il punto individuale si trasforma tutto;  ma la trasformazione non si fa, come allora, tutta in un atto, [Il dialogo (Un nuovo corpo semplice) è preceduto da questa nota. Il presente dialogo è indipendente dai precedenti », - Sappiamo già che  M. lavora spesso frammentariamente.  Le opere scientifiche e la filosofia della natura.] bensì successivamente. L'io è un animale naturale, individuale; ma gli ii sono molti, e sono come molti punti,  molti tempi in un solo tempo, e tutti fanno come uno spazio  intellettuale nello spazio naturale, La trasformazione umana  universale, come quella dell'individuo umano, si sgomitola nel tempo e si srotola nello spazio, e intanto si raggo-  mitola e torna ad arrotolarsi nella storia. E perciò la storia  umana è una storia naturale di tempo e di spazio, è una  cronologia e una geografìa. La storia umana e la storia della  natura, essendo creata dal pensiero, è in ogni sua fase totale  e universale ; solamente non appare e non diventa reale che  in certi punti di tempo e di spazio: in certe epoche, in  certi luoghi, in certi corpi e in certi ii.   È facile scorgere che M. non è felice quando vuole  risalire ai principi sui quali ha fondata la sua costruzione.  Invero non si capisce come quel suo pensiero originario,  avendo nel senso un limite interno, possa non avere anche  un limite esterno, e tutta la natura, che invece deve ancora  nascere; ne si capisce come quel pensiero, a furia di premere  e caricare sul proprio limite, possa fare del senso-pensiero  un senso-senso, possa, in altre parole, trasformarsi da forza  in materia. Ma l'Autore non ha il più lontano dubbio di  star tentando la soluzione di un problema forse insolubile,  certo insoluto. Che forza e materia sieno due cose distinte  ed opposte, ma unite ed identiche è per lui una verità certa,  positiva, reale. Egli dichiara che non ha la pretesa di di-  mostrare, ma solo di far presentire la verità, come la pre-  sente egli stesso: e certo di quella verità da lui pre-  sentita non riesce a dare una dimostrazione logica. In una  pagina che onora il suo senso poetico più che la sua    GENTILE, LA FILOSOFIA ITALIANA. V. Forza e materia, I  naturalisti, Dialogo] profondità filosofica, egli afferma che il corpo è un vegetale,  è l'inferno, l'anima è parte materiale e parte immateriale  ma sempre naturale, il pensiero è il paradiso, e di pensiero  noi siamo tutti uni in Dio ; e per descrivere il suo paradiso  tratteggia con poche belle linee il paradiso dantesco. Come  Dante non può significar per verba il trasumanare, così egli  stesso non può chiarirci come 1' universo si unifichi nel-  l'uomo; solo ci dice con slancio lirico che quella è la sua  fede. Alla fede in quanto è davvero tale e solo tale, ed  è ardente, profonda, incrollabile, sarebbe certo vano, se  pur fosse possibile, 1' opporre argomentazioni. Ma ai principi che di quella fede sono oggetto, e vengono posti a fon-  damento di una costruzione scientifico-filosofica, si può e si  deve chiedere se sieno suscettibili di avere dall'esperienza  una conferma o dalla logica una dimostrazione.   La risposta è negativa.  Quanto alla conferma dell'esperienza, M. dice che con le idee si scopre, è vero, la sostanza delle forme  e si tien dietro al loro movimento essenziale ; ma il controllo  è la stessa realtà che deve rimanere inalterata ed intatta,  ed è il fatto che deve essere riprodotto nella sua integrità,  e con tutte le sue condizioni essenziali. Ma se l'Autore  ammette l'esistenza di realtà e di fatti che non sono idee,  e che solo con le idee possono venir scoperti nella loro  sostanza e seguiti nel loro movimento, dovrebbe indicare  un terzo termine, atto a valutare la rispondenza fra gli altri  due. Non lo indica. Ma è chiaro che il terzo termine non  può essere per lui che la stessa idea, giudice e parte in  causa. Il controllo di cui egli ha parlato manca; e non  poteva non mancare. Nell'ambito dell'idealismo assoluto non  può esistere un controllo esterno, ne si può senza essere  [I tipi animali. Cfr. Dopo la laurea, Le opere scientifiche e la filosofia della natura. incoerenti ammettere l'esistenza di una realtà che non sia  l'idea o il pensiero.Quanto alla dimostrazione logica dei suoi principi, abbiamo veduto che le rare volte in cui M. la tenta  non la raggiunge, e cade in contraddizioni, come quando,  dopo aver affermato che il pensiero è l'essere, ne ragiona  come di un pensiero che pensa l'essere, e considera l'essere  come puro essere e non pensiero ('); o incorre in errori,  come quando afferma che il pensiero originario ha nel senso  un limite interno senza avere un limite esterno; ovvero si  appiglia ad ipotesi degne di un alchimista ostinato alla ri-  cerca della pietra filosofale, come è quella della forza che  diviene materia premendo e calcando sul suo proprio limite. La sua filosofìa della natura, riposando su principi che  possono essere oggetto di fede, ma non possono avere dal-  l'esperienza un controllo né dal ragionamento una conferma,  è una costruzione che può essere, ed è difatto, ingegnosa  e bella, ma è del tutto arbitraria. Di ciò mai ebbe alcun  sospetto l'Autore, sempre fermo nella sua fede hegeliana,  vita della sua vita, anima della sua anima. Egli non  intendeva di cercare una soluzione nuova; solo si proponeva  di svolgere ed elaborare una soluzione già da altri raggiunta.  La sua opera è fallita perchè aveva come presupposto e come  base quella conciliazione dell'essere e del pensiero, della  forza e della materia, che contrariamente a quanto egli cre-  deva non era stata raggiunta da nessuno, e meno che mai po-  teva esserlo da chi, avendo studiata analiticamente la natura,  si ribellava a tagliare il nodo gordiano negando la natura  stessa o riducendola a una mera forma spirituale. Deus creavit.  Forza e materia. Della medicina sperimentale, p. 3 ; e cfr. tutte le opere di M. M.  non è d'accordo col Berkeley, che « sopprime la natura»;   Del Vecchio Veneziani Una costruzione speculativa della natura, quale l'idea-  lismo assoluto e la riduzione della natura a pensiero esigono,  dev'essere tutta una deduzione necessaria per considerarsi  compiuta e riuscita. E in una deduzione logica e necessaria  l'accidente come tale non può trovar luogo. Non si dimentichi, del resto, die l'idea dominante in  tutte le assidue e lunghe meditazioni del M. intorno  alla natura, l'idea informativa di tutti i suoi studi era, come  egregiamente la definiva Fiorentino, « l'idea di con-  trapporre al predominio dell’accidente, che è il lato debole  del darwinismo, una spiegazione più intima e più razionale  delle forme, attraverso delle quali progredisce e si dispiega  la vita della natura... una ragione superiore, che regola lo  sviluppo dei tipi della vita naturale, finche non si dispieghi,  e non si allarghi nell’uomo e nella coscienza. Si trattava dunque per M. di superare quello  scoglio contro il quale, a suo vedere, naufragava il darwini-  smo; di evitare la trasformazione dell' accidente in Deus  ex machina, al quale far ricorso perchè o dove non soccorra  una ragione superiore o una spiegazione più intima e razionale.   M. appunto dice e ridice, anche per quanto si  riferisce alla natura, che la filosofia vive nella sfera della  necessità e della certezza assoluta; ma in contrasto con  questa esigenza afferma anche l’indispensabilità dell’accidente in tutti i momenti della creazione. Ora l'accidente,  che è dichiarato indispensabile, o è razionalmente necessario,  cioè deducibile a priori, e allora deve rientrare nella costruzione speculativa come elemento interno, e non esteriore, sicché non può più dirsi propriamente accidentale. O è la né col Fichte, nel cui sistema la natura c'è soltanto quanto basta per far  la coscienza, ed è quindi ridotta ad una espressione astratta. Cfr. Prenozioni, La filosofia contemporanea in Italia,  Dopo la laurea, negazione della necessità razionale e della deduzione a  priori, ed in questo caso la dichiarazione della sua indispen-  sabilità costituisce il confessato fallimento della costruzione  speculativa. M. oscilla fra le due alternative, senza  sapersi appigliare né all'una né all'altra. Questa non meno di quella avrebbe significato il riconoscimento della contraddittorietà della sua impresa.  Invero l'accidente sembra necessario per lui a costituire  nella catena dello sviluppo creativo l'anello iniziale e gli  anelli di saldatura tra i frammenti non altrimenti congiungibili. L'anello iniziale, poich'egli dice che quando non  c'era la natura e quindi l'accidente » era impossibile al-  l'uomo (ossia all'idea di Uomo, che come fine deve prece-  dere e determinare lo sviluppo), senza arbitrio e « senza in-  flusso di esterno accidente, di scegliere un punto del tempo  e dello spazio in cui operare la iniziale trasformazione della  materia semplice in corpo semplice. Gli anelli di salda-  tura, in quanto dice che l'accidente, elemento costitutivo  della natura, è necessariamente compreso nel processo della  funzion ; che ogni tipo vivente è già idealmente quello  che dee succedergli, ma non basta a crearlo, a produrlo real-  mente nella natura, senza il concorso di cause accidentali e  d'esterni influssi ». E in generale tutto il processo e lo  sviluppo della natura per M. consegue la realtà solo in quanto l'accidente interviene e concorre con l'idea alla  produzione del risultato. Il fatto è anche idea, ma l'idea  non è reale e non esiste che nel fatto; « il principio  e la potenza della vita... è sempre unito a un qualche  elemento materiale e meccanico che lo fa reale e particolare, che è quanto dire individuale ed accidentale. Forza e materia,  / mammiferi. Prelezione al corso di fisiologia dato nella R. Un. di Modena.  Degli elementi della medicina. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. M. considera i vari tipi carne momenti evolutivi di un  tipo ideale assoluto, l'uomo eterno. Crede che tutte le forme  preesistano in forme germinali di cui sono lo sviluppo creativo interno e spontaneo. Ma la creazione non consiste soltanto, nella determinazione ideale originaria di quegli schemi  indeterminatissimi », sì anche nella loro delimitazione naturale, o sia accidentale. E molte volte ripete che la natura  è accidente e che l'idea spirituale esiste solo legata all'accidente. Ma qui appunto si potrebbe obiettare alla nostra osservazione, che noi dobbiamo approfondire il concetto del-  l'accidente che M. afferma. Legato all'idea, intrin-  seco alla natura, l'accidente che egli fa entrare in campo a  determinare e spiegare lo sviluppo non è, come l'accidente  dei darwiniani, puramente estrinseco e meccanico. Ha anzi  esso medesimo una necessità interiore ; è il momento della  antitesi, senza il quale non potrebbe svolgersi la sintesi crea-  tiva. L'uomo eterno, dice appunto M., è « la forma,  l'anima, la forza, la spontaneità pura, assoluta, in cui lo stesso accidente, il limite indifferente, l'assoluta particolarità  esiste, ma nella forma di principio, di universalità, di necessità : ed è in questa contraddizione che consiste la sua attività  creatric. Per questa via parrebbe risolversi la difficoltà nella quale  ci appare impigliato la filosofia di M.. Che se anche  altrove egli identifica il puro accidentale col male, non vi  sarebbe contraddizione con la universalità e necessità rico-  nosciuta sopra all'accidente; ma distinzione di due specie  di accidenti o di nature: l'interna e l'esterna; necessaria la  prima, accidentale in senso proprio la seconda. M. difatti parla esplicitamente di una natura esterna che viene  Deus creavit,  (/ tipi ammali. Le opere scientifiche e la filosofia della natura. a dare l'ultima mano alla natura interna, di un agente esterno  ed accidentale che non era compreso nel processo della  natura interna, non era calcolato nella evoluzione vitale, e  oltre a modificare, sia pur solo superficialmente e quantita-  tivamente, le forme, e favorire la trasformazione, e provocare  la nuova interna creazione e lo sviluppo di germi latenti,  « può fare e fa certamente di più, v'introduce qualche cosa  di accidentale e di naturale ». Di fronte a questo accidente,  esterno sta l'interno : « vi è già — soggiunge M. —  nella forma latente un principio di accidente. Essa è semplice ed una, ma nella sua unità vi è un germe di differenza  e di moltiplicità, vi è l'attitudine e la disposizione a dividersi  in molti e diversi, ed è un accidente indeterminato e scolorato, pura possibilità di farsi, più che non è, accidentale. L’accidente esterno feconda 1' accidente interno e gli dà  corpo e colore, e ne fa una realità accidentale e naturale. Gli agenti esterni stimolano, promuovono, determinano, ma Dio opera la trasformazione. L'accidente  può render conto delle differenze secondarie, non giunge ai  veri gradi della formazione. Esiste dunque una storia  interna, essenziale, ed una esterna, accidentale; ed esistono due sorta di accidente: uno necessario ed essenziale,  l'altro secondario e individuale: il primo, l'accidente  necessario, assoluto, realizza l'evoluzione creativa ideale,  intrinseca, assoluta della forma animale; accompagna ogni  realtà, circoscrive esteriormente le forme, e fa esistere gli  individui; l'altro, l'accidente accidentale, nasce dall'intreccio dei processi e dal cozzo inevitabile delle cause na- [Lettera sulla patologia storica] Cfr. Deus creavit, passim. Dopo la laurea, tipi animali, tipi animali, Cfr. Deus creavit, Deus creavit, Le opere scientifiche e la filosofia della naturatura] li, delle quali una è la darwiniana concorrenza vitale, da  cui deriva la formazione delle varietà, delle specie, dei ge-  neri, ma la sua azione non potrebbe estendersi fino ai tipi. La natura finisce per essere, come la società umana, una  lotteria. Finisce, ma non comincia; e non è una lotteria da  capo a fondo », perchè ha le sue basi ideali e le sue leggi necessarie. Se non che arrivati a questo punto noi possiamo doman-  darci : l'obiezione che abbiam detto potersi muovere al nostro  rilievo delle difficoltà inerenti al pensiero del M., è  veramente risolutiva? Questo approfondimento del concetto  di accidente, questa distinzione delle due specie di esso,  interna o necessaria ed esterna o accidentale, elimina vera-  mente la contraddizione nella quale ci era sembrato che questa  filosofia della natura si involgesse ? L’accidente interno consiste nella indeterminazione e  molteplice possibilità della forma latente. Ma intanto M. più volte afferma che senza il concorso di esterno accidente la possibilità non passerebbe all'atto, non si farebbe  realtà di natura. Tra la potenza e l'atto bisogna che s'inserisca un mediatore perchè il passaggio avvenga. Sicché l'accidente esterno è da lui riconosciuto indispensabile non sol-  tanto per l'esistenza degli individui, ma anche per la produzione reale dei tipi nella natura. E del resto la stessa  molteplice possibilità in cui è fatto consistere l'accidente  necessario, del pari che l'intreccio dei processi dal quale si  fa nascere l’accidente accidentale, possono essere a loro  posto in una concezione puramente causale e meccanica della  natura (per esempio in quella cartesiana), ma non sono più  a posto in una dottrina finalistica, nella quale il termine finale, l'uomo eterno, pre-esiste a tutto il processo di sviluppo e lo  genera esso medesimo. Voler dimostrare che nella natura si compie uno sviluppo  teleologico, e non saper negare che vi sia anche qualche cosa  di ciò che il Darwin vi scorge, ossia che la natura finisce per  essere, come la società umana, una lotteria, è contraddizione  non conciliabile tra l'intenzione e il resultato.   E si potrebbe anche aggiungere che una contraddizione è  nello stesso intervento dell' accidente esterno a spiegare la  patologia. L'intero edinzio della patologia storica costruito  dal M. crollerebbe, se non intervenisse l'accidente accidentale, perchè solo «se l'accidente, esterno o interno che sia, se la irragionevole cattiva natura interviene,  e rompe la legge, e viola la ragione; se l'arbitrio umano o  naturale modifica la qualità della causa motrice, e ne muta  la relazione, e ne altera la proporzione con la interna sfera  umana, questa si altera e si disordina. Ora si ricordi che  per M.  la malattia corrisponde al passaggio dall'in-  nocenza alla colpa, a cui succede il passaggio ad una forma  superiore d'innocenza, alla libertà. Se questa forma superiore,  che è il fine dello sviluppo, non è raggiungibile che attraverso  a questo processo, il processo è necessario, e necessari, non  accidentali sono i suoi momenti : la tesi, l'antitesi e la sintesi.  Ma allora come può il momento dell'antitesi essere un ac-  cidente violatore della ragione ? In un idealismo assoluto, e  particolarmente nel ritmo dialettico che si svolge nel movi-  mento degli opposti, il momento negativo non è meno neces-  sario che il positivo a dare con la negazione della negazione  la più alta realtà. Come può dunque in questa concezione  filosofica trovar luogo l'accidente accidentale di M.? Come può un accidente siffatto, cioè un accidente  estrinseco, che rompe la necessità e viola la ragione, essere  costitutivo della natura quale dev'essere intesa in un idealismo  assoluto, cioè come pensiero o ragione ? [Delle prime linee della patologia storica]. Queste contraddizioni si collegano con una profonda, in-  conciliabile contraddizione interna del pensiero di M..  È in fondo il contrasto fra il naturalista e il filosofo idealista,  contrasto che si svolge anche nell'antitesi fra l'ardente e  costante aspirazione a ricongiungere ed unificare la fisiologia  con la filosofia, e lo scrupolo della divisione del lavoro, che  talvolta si riaffaccia: la metafisica ai metafisici, a noi la  fisiologia. Questo è il suo conflitto intemo non superata,  che si potrebbe estendere ben oltre il suo caso individuale. Invero se la natura è, come M. sostiene, idea e  natura a un tempo, la divisione del lavoro non è possibile:  il fisiologo non può essere tale se non è prima filosofo; la  fisiologia non può essere costruita se non è costruita prima la  metafisica. E costruita non da altri, ma dal fisiologo stesso,  come altrove M. riconosce. Perchè, secondo il  principio vichiano ed hegeliano, per M. il fare soltanto ci dà il vero conoscere : criterio del vero è il farlo. Dal che sarebbero pure derivate conseguenze contrarie  alle conclusioni di M. intorno ai rapporti fra la teoria  e la pratica medica. Infatti come può la separazione della  jatrofilosofia dall'attività del medico pratico conciliarsi con  l'unità del vero col fatto? Se la vera scienza è la storia,  perchè è la realtà vivente, non varrà anche per la jatrofilosofia la massima che criterio del vero è il farlo ? E non sarà  quindi contraddittorio il dichiararla disgiunta dalla pratica,  e quindi inutile come tutte le cose eccellenti, virtù, giustizia,  arte, religione, scienza ? Ed ecco il criterio della verità della  jatrofilosofia nella pratica, nella clinica, nella cura delle ma-  lattie, secondo voleva TOMASSI. Anche qui M. Lettere fisiologiche, Cfr. Dopo la laurea, là dove si riconosce come necessaria, sia pur soltanto al sapere positivo, la divisione del lavoro. [Idea della fisiologia greca ; e altrove. La natura medicatrice e la storia della medicina] mostra di non aver raggiunta la piena coerenza del suo pen-  siero, né la piena consapevolezza delle esigenze dei suoi  principi. Egli, come ogni naturalista, riconosce la funzione del-  l' accidente ; ma il rapporto e il contrasto fra il necessario  e l'accidentale, fra ciò che è conoscibile e costruibile a priori  e ciò che è dato solo dall'osservazione sperimentale, rimane in  lui insoluto. Ed egli non riesce a vincere le difficoltà che anche  Hegel aveva incontrate nel costruire la sua filosofìa della na-  tura, la quale è certo la parte più debole del suo sistema. L'errore fondamentale del M. è consistito in questo :  che egli ha attribuite le deficenze della filosofìa della natura  hegeliana a cause fortuite e soggettive, e non ha scorto che  le cause erano intrinseche al sistema, per se stesso tale da non  consentire che vi fosse inquadrata una filosofia della natura  compiuta, razionale e concreta ad un tempo. E andò cercando  per tutta la vita una soluzione non raggiunta ancora, sempre  credendo di lavorare solo alla dimostrazione e alle applica-  zioni di quella, che egli stimava già scoperta da Hegel. Grice: “De Meis’s theory resembles my pirotological progression, heavily! I like his generalisations. I wish we had at Oxford such a freedom to generalise!” -- Camillo De Meis. Angelo Camillo De Meis. Meis. Keywords: implicature, citato da Pirandello in “Il fu Mattia Pascal” “Chi lo dice? – gli domanda forte il giovane, fermo, con aria di sfida. Quegli allora si volta per gridargli: “Camillo De Meis!” –-- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e e Meis” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Melandri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- le forme dell’analogia – analogia nel convito di Platone – Reale – filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo italiano. Genova, Liguria. Grice: “One of the ten items he lists in his ‘Contro lo simbolico’ is ‘lo simbolico’ itself!” -- Grice: “Melandri takes analogy more seriously than I did – I do list ‘analogy’ as part of what I call ‘philosophical eschatology – the third branch of metaphysics, along with ontology and category study.” Grice: “Melandri focuses on the Graeco-Roman tradition of analogy, which he pairs with two other concepts: proportion, and symmetry – re-interpreting mainly Aquino’s reading of the Aristotelian tradition in a semiotic approach.” Grice: “Melandri also takes Kant seriously on this.” Grice: “If an Italian philosopher wrote ‘contro la comunicazione,’ another wrote ‘contro il simbolico’!” --  Grice: “He has studied Buehler; I like that!” Laureatosi a 'Bologna, è lettore a Kiel in Germania. Insegna poi a Lecce, Trieste e Bologna. Parallelamente all'attività universitaria, collabora con Mulino e alla rivista omonima, per le quali ha svolto attività di consulenza, con traduzioni e curatele, pubblicando con essa alcuni dei suoi saggi. I suoi saggi vertono sulla fenomenologia di Husserl, sul concetto di analogia e sul principio di simmetria. Tra le sue curatele, anche presso altre case editrici -- Cappelli, Faenza, Laterza, Ponte alle Grazie, Giuffrè, Pitagora ecc. -- ci sono studi che vanno dalla scienza politica di Ritter e di Habermas, alla fenomenologia di  Schütz, dalla logica di Copilowski e dalla filosofia del linguaggio do Hoffmann o dai paradossi di Bolzano (e poi la storia della logica di Scholz), agli studi di metodologia scientifica di Pap, a quelli di psicologia della percezione di Meinong o di Ehrenfels, e dall'estetica di Trier alla metaforologia» di Blumenberg ecc.  Ha istituito un gruppo di studi su Leibniz, in seguito affiliato col nome di «Sodalitas Leibnitiana» alla Leibniz-Gesellschaft di Hannover. Ha anche collaborato attivamente alle attività del Centro di studi per la filosofia mitteleuropea con sede a Trento; partecipando  alla realizzazione della rivista Topoi. Da vita agl’Annali dell'Istituto di discipline filosofiche dell'Bologna, poi trasformatisia nella rivista semestrale «Discipline filosofiche», ancora attiva e di cui è stato il direttore. Tra i suoi saggi, spicca per centralità di pensiero “La linea e il circolo,” definito d’Agamben un capolavoro della filosofia.  Il filo conduttore di tutta la riflessione di M. è il rapporto tra pensiero logico e pensiero analogico. Mentre la logica tende a svilupparsi mediante un concetto d'identità elementare, legato alla discontinuità del principio di non-contraddizione, l’ANALOGIA si fonda invece sul principio di continuità, legato alla figura oppositiva della contrarietà, che ammette una transizione tra gl’opposti. Ora, queste due forme di ragionamento non sono affatto inconciliabili, ma complementari, in quanto fondate, non su una struttura assiomatica, ma su una diversa direzione costitutiva dell'esperienza. Questa diversità prospettica si realizza, secondo M., nella fenomenologia husserliana, di cui egli tende a evidenziare l'empirismo radicale connesso alle strutture costitutivo-trascendentali della soggettività e ben distinto, dunque, da quell'idealismo entro cui troppo spesso si è voluto rubricare l'atteggiamento fenomenologico. In ultima istanza, congiungendo istanze aristoteliche e husserliane, M. assume una concezione dell'essere fondamentalmente equivoca, nell'ambito della quale l'intenzionalità si presenta, al tempo stesso, come principio formale logico e funtore operativo analogico. Inoltre, M. espone questi contenuti filosofici attraverso un metodo d'indagine e d'insegnamento del tutto particolare, che viene così descritto da Besoli, filosofo a Bologna. A lezione, si può dire che M. non parlas, ma pensas ad alta voce dando l'illusione, quanto mai benefica ed essenzialmente terapeutica, di pensare insieme con lui. Si ha l'impressione di assistere, dunque, a un pensiero in corso d'opera, e più propriamente ciò che accade e un'esperienza di pensiero condivisa, giacché la condivisione e appunto la condizione stessa della buona riuscita di tale esperienza  Altri saggi: “I paradossi dell'infinito nell'orizzonte fenomenologico,” -- introduzione a Bolzano, “I paradossi dell'infinito”, Cappelli, Bologna; “Logica ed esperienza,” “La scienza come criterio storio-grafico,” “Note in margine all'organon dei peripatetici; “Considerazioni critiche sui syn-categorematica – co-predicabili – negazione come avverbio, la congiunzione ‘e’ come co-predicabili, la disgiunzione ‘o’ come co-predicabili, l’implicazione ‘se’ come co-predicabile -- ” in "Lingua e stile", “Esistenzialismo,” “Logica e Logistica”  Enciclopedia “Filosofia,” Preti, Feltrinelli, Milano; “Psicologia galileiana” -- poi in Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali; “Foucault: l'epistemologia delle scienze umane", in «Lingua e stile». “E corretto l'uso dell'analogia nel diritto? Zoon Politikon. Bolk e l'antropo-genesi, Che Fare, “La linea e il circol: studio logico-filosofico sull'analogia, Bologna: Mulino  rist. Macerata: Quodlibet, prefazione d’Agamben, appendice di  Besoli e Brigati, Limongi. Nota in margine all'episteme di Foucault, Lingua e stile, La realtà e l'immagine, in Barth, Verità e ideologia; Sulla crisi attuale della filosofia, Mulino,  L'analogia, la proporzione, la simmetria, Isedi, Milano. I generi letterari e la loro origine, Lingua e stile, Quodlibet, Macerata, L'inconscio e la dialettica, Bologna: Cappelli, Freud: L'inconscio e la dialettica, Sette variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Bologna: Pitagora;  L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet. Bühler. La crisi della psicologia come introduzione a una nuova teoria linguistica, in Animo ed esattezza. Letteratura e scienza, Marietti: Casale Monferrato, Variazioni in tema di psicologia e scienze sociali, Pitagora, Bologna; Matematica e logica in psicologia: applicazione propria determinante o im-propria analogico-riflettente, L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet, Per una filologia del sublime, in "Studi di estetica" (Grice: “I like that; surely there must be an ordinary unpompous way to say or mean ‘sublime’” – “Go thorugh the dictionary!” -- La novità degl’ultimi tremila anni, Mulino", "Faenza" e Marisa Vescovo, L’oblio affligge la memoria; La comunicazione e la retorica, Contro il simbolico. Lezioni di filosofia, -- Grice: “The ten ‘concepts’ he chooses are less important than the generic remarks he makes about the whole ten.” Grice: “While in his study on ‘analogia, proporzione, simmetria,’ he is semiotic, in this one he is thoroughly hermeneutic!” -- Quodlibet, Macerata, postfazione di Guidetti; Sul concetto di descrizione nella psicologia fenomenologica, in "Intersezioni", Su quel che è dato” (Grice: “A good analysis of a phrase I overuse, ‘datum,’ as per sense-datum’! in "erri", Le ricerche logiche di Husserl: introduzione e commento, Mulino, Bologna, Su quel che c'è, e quel che immaginiamo che ci sia, o della principale equi-vocazione del termine 'rappresentazione')", in Discipline filosofiche, Il problema della comunicazione, Paradigmi, Tempo e temporalità nell'orizzonte fenomenologico, Discipline filosofiche, La crisi dei grandi sistemi e l'avvento della filosofia esistenziale, Questo nostro tempo -- studi e riflessioni sull'evolversi della nostra epoca” (Bologna); Filosofia come critica della conoscenza e impegno interdisciplinare, Tratti, Besoli, Il percorso intellettuale, in Studi su M., Faenza, Agamben, Archeologia di un'archeologia, in M., La linea e il circolo. Studio logico-filosofico sull'analogia, Macerata: Quodlibet, Agamben, Al di là dei generi letterari, in M., I generi letterari e la loro origine, Macerata: Quodlibet,  Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne; Ambrosetti, Una lettura di Epitteto", in "dianoia", Besoli, "Il percorso fenomenologico", in  La fenomenologia in Italia. Autori, scuole, tradizioni, Roma: Inschibboleth; Besoli e Paris (Faenza: Polaris); Bonfanti, Le forme dell'analogia. Roma: Aracne. Cimatti, "Postfazione: Psicoanalisi e rivoluzione", in L'inconscio e la dialettica, Macerata: Quodlibet  sinistra in rete.info cultura’ Lagna e Lévano, "Contro l’isomorfismo. Il rapporto soggetto-oggetto, Philosophy Kitchen, Matteuzzi, "Prefazione", in Ambrosetti, Sugli stoici, Roma: Aracne); Palombini, "Dal chiasma ontologico al chiasma trascendentale. Forme di razionalità in «Philosophy Kitchen», Possati, La ripetizione creatrice. lo spazio dell'analogia, Milano-Udine: Mimesis. Sini, "Lo schematismo figurale", in Besoli e Paris. Solerio, Le opere di  M. edite da Quodlibet, edizione completa. Discipline Filosofiche, rivista di filosofia. Enzo Melandri. Melandri. Keywords: Bühler, l’aggetivo ‘galileano’ -- le forme dell’analogia, Grice – analogia – problema della comunicazione, Buehler, teoria di Buehler, analogical unification, lacomunicazione, implicaturaproblematica, aquino, kant, mill, jevons, maxwell, Perelman, abcd, haenssler, dorolle, lyttkens, Reichenbach, newton, cellucci, marramao, aristotele, platone, convito, reale, grice, analogicalunification, owens, ross. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melandri,” The Swimming-Pool Library, Villa Speranza, Liguria.

 

Grice e Melanipide: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Taranto, Bari. The author of a number of tragedies. He appears to have practised a relatively ascetic version of Pythagoreanism. Grice: “Cicerone argues: Melanipide spoke Greek, not Latin; therefore, he is not an Italian. At Oxford, we are a bit more inclusive: Gellner spoke French, he is a Jewish philosopher who teaches at some London red-brick!” -- Melanipide

 

Grice e Melchiorre: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il corpo – la filosofia dell’amore – amante ed amato – il convito di Turolla – filosofia abruzzese --  filosofia italiana -- Luigi Speranza (Chieti). Filosofo italiano. Chieti, Abruzzo. Grice: “I like Melchiorre; while I refer to bodily identity in my “Mind” essay, Melchiorre has dedicated a whole treatise to ‘the body’ – he has also explored semiotic aspects and come up with nice oxymora: ‘nome indicibile,’ ‘immaginazione simbolica,’ ‘essere e parola.’”. Grice: “Melchiorre’s first explorations on the concept of body is Strawsonian – corpore e persona -. What led Melchiorre to this reflection is what he calls a meta-critique of love – Socrates did his critique of love in the Symposium, and Phaedrus – Melchiorre analyses this from a body-theoretical perspective.” Dopo essere stato ammesso al Collegio Augustinianum, inizia a frequentare la Facoltà di Filosofia all'Università Cattolica del Sacro Cuore, dove si laurea.  Terminati gli studi, nel medesimo ateneo inizia la carriera accademica come assistente volontario di filosofia della storia, per poi insegnare a Venezia.  Richiamato a Milano, ha ricoperto  la cattedra di Filosofia morale, per poi insegnare Filosofia teoretica. Ha diretto, presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università Cattolica, la Scuola di specializzazione in Comunicazioni sociali. Altri saggi: Arte ed esistenza, Firenze’ Il metodo di Mounier, Milano; Il sapere storico, Brescia; La coscienza utopica, Milano; L'immaginazione simbolica, Bologna, Meta-critica dell'eros, Milano, Ideologia, utopia, religione, Milano, Essere e parola, Milano, Corpo e persona, Genova, “Studi su Kierkegaard, Genova, Analogia e analisi trascendentale: linee per una lettura di Kant, Milano, Figure del sapere, Milano, La via analogica, Milano, Creazione, creatività, ermeneutica, Brescia, I segni della storia, Ghezzano Fontina, Al di là dell'ultimo, Milano, Sulla speranza, Brescia, “Ethica,” Genova, Dialettica del senso. Percorsi di fenomenologia ontologica, Milano, “Qohelet, o la serenità del vivere,” Brescia, Essere persona,” Milano, Breviario di metafisica, Brescia, Il nome indicibile, Milano, Profilo nel sito dell'Università Cattolica del Sacro Cuore. Recensione del volume Essere persona. Natura e struttura di Rigobello, in Acta Philosophica, Rivista internazionale di filosofia. Unità e pluralità del vero: filosofie, religioni, culture. I diversi volti della verità Relazione di M., Convegno del Centro Studi Filosofici Gallarate, video integrale nel sito Cattedra SERBATI. M., Rai Educational Enciclopedia Multimediale delle Scienze Filosofiche.  Grice: “Melchiorre, while quoting the necessary German sources for an Italian philosophers – Eros und Agape, tr. N. Gay – he dwells on Enrico Turolla’s beloved (by every Italian schoolboy) version of “Convito” – which Turolla published under the ostentatious title, “Dialogo dell’amore” – Melchiorre typically finds some mistakes, since Turolla was no philosopher – and no lover of Sophia, and no Sophos of love!” -- Virgilio Melchiorre. Melchiorre. Keywords: il corpo corpi e personi, meta-critica dell’eros, il convito di Trolla, il fedro di Turolla – amore – il riconoscimento come identita – la dialettica dell’atto amoroso – l’amante e l’amato – l’amore reciproco, amore e contramore, erote ed anterote --. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melchiorre” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Melesia: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia basilicatese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. Metaponto, Basilcata. A Pythagorean, according to Giamblico di Calcide. Grice: “Cicerone complained that Melesia spoke Greek, not Roman!” – Melesia.

 

Grice e Melisso: la ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil of Parmenide di Velia. The cosmos is not physical and change is an illusion he attributed to the unreliability of the senses. Luigi Speranza, “Grice e Melisso”, The Swimming-Pool Library. Melisso

 

Grice e Melli: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- AVRELIO – filosofia italiana – la filosofia a Roma nel tempo di Pomponio – pre-ambasciata -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo. Grice: “I like Melli; you see, Italians feel that Marc’aurelio is theirs, so Melli puts his soul in his essay on Marc’aurelio, while his essay on Socrates is rather neutral! For us at Oxford, both Marc’Aurelio and ‘Socrate’ are just as furrin; Locke ain’t!”. Altri saggi: La filosofia di Schopenauer, Felice Tocco, Firenze, Il professor Tocco, Firenze,Commemorazione di Villari, Firenze,  La filosofia greca da Epicuro ai Neoplatonici, Firenze, Socrate, Lanciano. I primi contatti tra i filosofi romani e i filosofi greci non sono amichevoli. Essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori il senato consulto da incarico al pretore Marco POMPONIO (si veda) di provvedere “uti Romae NE essent [FILOSOFI greci]”. Semi della filosofia greca sono sparsi dagl’esuli ACHEI, tra i quali era anche Polibio, venuti dopo la guerra macedonica. Pochi anni dopo, ci e l'ambasciata della quale fa parte Carneade. Anche questa volta vedemmo come CATONE (si veda) s’impensiera dell’efficacia rovinosa che quell’abile parlatore puo esercitare sull'educazione nazionale. Ma Carneade ha un grande successo e l’infiltrazione delle idee filosofiche grechi e già cominciata, specialmente dopo la conquista delle città della Magna Grecia come Crotone – sede della scuola di Pitagora --, Taranto – sede della scuola di Archita --, Velia – sede di Parmenide e Senone – e dopo l’isola della Sicilia – Girgenti, sede della scuola di Empedocle --, e Leontini, sede della scuola di Gorgia. Nei ditti, tradotti o imitati, i filosofi romani senteno parlare di questo ‘amore di sapienza’, filosofia, e degl’amanti di sapienza, filosofi. Un motto si trova in un frammento di ENNIO (si veda), nel Neottolemo. Philosophari mihi necesse est, sed degustalidum de ea, non ingurgitandum in eam. Col progredire della cultura, con lo svilupparsi dell'eloquenza, nasce il bisogno di far istruir i romani presso questi pedagogi schiavi ditti amanti di sapienza. Alcuni grandi personaggi, come SCIPIONE Emiliano (si veda) e il suo amico LELIO (si veda) divieno protettori dei questi pedagogi detti ‘amanti della sapienza’ e li ammettano nella loro familiarità. I giureconsulti trovano un'utile disciplina nella dialettica, studiata nella lingua strainiera, non in romano. La riforme di GRACCO (si veda) -- Gracchi -- e ispirata da idee di questi ‘amanti di sapienza’. Quello che i filosofi romani domandano a questo ‘amore di sapienza’ e 1'orientazione nelle questioni pratiche e una cultura necessaria o utile all’oratore,  al giureconsulto, agl’uomini di stato. Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole o sette. Una delle prime ad essere trattata in latino e la dottrina dell’Orto. Sono nominati un  AMAFINO (si veda) e un RABIRIO (si veda) come espositori delle idee, dell’Orto, ma con poca arte. Più tardi è pure ‘edonista’ – sostenitore del piacere -- un certo CAZIO (si veda), “levis quidem, sed non inineundus tamen auctor”, secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il grande interprete dell'edonismo presso i Romani è LUCREZIO (si veda), che segue Empedocle. Altri ‘amanti di sapienza’ sono M. BRUTO minore (si veda), l'uccisore di Cesare, che parla della virtù e dei doveri, e il dottissimo VARRONE (si veda), che insieme con Bruto, sente Antioco in Atene, e in psicologia e in teologia segue più il PORTICO che l'Accademia. Ma tutte queste sono semplici notizie. Il gran nome che oscura, tutti gl’altri ed è per noi il vero rappresentante e inter-prete della filosofia presso i romani è CICERONE (si veda). I primi contatti tra Roma e i filosofi greci non fu¬ rono amichevoli. Abbiamo già accennato al senatocon- sulto del 161, nel quale, essendosi parlato in senato dei filosofi e dei retori ch’erano in Italia, si dava incarico al pretore Marco Pomponio di provvedere uti Romae ne essent. Pare che i primi semi della filosofia fossero sparsi dagli esuli achei, tra i quali era anche Polibio, venuti * dopo la guerra macedonica nel 168 a. C. Pochi anni dopo, nel 156 ci fu l’ambasciata della quale faceva parte Oar- neade, e anche questa volta vedemmo come il vècchio Catone s’impensierisse dell’efficacia rovinosa che quegli abili parlatori potevano esercitare sull’educazione nazio¬ nale. Ma ebbero, come sappiamo, un grande successo ; e l’infiltrazione delle idee greche era già cominciata con la letteratura, specialmente dopo la conquista delle città della Mago a Grecia. Nelle tragedie tradotte o imitate, e Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) ■ LA FILOSOFIA PRIMA DI CICERONE 201 anche nelle commedie, i Romani sentivano parlare sul teatro di filosofìa e di filosofi. (Ricordo il motto che si trova in un frammento di Ennio, nel Neottolemo di Euri¬ pide: Philosophari mihi necesse est, sed degustan- dum de ea, non ingurgitandum in eam). Ool progredire della cultura, con lo svilupparsi dell’elo¬ quenza, nasce il bisogno d’istruirsi presso i filosofi. Alcuni grandi personaggi, come Scipione Emiliano, il suo amico Lelio, diventano protettori dei filosofi, li ammettono nella loro familiarità. I giureconsulti trovano un’utile disci¬ plina nella dialettica stoica; le riforme dei Gracchi sono ispirate da idee filosofiche: quello che i Romani domanda¬ vano alla filosofìa era l’orientazione nelle quistioni pratiche e una cultura necessaria o utile agli oratori, ai giurecon¬ sulti, agli uomini di Stato. Cominciano ad essere conosciute le diverse scuole. Una delle prime ad essere trattata in latino dev’essere stata la dottrina di Epicuro, perchè sono nominati un Amafinio e un Rabirio come espositori della filosofìa epicurea, ma pare con poca arte; e più tardi, ai tempi di Cicerone, è pure epicureo un certo Catius, levis quìdem, sed non ìniueundus tamen auctor , secondo Quintiliano. Ma non ne sappiamo nulla. Il grande interprete dell’ Epicureismo presso i Ro¬ mani è Lucrezio. Altri scrittori di filosofìa furono M. Bruto, l’uccisore di Cesare, che scrisse della virtù e dei doveri, e il dottissimo Varrone, che insieme con Bruto aveva sen¬ tito Antioco in Atene, e in psicologia e in teologia se¬ guiva, pare, più gli Stoici che l’Accademia. Ma tutte queste sono semplici notizie. Il gran nome che oscura tutti gli altri ed è per noi il vero rappresentante e inter¬ prete della filosofia presso i Romani è M. Tullio Cicerone. 202 LA FILOSOFIA A ROMA L’uomo politico e l’oratore non ci appartengono, ma sui filosofo dobbiamo fermarci un momento. 2. - Cicerone nacque nel 106, fu ucciso dai sicari di An¬ tonio nel 43 a. C. Studiò in Atene e a Rodi, udì maestri delle varie scuole : Fedro epicureo, Filone di Larissa acca¬ demico: lo stoico Liodoto divenne suo ospite per più anni, e diventato cieco morì in casa sua: udì poi ad Atene Antioco di Ascalona, l’epicureo Zenone, e a Rodi lo stoico Posdonio. Cli uffici pubblici e la vita tempestosa di Roma in quegli ultimi anni della Repubblica lo avevano distolto dagli studi filosofici, ch’egli del resto aveva considerato sempre come una preparazione necessaria all’oratore e poi come una nobile distrazione dello spirito; ma le vi¬ cende della vita pubblica, l’ozio a cui è condannato dopo la battaglia di Farsaglia, e sventure domestiche, tra cui specialmente la morte della figlia Tullia amatissima, lo riconducono alla filosofia, nella quale egli cerca un’occu¬ pazione e una consolazione. Bisogna aggiungere a questi motivi quella che chia¬ mano la vanità letteraria, e ch’è la passione dello scrittore di razza, di uno scrittore di prim’ordine e che gode di una grandissima autorità presso i suoi concittadini; egli vuol far parlare in latino la filosofia, toglierne il monopolio ai Greci, darle il diritto di cittadinanza in Roma rivaleg¬ giando con loro, e si rivolge ai giovani ut huius quo¬ que generis laudem iam languenti Graeciae eri- piant; ed egli si dà come l’iniziatore di quest’opera, di conquistare alla letteratura latina questa vastissima pro¬ vincia del sapere. Biblioteca Comunale “Giuseppe M o I li” - San Pietro Vernotico (BrOPERE FILOSOFICHE DICICERONE Già prima, (lai 54 al 52, egli aveva scrìtto i suoi trattati politici De repuìflicci e De legibus, e prima ancora, nel De ora¬ tore, era proclamata con molta energia 1’unione della filo- sofia con l’eloquenza : Cicerone in un luogo del De nat. deor. si vanta di aver sempre filosofato: cum minime videbamur, tum maxime philosophabamur ; ma i suoi libri propriamente d’argomento filosofico li ha scritti negli ultimi anni della sua vita, dal 45 al 43. E quali siano questi scrìtti filosofici ce lo dice egli stesso in un passo del De divinalione, IX, 1. Egli comincia con un trattato dal titolo Consolatio, com¬ posto dopo la battaglia di Earsaglia e la morte della figlia, indicando nel titolo i servizi ch’egli si aspetta dalla filo¬ sofìa: era fatto a imitazione di un libro simile di Orantore accademico raspi, raévOoo;, eh’ è detto altrove un libro d’oro, da imparare a memoria. Poi scrive VHortensìus, introduzione ed esortazione allo studio della filosofia, difendendola dai pregiudizi romani. Ortensio, ch’era un grande oratore suo contemporaneo, vi combatteva lo studio della filosofìa, Cicerone la difendeva calorosamente. Il libro era molto ammirato. S. Agostino lo ha conosciuto, e la lettura di esso contribuì alla sua conversione. Questi due libri sono perduti. Le opere che ci riman¬ gono sono : Academica > in due libri, importantissimi per le contro¬ versie dibattute fra Stoici e Accademici intorno al pro¬ blema della conoscenza e specialmente per le opinioni degli Accademici più recenti fino ad Antioco. Ce n’ora una prima redazione in due libri; poi l’opera fu rifatta, in quattro libri, e dedicata a Varrone che vi entrava Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) vr ■ ■' -=i^ .'"’-N, •204 LA FILOSOFIA A ROMA come interlocutore. Il caso ha voluto che noi possediamo il 1° libro della seconda edizione, e il 2° libro, il così detto Lncullus, della prima (che si sogliono citare Ac. post. I, e Ac. pr. II). È deplorevole che non ci sia, e sarebbe deside¬ ratissima, un’edizione italiana commentata di questi libri. De Finibus honorum et malorum, in cinque libri. Vi sono esposte e criticate le teorie delle diverse scuole greche sul problema fondamentale dell’Etica, il sommo bene o il fine delle azioni. Nel 1° libro Torquato espone la dottrina di Epicuro, nel 2° Cicerone ne fa la critica; nel 3° è in¬ trodotto Catone, quello di Utica, a esporre la filosofìa stoica, nel 4° se ne fa la critica ; il 5° libro espone la teoria accademica e peripatetica. È una delle opere più istruttive e forse meglio composte di Cicerone. Le Tttsculanae disputationes, in cinque libri, dalla villa ciceroniana di Tusculo, in cui si suppone tenuto il dialogo, pure d’argomento morale: il 1° tratta de eontemnenda morte, il 2° de tolerando dolore, il 3° de aegritudine lenienda, il 4° de reliquis animi perturbationibus, il 5°, continua Cicerone, eum locum complexus est qui totam phil osophiam maxime inlustrat, docet enim ad beate vivendum virtutem se ipsa esse contentam. Seguono i tre libri De natura deorum, importanti per le teorie metafisiche e teologiche degli Epicurei e degli Stoici. Un epicureo, Velloio, espone la teoria di Epicuro; Lucilio Balbo stoico la teologia degli Stoici; Aurelio Cotta acca¬ demico combatte gli uni e gli altri dal punto di vista delle dottrine probabiliste della nuova Accademia. Si connettono col De natura deorum i libri De divina- tione, nel 1° dei quali il fratello di Cicerone, Quinto, di¬ fende dal punto di vista stoico la verità della divinazione, Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) t* ^ OPERE FILOSOFICHE DI CICERONE ' 205 e nel 2° F augure Marco Tullio Cicerone la combatte con una gragnuola di argomenti vivacissimi ; e così pure si connette agli stessi argomenti il libro De fato, che ci è pervenuto disgraziatamente con molte lacune, nel quale sono esposte molto sottilmente le quistioni intorno al de¬ stino e il modo confesso possa conciliarsi con la libertà umana: anche questa una delle controversie dibattute fra Stoici e Accademici. Ci sono poi degli scritti minori, Oato maior de senectute, Laelius de amicitia; anche i Paradoxa, scritti prima, nei quali Cicerone si diverte a sostenere in linguaggio ora¬ torio, come un avvocato, sei dei piu famosi paradossi stoici; e infine il grande trattato di morale pratica De officìis, in tre libri. La filosofia sociale e la teoria del diritto erano state trattate prima nei libri De republiea e in quelli De Legibus. Questi sono gli scritti filosofici di Cicerone, dei quali egli stesso dice in ima lettera ad Attico: àT:óypacpa sunt; minore labore fiunt; verba tantum afferò, quibus abundo: sono riproduzioni, derivano da fonti greche: le quali parole sono state prese da alcuni molto alla lettera, senza tener conto di quello che Cicerone ci ha messo di suo, oltre le parole latine, e senza badare a quest 7 altre parole sue (De fin. I, fi): non interpretum fungimnr munere, sed tuemur ea quae dieta sunt ab iis quos probamus, eisque nostrum iudicium et no¬ strum scribendi ordinem adiungimus. È noto il giudizio del Mommsen e di altri-: giornalista, dilettante, compilatore frettoloso e confusionario. Un altro tedesco, lo Ziegler, ha detto : il solo suo merito è di aver trovato parole e frasi latine per rivestirne i pensieri greci, Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 206 LA FILOSOFIA A ROMA un merito che può essere stato utile più che ai suoi con¬ temporanei, agli scolastici del medio evo e ai latinisti moderni. Questi giudizi non sono giusti, non corrispondono alla realtà. Cicerone non è un filosofo di professione: è un spirito colto, agile, curioso, che ha il gusto delle idee generali, e considera la filosofìa come una parte essenziale della cultura umana, importante soprattutto per la vita pratica. L’opera sua si può considerare o come contributo alla storia della filosofia anteriore, o per le dottrine e i risultati a cui egli è giunto. Come storico, Cicerone ha conosciuto direttamente e sin da giovane le dottrine più recenti: lo stoicismo, l’epicureismo, i nuovi Accademici fino a Filone ed Antioco : oltre a questi, ha letto certamente scritti di Aristotile (probabilmente quelli che si dissero essoterici, di carattere popolare) e di Teofrasto, conosce anche alcuni dialoghi di Platone, si è provato a tradurre il Timeo, co¬ nosce Senofonte, gli è familiare la figura di Socrate. Ora è un fatto che per tutto il periodo postaristotelico, Cicerone è una delle fonti secondarie più importanti per le preziose informazioni ch’egli ci dà sulle dottrine e le controversie di quel tempo : egli ha letto libri che noi non conosciamo più; e non sono nemmeno senza valore le indicazioni e notizie ch’egli ci dà, perchè le trova nei suoi libri, sulla filosofia anteriore ad Aristotile, anche sui presocratici. Cosicché, coi soli libri di Cicerone si può ricostruire, ed è stato fatto più volte, tutta una storia della filosofia antica fino a lui. Si dirà: non è una storia attendibile, non è una storia del tutto esatta: ha bisogno di essere Biblioteca Comunale “Giuseppe Me11i” - San Pietro Vernotico (Br) CICERONE STORICO DELLA FILOSOFIA ANTERIORE controllata, commentata e corretta. Ma si può doman¬ dare: qual’è lo scrittore o doxografo antico di cui non si debba dire lo stesso, a cominciare da Aristotile e da Teofrasto, che pure erano filosofi di protessione, e scri¬ vendo di storia della filosofia ci hanno dato notizie e in¬ terpretazioni del pensiero altrui molte volte discutibili. Sarà sempre uno studio interessante il cercare le fonti di cui può essersi servito Cicerone e come se n’ è ser¬ vito: si potrà trovare che in qualche punto s’inganna, che può aver lavorato in fretta, che parafrasando o ac¬ corciando gli è accaduto di fraintendere in qualche punto la dottrina che espone: tutte cose su cui si può discu¬ tere caso per caso ; ma dal dire questo al dire sommaria¬ mente che non capiva niente di filosofia e non sapeva leggere i libri che aveva davanti, c’è una grande distanza. Come ha detto benissimo il Giussani, è diventata una specie di moda o di mania quella di parecchi critici di scoprire a ogni momento prove dell’ignoranza o della irriflessione di Cicerone. Piò volte invece accade che una più attenta considerazione può provare che chi non ha capito è il critico. Ma questa non è nemmeno la cosa più importante. Anche ammessi tutti gli errori parziali o di fatto che si attribuiscono a Cicerone, quello che non bisogna dimen¬ ticare è che le idee e le dottrine della filosofia antica andavano ripensate per poter essere dette in latino, e sono state ripensate e rielaborate da un cervello non sco¬ lastico, coltissimo, aperto, ch’era anche un grande scrit¬ tore, un maestro della parola, e si rivolgeva a un gran pubblico, non fatto per le disquisizioni sottili o le finezze di scuola. Questo ripensamento e questa trascrizione delle Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) LA FILOSOFIA A ROMA idee greche in un altro linguaggio non è il primo venuto che poteva farla. Non solo ai suoi concittadini e contemporanei, ma du¬ rante il Medio Evo, per quanto poteva essere conosciuto, e più specialmente dalla Rinascenza in poi, le opere di Cice¬ rone hanno reso all’umanità tutta quanta, alla cultura umana, un servizio immenso. « Le esposizioni delle dottrine antiche che noi possiamo ora trovare superficiali o anche in qualche punto inesatte, erano fatte con una grande chiarezza e in una forma at¬ traente. Per uomini che non potevano leggere, e che anche potendo non avrebbero capito Platone e Aristotile, che pure tutti citavano, Cicerone fu una guida preziosa. Lo stesso carattere eclettico della sua opera era un pregio di più : vi si trovava quello che gli antichi avevano pen¬ sato di più nobile, di più grande e di più accessibile. Si di¬ rebbe che Cicerone avesse preparato per gli uomini a cui la barbarie aveva impedito per più secoli di pensare, un nutrimento intellettuale eh’essi potessero assimilarsi, a dir così il succo della filosofìa antica; che li preparasse a com¬ prendere i filosofi greci quando fossero stati loro accessi¬ bili, e li preparasse infine a pensare da sè » ] ). Questo servizio, come interprete vivo, facile, eloquente, del pensiero antico, egli ha continuato a renderlo anche dopo il Rinascimento, continua a renderlo tutti i giorni, in tutte le scuole, dovunque s’impara a leggere e a pen¬ sare leggendo le sue opere. - Rimane a sapere qual’è il valore di Cicerone come filosofo, che cosa ha pensato lui, *) Queste parole sono del Picavet, nell’ Introduzione alla sua edizione, con note, del II libro De Natura deorum (Paris, Alcan). Biblioteca .Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) CICERONE FILOSOFO ( qual’è e se c’è un contributo suo personale alla storia delle idee. 3. - Cicerone non è e non pretende di essere un filo¬ sofo originale. Sa di essere scolaro dei Greci e si trova davanti a dottrine discordanti, quando già nelle scuole greche stesse è cominciato quel processo di ravvicina¬ mento e di fusione che le porta a diventare eclettiche, ciascuna a modo suo. Qual’è l’atteggiamento ch’egli prende? Cicerone si professa accademico, dice di aderire alla teoria della conoscenza della nuova Accademia. Non già ch’egli creda suo compito il trattare ex professo di questi problemi, riflettendo per conto suo sulle condi¬ zioni e i limiti della conoscenza umana, come ha fatto Cameade; no, egli non ha di queste ambizioni; ma tro¬ vandosi davanti al contrasto delle sètte e delle opinioni su quistioni spesso sottili, su problemi difficili a decidere, l’attitudine più savia gli pare quella del dubbio pru¬ dente, raccomandato, com’egli crede coi suoi maestri, da Socrate e da Platone: egli non è scettico ma probabilista: è la dottrina o meglio la disposizione di spirito ch’egli chiama, meno arrogante, la più aliena dalle arroganze dogmatiche; ed è anche conforme alla sua abitudine di sostenere il prò e il contro di ciascuna causa, richiede agilità e versatilità di spirito, e si presta agli sviluppi ora¬ tori, mentre nello stesso tempo lo tiene in guardia dai paradossi stravaganti, e lo mantiene in contatto con le opinioni popolari. E infine diciamo pure eh’è un’attitu¬ dine conforme alla sua natura ondeggiante e diversa, al suo carattere spesso indeciso anche nella vita pratica. Biblioteca Comunale “ Giuseppe Mei li”. - San Pietro Vernotico (Br LA FILOSOFIA A ROMA Ma intanto quest’adesione al probabilismo accademico gli ha giovato a mantenere lo spirito libero, a non farsi seguace di Una setta, a non giurare nelle parole di un maestro: Vipse dixit dei Pitagorici non gli piace: nos in diem vivimus : vuol conservare l’indipendenza del suo spi- rrito: la disciplina accademica non solo gli pare la meno arrogante, ma la più elegante e la più coerente, non nel senso eh’essa importi un sistema chiuso di dottrine che non si contradicono, ma nel senso eh’essa suppone una disposizione di spirito che, dando la sua adesione a ciò eh’è più verisimile, rimane sempre conseguente con se stessa: il che gli ha permesso di prendere quello che gli pareva buono in ciascun sistema, di libare tutte le dot¬ trine, di essere insomma l’interprete e il volgarizzatore dei grandi pensieri di tutte le scuole antiche. Questa disposizione di spirito, piuttosto che scettica, si potrebbe dire liberalo e non settaria, senza partito preso, e Cicerone la descrive con parole che meritano di essere ritenute : (De nat. deor. J, 12): « Noi non diciamo che non ci sia niente di vero, ma al vero è mescolato il falso, bisogna essere canti nel giudicare e nell’affermare : diciamo che ci sono molte cose probabili, le quali se pure non dànno scienza certa, generano una convinzione che basta a gui¬ dare l’uomo savio ». E in un luogo molto bello del libro II dei primi Accar- demici, al cap. 3° è detto: « Fra noi e coloro che credono di sapere la verità delle cose passa questo divario, ch’essi tengono per verissime le loro opinioni, mentre noi ab¬ biamo sì molte cose probabili da seguire, ma non ci atten¬ tiamo di spacciarle per certe. Così rimanendo assai più Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) CICERONE FILOSOFO liberi e sciolti nel giudicare {inteff tu nobis est iiidicandi potestas ), nessuna necessità ci costringe a difendere delle dottrine prescritte e a dir così comandate ; mentre che gli altri si trovano incatenati ad alcune dottrine prima che sappiano quale sia la migliore: l e trascinati sin da giovinetti, nell’età più debole, da un amico autorevole* o . presi dal discorso di un maestro eloquente, giudicano di cose che non conoscono, e quasi fossero sbalzati dalla tempesta, s’attaccano come ad uno scoglio al primo si¬ stema di cui hanno sentito parlare : ad quameumque sant disciplinavi quasi tempestate delati, ad eam y tanquam ad saxum, adhaerescunt ». O come dice altrove (De nat. deor. I, 5): obesi plerumque iis qui discere volani, auctoritas eorum, qui se decere profitentur. Quest’attitudine di riserva prudente egli mantiene spe¬ cialmente nelle quistioni di fìsica, che del resto non sono di sua competenza, e sulle quali le opinioni sono tante e così discordanti. Latent ista omnia. Noi non conosciamo abbastanza nè il nostro corpo nè che cosa è l’anima, se è fuoco, aria o sangue, se è mortale o eterna: nam in utramque partem multa dicuntur. Non possiamo penetrare nè nel cielo nè dentro la terra. Tuttavia non crede che lo studio della fìsica debba essere messo da parte. L’esame e la.considerazione della natura sono una specie di nutri¬ mento (pabulum) per lo spirito. Diventiamo più grandi, ci solleviamo al di sopra di noi stessi, sdegniamo le cose umane tenendo l’occhio e la mente rivolti alle cose di¬ vine e celesti. La ricerca, anche nelle cose più oscure, ha una grande attrattiva e procura una voluttà umanissima. Ma da buon romano, nonostante quest’elevazione dello spirito, egli ha poco gusto per la speculazione pura: ap~ Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)LA FILOSOFIA A ROMA prezza di più la scienza eli* è utile alla vita. E quanto più si avvicina allo studio dell’ uomo e ai problemi pratici della vita morale e sociale, egli sente il bisogno di affer¬ mazioni più decise. E tra il contrasto delle opinioni una sorgente o criterio di verità, o vogliamo dire di probabilità massima, gli si apre, ed è la coscienza naturale, quello che la coscienza comune e non falsificata di tutti gli uomini rivela a cia¬ scuno, e che trova la sua conferma nel comensus gentium. Egli ricorda il ‘conosci te stesso’ dell’oracolo e lo inter¬ preta in questo senso: tutta quanta la filosofìa è un com¬ mento, uno sviluppo della conoscenza di se stessi, di quello che la coscienza ci rivela. Gli Stoici e in un certo senso anche gli Epicurei avevano parlato di nozioni comuni, che si formano naturalmente in ogni coscienza. E Filone di Larissa deve avergli insegnato che ci sono delle nozioni evidenti, perspicue, impresse dalla natura nella mente e nell’animo di ciascun uomo. Egli trova che fra gli uomini nessuna gente è così fiera, così selvaggia che non abbia il concetto della divinità, anche se non sappia quale ne è la natura. Egli non ignora che anche qui le opinioni sono discordi, e conosce pure le difficoltà del problema; e se gli domandate, quid aut quale sit Deus, egli vi risponderà come Simonide, il quale interrogato su questa quistione dal tiranno Jerone, do¬ mandò un giorno per rifletterci su, e poi due e poi quattro, e finì col rispondere: quanto più ci penso, tanto mihi res videtur obscurior. Ma ciò nonostante non è una credenza arbitraria: Omni autem in re consensio omnium gentium lex na- turae putanda est. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) CICERONE FILOSOFO E oltre il consenso delle genti, è anche molto plausibile, il più plausibile fra tutti, 1’argomento delle cause finali,

ricavato dall’ordine e dalla bellezza del mondo, ch’egli espone con molta eloquenza, quantunque non trovi sem¬ pre concludenti o del tutto convincenti le argomenta¬ zioni degli Stoici per provare la provvidenza e l’ottimismo, e che sono fatte più per rendere dubbia la cosa che per chiarirla. Ma insomma egli crede agli Dei, anzi a una divinità unica: è un’idea alla quale la mente degli uomini è naturalmente condotta. E lo stesso si può dire dell’anima umana, che dev’es¬ sere una natura singolare, diversa dagli altri elementi ter¬ restri che ci’sono più noti. i^Toi non possiamo vantarci di conoscere la natura dell’anima; ma gli elementi dei corpi che noi conosciamo, l’acqua, l’aria o il fuoco non potreb¬ bero spiegare la conoscenza, la memoria, la previsione dell’avvenire, le altre funzioni psichiche: e dalle opere di Cicerone si può ricavare un piccolo trattato di psico¬ logia, che non sarà quello degli scienziati moderni, ma che contiene delle descrizioni eccellenti, e sempre vere, dei principali fatti della coscienza, compresi gli affetti e le passioni umane, ricavate dall’osservazione interiore e dall’ esperienza della vita, seguendo anche in questo na¬ turalmente i suoi maestri, Platone e Panezio e Posidonio. Egli difende la libertà umana contro il fato degli Stoici, e crede anche nell’immortalità come una cosa infinita¬ mente probabile. Quod si in hoc erro, libenter erro. E nel Sogno di Scipione, dove sono descritte le sfere ce¬ lesti e la loro armonia, e la sede dei beati, è affermata con gli argomenti platonici l’immortalità delle anime umane. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 214 LA FILOSOFIA A ROMA Soprattutto quello che la coscienza ci rivela è la legge morale, eh’ è una legge della ragione, la quale ragione è il privilegio dell’uomo sui bruti, l’attributo divino nel- l’uomo, e il legame che lo congiunge ai suoi simili. Così Cicerone crede di avere scoperto nella coscienza stessa del genere umano i fondamenti di cui ha bisogno per la sua dottrina morale. Opinionum enim commenta delet dies, naturae iudìcia confirmat. E ricordandosi dei dubbi accademici, egli scrive, avendo appunto in mente i pro¬ blemi morali, quelle parole così caratteristiche: perturba- tricem miteni harum omniam rerum Academiam liane reeentem exoremus ut sileat. È la dottrina ch’è stata chiamata del senso comune, ch’è riapparsa più volte nella storia della filosofìa. Ma l’interesse storico dell’eclettismo ciceroniano sta appunto in questo: che noi vediamo com’esso è nato. Quello che Cicerone presenta come rivelazione della coscienza comune è il pre¬ cipitato di tutta la speculazione greca anteriore, risultato di quella fusione che s’era venuta operando tra le ten¬ denze affini delle tre scuole derivate da Socrate: plato¬ nica, aristotelica e stoica, e che hanno per base la con¬ cezione teleologica, il valore cosmico e antropologico che attribuiscono alla ragione, e il pregio eminente in cui ten¬ gono la virtù come il massimo dei beni o la condizione essenziale della felicità. Rimane esclusa, come ho già avvertito, da questo pro¬ cesso di fusione la scuola epicurea con la sua concezione meccanica e con la sua formula pericolosa della voluttà, che si presta ai malintesi e agli eccessi. E nel fatto Cice¬ rone, indulgente e tollerante con tutte le scuole, combatte aspramente, fino all 1 ingiustizia, l’Epicureismo, trovandoloBiblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) CICERONE FILOSOFOinconseguente in quello che può avere di buono, e pur avendo la più grande stima del carattere di Epicuro stesso e di alcuni degli Epicurei ch’egli ha personalmente co¬ nosciuto: io combatte anche, oltre che per tutte le altre ragioni, perchè l’Epicureismo non possiede secondo lui una base su cui fondare i doveri civili, che a lui stanno tanto a cuore. Ma tra tutte le altre scuole egli trova che le affinità sono maggiori e più importanti che le diffe¬ renze, e sceglie e adatta quello che gli pare più utile e più conveniente. E lo guida, oltre il talento straordinario dello scrittore e dell’oratore, un grande buon senso, una

grande rettitudine, e un certo istinto generoso che lo porta verso ciò eh’ è nobile e grande. 1 _ E una volta eh’è sul terreno della morale, egli non si \ tiene sulle generali, ma costruisce in tutti i particolari un trattato di morale eh’è fino al giorno d’oggi un perfetto manuale dell’onest’uomo e del buon cittadino: il De of - Jiciis. Nel quale segue, come abbiamo detto, lo stoico Pa- / nezio, e inclina egli stesso verso lo stoicismo nel proda- ^ mare il pregio incomparabile della virtù : ma i paradossi stoici urtano il suo buon senso; ed egli tempera la dot¬ trina morale con la misura dei peripatetici, ricollegandola anche ad alcune delle speculazioni e delle speranze del Platonismo, come quella dell’immortalità. Proclama la virtù gratuita, disinteressata, e illustra la dottrina con esempi presi dalla storia romana, esempi di disinteresse, di forza d’animo, di disprezzo della morte, di fedeltà al dovere, di amore alla patria. Traduce il xaXóv dei Greci con l’honestum, e considera come parti dell’onesto le quattro virtù cardinali, su ciascuna delle quali dice cose sapienti, non dimenticando la beneficenza accanto alla Biblioteca Comunale “Giuseppe Medi’’ - San Pietro Vernotico (Br) LA FILOSOFIA A ROMA giustizia, la charitas generis Immani, e non dimenti¬ cando i doveri del deco rum, di ciò eh’ è conveniente e della cortesia, il che rivela il buon gusto oltre che la coscienza delicata. È un trattato compiuto di morale individuale e sociale; e soprattutto le tesi sociali dello stoicismo egli si assimila esponendole con la magia e col fascino della sua eloquenza. Già nel De republica aveva esposto la teoria del go¬ verno misto, come il migliore dei governi, trovandone la conferma e l’applicazione nella vecchia costituzione ro¬ mana. E nel De legibus aveva esposto le basi lìlosofiche del diritto: su queste idee, attinte ai suoi maestri stoici, egli ritorna sempre. La vera legge è la diritta ragione, conforme alla natura, dappertutto diffusa, costante, eterna. £Ton ò altra in Atene e altra a Itoma. Ohi la rinnega rinnega la natura umana, rinnega se stesso. Questa legge eterna e immutabile è il fondamento di ogni diritto, la regola e la misura delle legislazioni umane. Essa stabi¬ lisce fra tutti gli uomini, che partecipano della ragione, una società naturale, una società di giustizia e di amore. Espressa da quest’oratore e uomo di Stato, la grande idea dell’umanità e del diritto umano esce dall’angustia delle scuole per entrare nel mondo della vita e della cul¬ tura, e agisce nei secoli a traverso tutta la storia T ). Ho accennato ai giudizi di alcuni tedeschi. Giustizia vuole che si dica che non tutti i tedeschi la pensano allo stesso modo. Uno di essi, 1’ Hiibner (Deutsche Rundschau, 1899), citato dal prof. Pasdèra nella Prelazione alla sua edizione del Sogno di Scipione, parlando dell’azione eser- *) Jankt et Séaillks, nini, de la Philosophie (Paris, Del agrave). Biblioteca ^Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)CICERONE FILOSOFO citata da Cicerone sulla cultura dei popoli dell’ Europa, dice: Pure ammettendo che la grande maggioranza delle persone colte non legga più gli scritti di Cicerone nè prenda esempio dalla bellezza della loro forma, certo non è perduta per l’umanità la profonda influenza eh’essi hanno esercitata sul pensiero e sulla parola di tanti spiriti illuminati, non è perduto il sentimento di nobilissima umanità che in essi vive. Il che vuol dire che Cicerone è stato e sarà sempre un grande educatore, del quale bisogna parlare con rispetto e con gratitudine. SENECA 1. La scuola dei Sestii - 2. Seneca, le sue qualità di mora¬ lista e di scrittore - 3. Le sue idee su la società, Dio e Tanima umana - 4. Seneca e S. Paolo. 1. - Dopo Cicerone, la filosofìa acquista a Roma una grande importanza tra le persone colte, diventando sempre più pratica e popolare. Cicerone scriveva alla vigilia delle ultime proscrizioni delle quali egli stesso doveva essere vittima, e nei suoi trattati c’era ancora l’eco delle dispute agitate nelle scuole greche; dopo di lui, terminate le lotte della vita pubblica, stabilito l’impero, la filosofìa risponde al bisogno di tutti quelli che vi cercavano un rifugio, una consolazione, dei principi salutari, una regola di con¬ dotta. Sotto Augusto cresce il numero dei suoi adepti: poeti e storici, giureconsulti e uomini di Stato se ne oc¬ cupano; Orazio stesso, che qualche volta deride i filosofi per i loro paradossi, è filosofo a modo suo, molto savio e di molto buon gusto, ora stoico ora epicureo, e fa spesso il suo esame di coscienza, ha delle preoccupazioni morali, maestro nell’arte di vivere. Nelle grandi famiglie i filosofi entrano come precettori, consiglieri e consolatori, hanno cura d’anime. Seneca ci Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) LA SCUOLA DEI SESTII ^ iy parla di un condannato a_morte, che andando al luogo del supplizio, è accompagnato dal suo filosofo, prose- quebatur illum philosophus suus, col quale s’intrat¬ tiene dell J immortalità dell’anima. Quando Livia, la moglie di Augusto, perde il figlio Druso, essa si rimette per es¬ sere. consolata nelle mani di Areos, il filosofo di suo ma¬ rito: era il confessore, il confidente dell’uno e dell’altra. E c’è pure un insegnamento pubblico di filosofia, che da Cicerone a Seneca è rappresentato da un gruppo di uo¬ mini, i quali fecero l’educazione della gioventù d’allora. Sono innanzi tutto i due Sestii padre e tìglio. Quinto Sestio era un romano di buona famiglia, che al tempo della dittatura di Cesare andò a studiare filosofìa in Atene, e poi venne a professarla a Roma. Attorno a lui e a suo figlio si formò una scuola, la cosiddetta scuola dei Sestii, che ebbe un certo splendore, esercitò molta efficacia: essi lot¬ tano con energia contro i vizi del secolo, e mettono in uso certe pratiche inorali come l’esame di coscienza, una pratica già raccomandata dai pitagorici, i quali pare che i Sestii seguissero anche nell’astenersi dalle carni di animali. Altri professori illustri della stessa scuola furono So- zione di Alessandria, che s’avvicina ancora più al pita¬ gorismo insegnando la metempsicosi, Attalo stoico e Fa¬ biano Papirio, un declamatore del tempo di Augusto, che s’era fatta una grande riputazione nelle scuole, trattando quelle cause immaginarie su cui si esercitava allora' l’elo¬ quenza dei retori. Fu convertito da Quinto Sestio alla filo¬ sofìa, e continuò a declamare, a parlare pubblicamente di argomenti filosofici. L’insegnamento così non fu più limi¬ tato a un gruppo d’iniziati o di adepti, ma diventò una Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) W;\ 220 LO STOICISMO SOTTO L ? IMPERO vera predicazione: la filosofia s ? indirizza alla folla, diventa eloquente, cerca di essere persuasiva ed efficace. Fabiano Papirio specialmente ebbe un grande successo: aveva una fìsonomia dolce, una maniera di parlare semplice e sobria: 10 ascoltavano con un’attenzione rispettosa; ma a volte V uditorio, colpito dalla grandezza delle idee, non poteva trattenere delle grida di ammirazione. Un altro che attirò l’attenzione della gioventù romana fu il cinico Demetrio, ille semimidus, cencioso, come lo chiama Seneca, con la stranezza delle sue maniere e la foga della sua parola, tutto energia e disprezzo del do¬ lore e della morte: riappariscono i Cinici, che sono come ' sempre l’esagerazione degli Stoici. Del resto, qualunque sia il nome che portino, tutti questi filosofi erano più o meno stoici. Non si trattava per loro di scoprire verità nuove, ma di applicare le grandi verità morali e le massime di condotta già fissate dagli antichi saggi. Come dice ancora Seneca, i rimedi dell’anima sono stati trovati prima di noi: non ci resta che cercare in che maniera e quando bisogna applicarli. La tristezza dei tempi e il dispotismo imperiale che di¬ venta sempre più pazzo e violento dànno, come ha detto 11 Boissier, un terribile, a propon allo stoicismo, il quale diventa una fede ardente, la religione delle anime libere: l’anima ha bisogno d’irrigidirsi nel sentimento della sua forza e della sua dignità in mezzo a quelle sventure e a quei pericoli che a ogni momento la minacciano. Per questo la filosofia ebbe l’onore di essere odiata da¬ gl’ imperatori : essa e la Storia erano, come dice Tacito, ingrata principiòus nomina. La filosofia ebbe i suoi devoti e ì suoi martiri, a cominciare da Catone, che rifiuta la Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vern-otico (Br) SENECA 221 vita cercando libertà, e venendo alle vittime di Nerone illustrate da Tacito, come tra gli altri, Trasea Peto, assi¬ stito negli ultimi suoi momenti dal cinico Demetrio; e poi lo stesso Seneca, sul quale dobbiamo fermarci ] ). 2. - L. Anneo Seneca, figlio di Seneca il retore e di Elvia, nacque a Cordova nell 7 anno 3 o 4 dell 7 e. v. Venuto a Roma col padre che non amava la filosofia, e avrebbe voluto farne un oratore, fu scolaro di quei moralisti della scuola dei Sestii, Sozione, Attalo, Fabiano Papirio, la cui maschia e severa dottrina fece sopra di lui la più viva impressione. Si fece conóscere per la sua eloquenza, entrò nella via degli onori, fu accolto e apprezzato nella più alta società di Roma. Sotto l’imperatore Claudio fu esi¬ liato in Corsica per gl’intrighi di Messalina; dopo otto anni è richiamato per opera di Agrippina che gli affida l’educazione del giovane Nerone. Del quale dunque fu precettore e poi ministro: caduto in disgrazia nel 62, morì nel 65 per ordine dell’imperatore. Mescolato agl’intrighi e ai delitti della corte imperiale che non seppe o non potè impedire, il suo carattere è Stato molto discusso, special- mente per le immense ricchezze eh’ egli possedeva, in gran parte donategli dall’imperatore, e per la parte che può avere avuto nell’assassinio ! di Agrippina per opera di Ne¬ rone, in nome del quale Seneca scrisse una lettera giu¬ stificativa al Senato, presentando la morte di Agrippina come un suicidio. Ma quali che possano essere state le J ) Cfr. Martha, Les moralistes souti l’empire romaìn; Boissier, La religion romaine d’Auguste aux Antonina; Havet, Le Cliristianisme et ses origines, * 2° voi.; il capitolo su Seneca del Pichon nella sua Hist. de la Lìti, latine (Hachette) ; o uno studio del prof. Pascal nel voi. Figure e caratteri (Sandron). Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) LO STOICISMO SOTTO L’IMPERO sue debolezze, egli le riscattò da filosofo con una bella morte, eh’è raccontata da Tacito. Impeditogli di far te¬ stamento, diceva di lasciare agli amici l’immagine della sua vita. Non fu senza ambizione e senza vanità, e non uscì immacolato dalla vita, in quei tempi e in quella corte; ma non gii si può negare un certo entusiasmo sin¬ cero e l’aspirazione verso il bene. Le opere di Seneca che si riferiscono alla filosofìa sono i trattati morali: de provìdentia, de comtantia sapienti», de ira, de vita beata, de olio, de tranquillitate animi, de bre- vitate vitae, de elementia, de beneficiis; le Consolazioni ad Marciavi, ad Polybium, ad JSelviam matrem; le Lettere morali a Lucilio che sono 124, l’ultima, la più matura e la più importante delle opere di Seneca; e infine le Qui- stioni naturali, che trattano di argomenti di fisica, fecero testo e godettero di molta autorità durante il Medio Evo; ma vi si tratta anche di argomenti morali. , Seneca si prolessa stoico, e degli scrittori latini è l’in¬ terprete più compiuto della dottrina stoica, di cui ripro¬ duce i dogmi con una certa enfasi, non scevra di decla¬ mazione e di retorica. Ma è eclettico anche lui e impara da tutte le scuole: Cita spesso anche Epicuro, verso il quale è più giusto degli nitri Stoici. Egli stesso confessa: Solco in aliena castra transire, non tanquam transfuga, sed tanquam explorator. La sua specialità è il genere monitorio e precettivo; e il suo capolavoro ò una raccolta di consigli e precetti morali a Lucilio, suo amico, un cavaliere romano ch’era procuratore in Sicilia, amministratore finanziario della provincia, e ch’egli guida e dirige da lontano coi suoi consigli. * E' 1 Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) SENECA 223 Seneca non ama la folla, non pensa al gran pubblico: Satis sunt mifii patiti, satis est unns, satis est nullws. La sua opera non è di un predicatore, ma di un di¬ rettore delle coscienze. Ed egli sa adattare il suo inse¬ gnamento secondo le persone e le circostanze. Aliter cum alio agendum: egli consola quelli che hanno bisogno di essere consolati, spinge all’azione le nature fiacche e molli, ridesta la forza di quelli che s’annoiano, predica il ritiro e la solitudine a quelli che amano troppo la vita mondana. E in quest’opera di moralista pratico egli porta una grande conoscenza della vita, l’esperienza di un uomo che conosce il mondo, la corte, le passioni, le inquietu¬ dini e i bisogni del cuore umano: sicché i suoi trattati e specialmente le sue lettere sono importanti non solo per le verità morali che contengono, ma anche come studio dei caratteri e delle passioni del suo tempo e di tutti i tempi. La sua psicologia è molto più raffinata di quella di Ci¬ cerone, e c’è in Ini una preoccupazione della vita inte¬ riore e della perfezione morale, in ciò che ha di più in¬ timo, che non c’è in Cicerone. Egli propone come un ideale di perfezione la virtù stoica, ma sa adattarsi alle circostanze, e consente quando occorre alle debolezze della natura umana: di qui le con¬ tradizioni che gli rimproverano, e che derivano dalle con¬ dizioni speciali in cui si esercita il suo insegnamento. S’aggiunga, per spiegare l’impressione che fa Seneca, l’efficacia di uno stile non senza artifizio, ma concettoso, sentenzioso, energico, a frasi spezzate e serrate, con qual¬ che cosa di brusco e di veemente. La grande frase, il periodo ciceroniano si spezza: ne prendono il posto deiLO STOICISMO SOTTO l’IMPERperiodi brevi, a scatti, con frequenti antitesi, e sentenze aguzzate e raffinate, piene di energia: anche questo un carattere che lo ravvicina al gusto di noi moderni. La morale di Seneca, guardata nel suo insieme, è, come . quella di tutti gli Stoici, un’àpologìà perpetua della vo¬ lontà morale di fronte a tutto ciò che tende a limitarla e asservirla. La fortezza dì fronte agli attacchi della for¬ tuna, il disprezzo dei beni esterni, la serenità davanti alla morte, questi e gli altri temi abituali della predicazione stoica sono anche i suoi : egli ne rinfresca l’espressione col suo accento passionato e concitato, che dà a quelle massime forza e rilievo.Soprattutto non bisogna dimenticare quel sapore di at¬ tualità che, come abbiamo accennato, avevano le idee stoiche in quella condizione dei tempi e in bocca di Se¬ neca. Già questa attualità o riscontro nella realtà co¬ mincia ad essere un fatto anche con Cicerone. Il quale, quando scrive nelle Tusculane de eontemnenda morte o de tolerando dolore, non scrive di temi astratti e retorici, ma di pericoli imminenti, in tempi già diventati iniqui e tristissimi, tra gli orrori delle guerre civili e delle pro¬ scrizioni. Con l’impero, dopo Augusto, la situazione si aggrava, diventa intollerabile. In mezzo a quell’orgia, a quei delitti, a quella tirannide che non ha più niente di umano, la sola cosa che l’anima umana può salvare è la sua libertà e il sentimento della sua dignità. La filosofia compie l’ufficio suo predicando la forza della volontà, la purezza interiore, il disprezzo di tutto ciò che non di¬ pende da noi, il disprezzo della vita. He nasce una situa¬ zione violenta, che si riflette anche nello stile di questi scrittori, come ha osservato con molta finezza l’Havet. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melfi” - San Pietro Vernotico (BrSENECQuando noi leggiamo in Seneca e negli altri stoici che la povertà, V esilio, le torture, la morte stessa non sono nulla, noi diciamo eh’ essi declamano; e in un certo senso è vero; ma la loro declamazione è come imposta dalla situazione, è l’espressione esagerata di un sentimento legittimo e naturale. Essi declamano perchè sentono il bisogno di sii dare la forza brutale che dispone di tutte le maniere per far soffrire. In quella declamazione non tutto è effetto dei vizi letterari del secolo, c J è anche qualche cosa di sincero. Il filosofo è portato a prendere un tono veemente: la sua enfasi, le sue ripetizioni insi¬ stenti, il gesto concitato che sembra accompagnare la pa¬ rola, sono altrettante proteste di una coscienza che la forza vorrebbe far tacere, e che non tace, ma ha bisogno di gridare per farsi ascoltare. 3. - È di Seneca la sentenza che dice : Non scftolae sed vitae diwimus. Salvo che questo motto non va inteso nel senso ' utilitario in cui oggi è così spesso ripetuto. Nemmeno Epicuro lo avrebbe inteso in questo senso. Quando i moralisti antichi dicono di voler insegnare a vivere, hanno in mira la salute e la perfezione dell’anima, non gli agi, le comodità, l’apprendi mento delle arti utili alla vita: la sola arte eh 7 essi insegnano è l’arte stessa di vivere: artifex rivendi, come dice Seneca del saggio. Un’altra conseguenza di quella situazione che abbiamo detto è che le differenze esterne fra gli uomini spariscono. Nella servitù comune, nella quale tutti gemono e temono in quelle vicende inopinate della fortuna, i grandi non hanno più ragione di disprezzare le miserie dei piccoli, nè gli uomini liberi quelle degli schiavi.LO STOICISMO SOTTO L* IMPERO In Seneca le grandi tesi sociali e umanitarie dello stoi¬ cismo sono riprese con un nuovo accento, più forte e più intimo. Egli vede negli schiavi degli amici di condizione inferiore, humiles amici; sono degli schiavi, ma sono degli uomini: imo homines. Egli condanna i giochi dei gladiatori, che Cicerone, quantunque non li amasse, giustificava ancora come una scuola di coraggio per fortificare l’animo degli spettatori contro il dolore e la morte, quando quelli che si vede¬ vano combattere erano dei malfattori. Seneca non li può soffrire sotto alcun pretesto, non vuole che s’insegni al popolo la crudeltà: quest’uomo è un brigante, merita di essere punito; ma tu, disgraziato, che hai fatto per es¬ sere condannato a questo spettacolo? E in quest’ordine d’idee trova la meravigliosa espres¬ sione: homo res sacra homini; e condanna pure la guerra, dicendo che la natura ha fatto l’uomo per la dolcezza (mitissinutm genus), dimenticando forse che ci sono delle guerre giuste e anche pietose, quando bisogna difendersi dai briganti e dagli assassini. E celebra con parole che hanno del mistico la solida¬ rietà umana e i suoi dovevi: nell’ep. 95: membra sumus corporis magni. Natura nos cognatos edidit: di qui l’amore reciproco e ciò che ci rende socievoli: la giustizia e il diritto non hanno altro fondamento : è più miserabile il nuocere altrui che l’essere offeso: siano sempre pronte le mani a giovare, e abbiamo sempre nel cuore e nella bocca quel verso: Homo sum, nihil Immani a me alienum puto. E aggiunge: la società umana è come una vòlta che cadrebbe se le singole pietre non si sostenessero a vi¬ cenda. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) SENECA Esorta alla bontà, alla clemenza, al beneficare, al per¬ dono delle offese. Ubieumque homo est, ibi benefica locus est. Non desinemus opem ferve etiam inimicis. Alteri vivas oportet si vis Ubi vivere. Questa morale, che con la sua umanità e la sua mitezza si stacca sul fondo di quella tristezza di tempi crudeli e violenti, ha già un carattere e un’ispirazione religiosa. Questo caràttere religioso si accentua ancora di più in alcune delle idee che Seneca esprime intorno alla divi¬ nità, alle relazioni dell’uomo con Dio, e al destino del¬ l’anima umana. Anche per lui, come per tutti gli Stoici, il concetto di Dio oscilla tra il panteismo e il teismo. Quid est Deus? Mens universi. Quid est Deus ? quod vides totum et quod non vides totum. Ma nella sua opera di moralista consolatore e direttore delle cosciente egli non può a meno di met¬ tere in evidenza gli attributi personali della divinità, con¬ cepita non solo come ragione universale, ma coi suoi attributi morali di bontà, di clemenza, di sollecitudine per gli uomini. Nulla è nascosto a Dio, egli è presente agli animi nostri, vicino a noi: prope est a te Deus, tecum est, intus est. Sì, o Lucilio, egli continua^ nella lettera 4P, saeer intra nos spiritus sedei, malorum bonorumque nostr orimi ohservator et custos. Dio non si onora coi templi nè si rende propizio sol¬ levando in alto le mani supplichevoli, ma con la purezza del cuore e della vita : vis deos propiUare ? bonus esto. Satis illos coluit, quisquis imitatus est (Lett. 95). È dunque sulla virtù che si fonda questa relazione tra l’uomo e Dio, del quale è detto: patrium Deus habet adversus bonos viros animum, et illos fortiter amai. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br)228 LO STOICISMO SOTTO L’IMPERO Un Dio cosiffatto non è una pura astrazione filosofica, ma è oggetto di adorazione religiosa : il rapporto religioso è un 1 rapporto intimo tra due persone, l’una delle quali si sente dipendente dall’ altra. Dio comunica con noi, ri¬ siede in noi, ci ama ed è amato da noi: colitur et amatur; e noi P invochiamo perchè, com’è detto altrove, da lui ci vengono le risoluzioni grandi e forti: ille dat constila ma¬ gnìfica et creda: c’ispira e ci sostiene: si direbbe che in que¬ ste parole è toccata o intraveduta la dottrina della grazia. Notevoli pure sono i concetti intorno all’uomo, alla natura e al destino dell’anima. L’uomo non ha ragione di vantarsi, di essere orgoglioso: idem semper de nobis pronuntiare débébvmus, malos esse nos, malos fuisse , invitus adieiam et fiutar os esse . Peccavimus omnes. E solo a traverso gli errori noi giungiamo alla virtù: anche il migliore fra noi ad innocentiam tamenpec¬ cando pervenit. E l’inìzio della salvazione è la conoscenza del peccato. Initium est salutis notitia peccati } una sentenza di Epicuro, che Seneca si appropria. La vita è una lotta, una milizia: c’è dentro dell’uomo una lotta continua tra la carne e lo spirito, tra il corpo, eh’è come un peso o una prigione, e lo spirito sacer et aeternus che aspira alla sua liberazione: gravi terrenoque detineor carcere. 1 Ohi mi libererà da questo corpo di morte?’ griderà S. Paolo. Nell’anima stessa c’è qualche cosa d’irrazionale: quel dualismo platonico che Posidonio aveva introdotto nella dottrina stoica, è conservato da Seneca, e n’è resa più acuta, più accentuata l’espressione: diventa il contrasto tra la carne e lo spirito, eh’è tanta parte della conce¬ zione cristiana. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) SENECA La vita è dunque una guerra continua. Nóbis militan- dum est, ed è un genere di milizia che non consente ri¬ poso. Bisogna essere vigilanti con se stessi, bisogna com¬ battere con le passioni, col dolore, col piacere, con la fortuna, con la povertà, col nostro proprio cuore: Proiice quaecumque cor tuiim laniant ; quae si aliter estrahi nequi- rent, cor ipsum cimi illis revellendum crai, parole energiche die ricordano quelle dell’Evangelo: se il tuo occhio de¬ stro ti scandalizza, strappalo e gettalo da te. Seneca ha il sentimento più vivace della miseria umana: Omnis vita supplicmm est. Per questo la morte è una li¬ berazione, e come il porto nel quale troviamo il rifugio dal mare agitato della vita. Dell’ immortalità Seneca non parla sempre allo stesso modo. Ipotesi, speranze, le opinioni diverse s’avvicendano nei suoi scritti. MS, non di rado, specialmente quando si rivolge ai suoi corrispondenti per consolarli della morte dei loro cari, egli prende un tono più affermativo. La morte è l’inizio, il giorno natale di una nuova esistenza. IMes iste quem tanquam extremum reformidas, aeterni na- talis est. Il corpo è un breve ospizio dell’anima: si dissi¬ peranno le caligini che circondano la nostra esistenza, la luce divina ci apparirà nella sua sorgente, e con essa la grande eterna pace. Si potrebbero moltiplicare le citazioni, ma basteranno. Sono queste idee che hanno fatto credere a una ispira¬ zione cristiana degli scritti di Seneca. Seneca saepe noster, diceva già Tertulliano. 4. - Qui bisogna sapere una cosa. Kel 61 d. 0., quattro anni prima della morte di Seneca, giungeva a Roma un Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) LO STOICISMO SOTTO L 5 IMPERpiccolo ebreo, Paolo di Tarso in Ciiicia, il quale accusato e perseguitato da altri ebrei, si appellava, nella sua qua¬ lità di cittadino romano, dal giudizio delle autorità im¬ periali in Giudea, a quello dell’imperatore. Fu condotto davanti al prefetto del pretorio eli’era Burrus, amico e collega di Seneca come ministro di Nerone. Giudicato favorevolmente, l’apostolo fu lasciato libero o quasi libero durante due anni, dei quali profittò per diffondere la sua dottrina, e pare che facesse dei proseliti anche nel palazzo imperiale, fra gli schiavi o i liberti della casa di Nerone. Si disse per esempio che Atte, la gio¬ vane eh’ era stata amata da Nerone, e che poi abbando¬ nata fu la sola che ne cercasse il cadavere, quando egli fu obbligato ad uccidersi, per dargli sepoltura, fosse stata convertita al Cristianesimo. Atte, come sappiamo da Ta¬ cito, era personalmente conosciuta da Seneca. Bisogna aggiungere che anche prima della venuta a Poma, Paolo, accusato dagli ebrei di Corinto, s’era tro¬ vato a contatto con un proconsole romano, ch’era quel Gallione di cui parlano gli Atti degli Apostoli, e che si rifiutò di dare ascolto ai suoi accusatori, trattandosi di cose die non lo riguardavano (polemiche religiose tra Ebrei). Ora si dà il caso che questo Gallione era fratello di Seneca, e si chiamava così perchè adottato da un Gallio, di cui portava il nome: il suo nome di famiglia era Anneo Novatus, ed era fratello maggiore di Seneca. Fatto sta che a poco a poco si formò la leggenda che Seneca e S. Paolo si fossero conosciuti, anzi fossero diven¬ tati amici, e che l’apostolo avesse convertito il filosofo, e si fossero scambiate anche delle lettere, 14 delle quali sono giunte fino a noi: e in base a queste lettere S. Gi- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) SENECA E S. PAOLO

rolatno, nel quarto secolo, enumerando gli scrittori eccle¬ siastici dei primi secoli, vi mette anche Seneca. È una leggenda che ha avuto corso per tutto il Medio Evo, e anche alcuni moderni vi hanno creduto. I^a qui- stione è stata agitata più volte l ). Le conclusioni sono queste: La corrispondenza è certamente apocrifa, scritta in un latino che non è nè classico nè argenteo; e del resto è insignificante, e qualche volta buffa. Per es. c’ è una let¬ tera, la 7% nella quale Seneca informa il carissimo amico Paolo che l’imperatore è stato molto colpito dalla sua dottrina, e che sentendo leggere un certo esordio di Paolo sulla virtù, avrebbe detto: mi meraviglio come un uomo che ha ricevuto un’istruzione regolare possa avere di tali sentimenti. E nella stessa lettera gli scrive: lo Spi¬ rito Santo ti fa dire delle cose sublimi, ma appunto jier questo mi piacerebbe che avessi un po’ più cura della forma, ut maiestati earum rerum cuìtus sermonis non desti. E in un’altra lettera, da uomo soccorrevole, gli manda un libro de copia verborum. E non parliamo delle risposte di Paolo. Sono inezie da una parte e dall’altra. La cor¬ rispondenza è certamente una falsificazione, e anche poco abile. Rimane la quistione se Seneca e S. Paolo si sono co¬ nosciuti. E se per conoscersi s’intende il semplice fatto di vedersi, incontrarsi, scambiare qualche parola più o ] ) Si possono consultare un libro dolLAutìERTiN, Sénèque et S. Paul f e un articolo magistrale di Ferd. Bat.tr nella Zeitschr. f. wias. Tipologie, t. 1°, 1858, ristampato da Zeller in un voi. dì Abhandlungen del Baur (1875); e più brevemente quello che ne dice il Boissier nel libro che ho citato : La religion ro inaine, 2° voi. 232 LO STOICISMO SOTTO L ? IMPERO meno insignificante o per ragioni di affari, non possiamo dire nè sì nè no, non ne sappiamo nulla. Quello che importa è che, anche dato e niente affatto concesso che Seneca abbia conosciuto o avvicinato l’apo¬ stolo, certamente non gli deve nulla nè per quello che riguarda le idee, nè le espressioni. E questo per le seguenti ragioni: ! 1° ed è la ragione più ovvia, le idee di Seneca sulla provvidenza, sulla natura dell’uomo, sulla vita morale si trovano già nelle opere sue anteriori a questa pretesa co¬ noscenza con S. Paolo ; 2° quando si leggono quelle idee, non come frasi staccate ma al loro luogo, in connessione con tutto il resto, fanno parte di un discorso nel quale Seneca con¬ tinua a professare le dottrine stoiche, alle quali ha sem¬ pre aderito; e non c’è nulla in quelle idee stesse di sapore cristiano o che sembrino tali, che non trovi il suo riscontro non solo nei vecchi stoici, ma in tutta la tradizione filo¬ sofica anteriore, in Platone, in Epicuro, in Cicerone; 3° e soprattutto, se Seneca e S. Paolo si fossero co¬ nosciuti e si fossero messi a discorrere di filosofia e di religione, non si sarebbero intesi affatto, in nessun modo, per la differenza radicale e insanabile che c’è tra i due modi di considerare il mondo e la vita. Già Seneca non avrebbe potuto comprendere nulla di tutta la parte storica e dogmatica del pensiero di Paolo, voglio dire di quei fatti e di quei dogmi che sono come i cardini del suo apostolato: il peccato di Adamo, la ve¬ nuta del Messia, la morte e la risurrezione di Cristo, la redenzione di tutti gli uomini fondata sulla fede in questo fatto della risurrezione: sono fatti così miracolosi, e inter- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) SENECA E S. PAOLO prelazioni di questi fatti così lontane, così aliene da una mente educata nel razionalismo greco-romano, che Seneca, quando pure non avesse sbarrato tanto d’occhi per la me¬ raviglia, non avrebbe potuto comprenderne nulla. Ma a parte questo, anche sul terreno limitato dell’Etica, j le due concezioni, quella di Paolo e quella di Seneca sono, .= nonostante le frasi analoghe, lontanissime 1’ una dall’altra. ■ Seneca si riconnette a tutta la tradizione classica e pa¬ gana, che considera la virtù come una perfezione della natura, una conquista e un trionfo della ragione sugl’im-1 pulsi inferiori dell’uomo; e tiene fermo alla formula stoica: seguire la natura, che egli concepisce come qualche cosa di essenzialmente razionale. S. Paolo e con lui il Cristianesimo insegna la corruzione originaria, radicale, della volontà naturale dell’uomo, e in- . segna la rigenerazione possibile solamente per opera della ; grazia divina, che redime e rinnova la creatura, ricrean- dola a dir così dalla vita della carne alla vita dello spirito. Per Seneca come per gli altri Stoici la legge morale è % una semplice legge della ragione che s’identifica con la \ legge cosmica; per S. Paolo la legge è nel senso preciso della parola un comando, un imperativo, espressione della volontà divina; e il peccato non è la semplice distanza che separa la realtà empirica dall’ ideale morale, ma è sin dall’origine una ribellione al comando di Dio, della sola volontà che sia santa. L’autonomia e l’autarchia del saggio stoico non sono parole cristiane. La conseguenza è che il saggio stoico, l’ideale di Se¬ neca, manca della qualità propriamente cristiana, non è umile; può sentire più o meno la sua imperfezione finche quell’ideale non è raggiunto, ma non c’è propriamente Biblioteca Comunale “Giuseppe Me11i” - San Pietro Vernotico (Br)234 LO STOICISMO SOTTO L* IMPERO abnegazione in lui, anzi egli pone il suo orgoglio nell’af¬ fermazione della sua volontà razionale, e in questo senso egli si sente simile a Dio. Il santo cristiano invece sa che nulla gli appartiene, non ha orgoglio, nega la sua volontà, la sente spezzata e ri-generata da una forza onnipotente, e si umilia pregando: fiat voluntas tua, eh’è qualche cosa di più della semplice rassegnazione stoica a quello che vuole o porta il fato. Ohi vuole misurare con un’occhiata sola tutto il con¬ trasto, guardi a queste parole di Seneca: non video, in- quam, quid hàbeat in terris Jupiter pulchrius, si convertere animum velit, quam ut spectet Catonem, iani partibus non se¬ mel fractis, stantem nihilominus inter ruinas publicas recium. Il saggio stoico con la sua forza d’ animo e la sua virtù eroica è glorificato in modo eh 7 è lo spettacolo più degno e più bello che Dio possa ammirare. E badiamo che Ca¬ tone è un suicida: perchè, come dice Seneca, ogni vena del tuo corpo è una via aperta alla libertà. Il suicidio, per un cristiano, è la ribellione più aperta alla volontà santa di Dio, e non c’è altra gloria che la gloria di Dio, e il fare la sua volontà si chiama dovere, obbedienza, morire a se stessi per essere partecipi della gloria di Dio e della vita eterna. Sono due concezioni diverse. Seneca non deve nulla a S. Paolo. Quello che c’è di vero è che l’accento religioso che prendono in lui le dottrine antiche è un indizio che segna* l’avvicinarsi dei tempi cristiani. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) EPITTETO 1. Musonio Rufo - 2. D carattere e la dottrina di Epitteto. * 1. - Dopo Seneca, contemporaneo più giovane di lui, è da nominare Musonio Rufo, eli e nato a Volsinia (Bol- sena) nell’ Etruria, visse sotto Nerone e poi ancora sotto gl’imperatori Vespasiano e Tito. Dell’ ordine equestre, coltivò e insegnò la filosofia se¬ guendo le dottrine stoiche, come dice Tacito clie lo no¬ mina più volte. Fu un maestro tutto pratico, stimando inutile ogni scienza che non giovasse alla vita. Esortava alla filosofia uomini e donne, poiché la filosofìa non è altro per lui che la ricerca della xaXoxàyala pratica di ciò eh’è onesto, e senza la filosofia non si può conseguire la virtù. Anche il contadino dietro il suo aratro può filoso¬ fare in questo senso, e dare lezioni ed esempi di saggezza: faceva un elogio dell’agricoltura come un genere di vita più acconcio alla filosofia dei costumi corrotti della città. Il suo insegnamento e la vita intemerata gli dettero nome, e dovette esercitare una grande efficacia, se dobbiamo giudicare specialmente dal modo come lo ricorda Epit-236 LO STOICISMO SOTTO l’ IMPERO ' feto clie fu suo scolaro; e basterà averlo ricordato anche noi, senza insistere sui frammenti e precetti particolari che ci sono stati conservati di lui. 2. - Il grande e più celebre rappresentante dello stoi¬ cismo nell’ epoca imperiale è Epitteto.

Epitteto nacque a Hierapoli, nella Frigia, verso il 50 dell’e. v. Venne a Roma, dove passò la sua giovinezza, come schiavo di un Epafrodito, che fu probabilmente il liberto e favorito di Nerone dello stesso nome. Lo stesso nome di Epitteto non è in origine un nome proprio, ma vuol dire schiavo (!tuxt7]tq£). Era zoppo e, secondo un aned¬ doto celebre, per effetto dei maltrattamenti del suo pa¬ drone. Un giorno questi gli avrebbe messo la gamba in uno strumento di tortura. Bada, gli disse Epitteto, che finirai col rompermela. E siccome l’altro continuava e la gamba si ruppe di fatto, Epitteto si contentò di aggiun¬ gere: Te l’avevo detto. Questo tratto d’insensibilità stoica fu tanto ammirato, che più tardi Celso, l’avversario del Cristianesimo, apostrofava i cristiani : Forse che il vostro Cristo, nel suo supplizio, ha mai detto niente di così bello? Al che Origene, lo scrittore ecclesiastico che scrisse contro Celso, rispose: Nostro Signore non ha detto niente, e questo è anche più bello. Il giovane Epitteto, ancora schiavo, potè istruirsi e se¬ guire le lezioni di Musonio Rufo. Fatto libero, rimase a. Roma, tentando anche lui l’insegnamento o la predica¬ zione morale, finché non fu obbligato a lasciare la città quando l’imperatore Domiziano con un senatoconsulto del 94 d. C. fece cacciare i filosofi da Roma e dall’Italia. Epitteto allora si ritirò nell’Epiro, a Nicopoli, dove visse Biblioteca Comunale "Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) EPITTETO 237fin verso il 125, povero e senza famiglia, ma circondato da molti discepoli, e venerato per la santità della vita, come maximus più losophorum, secondo Aulo Geli io. Uno di quelli che lo udirono, e per più anni, fu Ar- riano di Nicomedia, lo storico, che fu il più attento e il più entusiasta dei discepoli. Arriano aveva scoperto di avere dei gusti e uno spirito affine a quello di Senofonte, volle essere un Senofonte redivivo, e, come l’altro, scrisse la sua Anabasi (di Alessandro), e i suoi Memoràbili: Epit- teto diventò il suo Socrate, e nei Discorsi o Dissertazioni di lui (Storpipoi o Xóyot) raccolti molto fedelmente da Ar¬ riano (in 8 libri, dei quali ce ne rimangono 4 e frammenti degli altri), la figura di Epitteto già vecchio rivive con. la vivacità del suo spirito e l’energia del suo carattere e del suo insegnamento. Più tardi, visto il successo delle lezioni di Epitteto, Arriano le condensò in un piccolo volume: è il famoso 1 Manuale di Epitteto ’, che nei tempi moderni comparve dapprima nella traduzione latina di Angelo Poliziano, nel 1493; il testo originale fu pubbli¬ cato nel 1528, a Venezia. Non ho bisogno di ricordare eh’ è stato tradotto in italiano dal Leopardi. Epitteto è anche lui un maestro tutto pratico: non è un pensatore che ricerchi o discuta i fondamenti teorici della dottrina che insegna: le ricerche sistematiche, le discussioni di scuola non sono il fatto suo. Egli vuole agire sulle coscienze, rinnovarle ed educarle. Seneca è uno spirito curioso e un letterato, che pure mirando a un fine pratico, ha coscienza della sua abilità di scrittore, e si compiace di aguzzare in forme ingegnose le sue mas¬ sime, le sue osservazioni, i suoi consigli. Epitteto non mira a brillare, non vuole applausi, non ha mai pensato Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) TO'* , ■ C 1 . 1 " L 1 ^ ■ y h ■ -. t,. :'yY £VsE S, àtàeXcpol  264 FILOSOFIA GIUDAICO-ALESSANDRINA Un primo documento di quest’attività greco-ebraica è la traduzione greca della Bibbia, che si disse dei Set¬ tanta, perchè secondo una leggenda sarebbe stata fatta da 72 dotti mandati dal Sacerdote di Gerusalemme a Tolomeo Filadelfo, che voleva avere nella sua grande biblioteca i libri di Mosè tradotti in greco, e questi 72 traduttori, chiusi in tante camerette separate, senza po¬ ter comunicare fra loro, avrebbero tradotta da capo a fondo, come per un’ispirazione divina, tutta quanta la Bibbia. Il vero è che la traduzione rispondeva al bisogno della comunità ebrea di Alessandria di leggere il libro suo na¬ zionale nella lingua diventata oramai comune nella co¬ lonia. La maggior parte non leggevano nemmeno più l’ebraico. Questo libro si può considerare come il primo travasa- mento di idee giudaiche in un contenente ellenico 1 ), ed ebbe una grande efficacia sulla propagazione posteriore dell’Ebraismo e poi del Cristianesimo. Un ebreo di Ales¬ sandria, che in filosofia era peripatetico, Aristobulo, vis¬ suto tra il 181 e il 145 a. C., è ritenuto da molti il primo scrittore in cui apparirebbe una vera connessione di filo¬ sofemi greci con le idee e le tradizioni ebraiche. E influsso d’idee greche è stato pure notato in uno dei libri apocrifi del Vecchio Testamento, nel Libro della Sapienza di Saio- mone, che si crede composto da un ebreo alessandrino verso il 100 a. C. Ma il principale rappresentante di questa filosofia greco¬ ebraica è Filone ebreo.0 Castelli, Storia degli Ebrei (Firenze, Barbèra). ti.: Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) \ FILONE EBREO 265 2. - riione nacque in Alessandria fra il 30 e il 20 a. C. da una famiglia sacerdotale ch’era delle più ricche e rag¬ guardevoli fra gli Ebrei di quella città. Ebbe un’istruzione compiuta ellenica ed ebraica: consacrò tutta la vita agli studi teologici e filosofici, dedito alla vita contemplativa, ma senza trascurare i legami col suo popolo e i doveri che la sua posizione gl’imponeva. Doveva godere di una grande riputazione per la sua pietà, per la sua scienza e per la sua eloquenza. Verso il 40, già vecchio, fu messo a capo di un’ambasceria presso l’imperatore Caligola per chiedere la liberazione dei suoi correligionari di Ales¬ sandria dalle persecuzioni a cui erano fatti segno. Tornato ad Alessandria, scrisse egli stesso la relazione di questa ambasceria, e morì forse verso il 50. Scrisse in greco molte opere che ci rimangono. Alcuni degli scritti di Filone sono d’argomento storico e ci fanno conoscere quale fosse io stato della colonia giu¬ daica di Alessandria: gli altri sono per la maggior parte un commento filosofico ai libri mosaici. Filone dunque sta tra la scienza greca e la rivelazione. Per lui non si tratta di ricercare e scoprire la verità con la semplice attività della ragione: la verità è quella ri velata da Dio nei libri santi. D’altra parte Filone è anche uno spirito esercitato alla meditazione, grande studioso e ammiratore della scienza greca : ha un culto per Pla¬ tone: egli ritrova nei filosofi greci le verità rivelate dalla Bibbia, e legge la Bibbia a traverso i concetti della filo¬ sofìa, la vede in quella gran luce di verità creata dal pensiero greco. È naturale che la fusione di elementi così disparati e d’idee di così diversa provenienza non fosse possibile senza Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 266 FILOSOFIA GIUDAICO-ALESSANDRINA un certo sforzo, il quale importava due cose: una finzione e un metodo particolare 2 ). La finzione (in buona fede, s T intende) è che i filosofi greci come Pitagora, Eraclito, Platone, e anche i poeti più antichi come Omero, Esiodo, avessero avuto notizia dei libri di Mosè e attinto dunque alla sapienza ebraica: una finzione che si trova già in Aristobulo; ed era av¬ valorata da alcune falsificazioni: si attribuivano ai poeti mitici come Lino, Orfeo, dei versi di fattura posteriore. Il metodo è quello dell’interpretazione allegorica, non inventato da Pilone, applicato già prima di lui fra gli Ebrei alessandrini, e del quale anche gli Stoici gli davano l’esempio. Pilone distingue dapertutto un senso letterale e un senso spirituale o intelligibile, e ritiene il primo come simbolo del secondo; la relazione tra i due è quella che c’ è tra il corpo e V anima. Per esempio, Adamo è lo spirito (il vouc), e il Paradiso è 1’ ■^epovtxòv xfjc; 4^/jA nel quale egli è messo per coltivare gli alberi, che sono le virtù; la creazione di Èva significa il nascere della sen¬ sibilità, e così via: quel metodo d’interpretazione alle¬ gorica che si può dire fantastico e non critico quanto si vuole, ma che ha contribuito a spiritualizzare le credenze e le idee. L’uomo ha cominciato col concepire Dio a sua imma¬ gine e somiglianza, attribuendogli occhi e mani e voce e passioni umane. A poco a poco il concetto del divino si spiritualizza. Per Filone, Dio non solo non ha forma nè attributi umani, ma è al di là di ogni determinazione, una realtà, ! ) Dkussen, Die Philo sophie der Griechen, p. 468 e segg.Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) LA DOTTRINA DI FILONE 2G7 assolatamente trascendente, sia rispetto al mondo da cni è separato, sia rispetto alla nostra intelligenza alla quale è inaccessibile. Noi siamo certi della sua esistenza, ma non possiamo comprendere la sua essenza. Filone lo designa con la parola di cui si servivano gli Eleati e Platone: tò £v, l’Essere, o con l’espressione aristotelica: l’Essere in quanto essere; e trova il riscontro di questa denominazione in quello ch’egli stesso, Dio, dice di sè nell’-Z&odo; J5V/o sum qui sum: èyw eijxt Ó wv. Dio dunque è l’Essere universale, eterno, immutabile, semplice, libero, pago di se stesso, assolutamente trascen¬ dente e separato dal mondo. Ma d’altra parte egli rac¬ coglie in sè tutte lo perfezioni, e tutte le perfezioni delle cose create derivano unicamente da lui. Egli è la causa prima di tutte le cose create: riempie e comprende tutto. C’è una doppia esigenza in questa concezione: l’idea dell’assoluta trascendenza di Dio, e quella dell’assoluta dipendenza delle cose finite da Dio. Dio è uno, ma possiede forze infinite, mediante le quali crea e governa il mondo: le due principali di queste forze sono la bontà e la potenza, e l’ima e l’altra si uniscono nel Xóy oc, o ragione divina, eh’è come il pensiero di Dio prima della creazione, e che si manifesta poi in questa come la parola di Dio. Il lòyo- o la ragione cosmica di Eraclito e degli Stoici non è per Filone il primo principio del mondo, ma è a dir così il figlio primogenito di Dio, il suo verbo, l’intelli¬ genza divina stessa iu quanto personificata, qualche cosa che sta in mezzo tra la pura essenza di Dio e il mondo eh’ è creato da lui. Filone ha bisogno di potenze inter¬ mediarie per colmare l’abisso tra l’assoluta trascendenza Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)268 - FILOSOFIA GIUDAICO-ALESSANDRINA di Dio e il mondo delle cose finite, e queste potenze in¬ termediarie sono rappresentate dal Logos, dalla parola di Dio. Quando un architetto costruisce una casa, ha in sè il suo piano, la sua idea. Il Logos di Filone comprende insè le idee, i modelli ideali delle cose, e insieme le forze generatrici e formatrici degli esseri: le idee platoniche e le ragioni seminali degli Stoici. È il Logos che divide in parti la massa di cui si compone il mondo, dà alle cose le proprietà che le costituiscono, determina i mari, le isole, i continenti, fìssa le specie dei viventi, stabilisce bordine nella diversità: compie l’ufficio o gli uffici della ragione come rivelazione di Dio e della sua provvidenza nel mondo. Filone tiene fermo al dogma della creazione, ma for¬ mula la sua fede servendosi dei concetti della filosofia greca: in questa mescolanza, in questo ripensamento delle idee greche in una nuova atmosfera spirituale sta l’in¬ teresse e l’importanza storica di Filone. E che cosa è l’uomo in questo sistema? Secondo la Scrittura Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza; e poi aggiunge che Dio formò l’uomo prendendo un pugno di terra, e soffiandovi sopra un soffio di vita, l’uomo fu fatto in anima vivente. Filone si domanda in quale misura e in che senso l’uomo è la creatura di Dio, e conclude dai due luoghi biblici che bisogna distinguere l’uomo celeste, ideale, creato da Dio a sua immagine, e l’uomo terrestre e sensibile. Il primo è un essere intelligibile, senza materia, nè uomo nè donna, è l’idea dell’uomo in quanto uomo, di natura incorrut¬ tibile; invece l’uomo terrestre, plasmato dal fango dellaBiblioteca C o'm unale “Giuseppe M e 11 i ” - San Pietro Vernotico (Br) LA DOTTRINA DI FILONE terra, e non da Dio direttamente, ma dalle sue potenze o ministri, è di natura sensibile, materiale, naturalmente mortale, capace del bene, ma anche del male. L’uomo intelligibile è un riflesso diretto del Logos divino, quindi possiede tutte le virtù che lo fanno simile a Dio. L’uomo terrestre realizza solo in parte quest’idea, perchè l’ani¬ ma, partecipe dello spirito divino, si trova ad abitare in un corpo mortale, fatto di forze inferiori. Di qui la doppia natura dell’uomo: egli si trova come al confine dei due mondi, del mondo sensibile e del mondo intel¬ ligibile. Per esprimere questo concètto Pilone riproduce a modo suo la distinzione aristotelica dell’anima vegetativa, sen¬ sitiva e razionale; oppure la teoria stoica dello rnsOpa, che pure conservando nell’espressione la reminiscenza del suo significato materialista, si viene sempre più spi¬ ritualizzando: è lo spirito, il soffio divino nell’uomo; so¬ prattutto, si ricorda delle immagini platoniche che il corpo è come una prigione dell’anima. Quello che più importa a Filone è l’opposizione tra la parte irrazionale e quella razionale dell’uomo. Che cosa è l’uomo? Tutto per la sua origine divinò e il suo carattere razionale, nulla per la sua natura mortale e finita. Api>arisce come un’incomprensibile mescolanza di grandezza e di piccolezza, il più vicino a Dio, ma an¬ che capace di male, miserabile, mortale. Mentre tutte le piante rivolgono o dirizzano le loro corolle verso il sole, l’uomo può, pianta celeste nudrita di elementi divini, ele¬ varsi verso il cielo, ma questa sua libertà è come appe¬ santita dal peso del corpo. E qual’è dunque il compito e il destino dell’uomo? 270 FILOSOFIA GIUDAICO-ALESSANDRINA Il restaurare in sè l’immagine di Dio, il somigliare a lui, il seguire la natura, clie sono frasi platoniche e stoiche, ma con un nuovo significato. Pilone combatte gli Epicurei, e considera il piacere come il massimo impedimento alla vita divina; accetta la for¬ mula stoica del seguire la natura, e distingue le quattro virtù cardinali, che trova simboleggiate nei quattro fiumi del Paradiso; insegna non la sola metropatia ma l’apa¬ tia, è insomma l’ideale del saggio stoico, salvo che il seguire la natura diventa per lui obbedire alla volontà di¬ vina. La morale è aneli’essa rivelata: essa si trova tutta quanta nelle leggi generali è particolari che emanano da Dio. La virtù dell’uomo è un’ombra della volontà divina; e lungi dall’essere un Dio, il saggio riceve la virtù come un dono della grazia divina, e un dono sem¬ pre rinnovato. In quest’ Etica teologica le quattro virtù cardinali ri¬ cevono il loro compimento nelle virtù religiose, che sono la fede e la pietà; e la vita contemplativa, di cui fanno parte le virtù religiose, è superiore alla vita attiva, che consiste nella pratica delle virtù cardinali. E come l’anima, allontanandosi da Dio, s’è legata in questa vita dei sensi, così essa può ritornare a Dio ; e l’ultimo grado della perfezione umana è l’unione conDio, la deificatio, la visione estatica. L’ uomo può solle¬ varsi al di sopra dei sensi, al di sopra delle idee; e-poichè l’essenza di Dio è inconoscibile, così quest’unificazione con Dio non è possibile mediante la conoscenza razio¬ nale, ma avviene per la grazia di Dio che si comunica a noi, in una specie di rapimento eh’è in noi come il furore dei coribanti, dice Filone con frase platonica; e iBiblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) LA DOTTRINA DI FILONE 271 limite della felicità, la più alta aspirazione dell’uomo è, mediante quest’estasi, il riposare in Dio: sv jaóvcj) Osm axf;vai. Questa è nei suoi tratti fondamentali la filosofìa di Fi¬ lone ebreo, eh’è in fondo anch’essa una filosofia eclettica, in quanto profitta di tutte le filosofie anteriori; ma è ca¬ ratterizzata specialmente dal suo carattere religioso e dalla mescolanza d’idee greche con idee o credenze ebraiche. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) ff " lVJ ! 'h 1 -, 'XIX. NEOPITAGORICI E PLATONICI ECLETTICI 1. I Neopitagorici. Apollonio di Tiana - 2. I Platonici. Plu¬ tarco. - 3. Numenio. 1. - Le stesse tendenze religiose e mistiche, che abbiamo visto in Filone ebreo, ritroviamo sul terreno greco in quel gruppo di filosofi che si sogliono denominare Neopitago¬ rici e Platonici eclettici più o meno pitagorizzanti, che si possono considerare anch’essi come precursori e prepara¬ tori del Neoplatonismo propriamente detto. L’antica scuola pitagorica, come un complesso di dot¬ trine, era estinta sin dal quarto secolo, al tempo di Ari¬ stotile; ma come forma e metodo di vita, che si diceva appunto vita pitagorica, come disciplina di pratiche morali pure e austere sanzionate da credenze religiose, il Pita¬ gorismo doveva aver conservato dei fedeli, tra i quali abbiamo già nominato i due Sestii ed altri. A cominciare dagli ultimi cinquantanni che precedono Péra cristiana e poi nei due o tre secoli che seguono, il Pi¬ tagorismo rinasce e si diffonde: non solo si cercano i libri degli antichi pitagorici, ma se ne scrivono anche degli altri,-che si attribuiscono a Pitagora stesso o ai suoi se-Biblioteca Comunale “Giuseppe Me11i” - San Pietro Vernotico (Br) guaci: tutta una letteratura apocrifa, come i Versi d'oro di Pitagora, che sono una serie di precetti morali, il trattato di Timeo di Locri a\\WAnima del mondo, quello di Ocello Lucano sulla Natura del tutto, in parte, se non interamente, i libri attribuiti a Filolao e ad Archita di Taranto, anche ad alcune donne pitagoriche, come la famosa Theano e altre, perchè una delle specialità dei Pitagorici era di avere un grande rispetto della donna. Sono opere dovute a falsari di buona fede, i quali ri- spondendo ai bisogni del tempo, senza nessuno scrupolo critico, e attingendo a tutte le filosofie contemporanee o anteriori, davano una filosofìa completa, delle idee intorno a Dio, il mondo, 1’ uomo, la società, la virtù, mettendo queste idee sotto il patrocinio di un nome illustre e au¬ torevole: il bisogno di appoggiarsi a un’autorità vene¬ rata era uno dei bisogni del tempo. La stessa leggenda di Pitagora si compie in questo tempo, si arricchisce di nuovi tratti meravigliosi: la sua vita diventa un mito. JB oltre poi alle opere apocrife, ce ne furono delle altre pubblicate dai loro autori coi loro veri nomi, e che sono appunto i Neopitagorici. Si possono e si sogliono citare come rappresentanti di questo indirizzo un Nigidio Fi- gulo, eh’è nominato da Cicerone come rinnovatore del Pitagorismo in Alessandria verso il 50 a. C., Sozione, sco¬ laro dei Sestii, che abbiamo pure nominato, poi più spe¬ cialmente Apollonio di Tiana, Moderato di Gades, e M- comaco di Gerasa sotto gli Antonini. La figura più importante e caratteristica che possiamo prendere come rappresentante di tutto questo indirizzo è Apollonio di Tiana, nella Cappadocia, il quale nacque sotto Augusto e visse fino agli ultimi anni del primo se- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melfi” - San Pietro Vernotico (Br) 274 NEOPITAG ORICI E PLATONICI ECLETTICI . colo dell’e. v., e la cui efficacia si estende molto al di là del tempo in cui visse.

Più di un secolo dopo la sua morte, nei primi decenni del 200, ne scrisse la vita un sofista di quel tempo, Fi¬ lostrato di Lemno, in una specie di romanzo che vorrebbe essere storico, a richiesta dell’imperatrice Giulia Doinna, moglie di Settimio Severo, la quale era una bella donna, originaria della Siria, ambiziosa e colta, che non solo fa¬ ceva, occorrendo, della politica, ma aveva il gusto delle lettere e della filosofìa, e raccoglieva alla sua corte un circolo di persone istruite più o meno illustri. In questo libro Apollonio è presentato come un tipo di perfezione morale e religiosa, secondo i precetti della filosofìa pitagorica, come un essere più che umano, non filosofo solamente, ma qualche cosa di mezzo tra la na¬ tura umana e la natura divina. Ha una nascita meravi¬ gliosa e fa anche dei miracoli. Cosicché è difficile, da questa vita dì Filostrato, sceverare la parte storica dalla leggenda, quello eh’è stato realmente Apollonio da quello ch’è diventato nell’immaginazione dei suoi ammiratori. Ce lo possiamo raffigurare come una specie di riforma¬ tore morale e religioso che, dopo essersi istruito nella filo¬ sofia e avere accettato quella di Pitagora o che passava per pitagorica, esercita un apostolato predicando la co¬ noscenza del vero Dio e il culto che gli è dovuto. In un frammento di lui che ci è conservato da Eusebio, egli dice: « Per onorare degnamente la divinità e render¬ sela propizia e benevola, non giova, al Dio che diciamo primo e ch’è uno e separato da tutte le cose, offrir sacrifizi nè accendere fuoco nè in generale consacrare alcuna cosa sensibile; giacché egli non ha bisogno di nulla, e non c’è Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli - San Pietro Vernotico (Br) ** «sa '■. ■'jjìi AFOLLONIO DI TIANA pianta che la terra produce nè animale eh’essa o l’aria alimenta, che non sia inquinato di qualche macchia. Quelloche dobbiamo offrirgli è il meglio di noi, il discorso della mente, non le parole che escono dalla bocca, ma invocare da lui, eh’è il migliore degli esseri, il nostro bene con quello che abbiamo di meglio in noi, lo spirito, il pen¬ siero (il vo0$), che non ha bisogno di un organo con cui rivelarsi Al di sotto di questo Dio primo ve n’ ha degl’ inferiori o secondari, primo dei quali è il sole, la più pura mani¬ festazione visibile del divino. L’uomo è d’essenza divina e può per la saggezza elevarsi fino a Dio. La sua anima è immortale, anzi eterna: essa passa da un corpo in un altro, ma in ogni corpo è in prigione, incatenata ai sensi e agl’impulsi disordinati, da cui la filosofìa ha per oggetto di liberarlo. Bisogna conoscere moralmente se stessi per arrivare alla virtù e alla saggezza. Colui che pratica tutte le virtù, che conserva la sua vita interamente pura, e sa adorare Dio con adorazione vera, s’avvicina sempre più a Dio, diventa partecipe del divino. Ora è qui che comincia a lavorare la leggenda: questa dottrina non è solamente insegnata, ma è vissuta da Apol¬ lonio, nella biografia che ne scrive Filostrato: egli stesso è l’uomo divino, la personificazione vivente della perfe¬ zione spirituale e della potenza a cui può giungere l’uomo. Gli abitanti del paese di Tiana, dov’egli è nato, pre¬ tendono ch’egli è figlio di Giove; Filostrato non lo crede, ma afferma che venne al mondo in condizioni straordi¬ narie, dopo che sua madre ebbe appreso in sogno che portava il dio Proteo, il dio dellà divinazione, in persona. Dopo avere abbracciata la vita pitagorica ed essersi for- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) 276 NEOPITAGORICI E PLATONICI ECLETTICI mato nel silenzio per cinque anni, viaggia per il mondo, in Oriente, in Grecia, a Roma, in Egitto, in tutti i paesi allora conosciuti, conversa coi sapienti di tutti i paesi, istruendosi e ammaestrando gli altri, preceduto da una gran fama e facendo delle cose maravigliose. A Efeso ferma la peste facendo lapidare un vecchio mendicante, il quale difatti non è altro che un demone camuffato, nel quale s’era incarnato il flagello. Ad Ales¬ sandria riconosce istantaneamente in un corteo di con¬ dannati a morte un innocente. A Efeso pure egli sa e annunzia la morte di Domiziano nel momento in cui que¬ sto è colpito a Roma: un bel caso di telepatia. Non solo sa delle cose sconosciute a tutti gii altri uo¬ mini, ma dispone di un vero potere sugli elementi della natura: sulle rive dell’Ellesponto ferma i terremoti. Parla tutte le lingue senza averle imparate, scaccia i demoni, si trasporta istantaneamente a grandi distanze, s’intrat¬ tiene con le ombre degli eroi, fa cadere i suoi ferri in prigione col solo prestigio della sua volontà, richiama in vita una ragazza che passava per morta. A Corinto, apre gli occhi di uno dei suoi discepoli perdutamente innamo¬ rato di una donna molto bella e ricca in apparenza, ma ch’era in realtà una lamia, uno di quei cattivi demoni femminili che si fanno amare dai giovani per poterli di¬ vorare a loro piacere. E non già ch’egli sia un mago, uno stregone, che operi prodigi grazie all’intervento di spiriti maligni; no, Filo¬ strato si dà una gran pena per escludere questa interpre¬ tazione. Apollonio fa dei miracoli in virtù della sua scienza superiore e della sua cola unione con gli Dei; e per ar¬ rivare fino a questo punto quello che occorre è una virtù Biblioteca Comunale “Giuseppe Mei li” - San Pietro Vernotico (Br) APOLLONIO DI TIANA 277 austera, un’estrema purezza di costumi e l’osservazione di una disciplina rigorosa. Così egli ha la conoscenza delle cose più nascoste all’uomo, predice l’avvenire, e opera dei miracoli. La sua carriera si termina aneli’essa in modo meravi¬ glioso. La leggenda più diffusa intorno alla sua morte racconta che, essendo andato a Creta vecchissimo, entrò nel tempio di Diana e non ne uscì più. Si sentirono come delle voci di fanciulle che cantavano nell’aria: lasciò la terra, salì al cielo. Dopo la sua morte, la città di Tiana gli rese onori divini, e la venerazione di tutto il mondo pagano attestò l’impressione lasciata negli spiriti dal pas¬ saggio di quest’essere soprannaturale, che faceva dire ai suoi contemporanei: Un Dio abita fra noi J ). Questo carattere meraviglioso della vita di Apollonio ha fatto credere che fosse intenzione di Filostrato e della sua ispiratrice di opporre una specie di Cristo pagano a quello della Chiesa nascente, che guadagnava sempre più adoratori. Per combattere il prestigio che la storia e l’in¬ segnamento di Gesù esercitavano di giorno in giorno non solo sulla folla, ma in tutte le classi della società, avreb¬ bero pensato di suscitargli contro un rivale in un saggiopagano, che non solo operava miracoli come l’altro, ma che professava una dottrina attinta alle più pure fonti della scienza ellenica. Ora la più parte dei critici non credono a questa in¬ tenzione o tendenza del romanzo, nel quale non si allude affatto e non si può dire che ci sia uno spirito ostile al Cristianesimo. Il romanzo è piuttosto interessante innanzi q Cfr. .1. Réville, La veli gioii (ì Home som ìes Sé vèr eh (Paris, Levous, 1886). Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) ttw>- T y -, ^st'^- =^ 1 ^ l ",« ■ v ^ ^ ^ ^ ■■-■" 1 ‘ ; ,ì : 'ri'. -■■■'*■';? '/ '' '/.^ ■'- "■ 7' ■ " .'. V t ■ 278 NEOPIT AG ORICI E PLATONICI ECLETTICI tatto per il fatto stésso che, alla distanza di poco più di un secolo, la vita di un filosofo neopitagorico come Apol¬ lonio sia potuta diventare materia di una leggenda co¬ siffatta: è un documento interessante non solo di quel- V atmosfera meravigliosa e della credulità in cui si svolgeva la lotta delle religioni; ma soprattutto di quella religiosità spirituale che tendeva a purificare e moralizzare il pa¬ ganesimo, e del bisogno che si sente di presentare l’ideale \ religioso come incarnato in una figura concreta, santa e beila di quell’ideale stesso, e operatrice di miracoli, per¬ chè avesse più presa sulle coscienze e la forza di comu¬ nicarsi. Il saggio stoico o quello di Epicuro sono costru¬ zioni razionali che non bastano più: occorre la figura vivente e reale dell’ uomo che s’india, che rappresenta la natura umana divinizzata. A questo bisogno, a quest’aspirazione religiosa delle anime, rispondono ora le figure di Pitagora e di Apol¬ lonio. Del quale sappiamo anche che scrisse una Vita di Pitagora. L’uno e l’altro sono uomini divini, modelli di vita pura e santa, nei quali la verità si è rivelata, i Quando poi questi Neopitagorici cercano di formulare filosoficamente le loro credenze e le loro massime etico religiose, essi mescolano alle idee pitagoriche concetti ela¬ borati dalla filosofia posteriore, platonici, aristotelici, stoici : di qui il carattere eclettico e recente della loro specula¬ zione, e per cui è facile riconoscere quelle falsificazioni della letteratura apocrifa che abbiamo detto. L’idea fondamentale è l’opposizione tra Dio e il mondo: Dio è l’uno, la monade primitiva: il mondo è rappresen¬ tato dal due, dalla dualità indeterminata, è il molteplice. Ma siccome nel mondo tutto è ordinato con numero e Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) PLUTARCO 279 mitilira, esso si può dire l’attuazione d’idee, che sono pen¬ sieri della mente divina, che s’identificano aneli’esse coi numeri; e poiché Dio non può venire in contatto diretto col mondo, sorto realizzate da un essere intermedio, dal- l’anima del mondo in una materia preesistente, la quale pure talvolta resiste a questa penetrazione delle forme divine; ed è nella materia che bisogna cercare la causa delle imperfezioni e del male nel mondo. Questo dualismo si ripete, si ripercuote nell’uomo: l’anima ha bisogno di purificarsi con la vita santa, con le espiazioni, per ridiventare divina. È stato osservato che in/queste speculazioni ora è ac¬ centuato il concetto monistico del principio unico da cui tutto il resto sarebbe derivato; ora invece, e più spesso, prevale la concezione dualistica del principio divino e di una materia originaria. Il problema del male s’.è posto davanti alla coscienza religiosa e alla riflessione filosofica, e l’una e l’altra s’affaticano a risolverlo cercando di su¬ perare l’antitesi tra il divino e il suo contrario, tra il corpo o la materia e le aspirazioni superiori dell’anima. 2. - Il problema in fondo era nato con la distinzione pla¬ tonica tra il mondo sensibile e il mondo intelligibile. E di tutte le autiche scuole nessuna doveva sentirsi più vicina all’ indirizzo neopitagorico della scuola platonica, per la ragione eccellente che Platone stesso aveva accolto nella sua dottrina elementi pitagorici, aveva finito col pitago- reggiare identificando le sue idee coi* numeri, e speculando su Dio e l’anima e la formazione del mondo materiale alla maniera dei pitagorici nel Timeo, il quale Timeo era quel Timeo di Locri pitagorico, da cui Platone fa esporre' v* ■i' r280 NEORITAG ORICI E PLATONICI ECLETTICI appunto la sua filosofia della natura nel dialogo che porta quel nome. Così è che V indirizzo dei Neopitagorici si può dire con¬ tinuato nel secondo secolo d. 0. da un gruppo di Platonici eclettici, tra i quali, senza citare altri nomi, possiamo ri¬ cordare due scrittori notissimi, Plutarco e Apuleio; e poi, per la sua importanza caratteristica, Numenio di Apamea, che ora è detto pitagorico ed ora platonico. Plutarco di Cheronea, che visse tra il 48 o 50 e il 120 o 24 dell’e. v., è Fautore celebre delle Vite parallele, che hanno educato tanta gente all* amore della virtù e del- l l eroismo, e poi di una quantità di opuscoli che si so¬ gliono designare col titolo complessivo di Opere morali. Egli è un poligrafo, moralista principalmente, anche nelle Vite, ma è curioso di tutto, erudito, istruttivo e piacevole: le sue opere sono una specie di enciclopedia, un reper¬ torio di notizie e d’idee su tutta l’antichità classica, che egli, venuto tardi, ammira in tutte le sue forme; e come ha celebrato nelle sue Vite la storia dei suo popolo e degli eroi antichi, così si assimila la scienza, la religione, la mo¬ rale dei padri, e se ne fa l’interprete ai contemporanei e ai secoli futuri. Uomo religiosissimo, ha nella sua patria e a Delfo fun¬ zioni sacerdotali. Ama la filosofia, e l’ha anche insegnata. Si dice platonico, e ammira Platone come il più grande dei filosofi, ma ha imparato anche da tutti gli altri; e da quel¬ l’uomo istruito che è, e non nella filosofia solamente, ha qualche volta la riserva prudente dei nuovi Accademici. Il che non gl’impedisce di avere non precisamente un sistema, ma una dottrina eh’è come il risultato di tutte le dottrine anteriori. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) PLUTARCO 281C 1 ? ' -La sua filosofia ha un intento essenzialmente morale e religioso: egli vuole mantenere e difendere la tradizione religiosa anche nei suoi miti e nelle sue pratiche, inter¬ pretandola secondo principi filosofici, in modo cioè che non faccia ostacolo a una concezione pura e degna della di¬ vinità. La filosofia è la rivelatrice e l’interprete del segreto sacro e divino che i miti contengono, togliendo le conce¬ zioni false e le menzogne che talvolta i poeti raccontano. Plutarco combatte l’ateismo, ma combatte pure la su¬ perstizione, quella ch’egli chiama 5esoi8ac|xovfa, la paura ser¬ vile degli Dei: invece la fiducia e la gioia accompagnano il vero culto eh’ è loro dovuto. Combatte gli Epicurei per il loro materialismo, ma com¬ batte anche gli Stoici, che col loro principio unico non possono rendere ragione del male nel mondo. E qui apparisce il platonico. Non è possibile, egli dice, porre il principio delle cose nè nei corpi senz’anima (ne¬ gli atomi) come fanno Democrito ed Epicuro, nè nella ragione formatrice di una materia senza qualità. Nel pri¬ mo caso non si capisce come vi possa essere bene, ordine, ragione nel mondo; nel secondo caso non si capisce come ci possa essere il male, il disordine. D’onde viene il male? Non dal bene, non da Dio cer¬ tamente. E nemmeno dalla materia, come molti pensano, perchè la materia per se stessa è assolutamente passiva, il sostrato indifferente di tutte le forme, non è nè buona nè cattiva. Per spiegare dunque la cosa, bisogna ammet¬ tere che come c’ è un’ anima del mondo che realizza le idee divine, ci sia anche una cattiva anima del mondo, un principio o potenza del male che esiste da tutta eter¬ nità col bene, il quale, benché superiore, non può mai an- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 282 NEOFITAGORICI E PLATONICI ECLETTICI nientare quella potenza eh’ è Y origine e la causa di tutto ciò clie v’ lia di disordine nel mondo, e rende conto della generazione del male. Il motivo di questa speculazione è eliminare, di fronte alla realtà del male, tutto ciò che può compromettere la purezza e la bontà di Dio, a costo di compromettere la sua onnipotenza. Di qui im J altra idea affine e connessa con questa. Dio è il principio del bene e governa il mondo con la sua provvidenza; ma questa provvidenza non si esercita di¬ lettamente da lui, ma per mezzo di esseri intermediari che sono tra Dio e il mondo. Al di sotto del Dio primo e supremo, realtà trascendente e inaccessibile, ci sono gli Dei celesti o visibili, e al di sotto di questi i demoni o genii o spiriti che vigilano e governano direttamente le azioni e le sorti degli uomini; e come ce ne sono dei buoni, ce ne sono anche dei cattivi, nei quali la natura divina apparisce inquinata e commista al male. Questa demonologia, clPè insegnata anche da Apuleio, ed è una delle credenze più diffuse in quest’età, serviva non solo a mantenere puro nella sua sublimità trascen¬ dente il concetto di Dio, ma anche a giustificare in qualche modo tutte le divinità pagane, e le funzioni loro attri¬ buite, e i riti e gli oracoli e tutte le altre parti del culto che vi erano connesse. E infine un’altra idea domina la speculazione religiosa di Plutarco, quella di trovare a traverso la diversità dei miti e delle credenze dei diversi popoli una verità fon¬ damentale. A quello eh’ è stato detto il sincretismo reli¬ gioso, il mescolarsi di tutte le religioni, ch’è caratteri¬ stico di questi secoli, corrisponde il sincretismo eclettico Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NUMENIO 283 dei filosofi, i quali aspirano a formulare la verità religiosa comune ai diversi .sistemi e alle diverse civiltà. Non ci sono, dice Plutarco, diversi Dei per diversi po¬ poli, non ci sono Dei barbari e Dei greci, Dei del nord e Dei del sud. Ma come il sole e la luna illuminano tutti gli uomini, come il cielo, la terra e il mare esistono per tutti, nonostante la diversità dei nomi con cui si desi¬ gnano, così vi ha una sola Intelligenza che regna nel mondo, una sola Provvidenza che lo governa, e sono le stesse potenze che agiscono dapertuttó; solo i nomi can¬ giano come le forme del culto; e i simboli che elevano lo spirito verso ciò eh’ è divino sono ora chiari ora oscuri. Idee affini e tendenze mistiche anche più pronunziate si ritrovano in Apuleio di Madaura, che anch’egli pro¬ fessa ed espone il platonismo, adattandolo ai bisogni teo¬ sofici del tempo. 3. - Ma di tutti questi filosofi eclettici del secondo se¬ colo quello che segna più nettamente il passaggio al Neo- platonismo è Numenio di Apamea: gli stessi Neoplato¬ nici lo considerano come il loro precursore immediato: lo leggono e lo commentano nella loro scuola. Secondo Numenio, che visse verso il IfiO, la vera dot¬ trina di Platone era identica a quella di Pitagora; e questa filosofia egli la trova d’accordo con quella dei saggi dei- fi Oriente, Bramani, Magi, Egiziani, Ebrei. Egli aveva in particolare la più viva ammirazione per Mose, nel quale trovava tutte le idee di Platone; di qui quel motto che ci è riferito di lui : Che cosa è altro Platone se non un Mosè che parla attico (atticizzante) ?, a quel modo come di Filone ebreo si diceva: o Filone platonizza o Platone fìlonizza. 284 NEOPITAGORICI E PLATONICI ECLETTICI Numenio conosce certamente Filone e adopera lo stesso metodo d’interpretazione allegorica, e ha tendenze affini nella sua speculazione : cosicché qui il sincretismo è com¬ pleto: la tradizione orientale e occidentale si congiungono a produrre la nuova filosofìa. Dei libri di Numenio, uno dei quali s’intitolava intorno al Bene, ci rimangono dei frammenti interessanti conser¬ vatici da Eusebio, e che si possono vedere nel 3° volume del Mullach, Frammenta pliilosopliorum graecorum. Numenio si domanda: che cosa è l’essere, la vera realtà? Non i quattro elementi, nè i corpi composti da essi, che sono realtà mutevoli, cangianti, si trasformano, divengono sempre e non sono mai, come diceva Platone; e nemmeno la vera realtà si può cercarla nel sustrato materiale di tutti questi fenomeni sensibili, nella materia, la quale è qualche cosa d’indefinibile e d’irragionevole (àXoyo?). Per conoscere la vera realtà bisogna rivolgersi non al- 1’ esperienza sensibile, ma alla ragione. Per Numenio la realtà è ciò che è assolutamente, l’ Essere increato e che non sarà distrutto, l’Essere semplice e invariabile. Que¬ st’essere è incorporeo (cèawpaiov), ed è intelligibile (voyj-cóv), si può cogliere con la ragione solamente, non con la sen¬ sazione o con l’opinione, come le cose periture e finite. Con questo Numenio esprime la tendenza di tutto questo movimento d’idee: l’opposizione a ogni materialismo, non solo a quello degli Epicurei, ma anche a quello degli Stoici: il bisogno di concepire la realtà ultima come una realtà spirituale diversa e opposta a tutto ciò eh’ è cor¬ poreo. Da queste considerazioni metafisiche Numenio ricava la sua dottrina teologica. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) NUMENIOLa quale, per dire la cosa con tutta brevità, consiste in questo: nell’ammettere un Dio supremo inaccessibile, puro essere spirituale, senza connessione col mondo, eh’è pura agione ed è il Bene in se stesso; poi un Dio se¬ condo, il Demiurgo, eh’è l’ordinatore o l’architetto del mondo; e per ultimo un terzo Dio, eh’è il mondo stesso. Dato il concetto trascendente del puro Essere come 10 abbiamo definito, e eh’è il primo Dio, nasce la solita difficoltà: com’è possibile l’azione di Dio sul mondo. Come Filone unificava le idee e le potenze divine nel concetto del Logos, come gli altri platonici ponevano degli Dei o demoni intermediari tra Dio e il mondo, così Nn- menio statuisce al disotto del primo Dio un secondo eh’è 11 Demiurgo, distinguendo in certo modo quello che Pla¬ tone identificava: il Demiurgo era per Platone, a dir così, la funzione divina per rispetto al mondo. hTumenio ne fa un secondo essere divino, il quale partecipa della bontà del primo, e ne riceve i semi di tutte le cose che sono le Idee, ma trapianta questi semi nel mondo sensibile formando e ordinando il mondo. Sicché il Demiurgo ha una posizione intermedia : è come un pilota che, assiso al governo del mondo, ha sempre gli occhi fissi sul cielo e 1 gli astri, per assicurare l’armonia dell’ordine del mondo, che dirige mediante le Idee, ossia dunque ha sempre gli occhi fissi al primo Dio; ma d’altra parte, e appunto per la sua fuuzione causale e formatrice sul mondo, il suo sguardo e la sua azione è rivolta verso le cose sensibili, che ricevono da lui la loro persistenza, la loro vita, il loro ordine, le leggi dell’essere loro. E in quanto il mondo è fattura del Demiurgo, si può dire esso stesso un Dio. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br .TTJfcV^VF.286 NE OPITAG ORICI E PLATONICI ECLETTICI Cosicché avremmo: il primo Dio eh’è il padre (icaxrjp), il secondo Dio eli’è il Demiurgo, l’artefice (mr]T%), e il terzo clP è il 7ioùj|i«, la fattura di Dio, il mondo in quanto formato da Dio. Questo è il cosiddetto triteismo che in¬ segna Numenio. ' Del quale un’altra dottrina caratteristica è che l’anima umana è duplice: un’anima razionale e un’anima non ra¬ zionale: queste due nature sono in lotta fra loro, come il bene e il male, e il male viene all’anima dalla materia,o dal suo contatto con la materia, e tutte le incorpora¬ zioni dell’anima sono considerate come un male. Si suppone la preesistenza e la trasmigrazione delle anime; 1’ unione dell’anima con un corpo terrestre è come la punizione di una colpa commessa in una vita ante¬ riore, prima della nascita in quel dato corpo. E l’aspira¬ zione suprema dell’anima razionale è la sua unione con Dio, la contemplazione o l’intuizione del vero Bene, Uno stato di beatitudine di cui possono godere solo quelli che allontanano la loro anima da ogni comunicazione col corpo e coi sensi. Cosicché avremmo qui, e con maggiore nettezza, for¬ mulate le idee e le esigenze di tutta questa speculazione da Filone in poi: la trascendenza del divino, un termino o più termini intermediari tra Dio e il mondo, la doppia natura dell’uomo o dell’anima, che da una parte è di Ori¬ gine divina, e dall’altra è rivolta verso la materia e le cose terrene; quindi il bisogno della purificazione e della liberazione per avvicinarsi a Dio e unirsi con Dio: idee e esigenze che troveranno la loro espressione più com¬ piuta nella filosofia dei Neoplatonici. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)IL NEOPLATONISMO. PLOTIN1. Ammonio Sacca - 2. Vita e scritti di Plotino - 3. Le tre ipostasi - 4. L’Anima; il mondo sensibile - 5. L’uomo, la

purificazione, l’estasi. 1. - La Filosofia greca finisce col sistema e la scuola (lei Neoplatonici. Fondatore del Neopfatonismo è ritenuto dagli antichi e dagli stessi Neo pi atonici Ammonio Sacca > alessandrino, che visse tra il 175 e il 240 d. C.; nato ed educato da genitori cristiani, sarebbe passato alla religione antica; e insegnò filosofìa in Alessandria. Non scrisse nulla, e non sappiamo niente di preciso sulle dottrine che pro¬ fessava: ci è riferito che secondo lui le dottrine di Platone e di Aristotile, nelle cose essenziali, concordavano, si po¬ tevano ridurre o fondere in una sola dottrina. La tendenza religiosa dell 7 uomo, oltre che l’ammirazione che ispirava, si può concludere dall’epiteto di 0£o5iBaxToc, a Deo doctus, che scrittori posteriori gli danno. Ebbe, molti scolari: si citano tra gli altri un Erennio, un Origene pagano che non è da confondere col teologo cristiano dello stesso nome, quantunque anche di questo è detto che passò per la scuola di Ammonio; poi il critico Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMO e retore Longino a cui è stato attribuito (falsamente) il trattato Del sublime; ma sopraffatti importante fra gli scolari di Ammonio Sacca è Plotino. Questi tre scolari principali, Erennio, Origene e Plotino s’erano messi d’accordo di non pubblicare nulla degl’ in¬ segnamenti di Ammonio, probabilmente per non profa¬ narli divulgandoli; ma non essendo stati ai patti prima Erennio e poi Origene, anche Plotino si ritenne sciolto dalla sua parola, e così insomma egli è diventato per noi il rappresentante letterario, il vero organizzatore ed espo¬ sitore di quel sistema d’idee eh’è il Neoplatonismo. Quali che siano stati gl’insegnamenti di Ammonio, la filosofia neoplatonica è la filosofia di Plotino e poi dei suoi suc¬ cessori. 2. - Plotino era di Licopoli, nell’Egitto, e visse dal 204 (o 205) al 270. A 28 anni si diede alla filosofìa e udì più d’uno dei maestri eh’erano allora in Alessandria, senza rimanerne contento; ma quando un amico, al quale s’era confidato, lo condusse a sentire Ammonio, disse : è quello che cercavo; e rimase suo scolaro per 11 anni. Nel 243, desiderando conoscere nelle sue fonti la sag¬ gezza orientale dei Persiani e degl’indiani, accompagnò l’imperatore Gordiano nella sua spedizione contro la Persia; ma questa spedizione riuscì male; lo stesso impe¬ ratore vi fu ucciso ; Plotino potè appena salvarsi in An¬ tiochia, poi venne a stabilirsi a Poma nel 244 e vi rimase quasi fino all’ultimo della sua vita. Aperse una' scuola ' che Ìventò sempre più numerosa. Non tanto il talento della parola, quanto la profondità dei pensieri, la bontà del carattere, la purezza e semplicità della vita gli atti- oteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico ( B r ) ravano la simpatia e la venerazione. Era una natura mite e gentile, meditativo, tutto dedito all’insegnamento e allo studio. Diventava bello quando parlava, e specialmente quando disputava, con grande dolcezza: la sua intelli¬ genza sembrava brillare sul suo viso e illuminarlo. Do¬ vette esercitare una potente efficacia. Tra i sxioi ascolta¬ tori furono persone di riguardo, dei senatori e alcune donne distinte. Ci furono uomini e donne, che, vicino a morire, gli affidarono i loro figli d’ambo i sessi, con tutti i loro beni, come a un depositario o un tutore di cui si poteva avere fiducia: onde la sua casa era piena di gio¬ vanetti e di giovanotte. Egli guardava a tutto, adempiva a tutti i suoi obblighi, il che non lo distraeva punto dalle cose intellettuali, ch’erano la passione della sua vita. L’im¬ peratore Gallieno e sua moglie, l’imperatrice Saloniua, lo ebbero in grande favore, 27egli ultimi anni del filosofo fu ventilata pef un momento tra lui e l’imperatore l’idea di fondare nella Campania una città filosofica sul modello di quella di Platone, e che si sarebbe chiamata Platono- poli ; ma non se ne fece nulla. Le condizioni della sua salute peggiorata (soffriva di un’affezione cronica dello stomaco) lo decisero ad abbandonare Roma e a ritirarsi in una villa della Campania che fu messa a sua disposi¬ zione. Morì nel 270, a 66 anni, presso Minturno. Al me¬ dico, suo amico e discepolo, che venne a vederlo, Plotino morente avrebbe detto : Ti aspettavo, prima di riunire quello che v’ha di divino in noi al divino che è nell' uni¬ verso. Tutte queste cose si leggono nella Vita che ne scrisse il suo scolaro Porfirio, il quale comincia la sua biografia con queste parole: Il filosofo Plotino, vissuto ai nostriBiblioteca Comunale “Giuseppe Me Ili” - San Pietro Vernotico {B r ) NEOPLATONISMO giorni, pareva si vergognasse di avere un corpo. Così pure egli non parlava mai della sua famiglia e della sua patria; e gli ripugnava di farsi fare un ritratto o un busto. Un giorno che Amelio (un altro degli scolari) lo pregava di lasciarsi ritrarre, Plotino gli disse: Non basta di portare quest’immagine nella quale la natura ci ba chiusi? Bi¬ sogna proprio trasmettere alla posterità l’immagine di questa immagine come un oggetto che valga la pena di essere guardato? Dobbiamo soprattutto a Porfirio se possiamo leggere Plotino. Il quale s’era contentato per molti anni dell’inse¬ gnamento orale, e solo a cinquantanni aveva cominciato a mettere, in iscritto le sue idee. Scriveva rapidamente, tutto assorbito dal suo pensiero, lungamente e intensa¬ mente meditato, senza curarsi molto dello stile e nemmeno dell’ortografia: non si rileggeva, anche per la vista debole che aveva. Verso la fine della sua vita affidò a Porfirio i suoi manoscritti con l’incarico di rivederli e ordinarli. Porfirio trovò eh’essi contenevano o se ne potevano rica¬ vare 54 trattati o capitoli, li distribuì in sei gruppi ciascuno di nove libri, e chiamò questa raccolta Enneadi, come chi dicesse Novene, sei Enneadi di nove libri ciascuna. Questa è l’origine dell 1 Enneadi di Plotino, il libro fon¬ damentale della speculazione neoplatonica, e uno dei te¬ sori della letteratura mistica di tutti i tempi. Fu tradotto in latino da Marsilio Ficino nel 1492. 3.-11 Neoplatonismo è una filosofia essenzialmente reli¬ giosa; il motivo da cui è nata si può dire anzi mistico: l’aspirazione verso il divino, il bisogno dell’ anima di sol¬ levarsi dai limiti dell’esistenza finita, e di sentirsi una Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) PLOTINO : IL MONDO INTELLIGIBILE 291 VP* con l’essenza universale di tutte le cose. L’idea fonda- mentale e dominante della filosofia di Plotino è che tutte le cose esistono in Dio, emanano da lui e ritornano a lui; e questo non come una cosa solamente pensata, ma sen¬ tita e vissuta in tutte le fibre dell’anima, con uno sforzo persistente del pensiero di penetrare nei misteri di questa vita divina di se stessi e del mondo. Il punto di partenza e il presupposto di questa specu¬ lazione è la distinzione platonica tra le cose sensibili e la realtà intelligibile, la realtà delle idee. È una distinzione che può essere pensata in una ma¬ niera sobria, senza nulla di mistico. Tutti in fondo vi¬ viamo in un mondo ideale, nel mondo delle idee, quando parliamo di verità, di giustizia, di virtù, di bellezza; e il mondo tutto quanto, anche il mondo naturale, si può con¬ siderare come una realizzazione d’idee. Questo insegnava Platone e questo insegnava Aristotile. Ebbene, secondo Plotino, bisogna elevarsi ancora più in su. Le Idee sono una realtà derivata, non sono la prima realtà. Il principio di tutto ciò ch’esiste è l’Unità assoluta, ch’è al di là di ogni molteplicità e di ogni determinazione. Le cose che noi vediamo e che possiamo pensare sono molte, ma tutte queste cose non potrebbero esistere se non avessero la loro radice prima nell’Uno da cui pro¬ cedono e che le tiene insieme. L’unità è la condizione di ogni molteplicità non solo nei numeri, ma anche nel mondo dell’essere; senza un’unità suprema incondizio¬ nata nessuna cosa esisterebbe, e il mondo si risolverebbe in un caos senza consistenza e senz’ordine. Plotino chiama questo primo principio l’Uno, zb gv, nel senso che esclude ogni molteplicità, e gli nega pure ogni Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMO V ' v J r" . - 292 NEOPLATONISMO determinazione o attributo, perchè* definirlo in qualche modo sarebbe un limitarlo, farne una cosa piuttosto che un’ altra. Si può dire quello che non è, non quello che è: senza limiti, infinito, senza forma nè qualità. È una realtà asso¬ lutamente trascendente, rcàvawv, al di là di tutte le cose : una realtà a cui nessun concetto e nessuna pa¬ rola è adeguata. Questo lo diceva anche Filone ebreo, il quale però, edu¬ cato sulla Bibbia, non poteva a meno di concepire Dio come persona. Secondo Plotino, non si può attribuire a Dio, alla realtà prima e assoluta, nessuna delle proprietà della persona: nè il pensiero nè la volontà: il pensiero suppone la dua¬ lità di soggetto e oggetto e la molteplicità delle idee pen¬ sate; la volontà suppone un’attività rivolta a un fine: saremmo sempre nel campo delle realtà derivate, della molteplicità, della differenziazione. Ogni attributo dunque,) personale o non personale che sia, bisogna negarlo di lui.^ Ma insieme con questo esso è ciò che v’ha di supre¬ mamente reale e di supremamente positivo, giacche se noi affermiamo la sua trascendenza assoluta al di là di tutte le cose finite e di tutte le cose pensabili, non è per di¬ minuirne la realtà, ma unicamente perchè la pienezza del¬ l’essere non sarebbe compatibile con una limitazione o de¬ terminazione qualsiasi. / Si può dire solo di lui eh’è l’Uno, il Primo, potenza c (prima e causalità assoluta di tutte le cose; e anche si può ì \ dire eh’è il Bene, non come un attributo intrinseco a lui ' (come se fosse un essere buono), ma come il fine ultimo a cui tutte le cose tendono. f ) \ Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) PLOTINO: IL MONDO INTELLIGIBILE, L’UNO 293 È insomma l’Ineffabile. Un filosofo italiano *) (liceva: * : l’Innominabile Reale. E voleva dire: la vita, il mondo è j un grande mistero: tutte le cose elle noi vediamo e che I pensiamo accennano, sono l’indizio di una realtà suprema che ci supera, ci trascende : possiamo affermarla, non no¬ minarla. Questo è l’Uno di Plotino. Rimane a sapere come procedono gli effetti di questa causalità originaria. Bisogna escludere innanzi tutto ogni idea di divenire nel tempo, come se prima esistesse l’Uno e poi le altre cose ; no, non si tratta di raccontare una storia di eventi che si succedono ; e più specialmente non si può ammet¬ tere che le cose procedano dall’ Uno in seguito a un atto di volontà, a una decisione intenzionale, come se l’Uno fosse una persona che pensa e delibera : dunque niente creazione, nel senso ebraico e cristiano. E Plotino non ammette nemmeno con gli Stoici che la sostanza divina, come un fuoco sottilissimo, si comu¬ nichi alle cose derivate, permeandole come il miele che riempie di sò le celle dell’alveare : Dio non è una sostanza che si possa disperdere e spartire. Per esprimere la sua idea Plotino è obbligato a servirsi d’immagini.^ È per la sola necessità della sua natura che il primo juincipio dà origine alle cose derivate, si comunica ad esse. Come ogni essere vivente, giunto al suo punto di perfezione, ne genera un altro simile a sè, così la realtà suprema ne fa nascere delle altre simili benché inferiori. Dalla pienezza dell’ Uno si diffonde, straripa il flusso delle q Antonio Tari, professore di Estetica nell’ Università di Napoli. 294 NEOPLATONISMO esistenze derivate. Esse procedono da lui, come la pianta germina dalla radice, come dal sole la sua luce. Questa è l’immagine più frequente e in un certo senso la più chiara. L’universo è la fulgurazione (TcepiXajjL^) dell’Uuo, della luce divina. Non è dunque nè creazione nè spartizione della so¬ stanza divina, ma emanazione, intendendo per emana¬ zione non una diffusione che diminuisca la sorgente da cui essa deriva, ma un comunicarsi di forza che pure ri¬ manendo integra in se stessa si comunica alle esistenze derivate. Le quali perciò sono pure manifestazioni dell’Infinito, emanazioni di lui, sono immanenti in lui, mai separate da esso, il quale ciò nonostante non si confonde con le cose, ma le trascende, è al di là di tutte le cose. Dio è dapertutto ed è l’attualità di tutto, senza essere in nessun posto e senza confondersi nè con ciascuna cosa finita nè con la loro totalità. Quando si parla di Panteismo, ordinariamente s’intende quella concezione che confonde o identifica Dio col mondo. Per Plotino Dio, l’Uno, rimane eternamente distinto dal mondo, e ciò nonostante il mondo è tutto pieno di Dio, è un’emanazione della sua luce, della forza divina da cui deriva: si potrebbe chiamare questo un Panteismo dina¬ mico o emanatistico. Prodotto dall’efficacia dell’Uno, il derivato ne è come la riproduzione indebolita, a dir così un’immagine o una copia, una luce più debole, un’ombra. E come l’immagine che riflette uno specchio sparisce quando s’allontana l’oggetto che la produce, così, senza l’efficacia persistente e continuata dell’Uno, le esistenze , Biblioteca Comunale “Giuseppe Mellì” - San Pietro Vernotico (BPLOTINO : I GRADI DELL’ EMANAZIONE 295 derivate si dileguerebbero. Esse hanno in lui la loro con¬ sistenza, ma ogni nuova emanazione, pur partecipando del- l’Uno, è meno perfetta di lui ; le cose diventano via via meno perfette a misura che s’allontanano dalla causa prima e aumentano i termini intermediari: la luce proiet¬ tata dall’ Uno impallidisce via via fino a sembrare come dileguarsi nelle tenebre del non essere, della materia bruta. Si direbbe un’evoluzione a rovescio, non dalle forme meno perfette alle più perfette, ma al contrario, una de¬ gradazione progressiva del divino, un allontanarsi sempre più della luce dalla sua sorgente. E quali sono i gradi di questa emanazione 1 ? Prima e immediata emanazione dell’Uno è l’intelli¬ genza o il vou?, s’intende l’Intelligenza universale,, la Mente divina con le sue idee (il Logos che diceva Filone, e che anche per lui era il primogenito di Dio) : il mondo delle Idee dunque, le quali contengono le ragioni semi¬ nali di tutte le cose, terre, mari, fiumi, animali, piante, individui, cosi come possono esistere nella loro essenza, ab eterno: l’Uno, senza cessare di essere l’Uno, si è come enucleato in questa molteplicità delle Idee, che costitui¬ scono il mondo intelligibile insieme con la Mente che le pensa. E come dall’Uno emana l’Intelligenza o il voOg, così da questo emana il principio della Aita cosmica, l’Anima universale, l’Anima del mondo, che da una parte guarda alle Idee, e dall’altra come Natura le attua nello spazio e nel tempo generati da essa, le attua nel mondo sensi¬ bile; sicché l’Anima, come il secondo Dio di Numenio, è, si può dire, al confine dei due mondi, del mondo intelli¬ gibile di cni essa è l’ultima emanazione, e del mondo dei Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMO corpi che emana e eh’è formato da essa; e l’ultimo ter¬ mine di questa processione è la materia o il sustrato ma¬ teriale dei corpi, la materia senza forma, in cui la luce divina si estingue in qualche cosa di opaco e di oscuro. Cosicché avremmo come una gerarchia di esistenze che, in ordine inverso a quello che abbiamo detto, andrebbe dalla materia ai corpi che costituiscono la fantasmagoria del mondo sensibile, dai corpi all’Anima, dall’Anima al- l’Intelligenza o Ragione universale, dall’Intelligenza a Dio. Il mondo corporeo riceve la luce dall’Anima, l’Anima dall’Intelligenza o Ragione, questa dall’Uno: così tre sfere concentriche illuminate da un punto al centro, esso stesso invisibile agli occhi mortali, ma eh’è la sorgente prima e il focolare perenne della luce che illumina il mondo. 4. - L’Uno, l’Intelligenza e l’Anima costituiscono in¬ sieme il mondo intelligibile, da cui dipende il mondo sen¬ sibile; e sono dette con parola tecnica le tre ipostasi, le tre sostanze che nominate a una a una sembrano tre personificazioni: una trinità di principi che sono stati paragonati alle tre persone del dogma cristiano. C’è la differenza essenziale che nel mistero cristiano le tre per¬ sone sono uguali in perfezione e costituiscono tutte in¬ sieme l’unità di Dio: e in questa triplicità di un solo Essere sta appunto il mistero. In Plotino, i tre principi non sono persone, ma gradi della realtà: il mondo pro¬ cede direttamente dall’Anima e mediatamente dall’Intel¬ ligenza e dall’Uno. Ho già avvertito che bisogna esclu¬ dere da questo processo ogni idea di divenire nel tempo ; e così pure bisogna escludere ogni idea di spazio, come se si trattasse di un edifizio a tre piani, di cui il mondo Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) PLOTINO: l’anima e il mondo sensibile 297 sensibile sarebbe come il pian terreno. No, sono tutte rap¬ presentazioni in adeguate. Si tratta invece di comprendere V universo, nella sua unità, come la manifestazione di un principio divino unico che si manifesta come Intelligenza e come Anima, come Intelligenza in quanto il mondo lia un contenuto razionale che sono le Idee che vi sono rea¬ lizzate, come Anima in quanto il mondo è il risultato di una forza generatrice e formatrice che distribuisce l’essere e la vita a tutte le cose che esistono; e così l’Intelligenza come l’Anima sono da considerare come l’irradiazione o l’efflorescenza di quell’Uno originario nel quale vivono e sussistono esse stesse e tutte le cose; e l’ultimo ter¬ mine di questa produzione, il polo estremo, a dir così, di questa degradazione progressiva dell’Uno è la materia, che non è più luce, ma ombra, oscurità, ma in quanto è materia animata e formata dalle potenze divine, è ombra di luce, ombra dell’Anima e della Mente di cui porta in sè impresse le tracce. Dopo questa veduta sommaria, fissiamo più particolar¬ mente la nostra attenzione su l’Anima, che, come dice¬ vamo, si trova al confine dei due mondi, del mondo in¬ telligibile e del mondo sensibile: li separa e li unisce partecipando di entrambi. In quanto emanazione o espressione dell’Intelligenza, l’Anima contempla in essa le-Idee, e sono queste Idee eh’essa attua, realizza nel mondo dei corpi. Si potrebbedire che ha una doppia funzione, una rispetto all’Intel¬ ligenza da cui riceve o riflette o rispecchia le Idee, l’altra rispetto al mondo dei fenomeni che si genera da essa, e nel quale essa imprime le Idee, che diventano così le forme o ragioni seminali delle cose. Per esprimere questa Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 298 NEOPLATONISMO doppia funzione Plotino ne parla talvolta come fossero due anime, una superiore e l’altra inferiore, 1’Afrodite celeste e PAfrodite terrena, e quest’ultima è insomma la filatura (cpuaic;), eli’è dunque la stessa Anima cosmica come j principio della vita universale, come forza creatrice, la cui \ attività non rimane nella sua semplicità originaria : pur [essendo semplice e indivisibile in se stessa, la sua att¬ ività si moltiplica, si partisce, si unisce al mondo corporeo, allo stesso modo come l’anima umana al corpo umano ]ch’ essa vivifica in tutte le sue parti. Con questo però, ^che il corpo non è qualche cosa di estraneo, di diverso essenzialmente dall’Anima, ma è una sua produzione, si potrebbe dire una sua esteriorizzazione. Già è essa l’Anima (l’anima cosmica) che con la sua espansione genera lo spa¬ zio, e con l’azione successiva delle sue potenze genera il tempo ; e il corpo stesso è una produzione dell’Anima, un’emanazione umbratile di essa, ma è essa che lo illu¬ mina della sua luce. Di qui quell’espressione così carat¬ teristica in Plotino, che non è l’anima ch’è nel corpo, ma il corpo è nell’anima, il corpo è l’organo, lo strumento dell’anima, ed è tenuto insieme, animato, unificato dal¬ l’anima che lo produce e lo avviva tutto. Questo è vero non del corpo singolo solamente, ma di tutto l’universo. Tutto quanto l’Universo è spiritualizzato in questa veduta: il mondo dei corpi è un’ombra o ri¬ flesso dello Spirito, non è fuori dell’Anima, ma un pro¬ dotto dell’Anima e quindi dell’Intelligenza e dell’Uno divino di cui essa è ministra. Per questa, a dir cosi, inci¬ denza del mondo corporeo nelle potenze spirituali da cui si genera, tutto nella natura è animato: tutto è pene¬ trato d’intelligenza e delle idee realizzate dall’Anima. La Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) PLOTINO: l’anima e il mondo sensibile 299 materia pura, senza forma, senza vita e senz’ anima è più un’astrazione del pensiero che una realtà. Già nella pietra c’è una vita latente: negli elementi stessi c’è qualche cosa di vivido, nella fiamma, nell’acqua che scorre, nell’aria. Ed è sempre l’Anima che in virtù della sua fecondità ine¬ sauribile produce l’immensa serie degli esseri, i corpi ce¬ lesti, i corpi degli animali e delle piante, fino alla più gros¬ solana materia delle cose terrestri. È una vita infinita dif¬ fusa per tutto l’universo: lo spirito animatore vi apparisce in gradi diversi : nei suoi generi e nelle sue specie e nelle diverse forme individuali c’è come un passaggio continuo dal più perfetto al meno perfetto; e nelle creature infe¬ riori c’è come la traccia o il ricordo e quindi l’aspira¬ zione e il presentimento delle forme superiori; e tutte queste vite singole, distinte, non confuse tra loro, si unifi¬ cano pnre nel juincipio unico da cui emanano. Come l’In¬ telligenza, pure essendo una, contiene in sè tutte le Idee, cosi l’Anima universale contiene in sè le singole anime, tutte le forme di vita che popolano il mondo, le quali, benché distinte individualmente, si unificano pure nella loro essenza, sono manifestazioni diverse della stessa Anima del mondo, come raggi che partono da un centro comune, o come la scienza è una nelle diverse sue parti, e una stessa luce può illuminare i luoghi più diversi. Nel mondo sensibile l’unità diventa molteplicità e l’armonia può diventare opposizione e lotta; ma ciò nonostante l’unità originaria non è annientata: tutti gli esseri rea¬ lizzano la stessa vita, e sono come le voci diverse che celebrano o riecheggiano la stessa armonia. Dato questo concetto dell’animazione universale e della vita unica che ricircola rimanendo identica a se stessa in Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 300 NEOPLATONISMO tutte le parti e forme del mondo, Plotino si trova in una situazione non dissimile da quella in cui s’ era trovato Platone, di fronte alla realtà della nostra esperienza. Da una parte la tendenza religiosa del suo spirito e i concetti platonici con cui lavora, l’opposizione tra realtà sensibile e realtà intelligibile, lo portano a considerare il mondo sensibile, eh’è nato dalla mescolanza dell’anima con la materia, come un peggioramento, come un’ombra della vera realtà; quindi la realtà empirica e sensibile non è la vera patria dell’anima, la quale anzi aspira a libe¬ rarsi da essa. E questa tendenza troverà la sua espres¬ sione nell’Etica. Ma d’altra parte questa fantasmagoria dei sensi è pure un riflesso del mondo ideale, è una manifestazione del¬ l’Anima, penetrata d’intelligenza e d’idee; deve avere tutta la perfezione e la bellezza di cui è capace. Plotino combatte espressamente quelli che considerano il mondo dei sensi come il regno del male, di un male originario e insanabile, quasi fosse l’opera di un demiurgo cattivo. Egli è ancora troppo greco per accettare questa condanna. Il mondo sensibile è inferiore al mondo ideale perchè se ne distingue ed è fatto di materia; ma rappresenta pure il suo modello, esprime la vita e la saggezza infi¬ nita, è un riflesso del Bene, le cui emanazioni finiscono in lui. Tenendo dall’Anima V essere suo, è un tutto organico in cui l’opposizione e la lotta dei contrari sono subordi¬ nati all’unità del tutto. Non solo c’è ordine e armonia, ma connessione, solidarietà fra le diverse parti, non per azione fìsica o meccanica che vi sia fra loro, ma per l’unità del¬ l’Anima e dell’Intelligenza che lo vivifica, e quindi per la simpatia e affinità di natura di tutti gli esseri fra loro. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) Plotino proclama con gli Stoici l’ordine e l’armonia del mondo, e scrive una Teodicea per difendere il con¬ cetto della Provvidenza. Tutto è bene, anche per lui : la distruzione perpetua degli esseri anche quando si divo¬ rano gli uni gli altri, non l’offende, è la condizione del rinnovarsi perpetuo della scena della vita. - Sì, è neces¬ sario eh’essi si divorino: è come sulla scena; un attore eh’è stato ucciso, che s’è visto morire, va a cangiare di vestito e ritorna sotto un altro aspetto : vuol dire che non era morto realmente. A traverso questa vicenda la vita permane, morire è cangiare di corpo come l’attore cangia di vestito e riprende la sua parte: che cosa c’è di spaventoso in questa permutazione degli animali gli uni negli altri? E così, morire nella guerra, nella bat¬ taglia, è anticipare di ben poco i colpi della vecchiaia e la morte naturale: è un partire per ritornare sotto altra forma. Questi massacri che noi vediamo, questi saccheggi di città, queste violenze, pianti e gemiti degli attori, in tutte queste .vicissitudini della vita, non è l’anima del di dentro che cambia, ma è l’ombra dell’uomo esteriore che geme e si lamenta. - L’ottimista, che crede nella Provvidenza, e guarda le cose dal punto di vista del¬ l’eternità, si consola facilmente di questo spettacolo, ch’è così doloroso a chi ci vive dentro e n’è vittima. Kon solo Plotino afferma che tutto è bene, ma ammira soprattutto la bellezza del mondo, e scrive del Bello, e dopo i primi accenni che si trovano in Platone, pone al¬ cuni dei concetti fondamentali della scienza dell’Estetica. Perchè in verità tutta la concezione della natura che abbiamo veduto è una concezione che si può dire reli¬ giosa e estetica insieme.Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMOData quell’animazione e spiritualizzazione dell’universo, la realtà o fenomeno sensibile non è altro che un riflesso dell’Idea eh’esso esprime. E il lampeggiare dell’Idea nel fenomeno è appunto la bellezza. Il bello ha carattere spirituale. ISTon è bella la forma sen¬ sibile come tale, nella sua esteriorità, non la simmetria, non la proporzione, ma la vita o l’Idea che la forma esprime, quel certo che di spirituale, d’impalpabile, che risplende in essa. E il bello così inteso noia è un oggetto fuori dell’anima, non c’è nulla al di fuori dell’anima, tanto meno gli og¬ getti belli. È intanto l’Anima, come potenza generatrice, che realizzando le Idee produce le forme belle; ed è un’anima, un’anima individuale, che ha il sentimento della bellezza, contemplando quelle forme. L’anima coglie e sente la bellezza perchè sente e scopre se stessa nelle cose belle; ma questa visione e questo sentimento non sa¬ rebbe possibile, l’anima non potrebbe vedere la bellezza, se essa stessa non è diventata bella. È una delle grandi parole di Plotino, che vuol dire: solo le anime pure hanno veramente il sentimento della bellezza, quelle che si solle¬ vano sulle cupidigie e i desiderii inferiori, che sanno guar¬ dare con occhi sereni, con una contemplazione disinteres¬ sata, le cose belle. Di qui quest’altra parola sua: se tu non trovi ancora la bellezza nella tua anima, fa’come l’artista ‘ che non cessa di lavorare alla sua statua, finché non le ab- . bia dato tutta la sua bellezza. Cosi tu scolpisci e cesella la tua anima, e purifica e illumina tutto ciò che v’ha in essa di torbido, perchè essa diventi degna di sentire la bellezza. La bellezza è un mistero che non solo ci piace ma ci attira, non c’ispira ammirazione solamente, ma amore. Biblioteca Comunale “Giuseppe Mei li - San Pietro Vernotico (Br) plotino: l’anima umana Il che vuol dire che al di là di essa c’è qualche altra cosa. Al di là della forma bella, o per meglio dire a tra¬ verso di essa, traluce qualche cosa di cui essa è lo splen¬ dore: ed è il Bene a cui l’anima aspira. Solo il Bene può far nascere l’amore, ed è col Bene che l’anima aspira ad unirsi. . 5. - Come tutte le cose che esistono, anche l’uomo ha la ragione della sua esistenza nel mondo intelligibile, non solo ne deriva, ma ci vive dentro, non ne è separato, anche durante la sua esistenza terrena. Ogni anima deve considerare eh’essa è parte dell’Anima universale, di quell’Anima che ha prodotto tutte le cose del mondo sensibile, gli astri divini, il sole e il cielo im¬ menso : è essa che ha dato al cielo la sua forma e che presiede alle sue rivoluzioni regolari: è da essa che si generano tutti i viventi, le piante e gli animali che sono sulla terra, nell’aria e nel mare. Tutte le anime indivi¬ duali sono immanenti in quest’Anima cosmica ; ed è in¬ somma lo stesso principio animatore del mondo che vive anche in noi, e che noi diciamo la nostra anima. Sicché ciascun’anima, per questa sua provenienza, è,, come quella che le contiene tutte, di natura spirituale^ ed eterna; la sua esistenza non comincia nè finisce col \ corpo con cui è congiunta. Essa non è un aggregato di atomi, come pensavano gli Epicurei, non è corpo sotti¬ lissimo igneo o etereo, come credevano gli Stoici, non è nemmeno funzione del corpo, entelechia o forma di esso, come insegnava Aristotile, e nemmeno armonia risultante dalle relazioni fra le parti del corpo, come opinavano i Pitagorici. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico { NEOPLATONISMO Plotino discute e rifiuta tutte queste ipotesi, per con¬ cludere die fiamma non Ita bisogno del corpo per esistere: la sua vera essenza è di essere semplice e separabile dal corpo : è di natura spirituale e quindi immortale ; tutte le sue facoltà, la sensazione, la memoria, il pensiero, le * x'-l T qualità morali non sarebbero possibili se fi uomo e la sua -, anima fossero un semplice aggregato di molecole rnate^ riali : tutte quelle funzioni e facoltà suppongono un sog¬ getto semplice, identico a se stesso, non sottomesso alle _ Vicende delle cose corporee: la critica del materialismo che j si trova in Plotino è fra le più compiute che ci abbia lasciato fi antichità, e contiene argomenti che sono stati poi sempre utilizzati. Questa natura spirituale delfi anima importa elfi essa è vicinissima alla sorgente di tutte le cose. Giacché i tre principi che sono nelfiuniverso, l’Ani¬ ma, fi Intelligenza e l’Uno, debbono essere .anche in noi: essi costituiscono l’uomo interiore, la vera essenza dei- fi uomo. Il quale è un’anima e possiede fi intelligenza, non solo l’intelligenza discorsiva, che procede per via di ragiona¬ menti, ma anche quella forma superiore di essa che in¬ tuisce le Idee, la ragione intuitiva. Bisogna dunque che risieda in noi anche quel principio divino da cui emana l’Intelligenza, l’Uno ineffabile, che non esiste in nessun luogo, ma eh’è come il centro e* il cuore più intimo del mondo. L’uomo è un microcosmo, un piccolo mondo, jl compendio dell’universo. È così che noi uomini, nella nostra intima essenza, siamo in contatto con Dio, siamo in certo modo sospesi a lui, respiriamo e sussistiamo in lui. oteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)PLOTINO : l’ anima umanaSe non che, quest’uomo interiore esìste in un corpo, j ha pure un’esistenza terrena e sensibile. Coni’è avvenuta | questa specie di caduta o discesa? \ Qui Plotino bisogna che si aiuti con l’immaginazione, ; come del resto faceva anche Platone, quando parlava di ■ ; una caduta delle anime che hanno perduto le loro ali. Ci sono delle anime celesti che rimangono pure da ogni - contatto corporeo e beate nella contemplazione delle Idee' eterne. Ma ce ne sono delle altre, che siamo noi, le vere anime umane, le quali si sono rivestite di un corpo, e sono di¬ scese in un grado di esistenza inferiore. Come l’Anima universale procedendo nelle sue emanazioni avviva il corpo intero dell’universo, così alle anime particolari è devoluta una parte determinata del mondo corporeo ; il che si può anche intendere come una legge provviden¬ ziale, perchè il mondo intelligibile da cui le anime deri¬ vano manifesti ed esplichi tutte le potenze eh’esso pos¬ siede. L’anima particolare, sviluppando le sue potenze sensitiva e vegetativa, entra in un corpo, o a dir meglio, se ne riveste, se lo forma vivificandolo e governandolo. {Si potrebbe forse rappresentarsi la cosa ài modo che dice Dante quando nel XXV del Purgatorio descrive il formarsi delle ombre: la virtù informativa raggia intorno e suggella di sè la materia corporea che le si condeusa intorno o eh’essa irradia da sè). Ma comunque si voglia immaginare la cosa, e a parte qualunque mitologia, l’idea e la verità profonda eh’è espressa qui, in questa discesa delle anime nel mondo corporeo, è il distaccarsi dell’anima individuale dalla sor¬ gente di ogni vita, la volontà dell’esistenza individuale, f ^ rJ306 NEOPLATONISMO che finisce col diventare un’esistenza separata, e dimentica della sua origine e dei legami che la congiungono col tutto. — Com’è — dice Plotino in un luogo magnifico (il prin¬ cipio della V a Enneade) — come accade che le anime di¬ mentichino Dio, il loro padre? Come accade che avendo una natura divina, ed essendo uscite da Dio, esse lo di¬ sconoscano e disconoscano se stesse ? L’origine del lomale è l’audacia o l’orgoglio (xóX[xa), il desiderio di non appartenere che a se stesse. Da quando hanno gustato il piacere di possedere una vita indipendente, usando lar¬ gamente del potere ch’esse avevano di muoversi da sè, si sono avanzate nella strada che le deviava dal loro principio, e sono giunte ora a un tale allontanamento da lui (apostasia, àTzòa-a,ai % 308 NEOPLATONISMO 4 vita a cui l’uomo può e deve aspirare; non costituiscono propriamente questa vita. Non solo la vera virtù consiste non nelle azioni esterne, f sibbene nella disposizione interna dell 7 anima; ma questa disposizione virtuosa è soprattutto una purificazione, una catarsi, una liberazione dell’anima dalla sensibilità e daisuoi legami col corpo. Quest’idea della purificazione è il significato più pro¬ fondo della dottrina della metempsicosi, che anche Pio¬ tino accetta come Platone e i Pitagorici. L’anima che figura nel dramma di cui il mondo è il teatro, e che vi recita la sua parte, vi porta una disposizione a recitar bene o male, ed è punita o ricompensata in conseguenza, secondo quello che fa e secondo giustizia. Salvo che per riconoscere questa giustizia, non bisogna fermarsi alla vita presente, ma bisogna tener conto drtutti i periodi passati e futuri dell’anima, la quale non muore col corpo che momentaneamente la riveste, ma è di sua natura immor¬ tale. Chi è stato padrone in una vita anteriore, se ha abu¬ sato del suo potere, rinasce schiavo; chi ha impiegato male le sue ricchezze, rinasce povero ; quelli che hanno commesso violenza, saranno a loro volta maltrattati ; chi ha ucciso la madre, sarà ucciso dal figlio suo: l’anima è destinata a incorporarsi in questo o quel corpo, a ridiven¬ tare uomo o animale o anche pianta, secondo i suoi me¬ riti e gli atti che ha compiuti in una vita anteriore; e a traverso queste rinascite successive ciascuna anima si purifica, espia, finché non ridiventi degna di ritornare alla regione celeste da cui è discesa. Questa purificazione non si ottiene mediante pratiche ascetiche o mortificazioni, ma facendo si che l’anima nonBiblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) PLOTINO: LA PURIFICAZIONE diventi prigioniera delle passioni del corpo, non s’abban¬ doni ai fantasmi dell’immaginazione, non si estranii dalla ragione, cerchi di sollevarsi sempre più verso quella realtà intelligibile ch’ò la sua vera patria. E da questo punto di vista anche le virtù cardinali o civili acquistano un nuovo significato : diventano virtù purificative, orientano l’anima verso quella realtà supe¬ riore, facendo che l’intelligenza domini nell’uomo e regoli tutte le sue azioni e i suoi sentimenti. Ossia insomma più delle virtù civili e pratiche vale la virtù contemplativa, la virtù dello spirito puro. f E lo stesso mondo sensibile può avere valore per il no¬ stro perfezionamento quando sia appunto oggetto dì con- « templazione: qui vengono a confluire quelle due correnti d’idee che dicevamo: l’inferiorità della realtà sensibile rispetto al mondo ideale, e la perfezione e la bellezza di questo stesso mondo sensibile in quanto riflesso delle Idee. L’anima aspira in fondo al bene supremo, e non vi può pervenire se non mediante la conoscenza del vero e del bello. Ma anche le apparenze del mondo sensibile possono servire di gradini, di scala per sollevarsi fino a quel mondo superiore. Tre vie conducono a questo mondo, che sono per Plo¬ tino la musica, l’amore e la filosofia. La musica ha per oggetto l’armonia, l’amore ha per oggetto la bellezza, la filosofìa ha per oggetto la verità. Il musicista si lascia facilmente commuovere da alcuno forme del bello ; ma bisogna che delle impressioni esterne vengano a stimolarlo. Come l’essere timido è risvegliato al più piccolo rumore, cosi il musicista è sensibile alla bellezza delle voci e degli accordi ; egli rifugge da tutto Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (B_, v , .,. ..,■■? \ . ■ 310 NEOPLATONISMO ciò che gli sembra contrario alle leggi dell’armonia, e ri¬ cerca il numero e la melodia nei ritmi e nei canti. Ma bisogna che dopo queste intonazioni, questi ritmi e queste arie puramente sensibili, egli impari a conoscere le pro¬ porzioni e i rapporti intelligibili che sono l’idea e il prin¬ cipio stesso dell’armonia delle cose ch’egli ammira, e ammirando le quali egli possiede come istintivamente delle verità che solo una scienza più alta potrà rivelargli. L’amore è rivolto verso la bellezza, e dicemmo già come l’anima diventa bella, si purifica, contemplando il bello, il lampeggiare delle Idee nella forma sensibile. Ma i anche qui ci sono dei gradini da salire, e bisogna che l’amante si sollevi dalle belle forme corporee alle Idee ch’esse esprimono, e riconosca il Bello anche nelle cose incorporee, nelle scienze, nei prodotti spirituali dell’atti¬ vità umana, nella virtù, finché non giunga a quel pelago ampio del Bello di cui parlava Diotima nel Convito pla¬ tonico. Perché la stessa commozione profonda e trepida che noi proviamo di fronte alle belle forme e a tutte le cose belle, ci dice che al disopra di esse tutte c’ è una Bellezza superiore, di natura puramente ideale, quella del Bene che le illumina e le colora della sua luce. Quanto al filosofo, dice Plotino, egli è naturalmente disposto ad elevarsi al mondo intelligibile. Vi si slancia portato da ali leggiere, senza aver bisogno, come i pre¬ cedenti, d’imparare a liberarsi dagli oggetti sensibili. La filosofia non è ridotta a intravedere la verità a traverso i suoi simboli, ma la coglie direttamente e nella sua essenza, senza che la passione o l’immaginazione vengano a tur¬ barne o oscurarne la tranquilla e pura contemplazione. La filosofia rivela e spiega e commenta quelle verità che ilBiblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) PLOTINO: L ESTASI a* A musicista e ramante intravedono solo confusamente e come per istinto : ci svela la realtà e la natura (lei mondo intelli¬ gibile, concesso è costituito e come procedono i suoi effetti. % Qui si direbbe che siamo giunti all 7 ultimo termine della nostra ascensione. Ebbene no. Al disopra di ogni rifles¬ sione e di ogni conoscenza, al disopra di ogni distinzione di pensante e di pensato, di soggetto e di oggetto, e 7 è uno stato veramente incitabile, nel quale l’anima indivi¬ duale si annega e si perde, come illuminata dalla luce divina, con la quale essa s’identifica. ISon si può chiamare nemmeno visione, ma piuttosto un’estasi, una semplificazione, un abbandono di sè, una perfetta quietudine, infine un confondersi con ciò che si contempla. Come l’amore non si contenta della visione, ma aspira all’unificazione intera delle anime, così l’anima umana aspira a congiungersi con l’Uno, col Bene, col principio di ogni realtà, e vi riesce qualche volta quando nel più profondo raccoglimento dalle cose esterne, al di là di ogni pensiero, nella più profonda pace, aspetta di essere illu¬ minata dalla luce divina, nega la sua finitudine, e come rapita e fuori di sè, essa stessa s’india. Questa Divina Commedia finisce non con una visione beatifica, ma con l’estasi. Porfirio ci dice che Plotino, durante il tempo che furono insieme, aveva provato questo stato di suprema beatitu¬ dine solo quattro volte, ed egli stesso, Porfirio, una sola volta, all’età di 68 anni 1 ). 1) Cfr. YachehoTj Histoire oritique de Vécole d ? Alexandrìe, Biblioteca Comunale “Giuseppe MeIli” - San Pietro Vernotico (Br) XXI. GLI ULTIMI NEOPLATONICI 1. Il bisogno metafìsico ; trasformazione del Neoplatonismo - 2. Porfirio, Giamblico, Giuliano l’Apostata: Neoplatonismo e Cristianesimo - 3. Ipazia d’Alessandria - 4. La scuola d’Atene, Proclo. Fine della Filosofìa antica. 1. - La filosofia di Plotino, per i concetti con cui opera, si può considerare come il risultato di tutta la specula¬ zione anteriore. Plotino fia imparato non solo da Platone, ma da Ari¬ stotile, dagli Stoici, dai presocratici, specialmente dagli Eleati: ha imparato anche dalle filosofie ch’egli com¬ batte; e mentre riassume il passato, contiene idee, in¬ tuizioni e suggestioni che valgono per tutti i tempi: il motivo religioso, da cui questa filosofìa è nata, ne ha fatto una delle concezioni tipiche e caratteristiche di quello eh’è stato chiamato il bisogno metafìsico. Ci sono dei tempi in cui la filosofìa si sforza e non conosce altro com¬ pito se non di comprendere la realtà dell’esperienza, la struttura e le leggi di questo nostro mondo sensibile: diventa, come dicono, positiva; ce ne sono degli altri in cui non si contenta di questo, e nemmeno di quella sag- IL BISOGNO METAFISICO 313 gezza pratica, che basta a condurci nella vita ; ma cerca di esprimere e di appagare i bisogni più profondi dello spirito o di alcuni spiriti che non mancano mai in nessun tempo; il bisogno di liberarsi dalle inquietudini e dalle limitazioni di questo oscuro viaggio della vita, di trovare la pace e la beatitudine in una realtà superiore. Di questo slancio, di quest’aspirazione verso il divino, Plotino è ri¬ masto uno degl’interpreti più eloquenti; e la sua efficacia è stata grande a traverso i secoli, in S. Agostino e negli altri Padri della Chiesa, nei mistici del Medio Evo, poi massimamente nei nostri filosofi del Rinascimento, in Ma¬ lebranche e Spinoza, più tardi nei poeti e filosofi del Romanticismo tedesco, fino ai nostri giorni. Intanto non bisogna dimenticare che questa filosofia neoplatonica si produceva in un’età di fermentazione re¬ ligiosa, tra spiriti sitibondi del soprannaturale, in un’atmo¬ sfera satura di superstizióni, in mezzo a quel sincretismo di tutte le credenze e di tutti i culti del mondo antico, fra cui si preparava la fede dell’avvenire: bisogna tener conto di questo fondo storico, in cui il Neoplatonismo s’è formato, per intendere la sua storia posteriore e le sue trasformazioni. Nel tempo stesso in cui il Neoplatonismo era insegnato e si diffondeva nell’impero romano, la Chiesa cristiana, che s’era già cominciata a organizzare, cercava essa pure di definire i suoi dogmi, superando i contrasti che si pro¬ ducevano nel suo seno; creava un corpo di dottrine, le quali fissavano, di fronte alle opinioni dichiarate eretiche, il contenuto della nuova coscienza religiosa: nasceva così la teologia cristiana, una filosofìa del Cristianesimo, la quale utilizzava anch’essa a modo suo i concetti della ■ 55-1 : d / * Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMO il. /*■ i'*:: *y*> 314 / r . V r/d ' filosofìa greca, specialmente quello del Logos, che finisce con V identificarsi col Messia come il mediatore vivente tra Dio e l’uomo; si assimilava questi concetti modifi¬ candoli e incorporandoli nel sistema delle sue credenze. Ora di fronte ai progressi sempre crescenti del Cristia¬ nesimo, clie ai principi del quarto secolo trionfa con Co¬ stantino, e finisce col diventare la religione dello Stato, il Neoplatonismo, per gli spiriti non persuasi della nuova religione ft rimasti fedeli alla tradizione pagana, diventa 1 o è utilizzato come la base di una teologia del politeismo : si tenta per mezzo delle idee neoplatoniclie di ristaurare, legittimare e ridurre a sistema tutte le divinità e i culti dell’antica religione. Il Neoplatonismo diventa l’ultima filosofìa del paganesimo, e non solo come un sistema di dottrine destinate a spiegare o risolvere come che sia i problemi di Dio, del mondo e dell’anima umana, ma come il puntello dell’antica religione pagana, con tutti i suoi Dei e le sue pratiche. 2. - Non vogliamo entrare nei particolari di quest’ul¬ tima parte della nostra storia; basterà ricordare i nomi principali. Fra gli scolari diretti di Plotino il più importante è Porfirio (232-304), al quale dobbiamo la redazione e la pubblicazione delle Enneadi, e che continua la dottrina del maestro esponendola con chiarezza e brevità in quelle Sentenze d’introduzione al mondo intelligibile (’Acpoppori Ttp&s Tic vorjTa), che si trovano molto utilmente premesse all 'Enneadi nell’edizione Didot. Scrisse molte altre opere, tra cui una in 15 libri contro i Cristiani, andata natural¬ mente perduta. È anche studioso e commentatore di Ari- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (Br) 315 i.vTyv>. A vr^ j PORFIRIO, GIAMÉLICO stotile; e un passo diventato celebre della sua Isagoge o Introduzione alle Categorie di Aristotile, che tratta delle cinque voci (il genere, la specie, la differenza, il proprio, l’accidente), sarà il punto di partenza delle controversie medievali sugli universali. Porfirio è uno spirito colto, erudito, che vorrebbe riformare la religione tradizionale ; combatte le superstizioni più grossolane, predica un culto puro, senza sacrifizi sanguinosi: raccomanda anche delle pratiche ascetiche. Ea consistere il fine della filosofìa nella salute dell’anima; ma pure accentuando le tendenze pra¬ tiche e religiose della scuola, e facendo delle concessioni alle credenze'popolari, si può dire che in lui è vivo an- ’i _ cora l’interesse filosofico. Egli è il continuatore immediato della tradizione plotiniana. Invece con Giamblico, che fu scolaro di Porfirio, avviene decisamente quella trasformazione del Neoplatonismo in un sistema di credenze religiose: l’interesse teosofico pre¬ vale: la filosofia diventa ancella della teologia, e della teologia pagana. Giamblico nacque in Calcide nella Gelesiria, non si sa precisamente in quale anno, visse ai tempi di Costantino, e morì intorno al 330. È riguardato come il fondatore di una nuova scuola, della scuola siria del Neoplatonismo: ebbe molti discepoli, entusiasti di lui, che lo riguardavano •come un uomo straordinario e divino, dotato di potenza occulta e miracolosa. Giamblico intraprende una ricostruzione filosofica del Panteon pagano, nella quale entrano gli Dei greci e ro¬ mani e le divinità orientali, tutte all’infuori del Dio cri¬ stiano. E alla credenza in tutta questa moltitudine di Dei si aggiungono le pratiche del culto : alla virtù e alla con- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 316 NEOPLATONISMO templazione, ck’erano per Plotino i mezzi con cui l’uomo si solleva al divino, si aggiunge o piuttosto si sostituisce la teurgia, cioè l’arte di esercitare un’azione sulla volontà degli Dei per renderseli favorevoli, di far discendere in sè il divino per mezzo di pratiche esterne, riti, preghiere, con la virtù di formule simboliche, che ci riedificano nel¬ l’unità primitiva da cui siamo usciti. Le formule filosofiche diventano pretesto à stravaganze magiche e spiritiche. Com’è stata possibile la degenerazione di una così no¬ bile filosofìa, concepita con tanta energia speculativa e animata da una così pura fede e aspirazione al divino? Pur troppo il Neoplatonismo portava in se stesso, e già in Plotino, i germi di questa degenerazione: innanzi tutto il metodo delle ipostasi, e poi la tendenza a trovare, con interpretazioni allegoriche, nei nomi o nelle figure tradi¬ zionali degli Dei il simbolo dei diversi momenti dell’ema¬ nazione del divino. Plotino stesso nomina Uranos, Kronos e Zeus come simboli dell’Uno, del vou* e dell’Anima; e sim¬ boleggia pure le due anime con l’Afrodite celeste e quella terrena. Se si prendono alla lettera questi riferimenti, e soprattutto i termini si moltiplicano, si arriva al sistema fantastico di Giamblico. Il quale non si contenta delle tre ipostasi plotiniane, ma al di sopra dell’Uno che s’identifica col Bene, am¬ mette un altro Uno assolutamente incomprensibile, dal* quale deriverebbe il secondo Uno ch’è quello di Plotino; e da questo non deriva semplicemente il vou^, ma prima il mondo intelligibile o pensabile votjtó?) e poi il mondo intellettuale o pensante vosp6?) ; e la divi¬ sione continua quando si passa all’Anima: dalla prima Anima ne derivano altre due; e ciascuno di questi ter- Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico.(Br) t GIAMBLICO, GIULIAlSrO L’APOSTATA 317 miai poi si tripartisce e si moltiplica in diversi momenti, a ognuno dei quali corrisx>onde una persona divina. Così, abusando del metodo delle ipostasi e dell’interpretazione allegorica, Giamblico trova da collocare una quantità di divinità sopramondane, celesti e terrestri, genii e demoni d’ogni specie, che sarebbero i termini intermediari tra Dio e l’uomo. S’aggiunga poi quell’idea dell’animazione universale, e della simpatia o affinità fra tutte le cose, che contiene una verità profonda, ma che per menti non disciplinate da nessuna critica, apriva facile l’accesso alle credenze magiche e alle pratiche teurgiche. In fondo, anche a traverso a queste esagerazioni su¬ perstiziose, non è possibile disconoscere l’antica fede elle¬ nica che tutto è pieno degli Dei, eh’è il motto attribuito a Talete, il primo filosofo. Così il Neoplatonismo uscì dalla scuola e volle agire sulle coscienze, quasi contrastandone il dominio alle nuove credenze. Non fu solamente una dottrina, ma fu l’ul¬ timo tentativo dell’Ellenismo per difendersi da quella re¬ ligione di barbari, che col suo Dio unico negava tutti gli altri Dei. E si fece campione di questa restaurazione dell’antica religione dei padri, in nome della filosofia, Giuliano l’Apo¬ stata, imperatore dal 361 al 363, morto a 32 anni, che, educato da maestri greci, s’era nutrito dell’antica cultura ellenica, e poi aveva dovuto subire la disciplina e l’edu¬ cazione cristiana; e contro il Cristianesimo si ribellò prima secretamente,' poi, diventato imperatore, apertamente, at¬ taccandosi sempre più all’Ellenismo. Giuliano era uno sco¬ laro degli scolari di Giamblico. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) " '■ ; rf V; 318 NEOPLATONISM 0 Giuliano, da vero greco, adorava il sole, principio di Vita per tutta la natura : ma nel sole materiale e visibile egli vedeva V immagine e come il riflesso di un altro sole, che i nostri occhi non possono cogliere, e che illumina le razze invisibili e divine degli Gei intelligenti. Cosi, alla maniera dei Neoplatonici e col loro linguaggio, egli costruiva il mondo delle Idee e dell’Uno, da cui tutte le cose di- -pendono. Giuliano è stato dqtto un romantico sul trono dei Ce¬ sari, perchè aveva gli occhi rivolti indietro, e consumò miseramente i suoi sforzi nella restaurazione di un passato diventato impossibile. Era difficile che il Neoplatonismo potesse fare seria¬ mente concorrenza al Cristianesimo. C’era innanzi tutto questa differenza: che il Neoplato¬ nismo, per quanto tentasse di mettersi in contatto con l’anima popolare, era semplicemente una scuola di dotti più o meno solitari ; il Cristianesimo invece era una Chiesa, una comunione di fedeli potentemente organizzata, e la cui fede si basava su certi fatti positivi, di natura sto¬ rica, la vita e la morte del Cristo, fatti creduti con una fede ardente, ardente fino al martirio; e intorno a questi fatti si andavano elaborando i dogmi che saranno presto fìssati dai Concilii. Ma la scarsa efficacia pratica del Neoplatonismo si com¬ prende anche meglio se si guarda un momento alle diffe¬ renze dottrinali tra i due sistemi. Una prima e fondamentale differenza è che l’intuizione cristiana tiene fermo al concetto ebraico della personalità divina, e concepisce il mondo non come un’emanazione di Dio, derivante da esso per un processo fìsico o logicoiblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) NEOPLATONISMO E CRISTIANESIMOo metafìsico, ma come un atto della sua volontà, quindi come creato nel tempo. Dio creò il cielo e la terra: questa • è la base della dottrina cristiana. E a questo primo fatto ne succede un altro : la caduta del primo uomo e quindi di tutti gli uomini, il peccato, che risolve il problema del male; il quale dunque non è da cercare nella materia o nell’ultima emanazione della divinità, ma è aneli’esso un atto di volontà, della volontà umana ribelle al comando di Dio. Di qui il bisogno della ' 1 redenzione o liberazione dal peccato, a cui l’anima aspira; la quale redenzione è resa possibile da un terzo fatto, l’in¬ carnazione del Verbo, del Logos, del figlio di Dio fatto uomo, che prende sopra di sè le colpe e i dolori di tutti t gli uomini, e li redime, per un miracolo di amore, col suo sangue- innocente. Tutta la storia del destino umano è qui drammatizzata in un dramma potente di efficacia. Il ISTeoplatonico, col suo concetto spiritualissimo della divinità, combatterà fino all’ultimo questo concetto del¬ l’Incarnazione, di un Dio fatto uomo, e la considererà come la superstizione più assurda; ma è appunto questo concetto di un Dio redentore che ha una virtù di sim¬ patia e di consolazione per milioni di anime; e apre la via della liberazione non ai sapienti solamente, ma a tutti, agl’ignoranti, agli umili, agl’infelici soprattutto, purché credano nella virtù redentrice del sangue sparso di Gesù crocifisso. Qui si ha veramente un Dio che si può pre¬ gare, invocare, domandargli perdono, ritornare in pace fcon lui, acquistare la vita eterna. Se si paragona questa liberazione con quella che si potrebbe dire aristocratica e filosofica di Plotino, me- B ib lioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San Pietro Vernotico (B ■ J- '■[ TT*; ' *•. 1 i - ■ ' ì 320 NEOPLATONISMO diante la dialettica e l’amore delle cose belio e l’unione estatica con Dio, si vedrà la differenza. Si direbbe che il Neoplatonismo suscitava bisogni che non poteva appa- < gare. S. Agostino nel libro VII delle Confessioni dice: Ho letto nei libri dei Neoplatonici la dottrina del Verbo, ma non ci ho letto ch’egli è diventato uomo, e ha abitato fra noi, ed è morto pei peccatori, perchè tutti quelli che gemono e soffrono venissero a lui e ne fossero consolati. 3. - Tuttavia il Neoplatonismo, nelle sue parti migliori, * rappresentava pure una grande tradizione di scienza e di cultura; e si capisce come spiriti non volgari se ne lascias- sero attrarre. t E una pura, nobilissima e innocente vittima delle lotte * religiose, nelle quali la filosofìa antica finirà con l’essere vinta e con l’estinguersi, è una donna : Ipazia di Alessandria. . Ipazia era nata ad Alessandria verso il 370 da Teone, ch’era celebre matematico e astronomo. Eu educata e istruita dal padre nelle scienze in cui egli era maestro, ma il vivido ingegno della giovinetta cercava altro ali¬ mento, e studiò con passione la filosofìa. Dicono anche che andasse a perfezionarsi in Atene. Quello eh’è certo è che nella sua città essa diventò celebre, ammirata , e rispettata da tutti. La natura le aveva largito tutti i doni, quelli dello spirito e una bellezza non comune. Fu messa a capo della scuola neoplatonica di Alessandria, ed essa v’insegnava Platone e Aristotile, tutte le discipline filo¬ sofiche. I titoli di alcune sue opere sono d’argomento scientifico, il che nella penuria di altre notizie ci per¬ mette di supporre che con la sua forte cultura essa si tenne lontana dalle stravaganze degli altri Neoplatonici, Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli" - San'Pietro Vernotico (Br) e che s’erano raccolte in lei le migliori tradizioni del- V Ellenismo. Ebbe un grande successo. Per le strade di Alessandria tutti si voltavano a guardare la bella per¬ sona quando passava con semplicità e sicurezza, vestita del pallio dei filosofi, e conversando con quelli che fi ac¬ compagnavano. Alle sue lezioni affluivano gli ascoltatori, non tutti probabilmente per imparare la filosofia. Della sua eloquenza ci è detto eh 7 era dolce e persuasiva, e ci è riferito pure che un suo scolaro s 7 innamorò di lei, e osò confessarle i suoi patimenti. La nobile donna cercò di cal¬ marlo, sollevando il suo spirito e distogliendolo da desi- derii non degni. Pur troppo noi non la conosciamo altrimenti che da quello che ne dicono i suoi contemporanei. Il vescovo Si¬ li esio, ch’era stato suo scolaro, e le rimase amico anche dopo che fu passato al Cristianesimo, nelle lettere che le scrive e che ancora ci rimangono, la chiama sorella e madre e maestra, e le manda i suoi libri prima di pubbli¬ carli per averne consigli. E nVN Antologia c’è un epigramma {il n. 400 del libro IX) entusiastico e gentile, che fìssa quest’apparizione luminosa, e non pare un’esagerazione. « "Oxav pXénto as, Trpoaxuvco. Quando io ti vedo, io ti adoro, e così quando ascolto la tua parola; come contemplando il segno celeste della Vergine) perchè tu sei cosa tutta di cielo, o nobile Ipazia, con la bellezza dei tuoi discorsi, astro purissimo di scienza e di cultura ». Disgraziatamente, questa storia finisce con una tragedia orribile. Erano frequenti in Alessandria i tumulti per le discordie fra ebrei, cristiani e pagani. 11 prefetto o go¬ vernatore della città, Oreste, non andava d’accordo col vescovo Cirillo, e ognuno aveva il suo partito: spesso Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 322 NEOPLATONISMO scendevano in città delle compagnie di monaci, che di monaco non avevano altro che'l’abito: erano dei mal¬ fattori che venivano a pescare nel torbido. Oreste era uno degli ammiratori ed amici d’Ipazia, e spesso le do¬ mandava consiglio. Essa, tutta intesa alla sua scienza e, alla sua scuola, rimaneva estranea a tutte queste con¬ tese, e nessuno degli storici nemmeno ecclesiastici for¬ mula un’accusa contro di lei; ma nel partito di Cirillo dovette formarsi l’opinione che Ipazia influisse sul go¬ vernatore, impedendogli di vivere d’accordo col vescovo; e del resto per la sua posizione e il suo insegnamento doveva essere ritenuta come un sostegno o fautrice del m partito dei pagani, e odiata a morte dagli zelanti che non mancano in nessun partito. Fatto sta che un giorno di quaresima del 415, in un tumulto, mentre Ipazia tornava in città in vettura, vide accorrere contro di sè una folla furiosa, e, come racconta Io storico Niceforo, la strappa¬ rono dal carro, la portarono in una chiesa, e ivi spoglia¬ tala delle vesti l’uccisero, la fecero in pezzi e andarono a bruciarla in un luogo detto Cinaron 1 ). 4. - Col martirio della vergine pagana si estingue la scuola neoplatonica di Alessandria. Ma riapparisce nel quinto secolo in Atene, e sarà l’ultima scuola. La Filosofia ritorna per morire nella sua patria antica, alla città di Socrate e di Platone; e allo studio di Platone congiunge quello di Aristotile, come già s’è visto in Plotino, in Por¬ firio, in Ipazia. i) Si può vedere su Ipazia uno studio del prof. Faggi nella Rivinta d’Italia del 1905, e un altro del prof. Pascal nel voi. Figure e caratteri . Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) 323 -,”;js-w v ; \ PROCLO Fondatore di questa scuola ateniese è Plutarco detto il grande dai suoi scolari, a cui succede Siriano, e poi Proclo, eh’è il più celebre e il più importante. Proclo era nato nel 410 a Costantinopoli e visse fino al 485. Era un dialettico sottilissimo, ebe al bisogno di sapere congiunge quello di credere; e crede ai presagi dei sogni, alla potenza degl’ incanti e degli scongiuri. Passò la sua vita scrivendo e insegnando. I suoi discepoli crede¬ vano sentire in lui la presenza di un Dio. Un giorno, uno .che aveva udito una sua lezione, affermò che aveva visto attorno al suo capo un’aureola divina. Scrisse fra l’altro dei commenti a Platone e un ’Istituzione teologica } che si può vedere nell’edizione Didot di Plotino 1 ). La sua opera consiste essenzialmente nel ridurre a si¬ stema tutta la sapienza anteriore. La filosofia di Aristo¬ tile è considerata come l’introduzione a quella di Platone, i piccoli misteri che precedono i grandi; e il fondo della dottrina è quello neoplatonico, Proclo dimostra metodicamente come bisogna partire dall’Uno, e come dall’Uno derivano i molti, mediante un processo dialettico che comprende tre momenti : ogni pro¬ dotto, da una parte somiglia alla causa che lo produce, e dall’altra se ne distingue, e pure distinguendosene, ritorna ad essa: dunque jjlov'/j o immanenza, TipóoSoc o progresso, iTUKjrpo'f/) o conversione sono i tre momenti di questo pro¬ cesso. Questo ritmo si riproduce a ogni fase dell’emana¬ zione o sviluppo dell’Assoluto, che procede dunque per triadi successive in tutte le sfere dell’Essere, dall’Uno 4 q Cfr. ProCI.O, Elementi di teologia con im’ introduzione del prof. M. Lo¬ ia a eco (Lanciano, Carabba). Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br) h. Li/- i- 324NEOPLATONISMO fino alla materia, triadi che si moìtiplicario, perchè ogni momento di ciascuna triade dà luogo a sua volta a triadi (e poi a ebdomadi) subordinate. Ne nasce una costruzione eh’è insieme un 7 architetto¬ nica di concetti e una gerarchia di divinità mitologiche, alla maniera di Giamblico : una filosofia compiutamente messa in ordine, coi suoi scompartimenti e le sue formule tecniche, che ha pure trovato i suoi ammiratori. Vit¬ torio Cousin ha pubblicato le opere di Proclo, e Giorgio Hegel ha riconosciuto in lui uno spirito sistematico e. sistematizzatore come il suo. Quello che si può dire in generale è che il pensiero greco vive oramai del suo passato: per parlare con Pio¬ tino (e col Windelband), lo spirito greco, a traverso le sue emanazioni, finisce col perdersi in questa scolastica. E la morte naturale della filosofìa antica, per esauri¬ mento, è suggellata da un atto di violenza, da un editto dell’Imperatore Giustiniano, del 529, nel quale si ordi¬ nava che nessuno insegnasse più filosofìa in Atene. Così si chiudeva per ordine superiore quest 7 ultima scuola, della ([naie furono confiscate le rendite, e i filosofi dispersi. L’ultimo scolarca fu Hamascio, il quale col suo scolaro Simplicio, il celebre commentatore di Aristotile, e altri cinque neoplatonici, ripararono in Persia, dove speravano protezione dal re Cosroe, amico della cultura greca. Poi rimpatriarono, ma la scuola rimase chiusa per sempre. Una filosofia non cristiana era diventata impossibile nel mondo greco. Biblioteca Comunale “Giuseppe Melli” - San Pietro Vernotico (Br)Giuseppe Melli. Melli. Keywords: AVRELIO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Melli” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Memmio: la ragione conversazionale e l’orto romano -- Roma – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A bit of an enigmatic character. LUCREZIO dedicates his great Garden poem to him. He acquires the ruins of the house in Athens where Epicuro starts his Garden. Gaio Memmio.

 

Grice e Menecrate: la ragione conversazionale e la scuola di Velia -- Roma – filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Velia). Filosofo italiano. Velia, Campania. A pupil of Senocrate. Menecrate

 

Grice e Menestore: la ragione conversazionale ela scuola di Sibari -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Sibari, Cazzano all’Ionio, Cosenza, Calabria. Pythagorean. Giamblico. Menestore.

 

Grice e Menone: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – gl’ottimati di Crotone -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria. A Pythagorian and son-in-law of Pythagoras, according to Giamblico di Calcide.

 

Grice e Mercuriale: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il ginnasio – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Forli). Filosofo italiano. Forli, Emilia Romagna. Grice: “At Corpus, as it had been at Clifton, cricket featured as my priority, -- philosophy came second!” Celebre per avere per primo teorizzato l'uso della ginnastica nella filosofia. Suoi sono anche il primo saggio sulle malattie cutanee e un'importante saggio, forse la prima mai scritta, di pediatria.  Ritratto raffigurato in "De arte gymnastica.” Dopo aver studiato a Bologna ed aver conseguito la laurea a Padova, dove ha modo di conoscere TRINCAVELLA, segue a Roma Farnese. A causa della sua fama, infatti, i forlivesi lo inviarono come legato presso Pio IV. Pare aver composto il suo celeberrimo saggio sulla ginnastica.  E professore in entrambe le università dove studia. A Padova, in particolare trascorse un periodo molto fecondo, in cui scrive saggi, alcuni dei quali basati sugli appunti presi dagli studenti durante le lezioni. Si reca poi a Pisa, dove divenne tutore di Ferdinando I de' Medici e poté godere di una certa fama. Cura anche altre importanti personalità del suo tempo, tra cui Massimiliano II, che lo nomina cavaliere e conte palatino. Merita di essere citato un famoso episodio che lo vede convocato a Venezia insieme a molti altri filosofi illustri, consultati per decifrare una misteriosa epidemia che colpiva la città. Escluse fin dall'inizio un caso di peste, in quanto solo una minima percentuale della popolazione si era ammalata e il contagio resta comunque molto limitato. Dopo una settimana però la malattia ha un decorso impressionante, colpendo un terzo della popolazione veneziana tra cui anche alcuni familiari del medico stesso. Sorprendentemente però tale evento non ha gravi conseguenze sulla sua carriera che, anzi, durante lezioni che tenne a proposito della peste, continua a difendere la sua posizione riguardo allo sfortunato caso veneziano. Fa restaurare una cappella dell'Abbazia di San Mercuriale di Forlì, trasformandola in cappella di famiglia, da allora nota come cappella M, dove egli stesso venne sepolto. Ai monaci di San Mercuriale, lascia in eredità la sua biblioteca, purché essi si impegnassero a tenere tre lezioni settimanali di filosofia. Ricevuti i saggi, i monaci, per custodirli e renderli fruibili a tutti, aprirono una biblioteca pubblica. A celebrazione ed a ricordo di M., e murata nella cappella una lapide con le seguenti parole. Questo marmo ricorda ai posteri che i c forlivesi commemorando presso la sua tomba riaffermavano il connubio eterno nei secoli tra la scienza e la fede.  Saggi: “De morbis muliebribus”, Cultore dell'opera ippocratica, “Censura et dispositio operum Hippocratis,”-- in cui discusse in modo critico le opere del medico, “De arte gymnastica,”  la prima opera moderna che consideri scientificamente il rapporto tra l'educazione fisica e la salute, ma anche un testo sulla storia dell'attività ginnica. Oltre a questo originale argomento scrive saggi di pediatria, di balneoterapia, di malattie della pelle, di tossicologia. Fra i suoi numerosi discepoli si segnala Bauhin.  Alcuni altri suoi saggi sono: “De morbis cutaneis,” il primo trattato sulle malattie della pelle, “De morbis puerorum,” “De compositione medicamentorum,” De morbis muliebribus, Venezia; De venenis et morbis venenosis; De decoratione; De morbis ocularum et aurium Nomothelasmus seu ratio lactandi infantes. Dizionario Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum, Citato in Landi, Credere, dubitare, conoscere. De M. vita et scriptis Victorius Ciarrocchi, Latinitas Opus Fundatum in Civitate Vaticana. Santa Sede Dizionario Biografico della Storia della Medicina e delle Scienze Naturali, Liber Amicorum. “De arte gymnastica” Pediatria Dermatologia, Treccani Enciclopedie Istituto dell'Enciclopedia.  Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. rilERONYMI MERCVRIALIS DEARTEGYMNASTICA LibriSex, IN '^VIBVS EXERCITATIONVM OMNIVM \\cii(hii um scncra.Ioca.modi , facultatcs , &: quidquid dcniqucad corporis humani cxcrcitationcs pcrtinct , diligentcr cxplicarur . ^uru cditione comSIiores 3 ^ 4uSItoreJ faEfi. Ojuis 11011 nu\i,) nu\1ki$ , vcnim ctiam omnibiis antiqiiarum rermn cosnolccndariim ,^ & v.ilcnidinis coiiUrna;u)ac ftuJioias .idir.Oilum vtilc. AD MAXIMILIANVM II. 4 I M P E R A T O K E /.1. ^^^^ * VENrETII.S, ATVD IVNTAS. M D C 1. X Early European Books, Copyright © 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGL. 1 .7.429 - I Early European Books, Copyright © 201 1 ProQu. Images reproduced by courtesy of the Bibl CFMAGL 1 .7.429 MAXIMILIANO II IMPERATORI INVICTISSIMO. HT ERONYMVS MERCVRIALIS pcrpctuam FclicitatcitL- D. I quando mccum^ diliircTirius confidcro, MAXiMIlJANE Jnuidjllimcquot, quanraquc Impcratorts, /ummique Princi pcs prohominuui laIutc,,6C tranquillirarc tam bcllo.quam pacc gcfTcrint, in cam facilcdcfccndo fcnicn- tiam , mcrito, arquc oprimoiurc omncsfcrc gcntcs , 6C nationcs fccilTc , quodcos dignos cxjfhmaruntjquiin Dcoiumimmorralium nu- mcrum rcfcrrcnrur . inrcr ca ucro , quac in hu- manum gcnus innumcracontulcrunt bcncfi- cia,magnajn partcm fibi vcndicanrarrcs p(oic omncs Iibcralcs,quas maximis propofitis prac- mijsnoncxcitaruntmodo.atquc cxtulcruntali quando iaccntcs , fcd ita ctiam carum dignita- tcampljficarunt.vt ipfi (oli illarum au(5loics,ct inrtauratorcs propcmodum vidcanrur. Jd faci- lc pcripiccrc quiuisporcft,qui militaris difcipli- 2 nac. n&c,leg(nTi fcientiaevcafitekmrncju^fine qui-' bus ta baec noil^fi ferc u icalisiipn effe t Jau- dandarum artium ortus , &C increriicnta mc- tnorta velitrepetere : fed ne Imperatorifapien- tiflimojquaeomnibuspaflim notafunt,reccn-r 1 fcndo fim moIelUts , vnum' mcdicae artis om- nium vtiliffimac exemplum proponam, quac proculdubio aut nulla cflct, aut-ccrto cuhl» qucm hoc tempore pracfcfcrt fplcndorcm, 6C cicgantiam non habcrct , nifi Principum beni- ghitasjfinequa omnis plerumque languefcit induftria,famniisviris illius au(fboribus aflul- fiflct. Etcnim quantum a primisillis tempOr ribus quafinafcenti medicinae attulerint auxi Iij Cadmus, Salombn, Alexander, poftcrio- ribus vero Attalus, Ptolemaeus, Nero, Ha- drianus , Cortftahtinus luftinus , alij per- multi , compluriura Dodorum hominum^ monumenta tefteintur. Verumtamcn vt aha '»'1, omittam in praefentia, non cxigui momcn- Kfc^ ti putandum id cft, quod magnificentiftima , comii atque^ ampliflima Gymriafia^ cxftruxcrunt. , ttmpJ inquoijsartenL, GymnafticaiTL inftituentes,. pcrlic^ ipfiui magiftros ac prifed:os alucrint , qui H,i homincs excrcitationibus , fi^ ad corporis , (DiaJ 6C ad animi fanitatem. confcrcntibus in^- biis ftrucntes ad behe , bcatcque viucndum viam opti eommunircnr » Haec cnini. ars illa. cft, ' Inc ob quani. olaiL, PerfaruiTL reges, Lacedae- tarct, monij. Dfllll 3CC( m ii ni [DSti i\m fcosi torcs, monij, Athenienfcs, Romani icain bcllisgc- rendisvalucrunt, vtfaepe non maximamanu incredibiics hoftium vires frcs;crint, mnumc- rabiles copias fudcrint , tot dcnique rcgna.tot- quenationes fuis ditionibusfiibicccrint, utnc recenfcri quidcm numcrando facilc quednr. . Hac eadem inftrudi , non dcfucrunt rrincipes, quiaducrfusqucmlibct Athlctamroborclimt. aufi contcndcrc, qualcs fuilVcCyrum , Nero- ncm , Traianum , Antoninum , 6C Seucrum acccpimus , quos praetcrquanL quod hac fola^ arte fanitatcm conlcruaflc , fortilTimosquc cua- fiflcmcmoriae proditumelt, obhancquoquc cauflani. idcosfcciflc vcrifimiiecfl, vtcactc- rosfuo excmplo ad eafdcm cxercitationcsin- uitarcnt. Huiufmctartis opcquisignoratpri- fcos rcgnorum , 6C prouinciarum gubcrna- tores Athlctaruni. , (SCgladiatoruuL- fpcdacu- laadfubditosin oflicio continendos prudcn- ter cxcogitata iiitroduxiflc ? nc plurima alia commoda rcccnfcam, quacg)'mnaflica,quot tempore floruit , ad humanam fclicitatem^ perficicndani. fcmpcr vbcrrimc pracflitit . Scd , qtioplurcs fcimusabhac artc vtihtatcs cmanafle, comagisdolcndumnobis cfl, qui- bus ncfcio quo mifero fato cummultis alijs optimarum artium fludijs perijt , atquc cx- ftinda prorfiiscft^undc fit vtvctusilludmili- carcrobur, (SCvcramfanitatcm pcrpauci fint * 3 hoc hoc temporc, quiconfequantar, tbtquemof" borum gcncra quotidie nos infcftent , quot ob cxcrccndorum corporum confuctudincm non cxpertos efTc vetcrcs rationi confcnta- neumcft . IIaccautemctfiitafint,dcfpcran- dum. tamen non cft , lapicntiffime Jmperator, quincorum fcriptorum bcneficio, apudquos rudis atque adumbrata quaedam ilhus deli- ncatio remanfit , ab intcritu poffitvindicari, ac iterum in hominum. adfpcdum , luccm- quc proferri , fi dC Trincipum ad hanc rem propenfio adfit , 6Chomincs do(fli, &C anti- quitatis periti reperiantur , qui in hoc ftu- dium incumbere , omncsque ingcnij ncruos contcnderc non recufcn r. Caeterum cur nemo noftris faeculis huiufmodi prouinciam fufcepc rit , fanc pronunciarc non audcorid unum fcio, rcm ficut maximaevtihtatis, ita immenfi cfCe laboris. Etcgo, licetmulta cflcnr, quaeabca detcrrere me poflcnt , aliquando tamen fum aggrcflljs , quaeque Jnter legcndos au nuncperfe(5lius,IocupIetius,(3C pulchrius redi- tum tuaeMaieftatiipfius nomineadferrem . Quamobrcm oro, vt,qua loles incomparabili animi magnitudine,hoc hcet Maieftati tuae imparmunus, qualecumque tamen tenuitas noftra oflferre poteft , accipere, meque inter tuosnumerare , protegere , acfouere digneris. nam , quamquam me ijs , qui omni difciplina- rumatqueartium genere cxcellentes M.T. in- feruiunt, comparandum non effe non igno- rem : Ci tamen animus Ipeiletur meus,non du- bito,quin,ficutnuIIius ftudia in M. T. funt ar- dentiora,auf nbfcruantia maior, ita aliquo in- terahosgratiae tuae loconon indignus uidcri pollim. Deus Optimus Max.M.T. pro Chriftia ni orbis (aluce dm incolumem , 6C fdicem conferuct. Patauij,KaI.Sexc.Cl3 13 L XXI II. LAVRENTIIGAMBARAE BRIXIANI CARMEN. tAuxiUo ftctit Phochtgemtoris^ c^* arte y %Artc Coromdcs wcdtdt cclchcrrtmtis oltm vMcmbra, minutAttm patrios dtficfla pcr agros Htppo/yti 3 tAndcm mn72tbus collcgit , Crr' artus Arttibtis aptatitt ?ittcns ^ iutiC7tcmq,carc?jtcm yam lucc acthcria , iam tartara ntgra tc72cntcm Ad fuperas fcdcs ^crcbtreuccauit ab vmbnss Et mcmbrtJ lactos , ocultsq. tnfudit honorcs : ^ucts felttum lumcn fumpfrunt mcmbra tuucntae: (fonffus ttanuncope Mcrcurialts y C^aura Farncfj afptrantts hcrt collcgtt tn Vnum Gjmnada : qua quo?jdam fc fc cxcrccre rcltSIo (jvrccre maiores y populo fpc&ante y Jolebant . Haec pars ad ludos fpcflat y pars altera tantum Commcmurat \ tum quts ^tclts fc oHcntat tn armts, Fortts rt euadat mtlcs ^ pars tertta narrat , Stnteay quaetncolumes fruent morboq. Vacantes Mortales ^dumytta manet^ docct tvfpcr hatcpxrsy Ordtncquo pofjint homtnes extcndcrc longum Intempus dubtam actatem ^ tardamquc fcmiJam Ducere tnuxpcrtamq. ma/tj curaq. carmtcm; Omnta quac Utuere dtu dtfpcrja , tcnebrtsq, tAbdtta Ctmmerpjs: quae nttnc dtjitnfla labore ^ Et multo Sludto y tamquam noua fidcra fulgcnt , Scrtptores tnter Cratosy parttcrq. Lattnos . Matth. Dcuari;, avg-ot(7iv ^coov (Tclo^ctTot; npuo^rctiv , Z JiTrOTQi^^y}^ zoiAct X&i^^ctf cc/uvJ)>c^7rip tfx^ot rix^fiC yv/uvctcnfig vvuj ctictX^(ct>C ^TTtTIOV Aov(nTctvov. VvfAVcicnov Tro^vncfig ayoM Trovicov (twv {yfiptc UctVTOioic csropcLSlw UMzJV (Jfii/2xioic OilviTtet T^m arxpSv l\pcavv/ultntus Clcmcns Alcxandrinus Codttis Aurcltanus Columclla Cornelttis (jlfts D.Cyprianus Dtocles Dton Dionyfus iyireopaj^ita Dtonyjius Haltcarnafctis Eptphanius Erafslratus Erottanus Eurtptdes Etifebtus Eujiathtus Galenus Hcliodorus Hcrodottis HerodianuT Hcfodus D.Hteronymus Htppocratcs Homcrus Horatttis loanncs fajjianus D. Inanncs Chryffomtts fof^phus IJtdortiS lultus CapttolifUiS lultus Ftrmtcus lultus Fol/ux lujitutis Martyr Juuenatis Laertius Laitus Lampridius Ltbanius Lucanus Lucianus Lucilius Lucretius Mar. Aure.CaJJtodorus Marcus Tullius Martiatis Meletius Oribajtus Ouidius n^acuuius D. PauUus Pauilus Qy4eginetA Vaufanias Perfius Petronius arbiter Philofiratus Plato Plautus Plinius T^lutarchus IPolybius ^orphyrius Po/idonms Propertius Pub.Pelleius Pub. VittoT Paterculus ^intilianus T{azes ^fus Sphefius Saluianus Scribomus Largus Senecd Sex. Empiricus Sex.Pompeius Fefus Sidonius A^ollinarts Soranus Ephefus Sophocles Spartianus Statius . Strabo Suetonius Tranquillus Suidas Terentius Tertullianus Themfon ThemiHtus Theodoretus Theodorus TPrtfcianus Theophraflus Valertus Flaccus ValeriusMax. Varro Vegetius Vttruuius Vopifcus Xenophon. INDEX EORVM QVAE HAC ADITIONE quarta (iintaddita ab aiKftorc. ^ Ccubitus in mcfifa toflcrio-' ribus l{omanisyC^ Graecis prarfrrtirri nobiiioribus ufi" tatiljimus.j i.z.^. B. jiccumbendi modus llebraeo- rum poft liberationc ab ji egypto.y i.i.D. ^ccumbendi modus Hierofolymus vtrttm ef fct qdAiis B^ruanorum in triclinio t\ib is li^isAltioribus.j^y.i.ji. jtccumbcndi uai ia genera, & tex.j z. 2. D. ^ccumbcntcs Vetcres epularifoUtos fuijfe. 67.2.^. Mdiutmcntum de truUnio.jo.^.D* ^tklttae dtnudabaiAur toticxceptis fubii- gacuiis.i-j.B.& C. jiti lct^^^^ iudi qualcs forcnt Cafsiodorus dmjcrte docuit. in ^ilhletica qd magis ualeat r^bur ars. C CEromaaUas aiiprerium iocusubiur.»gchaiv.itrryCh' :!ii acc: bitus lut aitquibus non flaceat» 66.t.E. Chriftus prius quam menfae accuwberet laua baturyiocufque reponebat.-J^i.V. Chnfiui in mcrfa taceret ne , an jederet . 68.1.D. Conuiui .rurn apud veteres He- bratost&alios genera dmcrja.jo 2. F. toronabantur aiiqui ,iicet non pugnajscnt. Crucis tituluscur llcbraicefiracce^atque U tine infcriptus fuerit.j i.i.F. Curfiim milit.bus Diogenes damnauit^ D Emocritus curpcnt^thiis uocarctur. DifctinMndi modus ftpra tciram 7i.l.B. Difcumbir.di mos ?iktn apud yiehraec^s ttm^ pore Chnflijuerit ;& ritalis Medicaci fententia hac dc re expcnditur. yo.i.E* Fnpa qmd effet. Fraucifci Toiedi Cardinalis, & aliorum circa Mariam Magd.iU ii*^m Qhnftipedif lauantemlcntentia.6^ z.t\ Fuiuius rrjhius accepit dgymnafticae iibris fua dc triciinio C6.1.E. GEntcs J{omanis feruientcs ipforum wt- rcs imitabantur.6j.^*P^' deCtnatione Sinecae Jentcntia- Ci^diatorum nos nephandus a principibus q oque abuiif ts.l^^.B. Cymnafta in omr.ib^a ferh Cr.iecorum oppi^ dis :.d^r,if.t,jic l\pmaeante '\eroras quo- quetewpora \().^.& 29. C. Cymnafia num tcmporibus lullns apcri» rentur. in Cymnaftisqui ludiprimum cxcrcerentur^ 224. £. Cymnaflae an toto femper corpore dcnudu" rtntur. n HEhraci num aciuberent potius quemad modum i\omani,t] Jederent.jl.LX. llcOia^ }{omJnorum rnjn s Jcqucbanturtni-

Ji patrvfs i^^ihus ( ontrar la) entur .j i .Z.C licrophiii medid liat ia cum ii Jii umcntis gy mnafUcat.Sfum origoyrrtusyet cur a ludam ai^c fret tur.-j^. i.t, S£dt ndi ad mer,Ja:s cunjuetudo f{p>7^anorum, & aliorum quando ccefta , & ufurfata fiteHtyi.z.^^ Serni,& tibertiin quibus agonibus conten^ derent^ Siteuis ueneris vfus prohibebatnr ante vigi fimum annuw^ Syharitu ornm jo rdidi mo rcs^y U2^C. THcmifiif locusi;orrc^^i4S.y^,c^ Tridinijcur rarae figurae in marmoribus inueniatur,6j.z.Cn Triilirii\m i^ncrdum Fro^omophrcs: USos capicHtc 6j 2,^. Tridi^ I N D E X. TricHniapeief aUos iabelmUeofqui aut /i- g»rosyaut argcntQS,aut aurcos.-ji .lU. rricUimnqnidapHdferuium.Sj.z.B. 7 rictifuum q^tid fucrit non Admodum notum TripcdJS nnejsc tru Hnia.67. z.C. rrcchusud mliitartm qu^i^^c artmpeni* Wibat.l^?*^* Vlrtutum quae fit prindpMlifsimi. rngendi morrm antiqi4ura pofl bat^ ncum, &ante c$enam Maria MdgdaltfU in Cbrijlo feruduit Ji.i.P. Erophagia quid efscU F I N r s * ARTIS. GYMNASTIC^' LIBER. PRIMVS Cap. 1. V AMDlv Homincs paucirtlmis rebiiscontcn- ri lauras mcnfas , &: opipara conuiuia non co- gnoucrunt , propinarionisciuc poft indudam paullarim confucrudincmpcnirus ignorarunt, (idquod primis illis lacculis cxtitilsc mcmo- riac proditum cft ) morbi ncquc apparuc- runr , ncquc ctiam corum nomina innoruc-

runr, fjcurvlquc ad rempora Socratis diftillarioijum ,quasGrac- ci Ktcriggovi dicunt,nomcn,c]uonilhodic Ircqucnriuscft, igno- ratumc/setradiditPIato.-quadc rctunc temporis mcdicinacaur paucos omnino,autnuIlosvfus, nullaqucpnncipia cxtitif^c cer- rum cft: etii Homcrus anriquilliiniis ausTtor fcripfcrir Ac^yprum multashcrbas, multaquc mcdicamcnrahabuifsc. Poftquam vc- rointcmpcranriaencfandalucs,coquorumcxqui(itacartcs, dc- licatiinma cpularum condimcnra, vinorumquc pcrc^rinac tcm- pcraruracintcrhominesiiTcpfcrc, morborum limul varia conri- nuo gcncra fuccrcfccntia ad im:cnicndam mcdicinam cos coc- Cgcrunt : cjua fcmpcr carcrc proH^to licuifsct, nili humana, vcl ponusfcrinaingluuies omnium uiriorum fobolcs cius ufum om- niummaximencccfsarium cfrccifstr. Mcdicina vcro tamcrfi pri- mo illo orru rudis admodum , inculraquc fucrit , quando priici illi ( ut Hcrodotus, &: Gaknus rcfcrunt ) ac^roros palam cxponcbanr ^"^'^* 'i'" vrvnafquifq.quodutilc,arquccxpciimcnriscomprobarumhabc-r£^^ bat, alrcrumcdoccrcr, poftcrioni)us ramcnfacculis abAcfcula- pioKpidauriocognomcnro apud (yrcnaeos mcdicomiriricc ex ornara fuir , &: quafi cx rultica urbana , concinna rcddira : quam tamcn omnino pcrHccrc is ncquaquam potuit, quippc quiVolis morbolJs , ac languenribus opcram nauans id vnum fcmpc r curan- di ftudium habuir: fanorum curam aut vllam dsc ignorauit, aut eam prorfus contempfir : quod poftca fucccfsorcs illi us inrclligcn- tC5 adco cxiftioucionc dignam rcputarunc , vt medicmam fine hac Qijmnastua. A totam * L l B E R tofam imiicam, nulloqnemodopcrfcaam cflcpoflepcrrpexcnnr. D Arq. hi fucre primi Hcrodicus Seiymbrianus , Hippocrarcs cius difcipulus,cjui curariuac morborum mcdicinae cofcruaroriam va- lerudinis paf rcm fcrc circa fana dunraxar corporc fatagcnrc adde- rc uifi funr , arbirrantes non minus praeclarum , arque artiificiofum opus cfse fanos homines a morbispraecauerc, quam iJlos ia impli- ciros Iibcrare : vndc medicina , quae antca femper quafi virgofue- rar,praegnansabillisrcddirafuir, quandoquidem prius foliscu- randisaegrirudinibuSjtumfaniseriamconferuandispraefeda ert:. An toram cam medicinae partcm, quae &:ad fanos, &c ad uiclus ra- tionemperrinct cxrabellulis, ahjsuc donaris, Aefculapij tcmplo dicatis Hippocrates conflauerit: an vero folamincurandis mor- bis vcrfmrcm clinicem uocaram , quemadmodum Varro , Strabo, atque Plinius credidifle uidcnrur, mihi plane compcrrum non E eft:ni/iquodfuirmoslibcraros morbisin tcmplocius Dci, quid auxihatum efscr,fcribere:]fqucaprimisillis rcmporibusvfquc ad Antonini imperaroris acrarcm non modoin Graecia,uerum ctiam inltaliapcrdurauit: vri pracccrcriscxrabella marmorca Romae itiAefcuIapijrcmpIoin infuIaTibcrinainucnra,& vfqueadhanc diemapudMaphaeos conferuara inrclligcrel^cct , inquagraece haecleguntur. S^ctKTuAovg i7rctico7S/3ri/^ct7vc: , y^' xpcif rlvj^flpct , K^iTflSHvctfjHc iJiovg d^- ^^\uod^ , op^ov iui,eM^i , Ji[Smov ^ctpi^Sivc , K^^v7X^pC/Le{^ov '611 n ro^sctj cipiTcu iyz^ovTO 'fhilS Ji/2ci KMj i^^c^y chuoaia YWj-^^a^tqi^CTaf iuTCOcJzf ^uov . Sdnguwcm reuomtntt JulUno deJfCTAto Abomnihushomimlt4S €x oraculo rejpondtt Dcus y n.^entrct ^ cx ara caperct nuclcospt^ my comcdcreta;na cum melle per tres dics : conualuit ^ ^ rtuens ptibliccgrattas egit praefente populo. ajuxi^ oLAixfvovoc; \6iK0v utToi /uiAtrz^; , Ko^^^vpiov aujb^fivaf , KSH^ f&t^ iuipa^ i7np^i(7af ^ 73 JfAi/3"Cf , j^j ivKA ^ W^aiv ShujoaicL m^ici . i J cft:  qua i]uicum(|ue occupabantur , ll^^^^^^^^^ domcllicos mui cs dilij^cntcr oblt riiabant , ac profcqucbantur. fic ubui. Cratcri mcdici rcruus,rcfcrcntc Porphyrio^nouoquodam morbo caprusfuit Jtautcarncs eius ab ollibus abfccdcrcnrrlic tcmpori- busnoftriscxfccranda illa gallica pacnc cxitialis lucsuniucrfas rcgiones ucxarc cocpir : ut nullo pado illud, quod ucl podciiorum hominum culpa , uel torruna auc Dco ira uolcnrc contigir , Hippo- craci crimcn artcrrc dcbcar , a quo cum duac iam pracdiclac mcdi j;cinacparrcsad lummampcrrcchoncinproucctacfucrint , diuinis cius manibus immorralcs fcmpcr habcndac funt gratiac . Am- pliusq. illud actcrnac memoriac mandandum, quod ambac medi- cinacpaitcslicutidiueifac rc ucra fiint,paritcruarianomina ha- bucrunt , altcraquc 7r^o^,\ccKTPLH , (iuc vyt^ti^m , altcra S%g^wriKH nun- cuparafuit , uocabul.s quidcm his tum abopcrc, rumarccirci quam ucrsdntur,acccpt;s , quac quouiam fapicnrcr , arquc ucrc dc- promptac tucrunt , nullamumquam apud ullos mutarioncmfufcc- pcrunr: qucmadmodum ctiaui ufquc ail pollcriora tcmporahacc inucrcrata pcrmanlit inrer inedicos coniucrudo , ur omncs duas niedicinacparres prinuirias cfticianr,a!tcramcurariuam , alreram confcruatiuam nuncupantcs , quas ob id communi incdicinac no- minc plci umquc comprehcndunr ; quoniam curatiua , quac primo C ob maiorcm ncceiriratcm inixnia fuir , id nomcn adepta ell , quod confcruarjua quoquc ei poltrcino adumcla non modo obrmuit, ucrumctiam apud nonnullcs tantam auctorirarem acquiliuir, ut iudicaucrint hanc folam medicinam ucram appcllari debere:illam inccrram ,falfam ,mcramuc hominum alios deciperc itudentiuiu impofluram cxfiilerc , nempc quac nudis coniectuiis, infirmisq. ar- gumcntis primo ad cognolcendos morbos urarur : dcindc in co f c- rc omncsfbrtuira remcdia ,incogniraquc medicamenra ,ur pluri- mumadhibeant,i^ dcmum ram in iudicando,qi;;im in curando non raro fallantur , quos raincn in grauillimo crroi c vcrfari faciili- mc cognofccnr , quicumq. humanas calamirarcs , morborumq. in- commoditarcs, qualcs fbrcnr, ni curatrix medicina fuccurrcret » acquo animo aclhinarc uoiucunr : ut non abfq. lumina rarionc iu- lianus impcrator hanc pro mcdicislcgempromuigaflc uidcarur. Otfmnasiua, A 3 IHN ^ L I B E R ^»pu,mcty.iAiovoi^v, if /2ovMb-nzm e^r^py,,uciTcv oi^oyXi^rHg vu^gcv roig XoiTTOic: ;^^ovotc s abomnibuscurialibusminiltcrijsimmunesuiucre. ' c De confiruMkcicfmihus,c Galcno crebro fcriprum reperi- tur , exercitationcs , tot atquc tanta ad uitam fanam traducendam bona praeftare , quot & quanta uix vlla alia medicinae initrumcr i praeftant . Quod fi Hippocrates in lib. de Locis in hominc fcripfit Gymnafticani,& medi cinam cotrarias efre,quoniam altera permu- tatione opus habet,altera non de fola ea medicinae part e fcrmone habmt , quac i n medendis decumben tibus clinicc a pofterionbus yocata,folum uerfatur.Plato ctiam,atquc Plutarchus q uando dixc- runc r K I Ai V s. 9 A r. nr cUiascflc c.u.i corpuslu.inaniini vcrfuitcsaitc-s, nicdicinain, &: gymnafticani , non ob id , qncmadniodum Era(iftratus 6c Scdta- torcs> illasfciunxcruncfcd communcm hominum loqucndi vfum fccuti funr, qui , quoniam pollcrius i:\mnaftica mcdicina inticnra, ciq. adncxa clt, cas diucrlas nulla alia rationc diiCti dfiwicbanr.Cc- tcrum quid fithacc ars cxcrciratoria pymnaftica gracco nominc nuncupara, ab cius dcfinitionc, fiuc dclcriprionc pcrcrc dcbcmus, quam crli luculcntcr cxplicatam apud Piaroncm habcamus ,a nul- lotamcnaho, quam a(^.aIcno nortro cam 6^ brcuius , &:iucidm^s ^^^.^ dcclaratam crcdo , ubi iradixit:» Tfc;^Kii y\Jiiy(tstKH Uut Intsni/M rn^iv -^^^^^i •TTiiTiyvyL^WTmJ^iti^fi^ hoccftgymnaiLic a cllquac omnium cxcrci- tationumfaculrarcs nouit, aut porius, gymnallicaarscflfcicnria potcntiacomniumcxcrcirationum. Qu )in loco animaducrtcn- B dum cft, Galcnum fcicntiam non propric, fcd cf>mmuni:cr, ut plcrumquc auftorcs folcnt, acccpillc , proptcrca quod gymna- Uicacumprofincopushabcat, &:fcicntiac nullum opusconlidc- rcnt, nccclfario a vcra fcicntia cxcludirur i quamuis alioqui caulfas cxcrcitationis virium facpilfimc contcmplctur : clt mlupcr ani- maducrtcndum, Galcnum hac dcfinirionc gymnaflicam a pac- dotribicadiltinxiifc, quoniam illa ramquam impcratrix&: cxcrci- tationum qualirarcsomncs, &:carum cauflasfpccularur , impcrat- quc , hacc vcluri minillra ilhus cxliflit , pcrindc ac gymnalla crar , quiomnium cxcrcirationum potcnriasprobcnofccbat , casqiiC, prourfanitaxi,&: bonohabitui cxpcdirc iudicabat , diucrfis homi-nibusimpcrabat : pacdotri ba ucro , qui cas , quomudv:» fi-^rc dcbc- rcnt,*&:pofscnt, rcipfa dcmonllrabar:arqi:c hoc acni':!maricc cx- C plicauit I^olybus fiib his ucrbis: TreuJ^oT^lRxi roU^J^tJ^iaKovciTretix- ^ ttffctok Kxri f^tiop, iJiK^uf JtKxlt^y ifcrrcrrt. KMTTuy i^oc^up Bii^i^fz^cUy jc u. ca- riKiA/usxyKetliKr^^tsx: idcft: Pacdotr bac h( c cui ccnt pracuan- can (ccundum lcgcSjiniuriam fKcrc iuftc,dccipcrc . furari,rapcrc, viminfcrrchoncftiflimc, &: turpiffimc. Nam ii quisluw irorum, &: ahorum, quia pacdoiribiscdoccbanri:r,adtioncsacftimcr, li- quidoconfpicicr ualdcijsaflimilari , quac aPolybo fcripra funr , ficquc gymnaftam , &: pacdorribam noii parum dilfiniilcs faifsc:vc- rumramcn, cum intcrdum unus vtriufquc munus implcrct, noii immcrirocxiftimaucrunt aliqui has duas ancsunam, atqr.c can- dcm cfsc , uduti nonnumquamidcm&:miliris lir.pcraroris ofli- cio pcrfungitur; arramcn (ialcnus cascfscdilbnCias voluit,dum gymnafticam uocarircfpcituhabitoad folam cxcrcitationis qua- hrarcm ' « L i u E R. litatumnotitiam, quae opmtione ipfa nobilior cd; pacdotribi-D cam clici ob aitum ipfum cxcrcendi , vtpote /gnobiliorcm contcn- dif, haud ahter ac ii dixifscraltcram harum fpeculatiuam , acarbi- tram,&:iudiccm;altcram pradlicam efse, quae omnesinterdum vna gymnafticae appellationc a matcria , circa quam ucrfantur, utpnarmaccurica,fufccptauocarentur;ficutifpccuIatiua,&:praaica mcdicinaepartes unoircdicinac nominefacpenumcroappellan- tur led quod ucrcficuti dcclarauimus,eymnartica talis efse: gym- naflaq.&pacdotriba difl-crrenr,AriIloteIis tcftimonio quoq. copra Darelicef,(^nipnncipioquaniPoIiticoruhoc fcrip:u rehquit: eV fiftnir" ^ a """r 'i"'^' P'''''' ' '^'^^ ^us aliqd' pcrfcdc cx- Munt vniuseftconfidcrarcquid cuiq. conuenia: g^ncrSeu e^^^^^^ cac ^ft '^"'''^P^"^'"^^^- ""^ omnibus.Etcnim hoc gymnafti- tarcs opere ipZdoc^^^^^^^ "aric- uandae^elSptim co^oo ifM "^'""^^'"'^ ci. Dixi huiusartirtX?/r^ '"'f^"'''^"^'^ pcrfeaam , qiltum? . oo tcft "r"".' ^"'"*" "^P^^"^'" ^^^^'^ ctKuiiutl.ancfciSfnV.bai^f' "1"^ uerfan- I Bfit 2(ifl liOQ iit nimi licoj niin, P R I M V S. II A iJCrfantiir > circa quas gymnaftica mcdica,ut in fcqucntihiis fum cicmonftrarurns , quando in iingulis cxcrcitarionum gcneribus cicclarandisquomv)do in vnaquaquc gymnaltica locuin habuc- rint fcparatim planuni laciam: nihilominus magnopcrc intcr fc dilcrcpanr,caunaqucraliscliffcrcntiacnullaaliacx(i(litpractcrll- ncmfingu]arum,quoHncomncs lacultatcs diftingui fcripfit Ari- ftotclcsrNain ludorum hnis crat rcligioquacdam,qua Anri(^ui opi- nabantur fcfc Di)S rcm gratam illis^Iudis tamquam. promiflam fa- ^uros -crar quoquc populi uoluptas , cui maximc &c rcfpub.&: Rcgcs, ac impcratorcs lUidcbant, quo homincs u )luptarc dcmul- 11 in ofticio contincrcntur: undcludoiumcxcrcitatoribustantum honorcmtributumcflbfcribitPhnius, ut, dum cos inircnt,fcm- pcr aflurgi , ctiam ab Scnatu , in morc cfl^ct , nccnon fcdcndi ius in J Bproximo Scnatui , atcjuc uacario muncrum omnium ip(is, patri- bufcjuc &:auis patcrnis , quod tamcn fcruis , quando illi (imilcs lu- dosinibant, conccfliimfui^rc minimc crcdo . I)c his ucroludis quicumquc aliquid cognofccrc optaucrir,librum Onuphri j Panui- niA croncnfishabcbit,qui omnium diligcntiflimcut cflipfcom- nium facculi noari in hiltorijs longc ucrfatiflimus , hanc matcriam tradau:t . Arhk tica lincm habuit robur , ut illius ui pofifct athlcta aducr(aiium*fupcrarc,&:coronampracmiaqucpr)polita confcqui: quamuisctiamapud Graccos ,&:I.atinos nonnunquam arhlctac uocati funt , tam illi qui in ludis , quam qui cxtra ludospracmij gratia ccrtabant, quos omncs fub nominc uitiofnc i:yinna(ticac ( dcquainfcruisloqucmur ) Galcnus complcxus cftV C:ac:crum qui gratia bclli cxcrcitationcs pracdiclis obibant , id non ob aliud Cagcbant,ni(iquoagiIitarcm , ac pcritiam compararcnt, quibus pollca,cuinopoitcbat,hoftcsin pugna uinccrc pollcnt : atquclia- rum cxccitarionum difciplina vfquc adco fcucra apud maiorcs fcruabatur,utciusdo^torcsduplicibus,quod(cribit Vcgctius,rc- , muncrarcntur annonis ; &:qui pr.rum inilla piofccia-ni militcs,iml profrumcnto hordcum cogcrcntur acci^ crc , ncc antc cisin rri- ticoreddcrcturannona, cjuam fub pracfcntia pracfccti rnbuno- rum , ucl print ipum cxpcrimcntis datis oftcndiflcnt fc omncs mili- tiac cxcrcitationcs complcflc . Kx quibus omnibus manilw flu ii cft gymnafticamnollram a pracdictis dillcrcnicm clks^cidcolinnma cumrationcanobisinilhus dcfinitionc politum fincmluilVc ,qui cftgratiafaniratistucndac,&:boni corporis habituscomparandi . QiKjducrocxcrcirationum omnium trcs pracd^Cii fiiics ,a quibus tria gyninafticacgcncraortafunt,apuductcrcscxftncrint,atquc omnes 12 L I B E R omnesfn^inumpubIicaefeIicitatisfinemrcIatifint,abuncIe Jecla- A rauitSoIonapud Lucianumin Anacharfi cfia!ogo-qua una iJIius oratione,tota hacc fententia noftra haberi rata mcrcrctur,nifi Pla- tonis&alioruminfcriusexplicanda teftimoniaacccderent. Degymnafiicae fubieSIo y icd nonnullas iScpcrcurinas picrrini ad cxcitandani lirini quaciitasefsc pdicat.ltaq. valdc hallucniatum fuifsc Budacu puto , quinifuisad Pandcctas adnorationibus Komanosgymnafioru ,&: palacllracexcrLitamcnris minunc vfus, nulla flrma rarioncprobat. De gymfujis Antiqu0rum. Cdp. Vl. '^'mnaltica.liuc cxcrcirarona in ccrtislocis Hcri foliram^qin iupra Ibtumnisaarioni modo conlcntancum cll,quid,loca ipfa,&: qualia lorcncplanu faccrc . Nam ioca illa nil aliud fuifscq gymnalia nuncupata,cx mulris,&: pfcrrim cx vcrbis Galcni infccundo dc tu.va.fcriprismanifc llo c6probaf,ubi narrat gymna- B llum fuilsc publicum in lcparara vrbis rcgionc locum cxllrudum, in quo ungcbantur,tncabanfur,Iu(flabanf Tdifcum iadabant, aut talc quippiamhiL^itabanr,q loca ira nuncupara fucrunt,qm cxcrcirato- rcs ibi , vt pluriuu"i dcnudabantur.^^fo^flf^K^it^ jnim antiquifTima vox ctiamdcnudari li^nihcarc vidctur,vndc Marnalis librotcrtio. 0} iocfma£jUJiMmeithiCp4rte,recc.ie i / , mdos pjrce videre viros. EtBardcfcncsapud Eufcbiu li.vj.dc pracparat.Euang.c.viij Crac- cos ait no poiuiflc vlla vi fidcru prohibcn , quin i gymn afijs nudis cxcrccrcnf corporibus. Vc ru an ocs,&: toti sepcr dcnud arcnf q fini ratis tm gra cxcrccrcnf no cft ita copcrruifufpicor rn,Iu(ftarorcs, pu- gilcs^tq. alios qu(jsda potuiflc dcnudari qucmadmodfi Athlctis in rfu crat,quos rni fubligacula pudcdis tcgcdis ra in publicis , in C priuarisccrtaminibus habuilic- cr ufq. ad Homcri tcpora,a quoco- ru fit mctio,ojs r6dccoriscxigir,&: hilloria Orlippi ab Euftarhio, &: Paufania relata,cui fubligacula dclapfauidoriadcpfcrunt.ut indc poft modu indultr:,(ir ncc ca gcilarc ira accipicda cil ranc| non ma- gnis,&: impcdictib^ /cd paruis,&: nulli'unpcdimcri uri liccrct,quc inorc vfq. ad fua tcpora Komac ^pduraflc fcribir raufanias. Ad h-ec qnq. fub nomine gymna/i; omncm locu,vbi cxcrcerenf, coprehcn- fum fuifserepcritur : lic ut poika hacc vox ad alia quoq. traflata cft, qucadmodu apud Iolcp!i^'i vidcrc licct,qui in libris dc bcllo ludai- cobalneaaliqngymna/ia nucupata cfsc dcm61lrat,vbi dc Hciodc ita loquif.Naq. apud Tripolim,&: Damafcum,&: Prolcmaidc publi cas balncas,c] gjmnnfia ciKUiu,Ijil>Iidc aut cxhcdras porticus c6di dir.Hacc loca a Virruuio,C clfo,Plinio,atqucalijs Larinac linguae audtonbus palacftras nucup.ai i inucniorVndc ct coijcio Vitrumj rc- Cymmfi!^ ^ jj pcftatc »8 L I B E R peftate in Italia.vbl raras admodu,veI nullas extiti/Te palaeftras,/luc D gymnafia,qnquit]cis libroarchiteflurae earumaedificationcsfra- diruruslralicae conluetudinis nofuiflepraedicit.-Naqui primi gy- mnafiaexaedificaflrc crt dunf,fucrunt Graeci,licrcdendum cft So- DaZt ^^"^ ^P"^* Lucianu , & M. ^TuIIio Ciceroni,qui in fecundo dc Ora- " ■ torcfcribit.gymnafia deIcdationis,&:cxcrcitationisgratiaab ipfis pnnuiminftituta fiiifTe. Intcr Craecosautcmprimi cxftitcrfitLace daemones,ficur Athenacus ex Ippafifententia,&PIatoin Theact. Sc primo de Iegibusincmoriaeprodiderur,quosctiain illa ipfa om- niumpraeftantilfiina,atqucfpcciofiftimaconftruxiflccx MartialisU bro I .intelligcre Iicct,vbi ho§ vcrfus habct. ^rgiuasgenetatus inter vrhes Thibas larmine caiitft ,aut Mycenas^ p ^ntclarami{l)udon,aHtlibidinofaet Ledaeas Lacedacmonispalaeflras ^ QuovcroPhuoinCritia du Atlanticam illai-egiadcfcribit.q^no- uc milliu annoru mteruallo ab actatc fua ante floruifle narrat,ibi gy mnafiaexftaOc fci-ibir,qui LacedaemonQinuctuillafacit, cxade di fcerncre nequeo.nifi totaillaCritiae narrationefabulosa credam*. PoftLaccdacmoniosAthenienfcsquoq.fuagymnafia crexcrunr,in quoru vrbe tria extitilfe tcftant Paufinias,&: Suidas,altcrfi «W»^/w vocatu,in quo Plato philofophiam fua jpfefllis eft;alteru Avxwa^vbi Anftoteles cdocuit,q(f Apollinis Lycij teplu fuiflc icgitur apud Lu In Anach. cianuiah erfi Kiwttgyis ubi nothi,fpurij,ac ignobiliores oes excrccba tur.fi quidcapud Craecos tanto odio,tataqueinfamiaviles,acfpu- rij notabant,vt qui vcre lcgitimi.ac nobiles efscnt,cfi ijs cofuetudi- nc,aut cocm fefc cxcrccdiIocuhabererecufarcr.Pr.actcr haectria F mctioncfacit aItcrius,quod Canopu uocat Philoftratus in vita He- rodis Attici.Dixi in vrbc Athenicnfium tria fuifsc gymnafia , quod hcet extra vrbcm efsent,erantiiihaud longcacdificata,utqproxi- ma efsct urbi, m ea fuifse dici potucrit.ln his etenim mortuos quo que fcpeliendi confuctudincm Graecos habuifsc fcriptfieftapud -i.Epift.ft Ciccronccui Scruiusfc Marcelluinterfcdum in AcadcmiaAthe- m».epj;,. nienfiimobilnfimo totiusorbis gymnafio fcpeliuiflefcribit Quae 1^''^.^'?^""' antiqmtatis totius pcritiflin-ius inuenifse fcribit in ue tt.gijs Hadriam impcratoris Tibmtinae viUae rcpracfenrara.Athe naeu,Hcrn,cu,Pan.'ithenaicu, minime gymnafia , vbi corpora exer- cercnt, tu.fsc puto:fcd loca,in cibus aut difciplinarfi. &c aliaru artiu ftudus opera dabatur,ucl fefta aliqua celebr5.bantur.vt in Panathe naicofcfta Panathcnaica. Corinthum quoque gyranafiu habuifse, Craneuin P R I M V 19 A Craneum vocatiim,auclor cft Lacrrius libro tcrrio. eaadcm nulliim pcnc oppidum fuit ( iraccorum, quod gymnafium non habcrct, uf Anachar/is diccrc folebat.Komani poftrcmiomniumgymnafiapa- lacftras vocata in vrbcad Craccorumacmularioncm Varronc au- rtorcacdificarc cocpcrunttquostamcn cacrcros quofcumquc tum magnihccntia opcrum, tum inacftimabih pulchrirudinc in hoc gc- ncrcanrccclTillc, cx illis I hcrmarum ruinis, quar ad hanc vfquc dicm non finc omnium Ihiporc pcrdurantcs , conrpiciunrnr,facilc conuincirur . nc liicam i!!ud ^ quod dc Ncronis gymnalio fcripdt Marriahs lib.vij^ Qnid \frone peius ^ Qitid Thcrmis mtlius ^ctom^jiis ^ atramcp anrc Kcronis quoquctcmporafuiflc Komac gymnafia cx 1'Iauti Racchidibus, B cuiuslocum apponam infcrius,col!igcrc hccr. Nam gvnmafia tora ahquando Thcrmas ob aquae calidac vfum ibi frcqucntcm nuncu piri ,apud audorcs Latinaclinguacncmodubitat,ficutctiamin- tcrdum Thcrmac fignificantcamgymnalij parrcm,in qua lauaban tur,ubi propnigcu,laconicu,calda lauatiolitac crant,ut cxmulrisau ^torum tt ftimonijs pracfcrrim cx Mai tialis vcrfibus nupcr ci ta- risclarc pcrfpicitur.Ciymnafium^thcrmacftadiu cfthac partc. His omnibu* po:c ft iam vnicuiquc pcrfuafum cflc , (juanrum in criorc vcrfatus fit(inuitus farcor)Blondus loroliuicnfis conciuis mcu.squi in fccundo Komac inftaurarac commcnrario rhcrmas folum ad la - oandi vfus inftitutas tuiflc lcriplic. Voiio nc quis forfan admirario- nc capiarur,quod dixcrim PIatoncm,arquc Ariftorclcm in gymna- tijsphilofophari confucuiflc ;[circdcbct in huiufccmodi locis va- C ria hominum gcncra conucnircfolita fuiflc,quacomnia in fcnucn- ti capircanobis ligillarim dcmonftrabunrur.ranta c nimcrat huiu- fccmodi locorumcapaciras,tamq. fpatiofa ampIitudo,vrabfquc ul- lo impcdimcto diucrfac , ac fcrc iiinumcrac cxcrcitationcs , &: cor- porum&canim^^rum pcragi pofscnr ,qucadmodum cx Vitruuij al- laradcfcriprionc pcrfpiccrc quiuis mcdiocrircr Iiac in rcvcrfa- rus potcrit ; quam cum in rcbus plurimis diucrfim cx Odaui; Pan- lagathi viri tcmpcftarc noftra fummi iudicio in prima cdirioncrra- didcrimus,nur ipfa diligcntiusconlidcrara (vt icmpcrcuracpoftc- riorcs cfse mcliorcsfolcnr)caftigatiorcm,&:omnibus Virruuij ucr- bis cxaiXQ corrcfpondcnrcm cxhibcmus.ad quod agcndum clarif- lim is Aloyfius Moccnicus, Prancifci hlius, loanncs Vinccnrius Pi- ncllus, Mclchior Guillandinus, uiri tum ob acrc in cunvtis iudiciu, cum ub lingularcm cruditioncm apud omncs fpcctatiifimi, nccnon B 2 An- , L I B E R AndreasPalladiusprifcae totiusarchiteduracpcntiifiiriusnon pa D rum adiumciuo nobisfuerunt.ita utnon vcrear.quin hoc pado do- ^is,Vitruuijquefc]entiacftudio/isprobataeucniat,&qucmadmo- dum ad hanc fcrc diem palaeftrae ratio fuit incognita, fic in pofte- rumclara,afquemanifcfta futurafir,Immo vcro,fi Odlauiusipfcrc- uiuifcerct,non dubitarc,uterat homofanfliiftimus^arq. dodilTimus, quin ctiam ipfe huic defcriptioni , Sc Vitruuij contcxtui non muta- to.fcd in aliquibus tantum raelius ordinato Jibentiflimefubfcribe- ret.Placuif autem duaseiusichnographiasproponcre, quiaaudor &: cmadratas,& obJongas ficri pofse docet. De paUeHramm aedifiuttone^fs' xyftis^ex VitruuioLib.V. Cap. XI Vnc mihi videtur ( ramerfinon fint italicae con- fuctudinis)paIacftrarumacdificationestradere explicate,&: quemadmodu apud Graecos con- ftituaturmonftrare.lnpaIaeftrispcriftyJia,qua- drata.fiue obJogaita funt facicnda,uti duorum ftadiorumliabcantambulationiscircuitioncm, quod Graxi uocnmJ^uuajUv.cx quibustrespor . "'^"^fif"I^'iccsdifponanrur,quartaqucquaead mendianas regioncs cft conuerfa dupJex.ut cum tcmpcftates uento iac Junt, non poftitafpergoinintcriorcmpartcmperuenire Con- ftituunturauicmintribusporricibus cxhcdrae fpatiofaenabentes lcdcs,in quibus pliilofophi , rhctorcs, reJiquique qui ftudijs deJe- ftantur,lcdcnrcs d.fputare p*flint. Jn dupl.ci autcm porticum F colloccnrur Jiaccmcmbra,Lphcbacum in mcdio (hocluuem eft exhcdraamplil],macumfcdibus.quactcrtiaparteI6g^ lata ) lub dextro conccum, dcinde proximc coniftcrium,a conifte nomvcrfuraporticus frigidalauatio, quam Graeci aovW: itafa- cla,ut in partibua, quac lucrint circa paricrcs , &c quac crunt ad co- lumnas,nurgmc&habcantuti lcmitasnon minuspcdum dcnum,mc diumq. cxcauarum,un gradusbini (int in dcfccnfu fcfquipcdalia marginibusadplanicicm,quac planiticslit ncminus lata pcdum du(K^ccim: Ita qui ucftiti ambulaucrint circum in margmibus noa impcdictur ab cun^^tis fc cxcrccntibiis. Haccaurcm porticusapud Graccc^ jyoii 'lociutur ,quod athk tacpcrhibcrna tcmpora jn tc- di$ rtadi js cxcrccniur. Proximc autcm xyllum , & dupliccm porti- cum deilgncfnrtrhyp^icttirac ambuIationcs^qitasGracc/irtfi/ftf/j^i. /flff^noftri xylb appcHanr,!n quas pcr hicmcm cx xy(h>fcrcno cuc- lo arhlcrac prodcunrcs cxcrccnti:r.I-ac iunda aurcm xylta lic uidcn tur,ut lint intcr duas porticus (iluae, aui platanoncs , U in his pcrii- ciantur intcr arborcs ambulationcs,ibiquc cx opcrc fignino lUrio ncs. Port xyllumautcm Ibdium ira fiuurafum,ut poflint hominum copiac cum laxamcnto arhlctas ccrtantcs Ipcvflarc.Quac in ntocni buincccflariaujdcbanturclfc.ui aptc djlpoiuntui,pcrkrjpil 21 tigura paJacltrae cumpcnilylioqinidrato Occafus g a B s □ □ II a • ••••^•••« •• • • •[?• # • • • • • ♦ ^ ■ ^ 6 r • 4 — • ^ ■ ■^ • • • 0 — ^ 4 — •^— ^ • • • ••• (?•••••• D • • • • •t« • • • • • • • • • • • ■ 90 Orrus Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQu Images reproduced by courtesy of the Bibli CFMAGL 1 .7.429 24 L i B E R A Pcriftylium in palaeftra quadratum&: oblongum habcnsam-D . B Trcsporticusfimpliccs. C Portiaisquartaad meridianas Cacli regiones conuerfa , quae duplcx eft. D Excdrac in tribus porticibus fpatiofae,in quibus phiiofophi , rhctorcsdifputabant. E Ephoebeum,ideft cxedra tertia partc longior quam lata. F Coriceum a parte dextcra. G Conifterium. ^ H Frigidalauatio in verfura porticus. I Elacothefium adfiniftram ephoebci. K Frigidarium. L Iter in propnigeum in verfura porticus. E M Propnigeum. N Concamcratafudatiointrorfuseregione frigidarij ion^itudi- ne duplcx quam latitudinc habens ex vna parte Placo- ^ . 3 nicum QJxituseperiftylio ^ Exaltcra Ocalidam _ . , ^ iauationem R Porticusextra palaeftramprima exeuntiLus. S Pm-ticusfecunda fpedansadfcptcntrionem duplcxamplifllma iatitudinc&ftadiata. T Porticus tertiafimplexitafadauthabcar. V Margines circa parietes. X Marginesadcolumnas. Z Mediuexcauatumuti gradusbinifintindcfcenfufcfquipedali F « Hypethracambulationcs proximcxyftum , &: duplicemporti-' cum,quacaLatinisxyfta,aGraccisiirt^;/f,^i^uocabantur. D J>iluac ucl platanones intcr diftas duas porticus. y Stationes ex opcre fignino. Stadium itafiguratumutpofsethominumcopiaccumlaxamcn - to athletas cerrantes fpeaarc. % Locadequibusl etfinon meminerit Vitruuius^ fiufst tamen in palaeftrancccfse ut lignarium,iiquarium , uafarium, latri- Btc naimihwum ctil«, &: finailk. P R l M V S. Dt '^itrijs Imninum generibns , quae itj gymtiaJiA comonebAnt. Cap. VIL 25 metli. B Aiua, adcoquc varia hominum in gvinnarijs conucrfan- tium crat multituao,vr,rcfcrcntc4nihifaf nBrtffn y pJtrijwfj. 7\0kercar, Et ficuti ctiam Galcni tcilmionio comprobatur^qui Tl.cagcnis cu- iufdamphilofophi Cynici in Traiani gymnal'H)quoridicpublicc difputantismcntioncmfacit : Triacnim fuidc Komnc h)caJii qui- in in lib. bus lirtcrariac cxci citationcs obircntur, cx varijs Ga!cni !il ris co- libru C gnofcitur,tcniplum pacisantcquamconflagiarct, gymralia pu- blica, cW^fK. Intcr-quac fcholam mcdicorum appcllatam (i- quis rcccnicat mcafentcntiaa vcronon crrabit. fuit autcm ca iii hfquilijsacdificata, multLsq. imat;inibus, atquc rriarm(>fitK>ncs , 5c aliaincdicinac Itudioforum cxcrcijia liimlcquid trad.in folituin iiiiflcatquc nunc incollcgijs vocatisfir, qiiandoficfcholam eiuf- modi propnos rai>uUrios habuiife , oftcndit marmor cnm hac in- fcnptionc Romae ad D.Scbaftiani rcpcrium. M. LIVIO. CELSO. TABVLARiO SCHOLAE. MEDICOKVM M. L 1 £ R M. LIVIVS. EVTYCHVS E ARCHIATROS. OLL.D.I/. IN. FR. PED. IIIL Alterum genus crar,Adolcfcentcs,qui vr cxcr. itationu obferuatio- nes,atq. modos addifcerct,ad gymna/ia acccdcbar,vbi a gymnallis ipfisquafcumq. cupiebatexcrcirationes, edocebarurj Adole/ceres hbcros palaeftra cdifcere folitos fuiiTc facile couincirur ex iJIis Par InEunu-menonisapudTerenriiiverbis, quibusiileCherea fub formaEu- nuchi Thaidi oflfercs air,Fac periculumin lirferis,fac in palaeftra,in „ muficis.q hbcru fcire aequu eft adolefcentc,foJiertc dabo.id q^ cJa ,, riusmfra demoUrabo.Tertiugenuserat Athlerae qui ibi feexercc- bar, vt in publicis Uidis, fcu in facris certaminibuspoflent&popu- lu dele(aarc,nccn6 vidoria ac praemijs potiri.&: qj-hoc fuerit,pre- rerVirruuijauaorirareSueronius clariilime demonftrat du refcit E Ncronc qiiandoq. gymnafiu ingredi foIitu,vt cerrares arhJcras fpe- ctai ct.Quartu genus crat ocs iUi fiuc nobiJes,fiue ignobiJes, qui ue! miliraris difciplinac,&: forrirudinis,veI tuedaefaniratis,&: boni habituscopamndigratiavarijscxcrcitationugcncribusinciibcbanr de prionbus elt locus apud Cafliodoru Jib.v.epift.2 ^ maJc a Pamc- lio m adnor. ad Tcrrulliani lib. dc fpe«ft. inrelJeau , vbi ita fcribir Oflenriuucncsnoiha in bellis,qd in gymnafio didiccre virturis.ln Inic' l.^n ' "^"'■^' poflumus, cum fcribat -.c. e anno aetatis fu? tr gefimo quindlo pafllim fuifle luxarione fummi humcn ,n paJacflra.Quindtum genus erar corum.qui fricabaruX cer n.fndbones ficrcnr a mu Jris ante rcJiquas cxcrcitationes,nihiJo- ^irr^smnln quoquc fine vJJa excrcitatione feorfum ab aH; , ut dc C.alcnofridione adexcrcitationcspracpaKuoriaareliqufs diftin S;;Hn^ bihorcs.Hoc tamen intcrerat,qct diuitcs,arq. primarcs Jabra & co lymbuhras^prias in cellis alioVjui comunibiis habcba ^bjf^^^^^^^ ucrfis tcporibus lauabaru r, mulri crar qui ct folia ucl J.enca vej ar gctcaCqd-rcctat PJinius) fecu ferrcr,nc pcdcs nudos cXc S nJi viJifnmi qu.q. poncbanr, quauis ctia rcftranr nonnuJjXh-hnnm Impcratorc lauan loJitu, vbi plcbs lauabatur quoT& -n^S cX fccifTc cribit Sucronius. Qui vero duntaxatunge7cm?rnuJ^^^^^^^^ gymnafi;s rcpericbantur, quonu uej cxcrcirationTn3l K^^^ grariaungcbanrur. Abhiipoftrcmoonin Cn^^^^^ res ( ne nuniflros,dc quibusinfra loq«cmt,r nuncC, cam^^^^^ gymnafia conuena banr,qux non ob ^nliud, nifiarvidendos eTe^.;/: . tarores P R 1 M V S 27 A tatorcs ut porc otion,&: nuUis ncgotijs occupati eo ncccdcbar.Qiio in loco id ctiam animaducrtcndum ccfco,dicbus f clhiiis gymnalia ma-islixqucnt:U:ituiirc.qu;UKlc)artificcs,autaIi)sfcrmcijsdctcnti otiantcs in illis ob rcmittcndos Iaborcs,&: uoluptatcm capiundam ucrfabantur. An in Komanorum Thcrmis mulicrcs quoq. ucrlarci> tur,qucmadmodumuiri,nil ccrti aftirimrc auiim,niiiquod Koma- na maicftatC- illud dcdccuilTc vidctur , tacilcq. ficri potcMt impu. rac aliquae & (peaandi,& ludcdi graria^quod luucnalis.&: Marna- lis innuucpublice vcrfarcntur in ^ymnalijs, nccnon in locis lcpara- tis,quac ibi lauadis tcminis folis cxlli uc^la cn"cnt,pcrindc ac in priua tis balncis honcftac mulicrcs lauarcntur tam ignobilcs & mcdiocri loco natacqua illuftriorcs , cu dc l>oppaca Domiri j Ncronis uxorc LU.c.4.1. referat Plinius , quod ad au^cndu cutis candorO quingcntas aimas B tctasper omniafccum trahcbat, cV balncarum cnam foliototum ^ corpus illo la^c macerabat: quod intcllcxi t luucnalis dum lcriplit. .niir p nguia Poppacana. Saty.^, Spirat & lr:cipit agmfciyitq. Hb laciefonetur Troptcrc^uod/ecumcomiteseducitafelUs. in qucm dcalbandl corpo- ris nfum ihas mulicrcs farinam fiibaccam, alios ninum ,aphroni trumuc in balncis vfurpatrc mc minit Galenus. Atqui Spartanorum Primo dc mulicrcs una cum uiris in palacfiris cxcrccri fc confucuillc, practcr aIio5,fatis tcitatumfacitPropcrriushbrotcrtioMultatuaeSpartemiramuriurapalaeHrae Scdmaj^e vir^inei tct bona^ym^afii^ Quod non infames txetcet lorpore ludos Jntcr luilafjtrs nuda putllas uiros , Cumpii i ueloccs fjUu pcr braihia i^^l.iS^ Jncrepat & ve fnlauis ad tnca trocht, TkluerulChtaq. ad extrtmas fiat ftmina mctas , Et patitur duro vulncrapancratio , 7\(^unc ligax ai cifium gaudentia br,nhia loiis, MiiliUnunc dijcipondus in orbc rotat. Keq. deHoc Spartanoru morequifquam minMi dcbct ,quando&: Plato in quindo dc repub.grauiHimis arj:un.cntKs probaiiir ad flli- €cm rcrum publicarum ftarum maximopcrc conduccrcfi mulicrcs tamiuuenes,quam fcniorc* una cum viris nudac in pahu (Iris ,at- quc gymnafijs cxcrceantur , qucd an fapicnrcr dccrc. um f ucrit, ^ an ad conrincnriam tcmpcrantiamnc ex confuctudinc conlequcn- dam,ut Platoni m animo crat>confcrrci,uon dl iocus cxaminandi. L 1 B E R ^"'"""'m qui Augufti Cacfansacrace floruir,folum pnlac % nrasgraccastradiaiflcexipfiusucrbisconftar, quando I' nmidiim Rcrant, c}U;ispoftca cxftru^aas licuii in raulris Gniccorum gy- mnafijs .'jsnircs fuiiic probabile cft ,ita pai-irer veririiiiilc fit Roma- nos (, vc /olcf cfse poltcriorum in cxcokndis rebus mos) plurafuis addidr(Tc\tj6jac ucl Graccoslatuerant, vclparum ab illis acftimara fu( f>ti>;:tiUOcjixa pai tes gymnailorum magis principalcs cxplicata ftts baudquafjwam folas a Vitruuio fignificatas in mcdium afftram, fcd lihis ni.llo {ku^ ordinefcruato cnarrabo, quai difpedlm ab Au- aorilnis tF.uIiras inuenio , quasut rei ipdus rario expoftulare uidc- ttirio Gruecis,aEq, Uomanis palacftris extitiCe : quaquam Vitruuij E au^icrjtasEim nunqua multifacicndam cxiftimaui.nempe quc ■na^ct- J^oiixcyov &i fua actate minimcaeftimatum puto, quod enim ab Au- gufto i.uliis egrcgijs l-abricis, niflfolis Baliftis pnicfectusfuerit, quandofcilicetin vrbc &extra Hrbemmagnifica aedificia cxftruc- banti!r,quod ctanfrFroferc-pofteriorcauaorc nominatus inucnia- tur,practcrqiia in capituni Plinij libroru caralogo.qui ab aliquibus minimcPIuiianus,ucI fattcm adulrcratusputatur,magnam certe ip Ijuscxiftirnationisfufpicioncm meritGparir. Ergoprimac symna- liorupartcsfucruntporticusexcdris fiuc cubilibus apcrtisplenae inquibusphilofopiu.&ihctorcs.mathcmatici , & omnis dcniq di- lciplinarumamarores difputando,lcgendo,ac doccdo cxcrcc-ban- tunatq. has non longc ab alijs admodum litas fuifsc conijccrc pof- lumus tum cxipfa figura ,tum cxproucrbio indc nato(Difcfi quam F philolophu audire malut^quod in cos diccbatur, qui in codc aym nafio intcr philofophos fcdcntes.atq. inde difcoru crcpirus audicn- tcsrcliita fapictiac fchola ad proximum ccrtaminum locum (rum- pebanr.ln cxedris philofophorum adolefccntcs arq. pucros illos a difciplinarum ftud ijs opcra nauabant, vcrfaros cfsc rarioni confcn- tancum cft: quod cfsentillac ucluti icholae quacda.ubi pofscnt fa- eillimc poft animoru exercirationcs corpora ad fanirate, uel fortira dincmiuiK:nes&pucricxcrcere/ubindcci.lauari.cmtcr»imLa.ffl- pridi.jauetorrras. AlexandruSeucru poft Icaionemope raml^ pahuitrac modo fphacnftirio.modo curfni.mocto lemL ludTs dc- diircmoxbalncummtromifse . JntCKhasadnnmerocmJ mcdl corv.m /choIas.Secunda parscrar Ephcbaccm, quo mih. vJdfi^- c apparet cos conuemrc.atq. dcpracrt,ij^ ^ c^icrccd. gcncrc padio! ncs p R I M V s: 29A nes facerc (oVxtos , qiii hiTiLiI cxcrcn-i , ac ccrtare uolcbant : qiiam- quamfciam Philandrum cius opinionis fuiOc , quod iu hphcbaco pubcrcs cxcrccrcnf. qua in rc ipfum ualdc mchus fcnliflc cxiftnno, quam Guliclmum Chouhim , qui in fuo dc antiquoru cxcrciratio^ nibusUbro in Ephcbaco iuucncs ftudcndi gratia lcdillc lcriptis madauit. Vtrum ucro apud Romanos,qui cum uiris antc dccununi fextumannumpucroscommcrcium uHum habercuctabant , hoc ucru tucrit affirmarc noaudercm . Ncq. itcm ncgarc poiUnnus,Ga- Li.dc i.c. lcni tcmporc. pucros cxcrccri in palaclba confucuiflc, cu rs cumf- P^^^'- damacgritudinis,quamCommoduspucr,atq.lmpcratoristiHu$in palacflraacquiliucrat,mennoncmfaciariSipracrcrcainfccudo dc tu.ua.lic icribat: oCn Kxiou^ ivporis moribus ita loquitur. l^tgo tihi cjims yigimi fui\}c prtmn cop am DiiitHm longc a pdtd^ipio pc.iim vt effcrres ex acdibus ^ntc folcm cxoruntt m mjt in pMdcliram vcncras Cymnafii Tracfccty haud mcdiQcns pocnas pcndcrcs : Idq. vbi obtigcrat , hoc ctum ad malnm arccjfcb.itur malum Et dilcipulus , magislcr pcrhtbebantur imprubi. Jbi curfu , luctando , hajia, difco. pugiUtn , pila Salicndo fc exencbant maps , q ^am icorto , aut fauifs, C Vndcmihicoijcicndu uidctur pucrissumo mancpalacftraadcudi pracccptu fuiflc,ut uiroru,qui tuc noadcrat,c6mcrciu uitarat,atq. cthttcraruftudijsiucubcndioMumfupcrcirct.etcnim non dcfuifl^i-, qui pucros nudos uidcrc,&: ncfandum coru amorcm libi conciliarc cx palaeftns ftudcrcnt,facilc cx ainatorio Pkirarchi iib.colligitur. habcturautcxcitatoPlautiloco gymnadapublica Romac cc fuilfc antc Ncroni5principatu,licut&:cxCatullo,acalijs.Tcrfiaparscrat Coriccu,qui locus(ut mca fcrt fnia) ,p dcnudadis hominibus,^ ucl cxerccnaicl lauari,ucl ut ruquc agcrc uolcbant,infcruicbat,alias a Graccis iTroJ^urift^.Sc a Calcno yvtJHfccsHgiOP uocatus.Nili cnim Cori- ceuapud Vitruuiumtalcmloculii^niHcatpalacllrasabipfo dcfcri- ptas abfq. hac parte omniu maximc ncccfsaria cxtitifsc diccnduin cf5Ct,quanonfoluminpublicisgymna(ijs,ucructiaminpriuatisaf- ^.^^^ tUifsc crcdo,fiquidcmPliniusCacciliusindcfcriptionibusuillac ^^^^^^^ fuac m L 1 B E K fuac Laurctinae ac Tiifcoru apodyteriCinteralia adnumerafrunde D illoru fcntcrias jpbarc ncquco.qui Coryceu in Vitruui; textu legc- du putarfita corycopilaefpecic,quafiibi ludui talis agcrefaut cou riceii pro tortrina, aut corycefi tam^in eopueIIe,&: virgines««f«//« Graecis uocatac exerccrentur.Quarta parserateleothcfium a lulio cpi. Pollucc «AujrT/IfMc^aCaecilio Plinio unauarium uocatum, atq. in ifto ludaturi , &c alias exercirationes , uel balneas inituri ungeban- tur,redungebanrurq. Sed,quoniaopportunirasrci poftulare vide- tur,ut dc hoc gymnaftico vngcdi munere ucrba facia, neq. Metro- dori Scepiij 'sngt T«j«At/7rT««{.ideft,de ungcndi rationc ciratus ab Arhcnaeo Iibcr hodie extar,quatuor cgo dica:primij,quado, & qui ungerenrur: fecundu,quae cfscr undionis materia:rertiu,cuius finis gratia ungcrcntur: quarrum.quo modo, &: a quibus undio admini- ftrarerur. llliquivclloturiuelfefecxcrciraturi in gymnafiuucnic- bar,maiori exparrefpoliabaturin apodyrerio:poftea horu nonulli, &: praefertim qui uel lucla, vcl pacrarium inire intcndcbat , (na pu- giIatorcs,curforcs5ac alij multi undione no egebant) alipteriu in- gredientesungebatur,atq.iraunaiadIocu,ubierarpuIuis,dequo loquar mfcrius, trafcunres pulucrc cofpcrgcbantur, ficq. dcinceps m cxcrcitationes diucrfas diucrfi prodibat^poftqufi ucro fele,qnan- tum Iibuerar,excrcuifscnr,itcruad undUianiireucrrcnrcs ibi a Me- diaftinis,& Reundoribus ftrigilibusferrcis,de quibus Martialis, Tergamus basmfii curuo difling^mre ferro , T^ontam faefe toet lit.tea fitUotibi, detergcbantur, in qua dererfione olcum, puluis ,& fudor , quae de radcbanrur.fimul mixtain ufum mcdicum adfcruabarur, &:ab At- !:h4ci ^^^'^^^"'""^^'i^ aba!ijsueroWTtffuocabarur,urcxDiofcoridcPli- F ii.defim. nio,Gakno,&:AcriofaciIliiueconfirmaripotcft: ramerfi Auiccn- me.8..& 4 na libr&-fccundo faciat mctionem eriam fudoris ficci arhlerarum Tib"; & quemputofmfscillum, cui nequcoleum ,ncqucpuluisincrat ^ ,o 3 fim. quamuis Galcni acrarc ftrigilcs adhiberenrur ad balnci vfum ni jT' c. 17. ^''''"^^'•""^^'■'S''" Plerumquc fponeiac crant , uel li- nci, nequccommunitcrfempcradminiltrabantiTr.fcd quifq pro- priumfecum gerebar,& pracfcrrim quicumquc communii cum alijs mihumenra habcre f ugicbar, vr infinuar Pcrfius Sar.v lp»er,7i,ur corporaforriorarcddcrcntur.De Hcrculc nanu|uc,& Antco fcrauncm faciens ait, ^uxillum mrmbtis calidas infunditarenas, Plurarchus in libcllodcprimofrigido huius fcnrentiaefu ifseuidc tur,quod athlcrac in uni^iionibus puluerc urcren tur ru ad rcfrigera da calcfaifta corpora,rum ad cohibcndum fudorc,nc ranropcre dc- lafsarcnrur. Egoaut cum Lucianocxiftimopotillimuufumpulucris cxflirifse, ne olco manus labcrcntur , fcd facilius cxcrciratorcs fcfc comprchcndcrc ual crcr,neue fudore difflucrcnt, aur ucnri corpora apcrta ingrcdercnrur. atq. hac dc caufsa a Marrialc puluis ilk icfi uocarusfuir,ut ibi(flaucfc]t aphc)undc fi qui aducrfariospcructos, &:lincpulucrc cerranrcs uinccbanr, maiori gloria digni habcban- ^ tur,qualis fuir apud Plinium Dioxippus,&: Diorcus apud Paufa- niamjacxtfw/nomenpromcrirus. cuiusrci menrioncm fecit Hora- tirvira ,\d Macccnarcm fcribcns. Ul^.x.cfiJ Quis circum p^^go^ , & circum ccmpita pugna x. Magna coroniri conumnat olympia , cui fpes , Cui fit cond tio duli is fire pulucrc pahuae ^ ^ ^ Ex quo fatis mirari ncquco Budacu,uiru fane doaifnmu, q I fuis ad Padcdasadnorationib. hoc nouidcrir^malucrirq.flfWm.i.aWflr^^ii wc> (cu finc ccrtaminc limplicircr diHu cfsc qq, &: hoc quoquc non abnuo inrcrdu aliquos cfsc coronaros (inc certaminc, ucl qd* aducr fariusrcmporeconftiruto non comparuifsct , ucl ,quod ob robur, &:uinccndi confucrudincm a cuncris uitarcrur , cuiufmodi fuilsc complurcs Paufanias , Diodorus, Hcliodoru#s atqucSuidascom- mcmorant ««ic^wti proprcrca nominatos. Alijfunr,quicrcdantoIco Oymn^O^ca^ C cxcrci- 34 L l B E K ( dc vii. cxerciratoresunftoi ad arcedafrigora.&leuandasIaffifudincs.Ga- D lenusfentit oleum ram ad exoluenda ptcrita lafTirudincm, &: futura niitiganda.quam ad pparandum ad morus conduxinc. quibus cera addita cum GaJeno opinor,quo oleum aIio u'i^'tuariu,&: couiftcrium cxpJica- uimus: nuc ccrcras partiin ab codc prcnnifsas,6i: ab alijs indicatas, parrim ab ipfomct cxplicaras prorcqucmur. hrar iraq. fcxra pars lo cus quida palacllra uocari:s,ubi (Jiccbat I.ydus illc PIai:ti^) curfu, ludado,halla,difc(),p yilaru,piia,(aIicdo fc cNcri.cbar magis,qfcor ro,aut lauijs, 6:ubi k ribir Gal.hascxcrcirarioncspcragi folitas lu- da,pui;ilacij,appcn(ionc manib.ad runcs,cxcrcitarionc,qua ftabant pcdib. 6c manib. in pugnu uinCtis,casq. alrcri apcricndas porrigc- bat,qua podcra manib, aftollcbant,6L ua pciiiftcbanr,c}igcnus hal- tcres uocarucft,fchiamachia,&:armoru pugna:( »alcno ucro afscn- ricns Oribalius Pcrgamcnus fafsus clk no modo has, fcd &: alias fcx- ccnras fuifsc palacllrac cxcrcirarioncs. \'ndcanimaducrrcndu cft, palacftia apud urriufq. linguac auvflorcs nuilta (ignihcarcprimo ro ruipsii gymnalifi,ut cituidcrcpencs Virruuiu;fc(to,locuquccumq. cxcrccdis corporib. idonc u, quopaclo locu uscft ( jceroin f.pift. tcrrij li.ad QJ .prima, &: 2.dc lcgibus,du uilia (iia Arpinatc de (c ri- bcns,palacftram ibi nominat,nccnon \'irgiliusquinclo Acncidos, Td'S in^^am nns exerctt t ttumbra pulac/ttis^

&c Gcta apud Tcrcriu in Phormioncubi dixir, Ecc fi a iua palacftra cxittbras.Tcrtioccitagymnalij paricin qua cxfnia Plauri,Ga!cnr, 6c Oibalij tot cxcrcirationcs facbs pracdiximus,&: cuiusparu tum fordcscollcihas in panno applicatas furunculosmarurarcfcripfc- C runrPlinius,&:T!icodorusPrilci.Hni*^'. iniUM f!VMi:h\ arionc accc- ^ifse Catullum puro,ubi dixit. Abero foro , palntsira , flddio , & ^^vm asi^s ^ Mtfer ah rr^ijvr . & Atranius lCi ibcns. Efcam '•epelUs tf i'ri mannw pei pj!j( lincos, idcft , Palacftrac ufum (ut air Nonius) callcntcs. Quod auca Palacftrac nuiris^llatui^^atqicolunis ftrigiiKnCi quac- da a pulucrc,&: lucianriu corporu concictu il)i f •utac abradcrcnrur, &:in uarios mcdicinacufusfcruarcntur,abiidc tcftati funt Diofcuri dcSjPlini^ &: Gal.q ftrignicnra quadoq; a Judoru m^^ilb arib. ortin gc:is icftcnijsucdira fiiifsc irudir Plini^ Inucnioquoq.cxcrcirario j;c* ipsapalacftraru intcrdu palacllra uocari,rdinarc,&: vcniiltc f'actvsinciapnoi;n;ci4Urlligc rc.iMs^c ;ui^ttorir.uc Lucilij*, cm'^hic ucrs"'' l/cyif .ipud Porphyriouc, iiiUuis iioitt/sji cll uuiurn tcffi n^ij j l- fli\i, ucciujn Plato iu Cliarinic^t C 2 pro In Bacchi dibus. 2 cue. Udl. C2p. $ 6. coUc c, 14- Dc Bere- cinchi .a ) li. i.c. ii.T ^Cwcx. incd. Ii.i.dcle glliUS. li. i\c cla- ris Orat. i 3« L I B E R fto"^?* pi^o Taurcipalaenra locu{Tgnificauir,quo uiri doaiad colIoqucii-T) '^** dum difputanduiTiq.conucniebanr. Ad haec Plutarchus in /ecudo fympos.palaeftra uocarufcribit locu,ubi athletac cxerccrentiir, &: in quo lolu luda,&: pancratiu non curfus, non pugilatus agerenrur. queadmodu,&: Gal. quandoq. palaeftra nuncupauit , ubi athletac f folum,&: craffitudini corporis ftudenres exerccretur, quo padto ac- cipiedureorapudHipp.quuinprincipio primi Epid.narrat tuber- cula ijs efse oborta^qui in palaeftra,&: gymnafijs exercebanrur.For ml\lp^9 ^^^^^ dubirauit aliq uis,an in palac ftra hac puhiis ftrarus efsef, qm Gal.ipfam a loco,ubi puluis crat/'«fAA> dcquoqjacilc conijcitur m fphac: illirio ncdu pilacludos,ucrum 51 ctiam alias excrcitationcs ficri confucuifle, quado & in ipfo.Vcfpa- fianus fauces,ccrcraq. mcmbra(ut tradit Suctonius)(ibimct adnu- >• mt rum dcfricabat. C):taua pars fucrunt uiac illac,quae inrer porci- cus,ac muros,ur cgo puio , litac crant,ab omnibus acdificijs nudac, necnontotapcrillybjareaquac&: ad fubminiftradamporricibus, ac ccllis lucc fadac erant,&: ad fpatiandum , aliasvc cxcrcirationcs obcundas , quac ncc in palacllra , ncc in alro pulu^rc, ncc in xyllis. ^ alijsuc locis ficri poilcnt.Has locum coculcatum paulloante cx Ga Icno a nobis nominarum fuiflcopinv^r ira uocatas,quod nullis lapi- dibus, latcnbu.vuc ftratac,fcd rudcs&iaciuato tantumfolo forcnt. In his curlum fach'i cxillimo,atquc ad id :um diauli, tum dolichi , a quibus dolichodromi , 6c diaulodromi lormas , atquc tcrminos ibi conltituros, tameriiapud Vi:ruuu'i nil aliud lucrir diauIos,quampe r\'ftilioru quadratcrum circunurio duubus lladijs dcfinita. In ipiis ctiam faltus,&: difci cxcrcitarioncs , quas palacllrac ncijauit Galc- nus(ut mea fcrt fcntcntia)intcrdum habcbantur. Nona pars crant xyfti,&:xyfta,na vrraq.apud L'raccos& Larinosnr) parum difcrimi- nis obrinenr , fi quidcm \yftv>i> hi uocat porticus tcCtas ubi athlctac ^ pcr hiemem &: acftarc,tcmporc ludationibus alicno cxcrccbantur: xyfta autcmfubdialcs ambulationcs ,ubi hicmc tcinpcftatc lcnic porticu prodcunrcs,&: acltatc fcrc fcmpcr cxcrccbantur, ac ambu- labanti atquc has wif i/f ofti/tff a draccis n(>minatasfcribir Vjrru- uius,quac dupliccscraiit,aiiacnudac,a]iacplatanisalijsucarbori- busconlitacad pracftanduamocnirarcm,atq. illis,qi.i a folcoHcn- dcbanrur,umbram.dchis loquebatur Miniu.s,dum pl aran(js Arhc- M> xx. nisin Acadcmiacambularionccclcbratas fuillc /cribir:i)cijfdcm quoq.Miniusfccunduskrmoncm habuit qiiando in dcpinycndisi.rOean 1 ufcisac Laurcntinauillisfuisxyftostotics dccantar.Ncc ahum lo cum inrcllcxir ifchomacus apud Xcnophonrcm , quandvj ambiila- tioncminxyftofadam noniinauit,(icuti ncc Phacdius apudPla- toncm , ubi cx Acumcnifcnrcnria fahjLrioiumfacirambularionc inuijs,quam in curlibus (ub hi(cc ucrl)is- lti#r,frigidarium,rcpidarium,fuda. ^^QJ tioncm calidam,&: calidd lauarioncm : Qu,ic ucro balncis infcruic- bancfu.-runi hypocauftu:n,aquariuai,iSido vapore, Ctuda yirgine, Menijq.mirgi. Scio quoque nonnullos , quod laconicum rorundum,ac ueluti tur- ricula in hcmifphacrium camcrata forct, idcm ctm Iphacrillirioi nobisfupcrius cxplicatocffccifsc.quibus plane .-ifscntiri ncqueo. 42 JL 1 ij E R qiioniam mihijrrationabile videtur,utin loco calido fudatfonibus D vE ift li ^^^^!^^^^^^^^^^^P^^^^ atci;aliasexcrcitariones,quasinrphacriftirio "^' • ''ficric6fueuiflctraditPIinius,exerccrct:fuirsctnamq.(uteftinpro^ uerbio)camino oleu addere, fi excrcitationesper fc corpora ualdc calefacientes in calidillimis locis cgifscnt.De laconico pofsunt ucr baluuenal,intc:hgi,fiucrfusita rcftituatun quidquid dixcrintali;: QuiLacedarmotiium proptyfmate h.bricat orbem: namraxatquendaqd^inLaconici foliocopiofc cxfpucdo efficcret, quo minus in ipfo pcdes ambulantiu firmari uak rcnr.Poft Laconi- cufequebaturccllacalida labris aquaecotincndacpofitisrcferra. in qua qt^apud Alcxim fuifsc balncoruin par- tcm, nullo modo probarc ualco : cum idc alias ipfum intcr ^vmna- fiorumpartcsadnumcraucrif.nifiuchmuspcncsAnriquojitAWi? F fignificafsc totum gymnafium ipfum . Atquc hacc fL.lIi:ianr cc pu- bhcorumingymnalijs balncorumpartibus. Fucrunr&iinnumcra fcre priuatoru balnea, quac, &c aliquibus cx pracdidis partibus ca- ruifse,&:alias habuifse uenllmilc cft;;cd dc huiufmodi non cft mfti- tuti noftri ucrba facerc . Quae autcm loca non cfscnt in tra balncas. fcd ipfis tantuminferuircnt,primohypocauftumconrincbat,quod fccundum Vitruuij dcfcripiionccratfornaxfcu caminataftrudura fubterranea calidario,calidac lauationi,atquc uafario fuppollta, iii qua ad calcfacicndu tum aqua,tu praedida loca ignis fucccndcba- tur , ^ ne exftingucrctur a fcruis fornacatori bus ob id in Pandcvilis a Papiniano uocatis,frequenter cum pihs,& glomis picc iUitis cxci- tabatur,de Iignis autc in hunc ufum adhibitis narrat PIu tarchus x prob.li b.ijj.fympof.aediles cauifse,ne ignis balncarum cx olea fud cendc- P R I M V S 45 cenderrtur neq. in cum conijccrmir lolium, quod horum nidorcs araucdincmcapiris,6^vcrtigincslauantibusinuclKinrpracdicU^ pilarumapud Virruuiumlib.v.cap.x.mcntioclara habcrur,ubi do^^ ^ ^^^^ cctfolumcaldariorumitaftcrnendum cfTc inclinatum ad h> pocau fim,vti pila cum mitratur non poflit inrro rcfillcrc, fcd rurfus rcdirc ad pracfurnium^atq.fic facilius flamma pcruagari.fub fufpcniionc. Dc his loqucbatur Statius in dcfcriptionc balncorum Etrufci. Crcpantis i^uditura piUs , ubi hniuidus igms imrrat ^4€dibus , & tenuem ^oluunt hypocaufia uaporcm^ Vndc cuiuis manifcrtum cflc potcft j n quam graui errore ucrfentur ilii,quiHypocauftum,&:Laconicuidcm fuiflccrcdidcrunr. Auftor ert Scncca iij.nar.quacft.cap.xxiiij.ncc no epift.xc}.;tcmpcftatc fua inucntos eflc paricribus imprcflbs tubos , pcr quos circumfundcrc- turcalor,qi'iima(imul,&:fummafoucrctacqualitcr:illumucroca- lorcm immitri confucuiflc cx Hypocaufto,«d a lurifconfultis mcmo riac mandatum cft,&: ab Aufonio in MofcIIa fic cxprcflUm: Quid quacfulfurcafubnru^a crepidinc fumant Bjlnedyferncnti cum Mulcibcr haullns opcrto rduit auhcht^s tcctoria prr ca:u fijmmas , Inclufumglomnans acfiuixpifante uaporem. Horum autc tuborum veftigia adhuc quamplurima Romae confpi ciunrurin DiocIctiani^atq.Caracallac gymnafijs . Antchypocau- ftum via quacda crat propnigcu , quah dixcris pracfurniu a Virru- uio uocata.Aquariu cclla crat calidac Iauationi,arq. calidario ad- ^ ncxa,inquaalucus magnusacdificaruscraradcontmcndaaquacx " aquacduLtibus,autaliundcinucc^am,arq.indcmfrigidamIauatio nc,iS:calidapcrfiftuIascorriuanda.Nonlongcabhocfirum fuitva (arium,vbi vafa confcruabantur balncoru fcruitijs ncccfl"aria,&: vbi aqua pro ipfis calcf^cbat.dc hoc ita rradidir Vitruuuis:Alicnca vafa nb.j « fupra hypocauftum tria copofita fuifTc,u!uim calidarium , alrcrum tcpidarium,tcrtium frigidarium,&: ita c()llocata,uti cx tcpidarioia calidarium,quatumaquaccalidxcxilfcr,influcrct,dc frigidaiioin tcpidarium ad cundc modum. l)c acrc balncoru m,qui cxtrinfccus admitrcbarur,(vrVirruuiusinnuit)caincaliciiflimolocoaucrfo a ^^^, Scptcmtrionc &: Aquilonc fita crant, tum caldaria arquc tcpi daria Cap.io. ab occidcntc hibcrno lumcn habcbar.Quod Oribafium fignificaflc puto, ubi cx Galcni fcntenria Architcftos optimos balncorum do- mos ad oftauam horam vcrfas conftruxiflc fcribir.Sin autcm natura loci impcdiuifser,utiq. a mcridic,lumcn ucroita capicbatur , ut in mcdio 1 44 L i B E R mcdio camerdc forame laturclinqueremr^fubquolabrum exftruc D baturxirca labru eratfpatioljquiclamargines,aurporticus,a Vitru uiofcolae uocati,in ^. ftatu a Seneca , &: l^lurarcho auftoribus i rauillimis fcriptu re} erio, antiqiiioresmoIlibus,acmoderate calidis balneis ufos, ita ut Alex. in lauacro et febrics,Galataruq. mulieres puJtis ollas in balnea fere tes unacupuerislauarctur,&: maducaret; ateoru fcpeftare maxime calidas in pretio habiras f uilsc , adeo q. tarint> qualis Tucca a Martialc fub his vcrfibus dcrifus. 7s(ow fdice duro ,flru^ili ve caemento^ 7iiuucnrusRomanaexercclxit«rJybcriprop|nquuc^ftirucriV^^ ne longius ad dcponcndas mrrr cxcrxendifm c*)jirTaar;rs(tirdcs jrc Lih.i. dA cogercnrur,qucadipodum fcnbir Vcgctius:ira,poftqgyninafia ob rc iiiiiit. cxcrcirationes1nftitutarucrunf;:ic(^ij^lim adrriun- dandacorporaconftrucrc.Abhoc autcufu ctiamfcmcl tanrumin dic coenandi,&:in Itraris du cocnarcnt accumbcndi, ut infcrius co- piofc demonftrabo,con{ucrudo inrrodudra fuir.Poftcriori rcmpoic maiorcmhominum partcm balncis ob dclicias, arquc molhricm ufam P R I . M V S. 47 A- vfamefleclai-ecoa(l.it',& pracfcrtim tcpidisquibas cxficatas, Sc ab cxcratationibus, Vdfolcvcl Frigorc aracrcscorponspartcsat- temperabant.Ncc folu dulcibus aquis,fcd 6c mcdicatis ob dchcias yfos homincs tcltatur Galcnus in principio tcrti/ dc medicamcntis localibus.Jialneisaliquosvti confucuiikMpiod non poflcnt .ncquc fcrrcnrciboscapcrcnili loti.auciorcil Plutarchus.qui T.tumlmpc ratoreiuic dc cauirainrcri)tl"c,cxrclationibuscoru,qui acgrotanti tu. va. miniftrarinK,prodidit.Ouod ct qui inualidum ad concoqucndasci bosvcntriculQ habcbant.cius corroborandi , &:cibos conficicndi ^^^.^^.^ cratialauarcntur,aPolidoniomcd»corclatumcft,vtnorcmcrc I li „p. nius in medicos inucctus lit, quod pcrfualiflcnr balncis ardcntibus u.i^.c. i cibos in corporibus coqui,a quibus ncmo no minus ualidus cxn ct, obcdicntiilimi ucro ctlcrrcntur.Summatim ob quatuorciufas bal- B ncain vfuexftirilVcfcribit Clcmcns AIcxandrinu.MlM^afwWojm x^fKt^«« vocarunt.Cahdis&tcpidis ad conciliandum Li.j.pne- fomnu;lngida Luubant,&: ob vohiptatc,&: ut robulVorcs rcddcrc- d^i.ci,. tur,calorq. naturalis intro repuUus maior cuadcrctiidcoq. krc poft calidas balineas ca adhibcbat.quc vfum primos ouim Huphorbuin lubacrcgi$,&;Antonium.\Iulam.Auguftimcdicos,rratrcs,yK')ftral- fcrcfcrtPlinius lib.xxv.c.vij.Channis quoq. mcdicus Malhlicnlis, damnato calidoi um balncorum vfu , hibcrno t pc ct frigida lauari hortabaf,atquc in lacus aegros mcrgebat,qua dc rc cxtat .Scnccie adllipulatio,;(cfc pfychr )lu r: u')C.ari.s.ptcri";qd ct( vtrclcruntPh- C nius,&; Agathinusapud ()ribali&)ad jprogada vita, multaq.alia p- ftada.fi igida lauationc cofcrre opinati sut; haec.n. dc (cipfo rctcrt « 4. Agathinus. Equidc racpcnumcroa cacna cuacgrcin foinuu dcla- bor.pp acftum,in trigidam dcfccndcrc coiucur. &C mirabilc cft qua iuciidam noacm tra^iiligaiu.Qu.i balncasingrcdicbanrurpublicas,^ ancc dccimum quartum annum niiiil foluillc.tcftatur luuciuhs. , T>{ec pActt criJiu.t ,nl's  . Sjt », Alij quadrantcmbalncatori dabant.&ol) id baincu rcmquadrau- tariam uocauit Scnec.i,dc quo riacci; . Dum tn qHadrantclau.itum l^cx ibis. ->t. 6. Cacdt:reSiluanop9*cim,q'adrantelauaii. Qucritur tn .Martialis.quod plurisiibibalnca coftarcntubi fcribir, LiVio. jSulrKapuJtdtcimaiiilajjo ficniHmqucpdutitHr, I B E R Qudirantts. Q^od forfan uel ob diuturniorcm moram.vel alrerius rei graria, &: ipcontingerepoterar. Sar eft,quadrantem coe pretium fuifse:quin & Antoninum Pium balneum finc merccde po pulo coftuuirre , tradit lulius CapitoIinus,& Athenaeus viij.dipnos. lcribitapud Phafelitasfuifse legem.utpcrcgrini cariuslauarcnt.p- pterea cum ita uili pretio licerct , nulUim genus hominum a publi- co balneo arcebatunpucri iuuencs,uiri fenes, decrepiri , nobiIes,&: ignobileslauabantunfed prac caeteris,phonafchos , cytharocdos, '■''lrlE-r^T*^°"?''^'"*'^°^^'^^^'^°"^^'^''°^'^''^'I^=e"farebalneafolitosrefert »ed.i.e. (^al.quod noccmoblaefam,&a/Tiduis vocibusexafperatam aqua- rumduIciumhumedlationecurabanr.integramq.feriiabar.Hocfi- miJiter uidetur Martialis in his de Menophilo uerfibus fignificafle. Iiib. 7. Mcnophilipenemtam grandis fibula veflit , ^ ft ftt comoedis ommbus vna/atis . Hmcego credideram { nam faepe lauamur in uno ) Soluitum vociparcere FLicce fuae . Dum ludii mediapopulofpeaantepalaeflra, Delapfa efl miferofibula , verpus erat . Qiii Mcnophilus comocdus crar,& ficut cacteri.Iicet recutitus, in- Sll'nT ''k ' ^^^"^^f cum Martiale in communi therma 1 ba neo auabatur. Muhercs Lacedaemoniorum in balneis gymna ' ^vnT T- ^""'^•^"'/^^ Perfpedum eft , &: nedum in his , uerum & vna cum v,nsprom,fcue:quod tamcn non in cundtis euenifse cre tZl^^r.fn'^''"f^^^^^ balnci mulie! orjs mcntioncm ibi facit. «UMis eas ingrcdi ob ralubriiatem uciitum apparetrquod ptcr tur- ptudmemetacorporibusmuIiebribus.acracnllruncremcmL " SSm- A ''■''''•T/'^' ^"''"^ '"Sr.^fcum ftarim coru molrm m cT "uii -f 1"", " 'f'' cuin unis h non cudemlauacro, codein falccm P R I M V 49/ A faltcm loco ctlam antiquirus lauilTc comprobat,qui libro dc analo gia fccundo tradit in balnco coniunda fuiifc acdiHcia bina , ununi ubiuiri,altcrum vbi mulicrcs lauarcntur:practcrca,C.(jracchus in orationcdcpromulgatislcgibus idcm confirmarc uidctur, cuius vcrbaapud Gcllium italcguntur. Tudorcnim noparicbatur vtru- ii.,o. quc fcxum iimul lauari,fcd commoditasconiungi dc(idcrabat. Ni- fidicamusilla omnianon dc publicis balncis,quac tunc ucl nulla, ucl angullillima , &: vilifli iia cxllitcrc,fcd dc priuatis cflc inrclligcn da : qiTcmadmodum forfan Vitruuius intcllcxir, vbi vtriulquc fcxus j- lauacra coniungcnda monftrauit. ucrum cnim ucro pollcrioribus facculis mulicrcs promifcuis balncis yfas cflc, quamplurimaru pro- batifTimorum auctorum tcftimonijs comprobari porcll , intcr quos primo fcfc orfcrt Iuucnalis,qui diflblutos Romanarum focminarum ^ morcs carpcns hacc fcribit. Cramf occurfu.tactcrrima Vkltu Balnca ncBcfubit , conchss & caftramoueti T^lBc iubct , m^gno g^uiet fudare tumultu , Cum lafTatagraui ccctdcrunt brachia maffa Caltidas & tnliae ii':*itos impreffit Aliptcs , ^4cftimm4m dominae femur excUnure cocgit , cx quibus ncmincm cflc cxiftimo ,qui non uidcat mulicrcs tcmpo- rc luucnalispublicas balncas adiuillc , ibiquc ^S: cxcrccndo , &: la- uandolinc pudcrc ullofc virrs immifcuifrc.(]nod (imilitcr ciiis tcm- pcftatc Martialisconfirmauit. Omnia fotmincis quarc dileda cateruis Lib.ii. B-ilnea dcuitat Blatara ^ 6c Cum tc lucerna balneator exfitn{}4 li. 3 in Vc ^dmittat intcr bufluariasmoechar , tuftinauu Clcmcns Alcxandrinus , qui fub Antonino &: Scucro floruit, in co, ^ qucm Pacdagogum infcripfit commcntario non modofocminas '^ ^'^* communcsuiris balncas,atq.publicas in ufu habuiflc tcftarur ,fcd omni pudorcdcpofitocxtcrnisquibu/quc libidinisgratiafcfc nu- das in ipfis fpc(ftandas pracbuifsc. Quos morcspoftca dctcftans Gaccilius Cyprianus hacc in libro dc uirginum habitufcripta rcli quit . Quid ucro quac promifcuas balncas adcunt : quac oculisad libidincm curiofis pud(Ti,ac pudicitiac dicata corpora proftituut, " quac cum uiros,ac a uiris nudac uidcnt turpitcr , ac uidcntur, non- " nc ipfac illcccbram uitijs pracftant. Cui fcntcntiac multa ctiam fi- " millimaa D. Hicronymoin I:pitt. ad Lactamdcfiliacinftitutionc " fucrc prodita . Hisitaqucomnibuscuiuispcrfpcdum cfscpotcft, non pauco icmporccum morcm&: Romac,&: ahbipcrduralfc,tu Cymnaflica. D focmi- 50 L I B E R fcminae atquc uiri in promifcuis baineis Jauarcntunquando etiam D non dcfuerunt qui intcrdum hanc mulierumimpuramprocacira- tem coerccrc tcntarint: qualis fuit Hadrianus princcps, quera fcri- bitDioCaflius viros difcretosafcminisJauariuo]uifle:ficut&:Mar cum Aurelium Antoninum balaea promifcua fuftulifle, eadcm- qucabHeliogabalorenouaraAlcxandriimSeuerumprohibuifle, refert CapitoIinus,&: Lampridius.Ob quod item aliquando cenfo- ria lex Jata traditur,ut mu lieres a promifcuis balneis abfl:inerct,ncc commune lauacrum cum uiris libidinis caufsa intrarenr , fub repu- dij,&: dotis amiflionispoena : quod poftea in I.fin.titul.dc rcpud. &: inaurhcntico dc nuptijsprofancitorcccpttmfuit.Quarationcfie- ripotcft,utbalneaeaIiquae muliebres in foeminarumdumtaxat: ufumfucnntcxftrudtae,quaIesAgrippinae AuguftacNcronisma- tns:nccnon Olympiadisin Saburra,& quas Ampclidem,ac Prifcil E lam trans Tybcrim ad euitandum forfan hominum confpedtum ha buiffc refcrt Viaor. Tcmpuslauandi poenesvetcres,quemadmo- Epift> 87. dumnarratScnccafuir, quod quotidie brachia , &: crura ablue- bant:tou nundinisfolum lauabantur , Caetcrum poftM.Pompeij aetatcm coepcrunt fingulis diebus toto corpore lauari. Hora uero vfque a temporibus Homeri fcre a pluribus obfcruata f uit paullo li de tre. antcquam cibus fumerctur.non dcerant tamcn Galeni tcmpeftate, "fQh ^ ^^^^ ""'^''^ ualetudinis habita ratione lauarentur. ob q^

jpfe ngorem fine febrc uifum tempore fuo narrat,quem aetate an- tiquiorum medicorum,cumraripoftcibumlauarcntur,non elseui- fumfcnbit, Vtplurimumautemmaiorpars liberorum hominum prms exercebat.deindc baIneaingrediebantur,nonnulIi fine exer Iniib. de ciratiombuslauabantur.AdnotauitGalenus,antiquospoftpilaeIu F KL*" ^""^ ^'^''^'^ b'^'"eis lauari confucuifle : quod fimiliter ante illutn Lib.4. innunifse Marrialcm co uerfu vidcri poteft. l\eddepilam,jo:iataes thcrtnarum , luderefergis ? yirgine visjola lotus abire domum, NamdumhorabaInearumappropinquaret,tinrinnabuloquodatn figmficabatur,quo pilaelufores.atqucalij exercitatorcsftatim ac- currercnt:aIioqui in gclidiflima Virginc, qu am &: tadu iucundilli- ii.3i.c.3. mam,ficuthauftu Marciam,rcfcrtPIinius,&: fic diftam quod nullis fordibus pollucrctur traditCafliodorus 7, Var.iam claufis thcrmis lauabatur.fcribit enim Capitolinus,antc Alexandri Seueri tempo- ra numqua thcrmas ante auroram apcrtas fuifse , &fcmpcr antefo- lis occafum claudi confucuifse, ipfumq. Imperarorcni publicarum thcrmarumluminibus oleum addidifIe,quo&innoftepatercnt. 1 BHi bfl m Phi opi inli culi W col isfc obi crai Cp:)& igd cisl bui iiitii iieii hai aq p R I M V s: n A qiiodctla fcciflc I yconcm philofophiim imicniri gMCCnc fcrihit Lacrtius in ciiis vira, Non mc larct qiiofdaalijs horislauifTc/cd ucl cxrra gymnaiia,ucl in gymna(i)sgratian!icuiusafrcdionis,autaItc- rius rci ucl confuctudjnis,utfcribitMartiaIisdc Fabiano. iii>.^. LaJJus ut in thcrmjs dccima jcfius , Ima Te Jn]"ar ippjc yCkfn lat(Cr ipjr Tiu Hoc CCrruin eft,quod \'irruuius loco cirato mcmr riac mandauir,tcmpus Jauan- di maximc a mcridianci ad ucfj>crum fuiffc conftirutum. t um cnim fcmcl dumtaxar in dic (aturaiciitur Maiorc\b , nulhiin tcmpushoc ipfoopporrunius habcharur,qu()d circat^dtauam dici hcrampaul- loantccocnam crar,ut Martialistclla:umrcliquit. Suffiiit in ». I rtm rrifiiiis cctiUta p/tlaenris , & j^;^ ^ Octauam pctf'i5 jcutaic ^laycbim'*r vna, Iib.ir. B Hadrianus Cacf. rcfcrcnrc Spartiano antc Osftauam horam neminc niii ac^^rum huari voluit , quam horam criam lulium Cacf priori- bus facculis (cruafTc, conijccrc pofsunuis c\ Kpiflol. Ciccr. ad Arri- Lf.i^.Ep. cu,ubi dc Cacfarc loqucns, hacc ait : lllc rcrrijs Saruriiahbus apud "^"^"^ Philippum ad horam fcptimam > nec qucmquam admilit , rationcs „ opinor cum Balbo ; indc ambulauir in littorc , poll horam ocbuam „ in balncum,tumaudiuit dc Mamurra,non muranir ; uuctus cit, ac- „ cuhim ,\yLvriKU¥ agcbar , iraquc &. cdir, &: I>ibit «Acic, iS: iucundc. „ Scd an pLrpctuo ilhim uirac rationcm (cruarct Cad.haud clarc cx „ co loco habcrur ; quando ci us folius dici rationcm c\p :>nir, in qua isfccundum mulroramconlucrudincm u jmcrc ddtinaucrar , atq. obid «A»ff i.finc timorc,&:iucundccdcrar,bibcratquc,ur ( quod crat mcdicorum pracc cprum) uarij gcncris poru,ciboquc rcplcrus . C pof>cr,dumircrdorm;tLim,uomcrc.iranunqLic locusillc ( iib.d^fai? agcbat) mrcllii;iiudiciomcodcbct:quod licuri AiCiTHT/ic« a C.rac- 'j'^"-* * cislimphci uocabul > dicirur camcdicinac rari(>,quac in rcbusad * ' humanum uichim fpcclanribus fira cft^iSL: K^i^^iKn. quac ad cxina- nitioncs pcrrinct; haud fccius J-utTixil > clt illa iyoayk y liuc rario, quac in rcbus,(Si: modis uomitum paranribus collocara cft. Tot ira- quc dc balncis ^^ymnafiorum , ac prmaris brcuircr didta fuHiciant, quorum ufus cum apud anriquiorcs rarior cfscr , Afc lcpiadcs Pru- (icnlisactatc Pompcij orator habituscx ilfa artc nullumquacftum irahcns, cum ad mcdicinam fc contulifsct , in caquc magnam ^Io- riam,&:au(5toritarcm brcui comparafscr, ob blandimcnta^qulbus acgroscurabar,ob pcrpctuam finitaris rirmiratcm, 6i:quf)d Romac lib.i.c^. qucndampromortuoad fcpulturam clarum miro gcnrium ihipo- "a. rCjUt CcI/us^Plinius,^: Appulcius tradidcrunr, uiucrc cognoucrat, IJIfio?' D 2 cum fiiii 52 L l B E K eumfrequcntiorcmreddidit. Vndccima,ac omnium poftrcmain D gymnafijsparsfuit Sradium, ubi populus cum uoluprateathlctas certantes: fpedabat: nilq.aliud erat,quam hcmifphoerium quod- dam , multis gradibus conftru6lum , unde poterant commode fpe- datorcs^qui fcmperplurimi eoconflucbant , certatorcs intueri. an autcm intcr ipfum &c xyftu, fcu peridromidasmurus intcrcederet ; atqueindcpcr oftiumex platanonibus gymnafiorum arhletacin arcnamftadijprodircnt, etfi a Vitruuionilcxplicatumhabcatur, rationitamcnconfcntaneumuidctur , uniucrftim acdificium, nc cuiuispareret(quod eriam fupracirati Capitolini reftimonio com- probari porcft) muro conclufum,&:proptcrea agymnafio ftadium murifcptodiujfumfuifTe. De alijsgymnafiofereneccftarijslocis, reluti lignario, uafario, latrinis, triclinijs , atque eius gencris muL tisnonloquor , quodhorumin palacftrarum dcfcriptione mentio E non habcatur, ad noftrumque inftitutum minus pertineat; ficut nec qiiomodo ambulationesillae fubftratis carbonibus,atque cloa cis proximisexftruercntur. Quaeomnia^tamquamclara,autalibi commodius explicata,a Vitruuio in defcribendisxyftispraeter- milTaputo. luxra publicas thcrmasinuenio exftrudas fuifTepopi- nas,quas Ifidorus lib. etymolog. xv. cap. ij. tradit huic inferuiife, iir,quiob cxercirarioncs, autlauacraelfcnt admodumexinaniti, diflblutiuc,habercnt,ubi ftatfrnrcfici poflent. atque hasforfan Plinius intellexit Epift. iij. lib. j. quando poft balneum, &c triclinia popinarum meminit . Hadenus dc antiquorum gymnafijs. De AccubitHs m coena antiquorum:, ^ femel dumtaxat in die ceenandtconfuetudims •rigme. Cap. XL F V O N 1 A M balncorum explicatorum occafio iam fua- det , nosquc fupra polliciti fumus de coenandi fcmel in die ,& in coena accumbendi antiquorum confuetudi- nisorigincfermoncmhabere; fi cxtraremnoftram videatur,atquc a Galcno de accubitu nihil explicatum habeamus: haudpraetcrmirrcndumeft,quin lcntcntiam noftramin medium proponamus , alias eam libcntiflime mutaruri , fiquis meliori ludi- cio,ac eruditionepracdirus, ucriorcm aliquam,&:magisrationi confcntancamdcmonftrauerit. Quod etenim maiorcsnoftrima- nccxiguumquid comedcrcnr, quodprandiumuocabant, &:ue. fpcrc tanrum (arurarcnrur, dum coanarc dicebanrur , (exceptis ijs, quicoituufuri erancquibus amedicis vcfpcrecocnarcinterdiaQ fuifle P R I M V S. 51 A fulfse fcrlpfic Ariftotcles,& cxccptis SyracufanIs,qiios bis in dic ci- ^^nlc. bis implcri,quifi rcs noiM cfscr,tradir Plato ) fLuis ab Horatio, Mar- j;^^,,^ ^ j tialc , Plururcho , atquc Galcno ( nc mulcos alios nomincm ) com- Dioncm. probatum ell: fcd dc bis tulius mclius in uarijs lcdionibus nollris tradarum cft quod fimilircr tcrcomncs cium cocnabantm flraris accumbcrcnt , pracrcr lapidcs Romanos id clarc ortcndcntcs , do- AiflimusPhilandcr infuis in Vitruuium commcnrarijs audorurn antiquorum tcftimonijs clarum fccit , vt id amplius dcmonftrandi laborcmmihiomncmdcmplcrir. Cctcium vndc nam hac duac confuctudincsprincipiumacccpcrinr&quomodo vercaccumbc- rcnr, ncmo, qiicm cgo vidc rim, (luc cx anriquis , fiuc cx rcccntiori-bus, ira appolirc &: dihgcntcr dcclarauir, quin poftcris dubirandi , &:plura dcfidcrandi occafioticm rcHqucrir. Quod an ob rci ohfcu- B rirarcm,an ob ncglcdum cucncrir,ignc)ro. Ego fanc urra(quc illas, &:accubirusl(:ihccfAupii^.indic cocnac cofucrudincsa balnco- rum ufu manafsc c\ntimo.& primo ur ita dc accubitu fcntiam, plii- ribus, ijfquc non fpcrncdi.s conicilurisadducor, quarum prima cft, quod Homcri tempqrc „ qyando nofn adco frcqucnrcr bahicis vrc- barr^ur, coenaruri fc^cbanr,vt m conuiuio Procorum apparct. tfjft^i^otr^ Kcci^. . ^ -it*. id cft, cyJt proci ingrcJjL /urit^ qui mox mdc /upcrhi OrdincfedcYunt lc^tmms , (5" ordmc throms &: ubi Tclcmachus,ciulquc focjU5 a Mcnclao holpitio acccpti poft lotioncmcocnant fcdcntcs. i^ovwi l^oyro wimmorralcs gratias agcrcHtcnim ei qj' Plurarchus dc lo co c6fulari,nec no dc tnbus triclinioru lccVis diifcruir>iam non ob- fcurucft,quam mirihcc quadrcr propoiira triclinij Rhamuufrani fi- gura.Simiiitcr,&:qab Horario dc conuiuaru liru varijs inlocisnai^ C rantur,n6ahundcmchusintclligi pollunr,p(crrim quandofcnbir. Sacpe tribiis lc^is videjs CQcnarc quaieiraQs : Efabi44Vf.: ' "is jfpcrf^crc cnm ijs Tfdctcr cu) ^ . .iqujLm. Qucm locu dum Lambinus exponcrct , cur anriquos cofucuiflc in quolibct Icifto niagoa cx partc quarcrnos cacnarc pala aflcrucrir , f^nc miror , quafj non (ir cuiq. pcrfpcc^iflinuim, vr narrar Varro. lc- g^s cxftitiflc quac numcnun conuiuarum nouc cxc cdcrc,ncc pau- ciorcsrribusclfc vcrabanr ,hcut &:adagium illud vulgatiflimum , fcptcm conuiuiu,nouc conuicium,atrc(brur.(^mimmo lulius Ca- p/roUnus rcfcrr L. Vcrum Impcrator:- pracrcr cxcmpla maiorum , cupi duodccim folcmni conuuiio prinumi accubui(ic,ira vt prion- Ihis facculis porius fcrnos,atquc pauciorcs adhuc (ingulo 1 ccto con uj^asdifcgmbcrc fo|itosfuifl'cconuiacatur:ni/icpula pjblica ' ' * ' 1) 4 nuptialcs S4 i. i iS h K nuptiaTcs caenas cxcipiamus.in quas cu magna hominu copia con- D • uenircr,nequaqua accumbcntiunutficrusfcruari poterar,vrcx PJu tarcKo , ac Rhamnufiano lapide colhgirur,quo vcl epulu pubhcu , velnuptial^cocnamrepraefentari non eftdubirandum ,urob hoc Chacrephon apud Athenaeu in vj. vidcatur admitrcrc couiuas rri- ginra dunraxar innuptijs, in quibus vcriiimilc eftnecefTarium fuine uocatorcmiIIum,cuius meminit Senecalib. ii/.de ira cap. xxxvi;. &: qui fecundum cuiufque dignirarem conuiuaS ad loca dcbita vb-' cabar. Quodaurem Turnebus,&Lambinusidem dcpuero aquam pr.aebcnrc funt in tcrpretati , cquidcm non i mprobo.at forfan ncc abfurdum hicrir,fi Flacci vcrba dc eo puero cxponarur , qucm tana. omncsfcre mcnfarumfculprurae antlquacquam poeraru reftim nia conuuujs femper frigidam,& calidapraebuifrc oftendunr,qUe- que cundos , ne ab ipfo male rra(Sarenrur , reucriros eifc , & a quo E mordendo abftmuifre vcrifimilc fit. Jam fcfo M.iria Magdalena u t ftansrctropcdcs Chrifti coenantislauerit, atq. loannesfupra ciuf-- dcmChnfttpcaus recubuerit,cxhaccademRhamnufiani triclin,j figura,fecus quam pidorcs antiquarum rcru ignari faciat , 6c quam , Gaierarms Gardmahs murilirer commenratus cft,fadlec6iicitur ctenimhebraeos,acaKiftumaccun,bendiRomanort,mconS^^ dmem.obferua/le practer Architriclini accubitufq.: nomen • gehjs faepe vfurpatu etiam id tcftari poteft, quod Laei freqic^tcJ Rom.ac conuerfarcntur,fimiiiterq. Romani L Iudaca,ac in vfu no Xuo£r"! ^'^^ Marriahsfigt^ificare hoc dV • , ) -.J ; Omi^ia cim retro pueris obfonia tradas, F 1 1 Cur riM ntenfa tibl ponitur a pedibus i -'Siquidc.n coen anribus alrc iaccnribus fpacia rfetro rcjinquebarur in qu.bus fcru.s uana miniftranribus mulra offcrrc , & ab?ata rcci pcrc faclc crar,feruos namqucad pedcs caenanriunrftareac ob?d a^edibus vcl ad pedes vocari /oluos ex mulrorum fc^Sci r ■ gcre hcct.Sencca hb.ii;.dc bcncfici;s. Scruus (j cocnain id ocde; ftcrerat_,narrat quod mter cocnam ebrius dixiit.MarSs Mixta lagaenaad pedesreplct uino.Suetoniusin Galbi r , , . namverovfq.coabundantcm vrrnnl.i V ' "-'"fercoe- circumfcrri mbcrcs Lraia n^^^^^?^^ paraacr.bushurctS d^ndrefmt^l^Spt^'"^^-" buitimpudcnti.dequoctiaAthen-ir^ncinV I u P^"^'^"^^"- Sed P R I M V S. 55 A Scd practer alia mox di autfuturam laflitudincuirandampoftmodicum tcporis inreruallu lcdos intrarcntjatq. ibi modo nudi,modo laccr- nis,aljjsuc in id paratis uclUbus induti caenarct, atq. inde mox au- fta baincorum cofuctudmc vfq. adco accumbcdi morcm crcuifse, ut nobiliores in dclicijs maximis cum habcres,lcd:os nunc marmO- reos,nuncargcnteos (quod dcHcliogabaloferunt) inidfcparatim exftrui curannr,neq.inijs,inquibustamenqua plures, (utdc Lu- cio Vcro ImperatoretraditCapitoiinus,&pfcrrimpauperesdor- mire conAieuifse puto) fcd in cubicuiarijs uocatis dormire uolue- H rinr.quc morcm accumbendi poftca uiiiorcs, &: paupcres ad dirio- lib ii.de ^""^l^^^^^^yi^^^^f^^ifn ^ balncisquaiiiori, itafrcqucnriflimum efTe- teruiV.c.i ccrur,ur^Coiumclla praccipcrc coacfrus fit,ne uiilicus nifi facris dic- bus accubcns cocnarer;in qua rc no fecus corigir, ac cuenifsc cofpi citur in baincis,arq. piurimis aiijs rcbus,quae in honcftum ufum, & quafincccftitatc quadaprimurcpcrtac,dcinccpsadluxu, iafciuia, Uolupratc,aliosq. ufus rradudac fucrunr. Quis eft, qui ncfciar ucre- rcs in couiuijs ocs propc cxcogitafse uoiuprares, nihiiq. rcliquifsc, quodaddclinicndos animosfaccrcrrfic enimfermoncscouiuales ad animi inrelligcntias afficicndas magno ftudio inuencrut, ad au- dirum oblcdandu muficac uaria gcnera adhibuerut , ungucra pre- Prob'^!^^ tiofiflima odoraruidicarunr, ficut,&:coronasexfoIijs,floribusquc 6.cr fimp. c6rcxras,quas modo manibus,modo coilo, modo capirc u r iapidcs F c.de anj. Romani,Pluiarchus,GaIcnus, iSd Clcmcns AIcx. teftantur,tcncbati Rieda. ^i'^gi'5ria, colorc naribus, atq. oculis arridercnt,fomnu con- cap.8. «^^l^iii^cnt^cbrictarcuirarcnt.quantuporrocibis^&potibusdclica- tiflimisc6quircndisftudiuadhibucnnt,nonmodofidcfaciuntfcx- ii.7.c.ir. decmiillacduliorumgcncra, utcxVarroncrcfcrtGcilius alon- ginquisrcgiombus Romaaducda, atq. alia quamplurimaa iulio Poiluce nominaras, ucru ctia mulra , & prope innumera AuAorum de rc coqumaria comcnraria ab Arhcnaco cirara.De antiquoru io dic fcmcl ranru fcfc cibis implcndi c6fucrudine,cius ctia opinionis fum,utcuad cmundanda corpora quotidie anre cibo5,urfnperiori CapircdixnTius,ucrcrcslauaricogcrcnrur,6^aIotioneIcdlosin-rc- dercntur,uixfcmcl comcdcndi iii dicotiuipfisfuppcrcrct: quo^liia fi priuata cuuifq. negotia fpcdcmus , li 6c cxcrcitationii. & bainco- rum, P R I M V S. s9 A rum.accubituscj. apparatum c6fidercmus,magna tcporisparsipfi? infumirur, ut li ois in dic fiiturari uoluifscnt, aut ncgocia omi ttcrc, aut balnca intcrdum ucntrc plcno adirc, aliosq. multos errorcs , &c in ualctudinc,&: in alia uitac rationc committcrc fuilscnt coa^fli . Comcdcndi uero horam,& modum balncorum tcmporcatq. com moditatcmctiri inftiturum fiiifsc pofsumusa Galcnointclligcrc, ^ qui liintcrdum obacgrotantium infpcclioncstardiusfc lauandum ciubitabat,pancm manc fumcbat,quo ccanac tcmpori fufticcrc ualc ret,quadoaIijllmili dc caufsa,pancm,uinum,oliuas,aut quid aliud capiebant,uti non modo Galcnus f ilsus clt,fcd ctiam Horatius,vbi defcfcribir. Tranjus non auide ^ quantum intcrpclUtinani ymtre diem durare, B Quod porro vefpcrtinam horam caenae dcdicarint,in caufsa fuifsc praecipue uitae commoditatcm cxiftimo;fiquidem difticiie fuifsct poft excrcitationcs,balnca, &: cibum,agcdis rcbus opcram nauarc; practerea cum accumbcntes cacnarcnt,alij ftatim fomno capicbaa tur, a!i j modico temporis fpatio uigilantcs dormitum ibantrcx quo adhaccomnia nuUa opportunior hora quam ucfpcrrina inucnic- batur, quamquam ctiam nonnullos , &: pracfcrtim mcdicos in hoc ualctudinis quoquc rationcm fpcclafsc opinor, quando in noAc melius, quam intcrdiu , cibi conficiuntur , tuncque pcrfpicuum eft plus cdendum,quando plus coquitur . Hacc funt quac dc accubi- tus,A:cacnac antiquorumorigincmihi w^ftfj^is diccnda uolui. P R I M V S. 6$ A quc corpori afrcftiim parcrcnt hi,nofccbat.Aclcrant fcriii fricandis corporibusdefl:inati,qui ad pracfcriptum gymnaftacautpacdotri- bac,modo nudis manibus,modo vndis, modo cum lintcis alias du- ri5,alias molhbus,alias afperis,aliasmcdiocribus,uario,ac diucrfo modo,proutopuscrat,corpora fncabant. Poft hoscrant&rcundo rcs itaa Phnio,ac Cdfo nuncupati,quod corpora ia cxcrcitara vn- li.j. c.^y. gcrcnt,reungercntuc.hos,fucrc qui crcdidcrint,a Paulo Acgineta iirrfOAu7rT«c vocatos:fcd dcccpti funt , cum alium lUiflc ab his iicr^- ^wTTwoilcndcrimus. McdialHni quoquc uyumafijs miniflrabant paumicta cuerrcnrcs,nccnon multa aha pro lcruitijs gymnaliorum obcuntcs.Pyrrhus Ligorius intcr alia antiquitatis cius praeclarilli- ma monumCta hanc infcriptionchct,mqua Mcdiadmorufit mctio. DIIS. MANir>VS. S. B TITO. PLAVIO. OLENO SERVO. ET. PROCV R AT BALNEL T.FLA VI AVG VCf. MEDIASTINO VIX . ANN. XC. MEN "VTID. VIIIL T. FLAVI VS. T. L. POLVMNESTV S MEDIAS TINV S AVG. N. FAC. CVR Adcrant ferui balnearcs,Iotos in balncis primo cum fpongijs , mo- do purpura tinctis,vr rcfcrt Plini us,modo candcfacli^, dcindc cvm C lintcis cxiiccantcs.hos quoque arbitror cgo confucuiflc flrigihbus corpora cxercitatorum diftringcre , atquc a ftrigmcntis dcpurarc. Adcrantpilicrcpi ,qui fpliacris piccobh'tiscurabanr,nc ignis bal- ncorum cxftingucrctur. quidquid alij dicanr,qui pro piiicrcpis lu- ; fcrcspilac, vtpotcobftrcpcntcsinrclIigcndospuranr,maIc fc nrcn- .tias Matrialis &c Stati j,dc qui bus nos locis fuis loqucmur,inrcrprc- tantcs. Alipili,qui(ut rcfcrr Scneca)ad vcllcndos ab aliquibus cor- Epift. poris parribus , & pracfcrrim alis pilos adhibcbanrur: nili uclimus, vrdo(tti uiri ccnfucrunt,pcdicrcpos,& alipcdosapud Scnccamlc- gercqualiin gymnafijs cflrcnr,qui a pcdiculishomincs purgarcnr, &: inrcr occidcndum ipfos magna vocc fingulos cnumc rarcnr,i(a vt Scnccaab huiufccmodi vocibusoffcndcrcrnr.quornm tamcfcntc tia non probo,quod luucnalis ccrro rcflaru faciar,fuiflc' in thcrmis, qui ab alis pilos aucUcrenr, ubi fcruos fuos dcfcribcnj Pcrfico ait: T^ec pu^iUarcs dcfcrt\in balnca raucHS TcHi^ulos^nK, yelUndas iam praebuit alas. 5«t. is« F Atque U 11 B E R Acquehos mo do volfcllkrfdirf ob(?unrfumvfo5eflc:nuncre/ina, D (hanc enim m eueilendi^ vrronim corporibus pilis maximum ho- Ii.i4 c.io. |ukcioncscKpliccn;,uc- rumcciam illamaba!i)s, quAclimilcm naturampcrin- dc,acnmcn obtincrc uidcnrur, ira diftinguanr,nc lcctorcs acqiri- C uocarionc dcccpti, ucl circa rcs ipfas iiilignitcr dccipiatur.(^ idc® cum nos izymnafticam ucram tractarc prf>fM>{ucrimus , quac racdi- CiJiac pars clfc dchnita iam a nobis tuir,ahacq. lint gymnafticac cir ca cadcm fci c ucrfaurcs . ncccflum arbkror dc his tplis fcrmoncra liiccrc,quohabiro pofsit diucrliras ounuum 'faciUnnc inrcrnolLi. jcj^ctcnt^sigiturquic fupcriusdiicimMs, ircs llatu i mu s gyiniuJii- c;>c4:oriiisfpccics gymiiifticain ucram fcu lcgirinum ( urcanr , nihiloininas tinibas , -quor um graria fiivgulac infti tur-»c fuiu. m:i;;nopciX' , licut ctiarci fu- pra monlha-tiimui^ diflcrunr . Num gy.iauuftica JmiplcNj^i: mcdic>- nac pars i«l folum ourar, ur bomincs cwpcitawontim modcraraiam ©pc,&:fani*arcmacquiraiu,rucanturuc;&: bonumhabinnn adi- pifcantur; c^cAo>« ( diccoat Plat )) rtc wAAcc , (cAA« t^^-rgut^^^^^ll^^ yj(xH'.€i aiS^iTiotz , idcft, 1 arc jr haud r 2 multas. L l B E K multas , fcd modcratas cxercitationcshominibus bonum habitiim D inkrcrc . Hoc ua eire quoniam Gale nus tu in libclJo ad Thrafvbu-, lum , tumin libris dc tuendauaJctudinc non minus copiofc, quam JucuJenter demonftrauit,&: nosquoq. fuperius aJiqua ad hanc fpc- ciem pcrtnicntia dccJarauimus,haud ampJius in ca celebrada vcr- bis immcrabor.fed ad BcIIica tranfibo : cuius unu ftudium erat ho- mmcs,pueros,atqueetiaapud nonnuJIos muJieres carundem cxer- citationumadiumentoitadifponere,atqueaptarc,ut & inbello lck fortiter gcrcre, & hoftcs propulfarc, &patrias tucri, & omnem deniquemilitarcmperitiamtenere ualcrent.quamuis cnimhaec quoqueficut &:f«perior bonum corporis habitum con.pararet, &: lanitatem quodammodo tuerctur, quia tamen proprius illiusfi.- nis erat homincs beJIis gcrendisidoncos atque fortcs cfficere,pro- ptc^r^a eandem no cfsc fatis apcrte conftat.quod uero bclli ca gvm- E nafticanuIJam aliam naturam habcatpraetcra meexpIicatam,lo- cupleti/nmum teftcmPIatoncmin mcdium affcram, quiinfepti- modeIcgibus(poftquamdecIarauitiuucnum, &c puercrumedu- cationem maiorcm partcm in rcbus pub.obtinere)dcccrnit publi- cosmagiftroshabcndos,quigymnafticampucros,atquepuelIas. &c uirsmcs edoccar, quod ad afscquendam miJitarem pcritiam nil mclius paJacftnca &:/aJtatoria gymnafticae partibus inueniatur id quod etiam cJegantillimc in tertio de rcpub. &aJibi Aiepe profecu tus fuit Polt Platonem Ariftotcleslimiliter gymnafticam belli" cam modauo Politicorumcxprcfseindicauitrubi tameas,quac athlerarum habitudinibus corpora iuuenum deformare , & corum augmentationcm impedire ftudent Ciuitatcs, quam Lacones effe ratos labonbus adolefcentes cfficientes reprehendit, eamq. pueris ^ gymnafticamtradendamconfuht,quaemitioribusJaboribus &: magismanfuetisexcrcitationibusiIIosrobuftos,&:inbellicisneao- tijs uerc fortes reddere qucat. de hacgymnaftica clare locutSm Galcnum non rcpcno, nifi velimus ipfum dum Jcgitimam cclZ brat fub ea iftani comprchcndere . qu^d & ipfa bono habitui com- parandoincumbat,hcetadbeIlicamperitiam,&aptitudine^^^^^^^^ dtafuaftudia dingat; atqucilli qui medicinae gymnaftkaTope- ram nauant, etiam dum oportct,beIIica uti ualcan^.VetetiSs in^er ZZr'"T ^^""^fti^^ niilit ae ,1iTomodo! LsapudGr^^^^^^^^ ^l"^" huiufcemodi ars apuci oraccas,&: Latinas nationes in pretio habita fuerit Pr-i£> ter has duas eft etiam gymnaftica aJia uidofa,& atlilct ca a nuncupata,quae hominibus robuftis efficicndis(talis enintf.ft Mi! lo Crotomara, & «hktailk, qucm OJympiodorus quarto m te^ rolog. V ^ \ M V S.  aut ludarivaut isTctyKgitrtccfmcogcbzmur, iccirco cibo indigebantcorruptu &:.euaporatu dJthcili,cuiufmodi eftcibusex fuilliscarnibus,quibus foli veri athletae uefcebantur, atquc ta- reserant> qui inludis,. in amphithcafris,&:etiaminalijslocisob pracmium ,&gloriamcertabanr, in hoc acetcris diuerfi , quod folum uincere,&:coronam affequi ftuderent, cum alij ucl bono ha- bi tui c orporis acquirendo , &: fani tati tuendae ; uel militari forti- t:udini,&: peritiae acquirendae intenderent,quos /impliciter gym- nafticos,&: exercitatos,vel athlctas bellicos nuncupari inuenio, ex. quo conignuraliumefie: (Tmpliciter athletam^^ alium fimpliciter gymnafticum , necnon tres fuiffe artcs in exercitationibus uerlan- tcs communinomine gymnafticae vocatas, quarum medicaom- nibus magis proprieita di£ta fuit,alteranempe beHica (apud mc- dicosloquor, quod alijforfanhancprimariamefTecerint ) minus; tertia omnium mini me nimirum , quae a pracdi£l:is degenerans,. uitibfaiappellata lit' quacue robori , non fanitatioperam daret : ro- burenim diuerfum habitum afanitate cxigere , teftis eft Ariftotc- lcs viij. fed» problcm. vj. quo in loco pinguem habitum robori ^for- nitati ucro rarum conucnire fcribir«. /01 tiSl fe, rah t5| TfcT^itio/a Gymna Htca^ Jfut Athretica:, CTa^. Xllir-- Oftquam dc bellica gymnaftica, atquc etia dc gymna- ^ fticalimplici,quantuad praefens negotium:fpcdabar, fatisdifscruimus,iamopporrunum critde athleticafer ' mone habere;.quae quonia tcporibus Galcni, atq. etia fuperioribusmaxima audloritatem fibi uendicaucratjideoeiopus IKfnas.ad fuit,uteam longiffimaorationcatqucimpuriflimiscontumeliofilli- mifq. uerbis infectaretur..quod qua fapienter fimulac iufte feccrit, exhis,qdeilliusprofefsorumoribus,alijfq..conditionibus di£Vurus fum,facillime clarum futurum /pcro.&ur aprincipio exordiar,Pli-^ lih.7.c.j lib, ad K07i}(vi(€$, qua artis nomen ei conuenifse dixerit Galcnus, fi quidcm "^**'^^* illius cxercitatores dum fge uidtoriae, Sc praemij ( quorii gratia qui certa.- nu Cpro prii aut v:ni (cti effc val niii doi tat tai ca bi Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioleca Nazion CFMAGL 1 .7.429 !> R I M V S. vf IffXyi'^ J^utdh^os r« crxt ginrw 7r*j,»t«» KOtii' ret}^ Ktti , , n-flf 'f * J^iOfUKot 6 /fc Kcti KKriX^* 'J'«A«/i«f) fcribcndum dubitan polTctob vcrba fcqucntia,quibus inuit robur cflcfuaptcnatura coniunctum cum pcrnicitatc ; vciumtamcn ,ut non inficior ctiam uocem Tfc;(f»«7.i. artis quadrarc, cum ars inaxiinc valcat in athlctica,in qua cam robori iSc inagnirudini primum om- niumaddidiflcThcfcum tcllatur Paufanias in .'^cticis, lic non ui- dcocuraroborc qu.)quc cclcriras fcpaiari.iicqucat cum rcs ipfa doccarplcrofqucviribusmagnopcrc valci c,qiii tamcn inagciulo tardi potius.quam cclcrcs funt..Scd ut cumquc lit chirc patct athlc t'aruomniuinltitutioncm,atq, dikiplinam huc rantum lpc>.'tallc,ut corporismagnitudincm,iobur,atq. cclcritatcmcompararcnr,qui- busfoli cctcrosantagoniltas lupciarc,&: pracmio,honorcq. potiri ualercnt. id c^uodlicctpluribus cti-caminum gcncnbus conicnde- 70 L i B E R Jcnr,qulnq. tamcnpi-accipuaeranr,in quibusvcl femper.velplc- D iimq. ram in facris cerraminib.quain Iudis,amphithcarris,&:publi cis lpcaaculis,fed pracfertim in ftadio,quod fere folis arhietis pro- pnc deftinaru erat,cerrabant,lu6la,pugilarus,curfus,falrus,& dilcus. vndcludarores,pugiles,curforcs,falratorcs, difcoboli nuncupaban tur,qui feparatimin fingulispollerent,ficuri Pacrariafta diccbarur, qui in luaa,& pugilatu valebarrq vero in cudis quinqucperarhlus, &:vocabulo Romanoquinquerriusvocabarur,urdoccr Fcftus;erfi Qilinquertioncs apud Liuiu Andronicu athlctas fignificare fcribat idc Fcftus , apud quc ct peiiodon vicifsc diccbatur is , qui Py thia, lfthmia,Ncmea,01ympiavicinct,nomineacircuitueorrifpc6tacu lorfi accepto.narrarLacrtius Democritum Philofophum efse uoca tum pentarhlum,forfin quod in iuucnrute vicifsct.Erantpoftmodu Haltcres,iacula,arq. n6nullaalia,qucruquoq. certamina athlctae E obibar,ar in pu blicis ludoru, &: ficroru ccrraminu cclcbratiombus raroillapcragebanrur,vnacxccptamonomachia,q.Graecosfaccr« dotes aeftatis rcpore in pergamo excrcere cofueuifle memoriac ^o- 3.3 ar. 13 didir Galenus.Quamquam monomachos,fiue gladiatorcs apud ve rcresabAthlerisdiucrfosfuinbfcia,quod M.Ciceroreftarumfecit Epift.fam.hb.vij.Epift.j.his vcrbis,N.a quid ego re athleras pure de- fidcrarcqui gladiarorcscorcmpfcris ? Nifi dicamus qu^^memoriae prodituhaberura Dionyfio Halic.anriq. Rom. lib.x.arhlcrasalios Imffc leuioru,alios gr.iuioru cerraminfi.arquc hospoftcriorcs fuiife gladiarorcs.Deijsin DigcftoiTiIi. 9. t.l.Aquiliaab Vlpianofcripru rcpcrio: Si in colluAarione vel in pacrario,vcl pugilcs dum intcr fe excrcctur alius aliu occidcrir,cefllit Aquilia , quia gloriae caufsa & „ v]rruris,noinuinae,vidcturdamnfidaru.vndcpaterearbitror.'ipud Maiorcs,hac athlctica 1 maxima exiftimationc habira.cuius ea erat ratio,qd' homincsfempcrillasrcsextollerc .ac honore dign.is cf- hcercfolct,aquibusvoluptares,acdcIcdarioncsobtinerc ftudenr. ob quod cum arhlerica in publicis Iudis,cctcrisq. fpcdaculis maxi mas voluprarcs publiccafferrcr^in honorc habira arq. a multis ex- li.i*.c,4. P^f'^^f"^'7q"'in^oathIetisludos ingredictibus vrrefcrt Plinius oes a(rurgcbanr,cr,am fcnatus,ijq. fcnatui proximc fedcbat, necno cu parnbus,auis parernis,a quibusuis muncribus uacabanr,&: ui6to resin patnastriumphanrcsinuehcbarur,immo Athletis ingenuos caedercatciue occidcrc,qd^ilijs vctabanrlcges , non modo licuif- fcvcrum er.am hononficum fu.fle audcr clt in lij.hypor. Pyrrhon. Sexrus Empincus Nc dicam, qd^ Eufebius in v.de Pracp.ararion; cuangelica mulro fermone damnat vcteres,f.eo fuperliitionis, arq. mfan..ie,nterdumdcucnifse,vtpugiIes,atqucathIetas,nDcorum numerumiefenent. Quibus ommbusracionibusfatisclarumcfse poteft. P R I M V S 71 A potcft..uhlctlc.im .uu.quitiis magn.ic auiVoritatis fuifrc : & proptc- Vca non tcmcrc illam Calcnum mfcaatum cfsc.dum an.maducrfe rct.quantudani exca artis athlcticac reputitionc hununo i^cncu acccclcretiliquidcno mo cuchianimi.vcruC-tcorpons bona;ita ccv rupebatur,ut nihilinucniri pofsct.qcK maius hominib.q. gloriac , 6C pmioru rationc lUa vndiq. ambicbant.dctrnncntu afla rcr, quc ul- modu Euripidcsipoq.clcgcintiirimetcltatushutlubhilccucrbis. O / ^ch^v 0 IxfJv ovcfi utLJviip "^^^^ * OiiT ai S^wuAfv^ro^^S^ y^o-lg W ^*ip ^ rvxSn T% S^AoCyVfiSvo^ d^nijnf^^o^y KriiTUfT ULt oA.Sor f . . Msdtuverjati Mortbus y nonfacHe mutantur in mclius. Quibusnihil cftmco iudicio,quod magisatli.ciKMC ftatil prod.if. Ncq. tamcn dctucrut, qui hac pniciofam arcc comcrarijs cckbra- C rc mtcrCtur, qualcs tUcruc Tryph6,ac Thcon Alcxandrinus,qui ab athlctica,in qua cxccllcbat , cognita cius prauiratc ad gymnaftica tadc dcfc iuit.Nc racca Platonc,quc Scrums,&: Lacrtius ^pdidcrunt athlcta fuifsc,&: ca dimiisa ad philofophiam (c contuhfsc.Scd quia athlctas pracmi) gratia ccrtarc ,arquc vitam millc nccis gcncribus cxponcrc conlucuifsc no fcmcl dixi,id hoc in loco ncqnaqua prac- tcrirc uolo,athlctisnon cadcquocumq. tcporc fuifsc {Smiv>i um gc- ncra propolira,vcrum,vt Clcmcns Alcxan. ij.Pacdag.c.viij.mcmo- riac prodidit,primo fuir J^iaic fcu donnm,fccundo plaufusacrrio h liorum conicaio,poftrcmo cc rona. . f ,1 ^ citatcm, & ob fcoenos mores delcnbcTs ait Inter catellas cnferum extalambeutet Tmitur aprigkttduks palae/iritis, Attamen 1« rd le «!• am ith Btflf /lii ilifl 101 prt lin cap i|iii m cik : 1' pre lii Hij n h bu Ci n ni p B. I M V S. 75 A Atf imen iUos in frequcntiorc ufu habuific carncs tu bubulas , tum mcnto o'^^^^^^^^ dur" ic, ac alimcntorum cralTitic no modoubcnos nut.u c.itur. (cd f ■ri^utiusla.ur. pc,mancrc,u, ,uo gcnc.x v.dusanv^^^^ nunil WiJofcj i.nmodicc «tcrctur.cosmorbosm«*?«>.'.t ficcac faginat.on,s athlcta, u , quac ut hc, ct ab ahqu,- bus dubitatur, cgoucrofcmpcrputau. xc rophag.a.n .llam apud Cachum &c loanncm Cafr.anum comemoratam.qua.f.hcus ar.d.is, nuccs &nil coctum,n.lhumidufumcbanr,no., placc,itas,uta,r Ar- rianus in Epiftcto, non frigidum potum , & dc qua Plautus m Mo- ftc'I ma ubi adokfccns quidaita loquitur,(iuo ncquc ,ndullr,or dc iuucntutc crat artc symnaftica,d,fco.halb,pila,curlu armis , cquo, uictitabam uolupc parfimonia.S^ duritia. Ordinc h,n,Iitcr nullum . aut pcrpulillum athlctas in comcdOdo (cruafsc ,m6c ccmpons nul- lam rationc habiufsc, fatis cxfuperiorib. clorum cfsc potcft.nil, qd: 4/ i B E R refcrt Gulenus eos non aeqiie mane , ac uefpere cibos ualidifnmos ij ^ ' accipcre cofueuifTc/cd dfiraxarin coena,nomodo rarione.Meruni- [ etiaexpcnentia dodi cibosin fomno.quando calor magis vigerm- " tus, facjhus cofJci.alioqui coco-au difficiliimosipfis, cu ob q,ualira- ^ tem eoru ualde calori rcliftcntc.tum ob im;r,cnsa quadrate. quauis f H.i^c.r,'^^"S"ifl^'-itiirfenIinbPJiniiis,quifcnbitut;i'crasmaloi(refcmper ij eosubiq.fomnoIcntosappelIans.Inmotuquoque&:quiefe cM nullam mcnfuram feruare folitos athlctas teftatur Galenus,qui cos tw. modo tota dic laborare,quando.f exercitium rUutf^fiuc KXTccanciiim,pueros quoquc cofueui/Tcin palaeftrisexercen,et prncrcrD tim Plato S.dclcg.qui tria gcncrafccitpalacftritarum ,pucros,im- berbcs,& uiros.Non modo cnim fc arhk rac ad inhibcnda ucncrcm frigidalauabant,vcrumctiam laminas plumbcasrcnum,&:Iumbo- rum rcgionibus ad arccndas ncdurnas poIIutioncs,&: libidinis im- Ii.34.c.i8 pctusfrangcdosadhibcbacuttcftati funt Plinius, Galcnus,& loan- ua. c.uic.' '"^^^ CaflianusJib.vj.c.vij.quam rcm ct inTC^Iligerc voluifse D. Paulu arbitror,dum dixit . Qui in lladio currunt,ab o-mnibus abftinent,&: hi quide vt mortnl^' ooronam,nos vcro utimmortalcm accipiamus. lib adfflar Qil^,^^^^^'^^" ^^^^^^ cnaiTfis Tcrtullian^ hacc diccbatrNcpe cu&: Athlc tyrcs. ^^^^ icgrcgctur ad Itrldiorc difciplina,ut robori acdiiicado vacer,c6 ^ ^ tinctur a Iuxuria,a cibislactioribus,a potu iticundicirc:cogLitur,cru- Ciatur,fatigantur,^ D. Chryfollomus i.ad Corint.c.9. atq. Aclia- nus :Idc(Sy:Clcmcs Alcxan. lib.^.Stromaru^&SimpIicius in comcn- ^ li. is.c.6. tariofupi\iEpi:l:ctuintcIlcxir,quiRudio coronacathkcasauencre ablbncre fcriplit,ianyh'us H.a:^ca^-foi>i iii, Rom. b^^^v^ HamcrO'Colligi,apud prifcosailos tu.rpc.ha:birum cfecnudos -ccrtarc^rimum aut omnifi Olymp.vv.KcaihumLa^cdacmonixim Olympiacoftadi'0 dccurrcntcm totunvcorpusdcnudafsc,pudcdi$ tancifltiifuWigarib us campcftribus obtcCtis. 77 * ARTIS. GYMNASTIC^ LIBER SECVN D VS ilnidjit exercitAtlo, tlf quomodo diffcrAt a lahorc (tj motu. Cap. l • OSTQ V A M dc Gymnaftica , quid fic>cius origincnvicc non vcrac,6aquacq. fin- gulatimcxplancrur. hoc ctcnim fac'to,cum ars(diccbai Ariftotc- ^.Ethk. lcs,)(it rcda opcrandi ratio,vidcbimus,qu:ic (ir in obcundis cxcrci- tatiombus hacc rccla ritio , quomodo iUarum unaquacquc , ucl ad parandumbonum habirum,vcl fanirarcm dcfcndcndamconfcrat. P Excrcirarioncm iraquc dcfiniuir ( iaIcnus,fccundo dc tu. val.& ip- fumfccurus Actius, tfscmorum vchcmcntcm ,anhclitumalrcran- rcm,ub: yvtaict^ K/nw^v.&in-oW^fuic cxcrcirarioncm,morum,arq. la- borc in:cr lc diricrrc dcmonltrarrproptcrca qd' morus clt rcs quac- dam magis communis,arq. pluribus conucnicns quam cxcrcitatio, cumfacpcmulri moucanrur,ncq. cxcrjcri dicantur,cxcrcirario ue ro non fit , niil vchcmcns morus : fnnilircr labor liccr lit vchcmcns motus.ramcn non omnis labor propric uocarur cxcrciratio , fi qui- dcm fodicntcs , arq. mctcnrcs laborarc ,fcd non propric cxcrccri dicutur; tamcrficriamaliquandocommuniquadam appcllarionc labor,cxcrcitAtio uocarur rqiicmadmodiim (jalcnusab Hippocra- tcuocatumcfsc ccnfcr,quandoisdixit,Laborcscibumpracccdat> icx. 3 1. ' &:,ubi famcs,Iaborandum non cfiibi cnim vocchanc 7roVoj,quac,&: [^^^^]^^^'^ dolcrcm &: laborcm,liuc damnum,ut Itroriano placui.6Lcxci cira- „na,cu7 tioncm fmnificarc folcr,pro cxcrcirarionc dumraxar accipi dcbcre l i tuiva^. iudicar.c^jo cxcrcitaiio iiihil aliudcriccxfcntaiaGaicni,&: Aetij ^^'"^ nili 78 L I B E R nifimomsvehemcns anhelitum alterans, yviivitrm^ Graecisappel-D latus,quod p!ci uq.nudi,aur fliltem cum paucioribus ucftibus cxer- cerctur;quemadmodum etiamlociiin ,ubi ficbat>'t///^(cW appella- tum fupcriore libro abundc monftrauimus.Sed quoniam poflct ali quisetiamin gymnafijsab alreropcruim vehcmentcrmoueri,qui tamen nullo padio excrcc i i diccicLur,iccirco haec Galcnica cxer- citationis(paccciusdicam)definit:o haud quaquamintegra eft.&: proinde Auiccnna Arabi m omnium dosftiflimus cum animaduer- tidethaud plcne cxcrcitationemaGa-eno dcfinitam fuifle,a!iam definitionemin medium arrulit, uid( iicct quod cxercitatio eftmo tus uoIunrarius,proptcr qucm anhc!iti.s magnus, &:frcquens eft ne ceflarius.Quo m loco eos quoq. mcrito damnar,qui leuem quamli bet ambulationem cxcrcitij nomire compcllant : non enim appo- fuit(vchcmcns)quod,vbi magruSj&LfrcqucnsiitanhelituSjfcmper ^ necefll^riofcqui ur motumiilum vchcmentcmcxfiflere. fed neque haec definirio Auicennae mihi plene fatisfacit : quoniam,etfi con- ueniatomnibus triplicisgymnafticae excrcitationibus, cas tamcn propricnon complccl:itur:dequibusadmcdicum tradtare fpedtar, &: nos etiam loqui inftituimus : fiquidcm omnia quatuor cauflarum genera haud quaquam compleftitur, cum ncq. materialis explice- tur, neque caufla cuius gratia. Accedit item illud , quod multi uo- luntarie uehementer,&: cii anhclitu au6to mouentur, qui nullo pa- dio dicentur proprie exerceri,ficuti ferui cum celeritate dominoru mandata exfequcntcs,&: ficuti illi , qui vel inimicoru impetum, uel quid aliud trifte cflugicntcs,&: vehcmenter mouentur , 6c frequen- ter,ac magnopereanhelant : ex quo Auicennae definitio haud pcr- . fcfte totam exercitationis natura copleditur s ficut neq. illa Auer- F rois,qua dixit in libro coIIedaneorum,exercitationem efle mcbro- rum motum aliqua uoluntate fadlum. Ideo nos alitcr definictes di- camus,quod exercitatio,de qua medici intereft tradare, jpprie eft moms corporis humani uehemcns,uoIuntarius,cum anhelitu alte- rato ucl fanitatis tuendae ,uel habitus boni comparandi gratia fa- 6tus. ita namq. definitio omnes cauflas comprchendit , atq. foli de- finito conuenit : uerum enimucro poflTet aliquis merito a me fcifci- tari, numquid motus equi tando , vel nauigando peraftus exercita- onis nomen mercatur , eo quod non libere a uoluntate hominis , fed ab alio dcpendere uideatur ? cui rcfpondeo , non minus equi- tantes,&:nauigantes alijs cxerccri dici debere,fi n6proprie,faItcm communitcr,dum modo gratiafanitatis,uel etiam militarisftu- dij illud cfficiant : quandoquidem propric exerccri dicuntur , qui exercitationcm nuper a nobis definitam fufcipiunt.quibus vero ali- qua S E C V N D'V S. 7# A qua tx comlraohibiu neccflarijs dccft,illi potius communitcr, quii .propriccxcrceridiccntur ,riue i fcipiis, llucab alijs moucanrur, • tafidcm facere inerito lcripferunr &: Flaro , &c Gatexius :fiqtuidem ^illaftatim ac in mundanahanc lucem ueniunt, f efe mouerie , agi ta- rc , ac faltare confpiciuntur : veluti quoque pueri faititant , qui ta- met/iin hoc brufisimbellioresad fruendum hac uita excant,nihi- lominus &ip/i , quantum conceditur , fcfc mouere nituntur iiitque exmotibus non parum voluptatis accipiunt. qui motus poflmo^ dum crefcentibus annis dum codicionesfupra defcriptasrecipiut, nil aliud planefunt, nHi iplilTima facultatisgymnafticae opera: vt omninodicere cogamur ipfiim,fi aon a naturafa£tam,faitem fecun dum naturae propenfionem efsc Huiufce facultatis cum Plato duasprimarias,atc[ue uniuerfalespartes effecerit;proinde allatani ab ipfo gymnaflicae diuifionemin medifi proponemus, nou quod fub ipfaomniumexercitationum fpccies appofitc contineantur , E fed quodanuUoalioartem hanc mehus diuifiun hucufqueuidcrc contigcrit.nGque nos quifquam rcprehendere dcbet,quod in plu- ribusPIatonis ,quemmedicumncmofanus reputat,au£toritatem in tradanda re mcdicatantifaciamusiquandoGalenus ille, cui no jninusmedici 3,quam Pythagorae eius difcipuli credere tenentur, fcriptum reliquit , Platonem Hippocratis imitatorem fuifse , nec vfquamabiUius placitis receirifseinam Galenum hoc inlocofe- ;/>cdtuocauitLucianus; & in gloflario habeturjccrnulat ;6t;,5W, quS uocem et ufurpauit Sc neca Epift.8.etfi cernuat plurcs codiccs habeant. Secunda {^QCiQ% eftfphaeriftica,(iuepilaeludus.naq(fludentes pila faltarent,prae- terHomeritcftimoniu,qui fcxto OdyOeae dcNauficaahaec tradit: TTiaich Hcw(jiKoict?^dj}tcaAQMoc iipX^'^ MoAttw^. idcft: Ludebantpilayvittisvcllisque remotis y Utqne his ^auficaa ob niucas Jpe^abilis vlnas TrincipiiHn ludo dabat. tcftaturquoque Athcnaeusex auaoritate Demoxeni ,ficutiinfe- rius indicabimus . Tertiafpecies eft opx>i(ng fimpliciter dida , nos limphciccrfaltationem diccrc polTumus. Totahacorcheftica qua- u is maiores noftri ut plurimum ad uoluptates , ac lafciuiam poti us , quam ad aliud utcrcntur,qui mos etiam ufque ad haec tcpora pcr- durat, nihilominus gymnafticam bellicam,athlcticam , atque mc- dicamilla quoque prorfus non caruilTe conftat, /icutnec ccteraf cxcrcitationes abuUa fereharum triumomifli fuifsc dcmonftra- bo, ubi in finguHs cxcrcitationum fpeciebus dcclarandis, quo mo- dounaquacque gymnafticae illis feparatim ufa fit, indicarecona- bor . Bcllicam cnim abfque faltatoria non fuifle , locuplctifli- mumteftemPlatoncmhabemus, quiin feptimodclegibus falta- tioncm in tres diuifit , militarem, paci aptam, atque mediam; mili- rarcmque vocauit corum, qui modo exfilitionibus inaltum,mo- dodcprcflSonibus, modoinclinationibus hoftilium incurfuumin uafio- SECVNDVS A uafioncs^euirationcfq., imirabanturjquiq. figuris uarijsiaculatorcs, &c pcrculTorcs fimulabant ; atq. hanc tanti fccit , ut uoliicrit in Rc- publicamaginroshabcri, qui mcrccdc publicacondiicti uiros fi- mu!,ac mulicrcs hanc cdoccrcnr,arbirratus hac una non paruadiu- mcnti accclVurum ad adipifccndamihtarcpcritia.&:nobihsauthor Quintihanus hb. i.inft.c.z.tcllarur Laccdacmoniosfalrationcquan dam tamq, ad bclhi utilcm intcr cxcrci rarioncs rcccpifsc.QiuJd uc roathlctica gymnallicaintcrcctcrascxcrcirarioncshabucritaliqfi faltationcs,c6probari potcft cx Plini o,qui Stcphanionc togarac fal ^^''^* tationisprimuinucnrorcm vrrifq. faccularibusludis,(!s: D.Augufti, &: Claudij Caclaris (altalsc mcmoriac prodidit : qucniadmodu 6c Plato loco nupcr citato laltationc a nobis mcdia , ab ipfo d^^icfifi" THjL^lw nucupara in facrihcijs , atq. expiarionib. ficri fohra,q a Ma B rincnfibus,&: Arcadibus cora Cyro fiicta rcfcrr Xcnophon, rnidcns, libro i.dt apcrtc infinuarc uidctur, arhlcrica, cuius 6c ludos &: furificioru cc- ^y'-^^^' lebrirarcs cfic ia dccrcui mus,falratoria habuifsc.( lal.porro ncc mc dicinac Liymnartica falrarioncs a fc rcfpuifsc rainq fanitari, & bono habitui mudlcsplanc conhrctur,quandoquidc in fccundoTrtei vy- cap.vltim. Hvm' multos imbccillcs ualerudini rcfii tutos a fc ludis, pacrarijs,ial- tationibus, arq. alijshuiufccmodi cxcrcirationib, rcfcrr.id qd An- Orib.r. ryllusparircr tcllatum fccit,ubi inicr cctcras cxcrcirarioncs homi- nibus ad (anitatc conkrcntcs hanc ponit , mcdiamq. intcr chorca, &: umbratilcm pugnam naturam rctincrc , &: ob i d puc ris, mulicri- bus,atq.fcnibus,quorum corpus mirum in modfi inibccillum,&: gra cilc cft,conduccrcfcribir. An ucro hacc cafir /alrario, quam Plaro up**yixLuu,i\\XQ paci apram nuncupauit,(]uamq. animi in profpcritari- C bus,&:inmodcrarisuoluptatibustcmpcraticxfiftcrefcripfir, haud tuto affirmare audco, fat (ir nobis hactcnus oftcndifsc nullum gym- nallicacgcnushac laltarionc caruifsc,inquam, &:in palacftncam cxcrcitationum arrcm a Plaronc dmifani cisc iam diximus. De Sph.t€riliica. Cap. /K Altationem incubifticam, fphacrifiicam, &: or- chcfticam,fiuccommuni nomincuocaramfaltationcm diuifimus,quarum unaqiiacq. iam nobis fufius dcclaia da lorct. Scd quoniam dc cubiltica ab auctoiib. pauca admodum tradita rcpcrjuntur,omi(sa illa,rcliquas duas prolcquc- mur. Atquc primofphacrillica fcfc oflcrt, quac ramctfiHomcri tcmporibusfimplicior cfscr,atramcnpollcrioribusfacculis mirain OymnajtUa. G 3 uaric- «4 I 1 B £ R aeratcm acqiiifiuit , m&c ipfa in gyrrKraii/s. t-am locumcSoLf- D «5:^0^5 quani pracfcdum awotdpn^/Koif voaitum haberc mcruerit. I.7.C. Jjr. 1« uar pn^HV.op:, quxm pracfcctum arpotfp^i^^Kou. Qiiis vcro primus fphaeritticamhanc,fiuepilacladuminucncrit, fcripcores diiic/a fcntiunt. Plinius inter Larinos Pytho cuidam hunc acccprumrcferc. A^alisCorcyreagrammatica Nauficaam ludipihiejnuenrriccm, fcd ignoroquararionc,apud Athcnacum facir.-HippafusLacedacmonijs, DicacarchusSicyonijsinuentum iftud artribuerunt . Ex quo fir , vr ccrri quidquam fcntirc nequca- mus,-&:co magis quod TimocratisLaconis,aIiorumuc dehoclu- do commcnraria non habcmus, quibus forrafiis &:ranracuaricta- tis rarioncm intclligere,&: incognira prope ludcdi pila gcncra ccr- tius cognofccrc poffcmus.in quibus cxplicandis cum huc ufq. fcri- prorcs non parum confufi fucrinr, arquc intcrdum a ucriratelonge receffcrinr^nos, quantum ficri potcrit, tradarioncm hac clariorcm, minufq. antiquorum fcripris repugnantem cfficcrc ftudebimus.Pi- Liiraqucludendi gencnlquaruor duntaxat apud graccoscxftiriffe rcpcrio , uiyct^w T^pajjpcLV , fjLiTtfKVj^pajpoM , yiivbju o-(poijpcJUf , ^ yicopvKOV , fiue paruam pilam, magnam, atquc pilam inancm, & corycum,rcpono corycum inrcr pilac gcncra,quod licct GaIcnus,Oribafius,&: Paul- lusab illisfccrcucrint, inftrumcntumillud, ut demonftrabimus, nel pila crar,ucl pilac aflimilc . Paruac lufus fccundum Anryllum trcsfpecics diuerfashabuir.prima crar,pila ualdcparua,in quaqui cxerccbanti.r, corpore maximc claro ludcbant,&: colludcnrcs ma- nus manibus proxime admoucbat. fccQda crar pila maiufcula , qua cuhiros cubiris ludcndo immifccbar, ncc corporibus mutuo hacre bant, ncc annucbanr,fcd uarijs modis moucbantur,&:proptcr ua- rios pilae iaitus huc,atque illuc digrcdicbantunterria erat pila ad- huc maiorfccunda,in quahomincsintcr fc diftanrcsludcbant, &: in qua cum itararia, ac motoria pars cflct, qui manebant,pila cmit- tcbanr cumuchcmcnria,&:concinniratc. inrcr has fpecicsadnu- mcraridebcregcnusilludiudico, quodpcncs Athcnacum ifc^r^t- 901/ &: (poivi^ uocarur, rumquiaa Galcnoin libcllo deparuaepilae ludo fimul cum alijs id quoquc cxplicarum habcrur,tum quia Cle- S.facilag. mcns Alcxandrinus , fcripror grauiflimus , ubi dcmonftrarct ludum paruae pilae.&: praefcrtnii (puMct , cxcrcitarioncm cflc uiris ualdc accommodatam,cam paruac pilac fpccicm fuiflc hac oratione cla- rum facit:oV/ inucnTorc . aur>.-n. ^ «.rxx/C.r * ^^^f^»x«,K«^? ^xnzo* - /.cuf twsitx» rotwirlt^ yy^zy . K.«xw «■n.ut tAaCt , f/ ^W . X- . ;,x*^r.^cr«x-;uoit>>,^ .-^-'J^«« i^lmptc,&: com;mn.tcr ludcrc folitos pcfpicuum clhcitur.Hac ir.iq. I:.nr p.Iac- par..ac Ipc- cics dcquib.isa Gracc.s .ncnt.oncmhabiralcio. .nqu.bus hp.- ccncspli.lofophus.ncc non Ocfib.us Clialc.dcnl.s ph.lolophus, nuo cum muhi cx Anrigoni rcgis ra.mliaribus hukd. yrar..i cxluc- bantur.mulrum cxcclluilfc dicuntur. Arqiu follux al.ap.lac par- U.1C ludorum £;cncra proponit, Aporraxun \ ra.i.am,..! quo (c- licctfcrcrccl.na.itcspi!a.n incoclu pro.jc.cbant ,& a.itcquarcr- ' G 4 r-im , -L I B E R ram attingerct , excipicbant. Coctcrum pilam magna duos quoo. D ludcndi modosnon folum exipfiuspilacmagnitudinc,ueru ctiam ex manuu hgura a fuperioribus diucrfos cfl"ccifrc,Oribafius cx An- tyilo rcftatiir , qucrum unuscratludcntium magna,aJiusmaiore, lioc tamcn anibo communc poflidcbant, vt /icuti in cccteris prae- diCusJuiorcs fummasmanusscpcrhumcris humiliorcs ,ita in hac lcmpcr capiteahiorcs tenerenr, quandoq. ctiam fummispedibus ambuJabant ut manus altius cxtoIlcrcnt,quandoq. falrabant , cum lcihcet pila fupcr cos fercbatur,in qua proijcicnda vchemcrcr bra chia agirabanr Inanisporr6,fiuc vacua,quod tcrtium pilacgenus fecmius,quahs fucnt haud farisexphcaium habetun/iquid rame.i con.cauracxAntyllivcrbisaircquilicct,crcdohancpila,qucmad modum S^coctcras cx corio cofutam fuinc,in hoc ab alijs diffcrcn tam,quod illae ucl pluma.^uclaliamatcriaihaecfolo venro ,/iue E aere plcna forcr,arq. rantac magnirudinis , ur ipfa difficulrcr lude. rerur Corycus uero quis cflct, quomodoue ludus illc perageretur, cumAn yllus apud Oribaiium clariflime exprcfl-erit , e?us ora- tionem huc -duccre ftatui , quae ita i„ V^aticLo coc^ceT habct . K«,o.x^^ aSzvir(pcoP i,U7Ay^ccru^ yAy^af^^cy , -Hw^^. ^oyrL. , .fo^i-npo. , i-.^,.e^,^^oJ.oZv: , ,n robumonbus arena implcuncins ucrS magnitudo a d 2e cor Pons,&ndacta,cmaccommod«ur,rurrcndrturau7cmin« ■ SXnt it u iS l","!™ '""'"' ■ ^ itcrum rc- Ircijcicntcscmit nt.urc rr^, '/if,""';:^^ ' ucntu ruooccunat,adcxt«mnm 1' ? r™';''' "/P°" »,,.;„r,;tr ™.r* ,r^ot:'ald[&i^re! troccdat. SECVNDVS. 17 A troccdat , c\- quo fir,ur quandoq. manibus occurranr, chim propin- „ quar,quandoquc ucro pcctorc manibiis pallis,quandoquc vcro ijs^ ad tcrgarcvolut.s. Hadcnus Antyllus.qui ramctii hguram Coryci luporcomnibus tunc remporis nocam non cxprimar^conicdura ta mcnalTcqui polTumus j^ipfum iphacricum ^aucfaltcm rotunduni cx matcria ccriacca cxllitillc , alioqui ii angularc fliifsctin occur- fu , &c manus , &: pechis non finc laclio.nc pcrculTifsct . Hacc autcm li uidifsct Fuchfius , (anc inrellixiikt , Valcriolam non finc racionc aducrfus ipfum contcndifsc , follcm,^: corycum paullo minus, quamcoclum,&:rcrramdiflafsc. Ncquc ctiam fatisn.irari folco anriquilTimum lcriprorcm Caclium Aurclianum ,qui lib. v. tard. pafl* cap. vlr. dicit variam uolurationcm in palacftra cfsc uocatam a Graccisccladian , atq. coricomachian,nililirin codiccdcpra- uatilTmo crror,vt puro . Dc hoc intclligcndum crt adagium illud, TTfi^KigvKOpyviJu^d^yrlrKt quo gcncrc ccrtamins Apulcioin Thcfsalia ccrratum cll.Dc hac quoq. cxcrcitationc vcrba tccir Hrppocrarc^ fiucPoIybus,ubijiL(';^/flfy,faI(o a Clornario follcm intcrprcra- tam,ad artcnuandum corpus prohauitrqucmadmodum &:candcm inrcllcxit Arctacus, ubi pro clcphanr icorum cxcrcitationibus xefv*. KoRox'(ti probnuir ,quas bonus i!lc intcrpr^cs ,ucfc^io qno fpiritu , pc- rac,aurfaccu!i iaauSjincprcfatisrranftulir.Eandcmquoq.nucllc- xifsc Coclium Aurdianum cxi(b*mo,cuin ad polyfirci am diminuc damcorycomachiam(fic cnim lcccndumcll)comnicndauit ijfdc propc rcmcdijs vfusqfa' ^b 1 lippocrarc loco cifaro propollta funr. vndcargumcntatusfum,Auctorcficuti cetcra,ita «ccorycomachia C ab Hippocratc mutuatii efse. qtiamufs textus ludicio mco dcpraua ' rusfit. Locum vbi ludcbarur ,Cor)'ceumapud Vitruuium appclla- ri,ccnfucrunraliqui;quorumfcntcnriamp(>Itquam in fupcrionlnis rcfurauimus,nilaliud diccndum cll.Arq. hacc dequatuorpilac lu di graccorum gencribus,vidchcc t pila parua, pila magna,pila ina- ni , &: coryco. quac omnia diuerfa inrc r fc cxditifVc , non modo cx dcfcriptionibus nupcr allaris nuinik rto conftar , ucrum criam cx Galcni vcrbisinfccundodc tucnda ualcrudincfcripris : vbiintcr cacccras gymnafiorum cxc rcirationcs corycum, pilam parua,&: pi- lam magna,fcpararim rccenfcr,ficut &: Paulus Aegincta iplum imi tatus. quod profcdo non lccifscnr,nili quacda iurcr lc diucrla cxfti tifscnt pilarum gciu ra,&: diucrfac ctiam cum ijs fadac cxcrciratio nes. Quac nunquidomncs in Graccorum gymnalijs cxcrccrcnrur, parumfcHcrcfcrt.farfirinfcUigcrc,mcdicamgymnafticam,atquc bcllicam,& pracfcrtini pi.cris cdoccndis incumbctcm pihu u cxcr- ciratiorcs if L I B E R citationcsvfiirpafrcsncque ad valctiiclinem,acngilitatcm compa- D randa,augendamiie cas cercris inferiorcs exiftimnfrc. atquead hoc idmaxinrcfacit (]uod Knftathuislcripfit ad Xodyfs, Hcrophilomc dicopolitamfuiflc ftatuam ac propceaintcr alia gymnalticac in- ftrumcta ct pilam. Admirari aut nemo dcbct , fi nos in fuperioribus fudosintcrathleticasexcrcitationes rcpofuimus,&: fubindc mul- tas quoq. bcllicas,mcdicasq. exercirationesludosvocamus,vtnu- pcrrime dc pila dictu ci\. a nobis ; quonia & vetcru, &: recentioru tfi Oracc()ru,cjlatinoruloqucndi mos obtinuir,vt multasexcrcitatio* ne5 natJ^iK^^Sc iudos vocarcnt,autquod a pueris g.7r«rA5 Gracce di cunrur,vt plurimil h\TCiit,aut qcf illi.q. exerccntur,non fcrio,(cd io vidcantur,{iucgratiafanitatis,{iucalteriusreiid efficiant. ludi vcro,quos athlcticae efTc nos dicimus , ita propric uocabatur, quoniam foIatij,&: voluptatis folius gratia in otijs fcftiuis agebfuur. E Dc PiUe ludo fecundum Latinos. Cap. V OSTQVAM pilaludendiGraecis ufitatagencrafa- tis cxplanauimusjfupcrcfl: &: ea quae aLatinis ; &: in vlu habita,&:fcriptistraditarepcriuntur,explicarc:vnde,in quibusamboconuencrint,&:inquibus diucrlifucrint^ perfpicuum futurum fpera Quatuor igitur fuillc pilae genera ctia apu(i Larinos,quibusludebant5inuenio,follcm,trigonaIcm, paga- nicam , &: harpaftum , quae omnia fub nomine Jtalicac fphacrae a Coclio Aurcliano medico complexa nonnulli crcdunt. Folhs erat pihimagnaexaluta confcda,(oloq. uentoxeplera, quae /imaior eratjbrachijs impellebatur, &: fimpliciter piJa interdum nuncupa- F batur,ut apud Nonium ex Varronc,Purgatum fcito,quoniam uide- bis Romae inforo antc ianuas pucros pila expuJlim ludere \ &c apud Propertium lib.3. Cum fUa vcloces faltitper Irachia ui^us. illtcrdum quoq.,pila vclox,ut apudHoratium Sac.Iib.2.Sat.2. scupiU vdox M olllter auflcrum fludiofalkntc labvrefn , Seute difcus agit* Hufufmodictcnimpilaecxcrcitationem licct uidcrein Gordiani tcrtij Imp. Rom. nummis, quos hic dcpirtos adpofuimus,&: ex qui- bus conijccrc licct ,unumquciuqae iufcxmm nropriam pilam ha- buifle^atq-ueeum luduminfacriticijs Pytlrij^ apud AipoUoniaras adhibitum cir]e,uttumex uoctr ns-ei Atum ex^aima,-atquc facri- ficatorijs uafis colligere non eft difticilc* 90 L 1 B E R Si vcrominorerat,pugnis cijciebatur^atq. piigilJarisfoJIis, vt apudD PJautu in Rud. cxtemplo HercJe cgo tc foJJcm pugiJIatoriu facia ; uocabatur.lntcrdu quoq. hanc cadcm pilam Folliculum appellari crcdojlicuti a Suetonio in uita Augufti, quem hoc pilae ludo ualdc deletVatum narrat.Quomodo ucro JVIanialisIib.^.dixcrit. Tlumeayfcu laxi partiris pondtra follisy ' cum ex corio ucnto replcto pila hacc confucretur^&non pluma.ut omncsfcrcLatini audtorcs uno orc fitcntiir, quidquid alij rcfpon- dcantjOpinoregooblcuitatcmfoIIisponderapJumca dixiflc.cuius lcuitatisgraiiancque.pucri, ncque fcncs aJioquiimbecillcsintcr ludcndum vcl nimiuiii quid dcfatigabantur, &:propterca idc IVIar- tial.alibi fcriptum rcliquir. iib.j^.. Itc froLul muriLS tis mibi connenit aetas, Fotlc dtcct puercs ludere, folle fenes, £ Namuthocgcncrcludicorpora imbccilliora cxcrccri ualcrcnt, nonmodoIcuispilacHicicbatur, ucrum etiamdicarus lufuilocus nullis lapidjbus aut latcribusltcrncbatur, nclabercnturpcdibus ludcntcs,&, fi fortc lapfi eflcnt, cx cafu damnum non patcrentur i &: proptcrca,cum folum minimcpauimcntatum forct,cx cotinuo tcr- rac attritu puluis cxcitabatur: quamq, ctia ficri potcft,ut pauimcnta ludcrcnt,fcd pulucre humili &c cxiguo illud adfpergcrcrur,ita ut pi lam rcfilirc non impcdirctur , atq. ludcntiQ pcdes magis firmarcn-^ tur.Nam in pulucrulcnto folo licri hanc cxercitationcm confucuif- fe,innuitJVI.irtiaIis lib. i2.ubi Mcnogcncm quendam cx Thcrmis ob dcIcAationem exire ncfcicntem in hunc modum carpit. Ifjugere e Thcrmis , circa balnea non eft , Menogenen , omni tu licet arte v^lis , p Captabit tcpidum dextra lacuaque trigoncm, imputet ex^eptas ut tibi faepe pilas , Colliget^ , & rcferet lapfum de puluere follem , Et ft iam lotus , iam foleatus erit . Numquid autc ludus ifte fucrit unus cx ijs, quos fupcrius fccundunl Graccosauftorcscnarrauimus,uariacfcntcntiac fucrunt.Ahj cnin^ crcdidcrunt pilam magna Graccoru>&: follc Latinorii idc fuiflV, m tcrquosfuitThomasLinaccr,quicumin2.dctu. val.corycufollj traduxifsf't ,in fcxto poftuuidum liJ^:o magiiam pilam itcrum folj 2. Jtu.ua. tranftuht , quafi corycus , &: pila magna non diftcrrct apud Galcnu, qui cxprcfsc ^ pila paruam,&: magna,& cory cu diftinxit . Alij ma- luerunt corycum Graccorum,foIlc Latinoru fuifsc : atq. hanc opi- monc maior pars rcccmiorum fcriptorum habuit, intcr quos fucre quidam, qui apud Onbafiu caput Cory ci , de foilc pugillatorio in- fcribcu- d di Oi cd hfl dd pah W COiI( liisa con pim bj cai m\ ki Sicn Doni ierl( !crc S E C V N D V S 91 A kribcadum iudicarunr. fcd hi oC-s m.ignopcrc hiillucinantur:^ pri- mo,qui crcciidcrut follcj^Sc maenam pilam idc fuiirc,duabus ratio- nibus rcdar^uuiuur,quarum ahcra c(l, q Jludctcs magn*i pilafcm- pcr fummas manus capitc ahiorcs tcncbant , quandoq. criam fum- mis pcdibus ambulabant.ut manus ahiorcs tcflcrct : ahcra cft,quo J Oribafigs hidu pihic may:nac no modo acgrotis , fcd cti am coualc- fccntibus, atqr bcnc ualcntibus inuiile iudicaui t, quorum ticutrum habuilk folkm,facilc cft cx fupcrioribus iudicarc.Qui ucro iollcm corvcu!nfui(Tccxillimarunt,muhisrationibus&:ipficrralTc dcprc- hcnduntur.Primo,quoniacorycusc cuhninc gymnahoruinfufpcn- dcbatur,folhs h bcre emittcbatur . Secudo corycus ficulnco grano^ aut farina,aut arcna implcbacur, follis folo vcnro . Tcrtio loUis in pulucrc cxcrccbatur,cOTycus ucro no. Fuerur itc qui tollc pila i na- B nemfupcriusa nobis cx AncyllodcfcripramfuiiTccrcdidcrur. qui-

bu^ cgo libcnter a(Tcntirc,ni(i MartiaJis dixifict , fbllc mitiori actari couenire , &: Antyllus pilae inanis cxcrcitarionc non admodu faci- lc,ncq.aptam,&:idaoomirtcndamcfsc ccnfuiset. Colligoigicur cx his omnibus , quod cu follis,ncq. inanis pila Graccoru, ncq.magna corundc,neq. corycus fucrit, eum illos ignorafsc. ncmo cnim c(l, paruampilam follcm rcpuraucrit. Porro Trigonalis pila,qua hidc- batur,parua crar,ita nuncupara uel a loco,ur uoluerur nonnuUi, ubi ca excrccbatur, qui locus triangularis crar; ucl potius a ludctiu ( qj magis crcdibilc cft)numcro,figura, Sc liru.hanc cfsc aliquando pili £mphci nominc appcllaram inucnio, ut aDud Marrialcm lib.vij. TipnpiU^ non foliis^ non tc paganica Tbermis ^ vj Tracparat , aut nndi liipltis icius bcbcs : Vara nec iniiHo crromatc brjcbia tendis , Klonharpalla uagus pulnerulenta rar.is. Si enim fola quatuor pi lac gcnera facimus,ncccfsario cum ceterac nomincntur, Trigonalis fub pila fimplici coplciflctundc hac fimih- tcr locutum credo Cclfum, quado dixir,ab aluo cirara ucxaris pila, &:rcliqua fupcriorcsparrc s cxcrccnria conucnirc , quoniam in hu- jufccmodi ludo parrcs infcriores fcrc fcmpcr fimue mancbanr, fu- pcriorcs perpcruo agirabanrur . Quomodo ucro pcragcrcri:r cxcr- citatioifta,facilcconijCcrc pofsumuscx Martialis ucrbis,in quibus dem6ftrar,luforcs ita triagulari fitus figura colludcrc foliros,ur ma- nibus urrifque modo fini ftra , modo dcxrra pilam uiciflim cxpcllc- rc,&: cxcipcrc ualcrcnr , nc unquam cadcrcr. in quo fumma ludcn- tiumlaudcfuifseucrifimilcficfitur inlib. 7. ubi Polybum qucnda Uudat ob agiliutcm finiftrac manus in iacicnda,cxcipicndaq.pila. 5)2 1. 1 B E R &:libro.i2. &libro.i4. Slc palmamtihideTYigone nudo FnHae det fauor arbiter coronae , T^fC laudet Volybi magis finiflras . Captabit tepidum dextra , laeuaque trigonem. Si memibiiibus Jcis expulfare ftniflris Sum tua ift nelcis , rufiice rcdde pilam. Ex his mcherclc patet confiicuifsc trigone liidcntes a fc inuice mo do niittere,modoexcipcrc pilam, modo finiftris, modo dexteris,eo propemodo, quo nollratespila paruafupra funiculum ludunt,&: quo etiam Antyllus tertium paruac pilae lufum dcfcripfinGur-vero Mart. tcpidum trigona dixcrit tum loco fupra citato,tum lib.4. ■ Seu lentumcefoma teris , tepidimi4C trignna : haud fatis mihi conftat.artamen,fi quid diuinare conceditur,dice- rem proptcrca trigona tepidum dixifsc , dft quod homines ludcn- do^ob uchcmentcm utriufquc manus laborem, &c afliduo rootus pi- ^ Jae tenore magis incalefccrent: uel quod locus,vbi ludebatur tepi- darioin gymnadjs uicinus forct, &: proptcrca ludcntes tamloci, quam pilac tcporcm qucndam percipcrcnt. itiucro fuifse , ucrifi- mile uideri potcft : cum fupra tum ex Galeni, tum ex Martialis fei;!-, tentia demonftraucrimus, poft pilac ludum ftatim confueuifse bal- nea calida ingrcdi . Nifi malimus di cerc, poctam trigona tcpidum dixifse,quia ex continuo motu pilac in manibus ipfa tcpida euade- bat,eomodo,quoPropertiuslib. i.in Elcgialanuae conquercntis, dixit Tepidum limc,quod ex cotinuo fupra ipfum ftatu tepcfceret, 7{ulU ne finis erit noflro conce/fa dolori , i^^urpis y in tep^ limint fomnus erit ? Excplum trigonalis pilacmihi uidcturillud ,quodin nummis M. Aurclij Antoniniapud Byzantios excuffis hucinmodum apparet. F Quem itc ludum in liicrificijs ApoUinis Pythij Aftiaci adhiberi fo- litu,mcmoriac proditu eft. dc hac pila quae dicit Seneca 2. de ten. f.c.ip.efse intcIIigendaputantaliqui.Eundemprope autfimilepa- ganicae pilac lufum dcfcribi cxiftimo a Pctronio arbitro in fatyri- cis,ubi huc in modum fcribit.Vidcmus (cnem caluum tunica uefti- tum rufsca inter pueros capillatos ludctcs pila .Ncc tam pueri nos, quamquamcratopcraeprcciumadfpcvflaculum duxcrant, quam ipfc paterfamilias,qui folcatuspilafparfiua cxercebatur,nec ea am plius repctebat,q terra cotingcret , fcd foUc plcnu*habebat feruus, fufficiebatq. ludctibus.Notauimus ct rcs nouas.Nam duo fpadones in diucrfa parte circuli ftabant,quorum altcr matellam tcncbat ar genteam, altcr numerabat pilas , non quidcm eas,quae inter manus lufu expcUcntcs uibrabantur, fcd cas,cj[uac in tcrram dccidcbant. 94 L I B E R Siiccedltpagcinicapilaficappcllatn, quodcflet vuIgari5acfmocfu,D & in uillis pagis uocatis;ucI in pagis urbis ut plurimum in ufu habe retur. Nam Dionyfius anriquiratumlib. 4. rcfcrt, Romam in qua? tuor tribus olim partitam fi.iiiTc,quae &c pagi,ficut earum habitato- res Paganijnominabantur. fiuc igitur ab ifi:is pagis , fiue a uiHis pa- ganica pila dcnommata fir,pari]m rcfi:rre credo.fat efl:,pilam fuifTe ex coriopluma rcp!cto,trigonali latiorcm,non ita tamen ut cfi:foI- Iis,laxam, fcd duriorcm ; fiquidcm follis , qui uento replebatur^ctfi quantodUriorcrat,tantofaciIiuscoIudcbatur,quanto laxior,tanto difficilius,ut ctiam tcmpeftatc noftra quotidiana expericntia com- probaf,ramcn paganica pila quo ctiam durior elTcr, & pluma rcple batur,&: non i ta rep!ebatur,ut laxa ufquam foret , fed vndequaque dur!flima,&: proprcrca difficulrcr ea Iudcbatur,qucmadmodum uc nuftiflimcMarrialishocdiftichooftcndicIibro 14. ' ' ^ H^ic (iuae diffii ilis turget paganica plumay Folle minus Laxa efl , ^ minus arcta pila . , - Sub nomine enim fimplici pilae intclligi aliquando foIIc,aIiquan- do trigonalcm , paullo antc fignificauimus . Itcrum illud ignorari hoc in loco nolo , ctiam in gymnafijs paganicae pilae exerci tatio^ ncm in vfu exftitifl^CjUt idcm Martialis Iib. y.tcftatum rcliquit. Tipn pila , nonfoUis , non te paganica thermis Traeparat , aut nudiftipitis ictus hebes, Namcumfacpiusa nobis indicatum fit,confucuifle fcre omncs» quifefein gymnafijspilacxcrcebant,priuspilaluda|c,& dcinccps tatim balnea ingrcdi,Martialis illis uerfibus demoimrat , inter ce- teros pilae ludos in gymnafijs fe exercentium ad balnca praepara- toriospaganicamquoq.adnumeratamcfle. VItimum&:quartun| ^ Latinorum pilae genus harpaftum fecimus. quod ob nominis fimil litudincmidcprorfusuidctur quod^V^d^oVGraecorumrcratenint pila,quamludcntcsalter alteri eripiebat cuius ucromagnitudif nis,^ cx qua materia forct,haud quaquam ab ullo audorc cxplic:^ tumhabemus,nifiquod Athcnacus his ucrbis manifcftum facit, harpaftum rotundum fuiflb. cA^x^^^^^ (panvScL 4;eaAf^TD , 0 otucrir,tum quia ciufmodi accubitus fibi ualde in- dccorus,atq. a Chrifti vita,^^: moribus alicnus,fimulq. edcndo,& ibi bcndo non parum incommodus vi derctur,tum quia a cuncftis prac fcrnmanriquioribus Euangclij interprc tibus fir penitusignora- tus, aut /altcm omiffus , minimeq. coufidcratus , tum quia a piftori- busnumciuamnec fomnioquidcm aut cogitatus , aur ullomodo cxprcflusinuenitur-quafi vcro haud fit verifimilcpotuiflc tato tem- porc,totq. pcritos artificcs , atq- doftifrmios inrcrprctes iatcrc rcm non ita cxigui ad pcrcipicndam Euangelij vcritatcm momcnti.Pe

iriis Cja.conus,6^ Fuluius Vrfinusrcrum antiquaru peritiflimi,quiq. muitis annis poft nicam gymnafticam de triclinio fcripfcrunt,pro- culdubio ad vcricarem accubitus acccflcrunt,atq. fi acquus Icdor Gollras cogirationesillorumfcriptiscompararc vclir, ccrtc fl:arim. animaducrtct ,fcrequicquidhac dcre boni dixcrunt,cnoIlroli- bro acccpiiTe, practcrita ramcn memoria , kcus quam fccit crudi- tiiTimus Galliac occllus Pctrus Fabcr, qui non modo fumma inge- nuitae in libris fuis agonifticis incredibiIidodrinarcfcrris,non: erubuit profitcri fcfc magnopcre cx Iibris-dc re gymnalticanoftris profcciflc,vcrum cciam fcgctcm,quam cgo pi imus illius pcne obli- teratac artis rcnouaui,ira fingulari fludio , &c vberratc pt-opagauit, cxonKiuirq. ut ab omnibu^ pro tanxo bcmcficio fibi gratias immor talcsagimcrcatur. Iraquc ut omncm cxanimis dubitantum exi^ mam fcrupulum , &: aliquid maioris lucis tantac rei obfcurirari af- fcram,acompluribus quoquc rogarus,nonnuIla hocinlocotani deipfo accubendi ritu,quam dc ipfiiis Magdalcnac firu^&: opcran- di modo adijcere dcliberaui , ratus mc hoc laborc id cflfcdairum 9. ut gentcs tyindcm rcipfa melius confidcrata pauliatim rncipiant uctuftum errorem exucrc , arque fimplicibusanimis pidluraue- ram cius favfli h iftoriam pijs , &: vcritaris amantibus repraefentare . Qir :)d iraquc Vctcrcs tam Graeci,c[uanT Latini,arque Hacbici cpa tanrcs accubercnr;, nomcn ipsu apud hafce cun£las gentcs recepti- ffimum facile pcrfuadere poteft , qucmadmodum a paucis dubita- tum iaucniojcpin uiclmiopro commode, &c faciluer edcndo ,at- P R I M V S. 67 Aqucbibcndcpairim aliquot fcculisufi fint . Quid autcmpropric antiquis clTct triclinium non ita abomnibus confcflum habctur; Eccnim qui nupcr ad Athcnacum crnditiflimas animaducrfioncs haudlincnugna laudcin luccm mifir CaufKibonus monftrairc fi^ bipcrfu.ilir^triclinium inrcrdum fuilTc acccprum \ jpfo I)..bi- faculc\ubi kzY\ (lcrncbanti r ,proptcrca(]uc is^uTciK^wcv ,J^iKxrsiK^i- J^jiMxrfy ^i^op inucniri nominara , prout pauciorcs plurc!>uc c- w js c.ipicbat; ncquc ipfc ui alvnio apud aliquos fuiflc fic appclla' xum , fcd quia in iH j Athcnad conuruio unufquifquc in mcdium 4d proponcrc conabntur , quod infrcqucntius crat , atquc ali- qmm Icitu dignam raritatcm habcbat : iccirco cxilbmandum &ianQminAndo inurcndorriclinio cundcm cffc fcnluni fccutos, qrxm&: Kcginaurbium Roma fcqucbatur • Atqucdc Jiocipfo cuni l(;qi.crctur antiquus, &: grjuis icriptor Scruiusiu Comm.adprimumVirgiHanac Acncidos diwt Vctcrcsftibadia .non habuifscfcd Itratis tribus lciftis cpuIaircCundc triclmiurn Itcr- ni di'tum ) arc]uc eos crrarcqui u Kant tnclinium ipfambalili- cam,ucl cocnarioncm . Ncquc minus fatlunrur, qui puiarunt rri- podas iilos , dc quibus mcnno cft npud A:1k nacum cx Eubolo co- mico, a^inquibus duo ucl rrcs cdcntcsrcpracfcntantur inmar- moribusuctulUs fuifsc triclinia , quandoquidcm nulla ibi rruini lciftorum imago, nccucaccubirus confpiciiur, fcdfunt dumta- >at fcpulclu-aliiimcocnarum dligies,dc quibus rrafam non rcrro,fcd antc , req. ftantc m,rcd genibus humi pro- cumLcntcm vfquc ad hacc tcmpcra depinx,crunt>& feipfos,& alios (fiita loqrilicct) dcccpcrunr^pracrcrquam cnim quod vix imaginari porcft huiufmodi omnia pcrficiamuIicrcpotuifse,cer- tumcft etiam,ncqueaminiftrantibus illudpcrmi/sumiri dcbuif- fcfimulque indecorum ualdc fururum fuifse,fi mulier fubtus men- fam gcnibusfefchumiproabluendis, &:cxiccandisC HRl S TI pcdibus ftrauiffer &, quac omnia incommoda cuni euitenrur tri- clinio , & accubiiu noftri^. ^ haud inrcHigere pofliim , eur de- bcanta quoquam ingcnio guftii praediro rcpudiari , eo ma- ximc qnod nuHarurpirudinis Ipccics in ijs fpc£larur , quae de- bcar ab ca rc crcdcnda qucmpiam pium dcrcrrcre , quinimo fi accuratc ingrcifus mylieris expcndarur , miniftros , dc accum- difc bcntcs P R I M V S. 2« tcm^s latereponm , haud fccus, atqucubi fcfe iii cxteriorc trichnij partc iuxta pcdcs CHRISTI locauit: quod fi ali- qiiid in illoaceumbcndimodo non ita laudabilcfortc npparc- bacquifquc fibi illiid pcrfuadcrc dcbctctiam quacindccora funtob populi confuctudincmfacpc omncm foeditatcm amit- tcrc ,nam mulicrum aliquibus non cirra noram fpontc conuiiiij publici loci:madirc,ibiqi:c audcrc uiro adlucrcic, eumquc conrrc Aarc vngcrc proculdubio rurpc,& indignum caftita- tc C H R 1 S T 1 poruiffet vidcri , nill mo5 propc omniumorien- talium caminuitaffcr, Certc Maldonarus inrclliycrc nonpo- tuir, quomodo dicatur rtctilVc mulicr cicda , qua(i non cntnc lciti-fupcrquos difcumbebanr ira alri,urip:i hcucrirfic ftarc, SC pcdcs cius lachrymis lauarc , inrc rprcrans ftarc pro con/iftc- re, Scd lunufmodiofcitantiam conimilirob vcri triclinij igno- rantiam,quod pcdcsaltos habuilVcnon cft dubiranduin,ut faci^ Jccxiplapidurac!uccr>&:Virgilius dc Acnca loqucns accum- bcntcdixir iniciofccundi libru jrJe toro f^^^^ ^cntas fn orfts jtlto. Arqui Tolcdus Cardinalis ob longam , quam Romae tra- xir,moram , uidcndi , audicndi rcium vctultarum pcrirosubc- reaioccafioncmhabuit , forfanque noftram fcnrcnriam, &:pi. duram compcrtam habuit, quod cam iampridcm cum do- (ftiiriinis lcfuiris, quorum conluctudinc dclcdor magnopcrc „ communicalVcm, priufquam publicarem.undc facile confcn- C rirtoros triclinioruin ira alros cxtiriflc, utmulicr nullolaborc pofscr ftans rctro pcdcs cpulantis conrrcCtarc, lachrymifquc abiucrc : &:ccrrc liccr uir doctiflimus noncxplicatc docucrit difcumbcndi modum artamcn ex cius vcrbis vcrirarcm libi raaximc omnium inno,ruifsc parct. Jraquc hoc iam conftiru- tum fir tricliniuni dictumcfsc, quod rrcslccti ftcrncrcnrur , in quibus ira iaccrcnt , ut vcrlus menfam cubitis finiftris inni- xi dextcra manu urcrcntur,pcdcfquc in cxtcricrcm partcm pro- tcndcrcnr, ubi miniftri cranr, &:ubi ftctit crcchi MAKlA, qucadmodum difcrtc faris , &:copiofc alil)! cx uarijsfciiprori- bus declarauimus , &: ficur cx imaginc antcpoiita clari/Time cluccr . Supra quid ucro ftcrncrcnrur lccli, non cftirapro- ditum , arramcn licct conijccrc facpius fupra tabulata alriu- fcula clsc c.xrcnios , quac nonnumquam criam apud Hc^ J& 3 bracos 70 2^ L I B E R bracos cx argento , aurouc conflata fiiifsc colligitur ex pri-D mo capitc Hcfter in illius magnifici conuiuij dcfcriptione , quod paritcr a Romanis hivftum teftatur prae caetcris Pli- nius lILro xxxi i r. capi.vndccimo, fuifsc ucro fa£l:a Icftifter- nia primum lignca conijcere licct ab co quodnarrat cxSe- nccaAgcliuslibro duodccimo, capi.fccundo, nempcSotcri- chum lignarium fabrum cxritifsc , qui Icdos tricliniarcs li- gncos faciebat , cb idquc data cftoccafio Adagij , vt cum iicllcnt rcm cxigui prccij , ncc multi artifici; frgnificare So- terichi lcdis aflimilarcnt . Nunc ucro fccundumpropofitun^ aggrcdior ,fcilicct an apud Hcbraeos, quotcniporc CHR I- STVS aflTuit cocnae Pharifaci, mos fucrit djfcumbendiirr triclinijs , quemadmodum Romac , qua de re cum conful- ucrim Vitalcm Mcdicaeum Florentiae, artemmcdicam fan- E (ftac,ac feliciter cxcrccntcm,rcrumque Hcbraicarum longc pc- ritillimum, ismihiadco dofte,&: diferte rcfpondit, iit in hci- iufmodi graui difceptatione uix quicquam doftius,&:eli- niatiusdcfidcrari queat : quia tamcn ab fcntcntianoftra noa nihil difccififse vifus cft , pro mca confirmanda ncccfsc pu- toaliquid in mediumaffcrrc . Etenim dubitare minime opor- tct, quinapud ucniftilTimos Hebraeos uarius conuiuiaagen- di mosfuerit , fiquidcm libro Gcncf in cclebri illo conui- uio , quod lofcphus Fratribus , alijfque Magnifice , dcdit , omncs fcdifsc mcmorantur, fimilisquoquc morislibroludith, libroprimo , Rcgum , atque ahbi facpius mcniio clariffima habetur:atquifiThobiac,qui uixit ante captiuitatcm Babylo- ^ niae Iibcr Icgatur , ibi accubirus non obfcuram mentioncm fieri cognofcctur, quamquam fortafsc diccrc licerct tunc illun^ apud AlTyrios vixifsc, apudquosinufueratcocnantesaccuni- bcre. lam vcro dc Troianis ,atque Tyrijs fimihtcr exiftima- r€ dcbcmus, cum apud ^'rrgilrum primo , &: fccundo Iibn> difcumbendi confucrudinis commcmoratio fiat , ficuti libro' fcptimo,non dubiamcmoria rcperiturfcdendi ad mcnfas vfus fubillis ucrbis Jlae SacYis SedcsepuUs: hic arteteiaefa Terpetuisfolwpams coufidere maifis. Vbiquamquam inaliquibus eontcxtibus kgatur Ioco(confi. dpe}accumberc, attamcn Seruius cumlocumintcrpraetans dixit P R I M V S. 71 A Jixlt Malorft epulari confueuifsc fcdenfcs , .trqrc ilftim habuif- fcmorcma Laconibus, &Crcrcnfibus, utVarro docuit infi- bris dc gcntc Pop. Rom.in quibus dixitquid a quaqncrra- xcritgcutcpcr imitationcm. Hacc aurcui fcdcndiad menfav conluctudoRomanisccrtcillisuctuftillimisdiu. &:in aliquibus oi:c.ilionibus ufurpata fuit, ficur ctiam monun;cntis rclatwni jnucnitur Alcxandrum Magnum aliquando fcxccntos ut aic Athcnacus, vcl fcxmillc ut cllapud Kulbrhiumduccsconui- uiocxccpif5C,cofquc omncs fcdilibus argcntcis fcdcrcfccif- fc. Atqui poftcrioribustcmporibv.s t.iui florcnris Rcipub.qunm IMPERATOR VNI noncddubium nobiliorcs ialrcmac- cumbcrcconfucuifsc, idqucpractcrinnumcroslarinac linguac auctorc^ marmora quoquc tclhntur , ur locuplctiflimc alias B dcmonflraui, arqixalij quoqucdocucrunt. (iraccos parircr conftatcundcm accumbcndi morcm cf^c fcdatos , &:quod tur- pius cll , narrat Athcnacus raatulas pro cxcipicndo a ucfica rxcuntc uino gcil.vrc confucuifsc in triclinia ,quas facpc ubi ui- no incalucraut ad capita frangcbanr , inrrodudo hoc morc a Sybariticis populis fordibus omnigcnis olim dcdiriirimis .Vcrumdc Hcbracis dubirarur an fimilitcr illi ad Romanorum imirarioncm accumbcrcpotius, quam k\\irc loliri fucrinr , ut Jiacrarioncliccat cxiftim.u^c C H R I S T V M iri fuifsc loca. tum , ac proptcrcaMagdalcnam potuifsc (l.intcm rcrro pcdcs illius lauarc, cxiccarc, ungcrc. lam ncro complura funr» quac cxfcriptoribus confrat cos a Romanisfuif c muruaros,& lofcphusinlibroantiquir. narrat Hcbracos fcmpcr cfsc fccu- C tosrirus Romanorum poftquam fub connn djtioncm dcucnc- xunr, modo non con-rariarcnrurparrijs lcgibus ur diccbam antca, manifcftum cflcx lacris Iibris anrc captiuiratcm Baby- loniaccam gcntcminconuiuijs tam publicisquam priuatisfcm- pcrfcdilsc. Vcrupoftquani in Habyloniam duCti fucruntcaptiui vu^oquc modocdcrcconfucucrunr,fcncs fcilicctfcdc;ucs,iuuc- nes ucroaccumbcnrcs, utmos crat Habyloniac, vcluri Habbini tradidcrunt ,apud quosctiam lcgirur accubitumfcrif litum , ucl (Iragulislupra rcrram cxrciis,vcl tapctibusprcciofis«:s: pului naribus , ita utcubitis innixi lirnunn corpus uniucrfum f( rua- rcntifacta autcmfuit dcindclcx, vt tcmporc Pafchatisin durac fub Pharaoncfcruitutis , Iibcrntionisq. commcmorationcquif- quc accunibcndo cpularcrur ^cr.crcns ucrodicbus liccrct uni- cuiqucproutlibcrctlcdcndojvclaccumbcndo cocnarc: cx ouo 1: 4 pacct 72 2" L I B E R patct apudludaeos parircr accubitum gloriofum qxiandoque fuifschabitum. Porr6modus,qi!0 Hicrofolymisinfecundado- mofcilicctpoftlibcrationcm ab Acgypto,atqucpotiflrimumte- porc Chrifti conuiuia ficrent , non ita compcrtus eftjillud uero conftat, in vrbc fempcr quinque hnguarum extitifle ufum He- breae,chaldeac,Syiiacae, Graccae, & Latinae.quarum Syria- cainfrequcntiorivfucrac. Hcbracavcro nonnifi adoiais,&:in difcipIiniscomparandi.vvfurpaEa,{icutiolimRomae Graeca,& nunc paflim Latina.Fuit autem in ludacam Syriaca lingua intro dudta,quandodecemtribubusa SalmazaroAflyriorumregc ca ptisinearumlocummiflaefuntinSammariam,partesqueci cir cumuicinasAfl"yriorumcoIoniae,utlcgiturxvij.cap.quarti libri Rcg.qui ob id ab Hebraeis dcinde fcmper funt Samaritani uo- cati,atque idco aucrfati,quod Idolatrae eflent , mofaicosquc ri- 1 tus minimcut par crat,obfcruarcnt, ctiam fi a Saccrdoteilluc in idmi/rQinftrudlifuifscnt. Huncergoin modumSyriacalingua apud Hchraeos tnduda.propagata , & conleruata cft, qucmad- modum ChaldacamSyriacae valdc fimilcmipfimctludaeiex BabyIonia,ubi i!la vfurpabafur,fponte tranftulerunt . Pofthoc vcro Graccisrcrum potitis, Rabbini dodiorcs ipforum lineuam ita apprchcnderunt.eiufquc copia,&fuauitate funt deicdtati , ut Hcbraicacipflimacquarcnr. Vndcpariterfucccfljt,utplerique eruditiorcsnonfolumGracccIoqucrentur,fedetiam fatiselc-

gantcrfcribcrcnt,qualcsfucruntPaulIus,lofcphus,Philo,afque alijplurimi. KomanipoftrcmocumIudaeariifubiugalk'nf,ne- ecffefuit ,illc pnpulus ipforum linguam latinam addifccrct, ea- que pro ncgocijs agendis utcrcturiquac ctiam fuit ratio,quamo brcmtituluscrucisChnftiHcbraiccGracccatqucLatincfcri- ptusfucruilludtamcn dchikelinguis,&:potiflimumdeSyria- ca ucic conftat ipfani fuifsc omniuniHierofoIymisufurpatiiri- mam , atque muhis Graccoruui uocibus pcimixram,fiue id fue- ritob graccae dclcdhuioncm , qua ludaei afficiebantur, fiue aliadccaufsa:folcntcnimquipercgrinisIinguisgaudcnr,ficpc illarum uocabula proprijs commifccrc. Ergo hifce conftitu- tis,cumludaei linguam Romanorum Graecorum,&: Afsyrio- rum,apudquosin ufu crataccubitus,utcrcntur, vcrifimilceft quoquecofdcmaccumbendimorcmab ijs acccpifse.quodfor- fan .1 pcruicacibus ncgari potuifset,nifi compuircs Euangclij lo ci,ubi c.iicubitr,s,&:uccubitusfir mcntio,aucrre teftarcntur Vtruip autcm accumbcndi modus Hicroluiymiscfsct, qualis apud P R I iM V S. 2° 75 apud Romdnos in triclinio fcilicet Ic6tistribusa(rioribnscirca nv ' ■^ flratis ucl ligneis ncl arijcnrcis ,aut:iurcis qu.ilcsha- bii . -lUosnarranrPhnius, Arhcnacus,&:alij,hauJ itacla- rum clh Scd ut omittam ludaeos ucrcrcs , apud quos forfan uox triclinij vfitara in facris libriscubiculumdumta\\it,in quococ- nabarur,fignihcarc potcft,dcquo Vitruuiuslib.Archircv^turac quarrotra>:tauir,ccrrc cum in Huangclio nomincrur Archirri- clinus ,ncgari ncquit ludacosimiratosefsc Romanos,& Grae- cos ,in quorum conuiiiijs crant lstoc^)(ecl , idclt ,conuiuij princi pcs. Cacrcrum dodtifllmi uiri ,qui accubirumquidcm incon- uiuijsPharifacorum conccfscrunt, fcd morc Hebracorum ftra- tis fupra rerram lclimplicitcraccubirum,nonauremmodum lignihcer,&quod Pharilaci iuxtapracccptum leuitici can. xviij. coua ctur lu cl!sfcfciritibusquibusuispcrcgrinoiuma!icnarc,maxime Ro- nunorunviuosquoridic inrucbanrur idolisfcruirc vfquc adca aiegedamnaris , Quantum ucroad Magdalcnaca lonce difscnrire , (im ilquc oftcndcrc figuranfi tr*c!inij,.\: accubirus isdefcripram, atquerunc rcmporis pallima Romanisufi- taram. v^^isciiimignorat cam fcmper uiguilscconfucrudincm, «t popuii principum morcs,quanrum ficri porcft, imitenrur?ma- ximc uiri n(jbilcs6J in cxilliiuarionc habin, qualcs cranr Pliari- faei ;quos finon ob ahud falrcm uf Hcrodi &:Pilaro runcpro Imperarore Tibcriogubcrnantibus,fimuIquc Romanorummo- rcs, ut ait Iofcphusinrroduccrcfaragentibus,rcmgratam facc- rcnt,ucrofimiIc cftconatosinaccubiru^qui nillcgi rcpugnabar, ficur &:in mulris ilijs forfan minoris momcnri Homanosimita- ri,quod Chrifti tcmporc omncs Oricnris narionesfaciebant. Quqdporro ilcbraci inalijs plcrisquc Romanorum fcqucrcn- tur rirus^abfquc multJ laborc indicabo; tumidcju >J imagi- nanturdcMahahaud qaaquam conliJtcrcpofscmonftrabo . Itaquc 74 2- -L 1 B E R Itaquenoneftnegandum poft redadum aPompeiom Roma*D norum potcftatem ludacam, &: poft ArcheJaum iu/Tu Augufti in cxilium expulfum eam nationempcr procuratoresfuifseguber natan^5 qua occafionc Hicrofolymis^atque in orani ludaea innu^ mcrimilitcs, ciucs, atque cquitcs Romani omni tcmporc h^xhi" tabant ,quosacquum cftcxiftimarcfccundum Vrbjsritusuixif^ fc atqiicipfis Iudaeis,ut contingcre ubiquc foIct,eoscommuni- cafse ,ncque id Hcbraeos potuifsc afpcrnari, nc muJto magisodiumprincipisfibi adfcifccrcnr. Er fi rcdc expendantur quae dc Ronunorummoribiisin couiuijsfcriprcrunc Varro, Ciccro, Scrxca, PIinius,PIutarchus,Su^tonius,Galenus, Arhcnaquod /iaiiJitcr fc- cifsc Chrillum in cocna difcipulorum mcmoriac mandatum eft. quodctiam dixi in primo de.gymnaftica Romanos/crcfcm pcrIauari,rQCcofqucrcponcrcfolitosprius quam menfaeaccuia bcrent,idcmfa(ftitafsc Saluatcircm ncmoinficias irc ualct. lam dc ungendi ufu polt balncum,  pfitpracrcrClcmentcm Alcxandrmum Athcnacus quin^tode- cirao lib. Dipnofophift. apud qu.emproprium,& odoratum un- gucntum finuulis corpori partibus dicatum Icgitur, utob id Mariaquoquc Roman(),&: Gracco moi*curcns,uolucrir,6v: caput &: pedesChrifti , tamuiucntisquammortui ungcix, qui quafi incrcpans Pharifacum quod fimilircr non fccjlsct , ccrtum indi- ciumacfulicfibi placuifsc Romanorum , &: Graccorum ungcndi confuctudincmuWcruari . Et quod di\itChi'iftus dc illo ,qui acccdcnsad conuiuium nuptialc, laccrn.a adhuc indutus uc- ftcm nup>i.rk'nvnon induifscr , dubio procui cx.ri^bus Romanis torum fuit capium , Dc loc,i nobiliuirc rum m pontificali , tum iu ciuili,rumin confulari conuiuioluib^banjL Romani,ut lurrat jf^iutarchusin Sympofiacis,atq. Macro.bius.,non cxiguum difcri- mcn, m inrcrdum mcdiusmcdij Icv^lj , intcrdum imus ciufdcm, arq. primiaobilio.rcsrcpurarcnrur, cuius rci lUuftrccxcmplum eftid^quoddixjtChriftusaducrfusiIlos, qui primos accubitus ambic- P R I iM V S. 2^ 7&: ccruicalibus fuperterramconrtratis,nonautcm alrc pofiris. C^i ucroSy- riacc EuangcUum fcriplit , ucl rranfumpllt,cum torLxn nomcn li- bi haud fuppctcrct proprium , quo explicarc pofsct ucrum Ro- manorum triclinium/naluir ouod habebar uli:rparc,quam rcm pcnrtusindeclaratam rclinqr.crc . At mhil hcc dl, prac ipfi Magdalenae ingrcdicntir ilanti rctro iecu^ pedcs cius, quac omniauti accommodari nullopacto queunt fifupra tcrram fi ut immcdiatepofiti Iccti, fic trichnit) nofiro iudicandumunicui- quc pcrmitto,quamaptc congruant . Ncquc enim crcdibilc cfl,fifefc mulicrgcnibusin tcrraminclinaflct fuifle idEuangc- liftam taciturum poftqiiam mmimc filcndum putaLit,quod Ita- rct rcrro ,&:fccus pcdcsjacl rymifquc cos rigarcrrnamqui tan- ta diligen[iarctulit,quaccumque ibiconrigcrunr,non dcbcbat ctiam genuflcxioncm omirrcrc,&: mulromiiuis pofi(|uam iam di- xcrat jpfam ftcrifsc. Quarc iamlarismonllratumarbitrorChri- ftoaccumbcnrccumitaaItefuifvclocaruin,ut M A R l A, quac necparuacftaturac crat ,potucr?t (lans creftarigarc ipfiiispc- des lac.irymis ,nec non manibus cos contrcihirc , 6c c apillis lic- carc, d^ r jmquc ungcicQuod toruRiluculcnri/rnnc cxpnmi in aucc|> ^^..A uiviiiiij .iQiui fisura^ueiniacaincgarurumconfido, Cum 7ii L 1 i> r R . Ciin; huaifo/ontioncpcruenifrei:j,iarno.ea j^^^c^^m fnfflic- 0 ne accelcrarer, oWata eft occafio AJphou Salaieroiii^ oUl^ iclui ta? dottiilimi prolcgomcna in Sacroflmdam Euangeiicaln hifto- riamfingulari eriiditionc refcrtalcgere:atq,interlcgcndum cu mihi Canon quadrjgcflimus fcxtus prolegomeni undecfmi oc- currinct,ubidircrtilIiniedeuniucrfiiaccubitusrationc, dequo Magdalcne in lauadis atq. ungcndis Chrifri pcdib. GtUynec nou dcloannisin ciufdcm Chrifti hnum recubitu difpuiar,incrcdibi lcm quandam lactiiiam fimiil,& admirationc mihi pcperit , cte- nim lactatusfum,quod mcas cogirarioncs,qiKis fcmper nouas5&: forfananeminc alio propofiras cxifrimaui,auirofapientiilimo &:raradodrinapraedito iraclare confirmaras,quafiquc incon- cuflasrcddita.sinucncrimjAdmirarioncm vero cacpi non exigua quomodo ricri porucrit, ut in rc ufq. adco obfcura ncc uetufta il E muJ nos conuenire , ac in nulla re difcrepare licuerit; Et li enim quotemporc gymnaftica mca in lucem exiuit^is adhuc uiuerer , quippequemfaepius concionantem RomaeaufcuItauerim,ubi cos libros dum Cardinalis Faraefij medicum agcbam , &c com- pofui,& in Juccm ccjidi, attamcn vtrum eos uidcrit haud quam* quc afiirmare audco , Ncquc uero credibile eft me ab eius fcri- ptis, quac diflcrui dc accubitu accepifse,cum ea ha£ienus latue- rint,ncq.ipfumeadem dcreita dihgcnrerfcripfifse,nefomniarc quidcm ualucrim. Vndcqua^foler efleuerirarisingensuis,puro eodcm fpiriru ambos nos ad ca fcribenda fuiflc impuJfos, &c pro- pterea quicquid ea d^ rc di Antc folcm cxoricnrcm nifi in palacllram ucncras: (jymna- ,> fijpracfcclo haud mcdiocrcs pocnas pcndcrcs. Lx quo loco » gymnafiarchum colligitur in adolcfccnrcs^licjuid pcccafscnt, animaducrtcrc magno Impcrio confucuific : ut ctiamclarius ,> in amatorio Phitarchus docuif. dc hoc &: Ciccroinfcxta Ver- „ riuarum : Dcmolicndiim curaiiir DcuKrriii^ ..iliarchus, cj.iod LLC. zionale Cenlrale di F» L I B E R quodislocoilli pracciat. Secundum locum habebaf xyftar- D cha. hic ambobus xyftis, ftadio , $c dcnique cundis athlctarum cxcrcitationibuspraccrat,ut kriptum rchquitTcrtullianus m hbro ad martyres.&ut cx infcripcionc conijcitur, quae Komac in foroTraiani in hafiftatuae Graecis littcris notata,a,not)isiic lauac r.edditacft. • DEMF.TRIVM. HE R MAPOLITAM. A L E- X AN I) R 1 N V M. P A N C K A T I A S T E M. P E R I O- DL VICTOKEM. P ALAEST R I F AM . ADMI- RABILEM. ALIPTAM. PONTlFICEM. TO- TiVS XYSTI. PERPETVVM. .\YSTARCHAM. BALNEIS. AVGVSTl. PKA-EFECTVM. PA- .£ T R F M M.^AVREL,. ASCLEPIADES. QVL ET. HER" MODORVS. ALEXANDRINVS. HERMOPO- LITA. MAGNI. SERAPIDIS. AEDITVVS- PANCRA riASTES. PERIODJ. VICTOR. ALJPTA. (VS^EM. NEMO. DETRVDERE. PO- TERAJ. INCVLPATVS. XYSTARCHA. FI- LIVS. PONTIFEX. tOTIVS. XYSTL PER PE- TVVS. XYSTARCHA. ET. BALNEIS.. AyGV- STJ. .praefectvs. Alvhoc , fcnfcnria uiea,diucrrus fuit Pracfcaus luftaca Gale- ^ nolWT«7r«A«w«Tfl5UOcatiis,qui pcrinde,ac Pacdotrib a qui- damliid.intuimdimitaxat magilkr erat, cum xyftarchiisplu- rium cxcrcitationum raodcrat()r,viPacdi'tribam nominauir,6:in Protagora irafcriptum r cl i q u r : t Ti Tolfw tt^c: to Ctoi^ Trct^o^o r^tHccs TTkykTtwcto hcctcc cwijlx - mRi^ri^t ''cXP^T^i fjTTn^iTMJi TH ardos,accx r^narisho^ minibuss clcdosfuif^c rcmporc/iio,iMdit.Prorogymnaliosuide- tur Scncca cp1il.83.cos uocafscquiiimul cxcrccmur uocabulo (quod cquidcm fciam)nulli alrcri vlurpato, quamquam Mure- W.v pr^:'vnmallas kgciidum malucrit in/u sad cumlocumno- tis. .AuVwouoquc ab Ariftotclc 2.Ethic.cap.6.a Paulo Ac-li.3.i5,aItcr medicr dumraxarmandara cxfcquirur,parircrPaedoiribaexm-iiit:onfi cmniu faculr.Kcm ignorabar, ^ymnaftacque pracccpra foium fa cicbat,vrpotc qui vfum,&:difocnrias,&:modum cxcrciratio- num cxpcricntia quadam callcrcr,fcd ob ignoranriamfacpcnu-. mcroabcrrarct, vtinnucre voluit Galenus in libcllodc pucra Ep!!cptico,ubi dixit,difiiciIcfuifseprudcntcmpacdotiibam in- iicniic.Manc ^ymnaftac, &:pacdotnbae dilicrcciam Arifrotclcs quoquc philofophus cognouifsc vf,dum S.PoIiticorum conclu- dir, Adokfccn-.es gymnafiicac atqucpaedotribicac tradendos forcrquarum altcraqualcm qucndamf icircorporishabirnm,al Cap.;-: tcraopcrationcsjcSdquartoPolitx.locoanrcacirarordicir: « « rrot^ roC tsc^iJ^ot^ i&jv kccI rov yviAVxsiKOv woc^acrKW icwlcti, kcc\ rayrm Isirwcf^vixiay. (iymnalrcs itaquc erar pfcctiis excrcirarionu,pae- dotribauerominificr.&: panific:,coquo, acacdificaroripropor- tionercfpondcns/accrepanes,obfonia,acdcsfcicntibus quidc, minimc ramen,quid inipfis optimum fit,quid no optimum,inrcl Jigcnribus,quamucfaculrarcmipforum unumouodquc ad ftuii tatcm babcrcr,non dignofccnribu^. Hacc duo nomina apud Ho ji ci unon exfiftcre narrat Galenus:quod,vranrca declarauimus, UA\i\v.:\ dumraxararris gymnafticac tunc rcmporisapparcbant , jxquc arsad rcgulas ac formam rcdasfta,&:prui nde nco, arrifcx, ^,aiirafccrtranc.Adcrat6^ SphacnTricus,cGru,quip;la hidcbr.t, ». qtianim alias rwdens dxuerfis gcneribus jmifari ut vel harmo- D nia,uel ry thmo, uel nudofermone ; alias diuerfas res , vt vel mclio- resjvel fimiles,ucl detcrioresialias diuerfb modo,vt vcl agcntes, vel introducentes, vel narrantes,atque aut alienam pcrfonam indutos, autnon mutaros;de faltationehaec concludit: ccCrc^J^lrc^svStKa ^^oOvTTcti Xoogis i^ixouicicsyoi rSu Sgyhswp , Kcci 'y^ ovroi rm ct^yLxri^o^ (cit pv^iAmi4i^evt/r(ci:^Kcei TrccSH^KcciHkKcci TTgccfu^. i. Numcro ucro iplofinc harmonia,imitantur faltatores:ifti cnim numerofa gefticulatio- nis uarietatc , morcs , palTioneSx& aitioncs imitanuir. Ex qua ora- tione apparct , og^^Hctiu^, Huefaltarioncm^ nihil aliud fuifse,quam fa- cultatemquandam motibus„ac gcftibus corporis^artificio quo- dam,numero , &c ratione fadis imitandi hominum mores,affea:us^ &:aciioncs. qui cnim in /.ciuilium dixcrat,nihil cfsc in rerum na- tL]ra,quodmagisexprimat rerum.fnTulitudincs^quam numcrum, E &:cantum,.fapi€ntereriamfcrip/it, filtatoresin imitandisadioni- busnumcro uri . Quomodohacc per numcrofos morus efficere- tur imitario,unus omnium clariffimc poft Ariftotclem expreflir PIu Prob^i. tarchus, qui in ix^Conuiuialium faltationem rrespartcs habuifse fcriplir, iatioucm y figui-am, &:indicationem ; eo quia tora ipfa cx motibus,&: habitudinibus >&: quieribus conftarct, perinde ac harmonia ex tonis,atq. inrerualIis:Iationem dicir ipfc uil aliud fuif fe,quam motionem affcdtus alicuius, vcl adionis , ucl potenriae re- praefenrariuam : figuram uerofuifie habitudinem, difpofirionem- que , in quam motio fiue lario rcrminabatur , nempe quando falra- tores quiefccnres fecundum Apollinis , uel Panis, uel alicuius Bac- 7>«fcl«& chae( ureftapud Platonem) figuram difpofiri in corporis fimili- bus formis graphice aliquantiilum perfiftebanr, indicationem au- ^ temfuifse non propric imirarionem,fcd alicuius rci, ncmpe rerrac, caeli,vicinorumnumerofe,arqueordinarismoribusfadamdecla'- rarionem.quemadmodum namque poetae, dumimiranrur,alias nomintbusfi(ftis,aIiasrranflarisuruntur;dum ucro indicant,pro- pria nomina ufurpant ifimiliter faltatores imitantes , figuris , &: ha- bitudinibus; dcGlarantcs aurem , resipfaspraedidis indicarioni- busutunrur: adeo ut, fecundum Platoncm, Ariftotelem, arque

eriam Plutarchum , tora haec falratoria facultas in imitatione folo motu fada conliftcrct.iphq.faltarores nil aliud aOirarcnt^nifi quod fefe mouentes numero,&: ordine gcfticulanres,aur lationibus, &: fi- gurismores&: aflcsaus imirabantur,aut indicationibus declara- banr, aut omnibus fimul morcs,perrurbationes,atque adiones ho- minum rcpraefentabant.unde non abfque fumma rationc Simoni- dcs r4 toi k DIU dd api m m m k m Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioleca Nazion CFMAGL 1 .7.429 SECVNDVS P7 A dcspoeta faltarioncmpocnm taccnrcm, ficurl pocfimfaltntionem loaucntcm uocarc folcbatiquamquam rcfcrt Plurarchus,rcmpcfta ^-o^^»"»- rcluaucramfalrationcmamufica, cui aflfociabatur > dcprauatam fuif^ci atqucacacicfti illa dccidcntcm in tumultuofisacindoc^^iis Thcatris inllar tyranni cuiufdam impcrium tenuifsc ,idq. poftrao- dumufquc ad rcmpora noftra pcimanafsc, in quibus omnisfalra* tio corrupta cft,omncs cordari uiri cognofcunr. 'i^uihus aurem prj- nnishuiufccmodi falrationcm hominibusdcmonftrauerir, iatis co- pcr:umnon habcrur, nifi quod Thcophraftus apud Athcnaeum rcfcrt, Androna Carancum ribicinem , dum fonarct , morioncs ar- ^•pno'* quc numcros corporc crtccifsc , Sc ob id apud ucrcrcs falrarc uoca- tum hiifsc ficclifsarc ; poft qucm Clcophanrus Thcbanus , &: Acfchylus mulras fataroriac riguras iniicntrunt, quas i^wiciiovt B Sicula uocc appcllatas Epicharmi audorirarc infinuar Arhcnacus. undc hodic apud multas Iraliac narioncs Balli nomc adhuc pcr- durar.Fuitporrohaccfaltario rantacc\iftimarionis,arquc honoris apudantiquioi-cs,ut Apollincm faItatorcmuocarcnt,qucmadmo- dumPmdarus: O sj^Hscc AyXjaxs i>cij dc quibu^ lic luucnalis» Torfttan exfpecirs ut Gjditana canoro Sat. x i. Inciptat prurire chorOy plaufuq, probatae icrram tnmulodcfcendat clunc pucllae , Irritamtntum veneris langtientis, & aird piuitis vrticae &! huiufcemodi aliae . Ab inucntorc autcm modo uocarac fuc- runr aliac Pyrrhichiac a Pyrrhicho quodam Laconcfcu^ur alij ma- Iunr,*a Pyrrho Achillisfilioinucnrac, in quibus arman falrabant cuni canru , &: llnc cantu. ur uidcrc licct c\ i conc ab antiquis lapi- dibu5Cxccpto, qucm hic poncndum curai.imus. H 1 S E C V N D V S. 99 A (Pyrrhichias autcm noftris tcmporibus acmulantur illa pugnarum gcncra,quasMorcfcaspopularfuoc'ai3uloai^pclIant.) Atquchac uarianominaobrinucrunt, utOrfitis , & Epichcdios pcncsCrc- tcnfcs , Carpaca apud Acmancfcs 6c Magncrcs, dc qua Xcnoplion. 6. de cxp. Cyri. libro, apochinosliue madrilmos , quam mulicrcs faltabant,&obidMartypiae uocabanrur quac Ibbihorcs,^: uarictarcmaiorc pracditac crant , ut dartyli,iambici, molnfiica, cmmcJia,chorda\,ricmnis,pcrfica,phryi;ia,nicariimus,thracius,ca- labrifmus. Tclclias aquodam uiro TcIclio,qui primus camarma- tas falrauir,fic uocara, qua utcntcs Ptolcmaci milircs Alcxandrinn Philippi fratrcm fullalcrunt,aliac rornarilcs liuc ucrforiac, quod lc in circum ucrtcntcs falrarcnt . Erorianus,qui Andr.)macho Ncro- nis,quodfcribirGalcnus,archiatrocontcmporancuse.\lhtir ,has B faltationc5 /ir#t/c uocatas fcnbit.ahac infanac, ut caudifcr, mongas, Thcrmaultris,nccnonanthcma,quamfaltanrcsobibanr,ita diccn- tes, vbi mihi rofic, ubi mihi lilia , ubi mihi apia : ahac ridiculac, uc igdis,madrifmus, apochinos ,&:fobas,morphafmus,C .laux,6dlco: ahacfccnicacqualcs tragica,comic.v,&:lat\ ncaraliac lyricacqua- kspyrrhichia , gymnopacdica hyporchacmarica. quac omncs quomodo ficrcut , non cft praefcntis tradarionis dcclai arc ; fatis iit inrelligcrchanc rcrriamlalrarioncm rotatqucplurc^adl.uc diucr (as fpccics , quibus libcllum proprium dicauit Lucianus , habuiflc ficut ctiam diucrlis motibus tam pcdum , quam manuum utcbatur. cumcniiujnotusomniscxfcnrenria Ariftotdis cximpullu, arquc 7..Phyr. traducoponafur,falrantcsaurimpcllcbantcorpus,auttrahcbant;, &: hoc furium , ucl dcorfuin , ucl prorliim , \cl rerroifum , ucl dcxr C trorfum , ucl fmillrorlum : a quibus poftca motibus componcbatur limplcxambulatio,flcxus,procurfus,raltus,diuaricatio,claudicatio, ingcniculatio,clatio,iactatiopcdum,pcTmuratio:quil)Hsto:a fal- tariopcrficicbarur. De finc faltationis^ ^ deloco. Cap. yil- V M antiqui inccrraminibus,atq.ucnationibus,pcduni cxcrcirationibusfcrc lcmpcr Itudcrcnt, manibusq.mo- ucndisnullamcuram adhibcrcnr,ucnlj-uilc hr , ut prius faltatoriapancs intcriorcs dumiaxar cxcrccns inucuta iit^dcinccpsj^iifot^c^ft/icquacordinarasmanuum motioucs cdoccbar, ci adiunctaiic , ut una cuin ccrcris pracdiCtis motionil^us mannum conncxioncm , confcrtioncm , coinpcdnnationcm , diilcntio— H ncin ico L I B E R ncm , complexum , altrmationem falrarores pcragerent : arqucita D vniuerfa faltatio ex motibus tam manuum,quam pedum ad rcprae fentandasresformatisconflata fir. quod autem faitantcspraecipue brachia moucrent, figni£cauit & Ouidius ubi dixit: » . & i de Sivoxefl, canta , fi mollia brachia, falta.arte auia. Brachia faltantis , vocem mirare canentts. HuiusfinisprimariuslicetCvtdixiraus)imitatio foret , nihilomi- nus alios eriam fincs eam habuiffe compcrio ; nam ad rhcatra , &: ad ludosvoluptatisgratia,necnonob rcligionemquandamadfacrifi loc.cit«.s cia in ufu fui nfe practcr Platonem atque Plutarchum teftatur Gale- nus, qui in principio curatiuac artis uchcmenter contra ful tcmpo- ris homincs inuchitur,, quod faltatoriae nimis opcram darcnt, qua- fifolisuoIuptatibus,&ludisdeditibonasartesnegligerent. Qupd p paritcradquacrendamcorporisfonitudincmmilitaremqucpcri- tiameadem filtatione maiores noftri uterentur, tametli fupra ex Platone comprobatum fuerit, tamen addendum eftillud, quod omnisannata faltatiopyrrhichiauocitatano ob aliud inucta fuit, niliquouirtuteilIius;tampucri,quam uiri ,&:mulicrcs modo ho- Hcs cffugerc, modoinuadcrc.aliosq. gcftus bellis gercndis necefla- rios pcrdifcerent. unde apud Xenophontcm Paphlagoncs Mimam filtatriculam a Myfo pyrrhicham filtare iulfam confpicati,admira tes graecos interrogarunt , numquid mulicribus ctiam in pugna uterentur.inhocquidemfaltationis gencrecum Phrynicus fe ex- cellenter in fabula gcthifct, illumfibilmperatorem Adienienfcs delegcrunt. Nequcctiamdifficilccftindicarchanc candcmfalta- tionem, & bono habitui comparando , & fanitati conferuandac no p parum conduxiffc. quandoquidem de nianuum gefticulationc, dc- ^^^''''''''"^"^'^''^"'^g"^^^'^ ^'^•'Ptumicpcritur&ab Hippocra cur.aon^ ^ ab Arctaco, atqueaIijs,procxcrcendis&:lanis,&: inrerdum «ap 1. aegris corporibus ufurpatam cffc . Temporibus uero nofttisfalta- tiones alias temporc , ordine,&: ccrto modo fadias talcm utilitatcmpraeftarc ncmonegaret, qucmadmodum Galenusfe plurimosfa- nitatircftituiilcaliofqueincafoliusfiltationisauxilio confcruaf- feconfitetur: quifimiliter & faltatorum excrcitationes intcr ce- teraa medico petita recenfuit. dum dixit: isx^^&v ctUnCrovciKtvk- ciis ivttiSK^^ivrxt itlytsx, KCti tSi^tJ^mvvTxt s^icponwvoi ri^isa, Kcet ok^«- »> CflecTij IfxvisxvTtu , Kxi nygoofvgtvat , Kxi i/g.c)(i{ov(fiv \m Trrltsov rKCKt- i>A«. idcft faltatorum uehementcs motus, m quibus maxime fal- >>tant,&vclociflriiTicuoIutati circumcirca uertuntur,necnon ge- nua fleaentes furlum exfurgunt , atcpc crura plurimum atrra* hunt £ S E C V N D V S. loi A hiint>diuAncantquc. ut dubirarc ncmo dcbcat , quln Orclicfticam ingymnalY^ca mcdicinac iurc collocaucrimus; praccipuc quod Socrarcs in conuiuio Xcnophontis fc falratoriam tum ad ualctudi- >confcruandamquc,tauTad corporisr)hurcompa randum cxcrcuifsc palam profitctur, cuius quoquc gratia cum fibi amplam domumoptallc tcrunt.Qui uero hanc orchcllicam cxcrcc rcnt,uariosfuiIsc rcpcrio. Cinacdosmaximc omniimilaltandi ar- ti opcramnauafsch^nihciuitPlaifrus : apud qucm Pcriplcdomc- nus fcncx lic ait. Tum ad faltandum : non Cinacdus vfquam magis faltat,quamcgo.quamquam Nonius Marccllus Luciiij tcftimo- nio,atq. ctiamPlaut:,valt, cinacdos didvisa uc crib. faltatorcsip- Ios,atqucpanromimos, 6c totisuiribuscontcndcbant, utnonrarolic ludantibus ofsa aWqua frangcrcntur, ^Sc luxarcntur, quac illis palaclbico quo- B dam paclo ab alijs diucrfo fc rcmirrcrc cofucuilsc rcllarur Galcnus . Hoctamcnanimaducrrcnducfsc duco, C^alcnunon modoluchim arhlctica,qua rclpub.bcnc inlliruras odifsc fcribir, improbafscuc- iu&:lanirariftudcri: inrcrduparcc laudafscur porc qua roburqui- dem auecrur, at luxarioni s , ac fractionis ofliu, nccnon lufTocarionis pcriculumimmincat. fmiilircr&:Clcmcns Alexandrinusqui tcm- pore Galcni Romac floruit ,in iij. Pacdag. lib. ubi cxcrcitarionum traclationcm habct , lu uo- lutatoriu nuncupabatur , fpcciesq. lucbc erat , na in luda ccrtantcs fefc dcijccrc ftudcbant,rccUq. mancbanr; in pancrario aurcm noUi rarorio humi proltcrncbatur;atq. ibi inuiccm c6plicati,fcq. mutuo conuolucntcs, altcr altcru libi fupponcrc nitcbatur rqucmadmodu clariflTimc moftrant dcpicli hic nummi cuiufdam Salulbj Audoris,, quifubValcntiniani,&: Placidiac Augultac principatu Africac rc- gno ui occupato ludos fimilcs, atq. alios ob uiaoriam cdidir. Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioleca Nazion CFMAGL 1 .7.429 Early European Books, Copyright © 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioleca Nazionale Centrale di Fir CFMAGL 1 .7.429 S E C V N D V S. tor A Dc hac cxercirarionc uerifimile mihi fit, AriRorelcm vcrha rccifie, lib. S M

ubiiiulhim crcftum,& ftantcm continentcr,&: tuto uiccdcrc po^c '^^'^'^^^^ demonftrar,quia pcrindc fe moucrcr,ut palacrtrirac, qui pcr puliic rcmin gcnua fubfidcntcs procurrunt.Dc hoc itcm ahcui probabi- Ic uidcrctur,Iocutumcnc Martialcm,ubi dixir. 7>{on diho qui vtncit , / q'a fnci nmherr fiouit Et didt mclius thv ivccKKivoTrd^wj. nihpotius cxponcndu cllct «WAiFOTraAw, rcficxioncsquapalacftrlta rcduii^opcdorc aducrfariurctrahcbat ,ac i(!iuilhus dcuitabat,aut potius ( vt crat Pocta fcmpcr obfcoenitaru amator) ca lcdi luclain- tcrprctcmur,(4. K?u^07ri?jiv Domitianum vocaflc tradit Suctonius.&: quaafpurcilVimistam uuisq. foeminis cxcrccri confuclTc narrant e^.colle.'?. Spartianus,Lapri dius &: Capi tolinus . Dc codc itc loqucbatur An- B tyllusapud (^ribafiu,du dupliccluCtactrccit,altcracrcLlam,aItcrri fupcr pauimcnto; pro luda lupcr pauimcnto nil aliud intclligcsni- li PancratiQ uolutatorium,quod tamen ualdc diucrfum crat ab alfc ra uolutationc,ab Hippocratc ihts^J^Hirm nominc lignihcata,qua ho- ^ ^j^^: mincs in palacftra humi prolh ati ucl loli , ucl cum alijs circumuol- ta. ucbantur,&:dc qua Coclius Aurclianws ucrba fccit^ubi uolutatio- ^.Jdiact. ncmin palacftra pro diminucnda carnc laudauit; fiquidcm inca ncc certabant,ncquc comphcabantur,fcd folum cclcritcr fupra pa uimcntumnitidum, aut pulucrc confpcrftimfcfcrorabant. undc Galcnus cam intcr cclcrcs motus non linc ratione poluir. 2. dc tue. De Pugilatu,^ Pamratio, c> CefiiLus. Cap. I X. ^c^Kjr^^f X yilatoriam 'm/yiJUKH¥ a ( iraccis uocatam antc Troiano- m?\ rum tcmporam uiu tuiilcjtcftati funr Hmius,&: antc Vli C «j Kjf^ nium Homcrus,qucm ctiam Plurarchus m i.Symp.ob- Prob.u §P--£^if fcruauit, continuo pugilatuml uCtac,&: curfui iccirco pracponcrc, quoniam hoc cxcrcitarionis gcnus pii us iUis origincm accepit,ficuti quoq.Lucr.hoc ucrfu innucrc uidciur. ^fjnaantiq ta manus, yngues.diTitcsquc fmYUvt. Libj. Quid vcro clTct haec cxcrciratio,quomodoquc pcragcrctur, pauci (quod cgo fciam) diligcntcr cxplicarunt, &: minus cctcris hac rcni intcllcxcruntilli,qui pugnaccftuu,&: pugilatum idcpcnitus cxftitif fc uolucrunt . ex auctorum tamcn (cnptis conicLtura cofcqui pollu- mus in hac cxcrcitationc homincs nudos conccrtarc cofucuillc, pu gnisq. ftrictisuclnudis, ucl acnca,ucl Iapidcafphacraplcnis,undc ^^fCf«t;^t^, uel loris,laminauc circumlcpti fcfc inuiccm pcrcutere, modocaput,mododoihim ,modobrachiapetcnres,ncque vnqua fcfe mutuo c oniplicantcsi in qua pugnafupcrabat qui ucl aduerfa- ruim !08 L I B E R rium pugnorum idibus in terra profternebar,vcl grauius &: damno- D a. ^ymp. fius fcricbat;quamquam non defunt qui ct calcibus huiufmodi pu- Pf«b. gnamfavfliratamtradant,obidq. apud Senecam cpift.Si. non o-qui hanc rcdiligctiflimc tra(flauit,nullum poc* E ncucrbu de hac exercitatione habi]i.t,/icuti ncc vllus alius fidc di- gnusmcdicus exccpto Arctaeo, qui in ucrtiginofis pugilatu come- uarus. Qupd fipugilatus mcdicae gymnafticac excrcitationis gc- nus cxftitifset,aequii ccrte crat,non adeo ab oibus filcntio practcri- ri.Altera ratio eft,quod,fi natura pugilarus exa*5te fpeftemus ^ cii p- cuflioncs, &: euitationes bellum gcrentib s necefsarias acmulctur, ut diccbatPIutarchus,cdocearq.quin militarem pcritiamagnope re adiuuet,infitiari non pofsumus; at cu iolum brachia,atq. pugnos cxerceatjinterdumq. potius plagis,ac grauibuspcrcufl^onibuscor pusofTcndat^quomodo ualctudinis conferuationi,bonique habitus acquifitioni cofcrrc poflir,no uidco : ut tuto diccndu fir,pugilarum in gymnaftica mcdica exiguu ufum habuifse , in militari ucro mul- ^ tum,in athlctica plurimumrcuius principes,&: au(5lorcs fuifsc Amy- cum,atque Hpcum,prodidcrunt PIaro,&:Galcnusi ncc noninqua adeo Glaucus Caryftius cxcclluit, ut quinta &: vigefima Olympia- decoronatus pi(flae,i. pugilatoris nominc pcr excellentiamme- rucrit uocari . Pugilatorcs iftos pinguedini comparadac opcra de- \a f"|^c.^^^^^''^S*^^^^^P^'d Tcrcntifi.quod agcbat, utgrauiuspcrcutere ua- 3, * lerent,&:plagasip(isillarasminusfcntirent:cftcnimcxpcrientia&: ratione coprobarij, obcfos minus ex carnibusiniurias fentire . Cur autcTcfprio illc Plaurinus,ab Epidicointcrrogatus,quomodohc- ri lis filius ualcrct,rcfpodcat>pugilice atq. athlcticc, no cft admodu j.dealim. dilficilc conic(flura cofcqui.quod eria Galcnus fcripru reliquit, Lu- facc.i. £tatorcs potiiriinu athlctas ueros cfse uocatos,led pauUo antc ipfius 'tcmpora etid-codc noininc appcUacos fuilse pugilesA pacrariaftes, qua S E C V N D V rc* A qna dc rc ficri por ut Plauri acrate pugiles ab athletis (liiicrfi cfTcnt, ^'J^u i e- vtriq. tamcn robori, &: corporis crallitiuiludcrct^iSd iccircorcruus ^*"^^^"^* illcmcritopugilatum,&:athlcticam fcparaucrit,hcriimquc fuum robuilum, tSc pinguiucntrccflc llgnihcarit. Exluvla (5^pugilatu tertiumquoddam cxcitationis gcnus componcbatur, quod pan- cratium communitcr gynmaflici omncs appcUabanr,in hoc( ut tc- llatur Arillorclcsprimo Rhcroricorum)qui cxcrccbanrur,aducrfa-^^^* rios,&:pugnis rcrirc,&: comprimcre,&:contincrc,&: dcijccic (hidc- bantrnam pugilcs lolis pugnis conrcndcbanr,ncc umquam compli cabanrur>ut commcndanda iit urbanitas Horatij,qui ^.SaryrJi.x. ucnuitcadmodumphrcniticos , quod pugnisminiilros,&:adilarcs fcrirent pugilesvocauit.luclatorcs comphcabantur,&:comprimc- bant,ut dcijccrcnt,fcd pugnis minimc pcrcuriebant , pancratiaflae ^ tumurroqucutcbantur,&:tumcriamquacumquc aliararionc, ut

dcnribus,gcnibus,calcibus,rahrris, dcniquc toto corporc ( ur dixit Paufania5)aduerfarium uincere contcndcbanr,arquc in eo a pugi- li^^-i clu, libus dirfcrcbanr. quod iUi pugnis llrivftis , hi digirisfohimmodo in flexisccrrabanr. atquc hoc iiiznihcarc voluir Oalcnusvbi fcrinfit: ^-^J^^^^ %i A iKXso: TJu:-  in pancrario protcndcrinr. tahs ctcnim manuum hgura prchcnfan- '> dis aducrfarij.scui maxime ftudcbant pancratia(bc,ut nomen quo- » que lignihcarc uidctur,ualdc accommodata crar,his dc caufis cxcr citatio hacc Trcmioiyav uocara cflquandoquc,(icuti iMato Eurhydc- mum 5rflrftfat;^0Kdixit,nccnon ambobus ditHcihus ccrramcn habcba C tur,ob quod C lalenus in 6.Hpid.vbi renibus atfcdis cxerci tationeni commcndar Hippocrares , fub tali cxcrcitarionc non dcbcre pan- cratium ob magnirudincm laboiis intclhgi crcdit. qua itcm rario- ne pcrmotum opinor Plaroncm , dum dc lcgibus lua ilhi paru al> ahquibus approbata fcminas excrcendi rationcdudus, mulicrcs folummodo pofl nubilcm acrarcm pancratio cxcrccri confulir. de Pancrarij fpccic quapia loqucbarur mcafcnrcnria Galcnus,quan- doincommcnrarijsfupcrhbcllum defalubri diactadixit,gymna- ftas fere,quos impinguarc uolcbant con(liruil]c,inrcrcxcrccndum TT^ ouis ncfcif,maiorcs noftros intcr alias cxercitationes,utdVputatPIu:archusij. Sympof. v. ad fpcchiculat, ad miIirarcscxcrcitationcs,adianos habirus acquircndos inflirutas curfum quoquc habuifsc? cui locum pcculiarcm in gymnalijs alli- gnatum nullum uiderc licet, quod hacc cxcrcitario m uijs ipforum communibus , dum ab alijs non occuparcntur, ficri pofscr, atquc ctiam quandoquc in loco , ubi alrus puluis llrarus erar, (i crcdimus ^ Luciano,aiZcrciur.ncquccnim pcridromidasad curfum,crfino-InHbioga mcn innuat" fcd ad deambularionis ufum inftiruras fcimus cx fupc- rioribus.Athlctacqui ludorum &: ccrraminum gynmicorum cclc- britatcsrcpracfcnrabanr,ufqi:eadcocurrcndi uimintcrdum acfti- mabant,ut (quod rcfcrt Plinius) licncm (ibi iplis inurcndum cura- li.i i c.57 rcnt,quominus illc currcdi cclcritatc,(icuti folcr,impcdircr. Huiu- fcc curfus ccrramcn , (icur 5c luctac primos Elcos linc ullo uctcris iDCmoriae cxcplo infli ruifsc audor cft I^aufanias : apud quc fimili- y.&^.Eiu ter legitur,Endymionc filijs dc impcrio ralc ccrtamcn in Olympia .E|»ai. fe,quado et Senecaintercxcrcitationes eorporis,quarurationeha- bcndacenfuit^primu locum curfui dedit, etfi non admodum perci- pio,quidcpift.3. indicarcuolucritdumfc Hieram fecifscquod ra- ro euenit curforibus, aiirnam fi (vt eruditilGrausMurctus putat) pro Hiera mcdiaftadij lineam cocipiamus,. quomodo curfores cx raro ficcrc dicat,non fatisafscquor.Huius trcs tantumfpccies cflre-^ cifse AnrylJum rcpcrio, altera in anteriora currcdi, aJtera m pofte- rioras, SECVNDVS 117 B riora,altcrain orbcm.quauisitcapud Galcnu,&: (loIichu,&:diauIu i do!icliusdup!cx unocurfu ftadiui diaulusdu- plcx, ic ipfc ftadium , fcd rcflcxo curfu.ut ficri poflc cr^da pcryftiljj intcnonsambituiiuqucm diaulum,ob duorum ftadioru mcnfnrani uocatum tradit Vifrimius,huiulccmodi curfui infcruific . Quapro- ptcrfalfum illud cflc dcprchcndirur ,quod apud Suidamfcgiriir, ftadiodromus longiorcm tradumctiri curfu dolichodromis,cum huius conlrariu manifcfto intclligar cx Parmcnioniscpigrammatc> M'i>.d moucro&:2rauiorapondcrainrcrdumfupracapiir,nonnunqnam fupra humcros,aliquando in pcdibus gcftafsc. qucmadmodmn ui- dcrc cft cx hac ucruftac tabulae pi^ura, in qua faltanrcs appofirif- fimc repracfcnraniur : quamquc ur anriquain,&: ucram a Ligorio acccpiixius. ^ 120 L I B E R S E C V N D V S. i2t A dccorarcnt. Erar quoq. q, fupra vircs oleo un£tos &: ui no plenos pc- dib.falrarct;inrcr quos uidores ij ccfcbanr, q. ita fcfc dcxtcrc gcre- bar,vt plubricitarc humi no cadcrct.atq.hijp uic^toriac pmio vtrc cfi vino tcrebatiq. vcro rcrra narib.pcuticbar,n6 linc magna uolupratc fpcAatorib. risiimoucbat.Ici auranriquirus obfcruatuinludisiiac- cho dicatis,quos«\ioc(iurccvSx TTfof TwKflCi^f «F.i.hic fub dio fupra vtrcfalra,& Eubulusapud Arifto- phanis intcrprctc Kcti7r§oarq.iI- los ipfos ne torpcfccrct i marislitrorc (clc difcis,atq.iaculis,taq mili tib.apris,cxcrcuifsc:quafi fi no lacdcdis hoftibJaltC- u.niac agilirari jpforu c6paradac hiuoi cx:crcirafio accomodata cfscr. Athlcras uc- roi cofc cxcrcuifsc,nccn6ipublicisccrtaminib.c6rcdifsc,manitc (IQ faccrc pot coisaudtorum liua,qui intcrarhlcraru ccrra.minadi- fcumocsuno orcadnumcrar,&:pracrcr hospic^luni/iuahic damus. SECVNDVS. 122 ficiit ctiam Galcnus,Acrius, Paullus>&: Auiccnna inrcr cxcrcirariones fanitari &c bono corporis habitui confcrcntes difcum reccnfcnt . Scd, priufquam longius progrediar , rarioni confenrancum puto admone- rCjDifcum pcncs fcriptorcs uaria fignificafse , na ccftarur Suidas , di- fcum S E C V N D V S. 11, A fcum fuifle inftrumcntum quoddam rotundu,quod aliqn adco gra- uc crar,ut uix ab uno holc elcuari pofTctiucl uri a D. Hicronymo dc fcipfo fcriptu cll. Dc hoc cquidc locurum opinor Solonc apud Lu- cianum, ubi intcrrogans Anacharfin , nunquid in gymnafio globQ qucndamiaccntcmacncum,atq. tcrctc,in paruifcuti figura forma- tum,ncq.lorum,neq. balthcum habcntcm uidiflct,qui grauis,&: c6- prchcnfu dilficilis crat , cum manu furfum cxtortum in acrc ahquos iaculari confucuiflc,fubiugit:Aliqnct inucnio,inflrumcntLi illud fi- gura foHs corpori fimilcm habuiflc,quod ab Aicxandro in ij. probl. (rfucisAphrodificnfis,fiucTrallianus,qctmagisfufpicor,cxftiterit) foliscorpus /loxdj uocctur. Vocatus fimilitcrluir difcusquadra ro- tunJa,quaepulacin mcnfasfcrcbantur. V ndc (/^i^K0cu fcrrcus, crat,mafsam uocabir.Huic artcftari uifus cft Manialis his ucrfibus, Spicndida cum rolii mt Sp^kmni pondera difci, isif procul pueri , ftt fi mcl ille nocrns, ' Alij.quibus cgo afscntior,credidcr jnt difcum fuifsc laminam qua- dam trium ud quatuor digitoru cralfitudinc, logiorcm paullo phis C pcde,alias lapidca,alias fcrrcam,Cacncam quoq. ex fcpulcro Marci Mannij Philopatris Athlcrac in via Salaria pofi:o fc uidifsc.tcftatus cft nobis peritiirimus Ligorius) cuiufmodi maiorcm parrem, nc, du cx alto rucrct, fragcretur,fuifse puto, planam , quafi lcnris fpccic rc fcrcntem,quam in acrcm proijciebant,fcd modo a iaculorfi milTio- nc diucrfo,fiquidcm inmitrcndisiaculisbrachiapandcbant,mox prorfum impcUcbant contra in difco manu adpedus adduda, atq, cxtrorfum U dcorfum rcdu£la, rorationis inftar illum in acrcm cia- culabantur, ut pcrbellc cxplicauit Piopcrrius hoc ucrficulo. M jffi^c nunc dtjci pondus in orbc rotat . Quod cnim difcus figuram,quam diximus, lcnti fimilem habucrir , practcr Diofcoridcm Icnticulam J^icn/ov nuncupantcm,cxprcfsa hic comprobar Difcoboli marmorea ftarua, quae hodic Romac ia acdibus loannis Bapriftae Viftorij fcruaiur , in cuius manu difcum figura a nobis cxprcfsapofitum uidcrc licet. L I B E R qj* itc oftcclit altcniis difcoboli brachiu Lapidcu hodie in mangi Tu- fciac duc is acdibus Pitris u ocatis fcruatu, cx quib. fimihtcr difcu eia- cuhidi modu inieUigere licet, ut prudctcr nos monuit dodiflimus Pe- irus Vittorius aetatis noftrae ornamctu,quibrachij figura ad nos miiit. S E C V N D V S. nj^ H.-irum fbtuarufimilcsaliasdiK-isdifcobc^Iorfifuiflt ucrifimilc cfl. qrarumunacxacrc Myroncm pracclarilfimiim (btuanufinxifle. a Quinftiliano cclcbratam,alii 1 aurifcum pictorc illuftrcm cxccl- lcntcr 1215 L I B E R Icnter pinxjflc,refcrt Plinius-Hanc forma difcl una cu praediO:is te fUnrionijsriuidiflctjacmaturecxaminafrc^^GulielmusillcChoulus, nuqua ccne affirmarc aufus cflet>difcii pila rotunda in mcdio pcrfo rata fuiflcjnifi bonus illc vir nomine pilae qualibet re orbiculatara practcrl atinaclinguae vsuintellcxerit. Atq. hoc dicojqifi D. Cy- prianus in lib.dc fpcftaculis difcu uocat orbe acneum, &: in Marci Aurclij Imp.numis quibufda Apolloniae lllirij cxcuflTis , quoru cxe- plarfupra pofiiu cft,hLiufmcdi Difcobolorulufusrepracfcntatur, in quo difcu quadra quanda orbicuIata,& in mcdio perforata fuif feapparcr.Vt hinc conijcia,n6 vnadifcoruformacxftiriflc,qua fi- uc in facrificijs,fiuc in gymnafijs vtcrcnf.lllud attamc praetereudu no eft,in difco iaculado artc quada,vt Pindari interpres oftcdit,ne- ccflaria cxftitiflcjalioqui lacularorcs laudcfruftrati deridcbarur,&: facpe damna infignia fpeftatoribus afl^c rcbat , quod a Phoebo adiu fuit,quc difco HyacinrhuinrcrfccilTe fabularur. Difco fi^milc erar al rcru excrcirationis genus,^AT/Jf»«; a Graecis appellaru , qd*" in palac- ftra aditari folirufcribir Galcnus.hoc ab halrcribusfupra nomina- tis,quosfaltatorcs,vt vehemcntiusfiltarcnt,manibus coprehcdcrc c6fucuiff^e,dem6ftrauimus,diuersufuifsc aperte declarauit Antyl- luscuius, verbaapud Oribafiuita fcriprarcperiurur in capite TFtfi iiKTUvo ^u^coi/r% , Koci av yKocyiTrrQ u^oou , h Kgctrovyrxi ^iivov \\/ 7rgcrccfecundum dorfi aflenfum manibus uiciflim fe fleacbat. Ex qui bus vcrbis plane indicari vr,quod,Iicet halteres huiufccmodi ex eadcmatcria,atq. eadc forma,quafaItatorum pon dera eflc poflcnt,nihiIominus ab illis diftcrebat,quod n6 modo ma nibus,ut laIrarores,renerenf; uerum eria uarijs modis emitrerentur, pcrindc ac rcporibusnoftrisapud multosin vfu habef,quifefe excf ccr,aur pila,autlapidc vel fcrrcu,vcl plumbeumanibus,ac brachijs extcfis,&: circumadis in alru mirtcntes , de quibus locurus fuit Are- tacus,aua:or no minus probatus,qua antiquusuibi in dolore capitis •f •cAT(/f(i)vi3 tum pro modoprofcdusgrauiores.Exquibusuerbis elicitur Halteres fuifse maffulas quafdam , fiue manipulos ex uari js materijs modolcuioribus,modograuioribusconfedl:os,eamagni* tudine ,utmanu quilibet caperetur. qui mcafenrentianedumfo- lis manibus , uerum etiam funiculis halteribus ipfis circumfufis,de- indeinter-proijcicdum explicatis,emirrebatur,perindeac faciunt hifce rcmporibus mulri , qui fic aut rotulas ferrcas , aur cafeos , aut quid aliudfimilcproijciendo certant An uero ^ATwftsaPlarone interccterasadforrirudinemmilirarcm comparadam excogitaras cxercitationcsnominenrur ,nihil cerre explicatumhaberur: opi- nor tamenegOjipfumubi 8.dclcgibus>haec dcmulicrum propri js ^ CKcrcimionibusknbit,KaUiktsl(X)^ug(!Q nilaIiudanimoconcepifle,nifi quod jllae tumlapidibusamani- bus , tum a fundis emillis inter fe cerrare dcbercnr. nam, & «Arwftfi aliquando lapides erant , quos a manibus excrcitatores cijccre confucuiflc indicauimus ; undc fub nomine lapidis a manibus «m Hi^AT«^ I30 L i B E R tes,ac primo tendcntcs,deindc remittentcs illas eiaculabantur^atq. hi coramuni appcllarionc rojwTxi^ucl rofhcci uocahantun vndc ue- ncnum quoddimrofiKov nominari fcribit Paullus Acginctamcdi- c-us,quod Barbari fagitras ad fcriendum lethali us illo inficcrcnt:la- culatio ucro non modo finc amcnro, arcu,ba!iftaue efficicbatur,ue rum etiam grandiorcs fagittas , craffiorcfquc virgas ,& plcrumque graucs palos rcquircbatjquinimmo fagittarij folis brachijs fcfc mo ucbanr , dKOvrilc.riQ aurcm fiue iaculatores iniadu brachia contor- quebant,cxrendcbanrq.&:practcreadorfum,necnofifemorapedi- busimmotis flcdcbanr,agitabantq.qucmadmodum tcporibus no- ftris, quos pali iaculatorcs appcllant,fasftirare confpicimus:utrique tamc in huiufccmodi excrcirationibus obcundis no paucis viribus ll.deaercj indigcbant, unde non fine rarionc Hippocratcs, multos ex Scythis locls^' ^ pracimporcnria humidirarishumcrum,neq. arcum intendcrc,nc- quctelumcontorqucre poruilfe mcmoriae mandauit,quiparirer in initio libri dc fradiuris diccbar brachij figuram aliam eflc Iukkou' rKTyiZ K(crcccfvjtu,cc^^oJ^t ivotqrkuJ^oPHiriv.KAMj^l \v M6o£iO\imv,%Kko\v7rvytAn. idcft,in iaculationc f undarum, S>c lapidum cmiflionc,nccnon pugi- hitu.Habcbantucro,quific excrcebantur,terminos,&:fcoposfibi propofitos, quos modo praeterirc,modo attingcrc, uiaoriae gratia quifque conabatur.quod explicauit Horatius hoc ucrfu. Saepe difco , Lib. i.car. ^^t^pf trans finem iaculo nobilis expedito. ' Ccrerum hoc in loco id praercrirc nolo,quod balifta fuit tormcnti Iib. de re quoq. gcnus,quo fccundum Vcgctium Iapidcs,&: fagittac eiacula- iTic^c 1 ^^^f^^^^^^ &:quodfimilitcrfagittas catapultis, &:fcorpionibusanti- ^ ^^' quos cijccrc confucflc fcripfit Vitruuius,dc quibu^ tractare ad infti- tutum nolhum minimc pcrtinct: quas ucro nos fagirtationcs, &: ia- culationcs travftamus,illac funt,quas gymnaftica ficultas tamquam propriasfibicxcrcitationcs complcctitur , Quod cnimmcdicinae gymnafticaiaculationcs, atqiagittationcs prolanitatis adminicu- lisin vfuhabucrit, (licctapudauclorcs rarofcriptuinucniatur) in- infuaf. dciamcn conijccrc poflumus, quod antiqui, refcrcnte Galeno, ad bo.ar. cofdcm mcdicinac &: fagittationis , iaculationisuc DcosApolIinc ncmpc,atq. Acfculapium cffcccrunt. At iaculationis vtriufquc tam cum arcu quam finc, praccipuum in bcllica gymnaftica vfum apud prifcos fuifse, locuplctiflimum tcftcm Platonem habcmus,qui mu- licrcs,& virosfururos bcllisaptos hifcc in primis cxercendos cura- uit, id quod mulicrcs Scytharum antca faccre folitas fciebat, quas Loco cit. Hippocra,&:pcdibus, &:cxequisarcubusuti,&:lagittasciaculari con- SECVNDVS. A confacuifscfcriprum reliquit; ur filcam Homcrum, qui Myrmido- nas Achillis militcs, dum a bcllo uacarcnt , fcfc iaculado excrccrc, nc pcririam milirarcm amittcrcnr, finxir.quam pcritia quanropcrc iaculandi, &:fagirrandicxercirario,adii:uct,quanrumq.cadcm ro- boris laccrris affcrat,clarc indicauit Vcgcrius in i.dc cxcrcirarionc militari lib.Arhlericam ncq. iaculandi cxerciratione caruifsc,Hcr culcsilliusaudor rtdcm faccrc porcft, qucm faLMttadi pcririirimum ca tacultare ccnraurum Kcf^um quamuis rcmorum 6l cc ruam acri pidcm transfixifscharpyasq.uolucrcs m mcdio acrc confccifsc,rra dit Scncca; atquc cum co alij . Ad hacc criam diucrfac illac,atquc mulripliccsbclluac ,quas in publicisfpcdaculis ,acludisathlctae modoljgirris,modoalijs armis intcrimcbant , clariflimum argu- mcnrum pracbcnt , ccrtatorcs illos athleticos iaculationcm quoq. B cxcrcuifsc , ncc modo ignobilcs , ucrum ctiam maximc illuftrcs ui- ros, arquc ctiam Impcratorcs ipfos , inrcr quos duo adnumcranrur, Commodusuidcliccr raullinacrij &c prioris Taullinacfiliac, &: Marciprincipisfilius; nccnon Domirianus ,quorum hunc ccntc- «as uarij gcncris feras in Albano fcccfsu fagirris plcrumquc mulris ▼idcnnbusconfodilsc,fcril)jt Tranquillus;iIIum ccnrum ictibusin arcnatoiidem fcras Ihauifsc , ram ualidis niribus, urmultasuno conficereri6u,tradir Hcrodianus: qui fimilitcr fc ribiradco illi ccr ^*^*** ram n^wnum fbilsc, ur, quidquid oculo dclbnafscr, iaculo 6c fagirra contingcrer . hrgo iacuIarioncm,& in bcllica,6c in arhlctica, &:iii medicinae gymnaflica locum habuifse, compcrrum cft; cuius qui- dcm iaculationcs duo pori llimum mftrumcnra fuifsc , diximus , ar- cum,&:fagittas, quosalij Scyrhcn louisrihum, alij Pcr(cnPcrfci C filiuminucnifse dicunr . lamucro fagitrarummulraslpccicsfeci- Piinius. mus,alias lubriles,&: cxnlcs^^quae arcubus,^^ balilbs ciaculabanrur, ^ quafquc plumbaras fuifsc cxiltimamus:quamplurimorum,quin manifclic apparcar nos dc gymnafticaarrc nKdicinacfubiccta,&:non dc ullaalia rra6c cxcrcirarionum,^: in viucnd6,ac conucr fando arhlcricorum morum prauitatcm cognofccrc,co£niram dc- Kftari,arquccuirarc liccrcr* VANTVM commodi humanac huic uirac dcambula* tio pracftcr,faris apcrtc (apicntillima natura dcmonftrl uit,quac mirihco quoda arriricio,iini;uIariquc^&: prope diuma prouidcntia nobis pcdcsnonob aliud fabrica- uit,mli ut dcambularc , arquc dcambulanrcs avftioncs illas, ad quas nari fumus,pcrficcrcuaIcrcmus.quod cum Pracdo illc circaCo- raccfium Pamphiliac animaducrrifscr^ ne homincs,qui m cum in- cidcbanr,ambularc amplius>&:rcliquauirac munia plcnc,honc- ftcq. obirc ualcrcnr , pcdcs illis> ficur rcfcrt Cklcnus > mcmorabili partmm. quodamcrudclirariscxcmploampurabar.l)cambuIariocrgo,qu5 vclurinccc(sariam,arquc in primis comittodam fiuc natura Jiuc Dcus nobis rribUcrunr,quanro ftudio cuftodicnda,arquc adiuuan da fir, nullus non uidcr , co pracfcrtim , quod fi ullac cxcrcirarioncs corporisinucniunrur,quacvalcrudincmconfcruarc,imbccillira- urmamorbocontraaampcIlcrc,&:bonum corpori habirumcom- pararc ualcant, quacq. apud omncs homincs>omncsq. narioncsirt licqucnriori ufu iinr> una profcdo cxfillir dcambulario > quam non K -f modo 154 L T B E R modomedlclpraecipuam corumgymnafticaepartemefleceriinf', D tjerum ctiam antiqui omnes ufque adco acftimarunr,ut intcr cete- ra priuatis excrcitationibus dcftinata,&: in gymnafijs, & extra loca, nullius maiorcAn curam gcffifrc , nulliq. magis ftuduifse uidcantur. quam utaccommodataomnitcmporc deambulantibus Joca cxae- , dificarcnt. Nam(vt ccteros audtores fide digniflimosomirtam) Vi- truuius quantopcrc in deambulacris fabricandis inuigilandum cc- fuerit , unufquifq. cx eius fcriptis facile comprehendct ; cgo ccrtc ante , & poft Vitruuij tcmpora i»numcra in urbibus dcambulatio- nibus loca magnifice extru6l:a lcio. quac omnia apud me tribus ge- neribus compleduntur, quia uel porticus crant, uel fubdialcs loci, ucl fubterranci. Porticus enim quandoq. theatris,quandoque tem pIis,^a. liter fuifleporticusambulationi dicatas,fcribit GaIenus3quando- E quefolac&feparatae exftruebantur,qualcsplurimae Romae olim fucrunt , quarum ueftigia nunc admirationc Ipcdatoribus pariunt, & qualis tiiit Pumpciana,de qua &c Ouid. Tt4 mado Tompeia lentus (patiMre fub ymbra. &propcrtiuslibro 2. Scilicet vmbrofts Jordet Tompeia columnisy Torticus aulaeis nobilis ^ttalicis &lib.4. Tu nequeTompeia fpatiabere cuUus im ymhra , 7^c cum lafciuumllernet arena forum. & Mattial.li. I r . €ur nec Tompeia kntus fpatiatur in ymbra. Exquibus triumpoetarumuerbiscIarepatet,Pompeianam porti- cum ad deambulationes cxaedificatam fuiffe , quemadmodum, &: quampluresalias iwid conftrudasefTe, apudCiceronemtcrtiode F oratore libro difputatur. Quod porro lubdiales quoq. iocos ad de ambulatium tam commoditarcm,quam iucundiratem maiorcs no- ftri cxtruerent,atqueiIlosmodoarboribus confererent,modo nu- dosrelinquerenL,praetcr,Vitruuium,qui cosin gymnafijs, &: extra gymnafia quomodo ficri deberent^copiofifTime edocuit,argumen- to quoq, sLit xyfta illa a nobis fuperius declarata,&: praecipue de- ambulatorium illud Arhenicnfium in Acadcmia , quod pulcherri- mis plaranis confitum ad id fuilse fcribir Plinius,& ad cuius imita- tioncmAlcxandrum Seuerum nemora in publicis rhcrmis,atque infuisaluifse cxiftimo.Subtcrrancosucrolocos quofdam ambula tionibus deftinarosfuifse,quosob id hypogaeos Hegefippus,&: Pctronius uocarint, haud uero dilfimile uidetur rquoniam tempo- ribus,quibus mirum in modum luxus creuerat ,ficripoteft , ut una cum T E R T I V 1 A cuminnumfrisalijsblandimcntisexcogirari finr achiitanda^aent wi caloi is molcftias. nifi cos porius creda^mus fiiifTc crypro porticus vndiq. paricribus redas , iccirco in eam tormam fabricatas,ne am- buhir.tcs a ucnris,&: a rcliquis aeris iniurijs lacdcrcnrur, qualis ho^ dic Romac in uiridario Varicano uifirur,^: quales fuii^e illos ucri- fimile eft, quos fc i nrer rui nas uillarum LucuUi ram in agro Tufcu- lano, quaminmonrc PaufilippouidifTt', tcftarus cftnobisLigo- riusi quosue Plinius (ccundus in uillac fiiac Laurenrini, &c Tu- 1 lcorum dcfcriptionibus plunbus ucrbis dcpinxit. Dchis Varro apud Nonium ,Non uidcs inmagnis pcriftylis,qui cryprasdomi non habcnr,fabulum laccre a parierc ,aut Huripis,ubi ambularc poirinr^ Qui cnim ambularionibus fcfc cxcrccbanr , omncs fcrc fa- g nitatis gratia illucl agcbant,ur neccflario cogerenrur fecundum tcmporuin murarioncs uarios locos habcre ,quibus cirra ualetudi- nis oftcnfioncm ambulationcs pcrficcrcnr. Softrarum Gnidium ar- chitc^ftumcelebratinimum ambulationcmctiam pcfilem primuin omniumGnidifccin'c,rcfcrrriiniuslib.xx xv i.cap. x i i. Nam athlctasambularionibusnumquam uri folitosexeo crcdcre dcbc- mus,quod ncquc in ludis, ncquc in amphithcatris , ncquc in facris cerraminibus , quibus omnibus infcruicbanr , vmquani tos ambu- landoconrendifle legitur . Quod filocusin gyranafijs arhJctarum cxcrcirationibus,a^ Iocusambularionibusdcftinarus,qucm Xcno- phon,& Vitruuius Xyftum uocarum fcribunt,uicini crant,non idco inferre dcbcmus , arhlctas dcambulando cxerceri folitos,(ed alios in Xyftis ambularcarhlcrasfcorlumexerccri confucuilfctnifi Q dicamus arhlcras quoquc poft uehcmcntcs cxcrcirarioncs ambu- JafTe, atquc illam ambulationcm apud mcdicos aVfl^tfflrTrwVuo- catamcflc, &:nonpropriccxercirationem :quid autcmapuchera- piaforct , infcrius dcclarabimus. Milirari limilircrpcririac ftuden- tcsambulationem parum curafle credcndum cflcr,|>oltquam ncc Plato ullam eius mcntionem fccit, nec in ullo bcllorum »;cnerc ad iumcnruin cffatu dignum pracftarc uidcrnr , nifi Vcgctius cdocuif- fct ualdc militibusfururis cx u(u cfscurafliduo cxcrcitati ambula- m fe celerircr,&: acqualircr difcanr,arquc (^b id uctcrcm confuctudi- nem permanfiflc,ncc non I).Auguftini,arquc Hadriani conftuutio nibuspraccaurum >fur(Tc,ur!nmen(c ram pcdircs,quam cquircs cduccrcnturamI?uIarum,&:non(oIumin campis,fcd cciam incii- iiofis^arduislocisdc(ccnderc,arqucadfcendcrecogcrcnrur,quo nulla rcs ucl cafus pugnanribus accidcrc pofscr,qua non antc boni militcs aflidua cxcrcirationc didiciflbnt.Habuit ucro hacc cxcrci- ratio 5j« t I B E II ratio multas fpecl es lum a narura ilJius , tum a loco , rum a /ine dr- D fumptas ;a natuia qui Jcm, quoniam , cum ambulationcm dcfinic- ^ de ufu rit Galcnus cx crurum moru , ac quiere conftare , motus ilie , &: per vaitmm. confequcns ambulatio , autcrar magna , uel parua ; aut uelox , ucl tarda,aut uchcmcnis, ucl rcmifsa : a loco autem uariabantur paritcr ambuIationumfpecics,quandoquidcm modo inurbefiebant,&: in gymhafijs,modo cxtra urbcm , qucmadmodum Phaedrus,&: In Oeco. ProdicusapudPlatoncmfacicbant,ncc nonlfcomachusapud Xc- * nophontcm , qui dum in agrum pedibus fcruum fuum equum du- ccntcm fcquereriir>mcIiori fecxcrcitatione uti diccbar.quam fiin xyftoambulaflcr j modo in iocispIanis,modoafperis,modoare- Coclius j^^jj^^ ^^^^^ paralyricis Afclcpiadcs , Eraliftratus, ac Themifon Chran.2. malc commendabant,modo aequahbus,modoinacqualibus, mo- c.j.lib.dc dolongis,modobiTuibus\dc quibusomnibus copiolillime difser- c amCis 5.probI.parti. A fine dcmum accipicbantur deambu- lationes, nempe quando velut auxilia (anitatis,ac boni habitUs ad- hibebatur, vcl ad corporisrecrcarioncm peragebantur.poftquani enim grauiorcscxcrcitationcs confcccrant,nc ftatim ad quierem tamquam a contrario ad conrrarium rranljtus ficrct,ambularioncs paucas,&: remiftiores adhibcbanr,ficut & poft medicamenra,ac uo miriones>arq. uniucrfum hoc cxcrcitationisgenus iTro&^tar/^riKof appcllabantrquamquam ctiam gymnaftae in mcdijs laboribus, porirtimumq* in ijs,qui graucs uocarascxercitationes obijfscr,apo- 3.*tu.va. fherapiainrerdum urebantur ,quodGaIenus fummoperelaudan- ' dum iudicauir. Apud Varroncm quoque , ur mcminit Nonius , ha- bctur> aliquos ad cxcirandam (icim ambulatione ufos efse. nam in lcgc Macnia ira fcriptum crat:Excrcebam ambuIando,ut liti capa- cior ad caenam uenirer gUttuK An Erettum fhre Jit e^ceratath. tap. 111. VI rcrum ipfarum naruras Icuiter perfcrutati funt, iii- hilambulationi ip quampe- dibuscredum ftarc iudicaruni. At quoniam profun- ^ dius quacrentcs in hajic fcntcntiam eunt ^ ereilosj.pe- dlbuTi^antes fi non ambulSt , fLiltcm aliquo pado moucrijproptcr- caquc ftarum huiufccmodi ab cxercirarionum ccnfu cxcludi mini- mc dcbcrc i idco eriam dc hoc fcrmoncm faccro dccf cui ; co prae- fcrtimquod multi faUis rationibus duCt^ hanc opinionem ira ani- mis imbibcrunt> ut pcrtinaciter circdant> ftantes pcdibus nullo modo T E R T I V S u7 A madofcfccxcrccre,fcntcntiam fuam hunc in modum probanrcf» uidclicct quod dcHnitum apud omncs audorcs rcpcritur,cxcrcita tioncmmotumcxlirtcrc , cui motui (hitum planc contrarium cfse: practcr cctcros Plaro ubiq. pracdicat,dum inrcr prima rcrum prin laSopK* cipiaftatum&: motumuclutiduo contraria collocar , quostamcn apcrtilllmc allucinan facilc conuinciruriquandoquidcmomntsil li,qui pcdibus crccli ftanr, licct moucri icnlibilitcr nullo modo ui- dcantur, attamcn ratio ipfa,quod aliquo pado moucantur, ccttilfi- mc pcrfuadet . Nam &c multorum uctcrum fcntcntia tuif,non quac moucri uidcantur, camoucri fola, fcd multa immobilia apparcre unum eundcm locum obtincnria, quac nihilominu^ mcucri ctfica- ciHimisrationibus,ac fcrcfcnfu ip(odcmonllrantur . Aucscrcnim non tam quando modofurfum , modo dcorfum uolitant,in motu B efscccnfcntur,quamdum in acrc locum unum fcrc immobilircr occupant . id quod iic probatur , quia li auis quac IKirc in acrc im- mobilitcr uidcbatur, in co ipfo inllanti moriarur , protinus in tcr- ramdccidit (utdcapodc illaauc manucondiata , quamniiimor- tuam in tcrris uidcri , 6c uiuam lcmpcr in acrc mancrc fcrunt ) non obaliam profcdo caufsam. nili quoniamcorpus illud in fublimi inotusalicuiusabanimaincorporc faCti auxilio confiftcbat, quo moru poftca priuatum corpus,arqucnaturacfuacdimifsumad ccn trum dcclinat,licuti dum cotra narurac fuac inclmationcm furfuni fuftmctur , haudquaquam cadit , ncquc itcm pcrfcCtc quicfcit , fed quali duobus motibus contrarijs ai;irarur, alrcro corporis dcorfum a narura a(fti,altcro animac furfum conrra naturam corpus moucn- ris. Idcm fcrmc cucnit in hominibus crcctisllantibus,quorum Ccorporibnsnaruraad rcrram inclinantibus, Sc anima contrafur- fumilla fuftincrc obnitcnrc, morus quidam lcnfui immanifbftus fuborirur , cuius indicium illud habcrur, quod li aninui a corporc crcilo ftantc cxcat, illico ipfum in tcrram dclabitur,quia motus il- ledcficit,cuius bcncficioanimacorpus oaturalitcr ad tcrram incli narum, furfum clcuatum contincbat: ur his rationibus omnino cuiuis pcrfuafum cfsc dcbcar,cos,qui pcdibus crcCti IhuUjob conti nuos,&:conrrarios animac,corporisqucobnixus aliquo pa:tomo- ueri,arqucipforum mufculos omncscorpusgclhnrcs, &c a ccrra atrolcntcs,crigcnrcfquc uchcmcntcr intcndi :cuiusinrcnlionis,ar- ouccriam ipliusocculri morus racriro poftca cfficirur, ut ftarcma^ iorcm laborcm,ac lallitudincm molcltiorcm pariat , quam ambu- larc,licuti pracclarillimc a Galcno fcriptis mandatumcft. Ncque ri.aetre.. Plato ubiintcrprincjpia rcrum Itatuin pcrmdc;ac motuicontra- & riwm Early European Books, Copyrighl © 201 1 ProQuesl LLC. Images reproduced by courlesy of ihe Biblioleca Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGL. 1 .7.429 131 L I B E R rium colTocauif^ucraprorfus locutuscft, cum Ariftotcles. 5. Phyfi^ corumlibro longaorarione ncn ftatummorui , fcd motum motui contrarium eflTe demonftraucrltiniti potius aliquis dicar,Plaronem aliud gcnusmotusacftacus myftice (ut fo!er) inrellexifle , cumex ipfisnaturas quoque diuinas ccnftare aHerar. Siigiturtot rarioni- bus fatis comprobarur ; eredos ftantes aliquo pztito moueri , atquc intc rdu non modicc laborarc, confenraneum uiderur,ut non ob id ftatus ab cxercirationu ordme remoucdus (it, quod cxerciratio defi m'aiur cfTcmorus, &:ipfcminime motus appcllationcm mereatur, quinimmo ficuri quaplures morus,qui fanitari, &: bono habitui co- fcrre iudicanrur,ct(i uerc ac proprie exercirarioncs non ftnr,c6mu- nirer ramen efTca nobis fupra abunde oftcnfum fuir : fimiliter &c fta- re eredum communi notione exercirationem cfTc cenfemus. Vn- de fapienrijTimus Hippocratcs, qui vlccra curanda quicte indigere alias praedicauir, ftarc&fcdere ipfis inimica efsc fcripiit : quafi in- nuereuoluerir, dum corpusfurfumueUedendo, uel ftandodeti- netur , mufculos magnopcre conrendi , atque etiam motum quen- dam interanimam &:corporis naturam generari, qui ulccra ipfain cicatricemcoalcfcereminimepermittat.atquchoc efTepnro^quod aCoelioinEpilepfiaccurarione rtans exercitium uocatur. Num ucro antiqui gymnaftae inrcr alias corporu cxcrcirariones huiufce modi ftatum rccepcrint , nil ccrri affirmare audco . Athlcrac enim cumnullumferc ufum in ftando haberent, nifi quando Milonis imitatoresrcdi ftantcs fefe ceterisaloco dimoucndos oftcnrandi roboris gratia pracbebanr , vel ftaru non pcr fe , fed ob alium ure- banrurrideohaudquaquamfeipfos in hoc gcncrc excrcuifse mihi iierifimilereddirur. Qupdquaefo cerrameninftandofolumefre- 6lum ccrnipotcrar,quod autfpcdtaroribus delcdarionem afrerrer, aur facrificijs , ucl alio modo amphithcatris , aut ftadijs infcruiret, uthorumgratiaathlctasfefe exercercuclcertarc ftantcsfohtosdi camusfftabant tamea qui athletas ccrtantcs fpe amphithcarris,atq. alijs pu bli- cis ( c C ri 10 ra idi do ad ao Ddc m OQI nok tili ttiu tc bt fc( H T E R T I V S. ,4, A cisccrtaminibus,fpcdaculisq.coronasuiclomcconfcqucmur,pa pulumq. obledarcnt;uclutoptimum corporis lKibitum,atq.f;inira lcm ipfam acquircrcnt,tucrcturq. Hos apud Kufcb.viij, Hift. EccL cap.xviij.M«;(«Tpiom.ichia,hoc cft armorum fi^ta confrixio ^ ^j^^.^ B uocata,necnonad diminucndam7roAic/us anim.aris&iinanimis carcjmas nuquid nosob corum,qui ^> nobifcum cxcrccanrur,ino;Mam,aducrfui. n )fmctipfos verc vmbra- tili puena certarcaudcbii>uis.&:poltipfum Plurar.in 7. Prob. con- „ . Uiuiahum :«AA(7fc»,u;Ttt^ vfiKQotovsiot^rccr Hd'Hquafiaeremnoticaedcns. lam ucrononminustelJs^quapugniSj ] & brachijs nudi^ huiufcemodi cxercirationem ufurpata cfse ratio- ni cft confentaneum . Hac itaq. fucrunt duae pugnae fpecies^quaf maiores noftri cxercitationu loco in ufii habuifse rcperitrita ut nul- la gymnaftica cxftarct,q inter alias excrcitationcs hanc no rccepe- rit.quod cnim athlctica uctuftilTimis vfq. temporibus pugnandi ar- mis incidcntibiis exercitationc urcretur, locuplctiftimu teftcm Plu z.VtQb, tarchu habemus,qui in 5. Sympof. fcriptu rcliquit, antiquitus mo- nomachiam.f.aut fingulare certamen in Pifa ciuitate,&in Elide Pcloponnefiregionc iuxta AIphacumfluuium,circa quam quinfto quolibet anno^hoc cft,ut Pindari intcrprcs tcftatur, alternis olym- piadibus,fiuemenfibusquadragintaodo,autquinquaginta, cerra- mina olympica loui facra celebrabatur, vfq. ad mortcm dcuidoru, cadcntiumq. iugulationcm proccdcre cofueuifrc.Practcrea narrat GaIcnus,facerdotes in Pergamo prifcum morc retjnuifsc , ut aefta- tis teporc monomachias uocatas cxercercnt,quas ne quis credat fo li Gracccrri nationi proprias exftitifsc , adcudus cft Athenacus,qui in quarto dipnofophifton auftoritate Nicolai Damafceni Philolo- phi pcriparetici referr,Romanos monomachoru fpr£>ncula no mo- do in feftis,arque amphithcarris,ucrum ct in conuiuijs a Tyrrhcnis confuerudinc muruaros adhibuiffc; quamuis Romani no monoma- chosjfed gIadiatorcshosocsnuncuparemaIuerint,quos lulij Cae- faris aerate in foro nouifsimc pugnafse,quofq. pugnarcs Smaragdo lib. NeroncfpcftaffcfcribitPIinius.Hi quoniam arrcplurimisabfurdis 18. & lib. plena excrcebat,ut a ceteris pugnanrium cxcrcitationibus integre 37.C.J. dignofci poirinr,nonnulla dc ipfis brcuirer cxpona, Nam illud pri- mum dcreftandii plane habcbanr, quod ccrtantes qua grauius po- terant,fcfe fcrire ftudcbanr,&: non iolum( quod fcripfir Scribonius Largus,qui*'Tibcrij Cacfaris,&: Mcflalinac aetate medicina Romae cxcrcuir)c6rufioncsin lu(ftarionibuspaticbantur,fed crianon raro vfq. ad altcrius , ucl eriam amboru pugnanrium inreriru ccrtamea protcdcbarur: quemadmodu,pracrer Athenacumjarq, Plurarchfi, 3.decr>p. Calcnusquoq.rcftarur,quifcgIadiarorcsgi-auircr vulneraroscu- mc.pgcri. rafle , &: ob id a fuac ciuitatis potificc in eoru mcdicum coopratutn Li.7.ca.3. fuiflefcribir. Quin auctor cftGcl!!us,gIadiatori compofiroad pu- gnadupugnac hanc propoficaforrc fuifse , aur occidcrc fi occupa uiflcr,autocciabcrc,ficcfsafsct.vtid ucrumpurarc dc bcamus,quod M.Tullius.2, Tufculanaruquacftionumcmoriac mandauir ,athle- tas ctia vulncribus confcdos ad dominosmittcrcfoIitoSjqui quae- rcrcnt,quid ucllent,(i fatis^a^^lu ijs cfsctjfc ucllc dccubcrc. nam ufq. adeo T E R T I V S. A AdcomojTem.acviilncrA inrrcpidc obibanr,utncc inscmffccrcnt . ncc multu mutarent.humfmodi ucro ncfandas hominfi cacdcs cum' fiiftmere ocuhs no poflcr optimus Impcraror Anronin», nanar Di6 cu cdu^o cau.flc,ut glad.arores no acutofcrro . fcd obrufis gladijs. & tcrcnbus d.m.carcnr quod hodic fadirant, qui pu.nadi art d ^ fcendaeopcranaiKi„t.Sccundaturpit.Kiinisfpcc.cLuamo,,o^ mor ac prod.d.r glad.arorcs hordcarios vocaros quia antiqu.tus ''• 'r.c... hordco u.d.tabant , ucut l>oft Plini.,m Galcnus cofdcm 6, da , &: nandun .nft.tutum crat, .n ipfo ccrtaminc fangu.nc cx vulncrc ad- ucrfar. j b.bcrc.ra.nquam ,;s ad confi. mandf,animu, & uircs cffica- Tn A T"'''^ '"^- l^'s,pracclarc admodum fic a Cvp,ia- « nodcclamatucfl Pnr.>turglad..itoriusludus,utl.b.dinccri,dcl.ul^^^^^ pus, &: a ru.nac horismcbroru .nolcs robulb pi.,gucfcit,ut fa-.na- tus ,n pocna canus pcrcat . Homo occiditur in homin.s LoIupur!s " & ut qu.s po(r,t occdcrcpcritia cfl.u fus cft.ars cft,fcclus no,i ar„m " gcnri,r/cd doccr:qu.d potcft .nbuman.us.quid acabius d.ci T " Jud.oro tcqualccft ub. fcfcrisobi;c.ur,quos ncmo damnau.^Jcra- " tcmtcgra,honcftarat.sfurma.ucftcprcr,ofa v.ucnrcsin vhro^eum " funus ornantur.mal.s fuis m,fcri slonanf, pugnanr ad bcft.as nc, cr " ni.nc fcd ruxorc:ipcdanr hlios fuospatrcs , rn^ ^ pracfto cft,&:fpcCUcul. hcctprcriu largior muncr,s.xppa,-:tusam! " plj^hcer,urmacror.busfuismarcrinrc./fr:hoc.prohdoIor,,mtcr&" rcd,m.t,&: .n tom ,mp,;sfpcftaculis,raq. d.nscffcfc non purantocu " l.sparr.c,d.as.Hadcnusuir.IlcC:hnflia,ius, cuiusorariinchiccx- " fcnbcrcpIacu,t,qdadgIad.aro.-,accxcrcirariou,sp,au,rarcollc,;-" dendam,n,l luculcnt.ushabcri poflir. Quat,-, prauiratc illud ,nihi ualdc turpms cx,ft,mare in mcntc ucnit,qd & Kcipub.Iibc-ratis &: Impcraroru tcmpon bus rar, fucrinr fiuc nubilcs,fiuc ignob,lcs,f,uc coluIa.cs.f,uclmpcratorcs,quifpcdacuIaadcoinh.inK.na,acomni flas.r.o,&:facu.r.a plcna l.bcnrc.-, atq. maxima cu,n uuluptatc non inrucrcntur . Numqu,d autcm cuiufuisgcncris homincs.an i^no.b,l,H,m. dumtaxat.glad.aror.a cxc. cc. c„r,anccps ualdcfum.quod cn.m LcntuIusCapu.-icut rcrunr,g!ad.arorcs alucr, quud C Tc " ir-cr. rcnt.us Lucanus, auctorc Plinio,gladiatorum quadrag.nra paria in furo pcr triduum auo fuo,a quo adopratus fucrat,dcdcrit,quod uc- oymr.jUca. L nalcs 144 L I B E R nalcs cflent,&: tria illa ncfanda a nobis praedida profirerentunmi- 1 hi ccrtc perfuadcnte exomniumhominumignobiliflimo fimui, ac impunllimo gcnere,ueluti feruis exftitiflc.Ex altera parte cu Gale- de frac nus rcferar,f:icerdotes monomachiamcxerccrc fohtos,cum Athe- klhhu nacus fcribar iUuftres uiros , atq. Duces monomachiam cxercuiflc, cum Herodianus , arq. lulius Capitolinus Commodum hnpcratore Spartia- gladiatorcm eximiumfuiflc,&:inpublicisrhearris,fpreta hnpera- 7eno" ^& ^^^^^ dignirarcgladiaroris parres adimplcfsc fcribanr,ciim tradant AibmL alij Impcrarorcs ad bellum profedturos munus gIadiatorium,ac uc- nationes ederc confueuiflc,ut ciuiufanguine fic effiifo pugnae qua- dam imagine Ncmefis fe,idcfl: Forrunae uis quaedam explcrer, uel ut infuefcerent milires vulnera,atq. cacdcs in/pedare. qua item ra tione SolonapudLucianum narratlcgem Arhenienfibusfuifle,ut faAaach. iuucncs cothurnicibus fiuc qualeis, ac gallis pugnantibus fpettadis fliudium impcdcrent,quo illi uolucrcs vfq. ad extremam uiriudc- feaioncmroftriscertantcs intuentcs,ad fortiterfubcundapcricu- la,&:contcmnenda vulncra ^neauibusingencroliorcs apparerent, inflammarentur,cuius ftudij mentionem quoq, fccit Aefchines c6- tra'Timarchum,&:CoIumcllaIibri o6bui cap.2.Cuminquam hacc omnia mentecontemplor,quaficrcdere cogor,tum nobiles aliqn^ tumignofciles utplurimumathleticamhanc atq. gladiaroriam pd gnandifpcciem excrcuilfc iquando criam apud Athenaeumrepe- ricnonnullos teftamenro cauifle , utr pulcherrimae eriam puellac monomachorum inftar dccertarent, aut qui in delicijs fuiflent im- puberes.ScdgratiaeDcalmmortahfunthabcndae quiad abolen dum huiufmodi nephaadum morem quoq. principes impulerit,q(f primumabHonorio Impcrarore fadu ertc perhiber Theodorerus ca.26.hb. quintihiftoriae ccclcfiafticac .Atque exhisclare patct, armorumacutorumpugiiam inter athlerarum exercitationesad- numerandamcfle.quos fciamachiamquoqueinterdum,fiue um- brarilempugnamexcrcuifse,inde faris conijcercpoflumus>quod Glaucus Caryftius arhlera ftixnuusnon minus ob pugilatoriam , quaminumbra pugnandi cxceilentiam celcbratus fir, ciquefta- tua habiru , formaque in umbra pugnanris erefta , ut Paufanias ^*^^^^* narrat , tradarur : nifi cerrius comprobarent illud haec Dionyfij in cap. libro de diuinis nominibus ucrba : oVe/) 0 cro^o^ bx. z^vovriaraA /uj^fiTa^^ TTid^' r^^TS)VoiOAyj7iivol7rCipovUou;,04c:!ro?^M^^ d^ofek ^ja^ rii^ airctyomg-a^ vdf^ticvc tjyroQi/i^uOi, % cLTcl 70 Jb^coLtS € nv^oc; ^-toi/to^; , axiTOvq aiq (nncLixa.')$iuj- » nc; , oiovTOJ^ tHv airiTroLAcov ojutwv jcwtpa.T/;tcvaf : ideft. Quod fapicns minime intcUigcns incxpertos uinccndi. athletas imitatur , qui faepe T E R T I V S. Afacpe antagonlftis imbecillas cflTc fupponentcs , prout Ipfis vi- dcriir , nccno aduerfus cos abfenres fbi tircr vmbratili pugna ccrta- rcs,aduerfariosipfosuiciflcpurar» Habuir6in ipfisq. mulicrcs &c uiros claborarc uolucrir. Hanc rudi- bus armis faCtam milirarc monomachiam illam fui fsc , quam Hcr- mippus Manti nacos inucnifsc,&: Cyrcnaeos acmularos efse fcribir, Athcnac» cgofcrmccrcdo.iicuri limiIircrcxirtimo,quamfcrimiam uulgusdi ^^^-^* cir,cam ipfam,&: non umbratilcm pugnam , ur Kudacus in Com. ad C Pandcdas, Guliclmus Choulus,&:aIij nonnullifalfoautumarunr, cfse,dc qua locurus PJaro mea fcnrcnria uidcrur, quando in Lachc- rc fcripfir,iuuenibus coduccrc, ur armis pugnarc difcanr, quoniam lic habitus corporis robullus acquirirur , ncc ulla cxcrcitarionc in- fcriorhaeceft,aurminuslaboriofa. In hac haudquaquam ccrtato- rcs,qacmadmodum gladiarorcsfc ufquc ad ncccm fcricbanr, fcd rudibuS reljs quafilcfcpctcre iiUiiccmfunuIanrcs,quandoque cria rc uera fcricnrcs,&:plagarum inflidlioncs,&:aucrfioncs rdifccbant. Aliquando ramcn cum umbra armis ct pugnabarcquod Cdtas pofl coenam fach*tafsc,Poflidonius audor clhl^im ucro omnium frcquc- tiirimc pugnam aducriuspalum cxcrccbanr,qui milirarcm difc ipli nam compararcoptabanr,quam cxcrcirarioncm ita faditaramfcri ^ fe bir Vci:crius,quod a lingulis ryronibus finguli pali dcfigcbaiuurin "^'''^*^-"* tciram,iru ur inic.-r" iDn pr/vr, &- rooo-ip ol r£jg7retXai- ^piijC ^etUiurig 7raj(^ovT^CyO rcaf i^zir oiiu(poripa>v ?\y^(p6(z^Tig 'i^zcovTcif eig tcI cvavTict.i. Paullatim enimproccdcntcsin mcdiumamborum igno- ranter cecidimus,& nifi aliquo modo nofmctipfos defcndctcs eua-  mcmoriacproditum cft. 1 m 1 li.i.fer.^. li.i.fen.^ iioc 2.C.2. j.de bclJo ciuili. DeVociferatione y ^ ri/u. Cap. VIL N T E R cereros,quos plurimos,atquc neceflTarios in hu- mana vira vfus habcr fpiratio , non infimum locum obri- nuirvociferario. quaccum nilaliudfiti quamacrisue- hcmcnspercufl^o,rammatcriam, quam cflcdorcm,&: lormam,ueI a refpiratione foIa,vcl faltcm non abfquc ipfa fuppcdi- tari,|AriftoteIes , &: Galenus pracclariirimis in i d cdiris commenra- rijs probarunt. &: iccirco non ab re fururum cflc duxi , fi , poftquam defpiritusretentioneuerbafcci , ftarim uocifcrarionis rraftario- ncm fubiungerem. Neque enim ab hac me remouere dchuir, quod Galenusmcdicorumprincepsaurnulla , aurquam pauciflfi- ma dc vocifcrarioncfcriprisiradiderit, quafiquceam intcrexcrci- tarionesnumerari dcbere non cenfucrir: quandoquidcm Anryl- Oribafium mcdicus cclcbrariflimus non modo camex- ercirationcmcfleuoIuit,ucrumctiam cumad morborum diuerfo- rum curarioncm,rum ad uocis ipfius culrum ualde aeftimatam fuif- fcfcripfit. qucmadmodum itcm Aetius Amidcnus, &: Auiccnna Arabs uno orc poftcdoribus facculis comprobai unr. Nunquid uc- ro athIcticacprofeflorcs,aurmiliraris dilciplinacftudiolihoccxcr cirationis gcnus in ufu habcrcnt, U li^apud nuUum audoi cm nora- tumaducrtcrim:pcrfuafumtamcnmihi cft, ncurros horumuoci- fcrationcm taniquam propriac ipforum profcflioni aut conuc- nicntcm aur filtcm rtcccfliiriam cxcrcuifle . Qupd fidicatquis, &:arhlctasinccrtaminibus, &:milircs in pugnis confcrcndis cla- moribusnonfincutilirare vfos, quando Cacfarhaudfruftra anri- quirusinftirurumfuilfcfcribir, utinbcllo committendo fignaun- dique concinercnr, clamorcmquc vniucrfi roUcrcnt, quibus rc- bus T E R T I V S. is7 A bus,&: hoftcs rcrrcri,&: fuos incitari exiftimaucrur: proptcr hoc mi- nimc fcquitur, uocifcrarionis cxcrcimtioncm , dc qua nos agimu^> miliraridifciplinacadttifccndac confcrrc. Duofolum humiiul gc- ncra uocis cxcrcirationi fcdulo opcram dcdifsc rcpcrio, hirtrioni- cae uideIicetprofclTorcs,&: mcdicorum gymnafticos.Hillrionicam enim profitcnrcs,fubquibuspracconcs,choriftas,rragocdiarum,&: aharumfabularumlimilium rcciracorcs, ncc non uocibus ccrritcs CoUoccqocifcrarioaibuscxcrccri foliros.locuplctiifimus tcftiscll Platoin lonc^ Anllotclcsinproblcmatum libris,in quibuskgi- p^^;^^/^' tur,Phiynici, ncc noncriamantiquionbusrcmporibus tragocdias, comocdias,dithyrambos,arquc lcgcs ipfas cantu rccitari^:onfucuif fe.ob quod uocis cxcrcitatio tantae cxiftimarionis fuit,ur,(icuri de athlctica monftrauimus,pubHcae uocifcrationiscerraminaaCoc- ''•^•^^^j^'"^- B lio Aurclianofiib modulationis agonillicac nominc intcllcaa , j> " pofuis uidori pracmijs,inftirucrcntur.qucm morcm ufquc ad Galc ni rcmpora pcrdurafse,ex eo conijcerc pofsumus,quod 7.dc mcdi- camentorum compod. fccundum locoshb. muhamcdicamctarc- ccnfct^uibus antiqui mcdici in ijs,qui uocc contcndcrc dcbcbat, tum antc,rum poll ccrramcn urcbantur,ubi fimihrer narrat, tempo- refuophonafcosomncs,cirharacdos,f.pracconcs,ncc non rragoc- diam,ac comocdiam pcrfonatos rcpracfcnrantcs,qui magno uocis excrcitio utebantur , li quando uuccm contcndcndo oblaefilTcnt, balneismultis,&:cibislcuibus,atquelaxantibusuti fohtos.Exqui- bus ucrbis cuiuis intclligerc licet, non modo hillrionicae profcflb- res uocc,&:cantu(quod dixit Plaro)limpIicitcr in rccitandis dram- ^^"«^- maribus,rhapfodijs,aIijsuc imitationibus fuis, uerum etiam alra uo ^ ce ufos,atq. ijs intcrdum uniformibus,i nrcrdu uarijs,&: muraris,uc- luriin rra^ocdiaad macroris,calamiratisq. magnitudincmaugcn- dafav^uniohm,(cribit Arillotclcs.Qiiarcmirari dcbctncmo,quod ^^^Pa«i ^oc aZ^ncnv y^^ivira^ •rfsyou ri- vci yu/uvoLcnoL rolc a-raiuoLcnv -i 1? 7^ rov vrv/uuoLroc KaL^i^tc^TrOieiiiwl^tJLU rolc TTOvovaiv , ocrv/u/SoLfvc-i (t rolc TroLf^iofc ^ravo/u^oic • idcft : Pucrorum uerodiltcnfioncs arquc ploratus,quiin Icgibusprohibent,haud rede faciunt , confcrunrcnim ad incrementum, cum fint quo- dammodo cxercirationes corponmi ,lpirirus nanquc cohibirio la- bcranribus robur parit, quod etiam pueri^ inter plorandum di- ftenfis T E R T I V S. iTrecho,Pctawo,^riUmJleo. Cap. IIX. 1 ca omnia,quae antiquis tcmporibus vlirat.i,ac,vt fic di- 1 cam,pcruulgatacrant, autad nos pcrmanus tradita, ficutdcanatomicaarrc narrat (ialciuis, pcrucnilfcnt , i.jennat. ... . .lutab au«ftoribusfcriptismandara no intcrijncnt.mul-admini.ia C tos profccto labores , qiios homiiics qiioridic m oblciiris , ac anri- quarisrebusadliiccm rciiocandis fuftincnr, cirra vUam iaeturani crtiigiflfcnr . fed quoniamalia rcmporis di ururnirarc , afpcrirarcquc obfoleucrunt, alia difficiliobfcurirarc dcprauarafunr,aliafcripro. ruminrcriru dcfeccrunr, alia communi quadam lacculorum nc- gligcnria numquam proprium nitorcm rccupcrarunt , hinc fa- dum cil,ur in d ics coganrur homincs obfolcra rcnouare , dcpraua- ta rcformare , abolira rcficcre , randcmquc ncglcctis 6l dcturpatis fplcndorcmicftitucrcncc non inranra obfcurirarc coadi, (om- niantes quandoquca ucrirarcprocul abcrrarc.iiucr quos cum cgo quoque limilcm prouinciam fufccpcrim , qui arrcm gymnafticam elim iii magno prctio habiram,nunc pcnirus obfcuraram, &: cmor- ruam ad luccm rcduccrc ftudco, mihi ranromaiorcexcularionc di gnus vidcor, quantopauciorcs^aurfcrdnuliifcriptorcsfupcrfunr, M 2 aqui- L I B E R aquibus inftitutum mcura dirigi qucat.ne flleamplurima exercita D tionum gencra , quae quod temporibus noftrisdefueucrinr, ucte- rumq. pcragcndi casrationon habcatur, quomodoficrcnr, qua- Jesueefsent,diiiinandumcftporius,quam ccrtiquidquamaffirman dum. Qucmadmodum deCricilafiaatque trochocontingit. Nam icfwA,«ra)?s;t«aM o'4^?o? o>Vo^o? '^cWTuyjj^x^^aiyipyct^irc^yjcyj^ShvlwT^ ^'■^vx»,, idcft, Habcatuero circulus diamctrum hominis lon- gitudine minorcm , ita ut ipfius altitudo ufque ad mammas pcrtingat , neque fccundum longitudinem , fcd in tranfuerfum jmpcllatur,fit aurem impulfor fcrrcus ligneam aufam habens. Non- nulli rcnucs annulos rorae circumpofitos fuperuacaneos efse pura- runt : at hoc minimc i ra fe habct , quinimmo fonus ab ipfis gcnitus reIaxationem,atque uoluptarem animoparir.Exquibus ucrbis cla- re patct , in hac excrcirarione homincs circulum quendam ma- gnum,cuiuscircumfcrcntiaeannuliparuiinfixi crant,quadamfer- ^ rca uirga anfam habcnte in tranfucrfum latus impellere confueuif- fc,a quo duda mctaphora M.Ciccro ij. epift. ad Atti.ix.fcripfir. fe- ftiuc mihi crede , &: minorc fonitu quaputaram orbis hic in rcpub. eft conuerfus.fcd cum hac actate in ufu non habcarur^pofTumus fa- ne aliquid diuinarc, ar cius formam,&: condirioncs pcni tus cogno- fccre minimc liccr.quod cnim trochus graccus fucrir,de quo Hora tiusiibHuscnt. & Curinliis ia /.J.tn cnr annulus mbe vagathr . ibidem. C(dn Jtarg.itit obnii turba trocb^s. & l y tii tJtn /.I.V.' 'I? , C iiiitif quam culus ahen i , jib 1 1. 0,,jmteU'rar^iitO(iulfonatiUreirotbus. in rroch ) namq. primocrat circulus,&: in circulo anulus,qui fono fpcctatonbusuoluptatcm atfcrcbat.adcrat Cx: impulfor cumanfaa rropcrtioclauisuocatus.ubidixit, Inirenat & ver i cUu s adu.bina M 4 Curuitis 7.ACueiil. l66 L 1 B E R Curuatis fcYmfpatijs ,flupet infcia turba , D Impubisque manus mirata uolubile buxum Dant animos plagae, minime trochum cfTcur uolucrimt nonnuIli,ficuti,& excrcitatio il- hviuae hodic fupra ligneas tabulas pannis contcdas una cum li- gncis pilis efficitur,& truchus nuncupatur,trochi antiquorum apud mefimilirudincmparuam gerir.Nam rrochusprimoin publicisgy mnafijs,alijsue locis peragcbatur.Secudo is annulufcu annuios ha- bcbatftrepitumcdcnrcs, ur homines pcrviamambulantcsfonitu audiro longius ab incurfu trochi cauerenr. Poftremo ex aere con- flabarur,atque clauem aduncam habebat.quae omnia nec fepara- tim,nec fimul in rurbine/eu rrucho noftrisrcperirisefusipfe docer. urmcriro crcdcre debcamus,ab hislonge diucrsuantiquorumtro- p chu exflirifrc,quem(vtcgoputo,apprime repraefenrarhaec figura. a Ligorio ad nos mi ffa^quam fc cx forma in vctuftiirimo,atq.'ampIif fimocuiufdamComici vcl Saryricipoctac monumcnro cxprdrain uia Tiburtina.ppe Romaaccepifreretulir.nifi quodpraerer annu- los denresquofda circuIoinfixos,&: mobilcs monftrat. quos adftre pitumaioremedendumappofirosfuifrc uero confonar. Trochum aute cu Horatius inrer excrcitariones connumerer in arre poerica , Jndoctusq. pilae ydifciuCy trochiue quicfcit , 'HS ipiff^^ rifum tolLant impune coronae : Cumque Propertiusinter gymnafiorum cxcrcirariones rccenfeat: pro- T E R T I V S. A procuiaubio ad gymnafticam aliquam pcrtinuifrcconfcntancu ra- tioniuidctur.&: ob id cum ncquc milirari,ncqucathlcricac iurcat tnbui qucar, fupcrcft nicdicinac ^ymnafticac cxcrcitarioncfuiflc, & illiuspracfcrtim^Cipucriscxcrccndisopcra nauabar.IWscrtamc cxillimarictiamadmilirarcmaliquopadopcrrinuifscquod rcfc- rat Ammianus MarccUinus li. 2i.iulianQ Cacf. apud Parifios uai ijs fcfc cxcrcuifsc motibus in campo , ^ inrcr alios quodam qucm du faccrct axiculis quis orbis crar compaiiinatus in uanam cxcuds an- famrcmanlilsc illam,quamrcrincnsualida manu ftringcbarrcxquo loco Turncbus fummi ludicij, &: crudirionis iurc ccnfuit ciufmodi cxcrcitarioncfuifsctrochum.Hisdillimilcmformahabctcxcrcita- tionis illud gcnus,quod,non multis ab hinc annis in Rcgno Ncapo g litano inucntum,hodicq. in uniucrfa fcrc Europa ufitatu, apud Ira- los Pilam &: mallcum uocanr.in hoc crcnim primo brachia, &: dor- fum cxcrccnf,qn mallcis ligncis pila ligncam longc pcllcrc cogun- tundcmum cx ambularionc,quac rali cxcrcirarioni pcrpctuo afso- ciatur,ca commoda fcrc rrahunrur,quac anbulantcs homincs pcr- cipiunr.urhisrationibus, licct antiquum non ht,minimc contcmni mcrcarur. quamquamaliquisanriquoscriamhaccxcrcirarionc no caruifsc forfan contcdat,cum apud Auiccnnam inrcr cercras cxcr- locckxdt cirationcsunumnomincrur,quod uirgis rcrortis divflis alfulcgiaa cumpilamagna,aurparualigncacflicicbatur,quasconditioncsap primc noftra pilamallco conucnirc unufquifquc uidct, nili alias ta- cucrit Auiccnna,quod fuo rcmporcnotilfimaccf^cnr. C Dc Equitatione. Cap. IX. ACTENVS cas cxcr^ irarioncs profccud fumus,quas homi- nesafcipfis cirra alrcrius rei adiumcntumobibant. Supc- ^ ''^•ft modo fcrmoncm habcrc,in quibus homincsqui- dem fponrc,^ quodam modo libcic moucbantur,ar coru morus al tcrius moucnrisopepcrficicbantur.quod cnim Galcnusiftis duo- ^.dtuva. bus addidir gcnus cxcrciiarionis a mcdicamcntis favTtum , minimc adinftirutum noftrumpcrtinctridcoilludfempcrdimifsumhacra tioncintclligatur.lntcr haccpoftrcma primum locumiurc fi')i uiii dicat cquiratio a Graccis mcdicis iTTTrccaU uocara , ncpc quac cctc risdignior/ir,&:Iibcrumhomincm,urfcriprir in Lachctc Plaro,ma ximc dcccat,nccnon vrriufq. cxcrcitationis naturam, illius fciliccr, quae anobisipfis,&:iIlius,quacab alijs in nobispcragirur,fccundu Galenifcntcntiamfapiar. Equitationisprimuminucntorc Jiclloro- phontcm i«8 L I B E R phontcm exftitifse,auaor eft Plinius.poft Bellorophontem Thefsa- D li.xc. y^. |- j j Centauri nuncupati cquitationc in bcllis uti coepcrunt , q lib.^ acre paullatim ufq. adeo creuit, ut Hippocratis tcpore ocs fcrc Scythae aquis&io cquisucherentur.quicumob afliduas equitationescoxarum dolo ribus cruciarentur , per uenarum poft aures incifionem ab ilhs cu- rati,ad coitum ualdc impotcntcs cuadcbant; quamqua multi erant infaccunditatcm eam a Dijsproficifci fufpicaics,quos Hippocrates redarguit , quod diuitcsfcmpcr dijs amici , pauperes uero minime fint,(ut etiam Ariftoteles id ab Hippocrate mutuatus confirnuuit,) i.Rheto. g^pi.optereaacquumfuifsepotiusinopes,quam opulentos eouitio corripi, cuius tamcn contrarium cucnicbat.Poft Hippocratis tem- pora cquitatio fempcr , quemadmodum in Hippia a Phitone tradi- tur,in maxima exiftimatione habita fuit,^ iccirco omnes gymnafti caefpecicseam inter rehquasfuascxcrcirationcsrecepcrQt. Nam ^ quod in circis 6c ludis maiores noftri equitationis cerramina adhi- berent,praeter01ympicosIudos,inquosuicefima quinta Olym- piade equorum curfus certamen mdudum iradunt;tcftatum face- repofsuntquatuor illac Romanac faCtioncs.AIbatifciiicct , Rufsa- ti,Vcneri,&:Prafini,quae tum in circis,rum in ludis,ac alijs cqucftri buscertaminibusadhibirisequisjfiuc ad equitationem,fiueauriga tionemfemperccrcabant^tantumq. ftudiuequis oprimis eligendis, ac parandis cxhibebant,ut Galcnus dixcrit,Vcnctae,ac Prafinae fa 7. Metho. ^^iQj^i^ homincs ctiam ftercora cquorum odorare folitos,quo cx il- lisanimaliuhabirus,atq, tcmpcraruras internofcere,&:cognitisin- de mclioribus uti ualcrcnt, fi quidcm harum fadionum conrentio- ncs potiundi uidoriae cayfla talcs crant,quae ncc uUis fumptibus, p ncc vllis laboribus ac ftudijs parccrc qucmqua pcrmittcrcrreo ma- gis qd' totaurbsquafiquadripartita crat ,alijsuni,alijsaltcrifa(ftio nifaucntibus^nec ullapnrs ciuiratis repcricbatur,aur ullushominu conucnrus,in quibus ccrraminum temporc dc huiufcemodi fadio- nibusaur ftudiofiflime non difccptarctur,autfaltcmfermonon ha- beretur,quemadmodum *ex Plinij lexta noni libri Epiftola,atq. his Marrialis ucrfibus quifque conicfti.ra afscqui potcft. lib.n. Saepius ad palmam Vrafinns pGjl fata l^cronis VtruLnit,& viitor pracrnia phira nfert , I nunc liuor cdax , dic tu ceffiffe T^crom . ficit nimirum non l^ero , jcd Trafmus , Dc Vrafvio co/iun^a meas , enetoqiic lonuetUY ^ 1S{€V fadcht-qucmciuam pocula no^lrateum . quamquamluuenalis maiorcm Romanae ciuitatis partem Prafi- nacfadio- T E R T I V S. 16* B A naefacrionifuifsctcmporcfuo, quando Maitialis quoque flomit, teftari uidcatur hisucrfibus. Touvi hodie l\omam CircHs capit, & fr-ignr aurem TercutityCMcntum viridisquo colbgo pMin. T^am fideficcret, maeftjni,attvnuamrjue vtderes Hanc v)b(tn, veluti Cunnarum in fulucre vMiS Confulibus. Has ucro in f aucndo diucrfis fa(ftionibus hommum acerrunas con- tcntioncs indc ortas fcmpcr cxiltimaui , quoniam Romanorum quorumhbctucftimcntaqu.ituordumtaxatcoloribus tcxcbantur, vclrubco,vclalbo,ucluindi,uclucncto,icdpraccipucrubc()ma- gis fufco , ut Martialis hifcc ucrlibusindicat , dc Canudna lana ru- bca tufca fcrmoncm habcns, I{pma magis fufcis veRitur, Cj//m ruHs , lib- M. EtplaccthicpHcris, miittbiisivicculor. &:obhocquicumqucci ta^ioni taucrc cogcbarur.quacfibi fimi- lcm colorcm profitcbatur . Etfi huic fcntcntiac rcclamarc uidcan- tureaOuidijucrba. Cuius equi venicnt,fai.'.toftudiufc requiras, ,. je jrte XVf mora,quifiuis etic , cns fauet illa ,fau'. auundi. Scd dc equitationc ludorum ,&:fpcaaculorum,quam & arhlctica uocarc licct,plura non dicam : quoniam cruditillimus Painiinus lu- culcntirtlmc fimul,& copioliilime iu libris dc ludis ^iuos iam cdcre parat.uniucrfamhancmatcri.im pcrtradauit. Ad bcllicam gymiu- fticam acccdo.quam ad acquirCdam cqucltrcm pro bcll-s difcipli- nacquitationiscxcrcitioulamtuifclocupIctilhmctclbtuscflPIa- y.Jdcg. to-ubi non modo uiroscquis armatos,acq. incrmcscxcrccri fiatuit, r ucrum pucllis quoq. talcs cxcrcitationcs iniic concclTif, cafq. intcr cctcras bdUcacgymnafticacfpccics, fiuc partcscuidcntcr collo- cauit ficuti Xcnophon paritcrfcntiieuidctiir.apudquc ilchoma- chusuitac fuac rarioncm Socrati cxponcs fic loc|Ufnr:;/tTa A t« iuoarxrw rxts ^ r£ w»Ai/Aii «fxyKxicM iTTTTXirixts o vTt TcxxyiDV ovTt kxtko - rm,^rrr.rx £ R Trai-T**^^^* ,^o; JJ,x«^.Tr^. lioc cft . Pcrlunoncm olfchomachc fic agcndo ni.h. placcs,quandoqi,idem uno tempore coJlcdim fanita ti, atq. robon acquircndo opcram nauas, nec non ad bclla te exer-

ces , diumj/quc accumulandis inuigilas , quae omnia admirarione digna nnhi plancuidcnrur. Exhiscnim,&:Ifchomachi, &:Socra- tisfcrmonibusclarillImumargumcinumcIicirur,antiquosadbcl- Jicas dilciplinas comparandas cquirarionibus ufos.Quod uero me- dicorum gymnalhc cquitarioncs ad nmiratem rccupcrandam tuendamuc, nec non ad oprimum corpori bus habirum ingeneran- ^^'^"' fcdimonium fufficcre dcbeicr:qui inrcr rdiquas gymnaftr E cac exercirationcs minime infimum locum eam obrincre, cum nc- dum corpus fcd etiamfcnfuscxcrcear,fcribit:ni/Iquoquc Anrvlli LoccKac. Act«j,&poftremo Auiccnnae comprobatio acccderct, qui tam n'rrr "''^'•^'•',''"^'- opportunas cxcrcirarioncs rcpo- luir.nam&GermanicumTiberij hnpcraroris ncpotcm, cumcru- rum renuirate dcturparcrur, cquirationc a medicis impcrariHam curafsc mcmonae prodidir Suctonius:ut hoc excmplo pcrfuafi cre derc debeamus, cquirarioncm ramquam utililllmam a mcdicis fcm pcr magnopcrc cxiftimaram fuifsc:quamuis & apud ipfos ualdc re- .ZllZT,"^ r V"" "^l"^ "chcrcnrur, & iJlis an gradarijs, aa afturconibus,an fuccufsatarijs,an concurrcnribus:quorum omuiurn diuerfas operarioncs fuo loco explanabimus. F DeCumliruefjiatione. Cap. X. I X I M V S duo cfsc cxcrcitarionum gcnera , alterum in quo homincs a fc ipfis folum moucnrur, alrcrum ab alijs, hiic, ut Anftordis morc loquar,alrcrumin quofuapte natura,a!rerum in quo alio moucnrc fcfc cxcrccntcs mo ucnrur Dc primo fupcriustradauimus , dcalrcroquod geftatir a Cocho Aurchano: &: Plinio communi nominc , ab Antyllo , Herodoto, GaIcno,aIijfqucantiquioribus mcdicis Graccis diiex » de tfie ^^•^"'^'^»^"^ "«^rl^-i ^^accrc polhc.ti fumus : atquc iam de ^^:^- cq"'^^"'0"c,quamGaIcnus mixtum motum fccir,fc.-moncmex. • phcau.mus. adal.a.gitur rranfcuntibus primakfcoircrrin curri- bus ue^tutio,quam antiquillimam fuifsc, ncmo inficiatur.fi quidem ut T E R T I V S. 171 A vt Ar^ti uetuftiis intcrprcs tcftatur,primu5, ciui equos curribus iun- xerit fuit Ericluhonius, quem ob id intcr caclirum imagincs rclatu fcribit Maniliusprimoallronomicorum. Porroforma,&: modus curruumdiucrfusexftitit.Nam Pliniusmatcriam cunibus faciun- dis idoncam abietem probat, rotarum ucro axibus Ilicc, fraxi num, atque vlmum . Vnde elicitur uetcrcs cx huiufccmodi lignis currus fabrica(Tc,qui prioribus illis facculis duabus tantum rotis conllrue- bantur.alias duas audtore Plinio addidcrunt Phrygcs. Scythas po-^^-^-cj^ ftca ct fcx rotis currus conftruxilTc mcmoriac tradidit uctuftilfimus j-^^ ^^^^ auctor Hippocratcs.quae rotac Homeri tcporibus ftanno ornaban- aqui$ & tur,at porterioribus facculis no modo rotas,fcd tota uchicula cborc ||'^*^*^ ornatafuilVe,legimusapud Plautumin Aulularia,ficuti Plmij tcpc- ftate tota efTeda atq. uehicula auro,ac argcnto indgnita confpicie- B bantur. Varijs practercarcbuscoopcrtafuilTcucrifimilcuidctur, plcrumq. autcm pcllibus,qucmadmodum in probl. Romanis fcri-* ptum reliquit Plutarchus : licuti aliquando equis,aIiquando mulis, aliquadobobusintcrdum uirisagifolita lcgitur.Quin Hcliogaba- jnu^J^j^^g lum non modo uaria,3i: moftruofa animalia,(cd ctiam fbcminas nu- liogab, das curribus iunxinc,ijfquc ipfura ucdum c(fc,tradunt.Hacc porro geftatio in currib. facta olim Romac inter mulicrcs in maximis de- licijs habcbatunad tantumq. luxum aliquando pcri!cnif,ut cas ipfa vtifenatufconfultouctarc,coacii finr Romani. cuius rci gratia cum muliercs ira percitac inter fcfc confpirallcnr, nc qua eorum conci- pcrct,ncue parerct , atq. ita uiros ulcifccrcnrur , Romanos muraffc fcntcntiam,a:q. itcrum illis curribus uti permilifsc,fcrip:is manda- uit Piurarchus . In quibus dcinccps nc fcdcrcnr, ncuc cquis pcr ur- C besuchcrentur. M. Aurclius Anroninusphi[ofophus,matronarum confulcns modcftiacdcnuo prohibuit. Ncq. minus apud gymnafti cos haec ipfa geftatio acftimaia n pcrirur:quado,fiuc ]udos,&:facra ccrtammafpcdtcs, fiuemcdicorum librospcrfcrutcris,inomnibus ca uhrata apparcbi t.Quis quacfo nefcit nona 6c nonagclima Qlym- piadc curruum ccrramcn in Olympicos ludos inucCtum. Quis igno ratSynoridas,quibusanimas nollras Platoin Phacdroclcgannin- mc alfimilauitjncc non bigos , quadrigasuc curruum gcncra in pu- blicisfacrisfrequcntcrcerrafsc?quodpoftea ftudium ira apud Ro- manosexcultum ,arqucau6tumfuir,utpauca,ucl nuUafcrcpubli- cafpcdacula edcrcnrur, quin curruum certaminibus honorifica praemiapropofita (pcctarcnrur . OJb quac rcfcrr Plinius in quadri- ^'^-^^.c.t garumcertamine ,quod Larinarum fcrijsin Capirolio cclcbraba- rur,pro pracmio uiftorcm abfmchium bibcrcconfucuilfc, quafi fanira- 172 L I B E R fanltatem inpraemium dari ualde honorificum arhitrarenturma- D iores. An vcro gratia bellicae difciplinae adjpifccndae ucaatione in curribus utercntur ueteres , nil certi affirmare audeo . Exiftima ^ paed. tamen cum ab Homeri aetate vfque ad Xenophontis tempora , at- queetiapoftenoribusfaecuIisperduraueritmos,utinbeIlisecur- ribus quoq. dimicarcnt,quemadmodum in equitatione exerceba- tur,quofierent bcllisgcrcndisaptiores: fimiliter&incurribusfe exercerc ucteres confucuifle , ne , cum pugnandum erat, tamquam inexercitati J&: diuerforumagendi currusmodorum expertesfu- perarentur. Cctcrumquod medici gymnafticifimilemuedtatio- nem tam pro fanis conferuandis, quam pro aliquibus aegris curan- disinufumrcceperint, clarillimc tcftatifunt Galenus, Antyllus, h^Yil ^^^^^^^^^^ ' ^^q^^^ Auicenna : qui non modo eam inter gymnafti- • * cae uerac exercitationes reponendam volueriinr, immo & febrici- E tantibus (quod paucillimis exercitarionibusattributuminuenitur) tamquam maxime commodamcclebrarunt. huius etenim quaii vafrn^^^^^"^^^^^^^^^^"^^^^"^^^^^"^^' altcru,inquahomincsueai va.cii. fcdcbant.alreruinquoiaccbanr.atqueutraquchaccraroinurbe, frequcntiflime per uias , &: extra urbem pcragcbanrur. iccirco fcri- In probl.ptum eftaPIutarcho, Romanoscoaaosfuiflcin Scptimontij fefto ^o^- prohibcre, ne ea die vchiculo uti liccret, ut vrbs,&: fcfti celebratio non relinqueretur. Nunquidautemfanifimul,&:ualerudinarij in ijfdemuehiculisexercerentur, indicafle mihiuidctur Herodotus apudqucmlcgirur, febricitantescurribus, qui manu ducuntur, ' ncc non bigis geftari foli tos, atque illos a pi-incipio pcr triginta fta diamoucri, deindeca conduplicare; hos a ftadijs triginta, aut quadraginta initium duccre, &: ufque ad fpatium altcro tanto P maius progrcdi confucuifle . Sanos ucro omnibus curribus, &: te- ais , &: apcrtis fine ullo difcrimine ufos cfsc , ucrifimile fit : etfi for- tafscprincipcstcdispotius, quam dctcdis ucdtoscredere pofsu- mus, quadorcfcrt Dion hiftoricus, Claudium Caefare du profpera ualctudine utcrctur,caputq. trcmulu,&: manus,ac linguatitubantes habcrct,primu olum Romanorfi vehiculo undiq. obrccto gcftatfi ef fcficuti Pliniusiunior ob oculoruinfirmitatc fc aliqn vsu illo tcfta^ tur Epiftolarum lib.7. ita kribcns ad Cornuru fuum: Pareo collcga ,,clariflimc,&:infirmitatioculorum,utiubcs,confulo.Na&:huc tct\o , , uchiculo undiq. occlufus, quafi m cubiculo pcrucni . £x his igitur oibus cuiq. cognofcci-c licct,talcm cxcrcitationcm no minus ccte- ris gymnafticis probara fiiifs? , quippc quos , &c non aurigas moruu ommum cxhac gcftacionc contingentiufaculcares, &: conditiones probe- T E R T I V S. 173 A probe intcUcxifrcfcribir Galcnu Je//a. Cap. X U ECTiCAM , atq. fcllam ob commoditatem potius eorum, qui vcl fcncviutc , vcl morbo impcditi ambularc pcdibus non potcrant,ucl ob dclicias, quibus fcmper homincs llu- ducrunt,inucntam fuilTc^t^ob aliud,non dcfunt qui opincntur: ncc forsa finc ratione;qnquidcm nuUa apparct probabilior caufla, qua indudi uctercs huiufcemodi inllrumcnta cxcogitaucrint , \ quod cquitarc,^ pcdibus ire ncqucuntcs,aliqua rcm optaueriiif, qua do mo cxirc.p vrbcs uagari>iter faccre quam commodc ualcrcnt : nifi dicamus,impcratorcs,Rcgcs,atq. Principcs nc in facicndis itineri- bus a folcui ucnto, pluuia tcmpcrtatc , atq. fimilibus oflcndcrcntur, lccticas,&: fcllas vndiq. obtcgi,6c rctcgi aptas inucniflc,quas alij po ^ ftcadiuitesluxus,ac uoluptatis,fiuecommoditatisgratia,&:pollre- mo mcdici,gymnaftacq. ad vfumhominufibiipfisconcrcdirorum traduxcrint.vtcumq. fit,conftat ,quosnupcrrimc diximcdicos,atq. gvmnallas illas ad cxerccnda fiicpc ualctudinariorum,rarius fano- riim quoq. corpora vfurpafle.Scncca cnim Epilt 5 6.ita dc gcllatio- nc loquitur. Agcftationc cum maximc ucnio non minus farigatus,q, fitatumamI>ulaflcm,quantufcdi:laborcftcniin diu fcrri,ac ncfcio, an co maior , quia contra naturam cit; quac pcdcs dcdit ut pcr eos ambularemus,ocuIos, vtp cos vidcrcmus. Dcbilitatc nobis induxe rc dclitiac&quod diu noluimus,poflc dciiuimus,mihi tamcn ncccf fariumerat concutcrccorpus,utfiuc bilisinfcdcrat faucibus difcu terctrfiuc ipfe cx aliqua cauflii fpiritus delior erat,extenuarct illum iaftatio, quam profuifsc mihi fcnfi.Quac ucro tam lcdticac,qua fcN laeforma fucrit,nil itaccrtuhabcf ,quin dubitarccuiuis liccat, at« lamcn vcrilimilc cft,in capulumar,&:lcdulum ftratum fuiflc,quo &: iaccrc. 174 JL i B £ k iacere,&fcdere,&:prout Iibebar,quigeftarentur,pofIenr.anm cete D ris fucrit noftrae diflimilis , uel potius fimilis jcredo non admodum diflimilem exftiriflc^nifi quod noftras a mulis,uel equis ferc fcmpcr geftatur , illa antiquorum ut plurimum afcruis kx portabatur, atq. ob id Hexaphoros nuncupabatur, uri ex his ucr/ibus Martialis Lib.s, pcrfpicuum fit,inquibus Afrumquendainpauperem,&:iuueneiu deridet,quod Icftica gcftari uellct. Cum jis tam pauptr quam nec mijerabilis Irus , Tam iuums , qnam nec Varthenopaeus erat , Tam fortis, quam nec cum uinceret Artemidorus , Quid te Cappadocum jex onus effe iuuat ? f^deris , multoque magis traduceris ^fer, Quam nudus medio ft fpatiercforo , 2{pn aliter monftratur ^tlas cum compare mulo » Quaeque vehit fimilem hellua nigra Lybin , £ Jnuidiofa tibi quam fit ledica requiris ^ T^on debesferri mortuus Hexaphoro : fimilitcr &: ubi Zoilum carpit , quod lc£kicam fandapilac fiue fere- tro mortuorum fimilem habcrct. tlh,!, Laxior hexaphoris tua fit le^ica licebit , Cum tamen haec tua ftt T^oile fandapila . Lib.^. Nam exhisliquido intclJigerequifq.poteft,le(flicamferefempcr rcmfulm!^^^^^^^"^^ qucm vlum Cappadoces Marrialis, Gcrmanos TerruIIianusadhibirosfcribunt)fiqueinterdumaliquis lcdicariorum numcrum augcre uoluifset, prorinus fuifse norarum , qucmadmodum idem Marrialis indicauir, ubi Philippum qucnda infanum uocat , quod ab odo fcruis Icdica eius ob quandam diui- tiarum inanem oftcntationem pcr urbcm geftaretur , OBaphoro fanus portatur ^uite Vhilippus , F Hunc tu ft fanum credis ^uite ,furis . Cumitaquclcdica antiquorum itafchaberet,nonmodoprofedc commoda, uerum ctiam conciliando fomno,dum claudebarur in- fcruicbar,ur luuenalis reftatur his ucrbis. Tslamque facit fomnum claufa lcHica jenejira. tamq. frequcnsillius crat ufus,ur caftra Ie£bicariorum,qui folum gc rendislcdticis , ucl criam marronis in eis dcponcndis,ac gcftandis, ur eft apud lurcconfulros mcntio , dcftinabanrur, pluribus in locis habcrcnrur,in quibus&:iuraipfisdabanrur,&: aliaincaftris ficrifo- litaagcbantur,quamquamlibcrtis omnibus Icsftica perurbemge ftariuerirum crcdam, Sucronij audorirareinduilus, quiClaudiu Impcrarorcm Harpocratilibcrro ledica per urbcm uchcndi fpefta culaq. publiccedcndiius rribuiflcfcribir. ArquifcIIam duplicem fuiffc T E R T I V S. J7$ A finffctradidit Antyllus,fiucpotiusciusintcrprcs;aItcrani,Hi qua fc^»'- i-chro. cicbant,c]uac ucl coopcricbatur , ucl apcrta lincbatur,&: a nonnul- lis,ucluti a Coclio Aurcliano,porratoria fclla,ac fcrtorium diccba- turuilrcram in qua iaccbant.primam quoq. tcmporibus noftris ui- dcrc licct,cum podagrici,diuitcs , atq. alij principcs dclicijs nimis dcditiillaquotidicuchantur ,quaitcm uiros magiftrarum gcrcn- tcs olim gcftari confucuiflc,atq. indc currulis fdlac, in qua ranrum fcdcbatur,nomcn cmanaflc arbirror:fccundam,in qua iaccbar,non habcmus^quod cgo fciam,nili dicamus lc€ 17:6 L I B E R Dc Agitdtione per lcCios fenfdes , Gr* ^er cunas faCta de ^ Scimpodio^ Ca^. Xlh VOD agitationcm pcr ciinas , &: Icftulos pcnfilcs , quos d uos fub KhivH^ vocabulo a Graecis complexos fcntio,fo dtam inter gymnadicae excrcitationes recenfere velim, lorfan aliquis mirabitur^cum hac tempertatc cunae io- lis pueris cblandiendis inferuiant,p aucilTimiq. finc , quibus medici pcnfiieslcftulos parari iubcant rucrumtamcn ismirari definet,{i Galenum,Hcrodotummedicum ,Actium, &: Auicennamdiligen- tcr icgcrc placucnt : qui cum hui ufccmodi agitationcs inter alias corporumhumanorum exercitationcs adnumerarint, cur amefi- Icntiopraeteriridcbcant,nonuidco. Nam cunas ob pueros po- tius,quam adultos excogitaras fuiflenon equidcm diffitcor,fcdpu-^ to talem motioncm interdum ui ris cum ad lcnicndos dolores, tum adconciliandumfomnum non parum adiumenti pracftarepofse, Oriba lib. u t pracclarc fcriptum eft ab AntyIlo,&: Aetio, apud quos lc6tus fiil^ h^fte. cramobiliaiuxtaangularcs pedcs habensnilaliud meafemcntix fignificat,quam cuna^s ipfas,quas etiam intellcxit Cclfus,vbi dixit,(i „ ne id quidcm eft,uni lcdi pedi certe funiculus fubijcitdus eft, atq. „italea:ushuc,&:illucimpellendus.&:fi Oribafij interpresnomen jtAiF^spro Icdtica transferre maluerit , & iccirco omnes illosprorfus falli crcdo , qui in gymnaftica medicorum eas nullum ufum habe- re cenfear. Quibus fimilis quoq. eft exercitatio illa puerorum,duni in vlnis a nutricibus geftantur , quae ic a medicis, &: a Platone pro ^ ipforumualetudine miruminmodum probatur. Eadempropeeft U.'2.^.ca.3. tamlcquiavulgatae,&:omnibus manifeftae clsent . Quaetemporibus noftris cum a plerisque ignorcntur» opcr^e T E R T I V S. 177 A opcrnepretlum me fadurum fpcro, ii bi cuiicr , qujd fcnrio , in mc- dium artcram . Kam ck* lcchilispcnlilibL.sqi-ev piiinum ab Afcle- piadc cxcogiiatos rradit Plinius, opinor cosruiflclcctos quofdam^*^**^'^ ! paruosmodo c\'ligni:>,modocx acrc, modocxar^^cnro (maiorcs nollros criam argcnrcos lcrtcs babuifle A ripfir Plinius) conftru-^*^-^^^-^ (ftos,qui quatuor angulis runibiisadcubitium Inqucaiiaalligaban tur,ita ui rcrra fubla'^i aliquantulum,qua{i in acrc.pcndcrc uidcrcn tur.Balncafimihtcr^f^enhlia a Scrgio Orata,tc(lc plmio^primum in- lib.^.c.r^ iicnra,non quac fuprauClAtkbanr^ai^rconcamcrata l(>ca, ut uoluc runr aliqui;,lcd nuIlaa!iat"uin*ecrcdo , qiiani labra illa ucl marmo- rea, uclacnca>ucl Ifgnca^ad lcc>ulorum imirarioncmlaqucaribus appcnfa, quo mmimo qucliber manunm impii!fu,a!ias!enitcr,a!ias uchcmcnriusagirari ualcrcnr. quod Scnccaad LuciIIum fcribcns B nobis manifcrtauit hisvcrbis. Jjalncarum fnpcnfura inncntacft: nequid ad lautitiam dccflcr . His igirur moribus quolcumque cxcrccri mcdici praccipicbanr , huic uni porifTimiMn iludcbanr, yr morum citra Jaborcm, Jalfirudmcmic ullam aflcrrcnr: dcin- cepscurabanc.nciniexcrcirationc iliaiucundiras dcliderarcrur, quac profcLlomaglia in lcflulis, armaximain l.alncis rcpcricba- tur, ncmpe quac pracfcr luauillimum iHum morum ,aquac dclc- diaiioncm addcbanr, dum ca molliiTMic , blandaquc ntillarione quadam (ingula corporis mcmbra rangcbanr. fi namq. balnca pcn- filia eafuiflcinrclliganrur, qunc fupratcifta ficrcnr, quomodo in illis maior illa uolupras, ob quamlccundum Scnccam&: Plinium excogirata tucrunt, rcpcrircrur,quam in alij5>,non uidco . Dc pcn- lili lccto dixir Hcrodorus , gcftarioncm in illo t.imdiu facicndam C cfsc, quadiu quifpiam in fclla gcitaius quadraeinra Itadiorum ircr conficjcbar.alrcri ramcn ciufdcmaucttorisfcnrcnriac hbcnrius ac- quicfco>vidclicct huiufccmodi cxcrcirarioncm,quatacfse debcat, facile numcro dcriniri non pofsc. quod non rantum in his , fcd &: in omnibus alijs fcnrio obvarias, acdiucrfas acgroranrium affe- itioncs, quibus non cadcm vJlo modo conucnirc* pofsc , oinncs vel mcdio critcr in mcdica arrc pcriri uno orc pracdicanr . Lcftulo pcnlili fimilcaliud inflrumcnrum uctcrcs habuilsc iiuicnio ,quoJ QKitiTriJ^m Gracci, fcimpodmm Larini codcm vocabuloappclla- runt. huc licctnufquamappcndcrcnr, crar tamcn vcl lcdtuspar- uus, vcl quidinformam lccti pcnfilis conftrudum : arquc ipfopcr Yrbcs,& pcruias ram uiri quam muhcrcs gclbbantur,ur Dion hi- ftoricus dcmonftrar,fcribcns,primo Aug'iliu,ac Tibcrium in fcim- podijsquandoq. uchi folit05,cuiufmodimuIicrcs rcmporcfuo gc- N 2 Itabanrur, 178 L 1 £ R ftabantur, fecundoquod Seuerus, dumBritanniamobirer,fcimpo- D dio undiq.obtcdoferebatur. Ceterum quahshuiusinftrumcnti figura exftiterit,haud fatis conftat: putandum cft tamen fellam f uf- fe ita fabricatam, ut ledum plumcum paruum caperet,ita ui nxftum, utpenderc viderctur, inquofinonpenitusfaltim exaliquaparte, qui ferebantur,iacebant, &c vndique^ ne ab aeris iniurijs laederen- tur, coopcriri poterant. hoc intcllexiffe meo iu dicio uidctur luue- nalis,cum Crifpinum quendam mordcns diccbat. Sat. I. dedit crgo tribus patruis aconita , vehatur Venftlibus plumis , atque iliinc defpiciet nos ? dc eodcminterpretanda efthaec infcriptio quam mihideditAl- dus Manuiius Paulli dodiffimi , &: eloquetiflimi filius cruditiflimus, quamquc Parma ad Andream Naugcrium olim allatam retulit. E D. M L. AEMILI. ViCTORI. QVI. PRI DIE. NATALEM.SVVM VICESIMVM. ET. SECVNDVM.PRVNA. I N. PENSILI POSITA. VRGENTE.FATO. SANVM. IPSE.NECA- VIT. SE. L.AEMILIVS. VICTOR. PRINCIPALIS.ET AELIA. VENERIA. FILIO. PIENTISSIMO E T. S 1 B 1 10. Mcth. neque aliud fignificauit Galcnus , quando balnea ingrediendi mo-dumhedicispracfcribens haccfcriptismandauit: ccggCfjsoOt/rccSQu-^ TioiAcci Ko^i^^ai ^iv \ial rov cmiiATroJ^o^ltsriHcchccniou , idelt, aegrotan- temuolo portariin fcimpodioadbalneum. nequealiudLibanius Li.j^.c.io rhetorinlibrodefuaipfiusvitaintellexir,dumdixit:cLidomi fum, F in le^to iaccoivbi vero in fchola,in fcimpodio.ficut etiam idem in- tellexi t GcIIius,ubi fcribit, fe Frontonem Cornelium pedibus gra- uitcracgrum infcimpodioGraecienficubanteminuenifle. Patet itaque non modo ob delicias,atque uoluptates a maioribus noftris iedlulos, ac balneas penfilcs , nccnon fcimpodia ; uerum ctiam, &a medicis gymnafticis ad cxercenda valetudinariorum corpora vfur pata fuiflc . Quale porro fuerit inftrumentum illud machinamentu li.3.c.^.& raptorium,&: macron fparton a Coelio Aureliano uocatum,quaIii- 11. y.c. yJt. apud eundem rccufsabilis fera Italica nominata , quibus duo- bus geitabantur, nonduii) mihi plene compcrtum eft , cum a nullo alioau(5loreipforum mentionem hucufque faitaminuenerim. nifi tucrit. utfupra diximus ,petauruii>, uclpotiusfic Coelij contextus deprauatus. De T E R T l V S. 179 De O^AUigiitiotiey Ti/cAtione. Cap. XlII. NTER gcftarionisfpccics,quacplurcscxerccndis cor- poribus cxftitcrunt , nauigationcm quoq. rcpofuit An- tyllus , quem fccurus Aerius , 6i poft cum Auiccnna ma- nifcftccampro cxcrcirationc habitam dcmonftrat; id quod utriqucnon ramabcxpcricnriamcoiudicio dclumpfcrunr , cjuam ab antiqua diuini Hippocraris fentcntia , qui nauigationcm &: moiicrc corpus, pcrrurbarc dixir. ni(i quod Auiccnna nauiga- 4.Aph.i4 tioncm inrcr dcbilcs cxcrcitarioncs adnumcrauir, Hippocratcs ue ro eam corpus magnopcrc pcrturbarc afscrir, id quod potius uche menris quam rcmilli motus argumcntum vidcrur . Hac nauigatio- nis excrcitarionc duas pracfcrtim gvmnafticas, fcd non admodum B ufasinucnio, mcdicam fcihccr,&: bclhcam . Mcdici ca utcbanrur ucl ad ahquorum fanorum habitus confcruandos , ucl ad nonnul- lorum acgroranrium fanirarcm comparandam, ad (anos urcbanrur nauigationc,quod(i!t ab Ariftorclc fcripnim cft) marcob placidas i partjV. afpirarioncsfalubriratcm inligncm facit,undc nauiganrcs fcmper ^^^^' ^^* coloratiores exliftunt,qu;im m paludibus dcgctes.Ad acgroros uc- ro,quoniam idcm humorcsputridos, ac nocuos rum uomitu,qucm frequentiftinxinfucris praefcrrim parir, rumucnris,ac vaponbus ficcisex/iccare narum cft.quare dicebar Auiccnna nauigarioncm 3'''^oc.i, leprae,hydrop](i,apoplcxiac, ftomachi frigidiratibus,nec nonin- flarionibusciufdem magnopcrc prodcfsc. Plinius ucro&phrhifi-Jj^P '* ^ cis,&:fanguincm excrcantibusadiumcnrum afTcrrc Annaci Gallio * nisportconfulatum iracurati exemplo rcfta^us cft . qu: ircmab hu- C iufccmodi affcclis Acgyprum peri non ob rcrram ipfam,fcd pro- prer nauigandi longinquirarcm ccnfuit ; utcriamcius NcposPli- nius fccundus ZofJmum libcrrum fanguincm rciCLtanrcm co fc mi- ^ ^ ^pi^* fifse,&: confirmarum a ualerudineredijfsc narrar. quamquam au- dor illc nomine Plinij falfoinfcriptusin libro i.dcrc mcd. Icnfc-^-*^'^- rir phrhilicis utiiius c(sc in faltibus m( rari , ubi pix nafcitur,qua in marinauigarc&cmarinaloca uifirarc. quod etiam tradirumcfta Marccllo mcdico. nam &: Galcnus ix.dc linipl.mcdic.ubi dc rcrra Samialoquirur, mcmorar, multospulmonc vlccraros Koma obid in Libyam profcclos , annis aliquot inculpatos uixifsc , poftca ucro morbum recruduifse, ubi non pari cura uuicbant . Modus in naui- gationc ualcrudinarijs obfcruatus /ic ab Hcrodoro dcfcribirur, ^ .^, quod afcxagintaftadijsincipicbanr, i?cin duplum Iiorum dclinc- banr.Porro luuiijationis plurcs fucrunt durcrcntiac, quando aliac Oynwtilica^ N J in iso L I B E R in mari ,aHaeinfluminibus, aliaeinmagnis-, aliac rnpaf uisnaui-a bus,aliae remis,aliae remulco, aliae uento, aut uchementi,aut pla- in lib. de cidiorefiebant. De nauigationcperflumina traditumefta Plutar- ^^aufliiua» cho, cam minus naufeam producere , quam mare, quod tam odor, quam timor c maris adfpcdu proficifcenres corpora pcrturbant,ar- qucfic uomirumcicnt, quae resa fluminibus minime contin^it. conrra Coclius Aurclianus in inueteratis capitis doloribus cctcris

practulit longam pcr marianauigationcm> quoniam (vtipfe in- quit) fluminalcs, ucl portuoliic nauigationes , ncc non ftagnorum, incongruac iudicantur , nimirum quae caput terrcna exhalatione humcclantcsinh*igidant,maritimacuerolatenter,atq.fcnfimcor- pus apcriunr,&: falfac proprictatis caufsa corpus adurunt, atq. eius habirumquadammutationercficiuat.Hicigitur fuitapud gymna- fticosmcdicosnauigarionis vfus, quam paritcr bclUcacftudiofos E amplcxos fuifse diximus. quandoquidcm Naumachiac illac, quae a Romanis in circo,uelaIiquoterrae finuprope Tibcrimmanufa- &io tali cxcrcitarioni dcfignato rcpraefentabantur, fuerunt qui- dcm ad populum obIc(Sandum (ccundum aliquos praccipue infti^ tutac, qualcs ilhicquas ab impurilfimo Hcli ogabalo in Euripis vi £.Y vrbe ad marc huc prodimus pjbuiituyyt , procxcrcitio Gymna(lico,&: Palacftrico hoc habcmus.quacta- mcn pifcario cum a Plaronc improbara (ir,quod ncquc animus.ne- In fopnift quc corpus in ipfa cxcrccarur, lurcmcriro cam ramquam nulli uri- Jcm omncs fcrc gymnaftici rcicccrunr,nili quod ^jalcnusipfam in- i.itu $5. tcrcxcrcirationcs,quac limul opcrafunr,rcpofuifsc uidcrur, iicut ^P-'« & Auiccnnaingrcdicnrcm pifcaroriasnaucs dcbilircr cxcrccri cc- fuir. quorum fcntcntias duabus dc caullls infinnas rcputarc debc- mus,rum quia ncurcr corum cxplicatc , quid boni affcrac pifcario, Q declarauir,quali excrcirationcm huiufccmodi non admodum pro- barcnt > fcd communcm porius quandam fcrmonis confucrudincm fcqucrcnruri tum quia ipfcmcr Galcnus pifcatorum habitus du- ^ ros,arquc aridoscflc dixic.cuiusaridiratis rarionc Ariftordc pifca- mcd^mL tores marinos pilis ruris pracdiros cfse anrca fcripfcrac.unde mcdi- 3» p^rtic ci,qui bonum habirumcorpori cxcrcirarionibusacquircrcftudit, ^'^^^**- quomodo durum, ([^aridumcfticcrcpifcarioncuclint ,non uidco ; pracccrquam quod cunctac propc pi(carioncsfub(olc,&:inlocis facpe maloacrc plcnis pcraguntur, una cxrcpra maricima : ut his omnibus crcdcrc cogamur , pilcationis laborcm mcdicos parui aelhmafsc. Ncq. ramcn dcfucrunt Jnipcrarorcs,qui cxcrciratioius cuiufdamgratia inrcrdumpifcarcntur ,ccu dc Cacf, Auguftofcri- prum cft a^Sucronio,6«: dc Alcxandi o Scucro a Lampridio , dc (luo ira fcribitrVfus uuicadi cidcm hic fuir. piimum, i;t /i faculLis cfsc r,idc/lli cumuxorc non cubuifscr.marurinishorisin hu i'; fuo,in quo N A &:d:uos «2 L I B £ R & diuos pnncipes,fed optimos eledos,&: animassadiores,;m qucis & Apollonium,&:,c[uantumfcriprorfuorum temporum dicir, Chri- ftum,Abraham,&: Orpheum,&: huiufcemodi dcoshabcbar,ad Ma- iorum effigiesfacrafacicbar. Si idnonpoteratproloci qualitarc, vel vcd:abarur,vcl pifcabat,ucl deambulabat,uel uenabarur. Haec Lampridius.Quid aurem fucrinr pifcatorij ludi,qui quotannis mcn fe iunio rrans Tyberim a praetore urbano pro pifcaroribus Tyberi- nis,au(5tore Fcfto,agebanrur, nonduin ira cerrus fam,ur turo affirma re queam,arhlericam gymnafticam, cuius ludos fui(se,diximus,pi- fcationis exercitium habuifse. De Natatione. Cap. XI V. AGNA,&:fereincredibilis apud ueterefuitfemperna- tationis exiftimario , tanrumque per plura faecula illius vfus uiguit,utnonminus pucri narandi arrcm, quam primalirrerarum elcmenta edocerentur. quotempore cum nullamaior ignorantiae nota inuripofset,quamdum aliquis nec lirteras,nec natare fcire diccbatur, fadum fuit,ut pofteriores il lud in prouerbium conrra bardos, &: prorfus inerres continuo recc perint, adhucq.iraloquediconfuerudopermaneat,quando naran di peritia,fi non eofdem honoresobriner,quibus anteadtisfaeculis afficiebarur,falrem nec penirus neglefta , nec inurilis iacet . Ratio enim, qua impulfi maiores noftri narandi fcienriam ranti fecerunt , haecunaiudiciomeoexftirir,quodprimis illis remporibusapud 5c£^^^ rcfpub.quafcunq. viri fortesprac caeteris,ut fcribit Ariftoreles, ho Prob.y.& norabanrur,qua(i ab hisloIis,&ciuitatum filus,&: imperij propaga 2.Rhc.c:.4 ticpendc rer:&: ob id quifq. uel faltem maior nobilium, arq. eriam aliorumparscomparandaeforrirudiniufque aprimis incunabulis

incumbcbat . Quocirca,ut in naualibus quoque pugnis,quae runc frequcnriuscommitrcbanrur,in rranfeundis uadis,ac fluminibus homincs nandi arti confiii pcricula magis euadcre pofsent,mi- nusucformidarcnt, (quando facpcnumero milites mare ingrcdi coadi ob nandi ignoranriam fuffocabanrur , qucmadmodum exer- Dc Cyri cit^-^i ^yi*i cucnifsc memoriae prodidir Xenophon ) ficq. forricres minons jntcraquarum pcricula ficrenr,natarionispcritiam exrulerunr;qua «^pc^i^- ctiam rarione Komani uerercs,ut Vegerius fcribit,quos ror bclla,&: continuapericula miliraremdifciplinam docucrant,campum Mar llb.i dcrc tium Tybcri vicinum dclegcmnr,in quorum alreroarmorumexer miii.cio. citationcs inirenr,inalterofudorcm,p-uIueicmq.diIuerent , acfi- mul T E R T I V S. if, A mul natarepcrdifccrent >uthisrarionibus,ac VcgcrijauAoritate facilc lit iudicatu,militarcm gymuafticam nat.mdi cxcrcjtacione noncaruifse. Cctcrumpoflcnori tcmpore non modonaranoob difusrationcsufurpatarcpcntnniicrum etiamob ualctudinis con fcruarioncm,nonnullarumquc adcdionum curationcm mcdicis gy mnallicisipfiim probatam hiific Antyllus tcftatum rclic|uit. q:i". J itcmfcnfillc uidctur Galcnus inprimo ad Glauconcm,ubi Libo- ranribustcrtianafcbrc conccdit,utungantur,&: balncum ingre- diantur, ibiq. madcfiant,&: li uclint , ctiam natcnt . Qiiod cnim na- tatiocxcrcitationisloco habita tucrit ,practcr Oribalij ^uidorita- ^^^^ temdccaintcrcctcrasexcrcirationcstradantis, &:alauationc,dc: qua libro pollca dccimo fudirunc fcripiit fcparantis, ipfa qnoquc ra tio pcrfuadct, ncmpc quia in huiufccmodi morionc infignitcr uiii- B ucrfum corpus,&: mouctur,uc duobusmo- disnatabant, ucl inpifcina,qLiam m frigidario luifsc /upcrius dc- monftrauimus: (tamctfipifcinasapud Varroncm,&:aIios La:inae C linguacauvftorcspropriclocapifcibusalcndis, ^faginandis dica- ta fignificarc crcdatur)ucl in labris illis amplis,quac adhuc Rouiae uifuiitur . Qu^od in pilcinis , quac in frigidario tlicrmarum acdifi- catae erant,quafquc thafio lapide aliquando circundiitasfuifTc tra dit Scncca,iiatarcnt,omnium clarilfiaic ollcndit Ciccilius Plinius, Epm. 7,9^ qui in Epi(t.li.2.viilamiuam cxacliifimc dcpingcns,dc balnciscius itafcribit. indc balnci cclla frigidaria fpariofa,&: cf}afc,cuiusin contrari js parictibus duo baptiftcna ucluri cieda linuantur , abun- de capacja fi innarc in proximo cogitcs , adiacct undormm, hypo- cauftum, adiacct propnigcum ; balnci mox duac ccliac magis clc- ganrcsquamfumptuofac.Scdhoc clarius explicat li.^.ubi Tufcos luos defcnbcns iiitcr ccicra hacc habet . Indc apodyrcrium balnci „ Iaxuin,(5(: hilarc cxcipit cclla frigidaria,in qua baptirtcrifi aniplum, natare Iatius,aut tcpidius udis. Ex quibusomnibusfatisapcrtum

cft, 184 L I B E R tdyin gymnafijs fiue balneisueteres nare folitos,atque in higidan} D baptifterio alias pifcina uocata>de qua menrioncm kcit TertuUia- nus in lib.de baptifmo , & dc qua exiftimo locutum Galenum dum in y.Merhodi ficcitatcuentriculi laborantescurandiratione edo- ces,magis laudat lotionem in balneo fada Iv rocgHoXviJiHSg^is . ideft, inpifcinisnatando inftitutis,quam h70i\i4iKgotQm/tMig,c[[iamquam etiam pifcinaminterdum in area gymnaliorum acdiricatam credo, ut teftaturPliniusloconunccitatOjinquopoftdidaucrbaait. In areapifcinaeft:&: ante Plinium Maitialis, quili. 5. Liguhnicuiuf* dam infuUi importunitatem dcfcribcns dixit) In tht ftncjs fu^io Jonasai aurent > Vifcinam peto , non licet natare . ni uelimus Martialempotius de publica pilcinalocutum cflc,quam fuilfe RomaCjCx multis, &maximecx Regionum fragmcntofub E porticuCapitoIina intclligcrc poflUmus,vbi Vici publicac pifci* nac clara mentio habetur,de qua ita Feftus Pompeius.Pifcinae pu blicac hodicq. nomen manet,ipfa non exftat , ad quam &: natatum, cxercitationis alioqui caulTaueniebatpopulus: unde Luciliusait, Pro obtufo ore pugilc , pifcinenfis res eft. L)e huiufccmodi pifcinis fcriptum efta Dione Maccenatemomniumprimumm urbeaqua- rum calidarum naratoria inftituiflc . Quod ucro in labris illis fimi- liter natarcnt,ucl faltem natantium inftar mouerentur,conijcio , cQ ex magnitudinc labrorum,tum exuerbisGalcniin i. adGlauco- nem,quandoin tcrtianaecuratione natationemin aqua commen- dat:quoddc pifcinis gymnafiorum nequaquam intelligi dcbet ; tum cx Coclij Au rcliani uerbis , qui in capitis dolorc, atquc etia in p arrhriticis curandis , natationem minimc fub dio fad:am > nec non fcruentcm , atq. ctiamfrigidam probans,duo demonftrat;primum in locis claufis, &: ctiam apcrtis , qualis crat arca pifcinac , altcru ta in aqua calida,quam frigida natari folitum , unde clicio natatione feruentem folum in labris faditatam.cf fi Plinius in locis paulo an- te citatis pifcinae calidac mcntionc fccit,fub hifcc uerbis,Cohae- retpifcinacalida mirificcj exqua narates mare afpiciunt,dc calcfa ^ta ui foIis,&r maritimo fituporius^quam de fcruclac>aab igne ,ut intcIIigitCocIiuSjUerbafcciflc uidetur. Quac extra gymnafia,fiue priuata balnca cfficicbatur natatio, modoin fonfibus latifl]mis> modoinlacubus ,modo in fluminibus , modo in ipfo mari agcba- tur. dequibusfcrmoncm habens Ariftotcks,dixii,nichi?s ir mari, ' quan\influuionitari,diutiusqucibi moramrrahi ,quoniam ucluti mare aquaefuae corpulcria,cra(Tnieq. maiora>quam dulccs aquae fLlii- T E R T I V S. A fuftinct oncra,ita facilius corpora hominum cleuata tcn'cr,& confe qucntcr minusilla pcnctrarepotcft, cuin dulcesaquaco!) rcnuira- le luam citius,&: lcnius illabatur . Hxrra balnca quoq. apud aliquas nationcs loci pcculiares nando confti ucbantur , & idc(. KoXvitSHd^xL uocabarur,ftcuri legirur npud loanncHuaniZcliftamdc Jcfu ('accocap/p.. dicctc,«Tflc)/t,wcTiiy icMvfcJ};I^fflw/ TQ\/ ciMixiJL K(c$ w^itijubi nacaroriam Si- locanriquus intcrprcs iranlluli:. lraq.na:aLioncarccdismorbis,fa- nifq. corporibus cxcrccndis,&: confcruadis vfitaram fuKTciam Luis parcr: quando itc Ariftotcles fcripfit naranrcs in maii filubritcr cxi naniri . vcrumramcn illud animaducrri uolo , plcrumq. ob dclcsfla- tionc,6i: ad ardorcs,&:liccirares rcmpcrandas,h()mincs nararc con- lucuilfc,cuiU5 graria in acftarc dumraxat natan folitum luir. DcVcnatione. (ap. XF. RAECLAR IS SIMA cxrat GaIcnifcnreria,cxom- nibus corporum cxcrcitarionibuscaproculdubio vti- liffimam vidcri, quacncdum corpusfarigarc, verum criamanimam oblciflarc ualeac, 6c iccirco fapichtif- In lib. dc- ludo par- luc pilac. iimos illos haberi dcberc , qui in ucnationc cam cxcrccndi corpo- ra formam inucncrunt , in qua mirifico quodam modo laborcs uo* Iuprarc,quafiq. laudis cupidirarc ira rcmpcrantur , ur tacilc iudica- ri non podir, maior nc fit corporis , an animi motus . Acccdit huic^ quod natura ipfa , quac animalia cuncta hominis caulla produxit , ueaarioncm quafi praccipcrc , &: acccptam habcre , ut lcripfir Ari- i. PoJiu Q ftoteIcs,uidc'ur,quumin ipfa propriaspoflcllioncsacquircrcconc^ tur,fpcLtacuiumq. nullo fcclcrc conraminarum cxhibcatur , fcd fi- mul,&:corporisrobur,&:animi uigoraugcarur . Exquoncmonoa uider,quam j rudcnrcrfcccrintmcdici,(]ui pro cxcrccndiscorpo-* ribus,ijfq. ualidis,&: lanis conferuandis, ucnationc ranroperc acfti- manmr,cuius nimiruftudio antiqui illi mcdicinac parcntcs Ciii- ron,Machaon,PodaIirius, AcfcuIapiusufqucadeo,ficut rcfcrtXc- nophon , arferunr , ut non minus in ea laboris , quam in arcibus , in qLibusualde cxccllcbant, (ibi impcndcndumquoridic purarcnr, Ncq. ucrofolam medicinac gymnalticamhuiufccmodi cxcrcira- tioncm,fcd bcllicam quoq. &: achlcticam rcccpifsc,proba(scq. cre- dcndum cfti fi quidcm uel dclcvflationcm, &: gloriamAiuarum gra- tia arhletac Iaborabanr,ueI milirarcm pcririam,&: f(.rrirud:nc,qui- buibeilicacgymnafticac cxercirarorciinuigilabant/ifpcAcmuSj^ cumu.- Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioleca Nazion CFMAGL 1 .7.429 n6 L I B E R cumuhti/Iime omnes in ucnationis cxercirio reperiuntur, atqueD ineopraefertim^cf noninauibus dccipicndis, fed in terrcftribus animalibus fiiie dolo capiundis Jaboriofe uerfatur,dcquomagis noftramhanctraftarionemintelligi dcbcreuolumus. Etncfineil- li .ftrii:mau£lorum teftimonijs hancfcntctiamaudad( ri.in:ispro- ferrcuidcar,quomcdounaquacq. gymnaftica uenandi excrcita- tionc ufafic, iaminccptam uiaminfcqi.ensdcmonftrarc conabor. Qupdenimilla bellicacfortitudini affcqucndac maximumadiu- mcntum pracbcrc putarerur, locuplcf /fime teftarum fecitPIato, quipoftquam in Thaceteto^&y. dc lc^ibus /cnandi difciplinam in trcs fpccics , aquatilium fcili( et , uoIatiJ «um , Sc terieftrium ani- malium diftinxiflct , improbaiisaijjsduabusproiLuenumeduca- tionc,detcrret'iuinucnatione in h le 7. dclcgibusita concludir. J^' w -mv ^TTcwuzLTcL ^cW^ \x^cr^^ci^^v(TiTc^ii^] Trdiyumq^iT^ i (piKoTTOVH 4t/ „ viv.v\ ;:^fv CtTlCCVniV jyjtpA^cn J):>6^uo/Cy (t TiXnya^c: y(t /SoXajqcwTix^^Hpi^OrpXov-ngofjOi^aiJ^ieicxA yy ^ OeioA ^^;weA^c.idcft,Solum itaque tcrreftrium ucnatio,capturaue, „ athletis noftris rcliqua cft,atque harum,quae dormientia animalia yy peculiari uocabulo nodurna uocata pcrfequitur , fcgnibus conue- 5, nit,nulJamq.mcrcturhiudc,ficuti ncc iIJa,quae laborum intcrmif- „ fioncs habens , rctibus , &: laqueis non laboriofi animi uiftoria fera- 5, rum robur cujnccrc conarur.unde folam ilJam optimam eflc rclin- 5, quitur,in quahomincs quadrupedia equis,canibus,&:proprijscor „poribu$i]cnatur,quosomnesfuperantini,qui fortitudinisdiuinae F 5, poifcliilonem curantcs proprijs manibus currendo,fcriendo,&: iacu yy lundo ucnaiioni opci-a nauant. Ex qui bus uerbis clarc pater,quan- „ tum 1-Jato in comparanda fortitudine bcllica diuina ab ipfo nun- cupata, vcnationem dixcrit cxcrcitatoribusinilitaribus confcrre. quosqnomodoipfcfub dOXY^iiiV nominc comprchendat , fuperius indicauirnus. Euidentius,quam Plato,locumhunc cxpJicafleui- dctur Xonophon, qui dc Cyro in eius pacdia ita fcriprum reliquit: T?^ TToXiM^-ihg Ji lv}}ca dcniY\or to; OY\pav [f^yof , bWtp icryteiv rctZrct fivn yy ;!^^^^' rcw^rl^v n^^bf/^iJO^ € jAce^c a^ic^lw icTTtYKTiy ttoMuixZv ^tvcLf , iW/- jcTicJidAnCv/.Wlw. idcft, Excrcitationisautcmbellicacgratiaeos ^ ad ucnacioiiem cduccbat , quos haec cxercere oporterc cxiftima- bar,hanc ratus &:omnino bcJlicarum cxercitarionum optimam , ' &: cqucftns ucrifiimam. Quo ia loco nemo non uidct, quaiu apcrcc Early European Books, Copyright © 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGL. 1 .7.429 T E R T I V S. ,S7 A apertcucnarioncm ad exercitationcm bcllicamomniiun nuximc conducerc ccnfucrit . undc poftca in lib. dc vcnarionc iuucnc.s ad capclTcndamhanc cxcrcirarioncm duabus praccipuis rationibus adhorrarur;tum cf corporibus bonam ualcrudincm comparat : tum cf cosad bellum maximcinltituit^drcnuofqucmilitcs^&cctcrisrc- bus agcndis idoncos rcddit . At Arillotclcsnon tantum bcllicac iib r exercuarioniucnandi lludium conduccrc uoluit, quinimo illud ^ ipfiuspartemmanifcltaorarionefccir : ut nullaamplius dubitat io fuperfit, quin intcr cctcras nulitari gymnafticac infcruicntcs cxcr- citarionesuenatio quoquc locum obtinuilVc dicatur. Quod vcr« . nec athlctica profcflio huiufcc gcncris cxcrcitiocarucrir, vcjk-: nes in amphithcatris ab Imperatoribus facpcnumero rcpraefcnra - tac,&:apud Latinosfcriptorcs miru in modum cclcbratac dcir.ou- B ftrant: quac liccrab hac noftra nuilrum diucrfic fuilTcanpai canr; illius ramcn fpcciem praefcfcrcbanr, nt mpc cum bcftianj,arq. alij mortisfupplicio condcmnari co prorfus modo aducrfus fcras, vfq. ad alcerius intcritum (ur rcfcrt Suctonius)contcndc:cnr,quo vcna- tores contraminus immancs bclluaspugnarc confucucnir.t . Dc medicorum gymnaftica , quod fcilicct ucnaiioncm ualerudini , Sc bono corporis habitui comparandis, tucndifq. probarc u, ncmini non conftarc arbitror, quando,practcr Xcnophonris lcnrentiam i Jctnfiu citaram, practcr Galeni aucloritaxm, qui inrer cxcrcirationes cor- porisfaniratiinfcruicnrcscamrcpofuit, ludoq paruac pilacin hoc ludo par- foluminfcriorcm fe':ir,quod maiori appararu indigcar ,proptcrca "^^ ^^^^^' nec arrificibus,nec ciuilibus ncgotijs implicitis conucniat; practcr iuniorcmPlinium, quiuenationc corpus fanum confcruaflc inii-li y.cpift, ^ nuar, practcr aliorum argumcnra , unum Ra/is Arabis mcdici cru- ditiirunitcftimoniumfufHcercporcft, apud qucui icgirur, conti- giflVin quadam pcftc , ut, dum omncs fcrc pcrircnr ,foli vcnarorcs, in jo.coa. obfummam ualctudinem airiduisexcrcitationibusparram^incohi- meseuafcrint.ncfilcntiopractcrcaLaccdacmonios, a quibusolim ad coenam Dionyfius Syracufanus acccptus, fc cibis appoliris dde Aari negauir. cui flarim rcfpondir coquus idco illud cucnifsc,quia nec in ucnaru ,ncc in curfu laboraucrat , &: idco fiti , &:famc carc- bar,quibusLaccdacmoniorum cpulac condicbantur. Itaq. mirari nullopado debcmus,fi Mithridatcm,qucm ufq. adcofanitaiis,&: uitac ftudiofum fujfsc fcimus,vcnationi ita auidc opcram dcdifse lc gimus,ut fcptcm annis, neque vrbis,ncquc ruris rcdo vfus (it . Ergo nianifeftuna cuiuis iam cfsc potcft, quantum in cxerccndis pro ua- icrudinc corporibus ucnatio apud uctcrcs acftimar^i fucrit. cuius cum L I B E R cum multac cflent fpecies , quanim aliae rctibus , aliac laqueis, ui- fco,& aucupijs, aliaecarniuoris,&:rapacibusauibus,aliaecanibus, fagitfis, uel puris , vel rindis ; quas ideo Gallos uenatorcs hellebo^ roinficereconfucuiiretraditPlinius, quia circumcifo vulnere ca- n.xy.c. y. rotencriorfcntitur : aliac armismodo in uolarilia : modoin rcrrc- ftrcs belluas peragebatunilias ucnationcs aptiorcs cxiftimaras arbl tror, inquibushominestampcdibuseunres, vcl currcntcs, quam equis vcdi fcras canibus , &c armis infcdabantur ; nempc quas tum corporamagisexercere ,tumfenfusomncsacucrc , tummaiorcm animisuoluprarcmafrcrrcncmoncgarit . Eam enimuenarioncm, quaccumaccipitribus&afturibusaducrfusaucshifcc temporibus exercetur, an commendarint antiqui mcdici, affirmarenequco, 7.de his. quod,IicetAriftotcI.memoriacprodidcrit,incaThraciac partc» ^"^"^•^^^" ' quae olim Ccdropolis uocabarur, homincs focietarc accipirrum perpaludes aucupari confucuiiTc ; nihilominus gcnus illud vena- tionis noftrae ualdc diflimilc fuiffe uidetuv; quandoquidem illi ip- lilignis , quacmanibustcnebant, arundines&:fruteramoucbant, undc aues ob ftrepitum cxciratas, euolaresq. accipitrcs dcfuper in- fecLabantur,quorummetu aucspcrculfae terram repercbanr ,ibir. quc pcrcufTae baculis a vcnaroribus capiebanrur , &c earum parres' accipitribus diftribuebantunnoftrum ueroaccipitribus,atque aftu ribusedodtispcragirur • quodantiquos ignoraflc, & Conftantini Imperatoris actaie inuentum eflc, infinuat lulius Firmicus :_ ficutr etiam ignorarunt cam uenarionem, quac canibus arte quadam m-^ ftrudis, &: rctibus aduerfus cjualeas ,pcrdices, &. faiianos cxercctur. Sed dchisfatis. Exflicit Liher Tertinj* .0 - m H?9 " ARTISGYMNASTICyE L I B E R Q V A R T V S De ratione agendorum ^ ^ dc exercitatiom ryS. Cap. L VM gymnafticae origincm^ciufque fnccics» &: fpccicrum(ut (ic dicam) fpccics ab anti- quis traditas,ac inufu habiras,iam clara,quan- tum conccditur, cfTcccrimus , ad pcrficiendum tradationis noltrac inftituru rclinquitur , prius U!iiucifa!cs,communcsuc cxcrcitarionumom- niumrcgulas tradcre,quarum dudlunon mo- do li '•gula cognofccrcs Ycrumctiam vti unufquifq. pofTit : dcinceps ad parr\-n!.:ria,&: magis propria rranfcudum c rir,ur in llngulis cxcr citationibus,quid boni>&:quid malirclkicat, flicilitcr pcrnofccrc, &: cogp.itum partim amplcdijpartim cflligcrc valcamus.luiflct pro- fcctoinanispropcIabor,acuanum ftudium cxcrcitarioncs vfquc adcoapud vetcrcs cclcbraras pcriicftigaflc-,niiictiarautiliratcs,&: commv>da,quori:m gratia totam gymnalticam,&: c6didcrunt,&: in quotidianuaimcdicorumufumcduxcrunt,pcrfpc^ta,&:cIarahabe rcnt iIli,qiiibushaccnoftralcvttirarc,ijsquc ad faniMtis profcCtum non ofciranrcr uti placucrit.Arq. in hoc idc ) magis inihi clabciran dum efle cenfco,quoniam Galcnus Hippocratis arque Plaronis pla ^ citafccutus^in omnibusquidcm artibus,lcd pracfcrrim in mcdici- na, uniuerfalcsmcrhodos parurn iuuarc clamar,nifi particulanum tractationcs,ac indiuiduorum fpcculationcs accelTcrint , quibus rii r€s communi mcrhodo inucntac ccrrius contirmcntur , tum carum fimilitudincsac diflimilifudincs,unde omnis iiumana deccptio ,ut in Phacdrofcripfir Plato,principiumfumir,probc difccrnantur . Hanc igitur ab anriquis philofophis, atquc mcdicislaudatam uiam incedcntcs,tractandorumomnium ab iplius cxcrcitationis narura initium capicinusrquam cum dcfinicnmus morum qucndam corpo ris clfc, atquc omncnrmotum ncccllai io diffcrcntiac nonnullac fc- quantur,nimirum vchcmcntia,rcmiflio,ccIcritas,tarditas,&: limilia: &: proptcrca in quouis motus localis gcnrrc corpus quod moucn- dum cft,Iocus ubi moucri dcbcf,tcmpus in quo moncarur,ac iplius morus mcnfura,atquc modus cx nccclHtatc rcquirantur, confutaris corum,quidccxcrcitarionibu5 maIcfcnfcrunt,opinionibus,primo diffcrcntias 190 L I B E R drfTerenfias illas excrcitatione confequentcs dcclarabimusrfecun- D do,quae fint corpora excrcitationibus apta,& quac inepta, dcmon- ftrabimuiittc rtio , qualis efle dcbcat locus,ubi jJli excrcitationibus operam nauare dcbent, qui uel confirmandac, vel conferuandae ualetu dmi ftudent: quarto , quodnam tcmpus cxercendis corpori- bus opportunum habeatur; ficuti namque corpora omnia non om- nem excrcitationisfpccicmpcrferunt, ita fimiliter non quiuislo- cus,nec quodlibct tcinpus cuicunquc aptanrur.Sed,quia jmpcrfe- dahaectraaatiorcmancrct,nifimcnfuracxercitationispracfcribc

retur,ideo qujnfto fubiungam,quantum cxcrcendum fit.Addam &: fexto modum,quo exercitatio adiri debeaf,atque fic ad particula- rium cxcrcitationum qualitates examinandas dcfcendcns nihil re- linqucre conabor,q^ in hac materia iurc dcfiderari qucat,&quod l aedieca. ab Hippocrate,fiue Polybo pro laboribus,aut cxcrcitationibus tra E dandis cognitu necellarium pofitum fucrit. Scd hoc antequam ag- grediar,illud prius hoc in loco praefandum efTc , iudico , ea omnia, quae in hoc quarto volumine tradituri fumus,tati in vniucrfo exer- citationum negotio mojnenti cxfiftercut , ijs uel ignoratis , vel ne- gledis, excrcitationesdetrimcntapotius,quamcommoditatcsuI- lasinferant.-innumeraequandoquidemcxcrcitationes, utpraecla- 1. J tu.va. re fcriptum eft a Galeno opportune ac prudentcr adminiftratae,er ^ liSo. ^^^^^ naturae in corporis tcmperie fadtos, tum hominum in ui- &mac.ruc! procuIdubioefsentilli, quinatu- ra corporis imbccillimi funt , qui cum ab exercitationibus utilita- rcmcapiant, ceterosquofcumqucabijfdemiuuari , &:iccircoillis uti dcbere confequens cft.His crgo rationibus pcrfuaii cundispaf- fimhominibusantecibumfaltem iniungendas excrcitationes ef- 'fe praedicabant: fed&ipfiapcrtiirime hallucinati deprehendun- tur, Qiioniam cumhominumnaturae,&:conditioncsufqueadeo pcl^'^^"'* «^lHicrlac fint,ut neminem inucnire (fiturfcripfic Galenus) alteri fi- E milem prorfus liceat, fintque quibus medicamcnta noceant, quib. 5^. Epid. profint,quosimmodicuscoitus ,fiucAc illos,qui hoc al- fcucrarunt,toto caclo abcrrafsc^quamuiscxcrcitarioncm commu nitcr acccpram , prourquaflibct ucl minimas corporis agitariones compIcdirur,ncmini fano ncgari pofsc farcamur, quando nihil fa- nitati tam hominum,quam brurorum acqucperniciofum, &:lcrale, ^ im:cniri:r , arqcc cuiufli iK-r motus cclsario , confumatumue orium, quibusnon tanrumuniucrius corporis habitus mfignircr rcfrigcra tur,calor natiuus hcberatur,humiditatcsfupcruacuaecrcfcunt,mo Icftusquc quidamomnium uirium torpor connurritur,ucrumcria, lib.dcdb. utdiccbat (;alcnus,cunctamcmbratcnuia,dcbilia,atquef1accida ^^^^ «"^- cuadunr,& fubindc nonrarocxiriaIcsmorbinafcuntur,qui,abhu- i"'^c-cau, moribus frigidis plcrumq. origincm duccntcs,ucl ad mortcm , ucl ndpcrpctuamualctudinis offenlioncmpcrducunr. N 4 K^' I9S L I B E R a.Aph. T^darguu7itur^qui ajfueto Jolum exerceri uolebant. Caf. III ESTAT falfa eorum opinio condcmnanda, qui af- fuetos folum cxcrceri debcre,inafluctos minimc cxcrcendosefrc iudicabanr. quorum fcnrentiata- metfifpecicm ucrirarisquandam praefeferat, cerc- risque duabus iure anrcponi mercarur,haud tamen prorfuscrrorcuacar,dum alTuerudini nimium rri- bucre, quafique fupra narurac condicioncs illam ftatucrc uidcrur. Ccrerum ne honimplacitainiuftcrcfcllerc crcdamur, &rariones, quibusadducliin eam fcntentiam iucrunt,&:crrata,quae commife runtjin medium proponcmus,vt vcritas facilius cluccre acquo iudi ci pofl^t.Iftiitaq. cum legiffcntapud mcdicoium principcmHippo cratcm,eos,qui confuctifuntfolitos Iaboresfcrrc,etfifucrintimbc- cilles , & fencs non confuetis , fortibus , &c iuucnibus facilius ferre ; quacq. cxlongo rcmporc confuerafunt,erfidctcriorafinr,inaflue- tis minus incommodare,affeueranrer pronunriarunt, ncminem iaaf fuctum cxcrcirationibus,&: laboribus committi dcbcrc,aIioqui ma ximopcre offcndi^fcd dumtaxat aflueros, ncmpc quos partcs cxcrci tatas robuftiores habere,& proptcrea laboribus finc damno refifte- re experientia demonftrat. addcbant his rationcs, primo quod om- nes illi,qui cuilibetrci infucfcunt, raagna ex partenaturaefuaeco- uenientem confuerudincm deligunr;quoniam laedentia expcrri, il la rcpudianr,&: iuuantibus adhacrcnr.unde excrcitationibus vafl^iic ti in illis tamqua fibi familiaribus confcruari debennqui ucro quie fccndi confuctudincm contraxcrunr,ab illanullopadofunrremo- uendi,quafi tales expcrri fint ab cxcrcirationibus fc ipfos ofrcndi,&: aquierc utilitarcm capcrc.Sccundo,quodiuxtaphiIofophorum,&: mcdicorum placitaconfuerudo in naruram rranfit, &:iccirconon fccusconfuerudincm pcrmuranrcsobIacduntur,atquciIIi , quina- turam pcrucrterc , &: aducrfus illius impctus obrcnderc conantur . Tcrrio quod fi confucti quicfccrc longo rcmporc fani ira uixerunt, ucrifimilefir,in eadem quictc rcliquum uitae curfum ipfos fanospe ra£luros;exaducrfo ucrendum cflc, nc ijdcm aegritudines diucrfas incurrant; fiquidcm pcrmutantes in contrarium uiucndi rationem, &c alia ipfi confcquentia in contrarium ftarum pcrmurari , nccefTa- rium vid etur . Huiufcemodi crgo rationibus indudi , ifti conftan- tcr affirmarunt , confuctudincm non debcrc murari, &: ideo folitos cxcrceri cxcrccndos cflc , &:foIitos quiefcerc in quiete permancre dcbcrc. D Q V A R T V S. A dcbcrc. Scd,urdixi, liccthiinifuisculpantiam fcntcntlanifcciiti fmr,att.uncnncqiicipricrroril)us carucrunt,c]uia Hippocratcsin i-Apluytf omnibus ad inallucta tranfcunduin cllc iudicauir,nc quando ad il- la dcfccndcrc coaocra- tiscitataaudtoritasineofcnfuaccipi dcbcr ,ut uolucrit,qucmad^ modum&:nos,vclimus,nolimus,aircntiii cogimur,afluetainfolitis minusturbarc, ncquc proptcrhoc interdixcrit , quin ad infolita quandoquctranfcundurnfir,6jpracfcrtim cumafsucta ualdcpra- ua funt,&: inafsuera mulro mcliora.Piinlacitaquc raiioni rcfpondc mus,a{TumptumfaIfumcfscuniucrfahtcrintclIcdum,quoi;iamli- cuti multi coniuctudincm naturac corum conucnicnrcm induunr, ita quamplurcs ucl dulccdinc allcdi , ucl ncghgcntia , aut alijs de- tcnti ftudijs ,ucl prac nimia ftupiditatc fcfc lacdi non fcnticntcs,iii malis confuctudinibus , &c naturac ipforum inimicis pcrfflunt; qucmadmodumfaciuntquicfcendo, &:afsuctJ,6d dcdiri,qui quic- tisuoluptarc dclibuti non fcnticntcs ofrcniioncm cialfucucrunt ; non aurcm quod cam tamquam fibiipfisconucnicnrcm clcgcrinr , nimirum quam iam antc hominibus cundis inimicam probaui- mus. Adfccundamucrorationcm dicinius, narurainprofcdo,& confuefucrudjncm parum diflcrrc ;haudtimcn fcqui cx hoc,quod numquamconfuctudo mutari dcbcat: quandoquidem fi mcdici naturas prauas , idcll naturalcs intcinpcrics cincndarc, in mcliusq. permurare omni aite contcndunr,ur faniratcm,&: habitum bonum Q corpori ingenercnr,cur itcm pclfimac confuctudincs ab illis in ho- nclliorcs , &: falubriorcs pcrmu tari ncqucant , i gnoro ; co pracfcr- timquodfacilius cxfuuntur,quac confuctudinc fucrunt conrra- £ta,quaraquac aprincipio orcus anatura tradita. acccdit huc, quod otiandi confuctudo pcrniciofa cll , quia ( vr diccbat CcHus ) I ib. r. poteftincidcrc laboris ncccflitas. Tcrriacpracrcrca larioni oppo- ^^i' ^ nimuseos,qui inprauisconfucrudinibus pcriiftunr,tamctliob iu- .cunditatem non aducrrant,pcrturbari, ur mnucrc uoluit Hippocra tcs,dum haudquaquam inalsucta dctcriora non rurbarc, fcd minus tiirbarc dixir ;ncqucproprcr hoc Iaudari,45^probari dcbcrc,quod multo tcmporein fimihbus confuctudinibus uitamfanam traduxc rint : quoniam ficnti diccbat Galcnus,illi,qui cibis mali lucci uicb- * tant,longo tcmporc maligniratcm intus alcntcs,tandcm quali- bet uel minima occafionc pcflimos morbos incurrunr, fimiiitcr iquoquc in pcirimis confuctudinibus pcrfcucrantcs facpcnumero .dealini. mtus 2CO L I B E R intusmaloshabitnsconcipiunt, quos pcraliquod teinpusnonper- cipiunr,quoufqiic humores praui orionuiriti , &fupra niodumau- di incurabilcs^&molcfblfimas acgrirudincsinducunt. Qiiarnobr^ claborandumclt,uniucrfJsfiinam uitam optantibus ,utmalaccon- fuerudiniinnutritiminimcfe uoluprare, atque damni ignoranria decipi linant,immoquamprimum ab earecedcrc, paullatim tamc, & ut dixit Hippocratcs iKTr^odxyooyHt ftudeanr ,illud procompcrto habentespotiuscumaliqua molellia pcrmurandas cfse pcrnicio- fa^ confuctudincs,quaminiIliscum delcftationc pcrfiftendunK Atque haec pro male de Cikcrcitarionibus fentientium refutationc diifcafufficiant. Tcmpus modo cft , qude corporaexercitationibus accommodentur,quod tcmpus,&vjUilocus , dcmonftrare: fcd an- tcquam hoc aggre Jiamur,diffcrentias,ut fupra promifimus , ipfius- quc tradatioiiis ordo expoftulat, cxercitationum breuitcrpcr- curremus. exercitationHm differentijs. Ca^. V. ViCVMQVE cxantiquis excrcitationum faculta- tem fpecul ari)&: fcriptis tradere aggrclfi fuerfir,tres primarias illarum diffcrentias effcccrunt^ quarum aliamTraf«(rxw/«si;cflV;j4//xf/poft ^/TxJ^ maerores infcruiebat; &c proindc hic motus a Galeno cxtrcma T E R T I V S. fO| A cxcrcicatlonis pMrs nominatus rcpericnr, quoniam fcrc fempcr po;l magnascxcrcitaciones.ncad concrariamquictcm illico tran(gre- dcr"cntur,ipfamadhibcbant,ucporc qui ol) carditatcm,6^ trcqucn- tcm intcrpolitamquictcm mcdium inrcr cxcrcirationcm validam, ^ &: conlummatam quictcm tcncrcr. Porro cxcrcitatio limplcx apud ^;i.cVp"g. inedicosgvmnaflas multasdiricrcntiashabui(fclcgirur,alias ab cx- trinfecis,aliasab vtcndi rationibus,aliasa motusipfiiistum quan- ritaicrum qualicatibus dcfumptas: quac ab cxtrinfccis accipicbaa tur ,plcrumqucalocononicn f^rticbaiKLr , quando uc! lubdio,. vel (ttb tccto, ucl in mixta umbra, quam CTroavi^iiyn Gracci uocant , cxercitatio pcragebatur : itcm quando aut locus crac calcns» ^^utfrigidus, aut^mcdia tempcric, &: practcrca auc planc ficcus^ aut humidus, auc mcdio modo atcempcracus . Diifcrcntiac ab B uccndiracionibusacccptac huiufccmodi cxllitcnint,quoniam aut continuus erat motus , aut inrermiflus.ct li concinuus , aequalis , ucl inaequalis;fin intcrmifsus,aucccrroordine,aut cirra ordincm,prac^ terea vcl linc puluere ficbat , ucl cum pulucrc , acquc co alias mul- lo, alias modicoi finuliccr agcbatur ucl linc olco, ucl cum ulco, at- queipfoaliasexiguo, aliasmulto. Quac autcm ab ipliusmotus quantitacibus acccptac inucniunrur dirtcrcntiac , talcs func , quod cxerciracioncsucl mulco ccmporcdurabanr, 6c multac diccban- tur,vclbreui, mcdiocri, arqucpaucae, &: mcdiocrcs uocaban- tur. Diffcrentiac amocus quancicatibusdcfumpcacillacquoque fueruncquacauimorricc accipiebancur: nam li uismagnacrat, magnacxercicacioilin parua ,parua ; lin mcdiocris,mcdiocrisap- pellabatur. Porro a qualicacibus ica dirtcrctias a Galcno captas in- ^'^|.^* g"^" r ucnio , quod aut in breui tcmporc mulcum fpatij mcticbatur cxcr- «p.io . cicacione, liuc brcuc (parium lacpiusinmodicoccmporctcrcba^ tur,atquehaec cxcrcitaciocclcr ,acuta, &: vcIoxnuncupab:uur , qualis curfus,umbrarilis pus:na,achrochiri(mus, lufus paruac pihc, fi^coryci^kicTAt^fi^uk^-BrrrvA/^w^, &:quacin paladkis ai^tirabancur humi rircumuoiucarioncs i auc multum tcmporis in brcui fpatio infumebatur, tardaque &:lcnta cxcrdcatio talis motus nomina- batur, ut lcnta ambulatio, ucdatio in Icctica; aut in mcdiocri tcm- porc mcdiocrc fpatium, iiuc brcuc plurics moucndo pcragcbatur, licqucmcdiocriscxcrcitacio cuadcbacrpraetcreamagnai-umalia praeccr uim, cclcricatcm quoq. adncxam ^QVQh:ixUc2 L I B E R racelerirer agirari; al/a fine velocirate fiebar, & Ivr^,;^, ,!> idcltva!cnsexeraratiouocabatur,ficurfodere,peraccliuiaanibu. lare.quatuor equos habenis llmul coercere, funem manibus apprc- heniam fcanderc,haIteres,omnefque Milonis exercirationes.quod emm uchcmens,& ualens cxercitatio communi nomine magna di- aph/" •^^'"^;^"''» ^-^ mtclligcrc liccr, quae Galcnus fcxto popularium morborumlcnptarciiquir, vbiinter cnumcraras exercitariones, &: equirationem magnam uocauir . Similitcr Sc paruarum alia cum ahquauelociratchcbar , &:rcmifni,fiucixA«T«f /ocabarur, alia fi- neullacelcritatc, 6c «V/^(lf,'iue Ianguida,aur imbecillis diceba- tur ,cxquibusduobiisgcneribus eranr uec curam habcndam cllc iuGcrunt , ut quod morbofum cor- pus. 20$ L I B E R pu$,quaexerciratIonc , &:qua quiete indigeat,ne ullasperturba- D tiones,motioncsq. fuftinear , optime pernokatur. Quocirca fccun- dum iftos corpora, quae immodica intempcrie calida Iaborant,nuI lisuehemcnribus,rcmiirisue exercitationibus accommodantur , quod calor , qui diminui debet , ab jllis potius augmentum fufci- Lp^iu^' pit , quemadmodum Galen.de Primigene fumma caliditate labo- rante narrat , qui ncdum,a uchcmentioribus cxcrcitationibus, im- mo,& ab exiguis dcambulationibus in porticu ante balneum fadis magnopcrclaedcbatur. undc mcrito condcmnandus eft Afclepia- LK2.C.14. des Pruficnhs,quiin ardcntibus fcbribus;refcrcnte Ccl/o;gcftatio- nibus utcbatur , in alijs uero fcbribus , &c raorbis mcdicamcuta , ac uomitioncs tollcns , inedia, fiti , uigilia , luce primis dicbus aegro- tantcs inftar tortoris , cxcruciabar,alijs autcm diebus ambulationi- bus,geftationibus,baIneis,Ica:ulisquepenfilibuscxercebat. Inhis E ctenim Galeni , &: Antylli fcntentia cxftat , acuta fcbrc laborantes ab omni motu rcmoucndos,in longisfcbribus,atquemorbis(quos omncs nonnulli ex antiquis mcdicis aliptarum officio tranfmitten- In prooc. dos , ut rcfcrt Coclius Aurclianus , falfo credidci unt ) ubi acccfno lib^hron. urget,nullo paifto cxerccndos, at in interuallis decubitum non • fcmpcr confcrrc,imino aliquando utilcs cHe inotiones,exercitatio- ncsciue ; quod innuifle Hippocratcm arbirror , dum in feptimo cpi- demiorum diccbat,aliquos inueniri infirmos,qui nepenitus tor- peant , a lcfto expellendi funt. quod item innuere uoluit Ariftotc- Ci.i6. leslibromoraliumNicomachiorumdecimo,ubi fcripfit febrici- tantibus in uniucrfum diaetam,atque inediam confcrre , ahcui ta- mcn forte non ita conducere. Qui praeterea corpus aridum,ac in- fignitercxficcatumhabent, ficxerccantur, aridioreseuadunt, &: F ideo illis quics apprime congruit , quam humcvflandi uim pofnde- Loc. cltat. rc ncino ignorat,quamquc Hippocrates dum cahdis naturis conue nircfcribit,necimmodicccalidasimtemperiesintclligit,necjau(ao j c GaIeno;quamlibct motus,fed uehementioris tantum ceffatione, ficuti nos hic deficcis corporibus intelligimus,quae geftationibus, &c ueCtationibus aliquibus, atno magnis motibuscxcrceri poffunt, dummodo uires permittant,cxcrcitationesq. modcrataefint; alio- qui ficur ex modcrato motu calor cxfurgit,cxcitaturq.,nec non hu- inorcspaularim cuancfcutiparitcr eximmodico calorinfirmus ex- ftinguitiir,humiditatcsq. magis diffunduntur . Corporaitcm cali- da, &:ficcaimmoderatc nullis exercitationibus aptanrur ,minus quoquc caIida,&:humida,ncmpcquaegrauiori quam cctcra mor- bo fubi jciantur,maioriq. curaopus habcant,Frigida porro,fimulq. ficca Q V A R T V S. 207 A ficca corpora ucl nullis cxcrcitationfbus, ucl minimls , Sc naldc rc^ miiTis cxcrccri clcbcnt»cum fcmpcr practcr morbi pcculiarcm affli- , €lioncmimbccillcsuircshabcanr,ExcrcirationibiTs non iraofrcn- duntur corpora H igida, licutj ncq* himiiila. At frigida&:humida aliorum omnium maximc cxercitarioncs fuftincnr; quod morus cx liccando, 6c calcfacicndo ucluri quoddam rcmcdium /ir,modo ta- mcn non cxrra modum adhibcatur. Arquc hacc omnia diCta inrcl- liganrur dc illisacgroris dunra\ar,qui uniucrfum corpiis imrcmpc^ ratumhabcnr,quoniamfiqui$infolacorporis partc mcmbrouc, autinplunbusintcmpcriem patiatur,rcpcririq. pojrumodus, qua parrcs fanac citra acgrarum offcnlionem cxcrccanrur,procu]dubio huicacgrotoexcrcitariomagis.accommodatacririquippcquac fa narum parrium habitum bonum confirmans, infiriuis criam confc- B qucnria quadam auxilium pracftct.ColJjgcnrcs igitur dici nuis,nul lum corpus intcinpcrie quauis laborans magna,(5c uchcmcnti excr cirationcgaudcr.cjfcdahq(f rcpcriri,cui cxcrcirationcs cxiguac, & ualdc modcrarac auxilium arierant inrcrdum. qualcs ucro cxcr- citariones linrillac , &: qualibus in morbis ,arquc corporibus una- quacque congruat,in fcqucnribus libris dcclarabjmus,ubi parncu larcs fingulaxium excrcirationum faculcarcs ubcrius cnarrabimus.. Dcmorbolisobmalam formationcm corporibus fimili propcuia) dcrcrminari dcbet,modo illi nona gcntrarionisprincipjjs,lcd nu-> per,&: cafu(ut ira dicam)ortum duxcrinr . Hacc ctenim fiuc totam corporisfiguram deprauatam.ut in lcucQphlcgmaria,fiuc parrcm aliquam.deformaram habcanr, niii aHTcdus alij impcdicnrcs aflb- ^ cientur, ab excrcirarionibns utiluarcm. capmnr , ncnipc quac&: ^ contrjrra dirigcrc,&:a(peralenirc,OS&: toto corporc , & cruribus extcnua- D fn ^.obid. tos curafle, gloriatur GalenuSy Ccutitem Germanicum , a tenuita- com.j. iQ crurum^equitarionis bencficio,liberatumaIias diximus . Corpo-

Secudodc raiubinde, amorhoin numero corrcpta> fmc isfuperfluus, fiue iTtu vf "^^^^^^ fit , excrcitationes cx fe rainime recufant , & tunc praefer- "'^^*"tim,.quandofimilismorbushaud eft innatus,ueluti inlapilhsre- num, quiexuehementi motu^concuffioneque ab anguftisrcnum tiijs ad latiores , tandemq.ad ipfam ueficam defcendentesmagnas aegrotis moleftias adimunt. Corpora uero aegritudine in fitu laba fantia,modo nou ab ortu, nullum fereexercitationis genusadmit- tunt, quod membra dum proprium locum , atque fitum amiferunt» non modo rcponendafuntin propria fede , uerumetiampoftquani repofitafuerunt,tandiu ab omni motus gencre arcenda, quoad optimeconfirmata priftinum habitum repararinr, alioqui fimo- *J ueremur , maiori nocumento: afficerentur. quo fit , ut hac infirmi- tate captimajoriex parte exercitari non debeant. Atque haecde lecundo morborum genere,mala formatione fcilicet laborantibus corporibus divflafufiiciant. Remanent corpora tertio.genere mor- borumcontinuatisuidelicet folutione correpta,quae folutiouel in cute,uel ia carne , uel in oflibus , uel iiineruis,ac huiufcegeneris fimihbuscontingere folet, atque modo>lbla,modofebribusaflo- ciata i ubi corpusaliquam exhis folutionemfebri alTociatahabet, nulIomodoexerceridebet,quandoquidem, firaro febricitanti* busexercitationesconueniunt, quantominus coauenieru:,abi a- lijsmorbis turbabuntur? Qiipdfi citra fcbrem fola: contiauifo-, lutio adfit,eaq Jit iaparte nobiU,atqueuitae maximencceflaria, ue p luti cerebro,uentriculo , iecore, acfimihhus,proculduhiaexerci~ tationcsquaeuis maximeaocent,nempequae,&:fpirituspartiafre- ftae necefl-arios. ualde diftrahaat , &: humoresomncs tuncagiteat , quando firmos,&:quictoscfle conucniret ,neob eorum atHuxuni morbus magisincrudefceretj^liamcmbraigaobiliorafipatiantur coatiauitatis diuifionem,poteruntaegri mediofcriterexerceri,.mo- do ncc infignis lit affeftus,nec pars laborans excrceatur.. Suntnon- nullihac acgritudinc capti , qui noaparnamutilitatemamodera- tis , immoderatisque exercitatiombus pcrcipiunt^quales fcabioh,, quorumcutiscumabhumoribusfaIfis,&:acutisdi{ciadatur,ex ma tuuehemeati efficitur , ut humores illi tam per fudorcm, quaav pcroccuJtam tranfpirationem euacueatur,atque ipfiscuacuatisa morbo libereatur. (^amobrcmacri iudicio diligeatique aaimad- ijcrfioneiahisomnibusopuseftjquo optime cogaofcatur iaqtii- bu& Q V A R T V S: 209 A bus morbofis corporibus congrua!KCxercirationcs,& in quibus mi nus lubita fempcr prac oculis uniuerfali hac rarionccuiusduvftu rarillimc contingunr errata , pofsuntquc parricularia ira dirigi , ut numquamlocoauxiliorumdamnafuccedant> n^cc9r^orihHtUAlctuMndrtjS^(^/enihhus€xerc€nclis^ C^p. IIX. \' AMV IS apudmcdicos(urfiipradiximus)inrcrcor- pora acgra,arqiic fana rcponanrur ncutra, iilaq. in mul tiplicrsdiflcrcntias parriantur, quia ramcnparumad noftram rradationcm pcrtincnr, corum loco ualerudi- naria Itatucmus, cum quibus comprchcndi uoliimus tum omncs il- B los^qui rcccnrcr amorbis,ac dccubitu cuafcrunr^ncc dumpcrfc- tfle antiquumhabirum recupcrarunr; tum fencs plerolquc, ncm- pe quos Galcnuscodcm modo,quo ualerudinarios , curari dcbcrc Jctue. pracccpir; nec abfquc rarionc,fiquidem fenc(flus,auLtorc Ariftotc- "nirieme lc,eft quidamnaturalis morbus. undc.qui funt acratc graucs, cam c. uk. viucndi rationcm fuftinere nequcunt,quam fani pcrfcrunt. E^^-ncr'*^^^ goualctudinarijsillis,qui moxa morbiscuafcrunr> intcr cctcra rc- cap.4. iwedia pro intcgra ualcrudinc ipfis accomodara praccipua cft cor- poris cxcrciratio,aquamcmbraeorumlninanrur, humorumrcli- quiac inaniunrur , calor cxciratur , & dcnique torus corporis habi- lus reftituirur . Elt ramcn omnc ftudium adhibendum, ut a princi- pio lcncs, brcues, tardi , ac remilfi morus cxfjftant , dcinccps, prout uircs magisinualcicunr>fimilitcr,&:magnirudo, ac longirudocxcr Ccitationisaugcacur ,randcmque inmcnrcillud XKTrgo^Ttty^yi^ ran- ropere abHippocrarc dccanrarum fcmpcr habcndLui crit,ncob imporrunumabcxrremo, ad cxtrcmum rranfitum maiora crrata eommirtantur, &: prouirium rcftirurionc imbecillitasmaior,fiuC profh-ario fucccdar. proindc mcrirodamnandusucnit Aucrrocs,^.coiied. qui morbofa corpora quoridic cxcrccnda cfsc ufquc ad fudoris ^^P'^- inirium ,arquc anhclitusclcuationcm nimis libcrc confuluit: ita tnimuchcmcns cxcrcitatio tantumabdU ut ualctudinarijs, fiuc morbofis (qucmadmodum ipfc uocar) ullum clTatu dignum be- ncficium pracftct, utpotiusuircsadhuc dcbilcsmagisconftcrnet, caloremquc natiuumcxmorbo uixrcuiurfccntcm fcrcexftinguar , aut faltcm infignitcrhcbcrcr ; /iqiiidcm bonuscftin conualciccn- iibus ,fcd cxiguus ( ut fcribit dalcnus) ianguis^atquc unacum ip- Inartc io fpiritus uitaliSjCii: animalis ; ipfac ucro particuiac folidac ficcio- ^^^^^' P 2 rcs, aio^ L I B £ R resj&confcquentcr corumuiresfunt imbec^iHiores, atque earum- D dcm rationc corpus vniucrfum frigidius. unde ad cmendandam huiufccmodi indifpofitioncm neceflaria funt quaecumque pro- bumatquefccurumexhibent alimentumi &c praeter haec mode- ratimotus,qualcsvehicula, amibulationeslenes ; non uchcmentes raotus,qui ficuii folidaspartes arcfa^ftasficcioresreddunt, ita calo- rcm diminuunt, &:liircs imbccillas confufnurit. Cetcrum fcncs, quorumactasplurimamob caloris dcfcdum,cxcrcmentorumco- piam coaccruat,cxcrcitationibus magnopcfc gaudent,'tumad ex- f urganda huiufcemodi rccrcmcnta , tum ctiam ad confcruandum, atq.plAcidi cuiufdam ucnti inftar cxcitandum,acccdendumueca- loirem^ qui fccusnimio torporeexftinguipericlitarctur . Attamefl, in praefcribcdis fcnum exercitationibus quatuor animaducrti de- bcnt, uircs, corporisafTedlus, confucrudo, &:iiitia particularia, E quacplcrumquefenumcorpora infeftare folent. ratione uiriura^ quas fcncs fcmpcr imbecilliorcs habent, acutas cxcrcitationcsjue- c n^.v. . hcmcntes , &: mukas, quae corpus ftccant, extenuant, &: infirmant, ,itu itmaximoperccaucredebent/equi veromitiores,quaIesfuntgcfta- ;.^.^':,^!trojac intralairitudineminambulatio.Prodicusenim qui ualetudi-' utlicx^S nis ftudiolidimus^exftitit, &:ob id ( Ariftoteleau»5iore ) ea omniai quibuscctcri cum voluptateutunturirecufauit.,iamingraucfccn- tcactatc(ut rcfert PlatoinPhaedro)Athenisad Megaraemoenia ibat , indeque domum reuertcbamr . quae excrcitajtionis menfura. haudquaquam.ommbus fenibus accommodari polTct , cum Plato ipfc cum,&:fibi ,&:alijs nimio oiercendi ftudiomolcftiampepe- ride dicat. Antiochusparitermcdicus^annosnatusplufquamoiio- ginta, quotidie fcrc, ut fcribit Galenus , domoad forum ftadiorum F trium fpatio, atque intcrim ad uifendos acgrotos pedibusambula- re folcbat.quod fi ci longius ire neceffe crat,fclla,aut uehiculo ute- batur. Ad hacc narrat Plinius fecundus, Spurinam urrum in uiuen- .MUr. do maximeprouidum , quique ,aurium , &:oculorum uigore inte- • ' ' gro,nccnonagili ac viuido corporc,feptuagdimurafeptimuman- nuniattigitjhanc regulam conftantiflimcfcruaffe, utmane ledu- lo continerctur, hora fecuda inducrctur, ambularerque millia paf- fuum tria, mox lcgcret , ucl colloqueretur, dcinde confideret, tum uchiculum adfcendcrct,pera£bifq. itafeptem millibuspalfuumite- rumambularetmille, iterumrcfideret, uclfccubiculo, autftylo rcddcret ; ubi hora balinei nunciata foret , quae erat liyeme nona, j)it ni aeftate odaua, in Solc, fi caruiflet ucnto, ambularet nudus, deinde pi la mouerctur^uchemcntcrA diu poft modumlotus accumberer, Q V A R T V S. Jii A&paulifpercibum diftcrrcr, Ob rorius corporisafTcflum cxcrciM- tioncsfeiiumin hunc modum dctcrminari dcbcnt, quoniam cor- pus optimi rtatus, ficutin iunentutc ad vchemcntifTimos quofque laborcs idoncum maxime cll , ita in fencdla fc habct ad omncs nie- diocrcs, quiucrofcnesaut cralusfuntcruribus, authitopcdtore, aut cruribus, ulrra quod par cft, gracilibus,aut quorum corpus cxi- guo clt thoracc , aut admodum angufto , aut valgum cft , uarumue, aut alio quouis pado a mcdiocri tate rccedens , id ad eas omnes ex- crcitationcs incprum rcddirur , quac uitiofa mcmbra maijis ofTcn- dcre, quamiuuarc polTunr, ut vocifcratio thoraccm, ambulatio crura.dLiimiiitcr. lam vcroconfuctudo maximamlibi ucndicat partenidd excrcitationisfpccicm dchgcndam,quando Hippocra tcs dixit,cos,qui foliti (unt laborcs fcrrc, etfi fucrint imbccillcs,uel B fencs , non confuctis , forribus, atquc iuucnibus foliros facilius fcr- re. nam (icuti confueta minimc lalTant, quos cxcrccnr, immo criam delcctanr, parircr infucta tum moleftiam adf crunr,tum lafTant . Se- nes igitur omncs confueris laboribus cxcrci rari dcbcnr , (c d tamcn uehcmcntia corum rcmifl-i ,quia, (i corpora fcnilia vigorcm, calo- rcm,. robur, & omnia denique diminuta habcnt,iuuentutisrc- fpcvfcuexcrcitationcsquoquc minorcs rcquirerc, rarioni confcn- tancum cft. Vltimo uiria corporum fcnilium propria cxcrcira- tionum ipiis ncquaquam conucnienrium gcnus dcmonftrabunt. quac cnim ex lcui caulfa , a vertigine, comiriali morbo, graui ophthalmia, auditus imbccillitate capiunrur,cxcrcirarioncs caput oricndcntcs cuirarc nccclTc eft : fimiliter &: in omnibus alijs affccti^ bus, non folum fenes, ucrum &c cuiufq. aetaris homincs ita fc gcre- Cre dcbcnt , vt ijs cxcrcitationibus fcdulo abftincan t , quac paticn- tcs parrcs magis cxcrccrc,&: pcrrurbarc natac funt . Si c itaq. dc va- lcrudmarijs, ac fcnilibus corporibus cxcrccndis itatucndum crit. T)e corportLus pims exercendis. Qtp. I X. V I C V M QV E corporis cxcrcitationcs fanitati inuti- lcs minimc rcputarunt,in fanis cas prac cetcris comcn- dandascfTcdixcrunt ,tamquam nccclTarium propc cx- /iftat, /i cxcrciracioncsad bonum habirum comparan- dum , atqucualcrudincm confcruandam non ignobilc auxilium pracftanr, ut in {anis maximc adiumcnrum oftcndcre polfint. Hoc tamcn ucrum cft, antiquos mcdicosmulras fanorum corpo- rum diffcrcnriascflcci(sc, intcr quasprimum locumobtinct cor- Cymn^ifiica. P 3 pus 2»» X I B E R PusiIIiidperrc(aafaniratcpracdituiTi,quodmenfura,&regul^ tcris pofitum fuit,potiufquc mente defignari, quam in ulla rcgione i.dctue. ^^^pf^l^^u^niri potcft: ctfi Galenus multa corpora temperata in Mal.cap.7, regionc inueniri memoriae prodiderit.De tali namquc corpo- r^cnuUibicxiifteatcfcrmonemnon fum habiturus, feddeillistan- tum agam, quacirapracfcntefanitatefruunrur,utvalcantline la molcftia cuuvftas illas aftiones obire,quac communitcr ab omni^* busexercentur. cum enim medicus arrifcxfenfiliumrerumexfi-. llat,quacfcnfuifefc produnr,&: non quacfola cogiratione com- prchcnduntur, tradtarc debct . Haecitaquc corpora fana,quoniam quotidiecomedunr,atquenutriuntur,nccclTariomuIta cxcrcmcn- tagcnerant, quacnificontinuoacorporcperexercirationcs edu- cantur,tandcmprauas difpofitionesingenerant : undeprudcnrcr ^.aph.zs, fcripfir Galenus, homincm, fi vraturmcdiocri cxcrcirationc,&be- E ne concoquat,corpus a fupcrfluitdtibus mundum rcdderc . Vcrum enimvero infanisquoqucplurima confidcrationedignafcfc offe-* runt, tam cx partc exercitationum, quam ex partc cxercitandorum. Ex parte excrcitationum fciri dcbet , nullam exercitationcm , nec vrolentam,neque immodicam cfreideberc , utinlibro i^^gi lUKgcc^ c^)«/f«2adnotauit Galen. &:propterea excrcitationcs.foflorum mcllorum ncminifcrc eorum conucnrunt , qui profpcra valetudi- nefruuntur;ccleresmotus,&: vehcmcnresinrobuftiscommendan^ tur , qualis lufta, difcus , pila , &: huiufccmodi , co magis fi confueti fuerintj moderati omnes quibus vis fcre aptantur . Porro cx parte corporum exercitandorumhismenrcm adhibcri oportet , confue- tudini , aetari , habirui vniuerfali corporis , parriculari rationi ui* uendi,necnon temperaturac . Dc confuetudinefacpius diximus F ctiam in omnibus obfcruari dcbcre, fiquidem quae confuetac funt cxercitationcs, licct fint aut nimis vchementes , aut nimis rcmiflae, inaffuetis maiorcmutilitatcm,atque dclcdationcmpariunt;atfi quis vcl minus,ucl plus quamconfueuit^intcrdum excrccatur, pro- tinus molcftia cuidcntcr afficitur,ita ut non raro fcbrcs hac ratione ll.decauf- confingere, fcripferit Galaius,dum excccicatioacs confuctae di- mittuntur. Quod vcroadactatcmpertinet , iam diximus , proue- rcb.cz?^^ (flos,&:fencsremifliorcs quam ceteros,&:pauciorcs excrcitationes pofccre ; pueri , iuuencs , atque uiri motibus fcrc omnibus pro fua quifqueactatefufficiunt,modoaliud quid nonprohibcat, autmo- dum corporibus priuatorum, &: non athletarum conuenientem minime exercitationes tranfcendant. luuenes cnim ( diccbat Hip-^ pocrates,fiuc Polybusinprimodemorbis) fiplusconfucto labo- rcnr» Q V A R T V S. iti A rcnt jConuuIiionibus fortibus , &: rupruris uarijs carnium, uena- rumque ftarim.i?^ magis,quam fcncs tcnranrur ; quod corpusrobu- rtum,t^ liccum habenr,carncmdcnfam ,ualidam,onibustcnacitcr adhacientcni,cui circundata cutis uoJdc tcnditur. quac omnia mi nus fcnibus inlunr, &c propterca illi rarius huiufccmodi mahs capiQ rur. Dcuniucrfali aurcmcorporishabirullcdcrcrminandumccn- ieo,quod pingues,6i: obcli^quanromagis cxcrccanrur,ranro profpe l^pirth -riorefaniratc utuntur,quandodiccbat Ari(torcIc$,moru pingucdi- ^*^^^** iicm cliquaruquodfi criamcxcrcitationcslinc uchcmcnrcs,arquc acurac,nihil omninonoccbunt. Nam Hippocrarcs corpulcntorum irincrauclcKia dcbcrecfl*cuohiir;quinctiam(}alcnusinrcr cttcra, M-Mcth. quac ad cxtcnuandum uii um illum obcfum quadraginra annos na *^ '^' tumadminiftrauir.fccurfum udocem adhibuillcrcfhitur . Conrra Cjracilcs in confummara fcrcquictc dctuuri poftuhmt, quia licuri ^«.^- ^cQlL corpulcnti cralii contrarias habitudmes cx conrrarij^ortas ha- ^J,'*"^'^^' bcntvitdconrraria proipforum falurcexpolccrcuidcnrur,ahoqui i.icuua. niagoopcrckcdun ■ Mjcahqui funr,quibus cxcrcirarioprodcf* k mdicctur,ij pro^ ^ -lu pauca,0^: ualde rcmilla opus habcnt.un defapientitliinus Hippocratcs iummarationciulHr,urgracilcsiter ^CJ. diae faCturi lenns pal]ibusincedar,quosircm Mangoncs,& Mcdici craf- " j^ (efaccreuoJcnres,uirgis ucrbcrabanr,ur carock'uarctur,&:ad cam ;ihinentum rrahcrerur.Qui ucrointcrpingucs,v!s:gracilcs,ucI lv(rjg- fii,iiuei]uadrati,uel parumadalteramparrcmdecUnantcs exillur, mcdiocrircr,aut criam uchcmcnrcr , modo nr^n immodicc cxer- ccantur,utilitatcm inligncm pcrcipiunt ; nimirum cum corum ca- . lor iramagisconfcrucrur/upcrfluiratcsquequotidianaccxhaurian ^ tur.Deparncularimcmbrorum habitu idcdiccndum , craflas,fcili- cet partcs magis excrccndas , renucs minus , nili carum renuiras ex nurnmcnti dillriburione impcdita,ucl dcfcctu proricifcatunquo in cafu , 6c exerciratio conuenit , 6c gcnus illud ungucnti , ctiam pilis aucllcndis a mcdicis cxcogiratum,Dropax uocatum, dc quo Mar- Ualisiib.j. V/llothro i^^LUuKjuc 1.1'iJs y C dropace calu^m . ' I' Jsjunquidto/Jurcm GJtrgiliar^etimcs > & lib.2. Laettts dropjce ta qHoUdmno , Hirfktisegtitrurtbyr fgetiisif. Paritcr,&:partcsomncs corporismcdiac inter graciles, &: craflas cxcrccndacfunr, In ratione uiucndi hoo infupcr animaducrri dcr bvtrUr qui parum ct>nK'dunt , parum cxcrccantur ,iuxra Hippo- cratwic^cnijubi tunulaboraudupiaont-Uj uui itcm uigilanr,a]j I I Early European Books, Copyright © 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. CFMAGl. 1 .7.429 214 L I B E R cxercitationibusarccndi, ncmagis cxficccntur, neue molcftfacD molcftia maiorfupcraddatur,contra qui multum comcdunt, mul- tumcxerccri dcbent,quoniam diccbat Hippocratcs,non potcft homo comcdcns fanus uiucre,nifi laboret : in talibus cnim opus cft mult o calorcut niultum concoquant, multus calor ab exercitatio- i.^tu.va. nc,diccbatGaIenus,facilefuppcditatur,practercamuItum mandu cantcs magnam cxcremcntorum copiam aggcncrant,quac nifi ma- gnis,&:muItisIaboribus diminuatur,in prauas difpofitioncs cof- pusdcducunt.qui fimilitcr multum, & profundc dormiunt,mul- tisquoqucexcrcitationibus indigent,quandoquidcm in iftispcr- fpirationes rctincntur , atque adco fanguinis copia partcs extcrio- rcs dcfcrir,lubitqucinteriora, utadaftocultcllonon acque cfflue- 3.5hifto. rcuaIcat,qucmadmodumfcribitAriftoteIcs,& obidfomnolcnti ^ ^*^^'"'*^'^ omncsdecolorati cuadunt,unde hos faris cxcrcirari nccclTeeft, quo pcrfpirarionibus aditus parefiat, fanguisue ad extcriora fcruan

daarqucnutrienda rcuocctur. Dcmum ob tcmperaturae ratio- ncm fic dc cxercitationibusiudicium fercndum credo,ut ficciucl nihil omnino , ucl lcnte fatis , & minimum laboriofe excrceantur. nam cxcrcitationes,quas fuaptc natura exficcare conftat,fi in ficcis corporibus adhibcantur , quin intempcricm augcant , ncmo fanae mcntis dubitarit. CaIidiquoquc,&pracfcrtimacri,acmordaci calorepraediti exercitationcsmodicasrequirunt, ne a motu pius 4.Aph.i3 aequoincalefcant,ipfisquc,utfcribit Galcnusfolacin necelfarijs ^.epid.co. adionibus obcundis motioncs fattac fufticiunt . Vndc Ariftotelcs, ^'^^anic' quacrcns , cur ali j fcdcndo pingucfiant , alij macrefcant, ideo eue- Prob.i. nirc dicit , quoniam alij frigidi funt , alij calidi , ali j cxcrcmcntofi , p ali j non ; & qui calidi funt , pingucfiunt fcdcndo, cum corum calor fine motu cibi concononimmerito dubitari poflct; co quod Ariftotclcs Q V A R T V 5. 415 A fcriptum rcliquit,corpora humida a laborc fi]flbcari,qiiia a calidi- tatc motushumidum in uaporcs conucrritur,qui mox copiori,&: lcruidicflcdi calorcm nariuumfuffocanc: atramcn ratio fccuspcr- fuadcrc ui derur , quae dcraonftrar humida corpora cxcrcmcntis a- bundare, & propterea iplls laboics ualidos congrucrc , tum ad cx- ubcrantcm humiditatcm confumcndam,tum ad fupcrfluirarum co~ piam adimcndam . Quaproprer , ficuri notat Pcrrus Apponcnlis , icntenriamAriftotclis dc illis inrcUigcrc oportct ,inquibusqua- tuor concurrunr , ut fint humidi , &c calidi , ut humidi tas lir irulra, cuaporabihs,atquc circa puImoncm:talcs cnim filaborcnr, &: mul- tumexcrccntur,pcriculum cft,ne humidiras a calorcinrrinfcco acutoin uaporcs conucrfa pulmonis,&:cordis rcgioncmoccupan- ^ dofuffocarioncminducat . Quiab his humidam corporisrcmpc- ricmpoiridcnr,nullum nocumcnrum ,quinimmo cgrcgiamurili- tatcmabcxercitationibus,&: laboribus percipiunt;arq.hacratio- ne cx mulieribus humida tempcric in uniucrfum pracdiris illac fa- niorem, &: minus molcftam uitam dcgun r , quac diurius , 6c ualcn- tius elaborant , &c cxcrccnrur, ficut &: cacdcm apud quas gcntcs,&: in quibus locis laborarc confucuerunt ,facilius pariunt , ut kribit Ariftotclcs ; neque utcrum ditHcuItcr gcrunt , cum labor ca rccrc- ^:^^^^^^ mcnta confumar,quacinmuIicribusotiofis,&:fcllulanjs augcntur. Quaccunquc ucrocorpora calida(imul,6^ficcafunt, nullopa^to cxcrccriconucnit;quae calida,&: humida, cxcrcitationcm admit- tunt,atmodcratam,nonuehcmcntcm,noncitatam : frigida,&:/ic- ca rationc frigiditatis cxcrccnda lunt , rationc autcm ficcitatis ne- C quccelacs,ncqueuaIidosmotusrcquirent, fcd modcratos,&:po- tius lcntos: fngida atquc humida omnium maximc ab cxcrcitatio- nibus uchemcntibus, &c uclocibus iuuaniur, quippc quac fupa -a.- cancam humidiratcmabfumunt,&:calorcm natiuum cxcir.inc.au- gcntquc. Sicigifurdccorponbuscxcrcendisinuniuerfuui dctci- minatum lit. Dc locfj In quil^HJ excrcitationes ficri debent. Cap. ^^y^.ffK A N T A cft locorum uis,atquc proprictas,quibus rcs ia iplisfaciacuarijsmodisdilponuntur,utnon modoplan tarumnaturac,ficuri Thcophraftusfcribit ,non modo ^^c.- brutorumfacultatcs,qucmadmodumaudorcftArifto- tclcs,ucrum & ipforum hominum corpora,atquc animi, fccunduin Hippocratis,&:Platoni5fcntcntum,prout indiucrlislocisucl na- fcuntur, 2il.mai;ishvpcrhron conimcdarunr, quampordcus,(S^hypogacum,licut,6c Phacdrusapud Plaroncm in diaiogo iplius nonunc infcripro cx fcntcncia Acumcni mcdici , cu- ius ctiam a Xcnophoncc cclcbris hc mcntio, dcambulationcm , cx- [l^^^"^^^^^' ti-a ciuitaccm iaLhun ci, quac in ciuiraribus ctH. i iir, pracrulit hifce tt^* ^ ^ " VCrbis '.ti \,yu£ mI cSTruiiyiW^ AKOVtAivui KcciccTccs oJ^Jx/^ TTcioOyLCti ToOi Tr^rrccTOv^^cfHffi yxg iKOTroort^STotiv Ivtoi^ J^^ot^n^ iivcti, jdcli:, McO auccm , 6c tuo obcdicnslodali Acumcno , m vi)s ambulationcs fa- cio : has cnim dixic minorcm lafruudmcm parc rc , quam illas quae hn curribusagancur, Dc hoc cnim Placoms loCo cum luprapromi- fcrimus, nv"^s plura diduros, iam occafio poliicira fcruandi opporru na fclcurtcrr, cosmagisquod Marlilius Fic!nus,uiralioqui doctilli- B mus,dum Phacdrilcnccnriamcnecrcdidit , uc hiciiiorcs linram- bulacioncs, quamcurfus, dupliccm errorcm rurpiccr commific; rum quia rcxtiis (Sracci lirceram ,ai]t non inrcllcxir , aur linc ncccf- licatc cranlnuitauic, dum loco t»v IvToi^J^^iyiOi^ , pcrindc cranrtu- lit , ac(i ccxcus habuilVcc TivJ^^itmy ciim quia Phaedro Acu- mcno ridiculam propc rcinlc adlcripfiirc nonanimaducnit :quis cfuaeloadcomruHus,(&:ignarus cll, quin cognofcac ambularcfa- cibus clVc , quam currcrc ? Mchus igicur lanus Cornarius , qui nu- pcrPlatoncm Latinum iccit, fentcntiam illam inccrprctatus cft, cum Phacdrum tcccrit diccntcm falubriorcs cllc ambuhirioncs in uijs,quam in curlibusfactas. quod uc accipicndum ,atqucintclli- gcndum (ir,uarias inucni doclorum hominum opinioncs; alij nam- qucarbicratifunr, «/^fo/nwj fiue curfuii apud vetcrcsGraccos fuific Qin urbib. uiasplanas,lcdoblapidcsftrarosafperiufcuIas, &:brcucs ita appellatas ob frequcntiam hominum pcr cas ambulantium i co padito, quoctiam hodicrnadicapudmultosciuirarum uiacmagis irequcntarac Curfusnuncupanrur. cui fcntcntiacopitulari uiderur Hippocratcs 5. Epid.-.ibi mcntioncm ciiiufdam facif,qu' propc cur fum habitabat his vcrbis: 0 7roc§i tov J^giiJLov opcioQVyTHS wktoqcchjuic li^i' daf. idcft, quidc propc curlum habitans nocte languincm euomuit, ucro liue uias dixcrunt fuiflTc quafcunquc uiascxrra ciuita- tcm nulla artc fabricatas,nullis lcgibus llratas,(cd inacqualcs,mini mc planas,&: dcniq. talcs,qualcs ud narura,ucl cafu fadac rcpcriu- tur : atque ideo Acumcnum magis ambulationcm in uijs , quam in curfibus probaffe : quoniam ficuri fccundum Cclfum , 6c ipfo anri- lib.i.ca quiorcm Ariftotclcm forraffc Acumcnum in hoc fcciirum, Tfl2t^ jV/yJ"^ TF^iTriroovoi KWfdCiiJ^Qy^iKOTrii^ioi wii/oiivi^Mi rHv irjSuHv. idclt ambu- 218 L I B E R ambulationumlllacminusdelafsant, quae fiunt inuijsinaequali. bus, quam re(ftis, cum ambulantes pcr loca plana , &c aequalia fem- pcr ijfdem membris laborcnt , ambulanres u cro per inaequalia ro- ticorpori laboremmagis diftribuant, &:iccircominusdefatigcn- tunitaambulationcsper uias fadac, ut potc inaequales fadtisin curlibusnimirum acqualibus exli^eiTtibus facilioreseadcmratio- ne cxliftunt. Alij dixerunt rot/ffc/^fJ/iovc r^xftitilTelocaquaedam tra- £l:u brcui ambulationibus dicara, limilia ijs , quae in palneftra anti-» qui ob ambulandi commodita.em acdificabar, quacquc IniJ^goiAi- c^ajuocatas rradit Virruuius, &c quorum clarifrinam menri ;ncm fecit Eupolis, apud Laertium m Platon Iv IvjkIoi; J^goptcurt akccJ^H'' lAOvSiov^ ideft, inambulacrisAcademi Dei umbrom. uiasuero ex- ftuif e dlas , quas paullo anre ex praedi(5l:)rum opinione indicaui- mus, & ob id Acumcniim rede fcniifsc, dum ambulationes in vijsminus, quam incurlibus defatigarc ccnfuit; quandoquidem . Ariftoteles fcriprum rcliquit, eos ambulando magis defatigari, quipcruiasbrcueseuntcs faepe, ac facpius repeccre coguncur, quam illi, qui longas uias pcrambulantes numquam repetuat, cum illi priorcs modo quiefcentes, modo euntes ab inaequali mo- ' tione pcrturbentur , quod minus iftis euenire perfpicuum eft . Hos poftrcmos melius cctcris fenfifse , femper ego putaui , non tam quod ambulano in uijs perada eligibiliorfit, quam in curfibus, tum ob rationcs praedidas,tum ob liberiorem, & puriorem aerem, qui non in locis breuibus,&: occlufis , fed in vijs apertis crebrius in- funditurrquamquodcurfum ita Platonemin Phaedro intcllige- re,uerifimihus cft , quando &: in principio Thcaeteti fimili uoce in cadem prorfus fignificatione uti uidctur fub hisverbis: tegnyxg ltf rS^ooJ^gcfieo HMl(povroW£tgoir\rmgovroi ttCroO^ KxiccCrity vvv&: loca fccundum mare ad mcridicm,aut occidcntc fpc^ftan- tia tiigicnda crunr , c]uoniam , Virriiuio auctorc , caclum mcridia- ^^^^ ^•^ '^* num pcr acftarem folc cxoricnrc calcfcir, mcridic arder,undc cxcr citarihne magnoincommodoncmoibi poteft. Quodfi fupcrbilfi mac,arqueinnumcrae illae porticus ob dcambularioncs, &: alias cxercitationes, ut fupra rctulimus , crcftac , fi ampliirima illa gym- nafiaad hoc a maioribusnoftris magniricc exacdificata babcrcn- tur,nuIlusprofcdo locus aptiorinucniri polTct, qui omnibus fc- rcexercirarionum gcneribus magis futficcrct :fcd ,quoniam illo- rum ruinas uix nobis intucri liccr , danda opcra crir, ut unufquifq. locum fccundum condicioncs iam cxplicaras cligar , illud icmpcr nicnre rcuolucns, tametfi multae fint exercitationes, quac loca angufta,&:occIufa expofccreuidcntur, inijsramcn haudparuni B delc(ftum quoquc habcri dcbcre : ut , fi non omncs qualitatcs , ali- quasfaltcmcarum, Sc mclioresex ijs, quas inmcdiumpropofui- mus , habcant . Quamobrcm fcitiflimc confuhiit Galcnus , ut do- ^i^- mus, in qua cxcrcirandi funr homincs, h\ cme calida , acftate frigi- "^'"P-^- da , uel fcmpcr tcmpcrara cligarur ; fin mmus , procurctur , ne ipfo pracfcrtim die calidior ,frigjdiorucfir, quampublicus totuisur- bisaer. Quasomncs pracdidas condirioncs unoucrbo complc- xuseffc uidcrur Acrius Amidcnus, ubi gcftarioncm, nauigario- lib. j.c.7. nem,&: omncm dcnique cxcrcirarioncm in falubri loco,&:puro acreficridcberefcriplit . Aliac fimilircr poflcnr indicari iocorum condiciones ,ncmpe inaequaljras litus, planirics,&: huiufmodi: ied,quia parrim cxplicaracfucrunt,parrimfupcruacanca&: teporcmferuarc non poteft. amplius corpo-. ramotupcrfpiratiora,&: folutioracffcda , meatufquc pcrfudatio- ncm patefasfti frigusintima maiore ui penctrarc permittunt, ac* ccditctiamquod fcfc cxcrcentes acrcm continuo permutant, ac ^r. partiu pcrmoucntj&iccirco^uti diccbatAriftotcIes,currcntcs hycmc,ma P prob. 12. gisrigcntltantibus.quod ucr noftra ambiens corpora, cumftamus, ubi lcmel concalcfadus cft,nulla amplius molclliam inkrt; cum au tcmcurrimus, alius atquc aliusfubindcfrigidus*occurrit ,iraquc fit, ut magis rigeamus • Paritcr qui in cxtrcmis frigoribus cxcrccn-. tur,uchcmcntius arigorcpcrcutiuntur: nimiuspractcrcacalorcx- crccri uctat,nccnonficcitas immodica,quoniamaltcr calorcmna- tiuum, & vniucrfum corpus immodcratc refoluit, altera magis> quamparfit>humiditatcscxficcat. Tcmpusitcm excrcitationibus fcrenum,atquc lucidum cligcndumcnt, fugicndum ucro nubi- lum, obfcurum , craflum; quando licaer dcprauatus ctiamabf- quc cxcrcitationc apcrtos corporis mcatusfacilc ,fubit, humorcf- qucfccum inuchcns mcmbris non finenoxa afligir, & pcr con- fcqucns grauiora non Imc rationc corpora rcddit, animumquc de- inccps Q V A R T V S. 221 A mceps gnuat ;qiiodinfcfcno nufquamanimaducrtitur,quln po- tius al> illo corpora ad morum adiuuari,fpiritusq. fuaptc natura lu- ciditati amicosconfirmari',&: animum rccrcari pci fpicuum cft. id ^.^ ^^^^^ quod Hippocr:itcm (ignifi^ alfe puto,ubi dixit,(?/4«ritrc &:incoctos humorcsconficicnre cxcremcnra paucif- (imagcnerantur,atqiic indc minus iIIacducincce(Tariumcft,nc- quc cxcrciratioconucnit>quaccxiguam urilitarcm aficrenspencu lum magnum adncxum habetine fcilicet aer hyeme madore opple tus coi-pora moru reclufa illabcns nvignopcrc laedat.Kx altera par teuctuiliirrnus audor Hippocrarcs, iiue Polybus tria cxcrcitandos ^.dctlict» hommcs admonitos u )!uit,ut lallitudincm omni temporc caucrcr, ^utdcambulationibusmaruriniscorpus exercercnr, urhyemc&:fri gido tcmporc magis ac diurius cxcrccrenrur,ccflanrcs tamcn priuf quamlaatq. ctiamaurumno cor[x)raabambicn Li.i.c n- teacrc faris exficcata,fqualcntiaquc rcddita haud amplius pcr mo- tumarcficri dcbcrc,ncqueitemcalorcm alioqui languidum,&:im- bccillem magis rctundcndum minucndumuc.Galcnus ucro,muIra ^ ^^-^ rumrcrum,quasmcdicifcquunrur,auLtor bonus ccnfuifTcuidetur, ual.ca.z- quod ficuri corpora rcmpcrata in rcmpcraro rcmporc,ncmpc ucrc> cxerceri poftulanr,(imili pavflo corpora frigida in calido , calida inc frigido,humidain (icco,(icca inhumidocxcrccndafinr:qu;ififcm- per illud obfcruari dcbeat, utcorporibus adaliquamintcmp^-rie' dccliiumibus tcmpus,atquc locu5 coiurariaiucxerccndo chgati^ tttu 222 L I B E R .9. epm. tur.Neque hoc in locopraetermitrendum ccnfeo.quod PIin?us iu- T> S Fulcc: '''"'■'^''^ exercitatione aeftaris tempore a fc ficri fc>!ita , ubi a Fufco mterrogatus,quomodo diem acftate in Tufcis difpennirer,in huncmodumrcfponditde cxcrcitationibus.-iibihoraquarta uel quiMta.ncquc cnim certum dimcnfumo. tempus.utdiesfua/itin xy ftummcvcl cryptoporticum confcro.rcJiqua meditor,& didojVc hiculumadfccndo. Ibi quoqucidcm quod anibulans.autiaccns* Duratintentio mutationc ipfa icfeda, Paullum rcdormio ,dcmde ambuIo,mox orationem ^ iraecam,! atinamue clarc,&: intcntc non tam uocis cau la, quam ftomachi lcgo , paricer tamcn &: illa firma- turitcrum ambuIo,ungor,exercecr,lauor.& paullo poft. Nonnum- qiiam cx hocordmcaliquamutantur. nam (i dm iacui,uel ambula- ui, poftfomnumden.umlcaioncmq.nonuchiculo.fcd quodbre- ums,quod velocius,equo gcftor, ucnor aliquado.ln particuJari por E ro tcmporc excrcitationis dcfcribendo Ariftotdcs aliquando mo- Pk,..nhb. ,um cum(vt ipfi ctiam imputat Plutarclius) quipoftfumptum cibu •iit,commcndauit,coquod tunc caloramotu auduscibum mox in- ot ftumfaciliusconcoquat,cuiustamen contrarium eucnit, quan- do pcr motum calor a uentriculo ad uniuerfum corporis ambitum rctraausnonfolumnonadiuuat concodioncm .quinimmoimpe- locclt '^i'^'^»'"*^^"^«; r(ii^oMW(tKAvvrM.f,iivH(Cisis ci(m tua cura dapes , Et bomts MCthcrio Uxatur ntBatc Catjjfr > lngcntiq. tcncl pocula plcna manu , Tunc admitte iocos ^^rcjju timct ire licenti , w/f  aut fphacrillirio, aur curfui ,aur hidarioni- „ busmoHioribus incumbcbar, arqucindc undus Iauabatur,ira ut „ caldarijs ucl numquam', uel raro,pifcinisfcmpcr utcrctur , in caq. „ ^ una horapropc mancrcr:bibcrcr ctiam frigidamclaudiam iciunus „ ad unum propcfcNrariii. Egrcflusbahicism i.lrumladiSiSjpanis fu- „ mcbar,oua dcindc, mulfum,arq.his rctcdusaHquando prandium „ inibar,aIiquando ufq. ad cocnam diflTcrcbar, pranfus cft ramcn fac- pius. Horariusquoq.paullodiucrfius, &:fcipfum, Sc ahos hbcrc Lib,i,fcr. uiucnrcs in cxcrcitationibus cfficcrcfohros> arrcftari uidctur , ubi Sat.t^. pollmultahaccfcribit. quartam iaceo ; poH hanc ragor, aut e^o Uclo , v>f wf fcripto, quod me tacitum iuuet, ungor oliuo , 'hlon quo fraudatis immundus V^atta lnccrnis , ^sl vbi me fcffum Jol acrior ire lauatum ^dmonuiry fagio rabiofi temporafigni ^ Tranfus non atude , quantum interpcllet inani , P^entre diem durarr, domcflicus ocior, hacc eQ ^ita jolutorum mijcra ambitione,grauiq. His mt confolor uitlurum fuauius ,ac ji QuaeHor auusypatcr atque meus ypatruusq. fuiffcta. Illud ramen hoc in loco ncquaquam pracrercundum exiftimo, quod maiorcsnoftri , quorum maiorparsucl cxiguumquid>uel nihii omnino manc manducabanr, fcmclq. tanrum in dic farura- banrur, horaodtiuadici , ucl nona commodc cxcrccri porcrant, aut criam occidcnrc (olc. Cctcrum aerarc no(lra,c]uando uix vnii, aurahcrumcft inucnire, cui non lir in morc pofirum, 8c vcfpe- re,&manecibisfarurari ; nulla inomni rcmporcopporrunior ap- parct horii, quam marurina ^paulloanre cibi fumprioncm ; nimi- rum cum corpora lciwora ySc ub cxcrcmcncis magfshbcra , niagis ob i26 I B R obpraeuiiimfomnumualida, magis dcniquc a quibufuisimpcdi-D mcntisfollitafunt^&practei^a minus imminct pcriculum, quin extcrnuscibus probc confcdtus (it: ficut contra in vcfpcrc, cum nondum cibus concoftiontm affccutuseftjcorpufquc fupcrfluita- tibus magis redundat,magisq. grauatur, potius quicfcendum , qua li.i.fen 3. cxcrcendumcfTe, quifqueuidct: uti quoquc animadutrtifle Aui- Joc.2,c.3 cennam arbitror, ubi dixit:"In hycmc vcro ratioiii conucnicns erat, ut fcrc ufque ad vefperam tardarctur, fcd alia prohibctia hoc uetant. Erit iraquefcre pcrpctuonoftrishilcetcmporibusmane antecibum quibushbet fanisadcundacxcrcitatio,iique vllus au- ftorinucnictur, quipoftcibum cxercitarioncmcommcndct,mo- . do prudentcr confulat, non gratia fanitatis, aut habitus boni com- parandi illud faccrc, fcd potius gratia alicuius particularis aficjlio- nis curandaccognbfcctur. E/t Sc aliud hocinloco magnopere E confiderandum, ueter^s tam Romanos^ quamalios multos fcrn- pcrdics, atquenoftes fcparatim in duodccim horaspartitos eflb.; atquc alias dici maximias,ut in acftatc , alias minimas, ut in hycme, Udecit- aliasacquinovflialesuocafl^c: numerumautcmhunc fcribit Gale- mfpcc.no "^'^ ranquam ommium utjIiflTimum ab ipfis deledum eflb, quo^ titia atq. niam dimidium continct, &:duplum, &: quartum &: fcxtum, 8c «pfj!^* usincredibilia crra- ta Q V A R T V S. jjT A ta committi folenr,&: plerumque ( urar Plinij vcrbls) infcitia capi- ^M.n talis cuadit. cumquc nos cxcrcirarionis toram arrcm rradcrc profi- tcamur, iamquantum vnufquifq. cxcrccri debcat, monftrarcco- nabimur . Et nc lingula cxplicantibus nimis diuagctur oratio ,uni- ucrlaquantitatiscxcrcitationum tradatio cx hisconftabit, Quis cflc dcbcatcxcrcitationis communis tc rminus: Quantum fortcs, quantum dcbilcs, quantumlcncs ,quantum uiri ,quantum pucri,excrccri debcant;quantum hycmc,aclbtc,ucrc,&: autumno;quan- lum tcmpcratc uiucntcs , quantum humidi, caHdi, frigidi, &: ficci ; quantumualctudinarij ; quantum non alfueti . his ctcnim cognitis nihil,quatcnusad praclcns caput attinct, dciidcrarciurcpotcrir. Sed antcquam rcm aggrediar, adnotandum duco , dc corporibus acgris non hiturum lcrmoncm; tum quia paucas cxcrcitationes B rcquirunt; tum quia fccundum morborum uarictatcs uariantur cx* ercitationum lpccics,atquc mcnfurac;&: iccirco ccrta rationc dcfi- niri nequcuiK. Tcrminusigitur cxcrcitationum communis ,qucm Galcnus ,Oribalius, Auiccnna,&: Actius Hippocrarcm fccuti do- cucrunr,duplcx cll,U!ms,quandofciIicct uapor fudori aliquanti- r.dcloclf fperpcrmixtusfcntitur, vcnae intumcfcunt, atquc anhchtuspcr- mutatur:cum cnimab cxcrcitaiionc duorcquirantur , mcmbro^ Ji.i.fcn.ij rum robur, &: caloris au(ftio , qui fuccos concoquat , concodos nu- tricndis mcmbris diflribuat, atquc dcmum inutilia dillipct, nifi^.cpia.^' cxercitatio tanta fit, &: ad limilem tcrminum pcrucniat: ncque^°»«*« bcnc,ncquc pcrfcdc illaomniaobtincripoifunt, altcr tcrminus c(l, ut tamdiu cxcrccatur vnufquifquc, quamdiu color floridus ciusfaciei ,&:corporiingeneratur; motufquc acritcr, acquabili- C ter, &: concinnc edit ; ncc ullamcflaru dignamlalTitudincm per- cipit . quod li calor cuancfccrc incipiat ;vcl corporis moles paullo contractior vidcatur ,vcl lalTicudoiamimmincat: illicodcliltcndu cft; ne, fi ultcrius progrediatur , corpus plus iufto gracilefcat : boni fucci unacij maliscxhauriantur:&:tandcm calornaturalisdcbilior reddatur; &: idco loco roboris acquircndi uircspotiusdcftruan- tur , (imilitcr ubi motuum alacritas ,acquabiliras ; ud concinniras rcmitri quippiam , collabiq. ccrnitur; utiquc llatim delincrc opor tcr; itidcm (i infudorcaccidar ulla qualitatiscius,qua!uitati.suc mutatio, quippc qucm, &: copioliorcm (cmpcr , &: fcruuiiorcm cdi parcft,prout motus vchcmcntiorcsfiunt.cum igituris autminor, aut frigidior rcdditur : tum fcito corpus cxhaunri , rcfrigcrariquc, &:ficcari plus iufto. &:proindc corpori cxcrcitando diligcnrcrat- tendcrc conuc 01% ur, quando pracdittoruni lignorum aliquod ap- Cyn.n.iiiica* 3 parcrc 22S I I B E R parere lam incipiat, protinus cxcrcitatio dimittatur. Atque hi !> funt communcs quidum tcrmini , quos magna fc/e cxerccntium pars continerc dcbct . Succcdunt poftca particularcs, pro quibus ita dccrctum uolo, quod ualidi diutius ccteris (nifi quid aliud ob- ftct) cxcrccripolTunt, quamuisctiamuircs aliquantifpcr fatifce- rcnt ; nimirum quae facillime rcfurgcre poffunt. dcbilcs parum ccrte cxerccri oportct , alioqui i\ in his uircs ucl tanrillum parian- tur,difficulter, & longo tcmporereparantur ; & iccirco fatipfis crit incalefcere citra fudoris principium.Scncs du fe cxcrcent om- ni cura fudorcm ctfugere dcbent; ncmpe iicci,&:aridiexfiftcntes, ita maiorem ficcitarem conrrahunt; pracrcrea c um iam dixcrimus, exercitationesiniuucnrutcconfuetasinfcncLtute congrucrc, hoc in loco fciendum cft , fcmper fcncs minus quam iuucnes (oIcbant> excrcendos cffc , omninoque lalfirudinis fcnfum cflugicndum , ter- E minumq. excrcitationis eorumfamisexcirarioncmponcndum, fi- cuti Socrarem iam fcnem fe exercirare , donec cfurirer , folirum le- gimus. Viri, fub quibus comprehcndunrur omnc^ inrra adole- fccntiam , & fencfturem exfiftentes , moderatas exercitationes po- ftulanr: uel enim ofFendunrur, fi plusiuftocxcrceantur, uclpau- cum omnino frudum capiunt, fiminus, uel utroque modopra- uum aliqucm habitum conrrahunr: quocirca tcrminus commu- nisiamexpofirushisomnibus mirificc aprabirur. Pucri a primo ufque ad tcrrium aeraris feptenarium mulris laboribusprobefuf- ficcre poflUnr . quocirca &: incalcfcere , &c anhclarc , &: ludare &: aliquantifpcr defarigari ipfis impune concedirur : excrcmenris enim plurimis ob viucndi imprudentiam cxubcrantcs afudoribus, &: laboribus multis iuuanrur ; uiribus autem ualidis pollentesa F leuibusdcfatigarionibus minimc oflfcndunrur: haud ramcn rao- duminlabore pucros umquam exccdcre conuenit, &:tanto mi- nus, quantoprimo fcptenario uiciniorcs exfiftunt^ fiquidem in- icmpeftiuaexcrcitationisduritiecorporis pueri,ad auftum, ana- tura quam maximc comparari inhibcrur auclio, ob quod pae- i.Jtu.fa. dorribas nonnullos fui temporis damnauir Galenus; quod plus c^x.7.pol. ^equo pucrosexcrcerent .fimilitcr, &: Ariftotclcs improbandos iudicauit Laconas,quinimijsIaboribus, &: exercitationibuspue- ros cfTcratos rcddebant , ficut &: illas nationcs, quac athlctarum ha bitumlaboribusinpueris gencrare ftudentes corumcorpora de- formabant,augumcntumq. impcdicbant. Nainter eos,qui Olym* piavicerunt,duo, uel tres tantum exftitcrunt,quiijdcmadoIclcen- tes> fi^ uiri fint ui inaniun- tur , calor naturalis excitarur,&: pcrbclle conco^liones omnes pcr- ficiuntur. Dcmum uaIctudinarios,qui mox a morbisrefurgunt, cxigua admodum cxcrcitatione utidebcrc, ncmoignorat; quo- niamhorumuircsinfirmae ualde exfiftcntcs,caIorquc debilis, &: membracxficcata ,fimulta cxcrcitationc agitcntur, nonpoflunt non fummum dctrimentum fcntire:proinde ifti i ntra anhclitus mu- ationcm,intra caloris aduentum,intra dcniqiie dcfatigationem ^ quamIibetexcrccndifunt:prouttameniftireficiuntur,uircsq. cre- fcunt,&:mcIiufcuIieflecoeperunt,adijceredebentexcrcitationes. Poftrcmo qui exercitationibus inafl^ucti funt, cum prauam illa con- fuctudincm dcponi deberc,iam oftenderimus, prius cxpurgari ab humonbus,&:fuperfluitatibusexfcgnitie ortis fecundum Galeni confilium dcbent,alioqui periculum imminet , ne a fluxionum per- niciofis morbis protinus tcntcntundcinccps primo parciflTimc exer- cendi funt pcr aliquot dics, poftea cxcrcitationis modus paulla- tim augendus , quoufque ad tcrminum illum pcrucntum fit, qucm inafl"uetis fufficcre,&: citra ullam molcftiam calefacere experientia docuerit:cofemper(quod fupra quoque dcmonftrauimus) ani- maduerfo , omnibus immodicam excrcitationcm noccre , nempe quae pucris incrcmcntum adimit,&: mcmbra colliquat, uiris inae- p qualcs intempcrics gignit , atque febrem interdum , ficuti de illo Calc.^.dcimmodice excrccricoaclo narrat Galenus in libro de cauifis prae i/mp.cau. inchoantrbusjfenibusimmodicabiles Iaflitudines,atq. ficcitatcs pa rit;omnibusque tandcm aliquid fcmper boni cffluere lacit. Quam- quam Ariftoteles ij. ethic. ad Eudemum libro , vbi virtute medium eflc probatjCxceflum in excrccndo defcdu magis laudat,licut in ci- bo cont rariu mjo/^c^t/^inqu lOKoci Tngi to (raipix Iv /u^ rots Tromg vytui/ongoy i VTns^ '^^^ lA^u^liQnsKcci iyyuTigov roi ykaov \v J^i r7i rgoq^n « fcAAu4^2 vTnsSo^HQ &c quac lcquuntur. Immodicac autcm cxercitationis haec fignafunto,dumarticuIicaIidiore cff"ecli fentiutun dumuniuerfum corpusaridum ,&: inacqualeapparct ;dumin motu/enfus doloris cuiufdamulcerofifuboritundum labor coade,&:nonfpontc dimit titur;dum poftfudorcm pallor fuccedit,ficut in athletisimmodice cxercitatiseuenireconfucuiflc au6tor eftAriftoteles;duminfolita denique, prob. Si Q V A R T V S. f ji A clcnlqncacualdcmolcftalafririido pcrcipitur. Tota itaquc quan- titatis cxcrcirationum ra:io liis omnibus nobis pracfcripta fit.Quod limulta particularia a quoquam rcpcricnriavi'iac a nobis aui i^^no rata,aut praetcrmi(rauiJcantur,iIludfciat,nihilquod ad un ucr- iamartcmncccflariopcrrincat,circ,quia uclcxplicitcuclimplici- tc a nobis comprchcnfum habcatur^.juamquam ctiam mulrac cxcr citationcsfunt, quarum quanritaris tcrminum non cxprcllimus , quod a tcrmino illo communi pracfcripto corum mcnfuram accipi uolumus, Dc modo exercer^di. Cap. XllL p '^'-^^^♦'-'-—•RAETER locum, tcmpus,&:quan:ita:cm, quae inobcundiscxcrcitationibusfununa curaobfcruari ^ d^t)crcdcmonllrauimus,adcft& modus,qui urin illisipfis, fic in plcrifquc alijs rcbus rc(ftc pcragcn- dis tantum potcft , ur, nili is adhibcarur , cctcra om- niafupcruacancarcddamur, inrinitisquc propc cr- roiibusiam uia latilfimcpatcat . Qua dc rcmaximead huiustra- ftationis abfolutionem pcrtinct, ut modum ,qucm anriqui in cxcr- ccndis corporibus tcnucrunt , quoquc tcmponbus noftris unus quifque fanitatis ftudiofus uti non linc fru(ttu potcft , &: dcbct, apcrtum brcui fcrmonc faciamus. Modus igiriir,quo uctcrcs ad fa- nitatcmufoslcgimus, fuitis, qucm Oribalius Pcrgamcnus lulia- ^.coiic. ni Impcra. mcdicus , Actius Ainidcnus, &: Arabum doc^^tillinius Q Auiccn. inmcdiumattulerunt. Virinamque ,&:iuuencsexercen- Li.i.for.j di ubi Iotiopfcctaconcodioapparcbat,faccibusqucaluum cxonc-^^*-^'^^ »- raucranr,maiorparsfcfccxfucbanr, mox fricabanrur mcdiocritcr, ^"^'^"^'ufqucquofloribuscolorin fumma cutc refidcns, &c arruumflexi- bilitas , arquc ad omncm motum agiliras pcrfuadc bant ; pcrfiicati olco dulci mungcbantur ;quod urmagis ariusquoslibcr pcnctra- rct,manibus undccjuaquc prcmcnribus,&:cxplananribus apponc- batur; abundtioncqui luctatione cxcrceri uolcbant ,autpancra- tio, pulucre conlpcrgcbantur , alij protinus in cxcrcitationcm, proutcuiquc alt^rraalrcri uiilior,atquc grariorapparcbac,dcfccn- dcbanr,pcra(fta cxcrcitarioncpaullum quicfccbant,dcindc fh-igili bus, ucl afpcriufculispannisltrigmcnta a corpore cradcbant,quo fado aliquando rurfum fricabantur , iTroi^gctnwTiKH didta fridio- nc,nmilirerqucungebanturaliasinfoIc,aljasadigncm,utCornc- ^*^^-^*^ *- liU5 Cclfus tcfUtum facit; ficq. fcrc fcmpcr balneum ingrcdicban- tur Lib i.Sci bis bon.& ina.ruc. 2iS JL 1 ii £ R tur conclaui quam niaxinic alto , lucido , & fpatiofo, rariiisfcip/bs D inducntcs ad capicndum cibum accedebant. Atque hic totus erat modus,quouelin gymnafijspublicis, uel inpriuatis locismaior pars liberorum hominum,&: eorum qui valetudini curandae, & bono habitui comparando folemniter incumbebant, frequentcr utc- batur- Necquifquammiretur,quomodo liberi hominesfingulis diebustotcorporiscurisoccuparentur, quando omneshomincs, ncdumclarioresquotidie defricarifolitos, multi audores,& prac- fertimCoIumella memoriaemandarunt.de quo defricandi mo- rc ,&modo,fiDeopIacuerit,aIiquando tradationem huic adij- ciemus. Cecerumuerifimile fit quamplurimos ahosexftitifTcqui uel negotijspublicis,priuatisque impcditi juelnecefllirijs uaria- rumartiumoperibusdetenti ;uel aliqua ualetudinis ratione coa- €ci hoc pa£lo minime excrcerentur , fed fridionibuSj&undlionibus ^ dimiffis^quafcumquc poterant exercitationes ample£lerentur;ficu- ti &: multi reperiebantur,qui pracdidarum cauffarum aliqua nullo modo exercitationibus uacandi otium habebant; quibus omnibus exadiore uiclu,^: fanismedicamentis opus cflb tradit Galcnus. Verumenimvcro cu actare noftra gymnafia illa ob exerccndi com moditatcs ab antiquis fabricata in vfu dcficrint cflc%neque gymna- ftas,&: paedotribas,ncque aliptas,&: reundores habcamus,a quibus fricandi, ungendi, tandemque quomodouiscxercendi modos,at- que commoditates quaeramus,fat erit illis,qui aliqua neceflaria oc cafionc impediti Iibcrefcfeexcrcendiocium ncquaquam habcnt, ut potius quomodocumque poflunt , excrc eantur , quam fcmper in confummataquietedegant; modo tamen hoc unumobferuent,ne ftatim a cibo excrcitationes cas, quas gratia fimitatis facerc uolunt, ^ folicitcnimis adcant,fcdfalrcm aliquot horas intcrponanr, quo quam minimum ficri potcft nocumentum inde fcquatur . Porro

quifuaefpontisfunt ,&:maioriocio propriorum corporum curae Iibere uacare queunt,haec omnia diligenter obfcruarc dcbcnt.pri mo u t corpus tum a faecibus,&: urinis , tum a mucis , &: fpuris accu- rateemundarc,caputpcaerc,manus,&:facicm ablucre ftudeat, ne excrementa in uarijs corporu cauiratibus,atq. in ipfo ambitu laten tia,a motu cxcitata uaporarionib.oflcndantjftridisq. mcatibus no- nunquam infarclxi,aut exercitarionis calore cliquata obftruftiones, fluxionesq, diuerfas pariant.Sccundo ut corpus ijs indumcntis ob- tcgant,quaelaborcm ipfi fupcraddcrc nequcant, quacuc interim a uentis,fiqui erunt,ucl afrigorc tucantunautctiam fiacftus urgear, feruurenullopadoaugerc,fiucfoucrequcantinam indumcnramfi cxer- Q V A R T V S. 217 CKcrcitandLs prudctcracc6modcntur,pracrcrimpcdi'mcntri,quocl laboraruris in motu pracftarc folcntiniigncjfaciunt quoquc , &ut motusdchita mcnfura ludcrj6j alia iucomoda rulHiicant;(iqui dcm fudor ita indutoru finc motu multo cucnics, vcluti Arillotclcs i.par.^fb. dirpurat,dctcrior cft co,qui a laborc cmanat.&huiusargumcntum p°t?o pl eft,quod ita fudatcs dccoloratiorcscuadunt , cu humor pcr fumma blc.j. ' corporis pairus,arq. incalcfccns ab cxtcrnoacrcrcfrigcrari nopof. lit,& indc pallorcm tacilc contrahat,(i mulquc corporis pcrfpiratio» a qua graruscaloremanarcconfucuit a ucllimctis inhibcatur. Tcr tioobicruanducrit,ut rcmiflc,ac lcnitcr unufquifq. cxcrccri inci- piat,dcinccpsciusintcntionc augcatpaullatim,ufqucquoad tcrmi nu, qui fibi conucnicns uidcbi tur,pcr ucniar , atq. vchcmcntia rur- fum pcdctcntim rcmittcrc catcnus conctur , quatcnus fibi iam fitis B fclc cxcrcuilTc dodus cxpcricntia fcntict: na fiibito ab intcnfis cxcr citationibus incipcrc,non folum imbccillibus,fcd ctia robullis cor poribus fummc pcrniciofum iudicauit (lalcnus . Quarto ijs,qui in- pu!cp"iicpl ter excrccndum fiidant,curandumcrit,iitpcrada cxcrcitationc ue ftcsludorc madcfaclas cxfuant,&: ficcasrciumat,idqucli ficri potc- rit in loco tcpido, aut tcmpcrato, aut faltcm ncquc frigido , ncquc ucnris pcrflatojl ctcnim humcctailla indumcntarctincantur,faci- le cft carnibus a calorc rclaxaris itcru fudorcs imbibi , ficq. dcnuo corporismcarus ob ftruitiir ; practcrquam quod pannimadidi mox frigcfafti horrorcs,factorcs ac alias molcftias inducunr,atquc inde fcbrcs mtcrdum oriri folcnt. Quindoobfcruandum ciit,nc(ficut criamfupra admonuimus) poftcxcrcitationcm quam primu quicri fele dcdar,aut cibumfumat,fcd bIando,iSc: valdc remiflo potius ali- C quo motu utatur,tantumq. a capicndis cibis abftincat,quoad per- turbatio illa, quafiquccorporisfiudTtuatioacftuatiouc, ab cxercita- rione gcnita proilus ccffaucrit, ciq. tranquillitas quacda, &: icuatia fuccclTcrit. 1 otusitaquc critcxcrcitadi modus^ordo,primocor- pusa fupcrfluitatibus quibus vis cmundarc , caputpcctcrc,manus &:facicm ablucrc/caccommodatc inducrc,rardos,&: rcmi(Tos mo- tusincipcrc,ad cclcriorcs,&: uchcmcntiorcs proccdcrc,itcrumquc paullatim rcmitterc, madcfada fudorc indumcnta cxfucrc, blande pollrcmo moucri,&: fcdara cxcrcitationis pcrturbationc cibum ca pcrc . Atquchacc dc uniucrfalicxcrcitationum Ipcculationc mcthodo difputatafufiiciant.RcftatmodoparticuIarcs fingularum cxercitationum naruras , arquc cffct'tus cnarrarc. quod infcquen- libus libris, quanrum ficri potcrit,plcnc pracftarc conabimur. ExpUcit Libcr QHams. AR~ 234 ARTIS.GYMNASTICyE ° LIBER QVINTVS rDeordine agendorum\(^ den(mnHlhsfcituclignis. Qap. L Iciiti nullus ab excrcitationii particularium co- gnitionc fru(fius cxpcdtandus cfler, nifi rcda arq. vniucrfalis methodiis , quafupcriori Iibro abundefaiis(nifal!or)tradidimus,optimcpof- fidcreturi Ita proR do illa infruduofa,ac prope modu uana cuadcret , nifi haec parricularium fcreomnium exercitationum tradatio, quam g aggrelsuri fumus, illi conne£lcretur ; fiquidcm incerta , ac fallax ea cogniriouidcri potcft, qua cxcrcitatio vniucrfali quodam padto accepra iauareintclJigitur.fed /i qualis cxercitatio,quod nocume- tum,quamucconunoditatcpracftareidoncafit,cognofcatur,pro- culdubio nihil amplius rclinqui conftat, quod exercitationura quarumuis fcicntiam opcantis animum expJere iure debeat . £ t ic- circoncinchoataanobis gymnafticae tradtatio impcrfc(flarelin- quatur,infcquentibusfingulos exercitationum iamenarratarum effcftus profequcmur ; atq. hos cum ex antiquoru audoru compro- batis experictia rcftimonijs, tum ex rei ipfius narura infpeda, quam 12. Meth. ef e ueracodiriones rcru mueniendi rarioncfcripfit Galenus,dice- re conabimur. Et ne citra ordinem totus futurus fermo uagetur,ita matcriahuiufccmodidcclarareinftituimus,utprimocommodain F corpora humana cx unaquaq. exercitationisfpecie emanatia,dein- dc mcomoda figillarim explicctunna illud, quod quaplurnnis mc- dicametis eucnirc ufu c6probatur,ut fi alicui corporis parti,&: affe- ftui profunt,alijs noccar, in cxercitationib. item contingere, nemo ignorat.lnexplicadis praeterca utiliratibus,atq. danisamcbrisfu- pcrioribusprincipiufumentcs, utplurimu in ultima,atq. infimafe- riatim terminabimus ,prius tn iHis enarratis, quae nullum corporis particularc mcmbrurcfpiccrc vidcbuntur.His autcm fic pertrada- tis,duo me faltcm pcradurum cfsc fpcro:Altcrum cp maiori facilita- tc,firmioreq.cognitione quicumq. hacclcgent,animiscorum in- fidcbunt : Altcrimi 9 habito a ualctudinis ftudiofis excrcitationum alfiduo dclcau, uel nulli crrores, ucl quam pauciffimi committcn- tur,ficquedemummulticorum pcrnicioforummorborum euita- buntur. Q V I N T V S. 235 A buntur,c[uos dcCdia, laborum abftinenria,ac cxercitarionis ignora tio non conrcmnendos , quofq. inrcmpclliuus cxcrccndi vfus con- tinuoparcrc foletiillud namquca narura compararum cffc norunt omnCvV,urilla,quaccorporibus nuftrisadmorainliynitcr conducc- rcanimaducnunrur, cxdem plcruq. magnum dcrrimcntuintcrat, li ucl nullo paclo,ucl prauo ordinc , arq. omnino importunc adhi- bcanrur . quod ctiam m cxcrcirarionibus iplis fcrc conringcrc , iu- dicauit Galcmis,ubi lcriprum rcliquir,cos,quianrccibos,arqucop ^cd porruncfcfcc.xcrccnt,haud exquidra vidusrationc opushabcrc, ^;',5°".^ quin inrcrdum Naturac in ualcrudine commillos dcfcduscorrigc rc,qucmadmodum cxaducrlo iIIos,&:accurariorcuic'tu,(!!;caliiduis mcdicamcntisindigcrcinfupcrquc natiuamfanirarcm corrumpc- rc, qui ncquc ante cibos aliquo pado,ncq. ordinc,ac tcmporc fcr- B uariscxcrcitarioncsadcunt. Cumiraquc taliordincquacad nni- ucrf-ira ^'vmnadicam [>crh\icndam fupcrlunr, pracdfclrs adiungc- repropoLtum mihifit, id anrccetcrapracfariopcraeprcriumcllc duco, nos in fupcrioribusgymnafticamfaculrarcmnonincurati- ua,fcd in confcruariua mcdicinac parte collocafsc. Hr tauK"- omncs uctcrummcdicorum(cs.^tas, acpracfcrrim Mcrhodicos, quormn principcsAfcJcpiadas,Thcmiion,&Soranuscxftireruht,incun6tis fcrc diururnismorbis cunndi^ cxcixitarioncsaliquas magnopcrc commcndafscut cxlibrxs Oirncli j Cclii, qui A/clcpiadcm in mul- tis fecurus tuit, nccnon Coclij Aurcliani mcrhodici, atquc Arctaci c^^ro- clarillimc iQrclhgcrc liccr.quod fimilircr Galcnus,(S^ qui Galcnum in dogmatncorum fcetafuntimirati,magnacx parrc confirmarunr. ^►cd ac ud mc, vcl ilJcrs omncs cTrahc quis putct, ira fcnrcntias no- C ftras accfpi dcbcit uolo,qj.f;gyrTTnafticam principaliter circa fani- tarisconfcruarioncm ucrlari, ccinfcqucnrcrcirca curariuamrnuUa ctenim cxcrcirationcm,quaIifcumquc lir, u(l]uam rcpcrics,quin iii /aniscorporibusabfqucnoxaadminifti\uiqucar,atpaucisquibuf. damcxccpris,nimirumambuIationc,gcftationc,uc^tion9,ac limili- bus , ulx uha , aiiraltcra inuehihir , quc aegroratibus impune con- ccdi qucatiimmo illa^quacadhibcnrur^porius ut rcmcdia,quam ut cxercitarioncs commcndantur,cum in fanisonincscxcrcitationcs folum fiant,quo bonani ualcrudincm rucanrur,optimumquc cor- porishabirum inducanr: macgrotis vcroiccircocacdcnuidmini- ftrenrur, ur morbo cxpcllcndo aiiorummcdicamcnrorum inftar coopcrcnrur.Quandoigiruranriquorumirl varijsmorbiscxcrcir^^ tionibusaliquibusurcndi confucrudincm inmcdium adduccmus, noD crir,^ullusadmirationccapiarur,uofq. icprchcndar,ra(|tiam' - L I B E R gymnafticam foli conferuaroriae inferuire ftatuerimu5, quoniam ,D &:nosrei ipfiusnaturamprae oculishabentcs,ita dcterminandum cenfuimus,quemadmodum ueteres alias experienti js alliduis,alias morborum coditionibus permotipaullo diuerfiusfentirequidcm uirifunt,fedreucra afententianoftranonrecefrerunt* Aliudinfu- perhocinlocofummaconfiderationedignumexiftimo, quod li- cetinmulcis excrcitationibus diucrfus exftirerit antiquorum mos ab eo, qui hodiein ufucftfere apud omnes, ucluti pilae exercita- tio, luda, difcus , pugnae , atque fimilia ; nihilominus cu m parum noftra confuctudo ab antiqua recedat,folifq. accidentibus quibuf dam,& non in rei natura differat/crc eofdem eflfcdus, quos illi fuis atrribuunt, nos noftris dare potcrimus,modo vnu , aut altcrum ob- ferucmus, antiquos undiones , ac pulucrcs in multis excrcitationi- busadhibere confueuifTcquas nulli hodie,aurquampauciflimifa- E ciunt; aique hoc multi momcnti efle ad uariandas utroriique qua- 2. S dtae- litates,quando dc his Hippocrates verba faciens fcripfrt , cxercita- ta. iuxta tioncs in pulucrc , atque oleomagnas diflcrentias fufcipere ,cum puluis frigidus fit, olcum ucro calidum, atquc inde oriatur, 9 hye- me oleum corpus magis augct frigus prohibens , ne quid a corporc demat : Aeftate uer.o caliditatis exceflum facicns , carnem liquar , cum, 6c a temporc,&:/.ole6,ac laborc corpus calefiat;qucmadmodu exaduerfopuluisinaeftatemagis augct feruoremaeris,&:corpo^ ris rcmittens,in hyeme autem f rigus,&: algorcm inducit.praeterea maiorparshominumfcmel duntaxat in vcfperefaturabatur, no- ftratesbiscibosfumunt, quoditcm non parum refcrradiuariandas cxerci tationum condicioncs • Vnde c^ui de noftri temporis exercr- rationibus aequum iudicium fcrre optauerits: dcbebit quid un^ J aiones ,& quid uiia dici faturatio importent^exaae penfitare >ro^ tumque illud noftris adimcntes,in reliquis eofdcm ,ucl parum di- uerfoseffcdusexiftimare. De Jingulomm exercttationis diff^eremiArum eff^e^ihus* Cap. IL RES praecipuas cxcrcitationum difreretiasabantiquis Mcdicis excogitatas fuifle fatis conftat , quarum prima excrcitium Trr^fpc^rxwfl^ixif, fiue pracparatorium , altcra (ic7ro6i§ctmvriKh y icrtia fimphcitcr exercitatio nuncupa- ta . Excrc itationcm pracparatoriam, fiKultatem cogendi , meatus corporis denfandi, eorumquclaxitatemcorrigcndiobtinere. fcri- ptit Early European Books, Copyright © 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioteca Nazionole Centrale di Firenze. CFMAGL. 1 .7.429 Q V I N T V S. 237 pfit Galcnus. quadc caufla;ulilctae,qui Jcfirarc corporumfudo- 3 ^ta.va, ics impcdirc.&iconfcqucntcr robur confcruarc fludcbanr,antc "^jetuc. jrcrcras cxcrcitationcs pracparatoiia utcbantur.quam ircm ufurpa- ual.c.3. * bant quaplurcs homincs poil coitum,ut laxirarcm corporis in mo- tu ucncrco gcnitam cmcndarcnr. dc mcridiano coiruloquor, cum cx nodurno oborra laxiras /aris a fomno curarctur. cuius rci yraria magnopc^ftfSocIarum laudarcfolco,c|ui apud Plurarchumnodu ^.Cymp. coirum ob hoc excrccri dcbcrc aducrlus Epicurum mcdicum gra- pf^^-^- uilllmc difpurar.ficuri quoquc Paulli fcntcntiam,Galcni,ar^ lij opinionibuspracfcrrc confucui ,dum is conrra ipforum placira Li.i.fcr.i tcmpusconcumbcndi fccundum cibum inucfpcrc antcquamfo- ^*^* mnus muadar,opp()rtunucxfillcrc credidir: quod lalTitudo cxcoi- tu contraCtaobdormicnri ftatim rcmitratur. Excrcirationcmapo- B thcrapcuruam ram pro cxcrcirationis partcquam pro fpccic ncce pramcorpora ab iramodicis laboribuscxfuita cmollircmcatusq. corporisrclaxandocxcrcmcnrapurgarctraditumcfta Galcno: un j.detuc. dciure mcritopoft uchcmc*riorcscxcrcitationcs,poll uigilias,poft "^^-^ nucrorcs, a quibus corporum mcatus clauduntur , uircsq. non pa- rumdcprimunrur,urplurnnum adhibcbarunin ijs quoquc com- mcndabarur,qui palacdrac laboribus alfucri, ob uirac negotia co- gcbantur illos dimirtcrc, Excrcirationis fimplicitcr acceptac dif- fcrcnriac,quac ab cxtiinfccis dcfumcbantur , cos ctic(ftus pariunr , quos locorumipforum,aquibus fumunrur, condicionesproducc- rc pofl*un::& idco,qui in calidis locis cxcrccntur, magis cxurunrur, cfui in humidishumidiratcm conrrahunr,ficque dc fingulis. corpo- ^ ra namquc ab cxercitationc rarclacta facillimc difponuntur ad im bibendas quaflibct acns,&: locorum quaJiratcs . De diffcrcntijs ab utcndi modis acccptis in hunc niodum dcccrncndum crir,cj) cxcr- cirariones pcrpctuac, fiuc continuatac , &: acquabilcs magis dclaf- fanr,quam inacquabilcs. rariocftcadcm, quam atrulit Ariftorclcs bic.r&fx inprobleiaaubus,uidclicct mcmbraa mulro moturcfrangi,atquc inulruineflcmotum,qui unus,&:continuuscft ,ac acquabilis.inac- quabiicTTi ucrononidco fic dclaflarc ,quiacxmutationc nafcitur requics^ Jaborq, oinnibus partibus dillriburus a lingulis minus fcn- titur : quairidcin rarioncmotus inrcrcifus, acordinatusminorcm defarigationcmparir, nin.irum cum inrcrruptio quicrcm,quics laflirudinisminus inducat. txcrcitarioncs cumolcopcradac non inodo pracfeatcm laflitudincm mitigar,ucrumctiamfururampro- hibcnr,ficcitatcmq. arcct, acad morusprompritudincmmaiorcni gcjacrant: cuiusrcigratia Polliononagcnariusactatcmfuamolca cxtiia- 23« 1. 1 i3 £ R extrinfccusadhibito acceptam rcferebcit, QuaecumpuIucrefiLirit D excrcitationespracterquamquod frigidiora conferualit corpora^, efficiunt quoque ,ne ludor itafacilitercff?uat j neucilla tantopcre i^tuva  ma apud antiquos fuerunt gencra , quae fere omnia hodie abolita, uel faltem non uHrata efle cum conftet, fuperuacancum foretfingu- lorum eflfedlus percenfcre.proinde fateritillaadnotafTcin quibus a,dc difta pracftandis,&: cun£la illa conueniffe, atque etiam noftram conueni propter ii rc ucriftmile uidetun;^tifow/4/flf(/ etcnim fiue manuum gefticulatione ^^^* attcnuare humores,atque furfum carnes trahcre,placuit Hippocra- ti fiuc Poly bo.quam fimilitcr in inuetcrato capitis dolore,ubi P^ul- Liba.cun latim malumfoluitur,commendauit Aretacus,ueluti , &:in uertigi- ^^''^' nofis,epilepticis,cocliacis.Saltariodemum,quae motu uniucrfum corpus calcfacit,arcendis rigoribus, atquc etiam nonnullis trcmoC- ribus ualde accommodatunpriuatim ubi ftomachus in concoquen do laborat , crudosuc humorcs aggrcgat , utile remcdium exfiftit . praetcrca labantcscoxas,infirma crura,malc tutospedcs,vfq. adeo confirmat,corroboratquc,utpaucainuenianrur,q fimilc auxilium pracftare queant. nequc itidcm altcri ccdit huiufcctnodi excrcita- tio in cxtrudcndis a rcnibus,fiue ucfica lapillis. Caeterum quod p- -gnatibus mirum in modum noceat , tcftatum rcHquit Hippocrates, in li.de na ^jj^j cantatrici mulicri,quacne calumnias fubiret,utcri foctum abij cere cupicbat.confuluit, ut faltarer,pollicitus ea faltationc conce- pjtum corruprum iri,vcluti poftea contigit. Quicunque vcro caput debile , ac vcrtiginofis aficaibus obnoxium habcnt , proculdubio ab illis circuitionibus,uerfuris,motibusq. continuis ofTenduntunfi- militcr oblaeduntur quibus oculi illacrymantur,aut in uidendo hc betem acicm habet,perindc namq. in tripudiationibus alicui euc- nir, acinrotationibus,in quibuslacpeoculitantumdctrimentum p patiuntur,vt nihil omnino vidcant,atquc interdum cadant . Rcnes languidos,&; fupcrcalefados habcntes,fcminisq. Ruxum, y>voggoitt» aGraccisuocatum,qualibctdc cauflaincurrcntcs afaltariotiibus abftinere conuenir:ahoquieorum affca:ionescxmotu calcfacicnte magisrccrudcfcunr.Arquc hacc omnia a mc difta intclligantur de ea faltationis fpccie , quam antiqui fine armis obibanr.quod h quis armatae,quarn vocarunr,falrarionis condicioncs pcrnofccre aueat, inhunc modumucrcarq. brcuitcr ftarucrc rc porcrir,uidclicet om iiia quae ab iUa gignuntur ucl bona, ucl mala , cadem ab hac eftici, nifi quod armara uchcmenrius membra cxcrcct , magisque illa in- %.itvi.u. calefccrc,&:fudarc facit. ob quod Galcnus intcr uchcmcntcs cxer- * ' citationcs non in poftrcmo loco pofuit,dum quis graui armatura te ausceleritcragitatur. Q V I N T V S. J41 DtluJorum ptUe effe&ibus^ Cap. IV* Vdorum pilac antiquitiis complurcs cum npud Latinos, tu apud Graecos cxilitiflc fpccics, abundc in fccundo li Ca.4. & i ^ bro indicaui mustcx quo nullum opcrac pretium cu hoc in loco,vbi folas cxcrcitationu qualirarcs cxplicarc pro pofuimus,cadcm rcpctcrc :illud duntaxatanimaducrti volo,quod &: li noftra hidorumpilac gcncra vctcram gcncribus undcquaque non rcfpondcant: funt tamcn magna ex partc ualdc (imilia : &: ideo corum commoditatcs,atq. nocumcnta lingulatim cnan arc ftudcbi mus,ut fada noIlrorun\ cu illis coparationc, quid confcrant , quid- uc noceant, utraquc fimul cognofci poillr.fcd nc tratfiatio ifta con- fundatur , iicut alias fccimus , primo graccos ludos, dcindc larinos 3 profequcmur codcm ordincquo (upra ufifuimus.In co ctcnim c6- ucnirccunclaharumcxcrcitationumgcncraccnfuit Auiccnna, q» Li.r.rcn.ifortcscxliftut. Hoc pracrcrcacommunccxomnibushuiufccmodi ^*^^-*-^ ** ludis comodum pcrcipi*ur, quod qui in iplis, ud ipforu aliquo fcfc cxcrccnt,promptiorcs ad motumrcddantur,ijsquc uitalcs adioncs roborctunpcculiariter ucro paruac pilac cxcrcitatio intcr ucloccs citra uiolcntiam,(S: robur collocant Galcnus atq. i^aulhis,cuius me ^^: ritocorporacra(Ta,ut limilcs cxercitationcs faccrc didtum fuit,atre nuat. ideoq. apud Noniuin a Lucilio iLriptum inucnitur, Cum ftu- » dio in gymnalio duplici corpus iiccalTcm pila.Primaautcm paruae graccorum pilac fpccics,fccundum Antylh fcnrcntiam, carncfoli- ^^iidl!" damrcddit,brachijs,dorfoatq pullulantibus coftis magnfi vtilitatc cjp.j». pracftat, cumquc in ca cxcrcitationc crura magnopcrc laborct,ad Q acquircndumroburnon parum proficiunt.Sccunda cxcrcitationis paruac pilae fpccics pracftantiliima rcputabatur olim, q> corpus fa- num, &c promptum ad motus cum roborc coiundo pracftat, adfpc- chim hrmat,ncquc caput rcplct.Tcrtia vcrofpecicsoculos, atque brachia iuuat, fpinac proptcr inflcxiones, quac currcndo fiunt, co- modum aflcrr,crura proptcr curlum mirum in modum firmat . His poro omnibus paruac pilac Ipccicbus cun(ita illa coucnirc cc/co , quac (jalcnus in libcllo fuoillisdicato, paucisucrbiscoplcxuscft, uidcliccttp tumanimoruin virtutcm pariant , tum omncs corporis partcs accommodatccxciccndo bonam corporis ualctudincm,ac nicmbrorum concinnitatcm cfficiant. Pihic magnac fpecics prima fccundum Antyllum totumcorpusfirmat, cumq.ad dcduccndam infra matcriam uclicmcntcr coopcrctur, capiti in primis, cunclisq. fupcrionbus partibus, non ignobiJc luuamcntum aficrr. dc hoc lu- R 2 do 242 L l B E R Llb.^. dofermonettthabuineputo Alexaodrum Trallianum, quandoinD "P-vlti. curationc priapifmi fphaerae exercitium comcdauit, quo mareria i n diucrfum retrahatur,& fpirirus flatulcrus digerarur. Secunda fpc cies,quae plus iufto magna pila pcragitur dum proi jcirur,&: urraq. manu proprer magnirudinc cmitritur,brachia firmar,fccl nimis du- ras plagas infert , ob idq. non modoaegroris, aut conualcfcenribus eftinutilis,ucrum eriabcneualenresimmodicadefatigarione affi- cit. Inanis pila,quam rerria effccimusjacquc exerccr,ac mororia,in qua curritur,atramcn non admodum facilis cft,ncq. apta,arq. ideo li.i>.c.vlt. omirrendaeameffcconfuhr Oribafius ex Anryllifcntcnria. Pilae, &magnae&: paruae cxcrcirationcm vertiginofisobcffeiudicauic hsc vlti Areraeus,quonia capiris,&: oculorum circumuolurioncs, arq. inte- ' tioncs uerrigincs afferunt.Coryci excrcirarioncm inrcr vcloccs ad- numcrauitPauIIus, quascum didum anobisfit corporacrafliora E lib. V chr. aricnuarc ,fumma rarione Cochus Aurehanus ad diminuenda po- •culf. lyfarchia hanc exercirationc, qua a Graccis corycomachia uocari i.dediae. fcribir,adco probauirpfccurus in hoc (opinor) Hippocratc,qui co- rvcomachia,&: chironomiamidcm pracftarCjquodjuda^rradidir. Hoc excrcirationisgenus iudicauit Antyllus mufculofum corpus rcddere , roburq. afferre, & praetcrca uniucrfo corpori aptari, ncc non ob pIagas,quasinfHgit, omnibus vifccribusidoncum cxfiftcre. Arcracusitem in elaphanricis KogvKoSoKm laudauit. firamen quis plagas in pedtore a coryco ficri foliras coniidcrcr, facilc fcnriet,eos, qui pedore debih ucxatur,fimili cxcrcitationc periclicari,& quan doq. contingcrcpo(fe,utinthoraceuafarumpantur.Arq. rot,siir q dc pilac Graccorum ludorum qualitatibus dici poflunt . Succedut lufus Larinorum gcnera,quae &c ab ipfis quaruor fpecicbus comple ^ xa omnia in ufum fanitatis rcccpta fupcrius dcmonftrauimus . Ho- rum primum locum obtinct cxcrciratio f ollc acla, quac uniucrfum corpus cxcrcct,fcd dum brachijs impcllitur, dorlum in primis atq. li.i.chro. brachia firmat . ob quod Coclium Aurclianum de hoc pilac ludo ^^•^* ucrbafecifscexiftimo,quadoin cpilcpticishumcros fphacrac lufu excrccri mandauit:dumucropugniscmirritur,manibusmaior uti- litas contingit: ambo tamcn uifccra adiuuanr, calcuhsq. a rcnibus, &: velica cxrrudcndis mi rificc confcrunt,coxaf3&: crura imbccilHa In ciusui confirmant . Nam Auguftum , qui huiufccmodi affcdibus corporis ta.c.8o.& fQii^;itabatur,corumgratiafolliculicxercitiu(vtrefcrtSuctonius) adamafse opinonqcf cum praecipue fupcriores partes exerceat,ijs, qui citatam aluum habcnt,(Sm- qucinprimis laboriofamclTc,magnusphilofophus Ariftorclespro- y. partlc bauit , vbi currcntem ambulanti comparans, illummagi.slabo! j;e P^^^b- 38- pcrfuadcrc conatur , quoniam elatus , atquc pendcns corpu.^ fupra lc totum fuftinet, ambulansvcro partc inliftcntcuiciffimfuftcnta- tur,qua(iquc paricti admotus rcqui cfcit. qua rationc itcm coringc- rc dixitait currentcs poti us qua ambulantcs cadamus.Curfus prae- P^"i autcni, licct humorcs ad infima la- bantur, illico tamcn ad fupcnora rc/iliunt, ucluti cotingcrc i n pila fuper pauimcntu iac^a ccrnitur, quac fi blandc iaciatur, inibi quic- knifm uiolcntcr,ftatim fupra rcfilir. I)c thoraccauickgiturapud Galcnum, currcntium fpiii :um anhdum , arquc afthmaticum rcd- ^P^- di,necnon intcrdum aliqund ipfis uas in pulmone,aur pedorc rum ^^rMcVho. pi. quodnon tantuminrdligidcbctdciliis, qui ad cum aflVdum prius difpo/iti eranr, vcru dc a^ijs uchcnu ntcrcurrcribus. Achan- rhioenimillc Plaurinus cum ad ChaririUm uclocinimc cucurrif-ln Mcih. fcr, dicit cx curfu rupiffc ramiccm, &: iamdudum fanguincm fputa- re. fubramicisnominc (ut fufius dixmuis primo Variarumlcd. cap.2.)pcdlori5ucnaslariorcsinftar uaricisfignificas. Ahoquifcri- ptum 2j2 L 1 B E R ^ Pfob. pf eft ab Ariftorele , eos , qui non concitate admodum currunt, D numcrofcfpirare,quod ipforum motus proportionatus cfficitur, modumq, refpirandi fenfibilcm praeftanscxplicare numerum ua- let. iUis, qui uel in bubonibus , ucl alibi rupturas patientur, curfum cauendum praecipit PaulIus.Ad haec ardorem urinae ex curfu au- , &c hominesteftaripofrunt,&cerui,quiintercurrendum vf- que adeo huiufccmodi ardorc ftimulantur , ut, nifi mingant , facilc capiantun quam rem animaduertentes fagaces uenatores,eos pro- fequuntur, necmingendi iplisporeftatem faciunt. Curfumitem hepatelaborantibus, nccnon renibusmale afledisinimicum efte, lib»4.c.«* tfaditumeftaCornelioCeIfo,&:abEphefio Rufo.Atque haecom- niadecurfureclainanteriorafadto a me explicata fciantur. pro }bidcm qu^'^ idfilentionoefTepraetereundum duco, quodi^riftctelesfcri- pro.jtf. ptumnobis reliquiti videIicet,eos,quicurfumconcitare agunt, g conuulfionibus maxime corripi , ubi quis inrer currendum eis ob- ftircrir : quandoquidem ea potiflimum conuelluntur , quae in par- tem contrariam vehementer trahimus, atquemouemus . unde Ci homini currenti,vehemeiiterq. membra ultrapropellenti quisob uiamfactusobftirerit, accidicut in partcm contrariam earetor- queantur , quae adhuc ante pertendunt , atque proripiunt . itaquc conuulfio tanto vehementior incidit , quanro curfus conrenre ma- gisagitur. Curfus infuperreila ad anreriorafadtus , atquelongus i.ldiact. abHippocrare nuncupatus, fecundum eius fenrcntiam fi fenfim fiatjcalefacit , &c carnem dirfundit , ucrum corpora rardiora , arquc craffiorareddir,multaq. comedentibus urilirarem praeftar. At re- Onb^Ciui curfusinpofteriorafecuadum Antyllum non celerirer mitus,capi- Lococita. ti^ocuIis,tendinibus ,ftomacho,&:Iumbisaccommodarus, arque p utiliseft; iccirco nonrepletcapur. Circularisuero curfusfccun- i.dcdiae. dumHippocratemcarnemminimediffundir, arrenuar aurem, di- ftendit carnem , 6c ventrem maxime : proprercaq. acuriflimo fpiri- tu utenres humiditare in fe iplos cclerrime trahunt. qua ratione ab Irt lib. ic ipfo in ijs commendatur , qui nigra aftra in infomnijs uident, nem- pe quibusmorbusforinfecusimmmeat.Capur valde oftendit, ver- li.de Vcr figincsq. utTheophraftusfcribir, abundcmggerit;thoracem y&c crura uitiar;ideoque rcpudiari omnino dcbct. Sunt curfus per ac- cliuia magis laboriofi, magisq. thoraci, &c crurihus inimici; fimili- ter, &c pcr montcs : pcr decliuia ucro caput uchcmcntius afticiunt , uifccraomniaqualVant, coxasdcbiles pcrrurbant ; perplanacur- fus illa omnia praeftanr,quae iam dcclarauimus . Ccrcrum qui rc- tliocorporc obeunrur, &c fudorem moucado magis humcctant, Q V I N T V S. 25J tc carncm calcfaciunt .idcoq, Coclius Aurelianus capitis dolore la borantcs,utuc{litos currcrcfaciamus,magnopcrc curandum prad- cepit;qucmadmodum Thcodorus Prifcianus lcriptis mandauit,ci;r L' i aJTi fum cum ucllibus lancis pcrao: um althmaticis prodcflc; hunc tamt 'l'^^;^^^^ dccoloratiora corpora cfticcrc ; quoniam finccrus fpiriius ailabeiis ipfanon depurgar,fcdin codcm fpiritucxcrcentur;audorcftHip- pocratcs.qui tamcn cundcm in illis probauit,qui ftcUas dcficicntcs \^;^^^^'' in infomni)s,vidcnt, quod fccrctionem in corpore humidam ac pi- tuitofam factam,&: in cxternam circumfcrentiam illapfamcflc figni ficctur.Qui pono nudis corporlbus efficiuntur,ficuti magnam (udo rum copiam clicmnt,ira gcncrofc pcr occultos halitus cuocant hu morcs,corporaq. magis deurut.quocirca Ariftotelcs ludorcm,qui i.partl«. corporcnudocurrcnti prodicrit , criam fi mmorlit ,magis laudat,^^^- 3^« • quam qui fub ucftc lc prompfcrir,argumcnro illorum,qui nudi cur fum aclhuo tcmporc achrant,quiq. colorariorcs rcdduntur.indutis currcntibus non ob aUud ccrtc,mfiquod,vtomnesqui locahbcra, &:adfpiratiora incolunr,mc;iuscoloranturijs,quiimpcdita,&:filcn tiatencnr,fic ctiam fcipfo quilque colorariarcft , cum uclurifpiri- tuiafflanti placide patcr,quam cum pcrftrictus,obduc'tufqueacaIo rc nimio angitur.quod certe ijs accidit magis,qui vcftiri pcrcurrut. &: qui nimis dorm!unt,quippc qui vcluti adftridi, 6^ propcmodum ftrangulati,minus rcliquis lc fc modico fomno rccrcaniibus colore florenr.Curfum vniucrfim acccptum magis hycmcquam aeftare ex vfu cflc crcdidir Hippocratcs,liuc Polybus in fccundo dc diacta li- bro.cx aduerfo Oribafius tnm hycme, tum acftarc mcdia conucni- - re fcnfir. cuius forfan fcntcntia ucrior mdicabitur , ii fudorcm quis " aeftate magis, hycme minus procurandum cum Ariftotele arbitra- tusfucrir.fcd dc hoc iam fupra abundc difpurauimus,ncc quid- quamampliusrcmanet, quod ad finicndum hanc curfus tradtatio- nempcrcincat, ^icipraefit t filtns. Cup. I IX. ALTVM inrcr vchcmcntcscxcrcitationes, quacexro- buftaatquc cdcri componuntur,collocandum iudica- uit Galcnus,&: pracfcrtim illum , qui (inc ulla intcrmif- fionc iugitcrcontinuatur; qua dc rcipfum calorcm na- tiuumaugcrc,&: cocoqucndiscibis, crudisuc humoribusconferre apud omnes pcfpcctum cft,licctpoftca capiti,arqucpc6tori nocc- re 2^4 L X B E R re cx eo conftet;quod in huiufcemodi cxercitationibusalrerum ve D hemenrcrconcuatur , alierumin inclinationibus, atquedor/iin. flexionibus comprimitur , & ex comprcfflonibus mox uafa ram pe- doris, quam pulmonis franguntur: ut eueniffe interdum nairat rMeth.a Gaknus, Hocpraetcn afalrui communeincft,utgrauidasmulie- In prin.dc rcs abortiri facillime faciatrncqiic iftud ab Hippocratc folum,cetc '"'•^'""'•risq.vetuftilftmisaudoribus^ubiqueconfirmaxum cft;verum etiam ipfa rerum pareiis,optiraaq. magiftra natura nos vberrime edocuit, nimirum quac capreas ,& cctcra brutorum gencra faJtantia firma- '^^^^^^|J^"Tuentisquibufdam ut indicrat GaJenus, muniu t, ne ligamenta, partium. quibusfoctus in utcro condnctur , d iim illafaltarccoguntur,faci- liter difrumpercntur j quod munimen cum humani generis foemi- nis ncquaquam conceHbrit , opinor cam co confilio id efTccifle ,ut cognolcGrenthomines,dum nmlicrcsin uterogcrunt,quaflibetfaI E tandi occafiones ipfiseffugicdas eflc. Multac funt faltus fpecies,qua rumduas OribafiusAntyllum fecutusnominauit, exfilitionem ui- delicet,atquc faltum ita propric uocatum.dc cxfilitione,quae quo- dammodocuriuiadlimilatur, hanc fcntcnriam tulit,illam diutur- nis capiris raorbis accommodari,fhoracem adiuuare,cum inflcxio- nibus ualcntibus careat \ materiam,quae ad partes fupcriores rapi-- tur,ad inferiorareclinare, cruribusimbccillis, fcfenon alcnribus, excarnibiis,ftupidis,atque trcmulispraefidiuraafrerre.hanc eriani ineij^iiitaintelkxiflcopinor Suetonium ,ubi Auguftum ambularefolitum, "^" ka,utin exrrcmisfpatijs fubfultim decurreret ,fcribit, quafi fic in- firmitati coxendicum femoris , & cruris /iniftri, necnon ucficae calculis,quibusafflidabarur/acpeoccuTreret* De faltu ucropro- prie (kappcllato dixit,cummatcriaminfraexa(fliusdeduccrc,fed F quia thoraccm nimis , & uiolcntia motus , & magnis inflexionibus coneutit, ciusafrcdionibusminime conucnire; ucrumtamcn, &: nd motum , & ad adlrioncs promptum corpus ualdc rcddcre ; quod Li.i.c.ii. fi ad natcs ( thciatiir faltus,qualem Lacaenarum mulicrum fuifle iam diximubvcaputjCxeiuCdem Antyllifcntcnria,peculiariterpur- Ii. T.cur. aat,&: pur2,andb ficcat. atquc dc hoc mcntioncm fcciflc Arctacum clir.c. I. o ^ r ^ 1 ^ ^

puto, ubimuctcrccapins dolorclaltum , & fimTrcttAvTou cc;wA«- riy laudauit, licut , &: asomncs,atq. ncruos,uaIi- dillinic inccndi confcfliis cfi.qua i\aione cfHcitur ^utafTatin; cor- Oymna/lica. S pus 2j6 L 1 13 E R pus calcfliccrchacc excrcitatio iclonca/ir,&: pndcrtim dorfi m, quod maximc iniadtandis haircribiisfarisfaccre uidciur;practcrca canicm crcar; priuatim ucro fupcriorcs parrcsab ilia cxcrceri mc- ^.^tiKva. ^^^^iiic mandauir Galcnusicuius rarioncantc ipfum Areraeushu- cap.14. iufccmodi cxcrcirarionc in antiquo capiris dolorc ,qui paullatim finiatur,ufuprobauir,ucluri ctiamin cocliacis&: ucrriginofis . Sccl Oribafuis Antylli aucloriratc humcros ipfam cxercirarc,fl:oma- choquc,qucm diffluxio infcrtar , quiq. imbccillus cft, &: in quo ci- bus acclcit,fiuc cumhiborc concoquirur,accommodari fcribit^Iau Li.j.chr. darin arthriricis Cochus Aurchanus,urprimo manibus ccra cmol licndadcrur,aur manipuh tcncanrur,quos palacttriraehalrcrasap- pclianr,tum primo ccrci,fiuciignci cum paruoplumboinrcrclufo moucndi porriganrur, dcindc grauiorcspro modo profcdus: Ga- ^.^tnen. lcnus cuidam , qui mordax, praccalidumquc fcmcn inrcr cmirten- va.c.14. dumfcntirc non ranrum fe,fcd criam muiicrcSjCi mquibusrcmha bcrct,rcfercbat , inter cetcra auxilia,fcfc haltcribus excrcerct,fua- K.p. cult. fir: quem poftca fccutus Aicxandcr Trallianusin priapifmo curan- do huiulcemodi cxcrcirationcm commcndauit,quod animaducr- terct ipfam non modo ad rcrundcndum , infirmandum.quc fcirxn , ucrumctiam ad matcriamin diucrfum rrahcndam,fpiritu5q. flatu- dc comp. I^ntos digcrcndos conduccrc.fimilitcr qucquc Galen.in ulccrum me.pcrge crurum curarionc ,nili quid aliud impcdiar,haltcribus pcradam ntn.c2,x. cxcrcitationcmprobauit ,proptercaquod fic impcditur, quo mi- epi. cg. humores viccribus noxijs ad parrcs infcriorcs delabanrur.ldcm eriam,ubi purgatio,aur phicbotomia rcquirirur, ncc eas aeras , aut aegrotantis uoiunras pcrmirtir jlocoipfarum fupplcrc iudicauir . Verum enim uero,ncq. capiri,ncq. thoraci fimiicin cxercitirioncm congrucrc uilus affirmarer,quorum aitcrum nimis, arq. inacquali- ter agitatur,aircrius autem uafi,nc ob maximam,qua brachia urun- rur,uimaIiquo pado labcla(ftcntur , pcricuium imminer. Quain rem fortaffe colidcrans Marriaiis,fo{rionem,quam Galenus,&:exer- cirarioncm iimul,&: opus fccit,ficur fupra oftcndimu6,huic excrcira tioni propofuir fub hifcc ucrfi bus. lib. X4. Qlfi^ percurjt flulto fortes hattere lacerti i Exercct nicl us uinca foffa vros, Huiuscumfccundolibro rria fcccrimus gcnera ,Primum caom- nia pracftarc crcditur , quae iam cnarrauimus : Aitcrum ucro par- ttculari quadam facultarc crura,neruosq. confirmare35 cuin tamcn Uco coruin apiid alios nndulac plunv bcac,tcrrcacuc,ipiid ahosiarcrcs ac lapidcs jipc /phacrici,6c i;ra- ucsvfurpcnrur,uihiltiguraillarcfcrtad uariaiid )s cdcftus ,ctficic- dumuc, nc cadciu faculras ram in ufu nolb-(Tum, CjUam in prifcoru inucniariir,co mai:isquod haud fciusqui h.odic fcfc ocrccnrin la pidibus,ucl mallulisproijcicndis, brachia,d )rfu:n , omiu fq. fupc- riorcsparicsmoucnr^coniorqucnriicac f;u ichanranriqin halrcru excrjitarorcs. ur hac una rarionc omncscrtc dus a nobis fupra cxpo :n iu)ftr:s criam cxcrcitationibus cxpcctari dcbcanc. ^ Dcdtfci:, atquc tACtilationts cjfcciil us. C^p. X. ^yr^^^ ^^^^^^ quamuis apud mcdicinac probaros auch rc5, y \ P^u^^^^Ji^ omnino mcntioncm tac^tmi inucniam ,ob idq. W ^^ fl forralTch^cusiftc dimirti pollularct i quoniam tau:cna ^ (ialcnoprodirumfuir, diici iachim , ncdum cxcrcita- tioncm apud anriquos cxftirilfc , in jymnafijfquc ric ri T(;]iram , uc- rumcriam inrcr uchcmcntcs cxcrcitarioncs haud poflrcmumlo* cumobrinuillc, arquc hodic quoq. apud mulras narioncs in iifum excrccndorum corporum ucnirc , proindc ilccis ( utaiunr) pcdi* bus practcrirc iUum omnino nolui . Quo circa in priinis fcicnduni erit, hanc cxcrcitationcm , modoin ccrcrisnon dclinquarur,ac- comraodacccalclhccre, &:proptcrcah-igidis corponbus,arquc il- lis , quibus ucloccs excrcitationcs ncganrur , pcrfci^tc conucnirc, C nccnonimbccillos, ^ infcrioribus mcmbrisinualidos modcrntc corroborarc. cum ctcnim magni, atquc vchcmcnrcs obnixus in 16- gius difcum proijcicndo rcquiranrur , fir ur uch.cmcnria motus , ac mufculoruminrcnfioncartus ma^is folidcfcant, 6c abcxcrcmcn- tis purgcnrur . cuius purgarionis mcriro confuluir quandoquc Ga- ^'^P'^* lcnus,uf, ii quando purgario , Sc phlcbotoniia rcqui rcrcrur , ncc ip- iph!*// facaliquibus impcdimcnrisadhibcripofscnr , earumuiccpcr di- fcum IdCtj, cxcrcirario admittcrcrur , quac nimirum id pracllarcr, quod in plilcboromia, 6c mcdicamcnrorum purgationc, cxopta- rcrur: pcculiarircr autcmcxcrciratio iila brachia, lumbos,ac dc- niquc uniucrfum dorfum corroborarc idonca cll, quac fciliccrpar tcsin ipfo maximcoinnium agiranrur; in vcrriginofis quoqucab Arcracocommcndarur. AI)illisucro magnopcrc cuirari dcbcr, quicuinqucautrcncs, aut choraccin inalc aHcCtoshabcnr mamil- 2 li 158 L I B E R liferuidiores, atqueflaccidioresredditiincredibilcquandam dif- D lolutionemcontrahunt; huiusinterna aliquauafa, uttcftatumfe- citGalenus, nonraro difiumpuntur . Etnequiscredat,candcm cxercitationcm cxftitiflchaltcrum,atquc difci, fciendumpraetcr li.i.c. t i. u^riam utriulque figuram iam a nobis in fuperioribus libris dccla- ' ' ratam, hoc quoque difcrimen habuiflre,quodhaltercsuarijs con- tordonibusaltiusagcbantur, difcusuero, etfiinaltum proijcerc- tur, tamenlongitudofpatijiadationeperadti potiusmetiebatureo fcrmc pado , quo hac tcmpcftatc faciunt , qui fcfc in latcribus ob- longis proijcicndis cxerccnt, in quibus ijdem effcaus uidentur, qui ohm in difcobolis uifcbatur . laculatio porro ficuti a difci iadlu par rum in ipfa proicdtione difTerrc uidetur, ita quoque uires fimilcs,&: adnocendum,&adiuuandumobtincrecredendum eft. quofit,ut pauca dc hac cxcrcitatione nobis diccnda rclinquantur . lllud mi- E nimefilcntio obuolui debcrefcntio, uctcres fcilicct nonfincmy- ftcrio Acfculapium,atque Apollincm, ambos mcdicinac audlores, ambos fanitatis magiftros arti iacujadi tamquam Deos praefecifse; nimirum hac fcntcntia innuentcs,huiufcemodi exercitationem bo nae ualctudinis confcruationi , bonique habitus acquifitioni ftre- nuamopcmaflcrre.cuius exercitationispoftquam plurcs fpecies cffccimus , alias a iaculorum , fiue fagittarum uarietate defumptas , alias ab arcubus fcu baliftis,quibus illae emittuntur, acccptas, om- ncscandcm planc facultatem polfidere autumo, nifi quod cos. qui in fcrrcis uocatis palis iaciendis cxercentur,hoc admonitos uc- hm,ut magnam curam adhibeant ; quoniam faepe numcro perito- nacumdifrumpi,inteftinaqucinfcrotum defcendcre,&:per confe- qucnshcrniasin fimihbus excrcitationibus generari experientia F compertumcft: cumquein emittendo maximauis, arqucmtenfa fpiruusrctentioadhibcatur, pedori adftrido , atqueinfirmo hu- iufccmodi iaculationem aduerlari puto.Non eft quoq. illud igno. M randum,quodMarcusTulIiusmcmoriaeprodidit,PhiIoaetem, lo ScS. dum cruciarctur, non fercndis doloribus propagafse tamen uitam aucupiofagittarumiaculationefaiiOt Dc Q V I N T V S. 259 Df deanjhuUtiomim qualitatiLus. [^ap. X L I vHumcft cxcrcirarionisgcniis, quod illis, e]ui fanirati opcramnauanr,maximcquacrcndum, arquc cogno- fccndum (it,quodq. ceccris quibufcumquc frcqucnrius a cunctis fcrc hominihus , omniq. rcmpoi e cxcrccarur, un-im proculdubio dcambulationcm cfsc ncmo ncgabir : fiquidc nulluscll ,iiuc pucr, (iucadultus, fiuc fcrcx, qiii non modocam pracftantiirimam , fcd folam cxcrci tarioncm non crcdat . pauci ra- mcn rcpcnunrur , qui ucl rarionc ,ucl longo vfu, quibusqiiacquc corpons parribus,&: prolic^u noccar, pcrfc(^tc animaducrttrint :id quod cucnifsc cxillimo, cum ob uarias iHius fpcci cs , rum ob poftc- riorum hominumincuriam, qui &c in huiufccmodi rcbus, &: in B quampluribusahjs anriquioribus ncghgcntius , atquc ofcirantius fcfc gc fscrunt . Quamobrcm opcracprctium faclurum mc cfsc fpe- ro, ii , dcambulationum fpccics praccipu as rcccnfcns , confcqucn- tcr quid unaquacquc tam boni,quam ma!i cfticcrc valcar,dcnion- Itraucro. fcd duoantc cctcraab omnibus coniidcrari cupio. Pri- mumciuodfacpcmucnirccft apudau(5torcsmcdiunac (jraccos, &: Latinos , praccipi fimul ambulationcs , &c cxcrcitationcs ; quafi illac ab his fcpararacncc cxcrcitationcs linr.quorum fcnrcntias fic intcrprcrari uolo,ut lempcr,dum iplas lciungunt, fub nominccxcr- citationum, cas, quac propric ita appcllantur, fignificcnr; cum ambulationes.communitcr , dc non propric c:ula!ioi1c cxcrccrcrur, i.chronlc. primo tarda , dchinc mcdio tcmporc fortiori , arq. paullo crcdiori at,3/itisnocct ^qu.-^ndoquidcm ol) mmias dcambuKitioncs non ra- ifchiadicosdolorcs 6c podagram gcncrari , fcribir Galcnus ;H- cii:i cx adacrfo icmiJfa n arthrincis, (S^p ^d.^t^n^- ^S &: ulccribus in- i> 4 tcrnis 262 L 1 i> £ R ternis conucnirc,mfinuarunt Coeliusj & Celfus , ubi deambulatio- ] nc molli rtramine,coaequato folo pera£tam iplis commendauit.de- bcnt cnim(vt fcriptu cft a Tralliano)qui podagra, & articuloru af- fedionibusturbantur^fitTf/fiyc, kottov Trohhoti moueri, potilfi- mumqucante,&:non poit cibos. Nam lallitudo hismaximcad- uerfatur,utquac articulosplusiufto calcfaciat,&:inflammct,ipfiq. aliam rurfus matcriam cx longinquioribus particulis ad fe attrahe tes,arripicntcsq. fluxibus iugitcr caufllim fuggcrant. Multa deam- bulario lccundum Antylli fcntcntiani iuuat cos,qui caput,ucl tho- racem male afTe^ttum habcnt , &: a quibus infcrnac corporis partcs non nutriuntur,quiue in excrcirationibus uehcmctiori motu egct; pauca ucro prodcll ijs , qui poll exercitationcs non lauantur , qui- busacibo dcambuIationibusopuscfl^jUt isin fundum ftomachi de- kendatj&quibus grauicasin corporcfcntitur. Longa,&:reda am- buIatiominorcm,quambrcuis, molcftiam parit, capiti prodcft :ut Oribarius j^^j^ immcrito Coclius,atquc Cornclius Celfus cpilcpticis curandis Jii>^.i.ca.4. ^^ni ex vlu cflc' uidicauenntiat nmiiscxlugit humiditates,atquc ex- CeU b^^ ficcat.ob idq. mcrito accufandus cft Thcmifon, qui atrophia labo- chronic/7 rantes duodecim ftadiorum fpatiu grcflfu conficerc fuadcbat. Lon- ga,5d concitata fingultui comprimendo,fccundum Actij fcntcntia, rtrcnuc prodcfl:brcuis ficuti magis fatigar, cum ( vt diccbat Arifto- teles ) cx motu , &: quictc intcr rcflectcndum orra conftans diucrfi- tatis illius opcra laborem inferat,ita quoque reucrfionibus illis c6-. tinuis caput labcfadbt : &: proptcrca ab codem Coelio non fine ra- tionc cpilcpticis damnatur;cuiusrci cauflliambulatio quoq. circu Jaris mcrito improbanda eltjUt pote quae caput ucrtiginofum red- Probl.38. dar,&: oculis uehemctcr noccat.Nam CafTuis mcdicus antiquus in liDelloproblcmatri,qucm graccalingua confcripfit, caulfam inda- gans, ob qua motus rcfto tramitc fafti ucrtiginc non generent , fcd folum circuIarcs,ob id accidcrc dicit,quia motus rccti minimc dif- llationem matcriae impediunt, circularcsucroea ficri nonfinunt, quod aer vchcmctius illifus prohibcat;ad hacc matcriac intus agi- iantur,qucmadmodii,8^foris.ubicircumlatae,neque forasprodire ualcntcs motu in capitc uertiginofum cfiiciut.ficuti namquc iileri- ci omncs externos fapores amaros fcntiunt, &: qui fuflufioncs in ocu lis patiuntur,quofcumquc colorcs rubcus iudicanr,fimilitcr in cir- cularibus motibus,cu in oculis humorcs in orbcm aganrur , omma cxtcrna circumfcrri uidentur,ficque vcrriginofa paflio oboritur.Ex ambulationibus,quac cum intcnfionc crurum calcibus incumbcn- dofiunt,qucmadmodumfcriptum cftab Antyllo, capiti malc afte- Q V I N T V S. 265 A cto conucniunt,itcmquc thoraci humidiori,utf ro conuuIfo,purga- lioni lupprcflac, parribus infcrnis ab aHmcnto fruclum non capicn tibus,6c oninino quibusmatcria furfum rcpit. Quac ucrocxtrcmis digitisobcuntur,easobfcruatumfuit,propric lippicntibus, &:aluo fupprcflac utilcs clTc.Quac vcro totis pcdibus riunt, cum fub aliqua fcmpcr pracdivitarum diffcrentiarum comprchcndanrur , ipfarum cciamfaculrarcsobtincrcrationi confcntancum dl, Arq.hacc dc fpccicbusabipfo motu dcfumptis. Iterum dc deambuUtiomm qUAlitdtihus. Cap. XII. * NTER dcambulationumfpccies,quac a loco accipiun tur,illac,quae fiunt in montibus , aur adfccndcndo ,aut dcfccndcndo excrccnt.li fianr adfccndcndo,ualdc pro- fccto uniucrfum corpus fatigat ur,quoniam rcfcrctc Ga ^^^^y* icno ar rollunrur co motus gcncrc,&: pcrindc ac onus quoddam fu- fiinenrur ab i)s,quacprnnum moucntur inftrumcnris,rcliquacor- porismcmbrauniucrfa. fcribu Ariitotcl. ambulationcs pcr accli- » ra^tfc uia,tamctfiCnt hcbctiorcsmotus,magisfudorcmprouocarc,quam^^°^ ^ pcrdccliuia,ncc non fpiritum pro(illcrc;quoniam graui cuiquc, ut deorfum lcrri fccundum naturam cll , fic fcrri (urlum conti a natu- ram,itaq. caloris narura,quac nollra prouchit corpora, ut nihil pcr dccliuelaborat,li(- pcr accliucprcfsaoncrc nirirur,acriusq. ob ciuf modi motumincakfcjt, &: fudorcm mouct, &: fpiritum proliltit , cum ctiamcorporisuariusuitlcxusnon nihil atfcrrc caullacpofTit, Q utdircda fpirandireciprocatioaufcratur. qua rationc fccundum Antylli fentcnriam ralis ambulatio ctiam thoraci, qui fpirirum cxi- guum ducar,&: pracfcrtim antc cibum confcrt, maiorumq. cxcrci- tationum uice nonnumquam fupplcr.Lcgitur dc Dcmollhcnccoa fueuiffe iplum adfccndcndo dcambularcarqucintcrambuhldum orarioncspr()nunciarc,qu() lic productac fpirirus c(MUcntioni,qua oratorcs in diccndo opus habcnt^aduclccrct. Vcrimi cnmi ucro i:c nibusinfirmis eadcm ualdc aducrfatur;proptcrca quod diccbat Ariflotclcs,duadfccndimus ,non corpus lurfum iaCtarc, diltcntio- ncmquc corporis,&: gcnuum moucrc; ad hacc gcnua ipfa , quac fc- cundum naturam in antcriorcm parrcm llcdi nata lunt,quali coii- tra narura f kfti rctro,ob idq. magnopcrc dolcrc atq. laborarc. Ex altcra partcambulatiodccliuis,quacdcfccdcndoobirur,magisak tcraa cnpirc adinfcriorcs parrcsirahir; atfcmora inualida nc') parii lacdil ,*nimirum c^uac, ex ciuldcm Ariaorclis fcntcntia in hoc mo- ^;P|J«^C' tu 2«4 JL i b 2 K tti contra Naturac inclinationcm ante aguntur , quafiq. moucndo D crura uniuerficorporispondus fullincnt, &: proinde uchcmcnrcr fatigantur, Ambularioncs,quac tum adfccndendo,tum dcfccndcn lib.i.ca.i. do pcraguntuf,a Cornclio Celfo comprobanrur,eo quod ita uarie* tare quadam corpus uniucrfum moueatur ;ni/i tamcnid pcrquam imbecillum fir.Quac ucro fiunr inuijsplanis, &:acqualibuscx fcn- tenria Ariftotelisob motus,quamferuant ( utfic dicam) uniformi- tatem^,magis corpuslaboreafficiunt,&: obnaturac,quam tcnent fimilitudincm,ciriuslaborcsfiniunr,necnonad fpiritum,&: ad cor- pus acqualitcr conltiruendum magis accommodatac funr, quam fa (Sae in acqualibus . Ar dcambularioncs pcr inacqualcs uias fadac non modo minus fatiganriucrum criam utiles ijs funr , qui cito dc- ambulando defiitigantur. arquc hoc Anryllus inrclhgcbat , cum ambtilationcs,quae in vijs pcragu:Ur,minori cumlaborc fieri fcri^ ^ Oribaflus P^^'^^^'^"^ cas,quasin locis deambularionibus dicatisobimus.Hoc Jococitat. id^n^ iilnuereuoluit AcumGnusmedicusapud Platoncmin Phae- dro ,ubi ambularioncm in Vijs, ambularioni in curfibus praepo- fuir, dcquofupra larius difputauimusjieque aliud intcllcxir Ifcho In Occo. ixiachusapud Xcnophonrem ,quandoambularionem , qua ipfe ia agrumferuum cum equofcquebarur,ambuhirioni in Xyftisfadae: praeruiir. in his ramcn difterniinandis Ualde rcfcrr , numquid in praris, inlocisafpchs, an in arenofisefficianrur ; quoniam fi fiant in pratis,bIandifiima€proculdubiofunt,nihiI omnirto knfus tcn- tanr i nihilcommoucnr, ar eas caputimplcrc , tum proptcr odoriy luauitarem , rum proprcr humiditatcm , quac illis inhacrct, auctor cft Anryllus.Fadac in locis afpcris caput rcplcnt . Quando aurem inarcna,&: maxime profunda (quod genus cft vchemcnrilTimae ^ t^crciratioiu*s ) aguntur , magna cfficacia pollent ad omnes corpo- Inviu Au risparres firmandas,corroborandasque,cuius gratia Auguftus dum guih.c 80 coxendice ,&:femore, &:crurefinilh"o, non fatis bcne ualcrct ,im* moficpe ca parte claudicarcr^hac dcambularione confirmabarur. fic enim locum Suetonij inrcrprcrari dcbcrc ccnfco. ubi cum are- narum,&: arundinum rcmcdio ufum rradir ,arcnarum quidcm runi ad deficcandasfluxionesjtum ad confirmadam,ur iudicauijcoxam, arundinum ad contincndum ,&: claudicationem impcdicndum. quodquomodoficri debcr , cdocuir Cato lib.dc rcruft. cap. 160. Ad maicriam fubmdc,e fupcrnis ad infcrnas parrcs dcduccndum , camque difTipandam potcnrilfimae cxliftunt , &: idco malc fcrfiin a li.i.chro. Coelioraxatur Erafiftratus ,quod dcambulatiohcin arcnofis locis wp.t. paralytieosexercendosfuadiiret.fub porricu fattac ambulationcs, aut Q V l N T V S. 2. s.c^ fcrrim fi uiridia adiint , quod ralcs magnam fakibritarcm habcant : &:primum oculorum , quod cx uiridibusfubrihs , i^nc cxrcnuatus acr , proprcr morioncm corporis mflucns , pcrhmar Ipccicm , ^ ita autcrcns cxocuHs humorcm cra(Tum,acicm tcnucm , &: acutam fpccicm ichnquit . Practcrca cum corpus in ambularionc calcfcar, humorcmcx mcmbris acr cxuucndo imminuir plcniratcs, cxtc- nuatquc dillipando, quod plus incll, quam corpus porc(Hullinc- rccxquo, ut inhypacthrislocisabacrc humorcscxcorporibus cxugcrcnrur molc(iiorcs,qucmadmodumcx rcrra pcrnchulas vi- dcnrurrconfuluitarchircCK^rumprinccpsampItllima, &:ornarifli- ma fub dio, hypacrhrifquc ambulando collocari in ciuitaribus acdihcia. Vcrumcnim ucro apud mcdicos fubdialcs hac dcambu- C lationcs plunmas diflcrcntias obrinucrunr. nam quando propc mare hunt, &c liccandi, Sc craifos liumorcs attcnuandi uim ha- Orihaflus bcnt; quandocirca flumina, & ftagna, humcdarc poffunt: fcd ^^^^ utraqucnoccnt, U pracfcrtmi llaizna, idcoquc non rcmcrc has omncsin Hpilcpricis damnauir Arciaeus,quando in mcditcrrancis partihus a^untur, qucmadmodum(upradictis(unrpracltantiorcs, ira quoquc tac^is circamarc ccdunt. quando in rorchumcdtanr no finc damno:fcd liin locisauium uolaru Frcqucnrarisambulcs,c:li^ cacifnmusismoruscrir ad cuocandum pcr halirum, adlcuan- dum , haud fccus ,arquc li in fublimibus locis ambulcs . (iuac dc- indcfub Dioin locisucntominuspcrflatisambulatio c thcirur,va- lcrfccundum Anrylli fcntcnriam ad cuocandumpcr halitum , 6,^ ad cxcrcmcnra difpcr^^cnda :itcmqucrcmirtir,ncc fcrir. hanc Ac- tiusincohcisdoloribus a trigida caufla ortiscommcndauir, fcd quac 2^^^^^^humqucdi(Tolurum roborat.atque dehacfor^rafsc lo- €ip,z. ' quebaturCoclius Aurclianus, dum ftomachicis deambularioncs fub Dio promodo viriumadhibendasconfulcbat, fi fub Auftro, caput rcplet.fenfuum inflrumenta hcberar,a!uum moJlir ,atque addifloJuendum ualctrfi 7Gphyrisfpirantibus,talisambuIariocc- rcris omnibus, quac in uento funr,praertar: non enim habctin- fuauirares boreac , quin potius manfucrudo fimul , arque iucundi- tasfunt coniundae . Quac in Apeliote fir , mala cft, &: fciir , atque irafchabentambulationcsfuL dialesinuerisperadacSequuntur, libi 1 ^"^'^^^"^^'^^'^"^^^^>"el inumbrarquainre audoresdiucrfafcn- • tire repcrio.Cornclius Cclfus, fi capur fcrar, meliorcm ambulatio- nem in fole , quam in vmbra cfsc dixir , &: mcliorcm in umbra, qua E parietes,aur uiridariacfficiunr,quamquaerea:ofubcft. Exalrera parre Oribafius au^florirare Anryili dudusimprobat illam , ueluri quae cffundar , capur implear, arquc inaequalirares gignat . quam fententiamnon auderem alteri pracponere, nifi&rario, &:uere. rummedicorum, praclcrtimq. Hippocratis, &: Galeni audorira- tes tcftatum fecifscnr , folis radios humanis capitibus maximas no- xas infcrre. ncmpc quac fi calida,&: humida, magis calcfiant &c cli- quenrur ; fi ficca, ficciora rcddanrur, &: dcmum quaecumque fint , femper offcndanrur, modo vcl ruftici, ucl alij fub fole viuere afsue- morb'^^ ^^"^"^^"^- Qi^^^P^obecognofcensHippocrarcsfiucPolybusad • euiranda capiris dcrrimenra non quamliber dcambulationem, fcd folaminfrigore, aur in fole peradam uerat. Atqui nonillud ta- cendumefseduco,fempcrcligi porius debere infolc ambulare, F quam ftare, 8c ambulare uelociter, quam fegniter, ficuri prae- ceprumfuirabHippocrateinlibro defalubri diaera. cuiusreihac Prob"^^^ quod cumftamus, calor pcrmanet, ficquc ampliuscalefacir. corpuserenimnoftrum(diccbaris)uapo^ rcmqucndamrepidumdcfe conrinuo mirtit, qui proximum,&: ambientemaeremtcpefacit, undc aer pofteaillc corpus calidius rcddit, cum aurcm quis in folc mouerur , flatus excirarur, qui refri- gerare nospotcft,quandomorusquifqucfrigidushabetur. Am- bulandum potius in vmbra(diccbar Cclfus) quam paricrcs,aur ui- ridaria cfficiunr, quam quae rcdo fubcft : quoniam aer aflidua qua- dam ,&:bIandauenriIarionefaIiibriorrcdditur. qui aer quoniam interdum ab arboribus noxijs infici , &: corpora deinde coramina- re confueuir,ut dc nucc arbore, arq. Narcifso mcmoriae prodidit Q V I N T V S. 267 A PlutarchuSjproptcrca hiiiufccmodi umhrasintcrdc.imbulandum s Sympo. fugcrc cxpcdict . Ncquc ifcm curam adhibcrc minorcm oportcr , ^^^^* vtarb()rcsrorcfui]u(;ic vitcntiir ,qiioniam , fi pcr ipfas fi-cqHcnrcr qi.ib ambiilct ,mcmbra tacilitcr lcpra rcnranrur,atqiichumscam Laitus apud Phirarchum in nat. quacft. attuh t rationcm , quod ros corporibus illabcns ipfa mordcar, arquc cxcorict , ucl potius^quod arorc colliquatis arborum iupcrhcicbusafpcr^oquacdam noxia inde corporibus aflufa inhacrcat,quac parrcs cxtimas ipforum mor dcat, arquc difcindat : ctcnim rori uim colliquatiuam (mKriKovy non J^kKriKQf, &c rc ipfa, &: ucrufto codicc pcrmorus lcgcndum puto) incilc pcrfpcctum faris illud tacir, quod ros bibuus gracilita- tcminducit, ut mulicrcscac manifefto dcclarant, quacalioquin obcfac dum tcnuibusucftimcntis,autlancis rori collii^cndo opc- B ram nauanr, co in cxcrcitio carncs confumunt . In oinnibus aurcm fcrcprodcritfubijsumbris ambularc, quas cpilcpricis probauit Arctacus vertiginofis , ncmpc /ub arboribus myrro , aur lauro , aut intcracrcsC^ bcnc olcntcs hcrbas calamcnrum,pulcizium,thy- mum , mentam , maximc quidcm agrcftcs , 6c (pontc nafc cnrcs : lin harumcopiadclidcrcrur,intcrhumanocuItu procrcaras.Hftin hac quoquenon cxiguumdilcrimcn rcfpcctu cadi, quod , dum fcrc* num cft, tunc ambulatio lcuar , pcr halirum cuocar , arrcnuar , bo- — namrcfpirationem,i^moucndi faciliratcm parat : dum ucronu- bibusobtcgitur , grauiratcmaflcTt, pcr halitumnon euocat, tan- dcmquc caput implct.Dc ambulationibus facicdis,ucl hycmc,ucl acftarc,ucl alio rcmporc,di\imus in libro quarto, ubi tcn^^pus cxcr- Cjp.n. citationibus accommodarum dc/iniuimus : fupcreft ranrum illud Q adncvftcrc, ambulationcs quaslibcr anrc cibLm ficri dcbcrc, ruin manc, rum ucfpcrc:quandoquidcm matutina aluum cmollir,licrc- dimus Antyllo/cgniticm afomnocontr.iotam dilfoluir, fpirirufquc attenuat , caiorem augcr, &c appcti tum excitar : quinimmo Hippo- i.dcdiac crates hanc candcm humidioribus tcmpcramcnris cc)ucniiv, quod humorisrranlicuscxinaiiiaiuur, ncquc animac mca*tus occludan- tur,fcribit:licut,&attcnuarc,ncc non partcscirca captitlcucs,agi- lcs,ac promptas reddcrc , 6c aluum tolucre conlirmat , ucfpcrtina ucro ad fomnum homincm pracparar, acinflarioncs difpcrgir , ca- put ramcndcbilcmale afficit,ob idqiic iurc accufarur Scrapion a Coelio ,quod cpilcpricos impcraret circa ucfperam amhi larc , ac jjj, ^ ^^^^ rurfum conquiefccrc , &: dcambularioncm rcpcrcre. Pollcibum cap. 4. diximus cxiguam ambularioncm afl^ucris conucnirc, arque illis, 4juibus non fmc laborc in fundum ucntriculi dcfcendit cibus : illis paritcr, i6t i E R ^ ^ warirer, quibuscapiTtrepIcrum cft, lcmam poft cibnm dcamhu- D cV.l*! dc ^^^^^'^^^^^ commcnaauit , Galcnus, fccutus fcrrafsc in hoc Arc- «op.mcel. tacum, qui in uctufto capitis dolorc candcm in ufu habcndam uoluit.quamquam lccundo dccomp.mcd.ubi dc dolorccapiris €xcbrictatcagit,ucJir, ncqucmuhum comcdcndum,ncqucfta- tim a cibo dcambulandum . In rchquis quo modo conucniar,non uidco , 6c proptcrea Dioclcm medicum anriquiflimum , &: cLirifli- mumfatismirari n6pofsum,quod phthificos dcambularionc pofl Ccl.lib.i.prandiaucxandoscfscuoJucnt, quac licuti concoAionem cibo- ruminrcrrurbat, ita muJtosadcaputuaporcscftcrri, arqucibi in humidirarcm conucrfos ad pcc^tus, &: puJmoncm difflucrcliicir, quonihiJphthilicis conringcrcpcrniciofiusporcft:comagis,quod i.dcdiaf.Iicct I-lippocratcshuiufccmodi dcambu/ationcs in humidioribus tcmpcraturis approbct : aluum ramcn , corpus , &c ucntrcm liccarc E confitctur: nciIlaomniainmcdiumadducam,quacdchuiulccgc- ncrisambuJatione fcripta funt in Jibrodc infomnijs Hippocraii adfcripto . qui Jiber cum muJra fupcrftitiofLi conrincar , forfan ali- quis ijs > quac ibi dc ambularionc poft prandium in pJuribus com- mendata dicunrur,paucam fidcm adliibcar . Hadtcnus dc ambuJa^ tionc, iam cetcra aggrediamur. AR. 269 * ARTIS.GYMNASTIC^ LIBER SEXTVS ^uos ereClum slare ejfefius partat. 'i^^:^^^'^ O S , qui pcdibus crcvfti permancnt, cxcrccri, quonum alniiidc in fupcriorilnis dcmonftraui mu5,hanc rcm amplius in dilputarioncm rcuo- carc prorfus ridiculum forcr. proinde , quot modis luicc cxcrcitatio uarictur,quosq,quac- quc pariat ctfcdus , dcclarabo . Quod ctcnim ' hacc cxcrciratiopriuatim dorlipartcsalTiciat , Aucrrocs, intcr Arabas non inhmuSjfarisapcr- 6 collca. rcdixit . Qiii igirurtllud dcbilca narura, ucl cafulbrriori funt,"P-*- fummo ftudio id cxcrcitationis jzcnus cuirarc dcbcntjicmpc quod ( ut (acpius dixinnis ) maiorcm, ciuam ipfa ambulatio^dcf-uigario- ncm pariat : quibus etiam in rcnibus inflammatio , ud ulccra orta funr , ncftcnt , magnopcrc caucndum cflc , ccnfuit Rufus Ephcfius. Lidc paf. dtbcntquoq. huiufccmodi cNcrcitationcm aucrfari,quos ucl hcr- niac labor lolIicitat,uel i n cruri bus , aut fcroto , uarices dilatantur , ucl ulccra in infcrioribus part ibus orta funt, aut qualibet de cauf- faoriunrur,quam fcntcnriam nilimcdicorumauctoritasconfirmaf- fetiucram tamcn cHc ipfa ratio pcrfuadcrctrquac fcilicctoftcndir, in ftantibus graucs humorcs citra difticulratcm prorucrc,cosq. mo ^ do hcrnias,modouariccs,modo ulccra gencrarc,foucre,&: augcrc: nam quod varices gcncrcntur,ctiam luucnalis pocta cognouit,qui Saty.^. cum quandam mulicrcmlanumrogantem dcamici victoria furura deridcrct,uolcnsfignificareob importunas mulicrupctitioncs ha- ru(piccm,ficunctis !nfcrui(rcr,ftando,((icquifqueharulpcx proalijs rocabat I)cu)non parumlaboraturum,aifVaricofus fict harufpcx, Maruim quoquc fcmiu^ omncs,laboriofum uirucxftirillc ,ob quod ^^"^-^ci* fi quis dicat , ei uari ces , quibus afilis.'tabaf ur , in ambobus crun bus ^*"' ortas ob nimios in llando laborcs , cum minus crraturum cxiltima rem. Vcrum cnim ucro,&: in hac cxcrcitationc non paucac diucrfi- rates rcpcriuntunproptcrca quod tcmpus, Iocus,atquc firus uarias quafi fpccies cfficcrc uidcntur. A tcmporc nafcuntur duac fpccies, quando aut antc cibum,aut a cil)o,quis ftando,is: vcl pauco tcporc, ucl multo cxcrcctur. A locofuinuntur diffcrcntiac^quoniam vcl in ' folc, i7o L I B E R folc,uel In uml)ra,&: hac aut claura,aut aperta ftatur. A fitu dcmum D euariantur ftandigencra,quando uelunopede ,uel ambobus,& uelijs totis,&:planis,uelextremitatibuseorum , calcibusfcilicet,&: fummisdigirisltamus. Ante cibumftare uentriculi cxcrementis inaniendisauxiliatur ,afthmaticos,&difficiliterfpirantesadiuuat, ucntrem cmollicurinam prouocat , crura , &c pedes corroborat , &: fiquando deambulationi uacare non concedatur , illius uices fup- plerepoteft. Vertiginofistamcn,&:c]uibusad fuperiora rapiuntur uapores, nullopadlioconducit, cum extalierCw1afta:ionefacilius caput afumispetaturrnamtantamad hoccrifiicicndum potcntiam Pctr>A fi^^il^^^^^^^i^^^^^i^habct ,utnonnulIi boues,&:caetcra animantia poncnfis (quodfcripfit Ariftotcles) minus homines tuffirc , minusquccatar- y.partic. rhisuexari crcdiderint.quoniam ipfis mininie crcdtisftatibus haud ita uaporcsnaturafurfumicndentesin eorum capita fcrri pofllint. E QiKi item ratione eo$ omncs damnare uehcmcnter foleo , qui,fi al- to capite dormiant,minus a catarrhis fe vcxarum iri putant,cum po ' tius contrarium eueniat,vt fcihcct qui humiliori,&: fcre cctcris me bris aequali capitis fitu dormiunt, uel aliter iacent , minus a uapo- ribus capitc tentcnt,minusq. a capite ad pcvflus humorcs defluant. Quamuisfccusiudicadum fit,vbiquisvcntriculi in conficicndo ci- bum dcbilitate uexatur.Quoin cafu Pofidonius apud Actium ma- gnopcre ftudendum efte iulfit, vt in dccumbendo caput altiori fitu contineatur, quo cibus magis in ventriculi fundo accommodctur, &: ob id nutrimcntum minori molcftia coquatur.Atquc hoc intclli gi debctdeijs, quimultum ftant:ftare etenim pauco tcmporc cxi- guumquidprodcfl*e,nequcmultumobeffepotcft. Qui porro com- muni illo effato,Prandia poft flabis , indufti poft fumptos cibos fta- F r dclc61:antur,ij fcire debent,fi mediocri quodam rempore ftctur, defcenfui ci borum in uentriculi fundum id infigniter coopcrari,&: confcqucntcrilloruconcodionemperbelleadiuuarc, nec alioqui ullam cffatu dignam iaefionem afferre: uerum fi multo tcmpore ita qui5pcrmanfcrit,praetermolcftiam,quaob ciborum intcrdupon- dus,praetcrla(fitudinem,qua exlaborc afficitur ,variasitcm offcn- fioncs fubirc cogitur.Primo namque maior vaporum copia fuperio rem corporisrcgioncmimpctif,maiorhumorummuItitudoad in- fcriora praccipitat , atq. indc vlccra in cruribus,gonagras, &: poda gras gcncrat,cicindc thoraccm,atquc fpirationc vniucrfiim non pa- rum Iabcfa&: totam mingendi athoncm uitiant , quando vidclicct crudi humorcs ex fimili fiti ad S E X T V S. J7I A cas partcs dcfcrutunrcncsq.&lumbi uchcmenterincalcfcunr>dc- bilitdturq. ut non tcmcrc vidcatur pracccpiflc- Rufus Ephcfius , ne quis vlccribus rcnum Iaborans,ctiam fi morl^us inchnarc cocpiffcr, ftarct. Statio in vmbra (cmpcr aliquibus cx pracdidis difTcrctijs ad ncctitur,ut fit multa,vcl pauca.ucl a cibo,ucl ante cibum, & proin- dc qualicumquc adncxa rcpciiccjllius cflTcdus continuo cxprimct, modo umbrac ratione aliquid fccus non acccdar.hoc autcm dico, quia facpcnumcro umbra , vd cft locorum concluforum frigido^ rum , atq. humidorum; ucl noxiarum arboram , ucl alrcrius p"erni- ciofae rei,quas omncs corpiis macularc , &: faniratcm dcftrucrc ne- mo ncgabit.c:actcrum de llantibus fub folc in hunc modum dcter minandum eflc, iudico, quod fcilicet Itare fub folc in aeltarc fum- g moperc calcfacir.immo fcnrcntia eft Ariftotelis, cum llamusin fo- ^f^^'^""' lenosmagisdcuri,quamdummvOucmur,ctlipcrfcmotus ipfc quo- ^'"^ * quc calcfaccrcuaIcat,quodaIiasfuliuscxplK aunnus. Si iijiturita clt,rationi confentancum crticitur ,iuuamcnrum infigncualdcfri- gcfadis corporibus indc accedcrc,vcluti h\ dropicis,caccdicis, quibusidaCoclio,&();n iibusfcrcmcdici's laudatur. InickTicis Lib.j.ci iteincurandis tali infolationc vfum Archigcncm rcpcrio. ncinte- ^'v^^f' rimlilcntiopractcrmirranrur ca,quac apud Acrium cx Antylli fcn mcdTu* tcntia lcgu:ur,infolarioncfcilicctvarijsmodis anriquos vfosfuiflc, "P-'' alias cum unJlionc,aIias iinc unctionc,modo fcdcndo,modo iaccn do , modo Itando , inrcrdum ambulando , inrcrdum currcndo : dc ^ quibusomnibusinhunc modum dccretum elt, quod /i infolatio

* adminiftrcrurnonpurgatoprius corporc,max:inum capirinocu- C menrumaftcrr: undcfacpcnumcro mirari mihi conringit,quogc- nio ductus Plinius maior,non modo purgato corporc,ucrum ctiam polUibuminacltarcfubfoIcmancrct,acdcindcinfngidalauare-rcpift tundchac ctcnimlocurosfuilfcmcdicinacaiictorcs arbirror,quan dodixcrunt,ab illacorporaplufquam par lirincalcfccrc,fcbrcs,at- ^^^-^^^^" quc capitisdolorcsgignirNamliantcaquamcorporafolicxpona- '"'''^* tur ,opporrunc cxinanianrur , aut /inc unctionc , aut cum unctionc ricripotclt:hatcura unctioncm ,capiri diuturna frigidirarclabo- ranti fuccurnt,quod illud durius,arquc impallibilius reddar , Sc ob idmcriroinEpilcpiiacuranda a Mcthouicis nonnulliscommcn- Ccciu.x. datur, modofit inlolatiomodcrata./icutitcm in ca in/aniacfpccie ^'^'^ i:iuarccrcdirur,quacafrigidaintcmpcricorrum ducir:pracrcrca occultas difflarioncs augct , ludorrs clicit , carncm confcruat^pin- gucdincm tollir, ocdcmata oinnia, 6cpracfcrtiin hydropicadc- primit:ncquc tamcn iplu noxis fuiscarct, quandoquidcm mr)ra Cymn^flica. X quacuis 272 L I B E R quaeuis fiibfole bilcm augct,&: confcqucnter ijs, quibus calorna- cc^^apk. ^^^^ mordaxcft,valdeaduerfatur, ut a Galcno fcriptum cft ,/piri- lo. tumque crafliorcmjdenlioremue efficicns , afthma, &: orrhopncam i.^tu.va. exacerbat. Cactcrumftabfquc un^ftione infoIatioadhibcatur,in cactcriseofdem efredtusparit,nifi quod corpusexficcat magis.tan- quampingui illoadufto,&fubindcmaiori nigrcdine fupcrficicm totaminficit , nccnon carncm inftar caurcrij cuiufdam dcnfasmi- nuspcr infenfibilem rranfpirarioncm cxcrcmcnra diuaporari facit. Li I fcr ^^'^ i*arionc huiufcemodi infolationcm ad minucndam polyfar- cap!^*^^ chiam ab Aerio laudaram ccnfco, Vcrumramcn duo hic animad- ucrfionc digna cfle cxiftimo , alrcrum , quod medicos, ubi fub fole moram probarunt, praercgi pannis capira uoluifle opinor,quo- niam,practcr Coelij audorirarcm ,& ratio,&:cxpcricnriademon- ftranr,capita derc(5ia,fi foli cxponantur, ualdc ofTcndi , ncmpe quae fupra modum calefa£la vaporcs a toro corporis ambitu ad fcfe at- trahuntjficqiic omncm malorumiliadem , &:prae caereris carar- rhosibi gcncranr : quod minimc,ubicapira teguntur, euenire fu- a.partlc. fpicandum cft , proptcrca quod,utfcripfit Ariftotclcs , indura cor- rdccauf' P^^^^f^l^^ "^'"•^^^^'^^^^"^4"^"^ nuda,cum ab illiusradijsminus fis ^i^rb. icrianrur.atquc hoc torum a Galcno fignificatum crcdo, ubi dixit, eos,qui nudi fub fole mancnr ^uniucrfum corpus calcfaccre , qui uero induti , caput folum • nam dcmonftratum cft a nobis libro tcr- tiOjMaiorcsnoftros numquam ferc caput tcgcrcfolitos:nemire' murGalenum ,dumindutosfcripfit fub folc, capitctantumualde incalcfccrc dixit. Alrcrumanimaducrfionc dignum cft ,quod, fi- curi fedenres , &:ftanrcs fub folc uchcmcnrius incalcfcerc, fiuepo- rius deuri expeiientia conftat,quam ambulantcs,&: currcntesipari- rer,& caeteras pracdiftas affcdiones , tam bonas,qua malas facilius recipiunt. Atque haec vniucrfa a nobis dida dc ftantibus planis, ac totispedibus intclliganrur.ftarc namque calcibus innixos non mo dolaborcm acmolcftiam inducir,uerumetiam nuUumiuuamcnrO cfTaru dignum pracftarc crcdirunquemadmodum fimilitrr cos,qui fummis digiris ftarcconantur, practer farigationcm illico fucccdS tcm,parrcs illas callis molcftiflimis aflicerc compertum eft, &c prac- fcrtimquandoquis co frcqucntcr vratur j hi fiquidcir 'Mudunum commodu nonnumquam rccipcre uidcntur, ut longins multis alijs profpciaare ualcanr , cuius gratiaab antiquis fpcculator , fiuc  Apho.^ nia dcillis,qui non armari ccrtant accipicnda purcquandoarma- ^*^^^'*^** B tum ccrrarc inrcrcxcrcirariones limul,atqi:c opcra ma ifdl • rcpo- fuir Galcnus,qui limilircr ccrrarc aducrfus u nbram {ctKtctiicc^^ip t-^tu.^u cunt Gracci ,) cclcrcm cirra robur cxercirationem cilc ludicauit , |;'^; ut Auicenna quoquc,cV Paullus pollipfum ccnfcrc uili funr. Cum doc.rcii itaquc rcs icafcfc liabcar, pugna non armarorum rim aduc rfuslio- mincs,quam aducrfus columnam adminillrata in primis magnope rc calcfacir,cxcrcmcnra cducit/udorcscicr,cxr.bcranrcm larncin fupprimit proindca Coclio incuranda polyfarchia adhibcrur, l; ^^^^^ dcinceps brachia,atquchumcrosconfirmat,ciura(5»:pcdcs mirum cjp.Tiu inmoduinexcrcet,cctcrum capitadcbilia,6«:ucrtigini obnoxia no parum labcfa^tat .rcnibus ircm laboranrcs huiufccinodi cxcrcita- t»oneinfugcrcpracccpir Galcnus.  magis cxcrccrc, l 2 &:unn 274 1- 1 13 E R & uim maioi em corporibus infcrrcquam iftam: quonia,nt ab Alc D Prcb -^^"^^^ pcrbcllc fignificaium cft,athlera, fi obnitatur antagoniftac, tortitudmcm ci us augct ; Un ccdat, ncquc rcJudctur , robur ciufdc refoluit. Atquicapugna, quac corporibuspugnanrium armatis cxcrcctur , inrcr vchcmcntcs cxercitationcs collocada eft,quac cu robufta, &c uahda corpora cfficcrc dcbcant, iurc meritoNicias apudPlatoncmin eodialogo, qui Lachcsinfcribirur,dixit,quod Iv STTMi^yi^^wi&r ,fiue armatum pugnarc corpora robuftiora, li quod ahud cxcrcitationis genus, rcd^dit , ncq. vllo aho minorem Loco cit. laborcmparit. Dehac quoque exercitationeab Antylloproditu ^ rcperitur,corpus ab ipfo ad morum aptius, & ad carnem fufcipicn- dam rcddi, uerumramen propriam atquc maximam cius pollicira- tioncmcxliftcrc,utcorporisfirmitarcm,&:longam rcfpirationcm gignat, cumilli, quifcfe pugnis fimihbusdcdunr^omncmaHam £fpiruuscxpulfionemferrcpoflint: facitautem huiufccmodipugna carncm laxam, &: mollcm, nccnon capiti admodum noxia ert,prae- fcrrim quando galca plusaequo obtcgitur , cuius pondere preffum nonparumlaborat . illudhicnon ignorari uolo: cTrhoyxtxlav , fiue armarac pugnac exercirationem , nc quis dccipiatur eandem effe cxiftimans cum armata ludatione, oTrhm-miKn ab Acfchylo vo- cata,quandoquidcmhacramquam ludtac fpecics armisin mani- bus nullo modo utebatur, fcd dumraxat ccrranres totis corporibus armabantur , ficque armati inuicem ludabanrur , cuius ludationis arbitrcr uolurarionem illam armaram , fiuccelcrcmagir aioncm, t.dc tue. quamGalenusin numero vchcmcntium excrcirationum repofuit, * ^^' fpecicm quandam exftitiffe . An vcro dc hac armata pugnae fpecie intcllcxcrit Coclius Aurclianus, quando in curanda polyfarchia F poft plurima alia cxcrcitationum gcncra comprobata dixit . Tum „ hoplomachia, hoc cftarmorum fiifta conflixio: apudmcdubium nullum,ut exfuperioribuspatct, relinquirur: quoniam, & fino- menGraccum hanc ipfam lignificare uidearur, nihilominus, &: nominis ab ipfo illata explicatio , &c ufus demonftratus manifcftum argumcnrum faciunt,cum dcpujTnaillafcrmoncmtaccre.quae nu- dato ab armis corporc excrcetur,quaeq. ad diminucndam carnem a nobis laudata fuir, cum hanc poftrcmam carnem , fed mollcm, SC Jaxampotius augcre Antyllusiudicaucrit. Dc gladiatoria pugna nouidcturhiclocuscxpofcerc, ut fcrmo ulIushabearur,proprcrea quod cum armis incidctibus ,ac pungcnribus anriquirus agcrctur, uclinlctaliavulnera,uclinaltcrius pugnaroris, aut eria vrriulquc ncccm,plcrumquc terminabatur . VnUe ncminem non uiderc ar- bitror, S E X T V S. 275 A blrror .qiiantnm ahfit, ut fimilis ^onccrtatio iillam pronigandis morlns , tucndacuc fanitati opcm afTcrrc ualcat : ca cnim cft,quae liodic apud miiltas Chriftianorum nationcs fub Duclli nominc no fincmagna ciuitatum aliquandocladc cxcrcctur , quamq. &:anti- quis , Su noftris tcmporibus ab uno hominum inimicilTimo Sathana rcpcrtam ad pcrdcndas animas fuiflr fcmpcr crcdidi . quod naquc non monachiam antiquorum , ut falfo probarc conari funr, qui huculquc ducllum trailarunt, fcd potius gladiarorium ducllum huiufcc tcmporis rcfcrat , pracrcr multa in qnarro libroa nobis dc- clarata ,hoc itcm at cftari vidctur, fciliccrijfdcmarmis,atquc co- dcm propcfincducllarorcsconccrrairc, quilnis ohm gladiatorcs pngnabanr: illud unum inrcrccdit difcrimcn,quod illi tum gloriac cuiufdam inanis gratia, tum praemiorum fpc , fcd fcrc fcmpcr ui B quadam,utpotc ud ad fupplicium condcmnari,ucI in id cmpri,at- €juc cdodi ad ccrtamcn duccbantur : ifti ucro fpontc ,&: nuUisco- gcnribus ,nifi folius honoris uana quadam, &: faila dcfcnHonc pro- lcdantcaguntur: ut hac rationc minus cxcufationc digni habcan- tur ,cum fpontc in propriam ruant pcrnicicm . Vrinam rcllpifcanC randcm homincs, uidcanrquc idquod Haibari krc nulliagunt, ranto minus Chriftianos dccerc rfic profcdo &c multac urhcs, quac ob hoc inrcftinis , &: facuillimis di(Tcn(ionihus cxagiranrur , ad mc- Irorcm ftatum rcuocarcnrur , &: mulrorum anim.iSus,corporibusq. mcliusconfulcrcrur. At nc longius a propoiiro noftra diuagctur ©ratio, hacc fufficicnt , fi illud addidcro, quod Cclfus , Scribo- jii,^ ^ nius, Plinius, Arcracus ,atquc alij plurimi rcfcrunt, ab Antiquis li. decop. fciliccrcrcditum fuiffc,gIadiatoris iugulari fani^uincm cpotum lu- "''^i*; ^^ C uareepilcpricos. quam rcm poriusad prodcndam iplorum fcri- nam fupcrftitioncm , quam ut ullam fidcm adhibcndam ccnfcam , li^nificare uohii. 2)e qudTunJxtn altarum exercitatiomm qualitatihus* Cap. l II. VLTA apud antiquos cxftltcrunt excrcitati onum gcne- 1 a , quac quoniam non ita frcqucntcr vfurpabantur,ab aucloribus cclcbrata non iiuicniuntur :inrcr haccau- rcin primo fcfc offc rt ri iK^6)^u^il%:ccci , ucl manibus fum- fliis conccrrarc, quod, /iue hituc jpccics aliqua forct, utnon- nuUi crcdidcrunt,fiucicparara quacdam cxcrciratio, urCalcnus ^^^jl^gp^^^^ ccnfuifsc uidctur,u ui poft luclam alias quafdam cxcrcitarioncs ad- OymnaHica, T 3 numcrans 276 L T B E R nummn^acrochinTmum nominaf, facirqiicrnam7cftealii conftar ipfam apud Galcnum , Actium , Paulum , & Aui-. l.ib.3. c j cennam i nrer ucloccs finc roborc exerciraiioncs locum obrinuifle, lill.fen 3* ^^^'^^"^^^^^'^'^^^cicndijcorpora tcnuandi,carncs,fuccosq. dctra- doc. i^c.i hcndifacultatcmpolHderc, ut appofircinfinuarc uifuscft Hippo- fitf^cftato ^^^^^^'^ ^P"^^ qucmlcgirLiracrochirifmumatrcnuare,&: carnes /ur-. cap.Ti^^^ ^umtrahcrcproprie ucromanus,atquebrachiafccundi;m Gale- Lib.4.c.4 num in ipfaexercitanrur. cxquorir,utilIisconueniat, qi ibushas- locQcitac, parrcscorroborarcin animocft,ficurijs ualdenoccr,quorum chi- nigra,uel aliusmorbus,&manus, &: brachiainfeftare folct. dchoc locutu e(Tc CeIfumquiscrcdcrcpoteft,ubi in ijsqui ab arida luHi exagitanrur,exercirarioriesmanibusperadasprobar. PorroUTrA^- ^f/^^ij^jideftecplerhrizare, a Galcno inrercxercirarionescitraro- *oco cit. bur,6^crccntium,quamCraccihatcro. copiam,vcltrachc!ilmumuocanr,cxcrccri,vcrumramcniIlisma\i- mc vcrcnda clUalis cxcrciratio,qu! vcl pc^orcvcl dorfo,vcl capi- tcnoadmodum valcnt.Parictiam paclofi quis(vr Milo factirabar) g conucficrcfc, ojcrcq. dc loco volcnti pcrmirtar,cnira maximc corrob.>rarcpotcrir,qucmadinodum manus maximopcrccxcrcc- bir,cisq.fortirudincmacqLirer,lipuynum alicui apcncndum, ucl malum punicum , aur talc quippiam manil)us complcxus aufc rcn- dbmpracbcar:quod ramcn arthriridi,aur chirajiracobnoxijsmini- mccongruct.Roburaurcm partium rum cxcrccr.rum hrmat,fiquis a!tcrumcomp!cxusmcd;um,aut ctiamipfc mcdiocomprchcnlus, manibusdigirisq. pcdinatim iundis,aur qucm complcciirur abfol- ucrc fc iubcar,aur ipfc lc a complcctcnrc loh,ar:nih quod in hoc pc riculum immincr,nc vifccra labcfadcnrur c\ nixibus illi5,qui adhi- bcntur,dum dillolurio quacrirur.lra criam (i quis alrcrijm,(|ui vcr- fus ipfum lc inclinct t larcrc aggrcflu5,ilia manibus compIcxus,ccu onusaliquod fublarum inuiccm prorcndar, rcducarq. acinagis,fi C dumgcltar,ipfcnixu, rcnixuq. corporis vrarurnic narnquc fpinam vniucrfam corroborabir,lumbos tamcn,arquc rcncs dcbilcs habc- ribus noccbir. Acquc vcro qui pcOtoribus cx aducrfo innixi magno fc conaru inuiccm rcrri^ilunr,;;^ qui a ccruicibiis pcndcntcs dcorsu trahunr,vchcmcnrcrquidcm cxcrccnn^r, &: pcrconicqucns robur corpori vniucrfo comparanr:at pcriculum fubcunr, nc thoracis va- fa aliqua rumpanrur iplis,ncuc aur capur,aiit collum malc aihcianr. Hacc iraquc oinnia ramcrfi apud vcrcrcs inrcr ccrcrascxcrcirario- ncs habcrcnrur , nihilominus haud ira in frcqiicnri vfu fucrunr , 8c pracfcrrim nobilibus,ac illisqui non fincluauirarcquadam fanira- ti opcram dabanr. h;ic ircm rcmpcfiarc non dcfunr , qui ipfis vran- lur,qn )v.jn')d' ' rario ,iflhibcarur,pcni:us aiicrrcrc nolo. T 4 De 278 L I B E R D Def^mtuscohibitiomsfacultatibus^ ^(^df. I V* I #n K-K^ ETENTIONEM fpiritusfpecicmquadam cxcrcitatio- ' * nisefTccumabundc inlibrotcrtiodemonftraucrimus, idampliusrcpetcrenoneftopus:il]uddumtaxat adiuii C^"^*^^^ gamnonfacilerepcriri ,in qua nam difTcrcnda locata fucrit.nifi quod animaducrtcntes nos in huiufccmodi cxcrcita- tionemufculosabdominis,aque thoracis ualentcrintcndi , &:fu- ^.partic. binde inpartibus interioribus calorcm augeri,ut Ariftctclcs,&: Prob. Galcnusmcmoriae prodidcrunt,eam non riciiiinc uchcmcntia 1. dc diac i^^^icare poflTumus : &: propter hoc iure ab Hippocrate didum fuit , ^ fpiritus dctentionc meatus difparare, cutcm attenuarc,nccnon ^ 3. dctuehuniiditatcmfubcutcm extruderc poffc. A Galcnofimilitcr,&: ia^bartii^bAuiccnnafcriptumcft, rctcnrioncm fpiritus mcmbrafpiritua- mcd.c. 87 lia calefaccre ,corroborarc,&: cmundare,necnon anguftas cauita- doc 1 c \ ampliorcsrcddcrc. Quod etenimfpirituscohibituscxpurgarc thoraccm ualcat, clare conftat : quippe qui in.ipHi rctcntione un- diquccompulfus inanguftosfe rccipcre meatus cogitur , cosq.li ampliustrufus, propulfusq. fucrir, ctiam pcnitus tranfirc, atque extcnuati iam agitationc cxcrcmenti nonnihil fccum arripcre , eo

propemodo,quo intucmur opificcs angufta inftrumentorumfo- raminauchcmcntiorefpiritusinflatucxpurgare:quandoquidemis quanto ulterius pcr uim coadus impcUitur, tantum ab ipfo quaeda impelluntur, qiiacdam trahuntur, nam truduntur quac antc occur- runr,attrahuntur quac ad latus funt pofita , impetu ipfo motus vtra- quc coada. Qupd ucro ex retcnto fpiriru cauitatcs cuadant latio- res,hinc probatur,quoniam fi thorax in medio corporc locatur , fa- nc illo magna afiqua infpiratione acrc impleto, & dcipccps fuprc- mo laryngis ofculo Imgulac opera claufo, nccno mufculis toto tho race prcllo,necclium cft aercm comprcfTum vndique mcatibus cor poris uniucrli^^ infcri,ficq. inirufum cos undcqnaqiie dilararc ,mo- doinfcriorcs dum iUuc impcllirur, modofuperiores. ficergoper fpiritus retcntioncm cauitatcs corporis amplificantur,pedoris par- tes cmundantur , ipfaeq. atque etiam aliac intcriorcs calorem ici O^nip. ^^j^^ipi^ri^^cuiusmcritofrigidacaflrcdioncs, &:prac{crcim infla- Pr^?*^* tioncsrcmoucntur. ut non tcmcre Plato fubpcrfona Eryfimachi li.d mcd. ixicdici ,nccnon Ariftotclcsmcmoriacprodidcrmt,fpiritumcohi- ifbroT.d^birumafmgultulibcrarc. quorum placira fccutusGalcnusabco- ^mp.cau.icm uoiifolumlingulcumjvcrun^ctiain tuffim afrigida inftrumcn* S E X T V S. 179 A torum rcfpirationis intcmpcric conrraiftam cxftlngui tcftatumrc- liquit: ciuodaucla in pcvftorc caliditarc cx tali cohibitionc angu- ftos quoslibct mcarus fpirirus coprcffus pcncrrcr,cun &: ab auribus cxpcllunt : limilircr obftcrri- ccsiftud rcftantur,quacad parruscxpuIlioncmfaciliorcm,&:ccIc- riorcmrcddciidam partiincntcs fpirirum contincrcpraccipiunt . in quoltamcn ipfas facpc crrarc fcnbit Acrius,quando cx nimia hu ytr^h, 4. iulccmodi fpirituscohibirioncancunfinata ,liucartcriarumincu- i[Lli\c. ribilcsdilararioncs incurrur.t in faucibus , nccnon pupillarumin prob. 48. oculis,ut Aucnzoar tcftatus clLDiccbar Ariftotclcs fpiritu rcicnto mdiusaudirc nos, quoniam rcfpirario ftrcpitum qiiCndain mo- ucr, quocum careanrrctmcnxcsiUam, mclius uoccspcrcipiuntrti.ij. c.i C quanuiis CalTius Mcdicus alitcr fcntirc uidcarur. Exftar ircm Plinij aucronras,quod cucrfos,fc anclcnrcsq. ac iaccnrcs , fi quid ingruar, conrraq. i(ftus,fpiritum cohibcrc fingularispracfidij cft. Si igirur afpiritusrcrcntione rot commoda xjriri conftat, prudcnrcrfanc Coclius Anrclianus ipfam allhmaticis, ftomachicis ,arquc licis'^|^^J"^*y curandis cgrcgum opcm pracftarc lcriprum rcliquir.Ncquc ramcn ub. ^.c. huic ranrum tnbucrc dcbcmus,quiii ctiam ipfam aliquacx parrc obcflc credamus,quandoquidcm Afclcpiadcs capur opplcrc rcfta lus cft,cuiusfcnrcntia a Gak no ccrre cxplofa fuit . Ego vcro illam prorfus non cfTc rcpcllcndam puto, quoniam manifcftoconfpici- mus , dum fpiritus rcrinctur , ucnas,atquc artcrias colli intumcfcc- re, oculos ampliiicari , gcnas ac uniucrfum vuhum contrahcre ma» iorcm ruborcjn, tandcinq. caput totum compati : quacomniail- Jius rcpktionijs cUra inditu clTc, ncmodubiiat . txquohr,ul Dioclcin Early European Books, Copyrighl© 201 1 ProQuest LLC. Images reproduced by courtesy of the Biblioleca Nazionale Centrale CFMAGL 1 .7.429 2SO jL 1 B E R Dioclcm tota uia abcraflTc pro ccrto tcncam , dum fpiritum rctcn- D tk.i.«a.4. tumin epilcpfia curanda praclidium afifcrrc dixir:/icut Coclium laudo,qui in ciufdem aflfcdus curationc fpiritus rctcntioncm uita- ri debcrcuoluitjCumccrrum pcriculumimmincar,nctuncfangui- ncad caputrccurrcnrcmorbusmagis exaccrbctur. In fanguinis CgcUi.a. quoq. rcic£lationc talcm cxcrcicationcm a Mcthodicisdamnaram inucnio,quibus aiTcntiri cogor^propterca quod rum a calore in pe- (floris cauea gcnito,tum cx uaforum inflationc,diftenfioncq. facilii mc debilia,&:rclaxata vafafranguntur, frad:aq. iterum relcrantur. Ampliusqui veliierniasjvel crcpaturaspatiuntur,autpcritonacum, atquemteftmaexrilia,&:fragilia ab ortuobtinuerunt,nullo pacto in rctinendo fpiritu cxcrccri debcnr , quoniam hae partcs in aclio- neifta uchcmcntcr contenduniur,& pcr confcquens, nifirobuftae fint,citra mulrum laborem diuellunrur ,qucniadmodum apcrtifii- ^ mam fidcm pucri faccre poflunr,qui fi interdum nimis quam par iit flcndOi aut aliquomodofpiritum contineanr, protinus ijsperito- naeum , fcrotumuc difrumpicur , 6c dcinccps intcftina dclabcntia , aut flatus intercluii,uix fLUiabiieshcrnias pariunt: quod fimilitcr tu bicinibus , &c cantoribus , dum nimis fpirirum retinerc conanrur , facpenumcrofolet cucnirc,&: praefcrtim quando illi wiJ^ctlguuy ( quod Galcnus ait lib. de mot. mufc. fccundo in finc , ac 6. h\nd. com* 4, tex.24.&:dcquonosin varijslcct.cgimus^ac pluraadhuc dicemus , cum itcrum librum cum rccognitum, atque auclum pro- pediem dabimus) fiue edidum ficere uolunt . Vna feruata ra- tio ab huiufccmodi pcriculis tucbitur, fi modcratc, aur potius infra mediocritatem (imilisrctentio peragatur, ubiagcnda crir: alioqui pcrfici nequaquam poterit,quin praedida incommoda fc- ^ quantun De ^octs exercitAtiomm fAcultAtibus 3 tsf primo de rvocifcr^itione^ OCIS multas,fcd unam praecipuam excrcitationemcf feccruntantiqui mcdici,quam gracci t«i^ (cVflf.quoruomniunaturapcrfpcv^ta nihU rcma- S E X T V S. 281 A rc mancbif,quod luiiufcc cxcrcitationis cognitioni arfdi valcat.Er P «l^^jtu^^^ go prima uocitcrarionibus,qnaccumquc (int illac,adfcripta ab An j| ^^.^„6'. tyllo,Plutarcho,Paullo, Actio, & Auiccnna codiciocft,quod tho- Un, raccm,arquc uocalia inltrumcnta pcrbcllc rxcrccr. diccbat Aucr- \-^V'c.s rocs pulmoncm propric a uociscxcrcitio rcfpici . (ubindc naturalc iiki.f.s.d. calorcm augct,purgat,hrmat,arqucarrcnuar,folidas corporispar- * "J,';j^* tcs , robultas,puras,&:ort"cnfac mmimcobnoxiasrcddir. addcbarcap.i, ' Auiccnnna hanc cxcrcitationcm colorcm dccorarciquod cnim ca loraugumcntum fufcipiar>indcoritur ;quia fpirrrusalliduomoru, taai actraCtus , quam cxfufflatus collidirur , artcriturquc, licq. cx ca collilionc, 6c atrritionc calorcxcitarur i puriiarucro huiufccmodi cxcrciratio itum quiacarncs raiiorcs,magisquc rraiftabiics cfficir: tumquia cxmoru uocalium inflrumctorum humiditatcsinrcrnac B confumunrur,quod cuidcnriflimc dcciarat dcnfus uapor cx orc v v cifcrantium urodicns, 6c fupcrlluitatcs uctullioruhumoruunicui- qucmcatiii adhacrcntium,quaccxccrnunturnonfolumin pracdi- £tis uocifcrarionibus, fed ctiam alijs pkn ibus modis. lam vcro fir- marur calor , 6c artcnuacur , quv)niam uafa abftcr^^uncur , nuilti hu- morcSjUt fputa,muci,(^pitiiitac conlumuncur,quac licut antcaca- lorcmobfcurabant ,dcbihrabanr,&:incra(Vabanr, iracduda cun- dcm puriorcm,uaIid!orcmq. rc linquunr, &c hinc pollca lolidis par- tibus maius robur,maiorq. impallibiliras fuccrcKic.Si icaquc hacc ica fc habcnt , racioni confciuancum clt , ijs, qui humidirarc occu- patas inrcriorcs parres,quiq. uniucrfum corporis habicum frigcfa- ^tum habcnr,uociicraciorH*ni gcncrofum praclidium cxliftcrc.quc- admodum.illisprcdictis racionibus cam ab Anc) llo, CoclioAu- rc!ianp,&: Actio commcndaramfcimusltomachicis, uomcncibus, acidum ru:tancibus,acgrccoiKoqucntibus, cibos faltidicntibus, atrophia Iaboranrjbus.languidis,cachccticis.hydrC'picis,althmari- cis,orchopnoicis,phchilicis,diuturnopcctorisauclcpti dolorc uexa tis.apoftemara in choracc rupra habcntibus , mulicribus pracgnan- tibus,picaobfcllis, autlccundum Alcxandruinctiam parcurienci- ^/j^^g^'^ busad parcum tacihus cduccndum,non minus n ,.chro, affi.iunt,quamcorporis immodicacgcftationes, luuatmfupcr cla- cap.i. ralcf Q crir,fi rifu fcfc cxcrccrc uolcntcs alas fibi ipiis litillari facicnt ; pro- bi^ «!'^^^ ptcrcaqnod magnusinillispartibns ucnnlarum,atquc arteriarum concurlus cxllat, quac tuillatac concalcfiunt,^: fpirirum fu[)indc cxcalcfadiioncgcnirum pcrunincrfumcorpus diflundunr. Ncqnc ucrolatcic qucmqnam dcbct,ualidnm rifum,(icuti dixir Plaro, ma gnam mnrarioncmparcrc, ncmpc dc quo cclcbratnrapud Grac- cos hicfcnarins. j t Ato; HKccigo^ tyjigcrois (Niviy KccKiv , i d c ft Rifusinrcmpcltinusintcrmortaksgraucmalum. Siquidcmta- * ^^**"* lis,practcr immodcraram fpiriruum ctiulioncm ,pnicrcr nimiam agirationcm,calcf'achoncmuc , nonraro ,fccunduiii Ariftotclis,&: Jococftat. Alcxandri fcntcntiam,uchcmcntcm rcfolurioncm indncir:qno. p|^^*|;^^^^ niam uiralis uis ,&:inlitus calorimmodicc foras prodit,ac indcfir, ur /ic ridcntcs fudcnr, ac rubcantfangninis adncntu : calorcm crc- iiimnatiuum,igncmqucipfnm,ficuti pcr loci appctitioncmfur- Gymnajiica. V fuiu 288 L I B E R fum cffcrri , fic pcr alimcnti dcfidcrium ima patcrc ncccfTc cftjgi- D turutralibctmoucndi rationcpcrcmpta,calorinfitusinterir5& uis omnis vitalis cuancfcit.ut non abfquc rationc Homcrusfinxcrit oayff. ^ Procos rifu cmori , Arcrf ixmSges dyccvoi X%$S0Cs ivetct^otiwot p/tAo) \kSccvou , idcft , tum Troci illuflrts Mams extollentcs rifu cmoYiebantur ; lU.^pao Nccnon Aglaitidas apud Xcnophontcdixerit,rifum huiufccmodi ^ ^y"- moucntcs ^ncquccorporibusjncque animis prodeffc. Porro ca- put,ac thoraccm pcculiaritcrab huiufccgcncrisrifii offcndi ncmoncgauerit,qucmadmodum interdum laxata maxillarum ofla , dor- fumq.oblaefum animaducrtimus. Flctum tamctfi Ariftotclcs in pucris laudaucrit, quaficorumcorporaflcndocontrafta, &:con- E a.Tufcul tenfa robuftioracuadant ,Ciccroq. fcriprum rcJiqucrit, athlctas, cum cxcrccbantur , ingcmifccrc confucuiffc , ut fc intendcrent ad firmitaremscxiguum tamcn ufum in tucnda bona ualctudine habe rceno fcimusrpucri namqucfortafreaploratuminusofrendutur , quoniam ci a primo ortu infucfcunt , quippc qui ftatim ac ex utcro parenris in luccm uencrunt , plorarc incipiant: cuius caufTam So- Inlfa og fimusephcfius cxplicauit cfle ; tum quiatenuis fpiritusaluce con- cap.17. cutitur :tum quia infuctam tcrram attingant,quandomulieresin Prob. 61. nauibusparicnresmutumcdunt.quamfcntcntiamfecutus Alexan- dcrmcdicus addidit,iIIos minime audiendos cfse,qui animum di- cant , quod amifso caclcfli domicilio corpus inhabitarc tcrrenum occocpit,iccirco infantcm cogcre doIere,atque plorare.Caeterum adultiores qucm nam cx fletu capcre frudtum qucant , nufquam ui- ^ deo. quod cnim is corpora frigidiora intenta , ac debilia rcddat , \qco citat. pr^ictcr Ariftotclcm ob pracdiita ficntcs acutiorcm uoccm rcdde- j.Aph.y4 re narrantcm, Galcnusquoque atteftari uidctur,ubipucros,dum **^^8**^^' plorant, intcrruptofpiritu ob uircsdcfatigaras refpirarcfentit.qui * itcma flcrunonriumquafcbrcsacccndi pcrfpicuctcftatuscft. qua- tumfubindeoculisipfis dctrimentum atfcrat,mdc conijccrc faci- Inprok. literpoffumuSjquodlacrymis ab humoribus oculorum (fiCalfio medico credimus) dcflucntibus eos confumi ncccfllirium cft.ut Ilb^ fummacumratione eloquentilfimusauitor Carnclius Cclfuscon- tfcur.ocu. tinuos fletus oculos imminuere fcriptum reliqucrit ; ne fileam quantum damnum uox recipiat, dum fauccs,ac uocalia inftrumen- ta intcr flendum madefadla , exa fperataue , cam raucam cfficiunt, tuflcsq.ac noxios catarrhos iatentcr concipiunt.nam , &c apud Coclium s £ X T V s: A Cocllum Aurclianumlrgitur, ploratum poft cibumuaMcftomci- clium labcfactaic. Kx quibusomiiibus colligitur, aut nullum^aut cxiguficmolumcntum a llcru corporibusacccdcrc,(S nes illas cxcitant;in altcris humorcs ad infima dclabentcs eos mor- bosfoucnt,ac incrcdibilitcraugent. Inde eft,quod Aretacusin cu- ratione epilcpfiacfolam cius vcrtiginis infpcdioncm ,quamfacit inftrumentumillud , quod RiptBiKX dicunt, &: dequo fuprafumus locuti epilcpfiam induccrc monuit.Hoc fortaffc exercitationis gc- ^bro^ I nusintcllcxit Auicenna,quandodixiti Etludcrecum uirgisretor- €3^*2^** tis didtisalfulcgiam cum pila magna,autparua lignca, nifi quod il- lud intcrfortcs excrcitationcsrcponcns, 6c pilam magnam nomi- nansanoftrodiffcrrcdcmonftrat, ncmpc quodfitdcbiIe,foIifquc paruis fphacrulis agatur . Habcmus Sc aliud motus corporis gcnus, quod piHs ligncis cxcrcctur humi dupliciter, uel pilas in circu fcr- reum humi dcfixum manibus impcllcndo , ucl cubo lignco cas ap- proximando , quod quidc genus dorfum ob inclinationcs cotinuas E exercct , attamen caput ofFcndit, atque rencs; in quorum ulceribus Inlib. ae IfxTrmkvsiTriKv^^s uitari mandauit Rufusmcdicus,nequeadmo- Metue! dum pro ualctudinc probatur. legitur cnim apud Gal.cxcrcitatio- ual.cap.5 ncsinchnato capite, dorfoueperadlasncquaquaminisconucnire, qui occafionc qualibet Icui ucrtigine, cpilepfia, ophthaImia,auriQ dolorc, guttuns, aut altcrius, capitis , &: colli inflammationibus oc- cupantur . Praedidis omnibus tum notior,tum trcquctior cft pila- mallci uocati cxcrcitatio , qua uetcrcs gymnaftas caruiflc nemo nd fatctur ; fcd quanto magis tcporibus noftris pencs cundlas nationcs ipfa inolcuit , tanto magis ncccflarium uidctur illius flicultatcs de- clarare. Nam quod ex magnis fitcxcrcitationibus,ac uchemctibus facilc cft,&: a laborc,qui fuftinctur in ipfo,&: ab eius natura conijce re; a laborc , quonia fu quam pcr fccrcram difflarionc cxinanirc inrendunt . Cctcrum ncmo ,ucl mcdiocritcr rci mcdicacpcritus, lgnorat,valctudmarijs,ac dcbilibus,quorum uircslcui dc caufladc ftruunrur, excrcitationcmilhm minimcaccommodari: tantomi- ftus illis , quibus capita ma!c aticda funt ,aut aliquo padlo imbccil- Iia. nam,&: qui dorfononadmodum valcnt, quiqucrcncscaIido5, urinasq. acrcs habcnt, cx talibus moribusfummopcrc offcndfitur, licuti quoq. nocct cxcrcitario bacc,vbi parfcsinfcri( rcsinflamma- tioncm ,aut abum tumorcm pati folcnr . Summarim poflimt, qui fanitarc fruunrur , ad cam rucndam,oprimumq. habirumgcncran- du pilamallco fcfc cxcrccrc : qui vcro aliquo pafto ab acgritudine occupantur,omnini>abftincrc dcbcnt.illudq.fcmpcr mcmoria tc- B ncrc opcracprctium cihcjuac dc cxcrcitationibus bona a nobis pro mittunrur, ucrarcpcriri,modocaratio tcmporis, ]oci,quantiraris, modi, arquc corporumfcructur ,quam in ^.libroncccflarramcfle monftrauimus. alioqui fi ncgligatur, mirum non fitjoco bonorum incmcndabilia mala iucccdcrc : qucmadmodum lacpcnumcro in propolita cxcrcitationc cucnirc ccrto fcio,quac cum fcrc polt pran dium a plurimis agarur , nullo falubritatis loci , ac rcmporis habito dclcctu, no fua culpa,lcdcxcrccntium incuria pcrniciofasaflcLtio- ncs,ac prauos habirus inducit. quo magis omncs admonco,ut dili- gcntiam, a Maioribus nollris in cxcrccdis corporibus obfcruatam, quaxitum conccdifur,imitantcs,mcIius valcrudini, atquc mcmbro- rum robori confulant , ncquc commitrant, u t proprij.s ci roribus , &c fanitatcm /imul dcpcrdant,&:honorcm, dicctc GalcnonoUro ma- r.dctac C pnum dcdccus illis aXc , qui a narura fanam corporis conftitutionc lortiti cam ob cxcrcitationum,ac rcttc uiucndi ncgligcntiam cor. rumpunr,arquc morhofam rcddunt. Erquoniam hoc in capitcduo diximus,altcrumquod pilamaIIcus,cxcrcctdorfum,aItcrum,quod illis cuitandum crt , quibus dorfumcftnnbccillum, fcicndum crir , Galcnum voluilfc^inlcnibus dcbilcspartcsnumquam cxcrccri,in r.dctuc. alijsfcmpcr dcbcrc.rarioncm, qua indu^^us illud dixir, hanc fuifle ^ cxiftimo ; quoniam dcl)ilitasfcnumcmcndarinonpotcft,cumcx uirtutismotricisdcfcctu proficifcatur,alioruinucrorcparabiIiscft. undc, quandonos aliquas partcs imbccillas minimccxcrccndas confulimus,fcmpcr dc imbccilHtatc confirmata , ac incmcndabili, non autcm dc rcccnri,arquc dc curabili,dida noftra inrclligi uolu- BU]s:nca Galcni placiris,(]ucmomnc5mcdicifcqui tcncnturjinhac lcntcntia rcccdcrcuidcamur. (jymfiiiiiica. V 5 DC 291 I 1 B E R T)e equitationibHTfacuttdtibus. CaP. II X. ^ Quifationcm,qua Galenusaliquadointer ca,quae exer- cirationcs fimul,&: opcra nucupar,adnumcrauir, ex eiuf dcfcntcnriamagnam cxcrcitarionccfl'e,aperte conftaf# Quo circa,quanru fit cx fc, potcrit natiuu calorcm auge rc,&: cxcrcnicntoru inanitioni opitulari.Efl: aurnoparuadiflrcrcri- tia,an cquus(fic appellocquLi,mulu,&: aliud qif uisporrandishomi nibusaccomodatum animal)lcnrc,cclerircrucgradiatunanfuccuf Oribadiis fcr;an afl:urco fir,ac ro]urarius,an currat . Dcplacida,&:lcnra equi- Aet^iib* ratione fcriptLi inucniturab Antyllo,atquc Actio,fiplacidc equus cap.7! ^ gradiatur,nihilmagis, qua lafTitudinc, &:pracfcrtiminguinibusaf- fcrrc.dc hac inqua ucrba facics Hippoc.mcmoriac prodidir,conti- nua cquitationc laflitudinc magna parerc , homincsq. infoccundos E &: cocundi impotcrcs rcddcrc,n€C no dolorcs diuturnos,&: claudi- Prob. ij. carioncs gcncrarc.ncqJccircofcntctiaHipp.danandauiderur,qcf aqu*&!oc! Ariftorclcs cotrario plane fenfu fcripru reliquerit , cquiranres affi- cap 1 1. Jjje libidinofiorcs cuadcrc; quonia gcniralia continua arrrcdatio- probifii ne,motioncq. incalcfccria fpiritu cocipiunt, ficq. cociidi cupiditas inducitunfiquidc Hipp.dcplacida,&:nimisfrcquctiloquirur,vtpo te q lcni motu no ita calcfaciar, &: pcndctcs coxas,arq. pcdcs oblac tlattAriftotclcs ucro dc ca,q cquo ccleritcr gradicre,&: inrcrdu fuc- cuflTanrc^fcd noadmodutrcqucrcr cxerccrurjUcrbafacirjUnde par- ticula(afliduc)qua larini intcrprcrcs apponut,cu in Gracco Arif.co dice no inucniatur aufcrcda planc erir.Hacc erenim equirando fa- U69 cita. io dctcrior cJi, nimirumquacuniucrfiim corpusmoldlc quaflcr, &dolorcscxcircr,auiZcarq. Sicut in Niprns illcfapictiirunus Grac- ciacfauciusintclligcbat,ubi diccrct. Tedetcntim ite , ^ lcddto vijh nefucceffn Cic. 2. Quo itcm Lucilius pocta antiquusinnuit,dum cquum fuccufllm- tcmtactrum nuncupauirhoc ucrfu. Noaius SuL i ii[iatorii t.ie:ri , tariiq, c tballt . ^^*""^* Ad hacc fuccuirationcuchcmcntcrcaputoflrcndcrc,coI!um,&: dor fum,&: narcSjCxpcriunturilli , qui aliquadoin hunc modu cquitarc cbguntur. Dcniqucli vlla cflcquita:io,quac uifccrapraccipuc( id. Q n.farcrur Ga!c.)agirarc apra iit, proculdubio nfic propofita ralrs cft, ijtu.yi. aqua nofolu intcriora omnia concuti,ucrum criafiifpcndi,qua/iq.cA?-»'» arripi uidcntur.illud unuhabcrciuuamcporcll, ur cibis,atc]Lc cru dis humoribus concoqucndis,aIuoq. cicndac,ac vrinac prolicic4i- dacnccno a rcnu(q J Auiccnnac placuit)loco lapillis arquc arenu ^.^ lis ad infcnora dcduccclis adiuuarc qucat.Scd ,quonja maicribus riamnis comoda hacc c6pcnlantur,ocs ab cxcrcirationclimili ablli cip.vk. ncant cofulo.ln aflurconibus cquirario(ca4n lic appcIIo,quam uul- gari nominc portanru,aut trainauocant Itali,&: dcqua itaMartia. Hic breuis ad nioncrHm rjpidos qui coUigit unones j^-^^^ yenit db aunleris gcnt bns aHnr cqu^^s ) qucmadmodummagis corpus, &:mcmbra gradarij cquiucctionc cxcrcct,ita mmorcm molcltiam parir, liquidcm mollis illaalrcrno cruru cxplicaru glomcrario minimum larigat,pcculiantcrq. aluum citarc ufu probatur . Dc cquitatiqnc i;urrcntibus cquis(;i(tta,licct V 4 ' apud 294 L I B B R apud Arift.icgatur , ita cquitantcs, quod magis caueant,mlnus ca- D In hb. dc dercjtamen eam improbarc uidctur Galcnus hac rationcquia fae- l«c indo . pe contingit cquitantes in terram deciderc,& nonnumquam ex ca fu emori*fed praeter hanc multae exftant caudae aliac>ob quas a fa nicatis ftudiofis huiufmodi cquiratio omni diligentia euitaride- a ^dixta ^^^*^*^"^ corpus(vtfcribit Hippo.)nimium calcfacir^exficcat^atquc

* extenuat,ob id ad minuendam carnis multitudincm a Coelio Au- li. T.c.vir. reliano probara , caput male afficit , fcnfus hebctat , oculos non pa* Sca. ^pb. nmioflcndit:quandoquidcm Ariftor. cauflam indagans, cur, qui cquo uehunrur , quo longius equus dccurrcrit , co magis cmitrcrc lacrymasfolcnr , fignificaridco illud eucnirc ,ucl quoniam morus calcfacics valde humorcs oculorum eliquat,&: lacrymas indc cict, ucl quiaficutiuentiaducrfi oculos pcrrurbanr, fic acroccurfans tanromagisfcrircporcft ,quanro cquus uclociiis agitatur.Iacdit E practcrcahacc equiratiotam thoraccm,&pulmonem,quam uifcc rauniucrfa. Quod criam rencs maximo dctrimcnto afficiantur, fidcm Hiccrc poflunr multi, quorum alij vrinac ardore,aIij lapillis, alij vlccribus modo rcnum, modo vcficac, modo pcritonaci vfquc ndcoob hanc excrcirarioncm follicitaii fuerunt,ut fereijsaffcctio- ni bus mortcm obicrintrnc dicam quor luxarioncs, quor ofiium fra- ^T:urac,quor mcmbrorum diftorfioncs facpcnumcro indcnafcan- rur,dum brachia,dorfum,coxac, & crura fupra modum laborant . Vidcant igiturquos currcnribus jatquc mutaris cquisitinera fua obirc dclc(ftar,quot,ijsci. gnuifiimispcriculis^ncdum ualcrudine, ucium eriam falurem ipfam fubijciant, quomodoc]. non inge- nuorum,autfanirarcm curanriumac uiram,(cdpotiuspcrditorum hominum,athlcrarum,nihiIq. uitam,qua nobiscarius,aut opta- tius nil rcpcritur,acftimantium opus cxcrccant. Hadcnus de cqui- laiionis fpccicbus , quarum nullam aegrotanribus admodum con- fcrrcfcripfcrunr Antyllus, arquc Aerius, quasq.necijs , quimc- dicinam fumpfcrunr , uUo padto congrucrc mcmoriac tradidit So- lodscltat. i-;inus Ephefius , ncquc illis, qui rcnum morbis malc afticiuntur, cap.^i^!^' ucl carum inflanuTiation conucnirc ccnfuit Galcnus. 6,cy\d! Sunt qui in equo fedcntes gcftari dclcdcntur, quac cxcrcitatio pa- Tlll rummalcualcntibus ufui cflc mea fcnrcnriaporcft , nam,utmol- liflimc ucharis , tamcn laflfirudo inguinum , Iumborumq.&: du- rafufpcnfio,cxpIicarioq. percipirur, quando fubpcdancis corpus fijftentare,pcrarduum eft, ne dicam nnpoflibilc. acccclit &:ma- la,ac dolorificailla concuftio,fiquomodoincitatiusfcraris. Va- knabus m^igis 4onkrrc eadcm porcft, corpus , animum , &c ftoma- chu^i S E X T V S. 2«5 A chum hrmandorfenfus cxpurgando,acucndoq. fcd pcftus.tirquc pc dcsdcbilirar. ^ ^ ^ DegeSldtiontim inHnitierJimnjinbus. Qaf. 1 X. j NTEQV AM gcftationu fcrmoncm aggrcdiamur , illud prius adnotandu lcvfloribus uolumus, nos minimc igno- rarc , multos cquitationcm inrcr gcftarionis fpccics rc- , intcr quos fuit Actius Amidcnus ; fcd ncqua- liu.j.c. ir. quamhorumopinionemfcquiuoluiflc; tum quia Cornchus CcL ^^•^•^•^^ antiquus fimul, &: cclebris au(flor , ubi gcftarionis fpccics adima^c- rauit , nc ucrbum quidcm dc cquitationc faccrc uoluit, qua(i alic- a gcllationc iudicaucrit , id quod nmltos ahos opinaros fuifle conijcitur cx Antyllo ; t um quia cxprcflc Gal.gclLitioncm, 6c cqui tationc diucrfas cflc dcclarauit in 2.de tu.val.ubi ahas cxcrcitatio- ncsanobisficri tradiditiahas ab cxrrinfcco , ut gcftationcs:ahas mixtasclfc , quahs cquiratio cfl ; tum quia , (i gc(titio , ur dcfiniunt omncsauLlorcs,mixta cft cx motu,&: quictc, phiribus corporis partibusnonmoucri^ apparcntibus^uniucrfo autcm corporc ala- lionc moto , hacc condicio ab cquirationc longc abcftjn qua fcih- cctmanifclhrtimcomncs fcrc corporis partcs moucri confpiciun- tur.fcd ifla parum rcfcrunt , quando criam Antyhus , atquc Actius fcparatim dc cquitationc ipfa ucrba fcccrunr.Hanc inquam gcfta- tioncm ab cquirarionc fcpararam,nccnonagraccis4/»f^ uoca- tam, mulras quid-jm habuiiic fpccics, in fupcrioribus dcclaraui- Q mus: at quacomnibusuniucrfah gcftarionisnominc comprehcn- fis facuharcs attribuunrur , pr.us cxplicabuntur , dcmum parricula- rcscftcsftus finguhi adlcripros pcrfcqucmur, fcd prius id ignorari nolo,facpcnumcro apud auclorcs rcpcriri gcflationcs , &: cxcrcita- tioncslimul nominaras,quafi utracqucinrcr fc difrcranr,quorufca- tctiae dc cxcrcitationibus proprijs,quac vchcmcntiorcs morus gc- ftationibus cxiifhmt, non autcm dc communircr acccptis inrcrprc- randae fcmpcr crunt. hlt igirur geftario fccundum Antyhi , Actij , atquc Auicjcnrcntiam,inrcrplacidiffimas,atquc dcbilcs cxcrcira- locrsciti. tionc5,&: proptcrca non folum fanis, &c ualcrudinaijs , ucrum criam 16gis,ac inciinatis morbis,&: dcniquc ijs, quibus lenrac morboruin rchquiae rcmanenr,ncc alircr cliduntur,acc6modatac funr. In acu toru nonnuUiSjUt ab Aretaco in Lcchargicis, ncphriticis probatur. quinimmo tradit Cclfus Afclepiadc ctiam in reccnti, uchcmcnriq. locodj^t, fcbrc >praccipucq. ardcntc ad difcuticndam cam gcftationis ufum com- L I B E R comprobaflc. qiiod prof cclo pcriciilofc cfficitur , mcliusq. quicte elufmodi impctusfuftinctur. Infanisctcnim,ac ualctudinariisgc- ftatiOjCumnccIafTirudincm corporibus ingcncrct ,immo caferc magnis cxcrcitationibus /imilitcr moucat , poreft calorcmnatura- lcm augcrc,matcriac multitudincm difcutcrchabitum corporis fir marc,actionesrtupidasexcitare,fcgniticm di(ToIucrc,corporis tur- bationcm fcdarc,ijs,quos uigiliac cxcrccnt,fomnum conciliarc ,& contra ctia vctcrnolis,ac diflolutis rcdimm adfc, vigiliasq.pararc* nam fomnum conciliat, cxcremcnta , quac a capitc ad ftomachu«i delabuntur,pcr halitum digcrcndo, quac nhiiirum parrcsfunt uigi liarum praccipuac cauflac : fcd vigilias poftca inducit corporis tc- norcmadfcrcuocando,&:corroborado.&:, quamgua Scnccacpift. L V l.vidcatur gcftationcm faccrc magis hiboriof;mi,quam ambu- lationcm;ciustamcn oratio intcrprc tanda cft dc co folo, qui ualc- tudincoftcnfusab omnibusfcrc turbarur. In quibusmorbis dcgC^ ftationcpcriculumfaccrcpIaccbit,fic cxpcriundum cfsc confuluit lo^o cita. Cclfus,{ilingua non crit afpcra,finuIlustumor ,nulla duritics,nuU to- lus dolor uifccribus, aut capiti , aurpraccordijs fubcrit ,&:cx toto numquam geftari corpus dolcns uoluit , fiuc id in toto,(iuc in par- tecftjnifi tamcn lolis ncruis dolcntibus; ncquc umquam in rcccn- ti fcbrcfcd in rcmillionc eius.Nihilominus,citra multasobfcruatio ncs,abaucloribus probatasenc inuarijs affcftionibus gcftationcs rcpcrirur.Coclius Aurcl.in libris , quos dc morbis diururnis infcri* pfir,cas in incubonc(quo morbo plurimos Romac quali cx cotagio nc quadam aliquando pcrijirc , rcfcrt Silimachus Hippo. fcdhitor) commcdauir,fimilitcr&:inuocisamputationc, inhacmoproicis,in quibuscandcmdamnauirAfclcpiadeSjinafthmatCjin ftomachicis, in clcphantiafi,in colicis,in arthriditc. Thcodorus Prifcianus quo- quc, &:antcipfumArctacusgcftationcsadhibcndasuoluitinme- anchoIia,inatrophia, infplcncricis,necnon in ftomachi dolori- bus.lifdcm cxcrcitationibus in illis,qui valdc cxficcati funt,arq. re- 7.Mcth. fcdioncopus habcnr,Galcnum vfum,aIiquandolcgirur.Quin &:ip fcmctCcIfusprofacroigne curando gcftationem laudauir, utnoit fempcr condicioncs ab ipfo dcmonftraras obfcruatu ncccflarias fo re hifce auAoriratibus conuinccrc ualcamus.Non cft tamcn igno* rb % cur randum>magnopcrc rcfcrrcquonam in loco quis gcftationi bus vtd ciiron.c.7 tur. quod Arctacus cocliacorum cxcrcitntioncs dcmonftransv eim caetcritpractulit, quac inrcr Iauros,myrtos,arque thymunref ficitur. Dc gejiationum inn/thiadoi USlicA^dtqut fellapaYtt^ cularibusymbus. Cap- X. Xplicatis ijs,quac ab aii£toribus dc gcftationu flic^ltati* businvniuerfumtraditatucrunt, iam ad parcicularcs dcfccndcrc opportunu cll,iiprius illud in mcmoriarc- ^ «^=w^ uocaucrimus,fcriptorcs.f.mcdicinac,qn finc additione gcflationis ulum in fanis,atq, ualctudinarijs nominant,dc qualibcc cius fpccic intclliycrc : qni nuUa fcrc inucnitur ,quac ipfis utilitcr accomodari nopolluiquando ucroin acgrotis loquutur,iiucrdum ocs,fcd in rcmiilionibus morboru,intcrduplacidiorcsl]gnificarc, Vchiculoru multa fucrc apud maiorcs nollros gcncra, quoru luxu- ria vfq.adco intcrdii Romac crcuit,ut,rcf'crcntc Plinio,aurca,ac ar li.^^.cir B gctca taccrc nolintucriti.fcd hoc practcrinftiiutunoftrucft.Nam, quac pro fanis,aut acgris in ufu habi ta funt a mcdicis uchicula,alia ab anmialibus, mulis.f.autcquisagcbantur,aliaab hominibus, U utraq. ucl tardmfculc,ucl cclcritcr.Gcllationc vchiculofa^taquis cctcris acriorc clTc dixcrit Ccllus,njhilominus,fccundu Galcni fcn ii.i.c. i tcntia,intcr dcbilcs cxcrcitationcsrcccnfcrimcrctur.quofit,utfa- ^^^j"^"^^"^'' nis,ni(ialitcrcxcrccri impcdiantur,minimcomniucoucniat.Va!c- ^^d/iuci rudinarijs,atq. fcnibus nugis, qucadmodu Antiochii fcfc cxcrcuif- fc,&: CacciiiuPliniuacccpimus:maximcucroaegrotatibus,dcqui- bus fcrmonc facicns Antyllus dixit,gcftationcm in uchiculo fadam uimquandaamolicdi,c6moucndiq. morbosftabiIcs,&: pcrmancn- tcs habcrc.Qua proptcr Scncca cpilij 6.ad bilc taucibus infixa di* fcuticnda,&:ad fpintusdcnliratccxtcnuandafibimirificcprofuifTc C fcribir,qui, fi aliqui fimplici permanenti , &: diuturna fcbre iadentur, tu i.cht. modo uircs fcrant,gcftari pluhmum debet,ut Coelius phthificis co of/bSus fuIuit.quandoquidC geftatio,minus mouens corpora,quandoq. fe- brcm magis cxcitat, Ergo in fcbricitatibus,qui ad integritatc pcr- ueniunt,uel quorum longa admodum remiffio eft, uel qui fcbribus tenentur longis, etiani fi non magna intcrualla habeant , conuenit haec gcftatio.quam fimiliter in multis alijs aficftibus, nempe in do- lore capitis;in cpilcpfia,fi fcrri qucar, in mania, in paralyfi a Coelio Aurel. commcndari , ex eius dc chronicispaOionibus inkriptisli- bris clare habctur. ut ctiam nos tuto, ubi rcs poftulat, fimilibus ge- ftationibus acgrotanrescxcrccrc valcamus, dum tamcn maturo morbo,atquc iam inclinantc illud agarunalioqui, fi,adhuc faeuicn te,aut incipicnrc affc6tionc,gcftatio adminiftrcrur,accidentia acer biora , &: pcriculofiora confcquunrur, quoniam morus , ut diftiparc urilircr concodos humores,ac cxcrcmcnrorum rcliquias potcft, fic Calorcm augcrc, fpirirusquc &: humorcs nondum quieros, &: rcpur- garosexagirare natuscft* ex quo fummumftudium adhibendum cft,ne crefcctibus crudisuc morbis, pracfcrtim calidis gcftario, aut aliaquaeuiscxcrcirarioadminiftrerur, fcd in narurisfolummodo, frigidis,atquc illis,qui manfcfte inclinarc animaduertuntur. De leSit penjtlis ^ cunamm , ac Hauis gefiationumfx^ cultatibus. (^ap. XL Vi primuslcaulos pcfilcsexcogitauit Afclepiadcs,dua- bus rarionibus(utrcfcrt Plinius)illud cfrecifsc uifus eft; tum ut blado eorum iadatu fomnos alliccrct : tum eria, urmorbosextenuarer.quibusrarionibus addudipofte- riorcsin curandis acgris corum ufum frcqucnriorem reddidcrunti totfo cic. quamqua grauis auAor Cornclius Cel.cxcrcitationc hanc tantum- * modo adminiftranda aliquado iudicauir,ubi ncq. nauis,ncq. ledi- cac,ncq.fclIaccopiadarur:liccrpoftcaJinapoplcxiacuaegcrrefur- git,ipfum Icai moru cocuricndu pracccpifsc inucniarur* Vcrum.n. ucro AnryIlus,Actius,atq. Coclius, ctia li nil aliud deficiat,^p mul- tis afrcdionib.dcbclhldis^lcaispcnfilibusinfirmos excrceri uolue- runt,quinimmo(quod paucis coccdirur) hanc gcftarionc tam antc cibu^qua a cibo prodcfsc dixit Anryllus.na pri mo fcbricitantcs,aut diuturno morbo dccubctcs , in quo corp.ora columpta fefe crigere non S E X T V S. 301 A non ira valct, autEllcborufumcrcsatali gcftationcutilitatcrccipe Aetms U. reiudicaru eft:dcindc in his,qui vircsa lcbrili aflrcdlioncrccollige ^^"'^' re incipiiir,nccn6 in lcthargicis,&: in appctctia ciboru dcicda can- dc prodcflc cxpcrimctisinucntu fiiit.ncquc dcfucrut,q ipfam in fu- riolis,ac phthificis laudaucrint . Qucmadmodu,&: Actius,&: Prifcia nus Thcodorus phrcniticisadhibcdaccfucrunt, quo blada illaagi locomat, rationc fpirituu pcrrurbatio lcnircrur,&: fomnus alliccrctur. Ex gc- YmQ^i:^^^ nerepcfilislcclilcympodiu quoq. circ,m6lbauimus:&:iccircoubi a Coelio,arquc alijs gcibtioncs I pcfili lcdo ^pbatas uidcrimus, idc ic dc hac i ntclligcrc poterimus.Lcdtulo pclili non diflimilc alia 1 c- ilofaCta gcilationis (pccic inucnio,quam primus(quod cgofciam) intcr mcdicos Cclfus monftrauir,vbi dcficicnribus cacrcris gcihrio ni dicatisinllruincris, voluir vni pcdi lcdi funiculucflcfubijcicdu, ^ arquc ita Icdu huc, &: illuc manu impcllcndu.id quod criam Amy- dacnu Actium fignihcarc uoluiircarbitror,quand(j fcriplir,duascf- l^cocitac. fc lccti gcftationes, aut pendlcs , aut fulcra mobi lia iuxta angularcs pcdcs habctis. Hoc cquidc illud cxcrcitationis gcnus cxiftimo,qd^ ab Auic.fub cunaru rcuolurionc dcfcripru fuit,arquc idc nomcn uf li.i.ren.j. quc ad rcpora noftra rctinuit: crli. n. ab ipfo inrcr dcbilcs cxcrcira- tiones rcccfcat,dcmulccdisq. pucris potius cx Galcni fnla,n6 fanis, ^^^^^ aut infirmis cxcrcitadis aptu viilc.iturmihilominus ijs c6ucnirc cre dirur,quos febrcs dcbilirarunr, licur ct illi,qui ncc duin fc moucre, nequc federc valcr,quiq.ab hcllcbori potionc valde^pflrarifuerut, aut fccundu Cclfum alicuius mcbri rcfolutionc patiutur.quin,fi ta- lisgcfbtiofuauircr adminiilrcrur,prcr fomni iucudiratcqaffcrt, fla Q tus quoq. difl"oluit,rcliquijsmorboru capiris,vcluri (hipori,&: obli- uioni prorfus cxflingucdis,c6ducit,appctitri mouct,&: naruram fopi taexfufcitat.Auic.i.4.trac.2.c.i5.ad c6pcfccdum niiniij iudorcpci pit,ut acgri ponarur fupcr illud inilrumcntri,quo pucri,vcl iuucncs foict in acrc cocuti, atque ita in acrc frigido c6cuti,q J quidc puro eflc genusillud inflrumcri,cuiusfadacflmcriofuprali,^fub Ofccl laru nominc. Inrcr gcftarionum fpccics vlrimo loco pofucruiu fcrc ocsnauigationc,cj; cacrcraru omniu Icni/lima fccir C:orn.Ccl.fcd.&: Jq^^^-^^^ huius quaplurimainucniuntur difcrimina:fiquidcn6parri interclt, anquisin llagno,anin flumincan in mari nauc gcratur: &: in nuri, an in portu,an in litorc,an in alto,an turbato,an tranquillo . Naui- gatio fadtain ftagnis,lacubus,autpaludibuscactcris in falubritatc poftponiturquonia ut plurimum cx aquis ftagnantibus,nifi fint ma- ris alicuius inlhir,purridi vaporcs clcuarur,qui acrc inficicrcs naui- gationc magis fufpcdam rcddunt, Tt non immcritofcriprum lit ab ^ Anlt, ioi L I B E R l4;pirt;c. Arift.paluftrla loca incolcntcs fubpallidos , ac fomnolcntiom cua D probleiti. dcre.minus noxia cxfittit io fluminibus nauigatio, nempe q au^torc in probh PJ^^^^i^^ho timoribus carcns naufcam ullo pafto non commoueat. wt. uerumtamcn ta hacc,^; illa,quac cxercetur in ftagnis,in capite ma* lib.i. C.I, le affcfto incogruac a Cocl.Aurel.iu dicatur, g> humcdantcs caput tcrrcnaexhalationeinfrigidant.Duabuspracdiciis maritimanaui gatio valde pracftatior crcdif,quonia mari fcmpcr uaporcs ficci, Sc calidi educuntur,qui Iatcnter,ac fenfim nauigantiu corpora rcclu- dunt,necn6falfaeproprietatiscaunacxcrcmctaabfumut,atquc ho minu habitus quada facili muratione reficiut,&: i ccirco huiufcemo di excrcitatioincun6tisferc morbishumidis,ac frigidisamedicis probaf,&:priuatim a Celfoin tufliomni,aCoelioac Arctaeoindo lorc capitis,! cpilcpfia,fi ferri quc it,in fanguinis fputo,in phthifi, in kl:critia,in hydropifi a Tralliano in frigida vctriculi intcmpcrie co- E medatur.Inphthifinamquc praoftantifiimuremcdiumnauigatione Ii.28.c.4 fcmperaMaioribus habita tui(le,tcrtatusfuiiPiinius,quihac ratio- lib.3i.c.6 nc phthificos Acgyptupctcre cofucuiffercfcrt, quo cuni Annaeus crplV/.'^' Gallio poft cofulatu lam fcre phthificus, &: ZofimusPIini js nepotis libcrtusfiuiguinis rcicftatione laboras profcdli c{renr,ad fanitatc rc ftitutifucrunt:qqbarbarusilleau6tor Plinij Sccundinomincfalfo infcriptus h.dc rc mcdica lib. dicatphthilicismagis cofcrreinfal tibus,vbi pixnafcitur,habitarc,q in marinauigari.Porrocx mariti- misnauigationibusIcnifiimadixitCelfuscam,quaeinportu effici- tur ^q tamcnin capitisaftcctionibus una cuflLiuiali,&: (tagnali im- probauit Aurclianus. Quac uero in litoribuscxcrccrur nauigatio iucundifiima habctur,dcquacclcbratuhoc proucrbiQ narratPlu- i.Sympo. tar, 7rAoOsiJilvi7rctso!yuvy7a%gi7rxTogitis,oculoru,pcdo ris,&: denique omnibus,jpptcr quac bibitur cllcboru,mcdctur. Vc rum gcftatioin alto mari pcrada rcliquaru uchcmentifiimacxfiftit, &: mutationcsplurimas , atq. maximasfacit,nimirum , cum animus mixtos affedus habcat,&: triftitia,&: /pc,timorc,atquc periculoano do gaudcntibus,&: lactis,modo in anguftijs,&: pcriculis ucrsatibus, lib.^ cau. nauigatibus,quac fimul omnia magna uim habcnt,vt quoq. Plutar. cognouir. B S E X T V S. 303 cognoulrjngentcs uomirusconciMndi,ac confcquenteromnc ve- tcrcm morbum prof ligidi : &: proindc iurc dixit Auic.nauigationc hanc adcxllingucndas pracdictas acgritudincs cfficaciorcm cflc. quin&mixrioilla motus,&:quictis, quapracdita cft,fiquid aliud, probc corpus nutrirc idonca cil.Quac tranquillo mari pcragiturin nauigcftatio nonadmodii(diccbat Antyllus)magnam rurbarionc,Oribafiw ncquc coculfioncm atTcrtrcx quo Kr,urt*crmcacc6modata (it ijs,qui-^*^'^'*^ bus ctiam gcftatio in cui ri bus c6ucnir:ni(i 9 hoc nugis habct, iti purgato acrc,ubi n6humidi uaporcs,fcd ficci,6 halitii euocarcfirmarccalefaccrc attcnuarchomuu mq. tandcm niuriae minus obnoxiu faccrc p6t:a Plinio fcriptii cft kixata homi- ^ nucorpora,& quadrupedunatado in cuiuflibctgencris aquafaciU rmciL«sredux^NatatiocaUdaemoiIircindurata,c;to^^ S E X T :V S- ios A fngcnta crcdlra cft.&ob id a CocHo Aur.in curadis arrhrlricisco- nicndaca,ab Actio cx uiciitc Gal. in i)s,qui cutcm corporis dcnfLita liabcnt^at abca'caputoiTcndi,uircs(]Uodapattocncruari,ncmo nc- garct : alio ctia non carerc uirio dixit Coclius.uidclicct Inimorcs lundcrcncc ipfos rcfolucrc. Fri^ida ^ intns calorcnariiium rcpc!- Icnsiplitm ualidiorcm cfli iatciborumoprimam ,iS^cita cocodio- ncmpracltat: cxubcranrcs humorcsdilHp.it , & intus rcfrigcratas parccscalctacit. undc iurcctia ipf-im in arthritici.slandauit Aure- lianus car.itionc mo:us,oua Hippoc. frii;idam rc ranoaflfcaislargc artuiam rcmcdium cfTc  rcgio morbo labo- rantib^sinacftatc,(S(: Hcrodutusapud Actium ad euitandumacftu frigidam natationcfn commcndauit. cxpcricnria ramen confl:at,(i quis ca frcqucntcr utarur ncruos lacdi, 6c inrcrdum furdirarcm c6- B trahi , quod Agarhinus apud Oribadum confclTus cft . Atquchacc omnia a nobis dida accipianrur dc illis narationibus,quac ad gym nallicam quidcm mcdicapcrrincbanr,fcd m inimcfcmpcr in i^viti- nafijs cxcrccbantur.illac ucro , quas in gymnalijs iplis ficri confuc- uiffcin 3, lib. probauimus, (iuc in pifcinis, (iucin ampIilHmislabris agcrcnrur, duos praccipuos fincs fccundum opiniorcm noftram ha bucrunr,alrcrum ut motuillo blando^quo narantcsagitatur,aqua magis corpora pcrmcarcr , licq. mcmbra copiolius huincC"tarcnrur: alrerumutmaiorcuoluptatcin moucndofcfcfrucrcnturquando- quidcm aqua mota , pracfcrtim balncorum fuaui illa artrcdatio- nc fingularcm quandam dclcctationcm artcrt.Dc pifcatoria cxcrci tationc,quam diximus cx Platonis fcntcntia ncc animo,ncc corpo- Ii.jTm^ ri prodcflc , &: proindc ab illo optari , nc iuucncs huic incumbanr, Q pauca ucrba faciam , tum quia fcrc fub nauigationcm rcducirur , ut cadcm rcpctcrc non lit opus : rum quia a mcdicis propc nullis cam tnufu habitacflc coftarnificf Auic.intcrdcbilcscxorcitationesad-^^^® ^*"- numcrauir,quando quis in nauicula pifcaroria moucarnr,&:ob hoc g pi fcationc nullam calorc natiuu augcrc crcdcndu clt,cum &: Arifl. pr^ob.x! * icrip(crit,pifcatorcs marinos,idco rufo colorc cxillcrc,quoniam in- tus frigcnf,cxrra ucroquafiadururur:habcnr.n.qui in maripifcan- turhanc praccipuam c6moditatc,q» coru corporaualdccxiccatur, &c proptcrca minimcomniucorruptionibu.s/ubijciutur: quin fipu- trcdo aliqua intus larear ,protinus cxugitur, cofumiturq. ut magna cu rationc fcripfcrit Gal. pifcatoru habirus duros, ac ficcos cflt, co- i-dc dmp rumquc vlccrapcrindc cxiccata cotinuo apparcrc,ac /ifilitaforcr. "'^"^^*^- i}upd ucro (cripfit Sucr.Auguftij intcrduhamo pifcari confucuiflb,mcj^. r7' id poti' animi laxadi caufa , qua ualctudinis gratia ab co a^cbatur X 2 nc '^"«"•"^ 3o6 L I B E R De yenaiiomr conditionibus. Cap. xni. D libro i.dc paruae pi tae ludo. .ENATIONIS cxercitationcm comparansludopariiae pilac Gal. illudfoliiminteripfasdifcrimenpofiiifse ui- dctur,9 altcr modico apparatu indigerct, & ob id cuius ^ excrcitatufaciliscfsct:a!tcra vcropluribusinftrumentis opus haberer,neq. ab omnib.fcd ab ingcnuis dumtaxat,atque diui- tibus cxcrccri poffct.hoc aiit hcct Galcni forfan tcpcftarcatque ct in ahqua ucnationis fpecic tcporib» noftris ucru forct,nihilominus in maiore cius partc fccus rc fcfc habcrc compcrru cft, qn facpenu- mcrounOjUciduobuscanib.aurpauUo plurib. inftrumcntisrufti- cos, atq.paupcrcsucnadicxcrcirationcfrcqucrarcconfpicimus.ut hac rarionc ipfa minores laudcs pilac ludo n6-mercarur,neque pau \fT^^' eicrib.ucrbis cius facultarcs a nobis cxphcari dcbcant.Cum.n.Gal. ^^^' ' ucnationcintcrca,quaeipfecxcrcirationcs&:opcranuncupauit , rcccnfucritxumq. illiuspcrfpcaanaruramanifefte monftret,n6ab. fque uchcmcntia,magnitudine,arquc celeritate ipsa cffici,nimiru in qua mulrac ahae cxercitationes,curfus uidchcet, ambularioncs, fahus,iaculatio,uocifcrario,& aliae ncccflario rcquirantur, rationi confcqucns cft cam his faculrarib.pracdira cflc, g> corpora uchcme tcr calcfaciar,cxcremcra dirtipcr,carncs,&: fuccos exubcrnanrcs mi nuar,fomnosprofundosgcncrer,&:proinde concoqucdis cibis,crudisuc.humonb.magnoperc conferar:quodq. ait Xcnophon,auditu ac vifum acuat,fimulq. fenedutc rctardcr.ob quas cgrcgias faculta tcs illud cflc ucrum cxiltimarc dcbcmus,cf Razes Arabs audor gra In vcon. uiffimus cx Gal.fcntctia memoriac mandauit,uidcHcet in quadam ^ tin. irac/ pcftc contigi flc,ut omncs fcrc pcricrint,&: foli ucnatores o b afliidua Li '5^^* cxcrcitatroncincolumcs cuafcrint.Caetcrum quoduchemcnribus *' ^ excrcirationi bus a mcdicis attributum repcrirur,neque Tcnancii la- bor carcre viderur, vt fcilicer caput offcndcndi ui poUcat maximc, fi importunc cfficiatur,quemadmodum in 4. dc acutoru vi£lu apud illum audtorcm lcgitur. Quantum ucro ad parricularium ucnatio- nisfpccicrum qualirarcs arrinet,de duabusfoluucrbafaciam,tam- quam i n his folis rora ucnadi ad fanitatcviut acgritudinc pertmens faculras confiftatiillae funt,cc|ucftris,ac pcdcftrismam fciut omncs, qualibct ucnarionc,fiuc canibus, fiuc rctib. fiuc auib.fiue arcubus, fiiic ali js inftrumcnris excrccatur,ab hominibus agi, cpi aut pcdib. proprijs cant,aut cquisinfideant.Equeftrcm igitur(italiccar mihi appcU irc)vcnarionecxcrcctcs,cum modo currcntib. equis,modo radicntiL>.agant,modo uocifcrarc,modo quiefcere cogantur^om- ^ nib. cpil S E X T V S. 307 ^ njb. partlb.labonre uidcrur,&: iccirco multi hac exerciratione crc didcruntcorroboraripeftiis,ftomachum,inrcftina,dorrum,atc]ue crura: cgo vcro ca cuirarc iUis praccipio, quibus capur facil.tcr of- lcnditur : quibus fradionis ucnarum in pcdorc pcriculu immincr, quibus lapilli in rcnibus aggrcganrur,quibuspcritonacum dcbi'e, aut uUahcrniac fufpiciocft, i4id tc frcna iuuant temcrana f Jacpius illis Trifcedatum ef} cquitcm rumpere , quam Uporem. Porro vcnario pcdcftris cadcm fcrc c6moda,3i: incomoda in cque- ftri repcrra contincr, nifi s», dum curfibus , ac faltib. fcras inicdatur uenator,per montes,per uallcs, pcr deuia , pcr filuas, pcr filtus, mi- nori cerrc pcriculo , quam in cqucftri , fubijcirur : ar maiori labore Q afficirur,magis incalclcir, magis pcdes, &: crura corroborar :pracrcr haec lihidinis ftimuIos,cocrcct, quando Hippo!\ tum ftudiouirgi- Sencca m nitatis hoc ucnarionis gcnus cxercuiflcfcrunr.Excirar quoq. ucna- "^S^^^^* tio appetirum,(icur coquus illc Dionj lio dapcsaucrfanti rcfpodir, ipfidcfuinl' laborcmin iicnatu, qui appctirum gcncraficr. Ncurra tamen,g» uchcmcnrior cxfiftar,lcnibus,aur dcbilibusaccomodata inucnirur, fcdillis ranrum ,qui robuftasomncscorporispartcsfor- titi finr,quiq.oprimc ualcar.urnon abfquc iudiciofuramoCorncl. u. i.c i. Ccl. dixcrir,fanum hominc, lic bcncualcnrc modo nauigarc, modo cpiihiib. > ucnari dcbcrc . quod li Plinius ncpos fanitarcfuam uenarioni , qua ruri in Tufcis objbar,aliquandoacccptani rcruiifsc uidcrur ,iudi- candum eft , aur iJla modcraiilTimc ufumfujfsc,autporiuscorporc robulto,ac fano ita ualuifsc,ur nullo padlo a tanti laboris uchcmcn- tialacdcrerur.Eritiraq. ommb.hanc cxercitationcmmirc cupicn- tibus 308 L I B E R tibus duo neceffanum diligentcr confiderare, prlmum an corporis D roborc polleant,inculpataq.fanitate fruantur:fecus,ne grauiflima t3ericulafuftineant,iuredubitandumuidetunfccundum,numquid modcftia quadam,& iucunditate, aut potius citra dcleaumuUu, 8c cafuquodam,ut plcrumquc fit,vcnationi opcranauct.Qaicuquc.n. fuarum uirium, aeris , temporis, quantitatis, loci, &c modi rationem aliquam habere uolimt, multa profcao corum malorum uitarc poffunt , quibus cctcri cafu fcfe excrcentcs fubijc.untur : eo magts. quod u^natio Ulud praecipuum in fc habct, quod nulla aha cxcra ?atioineummodumobtimufl-eapparct, utfc.hcct totum fcrcd e nonrarof.birequirat. vnde aut vcnatorcs mter excrcendum ci- bum capcre , &c a cibo magnos laborcs aggrcd. coguntur ,quo ua- lctudini nihil pcrniciof.us effc poteft ; aut tota d.eic.unant, quod tamctfi fortafleminusoiTcndat, ncquc tamcn ipfum noxapenitus b circt,quando practer confuctudincm illud efficitur.nccnopoftca ufquc adco prac fo.nccxfaturantur , ut uentriculum concoqucndo mirum in ./odum fatigcnt , f.cquc &c cruditates , &c aha mnumcra malafubcant. Artis Gymnafticae finis. HIERONYMI MERCVRIALIS fcx artisGymnaftica:Jibroriim clcnchus, cjuorum primus libcr continct . r: E prwc pijs Mcdicina. Capiit prifnum, \ De t Ofi/eruatiua Vartihus , & (jtiid tr.iBjfuiuni . Cilp. X. ^t}dfitgyr)ifia§U(a (^r.otiipUx. f.3. Dt ^ymrajttcx ftbu^o , & tius laHdi- bi*s cap 4, SiHr ttmpore,et quo pa^o caperit Cym- naHica c^P*')' Dc Cyn:n.iS 'S annqui rum cap. 6. Dc V. 1 Ps hiniinum j^t nerilus y qux in gyn.na/iaconurnicb^nt ^^P^J* De^yfnnalioTHdiucrfis partlbus. f.8. DepuU^ra, & alVjS gymnasi» part.bus cjp.^. Dc h^b eis ^ymnafiorum , atque etiam dejiadto cap. 10. De accuf iius in ccma antiquori m , CT Itmd dimtnxjt in die cpundi cor^ fuc'udinii origine De au^oribus gymnaflicjt , fjr ^ymna" ftorum mth:fiiis cap.li. De t*ium ^^yvihuflicdt ffefie*urn d.jfi' tcniui.beUicaJtji^iuma fiue mediia^ CT vitiofa feu athlt tica cap. 1 3 Dc vitiola gymf.aslica, ftue ^thlctna- caf.l^. Dc riuendi ^thlctarum ratione. c.15. 11BE\ SECr\Df^S. Qf^id fit excrcitatiQ,Cf q^o differat ^ a Ubore,& r/iottt. cap. l. Dt vyonMitic^ mcdi^je dhificne cap.i. Defaltatoria car.]. Defphxnflica c^p.^. De piU ludo fccundum l^thos dp.y GymnafticA, De orchifiica, fiue ttrtia faltatottapar te cap,6. Dt finefaltationisyC^ de loco cap.j. DeluSatoria cap.9. De pugilatu,& Tancratio, & Caiiibus cap.^. DcLurfis cap.io. Dc faltu cap.11. Dc difcOy& halteribus cap. i De lAcuiatione. cap.i^, LIBEI^TEI{TirS. Dt agendis, & dc rationc prufentis trati^tionis cap.i. De drary.bulatione cap.2. ^ncrcclum slate fit exercitatio cap, ^ , Dc pu^narhmgeueribus cap.j^ De nofinuliis a.tjs e.xtrcitationum ipe^ citbits cap,^. De Ipiritus cohibitione cap,6. De vociftratiot.c, & alijs vocis cxerci'* tatioribus cap,j. De Cric ljj:a , Trocljo , & Vilamailco cap.S. Dc eqmta tione cap.g^ De curruii vcctatione cap, i o# Dcgffiatio^'C in ititica,& flla . c,i i. De agjtatn nc per ia tos ptnfilcs, C^ per cunxs facta,^de sciv.podio. ca.tt. De nauigationc,& pifcationc. cap. i j . Dc natatione cap. 1 4. Dcvcnatione capij» D LIBE !{ Qr^riTffs. E rationc agrndorum, & deexer* iUaiionis vfu cap.t, r €on* Confutatio opiniows eoritm , qui exeni^ tationem in fanis damnabant; & de exercendi necelfitate^ atquc commo^ ditate ^ cap»2, Jmprobatio eorum quiomnes homines cxerceri debere ftntiehant cap. 3 • J{edarguuntur qui affuetos folum exer- ceri voUbant cap.^ De exercitationum differentijs ctrp. 5 . De corpdrum morborum , & fanuatis generibus cap.6. ^n corpora agra vllo paUo exemrt co ueniat cap.j. Decorporibus valetudinarijst&fenili' hus exercendis cap.S. T>e corporibus fanisexercendis cap.c). De locis in quibus excrcitationes fieri debent cap.io. De tempore cxercitationibus apio , cap. 11 Qumta fieri debet excrcitatio cap,\ 2. Demodoexercendi cap.12* DEordineagendorum y &de non- nullis fcitu dignis cap. i. De ftngularum exercitationis differen' tiarum effcciibus cap>2. De faltaiorui: effcHibus cap. l . De ludorum pilx cjfeBibus cap.^. De luH^ commoditatibus,& incommo' ditatibtts cap.^. Depu^ilatus,Vancratij^& Cafluum fa cultatibHs cap.6. Dc curfus natura ^^pl' Quid praflet faltus ' cap.i» De halterum conditionibus cap.pta 1712 Abrnhi vt Dc* jb Aicx. Sc fo cbjtur lii d Aiaci;nua Pljtonisi».c Av nbitus con.uttudn viidcnunant 5 3 b AvCubitUN viroi u fomw S"**^^^ ^""'^' ^ > & dcmccps Accombcnimm numcrus quis tflci. 54.oribus palam cxjhjhc- baniurA qiia dc cauf» I c Ac^yptus , Homcro aatorc,mu!ta$ hcrbjs ic mcdicjmcntj habuit » b Actcct rxiri'.rcs.uscorp^iri .iccidcntib.6. f Ac:as i cxcrcitationc cit c6;idcradj i ' i.t. Asbii^dcscrrauii.rifum dicca$nct)i o po ri,ncqucanim" prodcfTc. i.b.i«8 d AKoniiTjrib-. * '"^''^ ^*'* Ab-ti crant vna faCtto Rcmana i6d c Aldus M inuii* luncnis cruditiflim». . 7« d Alcx ndcrScuc. us Impcrat. cxcrcitjtionis Ciula aliquando pirc-b.uur 181. ciuos Dcos colcrci 1 iii d ad maiorum cmgics facrafacicbac 'b.d. Akxandri Scucri Imp cxcrcitia port lcctio ncsquxfucrint . 1 ^ (- >Jtm balnca viro rum JcmulicrumicHrauit jo.d Alcxan.Sci«cri.s Impcr fcrc fcmpcr frigida Ijuaiioncvicbatur,rurocalida jy c Alcxan-Scucrus Imp- noluit mijcnuos cur- (ucxcrccri '^^*^ AlcxandtrScucrusImpcrat. ncmora pub. ihcrmisiunxit ^^^l Alcxandcr S.ucru^ Imp.qiu viAns rarmnc 1. jfDpndio auihorc, vccrctur 2 1 Alcxandcr Maccdonum Rcxqnid ante cibi (un^pticncm agcrct 214. C A k x.mdcr prop' cr cruris vul nus lcdica m mtlitari txpc»mionc vtcbatut 197-^ Alipiiu^ in gy mnalTjs quis circt,& quid •^gc rtt io fjtta, anibulationi m portKU fjdx a Ccllo przfcnur 16 ^.a Ambuijuo lubdiahsinuitas habcc fpccies ibidcm Anibul..tio fub Solc , vcl in vmbra faAa ab authoribus Jiucrh^ diucrnmodc acccipi- tur ibid. Amoubtio fub Solc minus Ijrdit, quam fta tio,& qua dc cjula cx Ariliot. fcntcncu 266f.i7l.J. 17*.C AmbuUuo m vmbrj Tafta, quxnam fitbo- aa ibi. Ainbu?atio pcr jrboics rorc fufFufjs fafta Icprjti* fjciic inducit,& cur 167.2 AnibuIat:o cpiIcptiCiS,& vcrtiginofis conuc nicnsquarfit ifj.i» A.itbuljdo antccibum ficri dcbct, & qua dc cjufa ibid. Ambuljtio pcft n.i qb conucniat. i67-C Ambulationis matutina;,& vcrpcrtinac cifc Aust]ui(int ibid. A-niciis Bibriciorum Rcx ccftu claruit , 8C fuit a Polliicc intcrfcftiis iio. f Ammon apud Ouuccltu vahiic ii/.a Andrc.Ts B iuiius vir multar dodtrinar. 34 Andr Pjlljdius Architc pcrii (Ti iius. 19 C Ani;iiiJ Ijborjntcs lin^a cffngunt. 145. C AnimuN H^k^ corporis aux ijo nihil laiidc di pniim clficcrc potcll ij.a Afincus^-illio fanguincm cxpucns nauiga- tKJHC fanus f .^usclt i7y.b Antlicus lccundum platoncm fuit lu^Jtio- nisarusauftor ioj.a V X Antio- l N D E X AiKiochiis lucdicirs quo cx;rcicio vtcretur 2rf>.e f Aiitioch^ mcdic* vehiciilo geft.ibat.2«?7.h Antiq: bis indiean femcl f iturarent. 5 2.f Antiquoru inos viuciedi rpa iucgna. 57 a Antiqui in rtratfs coenab:inc 53. a Antiquiomnes voluptates in couiuijscx- cogitarunt ^g.e Antiquoru ftudiu in cibis ac potibus dclica tilTiniis coquircadis inignuni fuit. 58.6 Antiquorum fcripta quonam modo interic ' runt 161.C Antiquorum maior pars raane vel nihiJ,cxt guum quid fumebat 225. c Antiquorum maior parsin vefperc folum faturabatur ij^.e Antonius Pius Impe. balneiimpopulo fine mcrcede conrticuit 48. d Aphorifmi Hippocratis txplanatio 13 i Apodytcrium in palacilra quid fucrit. 291.C Apodyterium in balrieo quid elTet 40. f Apollini cur Athcnicnrcs gymiiafium con • fecrarunt g.d Apollo iacubtionis , & medicinae Dcus ab antiquis indicatus 130. f Apollo iaculationiab antiquis eft pr.^poG • tus,& qaare 258.6 Apollonius vt Dcusab Alcx.Seue. colcba- tur iSid Apoplciaici Tral. fententia le^ica vti pof- runt,& qua dc caufa 229 Aponaxisquid Sj.c Apoltemata in pedore rupta habentes vo- cifcrationc iuuantur 281.C Apricari quid faciat i4o.d Apuleius Ccifus in Sicilia qucndam a canc rabido motfum curauit 4 0 Aquas fornudo,Pompeio viucnte, primo fe nobis manifeftauit 4 c Aquis mcdicatis etiam vtcbantur in laua- tione ad voluptdtem 47.3 Aqua c cx extrmfecus cor^i accidctib. 6.{ Aqujc omnes Ipontc nafcentes caJidae funt Ariftot.authorc S^yc Aquarium quid cifct 4^.^ Archigencs fuit Had.Imp. archiater. 1 9 i.f Archimcdcs facpc figuras mathcmaticas in corporc vnfto dcfignabat ^i.d Ariftotelis fcntcntia dc gymnaftica Sc p.T- dotribica , 10. d Ariftfentcntia Jcartc gymnnftica. i^.a Ariftot.fcntcnti.idc motupoftcibG. 2 2i.a Ars gymnaftica,GaIc.fcntcntia,cft maxima BUs £jcult^^s confcru;itrici$ y.b Ars gimnafticn qb. na rebns pficiatur. ib^ Ars gymnuftica quouiodo fcicntia aGalc?' no vocctur 10. d Ars gymrtaftica quid nam circa corpus hu- manuoa operctur 12 f Arsgymnaftica ad boniJ corporis habitum a cquirendura , ac finitatem conltruanda maximc j^dcft muitorum tcftimonio.i^ Ars gymnattica homini cft naturalis. 13.C Ars gyninaftica quo tempore inccpcrit i r* b.c.d.& quomodo ord/ncm ac regulas ac ccpcrit i5.c. c Sis vtcrcntur 6^,c Athlctx quo n lc a Pbto voctntur. 6'j.b Aihlctaruni vii^ns ratio.qu.c c^ct 7iC Athlct» cur pjllidi fiant poft bborcs cx Arift rcntcntia 74 c Aihlctar a Vcncrc pfu^ ahftinucrunt. 7 5 b Aihlcrjru xgrjruJincs fccundii G.il. 7^ J AtMct.cymn.^njca raltationcs habuit. 85. a Athlci.v amlnil :tionjb. no vicbjniur 13 rb Aihlctr sducrfus palu fc cxcrtcbani -a AthlctT c« fpiritus cohibitionc nonpaiu auxil j capicbant M4 J Athlctacftatim po{\ cxcrcitationcm potuin vi?abjnt,& qua dc CJufa 124 d AthJctx frcqucni.rrmc vtcbantur putil- btu,luc1a,& Pjncratio i4^ d Athlctar olkntationis ctiam gratia fpiritu rctincbjnt u^f Atrophia bborantcs vocifcrationc libcrun Tur *Sic Atrophiam gcftationc curabant Thcodo- rus Prifcianu>,& ArcixuN ay^.d Attoniios aliquo ftuporc Actius oca.itiunc curabat Author huiusoperis cur dcgymnafijs fcri- bc c fibi propofucrit 7 * /uditus f .iriiu rctcnto mclior fit 179 b Aucs in acrc fiarc apparcntcf an aliquo mo do moucantur 1 ^ 7.3 b Aucrrois fcntcniia dci;squi cxcrciiationc

dinntiunt iP4C Aucrroisrcprchcnditur, qui ccnfuitmor- bofa corpora quoudicad fudorn initiu cffpcxcrccnda ^^9.c Aug Imp.lci;cfjnciuit,Tr militcs cduccrcn tur ambuljtum in mcnfc ^ i^T C Auc.Imp. fimpodl" qnq; vchcbat. I77 C AuKufius Impcr.foUcfccxcrccbat, & qua dccaufa . . ^^^^y^ Au^.Imp. in finc dcambubrionis fubfultim currcrc vldcbatur & qua dc caufj.i W c Aup Imp. coxcndicc,fcmorc,&crurcfini- /tro bboras ambubtionc in li.ircnama «invc pfuudafccxcrccbat,&quo. z6^.f (jymnAlitcA, Aup.Impc. poft coenamlcaica lucubrato- ria vtcbatur Z99.^ Aurcli.inus Impcrat. thcrmas hycmalcs in tranllybcrina rcgionc fccit lo^.f Aurium dolorc p.iticntcs lufta Ixdit.a^^.C Aunumdolorcvcxaios gciUtionc Galcn. Tral. & Actiui curabant i.b Bjlucoru fitus fcJm Vitruuij Inlam . 43-f> B.ilncoru acr cxtrinfccus & intrinfccus.ibi. Bjlnca multum calida Gal.icmporc in dc- fuctndincm abicrunt 44»C Balncorum magnitudo,mobilius,imroobi~ liias.figura ibid. Bjlnca non cundcm fincm habcnt. 4Cf.e Bjlncis calidis .tcpidis ,& fngidis antiqui diucr fa rJtionc vtcbantur 47. b B.dncum rcs qujdr.'itjrij cur vocctur. 47. c B jlnco-um hora qux fucrit y o f balncj fcmp antc folis occafum claudcban tur,ncc vnqujm anrc.iurora apcricban- tur jntc AKx.Scucri Iinp tcmporj 5o.f Bjlncis ;'cnfi]ibus Afclcpudcs in xgris cu- randis utcb.uur. i^^.f.d.a ScrgioOrata funt inucnta 177.* Bjptilkrium jn balnco qiiid cffct , 33?. C Bcll'iro; hron fuit cqtatiouis inuctor 167. c Bigis PlJio animjs airimibuit 1 7 1 .C Bi^ix in pub facris frcqucntilli ncccriauc- runt ibid. Blandi Forliuicnfis crror dc thcrmis ly.b Botubrij I gymiufijs botulos vcdcbat.^4 c Braclua ,dum quis manibus vjcuis currit, quodjmnu>di dt didi -wccul us loi.a Cyrws rcifurumRtx ct oris laborcs ma- gnopcrc xllii: juit K.d Ciliuscrai vchiculi fpccics 208. c Cbudius C.tl.vcliJtulo vrdiquctcdo pri- mus.fc i|u..iido cinfus 172 f Clauduslnipc H.npt>cii lil cjio fuo con- ccflit,vt |> vil c JtN n iPi i ni pt ftjculatic nc cur;bat Arxictus 24C.d & \t cifcr; iicnc. 281. c & cxcrciiatK i:c jmcr n ) rios,Iaiiros , & ih)nun>f-6a Coitu VI tri vcfpcic rcn bi nam cr-i io.f C6tc6ioncm In-p cdit cxcrciiatio cx Fra- fiflraiifcnftrtia J5>i b.c Conct Aio^ a ijuictc, & ab cxcrciiaiicnc mtdcratt f-^a multum iuuitur. 192. f Ccnccciucics c.fliculicr vocifcrai:onc iu- u:;niur 281.C Cf niflcriu i pal^flra vbi ra crat 20.f 34. c C61ctuai.u.i n (d:cjrxpaiJ aqbufda lola digna tidttjVt ncic mcdicjr» ncUt 5.C Ccnfcrujijua n cdicii ap pais a cjuibufJam in trcs paritstfl diuifa 6c Confciu.niiua tcf fiiiucnti.-. quatuor nomi- nibus a n cdicis cc mprchcnduniur. 6,( Conflartini Impc icmporcaccipi irtscdo ccric^pciiint ifcSc Ccnluciudo nopra cx paiic conucnit na- lur.T txcrcitati corpc ris i>8 c f Cofuctrdirt pn.uiiic'» valdc Ixdutur.ib:d. Ccnluciudo n .2d Coipori» hibiiusab cxcrcitaiioiic coniipr- uaiur ^ i^ic Corpcris virtuic* pcr cxcrcitaiioncm for- ticrcj fitri & opcdititrcs i^2.f C( rporis n ( n l la pcr cxcrcitationcm fir* mitatcm &i robur accjuirunt. ibid.ii^^.cl Ccipons hjbiiusab ot:o dcflruitur.i>2.C H7C Corporiim tria gcncra a mcdicis confidc- rantur,& tjux 2*4 d Corpora argra an aliquo pafto dcbcat cxcr ccri 105-^ Cotpora Gcc2 motibus lcuibus & raodcra- ns vti pt flunt io6'( Corporib. c-hdiN & ficcis null.T imodcratat (xcicitaiiocscoucnjut 2c6.f 2 i 5 b 22p.C Corf oribus fripidis & ficcis cxcrciiationci icmjfia-corucniunr. ibid 115.C x^od Corpora, t]uoru vnu mcmbi u intcpcricm paiicur,(]uomodo lunt cxcrccnda. 207 a Co;pu* nulJu tjuauismtcpcric laboraNdct vthcmcti cxcrcitationctxcfccri. 207.b Corpcracb malam formationcni morbofa, qu(.modo luni cxcrccnda . ^^]^* Ccrpcra in nun cro n.oibofa cxcrcitatio- nibus vti pofluut 208. d Corpcra zpriiudinc in fitu laborantia nul- It. ocrcjtationis gcncrc vii dcbct,& cjua (ic caufa /^'^' Corpoia valctudinaria ^ n3 fub fc/m hu- V 4 itts t ^ O I N i) £ X. Hi> au^oris fnhm pfit: coiuiiicre. ioy.a Cor^ora rciiiun ciir niuica cxcrcaiciita ge- ncrcnc iio.d corpbra femim t]iiibi!s exercicacionibus vti debeanc zio.e corporum f.inorum differencias multasancitjui medici conditucrunt 2 1 i.c corpus perfeda fanitate prxditum potius mente confiderari poceft ,> quam re ipla inueniri ziz.d corpora multa temperaca in ftia regione in- ueniri dixit Gal. ibid. corpora cominuniter fana difta excrcmcn ta quotidie gcneranr,fe ob id excrcitatio nibus indigenc ibid. corpora frigida , vehcmenter, &multum exerceri debcnt zi^.f corpora humida excremencis abundanc , & ob hoc mulca cxercitatione indigent,ibi. zzy.c corpora humida .1 labore fufFocari^haec Ari- Itocel. fencentia quomodo ficincelligen- daconciliator exponit ibid. corpora in aeftatc potms , quam in hyeme funcexercendaex Anft.fententia.izo.f corpora quibus temponbus finc cxercenda &locis zzi.e corpora calida & humida moderatis exerci tacionibu» indigenc ibid.& z z corpora fngida & humida mulcis , & vche- mentibus exercitationibus mdigcnt ibid. & zjo.d corporaabijrde,c]uadoq, lacdutur , qhdoq,' iuuantur,proucinisapplicancur. zj 5.a corporis carno/itas mulcis cxcrcicationibus remouctur Z38.C corporainduto minusa fole calefiuntfccu duin Arilt.rnlam,& qui dc cnufa z/z.e Cttrpora luxara tum hominum tum quadru pedum nocando in arcus fjcillimc rcfti • tuuncur 3^54^ coriceum in paL^ftra vhiham crdc.zo. f. & quidclicc zp.c.87.b corycus quid cfTct cx Antilli fementia. 8^. e. ioi C.Z4Z. d cornarius corycum malc follcm intcrprcta- tus eftm Hip.conuerfione 33. c cornarius malearguit Budxu. 1/ 8.& i ij) coxas debilcs faltatio coufirmat 1^0,6 coxis cx Hippocfenccntia equicacio eft ini mica 25^. a craneu gymnafio apud Corinthios. 1 8.f craffi luando cibu dcbcncrumere. ZZ3 c cmcn mediareruus hornbili q^uod^ uioi- bi genCre captusfiiit,quo carncs ab oftl- buscadcbant J.a cracin*' poeca cur faJtator fic vocatus. loi.b crepacuras patietes faJtu dent vitare.zjy-a &dircun. Z5:8.c. & /piricum recentum. zBo.d quomodo fiant Z84 e. f criptoportids antiqui ad deambulandum vtcbantur,& qua dc caufa z^^j.a crifijafii forma ex Oribafio, quasnata fue- rit. KJ^z.d.eius vciJicas zc9. h crico mcdicus Komar fub Traiano floruit • Z4f.c crudos piJae Jufus Jardit 243. b crura infirma fdtatio corroborat 240.0 crurum vlcera haJccre Gahcurabac. z 5 ^.e cruftuJari; in gymnafijs cruftra vcndcbanr. 64 c cunisquomodo in aegris curandis anciqui mcdici vccftntirr jyS.e.^oi.b curatiua mcdicinae pars ob neceftitate prius eft inuenta , & a quibufdani impcftura quedam dicitur J.b.c curz fjnnm corpus conferuanc ^.f currendifaculcas a natura daca cft aninvali- bns ijya curfus ccrcamcn Elciinfticuerunt iiy.c currcns ab ambulaiitc quo diftcrac. z y i. a currcntcs hycmemigis rigienc ftautibus, &quadccjura zzo.f currentium fpiritus anheJat zjz.d curribus faciedis marcria apta e abies.iyi.a curribus manu dudis rebricitantes , vt in- quit Herodotus , vtebantur & quancuni fpaci; pci ficerenc 171. e curribus ois gcneris fani vtebantur. ibidi" curribus tcais principes vtcbantur potius, quaHi npcrtisantiquitus ibid, curru tcfio Plinius iunior propter oculo- rum infirmitatem vtcbatur ibid. currus niulta apud antiquos crant gcncra , & q & quo rimilia,& djftimiha erac. 1 73.^ curruhs vedatio ab Eiichthonio cft inuen- . i7i-a currulis vedatio.ipud mulieres Romanas in maximo honorc h ibcbaLur J^i .b currulcm ve»ftationcn) R' m.mi mulicnbus abftuIerunt,ob nimium luxum, poUca il lis rcftiiuci uiu,& qua dc cauia ibi. cwrulis vcdatio jpud gymnaftiLosacftimata erat 171.^ currus duarum rocarmn antiquitus erat in v^^i» 171.» currus quacuoi: rourum Phryges muene- (uat ibid; Curcus. I N D £ X Currus fcx rotjrG Scythac inucncrunt ibid. Curiustoimacl^ vuiia ibid. Cui uu ccrtamC- m ludos oly mnios quando htinucaum i^ic Curfor i]ui lic cx Ariftot.fcntcntia. 70. d CurluN G^l. rcntcntia no parQ cofcrt ad i\ nitatc,& bonum habitum. i i5.c.245>.b Curfus t|uis motus lit.io i.ccius vtiiita' ,& i4y.c.&infra. Curlus trcs funt fpccics cx Antylli fcntcn- Ii6.f Curfus apud vetcrcs Grrcos cjd fit. 1 1 7.b Curfus omnis fcbritntibus nocct. 149. c Corlum pro vcrtiginofis curandis atqi cpi- Icpticis Arctacuslaudauit ijo.d Curlus circulariscrtcctus cjuifint& omni- no rcpudiari dcbct ibid. Curlus co$,t|ui fungos comcdcrunt, & qui a rcriptionibusnfti iunt,iuuac iso.f Curlus quo rcncs ixdjt,& luucc. ibiJ. Curlu non in pulucrc fa«fto faucium intcrio run: cxulccratiocuratu. ibid. Curluspcdcs & crura luuac ibid. Curfu^ qua dc caula cx Anfto.fcntcntia ca putUdac zT*'dCurfus a quibus vitari dcbcc lyi.d Curfus inpoltcriorafjclus quarnain auxi- lia cx Aniylli lcntcntia corporis parti- busprxUcc iji.c Dutius pcracdiuia , & dccliuia difiircnuac Cu! fu^ corporc nudo faftus quid c/Hciac . Curlus nuo tpc magis Gtfacicndus. 253.^ D DArcs apuJ Vcrg.ccftu valuit. irr.a Ocaaijulationis vtilitas. 1 3 3 c.i^y. pcr totum capur. Dcambulationib.loci apii qui fint. 16 3. b Dcainbulatio multa^ habuit (pcs c & infra. Mi^.c Dcambulaiionc qh vti dcHcmus. xtfc.d Dcainbulationis ctfc ftiis qui fint. ibi. Dcambulauo mcdiocriscit magis in vfu,& quxfic Jbid. Di amtiu!ationc pro inrjnij,& afthimatc cu randis C^l Aurcl.vicbaiur itfo.f Dcambulationc proidcricis curandis Ar- chigcncs vtcbutur ibi. DcamboLtio pauca quibus nam conucniat Ui d Dcambulatio cxtrcmis digiiis fafta lippicn nbusconfcrc 26 3. a DcdnibuLuoDUin dificrcntir , a loco liiin- pt.r qux fint z(ondcrit. 187.C 307. b D;orcu.s aducrfarium vn^uni & finc pulue rc lupcrJUit 33.^ Dioxippus aducrfarium un^ura , & finc puliicrc fuj)pcrjuit ibid. Dilius quot ngn:ficjt.& quae 123. a Difci cxcrciuciu fuit antiqua. 1 1 1 .b.cius vti litas xj7. b Difci figura qualis fucrit 125. c Difcus tobuftjs corporibus conucnit. 212 f Dilci cxcrcitationc loco pcrg itioni.s,& plilc botomii, fi quid impcdut , vti pofrtimus cx Gal auihoritatc 257.C Difcobjli I2Z Dilcus a ijcuhtiouc tum in iuuado tum in Ijt Jcndo p.irum diftcrt ibid. Difcus ab haltcrc dirtcrt 25 8. d D(»ictibus vjrius lcrmo fiibucnit. 283 b.c DoIichu>cui(us quis fit ii^.e Domitianus Inipcr. laculationc cxcclluit. 13 i.b Domitianus fmp. locum pro vocis cxcrci- tJtionc inltituit 1 5 8 c Do: fun) dilcus . o: tobor.n 25 7 0 Dorfumdcbik- h. bcntcs crc^ti fiarc noii dcbcnt,& (juadc caufa i69.b Dracunculi cu ca ci tira & br.uhia multis cir ca marc rubium Jpparucrunc,& quid fa- ccrciic 4.t* Dropax I N D £ X. Dropax qind fit 213.C Dubiiaricncs duac circa cxcrcitationes or- ta? foluuntur 102. f Duellum a quo (itinuentf:,& cuipugngan tiquorum generi refpondcat i/f^a E ELxothefium in palcftra vbi nam eifet Il.d. 2C.f Illeborum qui fumpferunt geftationc inle ftica fada iuuantur. 2^^.a & in lcdis pen filibus. 301. a JElcphantiafjs Acgypto famiharis quo tcm- porc Itahs innoiuit 4 Blcphanticos vfu coryci Argtcuscurabat. 241. C.& vociferationc.282 c. Cclfus de ambulationc.26 j.c. Afclepiades gcftatio nc 2^6. f Elcphaticos natatio maritima iuuat. ^o4.d Entelkis apud Verg.ceftu v.duit. i j i.a Ephcbus Athcnis lcrpcntem pufillum , & Ibtim ambulante cfi feniinc cmifit. f.a EphiEbuminpalcltra ybi nam crat,& quan- tum 2o.f.24.e Epilcpfia jnfolationc modcrata fccundum meihodicos cuiaiur 271. c Fpilcpfii gladiatoris lugulati fanguinc cpo- to recDiicirm quofdani curaiur 275 b Epilcpfia /pirmi rctento C^l.Aurel.autho- re non curatur. 280. d Epilcpfia quo pafto vociferationc curciur 282 e EpilepfiiE vthiculo pcr lonf^a via vehi non conducit C^I.Aur-cli .luthorc 2^7 c cpilepticos gclUtibnc Gal.Tral. & Aet.cu- rabant ibid. epilepti.curfus vchcmcns ex Thco Prifcia- ni li ia Iibcr.n. 2So.e & loga & rcdaam- buiatio tx Cxl.& Ccl.authurit 2>)2.c cpilept. A £ius curabat n^ancu gcfticulatio ne.24 o.d i.Tdit de ambulatio. ifi.a.e cpilcpticis Aiu)]Io auihorc nataiio omnis obcft 304. c Cpifcyrus lufus quis 8j cquitaiio on fit cx rcitatio 79 a cft motus Uiix us fctundunj Gu c. i^o.f ipi.d equitatio q.d cfficiat & ciu.s inuctor. 167. c lcnip in h(jnorc tll hab:ta ibi. & 170, d cius vtilitaic.v,& dan na. i^i.c.f cquitutio (ucculfantc cquo fafta qu dcffi- ctat 2i?5.b cquitntio pcr afiurconcs cquos fuda qiiid ctfici.it ibid. cquitationis pcr gradarios ccjuos L&x cfic dus 1^3- c cquitantcs curaliquando lacrhymas em/t- tant 2^4.d cquitatio an fit geftatio ibi. erafiftratus mifiione fanguinis e mcdicina aufcicnda,atq.- ctiam oem cxcrcitatione inutilem ad fanitatcm iudicauit i^i.b crafiftrati r6ncs,quaiuor qLus cxcrcitatio- ncm inutilcm cffc ad fanitatcm dixit.ibi. crafiftrntus per inedia trium aut quatuor dieruin nniltos affcftus curab..t 15 3. c crafiftraius eft damnandus,qui multos ^gro tos dcambulationibus poft cibum cxcr- cebat 2 2j.a crafiftrati loncs foluuntur. 'bid. & infra. c erafiftratus malc a C^Iio reprchcditur . paralyticos de, mbuhtionc in locis harc nofis f.(^a cxcrcendcs ludicabat. 26^ £ Err.fmicrror 154 f crcftum Ifarcan fit cxcrcitatio.i^^.f. vtih- tas & nocumenta 16$ crcdi liatcs quodamcdo mouenrur. 1 3 7.C ercftumftare antecibi fumptjoncm quo- modoiuuat 140.0.155^. c crcdum ft:arc multas habctdiffercntias, & vndc capiantur i6p c creftuni ftarc poft cibos fumptos quid fa- ciat i35>.c.207.e crichthonius currulcm vcdationem inuenit i7ia cryfimachus mcdicusad fingultnm curan- du fpiriius cohibitione vtcbaiur. 1 j ^.e cfculcnta lu cibi tum rcmcdij caufa a:grotis txhibcntur ^.f curhorbus lubas regis medicus,& Antonius Mufa fratrcs vfum aqux fngidx poft bal nca caiida nionftrarunc 47 b curipidis fcntentia dc athktis 7 i.b c cxcrcmcnta diucrfis modis e corporibus au fcruntur ipo.f&infra cxcrementa in corporihus detcnca multas morborum fpccics gcncrant. I5>2.c. i >.b Cxcrccntcs fc fuK Cdc m.igis incaLlcunt ciaicffcntcUjqu^ n qui luoucntur, fs: ijiu dccaufa ibiJcin cxcrcmcnca in Iiycmc cur paucagcncrcn- tur 21 i.b cxcrcitatio cx mcdicorum fcucntia fcm- pcr ancc cibu n a lanis fic-ri dcbjc. 222 d 2 i6,d.i67.c cxcrcitjtioancc cibum dupliccm vtihracc aftcrt 2i2.f excrcitjiidi tria dcbcnt obfcruarc 21 3.1 cxcrciiationis fadx poll cibum nncnmcn- ta,qu.t fint 222 f 26 8.ii excrcitacio non dcbct ficri vbi Itomachns cil valdc vacuus,ir(ium hoaunu n quant.i clfc dcbcat,& dcoilium ibid. Excrcitatio fcnum minc^r cfTc dcnct quim, cum luucncs clfcnc ibidcni Excrciiatio hycmc fada'citra fudorcm ficri dcbct Excrcitario ucre fafta vfque ad fudorcm fic.idcbct ibid. Excrcit.it o Autumno fafta minor cffc de- bct ra.quar xlbic fit ibid. ExcrcitJtio iiulfuccorum qu.T , & quanta c(fc dcbct 2jo.e txcrcitatio immodicj oibns nocct. 2 3 o.c Excrcitaiionis jmmodicjc fun.i. ibid. ExcrcitJtioncm luucncJ quando dcbcant incipcrc 231 c ExcrcicJtioni pcragcndx qui modus cft adlitbcndus ibid. Excrcicationcm viri quandodcbcant inci- pcrc ibid. Excrci- I N D E X. Excrcitationem antequam incipercnt anti- quiquidnam fjceient ibid. Exercitationem Ifatim poft cibum nemo dcbetmfjpcrc 232 f Excrcitatio prius remiflTe ac debiliterincipi dcbet,dtmde paulatim jugeri. ij^ a Exercicatjonis particularis cognitio , fiue vniuerrjlicoonitione,null.im aftert vtili tatem,& conira a34.e BxercitJti ibtmi poft excrcitationem ve- Iks niadcfjdas debcnt dcponere , &in loco tcpido & temperato *33 «b Exercitationcm anctijiiam quis [incjpiat , quid nam faccrc debcat ^33*3 Exerciiati non ftatim poft cxercitationcm debenc quiefccre , ncc cibuni aut potum lumcre z^^.b.c Excrcitationis modus Sc ordo totus .itK)nc incjuibus morbis cunndis A • (clcpiadcs vicrciur 295 c.& infra Gclbtio ui nuripcrcurbato ofTinino fu- gicnda ,bid. GclUito ia iTiari traquillo fada quid cifi • ciJt ibide.n Gclhtiofine additionc acccpta quomodo ab authonbui capinur i^T-a GclhtK) vchiculo f.K^ i qtiibui conucnut , 5c quibusnon conucniat ibi. Gclhdone in qutbu^ mor bis curardis G.il. vrcrctur 297 c & infra GclUtio morbif diuturnis prodcll ibid. Gc ihiionc lcllj,5c lci5^ica fj {gfli yti pof (unt morbu iam inclinjntc jco.c Gcliationi^ in aJto auri fadar cflfcctus . Gymnafta nuHut antiqucrum fcriptorum fulficicntcr tradiuit 7.a GymnaGa qur njiii fucris : 17 b Gymnafia quare » & a quibus pnmum fint inucota ibid c GymnaliJ dicbus feftiuis magis frequcnta- ta crant,& quarc 2 7 a Gymn:r:iim cui jntiqui Tibcri propinquu ctfcccnnt 4oC.ri.nLcntia dc houmie co.iicUcntc,& nonlaboiaate i^i^ Hipp.patn.i cemperata fuit 2 1 6 e Hippo.iudicat, Ibhs r.idios capitibus huma- nts m i^nasnoxjsalFcrrc 26 6 e Hippo.Hcrodici Scly^nb: lani difcipulus ar- icm mcdicjm illultrauic 2.d.4'i.c Lsboribiis ir.:ifluctos aliquando cxcrccrc dcbcmus,& qua dccaufu i^^-^-^yO.S Laborc^ mcdcrati quibus nm- corponbus conucniant 21 5.b laborcs vchcmentescjuibus nam corpori- bu^ conucniant ibidcm Laccdcmonjj vcnationc fc cxcrcebat 187. c Laccdimona? djmn.at Ariftot. cjuod puc- ros niirijs liboribus affligtbant. 2 28.f Laccdzmonuno Jcxcrat, ne in balnca pix inferictur /^4.rbu Ijbor.intibus ohlic 261 d Lcdi apud anti(]Uos varij crant 5 8 b LcC^lus fulcra mobilia habcns quiJ fit. 1 76. e.joi.b Lc^lis pcnfilibiK pro ari^mium cxcrcitip antiijui mcdici vich.intur. 17. .d.quid c(rcnt,& quomodoficrcnt joo.f LcdispcnniibusjCelfoauLhoie , quando vii dcbcmus ibidctu Lcftis pcnfilibus gcftiiio f.jifta tam antc cibum,i)u.Tm a cibo prodcll ibid. Lcftici qujrc ci\ inucnia. 175. b. 17^ . a. &• quot numero /crui ca portarcnt. 1 73. c & inf cius vfus. lyS.f & 2y9.b Lcc^ica pcr vfbcin gcftari lilcrtis crat vc- titum 174. f LcOica noftra cui anticjuorum fcllccorrc- fpondcat I7y.3 Lci^ica in languciibus aniiqui mcdici vic- hjntur i7^-b.2yj?.b Lcclicaa fclla diffcrcbat i7J.c.& 2yp.b LcCtica muhi vfus apud antiquos firit. 2^8 Lcfticj,in cj (cdttcs.cjn.i vii polfiiit ^j^^^.b Lcd^uh pcnfili) agitatio quaudiu ficri dc- bcat I77.b Ledionis fpecies,& caruni ad fanit;tcni vlus .285.2 Lcftio quomodo ficri dcbeat 2 8y.c Lcclionc rcmilfa polt cjborum fun.prionc vti poifiiirtis ibid & inf. Lcnti laborcs quibuldam corporibus ron- ucniant 2if.b Lcilurgica fcbrc I horjnies in Ic(flica dc- cuml cntcs vchcbjniur 2^p.a Lcucophlcgmaiia corpus totum dcturpat. 107. b Libcrat .i morbo , ijuid /ibiauxflio fucrit,' tabcUuI s notabaiit, ac tcmpiu Apoiiinis dit.Tl)ant 2 d Libarij in Gy mnafijs liba vcndchant. 64 c Libcrtis c.it intcrdi^^um quominus pcr vrbcU' ItftJCj vchcrtniur i74 f Libcrdc ji)l€2 prope paludcs& rtagna, & huiuiuiodi .nlia funtuula 2i8.r X-oca pro|)e marc ad Mcridicm,velOcciden tcm fpcftantia lunt mala ibidciii )Loci ad cxcrccndum apti funt tres condi- tionc.s& (\i\x ibid.& 2 i6.f Locorum vis cjuantumpoflit 215. c iofus , Tbi uocis cxcrcitatio ficb:^t ,  Luduii) cur intcr nthlcac.is exerciiationes cnnmeraucrit hniiis opcri^ anthor 88. d Ludi B.iCiho dicnti ctc7xo'A/A di^i I2i.a Ludi matutinj qui cfunt, & qui magui 64. c.&^5«a Ludoru victoresr,uo honorarentur irb.c Ludajpraefcdus,& eiusonus ^o.f L^^d fincs trcihabuit lof .a.quatuor modis fieri potcU ^ 24*.e f Lud^fjriaearcis au^orCs,quifuerint loj.a 115 c Lud^im G.ilcn.artis gymnafticae minimam partcm c^ic ludicauit . 102. f.cius jpud antii)U()s matnus vlus fuit 244 d Ludam noltro lempore cx^rcent rullici, quoinodo apud auticjuos aihktx excr- tcbant i44.c Lufta vchemcnter , & corporc crcdo fafta quid corpori pr«lK t 244. f Liida habentib.crura d( bilianoccc i4^.c LuCta cjui rationc pefton uocet 2 4^.c Lu non vencfic.i,& quomodo 8.e Medicina! cjuando opus non cr.it i.b Mcdicinx jurtes, cum Imt duicrfap,diucrfa cti.Mn nomina fcrtii.T lunt j b Mcdicus quomodocorpus hununum co«- fidcicc li.C Mcdicus I « M I w w Mi M W u I I N D E } McdioKcft artifcx trcs fcnfaias iraftans 2X1 d Mcdtcumcnta «luofdani luuant , quofiljm Kxdunc iif6.c >1cdi.jltini in balncis c^d faccrct 30. c 6^.2 MchncholicosiuCta 1 hcodorus Pulcianus curabjt i45'3 ^lclaniholici , dtim lcgcrcincipiunt , ^ur lomno capuncur t^6.d MdanJiulian» I I» odcrui Piifciai.us , & Arccjtu^ gclbucnc curnbant i96.t Miichior Cuilanpe baincu cr^nt lici%& i]ua rjiK iic j*d Jdc nfa \ Icdi lin.ui a-)ud antiijuos para- baniur 56. ( Menlhua ranicatcm corrunipunc 48^ Mcnftrua fdliixs cuocat. 2 M* ^ dcambu- Ucto * 26or.t^3.a Mcntagra x^riiudo Plinij .xuic noU^ mno- tuit 4- f Mctforcs ciuayccaufaa uiAu iaordinato 5: prauonon la.djncur 225' b Mcthodi vniucrfalcs cx Gai. fcntcncia nifi { .iiticubribus fpcculationibus lungan tur parum luuant i8y b Militaris diidphnx cupidi gymn.i/ia ingrc- dicbaoiur 2tf.c Milo Crotoniata f ir robu(li(Iimus. 67 2  NatJtionis locui c^uid fit i^i^- c & 184 ^ cius f^Cviti S^i. N.tacio ijuibu-da argritudinibus cx Aniylll lcuttntiJ,&: O-i.o nucnit ib^.a.ib^.C Nataiuri i)uid agcrc dtbcot,antC4uam na- tcnc Nacatio inicr cxcriitationcs numcrai 18 j.a Nacationcm cur anutjui addifccrcnt ibid* iSj.a.^f 3.b N:.t:uo i l^uuio f-^a fomnu inducit So}.c Nacatjoncm in ai^uis fpontc nalccnubus fa dani Aniyilus iipprobac 3®3«c Nat.tio pcrnicioliil ma i]uz fit jc^.d Njiariolub Dio fjCta cjuid c pcictur 304.C N..CJC10 fjcihus in mon cjuam in iluuip iic Aniijuihorc ibidcin Nacacio cahda indurata cmoiht, & frit,cfa- aa calcf-CiC &: tius nocuincnca 304 f Nacacio (rigida caiorcm nacurjlc validum (Hlicir,& conicdiou( n) adiuu.t ibidcm Njtaiionc frtc]ucnti , ii ^uis viatur, ncrui ixduntur .3?^»* Naiuiar caijdac fircundum Hipp. cjuiciccrc dcbcnt i96.( Naturar hon.inum adco diuci fx funt,vt oc mo .Jtci I j^iorfu^ iit limiiis ly^.e Narura coijoribus lioliiis mcatus muitos curdcdcnt 152. c Naiun» calidis cjuics cmucnit 206. t N. u luatio an (it cxcrcjtatio 78 f Nauigaiio «juibus nioibis autliorc Auiccu* X fiotit I N D E X. proGt ^ 3oa.f.i7P.b N.iuigitionis modus valctudinanjs conuc- nieris qui fic cx Herodoti lentetia 179 c N.iuigitionis fpcciesliinc mulcae , & qune& 175? C.301.C Nauigacio pc^ flu nen fact i minns pertur- bacquam qu^ per ni ire , Sc quare , qui- bufdam murbis conueriiac i8o.d Nauigjtio incer cxercitationcs ab Antyllo numeratur I7y.a Nauigacio corpus raouct ,& pcrturbac ibi. & quare i8o.d Nauigjtioncquinam vtintur jbid. Njuigantes Ciwn mjgiscolorati ijs , qui m paludibus dcgunr,& qua de caula 1 8 i.e Nauig jtioneranii> fjiftjs cfl Anneu Gal- lio fangainem exoucns 17^ b & ^oi.e Naumjchia: cur a Po^.Rom.iint inftitut e. 180eNe)iei ludiapud Cleonasagebmtur ly.b Ncphretici Trdl. rencentia icdtica vii pol- lunt,& qua de caula . 29-^ a Nepiiriticis njuigatio maritima prodeit . 303,3 Ncrolmp. gymnafiaquindo; ingrediebi- tur,vtathierasccrtantes videret 26 c Nero Imp.muficu cercame mftituit. i/S.c Nerolmp. ia lcvftica cum macrc quandoq'^ vehcbatur 299 c Ncro Jamina pe Aori iuipofita fubea canii- cacxclamabjc ^60. d Nicomjchus Smyrn.^cus uilde crafTus qua vu ab Aeiculapio fic curacus a mmii il- la crafiicie 207.C Nitro,& aphronitro fricabanrur 3 4.C Numa fccudum Plutar. voluitadorationes fcdendoficri X59.b Numeruscxprimit rcru fimilicudincs. 96. d O OCuIi lachrymantcs Irduntur falta- tionc i4o.e Ocuii lippictcs , & lachr-ymofi d quantum- uis mimmo motu l£duncur,quiete vero rccreantur. 143. a.b Oculorum circumuolutioncs vertigine lari^untur lio.d Pcrljp v;rtu\ rationcm , cxcrcitationc.n il'Iigcntcr proti:cbintur i^S.a Pcrfis bborct lOr^Hiris Cyrus inditUiUnrc abi luin.)tioncm.'»riu^nf c «tatis nrnimcntu 1x4 PotuLiicj (u ciui tu ii rciucJij CiUia xgro iiscxh:bcntur 4.f PhcnmJa vjuiJ V vnJc diratur S^-f Phcrous d lco Hyjctnc'iu intci fecit in^ c Philagnus nudicus pofluuium lcininis cicrcit .iionc partiu * lupcriuruin cui a bat 147 c curluk Aiuyllus 190 f PhiUiiiv)ua Pilx tMgonalis figura 9^ Tila p.igjnica iju.e nam cffct. ^4 d  tudjtlt nauigations fpc- cics ,«ia Pilcjiorcsroanrini cur pilos rutfos habcac 181.C Pilcina pub.Romr vbi mm fucnt 1S4.C Py.h.igoras c|uidain athleci» primui carncm cxlubuir 7x.f Pythagoras voluit aj jratiuncs fcJcnJo ticri i 39 b Py rh"Chiacfjltat'oi t im- » ,i Put.ichuv M ylc.i^* PhrV'»i)nc Arhcnicna d uc 5c p.r-r.uij'tc cxccll.v.cit, b c)ujm fc itJtu i i {*')' jnc »ci ercda luit. 1 o.d Py hici InJi Dwlphis j^cb iKur i^.b Pjiuaufi vc citcrjtion> luuantur 181 c I'1'roni lcnt. ntia dc aitc jvmnaflicj. 12 f P aio Ijudjr in v.Jcrcp. vt mujicrcs nuJx cnm vins in pjl^lha cxcrccantur 17.C Pl iio f .11 oiMfdjni Jthlcta fuiC 7 1 .c l'lato .*uit Hip fcdacor 80 c Piato buJauir vc & pucri & virgincs,& niu lic cs , & ho iiincs tam nuJo cor|>orc quainannitocx-rccrcntur . 116. d P.aro knbcns llitum motui contrariu n n6 prorlus vcrj locurus cll 13H d Pijco diCic njcurjs diuinjs cx motu & ijuic cc c onftjrc ibid. Pi.iuti vcrlus dc ariticjuorum pucrorum nio nbus in p.iiaftra 29 b Plimuv fciibjt aihlctas alitjuando coitu vti iolitj iuniori-i ctercitatio ^ fiicrit. zii.d Pilinms miior diim vocc ik it >m^clio Ubo- raret,lc«ftione chra liberjciis cft zSf.b Plini us Co^cilius vchiculo gcU.ibac. zyo.b Plinius Romac Sclla vtebatur, vt intcr cun- dum rtudijs vjciret i99.c Plmius lunior corporis (anicatem ven.itio- ni rcfc-rebat 1 8 7. c. 3 07 c PoJalirius vcnationc deleft.ibatur i Sj.a Podji»nci faltum dv^benr fugere. i n»3 tro- chum 289.C Pidagrico. Icnes & rcmifT* iuuat deambula tio,5t vehemens I«.iit z^^i.c PodjgriciTral. fentcntia Icdtica vti poflfunt & tiu.i de caufa ^99.\ Pofis fecundum Simonidcm eft faltatio lo- qucns 96. f Pompeij magni exercltia i i^r.c Ponb nau.nachiarius quarc fic vocatus flt . Poppca Domitij Nero. vxor , quid faccrer, vt cutis candorem acquircret 1 7 . A Porphyrius philofophus carnis vfum cur prohibuit lyj.c Porticus tres extra palacflra quomodo di* fponerentur zo.i Porticns erant partes gymnafiorum piincipa les,& quomodo fe habcrcnt 2 8.e Porticus Pompeiana ad deambulationem aedificata i34-c Porticus in viridario Vaticano qualis fit . 135. A Potabant veteres cornibus boum $$.h Pr«edo quidam in Pamphilia homincs pcdi bus priuabat 1 3 3 c Prandium apnd antiquos quij c^fet r i-f Prafinae fa£tioni maxima ciuitatispars faue- bat i68e Prafini crant una faftio Romana ibid. Pratinas pocta cur fi vocatus faltator.ioi.b Praxagoras rcprchnditur , qui cpilepticos deambulationibus plurimis,& vehemen cibus curare nitcbatur 26 i c Pracmia ccrtatoribus cur fucrint mftituta. 14 c M.A PriapifiTJum p'\\x magnr Itifu Tralianuscu rabat.242 d.atquc •tem halterc |i5^.e Prodicusacgra corpora cxerccri iudicabat. loj.b.propter quod ab Hippo.rcpr chcn diiur 2 4T.b Prodicus valctudinis ftudiofifid nus fuit . iio.e Propn^geulpalaeftra vbina crat. xo.f.^J.A Propinatio iuxra veterem nrum' , m cohni* uio f^ftj cx Rh minufiano lapide $ Pronerbium in harcnani dcfcendeie vnde fit ortum i6.d Prouerbium illud difcum ( fljuani philofo- phu audirc malunt) vnde fitortum.z». C Proucrbiu Ne qras in ftadto dolic hu. 1 1 7-a Pjouerbium trjnfiremeram ii^.b Prouerbium contra eo$,qui nec litcras , nec natarc fcicbant idz.c Proucrbiu a mari & terra fumptum. 302.6 Pueraquam prxbcns ^6.b Pueroru geftatio in vlnis nutricutn eft qiix dam ipforuin cxcrcitatio 176. d Pucn poft H;ppocr. aecatcm podraga labo- r.irc incc^crunc propter ingiuuiem. 4 e Pucri frcqucntifli.nc faltationi opera dabac loi.b Pueri muficam Pbtonis, & Ariftot. fcnten- tia dcbcntaddjfccfe 1^0. d Pucri a ploratu ex Ariftot. fcnrcntia proht beri no deber,& qiia dc ca. i/^o.f 288.6 Pucri Gal tempore in aquispueriles ludos exerceb-int 183 b Pueri vfque ad vigefimum primum aetaiis annum labores muJtoi indiffercntcr fer^ repolfunt 228. c Pucris perironf um aut fcrotum fpiritu rc- tento rumpitur 28o.e Puellaj funt ex Piatonis fentcntia gymna- ftica bcUica cxercendae 66.£ VucWx pulcherrim^ fingulari ccrtamine cer tabant 144.C Pulmonc vlcerati,inculpati viucbantin Ly bia i73,,c Pugil quifitcx Arift.fententia 70. d Pugilatusante bellum Troianum fuit in vfii iu7 b.fanitati parum confert. 247 A pugilatorcs quomodo certabant 1 07 c pugilatusin gymnaftica mcdica exi?uuin vfum habet "loS.e pugilcs vocabac veri nthlc f fm Gal. loS.f pugilcs,& athlctT aliquand j in Deoru nu- mcrum relati 7 1 /\ pugihuu imago i02.b pulueribusin multis cxcitationibus anti- qui vtebantur,& qua de caufa 236^4 puluis uim habet cmplafticam cx Galeni fententia 23 8. d ^u^ilatus nocumenta,qua; fint 247 c pu^ilarus fuit paruui LulUs in gymnaftica mcdica 248. d pugn.B nomcn plura fi.^nificat i4'>.f pugna, dcqiuhicaudoragit, quidcflcj & quoc I N D E X. ^ ^Qot eiuj fpcclcj cxOubafij fcnicntia ibidciv.&: X73.a Fuona > mbracilu cjuomodo ficbat . ibidcm lOI. c Pugna tcK.rum quomodo ficret ibid. Pugna firgului is tjm n t d«- ficrct ibid. Puiinas fingul.ucs t xcrccbant Ijccrdoics in Fcrp mo G.il.iemporc 14» c Fugna jdiicrfus pjluni ^uinam >tcicniur. 14 >.c.X7J.a Yiigna vmbrjtilit ubi i Cjleno budctur . i4'.C27?b Fugns arm.)tj a Dcmea inucnta. 1 ^6 c Fu^nis fingularcs eiiani Romani cxc.cc bant 14^5 d ibid. Fngna fingutarit rudibus armis fMi a NLn tu^^t^ crt inucnta I4rb Pu!u:s in vn^^ionc quid prapftarct 5 j.a & 1 > 8.d. vnJc portantur 3 f.e Pyrrhus Ligoriu^ annquitatis pcrrtifs c Fyrrhrchix U!talionc$ tjux fucrint,&^ S"^ laucntx QVatUans crat mcrccs baJncacori data. 47C Quadrata corpora abcxcrcitationc quomoiio iuu..ntur ^i^^ Q^ad. igx m pup. faais ficpc ccitaucrunr. 171 c Qii:^rtana bborantcs, vocifcratio iuuat . 181.C Qumqucrtio qui fit cx Ariflo. fcnicntia. 7o.d.c Quotidiana fcbrc laborantcs in lcAicadc- cumbcntcs vchcbjntur a^y a R RAucnnj Strabonis authoritate acrem fjlubrcm habcbat 7^.2 Kjiis fcntcntia dc vcnationc 187.C.506.C Rcncsdcbilcs I.Tdii faliatio 240.^ Rcit.cd.oruii omnium njtura eft , vt pro- fint,& abquid cnam c^ftcndant 1 51 a Rcnibus malc-ttcaisIuOa nocct 14 rc Rcnum lapiili optimcialiatione otrudun- rur 240 Ci54f Rcru imbefillitate, vcl feruore, vcl \Kcrc artcC^i liliu vitcnt 25 5 J & dilcu. 2^7.c Rcnu.n jnfl.imni tionc laborantcs crc^i ftjrc noo dcbcnt 169 b Rhjmnufi nu^ lapis , in quo fculpta cl\ fbr- m.jTrKhni),3nti(]U!friinus 56 Khcforcs in palacitras ad difputandum con ucn:cbant 20.c28c Res i6nc finis raria noU Cirrire funt 203 a Rcfoluti Tral. fentcntia lcAica vti pofujir, & qua de caula 19^ a Rdpirjtio ctcbraium ofcitationuin cft rc- mcd.um a7P.a Ilcurdurcs in balncis qui clTent 50.^.63.« Kigorcs f.iltatio atcct 240. d Kilu^ qCo fiji,& quid cfificiat 16 i.a 287.6 Konuni { ('liicmi oimhO ^yn n^ifia ad GiaB corum inntJiionrm ihuxctunt 18. £ Kcmjni in bulncis mulio graecis lafciuiorct Romani fuos miliies & mari & tcrra cxcr- ccbant iSo.f Konunorum n^uliercs Varronis tcnimonio in cc dcni loco cum viris lauabaniur. 48 f oppofi:ioncm J3 c Ros vim habct colliquatiuam , & idco bibi- tus gracilitJtcm inducit 2^7 a Rot^ curruum Homcri icmporc ftanno or^ njbantur i7i.a RuHus tphcfius Romac fub Traiano floruit 145. c Ru.tati eraot voa fj^io Romana l^S e S SAItantes pondera aliqua habcbant quorluiii 1x8.4 bjita^oria: cxcicitationis fpecicS|& cius di- uiiio 81 Saltatoria facultas in imitatione foio mrtu fjda confiliit fi6,£ Saltatio fccundum Simonidcm eli pf>efis tjccns 96 f & inf, Saltatio vcra i mufica fccunduui Plutar- chum dcprjuata cli 97't S. Itjtioiiis inucntor quis fucrit 97.2 Sj/tationum diuerfa nomina vndc fitoria» 97.C Sjltationis finis 100 d Saltjtioncs vbi nam ficrcnt loi.b Saltationcm antiqui in conuiuijs exerccbic 10 I c SaltJtio qurqi antiqiiorum ordine , ronc, & proportn nc indigcbjt ijy.b Saltaiio opportunc fjdU inultas affcrt vtili. tatcs, cadcm inoppoitunc jdminifirat^ multa dctrimcnta iionum prriiat 239. c SjIius viilitjs,»ntingunt, (]Ui Ic cxc:cucrunt,5c ijua Jccaula 19 r A Somni pr«.tundi concodioncn» mcliorcm efficiunr.S: quj dc ciufa ibi. Soao capiutur Irpc mtctc fpcculatcs. i ^^. Somnolciiii ciir fiiu dccolor.jti i44-5i.c SpiMtus cohibmo »'jciat • 1 5 } • a. cius rpcc:cs.i5} b.cim vtiliiJS.X78 d suibus conucniat 17 9.3 cius nocumcnia.ib d b Spiriius cc hibiuoncintcr c £tcras cxcrcita iioncs Athlcix d«abus dc caufis vicba t«r , '^^•'^ Snlcnis xgtitudinibus cx Aciij kiucntia curlus clt vtilis no.d.f Splcnctu-oNgcf^..tioncThccdoius Prilcu- nus,& Arctruscurabant ^9^^ Spuni apud antujuos m.igna infamia noca- bantur & a nobiLum commcrno cxtru- dcbantur , '^'^ Spurma qua vi^us rationc «^^«'^^ ^^^" Spurini nnJiOi fanitnrc cofcruaJa. 113^ c Spura corpuscxinaniunt StadiumgymnjfDspars 5*.^^ Stanscxcfcttium ' Starc maio: ci. corpori bborcm affcrt^.iua ambidarc,& quarc ..... '^^^ Starcc.lcib.s3ut;..m.n.,d.gitis innitcn. do nihitn.li molcitumattcrt »71.» StclUsdcfic.cntcsminromn,svidctcs.,uo „.odoabHippoc.c»ircntur ^n-A Sccphaiuofuuinucntor togatx (altation.i StcVcoracorpascxInaaiunt Scomichaccxgritudo Plinij rtaic aoftro orbi not.i f.iCta cik ^-^ Stomachusin coqncndo dcbili» i falta. 10- nc corroboratur Sio.nachu n frigidis morbis opprcnum cu- latcurfus ^^^-f Scomachicos fpiticB rctcnto Cxl. A'»r. cu- rabat.i79.c.& vocifcratiotic i8i.c.Arcle pij gcftaiionc \ ^^^1 Stomach 1 dulorc Thcodnrus Pr .fcianus , « ArctJTUs gcduionc curab.mt »bid. Scomachi .itK a;ombui curandis gcftntionc Actius vtcb.itur X98.C Scomacho l.>borancibus vnftiones cxcrcita tioncs,S£ vocifcrationci commcndat Oa lcnus . . »8'' Stomachicos n.itatio maritima iuuatjo^ c Strii;ilcs balncorum quid cUcnt, & cx qua inatcria hcrcnt 3'^' Siudia corpus confcruant fanum 7 A Sudorcs corpus cx luniunt Sudor cft motu piouocandus,5c q»a dccatt Ta . Sudor finc motu proucnicnf dctcrior co dt quj a laborcproucnit »53^ Sudor ijua dc caufa manus cxcrccniibus cx Arift fcntcntia cffluat »47 c Sudor liccus qnisfucrit ^ 3«*} Suc omjlocusdcrcincdioh.ncnaru & aru dinii.Aiigu :ti,qu.j fit mtciligcdus. 264 t Suftii(i o'1's co.o ts fubcos ludicant a^i.i SurdtcatccaptosGjj.Tral. 6c Actius gciU- tionc curabant ^973 a Theon Alcxan deathlccica fcripfic 70. c Th' rpiui pocta riltator cur /ic vocatusioi. b Thv /Tcilus mcdicus Ncronis actatc floruit . is^.a Theffali qna dc caiifa ccntauri fint Tocati. 167 c Tjbcrius Impcr. fcimpodio quandoq; re- hcbatur 177 c Timonis a v.\i Juobus nicnfibus , finouiis annis in cufC-nis IiticabJt " y.a Tyrrhcni lub eodei» regmncnto cum mu- lieribus jccumbcbanc f^.c Tjrrheni nd tibiam pugnis certabant 107. c Titus Imp.hujbatur,vbi & plcbs 16 f Titus In.p.qua dc ciuIj /it mortuus 47 a Tonfillas pjtjcntibus iuda noccc 246. c Thoraccm hJtcre lardit . 25^. f& difcus. Thorax humidus ambuKirione fada cilci- bus incunibcndo fauatur 2^3.3 Thorax difficultcr fpiras deamhulati' ne p accliue fada luu it cx Antvili /iua 2^^3 .5 Ti i.; erant Kt mx Joca,vbi licterarix cxci ci tatioi:rs h.banr,& t|n« z^.b Tricliniuin marm orcum vetufti/fimu Pa tauij in nedibus Khaniniifijnis ^6 Tryphon dc atbleiica fcripfic 71 c Tripudia nfa faltationibus antiquoru cor- rcfp6det& in quo .ib illisd fferar 239. b Trochus graecus (|uomodo fiftus cflct no- bis cft ignotus i62.f.& iatinus ibj.& qui- bus conucniat 2op.c Tubi perquos circufundcrctur calorpro- diens ex bypocaurto 4^.3 Tubicinibus ipiricu rctcnro pcritona:um runipitur 280. c Tumorcs laxos gcftatione Actius curabat 298.e Tuflfis (icca , fpiritu reteto,curfu no in pul uerc fa{ko curatur ex Celfi fnia 2/o.e Tuflis i frigidacnufi orta fpniius cohibi- tionccuratur 278.^ Tiifli^ a filcntio cxtinguiiur i^^.f Tybcrius Impcrator omnium primuscolis d'.vIorcm cxpcrtus 4 f V ^TAIerius apcr milcs caecus quo rcmc- dio, oraculo pra?nunciante, fucnt a cicit..tc libcraius f.c Vjlcriob rc^cpniar contra Fuchfiuin, fol- Icm & Corycum diffcrre 87.3 Valcrudin.jnj quomodo Cwt C/fcrcendi . 20p.b.23o.d Vjljrium quid cfret 43.^ Varices pjticntes fjltum erftjoianr: 25 f.i Vjricibus Ijborantes cre£li ftare non dc- bcnt 16^ b V.iriccs quomodo gcnercntur ibid. Variar lc Romana if^.c Ventres fngidos luda curac 2 4y.a.& curfus 2JO.f Vertiginofos manuu gcfticulationc curabat Arct;tus 240. d VerriginolosI.Trditfaltatio 24o.c.&pilv lu- fus 242. d Vcrtiginofi luftam vitarc dcbent 1^6. c & curfum ciicularcm. 2j:2.f. 2^2 f& trochum. 201; c Vcrtit;inof?js m.^Ic curabat Aret.rus pugi- Jjtn 247 c. cuiabat c:iam difci cxcrcit.-i- tionc 25 7. c Vcrci- I N D E X ^cmginora p.ifllo vndc omtur i^Ti.f Vci tioinofos ycajiione Gal.Tral.& Aci.cu rubant ^ ^ VcrcJuN cr.u vchiculi fpccics i Vcrus I npC: priinuscuin duodccim (olcni conuiuio .iccubuic 54«a Vcficx lupiUi optime,rjltattonc cxtrudun tur ^ ^^'^-^ VixapuH vctcrcs grarcos qux hnt 2i7'C Vitjili.r l"«nuin corptis conlcrujnt 7 or.inccs lcdica vti potTuni. I9f a ViJ»cr.iriiin morlibus tibt.iruin moduli pro- lunt.vt Gtllius rcfcrt lc jpud Thtnphra itum inucniirc i^^.c Virgo lons ladu crat iucundtlTima y o.f VirgmcN lccundu m 1'btoncm lunt in gym- n^ifticabcllica t xcrccnJx 66S Viri tJnrum apud aiuiijuo accuinbcb.it,non muhcTcs y?c Viri apudantiquosquoium niodo accum- bcrcnt H-^ Virinoic quid intcliigat hic auftor. iiS.c Viri funt tcrc omuibus iuor>l>us apti. z i i.r Vilus dcbdicati . Jt oOicuritjti gelbtiorc- tio icrla facic tjcla, Auicen.autho.^c.con tcrt 298 d Vitruuiosfl iruitxtatcCjf.Aug.iS.d cius auihorituv apud jntiquos parua luir.iKid. VlccribuN quictc curandis llarc & lcdcrc ad ucrfantur 13^ Vlccribus intc. nisjCf 1 & Cel. auihonbus, dcambulauo rcnv^a, & molLtcr f-^da prodcft i6\.c Vnftione qui nam vtcrentur 30 d Vrd onts mJtcr.aqux fucrit Ji.d Vnaionis finif 3 3 c Vndio poft balnca quid prxftabJt 3 1 .f Vnd 10 ab aotiquis quomodo ticrct , cii !n- ccnum ^d VnAionibus in miiltis cxcrcirarif»nil us jn- iKiui vtcb.«nrur,& qua dc caula x 3 icic^asna- ui-Jiionc lihcratusclt lyj^.c.joi.C a>T4rvf qu;d iii 64 f.5>4. f- cius vtihtas. AKnSnp mcndicum ,& crroncum ligniticat 1 i8 d * *f ^ifdflU quid fignificct.i 4y courtesy of the Bibli REGISTRVM * ABCDEFGHIKLMNOPQJ^STVX. Omnes/untquaternionespr.Ttcr * &X qui funttcrnioncs, ac Dquintcrnionenu. VENETIIS, APVD IVNTAS. M D C i Grice: “Mussolini said that ‘ginnasta’ and indeed ‘ginnasio’ were effeminate – ‘ginnico’ is the word!” -- Geronimo Mercuriale. Mercuriali. Girolamo Mercuriale. Mercuriale. Keywords: il ginnasio, attivita ginnica,  bagni romani, Refs.: H. P. Grice, “Me and the demijohns,” Luigi Speranza, “Ginnasia,” The Swimming-Pool Library, Villa Grice. Mercuriale.

 

Grice e Merker: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – il filo d’Arianna – Arianna abbandonata a Nasso --– filosofia italiana – Luigi Speranza (Trento). Filosofo italiano. Trento, Trentino. Grice: “My favourite of his books is ‘storia della filosofia ai fumetti.” -- Grice: “The fact that he found Italian words for all that Kant says in “Metafisica dei costume” is admirable!” -- Grice: “I love Merker, and for many reasons; he has philosophised on what makes me an Englishman: my blood, or the fact that I was born in Harrborne?” Grice: “I love Merker: he uses metaphors aptly like ‘il filo d’Arianna’ to refer to what I pompously call ‘the general theory of context.’ --Si laurea a Messina. Trascorse un periodo di ricerche in Germania. Allievo di VOLPE, insegna a Messina e Roma. Cura edizioni italiane di classici dell'età della Riforma, dell'Illuminismo e dell'idealismo, nonché di Marx, Engels e del marxismo. Dopo essersi occupato dei problemi lasciati aperti dalla Seconda guerra mondiale, si occupa dell'idea di nazione, dell'ideologia colonialista e infine del fenomeno populista. Da ricordare la sua opera di divulgazione della storia della filosofia. Inoltre egli ha scritto ben trenta voci per l'enciclopedia filosofica della Bompiani, fra cui le più importanti sono su Heine, Mann, Zweig. Altri saggi: Le origini della logica, Milano, Feltrinelli; L'illuminismo, (Bari, Laterza – la metafora della luce della ragione ;  Lessing e il suo tempo, Cremona, Convegno; Marxismo e storia delle idee, Roma, Riuniti,  Storia della filosofia, La filosofia moderna. Il Settecento, Milano, Vallardi, Alle origini dell'ideologia. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo” (Roma, Laterza); Storia della filosofia, Roma, Riuniti); STORIA DELLA FILOSOFIA: L’ETA ANTICA -- Storia delle filosofie, Firenze, Giunti Marzocco; Marx, Roma, Riuniti; Erhard, in L'albero della Rivoluzione. Le interpretazioni della rivoluzione francese, Torino, Einaudi; La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti; Lessing, Roma, Laterza; Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky ai marxisti” (Roma, Laterza); Storia della filosofia moderna e contemporanea, Roma, Riuniti, “Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma, Riuniti, -- sangue lombarda – piccolo vedetta lombarda – sangue romagnola -- Atlante storico della filosofia, Roma, Riuniti,  Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà, Roma, Editori, Filosofie del populismo, Roma, Laterza,  Marx. Vita e opere, Roma, Laterza,. Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia, Roma, Carocci,.La guerra di Dio. Religione e nazionalismo nella Grande Guerra, Roma, Carocci, La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma, Riuniti, Hegel, Estetica, Milano, Feltrinelli, Torino, Einaudi,  Kant, La metafisica dei costume (Grice: “My favourite Kant, by far!”), Bari, Laterza, Hegel, Rapporto dello scetticismo con la filosofia, Bari, Laterza, Paracelso, Scritti etico-politici, Bari, Laterza,.Lukács, Scritti politici Bari, Laterza,  Herder, James Burnett, Lord Monboddo, Linguaggio e società, Bari, Laterza, Lessing, Religione, storia e società, Messina, La Libra, Kant, Lo Stato di diritto, Roma, Riuniti,Forster, Rivoluzione borghese ed emancipazione umana, Roma, Riuniti, Humboldt, Stato, società e storia, Roma, Riuniti, Marx, Engels, Opere, Roma, Riuniti, Roma, Scritti economici di Marx. Roma, Editori Riuniti, Fichte, Lo stato di tutto il popolo, Roma, Riuniti, Hegel, Il dominio della politica, Roma, Riuniti, La scimmia e le stelle, Roma, Riuniti,  Maj, Il mestiere dell'intellettuale, Roma, Riuniti, Kant, Stato di diritto e società civile, Roma, Riuniti, Fichte, La missione del dotto, Roma, Riuniti, Marx, un secolo, Roma, Riuniti,Kant, Per la pace perpetua. Un progetto filosofico Roma, Riuniti, Hegel, Detti di un filosofo, Roma, Riuniti,  Marx, Engels, La sacra famiglia, Roma, Riuniti, Marx,  Engels, La concezione materialistica della storia, Roma, Riuniti, Kant, Che cos'è l'illuminismo?, Roma, Riuniti, Lessing, La religione dell'umanità, Roma, Laterza,, Forster, Viaggio intorno al mondo, Roma, Laterza,  Engels, Viandante socialista, Soveria Mannelli, Rubbettino, Hegel, Dizionario delle idee, Roma, Riuniti, Osborne, Storia della filosofia a fumetti, Roma, Riuniti, Bauer, La questione nazionale, Roma, Riuniti.  La discreta classe delle idee. E’ Merker, asul sito di Rifondazione Comunista  Il contesto è il filo d'Arianna. Studi in onore di  M., S. Gensini, Raffaella Petrilli, L. Punzo, Pisa, ETS, T. Valentini, “Ideologia della nazione” e “populismo etnico”. Le riflessioni storico-filosofiche di Merker, in R. Chiarelli, Il populismo tra storia, politica e diritto, Rubbettino, Soveria Mannelli, Curriculum vitae, su uniurb. Curriculum vitae. Nato nel circondario di  la scuola materna e le  elementari, nonché al Wilhelms-Gymnasium la prima classe ginnasiale. Trasferitosi a  Trento  , continua ivi la scuola media e il ginnasio-liceo  fino alla maturità classica conseguita al Liceo "Prati" di Trento.  Iscritto alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell'università di Messina, si laurea ivi  con 110 e lode in filosofia e una tesi su "Hegel e lo scetticismo". Con una borsa di studio è a Napoli all'Istituto italiano per gli studi storici ("Istituto Croce"), e poi in Germania un periodo di ricerche.  Alla Facoltà di Magistero di Messina è presso la cattedra del filosofo Galvano della Volpe assistente volontario, poi straordinario, incaricato e infine ordinario. Nella medesima Facoltà, conseguita la libera docenza in Storia della filosofia, è stato professore incaricato di Storia delle dottrine politiche,  temporaneamente anche di Estetica, e, a concorso vinto, professore straordinario di Storia della Filosofia. Vi ha diretto l'Istituto di filosofia e per incarico temporaneo anche quello di Letteratura francese.  Chiamato alla cattedra di Storia della filosofia moderna e contemporanea della Facoltà di Lettcre e Filosofia dell'università di Roma  "La Sapienza", vi ha conseguito l'ordinariato ed ha poi continuato la sua attività  Facoltà di Filosofia di quell'ateneo  seguito per  l'insegnamento di Storia della filosofia moderna. Uscito dai ruoli, è professore emerito dell'università "La Sapienza" con decreto ministeriale.  Nella Facoltà di Lettere e Filosofia ha presieduto per un paio di anni la  Commissione di Facoltà per l'ammissione degli studenti stranieri, nella Facoltà di Filosofia è stato per un lungo periodo presidente della Commissione scientifica del  "Centro di servizi interdipartimentali Biblioteca di Filosofia". Nella Facoltà di Filosofia ha fätto parte di un collegio di Dottorato. E stato più volte in commissioni universitarie di concorso per docenti universitari di prima e seconda fascia, nonché in vari atenei per concorsi di ricercatore. Ha partecipato con relazioni a congressi internazionali di filosofia e storia delle idee, a iniziative culturali di università europee (Innsbruck, Zagabria), all'attività didattica di vari Dottorati in Filosofia, a conferenze e dibattiti con studenti dei licei. Ha tenuto un seminario di lezioni presso l'Istituto italiano per gli studi filosofici di Napoli.  Per formazione e storia personale è bilingue (italiano e tedesco) riguardo a lettura, scrittura ed espressione orale. Ha buona lettura dell'inglese, francese e spagnolo,  familiarità con il francese e inglese orale. Adopera il computer per uso personale di lavoro, non ha capacità e competenze artistiche.  Studi e ricerche  Iniziali attenzioni per la logica e dialettica di Hegel si sono concretate nella monografia Le origini della logica di Hegel. Hegel a Jena. Successivi interessi per periodi fondamentali della cultura in Germania, - dall'epoca della Riforma (ad es. con un'edizione italiana di testi politici di Paracelso) fino al secolo illuministico - hanno condotto alle monografie L'illuminismo tedesco. Età di Lessing e Introduzione a Lessing. Un percorso parallelo e ulteriore  - intramezzato in  Dialettica e storia da un tentativo di bilancio dei problemi - ha collocato via via le vicende della filosofia dentro un più ampio quadro di storia della cultura nel quale assumono particolare rilievo le idee e dottrine politiche dell'età moderna. Ne è un esempio la monografia La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar.  Studi specifici sono stati dedicati al pensiero politico liberale di Kant, Fichte e Humboldt, poi ai giacobini tedeschi in edizioni di testi e nella monografia Alle origini dell'ideologia tedesca. Rivoluzione e utopia nel giacobinismo.  Con un'appendice di  testi e documenti. La linea d'indagine di storia delle idee si è estesa verso Marx e il marxismo, con i libri Marxismo e storia delle idee, Marx e Il socialismo vietato. Miraggi e delusioni da Kautsky agli austromarxisti, nonché con la cura di parecchie edizioni italiane di opere di Marx ed Engels.  L'interesse per i problemi rimasti aperti nell'epoca della Seconda Internazionale ha poi stimolato ricerche sull'idea di nazione, sulle ideologie del colonialismo e sul fenomeno politico-culturale del populismo (con, rispettivamente, le monografie Il sangue e la terra. Due sécoli di idee sulla nazione; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà; Filosofie del populismo. Vi si è aggiunta una ricostruzione storico-critica della vita e delle opere di Marx e delle sue incidenze (Karl Marx. Vita e opere. Monografia Il nazionalsocialismo. Storia di un'ideologia che ha collegamenti con le ricerche precedenti sul populismo.  L'analisi delle tendenze e dei nessi che emergono dalla storia delle idee si è accompagnata anche a riflessioni sul metodo della storiografia filosofica e a tentativi di renderla fruibile per la didattica. Di questo filone hanno fatto parte un manuale di Storia della filosofia e più volte riedito, e un Atlante storico della filosofia. Bibliografia  Complessivamente le pubblicazioni  - tra monografie, articoli vari, saggi,  recensioni, voci di enciclopedie, relazioni a convegni, testi in opere collettive -  ammontano finora a molti.  Di cui sono monografie:  Il nazionalsocialismo, Storia di un'ideologia, Roma; Karl Marx. Vita e opere, Roma; Filosofie del populismo, Roma 2009; Europa oltre i mari. Il mito della missione di civiltà, Roma; Atlante storico della filosofia (Roma; Il sangue e la terra. Due secoli di idee sulla nazione, Roma; Il socialismo vietato.  Miraggi e delusioni da Kautsky agli austromarxisti, Roma; Introduzione a Lessing, Roma; La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma; L'illuminismo in Germania. L'età di Lessing, ediz. rinnovata e accresciuta, Roma; Marx, Roma; Alle origini dell'ideologia tedesca.  Rivoluzione e utopia nel giacobinismo. Con un'appendice di testi e documenti, Roma-Bari, Marxismo e storia delle idee, Roma; Dialettica e storia, Messina; L'illuminismo tedesco. L'età di Lessing, Roma; Le origini della logica hegeliana. Hegel a Jena, Milano. Nicolao Merker. Keywords: storia della filosofia – l’eta antica --. il filo d’Arianna, Teseo e il minotauro – omo-sociale – Teseo – Arianna abandonata, giacobinismo, populismo etnico – etnico ennico etnicita ennicita – etnos, Greek ethnos, Latin ethnos -- -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Merker” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Messalla: la ragione conversazionale e l’orto romano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Garden. Friend of Orazio. They study philosophy together. He opposea GIULIO (si veda) Cesare but eventually makes his peace with Ottaviano. He writes philosophical treatises. Allow me to address briefly the L’ORTO philosophy within the context of the difficult tines covering the years which witness the downfall of the republic and the birth of the principate. In  'L’ORTO in Revolt' (J.R.S.) Momigliano takes as a starting point the conversion to L’ORTO of CASSIO who rapidly comes to the conclusion that GIULIO Caesar has to be eliminated because of what appear to be his tyrannical tendencies. The author emphasises that during this crucial period the adherents of the L’ORTO philosophy did not maintain a passive political aloofness. While some followers of L’ORTO actively support GIULIO in a noderate way, a mumber oppose him, among whom are I. Manlio Torquato, Trebiano, L. Papirio Paeto, M. Fadio Gallo, and, as the evidence suggests, L. Saufeio and Statilio. Monigliano concludes with the statement that on the whole, the events prove that Cassio is not an exceptional case among the contemporary L’ORTO. The majority stand for the Republic against Caosarisa." Horace seens to have felt an antipathy tovarda Mbullus and his patron M. which may be explained to sone extent by political factors, in particular the strong republican sympathies which the latter still professs under the principate. Of M., Monigliano notes that ORAZIO writes of him, 'quanquan Socraticis madet sermonibus', a dubious expression, but the Ciris (whatever its date and author) shows him well acquainted with the L’ORTO circle, and his leader is, as he proudly proolaimed, Cassio (Tac.Ann.; Dio; Plut,Brut.). I suspect then that he is a definite member of L’ORTO. It is, then, I think possible that M.'s political persuasions are coloured by his philosophical thinking and that his intellectual interest in L’ORTO is not nerely of an ethical nature. Monigliano, arguing along the lines of Diels, maintains that in a passage of his treatise on the gods FILODEMO of L’ORTO is expressing a political viev: "the words reflect the indignation of a man who sees the defenders of the Republic play into the hands of the tyrant. Similarly in his treatise on death the same philosopher recoends that sen should be ready to face death in the event of political persecution. Followers of L’ORTO are capable of reacting decisively to political circumstances, this being a major point advanced by Monigliano who maintains for instance that the sane Saufeio is not outside politics absorbed in the 'interrundia' but that he mingles philosophy and political action which probably acoount for his being exiled and falliag riotin to the proscriptione, and that Cicerone’s friendship with a number of L’ORTO is based on the faot that adherents of the philosophy possessed political feelings with which he sympathised. Both democracy and the non-tyrannical state find approval in the L’ORTO theory of the social contract, though the adherent of the philosophy is generally advised to renain outside politios. When ve consider M.’s resignation fron the office of 'praefectara urbis' on the grounds that the pover with which he vas invested was unconstitutional (incivilis; see Putnam, C.A.H) I suspect that republican scruples combine with his adherence to a philosophical mode of thought which preached political aloofness, affected hio decision. His is a detached involvement" comments Putnam on M.'s republican sympathies and resignation from office, and suggests political as vell as stylistic sympathy between M. and Tibullus. The philosophical overtones in Mbullus' work in uy opinion reflect this sympathy and remind us that both poet and patron have reservations about contributing wholeheartedly to the advancement of the new regime and its ideals. In the programme elegy it is a detachment from the sort of life which would contribute to the welfare and strength of the state which the poet manifests. Disambiguazione – Se stai cercando l'omonimo, si veda M. console. Console della Repubblica romana Scultura che probabilmente ornava la parte superiore di un piedistallo marmoreo contenente l'urna cineraria di M., rinvenuta nella villa di quest'ultimo ed ora conservata nel Museo del Prado. Figli Marco Valerio M. Messallino. Gens                                   Valeria Padre                                                Marco Valerio M. Corvino Consolato. Proconsolato                      in Gallia Comata. Militare e filosofo romano, patrono della letteratura e delle arti. Membro dell'antica gens Valeria, di ideali repubblicani, nella battaglia di Filippi combatté al fianco di Bruto e Cassio. Passa poi dalla parte di Antonio ed infine entra nelle file di Ottaviano. Trionfo di M. -- rappresentazione sul frontone del Palazzo Krasiński a Varsavia, opera di Schlüter Si trovava nell'Illyricum a combattere gl’Iapidi a fianco di Ottaviano come tribunus militum. Consul suffectus assieme ad Ottaviano, e prese parte alla Battaglia di Azio a fianco di quest'ultimo. In seguito ha il comando di una missione in Asia Minore. Combatté contro il popolo alpino dei Salassi, come proconsole della Gallia, dove soppresse anche una rivolta tra gl’Aquitani. Per queste imprese celebra un trionfo. Tacito riferisce che e nominato praefectus urbi, ma M. rinuncia alla carica dopo pochi giorni adducendo motivazioni legate alla sua incapacità di esercitare l'incarico. In quanto princeps senatus, autorevole esponente dell'aristocrazia romana, avanza la proposta dell'attribuzione a Ottaviano del titolo di pater patriae. M., letterato Alla partecipazione alla vita pubblica, accompagna l'interesse per la filosofia. Influenza considerabilmente la filosofia che incoraggia sull'esempio di Mecenate. Il gruppo che lo circonda e noto come il circolo di M.. Tra gli altri comprende Tibullo e Ligdamo. Amico di ORAZIO (si veda) ed OVIDIO (si veda). Elogiato da Tibullo per le sue vittorie in una elegia nel Corpus Tibullianum e in un poemetto -- il Panegirico di M. Suoi omonimi sono il padre, console, il figlio Valerio Messallino, e un discendente M., console come collega dell'imperatore Nerone. Una sua parente, forse una sorella, sarebbe la Valeria, sposa di Quinto Pedio, console  insieme ad Augusto, che aveva proposto la lex Pedia contro i Cesaricidi.  Syme Wilkes Velleio Patercolo, Tibullo, Tacito, Annales: quasi nescius exercendi. Svetonio, Augustus. Fonti antiche, Appiano di Alessandria, Historia Romana (Ῥωμαϊκά) Dione Cassio, Storia romana. (testo greco  e traduzione inglese). Svetonio, De vita Caesarum libri VIII. (testo latino  e traduzione italiana). Tacito, Annales. (testo latino , traduzione italiana e traduzione inglese). Tibullo, Corpus Tibullianum. Velleio Patercolo, Historiae Romanae ad M. Vinicium consulem libri duo. Fonti storiografiche moderne Cantarella, «M., Ovidio e il circolo dei poeti», Corriere della Sera, Syme, L'aristocrazia augustea, Milano, BUR, Wilkes, Dalmatia, in History of the provinces of the Roman Empire, Londra, Routledge Voci correlate Casal Rotondo. M. Corvino, Marco Valerio, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Olivetti e Lenchantin De Gubernatis -, M., in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, Marco Valerio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, M. Corvino, su sapere.it, De Agostini. Marcus Valerius M. Corvinus, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Marco Valerio Messalla Corvino, su PHI Latin Texts, Packard Humanities Institute. Opere di Marco Valerio M. Corvino, su Open Library, Internet Archive. Predecessore Consoli romani Successore Gneo Domizio Enobarbo, Gaio Sosio con Gaio Giulio Cesare Ottaviano III Gaio Giulio Cesare Ottaviano IV, Marco Licinio Crasso. Circolo di M. V D M Guerra civile romana VDM Conquista romana dell'Illirico. Portale Antica Roma   Portale Biografie   Portale Età augustea Categorie: Militari romani Scrittori romaniMilitari del I secolo a.C.Scrittori del I secolo a.C.Romani Consoli repubblicani romaniValeriiGovernatori romani della SiriaAuguriGovernatori romani della Gallia Mecenati romani[altre] Marco Valerio M. Corvino, console. Marco Valerio M. Corvino Console della Repubblica romana Nome originaleMarcus Valerius  Messalla Corvinus FigliMarco Valerio Messalla Corvino GensValeria Pretura Consolato Censura Marco Valerio M.  Corvino (in latino Marcus Valerius M. Corvinus o anche Marcus Valerius  M. Niger; ... filosofo romano. Pretore quando Cicerone e console e, console quando Publio Clodio viola i misteri della Bona Dea. Censore assieme a Vatia Isaurico, e sempre in carica, tentarono di regolare lo straripamento del Tevere. Non tennero il lustrum. Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Boston: Little, Brown and Company, Robert S. Broughton, The magistrates of the Roman Republic, II, New York, Predecessore Console romano Successore Decimo Giunio Silano e Lucio Licinio Murena con Marco Pupio Pisone Frugi Calpurniano Lucio Afranio e Quinto Cecilio Metello Celere Portale Antica Roma Portale Biografie Categorie: Politiciromani Consolirepubblicani romani Valerii [altre] Consul. Roman Senator who lived in the Roman Empire. He might have been the brother of empress Messalina.  A member of the Republican gens Valeria. The namesake of the Senator and Augustan literary patron. He may have been a son of the Senator and consul Marco Aurelio Cotta Massimo Messalino, who was a son of M. or possibly the son of the consul Marco Valerio Messalla Barbato, thus making him the brother of Valeria Messalina, the third wife of the emperor Claudio. A member of the Arval Brethren. Served as an ordinary consul with the emperor Nerone and then as a suffect consul with Gaio Fonteo Agrippa. Starting with his consulship, he is granted an annual half a million sesterces to maintain his senatorial qualifications. Biographischer Index der Antike, Lucan, Civil War  Paterculus, The Roman History, Lucan, Civil War  Shotter, Nero  Der Neue Pauly, Stuttgart, Tacitus, Annales, Tacitus, Annals of Imperial Rome D. Shotter, Nero, Routledge, Lucan, Civil War, Penguin, Velleius Paterculus, Yardley e Barrett, The Roman History, Hackett Publishing, Biographischer Index der Antike, Gruyter, Political offices Preceded by Nero II, and Lucius Caesius Martialis as Suffect consulsConsul of the Roman Empire with Nero III, followed by Gaius Fonteius Agrippa. Succeeded by Aulus Petronius Lurco, and Aulus Paconius Sabinus as Suffect consuls Categories: Valerii MessallaeAncient Roman patricians1st-century Roman consuls1st-century clergy Marcus Valerius Messalla Corvinus  Article Talk Read Edit View history. Not to be confused with Marcus Valerius M. Corvinus, consul. Marcus Valerius M. Corvinus. A  Roman general, author, and patron of literature and art. The triumph of Corvinus in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw  Print of the Roman General, made by Hendrick Goltzius. Corvinus was the son of a consul, Marcus Valerius M. Niger, and his wife, Palla. Some dispute his parentage and claim another descendant of Marcus Valerius Corvus to be his father. Valeria, one of his sisters, married Quintus Pedius, a maternal cousin to the Roman emperor Augustus. His great-grandnephew from this marriage is the deaf painter Quintus Pedius. Another sister, also named Valeria married Servius Sulpicius Rufus, a moneyer.  Corvinus marries twice. His first wife is Calpurnia, the daughter of Marco Calpurnio Bibulo. Corvino had two children with Calpurnia: a daughter, Valeria Messalina, who married Titus Statilius Taurus; and a son called Marcus Valerius M. Messallinus, consul. His second son was Marco Aurelio Cotta Massimo Messalino, consul, who is believed to have been born to a second unknown wife on the basis of the 22-year gap between the consulship of the elder son and the consulship of the second son. The writings of the poet OVIDIO (Ex Ponto) reveal that the second wife of Corvino is a woman called Aurelia Cotta. Another fact supporting the theory that Aurelia Cotta is the mother of Marcus Aurelius Cotta Massimo Messalino is that he was later adopted into the Aurelii Cottae. Corvino is educated partly at Athens, together with ORAZIO and CICERONE. He becomes attached to republican principles, which he never abandones, although he avoids offending GIULIO Cesare or OTTAVIANO by not mentioning them too openly.  He is proscribed, but manages to escape to the camp of BRUTO il giovane and CASSIO. After the Battle of Philippi, he goes over to MARC’ANTONIO, but subsequently transfers his support to OTTAVIANO. Corvino is appointed consul in place of MARC’ANTONIO and takes part in the Battle of Actium. He subsequently holds commands in the East and suppresses the revolt in Gallia Aquitania. For this latter feat, he celebrates a triumph. Corvino restores the road between Tusculum and Alba, and many handsome buildings are due to his initiative. He moves that the title of “pater patriae” be bestowed upon OTTAVIANO. Yet he also resigns from the post of prefect of the city after six days of holding this office because it conflicts with his ideas of constitutionalism. It may have been on this occasion that he utters the phrase (but in Latin) "I am ashamed of my power". His influence on literature, which he encouraged after the manner of Gaius Maecenas, is considerable, and the group of literary personalities whom he gathered around him — including Tibullus, Lygdamus and the poet Sulpicia — has been called "the M. circle". With ORAZIO and TIBULLO he is on intimate terms, and OVIDIO expresses his gratitude to him as the first to notice and encourage his work. The two panegyrics by unknown authors (one printed among the poems of Tibullus as iv. 1; the other included in the Catalepton, the collection of small poems attributed to VIRGILIO) indicate the esteem in which he was held. Corvino IS HIMSELF THE AUTHOR OF VARIOUS WORKS – ALL OF WHICH ARE LOST. They include memoirs of the civil wars after the death of GIULIO CESARE, used by Svetonio and Plutarco; bucolic poems in Greek; translations of Greek speeches; occasional satirical and erotic verses; and essays on the minutiæ of grammar. As an orator, he follows CICERONE instead of the Atticizing school, but his style is affected and artificial. Critics consider him superior to CICERONE, and Tiberio adopts him as a model. He writes a work on the great Roman families, wrongly identified with an extant poem De progenie Augusti Caesaris which bears the name of Corvino, but in fact is a much later production.  Places associated with Corvinus  The so-called Apotheosis of Claudius, the top part of an Augustan-era funerary monument that may once have contained Corvinus' funerary urn. Found in a country villa at Marino once owned by C. Valerius Paulinus, a descendant of Corvinus, it is now in the Museo del Prado in Madrid. Corvinus had a house on the Palatine Hill in Rome that used to belong to Mark Antony before Augustus presented it to Corvinus and Marcus Vipsanius Agrippa. An inscription (CIL = ILS) records Corvinus as the owner of the famed Gardens of Lucullus (Horti Luculliani) located on the Pincian Hill where the Villa Borghese gardens are today.  The Casale Rotondo, a cylindrical tomb near the sixth milestone on the Appian Way, is often identified as being the tomb of Corvinus, but this is debatable. Corvinus is also recorded in an inscription as being one of the three friends of Gaius Cestius responsible for erecting statues that once stood at the site of the famous Pyramid of Cestius which is located close to the Porta San Paolo in Rome.  In 2012, a luxurious villa of Corvinus was found on the via dei Laghi near Ciampino. The finds included seven colossal statues of Niobids that had toppled into the piscina apparently due to an earthquake. Another luxurious villa of Corvinus on the island of Elba was identified as his. It was burnt down. Since its original excavation it was believed to belong to his family since he was a patron of OVIDIO who wrote of his visit to Corvinus's son on Elba before his exile on the Black Sea. Recent excavations below the collapsed building reveal five dolia for wine which are stamped with the Latin inscription "Hermia Va(leri) (M)arci s(ervus)fecit, made by Hermias, slave of Marcus Valerius.  Legendary ancestor of Hungarian royalty  The triumph of Marcus Valerius Corvinus in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw The Wallachian-Hungarian family of Corvin, which came to prominence with Janos Hunyadi and his son, Matthias Corvinus Hunyadi, King of Hungary and Bohemia, claimed to be descended from Corvinus. This was based on the assertion that he became a big landowner on the Pannonian-Dacian frontiers, the future Hungary and part of Romania, that his descendants continued to live there for the following 1400 years, and that the Hunyadis were his ultimate descendants – for which there is scant if any historical evidence. The connection seems to have been made by Matthias' biographer, the Italian Antonio Bonfini, who was well-versed with the classical Latin authors.  Bonfini also provided the Hunyadis with the epithet Corvinus. This was supposedly due to a case in which the tribune, Marcus Valerius Corvus, while on the battlefield, accepted a challenge to single combat issued to the Romans by a barbarian warrior of great size and strength. Suddenly, a raven flew from a trunk, perched upon his helmet, and began to attack his foe's eyes with its beak so fiercely that the barbarian was blinded and the Roman beat him easily. In memory of this event, Valerius' agnomen Corvinus (from Corvus, "Raven") was interpreted as derived from this event. The Hunyadis called themselves "Corvinus" and had their coins minted displaying a "raven with a ring". This was later taken up in the coat of arms of Polish aristocratic families connected with the Hunyadis, and also led to Marcus Valerius Messalla Corvinus' triumph over the Aquitanians being commemorated in the pediment of the Krasiński Palace in Warsaw.  See also Korwin coat of arms Ślepowron coat of arms References  Jeffreys, Roland. "The date of M.'s death". The Classical Quarterly "Valerius Corvinus". lib.ugent.be.Syme, R., Augustan Aristocracy, Syme, Augustan Aristocracy, Skidmore, Practical Ethics for Roman Gentlemen: The Works of Valerius Maximus, p. Sullivan, Apocolocyntosis, Penguin, Anonymous Panegyric of M.: translation by Postgate. Schröder, Katalog der antiken Skulpturen des Museo del Prado in Madrid. Vol. 2: Idealplastik. Mainz: von Zabern, Cassius Dio The excavator Canina, deduced from a small piece of inscription with the name "Cotta" that the monument had been built by Marcus Aurelius Cotta Maximus Messalinus for his father, Marcus Valerius Messalla Corvinus, but this inscription and other architectural fragments are now assumed to have come from a smaller monument at the site, and they may have nothing to do with Corvinus, cf. Grifi, "Sopra la iscrizione antica dell auriga scirto", Diss. del. Acc. Rom., Rome Marcelli, "IV MIGLIO, 14. Casal Rotondo", in: Susanna Le Pera Buranelli & Rita Turchetti, edd., Sulla Via Appia da Roma a Brindisi: le fotografie di Thomas Ashby: Rome: L'Erma di Bretschneider, Papers of the British School at Rome Seven Statues Linked to Ovid Recovered from Roman Pool – Archaeology Magazine". archaeology.org. Retrieved 28 June 2023.  "Ben-Hur villa at risk of demolition in Rome". The Daily Telegraph. London.  Lorenzi, "Excavating an Ancient Villa: Photos". Seeker. This article incorporates text from a publication now in the public domain: Chisholm, Hugh, ed. M. Corvinus, Marcus Valerius". Encyclopædia Britannica. Cambridge Wiese, Berlin, Valeton, Groningen, Fontaine, Versailles, Schulz, De MV aetate; M. in Aquitania, Postgate in Classical Review, Sellar, Roman Poets of the Augustan Age. Horace and the Elegiac Poets, Oxford; the spurious poem ed. by R. Mecenatë. Syme, The Augustan Aristocracy, Clarendon, Political offices Preceded by Gnaeus Domitius Ahenobarbus Gaius Sosius Roman consul with Octavian III Succeeded by Marcus Titius (suffect) Biographie Other IdRef Categories: Roman governors of Syria Roman augurs Romans Ancient Roman generals Patrons of literature Ancient Roman patricians Urban prefects of Rome Valerii Messallae People of the War of Actium. Luigi Speranza, “Grice e Mesalla: L’Orto” – The Swimming-Pool Library. Marco Valerio Messalla Corvino.

 

Grice e Mesarco: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del figlio di Pitagora  – Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Crotone, Calabria The son of Pythagoras. He leads the sect after the death of Aristeo. Mesarco.

 

Grice e Mesibolo: la ragione conversazionale e la scuola di Reggio -- Roma – filosofia calabrese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. Reggio Calabria, Calabria. Pythagorean according to Giamblico. Mesibolo.

 

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