Grice
e Fabiani: l’astuzia della ragione conversazionale nell’Italia --filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice e Fabiani ,"> /^^'/^' garbarti College Hòxav^ OIKT OF THE
DANTE SOCIETY CAMBRIDGE.
MASS. H Ivo, l>i 0. 1
X:u l'io. IS~ IL PENSIERO
FILOSOFICO ITALIANO X)A X)ANT£ AI
TSMtPX NOSTKX / ■■ ■ RAVENNA ZIRARDINI ^v/'i^./iT : ' f ;
r'. DEC 4 Y ' .r ,
.\ \
«' . / oSeni^fto ^^Uolt Oliando in questo scorcio del secolo
nostra io trovo la mente acuta e
profonda dell' On, BoviOy gigante del moderno
pensiero filosofico italiano ali* Università di ^N^apoli, chiamare t dimostrare il nostro T)ante il primo dei
protestanti e V uU timo dei cattolici (
Vedi Bovio — Saggio Critico del Diritto
Penale, pag, i2j ); Quando trovo
un Ministro italiano della Pubblica h
stru^ione, V On. Voselli, che osa, con %,. Decreto // 7)e- cemhre iSSp, fondare un laboratorio di psicologia
sperimentale presso V Università di
Roma; Quando vedo il giovine imperatore
di Germania Gugliel- mo IL che annusando
la nuova aura e il nuovo sole d' Eu-
ropa e del mondo civile, mira arditamente a Prometeo in- — 4 —
colume e trovasi novello Fetonte^ nel voler destra e genero- samente prendere le redini del movimento
ascendente, per non esserne
travolto; Quando infine, e proprio di
questi giorni^ rilevo il primo filosofo
d' Inghilterra, il rappresentante attuale del
positivismo filosofico inglese, V illustre Herbert Spencer essere pervenuto^ nelle sue ultime pubblicazioni
sociologiche, alla conseguenza della
collettività della terra; Quando, dico,
in questo secolo che muore, questi quattro
fatti e criteri importantissimi nel mondo del moderno pen- siero filosofico io considero^ mi sento
incoraggiato a superare e rompere in
parte, con la presente pubblicazione ^ quel na-
turale riserbo e quella peritanza, che ^finora m' impose la coscienza della mia pochezza» Mi sia adunque concesso e perdonato l'osare
che ora faccio, pubblicando la
conferenza circa il pensiero ftlosofteo
italiano da Dante fino ai tempi nostri, che io avea già apparecchiato, sebbene non potesse poi aver
più luogo, in occasione delle feste
dantesche del passato Maggio qui in Ravenna.
Questa mia pubblicazione poi intendo di fare a favore del primo fondo per il testé costituito
Patronato di soc- corso in vesti e
calzature, per gli scolari poveri delle
scuole elementari di questo Comune, specie dei sobborghi, aven- do potuto nel passato anno scolastico toccare
con mano V impellente hiso ^^^1^f Hi^ll'
A r - fi tl^r"ìn-d^i , ^0 i fnm i^ rt d tv La filosofia patristica invece, o dei Padri
della Chiesa, erasi sviluppata m Oriente
da due centri rivali, Alessandria ed
Antiochia. La patristica,
incominciata col Cristianesimo, fissò la
parte dogmatica della cristiana religione , e giunge fino a S. Agostino , morto il 450 dell' era
volgare. Di S. Agostino è celebre il
modo strano d'accordare assieme nell'
uomo il libero arbitrio e la predestinazione ,
mercè la grazia divina. — 12
— Ma qui m'accorgo che a meglio
dilucidare il nostro punto di partenza
convien pure rif^irci un pochino addie-
tro, per intuire almeno d'un tratto il lungo cammino per- corso dalla filosofia prima di Dante. Tutta la filosofia anteriore al mondo
cristiano si può dividere in quattro
grandi epoche, i. La filosofia orientale
che ebbe sua culla tra i primi popoli civili, che la storia ricordi, quali i Fenici, gli Assiri, i Medi e
gli Egiziani: Feticismo in religione. 2.
La filosofia italo-greca incomin- ciata
con Pitagora a Cotrone nella Magna Grecia od Italia meridionale: Sabeismo e metempsicosi in
religione. 3. La fi- losofia greca che
conta tre immensi giganti del pensiero ,
luminari di tutte le nazioni e di tutti i tempi, e questi sono Socrate, Platone ed Aristotele, i quali senza
dubbio si pos- sono considerare siccome
primi e più remoti fondatori del* la
civiltà cristiana stessa: Politeismo ed antropomorfismo in religione. 4. La filosofia romana; ma in
quest' epoca non abbiamo veramente
alcuna nuova scuola filosofica di-
v/ersa dalU greca. La filosofia romana non è perciò ori- ginale, ma pratica, politica, eclettica e
giuridica sopra tutto. Segui in parte la
scuola epicurea, ma più e meglio la
scuola stoica di Zenone che poneva il fine (iell'uomo nell'onestà e nella virtù; di qui la
meravigliosa sapienza della romana
giurisprudenza, nobile vanto del mondo ro-
mano. A capo della filosofia romana è posto Cicerone, celebre oratore e filosofo eclettico per
eccellenza: Pantei- smo e scetticismo in
religione. Parimente quattro sono le
principali epoche 4clla fi- losofia
dell' èra cristiana, i. La filosofia patrìstica seguace in buona parte della filosofia di Platone o
della A^cade- (pia, per quanto poteva
condursi al dogma crispano. I p^t -
ij - dri fissarono dapprima il gran
caposaldo della cristiana re- ligione
col dogma della creazione divina fino dal 325 del- l' èra volgare, nel celebre concilio
ecumenico di Nicea, indetto dall'
imperatore Costantino. In quel concilio ed in
altri parecchi stabilirono successivamente i padri della Chie- sa le basi dogmatiche della cristiana
dottrina: Monoteismo cristiano in
religione. 2. La filosofia scolastica o dei Dottori di scuola, seguaci specialmente d'Aristotele
o del Peripato, principe dei quali S.
Tommaso d* Aquino, che mitigò la teoria
della grazia di S. Agostino, onde V apotegma teolo- gico: Àngustiìius egei Thoma interprete. Ma
in questo lungo periodo, che giunge fino
alla Riforma, la filosofia già cir-
coscritta dalla dottrina dogmatica della patristica, è ormai ancella della teologia; laonde il pensiero
filosofico è chiuso in un ristretto
campo trincerato da anatemi. 3. La filosofia
della Riforma religiosa in Germania e del cosi detto Ri- sorgimento in Italia. É questo periodo il più
fecondo di splen- didi ingegni e di
illustri filosofi e pensatori in Italia e
nelle nazioni civili d' Europa. Il pensiero filosofico emanci- pato dà per reazione la scalata al cielo e
giunge trionfante per evoluzione e per
irruzione fino a nostri tempi, sfondan-
do le dogmatiche barriere di Bisanzio. 4. La filosofia del Rinnovamento sarebbe quella della 4. epoca
dell' era cri- stiana, e sarebbe quella
appunto de nostri giorni, divisa in due
campi opposti; cioè dell* affermazione in un nuovo mondo soprannaturale o nel già posto da una
parte, e della negazione più o meno
esplicita dall'altra. Quest' ultima nel
cammino dell' umanità caratterizza sempre
un periodo di transizione a nuove riforme o co-
struzioni. Delineate cosi brevemente le grandi tappe della filosofia pagana e della filosofia cristiana
patristica, noi e i vedremo ora meglio rischiarato il cammino passando
dalla filosofia scolastica a quella
della Riforma e del Risorgi- mento e
quindi alla filosofia odierna del Rinnovamento. II.
Nella esplicazione della vita dei popoli accade quel- lo stesso che noi osserviamo nella vita
dell'uomo in- dividuo. Le potenze dell'
animo una volta educate un po' a lungo,
pare si sveglino, chiaro appare ciò che innanzi
era oscuro, si ordina nel pensiero quanto si ha imparato, si ripensano le cose apprese, se ne parla, se
ne ragiona e si passa quindi all'azione
con tenace operosità. Cosi avviene nei
popoli quando la civiltà loro e la precedente
educazione sieno giunte a poco a poco alla portata dei più : questi provano insieme la stessa
necessità di pensiero e la
corrispondente esplicazione, ed il moto si propaga irresistibilmente nelle moltitudini. Tale
vigore si palesò appunto nel popolo
italiano, uscito già dalle tenebre del
medio evo e dal paventato finimondo, nel secolo dodice- simo e giunse al colmo nel secolo decimo
terzo in ogni maniera del vivere civile,
nella letteratura e nelle arti, mentre
fioriva la filosofia scolastica. Col secolo decimo terzo noi siamo all'apice della nostra rinascenza
ed alle porte dell' umanesimo; onde più
tardi l' Europa da noi ridesta trarrà
lume ed energia a risveglio ancor maggiore con la Riforma religiosa e politica. Dante è il
principe di questa nostra rinascenza. La
sua filosofia è quella di S. Tom- maso
il Dottore Angelico, autore delle due Somme, una contro i Gentili e l' altra detta Teologica,
sebbene non ultimata. In queste due
Somme si adunano ed ordinano le dottrine
precedenti dei Padri e Dottori, quali specialmente Sant' Agostino,
Sant'Anselmo, Pier Lombardo, Al- berto
Magno, San Bonaventura e gli altri, con la scorta di Aristotele. Tutte le opere di Dante, quale
sommo lette- rato, teologo e filosofo,
hanno non piccola importanza nel- la
storia della filosofia, procedendo gradatamente dalla Vita nuova, dalle poche Lettere .scoperte e
pubblicate dal prof. Carlo Witte in
Germania verso il primo quarto di questo
secolo, dalla Monarchia^ dall' Eloquio volgare e dal Convito fino alla Divina Commedia. La filosofia di S. Tommaso e di Dante si può
distin- guere, come nei precedenti
filosofi Socratici, e come in Cicerone
ed in Sant'Agostino, in due parti distinte; Tuna che sale agli universali, V altra che scende
alle conseguen- ze. Però mentre la prima
parte muove dall'esame de' fatti
interiori , Dante in essa non esclude talora il dubbio al- meno inquisitivo, quale mezzo di ricerca del
vero. Cosi nella 3. cantica al canto 4.
del Paradiso, dove egli si fa guidare da
Beatrice , che rappresenta la filosofia
cristiana, e dove con mano maestra tratta profonde tosi teologiche e filosofiche, egli dice a
proposito del nostro naturale desiderio di
sapere: ^Hjdsce a ^uisa di
rampollo tAppiè del vero il dubbio; ed
è natura , Che al sommo pinge noi di
collo in collo. Quivi Dante , per
quanto serrato nella filosofia scola-
stica mancipia della teologia, parrebbe furiere del dubbio sistematico inquisitivo del Cartesio. Ma per me dove giunge al colmo la valentia
filosofi- ca ed insieme teologica di
Dante i al canto 17. del Para- diso,
dove egli tocca e circoscrive la sempre scottante questione speculativa e trascendentale dell'
umana libertà e responsabilità conciliata con la predestinazione, nella prescienza ed onniveggenza divina, mercè le
due semplici quanto stupende terzine,
che vi riassumono S. Agostino e S.
Tommaso: La contiti gen^ia, che fuor
del quaderno Della vostra materia non si
stende. Tutta è dipinta nel cospetto
eterno. Necessità pero quindi non
prende. Se non come dal viso in che si
specchia Nave che per corrente giù discende. La fede, la religione è per Dante, come per
tutti gli uomini di genio e veramente
grandi, una esigenza della stessa
ragione; e questo in lui appare luminosamente al canto 3. del Purgatonio, là dove dice: Matto è chi spera che nostra ragione Tossa trascorrer la infinita via Che tiene una sustan^^a in tre persone. State contenti, umana gente^ al quia; Che se potuto aveste veder tutto, ihCestier non era portorir Diaria. Cosi egli ragiona del dogma della Trinità
introdotto nella nostra religione
durante T impero di Teodosio i. sul
cadere del secolo 4. La qual Trinità del resto, come è noto, è una imitazione, un plagio religioso
tolto dalle pre- cedenti religioni
orientali, e più specialmente dalla Tri-
murti di Bralima, Visnù e Siva nelle Indie Orientali. IIL
Avendo fin qui accennato della filosofia teoreticamen- te scolastica di Dante, consideriamone ora
alcun poco la filosofia pratica e
politica. Intendimento primario e scopo finale della Divins Com- media è certamente la Rigenerazione morale,
mediante una grande riforma politica,
per la quale nella mente ^1 poeta dovea
farsi luogo ad una monarchia nniversale con
un solo Dio, un solo papa preposto al semplice governo spirituale ed un solo imperatore pel governo
civile e po- litico. Per lui il
Guelfismo è disordine necessario, solo Tim-
pero conduce il mondo a virtù , come apparisce datla stessa sua Monarchia e dal Convito. Nobile utopia d'
universa- lismo questa di Dante, come
ben disse l* On. Bovio, la quale però
non cessa di far capolino nella storia. Perciò
quanto Dante è filosofo scolastico, reverente e devoto al papa, come vicario di Cristo e capo della
Chiesa univer- sale, altrettanto è allo
stesso avverso, come principe tem-
porale. E poiché uscendo dalle tenebre del medio evo, la Chiesa romana avea trovato forse comodo per
il proprio diritto acquisito, di ripetere
da Costantino stesso, già sa«- tificato
presso la Chiesa Ortodossa d'Oriente, la donarzione del dominio temporale; il nostro Dante
accetta la tradi- zione popolare del suo
tempo, senza beneficio d'inventario
storico , e riprende sdegnosamente queir imperatore nel canto 19. dell' Inferno dicendo: Ahi , Cotitantitty di quanto mal fu
matre, ^on la tua conversion, ma quella
date Che da te prese il primo ricco
patre, cioè il papa Silvestro. Ma qui, come ben avvertì T illustre Bovio,
la tradi- zione popolare, allora forse
messa innanzi a meglio rasso- dare il dominio
ten>porale della Chiesa, fa a pugni affatto
con la storia, che più tardi giunse a galla. Ed in vero è risaputo da tutti che solo nel secolo ottavo
comfinciarono in Roma i pontefici ad emanciparsi dalla soggezione verso gli Imperatori di Costantinopoli» in seguito
al dissidio in- sorto fra r imperatore
Leone Isaurico, detto l'Iconoclasta, e
papa Gregorio II , per il culto delle imagini. È risaputo che fino allora, come qui rammentò 1* esimio
prof. Rava, gli stessi esarchi di
Ravenna , d' ordine dell' Imperatore
d'oriente, poteano opporre il veto all' elezione del pontefice, che si faceva in Roma dal clero e dal popolo.
È parimente risaputo che, mentre i Longobardi
divenuti cattolici ed italianizzati
stavano per unire in un sol regno potente
tutta r Italia, i Carolingi, cioè Carlo Martello, Pipino e Carlo Magno, invocati dai pontefici contro i
Longobardi stessi costituirono in Italia
solo sul cadere dell' 8. secolo e sul
pricinpio del 9. il dominio temporale dei papi. Ed è appunto contro questo cosi detto Patrimonio
di S. Pietro e contro gli scandali ed i
vizii della curia papale, che tanto
tuonò Dante qua e là nella sua Divina Commedia,
servendosi pur talvolta di simjjoli e figure allegoriche con evidente allusione. E fu per questo che, come
opportuna- mente rammentò V illustre
rappresentante di questo Mu- nicipio
Avv. Conte Tulio Corradini nella nobile presenta- zione al pubblico ravennate dell' On. Bovio,
il cardinale Poggetto, per ordine del
papa, ne ricercava qui le ossa per
maledirle e disperderle. Ma questa postuma e frivola vendetta, contro il noto aforisma della
romana giurispru- denza ptirce sepulto,
non potea avere in sé alcuna buona ragione
giustificativa, né anche in tempi posteriori.
In fatti, non il solo Dante ripeteva la massima parte dei vizii e dei mali d' Italia e della Chiesa
dalla corruttela della curia romana e
della corte ponteficia; ma uomini
santissimi altresì prima di lui e con lui insorsero contro la vita
irreligiosa ed il mal costume dei maggiori prelati e del clero di quei tempi. E primo tra questi
va citato il ravennate S. Pier Damiano,
egregio filosofo dello studio di Ravenna
e poi vescovo di Ostia, meritamente a voi rammen- tato dal suUodato Prof. Rava e daUProf.
Regoli; quindi un S. Bernardo di Chiaravalle,
una Santa Caterina da Siena, lo stesso
Petrarca ed altri parecchi; dagli scritti dei quali chiaro apparisce come non sia il caso di
meraviglia alcuna per tanto meno che di
quella potestà ecclesiastica ne disse il
nostro poeta, considerandola nel riguardo civile e politico. La pazza misura del cardinal Poggetto, non
avea quindi om- bra di giustificazione
contro i resti mortali di Dante. Ed io
penso ancora, per gli effetti moraH e psicologici in me provati dallo studio e dalla lettura
della Divina Commedia fino da studente ,
che V incremento dato in tutta Italia,
in questa seconda metà del secolo nostro, allo
studio accurato di questo insigne monumento della nostra letteratura, abbia potentemente contribuito
alla emancipa- zione degli spiriti) e
quindi alla stessa unificazione della
patria nostra. In fatti, con un
crescendo di immagini odiose e dì
vibrate riprovazioni il poeta giunge al colmo alla fine del canto 32. del* Purgatorio, designando la
romana curia ed il papa, quale principe
temporale, con termini cosi obbro-
briosi e di tanto vitupero , che io ben mi riguardo dal ri- petere quivi. Lo stesso Lutero, io credo, a cui nella
rinascenza Dante preluse, non giunse a
tal segno di esecrazione per il papa e
per la curia romana. Ed ecco perchè io
penso ed aflfermo che quel maggiore
culto per la Divina Commedia pia estesamente ci additò la '^ — lo
vera sede cancrenosa, la vera fonte dei mali d' Italia ripe- tutamente confermata dalla storia fiiió a
nostri tempi, fino al 1848-49; e ci
ridestò meglio lo spirito di nazionalità ed
il desiderio di vedere V Italia nostra ancora una volta co- munque unita e padrona di sé. Perciocché come noi vedemmo lo stesso
Machiavelli approvare ed encomiare più
tardi il famigerato Valentino Borgia,
perché in lui potea ripromettersene V unificatóre d* Italia ; Dante pure alla sua volta , pur
di vedere la pa- tria politicamente
riunita , non esitava d' invocare all' Italia
per fino un principe straniero , V imperatore Arrigo 7. di Lussemburgo. E quell'imperatore accattò
l'invito dei ghi- billini e di Dante, ma
mori il 13/3 in Toscana a BuoncoU'
vento, avvelenato, dicesi, d'un' ostia sacrata. Cosi sebbene Dante e poi Machiavelli fossero cresciuti in
libero reggi- mento democratico, non
dubitavano di accettare e di prefe- rire
quel principato qualunque che avesse lor dato speran- za di voler raccogliere in un sol corpo le
sparse membra d' Italia. Ed un tale
ammaestramento della nostra storia non
dovea andar più a lungo perduto. Noi abbiamo ve- duto a' nostri giorni Mazzini e Garibaldi,
innanzi al più alto iaeàle della patria
da costituirsi ad unità, sacrificare in
silenzio od apertamente, almeno prò tempore^ al loro no- bile ideale repubblicano, di cui erano pur
stati 1' uno la mente direttrice e 1'
altro il braccio possente. Dante dunque
non é solo altamente benemerito della
patria, quale principe dell'italica letteratura, ma lo é al- tresì è davvantàggio per averci appresa e
divinata la sor- gente perenne de'
nostri danni politici , e per averci inse-
gnato à voler l' Italia tutta unità in un sol corpo ad ogni costò, additandocene h via col solo additarci
il maggiore ai. E poiché dalla nostra
rinascenza e quindi da Dante che solo
basta a rappresentamela , quasi tutta V Europa fu desta più tardi a vita libera e civile , ben
sorga qui a Ra- venna, che ne custodisce
le sacre ossa , un degno mau- soleo e
nazionale ed internazionale, un tempio sacro per noi Italiani, che rapresenti come ben disse
il mio collega ed amico Prof. Regoli a
nome del Comitato, il simbolo della
conseguita nostra unità ed indipendenza.
Ed ora per esser breve, o gentili uditori, noi faremo come vi ho promesso una corsa vertiginosa
fino a' tempi nostri, inseguendo per le
sole maggiori vette il pensiero
filosofico italiano. IV. Non molto dopo la morte di Dante Alighieri
(1321) la fisolofia scolastica cominciò
a dissolversi con Guglielmo Occam
d'Inghilterra, con Michele di Cesena, con Buona
Grazia di Bergamo e con Marsilio di Padova. La rinascen- za avea avvivato un movimento intellettuale
che più o meno apertamente rifmtava a
poco a poco ogni appog- gio e difesa al
dogma. Si cominciò a sostenere che il con-
tenuto della fede non era razionale, ed in appresso si cominciò a distinguere la verità di fede
dalla verità di ragione. Per ultimo
sofisticando si asseriva che in buona
fede ed in buona coscienza si poteva benissimo con la ragione intendere in un modo, e con la fede
credere in un altro. Con questo movimento del pensiero filosofico
noi giungiamo fino all' epoca della
Riforma o della Prote- sta in Germania
nel secolo XVI. contemporanea al nostro
Risorgimento letterario e scientifico , tra la fine della sco- lastica e r inizio del moderno pensiero
filosofico. Essen io stato fino allora
doppio il giogo delle menti, il dogma e
la scuola, contro quello insorge la Germania,
contro questa V Italia; coli protestando contro Roma pa- pale , qua rinnovando ed instaurando gli
studi classici ed umani. Aristotele il
gran campione del Cristianesimo con la
scolastica, fu tosto proscritto di qua e di là dall' Alpe. Però gli umanisti d* Italia, mentre si
scagliavano pure contro le istituzioni
della Chiesa non meno che contro la
barbarie della scuola, non intaccarono il dogma. L' Italia contentavasi di rinnovare la scienza, auspici
gli stessi pon- tefici i quali ne
reggevano il movimento destramente, da Nicolò
V. (1450 circa) a Leone X. ^^521) che, non ostante il distacco per lui avvenuto della Germanta
dalla Chiesa romana, diede il suo nome
al secolo per la magnificen- za e per lo
splendore del suo pontificato , sebbene cosi
rovinoso alla Chiesa cattolica. Ma se l'Italia rinnovava la scienza, la Germania rinnovava la
coscienza, protestan- do appunto contro
le indulgenze messe a mercimonio, contro
la giustificazione per mezzo delle opere, contro la costituzione gerarchia della Chiesa ed
altro. La filosofia che con la
patristica e la scolastica era passata
dal naturalismo alla teologia, ora incomincia per r Eurcpa occidentale un processo inverso;
dalla teolagia ritorna al
naturalismo. Le verità di fede e di
ragione non più si conciliano negli
intelletti colti, ma si escludono. Non è più permes- so in buona fede con la mente intendere in
modo e con la religione credere in
altro. In questo stato del pensiero
filosofico scoppia in Italia una fiera
controversia sulla natura dell'anima umana,
specialmente nelle università di Padova e di Balogna. Si - a3 -
impugna da una parte e si difende dall'altra la stessa im- mortalità deir anima . Chi formulò e mise in chiaro la presente
situazione fu il mantovano Pietro
Pomponazzi o Pomponaccio, nato il 1462 e
morto 1524, con una pleiade di seguaci ed opposi- tori. Il Pomponaccio avea menato gran rumore
col libro de immortalitate
anitnae. Il primo periodo del nostro
Risorgimento avea mirato a
scristianeggiare Platone ed Aristotele; il secondo incomin- cia con Bernardino Telesio di Cosenza a
ricostruire, filoso- fando non più
secondo principii teologici né aristorelici, ma
secondo principii propri, accedendo al naturalismo. A questo secondo periodo appartengono Francesco
Patrizzi, Pietro Ramo, Giordano Bruno e
Tommaso Campanella. Di questi due
ultimi almeno, ecco un breve cenno.
Giordano Bruno nacque a Nola il 1548. Questo sven- turato ingegno, come ormai tutti sanno, fu
bruciato vivo a Roma il 17 febbraic 1600
per aver osato filosofare fran-
camente. Tolse da Copernico il
sistema eliocentrico pel quale Galileo
Galilei più tardi fu pure ammonito, processato, con- dannato dal Santo Ufficio di Roma, relegato
ad Arcetri, e dicesi fin anco torturato.
Ammise inoltre il Nolano nella
astronomia una innumerevole moltitudine di sistemi plane- tari simili al nostro. Il perno della sua dottrina filosofica è
l'infinità della natura contro la teoria
aristotelica e teologica. Nella spiega-
zione delle comete provò come nel cielo pure sempre qual- che cosa di nuovo si generi, in
contraddizione alla dottrina d*
Aristotele sulla incorruttibilità dei cieli. Ammise inoltre nel sole dei movimenti di rotazione e di
rivoluzione, benché poco sensìbili; di che il padre Denza, direttore
dell'Osser- vatorio romano e successore
del celebre astronomo^ il gesui- ta
padre Secchi, in un manuale intitolato Le *Artnonie dei Cieliy gli fa merito insigne insieme a
Copernico. E questo fo ed è ancora di
grande sorpresa per me, come certo lo
sarà anche per voi, o benigni uditori, considerando da una parte la più fervente devozione cattolica del
padre Denza, come apparisce
luminosamente dalla stessa lettura di quel
libro, e dall' altra la generale alzata di scudi e le tante pastorali al clero italiano per esecrare
dagli altari sotto ogni aspetto, il nome
del Nolano. Ma il padre Denza forse non
avea preveduto, nel pubblicare quel libro, né l'apoteo- si dei monumento in Campo di Fiore, né il
conseguente putiferio della diffamazione. Molto sarebbe ancora a dire delle altre
filosofiche spe- culazioni del Bruno, ma
la via lunga incalza. Passiamo al
Campanella. Tommaso Campanella,
nato a Stilo in Calabria il 1568 e
morto il 1639 a Parigi, fu pure avversario di Aristotele e seguace del naturalismo di Telesio. Al pari
del Bruno appartenne all'Ordine
domenicano; ma fattosi promotore di una
cospirazione contro il pessimo Governo spagnuolo, fu incarcerato per ben 27 anni, cioè dal 1599
al 1626. Col Bruno e col Campanella si chiude il nostro Risor- gimento, e si chiude con lo scetticismo e
razionalismo di Lucilio Vanini, altro
filosofo italiano, bruciato vivo a To-
losa di Francia, sotto Taccusa d'ateismo, il 1629. In Ger- mania invece, ove ernsi iniziato il libero
esame con la nuova Riforma, si diffuse
ben presto il misticismo, del qua- le
non sono in vero ammiratore. Ma questo fatto a me prova della bontà dell'Evangelio e della
Cristiana Rteligione, una volta spoglia e sciolta della infarcita suppel- lettile cottolica nella parte dogmatica. Noi
pure fummo testimoni di due nuovi dogmi
proclamati durante il pon- teficato
dello stesso Pio IX. La filosofia moderna dell'Europa, continuazione dell'epoca
che dicemmo della Riforma, incomincia con Bacone o con Cartesio. Entrambi
criticano il passato ponendo nel dubbio
il loro criterio di ricerca filosofica;
ma Bacone dubita per giungere al vero ed alla
scienza mediante l* esperienza, Cartesio dubita per raggiun- gere uguale scopo mediante il puro pensiero.
Bacone fonda il Realismo che continua
poi in Inghilterra ed in Francia;
Cartesio fonda l' Idealismo che si trapianta in Olanda ed in Germania. Il Realismo segue la via
dell'induzione, l'Idea- lismo quella della
deduzione. Cosi restano segnati i due
sistemi e i due metodi che si
incontreranno più tardi nella Critica della ragione pura di Emanuele Kant. Ciò premesso riguardo al movimento generale
della filosofia moderna europea, noi
seguiamo ora il pensiero italiano in VICO
(si veda). Nato a Napoli, VICO (si veda) nella storia della filosofia merita un
posto distinto specialmente per la sua opera d'incontestato valore intitolata: I
principii di Scienza Nuova. Egli critica il
cogito cartesiano, perchè, dice, nelle ricerche non si muove dal vero ma dal CERTO. Il vero è conseguito
solo all'ultimo quale risultato finale del processo logico di ricerca. Il CERTO poi non si ottiene nella coscienza
singola, ma nel senso comune. Per VICO (si veda) il fare 6 condizione
indispensabile del sapere, e la sua
Scienza Nuova è una storia delle umane
idee. L'ordine delle idee procede secondo l'ordine delle cose, e r ordine delle cose umane ebbe per lui il
seguente processo: Prima le selve, dopo i tuguri, quindi i villaggi, appresso le città e finalmente le accademie. Cosi
VICO (si veda) e lo stesso nostro GALILEI (si veda) di PISA, celebre fisico,
astronomo, letterato e filosofo, onore
d'Italia e del mondo — di cui ho già fatto
cenno altrove a proposito dell' impostagli abiura, sulla scoperta scientifica del sistema eliocentrico
— integrano e compiono il metodo
induttivo di Francesco Bacone. Ed ora,
o Signori, fino al più grande filosofo moder-
no di Germania Emanuele Kant, nato a Kònisberg il 1724 e morto il 1804, vi sarebbe da enumerare
e consi- derare una lunga serie di
sistemi filosofici sorti in Iq-
ghilterra, in Francia ed in Germania, ma per essere brevi noi li sorvoleremo. Solo su Kant credo
necessario soffer- marci alquanto,
essendo esso meritamente considerato
nella filosofia, quale il moderno Aristotele. Egli è V autore, tra molti altri lavori filosofici, della cosi
detta Critica della ragione pura. Con quest' opera egli ammette la conoscenza
mate- matica mercè le intuizioni pure, e
la conoscenza fisica mercè i concetti
puri, e questo è 1' ufficio positivo della
sua critica; ma chiarisce V impossibilità della conoscenza metafisica, cioè di oggetti che trascendono
il tempo e lo spazio e sono fuori dell'
esperienza, e questo ne è 1' ufficiò negativo. Il suo processo logico è
veramente rigoroso e senza grinze; ma V
ufficio negativo suddetto fa tabula rasa
del mondo psicologico e morale; la metafisica cade interamente demolita, V uomo è ridotto nella
più semplice espressione di misero
mortale, terrestre il suo destino . Di
fronte alla sua critica della ragione pura, Kant, che si era proposto il semplice problema della
conoscenza, avea poscia veduto
sfasciarsi ogni umana trascendenza d'oltre tomba; onde avvisò tosto al bisogno di riparo, e die
mano a rico- struire il demolito,
mediante una seconda critica, la Critica
della ragione pratica, in cui si propose il problema della mo- ralità. In questa il suo celebre imperativo
categorico della legge morale, sciolta
per lui d' ogni egoismo, è il seguen-
te: Opera in modo che la massima della tua volontà pos- sa valere come principio d'una legislazione
universale. Cosi nella prima Critica
Kant, che si era proposto il pro- blema
della conoscenza, raggiunge un ideale teoretico; e nella seconda, in cui si era proposto il
problema della mo- ralità, raggiunge un'
esigenza, un postulato pratico della
slessa ragione pura; né logicamente parlando, può essere tacciato d' Incoerenza nelle due
Critiche. Ma, come ognun vede,
l'edificio della ragione pratica pur
troppo mal si regge sui ruderi arenosi lasciatile a fondamento dal tremendo conquasso della
Critica della ragione pura. Questo
filosofare, a mio debole giudizio, fa
degno riscontro alla dissoluzione della Scolastica, quando in essa era permesso pensare ed intendere in
un modo, e credere e governarsi in un
altro, per salvare capra e cavoli; cioè per salvare allora la ragione e la
fede, ed ora per salvare l' esigenza
dell' intelletto ed insieme V esigen- za
dell'animo e del sentimento, a tutela della compagine— as- sociale. Molto sarebbe a dire di Fichte,
Schelling, Hegel, Herbart, Schopenhauer
e d' altri seguaci ed oppositori di Kant
in Germania, ma il tema noi comporta. Però trovo necessario di dare un più
breve cenno an- che di Augusto Comte,
altro celebre capo-scuola della moderna
filosofia positiva francese; non che di Spencer, capo-scuola ancor più celebre
del moderno posi- tivismo inglese; e
quindi passeremo senza più ai nostri
ultimi filosofi italiani, per summa capita. La filosofia positava di Augusto Comte trae
lasuadop- pia origine e dalla scuola
fisiologica del Broussais e dalla
socialistica del Saint-Simon , di cui fu prima collaboratore. Nacque il Comte a Montpellier il 1798 e mori
il 1857. Staccossi dalle dottrine
sansimoniane, con la mira di promuovere
una riforma sociale. Il suo positivismo si fon- da sulla famosa legge de' tre stati dell'
uomo, cioè dello stato teologico,
metafisico e positivo^ seguendo il cammi-
no deir umanità dalle selve alle accademie. Prima in fatti di conoscere il legame degli
effetti fisici tra loro, niente vi ebbe
di più naturale ne' tempi eroici , che
di supporli prodotti da esseri intelligenti ,
simili a noi. Tutto ciò che succedeva di. arcano tra gli uomini, senza che essi vi avessero parte,
ebbe il suo Dio. Questo lo stato
teologico. Passiamo ora al secondo , allo
stato metafisico. Quan- doi filosofi
riconobbero V assurdità di queste favole mitolo* giche, non avendo tuttavia acquistato veri
lumi sulla sto- ria naturale,
immaginarono di spiegare le cause dei feno-
meni per via di espressioni astratte, comt essenze e facoltà;
espressioni che intanto rton ispiegavano, nulla e di cui si ragionava come se fossero state degli
esseri, delle nuo- ve divinità
sostituite alle antiche — tali i dogmi.
Ed ora passiamo al terzo, allo stato positivo. L'uomo per ultimo, osservando V azione meccanica che
i corpi hanno gli uni sugli altri, ne
ricavò ben altre ipotesi, che le matematiche assodano per realtà , e V
esperienza verifica via via — tale V
umanesimo. Questa legge dei tre stati,
è certo molto specios.a ed attraente.
Bovio la riassume ancor più conciso: Gli Del,
r uomo-Dio , r uomo . Il Comte ne sviluppa V ultimo sta- to, il positivo, 1' uomo. Va da sé che egli detesta la teologia e la
metefisica per le quali l'uomo è già
passato e passa nei primi due stati.
Bisogna ora giungere alla cognizione positiva con le scienze positive appunto, quali la
Matematica, l'Astronomia, ìa Fisica, la
Chimica, la Biologia e la Sociologia, divisa
in Statica e Dinanlica; di cui la' prima tratta dell' ordine sociale, dello Stato; l'altra del
progresso. Ed ora diamo uno sguardo al
positivismo inglese. Il più grande
rappresentante della filosofia contemporanea in- glese è certamente Herbert Spencer. Però va
notato che il positivismo inglese è
alquanto diverso dal francese. Il
positivismo francese non si propone punto un pro- blema filosofico^ l'inglese si. Il primo
esamina il legame delle scienze positive
sopra accenr.atc, passando dalle più
generali alle più particolari, rispetto al loro oggetto di studiò, per giungere fino all' oggetto-uomo;
il secondo, l'inglese, esamina nelle
scienze stesse l'origine ed il va- lore
della loro conoscenza, e questa trattazione soltanto è d'indole veramente filosofica. Inoltre Spencer
non accetta la legge de* tre stati
surriferita, né la gerarchia delle scienze, perchè egli non ammette figliazione tra scienza e scienza ,
ma solo una scambievole influenza.
Contro il positivismo del Comte egli
ammette ancora V analisi psicologica ed una causa prima quale fondamento di ogni religione . Inoltre
vuole V attivi- tà individuale sciolta
il più possibile dalla subordinazione
assorbente nella vita sociale, sciolta dal collettivismo e dal- le pastoie dello Stato, in cui il Comte pone
invece la per- fezione del Governo. Nella dottrina dello Spencer distinguonsi
poi tre ma- niere di sapere: il saper
non unificato, formato dalla più
semplice conoscenza; il saper parzialmente tfliificato, for- mato dalla scienza; ed il sapere
completamente unificato formato dalla
filosofia. Però egli njctte iu dubbio che pos-
sa conseguirsi la perfetta unificazione del sapere: rimarrà sempre, ci dice, qualche cosa di
assolutamente inconoscibile , dove si
spazierà il sentimento religioso. n perno
poi in cui tutta s' aggira la filosofia dello
Spencer è Tevolazione; che anzi tutto l'universo in lui evolve, ed ammette nella natura una triplice
evoluzione; organica, supero:ganica ed
inorganica. Delle prime due estesamente
egli tratta nella sua Biologia , Psicologia, So- ciologia e Morale; ed ha solo accennato
all'evoluzione i- norganica nella
Astronomia, nella Cosmologia e nella Geo-
logia. Nella teorica dell' evoluzione ha quindi molti punti di contatto col non meno celebre scienziato
naturalista il suo connazionale Carlo
Darwin, circa specialmente le esigenze
della natura organica e superorganica nella sele zione, mentre afferma n a poter l'uomo, per
suo avviso, concepire e meno conoscere
il processo reale delle cose - 31
- che si presentano fuori dell'ambito
della sua coscienza. Nello Spencer va
inoltre segnalata, in così vasta dot-
trina, una rara modestia: nessuna baldanza dommatica neir affermare , nessuna nel negare. Finalmente
eccoci anche a' nostri moderni filosofi .
L'Italia meridionale è sempre stata la parte più fe- conda d' ingegni speculativi della nostra
patria. Questo fatto è addimostrato
dalla storia della filosofia a partire
dai tempi della Magna Grecia con la scuola di Pitagora, fino ai nostri . Il clima più dolce, il cielo più sereno, i
colli uber- tosi e ricchi di viti e di
agrumi, le mirabili e piacevoli marine,
in fine la vita facile e gaia nei più copiosi beni di natura, tutto questo forse meglio
contribuisce ad ecci- tare di preferenza
in quei nostri connazionali lo spirito del-
le filosofiche ricerche e meditazioni. Mentre a NAPOLI insegna ancora VICO
(si veda), di cui sopra accennai, nella
stessa università professava filosofia e
saliva in gran fama Antonio Genovesi. Egli
nacque a Castiglione di Salerno il 17x2 e mori a Napoi il 1769. Sebbene naturalmente inclinato alla
libera filosofia il padre lo volle
prete, malgrado di lui. Pubblicò molti
lavori filosofici di merito in italiano, sostenendo che una nazione che non abbia libri di scienza,
scritti nella pro- pria lingua, meglio
che civile va chiamata barbara. A que-
sta novità egli teneva anche dalla cattedra, a cui traeva in folla la città; come pure ad un'altra
d'insegnarvi per primo nel corso di
filosofia l'etica e la politica. Per consiglio di lui Bartolomeo Intieri
istituì del prò- ~ }2_ prjO Beli* U::;Ter5:ti d: Xapc*^ ima csneiri
Ji comiDcrcìo, a :;9 .i^.one cbi ri si
l^>^^ii^*>^ in hu'::::;© e tì:^3 Ìdss^
Tiia'i c:r j irrita a frid. Q.i^ni: T Inrleri on^nn* d^ re Car- lo UL che lasse ca::irii2 T>^r r>rirD3
a'.'. 3 si^sso G^^aoresi . QatHa
cvat^ÌTZ fj ina-ogorata il 1754, rem' anni primi C'^t salisse in tanta faaia il filasofj ed
cjonanijstj scozze- \>^ \tzzno Smiih
col sao celebre li^ro d^ccanooiia poSi- tica,
d^l.a quale scienza oggidì s: can>idera padre e fon- datore.
♦ Studiate il mondo, coltivate le
lìngue e le matema- tiche, pensate un
poco meglio agli uomini che alle cose
che sono sopra di noi, lasciate gli arz:i::»go:ì metaà^ici ai frati *; tali erano i franchi consigli del
Genoveo]ì un i;raQ rumore; ma egli
godeva la protezione di Tanacci, cel»rbre
ministro liberale e riformatore, com- tutti sanno. Però il suo vero pensiero filosofico appare
meglio dalle lettere {amigliari e private,
che da* sui lavori ufficia- li; ì quali
non ostante le maggiori precauzioni e la prote-
zione della corte, gli fruturono non piccole molestie. Per quanto riservato egli prenunziava gii la
famosa Critica Kantiana. Altro illustre filosofo napoletano fu
Gaetano Filangeri, sebbene morto a soli
58 anni il 17SS. Ma i' grande
riformatore delia filosofia italiana è il ca-
labrese Pasquale Galluppi. Egli nacque a Tropea il 1770 e mori a Napoli il 1846. Scrisse moltissime
opere, di cii le principali sono: Saggio
filosofico sulla critica ddla c^nosctn^ùj
;;li EUnunti di filosofia^ Lettere filosoficbt sulle vicende del- la filosofia da Cartesio fino a Kant, Legioni
di logica e metafisica» Fisolofia della
volontà ecc: senza gli opascoli sulla
libertà di srampa ecc. Djal ^.82^
CQjfiiin^ì^ il QV*€ggiO; tt^ Gajlwppi ^RjO$mi-
ni , forge ii du(5 primi filosofi italiani della prima metà di qui^sto secolo. , Il Qomis del Galljappi si diffuse in Europa,
ed il i&^&, a proposta del
Cousin , fu nominato socio corrispondente
dell'^ Accadjemia disile scienze in Francia,, in concorrenza dell' Hamiiion ; ed il L841, dietro proposta
di Guizot , fu insignito della croce
della legion d'onore. La sua filoso- fia
è dieir esperienza , mediante i rapporti soggettivi 4' iden- tità e di differenza. Ma quantunque il
Galluppi abbia sem- pre disconosciuto la
parentela della sua filosofia con Kant,
vi apparisce l'inftusso del Criticismo. Per questa attinen- za la dottrina del Galluppi fu combattuta da
Vincenzo de Grazia e da Ottavio Goleccbi
, pure meridionali , seb- bene, almeno
per me, un po' parenti del filosofo Camea-
de, vi^) ?.enso m.a.Moniano . Meritano quindi distinta men- zione ^a^dpjnenico Romagnosi di Salso
Maggiore e Mei- cbi^r^ GÌ0Ì4 dii
Pi^c^nza, ambi seguaci in parte più o
meno loptana ^Ua filosofia di Condijilac che insegnò a Parma per un decennio, e si considera quale
capo deUa scuola sensualista. Ma accanto al Galluppi per valore filosofico
va posto Aji^?iirigine delle idee, si jffiQ^Q^^ U problema della
conoscenza, ricercando il ppni(9 4aMe
s.eoisibtiUtà ed intelletto si congiungono per
pcodutla. É però dubbio se egli abbia raggiunto il compi- to pjcapQ&tosi: le sue soluzioni in
questa e nelle altre aue opere farono impegnate dal Gioberti, ingegno non
meno acato. Dopo il Nuovo Saggio suiderto, si hanno di
lai il RinfUK' amento della niosona
italiani, i FnnsiTti della filo- sofia
morale, la S:-W-2 c:*k7S'':::j: iti sistemi relativi al principio della morale, V ^nt^cpcls^ìjy I-i
fi.Ji.yfj (Ul TH* ritto, la TsL:ck;:j,
li Lc^^^a e la Tisssjzs, opera postuma. Però ia tutte queste pabblicazioai egli
tenne d'occhio dapprima alla Critica
Kantiana, poi alla costruzione dialet-
tica dell'Hegel. È poi risapuco
il dissidio insorto, or non è molto, tra
i Rosminiani da una parte e tra ì Tomisti dalP altra nel clero italiano; dissidio terminato con la
vittoria dei Tomisti, e su cui non si è
per anco pronunciata la serena
imparzialità della storia. Il Gioberti
è altamente benemerito della nazione ita-
liana , non meno che della filosofia. Egli merita davvero on posto d' onore ed un culto d' ammirazione
nella mente ; V. V-SP e nel cuore d' ogni buon italiano , come
filosofo politico e patriota. Chiunque
di noi abbia cara la nostra patria ,
deve nutrire in cuore un senso di rispetto e di venerazio- ne al nome ed alla memoria di tant'
uomo. Vincenzo Gioberti nacque a Torino
il i8oi^ di mo- desta condizione;
abbracciò il sacerdozio e fu cappellano
di corte. Esiliato il 1833 per opinioni politiche, visse in Francia e nel Belgio fino ah 1848. Rimpatriò
in gran trionfo e fu ministro di Carlo
Alberto , appena data la costituzione.
Caduta la fortuna d'Italia tornò a Parigi,
dove pubblicò V ultimo suo lavoro di molto polso, T)el Rinnovamento Civile d' Italia, e poco dopo
mòri (1852) povero e glorioso. Ecco
segnate le tappe della sua vita breve ed
immortale ; ma a dire degnamente di lui troppo
qui ora ci vorrebbe , troppo mi sento inferiore al compito. La filosofia del Gioberti non si limita al
problema della conoscenza come nel
Galluppi specialmente, ed an- cora nel
Rosmini. Essa gira^più largo ^ e
campeggia nella politica che ne è la
mira costante , e dalla genesi della conoscenza si dilata alla genesi delle cose. Là polemica
del Gioberti contro Rosmini si limita a
cercare se alla genesi della nostra
conoscenza basti la forma dell' essere ideale. Ne- gava Gioberti ed affermava Rosmini; solo più
tardi quest'ul- timo parve capacitarsi
delle difficoltà del suo formidabile
avversario. Ma le opere di
Gioberti vanno considerate e studiate
nel riguardo "pratico, politico e nazionale anche là dove me- no traspare questo nobile ideale. Per
ampiezza ed acutezza d' ingegno
filosofico sarebbe potuto forse divenire il Pla- tone o 1* Aristotele d'Italia, ma egli più
che al titolo j -3«-
di informatore éelk^ filosofia volle ambire a quello' ji Pater patria. Egli volle farsi il bailo della
Nazione italiana, e ben lo fu. La vita civile ed intelletiivar dei popoli ,
come la vita fisica e morale degli
individui , corre per tre distinte età
che sono: la puerizia- , la gioventù e la maturezza o virilità. Ebbene, le opere del Gioberti in
soli dieci anni circa, dal 1840 al 1850,
percorrono T inrero ciclo, destando l' Italia fino a spingerla a resurrezione
politica, alla guer- ra d'indipendenza.
Il suo intento fallito materialmente e
temporaneamente, era già raggiunto moral- mente , che nel volere d* un popolo mai manca
il volere di Dio. Le sue opere tutte ,
verso k fine di quel decennio, erano
divenute la Bibbia degli Italiani da un capo all'altra d' Italia; ma più spezialmente quelle d'
indole pohtica di- retta, qualt Tkl
Primato morale e civik thgli Italiani^ I
Prolegomeni al Primato, Il Gesuita moderno. Il suo ideale politico era trasfuso nella Nazione, era
diventato un bisogno imperioso
universalmente sentito-, ed il suo nome
velava benedetto dalle Alpi al Boeo. Lo st-esso Pio IX., sperando di governare il movimento nazionale,
benedisse dapprima all'impresa ed alla
guerra d'indipendenza, tra* scfi^iifato
diAa forza irresistibile dell' opinione pubblica in Italia; riservandosi coi primi rovesci a
maledire. Però a discolpa va notato che
il papa allora non era per anco in
fallibile. Fallifta r impresa nazionale, cadde il favore popolare del Gioberti, ed alquanto freddamente fu
accolta ormai r tritima sua opera
suddetta Del rinnovamento civile d' Ita-
lia del 185 1, un anno prima della sua morte. Ma con qaest* opera
ponderosa, onde forse rimase fisicamente e-
saorito, egli compie e 'finisce la sua missione politica, per r Italia, k quale è destinata a sorgere
senz'altro ad uni- tà ed
indipendenza. E qui piacerai, a
proposilo di questo VJnnovamento del
Gioberti, riportare il commento e la chiosa che ne fa per •siiitesi PAusonio ^Franchi ntìlk celebre sua
Ultima Critica, in cui bruscamenre «e
solennemente disdice al suo passato di
scettico e razionalista, per ritornare in Cattolicismo con 'S. Tommaso, in quel Cattcdicismo che aveva
prima sfolgo- rato con logica
irrefragabile. Nel Rinnovamento del
Gioberti, dice il Franchi, ri- mane
ancora qualche cosa di cattolico e di monarchico , ma coperto e soverchiato da dottrine affatto
razionalistiche e democratiche, e
continua: « Non è più l' Italia che de-
ve acconciare la sua esistenza al reggimento della Chiesa e del Principato, ma tocca a loro di adattare
i loro isti- »tuti a servizio d'Italia.
Se no, peggio è per loro; che d'ora in-
nanzi nell'ordine teoretico il principio e criterio d'ogni vero si è la sovranità della ragione, e nell*
ordine pratico la re- gola e misura d'
ogni bene si è la sovranità della nazione.
Laonde o la Chiesa si piega a rendere razionale il suo insegnamento, ed
il principato a rendere nazionale il suo
governo ; e allora troveranno l' una e l' altro in Italia una èra nuova di potenza. e di gloria. O invece
prosegue Tu- na a deprimere la ragione
con credenze da fanciulli, e l'al- tro
ad opprimere la nazione con leggi da barbari; ed al- lora tutti e due avranno finito di regnare e
d' esistere in Italia. Fin qui il
commento del Franchi resipiscente. Ed ecco come, maturata l'educazione
.politica del pòpolo italiano, il Gioberti con franco e libero linguaggio
si rivolge ai rettori della Chiesa e
dello Stato per patrocina- re la causa
del popolo stesso, per abilitare V Italia a sor- gere a libera Nazione. Possa il suo esempio d' amor indomato per il
paese nativo ispirare sempre la gioventù
nostra a nobili e ge- nerosi sentimenti
adeguati; possa il suo esempio vivificare
la presente e le future generazioni italiane. Tutto ciò, parlando del Gioberti, sia detto
natural- mente senza punto detrarre ai
meriti eminenti di tanti altri nostri
pensatori e campioni che più o meno imme-
diatamente contribuirono con lui e. dietro lui alla nostra unificazione e libertà; pur militando con lo
stesso propo- sito in campo diverso,
quali specialm.entc tra i più illustri
Mazzini e Garibaldi. Cosi, o
Signori, restra fin qui alia meglio abbozzato
il nostro Sant' Antonio; ma rimane ancora a dire qualche cosa della quarta ed ultima epoca della
filosofia cristiana, della filosofia che
ho chiamato del Rinnovamento. Fin qui
la parte oggettiva ed accademica: ora la
parte soggettiva o meglio pratica e politica. Seguitemi per qualche altro tratto, e voi vi
scorgerete un contorno del quadro forse
abbastanza originale e più attraente. O
PRATICA E POLITICA I. È ancor dubbio}se V epoca del Rinnovamento
filoso- fico sia ancora incominciata;
non crederei lecito né affer- marlo né
negarlo. Egli è però certo che^ dopo tante contraddizioni e dopo tanto sfacelo morale di sistemi
filosofici in alterna demolizione, è
generalmente sentito il bisogno di nuove
costruzioni filosofiche a più razionale soddisfazione delle esigenze della mente e del cuore. Tutti i yari sistemi filosofici, che ora tengono
il campo, si possono dividere in due
grandi schiere: V una che prescinde
affatto dalla metafiisica, da ogni idea tra-
scendentale e costruisce, per mio avviso, suU' arena, se pure avvertendo già al lavoro di Sisifo si
cura di costrui- re più oltre: V altra
che tende alla riforma della metafi-
sica e vi prova nuove costruzioni; ovvero, come V ostrica aggrappata allo scoglio, resta immobile nella
metafisica già posta. In una parola tutta la sequela dei diversi
sistemi filosofici, con tutte le
rispettive gradazioni e sfumature, si
può ormai dividere in due campi troppo ben distinti; r uno dei pensatori credenti, e V altro dei
pensatori non credenti. I primi sono ispirati e guidati dalla mente
e dal cuore, dalla ragione e dal
sentimento; i secondi solo dalla mente,
solo dalla ragione. Per lo passato
trattavasi di credere in un modo
piuttosto che in un altro, di accettare o non accettare questa o quella parta di religione monoteista
o cristiana, questa o quella parte di
metafisica in filosofia. Oggidì la
differenza è ben più marcata: credere o non credere nel mondo d' oltre tomba, nel mondo dello
spirito. Ma infine anche la dogmatica,
sebbene fuori del cam- po filosofico,
non è che una rigida esigenza della stessa
filosofia che aflFerma.
I I liógmi religlMi fi&ii
sodò cìA Iti ^r^du%iòtA simbo- lica
delle afferma'Mtìfl! della filosofia sA 'dio delle «firbe che rifuggono dalla fredda ^ectìlaiiohe della
ràgltitìè, e s'appassionano fn^e^e della
'|)Sedia ^ 'di ^^a'àfò edipee l'
immaginazione ed il ■seflfiiri'ehtft.
Abbattiamo ^ufé 'Ogni tngtiJera 'di - sdpemfeionì e pregiudizi, di cui iloi ìtiiliìtni e 'ih
'ba^^O'e iti alto^'h^ìtoo troppo famosi
-^ ~i\ito che nulla credehti ! 'Abbassò pure
ogni tnaniera di rozzo "feticismo è 'd'Idolatria; iiia lò^n- So e francamente sostengo che il berte
dell'umanità e quello stésso del nostro
paese, della nòstra -patria, recla-
maiio Vivamente la vittoria, la rii^0^tipunto -per 'la IbrO ^piénfa 'e
tollét'ihzla in questo terreno, divennero
pot tanto grattai é'^ot^tì. l^a, ^e io
tódo -e tWriro assai cdmttwnàévdtè dicro-
ismo dèlta ritirata di Cristoforo Bonàvitto, 4jella filosofia AHi^òii^to Frtfbctó, non 1' approvò nfè k)
-itgìiìtb mai tillo scolto 4o^^è egli hn
riparato. Tb siò per la ikortruifdne
nfdlìa nuòVa Riforma che raccògjtrerà tutte !fe ^nfessioni d^llà religiótie dfistiafiii, titortiaiido
per ^tónto possile atta primitiva
dottrina evacifgelica;, che 46 ravviso più cbn-
faed allo stèsso idéjflc 3' an?vfer-
salisnoR). -Per nife ^i ^égu^ci di Cripto 'llèvonò essfei'e pure in Cristo tutfti fratelli davvero;
altrittfeiiti la ^bubna no velia é
ifrtra itegli effetti prtttiicJi della ^tesjJa sua efnun- ciaz Iòne, 'fitto 'nella prima sua -tóse, con
coi pfocTama gli 'Ul5mitìi tutti »ti1i
'fóro eguali, tutti 'tra loro fratèlli, tutti
©gUrflmente fi'j^li xli ©fo; Qjafestò 41 Véro GaHttlici^tno •deir avvehire. L'ideale cristiano, con Cristo principe del
socialismo, cfeve an i rivoluzione
sociale con graduali riforme, -per ispontanea
evoluzione. Ecco il nuovo ideale cristiano. n.
Il Cattolidsmo Vizioso attuale ha per gli Italiani il torto gmvbsimo, già consegnato nella storia troppe
volte ed a caratteri indelebili, d'aver
sempre osteggiato per lunghi se- coli,
cioè fino dal reame longobardo, T unificazione e r indipendenza della patria -nostra. E ciò a
semplice tutela del dominio temporale,
puntellato per ultimo dalla infalli-
bilità pontificia, senza smettere ancora ogni maniera d' osti- lità al presente stato di cose; in onta -alla
vantata Provvi- denza che per ultimo ci
volle uniti e liberi, malgrado il
sedicente Cattolicismo stesso.
Sebbene la retta applicazione della dottrina evangeli- ca, negli ordin^rmenti sociali dei popoli
cristiani, sia pur troppo ancor di là
dal venire , per sé stessa e bene inter-
pretata la religiose cristiana è certamente la religione del- la civiltà e del progresso. Considerata ne' suoi effetti pratici, élla
può dirsi san- tissima ed è veramente di
sommo confono all' umanità sof- ferente,
nei mali materiali e morali ineluttabili della vita preseilte.
Cristo còl suo eroico sacrificio pose tra gli uomini la postuma sanzione e spezzò ed infranse per
primo l' orrtbi- *le catena della
schiavitù, sciogliendo un problema sociale
coltro cui emsi -fiaccata tutta la sapienza antica, con a dapo lo stesso Aristotele. Ma agli Italiani che vedono piùlà della
semplice • buc- cia e sentono e provano
amor di patria, per necessità di iHMi
può -a iftieno di destare, -massime a tempi 'nostri. un senso, di nausea; e di ripugnanaa il
soddisfare catoU^ camente a' doveri
religiosi accedendo nella Chiesa ai di-
vini uffici. E perchè mai ciò ?
Perchè vi fungono sacerdoti che, in ossec^uio al ponte- fice non più re, più che della, stessa loro
missione religio- sa, sono preoccupati
della loro missione politica, e rim-
piangendo il passato della terra der morti, maledicono più o meno ecclesiasticamente alla patria unità.
-^ Perchè I- talia, Nazione, Patria,
libertà ed unità politica da una parte,
e Cattolicismo e Religione dall' altra, si escludono per dir poco necessariamente. Cosi stando le
cose, se mai mi fòsse permesso di dir
franco il mio pensiero, per me io credo che^arebbe tem- po di troncare il dissidio in Italia tra
Chiesa e Stato, e di tagliar corto orni
ai da pame del Governo nazionale.
Sarebbe ti^mpo che cessasse la conseguente demolizione religiosa e odorarle,, la cui responsabilità,
per le mondane nair^ delle somme chiavi,
è certo assai maggiore nella Chie- sa
stessa^ a contronto dello Stata Sarebbe tempo in una parola che gli italiani iniziassero un
movimento di ensr- gica $, decisiva-
secessione dal Cattolicismo^ per essew. più
credenti ^ più cristiani nei limiti e nelle misure de^i cti- stiani e della Germania e dell' Inghilterra e
della Svizzera in parte, non che
dell'Olanda e della Danimarca e della
Svezia e della Norvegia e della stessa Russia in Europa, come ahrave in Oriente ed in America. Tale secessione può effettuarsi pel bene del
popolo e della Nazione italiana, con
quei secerdoti, che non man- cano, i
quali coscienti del divino loro mandato, si spoglia- no francamente^ e sostenuti dal Governo e dal
popolo me- glio si spoglierebbero, d'
ogni veste politica antinazionale, per
occuparsi serena ed esclusivamente della sola loro missione religiosa. Cesserebbe cosi in Italia la perenne
incompatibilità tra Cattolicismo e
Patriottismo; ed inoltre questo sarebbe il
primo passo alla necessaria fusione di tutti i popoli cristia- ni, in una sola e comune dottrina dogmatica,
di cui noi avremmo il merito dell'
iniziativa. Ed in vero , non è egli
assurdo che i cristiani catto- lici
insegnino e pretendano che Cristo morendo, solamente per loro abbia meritato il premio della vita
celeste, il premio del Paradiso, luogo di quasi uguaglianza ? Non è egli assurdo che altrettanto si ascrivano e
sostengano per loro conto i cristiani
protestanti^ con pari accanimento; non che
alla loro volta gli stessi cristiani d' oriente greco-ortodossi, con tutte le divisioni e suddivisioni di
questi e di quelli? Non è ben più
logico, civile ed umanitario l’aflfermare invece che Cristo meritò come volle
meritare, il pre- mio d' una vita tutura
ben più felice della vita presente a
tutti indistintamente i suoi seguaci che da Lui prendono nome, a tutti indistintamente i buoni
Cristiani ? Questa nuova affermazione
cristiana è per me tanto evidente e
necessaria che io non dubito che, come i popoli cristiani un giorno non lontano
s'accorderanno in- sieme direttamente e
fraternamente a comune soddisfa- zione
de' comuni bisogni economici e politici; s' accorde- ranno altresì direttamente e con razionale
unitormità per soddisfare fraternamente
a lor biso^^fni relimoii e cristiani. E
ciò senza ulteriori esclusivismi, fonti d' odii e dissidii politici bene spesso, senza ulteriori
reciproci anatemi che fanno a' pugni con
la progredita civiltà e col buon senso
de' tempi nostri. La dotrina cristiana in fatti, e precisamente la
cat- tolica viene pur troppo male
inférpfetata dal clero che ne fa una
palestra politici in odio segnatamente all' ideale d'autonomia ed unità degli Italiani. Ed è
parimente avver- sata dal moderno
socialismo — non ostante la teoria sociali-
sta collimi eminentemente con la dottrina cristiana stessa e quasi ne promani — perchè il clero torcendone
il senso ed interpretandola a rovescio,
ne fa strumento quasi di polizia a
tutela della proprietà illipiitata e del capitale proprio ed altrui, contro il precetto cristiano: Quod
superest, date pauperibus. Ma per sé la
religione cristiana è immune af- fatto
da queste macchie, onde il clero la rende abborrita. Tutto questo è cosi chiaro che splende di
luce meridiana, e prova una volte di più
il bisogno d'una comune Rifor- ma tra i
popoli civili, la quale purghi e scevri la Religione Cristiana da queste mende, estranee al
patrimonio della fe- de, come da ogni
ulteriore feticismo nel culto. Ma qui forse da taluni mi si opporrà: Meglio
stare o passare nel campo de' non
credenti; meglio attenersi al- l'
umanesimo: basta cristianesimo; basta religione. Però, dico io, bisogna pure rilevare e
misurare per tempo le serie e gravi
conseguenze che fatalmente ci si
affaccerebbero per tal via. Ed
in fatti, levata al popolo la vita dell' anima senza premio e senza pena in una vita fatara, ogni
promessa d'alleviamento de' suoi travagli
e delle sue miserie è de- risoria e
vana. Una volta indotto a rinunciare alla felicità futura per la felicità presente, il popolo
giustamente la pretenderà di presente.
Se la felicità umana consiste tutta
ì e sola nei beial dì fortuna,
nei godimonU 4eli 3^,9^ il po- polo
senz* altro vorr^, ed a ragione, qq^^tj be^ni; ^ vajrrà per sé 1q ricchezze ch^. appiiuto ^ono fon^ e
n^^zso. e con- dizione di tali
beni. Il popolo ha pure diritto inplpr^
dj, l^VjOraire. q^^lchQ ora di meno, di
guadagnare qualchj^ lira d^ piìi> di ni>in- giare, di abitare c^ di vestire un po' meno
n^jsQramepte; e su 'questo noi tutti
d'accordo, m^ basterà questo a f.irIo
ricco e felice ? E come potr4 lin^it^rQ le ^w aspi.ra;sÌQQÌ, se non gli resta altra speranza che la felicità
della ricchezza, né altra legge che la
soddisfazione dei suoi desideri, né
altro fine che 1' ebbrezza dei piaceri ? Non. mi par necessario addurre altre
considerazioni e ragionamenti per
dimostrare, o benigni uditori, come in questo
campo , tra le diverse condizioni sociali , npn vi pos^a essere 2\ltrsi equazione possibile, che
una liquidazio- ne universale della
civiltà non solo, ma anche della so-
cietà stessa. Del resto il popolo stesso queste cose vede, misura, intuisce e saggiamente scongiura, se
i rettori non sono da menp. Per contrario, T istintivo sentimento
religioso nel po- polo, se bene
indirizzato^ é il più saldo fondamento d'p|;pi or- dine sociale, la più alta espressione del
i^pado un^anp, la consacrazione della
dignità individuale , la fonte delle virtù
private o pubbliche, V ispiratore de* più granai specifici e degli stessi eroismi, si particolari che
collettivi. Ecco perché nel nostro
dissidio tra Chiesa e S,ta»to, io penso
che commette un vero sacrilegio chi da una fV*
te, per sostenere il dominio temporale, lo f^ elemento essenziale della religione ,perturbando le
cos^cienze; e com? mette grave
imprudenza pure chi dall' altra parte , pier op- pugnare quel potere, attacca la religione. f
titìùóM lo Stato ha il diritto >4*ìftéì(Flné il dovere di tené'^' cónto del sétiiimétiiq fcti^ìósò ,
hiit è te defia nióratità é della
rèttitààfòé é jptlvàtà ' e pìi^^^^ col
diflFonderlq e coj pfoteggérlo"; tìè p\i8 dìsitìtét^sàarsi decita moralità pùbblica. Il sentiménto refi^osp, quando Ì forte, pv^fo
e bène applicato, forma la poteìjizà è
la grandezza delle nazióni. Ma ciò cbe
pìii lo combatóé é lo stésso divorzio dei-
la Chiesa e del saceMòzio cattolico dal sapere , dal movi- merito del progresso umano in tutte le parti
dello scibile, ih una parola il divorzio
cattolico dall' evoluzione del pen-
siero moderno. Divorzio che, còme accennai, lamentava già il Griobéiti net Rinnovamento, e che in
seguito fino a noi più s* accrebbe; noa
potendo più oltre assoggettarsi gli
studiosi ali* inteftettUalé evirazione. A ìquesto s* aggiun- ge r accennato a^anhai'^i degli ecclesiastici
stéssi, pi& cne pet glMnteres^
spirìtriali, pei ìnàtèrìali vantàggi dégfi in-
dividui e délìi Casta; non cÉle il lóf'o disconoscere "qùéflo che è pure nobilissimo sentimento deir animo
umai^o^ l'a- tnof di patriiy pigliaùdo
in tutto questo il mal esempio daH* alto
; La storia d^ ogni popolo e d* ogni
tempo ci aiiUQa,e- stfà icfae la fede,
l'a religione è un bisógno in^vid^aàle e
sociale. Lo stesso Voltaire afferma, dietro il pròprio roTÌ- tìlo, che se Dio non fbsse, bisognerebbe
inventariò. Ma è altre'sì uiì bisógno
individuale e sodiate il progresso ci-
vile, economico e scientifico, anzi un bisognò più imme- diato e sensibile • Ora, cótne ognun vedé^ è necessario che le
soddis^a- ziohf d? questi due bisógni,
del sentimento e delT^ ihtéllet- to, per
lo meno Dòn si'esdudàiioV Sé la storia ci dice: Guaì alla Società civile che opprime e
distrugge la pro- pria fede religiosa!
essa ci dice pure: Guai a quella società religiosa che rinnega il progresso
della civiltà ed in- sulta alle
conquiste della scienza! Per tanto è
per il benessere sociale che in Italia tra
Chiesa e Stato vuoisi eliminare ogni dissidio, come ogni vincolo d'alleanza. Solo richiedonsi libertà,
rispetto e tol- leranza reciproca per
ciascuno dei due Istituti, giusta la
formola cavouriana: Libera Chiesa^ in libero Stato. Ma se non è più possibile uscire dal diuturno
dissidio, dal conflitto attuale e
passare alla formola cavouriana; se chi regge le coscienze, non curando il conseguente
sfacelo mo- rale, non cessa mai di
rimpiangere e di imprecare per ri-
vendicazioni che offendono il senso patrio degli Italiani; io penso che ormai lo Stato à diritto ed
insieme dovere di provvedere ad un tale
stato di cose, senza più oltre
disinteressarsene; ha diritto e dovere di provvedere e ri- parare ormai alla presente demolizione morale
e religiosa, mercè la secessione
ricosiruttrice , di cui accennai. Per
tutte le ragioni fin qui addotte, io non esito, come dissi, nella duplice
schiera in cui si possono divide- re i
moderni sistemi filosofici, di attenermi alla schiera dell' a^rmazione ^ alla schiera dei credenti;
e precisamen- te a quella pa,rte di
credenti che nella loro affermazione mirano ad una nuova Riforma, ad una nuova
ricostruzione che in- sieme abbracci
tutti i seguaci della cristiana religione. Cosi se il mio concetto è in
proposito assai ardito, il mio
linguaggio non sarà per questo meno franco. Per me la parola orale o scritta non è fatta mai per
mentire il pen- siero, né mi piacciono
quelle circonlocuzioni e quegli eufemismi che lo coprono o peggio lo travisano.
Ecco perchè altrove, ne* ftiieì Problemi Sociali mentre parea venisse a cessare
in Italia o per lo meno si mitiga il conflitto tra Chiesa e Stato; mi sono
augurato in Leone XIII. il ristoratore e
riparatore dei danni gravis- simi recati
all'ovile di Cristo, dai troppo superbi ed in-
cauti suoi predecessori omonimi, Leone III. e Leone X.; onde il distacco da Roma della Chiesa d'
oriente col primo, e la Riforma Protestante nella Chiesa d'occidente col secondo.
Ma più dotto che sapiente Leone XIII , che di quei fatali Leoni riunisce addizionalmente gli
ordinativi, pare ormai ne riunisca
fatalmente anche gli esiziali difètti.
Tuttavia V ideale di questa fusione, di questo univer- salismo cristiano , è un bisogno inlperioso
dell' età moderna, la quale più non tollera privilegi, differenze, monopolii ed
esclusivismi di alcuna guisa. Laonde la
realizzazione ne avverrà/ io non dubito,
quando i presenti popoli cristiani, insieme meglio affratel- lati, fra non molto avranno imparato — sui
dettami d'una giustizia arbitrale che esclude ogni prepotenza partico- lare od oligarchica — a comporsi tra loro e
per semplice loro conto le gravi questioni proprie ed iaternazioiuli non solo economiche, ma anche civili,
politiche ed etnografiche , e quindi morali e religiose. E ciò senza
intervento delle rispettive autorità
politiche ed ecclesiastiche, e ma- gari
loro malgrado. Finora la storia ci ha sempre rappresetitati i governi degli stati e delle nazioni sempre pronti a
guerreggiitirsi materialmente e
moralmente, mossi da particolari interest
si di espansione, di conquista e di predominio esterno o --
ja — da panicolari e dinastiche
nlecessità di equilibrio e di ap
CfnbafUmo int^riiO. Per t«l guisa y^c^mim qu^ sempre Mila storia y da inccigbi e da sa^tì^ dj
private a$9Jl^zioiPii arbi^ariaoieQite
gipc^arsi e n^?ie^^r$i a rey^fildagUo gli iai^-
re^i generali j e I0 stes^jp %vvmm dei popoli e delle nazioliL Ma ormai esultUaio., oaaimiama ed
allelajàflio pare» chfe l'umamt^. sta
per uscire di questo brutto circolo vi-
aiojSO di fiinoata tutela in cui i popoli fratelli sono ai^sati ed avventati a combattersi in :onsciamente
gli uni contro gjyi alt^i, per
]!agk>m e mire particolari . La stioria ci ap.e ora una b^Ua 9 gloriosa pagina; incomincia
quest' airao una nuota. tea di mtaa^una
civiltà cristiana;, i popoli or- mal
s'intendono ffa loro, e dt^ sé provvedono fraterna- noiite aUe loro Usc^nc. Così
s'^Ttsicinà ormai il .gkncno del nnu) vo Eyas^elìo » in cui le Nazioni e gU Stati uditi d'Husopa,
non pi& te- ntiti a balk, regéletanao
armonica e direttamonte le cose loro,
anch^ senza e contro, i mpetcrvì goverm, finché nan siénó meglio trab tonnati a base democratica 0ià nelle due Americhe il reggimento
repubblicano, fi^mdo io^ion viso alla
propaganda per la Pace e per V Ar-
JHttxtD Imarnazionale — a cui ormai formalmente aderì- arcuo ^atà quégli Stati in numero di ben
diciotto, unici tnttt iofiieme in>
una potentissima lega — h^ ora saggia-
mente resi inuttli tutti i dispendi per la guerra e per gli eserciti. É ciò sebbene non tutti quegli
Stati vadano sem- pre immuni da qualche
interno turbamento* Gii in Eu* nq)»
pure, la propaganda per la Pace e per V Arbitrato ha pitt»Uàzato in pochi anni. la politica
armigera ed aggressi- va degU Stati pia
potenti. Già nella stessa opinione pubblica europea si fai strada ognor fìh V
ideale ddl* Aclmra- to, e gli stessi
eserciti permanenti vengono nniversaimen*
te considerati quali inndli sanguisughe e vampir delle stremate nazioni . in onta al reg^pmento
monarchico ed «• rìstocratico. E mentre
il nuovo continente di leziose al
vecchio y noi vediamo ora i governi eorcpei — sempre intenti con
inauditi sforzi ad accumular armi ed armati per
meglio aggredirsi o difendersi -^ costretti meritamente da imperioso quanto sovrano volere dei popoli^ a
scambiarsi cortesemente le destre. La
gran pagina della nuova storia, la nuova èraglo» rìosa è stata inaugurata nei due continenti
il primo Ma^o 1890. Tutti i popoli
civili del mondo cristiano, nella no»
merosa classe che li rappresenta, cioè negli operai del la- vero sudato, s'accordano insieme per
festeggiare il loro lavoro in un giorno
convenuto, il i. Maggio. Questo grorno tutti concorrono per discutere e per
regolare insième ed internazionalmente a
tempo e luogo la rispc:tl/a qui- stione
economica, la questione del lavoro, quale primo
avviamento alla graduale soluzione della complessa que- stione sociale Per me è questo un fatto grandissimo, è
questo il gran prodromo, T inizio della
nuova èra, in cui i popoli rappresentati
più direttamente nelle classi operaie « gra-
datamente tra loro stabiliranno non solo gli interessi im» terìali ed economici, ma eziandio gli
interessi civili, politici, emc^rafici, religiosi e morali, come ripeio;
tagliando fuori e riducendo all' impotenza i Governi ,coi formida* bili loro eserciti, ormai non più
formidabili, ma inutili. Ed ecco come i
popoli affiratellati fonderanno pure in
una sola e più razionale confessione cristiana i aspettivi bisogni
religiosi è morali, come sopra accennai. E ciò in onta alle attuali diverse confessioni in
lotta ed anatema tra loro, vantando
ciascuna per sé il monopolio del vero e
sacro patrimonio della dottrina di Cristo, a mezzo di in- consulti corifei affatto esclusivisti. Quind'
innanzi i popoli civili meglio educati al giusto concetto ed all' uso moderato della libertà —
il sommo tra i beni morali individuali e
colletti vi, la massima conquista della civiltà moderna — imporranno agli
stessi governanti i propri voleri, a semplice soddisfazione dei propri bisogni. E questo essi faranno per mezzo di
imponenti quanto misurate dimostrazioni pubbliche, con solenni e popo- lari imperativi categorici, senza uscire dai
limiti legalitari con atto alcuno di
vandalismo o di sedizione, senza torce-
re altrui un capello. Né paia questa un'utopia. Noi vedemmo testé a
Londra, e precisamente la festa del
lavoro , il i. del passato Maggio, uno spettacolo nuovo e quasi incredibile del
più equilibrato uso della libertà, in
mezzo ad un immenso popolo di parecchie centinaia di migliaia di dimostranti. Si é calcolato che
tutti quegli o- perat, con interminabili
processioni di migliaia e migliaia di
associazioni, precedute da bandiere e stendardi d'ogni maniera e gradazione, oltrepassassero il
mezzo milione; né la cifra può
sorprendere per chi sappia che Londra conta
circa quattro milioni d'abitanti. Tutte le principali e più contigue piazze ne rimasero letteralmente
stipate, mentre centinaia di oratori
saliti sopra improvvisate tribune, arringavano ad un tempo in diversi luoghi e
da' punti principali quell'interminabile folla. Ebbene, in mezzo a tanta
moltitndine di dimostranti, tra quali
certo chi sa mai quanti allora affamati e digiuni, niente di sedizioso, ordine perfetto;
contenti e paghi qoe» gl’operai che il governo
prendesse atto delle loro doman* de a
soddis&zione dei loro bisogni, votando i loro deside* rati con immensi urri, e &cendoU alle
competenti aatoriti da apposite
commissioni presentare. Questo solenne esempio di franca concessione di popolari
libertà da una parte, e di moderato uso delle stesse dall' altra, quanto non dà di che pensare ed
arrossire agli altri popoli del
continente europeo; ed a noi Italiani in par-
ticolare! Quanta distanza di contegno nelle popolari adu- nanze per noi, troppo nuovi ed inesperti del
modico e ret- to uso della libertà, ma
quanta restrizione ancora in alto,
neiraccórdaré e nell* interpretare le stesse libertà statutarie. Ci
pensino a tempo^ ci pensino i paladini dell’istituzioni in Italia al timone
dello Stato; che anche il nostro popolo
, come V inglese, ha bisogno di educarsi al sacer^ dozio della libertà. Pensino che è sempre fresco d'attualità il
celebre aforisma d’OVIDIO (si veda), in proposito: Nitimur in vetitum semper cupimusque negata. Pensino che accanto alla
soppressione ed all'oppressione germoglia appunto rigogliosa e fiera la
reazione, quanto spontanea e naturale.
Certe situazioni vogliono essere fran-
camente affrontate, quando non torni punto corretto il sopprimerle o lo
spostarle. Coii il popolo Stesso viene poi educato all'onesto uso della libertà; che se ne sarà tenuto lontano,
non . sopra tanto apprezzarla da
valersene rettamente e contenersi all' occorrenza. j I Si
dÌ3&e e si va ogni giorno diceQ4o q proclatnando -r^ sfc^it dz cbi mira al potere ^ vi
s'aggrappa o tende a riaggrapparvi^i -n-
ch^ la monarchia k il nostro unica
t^Us^na^p,, la sola tavola ^i salv^^^a per la conservazione delia nostra upità, come lo f^ già per il
conseguimento d^lla nostra um^azione. E sia purè: io qui uol contesterò; m^. non
posso a tf^nf^ ii const^;i,re che $i f^
prmaii in omaggio alla forma, troppo
fipre9P d^Ua stessa sostanza. E4 ìa
v^rci^ se ci. è proprio necessaria la iorma per la nostrfi cpesipx^e,, perchè tanta profusione
d' armi e di armati e di pi^licp deiv^ro per su0òlcQrla? Non sarebbe .g4i questp in vece un vero compronpt^tterla e
minarla? In fatti.» un biMncio di
me:^zo miliardo annuo circa per U Qu^rra
e per la Marina, un ben quattordici milioni
an^ui per la Usta civili^, la n^aggiore in Europa se non ,^rrp, e tuqre le amqynistr^ipai e le liberta
stesse statuta^ rie subprdin^te a
qi^es^o ^cces$prio di forma; via, non pc^
corre dissimularlo, tutto questo è un lussp da una pa^fte. e \;i,i;i, sa^ri^cìo 4^11* Altra, che diventano
ognor più iiisop- ports^bili a,Ì popolo
italiano; ^ giova in buona fede pro^
clamarlo altamente, perchè sia meglio avvertito T abisso e P^r tempo provveduto. Che se si continua alla
forma immolare siffattamente Ut
sostanza^ v^gg^^no i nocchieri che un qualche giorno un' irjrompente volontà 4i popolo ridesto non
trovi più lo- gico di sacrificare la
forma stessa alla sostanza» anche sup
.tn^lgca^P ^4 a malincuore. 1\ Brasile \ì informi; che di- versamente, fatto il loro tempo» anche gli
dei conviene se ne vadaAPi daj mercato
degji interpreti e sacerdoti ini^nzi al
popolo una volta compromessi. Kè giova Taddurte T esempio diegH
zhriSV^tiifmt^ùtxh nestare la mala via;
noi dok V'amo seaz'altfo.i^qu»Ubrttre' i
bilanci pubblici coi mezzi e coi bisogni de ll}|l!ili^on^;40bjstanza
saVii. e ignardìa^ ghi in vece inribus
nnitis. Ed anche qui, dove ci vengono ,n\e^o i tpezzi 6nffir ziari, è proprio il casp di prendere
e^snp^pio Itmbo d^ Italia irredenta; la patria nostra, in un tempo piii
niella loa-^ tano, sarà fatalmente
quanto pacificamente integr^^ta^ in
tutta la sua pienezza geografica^ ed etnografico» imptrcioc- che, giova ripeterlo, ciò che una nas^ione,
ciò cheati pò* polo intero vuole, Dio
stesso lo vuole sena*a.kro. Ed ecco
come e perchè io vorrei conciliata td solu-
zione del nostro scottante problema economico e militn stra
peregrinatliofte, dopo il lungo e
vorticoso viaggio accademica-poUti'., per yli scolari poveri delle Scuole Elementari
dri Gomi'--e di Ravenna.) k Mm I.'^i'">'; M ■
ptniiwa niouHco llailano d*
lllllililii éj . Luigi
Speranza, “Grice e Fabiano”. Fabiano.
Grice
e Fabiano: la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Maestro di Seneca, il quale testimonia che Fabiano
Papirio non è un filosofo ex his cathedraris, sed ex veris et antiquis. Seneca
ricorda la doti di F. di conferenziere -- le declamazioni, le pubbliche letture
sono alla moda --, ne loda il nobile carattere e le doti di filosofo. Seneca
rifere che la produzione filosofica di F. non e meno ampia di quella di CICERONE. Di
lui si ricordano "De causarum naturalium", "De
amimalibus", e “De civilium". Rimangono poche sentenze di F.,
conservate da Seneca e da STOBEO che confermano il giudizio di Seneca, che la
dottrine di quell’indirizzo e caratterizzata da VIGORE ROMANO. Si allontana dal
Portico, quando limita le loro ricerche all'etica e in questa trascurano la
parte teorica. Si avvicina alla posizione del Cinargo, e insieme alle
preferenze dello SPIRITO ROMANO per ciò che serve all’azione. Mira non a
sviluppare teorie, ma a esercitare un influsso personale sulla condotta degl’umini
e condanna le dottrine che non mirrano a un’azione etica. In F. in si manifesta
l’eclettismo perchè accoglie anche teorie pitagoriche -- la norma di rendersi
conto ogni giorno della propria condotta, l'astinenza da cibi carnei -- e,
platonico-aristoteliche -- la natura incorporea e non spaziale dell'anima. Nulla
di filosoficamente importante si trovarsi in F., che però e interessante in
quanto mostrano come la romanità si potessero collegare e fondere in alcune
anime nobili e vigorose. He makes his career in public speaking and becomes interested in
philosophy after meeting SESTIO (si veda). He writes a number of essays and is greatly
admired by Seneca who mentions him in on a number of occasions. Seneca
describes him as someone who lived a philosophical life without being
distracted by details of doctrine. Fabiano
Papirio. Fabiano.
Grice e Fabio: la ragione
conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Philosopher and friend of Boezio.
Grice e Fabio: la ragione
conversazionale al portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma).
Filosofo italiano. MHe writes a
number of essays on philosophy. Fabio Massimo. Fabio.
Grice e Fabri: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei lizii -- i peripatetici – scuola della Spinata di
Brisighella—filosofia ravennese – filosofia emiliana -- filosofia italiana –
Speranza (Spinata di Brisighella). Filosofo
brisighellese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Spinata di Brisighella,
Brisighella, Ravenna, Emilia-Romagna. Grice: “I like Fabri; especially the
ardour by which he fought Duns Scotus – a furriner! – and his malignant
influence on the Continent – he was a thoroughbred Aristotelian, like me!” Insegnò a Padova. Critica Pico e Galilei, in difesa
di Aristotele, dell'unità della metafisica e della separazione di matematica e
fisica. Altre opere: Disputationes theologicae de restitutione et extrema unction
(Venezia). “Adversus impios atheos”F. n Universitate Patauina Olim Sacrae
Theologiae Professoris EXPOSITIONES, ET DISPVTATIONES In XII. Lib. Arist.
MATAPHYSICORVM; QVIBVS DOCTIRNA IO. DVNS. SCOTI Magna cum facilitate
illustratur, [et] contra Aduersarior omnes tam Veteres, quam Recentiores
defenditur His Praeijt Auctoris Vita a MATHEO VEGLENSI, Nunc Sacrum Theologiam
in eadem Vniuersitate Publice docente, Conscripta. Cum Duplici Disputationum,
[et] Rerum Memorabilium Indice. Ad EMINENTIS. ET REVERENDIS. PRINCIPEM D.
Dominum FRANSCISCVM CARDINALEM BARBERINVM Vicecancellarium. Il valore della
"Metafisica" di Aristotele e la distinzione delle scienze
speculative. In: Innovazione
filosofica e università. F. His comment on Aristotle’s metaphysics is a gem.
It’s divided in dissertatio – and chapters for each little unit. The following
should serve as kewyords. contrarium
solution, Yorum appetitus addat aliquid supra facultatem, cuius De Structura
Metaphysicorum est appetitus, & idem de concupicibile, & irascibile.
BIECTIO. Adversariorum Aristotelis contra scientiam Metaphy sicorum. Excellentia
Metaplıyl. explicatur. V trum inter omnes senſus magis senſum visus diligamus,
o hoc quia vilusfaciat nos Excellentia Merappyf. inductine din magis scire.
scurrendo per diversas (ciencias, & questa varia pub. Cap. III pag. Is
Rationes, quibusallata propositio Aristoteli videtur Adraciunes Adversariorum
Arist. falla Declaratur alata propositio, & soluuntur rationes adduciæ.
Inscriptione, Сар. Рnicит, Utrum in Brutis sit prudential. Utrum. Metaphys. sit scientia
subalternans, Quid sit dicendum reiectis opinionibus contrariis, Рівіскі. De Subiecte Metaphysicorum. Utrum ex experimentis
generetur ars, siue scientia. Aliorum opiniones adducuntur, & reijciuntur, cap.1.
Opinio Arist. & Scoti cum suis fundamentis brevi. ter explicatiil'. Vera
Opinio cap.nl p.21 Obiectiones contra opinionem Aristot.ex! Antiquis Heraclito,
Platone, & Avicenna, & earum confutatio, & Solutio. Obiectiones aliorum contra
quædam dicta inVtrum ens habeat peras causas, principia. & eorum solutio Vtruy
verum sit quod expertus non habens artein, Quid sit dicendum. cap. 1 p. 22 nec
scientiam certius operetur habente, & scienti. Obiectiones aliorum
præfertim contra distinctionem ang, sed inexpertè, formalçın soluuntur. Vtrum
AEtiones sint circa singularia. Vtrum illa propositio Aristot. Omnes homines
Diput. natura scire dederant, sit vera, de quo auctitu Opinio Thomist. &
quorumdam aliorum adducitur, Vtrum aliquis SENSVS INTERNVS dividat, come &
refellitur ponat, a discurrat, Opinio Scoti, & eius Comprobatio, &
rationum in P.Opinietur. Opinio D. Tho. ac Sectatorum refellitur, & Opinio
Quid sit dicendum.c. vnic. Scoti explicatur.c. Vdic Vtrum detur Regressus, yorum
obiectum per se sensus sit aliquid fub ra. tione singulariiatis.Vtrum sit
ponere Stutum in omni genere catfitri... ptrum ad Metaphyf. pertineat
cognoscere omnes Quæ fine causæ essentialiter ordinatæ, & quæ acci.
quidditates rerum in particulari. dentaliter, & quæ per se, & quæ per
accidés. Resolutio quæstionis secund. Scotum.Aliotum Opiniones adducuntur,
& refelluntur. Obiectiones contrarationes Scoti, & Propoſitioné Arift.&
carundem folutio. Opinio Scoti explicatur, & rationes in oppofitum Coluuntu.
Vtrum cauſæ ſecunde pendeant in sua causalitate ab aliis causis secundis
superioribus, vt Vtrum magis universalia sint difficiliora cogni agentia hæc inferiora
d cælo. Opinionibus Contrariis conſideratis, quid sit dicendum Itatuitur. Quomodo
Celum sit causa lucis, luminis, & caloris trum metaphyſicæ sit scientia
practica, vel Spe. permotum, vbi de generatione caloris quoque culatiúl, ego
idem de logica. agitur. Quid sit dicendum de Metaphyſ. breviter explica-
Quomodo Cçlu producat calore per lumé.c.z. SS Quid sit dicendum de Logica. Vtrum
infinitum possit à nobis cognolci. An poßit à nobis cognosci infinitum esse in
rebus Vtrum prima principia Complexa vel illud de quo- An intellectus creatus
poflit infinitum secundú quod libet perum est AFFIRMARE, VEL NEGARE, de nullo
infinitum cognoscere. Opinio Suarez cun fais amboſimul, sint nobis naturaliternota.
fundamentis Opinio allata reijcitur. Opinio Scoti explicatur, & ra Quid sit
dicendum. ciones in oppositum foluuntur.An A Genfus principiorum sit actus distinctus
ab apprehensione, & quædam alia dubia mota a Scoto in hac quæst.&non soluta,
Coluuntur. Utrum immobilitas sit causa efficiens, o finalis Vtrum difficultas
cognoscendi resfit ex parte intellectus, vel ex parte rerum cognoscibilium.
Quid sit dicendum breviter explicatur. Opinio Averr. Thomist. & aliorum cum
suis fundamentis Opinio Scoti comprobatur, & allaræ refelluntir. Vtrum
genus prædicetur de differentia per se, Opinio Scoti explicatur, &rationes Aduerfariorum
Quid sit dicendum. Cap. Vnicum ſoluuntur rio.
Utrum substantiæ abstracta immateriales possint cognosci secundum suas
quidditates ab Vtrum ens uni-voce prædicetun de Deare creaturis intelle &tu
nostro pro Aatu iſto. Opinio Thomist. adducitur substantia, e accidente: vbiquæ
ad hancmate, & refellitur riam spe &tent quæq; tractata sint
explicantur, Thomist. responsiones refelluntur. quædam observanda adduntur. Opiniones
Auerr.Themistij, simplicii et Platonicorum, ac Avicennæ adducuntur, &
refelluntur Utrum ců Univocatione entis stet ANALOGIA An Analogum mediet inçer
UNIVOCVM et æquivocu. Explicatur Opinio Scoti, & rationes in oppositum
Vtrum Privatio, Negatio sit ens rationis, In quo sit felicitas, & summum
bonum hominis se iundum Aristotelem, alios Philosophos. Opinio Aucrc.D. Thoin,
& sectatorium.c Cap. 2 soluuntur Opinio untur.C.2 IX. E Opinio Scoti, & solutio rationum pro
Adversariis Vtrum vniversale pro prima intentione sit in solo intellectu, an in
rebus, a quo fiat, ứ quid sit. Vtrum cognitionem negatio habeat ab affirmatione
diftinétamcuiformalitatem opponitur., ca Status quæftionis aperitur, et opinio
Nominal. addu citur, & confutatur Quid sit formalitas Opinio Thomiſt. &
multorum aliorum adducitur, et Quomodo formalitas ſeù conceptibilitas
negationis refellicur.c.2 189 Te habeat ad formalitatein affirinationis Opinio
Scoti Quomodo privatio per affirmatione, & privatio An intellectus agens,
vel possibilis faciat universale, per positiuuin cognoscatur solutio trium
quæftionum à Porphirio excitata rum in Proemio Prædicabil. Rationes pro aliis opinionibus adductæ
soluuntur. De ente rationis, e fecundis intentionibus. An fir ens rationis,
& quotuplex sit Quotuplex sit ens rationis, Aliorum opiniones reijci Utrum
verum ſit paſſio entis, & quid fit Opinio Scoti explicatur, &
rationibus primo capite addictis reſpondetur Quid fit ens rationis,&
fecundaintentio. Opinio A. Vtrum bonum sit passio entis, & quid sit liorum,
& eorumdem confutatione Quid sit ens rationis, & secunda intentio secundum
DScorú, & quomodo formatur,& an formetur a voluntate, & fenfitiua
potential Vtrum preter vnum, verum, bonum den An: prædicametu undecimú debcat
constitui, in quo tur aliæ passiones entis entia rationis reponantur Quid sit
dicendum breviter declaratur. c. vnic virum ens habeat veras paſſiones,
cproprietates. Vtrum iftud principium,impoſſibile eſt id eniſimul Variæ
opiniones cum eorum fundamentis eſje; non efje fit firmiſſimim. Allara opinio
refellitur Opinio Scoti explicatur, & rationes Aduerſarlorum Veritas
breviter explicatur, & quædam obicctiones ſoluuntur soluuntur.c.vnic Vtrum
propria paſio distinguatur realiter vtrum hoc principium inpossibile est idem
fimulef à Juo subiecto. fes nonesse sit simpliciter primum principi um, e prima
omnium dignitatum. Opinio & Auerroiſt Nominal. quorumdam. breuiter
reijcitur cum fuis, & opinio fundamentis Thom.. Au principiun iſtud ſit
diuerſum ab alijs principijs, & explicatur.c. præſertim ab illo, de
quolibet verum eft affirmare 201 velnegare.c.1 Allata opinio reijcitur, &
opinio Scoti, quæ eft etiam Auert. Comprobatur Opinio Allerentium primum
principium ſimpliciter Rationes Aduerſariorum foluuntur elle illud de quolibet
verum ett affirinare,vel nega Rationes Aduerſariorum contra diftinctionem for
re, retellitur. malem inter ſubiectuin, & paflionem adducuntur, ConGdecancur
opinio Antonij Andreæ, obiectiones & foluuntur.Aduerfarioruin, &
quæfituin reſolutur.V trum vnü quod eft paffio entis, dicat quid poſitivi Vtrum
inter contradictoria detur medium. Opinio Auicennæ reijcitur, & opinio AQUINO
(si veda).& re. Quomodo vera fit hæc propofitio, & aſſertio, inter
ctatorum explicatur cum ſuus fundamentis.c.1.177 contradictoria datur mediam
explicatur, & ebie Opinio D.Thom. & ſectatorum refellitar. ctiones
quædamin contrario foluuntur.Opinio Scoti explicatur, & rationes pro Aduerſarijs
Argumenta quædam contraria toimuntur.c.2. foluuntur De Vnitate indiuiduali, seu
de principio individuationis. Vtrum cauſæ ſint tantum quatuor. Quierlain
adduntur ad ea, quæ in Philoſopbia naturali Quæ fit diffinitio propria
principij, & caufæ, & quod dicta ſunt de principio indiuiduationis contra
Sua corum difcrimen. Suarez, & opinio Scoti magis confir. Vtrum fint plura
quá quatuor genera cauſarú,vbide caula caufi fine quanon,decauſa diſpoſitiua,
obiectiva cxemplaridiecimur Vera explicatio difficultatis propofitæ,&
rationen in oppofitum folutio. Verum cauſa exemplaris fit genas diſtinctuin caufæ à
quatuorgeneribuscaularum pofitis ab Aristotelis. Vtrum caufe ſint ſibi inuicem cauſa. in quo conſiſtat
cauſalitas cauſamaterialis, forma. Quæſtio breuiter reſoluitur, &quædam
obiectiones lis, efficientis. in contrarium foliuntur.c.vnico Opinio
aliorum.com Allatæ Opinio opiniones vera cuin luis refelluntur fundamentis,
& folutio racionú verum neceſſaria habeant caufam fui esse Aducrſariorum. Vtrum
ens diuidatur in decem prædicamenta per De cauſa finali. modos prædicandi, vel
per modos eßendi. Caula finalem ele caulam realem, & caulam caliſa- Quid
fitmodus rei, & quid modi intrinſeci, aliorum fum opinionibus
reiectis,explicatur An finis caufct, & moueat fecundum fuum elle rea.
Opinio Scoti. le, an secundum elle cognitum in inente, Antinis caulec Meraphorice,vel
efficienter Viruin ratio formalis conftitutiua finis in proxiina di ſpoſitione
ad caufandam larbonitas tin:s,& Ancau Vtrumſecunda diuiſio vnius, quæ eft
in vnum nu lalitas tinis babeat lociun in diuinis actionibus, in mero, unum specie,
unum genere, & vnum propor mediis relationibus prusacion.bus, & in
naturali tione sit conveniens.bus Vtrum plura accidentia solo numero
diucrſapoſfint De causa instrumentali ere simul in eodem fubie& to Opinio
D. AQUINO (si veda) & Thomist., cum suis fundamen- Opinio Thoiniſt. cum
fuis fundamentis Alaca opinio celicitur, & opino Scoti explicatur, & conriimtur Allaca opinio refellitur,
& opinio Scoti explicatur Obectiones quęd.ım ex Suarez adducuntur, et folur
Vtrum inſtrumenta Artium habcant vim activa n. tur, & ndiciva deeius speratione
fertir Plures relaciones diltiactis numcroelli dc facto in co Opinio Scoti
adducitur,& rationes Aduerſariorun, dei lubiecto contraaduerfarios prob cap.adductæ
Coluuntur Rationes Aduerfariorum primo capite adducte lol muntur Vtrum onus
effe &tus poſſit prouenire à pluribus caufis. V trum propria ratio quantitatisſit
diuiſibilitas. Quaeslio quoad criamembra, & tres fenfus,breuitcr Diffinitio
quantitatis explicatur cxplicatur Virum quantitas molis fit entitas distincta à
ſubstan. Vtrum idem effectus poflit effe fimul a pluribus cull cia materiali,
& qualitatibusillius ſis totalibus eiuſdeni generis, & ordinis sive speci
Viruin ratio menſuræ fit ratio torinalis quantitaris.De principali quæfito, An
divisibilitas sit ratio esé. cutis quantitates Qienum fic excentio in quanticate, &
quomodo ina Anidem indiuiduum poſſit produci à diue'ſis agen Ten yenda dit.c.s
tibus, idem numero reproduci naturaliter. An idem effectus poflit eſſe à
pluribus saufis rotali bus divisim, seu Anidem indiuiduum numeio por Vtrum
punctum linea, superficies sint entia rear fit produci à diuerſis agentib ila
vel railonis, An idem numero tam in fubftantia, quam in acciden te poflit
reproduci naturaliter Opinio nominalium negantiuneſſe entiz realia cum iuus
fundamcntis. Opin o alaia reiicitur, & finul appo.iti, quod iint evtia
rcalia, que elt com 10HS comprobitiir Vtrum cauſa particularisin a&u,
&ſuus effe &tius in aftuſimulfint, & non fint:vel fub alio titulo.
Opinio Sco: i, & folutio rationum in oppoſituin. Vtrum caufa fitprior ſuo
effectu Quorundam opiniones adducuntur, &reijciuntur DISPV pas T Opinio
Scoti cum fuis fundamentis. Rationes crietani contra hanc opinionem, &
rationem Scoti so trum quantitas discreta ſit proprieſpecies Opinio allata
caietani cum suis fundamentis, & re. quantiiati, sponſionibus refellitur Soluuntur
rationes aliorum.c4 Opinio negatiua cum fuis fundamentis Allata opinio
refellitur & oppofita comprobatur, Opinio Scoti, & communis explicatur,
& rationes Vtrum ad relationem realem tria fuffi in oppofitum foluunturçiant,
Virum in ſpiritualibus tie quantitas diſcreta, & in dili nis fit numerus Relationem habere cauſam efficientem, &
finalem, quæ sunt extrema & relationem multiplicari ad multiplicationcm
fubicctorum, & potentialem el fercaliter diftinctam ab actuali. Vtrum
qualitas rectè diftinguatur in qua., De Distinctione fubiecti, & fundamenti
in relation tuor ſpecies ne.c.2 393 Vtrum fundamentum, & terminus in
relatione reali Proponuntur difficultatesquædam generales circa do neccfiario
diftingui debeant realiter. Vbi opinio ctrinam Ariftotelis de qualitatis
ipecicbus.c.de Gregorij, Auscoli, & Okan apperiuntur, & rejciuntur Quid
dicendum circa allatas difficultates Vtrum dentur Relationes extrinfecus ad V
trum locus fit quantitas. menientes, Explicatur quęnio 2. Q.101.b. Scoti, vbi
de distin- Opin o Scoti explicatur cum ſuis fundamentis ctione loci, de
existenia duorum corporum in eo dein oco difertur, & obicctiones
Aducrtariorum Rationes aliorurn adduantur, & rcfelluntur retelluntur Locum
non cfle vacuum, quamuis vacuum poflit da Rationes allaræ foluuntur leteffe
ipeciem quantitates Solutio argumentorum conrra fecundam, & tertiam
opinionemVtrum motus, tempus fint species quantitatis.VNICUMI. Vtrum una
relatio possit fundari in alia keliiione. Opinio D. Thomæ cum ſuis fundamentis
refellitur, Utrum relatio distinguatur à fundamento, vbi de distinctione reail,
mondo, contra hea Opinio Scoti, & folutio rationum pro præcedenti opi
cenciures un puitur. nioneadductorum Opinio eorum, qui aſſerunt relationein non
distingui a fundamento. Opinio præcedenci capite allata, & doctrina de
ditın Virum tres modi relativorum sint reétè clione reali Suarez iciclisur. allignati
ab Aristotele. Opinio alionum allerenijum relaciones non diſting.is realiter à
fundamento. Anomncs relationes fufficienter contineantur in his Opinio alioulin
aflerenuun relationes eſſe idenirea a b smodis Tejatiliorum.c. I liter cuin
fundamento, led dittingu rationc addu Vuum primus modus relatiuorum Git
ſufficienter ani citur, & refellilur. gnaliis Opiniones aliorum foluuntur Yorum
lccundus, & tertilis modus relatiuorum fic rectè aſiignatus.C.) Vtrum omnis
relatio contineatur in predica mento relationis, an rerò aliqui fint
Transcandentales. Per quid scientia speculatina distingua. Opinio aliorum qui
allerunt relationes rationis repo tur à Practica. nu in prædicamento relationis
adducitur, & reijci tul Adversariorum ſententiæ; An açtus intellectus sie
Que tint relationes prædicamentales, & quæ tran praxis adducuntur, &
refellunur scendentales. Opinio Thomittarun a quo habitus, & scientia di.
catur practica cum lius fundamentis Allaca opinio retellicur, et rationes pro
ça Coluuntur, Virum relatiuum terminetur ad ſuum correlatiuum. Scou one CRUCI
DI De conexione virtutum moralium acqui ſitarum inter fe. Opiniones aliorum refelluntirr.c.i
SOI Opinio D. Tho. & aliorum refelluntur. Opinio Scoti, & dolutio
rationuin sos Utrum scientiam sit una qualitas simplex. Opiniones aliorum
refelluntur, & opinio Scoti ex plicatur Verum scientia: n totalis vt
Philoſophia naturalis, vel Mertaph fit vna nuinero fimplex qualitas Opinio D. AQUINO
(si veda) Opinio Suarez Quomodo opinio nominalium Gt vera, Relponſio caierani
retellitur Pugna inter Suarez & Vaſquez
De connexione virtutum moralium cum prudentia, Opinio Henrici, &
aliorum reijcitur, & opinio Scou ti explicatur CI sog Opiniones Aliorum
refutantur, & opinio Scoti con firmatur. i foluuntur. 6.4 vtrum trimembris diuifio.ſcientia
ſpeculatiuæ in Phisicam Mathematica, de methaphysicam, fut bona. Vtrum necesse
sit ponere charitatem creatam for maliter inherentem naturæ Beatifica Rationes
quibus prædicta diuifio Arist, non vide Diſput. merè Thologica, cur conueniens
Resolucio Difficultatis, & folutio rationum. cap.z. Homines iuſtificari per
iuftitiam inherentem animæ formaliter, non autem per imputatiuain, contra hæ
feticos breuiter probatur Opinio Magiſtri adducitur, & refellitur. Opinio
catholica explicatur, & comprobatur ex Do Vtrumfit necefle ponerein habiturationem
(trina Scoti. principi a &tiui reſpectu actus Quid fit dicenduin deſententia
Magiſtri quo ad fubftantiam. Rationes pro opinione Magiftri adductæ coluntur
cos 531 Duiz opinioncs adducuntur, & refelluntur.c. Opinio D. AQUINO (si
veda) Aureoli, & Durandi' refellitur. R. Opin o Scoti explicatur,
& probatur. Utrum gratia fit virtus, quæ eſt charitas. Obiectiones contra
opinionem Scoti adducuntur, & 469 Exponitur opinio D. Thomæ Vaum
habitusgeneretur per a & tus, & quomodo opi Allara opinio reijcitur. nio
alioruni.cos 474 Exponitur opinio Scoti, &rationibus aliorum tisaltir. Vtrum
habitus moralis in quantum virtusſit aliquo modo principium aétiuum refpectu bo
Vtrum gratia fit in eſentia animæ tamquam in ſur nitatis in actu, biecto vel in
potentys. Opinio Scoti cum ſuis fundamentis. Exponitur opinio illorum qui
dicunt gratiain effe in Obiectiones caictani,& ipfius Scoti contra fe: c. 2
effentiam animæ.c, I 540 480 Rationes in oppofitum foluuntur Rationes caietani,
& aliorum adducuntur, & refeilun 484 Virum in patria remaneat habitus
fidei. Opinio aliorum refellitur, & Scoti explicatur. cap. SAS De ſubię to
babituum, Opinio Scoti defenditur, & comprobatur, C. vnic. pag. 486 De
connexione vtrum intelleétualium inter fe, & Moralium cum Theologicis,
Theologicarum inter fe. De subiecto virtutum. Quod fit dicendum. In quo conueniant
Scoti D Tho. & alij. Opinio ai lara refellitur, & fimulopinió
Scotiproba 492 Vtrum an anıma dertur alij habitus preter virtue Opinio Scoti
explicatur, & rationes aliorum ſolaun tes morales intelectuales, C
Theologicas. vbi de damnis Spiritus Sanéti beatitudi nibus ex fruitibus,
pofiiis a Theo Logis differitur, Opinio 1 pag. cur.c.4 vnic. Opiniones
aliorum refelluntur Vtrum accidens in concreto primo ſignificet fubięz Opinio
Scoti explicatur.c.. čtum vt eft lub
tali forina; & an accidens in abftrą cto Gt ens incompletum. Utrum angumentum cum intentionefiat fema per per
ačtum intenfiorem. Vtrum ſubstantia fit prior accidente tempore Opinio D.
AQUINO. c.1. $ 57 Opiniones aliorum refelluntur Opinio Scou explicatur. Opinio
Scotiexplicatur, & aliorum ſoluitur De modo augumenti, & remissionis,
& Utrum substantia prior sit accidente diffinitione coruprionis -habitus
Opinio Thomiſtarum fefellitur.com ili Opinio aſſerentium in intentione habitus
nihilpræ Opinio Scou explicatum ibid. exiftentis habicusremanere, & eiuldem
confutae Opino D. Thomæ, & aliorum
refellitur Opinio Suarez ieiicitur. y trum ſubſtantia fit prior accidente
cognitione. Quomodo habitus dimmuttur, & corumpitur.cap. Cina ini' 4: S75 Subſtanțiam,effe
priorem cognitione accidentibus Vtrum de e ne per accidens detur fcientia, Quid
fit dicendum de ente per accidens quod prijat Dediuigone ſubſtantiæ in primam,
& ſecundam, & perlelden neut a.c. cil 577 diferentiam inter prim.im
fullt untiam, & ſuppoſi Deente per accidens quod contingenter non necetafio
caulatur. De comparatione primæ subftantiæ ad suppositum, & ad lubfiftçocian
leu perionalitatem Quomodo inteligaty wla propofitio, actiones funç
uppulitoruim.c.3 651 Vtruinens verum debe at ſeparari a, confideratione Quomodo
mielligatur Axioma illud, actiones fins Merhapbojica. c.vnico lingubahuinVtrum
formafit prior compoſito: V trạm inherentia ſit de eſſentia accidentis.
Aduerfario rum opinio fefélitur, & vera comproba. 664 Quid fit dicendum de
inherentia accepta pro per ſe Rationes in oppofitum ſoluuntur.c.2 Tignificato,
ieu pro accidentalitate quæ circuit no nein piedicaincnta. Quud lii dicendum de
accidente pro denominaco quod eit relatio. Vtrummateria ſitens, Vtrum
inherentia actualis fit de ejentia ac, DISPY TATIO cidentis abjoluti. V trữ
quod quid est sit idein chillo cüius ejt.c.1.667 Opinio Scoti, & aliorum
reiicitur.C.3 Inherenţiam actualem non ele de jellentia acciden- Explicatur
fenllis verus illius proportionis,c.2. 669 usabloluti Vtrum genita ex putri,
“ſemine ſint eiufdem ratio y trum ens finitum Prima ſui diuiſione diuidatur in
dccem preurcamenta, o qualisfit bac diuifio, Ü eius analogia Opiniones aliorum
adducuntar Vtrum Cælum in generatione animalium ex putri Allara opinioncs
refeliuiiur, & opinio Scoti expli materia ſit principale a cris. ibido
Callir.c.2 633 Au rationes adversariorum Vtrum compositum per se generetur Veritas
questionis explicain & opinio Scoti defendi Vtrum accidens in ſe
confideratum fit ens. tur.C.2 673 Rationes pro aliis opinionibus foluuntur,
& opinio Veritas aperitur confutata opinione aliorum Suare, & Zimaræ
diluuntur.c.3 ** 31 tur hos 624 nis Opinio quorundam refellitur. Allaca opinio
refelitur, opinio Scoti explicatur, & ra De Ideis platonis an ſint
Admittende. tiones in oppofitum foluuntur.c.2 720 Germina opinio Platonis.Rationes
Arift. contra Platonem, & solutio rationú in oppositum.C.2 691 De ſubie
&to accidentium. An hoc fit
potentia qnæ lam paſſiua in. herens (abſtantiæ. Vtrum forme niturales de
potentia matteriæ educantur Opinio AQUINO refellitur Opiniones illorum qui
formas naturales produci ab Opinio quorumdam aliorum.c.2 725 agence leparatu,
velab intelligentia vel a Celo ale runt.C.2 688 Vtrum poum accidens poffit effe
fubie &tum Opinio Sco.& Solutio rationum alterius accidentis. Opinio
Scoto, & folutio rationum. C.3 Vtrum materia fit pars quidditatis rerum
naturaliuin. Vtrum ad formationem prolis mater concurrat Quid sit dicendum. ci
vnic. 694 active Vtrum fingulare ſitper ſe a nobis cognoſcibile. Vtrum cælum
fit compoſitum ex mate. rid, forni. Næc Celum, nec animam rationalem, nec
Angelam eiſe compoſica exmateria, & forma contra quoſ daw recentiores
Scouſtas. C. Vnic. 731 Vtrum conceptus generis fit alius à concept u diffe
rentie, speciei.Thomiltarú, & aliorú opinio, & confutatio Opinio Scoto,
& folutio aliorun. Vtrum omnis creatura fit compoſita ex materia, como
foruba, ex potentib, autu Virum differentia diuifiuig? neris inferioris inclu.
Opinio afferentium omnes creaturas eſſe compoſi. dat differentiam gencris
juperioris formaliter. tas ex materia, & forın potentia & actu
refellitur & opinio Scoti explicatur Opiniones alioruin. Obiectiones A tucrinorum contra doctrinam alli Alata
opinio retellitur, & vin statutis.c. 733 cam Scoti lefel iniur, Virum
universale sit aliquid in rebus. Utrum ex materia, e forma fiat unum per se. Aliorum
opinionibus confutatis exponitur opinio Scou.c. Voici XXI Utrum in compoſito
ſubstantiali fint plures forme ſubſtantiales.Verum totum eſſentiale
diſtinguatur a luis partibus; De diuiſione entis in potentiam, actum, in ef fimulfunptis.
Seniamy w exiſtentiam, Vitum potentia, & actus opponantur, &quaoppo
tucione; vbi op.no Henrici de cflentia, & exItentia conturauir Opinio
Thomiſt. de diſtinctione en is in potentia, Vtrum in motu alterationis oporteat
manere idem & actum retelitur, & opinio Scoti explicatur. fubie
&tum fiinpliciter ſub zeroq; terminorum, 757 Rationes Aduerſariorum primo,
&ſecundo capite Quid fit dicendum, & reſoluțio objęđionum in con
adductæ foluuntur Obiectio ex Saclano,&corundem reiectio Vtrum essentia,
existentia in ente creato actuanter onijiente distinguuntur. Utrum accidens sit
compoſitum intrixſece Eficntiam trariuin Blora afikas JIPEL " SI
Essentiam, & existentiam non realite, nec ratione c'tantum, sed formaliter
distingui, & opinionem Scoti elleveram defenditur. c. I Quid ſit exifteptia
creaturæ, & an habeat aliquas causās, & causalitates, & quædam aliæ
quæstiones de existentia enodantur Utrum verum ſit illud Axioma,primum invnogue
que genere eft metrum, o menfura omnium, que ſuntin illo genere: y trum
potentia ſuficienter diuidat!ır in actiuam, Quid Ge menſura,& quæ
conditiones eius vbi de du o paſiuam, earum diffinitiones ſint ratione,de
æternitate, & to, & aliis inenfuris agi reita aſſignatæ. tul Verus
intellectus propofitiAxiomatis Obicctiones cótra vtráq; partem adducútur
Diuifionem potentiæ in actiuam, & pafſiuain eſte difficientem, &
diffiniționės vtriuſq; potenciæ ef de l'ecrè allignatas Vtrum vnum, multa
opponantur contrarie, vbi de paſſionibus entis agitur: 1 Firew.idem
moreripoſſit à ſeipſo,velvt alij loquit Quomodo vnum lic paflio ſimplex, &
difuncta en tir', Vtrum potentia actiua, & paffiua jem tis, qualis fit
diuitio entis in vnum, & multa, & qua per ré, ú ſubiecto differant. lis
ipforum oppofitio.c.vbic, 819 Opinio AQUINO & aliorum tenenrium parcein
negatiua,nimirú ide à feipfo moueri non pofle Allata opinio refellitur V ti
un,ptáralitas ſei diuifibilitas fit prior Rationes pro Aduerfariis primo capite
a iductæ ſol vno, jer indiuiſibílı, oc. uunub.Quid fit dicendum breuiter
aperitur. c.vnic. Vtrum omnis potenti 1.fite tantum attina, veltātum paliud,vel
aliqua fit fimul actiua, o pajuna. V trum à priuatione ad habitum ſit poſibilis
Quedamquæſtiunculæ de potentia tractaræ à Scoto regreſſus jeù tranſmutatio: an
hoclibro Nono breuiter explicantur ic. i 784 Eamdem potentiam poffe efle
actiuam, & paffiuan Ruid fit dicendup. c.ynic, i $ 23 nedyn
selpecriducrforum,led relpectu tuijpfi us, & quomodoVtrum identitas
abſoluta, a relatiua fint eadem V tim potentia paſina diuidatur in potentiã
notu. entitas an distinci e realiter. i ralerno upernaturalé,jei obediétialé,a
violétă. Opinio Aduerſariorum refellitur cum ſuis fundansé Diftinctionem
allatam eſſe de potentia paffiua, non tis, & opinio Scoti explicatur, &
prob.c.ynic, 8.24 actina. L'orenciain obedientialem acuvam non da. ri, &
membra omnia fecundum doctrinam Scori elle intelligenda. C. vnic. Vtrum idem,
& diuerſuin habeant inediú. c.vnic.V trum aétus ſit prior potentia.. V triem media cõt: ariorū ſint
cöpoſita ex terninis: 10 cuo ſenſu ſit vera, & quid dicendum explicatur. Duæ
contrariæ opiniones adducuntur in propoſita questione, & an duo contraria
poflint elle in co. dem fubiecto.c.I 828 Vtrum actio fit in agente, vel in
paflor 791 Quid fit dicendum de vtraque, opinio allata, & opiu nio Scoti explicatur.
Quodam alia adducuntur ad majorem declaratione; Kanduio contaria in fumino de
potentia Dei ab y trum differentia,quam alignat Philofophus inter ſoluta
pollint elle fimul. c.; potentias rationales, e irrationales fit conuenienter
poſita. Rationes contra allaraw differentiam
aßignatam ab Vtrum formæ ſubſtantiales formaliter repugnantes, Anttotele opponantur
oppoſitione contrarietatis. Resolutio quæstionis. Arguincita primo capite adducta
ſoluiuntur. Opinio aferens formas ſubstantiales eſſe contrarias cțiin tus
fundamencis. Fundamenta quædam pro veritate
inueftiganda, vbi de natura oppofitorum agitur. Utrum detur aliquis aétus malus
in voluntate ſine Solutio principalis dubitationis, & rationes pro pri vlla
ignorantia in inielletin maopinione Obiectio quid tun'ex Scoto ipfo,& ex
recentioribus aduerſus ſecundam partem quartz conclufionis fit l'trum
corruptibile, e incorruptibile differant perius probatæ, probans rarionc
naturali pode de pluſquam genere monftrari Deum eſtepropriè omnipotentem,reij.
Citur Alixrationes exrecentiotibiis ad
idem adducuntur, & foluuntur. An verum sit Deum posse saccreomze illud,
quot non implicat contradictionem. Vtrum primæ quatuor qualitates fint for, An
Deus ponit facere fimul omnia quæ poteft, & an me ſubſtancialeselementorum.
poſit facere in infiniçum Opinio affirmatiua cu niluls fundamentis i Fundamenta pro opinione Græcorum.c Primaratio
contra opinionem Græcoram adduci- vtrum potentiæ in Deo diſtinguatur abtur.C.3
tia,& voluntatealiquomodo,fie cius fcien Aliæ rationes ad idem. C.4 8.46
Intellectum, &voluntatem detur potentia efe Quædam ali rationes ad idem.c.s
848 cutiua in Dco, quid in Angelis. 0 Solutio rationum in oppoſitum Deopinione
Auerroes.c.7, s'agi ! 855 Opiniones aliorum cum fuis fundamentis.c.r924
Explicatio opinionis Scoti; & confutatio aliarum Vtrum generatio, corruptio
fiant in inftanti Opinio áfferentium ſubſtantiam?ſucceſſiuélgenera. Quid
comprahendati fub'obie & o omnipotentiæ: ricum ſuis tuntamientis Opinio
allata refellitur, & omnem generationem An omnipotentia se extendar'adactis
notionales ſe ſubſtantialem fieri in inſtanci cum Arift.defendi cundum Theologos.
cLimas. Anomnipotentia fe extendat ad creationem Angelo Rationes aduerfariorun
foluuntur. C32.862: rum, & quid fit dicendum fecunduin Theologos, 00061:
Jorcu & quid fecundum Philosophos.c.2 VM. Lupe pie Vtrum Deusfit ſimplex, & omnis creatura
ſit com politan. Utrum omnis productio, velindu &tio cuiufcumque forma sit
univoca, ſoue à fuo ſimili perrun solum Deus sit inmutabilis. Quid sit dicendun
aperitur. Rationes in oppositum foluantur, & quomodo meti13 Deum in ſe ele
irmutabilem probatut rationibus fit caula caloris Philofophorum, &
Theologorum. co.Analiquid aliud á Deo habeat immutabilitatem, IWA quid lenſerincPhilofophi
Obiectiones contra determinata tisperivis, & opinio Vtrum animarationalis
it'immortalis. eorum, qui dicunt Deum agere libere ad extraie cundum Philosophos,
& endem confutatio Rationes pro' opinione Philoſophorum, quod Deus Venum
detur vnum primum ens infinitum, quod eſt agat necefario ad extra,& quod
dcntiraiiqua ca Deus,in qua rationibusnaturalibus demonftratiuis tia ex fe
neceffe eiſe,adducantur, & eadein opinio proceditur, contra Atheiſtas. retelliill's
Cof Quædam præambulæ conclufiones ad probanda'n Deum effe immutabilem quoad
intellectun, & volú primamens ex triplici primitate prædicta elle in tatem,
& quomodo. finitum præmittunur. Rationes pro Philofophis foluuntur. Primum
ens triplici primitate præmiffa effe infinitú Quæ virtutes cx ijs que
conſequentar voluntatein $ erat fecundum principale intencū prob.c.7. 399 Tint
in Deo. Rationes D. Thom. & aliorum, quibus probant Deā elle infinitum,adducuntur,
& reijciuntur. V trum dctur infinitum actu in permanenti bis, c filceclivis.
Vtrum Deum eſſe omnipotentem poſſit natnrali ratione, neceſjaria demonſtrari.
Status queſtionis, & rationes quaſdam recentiorü, quod mundus non pocucrit
elle ab æterno, non có Explicatur çitalis quæftionis, & quid fit dicendan.
cludcre oftendicar, c. 960 quoad demonſtrationem propter quid. Opmio eorunqai
affcrun dari infinitum aétu tam Quid dicendum quoad demonftrationem quia, tam
in permanentibus,gratia fuccelifuis adducitur, & fecundum Philoſophos, quam
fecundum Theolo reijcitur & quoinodo diſcrepent Philosophi à Theolo.
Pofitio Scoti, & folutio rationum in contrariain. gis Vtrum attributa
diſtinguantur inter ſe, ab eſſentia Dei De voluntate Dei. Aſignantur loca in
quibus præcipuię difpufationes pertinentes ad voluntatem Dei ab Auctore tracta.
tur, & oftenditur Deum amare le, & alia extra ſe, & quomodo. Caput
Vnicum. i Utrum Deus fit Immenſus. An voluntas Dei semper implicatur INDI Diſputatio primacontra Atheos. Diſputatio
ſecunda contra Atheos. An Deus contingenter velit, & eius voluntas abalie quo
determinetur.Diſputatio tertia contra Atheos. De alijs fubjt antiis.è prima
distinctis. Naturalitatione porce probari dari ſubftantiasabſtra & tas,
& rationes in oppofiuum efle nullas Diſputatio quarta contra Atheos. Si
Aristoteles demonstravit Mundum elle æternum Devi Utrum Angelus, Anima
rationalis dif ibi serant specie, OS Opiniones aliorum. Opinio Scoti, &
AnimcellectualitasAngeli, & Ani mæ rationalis ſpecie diſtinguantur, &An
potentiç ſpecie diftinctæ poflint veulari circa idem object. Utrum primum cælum
moueatur immediate a primo motore Utrum Philosophus posuerit omnes
intelligentias ejse vigoris infiniti. Utrum Anima intellectiva in corpore
habeat pro priumeße existentiæ diſtincim ab elle compos Jiii, len vtaly
ducuntsAn in corpore fubfiftatvel vt quo, vel vt quod. Opinio D. Thomæ
ratiqpibus Scoti confutatur, & eiuſdein ſententia explicatur, cap.I
Defenſio Thomiliarlim. cap. 2 Allata opinio refellitar, cap.3 Virum Cælum ſit
animatum. Utrum Deus sit invisibilis, incompræbensibilis, & ineffabilis.Nils
An Deus fit viſbilis oculo corporeo, & quid de his tribus attributis sit
dicentum.Urum separatio Anime rationalis a corpor, cu Status animæ rationalis
exiia corpus violenter, an naturaliter.compeiani animæ rationali;. Opinio
Thomiftarum, & Sequaciun cum liris fun damnentis Opinio Scoti explicatur,
& præcedens refellitur. cap.2 V trum Dcus ſit ſubstantia viuens intellectua
lis, felicissima Attributa prædicta competere Deo probatur De scientia dei.
Utrum omnes potentiæ animæ rationalis inſint anim & icparita Quid Git
dicendum de Vegetativa, & Sensitiva, reiecta opinione affirmativa. cap.
Vnic. Quomodo scientia ponatur in Deo,
quomodo Intellectus, Intellectio, & intellectuin in eo sint idem An
scientia sit de cilentia Dei in primo modo dicendi per se Vtrum secundum Aristotelem
Deus habeat cognitio nein aliarum rerum extra se. De cognitione animæ separate.
An anima separata cognoscat quidditates, & res, quas coniuncta cognoscebat,
& quid dicendum reiectis opinionibus opposiris. Ricerca Liceo di
Aristotele luogo della scuola di Aristotele ad Atene Lingua Segui Modifica Nota
disambigua.svg Disambiguazione – "Peripato" rimanda qui. Se stai
cercando l'antica strada alla base dell'Acropoli di Atene, vedi Peripatos. Liceo
di Aristotele Athens Lyceum Archaeological Site 2.jpg CiviltàAntica Grecia
Localizzazione StatoGrecia Grecia ComuneAtene Altitudine108 m s.l.m.
Amministrazione Visitabilesi Sito webodysseus. culture.gr/h/3/eh355.jsp?obj_id=20744
Mappa di localizzazione StreetMap Il Liceo (Λύκειον Lykeion) era un luogo
dove Aristotele fondò la scuola che fu chiamata Liceo e anche
peripatetica. Geografia ed etimologia Sito alle pendici meridionali del
Licabetto, era un luogo esteso tanto da essere adatto alle esercitazioni
militari. Pericle vi aveva fondato un ginnasiosuccessivamente ampliato da
Licurgo. Il nome della località derivava da un santuario dedicato ad Apollo
Licio. "Licio" – o LIZIO -- e un epiteto attribuito ad Apollo o
perché riferito al termine «lupo» (λύκος) O AL FATTO CHE IL DIO APPENA NATO E
PORTATO IN LICIA (Λυκία, LIZIA), o, infine perché si vuole indicare la sua
caratteristica di divinità solare -- dalla radice λευκ-, λυκ-, candore, luce. Quando
Alessandro divenne reggente del regno di Macedonia, cominciando anche ad
avvicinarsi alla cultura orientale, il suo maestro Aristotele, che era intanto
rimasto vedovo e conviveva con la giovane Erpillide, da cui aveva avuto il
figlio Nicomaco, nell'ultimo periodo della sua vita tornò forse a Stagirae, da
lì si trasferì ad Atene dove si dedicò all'insegnamento della sua dottrina,
ormai matura e del tutto distaccata da quella platonica, che costituisce quasi
interamente il corpus aristotelicum a noi pervenuto. Il nome peripatetica della
scuola aristotelica deriva dal greco Περίπατος, «la passeggiata» (da περιπατέω
«passeggiare», composto di περι «intorno» e πατέω «camminare») cioè quella
parte del giardino dove era un colonnato coperto dove il maestro e i suoi
discepoli camminavano discutendo. Secondo Spadolini il Liceo, come l'Accademia di Platone, non
avrebbe avuto nessuna finalità religiosa e i suoi discepoli sono divisi come in
un tiaso tra quelli che erano iniziati e frequentavano la scuola come interni
(gli "esoterici") a cui erano riservate le lezioni più specialistiche
e complesse e coloro che partecipavano come discepoli esterni
("essoterici"), uditori a cui era dedicata la parte divulgativa della
dottrina. Gli scavi Il piano di studi probabilmente si basava
sull'insegnamento: delle scienze teoretiche dedicate all'osservazione
degli enti e del loro divenire (fisica, zoologia, psicologia) e degli enti
immobili (metafisica e teologia); delle scienze pratiche, che dovevano guidare
all'azione (etica e politica); delle scienze poietiche (retorica e poetica). La
logica non compariva come scienza, ma come strumento propedeutico allo studio
di qualsivoglia scienza. Alla morte di Aristotele, avvenuta nel 322 a.C.,
Teofrasto gli succedette nella direzione del Liceo. Nel 287 a.C., alla morte di
Teofrasto, la direzione fu assunta da Stratone di Lampsaco. Il Liceo fu
depredato da Filippo V di Macedonia e successivamente da Lucio Silla. Il nome
continuò ad essere usato per indicare la scuola peripatetica e in seguito fu
riferito a quei luoghi pubblici dove si tenevano dissertazioni letterarie e
filosofiche. NoteModifica ^ Dizionario di filosofia Treccani (2009) alla
voce "Liceo". ^ Enciclopedia Treccani alla voce
"Aristotele". Vocabolario Treccani alla voce "Peripato". ^
Rebecca Solnit, Storia del camminare, Pearson Italia S.p.a., 2005 p. 16. ^ Cfr.
qui. ^ Bianca Spadolini, Educazione e società. I processi storico-sociali in
Occidente, Armando Editore, 2004 p. 68. BibliografiaModifica The Lyceum, in Encyclopedia of
Classical Philosophy, Westport, Greenwood, 1997. John Patrick Lynch,
Aristotle's School: a Study of a Greek Educational Institution, Berkeley,
University of California Press, 1972. Voci
correlateModifica Scuola peripatetica Altri progetti Modifica Collabora a
Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Liceo
Collegamenti esterni The Lyceum da The Internet Encyclopedia of
Philosophy. Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che
trattano di filosofia Ultima modifica 1 anno fa di Placentinus Teofrasto
filosofo e botanico greco antico Scuola peripatetica scuola filosofica
fondata ad Atene da Aristotele Eudemo da Rodi filosofo e storico della
scienza greco antico. Scuola peripatetica scuola filosofica fondata ad Atene da
Aristotele Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce
sull'argomento scuole e correnti filosofiche è solo un abbozzo. Contribuisci a
migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. La scuola peripatetica (in
greco Περιπατητική Σχολή Peripatetiké Scholé) fu una delle grandi scuole
filosofiche greche, fondata da Aristotele. I suoi membri erano detti
peripatetici. La scuola di Aristotele, di Gustav Adolph Spangenberg
La scuola in origine deriva il suo nome Peripato, Περίπατος, dai περίπατοι, colonnati
dei porticati del GINNASIO d’Atene, dove i membri si riunivano, che si trova
presso il santuario dedicato ad Apollo Licio o LIZIO da cui deriva l'altro nome
della scuola: il Liceo, o LIZIO. Una parola greca simile, περιπατητικός si
riferisce all'atto di camminare e, come aggettivo, "peripatetico" è
spesso usato per indicare itinerante, errante, in movimento. Dopo la morte di
Aristotele, nacque la leggenda che egli fosse un docente
"peripatetico" - che camminasse intorno insegnando - e la
designazione Peripatetikos è venuta a sostituire il Peripatos originale.
StoriaModifica La scuola risale quando Aristotele intraprese l'insegnamento nel
Liceo. Si trattava di un'istituzione informale, i cui membri conducevano
indagini filosofiche e scientifiche. La scuola peripatetica diede inoltre
grande impulso all'indagine storica come strumento di indiscussa validità per
la conoscenza e la comprensione delle manifestazioni religiose, artistiche,
poetiche e letterarie. Teofrasto e Stratone, i successori di Aristotele,
continuarono la tradizione di esplorare teorie filosofiche e scientifiche, ma la
scuola cadde in declino, per rinascere non prima del periodo romano. In seguito
i membri della scuola si concentrarono sulla conservazione e sul commento delle
opere di Aristotele, piuttosto che estenderle, e la scuola alla fine morì nel
III secolo d.C. Anche se la scuola si estinse, lo studio delle opere di
Aristotele fu proseguito da studiosi che vennero chiamati peripatetici
attraverso la tarda antichità, il Medioevo ed il Rinascimento. Dopo la caduta
dell'Impero romano d'Occidente, le opere della scuola peripatetica andarono
perse in Occidente, ma in Oriente furono incorporate nella prima filosofia
islamica, svolgendo un ruolo importante nella rinascita delle dottrine
aristoteliche nell'Europa medioevale e rinascimentale. Si riflessero nel doppio
filtro applicato all'aristotelismo dapprima da Alessandro di Afrodisia e poi
continuato nell'eredità spirituale di Al-Farabi, Avicenna e Averroè.
Scolarchi ed altri PeripateticiModifica Maggiori esponenti della Scuola
peripatetica, Aristosseno Teofrasto. II scolarca Eudemo da Rodi Prassifane di
Mitilene Demetrio Falereo Dicearco Ieronimo di Rodi Stratone di Lampsaco scolarca
Licone (peripatetico) scolarca Aristone di Ceo scolarca Critolao scolarca Diodoro
di Tiro scolarca Cratippo di PergamoI secolo a.C.Andronico di Rodi Boeto di
Sidone Senarco di SeleuciaI secolo d.C.Ario DidimoI secolo d.C. Nicola di
Damasco. Gigante, Kepos e Peripatos. contributo alla storia dell'aristotelismo
antico, Napoli, Bibliopolis, Lynch, Aristotle's School: A Study of a Greek
Educational Institution, Berkeley, University of California Press, Moraux,
L'Aristotelismo presso i Greci, Milano, Vita e Pensiero, Sharples, Peripatetic
Philosophy, An Introduction and Collection of Sources in Translation,
Cambridge, Cambridge University Press, 2010. Fritz Wehrli (a cura di): Die
Schule des Aristoteles. Texte und Kommentare. Basel Edizione (raccolta dei
frammenti). Voci correlate Liceo di Aristotele Peripatetici antichi Peripatos
Scolarca Liceo di Aristotele luogo della scuola di Aristotele ad Atene
Boeto di Sidone (peripatetico) filosofo greco antico, peripatetico
Peripatetici antichi lista di un progetto Wikimedia Wikipedia Il
contenutoPeripatetici antichi lista di un progetto Wikimedia Lingua Segui
Modifica Questa è una lista dei filosofi peripatetici antichi in ordine
(approssimativamente) cronologico.Eraclide Pontico Wehrli lo ha inserito nel
VII volume della sua opera, ma si tratta di un discepolo di Platone Aristosseno
di TARANTO (si veda) Uno dei principali allievi di Aristotele, scrisse diverse
opere sulla musica Teofrasto Secondo scolarca del Peripato, autore di libri di
botanica e logica Eudemo di Rodi Collaboratore di Aristotele ed autore di opere
di storia della geometria e della teologia Dicearco da Messina Discepolo di
Aristotele, autore di opere filosofico-politiche e geografiche Cameleonte di
Eraclea Pontica Edizione: "Chamaeleontis Heracleotae fragmenta" a
cura di Giordano, Bologna, Patron Fania di Ereso Allievo di Aristotele,
filosofo e scienziato Clearco di Soli Autore di scritti sulle culture orientali
e di un'opera Sull'educazione Prassifane di Mitilene Allievo di Teofrasto, ebbe
come discepolo Callimaco Demetrio Falereo Oratore, scrisse opere di etica,
retorica e letteratura Stratone di Lampsaco Fu maestro di Aristarco di Samo,
importante la sua teoria del vuoto Licone (peripatetico) Autore di un'opera Sui
caratteri. fu rivale di Ieronimo di Rodi Ieronimo di Rodi Fu avversario di
Arcesilaoe fondò una scuola a indirizzo eclettico Sozione il Peripatetico Autore
delle Successioni dei filosofi di cui restano solo pochi frammenti Ermippo di
Smirne Seguace di Callimaco, scrisse le Vite degli uomini illustri Aristone di
Ceo Allievo di Licone Critolao Scrisse sull'etica, avvicinandosi allo Stoicismo
Diodoro di Tiro Discepolo di Critolao Aristone il Giovane Allievo di Critolao
Stasea di Napoli Il primo Peripatetico che soggiornò a Roma, secondo Cicerone
maestro di Calpurniano Apellicone di Teo Bibliofilo, comprò i manoscritti di
Aristotele che Neleo di Scepsi aveva ricevuto da Teofrasto Aristone
d'Alessandria Discepolo di Antioco di Ascalona, aderì alla Scuola Peripatetica
Cratippo di Pergamo Amico di Cicerone, che ne parla nel suo De divinatione
Erinneo Secondo Paul Moraux Probabile scolarca del Peripato dopo Diodoro di
Tiro Tirannione il Vecchio Grammatico, noto per avere messo in ordine la
biblioteca di Cicerone I e II Secolo d.C.Alessandro di Ege Insieme allo stoico
Cheromonte fu maestro di Nerone Andronico di Rodi Ha curato l'edizione del
Corpus aristotelicum Boeto di Sidone (peripatetico) Discepolo di Andronico di
Rodi Ario Didimo Filosofo romano, insegnante di Augusto la sua opera è una
sintesi di stoicismo ed aristotelismo Nicola di Damasco Autore di una Storia
universale e di un'opera Sulla filosofia di Aristotele Senarco di Seleucia(I
secolo d.C.)Negò l'esistenza dell'etere Adrasto d'Afrodisia Scrisse
sull'ordinamento degli scritti di Aristotele e commentò alcune su opere
Aristocle di Messene(II secolo d.C.)Scrisse un'esposizione delle scuole
filosofiche di cui restano alcuni frammenti Aspasio Commentatore di alcune
opere di Aristotele, in particolare l'Etica nicomachea Ermino Allievo di
Aspasio e maestro di Alessandro di Afrodisia Sosigene Autore di uno scritto
Sulle sfere dei pianeti Tolomeo Efestione o Chenno La sua opera Storia nova è
riassunta da Fozio di Costantinopoli nella sua Biblioteca Alessandro di
Afrodisia Il più importante dei commentatori delle opere di Aristotele
BibliografiaModifica Paul Moraux, L'Aristotelismo presso i Greci, Milano, Vita
e Pensiero, Sharples, Peripatetic Philosophy, An Introduction and Collection of
Sources in Translation, Cambridge. Wehrli (cur.): Die Schule des Aristoteles.
Texte und Kommentare. Basel Edizione Voci correlate Platonici antichi Stoici
antichi Liceo di Aristotele Scuola peripatetica Portale Antica
Grecia Portale Antica Roma Portale Ellenismo
Portale Filosofia Scuola peripatetica scuola filosofica fondata ad Atene da
Aristotele Prassifane di Mitilene filosofo peripatetico ed erudito greco
antico Boeto di Sidone (peripatetico) filosofo greco antico,
peripatetico Wikipedia Il contenutoFilippo Fabri. Filippo Fabbri. Fabbri.
Keywords: lizii, accademici, i peripatetici, The 34 disputationes. Galilei,
Pico, aristotelismo, anti-aristotelismo, platonismo, l’unita della metafisica,
distinzione tra matematica e fisica. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fabri” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Fabro: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale di Senone di Velia, l’innamorato di Parmenide -- per la porta
di Velia – scuola di Flumignano – filosofia flumignese – filosofia talmassonese
– filosofia udinese – filosofia friulese. filosofia italiana – Luigi Speranza (Flumignano). Filosofo italiano. Flumignano, Talmassons, Udine,
Friuli-Venezia Giulia. Grice: “I like Fabro; my favourite of his essays is on
Giorgio Hegel, “La dialettica,” which is really about Socrates and Alcibiades! My Athenian Dialectic which I turned into Oxonian!”. Studia
al seminario degli stimmatini. Si laurea a Roma sotto Reverberi con “Il
concetto di ‘causa’” e la critica di D. Hume. Insegna a Roma. Si dedica quindi
allo studio della biologia filosofica. Pubblica “La partecipazione”. Insegna a Napoli
e Perugia. Si inscrive nell'alveo della neoscolastica, o, più precisamente, del
neotomismo. Il suo apporto più profondo alla metafisica classica, sulle orme di
san Tommaso d'Aquino, è la distinzione reale tra "essenza" e
"atto d'essere”. È questa tesi che lo porterà a riconoscere con sicurezza
le debolezze e le aporie dall'immanentismo del cogito cartesiano, che sfocia
ineluttabilmente nell'ateismo. Trova l'origine dell’ateismo in Cartesio e Spinoza,
nasce nel concetto di "immanenza" contro "trascendenza”.Critica
Severino e Rahner. Valorizza l’esistenzialisto anti-idealista di Kierkegaard. Altre
opere: “Partecipazione in Platone, Aristotele e Aquino, S.E.I., Torino);
“Neotomismo” Piacenza) “La fenomenologia della percezione, Vita e Pensiero,
Milano); “Percezione e pensiero, Vita e Pensiero, Milano), “L’esistenzialismo,
Vita e Pensiero, Milano); “Esistire” (Vallecchi, Firenze); “Dio” (Studium,
Roma); “L'Assoluto nell'esistenzialismo” (Miano-Catania); “L'anima” (Studium,
Roma); “Dall'essere (essuto, suto) all'esistente” (Morcelliana, Brescia); “Il
Tomismo” (Desclée, Roma); “Hegel: La dialettica, La Scuola Editrice, Brescia);
“Partecipazione e causalità, S.E.I., Torino); “Feuerbach-Marx-Engels.
Materialismo dialettico e materialismo storico (La Scuola Editrice, Brescia); “L’ateismo”
Studium, Roma); “L'uomo e il rischio di Dio, Studium, Roma); “Esegesi
tomistica, Pontificia Università Lateranense, Roma); “Tomismo” Pontificia Università
Lateranense, Roma); “La svolta antropologica di Rahner” (Rusconi, Milano); “L'avventura
del progressismo” Rusconi, Milano); “La fede di Kierkegaard” La Scuola
Editrice, Brescia); “La trappola del compromesso storico: da Togliatti a Berlinguer,
Logos, Roma); La preghiera” Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); “L'alienazione
dell'Occidente. Osservazioni sul pensiero di Severino, Quadrivium, Genova); Momenti
dello spirito I, Sala Francescana di cultura «P. Antonio Giorgi», AssisiS.
Damiano; Momenti dello spirito II, Sala Francescana di cultura «P. Antonio
Giorgi», Assisi S. Damiano); Aquino, Ares, Milano); La libertà, Maggioli,
Rimini); Gemma Galgani), Il sopra-naturale, Cipi, Roma); L'enigma Rosmini,
Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli); Le prove dell'esistenza di Dio, La
Scuola, Brescia); Commento al Pater Noster” Pontificia Accademia di San Tommaso
d'Aquino, Città del Vaticano); Cristianesimo, L'Aquila, Japadre). Essere e
libertà. Studi in onore di Cornelio Fabro, Maggioli, Rimini); Giuseppe Mario
Pizzuti, Veritatem in caritate. Studi in onore di C. Fabro, Ermes, Potenza); Rosa
Goglia, La novità metafisica in Cornelio Fabro, Marsilio, Venezia); Federico
Costantini, Fabro e il problema della libertà, Forum, Udine); Elvio Celestino
Fontana, Fabro all'Angelicum, EDIVI, “Segni (EDIVI) Fabro e l'Esistenzialismo, EDIVI, Segni. Rosa
Goglia, Fabro. Profilo biografico, cronologico, tematico da inediti, note di
archivio, testimonianze, EDIVI, Segni,. Ariberto Acerbi, Crisi e destino della
filosofia. Studi su Fabro, EDUSC, Roma,. Note
Goglia, Rosa, Fabro: profilo biografico cronologico tematico da inediti,
note di archivio, testimonianze, EDIVI, Kierkegaard
Neotomismo Ateismo. Fondo Fabro presso la Biblioteca della Pontificia
Università della Santa Croce., su pusc.ZENO ELEATES. J5. Z^vwv
'EXeaTTj;. xouxov 'A7toXXoo«pd'; ^Y)otv «T- i 25* ^ n0 Eleates. Hunc
Apollodorus ait in Chronicis na- vat Iv Xpovixot; ^puoei piv TeXeuxaYopou
, OsVet Si tura quidem Teleutagorae , adoptione autem Parmenidis 20
IlapaEviSou. irspl xooxou xal MeXfoaou TCjmov cpyjol 2 filium. De hoc atque
Melisso Timon haec ait : xauxa* 'AfxcpoTipoYXwacou xe {xffa
ffOivcx; oux aXawaSvov Andpitis linguae vis maxima cuncta secantis
Z^vcdvo? rcavxtov smXiiTrxopoc ^Ss MeXiaaou, Zenonis, qui corripit omnes,
atque Melissi; TroXXwv <pavTa<T|xwv Indvb), rcaupwv ft fiiv
eiaw. plurima visa errant in summo , rara sed intus. 25 *0 §•?)
Zr,vci)v Stax^xos IIap[ievi5ou xal yeyovev autou 3 FjiimveroZeno Parmenidis
auditor erat,abeoqueamatus est. TzonBixa. xal eo^XTj? ^v, xa6a cpTjai
nXarwv iv tw Fuit autem procerae staturae , quemadmodum Plato in Par-
IlapfAevCoTi, 6 8' auxb; Iv xw 4>a(5pw xal 'EXeaxixov menide notat, idemquein
Phaedro ipsum VELIA [si veda] Pala- IIaX*jji^5yiv autov xaXel. {pr,dl 8'
'AptaxoxsXy,? Iv xw 4 medem vocat. Aristoteles autem in Sophista auctor est
in- 2otpiax7J eupex^v auxbv yeveaOai ^taXExxiXTJ; , (ocircp ventorem
ipsum fuisse dialectics , quemadmodum Empe- 30 'EixweSoxXfia
firixopiXT)?. yeyove Si av^.p y^vvaio- doclem rhetoric®. Fuit et in philosophia
et in republixaxo^ xal Iv cptXoao^fa xal Iv 7roXixe(a* cpipexat youv ca vir
sane nobilissimus : feruntur nempe ipsius volumina auxou pi^Xta
7roXXrj<; ffWato*; YCfxovxa. xaOeXsTv SI Oe- 5 sapientiae plenissima. Is
quum Nearcbum tyrannum seu , ut Xifaac N^ap^ov xbv xupavvov — ot Se,
Aiof/iSovxa — alii volunt, Diomedontem imperio exuere voluisset, com-
ouveX^cpOy), xa6d cp^atv 'HpaxXe^Tj; Iv x9j 2axupoo prebensus est, ut in Satyri
epitome ait Heraclides : quo 36 lirixopuj. 6xe xal l;6xa£o'[Aevoc
xou<; auveiSoxa^ xal 7T£pl tempore quum de consciis et armis qua; Liparam ad
vexerat, xwv oVXmv 5v ^y 6V eAiirotpav, iravxa? Ip.>5vu«v au-
inquireretur, volens ipsmndesertum destitutumquereddere, xoo xooc cpiXou;
, pouXo(X£vo<; auxov ^aov xaxaaxyjaar omnes illius amicos conjurationis esse
conscios dixit ; deinde •Txa 7cep( xtvwv efceiv e^ttv auxw wpbc xb
o3<; IXeye xal quum de quibusdam dixisset quiddam ipsi ad aurem loqui
xu^avxo? Saxwv xb wxiov oux av9jx£v Tok imwrffiri , velle, earn mordicus
apprehensam non ante dimisit quam \o
lautbv'AptoxoYeCxovtxtoxupavvoxxovwTraOtov. (27) Ar,u^- confoderetur ; quod
idem accidit Aristogitoni tyrannicidae. Digitized by
Google 234 biba. e, Q.
AEVKinnos. rpto? Se ^r,aiv ev xoi< ojawvuu.oi; xbv puxxTJpa auxbv
diroTpaYeiv. 'AvxiaOevrj; 5' ev xal; SiaSo^al? ^r,<jt fJLExdc TO
(JLTjVUffai XOU? <p(X0UC IpWX1f]09ivai 7TpO? XQU XUpaVVOU e? ti?
aXXo? eiYj • xbv 8i eiireiv, « au 6 xyfc woXews aXi- 6 tiqpio^. » 7rpo;
x£ xou$ 7capE<rcwxa; ©avai , « Oauuut£w 6fxwv r?)v SeiXCav, et xouxwv
Ivsxev wv vuv e*Y&> ^Trofxe- vw, SouXeuexe xw xupavvw* * xal xeXoc
aitoxpayovxa tJjv yXwxx«v 7rpo<;7mj<iai auxw, xou? 8i TroXfxac
7rapop- (i.r,0£VTa<; auxixa xbv xupavvov xaxaXsuaat. xauxa oe io
oyeSbv of irXe(ou<; Xe'Youaiv. "Epu.nnroc S§ <piQctv eU 6V
fxov auxbv pXTjO^vat xal xaxaxo7c9jvai. (2§) xal eU auxbv ^)(jlcT<
efarofxev oSxciK* *H8eXe<;, w Z^vwv, xaXbv ^OeXe< avSpa xupavvov
xxe(va? IxXuaai SouXoouvtjs 'EXe'av. 15 dXX' ISau-Ttf- 5^1 yap «
Xa€u>v 6 xupavvos ev 5Xu.w xo^c. x( xouxo Xs*y<«> ; ffWfAa yap ,
ofyl 8s «. yiyove Se xa t* £XXa aya6b<; 6 Zi^vwv, dXXa xal
&ict p- oicxixb? xwv (xtt^vtov xax' fcov 'HpaxXetxw* xal yap
o5xo« xV wpoxepov p.ev 'YeXTjv, (Saxepov 5* 'EXfov, <I>w 20
xaiwv ouaav airoixtav, auxou Se 7raxp(Sa, ttoXiv eoxeXri xal |xo'vov
avSpacoYaOoucxpscpetv ^taxafjLEvrjv ^YaTrrjae |xaXXovx9i? 'AOTjvaiwv
iuyxXoLuyia^ oux iTriSYi^aa? xb icapaTrav Trpb? auxouc, aXX' auxd8i
xaxa&ouc [29) ou- xo? xal xbv 'Ax^ca irpwxo? Xoyov ^pwxTjffE-
<I>a6o>pT- 25 voc Se' <prjo-t napfX£v(Sr,v xal
aXXou<; cuyvouc. 'Aplaxet S f auxw xaSe* Koauou? eJvai xevo'v xe u^
eTvar Y £ Y 6 " V7j<r8ai Se x^,v xwv wavxwv <puatv ex Gep|AOu
xal ^u/pou xal fopou xal uypou, Xau.€avovxwv eU aXXrjXa x^v jxe-
xa€oXr,v • Y^vEdtv x' avOpo)7TO)v ix yr;? eTvai xal tfu^v 30 xpS{ia
&Trap/6iv Ix xwv 7rpo£ipT)asvwv xaxa |XYiSevb<; xouxcov
iTrixpaxTjaiv. xouxov cpaai XoiSopoutxevov aya- vaxxTJaat- aixiaaa|X£vou
8e xtvo<;, cpavai, « £av X01S0- poujxevo? (jl^j 7rpo<;Tcoiw(xai ,
ouS' ItuaivoujAEvoc ^aG^ao- (xat. » tf Oxt S£ Ysyo'vaai Zr,vo)V£<;
6xxw ^v xw KixieT 65 StetX^UEOa. fixiLOiZi oSxo; xaxa x9jv Ivax^v
xal £6$ou.Y)xo<rri:v 'OXujjLiriaoa. Demetrius vero in
Cognominibus nasutu ei morsu abstuJfssc ait. Porro Antisthenes in
Successionibus ait ilium, quum amicos tyranni detulis et, rogalum a
tyranno essetne alius quispiam, dixisse, Tu civitatis> pernicies.
Deintle astantibus ita locutumesse, Admiror equidem vestram socordiam, si
horum gratia quae nunc ego tolero , tyranno servire sustinetis. Deniquc
praecisam linguam in ora tyranni conspuisse, cives autem continuo facto
impetu lapidibus tyrannum obruifise. Usee ferme pleriquc tradiderunt.
Cc- terum Hermippus ilium in mortariuro injectum contusumque fuisse
ait. Et in hunc nos sic diximus: Tentasti,
Zeno, crudelis canle tyranni Eleus ut populus libera turba
foret. At prensiim in pita te content articulatim iste : imo
non te, sed tua membra terit. Praeclarus et in ceteris fuit Zeno
potentiorumque non secus atque Heraclitus quadam animi altitudine
contemptor r nam hie prius quidem Hyelen, postea vero Eleam
nominatam Phocaeensium coloniam suamque patriam, civitatem humi-
lem bonosque tantum virosnutrirc solitam, dilexitmagis quam Atheniensium
magnificentiara : ad quos nunquam profectus est , domi assidue commorans. Hie etiam primus
syilogismo usus est qui Achilles appellatur, quamvis Favorinus Parmenidem et
alios plures proferat. Placent autem illi lieecce: Mundos esse plures et
inane non esse; naturam omnium re rum ex calido et frigido aridoque et
humido fuisse ortam, quum ista in se invicein commutentur. Generationem hominum
e terra esse , animamque ita ex his omnibus commixtam quae praediximus,
ut a nullo eorum plus quam a ceteris obtineatur. Hunc aiunt quum
conviciis laceraretur, indignari solitum : et vituperante quodam dixisse,
Si maledicta me non tangunt , nee laudes I ome delectabunt. Octo
vero fuisse Zenones, quum de Citieo loqueremur, diximus. Floruit autem hie
Olympiade nona et septuagesima. KE4>.
Q'.AETRinn02. AEuxtirircx; 'EXeaxTi;, w? U xtve;, 'A6Sv)piti}C 9 I
xax' lvtou<; bl MiiXio;. oSxcx; ^xouae Ztivwvoc. "Hptdxs o* auxw
dWpa fitvat xa uavxa xal ik aXXYjXa fxexa- SaXXetv. x<^ xe Ttav Jvai xevbv
xal TrXripec <iw|a<xxwv. tou? te xdff[A00s yivtafai <jw(jloitwv
tU to xevov I|xtti- ttxovxwv xal aXX^Xotc 7reptwX£X0|xivwv ^x xe xtk
xtv^- «&k xaxa xtjv aufow auxwv YtveaOat x^jv x(ov dW- pwv
^uffiv. cpe'peffOai 8e xbv ^Xtov Iv fiet^ovi xuxXw wapa B Tf^v
<ieX^vy|V t^v y^v ^ewOat Trepl *rb jieaov Stvouui- vvjv ffX^H^ f'
auxTJ? TujiTcavoetSe^ elvai. «pwxd< x' dxouou^ap/a?
uxwffx^aaxo.xalxecpaXaiwSwsfxiv xauxa* Zenone lleate. I. Zenone eleate. Era costui, al dire di Apollodoro,
a5 nelle Cronache , p«r natura, figlio di Teleutagora, per
adozione, di Parmenide. II. Di lui « di Melisso dice Timone queste cose :
// prò ed il contro a disputar potente, Zenone, invitto, riprensor
di tutti; E Melisso di molte fantasie Superiore, di poche
inferiore. Zenone di VELIA è veramente discepolo di Parmenide e suo
bar- dassa. È grandissimo della persona, secondo che, nel
Parmenide, scrive Platone, che, nel Fediv , lo chiama anche Palamede di VELIA. Afferma Aristotele nel
Sofista , eh 9 e 9 è l’inventore della dialettica, siccome GIRGENTI (si veda) della
retorica ; che è uomo e in filosofia e in politica assai prestante ; e che
vanno attorno suoi libri pieni di molta a g sapienza. Volendo Zenone
rovesciare il tiranno Nearco - secondo alcuni Diomedonte - è, al dire d’Eraclide, Epitome
di Satiro, sostenuto e quando lo si inquisì circa i complici e l’armi, che
sono state portate a Lipara, afferma, onde colui rimane solo, che di
tutto consapevoli sono i suoi amici. Poscia soggiugnendo che intorno
a taluno qualche cosa avea da dirgli all’orecchio, addentandoglielo, non prima
il lasciò che cade trafitto; lo che ha in comune col tirannicida
Aristogitone. Demetrio, negl’omonimi, afferma che gli morsica il naso; ma Àntistene racconta, nelle
successioni, che dopo di averne denunciati gl’amici, interrogato dal tiranno,
se alcun altro vi è, egli rispose: Tu, peste della città! e che dopo di
aver detto agl’astanti: Meravigliomi della vostra codardia, se, in grazia
di ciò ch’io patisco, servirete al tiranno, spiccatosi finalmente la
lingua coi denti la sputò ad esso in faccia; e che i cittadini concitati
a quel fatto lapidarono il tiranno. Queste cose, presso a poco, si vanno
narrando dai più. Ma Ermippo asserisce che gettato Zenone di VELIA (si
veda)in un mortaio, vi è pestato. Sopra di lui noi parliamo così:
Tu volevi o Zenon di VELIA (si veda), volevi torre, a8 Uomo egregio, la
patria dal servaggio, il tiranno uccidendo. Ma cadesti oppresso, perocché
tosto il tiranno, Presoti, in un mortaio ti pesta. Che dico! Te non
già, ma il corpo solo. Zenone di VELIA (si veda), se in altre cose
preclaro, il è eziandio, al pari d’Eraclito, nel guardare con ispregio i
più grandi; poiché egli, quella che prima è Iele e da ultimo VELIA,
colonia fenicia e sua patria, città meschina e solo ZENONE di VELIA
(si veda) atta a nutrire uomini dabbene, ama di preferenza ai vanti degl’ateniesi,
per lo più non recandosi presso di loro, ma abitando in essa. Usa
primo nelle dispute l’argomento detto l’Achille (sebbene Favorino dice ciò di
Parmenide) e molti altri. Credette che vi è mondi, e non vuoto. Che
la natura di tutte le cose viene prodotta dal caldo e dal freddo dal
secco e dall' umido mutantisi a vicenda. Che la generazione degl’uomini deriva
dalla terra, e l’anima è una mescolanza dei prefati senza
prevalenza di alcuno. Narrano che sentendo di essere biasimato, se
ne impazienta, e che taluno condannandolo dice; Se comporto le
contumelie, neppure mi accorgera l’esser lodato. Che vi sono otto
Zenoni già è detto nella vita del cizieo. Il nostro fiorisce nella
settantesima nona Olimpiade. Cornelio Fabro. Fabro. Keywords: per la porta
di Velia, essere, e, essente, esuto, suto. L’uomo allo specchio. Dialettica di
hegel, tomismo, essere atto d’essere – immanenza – trascendenza -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Fabro” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Fadio: la
ragione conversazionale a Roma antica – l’orto a Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Garden.
Friend of Cicerone. Marco Fabio Gallo. Marco Fadio Gallo. Fadio.
Grice e Faggin: la ragione conversazionale dei bei --
metrica filosofica – inno orfico – scuola di Vicenza – filosofia vicentina –
filosofia veneta -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Isola Vicentina). Filosofo italiano. Isola Vicentina, Vicenza, Veneto. Grice:
“I like Faggin: he is obsessed with love; he translated Fedro, he selected some
passages from the Roman philosopher Plotino and titled it, implicaturally “Dal
bello al divino,” but surely for Plotino, via hypernegation, the divine IS
beautiful – and finally, being an Italian, he became interested in “Dutch
Protestantism” – “il Pellegrino cherubico”!” Si laurea a Padova sotto Troilo. Insegna a Padova, Bassano
del Grappa, Campobasso, Vicenza.
Studioso del platonismo, della tradizione mistica e dell'occultismo,
commenta le Enneadi di Plotino. Altri suoi lavori riguardano Eckhart e la
mistica medioevale, Schopenhauer, la stregoneria e l'occultismo
rinascimentale. Altre opere: “Van Gogh,
Padova, MILANI); Plotino, Milano, Garzanti); “Eckhart e la mistica” Bocca,
Milano); “Schopenhauer: il mistico senza Dio, Firenze, La nuova Italia); “Le
streghe: trentatré incisioni dell'epoca, Milano, Longanesi & C.); “Gli
occultisti dell'età rinascimentale, Milano, Marzorati); “Storia della
filosofia: ad uso dei licei classici, Milano, Principato); “Dal Rinascimento a
Immanuel Kant, Milano, Principato); “La filosofia antica” (Milano, Principato);
“Diabolicità del rospo” (Vicenza, Neri Pozza); “Dal Romanticismo alla scuola di
Francoforte, Milano, Principato); “Enneadi” Milano, Istituto Editoriale),
“Sulla libertà del volere”; “Sul fondamento della morale” (Torino,
Boringhieri); Eckhart, Trattati e prediche, Milano, Rusconi); Inni orfici,
Giuseppe Faggin, Roma, Āśram Vidyā). Platone Fedro Edizione Acrobat
a cura di Patrizio Sanasi (patsa@tin.it) Platone Fedro
SOCRATE: Caro Fedro, dove vai e da dove vieni? Platone FEDRO FEDRO: Dalla casa
di Lisia, Socrate, il figlio di Cefalo, (1) e vado a fare una passeggiata fuori
dalle mura. Ho passato parecchio tempo là seduto, fin dal mattino; e ora,
seguendo il consiglio di Acumeno,(2) compagno mio e tuo, faccio delle
passeggiate per le strade, poiché, a quanto dice, tolgono la stanchezza più di
quelle sotto i portici. SOCRATE: E dice bene, amico mio. Dunque Lisia era in
città, a quanto pare. FEDRO: Sì , alloggia da Epicrate, nella casa di Monco,
quella vicino al tempio di Zeus Olimpio. SOCRATE: E come avete trascorso il
tempo? Lisia non vi ha forse imbandito, è chiaro, i suoi discorsi? FEDRO: Lo
saprai, se hai tempo di ascoltarmi mentre cammino. SOCRATE: Ma come? Credi che
io, per dirla con Pindaro, non faccia del sentire come avete trascorso il tempo
tu e Lisia una faccenda «superiore a ogni negozio? FEDRO: Muoviti, allora!
SOCRATE: Se vuoi parlare. FEDRO: Senza dubbio, Socrate, l'ascolto ti si addice,
poiché il discorso su cui ci siamo intrattenuti era, non so in che modo,
sull'amore. Lisia ha scritto di un bel giovane che viene tentato, ma non da un
amante, e ha comunque trattato anche questo argomento in modo davvero elegante:
sostiene infatti che bisogna compiacere chi non ama piuttosto che chi ama.
SOCRATE: E bravo! Avesse scritto che bisogna compiacere un povero piuttosto che
un ricco, un vecchio piuttosto che un giovane, e tutte quelle cose che vanno
bene a me e alla maggior parte di voi! Allora sì che i suoi discorsi sarebbero
urbani e utili al popolo! Io ora ho tanto desiderio di ascoltare, che se
facessi a piedi la tua passeggiata fino a Megara e, seguendo Erodico, arrivato
alle mura tornassi di nuovo, non rimarrei dietro a te. FEDRO: Cosa dici, ottimo
Socrate? Credi che io, da profano quale sono, ricorderò in modo degno di lui
quello che Lisia, il più bravo a scrivere dei nostri contemporanei, ha composto
in molto tempo e a suo agio? Ne sono ben lungi! Eppure vorrei avere questo più
che molto oro. SOCRATE: Fedro, se io non conosco Fedro, mi sono scordato anche
di me stesso! Ma non è vera né l'una né l'altra cosa: so bene che lui,
ascoltando un discorso di Lisia, non l'ha ascoltato una volta sola, ma
ritornandovi più volte sopra lo ha pregato di ripeterlo, e quello si è lasciato
convincere volentieri. Poi però neppure questo gli è bastato, ma alla fine, ricevuto
il libro, ha esaminato i passi che più di tutti bramava; e poiché ha fatto
questo standosene seduto fin dal mattino, si è stancato ed è andato a fare una
passeggiata, conoscendo, corpo d'un cane!, il discorso ormai a memoria, credo,
a meno che non fosse troppo lungo. E così si è avviato fuori dalle mura per
recitarlo. Imbattutosi poi in uno che ha la malattia di ascoltare discorsi, lo
ha visto, e nel vederlo si è rallegrato di avere chi potesse coribanteggiare
con lui e lo ha invitato ad accompagnarlo. Ma quando l'amante dei discorsi lo
ha pregato di declamarlo, si è schermito come se non desiderasse parlare: ma
alla fine avrebbe parlato anche a viva forza, se non lo si fosse ascoltato
volentieri. Tu dunque, Fedro, pregalo di fare adesso quello che comunque farà
molto presto. FEDRO: Per me, veramente, la cosa di gran lunga migliore è
parlare così come sono capace, poiché mi sembra che non mi lascerai
assolutamente andare prima che abbia parlato, in qualunque modo. SOCRATE: Ti
sembra davvero bene. FEDRO: Allora farò così . In realtà, Socrate, non l'ho
proprio imparato tutto parola per parola: ti esporrò tuttavia il concetto più o
meno di tutti gli argomenti con i quali lui ha sostenuto che la condizione di
chi ama differisce da quella di chi non ama, uno per uno e per sommi capi,
cominciando dal primo. SOCRATE: Prima però, carissì mo, mostrami che cos'hai
nella sinistra sotto il mantello; ho l'impressione che tu abbia proprio il
discorso. Se è così , tieni presente che io ti voglio molto bene, ma se c'è anche
Lisia non ho assolutamente intenzione di offrirmi alle tue esercitazioni
retoriche. Via, mostramelo! FEDRO: Smettila! Mi hai tolto, Socrate, la speranza
che riponevo in te di esercitarmi. Ma dove vuoi che ci sediamo a leggere?
SOCRATE: Giriamo di qui e andiamo lungo l'Ilisso, poi ci sederemo dove ci
sembrerà un posto tranquillo. FEDRO: A quanto pare, mi trovo a essere scalzo al
momento giusto; tu infatti lo sei sempre. Perciò sarà per noi facilissimo
camminare bagnandoci i piedi nell'acqua, e non spiacevole, tanto più in questa
stagione e a quest'ora. SOCRATE: Fa' da guida dunque, e intanto guarda dove ci
potremo sedere. FEDRO: Vedi quell'altissimo platano? SOCRATE: E allora? FEDRO:
Là c'è ombra, una brezza moderata ed erba su cui sederci o anche sdraiarci, se
vogliamo. SOCRATE: Puoi pure guidarmici. FEDRO: Dimmi, Socrate: non è proprio
da qui, da qualche parte dell'Ilisso, che a quanto si dice Borea ha rapito
Orizia? SOCRATE: Così si dice. FEDRO: Proprio da qui dunque? Le acque appaiono
davvero dolci, pure e limpide, adatte alle fanciulle per giocarvi vicino.
SOCRATE: No, circa due o tre stadi più in giù, dove si attraversa il fiume per
andare al tempio di Agra: appunto là c'è un altare di Borea. 2 Platone
Fedro FEDRO: Non ci ho mai fatto caso. Ma dimmi, per Zeus: tu, Socrate,
sei convinto che questo racconto sia vero? SOCRATE: Ma se non ci credessi, come
fanno i sapienti, non sarei una persona strana; e allora, facendo il sapiente,
potrei dire che un soffio di Borea la spinse giù dalle rupi vicine mentre giocava
con Farmacea, ed essendo morta così si è sparsa la voce che è stata rapita da
Borea (oppure dall'Areopago, poiché c'è anche questa leggenda, che fu rapita da
là e non da qui). Io però, Fedro, considero queste spiegazioni sì ingegnose, ma
proprie di un uomo fin troppo valente e impegnato, e non del tutto fortunato,
se non altro perché dopo questo gli è giocoforza raddrizzare la forma degli
Ippocentauri, e poi della Chimera; quindi gli si riversa addosso una folla di
tali Gorgoni e Pegasi e un gran numero di altri esseri straordinari dalla
natura strana e portentosa. E se uno, non credendoci, vorrà ridurre ciascuno di
questi esseri al verosimile, dato che fa uso di una sapienza rozza, avrà
bisogno di molto tempo libero. Ma io non ho proprio tempo per queste cose; e il
motivo, caro amico, è il seguente. Non sono ancora in grado, secondo
l'iscrizione delfica, di conoscere me stesso; quindi mi sembra ridicolo
esaminare le cose che mi sono estranee quando ignoro ancora questo. Perciò
mando tanti saluti a queste storie, standomene di quanto comunemente si crede
riguardo a esse, come ho detto poco fa, ed esamino non queste cose ma me
stesso, per vedere se per caso non sia una bestia più intricata e che getta
fiamme più di Tifone, oppure un essere più mite e più semplice, partecipe per
natura di una sorte divina e priva di vanità fumosa.Ma cambiando discorso,
amico, non era forse questo l'albero a cui volevi guidarci? FEDRO: Proprio
questo. SOCRATE: Per Era, è un bel luogo per sostare! Questo platano è molto frondoso
e imponente, l'alto agnocasto è bellissimo con la sua ombra, ed essendo nel
pieno della fioritura rende il luogo assai profumato. Sotto il platano poi
scorre la graziosissima fonte di acqua molto fresca, come si può sentire col
piede. Dalle immagini di fanciulle e dalle statue sembra essere un luogo sacro
ad alcune Ninfe e ad Acheloo. E se vuoi ancora, com'è amabile e molto dolce il
venticello del luogo! Una melodiosa eco estiva risponde al coro delle cicale.
Ma la cosa più leggiadra di tutte è l'erba, poiché, disposta in dolce declivio,
sembra fatta apposta per distendersi e appoggiarvi perfettamente la testa.
Insomma, hai fatto da guida a un forestiero in modo eccellente, caro Fedro!
FEDRO: Mirabile amico, sembri una persona davvero strana: assomigli proprio,
come dici, a un forestiero condotto da una guida e non a un abitante del luogo.
Non lasci la città per recarti oltre confine, e mi sembra che tu non esca
affatto dalle mura. SOCRATE: Perdonami, carissimo. Io sono uno che ama
imparare; la terra e gli alberi non vogliono insegnarmi nulla, gli uomini in
città invece sì . Mi sembra però che tu abbia trovato la medicina per farmi
uscire. Come infatti quelli che conducono gli animali affamati agitano davanti
a loro un ramoscello verde o qualche frutto, così tu, tendendomi davanti al
viso discorsi scritti sui libri, sembra che mi porterai in giro per tutta
l'Attica e in qualsiasi altro luogo vorrai. Ma per ì l momento, ora che sono
giunto qui io intendo sdraiarmi, tu scegli la posizione in cui pensi di poter
leggere più comodamente e leggi. FEDRO: Ascolta, dunque. «Sei a conoscenza
della mia situazione, e hai udito che ritengo sia per noi utile che queste cose
accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo perché non mi
trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono dei benefici che hanno
fatto, allorquando cessa la loro passione, mentre per gli altri non viene mai
un tempo in cui conviene cambiare parere. Infatti fanno benefici secondo le
loro possibilità non per costrizione, ma spontaneamente, per provvedere nel
migliore dei modi alle proprie cose. Inoltre coloro che amano considerano sia
ciò che è andato loro male a causa dell'amore, sia i benefici che hanno fatto,
e aggiungendo a questo l'affanno che provavano pensano di aver reso già da
tempo la degna ricompensa ai loro amati. Invece coloro che non amano non
possono addurre come scusa la scarsa cura delle proprie cose per questo motivo,
né mettere in conto gli affanni trascorsi, né incolpare gli amati delle
discordie con i familiari; sicché, tolti di mezzo tanti mali, non resta loro
altro se non fare con premura ciò che pensano sarà loro gradito quando
l'avranno fatto. Inoltre, se vale la pena di tenere in grande considerazione
gli amanti perché dicono di essere amici al sommo grado di coloro che amano e
sono pronti sia a parole sia coi fatti a rendersi odiosi agli altri pur di
compiacere gli amati, è facile comprendere che, se dicono il vero, terranno in
maggior conto quelli di cui si innamoreranno in seguito, ed è chiaro che, se
parrà loro il caso, ai primi faranno persino del male. D'altronde come può
essere conveniente concedere una cosa del genere a chi ha una disgrazia tale
che nessuno, per quanto esperto, potrebbe tentare di allontanare? Essi stessi,
infatti, ammettono di essere malati più che assennati, e di sapere che
sragionano, ma non sanno dominarsi; di conseguenza, una volta tornati in senno,
come potranno credere che vada bene ciò di cui decidono in questa disposizione
d'animo? E ancora, se scegliessi il migliore degli amanti, la tua scelta
sarebbe tra pochi, se invece scegliessi quello più adatto a te tra gli altri,
sarebbe tra molti; perciò c'è molta più speranza che quello degno della tua
amicizia si trovi tra i molti. Se poi, secondo l'usanza corrente, temi di
guadagnarti del biasimo nel caso la gente lo venga a sapere, è naturale che gli
amanti, credendo di essere invidiati dagli altri così come si invidiano tra
loro, si inorgogliscano parlandone e per ambizione mostrino a tutti che non
hanno faticato invano; mentre coloro che non amano, essendo più padroni di sé,
scelgono ciò che è meglio in luogo della fama presso gli uomini. Inoltre è
inevitabile che molti vengano a sapere o vedano gli amanti accompagnare i loro
amati e darsi un gran da fare, cosicché, quando li vedono discorrere tra loro
credono che essi stiano insieme o perché il loro desiderio si è realizzato o
perché sta per realizzarsi; ma non provano affatto ad accusare coloro che non
amano perché stanno assieme, sapendo che è necessario parlare con qualcuno per amicizia
o per qualche altro piacere. E se poi hai paura perché credi sia difficile che
un'amicizia perduri, e temi che se sorgesse un dissidio per un altro motivo la
sventura sarebbe comune ad entrambi, mentre in questo caso verrebbe un gran
danno a te, perché hai gettato via ciò che più di tutto tieni in conto, a
maggior ragione dovresti temere coloro che 3 Platone Fedro amano:
molte sono le cose che li affliggono, e credono che tutto accada a loro danno.
Per questo allontanano gli amati anche dalla compagnia con gli altri, per
timore che quelli provvisti di sostanze li superino in ricchezza, e quelli
forniti dì cultura li vincano in intelligenza; in somma, stanno in guardia
contro il potere di tutti quelli che possiedono un qualsiasi altro bene. Così ,
dopo averti indotto a inimicarti queste persone, ti riducono privo di amici, e
se badando al tuo interesse sarai più assennato di loro, verrai in discordia
con essi. Chi invece non si è trovato a essere nella condizione di amante, ma
ha ottenuto grazie alle sue doti ciò che chiedeva, non sarebbe geloso di chi si
accompagna a te, anzi odierebbe coloro che rifiutano la tua compagnia, pensando
che da costoro sei disprezzato, ma trai beneficio da chi sta assieme a te.
Perciò c'è molta più speranza che dalla cosa nasca tra loro amicizia piuttosto
che inimicizia. Per di più molti degli amanti hanno desiderio del corpo prima
di aver conosciuto il carattere e aver avuto esperienza delle altre qualità
individue dell'amato, così che non è loro chiaro se vorranno ancora essere
amici quando la loro passione sarà finita; per quanto riguarda invece coloro
che non amano, dal momento che erano tra loro amici anche prima di fare questo,
non è verosimile che la loro amicizia risulti sminuita dal bene che hanno
ricevuto, anzi esso rimane come ricordo di ciò che sarà in futuro. Inoltre ti
si addice diventare migliore dando retta a me piuttosto che a un amante. Essi
lodano le parole e le azioni dell'amato anche al di là di quanto è bene, da un
lato per timore di diventare odiosi, dall'altro perché essi stessi danno
giudizi meno retti per via del loro desiderio. Infatti l'amore produce tali
effetti: a coloro che non hanno fortuna fa ritenere molesto ciò che agli altri
non arreca dolore, mentre spinge coloro che hanno fortuna a elogiare anche ciò
che non è degno di piacere, tanto che agli amati si addice più la compassione
che l'invidia. Se dai retta a me, innanzitutto starò assieme a te prendendomi
cura non solo del piacere presente, ma anche dell'utilità futura, non vinto
dall'amore ma padrone di me stesso, senza suscitare una violenta inimicizia per
futili motivi, ma irritandomi poco e non all'improvviso per motivi gravi,
perdonando le colpe involontarie e cercando di distogliere da quelle
volontarie: queste sono prove di un'amicizia che durerà a lungo. Se invece ti
sei messo in mente che non possa esistere amicizia salda se non si ama,
conviene pensare che non potremmo tenere in gran conto né i figli né i
genitori, e non potremmo neanche acquistarci amici fidati, poiché i vincoli con
essi ci sono venuti non da una tale passione, ma da altri rapporti. Inoltre, se
si deve compiacere più di tutti chi ne ha bisogno, anche nelle altre cì
rcostanze conviene fare benefici non ai migliori, ma ai più indigenti, poiché,
liberati da grandissimi mali, serberanno la massima gratitudine ai loro
benefattori. E allora anche nelle feste private è il caso di invitare non gli
amici ma chi chiede l'elemosina e ha bisogno di essere sfamato, poiché costoro
ameranno i loro benefattori, li seguiranno, verranno alla loro porta,
proveranno grandissima gioia, serberanno non poca gratitudine e augureranno
loro ogni bene. Ma forse conviene compiacere non chi è molto bisognoso, ma chi
soprattutto è in grado di rendere il favore; non solo chi chiede, ma chi è degno
della cosa; non quanti godranno del fiore della tua giovinezza, ma coloro che
anche quando sarai diventato vecchio ti faranno partecipe dei loro beni; non
coloro che, ottenuto ciò che desideravano, se ne vanteranno con gli altri, ma
coloro che per pudore ne taceranno con tutti; non coloro che hanno cura di te
per poco tempo, ma coloro che ti saranno amici allo stesso modo per tutta la
vita; non coloro che, cessato il desiderio, cercheranno il pretesto per
un'inimicizia, ma coloro che daranno prova della loro virtù quando la tua
bellezza sarà sfiorita. Dunque tu ricordati di quanto ti ho detto e considera
questo, che gli amici riprendono gli amanti perché sono convinti che questa
pratica sia cattiva, mentre nessuno dei familiari ha mai rimproverato a coloro
che non amano di provvedere male ai propri affari per questo motivo. Forse ora
mi domanderai se ti esorto a compiacere tutti quelli che non amano. Ebbene, io
credo che neanche chi ama ti inviti ad avere questo atteggiamento con tutti
quelli che amano. Infatti né per chi riceve benefici la cosa è degna di
un'uguale ricompensa, né, se anche lo volessi, ti sarebbe possibile tenerlo
nascosto allo stesso modo agli altri; bisogna invece che da ciò non venga alcun
danno, ma un vantaggio a entrambi. Io penso che quanto è stato detto sia
sufficiente: se tu desideri ancora qualcosa e pensi che sia stata tralasciata,
interroga». FEDRO: Che te ne pare del discorso, Socrate? Non è stato
pronunciato in maniera straordinaria, in particolare per la scelta dei
vocaboli? SOCRATE: In maniera davvero divina, amico, al punto che ne sono
rimasto colpito! E questa impressione l'ho avuta per causa tua, Fedro,
guardando te, perché mi sembrava che esultassi per il discorso intanto che lo
leggevi. E dato che credo che in queste cose tu ne sappia più di me ti seguivo,
e nel seguirti ho partecipato al tuo furore bacchico, o testa divina! FEDRO: Ma
dai! Ti pare il caso di scherzare così ? SOCRATE: Ti sembra che io scherzi e
che non abbia fatto sul serio? FEDRO: Nient'affatto, Socrate, ma dimmi
veramente, per Zeus protettore degli amici: credi che ci sia un altro tra i
Greci in grado di parlare sullo stesso argomento in modo più grande e copioso
di lui? SOCRATE: Ma come? Bisogna che il discorso sia lodato da me e da te
anche sotto questo aspetto, ossia perché il suo autore ha detto ciò che
bisognava dire, e non solo perché ha tornito ciascun termine in modo chiaro,
forbito e puntuale? Se proprio bisogna, devo convenirne per amor tuo, dal
momento che mi è sfuggito a causa della mia nullità. Infatti ho posto mente
soltanto all'aspetto retorico del discorso; quanto all'altro, credevo che
neppure Lisia lo ritenesse sufficiente. A meno che tu, Fedro, non abbia
un'opinione diversa, mi è parso che abbia ripetuto due o tre volte gli stessi
concetti, come se non avesse a disposizione grandi risorse per dire molte cose
sullo stesso argomento, o forse come se non gliene importasse nulla; e mi
sembrava pieno di baldanza giovanile quando mostrava com'era bravo, dicendo le
stesse cose prima in un modo e poi in un altro, a parlarne in tutti e due i
casi nella maniera migliore. Platone Fedro FEDRO: Ti sbagli, Socrate:
precisamente in questo consiste il discorso. Infatti non ha tralasciato nulla
di ciò che meritava d'esser detto in argomento, tanto che nessuno mai saprebbe
dire cose diverse e di maggior pregio rispetto a quelle dette. SOCRATE: In
questo non potrò più darti retta: uomini e donne antichi e sapienti, che hanno
parlato e scritto di queste cose, mi confuteranno, se per farti piacere
convengo con te. FEDRO: Chi sono costoro? E dove hai ascoltato cose migliori di
queste? SOCRATE: Ora, lì per lì , non so dirlo; ma è chiaro che le ho udite da
qualcuno, dalla bella Saffo o dal saggio Anacreonte o da qualche scrittore in
prosa. Da cosa lo arguisco per affermare ciò? In qualche modo, divino
fanciullo, sento di avere il petto pieno e di poter dire cose diverse dalle
sue, e non peggiori. So bene che non ho concepito da me niente di tutto ciò,
dato che riconosco la mia ignoranza; allora resta, credo, che da qualche altra
fonte io sia stato riempito attraverso l'ascolto come un vaso. Ma per indolenza
ho scordato proprio questo, come e da chi le ho udite. FEDRO: Ma hai detto cose
bellissime, nobile amico! Neanche se te lo ordino devi riferirmi da chi e come
le hai udite, ma metti in atto esattamente il tuo proposito. Hai promesso di
dire cose diverse, in maniera migliore e non meno diffusa rispetto a quelle
contenute nel libro, astenendoti da queste ultime; quanto a me, io ti prometto
che come i nove arconti innalzerò a Delfi una statua d'oro a grandezza
naturale, non solo mia ma anche tua. SOCRATE: Sei carissimo e veramente d'oro,
Fedro, se pensi che io affermi che Lisia ha sbagliato tutto e che è possibile
dire cose diverse da tutte queste; ciò, credo, non potrebbe capitare neanche
allo scrittore più scarso. Tanto per incominciare, riguardo all'argomento del
discorso, chi credi che, sostenendo che bisogna compiacere coloro che non amano
piuttosto che coloro che amano, abbia ancora altro da dire quando abbia tralasciato
di lodare l'assennatezza degli uni e biasimare la dissennatezza degli altri, il
che appunto è necessario? Ma credo che si debbano concedere e perdonare simili
argomenti a chi ne parla; e di tali argomenti è da lodare non l'invenzione, ma
la disposizione, mentre degli argomenti non necessari e difficili da trovare è
da lodare, oltre alla disposizione, anche l'invenzione. FEDRO: Concordo con ciò
che dici: mi sembri aver parlato in modo opportuno. Pertanto farò anch'io così:
ti concederò di stabilire come principio che chi ama è più ammalato di chi non
ama, e quanto al resto, se avrai detto altre cose in maggior quantità e di
maggior pregio di queste, ergiti pure come statua lavorata a martello a
Olimpia, presso l'offerta votiva dei Cipselidi! SOCRATE: L'hai presa sul serio,
Fedro, perché io, scherzando con te, ho attaccato il tuo amato, e credi che io
proverò veramente a dire qualcosa di diverso e di più vario a confronto
dell'abilità di lui? FEDRO: A questo proposito, caro, mi hai dato l'occasione
per un'uguale presa. Ora tu devi parlare assolutamente, così come sei capace,
in modo da non essere obbligati a fare quella cosa volgare da commedianti che
si rimbeccano a vicenda, e non volermi costringere a tirar fuori quella frase:
«Socrate, se io non conosco Socrate, mi sono dimenticato anche di me stesso», o
quell'altra: «Desiderava dire, ma si schermiva»; ma tieni bene in mente che non
ce ne andremo di qui prima che tu abbia esposto ciò che sostenevi di avere nel
petto. Siamo noi due soli, in un luogo appartato, io sono più forte e più
giovane. Da tutto ciò, dunque, «intendi quel che ti dico», e vedi di non
parlare a forza piuttosto che spontaneamente. SOCRATE: Ma beato Fedro, mi
coprirò di ridicolo improvvisando un discorso sui medesimi argomenti, da
profano che sono a confronto di un autore bravo come lui! FEDRO: Sai com'è la
questione? Smettila di fare il ritroso con me; poiché penso di avere una cosa
che, se te la dico, ti costringerà a parlare. SOCRATE: Allora non dirmela!
FEDRO: No, invece te la dico proprio! E le mie parole saranno un giuramento. Ti
giuro... ma su chi, su quale dio? Vuoi forse su questo platano qui? Ebbene, ti
giuro che se non pronuncerai il tuo discorso proprio davanti a questo platano,
non ti mostrerò e non ti riferirò più nessun altro discorso di nessuno.
SOCRATE: Ahi, birbante! Come hai trovato bene il modo di costringere un uomo
amante dei discorsi a fare ciò che tu ordini! FEDRO: Perché allora fai tanti
giri? SOCRATE: Niente più indugi, dal momento che hai proferito questo
giuramento. Come potrei astenermi da un tale banchetto? FEDRO: Allora parla!
SOCRATE: Sai dunque come farò? FEDRO: Riguardo a cosa? SOCRATE: Parlerò dopo
essermi coperto il capo, per svolgere il discorso il più velocemente possibile
e non trovarmi in imbarazzo per la vergogna, guardando verso di te. FEDRO:
Purché tu parli; quanto al resto, fa' come vuoi. SOCRATE: Orsù, o Muse dalla
voce melodiosa, vuoi per l'aspetto del canto vuoi perché siete state così
chiamate dalla stirpe dei Liguri amante della musica,(22) narrate assieme a me
il racconto che questo bellissimo giovane mi costringe a dire, così che il suo
compagno, che già prima gli sembrava sapiente, ora gli sembri tale ancora di
più. C'era una volta un fanciullo, o meglio un giovanetto assai bello, di cui
molti erano innamorati. Uno di loro, che era astuto, pur non essendo innamorato
meno degli altri aveva convinto il fanciullo che non lo amava. E un giorno,
saggiandolo, cercava di persuaderlo proprio di questo, che bisogna compiacere
chi non ama piuttosto che chi ama, e gli parlava così : «Innanzi tutto,
fanciulfo, uno solo è l'inizio per chi deve prendere decisioni nel modo giusto:
bisogna sapere su cosa verte la decisione, o è destino che si sbagli tutto. Ai
più sfugge che non conoscono l'essenza di ciascuna cosa. Perciò, nella
convinzione di saperlo, non si mettono d'accordo all'inizio della ricerca e
proseguendo ne pagano le naturali conseguenze, poiché non si accordano né con
se stessi né tra loro. Che non capiti dunque a me e a te ciò che rimproveriamo
agli altri, ma dal momento che ci sta dinanzi la questione se si debba entrare
in amicizia con chi ama piuttosto che con chi non ama, stabiliamo di comune
accordo una definizione su cosa sia l'amore e quale forza abbia; poi, tenendo
presente questa definizione e facendovi riferimento, esaminiamo se esso apporta
un vantaggio o un danno. Che l'amore sia appunto un desiderio, è chiaro a
tutti; che inoltre anche chi non ama desideri le cose belle, lo sappiamo. Da
che cosa allora distingueremo chi ama e chi non ama? Occorre poi tenere
presente che in ciascuno di noi ci sono due princì pi che ci governano e ci
guidano, e che noi seguiamo dove essi ci guidano: l'uno, innato, è il desiderio
dei piaceri, l'altro è un'opinione acquisita che aspira al sommo bene. Talvolta
questi due princì pi dentro di noi si trovano d'accordo, talvolta invece sono
in disaccordo; talvolta prevale l'uno, talvolta l'altro. Pertanto, quando
l'opinione guida con il ragionamento al sommo bene e prevale, la sua vittoria
ha il nome di temperanza; mentre se il desiderio trascina fuori di ragione
verso i piaceri e domina in noi, il suo dominio viene chiamato dissolutezza. La
dissolutezza ha molti nomi, dato che è composta di molte membra e molte parti;
e quella che tra queste forme si distingue conferisce a chi la possiede il
soprannome derivato da essa, che non è né bello né meritevole da acquistarsi.
Il desiderio relativo al cibo, che prevale sulla ragione del bene migliore e
sugli altri desideri, è chiamato ingordigia e farà sì che chi lo possiede venga
chiamato con lo stesso nome; quello che tiranneggia nell'ubriachezza e conduce
in tale stato chi lo possiede, è chiaro quale epiteto gli toccherà; così ,
anche per gli altri nomi fratelli di questi che designano desideri fratelli, a
seconda di quello che via via signoreggia, è ben evidente come conviene
chiamarli. Il desiderio a motivo del quale è stato fatto tutto il discorso
precedente ormai è pressoché manifesto, ma è assolutamente più chiaro una volta
detto che se non viene detto; ebbene, il desiderio irrazionale che ha il
sopravvento sull'opinione incline a ciò che è retto, una volta che, tratto
verso il piacere della bellezza e corroborato vigorosamente dai desideri a esso
congiunti della bellezza fisica, ha prevalso nel suo trasporto prendendo nome
dal suo stesso vigore, è chiamato eros. Ma caro Fedro, non sembra anche a te,
come a me, che mi trovi in uno stato divino? FEDRO: Certamente, Socrate! Ti ha
preso una certa facilità di parola, contrariamente al solito! SOCRATE:
Ascoltami dunque in silenzio. Il luogo sembra veramente divino, percio non
meravigliarti se nel prosieguo del discorso sarò spesso invasato dalle Ninfe:
le parole che proferisco adesso non sono lontane dai ditirambi. FEDRO: Dici
cose verissime. SOCRATE: E tu ne sei la causa. Ma ascolta il resto, poiché
forse quello che mi viene alla mente potrebbe andarsene via. A questo
provvederà un dio, noi invece dobbiamo tornare col nostro discorso al
fanciullo. «Dunque, carissimo: cosa sia ciò su cui bisogna prendere decisioni,
è stato detto e definito; ora, tenendo presente questo, dobbiamo dire
il resto, ossia quale vantaggio o quale danno presumibilmente verrà da uno
che ama e da uno che non ama a chi concede i suoi favori. Per chi è soggetto al
desiderio ed è schiavo del piacere è inevitabile rendere l'amato il più
possibile gradito a sé; ma per chi è malato tutto ciò che non oppone resistenza
è piacevole, mentre tutto ciò che è più forte o pari a lui è odioso. Così un
amante non sopporterà di buon grado un amato superiore o pari a lui, ma vuole
sempre renderlo inferiore e più debole: e inferiore è l'ignorante rispetto al
saggio, il vile rispetto al coraggioso, chi non sa parlare rispetto a chi ha
abilità oratorie, chi è tardo di mente rispetto a chi è d'ingegno acuto. è
inevitabile che, se nell'animo dell'amato nascono o ci sono per natura tanti
difetti, o anche di più, l'amante ne goda e ne procuri altri, piuttosto che
essere privato del piacere del momento. Ed è altresì inevitabile che sia geloso
e causa di grande danno, poiché distoglie l'amato da molte altre compagnie
vantaggiose grazie alle quali diverrebbe veramente uomo, danno che diventa
grandissimo quando lo allontana da quella compagnia grazie alla quale
diventerebbe una persona molto assennata. Essa è la divina filosofia, da cui
inevitabilmente l'amante tiene lontano l'amato per paura di essere disprezzato,
così come ricorrerà alle altre macchinazioni per fare in modo che sia ignorante
di tutto e guardi solo al suo amante; e in questa condizione l'amato sarebbe
fonte di grandissimo piacere per lui, ma del massimo danno per se stesso.
Quindi, per quanto riguarda l'intelletto, l'uomo che prova amore non è in
nessun modo utile come guida e come compagno. Poi si deve considerare la
costituzione del corpo, e quale cura ne avrà colui che ne diventerà padrone,
dato che si trova costretto a inseguire il piacere anziché il bene. Lo si vedrà
seguire una persona molle e non vigorosa, non cresciuta alla pura luce del sole
ma nella fitta ombra, inesperta di fatiche virili e di secchi sudori, esperta
invece di una vita delicata ed effeminata, ornata di colori e abbellimenti
altrui per mancanza dei propri, intenta a tutte quelle attività conseguenti a
ciò, che sono evidenti e non meritano ulteriori discussioni. Ma stabiliamo un
punto essenziale, e poi passiamo ad altro: per un corpo del genere, in guerra
come in tutte le altre occupazioni importanti, i nemici prendono coraggio, gli
amici e gli stessi amanti provano timore. Perciò questo punto è da lasciar
perdere, dato che è evidente, e bisogna passare invece a quello successivo,
cioè quale vantaggio o quale danno arrecherà ai nostri beni la compagnia e la
protezione di chi ama. è chiaro a chiunque, ma soprattutto all'amante, che egli
si augurerebbe più d'ogni altra cosa che l'amato fosse orbo dei beni più cari,
più preziosi e più divini; accetterebbe che rimanesse privo di padre, madre,
parenti e amici, ritenendoli causa d'impedimento e biasimo della dolcissima
compagnia che ha con lui. E se possiede sostanze in oro o altri beni, egli
penserà che non sia facile da conquistare né, una volta conquistato,
trattabile; ne consegue inevitabilmente che l'amante provi gelosia se l'oggetto
del suo amore possiede delle sostanze, e gioisca se le perde. Inoltre l'amante
si augurerà che l'amato sia senza moglie, senza figli e senza casa il più a
lungo possibile, poiché brama di cogliere il più a lungo possibile il frutto
della sua dolcezza. Ci sono altri mali ancora, ma un dio ha mescolato alla
maggior parte di essi un piacere momentaneo; per esempio all'adulatore, bestia
terribile e fonte di grande danno, la natura ha comunque mescolato un piacere
non privo di gusto. E così qualcuno può biasimare come rovinosa un'etera o
molte altre creature e attività del genere, che almeno per un giorno possono
essere occasione di grandissimo piacere; ma per l'amato la compagnia quotidiana
dell'amante, oltre al danno che arreca, è la cosa di tutte più spiacevole.
Infatti, come recita l'antico proverbio, il coetaneo si diletta del coetaneo
(credo infatti che l'avere gli stessi anni conduca agli stessi piaceri e
procuri amicizia in virtù della somiglianza); tuttavia anche il loro stare
insieme genera sazietà. Inoltre si dice che la costrizione è pesante per
chiunque in qualsiasi circostanza: ed è proprio questo il rapporto che, oltre
alla differenza d'età, l'amante ha con il suo amato. Infatti, quando uno più
vecchio sta assieme a uno più giovane, non lo lascia volentieri né di giorno né
di notte, ma è tormentato da una necessità e da un pungolo che lo conduce a
destra e a manca procurandogli di continuo piaceri a vedere, ascoltare, toccare
l'amato e a provare tutto ciò che lui prova, sì da mettersi strettamente e con
piacere al suo servizio. Ma quale conforto o quali piaceri darà all'amato per
evitare che questi, stando con lui per lo stesso periodo di tempo, arrivi al
colmo del disgusto? Quando quello vedrà un volto invecchiato e non più in
fiore, con tutte le conseguenze già spiacevoli da udire a parole, per non
parlare poi se ci si trova nella necessità di avere a che fare con esse; quando
dovrà guardarsi in ogni momento e con tutti da custodi sospettosi e sentirà
elogi inopportuni ed esagerati, come anche insulti già insopportabili se
l'amante è sobrio, vergognosi oltre ogni sopportazione se è ubriaco e indulge a
una libertà di linguaggio stucchevole e assoluta? E se quando è innamorato e
dannoso e spiacevole, una volta che l'amore è finito sarà inaffidabile per il
tempo a venire, in prospettiva del quale era riuscito a malapena, con molte
promesse condite di infiniti giuramenti e preghiere e in virtù della speranza
di beni futuri, a mantenere il legame già allora faticoso da sopportare. E
allora, quando bisogna pagare il debito, dato che dentro di sé ha cambiato
padrone e signore, e assennatezza e temperanza hanno preso il posto di amore e
follia, è divenuto un altro senza che il suo amato se ne sia accorto. Questi,
ricordandosi di quanto era stato fatto e detto e pensando di parlare ancora con
la stessa persona, chiede che gli siano ricambiati i favori resi allora; quello
per la vergogna non ha il coraggio di dire che è diventato un altro, né sa come
mantenere i giuramenti e le promesse fatte sotto la dissennata signoria
precedente, dato che ormai ha riacquistato il senno e la temperanza, per non
ridiventare simile a quello che era prima, se non addirittura lo stesso di
prima, facendo le stesse cose. Perciò diventa un fuggiasco, e poiché l'amante
di prima ora è di necessita reo di frode, invertite le parti, muta il suo stato
e si dà alla fuga. L'altro è costretto a inseguire tra lo sdegno e le
imprecazioni, poiché non ha capito tutto fin dal principio, cioè che non
avrebbe mai dovuto compiacere chi ama e di necessità è privo di senno, ma ben
più chi non ama ed è assennato; altrimenti sarebbe inevitabile concedersi a una
persona infida, difficile di carattere, gelosa, spiacevole, danno sa per le
proprie ricchezze, dannosa per la costituzione fisica, ma dannosa nel modo più
assoluto per l'educazione dell'anima, della quale in tutta verità non c'è e mai
ci sarà cosa di maggior valore né per gli uomini né per gli dèi. Pertanto,
ragazzo, bisogna intendere bene questo, e sapere che l'amicizia di un amante
non nasce assieme alla benevolenza, ma alla maniera del cibo, per saziarsi;
come i lupi amano gli agnelli, così gli amanti hanno caro un fanciullo». Questo
è quanto, Fedro. Non mi sentirai dire di più, ma considera ormai finito il
discorso. FEDRO: Eppure io credevo che fosse a metà, e che tu avresti speso
uguali parole per chi non ama, dicendo che bisogna piuttosto compiacere lui e
indicando quanti beni ne derivano; ma ora perché smetti, Socrate? SOCRATE: Non
ti sei accorto, beato, che ormai pronuncio versi epici e non più ditirambi,
proprio mentre muovo questi rimproveri? Se comincerò a elogiare l'altro, cosa
credi che farò? Non lo sai che sarei certamente invasato dalle Ninfe, alle
quali tu mi hai gettato deliberatamente in balia? Perciò in una parola ti dico
che quanti sono i mali che abbiamo biasimato nell'uno tanti sono i beni, ad
essi opposti, che si trovano nell'altro. E che bisogno c'è di un lungo
discorso? Di entrambi si è detto abbastanza. Così il racconto avrà la sorte che
gli spetta; e io, attraversato questo fiume, me ne torno indietro prima di
essere costretto da te a qualcosa di più grande. FEDRO: Non ancora, Socrate,
non prima che sia passata la calura. Non vedi che è all'incirca mezzogiorno,
l'ora che viene chiamata immota? Ma restiamo a discutere sulle cose che abbiamo
detto; non appena farà più fresco, ce ne andremo. SOCRATE: Quanto ai discorsi
sei divino, Fedro, e semplicemente straordinario. Io penso che di tutti i
discorsi prodotti durante la tua vita nessuno ne abbia fatto nascere più di te,
o perché li pronunci di persona o perché costringi in qualche modo altri a
pronunciarli (faccio eccezione per Simmia il Tebano, ma gli altri li vinci di
gran lunga). E ora mi sembra che tu sia stato la causa di un mio nuovo
discorso. FEDRO: Allora non mi dichiari guerra! Ma come, e qual è questo
discorso? SOCRATE: Quando stavo per attraversare il fiume, caro amico, si è
manifestato quel segno divino che è solito manifestarsi a me e che mi trattiene
sempre da ciò che sto per fare. E mi è parso di udire proprio da lì una certa
voce che non mi permette di andare via prima d'essermi purificato, come se
avessi commesso qualche colpa verso la divinità. In effetti sono un indovino,
per la verità non molto bravo, ma, come chi sa a malapena scrivere, valido solo
per me stesso; perciò comprendo chiaramente qual è la colpa. Perché anche
l'anima, caro amico, ha un che di divinatorio; infatti mi ha turbato anche
prima, mentre pronunciavo il discorso, e in qualche modo temevo, come dice
Ibico, che «commesso un fallo» nei confronti degli dèi «consegua fama invece
tra gli umani. Ma ora mi sono reso conto della colpa. FEDRO: Che cosa dici?
SOCRATE: Terribile, Fedro, terribile è il discorso che tu hai portato, come
quello che poi mi hai costretto a dire! FEDRO: E perché? SOCRATE: è sciocco e
sotto un certo aspetto empio. Quale discorso potrebbe essere più terribile di
questo? FEDRO: Nessuno, se tu dici il vero. SOCRATE: E allora? Non credi che
Eros sia figlio di Afrodite e sia una creatura divina? FEDRO: Così almeno si
dice. SOCRATE: Ma non è detto da Lisia, né dal tuo discorso, che è stato
pronunciato tramite la mia bocca ammaliata da te. E se Eros è, come appunto è,
un dio o un che di divino, non sarebbe affatto un male, e invece i due discorsi
pronunciati ora su di lui ne parlavano come se fosse un male; in questo dunque
hanno commesso una colpa nei confronti dì Eros. Inoltre la loro semplicità è
proprio graziosa, poiché senza dire niente di sano né di vero si danno delle
arie come se fossero chissà cosa, se ingannando alcuni omiciattoli troveranno
fama presso di loro. Pertanto io, caro amico, ho la necessità di purificarmi;
per coloro che commettono delle colpe nei confronti del mito c'è un antico rito
purificatorio, che Omero non conobbe, ma Stesicoro sì . Costui infatti, privato
della vista per aver diffamato Elena, non ne ignorò la causa come Omero, ma da
amante alle Muse quale era la capì e subito compose questi versi: Questo
discorso non è veritiero, non navigasti sulle navi ben costrutte, non arrivasti
alla troiana Pergamo. E dopo aver composto l'intero carme chiamato Palinodia
gli tornò immediatamente la vista. Io pertanto sarò più saggio di loro almeno
sotto questo aspetto: prima di incorrere in un male per aver diffamato Eros
tenterò di offrirgli in cambio la mia palinodia, col capo scoperto e non velato
come allora per la vergogna. FEDRO: Non avresti potuto dirmi cose più dolci di
queste, Socrate. SOCRATE: Veramente, caro Fedro, tu intendi con quale impudenza
siano stati pronunciati i due discorsi, il mio e quello ricavato dal libro. Se
un uomo dall'indole nobile e affabile, che fosse innamorato di uno come lui o
lo fosse stato in precedenza, ci ascoltasse mentre diciamo che gli amanti
sollevano grandi inimicizie per futili motivi e sono gelosi e dannosi nei
confronti dei loro amati, non credi che avrebbe l'impressione di ascoltare
persone allevate in mezzo ai marinai e che non hanno mai visto un amore libero,
e sarebbe ben lungi dal convenire con noi sui rimproveri che muoviamo ad Eros?
FEDRO: Per Zeus, forse sì , Socrate. SOCRATE: Io dunque, per vergogna nei suoi
confronti e per timore dello stesso Eros, desidero sciacquarmi dalla salsedine
che impregna il mio udito con un discorso d'acqua dolce; e consiglio anche a
Lisia di scrivere il più in fretta possibile che, a parità di condizioni,
conviene compiacere più un amante che chi non ama. FEDRO: Ma sappi bene che
sarà così : quando avrai pronunciato l'elogio dell'amante, sarà inevitabile che
Lisia venga costretto da me a scrivere un altro discorso sullo stesso
argomento. SOCRATE: Confido in ciò, finché sarai quello che sei. FEDRO: Fatti
coraggio, dunque, e parla. SOCRATE: Dov'è il ragazzo a cui parlavo? Faccia in
modo di ascoltare anche questo discorso e non conceda con troppa fretta i suoi
favori a chi non ama per non aver udito le mie parole. FEDRO: Questo ragazzo è
accanto a te, molto vicino, ogni qualvolta tu voglia. SOCRATE: Allora, mio bel
ragazzo, tieni presente che il discorso di prima era di Fedro figlio di
Pitocle, del demo di Mirrinunte, mentre quello che mi accingo a dire è di
Stesicoro di Imera, figlio di Eufemo. Bisogna dunque parlare così : «Non è
veritiero il discorso secondo il quale anche in presenza di un amante si deve
piuttosto compiacere chi non ama, per il fatto che l'uno è in preda a
"mania", l'altro è assennato. Se infatti l'essere in preda a mania
fosse un male puro e semplice, sarebbe ben detto; ora però i beni più grandi ci
vengono dalla mania, appunto in virtù di un dono divino. Infatti la profetessa
di Delfi e le sacerdotesse di Dodona,(29) quando erano prese da mania,
procurarono alla Grecia molti e grandi vantaggi pubblici e privati, mentre
quando erano assennate giovarono poco o nulla. E se parlassimo della Sibilla e
di tutti gli altri che, avvalendosi dell'arte mantica ispirata da un dio, con
le loro predizioni in molti casi indirizzarono bene molte persone verso il
futuro, ci dilungheremmo dicendo cose note a tutti. Merita certamente di essere
addotto come testimonianza il fatto che tra gli antichi coloro che coniavano i
nomi non ritenevano la mania una cosa vergognosa o riprovevole; altrimenti non
avrebbero chiamato "manica" l'arte più bella, con la quale si
discerne il futuro, applicandovi proprio questo nome. Ma considerandola una
cosa bella quando nasca per sorte divina, le imposero questo nome, mentre gli
uomini d'oggi, inesperti del bello, aggiungendo la "t" l'hanno
chiamata "mantica". Così anche la ricerca del futuro che fanno gli
uomini assennati mediante il volo degli uccelli e gli altri segni del cielo,
dal momento che tramite l'intelletto procurano assennatezza e cognizione alla
"oiesi", cioè alla credenza umana, la denominarono
"oionoistica", mentre i contemporanei, volendola nobilitare con la
"o" lunga, la chiamano oionistica. Perciò, quanto più l'arte mantica
è perfetta e onorata della oionistica, e il nome e l'opera dell'una rispetto al
nome e all'opera dell'altra, tanto più bella, secondo la testimonianza degli
antichi, è la mania che viene da un dio rispetto all'assennatezza che viene
dagli uomini. Ma la mania, sorgendo e profetando in coloro in cui doveva
manifestarsi, trovò una via di scampo anche dalle malattie e dalle pene più
gravi, che da qualche parte si abbattono su alcune stirpi a causa di antiche
colpe, ricorrendo alle preghiere e al culto degli dèi; quindi, attraverso
purificazioni e iniziazioni, rese immune chi la possedeva per il tempo presente
e futuro, avendo trovato una liberazione dai mali presenti per chi era in preda
a mania e invasamento divino nel modo giusto. Al terzo posto vengono
l'invasamento e la mania provenienti dalle Muse, che impossessandosi di
un'anima tenera e pura la destano e la colmano di furore bacchico in canti e
altri componimenti poetici, e celebrando innumerevoli opere degli antichi
educano i posteri. Chi invece giunge alle porte della poesia senza 8
Platone Fedro la mania delle Muse, convinto che sarà un poeta valente
grazie all'arte, resta incompiuto e la poesia di chi è in senno è oscurata da
quella di chi si trova in preda a mania. Queste, e altre ancora, sono le belle
opere di una mania proveniente dagli dèi che ti posso elencare. Pertanto non
dobbiamo aver paura di ciò, né deve sconvolgerci un discorso che cerchi di
intimorirci asserendo che si deve preferire come amico l'uomo assennato a
quello in stato di eccitazione; ma il mio discorso dovrà riportare la vittoria
dimostrando, oltre a quanto detto prima, che l'amore non è inviato dagli dèi
all'amante e all'amato perché ne traggano giovamento. Noi dobbiamo invece
dimostrare il contrario, cioè che tale mania è concessa dagli dèi per la nostra
più grande felicità; e la dimostrazione non sarà persuasiva per i
valent'uomini, ma lo sarà per i sapienti. Prima di tutto dunque bisogna
intendere la verità riguardo alla natura dell'anima divina e umana,
considerando le sue condizioni e le sue opere. L'inizio della dimostrazione è
il seguente. Ogni anima è immortale. Infatti ciò che sempre si muove è
immortale, mentre ciò che muove altro e da altro è mosso termina la sua vita
quando termina il suo movimento. Soltanto ciò che muove se stesso, dal momento
che non lascia se stesso, non cessa mai di muoversi, ma è fonte e principio di
movimento anche per tutte le altre cose dotate di movimento. Il principio però
non è generato. Infatti è necessario che tutto ciò che nasce si generi da un
principio, ma quest'ultimo non abbia origine da qualcosa, poiché se un
principio nascesse da qualcosa non sarebbe più un principio. E poiché non è
generato, è necessario che sia anche incorrotto; infatti, se un principio
perisce, né esso nascerà da qualcosa né altra cosa da esso, dato che ogni cosa
deve nascere da un principio. Così principio di movimento è ciò che muove se
stesso. Esso non può né perire né nascere, altrimenti tutto il cielo e tutta la
terra, riuniti in corpo unico, resterebbero immobili e non avrebbero più ciò da
cui ricevere di nuovo nascita e movimento. Una volta stabilito che ciò che si
muove da sé è immortale, non si proverà vergogna a dire che proprio questa è
l'essenza e la definizione dell'anima. Infatti ogni corpo a cui l'essere in
movimento proviene dall'esterno è inanimato, mentre quello cui tale facoltà
proviene dall'interno, cioè da se stesso, è animato, poiché la natura
dell'anima è questa; ma se è così , ovvero se ciò che muove se stesso non può
essere altro che l'anima, di necessità l'anima sarà ingenerata e immortale.
Sulla sua immortalità si è detto a sufficienza; sulla sua idea bisogna dire
quanto segue. Spiegare quale sia, sarebbe proprio di un'esposizione divina
sotto ogni aspetto e lunga, dire invece a che cosa assomigli, è proprio di
un'esposizione umana e più breve; parliamone dunque in questa maniera. Si
immagini l'anima simile a una forza costituita per sua natura da una biga alata
e da un auriga. I cavalli e gli aurighi
degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, quelli degli altri sono misti. E
innanzitutto l'auriga che è in noi guida un carro a due, poi dei due cavalli
uno è bello, buono e nato da cavalli d'ugual specie, l'altro è contrario e nato
da stirpe contraria; perciò la guida, per quanto ci riguarda, è di necessità
difficile e molesta. Quindi bisogna cercare di definire in che senso il vivente
è stato chiamato mortale e immortale. Ogni anima si prende cura di tutto ciò
che è inanimato e gira tutto il cielo ora in una forma, ora nell'altra. Se è
perfetta e alata, essa vola in alto e governa tutto il mondo, se invece ha
perduto le ali viene trascinata giù finché non s'aggrappa a qualcosa di solido;
qui stabilisce la sua dimora e assume un corpo terreno, che per la forza
derivata da essa sembra muoversi da sé. Questo insieme, composto di anima e
corpo, fu chiamato vivente ed ebbe il soprannome di mortale. Viceversa ciò che
è immortale non può essere spiegato con un solo discorso razionale, ma senza averlo
visto e inteso in maniera adeguata ci figuriamo un dio, un essere vivente e
immortale, fornito di un'anima e di un corpo eternamente connaturati. Ma di
queste cose si pensi e si dica così come piace al dio; noi cerchiamo di
cogliere la causa della perdita delle ali, per la quale esse si staccano
dall'anima. E la causa è all'incirca questa. La potenza dell'ala tende per sua
natura a portare in alto ciò che è pesante, sollevandolo dove abita la stirpe
degli dèi, e in certo modo partecipa del divino più di tutte le cose inerenti
il corpo. Il divino è bello, sapiente, buono, e tutto ciò che è tale; da queste
qualità l'ala dell'anima e nutrita e accresciuta in sommo grado, mentre viene
consunta e rovinata da ciò che è brutto, cattivo e contrario ad esse. Zeus, il
grande sovrano che è in cielo, procede per primo alla guida del carro alato, dà
ordine a tutto e di tutto si prende cura; lo segue un esercito di dèi e di
demoni, ordinato in undici schiere. La sola Estia resta nella dimora degli dèi;
quanto agli altri dèi, quelli che in numero di dodici sono stati posti come
capi guidano ciascuno la propria schiera secondo l'ordine assegnato. Molte e
beate sono le visioni e i percorsi entro il cielo, per i quali si volge la
stirpe degli dèi eternamente felici, adempiendo ciascuno il proprio compito. E
tiene dietro a loro chi sempre lo vuole e lo può; infatti l'invidia sta fuori
del coro divino. Quando poi vanno a banchetto per nutrirsi, procedono in ardua
salita verso la sommità della volta celeste, dove i carri degli dèi, ben
equilibrati e agili da guidare, procedono facilmente, gli altri invece a
fatica; infatti il cavallo che partecipa del male si inclina, e piegando verso
terra grava col suo peso l'auriga che non l'ha allevato bene. Qui all'anima si
presenta la fatica e la prova suprema. Infatti quelle che sono chiamate
immortali, una volta giunte alla sommità, procedono al di fuori posandosi sul
dorso del cielo, la cui rotazione le trasporta in questa posa, mentre esse
contemplano ciò che sta fuori del cielo. Nessuno dei poeti di quaggiù ha mai
cantato né mai canterà in modo degno il luogo iperuranio. La cosa sta in questo
modo (bisogna infatti avere il coraggio di dire il vero, tanto più se si parla
della verità): l'essere che realmente è, senza colore, senza forma e
invisibile, che può essere contemplato solo dall'intelletto timoniere
dell'anima e intorno al quale verte il genere della vera conoscenza, occupa
questo luogo. Poiché dunque la mente di un dio è nutrita da un intelletto e da
una scienza pura, anche quella di ogni anima cui preme di ricevere ciò che
conviene si appaga di vedere dopo un certo tempo l'essere, e contemplando il
vero se ne nutre e ne gode, finché la rotazione ciclica del cielo non l'abbia
riportata allo stesso punto. Nel giro che essa compie vede la giustizia stessa,
vede la temperanza, vede la scienza, 9 Platone Fedro non quella cui
è connesso il divenire, e neppure quella che in certo modo è altra perché si
fonda su altre cose da quelle che ora noi chiamiamo esseri, ma quella scienza
che si fonda su ciò che è realmente essere; e dopo che ha contemplato allo
stesso modo gli altri esseri che realmente sono e se ne è saziata, si immerge
nuovamente all'interno del cielo e fa ritorno alla sua dimora. Una volta
arrivata l'auriga, condotti i cavalli alla mangiatoia, mette innanzi a loro
ambrosia e in più dà loro da bere del nettare. Questa è la vita degli dèi.
Quanto alle altre anime, l'una, seguendo nel migliore dei modi il dio e
rendendosi simile a lui, solleva il capo dell'auriga verso il luogo fuori del
cielo e viene trasportata nella sua rotazione, ma essendo turbata dai cavalli
vede a fatica gli esseri; l'altra ora solleva il capo, ora piega verso il
basso, e poiché i cavalli la costringono a forza riesce a vedere alcuni esseri,
altri no. Seguono le altre anime, che aspirano tutte quante a salire in alto,
ma non essendone capaci vengono sommerse e trasportate tutt'intorno,
calpestandosi tra loro, accalcandosi e cercando di arrivare una prima
dell'altra. Nasce così una confusione e una lotta condita del massimo sudore,
nella quale per lo scarso valore degli aurighi molte anime restano azzoppate, e
a molte altre si spezzano molte penne; tutte, data la grande fatica, se ne
partono senza aver raggiunto la contemplazione dell'essere e una volta tornate
indietro si nutrono del cibo dell'opinione. La ragione per cui esse mettono
tanto impegno per vedere dov'è sita la pianura della verità è questa: il cibo
adatto alla parte migliore dell'anima viene dal prato che si trova là, e di
esso si nutre la natura dell'ala con cui l'anima si solleva in volo. Questa è
la legge di Adrastea.(35) L'anima che, divenuta seguace del dio, abbia visto
qualcuna delle verità, non subisce danno fino al giro successivo, e se riesce a
fare ciò ogni volta, resta intatta per sempre; qualora invece, non riuscendo a
tenere dietro al dio, non abbia visto, e per qualche accidente, riempitasi di
oblio e di ignavia, sia appesantita e a causa del suo peso perda le ali e cada
sulla terra, allora è legge che essa non si trapianti in alcuna natura animale
nella prima generazione. Invece l'anima che ha visto il maggior numero di
esseri si trapianterà nel seme di un uomo destinato a diventare filosofo o
amante del bello o seguace delle Muse o incline all'amore. L'anima che viene
per seconda si trapianterà in un re rispettoso delle leggi o in un uomo atto
alla guerra e al comando, quella che viene per terza in un uomo atto ad
amministrare lo Stato o la casa o le ricchezze, la quarta in un uomo che sarà
amante delle fatiche o degli esercizi ginnici o esperto nella cura del corpo,
la quinta è destinata ad avere la vita di un indovino o di un iniziatore ai
misteri. Alla sesta sarà confacente la vita di un poeta o di qualcun altro di
coloro che si occupano dell'imitazione, alla settima la vita di un artigiano o
di un contadino, all'ottava la vita di un sofista o di un seduttore del popolo,
alla nona quella di un tiranno. Tra tutti questi, chi ha condotto la vita
secondo giustizia partecipa di una sorte migliore, chi invece è vissuto contro
giustizia, di una peggiore; infatti ciascuna anima non torna nel luogo donde è
venuta per diecimila anni, poiché non rimette le ali prima di questo periodo di
tempo, tranne quella di colui che ha coltivato la filosofia senza inganno o ha
amato i fanciulli secondo filosofia. Queste anime, al terzo giro di mille anni,
se hanno scelto per tre volte di seguito una tale vita, rimettono in questo
modo le ali e al compiere dei tremila anni tornano indietro. Quanto alle altre,
quando giungono al termine della prima vita tocca loro un giudizio, e dopo
essere state giudicate le une vanno nei luoghi di espiazione sotto terra a
scontare la loro pena, le altre, innalzate dalla Giustizia in un luogo del
cielo, trascorrono il tempo in modo corrispondente alla vita che vissero in
forma d'uomo. Al millesimo anno le une e le altre, giunte al sorteggio e alla
scelta della seconda vita, scelgono quella che ciascuna vuole: qui un'anima
umana può anche finire in una vita animale, e chi una volta era stato uomo può
ritornare da bestia uomo, poiché l'anima che non ha mai visto la verità non
giungerà mai a tale forma. L'uomo infatti deve comprendere in funzione di ciò
che viene detto idea, e che muovendo da una molteplicità di sensazioni viene raccolto
dal pensiero in unità; questa è la reminiscenza delle cose che un tempo la
nostra anima vide nel suo procedere assieme al dio, quando guardò dall'alto ciò
che ora definiamo essere e levò il capo verso ciò che realmente è. Perciò
giustamente solo l'anima del filosofo mette le ali, poiché grazie al ricordo,
secondo le sue facoltà, la sua mente è sempre rivolta alle entità in virtù
delle quali un dio è divino. Quindi l'uomo che si avvale rettamente di tali
reminiscenze, essendo sempre iniziato a misteri perfetti, diventa lui solo
realmente perfetto; dato però che si distacca dalle occupazioni degli uomini e
si fa accosto al divino, è ripreso dai più come se delirasse, ma sfugge ai più
che è invasato da un dio. Questo dunque è il punto d'arrivo di tutto il
discorso sulla quarta forma di mania, quella per cui uno, al vedere la bellezza
di quaggiù, ricordandosi della vera bellezza mette nuove ali e desidera levarsi
in volo, ma non essendone capace guarda in alto come un uccello, senza curarsi
di ciò che sta in basso, e così subisce l'accusa di trovarsi in istato di
mania: di tutte le ispirazioni divine questa, per chi la possiede e ha
comunanza con essa, è la migliore e deriva dalle cose migliori, e chi ama le
persone belle e partecipa di tale mania è chiamato amante. Infatti, come si è
detto, ogni anima d'uomo per natura ha contemplato gli esseri, altrimenti non
si sarebbe incarnata in un tale vivente. Ma ricordarsi di quegli esseri
procedendo dalle cose di quaggiù non è alla portata di ogni anima, né di quelle
che allora videro gli esseri di lassù per breve tempo, né di quelle che, cadute
qui, hanno avuto una cattiva sorte, al punto che, volte da cattive compagnie
all'ingiustizia, obliano le sacre realtà che videro allora. Ne restano poche
nelle quali il ricordo si conserva in misura sufficiente: queste, qualora
vedano una copia degli esseri di lassù, restano sbigottite e non sono più in
sé, ma non sanno cosa sia ciò che provano, perché non ne hanno percezione
sufficiente. Così della giustizia, della temperanza e di tutte le altre cose
che hanno valore per le anime non c'è splendore alcuno nelle copie di quaggiù,
ma soltanto pochi, accostandosi alle immagini, contemplano a fatica, attraverso
i loro organi ottusi, la matrice del modello riprodotto. Allora invece si
poteva vedere la bellezza nel suo splendore, quando in un coro felice, noi al
seguito di Zeus, altri di un altro dio, godemmo di una visione e di una
contemplazione beata ed eravamo iniziati a quello che è lecito chiamare il più
beato dei misteri, che celebravamo in perfetta integrità e immuni dalla prova
di tutti quei mali che dovevano attenderci nel tempo a venire, contemplando
nella nostra iniziazione mistica visioni perfette, semplici, immutabili e beate
in una luce pura, poiché eravamo purì e non rinchiusi in questo che ora
chiamiamo corpo e portiamo in giro con noi, incatenati dentro ad esso come
un'ostrica. Queste parole siano un omaggio al ricordo, in virtù del quale, per
il desiderio delle cose d'allora, ora si è parlato piuttosto a lungo. Quanto
alla bellezza, come si è detto, essa brillava tra le cose di lassù come essere,
e noi, tornati qui sulla terra, l'abbiamo colta con la più vivida delle nostre
sensazioni, in quanto risplende nel modo più vivido. Per noi infatti la vista è
la più acuta delle sensazioni che riceviamo attraverso il corpo, ma essa non ci
permette di vedere la saggezza (poiché susciterebbe terribili amori, se
giungendo alla nostra vista le offrisse un'immagine di sé così splendente) e le
altre realtà degne d'amore. Ora invece soltanto la bellezza ebbe questa sorte,
di essere ciò che più di tutto è manifesto e amabile. Chi dunque non è iniziato
di recente, o è corrotto, non si innalza con pronto acume da qui a lassù, verso
la bellezza in sé, quando contempla ciò che quaggiù porta il suo nome; di
conseguenza quando guarda ad essa non la venera, ma consegnandosi al piacere
imprende a montare e a generare figli a mo' di quadrupede, e comportandosi con
tracotanza non ha timore né vergogna di inseguire un piacere contro natura.
Invece chi è iniziato di recente e ha contemplato molto le realtà di allora,
quando vede un volto d'aspetto divino che ha ben imitato la bellezza o una
qualche forma ideale di corpo, dapprima sente dei brividi e gli sottentra
qualcuna delle paure di allora, poi, guardandolo, lo venera come un dio, e se
non temesse di acquistarsi fama di eccessiva mania farebbe sacrifici al suo
amato come a una statua o a un dio. Al vederlo, lo afferra come una mutazione
provocata dai brividi, un sudore e un calore insolito; e ricevuto attraverso
gli occhi il flusso della bellezza, prende calore là dove la natura dell'ala si
abbevera. Una volta che si è riscaldato si liquefano le parti attorno al punto
donde l'ala germoglia, che essendo da tempo tappate a causa della secchezza le
impedivano di fiorire. Così , grazie all'afflusso del nutrimento, lo stelo
dell'ala si gonfia e prende a crescere dalla radice per tutta la forma
dell'anima; un tempo infatti era tutta alata. A questo punto essa ribolle tutta
quanta e trabocca, e la stessa sensazione che prova chi mette i denti nel
momento in cui essi spuntano, ossia prurito e irritazione alle gengive, la
prova anche l'anima di chi comincia a mettere le ali: quando le ali spuntano
ribolle e prova un senso di irritazione e solletico. Dunque, quando l'anima,
mirando la bellezza del fanciullo, riceve delle parti che da essa provengono e
fluiscono (e che appunto per questo sono chiamate flusso d'amore) (36) e ne
viene irrigata e scaldata, si riprende dal dolore e si allieta. Quando invece
ne è separata e inaridisce, le bocche dei condotti donde spunta fuori l'ala si
disseccano e si serrano, impedendone il germoglio; ma esso, rimasto chiuso
dentro assieme al flusso d'amore, pulsando come le arterie pizzica nei
condotti, ciascun germoglio nel proprio, tanto che l'anima, pungolata
tutt'intorno, è presa da assillo e dolore, e tornandole il ricordo della
bellezza si allieta. In seguito alla mescolanza di entrambe le cose, l'anima è
turbata per la stranezza di ciò che prova e trovandosi senza via d'uscita
comincia a smaniare; ed essendo in stato di mania non può né dormire di notte
né di giorno restare ferma dov'è, ma corre in preda al desiderio dove crede di
poter vedere colui che possiede la bellezza: e una volta che l'ha visto e si è
imbevuta del flusso d'amore, libera i condotti che allora si erano ostruiti,
riprende fiato e cessa di avere pungoli e dolore, e allora coglie, nel momento
presente, il frutto di questo dolcissimo piacere. Perciò non se ne distacca di
sua volontà e non tiene in conto nessuno più del suo bello, ma si dimentica di
madri, fratelli e di tutti i compagni, e non gli importa nulla se le sue
sostanze vanno in rovina perché non se ne cura, anzi disprezza tutte le
consuetudini e le convenienze di cui si ornava prima d'allora ed è disposta a
servire l'amato e a giacere con lui ovunque gli sia concesso di stare il più
vicino possibile al suo desiderio; infatti, oltre a venerarlo, ha trovato in
colui che possiede la bellezza l'unico medico dei suoi più grandi travagli. A
questa passione cui si rivolge il mio discorso, o bel fanciullo, gli uomini
danno il nome di eros, gli dèi invece la chiamano in un modo che a sentirlo,
data la tua giovane età, ti metterai ragionevolmente a ridere. Alcuni Omeridi
citano due versi, credo presi da poemi segreti, riguardanti Eros, uno dei quali
è piuttosto insolente e non del tutto corretto come metro; essi suonano così :
I mortali lo chiamano Eros alato, gli immortali Pteros, ché fa crescere
l'ali.(37) A questi versi si può credere oppure non credere; non di meno la
causa e la sensazione di chi ama è proprio questa. Ora, se chi è stato colto da
Eros era uno dei seguaci di Zeus, riesce a sopportare con più fermezza il peso
del dio che trae il nome dalle ali; quelli che erano al servizio di Ares e
giravano il cielo assieme a lui, quando sono presi da Eros e pensano di subire
qualche torto dall'amato, sono sanguinari e pronti a sacrificare se stessi e il
proprio amore. Così ciascuno conduce la sua vita in base al dio del cui coro
era seguace, onorandolo e imitandolo per quanto gli è possibile, finché resta
incorrotto e vive la prima esistenza quaggiù, e in questo modo si accompagna e
ha relazione con gli amati e con le altre persone. Quindi ciascuno sceglie tra
i belli il suo Eros secondo il proprio carattere, e come fosse un dio gli
edifica una specie di statua e l'abbellisce per onorarla e tributarle riti. I
seguaci di Zeus cercano il loro amato in chi ha l'anima conforme al loro
dio:(38) pertanto guardano se per natura sia filosofo e atto al comando, e
quando l'hanno trovato e ne se sono innamorati, fanno di tutto affinché sia
effettivamente tale. E se prima non si erano impegnati in un'occupazione del
genere, da quel momento vi mettono mano e imparano da dove è loro possibile,
continuando poi anche da soli, e seguendo le tracce riescono a trovare per loro
conto la natura del proprio dio, perché sono stati intensamente costretti a
volgere lo sguardo verso di lui; e quando entrano in contatto con lui sono
presi da invasamento e tramite il ricordo ne assumono le abitudini e le
occupazioni, per quanto è possibile a un uomo partecipare della natura di un
dio. E poiché ne attribuiscono la causa all'amato, lo tengono ancora più caro,
e sebbene attingano da Zeus come le Baccanti,(39) riversando ciò che attingono
nell'anima dell'amato lo rendono il più possibile simile al loro dio. Coloro
che invece erano al seguito di Era cercano un'anima regale, e trovatala fanno
per lei esattamente le stesse cose. Quelli del seguito di Apollo e di ciascuno
degli altri dèi, procedendo secondo il loro dio, bramano che il proprio
fanciullo abbia un'uguale natura, e una volta che se lo sono procurato imitano
essi stessi il dio e con la persuasione e 11 Platone Fedro
l'ammaestramento portano l'amato ad assumere l'attività e la forma di quello,
ciascuno per quanto può; e lo fanno senza comportarsi nei confronti dell'amato
con gelosia o con rozza malevolenza, ma cercando di indurlo alla somiglianza
più completa possibile con se stessi e con il dio che onorano. Dunque l'ardore
e l'iniziazione di coloro che veramente amano, se ottengono ciò che desiderano
nel modo che dico, diventano così belle e felici per chi è amato, qualora venga
conquistato dall'amico che si trova in stato di mania per amore; e chi è
conquistato cede all'amore in questo modo. Come all'inizio dì questa narrazione
in forma di mito abbiamo diviso ciascuna anima in tre parti, due con forma di
cavallo, la terza con forma di auriga, questa distinzione resti per noi un
punto fermo anche adesso. Uno dei cavalli diciamo che è buono, l'altro no:
quale sia però la virtù di quello buono e il vizio di quello cattivo, non
l'abbiamo precisato, e ora bisogna dirlo. Dunque, quello tra i due che si trova
nella disposizione migliore è di forma eretta e ben strutturata, di collo alto
e narici adunche, bianco a vedersi, con gli occhi neri, amante dell'onore unito
a temperanza e pudore e compagno della fama veritiera, non ha bisogno di frusta
e si lascia guidare solo con lo stimolo e la parola; l'altro invece è storto,
grosso, mal conformato, di collo massiccio e corto, col naso schiacciato, il
pelo nero, gli occhi chiari e iniettati di sangue, compagno di tracotanza e
vanteria, dalle orecchie pelose, sordo, e cede a fatica alla frusta e agli speroni.
Quando dunque l'auriga, scorgendo la visione amorosa, prende calore in tutta
l'anima per la sensazione che prova ed è ricolmo di solletico e dei pungoli del
desiderio, il cavallo che obbedisce docilmente all'auriga, tenuto a freno,
allora come sempre, dal pudore, si trattiene dal balzare addosso all'amato;
l'altro invece non cura più né i pungoli dell'auriga né la frusta, ma
imbizzarrisce e si lancia al galoppo con violenza, e procurando ogni sorta di
molestie al compagno di giogo e all'auriga li costringe a dirigersi verso
l'amato e a rammentare la dolcezza dei piaceri d'amore. All'inizio essi si
oppongono sdegnati, al pensiero dì essere costretti ad azioni terribili e
inique; ma alla fine, quando non c'è più alcun limite al male, si lasciano
trascinare nel loro percorso, cedendo e acconsentendo a fare quanto viene loro
ordinato. Allora si fanno presso a lui e hanno la visione folgorante
dell'amato. Scorgendolo, la memoria dell'auriga è ricondotta alla natura della
bellezza, che vede di nuovo collocata su un casto piedistallo assieme alla
temperanza; a tale vista è colta da paura e per la reverenza che le porta cade
supina, e nello stesso tempo è costretta a tirare indietro le redini così forte
che entrambi i cavalli si piegano sulle cosce, l'uno, spontaneamente perché non
recalcitra, quello protervo decisamente contro voglia. Ritiratisi più lontano,
l'uno per vergogna e sbigottimento bagna tutta l'anima di sudore, l'altro,
cessato il dolore che gli veniva dal morso e dalla caduta, a fatica riprende
fiato e incomincia, pieno d'ira com'è, a ingiuriare, coprendo di male parole
l'auriga e il compagno di giogo perché per viltà e debolezza hanno abbandonato
il posto e l'accordo convenuto. E costringendoli di nuovo ad avanzare contro la
loro volontà a stento cede alle loro preghiere di rimandare a un'altra volta.
Quando poi è giunto il tempo stabilito ed essi fingono di non ricordarsene, lo
rammenta a loro con la forza, nitrendo e trascinandoli con sé, e li obbliga ad
accostarsi di nuovo all'amato per fare i medesimi discorsi; e quando sono
vicini tende la testa in avanti e rizza la coda, mordendo il freno, e li
trascina con impudenza. L'auriga, sentendo ancora più intensamente la stessa
impressione di prima, come respinto dalla fune al cancello di partenza, tira indietro
ancora più forte il morso dai denti del cavallo protervo, insanguina la lingua
maldicente e le mascelle e piegandogli a terra le gambe e le cosce lo dà in
preda ai dolori. Quando poi il cavallo malvagio, subendo la medesima cosa più
volte, desiste dalla sua tracotanza, umiliato segue ormai il proposito
dell'auriga, e quando vede il bel fanciullo, muore dalla paura; di conseguenza
accade che a questo punto l'anima dell'amante segua l'amato con pudicizia e
timore. Poiché dunque l'amato, come un essere pari agli dèi, è oggetto di ogni
venerazione da parte dell'amante che non simula, ma prova veramente questo
sentimento, ed è egli stesso per natura amico di chi lo venera, se anche in
precedenza fosse stato ingannato dalle persone che frequentava o da altre, le
quali sostenevano che è cosa turpe accostarsi a chi ama, e per questo motivo
avesse respinto l'amante, ora, col passare del tempo, l'età e la necessità lo
inducono ad ammetterlo alla sua compagnia; infatti non accade mai che un
malvagio sia amico di un malvagio, né che un buono non sia amico di un buono. E
dopo averlo ammesso presso di sé e avere accettato di parlare con lui e stare
in sua compagnia, la benevolenza dell'amante, manifestandosi da vicino,
colpisce l'amato, il quale si avvede che tutti gli altri amici e parenti non
offrono neppure una parte di amicizia a confronto dell'amico ispirato da un
dio. Quando poi questi continua a fare ciò nel tempo e si accompagna all'amato
incontrandolo nei ginnasi e negli altri luoghi di ritrovo, allora la fonte di
quei flusso che Zeus, innamorato di Ganimede, (40) chiamò flusso d'amore,
scorrendo in abbondanza verso l'amante dapprima penetra in lui, poi, quando ne
è ricolmo, scorre fuori; e come un soffio di vento o un'eco, rimbalzando da
corpi lisci e solidi, ritornano là dov'erano partiti, così il flusso della
bellezza ritorna al bel fanciullo attraverso gli occhi, e di qui per sua natura
arriva all'anima. Quando vi è giunto la incoraggia a volare, quindi irriga i
condotti delle ali e comincia a farle crescere, e così riempie d'amore anche
l'anima dell'amato. Pertanto egli ama, ma non sa che cosa; e neppure è a
conoscenza di cosa prova né è in grado di dirlo, ma come chi ha contratto una
malattia agli occhi da un altro non è in grado di spiegarne la causa, così egli
non si accorge di vedere se stesso nell'amante come in uno specchio. E in
presenza di questi, il suo dolore cessa esattamente come a lui, se invece è
assente allo stesso modo di lui desidera ed è desiderato, perché reca in sé una
sembianza d'amore che dell'amore è sostituto: però non lo chiama e non lo crede
amore, bensì amicizia. Più o meno come l'amante, ma in misura più debole,
desidera vederlo, toccarlo, baciarlo, giacere con lui; e com'è naturale, in
seguito non tarda a fare cio. Quando dunque giacciono insieme, il cavallo
sfrenato dell'amante ha di che dire all'auriga, e pretende di trarre un piccolo
guadagno in cambio di tante fatiche; invece quello dell'amato non ha nulla da
dire, ma, gonfio di desiderio e ancora incerto abbraccia e bacia l'amante,
manifestandogli affetto per la sua grande benevolenza. Così , nel momento in
cui si congiungono, non è più tale da rifiutare di compiacere da parte sua
l'amante, se viene pregato di soddisfare; ma il compagno di giogo assieme
all'auriga 12 Platone Fedro si oppone a ciò, obbedendo al pudore e
alla ragione. Se dunque prevalgono le parti migliori dell'animo, quelle che
guidano a un'esistenza ordinata e alla filosofia, essi trascorrono la vita di
quaggiù in modo beato e concorde, poiché sono padroni di sé e ben regolati,
avendo sottomesso ciò in cui nasce il male dell'anima e liberato ciò in cui
nasce la virtù; e alla fine, divenuti alati e leggeri, hanno vinto una delle
tre gare veramente olimpiche, di cui né la temperanza umana né la mania divina
possono fornire all'uomo un bene più grande.(41) Se invece seguono un genere di
vita piuttosto grossolano e privo di filosofia, ma ambizioso, forse, in stato
di ubriachezza o in qualche altro momento di negligenza, i loro due compagni di
giogo sfrenati, cogliendo le anime alla sprovvista e portandole nella stessa
direzione, possono compiere la scelta che tanti considerano la più beata e
mandarla ad effetto; e una volta che l'hanno mandata ad effetto, se ne
avvalgono anche in futuro, ma raramente, poiché fanno cose che non sono
approvate da tutta l'anima. Anche costoro vivono in amicizia reciproca, ma meno
di quelli, sia durante l'amore sia quando ne sono usciti, credendo di essersi
dati l'un l'altro e di aver ricevuto i più grandi pegni, che non è lecito
sciogliere perché ciò condurrebbe all'inimicizia. Al termine della vita escono
dal corpo senz'ali, ma col desiderio di metterle, cosicché riportano un premio
non piccolo della loro mania amorosa; infatti non è legge che coloro i quali
hanno già iniziato il cammino sotto la volta del cielo scendano di nuovo nella
tenebra e camminino sotto terra, bensì che trascorrano una vita luminosa e
felice compiendo il viaggio in compagnia reciproca, e che una volta rinati
rimettano le ali assieme per grazia dell'amore. Questi doni così grandi e così
divini, o fanciullo, ti darà l'amicizia da parte di un amante. Invece la
compagnia di chi non ama, mescolata con temperanza mortale, capace di
amministrare cose mortali e misere, dopo aver generato nell'anima amata una
bassezza lodata dal volgo come virtù, la farà girare priva di senno attorno
alla terra e sotto terra per novemila anni. Questa, caro Eros, per le nostre
facoltà, è la più bella e virtuosa palinodia che abbiamo potuto offrirti in
dono e in espiazione, costretta a causa di Fedro a essere pronunciata, oltre al
resto, anche con alcune parole poetiche. Ma tu concedi il perdono per le cose
di prima e serba gratitudine per queste, e, benevolo e propizio, non togliermi
e non storpiarmì per la collera l'arte amorosa che mi hai dato, anzi concedimi
di essere in onore tra i bei fanciulli ancor più di adesso. E se nel discorso
precedente io e Fedro abbiamo detto qualcosa che a te suona stonata,
attribuiscine la colpa a Lisia, che del discorso è padre, e fallo desistere da
simili prolusioni, volgendolo alla filosofia come si è volto suo fratello
Polemarco, affinché anche questo suo amante non sia nel dubbio come ora, ma
dedichi senz'altro la sua vita ad Eros in compagnia di discorsi filosofici.
FEDRO: Mi unisco alla tua preghiera, Socrate: se questo è meglio per noi, che
avvenga. Da un pezzo ho ammirato il tuo discorso per quanto l'hai reso più
bello del precedente; quindi temo che Lisia mi appaia misero, quand'anche
voglia opporre ad esso un altro discorso. Recentemente infatti, mirabile amico,
un politico lo biasimava criticandolo proprio per questo, e in tutta la sua
critica lo chiamava logografo; perciò forse si tratterrà per ambizione dallo
scrivercene un altro. SOCRATE: Ragazzo, la tua opinione è ridicola, e quanto al
tuo compagno sbagli di grosso, se credi che si spaventi così al minimo rumore.
Ma forse pensi che chi lo biasimava dicesse quello che ha detto proprio per
criticarlo. FEDRO: Così pareva, Socrate; del resto sei anche tu conscio che
coloro che nelle città hanno il massimo potere e la massima reverenza si
vergognano a scrivere discorsi e a lasciare propri scritti, temendo l'opinione
dei posteri, cioè di essere chiamati sofisti. SOCRATE: Ti sei scordato, Fedro,
che la dolce ansa ha preso il nome dalla lunga ansa del Nilo (44) e oltre
all'ansa dimentichi che gli uomini di governo piu assennati amano tantissimo
comporre discorsi e lasciare propri scritti, almeno quelli che, quando scrivono
un discorso, apprezzano a tal punto chi li loda da aggiungere in testa per
primi i nomi di quelli che li devono lodare in ogni singola occasione. FEDRO:
In che senso dici ciò? Non capisco. SOCRATE: Non capisci che all'inizio del
discorso di un uomo politico per primo viene scritto il nome di chi lo loda!
FEDRO: E come? SOCRATE: «Il consiglio ha deciso», dice più o meno, ovvero «il
popolo ha deciso», o entrambi, e ancora «il tale e il tal altro ha detto» (e
qui lo scrittore cita se stesso con grande reverenza e si fa l'elogio). Poi si
mette a parlare, mostrando a chi lo loda la sua abilità, talvolta dopo aver
composto uno scritto assai lungo. O ti pare che una cosa del genere sia altro
che un discorso scritto? FEDRO: Non mi pare proprio. SOCRATE: Quindi, se il
discorso regge, l'autore esce di scena tutto lieto; se invece viene escluso e
radiato dallo scrivere discorsi e dall'essere degno di scriverli, piangono lui
e i suoi compagni. FEDRO: E anche molto! SOCRATE: è chiaro dunque che non
disprezzano questa attività, ma l'ammirano. FEDRO: Sicuro! SOCRATE: E allora?
Quando un retore o un re è in grado di raggiungere la potenza di Licurgo, di
Solone o di Dario (45) e di diventare un logografo immortale nella sua città,
non si crede forse egli stesso pari agli dèi mentre ancora vive, e i posteri
non pensano di lui la stessa cosa, contemplando i suoi scritti? FEDRO:
Certamente! SOCRATE: Credi allora che uno di costoro, chiunque sia e in
qualunque modo sia ostile a Lisia, lo biasimi proprio perché scrive discorsi?
13 Platone Fedro FEDRO: Non è verosimile, da ciò che dici, poiché a
quanto pare criticherebbe anche il proprio desiderio. SOCRATE: Allora è chiaro
a tutti che non è cosa turpe in sé lo scrivere discorsi. FEDRO: Ma certo.
SOCRATE: Ora però io ritengo turpe questo, il pronunciarli e scriverli in modo
non bello, ma riprovevole e disonesto. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: E allora qual
è il modo di scriverli bene e quale il modo contrario? Abbiamo bisogno, Fedro,
di esaminare a questo proposito Lisia e chiunque altro abbia mai composto o
comporrà uno scritto sia pubblico sia privato, in versi come un poeta o non in
versi come un prosatore? FEDRO: Chiedi se ne abbiamo bisogno? E per quale
ragione uno, oserei dire, vivrebbe, se non per i piaceri di questo tipo? Non
certo per quelli per cui bisogna prima soffrire, altrimenti non si prova
godimento, come sono quasi tutti i piaceri del corpo, che per questo motivo
sono stati giustamente chiamati servili. SOCRATE: Tempo ne abbiamo, a quanto
pare. E poi mi sembra che in questa calura soffocante le cicale, cantando sopra
la nostra testa e discorrendo tra loro, guardino anche noi. Se dunque vedessero
che anche noi due, come fanno i più a mezzogiorno, non discorriamo, ma sonnecchiamo
e ci lasciamo incantare da loro per pigrizia della mente, giustamente ci
deriderebbero, considerandoci degli schiavi venuti da loro per dormire in
questo luogo di sosta come delle pecore che passano il pomeriggio presso la
fonte; se invece ci vedranno discorrere e navigare accanto a loro come alle
Sirene senza essere ammaliati, forse, prese da ammirazione, ci daranno quel
dono che per concessione degli dèi possono dare agli uomini. FEDRO: E qual è
questo dono che hanno? A quanto pare, non l'ho mai sentito. SOCRATE: Non si
addice davvero a un uomo amante delle Muse non averne mai sentito parlare.(46)
Si dice che un tempo le cicale erano uomini, di quelli vissuti prima che
nascessero le Muse; quando poi nacquero le Muse e comparve il canto, alcuni di
loro restarono così colpiti dal piacere che cantando non si curarono più di
cibo e bevanda e senza accorgersene morirono. Da loro in seguito ebbe origine
la stirpe delle cicale, che ricevette dalle Muse questo dono, di non aver
bisogno di nutrimento fin dalla nascita, ma di cominciare subito a cantare
senza cibo né bevanda fino alla morte, e di andare quindi dalle Muse a riferire
chi tra gli uomini di quaggiù le onora, e quale di esse onora. A Tersicore
riferiscono di quelli che l'hanno onorata nei cori, rendendoli a lei più
graditi, a Erato di chi l'ha onorata nei carmi d'amore, e così per le altre,
secondo l'onore che ha ciascuna. A Calliope, la più anziana, e a Urania, che
viene dopo di lei, riferiscono di quelli che trascorrono la vita nella
filosofia e onorano la loro musica, poiché esse, avendo cura del cielo e dei
discorsi divini e umani, emettono tra tutte le Muse la voce più bella.(47) Per
molte ragioni, quindi, a mezzogiorno bisogna parlare e non dormire. FEDRO: E
allora bisogna parlare. SOCRATE: Dobbiamo dunque esaminare quello che ora ci
siamo proposti, ossia come è bene pronunciare e scrivere un discorso e come non
lo è. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: I discorsi che saranno pronunciati in modo
bello e decoroso non devono forse implicare che l'animo di chi parla conosca il
vero riguardo a ciò di cui intende parlare? FEDRO: A tal proposito, caro
Socrate, ho sentito dire questo: per chi vuole essere un retore non c'è la
necessità di apprendere ciò che è realmente giusto, ma ciò che sembra giusto
alla moltitudine che giudicherà, non ciò che è veramente buono o bello, ma che
sembrerà tale, poiché il convincere il prossimo viene da questo, non dalla
verità. SOCRATE: «Non parola da buttare»(48) dev'essere, Fedro, ciò che dicono
i sapienti, ma si deve esaminare se le loro affermazioni sono valide. Anche per
questo non bisogna lasciar cadere quanto ora è stato detto. FEDRO: Hai ragione.
SOCRATE: Esaminiamolo dunque in questo modo. FEDRO: Come? SOCRATE: Se volessi
persuaderti a difenderti dai nemici acquistando un cavallo, ed entrambi non
conoscessimo un cavallo, ma io per caso sapessi di te solo questo, che Fedro
reputa sia un cavallo quell'animale domestico che a orecchie assai grandi...
FEDRO: Sarebbe ridicolo, Socrate. SOCRATE: Non ancora. Ma lo sarebbe nel caso che,
per convincerti sul serio, componessi un discorso di elogio dell'asino
chiamandolo cavallo e sostenendo che tale bestia è assolutamente degna di
essere acquistata sia per uso domestico sia per le spedizioni militari, utile
per il combattimento in groppa, valente a portare bagagli e vantaggiosa in
molte altre cose. FEDRO: Allora sarebbe davvero ridicolo. SOCRATE: E non è
forse meglio essere ridicolo e amico piuttosto che esperto e nemico? FEDRO:
Così pare. SOCRATE: Pertanto, quando il retore che non conosce il bene e il
male inizia a persuadere una città che si trova nelle sue stesse condizioni,
facendo non l'elogio dell'ombra dell'asino come se fosse del cavallo, ma
l'elogio del male come se fosse il bene, e presa dimestichezza con le opinioni
della gente la persuade a operare il male anziché il bene, quale frutto credi
che mieterà in seguito la retorica da quello che ha seminato? FEDRO:
Sicuramente non buono. 14 Platone Fedro SOCRATE: Ma buon amico,
abbiamo forse svillaneggiato l'arte dei discorsi in modo più rozzo del dovuto?
Essa forse dirà: «Cosa mai andate cianciando, o mirabili uomini? Io non
costringo nessuno che non conosca il vero a imparare a parlare, ma, se il mio
consiglio vale qualcosa, a prendere me solo dopo aver acquisito quello. Questa
dunque è la cosa importante che vi voglio dire: senza di me, anche chi conosce
le cose come sono in realtà non saprà essere più persuasivo secondo arte».
FEDRO: E non dirà cose giuste, se parlasse così ? SOCRATE: Sì , se i discorsi
che si presentano le rendono testimonianza che è un'arte. In effetti mi sembra
di udire alcuni discorsi che vengono a testimoniare che essa mente e non è
un'arte, ma una pratica priva di arte. Un'autentica arte del dire senza il
tocco della verità, afferma lo Spartano,(49) non esiste né esisterà mai. FEDRO:
C'è bisogno di questi discorsi, Socrate: su, portali qui ed esamina cosa dicono
e in che modo. SOCRATE: Venite avanti, nobili rampolli, e persuadete Fedro dai
bei figli (50) che se non praticherà la filosofia in modo adeguato, non sarà
mai in grado di parlare di nulla. Fedro dunque risponda. FEDRO: Chiedete.
SOCRATE: La retorica, in generale, non è l'arte di guidare le anime per mezzo
di discorsi, non solo nei tribunali e in tutte le altre riunioni pubbliche, ma
anche in quelle private, la stessa sia nelle questioni piccole sia in quelle
grandi, e non è affatto di maggior pregio, almeno quando è retta, nelle cose
serie che in quelle di poco conto? O come hai sentito parlare in proposito?
FEDRO: No, per Zeus, assolutamente non così , ma soprattutto nei processi si
parla e si scrive con arte, come pure nelle assemblee pubbliche. Non possiedo
informazioni più ampie. SOCRATE: Ma allora, a proposito dei discorsi, hai
sentito parlare solo delle arti di Nestore e Odisseo, che hanno messo per
iscritto a Ilio nei periodi di tregua, e non di quelle di Palamede? (51) FEDRO:
Per Zeus, neanche di quelle di Nestore, a meno che tu non faccia di Gorgia un
Nestore, o di Trasimaco e Teodoro un Odisseo.(52) SOCRATE: Forse. Ma lasciamo
perdere costoro. Tu dimmi piuttosto: nei tribunali gli avversari cosa fanno?
Non fanno affermazioni tra loro contrastanti? O cosa diremo? FEDRO: Proprio
questo. SOCRATE: Riguardo al giusto e all'ingiusto? FEDRO: Sì . SOCRATE:
Allora, chi opera in questo modo con arte, farà apparire la stessa cosa alle
stesse persone ora giusta, ora, quando lo voglia, ingiusta? FEDRO: Come no?
SOCRATE: E in un'assemblea popolare farà sembrare alla città le stesse cose ora
buone, ora, al contrario, cattive? FEDRO: è così . SOCRATE: E non sappiamo che
il Palamede di Elea (53) parlava con un'arte tale da far apparire agli
ascoltatori le stesse cose simili e dissimili, una e molte, ferme e in
movimento? FEDRO: Ma certo! SOCRATE: Dunque l'arte del contraddire non si trova
solo nei tribunali e nell'assemblea popolare, ma a quanto pare in tutto ciò che
si dice ci sarebbe questa sola arte, se mai la è veramente, con la quale uno
sarà capace di rendere ogni cosa simile a ogni altra in tutti i casi possibili
e per quanto è possibile, e di mettere in luce quando un altro fa la stessa
cosa e lo nasconde. FEDRO: In che senso dici una cosa del genere? 5OCRATE Se
cerchiamo in questo modo credo che ci apparirà evidente. L'inganno si verifica
di più nelle cose che differiscono di molto o in quelle che differiscono di
pOco? FEDRO: In quelle che differiscono di poco. SOCRATE: Ma è più facile che
non ti accorga di essere arrivato all'opposto se ti sposti poco per volta che
se ti sposti a grandi passi. FEDRO: Come no? SOCRATE: Dunque chi ha intenzione
di ingannare un altro senza essere ingannato a sua volta deve distinguere con
precisione la somiglianza e la dissomiglianza degli esseri. FEDRO: è
necessario. SOCRATE: Ma se ignora la verità di ciascuna cosa, sarà mai in grado
di discernere la somiglianza dì ciò che ignora, piccola o grande che sia, con
le altre cose? FEDRO: Impossibile. SOCRATE: Dunque, in coloro che hanno
opinioni contrarie alla realtà degli esseri e si ingannano, è chiaro che questa
impressione si insinua attraverso certe somiglianze. FEDRO: Accade proprio così
. SOCRATE: è possibile allora che uno possieda l'arte di spostare poco a poco
la realtà di un essere attraverso le somiglianze, conducendolo ogni volta da
ciò che è al suo contrario, o viceversa di evitare questo, se non ha cognizione
di cosa sia ciascun essere? FEDRO: Non sarà mai possibile. SOCRATE: Dunque,
amico, colui che non conosce la verità, ma è andato a caccia di opinioni, ci
offrirà un'arte dei discorsi ridicola, a quanto pare, e priva di arte. FEDRO:
Pare di sì . 15 Platone Fedro SOCRATE: Vuoi dunque vedere, nel
discorso di Lisia che porti e in quelli che noi abbiamo fatto, qualcuna delle
cose che definiamo prive di arte e conformi all'arte? FEDRO: Più d'ogni altra
cosa, poiché ora noi parliamo in certo qual modo a vuoto, non avendo esempi
adeguati. SOCRATE: E per un caso fortunato, a quanto pare, sono stati
pronunciati due discorsi che recano un esempio di come chi conosce il vero,
giocando con le parole, possa condurre fuori strada gli ascoltatori. Ed io,
Fedro, ne attribuisco la causa agli dèi del luogo; ma forse anche le profetesse
delle Muse, che cantano sopra la nostra testa, possono averci ispirato questo
dono, poiché io non sono certo partecipe di una qualche arte del dire. FEDRO:
Sia come dici tu. Solo spiega ciò che affermi. SOCRATE: Su, leggimi l'inizio
del discorso di Lisia. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai
udito che ritengo sia per noi utile che queste cose accadano; ma non stimo
giusto non poter ottenere ciò che chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante.
Gli innamorati si pentono...» SOCRATE: Fermati. Bisogna dire in che cosa costui
sbaglia e opera senz'arte, non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Non è forse
evidente per chiunque almeno questo, che siamo d'accordo su alcune di queste
cose, in disaccordo su altre? FEDRO: Mi sembra di capire il tuo pensiero, ma
esprimilo ancora più chiaramente. SOCRATE: Quando uno dice la parola
"ferro" o "argento", non intendiamo forse tutti la stessa
cosa? FEDRO: Certo! SOCRATE: E quando si tratta dei termini "giusto"
e "bene"? Non siamo portati chi in una direzione, chi in un'altra, e
siamo in conflitto gli uni con gli altri e persino con noi stessi? FEDRO:
Proprio così ! SOCRATE: Dunque concordiamo su alcune cose, su altre no. FEDRO:
è così . SOCRATE: In quale dei due campi siamo più facilmente ingannabili e la
retorica ha maggior potere? FEDRO: Quello in cui vaghiamo nell'incertezza, è
evidente. SOCRATE: Pertanto chi si accinge a praticare la retorica deve
innanzitutto aver distinto con metodo queste cose e aver colto un carattere
peculiare di entrambe le forme, quella in cui è inevitabile che la gente vaghi
nell'incertezza e quella in cui non lo è. FEDRO: Chi avesse colto questo,
Socrate, avrebbe compreso un'idea davvero bella. SOCRATE: Inoltre credo che,
nell'occuparsi di ciascuna cosa, non debba lasciarsi sfuggire, ma debba
percepire con acutezza a quale delle due specie appartiene ciò di cui intende
parlare. FEDRO: Come no? SOCRATE: E allora? Dobbiamo dire che l'amore
appartiene alle questioni controverse oppure no? FEDRO: Alle questioni
controverse, non c'è dubbio. O credi che ti sarebbe stato possibile dire quello
che poco fa hai detto su di lui, ossia che è un danno sia per l'amato sia
l'amante, e al contrario che è il più grande dei beni? SOCRATE: Parli in modo
eccellente; ma dimmi anche questo, giacché io a causa dell'invasamento non lo
ricordo troppo bene: se all'inizio del discorso ho dato una definizione
dell'amore. FEDRO: Sì , per Zeus, in modo davvero insuperabile. SOCRATE: Ahimè,
quanto sono più esperte nei discorsi, a quel che dici, dici, le Ninfe
dell'Acheloo e Pan figlio di Ermes rispetto a Lisia figlio di Cefalo! Può darsi
che dica una sciocchezza, ma Lisia, cominciando il suo discorso sull'amore, non
ci ha costretto a concepire Eros come una certa realtà unica che voleva lui, e
in relazione a questo ha composto e condotto a termine tutto il discorso
seguente? Vuoi che rileggiamo il suo inizio? FEDRO: Se ti sembra il caso.
Tuttavia ciò che cerchi non è lì . SOCRATE: Parla, in modo che ascolti proprio
lui. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia
utile per noi che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere
ciò che chiedo, perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si
pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro passione...».
SOCRATE: Sembra che costui sia ben lungi dal fare ciò che cerchiamo, se mette
mano al discorso non dall'inizio ma dalle fine, nuotando supino all'indietro, e
prende le mosse da ciò che l'amante direbbe al suo amato quando ormai ha smesso
di amarlo. Oppure ho detto una sciocchezza, Fedro, mia testa cara? FEDRO: è
certamente la fine, Socrate, quella intorno a cui compone il discorso. SOCRATE:
E il resto? Non ti pare che le parti del discorso siano state buttate lì alla
rinfusa? O ciò che è stato detto per secondo risulta che per una qualche
necessità doveva essere messo per secondo piuttosto che un altro degli
argomenti trattati? A me, che non so nulla, è sembrato che lo scrittore abbia
detto in maniera non rozza ciò che gli veniva in mente; e tu sei a conoscenza
di una qualche arte di scrivere discorsi, in base alla quale lui ha disposto
questi argomenti così di seguito, uno dopo l'altro? FEDRO: Sei troppo buono, se
credi che io sia in grado di vedere nelle sue parole in modo così preciso!
SOCRATE: Ma penso che tu possa dire almeno questo, che ogni discorso dev'essere
costituito come un essere vivente e avere un corpo suo proprio, così da non
essere senza testa e senza piedi, ma da avere le parti di mezzo e quelle estreme
scritte in modo che si adattino le une alle altre e al tutto. FEDRO: Come no?
16 Platone Fedro SOCRATE: Esamina dunque il discorso del tuo
compagno, se è composto così o in altro modo, e troverai che non differisce in
nulla dall'epigramma che secondo alcuni è stato scritto sulla tomba di Mida il
Frigio.(54) FEDRO: Qual è questo epigramma, e cos'ha di particolare? SOCRATE: è
questo qui: Vergine bronzea sono, e sto sull'avello di Mida. Fin che l'acqua
scorra e alberi grandi verdeggino, stando qui sulla tomba di molte lacrime
aspersa, annuncerò a chi passa che Mida qui è sepolto. Capisci senz'altro, come
credo, che non c'è alcuna differenza se un verso viene recitato per primo o per
ultimo. FEDRO: Tu ti fai beffe del nostro discorso, Socrate! SOCRATE: Allora
lasciamolo perdere, così non ti crucci (eppure mi sembra che contenga parecchi
esempi ai quali gioverebbe porre attenzione, cercando di non imitarli in alcun
modo); e passiamo agli altri due discorsi. In essi, mi sembra, c'era qualcosa
che per chi vuole fare indagini sui discorsi è conveniente esaminare. FEDRO: A
che cosa alludi? SOCRATE: In qualche modo erano opposti: uno diceva che si deve
compiacere chi ama, l'altro chi non ama. FEDRO: E con molto vigore! SOCRATE:
Pensavo che tu avresti detto il vero, cioè con mania: ciò che cercavo è appunto
questo. Abbiamo detto infatti che l'amore è una forma di mania. O no? FEDRO: Sì
. SOCRATE: E che ci sono due forme di mania, una che nasce da malattie umane,
l'altra che nasce da un mutamento divino delle consuete abitudini. FEDRO:
Giusto. SOCRATE: Distinguendo quattro parti di quella divina in relazione a
quattro dèi, abbiamo attribuito l'ispirazione mantica ad Apollo, quella
iniziatica a Dioniso, quella poetica alle Muse, la quarta ad Afrodite ed Eros,
e abbiamo detto che la mania amorosa è la migliore. E non so come,
rappresentando con immagini la passione amorosa, forse toccando da un lato un
che di vero, dall'altro uscendo un po' di strada, abbiamo composto un discorso
non del tutto incapace di persuadere e abbiamo levato quasi per gioco, con
parole misurate e pie, un inno in forma di mito in onore di Eros, mio e tuo
signore, Fedro, e protettore dei bei giovani. FEDRO: E almeno per me, un
discorso davvero non spiacevole da ascoltare! SOCRATE: Prendiamo dunque in
esame solo questo, come il discorso sia potuto passare dal biasimo alla lode.
FEDRO: Cosa intendi dire con ciò? SOCRATE: A me pare che il resto sia stato
fatto realmente per gioco; ma in alcune di queste cose dette a caso ci sono due
procedimenti di cui non sarebbe spiacevole se si riuscisse a coglierne con arte
la potenza. FEDRO: Quali? SOCRATE: Il primo consiste nel ricondurre le cose
disperse in molteplici modi a un'unica idea cogliendole in uno sguardo
d'insieme, così da definirle una per una e da chiarire ciò su cui si vuole di
volta in volta insegnare. Per esempio, nel discorso fatto poco fa su Eros, una
volta definito ciò che è, a prescindere se sia stato detto bene o male, è
appunto grazie a questa definizione che il discorso ha acquistato chiarezza e
coerenza interna. FEDRO: E dell'altro procedimento cosa dici, SOcrate? SOCRATE:
Esso consiste, al contrario, nel saper dividere secondo le idee in base alle
loro articolazioni naturali, senza cercar di spezzare alcuna parte, alla
maniera di un cattivo macellaio; ma come i due discorsi di poco fa concepivano
la dissennatezza dell'animo come un'idea unica in comune, e come da un corpo
unico hanno origine membra doppie dallo stesso nome, chiamate destra e
sinistra, così i due discorsi hanno considerato anche la componente della
follia come un'idea per sua natura unica in noi: il primo discorso, tagliando
la parte di sinistra, e poi tagliandola ancora, non ha smesso prima di aver
trovato in queste divisioni un certo qual amore chiamato sinistro e di averlo a
buon diritto biasimato; l'altro discorso invece ci ha condotto nella parte
destra della mania e vi ha trovato un amore che ha lo stesso nome dell'altro,
ma è divino, e dopo aavercelo posto innanzi lo ha elogiato come la causa dei
nostri più grandi beni. FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: Io, Fedro, sono
amante di questi procedimenti, delle divisioni e delle unificazioni, al fine di
essere in grado di parlare e di pensare; e se ritengo che qualcun altro sia per
sua natura capace di guardare all'uno e ai molti, lo seguo «tenendo dietro alle
sue orme come a quelle di un dio». E quelli che appunto sono in grado di fare
ciò, lo sa un dio se la mia definizione è giusta o meno, fino a questo momento
li chiamo dialettici. Quelli che invece hanno appreso da te e da Lisia ciò di
cui si è discusso ora, dimmi tu come conviene chiamarli: o è proprio questa
l'arte dei discorsi, grazie alla quale Trasimaco e gli altri sono diventati
abili a parlare essi stessi e rendono tali gli altri, che vogliono coprirli di
doni come dei re? FEDRO: Sono uomini regali, sì , ma non esperti delle cose che
chiedi. Ma mi pare che tu dia il nome giusto a questo metodo, chiamandolo
dialettico; quello della retorica invece pare ci sfugga ancora. SOCRATE: Come
dici? Potrebbe forse esserci qualcosa di bello, che anche senza questi
procedimenti si apprende lo stesso con arte? Né io né tu dobbiamo assolutamente
disprezzarlo, ma dobbiamo appunto precisare che cos'è ciò che rimane della
retorica. FEDRO: Rimangono moltissime cose, Socrate, almeno quelle che si
trovano nei libri scritti sull'arte del dire. Platone Fedro SOCRATE: Hai
fatto bene a ricordarmelo. Per primo, credo, all'inizio del discorso dev'essere
pronunciato il proemio; sono queste che chiami le finezze dell'arte, non è
vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Al secondo posto viene una narrazione seguita da
testimonianze, al terzo le argomentazioni, al quarto le verosimiglianze. Poi
vengono la conferma e la riconferma, così almeno credo che dica l'eccellente
uomo di Bisanzio, il Dedalo dei discorsi. FEDRO: Vuoi dire il valente Teodoro?
SOCRATE: Come no? E poi sia nell'accusa sia nella difesa vanno fatte una
confutazione e una controconfutazione. E non tiriamo in ballo il bellissimo
Eveno di Paro, che per primo trovò l'insinuazione e gli elogi indiretti; (55)
alcuni sostengono che pronunciasse persino dei biasimi indiretti in poesia per
esercitare la memoria (in effetti era un uomo abile). E lasceremo riposare
Tisia e Gorgì a,(56) i quali videro come il verosimile sia da tenere in conto
più del vero e con la forza del discorso fanno apparire grande ciò che è piccolo
e piccolo ciò che è grande, vecchio ciò che è nuovo e al contrario nuovo ciò
che è vecchio, e scoprirono la brevità dei discorsi e le prolissità infinite su
ogni sorta di argomento? Una volta Prodico,(57) sentendo da me queste cose,
scoppiò a ridere, e sostenne di aver scoperto lui solo i discorsi di cui l'arte
abbisogna: né lunghi né brevi, ma misurati. FEDRO: Parole molto sagge, o
Prodico. SOCRATE: E non menzioniamo Ippia? Credo che anche l'ospite eleo
voterebbe con lui. FEDRO: Perché no? SOCRATE: E come parleremo dei Templi alle
Muse dei discorsi innalzati da Polo, ad esempio la ripetizione o il parlare per
sentenze e per immagini, e dei Templi alle Muse dei nomi di cui Licimnio gli
fece dono per la composizione del bello stile?(59) FEDRO: E le opere di
Protagora,(60) Socrate, non erano più o meno di questo tipo? SOCRATE: Una certa
Correttezza dello stile, ragazzo, e molte altre belle cose. Ma quanto ai
discorsi strappalacrime sfoderati per la vecchiaia e la povertà, mi pare che
l'abbia vinta per arte la potenza del Calcedonio, uomo d'altronde straordinario
nel suscitare la collera nella gente e poi nell'ammansire chi aveva fatto
adirare incantandolo, come soleva dire, e potentissimo nel lanciare e
sciogliere calunnie in ogni modo. Sembra poi che ci sia comune accordo tra
tutti sulla conclusione dei discorsi, alla quale alcuni danno il nome di
riepilogo, altri un altro nome. FEDRO: Intendi il ricordare per sommi capi agli
ascoltatori, alla fine del discorso, ciascuno degli argomenti trattati?
SOCRATE: Intendo questo, e se tu hai qualcos'altro da aggiungere sull'arte dei
discorsi... FEDRO: Cose da poco, che non vale la pena di dire. SOCRATE:
Lasciamo perdere le cose di poco conto, e vediamo piuttosto in piena luce quale
potenza dell'arte hanno le cose di cui abbiamo parlato, e quando. FEDRO: Una
potenza davvero forte, SOcrate, almeno nelle adunanze del popolo. SOCRATE:
Infatti l'hanno. Ma guarda anche tu, o esimio, se la loro trama non sembra
anche te, come a me, slegata. FEDRO: Purché tu lo dimostri. SOCRATE: Allora
dimmi: se uno si presentasse al tuo compagno Erissimaco o a suo padre Acumeno e
dicesse loro: «Io so somministrare ai corpi farmaci tali da riscaldarli e
raffreddarli, se lo voglio, e se mi pare il caso tali da farli vomitare e
persino evacuare, e moltissime altre cose del genere. E dal momento che ho
queste conoscenze sono convinto di essere un medico e di far diventare medico
un altro a cui comunico la scienza di queste cose», cosa credi che direbbero
dopo averlo ascoltato? FEDRO: Cos'altro se non chiedergli se sa anche a chi e
quando bisogna fare ciascuna di queste cose, e in quale misura? SOCRATE: E se
allora rispondesse: «Non lo so affatto: ma sono convinto che chi ha appreso
queste conoscenze da me sia a sua volta in grado di fare ciò che chiedi»?
FEDRO: Direbbero, credo, che quell'uomo è pazzo, e che crede di essere
diventato un medico per aver sentito qualcosa da qualche libro o per aver usato
casualmente dei farmaci, senza avere alcuna conoscenza dell'arte. SOCRATE: E se
uno si presentasse a Sofocle e ad Euripide dicendo che sa comporre discorsi
lunghissimi su un argomento piccolo e piccolissimi su un argomento grande,
commoventi, quando lo vuole, e al contrario spaventevoli e minacciosi, e tante
altre cose del genere, e che insegnando ciò crede di trasmettere il modo di
comporre una tragedia? FEDRO: Credo che anche costoro, Socrate, riderebbero se
uno pensa che la tragedia sia altra cosa che l'unione di questi elementi ben
connessi tra loro e accordati con il tutto. SOCRATE: Però non lo
rimprovererebbero con villania, credo, ma come un musico, se incontrasse un
uomo che crede di essere esperto nell'armonia, perché il caso vuole che sappia
come si fa a produrre il suono più acuto e quello più grave, non gli direbbe
villanamente: «Disgraziato, tu sei pazzo!», ma in quanto musico gli direbbe, in
modo più affabile: «Carissimo, chi vuole essere un esperto di armonia è
necessario che conosca anche questo, tuttavia nulla vieta che chi ha le tue
capacità non sappia neppure un poco di armonia; tu infatti conosci le nozioni
necessarie e preliminari dell'armonia, non come si produce l'armonia». FEDRO:
Giustissimo. SOCRATE: Allora anche Sofocle direbbe a chi si esibisse di fronte
a loro che conosce i preliminari dell'arte tragica ma non il modo di comporre
una tragedia, e Acumeno direbbe all'altro che conosce i preliminari della
medicina, non la scienza medica. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: E cosa pensiamo
che direbbero Adrasto voce di miele o Pericle, (61) se sentissero parlare degli
accorgimenti che abbiamo elencato poco fa, cioè parlare conciso, parlare per
immagini e tutte le altre cose che abbiamo 18 Platone Fedro scorso
affermando che erano da esaminare in piena luce? Forse per villania, come
abbiamo fatto io e te, si rivolgerebbero con parole aspre e rudi a chi ha
scritto queste cose e le insegna spacciandole per retorica, oppure, essendo più
saggi di noi, ci lascerebbero di stucco dicendo: «Fedro e Socrate, non bisogna
essere aspri, ma indulgenti, se alcuni, non essendo a conoscenza della
dialettica, non hanno saputo definire cosa mai sia la retorica e in conseguenza
di questa condizione, possedendo le nozioni necessarie e preliminari dell'arte,
hanno creduto di averla scoperta; e impartendo queste nozioni ad altri ritengono
di averli istruiti compiutamente nella retorica e presumono che i loro
discepoli debbano procurarsi da sé nei discorsi la capacità di esporre ciascuna
di queste cose in maniera convincente e di collegare tutto l'insieme, come se
fosse opera da nulla!». FEDRO: Ma può anche darsi, Socrate, che sia proprio un
qualcosa del genere cio che concerne l'arte che questi uomini insegnano e
presentano per iscritto come retorica, e mi sembra che tu abbia detto il vero;
ma allora come e dove ci si può procurare l'arte di colui che è veramente
esperto di retorica e persuasivo? SOCRATE: Riuscire a diventare un perfetto
campione della retorica, è naturale, Fedro, e forse anche necessario, che sia
come negli altri campi: se per natura sei portato alla retorica, sarai un
retore famoso, a patto d'aggiungervi scienza ed esercizio; ma se manchi di una
di queste qualità, resterai imperfetto. Quanto poi all'arte connessa a ciò, non
mi sembra che il metodo proceda nella direzione in cui vanno Lisia e Trasimaco.
FEDRO: Qual è il metodo, allora? SOCRATE: Si dà il caso, carissimo, che Pericle
sia stato probabilmente il più perfetto di tutti nella retorica. FEDRO: Perché?
SOCRATE: Tutte le grandi arti hanno bisogno di sottigliezza e di discorsi
celesti sulla natura, poiché questa elevatezza di pensiero e questa capacità di
condurre tutto ad effetto sembrano provenire in qualche modo da qui. E Pericle,
oltre alla buona disposizione naturale, si acquistò anche questo: imbattutosi,
credo, in Anassagora,(62) uomo di tal fatta, si riempì di discorsi celesti e
giunse alla natura dell'intelletto e della ragione, argomenti intorno ai quali
Anassagora si diffondeva ampiamente, e da qui ricavò quello che era utile per
l'arte dei discorsi. FEDRO: In che senso dici ciò? SOCRATE: Il modo di procedere
dell'arte medica è lo stesso della retorica. FEDRO: E come? SOCRATE: In
entrambe bisogna dividere una natura, in una quella del corpo, nell'altra
quella dell'anima, se tu, non solo per esercizio e in modo empirico, ma con
arte, vuoi procurare all'uno salute e vigore somministrandogli medicine e
nutrimento, e trasmettere all'altra la convinzione che desidera e la virtù
offrendole discorsi e occupazioni rispettose delle leggi. FEDRO: è verosimile
che sia così , Socrate. SOCRATE: Ritieni dunque che sia possibile comprendere
la natura dell'anima in modo degno di menzione senza conoscere la natura
dell'insieme? FEDRO: Se si deve dare qualche credito a Ippocrate, che è degli
Asclepiadi, senza questo metodo non è possibile neanche comprendere la natura
del corpo. SOCRATE: E dice bene, amico; tuttavia bisogna confrontare il
discorso con quanto afferma Ippocrate ed esaminare se si accorda. FEDRO:
Certamente. SOCRATE: Allora esamina cosa dicono sulla natura Ippocrate e il
discorso vero. Non bisogna forse ragionare così riguardo alla natura di
qualsiasi cosa? Innanzitutto si deve considerare se ciò in cui vorremo essere
esperti noi stessi e in grado di rendere tale un altro sia semplice o multiforme;
poi, se è semplice, si deve esaminare quale potenza ha per sua natura
nell'agire e su che cosa la esercita, o quale potenza ha nel subire e da che
cosa la subisce, se invece ha più forme bisogna enumerarle e vedere per
ciascuna di esse ciò che si vede per un'unità, cioè in virtù di che cosa è
portata per sua natura ad agire e su che cosa, o in virtù di che cosa a subire,
che cosa e da che cosa. FEDRO: Può essere, Socrate. SOCRATE: Dunque il metodo
privo di questi procedimenti somiglierebbe all'andare di un cieco. Chi invece
persegue con arte una qualsiasi cosa non è da rassomigliare a un cieco o a un
sordo, ma è chiaro che, se uno vuol trasmettere ad altri discorsi fatti con
arte, dimostrerà puntualmente l'essenza della natura di ciò a cui rivolgerà i
suoi discorsi; e questo sarà in qualche modo l'anima. FEDRO: Come no? SOCRATE:
Perciò tutto il suo sforzo è teso a questo, poiché in questo cerca di produrre
persuasione. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: è chiaro dunque che Trasimaco e
chiunque altro offra seriamente l'arte della retorica, innanzitutto descriverà
e farà vedere con la massima precisione l'anima, se per sua natura è una e
tutta uguale o multiforme come l'aspetto del corpo; diciamo infatti che questo
è dimostrare la natura di una cosa. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: In secondo
luogo, in virtù di che cosa è per sua natura portata ad agire, e su cosa, o in
virtù di che cosa è portata a subire, e da che cosa. FEDRO: Come no? SOCRATE:
In terzo luogo, classificati i generi dei discorsi e dell'anima e le loro
proprietà, passerà in rassegna tutte le cause, adattando ciascun genere di
discorso a ciascun genere di anima e insegnando quale anima, da quali discorsi
e per quale causa viene di necessità persuasa, quale invece non viene persuasa.
19 Platone Fedro FEDRO: Sarebbe bellissimo se fosse così , a quanto
pare! SOCRATE: Pertanto, caro, ciò che verrà dimostrato o detto in altro modo
non sarà mai detto o scritto con arte, né su questo né su un altro argomento.
Ma quelli che oggi scrivono le arti dei discorsi che tu hai ascoltato sono
scaltri, e pur conoscendo molto bene l'anima sono portati a dissimulare;
perciò, prima che parlino e scrivano in questo modo, non lasciamoci convincere
da loro, credendo che scrivano con arte. FEDRO: Qual è questo modo? SOCRATE:
Già usare le espressioni appropriate non è cosa facile; ma per quanto mi è
possibile voglio dirti come bisogna scrivere, se si intende farlo con arte.
FEDRO: Dillo dunque. SOCRATE: Poiché la forza del discorso sta nella guida
delle anime, chi vuole essere esperto di retorica è necessario che sappia
quante forme ha l'anima. Esse sono tantissime e di svariate qualità, e di
conseguenza alcuni uomini sono di un certo tipo, altri di un altro; e dato che
le forme dell'anima risultano così divise, a loro volta sono tantissime anche
le forme dei discorsi, ciascuna di tipo diverso. Per questo motivo gli uomini
di un certo tipo si lasciano facilmente persuadere da discorsi di un certo tipo
su determinati argomenti, mentre gli uomini di un altro tipo, sempre per questo
motivo, sono difficili da persuadere. Perciò chi vuole diventare retore deve
innanzitutto tenere in adeguata considerazione queste cose, poi, osservando il
loro modo di essere e di operare all'atto pratico, dev'essere in grado di
seguirle acutamente con le sue facoltà intellettive, altrimenti non avrà mai
niente più dei discorsi che ascoltava quando frequentava un maestro. E quando
sappia dire in modo adeguato quale genere di uomo viene persuaso e da quali
discorsi, e sia in grado di accorgersi della sua presenza e di provare a se
stesso che si tratta di quell'uomo e di quella natura sulla quale vertevano a
suo tempo i discorsi, e poiché ora è di fatto presente deve riferirle questi
discorsi nella maniera prevista, per persuaderla di determinate cose, una volta
che dunque sia in possesso di tutti questi requisiti, sappia cogliere i momenti
giusti in cui bisogna parlare e quelli in cui bisogna trattenersi e sappia
discernere l'opportunità e l'inopportunità del parlare conciso, commovente o
indignato e di tutte le altre forme di discorso che ha appreso, allora l'arte è
realizzata in modo bello e compiuto, prima no. Ma se uno manca di una qualsiasi
di queste cose quando parla, insegna o scrive, e afferma di parlare con arte,
vince chi non si lascia persuadere. «E allora?», dirà forse il nostro
scrittore. «Fedro e Socrate, la pensate così? Dobbiamo forse definire in altro
modo l'arte che è detta dei discorsi?». FEDRO: è impossibile in altro modo,
Socrate; eppure sembra un lavoro non da poco. SOCRATE: Hai ragione. Proprio per
questo bisogna rivoltare tutti i discorsi sottosopra ed esaminare se da qualche
parte appare una via più facile e più breve per giungere ad essa, così da non
procedere inutilmente per una via lunga e aspra, quando è possibile percorrerne
una corta e liscia. Ma se hai da qualche parte un aiuto, per averlo ascoltato
da Lisia o da qualcun altro, cerca di richiamarlo alla memoria e di dirlo.
FEDRO: Così , per fare una prova, potrei, ma non me la sento, almeno adesso.
SOCRATE: Vuoi dunque che io riferisca un discorso che ho ascoltato da alcuni
che si occupano di queste cose? FEDRO: Perché no? SOCRATE: D'altronde, Fedro,
si dice che è giusto riferire anche le ragioni del lupo. FEDRO: Allora fa' così
anche tu. SOCRATE: Dunque, essi sostengono che non si devono magnificare e
levare così in alto queste cose, con tanti giri di parole; infatti, come
abbiamo detto anche all'inizio del discorso, chi intende essere
sufficientemente esperto nella retorica non deve certo partecipare della verità
circa questioni giuste e buone, o uomini tali per natura o per educazione,
poiché nei tribunali non importa proprio niente a nessuno della verità su
queste cose, ma importa solo ciò ch'è atto a persuadere: è il verosimile, a cui
si deve applicare chi intende parlare con arte. Talvolta infatti non bisogna
neanche esporre i fatti, a meno che non si siano svolti in maniera verosimile,
ma solo quelli verosimili, sia nell'accusa sia nella difesa, e in genere chi
parla deve seguire il verosimile, dopo aver detto tanti saluti alla verità;
poiché è appunto questo che, se percorre l'intero discorso, procura tutta
quanta l'arte. FEDRO: Hai esposto, Socrate, proprio le ragioni che adducono
quelli che danno a vedere di essere esperti nell'arte dei discorsi; mi sono
ricordato che già in precedenza abbiamo toccato brevemente tale argomento, e
sembra che ciò sia di enorme importanza per chi si occupa di queste cose.
SOCRATE: Sicuramente hai studiato con precisione proprio Tisia: quindi Tisia ci
dica anche questo, se per verosimile intende qualcosa di diverso da ciò che
sembra ai più. FEDRO: E che altro? SOCRATE: E avendo fatto questa scoperta, a
quanto pare, di saggezza e d'arte insieme, ha scritto che se un uomo debole e
coraggioso, che ha percosso un uomo forte e vile e gli ha portato via il
mantello o qualcos'altro, viene condotto in tribunale, nessuno dei due deve
dire la verità, ma il vile deve asserire di non essere stato percosso dal solo
uomo coraggioso, questi deve confutare ciò ribattendo che erano loro due soli,
e servirsi del seguente argomento: «Come avrei potuto io, data la mia
condizione, mettere le mani addosso a una persona come lui?». L'altro non
ammetterà la propria viltà, ma cercando di dire qualche altra menzogna offrirà
subito materia di confutazione all'avversario. E anche negli altri campi le
cose dette con arte sono più o meno di questo genere. Non è così , Fedro?
FEDRO: Come no? SOCRATE: Ahimè, sembra che abbia fatto la scoperta davvero
sensazionale di un'arte nascosta, Tisia o chiunque altro sia e da qualunque luogo
si compiaccia di trarre il nome! Ma a costui, amico, dobbiamo dire o no. FEDRO:
Cosa? Platone Fedro SOCRATE: Questo: «O Tisia, da tempo noi, prima ancora
che tu venissi qui, ci trovavamo a dire che questo verosimile viene a nascere
nei più per somiglianza col vero; e poco fa abbiamo spiegato che chi conosce la
verità sa scoprire benissimo le somiglianze. Perciò, se hai qualcos'altro da
dire sull'arte dei discorsi, lo ascolteremo; altrimenti daremo credito a ciò
che abbiamo esposto or ora, cioè che se uno non enumererà le nature di coloro
che lo ascolteranno, e non sarà in grado di dividere gli esseri secondo le
forme e di raccoglierli uno per uno in un'idea, non sarà mai esperto nell'arte
dei discorsi, per quanto è possibile a un uomo. E non potrà mai acquisire
queste capacità senza molta applicazione; ad essa il sapiente dovrà indirizzare
i suoi sforzi non per parlare e agire con gli uomini, ma per poter dire cose
che siano gradite agli dèi e fare ogni cosa in modo a loro gradito, per quanto
è nelle sue facoltà. Infatti i più saggi tra noi, Tisia, dicono che chi ha
intelletto deve prendersi cura di compiacere non i compagni di schiavitù, se
non in modo accessorio, ma i padroni buoni e che discendono da uomini buoni.
Perciò, se la strada è lunga, non meravigliartene, in quanto per raggiungere
grandi traguardi bisogna percorrerla, non come credi tu. D'altronde, come dice
il nostro discorso, anche queste fatiche diventeranno bellissime grazie a quei
traguardi, se uno lo vuole». FEDRO: Mi pare che si stia parlando in modo
bellissimo, Socrate, se davvero qualcuno ne è capace. SOCRATE: Ma per chi intraprende
azioni belle è bello anche soffrire, qualunque cosa gli tocchi di soffrire.
FEDRO: Sicuro. SOCRATE: Quanto si è detto a proposito dell'arte e della
mancanza di arte nel fare discorsi sia dunque sufficiente. FEDRO: Come no?
SOCRATE: Rimane la questione della convenienza e della non convenienza della
scrittura, quando essa vada bene e quando invece sia sconveniente. O no? FEDRO:
Sì . SOCRATE: Sai allora come, nell'ambito dei discorsi, potrai acquistarti il
massimo favore di un dio con le tue azioni e le tue parole? FEDRO: Per niente.
E tu? SOCRATE: Io posso raccontarti una storia tramandata dagli antichi; il
vero essi lo sanno. E se noi lo trovassimo da soli, ci importerebbe ancora
qualcosa delle opinioni degli uomini? FEDRO: Hai fatto una domanda ridicola! Ma
racconta ciò che dici di aver udito. SOCRATE: Ho sentito dunque raccontare che
presso Naucrati, in Egitto, (64) c'era uno degli antichi dèi del luogo, al
quale era sacro l'uccello che chiamano ibis; il nome della divinità era Theuth.
Questi inventò dapprima i numeri, il calcolo, la geometria e l'astronomia, poi
il gioco della scacchiera e dei dadi, infine anche la scrittura. Re di tutto
l'Egitto era allora Thamus e abitava nella grande città della regione superiore
che i Greci chiamano Tebe Egizia, mentre chiamano il suo dio Ammone.Theuth,
recatosi dal re, gli mostrò le sue arti e disse che dovevano essere trasmesse
agli altri Egizi; Thamus gli chiese quale fosse l'utilità di ciascuna di esse,
e mentre Theuth le passava in rassegna, a seconda che gli sembrasse parlare
bene oppure no, ora disapprovava, ora lodava. Molti, a quanto si racconta,
furono i pareri che Thamus espresse nell'uno e nell'altro senso a Theuth su
ciascuna arte, e sarebbe troppo lungo ripercorrerli; quando poi fu alla
scrittura, Theuth disse: «Questa conoscenza, o re, renderà gli Egizi più
sapienti e più capaci di ricordare, poiché con essa è stato trovato il farmaco
della memoria e della sapienza». Allora il re rispose: «Ingegnosissimo Theuth,
c'è chi sa partorire le arti e chi sa giudicare quale danno o quale vantaggio
sono destinate ad arrecare a chi intende servirsene. Ora tu, padre della
scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di quello che essa vale.
Questa scoperta infatti, per la mancanza di esercizio della memoria, produrrà
nell'anima di coloro che la impareranno la dimenticanza, perché fidandosi della
scrittura ricorderanno dal di fuori mediante caratteri estranei, non dal di
dentro e da se stessi; perciò tu hai scoperto il farmaco non della memoria, ma
del richiamare alla memoria. Della sapienza tu procuri ai tuoi discepoli
l'apparenza, non la verità: ascoltando per tuo tramite molte cose senza
insegnamento, crederanno di conoscere molte cose, mentre per lo più le
ignorano, e la loro compagnia sarà molesta, poiché sono divenuti portatori di
opinione anziché sapienti». FEDRO: Socrate, tu pronunci con facilità discorsi
egizi e di qualsiasi paese tu voglia! SOCRATE: E pensa che alcuni, mio caro,
hanno asserito che i primi discorsi profetici nel tempio di Zeus a Dodona
venivano da una quercia! Agli uomini di allora, dato che non erano sapienti
come voi giovani, bastava, nella loro semplicità, ascoltare una quercia o una
roccia, purché dicessero il vero; ma forse per te fa differenza chi è colui che
parla e da dove viene. Non miri infatti solamente a questo, se le cose stanno
così o diversamente? FEDRO: Hai colto nel segno, e mi sembra che riguardo alla
scrittura le cose stiano come dice il re di Tebe. SOCRATE: Allora chi crede di
tramandare un'arte con la scrittura, e chi a sua volta la riceve nella convinzione
che dalla scrittura deriverà qualcosa di chiaro e di saldo, dev'essere ricolmo
di molta ingenuità e ignorare realmente il vaticinio di Ammone, se pensa che i
discorsi scritti siano qualcosa in più del riportare alla memoria di chi già sa
ciò su cui verte lo scritto. FEDRO: Giustissimo. SOCRATE: Poiché la scrittura,
Fedro, ha questo di potente, e, per la verità, di simile alla pittura. Le
creazioni della pittura ti stanno di fronte come cose vive, ma se tu rivolgi
loro qualche domanda, restano in venerando silenzio. La medesima cosa vale
anche per i discorsi: tu potresti anche credere che parlino come se avessero
qualche pensiero loro proprio, ma se domandi loro qualcosa di ciò che dicono
coll'intenzione di apprenderla, questo qualcosa suona sempre e Platone
Fedro solo identico. E, una volta che è scritto, tutto quanto il discorso
rotola per ogni dove, finendo tra le mani di chi è competente così come tra
quelle di chi non ha niente da spartire con esso, e non sa a chi deve parlare e
a chi no. Se poi viene offeso e oltraggiato ingiustamente ha sempre bisogno
dell'aiuto del padre, poiché non è capace né di difendersi da sé né di venire
in aiuto a se stesso. FEDRO: Anche queste tue parole sono giustissime. SOCRATE:
E allora? Vogliamo considerare un altro discorso, fratello legittimo di questo,
in che modo nasce e quanto è per sua natura migliore e più potente di questo?
FEDRO: Qual è questo discorso e come, secondo te, nasce? SOCRATE: è quello che
viene scritto mediante la conoscenza nell'anima di chi apprende; esso è in
grado di difendersi da sé, e sa con chi bisogna parlare e con chi tacere.
FEDRO: Intendi il discorso vivente e animato di chi sa, del quale quello
scritto si può a buon diritto definire un'immagine. SOCRATE: Per l'appunto. Ora
dimmi questo: l'agricoltore che ha senno pianterebbe seriamente d'estate nei
giardini di Adone i semi che gli stessero a cuore e da cui volesse ricavare
frutti; e gioirebbe a vederli crescere belli in otto giorni, o farebbe ciò per
gioco e per la festa, quand'anche lo facesse? E riguardo invece a quelli di cui
si è preso cura sul serio servendosi dell'arte dell'agricoltura e seminandoli
nel luogo adatto, sarebbe contento che quanto ha seminato giungesse a
compimento in otto mesi? FEDRO: Farebbe così , Socrate: sul serio per gli uni,
diversamente per gli altri, come tu dici. SOCRATE: Dovremo dire che chi
possiede la scienza delle cose giuste, belle e buone abbia meno senno
dell'agricoltore con le sue sementi? FEDRO: Nient'affatto. SOCRATE: Allora non
le scriverà seriamente nell'acqua nera, seminandole attraverso la canna assieme
a discorsi incapaci di difendersi da sé con la parola, e incapaci di insegnare
in modo adeguato la verità. FEDRO: No, almeno non è verosimile. SOCRATE:
Infatti non lo è. Ma a quanto pare seminerà e scriverà i giardini di scrittura
per gioco, quando li scriverà, serbando un tesoro da richiamare alla memoria
per se stesso, nel caso giunga «alla vecchiaia dell'oblio»,(68) e per chiunque
segua la sua stessa orma, e gioirà a vederli crescere teneri. E quando gli
altri faranno altri giochi, ristorandosi nei simposi e in tutti i divertimenti
fratelli di questi, egli allora, a quanto pare, invece che in essi passerà la
vita a dilettarsi in ciò di cui parlo. FEDRO: è un gioco molto bello quello che
dici, Socrate, rispetto all'altro che è insulso: il gioco di chi sa divertirsi
coi discorsi, narrando storie sulla giustizia e sulle altre cose di cui parli.
SOCRATE: Così è in effetti, caro Fedro: ma l'impegno in queste cose diventa,
credo, molto più bello quando uno, facendo uso dell'arte dialettica, prende
un'anima adatta, vi pianta e vi semina discorsi accompagnati da conoscenza, che
siano in grado di venire in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati e non
siano infruttiferi, ma abbiano una semenza dalla quale nascano nell'indole di
altri uomini altri discorsi capaci di rendere questa semenza immortale, facendo
sì che chi la possiede sia felice quanto più è possibile per un uomo. FEDRO:
Ciò che dici è molto più bello. SOCRATE: Ora che siamo d'accordo su questo,
Fedro, possiamo giudicare quelle altre questioni. FEDRO: Quali? SOCRATE: Quelle
che volevamo indagare e per le quali siamo arrivati a questo punto, ossia
esaminare il rimprovero rivolto a Lisia circa lo scrivere i discorsi e i
discorsi stessi, quali fossero scritti con arte e quali senz'arte. Ciò che è
conforme all'arte e ciò che non lo è mi sembra che sia stato chiarito
opportunamente. FEDRO: Così almeno mi è parso: ma ricordami ancora una volta
come abbiamo detto. SOCRATE: Se prima uno non conosce il vero riguardo a
ciascun argomento su cui parla o scrive e non è in grado di definire ogni cosa
in se stessa, e una volta che l'ha definita non sa dividerla secondo le sue
specie fino ad arrivare a ciò che non è più divisibile, quindi, dopo aver
scrutato a fondo allo stesso modo la natura dell'anima, trovando la specie
adatta a ciascuna natura non dispone e regola il discorso secondo questo
procedimento, offrendo discorsi variegati a un'anima variegata e dalla piena
armonia, discorsi semplici a un'anima semplice, non sarà possibile, per quanto
è conforme a natura, maneggiare con arte la stirpe dei discorsi né per
insegnare né per persuadere, come il discorso fatto in precedenza ci ha
chiaramente indicato. FEDRO: Risulta in tutto e per tutto così . SOCRATE:
Riguardo poi alla questione se sia bello o turpe pronunciare e scrivere
discorsi, e quando un rimprovero sia rivolto giustamente oppure no, non ha
forse chiarito ciò che abbiamo detto poco fa... FEDRO: Cosa abbiamo detto?
SOCRATE: Che se Lisia o altri ha mai scritto o scriverà su argomenti
d'interesse privato o pubblico, proponendo leggi o scrivendo un'opera politica,
nella convinzione che in ciò vi sia una grande solidità e chiarezza, allora il
biasimo ricade su chi scrive, che lo si dica o meno: poiché il non distinguere
realtà e sogno in ciò che è giusto e ingiusto, male e bene, non può davvero
evitare di essere riprovevole, quand'anche tutta la gente lo apprezzasse.
FEDRO: No di certo. SOCRATE: Chi invece ritiene che nel discorso scritto su
qualsiasi argomento vi sia necessariamente molto gioco e che nessun discorso
con pregio di grande serietà sia mai stato scritto né in versi né in prosa (e
neanche pronunciato, come i discorsi dei rapsodi che sono recitati senza essere
sottoposti a vaglio e non mirano a insegnare, ma a persuadere), Platone
Fedro ma che i migliori di essi siano realmente un mezzo per aiutare la
memoria di chi già conosce l'argomento, e ritiene che solo nei discorsi sul
giusto, sul bello e sul bene, pronunciati come insegnamento allo scopo di far
apprendere e scritti realmente nell'anima, vi sia chiarezza, compiutezza e
pregio di serietà; e inoltre è convinto che discorsi tali debbano essere detti
suoi come se fossero figli legittimi, innanzitutto quello che reca in sé, nel
caso si trovi che lo possiede, poi quelli che discendenti e fratelli di questo,
sono nati allo stesso modo nell'anima di altri uomini secondo il loro valore, e
ai rimanenti manda tanti saluti; bene, un uomo siffatto, Fedro, è probabile che
sia tale quale tu e io ci augureremmo di diventare. FEDRO: Io voglio e mi
auguro in tutto e per tutto ciò che dici. SOCRATE: Dunque, per quanto riguarda
i discorsi, ormai abbiamo scherzato abbastanza: tu ora va' da Lisia e digli che
noi due siamo discesi alla fonte e al santuario delle Ninfe e abbiamo ascoltato
dei discorsi che ci ordinavano di riferire a Lisia e a chi altri componga
discorsi, a Omero e a chi altri abbia composto poesia epica o lirica, e in
terzo luogo a Solone e a chiunque nei discorsi politici abbia scritto dei testi
con il nome di leggi, quanto segue: se ha composto queste opere sapendo com'è
il vero e può soccorrerle quando ciò che ha scritto viene messo alla prova, e
quando parla è in grado egli stesso di dimostrare la debolezza di quanto è
stato scritto, una persona del genere non deve essere chiamato col nome di
costoro, ma con un nome derivato da ciò a cui si è dedicato con serietà. FEDRO:
Quale nome gli assegni dunque? SOCRATE: Chiamarlo sapiente, Fedro, mi sembra
che sia cosa troppo grande e che si addica solo a un dio; chiamarlo invece filosofo
o con un nome del genere sarebbe a lui più adatto e conveniente. FEDRO: E
niente affatto fuori luogo. SOCRATE: Chi invece non possiede cose di maggior
pregio di quelle che ha composto e ha scritto, rivoltandole su e giù per lungo
tempo, incollandole l'una con l'altra o separandole, non lo dirai a buon
diritto poeta o autore di discorsi o scrittore di leggi? FEDRO: Come no?
SOCRATE: Riferisci dunque questo al tuo compagno! FEDRO: E tu? Cosa farai? Non
bisogna lasciare da parte neanche il tuo compagno. SOCRATE: Chi è costui?
FEDRO: Isocrate il bello. Cosa riferirai a lui, Socrate? Come lo definiremo?
SOCRATE: Isocrate è ancora giovane, Fedro: tuttavia voglio dire ciò che prevedo
di lui. FEDRO: Che cosa? SOCRATE: Mi sembra che per doti naturali sia migliore
a confronto dei discorsi di Lisia, e che inoltre sia temperato di un'indole più
nobile. Perciò non ci sarebbe affatto da meravigliarsi se, col procedere
dell'età, proprio grazie ai discorsi cui ora pone mano superasse più che se
fossero fanciulli quanti mai si sono dedicati ai discorsi, e se inoltre questo
non gli bastasse, ma uno slancio divino lo spingesse a cose ancora più grandi;
giacché nell'animo di quell'uomo, caro amico, c'è una forma naturale di
filosofia. Pertanto io riferisco queste cose da parte di questi dèi al mio
amato Isocrate, tu fa' sapere quelle altre al tuo Lisia. FEDRO: Sarà così . Ma
andiamo, poiché anche la calura si è fatta più mite. SOCRATE: Non conviene
rivolgere una preghiera a questi dèi prima di metterci in cammino? FEDRO: Come
no? SOCRATE: O caro Pan e voi altri dèi di questo luogo, concedetemi di
diventare bello dentro, e che tutto ciò che ho di fuori sia in accordo con ciò
che ho nell'intimo. Che io consideri ricco il sapiente e possegga tanto oro
quanto nessun altro, se non chi è temperante, possa prendersi e portar via. Abbiamo
bisogno di qualcos'altro, Fedro? Da parte mia si è pregato in giusta misura.
FEDRO: Fa' questo augurio anche per me; le cose degli amici sono comuni.
SOCRATE: Andiamo! Platone Fedro Celebre oratore ateniese vissuto tra il
quinto e il quarto secolo a.C., di cui restano orazioni giudiziarie. Il
discorso sull'amore che gli viene attribuito nel dialogo è probabilmente
fittizio. Il padre Cefalo, originario della Sicilia, aveva una fabbrica d'armi
al Pireo; nella sua casa è ambientata la Repubblica. 2) Noto medico dell'epoca.
Epicrate era un oratore democratico; Morico, forse il proprietario precedente
della casa, era un cittadino ateniese che per le sue ricchezze e il suo lusso
divenne frequente bersaglio dei poeti comici. 4) Pindaro, Isthmia 2. Erodico di
Megara, divenuto poi cittadino di Selimbria, era un medico famoso per il suo
regime di vita "salutistico"; Platone lo menziona anche nella
Repubblica e nel Protagora. 6) I Coribanti erano i sacerdoti della dea Cibele,
i cui culti erano caratterizzati da una forte valenza orgiastica. Piccolo fiume
che scorre vicino ad Atene. Il dialogo è immaginato in piena estate, a
mezzogiorno. Borea, vento del nord, rapì Orizia, figlia di Eretteo, re di
Atene; in cambio concesse agli Ateniesi il suo favore nelle battaglie navali.
Farmacea, citata poco sotto, era una ninfa cui era sacra la fonte dell'Ilisso. Demo
dell'Attica. Letteralmente 'colle di Ares', era un'altura in Atene dove aveva
sede il più antico tribunale della città, formato dagli arconti usciti di
carica. 12) Sono tutti esseri mitologici. Gli Ippocentauri o Centauri, nati
dall'unione di Issione con una nube, erano metà uomo e metà cavallo. La Chimera
era un mostro con tre teste, una di leone, una di capra spirante fuoco, una di
serpente. Le Gorgoni, mostri marini, erano Steno, Euriale e Medusa; le prime
due erano immortali, mentre Medusa, che aveva il potere di pietrificare con lo
sguardo, era mortale e fu uccisa da Perseo. Pegaso era il cavallo alato nato
dal sangue della testa di Medusa tagliata da Perseo; con il suo aiuto
Bellerofonte uccise la Chimera) Conosci te stesso è appunto il precetto scritto
nel tempio di Apollo a Delfi) Tifone o Tifeo, figlio di Gea e del Tartaro, era
un drago dalle molte teste che emettevano fumo e fiamme; al termine di una dura
lotta Zeus lo fulmina e lo scaglia sotto l'Etna. Il suo mito è ricordato in
Esiodo, Theogonia seguenti. Da Tifone ha avuto origine il nome comune indicante
un vento caldo portatore di tempeste. Nel testo greco c'è un gioco di parole,
intraducibile in italiano, con il quale Tifone viene paretimologicamente
accostato al participio di "túpho" ('fumare', 'bruciare') e, tramite
l'aggettivo privativo "atuphos" a "tuphos" ('vanità',
'orgoglio', superbia'). Nel dialogo Platone fa uso più volte di simili giochi
verbali, impossibili da mantenere nella traduzione, per creare paretimologie)
Alle Ninfe, divinità dei boschi e dei fiumi, Socrate in seguito attribuirà il
dono dell'ispirazione. Acheloo, oltre ad essere un fiume della Grecia centrale,
era anche dio dei fiumi) Una locuzione simile ricorre in Omero, Iliade) Saffo è
la famosa poetessa lirica di Lesbo, autrice di carmi soprattutto d'amore
omoerotico, divisi dagli Alessandrini in nove libri; di essi ci sono pervenuti
un'ode intera, una quasi completa e parecchi frammenti di varia lunghezza.
Anacreonte di Teo, lirico monodico del sesto secolo, fu autore tra l'altro di
poesie amorose dal tono leggero, di cui restano pochi frammenti. Non è invece
possibile sapere a quali autori in prosa si allude nel passo. Gli arconti
ateniesi, al momento di entrare in carica, giuravano che se avessero
trasgredito le leggi di Solone avrebbero innalzato a Delfi una statua d'oro
della loro grandezza e peso. Cipselo fu tiranno di Corinto nel sesto secolo e
fondò una dinastia di tiranni. L'offerta votiva cui si allude era forse una
statua. 20) Immagine derivata dalla lotta: Fedro intende che Socrate a sua
volta ha offerto il fianco a una critica. Pindaro, frammento 105 Snell-Maehler
(citato anche in Meno). 22) Il testo greco gioca sull'assonanza tra
"ligús", 'dalla voce melodiosa', e "ligús" 'Ligure' (con
lambda maiuscolo). Questo gioco paretimologico è probabilmente alla base della
leggenda secondo cui i Liguri erano amanti del canto. Socrate istituisce un
nesso paretimologico tra "èros" e "róme" ('forza'). Il
ditirambo, componimento lirico corale associato al culto di Dioniso, ai tempi
di Platone era in piena decadenza. Qui il termine ha una connotazione negativa,
indicando una forma di invasamento non ispirata da "mania" divina, e
quindi non mediata dal logos. L'immagine è ricavata da un gioco fatto con un
coccio (óstrakon), nero da una parte e bianco dall'altra; i giocatori, divisi
in due squadre, sceglievano un colore e a seconda di quello che risultava
lanciando il coccio dovevano fuggire o inseguire. La metafora significa che
l'amante, prima inseguitore, ora fugge l'amato. Simmia, prima pitagorico, poi
discepolo di Socrate, è uno degli interlocutori del Fedone. Ibico, frammnto,
Page. Poeta lirico corale del sesto secolo a.C., di lui restano un'ode e pochi
frammenti. 28. Stesicoro, poeta lirico corale, visse nel sesto secolo a.C.
Secondo una leggenda perse la vista per aver accusato Elena di infedeltà in un
carme omonimo e la riacquistò per aver scritto la Palinodia (la
'Ritrattazione'), in cui sosteneva che Paride non aveva portato a Troia la vera
Elena, ma un fantasma con le sue sembianze; questa versione del mito fu ripresa
da Euripide nell'Elena. Omero invece, non avendo fatto la stessa cosa, rimase
cieco. Allo stesso modo Socrate pronuncerà una ritrattazione del discorso
precedente su Eros, nella quale solleverà il dio dalle accuse che gli aveva
mosso. Platone Fedro) A Delfi, in Beozia, c'era il più famoso santuario di
Apollo, che dava i responsi per bocca della sua sacerdotessa, la Pizia; a
Dodona, nell'Epiro, c'era un santuario di Zeus. Questo nome designava in
origine una, in seguito più sacerdotesse di Apollo, di cui era nota l'ambiguità
dei responsi; la più celebre era la Sibilla di Cuma, in Campania. L'arte
divinatoria, "mantike", viene fatta derivare da "manikos"
cioè 'affetto da mania'; il composto "oionoistike", di invenzione
platonica, viene ricondotto a "oieris" ('opinione', 'credenza'), e
accostato a "oionistike", ovvero l'"arte di trarre gli
auspici" dal volo degli uccelli. Il gioco paretimologico, di cui si è
provato a rendere ragione nella traduzione, è importante in quanto è funzionale
al rovesciamento della tesi sostenuta da Lisia. è il celebre mito dell'anima
come una biga alata, metafora complessa e non facile da interpretare. Se
infatti l'auriga rappresenta palesemente la ragione, non è del tutto chiaro il
significato dei due cavalli; è poco soddisfacente l'interpretazione tradizionale,
secondo cui il cavallo nero rappresenterebbe l'anima concupiscibile, quello
bianco l'anima impulsiva, e l'intera immagine sarebbe da intendere come la
tripartizione dell'anima che Platone teorizza nella Repubblica (libri 4 e 9).
Infatti nel Timeo si dice che anima concupiscibile e anima impulsiva sono
mortali, mentre qui i due cavalli fanno parte proprio della struttura
dell'anima immortale, come prova anche il fatto che essi si nutrono di nettare
e ambrosia, cibo e bevanda degli dèi, e che tale struttura è comune sia
all'anima umana sia a quella divina. è preferibile pensare che i cavalli
indichino due componenti opposte connaturate comunque all'anima immortale, che
l'auriga ha la funzione di conciliare per trovare un equilibrio. 33) Estia, dea
del focolare, nella cosmologia antica veniva identificata col centro
dell'universo, che era immobile; per questo essa, unica tra gli dèi, non
viaggia per il cielo. Le divinità che guidano le dodici schiere sono
probabilmente quelle olimpiche. 34) L'Iperuranio, il luogo 'oltre il cielo', è
il mondo delle Idee. Luogo metafisico, immagine della sfera dell'intelligibile
che nella sua immutabilità trascende la realtà sensibile, esso è raggiungibile
solo dell'anima. Adrastea, letteralmente 'l'inevitabile', in questo caso è una
personificazione del destino; in Repubblica (libro 5) impersonifica invece la
vendetta. Viene qui esposto il destino escatologico delle anime e la teoria
della metempsicosi, argomento che ha una più ampia trattazione con il mito di
Er nel libro decimo della Repubblica. Nel Fedro l'assegnazione della vita
futura è strettamente determinata dalla misura in cui le anime hanno
contemplato la pianura della verità prima di tornare sulla terra, poiché ad
esso corrisponde il grado di verità connesso alla vita in cui si reincarnano. Altro
gioco verbale basato su una paretimologia il termine "imeros"
('desiderio'), collegato per assonanza ad Eros, viene fatto derivare da i-,
radice di "eiri" ('andare'), "mer-" radice di
"méros" ('parte'), "ro-", radice di "roé"
('flusso'). Gli Omeridi erano una scuola di aedi nell'isola di Chio che la
tradizione voleva fondata dallo stesso Omero. Invenzione platonica sono sia i
poemi segreti cui si allude ironicamente sia i due versi citati, nei quali c'è
un gioco di parole tra "Eros" e Ptéros" (epiteto scherzosamente
coniato da "pterós" ('alato'), probabilmente suggerito da quei passi
omerici (Iliade , versi; libro, verso; libro, verso in cui si dice che gli dèi
chiamano le cose in modo diverso dagli uomini. 38) è impossibile conservare
nella traduzione il gioco tra il genitivo "Diós" ('di Zeus') e
l'aggettivo "dios", solitamente reso con 'splendente' o 'divino'. Le
Baccanti o Menadi erano le sacerdotesse di Dioniso. Zeus, innamorato di GANIMEDE,
bellissimo fanciullo frigio, in forma di aquila lo rapì sull'Olimpo, e ne fece
il coppiere degli dèi. Per il gioco linguistico su "imeros". L'espressione
significa che né la temperanza umana esaltata da Lisia, né la follia divina di
per sé bastano a costruire una scienza nel senso pieno del termine, ma occorre
una giusta mescolanza delle due cose; questo, in ultima analisi, può essere il
senso del mito della biga alata. L'immagine agonistica, più che a tre
differenti gare, allude probabilmente al fatto che per vincere nella lotta
bisognava atterrare l'avversario tre volte) Figlio di Cefalo e fratello di
Lisia, fu vittima delle persecuzioni politiche sotto i Trenta tiranni. Ad Atene
la frequenza dei processi e l'assenza del patrocinio legale, che obbligava
l'accusatore o l'accusato a parlare personalmente in giudizio, avevano fatto
nascere la professione del logografo ('scrittore di discorsi'), che preparava
su commissione i testi da pronunciare in tribunale; le orazioni di Lisia sono
appunto la testimonianza della sua attività di logografo. Il termine ha nel
contesto una connotazione negativa, tanto da essere poco sotto equiparato a
sofista. Il parallelo ritorna più avanti, dove si allude ai compensi che i
sofisti chiedevano per i loro insegnamenti. L'espressine, un po' enigmatica,
significa probabilmente che da una cosa semplice ne è derivata una difficile. Figura
storicamente indeterminata, Licurgo fu, secondo la tradizione, il legislatore
di Sparta. Uomo politico e poeta, annoverato tra i sette saggi, Solone attuò,
durante il suo arcontato, una riforma dello stato ateniese che prevedeva la
divisione dei cittadini in classi in base al censo. Dario, re di Persia., fu il
promotore della prima guerra greco-persiana. Il mito che segue è probabilmente
creazione platonica. Il canto delle cicale è metafora dell'ispirazione a
comporre discorsi ma anche del rischio, da parte dell'ascoltatore, di
lasciarsene ammaliare senza sottoporli a vaglio critico, un atteggiamento passivo
che le cicale stesse, intermediarie tra gli uomini e le Muse, non approvano. Sulla
scia del catalogo esiodeo (Theogonia), le Muse qui citate hanno nomi parlanti
Tersicore è 'colei che gioisce dei cori', Erato è connessa con Eros, Calliope è
'dalla bella voce', Urania 'la celeste'. Platone Fedro) Omero, Iliade. Per
Spartano qui si intende semplicemente una persona che dice la verità in modo
franco e lapidario. I "figli" di Fedro sono i discorsi che ha indotto
gli altri a fare. 51) Nestore, il più vecchio dei guerrieri greci a Ilio, era
famoso per la sua eloquenza persuasiva. Abile, e soprattutto astuto parlatore
era notoriamente Odisseo. Anche Palamede, l'eroe che smascherò un tentativo di
Odisseo di non partecipare alla guerra di Troia, era fornito di capacità
oratorie. LEONZIO (si veda) fu uno dei principali esponenti della sofistica; a
lui è dedicato l'omonimo dialogo di Platone. Delle sue numerose opere restano
pochi ma significativi frammenti. Il sofista Trasimaco di Calcedonia, vissuto
nel quinto secolo a.C., è uno dei personaggi della Repubblica, dove difende in
modo combattivo la sua idea della giustizia come diritto del più forte. Teodoro
di Bisanzio, attivo nella seconda metà del quinto secolo a.C., scrisse un
trattato di retorica. Allusione ironica a Zenone di VELIA (si veda) e ai
paradossi con i quali cerca di confutare dialetticamente i concetti di
molteplicità e movimento; famosi sono i paradossi della freccia e di Achille e
la tartaruga. Mida era il leggendario re della Frigia che per avidità di
ricchezze chiese e ottenne da Dioniso di poter trasformare in oro tutto ciò che
toccava; ma poiché anche tutto ciò che voleva mangiare o bere diventava oro,
pregò il dio di liberarlo da questo dono funesto. L'epigramma citato è
attribuito a Cleobulo di Lindo, uno dei sette saggi. Poeta e sofista
contemporaneo di Socrate. Tisia fu maestro di Gorgia e iniziatore, assieme a
Corace, della scuola retorica siciliana. Prodico di Ceo, uno dei più importanti
esponenti della sofistica, discepolo di Protagora e maestro di Socrate. Ippia di Elide, il celebre sofista da cui
prendono il titolo due dialoghi di Platone. Polo di Agrigento e Licimnio di
Chio furono discepoli di Gorgia; il primo è uno dei protagonisti del Gorgia di
Platone. Nel passo si allude probabilmente a opere di retorica dei due sofisti,
come poco sotto a proposito di Protagora. Protagora di Abdera, protagonista
dell'omonimo dialogo Platonico, visse ad Atene nell'età periclea. Considerato
il principale esponente della sofistica, è ricordato soprattutto per il suo
agnosticismo religioso, che gli valse una condanna per empietà, e il suo
relativismo, sintetizzato nella massima «l'uomo è misura di tutte le cose».
Nulla ci rimane delle sue numerose opere) Adrasto, il re di Argo che guidò la
spedizione dei sette contro Tebe, è rappresentato da Eschilo nelle Supplici
come abile oratore; l'epiteto «voce di miele» gli è già riferito da Tirteo
(frammento, Gentili-Prato). Adrasto è qui usato come eteronimo di un
personaggio contemporaneo, forse un sofista. Anche Pericle, lo statista
ateniese del quinto secolo che radicalizzò il processo democratico della polis
portandola al massimo splendore, è qui ricordato, con un tocco d'ironia, per le
sue capacità oratorie) Anassagora di Clazomene visse per molti anni ad Atene,
dove ebbe come discepoli Pericle e lo stesso Socrate. Punto cardinale del suo
pensiero è l'esistenza di un principio razionale che dà ordine al mondo, da lui
chiamato "nous" ('intelletto'). Ippocrate di Cos fu il fondatore
della medicina antica; l'epiteto di Asclepiade deriva da Asclepio, dio della
medicina. Di lui e dei suoi discepoli resta un considerevole numero di scritti
riuniti nel cosiddetto corpus Hippocraticum. 64) Città sul delta del Nilo, sede
di un emporio commerciale greco.) Theuth o Thoth era il dio egizio
dell'invenzione,che i Greci identificavano con Ermes; rappresentato con la
testa di ibis, era scriba nel tribunale dei morti. Con questo mito Platone
assegna alla scrittura un valore puramente "ipomnematico", ovvero la
considera un mero supporto alla memoria, e non veicolo di sapienza; la
trasmissione del vero sapere resta per lui affidata all'oralità dialettica) «La
regione superiore» è l'alto corso del Nilo. Thamus, leggendario re dell'Egitto,
viene considerato un eteronimo dello stesso Ammone, una delle principali
divinità egizie, venerata da una potente casta sacerdotale e identificata dai
Greci con Zeus; poco sotto infatti, la risposta da lui data a Theuth è chiamata
«vaticinio di Ammone») I «giardini di Adone» erano recipienti in cui d'estate
si piantavano semi che nascevano entro otto giorni e subito morivano; il rito
simboleggiava la morte prematura di Adone, il bellissimo giovane amato da
Afrodite. Allo stesso modo i «giardini di scrittura», ovvero i discorsi
scritti, devono essere intesi come una forma di gioco, poiché i veri discorsi
latori di verità sono affidati alla dimensione orale. 68) Citazione poetica di
autore ignoto) Il retore Isocrate fondò ad Atene una scuola in competizione con
l'Accademia platonica; di lui restano orazioni. Isocrate era fautore di
un'alleanza di tutte le città greche sotto la guida di Filippo di Macedonia, in
vista di una spedizione contro i Persiani) Pan, figlio di Ermes, era la
principale divinità agreste del pantheon greco, venerata soprattutto in
Arcadia; presiedeva alla pastorizia e per questo era rappresentato con
sembianze caprine. Pan compare già come protettore del luogo assieme alle
Ninfe, e per questo Socrate gli rivolge la preghiera conclusiva. «Oro» è da
intendersi in senso metaforico come ricchezza della sapienza. Wikipedia
Ricerca Orfeo personaggio della mitologia greca Lingua Segui Modifica Nota
disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Orfeo
(disambigua). Orfeo - Orfeo (epoca romana) - Foto G. Dall'Orto.jpg Orfeo
circondato dagli animali. Mosaico pavimentale romano, Museo archeologico
regionale di Palermo. Nome orig.Ὀρφεύς Specieumana SessoMaschio Luogo di
nascitaTracia Professionecantore e argonauta Orfeo (Ὀρφεύς [or.pʰeú̯s]:
Orpheus) è un personaggio della mitologia greca. Bassorilievo in marmo di
epoca romana, copia di originale greco, che rappresenta Ermes, Euridice e
Orfeo. L'opera originale, probabilmente di Alcamene, è andata perduta. Questo
bassorilievo, conservato presso il Museo archeologico di Napoli, è tra le
testimonianze che attesterebbero l'esito negativo della catabasi di Orfeo già a
partire dal V secolo a.C. Qui Orfeo voltatosi verso Euridice, le alza il velo,
forse per verificare l'identità della donna e quindi la perde. Secondo
l'opinione di Cristopher Riedweg sarebbe infatti evidente che Ermes a questo
punto trattenga per un braccio la sposa di Orfeo, che volge quindi il piede
destro per tornare indietro. Orfeo ritratto in un kratēr (κρατήρ) attico
a figure rosse risalente al V secolo a.C. e oggi conservato presso il
Metropolitan Museum di New York. Orfeo, che siede a sinistra impugnando la lira
(λύρα), veste un abito tipicamente greco, a differenza dell'uomo che gli si
pone in piedi davanti che invece indossa un costume tracio. Questo particolare,
unitamente alla presenza, a destra, della donna che impugna una piccola falce,
può rappresentare una delle varianti della sua leggenda che lo vuole
missionario greco in Tracia, ucciso lì dalle donne in quanto escludendole dai
suoi riti induceva i loro mariti ad abbandonarle: «Dicono poi che le
donne di Tracia tramavano la sua morte, perché aveva persuaso i loro uomini a
seguirlo nei suoi vagabondaggi, ma non osavano passare all'azione per paura dei
loro mariti. Ma una volta, riempitesi di vino, attuarono la scellerata impresa.
E da quel momento invalse per gli uomini il costume di andare ebbri alle
battaglie.» (Pausania, Periegesi della Grecia) Mappa dei luoghi che,
secondo la mitologia, Orfeo avrebbe visitato e legato a sé. Il nome di Orfeo è
attestato a partire dal VI secolo a.C., ma, secondo Mircea Eliade, «non è
difficile immaginare che sia vissuto 'prima di Omero'». Si tratta dell'artista
per eccellenza, che dell'arte incarna i valori eterni, ma anche di uno
«sciamano, capace di incantare animali e di compiere il viaggio dell'anima
lungo gli oscuri sentieri della morte»[7], fondatore dell'Orfismo. I molteplici
temi chiamati in causa dal suo mito - l'amore, l'arte, l'elemento misterico -
sono alla base di una fortuna senza pari nella tradizione letteraria,
filosofica, musicale, culturale e scultorea dei secoli successivi. Orfeo
e l'Orfismo Il primo riferimento a noi pervenuto sulla figura di Orfeo è nel
frammento del lirico di Rhegion (REGGIO (si veda) Reggio Calabria) Ibico
vissuto nella Magna Grecia, nel quale appare già famoso. Attorno alla sua
figura mitica, capace di incantare persino gli animali, si assesta una
tradizione che non gli attribuisce un normale modo di fare musica, bensì la
psychagogia, che si estende alle anime dei morti. Il papiro di Derveni,
rinvenuto vicino a Salonicco, offre un'interpretazione allegorica di un poema
orfico non a caso in concomitanza con un rituale per placare i morti.
Associato alla figura di Dioniso, divorato dai Titani con i quali rappresenta,
da un lato la componente dionisiaca della vita –ossia l'elemento divino o
"anima"– e dall'altro il corpo mortale, Orfeo è la figura centrale
dell'Orfismo, una tradizione religiosa che, per prima nel mondo occidentale,
introduce la nozione di dualità fra corpo mortale e anima immortale. Il
mito Orfeo ucciso dalle menadi, in uno stamnos a figure rosse, conservato
al Museo del Louvre di Parigi. Questo dipinto racconta la morte di Orfeo
secondo il mito che lo vuole ucciso dalle seguaci di Dioniso, da questo dio a
lui inviate in quanto mosso dalla gelosia per l'ardore religioso che il poeta
conservava nei confronti di Apollo, da lui invocato sul monte Pangaio (anche
Pangeo) quando il sole, immagine di Apollo, sorgeva: «[Orfeo] Non onorò
più Dioniso, mentre considerò più grande Elio, che egli chiamò anche Apollo; e
svegliandosi la notte sul far del mattino, per prima cosa aspettava il sorgere
del sole sul monte chiamato Pangeo per vedere Elio; perciò Dioniso, adirato,
gli inviò contro le Bassaridi, come racconta il poeta tragico Eschilo: esse lo
dilaniarono e ne gettarono via le membra, ciascuna separatamente; le Muse poi
riunitele, le seppellirono nel luogo chiamato Libetra.» (fr. in
Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern; traduzione di Elena
Verzura. Milano, Bompiani) Le originiModifica Ulteriori informazioni Questa
voce o sezione sugli argomenti religione e mitologia greca è priva o carente di
note e riferimenti bibliografici puntuali. Secondo le più antiche fonti Orfeo è
nativo della città di Lebetra in Tracia, situata sotto la Pieria, terra nella
quale fino ai tempi di Erodoto era testimoniata l'esistenza di sciamani che
fungevano da tramite fra il mondo dei vivi e dei morti, dotati di poteri magici
operanti sul mondo della natura, capaci tra l'altro di provocare uno stato di
trance tramite la musica. Figlio della Musa Calliope e del sovrano tracio
Eagro (o, secondo altre versioni meno accreditate, del dio Apollo), appartiene
alla generazione precedente degli eroi che parteciparono alla guerra di Troia,
tra i quali ci sarebbe stato il cugino Reso. Secondo un'altra versione Orfeo fu
il sesto discendente di Atlante e nacque undici generazioni prima della guerra
di Troia. Egli, con la potenza incantatrice della sua lira e del suo canto,
placava le bestie feroci e animava le rocce e gli elementi della natura.
Gli è spesso associato, come figlio o allievo, Museo. Orfeo fonde in sé
gli elementi apollineo e dionisiaco: come figura apollinea è il figlio o il
pupillo del dio Apollo, che ne protegge le spoglie, è un eroe culturale,
benefattore del genere umano, promotore delle arti umane e maestro religioso;
in quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto simpatetico con il mondo
naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione della
natura, è dotato di una conoscenza intuitiva e nella vicenda stessa vi sono
evidenti analogie con la figura di Dioniso per il riscatto dagli Inferi di una
fanciulla (Euridice nel caso di Orfeo e la madre Semele in quello di Dioniso).
Orfeo domina la natura selvaggia e può addirittura sconfiggere la morte
temporaneamente (anche se alla fine viene sconfitto perdendo la persona che
doveva salvare, a differenza di Dioniso). La letteratura, d'altra parte,
mostra la figura di Orfeo anche in contrasto con le due divinità: la perdita
dell'amata Euridice sarebbe da rintracciarsi nella colpa di Orfeo di aver
assunto prerogative del dio Apollo di controllo della natura attraverso il
canto; tornato dagli Inferi, Orfeo abbandona il culto del dio
Dionisorinunciando all'amore eterosessuale. In tale contesto si innamora
profondamente di Calaide, figlio di Borea, e insegna l'amore omosessuale ai
Traci. Per questo motivo, le Baccanti della Tracia, seguaci del dio, furenti
per non essere più considerate dai loro mariti, lo assalgono e lo fanno a pezzi
(vedi: Fanocle). Nella versione del mito contenuta nelle Georgiche di
Virgiliola causa della sua morte è invece da ricercarsi nell'ira delle Baccanti
per la sua decisione di non amare più nessuno dopo la morte di Euridice.
Le imprese di Orfeo e la sua morteModifica Le ninfe ritrovano la testa di
Orfeo di Waterhouse. Secondo la mitologia classica, Orfeo prese parte alla
spedizione degli Argonauti: durante la spedizione Orfeo diede innumerevoli
prove della forza invincibile della sua arte, salvando la truppa in molte
occasioni; con la lira e con il canto fece salpare la nave rimasta inchiodata
nel porto di Jolco, diede coraggio ai naviganti esausti a Lemno, placò a Cizico
l'ira di Rea, fermò le rocce semoventi alle Simplegadi, addormentò il drago e
superò la potenza ammaliante delle sirene. La sua fama è legata però
soprattutto alla tragica vicenda d'amore che lo vide separato dalla
driadeEuridice, che era sua moglie. Come Virgilio narra nelle Georgiche,
Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, amava perdutamente Euridice e, sebbene
il suo amore non fosse corrisposto, continuava a rivolgerle le sue attenzioni
fino a che un giorno ella, per sfuggirgli, mise il piede su un serpente, che la
uccise col suo morso. Orfeo, lacerato dal dolore, scese allora negli inferi per
riportarla nel mondo dei vivi. Raggiunto lo Stige, fu dapprima fermato da
Caronte: Orfeo, per oltrepassare il fiume, incantò il traghettatore con la sua
musica. Sempre con la musica placò anche Cerbero, il guardiano dell'Ade.
Raggiunse poi la prigione di Issione, che, per aver desiderato Era, era stato
condannato da Zeus a essere legato a una ruota che avrebbe girato all'infinito:
Orfeo, cedendo alle suppliche dell'uomo, decise di usare la lira per fermare
momentaneamente la ruota, che, una volta che il musico smise di suonare,
cominciò di nuovo a girare. L'ultimo ostacolo che si presentò fu la
prigione del crudele semidio Tantalo, che aveva ucciso il figlio Pelope
(antenato di Agamennone) per dare la sua carne agli dei e aveva rubato
l'Ambrosia per darla agli uomini. Qui, Tantalo è condannato a rimanere legato a
un albero carico di frutta ed immerso fino al mento nell'acqua: ogni volta che
prova a bere, l'acqua si abbassa, mentre ogni volta che cerca di prendere i
frutti con la bocca, i rami si alzano. Tantalo chiede quindi a Orfeo di suonare
la lira per far fermare l'acqua e i frutti. Suonando però, anche il suppliziato
rimane immobilizzato e quindi, non potendo sfamarsi, continua il suo tormento.
A questo punto l'eroe scese una scalinata di 1000 gradini: si trovò così al
centro del mondo oscuro, e i demoni si sorpresero nel vederlo. Una volta
raggiunta la sala del trono degli Inferi, Orfeo incontrò Ade (Plutone) e
Persefone (Proserpina). Ovidio racconta nel decimo libro delle
Metamorfosi come Orfeo, per addolcirli, diede voce alla lira e al canto. Il
discorso di Orfeo fece leva sulla commozione, richiamando alla gioventù perduta
di Euridice e l'enfasi sulla forza di un amore impossibile da dimenticare e
sullo straziante dolore che la morte dell'amata ha provocato. Orfeo assicurò
anche che, quando fosse venuta la sua ora, Euridice sarebbe tornata nell'Ade
come tutti. A questo punto Orfeo rimase immobile, pronto a non muoversi finché
non fosse stato accontentato. Paesaggio con Orfeo ed Euridice di Poussin.
Mossi dalla commozione, che colse persino le Erinnistesse, Ade e Persefone
acconsentirono al desiderio. «Intonando al canto le corde della lira, così
disse: «O dei, che vivete nel mondo degl’Inferi, dove noi tutti, esseri
mortali, dobbiamo finire, se è lecito e consentite che dica il vero, senza i
sotterfugi di un parlare ambiguo, io qui non sono sceso per visitare le tenebre
del Tartaro o per stringere in catene le tre gole, irte di serpenti, del mostro
che discende da Medusa. Causa del viaggio è mia moglie: una vipera, che aveva
calpestato, in corpo le iniettò un veleno, che la vita in fiore le ha reciso. Avrei
voluto poter sopportare, e non nego di aver tentato: ha vinto Amore! Lassù,
sulla terra, è un dio ben noto questo; se lo sia anche qui, non so, ma almeno
io lo spero: se non è inventata la novella di quell’antico rapimento, anche voi
foste uniti da Amore. Per questi luoghi paurosi, per questo immane abisso, per
i silenzi di questo immenso regno, vi prego, ritessete il destino anzitempo
infranto di Euridice! Si dice che alle Furie, commosse dal canto, per la prima
volta si bagnassero allora di lacrime le guance. Né ebbero cuore, regina e re
degli abissi, di opporre un rifiuto alla sua preghiera, e chiamarono
Euridice.» (Ovidio, Metamorfosi) Essi posero però la condizione che Orfeo
avrebbe dovuto precedere Euridice per tutto il cammino fino all'uscita dell'Ade
senza voltarsi mai all'indietro. Esattamente sulla soglia degli Inferi, temendo
che lei non lo stesse più seguendo, Orfeo non riuscì più a resistere al dubbio
e si voltò per assicurarsi che la moglie lo stesse seguendo. Avendo rotto la
promessa, Euridice viene riportata all'istante nell'Oltretomba. Orfeo,
tornato sulla terra, espresse il dolore fino ai limiti delle possibilità
artistiche, incantando nuovamente le fiere e animando gli alberi. Pianse per
sette mesi ininterrottamente, secondo VIRGILIO (si veda), ]mentre Ovidio riduce
il numero a sette giorni. Sa che non potrà amare più nessun'altra, e malgrado
ciò molte ambiscono a unirsi a lui. Secondo la versione virgiliana le donne dei
Ciconi videro che la fedeltà del Trace nei confronti della moglie morta non si
piegava; allora, in preda all'ira e ai culti bacchici cui erano devote, lo
fecero a pezzi (il famoso sparagmòs) e ne sparsero i resti per la campagna. Un
po' diversa è la rivisitazione del poeta sulmonese, che aggiunge un tassello
alla reazione anti-femminile di Orfeo, coinvolgendo il cantore nella fondazione
dell'amore omoerotico (questo elemento non è di invenzione ovidiana visto che
ne abbiamo attestazione già nel poeta alessandrino Fanocle). Orfeo avrebbe
quindi ripiegato sull'amore per i fanciulli, facendo innamorare anche i mariti
delle donne di Tracia, che venivano così trascurate. Le Menadi si infuriarono
dilaniando il poeta, nutrendosi anche di parte del suo corpo, in una scena ben
più cruda di quella virgiliana. Piatto con Orfeo circondato da animali presso
il Museo Romano-Germanico di Colonia. In entrambi i poeti si narra che la testa
di Orfeo finì nel fiume Ebro, dove continuò prodigiosamente a cantare, simbolo
dell'immortalità dell'arte, scendendo (qui solo OVIDIO (si veda)) fino al mare
e da qui alle rive di Metimna, presso l'isola di Lesbo, dove Febo Apollo la
protesse da un serpente che le si era avventato contro. Il sofista del III
secolo Filostrato nell'Eroico racconta che la testa di Orfeo, giunta a Lesbo
dopo il delitto commesso dalle donne, stava in una grotta dell'isola e aveva il
potere di dare oracoli. Secondo altre versioni, i resti del cantore sarebbero
stati seppelliti dalle impietosite Muse nella città di Libetra. Tornando a
Ovidio, eccoci al punto culminante dell'avventura, forse inaspettato; Orfeo
ritrova Euridice fra le anime pie, e qui potrà guardarla senza più temere. Orfeo
vede ora scomparire Euridice e si dispera, perché sa che non la vedrà più.
Decide allora di non desiderare più nessuna donna dopo la sua Euridice. Un
gruppo di Baccanti ubriache, poi, lo invita a partecipare a un'orgia
dionisiaca. Per tener fede a ciò che ha detto, rinuncia, ed è proprio questo
che porta anche lui alla morte: le Baccanti, infuriate, lo uccidono, lo fanno a
pezzi e gettano la sua testa nel fiume Evros, insieme alla sua lira. La testa
cade proprio sulla lira e galleggia, continuando a cantare soavemente. Zeus,
toccato da questo evento commovente, prende la lira e la mette in cielo
formando una costellazione (la quale in alternativa, secondo le Fabulae di
Igino, sarebbe non la lira di Orfeo ma quella di Arione). Secondo quanto
afferma Virgilio nel sesto libro dell'Eneide, l'anima di Orfeo venne accolta
nei Campi Elisi. Evoluzione del mitoModifica Ragazza tracia con la
testa di Orfeo, di Moreau. «Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo
traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la
pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora
dissi "sia finita" e mi voltai» (Orfeo ne L'inconsolabile di
Cesare Pavese, dai Dialoghi con Leucò, Einaudi 1947) Il mito di Orfeo nasce
forse come mito di fertilità, come è possibile desumere dagli elementi del
riscatto della Kore e dello σπαραγμος (sparagmòs) al greco antico "corpo
fatto a pezzi") che subisce il corpo di Orfeo, elementi che indicano il
riportare la vita sulla terra dopo l'inverno. La prima attestazione di
Orfeo è nel poeta IBICO (si veda) di REGGIO (si veda), che parla di Orfeo dal
nome famoso. In seguito Eschilo, nella tragedia perduta Le bassaridi, fornisce
le prime informazioni attinenti alla catabasi di Orfeo. Importanti anche i
riferimenti di Euripide, che in Ifigenia in Aulide e ne Le baccantirende
manifesta la potenza suasoria dell'arte di Orfeo, mentre nell'Alcesti spuntano
indizi che portano in direzione di un Orfeo trionfatore. La linea del lieto
fine, sconosciuta ai più, non si limita a Euripide, dato che è possibile
intuirla anche in Isocrate (Busiride) e in Ermesianatte (Leonzio). Altri due
autori greci che si sono occupati del mito di Orfeo proponendo due diverse
versioni di esso sono il filosofo Platone e il poeta Apollonio Rodio. Nel
discorso di Fedro, contenuto nell'opera Simposio, Platone inserisce Orfeo nella
schiera dei sofisti, poiché utilizza la parola per persuadere, non per
esprimere verità; egli agisce nel campo della doxa, non dell'episteme. Per
questa ragione gli viene consegnato dagli dèi degli inferi un phasma di
Euridice; inoltre, non può essere annoverato tra la schiera dei veri amanti
poiché il suo eros è falso come il suo logos. La sua stessa morte ha carattere
antieroico poiché ha voluto sovvertire le leggi divine penetrando vivo
nell'Ade, non osando morire per amore. Il phasma di Euridice simboleggia
l'inadeguatezza della poesia a rappresentare e conoscere la realtà, conoscenza
che può essere conseguita solo tramite le forme superiori dell'eros. Apollonio
Rodio inserisce il personaggio di Orfeo nelle Argonautiche, presentato anche
qui come un eroe culturale, fondatore di una setta religiosa. Il ruolo
attribuito a Orfeo esprime la visione che del poeta hanno gli alessandrini:
attraverso la propria arte, intesa come abile manipolazione della parola, il
poeta è in grado di dare ordine alla materia e alla realtà; a tal proposito è
emblematico l'episodio nel quale Orfeo riesce a sedare una lite scoppiata tra
gli argonauti cantando una personale cosmogonia. Nell'Alto Medioevo
Boezio, nel De consolatione philosophiae, pone Orfeo a emblema dell'uomo che si
chiude al trascendente, mentre il suo sguardo, come quello della moglie di Lot,
rappresenta l'attaccamento ai beni terreni. Nei secoli successivi, tuttavia, il
Medioevo vedrà in Orfeo un'autentica figura Christi, considerando la sua
discesa agli Inferi come un'anticipazione di quella del Signore, e il cantore
come un trionfante lottatore contro il male e il demonio (così anche più tardi,
con El divino Orfeo di Barca). Dante lo colloca nel Limbo, nel castello degli
"spiriti magni" (Inf.). Compare la prima rivoluzionaria
avvisaglia di un tema che sarà caro soprattutto al secolo successivo: il
respicere di Orfeo non è più frutto di un destino avverso o di un errore, ma
matura da una precisa volontà, ora sua, ora d'Euridice. Nel componimento Euridice
a Orfeo del poeta inglese Robert Browning, lei gli urla di voltarsi per
abbracciare in quello sguardo l'immensità del tutto, in una empatia tale da
rendere superfluo qualsiasi futuro. Il XX secolo si è appropriato della
tesi secondo cui il gesto di Orfeo sarebbe stato volontario. Come è d'uopo, i
primi casi non sono italiani. Jean Cocteau, ossessionato da questo mito lungo
tutta la propria parabola artistica, diede alle stampe il proprio singolare
Orfeo, opera teatrale che è alla base di tutte le rivisitazioni successive. Qui
Orfeo capovolge il mito; decide di congiungersi con Euridice tra i morti,
perché l'al di qua ha ormai reso impossibile l'amore e la pace. Laggiù non ci
sono più rischi. Gli fa eco il connazionale Jean Anouilh, in un'opera pur molto
diversa, ma concorde nel vedere la morte come unica via di fuga e di
realizzazione del proprio sogno d'amore: si tratta di Eurydice. Nel
dialogo pavesiano L'inconsolabile (Dialoghi con Leucò), Orfeo si confida con
Bacca: trova sé stesso nel Nulla che intravede nel regno dei morti e che lo
sgancia da ogni esigenza terrena. Totalmente estraneo alla vita, egli ha
compiuto il proprio destino. Euridice, al pari di tutto il resto, non conta più
nulla per lui, e non potrebbe che traviarlo da siffatta realizzazione di sé: ha
nelle fattezze ormai il gelo della morte che ha conosciuto, e non rappresenta
più l'infanzia innocente con cui il poeta l'identificava. Voltarsi diviene
un'esigenza ineludibile. «L'Euridice che ho pianto era una stagione della
vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che
Euridice non sa. L'ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto
le ombre irrigidirsi e guardar vuoto, i lamenti cessare, Persefone nascondersi
il volto, lo stesso tenebroso-impassibile, Ade, protendersi come un mortale e
ascoltare. Ho capito che i morti non sono più nulla» Più cinico, l'Orfeo
delineato da Bufalino intona, al momento del "respicere", la famosa
aria dell'opera di Gluck (Che farò senza Euridice?). La donna così capisce: il
gesto era stato premeditato, nell'intenzione di acquisire gloria personale
attraverso una (finta) espressione del dolore, in un'esaltazione delle proprie
capacità artistiche. Opere in cui appare o è trattata la sua
figuraModifica LetteraturaModifica Simposio (discorso di Fedro) - opera
filosofica di Platone. Argonautiche - poema epico di Apollonio Rodio. Elegia
n.1 Powell - Orfeo e Calais - elegia contenuta ne Gli amori o i belli di
Fanocle. Georgiche - poema di Virgilio. Eneide - poema di Virgilio (Orfeo è tra
gli spiriti dei Campi Elisi; Virgilio lo chiama sacerdote di Tracia, senza
dunque nominarlo) Metamorfosi - poema di Ovidio. Fabula di Orfeo - Opera
teatrale di Angiolo Poliziano. Orfeo - idillio di Marino. Euridice ad Orfeo -
epistola lirica di Antonio Bruni. Sonetti a Orfeo - raccolta poetica di Rainer
Maria Rilke. Orfeo, Euridice ed Hermes - poesia di Rainer Maria Rilke La
persuasione e la rettorica - saggio di Carlo Michelstaedter (il rimando al mito
di Orfeo è centrale anche nel ciclo di poesie A Senia, del medesimo
Michelstaedter). Canti orfici - raccolta poetica di Dino Campana. Orfeo Vedovo
- opera teatrale di Alberto Savinio. Tutte le cosmicomiche di Italo Calvino
(racconti Senza Colori, Il cielo di pietra, L'altra Euridice). Il ritorno di
Euridice (da L'uomo invaso) - racconto di Gesualdo Bufalino. Eurydice to
Orpheus - poesia di Robert Browning. Eurydice (da Collected Poems) - poesia di Doolittle.
Orphée - opera teatrale di Jean Cocteau. Eurydice - opera teatrale di Jean
Anouilh. Orfeo - poema di Juan Martinez Jáuregui. Racconto di Orfeo - poema di
Robert Henryson (o Henderson). Bestiaire ou Le cortège d'Orphée - raccolta
poetica di Guillaume Apollinaire. La presenza di Orfeo - prima raccolta poetica
di Alda Merini. Orfeo emerso - romanzo di Jack Kerouac. La terra sotto i suoi
piedi - romanzo di Salman Rushdie. Il lamento d'Orfeo - opera teatrale di
Valentino Bompiani. Dialoghi con Leucò - raccolta di racconti di Cesare Pavese
(Orfeo appare nel dialogo L'inconsolabile). La discesa di Orfeo (Orpheus
Descending), opera teatrale di Williams. La Saga dei Mitago - Il Tempio Verde -
di Robert Holdstock. Orfeo africano - romanzo breve di Werewere Liking. Lei
dunque capirà - monologo di Claudio Magris. Orpheus - opera teatrale di
Giuliano Angeletti. "Schatten" Euridyke sagt - opera teatrale di
Elfriede Jelinek Poema a fumetti, (racconto per immagini del mito di Orfeo in
chiave moderna) di Buzzati, Mondadori. La Musica, Orfeo, Euridice – Il mitema e
l'adeguamento al contemporaneo, di Francesca Bonaita, Virginio Cremona Editore
Orfeo sconsacrato. Viaggio nelle vite di Orfeo, Danilo Laccetti, Jouvence, Musica
Lo stesso argomento in dettaglio: Orfeo (musica). Euridice (opera) - opere
teatrali su libretto di Ottavio Rinuccini musicate da Iacopo Peri e da Giulio
Caccini (1600). L'Orfeo - Melodramma di Monteverdi. Orfeo dolente - Opera
musicale di Domenico Belli. La morte di Orfeo - Tragicommedia pastorale di Landi.
Orfeus und Euridice - Opera-ballo di Schütz. Orfeo - Opera musicale di Luigi
Rossi (1647). Orfeo (Sartorio) - Opera musicale di Antonio Sartorio, su
libretto d’Aureli Orfeo - Opera musicale di Jean-Baptiste Lully e Louis Lully.
Orfeo ed Euridice - Opera musicale di Gluck. Orfeo ed Euridice - Ballo di Deller.
Orfeo ed Euridice - Opera lirica di Naumann. L'anima del filosofo ossia Orfeo
ed Euridice - Opera musicale di Haydn. Orpheus - Poema sinfonico di Liszt.
Orfeo all'inferno - Operetta di Offenbach. Orfeo - Mimodramma di Ducasse.
Orpheus und Eurydike - Opera lirica di Krenek. La favola di Orfeo - Opera in un
atto di Casella Orpheus - Balletto di Stravinskij. Orfeu da Conceiçāo - Dramma
musicale di Moraes. Orfeo - Opera rock di Schipa Jr. Orpheus - Canzone di David
Sylvian contenuta nell'album Secrets of the Beehive. Euridice - Canzone di
Roberto Vecchioni dall'album Blumùn Orfeo - Singolo di Carmen Consoli contenuta
nell'album Stato di necessità. Orfeo a Fumetti - Opera da camera di Filippo del
Corno. Abattoir
Blues/The Lyre of Orpheus – album di Cave and The Bad Seeds, che contiene la
traccia The Lyre Of Orpheus. Metamorpheus
- Concept album dedicato al mito di Orfeo di Hackett. Eurydice - singolo
d'esordio del progetto Sleepthief. Orfeo Coatto - Mp3dramma di Francesco Redig
de Campos. Caliti junku, canzone dell'album Apriti sesamo di Battiato. Awful
Sound (Oh Eurydice) e It's Never Over (Hey Orpheus), canzoni dell'album
Reflektor degli Arcade Fire. King of Shadows - track 1 dell'album R-Evolution - Martiria featuring ex
Black Sabbath Vinny Appice. Pittura
Orfeo morto - Dipinto di Delville. Le ninfe ritrovano la testa di Orfeo -
Dipinto di Waterhouse. Orfeo - Dipinto di Tintoretto. Orfeo solitario - Dipinto
di Chirico Orfeo all'inferno - Dipinto di Rubens. La leggenda di Orfeo -
Trittico di Luigi Bonazza. Ragazza tracia con la testa di Orfeo - Dipinto di
Gustave Moreau. Orfeo - Dipinto di Pierre Marcel-Béronneau Scultura La morte di
Orfeo di Michele Tripisciano a Caltanissetta. Orfeo, Euridice ed Hermes -
Rilievo fidiaco. Orfeo, formella di Luca della Robbia per il Campanile di
Giotto. Orfeo ed Euridice, scultura di Auguste Rodin, New York, Metropolitan
Museum of Art. La morte di Orfeo scultura di Michele Tripisciano,
Caltanissetta, Museo Tripisciano di Palazzo Moncada. Cinema Le sang d'un poète,
di Jean Cocteau Orfeo (Orphée), di Cocteau Il testamento di Orfeo (Le Testament
d'Orphée, ou ne me demandez pas pourquoi!), di Cocteau Pelle di serpente (The
fugitive kind) di Sidney Lumet, dal dramma di Tennessee Williams Orpheus
Descending Orfeo negro (Orfeu Negro), di Camus; dal dramma di Moraes. Harry a
pezzi di Woody Allen Tre colori - Film blu (Film bleu) di Kieslowski Al di là
dei sogni (Where dreams may come, di Vincent Ward Solaris di Steven Soderbergh
Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma Fumetti e animazione Orfeo
della Lira è un personaggio del manga e anime Saint Seiya (I cavalieri dello
zodiaco). Orfeo è figlio di Sogno nei fumetti Sandman scritti da Neil
Gaiman. VideogiochiModifica Orfeo (Orpheus) è il Persona iniziale del
protagonista del videogioco Shin Megami Tensei: Persona 3 Orfeo (Orpheus)
compare anche nel viodeogioco Hades come personaggio secondario, legato ad una
questline che, riprendendo il mito greco, coinvolge anche il personaggio di
Euridice. Modifica ^ Cristopher Riedweg, Orfeo, in Salvatore De Settis (cur.),
Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, Milano-Torino, Il Sole 24 Ore – Einaudi Pausania,
Viaggio in Grecia, traduzione di Rizzo, Milano, Rizzoli, Anche Conone (Frammenti
orfici, nella edizione di Otto Kern). ^ «Orfeo, fondatore dell'Orfismo» è
l'incipit della voce nell'Oxford Classical Dictionary (trad. it. Dizionario di
antichità classiche, Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, , voce firmata da Nilsson,
Croon e Robertson. La voce dell'Oxford Classical Dictionary prosegue
precisando: «La sua fama di cantore nella mitologia greca deriva dalle
composizione nelle quali erano esposte le dottrine e le leggende orfiche». In modo analogo la
Encyclopedia of Religion ( NY, Macmillan, avvia la voce Orpheus a firma di Detienne
e Bernabé: «In the sixth century BCE, a religious movement that modern
historians call Orphism appeared in Greece around the figure of Orpheus, the
Thracian enchanter.». Werner Jaeger
evidenzia tuttavia che «nella tarda antichità Orfeo era un nome collettivo il
quale più o meno raccoglieva tutto quanto esisteva in fatto di letteratura
mistica e di orge liturgiche.» (Cfr. La teologia dei primi pensatori greci, traduzione di Ervino Pocar,
Firenze, La Nuova Italia, Orfeo, Pitagora e la nuova escatologia, in Storia
delle credenze e delle idee religiose, Milano, Rizzoli, Detienne e Bernabé,
Encyclopedia of Religion, NY, Macmillan, Thus, before he becomes the founding
hero of a new religion or even the founder of a way of life that will be named
after him, Orpheus is a voice—a voice that is like no other. It begins before
songs that recite and recount. It precedes the voice of the bards, the
citharists who extol the great deeds of men or the privileges of the divine
powers. It is a song that stands outside the closed circle of its hearers, a
voice that precedes articulate speech. Around it, in abundance and joy, gather
trees, rocks, birds, and fish. In this voice—before the song has become a
theogony and at the same time an anthropogony—there is the great freedom to
embrace all things without being lost in confusion, the freedom to accept each
life and everything and to renounce a world inhabited by fragmentation and
division. When representatives of the human race first appear in the presence
of Orpheus, they wear faces that are of war and savagery yet seem to be
pacified, faces that seem to have turned aside from their outward fury. Guidorizzi, Il mito greco, Milano, Mondadori, La
sapienza greca, traduzione di Giorgio Colli, Milano, Adelphi ὀνομακλυτὸν Ὀρφήν.
Orfeo dal nome famoso.» (Ibico) Orfici. Testimonianze e frammenti
nell'edizione di Otto Kern, traduzione di Elena Verzura, Milano, Bompiani
«τοῦ καὶ ὰπειρέσιοι ποτῶντο ὄρνιζες ὑπὲρ κεφαλᾶς, ἀνὰ δ'ἰχθύες ὀρθοὶ κνανέου ἐξ
ὓδατος ἃλλοντο καλᾶι σὺν ἀοιδᾷι» Sul suo capo volavano anche innumerevoli
uccelli e diritti dalla profondità dell'acqua cerulea i pesci guizzavano in
alto al suo bel canto.» (Simonides; PLG IBetegh, G., The Derveni Papyrus: Cosmology, Theology
and Interpretation, Cambridge. REALE
(si veda), La novità di fondo dell'Orfismo, in Storia della filosofia romana,
Milano, Bompiani, DK Georgiche Metamorfosi Virgilio Nel libro XI delle Met. Il
mito è narrato. Jacquemard e Brosse, Orfeo o l'iniziazione mistica, traduzione
di Dag Tessore, Roma, Borla, Rodighiero,
Gli autori e i testi, in Ciani e Rodighiero, Orfeo. Variazioni sul mito,
Venezia, Discorso di Fedro, in Platone, Simposio, Siamo nel racconto Il ritorno
di Euridice, ne L'uomo invaso; per questo e tutti gli altri riferimenti cfr. A.
Rodighiero; per una panoramica dettagliata delle riprese novecentesche della
vicenda del cantore tracio cfr. M. di Simone, Amore e morte in uno sguardo. Il
mito di Orfeo e Euridice tra passato e presente, Firenze, Michele Tripisciano,
su storiapatriacaltanissetta.it, Caltanissetta, Società Nissena di Storia
Patria, Jacques Brosse e Simone Jacquemard, Orfeo o l'iniziazione mistica,
traduzione di Dag Tessore, Roma, Borla, Cannas, Lo sguardo di Orfeo, Roma,
Bulzoni, Ciani e Rodighiero, Orfeo. Variazioni sul mito, Venezia, Marsilio,
Simone, Amore e morte in uno sguardo. Il mito di Orfeo e Euridice tra passato e
presente, Firenze, Libri liberi, Guidorizzi e Melotti (et al.), Orfeo e le sue
metamorfosi, Roma, Carocci, Lonardi, Alcibiade e il suo demone. Parabole del
moderno tra D'Annunzio e Pirandello, Verona, Essedue Edizioni, Schuré, I grandi
iniziati, traduzione di Arnaldo Cervesato, Bari, Laterza, 1 Charles Segal,
Orfeo. Il mito del poeta, traduzione di Morante, Torino, Einaudi, Sorel, Orfeo
e l'orfismo, traduzione di Luigi Ruggeri, Nardò, Besa, Orphée et l'orphisme,
Parigi, Presses Universitaires de France, Euridice (ninfa) Orfeo (musica)
Orfismo Decapitazione. Orfeo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Rostagni,
ORFEO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Orfeo, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.Portale Letteratura
Portale Mitologia greca Orfeo (nome) prenome maschile Euridice
(ninfa) driade della mitologia greca, moglie di Orfeo Fabula di Orfeo. Giuseppe
Faggin. Faggin. Keywords: metrica filosofica, Lucrezio, inno orfico, inni
orfici, philosophy of the toad – rospo – l’orfismo nella Roma antica; filosofia
antica – l’antico nel rinascimento italiano – occultismo – misticismo –
protestantismo italiano – Italia contro Roma. Fedro, ovvero del bellow, Dal
bello al divino – Il peregrine cherubico – l’arbero come simbolo – il fuoco
come simbolo – la luce come simbolo – canti orfici – sul bello -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Faggin” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Falciglia: la ragione conversazionale del senso
e la sensibilità – scuola di Salemi – filosofia trapanese – filosofia siciliana
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Salemi). Filosofo salemese. Filosofo trapanese.
Filosofo siciliano Filosofo italiano. Salemi, Trapani, Sicilia. Grice: “I like Falciglia; for
one, he took dialectic seriously, as any Aristotelian does! So he wrote on sensus compositum, on ‘definitio,’ on
‘demonstratio,’ and he even ventured on moral philosophy – in a nutshell, the
perfect Aristotelite!” -- Studia a
Salemi per essere poi trasferito a Padova per proseguine negli studi sotto
Paolo da Venezia e Giovanni di Cipro. Insegna a Siena, Bologna, Rimini. Altre opere:
“Statuta pro conventu Parisiensi”; “De sensu composito”; “De medio
demostrationis”, “De sophistarum regulis, Terminorum moralium, tractatus
singularis, Definitiones et additions super constitutions, necnon formularium
et privilegia ordinis -- Dizionario biografico degli italiani. Grice: Falciglia’s “De sensu
composito” should not be mistaken with
“De sensu composito et diviso” by another Philosopher – Paolo di Pergamo -- sensus
compositus: composite or compounded sense. The term has two applications. A
logical application, as distinguished from a divided or isolated sense (sensus
divisus). In the composite sense (in sensu composito), a subject is understood
in necessary connection with or as conditioned by its predicates or attributes;
in the divided sense (in sensu diviso), the subject is understood in a
hypothetical or contingent relationship to its predicates or attributes. Thus
in the composite sense, it is necessary that a blind man cannot see or that a
man who is running is in motion; whereas in the divided sense, a man is now
blind, but it is possible that he could see; a man is now running, and it is
possible that he stand still. The sensus compositus can be used to indicate a
necessity of the consequent thing (necessitas consequentis), while the sensus
divisus can be used to indicate a contingency, namely, a necessity of the
consequence (necessitas consequentiae). And a rhetorical or exegetical
application, also identified as the sensus literalis compositus: composite or
compounded literal sense; viz., either the literal meaning understood as a
figure or type, with the allegorical, mystical, or moral sense embedded figuratively
in the text as part of the literal meaning, or the literal sense of a larger
unit as distinguished from the sense of an individual term, particularly in
cases where one term is in itself unclear or subject to multiple
interpretations but capable of a clear, unitary sense in its context. When the
composite sense of a text rests on figurative meaning or on a type that is
fully understood only with a view to its antitype, the Protestant exegesis
stands in positive relation to the medieval quadriga, albeit capable of denying
multiple meanings. sensus divisus: the divided sense; i.e., the meaning
of a word or idea in itself apart from its general relation to other words of a
text or apart from its logical relation to another term or thing; the opposite
of sensus compositus and fear of death. Thus physics is entirely subordinate to
ethics, being merely the necessary means whereby the ethical goal is achieved.
This is a point which it is particularly important to remember when reading the
DRN, for although LUCREZIO is a perfectly orthodox memberof L’ORTO and is not
concerned with scientific inquiry for its own sake, the great bulk of his
subject-matter is scientific and he gives no systematic account of Epicurean
ethical theory. His reasons for concentrating on physics will be considered in
§ 3. As Diogenes Laertius points out, the system of L’ORTO “is divided
into three parts: Canonic, Physics, and Ethics.” The Canonic44 is his
theory of knowledge. There are three criteria of truth: sensation,
preconceptions, and feelings. Sensation (αἴσθησις, sensus) is the primary
standard of truth (LUCREZIO). If an error is made, that is not because the
sensation is not true, but because the reason draws a wrong conclusion from the
evidence which the sensation provides (Lucrezio). With the repetition of
sensations, images of each class of things accumulate in the mind to form a
general idea or preconception (πpόληψις, notities, anticipatio, praenotio) to which other examples are referred
(.Lucrezio). Without these preconceptions, attainment of scientific xxx
knowledge would be impossible, for sensation by itself is “irrational and
incapable of memory” (Diogenes Laertius). As for the third criterion of truth,
“there are two feelings (πάθη), pleasure and pain, which
affect every living creature, the former being congenial to it, the latter
repugnant; it is through these that choice and avoidance are determined”
(Diogenes Laertius). Thus the feelings of pleasure and pain are the supreme test
in matters of morality and conduct, and since they are a part of sensation, it
is true to say that Epicurus’ ethical theory, like his physical theory, is
founded on the validity of sensation. Epicurus derived his physical theory from
Democritus, who had adopted and elaborated the atomic theory invented by
Leucippus. However, he made some important alterations to Democritus’ theory,
and differed from him in making physics subservient to ethics. The first
principles of Epicurean physics are that “nothing is created out of nothing”
(Lucrezio) and “nothing is destroyed into nothing” (Lucrezio). In other words,
Epicurus shared the belief of other ancient physicists in the conservation of
matter. The universe (τὸ πᾶν, omne) consists of matter (σῶμα, corpus) and void (τὸ κενόν, inane). These are the only
ultimate realities: nothing that is distinct from them can exist (Lucrezio).
That matter exists is proved by sensation; and if there were no void, matter
would be unable to move (Lucrezio), whereas sensation tells us that it does
move. Mentre nella storia della filosofia la
parola sensocompare, a partire dalla αίσθησις di Aristotele, per indicare la
facoltà di "sentire" (cioè di percepire l'azione di oggetti interni
al corpo o esterni ad esso), le origini del sensismo, come filosofia, possono
ritrovarsi in alcune affermazioni dei sofisti. [1] Aristotele, De anima aveva
dato una definizione del tutto corretta e coerente col pensiero del tempo,
ancora molto lontano dal concepire una possibile sensibilità specifica di un
essere umano come caratteristica peculiare della sua individualità.Giuliano
Falciglia. Falciglia. Keywords:
sensus, sentiment, sense and sensibilia, sentient, sensus divisus, sensus
compositum – philosophy of the ‘senses’ – the use of Roman ‘sensus’ in Boezio. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Falciglia” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Falcone:
la ragione conversazionale e la lingua universale -- Luigi Speranza, pel Gruppo
di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo
italiano. Napoli, Campania. He thought it would be a good idea to translate PORTA
(si veda)’s Ars reminiscendi into ‘L’arte del ricordare’, and he did! Se
yendeno per Marco Antonio P affari d Sergio Capuano, Josephus
Tavjplona. V.lJ), ir- V y ; H T :51 A.
AK-HDia jaq a^Aa-'iooia i a " T A T 2 I T T A a
.O l.S : -1 O ‘I A J aaa P.tfATUO'IAM '.'7 • a
CIÌCTIkA «UlM WJOIlillttV .V-. A^jO 0»5^2Ì!> .fi
.1.^ .iKcViWtfT CHS? C O'fA; SIA!- MEMO o reminiscenza [Cf. Grice,
“Personal Identity,” Grice on Benjamin on Remembering] ./ r ‘" •«
•:'>»«-* >• ,-v E L L E cofi^«alùnqK€Ìefifianttd)dhU * ò
memorilo remtmfeer^ap Che, cose ft firn è l’una,è l'altra il
dichiareremo, y fendo ncHofcriut re{ come fi dice ) vnafiu craffit M
inerba, accio che le hofìre regole con piu chiare zsa si intenda ifOilàfdando'
dtffifctè le varie}dtjjicfli opinioni de Etltfefe^hehimìòfefira
ctbftrtfàyptf'nènefo luoghi di raggioname-. Vujjki*delaimagmami là
qtMa-Ufud flanta nel capo )fi è di femore per me^zo delle
finefireftejhffetógUoCchifym chiede l nafe t cjalti efimilifiguifà d’ un
pittore eccettcntcjvti ritratto deli le cofe materiali r dtiìfignàt Wlfió
permèìlo neÙajdemìm , che come vna muoia ben acconcia lejìa dinanzi-accio
che venendoci poi uolunti di ricordarci di qttcUo,per mezzo
dell'intelletto, che tpflo alla memoria ricor* te* qui quella r-jcor^mo
delle cofe che rft» vogliamo à punto come feci fijfero
prefcntlfiglioixhiyE'vòm^mlfr veggia w,cbeh per difetto della molalo pur
di cduiyìhedfegnando non preparane compartì bene i coloricene dopo
qualche tempo quella littori a [conciar fi, fi ella farà talmente
guafia,cbe non ui appaiano punto ifuoi prifìini lineamenti, noi ci
ritrouiqmohauerpeifo il ritratto di quella cofe if téme con la
me^oriarMtfemto^y^in piè, che il pittore con Va* iu:o di quel pòco
circonfcridendò htoàrgm intorno^ tjimdo da vn capò ali' altro
lalìnèà.nepub rfferciredxpttu'ra^ùr ilritrattofenereintegra, la memoria
riprende vita : E qufioèfeeHo’chevhtamiamo il ricordarci * D ‘ f*fi
Con $* vriairitìera finora enfio fo ÌH quella tou'daàtimmitfo m
zhimiamo:0erebro ; ttcminejcenz*} trtcorjdrtfoi}' quello] ài
qigfc ftcvfàJJéohipftJu&ri jiio ejftpfjftomf farò veglio intens dere,
Io imparai qqejló yerfi. ' ' iì - Nel tempo che rinuoua i miei
fijfiiri. ; Se le i magmi di cfuejìe parole mi JLinno cofi chiare
nel cerebro , confi i prima ve le difcgnciimaginatiu,fe pur nqnVh^owfi
chiamata dal fine, poi che il tuttofi fa per accrescere la memoria, perche
pojfiamo S\. n? zH. ’.r; a Y : j r?i ù Z \\ f.y i
!rA5i«y.V;;55 vroìjjtwta';. ’ 4?- « >\wh àm>i o , Chela
Renrtiwfcensa ila naturale & , 5 j • j- ' artificiale. Cap* a*
: I. •' Il f; f •♦••*?? I* • j.t*c ' ' - : Q
VeflaReminificenza edi'due maniere, l'unac naturale , l'Atra e
artficiefe, la naturale^ quella thcconwiijlfffi najcej’ artificiale che
còn-regp1é.m ibi, e la caggione , onde fi fia introdotte à pori » t r
Onde fi a nato il poi de luoghi in quella :;"ìv ^aite di
Reminiscenza. P Er mojfrare che queJT arti di ricordare fa tolta dalle naturali
ifi rieme faremo qui chiaro, come non Jènza caggione gli antichi
cojlia tuironojchc fi debbano primieramente el igere i luoghi . Noi
vediamo no* ruralmente >che chiunque vuole ricorda fi di vn lungo
fotti) fi forza fempre di ricor darfi de luoghi prima , doue quel
fittigli auetàjfe ; e poi ari K.
gii Jkmh T ordine^ luoghi} fitto intier amento racconta .
Introduce limai rmgliofc Poeta non fcrtza mifìerio ENEA, che battendo h
raccontare a Di* (Ione ciò, che accaduto li fijfi doppò la prej S di
Troia, per ricordarft di tut te le cafri puntola rimemorandofi i luoghi
prima, dotte quelle accadute particolarmente li fino . Partito di Troia
fine viene in Tracia. Qmktra ra la crudel morte di Polidoro . Indi
ne viene in’ Deio , doue defcriùe d empio, c fi mentione del vaticinio di
Apollo. Ne viene apprejfo in Gre ta,e quella bombile
peJlilenzaracconta.Comc pòi nell'lfde Strofidi rag* giona delle Har pie.
Nella Città del monte Leucate, attacca alle pone deb Tempio il feudo jebe
tolfr ad Ab ante greco. Neita Cifrò di Buti-oto riuc# de Andromaohejùr
Hàlcno . Ne va in Sicilia \ vede Bina, i ciclopi , gli more il padre . Simonide
Melico ( come Cicerone, è Quintiliano firi^ uono) per che fi ricordo
l'ordine^ il luogo de corniti iti > cb’eran inòrti' nella rouina di
quella cajà, venne ageuolmente à ricordarf di tutti’cbe al* cimenti non
fipeuemoi parenti riconofcerlijper frpelirli. E di qui ne uens tleegli
inpenjiero di firnef arte del ricordare.Ne mi ptjjò imagginare htomò cojì
infinfato efàocco^chépaj] andò per un luogo non uenga tofloi
foieord'arfianchcrjcbe ejfi non uogliaji cofrche qui gli accadevo fi#
ceffi fé àie di molto piacere,}) difiiacere li fijfi. li caùallo di D ario
pafi findo per quel luogo,doue la fira innanzi hauea della Caualla goduto
, tofìo fi ricordò del fitto,ir annu endo fi caggione } che il fio
Gaualiero nefiljc, corte vuol T rogo, della corona di Perfia
adornoMediamo ancho che ciafcbuno che vuole ricordarft di vn detto, i
fitto yfi u^fempre firz randa incominciar da capo, e figuir poi per
ordine : per ciocbe da quello come da vn filomene à poco à poco à
ricordarft del tutto. Ci ricordiamo con maggior agevolezza delle cofe di
Mathematica , le quali fi feguorm luna l'altra, che non degli A pborifmi
di Hipocratt,che fino finza ordine. Le fiuolèfi le bijìorie^per^uejìacaggior.e
fi imparano à mente ancho dui dònnkctuokfida contodini,ppr che fi
comincia daun-espo ,efiuàpmpft\ tardine fine al fini ; Dice
Atriflohle nel libre (Idia Rèmmfcema,(he Vm nimo nojlro fi motte con
molta ageuolezza ne’ luoghi , E quantunque ab- etini per h luoghi iute
ridano, l? interpretino i luoghi T opic t ; non dimeni T bemiflio
eccellente Veripantico intende di qufiìi luoghi materiali . M« che cofi
potrà far maà.che con piu ordine un ricordo proceda , che ojjei guari o a
i luoghi de fi figliano l’un l’altro }. Per che dotte non e ordine j iut
e confusione. Ei poi che fi trouano tutte quefie cofi ne’ noflri luoghi,
incominciamo à dijhnguerli,&- à raggioname particolarmente . : ; .1 ..'- 4 a. . .'l-
§*. A * + x % .,!3 I \ i ♦ ‘v*
> . ’l V r u \ «3 rM "i* Come si debbano elegere i luoghi fine
* flra, angolo# filmile. Nella ekttione di quejlo luogo ymuerfale
bifegna éuertire alcune conditiom. Prima che in cfi'o noi halinamo } o
uerfidmé ontinouamente,e che ne jappiamo ogni minima particella \ I
peregrini eli ganfi quello, doueefìnati fieno} douehabliano battuta
qualche lor dolce fidtsfimoneyche quefli piu de gli altri ci fighono
refìar impreft nella mea» moria. Apprejfo, che le parti fue fumo
dfifitenttl'una dall'altra, come fis nò camere, file, fiale, i loggia,
palchi^entratr, portichì,0' altri fimili ; Ori* de debbiamo fiiggire 17
beatici Colonnat i,! giardini le firade, 1? altri " cofi
fimiglianti , poi che non è cofi doue tanta varietà fi ricerchi , quanto
in quefila . Di più che fiano figuenti l’un ì* altra, ciò e che dalle ficaie fi
fa* glia in filabile camere, djr da quefie alle loggie, e palchi fienza
intvrromi pimento alcuno fra loro,? finalmente fiano quefìi luoghi
chiari, & lumia nofi, perche hauendo à locarui dentro le pitrure
delle parole , la poca luce 1 farebbe lorjòfichi i colori,e le pitture
infieme con la luce ifltffa monchi #4 Imi 9 r e
fitr ciò tante uolte , finche gU habbiamo ottimamente in memoria, tal che
firmi in un luogo con gli occhi chiufi, e AifcorrenAo con la imaginatiua
It vaiamo come fi prefinti ci fijjero . Nc cirincrefca reiterarli trenta
, e cinquanta uolte il giorno, che quejìo è il fendamene dell'opera . Per
ciò che non ejjèndo quefii luoghi ben fondati, e fijji nella memoria ,fi
nói ui Jnbrichcremo [opra altre ima a gimmonifiuno fiera caufa della
deflruthone fie rouina dell’altro Quelle lofi , chcgiouano d Jàrci
ricordare di quello che non Zappiamo, btfigtta ohe elle ottimamente fi
fippianojaltrimente fi fibrica f òpra l'arena’ Di alcune opinioni
confutate* Cap* r# j ^ S I potrà adunque per do
raggioneuolmente incolpare MetroAoro di vanagloria, è di pazziajpoiche
uolendo manififì arci gli unii precetti della memoria, fi ( come fcriue
Quintiliano )i fiuoi luoghi nelle dodeci imagtni del Zodiaco, doue
trecento fijfantn luoghi vi defifie, ponédone un $ per grado : E chi non
fi } che ejfindono tutti quefii luoghi filmili, Lr urna firmi turberanno
non poco la memoria nel recitare f e che cfji filano mos bili, e luoghi
tuli, che mai fu huomo che li uedejfie ? Vuole Cicerone, che fi non potrà
alcuno ritrouare tutte le già dette conditioni ne’ luoghi , che fi
•hdnoda cllcgerc,fingafii da fi JleJJòutta Città in una fiolitudine,e quiui
a fi a uolutotà i fuoi luoghi fi eìega } & imagini . la quale
opinione aedo io che dislaccia à tutti coloro, die hanno qualche
ifperienza di quefii’ arte, per t io che potendo noi ritrouare le già
dette conditioni reali in ogni luogo, per de fiopra le imaginationi
ordinarie uogliamo noi aggrauar dtpiula memo % di altre Soie
ìmagìnatiorn )Ì phantafini l Die? parimente) che per ogni decimo luogo fi
finga una mano d'oro : le quali coffe a me paiono fu perflitioni difutili . Che
fi pur ci aggrada far quefile difl in fiotti , potremo in ogni camera/o
fiala locar diece luoghi, òr bauremo d medefimo coma m odofinza
ingombrarci luoghi d'altre nuoue imaginatìont . Se alcuno in Cicerone legejfcji
luoghi douer ejfier lontani trenta piedi l’uno dall'ala irò, òr alcune
altre regole dalle nofìre differenti, non fi ne marauigli , poi che il suo
intento, è fiato affai differente dal nofìro . bjfo fi Jèruiua di que
fila arte ne’giudttij,doue bifogna recitar concetti ,e non parole ; òr
haueg di bifigno t di luogo ampio , doue hauejfe potuto accomodare
diucrjc perfioa ne, che rapprefèntaffèro ilfitto;&à noi ha mqjlro
laijferienzajche co'l nojlro modo poJJiamo fruirci dell'arte j Lr perii
concetti , ir perle paa rele,òr per ogni (Atra coffa occorrente ;
quello,chc non potrà firfii col fiuo. Onde Ha natoli porre delle persone ne’luoghi.
7 A > ' * 3 ? P lEr ciò che io fino il primo ,fie non twi
inganno che uoglb.chc ne y hot ghigia eletti fi accomodino le perfine,
quello, di che gli altri ne fin nodi fienza;parmi di fir beneà mo/lrar alcune
caggioni,che m'hanno i/iof fio i ciofire. Coloro, che fiorifero di
quejl'arte } quafi per tutte le 'magmi) ehe figurano per dimofìrar un
fatto , ò ungejlo, uanno cercando fra i lo* ro amici , quale fiia piu
attojche fi debba à quello ufi accomodare, & in porre in cjficutionc
quefiio penJiero,ui fi tr amette # fende fitiga, e tema po;la doue noi
ritrouando una perfino dritta in quel luogo, e Rapendone tutti icoJìumi,e
conditi oni ( come diremo appreffò) in un punto nell’atto de fiderato
Accomodiamo ; e potremo fogliarla, e ueflirla ; e figurarla in tutte
quelle ; tozze, e modi che parrà che bifigni. Vediamo anchora, cìie fi
nel luogo Me cofi piemie, et inanimate non fit pone alcuna perfim uiua. de
le dimoflri} fitdaparerqqgeudtmenié tette dimentichiamo, la dotte con
quefia ne trrrannofimpte la memoria e piu defilale piu uiua . A ppref fi
chi non fi, de a figure un luogo ji firlo dagl' altri differente ( de in
quefia arte è molto necejfttrio ) non fi potrebbe ntrouaec cofi piu utile
ne piu commoda, che illocarci perfine utue,che ne djflinguano i
luohit\c* drà ancho chi fitrrà delle noflre regole ifferienza con quanta
aUegrczza$ e chiarezza fi uiene al luoco.ouefia collocata alcuna pei fina
goduta} o dea fiderata ; che doue le altre perfine ci danno il ricordo
d’urta fola parola > quefia ne mofirarà un uerfi # e duo uerfi ««(imi
: E come in quefìo luogo ci parrà quefia imaginc uiua,rifilei]e noi
riprendiamogli altri, per che noi aggrauiamo la memoria di molte nuoue
iaaginationi . Alche non accade eh’ io rifionda altro , fe non che fi
noi, grauiamo la memoria di cofi alcuna per una uolta , la difgr aitiamo
all'ino contro d’ \nfimte altre nclfeJfirciào,che noi lodiamo. Come si debbano
locare le persone. Noi porremo ne’già detk luòghi alcune perfine da noi piu
conofiiu tejnongia qualunque ci capiterà per le mani jìici uerrà in finta
(io, ma firemo una feelta de piu cari amici , di dieceo uentt donne beh
fiime, 'le quali habbiamo godutelo amate, 0 reuerite , e di altre tante
perfine ridia ' cole, come fino bufoni , e fimilifC ini mefcolarcmo
matrone } perfine no* lih ffime,e perfine uilifftme e con cofloro ancho
infìeme firati, preti, fra* tcelli, fanciulli ,1? altri, che fra loro
facciano uarta mcfcolanza, e di tutti quefii Infogna fiperne i cofiumi ,eilor
fitti à pieno con le cofi di loro oc* cadutecele giocofi principalmente.
E ne porremo un per luogo nt? già difegnati prima, in gu\ fi, che fra
loro uengano mefcolaU inficine, £ * V»i dorma, un ’gmanèìvn fraterna
finte, un parente : un uecchto finche, tutti i luoghi riempiamo .E fi non
pojjiamo di quefhhauer tanto numeroy effendo poveri di amici;empiendo i
luoghi di perfine communi rijcrberca \ mo per ogni terzo/) quinto luogo
una di quelle, accio che in effe la memo a. ria come fianca armando ui fi
ripofi . guffìe perfine fi uogliono cotto? care in piè dritte nel luogo
con le fratte al muro, e con le braccia pendentif accio che poffiamo noi
poi accomodarle in quelle atooni f cbe ne farà necefis - firio , Hor
locate , die le hauremonel luogo , bifigna con gli occhi detta mente
stempiarle al quanto , cpme fi uiue fiffero , ir poffeggtare loro molte
uolte ùicinof toccarle con mano,è chiamarle per dritto, e per rouera feto
tante uolte >che ritrouandoci poi lontani dal luogo ce ne ricordiamo,
eoa me fe prefintiui fòjftmo . 1/ quale effercitio faremo noi per duo
giorni contmoui. Quando vedremo poi che la memoria finza fruga alcuna
Jè ne ricor da, e dopp'o befferemo non ne refla turbata, potremo ben dire
, che quefìoèfigno ch’ella ottimamente le fippia. i. . > »v f* L
: ’-giflY t V *.• . à. *. Come si debbano fingere
rimaglili de concetti. Abbiamo ragionato detuoghi , è delle perfine
;ragg\omeifìo JLl h ora dette imagini , (he è la terza parte e la piu
difficile delnojlto effercitio ; e doue confijle l’accortezza ,el
giudicio del recitare. Chiamo io IMAGINE, similitudine, idea, forma, o simulacro,
che cosi leri trovo chiamate dagl’antichi quella pittura animata che recamo
nella imaginauua per RAPPRESENTARE cosi un fitto, come una PAROLA.
Parlaremo prima come ' ft fingono i fotti, O CONCETTI, e poi passaremo à
dire dette parole, che è piu difficile, per ciò che ogni cosi che si può
fireft puo DIPINGERE, ma non eoa si
UNA PAROLA che non fippiamo come sia fatta. Queste imagni di concetti sono
o fimpìiafi composite. Chiamo simplici quelle che si potino una parola
diptngcre. Composte quell’altre, che con piu d’una favela, quara io bifigna
raccontarsi il fatto inaero. Per essempiom s’io voglio raccordate mi Jòlo
della fauoltt d’Andromeda, fingerà la perfina del luocò ignuda, legata a
un fioglio con catene di fèrro, tutta tramortita piangente. Ma si io vorrò
ricordarmi d’una fauola ò btjloria intiera, dove intervengono piu persone,
ridurrò il fitto in quella breue fcmma, e di perfine, e di cosi chi Jta
pojftbile, accomodandola al luogo. Ed in questo mi piace imitar i pitto?
ri^ouero gli poeti Xragici, o Comicide Jctpprerappre fintano la lor
fiìh la con quelle piu puocbe perfine che poffonoi Ne ehij hria cofì piena
di varietà di cosi che diece perfine non b fiino a rappre fintarla . Se a
me piace di ricordarmidella hijloria degli Ke,quàndofurono cacciati di R
ot ma. Tingo rieia prima imagine T arquinio inbabim reale ò con vna
ffada •n manose ch’habbia vna donna ignuda infino nel fecondo luogo, la
quale fingerò che fia L ucretia,che piangendo uolgagliocchi al dèlo in
atto, che dimoflri cedere à fòrza alla voglia dtshonejla fila. Tingeremo,
terza pefia n a parimente LUCREZIA afflitta ir dogliofàraggionareaUa
quarta per fia ttaufiita da Collcttino, il quale fla attonito ad
ofiolatria; Ir ella cauacofi Impugnata difètto la utflè y
fincfcrifcamomlmente il petfo.lAquinta per fina wimagincanchi Realc con
la corona toltali di tejlafe dal fuo folio dea poflafiràmedefmamcnte T
arquinio. E coft nel medefmo modo firn* pre ci onderemo dipingendo la
bifloria tutta Philomena in queflo modo
iifinfiintolaUhfioriàde’fioifùcceJftjquandolamfirQà Progne fua fittila ;
doue ejfireffi. tutti quegli atti principaliirte* quali confifleua la ina
telligentia del fiuto. Di qufia maniera è LE MEMORIA DI CICERONE, berta
thè egli in un luogo filofingefft [a hifloria tutta; la douenot col
nojlrt ordine Tbabbiamoancbo effreffad firfi con piu ordine racconterajfi
• : P affiamo bora A RAGGIONAR DELLE PAROLE. , i [' ■ et fileremo
alt A. V A quanto per trattar di cosi non poco necessaria alle nostre
regole; E firkyche avendo insegnata, e mojlra l’arte del ricordare }
magniamo qui anebo L’ARTE DEL DIMENTICARE. Di questo nostro esscrdtio una
parte ne è jhbilcjunaltra mobile. Stabde fino i luoghi, e le perfine.
Mobile fino limagini cosi de concetti, come delle PAROLE « Uluoco fa
quello effetto in questo esserctio che fa la caria inuernicatv, o pietra
de compositori di musica. Le perfine fino le righe, che iui fino, le imagini
fino le note, che ui fi fanno di fipra cfiruito chcfièil compofmre di
quelle , firegadole con fi uto,b con un panno humido le manda via, per
firuirfi della carta per l'altra wlta. Noi delle cosi che recitiamo, di alcune vogliamo
a fatto dimena tic arci te altre uogliamo che tomamente ne refiino nella
memoria. Vos Aliamo dimenticarci di quelle parole, ò concetti, cheti
poniamo in memoria ’éarà di per affidar art,e difi orzar l’ingegno, e
recitate che l habiamo y non te ne firuiamo piu dirimente . Il medefmo
dico di quelle cofi , che redo Homo a pompdfa ai oJ1entmonc,quafi per vn
gran miracolo / una tana ta fiUati, di memoria. E ne ho ueduti io non
pochi farne le marauiglie. Vogliamo anelo dimenticarci delle comedie f
deHeletuniy delle Orattoni, e Prediche/percbe fatta U rapprefintatione
poco adiriamo, che elle ci rea fiino ; anzi procuriamo dliauer i luoghi
uacùi.e netti per poter firuirccne deir altre uoltr, Il per che bifigna
imitare i pittori ,i quali dijfiaccndo loro il ritratto,con ingejfire di
nuouo la tcuola y la redono bianca r preparati per la nuoua pittura . A
quejìo modo bfigna,clje noi con vnaffogrta in* tinta di rubrica
tfcancelhamo tutte k imagini fatte , e con gli occhi della mente vediamo
tutte le perfine ignudo, e con le braccia penderti , o rac a coltela
lenzuola biancheirte andiamo difeorrendo con la memoria tre fa quattro
volte } facendo penfiero,tomc fi mai noi figurate l’hauejjimo f € che mai
ptù nonjvi ritornino. Di quefiiprecctà banca di bjfigno The a melode (
come feriti^ Cicero**) che ejfindg dimandato da S moiude, fc egli volata
imparare Torte ài ricordarft , rjfiofi > eh ejfo lenirebbe piu
volentieri l’arte di dimenticar fi apparati , per potere di quelle cofi
dimenticar fi , che ejfo defideraua di [[cancellar fi dalla memoria . Ma
quelle cofi che vogliamo ricordarci , che ci paiono vtili j e necejprrie :
bis j legna doppo di hauerle recitate in quefo modo otto , e dieci volte
, indi à poche bore far il medefmo , cofi per alquanti giorni , e la
notte in quel fts lenti o , che gli occhi fin riuocati dalle cofi
finfibili , à vero la mattina per far il cercbro meglio dijfojlo , per
ejferegia digejìi , e confumati i va* pori del cibo , bifigna far ancho
firmo penfiero alle imagini recitando* accio che s’imprimano bene nella
memoria ; che poi fi ben vogliamo , non ce ne pofftamo dimenticare ; per
non ejfir altro memoria , ch’un habito di tener firmo le imagini . Però
veggiamo i tardi di memoria dopp'o, che hanno imparata vna cofi non
dimenticar {eia più : per ciò che confidando poco a fi Jlejft , fanno con
tutto il penfiero all’effetto 4 el ricordare, la dos ucgli ingenioft
confidati nella bontà dell’ingegno , poco dopp'o d'kauera ! recitato fi
ne dimenticano. Come possiamo ricordarci delle parole dal proprio. H
Orrt raggionaremo, come pojffimo ricordarci delle parole , opri più
difficile dalla pajfata . A ciò fare terremo vna regola da Aris Jloicle
nel libro della remmjcenm , che ci ricordiamo delle cofi > ò dal
proprio * ò dal fimile * o dal contrario . Noi di ciafcbeduna di quejle
fi remo particolar raggionamento , cominciando dal Proprio * Le parole
, che ci occorrono à ricordare , altre hanno le loro imagini , altre ne
fan* Hodifinxa . Chiamo io quelle parole bauereje imagini , che DENOTANO cosi
materiali jome TAVOLA, che è un legno piano, ò PIETRA, che Jèra calce
marmo ,'ocrtta cotta: A kun altre ne faranno di finita ft come qoefla
proli PERCHE ,\yw T £ N T O, àieTun dinota v« dimandar cè cominciaremo da
quef1e>cke fi fon dette) per ejfer piu fk t cili: per che ciascuno avendo
à dipingere queste nella memoria, sa meglio dipingere una mola o pietra che un
perchefo tanto j che non fa come fumo fitti. Co/i l'ingegno di colui che
fi eserciterà, s auezzerà à pocojà poco a ricordarsi. Ajcolta: Not della PRIMA
PAROLA CHE VOGLIAMO RICORDAR esporremo l’imagine in mano della prima persona
che habbiamo lacata nel primo luogo e la dipingeremo qui con la imaginatiua,
come diremo Off prejfofe fingeremo quella persòna tenerla in quello atto
che si con sa più Con l’età, co'l portamento, e co’cuoi cofium 't che
come abbiamo prima ietto bijògna hauerli lenijfimo conofciutì Se da per
caso UCCELLO.j e toccherà ad un FIGLIUOLO, ci imaginaremo un UCCELLACCIO
GRANDE che lo tiene abbracciato, e cinto, come habbtam visto L’AQUILA CON
GANIMEDE. Se toc? cherà il medesimo ad UNA MERETRICE, la fingeremo
tenerlo nel grembo Jlret lo, come habbtam visto LEDA tener GIOVE MUTATO
IN CIGNO. Se toccherà ad un cuoco che lo Jlia, ad arrojlire . Ma jè per
case dice TORO; è toccherà ad vngiouanc gagliardo, lo fingeremo Jìarin
quell’atto co*/ toro, che habbiamo uifio in più-ritratti d’ERCOLE con
Acheloo Se ad un uillano, nella gufa che Argo pafceua lo vacca. Se ad una
vergine 3 che ui feda fipra, e ut Jcherzi, e lo inghirlandi) come fi
legge di EUROPA. Se ad una MERETRICE qual ne deferiueno i Poeti , Pafifi
congionta con quello. Daremo urialà tro essempio, Se dirà CORNO, e tocca ad un sacerdote)Ct
imagmere ino un sacerdote antico che tiene
una uitnma per unxprno. Una vergine> (he l’habbia pieno di fiori, e di
fiuta ncliaguifà che le ninfi Notaci tengo# no il CORNUCOPIA che
unànergine fi-fàccia dormir nel grembo un LEO a corno ) che co’l fùono
della Citerà, ue lo halite indotto ,‘Vn cacciatore 4 qual habbiam visto ADONE
per le seluv. Vn infime detia moglie, come A leeone lacerato da-Qm; e
filmili imaginano ni cfxpvffpno ejjert infinte^- « fr.U fr. Il
mete fimo firn ALLA SECONDA PAROLA, dipingendola aìU seconda Peri fina,
co ft della terza in fino all‘ulama, Jìn die fiano ripieni i luoghi
Dopo comincieremo a recitarle da capo tutte, e dimenticandoci di
akunajlcjvres mo di nuouo LA FIGURAZIONE; apprcJfi le reciteremo a
rouerfeio, poi traladaremo le Jparijpoi reciteremo le trdafàate : ne penfire
che fia piu dijji àie dirle a rouerfcio t che a dritto,per che auendo le
parole dipinte ne’luoghi come colui che ha le parole deferitte sopra una carta
poco li fard cofi dal capOiCome dal fine recttarlc; e do farai il giorno
tante volte, finche eoa nqfcerai, che db ft faccia poi finza fatica
veruna. t *>, *MÌk « **!.**» m* j . V- • Hs'*« it-
ik - Alcune condizioni che (i ricercano alle r imagini. Perche aviene
Mora che dipingendo l’imagine d’una parola, o fatto non ne fouuiene con
quella ageuolezza che noi vorremo, o no ce ne ricordiamo punto; per do
che non di tutte LE FIGURAZIONI che fingia 0 no, ci poffiamo noi
ricordare;rcnderemo noi la caggione onde possa accadere, aedo che effircitandod
in qucflo, ricorriamo fimprc in quel modo di imaginare che ne tenga la memoria
e piu defla , e piu yiua ; e non dicano gli poco esercitati al ricordare che
piu lofio si ricorderanno da per loro di una parola finza l’aiuto diqucfl’arte
jche per quella fila parola non farano no in ricordar fi del luogo, detta
per fina, e dell’imagine. Noi per confa guir qurflo lamineremo per quella
firada per la quale LA NATURA iflcjfi c guida jn tutte le cofi ARTEFICE maravigliosa.
Mediamo naturalmente che dette cosi prime e nuove d ricordiamo assai volctiticri.
Io mi ricordo me gito dette fiuolc mal composte } cbc mi recitava la bada
mia qua/tdo io era fnnciullo t cbe di quelle che leggo ogni di ne’poeti.
Pcr affimi in quel tempo ogni cosi prima è nuova, come dice il LIZIO, e non
come dice Attieni: i fanciulli Uno lantani da oem {enfierò Jt
C da noiofc fàjlidió, Veliamo anchórd:che ri ricordiamo Ielle eojè
marauta gl iofejper che la marauiglia najce Ma nouita, Ci ricordiamo
anchora dei le cose rare, ir inufitare per che ne taufino maraviglia, eia
furo fi ricora Aera piu d’un Cometn apparsele delle stelle, che habbia
vifìe Ceffate dia Jtorrere per lo (telo, piu d’un eclisse del Solere
della Luna; ptu d’ur, ara co celejle di notte, che dt giorno, per ejjere
cofe più rare. Per ciò che delle eojc.che ogni giorno facciamo ci
dimentichiamo assai uoluntieri. Ci ria cordiamo ancho delle cose
fàcilmente che ne muouono à giuoco , i i rt(è; Per che il rifi najce
dalla marauigUa, e le cose piu tofìo dishonefìe e bruto te ci fanno ridere
che le buone. Ci ricordiamo piu della gentil dorma, e dell’asino, die ne
defenue Apuleio, cìie delHionorato atto di Regolo j ò di Mutio Scevola.
Ci ricordiamo anchora delle cose che ne piacciono, ir anchora, che non voglidmo
la memoria ce le rapprefinta dinamica dove de fate cose che ne diffiacciono
gonfilo non ce ne ricordiamo, ma le alhorrfa mo ancho co'l pensiero, e
fuggmo piu che pojfamo il ricordo di loro coll’imaginatiua. Le cose bombili e
ffaucnteuoli ci danno anchora caufa di ricordo; per che l’horribiltà del fatto,
d tiene per qualche tempo l’animo fercoffo, e foJfefo, e cbicordiamo piu
di coloro, che muoiono per fet^a di gtrocijfmcgiuflitic che di coloro che
muoiono di film, ò d’altre malattie. Ci ricordiamo anchora delle cose varie fra
loro e differenti, che fe ne òli 3 e nella Mufuacida piu diletto la
varietà che l’abondanza nelle cose della natura, e della martoria fono non
filo vtdi, ma necessarie; di una pittura di BUONARROTI (si veda), o di Tiziano
ci ricordiamo meglio che di quella d’un pittore comun; perche dove in
quejìe fi veggono ogni: giorno cofè filamenti Ordinane, cofi in quelle fi
veggono dtuerfi mouia menti , ir infilile attitudini. Se adunque ciò
conojciamo , per che non -, debbiamo noi figuir quello , thè fa Natura
ifleffa ri rnofìra 1 Hora con ogni noflro penfiero alfigurarc facciamo le
imaginationi nelle perfine » de gagliardamente muouano le membra , che
imitinogli atti degli Ijlria . ni , piu del fiUito granii , ornati ii
colori splendenti l e viui, t bruttezze incomparabili , e di altri p
radicamenti , che ne rapprefintmo all'animo una nuoua forane,
marauigliofi , mu finita + piaceuole , varia , c faauenteuole pittura. Si
io voglio ricordarmi ii INNAMORATO; non fingerò la perfino del luogho ben
ve a fiita , ir acconcia fijjnrare > e fir fintili altre co fi
conuementi ad vn gentiluomo innamorato ; ma la dipingerò qual deferiue OVIDIO
(si veda) Polifit mo innamorato, con la falce raderfi la barba , co’l
rajìro pettinar fi la tea fia;ffacchiarfi nell’acqua; con vnflr omento di
mufica forano finare,e cantare . Per che ejfinio cofi ridicola timagine ,
mi defiera con maga gior ageuolezza il ricordo nella memoria . Il fonile
farai ancho nettale tre cosi Onde fia nato il ricordar dal Simile; e
come fi faccia* Cap« 12. S Jamogiontìiraggionarc, come fi pojfano dipingere
quelle parole J chejìanno finza le loro imagini ; il che è opra
dijficiùjfima, e doue fia tutta l'importanza dell’arte. Per do che dice il
LIZIO, ejjer net eejfario k ciafauno j che faecola che vada fae colando
l’imagim & queU la cofi t ne può l'intelletto noflro vfir il fuo
vfacio , fi £ intorno non fi gli rapprejènta Immagine di quella . Onde
non confijlcndo in altro quet fi* arte > che nello cfarimerc
intieramente in difigno nella memoria il rittratto delle parole; come potrà chi
far il volefie a gufi di eccellente pitt tore fi ngcrc con
l'imaginatiua,ò mojhrar in difigno cofajche egliifìcjfi no fàppia come
fatta fi fiaitìora duque forziamoci di moflrar molte rego kjc uie, accio
che hauédole J’esercitate dindzi tutte ) fi uada firuendo di quelle, che
più proto li uegono, e più comode fi le ritrouaie co queflo fi reco f c/i
la fatiga del faito.U feudo modo adùque, che babbiamo detto di [opra
Jìc il ri cordar/ dal Sfatile, e queflo modo daremo noi a quelle parole,
che non hanno imagmi . Chiamo io queflo modo dal fimile.per ciò che non
ha uendo le lor proprie imagini quefìeparolejaremo loro le propinque,
affi* ni, e fi non in tutto, almeno raffomiglianti in qualche parte. Ma
prima, che di quejlojàcciamo parola, parmi conueneuole a narrare alcune
caggiìrà, onde filmiamo noi che queflo modo ne pojfa efiergioucuole in qualche
parte. Che un simile ci fa ricordare d'uri altra cefi fimile/ecofi funda
tu fui naturale, e l if peri mentiamo ogni giorno. Ogni madre, che uedrà
un JìgUuolotch’habligliocchiye la faccia, e le mani ,e'lgeJlo di alcun
fio, figlio^chegia gran tempo non hahbia ueduto,fine ricorda fibitv.
Andro machc uedendò Afcanio figliuolo dt F neaper la simiglianza degl’occhi, delle
mani, e del volto si ricorda del suo Ajhanatte, onde piange, egli
(à prefinti. Sempre che veggo una donna che quando parla lo ride fi
certi mpuimenti di labbra, e di facciami ricordo dt un’altra donna conosciuta, che
ridendo, o parlando ficea fimiì atti. Sempre thè fintiti) cantare l'aria
Sun madrigale, ch’hablia alcuna fimiglianza con alcun altro, mi ricordo
di quello di chi lo cantaua. La fimiglianza c nel predicamene della ree,
lattone : conofciuto un e [Iremo , e fòrza che Ji conofca l’altro. Cosa
di troppo gran fiocco, e finza mente firia,che hauendo locata una parola
fio mile ad un'altra, e finttndo,o ueggendo quella non cene fitiuenga
fibito. E fi ben fintiamo in noi un cere che di /confidarci, non ce ne
/marnami però punto. per che la memoria nofira ancbora, chc non uogliamo,
lo ci torà ita per fina fa mente. Come possiamo ricordarci
dall’Aggiuns, - ti od e ' > . • - r’ «L itfr V T ™
•»; ^7?.' r\ * *'£'■ * r l ' J ^** . r **» * ' a H Oro trattiamo k
flette detSimileJe quali fino molte, e le Jiuideo remo in due parti una
terremo dalla intesone della parola? l'dtrp. dalla frittura, dai con
fiderando come ellafìl, cmincktremo h quefìa, che e lene afficurarààn
quella, ch‘è piu certa dell’ altre. La chiamo dalla fcrit tura, per che
occorrendo una parola, la cui fignificatione non ajjomiz glia ad alcuna
altrado alterando quelle lèttere, ò frllabe > che la componga no de
darò famigliatila nel suono. De’ modi d‘ alterarla non mi fi untene bora
piu di cinque. Aggiungere, Mancare, Trajjwrre, Mutare,}: Parure.
Cominciaremo dall’aggiungere j il (piale può ejftrc nel principio, è nel mezzo,
e nel fine della ditaone. Chiamo io aggiungere nel principio della ditti
onestila figura cb’igr ematici chiamano Prolhefis, de fifa aggiungendo
una fillaba, b al meno una lettera al principio, come con magi gtor
prontezza ,ò comodità ne occorre in mente . S’io uorro ricordarmi di CH
E, non fitprei,chc imaginarmi da porre in mano delle perfine, ò ne*
luoghi , ma , aggiungendo una lettera O nel principio della ditaone diri
OCHE, che fino le Papere, quejìi animali in mano della perfetta mi fa
ranno ricordare di ChE.llmcdcfimo faro a LOMBO, per aggeuolan mi tifilo
ricordo, per che fi io aggiungo la fillaba CO nel principio, barn
rbCOLOMBO,quefìo animale adunque mi farà ricordare dùLO M BO. Farò amhora
nel mezzo della dittione l’aggiuntone di una fillabafi lettera, Ì7 4 e da
grammatici chiamata quefla figura epentesi. Se io cera co ricordarmi di R
I A, che non si come fìtafitta, aggiungendo un V nèl mezzo dirà RIVA, vna
rtua adunque, b vero vn colie fiorito in quel luogo mi darà il ricordo di
RI A; cofi per ricordarmi di INSTRQ, porrò nel mezzo CHIO.è dirà
INCHIOSTRO) le manilla fàccia dela per fina del luogo imbrattata di
inchitni firà ricordare di IN* STRO. Qucflo parimente faremo nel ultimo ,
aggiungendoui pur una fillaba come per ricordami di FINE aggiungerò STRA,
e fà T h NESTR A, che fi bene come fia fittmeoft à DI aggiungerò vn O
fedi ÙDIO, chiamata pur da grammatici Proparalejfifi Paragoge. Come
portiamo ricordarci dal nancamento S Egutil Mancamento, che e il contrario di
(fucilo, che habbiamo dettò, mancando dal principio ; dal mezzo , edal
fine della dittione alcuna lettera ,ò fillaba ; e prima ragioneremo del
principio y chiamando tfuejìa figura con i Granatici Apherefijir
auerra,chc terremo al principio del la dittione.lncontrandomi a ricordar
di SPERO j togliendo il primo e dirà COSCIE: fingerò aduna ape la
perfina del luoco moftrarmi le cofcie, e mi Jòuucrrà ancho fubito di
CONOSCE , e da Grammatici c chiamata quejla figura di torre di mezzo la
dittione Sincopa. Atterrii il medesimo alla fine della dittione. Occorre CAN IT
ferrò l’ultima, e dina CANI. Ecco duo cani insieme mi daranno C ANIT. Se vorrò
ricordarmi di SOLEMO, un SOLE mifirà ricordar di SOLEMO: togliendo
parimente quella sillaba MO tire detta questa apocope k ' r v.,." *
* & -*•' W " * rv V v ì
-‘‘-t Come possiamo ricordarci pet lottai sponimento. I L
traffonimcnto auiene ogni uolta,che le lettere, ò filiale della dittione
mutano luogo fia loro. Prima diremo del traffonimcnto delle lettere. Ciò è
della prima all’ultima, della feconda alla penultima, e cosi di mona, in
mano dell’ due. Se mi vorrò ricordar di ROMA vvolgerò tutte le fd tale al
touerfciofi irta AMOR, vrt Cupitine m mattò, curro all'ract àato con la persona
del luogo mi porràinmentoj ROMA. Si trafiongos no medefimantfnto le
filiale, cóme dicendo REGO; che non si come fa fittvìvolgo In seconda
fittala al primo luogo } t la prima àtt’t ihma, e dirò CORE, potrà meglio
dipingerfi un CORE che un RECO. Cefi di R 1SEM I , porro fióre MISERI ;
che ficn le filiale riuolte.Si potranno anchora trofporre le lettere
altiimcnte ponendo la fecondò al primo luogo • non mutando le ah e } come
vedendo ricordarmi di ALTO , porrò la Jet tonda lettere L al primo luogo
poi quelle, che figuono, e dirà LATO, la perfino del luogo tvccandofi il
lato, mi fitrà ricordar di ALTO . Il me* dejmo porremo far attefittabe:
Se per tifo eeicarò ricordarmi LO ME* N l, pongo la feconda fittala M E
manzi ,e dirà cofi trafijwfiìa MELONI, Ecco due meloni in mano delt afifidente
del luogo, mi fiora ricordare del primo . Il fimile fiorai degli altri
traff>oriimenti,ché pofifono effereim Jmti t e bqfimo quefiìi
effempi.per non efijèr piu lungo. Come polliamo ricordarci per la ' '
mutatione. Cap. ier cafi ricordarmi di SELO , utdo ìb mutando le uocali
potrà dir SOLO, anchora SALE, e SOLE. Se narrò gncborn ricordarmi di una
donna chiamata MENICA, me ne ricorderò fingendo vn MANICO di fiata/* di
Qppa, fingendo parimente vn i MONACO,e ftmiU.Per SA GG IO ; SEGGIA , per
BENCHÉ vn BANCO, per PARLA, PERLA : tAa pajiamo alla divisione. Il
dividere che faremo della dittione in piu fillttbee una di quelle
par? tijche fono ytìlifftmc a farci ricordare pcr che ne nafcenonjolo il
por? te a memoria ogni cosa che occorre j ma di qualunque nomejìrano ,
bar? laro,& inulto, che fùffe. Ma parliamo prima come fi fàccia
quefìa dia ui fotte in partì fignificatìue , per che fegliono occorrere,
alcuni nomi, de ancho diuift figtòfi canone poi riforniremo di quelli, le
cui parti nonfàps piamo a chi aJfomigliarle. Occorrendo per.auentura
AMOROSA >s'io {fluido per mezzo questa parola diri) AMO, ROSA J
fìngendo dunque vn Amoda prender pefc i , & yna pùnta di Kofi mi fòri
ricordar AMOROSA, che, fi intiero fife non faprei ritromlo. Il medesimo frrcmoà
SOLE KE'Chediufodirà SQLE ieKE'VnReaiun que yefìito col Scettro^ conia
corona, e con yn Sole di legno, quale ftam filiti veder dipinto, ci farà
ricordar di quello. Coftanchora di APOLLODORO Vn A polline indorato. Vegliamo b
era all’altra parte . Di* uidaft il nome Jlranoin tutte le Jueftllabe,c
daremo per ognifillaba alcun fogno mannaie in mano dela perfina del
luogo, il cui nomo cominci da , % quella ftlkka r Con yneffimpio mi farò
meglio intendere Volendomi t Come possiamo ricordarci dalla divisione.
U /empiici A Diofcòtidc, 'cfimAi Cmè STÀEfLODEttDR A} li prima fillaba e
STA. trio fingerò la prima perfona tener in mani una Jìatua A marmo. FI
nell’altra un ramo A fico : LO > ne* pick una locujìa. DEN , chef
altra perfona co una mano fi tocchi uniente.DRA e con l’altra abbracci un
D ragoneionde legenda le prime fiUabe di 1.! - j t o. r ; Coti che fegno
debbiamo fegnaile ^ n, jff Z'm un ATA perche patria dir
colui, chela da fir effreitio A epuffarte , à 1’ Ichcfcgno potrò
conofcereio t fi in la figura ui è aggiunto, mancar io jfrdjpojlo.fò
altramente alterato i perciò che guardandoti mfap ri piu Affetti à
ricordarmi A ciò che-mi magmi che della sola parola ifìeffa. A queflp noi
ripareremo con uuabreue regola, che dobbiamo cefi figurarci la pittura
come è la co fa ifìeffa . S e io ho aggiunto alla dittione > torri
alla figvra,efi ho tplfp ui aggiungerò ,ò la mtarò mediche parte, come
pcreffempio, (colendo ricordarci di CHE mifinfi 3ueOCHE> per Amojlrart
chefa letterati capo, della ditone c fouerchiaj smammi Capo all’oche ,e
le fingeremo cofi, acfipchc il mancamento Alle teff alti pH !
muttrafi parimente ifs tUnW fiu VnfliENNAflratmdinmaccn le piume
ritcrte^un BAN* CO rifinito , un SO L E cdifjaàjt tenebrò fc, òr una
PERLA tqal con da in quella parte mutata, doue habbiamo di lei fitta la
mutotione.La Db uifione fi una ROSA cui manchilo
aktyfìe^altdti’jÀPQÌ&QtndoratD: rotto per mezzo, et fimili figurati
ori come piu n piacciono^ ti uegono à uerfo.Ne ti w r* jy m j „
jti '*jri i » o pensi » tfijnd’ u tòtrinciàua c irosi 'in fcr
mt&c | .‘^1 ri ©drtfcfofà lafctitttì£i regole che altro noi non
vogliamo xth'uftre interini in uece delle le t ter e t per patrie
depingcrc nella memoria. Il Tempo lo dipingeano figurane Jo il Sole, x
là, Lurknii faggif* cbequtflì fmetmrù o emfdfe m fo ..Perii Moruk
dipittgeanavo Serpe.lon inbocca-jjl Serpe è punteggiate di oro 3 òr
dipinte dt fiutane , che r effe mkaH jietvtm la jlelle , è rotondo fenkh
'principio 3 e fcn^ofne^Qmé tl 'cmkofd&klo:} rinuoua di fiogUa alla
primauera, v-Và 1* Y;V.'U-A ‘ • V é* :5 **>$•*. r '« r ’ i . r r- m
iwfci&t "t\r: o* T "yOtremo parimente col Gejlo effimere
alcune fgwfimonidi paro A le ; e ne diremo piu particolarmente quache non
barbiamo fitto rag ? gionando delle I magini de* concetti, e dtquejlo
potremo fruirci con molta comodità, per ciò che à firci ricordare la
perfino del luogo figurata inquel gffio; ne porge molto vtile , e quella
pittura figurata in un decente gefìoj quantunque taccia, che non paia che
raggioni , ed efjrimi « fio con detti piu che la voce vma tVn muto
effitme coi Gejlo ciò che egli de fiz dera ,'V fóndo le mani in uecedi
lingua Philomena efireffi col gejlo dia ferrila più chiaramente la
violenza vfatde daTereo , che non fice con la pittura* N efil
cifignificano quijli atti nelli hnomini , ma neUi animali ondo, che io*i
filo mouerfi ci accennano ciò che ejfi defiderano. Chi non giudica /thè
dinoti humiltà vn capo chef a inchinato alla dea fira , vnritto arroganza
, piegato innanzi accetta, ti pendente in dietro neghi deche con bocca,
mani , e con ogni altro membro del corpo non fi fojfino dimjk'are
infinite pajfmi fi parole ì Chi non giudicara mejlo, et di mah voglia vno
,che ft veggSpalhdonel volto ,con la fronte dea prefiy col collo
languido, e pigró intuiti ifinfi,e nelle fòrze dir un’altro infiammato (tira,
thè hahbiail colore gli occh gonfi ,cr (facondo, t rutre le membra
nfiritite, e fiia èon tutta la perfimtin moto gagliar difi fimod Jf of
occorrendoci adunque (come per cafifi IMBRIACO a 'V* * - a I •• # ^ v -
fìngeremo quella perfètta in imagine , quale veliamo deferita Sileno da VIRGILIO
(si veda); Jìar dijlefo in terra me^go finnacchiofi, con le vene gonfie
di vino , con vna corona difirondi di vite, con yn fiafeo, che gli fenda
via cino , a cui la Ninfa Egle dipinga la faccia di mora rojjc V cigliamo ria cordarci di INVIDIOSÒ,
fingeremo quella perfena guaine deferiite O uidio l’invidia, Jederin
terra facendofi cibo de jer penti ,femprc meta ero, fofairando , e
piangendo } di faccia pallida, col guardo torto, co denti ruggmosi ) egli
difiilli veleno dalla bocca. Se anchora dicejli OCCI DE j qual ancho VIRGILIO
(si veda) ne dejcriue ENEA fipra TURNO, il quale confe braccia
JòpplicheuolijCt djflejò interra chieda perdono ENEA minaccia te gli
habiiafittu la spada nel petto. Il filmile farai nell’ altre parole, che
ft potranno efarimcrc co’lgejlo.Cosi chi con le braccia aperte,chi con
dia Jlefi t chi dritti , chi piegati ,et finalmente tutti in diuerfe
attioni faggen a do quanto fi pojfa ? atto dell’uno rajfomigliarfi con
l’altro, acciochcal rea àmre non pigliammo errore. Come ci possiamo
ricordare dal contrario. j Vf 7 % . 0» , Efìami quejla terza j Ir
vltima parte a trattare , ciò e come ci pof fi amo ricordare dal
contrario > il che io promifi al principio , quatta io infegnai et
ricordar dal proprio . Il ricordar dal contrario ci porge non piccola
vnlità ;per ciò che ciafcuno per vno ejìremo fi ricorda dcllaltro eferemo
. 1/ color nero mi farà ricordar del bianco , nella infamità mi ricorderò
della finita e nella infelicità fempre della pajfita felicità . Ina
Produce Euripide tìccuba nella fra T rageìta, che ritrouandofi nel colmo
della infelicità che hauea dt bifogtto d’ognt cafi, rtcordarfi del colmo
della Jùa felicità ; dclrcgno dejf flfia> de cinquantafigli , e
cinquanta nuore, del Marito , della cafi tonto ricca : ir iHuflre .Nel
caldo ci ricordiamo Helfeido, 1 caualierì Tranztfi combattendo
neU'cJferdto di Morto Craffo contro i Parthijper lo caldo che fintiuano
fi ricordauanodelfed do di Francia, e per lafite che papuano j fi ricord
auano di tutte quelle ac 0 guef’iui haueano vfie. , Ma prima
, che mi parta di raggiane di queflo, racconterò anchora un al tira
regola, che non fife la debbo dal contrario, ò da altro chiamare, che fi
fi ra fra quante ne babbiamo raccontate digrandiffimogiouamcntv. La
refi gobi c quejla,che colui haura da fcruirfi di quefl'arte , elegaft
primierafi •niente in de vfifi nt haura a firuire , ciò e fi in
predicare, b in ree idre O rationifi altre co fi fé pojforìo ejfcrc
tafanitele fra queflo fio v o eleggasi da duecento o trecento parole, che
ptìtgli firuorw, e piu gli intinte# rgono, e che meno fi pojfino ajsomgliare,
per ciò .che quejìe parole piu dell’ altre ci f cglione effir molefic al
ricordare . Soia ci fama di quelle daremo un figno manale jò dal
contrio/o dui diffamile, a come a lui meglio piacerà elegerle, e quefie
notarle in un librone porfile beniffimo à memo; tiaytedo che occorrendo
al ricordare le potigli in mano delle perfine del luogo in uece
defle'parolé . Fingerò fa me j che una gran 'Zucca dica POI CHE, vn
Melone dica POSCIA, vn Ccdruolo DAL, vw Tomo P ER y e fmilijcofi con
molta prefie^a locaremo le imagini alle parole fenza andar molto vagando
con l'tmaginatiua per porle , e pat irne» te con molta prefezza uedendole
con l'intelletto ci ricordiamo delle parò* le . Quel la regola è tolta da
coloro f e raccogiicuano le orationi antica mente dalli vtua voce mentre
fi recitauanont’l Senato f e con certe tifica^ refi caratteri da loro
imaginati alle parole piu occorrenti } le Jcriueuano (on molta
jtgeuole^za.e.Fu quefia regola molto commendata da Greci per mio parere
fé fcrijfero dt qu fi’ arte, ammonendo coloro f e hauea* noà fr tpieflja
profcJfione,ne haucjfcro à memoriiynagran moltttydi fi, La quaU opinione
à torto Cdcerom. la ri prende, intendetiJojtfpiwenfy U da quello f che
faa.penfindofi., che 'a tutte le Rarefi che,pq^
Grice e Falzea: all’isola -- la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale -- QVOD PRINCIPII PLACVIT LEGIS
HABET RIGOREM – il sentimento condiviso – scuola di Messina – filosofo
messinese – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Messina). Filosofo messinese. Filosofo siciliano. Filosofo
italiano. Messina, Sicilia. Grice: “I like Falzea; for one he applies
Apollonian principles to H. L. A. Hart’s analysis of ‘discorso giuridico’ –
alla ‘discorso musicale’ – after all, there is ‘armonia’ in justice!” – Si
laurea sotto Pugliatti a Messina. Insegna a Messina. Lincei. Sua costante
preoccupazione è stata quella di integrare, sempre ed opportunamente, la
prospettiva astratta logico-formale e filosofica con quella pragmatica del
diritto mirante a fornire quel necessario ordine giuridico indispensabile alla
co-esistenza pacifica di vita materiale, vita spirituale e vita sociale. Fra i
suoi maggiori risultati, la centralità della nozione dell’’intersoggettivo”,
“l’interazione” – “l’interpersonale” -- pensato sia astrattamente che in
relazione alle correlative persone la fondazione di una etica giuridica e
l'elaborazione di una assiologia del diritto, frutto rispettivamente della sua
incisiva indagine critica ed ampia comprensione concettuale delle nozioni di
”valore“ da porre, al centro della sua filosofia giuridica, assieme a quello di
“interesse” (cf. Prichard), e di “categoria giuridica” formale, quali nuclei
fondanti del corpus dottrinario della giurisprudenza. Da qui, la constatazione
di principio secondo cui “il giuridico”, nella sua accezione più ampia come
fatto storico-sociale dinamico e non statico, si analizza nelle sue due
componenti principali, quella ”formale“ e quella “materiale”, da considerarsi
sempre in un reciproco, razionale equilibrio co-relativo garante di quella
realtà umana fattuale del interesse e del valore. Il perno epistemologico
dell'impianto teorico, quale presupposto ineludibile per l'esistenza di un
qualsiasi “stato di diritto”, è quello che fa leva sull'imprescindibile ruolo
formalizzante che ogni determinazione giuridica cogente deve avere nel
catturare, indi razionalizzare (forma), quel nucleo affettivo-emotivo (materia)
insito in ogni fatto umano consuetudinario della vita. Il diritto, come realtà
assiologica, è quella naturale concezione cui si perviene allorché si abbandona
quella riduttiva visione formalistica ed astratta della giurisprudenza la
quale, invece, deve guardare alla realtà fattuale ed alle sue dinamiche
complesse e multi-fattoriali, ai suoi contenuti pragmatici, di valore ed d’interesse.
Da qui, la necessaria interdisciplinarità cui deve sottostarepur mantenendo la
propria autonomia la costante giurisprudenza per non cadere in un anacronistico
e sterile formalismo privo di materia. La forte, quasi esasperata dimensione
teoretica (ma mai grettamente dogmatica) espressa non solo da un punto di vista
meramente logico-formale ma sempre contestualizzata alla variegata
problematicità e storicità della realtà umana, si evince, in tutta la sua
evidenza, dagli scritti dedicati ai problemi di teoria generale del diritto,
affrontati, oltre che in alcuni suoi lavori monografici, in certe voci la lui
redatte per l'Enciclopedia del Diritto, sì da costituire dei classici della
letteratura giuridica contemporanea: fra queste, accertare, apparire, efficacia
giuridica, fatto giuridico. Fra i molti contributi dati da Falzea
all'elaborazione teorica dell'ordinamento giuridico, in raccordo a quanto detto
sopra, degno di nota è l'aver egli richiamata l'attenzione nella voce ”I fatti
del sentimento“, sulla scia di parte del pensiero di Pugliatti sulla rilevanza
giuridica del sentimento, inteso non come un principio generale
dell'ordinamento, bensì come un vero e proprio sentimento soggetivo ed
intersoggetivo – shared feelings -- fattualmente rilevante per l’interazione
interpersonale, che la norma giuridica, specie quelle del diritto civile,
classificano come un valore positivo, da rispettare dunque, o negativo (“disvalore”),
da reprimere invece. Da questa presupposizione quindi, con metodo contraddistinto
da ampiezza dell'indagine storica e improntato al rigore concettuale, consegue
uno dei suoi maggiori risultati, riguardante l'analisi del concetto generale di
diritto, quale diritto positivo, cioè effettivamente vigente, incardinato entro
un sistema assiologico fondato su un ordine razionale intersoggetivo che
rispetta il valore di una determinate intersoggetivo in un assegnato luogo ed
in un certo tempo (storicità del diritto), secondo una scala della loro
importanza. Quest'ordinamento razionale è un tratto distintivo sia del sistema
intersoggetivo che dei suoi sottosistemi, fra i quali preminenti son oil sistema
di comunicazione, e quello giuridico, che è il sistema normativo attualizzato
dell'interazione. Da questa prospettiva, anche sulla base di un parallelo
analogico-concettuale con la struttura della logica, perviene, tra l'altro, ad
una elementare quanto fondamentale distinzione meta-giuridica fra teoria
generale del diritto e dogmatica giuridica, argomentando solidamente a
favore della tesi per cui la teoria generale del diritto opera ad un livello
superiore di generalità rispetto a quello in cui si colloca la dogmatica
giacché quest'ultima è sempre inerente a diritti positivi storicamente
attualizzati, oggetti di studio della teoria generale che, in quanto tale, non
discende dunque da alcun diritto positivo particolare, e quindi neppure dalla
dogmatica. La teoria generale del diritto è piuttosto riflessione meta-teorica
su quei particolari sistemi vigenti di diritto positivo, sistemi che verranno
quindi interpretati speculativamente e spiegati razionalmente (interpretazione
giuridica) tramite metodi centrati sulla individuazione e ordinazione
concettuale. Solo in questi termini, si può allora più propriamente parlare di
”filosofia del diritto”. Altre opere: “L’intersoggetivo giuridico” Dott. A.
Giuffrè Editore, Milano); “L’intersoggetivo giuridico, Dott. A. Giuffrè
Editore, Milano); La separazione personale, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); L'offerta
reale e la liberazione co-attiva del debitore, Dott. A. Giuffrè Editore,
Milano); Il fatto naturale, MILANI-Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova);
Voci di teoria generale del diritto, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); Il gene
giuridico” Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, Introduzione alle giurisprudenza
filosofica”. “Il concetto di diritto” Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); Teoria
generale del diritto, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano,Ricerche di teoria
generale del diritto e di dogmatica giuridica,
Dogmatica Giuridica, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, Scritti d'occasione, Dott. A. Giuffrè
Editore, Milano. giuscivilista. Il
civilista. Il nesso fra la fattispecie, ossia la premessa normativa (ovvero, il
caso particolare fattuale), e la conseguenza, ossia il suo possibile effetto
giuridico. norma giuridica Diritto e
interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto. Il diritto può essere
consuetudinario. consuetudine. Antropologia giuridica. diritto civile, Oltre il
”positivismo giuridico“, regola giuridica. Motivi volontaristici e
imperativistici sono presenti nel pratico e volitivo spirito dei romani.
Nemmeno tra i romani tuttavia troviamo formulate dottrine filosofiche che si
propongano di ricondurre compiutamente il diritto alla volontà o al comando. Il
lato imperativistico del diritto emerge piuttosto in singole tesi o massime di
giuristi. Si ricordi il noto passo di Modestino riportato nel Digesto: « Legis
virtus haec est: imperare, vetare, permittere, punire" (Digesto); o
l'altro detto, di Ulpiano, ancora piu indicativo sotto il profilo
volontaristico che sottolinea l'importanza della volonta del sovrano per la
validita della legge: "quod principi placuit legis habet vigorem" (Digesto).
Ma le espressione forse piu significative si trovano in un luogo di Gaio, nel
quale egli, dopo aver distinto varie fonti del diritto romano, le caratterizza
cosi: "Lex est quod populus iubet atque constituit. Plebiscitum est quod plebs iubet
atque constituit... Senatusconsultum est quod Senatus iubet atque
constituit" (Gaio). Il
rapporto regola giuridica-commando risulta ormai fissato in maniera esplicita,
mentre e IMPLICITAmente enunciato il rapporto tra il comando (iubere) e
l'imperativo (constituere). Rientra in questa configurazione
volontaristica e imperativistica del diritto la concezione della consuetudine
come iussum populi, un comando del popolo alla stessa stregua della legge: lex
lata sine suffragio. Ma e con la compilazione giustinianea che, associato al
processo politico dell'epoca imperiale, il volontarismo giuridico ottiene la
sua prima grande e compiuta affermazione. A cio concorsero due fattori
strettamente collegati. La volonta d'onde promana la regola giuridica e adesso
individuata e circoscritta nella persona dell'imperatore. La netta separazione,
su piano empirico, tra interpretazione e applicazione della legge e la regolar
rigorosa che riservava allo stesso imperatore il POTERE INTERPRETATIVO (nel
senso di risoluzione dei casi dubbi) esaltano il peso della volonta imperiale,
impedendo che altri, giurista o giudice che sia, possa sustituirsi, alterandola
o integrandola, a quella volonta. E ben noto il monito che Giustiniano, sulla
presunzione della completezza e perfezione della propria opera di legislatore,
rivolgeva ai giuristi: nullis iuris peritis in posterum audentibus
commentarios illi adplicare et verbositate sua supra dicti codicis
compendium confundere: quemadmodum et in antiquioribus temporibus factum est,
cum per contrarias interpretantium sententias totum ius paene conturbatum est
sed sufficiat per indices tantummodo et titulorum subtilitatem quae paratitla
nuncupantur quaedam admonitoria eius facere nullo ex interpretatione eorum
vitio oriundo"; e quello ancor piu energico e perentorio che gia in
precedenza era stato fato ai giudici da Valentiniano e da Marciano: "Si
quid vero in idsem legibus latum fortassis obscurius fuerit, oportet id
imperatoria interpretatione patefieri duritiamque legum nostrae humanitati
incongruant emendari". La prassi non poteva non smentire questo ambizioso
proposito, la cui formulazione, tuttavia, giova a chiarire come una concezione
volontaristica possa trovare un effetivo riscontro nella realta solo a patto
che la VOLONTA legistlativa venga aggiunta a fonte unica del diritto al di
fuori di ogni condizionamento esterno e risultati garantita nella sua fedele
applicazione ed esecuzione. Può il diritto penale di una
moderna democrazia liberale essere invocato a tutela di sentimenti? L’idea
della protezione penale sembra di primo acchito stridere nell’accostamento a
oggetti come i sentimenti. Eppure, il problema non è estraneo alla realtà
normativa italiana: nel codice Rocco il sen- timento religioso, il pudore, la
pietà dei defunti, il sentimento per gli animali sono gli esemp i più
evidenti. Di fronte all’impiego legislativo di suddetta terminologia, si apre
il problema della definizione dell’oggetto di tutela: il presidio è rivolto a
stati psicologici individuali? Oppure l’evocazione di sentimenti va ri- ferita
alla collettività, quale salvaguardia di una sensibilità che si as- sume come
propria della maggioranza dei consociati? La definizione in termini di
sentimento comunica, in prima istan- za, l’attenzione verso aspetti non
strettamente materiali della vita de- gli individui: riconosce la possibilità
di recare offesa alla persona su versanti che trascendono la mera fisicità. Un
richiamo a fenomeni che interessano la sfera psichica, e che si pongono di
fronte al diritto come realtà da decifrare. La prima parte dell’indagine sarà
dedicata a una mappatura del- l’orizzonte conoscitivo, attraverso contributi di
conoscenza esterni al mondo del diritto. Cercheremo di sviluppare un dialogo
interdisciplinare esteso non soltanto alle scienze lato sensu psicologiche, ma
anche alle discipline sociologiche e filosofiche, secondo un’apertura che dà
rilievo ai ca- noni metodologici elaborati in seno alla branca di studi della
dottrina statunitense denominata ‘Law and Emotion’. A seguito di tale sintetico
ma importante excursus, entreremo nel- la dimensione normativa, analizzando sia
le fattispecie penali del- l’ordinamento italiano in cui l’oggetto di tutela
viene definito come ‘sentimento’, sia le peculiari sfumature di significato che
emergono dai discorsi dei giuristi. Culminata tale parte della ricerca, la
quale è finalizzata a delinea- Tra sentimenti ed eguale rispetto re il
quadro di riferimento normativo e a fissare le coordinate meto- dologiche di
fondo, cercheremo di analizzare una specifica declina- zione del problema della
tutela di sentimenti: i rapporti fra sensibilità soggettive e libertà di
espressione. L’approfondimento di tale questione assume oggi una peculiare ri-
levanza dovuta alla crescente conflittualità che si registra nel discor- so
pubblico delle società occidentali, con particolare riferimento ad argomenti ad
alto tasso emotivo dove vengono in gioco ‘appartenenze significative’
dell’individuo. L’asserita impossibilità che il diritto possa muoversi
all’interno di coordinate eticamente neutrali impone di riflettere attentamente
sul- la dimensione politica del problema penale, all’interno di una dialet-
tica i cui poli opposti sono rappresentati da posizioni di individuali- smo
democratico contrapposte a concezioni di tipo comunitarista- identitario. La
parzialità dei sentimenti, la loro mutevolezza, la loro essenzia- lità per la
persona acutizzano il problema degli equilibri fra coerci- zione e libertà.
L’obiettivo è riuscire a bilanciare esigenze di rispetto per le persone con la
salvaguardia di forme e contenuti comunicativi la cui libertà è anch’essa parte
essenziale del reciproco rispetto dovu- to da ciascuno a tutti. Una misurata e
accorta diffidenza verso il tessuto affettivo- emozionale è la premessa per un
approccio critico che metta il diritto penale in condizione di distinguere
richieste di riconoscimento da tentativi di sopraffazione, per «non confondere
il pensiero e l’auten- tico sentimento – che è sempre rigoroso – con la
convinzione fanatica e le viscerali reazioni emotive» 1. In questo senso, un
confronto con i sentimenti sarà forse utile a meditare sugli spazi per una
convivenza tra le diverse libertà che chiedono ascolto nella società
pluralista. 1 MAGRIS, Laicità e religione, a cura di Preterossi G., Le
ragioni dei laici, Roma-Bari. EMOZIONI E SENTIMENTI TRA FATTO E NORMATIVITÀ. Tra
sentimenti ed eguale rispetto Fenomeni affettivi e dimensione
giuridica. I FENOMENI AFFETTIVI E DIMENSIONE GIURIDICA: COORDINATE
EPISTEMOLOGICHE E METODOLOGICHE se trascuriamo tutte le reazioni emozionali che
ci legano a questo mondo, noi trascuriamo anche gran parte della nostra
umanità, e precisamente quella parte che sta alla base del perché noi abbiamo
una legislazione civile e penale, e di quale aspetto essa prenda» NUSSBAUM. Nascondere
l’umanità. Il disgusto, la vergogna, la legge. L’orizzonte di indagine. Diritto
penale, sentimenti, emozioni: panoramica dei problemi. Fulcro dell’indagine: il richiamo al
sentimento nella definizione dell’oggetto di tutela. Oltre il lessico
legislativo. Diritto penale, sentimenti, emozioni: panoramica dei problemi
«Anche se nel diritto penale domina il fenomeno oggettivo ed esterno del
comportamento, si trovano in esso frequenti espliciti ri- chiami ai fenomeni
soggettivi e interiori del sentimento. Purtroppo si tratta di semplici
richiami, dai quali nessuno finoggi ha tentato di as- surgere a una trattazione
sistematica unitaria. Il peso di queste lacu- ne non può non accusarsi in
sede di teoria generale perché sono gli [Tra sentimenti ed eguale
rispetto istituti penalistici a offrire a uno studio giuridico del sentimento
gli esempi più numerosi e più importanti» Con queste parole Falzea richiama l’attenzione
sulla rilevanza che i fenomeni affettivi assumono nella dimensione penalistica,
lamentando l’assenza di stu- di specifici che avrebbero potuto giovare a un più
esaustivo inqua- dramento teorico dei fatti di sentimento nella sfera
giuridica. A distanza di decenni le parole di Falzea mantengono inalterato il
loro valore di impulso a riflettere su ruolo e significato del sentimen- to nel
diritto penale. Ad oggi il tema non è stato ancora compiuta- mente indagato in
una prospettiva di sistema, per quanto l’attenzione della dottrina penalistica
italiana sia andata crescendo negli ultimi decenni. I limiti
dell’approfondimento, quasi una ‘presa di distanza’ dai fat- tori affettivi, non
costituiscono una peculiarità del microcosmo pena- listico ma sono da
contestualizzarsi in un atteggiamento del pensiero occidentale che ha
considerato sentimenti ed emozioni come un fat- tore di distorsione del
pensiero cognitivo e, conseguentemente, anche come elemento distonico in
rapporto all’asserita ‘razionalità’ degli isti- tuti giuridici e delle
riflessioni ad essi inerenti 2. 1 F., I fatti di sentimento, in Studi in onore
di Passarelli, Napoli. «Si è soliti
associare al concetto di “decisione” il qualificativo “razionale”, come
garanzia di esattezza dei presupposti da cui promana e di “bontà”/coerenza
delle ripercussioni che intende provocare. Ragione/razionalità come promessa di
succes- so, di eliminazione dell’errore, di metodo fondato su argomentazioni
logiche e su- scettibili di controllo critico», così CAPUTO, Occasioni di
razionalità nel diritto penale. Fiducia nell’“assolo della legge” o nel
“giudice compositore”?, Jus. Il tema della razionalità giuridica e penalistica
affiora in innumerevoli scritti che non appare possibile menzionare
esaustivamente; per un quadro di sintesi v. LA TORRE, Sullo spirito mite delle
leggi. Ragione, razionalità, ragionevolezza, Napoli; con riferimento all’ambito
penalistico, v. ex plurimis, LÜDERSSEN, L’irrazionale nel diritto penale, in
AA.VV., Logos dell’essere Logos della norma. Studi per una ricerca coordina- ta
da Luigi Lombardi Vallauri, Bari, Un eloquente monito a non dare per scontata
la razionalità del giuridico si deve a GRECO, Premessa, in BIANCHI D’ESPINOSA-CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ,
Valori socio-culturali della giurisprudenza, Bari: «nel mondo del diritto
l’attenzione è tradizionalmente rivolta ai contenuti strettamente giuridici
delle leggi e della giurisprudenza e v’è una propensione ad attribuire
significati razionali o ideali non soltanto al reale giuridico, ma anche a
quello che tale non è. Ora in un mondo ampiamente dominato da leggi economiche
e dai corrispondenti dinamismi socio-politici, la pretesa di considerare il
fenomeno giuridico in linea generale negli stretti limiti della scienza
giuridica propriamente detta è illusoria e illusionistica. Per un’interessante
prospettiva sui rapporti tra razionalità dell’intervento penale ed emozioni
mo- [ Fenomeni affettivi e dimensione giuridica [Il modo di
intendere le dinamiche del diritto, soprattutto del diritto penale, si è
fondato implicitamente, forse anche inconsciamente, su una narrazione
convenzionale che ha attribuito a sentimenti ed emozioni un ruolo negativo,
quasi antagonistico rispetto alla ragione, e che ha portato in questo senso a
marginalizzare il ruolo dei fenomeni affettivi, sia riguardo alla dimensione di
razionalità della condotta del reo, sia soprattutto in relazione al modo di
concepire l’agire delle figure tecniche cui sono affidate le dinamiche
applicative del diritto: soggetti, questi ultimi, idealmente assimilati, anche
a livello di immaginario collettivo, a modelli di razionalità pura, secondo
veri e propri stereotipi che caratterizzano il modello culturale di diritto
radicato nel mondo occidentale. Tale vulgata influisce tutt’oggi
sull’insegnamento per la preparazione di giudici e avvocati, tendenzialmente, e
forse talvolta ingenuamente, proiettati alla ricercadi una non ben definita
razionalità, ma forse non ancora adeguatamente messi in condizione di
conoscere, studiare e gestire la complessità delle euristiche del pensiero e
dei rapporti con l’emotività 6. rali v. MURPHY, Punishment and the Moral
Emotions, Oxford. Quale testo di riferimento per un inquadramento in chiave
socio-psicologica della razionalità umana, v. ELSTER, Ulisse e le Sirene.
Indagini sulla razionalità e l’irrazionalità, Bologna. Definizione di BANDES,
Introduction, in ed. Bandes, The Passion of Law, New York. Il tema è sviluppato
principalmente in ambito criminologico; per una sintesi v. FORTI, L’immane
concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo penale, Milano.; cfr. PALIERO,
L’economia della pena (un work in progress), in AA.VV., a cura di
Dolcini-Paliero, Studi in onore di Marinucci, Milano, il quale, in superamento di tale teorica,
afferma che ormai non è pensabile immaginare un attore della scena penalistica
che sia contemporaneamente affekt-, tradition- e wert-frei». È la critica di
BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, in
Review of Law and Social Science, HARRIS, “Another Critique of Pure
Reason”: Toward Civic Virtue in Legal Education, in Stanford Law Review; per la
critica al modello di pensiero sotteso all’insegnamento del diritto nel
panorama occidentale vedi il saggio. Emblematica è la figura del giudice, il
quale per definizione si dovrebbe differenziare da figure atecniche, prive di
una formazione giuridica e che dunque dovrebbero essere più esposte a
condizionamenti emotivi (testimoni, imputato, pubblico), ma che andrebbe più
realisticamente inteso, e studiato, anche come soggetto emotivo. Judges are human and
experience emotion when hearing cases -- v. MARONEY, Emotional Regulation and
Judicial Behaviour, in California Law Review; si veda soprattutto per il
discorso sulla gestione delle emozioni; EAD., Angry Judges, in Vanderbilt Law
Review; cfr. BANDES, Introduction. Sul
tema delle emozioni del giu- [Tra sentimenti ed eguale rispetto I tempi
sembrano però essere cambiati: i saperi sul mondo, e dunque le scienze con cui
anche il mondo del diritto deve confrontar- si utilizziamo il termine ‘scienze’
in un’accezione lata che comprende sia le scienze c.d. ‘dure’, sia le scienze
sociali e le discipline filosofiche – inducono oggi a un ripensamento di fondo:
non solo relativamente alla distinzione dicotomica ragione/emozioni, ma più in
generale al ruolo che emozioni e sentimenti assumono anche in rapporto alla
qualità morale delle scelte di un individuo dicante si veda anche
WIENER-BORNSTEIN-VOSS, Emotion and the Law: A Framework for Inquiry, in Law and
Human Behaviour, L’emotività del giudice viene analizzata anche nel panorama
italiano: fra le monografie v. FORZA-MENEGON-RUMIATI, Il giudice emotivo. La
decisione tra ragione ed emozione, Bologna.; CALLEGARI, Il giudice fra emozioni,
biases ed empatia, Milano. Fra gl’articoli v. CERETTI, Introduzione, in
Criminalia; LANZA, Emozioni e libero convincimento nella decisione del giudice
penale, in Criminalia.; BERTOLINO, Prove neuro-psicologiche di responsabilità
penale, in Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale
alla prova del processo, Napoli. Per una critica all’attuale formazione dei
giuristi, e la proposta di introdurre le scienze cognitive nel percorso di
studi universitario v. PASCUZZI, Scienze cognitive e formazione universitaria
del giurista, in Sistemi intelligenti; si sofferma sulla debolezza del modello
di azione razionale fatto proprio dal diritto, in una prospettiva mirata
principalmente al diritto civile, CATERINA, Processi cognitivi e regole
giuridiche, in Sistemi intelligenti. Traggo tale definizione da PULITANÒ,
Difesa penale e saperi sul mondo, in Carlizzi-Tuzet, La giustizia penale tra
conoscenza scientifica e sapere comune, Torino, in corso di pubblicazione. La
bibliografia sul tema è sterminata. Ci limitiamo a indicare alcune opere che,
anche in virtù dell’attitudine divulgativa, hanno contribuito a favorire un
dialogo interdisciplinare. Un autore che in tempi recenti ha impresso una
svolta, anche dal punto di vista comunicativo, per la confutazione della
dicotomia ragio- ne/emozioni è Damasio, a partire del cele- bre studio
intitolato L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Milano, al
quale si sono aggiunti successivamente Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti
e cervello, Milano, e Il sé viene alla
mente. La costruzione del cervello cosciente, Milano. Si vedano anche i saggi
di Doux, il quale pone lo studio delle
emozioni come base per la conoscenza della mente umana, DOUX, Il cervello
emotivo. Alle origini delle emozioni, Milano. Per una prospettiva
interdisciplinare, di taglio socio-filosofico, opera di riferimento è NUSSBAUM,
L’intelligenza delle emozioni, Bologna. Per un quadro di sintesi di taglio
prettamente divulgativo v. EVANS, Emozioni. La scienza del sentimento, Roma. Il
problema non è mai stato, soprattutto da Hume in poi, ammettere che le emozioni
possano essere motivi dell’azione umana, ma semmai ammettere che ne siano
ragioni morali, che abbiano un’autorità, una forza normativa, pari a quella che
il razionalismo classico attribuiva a principi della ragione incontaminati
dalle Fenomeni affettivi e dimensione giuridicaNon è possibile in questa
sede addentrarci nello sconfinato dibattito. Riteniamo però di poter
sintetizzare lo stato dell’arte con un’eloquente affermazione di Haidt,
psicologo di matrice intuizionista, e dunque incline a riconoscere la primazia
dell’intuizione emotiva nell’economia dell’agire umano. La razionalità umana
dipende in maniera cruciale da un’emotività sofisticata: è solo perché il
nostro cervello emotivo lavora così bene che i nostri ragionamenti possono
funzionare. Un’emotività sofisticata: se la razionalità umana è il risultato di
una complessa combinazione in cui anche la dimensione emotiva ha un ruolo
importante, ne deriva l’esigenza di un ridimensionamento delle pretese di
razionalità pura che ci si ostina o ci si illude a ricercare nei prodotti
legislativi e anche nelle condotte degli operatori del diritto (giudici,
avvocati). In altri termini, appare tutt’altro che inscalfibile la plausibilità
dell’impostazione veteror-azionalistica cui la tradizione giuridica occidentale
ha conformato i propri paradigmi e alla cui ombra sembra ancora coltivare
l’autor-assicurante illusione della legge e del sistema giuridico come dominio
della razionalità’ passioni e che il sentimentalismo, d’altra parte, finiva per
trattare solo nella contingenza del loro incidere su una ragione pratica, v.
PAGNINI, Il rispetto al centro della morale, in Il Sole-24Ore; sul rapporto fra
emozioni e ragioni morali, un’opera che riassume lo stato dell’arte è Bagnoli,
Morality and the Emotions, Oxford, HAIDT, Felicità. Un’ipotesi, Torino; per
un’esplicazione più dettagliata v. The Emotional Dog and Its Rational Tail: A
Social Intuitionist Approach to Moral Judgment, in Psychological Review. Il
tema è sconfinato; per una sintesi del dibattito v. MACKENZIE, Emotions,
Reflection and Moral Agency, in Langdon-Mackenzie, Emotions, Imagination and
Moral Reasoning, London; OATLEY, Psicologia ed emozioni, Bologna. Una posizione
che afferma l’esigenza di non trascurare l’effetto di possibile alterazione
della razionalità da parte delle emozioni è quella di ELSTER, Emotions and
Rationality, in Mansted-Frijda- Fischer, Feelings and Emotions. The Amsterdam
Symposium, Cambridge. Un’efficace sintesi, anche sul piano comunicativo, è il saggio
di GOLEMAN, Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Milano.
Da ultimo, v. MORIN, Sette lezioni sul pensiero globale, Milano. Per un
interessante quadro di sintesi sull’atteggiamento del pensiero giuridico
occidentale teso a prendere le distanze dalla dimensione emotiva (senza
peraltro riuscirci), v. MUSUMECI, Emozioni, crimine e giustizia. Un’indagine storico-giuridica,
Milano. The main-stream notion of the rule of law greatly overstates both the
demarcation between reason and emotion, and the possibility of keeping
reasoning processes free of emotional variables. It is also likely that
emotion, by its very nature, threatens much of what law hopes to be. To the extent legal systems Tra sentimenti ed
eguale rispetto È emblematico l’assunto con cui la giurista Bandes apre un
importante studio collettaneo intitolato ‘The Passions of Law’. Le emozioni
pervadono il diritto. Possiamo dire che ne impregnano sia la fase genetica sia
la dimensione applicativa. la domanda cruciale non è se emozioni e sentimenti
diano luogo a forme di interazione con la realtà giuridica, bensì in quali
termini essi interagiscano e come possano essere gestiti a livello teoretico e
in ambito applicativo. L’osservazione di Bandes vale in misura ancora maggiore
per il diritto penale, il quale intrattiene con le emozioni un rapporto di
problematica contiguità, poiché coinvolge, e spesso travolge, beni che
rivestono un ruolo importante nella scala dei bisogni e delle preferenze
soggettive: per proteggere interessi rilevanti per la sopravvivenza e lo
sviluppo della persona umana è chiamato a incidere su interessi altrettanto
essenziali (le libertà) 1thrive on categorical rules, emotion in all its messy
individuality makes such categories harder to maintain. The notion of the rule of law
is based, at least in part, on the belief that laws can be applied
mechanically, inexorably, without human fallibility, v. BANDES, Introduction. Nella
cospicua letteratura si vedano, ex plurimis, BRENNAN, Reason, passion, and the
progress of the law, in Cardozo Law Review; DEIGH, Emotions, Values and the
Law, Oxford; KARSTED, Emotion and Criminal Justice, in Theoretical Criminology;
MARONEY, The Persistent Cultural Script of Judicial Dispassion, in California
Law Review; BANDES, Introduction. Per
una panoramica di taglio generale si vedano anche i contributi pubblicati in Palma-Silva
Dias-de Sousa Mendes, Emoções e Crime. Filosofia, Ciência, Arte e Direito
Penal, Coimbra. Il problema della razionalità del punire si identifica con
anche l’esigenza di un equilibrato rapporto con la dimensione affettiva. Nella
sua versione più primitiva e brutale, la pena si manifesta come reazione
istintiva a un torto. Definendo la pena primitiva come ragione cieca,
determinata ed adeguata soltanto agl’istinti ed agl’impulsi – in una parola,
come azione istintiva – volevo innanzitutto ed in primo luogo porre con ciò in
rilievo, nella maniera più efficace possibile, una caratteristica negativa
della pena primitiva. LISZT, La teoria dello scopo nel diritto penale, Milano. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria
del garantismo penale, Roma-Bari. Il diritto penale costituisce il ramo
dell’ordinamento in cui è maggiore è il rischio di assecondare istanze
vendicative o bramosie punitive slegate da una razionalità strumentale e
guidate da una cieca emotività, esso vive in una continua dialettica con
l’irrazionale: cfr., ex plurimis, DONINI, “Danno” e offesa nella c.d. tutela
penale dei sentimenti. Note su morale e sicurezza come beni giuridici, a
margine della categoria dell’offense di Feinberg, Riv. it. dir. proc. pen.; v.
anche Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto fra diritto penale e
politica, in Stortoni-Foffani, Critica e giustificazione del diritto penale:
L’analisi critica della scuola di Francoforte, Milano; BARTOLI, Il diritto
penale tra vendetta e riparazione, in Riv. it. dir. proc. pen.; Fenomeni
affettivi e dimensione giuridica; L’azione dello strumento penale è di per sé
‘emotigena’, ossia fat- tore di stimolo a emozioni 15. Vale per la fase
precettiva, ossia l’espressione di divieti che, a se- conda degli interessi
coinvolti, possono suscitare negli individui atteg- giamenti emotivi di diverso
tipo 16 i quali finiscono per influire sul gra- do di adesione alla norma e
dunque sulle condizioni di osservanza del precetto, in una dimensione che
potremmo definire come ‘risvolto emozionale’ del problema della legittimazione
delle norme penali 17. E vale, forse in modo più rilevante, per la fase
applicativa, in cui si accertano le responsabilità e la sanzione ‘prende
corpo’. Non è un ca- so che la dimensione emotiva nel diritto penale venga
convenzional- mente collocata, e sovente circoscritta, a fasi e momenti in cui
emo- zioni e sentimenti risultano più ‘visibili’: la realtà delle aule di tri-
ss.; PADOVANI, Alla ricerca di una razionalità penale, in Riv. it. dir. proc.
pen., «In effetti, il reato è la mistura
di un fatto che suscita reazioni immediate negative e di un’imputazione dalle
origini spesso motivate politicamente e dagli effetti sempre stigmatizzanti»,
LÜDERSSEN, L’irrazionale nel diritto penale. Per uno studio ad ampio spettro
sulle emozioni suscitate dal fatto crimina- le, con particolare riferimento al
sublime, v. BINIK, Quando il crimine è sublime. La fascinazione per la violenza
nella società contemporanea, Milano, 2017. 16 Sul richiamo ad atteggiamenti
emotivi della collettività come parte di un più ampio problema concernente
adesione a valori, consenso sociale e normazione penale, v., per tutti,
PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., Nella
letteratura italiana v. FORTI, Le ragioni extrapenali dell’osservanza della
legge penale: esperienze e prospettive, in Riv. it. dir. proc. pen., Sui
rapporti fra la dimensione sociale delle emozioni e le scelte di politica del
di- ritto si soffermano BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. Sui rapporti
tra dimensione ‘visiva’ del crimine e ruolo delle emozioni v., per un’ampia
panoramica,a cura di Forti-Bertolino, La televisione del crimi- ne, Milano,
2005; per l’analisi di un caso emblematico, v. CERETTI, Il caso di Novi Ligure
nella rappresentazione mediatica, in AA.VV., a cura di Forti-Bertolino, La
televisione del crimine; sul tema v. anche PALIERO, Verità e distor- sioni nel
racconto mediatico della giustizia. Uno sguardo d’insieme, in AA.VV., a cura di
Forti-Mazzucato-Visconti A., Giustizia e letteratura, vol. II, Milano, 2014,
pp. 671 ss.; più diffusamente, ID., La maschera e il volto (percezione sociale
del crimine ed ‘effetti penali’ dei media), in Riv. it. dir. proc. pen.;
PALAZZO, Mezzi di comunicazione e giustizia penale, in Politica del diritto;
volendo, v. BACCO, Visioni ‘a occhi chiusi’: sguardi sul problema penale tra
immaginazione, emozioni e senso di realtà, in The Cardozo Law Bulletin,
Sull’approccio ‘visuale’ in criminologia v., per una sintesi globale e per le
coordinate di fondo, v. BROWN, Visual Crimonology, criminology. oxfordre. com/view/10.1093/a
crefore/ 9780190 264079.001.0001 /acrefore-97801902 64079-e-206? Tra sentimenti
ed eguale rispetto bunale e la dialettica spesso tumultuosa fra i soggetti del
processo 19. E infine il carcere, il dramma umano della pena, da sempre intriso
di atteggiamenti emotivi che si dividono fra vendetta, odio per il tra-
sgressore e compassione 20. Siamo solo alla punta affiorante di un intreccio
che affonda le proprie radici in un substrato per lo più invisibile 21. È bene
riflettere non solo sulle emozioni che il diritto penale su- scita, ma anche
sugli atteggiamenti emotivi e di pensiero che sono alla base e che modellano la
fisionomia dell’intervento punitivo22, nelle forme e nei presupposti23.
L’esigenza di riconoscere e proble- Sulle emozioni della vittima, v. da ultimo
BANDES, Share your Grief but Not Your Anger. Victims and the Expression of Emotion in Criminal
Justice, Abell-Smith, The Espression of Emotion. Philosophical, Psychological an Legal Perspectives,
Cambridge. Richiamiamo, nella sconfinata letteratura, alcune opere in cui viene
affron- tato lo specifico tema delle matrici affettive; per una sintetica
ricognizione filoso- fica, a partire da un’analisi etimologica, v. CURI, I
paradossi della pena, in Riv. it. dir. proc. pen.,; nella letteratura
angloamericana, SOLOMON, Justice v. Vengeance. On Law and the Satisfaction of Emotion, in AA.VV., ed.
by Bandes, The Passions of Law.; POSNER, Emotion versus Emotional- ism in Law,
in AA.VV., ed. by Bandes, The Passions of Law; MURPHY, Punishment and the Moral
Emotions, cit., pp. 94 ss.; NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni; EAD.,
Rabbia e perdono. La generosità come giustizia, tr. it., Bologna. Emotions
pervades not just the criminal courts, with their heat-of-passion, and insanity
defenses and their angry or compassionate jurors but the civil court- rooms,
the appellate courtrooms, the legislatures. It propels judges and lawyers, as
well as jurors, litigants, and the lay public. Indeed, the emotions that
pervade law are often so ancient and deeply ingrained that they are largely invisible»,
v. BANDES, Introduction, Cfr. ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the
Emotions?, in 94 Minnesota Law Review. Secondo
l’istanza razionalistica che è alla base del diritto penale postillumi-
nistico, le emozioni sembrano subire una sublimazione che ne rende più
difficol- toso riconoscerne la presenza pur avvertendone gli effetti: «The
institutions of criminal justice thus find themselves in a paradoxical
situation. They offer a
space for the most intensely felt emotions – of individuals as well as
collectivities – while simultaneously providing mechanisms that are capable of
‘coolig off’ emotions, converting them into more sociable emotions, or
channelling them back into reasonable and more standardised patterns of actions
and thought», v. KARSTED, Handle with Care: Emotions, Crime and Justice,
Karsted-Loader-Strang, Emotions, Crime and Justice, Oxford and Portland, 2011,
p. 2. 23 Nella dottrina penalistica italiana è
stata avviata una riflessione concernente il raffronto fra la logica
razionalistico-consequenzialista e una diversa prospetti- va, più marcatamente
intuitiva e a base emozionale, nell’approccio a problemi di
Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 11 matizzare il ruolo della
dimensione emotiva si pone dunque anche in rapporto al processo di
deliberazione delle politiche penali e più in generale all’esercizio delle
scelte pubbliche 24. Appare opportuna una tematizzazione delle connessioni fra
diritto penale e dimensione affettiva, in relazione non solo al funzionamento
di istituti del diritto vigente, ma più in generale all’assetto logico e te-
leologico delle categorie penalistiche, le quali sono frutto di atteg- giamenti
di pensiero e di cultura intrisi di emotività. In altri termini, il ruolo delle
emozioni e dei sentimenti va concepito non solo come elemento da ‘incastrare’
all’interno di geometrie concettuali tradizio- nali, ma soprattutto come
fattore che contribuisce, e ha contribuito fino ad oggi, a influire sulle
geometrie. Le relazioni tra emozioni, sentimenti e diritto penale non sono
dunque confinabili a singoli territori della c.d. ‘dogmatica’, né posso- no
circoscriversi a particolari settori della parte speciale del codice. Il
rapporto fra dimensione affettiva e diritto penale appare in defini- tiva come
un intreccio di questioni che si dispiegano da monte (fase genetica) a valle
(fase applicativa) dell’ordinamento normativo. Più radicalmente, è l’idea
stessa della responsabilità penale, il suo dover essere e i suoi obiettivi, a
essere in buona parte co-determinati da at- teggiamenti emotivi, dalla
sensibilità sociale e dal sentire dei legisla- tori: un presupposto
fondamentale per ogni riflessione penalistica, e che giustamente viene oggi
evidenziato come dato preliminare nella presentazione del problema penale.
regolamentazione normativa e a casi concreti: v. DI GIOVINE O., Un diritto
penale empatico? Diritto penale, bioetica, neuroetica, Torino, 2009, passim;
EAD., Una let- tura evoluzionistica del diritto penale. A proposito delle
emozioni, in AA.VV., a cura di Di Giovine O., Diritto penale e neuroetica,
Padova, WESTEN, La mente politica, tr. it., Milano; più recentemente, sul ruolo
della componente emotiva nelle scelte politiche e nell’adesione a orientamenti
va- loriali, fedi, ideologie, si veda HAIDT, Menti morali. Perché le brave
persone si divi- dono su politica e religione, tr. it., Milano, 2013, pp. 93
ss.; una sintesi dei proble- mi in ROSSI, Emozioni e deliberazione razionale,
Sistemi intelligenti. Un’analisi del ruolo del fattore emotivo nel contesto
applicativo evidenzia come il richiamo a emozioni sia ben presente nelle
argomentazioni giurispruden- ziali anche al di là di un definito inquadramento
in particolari istituti, e rappre- senti in questo senso un ausilio
argomentativo polivalente, adoperato soprattutto in relazione alla colpevolezza
e ai criteri soggettivi dell’art. c.p., v. AMATO, Di- ritto penale e fattore
emotivo: spunti di indagine, in Riv. it. med. leg. FIANDACA, Prima lezione di
diritto penale, Roma-Bari. Tra sentimenti ed eguale rispetto 2. Fulcro
dell’indagine: il richiamo al sentimento nella definizione dell’oggetto di
tutela La dottrina penalistica parla oggi espressamente di ‘ruolo delle
emozioni e dei sentimenti nella genesi e nell’applicazione delle leggi penali’,
proponendo una classificazione dei profili di interazione fra stati affettivi e
diritto penale basata su cinque piani prospettici i quali possono a nostro
avviso sintetizzarsi in due macrocategorie: 1) profili pertinenti la genesi del
diritto, della legge penale, e il dover essere della pena (ruolo della
dimensione affettiva nelle scelte di politica del dirit- to e riflessi sulla
configurazione del bene oggetto di tutela penale; in- fluenza sul modo di
concepire i concetti o le categorie della teoria del reato, riflessi sul modo di
concepire significato e scopi della pena); profili concernenti la dimensione
applicativa (ruolo di emozioni e sen- timenti nel giudizio di colpevolezza;
influenza della dimensione affet- tiva nella riflessione del giudicante) 27.
Questioni come l’influenza della dimensione affettiva sulla teoriz- zazione dei
concetti della categoria del reato, sul modo di concepirele funzioni della pena
e sulla graduazione della colpevolezza costitui- scono tematiche che, secondo
un gergo ‘endopenalistico’, orientano la riflessione verso temi più vicini alla
‘parte generale’; appaiono maggiormente pertinenti a problemi di ‘parte
speciale’ profili riguar- danti il ruolo di sentimenti ed emozioni nella
configurazione di og- getti di tutela. Una prima ricognizione può essere condotta
attraverso uno sguardo al diritto penale vigente, al testo prima che al
contesto 28, alla ricerca di norme in cui vengano evocati fenomeni psichici
lato sensu riconducibili a sentimenti ed emozioni; ed effettivamente nel codice
penale italiano tali richiami non mancano. Un’avvertenza: partire da una
lettura delle norme è funzionale a fornire delle coordinate di base per
l’inquadramento delle questioni 27 FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei
sentimenti nella genesi e nell’ap- plicazione delle leggi penali, a cura di Di Giovine O., Diritto penale e
neu- roetica, cit., pp. 215 ss. 28 Adoperiamo la diade testo/contesto per
indicare due distinti livelli di analisi: il primo relativo alla dimensione
letterale delle norme, il secondo, che non affron- teremo nella presente
indagine, relativo all’emersione del lessico emotivo nelle applicazioni
giurisprudenziali anche in relazione a disposizioni e istituti che non
richiamano espressamente stati affettivi. Sul rapporto fra testo e contesto v.
PALAZZO, Testo, contesto e sistema nell’interpretazione penalistica, in AA.VV.,
a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Marinucci. Fenomeni affettivi e
dimensione giuridica 13 che sono più strettamente legate al diritto vigente,
evidenziando in questo modo le connessioni più immediate, ma non traduce una
scel- ta metodologica tesa a ‘ontologizzare’ il lessico legislativo e a farne la
chiave di lettura prioritaria. Al contrario, il lessico delle norme, con le sue
approssimazioni, deve indurre a chiedersi quale sia, al di là delle formule, il
ruolo dei fenomeni affettivi richiamati nelle dinami- che della penalità.
Prendiamo le mosse dalla parte generale del codice penale29. Ri- chiami al
lessico dei sentimenti e delle emozioni emergono in istituti relativi alla graduazione
della colpevolezza: nel titolo relativo all’im- putabilità, l’art. 90 c.p.
parla di stati emotivi e passionali 30; fra le cir- costanze del reato spiccano
il riferimento allo ‘stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui’ e la
‘suggestione di una folla in tumulto’ (artt. c.p.). Menzioniamo le suddette
norme poiché contengono richiami testuali, senza allargare il campo a ulte-
riori situazioni in cui gli stati affettivi rappresentano un elemento che può
concorrere a integrare, o a influire dal punto di vista naturalisti- co, sulla
configurazione di importanti istituti: pensiamo al dolo e alla 29 Menzioniamo
gli istituti e le fattispecie in cui vengono richiamati espressa- mente
fenomeni psichici definiti come sentimenti ed emozioni, o comunque a essi
riconducibili; non si tratta quindi dell’elencazione di tutti gli istituti che
rimandi- no a concetti psicologici; per una sintesi in tal senso vedi di
recente NISCO, La tu- tela penale dell’integrità psichica, Torino. La norma che
stabilisce che gli stati emotivi e passionali non escludono l’imputabilità è
una disposizione controversa e dibattuta fin dalla genesi; per una sintesi v.
MUSUMECI, Emozioni, crimine, giustizia; FORTUNA, Gli stati emotivi e
passionali. Le radici storiche della questione, in Vinci- guerra-Dassano,
Scritti in memoria di Giuliano Marini, Napoli. La rigidità della disposizione
normativa viene oggi criticata, fino a farla definire da attenta dottrina come
una delle finzioni più odiose del sistema, v. DI GIOVINE O., Il dolo
(eventuale) tra psicologia scientifica e psicologia del senso comune, penalecontemporaneo.it;
BARTOLI R., Colpevolezza: tra persona- lismo e prevenzione, Torino; ma è
tuttora ben solida nella giuri- sprudenza, v., ex plurimis, Cass. pen., sez.,
con nota di VISCONTI A., in Riv. it. med. leg.; cfr. Cass. pen.L’unico spazio
di rilevanza per stati emotivi e passionali viene ammesso nel caso di fenomeni
già radicati in un pregresso quadro di infermità, v. EAD. In relazione alle
circostanze dello stato d’ira e della suggestione della folla, secondo la
giurisprudenza, nel primo caso lo stato emotivo deve corri- spondere a un
impulso incontenibile, v. Cass. pen., sez.; Cass. pen., sez.; Cass. pen., sez.;
per le spora- diche applicazioni dell’attenuante della suggestione della folla
v. Cass. pen., sez. VI, 27/02/2014, n. 11915; Cass. pen., sez. Tra
sentimenti ed eguale rispetto colpa e, più in generale, a tutta la materia
dell’imputazione soggettiva. È oggetto di discussione se e in che misura la
componente affettiva (emo- zioni e sentimenti) sia da prendere in
considerazione quale fattore costitutivo dei coefficienti psichici che il
diritto penale definisce ‘dolo’ e ‘colpa’, e, più in genera- le, si discute sul
grado di rispondenza fenomenica della categoria della colpevo- lezza in
rapporto allo stato soggettivo della persona; in relazione a tale aspetto il
concetto di colpevolezza assume un ruolo che è stato definito ‘ambiguo’: «da un
lato presidio del rilievo da attribuirsi allo stato soggettivo reale
dell’imputato, on- de evitare una condanna che si fondi su mere istanze di
esemplarità sanzionato- ria; ma nel contempo fattore che autorizza, quando la
colpevolezza non viene esclusa, l’insignificanza di quel medesimo stato
soggettivo (cioè della condizione vera in cui versi il soggetto agente)
rispetto al contenuto della condanna», così EUSEBI, Le forme della verità nel
sistema penale e i loro effetti. Giustizia e verità come «approssimazione», in
Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del pre- cetto e della sanzione penale. L’impostazione
dominante in dottrina tende a escludere una rilevanza degli stati affettivi sul
piano normativo: «Estranei alla natura del dolo sono affetti, emozioni, motivi
di qualsivoglia natura che stan- no ‘a monte’ della decisione di agire. In via
di principio, elementi emozionali non servono a fondare il dolo, né valgono a
escluderlo», così PULITANÒ, Diritto penale, Torino, Cauta è l’apertura di
FIANDACA, Appunti sul ‘pluralismo’ dei modelli e delle categorie del diritto
penale contemporaneo, in La Cor- te d’Assise, il quale osserva che
«[o]ccorrerebbe evitare, invero già nell’individuare l’essenza generale o
nucleo centrale del dolo nella coscienza e vo- lontà del fatto, di concepire
tali requisiti psicologici in termini eccessivamente razionalistici e idealisticamente
depurati da corrispondenti componenti emotive». Appare difficilmente
contestabile che a livello naturalistico la componente affetti- va sia un
fattore costitutivo degli stati psicologici che fondano dolo e colpa; gli spazi
per una eventuale considerazione del ruolo degli stati affettivi nella fisio-
nomia del dolo e della colpa penale potrebbero eventualmente ampliarsi o re-
stringersi a seconda che si propenda per una concezione ‘normativizzante’ dei
coefficienti psichici oppure per una concezione più ‘naturalistica’, tema in
rela- zione al quale il dibattito nella dottrina penalistica italiana è
amplissimo: si veda- no, ex plurimis, VENEZIANI, Motivi e colpevolezza, Torino;
EUSEBI, Formula di Frank e dolo eventuale in Cass., S.U., (Thyssen- krupp), in
Riv. it. dir. proc. pen., , e più ampiamente ID., Il dolo come volontà,
Brescia, 1993; DE VERO, Dolo eventuale, colpa cosciente e costruzione
“separata” dei tipi criminosi, a cura di Bertolino-Eusebi-Forti, Studi in onore
di Romano, Napoli; DONINI, Il dolo eventuale, fatto-illecito e colpevolezza,
Diritto penale; 103 ss.; FIANDACA, Sul dolo eventuale nella giurisprudenza più
recente, tra approccio oggettivizzante-probatorio e messaggio
generalpreventivo, Diritto penale; DEMURO, Il dolo. II. L’accertamento, Milano;
PULITANÒ, I confini del dolo. Una riflessione sulla moralità del diritto
penale, in Riv. it. dir. proc. pen., Per una riflessione sulla consistenza
psicologica del dolo eventuale alla luce delle più recenti acquisizioni della
psicologia e delle neuroscienze v. BERTOLINO, Prove neuro-psicologiche di
responsabilità penale, in AA.VV., a cura di Forti- Fenomeni
affettivi e dimensione giuridica 15 Si tratta di norme problematiche il cui
specifico approfondimento non sarà oggetto della presente indagine; nondimeno
va dato conto della rilevanza di tali disposizioni nell’impianto della
responsabilità penale. Nella parte speciale del codice la definizione di
oggetti di tutela in termini di sentimento rappresenta un’evidenza palmare: si
parla di ‘sentimento religioso’, di ‘pietà dei defunti’, di ‘sentimento per gli
ani- mali’, di condotte atte a ‘deprimere lo spirito pubblico’ (art. 2c.p.), a
‘distruggere o deprimere il sentimento nazionale’ (artt. dichiarato illegittimo
dalla Corte costituzionale -- c.p.) e a istigare all’odio fra le classi sociali
(art. c.p.), di atti finalizzati a incutere ‘pubblico timore’ (art. c.p.), di
‘comune sentimento del pudore’ (art. c.p.), di ‘perdurante e grave stato di
ansia o di paura e timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto’
(art. c.p.), di ‘passioni di una persona minore’ (art. c.p.). Allargando lo
sguardo al di là del codice, la legislazione comple- mentare offre ulteriori
esempi: la legge nota come Legge sulla stampa, parla di sensibilità e impressionabilità
di fanciulli e adolescenti e incrimina condotte idonee a offendere il loro
‘sentimento morale’ (art.); sempre nell’ambito del medesimo testo normativo, è
considerata penalmente rilevante la pubblicazione di stampati i quali
descrivano o illustrino, con particolari impressionan- ti o raccapriccianti,
avvenimenti realmente verificatisi o anche sol- tanto immaginari, ‘in modo da
poter turbare il comune sentimento della morale’ (art.). Estremamente
significative sono infine le nor- me contro la discriminazione razziale
(legge), nelle quali la tipicità della condotta è fondata sulla nota
caratterizzante di ciò che comunemente è definito come un sentimento, ossia
l’odio. Abbiamo constatato che «nel linguaggio legislativo penale il rife-
rimento a sentimenti è ben presente» e
che «sentimenti e stati emo- Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della
sanzione penale; DI GIOVINE O., Il dolo (eventuale) tra psicologia scientifica
e psicologia del senso co- mune, cit.; per una sintesi del ruolo delle scienze
extranormative in rapporto al problema dell’imputazione soggettiva, v. da
ultimo FIANDACA, Prima lezione. Nondimeno, nelle motivazioni dei giudici il
richiamo alla dimensione affettiva figura quale corollario argomentativo in
relazione all’elemento soggetti- vo, all’ipotesi di concessione di attenuanti
generiche e più in generale in ordine alla commisurazione della pena; per un
quadro di sintesi v. AMATO, Diritto penale e fattore emotivo, C. cost. PULITANÒ,
Introduzione alla parte speciale del diritto penale, Torino. Tra sentimenti ed
eguale rispetto tivi non sono certo realtà sconosciute al diritto penale»34: «i
“senti- menti”, [...] ancorché di natura psichico-emozionale, sono [...] delle
realtà personalistiche innegabili. Le disposizioni della parte speciale
(sentimento religioso, pudore, pietà dei defunti, sentimento per gli animali,
sentimento nazionale) rappresentano la rispondenza più univoca e immediata di
ciò che si suole definire ‘tutela di sentimenti’, con una formula tanto
accatti- vante quanto ambigua e problematica nei contenuti, la quale soprat-
tutto nell’attuale momento storico sta riscuotendo un inedito interes- se da
parte della dottrina penalistica italiana 36. Le norme codicistiche forniscono
una prima cornice, un panora- ma dalla capacità esplicativa simile a quella di
una visione in contro- luce: sostanzialmente definiti appaiono i contorni, il
tratteggio ester- no che inquadra il teatro dei fatti oggetto di interesse
normativo; più nebuloso è il nucleo interno, legato al retroterra dei fenomeni
e alle loro dimensioni di significato. Un primo ordine di problemi ha a che
fare col profilo fattuale, legato all’inquadramento e alla decifrazione di ciò
che i saperi sul mondo, e in particolare le scienze empirico-sociali,
definiscono ‘sen- timenti’, soprattutto in rapporto ad altri fenomeni
affettivi, come ad 34 FIANDACA, Sul bene giuridico. Un consuntivo critico,
Torino, PALAZZO, Laicità del diritto penale e democrazia “sostanziale”, in
Quaderni co- stituzionali, 2/2010, p. 441. 36 Menzioniamo gli scritti che si
sono dedicati ex professo al tema, lasciando al momento da parte la cospicua
produzione letteraria in cui l’argomento viene tocca- to in modo incidentale.
Oltre al già menzionato saggio di FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti,
si segnala del medesimo Autore un ulte- riore approfondimento in occasione
dello studio sul bene giuridico: v. FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., pp. 81
ss. Si vedano quindi DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei
sentimenti; GIUNTA, Verso un rinnovato romantici- smo penale? I reati in
materia di religione e il problema della tutela dei sentimenti, in
Bertolino-Eusebi-Forti, Studi in onore di Mario Romano, vol. III, Napoli;
CAPUTO, Eventi e sentimenti nel delitto di atti persecutori, in Studi in onore
di Mario Romano; NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica; PULITANÒ,
Introduzione alla parte speciale del diritto penale; volendo, BACCO, Sentimenti
e tutela penale: alla ricerca di una dimensione liberale, in Riv. it. dir. proc
pen., 3/2010, pp. 1165 ss. Fra i costituzionalisti v. GUELLA-PICIOCCHI, Libera
manifestazione del pensiero tra fatti di senti- mento e fatti di conoscenza, in
Quaderni costituzionali, Per un’analisi del sentimento quale elemento che
concorre a fondare ragioni e struttura di di- sposizioni normative non solo
penalistiche, v. ITALIA, I sentimenti nelle leggi, Milano, 2017. Per una
sintesi delle più recenti posizioni della dottrina continentale, nel con- testo
di un’analisi incentrata sull’ordinamento spagnolo, v. ALONSO ALAMO, Senti-
mientos y derecho penal, in Cuadernos del polìtica criminal, Fenomeni affettivi
e dimensione giuridica 17 esempio le emozioni. In termini complementari si pone
un problema concettuale che riguarda le regole d’uso dei termini sia nell’ambito
extragiuridico e, di riflesso, nella specifica dimensione giuridico-pe-
nalistica: si tratta di prendere in considerazione le tassonomie scien- tifiche
in rapporto alle esigenze di normatività, alla chiarezza defini- toria e alla
funzionalità comunicativa del diritto. Un secondo ordine di problemi concerne
gli spazi di legittimità di norme finalizzate a una tutela penale di interessi
legati alla sfera affettiva degli individui: tema che proietta verso percorsi
differenti a seconda del significato e del senso normativo attribuibile
all’evoca- zione del peculiare sentimento o dell’emozione, in un discorso che
chiama in gioco pregiudiziali di tipo filosofico, morale, politico. In questo
senso la problematica si presta a essere sviluppata ad un pri- mo livello su un
piano generale (la tutelabilità di sentimenti come problema di principio), e,
successivamente, in una prospettiva più circoscritta concernente lo specifico
problema di tutela che sia dato individuare dietro il richiamo alla dimensione
affettiva della persona. Come detto, prendere le mosse dalle norme positive è
volto a facilitare l’inquadramento dei problemi; una volta fotografato
l’esistente, il lessico dei legislatori è destinato a divenire oggetto di
analisi criti- ca, nel tentativo di superarne la cortina di artificialità. 2.1.
Oltre il lessico legislativo Un primo obiettivo è dissolvere l’alone di
retorica e guardare ‘in trasparenza’, oltre le formule. La tendenza a costruire
norme penali attraverso richiami alla di- mensione affettiva, pur manifestatasi
in momenti storici differenti, rivela una sostanziale continuità 38, animata da
variabili che si legano a fattori sociali e culturali i quali hanno concorso a
dare stimolo a una sensibilità dei legislatori39. Si tratta di scelte
culturalmente 37 Più remoti sono il codice penale e la c.d. legge sulla stampa,
distanti anche culturalmente dall’attuale momento storico; più prossima
cronologicamente è la c.d. ‘Legge Mancino’ (incriminazione di condotte d’odio
razziale), mentre è relati- vamente recente la scelta di dare riconoscimento a
esigenze di tutela di animali non umani attraverso la formula ‘Delitti contro
il sentimento per gli animali’. Una panoramica in MUSUMECI, Emozioni crimine,
giustizia. I testi legislativi, che parlano di sentimenti, sono spia di un
sentire dei legislatori che, ieri come oggi, hanno adottato quel lessico, così
PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. Tra sentimenti ed eguale rispetto
orientate, nel contesto di una complessità di fondo 40 che è confluita in
determinazioni di politica del diritto le quali, secondo un processo ricorsivo
41, si caratterizzano a loro volta per un elevato grado di pre- gnanza
culturale e una forte valenza simbolica, nel senso che le nor- me giuridiche a
loro volta contribuiscono a modellare atteggiamenti di pensiero ed emotivi.
Seguendo le traiettorie del pensiero di Edgar Morin troviamo un efficace quadro
riassuntivo della complessità di ciò che chiamiamo ‘cultura’: «La cultura,
peculiarità della società umana, è organizzata/organiz- zatrice attraverso il
veicolo cognitivo costituito dal linguaggio, a parti- re dal capitale cognitivo
collettivo delle conoscenze acquisite, dei saper-fare appresi, delle esperienze
vissute, della memoria storica, delle credenze mitiche di una società. Così si
manifestano “rappresentazio- ni collettive”, “coscienza collettiva”,
“immaginario collettivo”. E la cul- tura, sfruttando il suo capitale cognitivo,
instaura le regole/norme che organizzano la società e governano i comportamenti
individuali. Le regole/norme culturali generano processi sociali e rigenerano
global- mente la complessità sociale acquisita dalla stessa cultura» 42. In che
termini il giurista penale deve rapportarsi a tale complessità? Solo se lo si
considera da una prospettiva esterna, il diritto penale è un coacervo di norme:
se si guarda con più attenzione, però, esso si ri- vela come una parte della
cultura in cui viviamo», ricorda Winfried 40 Nel senso in cui il concetto è
stato sviluppato da Morin: «Complexus significa ciò che è tessuto insieme; in
effetti, si ha complessità quando sono inse- parabili i differenti elementi che
costituiscono un tutto (come l’economico, il poli- tico, il sociologico, lo
psicologico, l’affettivo, il mitologico) e quando vi è tessuto interdipendente,
interattivo e inter-retroattivo tra l’oggetto di conoscenza e il suo contesto,
le parti e il tutto, il tutto e le parti, le parti tra di loro. La complessità
è, perciò, legame tra l’unità e la molteplicità. Gli sviluppi propri della
nostra era planetaria ci mettono a confronto sempre più ineluttabilmente con le
sfide della complessità», v. MORIN, I sette saperi necessari all’educazione del
futuro, tr. it., Milano; sempre Morin afferma che «Il problema della
complessità è quello che pongono i fenomeni non riducibili agli schemi semplici
dell’osser- vatore», v. ID., Scienza con coscienza, tr. it., Milano; cfr. più
diffusamente, ID., Introduzione al pensiero complesso, tr. it., Milano. I
prodotti e gli effetti generati da un processo ricorsivo sono contempora- neamente
co-generatori e co-causanti di tale processo», MORIN, Le idee: habitat, vita,
organizzazione usi e costumi, tr. it., Milano, MORIN, Le idee: habitat, vita,
organizzazione usi e costumi. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 19
Hassemer43. L’osservazione dello studioso tedesco è un invito a riflet- tere
sul diritto penale munendosi di ‘lenti’ che sappiano mettere a fuo- co non solo
norme ma anche la cultura che fa loro da sfondo: gli uni- versi fattuali,
valoriali, simbolici ed emotivi che la formano. Il giurista penale dovrebbe
volgere il proprio sguardo verso i fe- nomeni al fine di costruire esplorazioni
‘a partire dal capitale cogni- tivo collettivo delle conoscenze acquisite’:
delle conoscenze che han- no contribuito a dare un’impronta alla cultura, e
dunque anche alla sensibilità dei legislatori; e del panorama di conoscenze del
tempo presente, con l’annesso potenziale epistemico. Un approccio critico al
lessico del diritto significa in questo senso presa di distanza da ‘ontologismi
giuspositivistici’ o da riduzionismi pangiuridici’ della realtà, e traduce
l’esigenza di tenere ben presente la distanza tra il diritto, inteso come
ideale regolativo, e i fatti della vita L’‘inemendabilità’ di cui parla il
filosofo Maurizio Ferraris, «il fatto che ciò che ci sta di fronte non può
essere corretto o trasforma- to attraverso il mero ricorso a schemi
concettuali»45, suona per il giurista come un monito aprendere sul serio la
distinzione tra di- mensione ‘costruttivistica’ degli schemi del diritto e il
piano ontologico dei fenomeni HASSEMER, Perché punire è necessario, tr. it.,
Bologna. Non è vero e completo giurista colui che, pure conoscendo con
scientifica precisione il diritto positivo di un determinato paese, non si
rende conto della in- colmabile distanza tra il diritto e la vita, ossia della
assoluta impossibilità di sod- disfare totalmente l’esigenza, presente in tutte
le società, di razionalizzare le azioni degli uomini dando a esse un ordine
stabile mediante regole». v. CESARINI SFORZA [si veda], Filosofia del diritto,
Milano; FERRARIS, Manifesto del nuovo
realismo, Roma-Bari; si veda an- che la riflessione di un filosofo del diritto
di matrice analitica SCARPELLI, Filosofia analitica, norme e valori, Milano: le
norme e le asserzioni svolgono nell’esperienza dell’uomo una differente
funzione, ma le une e le altre possono svolgere la loro funzione solo se si
riferiscono a stati ed eventi dentro l’esperienza e distinguibili dagli altri
stati ed eventi dentro l’esperienza». 46 Non intendiamo prendere posizione sui
rapporti tra ontologia ed epistemo- logia, addentrandoci nel ginepraio di
problemi legati alla dialettica fra concezioni ‘realiste’ e ‘postmoderne’.
Nella letteratura italiana, oltre al citato ‘manifesto’ di Maurizio Ferraris,
si veda ID., Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, Roma-Bari,
2009, pp. 62 ss.; per una cristallina sintesi del dibattito sul realismo vedi
D’AGOSTINI, Realismo? Una questione non controversa, Torino. In termini
generali, segnaliamo come tale produzione letteraria sia da inquadrarsi quale
risposta al trend postmoderno che nella seconda metà del Novecento ha
sottoposto i concetti di ‘verità’ e di ‘realtà’ a tentativi di destruttura-
zione da parte di correnti filosofiche che possiamo approssimativamente definire Tra
sentimenti ed eguale rispetto Nella dottrina penalistica italiana si parla di
vincoli di realtà, e si potrebbero definire tali istanze anche attraverso il
richiamo a con- cetti meno abituali ma oggi non più alieni al discorso
penalistico, come quello di ‘verità’ 48. Lo specifico caso dei sentimenti come
pro- blema di tutela porta a riflettere sulla «verità dei presupposti su cui si
fonda il ragionamento funzionalistico all’origine dei precetti»49. Si tratta di
un impegno anche sul piano metodologico: come approccio di studio che pone la
conoscenza dei fenomeni a fondamento di ana- lisi volte a testare la qualità
delle scelte e delle possibili risposte da parte del diritto, emancipandosi
dalla prospettiva di patenti ‘ontolo- giche’ alle formule coniate dal
legislatore 50. Il punto di osservazione dello studioso non dovrebbe pertanto
col- locarsi in un’ottica del tutto interna al linguaggio e agli schemi con-
cettuali del diritto posto, ma, come ogni punto di osservazione, ne- cessita di
una collocazione anche esterna rispetto all’oggetto che si come
relativistico-ermeneutiche. La bibliografia è sterminata; ci limitiamo a
menzionare il testo forse più emblematico, e raffinato, del trend postmoderno,
ossia RORTY, La filosofia e lo specchio della natura, tr. it., Milano, 2004. 47
«Come impresa ‘di ragione’, il diritto è vincolato al principio di realtà. Il
le- gislatore deve fare i conti con la realtà che intende regolare, nella quale
ha da ri- tagliare gli oggetti e cercare le condizioni di una regolazione
possibile e razionale rispetto agli scopi. Nei concreti orizzonti storici, i
vincoli di realtà (ontologici) si traducono in vincoli epistemologici di
razionalità rispetto al sapere disponibile», v. PULITANÒ, Il diritto penale fra
vincoli di realtà e sapere scientifico, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2006,
pp. 798 ss. 48 Le questioni di fondo sono oggi compendiate nell’importante
volume a cura di Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione
pena- le, cit.; si veda inoltre il denso scritto di DI GIOVINE O., A proposito
di un recente dibattito su “Verità e diritto penale”, in Criminalia, 2014, pp.
539 ss., quale tentati- vo di superamento, nella prospettiva
giuridica, della radicalità insita nell’alter- nativa tra teorie corrispondentiste
e pragmatiste. PALAZZO, Verità come metodo di legiferazione. Fatti e valori
nella formulazione del precetto penale, in AA.VV., a cura di
Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale, cit., p.
101. 50 Umberto Vincenti afferma la necessità di «combattere ogni formalismo
in- terpretativo che ha la pretesa, per malintese aspirazioni di autonomia
della scien- za giuridica, di risolvere ogni questione – e gli stessi casi
della pratica – ragionan- do esclusivamente all’interno del testo normativo,
levigando e combinando le sua parole, per comporre un certo prodotto
linguistico – una certa massima di decisione – da accollare all’esperienza:
alla nuova esperienza da conoscere e, nei fatti, destinata a rimanere, non
volendosi andare oltre le parole di un testo (o, anche, di molti testi), di
necessità sconosciuta (o quasi) perché impenetrabile attraverso il solo
strumento verbale», v. VINCENTI, voce Linguaggio normativo, in Enciclopedia del
diritto, Annali, vol. VII, Milano. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 21
vuole indagare: «a partire dall’insopprimibile “eccedenza” della vita rispetto
a tutte le forme», e nella consapevolezza che il diritto, rispet- to ai
fenomeni che ne costituiscono il campo applicativo, costituisce ormai una
semantica influente in cui quello di cui si parla è molto di più di quello che
si dice. Le citazioni sono tratte da
RESTA, Diritto vivente, Bari. Si veda anche RODOTÀ, La vita e le regole. Tra
diritto e non diritto, Milano, il quale sembra farsi sostenitore di istanze
simili quando afferma che il ri- chiamo alla ‘verità’ dei presupposti implica
che è in gioco qualcosa di più profon- do della precisione linguistica e
dell’efficacia descrittiva di una norma: osserva Rodotà che «In realtà il
diritto è più che una regola. Prima di tutto è un linguag- gio. Si può davvero
dire tutto con le parole del diritto o è proprio la grammatica dei diritti a
dimostrarsi povera di fronte alla complessità sociale e alla sua ric- chezza?
Il radicarsi del diritto nella realtà segue itinerari complessi, e meno
lineari, di quello che misura l’effettività della norma unicamente da una sua
diret- ta e immediata applicabilità in una situazione determinata. Già la sola
trascrizio- ne nell’ordine giuridico di un valore o di un principio o di un
fine pubblico porta con sé una variazione del contesto in cui collocare gli
atti della vita, del discorso giuridico a cui fare riferimento, del sistema
normativo con il quale misurarsi». Tra sentimenti ed eguale rispetto
SEZIONE II Percorsi concettuali e interdisciplinari SOMMARIO: 3. Spunti di
riflessione attraverso le ‘Law and Emotion Theories’. Sentimenti ed emozioni:
approcci di studio e questioni di linguaggio. Quale concezione di emozione per
il giurista? Sull’uso del termine emozione. Spunti di riflessione attraverso le
‘Law and Emotion Theories’ Un approccio orientato a problematizzare il profilo
ontologico- fattuale dei fenomeni affettivi, e dunque a dialogare con ambiti
disci- plinari diversi dalla scienza giuridica, trova un importante punto di riferimento
dal punto di vista metodologico nel campo di studi di matrice statunitense
denominato ‘Law and Emotion’ Si tratta di un’area di discussione orientata a
rimeditare i termini dell’interazione fra diritto e dimensione emotiva per
ragioni che si le- gano non solo a un complessivo aggiornamento delle
conoscenze ex- tragiuridiche sul tema, ma soprattutto per favorire una maggiore
con- sapevolezza e un ‘uso’ più intelligente delle emozioni nel campo giuri-
dico («intelligent and responsible engagement by law») Secondo i teorici di
‘Law and Emotion’ i giuristi tendono a non prendere sufficien- temente in
considerazione le acquisizioni delle scienze extragiuridiche sugli stati
affettivi, rivelando un’autoreferenzialità frutto di mentalità chiusa e una riluttanza
ad apprendere da altre discipline Per un inquadramento dei temi trattati e
delle diverse impostazioni v. BANDES- BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit.,
passim; MARONEY, Law and Emotion: A Proposed Taxonomy of an Emerging Field, in
30 Law and Human Behavior.; cfr. anche ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and
the Emotions? ABRAMS-KEREN,
Who’s Afraid of Law and the Emotions? BANDES, Introduction. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica Gli studi
di ‘Law and Emotion’ mirano a mettere in luce l’influenza che la dimensione
affettiva esplica sul modo di concepire ratio e struttura di istituti di
diritto positivo e, più in generale, sulle ragioni addotte per legittimare
l’essere e il dover essere del diritto, soprattutto del diritto penale. Si
approfondisce la conoscenza dei fenomeni affettivi attraverso una base
epistemica che non si limita alla dimen- sione bio-psicologica, ma che si apre
alla sfera sociologico-umani- stico-letteraria, attraverso la filosofia, la
letteratura, l’antropologia, la sociologia, in una prospettiva volta a
dischiudere orizzonti di senso e a guardare ai fenomeni affettivi attraverso un
filtro interpretativo multidisciplinare. Ciò che sembra meglio riassumere
l’istanza sottesa agli studi di ‘Law and Emotion’ è la ricerca di un dialogo
finalizzato non solo a in- crementare consapevolezza e competenze dei giuristi
sul tema delle emozioni, e dunque a favorire una maggiore attendibilità
scientifica dei lavori dei giuristi, ma anche a promuovere un feedback virtuoso
fra scienza giuridica e saperi empirico-sociali sugli stati affettivi 58. I
contributi di ‘Law and Emotion’ non si identificano con una linea teorica
univoca, ma si articolano in diverse correnti; una fra le BANDES-BLUMENTHAL,
Emotion and the Law. BANDES-BLUMENTHAL,
Emotion and the Law; MARONEY, Law and Emotion, cit., pp. 123 ss.; ABRAMS-KEREN,
Who’s Afraid of Law and the Emotions? Sotto
tale profilo sembrano esservi sostanziali differenze rispetto ad altre branche
di studi, affini ma distinte da ‘Law and Emotion’: in particolare ‘Law and
Economics’ e ‘Law and Neuroscience’, le quali, peraltro, sembrano essere tenute
in maggiore considerazione dai giuristi. Una possibile chiave di lettura di
tale atteg- giamento è il fatto che ‘Law and Economics’ e ‘Law and
Neuroscience’ sembrano basarsi su assunzioni che sono più vicine al modello di
razionalità ‘classica’ con cui i giuristi hanno maggiore confidenza, v.
ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the Emotions?, MARONEY, Law and Emotion,
cit., p. 135: «We see as well a persistent divide between empiricists and
theorists. The lack of
dialogue across these dividing lines lessens opportunities for
cross-fertilization. We therefore would do well to foster dynamic
collaborations among social scientists, those trained in the life sciences,
philosophers, lawyers, and legal scholars. The exercise of forging such
collabora- tions would encourage creation of a common language, and resulting
scholarship would be both more complex and more accessible to those across the
range of implicated disciplines. Quali
caratteristiche deve avere uno studio per potersi inquadrare come contributo su
‘Law and emotion’? Questa la
risposta di MARONEY, Law and Emo- tion, cit., p. 124: «The question as to at
what point any given project is sufficiently about both “law” and “emotion” to
productively be claimed for this particular en- Tra sentimenti ed eguale
rispetto più autorevoli studiose, la giurista Terry Maroney, individua ben sei
tipologie di approccio60. Tale
schematizzazione assume in primo luogo un valore descrittivo, individuando
snodi concettuali che carat- terizzano le peculiarità dei singoli contributi
nel contesto della pro- duzione scientifica sul tema; sotto un diverso profilo,
la tassonomia degli approcci possiede anche la funzione di canone metodologico
volto a evidenziare questioni fondamentali con cui il singolo studioso che
intenda approfondire il tema delle interazioni fra diritto e dimen- sione
affettiva si troverà a fare i conti 61. I percorsi individuati da Ter- ry
Maroney fissano in questo senso delle coordinate che possono con- tribuire a
suggerire al singolo studioso l’impostazione che meglio si attaglia al tipo di
indagine che intende affrontare: la conoscenza dei nodi teorici fondamentali e,
correlativamente, della possibilità di percorsi e di approcci alternativi,
dovrebbe costituire un impegno ad acquisire consapevolezza riguardo
l’impostazione adottata, anche al fine di renderne esplicita l’adesione. clave
is worthy of greater exploration than is possible here. I offer, nonetheless, two
premises, one pertaining to motivation and the other to method. First,
contemporary law and emotion scholarship is based on the beliefs that human
emo- tion is amenable to being specifically and searchingly studied, that it is
highly relevant to the theory and practice of law, and that its relevance is
deserving of clos- er scrutiny than it historically has received. Second, such
scholarship explicitly directs itself to both sides of the “and”; it takes on a
question regarding law and brings to bear a perspective grounded in the study
or theory of emotions. MARONEY, Law and
Emotion. Nel dettaglio, si parla di: emotion centered approach’, come approccio
che si focalizza su una singola emo- zione e ne analizza le possibili
interazioni con la dimensione giuridica; emotional phenomenon approach, il
quale muove dallo studio di processi mentali e comportamentali che non
corrispondono propriamente a emozioni, ma che rap- presentano condizioni per
l’elicitazione o la esternazione di stati emozionali emotion theory approach’,
approccio porta a sviluppare riflessioni in linea con una o più teorie
interpretative delle emozioni; legal doctrine approach, il quale mira a far
interagire il sapere su emozioni e stati affettivi con aree determinate del
diritto o con particolari istituti; theory of law approach, il quale studia i
nessi tra emozioni e diritto a un livello puramente teoretico, facendo
interagire teorie sulle emozioni con teorie generali sul diritto; legal actor
approach, il quale si occupa di analizzare come la dimensione emotiva influisce
sull’attività dei soggetti che operano nell’ambito applicativo: giudici,
avvocati, ecc. MARONEY, Law and Emotion, careful consideration of the
analytical approaches potentially implicated in any given project will help
identify blind spots or force unstated assumptions to the surface, and may
further encourage scholars to justify why they make the choices they do. Thus, academic inquiry into
the intersection of law and emotion should identify which emotion(s) it takes
as its focus; carefully distinguish be- tween those emotions and any implicated
emotion-driven mental processes or Fenomeni affettivi e dimensione
giuridica 25 4. Sentimenti ed emozioni: approcci di
studio e questioni di linguaggio Gli studi su ‘Law and Emotion’ mettono in
evidenza questioni teo- riche le quali riteniamo debbano essere prese in
considerazione an- che nella presente indagine: in particolare, un importante
step è rappresentato dalla ricerca di punti di convergenza fra contributi di
ma- trici scientifiche eterogenee, e dunque dall’esigenza di uno sguardo
d’insieme alle acquisizioni elaborate dalle discipline che studiano gli stati
affettivi. Sentimenti ed emozioni sono fenomeni relativi al sentire della
persona: per comprenderne i profili di rilevanza nella dimensione del singolo e
l’incidenza nelle dinamiche relazionali il giurista penale de- ve
necessariamente rivolgersi a saperi esterni al diritto che potremmo definire
lato sensu ‘psicologici’, ma che non si limitano alla sola psicologia.
Nell’attuale momento storico le dinamiche interiori dell’individuo sono poste
sotto osservazione da una molteplicità di punti di vista: un’interazione fra
discipline che dà luogo a complesse mappe epistemiche. Difficilmente potrà
trovare appagamento la bramosia di defini- zioni che spesso anima le operazioni
intellettuali dei giuristi quando si addentrano in campi di conoscenza diversi
dal proprio. La lettera- tura sugli stati affettivi non è semplicemente una
sovrapposizione di varianti tassonomiche e definitorie; differenti sono le
discipline coin- volte, con angolazioni prospettiche e linguaggi che
valorizzano profili differenti e complementari: non esiste un’unica ‘scienza
dell’emozio- ne e dei sentimenti’. Come modello di approccio penalistico alle
scienze extranormati- ve si è recentemente parlato di una prospettiva
‘separatista’ e di una ‘dialogante’64. La soluzione a nostro avviso preferibile
è la seconda; nel presente caso, il dialogo si caratterizza per una particolare
com- plessità, poiché le voci che il giurista si trova di fronte rappresentano
una variegata polifonia da cui emergono prospettive di ricostruzione behaviors;
explore relevant and competing theories of those emotions’ origin, purpose, or
functioning; limit itself to a particular type of legal doctrine or legal
determination; expose any underlying theories of law on which the analysis
rests; and make clear which legal actors are implicated», v. MARONEY, Law and
Emotion. Condividiamo in questo senso l’impostazione metodologica di NISCO, La
tu- tela penale dell’integrità psichica, FIANDACA, Prima lezione. Tra
sentimenti ed eguale rispetto e di classificazione alquanto diverse. Sarebbe
segno di chiusura cul- turale se ci si accontentasse di identificare le
rispondenze fenomeni- che del richiamo a sentimenti sulla base del senso
comune, senza ap- profondire le articolate classificazioni proposte dai diversi
saperi sul mondo 65; nondimeno, la non omogeneità del panorama di conoscen- ze
grava il giurista di un compito severo. In primo luogo appare opportuno
individuare le branche della co- noscenza che oggi tracciano le coordinate di riferimento.
Al fine di delineare i presupposti di un’interazione fra scienza penale e
saperi sugli stati affettivi, nella dottrina penalistica italiana è stata
proposta una schematizzazione utile a mappare l’orizzonte conoscitivo. Tre le
tipologie di approccio evidenziate: approccio psicologico; approccio neurofisiologico e
neuroscientifico; approccio filosofico La dimensione biologica e quella
psicologica offrono un quadro in- centrato sulle dinamiche interne alla
persona, ossia relativo a come gli stati affettivi si manifestano e a quale
influenza possono avere sul- l’agire, sull’autodeterminazione individuale e
dunque nella globale eco- nomia di vita di un soggetto. Prospettive come quella
filosofica e so- ciologica forniscono chiavi di lettura differenti, facendo
luce non solo sulla dimensione soggettivo-interiore e solipsistica dei fenomeni
af- fettivi, ma proiettandoli nelle complesse dinamiche della vita di rela-
zione e dunque nella sfera interpersonale. Nella prospettiva penalistica sono
importanti entrambi i profili, sia quelli più legati al ruolo degli stati
affettivi nella dimensione indi- viduale, sia quelli concernenti
l’intersoggettività e la dimensione col- lettiva, i quali potranno assumere una
maggiore o minore pertinenza a seconda dei problemi esaminati dal giurista.
Rispetto ai temi oggetto della presente indagine, la parte definitoria è in
larga pare debitrice di contributi di ambito psicologico; quanto al- lo
sviluppo che riguarderà la specifica connessione della tutela di sen- timenti al
tema del rispetto reciproco e dei limiti penali alla libertà di espressione, le
traiettorie di pensiero a nostro avviso più feconde risul- tano intrecciate
alla filosofia politica e a recenti sviluppi della filosofia fenomenologica.
Non va infine dimenticata un’ulteriore branca del sa- pere che si focalizza su
dinamiche di intersoggettività nella dimensione Per una critica all’habitus
culturale del penalista, talvolta poco propenso al confronto con il mondo dei
fatti, e una conseguente esortazione a fare proprio uno spirito scientifico e
una modalità di pensiero diversi dal mero senso comune, v. FORTI, L’immane
concretezza, FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti; cfr. NISCO,
La tutela penale dell’integrità psichica. Fenomeni affettivi e dimensione
giuridica 27 sociale: parliamo della sociologia delle emozioni, un campo di
studi relativamente giovane e alquanto promettente per le prospettive di
interazione con la riflessione giuridica 69. Nel prosieguo cercheremo di compiere
un excursus, necessaria- mente approssimativo, al fine di fare maggiore
chiarezza sui tratti che distinguono in particolare il sentimento da un’altra
manifesta- zione del sentire: l’emozione. Si tratta di un compito spinoso.
Eloquente è quanto affermato nella letteratura psicologica italiana. Nell’affrontare
lo studio della vita emotiva si resta colpiti dal disaccordo che vi è tra gli
psicologi sull’uso e sul si- gnificato dei termini fondamentali, sulla
classificazione e sui caratteri differenziali degli stati affettivi, sul meccanismo
della loro produzione. L’ambiguità e la vaghezza presenti nel linguaggio comune
non do- vrebbero rinnovarsi nel linguaggio scientifico, e, soprattutto, quan-
do si tratta di gestire l’interazione fra discipline differenti «le parole [non
dovrebbero essere] introdotte in un sistema di linguaggio scien- tifico,
serbando a tradimento il significato che loro viene dal modo in 67 Sul tema,
amplius, v. a cura di Turnaturi, La sociologia delle emozioni, tr. it., Milano.
TURNATURI, Introduzione, in AA.VV., a cura di Turnaturi, La sociologia delle
emozioni, BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. SCHERER, What are emotions?
And how can they be measured?, Social Science Information. ZAVALLONI, La vita emotiva, in Ancona, Questioni di
psico- logia. Principi e applicazioni per psicologi, medici, insegnanti ed
educatori, Milano. Problemi di natura terminologica sono posti in evidenza
anche da ABBAGNANO [si veda], Storia filosofica delle emozioni, in GALATI,
Prospettive sulle emozioni e teorie del soggetto, Milano. [cf. H. P. Grice,
“Grice ed Abbagnano”]. Oltre ai complessi rapporti tra definizioni
scientifiche, l’inquadramento di profili di rilevanza giuridica di sentimenti
ed emozioni richiede di non trascurare il vocabolario tramite cui gli attori
sociali connotano gli stati affettivi, e dunque le sfumature del linguaggio che
possono concorrere a illuminare dimensioni di sen- so dei fenomeni. In altri
termini, la ricerca di una tendenziale coerenza tra cate- gorie giuridiche e
concettualizzazioni scientificamente fondate dovrebbe essere veicolata anche
attraverso un esame di usi linguistici che, pur caratterizzati da
approssimazioni e da una logica comunicativa incline al ‘senso comune’ o alla
c.d. ‘psicologia ingenua’, possono nondimeno contribuire ad additare problemi
di fondo e a identificare l’area di significato dei termini. Sul ‘senso comune’
come categoria che definisce ciò che è ritenuto ovvio e condiviso all’interno
di una cer- chia sociale, v., per tutti, JEDLOWSKY, “Quello che tutti sanno”.
Per una discussione sul concetto di senso comune, in Rass. it. sociologia, Tra
sentimenti ed eguale rispetto cui sono usate in un altro sistema, o nel
linguaggio comune» 73. Tale monito, proveniente da un filosofo italiano del
diritto, trova rispondenza in ambito anglo-americano proprio negli scritti
legati a ‘Law and Emotion’ il lessico degli stati affettivi muta a seconda dei
contesti di studio, e l’opera di consultazione di saperi esterni da parte del
giurista penale dovrebbe essere accompagnata da una rielabora- zione dei
contenuti, poiché le ipotesi definitorie e classificatorie pro- poste in ambito
extragiuridico possono non assumere una corrispon- dente rilevanza nella
prospettiva della valutazione penalistica. I concetti di emozione e di
sentimento vanno conseguentemente mo- dulati sulla dimensione giuridica,
tenendo ben presente la base epi- stemica alla quale si sta facendo
riferimento, ma senza vincoli sul piano strettamente lessicale né concettuale.
Il problema non è certo inedito, e può essere ricollegato agli inter- rogativi
formulati, ormai qualche decennio fa, da autorevole dottrina, relativi a come
rendere metodologicamente compatibili il punto di vista normativo e quello
delle scienze empirico-sociali di fronte al- l’esigenza di definire la
rilevanza giuridica di fenomeni psichici Scarpelli richiama l’attenzione
sull’esigenza di pulitura, ed eventualmente di ri-strutturazione, del lessico
giuridico, con l’importante avvertenza di non limitarsi a importare
terminologie esterne in modo pedissequo e irriflessivo, senza procedere a
un’adeguata concettualizzazione: v. SCARPELLI, Scienza del diritto e ANALISI
DEL LINGUAGGIO, a cura di Scarpelli-Di Lucia, Il linguaggio del diritto,
Milano, MARONEY, Law and Emotion; BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. FIANDACA,
Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti: «il giurista contemporaneo, se da un
lato non può fare a meno di rivisitare i concetti di emozione e sentimento alla
luce delle acquisizioni scientifiche e della riflessione filosofica più
recenti, rimane per altro verso pur sempre vincolato all’esigenza di ri-
pensare i concetti elaborati in altri ambiti disciplinari secondo la sua
specifica ottica». Dello stesso
avviso, BANDES, Introduction, cit., p. 8, secondo la quale it is also true that
law has its own set of purposes, demands and limitations. The knowledge we gain
about emotion is usable in a legal context only if it can be translated in
light of law requities». 76
FIANDACA, I presupposti della responsabilità penale tra dogmatica e scienze so-
ciali, in AA.VV., a cura di de Cataldo Neuburger, La giustizia penale e la
fluidità del sapere: ragionamento sul metodo, Padova. L’analisi di Fiandaca è
in questo caso incentrata sui presupposti soggettivi della responsabilità
penale, e pone in evidenza due distinti ordini di problemi: da un lato, il
grado di affidabili- tà del sapere metagiuridico, che, specie con riferimento
alle scienze psicologiche, offre contributi i cui esiti si prestano a letture
non univoche. Dall’altro lato, evi- denzia come determinate acquisizioni in
ambito psicologico siano tali da porre in dubbio la base fattuale di principi
normativi come la colpevolezza, esponendone Fenomeni affettivi e
dimensione giuridica 29 Nello scenario contemporaneo, l’ampliamento
dell’offerta epistemi- ca, ossia l’incremento delle branche della conoscenza
che oggi si sof- fermano sullo studio dei fenomeni affettivi, rende ancora più
com- plesso tale compito. A fronte di tali difficoltà, e nella consapevolezza
che sia opportuno tenere distinte le finalità delle categorizzazioni dei saperi
sul mondo dalla teleologia delle categorie penalistiche77, resta l’obiettivo di
ridurre la distanza fra l’artificialità delle concettualizzazioni giuridiche e
la realtà dei fenomeni 78, sia al fine di individuare re- gole d’uso dei
termini non ‘arbitrarie’, ossia fondate su connessioni fra le diverse proposte
in ambito extragiuridico le quali siano adeguata- mente esplicative rispetto ai
problemi in gioco; sia nella prospettiva di dare anche un impulso alla
rivisitazione di categorie e di modelli con- cettuali presenti nel discorso
giuridico 79 – non solo dei teorici ma an- che, soprattutto, degli applicatori
– che risentono di schemi di pensiero legati al senso comune e alla cosiddetta
psicologia ingenua 80. però a rischio anche il ruolo individual-garantistico;
oppure, con riferimento a un possibile allineamento con quanto espresso da
determinate teorie sociologiche, rimarca il rischio di una funzionalizzazione
del diritto penale all’ascolto di istanze di mera difesa sociale. 77 Rileva
tale problema, con riferimento al tema dell’imputabilità, BERTOLINO,
L’imputabilità e il vizio di mente nel sistema penale, Milano, 1990, pp. 25
ss., 44 ss. Sul tema della costruzione di un modello di scienza penale
integrale, non asservi- ta ai saperi empirici ma comunque attenta a limiti
epistemologici, v. DONINI, La scienza penale integrale fra utopia e limiti
garantistici, a cura di Moccia- Cavaliere, Il modello integrato di scienza
penale di fronte alle nuove questioni socia- li, Napoli, 2016, pp. 26 ss. 78
Anche aprendo la riflessione verso un’eventuale ‘rivisitazione’ di categorie
che dovessero risultare mero riflesso di una psicologia cosiddetta ‘esoterica’:
su tale definizione v. FIANDACA, Appunti sul ‘pluralismo’ dei modelli e delle
categorie; cfr. VENEZIANI, Motivi e colpevolezza. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion
and the Law, cit., p. 165. 80 Si è osservato che «il diritto può venire
considerato un caso particolarmente brillante di scienza “ingenua”. Esso
infatti impiega massicciamente una propria concezione della psicologia ma senza
dichiararne i teoremi ed i postulati», v. PE- RUSSIA, Criteri giuridici e
criteri psicologici: note sullo scambio epistemologico fra psicologia e
diritto, in AA.VV., a cura di de Cataldo Neuburger, La giustizia penale e la
fluidità del sapere, cit., p. 89. Per un quadro generale sulla ‘psicologia
inge- nua’, con cui si intende la capacità spontanea degli esseri umani «di
interpretare i comportamenti di un agente attribuendogli stati mentali quali
credenze, desideri, piacere, interesse», v. MEINI, Alle origini della
psicologia ingenua: interpretare se stessi o interpretare gli altri?, Sistemi
intelligenti; con riferimento alla dimensione giuridica, v. di recente
FORZA-MENEGON-RUMIATI, Il giudice emotivo. Per una sintesi del ruolo della
commonsense psychology nel di- ritto penale, in una prospettiva tesa a non
demonizzarne il ruolo ma ad analiz- Tra sentimenti ed eguale rispetto 4.1.
Quale concezione di emozione per il giurista? Non si tratta dunque di
effettuare un travaso lessicale che intro- duca nomenclature e classificazioni
ab externo; le diverse ‘emotion theories’ si prestano a sviluppi fra loro
profondamente differenti, e il giurista non può limitarsi a importazioni
passive di saperi 81. zarne i risvolti positivi quale alternativa a prospettive
‘comportamentiste’ e ‘ridu- zioniste’, v. SIFFERD, In defense of the Use of
Commonsense Psychology in the Cri- minal Law, in 25 Law and Philosophy, 2006,
pp. 571 ss.; per un’opinione differen- te v. COMMONS-MILLER, Folk Psychology
and Criminal Law: Why We Need to Repla- ce Folk Psychology with Behavioral
Science, The Journal of Psychiatry and Law. Quando si parla di psicologia folk
ci si riferisce a un terri- torio che non corrisponde a un sistema armonico di
concetti (peraltro si tende anche a distinguere folk psychology da commonsense
psychology), ma che è un campo variegato, caratterizzato anche da incongruenze
interne, nel quale i saperi scientifici costituiscono l’humus di
concettualizzazioni che vanno ad assumere forme differenti in relazione ai
momenti storici; è più corretto parlare al plurale di ‘folk conceptions’
piuttosto che di un’unica visione ‘folk’ dei fenomeni affettivi. La dimensione
folk resta eminentemente esplicativa, ma non descrittiva: è condi- zionata da
un sapere approssimativo sulla fisiologia degli stati affettivi, e accom- pagna
tale gap epistemico con congetture che rivelano un approccio tendenzial- mente
valutativo del fenomeno emotivo, il quale trova espressione in immagini
significative che traspongono in termini metaforici i caratteri del fenomeno.
In generale possiamo affermare che la vita di relazione è in larga parte
regolata da deliberazioni interiori assunte sulla base di postulati di ‘folk
psychology’, in parte come frutto di competenze innate, e in parte effetto di
deduzioni influenzate della cultura. Si osserva che nella dimensione
penalistica la ‘folk psychology’ può rap- presentare un formante in relazione a
tre distinti profili: influisce sulla confor- mazione categorie generali del
diritto penale; influenza le argomentazioni degli studiosi di diritto; si
insinua concretamente nel sistema legale attraverso argo- mentazioni che gli
operatori pratici adoperano nella loro professione (giudici, av- vocati, e, con
riferimento al sistema americano, giurati), v. FINKEL-GERROD PAR- ROT, Emotions
and culpability. How the Law is at
Odds with Psychology, Jurors, and itself, Washington, 2006, p. 48. Sull’interazione fra senso comune e studio delle
emozioni, in una prospettiva che ne rimarca le reciproche implicazioni, v.
GALATI, Prospettive sulle emozioni. Si veda anche CALABI, Le varietà del
sentimento, in Sistemi intelligenti, la quale afferma che la psicologia del
senso comune contribuisce a fornire una rappresentazione del fe- nomeno emotivo
che ne comunica la complessità in modo più coerente e attendi- bile rispetto
alle tendenze riduzioniste o eliminativiste. 81 Per il giurista, oltre alla
necessità di riuscire a districarsi fra gli ‘overlap- ping fields’ sulle
emozioni (secondo la definizione di BANDES, Introduction, cit., p. 8) si pone
l’esigenza di non introdurre tali conoscenze in termini meramente strumentali
alla costruzione delle proprie teorie, importandoli e magari ‘co- stringendoli’
all’interno di argomentazioni giuridiche senza renderne manifesto il margine di
opinabilità e la possibilità di ricostruzioni alternative, e senza dunque
osservare il dovuto rispetto per la complessità a cui si sta facendo ri-
Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 31 Il richiamo a vincoli di
realtà si potrebbe così articolare: un primo livello, relativo all’esplorazione
del panorama di conoscenze disponi- bili, all’esame di nozioni, di tassonomie e
di differenti prospettive di ricostruzione; un secondo livello, incentrato su
una concezione di sentimento e di emozione che sia suscettibile di entrare in
connes- sione con i fatti e con le dinamiche che interessano i problemi di re-
golamentazione penale. Nel complesso, a una fase di ricognizione epi- stemica
si aggiunge un processo interpretativo e al tempo stesso ‘crea- tivo’, nel
senso che il giurista finisce per concepire una particolare idea di emozione e
di sentimento. Una critica mossa ad alcuni fra i primi contributi sul tema di
‘Law and Emotion’ è stata quella di non aver adeguatamente problematiz- zato ed
esplicitato un importante passaggio metodologico, ossia di- scutere apertamente
quale sia la concezione di emozione assunta alla base delle riflessioni 82.
Parallelamente a tale critica, riteniamo che si attaglino anche al giurista le
osservazioni del sociologo Sergio Manghi, quando afferma che per lo studioso di
scienze sociali non è possibile limitarsi a de- scrivere il modo in cui le
emozioni vengono socialmente definite: allo stesso modo per il giurista non è
possibile far interagire la dimensio- ne giuridica con le diverse prospettive
attraverso cui emozioni e sen- timenti vengono socialmente e scientificamente
definiti, senza pren- dere al contempo una posizione che traduca maggiore o
minore pre- ferenza per una determinata impostazione. Va dunque inoculato an-
che nella riflessività dello studioso di diritto l’interrogativo di natura
epistemologica su quale sia la concezione di emozione alla base del proprio
discorso: «attraverso quale idea di ‘emozione’ parlo di ‘emozioni’? Essere o
me- no dotati di un’idea di ‘emozione’, o per dirla con una parola più im-
pegnativa, di una teoria delle emozioni, non è questione di scelta, per nessun
essere umano che ricorra alla parola ‘emozione’. A maggior ra- gione, non è una
questione di scelta per uno scienziato sociale. Una teoria c’è comunque. Possiamo scegliere solo se
mantenerla implicita, colludendo con il senso comune, o possiamo cercare di
esplicitar- mando: «Legal scholars, as well as lawyers, legislators, judges,
need to guard against this temptation to pillage other fields without regard
for their full com- plexity and to use the spoils selectively to make legal
arguments», v. BANDES, Introduction, LITTLE, Negotiating the Tangle of Law and
Emotion, in 86 Cornell Law Re- view. Tra
sentimenti ed eguale rispetto la: ben sapendo, beninteso, che l’esplicitazione
non tocca che uno scam- polo del vasto sistema delle nostre premesse implicite.
L’assunzione di un’idea da altri ambiti testuali rimane comunque un gesto
attivo, un atto linguistico generativo, del quale non possiamo non assumerci la
responsabilità epistemologica» 83. Il problema non è solo definitorio ma
implica una presa di posi- zione sul piano epistemologico, con conseguenze sul
merito delle ri- flessioni84: tematizzare problemi concernenti i rapporti fra
diritto e dimensione affettiva porta anche il giurista a prediligere e a
identifi- carsi con una o più proposte ricostruttive. Formarsi un’idea di cosa
siano l’emozione e il sentimento, e in quale accezione si intenda in- trodurre
tali concetti nel discorso penalistico, rappresenta in primo luogo
un’acquisizione importante dal punto di vista della qualità epi- stemica
dell’indagine e delle proposte eventualmente avanzate, e co- stituisce un
impegno sul piano metodologico. 4.2. Sull’uso del termine ‘emozione’ Esigenze
di chiarezza e di coerenza con le fonti bibliografiche ri- chiedono una
puntualizzazione sul piano lessicale, o più precisamen- te, meta-lessicale.
Nella lingua italiana i termini che definiscono gli stati affettivi so- no
diversi: ‘sentimento’ ed ‘emozione’ sono quelli probabilmente più noti, cui si
affiancano anche vocaboli come ‘passione’, ‘sensazione’, ‘impressione’,
‘affezione’, ‘stato d’animo’. In lingua inglese il termine di uso più comune e
dal significato più ampio è ‘emotion’, il quale, a seconda dei diversi
contesti, sembra po- tersi tradurre in italiano sia con ‘emozione’, sia con
‘sentimento’. Più circoscritto appare l’uso del termine ‘feeling’, il quale si
presta a esse- re tradotto letteralmente come ‘sentimento’, al pari dell’ancor
più univoco, ma meno frequente, ‘sentiment’. Diffuso è inoltre l’uso del
termine ‘passion’, il quale sembra connotare un particolare modo 83 MANGHI, Le
emozioni come processi sociali. Considerazioni teorico-epistemo- logiche, in
AA.VV., a cura di Cattarinussi, Emozioni e sentimenti nella vita sociale,
Milano. LITTLE,
Negotiating the Tangle of Law and Emotion, cit., p. 982: «The tax- onomy issue
is not a battle just about what goes on the list; the issue also goes to the
core of what constitutes an emotion and how emotions emerge and
transform». Fenomeni
affettivi e dimensione giuridica 33 d’essere degli stati affettivi, ossia
l’effetto condizionante nei confronti dell’agire umano 85. Se si cerca una
corrispondenza in lingua inglese con la formula ‘tutela di sentimenti’ non si
trova praticamente mai il vocabolo ‘fee- ling’: il discorso giuridico sugli
stati affettivi è fondamentalmente in- centrato sul termine ‘emotion’. Quando
si parla di ‘Law and Emotion’, tale ultimo vocabolo non si riferisce solo ai
fenomeni psichici che possono ricondursi a emozioni in senso stretto, ma
comprende anche gli stati che, come avremo modo di osservare, in lingua
italiana corrisponderebbero a ‘sentimen- ti’. Le questioni che nel panorama di
studi giuridici in lingua italiana richiamano espressamente ‘sentimenti’
trovano dunque nella dottrina nordamericana una rispondenza col termine, più
generico e com- prensivo, ‘emotion’ 86. Tale ambivalenza, se da un lato appare
foriera di ambiguità, da un altro lato mostra una compenetrazione fra i due
fenomeni che sugge- risce, in fase di esposizione e di impostazione dei
problemi, l’uso del termine ‘emozione’ quale traduzione di ‘emotion’ in tutta
la sua porta- ta semantica87, e dunque in modo sostanzialmente intercambiabile
col termine ‘sentimento’. 85 Una panoramica
in DIXON, “Emotion”: The History of a Keyword in Crisis, in Emotion Review. Da notare l’interessante equivoco linguistico nella
traduzione del titolo del celeberrimo romanzo di JANE AUSTEN, Sense and
Sensibility, tradotto, come noto, in italiano come Ragione e sentimento. In
realtà in inglese ‘sensibility’ indica la sensibilità come emotività; sarebbe
stato preferibi- le, come segnalato da Griffith e Davies, autori di un saggio
sull’opera di Jane Austen citato in http://www.unteconjaneausten.com/senno-e-sensibilita-
piu-che-ragione-e-sentimento/, intendere ‘sense’ come risposta ragionata o
pratica a una situazione, mentre ‘sensibility’, come percezione emotiva di tale
situazione. Debbo la segnalazione di tale interessante questione all’amico
Alessandro Corda, che ringrazio. Sull’uso del termine ‘passione’ v. anche
infra, cap. II, nota 1. 86 Un’eccezione da noi riscontrata è relativa a un
saggio di FEINBERG, Senti- ment and Sentimentality in Practical Ethics, in 56
Proceedings and Addresses of the American Philosophical Association, nel quale
il termine ‘senti- ment’ è utilizzato per indicare stati affettivi non
episodici, distinti dall’‘emotion’ sia per la durata, sia per la presenza di un
oggetto cognitivo. In controluce a tale impostazione emerge un complementare
uso del termine emotion volto a indicare stati psicologici privi un oggetto
cognitivo definito, in controtendenza dunque all’opinione di autori come Kahan
e Nussbaum. Osserva DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Etica e teoria del
sentire, Milano, 2008, pp. 21 ss. che «nella lingua franca della filosofia
contemporanea la parte del leone affettivo la fa oggi la parola “emozione”. È
questo il termine che viene di pre- ferenza usato con la stessa generosità
onnicomprensiva di “passioni” in Cartesio, anche se a volte l’uso italiano è
stridente, come lo sono spesso, prima che l’abitu- 34 Tra
sentimenti ed eguale rispetto Il problema di un uso più sorvegliato si porrà al
momento di in- quadrare i profili naturalistici che caratterizzano il
sentimento e l’emozione al fine di verificare, nella prospettiva giuridica, il
senso di una distinzione fra una ‘tutela di sentimenti’ e una ‘tutela di
emozio- ni. Sinossi Il significato e il ruolo del sentimento nel diritto penale
costitui- scono un argomento poco esplorato, il quale può inquadrarsi all’in-
terno di un macroambito riguardante i rapporti fra diritto penale e stati
affettivi. L’insufficiente attenzione ad oggi riservata a tali temi si motiva
anche come effetto di un più generale atteggiamento del pen- siero occidentale
tendente a relegare la dimensione affettiva nella sfe- ra dell’indominabile e
dell’irrazionale; una vulgata attualmente in fa- se remissiva alla quale sta
subentrando una nuova considerazione di sentimenti ed emozioni come elementi
dotati di una peculiare forza non necessariamente negativa, ma anche
potenzialmente virtuosa, nelle dinamiche del pensiero e dell’agire umano. Fra i
diversi problemi concernenti il ruolo degli stati affettivi nella genesi e
nell’applicazione delle leggi penali, quello che ci sembra di più immediata
evidenza, quantomeno se si ha riguardo al lessico dei legislatori, ha a che
fare con la c.d. ‘tutela penale di sentimenti’, o, in termini meno retorici,
con il ruolo del sentimento quale oggetto di tutela. Per tematizzare tale
problema, e più in generale tutte le questioni concernenti i rapporti fra
diritto e dimensione affettiva, si rendono necessarie delle riflessioni
preliminari sul piano epistemologico e me- todologico, profili teorici su cui
si è mostrata particolarmente sensi- bile la dottrina giuridica statunitense
attraverso il filone di studi noto come ‘Law and Emotion’. Seguendo i percorsi
tracciati dai contributi afferenti al suddetto ambito, riteniamo che la
presente indagine debba prendere le mosse da un inquadramento dei fenomeni cui
le norme fanno richiamo. Un impegno che non dovrebbe limitarsi a
un’importazione passiva di sa- peri e definizioni, e che sollecita piuttosto il
giurista a interrogarsi su quale sia la concezione di emozione e di sentimento
più funzionale e dine spenga il disagio, gli anglicismi (sospettiamo infatti
che il senso del termine inglese “emotions” sia più lato di quello del suo
falso amico italiano. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 35 meglio esplicativa
rispetto ai diversi problemi in gioco. Vedremo nel prossimo capitolo quali
siano i principali criteri di differenziazione fra stati affettivi, e quali
profili distintivi appaiano più funzionali al discorso sul problema del
sentimento come oggetto di tutela. 36 Tra sentimenti ed eguale
rispetto SENTIMENTI ED EMOZIONI: CLASSIFICAZIONI E DISAMBIGUAZIONI
«Capire tu non puoi Tu chiamale se vuoi Emozioni» BATTISTI L.-MOGOL, «Io penso
che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni
e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di
raziocinio... una specie di cinghiale laureato in matematica pura» DE ANDRÈ F.,
intervista tratta dal documentario ‘Dentro Faber, l’anarchia’ Definire gli stati affettivi: una sfida
continua. Emozioni. Un quadro
ricostruttivo: dalla matrice filosofica alle neuroscienze. Le emo- zioni come
giudizi di valore: la concezione di Nussbaum. Concezioni ‘meccanicistiche’ e
concezioni valutative dell’emozione: profili di rile- vanza giuridica. La
dimensione sociale delle emozioni. – 3. Sentimenti: componente di riflessività
e dimensione morale. Il pensiero filosofico e i sentimenti morali.
Un’interpretazione fenomenologica. Emozioni e sen- timenti: il senso della
distinzione concettuale. Definire gli stati affettivi: una sfida continua I
termini ‘sentimento’ ed ‘emozione’ definiscono fenomeni appar- tenenti alla
categoria dei cosiddetti ‘stati affettivi’, e additano in que- sto senso
differenze fattuali il cui approfondimento richiede di attin- gere da saperi
esterni al mondo del diritto, tenendo presente che ri- spondere alla domanda
‘che cosa sia un’emozione o un sentimento’ rappresenta ancora oggi una sfida
continua 1, data la difficoltà di cri- 1 BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and
the Law; cfr. SCHERER, What 38 Tra sentimenti ed eguale rispetto
stallizzare nozioni univocamente condivise a livello interdisciplinare. Nella
prospettiva giuridica è opportuno avere chiaro a quali fini si intenda
evidenziarne le differenze2: non si tratta di perseguire una fedeltà al
linguaggio dei legislatori ove adoperino una terminologia più o meno
dettagliata, ma piuttosto di dotarsi di strumenti episte- mici per un’adeguata
interpretazione delle situazioni descritte in eventuali norme e per una
comprensione delle questioni di fondo, anche in una prospettiva de jure
condendo 3. Il rinvio alle scienze psicologiche è funzionale a elaborare delle
definizioni operative idonee a essere impiegate quale chiave di lettura di
problemi penalistici. Ad esempio, in relazione a un interrogativo
particolarmente rilevante nella presente indagine: per quale motivo si tende a
parlare di tutela di ‘sentimenti’ e non di ‘emozioni’? Da un la- to vi è il
riflesso condizionato dal lessico delle disposizioni, ma si tratta ovviamente
di una spiegazione insufficiente ad accreditarne la coerenza. Appare invece
necessario fare chiarezza sulla distinzione fattuale tra i suddetti stati
affettivi e sulle conseguenti ripercussioni sul piano concettuale, al fine di
chiedersi quali differenze possano di- scendere dall’orientare un’eventuale
prospettiva di intervento sulle emozioni piuttosto che sui sentimenti. are
emotions? And how can they be measured? Non adoperemo il ter- mine ‘passione’,
il quale è spesso utilizzato quale sinonimo d’emozione soprat- tutto in
relazione agli aspetti di reattività e di passività, ma assume un significato
più esteso, il quale non si limita al piano psicologico e fenomenico ma tende a
includere una dimensione sociale e culturale, specie nel discorso che
storicamen- te contrappone ‘passione’ e ‘ragione’. Come osserva BODEI,
Geometria delle passioni, Milano: «“Ragione” e “passioni” [fanno] parte di
costellazioni di senso teoricamente e culturalmente condizionate sono cioè
termini pre-giu- dicati, che occorre abituarsi a considerare come nozioni
correlate e non ovvie, che si definiscono a vicenda (per contrasto o per
differenza) solo all’interno di de- terminati orizzonti concettuali e di
specifici parametri valutativi»; cfr. CURI, Pas- sione, Milano. Il termine
passione connota in definitiva una tipologia di stati affettivi caratterizzati
dalla durata transitoria, fra cui rientrano an- che le emozioni, ma non, ad
esempio, i sentimenti; per una ricostruzione in tal senso v. GOZZANO, Ipotesi
sulla metafisica delle passioni, a cura di Ma- gri, Filosofia ed emozioni,
Milano. Nella dottrina penalistica si soffermano sulla distinzione fra
sentimento ed emozione FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti;
NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica; volendo si veda anche BACCO,
Sentimenti e tutela penale, cit., pp. 1186 ss. 3 Si veda l’indagine di NISCO,
La tutela penale dell’integrità psichica, il quale procede a una distinzione
fra emozione e sentimento nell’ambito di una più ampia analisi volta a definire
i tratti identificativi della ‘sofferenza’ come categoria esplicativa
dell’offesa dei processi psichici. Sentimenti ed emozioni:
classificazioni e disambiguazioni Non si possono sviluppare adeguatamente tali
problemi affidan- dosi alla sola psicologia del senso comune, senza tener conto
di come i saperi sugli stati affettivi configurano oggi il rapporto fra
emozioni e sentimenti, e, più in generale, il ruolo della dimensione affettiva
nella vita della persona. Cerchiamo pertanto di procedere a una di-
sambiguazione che evidenzi i tratti distintivi fra i fenomeni definiti
‘emozione’ e ‘sentimento’. 2. Emozioni. Un quadro ricostruttivo: dalla matrice
filosofica alle neuroscienze Prendiamo le mosse dalle emozioni; la definizione
di altri stati af- fettivi viene formulata spesso in termini di comparazione e
di differen- za con l’emozione, la quale mostra pertanto una rilevanza
primaria. Ripercorreremo in estrema sintesi alcuni degli snodi fondamentali
della storia delle emozioni, con particolare attenzione alle teorie del- l’età
moderna e contemporanea, ossia quelle elaborate a partire da quando la
psicologia ha assunto lo statuto di disciplina autonoma 4. Non va però
dimenticato che l’interrogativo su cosa siano le emozioni ha interessato il
pensiero umano fin dall’antichità, ed è a partire dai classici del pensiero
filosofico che si aprono oggi buona parte delle trattazioni sulle emozioni 5.
Osserva lo psicologo Dario Galati che lo studio delle emozioni na- sce come
indagine filosofica; i fenomeni affettivi sono stati conside- rati da sempre
una fondamentale chiave di lettura per lo studio della natura umana, e anche
nell’attuale variegato panorama di branche della conoscenza la matrice
filosofica mantiene una rilevanza pecu- liare: non si può fare psicologia delle
emozioni senza avere un’opi- nione generale – e diciamo pure filosofica – su
ciò che le emozioni sono, sul valore che hanno e sul ruolo che svolgono
nell’esistenza quotidiana degli esseri umani» 6. 4 RIMÈ, La dimensione sociale
delle emozioni, tr. it., Bologna, 2008, p. 29. 5 Un importante esempio è
l’opera di GRIFFITHS, What Emotions Really Are. The Problem of Psychological Categories, Chicago;
SOLOMON, The Philosophy of Emotions, in The Psychologists’ Point of View,
Lewis–Haviland- Jones, Handbook of Emotions, London. Per un’in- teressante prospettiva sulla ‘priorità’
delle emozioni da un punto di vista filosofico si veda VECA, Sulle emozioni, in
Iride. GALATI, Prospettive sulle emozioni, cit., p. 29. Sulla stessa linea di
pensiero v. 40 Tra sentimenti ed eguale rispetto In questa sede possiamo
solo limitarci a rinviare alle belle pagine con cui il filosofo Nicola
Abbagnano riassume la storia filosofica del- le emozioni, descrivendo la
concezione platonica del Filebo (la pri-ma analisi delle emozioni che la
filosofia occidentale ci ha dato) e la teorizzazione aristotelica della
Retorica («una delle più interessanti analisi di cui la filosofia dispone»)7.
Ai fini della presente indagine appare opportuno compiere un salto cronologico
a epoche caratte- rizzate da una più definita differenziazione tra approcci di
studio, e a prospettive che si estendono anche ai profili fisiologici e
‘corporali’ dei fenomeni affettivi. Arriviamo dunque all’Ottocento, cioè quando
lo studio delle emo- zioni viene a focalizzarsi su un approccio
empirico-sperimentale in relazione a movimenti corporei e pattern
comportamentali. L’opera di Charles Darwin segna in questo senso uno
spartiacque e la sua teoria evoluzionistica dell’emozione rappresenta il primo
studio pro- priamente moderno 8. Ma è soprattutto un articolo di William James
9 a consolidare l’approccio empirico, con la celebre teoria secondo cui lo
stato emotivo scaturisce dalla percezione dei cambiamenti biologi- ci e
neurovegetativi innescati da uno stimolo emotigeno. Il carattere innovativo, ma
anche l’aspetto più criticato di tale teoria, è l’inver- sione del rapporto tra
elaborazione cognitiva e stimolo viscerale: l’espe- rienza emotiva come esito
dalla percezione di mutamenti a livello corporeo, e non viceversa. Altrettanto
importante, ma di opinione opposta, è la posizione di Walter Cannon, il quale,
al contrario di James, riteneva che i centri di attivazione dei processi
emotivi siano localizzati in regioni periferi- che del corpo (da cui la
denominazione ‘teoria periferica’), propo- nendo un radicamento del processo di
elaborazione emotiva nella re- gione talamica, in un’area che interessa
principalmente le strutture dell’ipotalamo e dell’amigdala. Su tale ultima
regione del sistema limbico si sono concentrati gli studi in epoca
contemporanea; in particolare, secondo il neuroscien- FRIJDA, voce Emozioni e
sentimenti, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Sono parole di
ABBAGNANO, Storia filosofica delle emozioni. DARWIN, L’ESPRESSIONE DELL’EMOZIONE NELL’ANINMALE E
NELL’UOMO. Torino, JAMES, What is an emotion, Mind. CANNON, The James-Lange
Theory of Emotions: A Critical Examination and an Alternative Theory, The
American Journal of Psychology. Sentimenti
ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 41 ziato Joseph LeDoux, è
l’amigdala ad assumere un ruolo primario nelle dinamiche dei fenomeni
emozionali: non solo nella generazione delle emozioni, ma anche nella gestione
della vita emozionale di un soggetto 11. Questi, in estrema sintesi, alcuni dei
contributi più significativi che orientano verso una descrizione che pone in
primo piano aspetti di attivazione a livello corporeo. Una prospettiva più
genuinamente psicologica 12 si deve agli studi condotti da Stanley Schachter
con la teoria c.d. ‘cognitivo-attivazio- nale’ 13. Lo psicologo statunitense
riconduce l’emozione all’attivazione di una componente di tipo
materiale-corporeo compresa fra due atti cognitivi: il primo è rappresentato
dalla percezione e dalla valutazio- ne di uno stimolo elicitante; il secondo,
successivo all’attivazione dell’arousal14, è costituito dalla riflessione sul
legame causale fra lo stimolo esterno e l’attivazione emozionale interna,
secondo un pro- cesso che viene letteralmente definito come ‘etichettamento’
(label- ling) e che corrisponde a un’elaborazione e a un’interpretazione del
rapporto tra stimolo emotivo ed arousal. Si tratta di un significativo passo
oltre la dimensione fisica delle emozioni, nel quale viene in considerazione
l’esperienza cognitiva del soggetto: l’emozione assu- me una fisionomia
complessa e multifattoriale rivelandosi come mo- mento dialettico fra mente e
corpo, secondo un’interazione guidata da processi non meramente istintuali. Su
tali premesse troveranno sviluppo teorie che assegnano impor- tanza centrale
alle elaborazioni cognitive e alle valutazioni di cui si compone l’esperienza
emotiva, meglio note come ‘teorie dell’appraisal’. Opera di riferimento è uno
studio di Magda Arnold15, che definì 11 LE DOUX, Emotion circuits in the brain,
in Annual review of neuroscience.; ID., Il cervello emotivo. Alle origini delle
emozioni, cit., pp. 49 ss. 12 Sulla definizione del punto di vista psicologico
sulle emozioni v. FRIJDA, The Psychologists’ Point of View, Handbook of
Emotions, SCHACHTER-SINGER, Cognitive, Social and Psychological Determinants of
Emotional State, in Psychological Review. L’arousal (eccitazione, risveglio)
rappresenta il risvolto più propriamente fisico dell’emozione, ossia
l’attivazione nervosa che viene per- cepita dal soggetto a seguito di uno
stimolo emotigeno, la quale può avere diverse gradazioni di intensità e
provocare differenti stati affettivi: ad esempio nell’emo- zione vi sarebbe un
intenso arousal provocato da eventi edonicamente rilevanti che sollecitano una
risposta comportamentale, v. voce Arousal, in Enciclopedia della scienza e
della tecnica, Roma. ARNOLD, Emotion and Personality, New York. Tra sentimenti
ed eguale rispetto l’emozione come una spinta tendente all’attrazione o
all’allontana- mento da un determinato oggetto a seguito di una valutazione di
es- so; tale fase, cosiddetto ‘appraisal’, è seguita da una valutazione se-
condaria, detta ‘reappraisal’, la quale di fatto implica una riflessività sugli
stati che il soggetto ha percepito. Nel solco tracciato delle teorie
dell’appraisal si sviluppano le elabo- razioni di Nico Frijda, secondo il quale
le emozioni costituiscono ri- sposte modulate sulla struttura di significato di
una determinata situa- zione: ‘significato’ da intendersi come attribuzione di
senso in termini di positività o negatività da parte di un individuo. Elemento
centrale dell’esperienza emotiva è la soggettività: la dimensione individuale è
chiave di lettura della complessità e della variabilità delle emozioni 16. Le
considerazioni di Frijda, e più in generale le teorie dell’appraisal, conducono
verso l’inquadramento delle emozioni come «mediatori complessi fra il mondo
interno e quello esterno che variano secon- do alcune dimensioni continue,
quali la valenza edonica (piacevolez- za o spiacevolezza), la novità (o meno)
degli eventi elicitanti, il livello di attivazione, il grado di controllo dei
medesimi, la compatibilità (o meno) con le norme sociali di riferimento. La
prospettiva intrapsichica si apre in questo modo all’inclusione di aspetti cognitivo-valutativi
che sono esito del continuo processo di giudizio che il soggetto compie nel suo
rapportarsi alla realtà: «l’indi- viduo è continuamente impegnato in operazioni
di valutazione cogni- tiva, con le quali egli mette a confronto la sua percezione
della situa- zione attuale con una sorta di visione prospettica, che gli deriva
dalla conoscenza del mondo, dalle sue credenze di base, dalle norme a cui si
conforma e dai diversi obiettivi temporanei e permanenti che persegue. Negli
anni a noi più vicini il panorama di conoscenze e di approc- ci di studio è
andato arricchendosi, anche a seguito dell’avvento delle neuroscienze
cognitive, una disciplina che nasce all’inizio degli anni Ottanta del Novecento
e che porta a una nuova auge la dimensione neurobiologica19, grazie a
innovative tecniche che consentono di vi- FRIJDA, voce Emozioni e sentimenti,
cit., p. 568; più ampiamente v. ID., Emozioni, tr. it., Bologna,
ANOLLI-LEGRENZI, Psicologia generale, Bologna, RIMÈ, La dimensione sociale
delle emozioni. DAMASIO, Emotions
and feelings: a neurobiological perspective, ed. by Mansted-Frijda-Fischer,
Feelings and Emotions. The Amsterdam
Symposium, Cambridge, Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni
43 sualizzare l’attività del sistema neurale delle emozioni. Si deve
soprattutto all’opera scientifica e divulgativa del neuro- scienziato Antonio
Damasio un importante tentativo di definire l’emo- zione e di studiarne le
strette connessioni con il ragionamento e con l’agire che definiamo ‘razionale’.
L’articolata proposta di Damasio per dare una fisionomia all’emozione è la
seguente: «l’insieme dei cambiamenti dello stato corporeo che sono indotti in
miriadi di organi dai terminali delle cellule nervose, sotto il controllo di un
apposito sistema del cervello che risponde al contenuto dei pen- sieri relativi
a una particolare entità, o evento. Per concludere, l’emo- zione è frutto del
combinarsi di un processo valutativo mentale, sem- plice o complesso, con le
risposte disposizionali a tale processo, per lo più dirette verso il corpo, che
hanno come risultato uno stato emotivo del corpo, ma anche verso il cervello
stesso che hanno come risul- tato altri cambiamenti mentali. Per un quadro
generale v. DE PLATO, Il modello delle emozioni, a cu- ra di De Plato,
Psicologia e psicopatologia delle emozioni, Bologna; BELLODI-PERNA, Emozioni e
neuroscienze, in AA.VV., a cura di Rossi, Psichiatria e neuroscienze, in
Trattato italiano di psichiatria, Milano, 2006, pp. 35 ss. Fra gli studi sulle
emozioni che si avvalgono di tecniche neuroscientifiche possiamo includere i
già citati contributi di Antonio Damasio e di Le Doux (v. supra, nota 11); di
quest’ul- timo ricordiamo inoltre LE DOUX, Il Sé sinaptico. Come il nostro
cervello ci fa diven- tare quello che siamo, tr. it., Milano, 2002. L’oggetto
di studio delle neuroscienze co- gnitive si estende anche al di là delle
emozioni, e le acquisizioni delle neuroscienze sono sempre più frequentemente
oggetto di interesse da parte dei giuristi penali: per una sintesi v. GRANDI,
Neuroscienze e responsabilità penale. Nuove soluzioni per problemi antichi?,
Torino, 2016; BERTOLINO, Il vizio di mente tra prospettive neuro- scientifiche
e giudizi di responsabilità penale, in Rass. it. criminologia; EAD.,
Imputabilità: scienze, neuroscienze e diritto penale, in AA.VV., a cura di Pa-
lazzani-Zannotti, Il diritto nelle neuroscienze. Non “siamo” i nostri cervelli,
Torino, 2013, pp. 145 ss.; EAD., L’imputabilità penale fra cervello e mente, in
Riv. it. med. leg.; GIOVINE O., Chi ha paura delle neuroscienze, in Arch. pen.;
EAD., voce Neuroscienze (diritto penale), in Enciclopedia del dirit- to, Annali
VII, 2014, pp. 711 ss. EUSEBI, Neuroscienze e diritto penale: un ruolo diver-
so del riferimento alla libertà, in AA.VV., a cura di Palazzani-Zannotti, Il
diritto nelle neuroscienze; CORDA, Riflessioni sul rapporto tra neuroscienze e
im- putabilità nel prisma della dimensione processuale, in Criminalia, 2013,
pp. 497 ss.; ID., Neuroscienze forensi e giustizia penale tra diritto e prova
(Disorientamenti giuri- sprudenziali e questioni aperte), in Arch. pen.
(Rivista web), 3/2014, pp. 1 ss.; ID., La prova neuroscientifica. Possibilità e
limiti di utilizzo in materia penale, Ragion Pratica; FUSELLI, Le emozioni
nell’esperienza giuridica: l’impatto delle neuroscienze, in AA.VV, a cura di
Palazzani-Zannotti, Il diritto nelle neuroscienze, cit., pp. 53 ss. 21
DAMASIO, L’errore di Cartesio, cit., pp. 201 s. 44 Tra sentimenti ed
eguale rispetto Com’è evidente anche da questa sintetica trattazione, la mole
di approcci e di contributi è tale da rendere difficoltoso definire l’emo-
zione: è possibile individuare dei punti di convergenza tali da poter indicare
al giurista dei tratti caratterizzanti? Nella dottrina giuridica americana gli
studiosi Bandes e Blumen- thal, dopo aver formulato il caveat metodologico di
non avventurarsi alla ricerca di ‘definizioni universali’, propongono una
sintesi di ciò che a loro avviso può ritenersi condiviso nei diversi ambiti
disciplina- ri, inquadrando le emozioni come: «un insieme di processi
valutativi e motivazionali, che coinvolgono completamente il cervello, i quali
ci aiutano a valutare e a reagire agli stimoli, e che prendono forma,
significato e vengono comunicati in un contesto sociale e culturale. Le emozioni
influiscono sul modo in cui selezioniamo, classifichiamo e interpretiamo
informazioni; influenza- no le nostre valutazioni sulle intenzioni e sulla
credibilità degli altri; e ci aiutano a decidere cosa sia importante o abbia
valore. Cosa forse più importante, ci guidano nel fare attenzione ai risultati
del nostro agire e forniscono motivazioni per agire o per astenersi dall’agire
nelle situazioni che valutiamo. Riteniamo tale definizione una buona base per
il prosieguo dell’in- dagine, in quanto l’ampiezza è tale da coinvolgere
diversi profili del- l’esperienza affettiva: è presente la dimensione
neurobiologica, si fa riferimento all’interazione col contesto sociale e
culturale, viene evi- denziato che le emozioni contribuiscono a guidare sia il
pensiero co- gnitivo sia, conseguentemente, l’azione umana. Approfondiamo
alcuni dei suddetti aspetti, a partire dal chiari- mento di cosa si intenda per
emozione come ‘giudizio di valore, analizzando di seguito due prospettive di
approccio alle emozioni nel discorso giuridico, ossia la concezione
meccanicistica e quella valutativa. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. Ex plurimis,
v. VECA, Dell’incertezza. Tre
meditazioni filosofiche, Milano. Sentimenti ed emozioni: classificazioni e
disambiguazioni Le emozioni come giudizi di valore: la concezione di Nussbaum
Un’opera che a nostro avviso sintetizza emblematicamente la ri- scoperta della
dimensione emozionale nella vita di relazione, e so- prattutto nella dimensione
politica, è il saggio di Nussbaum ‘Upheveals of Thought’, autentico esempio di
approccio interdisciplinare allo studio dei fenomeni emotivi: psicologia
cognitiva, neuroscienze, antropologia, etologia, filosofia morale vengono
convogliate in un flusso epistemico nel quale non si avverte disomo- geneità ma
sincretismo. Uno studio non collocabile in una corrente definita, il quale
interseca differenti campi e prospettive al fine di in- terpretare il ruolo
delle emozioni nelle scelte del singolo e nella di- mensione collettiva. Il
titolo italiano si distacca dalla traduzione letterale (sommovimenti del
pensiero), e con enfasi retorica forse eccessiva recita ‘L’intelligenza delle
emozioni’; il messaggio dell’opera è più comples- so, ma il tema di fondo può
essere sostanzialmente identificato con una ricerca sull’intelligenza nelle
emozioni: un dato non scontato ma da valutarsi con attenzione, intendendo con
intelligenza un giudizio sulla ‘bontà’ e sull’affidabilità dell’emozione.
Secondo Martha Nussbaum l’emozione si fonda su un giudizio di valore: ha cioè
un contenuto proposizionale di tipo valutativo e una componente
intenzionale-cognitiva26 che la pone in relazione con un oggetto (c.d. ‘oggetto
intenzionale’). Non è un evento prettamen- te fisico, ‘meccanico’ e viscerale,
ma si articola in un giudizio sulla realtà esterna il quale è a sua volta
modulato sulle credenze del sog- getto. Sono le credenze a influire in modo
determinante sulla qualità dell’emozione, la quale non è giudicabile in sé come
vera o falsa, bensì come più o meno appropriata. Credenze errate possono gene-
NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit. 25 Viene fatto notare come tale
traduzione avrebbe consentito di salvare la ci- tazione di Proust, il quale
definì le emozioni ‘soulèvements géologiques de la pen- sée’, v. FURST,
Sommovimenti del pensiero: la teoria delle emozioni di Nussbaum,
athenenoctua.it/sommovimenti-del-pensiero. NUSSBAUM, L’intelligenza delle
emozioni. Ciò che può essere valutato in termini di verità o falsità sono le
credenze re- trostanti l’emozione; credenze false generano emozioni che possono
essere valu- tate come più o meno appropriate, ma si tratta comunque di
emozioni ‘vere’, v. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni. Tra sentimenti ed
eguale rispetto rare emozioni inappropriate a seconda dei contesti: le emozioni
pos- sono essere dunque, a loro volta, valutate. Questo rapporto fra ‘nor-
matività interna’ e ‘normatività esterna’ all’emozione risulta cruciale per
l’evoluzione degli sviluppi del pensiero della studiosa americana: è infatti su
tale presupposto che si fondano i successivi studi sull’affi- dabilità politica
delle emozioni. A quali condizioni un determinato atteggiamento emotivo dei
sin- goli e, soprattutto, della collettività – inteso come emozione social-
mente diffusa – può essere assecondato dalle istituzioni e ‘riconosciu- to’
anche attraverso norme giuridiche? L’interrogativo rimanda al raffronto tra il
giudizio di valore sulla base del quale l’emozione si genera, e l’orizzonte
assiologico che si assuma a riferimento per gli assetti sociali e istituzionali.
Martha Nussbaum ha il merito di aver messo a tema la dimensio- ne politica
delle emozioni evidenziandone le profonde connessioni con l’etica pubblica, con
i valori costitutivi di un ordinamento e dun- que con la genesi e le ricadute
applicative di istituti giuridici, in un discorso che attraversa numerose
discipline ma che cerca costante- mente nel diritto e nella teoria politica gli
interlocutori privilegiati. La sua opera, dall’eloquente titolo ‘Emozioni
politiche’, rappresenta in questo senso una proposta teorica ispirata ai canoni
del liberali- smo, nella quale si esorta al buon uso delle emozioni in sede
pubblica quale strumento di pedagogia civile. Non vanno però dimenticati
ulteriori contributi della studiosa americana, incentrati su profili più vicini
alla dimensione giuridica, e in particolare sulla concezione di emozione che
dovrebbe essere adottata dal giurista come punto di partenza nelle riflessioni
perti- nenti Law and Emotion, alla luce dell’alternativa fra un modello bio-
logico-meccanicistico e un modello cognitivo-valutativo. Vediamo in dettaglio
quanto osservato in tale studio. NUSSBAUM, Emozioni politiche. Perché l’amore
conta per la giustizia, tr. it., Bologna, 2014. 29 Anche in relazione alla
figura del giudicante e alle sue emozioni, e con par- ticolare riguardo alla
giusta compassione che dovrebbe accompagnarne le deci- sioni, v. NUSSBAUM,
L’intelligenza delle emozioni; NUSSBAUM, Giu- stizia poetica. Immaginazione
letteraria e vita civile, tr. it., Milano. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of
Emotion in Criminal Law, in 96 Co- lumbia Law Review, Sentimenti ed emozioni:
classificazioni e disambiguazioni. Concezioni ‘meccanicistiche’ e concezioni
valutative del- l’emozione: profili di rilevanza giuridica Nella prospettiva
giuridica è fondamentale interrogarsi sull’alter- nativa fra interpretazioni
dell’emozione legate a paradigmi stretta- mente fisicalistici e concezioni
incentrate sull’emozione come giudi- zio di valore. Dan Kahan e Martha Nussbaum
riassumono tali ap- procci nella diade composta da concezione meccanicistica e
concezione valutativa (mechanistic and evalutative conception). Secondo la
visione meccanicistica, le emozioni sono equiparabili a forze ‘non pensanti’
che spingono una persona all’azione; per la ‘evalutative conception’ invece
l’emozione scaturisce dalla relazione, definibile in base a un valore edonico
(ossia di maggiore o minore piacere), con un oggetto cosiddetto intenzionale.
Le emozioni sono rivolte a un quid materiale, cognitivo o immaginativo: non
sono energie naturali prive di oggetto ma sono in relazione about a qualcosa. In
secondo luogo l’oggetto è intenzionale: ovvero, esso appare nell’emozione nel
modo in cui lo vede o lo interpreta la per- sona che prova l’emozione stessa. L’approccio
valutativo mostra una migliore rispondenza in rap- porto ai fenomeni e trova
oggi un maggiore consenso rispetto all’al- ternativa meccanicistica. Ma quali
conseguenze discendono dall’aval- lo di concezioni valutative piuttosto che
meccanicistiche in relazione ai problemi penali? Ragionare in termini di
approccio meccanicistico, e trattare le emozioni come meri impulsi senza
considerarne la componente co- gnitiva, non offre strumenti per spiegare come
le emozioni si possano differenziare ‘qualitativamente’ e dunque valutare. Come
abbiamo precedentemente osservato, il nucleo della concezione valutativa po- 31
«without embodying ways of thinking about or perceiving objects or situa- tions
in the world», v. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion in Criminal Law, «thought
of a particular sort, namely appraisal or evaluation and, moreover, evaluation
that ascribes a reasonably high importance to the object in question», v.
KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion; il concetto è ripreso in NUSSBAUM,
L’intelligenza delle emozioni, cit., pp. 50 ss.; cfr. CALABI, Le varietà del
sentimento, cit., pp. 276 ss., la quale ricostrusce il concetto di
‘razionalità’ del- l’emozione in base al rapporto tra fondamenti cognitivi e
antecedenti cognitivi. Sulla definizione di ‘cattive emozioni’ intese come
fallimentari dal punto di vista cognitivo, v. TAPPOLET, Le cattive emozioni, in
AA.VV., a cura di Tappolet-Teroni- Konzelmann Ziv, Le ombre dell’anima. Pensare
le emozioni negative, tr. it., Milano. Tra sentimenti ed eguale rispetto stula
che l’emozione nasca da un giudizio che il soggetto elabora sul- la base di
credenze; si può parlare in questo senso di una ‘razionalità’ dell’emozione in
termini normativi, ossia modulata su pretese e aspettative che hanno a che fare
con gli equilibri della convivenza 33. Secondo Kahan e Nussbaum il significato,
e il disvalore, di una condotta non coincidono semplicemente con le conseguenze
prodotte ma sono l’esito di una contestualizzazione che deve prendere in esame
anche le motivazioni, e dunque, la matrice emozionale dell’agire 34.
Un’implicita adesione alla concezione valutativa è alla base del modello di
responsabilità che fa leva sul principio di colpevolezza e sulla rieducazione36:
è l’idea di emozione come giudizio di valore piuttosto che come moto
irriflessivo a porsi come criterio per la valu- tazione della responsabilità
penale e anche come chiave di lettura criminologica delle condotte. La
concezione meccanicistica non riesce a dar conto dell’intreccio fra stati
soggettivi e percezioni di valore, e configura una sensibilità meramente
epidermica senza coloriture di senso, la quale non appare funzionale a
tematizzare la problematica dell’attendibilità del giudi- zio sulla situazione
che abbia cagionato un’emozione negativa. Rileva Nussbaum che il diritto
definisce l’adeguatezza di una rea- zione emotiva adottando una prospettiva
basata sull’immagine di ‘uomo ragionevole’, v. NUSSBAUM, Nascondere l’umanità.
Il disgusto, la vergogna, la legge, tr. it., Bari. KAHAN-NUSSBAUM, Two
Conceptions of Emotion, cit., p. 352. 35 La concezione normativa della
colpevolezza come ‘atteggiamento antidove- roso’ sottende la possibilità di un
giudizio concernente ciò che è stato fatto in rapporto a ciò che si sarebbe
dovuto fare. Le diverse articolazioni di questo giudi- zio, soprattutto il
nesso psichico (dolo e colpa) e la verifica dell’imputabilità, non
funzionerebbero se si attribuisse all’agente un’emotività priva di contenuti
cogni- tivi apprezzabili sotto il profilo della normatività, ossia
‘giudicabili’ in base a cri- teri di ragionevolezza e adeguatezza alle
situazioni; per una sintesi, v., ex pluri- mis, BARTOLI R., Colpevolezza. L’approccio
valutativo apre alla possibilità che le emozioni di un soggetto si prestino
anche a percorsi rieducativi, v. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion. Per
un’analisi criminologica dei rapporti tra emozioni, riflessività ed agire
violento v. CERETTI-NATALI, Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali,
Milano. È emblematico il saggio di FEINBERG, Sentiment and Sentimentality,
avente ad oggetto problemi del tutto collimanti con la tutela di sentimenti del
codice penale italiano, nel quale l’Autore dichiara espressamente che la
nozione di ‘sentimento’ da lui adoperata si caratterizza per il fatto di avere
un oggetto cogniti- vo, di essere ‘riguardo a qualcosa’: «there is an
irreducible “aboutness” to it». Sentimenti ed emozioni: classificazioni e
disambiguazioni 49 Anche con riferimento al problema della tutela di sentimenti
(e/o di emozioni), assumere come presupposto la concezione meccanici- stica non
avrebbe semplicemente senso, poiché non consentirebbe di focalizzare
l’attenzione sulla cause emotigene e sugli oggetti inten- zionali, e non sarebbe
pertanto funzionale allo sviluppo di un discor- so sui criteri di rilevanza
normativa (di adeguatezza e di meritevolez- za) di un determinato atteggiamento
del sentire. La dimensione sociale delle emozioni Analizzata l’emozione come
giudizio di valore, è importante prenderne in considerazione la dimensione
sociale: una prospettiva incentrata non sul versante solipsistico bensì sul
piano interperso- nale e collettivo, e dunque sul ruolo cognitivo e
comunicativo delle emozioni 39, considerate come oggetto di costruzione sociale
il quale è in grado di influenzare, a sua volta, l’esperienza delle situazioni
sociali 40. La principale disciplina che si occupa di questi temi è la sociolo-
gia delle emozioni, la cui nascita viene convenzionalmente collocata a metà
degli anni Settanta 41. Ciò non significa che i sociologi avesse- ro ignorato
le emozioni, ma fino ad allora gli studi ad esse specifica- mente dedicati
risultavano di pertinenza di altre discipline. Il muta- mento di paradigma
coincide con una diversa considerazione del fe- nomeno emotivo, visto non più
come espressione irrazionale e di- storsiva dell’organizzazione sociale, ma
come fattore indispensabile per la comprensione dei fatti sociali. L’attore
sociale si sveste dell’aura di pura razionalità per divenire anche attore
emozionale, il quale non è in contrapposizione con l’attore razionale «ma ne è
invece un’altra faccia, una sua parte costi- tutiva e ineliminabile e non va
inteso come un soggetto spontaneo, 39 Per una panoramica di sintesi e per richiami
bibliografici su approccio in- tra-personale e inter-personale, v.
VELOTTI-ZAVATTINI-GAROFALO, Lo studio della regolazione delle emozioni:
prospettive future, in Giornale italiano di psicologia, 2/2013, pp. 249 ss.;
PULCINI, Per una sociologia delle emozioni, in Rassegna italiana di sociologia.
RIMÈ, La dimensione sociale delle emozioni, WENTWORTH-RYAN, L’equilibrio fra
corpo, mente e cultura: il posto dell’emozione nella vita sociale, La
sociologia delle emozioni. CATTARINUSSI, Sentimenti ed emozioni nella
riflessione sociologica, in AA.VV., a cura di Cattarinussi, Emozioni e
sentimenti nella vita sociale. Tra sentimenti ed eguale rispetto libero da
vincoli e costrizioni»42. Da un lato le emozioni vengono considerate come un
importante elemento per la comprensione del- l’agire sociale 43, e
simmetricamente l’ambiente sociale si pone a sua volta come chiave di lettura
di atteggiamenti emozionali dei singoli, in un rapporto di influenza reciproca
44. Questa prospettiva rappresenta un importante contributo non solo allo
studio delle emozioni45, ma anche in relazione all’approfondi- mento dei temi
di Law and Emotion, poiché gli approcci focalizzati sulla dimensione
individuale rischiano di essere limitanti, in ragione del fatto che esistono
emozioni la cui genesi e le cui dinamiche sono meglio definibili attraverso il
riferimento all’ambiente sociale 46. Uno sguardo alla dimensione sociale e
culturale dei fenomeni emotivi può favorire un più esaustivo approfondimento
delle intera- zioni fra emozioni e diritto, aprendo la strada a molteplici
traiettorie di ricerca, come sottolinea la dottrina statunitense 47. Basta uno
sguar- do ad alcuni dei capisaldi teorici che la sociologa Gabriella Turnaturi
inquadra come linee conduttrici dell’analisi sociologica delle emo- zioni48 per
individuare questioni che possono intrecciarsi virtuosa- mente con la
riflessione giuridica. Qualche cursorio esempio: ci sem- 42 TURNATURI,
Introduzione, in La sociologia delle emozioni. DOYLE MCCARTHY, Le emozioni sono
oggetti sociali. Saggio sulla sociologia delle emozioni, in AA.VV., a cura di
Turnaturi, La sociologia delle emozioni. Il termine sociale, molto
semplicemente, vuole qui richiamare l’idea che la parola “emozioni” possa/debba
evocare eventi e processi che hanno luogo entro contesti interattivi e
comunicativi, piuttosto che eventi e processi che hanno luo- go entro i confini
del singolo organismo e/o della singola psiche», v. MANGHI, Le emozioni come
processi sociali, cit., p. 40. 45 La sociologa Arlie Hochschild identifica quale
ostacolo a un serio studio sul- la natura delle emozioni la tendenza a
considerarle esclusivamente come un fe- nomeno affettivo individuale, v.
BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. Osserva KEMPNER, Social Models in the
Explanation of Emotions, Handbook of Emotions, che lo sviluppo di una larga
parte di ciò che chiamiamo ‘personalità’ è un prodotto sociale. 46 Pensiamo ad
esempio alla vergogna, e al radicamento che essa può raggiun- gere fino a
connotare la fisionomia di una società; si parla di questo senso di ‘cul- ture
della vergogna’ in alternativa alle cosiddette ‘culture della colpa’. Su tale
di- stinzione, originariamente elaborata dall’antropologa statunitense Ruth
Benedict, v., sintenticamente, CATTARINUSSI, Sentimenti ed emozioni. Per
un’analisi della dimensione pre-sociale della vergogna, v. NUSSBAUM, Nascondere
l’umanità. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, TURNATURI, Introduzione, in
La sociologia delle emozioni. Sentimenti ed emozioni: classificazioni e
disambiguazioni bra di particolare interesse l’osservazione secondo cui ogni
società ha delle regole implicite concernenti le situazioni attivanti e le
modalità espressive delle emozioni: le cosiddette feeling rules. Ebbene, il te-
ma potrebbe assumere rilevanza anche in relazione al problema del sentimento
quale oggetto di tutela: le regole, più o meno implicite, che definiscono quali
emozioni siano giustificate, accettabili, dovero- se o immotivate rappresentano
una coordinata importante, forse l’elemento più significativo, per la definizione
di quello che il diritto penale ha spesso evocato sotto le forme del ‘sentire
comune. Potremmo in questo senso parlare di feeling rules come elemento del
contesto sociale che contribuisce a imprimere una fisionomia a ciò che i
legislatori hanno definito ‘sentimenti’. Ma sono diversi, e non analizzabili in
questa sede, gli ulteriori profili in rapporto ai quali l’analisi sociologica
dell’emozione può fornire importanti chiavi di lettura di problemi afferenti al
diritto pe- nale 51. Si tratta quindi di non limitare l’angolo visuale alla
dimensio- ne soggettiva del fenomeno emotivo, soprattutto in relazione a temi
in cui risulta fondamentale la riflessione sugli equilibri politico-
deliberativi e sulla ‘normatività’ delle emozioni. 3. Sentimenti: componente di
riflessività e dimensione morale Veniamo ora a esaminare il sentimento, e
prendiamo le mosse dalla dimensione neurobiologica. Sono d’aiuto ancora una
volta gli spunti di DAMASIO (si veda), il quale nel suo ‘L’errore di Cartesio’ define
l’emozione come processo valutativo mentale che induce cambiamenti a livello
corporeo, e ha successiva- mente distinto i sentimenti in due categorie:
‘sentimenti delle emo- zioni’ e ‘sentimenti di fondo’. I primi, strettamente
legati alle emozio- ni, sono costituiti dall’esperienza che il soggetto prova a
seguito dei Sulla genesi del concetto, v. HOCHSCHILD, Emotion Work, Feeling
Rules, and Social Structure, in American Journal of Sociology. In questo senso
si potrebbero teorizzare connessioni anche con il tema pe- nalistico delle c.d.
Kulturnormen; v., per tutti, CADOPPI, Il reato omissivo proprio, vol. I,
Profili introduttivi e politico criminali, Padova. Si veda ad esempio NISCO, La
tutela penale dell’integrità psichica, quando afferma che strutturare le
emozioni, a partire dal tipo di situazione sociale in grado di generarle, può
aiutare, nell’analisi delle norme penali, ad indi- viduare una soglia di rischio
illecito all’interno della condotta tipica. Tra sentimenti ed eguale rispetto
cambiamenti indotti dalle emozioni: «l’essenza del sentire un’emo- zione è
l’esperienza di tali cambiamenti in giustapposizione alle im- magini mentali
che hanno dato avvio al ciclo» 52; mentre i ‘sentimenti di fondo’ appaiono come
stati duraturi, radicati nel soggetto e non legati a emozioni contingenti. La
distinzione viene affinata in uno studio successivo, ove si os- serva che nel
sentimento vi è qualcosa di più che la percezione di un oggetto intenzionale;
secondo Damasio ad essere oggetto di perce- zione è lo stato edonico che si manifesta
a seguito del contatto con un determinato stimolo emotigeno: «un sentimento è
la percezione di un certo stato del corpo, unita alla percezione di una
particolare modalità di pensiero nonché di pensieri con particolari contenuti.
Le emozioni sono movimenti in larga misura pubblici, ossia percepi- bili e
visibili; i sentimenti appaiono invece come moti di pensiero di tipo
riflessivo, «invisibili a chiunque salvo che al loro legittimo pro- prietari.
Le emozioni si esibiscono nel teatro del corpo; i senti- menti in quello della
mente. Al di là delle osservazioni sul piano neuroscientifico, ciò che in
questa sede è bene sottolineare sono le implicazioni su un piano più
propriamente antropologico-filosofico56, e in particolare sul ruolo che i
sentimenti assumono nelle dinamiche comportamentali. L’ipo- tesi di Damasio è
che il sentimento rappresenti una guida nei proces- si decisionali, e risulta
particolarmente interessante l’osservazione secondo cui tale fenomeno affettivo
assume una funzione riflessiva in grado di fornire coordinate e criteri di
demarcazione fra piacere e do- lore più complessi e stratificati rispetto a
quelli che la mappe neurali trasmettono sulla base delle sole funzioni vitali a
livello biologico: «I sentimenti coscienti sono eventi mentali cospicui che
richiamano l’attenzione sulle emozioni che li hanno generati e sugli oggetti
che, a loro volta, hanno indotto quelle emozioni. Negli individui che hanno
anche un sé autobiografico – il senso di un passato personale e di un DAMASIO,
L’errore di Cartesio. DAMASIO, L’errore di Cartesio. DAMASIO, Alla ricerca di
Spinoza. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. Per la verità tutt’altro che
trascurate dallo stesso Damasio, il quale inquadra la propria opera come ideale
prosecuzione del pensiero di Baruch Spinoza, v. DAMASIO, Alla ricerca di
Spinoza. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. Sentimenti ed emozioni:
classificazioni e disambiguazioni 53 futuro anticipato, senso noto anche come
coscienza estesa – lo stato del sentimento induce il cervello a porre in
posizione saliente gli og- getti e le situazioni legate all’emozione. Se
necessario, il processo di stima che porta dall’isolamento dell’oggetto al
sorgere dell’emozione può essere rivisitato e analizzato. Poiché hanno luogo in
uno scenario autobiografico, i sentimenti generano un interesse per l’individuo
che li sperimenta. Il passato, il presente e il futuro anticipato ricevono la
giusta attenzione e hanno maggiori possibilità di influenzare il ragio- namento
e il processo decisionale» 58. La teorizzazione di Damasio descrive sentimenti
ed emozioni co- me parti complementari di un processo, non come fenomeni
dicoto- mizzati: richiamare l’emozione significa additare l’esteriorità e la
di- namicità di uno stimolo, le contingenze dovute al contatto con un certo
tipo di fattori emotigeni; richiamare il sentimento significa en- trare ‘in
interiore homine’, confrontarsi con l’elaborazione che analiz- za lo stimolo
emotivo e ne valuta il peso nella soggettività dell’indi- viduo: «un sentimento
è la percezione di un certo stato del corpo, unita alla percezione di una
particolare modalità di pensiero nonché di pensieri con particolari contenuti»
59. Il sentimento appare in definitiva come esito di una mediazione riflessiva
che può avvenire non in tutti gli organismi, ma solo in quel- li che posseggono
la capacità di rappresentarsi il proprio corpo all’in- terno di sé stesso. Il
pensiero filosofico e i sentimenti morali. Un’interpreta- zione fenomenologica
Quanto osservato in ambito neuroscientifico sembra accreditare la portata del
tutto peculiare che il sentimento assume nella dimen- sione affettiva
dell’individuo come momento di incontro tra perce- zione e riflessione, ossia
come «medio necessario tra il sentire sensi- tivo e l’intelligenza concettuale.
Passando ora a un approccio incentrato più sulla dimensione teo-
retico-concettuale che sulla distinzione fenomenica, va specificato DAMASIO,
Alla ricerca di Spinoza. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. DAMASIO, Alla
ricerca di Spinoza. MASULLO, voce Sentimento, Enciclopedia filosofica, Milano. Tra
sentimenti ed eguale rispetto che l’inquadramento di una specifica nozione di
sentimento non fi- gura nei classici della filosofia, da Aristotele, a Cartesio
e fino a Hume [cf. Grice, HUMEIAN PROJECTION], ma comincia a delinearsi a
partire dal XVIII secolo. Sottolinea Aldo Masullo che un simile affinamento è
legato anche a sviluppi del- la teoria politica: «L’assunzione da parte del
sentimento di una sua specificazione forte è promosso dalla diffusa tensione
della cultura illuministica che, per la nuova esigenza storica di fondare
un’etica cosmopolitica, è assillata dal bisogno di scoprire un principio
coesivo razionalmente argomen- tabile e nient’affatto razionalmente
relativistico, generalmente ricono- scibile ma non dommaticamente irrigidibile»
63. Sono soprattutto alcuni studi dei cosiddetti filosofi moralisti in- glesi a
definire il sentimento ‘forma sintetica dell’universale’ e fon- damento
dell’umana convivenza, ossia principio coesivo nei rapporti umani, come recita
l’opera di Adam Smith sui sentimenti morali 64. Si tratta di un indirizzo
filosofico che ha come esponente di spicco Da- vid Hume, e che affonda le
proprie radici nel sentimentalismo inglese di Shaftesbury e Hutcheson 65. Idea
portante è la riconducibilità della moralità dell’agire a una matrice affettiva
(per Hume, il cosiddetto PRINCIPIO DELLA SIMPATIA). CURI, Passione, cit., p. 9.
63 MASULLO, voce Sentimento/ SMITH, Teoria dei sentimenti morali, tr. it.,
Milano; per una riflessione sulle interazioni fra le teorie smithiane, in
particolare il concetto di ‘simpatia’, e il diritto penale, v. CADOPPI,
Simpatia, antipatia e diritto penale, a cura di Di Giovine O., Diritto penale e
neuroetica. MORRA-BONAN, voce Sentimentalismo, in AA.VV., Enciclopedia
filosofica, vol. XVI, Milano. Per una sintesi v. LECALDANO, Prima lezione di
filosofia morale, Bari L’Autore osserva che «non bisogna confondere il piano
della rico- struzione genealogica o genetica della nostra capacità di trarre
distinzioni mo- rali, con la riflessione su quali siano i giudizi morali
corretti». L’opzione per una teoria sentimentalistica ha una valenza in primo
luogo metaetica; a livello di etica sostantiva si apre infatti il problema di
«[affiancare] una concezione normativa sul contenuto da privilegiare come
moralmente rilevante», v. ID., Prima lezione. Da ciò, la critica a concezioni
che, sulla base degli studi di neuroscienze, si sono mosse nella direzione di
offrire una ricostruzione in termini ‘realistico-emozionali’ del
sentimentalismo morale: «queste ricerche [...] suscitano dubbi laddove accampano
la pretesa di aver identificato una base fisiologica o biologica a cui l’etica
può essere ridotta nella sua interezza. Il sentimento morale non va
caratterizzato sostantivamente, anche per non con- Sentimenti ed
emozioni: classificazioni e disambiguazioni. Venendo a sviluppi più recenti,
relativamente ai rapporti tra senti- re e dimensione morale appare a nostro
avviso particolarmente inte- ressante per il giurista uno studio di matrice
fenomenologica di Monticelli, nel quale il tema del sentire diviene oggetto di
un problema etico in relazione sia alla formazione del singolo individuo
(l’etica del sentire intesa come qualità etica – maggiore o minore
‘correttezza’ – delle disposizioni del sentire di un soggetto) sia ad aspetti
relazionali (la ricerca del giusto spazio – e dunque di limiti eticamente
tollerabili – alla fioritura dell’individuo, intesa come realizzazione della
sua personalità, resa unica e peculiare dalle disposi- zioni del sentire).
Secondo tale studio, l’esperienza affettiva è riconducibile a due di- mensioni
essenziali: il sentire e il tendere. Il sentire implica un recepi- re, il
tendere è invece un vettore d’azione: «se diciamo che una persona è sensibile
non intendiamo affatto dire che è eccitabile, e neppure che manca di
obiettività, al contrario intendiamo dire che è più di altri ca- pace di
discriminazione, e quindi di verità nell’esercizio del sentire» 68. Negli
individui non è infatti riscontrabile il medesimo livello di matu- razione
affettiva: «una sensibilità si attiva per strati o segmenti – e in- tendiamo
dire con questo che uno sentirà più o meno realtà a se- conda che più o meno
“strati” della sua sensibilità siano attivati» 69. Ta- le soglia può variare ed
essere incrementata positivamente durante l’esistenza; nondimeno, la diversità
insita nelle molteplici varianti di sviluppo del sentire fonda le diversità di
ordini assiologici dei singoli, quella che è in definitiva la loro identità
morale 70. fonderlo con qualche emozione immediata: è invece proprio del
sentimento morale il punto di vista riflessivo su tutte le passioni che si
presentano senza qualificazione valutativa nella mente di una persona», v. ID.,
Prima lezione, cit., pp. 42 s. Per una differente impostazione, non
propriamente ‘riduzionista’ ma comunque orientata a ricercare dei fondamenti
naturalistici della morale v., ex plurimis, CHANGEUX, Il bello, il buono, il
vero. Un nuovo approccio neuronale, tr. it., Milano. La fenomenologia del
sentire e l’approccio fenomenologico ai sentimenti sono debitori dell’opera di
SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, tr. it., a
cura di Guccinelli, Milano, 2013, il quale inquadra il sentimento come fattore
costitutivo nell’ontologia della persona e come interfaccia tra sogget- tività
e valori. Per una sintesi dei tratti caratterizzanti la fenomenologia come
corrente filosofica v. GALLAGHER-ZAHAVI, La mente fenomenologica. Filosofia
della mente e scienze cognitive, tr. it., Milano. DE MONTICELLI, L’ordine del
cuore, cit., p. 26. 69 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 79. 70
«L’ethos di una persona è la sua identità morale, ma questa identità
morale Tra sentimenti ed eguale rispetto Così definito il fenomeno del
sentire e delle sue manifestazioni, si pone il problema di inquadrare
specificamente il sentimento: è uno stato momentaneo? un evento? un atto?
Roberta De Monticelli af- ferma che esso è: «una disposizione reale – e non
semplicemente virtuale – del sentire. È una disposizione del sentire che
comporta un consentire più o meno profondo all’essere di ciò che la suscita, un
più o meno profon- do dissentire da questo, e un atteggiamento caratteristico
nei confron- ti di questo essere, capace di motivare altri sentimenti,
emozioni, pas- sioni, scelte, decisioni, azioni, comportamenti. Il sentimento è
ciò che forma le risposte all’esperienza dei valori: in questo senso viene
definito ‘matrice di risposte’. Le emozioni sono maggiormente legate
all’attualità contingente, poiché costituiscono un’alterazione reattiva e
presuppongono l’attivazione di uno strato minimo di sensibilità, anche di
livello puramente sensoriale. I sentimenti hanno un ruolo fondante
nell’approccio dei singoli alla realtà, agli eventi, e, soprattutto, al
rapporto con i propri simili: i sentimenti costituiscono lo strato del sentire
propriamente diretto sulla realtà personale. Se il sentire, in generale, è
percezione di valore, i sentimenti sono, o perlomeno implicano, disposizioni a
sentire gli altri sotto l’aspetto dei valori che la loro esistenza realizza o
delle esi- genze che essa pone. si manifesta primariamente nella vita affettiva
che queste scelte e comporta- menti motiva, e nella quale si esprime infine il
modo di sentire che le è irrepeti- bilmente, inconfondibilmente proprio. Il
modo di sentire è segnato da una storia individuale, ancorato agli incontri di
una vita: è, come vedremo, il profilo stesso dell’individualità essenziale»: v.
DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. MONTICELLI, L’ordine del cuore. MONTICELLI,
L’ordine del cuore. In presenza di una sensi- bilità strutturata la quantità di
reazioni affettive è maggiore, ed è anche possibile che da emozioni
scaturiscano risposte strutturanti, ossia che le emozioni stesse inducano alla
formazione di nuovi sentimenti. Diverso discorso per le passioni, le quali
costituiscono una manifestazione del volere e del tendere, e presuppongono la
strutturazione di sentimenti, v. MONTICELLI, L’ordine del cuore. La
tradizionale contrapposizione delle passioni alla ragione non è intrinseca alle
passioni stesse, ma risale a un livello precedente, ossia al sentimento di cui
quelle passioni sono manifestazione: «“irrazionali” sono dunque le passioni
nella misura in cui sono “disordini del cuore”, ovvero ordinamenti assiologici perversi
o inadeguati – per quanto difficile sia stabilire in positivo lo standard
rispetto a cui definire la deviazione»: v. MONTICELLI, L’ordine del cuore. MONTICELLI,
L’ordine del cuore. Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni Emozioni
e sentimenti: il senso della distinzione concettuale In questa sede non è
nostro obiettivo individuare un’esaustiva on- tologia dei fenomeni, bensì
intendiamo verificare se vi siano diffe- renze che possano assumere una
rilevanza concettuale nella prospet- tiva giuridica. Sentimenti ed emozioni
hanno la funzione di classificare, in base al binomio piacere-dolore, le
esperienze del sentire individuale. Un punto di contatto utile al fine di
ricercare coerenza nella complessità delle de- finizioni, è il fatto che
entrambi i fenomeni – naturalisticamente distin- guibili in base a criteri
basati sull’intensità e la durata – da un punto di vista adattivo-funzionale
rappresentano ‘proiezioni del sé’, ossia marca- tori dell’originalità che rende
unico ogni individuo: «le emozioni guar- dano al mondo dal punto di vista del
soggetto, e ordinano gli eventi in base alla cognizione della loro importanza o
valore per il soggetto. Relativamente alle differenze, una prima, fondamentale,
distinzione tra sentimento ed emozione è relativa ad aspetti di tipo
‘fisico-quan- titativo’, legati alla durata e all’intensità dell’esperienza
affettiva: più bre- ve e accentuata nell’emozione, più duratura, ma meno
intensa, nel sentimento. Secondo una definizione offerta da uno studio di psicologia:
sentimento e umore si riferiscono a stati affettivi di bassa intensità,
durevoli e pervasivi, senza una causa direttamente percepibile e con la
capacità di influenzare eventi inizialmente neutri. Il sentimento, come stato
affettivo ‘radicato’, non si esaurisce in stimoli momentanei. Un tratto
caratterizzante l’emozione è la componente reattiva: «il termine emozione
dovrebbe indicare, in accordo anche con il senso comune, stati affettivi
intensi di breve durata, con una causa precisa, esterna o interna, un chiaro
contenuto cognitivo e la funzione di rio- rientare l’attenzione» 77. Uno stato
affettivo di durata limitata, diverso dunque da stati duraturi NUSSBAUM,
L’intelligenza delle emozioni. Si veda anche OATLEY, Psicologia ed emozioni, il
quale parla di ‘condizioni di elicitazione’ per indicare che le emozioni
insorgono sulla base della valutazione soggettiva di un evento da parte
dell’agente in relazione alla sua condizione e ai suoi scopi. Cfr. OATLEY,
Breve storia delle emozioni, tr. it., Bologna. D’URSO-TRENTIN, Introduzione
alla psicologia delle emozioni, Bari; cfr. CATTARINUSSI, Sentimenti ed
emozioni, PIETRINI, Dalle emozioni ai sentimenti: come il cervello anima la
nostra vita, a cura di Colombo-Lanzavecchia, La società infobiologica, Milano. Per
un esempio di tassonomia degli stati affettivi e per una conseguente
ap- Tra sentimenti ed eguale rispetto Passando a un piano di lettura
differente, non limitato alla ‘di- mensionalità’ (intensità, durata),
richiamiamo quanto osservato in ambito neuroscientifico da Damasio, secondo il
quale il sentimento costituisce il momento della rappresentazione cosciente
dell’emo- zione: la percezione che il soggetto ha di sé stesso. Viene
evidenziata in questo modo una dimensione riflessivo-speculativa che trova ri-
scontro anche nell’analisi di un altro neuroscienziato, Joseph Le Doux, il
quale osserva le emozioni sono funzioni biologiche che si sono evolute per
permettere agli animali di sopravvivere in un am- biente ostile e di
riprodursi; i sentimenti invece sono un prodotto del- la coscienza, «stati di
consapevolezza legati all’esperienza interna dell’emozione. Emerge qui una
differenziazione che attiene a un piano funzionale, e che vede il sentimento
come fenomeno che ha più a che fare con la sfera cognitivo-riflessiva del
soggetto. E veniamo infine a un terzo criterio distintivo, quello forse più
importante ai fini della presente indagine. L’analisi fenomenologica di
Monticelli ha richiamato il carattere disposizionale del sentimento, l’essere
una matrice che può generare e formare ulteriori stati affettivi. Introduciamo
dunque l’importante distinzione tra fe- nomeni affettivi ‘in atto’ e
‘disposizioni’ del sentire: «un’emozione in atto è un episodio nel quale
proviamo effettivamente collera, paura, gioia o altro. Una disposizione emotiva
è la suscettibilità a provare emozioni in atto» 81. Cosa significa
‘disposizionale’? Il concetto è stato approfondito in particolare da Ryle,
secondo il quale le espressioni disposi-zionali contengono l’affermazione che
un uomo o un animale o una plicazione a un tema penalistico-criminologico, v.
CORNELLI, Paura e ordine nella modernità, Milano, DOUX, Feelings: What Are They
& How does the Brain Make Them?, in Daedalus Si osserva che le concezioni
speculative del sentimento, da Platone a Vi- co, sottolineandone l’ambiguità di
regione “intermedia” tra il senso e l’intelletto, cioè il suo partecipare
marginale tanto all’uno quanto all’altro, tematizzano il sen- timento come una
delle categorie o generi sommi della vita umana. Questa infatti è tale – umana
–, solo in quanto è “soggettività”, il modo di essere che consiste nel-
l’avvertire stimoli dal mondo esterno (senso) e ordinare gli avvertimenti in
rap- presentazioni generali e ben connesse (intelletto), avendo come necessaria
condi- zione il riferimento dei primi e delle seconde a un chiaramente o
oscuramente avvertito “sé”, ossia comportando un sentimento fondamentale», v.
MASULLO, voce Sentimento. ELSTER, Sensazioni forti, tr. it., Bologna, il quale
cita, quali esempi di disposizioni emotive, la misoginia e
l’antisemitismo. Sentimenti ed emozioni: classificazioni e
disambiguazioni 59 cosa ha una certa capacità o una certa inclinazione, o è
esposto ad una determinata tendenza. Le definizione ‘disposizionale’ può rap-
presentare in questo senso un’antitesi rispetto a ‘episodico’, poiché
«possedere una proprietà disposizionale non vuol dire trovarsi in un certo
stato particolare o essere soggetto a un certo cangiamento» 83. Più in generale
la distinzione fra stati ‘episodici’ e ‘disposizionali’ descrive una diversità
funzionale nella complessiva esperienza affet- tiva della persona, e si presta
a evidenziare il rapporto fra mera reat- tività soggettiva contingente e
carattere fondativo e ‘personologico’ (vedi infra, cap. IV) degli stati
affettivi, i quali appaiono in questo senso come strutture di base della
soggettività. È questa a nostro avviso un’importante chiave di lettura per la
presente indagine: ciò che appare decisivo nel problema della tutela di
sentimenti non è capire se si debba far riferimento a emozioni in senso stretto
o ad altri fenomeni affettivi, ma è invece importante de- cidere se il fulcro
dei problemi debba riguardare la reattività emozio- nale, oppure se si debba
assumere quale vettore di senso l’affettività come base di stati disposizionali
non episodici, ossia come strutture portanti della identità morale degli
individui. Un richiamo alla sfera affettiva intesa come ‘struttura
disposizionale’ orienta l’attenzione sul sentire quale marcatore della personalità,
e pone in questo modo sen- timenti ed emozioni al centro di questioni
concernenti la diversità di preferenze e di ordini assiologici fra individui.
Tale ultima opzione è quella a nostro avviso più funzionale a in- staurare
connessioni con le accezioni del termine ‘sentimento’ che emergono nel discorso
penalistico: l’uso dei legislatori e della dot- trina. Nel prosieguo
dell’indagine approfondiremo entrambi gli aspetti. 5. Sinossi Il panorama di
fenomeni che costituiscono il tessuto affettivo de- gli individui è oggetto di
definizioni dall’uso non univoco e talvolta polisenso. Il rimando a saperi lato
sensu psicologici, pur assumendo 82 RYLE, Il concetto di mente, tr. it.,
Roma-Bari, RYLE, LO SPIRITO COME COMPORTAMENTO, tr. it., Roma-Bari; cfr. ID., IL
CONCETTO DI MENTE [citato da H. P. Grice]: Le tendenze sono cosa diversa dalle
capacità e dalle suscettibilità. RYLEIAN AGITATION. Tra sentimenti ed eguale
rispetto una notevole complessità, sembra nondimeno costituire per il giuri-
sta penale un indispensabile tassello. Lo studio di contributi prodotti in
ambito neuroscientifico, psico- logico e filosofico evidenzia come, al di là di
possibili aree di contat- to, sentimenti ed emozioni non siano fenomeni del
tutto accomuna- bili. Vi è una connessione di fondo relativa al fatto che
entrambi, pur in modo differente, sono funzionali a classificare in base al
binomio piacere-dolore le esperienze e le inclinazioni del sentire individuale,
e contribuiscono così a definire l’identità e la peculiare originalità di ogni
individuo. Da un altro lato, emergono differenze relative sia al- l’intensità,
sia alla consistenza e alla durata. La distinzione che sembra maggiormente
funzionale alla riflessio- ne sul problema del sentimento come oggetto di
tutela concerne la nozione di stati episodici e disposizionali: con la prima
accezione si definiscono fenomeni che si esauriscono in una contingente
reattività psichica, con la seconda si indicano stati duraturi a loro volta
matrici di ulteriori reazioni, i quali si intrecciano con le trame costitutive
del- la personalità. Alla luce di tale ultimo distinguo cercheremo di trovare
connes- sioni con le categorizzazioni che emergono dal diritto positivo e dal
discorso dottrinale. DIMENSIONE CODICISTICA E FUNZIONE DISCORSIVA DELLA
FORMULA ‘TUTELA PENALE DI SENTIMENTI’ SOMMARIO: ‘Tutela di sentimenti’: usi e
significati della formula. Le tipologie di interessi dietro le norme
codicistiche: sentimenti-valori e disagio psichico. La tutela di
sentimenti-valori. Il sentimento religioso. Il pudore. La pietà dei defunti. Il
sentimento nazionale e la condotta di istigazione all’odio fra le classi
sociali. Il sentimento per gli animali.
Il comune sentimento della morale. Lessico delle norme e piano fenomenico:
sentimenti o emozioni? Atti persecutori: sofferenza psichica e libertà di
autodeterminazione. La definizione di ‘sentimento’ come connotazione simbolica
negativa nel discorso penalistico. Una virtuosa prospettiva di interazione:
‘sentire comune’ e legittimazione delle norme penali. – Sinossi. ‘Tutela di sentimenti’: usi e
significati della formula Volgiamo ora lo sguardo alla dimensione giuridica e
cerchiamo di inquadrare le rispondenze della formula ‘tutela di sentimenti’.
Sono a nostro avviso distinguibili due accezioni: la prima, di tipo
descrittivo-classificatoria, è strettamente legata al diritto positivo, e si
presta a sintetizzare le disposizioni in cui l’interesse protetto viene de-
finito nei termini di un sentimento o di un’emozione: si pensi alle nor- me
codicistiche che parlano di sentimento religioso, pudore, pietà dei defunti et
similia. La seconda accezione, che definiamo connotativa, è funzionale a
tematizzare norme e problemi di tutela in cui la matrice emozionale non
traspare da definizioni normative, ma emerge nei discorsi della dottrina
penalistica in sede di speculazione teorica o di interpreta- zione,
tendenzialmente per richiamare beni dalla fisionomia protei- forme,
suscettibili di ricostruzioni profondamente differenti in quan- 62 Tra
sentimenti ed eguale rispetto to esposte al condizionamento emotivo: interessi
parificati dunque a sentimenti per via di un’intrinseca inafferrabilità 1.
L’accezione connotativa enfatizza in chiave critica l’associazione tra fenomeni
affettivi e oggetti di tutela dai confini incerti, disancora- ti da una base
oggettiva e tendenti a sfociare in ricostruzioni di ma- trice soggettivistica.
Parlare di sentimenti attiva nel lettore e nell’in- terprete frames psicologici
che risentono della nebulosità epistemica che caratterizza le condizioni di
conoscenza dei fenomeni psichici, contribuendo in questo modo a comunicare una
sostanziale diffiden- za: «[le] parole non sono semplicemente dei mezzi per
individuare gli oggetti. Le parole intervengono nella nostra percezione degli
oggetti, e infatti trasmettono interpretazioni e attribuiscono senso ai loro
referenti. Associare un oggetto di tutela penale a un sentimento equivale a
sottolinearne il potenziale di criticità, come coacervo di interessi ‘su-
blimati’ che non rispondano a requisiti di razionalità e coerenza ri- spetto a
principi ‘di sistema’ 3. Menzioniamo, per ora a titolo esempli- ficativo, il
richiamo alla dignità umana, e pensiamo anche alla cosid- detta ‘sicurezza
pubblica’ la quale è stata in tempi recenti associata criticamente a uno stato
di tranquillità soggettiva dei singoli; si può inoltre ascrivere a tale
categoria anche il concetto di onore, ben noto ai penalisti e da sempre oggetto
di faticosi sforzi ermeneutici. Si trat- ta di interessi che non a caso vengono
additati come ‘problematici’ dalla dottrina4, i quali evidenziano tutti una
forte connessione con matrici emotive, tale da indurre a definirli anche come
‘sentimenti’. Nel prosieguo approfondiremo gli ambiti e i problemi connessi sia
all’accezione descrittiva, sia a quella connotativa, a partire da una
panoramica sulle fattispecie dell’ordinamento italiano in cui il senti- 1 Con
riferimento alla dottrina tedesca si veda la ricostruzione di NISCO, La tu-
tela penale dell’integrità psichica, cit., p. 84, il quale sottolinea come
anche in Germania l’espressione ‘Gefühlschutzdelikte’ sia intesa in chiave
essenzialmente critica. 2 SARTORI, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze
sociali, Bologna. Sulla specifica accezione del diritto penale come ‘sistema’ –
definizione che attiene al piano del dover essere piuttosto che alla
descrizione della realtà del- l’ordinamento – e sulle distinzioni tra principi
di rilevanza normativa che entrano in gioco nel diritto penale, v. per tutti
FIANDACA, Diritto penale, in FIANDACA-DI CHIARA, Un’introduzione al sistema
penale. Per una lettura costituzionalmente orientata, Napoli. FIANDACA, Sul
bene giuridico. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 63
mento figura testualmente come coordinata descrittiva dell’interesse protetto
Le tipologie di interessi dietro le norme codicistiche: ‘senti- menti-valori’ e
disagio psichico Nel codice penale il sentimento viene espressamente evocato
dalle norme poste a tutela del sentimento religioso, del pudore, della pietà
dei defunti, del sentimento nazionale; nella legislazione complemen- tare viene
menzionato come oggetto di tutela il ‘comune sentimento della morale’ 6. Oltre
a tali ipotesi, riteniamo, in accordo con autorevole dottrina, che la
problematica del sentimento come oggetto di tutela investa, pur con i dovuti
distinguo, anche una norma di più recente introdu- zione, ossia l’art. 612 bis
c.p., la quale incrimina il delitto di atti per- secutori. Si tratta di una
fattispecie la cui tipicità appare fortemente improntata in senso emotivistico:
‘perdurante e grave stato d’ansia e di paura’, ‘fondato timore’ sono eventi di
tipo psichico, e precisamen- te sono assimilabili a emozioni negative. Anche il
delitto di atti per- secutori appare orientato a tutelare un sentire, o, più
propriamente, 5 Non analizzeremo in questa sede ulteriori fattispecie
codicistiche il cui so- strato di offensività sembra rimandare a un retroterra
di tipo emozionale. Al di là dell’onore, che è unanimemente riconosciuto come
interesse della persona caratterizzato da un’evidente componente ‘di
sentimento’ che la dottrina si è impegnata a razionalizzare mediante il
richiamo, comunque problematico, alla ‘dignità sociale’, v. MUSCO, Bene
giuridico e tutela dell’onore, Milano, vi sono altre norme la cui afferenza al
tema in esame appare meno uni- voca. Una recente ricostruzione include ad
esempio il vilipendio alla bandiera (come forma di offesa al sentimento
nazionale), la corruzione impropria susse- guente (offesa al sentimento di
onestà che dovrebbe guidare i pubblici ufficiali), l’ingiuria semplice,
l’incesto (offesa al sentimento della morale familiare), la pedopornografia
(sentimenti moralistici inerenti la sessualità) e infine il nega- zionismo: si
tratta di un panorama variegato ed eterogeneo, il quale meritereb- be una
dettagliata analisi volta a verificare in che termini dietro i casi menzio-
nati si possa davvero parlare di sentimenti, v. GIUNTA, Verso un rinnovato ro-
manticismo penale?, cit., pp. 1556 ss. 6 Si pongono al di fuori dell’area
concettuale della tutela di sentimenti le pro- blematiche concernenti gli stati
emotivi e passionali e le circostanze attenuanti fondate su emozioni; il
profilo che viene qui in gioco è il ruolo che i fenomeni af- fettivi possono
assumere in relazione alla graduazione della responsabilità pena- le,
attraverso gli istituti dell’imputabilità e delle circostanze del reato (vedi
anche supra, cap. I, nota 30). 64 Tra sentimenti ed eguale rispetto
presidia l’equilibrio emotivo di un soggetto in chiave strumentale rispetto alla
libertà di autodeterminazione. È plausibile definire tale ultima fattispecie
come una forma di tu- tela di sentimenti8 (fatte salve le criticità che possono
derivare da un’interpretazione meramente emozionale e soggettivistica degli
even- ti), ma è altrettanto evidente che rispetto alle ipotesi precedentemen-
te menzionate in cui il legislatore parla espressamente di ‘sentimento’ vi sono
delle differenze: nel caso della religione, del pudore, della pie- tà dei
defunti et similia, la parola ‘sentimento’ viene associata a ulte- riori
concetti che indicano valori e oggetti significativi per il singolo e per la
collettività, dando vita a un’entità in parte psicologica e in par- te di
consistenza prettamente socio-valoriale. Nel caso dello stalking lo stato
psichico assume una rilevanza autonoma, senza alcuna cor- relazione con
specifici oggetti del sentire, ed è proprio il turbamento emotivo a rivestire
importanza centrale nell’economia della fattispe- cie, precisamente come evento
tipico 9. Si tratta di due diverse declinazioni del sentimento come oggetto di
tutela, le quali necessitano di una trattazione distinta. 2.1. La tutela di
‘sentimenti-valori’ Con riferimento ai delitti contro il sentimento religioso,
contro il pudore e contro la pietà dei defunti, sia l’interpretazione oggi do-
minante in dottrina sia la realtà applicativa depongono per una linea
depsicologizzante, secondo la quale il disvalore del fatto non dipende
dall’impatto della condotta tipica sullo stato psichico del soggetto passivo.
Si è osservato che l’ordinamento penale non tutela sentimenti, 7 Sul tema, pur
con diversità di accenti, v. MAUGERI, Lo stalking tra necessità
politico-criminale e promozione mediatica, Torino; NISCO, La tutela penale
dell’integrità psichica; COCO, La tutela della libertà indivi- duale nel nuovo
sistema ‘anti-stalking’, Napoli FIANDACA, Sul bene giuridico. Uno tra gli
aspetti più discussi della fattispecie di atti persecutori concerne
l’alternativa fra reato di danno o di pericolo; per un’interessante prospettiva
in- terpretativa MAUGERI, Lo stalking; sulla stessa linea di pensiero, CADOPPI,
Efficace la misura dell’ammonimento del questore, in Guida dir. In
giurisprudenza tende a prevalere la qualificazione come reato di danno; v., ex
plurimis, Cass. pen., sez.; Cass. pen., sez. Dimensione codicistica e funzione
discorsiva della formula 65 «anche se talora lo stesso codice penale si esprime
in questi termini, ma tutela la loro obiettivazione in situazioni sociali, in
interessi, in beni giuridici più definiti della percezione soggettiva: tanto
che essi vengono tutelati a prescindere dalla prova di quella percezione in
capo a un qualche individuo determinato» 10. Tale osservazione è ineccepibile,
e trova riscontro nel panorama applicativo: la prova di un effettivo turbamento
psichico soggettivo non è mai venuta seriamente in considerazione. Le
situazioni de- scritte nelle disposizioni codicistiche non richiedono la
verifica di una concreta elicitazione della sensibilità di singoli individui:
l’asserita attitudine lesiva della sensibilità costituisce esito di un proces-
so interpretativo di elementi di fatto e di condizioni di contesto esa- minati
alla luce di criteri di adeguatezza e di tollerabilità modulati su parametri di
tipo socio-culturale, in base a un’ipotizzata sensibilità media dei consociati.
Come osserva Angelo Falzea, non è il mero fatto emozionale ad assumere ruolo
decisivo, ma è piuttosto la sua traducibilità in valori e disvalori secondo un
punto di vista sociale. Nel complesso, il senti- mento assume rilevanza sub specie
iuris e non sub specie facti: «Non ogni volta che il diritto pone a base delle
sue regole il sentimen- to si è in presenza di un fatto giuridico affettivo. Vi
sono norme giuri- diche ispirate all’esigenza di tutelare un sentimento
condiviso dalla 10 DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei
sentimenti. Si prendano a riferimento gli ambiti della tutela penale della
religione e del pudore, nei quali si registra un congruo numero di pronunce.
Per una panorami- ca sulla tutela del sentimento religioso in Italia fino agli
anni Ottanta v. SIRACUSANO, I delitti in materia di religione. Beni giuridici e
limiti dell’intervento penale, Milano; per uno sguardo sugli sviluppi più
recenti v. BASILE, art. 403 c.p., in AA.VV., Codice penale commentato, diretto
da Dolcini-Gatta, Milano; PECORELLA, Delitti contro il sentimento religioso, in
AA.VV., a cura di Pulitanò, Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. I,
I reati contro la persona, II ed., Torino; per una panoramica della
giurispruden- za in materia di offese al pudore v. PROTETTÌ-SODANO, Offesa al
pudore e all’onore sessuale nella giurisprudenza, Padova; PULITANÒ, Il buon
costume, in BIANCHI D’ESPINOSA-CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori
socio- culturali della giurisprudenza; FIANDACA, Problematica dell’osceno e
tutela del buon costume, Padova, 1984, pp. 33 ss.; sugli sviluppi più recenti
sia consentito il rinvio a BACCO, Tutela del pudore e della riservatezza
sessuale, in AA.VV., a cura di Pulitanò, Manuale di diritto penale. I reati
contro la persona. In psicologia è d’uso il termine ‘elicitazione’ per indicare
l’azione di stimolo volta a suscitare emozioni e/o a indurre
comportamenti. Tra sentimenti ed eguale rispetto comunità o di reprimere
un sentimento che la comunità disapprova, ma nelle quali la considerazione del
fenomeno emozionale resta al livello dell’interesse normativo e non si traduce
in elemento della fatti- specie: il sentimento tende allora a svincolarsi dalla
necessità di una sua specifica manifestazione e a confondersi coi valori etici
ogget- tivi» 13. Ciò che rileva è la ‘personalità affettiva comune’, ossia
«l’insieme dei fatti biologici e psichici che influiscono sul comportamento
emo- zionale affettivo e reattivo della persona» definito «in relazione al pa- trimonio
sentimentale e alla sensibilità che sono propri in linea di principio
dell’intero gruppo sociale. Il sentimento viene in questo modo proiettato in
una dimensione collettiva come modo di sentire diffuso che accomuna più
individui (c.d. ‘atmosfera emozionale’). Alla luce di tale fisionomia
dell’oggetto di tutela, il sentire indivi- duale viene filtrato «in funzione e
sotto l’angolo visuale del sistema dei valori di un gruppo diverso e più
comprensivo la valutazione contenuta nel sentimento di certe persone o comunità
diventa ogget- to di un’altra valutazione contenuta nel modo di sentire o
comunque nel sistema dei valori di altre persone o comunità» 15. In definitiva,
attraverso le «regole e gl’istituti con cui il legislatore predispone una
tutela penalistica a salvaguardia di sentimenti che nel- l’animo e nel costume
dei consociati assumono un alto valore» 16, il di- ritto penale finisce per
tutelare non un stato soggettivo della persona, bensì l’oggetto e il valore
impersonale che fonda quel dato modo di F. I FATTI DI SENTIMENTO. L’Autore
inoltre distingue fra ‘reati di sentimento’, ossia quelli in cui il diritto
«punisce il disprezzo verso valori ritenuti fondamentali», ossia le varie forme
di vilipendio alle istituzioni (Repubblica, nazione, bandiera), dai casi in cui
il sentimento dell’agente è tale da influire sulla gravità della pena in
funzione di circostanza (crudeltà, futilità dei motivi etc. A ben vedere, una
simile prospettazione potrebbe creare fraintendimenti: nella definizione del
vilipendio quale reato di sentimento (la cui ragion d’essere trova dunque
spiegazione nella mera censura di uno stato interiore considerato contrario a
valori ‘oggettivi’) l’occhio del penalista non può fare a meno di riscon- trare
una sottile caratterizzazione soggettivistica, secondo tecniche di incrimina-
zione tipiche del Gesinnungsstrafrecht. Il suddetto schema non sembra inoltre
funzionale ad una prospettiva di bilanciamento, poiché se l’aver provato
disprez- zo diviene motivo di incriminazione tout court, relegando in secondo
piano i pro- fili di turbamento del sentimento di altri, risulta assai più
difficoltoso procedere sulla strada di un equilibrio tra
posizioni. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula
sentire. Il lessico degli stati affettivi si rivela dunque un orpello retorico
volto a porre sotto protezione penale gli oggetti del sentire, ossia valori e
simboli ritenuti socialmente significativi nella comunità: «nell’apprestare
tutela a determinati sentimenti, il codice non tende a proteggere stati
affettivi duraturi in quanto tali: si tratta, piuttosto, di sentimenti –
individuali e/o collettivi – concepiti altresì come atteg- giamenti intrisi di
valore in una accezione culturale e normativa. Sic- ché si può dire, da questo
punto di vista, che la legge penale mira a proteggere più che sentimenti in sé,
sentimenti-valori, se non valori tout court» 17. Vediamo nel dettaglio quali
sono i valori che, dietro le effigie del sentimento, sono entrati nel catalogo
dei beni tutelati dal diritto penale italiano. Il sentimento religioso I
delitti in tema di religione sono un elemento sintomatico del tas- so di
secolarizzazione del sistema 18. Nelle legislazioni penali moder- ne, la
religione è stata di rado identificata come bene di esclusiva per- tinenza del
singolo, e più frequentemente come forma di adesione collettiva o come
sentimento istituzionalizzato, ossia entità storica- mente e culturalmente
determinata nella quale sono trasfusi valori e patrimoni propri di una o più
confessioni. Il codice Rocco parla di ‘sentimento religioso’ 19, ma la
legislazione del 1930, fedele nelle rubriche e nella sostanza alla sola
religione di Stato, si identificava nel modello di tutela definito come bene di
civiltà: era la religione cattolica, affiancata dalla timida presenza dei culti
ammessi, e non un qualsiasi sentimento religioso individual- FIANDACA, Sul
ruolo delle emozioni e dei sentimenti, FIANDACA, Laicità del diritto penale e
secolarizzazione dei beni tutelati, in AA.VV., a cura di Pisani, Studi in memoria
di Pietro Nuvolone, vol. I, Milano, 1991, pp. 180 ss.; SIRACUSANO, Pluralismo e
secolarizzazione dei valori: la superstite tutela penale del fattore religioso
nell’ordinamento italiano, a cura di Risicato-La Rosa, Laicità e
multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali, Torino. Per una panoramica,
v. a cura di Brunelli, Diritto penale della libertà religiosa, Torino, Cfr.
MARCHEI, Sentimento religioso e bene giuridico. Tra giurisprudenza costi-
tuzionale e novella legislativa, Milano; PACILLO, I delitti contro le
confessioni religiose dopo la legge, Milano. SIRACUSANO, I delitti in materia
di religione, cit., Milano Tra sentimenti ed eguale rispetto mente avvertito, a
godere di un privilegiato regime di tutela 21. L’impianto codicistico ha subito
profonde modifiche ad opera del- la Corte costituzionale, la quale, nel corso
degli anni, ha ‘rabbercia- to’ 22 il sistema dei reati riducendo le distonie
con i principi codificati nella Carta costituzionale. Particolarmente
significativa è la linea giu- risprudenziale inaugurata con la pronuncia n.
440/1995 (sulla con- travvenzione di bestemmia) e seguita dalle pronunce
(equiparazione del trattamento sanzionatorio fra religione di Stato e culti
ammessi, in relazione all’art. 403 c.p.) e soprattutto n. 508/2000 (ablazione
della fattispecie di vilipendio della religione di Stato, art. c.p.): decisioni
che attuano un cambio di rotta rispetto alla giu- risprudenza costituzionale
che, fino a pochi decenni prima, ancora legittimava il trattamento privilegiato
della religione cattolica sulla base di criteri quantitativi e sociologici 25.
Argomentando sulla base del principio di laicità, la Corte ha iden- tificato
nella dimensione religiosa individuale il corollario di una li- 21 In linea con
l’afflato statocentrico che ispira l’intera codificazione, le fatti- specie in
tema di religione sono espressione di autoritarismo etico da parte del governo
fascista, congeniale al sodalizio politico con la Chiesa Romana formaliz- zato
nei Patti Lateranensi: La religione dice Rocco è non tanto un feno- meno
attinente alla coscienza individuale, quanto un fenomeno sociale della più alta
importanza, anche per il raggiungimento dei fini etici dello Stato», v. Codice
penale, illustrato con i lavori preparatori, a cura di Mangini-Gabrieli-Cosentino,
Roma. Per una sintesi, v., ex plurimis, PACILLO, I delitti contro le
confessioni religiose. L’espressione è di FIANDACA, Altro passo avanti della
Consulta nella rabbercia- tura dei reati contro la religione, in Foro it. Per
un’ampia e pun- tuale sintesi della giurisprudenza costituzionale vedi il
saggio di VISCONTI C., La tutela penale della religione nell’età post-secolare
e il ruolo della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen. Sul tema v.,
ex plurimis, PALAZZO, La tutela della religione tra eguaglianza e
secolarizzazione (a proposito della dichiarazione di incostituzionalità della
bestem- mia), in Cass. pen.; DI GIOVINE O., La bestemmia al vaglio della Corte
costituzionale: sui difficili rapporti tra Consulta e legge penale, in Riv. it.
dir. proc. pen. Ex plurimis, VENAFRO, Il reato di vilipendio della religione
non passa il vaglio della Corte Costituzionale, in Legislazione penale. Cfr.
FALCINELLI, Il valore penale del sentimento religioso, entro la nuova tipici-
tà dei delitti contro le confessioni religiose, in AA.VV., a cura di Brunelli,
Diritto penale della libertà religiosa, Torino; MORMANDO, Religione, laicità,
tol- leranza e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.; MARCHEI, Sentimento
religioso e bene giuridico. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della
formula 69 bertà costituzionale 26; parametro costituzionale decisivo che ha
sup- portato le modifiche più rilevanti è stato il principio di uguaglianza. La
riforma, nel dichiarato intento di superare l’anacro- nistico e illiberale
modello del codice fascista, ha eliminato il riferi- mento alla religione
introducendo il concetto di ‘confessione religio- sa’. In merito all’interesse
protetto, la lettura critica offerta dalla pre- valente dottrina individua una
sostanziale continuità con la vecchia normativa28, identificando l’oggetto di
tutela in una prospettiva che oscilla tra il bene di civiltà
‘pluriconfessionalmente articolato’ e il sentimento collettivo della pluralità
dei fedeli che si riconoscono in una determinata confessione religiosa29. Non
mancano però letture alternative che cercano di armonizzare la duplice natura,
individuale e collettiva, del bene protetto, sottolineando come «la nozione di
sen- 26 Pur aderendo sostanzialmente al principio di laicità dello Stato, la
giuri- sprudenza costituzionale presenta sensibili oscillazioni circa
l’effettiva portata del concetto: cfr. VISCONTI C., Aspetti penalistici del
discorso pubblico, Torino; ID., La tutela penale della religione, cit., p.
1050. Istanze personalistiche sono emerse quando si è parlato di «sentimento
religioso, il quale vive nell’in- timo della coscienza individuale e si estende
anche a gruppi più o meno numerosi di persone legate tra loro dal vincolo della
professione di una fede comune», v. C. cost.; cfr. MARCHEI, Sentimento
religioso. Così PULITANÒ, Laicità e diritto penale, a cura di Ceretti-Garlati,
Laicità e stato di diritto, Milano; cfr. VISCONTI C., Aspetti penalistici. Sui
rapporti tra uguaglianza e diritto penale, v. DODARO, Uguaglianza e diritto
penale. Uno studio di giurisprudenza costituzionale, Milano, 2013; FIANDACA,
Uguaglianza e diritto penale, a cura di Cartabia-Vettor, Le ragioni del-
l’uguaglianza, Milano. Si rileva che la Corte non ha assunto decisioni
dirompenti, tali da condur- re all’abbattimento del sistema esistente, talvolta
riducendo a un semplice pas- saggio ermeneutico, secondo alcuni Autori, lo
stesso richiamo alla realtà reli- giosa individuale, nei fatti seguito dalla
rilegittimazione del paradigma esi- stente: cfr. l’analisi di MARCHEI,
Sentimento religioso, cit., pp. 143 ss. Osserva PIEMONTESE, Offese alla
religione e pluralismo religioso, Religione e re- ligioni: prospettive di
tutela, tutela delle libertà, a cura di De Francesco-Piemontese-Venafro,
Torino, che «la libertà individuale parrebbe valoriz- zata, qui, solo in
chiusura e ad abundantiam, all’interno di un iter argomentati- vo volto a
preservare comunque l’originaria dimensione pubblica ed istituziona- le della
tutela»; cfr. PADOVANI, Un intervento normativo scoordinato che investe anche i
delitti contro lo Stato, in Guida dir.; BASILE, art. c.p. Nel primo senso
SIRACUSANO, Pluralismo e secolarizzazione dei valori; per la seconda opzione v.
BASILE, art. c.p. Cfr. anche VISCON- TI C., Aspetti penalistici. Ritiene che la
riforma abbia fatto assurgere il sentimento religioso individuale a bene
protetto in via diretta e immediata, PACILLO, I delitti contro le confessioni
religiose Tra sentimenti ed eguale rispetto timento è solamente un connotato –
innegabile quanto imprescindibile – di un ben più articolato valore di libertà
religiosa. Il pudore Il richiamo al sentimento è centrale nella definizione
delle osceni- tà penalmente rilevanti: sono da considerarsi osceni gli atti e
gli og- getti che ‘secondo il comune sentimento’ offendono il pudore (art.
c.p.). L’elemento normativo ‘comune sentimento del pudore’31 attinge da un
fenomeno di reattività interiore dell’individuo: il pudo- re, genericamente
definibile come disposizione soggettiva che induce al riserbo su quanto attiene
alla vita sessuale, fonda la soglia sogget- tiva di eventuale disagio
avvertibile di fronte a manifestazioni della sessualità. Inteso nella
dimensione comunitaria il pudore si emancipa dal rapporto di implicazione
emotiva individuale e dalla sua concreta sussistenza, scivolando verso
un’identificazione con concezioni della morale sessuale: la valorizzazione
normativa del pudore diviene in questo modo funzionale a introdurre soglie atte
a delimitare manife- stazioni e rappresentazioni aventi contenuto sessuale 33.
Il problema del buon costume e della pubblica moralità quali beni di categoria
in ambito penalistico ha finito per tradursi nel richiamo a canoni di moralità
sessuale, concetto quest’ultimo la cui delimita- 30 È la condivisibile
notazione di FALCINELLI, Il valore penale del sentimento religioso, cit., p.
48, la quale definisce l’interesse protetto dalle norme post riforma 2006 come
sentimento religioso collettivo e al contempo individuale. Sul tema degli
elementi normativi, e in particolare sui rapporti fra il coeffi- ciente di
certezza degli elementi normativi culturali e giuridici, v. lo studio di
BONINI, L’elemento normativo nella fattispecie penale. Questioni sistematiche e
costitu- zionali, Napoli, 2016, pp. 320 ss.; sul tema v. anche RISICATO, Gli
elementi norma- tivi della fattispecie penale. Profili generali e problemi
applicativi, Milano Per un’analisi in chiave psicanalitica v., ex plurimis,
APPIANI, Tabù. Elogio del pudore, Milano, Fondamentale FIANDACA, Problematica
dell’osceno, cit., pp. 4 ss. Sul proble- ma definitorio del pudore, nella
letteratura penalistica più risalente v. ALLEGRA, Il “comune” sentimento del
pudore, in Iustitia.; LATAGLIATA, voce Atti osceni e atti contrari alla
pubblica decenza, in Enciclopedia del diritto, vol. IV, Mi- lano; VENDITTI, La
tutela penale del pudore e della pubblica decen- za, Milano; GALLISAI PILO,
voce Oscenità e offese alla decenza, in Dig. disc. pen., Torino; FARINA, Il
reato di atti osceni in luogo pub- blico: tensioni interpretative e prospettive
personalistiche nella tutela del pudore, in Dir. pen. proc. Cfr. FIANDACA,
Problematica dell’osceno, cit., pp. 78 ss. Dimensione codicistica e
funzione discorsiva della formula 71 zione è però nondimeno ardua, al punto da
costituire classicamente un luogo di forti tensioni tra il diritto punitivo e i
principi liberali. Ad oggi gli sviluppi giurisprudenziali, incentivati e
affinati da im- portanti contributi della dottrina 36, depongono per una
riconversione dell’interesse di tutela, il quale è identificato nel diritto a
essere pro- tetti da indebite violazioni del proprio riserbo sessuale: esempio
tipi- co, l’assistere a manifestazioni di contenuto erotico senza avervi pre-
ventivamente acconsentito. Ciò ha condotto a un modello di interven- to incentrato
non più su una lesione astratta e potenziale del pudore collettivo, ma teso a
reprimere solo le manifestazioni oscene che si impongano a determinati soggetti
senza che questi abbiano prestato un preventivo consenso 37. È il carattere
della pubblicità più o meno indesiderata dell’atto o della pubblicazione,
inteso come capacità di diffusione e percepibilità da parte di soggetti non
consenzienti, a fondare l’illiceità, e non la sua natura eventualmente oscena.
Si tratta di un ragionevole distacco da modelli di intervento non 35 Sul punto
rimarca FIANDACA, Problematica dell’osceno, che il principio della tolleranza
ideologica e della tutela delle minoranze impediscono di trasformare il diritto
penale di uno Stato democratico in tutore della virtù. Ciò induce a dover
giustificare sotto ogni aspetto l’assunto, secondo il quale la punizione
dell’immoralità non può rientrare tra gli scopi del diritto penale con-
temporaneo. Tanto più che l’esplicito riferimento, contenuto nella
Costituzione, alla tutela del buon costume potrebbe essere da taluno
interpretato – come di fat- to è avvenuto – appunto in chiave di “copertura”
costituzionale all’incriminazione di fatti lesivi di semplici valori morali».
Cfr. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mantenimento di
orientamenti sociali di carattere assiologico? Pro- blemi di legittimazione da
una prospettiva europea continentale e da una angloame- ricana, a cura di
Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale. Culture
europeo-continentale e anglo-americana a confronto, Torino Il riferimento è
sempre a FIANDACA, Problematica dell’osceno In giurisprudenza, sentenza
capostipite è quella del Tribunale di Torino, 2/04/1982, in Foro it. Nella
giurisprudenza di legittimità, Cass. pen., sez. in Foro it.; v. anche Cass.
pen., SS. UU., 24/03/1995, in Foro it., 1996, II, c. 17 ss. Da ultimo, v. Cass.
pen., sez. e Cass. pen., sez., che conferma la per- cepibilità dell’osceno da
parte del pubblico come elemento costitutivo della fattispe- cie il cui onere
probatorio deve essere fornito dall’accusa. Per un avallo del suddetto
orientamento da parte della Corte costituzionale, v. la sentenza n. 368/1992,
secon- do cui «la misura di illiceità dell’osceno è data dalla capacità
offensiva di questo verso gli altri, considerata in relazione alle
modalità di espressione e alle circostan- ze in cui l’osceno è manifestato», v.
C. cost., n. 368/1992; sia consentito il rinvio a BACCO, Tutela del pudore e
della riservatezza sessuale Tra sentimenti ed eguale rispetto compatibili con
uno Stato liberale e pluralista38. Ad oggi l’ordina- mento italiano non tutela
un moralistico pudore collettivo 39, ma ap- presta gli strumenti affinché le
persone non assistano a manifesta- zioni della sessualità per loro
indesiderate: l’equilibrio si fonda su po- tenzialità nell’agire che trovano un
limite nell’altrui pretesa di non subire contatti sgraditi. Vi è sì una
depsicologizzazione dell’interesse protetto, presentato nelle fogge di una
libertà negativa, ma va non- dimeno riconosciuto che il problema della tutela
del pudore resta profondamente legato, nella sua matrice, anche a una
sensibilità di tipo ‘epidermico’40, non semplicemente morale, ma saldamente in-
trecciata alla reattività emotiva della persona. La pietà dei defunti Pochi termini denotano
un’appartenenza al lessico emozionale come la pietà: traduzione del latino
pietas, essa, al di là dell’uso gene- rico che connota il sentimento di
solidale comprensione nei confronti della sofferenza altrui, designa ancora
oggi la dimensione psicologica che scaturisce dall’esperienza della morte dei
propri simili, e fa la sua comparsa nel codice penale al capo II del titolo IV.
38 Esigenze di riforma sono state invocate evidenziando un ormai critico rap-
porto tra il diritto vivente e la tipicità formale, sottolineando come lo
stesso rein- quadramento in termini personalistici del bene giuridico disveli,
in definitiva, un’irragionevole disparità sanzionatoria tra l’offesa al pudore
(rectius, libertà da visioni indesiderate) e altre offese alla persona: v.
FARINA, Il reato di atti osceni I sentimenti individuali rimangono sullo
sfondo, preservati nella loro auto- nomia e senza dover render conto dei propri
contenuti: le generalizzazioni e i giudizi su base quantitativa dovrebbero
rimanere al di fuori della norma, poiché la libertà del singolo è anche libertà
di usufruire e concedersi quello che per molti dei suoi simili potrebbe
apparire indecoroso o ripugnante, ovviamente senza in- vadere le altrui sfere
di libertà. Autorevoli esponenti del pensiero liberale hanno affermato in
questo senso la necessità di una politica ‘anticollettivista’, nella quale cioè
«gli interessi della maggioranza non possono mettere a tacere i diritti fon-
damentali dell’individuo, se non in circostanze eccezionali, solitamente
laddove siano ipotizzabili danni ad altre persone o qualche grave pericolo per
l’intera na- zione», v. NUSSBAUM, Disgusto e umanità, tr. it., Milano; cfr. H.
L. A. HART [citato da H. P. Gice], Diritto, morale e libertà, tr. it., a cura
di Gavazzi, Acireale È stato osservato come sia doveroso un approfondimento
delle ragioni psi- cologiche alla base di atteggiamenti repulsivi dell’altro,
al fine di disvelare (e ar- ginare) l’irrazionalità di fondo che, se trasfusa
in dettami normativi, potrebbe condurre a esiti discriminatori: un tipico
esempio sono istanze di tutela che tro- vino la propria motivazione in un mero
‘disgusto collettivo’, v. NUSSBAUM, Na- scondere l’umanità Dimensione
codicistica e funzione discorsiva della formula L’interpretazione consolidatasi
in dottrina individua in tali norme un presidio a un sentimento universale, non
una forma di difesa della salute pubblica . La tutela è incentrata su oggetti
materiali e postula la rilevanza simbolica delle res: oggetti la cui violazione
integra il pa- radigma delittuoso in quanto la materialità delle azioni assuma
il si- gnificato di dileggio alla memoria 42. Al di là della topografia
codicistica, pare opportuno rimarcare l’autonomia concettuale del sentimento di
pietà per i defunti dalle eventuali caratterizzazioni religiose43: è sul
presupposto di una di- mensione laica di tale sentimento 44, oltre il manto di
ritualità cultua- li, che si pone la discussione sulla legittimità e
opportunità di un pre- sidio sanzionatorio. Autorevole dottrina è critica nei
confronti della scelta politico criminale del codice Rocco: «la previsione
autonoma di delitti contro la pietà dei defunti non appare, nell’attuale
momento storico, perfet- tamente congrua con la funzione propria di un diritto
penale di uno Stato democratico e secolarizzato: il mero sentimento non sembra
infatti poter assurgere al rango di bene giuridico, non intaccando la sua
semplice violazione quelle condizioni minime della vita in comu- ne la cui
salvaguardia legittima l’uso dello strumento penalistico» 45. L’osservazione ha
il merito di evidenziare uno dei punti critici del rapporto tra sentimenti e
tutela penale: libertà che rischiano di essere soggette alla coercizione di
fronte a moti dell’animo umano, il cui turbamento, pur intenso, non dovrebbe
essere destinatario di una priorità assoluta all’interno di un contesto
pluralista. 41 FIANDACA, voce Pietà dei defunti (Delitti contro la), in Enc.
giur., Roma; per l’orientamento incline all’interpretazione della norma come
tutela della salute pubblica, v. GABRIELI, Delitti contro il sentimento
religioso e la pietà verso i defunti, Milano, ROSSI VANNINI, voce Pietà dei
defunti (delitti contro), in Dig. disc. pen., Torino Ex plurimis, cfr.
FIANDACA, voce Pietà dei defunti, cit., p. 1; ROSSI VANNINI, voce Pietà dei
defunti, Non potendo in questa sede offrire un quadro della sconfinata
bibliografia, ci limitiamo a segnalare le intense riflessioni contenute nella
pubblicazione di AA.VV., a cura di Monti, Che cosa vuol dire morire, Torino,
2010. Argomentazioni condivise da parte di autori di estrazione laica e autori
cattolici emergono nei saggi di BODEI, L’epoca dell’antidestino MONTICELLI, La
libertà di divenire sé stessi, pp. 83 ss.; per i secondi, v. REALE, L’uomo non
si accorge più di morire; MANCUSO, Se si ha paura della morte, si ha paura
della vita, pp. 109 ss. 45 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol.
I, IV ed., Bologna, Tra sentimenti ed eguale rispetto Nell’attuale
configurazione normativa, tuttavia, la tutela del de- funto evoca sentimenti,
ma non ha ad oggetto stati psicologici di pa- renti o delle persone ad esso
affettivamente legate. Si tratta di un ri- conoscimento dovuto all’essere umano
in quanto tale, a prescindere da metafisiche ultraterrene, ma anzi ben ancorato
a una concezione secolare dell’esistenza, secondo cui il soggetto può e deve
meritare rispetto anche dopo il trapasso 46. È in quest’ottica che può
eventual- mente valutarsi l’opportunità del mantenimento di un presidio e i
suoi limiti: secondo logiche non pervasive ma ragionevolmente orien- tate alla
salvaguardia di un nucleo minimo di rispetto verso chi ha abbandonato la
dimensione fisica dell’esistenza. 2.1.4. Il sentimento nazionale e la condotta
di istigazione all’odio fra le classi sociali Fra i delitti contro la
personalità dello Stato troviamo menzionati lo ‘spirito pubblico’ e il
‘sentimento nazionale’. Si tratta di fattispecie cadute ormai nel dimenticatoio
e sostanzialmente inapplicate: l’am- bito di operatività dell’art. 265
(disfattismo politico) è circoscritto, per espressa previsione legislativa, al
tempo di guerra; gli artt. (nella parte
in cui faceva riferimento al ‘sentimento nazionale’) sono stati oggetto di
dichiarazioni di incostituzionalità con le senten- ze n. 87/1966 e n. 243/2001
47. Al di là del valore di ‘archeologia giuridica’, fra gli elementi costi-
tutivi delle suddette fattispecie troviamo il cosiddetto ‘spirito pubbli- co’ e
il ‘sentimento nazionale’: concetti strettamente legati, i quali evocano una
disposizione affettiva, ossia l’atteggiamento di fede e di attaccamento del
cittadino alla nazione. 46 GIUNTA, Verso un rinnovato romanticismo penale? ;
cfr. DONINI, “Danno” e “ offesa”nella c.d. tutela penale dei sentimenti, il
quale sot- tolinea la possibilità che dall’assenza di tali presidi scaturiscano
esiti negativi per la stessa pace sociale; ERONIA, La turbatio sacrorum tra
legge e cultura: il caso del- la riesumazione della salma di S. Pio, in Cass.
pen. Nella relazione al progetto di riforma del codice penale elaborato dalla
commissione Pagliaro era stato osservato che: «il bene personalistico della
dignità della persona defunta appare costituire l’oggetto primario e costante
della tutela contro gli atti irriguar- dosi delle spoglie umane e dei sepolcri,
mentre il pur rilevante bene collettivo del suddetto sentimento si presenta
come bene secondario ed eventuale», v. Relazione alla bozza di articolato per
un progetto di riforma del Codice Penale, consultabile in
http://www.ristretti.it/areestudio/giuridici/riforma/relazionepagliaro.htm. 47
L’art. 272 c.p. è stato poi integralmente abrogato dalla legge n. 85 del 2006.
Sul tema, v. ALESIANI, I reati di opinione. Una rilettura in chiave
costituzionale, Milano, 2006, pp. 275 ss. Dimensione codicistica e
funzione discorsiva della formula Il
concetto di spirito pubblico appare più generico e va delimitato a contesti in
cui, a causa dello stato di guerra, viene richiesta al citta- dino fiducia
nelle sorti del Paese. Non si tratta di una disposizione da accertarsi in capo
a singoli soggetti, bensì di un atteggiamento di col- lettiva partecipazione al
sostegno morale della nazione, il quale, se- condo il legislatore del 1930,
poteva essere frustrato dalla diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose
così da menomare la resisten- za della nazione di fronte al nemico. Il
‘sentimento nazionale’, secondo le parole della Corte costituzio- nale, è da
intendersi come corrispondente «al modo di sentire della maggioranza della
Nazione e contribuisce al senso di unità etnica e sociale dello Stato» 48.
Anche in questo caso il pensiero giurispruden- ziale rifugge da interpretazioni
emotivistiche e incentra la tutela pe- nale su un nucleo di valori
asseritamente condivisi. La natura puramente ideologica di tale oggetto di
tutela ne ha de- cretato l’incompatibilità con la libertà di manifestazione del
pensiero. Va però evidenziato che, mentre nella prima parte della motivazione
della sentenza n. 87/1966 la Corte descrive tale interesse in termini col-
lettivistici, al momento di decretare l’illegittimità della norma incrimi-
natrice la fisionomia dell’oggetto di tutela viene riproposta ponendo l’accento
in chiave critica sulla componente soggettivo-emozionale: di- ce infatti la
Corte che «è pur tuttavia soltanto un sentimento, che sor- gendo e sviluppandosi
nell’intimo della coscienza di ciascuno, fa parte esclusivamente del mondo del
pensiero e delle idealità». Facendo leva su tale carattere impalpabile 49 viene
affermata l’ille- gittimità anche dell’art. nella parte in cui incrimina la
propa- ganda per distruggere o deprimere il sentimento nazionale, salvando
invece (fino alla formale abrogazione del 2006) l’incriminazione della
propaganda per l’instaurazione violenta della dittatura, per la sop- pressione
violenta di una classe sociale e per il sovvertimento violen- to degli
ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, rico- noscendo in tali
norme una tutela del metodo democratico da forme di pensiero prodromiche ad
azioni violente. Diversamente da altri ambiti in cui il richiamo a un sentire
collet- 48 C. cost. n. 87/1966. 49 Lo sottolinea, ex plurimis, CAVALIERE, La
discussione intorno alla punibilità del negazionismo, i principi di offensività
e libera manifestazione del pensiero e la funzione della pena, in Riv. it. dir.
proc. pen.Mero reato di opinione, sia pure in senso lato» secondo VASSALLI,
Propaganda sovversiva e sentimento nazionale, in Giur. cost., 1966, II, p.
1100. 76 Tra sentimenti ed eguale rispetto tivo è stato
riconvertito dagli interpreti in una prospettiva di tutela della persona, il
sentimento nazionale non è riuscito a beneficiare di alcun maquillage
ermeneutico, e, dissipatosi il manto della retorica di regime, è scomparso dai
beni penalmente tutelati in quanto non in grado di sostenere il confronto con
la libertà di espressione. Una vicenda similare ha caratterizzato la
problematica disposizione dell’art. c.p. (istigazione all’odio fra le classi
sociali), che la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente
illegittimo «nella parte in cui non specifica che tale istigazione deve essere
at- tuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità». L’eccezione
sollevata con riferimento al contrasto con l’art. 21 Cost. viene accolta dalla
Corte motivando che la norma, poiché non indica come oggetto dell’istigazione un
fatto criminoso specifico o un’attività diretta con- tro l’ordine pubblico o
verso la disobbedienza alle leggi, ma sempli- cemente l’ingenerare un
sentimento senza nel contempo richiedere che le modalità con le quali ciò si
attui siano tali da costituire perico- lo all’ordine pubblico e alla pubblica
tranquillità, «non esclude che essa possa colpire la semplice manifestazione ed
incitamento alla persuasione della verità di una dottrina ed ideologia politica
o filoso- fica della necessità di un contrasto e di una lotta fra portatori di
op- posti interessi economici e sociali» 51. Si tratta di una piana
applicazione di principi già evidenziati nella sentenza, che culmina in questo
caso in una pronuncia additiva la quale di fatto espunge dall’ordinamento l’incri-
minazione dell’istigazione all’odio fra le classi sociali, riconoscendo la
preminenza del diritto di libertà alla manifestazione di «teorie del- la
necessità del contrasto e della lotta tra le classi sociali che sor- gendo e
sviluppandosi nell’intimo della coscienza e delle concezioni e convinzioni
politiche, sociali e filosofiche dell’individuo appartengo- no al mondo del
pensiero e dell’ideologia Il sentimento per gli animali Un ambito del tutto
peculiare è costituito dalle norme codicistiche a tutela del cosiddetto
‘sentimento per gli animali’. Èstata introdotta nel codice penale la disciplina
che sanziona, in forma di delitto, le condotte di uccisione e maltrattamento di
animali; stando alle parole del legislatore, l’interesse tutelato sarebbe il sentimento C. cost., n. 108/1974. 52 C. cost., n.
108/1974. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della
formula per gli animali, ossia l’umana compassione che scaturisce dal rapporto
con la sofferenza dell’animale. L’evidenza testuale suggerisce una connessione
con i problemi og- getto della presente indagine, ma l’inquadramento
dell’interesse pro- tetto in ossequio al verbo legislativo appare una lettura
superficiale. Le tesi dottrinali nel panorama italiano sono espressione di
diversi orientamenti53: il primo tendente a dare rilievo alla definizione del
legislatore; il secondo proiettato all’affermazione di una soggettività
giuridica dell’animale; un terzo orientamento di compromesso, e infine una
quarta soluzione che appare protesa al riconoscimento di una tutela diretta
dell’essere non umano, senza scivolare in proble- matiche (soprattutto da un
punto di vista filosofico) ‘soggettivizza- zioni’ dell’animale, ma rimarcando
come la tutela diretta dell’animale non umano sia da contestualizzarsi all’interno
di un quadro di inte- ressi e controinteressi umani 57. Non potendo
approfondire nel corso della presente indagine l’amplissima questione, ci
limitiamo ad alcune osservazioni finalizza- te a definire il senso e la
peculiarità dell’impianto normativo della tu- tela del sentimento per gli
animali in rapporto agli altri ‘sentimenti- valori’ presenti nel codice penale.
In primo luogo la tipicità delle fattispecie di cui agli art. 544 bis e 53
Secondo la ricostruzione di FASANI, L’animale come bene giuridico, in Riv. it.
dir. proc. pen. Così GATTA, Art. c.p., in AA.VV., diretto da Dolcini-Gatta,
Codice penale commentato,; PISTORELLI, Così il legislatore traduce i nuovi
sentimenti e fa un passo avanti verso la tutela diretta, in Guida dir. Per una
sintesi della problematica, v. VALASTRO, La tutela giuridica degli ani- mali,
fra nuove sensibilità e vecchie insidie, in Annali di Ferrara. Va evidenziata
la posizione di MANTOVANI F., Diritto penale, Padova, il quale individua la
ratio della tutela penale degli animali in una prospettiva promozionale della
stessa dignità umana, in quanto «la riduzione dell’immensa crudeltà verso gli
animali attenuando la crudeltà complessiva del mondo, se non rende l’animale
più uomo, rende l’uomo meno animale e migliore la Terra. POCAR, Gli animali non umani. Per una
sociologia dei diritti, Bari; RESCIGNO, I diritti degli animali. Da res a
soggetti, Torino. Testo di riferimento per l’introduzione alle teorie
animaliste è SINGER, Liberazione animale, tr. it., Milano. MAZZUCATO, Bene
giuridico e “questione sentimento” nella tutela penale della relazione
uomo-animale. Ridisegnare i confini, ripensare le sanzioni, ia cura di
Castignone-Lombardi Vallauri, Trattato di biodiritto-La questione animale,
Milano. FASANI, L’animale come bene giuridico, Tra sentimenti ed eguale
rispetto ss.58 non lascia spazio a valutazioni in termini emozionali; al senti-
mento umano di rispetto per gli animali può essere riconosciuto un ruolo
propulsivo nei confronti della scelta politico-criminale, ma per ricondurre
l’oggetto della tutela ad una sorta di pietas verso gli esseri non umani,
dovrebbe essere necessario richiedere nelle condotte quantomeno un grado di
pubblicità tale da riflettersi sul sentire col- lettivo. Ciò che fonda la
tipicità degli artt. 544 bis e 544 ter è aver uc- ciso con crudeltà un animale
o averlo maltrattato con carichi di lavo- ro insopportabili: azioni che possono
senz’altro indurre sentimenti negativi nella gran parte degli esseri umani, ma
che rilevano norma- tivamente per il semplice fatto di essere state realizzate,
e dunque quale offesa ad animali non umani Per una panoramica v. VALASTRO, La
tutela penale degli animali: problemi e prospettive, in AA.VV., a cura di
Castignone-Lombardi Vallauri, Trattato di biodiritto – La questione animale. Sul
tema, prima della riforma, vedi i saggi contenuti in a cu- ra di
Mannucci-Tallacchini, Per un codice degli animali, Milano. Sottolinea FIANDACA,
Prospettive di maggiore tutela penale degli animali, a cura di
Mannucci-Tallacchini, Per un codice degli animali, che, al di là della
possibile disputa circa un’ipotetica soggettività giuridica animale, per
legittimare una tutela penalistica possa essere sufficiente «parlare di
“interessi animali” degni di riconoscimento e tutela: interessi considerati in
una dimensione oggettiva, a pre- scindere dal problema di una loro riferibilità
all’animale come soggetto giuridico», ritenendo plausibile che «gli animali
[siano] portatori di due interessi fondamentali: l’interesse alla sopravvivenza
e l’interesse alla minore sofferenza possibile». Il di- stacco da un’ottica
antropocentrica, con implicita emancipazione da una ratio di tutela incentrata
sul sentimento umano per gli animali, appare peraltro ravvisabile anche nella
giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, relativa all’art., il quale,
prima dell’introduzione del titolo IX bis, incriminava le condotte di maltrat-
tamento di animali: v., in particolare, Cass. pen., sez., in Cass. pen., 1992,
p. 951, la quale afferma che «in via di principio l’art., in considerazio- ne
del tenore letterale della norma (maltrattamento) e del contenuto di essa (ove
si parla non solo di sevizie ma anche di sofferenze e di affaticamento) tutela
gli ani- mali in quanto autonomi esseri viventi, dotati di sensibilità psico-fisica
e capaci di reagire agli stimoli del dolore, ove essi superino la soglia di
normale tollerabilità. La tutela è, dunque, rivolta agli animali in
considerazione della loro natura»; in senso conforme, v. Cass. pen., sez., in
Dir. giust.; Cass. pen., sez., in Nuovo dir., secondo cui «La “ratio” della
disposizione di cui all’art. c.p. è quella di voler perseguire condotte
caratterizzate da un’apprezzabile componente di lesività dell’integrità fisi-
ca e-o psichica dello animale». Più contraddittoria appare invece la giurisprudenza
di legittimità dopo la novella: si veda, ad esempio, Cass. pen., sez., ove si
afferma che «La norma è volta a proibire comporta- menti arrecanti sofferenze e
tormenti agli animali, nel rispetto del principio di evitare all’animale, anche
quando questo debba essere sacrificato per un ragionevole motivo, inutili
crudeltà ed ingiustificate sofferenze», rimarcando tuttavia che «in
Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula
L’identificazione dell’oggetto di tutela in un (non meglio identifi- cato)
sentire comune costituisce una lettura pregna di risvolti pro- blematici60, e
sono in questo senso condivisibili interpretazioni più ragionevoli che
suggeriscono di configurare l’interesse tutelato in termini di relazionalità e
‘interspecificità’: «andare oltre la dicotomia radicale e guardare nel mezzo
[...] cioè nel rapporto tra l’uomo e l’animale; lì si rinviene il bene
giuridico davvero tutelabile dal diritto penale, nel quadro delle garanzie
costituzionali. L’animale non riempie, non esaurisce, l’orizzonte di tutela
penale. L’uomo (che prova qualcosa davanti all’animale e che invoca per
quest’ultimo un dignitoso trattamento) non scompare dalla scena» 61. Nel
complesso, i problemi connessi alla tutela del sentimento per gli animali non
sembrano propriamente accomunabili a quelli riscontrati in relazione agli altri
‘sentimenti’ tutelati dalle norme pena- li. Una differenza di fondo è che le
disposizioni a tutela della religio- ne o del pudore chiamano in gioco un
bilanciamento fra interessi in- terno al confronto fra esseri umani e basato su
entità immateriali come i valori normativo-ideali; dall’altra parte, per quanto
il ricono- scimento di una soggettività giuridica all’animale sia un problema
aperto, in sede di ricostruzione dell’oggetto di tutela appare preferibi- le
tenere conto della soggettività animale senza sublimarla né in un impalpabile
sentire dell’uomo né in un mero contenuto ideale, ma piuttosto come problema
che sollecita un approfondito studio delle condizioni di compatibilità fra
esigenze umane e rispetto della vita di esseri non umani. Per tali ragioni, il
tema del sentimento degli animali pone que- stioni non inquadrabili nella
tutela dei cosiddetti ‘sentimenti-valori’, né appare accostabile al tema del disagio
emotivo, rivelandosi piutto- sto la proiezione di un problema antico e ancora
attuale, concernente gli equilibri di vita e sopravvivenza fra uomo ed
ecosistema. tali disposizioni l’oggetto di tutela è il sentimento di pietà e di
compassione che l’uo- mo prova verso gli animali e che viene offeso quando un
animale subisce crudeltà e ingiustificate sofferenze. Scopo dell’incriminazione
è quindi di impedire manifesta- zioni di violenza che possono divenire scuola
di insensibilità delle altrui sofferenze. Ben evidenziati da MAZZUCATO, Bene
giuridico e “questione sentimento. MAZZUCATO, Bene giuridico e questione
“sentimento”, cit., p. 703. 62 Un’interessante lettura sulla complessità del
rapporto fra uomo e animali non umani è il libro di HERZOG, Amati, odiati,
mangiati. Perché è così difficile agire bene con gli animali, tr. it., Torino.
Per un inquadramento dell’impianto di tutela penale degli animali nel più ampio
contesto dei reati contro l’ambiente e Tra sentimenti ed eguale rispetto.
Il comune sentimento della morale Passando all’ambito extracodicistico, le
disposizioni normative in cui è più evidente ed univoco il richiamo al
sentimento quale oggetto di tutela sono gli artt. 14 e 15 della legge: l’art.
stabilisce la rilevanza penale, ai sensi dell’art. c.p., di pubblicazioni
destinate ai fanciulli e agli adolescenti quando, per la sensibilità e
l’impressionabilità ad essi proprie, siano idonee a offendere il loro
sentimento morale o a costituire per essi incitamento alla corruzione, al
delitto, al suicidio; l’art. 15 si rivolge parallelamente alla tutela di
soggetti adulti, vietando la pubblicazione di stampati i quali descri- vano o
illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti
realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il
‘comune sentimento della morale’ 63. Punto centrale delle fattispecie, che ne
determina (fortunatamente) anche le difficoltà applicative, è l’esigenza di
accertare l’idoneità delle condotte alla causazione di eventi determinati
(«favorire il disfrenarsi di istinti di violenza, diffondersi di suicidi o
delitti»). Al fianco di tali eventi si pone l’offesa o il turbamento al
sentimento morale, formula tanto eloquente quanto indeterminata: «fondata sopra
un presupposto empirico e nebuloso di morale corrente, essa reca con sé tutti i
pericoli che le norme ispirate a concetti vaghi, a intuizioni, a sentimenti
porta- no sempre nella loro applicazione concreta» 64. L’accostamento esplicito
fra il sentire e la morale trova probabil- mente la sua ragione nell’intento di
introdurre una disposizione il più possibile assonante con l’art. c.p. (comune
sentimento del pudore), rielaborando in termini più estensivi i divieti
stabiliti in tema di buon costume sessuale65; una connessione che si motiva
anche con l’obiettivo di trovare un aggancio costituzionale esplicito a un
inte- resse che deve essere bilanciato con la libertà di espressione 66.
l’ecosistema v. RUGA RIVA, Diritto penale dell’ambiente, II ed., Torino. Per
una prospettiva socio-criminologica sul rapporto uomo-ambiente v. NATA- LI,
Green Criminology. Prospettive emergenti sui crimini ambientali, Milano. Sul
tema, per tutti, NUVOLONE, Il diritto penale della stampa, Padova; ID., I
limiti della libertà di stampa nell’art. della legge, Arch. pen. NUVOLONE, Il
diritto penale della stampa, cit., p. 234. 65 Parla di ‘triplice oggetto del
reato’ (sentimento della morale, ordine familia- re, ordine pubblico) NUVOLONE,
I limiti della libertà di stampa. La connessione fra sentire, morale e buon
costume emerge anche in C. cost., n. 9/1965, la quale ha ritenuto non fondate
le questioni di legittimità costituzionale sol- Dimensione
codicistica e funzione discorsiva della formula 81 Le sporadiche applicazioni
confermano la centralità a livello teo- rico del nesso fra turbamento emotivo e
offesa alla morale: appare significativa ad esempio una pronuncia della Corte
di Appello di Ro- ma nella quale si nega la sussistenza della fattispecie in
relazione alle immagini di una donna col cordone ombelicale attaccato, sulla
base della motivazione che simili immagini non potrebbero provocare tur-
bamento o orrore, e pertanto non offendono la morale. Il più eloquente
contributo alla definizione dell’interesse protetto dall’art. 15 è la sentenza
n. 293/2000, con la quale la Corte costituzio- nale ha ritenuto inammissibile
l’eccezione di incostituzionalità della norma per contrasto con l’art. 21
Cost.: «L’art. 15 della legge sulla stampa del 1948, esteso anche al sistema
radiotelevisivo pubblico e privato dall’art. della legge, non intende andare al
di là del tenore letterale della formula quando vieta gli stampati idonei a
“turbare il comune senti- mento della morale”. Vale a dire, non soltanto ciò
che è comune alle di- verse morali del nostro tempo, ma anche alla pluralità
delle concezioni etiche che convivono nella società contemporanea. Tale
contenuto mi- nimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore
che anima l’art. 2 della Costituzione, alla luce del quale va letta la
previsione incriminatrice denunciata. La descrizione dell’elemento materiale
del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a concetti
elastici, trova nella tutela della dignità umana il suo limite, sì che appa- re
escluso il pericolo di arbitrarie dilatazioni della fattispecie, risultando
quindi infondate le censure di genericità e indeterminatezza» 68. Come è stato
osservato in dottrina, tale sentenza ha compiuto un’operazione di
rivisitazione/trapianto, finendo per concepire come vasi comunicanti il comune
sentimento del pudore e il comune sentimento della morale attraverso il
passepartout della dignità uma- levate in relazione all’art. c.p. (incitamento
a pratiche contro la procreazione), osservando in motivazione che non
diversamente il buon costume risulta da un insieme di precetti che impongono un
determinato comportamento nella vita sociale di relazione, la inosservanza dei
quali comporta in particolare la violazione del pu- dore sessuale, sia fuori
sia soprattutto nell’ambito della famiglia, della dignità perso- nale che con
esso si congiunge, e del sentimento morale dei giovani, ed apre la via al
contrario del buon costume, al mal costume e, come è stato anche detto, può
com- portare la perversione dei costumi, il prevalere, cioè, di regole e di
comportamenti contrari ed opposti. App. Roma, 13 maggio 1958, in Arch. pen. C.
cost., n. 293/2000. Tali conclusioni sono state confermate in una succes- siva
ordinanza che ha dichiarato la manifesta infondatezza della medesima ecce-
zione di costituzionalità, v. C. cost. Tra sentimenti ed eguale rispetto na69.
La chiosa della Corte, quando esclude censure di genericità e indeterminatezza,
è alquanto frettolosa, per non dire superficiale, e fonda il discorso su un
valore sì fondamentale, ma tutt’altro che definito nei risvolti applicativi. Merita
attenzione la triade concettuale ‘sentimento-morale-di- gnità’: l’evocazione
del sentimento è disgiunta da profili di reattività psichica, e dunque
dall’aggancio a una dimensione individuale, po- nendosi come sinonimo di minimum
etico. Il delitto di cui all’art. 15 della legge sulla stampa, pur essendo
sostanzialmente inapplicato, riveste a nostro avviso importanza centrale, dal
punto di vista teorico, nel ‘microsistema’ delle disposizioni a tutela di
‘sentimenti’; ne rivela i tratti più problematici, poiché attribuisce a stati
affettivi come disgusto e orrore il ruolo di parametro etico per la valutazione
di cosa possa considerarsi moralmente adeguato, riconoscendo dunque a tali
emozioni un ruolo cognitivo-valutativo che oggi sappiamo essere tutt’altro che
attendibile (vedi infra, cap. IV). 2.2. Lessico delle norme e piano fenomenico:
sentimenti o emo- zioni? Un passaggio concettualmente importante consiste nel
decodifica- re il richiamo giuridico a emozioni e sentimenti in rapporto
all’alternativa fra concezioni meccanicistiche e concezioni valutative. A
nostro avviso la chiave di lettura più funzionale all’analisi delle norme che
l’ordinamento italiano pone a tutela di ‘sentimenti’ è la concezione
valutativa: gli interessi denominati dal legislatore ‘senti- menti’ acquistano
rilevanza normativa in virtù di una peculiare tra- iettoria dell’intenzionalità
dello stato affettivo. Si tratta di un modo di concepire il sentimento del
tutto simile al significato che Joel Feinberg propone quando analizza il
cosiddetto ‘appello ai sentimen- VISCONTI C., Aspetti penalistici. Cfr.
TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, bilanciamento e propa- ganda
razzista, Torino. Intendiamo il concetto di intenzionalità secondo l’accezione
proposta da Searle, ossia «quella proprietà di molti stati ed eventi mentali
tramite la quale essi sono direzionati verso, o sono relativi a oggetti e stati
di cose del mondo, SEARLE, Sull’intenzionalità. Un saggio di filosofia della
conoscenza, tr. it., Milano. In termini generali, sul concetto di
intenzionalità v. GALLAGHER- ZAHAVI, La mente fenomenologica, cit., Dimensione
codicistica e funzione discorsiva della formula 83 ti’ nelle questioni etiche:
il filosofo americano ritiene infatti che ciò a cui si fa riferimento non sia
un mero stato emotivo, ma la peculiare risposta soggettiva che gli individui
possono provare nel rapporto con determinati oggetti. È bene distinguere tra
l’oggetto del sentire e la sindrome affettiva, quali elementi costitutivi delle
entità psico-sociali che il diritto pren- de in considerazione. L’uso
giuridico, in accordo col senso comune, adopera la categoria del sentimento in
un modo che tende a fondere il profilo soggettivo dell’affettività con la sua
proiezione esterna e dunque con l’oggetto del sentire 73. La distinzione fra
sindrome affet- tiva e oggetto del sentire permette di tematizzare in modo
separato i profili pertinenti da un lato alla selezione degli ‘oggetti
emotigeni’, e dall’altra alla tipologia di stati affettivi che potrebbero
eventualmente venire in gioco. L’oggetto del sentire è ciò che definisce il
substrato materiale o ideologico dell’offesa: ad esempio si parla di sentimento
religioso per dare rilevanza non a un astratto sentire ma quel genere di
esperienza emotiva che ha a che fare con la fede religiosa. Stesso discorso per
altri interessi definiti ‘sentimenti’: il sentimento del pudore come di-
sposizione a provare un certo tipo di reazioni soggettive in rapporto a
manifestazioni della sessualità; oppure il sentimento nazionale quale FEINBERG,
Sentiment and sentimentality: «Unlike some emotions, sentiments are not mere
objectless perturbations with subtle but neutral affective colorings. They too have an essential
polarity to them (pleasant-unpleasant, friendly-unfriendly, postive-negative),
though unlike attitudes, the positive or negative character of sentiments is
not simply a “pro” or “con,” “for” or “against” posture. Some of the terms we
apply to the objects of positive or negative sen- timents are themselves
definable not in terms of the inherent properties of those objects but rather
in terms of the sentiments they are thought naturally or properly to awaken. È significativo quanto osservato in ambito
psicologico: in genere, le persone dichiarano sentimenti patriottici più o meno
intensi in momenti diversi del- la loro vita; come sono tali sentimenti?
L’ovvia risposta a tale domanda è che que- sti sentimenti non hanno alcun senso
di esistere, per lo meno non al di fuori della tendenza del singolo a provare
altri tipi di sentimenti (orgoglio, dolore, vergo- gna), nei quali la sua vita
affettiva appare in linea con sorti della nazione. In tal senso, da un patriota
ci si aspetta che provi gioia e orgoglio quando la sua nazione vince, dolore o
compassione quando essa è in crisi, rabbia se è ingiustamente diffamata, e
disperazione nella sconfitta umiliante. Pertanto, osservando attentamente la
vita interiore e le abitudini di un patriota, non vi si troverà mai una traccia
di quel sentimento particolare chiamato “patriottismo” al di fuori di quanto
scritto sopra, v. ROYZMAN-MCCAULEY-ROZIN, Da Platone a Putnam: quattro mo- di
di pensare all’odio, a cura di Sternberg, Psicologia dell’odio. Cono- scerlo
per superarlo, tr. it., Gardolo. Tra sentimenti ed eguale rispetto forma di
partecipazione affettiva, ‘patriottica’, alle vicende della pro- pria nazione.
Veniamo ad analizzare il versante della sindrome affettiva: qual è il fenomeno
che appare più aderente alle situazioni descritte nel con- testo codicistico?
Una importante differenza fra emozione e sentimen- to è identificabile nella
consistenza e nella durata: l’emozione, secon- do quanto abbiamo
precedentemente osservato in accordo con le ela- borazioni delle diverse
branche dei saperi lato sensu psicologici, rap- presenta una componente
dinamica del sentire, ossia uno stato men- tale di breve durata, caratterizzato
da una predominante componente reattiva; il sentimento è uno stato più durevole
e radicato. Parlare di una tutela di emozioni in senso stretto è improprio; ma
appare non del tutto corretta con anche un’eventuale associazio- ne degli
oggetti tutelati dal codice a stati psichici più duraturi. L’accezione che in
relazione ai ‘sentimenti-valori’ consente di in- staurare una connessione ‘non
irrealistica’ con la dimensione feno- menica è rappresentata a nostro avviso
dal concetto di ‘disposizione individuale del sentire’: non un accostamento a
emozioni in senso stretto e neanche a stati duraturi in quanto tali, ma
piuttosto ad at- teggiamenti che delineano l’orientamento affettivo e
assiologico della persona in conseguenza della maggiore o minore partecipazione
emotiva nel rapporto con determinati oggetti e situazioni. Entità come il
sentimento religioso, il sentimento del pudore et similia, appaiono funzionali
a richiamare disposizioni soggettive a provare emozioni. Atti persecutori:
sofferenza psichica e libertà di autodetermi- nazione Parlando di sentimenti
come ‘disposizioni del sentire’ si potrebbe intendere il problema di tutela
anche come protezione delle condi- zioni di formazione del sentire, e dunque
come assenza di forme di coartazione psichica. In questo modo si finirebbe però
per identificare nella libertà morale l’interesse di fondo, accomunando in modo
improprio ambiti di intervento che restano ben distinti nel codice Cfr.
FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti. Si veda anche
l’impostazione di FEINBERG, Sentiment and Sentimentality. Dimensione
codicistica e funzione discorsiva della formula penale e che la dottrina ha
contribuito anche di recente a definire nelle rispettive sfere di autonomia. Ci
sembra più adeguato tenere in evidenza la distinzione concettuale e collocare
la problematica dei ‘sentimenti-valori’ e delle dispo- sizioni del sentire a
uno stadio nel quale la libertà morale, intesa come libertà di conservare la
propria personalità psichica, di ragionare con la propria testa, di formarsi
una propria fede religio-sa politica e di conservarla come di mutarla, sia da
considerarsi elemento acquisito, e dunque come precondizione delle situazioni
in cui possono eventualmente crearsi conflitti relativi al piano dei
‘sentimenti-valori’. Il tema della tutela da forme di turbamento emotivo e di
coarta- zione psichica viene in gioco in relazione a un’altra fattispecie del
codice italiano, anch’essa formulata attraverso il richiamo a stati af-
fettivi, ossia il delitto di ‘atti persecutori’. La condotta tipica consiste
nel porre in essere azioni di minaccia o molestia tali da ingenerare un
perdurante e grave stato d’ansia e di paura, ossia stati psichici
caratterizzati da un tono edonico negativo e dunque in grado di alterare
l’equilibrio emotivo dell’individuo e la sua tranquillità 78. Si può parlare di
tutela di sentimenti in un senso che contribuisce a rimarcare che l’interesse
protetto ha a che fare in primo luogo con la dimensione affettiva del singolo;
in questo senso si è ben sottoli- neato che il delitto di atti persecutori
rappresenta l’avvio di un trend politico criminale «attento a consolidare la
finora striminzita tutela codicistica dei sentimenti di stampo individuale, in
luogo della classi- ca e per certi aspetti controversa tutela dei sentimenti di
tipo collettivo virando verso una maggiore concretizzazione personologica del
bene giuridico. La rilevanza giuridica dello stato affettivo non è però
qualificata dall’oggetto del sentire, ma piuttosto dall’impatto 76 NISCO, La
tutela penale dell’integrità psichica; VITARELLI, Manipolazione psicologica e
diritto penale, Roma. Quest’ul- tima si sofferma in particolare sulle
interferenze fra tutela della libertà psichica e della libertà di
manifestazione del pensiero osservando che il semplice utilizzo della parola,
in assenza di violenza e inganno, resta comunque resistibile e dun- que non può
considerarsi come forma di compressione della libertà morale. 77 È la
cristallina definizione di VASSALLI, Il diritto alla libertà morale, in AA.VV.,
Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, vol. II, Roma. Ex plurimis,
MAUGERI, Lo stalking. COCO, La tutela della liber- tà individuale nel nuovo sistema
‘anti-stalking’, Napoli. CAPUTO, Eventi e sentimenti. Tra sentimenti ed eguale
rispetto sull’equilibrio psico-fisico del soggetto. Non sono in gioco
‘sentimen- ti-valori’: nella fattispecie di atti persecutori il bene-sentimento
as- sume una connotazione più psicologica che simbolico-valoriale. Il richiamo a
stati affettivi nel delitto di stalking ha una funzione rilevante sul piano
della tipicità: gli eventi emotivi descritti nella fat- tispecie devono essere
oggetto di prova. L’alternativa di fondo è fra una concezione patologica,
secondo la quale è necessario un accer- tamento medico-legale della sussistenza
(quantomeno nel caso dello stato d’ansia) di disturbi diagnosticabili secondo
un paradigma me- dico-psicologico80, e un orientamento differente secondo il
quale è sufficiente un disagio accertabile in autonomia dal giudice 81. Appare
comunque riduttivo appiattire il disvalore dello stalking sullo stimolo di
sensazioni negative identificate attraverso standard cognitivi basati sul senso
comune. La tipicità penale è imperniata su un’interazione di tipo psicologico e
sulle conseguenti reazioni in- dotte nella vittima, e gli eventi psichici
assumono rilevanza in un’ot- tica strumentale all’evento finale, sostanziandosi
«in percorsi motiva- zionali diretti all’assunzione di una decisione da parte
del soggetto passivo. Nel delitto di atti persecutori il fatto emozionale
assume rilievo quale causa potenzialmente condizionante il comportamento e la
vita di un soggetto. Non dovrebbe essere sufficiente un mero stato edoni- co
negativo, ma si dovrebbe, a nostro avviso, verificare la sussistenza di stimoli
emotivi tali da produrre alterazioni della funzionalità di scopo nella
complessiva economia di azione dell’individuo: forme di turbamento psicologico
che la dottrina penalistica ha collocato nella 80 BRICCHETTI-PISTORELLI, Entra
nel codice la molestia reiterata, in Guida dir., 10/2009, pp. 58 s.; cfr.
BARBAZZA-GAZZETTA, Il nuovo reato di atti persecutori, in Altalex. VALSECCHI,
Il delitto di atti persecutori (il cd. stalking), in Riv. it. dir. proc. pen. A
favore di una concezione intermedia si pongono FIANDA- CA-MUSCO, Diritto
penale. Parte speciale, Bologna; CAPUTO, Eventi e sentimenti. In giurisprudenza
è discusso se debba trattarsi di uno stato tale da integrare gli estremi di una
malattia mentale; per ora sembra prevalere l’orientamento che non richiede
l’accertamento di uno stato patologico, ritenendo sufficiente che gli atti
ritenuti persecutori «abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio
psicologico della vittima», così Cass. pen., sez.; cfr. Cass. pen., sez.; Cass.
pen., sez. In questo senso la condivisibile posizione di NISCO, La tutela
penale dell’integrità psichica. Così li definisce efficacemente CAPUTO, Eventi
e sentimenti, cit., p. 1400. Dimensione codicistica e funzione discorsiva
della formula 87 categoria della ‘sofferenza psichica’, corrispondenti a
«un’alterazione della mente nella sua consistenza, né più né meno di quanto
possa accadere ad una macchina danneggiabile; ed un’alterazione del fun-
zionamento di questa ‘macchina’ come entità diretta ad uno scopo, secondo una
prospettiva nella quale la sofferenza emerge come misu- ra eccessiva di
frustrazione di tale scopo, a prescindere dal danneg- giamento della macchina La
definizione di sentimento come connotazione simbolica negativa nel discorso
penalistico Attraverso un excursus sulle norme di diritto positivo abbiamo
cercato di dare una dimensione al versante descrittivo della formula ‘tutela
penale di sentimenti’. Passiamo ora a considerare il profilo che abbiamo
definito ‘connotativo’ e che attiene alla dimensione teoreti- co-speculativa.
Nel discorso penalistico è oggi frequente l’uso della parola ‘senti- mento’ per
definire in termini critici oggetti di tutela la cui fisiono- mia appare
difficilmente determinabile, esposti al rischio di interpre- tazioni
soggettivistiche e suscettibili di incentivare problematiche espansioni
dell’intervento penale; il lessico dei sentimenti non emer- ge in questo caso
da norme, ma dai discorsi dei giuristi. L’interrogativo concernente la
tutelabilità di sentimenti per mezzo del diritto penale ha tradizionalmente
suscitato la diffidenza della dot- trina penalistica, non solo nel panorama
italiano ma anche nel conte- sto europeo-continentale85: più in generale, il
pensiero penale che NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica. Ampio
consenso sussiste circa il fatto che l’utilizzo di norme penali è il- legittimo
quando si tratti di tutelare sentimenti o rappresentazioni morali o di valore»,
v. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mantenimento di
orientamenti sociali di carattere assiologico? Nella dottrina tedesca, il
richiamo a sentimenti è presente nello storico saggio di BIRNBAUM, Über das
Erfoderniß einer Rechtsverletzung zum Begriffe des Verbrechens, mit besonderer
Rücksicht auf den Begriff der Ehrenkränkung, in Archiv des Criminalrechts, Neue
Folge, Vi è poi l’analisi di MISCH, Der Strafrechtliche Schutz der Gefühle,
Frankfurt am Main. Le opere successive mantengono il focus sul problema della
configurabilità come bene giu- ridico (Rechtsgut) soffermandosi su un’analisi
che privilegia l’aspetto dogmatico piuttosto che la dimensione di politica del
diritto; cfr. VOLK, Gefühlte Rech- tsgüter?, in FS für Roxin, Berlin; SEELMAN,
Verhaltensdelikte: Kulturschutz durch Recht?, in FS für Jung, Tra
sentimenti ed eguale rispetto identifichi la propria guida assiologica nei
principi liberali ha da sempre un rapporto problematico con le norme a tutela
di sentimenti. Le motivazioni non si limitano a questioni di tassatività e
deter- minatezza delle fattispecie, ma hanno a che fare con ragioni di politi-
ca del diritto: dietro gli oggetti di tutela definiti ‘sentimenti’ i legisla-
tori hanno di fatto apprestato forme di presidio a valori, ossia a con- cezioni
della vita buona, o della morale sessuale, o in generale a con- cezioni
normativo-ideali. Le norme a tutela di sentimenti hanno dunque un altissimo
coefficiente di pregnanza etica e riflettono at- teggiamenti valoriali di fondo
la cui tutela per mezzo del diritto pena- le può rappresentare un fattore di
alterazione degli equilibri fra mag- gioranze e minoranze in un contesto
pluralista. Non deve dunque sorprendere il fatto che il problema della tu- tela
di sentimenti rappresenti un capitolo importante nel discorso sulla
legittimazione delle norme penali, per quanto spesso non venga richiamato
attraverso la formula che qui stiamo analizzan- do, ma si trovi inserito
all’interno di altri macrotemi; ad esempio nel discorso concernente i rapporti
fra diritto penale e morale 88 o Baden-Baden; più diffusamente HÖRNLE, Grob
anstößiges Verhalten. Strafrechtlicher Schutz von Moral, Gefühlen und Tabus,
Frankfurt, Nella dottrina spagnola v. ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho
penal.; GIMBERNAT ORDEIG, Presentaciòn, a cargo de Alcàcer Guirao-Lorenzo-
Ortiz de Urbina Gimeno, La teorìa del bien jurìdico. Fundamento de legitimaciòn del
Derecho penal o juego de abalarios dogmàtico?, Madrid-Barcelona. Cfr. HÖRNLE,
La protecciòn de sentimientos en el StGb, a cargo de Alcàcer
Guirao-Lorenzo-Ortiz de Urbina Gimeno, La teorìa del bien jurìdico. Funda-
mento de legitimaciòn del Derecho penal o juego de abalarios dogmàtico? Cfr. TESAURO, La propaganda razzista tra tutela della
dignità umana e danno ad altri, in Riv. it. dir. proc. pen. Il richiamo a
sentimenti ed emozioni intrattiene un legame particolarmente stretto con i
problemi relativi al rapporto tra diritto penale e morale; nella pro- spettiva
liberale l’incriminazione di condotte ritenute contrarie a dettami morali o a
tabù in assenza di veri e propri danni viene motivata, in termini critici,
quale violazione di un sentire. Se da un lato le incriminazioni, o le ipotesi
di incriminazione, di violazioni morali vengono definite criticamente come offese
a sentimen- ti, non bisogna tuttavia inferire frettolosamente la veridicità
dell’eventuale per- corso logico inverso, ossia che anche tutte le ipotesi di
tutela di un particolare sentimento costituiscano delle proiezioni del più
ampio problema della punizione della mera immoralità: sarebbe infatti una
conclusione che pecca di genericità e non consentirebbe di riservare la dovuta
attenzione ai diversi problemi di tutela, anche non meramente ‘moralistici’,
che potrebbero ragionevolmente emergere dietro l’evocazione di un sentimento.
Sul tema della punizione dell’immoralità, in una prospettiva che mette in
dialogo i criteri di legittimazione di matrice euro- peo-continentale e
anglo-americana, v. FIANDACA, Punire la semplice immoralità? Dimensione
codicistica e funzione discorsiva della formula 89 in relazione al problema del
paternalismo penale 89. Nella dottrina italiana le perplessità di fronte a
istanze di tutela caratterizzate da una componente emozionale sono inizialmente
formulate in contesti di analisi incentrati su temi di diritto positivo o di
teoria generale del reato, e mantengono un angolo visuale definibi- le come
‘endopenalistico’, se non proprio ‘endocodicistico’. Risulta particolarmente
significativo il richiamo che viene fatto al sentimento in un autorevole studio
sul bene giuridico 90: nell’esporre Un vecchio interrogativo che tende a
riproporsi, a cura di Cadoppi, Lai- cità, valori, e diritto penale. The Moral
Limits of The Criminal Law. In ricordo di Joel Feinberg, Milano; DE MAGLIE, Punire
le condotte immorali?, in Riv. it. dir. proc. pen., CADOPPI, Paternalismo e
diritto penale: cenni introduttivi, in Criminalia; ID., Liberalismo,
paternalismo e diritto penale, a cura di Fiandaca-Francolini, Sulla
legittimazione del diritto penale; CANESTRARI- FAENZA, Paternalismo penale e
libertà individuale: incerti equilibri e nuove prospettive nella tutela della
persona, a cura di Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale; CORNACCHIA,
Placing care. Spunti in tema di paternalismo penale, in Criminalia; PULITANÒ,
Paternalismo penale, a cura Forti- Bertolino-Eusebi, Studi in onore di Romano;
ROMANO, Danno a sé stessi, paternalismo legale e limiti del diritto penale, in
Riv. it. dir. proc. pen.; SPENA, Esiste il paternalismo penale? Un contributo
al dibat- tito sui principi di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen. Con
riferimento al tema del potenziamento cognitivo, v. ZANNOTTI, Potenziamento
umano: le considerazioni di un penalista, a cura di Palazzani, Verso la sa-
lute perfetta. Enhancement tra bioetica e biodiritto, Roma. ANGIONI F.,
Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano. Sul tema è
d’obbligo il riferimento a BRICOLA, Teoria generale del reato, in Noviss. dig.
it., Torino; v. anche MAZZACUVA, Diritto penale e Costituzione, a cura di
Insolera-Mazzacuva-Pavarini-Zanotti, Intro- duzione al sistema penale, III ed.,
Torino, 2006, pp. 83 ss. Fra le opere che hanno avuto maggiore rilievo per
l’elaborazione di un concetto di bene giuridico costitu- zionalmente orientato
v. MUSCO, Bene giuridico e tutela dell’onore, cit.: anche in questo caso il
problema nasce dalla problematica fisionomia dell’oggetto di tute- la, il quale
secondo alcune correnti interpretative viene fatto coincidere con un sentimento
soggettivo. Per una panoramica sui differenti sviluppi della teoria del bene
giuridico nei rapporti con la Costituzione, v. FIANDACA, Il bene giuridico come
problema teorico e come criterio di politica criminale, a cura di
Marinucci-Dolcini, Diritto penale in trasformazione, Milano; DONINI, Teoria del
reato. Un’introduzione, Padova; ID., Ragioni e limiti della fondazione del
diritto penale sulla Carta costitu- zionale, in ID., Alla ricerca di un
disegno. Scritti sulle riforme penali in Italia, Padova; per un raffronto con
la giurisprudenza costituzionale, v. PULITANÒ, Bene giuridico e giustizia
costituzionale, a cura di Stile, Bene giu- ridico e riforma della parte
speciale, Napoli.; MANES, Il principio di offensività nel diritto penale.
Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di
ragionevolezza, Torino. Tra sentimenti ed eguale rispetto la problematica
relativa a fattispecie penali che sembrerebbero rivol- gersi esclusivamente
alla tutela di principi etici, si osserva che «con la realizzazione di un fatto
che contrasta con quelle norme etiche si ur- ta in pari tempo, o si può urtare,
contro i sentimenti di quella parte della popolazione che in quei principi
morali crede, o che addirittura attribuisce loro tale rilievo da averne, come
forza politica o culturale organizzata, difesa la conservazione al rango di
valori penali. Offendere valori può significare offendere i sentimenti di chi
crede in quei valori: questa, in sintesi, la motivazione che, secondo Angioni,
sarebbe a fondamento di norme quali, ad esempio, quelle a tutela del pudore e
del sentimento religioso. Il riferimento a sentimenti appare in questo caso
finalizzato a in- centrare il fuoco del disvalore su un bene della persona,
così da poter rinvenire una base di legittimità ancorata a una prospettiva
persona- listica di danno, o comunque non meramente moralistica. Non si tratta
però di una soluzione appagante, in quanto, rileva successiva- mente lo stesso
Autore, resta aperto il problema della necessità e del- la meritevolezza di
pena: la considerazione che l’offesa a un senti- mento sia un criterio di per
sé sufficiente a fondare il ricorso allo strumento penale sembra cozzare contro
un naturale senso di proporzione e di misura. L’argomentazione che Angioni
espone tramite categorie endopenalistiche (principio di proporzione) rimanda in
ultima istanza a ra- gioni che hanno a che fare con valori di fondo della
democrazia libe- rale e con i principi costituzionali: ritenere che l’offesa a
meri senti- menti non sia sufficiente a fondare una criminalizzazione legittima
è l’esito di un ragionamento che assume a presupposto un pacchetto di principi
di ispirazione liberale, laicità ed uguaglianza in primis 93. Ciò mostra come
il discorso sia tutt’altro che limitabile a un piano tecnico-giuridico, ma
investa in pieno la dimensione politica del pro- blema penale, anche in forza
dei profondi nessi che legano, in termini di interdipendenza, la presenza di
oggetti di tutela ad alta pregnanza etica, come i ‘sentimenti’, in rapporto
alla laicità dell’ordinamento. ANGIONI F., Contenuto e funzioni. ANGIONI F.,
Contenuto e funzioni. È stato messo in
evidenza come, soprattutto a partire dagli anni Settanta e Ottanta, la
riflessione sul dover essere del diritto penale si sia fondata non tanto
sull’affinamento di principi ‘endopenalistici’, compreso il c.d. ‘bene
giuridico’, ma piuttosto sul principio di uguaglianza, il quale ha assunto un
ruolo decisivo nel contribuire a delineare i cardini del costituzionalismo
penale: v. DODARO, Ugua- glianza e diritto penale. Dimensione codicistica e
funzione discorsiva della formula 91 Sulla base di questa consapevolezza la
dottrina penalistica si è impegnata in un’opera di reinterpretazione delle
diverse disposizioni del codice Rocco, offrendo un importante contributo al
consolida- mento di un ideale di democrazia penale laica e costituzionalmente
orientata 94. Esempi emblematici sono gli studi sui delitti di religione e sui
rea- ti a tutela del pudore, ad opera rispettivamente di Placido Siracusano e
di Giovanni Fiandaca. Con riferimento ai delitti di religione, Siracusano
sottopone a cri- tica il modello del cosiddetto ‘bene di civiltà’ e del
sentimento religio- so collettivo: «al bene giuridico sentimento religioso
individuale si addice, di regola, una protezione penale dalle caratteristiche fonda-
mentalmente “liberali”; o perlomeno dai tratti più aperti e tolleranti
possibile» 95, tale dunque da attribuirgli un respiro costituzionale che invece
non è riconducibile al paradigma del cosiddetto ‘bene di civil- tà’. L’approdo
finale è di segno abrogazionista, ossia a sostegno di un ordinamento penale che
non contempli fattispecie poste specifica- mente a presidio del sentimento
religioso. Siracusano lascia comun- que intravedere la possibilità che
attraverso un riorientamento in senso personalistico si possa realizzare una
intervento penale compa- tibile con i principi costituzionali, e precisamente
come apertura ver- so qualsiasi ideale di trascendenza, in quanto
manifestazione della coscienza ed espressione della personalità dell’individuo
96. Anche i reati contro la cosiddetta ‘moralità pubblica’ e il comune
sentimento del pudore sono stati oggetto negli anni ’80 di un’analisi che,
orientata a spezzare i legami con l’impostazione del codice, so- stiene una
riconversione in termini personalistici dell’interesse pro- tetto: dalla
moralità pubblica alla riservatezza sessuale di quanti non intendano fruire di
un certo tipo di manifestazioni. Si deve a uno studio di Giovanni Fiandaca la
critica decisiva al moralismo conservatore che impregnava l’universo
applicativo delle fattispecie a tutela del cosiddetto ‘comune sentimento del
pudore’, a sostegno di un cambio di direzione per il rispetto di diritti di
libertà 94 Come autorevolmente osservato, «la laicità del diritto penale
esprime in qualche modo addirittura la sintesi e in un certo senso il
coronamento del costi- tuzionalismo penale essa evoca lo “spirito” più profondo
del costituzionali- smo penale», V. PALAZZO, Laicità del diritto penale e
democrazia sostanziale, SIRACUSANO, I delitti in materia di religione. SIRACUSANO,
I delitti in materia di religione. Tra sentimenti ed eguale rispetto che
trovano riconoscimento nella Carta costituzionale, e che risulta- vano
compressi dai modelli di intervento del codice Rocco e da orien- tamenti
illiberali della giurisprudenza. Presupposto di fondo è che in una società
liberale e pluralista lo Stato non debba ergersi a tutore della virtù 97. Il
legame col sentimen- to – schermo retorico che ammanta di una patina
personalistica l’impianto di tutela – viene radicalmente confutato: «non
sarebbe suf- ficiente asserire che il danno provocato dai comportamenti
contrari al buon costume consiste nell’“offesa ai sentimenti nel passaggio dal
bene moralità al bene sentimento, il mutamento della dimen- sione qualitativa
dell’oggetto della tutela è appena percepibile: quest’ul- timo finisce infatti
col trasferirsi nel riflesso psicologico di una regola etica di condotta» 98. Sotto
un profilo metodologico l’angolo visuale adottato nei sud- detti studi appare
ancora definibile come ‘endopenalistico’, se non proprio ‘endocodicistico’: in
altri termini, la tematizzazione del pro- blema resta incentrata su profili che
attengono precipuamente le scelte di intervento del codice. In questo senso,
l’approccio muove dalla so- luzione normativa, e tende a seguire un percorso
d’analisi che man- tiene come referente primario gli schemi d’intervento
descritti nelle fattispecie di reato. Fulcro dell’interesse è la risposta
normativa; più circoscritto è lo spazio per l’analisi della dimensione extragiuridica
del fenomeno. In tempi più recenti, a partire dagli anni Duemila, il tema dei
sen- timenti è divenuto oggetto di un rinnovato interesse da parte della
dottrina, caratterizzato da mutamenti nell’apparato concettuale e da una
maggior propensione a estendere lo studio a profili extragiuridi- ci. Si tratta
di un ammodernamento che porta a superare lo statico quesito sulla
configurabilità o meno del sentimento come oggetto di tutela, andando a
tematizzare in termini più complessi la questione dell’incidenza dei fattori
emotivi sulle scelte di politica penale, ossia del rilievo della componente
affettiva come elemento che concorre a integrare l’oggetto di tutela anche
senza identificarsi espressamente con esso 99. In questo senso l’orizzonte di
problemi additato dalla formula ‘tu- tela di sentimenti’ viene esteso al di là
degli ambiti tradizionali, favo- rendo una riflessione critica sulla
consistenza di interessi di tutela FIANDACA, Problematica dell’osceno. FIANDACA,
Problematica dell’osceno. Si veda, ad esempio, ALONSO ALAMO, Sentimientos y
derecho penal. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 93
che apparentemente non evidenziano una matrice affettiva, ma che ad uno sguardo
attento rivelano una forte pregnanza emozionale. È emblematico un saggio di
Giovanni Fiandaca dedicato ai rap- porti tra bioetica e diritto penale, nel
quale, definendo criticamente delle innovazioni legislative come riflesso di un
clima sociale e politi- co italiano tendente a una rieticizzazione del diritto,
l’Autore rileva che ai sentimenti e ai fenomeni a essi correlati spetti un
ruolo tut- t’altro che secondario nell’economia del dibattito pubblico e
soprat- tutto nelle scelte di politica del diritto volte a disciplinare i
cosiddetti ambiti ‘eticamente sensibili’. Il terreno della bioetica si trova
infatti a essere soggetto a contrapposizioni fondate su «timori e reazioni emo-
tive che hanno a che fare con la sfera più irrazionale ed oscura di ciascuno,
ossia reazioni di orrore, spavento, raccapriccio, disgusto, definite
dall’Autore «sentimenti e sensazioni»; reazioni emotive che possono indurre un
uso distorto della politica penale tramite divieti assimilabili a mero
palliativo psicologico per i cittadini. La parificazione di istanze di tutela
penale a meri sentimenti è una strategia di critica argomentativa che diverrà
sempre più frequente. Prendiamo ad esempio il discorso sulla dignità umana 102.
Si tratta di un valore caratterizzato da una spiccata componente emozionale che
la rende strumento retorico particolarmente efficace, ma che la 100 FIANDACA,
Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale, tra laicità e
“post-secolarismo”, in Riv. it. dir. proc. pen. FIANDACA, Considerazioni
intorno a bioetica e diritto penale, cit., p. 554. 102 Ad oggi nel panorama
penalistico lo studio più approfondito è quello di TE- SAURO, Riflessioni in
tema di dignità umana, cit., pp. 89 ss. Il tema della dignità umana come bene
penalmente tutelabile è oggetto di riflessioni critiche in FIAN- DACA, Laicità,
danno criminale e modelli di democrazia, in AA.VV., a cura di Risica- to-La
Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali; ID.,
Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale; VISCONTI C., Il reato di
propaganda razzista tra dignità umana e libertà di espressione, in Jus; più
favorevole a un recupero (tramite un uso accorto e non inflazionistico) del
concetto di dignità umana, PULITANÒ, Etica e politica del diritto penale ad 80
anni dal Codice Rocco, in Riv. it. dir. proc. pen. Nella dottrina tedesca si
veda l’importante saggio di HASSEMER, Argomentazione con concetti fondamentali.
L’esempio della dignità umana, in Ars interpretandi; profili critici del
concetto di dignità in ambito pe- nalistico sono evidenziati anche in ZIPF,
Politica criminale, tr. it., Milano. Nel panorama statunitense, per una sintesi
del dibattito v. MCCRUDDEN, Human Dignity and Judicial Interpretation of Human
Rights, in The European Journal of International Law; per una panoramica di
taglio più divul- gativo v. ROSEN, Dignità. Storia e significato, tr. it.,
Torino. Tra sentimenti ed eguale rispetto espone contemporaneamente al rischio
di tramutarsi in un «bene- ricettacolo dei sentimenti di panico morale o delle
reazioni emotive sgradite da cui veniamo sopraffatti di fronte a fatti o eventi
insoliti o nuovi che contraddicono modelli morali consolidati ovvero esulano da
una radicata autocomprensione antropologica dell’identità dell’essere umano»
103. Definire la dignità umana è certo impresa ardua, ma è ragionevole ritenere
che tale valore e il suo universo di significato non debbano es- sere intesi
come mero riflesso di percezioni soggettive (vedi infra, cap. V). Si tratta di
un rischio che trova esemplificazione in una incrimina- zione oggi fortemente
discussa, ossia il divieto di propaganda razzista, definita «norma che si
colloca a metà strada tra ‘tutela penale dei sen- timenti’ e ‘funzione
(pedagogico-)promozionale del diritto penale. Altro interesse che rivela una
problematica osmosi con la dimen- sione affettiva è la cosiddetta ‘sicurezza’,
la cui fisionomia è alquanto nebulosa e rischia di essere intesa come «fonte di
obblighi legislativi di penalizzazione in funzione ansiolitica. Anche dietro il
problema che nel discorso penalistico è stato definito come ‘sicurezza
pubblica’ si può scorgere una matrice emotiva: la paura della criminalità,
intesa come emozione di risposta a una minaccia, reale o semplicemente
percepita. Tale argomento è oggetto di studio soprattutto in ambito
criminologico107, nel quale è stato osservato come la pervasività in ambito
collettivo della paura non sia dovuta tanto alla percezione dei singoli
cittadini, ma finisca per essere esito di un’insicurezza sovente manipolata108
attraverso stereotipi e modelli culturali che si incardi- FIANDACA, Sul bene
giuridico. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., p. 86. 105
FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., p. 95. 106 Benché non vada dimenticato che
dietro le istanze securitarie mobilitate dalla collettività vi possono essere,
oltre a pretese meramente emotive, anche bi- sogni reali di tutela, v. PALIERO,
Consenso sociale e diritto penale. Sul tema, in un’ottica critica riguardante
le manifestazioni del trend securitario a partire dagli anni Duemila, v.
CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura. Cinque riflessioni su criminalità, società e
politica, Milano; HASSEMER, Sicurezza mediante il diritto penale, tr. it., in
Critica del diritto; DONINI, Sicu- rezza e diritto penale, in Cass. pen.,
10/2008, pp. 3558 ss.; PULITANÒ, Sicurezza e di- ritto penale, in Riv. it. dir.
proc. pen.; per uno sguardo d’insie- me v. a cura di Donini-Pavarini Sicurezza
e diritto penale, Bologna. Per tutti, CORNELLI, Paura e ordine nella modernità.
DURANTE, Perché l’attuale discorso politico-pubblico fa leva sulla paura?, FILOSOFIA
POLITICA – non POLITICA FILOSOFICA, Dimensione codicistica e funzione
discorsiva della formula 95 nano nelle strutture istituzionali o che vengono
diffuse attraverso i mass media 109, in un processo di circolarità dove
l’insicurezza è al con- tempo motivo di crisi e motore di legittimazione per le
istituzioni 110. Il problema della tutela di sentimenti ha portato la
riflessione penali- stica a meditare anche sugli strumenti concettuali per lo
sviluppo del di- scorso: da un lato la teoria del ‘bene giuridico’ di matrice
continentale, dall’altra lo Harm e l’Offense Principle di matrice
anglo-americana. È emblematico in questo senso un saggio di Massimo Donini il
qua- le evidenzia come anche il ricorso alle categorie anglo-americane sem- bri
deludere aspettative di oggettività delle scelte di criminalizzazione, in
quanto tali categorie «sono spesso definite mediante un utilizzo ambiguo della
categoria dei sentimenti. Troppi sentimenti sia nell’Of- fense (che si
definisce proprio in quanto più sentimentale che dannosa, più irritante che
dolorosa) e sia anche nello Harm, che si fonda pur sempre (specialmente in
Feinberg) sul postulato che la lesione dell’in- teresse produca un dolore, una
sofferenza nel suo titolare. Sullo specifico punto concernente la tutela di
sentimenti la con- clusione dell’Autore è netta: «la tutela specifica dei
sentimenti costituisce un esempio incon- gruo di diritto penale orientato
all’irrazionalità delle funzioni il di- ritto penale non tutela meri sentimenti
anche se talora lo stesso codice penale si esprime in questi termini, ma tutela
la loro obiettivazione in situazioni sociali, in interessi, in beni giuridici
più definiti della percezione soggettiva: tanto che essi vengono tutelati a
prescin- dere dalla prova di quella percezione in capo a un qualche individuo
determinato. La ragione per la quale non è possibile la tutela di- retta ed
esclusiva come oggetto “giuridico”, dei sentimenti, neppure ovviamente dei
sentimenti “morali”, è costituita dal fatto che essi non sono un oggetto
giuridico, e non possono esserlo per carenza di tassa- tività. È infatti
necessario che il sostrato umano fondamentale in cui si sostanziano le offese e
che tocca direttamente la sfera emotiva e morale delle persone, si ancori a
realtà socio normative più afferrabili e gestibili» 112. Così formulata tale
osservazione sembrerebbe fondarsi prevalen- CORNELLI, Paura e ordine nella
modernità. CORNELLI, Paura e ordine nella modernità. DONINI, “Danno” e “offesa”
nella c.d. tutela penale dei sentimenti. DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d.
tutela penale dei sentimenti.Tra sentimenti ed eguale rispetto temente su
ragioni epistemologiche: carenza di tassatività come ‘non afferrabilità’ e
dunque sostanziale ‘non verificabilità’ secondo i prin- cipi che sovrintendono
la responsabilità penale. Diverse le obiezioni avanzate in dottrina, le quali
convergono so- stanzialmente nell’osservare che il pur ragionevole argomento
della non-tassatività dei sentimenti non è decisivo, e rischia di anticipare
troppo con interrogativi sul piano della tipicità che paiono non offri- re
adeguato spazio alla problematica questione dei bilanciamenti che dovrebbero
fondare la legittimazione dei precetti. Si rischia, insom- ma, di «chiudere la
partita prima che cominci. Il monito circa la carenza di tassatività coglie un
aspetto rilevante ma che non pare sufficiente a escludere in via di principio
la legitti- mità di interventi penali. La questione cruciale è «se e quale
tutela [sentimenti ed emozioni] possano chiedere, a fronte di comporta- menti e
manifestazioni espressive del sentimento di altri, nel contesto di una società
aperta. Tirando le fila del discorso, appare evidente come il mainstream
penalistico mostri una sostanziale diffidenza nei confronti del tessuto
emotivo. Si tratta di caveat condivisibili, ma che riteniamo non deb- bano
essere letti, frettolosamente, come avallo di posizioni ‘veterora-
zionalistiche’ che ancora concepiscano in termini dicotomici i rapporti fra
emozioni, sentimenti e diritto penale, o che intendano negare gli influssi
della dimensione affettiva sull’impianto teorico e prati- co della
criminalizzazione. La plausibilità di tali cautele trova una solida base in
studi che hanno evidenziato la possibile inaffidabilità delle emozioni a causa
di contenuti cognitivi falsi, abnormi o più semplicemente incompatibili con i
valori di un ordinamento liberale. Così TESAURO, Riflessioni in tema di dignità
umana; cfr., FIANDA- CA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti. A ben
vedere, va ricono- sciuto che l’argomentazione di Donini sembra andare oltre la
questione della me- ra tassatività quando richiede «che il sostrato umano
fondamentale in cui si so- stanziano le offese e che tocca direttamente la
sfera emotiva e morale delle per- sone, si ancori a realtà socio-normative più
afferrabili e gestibili: non solo da par- te della magistratura, ma prima
ancora da parte del legislatore, onde evitare i ri- schi immanenti di un
diritto penale irrazionale». Il richiamo a realtà socio-nor- mative, e non
meramente empirico-fattuali, lascia intendere un disvalore leggibile non solo
in termini di suscettibilità individuale, ma misurabile alla stregua di va-
lori che lo facciano apparire ragionevole e non semplicemente riflesso di un
so- lipsistico puntiglio. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. La
studiosa che di recente si è impegnata a rivendicare l’‘intelligenza
Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 97 Si tratta
di prendere atto di una complessità di fondo, riflettendo su quali siano i
contenuti di pensiero che possono rendere l’emozione e il sentimento
interlocutori inaffidabili per il diritto penale, riser- vando però la dovuta
attenzione anche a prospettive differenti, orien- tate a vagliare anche il
potenziale di interazione virtuosa che potreb- be generarsi da un intelligente
‘ascolto’ delle emozioni e dei senti- menti. Tale ultima istanza trova oggi
riscontro anche nel panorama pena- listico italiano, grazie a contributi che
hanno messo a tema ipoteti- che, auspicabili interazioni fra diritto penale e
dimensione affettiva quale coordinata per una più realistica e consapevole
attenzione al profilo umano delle questioni oggetto di interesse penalistico.
3.1. Una virtuosa prospettiva di interazione: ‘sentire comune’ e legittimazione
delle norme penali Vi sono opere, di taglio differente, che fanno espresso
riferimento alla dimensione affettiva e al ruolo positivo dell’emozione e del
sen- timento quali elementi di comunanza e quali possibili vettori di rico-
noscimento reciproco fra essere umani; non si tratta si riflessioni
propriamente incentrate sul sentimento come problema di tutela, ma di profili
legati al rapporto fra emozioni, sentimenti, genesi e struttu- ra dei precetti
penali. delle emozioni’, affermandone l’imprescindibile ruolo anche nelle
strategie di politica penale, ha d’altro canto fornito una delle più
approfondite e convin- centi analisi sul potenziale anche negativo che
determinati atteggiamenti emotivi possono assumere in rapporto alla
legiferazione e all’applicazione di norme penali, v. NUSSBAUM, Nascondere
l’umanità, Merita menzione, per quanto sui generis, la posizione espressa
diversi de- cenni fa da Giuseppe Maggiore, la quale, pur derivando da un
retroterra episte- mico ed ideologico profondamente differente dalle elaborazioni
degli autori contemporanei, costituisce nel panorama penalistico italiano una
emblematica af- fermazione del ruolo positivo del sentimento. In una serrata
critica al pensiero che vorrebbe ricondurre il diritto a mero sillogismo, a
puro «congegno di giudizi logici», lo studioso siciliano rivendica l’importanza
di una ‘vocazione affettiva’, di un quid che possa offrire un senso alla mera
logica formale. Ogni mediocre interprete sa bene che l’applicazione del diritto
non si riduce a un accostamento meccanico tra la legge e il caso concreto: ma
che occorre valutare, ossia sentire giuridicamente la fattispecie – in tutti i
suoi lineamenti, in tutte le sue ombre e sfumature – per ridurla sotto l’impero
della norma un giudizio puramente e freddamente logico può essere iniquo: nel
clima della nuda logica il jus può trali- gnare facilmente in injuria», v.
MAGGIORE (si veda), Il sentimento nel diritto, in Giornale critico della
filosofia italiana. Tra sentimenti ed eguale rispetto Ad esempio, in relazione
alle condizioni di osservanza della legge penale si è definita la forma
idealtipica del diritto penale come dirit-to del comune sentire (declinato
rispettivamente in forma di principi e di regole/precetti) che dovrebbe trovare
cioè nei consociati il più alto grado di corrispondenza ideale, di consonanza
soggettiva e dunque di adesione spontanea. Muovendo da presupposti differenti,
si è invece osservato, con ri- ferimento allo specifico ambito della
regolamentazione normativa in materia bioetica, che la ricerca di risposte
normative dovrebbe assu- mere a riferimento anche l’emozione che scaturisce nei
soggetti di fronte a un fatto bioeticamente rilevante. In altri termini, viene
ipo- tizzata una relazione tra la componente emotiva che caratterizza le scelte
individuali e la possibilità che, valorizzando nelle statuizioni normative
elementi fattuali suscettibili di attivare una comune reatti- vità emozionale,
sia possibile addivenire a una maggiore condivisibi- lità dei precetti. In
risposta all’opinione di chi non ritiene che il diritto penale pos- sa tutelare
sentimenti viene obiettato che «non può escludersi che, quanto meno in materia
di bioetica, il diritto penale, se vuole trovare la sua legittimazione, ben
possa, anzi debba, tutelare, in un certo senso, i sentimenti ed addirittura il
sentimento del caso concreto, senza per ciò trascendere in concezioni
soggettivizzanti e sprovvi- ste di sostrato empirico, ma recuperando, al
contrario, insieme alla concretezza, altresì la prospettiva di un giudizio, se
non condiviso, quanto meno diffuso. Nelle linee tracciate da tali Autori viene
attribuita al sentimento la funzione di parametro per l’‘accreditamento etico’
delle norme penali MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla luce dei precetti: il
lungo cammino del di- ritto penale incontro alla democrazia, in
MAZZUCATO-MARCHETTI, La pena in castigo. Un’analisi critica su regole e
sanzioni, Milano. GIOVINE O., Un diritto penale empatico? Si tratta di un
programma teorico che propone «una rinuncia, pur con tutte le cautele del caso,
a parte della rigidità e della predeterminazione del precetto, per consentire a
quest’ultimo di plasmarsi sul fatto concreto, di valorizzarne le nuances» Un ango-
lo visuale che assume il fenomeno del sentire in una accezione che potremmo de-
finire ‘naturalistico-emozionale’. La funzionalità del precetto sembra infatti
legar- si alla condizione che esso arrivi a contenere elementi fattuali ad
‘alta carica emo- tiva’: «si porrebbero così le condizioni perché giochi una
empatia che, facendo un punto di forza della sua natura prosaicamente biologica
ed umana, possa svolgere la funzione di coordinata epistemologica nei suddetti
ambiti del penale», v. EAD., Un diritto penale empatico? GIOVINE, Un diritto
penale empatico? Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 99
e più in generale per la legittimazione dell’intervento penale. Tra le due
posizioni sussiste però una profonda differenza: nella prospettiva di Claudia
Mazzucato il ‘comune sentire’ pare doversi intendere in termini normativi,
ossia quale richiamo a valori condivisi modellati su «dati umani, stabili,
trasversali, da sempre validi»120; la strada suggerita da Giovine fa
riferimento a un sentire ‘natura- listico’, ossia a un sostrato di reazioni
emotive condivise che dovreb- bero costituire punto di riferimento per le
scelte del legislatore nelle materie eticamente sensibili. A tali studi va
affiancato un importante contributo dedicato al tema delle ragioni extrapenali
della legittimazione della legge penale, il quale, sulla base di recenti
acquisizioni della filosofia morale che evidenziano come le emozioni siano fra
le condizioni della nostra ri- cettività alle considerazioni razionali e
morali, afferma che ogni concretizzazione del giudizio penale, dalla previsione
edittale fino al- la applicazione della sanzione comminata, se non vuole
limitarsi a pretendere la pura «obbedienza degli uomini-bambini», debba espri-
mere una qualche coerenza rispetto a un tale ‘comune sentire. Vediamo come
anche in questa teorizzazione le emozioni figurino in una veste emancipata da
negatività e irrazionalità, e si propongano nel ruolo di coordinata epistemica
per la ricerca di un terreno di incontro tra la forza motivazionale del
giudizio morale e le ragioni di un’osservanza dei precetti che sia ‘sentita’ e
non solo imposta. Il rinnovato, e per certi versi inedito, interesse che i
fenomeni del sentire assumono oggi in diverse branche del sapere – dalla
psicolo- gia, alle neuroscienze, alla filosofia morale – sta avendo dunque
riflessi anche nel pensiero penalistico: la prospettiva di analisi incen- trata
sul sentimento come oggetto di tutela resta tema classico, ma i suddetti
ulteriori spunti rappresentano un’importante base di rifles- sione che
arricchisce, con promettenti intrecci con la dimensione morale, il discorso
sulla legittimazione delle norme penali e sull’os- servanza dei precetti. 120
Così lo definisce MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla luce dei precetti, FORTI,
Le ragioni extrapenali, BAGNOLI, Introduction, Bagnoli, Morality and the Emotions,
FORTI, Le ragioni extrapenali, Tra sentimenti ed eguale rispetto 4. Sinossi
Addentrandoci nel microcosmo giuridico, emergono due possibili accezioni nel
significato della formula ‘tutela di sentimenti’: la prima, descrittiva,
concerne il panorama delle disposizioni in cui il senti- mento è espressamente
evocato quale oggetto di tutela; la seconda, connotativa, coincide con l’uso
che della categoria del sentimento viene fatto nel discorso penalistico, ossia
in una funzione prevalentemente critica. L’accezione descrittiva ci conduce
verso l’analisi delle fattispecie codicistiche ed extracodicistiche: un
panorama variegato che con- templa due differenti declinazioni del sentimento.
La prima, del tutto tendente alla ‘depsicologizzazione’, nella quale non
entrano in gioco fenomeni psichici bensì sentimenti-valori; la seconda, più
vicina alla dimensione naturalistica del sentire, si ricollega a fattispecie
come gli ‘atti persecutori’, volte a tutelare la tranquillità psicologica come
bene strumentale rispetto alla libertà di autodeterminazione. Relativamente
all’accezione connotativa e ai discorsi dei giuristi penali, il tema della
tutela di sentimenti ha rappresentato uno dei terreni in cui si è giocata la
sfida culturale per il superamento dei modelli illiberali di incriminazione del
codice Rocco, fungendo in questo senso da ‘trampolino teoretico’ per il
consolidamento dell’in- terpretazione costituzionalmente orientata degli
interessi di tutela penale. Attualmente i rischi di torsioni illiberali
veicolate dall’appello a sentimenti ed emozioni si legano alla incerta
fisionomia di beni e in- teressi caratterizzati da una marcata componente
emozionale (digni- tà, sicurezza). A fronte di tali istanze di tutela il
mainstream penali- stico tende a mantenere una forte diffidenza. Non vanno
tuttavia trascurate anche le prospettive di interazione virtuosa fra dimensione
affettiva e diritto penale, concernenti in par- ticolare il ruolo di sentimenti
ed emozioni nelle dinamiche di adesio- ne e di osservanza del precetto. FRA
DIRITTI ED EMOZIONI: ITINERARI E PROSPETTIVE Tra sentimenti ed eguale
rispetto Sensibilità individuali e libertà di espressione SENSIBILITÀ
INDIVIDUALI E LIBERTÀ DI ESPRESSIONE Espressioni ed emozioni: prospettive di
approccio «Troppo spesso ci capita di dover affrontare dilemmi postmoderni con
un re- pertorio emozionale adatto alle esigenze del Pleistocene» GOLEMAN D.,
Intelligenza emotiva: Libertà di espressione e rispetto reciproco: l’esigenza
di nuove pro- spettive di analisi. Approccio ‘naturalistico-emozionale. La
prospet- tiva dell’Offense secondo Feinberg. Approccio
razionalistico-normativo: emozioni ragionevoli e irragionevoli secondo
Nussbaum. Libertà di espressione e rispetto reciproco: l’esigenza di nuo- ve
prospettive di analisi Le disposizioni del codice italiano nelle quali
l’oggetto di tutela viene definito in termini di sentimento, pur presentando
affinità sul piano del comune rimando a interessi legati alla sfera affettiva,
pon- gono l’interprete di fronte a questioni eterogenee. I problemi relativi al
sentimento religioso, al pudore, al sentimento nazionale, al comu- ne
sentimento della morale, si collegano a un comune substrato in quanto basati su
conflittualità di tipo espressivo-comunicativo e su forme di offesa
‘immateriali’; appare invece differente il sentimento per gli animali, a tutela
del quale vengono incriminate aggressioni fisiche e maltrattamenti a esseri non
umani. Riteniamo preferibile accantonare per il momento il tema del
sen- Tra sentimenti ed eguale rispetto timento per gli animali e
focalizzare l’attenzione sul retroterra che accomuna i restanti ambiti. Filo
conduttore è il coinvolgimento del piano comunicativo, in un senso non limitato
a espressioni verbali, ma esteso a comportamenti in grado di veicolare
significati1 e di esternare in termini simbolici prese di posizione che vanno a
interagire con aspetti profondamente radicati, potremmo dire ‘costitutivi’,
della personalità individuale e dell’identità morale di un soggetto. Tali
profili rimandano, in ambito giuridico, al tema della libertà di espressione,
ampiamente dissodato dalla dottrina non solo penalisti- ca 2. Nell’impianto del
codice Rocco, limiti alla libertà di espressione sono posti in primo luogo a
tutela di interessi dello Stato, mentre i risvolti personalistici dei conflitti
limitati al piano comunicativo trovano formale riconoscimento esclusivamente
nelle disposizioni sull’ingiuria oggi abrogata e sulla diffamazione: le uniche
collocate nel titolo dei reati contro la persona. Al di là delle etichette legislative
e della voluntas del legislatore, dietro reati come quelli contro il senti-
Sull’equiparazione fra condotte verbali ed espressioni fondate sul valore
simbolico dei comportamenti, v. BERGER, Symbolic conduct and freedom of speech,
in Russel, Freedom, Rights and Pornography. Berger, Amsterdam. Adotta tale
impostazione nella recente letteratura sulla libertà di espressione BROWN A.,
Hate Speech Law. A Philosophical Examination, New York Nel panorama italiano si
sofferma su tale di- stinzione STRADELLA, La libertà di espressione
politico-simbolica e i suoi limiti: tra teorie e prassi, Torino. Fra gli
scritti più significativi di taglio generale, provenienti, relativamente al
contesto italiano, dall’ambito costituzionalistico, v. ESPOSITO, La libertà di
manife- stazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Milano; BARILE,
Libertà di mani- festazione del pensiero, Milano; GIOVINE A., I confini della
libertà di manife- stazione del pensiero. Linee di riflessione teorica e
profili di diritto comparato come premessa a uno studio sui reati d’opinione,
Milano; PALADIN, Libertà di pensiero e libertà d’informazione: le problematiche
attuali, in Quaderni costituzionali; PUGIOTTO, Le parole sono pietre? I
discorsi di odio e la libertà di espressione nel diritto costituzionale,
penalecontemporaneo.it; CARUSO, La libertà di espressione in azione. Contributo
a una teoria costituzionale del discorso pubblico, Bologna; fra i penalisti, v.
BETTIOL, Sui limiti penalistici alla libertà di manife- stazione del pensiero,
in AA.VV., Legge penale e libertà di pensiero, Padova.; NUVOLONE, Il problema
dei limiti della libertà di pensiero nella prospettiva logica dell’ordinamento,
in AA.VV., Legge penale e libertà di pensiero; FIORE, I reati d’opinione,
Milano; PULITANÒ, Libertà di pensiero e pensieri cattivi, in Quale giustizia?;
ALESIANI, I reati di opinione, cit.; SPENA, Libertà di espressione e reati di
opinione, in Riv. it. dir. proc. pen.; VISCON- TI C., Aspetti penalistici, cit.
Si vedano inoltre, quale contributo collettaneo più re- cente, gli Atti del IV
Convegno dell’Associazione Professori di Diritto Penale dedica- to al tema ‘La
criminalizzazione del dissenso: legittimazione e limiti’, pubblicati in Riv.
it. dir. proc. pen. Sensibilità individuali e libertà di espressione 105 mento
religioso e contro la moralità pubblica sono in gioco fenomeni relativi
all’universo interiore dell’individuo, alla sfera del sentire co- me nucleo da
proteggere in positivo e in negativo, ossia favorendone la ‘fioritura’ e la
libera espressione, e anche, eventualmente, preser- vandolo da forme di offesa.
Ci sembra che il rispetto della reciproca sensibilità in rapporto a contenuti
espressivi in grado di offenderla rappresenti il problema che con maggiore
immediatezza logico-comunicativa può identificar- si anche come ‘tutela di
sentimenti’. Le questioni che possono celarsi dietro il richiamo a stati
affettivi sono molteplici, ma i rapporti tra forme di espressione e sensibilità
soggettive sembrano costituire oggi una priorità nell’agenda penalistica. A
suggerire un attento sguardo alle ‘guerre per la libertà di espressione è
soprattutto l’importanza nello scenario socio-politico con- temporaneo, il
quale rivela un’inedita complessità derivante dalla consistenza pluralista
della società occidentale, anche di quella ita- liana. È cresciuta la diversità
sul piano quantitativo e parallelamente sono aumentate le sensibilità,
incrementando la possibilità di attriti e portando a emersione, quale riflesso
di difficoltà di integrazione in rapporto agli ingenti flussi migratori, una
conflittualità fortemente radicalizzata in senso identitario4 e minacciata dal
rischio del fon- damentalismo: «l’esperienza comune della diversità e tanto più
la comparazione cul- turale specialistica mostrano che i modi stessi della
sensazione e i ri- sultati della sensibilità sono variabili da cultura a
cultura e all’interno stesso di società complesse, fino ai modi e ai risultati
delle sensibilità individuali, così importanti nella cultura occidentale
moderna» 5. Si è detto che è difficile trovare un argomento su cui si registri
un accordo maggiore di quello relativo alla libertà di espressione, almeno
finché non ci mette mano la ricerca della saggezza»6. Nella SULLIVAN, Free
Speech Wars, in 48 SMU Law Review. Sul problema vedi MANCINA, Laicità e
politica. Prove di ragione pubblica, a cura di Risicato-La Rosa, Laicità e
multiculturalismo. Per una critica alle tendenze identitarie e al concetto di
identità, definita ‘parola avve- lenata’, v. REMOTTI, L’ossessione identitaria,
Roma-Bari. ANGIONI G., Fare, dire, sentire. L’identico e il diverso nelle
culture, Nuoro, BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Nel tempo del terrore:
un’indagine su quanto le parole mettono in gioco, Milano. Tra sentimenti ed
eguale rispetto prospettiva delineata dal filosofo Ermanno Bencivenga tale
ricerca coincide con una paziente opera di analisi filosofica che allontani lo
spettro dei luoghi comuni, nella consapevolezza di non poter risolve- re i
problemi con sentenze o ricette. Per quanto il giurista senta l’onere di
fornire una prestazione in- tellettuale che in qualche modo si identifichi in
una ‘sentenza’ o in una ‘ricetta’, intese come proposte ‘risolutive’, riteniamo
che in rela- zione ai problemi in esame tale ambizione debba essere accompagna-
ta dalla consapevolezza del carattere contingente e parziale delle risposte che
potranno essere eventualmente avanzate8. Non vi sono rimedi taumaturgici e
indolori: se un atteggiamento di tipo repressi- vo potrebbe portare a
comprimere un diritto essenziale delle demo- crazie contemporanee, la
prospettiva opposta di evitare una regola- mentazione lascia aperta la
possibilità di ricadute comunque pro- blematiche. Condividiamo quanto osservato
da attenta dottrina, ossia che per rapportarsi a tali problemi occorra mettere
da parte l’ambizione di elaborare criteri di selezione del penalmente rilevante
di tipo assio- matico-deduttivo, e vada pertanto considerato se «l’approccio
tradi- zionale possa risultare decisivo nel circuito comunicativo delle de-
mocrazie contemporanee; oppure se non vada piuttosto ricalibrato, rivisto, o
quantomeno accompagnato da analisi e valutazioni che si facciano seriamente
carico della complessità culturale, sociale e poli- tica dei contesti locali e
globali in cui risultiamo oggi calati» 9. In altri termini, il tema dei
conflitti in materia di libertà di espres- sione è un significativo banco di
prova che impegna a rendersi fauto- ri di «una scienza non già
autoreferenzialmente chiusa nel giuoco elegante di una dogmatica formalistica,
bensì intenzionata a prende- re in qualche modo posizione sul merito
contenutistico delle questio- ni spinose che il tempo presente prospetta BENCIVENGA,
Prendiamola con filosofia. Parla di carattere ‘contestuale’ ROIG, Libertà di
espressione, discorsi d’odio, soggetti vulnerabili: paradigmi e nuove
frontiere, in Ars interpretandi, VISCONTI C., Aspetti penalistici. FIANDACA,
Aspetti problematici del rapporto tra diritto penale e democrazia, in Foro it. Afferma
la necessità di un’analisi calata nel contesto socio- politico BOGNETTI, La
libertà di espressione nella giurisprudenza americana. Con- tributo allo studio
dei processi dell’interpretazione giuridica, Milano; cfr. da ultimo ROIG,
Libertà di espressione, discorsi d’odio, soggetti vulnerabili. Sia consentito
il rinvio a BACCO, Dalla dignità all’eguale rispetto: Sensibilità
individuali e libertà di espressione 107 Riteniamo che occorra dunque provare a
immaginare nuovi per- corsi, mettendo in conto l’irriducibile ‘politicità’ del
tema, la quale mette a disagio il giurista che ancora oggi coltivi l’ambizione
illusoria di riuscire a concepire proposte e modelli di interpretazione
asseritamente neutrali e avalutativi. È ricorrente in sede teorica prendere le
mosse dall’interrogativo sul perché la libertà di espressione sia importante.
Il livello di reattività emozionale, e purtroppo anche di violenza fisica, che
hanno caratterizzato alcuni recenti episodi nel contesto eu- ropeo11,
suggeriscono di affrontare il tema attraverso prospettive di analisi che non si
limitino a una, pur problematica, riflessione su norme e principi. La
complessità dei problemi esige un avvicinamento anche al sub- strato umano dei
conflitti e dunque alle emozioni e ai sentimenti che si agitano sullo sfondo e
che sono di fatto i vettori di senso che concor- rono a guidare le preferenze e
le scelte degli individui, e dunque la loro posizionalità assiologica 13: un
discorso che vale non solo per i destina- tari di espressioni avvertite come
offensive, ma che è funzionale a in- quadrare e definire anche la posizione di
chi esprime un pensiero14. libertà di espressione e limiti penalistici, in
Quaderni costituzionali. Su tutti, i violenti disordini seguiti alla
pubblicazione di vignette satiriche sulla religione musulmana in Danimarca, e
il tragico attentato contro il settima- nale francese Charlie Hebdo, colpevole,
agli occhi dei fondamentalisti, di aver pubblicato vignette blasfeme
sull’Islam. Il piano prettamente giuridico, ossia il riconoscimento di libertà
nelle Carte costituzionali nazionali e in fonti sovranazionali, rappresenta una
premessa del problema; né del resto sembra essere risolutivo l’appello a
teorizzazioni classiche, come quella milliana, il cui pur apprezzabile
ottimismo di fondo dalle coloriture utilitaristiche appare oggi forse troppo
irenistico. Ci riferiamo all’obiezione di fondo con cui Mill critica la
prospettiva di limiti alla libertà di espressione, ossia che la compressione
della libertà limiterebbe la circolazione di eventuali verità che potrebbero
arricchire il patrimonio intellettuale di un popolo, v. MILL, Sulla libertà,
tr. it., a cura di Mollica, Milano. Traggo questo concetto dalla teorizzazione
fenomenologica di MONTICELLI (si veda): definito il sentimento come
disposizione del sentire che comporta un consentire più o meno profondo
all’essere di ciò che la suscita, v. MONTICELLI, L’ordine del cuore, è
importante a nostro avviso legare tale concetto al tema della posizionalità,
per evidenziare come l’atto del consentire e dell’espri- mere rappresenti una
presa di posizione nella quale la persona è coinvolta in quanto soggetto, v. DE
MONTICELLI, La novità di ognuno. Persona e libertà, Milano. Non può essere
condiviso l’assunto secondo cui la caratterizzazione di un’espressione di
critica in termini affettivo-emozionali la renderebbe per ciò solo Tra
sentimenti ed eguale rispetto Anche in tempi in cui la considerazione della
dimensione emotiva non poteva avvalersi degli studi che oggi ne affermano la
rilevanza nelle scelte decisionali, e che ne riabilitano in buona parte anche
la salienza morale, nella dottrina penalistica italiana fu osservato che «è il
senti- mento, l’atteggiamento di adesione o indifferenza per questo o quel
valore, e non la ragione raziocinante che di per sé è uno strumento “neu- tro”,
a indicare all’azione i suoi possibili scopi e modi, e in tal modo addirittura
a caratterizzare diverse forme di civiltà. L’atteggiamento dominante della
dottrina penalistica esorta con- divisibilmente alla cautela quando si tratta
di valutare input di politi- ca del diritto che rivelano una componente
emotiva. Ciò non significa cadere nell’eccesso opposto, ossia immaginare o
ipotizzare un diritto penale sordo e cieco rispetto a qualsivoglia istanza di
matrice emoti- va: un ideale ben poco plausibile, poiché la risposta
penalistica è ne- cessariamente anche una risposta a emozioni che si legano
inevita- bilmente ai fatti di vita su cui il diritto interviene, e dovrebbe in
que- sto senso cercare di acquisire una «capacità di rispettoso governo del- le
emozioni e dei sentimenti, come tale autenticamente liberale, ossia
costantemente sostenuta dalla consapevolezza di come lo stesso si- stema di
regolazione debba rassegnarsi, ma anche trarre vantaggio, da questa sorta di
“passività buona”» 16. Da ciò la rilevanza, in primo luogo per la riflessione
teorica, delle risonanze emozionali che trapelano dai conflitti
interrelazionali, fra cui anche quelli legati alla libertà di espressione.
L’obiettivo non è assecondare ciecamente le pretese di una delle incompatibile
con una vera manifestazione del pensiero; tale posizione è esplicitata in
NUVOLONE, Reati di stampa, Milano, poiché critica significa dissenso ragionato
dall’opinione o dal comportamento altrui, sarà estraneo all’at- tività critica
ogni apprezzamento negativo immotivato o motivato da una mera animosità
personale, e che trovi, pertanto, la sua base in un’avversione di caratte- re
sentimentale e non in una contrapposizione di idee». Il problema divise la dot-
trina penalistica: si vedano a sostegno di un’apertura liberale PULITANÒ,
Libertà di pensiero e pensieri cattivi; più recentemente, PELISSERO, Reato
politico e flessibilità delle categorie dogmatiche, Napoli; per l’opinione
opposta v. ZUCCALÀ, Personalità dello Stato, ordine pubblico e tutela della li-
bertà di pensiero, Legge penale e libertà di pensiero, Padova. Tale distinzione
si lega alla categorizzazione fra manifestazioni del pensiero ‘pure’ e forme di
sollecitazione all’azione, utilizzata anche dalla Corte costituzio- nale ad
esempio nella sentenza n. 87/1966; per una critica vedi CARUSO, La libertà di
espressione in azione, PULITANÒ, Spunti critici in tema di vilipendio della
religione, in Riv. it. dir. proc. pen. FORTI, Le ragioni extrapenali. Sensibilità
individuali e libertà di espressione
parti, bensì riuscire ad avere una migliore visuale sulle sfumature as-
siologiche che ogni singola vicenda lascia emergere. Come osservato da
autorevole dottrina, vi è l’esigenza di «riuscire a gettare luce al di là del
magma dei sentimenti, nel tentativo di trarre da essi ragioni argomentabili
nella discussione pubblica e nel dibattito politico cri- minale. Riteniamo che
affrontare problemi concernenti la libertà di espres- sione anche attraverso
una ragionevole attenzione alla dimensione affettiva, possa arricchire i contenuti
del dibattito. In primo luogo, un attento sguardo alle dinamiche emozionali
porta a non perdere di vista la dimensione socio-antropologica dei conflitti, a
non perdersi nel ‘cielo dei concetti’ ma piuttosto a cercare di indagare le
matrici umane del dissenso, le eventuali cause e i potenziali effetti di una
conflittualità che oggi presenta tratti fortemente degenerati, con pre-
occupanti echi che attingono da un inquietante repertorio di odio e di
contrapposizioni. Sul piano della definizione dell’offesa, guardando i problemi
at- traverso la prospettiva dello scontro fra sensibilità emerge un dato di
fondo: non sono coinvolti beni primari quali la vita, l’integrità fisica o la
libertà di autodeterminazione; si attinge un livello non esiziale ma comunque significativo,
poiché dietro un’offesa a sentimenti si profi- la la possibilità di una
sofferenza – in termini di emozione negativa nel venire a contatto, o anche
semplicemente a conoscenza, di for- me di contrasto o di disapprovazione che
hanno ad oggetto idealità, visioni del mondo, valori. Con le parole si possono
toccare corde sen- sibili dell’animo, quando vengono criticati o irrisi
simboli, dogmi nei quali un individuo si riconosce, anche a prescindere dal
fatto che una data espressione sia rivolta a lui e quando colpisce in modo
indistinto una molteplicità di soggetti accomunati da una credenza. Qual è
l’elemento che può legittimare interventi normativi? È il disagio emozionale
soggettivo che scaturisce di fronte a manifesta- zioni di pensiero che sostengono
valori e visioni del mondo opposte a quella in cui ci si identifica? O
l’attenzione va posta su ragioni ulte- FIANDACA, Considerazioni intorno a
bioetica e diritto penale. Giusto il contrario, dunque, di un uso populistico e
meramente retorico dell’appello a sentimenti ed emozioni, il quale peraltro è
assai frequente nel dibattito pubblico come osserva D’AGOSTINI, Verità
avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Torino. Sul
concetto di ‘polarità’ delle emozioni, o ‘valenza’, v., ex plurimis, TERONI,
Più o meno: emozioni e valenza, a cura di Tappolet-Teroni-Konzelmann Ziv, Le
ombre dell’anima, Tra sentimenti ed eguale rispetto riori che non hanno
un’univoca corrispondenza con il contenuto co- gnitivo delle reazioni emotive
suscitate? Le risposte a tali interrogativi possono condurre ad approcci pro-
fondamente diversi, sintetizzabili a nostro avviso in forme paradigmatiche: da
un lato un modello di intervento giuridico che potrem- mo definire
‘naturalistico-emozionale’, e dall’altra un modello razionalistico-normativo.
Nel primo caso il sentire individuale è preso in considerazione nella
dimensione fisico-naturalistica, come coefficiente di reattività psichica nelle
interazioni relazionali e dunque come problema di so- glie di sensibilità
soggettiva da verificarsi sul piano empirico, secondo un’impostazione che
individua il bene finale nella tranquillità emotiva della persona. L’approccio
alternativo, ossia il modello ‘razionalistico-normativo’, cerca di
identificare, attraverso le emozioni manifestate e i sen- timenti chiamati in
gioco, istanze e rivendicazioni che possano essere tradotte in concetti
razionalmente e normativamente filtrati, e valuta- te dunque in rapporto a
cornici assiologiche di riferimento 20. In altri termini, l’approccio
‘razionalistico-normativo’ si propone di inquadrare i problemi in una
prospettiva nella quale la dimensione pret- tamente emozionale costituisce
elemento da tradurre in un contesto Utilizzo il concetto di modello-paradigma
nell’accezione di SARTORI, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali. Si
tratta di modelli di approccio che evocano alla memoria del penalista soluzioni
metodologiche e interpretative elaborate in relazione all’inquadra- mento
dell’interesse protetto nella tutela penale dell’onore: le concezioni ‘fattua-
le’ e ‘normativa’. La prima configura l’onore come sentimento individuale, o,
in riferimento alle condotte di diffamazione, come elemento sociopsicologico su
base collettiva; secondo la concezione normativa, cui possono affiancarsi le
successive rielaborazioni in chiave di concezione ‘mista’, l’onore è da
intendersi come riflesso del valore dell’individuo in quanto tale, ossia come
proiezione del- la dignità umana. Nel discorso penalistico sull’onore emergono
in nuce que- stioni di fondamentale importanza: il rapporto tra dimensione
fattuale e proie- zione normativa dello stato psicologico associabile al
concetto di onore non è altro che la ricaduta settoriale di un nodo
problematico che ricorre di fronte a ogni tipo di sentimento evocato dal
diritto come oggetto di tutela. Nella dottri- na italiana, ex plurimis, MUSCO,
Bene giuridico e tutela dell’onore; SIRACUSANO, Problemi e prospettive della
tutela penale dell’onore, Verso un nuovo codice penale. Itinerari, problemi, prospettive,
Milano; GULLO, Diffamazione e legittimazione dell’intervento penale. Contributo
a una riforma dei delitti contro l’onore, Roma; per un’originale riela-
borazione del tema, v. TESAURO, La diffamazione come reato debole e incerto,
Torino. Sensibilità individuali e libertà di espressione di diritti di libertà
e doveri di rispetto, con tutte le complessità che ne discendono in termini di
bilanciamento. Esporremo i tratti salienti di tali modelli sulla base del
pensiero di due autorevoli studiosi che hanno a nostro avviso contribuito a
mostrarne le coordinate fondamentali. 2. Approccio ‘naturalistico-emozionale’
Intendiamo come ‘naturalistico-emozionale’ un modello di inter- vento che
assuma a riferimento primario la dimensione naturalistica del sentire,
identificata in manifestazioni di reattività emotiva cui il diritto attribuisca
rilevanza tramite la costruzione di precetti fondati su eventi di tipo
psichico. Una simile prospettiva, nel caso sia volta a preservare la sfera psi-
cologica degli individui da turbamenti emotivi dovuti alla semplice cognizione
o al contatto ravvicinato con esternazioni di opinioni, comunicazione di
contenuti di pensiero o più in generale con atteg- giamenti che suscitino
contrasto fra sostenitori di visioni del mondo diverse, appare un’opzione
fortemente problematica, e con buona probabilità impraticabile. Obiettare la
mancanza di un’offesa significativa dal punto di vista penalistico è però un
argomento non decisivo se si apre la riflessione alle concettualizzazioni di matrice
anglo-americana dei cosiddetti Harm Principle e Offense Principle 21: da questo
punto di vista non è af- 21 Constatata la crisi del cosiddetto ‘bene
giuridico’, anche nella dottrina italiana si è fatto sempre più concreto
l’interesse per le categorie dello Harm e dell’Offense, ricostruite soprattutto
sulla base del pensiero di Feinberg. Nella letteratura italiana il pensiero di
Feinberg è stato fra i temi privilegiati di recenti studi collettanei dedicati
al tema della legittimazione del diritto penale: v. a cura di
Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale, cit.; a cura di
Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale, cit.; si veda lo studio monografico
di FRANCOLINI, Ab- bandonare il bene giuridico? Una prospettiva procedurale per
la legittimazione del di- ritto penale, Torino; fra gli articoli in cui si
‘dialoga’ con le categorie feinberghiane v. CADOPPI, Liberalismo, paternalismo
e diritto penale.; ID., Presentazione. Principio del danno (Harm Principle) e
limiti del diritto penale, in AA.VV., a cura di Cadoppi, Laicità, valori e
diritto penale, cit., pp. VII ss.; FORTI, Principio del danno e legittimazione
“personalistica” della tutela penale, in AA.VV., a cura di Fiandaca-Francolini,
Sulla legittimazione del diritto penale; FIANDACA, Laicità, danno criminale e
modelli di democrazia, in AA.VV., a cura di Ri- sicato-La Rosa, Laicità e
multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali, cit., pp. 18 ss.; ID.,
Diritto penale, tipi di morale e tipi di democrazia, a cura di Fianda- Tra
sentimenti ed eguale rispetto fatto scontato che una tutela di meri sentimenti,
o, più propriamente, volta a evitare emozioni negative, sia estranea all’ambito
della penaliz- zazione legittima, ma si tratta al contrario di un problema
aperto. Le categorie del pensiero giuridico anglo-americano sono partico-
larmente efficaci nell’illustrare la stratificazione di soglie di offesa che
possono ipoteticamente essere addotte per legittimare interventi penali: il
discorso è infatti aperto non solo al danno, lo Harm, ma anche a forme di
interferenza con interessi della persona meno incisive, ossia l’Offense,
traducibile come ‘molestia’ 22. In particolare, è l’Offense Prin- ciple la
categoria che meglio si presta a riassumere il tipo di offese che si legano al
contatto sgradito con determinati atteggiamenti e contenuti espressivi.
ca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale, cit., pp. 153 ss.
DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti, cit.,
ROMANO, Danno a sé stessi, pa- ternalismo legale e limiti del diritto penale,
cit.; PULITANÒ, Paternalismo penale, cit.; ID., voce Offensività del reato
(principio di), in Enciclopedia del diritto, Annali VIII, Milano; DE MAGLIE,
Punire le condotte immorali? L’approccio feinberghiano ha suscitato interesse
anche in Germania, per quanto, come espressamente affermato da Tatiana Hörnle,
fino ai primi anni Duemila non sia stato oggetto di particolari
approfondimenti, forse anche, secondo la Hörnle, per la mancata traduzione dei
testi di Feinberg in tedesco, v. HÖRNLE, Offensive Beha- viour and German Penal
Law, in 5 Buffalo Criminal Law Review, anche per una sintetica analisi delle
concettualizzazioni feinberghiane in rapporto al diritto penale tedesco. 22 Va
specificato che l’atteggiamento di maggiore o minore apertura a principi di
legittimazione diversi dallo Harm Principle discende da pregiudiziali politico-
filosofiche: ad esempio, secondo una posizione di ‘liberalismo estremo’ solo il
principio del danno (Harm) dovrebbe costituire criterio legittimo di incrimina-
zione. In questo senso la posizione di Joel Feinberg si presenta più aperta,
poiché non esclude che fra le ‘buone ragioni’ vi possano essere criteri
complementari allo Harm: è Feinberg, sostanzialmente, che amplia il discorso al
c.d. offense principle, v. CADOPPI, Liberalismo, paternalismo; cfr. FIANDACA,
Diritto pe- nale, tipi di morale, cit., p. 156. 23 Il concetto di Harm di
matrice feinberghiana non corrisponde in toto a quel- lo che ha trovato successivamente
applicazione nel sistema statunitense: lo Harm è stato oggetto di una
dilatazione che ha portato ad allargarne lo spettro di rilevanza, e molti dei
problemi collocati da Feinberg nell’Offense sono ricollocati oggi in una
versione più estesa dello Harm; per una sintesi v. DE MAGLIE, Punire le con-
dotte immorali?, cit., pp. 947 ss. Si veda anche infra, nota 65.
Sull’applicazione dello Harm a problemi concernenti la libertà di espressione
v. COHEN, Psychologi- cal Harm and Free Speech on Campus, in 54 Society, 2017,
pp. 321 ss. Harm e Of- fense non sono incompatibili fra loro, ma come principi
di sistema possono inte- ragire in termini di complementarietà, ossia è
possibile che alcune norme dell’or- dinamento penale si legittimino in nome
dello Harm Principle e altre in norme dell’Offense Principle. Non va peraltro
dimenticato che «I principi compendiano le ragioni morali che possono sostenere
le proibizioni penali [...] servono a circo- Sensibilità
individuali e libertà di espressione 113 Illustriamo tali concetti attraverso
un cursorio richiamo alla più importante elaborazione sul tema, ossia lo studio
di Joel Feinberg dedicato ai limiti morali del diritto penale e in particolare
al tema dell’Offense Principle. La prospettiva dell’Offense secondo Joel
Feinberg Cominciamo da un’importante distinzione: secondo Feinberg quando si
parla di tutela della tranquillità psichica volta a evitare reazioni di
disgusto, di rabbia e altre emozioni negative, bisogna di- stinguere fra
molestie in cui vi è la compresenza di soggetto attivo e vittima, fondate su
percezioni di tipo visivo, uditivo o olfattivo, e altre condotte tali da poter
suscitare sensazioni sgradite pur senza un rap- porto di diretta percezione, ma
semplicemente a seguito della presa di conoscenza. Nel primo caso si tratta
della cosiddette ‘nuisance’, ossia offese ai sensi: nelle ‘mere offensive
nuisance’ il torto (wrong) coincide ed è in- scindibile dall’esperienza di
percezione visiva, uditiva, olfattiva o tattile. Nel secondo caso si tratta di
forme di molestia, cosiddette profound offenses’, le quali attingono una
sensibilità di ordine più elevato e sono tali da indurre sofferenza e disagio
anche quando non vi sia percezione sensoriale diretta. Le ‘profound offenses’
si differenziano dalle nuisances in quanto potrebbero continuare a provocare
fastidio anche dopo l’iniziale presa di conoscenza: esempi addotti da Feinberg
sono il voyeurismo, la propaganda nazista e razzista in generale, le offese a
simboli civili e religiosi, l’oltraggio a cadaveri; una dimen- scrivere
l’ambito all’interno del quale la restrizione della libertà dei consociati è,
secondo la concezione che li sostiene, moralmente legittima: ma non escludono
le ulteriori valutazioni di utilità sociale e di effettiva opportunità che un
determina- to legislatore positivo dovrà compiere prima di decidere se dovrà
emanare o meno una norma penale», v. FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico,
cit., p. 78. 24 FEINBERG, The
Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others, New York-Oxford,
1985. Una versione in nuce dell’elaborazione
feinberghiana sullo Harm e Offense Principle, precedente alla tetralogia sui
limiti morali del diritto penale, è contenuta in FEINBERG, Filosofia sociale,
tr. it., Milano. It is
experiencing the conduct, not merely knowing about it, that of- fends»,
FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others,
FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others. Tra sentimenti ed eguale
rispetto sione che potremmo definire di ‘sensibilità morale’ nella quale la le-
sione si lega a qualcosa di esterno al soggetto e viene definita ‘pro- fonda’ a
causa del suo impatto su una sensibilità non meramente ‘epidermica’, e che non
dipende dall’effettivo coinvolgimento emotivo di individui determinati. Quanto
all’eventuale rilevanza penale, per Feinberg le profund offenses che non siano
contemporaneamente anche nuisances, ossia commesse in un luogo pubblico e
percepite da soggetti terzi, non do- vrebbero rientrare nell’area di
criminalizzazione legittima coperta dall’Offense Principle. Con un’importante
conseguenza: se le offese a sensibilità di alto livello non vengono realizzate
attraverso condotte in grado di colpire anche la sensibilità di soggetti
presenti, potrebbe escludersi la loro incriminabilità secondo il criterio
dell’Offense, e si dovrebbe far ricorso a principi di legittimazione
differenti, e del tutto distonici rispetto alle prospettive liberali: il
moralismo giuridico 28. In secondo luogo, anche se si interpretasse il pensiero
feinber- ghiano ammettendo che le cosiddette ‘profund offenses’ possano teo-
ricamente costituire oggetto di incriminazione in quanto riconducibi- li
all’Offense Principle, resta il fatto che i criteri di bilanciamento che
Feinberg enuncia come ‘massime di mediazione’ porrebbero un serio ostacolo
all’incriminazione di offese a sensibilità di ‘alto livello’ 29. Fra 27 Per una
sintesi v. FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico? È l’opinione di
FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico. Sui rapporti tra Offense Principle e
Harmless Wrongdoing v. FEINBERG, The Moral Limits of Criminal Law, Harmless
Wrongdoing, Oxford; ID., Filosofia sociale. Per una sintesi v. FIANDACA, Punire
la semplice immoralità?MAGLIE, Punire le condotte immorali? FEINBERG, The Moral Limits of
the Criminal Law, vol. II, Offense to Others. Nella teorizzazione feinberghiana il provare
un’emozione negativa non è requisito che esaurisce gli elementi costituitivi
dell’offense: condotte in grado di suscitare nei terzi sensazioni sgradevoli
possono scaturire da attività che fanno parte dell’agire quotidiano di ogni
individuo, attività comprese nella normale vita di relazione, e che tuttavia
possono produrre quelli che sono dei cosiddetti ‘stati mentali sgraditi’. Per
ovviare a possibili eccessi, Feinberg rimarca l’esigenza di elaborare dei criteri
di bilanciamento che operino nel senso di restringere l’ambi- to di
criminalizzazione della molestia. Secondo le ‘massime di mediazione’ da lui
elaborate, va esaminato il limite della cosiddetta seriousness della molestia,
e del- la reasonableness della condotta attiva: in sintesi, la serietà della
molestia dipende dalla sua intensità, dalla durata; dall’estensione; dal grado
di evitabilità (la difficoltà di sottrarsi senza inconvenienti alla situazione
in cui si è assistito alla mole- stia è un parametro per la gravità della
condotta attiva); dalla massima del con- senso, per cui l’assunzione volontaria
del rischio di incorrere nelle condotte di Sensibilità individuali
e libertà di espressione i parametri di selezione vi è infatti quello della
‘ragionevolezza’ del- l’offesa, valutabile attraverso i criteri dell’importanza
che la condotta riveste per l’agente, e dell’eventuale utilità sociale della
condotta stes- sa, con la conseguenza che azioni pur offensive, ma che siano al
con- tempo forme di espressione dell’individuo, potrebbero essere consi- derate
lecite in forza del valore individualistico (importanza per l’agen- te) e
collettivistico (utilità sociale) della condotta 30. In relazione alla
suscettibilità individuale, Feinberg è categorico nel porre un’obiezione alla
tutela di soggetti caratterizzati da un’ab- norme emotività, definendoli
‘cavalli capricciosi’ (skittish horses): quan- to più un soggetto è
emotivamente suscettibile, tanto meno potrà pre- tendere che il diritto penale
assecondi le sue pretese 31. Fin qui la teorizzazione di Feinberg sembrerebbe
sostanzialmente contraria all’incriminazione di condotte che offendano valori e
sensi- bilità di ordine elevato. Se dovessimo proiettare le categorie
feinberghiane nel diritto ita- liano potremmo associare tendenzialmente la c.d.
tutela di ‘sentimen- ti-valori’ alle ‘profund offenses’, come offese ad aspetti
concernenti il piano dei valori costitutivi dell’identità morale che attingono
strati profondi e relegano in posizione marginale, anche se forse non del tutto
irrilevante, il profilo della nuisance 33. offense esclude la rilevanza penale
di queste, v. ID., The Moral Limits of the Crimi- nal Law, vol. II, Offense to Others, «no amount of offensiveness in an expressed
opinion can counterbalance the vital social value of allowing unfettered
personal expression», FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, Offense
to Others, FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, Offense to Others. Negli Stati Uniti d’America si è recentemente
sviluppato un dibattito avente ad oggetto la libertà di espressione nei campus
e nei college, in relazione alla sensibi- lità degli studenti e alla
possibilità che un’assoluta deregolamentazione della li- bertà di manifestare
il proprio pensiero si riveli loro pregiudizievole: il tema è no- to come
‘Snowflakes’ (letteralmente ‘fiocchi di neve’, appellativo per gli studenti
sensibili). L’orientamento maggioritario tende a ritenere illegittime eventuali
re- strizioni alla libertà di espressione nei campus, adducendo il fatto che il
plurali- smo delle idee, e il confronto anche aspro, è ciò che deve contribuire
a formare e rafforzare la personalità degli studenti; per una sintesi di tale
posizione v. COHEN, Psychological Harm and Free Speech. Cfr. SPENA, Libertà di
espressione e reati di opinione., il quale richiama le sensibilità di alto
livello quale chiave di lettura dei c.d. reati d’opinione. Il profilo del
turbamento da contatto visivo o comunque fisico assume una rilevanza,
quantomeno sul piano della costruzione del tipo di reato, nel caso degli atti
osceni; per quanto non si richieda la verifica di un disagio concretamente
esperito da qualcuno, la fisionomia del fatto tipico resta basata su
un’esperienza Tra sentimenti ed eguale rispetto Inferire dalle teorie
feinberghiane l’illegittimità tout court di in- criminazioni come ad esempio la
propaganda razzista sarebbe però affrettato: va infatti rimarcato che Feinberg
introduce una deroga espressa (ad hoc amendment) alla sua costruzione teorica
al fine di dare un fondamento di legittimazione alla criminalizzazione di con-
dotte di insulto rivolte a minoranze etniche, razziali, e religiose. Se infatti
in linea di principio egli afferma che fra le massime di media- zione vada
contemplato anche il cosiddetto ‘standard di universalità’, ossia la verifica
che il comportamento offensivo sia ritenuto tale da una considerevole
maggioranza di persone prese a campione dall’in- tera popolazione34, e dunque
che l’offensività non debba essere dedotta dal capriccio di pochi, nondimeno egli
ritiene che vada fatta una deroga nel caso di offese indirizzate a certe
minoranze, cui la mag- gioranza potrebbe restare indifferente ma che, agli
occhi di Feinberg, dovrebbero meritare una rilevanza normativa. Se da un lato
tale eccezione sembra introdurre una falla nella complessiva coerenza
dell’impianto teorico feinberghiano, dall’altro lato la deroga evidenzia come
anche all’interno di posizioni fortemente li- berali sia avvertita l’esigenza
di lasciare aperta la possibilità di limiti a determinate forme e contenuti
espressivi: la motivazione non risiede nell’eventuale turbamento emotivo
(diversamente ricadrebbe nel di- scorso delle nuisance), ma le ragioni sono più
plausibilmente da ricer- carsi sul piano dei principi normativi e, in
particolare, in relazione alle modalità tramite le quali una democrazia
liberale dovrebbe tutelare le minoranze in una cornice di uguaglianza
sostanziale. Appare evidente che la partita decisiva si gioca su valori; sia il
principio dello Harm, sia il principio dell’Offense, non possono fare
affidamento una base oggettiva e neutrale al punto da poter prescin- dere da
una preliminare scelta assiologica su quali siano gli interessi la cui lesione
deve essere considerata rilevante 36 e soprattutto su co- visiva, e che dunque
richiede un contatto fra soggetti e non può limitarsi alla semplice presa di
conoscenza. FEINBERG, The
Moral Limits of the Criminal Law, Offense to Others. Per un’attenta critica v. MANIACI, Come interpretare
il principio del danno, Ragion pratica. FORTI, Per una discussione sui limiti
morali del diritto penale, tra visioni “liberali” e paternalismi giuridici, in
AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Marinucci; sulla
componente valoriale del concetto di danno cfr. FIANDACA, Punire la semplice
immoralità? Un vecchio interrogativo che tende a ri- proporsi, in AA.VV., a
cura di Cadoppi, Laicità, valori, diritto penale. Sensibilità individuali e
libertà di espressione 117 me debbano essere bilanciate le opposte pretese.
Nell’impostazione feinberghiana, comunque incentrata su aspetti di sensibilità
soggetti- va, tale ruolo è svolto, come detto, dalle c.d. ‘massime di
mediazione’; va però osservato che dopo Feinberg l’evoluzione dell’Offense
Principle sarà caratterizzato da un processo di depsicologizzazione, il quale
conduce a definizioni normativamente più pregnanti, per quanto ancor
problematiche, come ad esempio quella proposta da Hirsch. Tirando le fila del
discorso, un approccio puramente naturalisti- co-emozionale al problema della
tutela di sentimenti appare difficilmente praticabile poiché finirebbe per
incrementare la conflittualità. Secondariamente, anche le declinazioni a nostro
avviso più vicine all’approccio naturalistico rivelano l’ineludibilità di un
filtro norma- tivo delle pretese, volto a distinguere fra atteggiamenti
ragionevoli e irragionevoli secondo una prospettiva di tollerabilità sociale.
Il passaggio al piano di una considerazione delle emozioni e dei sentimenti da
un punto di vista normativo è dunque inevitabile, così come è ine- vitabile far
confluire le diverse istanze in una prospettiva di bilan- ciamento. Tale
esigenza viene approfondita in particolar modo da Nussbaum, e proprio a partire
dalle sue elaborazioni cercheremo di illustrare le coordinate di un approccio
alternativo. HIRSCH, The
Offence Principle in Criminal Law: Affront to Sensibility or Wrongdoing?, in 11
King’s Law Journal. Il correttivo
adottato da Hirsch – il quale ritiene che, inteso come ‘affront to
sensibility’, l’Offense Principle sia troppo espansivo – consiste nel valutare
la condotta ritenuta offensiva sia secondo parametri di adeguatezza sociale,
sia soprattutto includendo nel giudizio il principio morale del reciproco
rispetto: «All three reasons invoke convention to give social meaning to the conduct,
but entail a further reason of a moral kind, concerned with treating others
with proper respect»; v anche ID., I concetti di “danno” e “molestia” come
criteri politico-criminali nell’ambito della dottrina pena- listica
angloamericana, in AA.VV., a cura di Fiandaca-Francolini. Nel complesso,
l’Offense feinberghiana è stata sottoposta a un graduale processo di
depsicologizzazione che ne ha ridotto in buona parte il divario con lo Harm;
osserva icasticamente HÖRNLE, Offensive Behaviour and German Penal Law, che «If
one does not view offense to others as a psychological phenomenon, as does
Feinberg, but as a normative concept, the conceptual difference between harm
and offense disappears. Tra sentimenti ed eguale rispetto 3. Approccio
‘razionalistico-normativo’: emozioni ragionevoli e irragionevoli secondo Martha
Nussbaum Definiamo ‘razionalistico-normativo’ un approccio teorico che su-
bordini la rilevanza giuridica di atteggiamenti emotivi e di fatti di
sentimento alla valutazione dei relativi contenuti cognitivi, e in parti-
colare alla verifica dell’adeguatezza del giudizio di valore alla base
dell’atteggiamento emozionale, intesa come consonanza o compatibi- lità
rispetto a principi base della convivenza. Martha Nussbaum assume come
presupposto l’innegabile rilevan- za del fattore emozionale nel diritto e nelle
questioni di etica pubbli- ca, sostenendo la necessità di un ‘buon uso’ delle
emozioni, non di un avallo acritico, alla luce di ragioni che si intrecciano
con profili di psicologia sociale e con valori di fondo connessi ai sistemi
politici e ai modelli di democrazia. Per ora ci limitiamo a sintetizzare il
cuore della prospettiva politi- co-normativa della Nussbaum, al fine di
evidenziare come, rispetto alla teorizzazione di Feinberg, la componente
sensoriale-emotiva ri- sulti decisamente in secondo piano. L’obiettivo che
emerge dalle ope- re della Nussbaum è l’educazione dei legislatori e dei
giudici a un ascolto critico e consapevole delle emozioni individuali e
collettive, finalizzato a gettare luce sul riconoscimento di diritti e a non
asse- condare atteggiamenti fondati su generalizzazioni e stereotipi di-
scriminatori che collidono con i valori di una democrazia liberale. Secondo la
Nussbaum, l’emozione ha un ruolo rilevante nella for- mazione delle opinioni e
dei giudizi dell’individuo, non è un moto cieco e irriflesso ma implica
credenze che possono essere più o meno attendibili o ragionevoli. È
fondamentale inter- rogarsi sui contenuti di pensiero alla base delle emozioni
per poter maturare un atteggiamento selettivo sul piano giuridico: «[i] giudizi
sulle credenze valutative sono essenziali per il ruolo giocato dalle emozioni
nel diritto»38. Conseguentemente, l’etica pubblica non do- vrebbe essere
fondata su una matrice puramente emotiva: risulta es- senziale un filtro
normativo, ossia un passaggio di confronto fra l’emozione in senso psicologico,
i fondamenti cognitivi e un’assiologia [H. P. GRICE, THE CONCEPTION OF VALUE] di
riferimento. È emblematico il caso di un’emozione particolarmente radicata
nelle società umane come il disgusto, il quale nella sua dimensione primaria ha
la funzione di proteggere l’essere umano da fattori con- 38 NUSSBAUM,
Nascondere l’umanità, cit., p. 53. Sensibilità individuali e libertà di
espressione 119 taminanti, rappresentando un fondamentale strumento di
sopravvi- venza in rapporto a un’importante sfida adattiva 39: quella di
evitare il contatto con sostanze pericolose o nocive per la salute, stando ad
esempio lontano da corpi in decomposizione, non abbeverandosi o nutrendosi da
fonti di potenziali malattie et similia. Il disgusto esiste per condurre
l’essere umano a un approccio se- lettivo, la cui traiettoria era, in origine,
rivolta a oggetti cosiddetti ‘pri- mari’ (sangue, feci, sperma, urina, muco,
cadaveri), e che con l’evolu- zione dei contesti culturali e delle norme
sociali ha subìto un riadat- tamento in termini di proiezione40. Si parla di
disgusto ‘proiettivo’ per indicare il caso in cui tale emozione si rivolga a
individui o a gruppi di individui in virtù di un’associazione immaginativa
deter- minata da norme sociali o dallo stretto contatto del gruppo con og-
getti ‘primari’ del disgusto 41. In questo modo esso rischia di farsi por-
tatore di una carica discriminatoria poiché si lega a idee di contami- nazione
e a un rifiuto dell’animalità (e dunque della limitatezza e del- la mortalità)
umana che conduce all’emarginazione e alla stigmatiz- zazione di ciò che può
essere percepito come anomalo o ‘diverso’42, fino all’avversione verso soggetti
riconducibili a cosiddetti ‘gruppi impopolari’ (minoranze razziali, ebrei,
omosessuali, ecc.). Le riflessioni di Martha Nussbaum rappresentano
un’importante coordinata riguardo al problema della tutela di sentimenti, per
quan- to vadano fatte alcune precisazioni: l’oggetto principale delle analisi
della studiosa sono gli atteggiamenti emozionali collettivi e i loro riflessi
sul piano delle scelte di politica del diritto e, in particolare, di politica
penale. In che termini tali indicazioni possono essere utiliz- 39 HAIDT, Menti
tribali.Come osservano gli antropologi Sperber e Hirschfeld, citati da Haidt,
bisogna distinguere tra fattori di attivazione originari, ossia gli oggetti per
i quali la funzione adattiva è stata progettata dall’evoluzione, e fattori
scatenanti che possono accidentalmente attivare quella reazione, anche in
assenza di pericoli reali, in forza di percezioni erronee dovute a distorsioni
sensoriali o a condizionamenti socio-culturali. Osserva Haidt che le variazioni
cultu- rali della morale si possono in parte spiegare con il fatto che le
culture sono in grado di ridurre o moltiplicare il numero di fattori scatenanti
attuali di un qual- siasi modulo», v. HAIDT, Menti tribali. NUSSBAUM, Disgusto
e umanità. NUSSBAUM, Nascondere l’umanità. Per una diversa opinione, volta a
sottolineare aspetti in relazione ai quali l’emozione del disgusto può risul-
tare importante nel giudizio morale e, secondo gli esempi riportati
dall’Autore, anche nelle dinamiche del giudizio penale, v. KAHAN, The Progressive
Appropria- tion of Disgust, in AA.VV., ed. by Bandes, The Passions of Law. Tra
sentimenti ed eguale rispetto zate relativamente ai problemi concernenti la
libertà di espressione e il rispetto dei sentimenti altrui? Il suggerimento
traibile dalle riflessioni della Nussbaum concerne l’esigenza di verificare in
quale misura eventuali richieste di tutela per un dato sentimento trovino la
propria matrice in atteggiamenti che, ad un’attenta valutazione sul piano
cognitivo-razionale, rivelano una tendenza al rifiuto dell’altro, e dunque una
portata sostanzial- mente discriminatoria. Ci sembra un avvertimento quantomeno
opportuno e ben spendi- bile in rapporto alle odierne politiche penali, in cui
l’ascolto di emo- zioni collettive si è talvolta rivelato strumentale
all’emanazione di provvedimenti volti a raccogliere consenso43, senza valutare,
o me- glio omettendo talvolta volutamente di considerare, se e in che misu- ra
certe emozioni siano il riflesso di atteggiamenti che una democra- zia basata
su libertà e uguaglianza non dovrebbe assecondare. Il punto nodale per
addivenire a un modello di intervento orientato in termini non puramente
emozionali è la previa ‘interpretazione’ delle dimensioni di significato di
determinante emozioni e sentimen- ti, da considerarsi dunque non nella loro
‘bruta’ naturalità, bensì soppesandone la rilevanza soggettiva e sociale, e
bilanciandola con un sistema di diritti di libertà il quale è a sua volta il
precipitato di scelte di valore. La questione dell’orizzonte assiologico cui
fare riferimento è cen- trale sia per inquadrare la fisionomia del modello
normativo sia per il successivo sviluppo del discorso concernente gli equilibri
relativi ai rapporti fra sensibilità soggettive e libertà di espressione.
43 Il problema rimanda al tema del cosiddetto ‘populismo penale’: per una pa-
noramica v. PULITANÒ, Populismi e penale. Sull’attuale situazione spirituale
della giustizia penale, in Criminalia, 2013, pp. 125 ss.; FIANDACA, Populismo
politico e populismo giudiziario, in Criminalia. Sensibilità individuali e
libertà di espressione SEZIONE II Coordinate assiologiche «Quando sento parlare
di idee liberali mi meraviglio sempre di come gli uo- mini giochino volentieri
con parole vuote: un’idea non può essere liberale! Deve essere vigorosa,
efficace, in sé compiuta, in modo da adempiere alla sua divina missione di
riuscire feconda. Ancor meno può essere liberale il concetto; infatti ha un
compito completamente diverso» GOETHE Massime e riflessioni. Non possiamo mai
né atteggiarci a difensori radicali del multiculturalismo o
dell’individualismo, né essere semplicemente comunitaristi o liberali,
modernisti o postmodernisti; dobbiamo essere, al contrario, ora una cosa ora
l’altra, a secon- da delle circostanze legate alla ricerca dell’equilibrio WALZER
Sulla tolleranza. E NON ABBIAMO CIASCUNO LO STESSO SENTIMENTO? PIRANDELLO (si
veda), Il fu Mattia Pascal SOMMARIO: 4. Orizzonte costituzionale e spazio della
politica. Dialettica fra prospettive individualiste e collettiviste. Dai valori
collettivi all’individualismo democratico. Sentimenti ed emozioni come richiamo
metonimico’e personologico. Orizzonte costituzionale e spazio della politica Il
modello ‘razionalistico-normativo’ appare quello più funzionale allo sviluppo
delle nostre riflessioni, e pone in primo piano la que- stione di quali debbano
essere gli assunti valoriali e i principi-guida in rapporto ai quali valutare
se determinati ‘sentimenti-valori’ possa- no ragionevolmente accreditarsi come
meritevoli di una qualche pro- tezione. Tale problema si articola in diversi
piani di analisi: a un primo li- Tra sentimenti ed eguale rispetto vello
l’inquadramento di una cornice assiologica è funzionale all’in- terpretazione
delle fattispecie vigenti, e trova nella Carta costituzio- nale il referente
primario. Come abbiamo avuto modo di osservare, l’impronta ideologica che
connota la fisionomia dei reati a tutela di ‘sentimenti’ presenti nel codice
penale mostra una distonia rispetto ai principi della Costi- tuzione italiana:
nei casi più evidenti ciò ha condotto alla caduta di importanti disposizioni
(si pensi all’art. 402 c.p.44), mentre in altri ambiti vi è stata una radicale
reimpostazione, a livello giurispruden- ziale, della prospettiva di tutela (si
pensi ai reati a tutela della pubbli- ca moralità e del buon costume 45). Negli
esempi menzionati si è trattato di eliminare contrasti la cui evidenza ha reso
sostanzialmente agevole all’interprete capire quale potesse essere la strada
‘giusta’, o, più cautamente, la soluzione meno in contrasto con la Carta
fondamentale, facendo leva in particolare sul connubio fra uguaglianza e
laicità: l’uguaglianza ha costituito il parametro costituzionale
fondamentale46, mentre attraverso il prin- cipio supremo di laicità 47 la Corte
ha delineato la cornice assiologica di base, riconoscendo espressamente il
pluralismo come un valore, non solo come un dato di fatto. V. supra per i
riferimenti alla giurisprudenza di legittimità e costituzionale. 46 Si basa sul
principio di uguaglianza il nucleo motivazionale della sentenza C. cost., n.
508/2000; per una contestualizzazione di tale pronuncia nel quadro della
giurisprudenza costituzionale in materia di uguaglianza, v. DODARO, Uguaglianza
e diritto penale. Relativamente al tema del buon costume, la giurisprudenza
costituzionale non è mai arrivata a pronunce di illegittimità, ma solo perché
«il principio di conservazione dei valori giuridici – tanto più in casi in cui
la dichiarazione d’illegittimità costituzionale comporterebbe, quanto- meno per
qualche tempo, l’impunità anche di comportamenti che il legislatore considera
inequivocabilmente come illeciti penali – impone il mantenimento in vita di una
norma di legge quando a questa possa essere riconosciuto almeno un significato
conforme a Costituzione»: con queste parole la Corte, con la sentenza, ha
salvato la norma che incrimina le pubblicazioni oscene rimar- cando la
necessità di un’interpretazione adeguatrice coerente con gli artt. 21, 27, 2,
3, 13 e 25 Cost. Sulla laicità come principio supremo, o più precisamente come
‘meta- principio’, v., nel contesto penalistico, PALIERO, La laicità penale
alla sfida del ‘se- colo delle paure’, in Riv. it. dir. proc. pen. Questo il
messaggio fondamentale che ci sembra leggibile nel richiamo al principio di
laicità che «[caratterizza] in senso pluralistico la forma del nostro Stato,
entro il quale hanno da convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture
e Sensibilità individuali e libertà di espressione Vi è poi un
secondo livello in cui l’individuazione di coordinate assiologiche ‘vincolanti’
a livello costituzionale diviene più sfumato, e meno univoco: il problema
emerge sia in relazione al quadro di in- criminazioni oggi vigenti in cui
vengono in gioco bilanciamenti con la libertà di espressione – non solo
l’ambito del sentimento religioso ma anche le discusse norme sulla propaganda
razzista – e si proietta, con ulteriore complessità, nella riflessione de jure
condendo. Il sospetto di una illegittima compressione di spazi di libertà sem-
bra richiedere un onere argomentativo più gravoso poiché, pur te- nendo sempre
ben presente la bussola assiologica della Costituzione, il giurista penale si
trova a doverne constatare la limitata precettività, ossia la compatibilità con
un ventaglio di prospettive di segno diverso le quali potrebbero risultare
tutte ‘non illegittime’ 49. Proprio quando si fanno più stringenti le esigenze
di individuare soluzioni che ambiscano a una legittimazione costituzionale
‘forte’, e specialmente quando le materie da regolare chiedano al diritto prese
di posizione che implicano l’assunzione di un punto di vista ideologi- camente
pregnante, la speranza di trovare nel testo costituzionale tradizioni diverse»,
testualmente contenuto nella sentenza (ma si veda anche l’inciso finale della
sentenza sulla parziale illegittimità costituzionale dell’incriminazione della
bestemmia). Per la distinzione tra pluralismo come fatto e come atteggiamento
v. MARCONI, Per la verità. Relativismo e filosofia, Torino.; BARBERIS, Etica
per giuristi, Bari.Per una sintesi della portata assiologica e costituzionale
del principio di laicità v., ex plurimis, BARBERA, Il cammino della laicità, a
cura di Canestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto penale, Bologna;
nell’ambito penalistico, con diversità di accenti, v. FIANDACA, Laicità del
diritto penale; PULITANÒ, Laicità e diritto penale, cit., pp. 283 ss.; PALAZZO,
Laicità del diritto penale e democrazia “sostanziale; CANESTRARI, Laicità e
diritto penale nelle democrazie costituzionali, in AA.VV., a cura di Dolcini-
Paliero, Studi in onore di Marinucci; EUSEBI, Laicità e dignità umana nel
diritto penale (pena, elementi del reato, biogiuridica), in AA.VV., a cura di
Bertolino-Forti, Scritti per Federico Stella, Napoli; FORTI, Alla ricerca di un
luogo per la laicità: il “potenziale di verità” nelle democrazie libera- li, in
AA.VV., a cura di Canestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto
penale; ROMANO, Principio di laicità dello Stato, religioni, norme pe- nali, a
cura di Canestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto penale. Sul
tema della laicità del diritto penale e delle connessioni con l’etica
cattolica, v., per tutti, STELLA, Laicità dello Stato: fede e diritto penale,
in AA.VV., a cura di Marinucci-Dolcini, Diritto penale in trasformazione. FIANDACA,
Legalità penale e democrazia, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero
giuridico moderno. FIANDACA, I temi eticamente sensibili tra ragione pubblica e
ragione punitiva, in Riv. it. dir. proc. pen. Tra sentimenti ed eguale rispetto
una risposta definitiva deve fare i conti con una vocazione pluralisti- ca
della Carta 51, la quale non addita soluzioni univoche ma è «suscet- tibile di
subire più interpretazioni e più modalità di attuazione, entro uno spazio di
discrezionalità politico-valutativa all’interno del quale nessuna
interpretazione o modalità di attuazione può vantare titoli per imporsi come
l’unica corretta o, al contrario, essere censurata perché scorretta» 52. Va dunque
ridimensionata l’ambizione di usare il testo costituzio- nale come strumento di
precisione chirurgica’ per tratteggiare diret- tive univoche che consentano al
giurista positivo di accreditare da un punto di vista intraordinamentale
risposte concernenti conflitti fra libertà di espressione e sensibilità
soggettive. Alla luce di tale panorama si è esortato a fare un uso ‘avveduto e
parsimonioso della Costituzione. A nostro avviso, tale uso prudente potrebbe
essere accompagnato, financo ‘compensato’, da una rifles- sione che esplori un
ulteriore livello di normatività, trascendente sia il contesto codicistico sia
l’orizzonte costituzionale, nella consape- Sul pluralismo della Carta
costituzionale italiana, in termini problematizzanti, v. ANGIOLINI, Il «pluralismo»
nella Costituzione e la Costituzione per il «pluralismo», a cura di
Bin-Pinelli, I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza costituzionale,
Torino. Fra i penalisti, con particolare riferimento al carat- tere non
esaustivo dei principi costituzionali per la scelta degli oggetti di tutela, v.
PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione,
a cura di Pisani, Studi in memoria di Nuvolone; MANES, Il principio di
offensività nel diritto penale.VISCONTI C., Aspetti penalistici; cfr. DONINI,
“Danno” e “offesa” nel- la c.d. tutela penale dei sentimenti: «la fondazione
positiva di ciò che può essere reato, esige una ricostruzione più complessa,
che trova nella Costi- tuzione, per es., solo alcuni, pur rilevanti parametri
che convergono insieme nel dare al reato anche un volto positivo di matrice
costituzionalistica.Sulla teorizzazione di diversi modelli di rapporto e di
conflitto fra principi costituzionali (modello ‘minimalista’ e modello del
bilanciamento, a sua volta su- scettibile di essere declinato come modello
‘irenistico’ e modello ‘particolaristi- co’), v. CELANO, Diritti, principi e
valori nello Stato costituzionale di diritto: tre ipo- tesi di ricostruzione,
in Diritto e questioni pubbliche, Sono parole di VISCONTI C., Aspetti
penalistici. Tale istanza metodologica viene tematizzata ad esempio in
FIANDACA, I temi eticamente sensibili, quando parla di ‘coordinate teoriche e
assio- logiche’ del diritto penale contemporaneo facendo riferimento ai
concetti di pluralismo, ragione pubblica, costituzionalismo e laicità. Con
riferimento all’ambito costituzionalistico v. SILVESTRI, Dal potere ai
princìpi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo, Bari. Sul
ricorso ad argo- mentazioni morali sostanziali nell’applicazione di
disposizioni costituzionali, v. CELANO, Diritti, principi e valori. Sensibilità
individuali e libertà di espressione volezza che l’interpretazione delle
disposizioni costituzionali sui di- ritti non è questione di pura tecnica
giuridica: è questione politica in senso pieno» 56. Tuttavia, anche una volta
che ci si spinga al di là dello spazio normativo della Costituzione per far
riferimento all’offerta teorica proveniente dall’ambito filosofico-politico i
problemi non svaniscono. Nel discorso penalistico è d’uso il richiamo al
liberalismo quale teoria politica di riferimento, ma anche tale soluzione non è
suffi- ciente a definire prospettive univoche: si parla oggi di «pluralità di
liberalismi. Un generico richiamo al liberalismo rischia di dar luogo oggi a
una ‘comfort zone’ teoretica la quale non favorisce il confronto fatico- so, e
quasi traumatico, con teorie filosofico-politiche che esorbitano da una
prospettiva dicotomica ‘liberale-illiberale’. La diversità di vedute concerne
principalmente, ma non solo, gli equilibri di priorità fra ‘giusto’ e ‘bene’59,
riflesso dell’alternativa fra un liberalismo propriamente politico e un
liberalismo eticamente più spesso. PINTORE, I diritti della democrazia, Bari. Malgrado
l’aspetto ossimorico dell’espressione ‘diritto penale liberale’, v. FORTI, Per
una discussione sui limiti morali, MAFFETTONE, Fondamenti filosofici del
liberalismo, in DWORKIN-MAFFETTONE, I fondamenti del liberalismo, Bari.
L’osservazione si riferi- sce in primo luogo alla coesistenza di correnti
diverse interne all’idea liberale, ma evidenzia come le distinzioni possano
dipendere anche dal contesto e dall’ambito disciplinare in cui viene spesa la
nozione di ‘liberalismo’: esiste, ad esempio, an- che un «liberalismo dei
giuristi più attento alle caratteristiche legali e istituzionali. È il problema
nel quale si inscrive la dialettica fra posizioni à la Rawls, so- prattutto il
Rawls dell’opera ‘Liberalismo politico’, e posizioni comunitariste. Te- sti di
riferimento sono da un lato RAWLS, Liberalismo politico, tr. it. a cura di Fer-
rara, Roma, 2008, e per le posizioni comunitariste v. per tutti SANDEL, Il
liberali- smo e i limiti della giustizia, tr. it., Milano, 1994. Per una
panoramica, v. VECA, La filosofia politica, Bari. In estrema sintesi, si
definisce come ‘liberalismo politico’ la teoria che ritie- ne che lo Stato
debba assumere a proprio fondamento una concezione morale minimale su cui sia
possibile trovare un punto di incontro e di intersezione fra le diverse teorie
morali presenti nella società plurale. In questo senso lo Stato do- vrebbe
tendere a una neutralità. Dalla parte opposta, si argomenta come la ricer- ca
di una neutralità possa portare da un lato a una eccessiva ‘asetticità
valoriale’ e finisca per riservare un’attenzione insufficiente al discorso
sulle preferenze e sul benessere degli individui, concependo un idealtipo di
essere umano eccessiva- mente ‘vuoto’ e poco realistico. Nell’ampio panorama si
vedano le declinazioni del Tra sentimenti ed eguale rispetto Nel prendere
atto di tale realtà, il giurista penale è chiamato ad adottare uno sguardo più
disincantato anche di fronte all’assioma co- stituito dal richiamo a valori
liberali. Dire oggi ‘liberalismo’ equivale ad aprire un discorso gravido di
implicazioni problematiche: l’Oc-cidente considera oggi scontato il
liberalismo, ma fra tutti i concetti etico-politici odierni, forse, non ve n’è
uno che sia più di- scusso del concetto di liberalismo» 62. Il liberalismo
rappresenta la cornice culturale, più meno consoli- data, nella quale il
pensiero giuridico occidentale, e anche il pensiero penalistico italiano,
contestualizzano le proprie riflessioni, ma «L’opzione per la democrazia
liberale lascia aperti i problemi della po- litica, anche della politica del
diritto. Non addita soluzioni obbligate di questioni eticamente sensibili, o
anche solo politicamente sensibili. Delinea, e non è poco, una cornice nella
quale chiunque può con- frontarsi con ragioni presentate nel quadro di
concezioni comprensive anche molto diverse, ma che possano avere qualcosa da
dire su punti che interessano specificamente la politica del diritto» 63. È
come dire che il rifugio sotto l’ampio ombrello della dizione ‘li- berale’ non
è sufficiente a esaurire gli oneri argomentativi con cui il giurista contemporaneo
dovrebbe sostenere una posizione di fronte a temi ad elevato tasso di pregnanza
etica ed esposti a una marcata di- screzionalità politica 64. problema
elaborate da DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale, in DWOR-
KIN-MAFFETTONE, I fondamenti del liberalismo. (strategia della discontinuità e
della continuità), e da MAFFETTONE, Fondamenti filosofici del liberalismo. (liberalismo
critico e liberalismo realista). Sul tema si ve dano inoltre, ex plurimis,
NUSSBAUM, Perfectionist Liberalism and Political Libera- lism, Philosophy and
Public Affairs; KYMLICKA, Liberal Indivi- dualism and Liberal Neutrality,
Ethics; per una sintesi del dibattito a partire dalle critiche di Dworkin a
Rawls v. VIOLA, Liberalismo e liberalismi, in Per la filosofia/ Sul tema della
neutralità, o maggiore in- clusività del liberalismo politico rawlsiano, v., ex
plurimis, DEL BÒ, La neutralità politica in John Rawls, in Materiali per una
storia della cultura giuridica. In ambito penalistico, per un’approfondita
rielaborazione di tali problemi v. FORTI, Per una discussione sui limiti
morali, DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale, BARBERIS, Etica per
giuristi, PULITANÒ, Diritto penale, V ed., Torino. Più diffusamente, FIANDACA,
I temi eticamente sensibili; con approccio simile, sebbene con accenti
differenti che lo pongono più vicino alle posizioni rawlsiane, PULITANÒ,
Diritti umani e diritto penale, in Riv. it. Sensibilità individuali
e libertà di espressione A ben vedere un mero richiamo al liberalismo assume
oggi una funzione metaetica, ossia è un presupposto per avviare un discorso su
problemi pertinenti la dimensione etica sostanziale: le questioni più spinose
prendono corpo in un contesto che dà per acquisiti diritti di libertà, ma è sui
contenuti e sulle modalità di esercizio di determi- nati diritti nei rapporti
fra individui che si annidano le complessità. Dialettica fra prospettive
individualiste e collettiviste Alla luce del quadro descritto, è comprensibile
che lo studioso di problemi penali sia chiamato in definitiva a elaborare
proposte ‘poli- tiche’ nel senso nobile del termine, ossia a disegnare
prospettive di politica del diritto e a emanciparsi da abiti mentali «che
postulano una sorta di obbligo di prestazione scientifica consistente nel
conce- pire modelli dogmatici di interpretazione del (presunto) sistema su-
scettibili in quanto tali di fissare a priori, con nettezza e definitività,
quel che è o non è legittimo trarre penalmente ai sensi della Costitu- zione»
66. L’individuazione di traiettorie assiologiche è l’esito di scelte che
riflettono inevitabilmente le precomprensioni e la posizione valo- riale
dell’interprete, in un contesto di non-neutralità. Cercheremo a questo punto di
formulare ipotesi e proposte a par- tire da quella che ci sembra essere
l’alternativa di fondo su cui si è imperniata fino ad oggi la discussione sul
sentimento come problema di tutela nel contesto italiano, ossia se esso debba
intendersi come richiamo ad atmosfere emozionali diffuse, e che si traducono in
for- me di presidio a ideologie e concezioni valoriali proprie della mag-
gioranza, oppure se nel richiamo al sentire umano sia rintracciabile dir proc.
pen., rimarca l’esigenza di tenere ben pre- sente a livello concettuale la
distinzione fra valori politici e valori morali, pur ri- conoscendo
l’impossibilità di posizioni neutrali. Tale processo di complessificazione
della prospettiva liberale si riflette an- che su categorie del pensiero
giuridico. È importante notare come il principio del danno, lo Harm, abbia
subito un graduale ampliamento dovuto non a una rifor- mulazione della
struttura del concetto, bensì legato all’accentuarsi della proble- maticità
delle premesse politico-filosofiche che ne guidano l’applicazione: è la ‘mappa
del liberalismo’ a essere cambiata, osserva HARCOURT, The Collapse of the Harm
Principle, The Journal of Criminal Law and Criminology, passando da un
orizzonte basato sull’alternativa liberale-illiberale, a una pro- spettiva
modulata su differenti modelli di liberalismo (Harcourt parla espressa- mente
di ‘liberalismo progressista’ e ‘liberalismo conservatore. VISCONTI C., Aspetti
penalistici. Tra sentimenti ed eguale rispetto una istanza normativa
differente, in grado di dare risalto alla dimen- sione del singolo e al
connotato personalistico della Costituzione sen- za necessariamente confluire
in un approccio ‘naturalistico-emozio- nale’ modulato su soggettivismi. Come
osservato, nelle fattispecie dell’ordinamento italiano i ‘sen- timenti’
tutelati sono parte di una sfera emotiva sociale, ossia ‘atmo- sfere
emozionali’ legate a valori assunti in un’ottica collettiva. Il sog- getto
portatore degli interessi tutelati è un’entità plurale, una molti- tudine
impersonale caratterizzata da valori asseritamente comuni. Nell’attuale momento
storico la reificazione di entità definite come ‘valori collettivi’ non appare
più legata a una retorica statocentrica, ma si presenta piuttosto come
possibile reazione a un indebolimento del- l’omogeneità etica e culturale
indotto dal pluralismo fattuale. Il principio di massima è che il sentimento,
anche quando rileva come fatto di coscienza individuale, rileva nella misura in
cui è collegato ad un fatto non individuale, appunto a un modo di sentire
sociale, a un’atmosfera emoziona- le socialmente diffusa e divisa in più o meno
larghi ambiti da un’intera comuni- tà», v. FALZEA, I fatti di sentimento, cit.,
p. 320. Si valuti ad esempio l’interesse de- nominato ‘sentimento religioso’:
il codice Rocco si pone a tutela, nelle rubriche e nella sostanza, alla sola
‘religione di Stato’. È interessante notare come anche do- po l’entrata in
vigore della Carta costituzionale, l’oggetto di tutela viene ricostrui- to in
un’ottica prettamente collettivistica che privilegia il dato dell’adesione
quan- titativa. Pensiamo agli argomenti che la giurisprudenza costituzionale
italiana ha adoperato per motivare il differenziato regime di tutela penale del
culto cattolico, sia precedentemente sia successivamente alla modifica del
Concordato: la Corte parla di «antica ininterrotta tradizione del popolo
italiano, la quasi tota- lità del quale ad essa sempre appartiene», e ne
legittima la tutela penale in quanto «professata nello Stato italiano dalla
quasi totalità dei suoi cittadini, e come tale è meritevole di particolare
tutela penale, per la maggiore ampiezza e intensità delle reazioni sociali
naturalmente suscitate dalle offese ad essa dirette in quanto l’universalità di
tradizioni e di sentimenti cattolici nella vita del popo- lo italiano è
rimasta, senza possibilità di dubbio, immutata con l’avvento della
Costituzione», C. cost., n. 79/1958. Per una riflessione penalistica sul
pluralismo delle fedi in Italia v. VISCONTI C., La tutela penale della
religione; per una panoramica extragiuridica v. GARELLI, Il sentimento
religioso in Italia, in Il Mulino. L’impatto della pluralità nella società
contemporanea è parte di un processo «che vede la graduale erosione del
fondamento tradizionalistico e religioso dei co- stumi e delle istituzioni a
vantaggio della coscienza personale, vede crescere l’am- bito delle opzioni
soggette al libero esame e all’adesione interiore, e assottigliarsi, per così
dire, lo spessore di oggettività degli oggetti sociali. Questo processo di
“umanizzazione” – di riconduzione ai suoi soggetti ultimi, le persone umane –
della vita sociale corrisponde anche a una progressiva estensione dell’ambito
delle opzio- ni soggette alla scelta e responsabilità degli individui, e alla giurisdizione
della ra- gione», v. DE MONTICELLI, La questione morale, Milano. Sensibilità
individuali e libertà di espressione In
ambito sociologico si riassume tale fenomeno affermando che la modernità
pluralizza e deistituzionalizza69. La pluralizzazione na- sce dall’incontro di
gruppi diversi, chiamati a condividere territori e spazi comuni in situazioni
di mescolanza nelle quali diviene più dif- ficile, se non addirittura
impossibile, addivenire a un consenso cogni- tivo e normativo, ossia a una
visione del mondo omogenea e condivi- sa. L’allargamento del mercato delle idee
moltiplica la possibilità di approcci alternativi alla realtà e contribuisce in
questo senso a rende- re la costruzione della propria identità una questione di
scelte e non l’esito scontato di programmi socialmente precostituiti. A seconda
delle cadenze, l’appello a valori comuni giustificati sulla base di un sentire
condiviso può rivelare sfumature di autoritarismo etico, soprattutto quando il
‘sentire comune’ sia addotto per sottoli- neare contrapposizioni sul piano
valoriale: paradossalmente l’appello a un substrato di emozionalità condivisa
può essere adoperato al fine di marcare differenze in termini di esclusione
piuttosto che di inclu- sione. Fino a che punto ciò risulta compatibile con i
valori di una demo- crazia liberale? Anche in questo caso l’appello al
paradigma liberale non è suffi- ciente a definire risposte univoche, mantenendo
aperti spazi di di- screzionalità politica, e in particolare rimandando alla
discussione concernente l’alternativa fra un liberalismo di tipo
‘individualistico’ e un liberalismo di marca ‘comunitarista’. Le differenze fra
le due cor- renti investono diversi profili della teoria politica; in estrema
sintesi, secondo le teorie comunitariste «la comunità viene assunta ora come
nucleo centrale di un paradigma normativo, a carattere etico o politi- co, ora
come uno standard meta-etico, un parametro per la giustifi- cazione dei valori
[cf. H. P. GRICE, THE CONCEPTION OF VALUE – AXIOLOGY]; l’approccio
individualista, più vicino al modello BERGER-ZIJDERVELD, Elogio del dubbio.
Come avere convinzioni senza diven- tare fanatici, tr. it., Bologna. Di fronte
alle dinamiche di relativizzazione indotte dall’incremento di plura- lità nel
tessuto sociale gli individui tendono a erigere delle ‘difese cognitive’, ossia
ad affidarsi a esercizi mentali e strategie per mantenere alta la visione del
mondo e l’approccio alla realtà a cui si dà credito. Nelle società
contemporanee tale fe- nomeno può avere riflessi nelle determinazioni di
politica del diritto: per placare l’ansia scaturita dall’irrompere della
relativizzazione si erigono difese cognitive istituzionali, strumentalizzando
il diritto quale veicolo promotore di valori identi- tari, v.
BERGER-ZIJDERVELD, Elogio del dubbio. PARIOTTI, voce Comunitarismo, in
Enciclopedia filosofica. Tra sentimenti ed eguale rispetto liberale classico,
pone al centro dell’orizzonte etico e normativo l’in- dividuo, non la comunità.
A partire da queste premesse, si riflette anche nella prospettiva giuridica
l’alternativa fra una declinazione del problema di tutela del sentimento
incentrato sul momento di condivisione collettiva, ancor- ché parziale e non
universalistica, e una diversa prospettiva che met- ta al centro l’individuo e
le sue libertà da bilanciarsi in un’ottica di reciprocità egualitaria con i
propri simili. 4.2. Dai valori collettivi all’individualismo democratico
Autorevoli esponenti del pensiero liberale hanno criticato a fondo l’evocazione
di valori collettivi [H. P. GRICE, THE CONCEPTION OF VALUE – AXIOLOGY]: uno
Stato che assegni rilevanza 72 Per un quadro ricostruttivo si vedano i saggi
contenuti in AA.VV., a cura di Ferrara, Liberalismo e comunitarismo, Roma,
2000; FERRARA, Introduzione, in AA.VV., a cura di Ferrara, Liberalismo e
comunitarismo; per una definizione d’individualismo comprensivo e una
ricostruzione critica v. LARMORE, Dare ra- gioni. Il soggetto, l’etica, la
politica, Torino, 2008, pp. 119 ss. La distinzione fra li- beralismo di marca
individualista e comunitario emerge anche nel discorso di Joel Feinberg.
L’Autore specifica che la sua aderenza all’idea liberale va conte- stualizzata:
Feinberg sembra prendere con cautela, financo negare, la propria aderenza
all’idea liberale classica secondo la quale autonomia dell’individuo e comunità
costituirebbero due antitesi; nel discorso sulla legittimazione del diritto
penale il filosofo americano dichiara di adoperare una concezione di
liberalismo ‘in a narrow sense’ che non si identifica con un liberalismo
estremo inteso quale contrapposizione a un’idea di comunità, v. FEINBERG,
Harmless Wrongdoing. Ricordiamo le parole di H. L. A. Hart [citato da H. P.
Grice]. “Sembra terribilmente facile pensare che la lealtà verso i principi
democratici esiga che si accetti ciò che possiamo chiamare populismo morale:
l’idea che la maggioranza ha un diritto morale a stabilire come tutti devono
vivere. L’errore fondamentale consiste nel non distinguere il principio
accettabile secondo il quale il potere politico è meglio affidato alla
maggioranza, dalla pretesa inaccettabile che ciò che la maggioranza fa con quel
potere, sia al di sopra di ogni critica e che non ci si possa mai opporre ad
esso. Nessuno può dirsi democratico se non accetta il primo di questi principi,
ma nessun democratico è tenuto ad accettare il secondo. v. H. L. A. HART
[citato da H. P. Grice], Diritto, morale e libertà. Si tratta della ben nota
risposta che il FILOSOFO OXONIESE da a Devlin, e al suo ‘The Enforcement of
Morals’, nel quale si riconduce la moralità all’atteggiamento etico dominante
nella popolazione: «Every moral judgement, unless it claims a divine source, is
simply a feeling that no right-minded man could behave in any other way without
admitting that he was doing wrong. It is the power of a common sense and not
the power of reason that is behind the judgements of society, v. DEVLIN, The
Enforcement of Morals, New York-Toronto. Sensibilità
individuali e libertà di espressione 131 normativa a un particolare modo di dar
valore a oggetti e idee in quanto condiviso dalla maggioranza, sta di fatto
considerando gli appartenenti alla maggioranza in una condizione privilegiata
rispetto agli altri cittadini. In altri termini, è ben possibile che il
principio di maggioranza trasmodi in un principio di tracotanza. Più
recentemente, nell’ambito della filosofia analitica, si è affer- mato che il
tema dei valori condivisi è una «questione relativa alle credenze o alle
opinioni condivise, secondo le quali una o più cose pos- siedono un certo
valore» 76. Quando si cerca di spiegare a quali condi- zioni un certo valore
possa dirsi ‘condiviso’, la motivazione più sem- plice e più immediata è la
cosiddetta ‘teoria sommativa’: si ha condi- visione quando la maggior parte dei
membri di un dato contesto o di una comunità assegnano valore alla medesima
cosa. La domanda a questo punto è se una spiegazione sommativa sia sufficiente
per affermare che in una società vi è realmente condivi- sione di valori, e, di
conseguenza, per ritenere che ciascun soggetto abbia lo status, ossia la
legittimazione, per pretendere che il compor- tamento dei propri simili debba
essere rispettoso e coerente con i va- lori condivisi dalla maggioranza. Si è
osservato che «se due o più persone hanno una certa opinio- ne, esse
possiedono, evidentemente, un certo grado di identità quali- tativa. In
generale, tuttavia, tale identità fornisce agli individui umani soltanto una
forma superficiale di unità. I valori condivisi in senso sommativo uniscono
soltanto in un modo superficiale. In altri termini, un riscontro
storico-quantitativo della massiva adesione a un determinato valore in una
società non dovrebbe esse- re considerato elemento sufficiente a fondare alcun
tipo di pretesa nei confronti dei cittadini, salvo il caso di un impegno
espresso Ex plurimis, VIOLA, Il principio di maggioranza e la verità in una
democrazia, in Dialoghi. H. L. A. HART [citato da H. P. Grice], Diritto, morale
e libertà, GILBERT, Il noi collettivo. Impegno congiunto e mondo sociale, tr.
it., Milano. GILBERT, Il noi collettivo. Una critica alla concezione
‘sommativa’ della democrazia è leggibile, a no- stro avviso, anche nelle parole
di chi, nella dottrina penalistica, ha sottolineato che aderire al metodo
democratico non significa acconsentire alle idee dei più, bensì optare per una
modalità collettiva, comunitaria, consensuale di creazione delle regole –
valide poi per tutti – non fondate sul fattore-forza. La legalità democratica
richiede ben oltre complesse tecniche di calcolo, l’adesione convinta a
principi formulati in modo condiviso e perciò corresponsabilmente
vincolanti», Tra sentimenti ed eguale rispetto che le parti accettino
consapevolmente. Il sentire umano, nelle forme del sentimento e dell’emozione,
è fattore di diversità, ma è anche, di base, il correlato fenomenico di
un’uguaglianza di fondo fra individui resi al contempo uguali e diver- si dalle
disposizioni del sentire: uguali in potenza, diversi in atto. La varietà di
soglie di sensibilità, di assiologie personali e di repertori emotivi dei
singoli sono parte di una dotazione universalmente con- divisa: tutti gli
esseri umani (in assenza di condizioni patologiche) provano emozioni e
sentimenti, e sulla base di tale potenzialità co- mune prende successivamente
corpo la diversità. Per cercare di dare rilievo alla dimensione del sentire
quale con- notato a vocazione universalistica, e non semplicemente quale base
di frammentazione e di rivendica, ci sembra ragionevole prendere le distanze da
strumentalizzazioni del sentimento in chiave identitaria, per riorientare la
prospettiva a partire da diritti di libertà funzionali a consentire a ciascun
cittadino di vivere la propria ASSIOLOGIA [cf. H. P. GRICE, THE CONCEPT OF
VALUE] vocazionale. La sfida che sentimenti ed emozioni pongono oggi al diritto
pena- le si focalizza sul riconoscimento di un’eguale dignità fra persone
concretamente diverse, nella consapevolezza della varietà di preferen- v.
MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla luce dei precetti. Anche EUSEBI, Laicità e
dignità umana nel diritto penale, sottolinea che il principio di laicità
richiede che le regole giuridiche di uno Stato non siano configurate secon- do
ciò che è comprensibile solo nell’ambito di una specifica concezione morale
anche se maggioritaria. L’elemento dirimente, e necessario, affinché si passi
da una semplice condi- visione in senso sommativo a una condivisione tale da
poter generare unità socia- le, è, secondo Margaret Gilbert, il cosiddetto
‘impegno congiunto’: «l’impegno congiunto è l’impegno a credere come un corpo
unitario che una certa cosa C ab- bia un determinato valore V», v. GILBERT, Il
noi collettivo. Gilbert, pur non discostandosi da un piano
analitico-concettuale, non tralascia considerazioni su profili più propriamente
politici: «[e]videntemente, il fatto che si abbia lo sta- tus per fare
pressione sugli altri, se gli altri agiscono nell’inosservanza di un certo
valore, non implica né che, in fin dei conti, si debba esercitare questa
pressione, né che, in virtù di un impegno, si abbia ragione di farlo». Il
caveat più significati- vo si rivolge, non a caso, all’ipotesi di adoperare il
diritto penale quale strumento per la salvaguardia di valori collettivi. Anche
in presenza di valori che possono dirsi ‘collettivi’ in virtù di presupposti
assimilabili all’idea di ‘impegno congiunto’, e non solo di una mera
spiegazione sommativa, la legittimità della pretesa di im- porre il rispetto di
tali valori con strumenti normativi dipende da considerazioni sostanziali sul
merito dei valori assunti a riferimento, sulla loro ‘correttezza’. ‘Va- lore
collettivo’ non è di per sé sinonimo di un sentire corretto. Traggo
l’espressione e il concetto da DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Sensibilità
individuali e libertà di espressione 133 ze e dei molteplici, possibili stili e
concezioni della vita buona. In questo senso appare importante evidenziare la
matrice indivi- dualistica dei diritti di libertà: significa che prima viene
l’individuo, si badi, l’individuo singolo, che ha valore di per se stesso, e
poi viene lo stato e non viceversa, che lo stato è fatto per l’individuo e non
l’individuo per lo stato» 81. Col richiamo al momento individualistico non
intendiamo adom- brare la vocazione solidaristica e la proiezione relazionale
dei diritti di libertà, ben leggibile nelle trame della Carta costituzionale. Riteniamo
però che il problema della tutela di sentimenti debba essere oggetto di un
deciso cambio di prospettiva che rompa con la tradi- zione del passato, nella
quale il richiamo alla socialità era divenuto sinonimo di ‘statualità’, di
dominio della collettività sul singolo, di assorbimento dell’individuo nel
gruppo. Si rende in questo senso ne- cessario rinsaldare la connessione fra il
sentimento e il principio per- sonalistico che pone «a base di tutto il sistema
di rapporti fra stato e singoli l’esigenza di rispetto della persona, della
‘dignità’ corrispon- dente alla qualità dell’uomo come tale, quale che sia la
posizione sociale rivestita. Rispetto alla retorica comunitarista-identitaria,
un’alternativa che emerge oggi nel pensiero politico e che a nostro avviso si
candida come sintesi ragionevole tra individualismo e ottica solidaristica, è
il cosid- detto ‘individualismo democratico’ elaborato da Nadia Urbinat: una 81
BOBBIO, L’età dei diritti, Torino. Nel panorama penalistico si sof- ferma sul
fondamento individualistico dei diritti PULITANÒ, Diritti umani e diritto
penale. Il rapporto fra liberalismo e attenzione alle differenze è teorizzato
in modo peculiare da Rosenfeld, il quale contrappone il liberalismo in senso
classico, di marca individualistica, a una posizione politica che riconosce
valore alla pluralità, da Rosenfeld definita ‘pluralism’, e che saremmo portati
a tradurre con ‘liberalismo pluralista’. La distinzione di Rosenfeld non ci
sembra però tesa a confutare la matrice individualistica dei diritti di
libertà, ma a sottoli- neare come l’attenzione alla dimensione del singolo,
tipica del liberalismo classi- co, risulti poco funzionale alla tematizzazione
delle appartenenze e dell’identità: v. ROSENFELD, Equality and the Dialectic
between Identity and Difference, in AA.VV., ed. by Payrow Shabani, Multiculturalism
and Law: A Critical Debate, Wales, Ex plurimis, RIDOLA, Diritti fondamentali.
Un’introduzione, Torino. In ambito penalistico si è sottolineato l’intreccio e
la reciproca interdipen- denza tra profilo personalistico e collettivistico di
determinati interessi di tutela, v. DE FRANCESCO, Costituzione, persona,
comunità: beni giuridici e programmi di tutela nella dinamiche della vicenda
penale, in Dir. pen. proc. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova.
Si tratta di un concetto che sottende una ben definita visione
antropologica: 134 Tra sentimenti ed eguale rispetto
reinterpretazione del concetto di individualismo classico, volta a di-
stinguerlo dal negativo accostamento all’idea di egoismo, di ‘anarchia
soggettiva’, di motore disgregativo a livello sociale. Il concetto di
‘individualismo democratico’ implica rispetto reci- proco e non-omologazione;
una visione che si pone in antitesi sia con un individualismo egoistico che
traduca disinteresse per la cosa pub- blica, sia con forme di comunitarismo
identitario che comprimereb- bero l’individualità attraverso politiche di
assimilazionismo e di im- posizione di ideali della vita buona. Come osserva la
Urbinati: «Il problema sta quindi nel modo di concepire la comunità, poiché è
evidente che le comunità totalizzanti e ascrittive sono in conflitto con
l’individualismo democratico come lo sono con l’eguale diritto alla di- gnità e
all’eguaglianza della legge. Rispetto alla reificazione dei legami identitari,
il richiamo alla “divinità” di ciascun individuo e al di- ritto che ciascuno ha
di contraddirsi per restare coerente a se stesso suona come un invito
tutt’altro che anacronistico a situare la supre- mazia nella ragione e nel
carattere, rovesciando i criteri di selezione dei valori, facendo cioè della
persona stessa il fulcro senza il quale nessuna comunità potrebbe esistere» 85.
In quest’ottica, il legame fra sentimenti e individualità può acqui- stare una
valenza normativa come presupposto del riconoscimento dovuto agli uomini in
quanto agenti morali 86. Vi sono diversità fat- tuali che derivano dalla
eterogeneità nel sentire, le quali invocano un sostegno normativo come
riconoscimento di libertà e uguaglianza in la democrazia non è solo una forma
di governo ma anche e prima di tutto una ricca cultura dell’individualità.
L’individuo democratico è simile ma non identico a quello liberale ed economico
perché non pensato come un essere puramente razionale che sceglie fra opzioni
diverse in una condizione ipotetica di perfetta informazione e libertà; e
nemmeno come un individuo neutro, vuoto di specificità culturali, economiche o
di genere. È invece una persona che ha un senso morale della propria
indipendenza e dignità e agisce mossa da passioni ed emozioni al- trettanto
forti delle ragioni e degli interessi; che non è soltanto concentrata sulle
proprie realizzazioni, ma anche emotivamente disposta verso gli altri per le
ragioni più diverse, come l’empatia, la curiosità, la volontà imitativa, il
piacere di sperimentare» URBINATI, Liberi e uguali. Contro l’ideologia
individualista, Roma- Bari. URBINATI, Liberi e uguali. Sul tema è fondamentale
l’approfondita analisi di un Autore tendenzialmen- te vicino alle posizioni
comunitariste: TAYLOR, La politica del riconoscimento, in HABERMAS-TAYLOR,
Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, tr. it., Milano. Sensibilità
individuali e libertà di espressione 135 dignità e diritti87. La tutela delle
libertà è la dimensione prioritaria; nondimeno, in nome di esigenze legate al
riconoscimento, e in parti- colare tese a evitare il disconoscimento, si può
porre il problema di interventi normativi al fine di salvaguardare equilibri di
rispetto È su questo crinale che si impernia la questione che definiamo ‘tu-
tela di sentimenti’ 89. 5. Sentimenti ed emozioni come richiamo ‘metonimico’ e
personologico Cercando di tirare le somme del discorso, date le suddette pre-
messe filosofico-politiche, quale può essere la sostanza normativa da
identificarsi con il ‘sentimento’? Esclusa l’ipostatizzazione di atteggiamenti
emozionali su base maggioritaria, riteniamo che una visione alternativa
dovrebbe incen- trare la prospettiva sul significato del sentimento come
marcatore dell’originalità individuale che si interlaccia con le trame
costitutive della personalità morale di un soggetto. Definiamo tale prospettiva
come ‘personologica’ per evidenziarne la peculiarità rispetto a una più
generica definizione come personalistica. Il termine personologia in uso nelle
discipline psicologiche e filosofiche, designa, nel suo significato minimale,
il discorso sulle caratteristi- che dell’individuo inteso come soggetto non
riducibile alle dimensioni mentale e corporea 90, ma come esito di
un’interazione con gli altri e con la realtà, all’interno di un percorso
biologico e biografico unico e irripe- tibile. Questa impresa conoscitiva trova
sviluppo soprattutto in seno alla Sul rapporto tra dati di natura e dimensione
dei diritti, fondamentale HER- SCH, I diritti umani da un punto di vista
filosofico, tr. it., a cura di De Vecchi, Milano. L’individuo delle democrazie
si ciba [di riconoscimento e per questa ragione ha bisogno di essere circondato
da simili, da chi è parte di una comunità di significato e di riferimento e con
cui è possibile condividere una lingua, dei se- gni convenzionali che
consentano una comunicazione immediata, delle tradizioni che facciano sentire
sicuri e protetti», v. URBINATI, Liberi e uguali. Condivisibilmente, nella
dottrina penalistica, v. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. Testo di
riferimento è MARGOLIS, Persons and Minds. The Prospects of Nonre- ductive
Materialism, Boston. Tra sentimenti ed eguale rispetto psicologia e alla
filosofia; non intendiamo però ricalcare le categorizzazioni elaborate in
ambito filosofico sui rapporti fra personologia e personalismo. Nel discorso
giuridico, e in particolare penalistico, si usa parlare di personalismo e di
concezioni personalistiche per indi- care prospettive teoriche che mettono al
centro dell’orizzonte assio- logico la persona umana92 e che si impegnano
conseguentemente a riconoscere in essa il punto di riferimento ultimo di norme
e di problemi di tutela. Perché allora parlare anche di ‘personologico’? Dalla
prospettiva filosofica riteniamo utile mutuare la definizione di personologia
come ‘discorso su ciò che una persona è’93, in un quadro che non si riduce alle
funzioni psichiche, concependo dunque sentimenti ed emozioni non solo come
addentellato fenomenico che rimanda a stati contingenti e a moti interiori, ma
come elementi co- stitutivi che concorrono a definire le disposizioni
individuali e la complessiva ‘fisionomia morale’ della persona. È di secondaria
importanza l’eventuale puntualizzazione se si stia in questo modo richiamando
il sentimento in senso stretto ovvero l’emozione; è invece importante evidenziare
che la rispondenza col mondo dei fenomeni affettivi deriva dalla connessione
con ciò che abbiamo definito ‘stati disposizionali’: disposizioni del sentire,
ossia coordinate costitutive della personalità morale dell’individuo, e non
semplicemente reazioni episodiche. Nella prospettiva giuridico-penalistica, e
con particolare riferi- mento ai rapporti fra libertà di espressione e
reciproco rispetto, il ri- chiamo a sentimenti ed emozioni può ragionevolmente
costituire una coordinata descrittiva dell’oggetto di tutela in senso
simbolico, trasla- to, o meglio metonimico, come elementi che rimandano al
substrato In ambito filosofico si distingue tra personologia e personalismo:
Roberta De Monticelli intende col primo termine «una teoria della realtà di ciò
che noi siamo», mentre il personalismo «è una tendenza più che una teoria» e i
per- sonalismi del secolo scorso possono definirsi come «visioni del mondo cui
“sta a cuore” una certa interpretazione della condizione umana», v. DE
MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 30. La distinzione appare più sfumata
nella definizione di MIANO, voce Personalismo, in Enciclopedia filosofica,
secondo il quale IN SENSO LATO (cf. H. P. Grie, LOOSE] è personalistica ogni
filosofia che rivendichi la di- gnità ontologica, gnoseologica, morale, sociale
della persona, contro le negazioni materialistiche o immanentistiche. In senso
rigoroso si dice filosofia personalisti- ca o personalismo la dottrina che
accentra nel concetto di persona il significato della realtà». 92 Per una sintesi,
v. CANALE, Persona, a cura di Ricciardi-Rossetti- Velluzzi, Filosofia del
diritto. Norme, concetti, argomenti, Roma. Sensibilità individuali e libertà di
espressione 137 più profondamente identificativo dell’essenza individuale: si
menzio- na la parte (il sentimento o l’emozione), per additare il tutto (la
per- sona) 94. Dire ‘tutela di sentimenti’ equivale a dire ‘tutela della
persona e della sua libertà di vivere ed essere riconosciuto come soggetto di
pari dignità nella propria personale ‘assiologia vocazionale’ 95. Non ci si
deve dunque limitare alla presa in considerazione di fe- nomeni psichici
‘bruti’, ma si deve guardare ad essi come segno di individualità che chiedono
di essere tutelate nelle libertà e che al con- tempo non possono ritenersi titolari
di prerogative assolute: l’indi- viduo è uno, ma è al contempo anche
ciascuno96, ossia vive in un contesto di relazioni che implicano diritti e
doveri. 94 L’antropologia alla base del pensiero di Martha Nussbaum è basata
sul fatto che «le emozioni sembrano essere eudaimonistiche, ovvero concernenti
il prosperare della persona», v. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, Il
legame tra sentire e sviluppo della persona, inteso come realizzazione del sé,
emerge anche in altri filosofi, quando si definiscono le emozioni come ‘atti di
base’ che esprimono ‘posizionalità assiologica’, ossia il «realizzare la
salienza, o valenza o valore negativo o positivo della data cosa o situazione»,
v. DE MONTICELLI, La novità di ognuno, cit., pp. 195 ss.; non dunque risposte
automatiche bensì posizionali, le quali possono es- sere più o meno
appropriate, ma comunque rappresentano una parte fondamentale di ciò che una
persona è, della sua struttura morale, «che è insieme velata e svelata
dall’espressività personale: la quale indica infine lo stato in cui la persona
si trova rispetto alla fioritura nuova che solo lei poteva portare al mondo»
EAD., La novità di ognuno. In particolare attraverso il concetto di
‘posizionalità’ si osserva che la persona umana si costituisce nella propria
individualità essenziale attraverso ‘atti’: con tale termine si vuole porre una
fondamentale distinzione fra ciò che la persona ‘compie’, rispetto agli
‘eventi’ in cui un soggetto è coinvolto; l’atto comporta sempre un presa di
posizione relativamente a un dato oggetto, e «[m]ediante le pre- se di
posizione, e dunque, mediante gli atti, noi rispondiamo alla realtà
circostante. Una risposta si distingue da una reazione precisamente in virtù
della presa di posi- zione in essa contenuta. In ogni presa di posizione,
pulsa, per così dire, l’individuo personale che mediante le sue prese di
posizione costantemente si costituisce e si definisce», v. EAD., La novità di
ognuno. Si è parlato di costituzionalizzazione della coscienza delle persone per
sottolineare la rilevanza di «tutto ciò che la persona considera in coscienza
come strettamente richiesto per la propria realizzazione, riconoscendo diritti
collegati alle richieste d’identità e di libertà di scelta», v. VIOLA,
Multiculturalismo, valori comuni, diritto penale, a cura di Risicato-La Rosa,
Laicità e multiculturalismo. Vi è un termine che ci sembra possa definire la
portata accomunante e al contempo differenziante dei fenomeni affettivi:
ciascunità. Lo prendiamo in prestito dal lessico psicanalitico, in particolare
da HILLMAN, Il codice dell’anima, tr. it., Milano. In questo caso ci atteniamo
però a un senso più let- terale-etimologico che all’accezione specifica
elaborata dallo psicologo statuni- tense: ‘ciascuno’ è pronome che indica la
totalità in modo non indistinto e sper- sonalizzante, bensì richiamando l’attenzione
sui singoli. Tra sentimenti ed eguale rispetto In assenza di tale filtro
normativo fondato sul valore dell’ugua- glianza, il richiamo a sentimenti ed
emozioni può rappresentare una china scivolosa, poiché il debordare del
discorso sul piano emozionale rischia di innescare un processo che altera la
fisionomia delle questio- ni, relegandole a una dimensione di micro-conflittualità
soggettiva. Si rischia in altri termini di alimentare ciò che la sociologa
Isabel- la Turnaturi ha eloquentemente definito ‘rivendicazionismo psicolo-
gico’: «un nuovo campo di battaglia in cui gli individui oppongono l’uno al-
l’altro le proprie emozioni. Vissuti, percezioni, sensibilità si confrontano e
si scontrano quotidianamente e conflitti sociali, di genere e culturali si
spostano sul piano dei rapporti interpersonali. L’uguaglianza dei di- ritti si
sposta sul campo emozionale, ciascuno è sempre più attento alle proprie
emozioni e pretende per queste rispetto, attenzione e libertà di
espressione-esibizione. La valorizzazione della sofferenza psicologi- ca e le
narrazioni di sé affidate a un linguaggio esclusivamente psicolo- gico mentre
pongono l’accento sull’individuo cercano l’origine di torti e offese subiti
nell’appartenenza a un gruppo etnico, di genere, o nella condivisione di
preferenze sessuali. Se sono i sentimenti a riscrivere la storia tutto può
essere ri-narrato e ri-costruito secondo i punti di vista di chi sente offesa
oggi la propria sensibilità. Tutto viene affogato in un confuso mare magnum
sentimentale, in un apparente coinvolgimen- to emotivo che soffoca ogni forma
di distanza al rispetto e riconosci- mento reciproco. Quel diritto di ciascuno
alla propria narrazione, giu- stamente rivendicato, andrebbe forse declinato in
un linguaggio meno psicologico e psicologistico, imposto nel discorso pubblico
con la forza dell’argomentazione, ancorato a una cultura dei diritti liberata
dalla co- lonizzazione emotiva. Il discorso politico mostra una sempre più
accentuata tendenza al linguag- gio psicologistico ed emotivo, e più in
generale tutta la comunicazione pubblica è problematicamente invasa da
«confessioni, narrazioni, biografie, programmi e proclami politici che mettono
in primo piano emozioni e passioni. Al discorso pubblico e in pubblico,
possibile solo se rispettoso della propria e altrui discrezione e della
distanza fra sé e l’altro, si è sostituito il discorso emozionale, il di-
scorso marmellata dove tutto diviene appiccicoso e dolciastro, dove ogni
distanza fra Io e Tu, fra me e l’altro viene annullata nel mare di un presunto
coinvolgimento», v. TURNATURI, Emozioni: maneggiare con cura, prefazione a
ILLOUZ, Intimità fredde. Le emozioni nella società dei consumi, tr. it., Milano.
Eloquente è l’espressione con cui ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho penal,
cit., p. 64, sintetizza il problema di una soggettivizzazione incentrata su
aspetti di rettività emotiva: «¿Un derecho penal de sujetos pasivos? TURNATURI,
Emozioni: maneggiare con cura. Sensibilità individuali e libertà di espressione
L’approccio del diritto non può assecondare il rivendicazionismo psicologico ma
deve essere declinato in termini ‘razionalistico-nor- mativi’ facendo
riferimento a «norme o principi che si difendono e argomentano in quanto dotati
di universalità, cioè in linea di prin- cipio valevoli per tutti coloro che si
trovano nella medesima situazio- ne esistenziale» 99. Identifichiamo dunque
sentimenti ed emozioni come ‘matrici di diversità’ tali da sollecitare la
prospettiva penalistica in relazione al- l’esigenza di gestire equilibri di
rispetto reciproco nella società plura- le di fronte a condotte in cui si
manifesta l’‘originalità’ degli individui in quanto caratterizzati da culture,
concezioni di valore, stili di vita, che ne identificano la personalità: da una
parte richieste di libertà per poter affermare le proprie visioni del mondo e
per vivere confor- memente a ciò in cui si crede; dall’altra parte istanze
simmetriche, fondate sui medesimi contenuti ma di segno opposto, che chiedono a
loro volta riconoscimento e rispetto attraverso l’altrui astensione da un certo
tipo di espressioni e di comportamenti. Sinossi Delineate le coordinate
teoriche per lo studio dei rapporti fra di- mensione emotiva e diritto penale
e, in particolare, del sentimento quale problema di tutela, l’indagine si
focalizza sui rapporti fra sen- sibilità soggettive e libertà di espressione. A
suggerire l’approfondimento di tale specifica questione sono sia ragioni
concernenti gli interessi emergenti dalle norme codicistiche, sia esigenze
legate alla sempre viva, e per molti versi crescente, conflit- tualità che si
registra nel discorso pubblico delle società occidentali. Il richiamo a
sentimenti ed emozioni può costituire un’utile coordinata esplicativa, a patto
di chiarire in che termini i problemi legati alla libertà di espressione
possano essere intesi anche come ‘fatti di sentimento’. Gli approcci di fondo
sono a nostro avviso fondamen- talmente due: il primo, che definiamo
‘naturalistico-emozionale’, è incentrato sul turbamento psicologico che può
discendere dall’essere oggetto di determinate espressioni o dal contatto con
determinate manifestazioni espressive; il secondo, che definiamo
‘razionalistico- normativo’, mette al centro l’analisi critica dell’emozione o
del senti- VIOLA, Multiculturalismo, valori comuni, diritto penale. Tra
sentimenti ed eguale rispetto mento addotti quale ragione di potenziali
divieti, al fine di verificarne la razionalità e la consonanza in rapporto ai
valori e ai principi as- sunti quale riferimento per la regolamentazione
politica. La partita decisiva si gioca sul piano delle alternative filosofico-
politiche che concorrono a definire i tratti dei differenti, possibili modelli
di democrazia. Con riguardo alla tutela di sentimenti, la scelta di fondo –
probabilmente quella logicamente prioritaria – è fra l’avallo di
interpretazioni del problema in chiave collettivistico-co- munitarista oppure
in chiave soggettivo-individualistica. Sulla base delle istanze evidenziate
dalla teorica dell’individua- lismo democratico, come elaborato da Nadia
Urbinati, riteniamo che si debba in primo luogo emancipare la tutela di
sentimenti da forme di presidio al sentire della maggioranza, interpretando il
richiamo a fenomeni affettivi come forma metonimica tesa a evocare simboli-
camente la persona nella sua dimensione di soggetto morale, riassu- mendone
contemporaneamente, quale duplice faccia nello stesso ele- mento, la dotazione
universalmente condivisa in termini egualitari (il provare sentimenti ed
emozioni di ciascun individuo) e gli esiti po- tenzialmente conflittuali (la
diversità nel sentire). La pretesa normativa definita ‘tutela di sentimenti’
viene così a identificarsi con un progetto teso a garantire il reciproco rispetto
a partire da una cornice assiologica di libertà e pari dignità. FISIONOMIA
DELL’OFFESA Oltre i sentimenti: gli interessi in gioco SOMMARIO Temi
‘sensibili’ e discorso pubblico: esempi guida. Sensibilità religiosa.
Sentimento del pudore e pari dignità sessuale. Apparte- nenza e gruppalità.
Rispetto, riconoscimento, stima reciproca. Pari dignità ed eguale rispetto.
Bilanciare le pretese. Dignità e capacità umane. Rispetto di sé e umiliazione:
la concezione di Margalit. Ai confini fra critica e discriminazione. Offesa ai
sentimenti e offesa alla dignità nello hate speech secondo Waldron. Ermeneutica
del fatto ed ermeneutica della norma. Temi ‘sensibili’ e discorso pubblico:
esempi guida Cerchiamo a questo punto di dare una fisionomia più definita ai
conflitti legati alla sensibilità degli individui. In un importante studio di
fine anni Novanta, il giurista Richard Abel parlava emblematicamente di ‘lotte
per il rispetto’ per indicare il tipo di contesa dialettica che
contraddistingueva il dibattito sulla pornografia, il contrasto al discorso
razzista e le prese di posizione seguite alla pubblicazione di opere ritenute
blasfeme in quanto criti- che o irridenti verso temi religiosi 1. Storie che
hanno un nucleo co- mune, le definisce Abel, poiché «investono valori che
ispirano emo- ABEL, La parola e il rispetto, tr. it., Milano. Tra
sentimenti ed eguale rispetto zioni profonde» 2. In relazione a temi di questo
tipo eventuali espres- sioni di critica o di scherno sono in grado di attivare
reazioni anche su scala collettiva, estendendo la dimensione dei problemi fino
a coinvolgere l’ordine pubblico di singole realtà nazionali e anche del
panorama globale. Lo scenario contemporaneo non si discosta più di tanto dal
quadro tracciato qualche decennio fa da Abel: razza/etnia, fede religiosa/cre-
denze, modi di concepire e vivere l’identità sessuale, sono ancora oggi ambiti
tematici in grado di accendere conflittualità esorbitanti da un ordinario
dissenso, dando luogo a un tipo particolare di scontro fra soggetti che ha a
che vedere con la concrezione di affetti, interessi, ragioni e pregiudizi
contrastanti che si fronteggiano e che paiono o sono fortemente vitali per
coloro che ne sono portatori o portati» 3. Una dialettica ad alto tasso
emotivo, nella quale emergono veri e propri ‘campi minati’ che potremmo
definire ‘argomenti-trigger’, i quali hanno contribuito a riportare oggi il
tema della libertà di espressione al centro del dibattito pubblico prima ancora
che scientifico. Per meglio contestualizzare i problemi esporremo in modo
sinte- tico alcune vicende tratte dal panorama nazionale ed europeo. In questa
fase dell’indagine non ci concentreremo sulla qualifica- zione giuridica dei
fatti, ma riteniamo preferibile individuare una ca- sistica ‘tipologica’ che
possa fungere da palestra concettuale per riflettere sulle istanze di tutela
che vengono associate a offese a senti- menti. Riportiamo anche episodi di
rilevanza non strettamente pena- listica, i quali evidenziano come l’appello a
sentimenti non sia conno- tato esclusivo della penalità ma possa presentarsi
anche quale giusti- ficazione, più o meno esplicita, di forme differenti di
intervento normativo. Attingeremo dal tema della critica/satira su temi
religiosi e da epi- sodi concernenti le manifestazioni della sessualità.
Riteniamo di non dover introdurre, per il momento, esempi legati al discorso
razzista: in questa fase dell’indagine presentare il discorso razzista come
pro- blema di sentimenti può essere fuorviante perché limitativo. Nel di- ABEL,
La parola e il rispetto, cit., p. 27. 3 CERETTI, Vita offesa, lotta per il
riconoscimento e mediazione, in AA.VV., a cura di Scaparro, Il coraggio di
mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzioni al- ternative delle
controversie, Milano, definisce tali conflitti ‘di seconda generazione’ per
sottolinearne la diversità da quelli che toccano le sfere della ri- produzione
materiale-economica e della sfera politica. 4 Per le medesime ragioni, in
termini ancora più stringenti, non si presta a fungere da esempio prototipico il
problema dell’incriminazione del c.d. negazio- Fisionomia
dell’offesa 143 battito sullo hate speech, categoria nella quale rientra la
propaganda razzista, la lettura dell’incriminazione come forma di
rassicurazione collettiva e come tutela della sensibilità del soggetto offeso
assume una funzione sostanzialmente critica e confutativa rispetto a un
mainstream che individua quale interesse di fondo la pari dignità, in- tesa
come pericolo di discriminazioni e come offesa a valori sul piano simbolico5. A
prescindere dalle diverse formulazioni mediante le quali lo hate speech assume
rilevanza normativa nelle singole realtà nazionali, non si tratta a nostro
avviso di un esempio prototipico di ambito normativo in cui il sentire,
individuale o collettivo, possa concorrere a definire l’oggetto di tutela, per
quanto le connessioni ri- spetto al tema in esame siano numerose e feconde, ma
necessitino di essere contestualizzate a un livello successivo dell’analisi
(vedi infra). nismo, il quale «non può essere inquadrato soltanto come una
specie del discorso razzista, v. CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà
religiosa: tensioni at- tuali e profili penali, in Riv. it. dir. proc. pen. Fra
le diverse istanze addotte a sostegno dell’incriminazione è ravvisabile anche
l’offesa a un sentire condiviso, come evidenziato anche da BRUNELLI, Attorno
alla punizione del nega- zionismo, in Riv. it. dir. proc. pen., il quale
sottolinea in questo senso la differenza fra ‘negazionismo-vilipendio’ e
‘negazionismo-istigazione’; cfr. GUELLA-PICIOCCHI, Libera manifestazione del
pensiero. Si veda anche FRONZA, Criminalizzazione del dissenso o tutela del
consenso. Profili critici del negazionismo come reato, in Riv. it. dir. proc.
pen., la quale mette in evidenza la natura del reato di negazionismo come
‘modello di crimina- lizzazione altamente consensuale’, rispondente ad
aspettative e a emozioni della collettività. L’ampiezza e la pluralità di
argomenti e controargomenti lascia però in secondo piano la lettura del
problema come mera tutela della sensibilità; per una panoramica v. ex plurimis,
FRONZA, Il negazionismo come reato, Milano; VISCONTI C., Aspetti penalistici;
PULITANÒ, Di fronte al negazioni- smo e al discorso d’odio, in penalecontemporaneo.it,
CAPUTO, La “Menzogna di Auschwitz”, le “verità” del diritto penale. La
criminalizzazione del c.d. negazionismo tra ordine pubblico, dignità e senso di
umanità, in AA.VV., a cura di Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della
sanzione penale. Per un’accurata sintesi delle strategie di legittimazione e
degli interessi pro- tetti dall’incriminazione dello hate speech nel panorama
internazionale, v. BROWN A., Hate Speech Law; la questione del danno alla
sensibilità sogget- tiva e alla tranquillità psichica è trattata. Si è
osservato che nella trattazione della tematica delle restrizioni normative allo
hate speech sarebbe be- ne evitare generalizzazioni, non solo in relazione alla
fenomenologia delle con- dotte, ma anche con riferimento all’individuazione,
nella realtà dei diversi ordinamenti, del sistema di prodotti normativi che
vanno a costituire ciò che gli stu- diosi definiscono ‘hate speech laws’; si
tratta infatti di un insieme eterogeneo, non limitabile ai soli divieti penali,
ma composto da statuizioni di diverso tipo che ne- cessitano di strategie di
legittimazione differenti.Tra sentimenti ed eguale rispettoSensibilità
religiosa Le contingenze storico-politiche suggeriscono di prestare partico-
lare attenzione alla questione dei rapporti fra libertà di espressione e
rispetto della sensibilità religiosa. L’attuale momento storico si caratterizza
per una peculiare aura di passionalità, e purtroppo anche di violenza, che
accompagnano una conflittualità per molti versi inedita 6. Le fonti mediatiche
ci mettono oggi in condizione di ascoltare la ‘voce’ delle emozioni e di
formularne interpretazioni con immedia- tezza; come ha scritto il filosofo
Ermanno Bencivenga, dopo i tragici fatti di Charlie Hebdo «[i]nsieme con le
emozioni esplosero contenuti intellettuali di ogni genere: commenti e
chiarimenti, diagnosi e previ- sioni, giudizi e proposte. Da un lato le
emozioni di chi, avvertendo una ferita al proprio sentire religioso, ha agito
con brutale violenza; dall’altro un’onda emotiva che di rimando ha stimolato
riflessioni e prese di posizione che si sono rivolte non solo contro la
condotta omicida, ma talvolta, più radicalmente, anche contro la religione e
l’etnia di appartenenza dei soggetti autori del massacro. Per quanto le due
posizioni siano del tutto incomparabili, prendere sul serio le emozioni di
entrambe le parti è utile per provare a decodificarne le pretese. Le violente
reazioni che negli ultimi tempi sono scaturite dalla pubblicazione di vignette
satiriche sulla religione musulmana rap- presentano uno fra i tanti casi in cui
la causticità di determinate forme di satira ha urtato la sensibilità di
credenti di varie fedi religio- se. Riportiamo di seguito una sintesi di alcuni
episodi tratti dalle cronache. 6 Una panoramica storica in HARE, Blasphemy and
Incitement to Religious Hatred: Free Speech Dogma and Doctrine, in AA.VV., ed.
by Hare-Weinstein, Ex- treme Speech and Democracy, Oxford; nella letteratura
italiana, v. a cura di Melloni-Cadeddu-Meloni, Blasfemia, diritti e libertà.
Una discussione dopo le stragi di Parigi, Bologna, 2015; FLORIS, Libertà di
religione e liber- tà di espressione artistica, in Quad. di diritto e politica
ecclesiastica; OZZANO, Il fondamentalismo religioso: implicazioni politiche, in
Nuova infor- mazione bibliografica. BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Fisionomia
dell’offesa 145 Caso 1: da una vignetta rispunta l’accusa di deicidio al popolo
ebraico Nell’aprile 2002 un gruppo di palestinesi si rifugia all’interno della
Basilica della Natività di Betlemme per sfuggire a una rappresaglia
dell’esercito israeliano. I militari israeliani minacciano di entrare nel- la
chiesa; chiedono che vengano consegnati loro quattro palestinesi, accusati di
aver assassinato Rehavam Zeevi, ministro del governo Sharon. Giorni dopo, nel
quotidiano italiano ‘La Stampa’ compare una vi- gnetta di Giorgio Forattini dal
titolo ‘Carri armati alla mangiatoia’: la vignetta raffigura un tank israeliano
contrassegnato con la stella di David mentre punta il cannone verso una
mangiatoia sulla quale un bambino impaurito, chiaramente identificabile con
Gesù, esclama: ‘Non vorranno mica farmi fuori un’altra volta?!’. La vignetta
provoca lo sdegno e le proteste dell’allora presidente dell’Unione delle
Comunità Ebraiche Amos Luzzatto. Queste in sinte- si le motivazioni, così
riportate da fonte giornalistica: «[u]na vignetta che non esito a definire
orripilante. Ritorna così a galla, come da- to indiscutibile a monte della
caricatura stessa, l’accusa di deicidio che pareva esser scomparsa dopo il
Concilio Vaticano II. E questo proprio nel momento in cui l’Europa è scossa da
una nuova ondata di attentati contro le nostre sinagoghe alla valutazione
politica si aggiunge la teologia, ovvero la peggiore delle soluzioni. Cresce in
modo nascosto e strisciante l’avversità per gli ebrei... Si attribuisce a una
fantomatica malvagità giudaica la responsabilità di quanto sta succedendo a
Betlemme» 8. Caso 2: le vignette danesi e l’insurrezione del mondo islamico per
la rappresentazione del Profeta Il 30 settembre 2005 il quotidiano danese
Jyllands Posten pubblica nella versione on line dodici vignette satiriche su
Maometto, in una delle quali il Profeta è raffigurato con una bomba al posto
del turban- te. Le vignette vengono successivamente ripubblicate da diverse te-
state giornalistiche europee, fra cui, il settimanale satirico francese Charlie
Hebdo. Le proteste sono immediate sia nel continente europeo sia nei paesi di
religione islamica 9: il direttore del giornale danese viene mi- 8 L’Unità. In
Danimarca viene avviato un procedimento penale, poi archiviato, per
bla- Tra sentimenti ed eguale rispetto nacciato di morte, e nelle
settimane successive alla pubblicazione vengono organizzate manifestazioni di
protesta da parte di cittadini islamici e anche da parte di esponenti
governativi che chiedono al governo danese di formulare delle scuse ufficiali.
Dure le prese di po- sizione dei governi di paesi arabi. Una significativa
sintesi delle ragioni della protesta si trova nel cosiddetto dossier
Akkari-Laban pubblicato da due Imam immigrati in Danimarca. Queste le
principali rivendicazioni avanzate dagli Imam: viene chiesto un contatto
costruttivo con la stampa ed in particolare con soggetti delle istituzioni
(relevant decision makers), non sbrigativo, ma condotto con meticolosità e
lungimiranza (with a scientific methodology and a planned and long-term
programme) per rimuovere i malintesi tra le due parti. Si afferma che i
musulmani non vogliono apparire arretrati e limitati, e non vogliono neppure
accusare i danesi d’ideological arrogance. Obiettivo è avere relazioni sicure e
stabili, e una Danimarca prospera per tutti. Si lamenta che i fedeli musulmani
soffrono la mancanza di un riconoscimento ufficiale della fede islamica,
circostanza che ha fra le immediate conseguenze la mancanza del diritto di
costruire moschee. Si afferma infine che i musulmani non abbiano bisogno di
lezioni di democrazia, e si ritiene ‘dittatoria- le’ e inaccettabile l’attuale
modo europeo di concepire e gestire la democrazia 11. Caso 3: una discussa
opera teatrale e l’offesa alla religione cattolica Viene presentato in Italia,
dopo una tournée densa di polemiche in Francia, lo spettacolo teatrale di CASTELLUCCI
(si veda) dal titolo ‘Sul concetto di volto del figlio di Dio’. L’opera
rappresenta la storia di un figlio che accudisce il padre, non più
autosufficiente. Sullo sfondo della scena, una rappresentazione del volto del
Cristo (il famoso ritratto di Antonello da Messina), che a fine spettacolo
viene lacerato e fatto oggetto del lancio di varie cose, fra cui del liquido
nero da molti interpretato come feci. Malgrado i tentativi dell’autore di
spiegare il significato della prosfemia e vilipendio di gruppi di persone.
Anche in Francia viene aperto un procedimento contro Charlie Hebdo, poi
concluso con un’assoluzione. Una sintesi delle vicenda processuali in BASILE,
La pubblicazione delle dodici vignette satiriche sull’Islam costituisce reato
in Italia?, in Notizie di Politeia, La Repubblica; La Repubblica 11
Informazioni tratte dalla voce Wikipedia ‘Akkari-Laban dossier’, nella cui pa-
gina si trova il link alla versione originale del dossier in lingua
araba. Fisionomia dell’offesa 147 pria opera, lo spettacolo è
bersaglio di forti polemiche: si registrano manifestazioni di protesta da parte
di alcuni esponenti del mondo cattolico, e anche il Vaticano arriva a definirla
«un’opera che offende Gesù e i cristiani. Particolarmente significative le
parole usate dal- la Curia milanese in un comunicato ufficiale per criticare la
messa in scena al teatro Parenti: si richiama l’esigenza che sia «riconosciuta
e rispettata la sensibilità di quanti cittadini milanesi vedono nel Volto di
Cristo l’incarnazione di Dio, la pienezza dell’umano e la ragione della propria
esistenza [...]», criticando in questo senso una scelta che «avrebbe potuto
farsi carico più attentamente della “dimensione sociale” della libertà di
espressione Sentimento del pudore e pari dignità sessuale In relazione alle
manifestazioni della sessualità emergono problemi differenti rispetto al
passato in cui Abel si soffermava sul tema della liceità della pornografia;
oggi assumono maggior rilevanza que- stioni legate all’affermazione e al
riconoscimento della pari dignità degli orientamenti sessuali sul piano del
discorso pubblico e anche della regolamentazione normativa. Al centro dell’attenzione
è il fenomeno della cosiddetta ‘omofobia’; nella Risoluzione sull’omofobia in
Europa del gennaio del 2006 essa viene definita come «una paura e un’avversione
irrazionale nei con- fronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e
transessuali, basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia,
all’antisemitismo e al sessismo». La rilevanza penale di espressioni omofobiche
è legge in diversi Paesi europei, non ancora in Italia14. Il modello di
incriminazione privilegiato fa confluire il discorso omofobico nello hate
speech; per Affermazioni di Wells, all’epoca assessore agli Affari generali
della Segreteria di Stato vaticana, cui possono affiancarsi, per identità di
contenuto, le opinioni di Padre Federico Lombardi, v. Corriere della Sera,
Stralcio del comunicato della Curia milanese, così riportato in Avvenire. Una
panoramica in GOISIS, Omofobia e diritto penale. Profili comparatistici, in penalecontemporaneo.it;
DOLCINI, Omofobia e legge penale. Note a margine di alcune recenti proposte di
legge, in Riv. it. dir proc. pen.; ID., Omofobi: nuovi martiri della libertà di
manifestazione del pensiero?, in Riv. it. dir proc. pen.; RICCARDI, Omofobia e
legge penale. Possibilità e li- miti dell’intervento penale, in penalecontemporaneo.it.
Tra sentimenti ed eguale rispetto tali ragioni riteniamo che anche l’insulto
omofobico non si presti a essere presentato in prima istanza come condotta
offensiva di senti- menti: stati affettivi vengono certo in gioco nelle
condotte omofobi- che, ma, come osservato per lo hate speech razzista, adottare
come ipotesi di lettura primaria l’offesa a sentimenti rischia di incentrare la
prospettiva sulla mera reattività emotiva. Con riferimento al tema della
sessualità e della pari dignità degli orientamenti sessuali, si rivelano
particolarmente problematiche le invocazioni dell’intervento penale che
adducano offese al pudore mo- tivate non dal livello di particolare
esplicitezza di condotte sessuali tenute in pubblico, ma in ragione
dell’orientamento sessuale dei sog- getti 15. Detto in altri termini: può
capitare, ed è capitato, che si invo- chino divieti per condotte sessuali dove
il motivo dell’offesa è ricon- ducibile esclusivamente alla tipologia di
relazione e dunque al- l’identità e alla dignità sessuale dei soggetti 16.
Anche in Italia la stam- pa ha dato notizia di denunce per atti osceni a
seguito di semplici ba- ci realizzati in pubblico nel contesto di un rapporto
fra soggetti dello stesso sesso, benché nessuno dei procedimenti, per quanto ci
è noto, sia giunto a una pronuncia di condanna 17. Caso 4: censura televisiva
per un bacio gay Riteniamo particolarmente significativo, per quanto non sia
inte- 15 Si veda il vasto, e grottesco, panorama di incriminazioni in vigore
negli anni Ottanta in alcuni Stati americani. Definirle ‘leggi antisodomia’
appare improprio poiché i divieti attengono al tipo di atto piuttosto che al
contesto della relazione. Ad esempio, in Arizona era penalmente rilevante la
condotta di «un individuo che commetta volontariamente e senza costrizione, in
qualunque modo innaturale, qualunque atto osceno libidinoso sul o con il corpo
o qualunque parte o membro del corpo di un adulto di sesso maschile o
femminile, con l’intento di eccitare, solleticare o gratificare la lussuria, la
passione, o il desiderio sessuale di una qua- lunque delle persone coinvolte»,
v. NUSSBAUM, Disgusto e umanità. Le radici storiche del problema riportano alle
leggi antisodomia, diffuse so- prattutto in ambito angloamericano; su tale tema
in Inghilterra si sviluppò il ce- lebre confronto dialettico tra il filosofo di
Oxford Herbert Hart e il giudice Patrick Devlin. Hart si oppose alle tesi
moralistiche di Devlin con un’opera divenuta un manifesto del liberalismo
giuridico: v. H. L. A. HART [citato da H. P. Grice], Diritto, morale e libertà,
cit., 1968; per una sintesi, v. CADOPPI, Moralità e buon costume (delitti
contro la) (diritto inglese), in Dig. disc. pen. Si tratta di episodi narrati
da organi di stampa; a titolo esemplificativo si veda http://www.umbria24.it/cronaca/perugia-bacio-gay-tra-le-sentinelle-in-piedi-
alfano-riferisce-in-aula-diretta-streaming; tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/-
ContentItem-81e83656-04b5-4485-ac45-e4e5d912bc58.html. Fisionomia
dell’offesa ressato il piano penalistico, un episodio di vera e propria censura
nel- la televisione italiana di Stato, espressamente motivata da un ‘eccesso di
sensibilità’, che ha portato al taglio e alla mancata messa in onda di una
scena comprendente un bacio omosessuale. Viene trasmesso sul canale nazionale
italiano Rai 2 la serie tv statunitense ‘Le regole del delitto perfetto’. La
puntata va in onda con dei tagli rispetto alla versione origi- nale: vengono
infatti rimosse le sequenze ritraenti un bacio fra sog- getti di sesso
maschile. A seguito delle polemiche levatesi contro una simile censura, la
direttrice di Rai Due commenta «Non c’è stata nes- suna censura, semplicemente
un eccesso di pudore dovuto alla sensi- bilità individuale di chi si occupa di
confezionare l’edizione delle se- rie per il prime time» 18. 2. Appartenenza e
gruppalità Negli argomenti addotti da coloro che lamentano un’offesa rico-
nosciamo un’evidente componente emozionale, soprattutto con rife- rimento alla
vignetta sulla religione ebraica e nell’opera teatrale con- testata da una
parte del mondo cattolico. Nel primo caso lo si può desumere dal lessico
(pensiamo alla parola ‘orripilante’ che evoca una sensazione di disgusto);
nell’opera teatrale si è criticato soprat- tutto il gesto del lanciare
materiali assimilati a feci contro l’immagine del Cristo, azione il cui
significato iconoclasta sarebbe stato, forse, percepito in termini più
attenuati senza il richiamo (peraltro non univoco) alle feci, e che invece ha
indotto nei fedeli una sensazione di ‘disgusto morale’. Nel caso della censura
televisiva, la giustificazione offerta in sede pubblica parla di ‘eccessiva
sensibilità’ volta a evitare l’offesa al pudore, mentre appaiono più complesse
le motivazioni ad- dotte in sede pubblica dai fedeli musulmani con riferimento
alle vi- gnette danesi 19. Tutti i suddetti conflitti possono a nostro avviso
inquadrarsi in Corriere della Sera. La
reazione all’offesa religiosa si unisce ad argomenti inerenti la situazione
politica e le condizioni di vita dei musulmani in Danimarca; al di là della
cautela con cui è bene accogliere tali istanze, resta il fatto che la
rappresentazione attra- verso le vignette si presta a essere interpretata anche
come etichettamento dell’in- tera comunità musulmana nei termini di
‘terrorista’, in questo senso andando ol- tre la semplice irrisione sul piano
religioso. Tra sentimenti ed eguale rispetto contrapposizioni di carattere
gruppale, nelle quali cioè le ragioni del- lo scontro si legano a profili che
sono identificativi di un particolare gruppo o categoria di persone da cui si
vuole prendere una ‘distanza’. Intendiamo il concetto di gruppo in un
significato più esteso della sola appartenenza etnico-culturale, e che non è
limitato a gruppi c.d. ‘minoritari’ o contrapposti alla cultura dominante, ma
che è fun- zionale a designare tensioni tra forme di appartenenza che attraver-
sano i confini delle singole realtà geopolitiche 21. Un’appartenenza che si
radica nel sentire dell’individuo, la cui de- finizione può a nostro avviso
esser fatta coincidere con il termine ethos, il quale rimanda letteralmente ai
concetti di abitudine e di usanza, intesi come elementi costitutivi della
diversità fra popoli e fra individui, e che nella filosofia contemporanea è
adoperato per desi- gnare «una complessiva, non necessariamente esplicita,
concezione del be- ne, o uno stile di vita, che può anche avere una radice
religiosa, e che in molti casi si identifica con la “cultura” di una qualche
comunità di appartenenza, con il modo di sentire e giudicare, i costumi, le
norme di questa comunità: in questo senso un ethos può definire l’identità
culturale o religiosa, e lato sensu morale di una persona. Un’ulteriore
connessione può trovarsi nei concetti di categorizzazione e di
autocategorizzazione. Secondo quanto osservato in psicologia sociale, il
sistema cogniti- vo umano per far fronte alla complessità del mondo esterno
sviluppa la tendenza a pensare gli oggetti raggruppandoli in insiemi, accomu-
nandoli sulla base di informazioni e di dati estendibili alla totalità di A
questo livello non vi sono, a nostro avviso, esigenze penalistiche di delimi-
tazione del concetto di appartenenza, le quali invece appaiono evidenti quando
il richiamo al gruppo o alla cultura sia funzionale a introdurre eventuali
fattori di attenuazione della responsabilità penale, come nel caso dei c.d.
‘reati cultural- mente motivati’. In tale ultimo caso la rilevanza sul piano
penalistico è necessa- riamente subordinata a una specificità che deve
consentirne l’accertamento in sede processuale: v., per tutti, DE MAGLIE, I
reati culturalmente motivati. Ideologie e modelli penali, Pisa, 2010, pp. 25
ss.; EAD., voce Reati culturalmente condizionati, in Enciclopedia del diritto,
Annali VII, Milano; in senso lato, il problema può riconnettersi alla categoria
generale della c.d. inesigibilità, v., per tutti, FORNASARI, Il principio di
inesigibilità nel diritto penale, Padova. Accenna a tale distinzione KYMLICKA,
La cittadinanza multiculturale, tr. it., Bologna, MONTICELLI, La questione
morale. Fisionomia dell’offesa essi. Tale processo classificatorio può avere a
riferimento anche le persone, e si tratta di un momento essenziale del rapporto
con l’altro: «Il mondo sociale, in altri termini, ci appare articolato in
insiemi omogenei di persone unificate da un qualche tratto. Alcune di queste
suddivisioni sono più importanti e cariche di significato, come l’appartenenza
etnico culturale, la lingua, la religione, la famiglia, le ideologie,
l’orientamento politico; ma anche il genere, l’età, l’orientamento sessuale,
l’occupazione, la zona di residenza, e perfino aspetti molto più marginali come
gli hobby, gli stili di consumo o la preferenza per una squadra di calcio, sono
in grado di diventare potenti elementi di identificazione collettiva. La
tendenza alla gruppalità induce una propensione a classifi-care gli altri
individui, e si manifesta anche in senso riflessivo come percezione di sé
basata sul sentirsi parte di una categoria, ossia come autocategorizzazione;
più in particolare, l’autocategorizzazione si pone come fondamentale momento di
costruzione dell’identità sociale relativamente all’edificazione dell’immagine
di sé e al modellamento delle sfere relazionali. Tale assunto ricorre anche in
ambito antropologico: «l’esperienza della diversità di modi di vivere porta
spesso a dare giudizi di valore, sulla base del sapere garante dell’identità
del proprio gruppo, su di noi rispetto agli altri e sugli altri rispetto a noi.
Categorizzazione e autocategorizzazione rappresentano dunque concetti
essenziali per la comprensione di dinamiche relazionali e comunicative in cui
vengono in gioco ‘appartenenze significative’ dell’individuo, tali da renderlo
particolarmente sensibile a ciò che vie- LEONE-MAZZARA-SARRICA, La psicologia
sociale. Processi mentali, comunica- zione e cultura, Roma-Bari, HAIDT, Menti
tribali. Si vedano, ex plurimis, CRISP-TURNER, Psicologia sociale, tr. it., a
cura di Mosso, Torino; BROWN R., Psicologia sociale del pregiudizio, tr. it.,
Bologna; CARNAGHI-ARCURI, Parole e categorie. La cognizione sociale nei
contesti intergruppo, Milano; TAJFEL, Gruppi umani e categorie sociali, tr.
it., Bologna; RAVENNA, Odiare. Quando si vuole il male di una persona o di un
gruppo, Bologna, ANGIONI G., Fare, dire, sentire, Ci riferiamo a
caratteristiche costitutive dell’identità che siano particolar- mente
totalizzanti o ‘dispotiche’, nel senso che, pur essendo oggetto di scelta, ten-
dono ad assumere una portata fortemente invasiva della sfera personale, anche
fino a generare situazioni di concorrenza e incompatibilità con altre
appartenen- Tra sentimenti ed eguale rispetto ne detto28 sia riguardo alla
sua appartenenza a un gruppo, sia ri- guardo al gruppo in sé e a ciò che lo
identifica 29, e anche riguardo a fatti di conoscenza che si pongono a
confutazione o in contrasto con il patrimonio di conoscenze tramandato e
acquisito dal gruppo 30. Secondo la ricostruzione dello psicologo sociale
Jonathan Haidt, l’uomo ha una natura sia egoista sia gruppista, e possiede una
mente ‘tribale’: l’aderenza al gruppo ‘unisce e acceca’, nel senso che crea i
presupposti per la socialità e al contempo può intrappolare le perso- ne nelle
matrici morali del gruppo di appartenenza, ingenerando conflittualità fra
gruppi contrapposti. Un risvolto di tale relazione è l’accentuata emotività che
si lega al- le questioni inerenti l’appartenenza: ma qual è la pretesa che
acco- muna le parti in conflitto? cosa ‘chiedono’ le emozioni in termini di
reciprocità? ze. L’esempio principale è l’identità religiosa; sul tema della
costruzione dell’iden- tità e del particolare ruolo ‘dispotico’ dell’identità
religiosa v. PINO, Identità perso- nale, identità religiosa e libertà
individuali, in Quad. di diritto e politica ecclesiasti- ca. Il linguaggio
trasmette l’interazione con gli altri. Narra le categorizzazioni sociali di cui
ci serviamo. Reiterandoli consolida gli stereotipi. Partecipa alla costruzione
e all’alimentazione dei pregiudizi. E così facendo influenza in modo rilevante
la percezione sociale di un determinato gruppo, v. PUGIOTTO, Le parole sono
pietre? I discorsi d’odio e la libertà di espressione nel diritto
costituzionale, in penale
contemporaneo.it Quali
sono queste appartenenze e in base a quali criteri il diritto può attribuire
una rilevanza? L’interrogativo, nella sua estrema complessità, non può essere
affrontato nel presente lavoro; nondimeno va tenuto conto che sia nelle scienze
sociali, sia, di riflesso, nella prospettiva giuridica, si tratta di un
problema aperto che può influire in modo determinante sull’approccio agli
eventuali limiti alla li- bertà di espressione, v. BROWN A., Hate Speech Law. Il
tipo di identità che sembra assumere una rilevanza peculiare sul piano politico
è ciò che CA- STELLS, Il potere delle identità, tr. it., Milano, definisce come
resistenziale’, ossia quella «generata dagli attori che sono in posizioni o
condizioni svalu- tate e/o stigmatizzate da parte della logica del dominio».
Nondimeno, il valore politico dell’identità può risultare condizionato anche
dal grado di ‘dispoticità’ e della conseguentemente combattività nella sfera
pubblica, v. supra, nota 27. 30 Si soffermano su tale ultima tipologia di
conflitto, tra fatti di sentimento e fatti di conoscenza, GUELLA-PICIOCCHI,
Libera manifestazione del pensiero, analizzando in particolare, in riferimento
al contesto statunitense, il tema dell’opposizione all’insegnamento delle
teorie evoluzionistiche negli istituti di istruzione di orientamento
creazionista. HAIDT, Menti tribali. Sul particolare profilo che Haidt definisce
‘principio di sacralità’, il quale porta a ritenere determinate cose (non
semplicemente materiali ma anche teorie e ideologie) come identifica- tive
della moralità del gruppo. Fisionomia dell’offesa Rispetto,
riconoscimento, stima reciproca Il concetto che meglio definisce
l’atteggiamento relazionale che ciascuno esige dai propri simili è il rispetto.
Ogni individuo si forma una propria intuitiva nozione di rispetto, la quale può
fondarsi su istanze più o meno giustificate; non è però a una tale solipsistica
concezione che il diritto può fare riferimento. La parola ‘rispetto’ ha assunto
nel corso della storia significati differenti, ma ciò che ci interessa oggi è
ricostruirne il contenuto dal punto di vista politico, non solo come
atteggiamento individuale, ma soprattutto come principio per la convivenza
nella diversità. Che cosa vuol dire rispettare le persone? Il pensiero
filosofico ha riservato particolare attenzione a tale que- stione, e
soprattutto nell’epoca attuale il tema ha assunto un’innovativa importanza: il
rispetto per le persone e fra le persone rappresenta una aspetto costitutivo
della qualità morale delle democrazie moderne. Si parla oggi non di un generico
rispetto, ma di un rispetto democratico, non gerarchico, che assume come
presupposto l’uguaglianza e la pari dignità: l’eguale rispetto, definito da
un’autorevole interprete «ragione morale alla base dell’ordinamento
democratico» 33. Sia chiaro: l’eguale rispetto rappresenta un’idea che
riconosce im- portanza morale alla ricerca di ragioni comuni (nel senso di
‘meno comprensive’) 34 da porre a fondamento di scelte normative, ma non è una
teorizzazione neutrale o dai caratteri meramente procedurali. È una concezione
eticamente ‘spessa’ che sintetizza il cardine assiologi- co della democrazia:
«un principio morale che richiede il riconosci- mento degli altri come pari in
virtù della comune umanità. Quando si parla di ‘eguale rispetto’ si intende un
atteggiamento di necessario e aprioristico riguardo di cui ogni essere umano è
con- temporaneamente titolare e debitore nei confronti degli altri indivi- Per
tutti v. MORDACCI, Rispetto, Milano. Si sottolinea che l’eguale rispetto
rappresenta un principio comune alle principali strategie di giustificazione
della legittimità democratica, v. GALEOTTI, La politica del rispetto. I
fondamenti etici della democrazia, Roma-Bari. GALEOTTI, La politica del
rispetto. Sulla definizione di ‘concezione comprensiva’, v. VECA, La filosofia
politica: si usa dire che una teoria morale è comprensiva quando essa include e
si estende sull’intero dominio di ciò che per noi vale. GALEOTTI, La politica
del rispetto. Tra sentimenti ed eguale rispetto dui, secondo una reciprocità
fra pari. Lo si definisce ‘rispetto- riconoscimento’ per distinguerlo dal
cosiddetto ‘rispetto-stima’ «che consegue alla considerazione positiva del
carattere, delle condotte, dei risultati conseguiti da una particolare persona»
38, e che è connes- so a una valutazione di meritevolezza che può mutare. La
distinzione fra le due forme di rispetto esprime anche un’indi- cazione sul
valore e sull’importanza che esse assumono in un oriz- zonte democratico:
l’impegno prioritario è il rispetto-riconoscimen- to 39, mentre l’atteggiamento
di stima è quello che più risente di emo- zioni contingenti e di inclinazioni
individuali, e non è un obiettivo proponibile in un contesto pluralista e
culturalmente disomogeneo, nel quale un dissenso intersoggettivo, anche aspro,
tra opinioni e orientamenti etici, dovrebbe considerarsi fisiologico 40. Le
oscillazioni del rispetto-stima rappresentano in definitiva un risvolto della
libertà 36 Viene sottolineato che il rispetto come riconoscimento non può venir
meno di fronte a nessuno, neppure di fronte al criminale più efferato o a chi
si sia reso autore di azioni che travalicano ogni idea di umanità. Chi afferma
che rispetto a determinati comportamenti esiste l’eventualità che un soggetto
perda tale status, procede sulla base di un’ulteriore specificazione, la quale
individua nel rispetto- riconoscimento due componenti distinte: il sentimento
di riguardo e la dispo- sizione ad agire. La perdita del rispetto come
riconoscimento può intaccare solo il sentimento di riguardo: «mentre possiamo
sospendere l’atteggiamento di ri- spetto – smettendo di considerare quell’uomo
degno del nostro riguardo – non possiamo ignorare i vincoli morali delle nostre
azioni nei suoi confronti, v. GALEOTTI, La politica del rispetto, È sulla
reciprocità che si impernia la dimensione morale del rispetto: pensare
moralmente, costruire un ragionamento morale, significa intrattenere con gli
altri una relazione di mutuo riconoscimento, cioè dar loro pari dignità e
pretendere da loro il rispetto e il riconoscimento della nostra dignità», così
BAGNOLI, L’autorità della morale, Milano, GALEOTTI, La politica del rispetto;
DARWALL, Two Kinds of Respect, Ethics. Sottolinea come la nozione stessa di
democrazia apra «a un concetto del rapporto secondo giustizia con l’altro
fondato sul suo riconoscimento, e non sul giudizio inerente alle sue capacità o
alle sue qualità EUSEBI, Laicità e dignità umana nel diritto penale. Sull’importanza
del principio dell’eguale rispetto-riconoscimento nel diritto penale, v.
PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale, cit., pp. 26 ss. 40 Si apre qui il
problema, sconfinato, della tolleranza e degli eventuali limiti alla
tolleranza: sul tema v., ex plurimis, GALEOTTI, La tolleranza. Una proposta
plu- ralista, Napoli; WALZER, Sulla tolleranza, tr. it., Roma-Bari; sul tema
dei limiti, v. BOBBIO, L’età dei diritti; POPPER, Tolleranza e responsabili- tà
intellettuale, a cura di Mendus-Edwards, Saggi sulla tolleranza, Milano,
Fisionomia dell’offesa di critica, diritto da considerarsi fondamentale in una
democrazia ispirata al pluralismo assiologico. A nostro avviso le categorie
della stima e del rispetto-riconosci- mento ripropongono con un diverso lessico
l’esigenza di distinguere tra offese alla sensibilità soggettiva e forme di
offesa che appaiano orientate a minare qualcosa di più radicale, ossia il
rapporto di rico- noscimento reciproco fra persone: nel secondo caso emozioni e
sen- timenti entrano in gioco non solo da un punto di vista esteriore/feno-
menico, bensì quale tratto della personalità che si presta a strumen-
talizzazioni in chiave discriminatoria. Ed è in questi termini che si è
affermata l’assoluta rilevanza del rispetto-riconoscimento per una società:
«Fare del riconoscimento il tema centrale di un ragionamento filosofi- co-politico
significa quindi che le società devono impegnarsi a pro- muovere delle regole
capaci di creare e costituire istituzioni tali da non discriminare alcun
soggetto – persona, famiglia, gruppo inclusivo – considerandolo oggetto, o non
umano. Per approfondire tale ultima prospettiva di significato ci appog- giamo
all’elaborazione di Axel Honneth, il quale definisce il ricono- scimento: «un
processo nel quale il singolo può pervenire ad una identità pratica nella
misura in cui abbia la possibilità di accertarsi del riconoscimento di se
stesso attraverso una cerchia sempre più vasta di partner della comunicazione.
Al mancato riconoscimento può conseguire, secondo Honneth, un vulnus definibile
come ‘spre- gio’ o ‘offesa’, il cui effetto è l’alterazione dell’immagine che
una per- sona ha di sé 43. Secondo Honneth le forme di mancato riconoscimento
possono avere differenti gradazioni: si può avere uno spregio che coinvolge la
dimensione fisica, conculcando la libertà di autodeterminazione; e si CERETTI,
Vita offesa, lotta per il riconoscimento e mediazione, cit., p. 66;
nell’elaborazione di Ceretti la centralità del concetto di riconoscimento si
inqua- dra in una prospettiva di applicazione della mediazione ai conflitti
legati all’ap- partenenza. Più diffusamente sul tema del riconoscimento nella
mediazione e nel- la giustizia riparativa, v. ID., Mediazione. Una ricognizione
filosofica, in AA.VV., a cura di Picotti, La mediazione nel sistema penale
minorile, Padova; MANNOZZI-LODIGIANI, La Giustizia riparativa. Formanti,
parole, metodi, Torino, HONNETH, Riconoscimento e disprezzo. Sui fondamenti di
un’etica post- tradizionale, tr. it., Messina. Sul tema vedi anche TAYLOR, La
politica del riconoscimento. Tra sentimenti ed eguale rispetto possono avere
forme di umiliazione che influiscono sulla cosiddetta ‘autocomprensione
normativa’ della persona, escludendola struttu- ralmente dal godimento di
diritti, oppure – ed è questa la forma per la quale il termine ‘spregio’ viene
più comunemente in uso – negandole valore sociale tramite lo svilimento di modi
di vita individuali o collettivi 44. Riguardo a tale ultima dimensione di
significato si è detto che la questione del riconoscimento è cruciale nella
costituzione dell’iden- tità personale, la quale si forma attraverso una «negoziazione
che av- viene via dialogo, in parte esterno e in parte interiore, con altre
per- sone», con l’importante conseguenza che «sia sul piano intimo sia su
quello sociale (quello della politica dell’uguale dignità) la nostra iden- tità
si forma (o deforma) in relazione ai nostri incontri con “altri si-
gnificativi. Ebbene, è fondamentale il passaggio dal piano intimo a quello so-
ciale, in un percorso che deve tenere ben presenti e ben distinti en- trambi i
profili: nella individuazione di un’offesa il piano intimo en- tra in gioco ma
non può rappresentare un criterio assoluto; il richia- mo al piano sociale, e a
una dimensione di normatività oggettivabile, risulta cruciale. Honneth afferma
che «ciò che lo spregio qui sottrae alla persona, in termini di riconoscimento,
è l’approvazione sociale di una forma di autorealizzazione, alla quale essa
stessa ha prima dovuto faticosamente pervenire attraverso l’inco- raggiamento
della solidarietà di un gruppo, v. HONNETH, Riconoscimento e di- sprezzo. CERETTI,
Vita offesa, lotta per il riconoscimento e mediazione. È in base a tale
distinzione, tra piano intimo e piano sociale, che possono eventualmente essere
tematizzate questioni relative a quali siano gli ideali, le cre- denze, le
concezioni valoriali, e più in generale quali profili dell’identità morale
della persona possano essere presi in considerazione dal diritto, v. HÖRNLE,
Prote- zione penale di identità religiose?, Ragion pratica. La studiosa lascia
volutamente in sospeso la questione della soglia al di là della quale uno Sta-
to dovrebbe adoperarsi per promuovere il mutuo riconoscimento, pur non na-
scondendo notevoli perplessità sull’eventuale ricorso al diritto penale, e si
limita a rimarcare che il dare rilevanza a particolari profili dell’identità
morale, come ad esempio la fede religiosa, crei problemi di disuguaglianza
rispetto ad altre forme di propensione alla trascendenza, e pertanto, non
potendosi ragionevolmente ga- rantire a tutte lo stesso regime di tutela, lo
Stato dovrebbe mantenere un atteg- giamento di neutralità astenendosi dal
tutelare l’identità religiosa. Fisionomia dell’offesa Pari dignità
ed eguale rispetto Il disconoscimento è anche un’offesa al sentire, nella
misura in cui tocca corde significative dell’animo; ma non è scontato che
un’offesa al sentire possa anche considerarsi come negazione del
riconoscimento. Il rispetto-riconoscimento non è il riflesso univoco di
reazioni emotive, ma ha più a che fare, naturalmente, con quella dignità ultima
che non si inchina, che pretende il rispetto in forza di un valore
intrinseco della persona, un valore che ciascuno rivendica per sé stesso come
inviolabile: si tratta, in definitiva, della proiezione relazionale del valore
della dignità umana. Parlare di violazione del rispetto-riconoscimento ricalca
prima fa- cie le cadenze dell’offesa alla dignità: un accostamento tutt’altro
che risolutivo, e anzi assai problematico poiché rimanda alle profonde
criticità che sono state espresse con riferimento alla configurabilità della
dignità umana come oggetto di tutela penale 48. L’indeterminatezza penalistica
è la ricaduta di una più generale difficoltà di dare alla dignità un contenuto
e una dimensione oggetti- vi. La forte pregnanza emotiva che innerva tale
concetto lo rende par- ticolarmente esposto a ricostruzioni di parte, e dunque
a un uso che sul piano della politica del diritto appare problematico in
rapporto alle dinamiche di una società pluralista. Il rischio è che il
contenuto del concetto di dignità umana si tramuti nel mero riflesso di concezioni
comprensive, le quali, ove tra- sfuse nella dimensione giuridica,
incrementerebbero dissensi e frammentazioni. In altri termini, la dignità umana
è un concetto «fondamentale ma “manipolabile. Si tratta di obiezioni che hanno
il merito di mettere a nudo da un lato la forza retorica, e dall’altro la
fragilità contenutistica di un ri- chiamo alla dignità umana tout court,
probabilmente anche fino al MORDACCI, Rispetto. Per una panoramica sul
dibattito a livello internazionale v. ROSEN, Dignità. Storia e significato; per
un’approfondita critica dell’appello alla dignità v.CARMI, Dignity – The Enemy
from Within: A Theoretical and Comparative Analysis of Human Dignity as a Free
Speech Justification, in 9 Journal of Constitutional Law. Per una sintesi v. VERONESI, La dignità uma- na tra
teoria dell’interpretazione e topica costituzionale, in Quaderni
costituzionali, RAWLS, Liberalismo politico. CANESTRARI, Libertà di espressione
e libertà religiosa. Tra sentimenti ed eguale rispetto punto di non passare il
vaglio dei principi penalistici; ma sono ragio- ni sufficienti a espungere
radicalmente il valore della dignità dal di- scorso sui problemi di tutela? Il
richiamo alla dignità umana non sembra un postulato da cui prendere le mosse
per l’elaborazione di argomenti di parte, bensì dovrebbe essere considerato
come la dimensione di senso di ogni di- scorso che abbia a che fare con
problemi di convivenza fra uomini. Le difficoltà, financo l’impossibilità, di
un utilizzo del concetto di dignità sul piano tecnico-giuridico non ci sembrano
una ragione suf- ficiente a mettere da parte l’orizzonte simbolico e semantico
che ruota intorno alla dignità. Anche le critiche più radicali ci sembrano
rivolte all’uso piuttosto che al valore sostanziale e alla pertinenza rispetto
alle questioni in gioco53: si sta maneggiando un ‘superconcetto’ che sarebbe
necessario introdurre nel discorso con maggiore cautela, per ragioni di tipo
epistemico ed etico. Pur partendo dal presupposto che il concetto di dignità «è
intuiti- vo, nient’affatto chiaro di per sé», pare difficile poterne fare del
tutto a meno: sebbene sia un’idea imprecisa, il cui contenuto va appro- fondito
in rapporto a nozioni correlate, l’idea di dignità fa comunque la differenza»
55. Martha Nussbaum esorta a non abbandonare le co- È fuorviante contrapporre
in modo meccanico e astratto la dignità uma- na ai diritti che la Costituzione
riconosce», v. AMBROSI, Costituzione italiana e manifestazione di idee razziste
o xenofobe, a cura di Riondato, Discri- minazione razziale, xenofobia, odio
religioso. Diritti fondamentali e tutela penale, Padova. Condivisibilmente,
VERONESI, La dignità umana, sostiene che la dignità non debba essere
identificata né con un diritto, né con la piana conseguenza della violazione di
un diritto, né come un principio auto- nomamente azionabile, evidenziando in
questo senso ragionevoli obiezioni a un appiattimento della dignità sulla
dimensione del diritto positivo. La distinzione fra il concetto di dignità
(concept) e le plurivoche concezioni che da esso derivano (conceptions) è
evidenziato da MCCRUDDEN, Human Dignity, in un discorso che cerca di
evidenziare il rapporto fra il ‘nucleo duro’ del significato (core value) e le
diverse declinazioni che emergono dal discorso giuridico. 54 Per tutti, v.
HASSEMER, Argomentazione con concetti fondamentali. Pretendere di dare una
veste conchiusa e definita della dignità, identifican- dola univocamente in un
interesse ‘a senso unico’, rischia di essere una mossa azzardata sul piano
epistemico e anche una forzatura sul piano etico, ove si pre- tenda di
identificare il contenuto della dignità con istanze fondate su concezioni
comprensive. NUSSBAUM, Creare capacità, tr. it., Bologna. Nel panorama italia-
no, si veda la difesa del valore e del ruolo della dignità proposta da FLICK,
Elogio della dignità (se non ora, quando?), in Politica del diritto, Fisionomia
dell’offesa ordinate tracciate dal concetto di dignità, e a trovare delle nozioni
correlate e specificative che possano aiutare a renderlo meno liquido e più
aderente ai contesti. Un importante suggerimento è quello di focalizzare
l’attenzione sul concetto di rispetto: «La dignità è un’idea difficile da
definire con precisione, e probabil- mente non dovremmo cercare di farlo
nell’ambito politico, poiché di- verse religioni e prospettive laiche la
descrivono in modi differenti. Probabilmente dovremmo evitare che la dignità
abbia un conte- nuto specifico tutto suo: sembra essere un concetto che
acquista for- ma attraverso i legami con altri concetti, come quello di
rispetto, e una varietà di principi politici più specifici. Riteniamo tale
passaggio di fondamentale importanza poiché con- tribuisce a ridisegnare la
fisionomia della dignità in termini relazio- nali e non come valore assoluto,
scisso da un rapporto fra individui. Parlare di rispetto reciproco significa
chiamare in gioco non un valo- re esterno alla relazione, ma focalizza
l’attenzione su un bilancia- mento. Le dinamiche del rispetto-riconoscimento
non esauriscono lo spa- zio etico della dignità ma evidenziano il rapporto di
simmetrica reci- procità nel quale devono essere collocate le pretese avanzate
dagli at- tori nella dialettica pluralista, le quali appaiono tendenzialmente in-
terpretabili come riflesso di due esigenze di fondo: il rifiuto
dell’imposizione, sia essa in nome della neutralità e della verità e il rifiuto
di una considerazione diseguale che deriverebbe dal trionfo della posizione
politica avversa» 57. Una ridefinizione dell’orizzonte di tutela nei termini
dell’eguale e reciproco rispetto può rappresentare a nostro avviso un’opzione
epi- stemicamente più cauta di un’asserita ‘tutela della dignità’: a risultare
decisiva non è una ricerca di fondamenti ontologici del superconcet- to
‘dignità’, ma l’elaborazione di criteri di bilanciamento fra opposte posizioni
secondo una prospettiva di uguaglianza. 56 NUSSBAUM, La nuova intolleranza.
Superare la paura dell’Islam e vivere in una società più libera, tr. it.,
Milano. GALEOTTI, La politica del rispetto. A chiosa della posizione della
Galeotti, si è osservato che «il rispetto-riconoscimento è dunque un
atteggiamen- to verso una persona, prima ancora che nei confronti di
un’identità gruppale, che reclama azioni non umilianti e non degradanti», così
CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura. Tra sentimenti ed eguale rispetto Bilanciare
le pretese Dignità e capacità umane In merito al problema dei limiti alla
libertà di espressione, la digni- tà umana mal si presta ad assumere le vesti di
argomento ‘a senso uni- co’, tale da offrire univoca giustificazione a una sola
delle pretese che si confrontano, ma è potenzialmente in grado di valere su più
fronti. Parlare di tutela della dignità assume in primo luogo il significato di
un sostegno alle libertà, in quanto l’attenzione e la cura nei con- fronti
della dignità costituiscono da un lato la condizione generativa «di un
“pensiero critico, eterodosso, collidente con pensieri e senti- menti
dominanti”» e dall’altro lato «la condizione nei soggetti istitu- zionali,
della stessa capacità di resistere alla tentazione di soffocarne la
manifestazione. Secondariamente, va tenuto in considerazione che nella
dialettica fra istanze di libertà e richieste di rispetto vi sono più dignità
che en- trano in gioco: quella di colui che manifesta il proprio pensiero e
quella che si considera offesa dalla manifestazione espressiva 59. An- che nel
linguaggio può essere importante esplicitare la connessione fra dignità e
uguaglianza richiamando non semplicemente la dignità di ognuno, ma la pari
dignità come presupposto di una relazione di eguale rispetto 60. Resta aperto
il problema di contestualizzare pari dignità ed eguale rispetto in relazione a
esigenze concrete dell’essere umano, e dunque di limitare la distanza fra la
metafisica di tali concetti e le situazioni da cui scaturiscono problemi di
convivenza. FORTI, Le tinte forti del dissenso nel tempo dell’ipercomunicazione
pulviscola- re. Quale compito per il diritto penale?, in Riv. it. dir. proc.
pen. Evidenzia tale
ambiguità SCHAUER, Speaking of Dignity, ed. by Meyer-Paren, The Constitution of
rights. Human Dignity and American Values, London, the conflation of dignity
and speech, as a general proposition, is mistaken, for although speaking is
sometimes a manifestation of the dignity of the speaker, speech is also often
the instrument through use which the dignity of others is deprived»; cfr.
AMBROSI, Libertà di pensiero e manifesta- zione di opinioni razziste e
xenofobe, in Quaderni costituzionali. Cfr.
SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione. L’istigazione all’odio
razziale, Padova. Si veda anche l’icastica osservazione di Nadia Urbinati,
secondo la quale «eguale libertà è dunque il nome della difesa della dignità
umana nel tempo della modernità, v. URBINATI, Ai confini della democra- zia.
Opportunità e rischi dell’universalismo democratico, Roma.Cfr., con diversità
di accenti, CARUSO, La libertà di espressione in azione. Fisionomia dell’offesa.
Nel contesto penalistico italiano si è fatto di recente carico di tale onere
Gabrio Forti, il quale, attingendo da una recente pubblicazione di Aaron
Barak61, ha definito la dignità umana come «principio complesso che,
necessariamente sganciato da visioni o concezioni fi- losofiche unilaterali, è
suscettibile di scomposizione in entità valoria- li che devono essere
rapportate tra loro. Il richiamo alla distinzio- ne di Barak tra dignità-madre
e diritti-figli è funzionale, per Forti, a evidenziare che la libertà
d’espressione potrebbe incontrare limita- zioni volte alla tutela di altri
‘diritti-figli’ della stessa ‘dignità-madre’, a patto di uscire da un
ragionamento meramente astratto e di procedere a una ‘lettura situazionale’ che
sappia decifrare i contesti e gli specifici bisogni che possono emergere quale
interesse da contrap- porre a eventuali manifestazioni espressive. Si tratta in
altri termini di dare spessore e pregnanza personologi- ca all’interrogativo
sul perché la libertà di espressione sia così impor- tante, al di là del
riconoscimento che le è dato nelle carte costituzionali; e correlativamente, di
chiedersi quale possa essere il peso delle parole nell’economia di vita sia di
chi le esprime sia dei destinatari. Per abbozzare delle coordinate prendiamo le
mosse dal pensiero di John Searle che individua la caratteristica fondamentale
dell’essere umano nell’attitudine a porre in essere atti linguistici («we are
speech act performing primates»), e fa conseguentemente derivare la piena
dignità di un individuo dalla sua capacità di espressione. A nostro avviso non
basta tuttavia configurare una semplice pro- pensione ad atti linguistici, ma
sono necessarie ulteriori connessioni che ne mettano in luce la strumentalità
rispetto a un quadro più va- riegato di capacità e di prospettive concernenti
la realizzazione della persona. Nella riflessione filosofica contemporanea, il
discorso sulle capaci- tà trova una fondamentale elaborazione nel ‘capability
approach’ di BARAK, Human Dignity. The Constitutional Value and the Constitutional Right,
Cambridge, FORTI, Le tinte forti del dissenso. Sulle istanze partecipative
legate al discorso pubblico v. CARUSO, La libertà di espressione in azione,
SEARLE, Social Ontology and Free Speech, The Hedgehog Review: «we attain our
full dignity, our full stature as speech-act peforming animals, when we
exercise our capacities for expression. The need for dignity, self-esteem, and
autonomy come with the genetic territory, and a healthy society has to
recognize these needs and recognize that verbal self-expression is an essential
component in their satisfaction. Tra
sentimenti ed eguale rispetto Martha Nussbaum: si tratta di un’antropologia dei
bisogni dell’uomo pensata come riferimento per le strategie politiche e di
organizzazio- ne della società, basata sull’individuazione di un novero di
capacità le quali integrano e danno sostanza umana all’idea di dignità 65.
L’importanza di tale riflessione nella prospettiva penalistica è stata messa in
luce quale criterio di interpretazione dei bisogni e degli aspetti di
vulnerabilità degli esseri umani al fine di tracciare le coor- dinate per un
apporto del diritto penale alla difesa, al rispetto e an- che alla
‘costruzione’ della dignità umana. Nel condividere la suddetta impostazione,
riteniamo che attraver- so il linguaggio delle capacità si possano meglio
definire anche i con- torni delle istanze di libertà e delle richieste di
rispetto che animano la dialettica sulla libertà di espressione. Ci sembra che
un’immer- sione nelle note caratterizzanti la natura e la socialità umane possa
contribuire a tradurre le pretese in una dimensione meno astratta, per
verificare se e in che termini siano reciprocamente esigibili 67. Entrando nel
dettaglio del catalogo della Nussbaum individuiamo un novero di capacità che
definiscono una base di contenuti funzio- nale non solo alla ricognizione dei
contorni di un’ipotetica dignità of- fesa, ma che si prestano a dare senso e
sostanza alla posizione di chi chiede rispetto per la propria libertà di
esprimere contenuti pur ‘di- scutibili’, fungendo in questo senso da
connessione giustificativa an- che per la posizione di chi invoca il diritto
alla libertà di espressione: 65 «Consideriamo la persona, proprio perché
caratterizzata da attività, mete, progetti, in qualche modo capace di suscitare
un rispetto che trascende l’azione meccanica della natura, eppure bisognosa di
sostegno per portare a compimento molti progetti importanti», v. NUSSBAUM,
Diventare persone, tr. it., Bologna, FORTI, «La nostra arte è un essere
abbagliati dalla verità». L’apporto delle di- scipline penalistiche nella
costruzione della dignità umana, in Jus.L’approccio delle capacità può
rappresentare un’importante coordinata de- scrittiva e una chiave di lettura
delle istanze di tutela; in questo senso condivi- diamo e rilanciamo quale buon
esempio la proposta di ‘lettura situazionale’ basata sull’approccio delle
capacità formulata da Caputo in tema di repressio- ne penale del negazionismo, CAPUTO, La “Menzogna di Auschwitz. A un
livello successivo, relativo al problema della soglia di intervento normati-
vo, TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 108 ss., evidenzia
in termini critici come anche tale chiave di lettura non sarebbe però
sufficiente a configurare un substrato di offensività verificabile in termini
conformi allo standard di bilanciamento che dovrebbe supportare eventuali norme
basate sullo schema applicativo del pericolo concreto. Fisionomia
dell’offesa 163 «Sensi, immaginazione, pensiero. Essere in grado di usare
l’imma- ginazione e il pensiero in collegamento con l’esperienza e la produzio-
ne di opere autoespressive, di eventi, scelti autonomamente, di natura
religiosa, letteraria, musicale, e così via. Poter usare la propria mente in
modi protetti dalla garanzia delle libertà di espressione rispetto sia al discorso
politico, sia artistico, nonché della libertà di pratica religiosa. Sentimenti.
Poter provare attaccamento per cose e persone oltre che per noi stessi. Non
vedere il proprio sviluppo emotivo distrutto da ansie o paure eccessive. Ragion
pratica. Essere in grado di formarsi una concezione di ciò che è bene e
impegnarsi in una riflessione critica su come programmare la propria vita.
Appartenenza. Avere le basi sociali per il rispetto di sé e per non essere
umiliati; poter essere trattato come persona dignitosa il cui valore eguaglia
quello altrui. Questo implica, al livello minimo, prote- zione contro la
discriminazione in base a razza, sesso, tendenza sessuale, religione, casta,
etnia, origine nazionale. [...]» 68. Le suddette capacità appaiono connaturate
a una società aperta, presupposto e obiettivo di una tutela delle libertà
strumentale a mettere ogni individuo nella condizione di formarsi una
concezione di ciò che è bene potendo usare la propria mente in modi protetti
dalla libertà di espressione. Emerge però anche un livello minimo di protezione
il quale sem- bra richiamare l’esigenza di un fare attivo da parte della
politica e del- l’ordinamento giuridico, fra le cui finalità viene messo in
evidenza il contrasto alla discriminazione: significa che uno Stato dovrebbe
im- pegnarsi per garantire «le basi sociali per il rispetto di sé e per non
essere umiliati; poter essere trattato come una persona dignitosa il cui valore
eguaglia quello altrui». Ritorna anche nel pensiero della Nussbaum l’esigenza
di prestare attenzione al problema del mancato riconoscimento, qui richiamato
attraverso i concetti del ‘rispetto di sé’ e dell’‘umiliazione’. In altri ter-
mini, quando si creano le condizioni perché un soggetto venga umi- liato si
potrebbero incrinare gli equilibri che costituiscono l’humus per le capacità
umane fondamentali, e potrebbe rendersi necessario un intervento dello Stato
per cercare di ripristinarle; libertà non può si- gnificare umiliazione
dell’altro. Per quanto ispirato alla massima apertura liberale, anche il
di- NUSSBAUM, Diventare persone. Tra sentimenti ed eguale rispetto scorso
di Martha Nussbaum pone il problema di eventuali limiti e suggerisce un
approfondimento del concetto di umiliazione. Rispetto di sé e umiliazione: la
concezione di Avishai Margalit Un tentativo di elaborare una nozione
politicamente spendibile – non soggettivistica o emotivistica – dei concetti di
‘rispetto di sé’ 69 e ‘umiliazione’ si deve ad Avishai Margalit e alla sua
teorizzazione sulla ‘società decente’, da intendersi come ‘società che non
umilia. La nozione di umiliazione proposta da Margalit è, per stessa ammis-
sione dell’Autore, di tipo normativo e non psicologico: umiliazione è ogni
comportamento o condizione che costituisce una valida ragione perché una persona
consideri offeso il proprio rispetto di sé. È di particolare importanza, ai
fini della presente indagine, la di- stinzione fra insulto e umiliazione: pur
essendo situati lungo un con- tinuum, rappresentano forme di offesa
qualitativamente differenti, la prima delle quali si rivolge all’onore sociale,
mentre la seconda lede il rispetto di sé inteso come percezione del valore
intrinseco della persona. L’insulto è contraddistinto da contenuti che possono
essere in un certo senso razionalizzati dal destinatario (ad esempio anche in
relazione alla verità o falsità degli asserti), l’umiliazione è più gravo- sa:
riprendendo la distinzione di Williams fra emozioni bianche e rosse, Margalit
ritiene che l’umiliazione sia associabile a un’emozione bianca, la quale
comporta che il soggetto umiliato si 69 Sul concetto di ‘rispetto di sé’, con
un’impostazione differente, si veda anche BAGNOLI, L’autorità della morale;
DWORKIN, Giustizia per i ricci, tr. it., Milano, MARGALIT, La società decente,
tr. it., Milano. MARGALIT, La società decente: questo è un significato
normativo piuttosto che psicologico dell’umiliazione. Il significato normativo
non comporta per sé che la persona che abbia una buona ragione per sentirsi
umiliata, di fatto si senta tale. D’altra parte, il significato psicologico
dell’umiliazione non compor- ta che la persona che si sente umiliata abbia una
buona motivazione per questo sentimento. La sottolineatura è sui motivi per
provare umiliazione come risultato di un comportamento altrui». Nel panorama italiano,
cfr. l’ampia analisi critica di TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana,
MARGALIT, La società decente. WILLIAMS, Vergogna e necessità, tr. it., Bologna,
2007; un’emozione rossa è un’emozione in cui ci si vede attraverso gli occhi dell’altro,
e perciò si arrossisce. Con un’emozione bianca una persona si vede attraverso
l’‘occhio interno’ della propria coscienza, che può farla impallidire.
Fisionomia dell’offesa 165 guardi col proprio occhio interno ma
applicando al contempo il pun- to di vista del soggetto umiliante, e dunque
senza riuscire ad assume- re una distanza critica dall’addebito, poiché
l’umiliazione attecchisce in contesti di squilibrio fra umiliatore e vittima, e
assume l’effetto di una ‘minaccia esistenziale L’umiliazione è più che un
semplice insulto: «rifiutare un essere umano umiliandolo significa rifiutare il
modo in cui egli esprime se stesso come umano»75, radicalizzando l’addebito su
modi di essere costitutivi dell’individuo e negando l’umanità dell’altro a causa
di un’ap- partenenza significativa 76 che concorre a definirne l’identità.
Risulta perciò fondamentale distinguere quando un’espressione abbia il
significato di forte critica e quando invece sottenda un’umi- liante esclusione
e, di fatto, una discriminazione. 5. Ai confini fra critica e discriminazione
Dal punto di vista concettuale la differenza fra critica e discrimi- nazione
ricalca le due varianti del rispetto: rispetto-stima come at- teggiamento le
cui oscillazioni in positivo o in negativo possono dar luogo a forme di critica
legittima; rispetto-riconoscimento come va- lore che può essere negato
attraverso manifestazioni espressive volte a umiliare e a marginalizzare. Si
aggiunge in questo modo un ulteriore, importante, tassello al- l’itinerario concettuale
che ha preso le mosse dall’esigenza di distin- guere offese ai meri sentimenti
da condotte, e in particolare, da for- me di espressione, che, non limitandosi
a offendere l’emotività sog- gettiva, si facciano veicolo di umiliazione e di
negazione dell’eguale libertà e dignità delle persone. MARGALIT, La società
decente. MARGALIT, La società decente. MARGALIT, La società decente, cit., pp.
165 ss. Secondo l’Autore, ciò che rende più pregnante l’umiliazione è la
connessione con il concetto di ‘gruppo inclusivo’: si intende con tale
definizione «un gruppo che ha un comune carattere e una comune cultura, che
include molti importanti e vari aspetti della vita [nel quale] le persone che
crescono nel gruppo ne acquisiscono la cultura, e possiedono le sue particolari
caratteristiche». Un tratto particolarmente significativo riguarda il fatto che
l’appartenenza al gruppo è in parte materia di mutuo riconoscimento, nel senso
che l’inclusione nel gruppo non è determinata da una scelta personale: «esse
appartengono [al gruppo] a causa di quello che sono». 166 Tra
sentimenti ed eguale rispetto È però assai problematico trovare le rispondenze
di tali distinzioni all’atto pratico: «non è così netta, nella percezione viva,
la differenza fra l’offesa alla stima e l’offesa al riconoscimento come
semplice per- sona, perché le persone si identificano non solo con la propria
umani- tà, ma soprattutto con le loro qualità, le loro storie individuali» 77.
Sia la critica sia la discriminazione possono definirsi come forme di espressione
‘irrispettose’, e il sottile confine che le separa a livello fenomenico espone
al rischio, nella prospettiva giuridica, di continue oscillazioni tra vuoti di
tutela ed eccessi di intervento. Come osserva Michael Rosen, «[è] evidente che
il diritto a comportarsi in maniera irrispettosa debba essere maneggiato con
cura. Probabilmente vi sono dei limiti a ciò che dovrebbe essere permesso ma
dovremmo rifiu- tare l’idea che il linguaggio volto a irritare o insultare
violi automati- camente l’essenza intrinseca di ciò che ha valore nelle persone
con la conseguenza di “deprivarle della loro dignità di esseri umani”» 78.
All’inizio del capitolo abbiamo riportato alcuni episodi tratti dalle cronache
per identificare il tipo di conflitti in cui appare a nostro av- viso più
evidente il coinvolgimento di sensibilità soggettive, esclu- dendo da tale
apparato esemplificativo il tema del discorso d’odio (c.d. hate speech) e della
propaganda razzista. Ora, alla luce dell’esi- genza di distinguere fra critica
ed esclusione/discriminazione, il ri- chiamo al discorso d’odio diviene di
importanza centrale poiché è proprio l’elaborazione teorica in materia di hate
speech 79 a fornire in- teressanti spunti in tal senso. 77 MORDACCI, Rispetto. In
questi termini Michael Rosen rimarca l’esigenza di procedere con cautela nelle
restrizioni a forme di espressione: ROSEN, Dignità.Il tema dello hate speech è
indagato in modo particolarmente approfondito nel panorama anglo-americano, nel
quale l’orientamento maggioritario è di con- trasto alle limitazioni alla
libertà di espressione. In questo senso vi sono forti dif- ferenze rispetto al
panorama europeo, le cui ragioni affondano nella storia geopo- litica dei due
continenti. Quali esempi di contrarietà ai cosiddetti ‘hate speech bans’, pur
con diversità di accenti, v. HEINZE, Hate Speech and Democratic Citizenship,
Oxford; cfr. DWORKIN, Foreword, ed. by Hare-Weinstein, Extreme Speech and
Democracy, cit., pp. V ss.; POST, Hate
Speech, ed by Hare-Weinstein, Extreme Speech and Democracy. Nella vasta
letteratura, v., fra le opere collettanee, ed. by Hare- Weinstein, Extreme
Speech and Democracy, cit.; AA.VV., ed. by Herz-Molnar, The Content and the
Context of Hate Speech: Rethinking Regulation and Responses, Cambridge, 2012. Per un quadro di sintesi sulle differenze emergenti
fra la giu- risprudenza statunitense ed europea v. KISKA, Hate speech: a
Comparison between the European Court of Human Rights and the United States
Supreme Court Juris- prudence, in 25 Regent University Law Review, Fisionomia
dell’offesa La connessione della problematica della tutela di sentimenti al
tema della discriminazione si lega a ragioni di maggiore selettività, mirate a
differenziare offese alla sensibilità, le quali dovrebbero con- siderarsi come
ricaduta di un fisiologico e pluralistico dissenso e co- me evento collaterale
alla libertà di critica, da manifestazioni di ne- gazione della pari dignità e
dunque del rispetto-riconoscimento. 5.1. Offesa ai sentimenti e offesa alla
dignità nello hate speech secondo Jeremy Waldron Un importante contributo viene
dal giurista Jeremy Waldron il quale argomenta sulla dannosità del discorso
d’odio a partire da quel- la che considera una fuorviante commistione fra hate
speech e tutela di sentimenti. Lo studioso sostiene che il disvalore dello hate
speech non vada identificato nello stato psichico negativo concretamente o
potenzial- mente indotto da manifestazioni espressive, e adotta in questo senso
una posizione di contrasto a incriminazioni fondate sulla logica dell’offense
di feinberghiana memoria; la protezione di sentimenti è un effetto solo
indiretto, così come l’induzione di stati psichici nega- tivi è un elemento
collaterale che non esaurisce il disvalore del di- scorso d’odio. L’orizzonte
dello hate speech dovrebbe coincidere con offese alla dignità del singolo in
quanto appartenente a determinati gruppi o credente in determinati ideali; le
forme di critica anche aspre e irriverenti che non rappresentino una
stigmatizzazione dell’individuo in ragione di suoi specifici tratti, dovrebbero
considerarsi al di fuori dell’area di interventi normativi 81. 80 Waldron si
caratterizza per un approccio più disincantato nei confronti del- la libertà di
espressione: l’Autore è aperto a prospettive di regolamentazione nor- mativa
del discorso pubblico e in questo senso si distingue nel panorama statuni-
tense in virtù di una posizione minoritaria, espressa in particolare negli
studi raccolti in WALDRON, The Harm in Hate Speech, Harvard. Per un quadro
generale e un excursus storico sulla libertà di espressione negli Stati Uniti,
v. KALVEN, A Worthy Tradition: Freedom of Speech in America, New York; per una
sintesi del dibattito su pornografia e blasfemia v. POST, Cultural
Heterogeneity and Law: Pornography, Blasphemy, and the First Amendment, in
California Law Review. Interessanti spunti sul tema sono offerti anche da
Robert Post il quale inter- preta la distinzione tra espressioni tollerabili e
intollerabili come riflesso di di- namiche di egemonia sociale delle classi
dominanti: secondo Post il discorso Tra sentimenti ed eguale rispetto
Ricondurre la questione dello hate speech a un problema di offesa a sentimenti
significherebbe sminuirne la portata 82, poiché una con- cezione emotivistica
dell’interesse protetto non dà adeguatamente conto del radicamento del discorso
d’odio e di come esso possa con- taminare l’ambiente sociale anche al di là del
turbamento emotivo indotto su singoli individui. Lo hate speech non appare
pertanto riducibile a un mero insulto dal forte impatto emotivo, ma piuttosto a
un discorso che può intac- care la considerazione sociale dei destinatari
dell’offesa, a detrimento di interessi come l’inclusività (inclusiveness) e la
garanzia (assurance) di non essere discriminati 84. Il punto fondamentale,
secondo Waldron, è distinguere fra espres- sioni che suscitano emozioni e
dunque ‘offendono’ in un senso affine all’offense principle, ed espressioni che
‘aggrediscono’ la dignità del d’odio è ritenuto illegittimo poiché esorbita da
standard che rinviano a norme so- ciali dettate dai gruppi dominanti: quando il
diritto impone una determinata di- stinzione, come quella che richiede di non
accomunare espressioni di fisiologico disaccordo a manifestazioni d’odio, sta
in definitiva imponendo egemonicamente standard sociali di decorosità nei
rapporti intersoggettivi: «This suggests that whenever law chooses to enforce
cultural norms, as for example by enforcing norms that distinguish hate speech
from normal disagreement, law hegemonical- ly imposes a particular vision of these
norms. Hate speech
regulation imagines itself as simply enforcing the given and natural norms of a
decent society, á la Devlin; but from a sociological or anthropological point
of view we know that law is always actually enforcing the mores of the dominant
group that controls the content of law», v. POST, Hate Speech, cit., p. 130. Sembra fondarsi invece sulla ‘non astinenza
epistemica’ che accompagna i divieti in materia di hate speech, e che sarebbe
dunque incompatibile con una dimensione democratica del discorso pubblico, la
critica di fondo di HEINZE, Hate Speech. Nella letteratura italiana, con
diversità di accenti, sul problema della (tendenzialmente impossibile)
‘astinenza epistemica’ del legislatore in materia di regolamentazione del
discorso pubblico VISCONTI C., Aspetti penalistici; TESAURO, Ri- flessioni in
tema di dignità umana. La differenza
risiede nella distinzione «between undermining a person’s dignity and causing
offense to the same individual [...] to protect people from of- fense or from
being offended is to protect them from a certain sort of effect on their
feelings. And that is different from protecting their dignity and the assurance
of their decent treatment in society», WALDRON, The Harm in Hate Speech. WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 116; per
un approfondimento critico sul rischio di interpretazioni soggettivistiche, e
un riorientamento della categoria degli hate crimes in una prospettiva
incentrata su dissenso politico e rispetto per le differenze v. PERRY, A Crime
by Any Other Name: The Semantics of Hate, in 4 Journal of Hate Studies. WALDRON, The Harm in Hate
speech. Fisionomia dell’offesa soggetto («offending people and assaulting their
dignity»), intesa come basic social standing, the basis of their recognition as
social equals and as bearers of human rights and constitutional entitlements. Il turbamento che un soggetto possa eventualmente
avvertire, e dunque le emozioni negative che plausibilmente si accompagnano
alle parole87, non sono del tutto irrilevanti (e testimoniano come l’offesa
coinvolga qualcosa di importante per la persona), ma enfatizzarne il rilievo
significherebbe, secondo Waldron, esporsi alla critica che lo hate speech
tuteli meri sentimenti. L’offesa emotiva rappresen- ta una proiezione
soggettiva, ‘metonimica’ nel senso che descrive solo una parte della dimensione
del danno. Perché un’espressione di negazione del riconoscimento dovrebbe
essere ritenuta più grave di una critica irridente che offende il sentire
soggettivo? Fra le ragioni addotte a sostegno della diversa gravità di tali
forme di offesa, anche Waldron richiama l’insondabilità delle emozioni
soggettive e la mutevolezza delle soglie di suscettibilità individuale, the
basic distinction between an attack on the body of beliefs and an attack on the
basic social standing and reputation of a group of people is clear. In every aspect of democratic
society, we distinguish between the respect accorded to a citizen and the
disagreement we might have concerning his or her social and political convictions.
Defaming the group that comprises all Christians, as op- posed to defaming
Christians as members of that group, means defaming the creeds, Christ, and the
saints», WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 120. 86 WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 59. 87
Assumiamo come presupposto che le parole possano ferire, quantomeno in- ducendo
emozioni negative; il fatto che tali conseguenze possano non essere con-
siderate rilevanti in quanto non integrino la dimensione normativa del danno, è
un problema successivo, ma che non dovrebbe portare a disconoscere una di-
mensione di lesività a livello naturalistico. Sul punto risulta interessante la
posi- zione di Schauer, il quale sostiene che definire aprioristicamente come
‘minore’ il danno provocato da parole, solo perché ‘non fisico’ o meno
visibile, sia altamente opinabile. Riconoscere che un danno, inteso come sofferenza
fisica, possa crearsi, non significa automaticamente inferirne la rilevanza sul
piano giuridico in termi- ni di compressioni di libertà: «If there is a free
speech principle, then a conse- quence will be that a range of distresses and
negative outcomes produced by the relevant category of speech act will be
considered not to have caused harms in the legally redressable sense, but that
is very different from saying pretheoretically that it is a characteristic of
the acts that they are as category less harmful», SCHAUER, The Phenomenology of
Speech and Harm,Ethics. WALDRON, The Harm in Hate Speech. WALDRON, The Harm in
Hate Speech. Tra sentimenti ed eguale rispetto ma non
appaiono queste le ragioni decisive. L’offesa discriminatoria fa leva sulla
diversità per comunicare esclusione da ogni prospettiva di dialogo: in questo
senso realizza un’interazione con lo status sociale e relazionale delle persone
attraverso la negazione del patto etico su cui si fonda la convivenza, ossia la
pari dignità dell’altro 90. L’intru- sione nella sfera di libertà altrui si
realizza attraverso una potenziale compromissione delle trame sociali e
relazionali, e più in generale dell’ambiente sociale in cui dispiegano la
propria esistenza gli indivi- dui destinatari di determinate espressioni. Un’ulteriore
importante precisazione avanzata da JWaldron concerne la distinzione a livello
concettuale tra offese alla reputazio- ne del gruppo ed espressioni
discriminatorie che si riflettono sul sin- golo individuo in quanto
appartenente al gruppo. Troppo spesso, os- serva Waldron, la c.d. ‘diffamazione
di gruppo’ (defamation group) Si è osservato che l’incriminazione di tale tipologia
di espressioni potrebbe essere l’unica eccezione al principio secondo cui in
uno Stato liberale non si do- vrebbero incriminare concezioni di valore e modi
di pensare: «[d]iversamente ac- cade, eccezionalmente, soltanto quando certi
comportamenti manifestano e/o realizzano modi di pensare, convinzioni e
concezioni di valore con i quali viene propagandato e/o trasformato un certo
stile di vita che esclude in modo combat- tivo altre concezioni del bene,
oppure addirittura nega a certi gruppi all’interno della società lo stato di
membri aventi gli stessi diritti», v. WOHLERS, Le fattispecie penali come
strumento per il mantenimento di orientamenti sociali di carattere assiologico
[cf. H. P. Grice, CONCEPTION OF VALUE – AXIOLOGY]? ABEL, La parola e il
rispetto, cit., pp. 101 ss., il quale individua la c.d. ‘riproduzione della
disuguaglianza di status’ come uno dei possi- bili danni realizzabili dalle
parole. D’obbligo il richiamo alla cosiddetta ‘Critical Race Theory’ quale
esempio di teoria che ha esposto con dovizia argomentativa, per quanto non
immune da obie- zioni, le ricadute dannose del discorso denigratorio basandosi
sulle espressioni a sfondo razziale: in estrema sintesi si sostiene che la
diffusione dell’odio, e in parti- colare l’odio razzista, produrrebbe a livello
individuale fenomeni di ansia, disagio psichico e perdita di autostima tali da
poter influire sulla vita relazionale degli individui, mentre a livello sociale
porterebbe alla formazione di un clima culturale di ostilità fino a poter generare
anche il c.d. ‘Silencing Effect’, ossia l’effetto silenziatore consistente
nello screditare socialmente le minoranze offese fino a minare il loro status
di partner a livello comunicativo in ambito sociale. Per un’ampia e dettagliata
sintesi v. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana; cfr. PINO, Discorso
razzista e libertà di manifestazione del pensiero, in Politica del diritto; si
veda anche a cura di Thomas-Zanetti, Legge razza diritti. La Critical Race
Theory negli Stati Uniti, Reggio Emilia. Il lessico inglese distingue fra
individual defamation e group defamation intendendo con il secondo termine
l’area di problemi che viene comunemente identificata come hate speech. In many countries, a
different term or set of terms is used by jurist: instead of “hate speech”,
they talk about “group libel” or “group defamation”», v. WALDRON, The Harm in
Hate Speech. Mal- Fisionomia dell’offesa
171 viene intesa come offesa che, indirizzandosi ai valori che fondano
l’identità del gruppo, coinvolgono il singolo solo in termini di disagio
emotivo: non è questa la prospettiva con cui identificare lo hate speech.
L’offesa che dovrebbe rilevare come discorso discriminatorio è quella che
strumentalizza l’appartenenza al gruppo come fattore di degradazione e di
inferiorità della persona. In altri termini, una prospettiva di intervento
normativo non do- vrebbe avere ad oggetto principi o concezioni valoriali in
sé, neppure nella forma mediata di carattere identificativo di un gruppo, e
dunque nella loro dimensione sovraindividuale e impersonale. I cosiddetti ‘va-
lori’, intesi come principi su cui un soggetto impronta la propria vita specie
con riferimento alla sfera morale, possono assumere rilevanza in quanto
elementi costitutivi del modo d’essere degli individui. Al termine di tale
complessa disamina, un dato di fondo sembra difficilmente contestabile:
distinguere fra espressioni di odio e di cri- tica, tra offese alla dignità del
singolo in quanto aderente a un grup- po e offese alla reputazione del gruppo
stesso, e più in generale stabilire la portata offensiva di un’espressione
verbale o simbolica, è un’operazione ermeneutica che necessita di un’attenta
lettura di contesti e situazioni, e che non può essere imbrigliata in
categorizzazioni di carattere ‘assoluto. Ermeneutica del fatto ed ermeneutica
della norma Prima di verificare la rispondenza di tali distinzioni nelle
eventuali prassi applicative, si pone l’esigenza di una riflessione sul piano
dei presupposti del ragionamento. L’individuazione di un confine fra critica e
discriminazione si ri- grado la sostanziale identità sul piano lessicale, la
defamation group non appare perfettamente sovrapponibile a ciò che nel contesto
italiano viene definito diffamazione di gruppo come variante plurisoggettiva del
reato di diffamazione semplice, la quale è volta, quantomeno in via teorica, a
reprimere le medesime offese che rileverebbero ex art. 595 c.p., ossia un
novero più ampio rispetto a ciò che si potrebbe definire ‘discorso d’odio’ (v.
infra, nota 120). 93 WALDRON, The Harm in Hate Speech. Sul tema, v. DE
MONTICELLI, La questione morale; cfr. RAZ, I va- lori fra attaccamento e
rispetto, tr. it., cur. di Belvisi, Reggio Emilia. Osserva GALEOTTI, La
politica del rispetto, che «culture e tradizioni possono avere un valore
estetico, storico e archeologico, ma non intrinsecamente morale. Il loro valore
morale deriva dal fatto che sono importanti e fonti d’ispi- razione per i loro
membri e non in sé. Tra sentimenti ed eguale rispetto flette sul raggio
applicativo di norme giuridiche, sia vigenti sia in prospettiva de iure
condendo, e dipende in primo luogo dall’interpre- tazione di dinamiche
intersoggettive e di aspetti fattuali: non sempli- cemente conoscenza di fatti,
bensì attribuzione di significato ad azioni ed espressioni. La distinzione fra
questi profili non sembra adeguatamente ap- profondita in sede teorica95, ed è
del tutto trascurata nel contesto giurisprudenziale, ove l’interpretazione del
fatto finisce per essere as- sorbita, e data per scontata, rispetto alla
sussunzione normativa, sen- za riconoscere che le peculiarità del fatto possono
dar luogo a pro- blemi logicamente autonomi e complementari all’ermeneutica
della norma giuridica: problemi «di interpretazione del fatto, e che si riflet-
tono sulla applicazione del diritto» 96. In questa sede ci limitiamo a
evidenziare come la distinzione fra ermeneutica del fatto ed ermeneutica della
norma si ponga a livello concettuale quale richiamo, a nostro avviso
necessario, per eviden- ziare fasi differenti nella gestione epistemica del
ragionamento giu- diziale 97. La soglia di rilevanza penale di manifestazioni
espressive costitui- sce un tema in relazione al quale i rapporti fra
ermeneutica del fatto ed ermeneutica della norma appaiono fortemente compenetrati;
co- me osservato da Richard Abel: «gli sforzi giuridici per regolare
l’espressione sprofondano nell’inelimi- nabile ambiguità dei significati. Il
senso e la valenza morale dei sim- 95 Un’opera dedicata ex professo al rapporto
fra giudicante e interpretazione di elementi extragiuridici, e più in generale,
al tema del ruolo dei valori culturali quale fattore di influenza nelle
decisioni giudiziali, è lo studio di BIANCHI D’ESPINOSA-
CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio-culturali della giuri-
sprudenza, cit. 96 PULITANÒ, Nella fabbrica delle interpretazioni
penalistiche,a cura di Biscotti-Borsellino-Pocar-Pulitanò, La fabbrica delle
interpretazioni, Milano. Problema differente è se la distinzione fra
ermeneutica del fatto ed erme- neutica della norma sia meramente
concettualistica, finendo per restare assorbita nella spirale ermeneutica e
nell’intreccio tra fatto e diritto; sul tema, con diversità di accenti, v.
FIANDACA, Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, in ID., Il
diritto penale tra legge e giudice, Padova; DI GIOVINE O., L’in- terpretazione
nel diritto penale. Tra creatività e vincolo alla legge, Milano DONINI,
Disposizione e norma nell’ermeneutica penale, La fab- brica delle
interpretazioni; PULITANÒ, Nella fabbrica delle interpretazioni penalistiche;
PALAZZO, Testo e contesto. Fisionomia dell’offesa 173 boli variano radicalmente
a seconda di chi parla e di chi ascolta e pos- sono capovolgersi rapidamente,
perfino istantaneamente. Quando si ha a che fare con forme di espressione non
si pone tan- to un problema di conoscenza di fatti, quanto di selezione e
valuta- zione di elementi di contesto chiamati a definirne la dimensione di
significato: l’interpretazione di una manifestazione espressiva non si riduce a
un esame della lessicalità o a un riscontro oggettivo di gesti simbolici senza
tenere in considerazione la relazione intersoggettiva di base e il contesto di
sfondo. Lo studioso, ed eventualmente il giudice, si trovano alle prese con una
complessa ermeneutica finalizzata a concretizzare il volto del fatto punibile,
complementare rispetto all’ermeneutica della norma. Problemi simili sono emersi
con riferimento anche ad altri ambiti, ad esempio nell’interpretazione del
concetto di osceno in rapporto alla libertà di creazione artistica 100, in
relazione all’accertamento del- l’appartenenza culturale di un soggetto quale
eventuale causa di attenuazione della responsabilità101, e anche in relazione
all’interpretazione del gesto del bacio come condotta sessualmente pregnante
piuttosto che come approccio confidenziale e innocente. Come è stato osservato
in dottrina, la ricostruzione del fatto è probabilmente il momento più delicato
del procedimento interpretativo, avvinto in un intreccio col diritto che è
stato definito diabolico: l’interprete non è un semplice spettatore che importa
passiva- ABEL, La parola e il rispetto. FIANDACA, Problematica dell’osceno. FIANDACA,
Problematica dell’osceno. Una caso emblematico è la vicenda giudiziaria
relativa al film ‘Ultimo tango a Parigi’ di Bertolucci, oggi riassunta nel
volume di AA.VV., a cura di Massaro, Ultimo tango a Parigi quarant’anni dopo.
Osceno e comune sentimento del pudore tra arte cine- matografica, diritto e
processo penale, Roma; v. in particolare il saggio di MASSARO, Lo spettacolo
cinematografico osceno tra elementi elastici e difetto di determinatezza. DE
MAGLIE, I reati culturalmente motivati. In relazione a tale ultima questione si
è osservato come l’interpretazione del gesto non possa limitarsi a una statica
rispondenza con pattern comportamentali, ma richieda piuttosto una prospettiva
ermeneutica «incline a prendere in consi- derazione anche il contesto in cui il
contatto fisico si realizza e dunque la complessa dinamica intersoggettiva che
si sviluppa nell’ambito della situazioni coartanti, v. FIANDACA, Ermeneutica e
applicazione giudiziale. GIOVINE O., Considerazioni su interpretazione,
retorica e deontologia in di- ritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen. Tra
sentimenti ed eguale rispetto mente e acriticamente elementi della realtà
all’interno del proprio procedimento cognitivo, ma opera una selezione
determinata dalle peculiari modalità di apprendimento che caratterizzano in
modo dif- ferente ogni singolo individuo, sulla base di fattori che comprendono
il corredo neurobiologico, la dimensione delle esperienze personali, la matrice
culturale 104 e, piaccia o non piaccia, l’ideologia 105. In altri termini, il
giudicante non si limita a prendere atto di ele- menti di fatto, ma interpreta
i significati del fatto selezionando gli aspetti rilevanti per la decisione. In
fase applicativa tali questioni finiscono per restare assorbite, e non
sufficientemente distinte, dal piano strettamente giuridico, e si espongono in
questo senso a una gestione epistemica sulla quale in- combe il rischio di un
uso non adeguatamente sorvegliato di nozioni e di concetti che attengono al
piano socio-psicologico. In altri termini, sarebbe opportuno far sì che
determinate interpre- tazioni dei significati del fatto divenissero oggetto di analisi
ed even- tualmente di confutazione, «piuttosto che essere semplicemente fatte
passare per conoscenza generale o per ciò che i giudici ritengono esse- re, non
sempre correttamente, e non sempre indipendentemente dal 104 Per tutti, DI
GIOVINE O., L’interpretazione nel diritto penale. Per un’approfondita
riflessione, ancora attuale, sull’ideologia del giudice v. GRECO, Premessa,
Cfr. DE MAGLIE, I reati culturalmente motivati. Nel panorama italiano il
problema di una perizia relativa ai profili socio- culturali del fatto si è
posto, soprattutto in passato, con riferimento ai rapporti fra valore artistico
e oscenità, e ad oggi è discusso prevalentemente in relazione ai c.d. reati
‘culturalmente motivati’; in riferimento al tema della perizia artistica v. LUCIANI,
La nozione penalistica di “opera d’arte” di cui all’art. 529 c.p. Considera-
zioni di diritto sostanziale e processuale, a cura di Massaro, Ultimo tango a
Parigi. In relazione alla perizia culturale, oltre al citato studio di Cristina
de Maglie, va menzionato un ulteriore importante contributo proveniente
dall’ambito costituzionalistico nel quale viene tematizzata la necessità di un
avvaloramento epistemico del ragionamento giudiziale attra- verso
l’elaborazione un percorso volto a rendere tendenzialmente più oggettivo
l’accertamento di un conflitto culturale: v. RUGGIU, Il giudice antropologo.
Costitu- zione e tecniche di composizione dei conflitti multiculturali, Milano.
Sempre in tema di reati culturalmente motivati, con riferimento alla
valutazione della motivazione culturale, è frequente riscontrare nella
giurisprudenza di legittimità argomentazioni carenti e approssimative, sovente
esito di posizioni ideologiche pur benintenzionate ma nondimeno fortemente
discutibili: per un esempio v. Cass. pen., sez., con nota di FERLA, Il pugnale
dei Sikh tra esigenze di sicurezza e divieti normativo-culturali, in Giur. it. Fisionomia
dell’offesa loro retroterra culturale,
la saggezza comune dell’umanità» 108. Per tali ragioni ben si comprende che la
valutazione del margine di confine fra espressioni tollerabili ed espressioni
non consentite, anche ove sia tenuta a distanza dalla sensibilità della
vittima, finisca poi per essere esposta, e dipendere in larga misura, anche
dalla sen- sibilità dell’interprete, sia esso studioso teorico o applicatore di
even- tuali norme 109. Si tratta di un fattore problematico del quale va tenu-
to conto sia come chiave di lettura delle oscillazioni riscontrabili nel- la
casistica giurisprudenziale, sia quale elemento di riflessione in rapporto al
ruolo che i giudici assumono, o potrebbero assumere, nel farsi arbitri della
soglia di intervento penale 110. In relazione a un ulteriore profilo, sempre
legato alla ricerca di SCHAUER, Il ragionamento giuridico, tr. it., Bari.
Sottolinea con chiarezza TARUFFO, Senso comune, esperienza e scienza nel
ragionamento del giudice, in ID., Sui confini. Scritti sulla giustizia civile,
Bologna, che il ragionamento del giudice non è determinato da criteri o norme
di carattere giuri- dico, bensì, quando supera i confini di ciò che
convenzionalmente si intende per ‘diritto’, risulta impregnato anche del
cosiddetto ‘senso comune’. Da ciò la neces- sità che il giudice sia
«consapevole della frammentazione e della variabilità delle coordinate
conoscitive e valutative che ormai sono i tratti dominanti della società
attuale. In ambito penalistico, HASSEMER, Perché punire è necessario., osserva,
con realismo, che il giudice fa ricorso a teorie del senso comu- ne sia per
questioni inerenti al contenimento dei tempi del giudizio, ma anche perché il
suo ruolo deve restare comunque centrale rispetto ai pareri della scien- za;
nondimeno egli deve assumersi tale responsabilità epistemica: il giudice penale
ha il diritto e il dovere di apportare il suo sapere fattuale e di assumer-
sene la responsabilità. Da questa responsabilità non può liberarlo alcun pare-
re». Sul cosiddetto ‘senso comune’ v. Supra. Esempio emblematico di ermeneutica
del fatto impregnata di discutibili principi di psicologia del senso comune,
per lo più riflesso di precomprensioni del giudicante, sono le sentenze
relative alla vicenda del film ‘Ultimo tango a Parigi, Ultimo tango a Parigi.
Un’altra pronuncia, più recente, in cui risulta altamente opinabile
l’ermeneutica del fatto è Trib. Latina, riportata in SIRACUSANO, Vilipendio
religioso e satira: “nuove” incriminazioni e nuove soluzioni giurisprudenziali,
in Stato, Chiese e pluralismo confessionale; per una critica v. VISCONTI C.,
Aspetti penalistici. Il fenomeno è evidente soprattutto in quelle disposizioni
che hanno un’importanza politica, che regolano cioè, in senso lato i rapporti
fra lo Stato e i cittadini, e che – naturalmente – consentano più di
un’interpretazione. E, nella possibilità di una duplice interpretazione, l’una
e l’altra certamente, per così dire, politica, può stabilirsi, attraverso
l’esame di una decisione, l’indirizzo ideo- logico del giudice», v. BIANCHI
D’ESPINOSA, Introduzione, in BIANCHI D’ESPINOSA-
CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio-culturali della giurisprudenza.
Tra sentimenti ed eguale rispetto una soglia oggettiva di tollerabilità delle
forme di espressione e, più in generale riferibile alle norme che richiamino,
implicitamente o espressamente, fatti di sentimento, è stato condivisibilmente
osserva- to in dottrina che quando vengono in gioco interessi di tutela assimi-
labili in tutto o in parte a sentimenti la tipicità diviene prevalente- mente
valutativa, rimettendo al giudice bilanciamenti che, teorica- mente, il diritto
avrebbe dovuto cristallizzare in astratto 111. Un caso emblematico è l’onore
personale, in relazione al quale si è osservato come esso non si presti a una
predeterminazione esaustiva, ma sia in definitiva co-determinato dall’incidenza
che i diritti costituzionalmente rilevanti esercitano nel determinarne i limiti
di estensione. Si è parlato di una ‘tipicità on balance’ «nel senso che la
figura criminosa in questione, lungi dall’essere ricostruita una volta per tut-
te in modo stabile e definitivo assume una fisionomia variabile che dipende
dalle caratteristiche del caso concreto. In altri termini, un intreccio
simbiotico tra fatto e antigiuridicità, alla luce del quale non è appropriato
parlare di un giudizio di tipicità del tutto indipendente dalla eventuale
sussistenza di cause di giustificazione, con la conse- guenza che le operazioni
di bilanciamento sottese al momento giusti- ficativo finiscono per avere una
funzione indispensabile al fine di integrare la tipicità stessa. Fattispecie
così strutturate, prive cioè di una dimensione lesiva compiutamente
apprezzabile in sede di tipicità, scaricano sul momento applicativo la
definizione di requisiti strutturali, imponendo in via surrogatoria al giudice
di tracciare autonomamente i confini dell’illi- ceità attraverso tecniche di
bilanciamento a vocazione “tipologica. GIUNTA, Verso un rinnovato romanticismo
penale? TESAURO, La diffamazione. TESAURO, La diffamazione. TESAURO, La
diffamazione. TESAURO, La diffamazione. Oltre a tale profilo, e alle connesse
implicazioni di teoria del reato, un simile intreccio fra tipicità e
giustificazione rappresenta a nostro avviso la conferma che l’interpretazione
dei conflitti in tema di libertà di espressione si sottrae a una logica
binaria, tale per cui o vi è offesa o vi è esercizio di libertà; si tratta di
un ambito dominato da situazioni in cui il con- fine tra lecito e lecito non
solo non appare predeterminabile in chiave di tipicità astratta, ma è poroso,
labile. Si è osservato che uno dei limiti della giurispruden- za italiana sul
vilipendio alla religione è quello di adottare, con discutibili percor- si
argomentativi, un’impostazione secondo la quale l’operatività della scriminante
dell’esercizio di un diritto rappresenta un’alternativa che si pone in rapporti
dico- Fisionomia dell’offesa L’incardinamento dei bilanciamenti
sottesi alla giustificazione fra le trame di una tipicità ‘di matrice
giudiziale’, se da un lato può ac- crescere il potenziale di discrezionalità
degli applicatori, dall’altra parte produce l’effetto di concepire il fatto
tipico come struttura in fieri, aperta alla presa in carico di problemi e di
istanze sociali che trovano voce attraverso le cause di giustificazione 116,
ricollocandone il raggio d’azione non semplicemente come elementi tali da
neutra- lizzare una precedente offensività, ma come fattori che influiscono sul
disvalore del fatto in concreto. In questo senso si potrebbe ipotizzare che
l’intreccio fra tipicità e giustificazione finisca per assegnare alle
scriminanti un ruolo di ‘re- spiro’ della fattispecie astratta simile a quello
svolto dagli elementi normativi di matrice culturale. Le norme limitative della
libertà di espressione appaiono in questo senso ‘a geometria variabile’117,
ossia modellate su bilanciamenti che risentono dei mutamenti dei costumi e
delle soglie di tollerabilità so- ciale, non fissabili aprioristicamente ma da
determinarsi in relazione a un quadro di contingenze storiche e culturali. A
conferma del fatto che non si possono affrontare tali questioni senza una
chiara messa a fuo- co del contesto che fa da sfondo alle espressioni, ai mondi
morali a confronto e alle contingenze storico-politiche: «[l]a apparentemente
distaccata, analisi di diritto positivo su libertà di parola e repressione
penale è [...] insidiata e talora travolta dal calore dell’urgenza della realtà
così com’è, e quindi dal confronto politico tout court» 118. tomici con
eventuali interessi concorrenti; in questo modo la ricognizione dei conflitti
finisce per adagiarsi su una logica binaria, trascurando, o negando, che ciò
che rende legittimo l’esercizio di una libertà o di una eventuale limitazione
non è la radicale inconfigurabilità di un eventuale controinteresse, ma si
tratta invece di un giudizio legato a contingenze del caso concreto e a criteri
di oppor- tunità della sanzione; v. VISCONTI Aspetti penalistici.Come osservato
da Donini, il mondo dei diritti riflesso nelle cause di giustificazione
riguarda la continua evoluzione della società civile una varietà ed evoluzione
che sottostà all’apparente staticità delle incriminazioni e produce a volte
nuove fattispecie di reato create in via legislativa, ma è capace di bilanciare
tali diritti anche dentro e contro le vecchie incriminazioni, le quali non
sanno darci un’immagine della società se non attraverso il mondo dei diritti,
che cambiano il vero contenuto dei beni protetti dal codice penale, anche se
questo può restare apparentemente invariato per decenni, v. DONINI, Critica
dell’antigiuridicità e collaudo processuale delle categorie. I bilanciamenti
d’interessi dentro e oltre la giustificazione del reato, in Riv. it. dir. proc.
pen. Traggo l’espressione da PULITANÒ, Diritto penale, VII ed., cit., p. 126,
il quale la usa per definire gli elementi normativi di valutazione
culturale. 118 VISCONTI C., Aspetti penalisticiTra sentimenti ed eguale
rispetto SEZIONE II Alla prova dei fatti: blasfemia e propaganda razzista Non
ho niente contro Dio, è il suo fan club che mi spaventa WOODY ALLEN SOMMARIO:
6. Illegittimità o tollerabilità delle restrizioni penalistiche al discorso
pubblico? Il dibattito sui rapporti fra libertà di espressione e sensibilità
religiosa. L’ambiguità dell’art. c.p. Le vignette di Charlie Hebdo: diritto di
offendere o offesa tollerabile? Le norme
sulla propaganda razzista in Italia: quale spazio a sentimenti? Il discorso
razzista fra estremismo politico e insulto discriminatorio. Sinossi.
Illegittimità o tollerabilità delle restrizioni penalistiche al discorso
pubblico? Il tema della potenziale dannosità a livello sociale di determinati
contenuti espressivi chiama in causa l’orizzonte comunicativo del di- scorso
pubblico, il quale per definizione caratterizza il livello di liber- tà e di
apertura della democrazia in rapporto al pluralismo delle idee e ai margini di
tolleranza e di repressione del dissenso. Si tratta dell’area in cui la
legittimazione di eventuali restrizioni normative è più problematica: offese
circoscrivibili alla dialettica fra persone fisiche possono essere ricomprese
nella tutela dell’onore in- L’oggetto della libertà di espressione è il
discorso. Non qualsiasi tipo di di- scorso, bensì il discorso pubblico.
L’esercizio della libertà di espressione ha una vocazione di pubblicità, di
trascendenza nella sfera pubblica. La libertà di espressione è, in questa
misura, il requisito fondamentale della comunicazione politica in democrazia»,
v. ROIG., Libertà di espressione, cit., p. 36. Sull’etica del discorso pubblico
come strumento volto alla realizzazione, e non solo all’affermazione, di
valori, v. VIOLA, La via europea della ragione pubblica, in AA.VV., a cura di
Trujillo- Viola, Identità, diritti, ragione pubblica in Europa, Bologna. Fisionomia
dell’offesa 179 dividuale120, eventualmente come condotte qualificate da
contenuti tali da aggravare la responsabilità, situandosi in un’area di
crimina- lizzazione che, per quanto problematica 121, non è mai stata messa se-
riamente in discussione dal punto di vista della legittimità costitu- zionale
122. Maggiori criticità si addensano su altre fattispecie tese a incrimi- nare
manifestazioni del pensiero, in primo luogo la propaganda raz- zista di cui
all’art. 3 comma 1, lett. a, della legge n. 654 (introdotto dalla c.d. Legge
Mancino, cronologicamente successiva): non atti di istigazione alla
discriminazione o alla violenza 123, ma pa- L’ambito applicativo della
fattispecie di cui all’art. 595 c.p. (diffamazione semplice) non si estende,
secondo giurisprudenza costante, a offese rivolte a col- lettività, anche se
circoscritte, di persone. Per una panoramica della giurispru- denza della Corte
Edu e della giurisprudenza italiana v. CUCCIA, Libertà di espres- sione e
identità collettive, Torino; Nella giurisprudenza italiana, v. Cass. pen., sez.
V, 04/04/2017, n. 16612; cfr. Cass. pen., sez. V, 09/12/2014, n. 51096; più
datata è Cass. pen., sez., in Giur. it., con nota di LARICCIA, Sulla tutela
penale delle confessioni religiose acattoliche; in senso favorevole, v. Cass.
pen, sez. V, 16/01/1986, in Dir. inf., Per una sintesi del problema v. LA ROSA,
Onore, sentimento religioso e libertà di ricerca scientifica, nota a Trib.
Mondovì, 22 febbraio 2007, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Da
ultimo, FIANDACA, Sul bene giuridico. Si veda C. cost., n. 86/1974. Cfr.
ROMANO, Legislazione penale e tutela della per- sona umana (Contributo alla
revisione del Titolo del codice penale), in Riv. it. dir. proc. pen., 1/1989,
p. 61; SIRACUSANO, Problemi e prospettive della tutela penale dell’onore, Verso
un nuovo codice penale, Milano; DONINI, Ana- tomia dogmatica del duello.
L’onore dal gentiluomo al colletto bianco, in Indice pena- le, 2000, pp. 1080
ss.; per una sintesi, nel quadro di una posizione non radicalmente
abolizionista ma tesa a limitare l’intervento penale a offese particolarmente
gravi (attribuzione di fatti non corrispondenti a verità in contesti comunicativi
estesi a più persone), v. GULLO, Diffamazione e legittimazione dell’intervento
penale. Fra i costituzionalisti v. PUGIOTTO, Le parole sono pietre?, cit., p.
15; MANETTI, Libertà di pensiero e tutela delle identità religiose.
Introduzione ad un’analisi comparata, in Quad. di diritto e politica
ecclesiastica, 1/2008, p. 46. La legittimità del- la tutela dell’onore
individuale non è messa in discussione dalla Corte Edu, la quale si è limitata,
fino ad oggi, a rilevare gli eccessi della risposta penale dell’ordina- mento
italiano, in quanto, secondo la Corte Edu, non dovrebbe essere prevista, sal-
vo casi eccezionali, la sottoposizione a pena detentiva; v. per tutte, Corte
eur. dir. uomo, Sez. II, sent. 24/09/2913, Belpietro c. Italia, ric. n. 42612/10;
per una sintesi del problema e per un’analisi della giurisprudenza italiana più
recente sul tema del trattamento sanzionatorio della diffamazione v. GULLO,
Diffamazione e pena detenti- va, in www.penalecontemporaneo.it, 3/2016, pp. 1
ss. 123 Incriminati ai sensi dell’art. 3 della legge n. 654/1975 lett. seconda
parte –, e lett. Tra sentimenti ed eguale rispetto role e discorsi che possono
costituirne un volano. Secondariamente, vengono in gioco le residue ipotesi di
vilipendio alla religione, soprattutto l’art. 403 c.p., il quale si presenta
nelle fogge di un’offesa al- l’onore personale ma sembra assumere nelle
applicazioni giurispru- denziali un ruolo dai contorni più ampi. È soprattutto
con riguardo a tali tipologie di incriminazione che oggi la dottrina
penalistica fa ricorso al lessico dei sentimenti per sot- tolineare in chiave
critica un’asserita impalpabilità del substrato dell’offesa: valga, come
sintesi, il rilievo di Tesauro il quale si chiede se tramite l’incriminazione
della propaganda razzista non si finisca per tutelare emozioni collettive (di
scandalo, imbarazzo, disgusto, inquietudine o paura), e se, dunque, non
assomigli molto da vicino alla tutela penale di un sentimento a cavallo tra
solidarietà e allarme sociale. Insomma, un impasto a metà strada fra sentimenti
individuali di umiliazio- ne pubblica, reputazione di gruppo, uguaglianza
formale senza distinzioni di razza, ordine pubblico ideale, universalismo
morale anti-discriminazione. È plausibile ritenere che dietro tale norma vi
siano anche, in buo- na parte, input che promanano da un disagio socialmente
diffuso di fronte al fenomeno razzista, e che dunque la norma in un certo senso
finisca per assumere anche la funzione di tutela di un sentire democratico. Tale
rilievo, per quanto difficilmente confutabile, non sembra però sufficiente a
chiudere il discorso sulla legittimazione. Al di là delle indiscutibili
criticità, è lo stesso Tesauro a riconoscere che la que- stione non va
declinata in termini meramente concettualistici ma è «irriducibilmente
etico-politica e dagli esiti altamente controvertibili e resta aperta a opposte
soluzioni che convogliano giudizi di valore, preferenze culturali e scelte di
politica criminale. TESAURO, La propaganda razzista; si veda anche SPENA,
Libertà di espressione e reati di opinione. L’analisi destrutturante di Tesauro
evidenzia inoltre come il ricorso al cor- rettivo ermeneutico del pericolo
concreto non appaia sufficiente a contenere l’ambito di applicazione della
disposizione entro una ragionevole area di oggettività, v. TESAURO, Riflessioni
in tema di dignità umana. TESAURO, La propaganda razzista. Nella dottrina
statunitense si è osservato criticamente che i discorsi a favore o contro il
disvalore degli hate crimes sono affetti da un elevato grado di concettualismo,
poiché, attraverso la ricerca di un danno oggettivo riconducibile all’odio,
cercano di rendere meno Fisionomia dell’offesa È una questione
politicamente e costituzionalmente aperta, non archiviabile frettolosamente
dietro l’invocazione, pur benintenziona- ta, dell’art. 21 Cost.: sono in gioco
valori costitutivi della democrazia costituzionale, la cui protezione ha
importanza rilevante anche (non solo) da un punto di vista simbolico. Il
problema di un equilibrio con la libertà di espressione finisce per scaricarsi
sul momento applicativo, alla ricerca di una ragionevolezza con mitezza
attenuata, secondo una formula che è stata adoperata per indicare che il
bilanciamento costituzionale fra valori confliggenti, e l’eventuale sacrificio
di uno di essi (questo il senso della ‘non mitezza’), devono essere comunque
accompagnati da ragionevolezza 128. Previsioni incriminatrici ‘non illegittime’
come quelle che l’ordina- mento italiano annovera nella legge Mancino
necessitano di un regime di sorveglianza speciale: la loro tollerabilità è
legata al grado di ragionevolezza applicativa. Un problema di qualità delle
decisioni giudiziali, i cui esiti di giustizia non possono darsi per scontati:
il ri- spetto del principio costituzionale della libertà di espressione
richiede che le interpretazioni e le applicazioni siano fortemente selettive,
calibrate su criteri fra i quali deve a nostro avviso essere tenuta ben
presente, quantomeno a livello concettuale, la necessità di distingue- re tra
espressioni che offendono la mera sensibilità ed espressioni che veicolano
contenuti di umiliazione. Tale delega alla phronresis giudiziale è motivata
dalla constatazione, a nostro avviso, di una non eliminabilità dall’ordinamento
di fattispecie pur discutibili come quelle che incriminano la propaganda
razzista: troppo forte la risonanza etica e la consustanzialità dei beni in
gioco in rapporto ai valori che la democrazia riconosce come proprio
fondamento. evidente il portato assiologico della scelta di politica del
diritto al fine di restare coerenti con un liberalismo asseritamente neutrale:
v. KAHAN, Two Liberal Falla- cies in the Hate Crimes Debate, in 20 Law and
Philosophy. Si veda anche WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il
mante- nimento di orientamenti sociali di carattere assiologico?, secondo il
quale rappresentazioni di valore e convinzioni possono essere considerati come
legittimi beni da proteggere nel caso in cui la loro lesione metta in
discussione l’«intesa sociale-normativa dominante. Traggo l’espressione da
SALAZAR, I destini incrociati della libertà di espres- sione e della libertà di
religione: conflitti e sinergie attraverso il prisma del principio di laicità,
in Quad. di diritto e politica ecclesiastica, la quale sottoli- nea che il
bilanciamento fra valori costituzionali potrebbe portare al sacrificio di uno
di essi, non ‘mite’ dunque, ma pur sempre (necessariamente) ragionevole; vi può
essere ragionevolezza senza mitezza, ma non mitezza senza
ragionevolezza. Tra sentimenti ed eguale rispetto Non si tratta però di un
assunto risolutivo, bensì di un fattore che rende ancora più complesso il gioco
di equilibri e che, soprattutto, responsabilizza la figura del giudicante quale
anello ultimo e decisivo di una ‘catena della ragionevolezza’129 necessaria per
affrontare il problema di limiti alla libertà di espressione. A risultare
determinanti saranno doti di sensibilità culturale e ca- pacità interpretativa
dei fenomeni da parte del giudice, nel quadro di una sapienza non ‘algoritmica’
130 bensì auspicabilmente vicina a una saggezza pratica. È tutt’altro che
scontato, e sarebbe ingenuo pensare, che tali doti risiedano in misura
sufficiente nella totalità dei giudici, ma sarebbe forse altrettanto frettoloso
dare per scontato che non vi siano margini per una intelligente e ‘non
intollerabile’ gestione dell’arsenale penali- stico in materia di libertà di
espressione. Il problema è aperto, e sollecita l’intero mondo della cultura
giuridica a meditare su percorsi di studio e di formazione funzionali a dare ai
soggetti giudicanti gli strumenti per un’attenta lettura delle vicende e dei
contesti fattuali, non semplicemente delle norme 131. Nel prosieguo compiremo
una sintetica disamina di alcuni recenti sviluppi giurisprudenziali in
relazione alla tutela del sentimento reli- gioso e alla normativa sulla
discriminazione razziale. Il tema del discorso razzista rappresenta la palestra
concettuale più significativa per verificare la tenuta della distinzione fra
critica e discriminazione. 129 Sul tema della ragionevolezza nel diritto penale
v. per tutti PULITANÒ, Ragionevolezza e diritto penale, Napoli, ZAGREBELSKY, Su
tre aspetti della ragionevolezza, in Il principio di ragionevolezza nella
giurisprudenza della Corte costituzionale. Riferimenti comparatistici, in Atti
del Seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, Milano. Osserva
FIANDACA, Il giudice tra giustizia e democrazia nella società complessa, in
ID., Il diritto penale tra legge e giudice, che sarebbe necessario un
affinamento culturale nella preparazione dei magistrati, attraverso uno studio
specifico delle logiche del ragionamento giudiziale e di altri aspetti che
regolano il giudizio di fatto oltre che il giudizio di diritto. Istanze che
vengono rimarcate da VINCENTI, Diritto e menzogna. La questione della giustizia
in Italia, Roma, quando descrive criticamente il giudice contemporaneo come
«funzionario o burocrate, vittorioso in un concorso a cui segue una
progressione in carriera pressoché automatica, formatosi su di una letteratura
accademica di stampo ma- nualistico, spesso obsoleta e comunque aliena dal
ricercare il perché delle regole, abituato a ragionar per massime, naturalmente
assai poco curioso di andare oltre le rappresentazioni istituzionali e poco
propenso ad assumere il dubbio metodico quale cifra del proprio agire.
Fisionomia dell’offesa Quanto alla residua fattispecie di vilipendio di
cui all’art. 403 c.p., non si richiede che le espressioni siano
discriminatorie; lo schema tipico rimane quello della condotta di insulto, del
tenere a vile. Nondimeno, si pone l’esigenza di distinguere tra offese al
patrimonio ideale delle confessioni, plausibilmente foriere di affronti alla
sensibi- lità dei credenti ma che oggi dovrebbero considerarsi penalmente ir-
rilevanti, da offese all’onore della persona. Iniziamo dai rapporti fra
religione e libertà di espressione con particolare riferimento alla satira, per
sondare alcuni recenti ap- prodi giurisprudenziali nel contesto italiano e per
dedicare una ri- flessione al caso delle pubblicazioni del settimanale francese
Charlie Hebdo, al centro dell’attenzione dopo i tragici episodi. Il dibattito
sui rapporti fra libertà di espressione e sensibili- tà religiosa In nome di
sentimenti religiosi è stato di recente versato del san- gue; l’esercizio di
una libertà che è cifra simbolica dell’occidente libe- rale ha attivato spirali
di violenza e generato un clima di terrore al cospetto del quale la riflessione
sui modi d’uso della libertà non può abbandonarsi a cliché morali, pur
benintenzionati, o a ingenui ireni- smi. Su un piano fattuale non sembra
esservi ragione più immediata e plausibile della suscettibilità emotiva per dar
conto delle conflittuali- tà emerse; se pure nella prospettiva penalistica i
sentimenti possono difettare di tassatività, dall’altro lato, essi sono però in
grado di pro- durre conseguenze ben visibili, a conferma della loro rilevanza
indi- viduale e sociale. 132 PROSDOCIMI, voce Vilipendio (reati di), in
Enciclopedia del diritto, Milano. Sul vilipendio religioso v. MORMANDO, I
delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti, in
Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da Marinucci-Dolcini, vol.
V, Padova, 2005, pp. 148 ss.; ID., «Lai- cità penale» e determinatezza.
Contenuti e limiti del vilipendio, in AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi
in onore di Giorgio Marinucci, vol. III, Milano. Per un’accurata e ben
documentata silloge di episodi in cui sono emersi at- triti fra satira e
religione v. RUOZZI, Piccolo manuale di blasfemia audiovisiva. Dal Mistero
Buffo televisivo a Southpark, in AA.VV., a cura di Melloni-Cadeddu- Meloni,
Blasfemia, diritti e libertà. Tra sentimenti ed eguale rispetto Il traumatico
ritorno in scena della sensibilità, o forse, più pro- priamente, della
suscettibilità religiosa nel contesto occidentale costituisce un attacco
frontale alla libertà di espressione per mano di for- ze che hanno usato il
linguaggio della violenza e dell’annientamento dell’altro. A prescindere da
quello che sia il giudizio sul merito delle rappre- sentazioni satiriche danesi
e di Charlie Hebdo, va detto in premessa che le reazioni suscitate «non possono
essere assunte a parametro di un “sentimento religioso” rilevante per il nostro
ordinamento. Proprio le caratteristiche che ne fondano il forte e preoccupante
rilievo politico, sullo sfondo di un te- muto “scontro di civiltà”, e
sollecitano adeguate valutazioni e risposte politiche, impongono di tenere
ferma la valutazione di estraneità e per così dire irricevibilità giuridica. Il
sentimento religioso, che può porre un problema di tutela, non può essere
misurato sulle fatwe né su vio- lenze aizzate politicamente in altri paesi»
134. L’agire violento esclude ogni prospettiva di considerazione giuri- dica
per le istanze avanzate; resta tuttavia in piedi l’interrogativo su come sia
più ragionevole oggi configurare una tutela del sentimento religioso ‘a misura
liberale’. Uno dei nodi di fondo si identifica nell’al- ternativa fra tutela
della/e religioni e tutela delle persone che profes- sano una religione 135: se
la prima ipotesi rappresenta un retaggio del passato incompatibile con i
principi del pluralismo assiologico e di laicità136, la seconda è aperta a
diverse declinazioni. Riorientare la tutela sulla persona del credente esclude
la prospettiva del bene di civiltà; meno scontato è l’approdo ultimo. Vediamo
in che termini la distinzione fra tutela della confessione e della persona del
credente entra oggi in gioco nel panorama appli- cativo dell’ordinamento
italiano. 134 PULITANÒ, Laicità e diritto penale. Cfr. FERRARI, La blasfemia in
Europa, dalla tutela di Dio alla tutela dei credenti, in resetdoc.org,;
CIANITTO, Libertà di espressione liber- tà di religione: un conflitto
apparente?, a cura di Melloni-Cadeddu- Meloni, Blasfemia, diritti e libertà. Cfr.
CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà religiosa, Ex plurimis, PALAZZO,
La tutela della religione tra eguaglianza e secolarizzazione. Fisionomia
dell’offesa L’ambiguità dell’art. 403 c.p. La distinzione tra offesa alle
credenze e offesa alla persona trova un punto di riferimento nell’art. 403 c.p.
La fattispecie costituisce, in- sieme all’art. 404 c.p., un residuo delle
ipotesi di vilipendio origina- riamente previste, fra le quali l’art. 402 c.p.
(dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza) costituiva la norma
più emblematica e dai risvolti più critici. Davvero il vilipendio alla
religione può dirsi decriminalizzato sul piano della sostanza? L’art. 403 c.p.
e l’art. 404 c.p. ne recuperano in parte l’eredità residua, circoscrivendo le
ipotesi di rilevanza penale a una casistica più definita (quantomeno
formalmente) di azioni le quali dovrebbero avere a oggetto le persone che
professano una religione o cose destinate al culto 140. Dopo la caduta
dell’art. 402 c.p., è l’offesa alla persona che potrebbe rendere legittima una
restrizione alla libertà di manifestazione del pensiero, lasciando fuori
dall’area di intervento le forme di critica al patrimonio ideale di una confes-
sione. In realtà l’art. c.p. appare caratterizzato da una formulazione non
particolarmente felice, la quale persiste nella rubrica e nel te- 138
L’incriminazione del vilipendio della religione cattolica è caduta sotto la
scure della Consulta non per contrasto con l’art. 21 Cost., bensì per
violazione degli artt. 3 e 8 Cost., in linea con un trend interpretativo che
non ha mai asseconda- to le pochissime richieste di illegittimità dei vilipendi
alla religione per violazione dell’art. 21 Cost. Risulta solo un ordinanza, la
n. 479/1989, nella quale è stata sol- levata questione di legittimità
costituzionale dell’art. 403 c.p. per contrasto anche con l’art. 21. In quel
caso la declaratoria della Corte è stata la manifesta inammis- sibilità per la
non pertinenza della questione rispetto al giudizio in corso, senza alcuna
riflessione sul merito dei rapporti tra l’art. 403 c.p. e l’art. 21 Cost. Per
una panoramica della giurisprudenza costituzionale sull’art. 402 c.p., v.
SALAZAR, I «destini incrociati» della libertà di espressione. Sembra aderire a
un recupero pressoché pieno della portata dell’art. c.p. FALCINELLI, Il valore
penale del sentimento religioso, la quale, adesiva- mente alla giurisprudenza,
osserva che il vilipendio generico a una confessione religiosa, anche in assenza
del riferimento a persone determinate, possa rientrare nell’art. 403 c.p., e
che anche l’offesa a simboli, come ad esempio il crocifisso, possa assumere
rilevanza penale ai sensi della medesima disposizione. Di diverso avviso
PULITANÒ, Laicità, multiculturalismo, diritto penale, in AA.VV., a cura di
Risica- to-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali,
cit., pp. 245 s. 140 Le condotte descritte dalle fattispecie non sono del tutto
simmetriche: nel caso dell’art. 403 c.p. il vilipendio esprime la modalità di
lesione, mentre nell’art. 404 c.p. è l’offesa alla confessione religiosa a
costituire l’evento strumentale alla realizzazione del vilipendio a cose che
formino oggetto di culto. Tra sentimenti ed eguale rispetto sto141 a
riconoscere la centralità del vilipendio alla confessione reli- giosa 142,
relegando in una posizione strumentale l’offesa a chi la pro- fessa: «l’offesa
alla religione resta il criterio ermeneutico essenziale del settore. Non sono
mancate applicazioni in cui la Corte di Cassazione ha optato per un approccio repressivo,
sostenendo che ai fini dell’inte- grazione dell’art. 403 c.p. sia sufficiente
che le espressioni di vilipen- dio siano genericamente riferite alla indistinta
generalità dei fedeli «tutelando la norma il sentimento religioso e non la
persona (fisica o giuridica) offesa in quanto appartenente ad una determinata
confes- sione religiosa» 144. Tale pronuncia si esprime con nettezza a favore
di un’interpretazione impersonale del vilipendio; sentenze successive, pur
senza la medesima univocità, ne hanno ricalcato gli itinerari
logico-argomentativi, rivelando nel complesso un’adesione (inconscia?)
all’impostazione del defunto art. 402 c.p. In un caso un soggetto è stato
condannato per aver esposto «nel centro di Milano un trittico da lui realizzato
– tre fotocopie in bianco e nero, stampate su tela – raffigurante,
rispettivamente, il Pontefice in carica, un pene con testicoli e il segretario
personale del Pontefice, con la didascalia, Chi di voi non è culo scagli la
prima pietra. E anche nel regime della perseguibilità, prevista d’ufficio, la
quale enfatizza la dimensione istituzionale dell’interesse protetto. 142 Un
problema ben noto alla dottrina penalistica già negli anni Settanta; per
un’approfondita critica agli orientamenti giurisprudenziali che operavano una
sostanziale commistione fra artt. 402 e 403 c.p., applicando quest’ultimo anche
a casi di offesa impersonale a contenuti di fede v. PULITANÒ, Spunti critici. MORMANDO,
I delitti contro il sentimento religioso; sulla stessa li- nea di pensiero v.
FLORIS, Libertà di religione; MANETTI, Libertà di pen- siero e tutela delle
identità religiose, cit., p. 65; PACILLO, I delitti contro le confessioni
religiose, cit., pp. 39 ss. Cfr. ROMANO, Principio di laicità dello Stato,
cit., p. 214: «il fatto vietato e punito resta il vilipendio delle religioni».
Viene fatto notare come il trattamento sanzionatorio più grave per il
vilipendio del ministro di culto con- fermi l’orientamento della tutela verso
l’assetto istituzionale delle confessioni re- ligiose, così SIRACUSANO,
Pluralismo e secolarizzazione dei valori. La di- sposizione è dunque ambigua e
si presta a usi discutibili; in dottrina si è rilevato che per salvarla sul
piano della legittimità costituzionale occorrerebbe prendere sul serio la
direzione personale del vilipendio e il legame da accertarsi in concreto, non
in via presuntiva, del vilipendio alla confessione con l’offesa alla persona,
v. PULITANÒ, Laicità e diritto penale, cit., p. 313; cfr. SERENI, Sulla tutela
penale della libertà religiosa, Cass. pen., sez. Cass. pen., sez. Fisionomia
dell’offesa 187 In un secondo episodio vi è stata condanna per aver esposto un
cartellone raffigurante sullo sfondo una sagoma costituita dall’im- magine del
Pontefice in carica, e, in primo piano, un bersaglio costituito da una serie di
cerchi concentrici con l’indicazione di punteggi vari, riportante in calce la
scritta: «1.000 punti, caramelle, preservati- vi, vino e ostie sconsacrate se
centri quel buco di culo da cui quoti- dianamente vomita fiumi di merda» 146.
La Corte di Cassazione sembra riproporre la teoria dei limiti logici, quando
afferma che in materia religiosa la critica è lecita quando – sulla base di
dati o di rilievi già in precedenza raccolti o enunciati – si traduca nella
espres- sione motivata e consapevole di un apprezzamento diverso e talora
antitetico, risultante da una indagine condotta, con serenità di meto- do, da
persona fornita delle necessarie attitudini e di adeguata preparazione: mentre
trasmoda in vilipendio quando – attraverso un giudi- zio sommario e gratuito –
manifesti un atteggiamento di disprezzo verso la religione, disconoscendo alla
istituzione e alle sue essenziali componenti (dogmi e riti) le ragioni di
valore e di pregio ad essa rico- nosciute dalla comunità. In entrambi i casi
menzionati la rilevanza penale delle condotte non appare in discussione; si
pone però la questione se l’offesa sia da considerarsi rivolta alla persona del
Pontefice o piuttosto al ruolo istituzionale e dunque al legame con un certo tipo
di opinioni espres- se dall’istituzione ecclesiastica in tema di etica
sessuale; l’integrazione della diffamazione appare pacifica, meno scontato è il
vilipen- dio alla religione ex art. 403 c.p. Secondo la lettura proposta dalla
Corte tale fattispecie non sem- brerebbe configurarsi come delitto contro
l’onore e la dignità della persona, ma assumerebbe piuttosto le vesti di un
mero surrogato del vecchio vilipendio ex art. 402 c.p., orientato alla tutela
di un interesse affine al bene di civiltà. In occasione della condanna per il trittico
146 Cass. pen., sez. Per una ricostruzione del panorama giurisprudenziale sul
punto v. SIRACU- SANO, I delitti in materia di religione; PACILLO, I delitti
contro le con- fessioni religiose, cit., pp. 111 ss.; in termini generali,
sulla teoria dei limiti logici v. CARUSO, Tecniche argomentative della Corte
costituzionale e libertà di manifesta- zione del pensiero, in
forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/-
pdf/documenti_forum/paper/0360_caruso. Cass. pen., sez. III, 07/04/2015, n.
41044. 149 Cfr. SIRACUSANO, Vilipendio religioso e satira. Tra sentimenti ed
eguale rispetto raffigurante il Pontefice, la Cassazione ha osservato che: «ai
fini della configurabilità del reato, non occorre che le espressioni offensive
siano rivolte a fedeli ben determinati, ma è sufficiente che le stesse siano genericamente
riferibili alla indistinta generalità degli aderenti alla confessione religiosa.
Perciò il vilipendio di una reli- gione, tanto più se posto in essere
attraverso il vilipendio di coloro che la professano o di un ministro del culto
rispettivo, come nell’ipotesi dell’art. 403 cod. pen., che qui interessa,
legittimamente può limitare l’ambito di operatività dell’art. 21» 150. Si
tratta di un orientamento che inverte il rapporto tra offesa alla persona e
offesa al credo: la religione non appare come elemento qualificante l’offesa
alla persona ma è il bene ultimo di un’incrimi- nazione che concepisce l’offesa
individuale in termini strumentali ed episodici. Appare in questo senso
avvalorata la tesi di chi ha individuato l’interesse protetto dalle nuove
norme, post riforma, in un bene «a carattere superindividuale, la cui
“consistenza” si gioca prevalentemente sul piano ideale, così come sul medesimo
piano si pone la condotta espressiva ritenuta lesiva del bene protetto. Possiamo
in definitiva affermare che l’offesa alla persona del credente resti ancora
oggi marginale, pur in presenza di una disposizione che, nel suo tenore
formale, si presenta come un delitto contro l’onore qualificato dallo status
della persona offesa, ma che di fatto 150 Cass. pen., sez. VISCONTI C., Aspetti
penalistici; cfr. PELISSERO, La parola perico- losa. Il confine incerto del
controllo penale del dissenso, in Questione giustizia. Nel complesso si rimane
ancorati a un sistema che differenzia tra forme di religiosità classiche e
forme di religiosità diversa o c.d. negativa. Il legislatore conferma un favor
verso manifestazioni della spiritualità ancora- te a un’ottica tradizionale che
si identifica nelle forme di organizzazione delle religioni; sul punto gli
orientamenti nella dottrina divergono: da un lato SIRACUSA- NO, Pluralismo e
secolarizzazione dei valori, rileva che
«siamo ben lontani dall’unica possibile prospettiva di tutela nello Stato
laico: quella che si fonda su una considerazione paritaria di tutte le opzioni
individuali in materia di fede, quindi anche delle opzioni agnostiche ed atee»;
diversa è l’opinione di ROMANO, Principio di laicità dello Stato, il quale
riconosce il completo silenzio serbato dal legislatore «su forme di
agnosticismo o di ateismo attivo, prati- cato con personali accenti di
doverosità morale», concludendo tuttavia che esso «non porterebbe ad alcuna
“discriminazione ideologica perché per eventuali offese arrecate a forme
associative ispirate a pur radicate convinzioni areligiose o agnostiche non è
parso seriamente evocabile, nella situazione del nostro Paese, un qualsiasi
rischio per la tranquillità». Fisionomia dell’offesa 189 guarda più
alla matrice dello status che a colui che ne è il rappresentante: la tutela di
un’asserita sensibilità collettiva, legata all’offesa del patrimonio ideale di
una confessione, costituisce ancora oggi il punto di riferimento principale
152. La casistica esaminata appare tutto sommato non particolar- mente problematica,
quantomeno sul piano della rilevanza penale: vi è il coinvolgimento di soggetti
concretamente individuabili, e a fronte di espressioni ingiuriose resta tutt’al
più aperto il problema se si tratti di vilipendio alla religione o di offese
tali da integrare la diffamazione. Problemi più complessi sorgerebbero se le
forme di espressione avessero ad oggetto non persone reali, ma simboli, icone,
e in generale i dogmi di una confessione. Nel contesto italiano la caduta del
vili- pendio ex art. 402 c.p. dovrebbe deporre per l’irrilevanza penale; il
problema merita però di essere analizzato anche in un’ottica extraor-
dinamentale, in riferimento a episodi dove l’irrisione satirica ha su- scitato
reazioni violente, con un’evidente sovraesposizione del fattore emotivo. Le
vignette di Charlie Hebdo: ‘diritto di offendere’ o offesa tollerabile?
Prendiamo in esame quello che è stato definito uno ‘stress test’ per i modelli
di tutela, ossia il caso delle vignette pubblicate dal setti- manale francese
Charlie Hebdo e, originariamente, dal settimanale danese Jyilland Posten. Anche
la dottrina penalistica italiana si è po- sta l’interrogativo se tali
manifestazioni espressive possano assumere rilevanza penale nell’ordinamento
italiano; la risposta, condivisibil- mente argomentata, è stata di segno
negativo 154: nell’attuale panora- ma normativo le vignette irridenti la
religione islamica non sarebbero incriminabili poiché non rivolte a soggetti
determinati ma orientate a ironizzare su dogmi e contenuti di fede 155. 152 Per
un’approfondita disamina del problema della diffamazione delle reli- gioni in
ambito internazionale v. ANGELETTI, La diffamazione delle religioni nella
protezione ultranazionale dei diritti umani, in AA.VV., a cura di Brunelli,
Diritto penale della libertà religiosa. CIANITTO, Quando la parola ferisce.
Blasfemia e incitamento all’odio religioso nella società contemporanea, Torino,
BASILE, La pubblicazione delle dodici vignette, BASILE, La pubblicazione delle
dodici vignette. Tra sentimenti ed eguale rispetto Al di là della
riconducibilità a una norma incriminatrice, è oppor- tuno chiedersi se i
contenuti delle vignette siano accostabili a un’of- fesa ai sentimenti o al
venir meno del rispetto-riconoscimento. Le vignette danesi (oggi facilmente
visualizzabili su internet) non sembrano operare una vera e propria critica o
messa in discussione di asserti religiosi, ma adoperano uno stile comunicativo
particolar- mente forte nelle rappresentazione di figure sacre, violando in
primo luogo il divieto di rappresentazione del Profeta. Si può a nostro avviso
parlare di blasfemia, nel senso di rappre- sentazioni empie per l’ottica di un
fedele, e dunque plausibilmente offensive del sentimento religioso. Non sembra
però potersi chiamare in causa una vera e propria discriminazione assimilabile
a hate speech: solo nel caso di un’unica vignetta, raffigurante il Profeta con
una bomba in testa, si è osservato, a nostro avviso in modo forse un po’
forzato, che potrebbe veicolare un messaggio discriminatorio in forza di un’assimilazione
dell’Islam a una religione di guerra e a una considerazione di tutti gli
islamici come terroristi. Il discorso sulle vignette pubblicate nel corso degli
anni dal settimanale francese Charlie Hebdo necessiterebbe di essere sviluppato
attraverso un’analisi dettagliata delle singole immagini: non essendo possibile
in questa sede, ci limitiamo ad alcune considerazioni di li- vello generale sui
rapporti fra libertà di satira ed eguale rispetto. Partiamo da un presupposto:
l’interpretazione dei contesti, gli at- tori delle vicende e le contingenze
storico-sociali sono fattori coessenziali nella configurazione degli equilibri
di rispetto. Conseguen- temente l’interrogativo sulla tollerabilità di
un’espressione satirica appare destinato a ricevere risposte differenti a
seconda dei soggetti coinvolti, dei contesti e delle epoche. L’umorismo e la
satira possono essere gravemente irrispettosi a seconda delle cadenze adoperate
e degli aspetti della persona che mettono in ridicolo. Si tratta di un buon punto
di partenza per uscire dalla ingannatoria ricostruzione che vorrebbe
distinguere tra ‘satira buona’ o vera satira, e ‘satira cattiva’: il fine della
satira è toccare cor- de sensibili, e l’irrispettosità non è un aspetto
patologico, bensì è connaturato al fenomeno satirico. È plausibile che la
satira offenda dal punto di vista emotivo chi ne è oggetto, nel senso che a
nessuno piace essere preso in giro e che l’essere irrisi induce tendenzialmente
emozioni negative. 156 CIANITTO, Libertà di espressione e libertà di religione:
un conflitto apparente?; amplius, v. EAD., Quando la parola ferisce. Fisionomia
dell’offesa. Pensiamo alla solidarietà che il nostro Paese ha giustamente
tributato al giornale francese Charlie Hebdo per l’inaccettabile e brutale
aggressione subita: rimarchiamo che il gesto criminale non ha atte- nuanti, e
l’affermazione della libertà di satira rappresenta un princi- pio fondamentale.
Nondimeno, va considerato che l’appoggio solidale a Charlie è frutto di
un’intrinseca parzialità, poiché concernente un fatto (le vignette sull’Islam)
che non aveva un impatto emotivo pari a quello provato dai fedeli di religione
musulmana. Basta cambiare esempio per accorgersi come anche nel nostro Paese
l’atteggiamento nei confronti della satira muti radicalmente ove vi sia un
diverso coinvolgimento. Si pensi alle vignette pubblicate sempre da Charlie
Hebdo in occasione del terremoto avvenuto nel- l’Italia centrale ad agosto
2016: le risposte dell’opinione pubblica so- no state ben differenti, fino ad arrivare,
da parte di soggetti delle isti- tuzioni, alla definizione di schifo. Ben
diverso era il clima emoti- vo che aveva indotto molti cittadini ad adottare
come effige dei propri profili telematici il logo ‘je suis Charlie’. Rispetto
alle vignette sull’Islam cambia l’atteggiamento perché so- no diverse le
emozioni suscitate nei destinatari, ma la sostanza dei fatti appare non
dissimile: in entrambi i casi la satira ha colto nel se- gno, stimolando
sensazioni forti, probabilmente offendendo emoti- vamente, e suscitando
reazioni sdegnate da parte dei diretti destina- tari, ma sempre di satira si
tratta. A partire da queste premesse, forse poco politically correct ma ade-
renti alla realtà dei fenomeni, si pone il problema su come legittima- re
l’esercizio della satira in quanto potenzialmente irrispettosa e in grado di
dare fastidio 158. Nel contesto penalistico si è talvolta tracciato il confine
fra espres- sioni tollerabili e non tollerabili attraverso una ricerca
‘ontologica’ di cosa sia satira e cosa invece si collochi al di là di essa, al
fine di far derivare da tale ricostruzione effetti sul piano normativo,
adottando. Così le ha definite il Presidente del Senato della Repubblica; la
notizia è re- peribile su
tgcom24.mediaset.it/politica/vignetta-charlie-su-sisma-gras-
so-libero-di-dire-che-fa-schifo.Diritto di satira e libertà di religione godono
entrambi di protezione a li- vello costituzionale, e sono pertanto «due beni,
dunque, destinati ad una convi- venza mite, senza sopraffazioni dell’uno
rispetto all’altro», così COLAIANNI, Dirit- to di satira e libertà di
religione, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Per una definizione e
una panoramica ricostruttiva del genere espressivo della satira, v. RATANO, La
satira italiana nel dopoguerra, Messina- Firenze. Tra sentimenti ed eguale
rispetto una concezione ‘deontologica’ della satira. Un simile modo di
argomentare si caratterizza a nostro avviso per una fallacia che possiamo
ricondurre alla violazione della Legge di Hume in senso inverso, ossia come
ricostruzione fattuale a partire da un presupposto normativo: sarebbe satira
ciò che non viola una certa soglia di continenza e che dunque non offende. Tale
modo di procedere non consente di scindere adeguatamente i confini
identificativi della satira da quelli che debbano essere, eventualmente, i
limiti normativi. Come è stato efficacemente osservato: «Alla fine, sembra
dunque non si possa fare a meno di accettare che la satira non abbia confini,
benché in un senso diverso rispetto a quello che intendono quanti declinano
questa tesi come tesi morale libertaria (“la satira non deve avere confini”);
nel senso, invece, di una tesi con- cettuale che afferma che la libertà di
satira non ha confini certi, poi- ché ci manca la possibilità di realizzare una
precisa delimitazione teori- ca, attraverso la quale stabilire in maniera
incontrovertibile quando ci si è mossi nell’alveo della libertà di satira e
quando invece si è trasceso e si è entrati in un altro terreno, che, per quanto
lo si possa continuare a considerare satirico, diventa sanzionabile
dall’ordinamento. Ciò non significa postulare una ‘amoralità’ della satira, ma
al con- trario pone le condizioni per giudicare in modo distinto il fine
dell’espressione satirica dalle modalità con le quali essa si manifesta: il
fine positivo della satira non è incompatibile con un umorismo par-
ticolarmente caustico tale da essere financo irrispettoso e desacraliz- zante.
Quale argomento a sostegno della libertà di satira si è osservato che una
politica di tolleranza, e dunque non restrittiva, rappresenti un mi- Si veda ad
esempio Trib. Latina, quando osserva che «[l]a satira è, dunque, un punto di
vista che si distingue dal dileggio, dal vilipendio, dall’offesa, perché
fornisce una lettura diversa della realtà e manifesta un giudizio di valore»; e
ancor più netta è Cass. pen., sez. I, 24/02/2006 n. 9246: «La satira,
notoriamente, è quella manifestazione del pensiero (talora di altissimo
livello) che nei tempi si è addossata il compito di ‘castigare ridendo mores’;
ovvero, di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di
persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di
carattere etico, correttivo cioè verso il bene». Per una panoramica sulla
giurisprudenza v. FLORIS, Libertà di religione; INFANTE, Satira: diritto o
delitto?, in Dir. inf.; CAROBENE, Satira, tutela del sentimento religioso e
libertà di espressione. Una sfida per le moderne democrazie, in Calumet. BÒ,
Col sorriso sulle labbra. La satira tra libertà di espressione e dovere di
rispetto, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Fisionomia
dell’offesa 193 gliore humus per l’attecchimento di principi fondamentali che
hanno una base dialettica e che, ove venissero cristallizzati in una teca al
ri- paro da aggressioni, rischierebbero di trasformarsi in dogmi. Un simile
modo di argomentare è stato definito come ‘utilitarismo delle regole’:
l’atteggiamento di chi ha risolto la ‘questione Charlie’ af- fermando sì la
presenza di un’offesa, ma optando per il pieno risco- noscimento della libertà
di espressione, sarebbe viziato dal fatto che «nel dirigere l’attenzione verso
le regole, l’utilitarismo insinua il so- spetto che le conseguenze di un atto o
di una regola non siano in fondo determinanti per i giudizi e i valori etici di
una persona: che lo siano invece le regole in quanto tali, in quanto vengono
considerate intrinsecamente giuste, quali che siano le conseguenze della loro
appli- cazione» 162. Si può riassumere tale critica anche come un’obiezione di
‘disinte- resse alle conseguenze’: «la sicurezza con la quale si proclama tale
opinione è totalmente aliena dai calcoli pazienti e minuziosi che sa- rebbero
richiesti per sostanziare quella giustificazione (e ne rivela la vanità. L’argomento
definito come ‘utilitarismo delle regole’ è da tenere in seria considerazione
anche nella prospettiva giuridica; tuttavia, ciò che agli occhi del filosofo
appare come un disinteresse alle conseguenze può rappresentare nella
prospettiva penalistica una scelta di prudenza in rapporto a eventi offensivi
la cui prevedibilità non appaia supporta- ta da una base nomologica sufficiente
a legittimare divieti penali. Tenderemmo quindi a ritenere preferibile come
opzione ultima la non restrizione della libertà di satira, ma al di là dell’atteggiamento
BÒ, Col sorriso sulle labbra. BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. BENCIVENGA,
Prendiamola con filosofia. Tutt’altro che risolutivo si rivela anche il ricorso
a criteri di selezione delle condotte ben consolidati nel pensiero penalistico
e avallati dalla Corte costituzionale: ci riferiamo allo schema del pericolo
concreto, in merito al quale, come è stato efficacemente rilevato da Alessandro
Tesauro, anche la selezione delle pro- prietà universalizzabili del caso
concreto da utilizzare come criteri indiziari di una pericolosità effettiva
della condotta, costituisce un’attività ‘normativamente compromessa’, nel senso
che non porterà comunque a individuare criteri di corri- spondenza suscettibili
di verifiche empiriche, ma il ruolo determinante sarà pur sempre giocato da
scelte di valore dell’interprete, v. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità
umana. Ciò che allora deve spingerci a non censurare quelle espressioni
satiriche che, pur non istigando alla violenza, mancano gravemente di rispetto
ai gruppi deboli e svantaggiati non è una generica libertà di espressione
(questo, in alcuni 194 Tra sentimenti ed eguale rispetto
prudenziale, riteniamo che la soluzione liberale possa trovare legit- timazione
anche attraverso un ragionamento che si richiami al criterio dell’eguale
rispetto e al bilanciamento fra reciproche pretese. Quando si analizzano i
disaccordi in materia di satira religiosa bi- sogna individuare dei presupposti
valoriali per impostare la discus- sione, ossia dei compromessi sul cui equilibrio
ciascuna delle parti possa avere voce in capitolo: anche «coloro che credono in
una reli- gione presa di mira possono dover considerare che il diritto di
ridere di qualunque religione può esso stesso essere considerato dagli altri
come un articolo di fede» 166. La sostanza di tale argomento è condi- visibile,
anche se il percorso concettuale, con una ‘moltiplicazione di articoli di
fede’, rischia di tramutarsi in un pendio scivoloso. Eguale rispetto dovrebbe
significare preservare la libertà di pro- fessare una religione da un lato, e
la fede nella libertà di satira, dal- l’altra: un impegno a far sì che nessun
pregiudizio venga arrecato alle due libertà. Ebbene, la pretesa di coloro che
chiedono restrizioni alla libertà di satira appare in questo senso
sproporzionata poiché mentre vignette ed espressioni anche ‘urticanti’ non
arrecano un vero e pro- prio pregiudizio alla libertà del credente e alla sua
identità religiosa, la pretesa di comprimere la libertà di espressione altrui
risulte- rebbe un vulnus sproporzionato. Si potrebbe a questo punto prendere in
esame un ulteriore argo- mento, basato sulla maggiore suscettibilità che
determinati fedeli, come ad esempio quelli di religione islamica, adducono
sostenendo che ogni offesa alla propria religione è anche, intrinsecamente,
un’of- fesa alla dignità delle persone che la professano. Ebbene, quale spazio
di legittimità può essere riconosciuto a tale obiezione? Abbiamo introdotto il
problema parlando della suscettibilità sog- casi, come abbiamo visto, è
sbagliato) e nemmeno il fatto che quelle espressioni contribuiscano in qualche
modo al raggiungimento della “verità” (in molti casi, questo è falso);
piuttosto, a caldeggiare una politica di tolleranza nei loro con- fronti è il
fatto che consentono ai principi che ci sono cari di difendersi sempre meglio e
mantenersi vivi e tonici, e con essi il tipo di società nella quale aspiriamo a
vivere», v. BÒ, Col sorriso sulle labbra. TELFER, Umorismo ed eguale rispetto,
in AA.VV., a cura di Carter-Galeotti- Ottonelli, Eguale rispetto, Milano. Utilizzo
tale concetto nell’accezione sviluppata da PINO, Sulla rilevanza giuridica e
costituzionale dell’identità religiosa, in Ragion pratica, ossia come
«l’insieme delle credenze, dei valori, delle appartenenze che un individuo ha
in materia specificamente religiosa», e dunque come aspetto specifico della
sfera della coscienza. 168 WALDRON, The Harm in Hate Speech. Fisionomia
dell’offesa gettiva nella trattazione di Joel Feinberg; in questo caso il
discorso è però differente, poiché riguarda non la suscettibilità di un singolo
soggetto, ma di un gruppo: l’interrogativo è se si tratti di una vulne-
rabilità meramente emozionale o se, diversamente, sia anche ricon- ducibile a
una particolare debolezza sociale del gruppo. Con riferimento a tale seconda
ipotesi, esponiamo le tesi di due Autori già incontrati nel corso
dell’indagine. Da un lato, Margalit osserva che un gruppo vulnerabile, con una
storia di umiliazione e sospetto da parte di coloro che lo circondano,
specialmente da parte della cultura dominante, è suscettibile di interpretare
ogni critica come umiliazione. Waldron tematizza il problema senza richiamare
l’eventuale debolezza di un gruppo, ma incentrando il discorso sulla totale
identificazione fra soggetto e ideologie/credenze. Di fronte all’interrogativo
sul peso che possa essere riconosciuto alla percezione soggettiva nel caso di
gruppi vulnerabili, e dunque al- la rilevanza della vulnerabilità
nell’interpretazione dell’offensività di un’espressione, le posizioni di
Margalit e Waldron divergono: biografia personale e matrici culturali sono
fattori che probabilmente in- fluiscono su prese di posizione concernenti
‘scelte ultime’170, la cui argomentazione in termini razionali è
particolarmente difficoltosa. Il filosofo israeliano propone i seguenti criteri
di soluzione: un primo criterio, basato
sulla reciprocità secondo cui dovreb- be essere considerato critica qualunque
cosa si desideri offrire ad altri e che si accetterebbe ove venisse offerta a
noi stessi; un secondo criterio, in favore dell’interpretazione del gruppo
vulnerabile, si lega alla «necessità morale di far pendere la bilancia
dell’errore nell’interpretazione verso la parte del debole», e va però
bilanciato da un altro principio secondo cui «qualunque cosa fosse considerata
critica piuttosto che umiliazione se avvenisse “in fami- glia”, cioè
all’interno del gruppo, dovrebbe pure essere considerata tale se proveniente
dall’esterno del gruppo. Diversamente da Margalit, il quale dunque non esclude
una carità interpretativa a favore dei gruppi vulnerabili, Waldron rimarca la
ne- cessità di non assecondare normativamente pretese avanzate in forza di
un’identificazione fra persona e ideali religiosi o politici: richieste
MARGALIT, La società decente. Traggo questo concetto da BOBBIO, L’età dei
diritti, Torino, MARGALIT, La società decente. [H. P. GRICE, principle of conversational helpfulness:
what a decent chap does!] MARGALIT,
La società decente. Tra sentimenti ed eguale rispetto di tutela di questo tipo
sono da considerarsi esorbitanti in un conte- sto pluralista. Vi è l’esigenza
di una limitazione delle pretese sogget- tive, pur tenendo conto che il legame
identificativo fra individuo e ideali può essere così intenso da essere
assimilabile a una ‘seconda pelle’; ma ciò non può giustificare sul piano
politico provvedimenti normativi che limitino le libertà di tutti per
preservare la serenità interiore di alcuni . Sintetizzando: sia Margalit sia
Waldron concordano sulla necessi- tà di prendere atto che determinate
espressioni meritino una partico- lare attenzione da parte del diritto poiché
possono esorbitare dall’or- dinario range della critica e del mero insulto e
divenire forme di umi- liazione e discriminazione della persona. Per Margalit
il discrimine fra insulto e umiliazione può essere diverso a seconda del tipo
di de- stinatari in quanto di fronte a un gruppo cosiddetto vulnerabile
l’interpretazione delle espressioni dovrebbe essere condotta tenendo conto
anche, eventualmente, della peculiare sensibilità; secondo Wal- dron tale
differenziazione non è mai normativamente giustificabile e si presterebbe a
divenire un problematico moltiplicatore di divieti sulla base di pretese
soggettivistiche. Concordiamo con Waldron che l’identificazione fra critica a
fedi e valori e offesa alla persona, rappresenti un argomento knock-out che
sbilancerebbe le posizioni in gioco. Il credente il quale esige che i propri
principi non vengano mai irrisi, adducendo che ciò significherebbe
automaticamente offendere lui come persona, sta implicitamente cercando di
sottrarre le proprie posizioni assiologico-religiose dal dibattito, ponendosi
in questo senso in una posizione di supremazia, limitando la libertà di
espressione altrui secondo criteri che non sono confutabili poiché si sottraggono
per definizione a ogni ti- po di confronto. La prova di tale incommensurabilità
fra posizioni emerge in relazione a un ulteriore test secondo il quale dovrebbe
essere ritenuta of- fensiva un’espressione che nessun membro del gruppo avrebbe
rite- nuto divertente, anche se a pronunciarla fosse stato uno del grup- po
stesso. Tale test trascura a nostro avviso un dato fondamentale, ossia che i
conflitti fra sensibilità nascono proprio dal fatto che vi possono essere
gruppi che non accettano un certo modo di fare ironia tout court; non è un
problema di qualità della satira, ma semplicemente la WALDRON, The Harm in Hate
Speech. TELFER, Umorismo ed eguale rispetto, Fisionomia dell’offesa satira su
certi temi potrebbe non essere ritenuta mai ammissibile. Un test di questo tipo
non appare ad esempio risolutivo se applicato alle vignette sul Profeta
Maometto poiché la religione islamica non sem- bra tollerare alcun tipo di
ironia in questo senso. Bisogna dunque prendere atto che tali test sono poco
funzionali quando pretendono di mettere a confronto pretese fra loro
incompatibili poiché ricondu- cibili a gruppi che non si riconoscono nei
medesimi valori. L’analisi filosofica di Ermanno Bencivenga è in questo senso
spie- tata quando osserva che dal fedele di qualsivoglia religione non si può
esigere un atteggiamento lassista e compromissorio sul rispetto della propria
fede. Il carattere radicale del vincolo è tale per cui l’al- trui libertà di
satira non potrebbe mai essere ritenuta tollerabile. In definitiva, il tema
dell’identificazione fra soggetto e credenze spinge verso esiti illiberali:
pretese modulate su una simile rigidità non possono essere accolte in un
contesto pluralista, nel quale un in- teresse, pur di rango elevato, va
comunque calato in una prospettiva di bilanciamento. Sintetizzando, la risposta
all’interrogativo sulla libertà di satira, anche quando consista in vignette
dissacranti come quelle pubblicate in Danimarca e come alcune di quelle
pubblicate dal settimanale Charlie Hebdo, deve essere a nostro avviso positiva:
nessuna rilevanza penale secondo l’attuale normativa italiana, ma anche nessuna
futu- ribile prospettiva di censura. Attenzione però a non fare della satira un
dogma: parlare di libertà di deridere è una formula schietta ma che rischia di
prestar- si a distorsioni. Esprimersi a favore della libertà di satira non
signifi- ca ritenerla insindacabile; da un lato il riconoscere l’irrispettosità
del- la satira può non essere elemento sufficiente per inferirne l’opportu-
nità di una criminalizzazione; dall’altro l’irrilevanza penale non im- plica la
certificazione di un buon uso della libertà di espressione BENCIVENGA,
Prendiamola con filosofia. Cfr. PINO, Sulla rilevanza giuridica e
costituzionale dell’identità religiosa. Concordiamo in questo senso con
CANESTRARI, Libertà di espressione e liber- tà religiosa. TELFER, Umorismo ed
eguale rispetto, Problema che si riconnette al più ampio tema dei valori e di
un’etica della convivenza le cui polarità non dovrebbero essere determinate
dalle dicotomie del- la liceità e illecità penale: «un’etica non legale e non
penalistica di comportamen- to», come condivisibilmente osservato da DONINI, Il
diritto penale come etica pub- blica, Modena, Tra sentimenti ed eguale rispetto
Non appare opportuno diffondere a livello comunicativo formule come ‘libertà di
offesa’ o ‘diritto di offendere’, mentre è bene riflettere su come gestire da
un punto di vista sociale e comunicativo quelle che possono essere definite
‘offese tollerabili’, o meglio offese che i cittadini devono (imparare a)
tollerare. La liceità dell’irrispettosità umoristica lascia aperto il problema
di una ricostituzione del rispetto reciproco, di luoghi simbolici in cui possa
essere offerta una compensazione a offese che, come nel caso delle reli- gioni,
toccano strati profondi della persona. Riconoscere che le vignette di Charlie
Hebdo possano ferire e abbiano offeso credenti di religione islamica non
significa avallare la bestialità omicida dei terroristi, né comporta quale
immediata implicazione quella di invocare lo strumento penale quale
saracinesca. È però un punto importante per avviare un riconoscimento a
soggetti che abbiano avvertito soggettivamente un’umi- liazione per la
derisione ai propri simboli, anche in virtù del fatto che si tratta di
appartenenti a gruppi deboli o comunque a minoranze, nei confronti dei quali
l’irrisione satirica può comunque rappresentare una forma di amplificazione
della disuguaglianza di status sociale. 8. Le norme sulla propaganda razzista
in Italia: quale spazio a sentimenti? Sentimenti, pari dignità e
discriminazione rappresentano concetti che concorrono a identificare il
retroterra delle norme sulla propaganda razzista, ossia lo hate speech a sfondo
razziale che in Italia è incriminato 180 Si è osservato che l’impatto sociale
dell’irrispettosità satirica e la conse- guente tollerabilità della satira
dovrebbe essere correlata alla categoria di soggetti sui quali la satira va a
incidere: massima libertà ove l’irrisione si rivolga a soggetti che hanno una posizione
di supremazia a livello sociale, mentre più problematico appare il caso in cui
si faccia satira nei confronti di categorie deboli, specie fa- cendo leva su
stereotipi e luoghi comuni. Questo criterio, definito come frutto di una
«precomprensione egualitaria del discorso pubblico», v. CARUSO, La libertà di
espressione in azione, appare in definitiva un bilanciamento tra il fine morale
della satira e la sua ‘moralità interna’, vista attraverso l’egida assiologica
del principio di uguaglianza. Per un interessante commento a una pronuncia del-
la Corte Edu che, tramite l’art. 17 CEDU ha respinto il ricorso per violazione
dell’art. 10 a seguito della condanna di un noto comico francese per uno
spettaco- lo satirico sull’Olocausto, v. PUGLISI, La satira “negazionista” al
vaglio dei giudici di Strasburgo: alcune considerazioni in «rime sparse» sulla
negazione dell’Olocausto, in www.penalecontemporaneo.it, Fisionomia dell’offesa
ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), della legge. Cominciamo a interrogarci
su quale sia l’effettivo rilievo del sentimento nel richiamo all’odio quale
elemento di fattispecie dell’art. della legge, il cui presupposto è la
sussistenza di un’idea di- scriminatoria fondata sulla diversità determinata da
una pretesa su- periorità razziale o da odio etnico 182. Ad una prima lettura
emerge come nel corpo della disposizione normativa il sentimento non definisca
l’oggetto di tutela, bensì rappre- senti la nota caratterizzante il tipo di
espressioni che la legge intende vietare. La prospettiva appare invertita
rispetto alle norme che abbia- mo precedentemente analizzato con riferimento
agli altri ‘sentimenti- valori’ menzionati nel codice: piuttosto che parlare di
tutela di senti- menti, l’assetto delle norme tratteggia una tutela da sentimenti,
in rap- porto alla quale l’odio rappresenta lo stato affettivo da
‘disinnescare’ 183. 181 In un’ottica più ampia, sono pertinenti al discorso
d’odio a sfondo razziale anche altre norme: l’apologia di genocidio di cui
all’art. 8 della legge e le disposizioni della c.d. ‘Legge Scelba’ che
aggravano la cornice sanziona- toria per l’apologia di fascismo nel caso in cui
venga realizzata attraverso ‘idee e metodi razzisti’. Nella letteratura
penalistica, v. a cura di Riondato, Di- scriminazione razziale, xenofobia, odio
religioso. Diritti fondamentali e tutela pena- le, cit.; DE FRANCESCO, Commento
a D.L. conv. con modif. dalla legge. Misure urgenti in materia di
discriminazione razziale, etnica, religiosa, in Leg. pen.; FRONZA, Osservazioni
sull’attività di propa- ganda razzista, in Riv. int. dir. dell’uomo; VISCONTI
C., Il reato di propaganda razzista. Per una panoramica sulle applicazioni
della normativa v. PAVICH-BONOMI, Reati in tema di discriminazione: il punto
sull’evoluzione normativa recente, sui principi e va- lori in gioco, sulle
prospettive legislative e sulla possibilità di interpretare in senso con- forme
a Costituzione la normativa vigente, in www.penalecontemporaneo.it; FERLA,
L’applicazione della finalità di discriminazione razziale in alcune recenti
pronunce della Corte di Cassazione, in Riv. it. dir. proc. pen., Evidenzia la
peculiarità delle incriminazioni contro la diffusione e l’incita- mento
all’odio, rispetto al problema generale della cosiddetta ‘tutela penale di sen-
timenti’, anche ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho penal, cit., pp. 59 ss. In
realtà, secondo le indicazioni che emergono principalmente in ambito
anglo-americano, va considerato che l’uso del termine odio, oltre a essere
approssimativo, appare er- rato: «[w]hat has become clear is that the word
‘hate’ is really a misnomer. An of- fender need not actually hate his victim in order to have
committed a ‘hate crime’; indeed he may feel no personal hatred towards that
particular individual at all», v. WALTERS, Hate Crime and Restorative Justice,
Oxford; cfr. PAREKH, Is There a Case for Banning Hate Speech?, in AA.VV., ed.
by Herz-Molnar, The Content and the Context of Hate Speech, cit., p. 40. Si veda anche PERRY, A Crime by Any Oth- er Name, Il
concetto di ‘crimine d’odio’ sconta oltretutto un’indeter- minatezza di fondo:
si tratta di una definizione cosiddetta ‘ostensiva’, ossia che pro- cede non
attraverso un’esaustiva esplicazione del definiens (l’odio), ma
attraverso 200 Tra sentimenti ed eguale rispetto Tale precisazione
non risolve ma rilancia l’interrogativo se dietro le norme sulla propaganda
razzista si ponga effettivamente un pro- blema di sentimenti negativi. Nelle
pronunce della giurisprudenza italiana, la maggior parte del- le quali relative
all’applicabilità della circostanza aggravante (art., d.l.), la risposta è
negativa, in quanto è decisamente pre- valente l’orientamento che interpreta il
requisito dell’odio non come tratto affettivo del soggetto attivo, bensì come
sfondo valoriale dei contenuti espressivi e simbolici legati alle condotte 184.
Come osservato dalla Corte di Cassazione: «non può considerarsi sufficiente che
l’odio etnico, nazionale, razziale o religioso sia stato, più o meno
riconoscibilmente, il sentimento che ha ispirato dall’interno l’azione delittuosa,
occorrendo invece che que- sta, per le sue intrinseche caratteristiche e per il
contesto nel quale si colloca, si presenti come intenzionalmente diretta e
almeno poten- zialmente idonea a rendere percepibile all’esterno ed a suscitare
in al- tri il suddetto, riprovevole sentimento o comunque a dar luogo, in fu-
turo o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discri- minatori
per ragioni di razza, nazionalità, etnia o religione» 185. una individuazione
del definiendum (l’esempio concreto) il quale viene successiva- mente
ricollegato al definiens. Si tratta delle cosiddette definizioni mediante
esempi, suscettibili di convogliare istanze normative e culturali che tendono a
ricondurre all’odio azioni e condotte le più diverse: «[c]lassificare un gesto
criminale come crimine d’odio è compatibile in quest’ottica con un’ampia gamma
di stati psicologi- ci, dalla rabbia alla noia, alla paura; perché non parlare,
allora, di crimini di rabbia? Nascosto dietro al concetto di crimine d’odio
sembra dunque esserci un altro significato culturale dell’odio, ossia ciò che
motiva gesti di violenza insensata (normativamente ingiustificati) l’insistenza
sul termine “odio” in una data si- tuazione, più che un fatto descrittivo, è il
riflesso dell’impegno normativo a identificarsi con le sventure della vittima e
a prendere le distanze dal punto di vista dell’aggressore», v.
ROYZMAN-MCCAULEY-ROZIN, Da Platone a Putnam: quattro modi di pensare all’odio. Cass.
pen., sez.; si vedano, ex plurimis, Cass. pen., sez. V, 12/06/2008, n. 38217;
Cass. pen., sez. Un diverso orientamento si pone a sostegno di un’applicazione
più ampia, e in particolare estesa a comprendere anche situazioni in cui vi sia
solo la presenza di soggetto attivo e vittima: «Non è, dunque, richiesta la
plateale ostentazione di tali motiva- zioni sì da ingenerare il rischio di
reiterazione di analoghi comportamenti, essen- do sufficiente che l’azione
rechi, in sé, le prescritte connotazioni, immediatamen- te percepibili nel
contesto in cui è maturata, avuto riguardo al comune sentire ed alla comune
accezione dell’espressione usata» v. Cass. pen., sez. V, 11/07/2006, n. 37609;
ulteriori pronunce sono analizzate in PAVICH-BONOMI, Reati in tema di di-
scriminazione, Cass. pen., sez.; cfr. Cass. pen., sez. Fisionomia dell’offesa. L’orientamento
della giurisprudenza italiana sembra aderire alla concezione dello hate speech
come fattore in grado di alterare in ne- gativo il clima sociale e di inoculare
il germe della discriminazio- ne186. Non viene riservato spazio allo stato
soggettivo dell’agente né alla verifica di un’effettiva diffusione del pensiero
razzista e di un ‘contagio emotivo’, adottando un modello di intervento basato
sul pe- ricolo astratto 187 e orientato alla tutela della dignità umana 188.
Un’eloquente evocazione dei sentimenti la troviamo invece in una pronuncia
ormai datata, relativa alla legge (at-tuazione della Convenzione internazionale
per la prevenzione e la repressione del crimine di Genocidio), e in particolare
all’art. 8 che in- crimina l’istigazione e l’apologia di genocidio 189. Ebbene,
nel 1985 la Corte di Cassazione ebbe a definire la ratio di tutela del reato di
pro- paganda come contrasto della «intollerabile disumanità odioso culto
dell’intolleranza razziale che esprime, orrore che suscita nelle coscienze
civili ferite dal ricordo degli stermini perpetrati dai nazisti e dai calvari
tragicamente attuali di talune popolazioni africane e asiatiche. L’idoneità
della con- dotta ad integrare gli estremi del reato non è già quella generale
di un improbabile contagio di idee e di propositi genocidiari, ma quella più
SPENA, La parola odio. Sovraesposizione, criminalizzazione, interpretazione
dello hate speech, in Criminalia; sul tema, in termini generali, cfr. WALDRON,
The Harm in Hate Speech. L’assunto è presente in Cass. pen., sez. Un’interpre-
tazione correttiva è proposta da FRONZA, Osservazioni sul reato di propaganda
razzista; cfr., per un differente percorso argomentativo volto a rico- noscere
che la propaganda di idee razziste è già di per sé concretamente pericolosa per
la dignità della persona, v. PICOTTI, Diffusione di idee razziste ed
incitamento a commettere atti di discriminazione razziale, ss., nota a
Tribunale Verona, in Giur. merito; contra, v. SCAFFARDI, Oltre i confini della
libertà di espressione; più ampiamente, TESAURO, Riflessioni in tema di dignità
umana. Per tutti v. DE FRANCESCO, Commento a D.L. 26/4/1993 n. 122 conv. con
modif. dalla legge; cfr. AMBROSETTI, Beni giuridici tutelati e struttura delle
fattispecie: aspetti problematici della normativa penale contro la di-
scriminazione razziale, in AA.VV., a cura di Riondato, Discriminazione
razziale, xenofobia, odio religioso; PICOTTI, Istigazione e propaganda della
discri- minazione razziale fra offesa dei diritti fondamentali della persona e
libertà di mani- festazione del pensiero, in AA.VV., a cura di Riondato,
Discriminazione razziale, xenofobia, odio religioso, cit., pp. 134 ss. 189 Sul
tema v. CANESTRARI, voce Genocidio, in Enciclopedia giuridica, Roma. Tra
sentimenti ed eguale rispetto strutturalmente semplice di manifestare
chiaramente l’incondizionato plauso per forme ben identificate di fatti di
Genocidio. Attraverso un lessico ad alto impatto emotivo, la Corte afferma la
legittimità dell’incriminazione dell’apologia di genocidio quale argine
all’‘orrore che suscita nelle coscienze’. Si tratta del caso più emblema- tico
in cui una norma penale italiana finalizzata al contrasto al razzismo e alla
discriminazione viene declinata alla stregua di una vera e propria tutela di
sentimenti; un profilo che è stato puntualmente, an- corché sinteticamente,
messo in evidenza nei commenti critici della dottrina dell’epoca, che ne ha
rilevato altresì la profonda distonia con i principi enunciati dalla Corte
costituzionale in tema di apologia ed istigazione, del tutto disattesi dalla
pronuncia della Cassazione. Tale orientamento rimane un caso isolato
nell’ambito della esigua giurisprudenza, e viene espressamente sconfessato
dall’unica pronun- cia successiva, ad opera della Corte di Assise di Milano che
ne confu- ta l’intero impianto motivazionale al fine di restringere
l’operatività della norma alle sole ipotesi in cui l’apologia sia una «forma di
istiga- zione indiretta, caratterizzata dalla nota interna che in essa
l’induzio- ne alla commissione di un certo fatto si realizza attraverso
l’esaltazione di un fatto analogo. Il discorso razzista fra estremismo politico
e insulto discri- minatorio Veniamo infine ad analizzare alcuni profili di
ermeneutica del fat- to che ricorrono nell’analisi della casistica sul discorso
razzista. La giurisprudenza specifica che affinché siano integrati gli estremi
del- l’espressione discriminatoria deve trattarsi di consapevole
esteriorizzazione di un sentimento di avversione o di discriminazione fon- data
su di un pregiudizio: ma cosa consente di distinguere a livello esteriore una
critica da un pregiudizio? Cass. pen., sez. I, 29/03/1985, n. 507, in Foro it.,
La vicenda è relativa all’esposizione di striscioni inneggianti all’Olocausto
durante una manifestazione sportiva: Mathausen reggia degli ebrei, ‘Una cento
mille Mathausen’, ‘Hitler l’ha insegnato, uccidere l’ebreo non è reato. FIANDACA,
nota a Cass. pen., sez., in Foro it., Corte di Assise di Milano, in Ius
explorer. Cass. pen., sez. Fisionomia dell’offesa Nelle applicazioni della
norma sulla propaganda razzista la giuri- sprudenza ha più volte adoperato il
criterio basato sulla distinzione fra considerazioni che fanno leva sulla
diffusione di determinati com- portamenti presso determinate etnie, e l’offesa
all’etnia tramite inde- bite generalizzazioni. Risultano particolarmente
problematiche le vicende riguardanti contesti di dialettica politica, nei quali
è frequente il ricorso a stereo- tipi che, a seconda delle circostanze, possono
assumere le vesti di veri e propri pregiudizi discriminatori. Il processo ai
leghisti di Verona rappresenta un significativo leading case: sinteticamente,
il fatto ri- guarda l’iniziativa di alcuni consiglieri comunali finalizzata a
mandare via gli zingari dal comune scaligero attraverso un coinvolgimento della
popolazione allertata da un volantino che recitava No ai campi nomadi. Firma
anche tu per mandare via gli zingari. Fra le diverse questioni affrontate dai
giudici, è importante ai fini della presente indagine rilevare quanto osservato
dalla Corte di Cas- sazione in occasione dell’ordinanza di annullamento con
rinvio: «La discriminazione si deve fondare sulla qualità del soggetto
(zingaro, nero, ebreo, ecc.) e non sui comportamenti. La discrimina- zione per
l’altrui diversità è cosa diversa dalla discriminazione per l’altrui
criminosità. In definitiva un soggetto può anche essere legitti- mamente
discriminato per il suo comportamento ma non per la sua qualità di essere
diverso. Tale trend interpretativo rimane costante nella giurisprudenza
successiva avente ad oggetto le dichiarazioni di soggetti politici nel-
l’ambito dell’attività istituzionale e della campagna elettorale. Emergono
tuttavia notevoli criticità in una recente pronuncia della Corte di Cassazione riguardante
una condanna della Corte di Appello di Trieste per un volantino di promozione
elettorale stampato e diffuso in occasione delle elezioni per il rinnovo del
Parlamento Europeo, il quale secondo i giudici di merito 194 Un riassunto della
vicenda in CARUSO, Dialettica della libertà di espressione: il caso Tosi e la
propaganda di idee razziste, a cura di Tega, Le discriminazioni razziali ed
etniche. Profili giuridici di tutela, Roma; si veda anche VISCONTI C., Il reato
di propaganda razzista. Cass. pen., sez. Cass. pen., sez.; Cass. pen., sez. Tra
sentimenti ed eguale rispetto «propagandava idee fondate sulla superiorità di
una razza rispetto alle altre e sull’odio razziale, facendo ricorso, in
particolare, allo slogan “basta usurai – basta stranieri” con sottinteso, ma
evidente riferimen- to a persona di religione ebraica ed esplicito riferimento
a persone di nazionalità non comunitaria e, sul retro del volantino, alla
rappresen- tazione grafica esplicativa dello slogan di un’Italia assediata da
sogget- ti di colore dediti allo spaccio di stupefacenti, da un Abramo Lincoln
attorniato da dollari, da un cinese produttore di merce scadente, da una donna
e un bambino Rom sporchi e pronti a depredare e da un soggetto musulmano con
una cintura formata da candelotti di dinami- te pronti per un attentato
terroristico. La Corte di Cassazione dispone l’annullamento senza rinvio perché
il fatto non sussiste, argomentando proprio sulla base dell’asse- rita
differenza del caso trattato rispetto alla condanna dei leghisti ve- neti, nel
quale, secondo la Corte, appariva invece palese la discrimi- nazione degli
zingari per il solo fatto di essere tali, in quanto il do- cumento diffuso non
indicava alcuna plausibile ragione a sostegno dell’allontanamento, mentre il
diverso caso in esame, «ad avviso del Collegio, in maniera alquanto grossolana,
vuole veicola- re un messaggio di avversione politica verso una serie di
comporta- menti illeciti che, con una generalizzazione che appare una forzatura
anche agl’occhi del destinatario più sprovveduto, vengono attribuiti a soggetti
appartenenti a determinate razze o etnie: il cinese che vende prodotti
contraffatti, l’uomo di colore che spaccia stupefacenti, la rom che tenta di
rapire il bambino, l’arabo che si fa esplodere in un atten- tato terroristico.
E poi Abramo Lincoln, con i suoi dollari, a rappre- sentare la finanza e le
banche, probabilmente da mettere in relazione alla scritta “basta usurai”».
Cass. pen., sez.: secondo la descrizione riportata in sentenza, «su un lato
compariva la propria foto sovrastata dalla scritta “Vota S.”, sotto la quale si
leggeva, a grandi caratteri, la frase “BASTA USURAI, BASTA STRANIERI”. Sotto,
il simbolo del partito di appartenenza (Destra Sociale – Fiamma Tricolore), con
una mano che vi appone una croce e scrive di fianco “ S.”. Più in basso, l’URL
del blog del candidato; sull’altro lato, in alto la scritta: “Elezioni Europee
DIFENDI L’ITALIA – VOTA S.”. Più sotto, sei caricature che raffigurano: un
cittadino dai tratti somatici asiatici che vende prodotti “made in China; un Abramo Lincoln con tanti dollari che gli
svolazzano intorno; un uomo di colore
che offre droga; un arabo con una cintura di candelotti di dinamite pronto a
farsi esplodere; una donna italiana con un bambino in braccio e, di fianco, una
mendicante rom che allunga le mani in direzione dello stesso. Fisionomia
dell’offesa Non sono però solo considerazioni legate al merito delle afferma-
zioni, definite ‘grossolane’, a far propendere la Corte verso un atteg-
giamento di indulgenza, bensì risulta decisiva l’analisi del quadro contestuale
e in particolare il particolare clima nel quale si svolgono le competizioni
elettorali. Ora, la condivisibile apertura della Corte a una lettura dei fatti
il più possibile aperta alla valutazione di tutti i fattori di contesto e alle
prassi comunicative, anche quelle meno ortodosse, conferma in pri- mo luogo il
carattere storicamente e socialmente condizionato delle soglie di liceità e di
tollerabilità del discorso pubblico. Sul merito dell’interpretazione offerta
dal Collegio, possiamo rite- nere avverato il vaticinio di Costantino Visconti
riguardo l’elevata complessità di scindere, a livello di critica, la persona
dal proprio comportamento: la nitidezza della distinzione è solo apparente, in
quanto vi sono ambiti in cui il discorrere sulle differenze in rapporto a un
contesto pluralistico e multiculturale può condurre a un punto in cui «il
profilo della diversità in sé e quello dei comportamenti costituiscono un
tutt’uno, e non è possibile, né verosimilmente avrebbe senso separarli» 198. In
relazione a tale profilo, l’argomentazione dei giudici appare frettolosa e
superficiale. Ciò che desta a nostro avviso perplessità non è tanto l’esito
assolu- torio, il quale, pur opinabile, può trovare ragioni in un complessivo
atteggiamento di favor libertatis; sorprende però che sia la stessa Cor- te ad
riconoscere che siamo di fronte, evidentemente, ad un messaggio politico che
risente di un pregiudizio per cui determinate atti- vità delittuose vengono
poste in essere prevalentemente dai membri di determinate etnie». Ebbene,
parlare di pregiudizio evoca una connessione immediata con la discriminazione:
come ammonisce Norberto Bobbio, «la conseguenza principale del pregiudizio di
gruppo è la discriminazio- ne»200. In altri termini, quanto affermato dalla
Corte depone per un VISCONTI C., Aspetti penalistici Abel osserva che «è
impossibile distinguere le espressioni illegittime dall’opportunismo di routine
dei politici quando vanno incontro ai pregiudizi popolari, v. ABEL, La parola e
il rispetto. Il legame tra pregiudizio e discriminazione non deve tuttavia
portare a inferire automaticamente la sussistenza di un atteggiamento razzista:
pregiudizio e razzismo, per quanto connessi, non sono sovrapponibili, ma si
tratta di concetti distinti, v. RAVENNA, Odiare. Per tutti, BOBBIO, Elogio
della mitezza e altri scritti morali, Milano. Tra sentimenti ed eguale rispetto
univoco accostamento delle opinioni del volantino al pensiero di-
scriminatorio: sono frutto di pregiudizi razziali. Difficile a questo punto
negarne il disvalore, quantomeno se si abbia a cuore un certo rigore
concettuale. L’atteggiamento della Corte lascia perplessi, in quanto la circo-
stanza legittimante l’esercizio della libertà di espressione è così espli-
cata: «si tratta, peraltro, di un pregiudizio che da sempre viene agita- to
nelle campagne elettorali al fine di recuperare consenso in situa- zioni locali
in cui da parte dell’elettorato viene una richiesta di maggiore sicurezza.
Un’indulgenza indotta dalla consuetudine: ma quale dovrebbe es- sere il ruolo
del diritto penale in rapporto a prassi comunicative becere? La constatazione
di una degradazione del linguaggio e di una brutalizzazione della dialettica in
ambito politico è una buona ragione per chiudere un occhio di fronte a casi
come quello preso in e- same? La risposta travalica i confini della questione e
riporta all’inter- rogativo se il diritto penale debba limitarsi a un’azione di
conserva- zione dei valori o possa anche costituire uno strumento di ‘pedagogia
sociale’. Resta il dubbio se in questo caso l’atteggiamento della Corte di
Cassazione sia da avallare per essersi astenuta dal sindacare il merito di un
discorso politico, o sia invece da criticare per non aver adeguatamente
stigmatizzato la diffusione di pensieri offensivi che essa stessa ha
implicitamente ammesso essere frutto di pregiudizi a base razziale. Sinossi La
connessione fra tutela di sentimenti e rispetto reciproco risulta
particolarmente evidente nella dialettica avente ad oggetto argomenti ad alto
tasso emotivo, dove vengono in gioco ‘appartenenze significative’
dell’individuo. Nell’attuale scenario socio-politico del mondo oc- cidentale
gran parte dei conflitti orbitano intorno al tema dell’appar- tenenza etnica,
della fede religiosa, della identità e pari dignità sessuale. Fra le ragioni
dell’effetto emotigeno vi è il fatto che nel discorso Tale principio viene
esplicitato anche in Cass. pen., sez. Fisionomia dell’offesa concernente le
appartenenze possono emergere problemi di mancato riconoscimento dell’altro e
di categorizzazioni denigratorie. Ne deriva l’esigenza di distinguere fra
espressioni di mera critica o irrisione, pur emotivamente fastidiose ma
comunque espressione della libertà del dissenso, da forme di diniego del
riconoscimento: la priorità politica è la dimensione del rispetto definita
‘rispetto-riconoscimento’, diversa dal ‘rispetto-stima’. L’eguale
rispetto-riconoscimento costituisce la ricaduta relaziona- le più immediata del
valore della dignità umana. Per quanto tale richiamo possa risultare
problematico agli occhi del penalista, esso rappresenta comunque una bussola
assiologica se ci si impegni a modularne l’uso attraverso una lettura non
metafisico-concettuali- stica ma volta a identificarne le proiezioni relazionali
ed esistenziali, ad esempio attraverso la cosiddetta ‘teoria delle capacità’
elaborata da Martha Nussbaum. Il non facile obiettivo di bilanciare istanze di
libertà e richieste di rispetto porta a identificare un livello minimo di
protezione il quale sembra poter coincidere con l’esigenza di non essere
umiliati e poter essere trattati come persona dignitosa il cui valore eguaglia
quello al- trui. Nell’approfondimento del concetto di ‘umiliazione’, viene
rimarca- ta l’esigenza di distinguere fra espressioni di insulto ed espressioni
che umiliano. La distinzione, comunque afferrabile sul piano concettuale,
appare sfumare nei suoi contorni essenziali al momento delle applicazioni in
ambito giuridico: il processo interpretativo dipende in larga misura dall’ermeneutica
del fatto, ossia dai diversi significati che determinate espressioni possono
assumere a seconda dei contesti e dei soggetti coinvolti, e si espone a
precomprensioni e a usi poco sorvegliati di inferenze logiche e valoriali. Un
rapido riscontro relativo alle norme italiane a tutela del senti- mento
religioso e della pari dignità mostra come il richiamo a sentimenti sia
residuale nelle argomentazioni della giurisprudenza: pre- sente in minima parte
nelle forme di vilipendio, comunque ancorate a un modello di tutela incentrato
sulla religione piuttosto che sulla dignità del credente, e assente con
riguardo alla normativa sul di- scorso razzista. Un ambito, quest’ultimo, nel
quale meritano particolare attenzione, quale esempio di ermeneutica del fatto,
le argomen- tazioni elaborate per tracciare la linea di confine fra discorso
politico ‘estremo’ e discorso discriminatorio. Tra sentimenti ed eguale
rispetto DILEMMI SOMMARIO: Tutela
di sentimenti’: una formula a più significati. Oltre la prospettiva
penalistica: ‘cura dei sentimenti’ come sfida fondata sulle libertà. Tutela da
sentimenti. Idealtipi antropologici e realtà umana dei conflitti. Dissensi ed
estremismo. Quale ruolo per il diritto penale? Il tormentato pensiero della
dottrina penalistica. Precetti pedagogici? Sinossi. Tutela di sentimenti: una
formula a più significati Cerchiamo di riannodare le fila di un discorso che ha
preso le mosse dall’esigenza di riservare attenzione ai rapporti fra
sentimenti, emozioni e diritto penale non solo come problema esegetico-inter-
pretativo ma, più radicalmente, come coordinata per la riflessione sull’essere
e sul dover essere del diritto penale. L’osservazione di Mar- tha Nussbaum
posta in epigrafe al I capitolo ci ricorda che uno sguardo alla dimensione
affettiva è fondamentale per non perdere di vista il substrato umano dei
problemi e soprattutto gli aspetti di vul- nerabilità della persona che possono
motivare il ricorso allo strumen- to giuridico. Parlare di tutela di sentimenti
rimanda al problema del rispetto per le diversità coesistenti nella società
pluralista: alla varietà di pre- ferenze e di assiologie personali. Il
sentimento viene in gioco non semplicemente come stato psicologico, ma in
termini normativi qua- le richiamo metonimico al ‘tutto della persona’ e al
valore di cui sen- timenti ed emozioni rappresentano il correlato fenomenico,
ossia la personalità e l’‘unicità’ del singolo. L’eventuale orizzonte di tutela
dovrebbe in questo senso focaliz- zarsi non su risvolti contenutistici di stati
affettivi o su oggetti (ideali, concezioni, fedi) caratterizzati da peculiari
connotazioni valoriali, ma assumere a riferimento eventuali attacchi alla
persona che adope- 210 Tra sentimenti ed eguale rispetto rino
strumentalmente il sentimento (rectius, il modo d’essere e l’iden- tità
dell’individuo) come fattore degradante per la negazione della pari dignità 1.
Abbiamo individuato nell’eguale e reciproco rispetto-riconosci- mento
l’atteggiamento che meglio si presta a definire sia il dover es- sere dei rapporti
fra singoli, sia la tendenziale equidistanza che do- vrebbe caratterizzare
eventuali interventi normativi 2. Sarebbe corretto parlare di eguale rispetto
come ‘bene giuridico’, per riportare il discorso sul piano dei concetti
endopenalistici? Al di là della scarsa risolutività che una tale formula
assumerebbe sul pia- no teoretico, la sostanza dei problemi appare diversa: in
primo luogo il rispetto non definisce un oggetto di tutela a sé stante ma si
pone piuttosto come parametro per valutare sia i rapporti tra singoli sia la
qualità di eventuali risposte normative che abbiano come riferimento
finalistico la tutela della persona. In secondo luogo, quando si analizzano le
dimensioni sociologica, psicologica e filosofica del rispetto emerge una complessità
che non appare comprimibile e ‘isolabile’ nell’involucro concettuale che si è
soliti definire ‘bene giuridico’3. Possiamo sì parlare di ‘diritto al ri- 1
Cfr. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. Nelle moderne democrazie
liberali, le ricadute effettuali del valore del rispet- to-riconoscimento
coinvolgono due differenti profili. In primo luogo l’atteggia- mento dello
Stato verso i cittadini: il rispetto-riconoscimento è da intendersi co- me
aspetto complementare del principio di eguaglianza, indicando l’approccio che
la normazione statuale dovrebbe assumere nei rapporti con le diverse voci dello
scenario pluralista e nelle dinamiche fra maggioranze minoranze: «l’eguale
rispetto appare in questa luce come una generalizzazione della dignità e dell’onore
è come l’esito di un processo di costituzione di una comunità di pari, di una
comunità di mutuo riconoscimento: la comunità dell’eguale status di cittadi-
nanza» v. VECA, Dizionario minimo. Le parole della filosofia per una convivenza
democratica, Milano; per uno studio sul tema delle discriminazioni attuate
verso individui o gruppi mediante lo strumento giuridico, v. SALARDI, Di-
scriminazioni, linguaggio e diritto. Profili teorico-giuridici, Torino; per un
quadro, e un’analisi critica, di interventi normativi nel contesto italia- no
che sembrano potersi definire come ‘discriminatori’, v. BARTOLI C., Razzisti
per legge. L’Italia che discrimina, Roma-Bari; per un approfondimen- to
sull’atteggiamento della Corte costituzionale in rapporto a questioni in cui
so- no venuti in gioco profili di discriminazione, v. DODARO, Uguaglianza e
diritto penale. Sono numerose le voci che nella dottrina italiana hanno
constatato la crisi di tale costrutto teorico. In termini generali v., per
tutti, FIANDACA, Sul bene giuridico; in relazione a profili più specifici è
stato acclarato il «ruolo di strumento metodologico di chiarificazione
concettuale più che di base cogente- mente normativa delle scelte di
criminalizzazione», così PALAZZO, Tendenze e prospetto’ per descrivere
l’interesse della persona a non essere offesa, ma si tratta di una formula da
prendere con cautela e che necessita di specificazioni. Il filosofo Darwall
osserva che rispettare un individuo significa prendere sul serio le sue
richieste e le sue aspettative sul pia- no morale in forza non di un dovere
impersonale ed esterno alla rela- zione, bensì in virtù dell’autorità morale
che è inerente alla persona stessa, alla quale si deve rispetto per ragioni di
uguaglianza (c.d. rispetto in seconda persona). In altri termini, le richieste
di rispetto traggono legittimazione morale dalla persona in sé, ed è la persona
ad essere destinataria dell’atteggiamento di riguardo fondato sull’ugua-
glianza di status nella relazione di reciprocità. Di fondamentale importanza è
lo sviluppo che Anna Elisabetta Galeotti ha dato al pensiero di Darwall,
contribuendo a illuminare la distinzione tra rispetto e diritti. Riportiamo per
esteso un importante passaggio: «Quando si dice “tutti hanno diritto di essere
rispettati dagli altri” non stiamo parlando di diritto in senso proprio, perché
il diritto al rispetto non ha uno specifico contenuto. Certamente di fronte a
una violazione di diritti, si dice che il trasgressore non ha rispettato il
titolare di dirit- ti. Però non possiamo concludere che il rispetto sia una
qualificazione dell’ottemperamento dei diritti tale che, ogni qualvolta una
persona fa il proprio dovere verso qualcun altro, il rispetto si manifesta come
una qualità intrinseca e inestricabile del dovere morale ottemperato. Non
possiamo concludere in quel modo perché, tra le altre cose, non siamo contenti
di essere rispettati per dovere. Il fatto è che non solo non vogliamo essere
rispettati per un dovere in terza persona, ma neanche spettive nella tutela
penale della persona umana, in AA.VV., a cura di Fioravanti, La tutela penale
della persona. Nuove frontiere, difficili equilibri, Milano. Altri Autori hanno
evidenziato la dissoluzione della funzione critica, sul presup- posto della
negazione di una preesistenza dei beni oggetto di tutela alle scelte del
legislatore, v. DI GIOVINE O., Un diritto penale empatico?, rimarcando inoltre
l’appannamento della capacità descrittiva del concetto, e suggerendone una
dismissione o un sostanzioso restyling, v. FORTI, Le tinte forti del dissenso. Si
veda anche PALIERO, La laicità penale, il quale rimarca il perdurante ruolo di
orientamento del ‘bene giuridico’ in rapporto al formante legislativo e
giurisprudenziale, pur confermando la crisi sostanziale del costrutto in
relazione ai suoi confini. DARWALL, Respect and the Second-Person Standpoint, in Proceedings and
Addresses of the American Philosophical Association. Si è osservato che il rispetto-riconoscimento è
dunque un atteggiamento verso una persona, prima ancora che nei confronti di
un’identità gruppale, che reclama azioni non umilianti e non degradanti, così
CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura. Tra sentimenti ed eguale rispetto per uno in
seconda persona. Non vogliamo essere rispettati per dovere, punto e basta. In
effetti credo che la prospettiva diritti/doveri collassi sempre in qualche
forma di morale impersonale che non soddisfa pro- priamente le nostre
aspettative circa l’essere rispettati. La richiesta reciproca di rispetto pur
se avanzata in termine di diritto non può mai essere soddisfatta per dovere,
anche se ciascuno di noi ha l’obbligo di rispettare gl’altri. La mancanza di
rispetto non si rimedia attraverso l’imposizione di rispettare gli altri, ma
solo attraverso una comprensio- ne autentica di ciò che la richiesta reciproca
implica. Solo allora chi ha mancato di rispetto può riparare il suo torto, non
già facendo per dovere qualche atto, ma riconoscendo la propria mancanza e
riparando l’offesa con un atto individualizzante di riconoscimento. La natura
del rispetto ‘in seconda persona’ implica che il rapporto di reciproco
riconoscimento debba avvenire tramite un atto ‘indivi- dualizzante’, la cui
sostanza è quella di dare valore morale a un soggetto considerandolo nella sua
concretezza di persona umana, non dunque come mera proiezione di una comune
appartenenza di genere che prescinde dalle particolarità che lo caratterizzano.
Un realistico disincanto suggerisce a questo punto una constatazio- ne: il
rispetto, inteso come disposizione comportamentale dell’individuo, non è
coercibile: «[l]a prospettiva dei diritti e dei doveri è una prospettiva
impersonale, che non soddisfa compiutamente le aspettative di ricono- scimento
e rispetto morale. Non le soddisfa perché se il rispetto deve essere ‘in
seconda persona’, un eventuale divieto rappresenta invece una fonte eteronoma
di doveri. Un rispetto giuridicamente imposto può es- sere una componente
importante negli equilibri della convivenza, ma non esaurisce lo spazio morale
delle relazioni e soprattutto non è da considerarsi strumento prioritario da un
punto di vista politico. Rispettare le persone, e rispettarsi fra persone è
prima di tutto un atto ‘sentito’ che discende da disposizioni soggettive sulle
quali influi- scono strumenti di controllo sociale fra i quali può rientrare
anche, eventualmente, il diritto penale; ma se prendiamo sul serio la matrice
affettiva dell’atteggiamento di rispetto8, e dunque la sua natura an- GALEOTTI,
La politica del rispetto. Questa diversa prospettiva dell’atteggiamento di
rispetto viene approfondita in GALEOTTI, Rispetto come riconoscimento, in
AA.VV., a cura di Carter-Galeotti- Ottonelli, Eguale rispetto. PULITANÒ,
Introduzione alla parte speciale. BAGNOLI, L’autorità della morale; MORDACCI,
Rispetto. Dilemmi che di sentimento, ne consegue che l’obiettivo del rispetto
per le per- sone discende in primo luogo dalle possibilità di uno sviluppo
sogget- tivo di tale sentire 9. Emerge un’importante indicazione per definire
il progetto norma- tivo della ‘tutela di sentimenti’: la strategia dei divieti
è del tutto residuale, certo non prioritaria. Il giurista penale è portato a
pensare al concetto di tutela prevalentemente in chiave negativa o ‘difensiva’,
come protezione di un dato oggetto da danni o da pericoli, ma si trat- ta di
un’accezione che rispetto ai problemi in esame appare limitante, e che è
preferibile scorporare in traiettorie differenti. Possiamo individuare una
prima prospettiva che declina il concet- to di tutela come agire positivo, un
‘aver cura’ di sentimenti ed emo- zioni nella dimensione sociale, inteso come
coltivazione di atteggiamenti emotivi che favoriscano un clima favorevole al
reciproco rispetto. Oltre la prospettiva penalistica: ‘cura dei sentimenti’
come sfida fondata sulle libertà Cura dei sentimenti è un concetto estraneo al
tradizionale repertorio di categorie non solo penalistiche, ma più in generale
giuridi- che. Perché si dovrebbe aver cura dei sentimenti nella società con-
temporanea? Una eloquente risposta è fornita da Nussbaum in una cri- tica al
pensiero liberale, reo di non aver adeguatamente tenuto in considerazione
sentimenti ed emozioni, vedendoli come destabilizzanti e più confacenti a
visioni politiche orientate in senso populista, ai fascismi e alle forme
dittatoriali. C’è chi pensa che soltanto le società fasciste o aggressive siano
intensamente emotive e che solo tali società abbiano bisogno di coltiva- re
emozioni. Sono convinzioni sbagliate e pericolose. Cedere sul terreno delle
emozioni, permettere che le forze illiberali vi trovino Non basta dare l’ordine
di farlo perché la gente sia trattata effettivamente con rispetto. Il
riconoscimento reciproco va negoziato, e questo vuol dire coinvol- gere in
tutta la loro complessità il carattere degli individui tanto quanto la
struttura sociale, v. SENNETT, Rispetto. La dignità umana in un mondo di
diseguali, tr. it., a cura di Turnaturi, Bologna. Traggo questo termine dal
lessico di Nussbaum. NUSSBAUM, Emozioni politiche. Tra sentimenti ed eguale
rispetto spazio significa dare loro un grosso vantaggio nel cuore delle persone
e rischiare che queste pensino ai valori liberali come a qualcosa di noioso e
inefficace. Tutti i principi politici, buoni e cattivi, necessitano di supporto
emotivo per consolidarsi nel tempo, e ogni società giusta deve guardarsi dalle
divisioni e dalle gerarchie coltivando sentimenti appropriati di amore e
simpatia» 12. La critica di fondo della studiosa statunitense si può articolare
in due profili. Su un piano filosofico, l’ambizione a un liberalismo politico
(il quale cioè cerchi di mantenere una tendenziale equidistanza senza
promuovere una particolare concezione del bene) avrebbe prodotto teorizzazioni
eccessivamente asettiche sul piano dei valori, o comun- que non adeguatamente
esplicite nell’affermare il sostegno a un pac- chetto di principi. Conseguentemente,
l’immagine di un liberalismo troppo preoccu- pato di presentarsi come
neutrale14 ha disincentivato la riflessione sulle ragioni delle scelte
valoriali degli individui, trascurando le emo- zioni e i sentimenti come
fattori che influenzano gli atteggiamenti verso i valori. La seconda carenza di
fondo è non aver adeguatamente riflettuto sulla ‘psicologia di una società
dignitosa. . Secondo Nussbaum è fondamentale che una riflessione
filosofico-politica prenda le mosse dalla psicologia umana, che cerchi chiavi
di comprensione dei com- portamenti per evitare di elaborare teorie fondate su
immagini stereotipate dell’essere umano. Lo studio delle emozioni e dei
sentimen- NUSSBAUM, Emozioni politiche. Secondo la Nussbaum, quando invece i liberali
hanno tentato di addivenire a un liberalismo più ‘comprensivo’, si è arrivati a
teorizzare una sorta di ‘religione civile’, ossia pacchetti di principi non
adeguatamente inclusivi, bensì escludenti (come esempi vengono riportati la
religione civile di Mill e Comte). Nel panorama statunitense la critica al
tentativo liberale di mostrarsi come asseritamente neutrale ha avuto ad oggetto
anche il pensiero penalistico, visto come del tutto incentrato sul piano
funzionalistico e consequenzialistico, e ten- dente non offrire il giusto
risalto alla componente valoriale nella definizione del danno e della
responsabilità, v. KAHAN, Two Liberal Fallacies. Da tale critica non sono
esenti pensatori fra i più importanti della tradizione liberale, con la sola
esclusione di Rawls, al quale si deve, nello studio intitolato ‘Giustizia come
equità’, un fondamentale richiamo alla psicologia morale ragionevole, v. NUSSBAUM,
Emozioni politiche; cfr. RAWLS, Giustizia come equità. Una riformulazione, tr.
it., a cura di Veca, Milano. Dilemmi ti si pone in questo senso come passo per
identificare matrici di atteggiamenti di pensiero e di comportamenti che
possono rivelarsi problematici, e vieppiù dissonanti, in rapporto ai principi
liberali. Il buon uso pubblico delle emozioni costituisce il nucleo di una
strategia politica che riconosce al fattore affettivo una peculiare forza
normativa e una salienza morale le quali dovrebbero contribuire a dare sostanza
e a vivificare i principi guida del paradigma liberale attraverso un intelligente
stimolo delle coscienze basato su virtuose interazioni con la sfera emotiva18.
Si configura in questo senso un vero e proprio progetto culturale volto a
‘reinventare la religione civile’ 19, e a rendere la compagine sociale
permeabile a emozioni positive al fine di dare al rispetto reciproco una
dimensione più pregnante. Solo a uno sguardo superficiale la teorizzazione di
Martha Nus- sbaum potrebbe risultare accomunabile a una sorta di moralismo au-
toritario, come tentativo di porre le fondamenta di un ‘pensiero uni- co’. La
studiosa, consapevolmente, ne prende le distanze: una cultura critica vigile è
fondamentale per la stabilità dei valori liberali. Un’intensa cura delle
emozioni può coesistere, anche se talvolta a fatica, con la presenza di uno
spazio critico aperto» 21. Una simile prospettiva sembra di primo acchito
esulare rispetto al campo del diritto penale. In verità essa contiene un
messaggio impor- tante anche per la prospettiva penalistica: la ‘cura’ dei
sentimenti de- Da questo punto di vista, il percorso additato dalla Nussbaum
pare potersi accostare a obiezioni critiche di altri Autori che hanno
rimproverato al pensiero liberale un’eccessiva ‘asetticità’: in altri termini,
un punto di vista troppo restritti- vo e ‘astensionistico’ dal punto di vista
etico, a esclusivo vantaggio della prospet- tiva di giustizia e a detrimento di
una riflessione sul bene, sia collettivo sia indivi- duale, v., per tutti,
DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale. Un progetto politico normativo
si legittima se può essere stabile. Le emozioni sono interessanti perché
giocano un ruolo in questa stabilità» NUSSBAUM, Emozioni politiche. Le
strategie proposte da Martha Nussbaum si ba- sano su esempi tratti dalla storia
recente: discorsi pubblici, sostegno alle arti, educazione alla lettura e alla
frequentazione di testi letterari sono alcune delle parti di un vasto programma
che la studiosa pone come base per favorire lo sviluppo di un ‘sentire
democratico’, predisponente all’ascolto reciproco e alla capa- cità di
immedesimarsi nell’altro, per stimolare negli individui emozioni consone ai
valori liberali e per tenere di conseguenza sotto controllo la tendenza
«radicata in tutta la società e, in ultima analisi, in tutti noi, a proteggere
un Sé fragile deni- grando e mettendo in secondo piano gli altri», v. NUSSBAUM,
Emozioni politiche. NUSSBAUM, Emozioni politiche. NUSSBAUM, Emozioni politiche.
NUSSBAUM, Emozioni politiche. Tra sentimenti ed eguale rispetto finisce un
progetto che dà priorità alle libertà, alla promozione di una dialettica
pubblica aperta al confronto anche aspro fra le idee, volta a creare per i
cittadini la possibilità di costruzione di un’IDENTITÀ DIALOGICA. Tutela da
sentimenti Da un altro lato, si pone il problema di quale strategia politico-
sociale debba adottarsi di fronte a spinte emotive negative: vi sono emozioni e
sentimenti per i quali si può porre un problema di tutela non nel senso di
cura, bensì in termini opposti, come presidio disin- centivante che definiamo
‘tutela da sentimenti’. Si tratta della pro- spettiva più suscettibile di
creare tensioni con i diritti di libertà, e che riguarda in modo più diretto
l’eventuale coinvolgimento dello stru- mento penale. È abbastanza immediato
pensare all’odio come atteggiamento emotivo che contrasta con l’eguale
rispetto; esso rappresenta già oggi, a prescindere dalla concreta rilevanza
assunta in fase applicativa, l’elemento caratterizzante condotte che molti
ordinamenti vietano sotto l’appellativo di hate speech e hate crimes. Si tratta
di un nucleo di atteggiamenti che, per quanto non definiti esaustivamente dalle
fonti normative, presentano quale minimo comune denominatore l’avversione verso
gruppi e categorie di persone che patiscono una debolezza e una
marginalizzazione socialmente significativa. La formula tutela da sentimenti
può assumere un significato più esteso dell’accezione descrittiva degli ambiti
normativi di contrasto all’odio: la si potrebbe intendere come istanza
focalizzata non su at- teggiamenti emozionali definiti, bensì funzionale alla
messa a tema di profili inerenti, più in generale, la dimensione psico-sociale
delle matrici e delle ragioni dei dissensi. In altri termini, un’istanza che
riassume l’esortazione all’approfondimento della ‘psicologia di una società
dignitosa’. Parlare di odio come tratto univocamente identificativo di manife-
stazioni offensive è un’approssimazione che rischia di peccare per eccesso.
Anche nella quotidianità emerge come l’odio venga usato per definire e per
connotare atteggiamenti di dissenso radicale frequen- temente riscontrabili nel
contesto mediatico: ad esempio, in riferi- mento all’ambiente dei social
network, si parla frequentemente di 22 SPENA, La parola(-)odio, cit., pp.
598 ss. Dilemmi 217 ‘haters’23, ossia ‘odiatori’, termine col quale si
indicano soggetti che aggrediscono verbalmente gli altri internauti escludendo
ogni possi- bile approccio di mediazione con l’interlocutore. L’atteggiamento
emotivo che definiamo ‘odio’ appare particolar- mente sovraesposto; la tendenza
a focalizzare l’attenzione su di esso può però indurre a trascurare il ruolo di
ulteriori atteggiamenti emo- tivi, altrettanto meritevoli di attenzione come
fattori di degradazione del discorso e della dialettica pubblica. In altri
termini, la realtà psico-sociale è probabilmente più complessa e stratificata e
le contrapposizioni anche estreme non dovrebbero essere ricondotte tout court
all’odio, il quale è forse una componente che, se presa sul serio, potrebbe
essere residuale in rapporto ad altri atteggiamenti antago- nisti dell’eguale
rispetto, quali rabbia, paura, vergogna, invidia, disgusto: più diffusi, e
difficili da riconoscere e da ammettere, anche nei confronti di sé stessi. A
nostro avviso si pone l’esigenza di pensare alla tutela da senti- menti come
istanza normativa che suggerisca di «coltivare una certa attenzione verso i
fattori in grado di favorire la conoscenza delle libertà e le condizioni che
permettono di farne concretamente uso, individuando come punto nodale della
questione l’interrogativo sui «margini di flessibilità di cui dispongono, di
fatto, e soprattutto di cui hanno reale coscienza, le persone nell’espressione
di un “dissenso” rispetto al senso, o meglio, ai sensi che vengono trasmessi
nei rispettivi contesti di vita. In altri termini, il giurista penale deve oggi
considerare che per la Una panoramica in ZICCARDI, L’odio online. Violenza
verbale e ossessioni in rete, Milano. Si tratta di odiatori o semplicemente di
stupidi? L’equiparazione fra intol- leranza, specie in ambito razziale, e stupidità,
proposta in un breve saggio sul- l’analisi psicologica del razzismo ad opera di
BLUM, Razzismo e stupidità, in AA.VV., a cura di Tappolet-Teroni-Konzelmann
Ziv, Le ombre dell’anima, sembra da un lato suggerire il ridimensionamento
della portata di un richiamo all’odio quale matrice dell’intolleranza, e
dall’altro lato sposta sul piano culturale e della decostruzione dialettica,
soprattutto tramite lo strumento del- l’ironia, il contrasto al discorso
razzista. Rabbia e odio sono due emozioni autonome, per quanto non prive di
forti connessioni. Osserva RAVENNA, Odiare, che la rabbia è sperimenta- ta più
di frequente rispetto all’odio, e che quest’ultimo presenta delle caratteristi-
che peculiari che lo rendono distinguibile sia a livello psicologico che psico-
sociale. Sul ruolo politicamente negativo della vergogna, dell’invidia e del
disgu- sto v., per tutti, NUSSBAUM, Emozioni politiche, FORTI, Le tinte forti
del dissenso, Tra sentimenti ed eguale rispetto comprensione dei percorsi
attraverso cui il potere pubblico esprime le sue istanze repressive, occorra
alzare e allargare lo sguardo al con- testo socio-culturale complessivo in cui
i sensi e i relativi dissensi trovano il loro terreno di generazione.
Coerentemente con la suddetta esortazione, riteniamo che una ra- gionevole
attenzione al versante affettivo, orientata a sondare la dimensione umana dei
conflitti e soprattutto lo sfondo antropologico, possa rappresentare un
tassello importante per addivenire a un qua- dro fenomenicamente più realistico
degli atteggiamenti degli indivi- dui e, conseguentemente, anche a una più
dettagliata base di rifles- sione per la politica penale e per un razionale
orientamento alle conseguenze. Appare infatti poco sensato, in una riflessione
sulle dinamiche del reciproco rispetto a livello espressivo-comunicativo, non
prendere in considerazione le matrici dei dissensi, i canali di diffusione, e
più in generale un’idea realistica di essere umano con cui il diritto si trova
a interloquire, anche attraverso eventuali precetti. Più in generale, si tratta
a nostro avviso di ricercare degli adden- tellati sul piano socio-fenomenico
per sondare in modo non concet- tualistico margini di opportunità, oltre che di
legittimità, circa la pro- spettiva di interventi normativi. Idealtipi
antropologici e realtà umana dei conflitti Sia la ‘cura’ dei sentimenti, sia la
tutela ‘da’ sentimenti presup- pongono che negli individui vi sia la capacità
di recepire un certo ti- po di stimoli cognitivi ed emotivi. Viene da chiedersi
quale sia il riscontro che una tale ambizione trova oggi nella compagine
sociale: se si tratti di una prospettiva rea- listica o se invece presupponga
un modello ideal-tipico di cittadino eccessivamente ottimistico. FORTI, Le
tinte forti del dissenso. Osserva PALAZZO, Tendenze e prospettive nella tutela
penale della persona umana, cit., p. 404, che «nel configurare il sistema di
tutela penale della persona, sarà del tutto legittimo prestare ascolto alle
suggestioni anche di tipo antropolo- gico che possono provenire dalle
convinzioni sociali sull’essere umano; ma, dal- l’altro, una razionale scelta
politico criminale sulla tutela della persona e sui suoi limiti dovrà
necessariamente essere ispirata ai princìpi di ultima ratio, di tolleranza e di
laicità del diritto penale. Dilemmi La possibilità che la
riflessione teorica finisca per fare affidamen- to su modelli non del tutto
aderenti alla realtà sociale costituisce un avvertimento che la dottrina
penalistica non ha mancato di evidenziare. Alberto Cadoppi in uno scritto sul
paternalismo giuridico dall’impronta fortemente liberale, in tendenziale
accordo con la posizione di Feinberg propensa alla massima valorizzazione
dell’autonomia di scelta e della volontà dell’individuo, evidenzia come il
discorso sull’autonomia personale vada preso con molta attenzione e serietà,
per non cadere nell’errore, attribuito anche a Mill, di elaborare teorie
assumendo quale prototipo di persona un soggetto apparentemente immune da
inciampi cognitivi e da condizionamenti emotivi che potrebbero gettare un alone
di problematicità sulla reale consapevolezza delle scelte adottate 29. Solleva
problemi simili con riferimento al tema della libertà di espressione Visconti,
quando si chiede se gli argomenti volti a ridimensionare l’impatto delle parole
offensive, e a metterne in dubbio la dannosità, siano dettati anche
(soprattutto?) da un irenisti- co, e tutt’altro che giustificato, affidamento
su un modello di cittadi- no ‘ragionevole, colto e tollerante’, in grado di
elaborare l’insulto e di non patirne gli effetti. Tale categoria personologica
non appare del tutto rispondente alla realtà; ed è per tale motivo che Visconti
osser- va, condivisibilmente, che è con riferimento alla tipologia di soggetti
che non hanno la ca- pacità di controllare razionalmente e dialetticamente la
potenziale pe- CADOPPI, Liberalismo, paternalismo e diritto penale.
L’osservazione di Cadoppi è volta a sottolineare in modo puntuale e
condivisibile il ri- schio di una tendenza semplificante nella teorizzazione
giuridica, e rilancia la problematizzazione dell’idea di essere umano, dei
modelli di scelta razionale, de- gli interessi finali che dovrebbero idealmente
rappresentarne il fine delle condot- te, tema pregno di ricadute sul piano
politico. Ad esempio, si veda la questione relativa al benessere individuale,
all’ideale normativo di vita buona, alla distinzione fra interessi volizionali
e interessi critici, presente in DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza
liberale, e ripreso, con diversità di vedute, in FIAN- DACA, Diritto penale,
tipi di morale, e FORTI, Per una discussione sui limiti morali. A un livello
successivo, la problematizzazione del ruolo delle emozioni, della riflessività,
della consapevolezza delle proprie scelte da parte dell’individuo, si pone in
termini funzionali alla lettura e all’interpretazione delle condotte umane, nel
tentativo, sempre fallibile, di trovare dei signi- ficati: per una
tematizzazione di tale problema in ambito criminologico, e sul rapporto fra
riflessività e opacità, v. CERETTI-NATALI, Cosmologie violente, e bibliografia
ivi citata. Tra sentimenti ed eguale rispetto ricolosità di certe forme di
discorso pubblico, o che – peggio – ne strumentalizzerebbero intenzionalmente i
possibili effetti sociali dannosi, che si prospetta di fatto il problema di una
scelta politico-criminale tra l’intervento e l’astensione. Emerge da tali
notazioni una necessità di realismo, di problematizzazione del modello
antropologico di individuo che il diritto pena- le assuma a punto di
riferimento, nella consapevolezza di non poter e non dover dare per scontate
caratteristiche che finiscono per condur- re ad astrazioni perfezionistiche.
Ricollegandoci a quanto osservato da Visconti, il discorso sui limi- ti alla
libertà di espressione sembra talvolta presupporre la presenza di determinate
capacità dell’essere umano le quali appaiono oggi non condivise dalla totalità
degli individui. Tale rilievo si pone in primo luogo per i destinatari di
espressioni offensive, ma è bene allargare la riflessione anche al versante degli
autori, e dunque alle particolari di- sposizioni emotive e di pensiero che li
caratterizzano: il carico emoti- vo della vittima e la spinta emotiva che anima
chi offende sono en- trambi esposti al rischio di atteggiamenti radicali.
All’interno del macro tema del dissenso intersoggettivo riteniamo che le
traiettorie di ricerca per il giurista debbano focalizzarsi su differenti
aspetti, uno dei quali, concernente le matrici cognitive del dis- senso e la
qualità del flusso epistemico che alimenta le opinioni, è stato sinteticamente
messo in luce nel saggio di Gabrio Forti poc’anzi citato. L’Autore evidenzia
come il contesto generativo del senso e del dissenso versi oggi in condizioni
alquanto problematiche, che mettono a dura prova le risorse cognitive dei
singoli e alimentano un gri- giore epistemico il quale si accompagna a uno
sbiadimento globale dell’etica della comunicazione. L’avvento del web, oltre a
indurre la percezione di una deresponsabilizzazione del discorso pubblico, ha
portato a un «sovraccarico informativo che espone ognuno al rischio di
mobilitare non risorse cognitive adeguate, bensì una “ca- VISCONTI C., Aspetti
penalistici; cfr. FORTI, Le tinte forti del dissenso, il quale parla
criticamente di credo neo-liberale, costruito a mi- sura di soggetti capaci di
farsi robustamente valere nell’agone socio-culturale (ivi compresi storici e
intellettuali in grado di rintuzzare con gli argomenti della loro scienza le
farneticazioni negazioniste. Tematizza il problema di una tendenza a elaborare
modelli ‘deontologici’ di persona umana poco rispondenti con la realtà sociale
anche FIANDACA, Diritto penale, tipi di morale. AGOSTINI, Verità avvelenata. Dilemmi
pacità attentiva deteriorata”, generando così risposte meccaniche,
“comportamenti automatici che evitano la paralisi al prezzo della qualità
decisionale. A costituire un rischio per il pensiero critico, e dunque per la
qua- lità etica ed epistemica del discorso pubblico, sarebbe, secondo Forti:
«il manifestarsi in tale contesto di voci che si distaccano — solo perché
rumorose, violente, sorprendenti — dal magma confuso dell’over- crowding
informativo, riuscendo così a incanalare tunnel visions di schiere di followers
a conseguire quella che potremmo definire una ve- ste “istituzionalizzata
mediaticamente” L’aspettativa di poter trar- re da tali voci “salienti”
rassicuranti semplificazioni del complesso e angosciante overcrowding
informativo che ci stringe, sarà potenziata laddove esse si sostengano su una
violenza espressiva che sembri ap- pagare altresì, sia pure con un sortilegio
illusorio, quella nostalgia di fisicità e corporeità che l’immersione
quotidiana nei mondi virtuali e artificiali non può che acutizzare. Come emerge
da tali considerazioni, le cause dell’alterazione della dialettica pubblica e
la conseguente canalizzazione della violenza e dell’aggressività verbale
sembrano doversi ricondurre a una stratifi- cazione di fattori, non a un
univoco atteggiamento emotivo. Dissensi ed estremismo A nostro avviso si può
inquadrare un secondo ambito di problemi legati alle matrici generative dei
dissensi, riguardante più da vicino i microcosmi soggettivi e concernente
l’analisi dei fattori psico-sociali che possono portare un individuo ad aderire
in modo più o meno marcato, se non addirittura ‘estremo’ a certe idee e a
convinzioni fino a porsi in radicale conflittualità con opinioni concorrenti e
con i sog- getti che vi aderiscono. Perché anche soggetti ragionevoli sono
spesso protagonisti di con- trapposizioni radicali? A un primo livello,
relativo a uno stadio che potremmo definire ‘fi- siologico’ del dissenso, una
buona chiave di lettura ci sembra quella proposta di recente da Jonathan Haidt,
il quale rimarca come l’ade- sione a ideologie e credenze sia frutto di scelte
basate su matrici pret- 33 FORTI, Le tinte forti del dissenso. FORTI, Le tinte
forti del dissenso. Tra sentimenti ed eguale rispetto tamente emotive: gli
individui decidono quali idee appoggiare sulla base di emozioni che sono
modellate dall’appartenenza gruppale, e tendono a elaborare narrazioni e
adattamenti per riuscire a trovarsi in sintonia, inconsciamente e
intuitivamente, con le proprie idee, svi- luppando dunque una tendenza a
ricercare conferme alle proprie opinioni la quale rischia di tramutarsi in una
cieca ottusità verso ra- gioni concorrenti. La morale unisce e acceca: ci
unisce in schie- ramenti ideologici che si danno battaglia come se il destino
del mon- do dipendesse dalla vittoria della nostra squadra. Ci acceca rispetto
al fatto che ogni schieramento è composto da brave persone che hanno qualcosa
di importante da dire» 35. Lo studio di Haidt si attesta su un piano
prettamente descrittivo: esplica le ragioni per le quali le persone tendono a
dividersi su argo- menti importanti come la politica e la religione, ma non fornisce
proposte per limitare i dissidi, affermando, con disincanto, che la no- stra
parte intuitiva è alquanto difficile da dominare. Il fatto che gli esseri umani
siano portati ad allinearsi in schiera- menti che si identificano nei valori
del gruppo di appartenenza, svi- luppando una conflittualità su base gruppale,
contribuisce a fornire delle spiegazioni, corroborate da evidenze sperimentali,
sul ruolo dominante giocato dalla componente emotiva piuttosto che da un’as-
serita dimensione ‘razionale’. Se bene intendiamo la posizione di Haidt,
riteniamo si possano instaurare virtuose connessioni con i percorsi di crescita
emotiva che Martha Nussbaum individua quale impegno per uno Stato liberale: per
quanto i disaccordi possano essere forti, Haidt invita a non radi- calizzare le
alternative in senso manicheo ma a leggerle come ricadu- ta di un’emozionalità
istintuale che può essere educata a un maggio- re rispetto delle ragioni
altrui37, in una prospettiva dunque che sa- HAIDT, Menti tribali. Si veda anche
FROMM, Marx e Freud, tr. it., Milano: «l’individuo deve chiudere gli occhi e
non vedere quello che il suo gruppo dichiara inesistente, o deve accettare come
vero ciò che la maggio- ranza considera tale, anche se gli occhi lo
convincessero che ciò è falso. Il gruppo è di importanza così vitale per
l’individuo che per lui le opinioni, le convinzioni e i sentimenti del gruppo
costituiscono la realtà, una realtà più valida di quella che gli trasmettono i
sensi e la ragione. La metafora utilizzata da Haidt è quella dell’elefante e
del suo portatore. Sinteticamente, l’elefante rappresenta la parte emotiva
dell’uomo, il portatore il pen- siero riflessivo, v. HAIDT, Felicità:
un’ipotesi; ID., Menti tribali. Noi tutti siamo risucchiati in comunità morali
tribali. Gravitiamo attorno a valori sacri e condividiamo argomentazioni post
hoc sul perché noi abbiamo ra- Dilemmi remmo portati a ricollegare
alla ‘cura dei sentimenti’. Eccoci però giunti a un ulteriore profilo
problematico: il tipo di conflittualità che oggi desta maggiore preoccupazione
si manifesta attraverso cadenze espressive, e anche attraverso condotte, che
rive- lano un attaccamento a ideali e a credenze in forme tendenti
all’esclusione di ogni tipo di confronto e all’annullamento della posizione
contrapposta. Si tratta di un fenomeno definito come ‘pensiero estremo’, nel
quale l’individuo moderno rischia di scivolare anche a causa di una
destabilizzazione soggettivamente avvertita di fronte al pluralismo etico e
informativo, e dalla quale cerca rifugio e rassicurazione affidandosi a morali
e visioni del mondo autoritarie. Prendiamo a riferimento uno studio del
sociologo francese Gèrald Bronner, il quale identifica quali caratteristiche di
fondo del pen- siero estremo la debole trans-soggettività e l’attitudine
sociopatica39 delle idee. Alla base della concezione di Bronner vi è la
convinzione, ampia- mente argomentata nel corso dell’opera, che le derive
estremiste del pensiero, spesso legate anche a tragici esiti sul piano delle
condotte, non siano affatto da considerarsi come frutto di anomalie sul piano
psichico, ma al contrario possiedano una solida, inquietante raziona- lità.
Partendo dalla consapevolezza che nelle considerazioni e nelle azioni di un
estremista vi è una logica, si possono indagare le matrici di determinate forme
di pensiero. È importante notare come una fra le diverse modalità di adesione a
forme di pensiero estremo sia strettamente legata al contesto de- mocratico:
col concetto di adesione ‘per frustrazione’ si indica il rifu- giarsi di un soggetto
in una convinzione fanatica volta a compensare l’insoddisfazione dovuta al non
possedere o possedere meno di ciò che ritiene di meritare. Bronner afferma che
la democrazia, a causa all’essenza competiti- gione e gli altri torto. Pensiamo
che nell’altro schieramento siano tutti ciechi alla verità, alla ragione, alla
scienza e al buonsenso, ma in effetti siamo tutti ciechi quando parliamo di ciò
che è sacro. E se davvero volete aprire la vostra men- te, prima di tutto
aprite il vostro cuore, v. HAIDT, Menti tribali, BRONNER, Il pensiero estremo.
Come si diventa fanatici, tr. it., Bologna. La trans-soggettività di un’idea
sta a indicare la capacità di essere accolta da altre persone a parità di
condizioni; la sociopatia viene definita come una carica agonistica intrinseca
che implica l’impossibilità per alcuni individui di vivere insieme ad altri, e
per un’idea, di poter coesistere con altre idee, v. BRONNER, Il pensiero
estremo. Tra sentimenti ed eguale rispetto va che stimola e delle aspettative
che non può compiutamente soddi- sfare, possa in un certo senso favorire la
proliferazione e l’adesione a ideologie estremiste le quali si proiettano in un
rapporto di competizione ad excludendum con il restante mercato delle idee,
stimolando forme di particolare aggressività e di disprezzo nei confronti degli
in- terlocutori: «la frustrazione e il desiderio di affermazione costitui-
scono un mix esplosivo in un sistema in cui troppi si sentono eleggibili benché
il numero degli eletti non aumenti, dobbiamo aspet- tarci di osservare le
conseguenze negative che l’amarezza condivisa non mancherà di produrre. Tirando
le fila del discorso, questo breve excursus a metà fra psicologia sociale e
sociologia vorrebbe provare a offrire un quadro me- no astratto e disincarnato
del mondo umano con cui il diritto penale si trova a fare i conti, al fine di
contestualizzare i conflitti legati ad appartenenze significative, e dunque ad
alto grado di pregnanza emotiva, sia in relazione all’ambiente di diffusione
delle idee, sia al sub- strato personologico dei dissidi 41. Sarebbe infatti
ingenuo e irenistico costruire un discorso soltanto su principi, levando gli
occhi al cielo senza cercare di assumere reali- sticamente consapevolezza dei
mondi sociali che si pongono alla base dei fenomeni. Diversamente, si rischia
di cadere nel rischio paventato da Benci- venga, quando afferma che in
discussioni su temi del genere, è abba- stanza comune prendere posizioni nette,
a incrollabile sostegno di de- terminate regole», mostrando dunque un’aderenza
quasi dogmatica a principi, nella convinzione, o nella speranza, che portare
avanti una battaglia in nome di valori giusti conduca a decisioni anch’esse
giuste. L’esperienza storica mostra come tale aspettativa possa rivelarsi
fallace, non a causa del travisamento etico di regole che riteniamo BRONNER, Il pensiero estremo. Utilizziamo il
termine ‘dissidio’ nell’accezione proposta da CERETTI-GARLATI, Presentazione, cur.
Ceretti-Garlati, Laicità e stato di diritto, i quali citano in senso adesivo la
teorizzazione di Lyotard: dissidio come conflitto fra interessi contrastanti e
orientati a sistemi di riferimento non condivi- si, in totale asimmetricità.
Col concetto di mondo sociale vogliamo evidenziare ulteriormente come le
dinamiche dei conflitti vadano interpretate prendendo in debita considerazione
il concetto di gruppo e l’importanza che esso riveste nella sfera affettiva e
decisio- nale del singolo; per una sintesi, v. STRAUSS, Il concetto di mondo
sociale, tr. it., a cura di Toscano, Milano, BENCIVENGA, Prendiamola con
filosofia. Dilemmi abbiano autorità su di noi, bensì poiché l’esistenza di un
conflitto fra regole entrambe ‘giuste’ porta comunque a violarne una, la quale
avrebbe potuto (forse) indurre esiti differenti sul piano fattuale. Non potendo
però sapere quale sia all’interno di un dilemma etico l’al- ternativa migliore,
bisogna realisticamente accettare che qualsiasi scelta ci pone di fronte a
responsabilità: «l’aderenza a un principio non ci assolve; la nostra anima
dovrà portare il carico della scelta che abbiamo fatto. In altri termini, quale
esercizio di onestà intellettuale appare preferibile immergere i principi nel
contatto con la realtà, non perché in questo modo si possa risolvere un
dilemma, ma quantomeno perché così facen- do si può avere una migliore
percezione delle contingenze, sostituendo l’ambizione a cristallizzare una
scelta con un più umile discorso che as- suma a propria bussola le categorie
della necessità e della opportunità: è per le strade tortuose, e spesso fra i
detriti e le macerie, della vita quotidiana che le leggi universali vanno
applicate, con tutta l’incertezza che compete a tali applicazioni; e non
dobbiamo dimenticarlo. Quale ruolo per il diritto penale? Il ‘tormentato’
pensiero della dottrina penalistica Il monito responsabilizzante formulato da
Ermanno Bencivenga induce una comprensibile prudenza, e la complessità del
dilemma di fondo si manifesta in modo evidente anche nel discorso penalistico,
dove le riflessioni recenti sul tema dei rapporti fra libertà di espressione e
reciproco rispetto sono confluite in prese di posizione in bili- co fra il
recondito ottimismo in uno spazio comunicativo senza limi- ti, e la sofferta
apertura verso la possibilità di risposte penali. Un atteggiamento
profondamente combattuto, potremmo dire ‘tor- mentato’, di fronte a scelte che
comporterebbero in ogni caso il sacrificio di principi fondamentali; lo ha ben
sottolineato Alessandro Te- sauro quando, in tema di limiti alla propaganda
razzista, ha parlato di un ‘Io diviso’, in senso psicanalitico, tra impegno
antirazzista e passione liberal per la libertà di espressione BENCIVENGA,
Prendiamola con filosofia. BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. TESAURO,
Riflessioni in tema di dignità umana. Tra sentimenti ed eguale rispetto
Nell’orizzonte penalistico prevale una linea di forte cautela, spesso con
posizioni ‘ibride’: anche le opere che hanno approfondito con maggiore dovizia
obiezioni demolitorie rispetto a eventuali incrimina- zioni, sembrano escludere
un atteggiamento di completa chiusura Nel complesso sembra essersi affievolita
la tendenza a voler elabo- rare modelli interpretativi orientati alla ricerca
di conclusioni assio- maticamente deducibili dal diritto positivo, sia con
riferimento a norme ordinarie che al testo costituzionale. Rispetto al
mainstream tradizionale, nel quale l’emancipazione dall’AUTORITARISMO del CODICE
FASCISTA puo ragionevolmente identificarsi come rinascita in senso liberale,
l’approccio odierno si scontra con la complessità delle diverse declinazioni
del liberalismo contemporaneo, ragion per cui è av- vertita l’esigenza di non
scivolare in un uso dei principi liberali emotivamente appagante ma proprio per
questo ad alto contenuto retorico. L’esito ‘scontatamente liberale’48 del
dibattito, coincidente con l’assoluto diniego a ogni forma di responsabilità
per l’uso della libertà di manifestazione del pensiero, è oggi una risposta che
rischia di ar- chiviare troppo prematuramente le questioni. Al fine di
‘guardare in faccia’ i problemi, autorevoli voci della dot- trina penalistica
hanno sollevato interrogativi in una chiave meno convenzionale: ad esempio
riorientando l’attenzione sugli effetti ne- Ci sembra interpretabile in questo
senso lo studio di TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., e
soprattutto il contributo di VISCONTI C., Aspetti pena- listici, cit. Anche il
lavoro di SPENA, La parola (-) odio, riconosce che il diritto alla libertà di
espressione nel caso del discorso d’odio è comunque più de- bole e più
bilanciabile con interessi confliggenti; cfr. CANESTRARI, Libertà di
espressione e libertà religiosa. Più netta la chiusura di Autori come
CAVALIERE, La discussione intorno alla punibilità del negazionismo; FRONZA,
Criminalizzazione del dissenso. Più univoche sono invece le aperture di
PULITANÒ, Di fronte al negazionismo e al discorso d’odio; FORTI, Le tinte forti
del dissenso. La dottrina penalistica manifesta con sostanziale univocità,
anche se con diversità di accenti, la contrarietà a restrizioni penalistiche
alla libertà di espressione, quale reazione all’auto- ritarismo delle
fattispecie del codice Rocco, v. la sintesi di VISCONTI C., Aspetti penalistici.
Nell’ambito costituzionalistico sembra prevalere una linea di contrarietà a
regolamentazioni del discorso pubblico, sia con riferimento allo hate speech,
sia al negazionismo, v. ex plurimis, CARUSO, La libertà di espressione in
azione; ID., L’hate speech a Strasburgo: il pluralismo militante del sistema
convenzionale, in Quaderni costituzionali; PUGIOT- TO, Le parole sono pietre?;
PARISI, Il negazionismo dell’Olocausto e la sconfitta del diritto penale, in
Quaderni costituzionali; in tema di hate speech una posizione di non chiusura
ai divieti è quella di SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione.
FORTI, Le tinte forti del dissenso. Dilemmi gativi di un’assoluta
deregolamentazione del discorso pubblico (par- lando di dilagante, confuso
‘overcrowding informativo), o facendo ricorso a distopie immaginative fondate
sulla possibilità che deter- minati atteggiamenti di pensiero possano
effettivamente acquisire consenso 50. Per quanto i profili di disvalore che si
accompagnano alle condot- te comunicative possano apparire sfuggenti rispetto
alle esigenze di concretezza e di verificabilità empirica richieste dal diritto
penale, in sede di speculazione teorica il giurista ha il compito di dar conto
di una complessità di fondo, anche prendendo laicamente atto che ci si trova di
fronte a «grandezze valoriali difficilmente contenibili nei no- stri beni
giuridici» 51. Coglie nel segno, a nostro avviso, chi ha definito la questione
dei limiti penali alla libertà di espressione come ‘sfida o scommessa’ 52,
evidenziando la prospettiva del tutto aleatoria che si lega sia alle concezioni
libertarie sia a quelle regolazioniste. L’incertezza empi- rico-cognitiva sugli
effetti pericolosi o dannosi di determinati con- tenuti espressivi53 si
accompagna al fatto che non è dato sapere quali conseguenze possano scaturire
nel breve e nel lungo periodo da un’assoluta deregolamentazione del discorso
pubblico; e ove si voglia propendere per un intervento del diritto penale resta
da chie- dersi quali possano essere i metodi e gli effetti di un’eventuale cri-
minalizzazione, sia essa solo minacciata, tramite precetti, o anche applicata.
La ragione dell’impasse nella quale ci si trova al cospetto delle suddette
alternative si motiva in primo luogo con il fatto che il richiamo al diritto
penale è, plausibilmente, percepito come minaccia di sanzione e, in
particolare, di una sanzione che si identifica con la pena detentiva. Ma
proprio in merito a tale ultimo profilo, ossia alla prospettiva lato sensu
‘sanzionatoria’, la dottrina penalistica più aperturista – che non esclude
radicalmente l’eventualità di interventi penali in materia di libertà di
espressione – si fa portatrice di un dif- ferente modo di intendere, in
prospettiva futura, le dinamiche dello 49 FORTI, Le tinte forti del dissenso. PULITANÒ,
Cura della verità e diritto penale, in AA.VV., a cura di Forti- Varraso-Caputo,
«Verità» del precetto e della sanzione penale. FORTI, Le tinte forti del
dissenso.VISCONTI C., Aspetti penalistici. Per tutti, TESAURO, Riflessioni in
tema di dignità umana. Tra sentimenti ed eguale rispetto strumento penale. Sono
emerse riflessioni volte a non limitare lo sguardo all’angusto orizzonte della
pena, proiettate verso nuovi itine- rari, financo eclettiche ed ‘eterodosse’
rispetto al tradizionale reperto- rio concettuale penalistico. Ci riferiamo in
particolare a interessanti proposte formulate in relazione ad ambiti specifici
(sentimento religioso, negazionismo), il cui filo conduttore, pur con i dovuti
distinguo, appare potersi individuare in una rivalutazione dell’efficacia
‘virtuosamente simbolica’ del precetto penale. Precetti pedagogici? Con
riferimento alla tutela del sentimento religioso si è avanzata la proposta di
una protezione giuridico-penale «costruita prevalen- temente (se non
esclusivamente) attorno alla capacità di orien- tamento culturale svolta dai
precetti, mettendo finalmente da parte la forza inutile ed espressiva delle
pene in senso stretto» per addivenire a un sistema di tutela «più mite e
‘relativo’ in quanto radicato sugli spazi di confronto dischiusi dal precetto
penale che sancisce, ma non punisce. In altri termini, uno strumento normativo
che agisca al di fuori dell’ottica retributiva e di deterrenza, seguendo le
coordinate della prevenzione generale cosiddetta ‘positiva’, ossia quella
funzione della pena tesa a rinsaldare e a confermare valori già acquisiti e
(più o me- no) radicati nei processi di socializzazione dell’individuo, tema
ampiamente dibattuto nella dottrina italiana e non affrontabile nell’eco- nomia
del presente lavoro. Al precetto viene in questo senso assegnata una funzione
centrale, sulla base del presupposto che la prevenzione di forme di offesa
lega- te al sentire religioso debba consistere in un rispetto volontario e
spontaneo. Dal piano dei semplici propositi si passa a una teorizza- 54
MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa e scelte di criminalizzazione. Riflessioni
de iure condendo sulla percorribilità di una politica mite e democratica, in
AA.VV., a cura di De Francesco-Piemontese-Venafro, Religione e religioni. Per
tutti, PULITANÒ, Diritto penale; PALAZZO, Corso di diritto penale, Torino;
FORTI, L’immane concretezza. Per una sintesi si rinvia a DE FRANCESCO, La
prevenzione generale tra normativi- tà ed empiria, in AA.VV., Scritti in onore
di Alfonso M. Stile, Napoli. Dilemmi 229 zione più dettagliata ipotizzando una
norma che faccia coincidere la sanzione con una formale declaratoria del
contenuto del precetto: il giudice sarebbe chiamato, ove l’agente si rifiuti di
riparare le conse- guenze del reato attraverso percorsi di mediazione con la
persona of- fesa, a «enunciare il disvalore del fatto colpevole nel dispositivo
della sentenza, dandone conto nella motivazione», e ordinandone even- tualmente
la pubblicazione nei casi più gravi. La prospettiva appena descritta sembra
fondarsi su una connes- sione tra proposta dialogica e stigma penale58,
finalizzata a una re- sponsabilizzazione dell’autore in assenza di rimedi
prettamente coer- citivi, cercando di salvaguardare il pluralismo delle parti
dalla violen- za di provvedimenti autoritativi, e delegando alla forza del
precetto la funzione espressiva di un richiamo responsabilizzante 59. Si
inscrive in una traiettoria similare uno studio dedicato al tema del
negazionismo, il quale si distingue nel mainstream penalistico per una
esplicita apertura alla criminalizzazione di condotte che neghino l’Olocausto.
Rileviamo come anche in questo caso le conclusioni di non contrarietà a
interventi penali siano correlate alla proposta di una tipologia di intervento
che non si inquadra nella canonica diade ‘pena detentiva-pena pecuniaria’, ma
che cerca di elaborare soluzioni che valorizzino il dato simbolico del
precetto, veicolato dalla portata dichiarativa della vicenda processuale e
dall’eventuale, conseguente, provvedimento del giudice. Con le parole
dell’Autore: «Si tratterebbe, già nella comminatoria edittale, di pensare a
qualcosa di diverso dalla classica “caditoia” verso la reclusione. Per quanto
la proposta possa spiazzare, e determinare un ripensamento del catalogo delle
pene principali, il calibro della reclusione andrebbe accompa- gnato con
l’immediata conversione in una pena di sostanza espressiva e reputazionale.
Perché non approfondire, ad esempio, la soluzio- MAZZUCATO, Offese alla libertà
religiosa. Per una panoramica sul tema v. AA.VV., a cura di Mannozzi-Lodigiani,
Giu- stizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Bologna.
L’ipotesi della mediazione come ‘risposta istituzionalizzata’, ossia elemento
necessario di un percorso processuale di responsabilizzazione, è oggetto di
dibattito in dottri- na; in merito a tale soluzione appare scettico PULITANÒ,
Sulla pena. Fra teoria, principi e politica, in Riv. it. dir. proc. pen.; di
opinione opposta DONINI, La situazione spirituale della ricerca giuridica
penalistica. Profili di diritto sostanziale, in Cass. pen. Di recente, VISCONTI
A., Contenuti ‘informativi’ della sanzione penale e coe- renza del ‘sistema’,
cur. Forti-Varraso-Caputo, Verità del precetto e della sanzione penale. Tra
sentimenti ed eguale rispetto ne della lettura in udienza di un dispositivo
munito di una speciale narrativa, da cui traspaia – con formulazioni più estese
ed efficaci del- l’ordinario – la disapprovazione dell’ordinamento
all’indirizzo del- l’autore delle espressioni negazioniste, al quale
ricollegare, ove possi- bile, una sanzione accessoria di natura
inibitoria/interdittiva e la pub- blicazione della sentenza di condanna? Una
pena/giudizio, dal caratte- re accentuatamente didascalico e “simbolico” per
rispondere al “dia- bolico” del negare, volta a rendere il dispositivo una
sorta di sanzione veritativa che renda giustizia, oltre all’esistenza delle
camere a gas e dei forni crematori, all’esperienza della discriminazione e al
senso di umanità. In tal modo, al contro-logos dell’annientamento, agito dai
negazionisti, verrebbe opposto, con la solennità delle forme del pro- cesso
penale, un potere di nominazione che, sancendo il limite, il confine tra
libertà di espressione e abuso della possibilità di offendere, impedisce che
l’ultima parola sia di menzogna» 60. Anche in questo caso sullo sfondo delle
argomentazioni si pone un modo di pensare al potenziale simbolico del precetto
come risorsa positiva che può contribuire a una responsabilizzazione non
tramite il consueto binario repressivo, ma impegnandosi a contrastare de-
terminate forme di discorso pubblico sul terreno comunicativo, senza cadere in
eccessi punitivi che si esporrebbero a obiezioni sul piano della
proporzionalità. Per quanto si tratti di posizioni che in definitiva avallano
la pro- spettiva di interventi penali quale forma di contrasto alla diffusione
di determinati contenuti di pensiero, collocarle sotto il segno di un trend
repressivo sarebbe a nostro avviso un’approssimazione che non rende giustizia
alla profondità delle opinioni espresse. La sanzione, CAPUTO, La Menzogna di
Auschwitz. Netta è la presa di distanza di DI MARTINO, Assassini della memoria:
strategie argomentative in tema di rilevanza penale del negazionismo, cur. Cocco,
Per un manifesto del neoilluminismo penale, Padova, il quale definisce Meno
convincente, anzi deleteria la sanzione accessoria della pubblicazione della
sentenza: essa finirebbe con l’offrire ancora l’arena che i negazionisti
desiderano, trasmettere l’idea del martirio, risultare paradossalmente
co-funzionale all’offesa: conse- guenze, queste, suscettibili di
controbilanciare pesantemente il perseguito effetto di stigmatizzazione. Ben
vengano, dunque, caveat e ammonimenti sui pericoli di strumentaliz- zazione dei
singoli per bisogni di utilità sociale, purché non si finisca per disco-
noscere, tra i caratteri della norma penale, il connotato di profonda
stigmatizzazione di un fatto, di affilato giudizio etico-sociale, e
un’attitudine a sollecitare, più di ogni altra norma, l’attenzione diffusa per
i valori tutelati e la conseguente di- sapprovazione sociale per l’offesa che
li riguardi», v. CAPUTO, La ‘Menzogna di Auschwitz. Dilemmi pur restando
contrassegno formale della norma penale, viene rivesti- ta con fogge che ne
mutano la natura prettamente afflittiva per dare luogo a forme
narrativo-pedagogiche tese a potenziare la dimensio- ne contenutistica e
comunicativa del precetto. Non si può a nostro avviso parlare di una vera e
propria opzione a favore della soluzione penalistica dei conflitti, quantomeno
ove si in- tenda il diritto penale nel senso tradizionalmente sanzionocentrico.
In realtà, le suddette proposte ci sembrano da inscrivere all’interno di un più
complesso movimento di pensiero, quale ricerca di percorsi che diano pratica
attuazione a quella che per ora sembra ancora rimanere solo una massima
elaborata dalla dottrina, ossia che la ragione del penale non è, solo,
l’inflizione della pena: «sul piano delle norme, la ragione del penale è
l’osservanza dei precetti, Quale corollario alle riflessioni sul ruolo
pedagogico dei precetti, riteniamo importante dar conto di uno studio che il
giurista statuni- tense Fredrick Schauer ha dedicato al tema della forza del
diritto, e in particolare al legame fra diritto e forza: si tratta di un
indissolubile nesso di implicazione reciproca o è immaginabile un diritto senza
coercizione? L’interrogativo porta in luce una questione fondamentale anche
(soprattutto) per il giurista penale. Va detto anticipatamente che lo studio di
Schauer non giunge a esiti ‘sconvolgenti’, in quanto la con- clusione non è nel
segno di una superfluità del momento coercitivo; individua però importanti
argomenti a confutazione del fatto che la coercizione e le sanzioni debbano
essere al centro dell’idea di diritto. Bisogna distinguere due profili: il
primo di tipo concettuale, il secondo di tipo empirico. Dal punto di vista
concettuale, Schauer sostiene che l’esistenza dell’obbligo giuridico sia
logicamente distinta dalla sanzione, e l’in- teriorizzazione di un obbligo non
accompagnato da sanzione sia possibile. Se però ci si sposta sul piano dei
riscontri empirici e ci si chiede se la gente obbedisca, o sarebbe disposta a
obbedire, a un di- [Per una critica all’atteggiamento sanzionocentrico, che
cioè assume la pena come principale e ineluttabile dimensione di senso cui
orientare la attività di elaborazione concettuale», e la controproposta di
prediligere una riflessione guidata dalla precomprensione che la pena non è lo
scontato punto di partenza e di arrivo, ma è e non può non essere il problema
(iniziale e finale) che pone le domande fondamentali, v. FIANDACA, Rocco: è
plausibile una de-specializza- zione della scienza penalistica?, in Criminalia,
PULITANÒ, Sulla pena. Fra teoria, principi e politica. SCHAUER, La forza del
diritto, tr. it., Milano-Udine. Tra sentimenti ed eguale rispetto ritto privo
di sanzioni il problema diviene più articolato; vi sono studi di psicologia
sociale che affermano che, in assenza di sanzioni, il li- vello di obbedienza
alle leggi con cui le persone dissentono è alquanto basso. Ora, se da un lato
ciò conferma che un apparato coercitivo resta importante per assicurare
effettività al diritto, Schauer invita però a considerare che una statuizione
giuridica dispiega comunque effetti, anche quando il diritto si trovi a fare da
‘apripista’ culturale: «Sarebbe ingenuo credere, senza una prova evidente, che
una semplice modifica legislativa possa ottenere un alto livello di obbedienza
senza il supporto della coercizione e di sanzioni di vario genere. Ma le
dinamiche psicologiche e sociologiche sono complesse. La semplice approvazione
di un divieto giuridico, solo perché enunciato dal dirit- to, può indurre sia
un cambiamento di attitudine che di comportamento. L’Autore prosegue osservando
che tale cambiamento sarà più fa- cilmente verificabile in relazione ad
argomenti su cui i cittadini non hanno un’opinione consolidata piuttosto che su
temi oggetto di divi- sione; nondimeno, anche in assenza di vere e proprie
sanzioni il diritto può avere il potere di modificare comportamenti sociali.
Senza addentrarci ulteriormente nel denso scritto di Schauer, ci sembra che
tali osservazioni rappresentino un input sufficiente per guardare al diritto, e
in particolare al diritto penale, anche come strumento che tramite i precetti,
piuttosto che con le sanzioni, può contribuire a veicolare un messaggio di
forte disapprovazione. Diritto penale ‘simbolico’? È innegabile che si avverta
più di una remora ad avallare questa discussa formula; il termine ‘simbolico’
associato al penale suscita una condivisibile diffidenza, ma non si può negare
che l’aspetto simbolico, che pure è terreno di pericolose (o inutili)
deformazioni del sistema penale, è un aspetto non trascurabi- le per una
efficace comunicazione politica, anche a livello legislativo. SCHAUER, La forza
del diritto. SCHAUER, La forza del diritto; sul tema, più diffusamente, v. MCA-
DAMS, The Expressive Powers of Law. Theories and Limits, Harvard.Per la
precisazione del concetto v. SCHAUER, La forza del diritto. SCHAUER, La forza
del diritto. PULITANÒ, La cultura giuridica e la fabbrica delle leggi,
penalecontemporaneo.it; in termini adesivi a tale posizione v. FORTI, Le tinte
forti Dilemmi Ebbene, il disagio connesso all’opzione
sanzionatorio-detentiva quale eventuale risposta penale in tema di libertà di
espressione, induce a chiedersi se la dimensione simbolica possa assurgere
anche al rango di ‘funzione primaria’, tramite norme costruite in modo da
relegare la restrizione di libertà a semplice minaccia disinnescabile in virtù
di percorsi alternativi per il reo, o, in termini più radicali, tra- mite un
aggiornamento del catalogo delle pene principali che introduca nuove forme di
stigmatizzazione dotate di una specifica efficacia sul piano comunicativo, come
ipotizzato dai contributi preceden- temente menzionati. Si tratta, com’è
evidente, di percorsi innovativi la cui complessità esigerebbe un’analisi
distinta rispetto ai nuclei tematici del presente lavoro. Riteniamo però che
non sia irrealistico pensare al giudizio pena- le anche quale luogo di
confronto e rettifica in un contesto di dialettica sorvegliata, funzionale a
far emergere e a dichiarare i profili di disvalore di determinate espressioni
attraverso la sottolineatura in sede pubblica del carattere intrinsecamente
fallace o della grossolana offensività dell’eguale rispetto, magari avvalendosi
del contribu- to di esperti che ne analizzino la portata sul piano sociologico
e psicologico. Siamo al confine estremo della legittimità dell’intervento
penale: problemi di eccezionale delimitazione di una libertà che in linea di
principio è anche di libertà di ferire, e che per questo suo potere può
tuttavia rendere opportuna una responsabilizzazione, la quale non do- vrebbe
tracimare in censura autoritaria, bensì dovrebbe essere finalizzata a
un’eventuale declaratoria di responsabilità concepita come del dissenso. Sembra
essersi affievolita l’ostilità della dottrina per la funzione simbolica,
rivalutando in tal senso proprio quella ‘finalizzazione enun- ciativa’ che era
stata fortemente stigmatizzata in sede di prima lettura della nor- mativa sulla
repressione penale delle condotte di discriminazione, v. STORTONI, Le nuove
norme contro l’intolleranza: legge o proclama?, in Critica del diritto. Sul
tema dell’uso simbolico del diritto penale, v. per tutti, nella letteratura
italiana, v. BONINI, Quali spazi per una funzione simbolica del diritto
penale?, in Indice penale. Abel ha parlato di ‘trattamento informale delle
dispute’ per indicare il modo in cui la comunità dovrebbe reagire ai danni
della parola, in un procedimento che sembra voler evitare il ricorso al potere
coercitivo ma che appare nondimeno fondato su una proceduta normativizzata: si
parla di una ‘conversazione istituzionalizzata’ ma informale fra vittima e
offensore, nel quale quest’ultimo deve «riconoscere la norma, ammetterne la
violazione ed accettarne la responsabilità, nella convinzione che un simile
scambio sociale di rispetto possa neutra- lizzare l’insulto, ABEL, La parola e
il rispetto. Tra sentimenti ed eguale rispetto confutazione delle espressioni
proferite dal reo, cercando dunque di disinnescarne il potenziale offensivo sul
piano dei contenuti. Di primo acchito tale prospettiva potrebbe apparire come
una sor- ta di ‘tribunale delle opinioni’, esposto al rischio di torsioni
illiberali; tale obiezione, è però ben applicabile anche all’attuale situazione
ordinamentale. Di fatto il sindacato su forme di espressione è presente anche
oggi: un giudizio su opinioni il quale risulta prevalentemente affidato alla
sensibilità culturale del giudicante, senza potersi sottrar- re alle relative
precomprensioni. Si tratta di un procedimento molto delicato poiché, come
osserva Judith Butler, l’uso che lo Stato, attraverso il potere delle sentenza,
fa del linguaggio offensivo e discriminatorio dà luogo a una ripetizione dello
stesso, contribuendo, pur con finalità differenti, a una sua reiterazione.
Nondimeno: [Prendiamo atto della critica formulata da DI MARTINO, Assassini
della memoria: «l’idea della pena-giudizio in quanto tale è intrinsecamente
pro- blematica. La paternale didascalica finisce con l’essere risibile di
fronte ai delin- quenti per convinzione ed ai fanatici; ed è una ipocrita
autoassoluzione dell’ordinamento per le omissioni od i fallimenti delle sue
agenzie educative, di fronte ai miserandi frustrati, reietti e falliti». La
sfiducia verso una prospettiva rieducativa può essere anche condivisa, ma, più
radicalmente, va osservato che l’eventuale approntamento di sanzioni di tipo
‘espressivo-pedagogico’ non dovrebbe essere letto in una prospettiva di
prevenzione speciale, bensì quale strumento di preven- zione generale positiva;
la ‘risibilità’, che assumiamo come impossibilità fattuale di indurre un
cambiamento di opinione, è un aspetto comunque secondario poiché l’obiettivo
del diritto, nel rispetto della libertà morale della persona anche quando
delinquente per convinzione o fanatico, non è indurre un cambiamento di
opinione coattivo nel reo. Non condividiamo però l’afflato rinunciatario il
qua- le rischia di condurre a un vero e proprio vicolo cieco, e significherebbe
consentire che davvero l’ultima parola sia di menzogna, o di insulto, o di
umiliazione. Pur essendo sostenitori di uno spazio comunicativo libero e
aperto, facciamo fatica a immaginare il diritto spettatore del tutto inerte di
fronte al potere performativo delle parole, soprattutto in tempi in cui
l’indominabilità delle capacità di diffu- sione dei messaggi dovrebbe rendere
più accorti nel formulare prognosi di perico- losità. Un terreno comunque
scivoloso e che necessita di attente riflessioni, senza nutrire eccessiva
fiducia nello strumento normativo, ma anche senza restare avvinti in un
disincanto rinunciatario che amplificherebbe le asserite mancanze del- le
agenzie educative primarie. Si osserva provocatoriamente che «è la decisione
dello Stato, l’enunciazione ratificata dallo Stato, che produce (produce ma non
causa) l’atto dello hate speech, v. BUTLER, Parole che provocano. Per una
politica del performativo, tr. it., Milano. L’atto di produzione a cui si
riferisce la BUTLER riguarda il fatto che prima che una sentenza definisca come
hate speech delle semplici paro- le, queste non erano hate speech; più che una
vera e propria produzione sembra potersi intendere come effetto del potere di
nominazione. La stessa BUTLER specifica successivamente che le parole che lo
Stato adopera per emettere una sen- [Dilemmi «Nessuno ha mai elaborato
un’ingiuria senza ripeterla: la sua reitera- zione rappresenta sia la
continuazione del trauma sia ciò che segna una presa di distanza all’interno
della struttura stessa del trauma, la sua possibilità costitutiva di essere
qualcosa di diverso. Non c’è possibilità di non ripetere. La sola questione che
rimane aperta è: come av- verrà quella ripetizione, in quale sede – giuridica o
non giuridica – e con quale dolore e quali speranze? Una questione aperta e
complessa, la quale carica di responsabilità il momento giudiziario e la
produzione narrativa del giudice. Dovendo fare i conti con la reimmissione in
circolo di parole offensive, ritenia- mo che sarebbe opportuno riflettere su
forme di ritualità che possano dare un valido supporto epistemico all’autorità
giudiziale, contribuen- do a dare la giusta rilevanza e il necessario
approfondimento all’erme- neutica del fatto, con l’auspicio di trasformare il
processo in un mo- mento anche educativo e di apprendimento. Da penalisti, e
dunque da studiosi delle possibilità negative del- l’umano, ci sembra doveroso
interrogarci sul ruolo che lo strumento penale potrebbe eventualmente assumere
in una prospettiva di cura degli equilibri di rispetto, cercando di
privilegiare non la dimensione interdittiva e censoria ma facendo leva sulle
potenzialità di quello che, tra le diverse manifestazioni del giuridico,
rappresenta, piaccia o non piaccia, il più formidabile, e terribile, ‘marcatore
etico’. Sinossi Rispettare le persone, e rispettarsi fra persone è prima di
tutto un atto sentito che discende da disposizioni soggettive. Il progetto
normativo definito ‘tutela di sentimenti’ può essere scorporato in due distinte
traiettorie. La prima, definibile come ‘cura dei sentimenti’, è da intendersi
come promozione di atteggiamenti emotivi che favoriscano un clima favorevole al
reciproco rispetto. La seconda, definibile ‘tutela da sentimenti’, può
identificarsi co- tenza sullo hate speech non sono certo la stessa cosa del
discorso pronunciato dai soggetti di cui si sta giudicando la posizione;
nondimeno, le due cose appaiono «indissociabili in maniera specifica e
consequenziale»; cfr. ABEL, La parola e il rispetto, cit., p. 99. 73
BUTLER, Parole che provocano. Tra sentimenti ed eguale rispetto me strategia
politica di contrasto a spinte emozionali negative, l’odio in primis, ma non
solo. Più in generale, ciò che definiamo come ‘tute- la da sentimenti’
rappresenta un’istanza funzionale alla messa a tema di profili inerenti la
dimensione psico-sociale delle matrici dei dis- sensi, e dunque
all’approfondimento delle concezioni antropologiche che guidano la riflessione
penalistica. Obiettivo di fondo è addivenire a una visione meno astratta e
disincarnata del mondo umano con cui il diritto penale si trova a fare i conti.
Tale atteggiamento di ‘realismo antropologico’ tende oggi a emergere anche
nella dottrina penalistica. Riguardo il tema dei limiti penalistici alla
libertà di espressione e ai problemi dell’eguale e reciproco rispetto, i
penalisti mostrano un atteggiamento meno ‘concettualistico’ rispetto al
passato; emergono posizioni di cauta apertura alla prospettiva di interventi
normativi, modellati sul distacco da prospettive eminentemente sanzionatorie e
fondati sulla valorizzazione del simbolismo positivo del precetto. «[...]
la mentalità sociale è in movimento, ciò che prima si diceva gratis oggi ha un
costo etico, ci sono nuove libertà e nuove dignità e ne conseguono nuo- vi
problemi, di pensiero e di linguaggio. Siamo le parole che usiamo» SERRA M.,
Amaca, Repubblica Bilanci e prospettive. Cura dei sentimenti e attenzione alle
differenze. Tra offesa alla sensibilità e discorso discriminatorio: profili
problematici e spunti di riformulazione per la tutela della dignità del creden-
te. – 2. La priorità delle libertà, l’importanza delle regole. Bilanci e
prospettive Recuperiamo l’interrogativo di fondo da cui è partita la presente
indagine, ossia se il diritto penale di una moderna democrazia libera- le possa
essere invocato a tutela di sentimenti. La tentazione di opporre un assoluto,
per quanto benintenzionato diniego, appare destinata a scontrarsi con un maturo
senso di realtà. Beninteso, non stiamo in questo modo cercando di assegnare
fretto- lose patenti di legittimità a una delle più controverse modalità di
esplicazione dell’intervento penale, ma riteniamo che nell’analisi del problema
si debba cercare di andare oltre le etichette retoriche, senza farsi abbagliare
né in positivo né in negativo dalla ambigua parola ‘sentimento’. Il percorso compiuto
finora riteniamo abbia mostrato come un’asserzione netta, sia in termini
affermativi sia in termini negativi, peccherebbe per approssimazione. Sarebbe
dunque più opportuno partire da una più articolata formulazione
dell’interrogativo: in rela- zione a quali fenomeni e in quali accezioni, al di
là delle scelte dei le- gislatori storici, sentimenti ed emozioni possono
essere ragionevol- mente evocati quali elementi costitutivi e/o integrativi
nella descrizione dell’oggetto di tutela penale? 238 Tra sentimenti ed
eguale rispetto Le incrostazioni di matrice collettivistica, che nel contesto
italiano hanno ammantato gli interessi definiti dai legislatori ‘sentimenti’,
hanno contribuito ad acutizzare, in modo giustificato, la diffidenza della
dottrina penalistica di stampo liberale. Il senso di un nuova tematizzazione
del sentimento quale problema di tutela deve essere in primo luogo funzionale a
svincolare dalle ‘col- lettivizzazioni normative’ un fenomeno legato
all’interiorità dell’indivi- duo e che invece si è prestato, con evidente
slittamento di significato, a divenire veicolo di incriminazioni di stampo
moralistico-identitario. Riteniamo che debba essere presa in considerazione,
quale ulte- riore sfaccettatura, una dimensione di significato che valorizzi la
proiezione universalistica e, per certi versi egualitaria, dei fenomeni
affettivi: sentimenti ed emozioni come ‘addentellato fenomenico’ di una
dotazione universalmente condivisa dagli esseri umani. In base a quest’ultima
prospettiva, declinare determinate questio- ni di interesse penalistico, come
ad esempio i rapporti fra manifesta- zioni espressive e sensibilità, anche come
problema di sentimenti acutizza i dilemmi, poiché il sentimento non può esser
limitato all’eventuale, problematica, identificazione con l’interesse di una
sola delle parti, col rischio di modulare eventuali, ipotetici, interventi
normativi sulle cadenze di uno sterile rivendicazionismo psicologico
soggettivo. Il risvolto di reciprocità egualitaria assume il significato di una
pretesa ‘responsabilizzante’ nei confronti di tutti individui, quale do-
verosa, e in primo luogo spontanea, autolimitazione: «Se ognuno ha diritto alla
propria narrazione individuale, ugualmente non può, in nome dei propri
sentimenti, dichiararla “intoccabile”, af- fermarla come pretesa di verità
assoluta e non metterla in discussione e confrontarla con quella degli altri»
1. È nella distinzione tra ethos ed etica che si inquadra uno dei fon-
damentali tratti costitutivi del pluralismo: ethos come ordine valoriale
costitutivo del singolo, ed etica come limite che tutti i diversi ethe de- vono
osservare, nel rispetto di «ciò che è dovuto da ciascuno a tutti. Lo stesso
diritto a vivere e fiorire secondo il proprio ethos, che si chiede per sé» 2,
secondo dinamiche di simmetrica reciprocità che uni- scono profili di diversità
fattuale e accenti di doverosità normativa. TURNATURI, Emozioni: maneggiare con
cura, DE MONTICELLI, La questione morale, Osservazioni finali La focalizzazione
sul problema di un eguale e reciproco rispetto porta a emersione la duplice
prospettiva di una tutela di sentimenti intesa come ‘cura’ del sentire
individuale e collettivo, e come forma di contrasto a espressioni tese al
disconoscimento dell’altro. Nell’atto di formulare delle osservazioni finali al
presente lavoro emerge l’esigenza di distinguere fra linee di politica
legislativa di va- lenza generale e spunti più dettagliati che richiedono di
essere circo- scritti a singoli campi di materia. Il problema della tutela di
senti- menti non può essere fatto confluire in un unico prospetto di model-
lizzazione normativa, ma necessita di essere affrontato attraverso percorsi
differenti: solo in rapporto al profilo della ‘cura’ si possono a nostro avviso
proporre delle linee generali, mentre il tema, più stret- tamente penalistico,
della tutela da sentimenti richiede di essere più attentamente
contestualizzato. Cura dei sentimenti e attenzione alle differenze Come abbiamo
già specificato, il rapporto fra ‘cura’ e ‘tutela da’ è di complementarietà, per
quanto sia la ‘cura’ a definire la declinazio- ne primaria del problema di
tutela. La dimensione ‘ostativa’, ossia quella della ‘tutela da’, resta una
parte residuale e strumentale al profilo della ‘cura’, finalizzata even-
tualmente ed esclusivamente, al mantenimento di equilibri. Obiettivo di fondo,
probabilmente non raggiungibile mediante il solo strumen- to giuridico, resta
quello di un’adeguata formazione del sentire degli individui, intesa come
capacità di rapportarsi all’altro nelle forme dell’ascolto, del confronto e
anche della critica, da contestualizzarsi in un’arena polifonica aperta alla
pluralità, poiché «di quanta più realtà una sensibilità diventa capace, tanto
più esatto sarà, da un la- to, il sentimento delle differenze e delle priorità»
3. Il ruolo delle agenzie educative diviene in questo senso cruciale, a partire
dalle istituzioni scolastiche: l’arricchimento della giustizia da una
condizione essenzialmente normativa a una condizione etica è l’esito
(un’aspirazione più che un traguardo certo) di un lavoro lungo e 3 DE
MONTICELLI, L’ordine del cuore, Si veda ad esempio la pubblicazione dell’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, Abc: Teaching Human
Rights – Practical Activities for Primary and Secondary Schools, disponibile in
http://www.ineesite.org/-
en/resources/abc_teaching_human_rights_-_practical_activities_for_primary_and_se-
condary. Tra sentimenti ed eguale rispetto lento di educazione dei
sentimenti, al quale partecipano le istituzioni politiche e quelle sociali, la
vita pubblica e quella privata» 5. Qual è il messaggio di fondo che dovrebbe
essere veicolato quale coordinata etica di una cura dei sentimenti?
L’atteggiamento che ragionevolmente si pone a monte del recipro- co rispetto è
la capacità di immedesimazione 6 e soprattutto di usare l’immedesimazione in
modo da includere la differenza. In altri termini, «il rispetto basato
sull’idea di dignità umana risulterà insufficiente a includere tutti i
cittadini in termini di uguaglianza, a me- no che non sia nutrito da uno sforzo
immaginativo nei confronti della vita degli altri e da una comprensione più
intima della loro piena e comune umanità. Ritorna anche in questo caso
l’esigenza di non ridurre la dignità umana a un simulacro dispotico declinato
in termini deonto- logici, bensì a modularne l’essenza su cadenze il più
possibile inclusive. L’attenzione alle differenze può maturare attraverso
percorsi di crescita emotiva finalizzati a migliorare la capacità di apertura
all’altro 8, soprattutto ove si riesca a riconoscere e a dominare un’emo- zione
che è tanto tremendamente umana quanto problematica nelle dinamiche di una
società pluralista: la paura. La funzione primordia- le della paura è la difesa
dell’essere umano da fonti di pericolo, ma la sua attuale variante sociale e
adattiva corrisponde a un’emozione repulsiva e narcisistica, che si declina
come una «pre- occupazione offuscante [e] un’intensa concentrazione su di sé
che getta gli altri nell’ombra URBINATI, Liberi e uguali. L’Autrice rimarca che
tale passaggio è propriamente ciò che denota la cultura dell’individualismo
democratico. 6 Richiamiamo il tema dell’empatia, soprattutto in relazione al
suo valore etico per la vita di relazione: v., per tutti, BOELLA, Sentire
l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Milano, NUSSBAUM, Emozioni politiche,
Riteniamo sia da accogliere positivamente l’iniziativa del governo italiano che
ha presentato, per voce della Ministra dell’Istruzione, il ‘Piano nazionale per
l’educazione al rispetto’, ossia un progetto teso a introdurre nella formazione
scolastica momenti di apprendimento per «promuovere nelle istituzioni
scolastiche di ogni ordine e grado un insieme di azioni educative e for- mative
volte ad assicurare l’acquisizione e lo sviluppo di competenze trasversali, sociali
e civiche, che rientrano nel più ampio concetto di educazione alla cittadi-
nanza attiva e globale» e per «promuover[e] azioni specifiche per un uso consa-
pevole del linguaggio e per la diffusione della cultura del rispetto, con
l’obiettivo di arrivare a un reale superamento delle disuguaglianze e dei
pregiudizi, coinvol- gendo le studentesse e gli studenti, le e i docenti, le
famiglie». 9 NUSSBAUM, La nuova intolleranza, cit., p. 67.
Osservazioni finali 241 Si pone dunque l’esigenza di non cedere alle chiusure
indotte dalla paura, al fine di «adottare uno sguardo diverso, che dia
rilevanza a mentalità, valori, idee, convinzioni e sensibilità culturali capaci
di conferire significati inediti alle nostre paure» 10. In uno studio dedicato all’intolleranza
come effetto della paura dell’altro, Martha Nussbaum afferma che l’eguale e
reciproco rispetto richiede lo sviluppo dei cosiddetti ‘occhi interni’, ossia
dello sguardo immaginativo, non corporeo, che consente di vedere l’altro 11: è
preci- samente ciò che manca nell’odio, dove il sentire è cieco12 davanti
all’individualità altrui. La promozione di un orizzonte di rispetto si gioca in
primo luogo a un livello che ha a che fare con lo sviluppo di tale profondità
di sguardo e di immaginazione: per rispettare l’altro bisogna ‘sentirlo’ 13,
attraverso capacità di apertura, di ascolto, di discernimento. Tra offesa alla
sensibilità e discorso discriminatorio: profili problematici e spunti di
riformulazione per la tutela della di- gnità del credente Venendo al profilo
più strettamente penalistico, un primo bilancio può essere stilato in relazione
al panorama normativo italiano vigente. L’impressione è che nel complesso il
lavoro di rielaborazione concettuale e di riassetto etico compiuto dalla
giurisprudenza e dalla dottrina abbia condotto a norme il cui coefficiente di
compatibilità con le libertà costituzionali è tutto sommato accettabile. Come
già osservato, non appare possibile in questa sede procedere all’enucleazione
di prospettive de jure condendo calibrate su ogni singolo ambito in cui il
codice fa riferimento a sentimenti come oggetto di tutela. Ci limitiamo a
prendere in analisi il settore in cui, a nostro avviso, CERETTI-CORNELLI, Oltre
la paura, NUSSBAUM, La nuova intolleranza, DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. In
questo senso la dimensione della ‘cura’ si proietta verso un rispetto non
meramente ‘passivo’, bensì guarda anche, soprattutto, a un rispetto ‘attivo’.
Con la prima accezione si indica un atteggiamento di astensione dall’ostilità e
dalla violenza; il rispetto ‘attivo’ si traduce in qualcosa di più:
«un’attenzione per i bisogni, le esigenze, gli obiettivi e anche i progetti
esistenziali delle persone, il riconoscimento del fatto che esse attribuiscono
valore a qualcosa che sta loro a cuore e che intendono realizzare», v.
MORDACCI, Rispetto, Tra sentimenti ed eguale rispetto emerge maggiormente
l’esigenza di procedere a una disambiguazione tra forme di intervento a tutela
della sensibilità e presidi contro di- scorsi discriminatori. In quest’ottica
l’impianto dei reati a tutela del sentimento religioso presenta delle criticità
che si addensano nella portata applicativa dell’art. 403 c.p., ossia l’offesa a
una confessione religiosa mediante vili- pendio di persone. Partiamo dal
presupposto che sia ragionevole che lo stato laico tuteli lo spazio
umano-personale e sociale in cui si dispiega la dimen- sione religiosa
dell’individuo: il problema è con quali modalità. Una delle più acute posizioni
a difesa della tutela del sentimento religioso osserva che «discussione non è
offesa. A maggior ragione quando il bene tutelato diventa la dignità e la
personalità dell’essere umano sotto lo specifico profilo della dimensione
religiosa», e formula con- seguentemente la propria proposta normativa, a
superamento delle attuali disposizioni, elaborando una fattispecie che
incrimina «i comportamenti o le espressioni oltraggiose tenuti in pubblico che
le- dono intenzionalmente la dignità delle persone a causa delle loro
convinzioni sul significato ultimo dell’esistenza. Ebbene, concordiamo con le
ragioni di fondo di tale proposta, la quale ci sembra coerente con l’intenzione
di circoscrivere l’impianto di tutela alla dignità della persona e non al
prestigio e al patrimonio ideologico della confessione Resta a nostro avviso il
dubbio se sia opportuno mantenere una disposizione dedicata al fenomeno
religioso, la quale potrebbe espor- si al rischio di assumere nuovamente le
vesti di incriminazione surrogatoria del vilipendio, come del resto oggi sembra
capitare per l’art. 403 c.p., il quale tende a estendersi all’insulto alla
confessione MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa, MAZZUCATO, Offese alla
libertà religiosa, La proposta di norma parla di ‘Offese alla libertà
religiosa’, ma il richiamo alla dignità ‘a causa delle convinzioni sul
significato ultimo dell’esistenza’ sem- brerebbe aprire anche alla tutela della
dignità del non credente. Su tale ultima prospettiva si veda, anche per
richiami comparatistici, PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose,
Benché non compaia il termine ‘vilipendio’, anche il modello di norma
ipotizzato dalla Mazzucato parla, con formula rischiosa, di «comportamenti o
espressioni oltraggiose tenuti in pubblico, anche rivolti a cose che formino
oggetto di culto o siano consacrate al culto». Ad un’attenta lettura,
l’emancipazione dal modello del vilipendio della confessione emerge però dalla
traiettoria dell’offesa, la quale deve «[ledere] intenzionalmente la dignità
delle persone», v. MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa, Osservazioni finali
piuttosto che limitarsi a sanzionare l’offesa alla persona 18. A nostro avviso,
un riassetto e, soprattutto, una decisa disambiguazione della linea di
intervento penale potrebbe aversi attraverso un’abrogazione secca dell’art. 403
c.p., accompagnato da una parallela modifica dell’art. della legge che estenda
ai motivi religiosi il tipo di discorso discriminatorio suscettibile di
assumere rile- vanza penale, secondo una formula che incrimini «chi propaganda
idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico o religioso. Ciò
non porterebbe, ci sembra, ad alcun vuoto di tutela: si tratte- Anche partendo
dal presupposto che la libertà di espressione non sia assoluta, ma incontri
limiti espressamente riconosciuti dall’ordinamento interno e anche da fonti
sovranazionali, incriminare una manifestazione del pensiero consistente nel
‘tenere a vile’, e dunque nel formulare critiche anche sferzanti e in grado di
ferire la sensibilità del credente, è esposta al rischio di tracimare in una
forma di illegittima compressione della libertà di critica e di satira; come
osserva SERENI, Sulla tutela penale della libertà religiosa, cit., p. 12, il
vilipendio del credente è costantemente a rischio di trasformarsi in
«vilipendio teologale, più prossimo alla iper-sensibilità del credente rispetto
al contenuto della verità di fede, al rigore della sua Autorità religiosa
contro le critiche (anche satiriche) rivol- te a danno della Divinità, dei suoi
simboli e dei suoi ministri di culto». Si è osservato criticamente che ipotetiche
interpretazioni estensive della norma sul vilipendio ex art. 403 c.p., alla
luce del dettato codicistico post riforma 2006, e dunque nel segno
dell’uguaglianza fra confessioni religiose, sono da ritenersi applicabili anche
alla tu- tela di religioni come l’Islam: un esito definito «non nello spirito
dei tempi» da PULITANÒ, Laicità, multiculturalismo, diritto penale, ,
plausibilmente per evidenziare come l’estensione della tutela, doverosa in
quanto sancita dal principio di uguaglianza, rischi di introdurre uno strumento
giuridico invasivo a disposizione di fedeli di religioni particolarmente
suscettibili. Esprime contrarietà rispetto all’ipotesi di un presidio penale
specifico del fenomeno religioso VISCONTI C., La tutela penale, cit.,.; si pone
a favore di una tutela incentrata sulle fattispecie comuni, senza necessità di
norme ad hoc sulla religione, anche MANTOVANI M., L’oggetto tutelato nelle
fattispecie penali in materia di religione, in AA.VV., a cura di De Francesco-
Piemontese-Venafro, Religione e religioni, Per una posizione favorevole al
mantenimento del vilipendio, considerato prototipo dell’insulto
all’atteggiamento individuale verso il problema religioso, v. STELLA, Il nuovo
Concordato fra l’Italia e la Santa Sede: riflessi di diritto penale, in Jus. Per
un’analisi dei modelli di tutela imperniati sulla persona del credente e che si
identificano nel paradigma dello hate speech, v. CIANITTO, Quando la parola
ferisce, Si veda in particolare il caso della Gran Bretagna, Paese nel quale
non esiste più l’incriminazione per la condotta di Blasphemy (abolita), e che
ha introdotto (Racial and Religious Hatred Act) una fattispecie di reato che
incrimina le manifestazioni di incitamento all’odio religio- so, v. EAD.,
Quando la parola ferisce,.; GIANFREDA, La blasphemy nell’ordinamento inglese di
Common Law e la tutela penale della “religione”: problemi aperti e nuove
prospettive, in AA.VV., a cura di De Francesco-Piemontese- Venafro, Religione e
religioni, Tra sentimenti ed eguale rispetto rebbe di una più netta
ridefinizione di confini tra fattispecie, senza intaccare la soglia ‘inferiore’
dell’intervento penale (il nucleo duro delle offese alla persona e alla sua
dignità), lasciando univocamente al di fuori offese limitate al piano
ideologico, e incentrando l’intervento su espressioni discriminatorie basate su
motivi religiosi Da un lato le offese al singolo potrebbero assumere rilevanza
come delitti contro l’onore (oggi, dopo l’abrogazione dell’ingiuria, resi-
duerebbe la sola diffamazione), eventualmente aggravati ai sensi dell’art. del
d.l. n. (aggravante relativa alle finalità di discriminazione); dall’altro
lato, l’orizzonte del discorso pubblico in mate- ria di critica e satira
religiosa si troverebbe affrancato dall’incom- bente censura del vilipendio,
fermo restando il limite, comunque pro- blematico ma ben più selettivo, di non
tracimare in propaganda discriminatoria. Un impianto di tutela così strutturato
consentirebbe a nostro avvi- so di mantenere aperto uno spazio di illiceità per
forme di espressio- ne volte a negare la pari dignità del credente, le quali
chiamano in gioco un profilo altamente significativo della condizione
esistenziale umana come l’identità religiosa. Al contempo, la necessità di
valu- Si veda in questo senso il parere rilasciato dalla Commissione Europea
per la democrazia attraverso il diritto (c.d. ‘Commissione Venezia’, organo
consultivo del Consiglio d’Europa), nel quale si suggerisce agli Stati membri
l’abrogazione delle leggi sulla blasfemia e il mantenimento di presidi basati
sulle generiche norme che incriminano ingiuria e diffamazione e, soprattutto,
sulle norme che incriminano la diffusione di idee fondate sull’odio religioso,
v. Compilazione di pareri e rapporti della Commissione di Venezia riguardante
la libertà d’espressione e i media, La strada della tutela antidiscriminatoria
è additata anche da DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei
sentimenti, cit., p. 1586, il quale sembra però aprire alla prospettiva di
un’applicazione dei delitti contro la discriminazio- ne solo nei casi di
incitamento alla discriminazione o ad atti discriminazione nei confronti di
persone, lasciando fuori dal raggio dell’intervento penale le offese collettive
che potrebbero, a nostro avviso, essere invece vagliate come eventuali forme di
propaganda razzista, previa opportuna modifica dell’art. 3 della legge n. 654
del 1975. Richiama la prospettiva di una tutela tramite le norme antidiscri-
minazione proprio al fine di tutelare anche i gruppi, e non solo i singoli, MAZZOLA,
Diritto penale e libertà religiosa dopo le sentenze della Corte costituzionale,
in Quad. di diritto e politica ecclesiastica,; cfr. PACILLO, I delitti contro
le con- fessioni religiose, Nella dottrina penalistica italiana l’autorevole e
cristallina posizione di ROMANO, Principio di laicità dello Stato, a sostegno
di un presidio penale speci- fico per le religioni si basa su argomenti i quali
possono, a nostro avviso, essere re- cuperati anche nella prospettiva da noi
delineata. Secondo Romano, la non inopportunità dell’intervento penale deriva
dall’esigenza di mantenere all’interno del si- Osservazioni finali
tare l’illiceità attraverso lo stretto filtro dell’incriminazione della
propaganda discriminatoria potrebbe portare a un più cauto uso del diritto
penale nei rapporti con la libertà di espressione e in particolare con la
satira. Ci sembra questa una futuribile modifica che potrebbe contribuire a
fissare in modo più definito spazi di libertà nella salvaguardia di un nucleo
minimo di rispetto che tenga conto del diritto liberale di critica e della
necessaria distinzione con l’orizzonte della discriminazione. La priorità delle
libertà, l’importanza delle regole Dietro il velo retorico dei sentimenti si
pongono questioni di vitale importanza per la convivenza, non liquidabili
dietro affrettate declaratorie di irrazionalità, e che richiedono un serio
impegno in primo luogo nella prospettiva che abbiamo definito come cura. Resta
aperto, in via residuale, il problema di interventi limitativi delle libertà.
Il giurista penale avverte il disagio di un’alternativa dilemmatica tra la
fedeltà a principi di libertà e la violazione che potrebbe scaturire
dall’avallo di politiche di intervento; sì, perché di violazione si tratta in
quanto un dilemma non ammette vie di fuga ma costringe, piaccia o non piaccia,
ad accollarsi le conseguenze del cosiddetto male minore. Condividiamo
l’atteggiamento combattuto che altre voci, ben più autorevoli, hanno
confessato. Non lo diciamo semplicemente a nostra discolpa, bensì a conferma
della profondità del dilemma che ci attanaglia, nella convinzione che
proclamare in questi casi un’asserita soluzione rischi di sfociare in una
hybris intellettuale, e che sia stema strumenti per marcare l’essenziale
differenza fra libertà di critica, anche in forme aspramente satiriche, e pura
e semplice denigrazione o dileggio: differenza che deve modellarsi su quanto
comunemente accolto per le ingiurie rivolte ai singoli. Il richiamo all’offesa
che caratterizza l’ingiuria contribuisce a connotare in termini personalistici
l’interesse protetto, avvicinandolo univocamente alla, pur problematica,
dimensione della dignità del credente. Fermo restando che le fatti- specie a
tutela dell’onore restano comunque un presidio attivo per le offese ai singoli,
l’estensione dell'art. della legge nella parte relativa alla propaganda si
presterebbe, a nostro avviso, a perseguire l’auspicabile risultato teorizzato
da Romano. Se intendiamo denigrazione o dileggio come forme di disconoscimento
della pari dignità delle persone in quanto credenti in una determinata fede o
visione del mondo, l’incriminazione della propaganda discriminatoria,
debitamente estesa nella formulazione lessicale, può, a nostro avviso,
assolvere in modo meno ambiguo dell’art. c.p. ai predetti scopi di
tutela. Tra sentimenti ed eguale rispetto invece preferibile affrontare i
problemi col dovuto rispetto per la complessità: Un dilemma comporta
un’oscillazione infinita; in quanto la nostra esperienza è teatro di continui
dilemmi, la sua struttura è infinitamen- te provvisoria e le si fa torto
ogniqualvolta si cerchi di rinchiuderla nello steccato di un arrogante e
definitivo pronunciamento, nella superba convinzione di aver già sempre (prima
che un qualsiasi problema si ponga) visto giusto. È comprensibile la tendenza a
optare per la soluzione in grado di lasciare in sospeso il più possibile le
conseguenze di uno dei due mai, per evitare una violazione certa (delle
libertà) nella speranza che il male alternativo non trovi realizzazione.
Riteniamo che questa sia una possibile chiave di lettura, come
autorassicurazione psicologica, di ciò che la filosofia ha definito
utilitarismo delle regole, ossia l’atteggiamento con cui si risponda
all’incertezza di fronte a un conflitto cercando l’applicazione di una regola
ritenuta giusta in quanto tale, quali che siano le conseguenze della sua
applicazione, accettando il rischio di affidarsi a ragionamenti talvolta anche
non adeguatamente orientati sul piano delle possibili conseguenze. Ed è
altrettanto comprensibile che il cultore delle discipline pena- listiche, nella
consapevolezza dei mali insiti nella coercizione, faccia il possibile per
evitare di dare impulso e fornire ragioni allo strumento penale, cercando
piuttosto di contenerne la pervasività. Vorremmo essere sicuri che la fede
liberale ci porti nel giusto; ma un sano senso critico esorta a mettere in
conto che potremmo anche aver torto. In linea di principio, sarebbero da
evitare alcuni degli errori attribuiti a un pensiero irenisticamente liberale,
che talvolta finisce per esaltare la forma a discapito del contesto, magari
erigendo steccati intellettualistici esibiti come fieri esercizi di democrazia.
Quello che a nostro avviso va tenuto presente, e che parte della dottrina
penalistica ha ben messo in luce, è il fatto che non vi sono risposte che
possano considerarsi come esito indefettibile di un’ade- [BENCIVENGA,
Prendiamola con filosofia, BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, ABEL, La
parola e il rispetto, Così, efficacemente, BRUNELLI, Attorno alla punizione del
negazionismo, Osservazioni finali] sione ai principi liberali (quale tipo di
liberalismo?) o come soluzione ricavabile ‘a rime obbligate’ dal testo
costituzionale, ma ogni eventua- le prospettiva resta legata a opzioni
politiche che vanno attentamente commisurate sia a criteri di legittimità sia a
criteri di opportunità. La posta in gioco è estremamente significativa. La
difesa dell’eser- cizio di una libertà del pensiero critico, aperto anche a
manifestazioni disturbanti è ciò che identifica e distingue il nostro mondo
liberale, pur con tutti i suoi difetti, dalle oscurità del fondamentalismo: non
dobbiamo dimenticarlo. La costruzione di una campana di vetro al fine di
garantire immunità emotiva agli individui suscettibili non può far parte dello
strumentario giuridico di una democrazia liberale, la quale può (deve) esigere
dai cittadini responsabilizzazione e capacità di elaborazione della limitata
efficacia pratica delle proprie convinzioni, o, più icasticamente, una certa
dose di robustezza. Si tratta in altri termini di favorire l’interiorizzazione
di un onere di tolleranza consistente nella consapevolezza di poter realizzare
il proprio ethos solo nei limiti di ciò che compete parimenti a tutti». Il
richiamo alla robustezza vale sia come monito a non cadere in uno sterile e
polemogeno sentimentalismo vittimocentrico, acriticamente proclive ad avallare
doglianze di animi suscettibili, ma costituisce a nostro avviso anche un monito
a non dare per scontata tale condizione di tenuta etica nelle persone,
dovendosi mantenere l’occhio vigile e l’orecchio proteso a captare segnali in
grado di mostrare le crepe prima che si arrivi a un collasso. È di tutta
evidenza come nell’attuale momento storico le dinamiche del reciproco rispetto
stiano subendo una particolare curvatura, probabilmente una deformazione, sia
sul piano dei contenuti, sia sul piano dei canali espressivi. Rispetto al
passato, anche recente, siamo oggi portati a constatare quasi quotidianamente,
grazie ai o a causa dei media, condotte che sono dettate da atteggiamenti di
repulsione dell’altro. Se è vero che rinvenirne la dannosità immediata risulta
operazione assai complessa, la quale molto difficilmente riesce a soddisfare
appieno i filtri dell’armamentario concettuale penalistico, non può essere però
escluso che volgere gli occhi al cielo, confidando sul fatto che lo spirito
critico e gli ideali di tolleranza riescano ad avere la meglio, possa rivelarsi
un atteggiamento totalmente alieno dai calcoli PULITANÒ, Laicità e diritto
penale, HÖRNLE, Protezione penale di identità religiose?, HABERMAS, Tra scienza
e fede, tr. it., Roma-Bari Tra sentimenti ed eguale rispetto pazienti e
minuziosi che sarebbero richiesti per sostanziare quella giustificazione. Tali
riflessioni ci vengono suggerite dall’esigenza di non sottovalutare un
repertorio ormai troppo consistente di fatti che rimandano a un passato non del
tutto trascorso e con preoccupanti echi nel tempo presente. Le ragioni del
diritto si intrecciano con un tessuto anche emozionale, il quale costantemente
ci ricorda che il diritto è prioritariamente una risposta alla memoria del
male, che esseri umani possono fare ad altri esseri umani. Tenere ben ferma
l’attenzione sui mondi umani e sulla realtà sociale è un impegno necessario per
monitorare la qualità delle libertà in un contesto pluralista. Il diritto
penale non rappresenta lo strumento più idoneo a svolgere una funzione
promozionale, ma riteniamo non debba essere aprioristicamente tacciato di vena
illiberale il proposito di immaginare strumenti perché vi possa essere anche,
eventualmente, un redde rationem sull’uso della libertà di espressione, non
quale forma di soffocamento ma quale chiamata a dare spiegazioni e ad assumersi
la responsabilità di un certo uso del linguaggio, il quale è performativo non
solo nei confronti della realtà esterna ma anche di sé stessi. Non intendiamo
avallare forme di democrazia protetta, bensì evitare di chiudere
aprioristicamente il discorso su ciò che il diritto, e anche eventualmente il
diritto penale, potrebbe fare nelle forme non BENCIVENGA, Prendiamola con
filosofia, VECA, La priorità del male e l’offerta filosofica, Milano FIANDACA,
Laicità, danno criminale e modelli di democrazia. Secondo quanto osservato da
Michele Serra in esergo a questo capitolo, di fronte a nuove libertà e a nuove
dignità conseguono nuovi problemi, di pensiero e di linguaggio, e le parole che
usiamo definiscono gli altri ma al contempo ci definiscono. Concetto che
peraltro rischia di prestarsi a usi retorici. Cosa vuol dire democrazia protetta?
Una democrazia liberale di tipo aperto ha dei valori da difendere? Certamente
non può dirsi che la democrazia sia una forma di governo relativistica; al
contrario, essa «non ha fedi o valori assoluti da difendere a eccezione di
quelli su cui essa stessa si basa. Nei confronti dei principi democratici, la
pratica democratica non può essere relativistica», v. ZAGREBELSKY, Imparare
democrazia, Torino. A partire da queste premesse, si può concordare con quanto
osservato da SALAZAR, I destini incrociati della libertà di espressione, ossia
che non esistono democrazie indifese, cioè impossibilitate a difendersi se
vogliono rimanere fedeli a se stesse, dovendo semmai distinguersi tra
Costituzioni dotate di un sistema di protezione meno appariscente e quelle che,
invece, ne esibiscono uno maggiormente strutturato». di una censura
autoritaria, ma quale veicolo, tramite i precetti, di richiamo simbolico a
valori della convivenza liberale, nella convinzio- ne che lo strumento
giuridico debba essere pensato non soltanto come un mezzo di giustizia, ma
possa anche assumere le vesti di un luogo di scoperta del giusto. È l’idea che
l’istituzione del diritto nella sua essenza sia precisamente il mezzo che la
nostra ragione ha indi- cato non solo per garantire il dovuto da ciascuno a
tutti, ma anche per scoprire attraverso il confronto e non più lo scontro delle
diverse concezioni del bene sempre nuovi aspetti di questo dovuto. DE MONTICELLI, La questione
morale. Grice: “Falzea interprets, correctly, Roman law as imperativistic or
better, volitive – volontarismo giuridico – My reflections on “Aspects of
Reasons” point to the same direction. Indeed my focus is on the conversational
IMPERATIVE!” Angelo Falzea. Falzea. Keywords: QVOD PRINCIPII PLACVIT LEGIS
HABET RIGOREM, interesse, valore, disvalore, assiologia, accertare, apparire,
efficacia, interesse, does moral philosophy rest on a mistake, duty cashes on
interest, on desire. ‘sentimento
condiviso’ -- H. L. A. Hart. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Falzea” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Fannio: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza. (Roma).
Filosofo italiano. Fanc. Fannio conosce Panezio di Rodi per mezzo di C.Lelio, e
ne segue l’insegnamento. C. Fannio combattè contro Cartagine, e tribuno
della plebe e si distingue contro Viriato.C. Fannio e pretore e console. C.
Fannio oppose alla proposta di C. Gracco di concedere la piena cittadinanza
romana ai meri latini e i diritti di questi ai meri italici, con una orazione famosa,
di cui però, gli e contestata la paternità. C. Fannio scrive un saggio
storico spesso ricordata da Cicerone ("Annales"), che forse comincia
con le origini di Roma -- e orazioni. Gaio Fannio Gaius Fannius. Gaius Fannius is a
Roman republican philosopher and politician who was elected consul and was one
of the principal opponents of Gaius Gracchus. Fannio is a member of the
Scipionic Circle. Gaius Fannius was the son of Marcus Fannius (whose
brother was probably Gaius Fannius Strabo, the consul). On the assumption that
this Gaius Fannius is not the historian who fought in the Punic War, he was a
member of Quintus Caecilius Metellus Macedonicus’s staff in Macedonia, who sent
him as part of an embassy to the Achaean League to convince them not to enter
the war against Rome. After the embassy was insulted and their warnings
disregarded, Fannius left and went to Athens. Fannius next appears, serving
with distinction as a military tribune in Hispania Ulterior under Quintus
Fabius Maximus Servilianus in his war against Viriathus. Fannius was elected as
Plebeian Tribune. Then he was elected to the office of Praetor, during which
time he was mentioned in a decree responding to the request for Roman
assistance by John Hyrcanus, the ruler of the Hasmonean Kingdom. With the
support of the Tribune of the Plebs Gaius Gracchus, Fannius was elected consul,
serving alongside Gnaeus Domitius Ahenobarbus. However, once he was in office,
he turned against Gracchus, opposing his reforming measures and supporting the
traditional senatorial group who were against any reforms which impacted upon
their wealth and status. During his consulship he obeyed the Senate's directive
and issued a proclamation commanding all of the Italian allies to leave Rome.
He also spoke against Gracchus's proposal to extend the franchise to the
Latins. Fannius's speech was regarded as an oratorical masterpiece in Cicero's
time, and was widely read. Gaius Fannius married Laelia, the daughter of Gaius
Laelius Sapiens. On the advice of his father-in-law, Fannius attended the
lectures of the Stoic philosopher, Panaetius, at Rhodes. There has been a
long-standing debate over whether this Gaius Fannius was the historian who served
under Scipio Aemilianus during the Third Punic War, and together with Tiberius
Gracchus were the first to mount the walls of Carthage on the capture of the
city. Cicero, from whose letters much of this is derived, was incorrect in
identifying Fannius the consul as the son of Gaius. Inscriptions clearly reveal
that his father was Marcus Fannius. It is now generally accepted that Cicero,
although mistaken about some of the details, was probably not mistaken when he
distinguished between Gaius Fannius, the Consul and Gaius Fannius, the
historian who served under Scipio Aemilianus. See Cornell, T. J. The Fragments
of the Roman Historians, for a detailed analysis of the evidence.
References Cornell, Broughton, Broughton Broughton Cornell, Broughton
Smith Broughton Smith Cornell Smith Smith Sources Broughton, T. Robert S., The
Magistrates of the Roman Republic, Broughton, T. Robert S., The Magistrates of
the Roman Republic, Cornell, The Fragments of the Roman Historians, Smith,
Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Smith, William,
Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Political offices
Preceded by Q. Caecilius Metellus Balearicus T. Quinctius Flamininus Roman
consul With: Gnaeus Domitius Ahenobarbus Succeeded by Lucius Opimius Q. Fabius
Maximus Allobrogicus FASTISNIVIAF NationalGermanyUnited States People Deutsche
Biographie Categories: Roman augurs Roman
consulsFannii. Gaio Fannio. Fannio.
Grice e Fano: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale della glossogonia – imago acustica e immagine sensibile – scuola
di Trieste – filosofia trestina – filosofia friulese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Trieste). Filosofo italiano. Trieste,
Friuli-Venezia Giulia. Grice: “I like Fano; for one, he took very seriously
Plato’s Cratilo – “origine e natura del linguaggio,’ he has also explored a
rather extravagant trend for Italian philosophers, when philosophy is reduced
to ‘analisi del linguaggio’!” Neo-idealista,
appartene a quel gruppo di artisti, letterati, e scrittori che hanno reso
famosa Trieste. Legge in modo originale l'opera di Croce e Gentile. Sottolinea
l'importanza delle scienze naturali e della matematica, che nel suo sistema non
sono governate dagli pseudo-concetti. Da molta importanza agli aspetti più
semplici e ferini dello spirito seguendo le riflessioni di Vico. Suo padre
Guglielmo era un medico affermato, sua madre Amalia Sanguinetti. Il padre fu
uno dei pochi ebrei di allora che passano al cattolicesimo per sincera fede. Ma
tale conversione e accompagnata da manie religiose e disordini mentali precoci. Fin
dall'adolescenza F. ha un impulso di rivolta contro gli adulti, il loro
conformismo, il loro spirito oppressivo. Nel romanzo Quasi una fantasia di
Ettore Cantoni si parla di due ragazzi, in cui è facile riconoscere l'autore
Ettore e Fano, che viaggiano e arrivano addirittura in Africa, appunto per
sfuggire all'atmosfera pesante instaurata dagli adulti. Fu un ragazzo
ribelle, non volle accettare la disciplina della scuola. Un episodio
contraddistingue il suo carattere, quando getta nella stufa il registro di
classe. Frequenta la scuole austriaca con scarso profitto. Afferma che una
parte delle sue difficoltà era dovuta al fatto di avere poca memoria (non
quella concettuale, in cui eccelleva, ma quella specifica, dettagliata,
necessaria ad es. nello studio della storia e della geografia). Così abbandona
gli studi assai prima di aver conseguito la maturità. Ritiratosi da
scuola, i suoi congiunti gli procurarono un posto di impiegato. Ma abbandonò
l’impiego e affitta, assieme ad alcuni coetanei, una cameretta sul colle di
Scorcola, dove si dedica non solo a discussioni senza fine con gli amici, ma
passò ore e ore a studiare filosofia. Più tardi a Vienna poté sentire le
lezioni universitarie di alcuni luminari del tempo. Fu la lettura dei classici
tedeschi, da Leibnitz a Schopenhauer, da Kant a Fichte e Hegel, a dare al suo
pensiero un indirizzo al quale sarebbe rimasto fedele per tutta la vita, a
fargli trovare le armi per la sua personale battaglia contro il dogmatismo, il
fideismo, il clericalismo del proprio ambiente familiare. Certo alla
formazione di F. ha contribuito anche l'ambiente eccezionale della Trieste di
allora. Fu suo amico Poli, il cui pseudonimo, Saba, fu inventato proprio da
lui. Si ispira certamente alla figura di F. anche il sesto de I prigioni
di Saba: «L’Appassionato/Natura, perché ardo, m’ha di rosso/pelo le guance
rivestite e il mento./ Non è una brezza lo spirito: è un vento /impetuoso, onde
anche il F. è scosso. /…../ Ero Mosè che ti trasse d’Egitto, / ed ho sofferto
per te sulla croce. / Mi chiamano in Arabia Maometto». Saba e F. comprano
in società la libreria antiquaria Mayländer, la futura "Libreria antica e
moderna", ma non andano d’accordo, perché Fano non era persona da
accollarsi diligentemente troppi compiti "noiosi". Così i due
decisero di separarsi e, poiché entrambi volevano rimanere proprietari, Fano
propose di giocare questo diritto a testa o croce e vinse. Ma Saba, che era
amante e cultore di libri antichi, non accettò il verdetto della sorte e
convinse l’amico a cedergli ugualmente la libreria. Un'altra persona
dell'ambiente triestino con cui Fano ebbe grande amicizia è stato Giotti. E un
incontro come di un artista toscano con un profeta ebreo. Io ne ebbi un grande
giovamento. Egli leggeva a quel tempo Zola, Maupassant e Flaubert che io non
conosco. Per il suo carattere indolente, in molte cose esteriori della vita
fece ciò che gli consigliavo io. Se ne venne via da Trieste, poi fece venire la
famiglia a Firenze e cose simili. Ma l'amicizia fra i due subì un tremendo
contraccolpo a causa delle drammatiche vicende in cui fu coinvolta Maria, sorella
di Virgilio, che F. sposa. Ebbero un figlio minorato mentale, Piero, che fu
ucciso dalla madre, la quale si tolse a sua volta la vita. È una tragedia che
scosse profondamente tutto Trieste. Sposa Anna Curiel, da cui ha un figlio di
nome Guido. Durante il periodo della grande guerrafu irredentista, come
molti dei suoi amici, Benco, Saba, Giotti, Schiffrer e altri. In seguito il suo
atteggiamento e molto simile a quello di Croce, e per analoghi motivi
ideologici. Gli ideali egalitari non facevano presa su di lui e gli sembrava
utopistico, e comunque non desiderabile, l’instaurare una società comunista.
Anzi si oppose con decisione al socialismo massimalista e turbolento di allora,
tanto da dimostrare, per un breve periodo, una certa comprensione per la
reazione fascista. Ma, già prima di Croce, divenne un antifascista, che non
perdeva alcuna occasione per manifestare apertamente le sue opinioni. Si
laurea in filosofia a Padova con “Dell’universo ovvero di me stesso: saggio di
una filosofia solipsistica” pubblicata sulla Rivista d’Italia. Probabilmente
non frequenta le lezioni universitarie a Padova, anche perché era già sposato e
dove pensare a mantenere la sua famiglia. Semmai la sua formazione si compì,
oltre che a Vienna, a Firenze, dove aveva trascorso qualche anno prima della
guerra e dove aveva frequentato l’ambiente de La Voce. Professore di
filosofia presso vari licei di Trieste, F. aspira tuttavia all’insegnamento
universitario, a cui giunse dopo molte traversie causate da intralci posti
dalle autorità. Il motivo di queste difficoltà si deve alla fama di
antifascista che egli si procurò quando, commemorando il cugino Elia, volontario nella grande guerra e morto
sul Podgora, tenne un discorso in cui traspariva, in maniera non molto velata,
la convinzione che il sacrificio di tante vite per la libertà veniva rinnegato
dal regime politico allora dominante. Questa sua presa di posizione gli costò
alcuni giorni di carcere nella fortezza di Capodistria e la fama di
antifascista si ripercosse sulla sua carriera universitaria. Attorno a quegli
anni a Trieste si andavano diffondendo le idee della psicoanalisi di Weiss, discepolo
di Freud. A F. non piaceva questa teoria, affermando che si basava su supposte
attività del pensiero immaginarie e non verificabili. Il concetto di inconscio
non posse venir accettato da chi come lui basava tutto sull' ‘auto-coscienza’.
Studioso di Croce, che conosce, pubblicò vari articoli sulla filosofia
crociana. Il saggio “La negazione della filosofia nell’idealismo” gli procurò
l’attenzione di Radice, che gli offrì un posto di assistente a Roma. Da notare
che nel suo primo saggio viene esposto organicamente il suo pensiero, Il
sistema dialettico dello spirito. Dopo l'invasione tedesca trova rifugio a
Rocca di Mezzo, in Abruzzo. La tranquilla sicurezza, la noncuranza dei pericoli
non gli vennero mai meno, né per il rischio di venir scoperti dai tedeschi (lui
e la moglie avevano falsificato le carte d’identità), né per i bombardamenti
alleati. I tedeschi lo usarono spesso come interprete e poiché la sua casa
stava proprio sulla strada maestra, spesso la cucina era piena di soldati che
avevano bisogno di qualcosa. Lì, in quella cucina mal riscaldata, incurante dei
rischi immediati, lavora forse più di quanto non avesse mai fatto in precedenza
e portò a termine l'opera: La filosofia del Croce. Saggi di critica e primi
lineamenti di un sistema dialettico dello spirito. Finita la guerra ritrovò il
suo posto a Roma. Nel saggio sul Croce aveva rivendicato l'importanza delle
scienze empiriche, che nella filosofia crociana non avevano dignità
conoscitiva. In Teosofia orientale e filosofia greca troviamo una descrizione dello sviluppo
storico del pensiero umano, in cui tra l'altro viene rivendicata l'importanza
della matematica, mentre Croce sostene che la matematica è uno pseudo-concetto.
Inoltre cura la traduzione integrale dei Prolegomena ad ogni futura metafisica
di Kant. Infine le sue ricerche lo portarono ad esaminare il problema
dell'origine della lingua, su cui espresse il suo pensiero nel Saggio sulle
origini del linguaggio, poi riedito accresciuto a cura di F.. Altre
opere: “Il sistema dialettico dello spirito” *Roma, Servizi editoriali del
GUF/); “La filosofia del Croce. Saggi di critica e primi lineamenti di un
sistema dialettico dello spirito” (Milano, Istituto editoriale italiano); “Teosofia
orientale e filosofia greca. Preliminari ad ogni storiografia filosofica”
(Firenze, La nuova Italia); “Saggio sulle origini del linguaggio. Con una
storia critica delle dottrine glottogoniche” (Torino, Einaudi); “Origini e
natura del linguaggio” (Torino, Einaudi); “Neo-positivismo, analisi del
linguaggio e cibernetica” (Torino, Einaudi);
“Prolegomeni ad ogni futura metafisica” (Firenze, G. C. Sansoni). Ettore
Cantoni, Quasi una fantasia: romanzo, Milano, Treves, Cantóni, Ettore, su
treccani. Voghera su Il Piccolo. Viene venduta a F. e Poli, Saba, che ne
diventa proprietario unico. Dice che una teoria può essere accettata solo se si
prospettano anche delle ipotesi — che poi appariranno assurde e non si
verificheranno concretamente — nelle quali essa dovrebbe venir respinta. La
psicanalisi, invece, si mette accuratamente al coperto da ogni prova contraria.
L'estetica nel sistema di Croce, L'Anima, da filosofia di Croce, Giornale
critico della filosofia italiana, Un episodio illustra bene sia l’importanza
che egli annetteva al suo lavoro, sia il suo coraggio. Una mattina, scendendo
in cucina, che e diventata il suo studio, la trova invasa da soldati tedeschi
che cercano acqua ed altro. Con l’abituale tono tranquillo, dimenticando con
chi aveva a che fare, lui l’ebreo, col suo viso di profeta, addita ai soldati
della Wehrmacht la porta. Prego, dice in tedesco se lor signori avessero la
compiacenza di andare da un’altra parte. Io ho da lavorare. Senza fiatare, i
soldati infilano la porta ed egli si rimise tranquillamente al suo tavolo di
lavoro per battagliare con Croce, dimentico che la più superficiale inchiesta e
sufficiente a convogliarlo assieme alla sua famiglia verso i campi di sterminio.
L'ottimismo di Fano e il pessimismo di Voghera. Brani da lettere e testi,
Milano, Mimesis, Silvano Lantier, La filosofia del linguaggio (Trieste, Riva);
Silvano Lantier, “Vico e Fano: motivi di un'affinità ideale, Udine, Del
Bianco); Dizionario biografico degli italiani, Roma. The ‘signifier’, drawn from
Saussurean linguistics, was arguably the central concept in Jacques Lacan’s
engagement with psychoanalysis. As indicated in its programmatic texts, the
effort to develop a ‘logic of the signifier’ that would account for the
relations between subject, science, and ideology, was one of the guiding
concerns of the Cahiers pour l’Analyse. See also: Linguistics, Logic,
Meaning, Speech, Structure, Subject, Unconscious Three conceptual distinctions
lay at the heart of Ferdinand de Saussure’s innovative structural linguistics,
the science that was foundational for twentieth-century French structuralism.
The first was the distinction between langue [language] and parole [speech].
For Saussure, the former was to be considered in synchronic terms and as the
primary terrain of linguistic analysis; in this it was opposed to the
diachronic reality of the latter, which put language to use in time in spoken
form. In his synchronic analysis of language, Saussure insisted on another
distinction, that between the sign and the referent. For example, the sign
‘cat’ may in multiple instances refer to an actual cat which would be its real
world referent, i.e., this cat. Most crucial, however, was the third
distinction, that within the sign between the ‘signified’ and the ‘signifier’.
The former was the conceptual content of the sign, in this case the idea of a
cat, as a four-legged mammal, often domesticated, distinct from ‘dogs’ and
other domestic pets. Opposed to this mental concept or ideational content, was
the signifier ‘cat’ – as an ‘acoustic image’ or phoneme, a sequence of letters,
i.e., the word itself apart from its meaning or content. For Saussure, meaning
was produced through a sequence of differential relations in which signifiers
were correlated to signified contents; in all instances, it was the difference
between signifiers that allowed them to function as linked to specific
signifieds or contents. In this regard, the production of the signified was the
locus of Saussure’s linguistic concerns. Jacques Lacan’s meeting of Roman
Jakobson (a follower of Saussure’s, via their mutual friend Claude
Lévi-Strauss) in 1950 was arguably the central event in Lacan’s own
intellectual itinerary. His introduction to structural linguistics moved him
away from the Hegelianism of his youth, and paved the way for his later concern
with mathematics, formalisation, and systems theory analysis. Inspired by Saussure,
Lacan nonetheless departed from him on several significant points. First, the
sign/referent distinction was of minimal concern for Lacan. Second, where
Saussure tended to denigrate parole in favour of a thoroughly synchronic
approach to language, Lacan, as a psychoanalyst, was eminently concerned with
speech, itself the medium of psychoanalytic practice and the crucial mechanism
for the emergence of the subject of the unconscious. Finally, and most
importantly, Lacan reversed the priority of the signified/signifier
relationship found in Saussure’s example. For Lacan, meaning was the result of
the play of signifiers apart from any synchronic correlation to fixed signified
contents. Lacan introduced his new structural interrogation of Freud in his famous
‘Rome Discourse’, reprinted in the Écrits as ‘The Function and Field of Speech
and Language in Psychoanalysis’. The increasing pertinence granted to the
signifier would be evident in the later texts of this volume, culminating in
‘The Subversion of the Subject and the Dialectic of Desire in the Freudian
Unconscious’ , wherein Lacan claims that ‘[s]tarting with Freud, the
unconscious becomes a chain of signifiers that repeats and insists somewhere
(on another stage or in a different scene, as he wrote), interfering in the
cuts offered it by actual discourse and the cogitation it informs’. For
Lacan, the primacy of signifier was what accounted for the uniqueness of the
human and distinguished its relationship to language from any notion of mere
communication or the simple transfer of meaning. In his third seminar, on the
psychoses, Lacan provides an illuminating example of this phenomenon that
deserves to be quoted at length: I’m at sea, the captain of a small ship.
I see things moving about in the night, in a way that gives me cause to think
that there may be a sign there. How shall I react? If I’m not yet a human
being, I shall react with all sorts of displays, as they say – modelled, motor,
and emotional I satisfy the descriptions of the psychologists, I understand
something, in fact I do everything I’m telling you that you must know how not
to do. If on the other hand I am a human being, I write in my log book – At
such and such a time, at such and such a degree of latitude and longitude, we
noticed this and that. This is what is fundamental. I shelter my
responsibility. What distinguishes the signifier is here. I make a note of the
sign as such. It’s the acknowledgment of receipt [l’accusé de réception] that
is essential to communication insofar as it is not significant, but signifying.
If you don’t articulate this distinction clearly, you will keep falling back
upon meanings that can only mask from you the original mainspring of the
signifier insofar as it carries out its true function. Indeed, it isn’t as all
or nothing that something is a signifier, it’s to the extent that something
constituting a whole, the sign, exists and signifies precisely nothing. This is
where the order of the signifier, insofar as it differs from the order of
meaning, begins. If psychoanalysis teaches us anything, if psychoanalysis
constitutes a novelty, it’s precisely that the human being’s development is in
no way directly deducible from the construction of, from the interferences
between, from the composition of, meanings, that is, instincts. The human
world, the world that we know and live in, in the midst of which we orientate
ourselves, and without which we are absolutely unable to orientate ourselves,
doesn’t only imply the existence of meanings, but the order of the signifier as
well.1 Lacan will ultimately link the ‘signifier, as such, signifying
nothing’ to the Oedipus complex, and argue that the entry to the symbolic order
of language is a result of a submission to the ‘law’ of the phallic signifier,
grounded in the ‘Name-of-the-father’. More broadly, the signifier, distinct
from meaning, lacking fixed signified or referent, will for Lacan come to be
the concept for sexual difference as such – the integral incompleteness or
indeed lack that constitutes the subject. In the Cahiers pour l’Analyse
Much as in Lacan’s teaching, the signifier is a ubiquitous concept in the
Cahiers pour l’Analyse. In the inaugural article, ‘La Science et la vérité’,
Lacan develops his theses concerning lack and ‘truth as cause’ in scientific
discourse. After making a distinction between the formal and material cause
along Aristotelian lines, Lacan specifies that psychoanalyse is concerned with
the latter and its relation to the former: This material cause is truly
the form of impact of the signifier that I define therein. The
signifier is defined by psychoanalysis as acting first of all as if it were
separate from its signification. Here we see the literal character trait that
specifies the copulatory signifier, the phallus, when – arising outside of the
limits of the subject’s biological maturation – it is effectively (im)printed;
it is unable, however, to be the sign representing sex, the partner’s sex –
that is the partner’s biological sign; recall, in this connection, my
formulations differentiating the signifier from the sign. Conveyed by a
signifier in its relation to another signifier, the subject must be as
rigorously distinguished from the biological individual as from any
psychological evolution subsumable under the subject of understanding.
The primacy of the signifier in Lacan’s teaching, and his attempt to provide a
‘rigorous’ account of it, are the inspiration behind Jacques-Alain’s Miller’s
attempt in ‘La Suture’ to provide, as the subtitle suggests, the ‘elements for
a logic of the signifier’. Note, however, that in ‘La Science et la vérité’
Lacan is already gesturing toward tying the signifier back to the body, without
however reducing it to anything that could be confused with biology. Miller’s
contribution to the Cahiers will emphasize the formal elements of Lacan’s
account, whereas others, chiefly André Green and Serge Leclaire will work to
bring the body back in to analysis in response to Miller’s
ultra-formalism. Miller presents the ‘concept of logic of the signifier’
in clear terms at the outset of ‘La Suture’: What I am aiming to restore,
piecing together indications dispersed through the work of Lacan, is to be
designated the logic of the signifier - it is a general logic in that its
functioning is formal in relation to all fields of knowledge including that of
psychoanalysiswhich, in acquiring a specificity there, it governs; it is a
minimal logic in that within it are given those pieces only which are necessary
to assure it a progression reduced to a linear movement, uniformly generated at
each point of its necessary sequence. That this logic should be called the
logic of the signifier avoids the partiality of the conception which would
limit its validity to the field in which it was first produced as a category;
to correct its linguistic declension is to prepare the way for its importation
into other discourses, an importation which we will not fail to carry out once
we have grasped its essentials here. The analysis that follows is a reading of
Frege’s Grundlagen der Arithmetik, based around a demonstration that Frege’s
attempt to give a logical construction of the series of whole natural numbers
is predicated on this prior logic of the signifier. Frege’s concept of zero
involves a simultaneous ‘summoning’ and ‘annulment’ of the non-identical that
Miller claims can be related to Lacan’s account of primary repression and
metonymic displacement in the ‘signifying chain’. For Miller, Frege does not
recognize that the truth of his own discourse is predicated on a suturing over
of an inaugural non-identity. He misrecognises ‘the paradox of the signifier’,
that ‘the trait of the identical represents the non-identical’. In
the concluding section of this article, Miller ties the logic of the signifier
to the subject (CpA). In effect, Miller follows Lacan in defining the subject
as ‘the possibility for one signifier more’: In order to ensure that this
recourse to the subject as the founder of iteration is not a recourse to
psychology, we simply substitute for thematisation the representation of the
subject (as signifier) which excludes consciousness because it is not effected
for someone, but, in the chain, in the field of truth, for the signifier which
precedes it. The key point is that the signifying chain, in which the
subject ‘flicker[s] in eclipses’, is marked by a constitutive lack that is
sutured over. It is this lack, in its determinant capacity, that accounts for
the persistence of the subject in his own discourse. The signifier is a
crucial concept in the first segment of Serge Leclaire’s seminar ‘Compter avec
la psychanalyse’ that concludes Volume 1 (CpA 1.5). According to Leclaire, the
analyst does not obey a logic of meaning [logique du sens], but in listening
for the unconscious must rather follow the formal paths opened up by the
signifier. In a discussion of clinical approaches to fantasy,
Leclaire says that ‘two references are essential for the determination of the
structure of the fantasy’. On the one hand, fantasies are tied to an emotion
that is corporeally localized. He gives examples: anal excitation, oral or
dental excitations, or ‘sensations of threshold or passage [émoi de seuil, de
passage]’. On the other hand, they are attached to signifiers; and more
particularly to ‘signifiers as such’, that is, signifiers detached from their
relation to the signified. This is how one should understand Freud’s suggestion
that fantasies are ‘made up from things that are heard, and made use of
subsequently’. Leclaire gives examples of how certain signifiers used by the mother
(proper names and pet names) can become detached from their common significance
for the child and become sites for unconscious signifying chains. Later,
Leclaire turns to the notion of the ‘unconscious concept’, emphasizing its role
in the constitution of signifiers which mark the body. Indeed, the chain
created by the unconscious concept, the concept of the ‘small piece’ detached
from the body, as Freud says, ‘in order to gain the favour of some other person
whom he loves’ is the libidinal condition for the emergence of the signifier.
Leclaire goes on to elaborate that ‘this wandering piece that can be separated,
by figuring the place of separation, transgresses, in the literal sense of the
term, the surface’s function of limit. And as a limit itself, it marks
difference, thus transcending the effaceable trace of the sensible: the pain of
the wound becomes an ineradicable mark’. This initial transgression, he says,
is rediscovered in orgasm and in sadistic jouissance. It is, says Leclaire,
‘the void or hole around which fantasy turns’. In his ‘Réponse à des
étudiants en philosophie sur l’objet de la psychanalyse’ which opens Volume 3,
Lacan insists that, while posing a challenge to dialectical materialism, his
theory of language is nonetheless materialist; the signifier, he claims, is
‘matter transcending itself in language’. This is in fact a crucial moment for
the legacy of the Cahiers, e.g. in the work of Badiou and Slavoj Žižek, in that
the symbolic nature of the signifier, as it well as its transcendentalizing
character, remains grounded in a materialism irreducible to an account of raw
inchoate matter. In a section titled ‘The Suture of the Signifier, its
Representation and the Object (a)’ from his contribution to this volume, André
Green further develops some of Leclaire’s criticisms of Miller and also seeks
to link the logic of the signifier to a more robust account of affect and the
body. The signifier plays a key role in Irigaray’s contribution to Volume 3 as
well. Developing Miller’s arguments from ‘La Suture’, and supplementing them
with a more extensive engagement with linguistics, Irigaray focuses on the
family romance of the Oedipus complex and the emergence of subjectivity out of
this scene. Irigaray maps out and explains the linguistic and intersubjective
features of the transformation produced by the entrance of a third term into
the original dyad of child and Other. In his or her very first relationship
with the first Other, the child starts out as a fluid entity, ‘not yet
structured as “I” by the signifier’. ‘At the introduction of the third party
into the primitive relation between the child and the mother, “I” and “you” are
established as disjunction, separation’. The mere presence of a third term,
however, is insufficient for a radical break with the imaginary dyad, since the
third initially appears in the form of a rival. ‘This opposition of “I” and
“you”, of “you” and “I” remains “one” [on], without potential for inversion or
permutation - the father being only another “you” - if the mother and the
father do not communicate with each other’. Later, Irigaray develops some
of Lacan’s theses concerning the crucial role of the phallic signifier. The
‘fundamental fantasy’ of the hysteric is that they ‘did not get enough love’.
With regard to his or her mother’s desire, he or she experiences themselves as
marked by the sign of incompleteness and rejection, ‘unable to sustain the
comparison with the phallic signifier’. For the male hysteric, ‘the
confrontation with the mirror is like the test of his insignificance’.
The obsessional neurotic, on the other hand, suffers from an early excess of
love. ‘His mother found him too appropriate a signifier for her desire’. The
phallic reference is attributed to some absent hero, an all-powerful figure, whose
death (as with the death of the father of the primal horde in Freud’s Totem and
Taboo) would only in any case guarantee the subject’s ongoing acquiescence. The
neurotic’s problem comes down to the adequacy of his signified to his
signifier; he remains ‘riveted to what he has been’, unable to become. He is
trapped in an empty ‘metonymy’, unable to metaphorise, and thus enter a ‘true
temporal succession’. As the title suggests, the ‘signifier’ is the
central concept of Jean-Claude Milner’s reading of Plato’s Sophist in Volume 3,
‘Le Point du signifiant’. For Milner, deeply inspired in this instance by
Miller’s ‘La Suture’ the key movement in Plato’s text is the vacillation of
non-being as alternately function and term in the chain of Plato’s discourse, a
movement which evokes the summoning and annulment of the subject that Miller
found in Frege’s discourse. The signifying chain is the ‘sole space suited to
support the play of vacillation’. Wherever an element in a linear sequence is
replaced by an element which, as element, transgresses this linearity (as in
the mechanism of structural causality identified by Miller in ‘Action de la
structure’, CpA), a ‘vacillation’ is produced within the chain. Milner gives
the examples of (1) the founding exception of a chain, and (2) any marking of
the place of an erasure. The institution of a linear sequence is governed by a
vacillation that testifies to a ‘double formal dependence’, and which
‘retroactively defines the signifier as a chain’ (CpA). Plato’s chain of genera
thus points towards the possibility of an ‘order of the signifier in which
being and non-being would regain those traits whose very coupling guarantees
truth and authorizes discourse’. Milner speculates that the notions of
being and non-being might borrow their traits from the order of the signifier
itself in its basic constitution. In a passage cited by Leclaire, Milner
mentions three aspects of vacillation. First, there is ‘the vacillation of the
element’, which is ‘the effect of a singular property of the signifier’, and
develops in a space ‘where the only laws are production and repetition: being
and non-being recover this relation through their inverse symmetry, dividing
themselves between term and expansion, between mark and abyss’ (CpA). There is
also a ‘vacillation of the cause’ insofar as both being and non-being cannot
posit themselves as cause except by revealing themselves to be the effect of
the other. Finally, there is the movement of vacillation whereby the term that
initially ‘transgresses the sequence’ calls up a transgression that annuls the
whole chain. Milner claims that grounding Platonic ontology on the logic
of the signifier also makes possible a new understanding of the opposition
between being and subjectivity. On the one hand, there is being as the order of
the signifier, the ‘radical register of all computations’, totality of all
chains, and on the other hand, the ‘one’ of the signifier, the unity of
computation, the element of the chain, non-being, as the signifier of the subject
(CpA). This latter reappears as such every time that discourse deploys its
power to ‘annul’ signifying chains. In the next segment of his seminar,
Leclaire focuses on the concept of drive [pulsion]. He asks: is the object of
the drive a signifier or the objet petit a in Lacan’s sense? Leclaire explains
that these two are indissociable: insofar as it is the terminus of sought-for
satisfaction, it is the objet petit a, but insofar as it is connected with a
differentiation in the body, it is a signifier. The difference between the
objet petit a and the obtained corporeal satisfaction is ‘lived’ as an
‘antinomy of pleasure’, and through ‘the representation of the splitting of the
subject’ [la schize du sujet]. Derrida’s contribution to Volume 4, on the
‘writing lesson’ in Claude Lévi-Strauss’s Tristes Tropiques, presents his
general case for a concept of ‘arche-writing’ that is in many respects distinct
from the logic of the signifier (CpA). For Derrida, the metaphysical tradition
and classical linguisticshave always presented writing as secondary to and
dependent upon speech, which they understood as the absolute immediacy of
meaning, of the signified to the signifier. Nevertheless, the rigorous
development of linguistics by Saussure and his followers demonstrated that
spoken language was structured not by a referential relationship to a signified
but rather by the homology of the differences between signifiers and the
differences between signifieds. In this situation, despite Saussure’s continued
and classical disdain for writing, the traditional understanding of writing
provided a better model for structural linguistics, because it also forewent
the immediate presence of a signified to its signifier. The general structure
of language then could be named ‘arche-writing.’ From this perspective, ‘the
passage from arche-writing to writing as it is commonly understoodis not a
passage from speech to writing, it operates within writing in general’
(CpA). In the first section of his reading of Freud’s ‘Wolf Man’ case in
Volume 5, ‘On the Signifier’, Leclaire distinguishes the psychoanalytic
signifier from the linguistic signifier, which he describes a ‘psychic entity
with two faces:’ a combination of two elements - signifier (Saussure’s
‘acoustic image’) and signified - that together constitute the sign; as such,
it refers to the signified object it denotes. According to this definition,
‘the signifier is the phonic manifestation of the linguistic sign’ (CpA). As
used by Jacques Lacan, however, the signifier cannot be considered as an
element derived from the problematic of the sign, but rather as a fundamental
element constituting the nature and truth of the unconscious (CpA). While
Peirce famously defined the signifier as what ‘represents something for
someone,’ Lacan declares that the psychoanalytic signifier ‘represents a
subject for another signifier.’ Their functions of representation thus differ
radically. To elucidate this function, Leclaire cites two important
essays from previous issues of the Cahiers, Jacques-Alain Miller’s ‘La Suture’
(CpA) and Jean-Claude Milner’s ‘Le Point du signifiant’. For Miller, the
central paradox of the Lacanian signifier is that ‘the trait of the identical
represents the non-identical, from which can be deduced the impossibility of
its redoubling, and from that impossibility the structure of repetition as the
process of differentiation of the identical’. Milner adds that ‘The signifying
order develops itself as a chain, and every chain bears the specific marks of
its formality’: the vacillation of the element, the vacillation of the cause,
and ultimately the vacillation of transgression itself, ‘where the term that
transgresses the sequence, situating as a term the founding authority of all
terms, calls the one to be repeated as term transgression itself, an agent
[instance] which annuls every chain’ (CpA). Leclaire embraces these
formulations, but points out that they do not explain how the psychoanalyst can
distinguish a given signifier. While any element of discourse may be a signifier,
the psychoanalyst must be able to differentiate between signifiers, to
privilege some over others. He warns against ‘the error of making the signifier
no more than a letter open to all meanings,’ and argues that ‘a signifier can
be named as such only to the extent that the letter that constitutes one of its
slopes necessarily refers back to a movement of the body. It is this elective
anchoring of a letter (gramma) in a movement of the body that constitutes the
unconscious element, the signifier properly speaking’ (CpA). Its
development of a kind of prototype of the sought-after ‘logic of the signifier’
accounts for the inclusion of Dumézil’s ‘Les Transformations du troisième du
triple’. DUMEZIL argues that the multiple references in ROMAN legend to figures
named ‘ORAZIO’ (for instance, the story of ORAZIO Cocles in LIVIO) ‘have a
signifying trait in common’ [un trait significatif]. All the narratives concern
single combatants performing feats of extraordinary military prowess. The
recurrence of these narratives, suggests Dumézil, indicate the remnants of a
ritual function. This emphasis on a recurrent function resonates with Milner’s
insistence to Leclaire on the homogeneity of places, as opposed to the
heterogeneity of terms, in the ‘Compter avec la psychanalyse’ segment in Volume
3 (CpA). In his analysis of Freud’s ‘A Child is Being Beaten’, also in
Volume 7, Jacques Nassif arrives at an account of ‘the place assigned to the
subject in the signifying order’ (CpA). He suggests that the model can also
help to explain the process of the overdetermination of symptoms, which can be
thought as a ‘co-presence in the same archaeological disposition’ of superseded
phases (CpA). Fantasy thus becomes the privileged site where the unconscious,
structured like a language, ‘communicates with the signifying order that is
language properly speaking’ (CpA). In their questions to Foucault which
open Volume 9, the Cercle d’Épistémologie enquires into Foucault’s method for
reading texts, navigating his conception of language and the signifier. ‘What
use of the letter does archaeology suppose? This is to say: what operations
does it practice on a statement in order to decipher, through what it says, its
conditions of possibility, and to guarantee that one attains the non-thought
which, beyond it, in it, incites it and systematises it? Does leading a
discourse back to its unthought make it pointless to give it internal
structures, and to reconstitute its autonomous functioning?’ (CpA). In
his ‘Remarques pour une théorie générale des idéologies’ in Volume 9, Thomas
Herbert [Michel Pêcheux] develops an Althusserian account of ideology in which
the logic of the signifier plays a key role. Herbert establishes how operations
which take place within the ‘ideology of the empirical form’ are ‘fascinated by
the problem of the reality to which the signifier must adjust’ (CpA). In
establishing these semantic adjustments, the process itself is never forgotten
or hidden. Indeed, it is the very process of adjustment itself that is the motor
of ideological operations, and ruptures, at this level. By contrast, with
ideologies of the speculative form, the operation takes place at the level of
syntax, that is, in the relation of signifier to signifier, not in the
‘adjustment’ of signifier to signified. In Herbert’s reading, the ‘social
effect’ is well described by Lacan’s description of the mechanism in the
signifying chain which produces the subject effect in language: ‘the signifier
represents the subject for another signifier.’ What is essential to this
Lacanian formulation is that the sequence is one that covers its own traces;
unlike the adjustment between signifier and signified that occurs out in the
open in type ‘A’ ideologies (empirical form), in type ‘B’ (speculative form)
the subjectification that occurs is constitutively forgotten. The ‘subject
effect’ covers over the rupture that was its own condition. The ideas of Nicos
Poulantzas serve Herbert in the following formulation: ‘let us say briefly that
the putting into place of subjects [i.e., the syntactic chain] refers to the
economic instance of the relations of production, and the forgetting of this
putting into place to the political instance’ (CpA). In other words, what goes
by the name of ‘politics’ in this social formation, i.e., the ‘State’, is the
sign of the forgetting of the social ordering itself, which is anterior to
‘politics’. In their preamble to the dossier on the ‘Chimie de la Raison’
which concludes Volume 9, the Cercle d’Épistémologie presents the ‘chemistry of
reason’ – found in the works of D’Alembert, Lavoisier, Mendeleev, or Cuvier –
in a manner that evokes the ‘logic of the signifier’ that has been the
journal’s guiding concern: To construct a chemistry of reason is thus to
refer the sciences to the jurisdiction of the whole [tout], but this is also by
the same stroke to submit them to another necessity. For this whole is also
substantial since, being the science of the simple and the compound [composée],
chemistry must direct its effort toward generating, through the sole operation
of combination, all the materials that make all the things of the world; saving
phenomena thus requires that chemistry constitute them as such, as a plenitude
and liaison of substances. We see here that the crucial relation [relation] to
the whole is but the reverse of a relation [rapport] to the representation to
which chemistry is so intimately tied, namely that, given that anything
representable is an object of analysis, all analysis is thus deduction from a
representable body (CpA).Grice: “Fano is too obsessed with the ‘acoustic image’
(imagine Acustica) whereas Saussure is careful to add “acosutique ou sensible”
– ‘immagine Acustica o imagine sensibile” – if we allow for imagine sensibile,
the priority of the sound evaporates, and so does that of the tongue – and all
the glossological societies of Europe!” -- Giorgio Fano. Fano. Keywords: Fano
insists that the semiogonia, i. e. the origin of meaningful gestures will
provide a clue as to the essence of the semiotic communication. He relies on
Morris, Ferruccio Landi, Peirce, and Croce. He is interested in Croce’s views
on ‘expression’ and Landi’s views on ‘lavoro.’ Fano is critical of Peirce. This
is going on at the same time as Grice is giving seminars on Peirce at Oxford.
Grice: “I agree with Fano that ontogenesis repeats phylogenesis, and that we
should concentrate on utterances which are meaningful generally – ‘signare’ is
a good verb in Italian for that.’ Grice: “In my view, it is the agent who signs
that… ‘signa che’ – signat quod. The ‘-ficare’ only complicates things. A dark
cloud ‘signa’ rain. And, by my hand gesture, I sign that going out is not a
good day in view of the coming rain. Keywords:
glossogonia, glottogonia, teoria glottogonica, dottrina glottogonica, teoria
glossogonica, dottrina glossogonica, semiotics of the tongue, Croce. La glossogonia.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fano” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Fardella: all’isola -- la ragione conversazionale
e l’implicatura conversazionale del sensuale -- sensismo, sensualismo – romano –
scuola di Trapani – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trapani). Filosofo trapanese. Filosofo siciliano. Filosofo
italiano. Trapani, Sicilia. Grice: “I like Fardella; for one, he is a
systematic philosopher; for another, he compares Aristotle (‘demonstratio
peripatetica’) with Cartesio, as the Italians call him (‘demonstratio
cartesiana’) – And while Italians consider him a reactionary Cartesian, I
deem him a closet Aristotelian!”. Studia a Messina sotto BORELLI (si veda), dal quale
accetta l’atomismo di LUCREZIO, ma abbraccia il pensiero di Cartesio, dopo
averne appreso gl’insegnamenti durante il suo soggiorno a Parigi, grazie alle
conversazioni con Arnauld, Malebranche e Lamy.
Insegna matematica a Roma, Modena, e Padova. Tenne corrispondenza con
Leibniz e polemizza con Giorgi attacca il cartesianesimo. Il suo razionalismo,
per quanto riconosca che solo Cartesio trova, fra gl’antichi e i moderni, il
retto e naturale metodo di filosofare, è tuttavia relativo, adeguato com'è al
platonismo. Il mondo è organizzato secondo principi d’aritmetica e geometria.
Ogni cosa ha peso, numero e misura, ossia secondo le leggi statiche, aritmetiche
e geometriche. Mediante l’aritmetica e la geomtria si comprende il mondo e si
comprende così la logica. Nel punto, che
non ha peso, non ha grandezza, non è divisibile, è tuttavia l'origine di ogni
estensione. Nel punto, come il numero nell'unità, si risolve l'estensione. L'anima,
che non ha estensione (non e ‘res extensa’), è un punto. Non è possibile
dimostrare l'esistenza indipendente della realtà materiale. La stessa
esperienza ci insegna che spesso nel sogno percepiamo oggetti che veramente non
possiamo ammettere realmente esistenti. Quante volte, la notte, mentre dormo,
vedo splendere il sole sopra l'orizzonte e vedo muoversi in vari modi
moltissime cose prodigiose, che non sono niente extra ideam? Dunque, quel che
sento e *vedo* non può in nessun modo essere dedotto come realmente esistente. E
se si obbietta che una cosa è sognare, altra cosa è la veglia, per lui le cose
che percepiamo nella veglia potrebbe anche essere soltanto cose percepite con
maggiore chiarezza, distinzione e ordine, benché non siano niente in sé. I
sensi non danno certezza del mondo, la quale può ritrovarsi soltanto in la
legge dell’aritmetica e della geometria.
Altre opere: “Universae philosophiae systema, in qua nova quadam et
extricata Methodo, Naturalis scientiae et Moralis fundamenta explanantur
(Venezia); “Universae usualis mathematicae theoria” (Venezia); “Utraque
dialectica rationalis et mathemathica”; “Animae humanae natura ab Augustino
detecta in libris de Animae Quantitate, decimo de Trinitate, et de Animae
Immortalitate” (Venezia); Pensieri (Napoli); “Lettera antiscolastica” (Napoli).
Recensito immediatamente dopo la pubblicazione del primo e unico volume sulla
rivista scientifica Acta Eruditorum Universae Philosophae Systema, Descartes e
l'eredità cartesiana in Italia” Dizionario biografico degli italiani. Fardella elaborated a
Cartesian philosophy of language, pretty much avant Chomsky, but using the same
sources: Arnauld. While Chomsky focuses on Harris and others, he could at least
have dropped the “Fardella” name! Grice: “He possibly did have some Italian
friends in the Bronx!” Wikipedia Ricerca
Sensismo Lingua Segui Modifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Sensazione (filosofia). «Infatti, dato che ogni
sensazione è necessariamente gradevole o sgradevole, si è interessati a godere
delle prime e a sottrarsi alle seconde. Questo interesse è sufficiente a
spiegare le origini delle operazioni dell'intelletto e della volontà. Il
giudizio, la riflessione, i desideri, le passioni e via dicendo, non sono altro
che la sensazione stessa, la quale si trasforma in diverse maniere» (E.
Condillac, da Trattato sulle sensazioni) Il sensismo è un termine che designa
quelle dottrine filosofiche che riportano ogni contenuto e la stessa azione del
conoscere al sentire, ossia al processo di trasformazione delle sensazioni,
escludendo in tal modo dalla conoscenza tutto quello che non sia riportabile ai
sensi. A volte viene usato come suo sinonimo sensualismo, che però trova
definizione diversa. Mentre nella storia della filosofia la parola senso compare,
a partire dalla αίσθησις di Aristotele, per indicare la facoltà di
"sentire" (cioè di percepire l'azione di oggetti interni al corpo o
esterni ad esso), le origini del sensismo, come filosofia, possono ritrovarsi
in alcune affermazioni dei sofisti. Già Protagora affermava che l'anima
non fosse altro che un complesso di sensazioni: fu una tesi ripresa in maniera
più approfondita dagli stoici e dagli epicurei. La cultura romana e
quella medievale hanno conservato il concetto riduttivo di senso, proprio della
definizione aristotelica: è solo nei tempi moderni, con Locke prima e poi
specialmente con Kant, che la parola senso assume il significato di sentire
insieme alla consapevolezza di ciò che avviene sentendo. I sensisti
moderniModifica La dottrina sensista si precisa nella filosofia moderna, con il
pensiero rinascimentale, nella filosofia della natura di TELESIO (si veda), che
dà vita a una prima forma di metodologia scientifica basata sull'esperienza, e
poi in CAMPANELLA (si veda) e PERSIO. Quest'ultimo intende la natura come
un complesso di realtà viventi, ciascuna senziente, animata e tendente al
proprio fine (in base al concetto aristotelico di entelechia), e d'altra parte
tutte unificate e armoniosamente dirette verso un fine universale da una comune
Anima del mondo, secondo la concezione tipicamente neoplatonica. La visione
campanelliana è detta per questo pansensismo cosmico, (dal greco πάν, pàn, che
significa tutto, e sensismo) a indicare una specie di sensibilità cosciente di
tutto l'universo: il grande bestione vivente nella visione di BRUNO (si veda).
Caratteristiche del sensismo, che lo accostano al materialismo, si trovano in
Hobbes il quale negli Elementi e nel De corpore sviluppa il suo sistema
materialistico, meccanicistico onnicomprensivo, basandolo sull'elemento
sostanziale corpo e su quello accidentale di moto. La sensazione è il risultato
del moto dei corpi che generano le immagini, le sensazioni di piacere e dolore
e le passioni. Tutto si origina da un moto, da un'azione a cui corrisponde un
contromovimento, una reazione, che produce immagini fenomeniche; tutta la vita
teoretica e morale può essere ricondotta alla sensazione. Pur da una
posizione di deciso rigetto della filosofia di Hobbes, anche Anthony
Ashley-Cooper, III conte di Shaftesbury esprimerà una teoria di tipo
sensista. Il sensismo di CondillacModifica Condillac Il termine
"sensismo" è stato attribuito prevalentemente alla dottrina di Condillac
espressa nel Traité des sensation, la quale riprende molte formulazioni che
erano state proprie delle teorie di Locke, eliminandone però gli aspetti più
propriamente psicologici, e sottolineando come tutte le facoltà conoscitive si
sviluppino, in modo più o meno diretto, dall'azione dei sensi. In
questo senso, è famoso l'esempio di Condillac, il quale suggerisce di
immaginare una statua dalle fattezze umane, la quale progressivamente si anima
a mano a mano che prendono vita i vari sensi, e in particolare il tatto, il
quale le permette la consapevolezza della realtà propria e del mondo
circostante. Ciò che finora veniva attribuito all'attività spirituale, al
giudizio, al desiderio e alla volontà non sono che "sensazioni
trasformate". Va sottolineato che il sensismo non coincide con il
materialismo, giacché il primo si limita a esprimere la posizione di chi
afferma il primato della conoscenza sensibile, senza tuttavia determinare in
alcun modo i contenuti che questa conoscenza possa raggiungere. La
posizione sensista riguarda quindi esclusivamente la forma della conoscenza, in
particolare il modo in cui si formano e si espletano le varie facoltà
conoscitive. Dire che la nostra conoscenza si origina dalla sensazione non vuol
dire che la materia di per sé sia causa di movimento e sensazione per cui
l'uomo alla fine sia un essere completamente materiale. Proprio in ragione di
questo, Condillac poté teorizzare l'esistenza di Dio e l'immortalità
dell'anima, congiungendo sensismo gnoseologico e spiritualismo. La via
del materialismo su base sensistica venne intrapresa invece da Mettrie,
Helvétius e Holbach, più conosciuto con lo pseudonimo di Mirabaud. Per
Mettrie estensione, movimento e sensibilità caratterizzano tutto ciò che è
materiale; l'uomo stesso è una macchina ("L'homme machine")
condizionata da leggi biologiche. Helvetius condivide con Condillac
l'idea che la conoscenza derivi dalle sensazioni ed estende quindi, nell'opera
Lo Spirito (1758), la natura sensibile anche alla moralità riducendola a pure
motivazioni utilitaristiche. Per Holbach l'affermazione decisa del
materialismo è collegata all'ateismo e alla negazione di ogni libera volontà
nel comportamento dell'uomo. Il materialismo in effetti era negato dagli
illuministipoiché essi vi vedevano il mascheramento della vecchia pretesa
metafisica di spiegare in maniera onnicomprensiva e totale l'universo. Si può
affermare che, da molti di loro, il materialismo era sostenuto non tanto per
ragioni gnoseologiche quanto per fini politici e morali come una polemica protesta,
cioè, nei confronti dell'autoritarismo politico e religioso dei loro
tempi. NoteModifica ^ Aristotele, De anima aveva dato una definizione del
tutto corretta e coerente col pensiero del tempo, ancora molto lontano dal
concepire una possibile sensibilità specifica di un essere umano come
caratteristica peculiare della sua individualità. Nihil est in intellectu, quod
non prius fuerit in sensu». (Locke
Saggio sull'Intelletto Umano. Ed aggiungeva Leibniz: excipe: nisi
intellectus ipse (Leibniz Nuovi saggi sull'intelletto umano) «fatta eccezione
per l'intelletto stesso». Calogero, SENSISMO, in Enciclopedia Italiana, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
Intuito Sensibilità (filosofia) Senso comune Pensiero Percezione
Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma di dizionario
«sensismo» Collegamenti esterniModifica sensismo, su Treccani.it – Enciclopedie
on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Guido Calogero, SENSISMO, in Enciclopedia Italiana, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1936. sensismo, in Dizionario di filosofia,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, (Sensismo, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc.Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia
che trattano di filosofia Materialismo
concezione filosofica Étienne Bonnot de Condillac filosofo,
enciclopedista e economista francese Sensazione (filosofia) concetto
filosofico Wikipedia Il contenuto Sessualità nell'antica Roma
Lingua Segui Modifica Gli atteggiamenti e i comportamenti riferibili alla
sessualità nell'antica Roma sono stati variamente descritti nell'arte romana,
nella letteratura latina e nel Corpus Inscriptionum Latinarum; in misura minore
anche da reperti di archeologia classica, quali manufatti di arte erotica (vedi
ad esempio l'arte erotica a Pompei e Ercolano) e di architettura romana.
Rapporto sessuale in posizione con donna sopra, calco in gesso di un
medaglione in terracotta del I secolo. L'iscrizione dice: "guarda come mi
stai aprendo bene". È stato talvolta ipotizzato che la "licenza
sessuale illimitata" fosse una delle caratteristiche più peculiari del
mondo Romano antico: "La sessualità degli antichi Romani non ha mai avuto
buona stampa in Occidente, da quando si è verificato il predomino culturale del
cristianesimo. Nella fantasia popolare e nella cultura di massa questa è
sinonimo di licenziosità e abuso sessuale. Tuttavia la sessualità non è stata
affatto esclusa dalle preoccupazioni del mos maiorum, il nucleo della
tradizione etica della civiltà romana; ciò si è verificato attraverso
consolidate norme sociali che hanno interessato la vita pubblica, privata e
finanche militare. "Pudor", ossia vergogna-pudore, è stato un
fattore di regolazione del comportamento, oltre che parte di sentenze legali
riguardanti casi di trasgressioni sessuali avvenute sia durante il periodo
della repubblica romana che in quello dell'impero romano[6]. Il censore,
pubblico ufficiale nonché magistrato adibito alla supervisione della
"moralità pubblica", era anche atto a determinare il rango (ossia la
classe sociale) degli individui; egli aveva tra gli altri anche il potere di
rimuovere quei cittadini ritenuti colpevoli di cattiva condotta sessuale dal
senato romano e/o dall'antica casta aristocratica del patriziato, ed in alcuni
casi ciò è effettivamente avvenuto. Lo studioso e filosofo francese Foucault,
nella sua opera Storia della sessualità, ha considerato la realtà sessuale in
tutto il mondo greco-romano come severamente disciplinata dalla moderazione e
dall'arte di gestire il piacere sessuale[8]. La società romana era
fortemente intrisa di patriarcato(vedi la figura del Pater familias), e il
concetto di mascolinità si basava essenzialmente sulla capacità di governare se
stessi e gli altri, cioè oltre che gli schiavi e i sottoposti anche la propria
persona, e ciò valeva pure nell'ambito delle relazioni sessuali.
"Virtus", la virtù-il valore, è stato un ideale mascolino di
auto-disciplina attiva e che si viene direttamente a riferire alla parola
latina indicante il maschio-Vir (la virtù è pertanto caratteristica dell'uomo
inteso come rappresentante mascolino della società). Un satiro in
compagnia di una ninfa, simboli mitologici della sessualità. Mosaico rinvenuto
nella casa del Fauno a Pompei. L'ideale corrispondente al termine "Vir"
per la donna era la pudicitia, spesso tradotta come castità o modestia; ma essa
rappresentava in realtà anche una qualità personale più pro-positiva e finanche
competitiva, che doveva ben raffigurare sia il fascino che l'auto controllo di
cui doveva essere dotata per Natura la matrona romana. Le donne delle classi
superiori avrebbero dovuto essere colte, forti di carattere, ed attive
nell'impegnarsi a mantenere la posizione del proprio clan familiare all'interno
della società civile. Ma, tranne pochissime eccezioni, la letteratura ha
conservato nei riguardi della sessualità solamente le voci dei colti patrizi di
sesso maschile; è sopravvissuta quindi soltanto una parte del "discorso
sessuale" presente nell'antica Roma. L'arte visiva era invece solitamente
creata da individui di status sociale inferiore e rappresentanti di una gamma
etnica più ampia di quella più prettamente letteraria; ma essa si è anche
trovata a doversi adattare al gusto ed alle inclinazioni di coloro che erano
abbastanza ricchi da permettersela e che potevano includere durante l'epoca
imperiale anche alcuni liberti; pertanto, anche in tal caso, non risulta essere
completamente affidabile. Alcuni atteggiamenti e comportamenti di natura
sessuale ben presenti all'interno della cultura romanadifferiscono notevolmente
da quelli della successiva cultura occidentale[13]. La religione romana ad
esempio promuoveva la sessualità come uno degli aspetti fondamentali di
prosperità per l'intero Stato; singoli individui potevano rivolgersi alla
pratica religiosa privata, o anche alla magia, per migliorare la loro vita
erotica o la salute e capacità riproduttiva; inoltre la prostituzione
nell'antica Roma era legale, pubblica e diffusa. Soggetti artistici che oggi
definiremmo senza esitazione come pornografia erano ampiamente presenti tra le
collezioni d'arte delle famiglie più rispettabili e di elevato status
sociale. Si riteneva del tutto naturale, e il fatto in sé era
"moralmente" irrilevante, che un uomo adulto potesse essere attratto
sessualmente da adolescenti di entrambi i sessi; la pederastia veniva
tranquillamente accettata fintanto che essa riguardava partner maschili - anche
giovanissimi - che non fossero cittadini romani, quindi coloro che non erano
nati liberi o attualmente in una condizione di schiavitù. La dicotomia moderna
di eterosessuale ed omosessualenon costituiva in alcuna maniera la distinzione
primaria del pensiero romano nei riguardi della sessualità ed in lingua latina
non esistono neppure parole indicanti gli attuali termini che vengono a
distinguere nella sua totalità l'identità di genere o l'orientamento
sessuale. Nessuna censura morale vigeva contro l'uomo che godesse degli
atti sessuali compiuti con donne o altri uomini di livello inferiore al suo; a
patto che questi comportamenti non venissero a rivelare carenze o eccessi nel
carattere, né violassero i diritti e le prerogative degli altri coetanei
maschi. Era invece la caratteristica dell'effeminatezza a venir percepita in
maniera unanimemente negativa, con casi divenuti celebri di denuncia letteraria
pubblica a mo' di scherno e invettiva; questo poteva accadere particolarmente
all'interno della retorica politica, quando si accusavano spesso e volentieri
gli avversari di essere effemminati, cioè affetti da forti carenze caratteriali
e pertanto del tutto inaffidabili anche per quel che concerneva la gestione
della cosa pubblica. Il sesso praticato con moderazione con prostitute o
giovani schiavi maschi non è mai stato considerato come improprio o un rischio
che potesse "viziare" l'intrinseca mascolinità, costitutiva dell'uomo
romano adulto; l'importante era che il cittadino assumesse sempre il ruolo
sessuale attivo e mai quello passivo (vedi attivo e passivo nel sesso).
L'ipersessualitàtuttavia è stata d'altro canto condannata sia moralmente che
come patologia medica, questo sia negli uomini che nelle donne. La
componente femminile della società era solitamente tenuta ad un codice morale
più rigoroso rispetto alla sua controparte maschile; relazioni omosessuali tra
donne sono scarsamente documentate, ma la sessualità femminile in genere è
stata ampiamente celebrata o insultata, a seconda dei casi, in tutta la
letteratura latina. Nella sua generalità, gli antichi Romani si trovarono ad
avere categorie di genere, se così si può dire, più flessibili rispetto
all'antica Grecia. Anche se analizzare la sessualità nell'antica Roma in
rigidi termini di opposizione binaria "penetratore-penetrato" può
risultare in parte fuorviante e dunque può oscurare la pienezza
dell'espressività sessuale antica tra individui presi nella loro singolarità,
l'assenza d'una qualsiasi altra "etichetta" per l'interpretazione
culturale dell'esperienza erotica fa sì che tale distinzione continui ad essere
utilizzata[19]. Anche la rilevanza stessa data alla parola "sessualità"
nella cultura romana antica è stata da alcuni contestata ed è oggetto di
disputa. Arte e letteratura eroticaModifica Magnifying glass icon
mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Arte erotica e Letteratura
erotica. Pan che insegna al suo eromenosDafni a suonare il flauto. La
letteratura antica concernente la sessualità romana rientra principalmente in
quattro categorie: testi giuridici, medici, poetici e politici. Riferimenti a
tipologie di espressività sessuale ci provengono dalla commedia del teatro
latino, dalla satira, dalla poesia amorosa e dall'invettiva, dai graffiti,
dagli incantesimi magici e dalle iscrizioni; tali forme culturali considerate
come minori nell'antichità hanno avuto molto più da dire nei riguardi della
sessualità che i generi cosiddetti più elevati della tragedia e
dell'epica. Varie informazioni sulla vita sessuale della popolazione è
sparsa anche nella storiografia (nei riguardi di personalità conosciute),
nell'oratoria e in alcuni testi filosofici, oltre che negli scritti di medicina,
agricoltura e di altri argomenti tecnici. I testi di diritto romanosi
soffermano su quei comportamenti che si volevano disciplinare o vietare, senza
necessariamente indicare quel che le persone realmente facevano o meno. I
principali autori latini le cui opere hanno contribuito significativamente alla
comprensione della sessualità nell'antica Roma comprendono: Il
commediografo Tito Maccio Plauto, le cui opere ruotano spesso su trame
concernenti casi sessuali, con giovani amanti ad esempio tenuti separati dalle
avverse circostanze. Lo statista e moralista Marco Porcio Catone(detto "il
Vecchio") il quale offre scorci sulla sessualità vigente in un momento
storico che successivamente fu considerato come epoca avente gli standard
morali più elevati, di tutta la storia latina. Il poeta e filosofo LUCREZIO (si
veda), che presenta un lungo trattato sulla sessualità epicurea nella sua opera
De rerum natura. Gaio Valerio Catullo, le cui poesie esplorano tutta una serie
di esperienze erotiche avvenute verso la fine dell'epoca repubblicana; esse
spaziano da un più delicato sentimento romantico (l'amore verso le donne-Lesbia
e nei confronti dei ragazzi-Giovenzio) per giungere fino alle invettive più
brutalmente oscene ("Pedicabo ego vos et irrumabo"-io ve lo metto in
culo e in bocca). CICERONE (si veda) con numerosi interventi avvenuti in Senato
in cui attacca il comportamento sessuale degli avversari politici, a cominciare
da Gaio Giulio Cesare più volte additato come sessualmente ambiguo e quindi
anche pericoloso per l'incolumità statale; ma anche con lettere disseminate di
pettegolezzi contro l'élite romana che gli si opponeva. I poeti Sesto Properzio
e Albio Tibullo, che rivelano alcuni degli atteggiamenti sociali dell'epoca
quando descrivono le loro storie d'amore avvenute con giovani donne e
adolescenti maschi. Publio Ovidio Nasone, in particolare con i suoi Amores e
Ars amatoria i quali, secondo la tradizione, hanno contribuito notevolmente ad
affrettare la decisione dell'imperatore romanoAugusto di esiliare il poeta; ma
anche tramite la sua raccolta epica Metamorfosi la quale presenta tutta una
serie di miti a forte impronta sessuale (e ancora una volta sia con esempi di
amori tra uomini e donne che tra uomini e ragazzi) riguardante figure divine ed
esseri umani, con un'enfasi particolare data allo stupro - alla violenta
aggressione di tipo sessuale - attraverso la lente della lettura mitologica.
Marco Valerio Marziale, le cui osservazioni sulla società in genere sono spesso
e volentieri arricchite e rinforzate da invettive sessualmente esplicite.
Decimo Giunio Giovenale, che inveisce contro i costumi sessuali del suo tempo,
attaccando con particolare fervore le donne e gli uomini effeminati. Ovidio
elenca anche un certo numero di scrittori molto noti al tempo per il materiale
salace contenuto nelle rispettive opere, nessuna delle quali è però riuscita a
giungere fino a noi. Manuali sessuali greci, ma anche semplici testi di natura
pornografica sono stati pubblicati sotto il nome di famose etere (-cortigiane)
e diffusi ampiamente. Le novelle erotiche di Aristide di Mileto, i Milesiaká
furono tradotte da Sisenna, uno dei pretori; Ovidio definisce il libro come una
raccolta di misfatti-crimina e ci dice che l'intera narrazione era infarcita
con "barzellette sporche". A seguito della battaglia di Carre i parti
sarebbero rimasti scioccati nel trovare proprio quel libro nel bagaglio
ufficiale appartenente a Marco Licinio Crasso. L'arte erotica a Pompei e
Ercolano, rinvenuta solamente a partire dal tardo XVIII secolo, è una ricca
fonte di indizi sulla natura della sessualità nell'antica Roma, anche se non
del tutto priva di ambiguità; alcune delle immagini paiono difatti contraddire
almeno in parte le preferenze sessuali sottolineate in letteratura, ma potevano
queste essere destinate ad un intento satirico, per provocare quindi il riso o
alternativamente per sfidare gli atteggiamenti convenzionali seguiti.
Oggetti di uso quotidiano quali specchi e vasi in ceramica sigillata potevano
essere decorati con scene decisamente erotiche le quali potevano andare dalle
eleganti danze compiute in abiti succinti a disegni espliciti di penetrazione
sessuale. Dipinti erotici sono stati trovati nelle case più rispettabili della
nobiltà romana, come nota Ovidio: "vi è un piccolo dipinto (-tabella[30])
raffigurante varie tipologie di accoppiamenti... ma anche una Venere bagnata
che si asciuga i capelli gocciolanti con le dita, a malapena coperta dalle
acque. Questa Venere carica di erotismo appare tra le vari immagini che un
intenditore d'arte potrebbe sicuramente apprezzare. Tutta una serie di
dipinti rinvenuti all'interno delle terme suburbane di Pompei, pubblicati in
riproduzione, presentano una varietà di scenari erotici che paiono destinati a
divertire lo spettatore con rappresentazioni sessuali assai scandalose, tra cui
un ampio numero di posizioni sessuali, sesso orale e sesso di gruppo
eterosessuale, omosessuale e lesbico a scelta[33]. L'arredamento di una
camera da letto romano poteva riflettere letteralmente il suo uso sessuale: il
poeta augusteo Orazio possedeva presumibilmente una stanza con le pareti
interamente ricoperte di specchi, di modo che quando aveva la compagnia di una
prostituta poteva osservarla da tutte le angolazioni possibili[34].
L'imperatore Tiberio aveva le camere da letto decorate con i più lascivi e
sconci dipinti e sculture, ma veniva rifornito costantemente di "guide del
sesso" ricche di consigli e proposte scritte appositamente per lui dal
medico greco Elefantide. Si verifica un autentico boom di testi
riguardanti la sessualità, scritti sia in lingua greca che in lingua latina,
assieme ai romanzi d'amore; ma questo discorso franco e sincero sulla
sessualità scompare quasi del tutto dalla letteratura successiva, con i temi
sessuali che vengono riservati alla scrittura medica o alla teologia
cristiana. Il celibato era divenuto un ideale per un crescente numero di
fedeli cristiani; gli stessi padri della Chiesa come Tertulliano e Clemente di
Alessandria hanno disquisito sul fatto che anche il sesso coniugale dovesse
essere consentito solamente per la procreazione. Nel martirologio la sessualità
viene descritta come una delle peggiori torture rivolte contro la santa castità
del cristiano, soffermandosi anche sugli atti di mutilazione sessuale (in
particolare i seni) a cui venivano sottoposte in special modo le donne.
L'umorismo osceno di Marziale è stato per breve tempo fatto rivivere nel IV
secolo dallo studioso e poeta Ausonio, seppur nominalmente cristiano, evitando
però la predilezione dell'autore latino nei confronti della pederastia.
Sesso, religione e StatoModifica Così come per gli altri aspetti della vita
romana, anche la sessualità è stata sostenuta e regolata da precise tradizioni
religiose (vedi religione romana), sia per quanto concerne il culto pubblico statale
sia per quel che riguarda le pratiche religiose private e magiche. La
sessualità è in ogni caso una categoria importante del pensiero religioso
romano[40]. Il complemento di maschile e femminile è stato di particolare
importanza per la definizione del concetto romano di divinità. I Dei Consenti
erano un consiglio di coppie divine maschio-femmina equivalenti in qualche
misura alle dodici maggiori divinità Greche (vedi gli Olimpi). Almeno due tra i
"sacerdozi statali" erano svolti congiuntamente da una coppia di
coniugi. Le vergini Vestali, uno status sacerdotale riservato alle donne,
prendendo il voto di castità perenne, si vedevano riconosciuta una relativa
indipendenza dal controllo maschile; tra gli oggetti religiosi di maggior
pregio che avevano in custodia vi era anche il "fallo sacro. il fuoco di
Vesta doveva evocare l'idea della purezza sessuale nella femmina e
contemporaneamente rappresentare il potere procreativo del maschio. Gli
uomini che servivano nei vari collegia di sacerdoti (vedi pontefice (storia
romana)) avrebbero dovuto in ogni caso sposarsi e crearsi una famiglia.
Cicerone ha dichiarato che il desiderio di procreare era il vivaio della
repubblica, causa prima per l'esistenza di quella forma di istituzione sociale
chiamata matrimonio; a sua volta la casa-domus rappresentava l'unità familiare
ch'era il mattone della vita urbana. Molte delle festività romane stagionali
contenevano in sé degli elementi sessuali: i Lupercalia del mese di febbraio
sono stati celebrati fino al V secolo ed includevano un rito arcaico di
fertilità; mentre i Floraliaerano caratterizzati da danze che si svolgevano tra
persone nude. In alcune tra le più importanti feste religiose del mese di
aprile, partecipavano e venivano ufficialmente riconosciute anche le prostitute.
Le connessioni esistenti tra riproduzione umana, prosperità generale e
benessere dello Stato vengono ben incarnate dal culto romano di Venere, che si
differenzia dalla sua controparte Greca Afrodite soprattutto per il suo ruolo
di madre dell'intero popolo romano, questo attraverso il figlio per metà
mortale Enea. Durante il periodo delle guerre civili Silla, in procinto
d'invadere il proprio stesso paese con le legioni assoggettate al proprio
comando, ha fatto emettere una moneta raffigurante una Venere incoronata in
qualità di suo personale nume tutelare, affiancata da un Cupido in possesso di
un rametto di Palma (segno di vittoria). Sul retro vi erano tropaion (trofei
militari) assieme a simboli degli àuguri, sacerdoti statali che svelano il volere
degli dei. L'iconografia collega quindi la divinità dell'amore col buon augurio
di successo militare e con l'autorità religiosa. Il dittatore romano assunse
anche il titolo di Epafrodito-appartenente ad Afrodite. Il fascinus
fallico era onnipresente nella cultura romana ed appare praticamente su ogni
tipo di oggetto, dai gioielli agli antichi campanelli eoliche o tintinnabulum
fino alle lampade; era inoltre un potente amuleto atto a proteggere i bambini e ai generali che celebravano il proprio
trionfo. Cupido è colui che ispira il desiderio erotico; Priapo invece,
importato dalla Grecia, rappresenta più la vera e propria lussuria, intrisa
però d'un fondamento fortemente umoristico; Mutunus Tutunus promuoveva infine
il sesso coniugale. Il dio Liber (versione latina di Dioniso) si prendeva cura,
tra le altre cose, anche delle "risposte fisiologiche" durante l'atto
sessuale. Vi erano infine tutta una serie di divinità atte a supervisionare
ogni aspetto della relazione amorosa, dal concepimento fino al parto.
Quando un maschio assumeva la toga virile Libero diveniva il suo patrono;
secondo quel che raccontano i poeti, in questo momento egli lasciava la
modestia innocente (-pudor) caratteristica dell'infanzia per acquisire la
libertà sociale (-Libertas) e poter iniziare così la sua personale vita
sessuale. La mitologia classica tratta spesso di temi sessuali anche
molto impegnativi, quali adulterio, incesto e stupro; l'arte e la letteratura
hanno proseguito con la scuola alessandrina la trattazione di figure
mitologiche erotiche le quali compivano in modo molto umano, ma anche
umoristico, atti sessuali in seguito del tutto rimossi dalla dimensione
religiosa. Concetti morali e giuridiciModifica CastitasModifica La parola
latina castitas, da cui deriva l'attuale castità, è un sostantivo astratto che
denota "una purezza morale e fisica di solito in un contesto
specificamente religioso" e a volte, ma non sempre, riferendosi
specificatamente alla castità sessuale. Il relativo aggettivo castus-puro
poteva esser usato sia per riferirsi a luoghi ed oggetti, così come anche alle
persone; l'aggettivo "pudicus" (da cui pudicizia, pudore) descrive in
maniera più particolareggiata una persona che è sessualmente morale. I
rituali di Cerere concernevano sia la castitas che la sessualità, incarnando la
Dea anche la maternità; la torcia portata in suo onore in processione durante
lo svolgersi del corteo nuziale era associata alla purezza sessuale della
sposa. Vesta era la divinità primaria del pantheon romano associata al concetto
di castitas, ed era essa stessa una Dea vergine; le sue sacerdotesse vestali
dovevano mantenersi vergini per tutta la vita, avendo fatto voto di rimanere
nubili. IncestumModifica L'incestum, da cui deriva l'attuale incesto,
ossia ciò che è "non castum", è un atto che viola la purezza
religiosa, forse sinonimo di ciò che è "nefas" (nefasto) ovvero
religiosamente inammissibile. La violazione ad esempio del voto di
castità professato da una Vestale era considerato come incestum: la punizione
riguardava sia la donna che l'uomo che la rendeva impura attraverso il rapporto
sessuale, sia che l'atto fosse stato consensuale che ottenuto con la forza. Lei
veniva seppellita viva, lui lapidato nel Foro. La perdita di castitas di una
vestale equivaleva alla rottura del patto stipulato tra Roma e gli dei, la pax
deorum e veniva generalmente accompagnata dall'osservazione di cattivi presagi
(-prodigia). L'accusa d'incestum che veniva a coinvolgere una vestale poteva
spesso coincidere con una situazione di agitazione politica e con pericoli di
sommosse. Marco Licinio Crasso venne assolto dall'accusa d'aver commesso
incestum con una vestale che condivideva il proprio nome di famiglia. Quello
che oggi s'intende per rapporti incestuosi erano solo una delle forme di
incestum, a volte tradotto anche come sacrilegio. Quando Publio Clodio Pulcro
si travestì da donna, violando così i riti della Bona Dea rivolti
esclusivamente alla componente femminile della società, si attirò l'accusa di
incestum. Nel diritto romano, ma anche nella morale vigente comune, lo stuprum
è il rapporto sessuale illecito, traducibile come depravazione criminale o crimine sessuale; esso viene a comprendere
diversi reati di natura sessuale, tra cui vi è anche "l'atto sessuale
illegale ottenuto con la forza e l'adulterio (uno stupro morale rivolto contro
il coniuge). Inizialmente col termine stuprum è stato considerato un atto
vergognoso in generale, o qualsiasi disgrazia pubblica, il che includeva ma non
si limitava alla sessualità considerata illecita, ma ai tempi della commedia
romana di Tito Maccio Plauto la parola aveva già acquisto il suo più ristretto
significato sessuale: innanzitutto uno stuprum può avvenire solo tra cittadini,
in quanto qualsiasi violenza sessualecommessa contro la schiavitù era
perfettamente lecita e quindi non punibile. Proprio la protezione contro la
cattiva condotta sessuale è sempre stato tra i diritti legali che maggiormente
contraddistinguono il cittadino dal non-cittadino. Raptus Derivante dal
verbo latino rapio/rapere, significa "strappar via, portar via,
rapire". Nel diritto romano il termine raptio viene utilizzato
principalmente per indicare il rapimento o sequestro. Il mitico ratto delle
Sabine rappresenta un sequestro della sposa o rapimento a scopo matrimoniale in
cui la violazione sessuale delle donne diviene un problema del tutto
secondario. Il sequestro di una ragazza non sposata dalla casa di suo padre era
in certi casi una "fuga di coppia" messa in atto in quanto non vi era
il permesso paterno alla celebrazione delle nozze. Leggi relative alla
violenza sessuale (azioni sessuali commesse con violenza o coercizione) sono state
codificate per la prima volta solo verso la fine dell'era repubblicana, mentre
il rapimento avvenuto con lo scopo di commettere un reato sessuale è emerso
come distinzione giuridica. Offerte votive di Pompei: peni, seni e un utero.
Guarigione e Magia L'aiuto divino poteva essere ricercato anche tramite rituali
religiosi privati che avvenivano, associati a lunghi trattamenti medici, col
compito di migliorare o bloccare la fertilità, o per cerar di curare malattie
degli organi riproduttivi Teorie della sessualitàModifica Antiche teorie
riguardanti l'ambito sessuale sono stati prodotti da e per un'élite istruita.
La misura in cui queste teorizzazione del sesso abbia effettivamente
interessato il comportamento quotidiano rimane discutibile, anche tra coloro
che fossero stati attenti agli scritti filosofici e medici che hanno presentato
tali opinioni. Questo si presenta come un discorso elitario, mentre spesso
deliberatamente critica i comportamenti più tipici o comuni, ma allo stesso
tempo non può essere assunta per escludere la possibilità che questi valori
fossero più o meno ampiamente seguiti nella società. Una coppia
eterosessuale, lampada a olio. Nel IV libro di Lucrezio, il De rerum natura
viene fornito uno dei passaggi più estesi sulla sessualità umana nella
letteratura latina. Yeats descrivendo la traduzione da John Dryden l'ha
definita la più bella descrizione del rapporto sessuale mai scritto. Lucrezio è
contemporaneo di Catullo e di Cicerone(verso la metà del I secolo a.C. ed il
suo poema didattico è una presentazione della filosofia epicureaall'interno
della tradizione della tradizione della poesia latina di Ennio.
L'epicureismo era materialista e dedito all'edonismo; il sommo bene qui è il
piacere, definito come l'assenza di dolore fisico e stress emotivo. L'epicureo
cerca di gratificare i suoi desideri con il minimo dispendio di passione e
fatica. I desideri sono classificati come quelli che sono naturali e necessari,
come la fame e la sete; quelli che sono naturali ma non necessari, come il sesso;
e quelli che non sono né naturali né necessari, compreso il desiderio di
dominare sugli altri e glorificare se stessi. È in questo contesto che Lucrezio
presenta la sua analisi dell'amore e del desiderio sessuale, che contrasta
l'ethos erotico di Catullo e ha influenzato i poeti d'amore del periodo
augusteo. La sessualità maschileModifica Durante tutta l'epoca
repubblicana la libertà politica di un cittadino romano ("Libertas")
è stata definita in parte dal diritto come un preservare il corpo dalla costrizione
fisica, il che comprendeva sia la punizione corporale che l'abuso sessuale. Il
valore-virtus era quella cosa che rendeva un uomo adulto ancor più
completamente uomo/maschio-vir ed era questa una delle principali tra le virtù
considerate attive. Gli ideali romani di mascolinità furono così la
premessa per l'assunzione di un ruolo attivo e dominante in ogni campo e sfera
della vita; questa era anche la prima tra le direttive imposte al comportamento
sessuale maschile: "lo slancio verso l'azione potrebbe esprimersi più
intensamente in un ideale di dominio che riflette la gerarchia della società
patriarcale romana. La mentalità di conquista faceva parte di un vero e proprio
culto della virilità che, in particolare, dava forma alle "regole" riguardanti
le pratiche omosessuali. Un tal accento posto sull'idea di sottomissione e
dominio ha portato gli studiosi a vedere le espressioni della sessualità
maschile degli antichi romani esclusivamente in termini di modello binario
penetratore-penetrato; cioè l'unico modo corretto per un maschio romano di
cercare gratificazione sessuale era quello d'inserire il suo pene nel/nella
partner. Permettere di lasciarsi penetrare invece rappresentava una minaccia
contro la sua libertà in quanto cittadino e contro la propria integrità
sessuale: l'attività sessuale definisce così, almeno in parte, la definizione
di libero cittadino rispettabile dallo schiavo o dalla persona "libera ma
sottomessa-passiva". Ci si aspettava ed era socialmente accettabile
per un maschio romano nato libero il voler intrattenere rapporti intimi con
partner di entrambi i sessi, questo almeno fintanto che egli prendeva ed
assumeva su di sé il ruolo dominante. Oggetti consentiti del desiderio erano
quindi le donne di qualsiasi condizione sociale o giuridica, coloro che
esercitavano la prostituzione maschile o gli schiavi, mentre i comportamenti
sessuali al di fuori dal vincolo matrimoniale dovevano essere limitati a
schiavi e prostitute o, meno frequentemente, ad una concubina. La
mancanza di autocontrollo, anche nella gestione della propria vita sessuale,
era un'indicazione che quell'uomo era incapace di governare gli altri[76]; il
puro e semplice godimento dato dal "basso piacere sensuale"
minacciava pertanto di erodere l'identità maschile elitaria della società, così
come la stima ed il rispetto rivolti naturalmente alla persona istruita. Era un
punto di orgoglio per Caio Gracco il sostenere che durante il suo mandato come
governatore provinciale rimase senza alcuno schiavo scelto tra i ragazzi di più
bell'aspetto, che nessuna prostituta visitò la sua casa, e che non avvicinò mai
gli schiavi-bambini appartenenti ad altri uomini. In epoca imperiale,
preoccupazioni circa la perdita della libertà politica e la subordinazione del
cittadino all'imperatore sono stati espressi da un percepibile aumento di
comportamento omosessuale passivo tra gli uomini liberi, accompagnato ciò anche
da una crescita documentata di punizioni corporali inflitte ai cittadini[79].
La dissoluzione degli ideali repubblicani di interità fisica in relazione alla
Libertas contribuisce e viene riflessa dalla licenza sessuale e dalla decadenza
associata con l'Impero[80]. Nudo eroico rappresentante Eurialo e
Niso, esempio di omoerotismo maschile in linea con la morale romana a detta di
Publio Virgilio Marone. Jean-Baptiste Roman. Nudità maschile Lo stesso
argomento in dettaglio: Storia della nudità. Mostrarsi nudi in pubblico poteva
essere offensivo o sgradevole anche in ambienti tradizionali; Cicerone deride
Marco Antonio come indegno di apparire quasi nudo come partecipante al
Lupercalia, anche se ciò veniva ritualmente richiesto. La nudità è uno dei temi
principali di questa festa religiosa che attira l'attenzione di Ovidio nei
Fasti, il suo lungo forma poema sul calendario romano[82]. Augusto, durante il
suo programma di revivalismo religioso, tentò di riformare i Lupercalia, in
parte sopprimendo l'uso della nudità, nonostante il suo aspetto di fertilità/
Connotazioni negative di nudità includono la sconfitta in guerra, dal momento
che i prigionieri sono stati spogliati, e la schiavitù, dal momento che gli
schiavi in vendita sono stati spesso esposti nudi. La disapprovazione nei
confronti della nudità era quindi nei tutta nei confronti della
"marcatura" ch'essa dava al corpo (esser nudi marchiava d'indegnità
il corpo deprivandolo della nobiltà che lo caratterizza in quanto cittadino;
questo significato era molto più presente rispetto a quello d'esser una mera
questione di cercare di reprimere il desiderio sessuale considerato inadeguato.
L'influenza proveniente dall'arte greca tuttavia ha portato sempre più a creare
ritratti di nudità eroicariferibili sia agli uomini che alle divinità romane,
pratica questa che ha avuto inizio nel II secolo a.C. Quando le statue dei
generali romani nudi alla maniera del culto rivolto ai sovrani ellenistici
cominciarono per la prima volta a diffondersi, vi fu da parte della popolazione
una forte reazione "scandalizzata", non tanto o non semplicemente
perché veniva esposta la figura maschile nuda, ma soprattutto in quanto
evocante concetti di regalità e divinità che si trovavano in contrasto con gli
ideali repubblicani di cittadinanza così com'era incarnata dalla toga. Il
dio Marte si presenta come uomo barbuto maturo in abito di generale, ciò quando
viene concepito come padre del popolo in tutta la sua dignità, mentre le sue
raffigurazioni giovanili, senza barba e nudo, mostrano tutta l'influenza
proveniente dalla rappresentazione greca di Ares. Nella prima arte augustea e
giulio-claudia l'adozione programmatica dello stile neoatticoe dell'arte
ellenistica ha portato alla più complessa significazione del corpo maschile
mostrato nudo, parzialmente nudo oppure indossante una lorica musculata (o
corazza eroica). Una notevole eccezione nei confronti della nudità in
pubblico riguardava le terme, purtuttavia anche in quest'ambito gli
atteggiamenti sono cambiati nel corso del tempo. CATONE (si veda) il Vecchio preferiva
non fare il bagno nudo alle terme in presenza del figlio, mentre Plutarco pare
sottolineare il fatto che nei suoi tempi e in quelli immediatamente precedenti
poteva esser ritenuto assai vergognoso per gli uomini maturi esporre i loro
corpi davanti a maschi più giovani. In seguito vi fu addirittura la possibilità
per uomini e donne di fare il bagno assieme. Fallicismo Lo stesso
argomento in dettaglio: Simbolismo fallico. La sessualità romana, così com'è
ripetutamente rappresentata in letteratura, è stata descritta come
essenzialmente fallocentrica. Il "fallo" (simbologia del pene
in erezione) doveva avere il potere di scacciare il malocchio ed altre forze
soprannaturali malefiche; è stato utilizzato come amuleto dalle capacità
"fascinatorie" (fascinus), di cui sopravvivono molti esempi in
particolare sotto forma di tintinnabulum. Il fallo dalle dimensioni e
dalla lunghezza esagerata è stato associato nell'arte romana col dio Priapo,
divinità itifallica per eccellenza). La raccolta poetica di autori anonimi
intitolata Carmina Priapea fa parlare direttamente il "dio dei giardini",
che minaccia allegramente di stupro tramite sesso anale qualsiasi ladro
potenziale e chiunque si azzardi ad oltrepassare i confini della casa quando
non ben accetto dai padroni. La maledizione scagliata da Priapo può causare sia
l'impotenza che uno stato tormentoso di eccitazione perenne senza alcuna
possibilità di remissione, il priapismo. Ci sono all'incirca 120 termini
latini registrati per indicare metaforicamente l'organo sessuale maschile e
nella stragrande maggioranza dei casi questi vengono a descrivere il sesso del
maschio come uno strumento d'aggressione, quando non come una vera e propria
arma. L'oscenità più comune per chiamare il pene è "mentula", molto
utilizzato da Marziale al posto di termini più gentili o soft. Virga, come
altre parole significanti ramo, asta, palo, trave erano metafore comuni, così
anche vomere o aratro. Castrazione e circoncisioneModifica Alcuni romani,
bramosi di conservare il più a lungo possibile la bellezza pre-adolescenziale e
femminea dei propri schiavi (considerati e chiamati come deliciae o
delicati-"giocattoli, delizie") a volte li facevano sottoporre poco
dopo la pubertà alla castrazione, cioè all'asportazione dei testicoli nel
tentativo di preservare l'aspetto androgino della loro giovinezza. L'imperatore
Nerone aveva il suo castrato preferito di nome Sporo, che giunse fino al punto
di sposarlo in una cerimonia pubblica. Effeminatezza e travestitismo Quella
di effeminatezza era tra le accuse preferite rivolte agli avversari nel corso
dell'invettiva politica; essa colpiva soprattutto coloro che difendevano le
istanze dei populares, quella fazione politica i cui capi si presentavano come
difensori del popolo (democratici), che si trovava perennemente in contrasto
con gli ottimati, l'élite conservatrice nobiliare. Negli ultimi anni della
repubblica varie personalità tra i populares sono state tacciate d'esser
irrimediabilmente effeminate, oltre a Gaio Giulio Cesare anche Marco Antonio,
Publio Clodio Pulcro e Lucio Sergio Catilina assieme a tutti i suoi amici
cospiratori (vedi congiura di Catilina): venivano tutti derisi in quanto
eccessivamente curati (ben vestiti e profumati) o perché giravano voci
insistenti su loro trascorsi sessuali con altri uomini nei cui confronti
avrebbero assunto il ruolo denigrato della femmina; allo stesso tempo però
l'effeminato era anche il donnaiolo, il Don Giovanni impenitente in possesso di
fascino e carisma superiori alla norma e che amava vestirsi elegantemente ed
esser sempre profumato. Forse l'episodio più celebre di
crossdressingnell'antica Roma si è verificato quando il succitato Clodio Pulcro
violò i riti annuali della Bona Dea e che erano riservati alle sole donne; essi
si svolsero nella casa di Cesare, nell'epoca in cui questi si trovava quasi al
termine del suo mandato di pretoree s'apprestava ad assumere l'investitura di
pontefice massimo. Clodio si travestì come una flautista per riuscire ad
entrare, come viene descritto da Cicerone che lo addita come sacrilego Togli il
suo vestito color zafferano, la sua tiara, le sue scarpette dai lacci viola, il
suo reggiseno e il suo Salterio, togli il suo comportamento sfacciato e il suo
crimine sessuale, ed ecco che allora Clodio si rivela improvvisamente come un
democratico. Le azioni di Clodio, che era stato appena eletto questore ed era
in procinto di compiere trent'anni, sono spesso state considerate come un
ultimo scherzo giovanile. La natura tutta femminile di questi riti notturni ha
attirato nel corso del tempo molta speculazione pruriginosa negli uomini; sono
state fantasticate come enormi orge lesbiche compiute tra i fumi dell'alcol e
che potevano pertanto anche essere molto divertenti da osservare. Clodio si
suppone che avesse avuto lo scopo di sedurre la moglie di Cesare, ma la sua
voce maschile lo ha smascherato prima di poter riuscire ad averne la
possibilità. Lo scandalo ha spinto Cesare a cercare di ottenere un divorzio
immediato per poter in tal maniera tenere sotto controllo i danni sopravvenuti
alla propria reputazione, dando origine alla famosa frase divenuta proverbiale
"la moglie di Cesare deve essere sopra di ogni sospetto." L'incidente
ha riassunto comunque il disordine vigente durante gli ultimi anni della
repubblica romana. L'ambiguità sessuale è poi una caratteristica
peculiare dei sacerdoti della dea Cibele conosciuti come Galli, il cui
abbigliamento rituale includeva capi femminile. Essi sono a volte considerati
come una specie di sacerdozio transgender, in quanto veniva richiesto loro di
sottoporsi ad auto-evirazione ad imitazione di Attis. La complessità
dell'identità di genere nella religione di Cibele e Attis e nel relativo mito
sono ben esplorate da Catullo in una delle sue poesie più lunghe, il Carme .Rapporti
omosessualiModifica mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Omosessualità
nell'Antica Roma. Lato della Coppa Warren che mostra il
"conquistatore erotico" del puer delicatus (ragazzino), incoronato.
Gli uomini romani erano del tutto liberi di avere rapporti sessuali con maschi
di status inferiore, senza per questo aver alcuna percezione di una qualche
perdita di mascolinità; soltanto coloro che prendevano il ruolo passivo nel
rapporto (a volte indicati come sottomessi) venivano fortemente denigrati come
deboli e privi di virilità. I cittadini romani che erano solitamente
contrassegnati come "maschile" potevano attuare la penetrazione
sessuale di uomini sia verso coloro che esercitavano la prostituzione maschile
che nei confronti degli schiavi i quali solitamente erano ragazzi sotto i
vent'anni d'età. La letteratura comprende molte opere che parlano di
omoerotismo; comprende le poesie di Catullo dedicate al suo ragazzino
quattordicenne di nome Giovenzio, le elegie di Tibullo e Properzio, la seconda
egloga delle Bucoliche di Virgilio e diverse poesie di Orazio. Lucrezio
affronta il tema dell'amore provato nei confronti dei ragazzi nel suo De Rerum
Natura . Sebbene OVIDIO (si veda) includa di trattare esempi mitologici di
omoerotismo nelle sue Metamorfosi, egli risulta altresì prendere al riguardo
una posizione che è insolita fra i poeti d'amore latini, ed in effetti tra i
Romani in generale, quando esprime opinioni aggressivamente eterosessuali. Il
Satyricon di Petronio Arbitro è talmente permeato di erotismo culturale di tipo
omosessuale che nei circoli letterari europei, il suo nome è diventato
addirittura un sinonimo di omosessualità. Anche se il diritto romano non
riconosceva il matrimonio tra uomini, nel periodo imperiale alcune coppie
maschili celebrarono riti matrimoniali tradizionali. Tali forme di matrimonio
tra persone dello stesso sesso sono riportati da fonti che li deridono; i
sentimenti dei partecipanti non sono registrati. Lo stupro sugli
uominiModifica Gli uomini che erano stati violentati perdevano la
legittimazione all'agire sociale, ne venivano esentati; acquisivano lo status
di infamia, lo stesso degli uomini dediti alla prostituzione maschile o di
quelli che assumevano volontariamente il ruolo passivo nell'atto sessuale.
Secondo il giurista Pomponio, dopo che l'uomo è stato violentato con la forza
dai ladri o dal nemico in tempo di guerra, dovrebbe sopportarne lo stigma. I
timori di stupri di massa a seguito di una sconfitta militare veniva esteso
anche ai maschi oltre che alle potenziali vittime di sesso femminile. Il
diritto romano ha affrontato lo stupro di un cittadino di sesso maschile già
nel II secolo a.C., quando venne emessa una sentenza riguardante una causa che
potrebbe aver coinvolto un maschio di orientamento omosessuale; anche se un
uomo che aveva lavorato nell'ambito della prostituzione non poteva essere
violentato per una questione di diritto, è stato stabilito difatti che anche un
uomo poco raccomandabile e discutibile fosse in pieno possesso degli stessi
diritti degli altri uomini liberi di non avere il proprio corpo sottoposto da
una sessualità forzata. In un libro sull'arte della retorica lo stupro di un
maschio nato libero (ingenuus) è equiparato a quello di una matrona ed in
quanto ciò trattarsi di un crimine capitale. La Leges Iuliae#Lex Iulia de vi
publica et privata definisce lo stupro come il sesso forzato contro un ragazzo
o una donna e lo stupratore era oggetto di esecuzione, una sanzione alquanto
rara nel diritto romano. Costituiva inoltre un delitto capitale per un uomo
rapire un bambino nato libero per utilizzarlo in scopi eminentemente sessuali;
la corruzione del protettore del ragazzo per averne l'opportunità ne
rappresentava un'aggravante: in questo caso la negligenza degli accompagnatori
poteva essere perseguita sotto varie leggi, riversando patte della colpa su
coloro che non erano riusciti nelle loro responsabilità come guardiani,
piuttosto che sulla vittima. Anche se la legge riconosceva l'irreprensibilità
della vittima, la retorica utilizzata dalla difesa indica che i cosiddetti
"atteggiamenti colpevoli" avrebbeto potuto essere sfruttati fra i
giurati. Nella sua collezione di codici aneddotici che si occupavano d
assalti alla castità, lo storico Valerio Massimo dispone in egual misura di un
numero di vittime di sesso maschile rispetto a quelle di sesso femminile.
Sessualità militare. Il soldato romano, come ogni romano libero e rispettabile
dello Stato, avrebbe dovuto mostrare autodisciplina in materia di sesso. Ai
soldati colpevoli di adulterio veniva dato un congedo disonorevole, mentre agli
adulteri condannati era impedito l'arruolamento, con condanne rigorose che
potevano vietare le prostitute e i magnaccia dal campo, Anche se in generale
l'esercito romano, sia in marcia che in un forte permanente (castra)
mantenevano tra i partecipanti un numero di seguaci di campo che potevano
includere anche le prostitute. La loro presenza sembra essere data per scontata
e menzionata soprattutto quando poteva diventare un dato problematico; per
esempio quando Scipione Emiliano stava partecipando all'assedio di Numanzia respinse
i seguaci sessuali del campo come una delle sue misure per il ripristino della
disciplina. Forse la cosa più singolare è il divieto contro il matrimonio
romano mentre si faceva parte degli effettivi dell'esercito imperiale. Nel suo
primo periodo, Roma aveva un esercito di cittadini che avevano lasciato le
proprie famiglie per prendere le armi, quando ve ne fosse stato bisogno.
Durante l'espansionismo della media repubblica romana, Roma iniziò ad acquisire
vasti territori da difendere come le province (vedi la provincia romana), ma
nel corso dell'epoca di Gaio Mario l'esercito era stato sempre più
professionalizzato. Il divieto di matrimonio per i soldati in servizio
iniziò sotto Augusto,forse per scoraggiare le famiglie al seguito dell'esercito
e compromettendone così la sua mobilità. Il divieto di matrimonio era applicato
a tutti i ranghi fino a quello del centurione; mentre per gli uomini delle
classi dirigenti c'era l'esenzione. Con il II secolo la stabilità dell'impero
conosciuta come pax romana ha costretto la maggior parte delle unità a forti
permanenze in terre lontane, cosicché si potevano spesso sviluppare rapporti
anche con donne locali. Sebbene legalmente queste unioni non potevano essere
formalizzate in matrimonio legittimo, è stato riconosciuto che il loro valore
stava nel fornire un supporto emotivo. Dopo che un soldato fosse stato
dimesso, alla coppia era concesso il diritto di matrimonio legale in quanto
cittadini (il connubium) e tutti i bambini che già eventualmente avevano veniva
loro concesso lo status di esser nati cittadini. Settimio Severo revocò il
divieto augusteo. Altre forme di gratificazione sessuale a disposizione
dei soldati erano l'uso di schiavi, gli stupri di guerra e la relazione tra
persone dello stesso sesso. Il comportamento omosessuale tra i soldati è stato
oggetto di sanzioni, compresa la pena la morte in quanto violazione della
disciplina e del diritto militare. Polibio riferisce che l'attività omosessuale
all'interno delle forze armate era punita con la fustuarium, una fustigazione
fino a morte. Il sesso tra commilitoni violava il decoro romano in quanto
s'intratteneva un rapporto sessuale con un altro maschio nato libero. Un
soldato aveva sopra ogni altra cosa il dovere di mantenere la propria
mascolinità, non consentendo in nessun caso pertanto che il proprio corpo
potesse essere utilizzato per scopi sessuali. Questa integrità fisica era in
contrasto con i limiti imposti sulle sue azioni come uomo libero all'interno
della gerarchia militare; più sorprendentemente, i soldati romani erano i soli
cittadini regolarmente sottoposti a punizioni corporali, riservate al mondo
civile soprattutto agli schiavi. L'integrità sessuale ha contribuito a
distinguere lo status del soldato, che altrimenti avrebbe sacrificato molto
della sua autonomia civile rispetto a quella dello schiavo. Nella guerra,
subire lo stupro equivaleva alla sconfitta, un altro motivo per il soldato di
non compromettere il proprio corpo sessualmente. La sessualità femminile
A causa dell'enfasi romana data alla famiglia, la sessualità femminile è stata
considerata una delle basi per l'ordine sociale e la prosperità. Ci si
aspettava che le donne romane esercitassero la propria sessualità all'interno
del matrimonio, e venissero premiate per la loro integrità sessuale (pudicitia)
e fecondità. Augusto concesse onori e privilegi speciali alle donne che avevano
dato alla luce almeno tre bambini, attraverso lo Ius trium liberorum; la sua
legge morale era incentrata sullo sfruttamento della sessualità delle
donne. Il controllo della sessualità femminile era considerata necessaria
per la stabilità dello Stato, tanto che era sancito nella forma più vistosa
data dalla verginitàassoluta delle Vestali attendenti al sacro fuoco. Una
vestale che avesse violato il proprio voto sarebbe stata sepolta viva in un
rituale che avrebbe imitato per alcuni aspetti le pratiche funerarie romane ed
il suo amante l'avrebbe seguita. La sessualità femminile, sia disordinata sia
esemplare, spesso poteva avere impatti anche profondi sulla religione di Stato
in tempo di crisi per la repubblica romana. Come avveniva per gli uomini,
anche per le donne libere che si fossero esposte sessualmente, come prostitute
od esecutrici di lenocinio, o che si fossero rese disponibili
indiscriminatamente, sarebbero state escluse dalla protezione legale dovuta loro
nonché dalla rispettabilità sociale. Molte fonti letterarie romane
approvano le donne rispettabili che esercitano la passione esclusivamente
all'interno dell'istituzione matrimoniale; mentre la letteratura antica prende
con prepotenza una visione fortemente maschilista della sessualità, il poeta
augusteo Publio Ovidio Nasone esprime invece un interesse esplicito e
praticamente unico del modo in cui le donne subiscono il rapporto sessuale (ciò
innanzi tutto nellArs amatoria ma anche negli Amores). Il corpo femminileModifica
Gli atteggiamenti morali nei confronti della nudità femminile differivano,
almeno in parte, da quelli dei Greci, pur essendo notevolmente influenzati da
loro; questi ultimi avevano idealizzato il corpo maschile nudo - il nudo eroico
- mentre ritraggono sempre le donne rispettabili coperte. La parziale nudità
delle dèe nell'arte imperiale romana, tuttavia, poteva mettere in evidenza il
seno come parte fisica dignitosa, ma in quanto per renderne un'idea piacevole
d'immagine di nutrimento, abbondanza e tranquillità. L'arte erotica
sopravvissuta di questo periodo indica che le donne con seni piccoli e fianchi
larghi raffiguravano l'ideale forma del corpo umano femminile. Dal I secolo
d.C. l'arte romana comincia a mostrare un vasto interesse per il nudo
artisticofemminile impegnato in varie attività tra le quali anche la sessualità
(vedi l'arte erotica a Pompei e Ercolano); l'arte pornografica rappresentante
donne in qualità di presunte prostitute nel momento in cui svolgono atti
sessuali poteva mostrare il seno coperto da uno "strophium" (una
sorta di reggiseno) anche quando il resto del corpo era nudo. Nel mondo
reale, così come viene descritto in letteratura, le prostitute a volte si
presentavano nude all'ingresso del cubicolo del bordello a loro riservato,
oppure si mostravano indossare abiti di seta trasparente; gli schiavi (e
schiave) in vendita sono stati spesso esposti nudi per consentire agli
acquirenti d'ispezionare i loro eventuali difetti, ma anche per simboleggiare
che non avevano il diritto di controllare il proprio corpo. Seneca il Vecchio
descrive il momento della vendita di una donna: "lei si presentò nuda
sulla riva, a piacere dell'acquirente: ogni parte del suo corpo è stato
esaminato e ritenuto. Volete ascoltare il risultato della vendita? Il pirata ha
venduto, il protettore ha comprato, che la si potesse impiegare come una
prostituta. La visualizzazione del corpo femminile lo rendeva
maggiormente vulnerabile, Varrone ha detto che la vista era il più grande dei
sensi, perché mentre gli altri sono in un modo o nell'altro limitati dalla
vicinanza, la vista poteva penetrare anche fino all'altezza delle stelle; egli
pensava che la parola latina per vista-lo sguardo intenso, "visus",
fosse etimologicamente collegato a vis-forza/potere. Ma il legame tra visus e
vis, continua, implica anche la possibilità sempre presente di violazione
(tramite quindi lo sguardo maschile), come Atteone guardando nuda Diana ne
aveva violato la divinità. Il corpo femminile completamente nudo come
viene ritratto nella scultura romana è stato pensato essenzialmente per
incarnare un concetto universale di Venere, la cui controparte greca Afrodite è
la Deapiù spesso dipinta in stato di nudità nell'arte greca. Genitali
femminili Il termine basilare osceno per i genitali femminili è
"cunnus"-fica, anche se forse non così fortemente offensiva come per
la moderna lingua anglosassone. Marziale utilizza la parola più di trenta
volte, Catullo una volta e Orazio tre solo nei suoi primi lavori; appare anche
nei Priapea e nei graffiti. Una delle parole gergali usate dalle donne per i
loro genitali era "porcus", in particolare quando donne mature
discutevano di ragazze; Varrone collega quest'uso della parola al sacrificio di
un maiale alla dea Cerere nel corso dei riti preliminari di nozze. Le
metafore di campi, giardini e prati sono anch'esse comuni, come lo è l'immagine
dell'aratro maschile riferito al solco femminile; altre metafore includono la
grotta, la fossa, il sacchetto, il vaso, la stufa, il forno e l'altare.
Anche se i genitali delle donne appaiono spesso nelle invettive e all'interno
dei versi satirici come oggetti di disgusto, sono invero raramente presenti
nell'elegia d'amore. OVIDIO (si veda), il più eterosessuale dei poeti classici
d'amore, è l'unico che si riferisce al dare un piacere alla donna attraverso la
stimolazione dei genitali; Marziale invece scrive dei genitali femminili
solamente in una maniera offensiva, descrivendo la vagina di una donna come
fosse l'esofago di un pellicano. e la paragona inoltre al sedere del ragazzo
come ricettacolo per il fallo. La funzione della clitoride
("landica") è stata ben compresa[135]; nel latino classico il termine
era di un'oscenità altamente indecorosa ritrovato solo nei graffiti e nei
Priapea. Il clitoride era solitamente indicato come una metafora, come ad
esempio fa Giovenale quando lo chiama "crista" (cresta) Omosessualità
femminile Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del lesbismo. Le parole
greche indicanti una donna che preferisce il sesso con un'altra donna includono
l'hetairistria (da confrontare con hetaira-cortigiana/compagna), tribas
(plurale tribadi) e lesbia Sessualità e gioventùModifica Sia i maschi che
le femmine nati liberi potevano indossare la "Toga praetexta", una
toga bianca normale con una larga striscia viola sui bordi; era riservata ai
ragazzi cittadini che non avevano però ancora raggiunto la maggiore età. Questa
toga assegnava chi la portava lo status di inviolabilità; lo stupro di un
ragazzo nato libero costituiva un crimine capitale. Riti di
passaggioModifica Ulteriori informazioni Questa sezione sull'argomento
sessualità è ancora vuota. Aiutaci a scriverla! Sesso, matrimonio e
societàModifica Relazione padrone-schiavoModifica L'attrattiva sessuale era una
delle caratteristiche principali richieste negli schiavi in quanto considerati
proprietà oggettiva, il loro padrone poteva utilizzarli sessualmente a
piacimento o anche richiederli in prestito se appartenevano ad altri. Le
lettere di Cicerone hanno suggerito ad alcuni studiosi che egli potesse aver
avuto una relazione omosessuale a lungo termine col proprio schiavo, e poi
liberto, di nome Marco Tullio Tirone. Prostituzione Lo stesso argomento
in dettaglio: Prostituzione nell'antica Roma. Atti sessuali e relative
posizioniModifica MasturbazioneModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Storia della masturbazione. Ermafroditismo e
androginiaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Ermafrodito, Afrodito e Androgino. NoteModifica ^ Catharine Edwards,
The Politics of Immorality in Ancient Rome (Cambridge Verstraete and Vernon
Provencal, introduzione a Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity and
in the Classical Tradition (Haworth Per una più estesa discussione su come la
percezione moderna della decadenza sessuale romana sia stata prodotta ad arte
dalla polemistica cristiana nei suoi strali anti-pagani, vedi Blanshard,
"Roman Vice," in Sex: Vice and Love from Antiquity to Modernity
(Wiley-Blackwell, Langlands, Sexual Morality in Ancient Rome (Cambridge Hölkeskamp,
Reconstructing the Roman Republic: An Ancient Political Culture and Modern
Research (Princeton Langlands, Sexual Morality, p.17. ^ Langlands, Sexual Morality,
Fantham, "Stuprum: Public Attitudes and Penalties for Sexual Offences in
Republican Rome", in Roman Readings: Roman Response to Greek Literature
from Plautus to Statius and Quintilian (Walter de Gruyter, Richlin, "Not
before Homosexuality: The Materiality of the cinaedus and the Roman Law against
Love between Men", Journal of the History of Sexuality. Under the Empire,
the emperor assumed the powers of the censors Foucault, Storia della sessualità
vol. II: la cura di sé (New York: Vintage (in
contrasto con la visione cristiana della sessualità come "legata al
male") et passim, e come viene sintetizzato da Inger Furseth and Pål
Repstad, An Introduction to the Sociology of Religion: Classical and
Contemporary Perspectives (Ashgate, Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo
antico (Yale, originariamente in italiano Langlands, Sexual Morality, Cantarella,
Bisessualità nel mondo antico, Clarke, Looking at Lovemaking: Constructions of
Sexuality in Roman Art (California Press, Langlands, Sexual Morality; Clarke,
Looking at Lovemaking, McGinn, The Economy of Prostitution in the Roman World
(University of Michigan Press, 2004), p. 164. ^ Craig Williams, Roman
Homosexuality (Oxford, citando Saara Lilja, Homosexuality in Republican and
Augustan Rome (Societas Scientiarum Fennica, Nussbaum, "The Incomplete
Feminism of Musonius Rufus, Platonist, Stoic, and Roman", in The Sleep of
Reason: Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient Greece and Rome
(University of Chicago Skinner, introduction to Roman Sexualities (Princeton
Langlands, Sexual Morality, Edwards, The Politics of Immorality, Clarke,
Looking at Lovemaking, p. 8, sostiene che gli antichi romani "non hanno
un'idea consapevole della loro sessualità". Vedi anche Diana M. Swancutt,
"Still before Sexuality: 'Greek' Androgyny, the Roman Imperial Politics of
Masculinity and the Roman Invention of the tribas", in Mapping Gender in
Ancient Religious Discourses (Brill, e la discussione di costruttivismo sociale
contrario all'essenzialismo di Thomas Habinek, "The Invention of Sexuality
in the World-City of Rome", in The Roman Cultural Revolution (Cambridge
Clarke, Looking at Lovemaking, Richlin, "Sexuality in the Roman
Empire", in A Companion to the Roman Empire (Blackwell, Richlin,
"Sexuality in the Roman Empire," Ovid, Tristia Griffin,
"Propertius and Antony", Journal of Roman Studies Ovid, Tristia
Hofmann, Latin Fiction: The Latin Novel in Context (Routledge, Plutarco, Vita
di Crasso Clarke, Looking at Lovemaking, p. 3 et passim. ^ Clarke, Looking at Lovemaking, La
"Tabella" era un piccolo dipinto portatile, distinto dalla pittura
murale permanente. ^ Ovidio, Tristia
2, così com'è citato da Clarke in Looking at Lovemaking, Clarke, Looking at
Lovemaking, Clarke, Looking at Lovemaking, quotation. L'osservazione critica
proviene da Svetonio, Vita di Orazio: Ad res Venerias intemperantior traditur;
nam speculato cubiculo scorta dicitur habuisse disposita, ut quocumque
respexisset ibi ei imago coitus referretur; Clarke, Looking at Lovemaking,
Svetonio, Vita di Tiberio Clarke, Looking at Lovemaking, Richlin,
"Sexuality in the Roman Empire," Richlin, "Sexuality in the
Roman Empire, Ad esempio, Agatha of Sicily e Febronia of Nisibis; Sebastian P.
Brock and Susan Ashbrook Harvey, introduction to Holy Women of the Syrian
Orient (University of California Harvey, "Women in Early Byzantine
Hagiography: Reversing the Story," in That Gentle Strength: Historical
Perspectives on Women in Christianity (University Press of Virginia,. I racconti di mutilazione del seno si trovano nelle
fonti e nell'iconografia cristiana, non nell'arte e nella letteratura romana..
^ Richlin, "Sexuality in the Roman Empire, Anche se non vi sono dubbi sul
fatto che Ausonio fosse un cristiano, le sue opere contengono molte indicazioni
che dimostrano un notevole interesse - forse addirittura ne è stato un
praticante - nei riguardi delle religioni tradizionali romane e celtiche. Come sostenuto da Ariadne
Staples in tutto il suo From Good Goddess to Vestal Virgins: Sex and Category
in Roman Religion (Routledge, Schultz, Women's Religious Activity in the Roman
Republic (University of North Carolina Lipka, Roman Gods: A Conceptual Approach
(Brill, See Flamen Dialis and rex sacrorum. Beard, North, and Price, Religions
of Rome: A History (Cambridge Wildfang, Rome's Vestal Virgins: A Study of
Rome's Vestal Priestesses in the Late Republic and Early Empire (Routledge,
Staples, From Good Goddess to Vestal Virgins, CICERONE (si veda), De officiis:
nam cum sit hoc natura commune animantium, ut habeant libidinem procreandi,
prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus,
communia omnia; id autem est principium urbis et quasi seminarium reipublicae;
MacCormack, "Sin, Citizenship, and the Salvation of Souls: The Impact of
Christian Priorities on Late-Roman and Post-Roman Society," Comparative
Studies in Society and History Com'è espresso nella prima invocazione a Venere
di Tito Lucrezio Caro nel De rerum natura: "Begetter (genetrix) of the
line of Aeneas, the pleasure (voluptas) of human and divine." ^ J. Rufus
Fears, "The Theology of Victory at Rome: Approaches and Problem,"
Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Silla poteva in quel momento essere o meno stato un
àugure. Williams, Roman Homosexuality: Ideologies of Masculinity in Classical
Antiquity (Oxford Henig, Religion in Roman Britain(London: Batsford, PLINIO (si
veda), Naturalis historia, dice che quando un generale celebrava un trionfo, le
Vestali appendevano l'effigie del Fascinus nella parte inferiore del suo carro
per proteggerlo dall'invidia. Turcan, The Gods of Ancient Rome (Routledge; originally published in
French; Rüpke, Religion in Republican Rome: Rationalization and Ritual Change
(University of Pennsylvania Iter amoris, "journey" or "course of
love". See Propertius; Ovidio, Fasti;George,
"The 'Dark Side' of the Toga," in Roman Dress and the Fabrics of
Roman Culture, Toronto; Palmer, "Mutinus Titinus: A Study in Etrusco-Roman
Religion and Topography," in Roman Religion and Roman Empire, Pennsylvania,
ha sostenuto che quello di Mutunus Tutunus fosse un sotto-culto di quello che
era dedicato a Libero; Agostino di Ippona, De civitate Dei, ha detto che un
fallo era un oggetto divino utilizzato durante la Liberalia per respingere le
influenze malevoli dalle colture. ^ Clarke, Looking at Lovemaking, Langlands,
Sexual Morality, Spaeth, The Roman Goddess Ceres (University of Texas Press, ,
citing Festus (87 in the edition of Müller) parlando della torcia, rileva che
le sacerdotesse devote e dedicate al culto di Cerere nelle province romane
nordafricane fanno voto di castità come avviene tra le Vestali (Tertulliano, Ad
uxorem 1.6 Oehler). Ovidio nota che Cerere è soddisfatta anche da piccole
offerte, purché siano caste (Fasti). Statius dice che Cerere stessa è casta
(Silvae). La preoccupazione di associare la dea con la "castitas" può
avere a che fare con la sua funzione di tutelare i passaggi oltre i confini,
compresa quindi anche la transizione tra la vita e la morte, come avviene nelle
religioni misteriche. Brouwer, Bona
Dea: The Sources and a Description of the Cult (Brill; Mueller, Roman Religion
in Valerius Maximus; Rasmussen, Public Portents in Republican Rome (L'Erma» di
Bretschneider, Wildfang, Rome's Vestal Virgins, Crassus's nomen was Licinius;
the Vestal's name was Licinia (see Roman naming conventions). His reputation
for greed and sharp business dealings helped save him; he objected that he had
spent time with Licinia to obtain some real estate she owned. For sources, see
Alexander, Trials in the Late Roman Republic (Toronto; Plutarch, Life of
Crassus, implies that the prosecution was motivated by political utility. One
or more Vestals were also brought before the College of Pontiffs for incestum
in connection with the Catiline Conspiracy (Alexander, Trials, The sources on
this notorious incident are numerous; Brouwer, Bona Dea, p. 144ff., gathers the
ancient accounts. Frier and McGinn, A Casebook on Roman Family Law, Oxford
Richlin, The Garden of Priapus: Sexuality and Aggression in Roman Humor (Oxford
Stuprum cum vi or per vim stuprum: Richlin, "Not before Homosexuality, For
instance, in the mid-3rd century BC, Naevius uses the word stuprum in his
Bellum Punicum for the military disgrace of desertion or cowardice; Elaine
Fantham, "Stuprum: Public Attitudes and Penalties for Sexual Offences in
Republican Rome," in Roman Readings: Roman Response to Greek Literature
from Plautus to Statius and Quintilian (Walter de Gruyter, Fantham,
"Stuprum: Public Attitudes and Penalties," p. Moses, "LIVIO (si
veda)’s Lucretia and the Validity of Coerced Consent in Roman Law," in
Consent and Coercion to Sex and Marriage in Ancient and Medieval Societies
(Dunbarton; Gillian Clark, Women in Late Antiquity: Pagan and Christian
Life-styles (Oxford Moses, "Livy's Lucretia, Gillespie and Hardie,
introduction to The Cambridge Companion to LUCREZIO (si veda) (Cambridge). A
scholiast gives an example of an unnatural and unnecessary desire as acquiring
crowns and setting up statues for oneself; see J.M. Rist, Epicurus: An
Introduction (Cambridge Hardie, "Lucretius and Later Latin Literature in
Antiquity," in The Cambridge Companion to LUCREZIO (si veda); McGinn,
Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome (Oxford. See the statement
preserved by Aulus Gellius that " it was an injustice to bring force to
bear against the body of those who are free" (vim in corpus liberum non
aecum adferri). Fantham, "The Ambiguity of Virtus in Lucan's Civil War and
Statius' Thebiad," Arachnion; Bell, "Cicero and the Spectacle of
Power," Journal of Roman Studies Ramage, “Aspects of Propaganda in the De
bello gallico: Caesar’s Virtues and Attributes,” Athenaeum Myles Anthony
McDonnell, Roman manliness: virtus and the Roman Republic (Cambridge); Evans,
Utopia Antiqua: Readings of the Golden Age and Decline at Rome (Routledge,
Craig A. Williams, Roman Homosexuality(Oxford Cantarella, Bisexuality in the
Ancient World, p. xi; Skinner, introduction to Roman Sexualities, Richlin, The
Garden of Priapus, Edwards, "Unspeakable Professions: Public Performance and
Prostitution in Ancient Rome," in Roman Sexualities, Edwards,
"Unspeakable Professions, Aulus Gellius; Williams, Roman Homosexuality,
Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," in A Companion to the Roman
Empire.The law began to specify harsher punishments for the lower classes
(humiliores) than for the elite (honestiores). ^ This is a theme throughout
Carlin A. Barton, The Sorrows of the Ancient Romans: The Gladiator and the
Monster (Princeton Heskel, "Cicero as Evidence for Attitudes to Dress in
the Late Republic," in The World of Roman Costume (University of Wisconsin
Bonfante, "Nudity as a Costume in Classical Art," in American Journal
of Archaeology Ovid, Fasti Newlands, Playing with Time: Ovid and the Fasti
(Cornell Williams, Roman Homosexuality, Zanker, The Power of Images in the Age
of Augustus (Michigan; Zanker, The Power of Images in the Age of Augustus,
Plutarch, Life of Cato 20.5; Williams, Roman Homosexuality, Zanker, The Power
of Images in the Age of Augustus, p. 6. ^
Fino alla tarda Repubblica, un bagno di casa probabilmente offerto le donne
un'ala o struttura separata, o ha avuto un programma che permetteva alle donne
e agli uomini di fare il bagno in tempi diversi. Dalla tarda Repubblica fino
alla prevalenza del cristianesimo nel tardo impero, non vi è una chiara
evidenza di balneazione mista. Alcuni studiosi hanno pensato che solo le donne
delle classi inferiori si bagnassero con gli uomini, o le prostitute che erano
infames, ma Clemente di Alessandria ha osservato che le donne delle più alte
classi sociali potevano essere viste nude ai bagni. Adriano vietata la
balneazione mista, ma il divieto non sembra fosse rigorosamente rispettato. In
breve, i costumi variavano non solo nel tempo e nei luoghi, ma anche rispetto
alla struttura sociale predominante; vedi Garrett G. Fagan, Bathing in Public
in the Roman World (University of Michigan Clarke, Looking at Lovemaking, p.
84; David J. Mattingly, Imperialism, Power, and Identity: Experiencing the
Roman Empire (Princeton Richlin, "Pliny's Brassiere," in Roman
Sexualities, Mattingly, Imperialism, Power, and Identity, Williams, Roman
Homosexuality, citing Suetonius, Life of Nero. ^ Edwards, The Politics of Immorality, Edwards,
Politics of Immorality, The case, which nearly shipwrecked Clodius's political
career, is discussed at length by his biographer, Tatum, The Patrician Tribune:
Publius Clodius Pulcher, North Carolina; Clodius, a crocota, a mitra, a
muliebribus soleis purpureisque fasceolis, a strophio, a psalterio, a flagitio,
a stupro est factus repente popularis: Cicero, the speech De Haruspicium
Responso, given a Lacanian analysis by
Leach, “Gendering Clodius,” Classical World Williams, Roman Homosexuality,
Edwards, The Politics of Immorality see also Tatum, Always I Am Caesar (Blackwell
Murray, Homosexualities (University of Chicago Bachvarova, "Sumerian Gala
Priests and Eastern Mediterranean Returning Gods: Tragic Lamentation in
Cross-Cultural Perspective," in Lament: Studies in the Ancient
Mediterranean and Beyond (Oxford See also "Hermaphroditism and
androgyny" below. ^ Williams, Roman Homosexuality, Catullo, Carmina
Tibullus, Book One, elegies Propertius McGinn, Prostitution, Sexuality and the
Law in Ancient Rome (Oxford McGinn, Prostitution, Sexuality and the Law,
Potter, "The Roman Army and Navy," in The Cambridge Companion to the
Roman Republic, Southern, The Roman Army: A Social and Institutional History
(Oxford; Phang, The Marriage of Roman Soldiers: Law and Family in the Imperial
Army (Brill, Phang, The Marriage of Roman Soldiers Il [[De Bello
Hispaniensi|]], circa la guerra civile di Cesare sul fronte della Spagna
romana, parla di un ufficiale che ha una concubina di sesso maschile
(concubinus) che si porta appresso. Polibio, Storie (translated as bastinado).
Phang, Roman Military Service: Ideologies of Discipline in the Late Republic
and Early Principate (Cambridge See also "Master-slave relations. Phang,
Roman Military Service, Roman law recognized that a soldier was vulnerable to
rape by the enemy: Digest, as discussed by Richlin, "Not before
Homosexuality, Severy, Augustus and the Family at the Birth of the Roman Empire
(Routledge, 2003), p. 39. ^ Hans-Friedrich Mueller, Roman Religion in Valerius
Maximus (Routledge; Langlands, Sexual Morality; See further discussion at
Pleasure and infamy below. Clarke, Looking at Lovemaking, Gibson, Ars Amatoria
(Cambridge Cohen, "Divesting the Female Breast; Cameron, The Last Pagans,
p. 725; Bonfante, "Nudity as a Costume in Classical Art," passim. See
discussion of the iconography of breastsfollowing. Olson, "The Appearance
of the Young Roman Girl," in Roman Dress and the Fabrics of Roman Culture
(University of Toronto Clarke, Looking at Lovemaking, Clarke, "Look Who's
Laughing at Sex," in The Roman Gaze, Blanshard, Sex: Vice and Love from
Antiquity to Modernity (Wiley-Blackwell, Harper, Slavery in the Late Roman
Mediterranean, Cambridge Seneca, Controversia VARRONE (si veda), De lingua
latina, citing a fragment from the Latin tragedian Accius on Actaeon that plays
with the verb video, videre, visum, "see," and its presumed
connection to vis (ablative vi, "by force") and violare, "to
violate": "He who saw what should not be seen violated that with his
eyes" (Cum illud oculis violavit is, qui invidit invidendum); David
Frederic, "Invisible Rome," in The Roman Gaze. Ancient etymology was
not a matter of scientific linguistics, but of associative interpretation based
on similarity of sound and implications of theology and philosophy; see Davide
Del Bello, Forgotten Paths: Etymology and the Allegorical Mindset (Catholic
University of America Clement of Alexandria, Protrepticus; Allison R. Sharrock,
"Looking at Looking: Can You Resist a Reading?" in The Roman Gaze; Adams,
The Latin Sexual Vocabulary, Adams, The Latin Sexual Vocabulary; VARRONE (si
veda), On Agriculture; Hersch, The Roman Wedding: Ritual and Meaning in
Antiquity (Cambridge Spaeth, The Roman Goddess Ceres (University of Texas
Press, Adams, The Latin Sexual Vocabulary, Adams, The Latin Sexual Vocabulary; Richlin,
The Garden of Priapus. Throughout the Ars Amatoria ("Art of Love");
Gibson, Ars Amatoria Martial, Epigrams: tam laxa ... quam turpe guttur
onocrotali; Richlin, The Garden of Priapus, Richlin, The Garden of Priapus, Clarke,
Looking at Lovemaking, Adams, The Latin Sexual Vocabulary, Juvenal; Adams, The
Latin Sexual Vocabulary, Il bordo viola appare anche sulle toghe dei magistrati
tra le cui funzioni vi è anche quella di presiedere ai sacrifici; era inoltre
la toga indossata da un figlio in lutto dopo aver effettuato i riti funebri, ed
infine lo stesso colore appariva sui veli delle Vestali; Judith Lynn Sebesta,
"Women's Costume and Feminine Civic Morality in Augustan Rome,"
Gender & History and "Symbolism in the Costume of the Roman Woman; Adams,
J.N. The Latin Sexual Vocabulary. Johns Hopkins Brown, Robert D. Lucretius on
Love and Sex. Brill; Cantarella, Eva. Bisexuality in the Ancient World. Yale
Clarke, John R. Looking at Lovemaking: Constructions of Sexuality in Roman Art
University of California Edwards, Catharine. The Politics of Immorality in
Ancient Rome. Cambridge; Fantham, Stuprum: Public Attitudes and Penalties for
Sexual Offences in Republican Rome." In Roman Readings: Roman Response to
Greek Literature from Plautus to Statius and Quintilian. Gruyter, Frederic,
David, ed. The Roman Gaze: Vision, Power, and the Body. Johns Hopkins Gaca,
Kathy L. The Making of Fornication: Eros, Ethics and Political Reform in Greek
Philosophy and Early Christianity. University of California Gardner, Women in
Roman Law and Society. Indiana Hallett, Judith P., and Skinner, Marilyn, eds.
Roman Sexualities. Princeton Hubbard, Thomas K. Homosexuality in Greece and
Rome: A Sourcebook of Basic Documents. University of California Langlands,
Rebecca. Sexual Morality in Ancient Rome. Cambridge McGinn, Prostitution,
Sexuality and the Law in Ancient Rome. Oxford; McGinn, The Economy of
Prostitution in the Roman World. Michigan Press, Nussbaum, The Incomplete
Feminism of Musonius Rufus, Platonist, Stoic, and Roman." In The Sleep of
Reason: Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient Greece and Rome.
University of Chicago Phang, The Marriage of Roman Soldiers: Law and Family in
the Imperial Army. Brill, Richlin, Amy. "Not before Homosexuality: The
Materiality of the cinaedus and the Roman Law against Love between Men."
Journal of the History of Sexuality Richlin, Amy. The Garden of Priapus:
Sexuality and Aggression in Roman Humor. Oxford; Verstraete and Provencal,
Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity and in the Classical
Tradition. Haworth Press, 2005. Williams, Craig A. Roman Homosexuality:
Ideologies of Masculinity in Classical Antiquity. Oxford Younger, Sex in the
Ancient World from A to Z. Routledge; Ancona, Ronnie, and Greene, Ellen eds.
Gender Dynamics in Latin Love Poetry. Johns Hopkins University Press, Skinner,
Marilyn. Sexuality in Greek And Roman Culture. Blackwell
Publishing. Voci correlateModifica Arte erotica a Pompei e Ercolano
Omosessualità nell'Antica Roma Sessualità nell'antica Grecia Storia della
sessualità umana. Portale Antica Roma Portale Erotismo. Baraldini Omosessualità nell'antica Roma Irrumatio tipo
di pratica del sesso orale Lex Scantinia Wikipedia Il contenuto Omosessualità
nell'antica Roma Lingua Segui Modifica Gli atteggiamenti sociali nei confronti
dell'omosessualità nell'antica Roma e i comportamenti relativi differiscono -
spesso in una maniera assai notevole - da quelli assunti della contemporanea civiltà
occidentale e presenti in essa; il tema deve pertanto essere affrontato
necessariamente attraverso la visione del mondo e della sessualità tipica della
maggioranza delle società antiche, molto diversa da quella moderna.
Graffito in versi proveniente da Pompei antica. Lo scrivente, bruciato
dalle fiamme d'amore, incita il mulattiere a smetterla di bere e a pungolare
semmai i muli per arrivare prima a casa, dove un bel ragazzo, di cui egli è
innamorato, lo attende (là ove l'amore è dolce). Il ruolo passivo come
discriminante moraleModifica Per le antiche civiltà precristiane intrise di
paganesimo, soprattutto per quelle del mondo classico (antica Grecia e antica
Roma), non esisteva un'autentica differenziazione individuale basata
sull'orientamento sessuale o di identità di genere. Piuttosto, questa esisteva
in base al ruolo assunto all'interno del rapporto sessuale: l'identificazione e
le leggi che regolavano le relazioni e le varie pratiche amorose non si
fondavano sull'oggetto del desiderio (una persona dello stesso sesso o di
quello opposto), ma la discriminante era bensì data dal fatto che quella
persona ricoprisse un ruolo attivo e associato quindi alla virilità e alla
mascolinità, oppure uno passivo, generalmente considerato come estremamente
degradante e tipico della femminilità (era dato cioè dall'atto che poteva
essere dominante o sottomesso, come viene indicato anche nell'uso dei termini
catamite e irrumatio). Agli antichi romani era peraltro completamente
sconosciuta anche la dicotomia del concetto moderno tra un'esclusiva
omosessualità e un'altrettanto esclusiva eterosessualità, proprio per il fatto
che l'identificazione sessuale avveniva per lo più in base al ruolo svolto
durante l'atto intimo (vedi attivo e passivo nel sesso); la stessa lingua latina
manca di parole traducibili con eterosessuale o omosessuale come un'identità
consapevole di chi prova attrazione solo nei confronti di persone dell'altro o
del proprio stesso sesso. Antinoo, il giovane di cui s'innamorò
l'imperatore romanodel II secolo Publio Elio Traiano Adriano. Quando l'amato
morì, Adriano ne fece letteralmente un dio, innalzandogli decine di statue in
tutto l'impero. La società romana seguiva i dettami del patriarcato, un sistema
impregnato da forti connotazioni di maschilismo; per i maschi adulti ingenui,
quelli che possedevano cioè a tutti gli effetti la cittadinanza romana (la
Libertas-libertà politica e il diritto di governare sé stessi e la propria
familia con l'autorità derivante dal pater familias), la Virtus è stata sempre
intesa come una delle qualità attive per eccellenza e attraverso la quale
l'uomo-vir si viene maggiormente a definire. Gli uomini erano liberi
d'intrattenere rapporti sessuali con altri maschi senza alcuna percezione di
perdita di virilità o di status sociale, fintanto e a condizione che avessero
assunto la posizione di comando (sessualmente penetrativa). Il ruolo
attivo come segno di virilità Modifica La mentalità di conquista e il culto
della virilità formano nel corso del tempo anche le relazioni omoerotiche; la
pratica omosessuale a Roma si afferma molto presto come rapporto di
dominazione, ad esempio del cittadino sopra lo schiavo, il tutto a conferma
della decisa virilità mascolina dell'uomo romano; la schiavitù nell'antica Roma
contemplava difatti anche una decisiva sudditanza sessuale nei confronti di chi
deteneva il potere sopra altre persone. L'ideale romano di mascolinità funge in
tal modo da premessa all'assunzione di un ruolo attivo sempre e comunque, preso
e innalzato a valore supremo: ciò costituiva "la prima direttiva del
comportamento sessuale maschile per i Romani. Partner maschili
accettabili erano sia gli schiavi sia tutti coloro che si dedicavano alla
prostituzione maschile ma anche quelli il cui stile di vita li immetteva nel
nebuloso campo sociale dell'infamia, gli esclusi dalle normali protezioni
accordate a ogni cittadino, questo anche se fossero stati tecnicamente liberi.
Pur preferendo nella generalità dei casi la pederastia(compagnia intima con
giovani di età compresa tra i 12 e i 20 anni), con i minori di sesso maschile
nati liberi agli uomini adulti era rigorosamente proibito qualsivoglia tipo di
approccio, mentre i prostituti di professione e gli schiavi potevano essere
anche molto più vecchi[4]. Omosessualità femminileModifica Le relazioni
omosessuali tra le donne sono meno documentate. Anche se le donne nell'antica
Romaappartenenti alle classi più alte (come le matrone) erano solitamente
istruite e vi sono esempi noti di scrittura poetica e vaste corrispondenze con
parenti di sesso maschile, molto poco e frammentario è ciò che è sopravvissuto
rispetto a quello che potrebbe essere stato effettivamente scritto da mani
femminili. Gli scrittori maschi hanno mostrato ben poco interesse al modo in
cui le donne hanno sperimentato e vissuto la sessualità in generale; il poeta
latino dell'era augustea (vedi Storia della letteratura latina Publio Ovidio
Nasone risulta qui un'eccezione, dimostrandosi particolarmente acuto e
sensibile al riguardo; ma egli è anche uno dei più strenui sostenitori di uno
stile di vita fortemente improntato all'amore verso le donne e in opposizione
alle norme sessuali romane alternative a esso. Durante la repubblica
romana e nel corso dell'epoca costituita dal principato e dall'inizio dell'alto
impero romano assai poco viene registrato riguardo a relazioni sentimentali tra
donne, mentre prove migliori e di più ampio genere sussistono, anche se
variamente disperse, per il successivo periodo del tardo impero romano e della
tarda antichità. Excursus storicoModifica Quando si parla di
omosessualità nella romanità antica bisogna necessariamente distinguere almeno
tre grandi periodizzazioni storiche, in cui spesso cambia la concezione e la
visione e accettazione stessa dei rapporti omosessuali: il periodo
dell'Età regia di Roma e quello repubblicano antecedente al 146 a.C. (Grecia
romana); il periodo repubblicano successivo alla conquista della Grecia fino
all'Alto Impero romano; infine il periodo del basso Impero. Busto antico
romano di ignoto adolescente, conservato all'Ermitage di San Pietroburgo e
datato al II secolo d.C. Periodo antecedente la conquista della Grecia Lo
stesso argomento in dettaglio: Vizio greco (antica Roma). Nel periodo
repubblicano antecedente alla conquista della Grecia i rapporti omosessuali erano
osteggiati e visti con sospetto. I Romani identificavano infatti il rapporto
tra persone dello stesso sesso come il vizio greco, sostenendo che nei loro
antenati non esistesse l'omosessualità, ritenuta un'offesa al costume degli avi
(il famoso mos maiorum), contraria al rigore del "civis Romanus" e
motivo dell'indebolimento e del rammollimento della società romana
stessa. La libertà politica di un cittadino è stata definita in parte dal
diritto di preservare il proprio corpo da qualsivoglia costrizione fisica,
comprendente pertanto sia la punizione corporale sia l'abuso sessuale; il
sentimento di mascolinità era la premessa imprescindibile della capacità di
governare sia sé stessi sia altre persone di status inferiore e la Virtus, come
già sottolineato, è il valore che rende l'uomo più pienamente uomo: la virtù
attiva per eccellenza, quindi. Periodo successivo alla conquista della
Grecia e Alto ImperoModifica Con la conquista della Grecia, assieme alla
cultura della Grecia classica, Roma assorbe anche molte usanze, tra cui il
cosiddetto "amore greco". Ma i civesromani praticavano
l'omosessualità solamente con gli schiavi e con i liberti. Era deprecabile che
un cittadino assumesse il ruolo passivo in un rapporto omosessuale, perché
questo era in conflitto con una certa ideologia virile e dominatrice presente
in tutta la società romana. La conquista sessuale diviene presto
metaforacomune, utilizzata spesso nell'arte retorica romana più favorevole
all'imperialismo[9], e la mentalità da conquistatori, inerente anche alla sfera
della sessualità nell'antica Roma, faceva parte di un culto generico della
virilità il quale poteva condurre anche a particolari forme di pratiche
omosessuali tra gli uomini. Gli studiosi contemporanei tendono pertanto a
vedere le espressioni inerenti alla sessualità maschile umana all'interno della
civiltà romana in termini di opposizione binaria nel modello
penetratore-penetrato; cioè l'unico modo corretto per un maschio romano di
cercare gratificazione sessuale era quello di inserire il suo pene nel/nella
partner: permettere di lasciarsi penetrare avrebbe invece minacciato la propria
libertà come cittadino, oltre che la sua intrinseca integrità sessuale. Il
ruolo passivo indicante sottomissione era sommamente disprezzato e visto come
sintomo di mollezza, di rinuncia alla virilità e perciò deprecabile e
vergognoso, specialmente se era un cittadino romano a ricoprirlo. Ci si
aspettava ed era socialmente accettabile per un uomo romano nato libero di
voler consumare esperienze sessuali con entrambi i tipi di partner, sia
maschili sia femminili, l'importante era mantenere un ruolo dominante[13]. La
moralità del comportamento dipendeva poi anche dalla posizione sociale del
partner, indipendentemente dal fatto che fosse un uomo o una donna; le donne e
i giovani uomini sono stati entrambi considerati normali oggetti del desiderio,
ma fintanto che si manteneva al di fuori del vincolo matrimoniale un uomo
avrebbe dovuto cercare di soddisfare i propri desideri solo con schiavi,
prostitute (che spesso erano schiave o ex-schiave anch'esse) e gli infames (i
succitati sottoposti a infamia). Il sesso di un partner non determinava
se questa relazione fosse accettabile o meno, sempre però a patto che il
godimento di un uomo non usurpasse l'integrità di un altro uomo: era altamente
immorale ad esempio avere una relazione con la moglie di un altro uomo nato
libero, con una ragazza in età da marito o con un ragazzo minorenne di buona
famiglia, o con lo stesso cittadino libero adulto; mentre l'uso sessuale degli
schiavi di un altro uomo doveva sottostare al permesso del proprietario. La
mancanza di autocontrollo, anche nell'ambito della gestione della propria vita
sessuale, indicava platealmente che quell'uomo era del tutto incapace di
governare gli altri; troppa indulgenza nei confronti dei "bassi piaceri
sensuali" minacciava di erodere l'identità del maschio dell'élite nella
sua qualità di persona istruita (quindi migliore e destinata a governare). Particolare
della tomba-monumento di un giovane che mostra un antico ragazzo romano con
indosso una bulla, l'amuletopensato per proteggere un bambino nato libero da
influenze sovrannaturali malevoli e lo segnava come sessualmente
indisponibile/intoccabile. La Lex Scantinia condanna espressamente l'uomo nel
caso di rapporti omosessuali tra un adulto e un puer o praetextati (da
praetexta, la toga bianca orlata di porpora che portavano i ragazzi che non
avevano ancora raggiunto l'età della piena maturità sessuale (fino ai 15-17
anni)), mentre nel caso di rapporto omosessuale tra cittadini liberi adulti
veniva punito quello che tra i due assumeva il ruolo passivo, con una multa che
poteva ammontare fino a 10.000 sesterzi. La Lex Scantinia, di cui non ci
è pervenuto il testo ma che abbiamo solamente attraverso citazioni tratte dagli
scritti del filosofo Marco Tullio Cicerone, di Decimo Magno Ausonio, dello
storico Gaio Svetonio Tranquillo, del poeta Decimo Giunio Giovenale e infine da
parte degli autori cristiani Tertulliano e Prudenzio, è un'importante
testimonianza a dimostrazione del fatto che l'omosessualità veniva praticata in
tutti gli ambienti sociali. Stele funebre dell'adolescente
Philetos, del demo di Aixone che indossa la toga. Esposta nel cortile interno
coperto del "Museo archeologico del Ceramico" ad Atene. In età
imperiale, le ansie circa la perdita della libertà politica e la subordinazione
del cittadino all'imperatore si sono espresse nella percezione di un aumento
del volontario comportamento omosessuale passivo tra gli uomini liberi,
accompagnato da una crescita documentata nell'esecuzione di punizioni corporali
sui cittadini. La dissoluzione degli ideali repubblicani di integrità fisica in
relazione alla "libertas" contribuisce alla licenza sessuale e si
riflette nella decadenza associata con l'impero. A ogni modo, analizzando
i testi e i poemi degli scrittori antichi, non si può fare a meno di notare
alcune contraddizioni, almeno dal punto di vista del pensiero moderno, sul tema
dell'omosessualità: se da una parte infatti molti scrittori esaltano e descrivono
le gesta omoerotiche, vantandosi di conquiste amorose nei confronti di giovani,
schiavi e liberti (in molte tra le poesie di Caio Valerio Catullo, o
addirittura dando consigli su come conquistare i ragazzi (come fa Albio
Tibullo); dall'altra altri scrittori, se non gli stessi, ironizzano, in modo
molto spesso violento, contro chi si macchia di effeminatezza (gli uomini che
ricoprono il ruolo passivo nei rapporti omosessuali maschili) soprattutto se
cittadini romani, scherniti e derisi quando non violentemente attaccati come
causa di decadimento sociale (lo stesso Catullo nei Carmina). Questa
apparente contraddizione è in un certo senso giustificata dalla visione che
della società avevano i romani, tipicamente e prettamente maschilista, dove il
ruolo attivo in un rapporto sessuale, sia con donne sia con uomini, era sintomo
di virilità e veniva esaltato, in rapporto anche alla superiorità della Gens
Romana sopra gli altri popoli, destinata quindi a dominarli anche
sessualmente. Statua di Giulio Cesare, esempio di nudo eroico. Anche molti
uomini illustri tra i più noti e stimati, uno fra tutti Gaio GIULIO (si veda) Cesare
- membro autorevole della Gens Giulia e capostipite della dinastia
giulio-claudia - provavano una forte attrazione nei confronti di persone dello
stesso sesso: l'omosessualità, o meglio la bisessualità, di Cesare è ben
testimoniata da Cicerone secondo cui egli era "il marito di tutte le mogli
e la moglie di tutti i mariti". I suoi gusti nella sfera sessuale
furono spesso motivo di pettegolezzo e canzonatura da parte sia dei detrattori
sia degli stessi soldati a lui sottoposti; Plutarco e Svetonio narrano
approfonditamente della sua relazione omoerotica avuta in gioventù con l'ultimo
sovrano del regno di Bitinia Nicomede IV; non vi fu nemico o personaggio
pubblico che non cogliesse l'occasione, anche a distanza di anni, per fare
della maldicenza a proposito dei rapporti particolari intercorsi fra il giovane
Cesare e il re. Cesare veniva di volta in volta definito "rivale
della regina di Bitinia", "stalla di Nicomede", "bordello
di Bitinia". Marco Campurnio Bibulo, collega di Cesare nel consolato,
riprendendo la vecchia accusa che lo dipingeva come regina di Bitinia, per
attaccare la sfrenata ambizione di Cesare che manifestava tendenze monarchiche
affermò: "Questa regina, una volta aveva voluto un re, ora vuole un
regno". I legionari, il giorno del trionfo di Cesare sui Galli, seguendo
il costume che consentiva ai soldati di indirizzare il giorno del trionfo versi
piccanti e scurrili al proprio comandante, intonarono un canto che suonava più
o meno così. Gallias Caesar subegit, Nicomedes Caesarem: ecce Caesar nunc
triumphat qui subegit Gallias, Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem. (Svetonio,
Vita di Cesare.) Lo stesso Cicerone, riferendosi ai fatti di Bitinia, scriveva
nelle sue lettere che con Nicomede Cesare ha perso il fiore della giovinezza e
un giorno, in Senato, durante una seduta in cui Cesare per perorare la causa di
Nisa, figlia di Nicomede, ricorda i benefici ricevuti da quel re, Cicerone
pubblicamente lo interruppe esclamando. Lascia perdere questi argomenti, ti
prego, poiché nessuno ignora che cosa egli ha dato a te e ciò che tu hai dato a
lui”. Gaio Valerio Catullo ebbe a sostenere che Cesare e il suo ufficiale
Mamurra durante la campagna di Galliaavessero avuto una relazione, ma più tardi
si scusò: in quest'episodio Cesare dimostrò tutta la sua clementia, concedendo
al poeta il suo perdono e lasciandogli frequentare la sua domus. Marco Antonio,
infine, insinuò, nel tentativo di diffamare il suo avversario durante la guerra
civile, che Cesare avesse avuto un rapporto anche con il nipote Ottaviano, e
che la causa della sua adozione fosse stata proprio la loro relazione
amorosa. Ottaviano Augusto da giovinetto. Omoerotismo tra gli
imperatoriModifica D'altra parte, tra i primi imperatori romani tutti (tranne
Claudio) ebbero predisposizione ad abituali e ripetute esperienze omoerotiche:
dopo Cesare, soprannominato con dileggio la "Regina di Bitinia" e la "moglie
di tutti i mariti"; Augusto, il quale quand'era chiamato ancora solo
Ottaviano veniva additato con disprezzo dai detrattori col nome di Ottavia:
Marco Antonio ebbe modo in seguito di accusare Ottaviano di essersi guadagnato
la sua adozione da parte di Cesare attraverso favori sessuali, anche se occorre
dire che Svetonio descrive l'accusa rivoltagli da Antonio come pura calunnia
politica. Dopo che Marco Favonio fu catturato e giustiziato a seguito
della battaglia di Filippi Ottaviano acquistò uno dei suoi schiavi, un certo Sarmento,
quando tutte le proprietà del nemico sconfitto vennero messe in vendita: è
stato affermato poi ch'egli divenne il catamite preferito dello stesso futuro
imperatore. Quinto Dellio dirà in seguito a Cleopatra che, mentre lui e gli
altri dignitari venivano trattati come vino acido da Antonio, Ottaviano si
stava gustando il "catamite Falerno" a Roma. Busto di Tiberio.
Tiberio a Capri predilige i ragazzini appena puberi raccolti tra i figli della
comunità locale e li chiamava i suoi "pesciolini", spiandoli mentre
nuotavano nudi in piscina o intrattenevano rapporti sessuali tra di loro; è
sempre Svetonio a dirci, forse volutamente esagerando (tanto da fargli
commentare: "si rese colpevole anche di azioni ancora più turpi e
infamanti, che a mala pena si possono riferire e ascoltare, o addirittura
credere"), che l'anziano imperatore avesse addestrato dei fanciulli in
tenerissima età per andare in seguito a vivere con lui nella residenza di Villa
Jovis, li invitava poi a scherzare tra le sue gambe mentre nuotava e a
risvegliare i suoi sensi con baci e morsi. Nelle ville capresi infine, le orge
sarebbero state all'ordine del giorno e si sarebbero svolte davanti a una
collezione di dipinti erotici di arte greca da prendere a modello. Caligola era
bisessuale e incestuoso; Neronesottopose a castrazione il suo schiavo
adolescente Sporo per poi incoronarlo come propria sposa reale, ma sposò anche
un uomo di nome Pitagora. Anche i successivi imperatori pare non fossero
immuni dall'amore tutto maschile: Servio Sulpicio Galba, che amava gli uomini
grandi e grossi; Vitellio, soprannominato spintria ("marchetta") per
esser stato tra i favoriti di Tiberio quando si trova alla sua corte a Capri;
Domiziano, accusato dagli avversari di essersi prostituito per far carriera al
pretore Clodio Pollione e poi per interesse al predecessore Marco Cocceio
Nerva, fu accusato anche di mollezza e di essere un dissoluto. Ebbe varie
relazioni con uomini, come del resto anche il fratello Tito: il grande amore
provato nei confronti dell'eunuco Flavio Earino, suo schiavo affrancato, fu
celebrato sia da Stazio sia da Marco Valerio Marziale. Traiano era noto
per la sua predilezione nei confronti dei bei ragazzi; Publio Elio Traiano
Adriano fece diventare il suo giovane amante Antinoo dopo la morte niente meno
che un dio, innalzandolo in apoteosi; Eliogabalo a 18 anni promise metà
dell'impero a chi fosse riuscito a dotarlo di genitali femminili per poter così
diventare una donna a tutti gli effetti, scandalizzando l'intera Roma che lo
vide sposarsi con un auriga, un certo Ierocle di Smirne. I busti di
Adriano e Antinoo al British Museum. Adriano e AntinooModifica Il caso
riguardante la relazione d'amore tra Adriano e Antinoo è particolarmente
significativo; l'imperatore ebbe per anni come suo amasio preferito questo
giovinetto di origini greche (che molto probabilmente non era uno schiavo)
proveniente dalla Bitinia. Dopo la sua morte, avvenuta in circostanze
rimaste in parte oscure, Adriano innalzò in apoteosi l'amato Antinoo e fondò un
culto organizzato dedicato alla sua persona che si diffuse presto a macchia
d'olio in tutto l'Impero; poi, sempre per commemorare il proprio diletto, fondò
la città di Antinopoli, fatta sorgere vicino al luogo dove il ragazzo aveva
trovato la sua prematura fine terrena e che divenne un centro di culto per
l'adorazione del "dio Antinoo" in forma di Osiride. Infine
Adriano, per commemorare il ragazzo, organizzò dei giochi che si tenevano in
contemporanea ad Antinopoli e ad Atene, con Antinoo divenuto simbolo dei sogni
panellenici dell'imperatore. Busto di Polideuce, allievo e amante
di Erode Attico; quando egli morì in giovane età divenne un autentico oggetto
di culto da parte di Erode. Erode Attico e Polideuce. Il filosofo di origini
greche ed esponente della seconda sofistica Erode Attico (Lucius Vibullius
Hipparchus Tiberius Claudius Herodes Atticus), è stato un retore e politico al
servizio dell'impero; amico personale di Adriano, tra i suoi allievi vi fu anche
il giovane erede al trono Marco Aurelio. Erode era noto, oltre che per la
ricchezza e munificenza (fece costruire tra gli altri anche l'Odeo di Erode
Attico) nella sua qualità di filantropo e mecenate di opere pubbliche, anche
per i numerosi rapporti amorosi con i propri discepoli, in riferimento alla tradizione
della pederastia greca. Il suo affetto nei confronti del figlio adottivo
Polideuce (Polydeukes/Polydeukion, da "Polluce") ha creato uno
scandalo, non per il rapporto omosessuale intercorrente tra i due o per la
giovane età del ragazzo, ma per l'intensità della passione dimostrata,
considerata smodata e del tutto sconveniente. Quando l'adolescente morì
prematuramente Erode - come già precedentemente l'imperatore Adriano aveva
fatto con Antinoo - incominciò un plateale culto della personalità del defunto
e proclamandolo "eroe", facendo costruire tutta una serie di statue e
monumenti in suo onore. L'anziano visse in un parossismo di disperazione
pubblica alla morte del suo eromenos, arrivando a commissionare giochi
sontuosi, iscrizioni e sculture su ampia scala, Rilievo votivo in marmo
pentelico del II secolo raffigurante l'apoteosidi Polideuce, il ragazzo amato
da Erode Attico. Qui è mostrato con attributi eroici: il serpente e la sua
nudità. Lo scrittore Luciano di Samosata racconta, nella sua biografia del filosofo
esponente del cinismoDemonatte che questi affermò di avere in suo possesso una
lettera proveniente dal defunto giovinetto; quando Erode chiese di essere
informato su che cosa vi fosse scritto, Demonatte gli disse che il ragazzo
dichiarava di essere triste perché il suo amante non era ancora giunto a fargli
visita (nell'aldilà). Demonatte vuol qui criticare come eccessiva e
indegna di un filosofo l'espressione dei sentimenti di dolore di Erode:
soltanto l'enorme ricchezza e l'enorme potere di Erode gli permisero di
esprimerlo in modo pubblico, anziché celarlo nel silenzio. Arte erotica e
oggetti di uso quotidiano. Lo stesso argomento in dettaglio: Arte erotica a
Pompei e Ercolano e Simbolismo fallico. Le rappresentazioni della sessualità omosessuale
maschile e lesbica sono meno rappresentate nell'arte erotica dell'antica Roma
rispetto a quelle che mostrano atti sessuali tra maschio e femmina. Un fregio
di Pompei antica presente alle Terme Suburbanemostra una serie di sedici scene
di posizioni sessuali, in cui ve n'è una omosessuale e un'altra lesbica, oltre
ad abbinamenti omosessuali in rappresentazioni di sesso di gruppo.
Due uomini e una donna che si accoppiano. Pittura parietale pompeiana, da
una delle Therms (bagni), parete sud degli spogliatoi - dipinta intorno al 79
a.C. Il sesso a tre (o threesome) nell'arte romana mostra solitamente due
uomini che penetrano una donna, ma in una delle tante scene presenti nei muri
delle "Terme suburbane" si vede un uomo penetrare una donna in
posizione da dietro mentre a sua volta viene penetrato da un altro uomo posto
dietro di lui: questo scenario viene descritto anche da Catullo nel Carmen
56ritenendolo un fatto umoristico. L'uomo in mezzo potrebbe essere un
cinaedus-cinedo, un uomo cioè a cui piace subire il sesso anale ma che al
contempo è anche considerato attraente dalle donne[44]. Anche l'attività
sessuale a quattro (foursome o "quartetto") appare, in genere
composta da due donne e due uomini e a volte in coppie composte da persone dello
stesso sesso. Gli atteggiamenti romani verso la nudità maschile (vedi
storia della nudità) differiscono anche in maniera notevole se confrontati con
quelli assunti dagli antichi Greci, che hanno sempre considerato le
rappresentazioni idealizzate del nudo maschile come espressione di eccellenza,
ad esempio attraverso il nudo eroico. L'uso della toga virile designa un uomo
romano come libero cittadino; connotazioni negative della nudità includono
anche la sconfitta in guerra, dal momento che i prigionieri venivano spogliati,
e la schiavitù, poiché gli schiavi messi in vendita in piazza erano spesso
esposti nudi. Amuleti fallici della fertilità e della buona fortuna. Al tempo
stesso il Phallus-fallo è stato visualizzato ubiquitariamente in forma di
fascinus, ossia un "fascino magico" pensato per allontanare le forze
maligne (come i moderni cornetti portafortuna), ed è divenuto col tempo una
decorazione facente parte delle consuetudini e che si ritrova ampiamente tra le
rovine pompeiane, in particolare sotto forma di speciali campanelli eolici
detti Tintinnabulum. Il fallo eretto e smisurato del dio Priapo potrebbe
originariamente essere servito per uno scopo apotropaico, ma in arte il suo
aspetto grottesco ed esagerato provoca spesso una grande risata.
L'ellenizzazione tuttavia ha influenzato la rappresentazione della nudità
maschile all'interno dell'arte romana, portando a una più complessa
significazione della forma del corpo umano maschile mostrato nudo, parzialmente
nudo o indossando la lorica musculata. La coppa Warren, skyphos romano
d'argento che rappresenta una scena erotica omosessuale. Warren CupModifica
Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Warren Cup. La
Coppa Warren è una coppa d'argento raffigurante due scene di atti omosessuali in
ambiente di simposio(pratica socio-rituale della convivialità collegata al
banchetto), di solito datata al tempo della dinastia giulio-claudia. Si è
sostenuto che i due lati di questo calice rappresentino la dualità nella
tradizione presente nel mondo classico dell'istituzione della pederastia greca
in contrasto con la forma esistente all'interno della cultura romana.
Sulla parte della coppa che rappresenta l'ideale greco vediamo un uomo maturo
con la barba mentre si unisce in posizione da dietro a un giovane maschio già
sviluppato e muscoloso il quale gli sta seduto sopra. L'adolescente si tiene in
equilibrio rimanendo attaccato con la mano sinistra a un sostegno, così da
mantenere una posizione sessuale altrimenti imbarazzante o scomoda. Uno schiavo
bambino osserva la scena di nascosto attraverso una porta socchiusa.
L'uomo con la corona del "conquistatore erotico" e il suo puer
delicatus. Lato B della Warren Cup Il lato romano della coppa invece mostra un
puer delicatus, all'incirca di 12 o 13 anni, mentre viene tenuto saldamente
stretto tra le braccia di un maschio più anziano, ben rasato e in perfetta
forma fisica. Mentre il primo uomo con la barba può essere greco, con un
partner che partecipa più liberamente all'incontro e con uno sguardo di piacere,
la sua controparte, che ha un taglio di capelli più grave, sembra a tutti gli
effetti essere romano e quindi utilizza uno schiavo; la corona di mirto che
indossa simboleggia inoltre il suo ruolo di conquistatore erotico. La
coppa potrebbe essere stato concepita come un ritratto atto a stimolare la
conversazione su quel tipo di ideali di amore e di sesso, che avevano luogo
durante i banchetti simposiali tradizionali greci. L'antichità della Coppa
Warren è stata però contestata e potrebbe invece rappresentare la percezione
dell'omosessualità greco-romana com'era al momento della sua ipotetica
fabbricazione. Busto di Publio Virgilio Marone. Letteratura omoeroticaModifica
Numerose testimonianze riguardanti la presenza dell'omosessualità e
dell'omoerotismo in generale ci vengono da poeti e scrittori dell'epoca. Il
tema omoerotico viene introdotto in letteratura latina a partire dal II secolo
a.C. con la crescente ellenizzazione e una sempre maggior influenza Greca sulla
cultura romana. Il console nonché letterato Quinto Lutazio Catulofaceva
parte di un circolo letterario frequentato da poeti che componevano brevi
strofe richiamantesi alla moda della poesia ellenistica; uno dei suoi pochi
frammenti superstiti è costituito da una poesia d'amore rivolta a un maschio
con un nome greco. L'innalzamento della letteratura greca, ma anche dell'arte
greca in generale a modello espressivo in ambito poetico ha promosso tra le
altre cose anche la celebrazione dell'omoerotismo come uno dei segni distintivi
delle personalità urbanizzate e maggiormente sofisticate[56]. Nonostante ciò
non vi sono prove o ipotesi generali su come questo abbia potuto avere un
qualsiasi effetto sull'espressione del comportamento sessuale nella vita
quotidiana reale tra i romani. L'amore greco ha influenzato esteticamente
i latini in relazione ai mezzi di espressione, molto meno nei riguardi della
natura dell'omosessualità romana in quanto tale. L'omosessualità nell'antica
Greciadifferiva da quella Romana principalmente nell'idealizzare dell'eros tra
i cittadini maschi nati liberi di pari status, anche se di solito con una
differenza di età (vedi pederastia greca) inserita nell'istituto
erastes-eromenos. L'esistenza di un rapporto erotico-sentimentale tra un
ragazzo e un adulto al di fuori della famiglia, visto come un'influenza
positiva tra i Greci, nella società romana avrebbe minacciato l'autorità del
paterfamilias. Poiché le donne romane erano attive nell'educazione dei
figli e si mescolarono con gli uomini socialmente, e le donne delle classi
dirigenti spesso continuavano a consigliare e influenzare i loro figli e mariti
anche nella vita politica, l'omosocialità non era così diffusa a Roma così come
lo era stata ad esempio nell'antica Atene la quale ha indubbiamente contribuito
a produrre il più avanzato livello di cultura pederastica, quella della
pederastia ateniese. La poesia neoterica dei Poetae novi si concretizza
preminentemente con l'opera poetica di Caio Valerio Catullo (i Liber o Carmina)
la quale include diverse poesie che esprimono il suo forte desiderio nei
riguardi di un giovane nato libero chiamato esplicitamente "Giovenzio;” il
poeta, oltre ad amare l'amica Lesbia non era quindi meno ambiziosamente
desideroso dei baci del suo bel ragazzo quattordicenne, che esalta in vari
versi di volta in volta amorosi o ironici, definendolo effeminatoe
passivo. Il nome latino e lo status di cittadino libero del ragazzo amato
da Catullo sovverte totalmente la tradizione romana, ma contemporaneamente a
lui anche Tito Lucrezio Caro nel suo De rerum natura riconosce esplicitamente
la propria attrazione nei confronti dei "ragazzi"-pueri, il che può
designare invero un partner sottomesso accettabile e non necessariamente
ragazzino appena adolescente; vi si può leggere inoltre che il piacere sublime
consiste nel trasferire il proprio seme in un'altra persona, preferibilmente in
un ragazzo piuttosto che in una donna. «Si agita in noi questo seme, appena
l'adolescenza rafforza le membra. Dall'uomo, solo l'attrattiva dell'uomo fa
scaturire il seme Così dunque, chi riceve i colpi dai dardi di Venere lo
trafigga un fanciullo di membra femminee tende là ove è ferito e anela a
congiungersi e in quel corpo spandere l'umore tratto dal corpo. Eurialo e
Niso, Louvre. A testimoniare il fatto che il fenomeno omosessuale stava
divenendo sempre più un rapporto di desiderio e amore, interviene anche VIRGILIO
(si veda), il quale racconta nell'Eneide le storie di due coppie di guerrieri,
gli appartenenti al popolo dei troiani Eurialo e Niso e i latini Cidone e Clizio,
che nel reciproco amore trovano la forza per combattere da autentici eroi
(soltanto Cidone scamperà alla morte); coppie di giovani uniti da un tenero
legame omoerotico. Di Clizio, Virgilio ci dice che è ancora un
giovinetto, solo una leggerissima barba bionda incornicia il suo bellissimo
volto; su Cidone invece il poeta non dà una descrizione fisica: scrive invece
che prima di Clizio ha amato altri adolescenti, sicché è da ritenere che
rispetto al compagno egli abbia un'età leggermente superiore (Eneide). Il
particolare rapporto che lega Eurialo e Niso è definito dall'autore
"amore", ciò che nel contesto dell'epoca va inteso come serena
manifestazione di continuità tra l'amicizia fraterna e l'affettuosità
omoerotica. Qui il poeta si avvale della tradizione dell'omosessualità militare
nell'antica Grecia, ritraendo apertamente il rapporto amoroso esistente tra
questi giovani il cui valore militare li segna solidamente come autentici
uomini romani (viri). Virgilio descrive il loro legame come "pius", collegandolo
alla virtù suprema della "pietas", in egual modo posseduto dallo
stesso eroe Enea; una relazione avallata come "onorevole, dignitosa e
collegata ai valori della centralità di Roma. Ancora nelle Bucoliche il
poeta latino canta e descrive numerosi amori omosessuali e riconducibili alla
pederastia greca, come la vicenda riguardante il giovane schiavo Alessi che
viene concupito sia dal suo padrone Iolla sia dal bel pastore Coridone (Ecloga
II), o quella di un altro pastore di nome Menalca il quale elogia la bellezza
di Aminta (Ecloga). Il mito di Ciparisso e Apollo, tratto dal racconto di
Ovidio descritto nelle Metamorfosi (Ovidio). Temi omoerotici appaiono anche
nelle opere di altri poeti del periodo augusteo (vedi Storia della letteratura
latina: Albio Tibullo, Sesto Properzio e ORAZIO (si veda) fra tutti. A
schierarsi invece decisamente a favore dell'amore femminile sarà OVIDIO (si
veda): avere una relazione sessuale con una donna è più piacevole perché, a
differenza delle forme di comportamento omosessuale ammesse all'interno della
cultura romana, qui il piacere è reciproco. Non mancano comunque anche in
questo autore descrizioni di amori omosessuali, tutti appartenenti alla
tradizione della mitologia greca: Ati e Licabas, il dio Apollo con Giacinto e
Ciparisso. Habinek fa infine notare che il significato di rottura presentato da
OVIDIO (si veda) nella categorizzazione delle preferenze sessuali è stata
oscurata nella storia della sessualità umana dal concetto di eterosessualità
(considerata normale e innata) sopravvenuto nella più tarda cultura
occidentale. Nella letteratura del primo periodo dell'impero romanoun
posto privilegiato spetta al Satyricon di Petronio Arbitro; la narrazione è
talmente permeata da riferimenti al comportamento omosessuale che nei circoli
letterari europei il nome dell'opera finì col divenirne un sinonimo.
Anche il poeta e autore di epigrammi Marco Valerio Marziale spesso deride le
donne come uniche partner sessuali preferendo di gran lunga i bei ragazzi-pueri.
Atti sessuali Modifica Oltre al sesso anale, che viene frequentemente descritto
sia nell'arte figurativa sia in quella letteraria, era comune anche il sesso
orale. Uno dei graffiti di Pompei è in questo caso inequivocabile:
"Secundus felator rarus" ("Secundus è un fellatore di rara
abilità. A differenza che nell'antica Grecia, il pene di grandi dimensioni era
un importante elemento d'attrattiva; Petronio ne descrive uno veduto in un
bagno pubblico. Molti imperatori vengono raffigurati circondati da uomini con
grandi sessi. Il poeta Ausonio fa una battuta su un trio sessuale
maschile in cui "quello che sta nel mezzo compie il doppio dovere. Il
sostantivo astratto impudicitia (aggettivo impudicus) raffigura la negazione
assoluta della pudicitia (morale sessuale, castità); come caratteristica dei
maschi spesso implica la volontà e il desiderio di essere penetrati
sessualmente[80]. Ballare era espressione, per un maschio, di impudicitia (la
danza era difatti caratteristica della prostituta e dell'effeminato).
L'impudicitia può anche essere associata a comportamenti in quegli uomini
giovani che avevano conservato un certo grado di fascino da ragazzini, ma che
erano comunque abbastanza grandi da esser tenuti a comportarsi secondo le
ferree regole maschili e a sottostare alle sue normative. GIULIO (si veda)
Cesare è accusato di portare l'infamia su di sé perché quando aveva circa 19
anni assunse per un certo periodo di tempo il ruolo passivo in una relazione
pederastica con Nicomede re di Bitinia e in seguito anche per i molti
"affari sessuali" avuti con donne adultere. Lucio Anneo Seneca il
giovane (il tutore di Nerone) ha osservato che "l'impudicitia è un crimine
per colui che è nato libero, una necessità in uno schiavo, un dovere per il
liberto. La pratica omosessuale a Roma afferma il potere del cittadino sopra
gli schiavi, confermandone al di sopra di ogni dubbio la propria mascolinità. Ganimede
rapito dall'aquila di Giove. Scultura romana copia di un originale greco,
esposta nel Palazzo Grimani a Venezia. Il termine catamite, indicante per lo
più un giovane prostituto, è una derivazione latina del nome
"Ganimede". Ruoli sessuali Un uomo o un ragazzo che assumeva il ruolo
passivo all'interno della relazione omosessuale poteva venir denominato in vari
modi, tra cui i più comuni e frequenti erano cinaedus, pathicus, exoletus,
concubinus (prostituto), spintria (marchetta), puer(ragazzo), pullus (pulcino),
puso, delicatus(specialmente come puer delicatus-ragazzino squisito), mollis
(molle, utilizzata in genere come qualità estetica in contrapposizione alla
naturale aggressività maschile), tener (tenero, in opposizione alla durezza
mascolina), debilis (debole), effeminatus(effeminato), discintus (discinto,
volgare come una prostituta) e morbosus (malato). Come si può notare, il
significato del termine moderno gay (come anche di omosessuale) non è
contemplato in quest'elenco, in quanto nel pensiero antico non v'era alcun'idea
di identità sessuale: la persona era invece definita solo dal ruolo svolto
all'interno dell'atto sessuale (attivo=maschio; passivo=femmina). Alcuni di questi termini, come exoletus,
vengono a riferirsi specificamente a un adulto: gli antichi romani, fra cui
vigeva il valore sociale contrassegnato come mascolinità, limitavano
genericamente la penetrazione anale ai prostituti maschi o agli schiavi di età
inferiore a 20 anni (chiamati ragazzi). Alcuni uomini più anziani potevano a
volte preferire il ruolo passivo; Marco Valerio Marziale descrive ad esempio,
nella sua solita maniera molto schietta, il caso di un uomo che aveva assunto
il ruolo passivo facendo occupare al suo giovane schiavo quello attivo:
Mentula cum doleat puero, tibi, Naevole, culus Non sum divinus, sed scio quid
facias. Epigrammi (Marziale) Il desiderio di un maschio adulto di essere
penetrato sessualmente veniva considerato un morbus, una malattia; il desiderio
di penetrare un bel ragazzo era invece considerato del tutto normale.
Cinaedus Cinedo è una parola dispregiativa che denotava un maschio con una
identità di genere considerata deviante dalla norma, per la sua scelta di
determinati atti sessuali o per la preferenza di certi partner sessuali; tali
preferenze erano percepite come una carenza di virilità. Catullo definisce
cinedo (cioè un effeminato senza attributi virili) il collega poeta Marco Furio
Bibaculo che si trova in compagnia d'un suo amico, nel famoso Carme osceno
numero 16, in cui afferma senza tanti giri di parole che "pedicabo ego vos
et irrumabo" (io ve lo metto prima nel didietro e poi direttamente in
bocca). Anche se in alcuni contesti il cinedo può denotare l'omosessuale
passivo, ed è il termine più frequentemente usato per indicare un maschio che
si è lasciato penetrare analmente[89], un uomo chiamato cinedo poteva bensì, in
certi determinati casi, anzi esser considerato molto attraente e desiderabile
per le donne (non necessariamente quindi equivale al termine dispregiativo
inglese faggot o agli italiani frocio-checca, tranne per il fatto che tutti
questi termini vengono usati per deridere e insultare un uomo considerato carente
di virilità): con caratteristiche così ambiguamente androgine che le donne
possono trovare sessualmente anche molto eccitanti). L'abbigliamento,
l'uso di cosmetici e i manierismi (atteggiamenti, movimenti, modi di parlare)
di un cinedo lo contrassegnavano inequivocabilmente come un effeminato: ma la
stessa effeminatezza che gli uomini romani potrebbero trovare allettante in un
puer, diventa assolutamente poco attraente nel maschio adulto e anziano. I
cinaedus rappresentano quindi l'assenza generalizzata fatta persona di quello
che i Romani consideravano un vero uomo, e la parola rimane di fatto
intraducibile nelle lingue moderne. In origine un cinaedus (parola
derivante dal Greco Kinaidos) era un ballerino professionista generalmente poco
più che adolescente, di origini persiane o comunque orientali, la cui
performance era caratterizzata da una danza accompagnata dal suono di
tamburelli e timpani e da movimenti ancheggianti del sedere che mimavano il
rapporto anale. Alcuni uomini romani tenevano un concubinus (concubina
maschio) in casa fino a quando non si sposavano con una donna: Eva Cantarella
ha descritto questa forma di concubinato come "una relazione sessuale
stabile, non esclusiva ma privilegiata. All'interno della gerarchia degli
schiavi domestici, il concubinus sembra essere stato considerato in possesso di
uno status speciale o comunque abbastanza elevato, e che veniva minacciato con
l'arrivo di una moglie. In uno dei suoi inni nuziali (Ephitalamium)
Catullo il concubinus dello sposo si ritrova ansioso per il suo futuro e con la
paura d'esser abbandonato: i suoi lunghi capelli saranno tagliati e dovrà d'ora
in poi ricorrere alle schiave per la sua gratificazione sessuale, il che indica
ch'egli prevedeva di dover presto cambiare ruolo sessuale da passivo ad attivo.
Al concubino poteva poi anche capitare di intrattenere relazioni sessuali con
le donne della casa, diventando magari anche padre di qualche bambino, questo
almeno a seguire le invettive di Marziale (Epigrammi. I sentimenti e la situazione
del concubino sono trattati nella citata poesia matrimoniale di Catullo e
occupano 5 strofe: egli svolge un ruolo attivo durante la cerimonia,
distribuendo le noci tradizionali che poi i ragazzi dovevano lanciare in segno
di buon augurio (un po' come il riso nella tradizione occidentale
moderna). Il rapporto di un cittadino romano col proprio concubino poteva
essere sia discretamente tenuto nell'ombra sia manifestato in modo più aperto:
i concubini maschi a volte partecipavano anche alle cene (convivium) indette
dal padrone di casa e rappresentar ufficialmente la parte di compagno, un ruolo
particolarmente ambito e pregiato. Marziale sembra anche suggerire che il
concubino del padrone di casa poteva esser ereditato dal figlio alla morte de
padre. Un ufficiale poteva anche essere accompagnato durante le campagne
militari dal proprio concubino. Come il catamite e il puer delicatus
(vedi sotto) il ruolo del concubino è stato regolamentato ispirandosi al mito
greco di Ganimede (il cui nome in latino diventa Catamitus), il principe
adolescente troiano rapito da Zeus affinché lo servisse sull'Olimpo come
coppiere. La concubina femminile, che poteva anche essere una donna
libera, manteneva uno status legale tutalato dal diritto romano, ma i
concubinus no dal momento che erano tipicamente degli schiavi, Pathicus è una
parola un po' soft per indicare l'uomo che è stato penetrato sessualmente;
deriva dall'aggettivo greco phatikos (verbo paskhein) ed equivalente al latino
patior-pati-passus (subire, sottomettersi, sopportare e soffrire): il termine
passivo deriva proprio dal latino passus. Pathicus e cinaedus non sono
spesso così distinti nell'uso che ne fanno gli scrittori latini, ma cinedo può
essere indicativamente il termine più generale per indicare un maschio non
conforme al suo ruolo di vir - vero uomo; mentre pathicus denota precisamente
un maschio adulto che ha assunto il ruolo passivo da donna all'interno di un
rapporto, che desidera essere usato così. Nella cultura romana
sodomizzare un altro maschio adulto esprime quasi sempre disprezzo e desiderio
d'umiliazione; il pathicus può essere interpretato allora, ancor più che come
omosessuale passivo, come un masochista a cui piace farsi umiliare (da un uomo
o da una donna indifferentemente): potrebbe anche esser penetrato da una donna
tramite un dildo o essere costretto a eseguire cunnilingus, senza dimostrare
alcun desiderio di assumere un ruolo attivo o alcuna eccitazione
sessuale. Con la parola puer s'indicava sia un ruolo nell'ambito sessuale
sia uno specifico gruppo d'età, Sia puer sia il suo equivalente femminile
puella-ragazza possono riferirsi al partner sessuale di un uomo. Il cittadino
romano nato libero all'età di 14 anni assumeva la toga virile e questo era il
primo rito di passaggio oltre l'infanzia, ma doveva attendere poi fino a 17-18
anni prima di poter cominciare a prender parte attivamente alla vita pubblica.
Uno schiavo, che non veniva mai considerato un vir, un uomo vero, sarebbe stato
chiamato puer, ragazzo, per tutta la vita. I pueri venivano utilizzati come
alternativa sessuale alle donne, cosa che non si poteva assolutamente fare con
gli adolescenti maschi nati liberi: accusare un uomo romano d'essere un puer
era un insulto contro la sua virilità, soprattutto in campo politico. Un cinedo
anziano, un omosessuale passivo potevano anche voler presentare sé stessi come
puer. Il puer delicatus era uno "squisito" schiavo
giovanissimo, scelto dal padrone per la sua bellezza come giovane amante,
citato anche al plurale come deliciaem 'dolcetti' o 'delizie', A differenza
dell'eromenos greco, che era protetto dal costume sociale, il romano delicatus
rimaneva sempre invece, sia fisicamente sia moralmente, inferiore rispetto
all'adulto che ne disponeva. La relazione spesso coercitiva, di sfruttamento e
non certo alla pari, tra il padre di famiglia e il delicatus (il quale poteva
benissimo anche essere un minore di 12 anni), può essere definita come pedofila
a differenza della pederastia greca. Il ragazzino, appena compiuti 13
anni, veniva a volte castrato nel tentativo di preservare intatti nel tempo i
suoi caratteri giovanili: l'imperatore Nerone fece questo nei confronti del suo
puer Sporo, che fece evirare per poterlo poi sposare. Vari pueri delicati
sono stati idealizzati nella poesia latina: nelle Elegie erotiche di Tibullo il
delicatus di nome Marathus indossa abiti sontuosi e molto costosi. La bellezza
che doveva caratterizzare il delicatus è stata misurata mediante le norme e
misure apollinee, soprattutto per quanto riguardava i lunghi capelli i quali
avrebbero dovuto sempre essere ondulati e profumati. Il tipo mitologico
per eccellenza del delicatus era rappresentato da Ganimede, il principino
troiano rapito da Zeus per diventare il proprio compagno divino nonché coppiere
alla corte olimpica. Nel Satyricon, il ricco liberto Trimalcione parla del puer
delicatuscome di un bambino-schiavo al servizio sia del padrone sia della
padrona di casa. Il termine pullus indica genericamente un piccolo
animaletto e in particolare il pulcino: è una parola affettuosa usata
tradizionalmente per un ragazzo-puer che era stato amato da qualcuno in senso
osceno. Il lessicografo Sesto Pompeo Festo ne fornisce la definizione
illustrandola con un aneddoto comico: Quinto Fabio Massimo Eburno, console e
censore è molto noto per il suo rigore morale, tanto da guadagnarsi il
soprannome (Cognomen) di Eburno che significa avorio (l'equivalente moderno più
simile potrebbe essere anche porcellana); questo a causa del suo candido e
avvenente aspetto. Si diceva fosse stato colpito tempo addietro da un
fulmineproprio sulle natiche (riferimento a una voglia che aveva sul sedere. Si
scherzò quindi sul fatto che fosse stato contrassegnato da Zeus signore dei
fulmini che s'era accorto della sua bellezza tanto da farne il proprio pullus/pulcino
pensando anche al rapporto esistente tra il re degli Dei col giovanissimo
coppiere catamite Ganimede. Anche se l'inviolabilità sessuale dei
cittadini maschi minorenni era di solito molto ben sottolineata, quest'aneddoto
è una prova che anche i giovani romani di buona famiglia avrebbero potuto
passare attraverso una fase in cui potevano esser veduti come oggetti sessuali.
Forse colpito dal destino, questo stesso membro della illustre Gens Fabia ha
dovuto concludere la sua vita in esilio come punizione per aver ucciso suo
figlio dopo averlo incolpato di impudicitia[130]. Nel IV secolo il poeta
Ausonio registra la parola pullipremo e dice che per primo tale termine è stato
utilizzato dal poeta satirico Lucilio. Etimologicamente relazionato a puer, anche
pusio significa ragazzetto; spesso aveva una connotazione spiccatamente
sessuale e umiliante. Giovenale indica che il pusio era desiderabile in quanto
più compiacente e al contempo meno impegnativo di quanto fosse una donna. Scultimidonus
Questo è un relativamente raro termine gergale tra i più volgari (equivalente a
pezzo di m. o buco di c.) che appare in uno dei frammenti di Lucilio e glossato
come: "coloro che elargiscono gratuitamente il proprio orifizio
anale-scultima" (cioè la parte corporea più intima di sé, come fosse la
parte interna di una prostituta/scortorum intima. Iolao assieme all'eroe e
amante Ercole. Mosaico dalla Fontana del Ninfeo di Anzio, Museo Nazionale
Romano a Palazzo Massimo alle Terme, Roma. Sottoculture Il mondo e la cultura
latina hanno avuto una tale ricchezza di parole per indicare gli uomini al di
fuori della norma maschile-vir, che alcuni studiosi sostengono l'esistenza di
una vera e propria sottocultura di tipo omosessuale a Roma. Plauto menziona una
strada che era conosciuta come luogo d'incontro con giovani che praticavano la
prostituzione maschile, e anche i bagni pubblici sono indicati come uno dei
luoghi più usuali quando si voleva andar in cerca di partner sessuali maschi:
Giovenale indica il grattarsi la testa con l'indice come segno di
riconoscimento reciproco (nella II delle sue Satire). Apuleio dice che i
cinaedi formavano una vera e propria alleanza sociale allo scopo di realizzar
il piacere generale, soprattutto organizzando banchetti e feste: nelle
Metamorfosi (Auleio) (o Asino d'oro) descrive un gruppo che ha acquistato e
condiviso un concubinus; mentre in un'altra occasione hanno invitato un giovane
molto ben dotato (rusticanus iuvenis) alternandosi subito dopo nel sesso orale
su di lui, Altri studiosi, soprattutto quelli che sostengono il punto di vista
del costruttivismo socio-culturale, sostengono invece che non vi è mai stato un
gruppo sociale identificabile di maschi che si sarebbero auto-identificati come
appartenenti a una qualche "comunità omosessuale. Matrimonio
omosessuale Liceat modo vivere; fient, fient ista palam, cupient et in acta
referri, Giovenale, Satira. Anche se, in generale, i romani consideravano il
matrimonio come unione eterosessuale al fine di generare figli, durante il
periodo imperiale si sono verificati episodi in cui coppie maschili hanno
celebrato il rito tradizionale del matrimonio romano in presenza di amici;
queste forme di matrimonio tra persone dello stesso sesso sono riportati da
fonti che ne deridono gli intenti, mentre non vengono registrati i sentimenti
dei partecipanti. Il primo riferimento nella letteratura latina di un
matrimonio avvenuto tra uomini si trova nelle Filippiche di CICERONE (si veda),
il quale si trova a insultare MARC’ANTONIO (si veda) per essere stato in
gioventù "la sgualdrina" di Gaio Scribonio Curione e aver
"stabilito con lui un matrimonio vero e proprio (matrimonium), come se
avesse indossato una stola(l'abito tradizionale di una donna sposata) da
matrona. Anche se le implicazioni sessuali a cui vuole alludere Cicerone sono
chiare, il punto fondamentale del passaggio oratoriale del filosofo stoico
latino è quello è di gettare discredito su Antonio indicandolo nel ruolo di
sottomesso all'interno del rapporto omosessuale, mettendo così in tal maniera
in dubbio la sua virilità di cittadino; non vi è alcun motivo di pensare che
siano stati effettivamente eseguiti riti matrimoniali ufficiali. Sia Marziale
sia Giovenale - nelle sue Satire - si riferiscono al matrimonio tra uomini come
a un fatto che non accade di rado, cioè come qualcosa di usuale e diffuso,
abbastanza ricorrente all'interno della società dell'epoca, anche se poi i due
autori citati si ritrovano a disapprovarlo. Il diritto romano non ha mai
ufficialmente riconosciuto il matrimonio tra uomini, ma uno dei motivi
principali di disapprovazione espressi nella satira datata alla prima metà del
II secolo è che continuare a celebrarne i riti avrebbe anche potuto condurre a
un'aspettativa di registrazione ufficiale per tali unioni. Giovenale si
scaglia contro la diffusione dei rapporti omosessuali, identificati dal poeta
con l'effeminatezzae il vizio in generale; passa a descrivere coloro che
mascherano i propri vizi sotto il mantello della filosofia greca: i pervertiti
si vestono effeminatamente in pubblico, vi è poi chi difende la sua causa in
vesti trasparenti, chi giunge fino al punto di sposare un qualche
"suonatore di corno"... ma peggio ancora sono coloro che partecipano
ai misteri della Bona Deavestiti e truccati come fossero delle donne
(satira). Busto di Nerone. Nerone Varie fonti antiche (tra cui
Svetonio, Tacito, Dione Cassio, e Aurelio Vittore) affermano che l'imperatore
romano del I secolo Nerone abbia celebrato ben due matrimoni pubblici con degli
uomini, una volta assumendo per sé il ruolo della moglie (questo accadde col
liberto chiamato Pitagora), un'altra volta invece prendendo il ruolo del marito
(con l'eunucoSporo); vi sono poi indizi su un terzo caso in cui sembra aver
avuto ancora la parte della moglie. Le cerimonie neroniane includevano
elementi tradizionali come la dote e l'indossare il velo da sposa romana. Anche
se le fonti al riguardo si trovano a essere nella loro generalità
pregiudizialmente ostili, lo stesso Dione Cassio fa implicitamente notare che
gli atti pubblici e politici di Nerone venivano considerati molto più
scandalosi dei suoi matrimoni con degli uomini. Sporo rimase accanto a Nerone
fino all'ultimo giorno, e si tramanda che fu presente anche alla sua morte
(Vita di Nerone), e, addirittura, secondo Sesto Aurelio Vittore (Epitome de
Caesaribus), sarebbe colui che resse il gladio con cui egli si dava la morte.
Un ruolo di rilievo al suo personaggio compare viene dato anche in varie opere
teatrali che descrivono tale evento (ad esempio Martello). Alcuni studiosi
considerano quella effettuata su Sporo come la prima operazione di cambiamento
di sesso storicamente descritta. Profilo dell'imperatore
Eliogabalo. EliogabaloModifica Agli inizi del III secolo il giovanissimo
imperatore di origini siriache Eliogabalo è indicato per esser stato la sposa
in un matrimonio che ha voluto celebrare col suo partner maschile; ma anche
molti altri uomini maturi della sua corte sembra avessero dei mariti ufficiali,
facendo per lo più notare che ciò era fatto a imitazione dei matrimoni
imperiali. L'orientamento sessuale di Eliogabalo e la sua identità di genere
sono stati origine di controversie e dibattiti; va notato, però, che in
Eliogabalo l'aspetto religioso e quello sessuale erano profondamente
intrecciati, come normale nella cultura orientale, ma la società romana non
comprese questo aspetto a essa alieno e dunque considerò stravaganti e
scandalose le pratiche sessuali del proprio imperatore, tra cui le orge, i
rapporti omosessuali e transessuali, la prostituzione, all'interno delle quali
va intesa la ricerca - nella figura dell'androgino - del desiderio di
castrazione. Stando a quanto ne dice il membro del senato romanoe storico
contemporaneo Cassio Dione Cocceiano, la sua relazione più stabile sarebbe
stata quella con un auriga, uno schiavo biondo proveniente dalla Caria di nome
Ierocle, al quale l'imperatore si riferiva chiamandolo suo marito. La Historia
Augusta, scritta un secolo dopo i fatti, afferma che sposò anche un uomo di
nome Zotico, un atleta di Smirne, con una cerimonia pubblica svoltasi nella
capitale. Cassio Dione scrisse inoltre che Eliogabalo si dipingeva le palpebre,
si depilava e indossava parrucche prima di darsi alla prostituzione nelle
taverne e nei bordelli di Roma, e persino all'interno del palazzo
imperiale: «Infine, riservò una stanza nel palazzo e lì commetteva
le sue indecenze, standosene sempre nudo sulla porta della camera, come fanno
le prostitute, e scuotendo le tende che pendevano da anelli d'oro, mentre con
voce dolce e melliflua sollecitava i passanti.» (Cassio Dione Cocceiano,
Storia romana, lxxx.13) Erodiano commenta che Eliogabalo sciupò il suo
bell'aspetto naturale facendo uso di troppo trucco. Venne spesso descritto
mentre «si deliziava di essere chiamato l'amante, la moglie, la regina di
Ierocle», e si narra che abbia offerto metà dell'Impero romano al medico che
potesse dotarlo di genitali femminili. Di conseguenza, Eliogabalo è stato
spesso descritto dagli scrittori moderni come transgender, molto probabilmente
transessuale. Proibizioni legali chiare e nette contrarie al matrimonio
omosessuale cominciarono ad apparire durante il IV secolo, via via che la
popolazione dell'impero romanostava sempre più convertendosi al
cristianesimo. Sileno ed Eros abbracciati. Bassorilievo in
terracotta degli inizi del I secolo. Lo stupro omosessuale Il diritto romano ha
affrontato la questione relativa allo stupro di un cittadino di sesso maschile,
quando venne emessa una sentenza all'interno di una causa che potrebbe aver
coinvolto un maschio di orientamento omosessuale. È stato stabilito che anche
un uomo "disdicevole e discutibile" (infamis e suspiciosus) aveva lo
stesso diritto appartenente a tutti gli altri uomini liberi che il proprio
corpo non fosse sottoposto al sesso forzato. Nella Lex Julia de vi publica,
risalente al tempo del dittatore romano Gaio GIULIO (si veda) Cesare lo stupro
viene definito come un forzare al rapporto sessuale un ragazzo o una donna e lo
stupratore è oggetto di esecuzione capitale, una sanzione abbastanza rara nel
diritto romano. Gli uomini che erano stati stuprati venivano esentati
dalla perdita dello status giuridico e sociale subita da coloro che concedevano
volontariamente il proprio corpo per dare piacere agli altri (soprattutto
attraverso il sesso anale e la fellatio); un giovane che si dedicava alla
prostituzione maschile o che comunque intratteneva sessualmente altri uomini è sottoposto
a infamia e pertanto escluso dalle protezioni legali di regola concesse ed
estese a tutti gli altri cittadini. Considerata come una questione di diritto,
uno schiavo o una schiava non avrebbero potuto essere violentati, ma in quanto
oggetto di proprietà e non in quanto persone il proprietario dello schiavo
poteva tuttavia perseguire il violentatore per danni alla proprietà. Il
timore di stupri di massa a seguito di una sconfitta militare si estendeva
anche a tutte le potenziali vittime di sesso maschile (in primis i bambini)
oltre che alle donne. Secondo il giurista Pomponio qualunque cosa l'uomo abbia
subito (compresa la violenza sessuale a causa della forza soverchiante dei
ladri o da parte del nemico in tempo di guerra), è una cosa che si deve
sopportare senza alcuna stigmatizzazione. La minaccia di un uomo di
sottoporne un altro alla pedicatio (rapporto anale) o irrumatio (rapporto
orale) è un tema assai frequente delle invettive poetiche, particolarmente
famosa quella espressa da Catullo nel suo "Carmen ed è stata anche una
forma comune di millanteria maschile; lo stupro è stato inoltre una delle
punizioni tradizionali inflitte su un uomo adultero da parte del marito offeso,
anche se forse più come fantasia di vendetta che effettivamente realizzato
nella pratica[166]. In una raccolta di dodici aneddoti che si occupano di
"assalti subiti dalla castità" lo storico Valerio Massimodispone le
vittime di sesso maschile a parità di numero se confrontate con le donne. In un
caso di processo farsa (esempio processuale) descritto da Seneca il Vecchio, un
adulescens (un giovane che non ha ancora formalmente incominciato la propria
vita da adulto) viene violentato da dieci suoi coetanei; anche se il caso è
ipotetico Seneca qui presuppone che la legge contempli la possibilità effettiva
di un tal accadimento. Un'altra ipotesi immagina un caso estremo in cui la
vittima di stupro venga indotta al suicidio; qui il maschio nato libero
(appartenente agli ingenui) che ha subito violenza si uccide: i romani
consideravano lo stupro su un ingenuus come uno tra i peggiori crimini che
potevano essere commessi, assieme col parricidio, la violenza su una ragazza
ancora in condizione di verginità e il furto all'interno di un tempio
romano. Relazioni omoerotiche nelle forze armate Lo stesso argomento in
dettaglio: Omosessualità militare nell'antica Grecia. Il soldato romano, come
ogni altro cittadino maschio libero e rispettoso dello Stato, avrebbe dovuto
mostrare autodisciplina anche in materia sessuale. Augusto aveva vietato ai militari
di sposarsi e questa proibizione è rimasta in vigore per l'esercito romano imperiale
per quasi due secoli; le forme di gratificazione sessuale a disposizione dei
soldati rimanevano quindi la prostituzione e l'utilizzo di persone ridotte in
schiavitù, lo stupro di guerra e le relazioni tra persone dello stesso
sesso. Il Bellum Hispaniense, narrante gli eventi della guerra civile
romana nella Spagna romana, cita un ufficiale che tiene con sé un
concubinus/prostituto durante tutta la campagna militare. Il sesso tra
commilitoni tuttavia violava il decoro romano, contrario a ogni tipo di
rapporto sessuale tra cittadini liberi; di primaria importanza per un soldato
era mantenere intatta la propria virilità (da vir, la sua condizione di uomo)
non permettendo mai quindi che il suo corpo potesse venir utilizzato da altri
per soddisfare scopi sessuali. In guerra lo stupro simboleggiava la
sconfitta, un motivo che rendeva il corpo del soldato costantemente vulnerabile
sessualmente. Durante il periodo della repubblica romana gli atti omosessuali
tra commilitoni erano soggetti a sanzioni severe, che potevano comprendere anche
la condanna capitale, in quanto violazione della disciplina militare; Polibio
riferisce che la punizione per un soldato che volontariamente avesse
acconsentito a essere sottomesso sessualmente, quindi sottoposto a
penetrazione, era il fustuarium(ossia la bastonatura a morte). Gli
storici romani registrano racconti cautelativi di ufficiali che abusano del
loro potere per costringere i propri sottoposti a compiere atti sessuali e
quindi a subire conseguenze disastrose. Agli ufficiali più giovani, che ancora
potevano mantenere alcune delle caratteristiche attrattive adolescenziali
favorite maggiormente nelle relazioni tra maschi, era consigliato di rinforzare
le proprie qualità maschili e non usare profumi, né tagliarsi i peli alle
narici e non radersi le ascelle. Un episodio riferito da Plutarco nella
sua biografia di Gaio Mario illustra il dovere del soldato di mantenere la
propria integrità sessuale nonostante le pressioni che potevano provenire dai
suoi superiori. Una bella e giovane recluta di nome Trebonio ha subito molestie
sessuali per un certo periodo di tempo dal suo ufficiale superiore, che si
trovava anche a essere il nipote di Mario, Gaio Luscius. Una notte, dopo
essersi nuovamente difeso, in una delle numerose occasioni in cui era stato
sottoposto alle attenzioni indesiderate dell'uomo, Trebonio è stato convocato
alla tenda di Luscius. Incapace di disobbedire al comando del suo superiore, si
trova così a essere improvvisamente l'oggetto di una violenza sessuale e, a
questo punto, sfoderata la spada uccide Luscius. La condanna per
l'uccisione di un ufficiale tipicamente provocava l'esecuzione immediata.
Quando è stato portato a processo, il ragazzo è stato però in grado di produrre
testimoni per dimostrare che aveva ripetutamente dovuto respingere Luscius, e
che "non aveva mai prostituito il suo corpo a nessuno, nonostante le
profferte di regali costosi". Marius non solo ha assolto Trebonio
dall'accusa di aver assassinato un suo parente, ma gli ha consegnato una corona
(vedi ricompense militari romane) per il coraggio dimostrato. Diana e Callisto,
di Jollain. Lesbismo Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del lesbismo. I
riferimenti al sesso tra donne non sono frequenti nella letteratura latina
della repubblica romana e dell'inizio del principato (storia romana). Ovidio,
che è uno dei massimi sostenitori d'uno stile di vita generalmente rivolto
all'amore per le donne, descrive e nota poi con partecipazione la storia di Ifi
(o Ifide, cresciuta e allevata come fosse un maschio) che s'innamora di Iante e
in seguito anche di Anassarete: si tratta di uno dei pochissimi miti lesbici
presenti nella tradizione classica. Scena di sesso lesbico. Terme Suburbane
(Pompei). In epoca imperiale successiva le fonti riguardanti relazioni
omosessuali tra donne divengono via via più abbondanti, in forma di ricette
mediche, incantesimi e pozioni d'amore, tesi di astrologia e interpretazione
dei sogni. Un graffito rinvenuto nei muri di Pompei antica esprime il desiderio
di una donna nei confronti di un'altra: "vorrei poter tenerla stretta al
collo, abbracciandola ed accoglier tutti i suoi baci sulle mie labbra. Parole
di lingua greca indicanti una donna che preferisce la compagnia intima di
un'altra donna includono hetairistria (in parallelo a hetaira-compagna (l'etera
o cortigiana), tribas (tribade, da cui deriva tribadismo) e lesbia (dall'isola
di Lesbo patria della poetessa Saffo). Alcuni termini della lingua latina sono
tribas (per prestito linguistico, fricatrix-colei che strofina o sfrega (i
propri genitali su quelli di un'altra) e virago (da vir-uomo, quindi una
donna-maschio). Saffo e le sue amiche a Lesbo, dipinto erotico di Édouard-Henri
Avril. Un primo riferimento ai rapporti omosessuali tra donne definito come
lesbismo si trova nello scrittore greco del II secolo Luciano di Samosata:
"dicono che ci sono donne come quelle di Lesbo, di aspetto maschile e che
si prendono come consorti altre donne, proprio come se fossero uomini.
Dato che il modo di pensare romano nei riguardi del rapporto sessuale era
eminentemente fallocratico e richiedeva in ogni caso un partner attivo
dominante gli scrittori uomini immaginavano che nella sessualità tra lesbiche
una delle due donne avrebbe dovuto utilizzare un fallo finto (dildo) oppure
avere una clitoride eccezionalmente grande tanto da consentire con essa la
penetrazione sessuale; per entrambe sarebbe stata un'esperienza piacevole
proprio in quanto si verificava l'atto penetrante. Raramente menzionati nelle
fonti romane, oggetti a forma di fallo da utilizzare al posto del reale
penemaschile sono un popolare elemento di comicità nella letteratura greca e
nell'arte in genere, anche attraverso la tradizione del simbolismo fallico;
esiste invece una sola raffigurazione nota nell'arte romana di una donna che
penetra con questo sistema un'altra donna, mentre l'utilizzo di un fallo
artificiale da parte di donne è più comune nella pittura vascolare greca.
Marco Valerio Marziale descrive le lesbiche come aventi appetiti sessuali fuor
di misura che, prese da quest'esagerazione di desiderio, potevano giungere a
eseguire atti sessuali con penetrazione su altre donne, ma anche su bambini; i
ritratti imperiali di donne che sodomizzano ragazzi, che bevono e mangiano come
i maschi e che s'impegnano in vigorosi regimi fisici, possono riflettere in
parte le ansie culturali circa la crescente indipendenza delle donne romane. Identità
di genereModifica Mosaico che mostra Ercole mentre porta un abbigliamento
femminile ed è in possesso di un gomitolo di lana (a sinistra), mentre
Onfaleindossa la pelle del Leone di Nemea. Magnifying glass icon mgx2.svgLo
stesso argomento in dettaglio: Temi transgender nell'antica Grecia.
Travestitismo e crossdressing Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del
crossdressing. Il crossdressing appare nell'arte e nella letteratura latina in
vari modi per contrassegnare l'incertezza nell'identità di genere: come
invettiva politica, quando un uomo pubblico è accusato di indossare abiti
eleganti e seducenti al modo degli effeminati. come tropo mitologico, come
nella storia di Ercole e Onfale che si scambiano gli abiti e con essi anche i
ruoli sessuali. come una forma di investitura religiosa, ad esempio nel
sacerdozio degli adoratori di Cibele. molto raramente come feticismo di
travestimento. Ulpiano categorizza l'abbigliamento romano sulla base di coloro
che possono più opportunamente indossarlo: l'abbigliamento virilia-da uomo e
caratteristico dei paterfamilias-i capi famiglia; puerilia è invece
l'abbigliamento che marca chi lo indossa come bambino o minore; muliebria sono
i capi d'abbigliamento della materfamilias; communia quelli che possono essere
indossati da entrambi i sessi; infine i familiarica ovvero gli abiti per i
famigli, i subalterni e gli schiavi di una casa. Un uomo che volesse indossare
abiti adatti alle donne, osserva sempre Ulpiano, rischierebbe di farsi oggetto
di scherno: le prostitute erano le uniche donne a cui era concesso d'indossare
a piacere anche la togamaschile, essendo loro di fatto al di fuori della
categoria sociale e legale normativa indicante la donna. Un frammento del
commediografo Accio sembra riferirsi a un uomo che indossava segretamente
"fronzoli più adatti a una vergine. Un esempio di travestitismo è riferito
in una causa legale, in cui "un certo senatore era abituato a indossare di
sera vestiti da donna. In una delle lezioni di diritto lasciateci da Seneca un
giovane-adulescens viene violentato mente indossava abiti da donna in pubblico,
ma il suo abbigliamento è spiegato come atto di sfida compiuto davanti agli
amici, non come una scelta basata sulla ricerca del piacere erotico. L'ambiguità
di genere era una caratteristica dei sacerdoti della Dea Frigia Cibele:
conosciuti come Galli, il loro guardaroba rituale comprendeva capi di
abbigliamento femminile. Essi sono a volte considerati come un'autentica casta
sacerdotale transgender o transessuale: durante la celebrazione più importante
in onore della Dea, a imitazione di Attis si auto-eviravano presi da smania e
follia sacra. La complessità della religione e del mito di Cibele e Attis viene
esplorata in una delle poesie più lunghe di Catullo. L'Ermafrodito
dormiente, conservato al museo del Louvre. Ermafroditismo e androginia Il
termine ermafroditismo viene riferito a una persona nata con caratteristiche
fisiche di entrambi i sessi (vedi intersessualità); nell'antichità la figura
dell'ermafrodita era una delle questioni primarie riguardanti l'identità di
genere. Plinio il Vecchioosserva nella sua Naturalis historia che "ci sono
anche coloro che sono nati con entrambi i sessi, sono quelli che noi chiamiamo
ermafroditi, un tempo detti androgini" (dal Greco Andr-uomo + Gyn-donna;
un uomo che è anche una donna quindi). Lo storico Diodoro Siculo del I secolo
a.C. scrisse che "alcuni dichiarano che il nascere di creature di questo
tipo sia un evento meraviglioso (teratogenesi) in quanto, essendo un fatto
molto raro, sia annunziatore del futuro, a volte con profezie benevole e altre
con previsioni più malevoli. Isidoro di Siviglia descrive in maniera abbastanza
fantasiosa un ermafrodito come colui "che ha il seno destro di un uomo e
quello sinistro di una donna e dopo l'atto sessuale possono diventare sia il
padre sia la madre dei loro eventuali figli. Secondo il diritto romano un
ermafrodito doveva essere classificato o come maschio o come femmina, non
esistendo una terza possibilità all'interno della categorizzazione giuridica: l'ermafrodito
rappresenta così una "violazione dei confini sociali, in particolare di
quelli fondamentali per la vita quotidiana, come l'essere maschio o l'essere
femmina. Nella religione romana tradizionale la nascita di un ermafrodito
rientrava nell'ambito del prodigium, un evento cioè che segna un'interruzione
nella pace tra Dei e umani; ma Plutarco osserva anche che mentre una volta
erano considerati dei presagi divini, ora gli ermafroditi erano diventati
oggetto di piacere-deliciae e venivano ampiamente contrattati e venduti al
mercato degli schiavi. Ermafrodito in un dipinto murale di Ercolano (prima metà
del I secolo). Nella tradizione mitologica classica Ermafrodito era un
ragazzino molto avvenente e grazioso figlio di Mercurio e Venere. OVIDIO (si
veda) ne ha scrive in dettaglio il racconto più famoso e influente, nelle sue
Metamorfosi sottolineando che, anche se il bel giovane è nel pieno della sua
bellezza e attrattiva adolescenziale, respinse l'amore che gli veniva offerto
esattamente come già aveva fatto Narciso. La ninfa Salmace che lo aveva
scorto lo desiderò immediatamente: rifiutata lei finse di ritirarsi ma poi, appena
il ragazzo cominciò a spogliarsi per poter fare il bagno nel fiume, si slanciò
su di lui abbracciandolo stretto e nel contempo pregando gli Dei di non essere
mai separati. Gli spiriti benevoli accolsero la sua richiesta supplicante e
così i due corpi, quello del ragazzo e quello della ninfa, si fusero in uno
dando luogo a un essere fisicamente bisessuato. Come risultato tutti gli
uomini che andavano a bere dalle acque di quella sorgente avrebbero sentito
sempre più crescere dentro sé caratteri da effeminatoe il morbo
dell'impudicitia. Il mito di Ila, il giovane compagno e amante maschio di
Ercole che venne rapito da una ninfa delle acque (Lympha), condivide con
Ermafrodito e Narciso il tema dei pericoli che si affacciano sul maschio
adolescente nell'età della transizione che lo dovrebbe portare alla
riconosciuta virilità adulta, e che invece ha esiti differenti per ognuno. Raffigurazioni
di Ermafrodito erano molto popolari tra i romani: "Rappresentazioni
artistiche di Ermafrodito portano in primo piano le ambiguità concernenti le
differenze sessuali costitutive di uomini e donne, nonché l'intima ambiguità
esistente in tutti gli atti sessuali... Gli artisti trattano sempre Ermafrodito
in qualità di spettatore di sé stesso, che scopre improvvisamente la sua più autentica
identità sessuale... La figura di Ermafrodito è una rappresentazione altamente
sofisticata, invadendo i confini esistenti tra i due sessi che sembra essere
così chiara nel pensiero classico. Macrobio descrive infine una forma
maschile della Dea Venere la quale aveva il suo culto principale nell'isola di
Cipro: dotata di barba e genitali femminili, indossava invece abiti femminili.
Gli adoratori di tale divinità travestita erano uomini vestiti da donna e donne
vestite da uomini. Il poeta latino LEVIO (si veda) parla dell'adorazione di una
Venere che non si sapeva bene se fosse maschio o femmina (sive femina sive
mas); questi è stato talvolta chiamato Afrodito e in diversi esemplari di
scultura questi si tira su le vesti rivelando d'avere genitali maschili, gesto
tradizionalmente riconducibile a un rito magico dal potere apotropaico.
La transizione da paganesimo a cristianesimoModifica Infine non va
sottovalutato il fatto che, è vero, nel tardo impero romano fu la condanna
cristiana a rendere l'omosessualità un reato (cioè uno stuprum) sempre e
comunque; tuttavia la terminologia usata per giustificare la condanna non è
cristiana, ma è ripresa dalla filosofia greca e non dalla teologica ebraica. Il
concetto di "contro natura", per esempio, viene da Platone, non dalla
Bibbia. Per l'ebraismo, l'omosessualità non è contro natura, ma semmai impura,
abominazione (to'ebah) Lo stesso argomento in dettaglio: Omosessualità ed
Ebraismo. Tuttavia è innegabile che il cristianesimo e la morale giudaica e
testamentaria funzionarono da base e fulcro alle leggi che, successivamente
adottate dagli imperatori cristiani come Costante, Teodosio I e Giustiniano,
proibirono e punirono con la pena capitale il nuovo reato di omosessualità.
Teodosio era infatti fortemente influenzato dal vescovo di Milano
Sant'Ambrogio, tanto che quando promulgò la legge che condannava gli atti
omosessuali passivi era sotto una penitenza assegnata dallo stesso Ambrogioin
un contesto in cui si stava svolgendo una lotta tra ariani e cattolici e in cui
gli "eunuchi", molto influenti nella corte imperiale, erano schierati
per la maggior parte con gli ariani affermando la natura umana di Gesù, ed
esercitavano pressioni nei municipi contro i cristiani niceni, cioè cattolici,
che sostenevano la duplice natura, divina e umana di Gesù, figlio di Dio. Un
anno prima del decreto che puniva gli atti omosessuali, un decreto di Teodosio
tolse agli eunuchi neo-ariani il diritto di fare e ricevere testamento. Sotto
il dominio cristiano Nel Basso Impero il modo di concepire l'omosessualità
cambia via via in modo sempre più restrittivo, fino ad arrivare al codice
Teodosiano che, recependo due leggi precedenti, reprimeva l'omosessualità
passiva e l'effeminatezza con la pena capitale o la mutilazione, mentre con
Giustiniano ogni manifestazione di omosessualità, anche attiva, fu bandita
perché in ogni caso offendeva Dio, con riordino del sistema della persecuzione
criminale e con pena di morte per infanda libido, formulando anche un giudizio
morale ("infanda" = letteralmente che non può esser detta,
innominabile). Le cause di questo cambiamento legislativo, di
irrigidimento e intolleranza sempre più crescente verso l'omosessualità sono
ancora oggi dibattute da alcuni storici e studiosi. Indubbiamente un ruolo
importante fu svolto dalla morale cristiana e dal passaggio del Cristianesimo
da religione segreta e proibita a religione di Stato, unica ammessa in tutto
l'Impero. La morale cristiana infatti, a differenza di quella pagana
greco-romana, considerava comunque peccato l'atto omosessuale, di là dal ruolo
svolto, contrapponendo, alla visione maschilista tipica della società romana
sul sesso, una visione più ascetica e distaccata in cui il sesso era sempre
considerato un peccato e un atto impuro, al di fuori della finalità di unione
nella complementarità sessuale evocata in Genesi e della apertura alla
procreazione, e quindi dividendo le pratiche sessuali in lecite (rapporto tra
uomo-donna atto alla riproduzione, sacralizzato a Dio tramite il matrimonio) e
in illecite (tutto il resto, cioè gli atti sessuali non atti alla riproduzione,
tra cui anche l'omosessualità attiva e passiva, oltre che la
masturbazione). Alcuni studiosi tuttavia ritengono che l'irrigidimento
fosse stato coadiuvato, senza niente togliere alla morale cristiana sempre più
dominante, anche a un certo puritanesimo pagano sempre più crescente di fronte
alla decadenza dei costumi tipica del Tardo Impero. Apollo tra gli amati
Giacinto (mitologia) e Ciparisso, del pittore Ivanov. Scultura di Bissen
che ritrae Ila, bellissimo giovinetto amato da Ercole. Uno dei tanti busti
dedicati d’ADRIANO (si veda) ad Antinoo. Rapporto sessuale tra Antinoo e
l'imperatore Adriano in uno dei tanti dipinti erotici di Édouard-Henri
Avril. Corteo trionfale del dio Bacco. Mosaico del II secolo. Busto
romano di ragazzo (forse Polydeukes amato da Erode Attico), conservato
all'Ermitage di San Pietroburgo Craig Williams, Roman Homosexuality (Oxford,
citando Saara Lilja, Homosexuality in Republican and Augustan Rome (Societas
Scientiarum Fennica, Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Williams, Roman
Homosexuality (Oxford Williams, Roman Homosexuality, passim; Elizabeth Manwell,
"Gender and Masculinity," in A Companion to Catullus (Blackwell,
Habinek, "The Invention of Sexuality in the World-City of Rome," in
The Roman Cultural Revolution (Cambridge McGinn, Prostitution, Sexuality and
the Law in Ancient Rome (Oxford. Si
veda la dichiarazione conservata in Aulo Gellio sul fatto che vim in corpus
liberum non aecum adferri). Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo
antico-"Bisexuality in the Ancient World" (Yale, originariamente in
italiano), Fantham, "The Ambiguity of Virtus in Lucan's Civil War and
Statius' Thebiad," Arachnion; Bell, CICERONE (si veda) and the Spectacle
of Power," Journal of Roman Studies Ramage, “Aspects of Propaganda in the
De bello gallico: GIULIO (si veda) CESARE’s Virtues and Attributes,” Athenaeum;
Myles Anthony McDonnell, Roman manliness: virtus and the Roman Republic, Cambridge;
Rhiannon Evans, Utopia Antiqua: Readings of the Golden Age and Decline at Rome
(Routledge, Lopez, "Before Your Very Eyes: Roman Imperial Ideology, Gender
Constructs and Paul's Inter-Nationalism," in Mapping Gender in Ancient
Religious Discourses (Brill, Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, p. xi; Marilyn B.
Skinner, introduzione a Roman Sexualities (Princeton Langlands, Sexual Morality
in Ancient Rome (Cambridge Per un ulteriore approfondimento su come l'attività
sessuale definisce il libero cittadino rispettabile dallo schiavo considerato
non-persona e quindi passibile di qualsiasi abuso, vedi anche la voce
Sessualità nell'antica Roma nella parte riguardante la relazione
schiavo-padrone. ^ Amy Richlin, The Garden of Priapus: Sexuality and Aggression
in Roman Humor (Oxford Edwards, "Unspeakable Professions: Public
Performance and Prostitution in Ancient Rome," in Roman Sexualities,
Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," in A Companion to the Roman
Empire (Blackwell La legge ha cominciato con l'indicare pene più severe per le
classi più basse (humiliores) rispetto all'elite (honestiores). ^ Questo è un
tema esposto da Barton, The Sorrows of the Ancient Romans: The Gladiator and
the Monster (Princeton Liber (Catullo) Carmina Elegie (Tibullo) Cantarella,
Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico (Yale, originariamente in
italiano) Svetonio, Vita di Cesare; Carmina, Svetonio, Vita di Cesare, (Vita di
Augusto) Osgood, J. Caesar's Legacy: Civil War and the Emergence of the Roman
Empire, CUP, in books.google. com Plutarco, penelope. uchicago. edu/Thayer/E/ Roman/Texts/
Plutarch/Lives/Antony Vite parallele: Antonio] Fraquelli Omosessuali di destra
Svetonio, Vite dei Cesari: Tiberio Svetonio, Vite dei Cesari: Vitellio III.
Cassio Dione,; Tacito, Agricola, Cassio Dione, Pollione&source= bl&ots=ma--4gCTxi&sig=
BLfjJsIiqk0vwvEuu2 VA Qh45m2Q&hl=it &sa=X &ei= UQ2vVOTfHMf7 ygOVl4K4
CA&ved=0CCYQ6A EwAQ#v= onepage&q= Clodio%20 Pollione& f=false ^
Silvae, Marziale Epigrammi (Marziale) NAr3Riy4EYMC &pg =PA60&lpg= PA60&dq=
Clodio+Pollione& source=bl&ots= FTuncuSDtC&sig= Hwrnh0vVLuL C6digxZLfe
KFhMyE&hl =it&sa= X&ei=UQ2vVO TfHMf7 yg OVl4K4CA&ved= 0 CDAQ6AEw
Aw#v=onepage &q= Clodio%20 Pollion e&f=false M. Fraquelli Omosessuali di destra; Mambella,
Antinoo. L'ultimo mito dell'antichità nella storia e nell'arte, Ed. Nuovi
Autori, Milano Luciano di Samosata, Dialoghi e epigrammi IG Polydeukion, su
Aedicula Antinoi: A Small Shrine of Antinous. Lambert, Beloved and God: The Story of Hadrian and
Antinous, Luciano de Samosata, I dialoghi e gli epigrammi, Casini/I dioscuri,
Genova, Clarke, Looking at Lovemaking: Constructions of Sexuality in Roman Art
100 B.C.–A.D. 250 (University of California Press, Clarke, Looking at
Lovemaking, Habinek, The Invention of Sexuality in the World-City of
Rome," in The Roman Cultural Revolution, Williams, Roman Homosexuality,
Richlin, "Pliny's Brassiere," in Roman Sexualities, Fredrick, The
Roman Gaze: Vision, Power, and the Body (Johns Hopkins Zanker, The Power of
Images in the Age of Augustus, Michigan Pollini, "The Warren Cup:
Homoerotic Love and Symposial Rhetoric in Silver," Art Bulletin Clarke,
Looking at Lovemaking: Constructions of Sexuality in Roman Art, California,
asserts that the Warren cup is valuable for art history and as a document of
Roman sexuality precisely because of its "relatively secure date. Pollini, "The Warren Cup, Pollini, "Warren
Cup," Pollini, "Warren Cup, Marabini Moevs, “Per una storia del
gusto: riconsiderazioni sul Calice Warren,” Ministero per i Beni e le Attività
Culturali Bollettino d'Arte Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo
antico, Courtney, The Fragmentary Latin Poets, Oxford MacMullen, "Roman
Attitudes to Greek Love," Historia Halperin, "The First
Homosexuality?" in The Sleep of Reason: Erotic Experience and Sexual
Ethics in Ancient Greece (Chicago, with criticism of MacMullen. Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo
antico, p. xi; Skinner, introduzione a Roman Sexualities, Cantarella, Secondo
natura. La bisessualità
nel mondo antico; Skinner, introduzione a Roman Sexualities, Vedi i Carmina
Pollini, "The Warren Cup: Homoerotic Love and Symposial Rhetoric in
Silver," Art Bulletin Richlin, "Not before Homosexuality: The
Materiality of the cinaedus and the Roman Law against Love between Men, Journal
of the History of Sexuality LUCREZIO (si veda), De rerum natura). Vedi anche Sessualità nell'antica Roma#Rapporti
omosessuali; Prima che sia peccato. L'omosessualità nella letteratura latina. A cura di
Manni, Williams, Roman Homosexuality VIRGILIO (si veda), Eneide, Petrini, The
Child and the Hero: Coming of Age in Catullus and Vergil (University of
Michigan, Winn, The Poetry of War (Cambridge Ecloga Tibullo, Elegie (Tibullo)-
Properzio OVIDIO (si veda), Ars Amatoria; Pollini, "Warren Cup,"
Metamorfosi (Ovidio) Habinek, "The Invention of Sexuality in the
World-City of Rome, Crompton, Byron and Greek Love (London, CIL; tr. from
Hubbard, Homosexuality, Petronius: Satyricon, Aelius Lampridius: Scripta
Historia Augusta, Commodus, Ausonius, Epigramma Green Kuefler, The Manly
Eunuch: Masculinity, Gender Ambiguity, and Christian Ideology in Late Antiquity
(University of Chicago RIchlin, "Not before Homosexuality," RIchlin,
The Garden of Priapus, Svetonio, Vita di Cesare; Richlin, "Not before
Homosexuality," Come citato da Cantarella, Bisexuality in the Ancient
World, Cantarella, Bisexuality in the Ancient World, Richlin, "Not before
Homosexuality," Williams, Roman Homosexuality, Williams, Roman
Homosexuality, Williams, Roman Homosexuality, Williams, Roman Homosexuality,
Williams, Roman Homosexuality. Butrica, "Some Myths and Anomalies in the
Study of Roman Sexuality," in Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman
Antiquity, confronta l'uso di cinaedus come "faggot" nella canzone
dei Dire Straits intitolata "Money for Nothing", in cui un cantante è
chiamato esplicitamente "that little faggot with the earring and the
make-up" e "gets his money for nothing and his chicks for free. Williams,
Roman Homosexuality, Williams, Roman Homosexuality, Cantarella, Secondo natura.
Bisesualità nel mondo antico, Catullus, Carmen Butrica, "Some Myths and
Anomalies in the Study of Roman Sexuality," Richlin, "Not before
Homosexuality; Ronnie Ancona, "(Un)Constrained Male Desire: An
Intertextual Reading of ORAZIO (si veda) Odes and Catullus Poem 61," in
Gendered Dynamics in Latin Love Poetry (Hopkins, Petrini, The Child and the Hero:
Coming of Age in Catullus and Vergil (University of Michigan Williams, Roman
Homosexuality: Martial: "quartus cinaeda fronte, candido voltu / ex
concubino natus est tibi Lygdo: / percide, si vis, filium: nefas non est. Cantarella, Bisexuality in the Ancient World;
Robinson Ellis, A Commentary on Catullus (Cambridge Petrini, The Child and the
Hero, Quintiliano, Institutio oratoria, disapprova la frequentazione sia di
concubini sia di (amicae) di fronte ai propri figli. Ramsey MacMullen, "Roman
Attitudes to Greek Love," Historia Williams, Roman Homosexuality, citing
Martial: tuoque tristis filius, velis nolis, cum concubino nocte dormiet prima
Caesarian Corpus, De Bello Hispaniensi; MacMullen, "Roman Attitudes to
Greek Love, They use the word Catamitus for Ganymede, who was the concubinus of
Jove," according to the lexicographer Festus (as cited by Williams, Roman
Homosexuality, Butrica, "Some Myths and Anomalies in the Study of Roman
Sexuality," in Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity, Parker,
"The Teratogenic Grid," in Roman Sexualities, p. 56; Williams, Roman
Homosexuality. Parker, "The Teratogenic Grid, citing Martial Richlin,
"Not before Homosexuality," Williams, Roman Homosexuality, Richlin,
"Not before Homosexuality," Richlin, "Not before Homosexuality;
Williams, Roman Homosexuality, Richlin, Not before Homosexuality, Fantham,
"Stuprum: Public Attitudes and Penalties for Sexual Offences in Republican
Rome," in Roman Readings: Roman Response to Greek Literature from Plautus
to Statius and Quintilian (Walter de Gruyter, Richlin, "Not before
Homosexuality," Williams, Roman Homosexuality, Manwell, "Gender and
Masculinity, A Companion to Catullus, Blackwell, Vioque, Manwell, "Gender
and Masculinity," Verstraete and Vernon Provencal, introduction to
Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity and in the Classical
Tradition (Haworth Vout, Power and Eroticism in Imperial Rome (Cambridge (for
Sporus in Alexander Pope's poem "Epistle to Arbuthnot", see Who
breaks a butterfly upon a wheel?). Keith, "Sartorial Elegance and Poetic
Finesse in the Sulpician Corpus," in Roman Dress and the Fabrics of Roman
Culture, Antolín, Lygdamus. Corpus Tibullianum: Lygdami Elegiarum Liber (Brill,
Vioque, Fitzgerald, Slavery and the Roman Literary Imagination (Cambridge. As
at Orazio, Satire e Svetonio, Vita di Caligola, as noted by Dutsch, Feminine
Discourse in Roman Comedy: On Echoes and Voices (Oxford See also Plauto,
Poenulus, come osserva Saller, "The Social Dynamics of Consent to Marriage
and Sexual Relations: The Evidence of Roman Comedy," in Consent and
Coercion to Sex and Marriage in Ancient and Medieval Societies (Dumbarton Oaks,
Le parole pullus e puer possono derivare dalla stessa radice Indo-Europea; vedi
Martin Huld, la definizione "child," nell' Encyclopedia of
Indo-European Culture (Fitzroy Dearborn, Richlin, The Garden of Priapus:
Sexuality and Aggression in Roman Humor (Oxford University Press, Festus in the
Teubner edition of Lindsay; Williams, Roman Homosexuality, Leclercq, Histoire
de la divination dans l'antiquité (Millon Richlin, The Garden of Priapus, Richlin,
The Garden of Priapus, trova la reputazione di Eburno come pulcino di Giove e
la sua successiva estrema severità contro l'impudicitia del figlio come molto
significativa e stimolante. CICERONE (si veda), Pro Balbo; VALERIO (si veda)
Massimo; Pseudo-Quintiliano, Decl; Paolo Orosio; Broughton, The Magistrates of
the Roman Republic (American Philological Association, Kelly, A History of
Exile in the Roman Republic (Cambridge; Richlin, The Garden of Priapus. Williams,
Roman Sexuality. As at Apuleio, L'asino d'oro; Cicerone, Pro Caelio (in
riferimento al suo nemico personale Publio Clodio Pulcro); Adams, The Latin
Sexual Vocabulary (Johns Hopkins Geffcken, Comedy in the Pro Caelio
(Bolchazy-Carducci, Giovenale, Satire; Erik Gunderson, "The Libidinal
Rhetoric of Satire," in The Cambridge Companion to Roman Satire, Cambridge
Richlin, The Garden of Priapus, Glossarium codicis Vatinici, Corpus Glossarum
Latinarum IV p. xviii; see Götz, Rheinisches Museum Primarily Amy Richlin, as
in "Not before Homosexuality. Plautus, Curculio Williams, Roman
Homosexuality, As summarized by Clarke, "Representation of the Cinaedus in
Roman Art: Evidence of 'Gay' Subculture," in Same-sex Desire and Love in
Greco-Roman Antiquity, Cicerone, Fillippiche, citato da Williams, Roman
Homosexuality Williams, Roman Homosexuality, Martial; Juvenal. Williams, Roman
Homosexuality, Hersh, The Roman Wedding: Ritual and Meaning in Antiquity
(Cambridge Vout, Power and Eroticism in Imperial Rome (Cambridge, Williams,
Roman Homosexuality, Le fonti sono citate da Williams, Roman Homosexuality,
Dione Cassio; Williams, Roman Homosexuality. Tra gli altri: Durant; Koranyi Williams, Roman
Homosexuality, citando Dione Cassio e Elio Lampridio. Cassio Dione, Historia
Augusta, Cassio Dione, Erodiano Cassio Dione, Benjamin Godbout Richlin,
"Not before Homosexuality,". As recorded in a fragment of the speech De Re Floria
by CATONE (si veda) the Elder (frg. Jordan = AULO GELLIO (si veda), as noted and
discussed by Richlin, "Not before Homosexuality," Digest Richlin,
"Not before Homosexuality,". See also Digest on legal definitions of
rape that included boys. Richlin, "Not before Homosexuality,"
Cantarella, Bisexuality in the Ancient World, McGinn, Prostitution, Sexuality
and the Law, Williams, Roman Homosexuality. Digest, as noted by Richlin,
"Not before Homosexuality," Richlin, The Garden of Priapus, in
Marziale, Williams, Roman Homosexuality; Skinner, introduzione a Roman
Sexualities; Richlin, "The Meaning of irrumare in Catullus and
Martial," Classical Philology. Williams, Roman Homosexuality (con un
esempio proveniente da Marziale Edwards, The Politics of Immorality in Ancient
Rome (Cambridge) Valerio Massimo; Richlin, "Not before Homosexuality,"
Richlin, "Not before Homosexuality," Quintiliano, Institutio
oratoria; Richlin, "Not before Homosexuality," Richlin, "Not
before Homosexuality, citando il passaggio proveniente da Quintiliano. ^ Men of
the governing classes, who would have been officers above the rank of
centurion, were exempt. Pat Southern, The Roman Army: A Social and
Institutional History (Oxford University Press, Phang, The Marriage of Roman
Soldiers: Law and Family in the Imperial Army (Brill, Phang, The Marriage of
Roman Soldiers, Phang, Roman Military Service: Ideologies of Discipline in the
Late Republic and Early Principate (Cambridge University Press, Phang, Roman
Military Service. See section above on male rape: Roman law recognized that a
soldier might be raped by the enemy, and specified that a man raped in war
should not suffer the loss of social standing that an infamis did when
willingly undergoing penetration; Digest, as discussed by Richlin, "Not
before Homosexuality, McGinn, Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient
Rome (Oxford Polibio, Storie (metodo antico di bastinado). Phang, The Marriage
of Roman Soldiers, Phang, Roman Military Service, citing among other examples Juvenal,
Satire Lo stesso nome è citato anche altrove in Plozio Tucca. Plutarco, Vita di Mario; vedi anche Valerio Massimo;
Cicerone, Pro Milone, in Dillon e Garland, Ancient Rome,; in Dionigi di
Alicarnasso 16.4. Discussione di
Phang, Roman Military Service, e The Marriage of Roman Soldiers, Cantarella,
Secondo natura. La bisessualità nell'antica Roma, Ovidio, Metamorfosi (Ovidio),
citato in Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," Brooten, Love
between Women: Early Christian Responses to Female Homoeroticism, Chicago, The
Latin indicates that the I is of feminine gender; CIL, as cited by Richlin,
"Sexuality in the Roman Empire," Brooten, Love between Women,Luciano,
Dialoghi delle cortigiane. Walters, "Invading the Roman Body: Manliness
and Impenetrability in Roman Though, and Gordon, "The Lover's Voice in
Heroides: Or, Why Is Sappho a Man?," p. 283, both in Roman Sexualities;
Clarke, "Look Who's Laughing at Sex: Men and Women Viewers in the
Apodyterium of the Suburban Baths at Pompeii," both in The Roman Gaze,
Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," Swancutt, "Still
before Sexuality: 'Greek' Androgyny, the Roman Imperial Politics of Masculinity
and the Roman Invention of the tribas," in Mapping Gender in Ancient
Religious Discourses (Brill), Martiale, 50; Richlin, "Sexuality in the
Roman Empire, Clarke, Looking at Lovemaking: Constructions of Sexuality in
Roman Art, California Press, Clarke, Looking at Lovemaking, Digest, as cited by
Richlin, "Not before Homosexuality," Edwards, "Unspeakable
Professions," Cum virginali mundo clam pater: Kelly Olson, "The
Appearance of the Young Roman Girl, in Roman Dress and the Fabrics of Roman
Culture(University of Toronto Press, Digest as cited by Richlin, "Not
before Homosexuality," Vedi sopra alla sezione stupro maschio-maschio. Lucio
Anneo Seneca il Vecchio, Controversia; Richlin, Not before Homosexuality, Murray,
Homosexualities (Chicago, Bachvarova, "Sumerian Gala Priests and Eastern
Mediterranean Returning Gods: Tragic Lamentation in Cross-Cultural Perspective,
Lament: Studies in the Ancient Mediterranean and Beyond (Oxford University
Press, Clarke, Looking at Lovemaking, Taylor, The Moral Mirror of Roman Art (Cambridge)
Pliny, Natural History: gignuntur et utriusque sexus quos hermaphroditos
vocamus, olim androgynos vocatos; Veronique Dasen, "Multiple Births in
Graeco-Roman Antiquity," Oxford Journal of Archaeology Diodorus Siculus, Roscoe,
"Priests of the Goddess: Gender Transgression in Ancient Religion,"
in History of Religions, Isidoro di Siviglia, Etimologie, Roller, "The
Ideology of the Eunuch Priest," Gender & History, Roscoe,
"Priests of the Goddess," Plutarco, Moralia; Dasen, "Multiple
Births in Graeco-Roman Antiquity," Ovid, Metamorphoses Taylor, The Moral
Mirror of Roman Art; Clarke, Looking at Lovemaking, Taylor, The Moral Mirror of
Roman Art, Paulus ex Festo; Richlin, "Not before Homosexuality,"
Taylor, The Moral Mirror of Roman Art, Clarke, Looking at Lovemaking, Macrobio,
Saturnalia, Macrobio dice che Aristofane chiama una tale figura col nome di
Aphroditos. Ensslin, Die Religionspolitik des Kaisers Theodosius des Grossen,
Monaco, In: Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften,
Philosophisch-historische Klasse,Atanasio, Storia degli Ariani, Codice di
Teodosio. Gaio Valerio Catullo, I Carmi. Publio
Virgilio Marone, Bucoliche. Albio Tibullo, Elegie. Tito Petronio Nigro,
Satyricon. Ensslin, Die Religionspolitik des Kaisers Theodosius des Grossen,
Monaco, Foucault, La volontà di sapere. (Storia della sessualità), Feltinelli,
Milano Foucault, L'uso dei piaceri. (Storia della sessualità), Feltrinelli,
Milano Williams: Roman Homosexuality, Ideologies of Masculinity in Classical
Antiquity. in: Oxford: Ideologies of Desire. Oxford, Vioque, Martial, A Commentary, traduzione di
Zoltowski, Brill, Hubbard: Homosexuality in Greece and Rome, a Sourcebook of
Basic Documents. Los Angeles, London, Cantarella, Secondo
natura - La bisessualità nel mondo antico, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, RAYOR, Homosexuality
in Greece and Rome: A sourcebook of basic documents. Univ of California Press, Voci correlate Storia LGBT
Omosessualità nell'antica Grecia Omosessualità nel Medioevo Pederastia
Pederastia greca Storia dell'omosessualità in Italia Altri progettiModifica
Collabora a Commons Commons contiene immagini o altri file su omosessualità
nell'Antica Roma Portale Antica Roma Portale LGBT Lex
Scantinia Sessualità nell'antica Roma Terminologia dell'omosessualità – Grice:
“And then there’s Roman sex”. Grice: “Like me in ‘Some remarks about the senses, Fardella with Giorgi
follow Lucrezio’s materialism, -- and Cicero’s sensible terminology on
sensibilia!” Michelangelo Fardella. Fardella. Keywords: metafisica, ontologia,
razionalismo, aritmetica, geometria, solipsismo, percezione, vedere – sentire –
atomismo di lucrezio, sensismo di Giorgi – Cartesio is actually borrowing it
all from Platone’s Timeo – for whom the world is also only interpretable ‘more
geometrico’. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fardella”
– The Swimming-Pool Library.
Grice e Fariano: la ragione conversazionale e il
circolo di Giuliano -- Roma antica -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza
(Roma). Filosofo romano. Friend of Giuliano. Studies philosophy with Giuliano and Eumenio.
Grice e Fassò: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Igitur est RES
PVBLICA RES POPVLI – l’implicatura di Bruto – scuola di Bologna – filosofia
bolognese – filofosia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo
bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Bologna, Emilia. Grice: “I
like Fassò; for one,
he was, like my friend H. L. A. Hart, a philosophical lawyer! But unlike Hart,
Fassò, being a Roman, knew what he was talking about!” “My favourite is his
explication of Bruto’s reaction when being brought the corpses of his two
sons!” Fassò, mi viene a conforto col suo ottimo
lavoro, che dà una diligentissima ed acuta interpretazione ed esposizione del
corso non già logico ma storico, o per meglio dire, psicologico della
formazione della Scienza nuova; esposizione che è utile possedere e che si
segue con curiosità. Con pari bravura è condotta la ricerca di quel che VICO
attinse o credette di attingere ai quattro suoi autori. Croce, Illusione degli
autori sui “loro” autori,). Figlio di Ernesto, generale dell'esercito, e
Caterina Barbieri, discendente dalle famiglie Barbieri (il di lei nonno è
Lodovico Barbieri) e Dallolio (Maria Sofia, moglie di Lodovico, era sorella di
Alberto e Alfredo Dallolio), trascorre i suoi primi anni, fino all'adolescenza,
fra il Piemonte (Mondovì), l'Emilia-Romagna (Parma) e la Lombardia (Mantova).
Temperamento religioso, ereditato dall'educazione famigliare e dalla
frequentazione con un anziano sacerdote, si caratterizza sempre per il rigore
negli studi (perciò Mazzetti, suo compagno di gioventù, poté definirlo schivo
degli incontri e quasi della società, teso in un impegno di chiarezza mentale,
di serietà e finezza di sentire. Conseguita la maturità classica al Virgilio di
Mantova, si laurea a Bologna, sotto Borsi con “L'elemento demografico nelle
provvidenze assistenziali a favore dei lavoratori: la legislazione del lavoro”.
Dopo aver rinunciato ad impiegarsi come funzionario nell'unione industriale, ottiene
anche la laurea in Filosofia, sotto SAITTA (si veda), con “Vico e Michelet”. Confide
poi al suo allievo,Pattaro, che la scelta della filosofia, lungi dall'essere
redditizia, è un matrimonio con «madonna povertà», cui egli, tuttavia, non
volle sottrarsi, non essendo versato, come rivelò a Nicolini, nella
«professione forense. Svolse, quindi, l'attività di docente di storia e
filosofia, inizialmente come supplente al "Galvani" di Bologna, poi a
Forlì e, infine, al Liceo Righi di Bologna. Il suo saggio, dedicato a Vico nel
pensiero del suo primo traduttore francese, che, però, a causa
dell'indisponibilità degli editori, sarebbe stato pubblicato, grazie
all'intervento di Saitta come memoria dell'Accademia delle scienze
dell'Istituto di Bologna. Vicino al Partito Liberale Italiano, a guerra
conclusa accetta di candidarsi, per il medesimo partito, alle elezioni comunali
bolognesi. Divenuto assistente volontario di Filosofia del diritto
nell'Ateneo felsineo, fu convinto da Felice Battaglia a concorrere per la
libera docenza, che ottenne. Nel medesimo anno, al Parma, gli viene quindi
assegnato l'incarico in Filosofia del diritto. Aggiudicatosi l'ordinariato, si
trasferì successivamente a Bologna, dove insegnò filosofia giuridica, presso la
Facoltà di Giurisprudenza, e Storia delle dottrine politiche, nella Facoltà di
Lettere e Filosofia. Si occupa di studi vichiani (della cui validità
scientifica è testimonianza una epistola di Solari, in cui si apprende che
l'interpretazione giuridica della Scienza nuova proposta da F. supera la
visione Croce-Nicolini, ponendosi al livello qualitativo di quelle di Fubini e
di Donati) e groziani, della cura e traduzione dei Prolegomeni al diritto della
guerra e della pace di Grozio e scrisse VICO (si veda) e Grozio, nonché, la
Storia della filosofia del diritto in tre volumi, giudicata da Bobbio come la
storia della filosofia del diritto più completa» esistente sulla faccia della
terra. Oltre Croce, F. criticò anche GENTILE (si veda), autore di una
concezione speculativa indubbiamente grandiosa, che si risolveva, però, in vana
retorica, negante, entro la dialettica dello spirito, la realtà del fenomeno
giuridico. Fra le altre opere, La democrazia in Grecia; Il diritto naturale;
dello stesso anno è La legge della ragione, considerata una «tra le opere
migliori di filosofia del diritto uscite in Italia» al tempo, e consistente in
una «appassionata rivalutazione» del diritto naturale; Società, legge e
ragione, apparso nell'anno della morte (i due ultimi volumi citati, tuttavia,
ripropongono scritti precedenti). Le pubblicazioni in cui si esprime con più
chiarezza l'ispirazione teoretica di F. sono, invece, La storia come esperienza
giuridica (in cui, ha commentato BOBBIO
(si veda) si dimostra che tutti i rapporti che l'uomo ha con gli altri uomini,
contengono un germe di organizzazione, e quindi sono istituzioni giuridiche») e
Cristianesimo e società, che susciterà un vivace dibattito nell'ambiente
cattolico, incontrando financo il favore di Prezzolini. Il suo testament disponeva
funerali semplici, «senza fiori e senza seguito di estranei. In un codicillo,
inoltre, soggiungeva che, se si trovassero miei scritti incompiuti, manoscritti
o dattilografati, non si stampino, perché non possono essere stati riveduti
come avrei ritenuto necessario», congiuntamente all'invito a non raccogliere
«in volume opuscoli sparsi o scritti minori, operazione che non dovrebbe mai
esser fatta se non dall'autore». Alla memoria di F., oltre che a quella di
Gaudenzi, è intitolato il Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del
Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica a Bologna,.
Benché F. abbia apprezzato il Romano sostenitore della concezione non
normativistica del diritto, egli non poté tacerne il limite, consistente
nell'assenza di una «definizione esauriente» dell'istituzione, dovuto alla
volontà di Romano di tenersi «fuori dal campo della filosofia». Il più limpido
storico del giusnaturalismo». Formatosi filosoficamente nella temperie
culturale neoidealistica, Fassò se ne distaccò, rifiutandone soprattutto
l'immanentismo, con La storia come esperienza giuridica, opera ispirata dalle
suggestioni istituzionalistiche di Romano (ma di questi deplorerà, nella
successiva Storia della filosofia del diritto, il circolo vizioso, per cui una
istituzione è giuridica solo quando è giuridica. A Croce, che faceva coincidere
storia e filosofia, F. replica con l'identificazione di storia e giuridicità,
estendendo il concetto di istituzione — contrariamente a quanto aveva fatto
Romano, e risolvendone così il circolo vizioso — a tutti gli aspetti della vita
sociale, cioè della vita dell'uomo nella storia, che è sempre vita dell'uomo in
società. L'elisione dell'identità fra realtà storica e razionalità filosofica
non implica la rimozione dell'Assoluto, ma egli ne negava ogni possibilità
conoscitiva, ricadendo la «concreta unità del reale» (sotto l'aspetto
gnoseologico) nell'ambito del privo di senso, sebbene restasse attingibile in
uno slancio mistico, descritto, in una pagina de La legge della ragione, come
partecipazione dell'«uomo al valore divino, ma solo quando si faccia anch'egli
Dio per unirsi a lui, trascendendo la propria umanità, la propria soggettività
empirica, storica». È importante tener fermo come Fassò, quantunque abbia
legato l'Assoluto a uno slancio mistico, non si sia fatto teorico di un irrazionalismo
misticheggiante, ma — giusta l'osservazione di Vallauri — abbia formulato un
«dittico» in cui si afferma, da un lato, la «sopragiuridicità dell'etica intesa
come esperienza religiosa» e, dall'altro, «la funzione essenziale della ragione
giuridica nel mondo. Proprio il riconoscimento della centralità della ragione
giuridica nel governo della «concreta molteplicità del reale» costituì, per F.,
un ulteriore motivo critico nei confronti dell'anti-gius-naturalismo crociano,
da cui, dopo l'approfondimento della storia del giusnaturalismo, prese più
convintamente le distanze. La concezione giusnaturalistica fassoiana, infatti,
cerca di non cadere nell'errore proprio della tradizione precedente (errore che
nella Storia della filosofia del diritto, non esitò a indicare quale «difetto
capitale» della scuola del diritto naturale, consistente nell'astrattismo e nel
conseguente antistoricismo), intendendo il diritto naturale quale ordine che
nasce dalla storia, e nel quale l'uomo non può non essere inserito proprio per
la sua dimensione storica, che è la sua dimensione essenziale. Medaglia d'oro
ai benemeriti della scuola della cultura e dell'artenastrino per uniforme
ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte. Croce,
Illusione degli autori sui “loro” autori, su Quaderni della Critica, Laterza, Ora
anche in Id., Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Savorelli, Napoli,
Bibliopolis, Cfr. Garin, Cronache di filosofia italiana, Bari, Laterza. La sua
ricerca di Saitta, anche storica, sembra inscindibile da una polemica e da una
protesta. Polemica e protesta che attraversano ugualmente l'attività così di
Calogero come dello Spirito, annoverati talora col Saitta fra gli esponenti
della sinistra gentiliana, e come lui accusati a volte, e non certo
benevolmente, di crocianesimo». Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio
del pensiero di F.. F. segue con particolare attenzione i corsi di Saitta, che
gli suggerì di approfondire Michelet, che lo avrebbe condotto a Vico. Scheda senatore Dallolio, su Scheda senator
Dallolio, su senato. Le parole di Mazzetti sono riportate in Faralli, Il
maestro e lo studioso, in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino,
Elenco dei laureati e diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno
Accademico, Bologna, Società Tipografica già Compositori,Elenco dei laureati e
diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno Accademico. Bologna,
Tipografia Compositori, Pattaro, Alcuni ricordi personali e cenni sulla
gnoseologia, ontologia e concezione della filosofia di F., in Rivista di
filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino. “Mi disse che ci sarebbe stato un
concorso per assistente ordinario alla cattedra e mi chiese se fossi
interessato a partecipare. Ma mi prevenne con due avvertimenti sui quali avrei
dovuto meditare prima di dargli una risposta. Essi sono: "chi fa filosofia
del diritto in una facoltà di Giurisprudenza sposa madonna povertà e nell'università
occorre sapere ingoiare amaro e sputare dolce perché l'intelligenza degli
accademici è di regola superiore a quella dei comuni mortali, e ciò implica che
essi siano capaci di cattiverie più raffinate e perfide di quelle di cui sono
capaci i comuni mortali. La citazione è tratta dal carteggio Fassò-Nicolini,
richiamato da E. Pattaro, nel suo Sull'Assoluto. Contributo allo studio del
pensiero di F., premesso. In altre lettere allo stesso Nicolini, scrive di non
sentire nessuna vocazione per la professione forense. Curriculum vitae di
Andrea Fassò, Consiglio Nazionale del Notariato.. Gli studi vichiani di F., in
Bollettino del Centro Studi Vichiani, Napoli, Guida, Ha ultimato VICO nel
pensiero del suo primo traduttore francese nel ma causa la difficoltà di
trovare un editore — non gli fu possibile pubblicarlo allora: soltanto poté
presentarlo all'Accademia delle scienze di Bologna per il tramite di Saitta. Pattaro,
Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F., in F., Scritti di
filosofia del diritto, Pattaro, Faralli,
Zucchini, Milano, Giuffrè. Dopo i disagi della guerra, aveva ripreso le
proprie ricerche incoraggiato da Battaglia, che lo convinse ad affrontare
l'esame di libera docenza in filosofia del diritto. Conseguita la libera
docenza in filosofia del diritto, F. ebbe il suo primo incarico in questa
materia, a Parma. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Battaglia, F.:
in memoria, in Rivista di filosofia del diritto [giunse] alla libera docenza, e
nello stesso anno lo abilitarono a tenere l'incarico della filosofia del
diritto nella Parma, ove divenne professore della materia. Passa all'Bologna,
dove rimase titolare della disciplina, tenuta con alto prestigio e qualificata
dignità fino alla morte che ne chiuse la laboriosa giornata». Pattaro, Gli studi vichiani di F., in
Bollettino del Centro Studi Vichiani, Napoli, Guida. Tra le carte personali di
F. ho trovato una cartolina postale, vergata fitta fitta da Solari. In essa,
tra le altre cose, è scritto: ‘Da tempo ero convinto della verità della interpretazione
giuridica della Scienza Nuova: ma Lei ne ha dato ampia, profonda, persuasiva
dimostrazione. La cautela con cui è sostenuta è frutto della Sua modestia, e
della Sua serietà di studioso. Il suo saggio sui quattro autori può stare a
paro cogli scritti vichiani di Donati e Fubini e supera la visione
Croce-Nicolini che sul punto della genesi giuridica della scienza nuova stanno
ancora sulle generali. Finalmente esiste in Italia (dico in Italia, ma potrei
dire sulla faccia della terra) una storia della filosofia del diritto, non
angustamente scolastica, non puramente nozionistica e per di più complete. Così
Bobbio saluta la Storia della filosofia del diritto. In tutta la filosofia del
Gentile si ha una concezione speculativa indubbiamente grandiosa, ma che si
risolve in vana retorica, negante l'esperienza della realtà effettuale. Non è
tuttavia dalla negazione della molteplicità dei soggetti che discende la
negazione della realtà del diritto nella filosofia gentiliana. Come in quella
del Croce, essa è compiuta in relazione alla dialettica dello spirito, cioè del
soggetto assoluto. È importante, infine, sottolineare il valore di impegno
civile che il filosofo bolognese riconosceva al testo e che ad esso venne
riconosciuto dalla traduzione greca. Thessalonike, Poseidonas], all'epoca della
dittatura militare in Grecia». Bobbio,
Giusnaturalismo e positivismo giuridico, prefazione di Ferrajoli, Roma-Bari,
Laterza, Bobbio, La filosofia del
diritto in Italia, in Jus, Milano, Faralli,
I momenti della riflessione critica su F., Prezzolini chiosa Cristianesimo e
società sia in un articolo su Il resto del carlino sia nel libro Cristo e/o
Machiavelli. Conservo la prima edizione di Cristianesimo e società, egli scrive.
La volli come compagna perché dovevo moltissimo a quel libro, cioè non dirò
l'apertura, ma la conferma dotta, serena, eppure appassionata di un punto di
vista importante. Prezzolini ritiene di aver trovato in Fassò, argomentate con
un'alta filologia, sempre al corrente della produzione critica e accompagnata
dalla conoscenza dei testi filosofici, quelle stesse idee che anch'egli aveva
manifestato ‘lanciate piuttosto da un intuito che da un sapere storico Annuario,
Bologna, Tipografia Compositori, Pattaro, Ricordo, in Rivista trimestrale di
diritto e procedura civile, Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del
Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica, sStoria
della filosofia del diritto, edizione aggiornata Faralli, Roma-Bari, Laterza. Romano si tiene
deliberatamente fuori dal campo della filosofia, non sfruttando neppure quegli
indirizzi di essa, primo fra tutti quello del Croce, che potevano valere a
suffragar la sua tesi. Questa è sostenuta unicamente sul terreno della
considerazione empirica del diritto, e non vuole avere né premesse né
conclusioni che stiano al di fuori o al di sopra di essa. Neppure il Romano dà
del concetto di istituzione una definizione esauriente». Marini, Il giusnaturalismo nella cultura
filosofica italiana del Novecento, in Storicità del diritto e dignità dell'uomo,
Napoli, Morano, Cfr. Matteucci, recensione a F., Cristianesimo e società,
Giuffrè, Milano, in Il Mulino, «L'esigenza filosofica fondamentale che si palesa
nei lavori del F. è quella di uscire dallo storicismo immanentistico dei Croce
e dei Gentile che vedeva nella storia la manifestazione di un principio assoluto
(lo Spirito, l'Atto. Cfr. Pattaro, In che senso la storia è esperienza
giuridica: l'istituzionalismo trascendentale, in appendice a F., La storia come
esperienza giuridica, Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino. L'esperienza che
Fassò aveva avuto della filosofia idealistica egemone in Italia nella prima
metà del secolo, la quale all'interno dei suoi precedenti studi vichiani,
condotti in chiave di storia della filosofia, non necessariamente costituiva
un'ipoteca con cui dover fare conti precisi, in sede teoretica, sia pure di
filosofia del diritto, venne chiamata ad un inevitabile redde rationem. F.,
Storia della filosofia del diritto, Faralli, Roma-Bari, Laterza, Il giudizio,
tuttavia, è già presente in F., La storia come esperienza giuridica. È proprio
questo, del resto, il punto debole della dottrina del Romano, che fu subito
rilevato dai suoi critici: il circolo vizioso in cui egli si aggira,
presupponendo la giuridicità di quella istituzione che poi identifica con il
diritto. In altre parole, Romano afferma che sono istituzione, ossia
ordinamento giuridico, ossia diritto, quegli enti o corpi sociali che hanno
carattere giuridico. Croce, Logica come scienza del concetto puro, Farnetti,
con una nota al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis, Croce, La storia come
pensiero e come azione, Conforti, con una nota al testo di Sasso, Napoli,
Bibliopolis, «Si può dire che, con la critica storica della filosofia
trascendente, la filosofia stessa, nella sua autonomia, sia morta, perché la
sua pretesa di autonomia era fondata appunto nel carattere suo di metafisica.
Quella che ne ha preso il luogo, non è più filosofia, ma storia, o, che viene a
dire il medesimo, filosofia in quanto storia e storia in quanto filosofia:
la filosofia-storia, che ha per suo principio l'identità di universale ed
individuale, d'intelletto e intuizione, e dichiara arbitrario o illegittimo
ogni distacco dei due elementi, i quali realmente sono un solo. La storia
come esperienza giuridica. L'esperienza giuridica non è altro che l'esperienza
umana nella sua totalità, la storia stessa insomma dell'uomo. In che senso la
storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F., «La
concreta unità del reale, l'universale concreto, è un residuato della grandiosa
retorica metafisica idealistica. F., con l'onore delle armi, lo colloca nella
dimensione che gli compete, ossia dell'inconoscibile, indicibile,
incomunicabile per definizione: dell'indiscutibile che è tale non perché sia
vero o certo di là da ogni ragionevole dubbio, bensì perché non è possibile
oggetto di discorso, non è suscettibile di ragionamento, sfugge ad ogni
comprensione e spiegazione razionale. Lo colloca nella dimensione del privo di
senso. Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica:
l'istituzionalismo trascendentale. Resti chiaro, peraltro, che F. rinvia sì al
piano mistico l'unità del reale, l'assoluto, l'universale concreto, ecc., ma
che, non per questo, egli professa una filosofia mistica intuizionistica. Il
giudizio di Vallauri è espresso nel suo Amicizia, carità, diritto, Giuffrè,
Milano. Considerata nel suo arco complessivo, forma un dittico, che da un lato
ribadisce rigorosamente la sopragiuridicità della esperienza cristiana giunta
al suo culmine (identificato nella carità), e dall'altro lato riconosce la
funzione preziosa della ragione giuridica nel mondo, dove ogni individuo limita
e contraddice l'altro e dove una norma di coesistenza è indispensabile’») e
accolto in F., Società, legge e ragione, Milano, Comunità, Pattaro, In che
senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F.,
La concreta molteplicità del reale, il flusso eracliteo dei particolari
concrerti, l'eterogeneo continuum di cui parla richiamando Ross, è la realtà
empirica, fenomenica: molteplicità infinita di eventi originali e irripetibili,
non essendovi nello spazio, e più ancora nel tempo, due fenomeni perfettamente
identici. Sulla posizione crociana rispetto al giusnaturalismo cfr., per
esempio, Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, Tarantino, con una
nota al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis. Contraddittorio è altresì il
concetto di un codice eterno, di una legislazione-limite o modello, di un
diritto universale, razionale o naturale, o come altro lo si è venuto
variamente intitolando. Il diritto naturale, la legislazione universale, il
codice eterno, che pretende fissare il transeunte, urta contro il principio
della mutevolezza delle leggi, che è conseguenza necessaria del carattere
contingente e storico del loro contenuto. Se al diritto naturale si lasciasse
fare quel che esso annunzia, se Dio permettesse che gli affari della Realtà
fossero amministrati secondo le astratte idee degli scrittori e dei professori,
si vedrebbe, con la formazione e applicazione del Codice eterno, arrestarsi di
colpo lo svolgimento, concludersi la Storia, morire la vita, disfarsi la
realtà. Sulla presa esplicita di distanza di F. da Croce, cfr. Società, legge e
ragione. Ho continuato a ripetere la stessa cosa. Il diritto nasce dalla natura
umana, la quale è natura storica e natura sociale. Ho rifiutato dapprima, sotto
la suggestione dell'anti-gius-naturalismo del tempo in cui ero cresciuto, di
chiamare naturale un siffatto diritto. Più tardi, dopo avere approfondito la
conoscenza storica del gius-naturalismo ed essermi meglio chiarito la parte che
esso ha avuto nella difesa della libertà contro l'assolutismo politico, mi sono
deciso a designare con quell'aggettivo in realtà equivoco il diritto che la
ragione trova nella natura della società. Laddove, invece, si è riscontrata
coincidenza cronologica, si è preferito seguire l'ordine alfabetico. Altre
saggi: “I quattro auttori del Vico: saggio sulla genesi della Scienza nuova”
(Milano, Giuffre); “La storia come esperienza giuridica, Faralli, Soveria
Mannelli, Rubbettino); “Cristianesimo e società” (Milano, Giuffrè); “La
democrazia in Grecia, Faralli, Pattaro e Zucchini (Milano, Giuffrè); “Il
diritto naturale” (Torino, ERI, “La legge della ragione, Faralli, Pattaro e
Zucchini (Milano, Giuffrè); “Storia della filosofia del diritto, Roma-Bari,
Laterza); “VICO e Grozio” (Napoli, Guida); “Società, legge e ragione” (Milano, Edizioni
di Comunità); “La flosofia del diritto” (Milano, Giuffrè); Diritto della
guerra” (Napoli, Morano). Dizionario biografico degli italiani, Gli studi
vichiani di F., Centro Studi Vichiani,
Napoli, Guida), “Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F.”,
“In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo
trascendentale di F.”, “Lo storicismo di F.”, “Sulla annosa e ricorrente
disputa tra positivisti e giusnaturalisti”, “Un itinerario filosofico tra
diritto e natura umana”. L'iniziativa di raccogliere gli scritti di
filosofia del diritto di F. è altamente opportuna e meritoria. Gli studiosi ne
debbono essere grati ai curatori: Pattaro (che al Maestro è succeduto sulla
cattedra bolognese), Faralli, Zucchini. Con questi tre ricchi volumi diviene
facilmente accessibile una produzione, altri- menti sparsa in riviste e in atti
occasionali, che sta a testimoniare il cammino limpido e coerente di una tra le
personalità intellettualmente più vive ed oneste della nostra cultura del secondo
dopoguerra, purtroppo strappata anzi tempo agli studi. I curatori avvertono che
del- l'opera di F. rimangono escluse da questa pur ampia raccolta le opere
pubblicate quali volumi separati, articoli occasionali che sono parsi non riconducibili
alla filosofia del diritto, e scritti di letteratura e di critica
cinematografica. Si può convenire sull’opportunità di preservare la purezza e
omogeneità scientifica della raccolta, escludendo gli scritti delle due ultime
categorie menzionate; giudicheranno i curatori, o altri studiosi interessati,
se non sia opportuna la pubblicazione separata degli scritti minori ora
esclusi, per dare un’immagine completa della cultura e dell’evoluzione di F.,
ovvero di uno studioso che, alieno quant’altri mai da digressioni e
dilettantismi, mostra però in ogni pagina la vastità e classicità delle proprie
conoscenze. Evidente è invece la necessità di escludere le opere apparse quali
volumi separati. Tra esse sono opere a tutti note, che hanno saldamente stabilito
il prestigio scientifico di F. Basti ricordare gli studi vichiani e groziani
(da I (( quattro auttori D del VICO. Saggio sulla genesi della Scienza nuova,
alla cura e traduzione dei Prolegomeni al diritto della guerra e della pace di
Grozio, dello stesso anno, a Vico e Grozio, e la fondamentale STORIA DELLA
FILOSOFIA DEL DIRITTO – DA CICERONE A CICERONE. Sono anche da ricordare: La
democrazia in Grecia; Il diritto naturale; La legge della ragione, dello stesso
anno; Società, legge e ragione, apparso nell’anno della morte (ma i due ultimi
volumi raccolgono e rifondono scritti precedenti, che si trovano in questa
stessa raccolta). Ricordiamo per ultimi, non per caso, i due scritti in cui è
documentata la fisionomia teoretica di F., il quale, se fu grande storico del
pensiero, ebbe anche un’impronta filosofica originalissima, e una chiarezza
ideale che diede senso unitario ai molti interventi su problemi teoretici, oggi
raccolti nei presenti volumi. Ci riferiamo alle opere L a storia come
esperienza giuridica, e Cristianesimo e società. Oltre agli scritti di F., la
raccolta contiene: una Nota dei curatori, che spiega i criteri seguiti;un’ampia
Introduzione di Pattaro, dal titolo Sull’assoluto. Contributo allo studio del
pensiero di F.; na Bibliografia degli scritti filosofico- giuridici di F., a
cura di Zucchini; uno studio di Faralli dal titolo I momenti della riflessione
critica su F.. Di modo che questi volumi offrono una base per chiunque si
accosti criticamente all’opera e al pensiero di F.: lo status quaestionis è
chiaramente delineato. È ancora da dire che gli scritti di F. sono ripartiti in
tre categorie: saggi e articoli, voci di
enciclopedia, e recensioni. Saggie articoli occupano la maggior parte dei
volumi, notevole è però anche la mole delle voci di enciclopedia: un genere che
F. coltiva con assiduità, e che era particolarmente congeniale alla sua mente
storica, e alla chiarezza concettuale alla quale egli era sempre solito
congiungere rigorosamente la ricostruzione storica: poche pagine sono in grado,
in queste voci, di dare le linee maestre di Milano un tema, o dell’opera
di un autore (esemplari ci sembrano, tra le voci su temi teoretici,
Democrazia,e Giusnaturalisrno;tra le voci su temi storici, quelle sui due
autori di F. per eccellenza, Groot, e VICO Non molte sono invece le recensioni
in chi pure e studioso di larghissime letture. Se si tolgono le recensioni
legate agli esordi scientifici e ai loro temi, rimangono pochi interventi; tra
questi dobbiamo ricordare, per l’interesse oggettivo e per la luce che portano
sulla personalità di Fassò, le recensioni dedicate ad autori coi quali egli fu
in singolare vicinanza spirituale: come le recensioni a volumi di BOBBIO su
temi filosofico-giuridici, o al volume di PIOVANI, Giusnaturalismo ed etica
moderna -- la recensione. Peraltro, per valutare la presenza attiva, insieme
critica e costruttiva, di F. nella filosofia italiana, si deve pensare alle
molte discussioni che egli costantemente e con passione sollevava su temi
storici e teoretici: più della recensione, lo attraeva la discussione ampia che
ruotasse intorno a un problema a lui congeniale. Si pensi alle osservazioni che
egli svolse su due saggi di COTTA, ancora uno studioso col quale egli fu in
profondo dialogo: i libri di questo su AQUINO e su AGOSTINO sollecitarono la
meditazione di F. in due articoli: AQUINO giurista laico? e Agostino e il
giusnaturalismo.Inoltre, tutta l’attività di . fu segnata dalla polemica,
spesso anche dura o sarcastica, che egli rivolgeva ad autori grandi e piccoli,
lontani e vicini. Polemizza su temi filologici ed eruditi, riprendendo e
correggendo; polemizzava su problemi teoretici, dove non trovasse chiarezza di
pensiero, egli che era scrittore limpido e rifuggiva da qualsiasi ambiguità o da
compiacenti silenzi. Talvolta colpisce, ancor oggi, la durezza della polemica;
ed egli ne era certo consapevole, e scrisse una volta queste parole, che
valgono a spiegare un tratto della sua personalità: nella sua connaturata
avversione ai radicatissimi luoghi comuni nella ricerca scientifica come nei
modi del pensare politico, egli replica sempre con vigore, e talora con troppo
vigore, e metteva in luce componenti opposte a quelle Comunemente accettate,
Seri- veva: (Forse, nel cercare di metterle in luce, ho calcato troppo sulla
loro importanza? Se questo è avvenuto, è stato (per ricorrere ancora una volta
a Grozio e prendere a prestito da lui l’immagine di cui si serve a proposito di
Erasmo con l’intenzione con cui si piegano in senso opposto gli oggetti
incurvatisi, per cercare di farli tornare nella posizione giusta D. In
quell’occasione, egli parlava delle convinzioni diffuse sulle componenti
originarie dell’etica laica, di solito vista derivare dal protestantesimo e dai
suoi moti preparatori; mentre egli vedeva componenti più ampie, e radici che
egli individua per gran parte proprio in AQUINO (si veda).. Egli era quindi in
uno dei campi prediletti della sua indagine; ma quell‘intenzione lì dichiarata
e illustrata, con l’immagine degl’oggetti incurvatisi vale a farci comprendere
la intransigente vena polemica, strumento per riportare alla posizione giusta, che nel suo caso era la
posizione della verità scientifica e del rigore metodologico. Di quella vena
polemica, gran parte degli scritti qui pubblicati sono testimonianza, talora
vivacissima. C’e in F. tutta la serietà intellettuale di chi conosce la fatica
della paziente ricerca quotidiana. Non solo la storia del pensiero propriamente
detta, con le sue regole filologiche; anche la filosofia aveva i suoi canoni e
le sue conoscenze tecniche. Nel corso di una polemica, su uno dei temi che più
gli stettero a cuore, quello del rapporto fra cristianesimo e società, egli
scrisse, sulla dignità della filosofia, parole di sapore hegeliano, che hanno
la loro permanente e ritornante validità. Allora, ammoniva disinvolti ((
giuristi cristiani a starsene nei propri confini di giuristi; il cristianesimo
era altra cosa, e scrive. E strano, ma mentre tutti fanno a gara a dire che LA
FILOSOFIA è cosa astrusa, non v’è
nessuno che non si senta legittimato a discuterne senza alcuna preparazione:
ciò che non si sognerebbe di fare riguardo a qualsiasi altro argomento
scientifico o tecnico. Perché egli, che era in senso proprio e fino in fondo FILOSOFO
del diritto, ha chiara la dimensione filosofica e CONCETTUALE della propria
ricerca, e non intese mai che la propria controversa disciplina fosse
riducibile a riflessione o generalizzazione di giuristi dotati di vocazione,
temperamento, sia pure cultura, Opportunamente, gli scritti di F. sono
riprodotti in ordine cronologico -- all’interno delle tre categorie citate
sopra: saggi e articoli; voci di enciclopedia; recensioni. Se si tengono
presenti anche i saggi pubblicati come volumi a parte, e sopra ricordati, ne
viene la possibilità di giungere ad una periodizzazione. Pattaro, nel suo
studio intro- duttivo, suggerisce la quadripartizione seguente: il periodo
dedicato alla STORIA della filosofia, in particolare a VICO. Il periodo che
comprende La stovia come esfierienza giuridica e Cristianesimo e società, caratterizzato
precipuamente dalla tematica, che potrebbe dargli il nome, ‘Assoluto e storia e
il periodo culminante nei volumi primo e secondo della Storia della filosofia
del divitto che potrebbe intitolarsi a ‘ I1 diritto naturale, il periodo nel
quale si conclude la grande opera storiografica, che potrebbe di converso
intitolarsi a ‘il diritto positivo.’ Così Pattaro, e con buone ragioni. Ma egli
stesso ricorda che il Maestro (( riconobbe valida in uno dei suoi ultimi
scritti la distinzione-periodizzazione suggerita da Vallauri, il quale
vedittico affermante - così riferiva F. consentendo intesa come esperienza
religiosa, e dall’altro la funzione essenziale della ragione giuridica nel
mondo. Società, legge e vagione. Vallauri formula quel suggerimento deva nella
sua opera come un da un lato la sopragiuridicità dell’eticità in Amicizia,
carità, diritto, Milano. Tenendo presenti i punti di vista espressi dai due
studiosi, saremmo propensi a vedere una tri-partizione, che è insieme una
partizione temporale e tematica, una periodizzazione e una distinzione di
interessi scientifici; dove i periodi si collegano l’un l’altro per affinità e
per approfondimenti in- terni. Il primo periodo vede nascere gli studi su VICO e
su Grozio, e che è segnato dalla presenza di motivi neo-idealistici e
dall’emergere dell’originale storicismo di F. Il secondo periodo vede apparire
il dittico di cui parla Vallauri, quel dittico a cui Pattaro dà il nome di assoluto
e storia. In questo, è enunciata la filosofia di F.; gli anni successivi
approfondiranno e talora ritoccheranno, ma i pilastri sono già posti
saldamente. Dove la periodizzazione di Pattaro sembra meno giustificata, perché
forse c’è soltanto accentuazione all’interno di un’unità, è in una cesura che
pone. Sembra di poter dire che tutta l’attività e che muove, come Pattaro
ricorda, dall’articolo ‘AQUINO, giurista laico?’, è dedicata alla meditazione
integrale, per estensione dia-cronica e sin-cronica, del problema della ragione
giuridica nel mondo storico-sociale: è ripercorso tutto il pensiero
occidentale; si ha la progressiva accettazione di un diritto di ragione, il
quale ha una sua autonomia di fronte al diritto tradotto in leggi. Anche la
riflessione politica di F. e più, certamente, dopo gli sconvolgimenti, rientra
in quella visione di una ragione che opera nella storia con i suoi equilibri e
meccanismi. Gli scritti raccolti in questi volumi consentono di ritrovare gli
aspetti salienti della meditazione di F., di ripercorrerla nelle singole tappe
del suo maturarsi, di seguire, come in una fuga a più voci, l’accedere di nuovi
motivi a quelli di datazione più antica. In questo senso, come s’è già detto
all’inizio, grande è l’utilità di questa raccolta per chi studi l’opera di F.;
non solo, ma per chi si dedichi a ricostruire la vita intellettuale e morale,
la cultura politica di quegli anni, I n questa occasione, a chi scrive
interessa porre in luce alcuni essenziali aspetti teoretici di quella
riflessione. Ma ciò non intende certo sminuire il rilievo che si deve
riconoscere a F. storico delle idee. Lo studioso di VICO e di Grozio, del
diritto naturale classico, cristiano e moderno, è tale che ogni suo contributo
è degno di attento studio vuoi per l’oggetto trattato, vuoi per ricostruire in
modo più adeguato l’evoluzione dello stile di ricerca storiografica del suo autore,
vuoi infine per gli apporti d’ordine teoretico che esso fornisce. In
quest’ultimo senso, quello che qui interessa maggiormente, molti studi storici
apportano argomenti per la visione della storia e della sua organizzazione
giuridico-politica. Ma per fermarsi al solo rilievo storiografico, si deve
ricordare che in questi volumi tornano studi su molti temi tipici e prediletti
dell’attività di F.. Si vedano i vari ritorni su VICO: Vico nel pensiero del
suo primo traduttore francese (dedicato al rapporto Vico-Michelet); al quale si
ricollega, ventun anni dopo, U n presunto discepolo di Vico. Michelet; e
inoltre vari interventi critici sulla Scienza Nuova e su temi vichiani, a
cominciare dalla Genesi storica e genesi logica della filosofia della Scienza
nuova, per finire con lo Il problema del
diritto e l’origine storica della Scienza Nuova. Si vedano anche gli scritti
vari su Grozio: Grozio tra medioevo ed età moderna, e il saggio, assai
significativo per l’evoluzione personale di F., Ragione e storia nella dottrina
di Grozio. Accanto a tali studi dovrebbero esserne menzionati molti altri, a
cominciare da quello su Sociologia e diritto nella filosofia civile di
ROMAGNOSI, fino ai molti studi su temi storici, sulla laicità immanente in
pensatori cristiani, o sull’evoluzione del pensiero giuridico in senso più
stretto, come nel saggio postumo, scritto per la Storia delle idee politiche,
economiche e sociali diretta da FIRPO, dal titolo La scienza e la filosofia del
diritto: ricostruzione storica ammirevole nella sua lucida sinteticità, frutto
maturo di una mente storica che aveva già prodotto le sue opere maggiori. Né si
devono dimenticare i ritornanti interessi per il mondo greco, e per la forma
democratica che in esso si realizzò: valga l’esempio dello studio dLa
democrazia nell’antica Grecia e la riforma agraria. Si può dire che non manchi,
in questa raccolta, nessuno dei grandi temi storiografici di Fassò: VICO e
Grozio, il pensiero cristiano, l’affermarsi della ragione giuridica, la
grecità. Chi voglia ricostruire l’itinerario scientifico di F. storico delle
idee, avrà ora a disposizione un materiale imponente, qui riunito dalle varie
sedi in cui egli usava pubblicare i suoi saggi e articoli, e che erano quasi
sempre riviste giuridiche: singolare e significativa predilezione in un autore
che non ridusse mai la filosofia del diritto a teoria generale del diritto, ne
volle preservata la filosoficità, ma volle anche mostrare come non si potesse
prescindere dalla cono- scenza dei problemi scientifici del diritto. In questo
senso si può esser certi che F. ebbe profonda e genuina dimestichezza con i
problemi dei giuristi. Anche lo stile del suo pensiero e il suo stesso modo di
esprimersi, serio e sobrio, tutto attento alle prove e ai nessi concettuali,
risentiva beneficamente della formazione giuridica e degli interessi giuridici,
anche se questi non furono peculiari ad un ramo specifico del diritto, ma si
rivolsero piuttosto alla teoria generale, e semmai ai modi procedurali del
divenire del diritto - si pensi all’interesse per il problema del giudice -
come a quelli in cui meglio si scorge l’originalità della ragione giuridica nel
suo affermarsi. Si può anche dire che la cultura giuridica di F. influì
sull’originale forma del suo storicismo, al quale, fino agli ultimi anni, egli
non venne mai meno, Gli scritti appartenenti al primo periodo mostrano F. che,
movendo dall’interno della prospettiva neoidealistica, ne esce con una propria
visione della realtà come storia, e della storia come struttura in sé
organizzata, razionale, scandita in istituzioni. Lo stori- cismo assoluto di
Croce (un autore che, pure, F. ha ben conosciuto) è estraneo a questa forma di
storicismo, tutto fatto di cose e di nessi reali, Vico e Grozio sono stati i
fondamenti filosofici di questa visione della storia, Pattaro pone bene in luce
come l'avversione di F. a un razionalismo astratto divenga visione storicistica
nei primi studi vichiani riferisce quanto F. stesso scriveva, sull’esser
vichiani per il fatto di avere una visione della storia come concreta
razionalità. Pattaro prosegue illustrando il passaggio di F. dagli studi
vichiani, condotti in quell'atmosfera speculativa (non necessariamente o
integralmente condivisa), alla personale visione storicistica del diritto. Qui
influirono le nuove correnti che si affacciavano in Italia. Le suggestioni del
neoempirismo che si affaccia nella nostra cultura trovarono un'accoglienza non
ostile in un F. convinto che, nella filosofia del diritto, molto spesso
l'empirismo non è lontano dallo storicismo, La specifica tematica
giuridico-filosofica, lo fa incontrare con le correnti sociologiche ed
istituzionalistiche, ma nel contempo lo induceva, per superarne 1’oggettivismo
naturalistico, ad adottare un'impostazione filosofica di fondo lato sensu
kantiana, così Pattaro. In queste parole è detto l'essenziale sulla visione
filosofica di F. I1 quale descrive egli stesso come vede la crisi dell'idealismo,
provocata da varie correnti di pensiero, che egli enumera: il marxismo,
l'esistenzialismo, lo spiritualismo cristiano, il neopositivismo. Empirismo e
storicismo, egli li accosta nelle parole prima citate, tratte dall'Introduzione
ai Prolegomeni di Grozio e nuovamente li accosta, parlando dell'opera di Levi,
quando ritene utile muovere, sia pur con misura e senso delle sfumature, dalla
constatazione delle affinità tra storicismo idealistico e sociologismo
positivistico. In quello stesso scritto su Levi, F. avverte un'analogia tra due
generazioni in crisi, quella di Levi, che usce dal positivismo, la sua, che usce
dall'idealismo: due generazioni accomunate da una posizione che conduce ad
apprezzare, non già i beati possessori della verità, ma coloro che sono andati
faticosamente fabbricandosene una, senza cieche fedeltà a dogmi e senza
chiudere gli occhi davanti alla storia in cammino. Quello scritto su Levi vede,
come altri scritti, lo sgretolarsi dell'idealismo per l'irruzione di nuove
tendenze di pensiero, più legate all'osservazione diretta dell'esperienza.
Rientrano in questo quadro anche le polemiche che F. conduce contro le facili
riesumazioni del diritto naturale, talora troppo coerenti, e inconsapevoli
nella loro professione di un diritto astorico, talora troppo incoerenti e
disinvolte nella loro combinazione di diritto naturale e storia. Lo storicismo
era così diffuso in quegli anni, e senza effettiva consapevolezza critica, che
si ebbero anche coloro che F. chiama i giusnatural-storicisti. Lo storicismo di
quegli anni, e specialmente all’interno della cultura filosofico-giuridica (una
cultura, in quel periodo, assai vivace, in ricambio con altri àmbiti filosofici
e culturali), è uno storicismo di origine, più che filosofica, empiristica, o
addirittura empirica: fu lo storicismo di chi era cresciuto nell’indagine delle
teorie giuridiche sociologiche e istituzionalistiche, e medita sul diritto e
sui modi del suo farsi.I1diritto come sistema storicamente progrediente,
avrebbe detto Savigny; e in modi affini pensano Romano, Gurvitch, Capograssi,
per fare soltanto pochissimi ma influenti nomi (per la valutazione
dell’influenza di Capograssi, si può qui vedere la recensione di F. alla
IntevFYetazione di Capograssi, pubblicata da Carnelutti). Anche lo storicismo
di F. si modellò in aspetti affini, pur nella indubbia sua penetrazione
filosofica. Ma quello storicismo, se aveva le sue basi in Vico e in Grozio, si
approfondì e dispiegò nella visione istituzionalistica del diritto. Tra gli
autori di . non è Hegel (né in sé né nelle scuole che a lui si richiamarono), e
non sono gli autori del moderno storicismo indivi- dualistico, da Dilthey in
poi, che tanta influenza avrebbero avuto su Piovani, pure affine a F. per più
interessi ed aspetti. Si può dire allora che lo storicismo professato da F. fu
di impronta giuridica. Ebbe tratti affini allo storicismo post-crociano da
molti condi- viso in quegli anni; ma non derivava tanto da precise correnti
filosofiche, quanto dai giuristi non strettamente positivisti: la scuola
storica del diritto in Germania; ma molto di più le correnti
istituzionalistiche; e infine la tradizione di common-law, da F. ammirata come
esem- plare organizzazione giuridica e politica e presidio del valore liberale
della dignità deli’individuo. La storia era, secondo il titolo dell’opera,
ESPERIENZA giuridica; e non era questo
un pensiero da poco, ma anzi una robusta e meditata posizione storicistica,
perché il diritto, come struttura razionalizzatrice e regolatrice della
convivenza, mo- strava la ragione immanente alla storia, che era anche l’unica
ragione accessibile all’uomo. Avverso al razionalismo omnicomprendente - fosse
la metafisica metastorica della tradizione o la metafisica della storia come
totalità (idealismo, materialismo storico) -, F. crede in una razionalità che
guida la convivenza, che nasce dall’interazione di individui e di gruppi, che è
garanzia di libertà per gli individui. I valori nltimi, invece, non sono
accessibili agli uomini per via razionale; la ragione non può che fermassi a
questo mondo terreno, e studiarlo nelle strutture che in esso si formano e
variano. Era una visione, se vogliamo parlar filosoficamente, neokantiana, nel
senso di tanto neokantismo diffuso nella filosofia del diritto e nelle scienze
sociali. Conoscibile razionalmente il mondo dei fenomeni come mondo storico;
non-conoscibile, ma soltanto sperimentabile emozionalmente, il mondo del
valore. Cade la fondazione pratica della morale; restava la inconoscibilità dei
valori ultimi. In questo senso, Radbruch o Weber non pensano diversamente. Quel
che ebbe F., a differenza di questi autori (ma non del neokantismo in genere),
è l’interesse per quel sopramondo che egli affermava non-conoscibile, e che
vede tradotto, nella forma più pura, nel cristianesimo, è questo l’altro
versante della filosofia di F., che si tradusse in Cristianesimo e società,
opera tra le più alte della nostra cultura recente. E forse interessante notare
quel che scrive F., recensendo Piovani sul giusnaturalismo. Piovani fa sua la
proposizione (la personalità stessa è l’assoluto), che d’altronde traeva da
Kierkegaard, e la svolgeva nel senso di un individualismo visto come unico
coerente sbocco dell’etica moderna. Scrive F. E qui si potrebbe, naturalmente,
discutere a lungo e del resto anche chi,
come me, davanti alle affermazioni di una presenza, che non sia totalmente
mistica, dell’assoluto nell’individuo, rimanga perplesso, e non veda come un
ipersoggettivismo quale quello professato da Piovani possa sfuggire al
relativismo, non può non apprezzarne il profondo significato morale: assai più
alto in ogni caso di quello delle etiche oggettivistiche, che, coprendosi della
retorica dei valori eterni, conducono all’alienazione dell’uomo, e lo privano
di ciò che costituisce la sua umana essenza morale. Tre affermazioni sono da
rilevare in questo passo: v’è il rifiuto della retorica dei valori eterni,
giudicata alienante e tale da privare l’uomo della sua essenza morale, che è,
evidentemente, collegata alla ricerca e all’irrequietezza; l’iper-soggettivismo
(ma tanto varrebbe dire soggettivismo) non può sfuggire al relativismo, sentito
da F. come pericolo. F. si dichiara perplesso davanti alle affermazioni di una
presenza dell’assoluto nell’individuo, ma con l’eccezione che si tratti di una
presenza a totalmente mistica B. Rifiutate un’etica oggettivistica e un’etica
soggettivistica, che cosa rimane nella visione morale di F.? Rimangono: la
razionalità formale del diritto come ragione vivente nella storia e
l’esperienza mistica come unica via di accesso all’assoluto. Questi due piani
sono privi di relazione; ma essi appaiono tali da produrre queste conseguenze:
è salvata l’irrequietezza che è condizione della morale; è evitato il pericolo
del relativismo; è consentito l’accesso all’assoluto. Il mondo dei valori
assoluti è accessibile soltanto all’esperienza mistico-religiosa. La carità,
intesa in senso teologico, ovvero come virtù teologale, è proprio questa
capacità di inserirsi nella vita divina, La simpatia di F. va agli spiriti
capaci di questa immedesimazione: da Paolo a Kierkegaard, va a coloro che hanno
ben chiara la distinzione tra mondo della terra, della legge, della ragione, e
mondo divino, della carità. Quella linea del cristianesimo aveva contrapposto il
mondo, regno del peccato e della legge, al regno della carità,
dell’immedesimazione in Dio quel mondo che non conosce diritto. Tra
cristiaizesimo e società v’è quindi un contrasto ineliminabile, come tra generi
diversi e inconciliabili, come tra santità e peccato, come tra l’assolutezza
dei valori e il mondo degli uomini comuni, I1 saggio in cui queste tesi erano
argomentate fu quello che sollevò le maggiori polemiche. Sul piano più
propriamente filosofico, BAGOLINI è il critico più attento - come PATTARO ricorda
a lucida analisi quella divisione netta tra la realtà e il valore, per
affermarne l’insostenibilità: gli appare inconseguente negare la conoscibilità
razionale del valore e allo stesso tempo parlarne. Ma si può dire - prosegue
Pattaro che F. (intenzionalmente rinvia tutti i valori che si pretende siano di
questo mondo nel cielo indefinito e indefinibile dell’assoluto). F. conobbe e
trattò il mondo imperfetto e relativo; non dimenticò - è la strada della
mistica - il mondo perfetto e assoluto del quale ci hanno dato testimonianza
grandi spiriti, e che noi stessi avvertiamo nel nostro desiderio di perfezione.
Ma quella divisione così recisamente affermata provocò le polemiche più accese
al di fuori del campo propriamente filosofico, e se è discussa e rispettata da
teologi e da uomini di fede e di chiesa (questa raccolta ne reca più tracce:
dai giudizii Lener fino a quelli espressi nel colloquio di Strasburgo, dedicato
proprio al tema tipico di F.: L a révélation chrétienne et le droit), è
trattata invece con non altrettanta serietà e consapevolezza da giuristi, e da
coloro che, professandosi i giuristi cristiani o, o (( giuristi cattolici)), si
fondano proprio sulla tesi opposta a quella sostenuta da F. nel suo libro. Sono
due tesi teologiche a confronto, dov’era conoscenza dei problemi; ma F. ha buon
gioco a spiegare ai suoi interolcutori giuristi che la carità e la giustizia di
cui parla il Vangelo riguardano il rapporto con Dio, rispetto al quale tutto il
resto vien dato per soprappiù, e non il rapporto con gli uomini, che è soltanto
una conseguenza del vivere in Dio. Se carità e mondo sono in un tale contrasto,
non si può parlare, senza cadere in contraddizione, di diritto cristiano, di giuristi
cristiani, di politica cristiana, di cristianesimo sociale. Ripetutamente F. polemizza
con i giuristi cristiani, innanzi a tutti con CARNELUTTI; e ricorda che carità
non è filantropia, e che la giustizia, nel vangelo, sta a indicare una situazione
d’ordine esclusivamente religioso, l’elezione, la perfezione, la santità – cf.
H. P. Grice on J. O. Urmson, eroi e santi --, e non è la virtù sociale pur
teorizzata da teologi e filosofi morali cristiani, e che AQUINO definisce IVSTITIA
METAPHORICE DICTA. Rispondendo a Carnelutti è lo stesso scritto nel quale
deplora, con parole prima ricordate, che tutti si sentissero autorizzati a
parlar di filosofia), F. precisa: Ciò di cui non posso ringraziare l’illustre maestro
è d’aver pensato che a me non garberebbe d’aggiungere al mio titolo di filosofo
del diritto l’aggettivo cristiano il che mi fa ritenere che anche a me, anzi
soprattutto a me egli si rivolga, quando, nell’intitolare il suo scritto
garbatamente parodiando l’intitolazione del e sottopose mio, parla di
pericoli per i filosofi non cristiani Non vedo in verità perché quell’aggettivo
non dovrebbe garbarmi, né che cosa abbia potuto far sospettare ciò al pur
benigno lettore: forse perché ho criticato qualche giurista cattolico il quale
mostrava di non conoscere con troppa esattezza alcuni termini usati nei testi
cristiani? Quei concetti venivano organicamente presentati, dal punto di vista
storico e teorico, nel saggio “Giustizia, carità e filantropia,” e sono anche
inseriti negli scritti in onore di JEMOLO (si veda), grande giurista storico e
grande spirito religioso, uno degli spiriti più congeniali a F., se non forse
il più congeniale. La separazione di cristianesimo e società era pure destinata
a scontrarsi con l’opinione dominante nel mondo religioso, e di coloro che,
richiamandosi al cristianesimo, intendevano tradurlo nella società. F. dissente
in maniera totale dalle idee di BALBO (si veda). Ritorna il sufposto
cristianesimo sociale, e il titolo di una nota polemica come pure,
naturalmente, dalle idee di chi nutrisse progetti politici meno radicali. Ribade
che il cristianesimo è una religione, e che la religione ha per oggetto Dio e
soltanto Dio, e che la novità, e quindi l’essenziale significato del
cristianesimo rispetto alla filosofia ed alla morale greca ed alla morale
ebraica sta tutta in questa sua proiezione totale verso Dio, che consuma e
supera ogni interesse umano e mondano e perciò anche sociale. Non nega certo un
ideale di vita cristiano; nega che il cristianesimo potesse tradursi in dettami
politici. Facciamo cristiani noi stessi, dice; ma guardiamoci dall’a
immischiare Dio nei problemi di Cesare. E conclude quelle pagine ammirando la
scelta religiosa di Dossetti, che così commentava: a Questo sì è il vero ideale
cristiano; ed è bello vedere che c’è chi, riconosciutolo, ha - o riceve - la
forza di realizzarlo. 1 superficiali interpreteranno tutto ciò come una
rinuncia, come l’accettazione dolorosa di una sconfitta. Io penso che sia una
grande vittoria, la sola vera vittoria cristiana. Questa visione del problema
andava risoluta- mente, e con insofferenza dichiarata, contro la sintesi
politico-religiosa di Maritain, che tanto ha influenzato nel nostro tempo il
cristianesimo sociale (si vedano in proposito i vari cenni di F. E anda contro
le soluzioni e conciliazioni dello spiritualismo cattolico del quale spesso si
trova menzione in queste pagine), nel quale ultimo F. svelava (( una grave
contraddizione nello sforzo di assumere una posizione che sia ad un tempo
religiosa e razionalistica, trascendentistica e storicistica, salvando in pari
tempo, e connettendoli e conciliandoli, il valore (trascendente) e la storia,
la moralità e la giuridicità, la città di Dio e quella città terrena, che è pur
sempre, per chi senta davvero religiosamente, la città del demonio e del
peccato: soddisfacendo ecletticamente due istanze pienamente legittime e
valide, certo, ma irriducibili fra di loro. Tutto un periodo della vita di F. -
quello che sopra si è detto il secondo - gravita intorno a questi pensieri; ma
è il periodo in ogni senso centrale della vita di F.. Quel che vale per il
problema religioso vale per L’ÀMBITO FILOSOFICO generale, Di qui anche
l’avversione di F. alle facili combinazioni di diritto naturale e storia, e ai
teorici di un diritto naturale razionalmente deducibile e perciò anche
applicabile (si vedano le ripetute e dure critiche a Strauss, e particolarmente
lo scritto Diritto naturale e storicismo, appunto in polemica con questo).
L’assoluto non è conoscibile; conoscibile è soltanto il mondo della storia, e
ad essa, come a mondo pervaso da strutture e istituzioni che si formano, volge
lo sguardo lo studioso del fenomeno giuridico, La storia, aveva scritto F.
nell’opera è esperienza giuridica; e su quella visione egli avrebbe fondato
negli anni le sue riflessioni, le sue ricerche storiche, i suoi interventi sui
prblemi politici e culturali. Di lì nascevano la sua concezione del diritto e
la sua concezione della vita associata. La storia del pensiero giuridico
occidentale conduceva a una visione razionalistica, che poteva ben dirsi laica e
liberale. Questi due attributi sono usati da Pattaro, e si può esser d’accordo
con quella definizione; naturalmente non dimenticando tutto quel che s’è detto
finora sulla com- plessità e ricchezza del pensiero di F.: nel senso, in ogni
modo, nel quale se ne potrebbe parlare per JEMOLO (si veda), ma anche per
studiosi prima menzionati, e a lui in quel tempo vicini per affinità di sentire
su molti temi, come BOBBIO (si veda), PIOVANI (si veda), COTTA (si veda). In
questo senso può dirsi che la meditazione di F. sia tutta rivolta alla inve-
stigazione storiografica e teoretica di quella visione razionalistica, laica e
liberale della storia, I1 diritto diviene, allora, la ragione conoscibile agli
uomini, la ragione che salva la convivenza degli individui. L’assoluto può
essere attinto da invididui eccezionali o in momenti eccezionali, è un dono
concesso e non una strada consentita alla ragione; ma il mondo della storia ha
una sua dimensione razionale proprio nel diritto, che assicura istituzioni in
grado di garantire gli individui nel loro vivere in comune, Se Cristianesimo e
società insegna che non si può mescolare Dio a Cesare, le opere, insistendo
sull’indagine del mondo storico-giuridico, già avviata nell’opera, insegnano
che neppure si può, né si deve, trasformare Cesare in Dio, e vedere nella
storia valori e significati immanenti. Questa etica e questa visione politica
si chiariscono e arricchiscono via via nella ricerca di F.. I1 problema si
intreccia con quello del rispetto della legge, e quindi con la valutazione del
positivismo giuridico. F. si domandava, e concludeva senza risposte perentorie:
Dobbiamo insegnare l’obbedienza assoluta alla legge. È il problema del
fondamento della convivenza e del fondamento dell’obbligatorietà della legge.
Diventa anche il problema se fosse razionalmente deducibile la democrazia, F.
nega, e con chiarezza in uno scritto, LETTURE, che fra diritto naturale e
democrazia ci fosse nesso necessario, contraddicendo in tal modo diffuse
concezioni. Conveniva invece su di un fondamento morale della forma democratica
(che per la cristal- lina mente di F. volle sempre dire forma
democratico-liberale) della convivenza. È un diritto che puo magari esser detto
naturale, ma ricordando la storicità della natura umana: il diritto naturale
sul quale la libertà e la democrazia possono fondarsi non può essere un
astratto dogma esterno alla storia dell’uomo: esso non può consistere che
nell’idea di giustizia che l’uomo ritrova nella propria coscienza morale, il
cui valore è sì certamente assoluto, ma il cui con- tenuto può essere soltanto
quello che lo sviluppo storico di questa coscienza comporta. La limpida
relazione su Stato di diritto e stato di gizlstizia, rivendicava il valore
dello stato liberale di diritto, che non ha fra i suoi scopi – F. conclude con
i versi di Holderlin - di far dello stato il paradiso dell’uomo, col risultato
di farne un inferno, Si richiamava all’esperienza costituzionale inglese, che
avrebbe ribadita come modello di sviluppo giuridico, civile e politico nella
prolusione bolognese, La legge della ragione. In quell’occasione, contemporanea
al saggio dallo stesso titolo, F. afferma che non possiamo, oggi, rifiutare il
giusnaturalismo, quando il giusnaturalismo si propone come appello alla legge
della ragione. È un modo di affermare, più che un diritto naturale, il diritto
di giudicare le circostanze storiche al lume della ragione; al modo seguito dai
giuristi inglesi di common law. Le leggi, il diritto positivo, avevano il loro
valore, e si doveva loro obbedienza, ma la ragione giuridica non si limita a
sistemare i loro dettami, in un modo che sarebbe anch’esso astratto, pur se in
modo opposto a quello tenuto dal giucnaturalismo meta-storico ma se continuiamo
a rifiutare - obietta F. a SCARPELLI (si veda) come abbiamo sempre rifiutato,
l’idea di un diritto naturale extra-storico, immutabile ed eterno, dobbiamo per
questo abbracciare il culto di un diritto positivo altrettanto extrastorico e
astratto?. Sta avvenendo in F. un passaggio dal rifiuto dell’espressione
diritto naturale ove non fosse coerentemente inserita in una metafisica
soprastorica, ad un’accettazione della medesima espressione in un senso più
lato, come diritto di una natura dell’uomo che è ragione operante nella storia.
In questo senso si poteva anche affermare un diritto naturale, che giudicasse
razionalmente, in modo storico, fatti, istituzioni, leggi, ma senza
sistemazioni assolute. Era il sistema pragmatico, empirico, storico, anche
antiilluministico, seguito dalla civiltà giuridica anglosas- sone, la quale,
non a caso, era anche quella che aveva dato il più duraturo esempio di stato
democratico-liberale. Su questa base, scientifica e politico-morale, si sarebbe
espresso F. negli ultimi anni della sua vita, durante i sussulti e degli anni
seguenti, durante quegli avvenimenti e quelle teorizzazioni che tanto avrebbero
influito sulla [Giuffrè, Milano] nostra ultima storia, e che da lui furono
giudicati senza le incertezze, le ambiguità, i silenzi, le fragili adesioni, di
cui molti si resero responsabili. In verità, tutta la formazione culturale,
oltreché l’intransigenza morale, garantiva F. di fronte alla crisi di quegli
anni. Era stato sempre convinto che il diritto è il momento razionalizzatore
nella storia, e che è esso stesso fenomeno storico. I1 riferimento
all’esperienza anglosassone gli permetteva di criticare con misura il
positivismo giuridico-legalistico si veda Il positivismo giuvidico, contestato;
ma lo faceva anche accorto, sul piano politico, del valore irrinunciabile dello
stato democratico-liberale, coi suoi valori di tutela della libertà
individilale attraverso metri comuni a tutti gli individui e attraverso misure
inevitabilmente repressive. Contro la riduzione del diritto a politica, egli
non cedette alle nuove idee che si diffondevano tra giuristi e magistrati, e
che pretendevano di richiamarsi a una democrazia sostanziale; seppe subito
additare le fonti teoriche di quelle idee, e le rintraccia in Schmitt, nelle
parole, certo, di un insigne giurista; il giurista più insigne del Terzo Reich.
Puo parlare, per quelle correnti, di nazismo giuridico, e dovendo scegliere tra
Positivismo e nazismo giuvidico, egli potè richiamarsi tranquillamente ai suoi
autori, e a quella ragione artificiale di cui aveva parlato Coke. Si tratta,
come egli intitolava un saggio, di vedere in modo razionale e insieme storico
il rapporto tra giudice e legge (si veda Il giudice e l’adeguamento del diritto
alla realtà storico-sociale, ampia indagine teorica e storica del problema).
Vede i pericoli insiti nel rifiuto del principio di legalità; rifiutava che si
potesse parlare del diritto di resistenza nella società democratico-liberale, e
vedeva nella contestazione di quegli anni non il riferimento a una ragione
diversa per stabilire un ordine più giusto, ma la negazione di qualsiasi
ordine, di qualsiasi istituzione repressiva, della stessa ragione, in nome di
un atteggiamento che definiva anarchico e religioso; ripeteva che diritto è
necessariamente repressione, e che si trattava soltanto di fare in modo che
quella repressione fosse frutto della ragione (si veda, Società, diritto e
repressione. Da questi stessi principi e preoccupazioni era ispirato l’ampio
saggio postumo già menzionato su La sciefiza e la filosofia del diritto, viste
nel loro sviluppo storico. Questa indagine, come d’altronde tutta la Stovia
della filosofia del divitto, ribadiva la visione del diritto come F. era venuto
maturandola negli anni della sua coerente meditazione. In queste occasioni, di
fronte ai problemi più gravi dei tempi, Fassò poteva richiamarsi a quanto aveva
pensato, sul rapporto fra cristianesimo e storia, nel suo periodo teoretico. Nella
società che non è società, e neppure comunità, ma comunione dei santi, come si
è liberi dal diritto, così lo si è dalla ragione. Siccome invece purtroppo non
siamo guidati dallo spirito, siamo, come ci ricorda San Paolo, sotto la legge;
e l’unica cosa che possiam fare per non sentirne troppo la repressione è
cercare che essa sia conforme alla RAGIONE. Ma è riduttivo vedere l’ultimo
periodo della riflessione di F. nella luce di queste polemiche contro idee
effimere; anche se si dove ricordarle per rendere onore alla coerenza e alla
rettitudine dello studioso. In realtà, alla base di quelle polemiche è la
meditazione di tutta una vita, nella quale è sempre stato operante l’amore per
la distinzione: distinzione tra Dio e GIULIO (si veda) CESARE, tra esperienza
religiosa ed ESPERIENZA GIURIDICA, tra assoluto e STORIA. Ricerca Lucio Giunio
Bruto politico romano Lingua Segui Modifica Lucio Giunio Bruto Project Rome
logo Clear. png Console della Repubblica romana Capitoline Brutus Musei
Capitolini MC1183. jpg Busto di Bruto, nei Musei Capitolini in Roma. Nome
originale Lucius Iunius Brutus Nascita Roma Morte Roma GensIunia Consolato Lucio
Giunio Bruto è stato il fondatore della Repubblica romana e secondo la
tradizione uno dei due primi consoli. Il nome di Bruto è legato alla
leggendaria cacciata dell'ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo.
Secondo la narrazione di Livio, rafforzata da Ovidio, Bruto aveva molti motivi
di ostilità contro il re, di cui era nipote in quanto figlio di una sorella:
nel corso degli eccidi familiari che spesso accompagnano la presa di potere di
un despota, Tarquinio aveva disposto fra l'altro l'omicidio del fratello di
Bruto, il senatore Marco Giunio. Bruto, temendo di subire la stessa sorte,
allora si mimetizzò nella famiglia di Tarquinio, impersonando la parte dello
sciocco (in latino brutus significa sciocco). Lui accompagnò i figli di
Tarquinio, Tito ed Arrunte, in un viaggio all'oracolo di Delfi. I figli
chiesero all'oracolo chi sarebbe stato il successivo sovrano a Roma e l'oracolo
rispose che la prossima persona che avesse baciato sua madre sarebbe diventato
re. Bruto interpretò la parola "madre" nel significato di
"Terra" così, al ritorno a Roma, finse di inciampare e baciò il
suolo. In seguito Bruto dovette combattere in una delle tante guerre di Roma
contro le tribù vicine e tornò in città solo quando venne a sapere della morte
di Lucrezia. Lucio Giunio Bruto da giovane Il giuramento di
Bruto, Jacques-Antoine Beaufort, I littori portano a Bruto i corpi dei due
figli, Jacques-Louis David. Secondo la leggenda, la cacciata dell'ultimo re da
Roma ebbe inizio con il suicidio di Lucrezia, moglie di Collatino e parente di
Bruto, perché costretta a cedere con le minacce alle richieste amorose di Sesto
Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo. Livio racconta che, suicidatasi
davanti ai suoi occhi, del marito Collatino e del padre di lei Spurio Lucrezio,
Bruto estrasse il coltello dalla ferita e disse: «Su questo sangue,
purissimo prima che il principe Sesto Tarquinio lo contaminasse, giuro e vi
chiamo testimoni, o dei, che da ora in poi perseguiterò Lucio Tarquinio il Superbo
e la sua scellerata moglie, insieme a tutta la sua stirpe, col ferro e con il
fuoco e ogni mezzo mi sarà possibile, che non lascerò che né loro, né alcun
altro possano regnare a Roma.» (Tito Livio, Ab Urbe condita libri) Bruto,
il padre ed il marito di Lucrezia giurarono di vendicarne la morte. Quindi
trasportarono il corpo della donna nella piazza principale della città di
Collatia, dove la donna si era suicidata, attirando l'attenzione della folla,
che dopo aver saputo dell'accaduto si indignò per la protervia di Sesto
Tarquinio. Molti dei giovani lì presenti si offrirono volontari per
condurre una guerra contro i Tarquini. Le truppe ora riunite riconobbero in
Bruto il loro comandante, facendo rotta su Roma per conquistarne il potere.
Giunti a Roma, Bruto si rivolse al popolo romano riunito nel Foro, raccontando
della triste sorte toccata a Lucrezia. Aggiunse quindi della superbia del
re, Tarquinio, e della miseria della plebe romana, costretta dal tiranno a
costruire ed a ripulire le fogne, invece che portata a combattere come era
nella natura dei Romani. Ancora ricordò dell'indegna morte di re Servio Tullio,
calpestato da sua figlia, moglie di Tarquinio, con un cocchio. Invocò infine
gli dei vendicatori, infiammando gli animi del popolo romano alla rivolta
contro il tiranno, tanto da trascinarlo ad abbattere l'autorità regale e a
esiliare Lucio Tarquinio, insieme alla moglie ed i figli. Partì quindi per
Ardea, dove il re era accampato, per ottenere che anche l'esercito si
schierasse dalla sua parte, dopo aver lasciato il comando di Roma a Lucrezio
(in precedenza nominato praefectus della città, da parte dello stesso Superbo).
Frattanto, Tullia, moglie di Lucio Tarquinio riuscì a fuggire dalla città. Quando
la notizia di questi avvenimenti arrivò ad Ardea, Tarquinio il Superbo,
allarmato dal pericolo inatteso, partì per Roma per reprimere la rivolta.
Bruto, allora, informato che il re si stava avvicinando, per evitare
l'incontro, fece una breve diversione e raggiunse l'accampamento regio ad Ardea
dove fu accolto con entusiasmo da tutti i soldati, i quali espulsero i figli
del re, mentre a quest'ultimo venivano chiuse in faccia le porte di Roma e
comunicata la condanna all'esilio. Due dei figli seguirono il padre in esilio a
Cere(Cerveteri), Sesto Tarquinio invece, partito per Gabii, qui fu assassinato,
da coloro che si vendicarono delle stragi e razzie da quello compiute. In
seguito a questi eventi, il prefetto della città di Roma convocò i comizi
centuriati, che elessero i primi due consoli della città: Lucio Giunio Bruto e
Lucio Tarquinio Collatino. Busto conservato al Museo archeologico nazionale di
Napoli I primi provvedimenti di Bruto furono: evitare che il popolo, preso
dalla novità di essere libero, potesse lasciarsi convincere dalle suppliche
allettanti dei Tarquini, costringendolo a giurare che non avrebbe permesso più
a nessuno di diventare re a Roma; rinforzare il senato ridotto ai minimi
termini dalle continue esecuzioni dell'ultimo re, portandone il totale a
trecento, nominando quali nuovi senatori i personaggi più in vista anche
dell'ordine equestre. Da qui l'uso di convocare per le sedute del senato i
padri (patres) ed i coscritti (dove è chiaro che con questo termine si alludeva
agli ultimi eletti). Il provvedimento aiutò notevolmente l'armonia cittadina ed
il riavvicinamento della plebe alla classe senatoriale. Durante il consolato i
suoi figli, Tiberio e Giunio, complottarono con il deposto re Tarquinio il
Superbo, per farlo tornare a Roma come re, ma furono scoperti grazie ad uno
schiavo. Incatenati, chiesero pietà e il popolo, impietosito, ne chiedeva la
loro liberazione. Ma Bruto fu irremovibile, e li fece uccidere, assistendo
personalmente senza versare una lacrima per la loro morte. In seguito
alle dimissioni forzate del collega Lucio Tarquinio Collatino, Bruto chiese al
popolo di nominare un altro console in sua sostituzione, così da non dare adito
al sospetto che volesse governare sulla città come un monarca. Allora i
cittadini riuniti elessero Publio Valerio Publicola. Il suo consolato terminò
con la battaglia della Selva Arsia, combattuta contro gli Etruschi, che si
erano alleati con i Tarquini, per restaurarne il potere. Durante la battaglia
Bruto si scontrò con Arrunte Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo e cugino
di Bruto; i due, spronati i loro cavalli al galoppo, si trafissero
vicendevolmente con le loro lance, perdendo la vita nello scontro. Il
console superstite, Valerio, dopo aver celebrato un trionfo per la vittoria,
tenne un funerale di grande magnificenza per Bruto, che fu pianto dalle
nobildonne per un anno. Altro Servilio Ahala e Bruto in un denario di
Marco Giunio Bruto. Marco Giunio Bruto, il cesaricida che si vantava di essere
un discendente di Lucio Giunio Bruto, nel 54 a.C., dieci anni prima delle Idi
di marzo quando Giulio Cesare rimase ucciso, emise un denario con al diritto la
testa di Lucio Giunio Bruto, il fondatore della repubblica romana e la scritta
BRVTVS ed al rovescio la testa di Gaio Servilio Strutto Ahala e la scritta
AHALA. Secondo Crawford (Roman Repubblican Coinage) il denario fu emesso quando
a Roma corse la voce che Pompeo volesse diventare dittatore. Critica
storica Il racconto proviene dall'Ab Urbe condita di Livio e tratta di un punto
della storia di Roma che precede le annotazioni storicamente affidabili
(praticamente tutte le annotazioni precedenti furono distrutte dai Galliquando
saccheggiarono Roma) La figura di Bruto nell'arte Il busto di Bruto si
trova nel palazzo dei Conservatoridi Roma. Proveniva dalla collezione privata
del Cardinale Rodolfo Pio da Carpi, che la donò alla città nel XVII secolo.
Trafugato da Napoleone che lo fece esporre al Louvre, fu riportato a Roma.
ALIGHIERI (si veda) lo cita nel limbo, nell’Inferno, quando scrive. VIDI QUEL
BRUTO CHE CACCIÒ TARQUINO (Alighieri, Divina Commedia, Inferno) Shakespeare,
nella sua tragedia Giulio Cesare, fa un riferimento a Lucio Giunio, quando fa
ricordare a Cassio che parlava a Bruto, l'altro cesaricida, lo spirito
repubblicano dei propri antenati. Lucio Giunio Bruto è uno dei personaggi
principali de Il ratto di Lucrezia, un poema sempre di Shakespeare, e nella
tragedia di Nathaniel Lee, Lucius Junius Brutus; Father of his Country. A
Giovan Francesco Maineri è attribuito un dipinto, databile tra il 1490 e il
1493, dal titolo Lucrezia, Bruto e Collatino. Nel 1789, all'alba della
rivoluzione francese, il pittore francese Jacques-Louis David realizzò il
dipinto I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli, oggi esposto al
Louvre di Parigi. Il dipinto provocò grandi timori nelle autorità, poiché si
temeva un paragone tra l'intransigenza del console Lucio Giunio Bruto, che non
esitò a sacrificare i figli che cospiravano contro la Repubblica, e la
debolezza di Luigi XVI rispetto al fratello conte d'Artois, favorevole alla
repressione dei rappresentanti del Terzo Stato. Giunio Bruto è anche
un'opera seria musicata da CIMAROSA (si veda), libretto di ACANZIO (s veda) Matyszak,
Eutropio, Breviarium ab Urbe condita Eutropio, Breviarium ab Urbe condita Livio,
Ab Urbe condita libri Santillana e Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi Livio,
Periochae ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe
condita libri Livio, Ab Urbe condita libri Livio, Periochae ab Urbe condita
libri Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Livio, Ab Urbe condita libri Livio,
Ab urbe condita libri Livio, Ab urbe condita libri Dionigi racconta che furono
due i figli accusati ed uccisi da Bruto, Antichità romane, Libro VIII, 79. ^
Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Livio, Ab Urbe condita libri Iunia e
Servilia; Sydenham; Crawford.Fonti primarie Livio, Ab Urbe condita. Fonti secondarie William
Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Taylor, Walton
and Maberly, London. Matyszak, Chronicle of the roman Republic, New York,
Thames & Hudson. Carandini, Res
publica: Come Bruto cacciò l'ultimo re di Roma, Milano, RCS Libri S.p.A. Voci
correlate Bruto capitolino Consoli repubblicani romani Gens Iunia Lapis
Satricanus Elenco degli oracoli di Delfi. Bruto, Lucio Giunio, in Dizionario di
storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Lucio Giunio Bruto, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Lucio Giunio Bruto nel
Dizionario delle antichità greco-romane di William Smith Portale Antica
Roma Portale Biografie PAGINE CORRELATE Tarquinio il Superbo
settimo e ultimo re di Roma Lucrezia (antica Roma) figlia di Spurio
Lucrezio Tricipitino e moglie di Collatino Lucio Tarquinio Collatino
politico romano. Keywords: RES PVBLICA RES POPVLI, ius, Grice on Hart, Hart’s failure
as a jurisprudentialist – “La filosofia romana” “La giurisprudenza romana” la
genesi logica della scienza nuova di Vico, la genesi storica della scienza nova
di vico, Michelet, filosofo uganotto discipolo di Vico, Croce su F., F. su
Gentile, F. su Romano – iurisprudenza, ius-naturalismo – legge e raggione,
legge raggione, societa – positivismo – storia come esperienza giuridica,
l’assoluto giuridico – natura umana – grozio e vico – lo stato fascista di
Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fassò” – The Swimming-Pool Library. Guido
Fassò. Fassò
Grice e Fausto:
la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano– Riez --. Contra Claudiano
Mamerto.
Grice e Favonio: la
ragione conversazionale a Roma antica – il portico a Roma – il cinargo a Roma
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Filosofo del portico,
amico e ammiratore di CATONE (si veda) Uticense. Fugge con Pompeo. E
giustiziato per essere proscritto. Dopo che Marco F. E catturato e giustiziato
a seguito della battaglia di Filippi Ottaviano acquistò uno dei suoi schiavi,
un certo Sarmento, quando tutte le proprietà del nemico sconfitto vennero messe
in vendita: è stato affermato poi ch'egli divenne il catamite preferito dello
stesso futuro imperatore. Osgood, J.
Caesar's Legacy: Civil War and the Emergence of the Roman Empire, Cambridge. Marcus
F., a Roman politician during the period of the fall of the Roman Republic. Noted
for his imitation of Catone the Younger, his espousal of the Cynic philosophy –
CINARGO --, and for his appearance as the Poet in William Shakespeare's play
Julius Caesar. Life Aerial view of Terracina with the Circeo
promontory in the background Favonius was born in around 90 BC[1] in Tarracina
(the modern Terracina), a Roman colony on the Appian Way at the edge of the
Volscian Hills.[2] Favonius in Latin means "favourable"; in Roman
mythology Favonius was the west wind, whose counterpart in Greek mythology was
Zephyrus.[3] Political career Favonius,
with the support of Cato, was chosen aedile at some time between 53 and 52
BC.[2] According to Plutarch, Favonius
stood to be chosen aedile, and was like to lose it; but Cato, who was there to
assist him, observed that all the votes were written in one hand, and
discovering the cheat, appealed to the tribunes, who stopped the election.
Favonius was afterwards chosen aedile, and Cato, who assisted him in all things
that belonged to his office, also undertook the care of the spectacles that
were exhibited in the theatre.[4] As
well as being chosen aedile, he was also chosen quaestor and served as legatus
in Sicily, "probably after his quaestorship".[2] Although many
classical reference works list Favonius as having been a praetor in 49 BC, it
is a matter of some controversy whether or not he was a praetor at any time
between 52 and 48 BC. According to F. X. Ryan, in his 1994 article 'The
Praetorship of Favonius', the matter hinges on the meeting at the senate at
which he bade Pompey "stamp on the ground". "When we are forced
to decide whether a man who spoke at a meeting summoned by consuls was a
praetor or a senator, all we can say is that probability greatly favors the
latter alternative."[2] Cassius Dio wrote of Favonius' relation to Cato
that Favonius "imitated him in everything",[5] while Plutarch wrote
that Favonius was "a fair character ... who supposed his own petulance and
abusive talking a copy of Cato's straightforwardness".[6] An instance of
his imitation of Cato's plainspeaking that was ruder and more vehement than the
behaviour of his model might have allowed came in 49 BC; in a dispute in the
Senate, Pompey, challenged as to the paucity of his forces when Julius Caesar
was approaching Rome from Gaul, answered that he not only could call upon the
two legions that he had lent to Caesar but could make up an army of 30,000 men.
At which Favonius "bade Pompey stamp upon the ground, and call forth the
forces he had promised".[6]
According to Plutarch, Favonius was known amongst his fellow Roman
aristocrats as a Cynic because of his outspokenness,[7] but a modern writer on
Greek philosophy labels him as an "early representative of Cynic
type" who fell short of the (possibly unattainable) ideal cynicism of the
earliest Greek proponents of the doctrine (a slightly later example of the type
was Dio Chrysostom). Despite his wild, vehement manner, F. is capable of acts
of humility, such as he performed to Pompey when he entertained Deiotarus I of
Galatia aboard ship. Pompey, for want of
his servants, began to undo his shoes himself, which Favonius noticing, ran to
him and undid them, and helped him to anoint himself, and always after
continued to wait upon, and attended him in all things, as servants do their
masters, even to the washing of his feet and preparing his supper. Against the
triumvirate F. was a member of the optimates faction within the Roman
aristocracy; in a letter to Caesar on ruling a state (Ad Caesarem senem de re
publica oratio), traditionally attributed to Sallust but probably by the
rhetorician Marcus Porcius Latro, Caesar is told of the qualities of some of
these nobles. Bibulus and Lucius Domitius are dismissed as wicked and
dishonourable while Cato is someone "whose versatile, eloquent and clever
talents I do not despise." The writer continues, In addition to those whom I have mentioned
the party consists of nobles of utter incapacity, who, like an inscription,
contribute nothing but a famous name. Men like Lucius Postumius and Marcus F.
seem to me like the superfluous deckload of a great ship. When they arrive
safely, some use can be made of them; if any disaster occurs, they are the
first to be jettisoned because they are of least value. Like Cato, F. opposed the corruption of many
of Rome's leading politicians in general and the rise of the First Triumvirate
in particular. When Caesar returned from his praetorship in Spain and
successfully stood for consul, he allied himself with Pompey (to whom he gave
his daughter Julia in marriage) and Clodius. Following an incident in which
Cato prevented Caesar from both having a triumph and standing for consulship by
a filibustering tactic, after which Cato and Bibulus were physically attacked
by Caesar's supporters, Caesar's party demanded two things of the senate:
first, that it sign a law concerning the distribution of land; second, that all
senators swear an oath promising that they would uphold the law. Silver
denarius of Cato the Younger. According to Plutarch, "heavy penalties were
pronounced against such as would not take the oath", which in this case
meant exile. A party led by Cicero, Lucullus and Bibulus, to which Cato and F.
allied themselves, opposed these measures, but eventually either swore the oath
or abstained. Cato, however, feared these laws and the oath as not being for
the common good but as extensions of the power of Caesar and Pompey; Plutarch
writes of Cato that "he was afraid, not of the distribution of land, but
of the reward which would be paid for this to those who were enticing the
people with such favours." Eventually all senators except Cato and F.
agreed to Caesar and Pompeys's measures, whereupon Cicero made an oration
urging Cato to soften his attitude. According to Plutarch, The one who was most successful in persuading
and inducing him [Cato] to take the oath was Cicero the orator, who advised and
showed him that it was possibly even a wrong thing to think himself alone in
duty bound to disobey the general will; and that his desperate conduct, where
it was impossible to make any change in what had been done, was altogether
senseless and mad; moreover, it would be the greatest of evils if he should
abandon the city in behalf of which all his efforts had been made, hand her over
to her enemies, and so, apparently with pleasure, get rid of his struggles in
her defence; for even if Cato did not need Rome, still, Rome needed Cato, and
so did all his friends; and among these Cicero said that he himself was
foremost, since he was the object of the plots of Clodius, who was openly
attacking him by means of the tribuneship. Finally Cato was persuaded to give
up his opposition, followed by F., the last to submit. Plutarch writes,
"By these and similar arguments and entreaties, we are told, both at home
and in the forum, Cato was softened and at last prevailed upon. He came forward
to take the oath last of all, except F., one of his friends and intimates. Upon
hearing the news that of the members of the Triumvirate, Caesar was to be given
a fresh supply of money, and Pompey and Crassus were to be consuls again the
following year, F., "when he found he could do no good by opposing it,
broke out of the house, and loudly declaimed against these proceedings to the
people, but none gave him any hearing; some slighting him out of respect to
Crassus and Pompey, and the greater part to gratify Caesar, on whom depended
their hopes. Assassination of Caesar Despite the fact that he opposed Caesar, F.,
like Cicero, was not invited by Brutus and Cassius to participate in the plot
to assassinate Caesar. In his Life of Brutus, Plutarch wrote, As indeed there were also two others that
were companions of Brutus, Statilius the Epicurean, and F. the admirer of CATONE
(si veda), whom he left out for this reason: as he was conversing one day with
them, trying them at a distance, and proposing some such question to be
disputed of as among philosophers, to see what opinion they were of, Favonius
declared his judgment to be that a civil war was worse than the most illegal
monarchy. Execution after Philippi After Caesar's death, F. became an opponent
of his successors in the Second Triumvirate. According to Cicero's letter to
Atticus, F. was present at a meeting of the Liberatores who opposes Antony's
near-dictatorial regime. Also present at this meeting were Cicero, Brutus,
Cassius, Porcia Catonis, Servilia and Junia Tertia. Along with Cicero, his
brother Quintus Tullius CICERONE (si veda), and Lucius Julius Caesar, F. is
proscribed by the triumvirate, and imprisoned after Antony and Octavian (later
Augustus) defeated the forces of Brutus and Cassius at the Battle of Philippi.
His imprisonment did little to assuage his intemperate behaviour. According to
Suetonius, "Marco F., the well-known imitator of Cato, saluted Antonius
respectfully as Imperator when they were led out in chains, but lashed Augustus
to his face with the foulest abuse. F.’s abuse was apparently as a result of
Octavian's brutal treatment of the prisoners captured at Philippi. Of his death Cassius Dio wrote, Most of the prominent men who had held
offices or still survived of the number of Caesar's assassins or of those who
had been proscribed straightway kill themselves, or, like F., are captured and
put to death; the remainder escaped to the sea at this time and later joined
Sextus. F.’s slave Sarmentus, who was bought after his master's death when his
estate was sold, is claimed to have become a catamite of the emperor Augustus. Osgood
says this might have been as a slander planted by supporters of MARC’ANTONIO,
but both ancient and contemporary students of Roman sexuality have observed
that a man's sexual use of his own slaves, male or female, is not a target for
social condemnation. Sarmentus was the subject of Quintus Dellius' complaint to
Cleopatra that while he and other dignitaries were served sour wine by Antony
in Greece, Augustus' catamite was drinking Falernian in Rome. Legacy
Shakespeare's GIULIO (si veda) CESARE
Facsimile of the first page of Julius Caesar from the First Folio. F. is
the character known as the Poet who appears in Shakespeare's play GIULIO (si
veda) CESARE. Shakespeare takes the details of this scene from Plutarch's
Parallel Lives, in which, on Brutus' journey to Sardis, Plutarch writes that
Brutus and Cassius fell into a dispute in an apartment (Shakespeare assigns
this scene to Brutus' tent), which ultimately led to their sharing angry words
and both of them bursting in tears. Their friends attempted to break into the
room to see what the dispute was about and forestall any mischief, but were
prevented from doing so by a number of attendants. F., however, was not to be
stopped. According to Plutarch, Marcus F., who had been an ardent admirer of
Cato, and, not so much by his learning or wisdom as by his wild, vehement
manner, maintained the character of a philosopher, was rushing in upon them,
but was hindered by the attendants. But it was a hard matter to stop F.,
wherever his wildness hurried him; for he was fierce in all his behaviour, and
ready to do anything to get his will. And though he was a senator, yet,
thinking that one of the least of his excellences, he valued himself more upon
a sort of cynical liberty of speaking what he pleased, which sometimes, indeed,
did away with the rudeness and unseasonableness of his addresses with those
that would interpret it in jest. F., breaking by force through those that kept
the doors, entered into the chamber, and with a set voice declaimed the verses
that Homer makes Nestor use – "Be ruled, for I am older than ye
both." At this Cassius laughed; but BRUTO (si veda) thrust him out,
calling him impudent dog and counterfeit Cynic; but yet for the present they
let it put an end to their dispute, and parted. Cassius made a supper that
night, and Brutus invited the guests; and when they were set down, F., having
bathed, came in among them. Brutus called out aloud and told him he was not
invited, and bade him go to the upper couch; but he violently thrust himself
in, and lay down on the middle one; and the entertainment passed in sportive
talk, not wanting either wit or philosophy. In Shakespeare's version of this
encounter in Julius Caesar, Favonius' opening lines in his role as Poet are:
POET. [Within] Let me go in to see the generals; There is some grudge between
'em, 'tis not meet they be alone. Forcing his way into Brutus' tent, he
addresses Brutus and Cassius: POET. For shame, you generals! what do you mean?
Love, and be friends, as two such men should be; For I have seen more years,
I'm sure, than ye. To which, Cassius replies: CASSIUS. Ha, ha! how vilely doth
this cynic rhyme![20] and Brutus drives
him from his tent. Here Shakespeare departs from Plutarch's account of the
scene, as F. does not feature in Brutus and Cassius' subsequent drinking
bout. Dudley, A History of Cynicism –
From Diogenes on, Read Books, at books.google.com, Ryan, The Praetorship of F.,
at accessmylibrary.com, Brewer, E. Cobham, Brewer's Dictionary of Phrase and
Fable at Bartleby Plutarch, Life of CATONE (si veda) the Younger Cassius Dio, Roman History, at uchicago Plutarch,
Life of Pompey Plutarch, Life of Brutus
Dawson, D. Cities of the Gods: Communist Utopias in Greek Thought OUP,
Pseudo-Sallust, Letter to Caesar on the State, at uchicago Dillon, M. and
Garland, L. Ancient Rome, Taylor e Francis, Plutarch, Life of Caesar CICERONE (si veda), Letters to Atticus,
Suetonius, Life of Augustus, Cassius Dio, Roman History, at uchicago Osgood, GIULIO
(si veda) CESARE’s Legacy: Civil War and the Emergence of the Roman Empire,
CUP, books.google Osgood, GIULIO (si veda) CESARE’s Legacy: Civil War and the
Emergence of the Roman Empire, CUP, books.google.com, Craig Williams: Roman
Homosexuality: Oxford Plutarch, Life of MARC’ANTONIO (si veda), Shakespeare, GIULIO (si veda) CESARE, cur. Danniel,
editorial note, GIULIO (si veda) CESARE at books.google.com, Shakespeare,
Julius Caesar, Geiger, Favonius: three notes". RSA. Linderski, J. "The Aedileship of Favonius, Curio the
Younger and CICERONE (si veda)’s Election to the Augurate". Harvard
Studies in Classical Philology. Ryan, F. X. "The Praetorship of
Favonius". American Journal of Philology. Ryan, The Quaestorship of
Favonius and the Tribunate of Metellus SCIPIONE (si veda)". Athenaeum. vte
Cynic philosophers Greek eraAntisthenes Diogenes Onesicritus Monimus Philiscus Hegesias
of Sinope Anaximenes of Lampsacus Crates Hipparchia Metrocles Cleomenes Bion Menippus
Menedemus Cercidas Teles Meleager Roman eraFavonius Demetrius Dio Chrysostom Agathobulus
Demonax Peregrinus Proteus Theagenes Oenomaus Pancrates Crescens Heraclius Asclepiades
Maximus I of Constantinople Horus Sallustius Categories: births deaths People
from Terracina Romans Ancient Roman politiciansSenators of the Roman Republic People
executed by the Roman Republic Roman aediles executions Roman-era Cynic philosophers
Roman governors of Macedonia. A Cynic. He attached himself to CATONE Minore,
whom he sought to imitate. He was also a friend of Marco BRUTO, but they fell
out and Bruto told him that while he only PRETENDED to be a Cynic, he really
WAS a dog! Favonio.
Grice e Favonio: la
ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italianao. Eulogio. F. Eulogio.
Cartaginese, ha come maestro di retorica Agostino, dal quale risulta che
esercita quell’arte in Africa, Dedicò la sua "Disputatio de sommio
Scipionis" a Superio, consolare della provincia di Bizacena. Questa
disputazione in ultimo deve derivare dal commento posidoniano al
"Timeo," mediato da Varrone, al quale si ritengono attinte le fonti
citate. La prima parte della disputazione presenta la teoria dei numeri,
essenza delle cose e tratta del significato simbolico di essi, dall’I al IX. La
seconda parte della disputazione si occupa dell’armonia delle
sfere. Queste teorie sono pitagoriche in generale.Ma il Neo-Pitagorismo
appare in ciò che Favonio Eulogio dice della monade, in cui espone in modo poco
chiaro una teoria monistica che deriva da essa ogni realtà. Il numero è
eterno, intelligibile, incorruttibile, e include con la potenza tutto ciò che
è.Ma inteso in senso proprio è una pluralità unificata e divisibile e perciò
comincia con la diade.Invece la monade, l’unità assoluta e indivisibile e
identica al divino, è il seme e l’inizio dei numeri. I numeri poi sì
distinguono dalle cose corporee numerabili che sono accidenti e sostrati dei
primi, che sono riducibili alla monade. Però le cose numerabili non sono
altro che tale unità assoluta, che è prima, entro e dopo tutte le
cose. Infatti, ogni quantità proviene dall’uno e in esso mette capo ed
esso permane immutabile quando periscono le altre cose che possono accoglierlo
in sè. Retore romano, discepolo d’Agostino ed operò a Cartagine. È
noto per un episodio narrato dal suo maestro, che lo rende identificabile con F.
autore dell'operetta Disputatio de somnio Scipionis. Il suo scritto lo pone fra
gli studiosi neopitagorici e neoplatonici. La Disputatio, dedicata a
Superio, vir clarissimus atque sublimis, è suddivisa in due parti: la prima è
dedicata all'aritmologia; la seconda espone in breve la teoria musicale greca. Holder,
F. Disputatio de Somnio Scipionis, Lipsiaem Weddingen, F. Disputatio de Somnio
Scipionis, édition et traduction, Collection Latomus, Bruxelles; Scarpa,
Favonii Eulogii Disputatio de Somnio Scipionis, Accademia patavina di Scienze,
Lettere e Arti, Università di Padova. Istituto di filologia latina, Padova; Lukas
J. Dorfbauer: Überlieferung und historischer Kontext der Disputatio de Somnio
Scipionis des Favonius Eulogius. Latomus. Marcellino, F. Disputatio de Somnio
Scipionis, edizione critica, traduzione e commento, Napoli, D'Auria, Camille
Gerzaguet - Béatrice Bakhouche - Mylène Pradel-Baquerre; Drelon: F. Exposé sur le songe de Scipion. Les Belles Lettres, Paris,
edizione critica con annotazioni Heberlein: F., Abhandlung über das Somnium
Scipionis. Mit einem Essay von Lukas J. Dorfbauer.
Steiner, Stuttgart, edizione critica con traduzione e commento. F. in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1932. Opere di F.,
su digilibLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro.
Opere di F., su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di F., su Open Library,
Internet Archive. Portale Biografie:
accedi alle voci di che trattano di biografie Categoria: Retori romani[altre]. Favonio Eulogio was a pupil
of Agostino and wrote an analysis of Cicero’s Dream of Scipione. Favonio Eulogio. Favonio.
Grice e Favorino:
la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia italiano – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Comes from Arelate. Said by Flavio
Filostrato to have been a hermaphrodite. Pupil of Dion Cocceianos. Achieves
fame as a sophist. Writes many books on philosophy, including works on
Epitteto. He is exiled by Adriano. Favorino
Grice e Fazio: all’isola
-- la ragione conversazionale all’isola -- l’implicatura conversazionale della
colloquenza – scuola di Palermo – filosofia palermitana -- filosofia siciliana
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo palermitano. Filosofo siciliano. Filosofo
Italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “I like Allmeyer; especially his rambles on
Roman philosophy when he taught at Rome – ‘La filosofia romana’ has a very
datable beginning: that infamous embassy that terrified the old Romans but charmed
the younger ones, such as Scipione!” --
Grice: “Due to Gentile, Allmaayer was forced to focus on Italian
philosophy, and Gentile allowed him to call Galileo a ‘filosofo’! – Grice:
“Allmayer’s pragmatics is Griceian: there is a colloquium, when a ‘soggeto’
empirico recognises another soggesto empirco (il tu del’io) – and they shape a
‘noi’ – for this he appeals to concepts of objectivity as intersubjectivity –
If I imply, it is the UTTERER’s expression and implication that is primary, but
I INTEND my implicature to be reccognised by the ‘tu’ – and this does not
‘alienate’ my concrete subjectivity – it does not vanish – it is merely
re-invoked by the other – ‘invoke’ being a linguistic term – vox –: this is
what the ‘assoluto’ stands for, that terrified Bradley!” -- Grice: “I love the fact that Allmayer taught
the history of logic, with a focus on ‘stoic’ logic – and it’s only natural
that ‘stoicismo’ was his favourite stage in Roman philosophy!” – Grice: “Oddly,
Allmayer has a genial commentary on my favourite of Arisotle’s treatises and
the foundation of my method in philosophical psychology – “De Anima””! Insieme a GENTILE (si veda), e altri filosofi, uno
degl’esponenti di spicco della corrente filosofica detta
attualismo. Nacque da Giuseppe Emanuele FAZIO, originario di Alcamo (ex
garibaldino e in servizio presso il Museo nazionale di Palermo) e da Felicina
Allmayer, di origine tedesca, ma residente in Italia. Fin da ragazzo si
interessa alla storia dell'arte. Si laurea in giurisprudenza ma poiché è
appassionato alla filosofia, inizia subito gli studi filosofici e a frequentare
la biblioteca filosofica di Palermo, dove ha modo di conoscere GENTILE (si
veda). Si laurea. Insegna al liceo "Umberto I" di Palermo, dove
comincia la sua ricca produzione saggistica che lo rende famoso in
Italia. La sua carriera continua a Roma. Subito dopo la caduta del
fascismo, F. è sospeso dall'insegnamento; per essere reintegrato dopo la fine
della guerra. Dopo un periodo travagliato della sua vita riprende la
molteplice attività di saggista e critico, oltre che di docente. Si sposa
con Concettina Carta, con cui ha tre figli. Rimasto vedovo, si sposa in seconde
nozze con Bruna Boldrini che, conosciuta col cognome acquisito, è stata tra i
maggiori critici di Fazio e ne ha promosso un'edizione completa delle Opere
(Firenze). F., colpito da infarto tre anni prima, muore a Pisa. In
memoria di questo insigne filosofo e pedagogista di origine alcamese, il liceo
delle Scienze Umane, Economico Sociale, Linguistico, Musicale (ed autorizzato
per le Arti coreutiche) è stato intitolato al suo nome. Professore presso
il liceo di Matera: professore al liceo di Agrigento, vince una borsa di studio
per perfezionamento presso l'Roma docente presso il liceo "Umberto I"
di Palermo: libero docente di storia della filosofia a Roma trasferito a
Palermo, è condirettore del Giornale critico della filosofia italiana,
fondato da GENTILE (si veda) e diretto dallo stesso prima di essere ministro:
docente di filosofia a Palermo: docente di storia della filosofia (con corsi su
Bacone e sui sofisti e Platone) presso l'Roma, in sostituzione di GENTILE (si
veda) e incaricato di pedagogia al magistero di Roma: collaboratore di GENTILE
(si veda) per la riforma scolastica e, con l'incarico di ispettore centrale
degli istituti medi di istruzione, ha affidata la redazione dei programmi della
scuola media: professore non stabile di storia della filosofia medievale e
moderna: ha la cattedra di filosofia teoretica in sostituzione di CARABELLESE
(si veda): preside della facoltà di lettere: commissario per l'amministrazione
straordinaria della sezione arti decorative, annessa alla Scuola artistica e
industriale di Palermo in poi: commissario governativo per l'Accademia di Belle
Arti: sospeso dall'insegnamento e reintegrato dopo la fine della guerra:
cattedra di storia della filosofia dell'Pisa: direttore dell'istituto di
filosofia. Il tramonto del positivismo e l'amicizia con GENTILE (si veda) lo
portano a un impegno ideologico a favore dell'attualismo che sembra poter
portare a un rinnovamento culturale e civile. Secondo l'attualismo, è l'atto
del pensare in quanto percezione, e non il pensiero creativo in quanto
immaginazione, a definire la realtà. Assieme a GENTILE (si veda) e RUGGIERO
(si veda), è uno dei sostenitori di quell'attualismo che ha tutta la seduzione
romantica e tutta la fiducia ottimistica a trarre a séi migliori dei scontenti,
quelli che non si muovevano verso ANNUNZIO (si veda) o MARINETTI (si veda), e
appoggia apertamente, anche con conferenze, l'intervento dell'Italia nel
conflitto mondiale, ma venne riformato alla visita militare. Nelle parole
di Boldrini, che tende a sottolineare la sostanziale autonomia della ricerca
del F. dalla metafisica di GENTILE (si veda), F. giunge a giustificare
l'esperienza storica come vita concreta, in cui le molteplici e diverse forme
confluiscono in un rapporto intersoggettivo, sintesi etico-estetica, nella
specificità di ciascuna. D'altronde, anche CROCE (si veda) in una recensione
del saggio Contributo alla teoria della storia dell'arte (poi in Opere),
mettein dubbio che si puo parlare ancora di idealismo attuale per F. Nel
secondo dopoguerra, in un momento denigratorio dell'idealismo, e maggiormente
dell'attualismo, che è accusato di connivenza col FASCISMO, la posizione di F. è
di aperta difesa dell'attualismo e di un fedele sviluppo del proprio
pensiero. Insegnare è non morire Insegnare vuol dire non morire, ma
entrare in un processo di vita che ci precede e ci prosegue nel tempo: su
questa certezza di F., si basa una spinta pedagogica di tipo socratico, per cui
il maestro si sente un uomo tra uomini, lui più esperto, e loro più giovani, ma
protesi verso il nuovo. L'educatore, nel suo farsi persona, diventa
storico di se stesso, nel rapporto con i propri alunni li deve riconoscere
nella loro singolarità, piuttosto che livellarli. Aprirsi agli altri è il
contributo al vivere: allorché viene meno questo senso di solidarietà col
tutto, si crea in noi il disagio dell'angoscia. Quindi il senso della
vita è quello della speranza e dell'amore: gli altri individui non sono
antitetici al proprio io, ma un indispensabile sbocco del proprio io. Ognuno di
noi si fa compossibile agli altri per ciò che dà e per quello che ripiglia
dagli altri, così il particolare si risolve nell'universale e quest'ultimo nel
particolare. Per F. la speranza è nella certezza che il futuro è nel
presente: sono vecchi, quindi, gli insegnanti che, presi dal passato, trovano
disprezzabile tutto ciò che si produce nel presente, e sciocchi i giovani, e
sbagliato ogni nuovo pensiero. La scuola è vecchia se non riesce a vedere il
mondo nuovo e in rinnovamento; l'insegnante che si racchiude nelle memorie del
passato, manifesta la malattia mortale che si chiama vecchiaia.
Fondazione La Fondazione Nazionale F. è
sorta a Palermo, creata da Giambalvo e F. , che venne in Sicilia dalla Toscana
per insegnare Filosofia morale e Storia della Pedagogia; tale istituzione è
stata fondata per onorare il ricordo del marito e per suscitare nelle giovani
generazioni l'interesse per la filosofia. Opere Su: La Sicile illustrée,
articoli e saggi Su: Rassegna d'arte, articoli e saggi, Studi sul pensiero
antico; Sansoni, Galilei; R. Sandron,
Galilei, Palermo, poi in Opere, GALILEI (si veda); Sansoni, Novum
organum: Bacon; Laterza, Dell'anima Aristotele; Laterza, la formazione del problema kantiano, in
Annali della Bibl. filosofica di Palermo, poi in Opere) La scuola popolare e
altri discorsi ai maestri: Battiato, Introduzione allo studio della storia
della filosofia; Zanichelli; Materia e sensazione (Sandron, Palermo, in Opere)
Materia e sensazione; Sansoni, Introduzione alla filosofia; Sansoni, La teoria
della libertà nella filosofia di Hegel (Messina, in Opere) Saggio su Bacone
(Palermo, in Opere) Saggio su Bacone; Il problema morale come problema della
costituzione del soggetto, e altri saggi (Firenze, Monnier, in Opere) Il
problema morale come problema della costituzione del soggetto e altri saggi;
Sansoni, Il significato della vita; Sansoni, Il significato della vita;
Divagazioni e capricci su PINOCCHIO; G.C. Sansoni, Divagazioni e capricci su PINOCCHIO;
Fondazione nazionale F., Ricerche hegeliane; G. C. Sansoni, Ricerche hegeliane;
Fondazione nazionale F., Storia della filosofia; Palumbo, Storia della
filosofia; Sansoni, I vigenti programmi della scuola elementare: Commento e
interpretazione; Firenze, F. Le Monnier, Morale e diritto; Sansoni, Discorsi,
lezioni; Sansoni, Saggi e problemi; Sansoni, Recensioni e varie, La Pinacoteca
del Museo di Palermo e altri saggi; notizie dei pittori palermitani, Palermo,
Prolusioni e discorsi inaugurali; Sansoni, Alcune lezioni edite e inedite;
Sansoni, Alcune lezioni edite e inedite; Sansoni, Spunti di storia della
pedagogia Moralita dell'arte: rievocazione estetica e rievocazione suggestiva
(con postille); Sansoni, Moralita dell'arte e altri saggi; Sansoni. Logica e
metafisica; Sansoni, La storia; Sansoni, Lettere a Bruna; Fondo F. Lettere a GENTILE
(si veda); Fondo F., Introduzione allo studio della storia della filosofia e
della pedagogia; Sansoni, La teoria della liberta' nella filosofia di Hegel;
Principato, Opere; Sansoni, Commento a PINOCCHIO; G. C. Sansoni, Il problema
PIRANDELLO (si veda); Firenze, Belfagor, treccani/ enciclopedia f. (Dizionario-Biografico
GARIN (si veda), Cronache di filosofia italiana., Bari, ad Indicem; f. treccani,
treccani enciclopedia vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/. F.,//faf. /index//.
Vita e pensiero di F., Firenze, Palermo, con
degli scritti del e sul F., alle
Massolo: F. e la logica della compossibilità, Giornale critico della
filosofia italiana, LUPORINI (si veda), Ricordo di F. in Belfagor, Francesco:
Intenzionalità ermeneutica e compossibilità nell'attualismo comunicazionale di F.:
implicazioni pedagogiche; Fondazione F., A. GUZZO (si veda), F. e ROSSI (si
veda), Filosofia, Giornale critico della filosofia italiana, (scritti di SAITTA
(si veda), MASSOLO (si veda), CARAMELLA (si veda), ALBEGGIANI (si veda), MINEO
(si veda), F.); SANTUCCI (si veda), Esistenzialismo e FILOSOFIA ITALIANA,
Bologna, Negri, In ricordo di F., in Filosofia, GARIN (si veda), Cronache di
filosofia italiana, Bari ad Indicem; F. Esistenza e realtà nella fenomenologia
di F., Bologna, Sichirollo, Filosofia e storia nella più recente evoluzione di
F., in Per una storiografia filosofica, Urbino
Giambalvo, La metafisica come esigenza in Bergson e l'esigenza della
metafisica in F., Palermo, SINI (si veda): Studi e prospettive sul pensiero di
F. il Pensiero, ist. editoriale Cisalpino, Milano-Varese Atti del Congresso di
filosofia F., oggi, Palermo Atti del Convegno su l'estetica come ricerca e
l'impegno dell'artista nel suo mondo, Palermo
(con interventi di Lugarini, Mirabelli, Russo. Attualismo (filosofia) GENTILE
(si veda) RUGGIERO (si veda) Alcamo
treccani, treccani/enciclopedia vito-fazio-allmayer Dizionario-Biografico Filosofia Filosofo Filosofi italiani Pedagogisti
italiani Insegnanti italiani Insegnanti italiani Professore. Lezione sulla
logica. LORENZINI (si veda). Keywords: colloquenza, colloquio, dialettica,
dialogo, hegel – fascism – he was forced to retire after the fall of fascism,
altmeyer wurd allmeier, LORENZINI, PIRANDELLO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Fazio” – The Swimming-Pool Library. Vito Fazio. Fazio.
Grice e Fazzini: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola di Vieste –
filosofia viestese – filosofia foggiana – filosofia pugliese -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Vieste). Filosofo viestese. Filosofo
foggiano. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Vieste, Foggia, Puglia. Grice:
“I like Fazzini; he can be too theological, but that’s okay!” Divulgatore
di materie filosofiche e il fondatore
dell'omonima scuola private a Napoli, una delle più celebri nel regno delle Due
Sicilie. Figlio di Tommaso e Porzia Medina, che apparteneno a due delle
famiglie più agiate della città. Il suo talento per la filosofia e la
matematica è notato fin dai primi anni. I genitori decisero quindi di far
proseguire i suoi studi in ambienti che potessero garantire una formazione adeguata.
F. si trasferì a Foggia, poi a Benevento e in ultimo nel seminario di Nusco. Qui
trascorse l'adolescenza approfondendo anche lo studio dei
classici. Terminato il seminario, torna a Vieste. Lì, poco dopo il suo
rientro, recita in duomo un'orazione in lode dell'Arcangelo Michele che è molto
apprezzata dal clero e dai fedeli. Il rientro nella città natale è
comunque di breve durata. Desiderando continuare i suoi studi, si trasfere a
Napoli. Venne ordinato sacerdote e nello stesso anno ha come insegnante FERGOLA
(si veda). La scuola di quest'ultimo è un rinomato centro per la formazione e
un punto di incontro per studiosi e ricercatori del Mezzogiorno. Ne è uno degl’allievi
più illustri. Prosegue anche gli studi in filosofia. Si avvicina al
sensismo (empirismo). Ottenne dalla chiesa il permesso di acquisire testi
proibiti sul sensismo, a patto che non ne divulga i contenuti. Questo aspetto
della formazione filosofica influe sulla sua docenza e sulla sua personalità,
determinando una contraddizione che, secondo le testimonianze d’allievi e
amici, lo accompagna per tutta la vita. Apre una scuola privata in cui
venivano insegnate filosofia, matematica e fisica. La scuola ha sede nella
Strada nuova dei Pellegrini, nel quartiere di Montecalvario, e divenne uno dei
centri di studio più rinomati di Napoli. Nel periodo di maggior successo La F. arriva a
contare tra i 300 e i 400 allievi. In una data non precisabile, dovette quindi
spostare la scuola in una sede più grande, in via Magnacavallo, nello stesso
quartiere. Anche dopo aver aperto la propria scuola, comunque, insegna
presso altre scuole private. Dedica all'insegnamento sei o sette ore al giorno.
La maggior parte del tempo di insegnamento di F. è dedicata alla matematica. Al
servizio di questa attività F. pubblica aritmetica, geometria piana e geometria
solida. Oltre all'insegnamento della filosofia, si dedica alla ricerca e alla
divulgazione. Al servizio di queste tre attività allestì anche un laboratorio
scientifico, considerato uno dei migliori di Napoli. Per F. venne composta da
DONIZETTI (si veda) una messa da Requiem oggi perduta, mentre PUOTI (si veda) recita
un elogio di F., di cui è amico. Si occupa a lungo di ricerche scientifiche in
vari campi della fisica. In particolare, studia l'induzione elettromagnetica,
il magnetismo in generale e la relazione tra luce e magnetismo. Non pubblica
però quasi nulla a proposito di queste ricerche, che sono note soprattutto
attraverso le testimonianze di TELLINI (si veda) e di F. È convinto che
diverse delle forze naturali allora note, e in particolare il calorico, la
luce, l’elettricismo, il galvanismo e il magnetismo, sono in realtà diverse
manifestazioni di un'unica forza. Partendo da questa idea di base, studia
soprattutto il magnetismo, e in particolare due fenomeni d’induzione, oggi
spiegati in base alla legge di Faraday, scoperta negl’anni immediatamente
precedenti: il magnetismo di rotazione, scoperto d’ARAGO (si veda)-- il
fenomeno per cui un ago magnetico posto sopra un disco di rame in rotazione
inizia a sua volta a ruotare -- l'induzione tellurica, scoperta da Faraday: la
generazione di una corrente elettrica indotta in un circuito che si muove
attraverso il campo geo-magnetico. Per quanto riguarda il magnetismo di
rotazione, ripeté e approfondì le esperienze d’ARAGO (si veda) notando che la
rotazione dell'ago magnetico si verifica anche quando al di sopra del disco di
rame si sovrappone materiale isolante, mentre non si verifica se il disco di
rame vienne sostituito da un disco di materiale isolante. Per quanto
riguarda l'induzione tellurica, ne identifica con maggiore chiarezza le
modalità. Cerca poi di combinare lo studio di questo fenomeno con quello del
magnetismo di rotazione, costruendo per questo tre diversi apparecchi. Una
ricostruzione dettagliata del modo in cui gli apparecchi operano è fornita sulla
base delle testimonianze lasciate da CIRELLI (si veda) e F.. Descrie una dvelle
sue esperienze sull'induzione tellurica in una lettera a Faraday. Questa
lettera è l'unica descrizione lasciata da F. in persona riguardo ai propri
esperimenti. Esegue inoltre esperimenti sul rapporto tra luce e magnetismo,
proiettando raggi di luce su un ago magnetico. Le testimonianze rimaste, tutte
indirette, non permettono però di ricostruire in modo sicuro le intenzioni di F.
e i risultati dei suoi esperimenti. Altri saggi:: “Elementi di geometria piana”
(Napoli), “Geometria solida: la sfera e il cilindro (Napoli); Elementi di
aritmetica (Napoli). Dizionario biografico degli italiani. La terna dei numeri
primi dispari entro la decade. Il pentalfa pitagorico e la stella fiammeggiante.
La tavola tripartite. La Grande Opera e la Palingenesi. La Tetractis pitagorica
ed il Delta massonico II - La quaterna dei numeri composti o sintetici. Il
numero e le sue potenze REGHINI (si veda). Il matematico ed erudito
fiorentino REGHINI (si veda), alto dignitario della Massoneria prima del suo
scioglimento ad opera del FASCISMO, è il più noto esponente del neo-pitagorismo
nel XX secolo e teorico dell’“lmperialismo Pagano”. Amico di AMENDOLA (si veda)
e di PAPINI (si veda), personaggio di punta della scapigliatura fiorentina
all’epoca delle riviste “Leonardo”, “Lacerba” e “La Voce”, fu a sua volta
fondatore delle riviste “Atanòr”, “Ignis”, e - con EVOLA (si veda) - “UR” - Alla
sua opera sono legate la riproposizione della “magia colta”, neo-platonica e
rinascimentale, che contrappose al Cristianesimo come via d’accesso al divino,
ed una critica radicale dell’occultismo e degli pseudo-esoterismi moderni. In
collaborazione con René Guénon, auspicò la rinascita spirituale dell'Occidente
attraverso la formazione di un’élite iniziatica nel quadro di un processo di
rigenerazione della Massoneria, in cui vedeva un residuo “deviato” di un'antica
organizzazione ermetico-pitagorica, d’origine pre-cristiana ed erede degli
antichi Misteri. Polemista efficacissimo; fu interventista e fautore del primo
fascismo, ma ruppe con Mussolini all’epoca del delitto Matteotti e con
l’instaurazione della dittatura, ritirandosi nello studio della geometria e
della matematica pitagoriche. Già in vita, sul suo conto s’era formata una
corposa leggenda di “mago” e di facitore di prodigi, arricchitasi con il tempo
di altre fantasiose aggiunte». In questi termini, icastici ma sostanzialmente
esatti, una recente biografia (1) presentava la complessa figura di Arturo
Reghini. La storia della presente opera, l’ultima scritta da Reghini prima
della morte, è stata brevemente narrata dal suo discepolo PARISE (si veda) nella
“Nota” di presentazione ad un opuscolo postumo dello stesso REGHINI (si veda):
Chiesi ad A. R. lo sviluppo filosofico ed iniziatico della opera sui numeri
pitagorici; poté condurre a termine, in circa due mesi, un volume su I numeri
sacri nella tradizione pitagorica massonica. LUCA, Reghini. Un intellettuale
neo-pitagorico tra Massoneria e Fascismo, Atanòr, Roma, REGHINI A.,
Considerazioni sul Rituale dell’apprendista libero muratore con una nota sulla
vita e l’attività massonica dell’Autore di Giulio Parise, Edizioni di Studi
Iniziatici, Napoli. Il saggio è finito di stampare per i tipi dello stab. tip.
S. Barbara di Ugo Pinnarò, Roma – Via Pompeo Magno. Editore è il già citato PARISE
(si veda), attraverso Ignis, la medesima che pubblica il saggio reghiniano Per
la restituzione della geometria pitagorica. REGHINI (si veda) muore sei mesi
prima. Nell’elaborazione del testo elettronico si è provveduto ad operare le
correzioni indicate dall’Editore nell’Errata Corrige in allegato alla prima
edizione, nonché quelle di errori di stampa individuati nel corso della
trascrizione, come pure a rettificare talune (rarissime) imprecisioni
bibliografiche sparse qua e là ed indubbiamente dovute alle particolari
condizioni in cui Reghini si trovò a lavorare nell’immediato dopoguerra, senza
la possibilità di effettuare gli opportuni riscontri. Con ciò il Curatore ha
inteso assolvere un debito di riconoscenza contratto esattamente 40 anni fa nei
confronti di PARISE (si veda), sebbene all’insaputa di quest’ultimo. Cosmopoli.
REGHINI I NUMERI SACRI NELLA TRADIZIONE PITAGORICA MASSONICA. Reghini. I
Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse Premesse
Libertà va cercando ch'è sì cara Come sa chi per lei vita rifiuta. DANTE,
Purg.,Secondo quanto affermano concordemente gli antichi rituali e le antiche
costituzioni massoniche, la Massoneria ha per fine il perfezionamento
dell'uomo. Anche gli antichi misteri classici avevano lo stesso scopo e
conferivano la teleté, la perfezione iniziatica; e questo termine tecnico era
etimologicamente connesso ai tre significati di fine, morte e perfezione, come
osservava già il pitagorico Plutarco. Ed anche Gesù ricorre alla stessa parola,
tèleios, quando esorta i suoi discepoli ad essere «perfetti come il Padre
vostro che è nei cieli, sebbene, con una delle frequenti incongruenze delle
Sacre Scritture, lo stesso Gesù affermi che nessuno è perfetto ad eccezione del
Padre mio che è nei cieli. La definizione che abbiamo riportato sembrerebbe
esplicita e precisa; eppure con una lieve alterazione formale essa ha subìto
una grave alterazione nel concetto. Per esempio, il dizionario etimologico del
Pianigiani afferma che il fine della Massoneria è il perfezionamento
dell'umanità; e non soltanto molti profani ma anche molti massoni accettano
questa seconda definizione. A prima vista può sembrare che perfezionamento
dell'uomo e perfezionamento dell'umanità significhino la stessa cosa; di fatto
si riferiscono a due, concetti profondamente diversi, e l'apparente sinonimia
genera un equivoco e nasconde una incomprensione. Altri adopera l'espressione:
perfezionamento degli uomini, anche essa equivoca. Ora, evidentemente, non è
possibile sentenziare quale sia l'interpretazione giusta, perché ogni massone
può dichiarare giusta quella che si confà ai suoi gusti, e magari può
compiacersi dell'equivoco. Se però si vuole determinare quale sia, storicamente
e tradizionalmente, la interpretazione corretta e conforme al simbolismo
muratorio, la questione cambia aspetto e non è più questione di gusti. Il
manoscritto rinvenuto dal Locke nella Biblioteca Bodleyana e pubblicato solo
nel 1748 e che è attribuito alla mano di Enrico VI di Inghilterra, definisce la
Massoneria come «la conoscenza della natura e la comprensione delle forze che
sono in essa»; ed enuncia espressamente l'esistenza di un legame tra la
Massoneria e LA SCUOLA ITALA, perché afferma che Pitagora, un greco, viaggiò
per istruirsi in Egitto, in Siria, ed in tutti i paesi dove i Veneziani (leggi
i Fenicii) avevano impiantato la Massoneria. Ammesso in tutte le loggie di
Massoni, acquistò un grande sapere, tornò in Magna Grecia e vi fonda una
importante loggia in CROTONE. A vero dire il manoscritto parla di Peter Gower;
e, siccome il cognome Gower esiste in Inghilterra, Locke rimase alquanto
perplesso nella identificazione di Peter Gower con Pitagora. Ma altri (1) HUTCHINSON,
Spirit of Masonry; PRESTON, Illustrations of Masonry; DE CASTRO, Mondo segreto,
REGHINI, Noterelle iniziatiche. Sull’origine del simbolismo muratorio, Rassegna
Massonica, REGHINI (si veda) I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica
massonica - Premesse manoscritti e le stesse Costituzioni dell'Anderson
fanno esplicita menzione di Pitagora. Il manoscritto Cooke dice che la
Massoneria è la parte principale della Geometria, e che fu Euclide, un
sottilissimo e savio inventore, che regolò quest'arte e le dette il nome di
Massoneria. E delle reminiscenze pitagoriche nelle Old Charges è traccia anche
nel più antico rituale stampato il quale attribuisce un pregio speciale ai
numeri dispari, conforme alla tradizione pitagorica. Gli antichi manoscritti
massonici concordano dunque nell'indicare come fine della massoneria quello del
perfezionamento dell'uomo, del singolo individuo; e le prove iniziatiche, i
viaggi simbolici, il lavoro dell'apprendista e del compagno hanno un manifesto
carattere individuale e non collettivo. Secondo la concezione massonica più
antica, la «grande opera» del perfezionamento va attuata operando sopra la
«pietra grezza», ossia sopra l'individuo singolo, squadrando, levigando e
rettificando la pietra grezza sino a trasformarla nella pietra cubica della
Maestria, ed applicando nella operazione le norme tradizionali dell'Arte Regia
muratoria di edificazione spirituale. Con perfetta analogia una tradizione
parallela, la tradizione ermetica che compare anche innestata a quella puramente
muratoria, insegna che la grande opera si attua operando sopra la «materia
prima» e trasformandola in «pietra filosofale» seguendo le norme dell'Arte
Regia ermetica. Essa è compendiata nella massima di Basilio Valentino: Visita
interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem oppure nella Tabula
smaragdina attribuita da moderni arabisti al pitagorico Apollonio Tianeo.
Secondo invece la concezione massonica profana e meno antica, il lavoro del
perfezionamento va attuato sopra la collettività umana, è la umanità ossia la
società che bisogna trasformare e perfezionare; e in questo modo all'ascesi
spirituale del singolo si sostituisce la politica collettiva. I lavori
massonici acquistano in tal modo uno scopo ed un carattere prevalentemente
sociali, se non unicamente sociali; ed il fine vero e proprio della massoneria,
cioè il perfezionamento dell'individuo, viene posto in seconda linea, se non
addirittura trascurato, dimenticato ed ignorato. La concezione tradizionalmente
corretta è sicuramente la prima, e nella letteratura massonica di due secoli fa
ebbero grande voga esagerati e fantasiosi avvicinamenti ed identificazioni dei
misteri eleusini e massonici. Senza ombra di dubbio il patrimonio ritualistico
e simbolico dell'Ordine muratorio è in armonia soltanto con la concezione più
antica del fine della massoneria; infatti il testamento dell'iniziando, i
viaggi simbolici, le terribili prove, la nascita alla luce iniziatica, la morte
e resurrezione di Hiram, non si capisce quale relazione possano avere coi lavori
massonici e con lo scopo della Massoneria se tutto si deve ridurre a fare della
politica. Storicamente l'interessamento e l'intervento della Massoneria nelle
questioni politiche e sociali si manifesta solo in alcune regioni europee col
trapiantamento della Massoneria inglese nel continente. Quel poco che si
conosce delle antiche loggie muratorie mostra la presenza e l'uso nei lavori
massonici di un simbolismo di mestiere, architettonico, geometrico, numerico;
il quale per sua natura ha un carattere universale, non è legato ad una civiltà
determinata e neppure ad una lingua particolare, ed è indipendente da ogni
credenza di ordine politico e religioso. Per questa ragione il massone, secondo
il rituale, non sa né leggere né scrivere. Un elemento ebraico compare nella
leggenda di Hiram e della costruzione del Tempio, e le parole sacre del novizio
e del compagno (i soli gradi allora esistenti) che si riferiscono a questa
leg(2) The Grand Mystery of Free-masons discovered wherein are the several
questions put to them at their Meetings and installation, London. VERGILIO
VIRGILIO (si veda) Bucolicon, Eglo: Numero impari Deus gaudet. Le iniziali di
questa massima formano la parola vitriol, il solvente universale degli
alchimisti, detto ancor oggi acqua regia. REGHINI (si veda) I Numeri Sacri
nella tradizione pitagorica massonica - Premesse genda sono ebraiche.
Questa leggenda non fa parte del patrimonio tradizionale dell'Ordine; la morte
di Hiram non figura negli antichi manoscritti massonici, e le costituzioni
dell'Anderson ignorano il terzo grado. Comunque la presenza di elementi e
parole ebraiche non deve stupire in un tempo in cui l'ebraico era considerato
una lingua sacra, anzi la lingua sacra in cui Dio aveva parlato all'uomo nel
Paradiso terrestre; è una presenza di cui non va esagerata l'importanza ed il
significato, e che non basta certo a giustificare l'asserzione del carattere
ebraico della Massoneria. La lettera G dell'alfabeto greco-latino, iniziale di
geometria e dell'inglese God, che compare talora nella Stella Fiammeggiante o
nel Delta massonico, sembra che sia una innovazione (senza utilità per chi non
sa né leggere né scrivere), mentre quei due simboli fondamentali dell'Ordine
non sono altro che i due più importanti simboli del pitagoreismo: il pentalfa o
pentagramma e la tetractis pitagorica. L'arte muratoria od arte reale od arte
regia, termine di cui fa uso il filosofo neoplatonico Massimo di Tiro, era
identificata con la geometria, una delle scienze del quadrivio pitagorico, e
non si capisce come Wirth, il dotto massone ed ermetista, possa scrivere che i
Massoni hanno potuto proclamarsi adepti dell'Arte reale perché dei re si
interessarono un tempo all'opera delle corporazioni costruttive privilegiate
del Medio Evo. Gli elementi di carattere muratorio puro costituiscono, insieme
al simbolismo numerico e geometrico, il patrimonio simbolico e ritualistico
arcaico e genuino della fratellanza. Non diciamo patrimonio caratteristico
perché questi elementi compaiono, almeno parzialmente, anche nel compagnonnage,
del resto assai affine alla Massoneria. In seguito, quando le loggie inglesi
principiano ad accettare come fratelli anche gli accepted masons, vale a dire
anche persone che non esercitano la professione di architetto od il mestiere di
muratore, compaiono anche elementi ermetici e rosacroce, ad esempio Elia
Ashmole, come mostra il Gould nella sua storia della Massoneria. Questo
contatto tra la tradizione ermetica e quella muratoria avviene anche fuori
dell'Inghilterra presso a poco nel medesimo tempo, il che naturalmente implica
l'esistenza nel continente di loggie massoniche non derivanti dalla Gran Loggia
d'Inghilterra. Il frontespizio di un importante testo di ermetismo contiene
accanto a simboli ermetici (il Rebis) anche i simboli prettamente muratori
della squadra e del compasso, ed altrettanto accade in un libretto italiano di
alchimia impresso in lamine di piombo e che risale presso a poco a quel
periodo. In questo libretto è raffigurato, tra l'altro, Tubalcain che tiene
nelle mani una squadra ed un compasso. Ora Tubalcain è nella Bibbia il primo
fabbro; e per un errore etimologico allora accettato ed assai diffuso, per
esempio dall'erudito Vossio, venne identificato con Vulcano, il fabbro degli
Dei e Dio del fuoco, che secondo il concetto degli alchimisti ed ermetisti
presiedeva al fuoco ermetico (od ardore spirituale), fuoco il quale compiva da
solo la grande opera della trasmutazione. In un nostro lavoro giovanile (9)
abbiamo dato una errata interpretazione della parola di passo Tubalcain, non
conoscendo la errata identificazione di Vulcano con Tubalcain accettata dagli
ermetisti ed in generale dagli eruditi del seicento e del settecento. Ci sembra
oggi manifesto che questa parola ed altre parole di passo traggano la loro
derivazione dall'ermetismo, e riteniamo probabile che siano state introdotte in
massoneria e poste a lato delle parole sacre a testimonianza del contatto
stabilito tra le due tradizioni, la muratoria e l'ermetica. Le parole di passo non esistono
TYR, Discours Philosophiques, FORMEY, Leida. Cfr. WIRTH, Le Livre du Maître. Si tratta della Basilica Philosophica MYLII, Francof.
(NEGRI, Un codice plumbeo alchemico italiano, nella rivista UR [“Pietro Negri” è lo pseudonimo impiegato
dallo stesso REGHINI (si veda) sulla rivista «UR»] REGHINI, Le parole sacre e
di passo ed il massimo mistero massonico, Todi. Reghini - I Numeri Sacri nella
tradizione pitagorica massonica - Premesse nel rituale del Prichard.
Ermetismo e Massoneria hanno per fine la «grande opera della trasmutazione», e
le due tradizioni trasmettono il segreto di un'arte, che entrambe designano con
il termine di arte regia, già usato da Massimo di Tiro. Era quindi naturale che
si riconoscessero mutuamente affini. Osserviamo come l'adozione del simbolismo
ermetico non avvenga a detrimento della universalità massonica e della sua
indipendenza dalla religione e dalla politica, perché anche il simbolismo
ermetico od alchemico è per sua natura estraneo ad ogni credenza religiosa o
politica. L'arte massonica e l'arte ermetica, detta anche semplicemente l'arte,
è un'arte e non una dottrina od una confessione. Ogni loggia massonica è libera
ed autonoma; i fratelli di una officina erano ricevuti come visitatori nelle
altre purché sapessero rispondere alla tegolatura, ma ogni maestro Venerabile
era l'autorità unica e suprema per i fratelli di una officina. Si ha un
mutamento con la costituzione della prima Grande Loggia, la Grande Loggia di
Londra, e poco dopo venivano compilate per opera del pastore protestante
Anderson le Costituzioni massoniche per le Loggie all'Obbedienza della Gran
Loggia di Londra; e, sebbene teoricamente un'officina potesse e possa mantenere
la propria autonomia o mettersi all'Obbedienza di una Gran Loggia, nella
pratica vengono oggi considerate loggie regolari quelle che direttamente od
indirettamente sono emanazione e derivazione della Gran Loggia di Londra,
supponendo che questa derivazione e soltanto essa possa conferire la regolarità.
Ora è molto importante notare che le Costituzioni dell'Anderson affermano
esplicitamente che per essere iniziato ed appartenere alla Massoneria si
richiede solo di essere un uomo libero e di buoni costumi, ed esaltando (a
differenza delle varie sette cristiane) il principio della tolleranza reciproca
di ogni fratello per le altrui credenze, aggiungendo solo che un massone non
sarà mai uno «stupido ateo. Taluno potrà forse pensare che l'Anderson ammetta
che il massone possa essere un ateo intelligente, ma è più verosimile che
l'Anderson da buon cristiano ammetta che un ateo è necessariamente uno stupido,
seguendo la massima che dice: Dixit stultus in corde suo: Non est Deus.
Bisognerebbe qui fare una digressione ed osservare che in questa disputa tanto
chi afferma quanto chi nega non ha in generale nozione alcuna di quanto afferma
esistere o no, e che la parola Dio viene adoperata di solito con un senso
talmente indeterminato da rendere vana qualunque discussione. Comunque le
Costituzioni della Massoneria sono esplicitamente teistiche; e quei profani che
accusano la Massoneria di ateismo sono in mala fede od ignorano che essa lavora
alla gloria del Grande Architetto dell'Universo; ed osserviamo ancora che
questa designazione oltre ad essere in armonia col carattere del simbolismo
muratorio ha un significato preciso ed intelligibile a differenza di altre
designazioni vaghe o prive di senso come quella di «Nostro Signore», di «Padre
di tutti gli uomini» ecc. Maggiore interesse offre il requisito di uomo libero fatto
al profano per iniziarlo ed al massone per considerarlo fratello. L'Anderson
non fa che continuare a chiamare liberi Muratori i FreeMasons, e resta solo da
esaminare in che cosa consista questa freedom dei Free masons. Si tratta solo
di franchigia economica e sociale che esclude gli schiavi o servi e delle
franchigie e dei privilegi di cui godeva la corporazione dei liberi muratori
rispetto ai governi degli stati e delle varie regioni in cui essa svolgeva la
sua attività? Oppure questo appellativo di liberi muratori va inteso anche in
altro senso di non schiavo dei pregiudizii e delle credenze che non era il caso
di ostentare? Se cosi fosse sarebbe vano cercarne le prove documentate, e la
questione resterebbe indecisa. Pure è possibile dire qualche cosa in proposito
grazie ad un documento del 1509 la cui esistenza od importanza sembra non sia
stata finora avvertita, (10) O. WIRTH esprime categoricamente questa opinione
(Livre du Maître). REGHINI (si veda) I Numeri Sacri nella tradizione
pitagorica massonica - Premesse Si tratta di una lettera ad Agrippa da un
suo amico italiano, certo LANDOLFO (si veda), per raccomandargli un iniziando.
Scrive LANDOLFO (si veda). È un tedesco come te, originario di Norimberga, ma
abita a Lione. Curioso indagatore degli arcani della natura, ed uomo libero,
completamente indipendente del resto, vuole sulla reputazione che tu hai già,
esplorare anche lui il tuo abisso. Lancialo dunque per provarlo nello spazio; e
portato sulle ali di Mercurio vola dalle regioni dell'Austro a quelle
dell'Aquilone, prendi anche lo scettro di Giove; e se questo neofita vuole
giurare i nostri statuti, associalo alla nostra confraternita». Si tratta di
una associazione segreta ermetica fondata da Agrippa ed è manifesta l'analogia
tra questa prova dello spazio da fare affrontare all'iniziando e le terribili
prove ed i viaggi simbolici della iniziazione massonica, sebbene qui la prova
si effettui sulle ali di Ermete; Ermete psicopompo, il padre dei filosofi
secondo la tradizione ermetica, è la guida delle anime nell'al di là classico e
nei misteri iniziatici. Anche qui compare la qualifica di uomo libero,
sufficiente ad aprire le porte a chi bussa profanamente alla porta del tempio;
anche qui compare in sostanza il principio della libertà di coscienza e
conseguentemente della tolleranza; le due tradizioni parallele muratoria ed
ermetica pongono la stessa unica condizione al profano da iniziare: quella di
essere un uomo libero; e ne deriva che presumibilmente essa non si riferiva
alle franchigie particolari delle corporazioni di mestiere, che sarebbe stato
del resto fuori di luogo pretendere dagli accepted Masons che non erano
muratori di mestiere ma liberi muratori. Il carattere fondamentale delle
Costituzioni massoniche d’Anderson sta adunque nel principio della libertà di
coscienza e della tolleranza, che rende possibile anche ai non cristiani di
appartenere all'Ordine. Nelle Costituzioni dell'Anderson la Massoneria conserva
il suo carattere universale, non è subordinata ad alcuna credenza filosofica
particolare né ad alcuna setta religiosa, e non manifesta alcuna tendenza a
lavori di ordine sociale e politico; può darsi che questo carattere
aconfessionaJe e libero inspirasse anche la Massoneria e che Anderson non abbia
fatto altro che sancirlo nelle Costituzioni. Trapiantandosi in America e nel
continente europeo la Massoneria conserva in generale questo suo carattere
universale di tolleranza religiosa e filosofica e resta aliena da ogni
partecipazione ai movimenti politici e sociali, talora accentuando, come in
Germania, il suo interesse per l'ermetismo. Sorgono per altro i nuovi riti e
gli alti gradi, i quali però hanno cura di mantenere intatti il rito ed i
rituali dei primi tre gradi, ossia della vera e propria massoneria detta anche
massoneria simbolica od azzurra. I rituali di questi alti gradi sono talora uno
sviluppo della leggenda di Hiram, oppure si riattaccano ai Rosacroce,
all'ermetismo, ai Templari, allo gnosticismo, ai catari, vale a dire non hanno
un vero e proprio carattere massonico, e dal punto di vista della iniziazione
massonica sono assolutamente superflui. La massoneria sta tutta nei primi tre
gradi, riconosciuti da tutti i riti, e posti alla base degli alti gradi e delle
camere superiori dei varii riti. Il compagno libero muratore, una volta
divenuto maestro ha simbolicamente terminato la sua grande opera; e gli alti
gradi potrebbero avere una qualche funzione veramente massonica soltanto se
contribuissero alla corretta interpretazione della tradizione muratoria ed a
una più intelligente comprensione ed applicazione del rito ossia dell'arte
regia. Naturalmente questo non significa che si debbano abolire gli alti gradi
perché i fratelli insigniti degli alti gradi sono liberi, e quelli di loro cui
piace di riunirsi in riti e corpi per svolgere lavori non in contrasto con
quelli massonici debbono avere la libertà di farlo. Però dal punto di vista
strettamente massonico questa loro appartenenza ad altri riti ed a camere
superiori non li pone in alcun AGRIPPA, Epistol. Cfr. anche la monografia di
REGHINI premessa alla versione italiana della Filosofia Occulta di
Agrippa. Reghini - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica -
Premesse modo al di sopra di quei maestri che non sentono il bisogno di
altro lavoro che quello della universale massoneria dei primi tre gradi. Del
resto è manifesto che riti distinti, come quello di Swedenborg, quelli
scozzesi, quello della Stretta Osservanza, quello di Memphis... appunto perché
differenti non sono più universali, oppure lo sono solo in quanto si basano
sopra i primi tre gradi. Dimenticarlo o tentare di snaturare il carattere
universale, libero e tollerante della Massoneria, per imporre ai fratelli delle
Loggie particolari punti di vista ed obbiettivi, sarebbe mettersi contro lo
spirito della tradizione muratoria e contro la lettera delle Costituzioni della
Fratellanza. La prima alterazione appare in Francia, simultaneamente alla
fioritura degli alti gradi. Il fermento degli spiriti in cotesto periodo, il
movimento dell'Enciclopedia, si ripercuotono nella Massoneria, che si diffonde
largamente e rapidamente; ed accade cosi per la prima volta che l'interesse
dell'Ordine si dirige e si concentra nelle questioni politiche e sociali.
Affermare che la rivoluzione francese sia stata opera della Massoneria ci
sembra per lo meno esagerato; è invece innegabile che la Massoneria subì in
Francia, e sarebbe stato difficile che ciò non avvenisse, l'influenza del
grande movimento profano che condusse alla rivoluzione e culminò poi
nell'impero. La Massoneria francese divenne e rimase anche in seguito una
massoneria colorata politicamente ed interessata nelle questioni politiche e
sociali, e si formò quella che da taluni è considerata come la tradizione
massonica, sebbene sia tutt'al più la tradizione massonica francese, ben
distinta dalla antica tradizione. Questa deviazione e questa persuasione è la
causa prima, sebbene non la sola, del contrasto che è poi sorto tra la
massoneria anglosassone e la massoneria francese; anche in Italia essa è stata
la sorgente dei dissensi massonici di questi ultimi cinquanta anni e della
conseguente disunione e debolezza della Massoneria di fronte agli attacchi ed
alla persecuzione fascista e gesuitica. Comunque anche i fratelli che seguono
questa tradizione massonica francese non hanno dimenticato il principio della
tolleranza, e nelle loggie massoniche italiane, anche prima della persecuzione
fascista, si trovavano fratelli di ogni fede politica e religiosa, compresi i
cattolici ed i monarchici. Va anche ricordato che nel periodo di poco
precedente lo scoppio della rivoluzione francese non tutti i massoni
dimenticarono la vera natura della Massoneria, sebbene disorientati dalla
pleiade di riti diversi e contrastanti; e si tenne il Convento dei Filaleti
allo scopo di rintracciare quale fosse la vera tradizione massonica, ossia, la
vera parola di maestro che, secondo la stessa leggenda di Hiram, era andata
perduta. Al Convento dei Filaleti convennero massoni di ogni rito, tutti
desiderosi di ristabilire l'unità. Il solo Cagliostro, che aveva fondato il
rito della Massoneria Egiziana in soli tre gradi, dedito esclusivamente
all'opera della edificazione spirituale, rifiutava di partecipare al Convento
dei Filaleti per ragioni che sarebbe lungo esporre. L'influenza massonica
francese si affermò, dopo la rivoluzione e durante l'impero, anche in Italia;
la presenza anche oggi di alcuni termini tecnici nei «travagli» massonici come
il «maglietto» del Venerabile, versione poco felice del maillet ossia del
martello, ne fa testimonianza La massoneria francese e quella italiana ebbero
durante tutto lo scorso secolo intimi rapporti, ed assunsero insieme talora
atteggiamento rivoluzionario, repubblicano ed anche materialista e positivista
seguendo la voga filosofica del tempo. Non si può dire per altro che la
massoneria divenne in Italia una massoneria materialista, perché non soltanto
fu sempre tollerante di tutte le opinioni, ma venerò in modo speciale la grande
anima di MAZZINI (si veda); ed i grandi massoni italiani come GARIBALDI (si
veda), BOVIO (si veda), CARDUCCI (si veda), FILOPANTI (si vda), PASCOLI (si
veda), TORRIGIANI (si veda) ed AMENDOLA (si veda) sono tutti idealisti e
spiritualisti. È riserbata alla TEPPA FASCISTA la selvaggia furia di
devastazione dei Cosi pure pietra polita invece di pietra levigata dal francese
pierre polie; lupetto ed anche lupicino che è una versione di louveton, a sua
volta trasformazione fonetica e semantica da Lufton, figlio di Gabaon, nome
generico del massone secondo i primitivi rituali inglesi e francesi. REGHINI
(si veda) - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica -
Premesse nostri templi, delle nostre biblioteche ed il vandalismo che
fece a pezzi i ritratti ed i busti dei grandi spiritualisti come MAZZINI (si
veda) e GARIBALDI (si veda) che decorano le nostre sedi. D'altra parte bisogna
riconoscere che, se la massoneria anglosassone ha sempre mantenuto il carattere
spiritualista e non ha mai pensato a dichiarare la inesistenza del Grande
Architetto dell'Universo, essa è stata spesso incline, e lo è ancora, a
conferire un colorito cristiano al suo spiritualismo, allontanandosi dallo
spirito di assoluta imparzialità ed aconfessionalità delle Costituzioni
dell'Anderson. Non si può negare che l'imporre il giuramento sul Vangelo di
Giovanni sia una manifestazione non troppo tollerante rispetto a quei profani
ed a quei fratelli che, essendo agnostici, o pagani, od ebrei o liberi
pensatori, non sentono particolare simpatia per il Vangelo di Giovanni e non
sanno nulla della tradizione gioannita. L'intolleranza si accentua con
l'andazzo di infliggere la lettura ed il commento di versetti del Vangelo
durante i lavori di Loggia. Questo mal vezzo, qualora si affermasse, ridurrebbe
i lavori di Loggia al livello di un service di una chiesa quacchera o puritana,
ad una specie di rosario e vespro fastidioso, inconcludente, e ripugnante alla
libera coscienza dei moltissimi fratelli i quali, anche in Inghilterra, ed in
America, non solo non vanno alla messa, e non accettano l'infallibilità del
Papa, ma non accettano più neppure l'autorità della Bibbia. Vale la pena di
provocare il disagio e l'insofferenza tra le colonne senza sensibile compenso?
Si crede proprio con simili mezzi di convertire gli altri alla propria
credenza, e di arginare la potente ondata dell'agnosticismo inglese ed
americano? Queste considerazioni inducono a mantenere alla Massoneria il suo
carattere universale al di sopra di ogni credenza religiosa e filosofica e di
ogni fede politica. Il che non vuol dire che si debba fare astrazione dalla politica.
Occorre infatti difendersi. L'intolleranza non può lasciare prosperare la
tolleranza; e la tolleranza tutto può tollerare salvo l'intolleranza
dichiaratamente ostile. Appena comparvero le Costituzioni dell'Anderson col
loro principio della libertà e della tolleranza la Chiesa cattolica scomunicò
la Massoneria rea appunto di tolleranza; e l'accanimento contro la Massoneria
non si è mai più smentito. In Italia la persecuzione contro la Massoneria in
questo ultimo ventennio è stata iniziata e sostenuta dai gesuiti e dai
nazionalisti; ed i fascisti per ingraziarsi questi messeri non esitarono a
provocare l'avversione del mondo civile contro l'Italia con le loro gesta
vandaliche contro la massoneria. I gesuiti hanno perduto questa guerra; ma la
peste dell'intolleranza non è finita, anzi si affaccia sotto nuove forme e ne
segue la necessità di prevenirla. D'altra parte giunge l'ora, se non erriamo,
di spargere la Massoneria sopra tutta la superficie della terra e di stabilire
una fratellanza tra gli uomini di tutte le razze, civiltà e religioni; e per
assolvere questo compito è necessario che la Massoneria non abbia una
fisionomia ed un colorito che appartiene solo alla minoranza dell'umanità a cui
le grandi civiltà orientali, tutta la Cina, tutta l'India, il Giappone, la
Malesia, il mondo dell'Islam si sono dimostrati refrattarii. La cosa è
possibile sin tanto che la Massoneria non si circoscrive in una qualunque
credenza e resta fedele al suo patrimonio spirituale che non consiste in una
fede codificata, in un credo religioso o filosofico, in un complesso di
postulati o pregiudizii ideologici e moralistici, in un bagaglio dottrinale in
cui si creda contenuta ed espressa la verità cui convertire i miscredenti.
Bisogna pensare che, anche se esiste la vera religione o la vera filosofia, è
una illusione il credere di poterla conquistare o comunicare con una
conversione o con una confessione od una recitazione di formule determinate,
perché ognuno intende le parole di questi credi e formule a modo suo, conforme
alla sua cultura ed intelligenza: ed in fondo esse non sono, come diceva
Amleto, che words, words, words. Fin tanto che non ci si ragiona sopra, permane
l'illusione di comprendere queste parole nello stesso modo; appena si comincia
a ragionare, sor Cfr. gli art. Di BODRERO nell'organo della Compagnia di Gesù,
la Civiltà cattolica, ed il giornale Roma Fascista; cfr. et.: Ignis e Rassegna
Mass., annata REGHINI (si veda) - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica
massonica – Premesse] gono le sette e le eresie, ciascuna persuasa di possedere
la verità. La sapienza non può essere razionalmente intesa, espressa e
comunicata; essa è una visione, una vidya, essenzialmente e necessariamente
indeterminata, incerta; e, aprendo gli occhi alla luce con la nascita alla nuova
vita, ci si avvia a questa visione. L'arte muratoria od arte regia è l'arte di
lavorare la pietra grezza in modo da rendere possibile la trasmutazione umana e
la graduale percezione della luce iniziatica. Il che non significa naturalmente
che la Massoneria abbia il monopolio dell'arte regia. Durante questi ultimi due
secoli la grande maggioranza dei nemici della massoneria ha fatto
sistematicamente ed unicamente ricorso soltanto all'ingiuria ed alla calunnia
facendo leva sui sentimenti moralistici e patriottici. Si è affermato che i
lavori massonici consistono in orgie abbominevoli, svisando a questo scopo i
rituali, si sono svelate le cerimonie massoniche ponendole in ridicolo, si è
accusato i massoni di tradire la loro patria a causa del carattere internazionale
dell'Ordine, si è affermato che la Massoneria non è altro che uno strumento
degli Ebrei, sempre mirando ad ingannare ed aizzare i fedeli credenti ed il
grosso pubblico contro la «Società Segreta». I massoni naturalmente sapevano
bene che non si trattava che di calunnie; e, non potendoli persuadere, si è
pensato a sopprimerli od a togliere ad essi la possibilità di adunarsi, di
lavorare, di rispondere e di difendersi. Recentemente uno scrittore cattolico
ha pubblicato uno studio storico sopra «la Tradizione Segreta» condotto con
competenza ed abilità, ed in cui le contumelie e le solite calunnie dirette a
fare presa sull'animo dei profani sono state sostituite da una critica
insidiosa diretta a fare presa sul lettore colto ed anche sull'animo dei fratelli.
Questa critica afferma che nel fondo della tradizione segreta è contenuto il
vuoto assoluto e conclude con l'affermare che «la Scuola Iniziatica o per essa
la Tradizione Segreta, non ha insegnato assolutamente nulla all'umanità.
Veramente non si capisce bene come si possa allora anche affermare che questo
vuoto assoluto, «questa tradizione segreta coincide, se pure spesso in forma
corrotta, con le dottrine gnostiche», ma non pretendiamo troppo. La Massoneria
è dunque, secondo l'autore, una sfinge senza segreto perché non insegna alcuna
dottrina, ed il lettore è così portato a concludere che essendo priva di
contenuto la Massoneria non val niente. In quanto precede noi abbiamo mostrato
che la Massoneria non insegua alcuna dottrina e non deve insegnarne; e che
questo è un merito e non un demerito della Massoneria. Per concludere poi che,
non contenendo una dottrina, la Tradizione segreta contiene il vuoto assoluto
bisogna credere che soltanto una dottrina possa occupare il vuoto. Afferma
ancora il Del Castillo che «il sistema iniziatico suppone che l'uomo possa
arrivare a capire con lo sforzo del cervello i problemi insoluti del cosmo e
dell'al di là»; e che la Chiesa cattolica oppone alle vane elucubrazioni dei
così detti iniziati la forza intangibile del suo dogma che deve essere unico
perché non possono esistere due verità»; e che IL SISTEMA INIZIATICO è incompatibile can il cristianesimo. A queste
e simili affermazioni rispondiamo che ignoriamo la esistenza di un sistema
iniziatico, che non conosciamo iniziati che facciano delle supposizioni, e
tanto meno che si illudano di potere capire col solo cervello e con
elucubrazioni di problemi insoluti: ma non ci è possibile ammettere che la fede
in un dogma costituisca una conoscenza perché sapere non è credere. Anzi noi
comprendiamo che la verità è necessariamente ineffabile ed indefinibile, e
lasciamo ai profani l'ingenua e consolante illusione che sia possibile una
qualsiasi formulazione della verità e della conoscenza in credi, formule,
dottrine, sistemi e teorie. Anche Gesù, del resto, sapeva che le sue parabole
non erano che delle parabole, ma diceva anche ai suoi discepoli che ad essi
«era dato intendere il mistero del regno dei cieli». Evidentemente sola fides
sufficit ad firmandum cor sincerum, ma non sufficit per intendere i misteri. Lo
stesso dicasi naturalmente per il solo raziocinio. E con questo CASTILLO, La
tradizione segreta, Milano, Bompiani, REGHINI (si veda) I Numeri Sacri nella
tradizione pitagorica massonica - Premesse non intendiamo menomare il
valore della fede e del raziocinio; la sola fede conduce al fanatismo
ignorante, il solo raziocinio conduce alla disperazione filosofica; sono un po'
come il tabacco ed il caffè: due veleni che si compensano; ma naturalmente non
basta fumare la pipa e centellinare il caffè per assurgere alla conoscenza.
Alla conoscenza multi vocati sunt, non tutti; e, tra questi molti, pauci electi
sunt; secondo la Chiesa cattolica invece basta la fede nel Dogma, e conoscenza
e paradiso sono alla portata di tutte le borse a prezzi di vera concorrenza.
Riassumendo: Non esiste una dottrina segreta massonica; ma esiste un'arte
segreta, detta arte reale, od arte regia o semplicemente l'Arte; è l'arte della
edificazione spirituale cui corrisponde l'architettura sacra. Gli strumenti
muratorii hanno perciò un senso figurato nell'opera della trasmutazione; ed al
segreto dell'arte regia corrisponde il segreto architettonico dei costruttori
delle grandi cattedrali medioevali. E' naturale che i liberi muratori venerino
il Grande ARCHITETTO dell'Universo, anche se non si definisce cosa si debba
intendere con questa formola. Nell'architettura antica, specialmente in quella
sacra, avevano grande importanza le questioni di rapporto e di proporzione;
l'architettura classica regolava la proporzione delle varie parti di un
edificio, ed in particolare dei templi, basandosi sopra un modulo segreto cui
accenna Vitruvio; sopra l'architettura egiziana e specialmente sopra la
Piramide di Cheope esiste tutta una letteratura che ne mostra il carattere
matematico; ed, anche procedendo con molto scetticismo, è certo ad esempio che
tale piramide si trova esattamente alla latitudine di 30° in modo da formare
col centro della terra e col polo Nord un triangolo equilatero, è certo che
essa è perfettamente orientata e che la faccia rivolta a settentrione è
esattamente perpendicolare all'asse di rotazione terrestre, anzi alla posizione
di questo asse al tempo della sua costruzione. Ed anche i costruttori
medioevali non erano guidati da criterii puramente estetici, e si preoccupavano
dell'orientazione della chiesa, del numero delle navate ecc.; e l'arte dei
costruttori era posta in connessione con la scienza della geometria. La squadra
ed il compasso sono i due simboli fondamentali di mestiere dell'arte muratoria;
e la riga ed il compasso sono i due strumenti fondamentali per la geometria
elementare. La Bibbia afferma che Iddio ha fatto omnia in numero, pondere et
mensura; i pitagorici hanno coniato la parola cosmo per indicare la bellezza
del cosmo in cui riconoscevano una unità, un ordine, un'armonia, una
proporzione; e tra le quattro scienze liberali del quadrivio pitagorico, cioè
l'aritmetica, la geometria, la musica e la sferica, la prima stava alla base di
tutte le altre. ALIGHIERI (si veda) compara il cielo del Sole all'aritmetica
perché come del lume del Sole tutte le stelle si alluminano, cosi del lume
dell'aritmetica tutte le scienze si alluminano, e perché come l'occhio non può
mirare il sole così l'occhio dell'intelletto non può mirare il numero che è
infinito. Lasciando da parte ogni critica di questo passo resta stabilita la
posizione occupata secondo Dante dalla Aritmetica. Tanto la Bibbia quanto
l'architettura portavano alla considerazione dei numeri. Oggi, anche rifiutando
di riconoscere nel cosmo un'unità, un ordine, un'armonia, una legge ed
accettando solo un determinismo limitato dalla legge di probabilità la fisica
moderna si riduce sempre alla considerazione di numeri e rapporti numerici;
anzi non restano altro che quelli, e tanto Einstein quanto Bertrand Russel
hanno constatato e riconosciuto il ritorno della scienza moderna al
pitagoreismo. La stessa cosa era
già stata detta dal WIRTH: «Comme la méthode initiatique se refuse à inculquer
qui que ce soit, il n'est guère admissible qu'une doctrine positive ait été
enseignée au sein des Mystères» (Le livre du Maître). Il DEL CASTILLO invece sostiene senza alcuna prova
che la Massoneria ha preteso insegnare una tale dottrina segreta, constata che
di questa dottrina positiva non si trova traccia, ed invece di riconoscere che
la sua personale asserzione non ha fondamento, accusa la Massoneria di
millantato credito e di incapacità. O Vos qui cum Jesu itis, non ite cum
Jesuitis. ALGHIERI (si veda), Conv. REGHINI (si veda) - I Numeri Sacri nella
tradizione pitagorica massonica - Premesse Non stupisce quindi che i
liberi muratori identificassero l'arte architettonica con la scienza della
geometria e dessero alla conoscenza dei numeri tale importanza da giustificare
la loro pretesa tradizionale di essere i soli ad avere conoscenza dei «numeri
sacri». Dobbiamo per altro fare ancora alcune osservazioni. La geometria nella
sua parte metrica, ossia nelle misure, richiede la conoscenza dell'aritmetica;
inoltre l'accezione della parola geometria era anticamente più generica che ora
non sia, e geometria indicava genericamente tutta la matematica; di modo che la
identificazione dell'arte reale con la geometria, tradizionale in Massoneria,
si riferisce non alla sola geometria intesa nel senso moderno, ma anche alla
aritmetica. In secondo luogo dobbiamo osservare che questa relazione fra la
geometria e l'arte regia dell'architettura e della edificazione spirituale è la
stessa che inspira la massima platonica ACCADEMIA: NESSUN IGNARO DELLA
GEOMETRIA ENTRI SOTTO IL MIO TETTO. Questa massima è di attribuzione un po’
dubbia perché è riportata solo da un tardo commentatore: ma in opere che
indiscutibilmente appartengono a Platone leggiamo essere «la geometria un
metodo per dirigere l'anima verso l'essere eterno; una scuola preparatoria per
una mente scientifica, capace di rivolgere le attività dell'anima verso le cose
sovrumane», essere «perfino impossibile arrivare ad una vera fede in Dio se non
si conosce la matematica e l'astronomia e l'intimo legame di quest'ultima con
la musica. Questa concezione ed attitudine di Platone è la medesima che si
ritrova nella SCUOLA ITALA o pitagorica che esercitò sopra Platone grandissima
influenza, di modo che anche volendo sostenere che la Massoneria si sia
inspirata a Platone, si è sempre in ultima analisi ricondotti alla geometria ed
all'aritmetica dei pitagorici. Il legame tra la Massoneria e l'Ordine
pitagorico, anche se non si tratta di ininterrotta derivazione storica, ma
soltanto di filiazione spirituale, è certo e manifesto. ANGHERÀ (si veda) nella
prefazione alla ristampa degli Statuti Generali della Società dei Liberi
Muratori del Rito Scozzese Antico ed Accettato, già pubblicati in NAPOLI, afferma
categoricamente che l'Ordine massonico è la stessa, stessissima cosa
dell'Ordine pitagorico; ma anche senza spingersi tanto oltre l'affinità tra i
due ordini è sicura. In particolare l'arte geometrica della Massoneria deriva,
direttamente od indirettamente, dalla geometria ed aritmetica pitagoriche; e
non più in là, perché i pitagorici furono i creatori di queste scienze
liberali, a quanto risulta storicamente e secondo la attestazione di Proclo. Ad
eccezione di alcune poche proprietà geometriche attribuite, probabilmente a
torto, a Talete, la geometria, dice il Tannery, scaturisce completa dal genio
di Pitagora come Minerva balza armata di tutto punto dal cervello di Giove; ed
i pitagorici sono stati i primi ad iniziare lo studio dell'aritmetica e dei
numeri. Per studiare le proprietà dei numeri sacri ai Liberi Muratori e la loro
funzione in Massoneria, la via che si presenta spontaneamente è dunque quella
di studiare l'antica aritmetica pitagorica; e di studiarla sia dal punto di
vista aritmetico ordinario, sia dal punto di vista dell'aritmetica simbolica od
aritmetica formale, come la chiama Pico della Mirandola, corrispondente al
compito filosofico e spirituale assegnato da Platone alla geometria. I due
sensi si trovano strettamente connessi nello sviluppo dell'aritmetica
pitagorica. La comprensione dei numeri pitagorici faciliterà la comprensione
dei numeri sacri alla massoneria. LORIA, Le scienze esatte nell'antica
Grecia, 2a ed., Milano, Hoepli Reghini - I Numeri Sacri nella tradizione
pitagorica massonica La Tetractis pitagorica ed il Delta massonico La
Tetractis pitagorica ed il Delta massonico No, io lo giuro per colui che ha
trasmesso alla nostra anima la tetractys nella quale si trovano la sorgente e
la radice dell'eterna natura. Detti aurei. Riesumare e restituire
l'antica aritmetica pitagorica è opera quanto mai ardua, perché le notizie che
ne sono rimaste sono scarse e non tutte attendibili. Bisognerebbe ad ogni passo
ed affermazione citare le fonti e discuterne il valore; ma questo renderebbe la
esposizione lunga e pesante e meno facile la intelligenza della restituzione.
Perciò, in generale, ci asterremo da ogni apparato filologico, ci atterremo
soltanto a quanto resulta meno controverso e dichiareremo sempre quanto è
soltanto nostra opinione o resultato del nostro lavoro. La bibliografia
pitagorica antica e moderna è assai estesa, e rinunciamo alla enumerazione
delle centinaia di libri, studii, articoli, e passi di autori antichi e moderni
che la costituiscono. Secondo alcuni critici, storici e filosofi, Pitagora
sarebbe stato un semplice moralista e non si sarebbe mai occupato di
matematica; secondo certi ipercritici Pitagora non sarebbe mai esistito; ma noi
abbiamo per certa la esistenza di Pitagora, e, accettando la testimonianza del
filosofo Empedocle di GIRGENTI (si veda) quasi contemporaneo, riteniamo che le sue
conoscenze in ogni campo dello scibile erano grandissime. Pitagora di CROTONE
(si veda) visse nel sesto secolo prima di Cristo, fonda in Calabria una scuola
ed un ordine che Aristotile del LIZIO chiama scuola itala, ed insegna tra le
altre cose l'aritmetica e la geometria. Secondo Proclo, capo della scuola di
Atenee, è Pitagora che per il primo eleva la geometria alla dignità di scienza
liberale, e secondo Tannery la geometria esce dal cervello di Pitagora come
Athena esce armata di tutto punto dal cervello di Giove. Però nessuno scritto
di Pitagora od a lui attribuito è pervenuto sino a noi, ed è possibile che non
scrive nulla. Se anche è diversamente, oltre alla remota antichità che ne
avrebbe ostacolato la trasmissione, va tenuta presente la circostanza del
segreto che i pitagorici manteneno, sopra i loro insegnamenti, o parte almeno
di essi. Il fìlologo Delatte, in Études sur la littérature pythagoricienne,
Paris, fa una dottissima critica delle fonti della letteratura pitagorica; ed
mette in chiaro tra le altre cose che i famosi detti aurei o versi aurei,
sebbene sono una compilazione ad opera di un neo-pitagorico, permettono di
risalire quasi all'inizio della scuola pitagorica perché trasmettono materiale
arcaico. Questo saggio di Delatte è la nostra fonte principale. Altre antiche
testimonianze si hanno negli scritti di Filolao, di Platone, di Aristotile e di
TIMEO (si veda) di Tauromenia. FILOLAO (si veda), insieme al tarentino ARCHITA
(TARANTO (si veda)), uno dei più eminenti pitagorici nei tempi vicini a
Pitagora, TIMEO (si veda) è uno storico del pitagoreismo, ed il grande filosofo
Platone risenti fortemente l'influenza del pitagoreismo e 12 REGHINI (si
veda), I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonicaLa Tetractis
pitagorica ed il Delta massonico] possiamo considerarlo come un pitagorico,
anche se non appartenente alla setta. Assai meno antichi sono i biografi di
Pitagora cioè Giamblico, Porfirio e Diogene, che sono dei neopitagorici e gli
scrittori matematici Teone da Smirne e Nicomaco di Gerasa. Gli scritti
matematici di questi due ultimi autori costituiscono la fonte che ci ha
trasmesso l'aritmetica pitagorica. Anche BOEZIO (si veda) ha assolto questo
compito. Molte notizie si debbono a Plutarco. Tra i moderni, oltre a Delatte ed
al saggio un po' vecchio di Chaignet su Pythagore et la philosophie
pythagoricienne, Paris, ed al Verbo di Pitagora di ROSTAGNI (si veda), Torino,
faremo uso dell'opera The Theoretic Arithmetic of the Pythagoreans, London del
dotto grecista Taylor che è un neo-platonico ed un neo-pitagorico; e tra gli
storici della matematica faremo uso delle Scienze esatte nell'antica Grecia,
Milano, Hoepli, di LORIA (si veda), e dell'opera A History of Greeck
Mathematics di Heath. Per la matematica l'unità è il primo numero della serie
naturale dei numeri interi. Essi si ottengono partendo dall'unità ed
aggiungendo successivamente un'altra unità. La stessa cosa non accade per
l'aritmetica pitagorica. Infatti una stessa parola, monade, indica l'unità
dell'aritmetica e la monade intesa nel senso che oggi diremmo meta-fisico; ed
il passaggio dalla monade universale alla dualità non è così semplice come il
passaggio dall'uno al due mediante l'addizione di due unità. In aritmetica,
anche pitagorica, vi sono TRE operazioni dirette: l'addizione, la
moltiplicazione e l'innalzamento a potenza, accompagnate dalle tre operazioni
inverse. Ora il prodotto dell'unità per sé stessa è ancora l'unità, ed una
potenza dell'unità è ancora l'unità. Quindi soltanto l'addizione permette il
passaggio dall'unità alla dualità. Questo significa che, per ottenere il due, bisogna
ammettere che vi possano essere DUE UNITÀ, ossia avere già il concetto del DUE
– cf. Kant: 1 + 1 = 2, sintetico a priori --, ossia, che la monade puo perdere
il suo carattere di unicità, che essa puo distinguersi e che vi puo essere una
duplice unità od una MOLTEPLICITÀ di unità. Filosoficamente si ha la questione
del MONISMO e del dualismo, meta-fisicamente la questione dell'essere (Grice,
“Aristotle on the mutliplicity of being”) e della sua rappresentazione,
biologicamente la questione della cellula e della sua riproduzione. Ora, se si
ammette la intrinseca ed essenziale unicità – the uniqueness of the king of
France (Grice) -- dell'unità, bisogna ammettere che un'altra unità non può
essere che una apparenza; e che il suo apparire è una ALTERAZIONE (othering –
Grice on ‘other than’) dell'unicità proveniente da una distinzione che la monade
opera in sé stessa. La coscienza opera in simil modo una distinzione tra l'IO
ed il “NON-IO.” (“I am hearing a sound”). Secondo il Vedanta advaita questa è
una illusione, anzi è la grande illusione (film francese), e non c'è da fare
altro che liberarsene. Non è però una illusione che vi è questa illusione,
anche se essa può essere superata. I pitagorici diceno che la diade è generata
dall'unità che si allontana o separa da sé stessa, che si scinde in due: ed
indicano questa differenziazione o polarizzazione con varie parole: DIERESI,
TOLMA. Per la matematica pitagorica l'unità non è un numero, ma è il principio,
l' di tutti i numeri, diciamo principio e non inizio. Una volta ammessa
resistenza di un'altra unità e di più unità, dall'unità derivano poi, per
addizione, il due e tutti i numeri. I pitagorici concivano i numeri come
formati o costituiti o raffigurati da PUNTI variamente disposti. Il punto è
definito dai pitagorici l'unità avente posizione, mentre per Euclide il punto è
ciò che non ha parti. L'unità è rappresentata dal punto ( = segno) od anche,
quando venne in uso il sistema alfabetico di numerazione scritta, dalla lettera
A od “α,” che serve per scrivere l'unità. Una volta ammessa la possibilità
dell'addizione dell'unità ed ottenuto il due, raffigurato dai due punti estremi
di un segmento di retta, si può seguitare ad aggiungere delle unità, ed
ottenere successivamente tutti i numeri rappresentati da due, tre, quattro...
punti allineati. Si ha in tal modo lo sviluppo lineare dei numeri. Tranne il
due che si può ottenere soltanto come addizione di due unità, 13 REGHINI
(si veda) - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Cap. I - La
Tetractis pitagorica ed il Delta massonico tutti i numeri interi possono
essere considerati sia come somma di altri numeri; per esempio il cinque è 5 =
1 + 1 + 1 + 1 + 1; ma è anche 5 = 1 + 4 e 5 = 2 + 3. L'uno ed il due non godono
di questa proprietà generale dei numeri: e perciò come l'unità anche il due non
era un numero per gli antichi pitagorici ma il principio dei numeri pari.
Questa concezione si perdette col tempo perché Platone parla del due come pari
(1), ed Aristotile (2) parla del due come del solo numero primo pari. Il tre a
sua volta può essere considerato solo come somma dell'uno e del due: mentre
tutti gli altri numeri, oltre ad essere somma di più unità, sono anche somma di
parti ambedue diverse dall'unità; alcuni di essi possono essere considerati
come somma di due parti eguali tra loro nello stesso modo che il due è somma di
due unità e si chiamano i numeri pari per questa loro simiglianza col paio,
così per esempio il 4 = 2 + 2, il 6 = 3 + 3 ecc. sono dei numeri pari; mentre
gli altri, come il tre ed il cinque che non sono la somma di due parti o due
addendi eguali, si chiamano numeri dispari. Dunque la triade 1, 2, 3 gode di
proprietà di cui non godono i numeri maggiori del 3. Nella serie naturale dei
numeri, i numeri pari e dispari si succedono alternativamente; i numeri pari
hanno a comune col due il carattere cui abbiamo accennato e si possono quindi
sempre rappresentare sotto forma di un rettangolo (epipedo) in cui un lato
contiene due punti, mentre i numeri dispari non presentano come l'unità questo
carattere, e, quando si possono rappresentare sotto forma rettangolare, accade
che la base e l'altezza contengono rispettivamente un numero di punti che è a
sua volta un numero dispari. Nicomaco riporta anche una definizione più antica:
esclusa la diade fondamentale, pari è un numero che si può dividere in due
parti eguali o disuguali, parti che sono entrambe pari o dispari, ossia, come
noi diremmo, che hanno la stessa parità; mentre il numero dispari si può
dividere solo in due parti diseguali, di cui una pari e l'altra dispari, ossia
in parti che hanno diversa parità. Secondo l'Heath questa distinzione tra pari
e dispari rimonta senza dubbio a Pitagora, cosa che non stentiamo a credere; ed
il Reidemeister dice che la teoria del pari e del dispari è pitagorica, che in
questa nozione si adombra la scienza logica matematica dei pitagorici e che
essa è il fondamento della metafisica pitagorica. Numero impari, dice VIRGILIO
(si veda), Deus gaudet. La tradizione massonica si conforma a questo
riconoscimento del carattere sacro o divino dei numeri dispari, come risulta
dai numeri che esprimono le età iniziatiche, dal numero delle luci, dei gioielli,
dei fratelli componenti una officina ecc. Dovunque si presenta una distinzione,
una polarità, si ha una analogia con la coppia del pari e del dispari, e si può
stabilire una corrispondenza tra i due poli ed il pari ed il dispari; cosi per
i Pitagorici il maschile era dispari ed il femminile pari, il destro era
dispari ed il sinistro era pari.... I numeri, a cominciare dal tre, ammettono
oltre alla raffigurazione lineare anche una raffigurazione superficiale, per
esempio nel piano. Il tre è il primo numero che ammette oltre alla
raffigurazione lineare una raffigurazione piana, mediante i tre vertici di un
triangolo (equilatero). Il tre è un triangolo, o numero triangolare; esso è il
risultato del mutuo accoppiamento della monade e della diade; il due è l'analisi
dell'unità, il tre è la sintesi dell'unità e della diade. Si ha così con la
trinità la manifestazione od epifania della monade nel mondo superficiale.
Aritmeticamente 1 + 2 = 3. Proclo (5) osservò che il due ha un carattere in
certo modo intermedio tra l'unità ed il tre. Non soltanto perché ne è la media
aritmetica, ma anche perché è il solo numero per il quale accade che PLATO
dell’ACCADEMIA, Parmenide di VELIA, ARISTOTILE del LIZIO, Topiche, HEATH, A
History of Greek Mathematics, REIDEMEISTER, Die arithmetic der Griechen,
PROCLO, Comm. alla proposizione di Euclide, e cfr. TAYLOR, The Theoretic
Arithmetic of Pythagoreans, Los Angeles, REGHINI, I Numeri Sacri nella
tradizione pitagorica massonica, La Tetractis pitagorica ed il Delta
massonico sommandolo con sé stesso o moltiplicandolo per sé stesso, si
ottiene il medesimo resultato, mentre per l'unità il prodotto dà di meno della
somma e per il tre il prodotto dà di più, ossia, si ha: 1+1=2>1.1
; 2+2=4=2.2 ; 3+3=6. Grice: “Some of my Oxonian friends are masonic, and
some are Pythagorean!” Keywords: la
matematica di Pitagora, Platone, aritmetica, geometria, definizione di assioma,
problema, lemma, numero, demonstrazione, ragione, postulato, numero sacro,
reghini – crotona, Taranto, aristosseno, meloponto filolao crotone crotona -- ecc.
Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fazzini” – The Swimming-Pool Library. Lorenzo
Fazzini. Laurentis Maria Antonius Fazzini. Fazzini.
No comments:
Post a Comment