Wednesday, November 13, 2024

GRICE ITALO A/Z F FA

 

Grice e Fabiani: l’astuzia della ragione conversazionale nell’Italia --filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Grice e Fabiani   ,"> /^^'/^'      garbarti College Hòxav^   OIKT OF THE   DANTE SOCIETY     CAMBRIDGE. MASS.   H Ivo, l>i 0.     1     X:u l'io. IS~          IL PENSIERO FILOSOFICO ITALIANO     X)A X)ANT£ AI TSMtPX NOSTKX     / ■■ ■      RAVENNA ZIRARDINI  ^v/'i^./iT  : ' f  ; r'.     DEC 4 Y   ' .r ,  .\ \     «' .  / oSeni^fto ^^Uolt     Oliando in questo scorcio del secolo nostra io trovo la  mente acuta e profonda dell' On, BoviOy gigante del moderno  pensiero filosofico italiano ali* Università di ^N^apoli, chiamare  t dimostrare il nostro T)ante il primo dei protestanti e V uU  timo dei cattolici ( Vedi Bovio — Saggio Critico del Diritto  Penale, pag, i2j );   Quando trovo un Ministro italiano della Pubblica h  stru^ione, V On. Voselli, che osa, con %,. Decreto // 7)e-  cemhre iSSp, fondare un laboratorio di psicologia sperimentale  presso V Università di Roma;   Quando vedo il giovine imperatore di Germania Gugliel-  mo IL che annusando la nuova aura e il nuovo sole d' Eu-  ropa e del mondo civile, mira arditamente a Prometeo in-     — 4 —   colume e trovasi novello Fetonte^ nel voler destra e genero-  samente prendere le redini del movimento ascendente, per  non esserne travolto;   Quando infine, e proprio di questi giorni^ rilevo il  primo filosofo d' Inghilterra, il rappresentante attuale del  positivismo filosofico inglese, V illustre Herbert Spencer essere  pervenuto^ nelle sue ultime pubblicazioni sociologiche, alla  conseguenza della collettività della terra;   Quando, dico, in questo secolo che muore, questi quattro  fatti e criteri importantissimi nel mondo del moderno pen-  siero filosofico io considero^ mi sento incoraggiato a superare  e rompere in parte, con la presente pubblicazione ^ quel na-  turale riserbo e quella peritanza, che ^finora m' impose la  coscienza della mia pochezza»   Mi sia adunque concesso e perdonato l'osare che ora  faccio, pubblicando la conferenza circa il pensiero ftlosofteo  italiano da Dante fino ai tempi nostri, che io avea già  apparecchiato, sebbene non potesse poi aver più luogo, in occasione  delle feste dantesche del passato Maggio qui in Ravenna.   Questa mia pubblicazione poi intendo di fare a favore  del primo fondo per il testé costituito Patronato di soc-  corso in vesti e calzature, per gli scolari poveri delle  scuole elementari di questo Comune, specie dei sobborghi, aven-  do potuto nel passato anno scolastico toccare con mano  V impellente hiso ^^^1^f Hi^ll' A r - fi tl^r"ìn-d^i , ^0 i fnm i^ rt d tv La  filosofia patristica invece, o dei Padri della Chiesa, erasi  sviluppata m Oriente da due centri rivali, Alessandria ed  Antiochia.   La patristica, incominciata col Cristianesimo, fissò la  parte dogmatica della cristiana religione , e giunge fino a  S. Agostino , morto il 450 dell' era volgare.   Di S. Agostino è celebre il modo strano d'accordare  assieme nell' uomo il libero arbitrio e la predestinazione ,  mercè la grazia divina.     — 12 —   Ma qui m'accorgo che a meglio dilucidare il nostro  punto di partenza convien pure rif^irci un pochino addie-  tro, per intuire almeno d'un tratto il lungo cammino per-  corso dalla filosofia prima di Dante.   Tutta la filosofia anteriore al mondo cristiano si può  dividere in quattro grandi epoche, i. La filosofia orientale  che ebbe sua culla tra i primi popoli civili, che la storia  ricordi, quali i Fenici, gli Assiri, i Medi e gli Egiziani:  Feticismo in religione. 2. La filosofia italo-greca incomin-  ciata con Pitagora a Cotrone nella Magna Grecia od Italia  meridionale: Sabeismo e metempsicosi in religione. 3. La fi-  losofia greca che conta tre immensi giganti del pensiero ,  luminari di tutte le nazioni e di tutti i tempi, e questi sono  Socrate, Platone ed Aristotele, i quali senza dubbio si pos-  sono considerare siccome primi e più remoti fondatori del*  la civiltà cristiana stessa: Politeismo ed antropomorfismo  in religione. 4. La filosofia romana; ma in quest' epoca  non abbiamo veramente alcuna nuova scuola filosofica di-  v/ersa dalU greca. La filosofia romana non è perciò ori-  ginale, ma pratica, politica, eclettica e giuridica sopra  tutto. Segui in parte la scuola epicurea, ma più e meglio  la scuola stoica di Zenone che poneva il fine (iell'uomo  nell'onestà e nella virtù; di qui la meravigliosa sapienza  della romana giurisprudenza, nobile vanto del mondo ro-  mano. A capo della filosofia romana è posto Cicerone,  celebre oratore e filosofo eclettico per eccellenza: Pantei-  smo e scetticismo in religione.   Parimente quattro sono le principali epoche 4clla fi-  losofia dell' èra cristiana, i. La filosofia patrìstica seguace  in buona parte della filosofia di Platone o della A^cade-  (pia, per quanto poteva condursi al dogma crispano. I p^t     - ij -   dri fissarono dapprima il gran caposaldo della cristiana re-  ligione col dogma della creazione divina fino dal 325 del-  l' èra volgare, nel celebre concilio ecumenico di Nicea,  indetto dall' imperatore Costantino. In quel concilio ed in  altri parecchi stabilirono successivamente i padri della Chie-  sa le basi dogmatiche della cristiana dottrina: Monoteismo  cristiano in religione. 2. La filosofia scolastica o dei Dottori  di scuola, seguaci specialmente d'Aristotele o del Peripato,  principe dei quali S. Tommaso d* Aquino, che mitigò la  teoria della grazia di S. Agostino, onde V apotegma teolo-  gico: Àngustiìius egei Thoma interprete. Ma in questo lungo  periodo, che giunge fino alla Riforma, la filosofia già cir-  coscritta dalla dottrina dogmatica della patristica, è ormai  ancella della teologia; laonde il pensiero filosofico è chiuso  in un ristretto campo trincerato da anatemi. 3. La filosofia  della Riforma religiosa in Germania e del cosi detto Ri-  sorgimento in Italia. É questo periodo il più fecondo di splen-  didi ingegni e di illustri filosofi e pensatori in Italia e  nelle nazioni civili d' Europa. Il pensiero filosofico emanci-  pato dà per reazione la scalata al cielo e giunge trionfante  per evoluzione e per irruzione fino a nostri tempi, sfondan-  do le dogmatiche barriere di Bisanzio. 4. La filosofia del  Rinnovamento sarebbe quella della 4. epoca dell' era cri-  stiana, e sarebbe quella appunto de nostri giorni, divisa  in due campi opposti; cioè dell* affermazione in un nuovo  mondo soprannaturale o nel già posto da una parte, e  della negazione più o meno esplicita dall'altra.   Quest' ultima nel cammino dell' umanità caratterizza  sempre un periodo di transizione a nuove riforme o co-  struzioni. Delineate cosi brevemente le grandi tappe della  filosofia pagana e della filosofia cristiana patristica, noi e i vedremo ora meglio rischiarato il cammino passando dalla  filosofia scolastica a quella della Riforma e del Risorgi-  mento e quindi alla filosofia odierna del Rinnovamento.   II.   Nella esplicazione della vita dei popoli accade quel-  lo stesso che noi osserviamo nella vita dell'uomo in-  dividuo. Le potenze dell' animo una volta educate un po'  a lungo, pare si sveglino, chiaro appare ciò che innanzi  era oscuro, si ordina nel pensiero quanto si ha imparato,  si ripensano le cose apprese, se ne parla, se ne ragiona  e si passa quindi all'azione con tenace operosità. Cosi  avviene nei popoli quando la civiltà loro e la precedente  educazione sieno giunte a poco a poco alla portata dei  più : questi provano insieme la stessa necessità di pensiero  e la corrispondente esplicazione, ed il moto si propaga  irresistibilmente nelle moltitudini. Tale vigore si palesò  appunto nel popolo italiano, uscito già dalle tenebre del  medio evo e dal paventato finimondo, nel secolo dodice-  simo e giunse al colmo nel secolo decimo terzo in ogni  maniera del vivere civile, nella letteratura e nelle arti,  mentre fioriva la filosofia scolastica. Col secolo decimo terzo  noi siamo all'apice della nostra rinascenza ed alle porte  dell' umanesimo; onde più tardi l' Europa da noi ridesta  trarrà lume ed energia a risveglio ancor maggiore con la  Riforma religiosa e politica. Dante è il principe di questa  nostra rinascenza. La sua filosofia è quella di S. Tom-  maso il Dottore Angelico, autore delle due Somme, una  contro i Gentili e l' altra detta Teologica, sebbene non  ultimata. In queste due Somme si adunano ed ordinano  le dottrine precedenti dei Padri e Dottori, quali specialmente Sant' Agostino, Sant'Anselmo, Pier Lombardo, Al-  berto Magno, San Bonaventura e gli altri, con la scorta  di Aristotele. Tutte le opere di Dante, quale sommo lette-  rato, teologo e filosofo, hanno non piccola importanza nel-  la storia della filosofia, procedendo gradatamente dalla  Vita nuova, dalle poche Lettere .scoperte e pubblicate dal  prof. Carlo Witte in Germania verso il primo quarto di  questo secolo, dalla Monarchia^ dall' Eloquio volgare e dal  Convito fino alla Divina Commedia.   La filosofia di S. Tommaso e di Dante si può distin-  guere, come nei precedenti filosofi Socratici, e come in  Cicerone ed in Sant'Agostino, in due parti distinte; Tuna  che sale agli universali, V altra che scende alle conseguen-  ze. Però mentre la prima parte muove dall'esame de' fatti  interiori , Dante in essa non esclude talora il dubbio al-  meno inquisitivo, quale mezzo di ricerca del vero.   Cosi nella 3. cantica al canto 4. del Paradiso, dove  egli si fa guidare da Beatrice , che rappresenta la filosofia  cristiana, e dove con mano maestra tratta profonde tosi  teologiche e filosofiche, egli dice a proposito del nostro  naturale desiderio di sapere:   ^Hjdsce a ^uisa di rampollo   tAppiè del vero il dubbio; ed è natura ,  Che al sommo pinge noi di collo in collo.   Quivi Dante , per quanto serrato nella filosofia scola-  stica mancipia della teologia, parrebbe furiere del dubbio  sistematico inquisitivo del Cartesio.   Ma per me dove giunge al colmo la valentia filosofi-  ca ed insieme teologica di Dante i al canto 17. del Para-  diso, dove egli tocca e circoscrive la sempre scottante  questione speculativa e trascendentale dell' umana libertà e responsabilità conciliata con la predestinazione, nella  prescienza ed onniveggenza divina, mercè le due semplici  quanto stupende terzine, che vi riassumono S. Agostino  e S. Tommaso:   La contiti gen^ia, che fuor del quaderno  Della vostra materia non si stende.  Tutta è dipinta nel cospetto eterno.  Necessità pero quindi non prende.   Se non come dal viso in che si specchia  Nave che per corrente giù discende.  La fede, la religione è per Dante, come per tutti gli  uomini di genio e veramente grandi, una esigenza della  stessa ragione; e questo in lui appare luminosamente al  canto 3. del Purgatonio, là dove dice:  Matto è chi spera che nostra ragione  Tossa trascorrer la infinita via  Che tiene una sustan^^a in tre persone.  State contenti, umana gente^ al quia;  Che se potuto aveste veder tutto,  ihCestier non era portorir Diaria.  Cosi egli ragiona del dogma della Trinità introdotto  nella nostra religione durante T impero di Teodosio i. sul  cadere del secolo 4. La qual Trinità del resto, come è  noto, è una imitazione, un plagio religioso tolto dalle pre-  cedenti religioni orientali, e più specialmente dalla Tri-  murti di Bralima, Visnù e Siva nelle Indie Orientali.   IIL   Avendo fin qui accennato della filosofia teoreticamen-  te scolastica di Dante, consideriamone ora alcun poco la  filosofia pratica e politica. Intendimento primario e scopo finale della Divins Com-  media è certamente la Rigenerazione morale, mediante  una grande riforma politica, per la quale nella mente ^1  poeta dovea farsi luogo ad una monarchia nniversale con  un solo Dio, un solo papa preposto al semplice governo  spirituale ed un solo imperatore pel governo civile e po-  litico. Per lui il Guelfismo è disordine necessario, solo Tim-  pero conduce il mondo a virtù , come apparisce datla stessa  sua Monarchia e dal Convito. Nobile utopia d' universa-  lismo questa di Dante, come ben disse l* On. Bovio, la  quale però non cessa di far capolino nella storia. Perciò  quanto Dante è filosofo scolastico, reverente e devoto al  papa, come vicario di Cristo e capo della Chiesa univer-  sale, altrettanto è allo stesso avverso, come principe tem-  porale. E poiché uscendo dalle tenebre del medio evo, la  Chiesa romana avea trovato forse comodo per il proprio  diritto acquisito, di ripetere da Costantino stesso, già sa«-  tificato presso la Chiesa Ortodossa d'Oriente, la donarzione  del dominio temporale; il nostro Dante accetta la tradi-  zione popolare del suo tempo, senza beneficio d'inventario  storico , e riprende sdegnosamente queir imperatore nel  canto 19. dell' Inferno dicendo:   Ahi , Cotitantitty di quanto mal fu matre,  ^on la tua conversion, ma quella date  Che da te prese il primo ricco patre,  cioè il papa Silvestro.   Ma qui, come ben avvertì T illustre Bovio, la tradi-  zione popolare, allora forse messa innanzi a meglio rasso-  dare il dominio ten>porale della Chiesa, fa a pugni affatto  con la storia, che più tardi giunse a galla. Ed in vero è  risaputo da tutti che solo nel secolo ottavo comfinciarono in Roma i pontefici ad emanciparsi dalla soggezione verso  gli Imperatori di Costantinopoli» in seguito al dissidio in-  sorto fra r imperatore Leone Isaurico, detto l'Iconoclasta,  e papa Gregorio II , per il culto delle imagini. È risaputo  che fino allora, come qui rammentò 1* esimio prof. Rava,  gli stessi esarchi di Ravenna , d' ordine dell' Imperatore  d'oriente, poteano opporre il veto all' elezione del pontefice,  che si faceva in Roma dal clero e dal popolo. È parimente  risaputo che, mentre i Longobardi divenuti cattolici ed  italianizzati stavano per unire in un sol regno potente  tutta r Italia, i Carolingi, cioè Carlo Martello, Pipino e  Carlo Magno, invocati dai pontefici contro i Longobardi  stessi costituirono in Italia solo sul cadere dell' 8. secolo  e sul pricinpio del 9. il dominio temporale dei papi. Ed è  appunto contro questo cosi detto Patrimonio di S. Pietro  e contro gli scandali ed i vizii della curia papale, che  tanto tuonò Dante qua e là nella sua Divina Commedia,  servendosi pur talvolta di simjjoli e figure allegoriche con  evidente allusione. E fu per questo che, come opportuna-  mente rammentò V illustre rappresentante di questo Mu-  nicipio Avv. Conte Tulio Corradini nella nobile presenta-  zione al pubblico ravennate dell' On. Bovio, il cardinale  Poggetto, per ordine del papa, ne ricercava qui le ossa  per maledirle e disperderle. Ma questa postuma e frivola  vendetta, contro il noto aforisma della romana giurispru-  denza ptirce sepulto, non potea avere in sé alcuna buona  ragione giustificativa, né anche in tempi posteriori.   In fatti, non il solo Dante ripeteva la massima parte  dei vizii e dei mali d' Italia e della Chiesa dalla corruttela  della curia romana e della corte ponteficia; ma uomini  santissimi altresì prima di lui e con lui insorsero contro la vita irreligiosa ed il mal costume dei maggiori prelati e  del clero di quei tempi. E primo tra questi va citato il  ravennate S. Pier Damiano, egregio filosofo dello studio di  Ravenna e poi vescovo di Ostia, meritamente a voi rammen-  tato dal suUodato Prof. Rava e daUProf. Regoli; quindi un  S. Bernardo di Chiaravalle, una Santa Caterina da Siena,  lo stesso Petrarca ed altri parecchi; dagli scritti dei quali  chiaro apparisce come non sia il caso di meraviglia alcuna  per tanto meno che di quella potestà ecclesiastica ne disse  il nostro poeta, considerandola nel riguardo civile e politico.  La pazza misura del cardinal Poggetto, non avea quindi om-  bra di giustificazione contro i resti mortali di Dante.   Ed io penso ancora, per gli effetti moraH e psicologici  in me provati dallo studio e dalla lettura della Divina  Commedia fino da studente , che V incremento dato in  tutta Italia, in questa seconda metà del secolo nostro, allo  studio accurato di questo insigne monumento della nostra  letteratura, abbia potentemente contribuito alla emancipa-  zione degli spiriti) e quindi alla stessa unificazione della  patria nostra.   In fatti, con un crescendo di immagini odiose e dì  vibrate riprovazioni il poeta giunge al colmo alla fine del  canto 32. del* Purgatorio, designando la romana curia ed il  papa, quale principe temporale, con termini cosi obbro-  briosi e di tanto vitupero , che io ben mi riguardo dal ri-  petere quivi.   Lo stesso Lutero, io credo, a cui nella rinascenza  Dante preluse, non giunse a tal segno di esecrazione per  il papa e per la curia romana.   Ed ecco perchè io penso ed aflfermo che quel maggiore  culto per la Divina Commedia pia estesamente ci additò la   '^   — lo   vera sede cancrenosa, la vera fonte dei mali d' Italia ripe-  tutamente confermata dalla storia fiiió a nostri tempi, fino  al 1848-49; e ci ridestò meglio lo spirito di nazionalità ed  il desiderio di vedere V Italia nostra ancora una volta co-  munque unita e padrona di sé.   Perciocché come noi vedemmo lo stesso Machiavelli  approvare ed encomiare più tardi il famigerato Valentino  Borgia, perché in lui potea ripromettersene V unificatóre  d* Italia ; Dante pure alla sua volta , pur di vedere la pa-  tria politicamente riunita , non esitava d' invocare all' Italia  per fino un principe straniero , V imperatore Arrigo 7. di  Lussemburgo. E quell'imperatore accattò l'invito dei ghi-  billini e di Dante, ma mori il 13/3 in Toscana a BuoncoU'  vento, avvelenato, dicesi, d'un' ostia sacrata. Cosi sebbene  Dante e poi Machiavelli fossero cresciuti in libero reggi-  mento democratico, non dubitavano di accettare e di prefe-  rire quel principato qualunque che avesse lor dato speran-  za di voler raccogliere in un sol corpo le sparse membra  d' Italia. Ed un tale ammaestramento della nostra storia  non dovea andar più a lungo perduto. Noi abbiamo ve-  duto a' nostri giorni Mazzini e Garibaldi, innanzi al più  alto iaeàle della patria da costituirsi ad unità, sacrificare  in silenzio od apertamente, almeno prò tempore^ al loro no-  bile ideale repubblicano, di cui erano pur stati 1' uno la  mente direttrice e 1' altro il braccio possente.   Dante dunque non é solo altamente benemerito della  patria, quale principe dell'italica letteratura, ma lo é al-  tresì è davvantàggio per averci appresa e divinata la sor-  gente perenne de' nostri danni politici , e per averci inse-  gnato à voler l' Italia tutta unità in un sol corpo ad ogni  costò, additandocene h via col solo additarci il maggiore   ai. E poiché dalla nostra rinascenza e quindi da Dante  che solo basta a rappresentamela , quasi tutta V Europa fu  desta più tardi a vita libera e civile , ben sorga qui a Ra-  venna, che ne custodisce le sacre ossa , un degno mau-  soleo e nazionale ed internazionale, un tempio sacro per  noi Italiani, che rapresenti come ben disse il mio collega  ed amico Prof. Regoli a nome del Comitato, il simbolo  della conseguita nostra unità ed indipendenza.   Ed ora per esser breve, o gentili uditori, noi faremo  come vi ho promesso una corsa vertiginosa fino a' tempi  nostri, inseguendo per le sole maggiori vette il pensiero  filosofico italiano.   IV.   Non molto dopo la morte di Dante Alighieri (1321)  la fisolofia scolastica cominciò a dissolversi con Guglielmo  Occam d'Inghilterra, con Michele di Cesena, con Buona  Grazia di Bergamo e con Marsilio di Padova. La rinascen-  za avea avvivato un movimento intellettuale che più  o meno apertamente rifmtava a poco a poco ogni appog-  gio e difesa al dogma. Si cominciò a sostenere che il con-  tenuto della fede non era razionale, ed in appresso si  cominciò a distinguere la verità di fede dalla verità di  ragione. Per ultimo sofisticando si asseriva che in buona  fede ed in buona coscienza si poteva benissimo con la  ragione intendere in un modo, e con la fede credere in  un altro.   Con questo movimento del pensiero filosofico noi  giungiamo fino all' epoca della Riforma o della Prote-  sta in Germania nel secolo XVI. contemporanea al nostro  Risorgimento letterario e scientifico , tra la fine della sco-  lastica e r inizio del moderno pensiero filosofico.  Essen io stato fino allora doppio il giogo delle menti,  il dogma e la scuola, contro quello insorge la Germania,  contro questa V Italia; coli protestando contro Roma pa-  pale , qua rinnovando ed instaurando gli studi classici ed  umani. Aristotele il gran campione del Cristianesimo con  la scolastica, fu tosto proscritto di qua e di là dall' Alpe.  Però gli umanisti d* Italia, mentre si scagliavano pure  contro le istituzioni della Chiesa non meno che contro la  barbarie della scuola, non intaccarono il dogma. L' Italia  contentavasi di rinnovare la scienza, auspici gli stessi pon-  tefici i quali ne reggevano il movimento destramente, da  Nicolò V. (1450 circa) a Leone X. ^^521) che, non ostante  il distacco per lui avvenuto della Germanta dalla Chiesa  romana, diede il suo nome al secolo per la magnificen-  za e per lo splendore del suo pontificato , sebbene cosi  rovinoso alla Chiesa cattolica. Ma se l'Italia rinnovava  la scienza, la Germania rinnovava la coscienza, protestan-  do appunto contro le indulgenze messe a mercimonio,  contro la giustificazione per mezzo delle opere, contro la  costituzione gerarchia della Chiesa ed altro.   La filosofia che con la patristica e la scolastica era   passata dal naturalismo alla teologia, ora incomincia per   r Eurcpa occidentale un processo inverso; dalla teolagia   ritorna al naturalismo.   Le verità di fede e di ragione non più si conciliano   negli intelletti colti, ma si escludono. Non è più permes-  so in buona fede con la mente intendere in modo e con   la religione credere in altro.   In questo stato del pensiero filosofico scoppia in Italia   una fiera controversia sulla natura dell'anima umana,   specialmente nelle università di Padova e di Balogna. Si     - a3 -   impugna da una parte e si difende dall'altra la stessa im-  mortalità deir anima .   Chi formulò e mise in chiaro la presente situazione fu  il mantovano Pietro Pomponazzi o Pomponaccio, nato il  1462 e morto 1524, con una pleiade di seguaci ed opposi-  tori. Il Pomponaccio avea menato gran rumore col libro   de immortalitate anitnae.   Il primo periodo del nostro Risorgimento avea mirato   a scristianeggiare Platone ed Aristotele; il secondo incomin-  cia con Bernardino Telesio di Cosenza a ricostruire, filoso-  fando non più secondo principii teologici né aristorelici, ma  secondo principii propri, accedendo al naturalismo. A questo  secondo periodo appartengono Francesco Patrizzi, Pietro  Ramo, Giordano Bruno e Tommaso Campanella.   Di questi due ultimi almeno, ecco un breve cenno.   Giordano Bruno nacque a Nola il 1548. Questo sven-  turato ingegno, come ormai tutti sanno, fu bruciato vivo  a Roma il 17 febbraic 1600 per aver osato filosofare fran-  camente.   Tolse da Copernico il sistema eliocentrico pel quale  Galileo Galilei più tardi fu pure ammonito, processato, con-  dannato dal Santo Ufficio di Roma, relegato ad Arcetri, e  dicesi fin anco torturato. Ammise inoltre il Nolano nella  astronomia una innumerevole moltitudine di sistemi plane-  tari simili al nostro.   Il perno della sua dottrina filosofica è l'infinità della  natura contro la teoria aristotelica e teologica. Nella spiega-  zione delle comete provò come nel cielo pure sempre qual-  che cosa di nuovo si generi, in contraddizione alla dottrina  d* Aristotele sulla incorruttibilità dei cieli. Ammise inoltre  nel sole dei movimenti di rotazione e di rivoluzione, benché poco sensìbili; di che il padre Denza, direttore dell'Osser-  vatorio romano e successore del celebre astronomo^ il gesui-  ta padre Secchi, in un manuale intitolato Le *Artnonie dei  Cieliy gli fa merito insigne insieme a Copernico. E questo  fo ed è ancora di grande sorpresa per me, come certo lo  sarà anche per voi, o benigni uditori, considerando da una  parte la più fervente devozione cattolica del padre Denza,  come apparisce luminosamente dalla stessa lettura di quel  libro, e dall' altra la generale alzata di scudi e le tante  pastorali al clero italiano per esecrare dagli altari sotto ogni  aspetto, il nome del Nolano. Ma il padre Denza forse  non avea preveduto, nel pubblicare quel libro, né l'apoteo-  si dei monumento in Campo di Fiore, né il conseguente  putiferio della diffamazione.   Molto sarebbe ancora a dire delle altre filosofiche spe-  culazioni del Bruno, ma la via lunga incalza. Passiamo al   Campanella.   Tommaso Campanella, nato a Stilo in Calabria il 1568   e morto il 1639 a Parigi, fu pure avversario di Aristotele  e seguace del naturalismo di Telesio. Al pari del Bruno  appartenne all'Ordine domenicano; ma fattosi promotore  di una cospirazione contro il pessimo Governo spagnuolo,  fu incarcerato per ben 27 anni, cioè dal 1599 al 1626. Col Bruno e col Campanella si chiude il nostro Risor-  gimento, e si chiude con lo scetticismo e razionalismo di  Lucilio Vanini, altro filosofo italiano, bruciato vivo a To-  losa di Francia, sotto Taccusa d'ateismo, il 1629. In Ger-  mania invece, ove ernsi iniziato il libero esame con la  nuova Riforma, si diffuse ben presto il misticismo, del qua-  le non sono in vero ammiratore. Ma questo fatto a me  prova della bontà dell'Evangelio e della Cristiana Rteligione, una volta spoglia e sciolta della infarcita suppel-  lettile cottolica nella parte dogmatica. Noi pure fummo  testimoni di due nuovi dogmi proclamati durante il pon-  teficato dello stesso Pio IX. La filosofia moderna dell'Europa, continuazione dell'epoca che dicemmo della Riforma, incomincia con Bacone o con Cartesio. Entrambi criticano  il passato ponendo nel dubbio il loro criterio di ricerca  filosofica; ma Bacone dubita per giungere al vero ed alla  scienza mediante l* esperienza, Cartesio dubita per raggiun-  gere uguale scopo mediante il puro pensiero. Bacone fonda  il Realismo che continua poi in Inghilterra ed in Francia;  Cartesio fonda l' Idealismo che si trapianta in Olanda ed  in Germania. Il Realismo segue la via dell'induzione, l'Idea-  lismo quella della deduzione.   Cosi restano segnati i due sistemi e i due metodi che  si incontreranno più tardi nella Critica della ragione pura  di Emanuele Kant.   Ciò premesso riguardo al movimento generale della  filosofia moderna europea, noi seguiamo ora il pensiero  italiano in VICO (si veda). Nato a Napoli, VICO (si veda) nella storia della filosofia merita un posto distinto specialmente per la sua opera d'incontestato valore intitolata: I principii di Scienza Nuova. Egli critica il  cogito cartesiano, perchè, dice, nelle ricerche non si muove  dal vero ma dal CERTO. Il vero è conseguito solo all'ultimo quale risultato finale del processo logico di ricerca. Il CERTO     poi non si ottiene nella coscienza singola, ma nel senso comune. Per VICO (si veda) il fare 6 condizione indispensabile del  sapere, e la sua Scienza Nuova è una storia delle umane  idee. L'ordine delle idee procede secondo l'ordine delle cose,  e r ordine delle cose umane ebbe per lui il seguente processo: Prima le selve, dopo i tuguri, quindi i villaggi,  appresso le città e finalmente le accademie. Cosi VICO (si veda) e lo stesso nostro GALILEI (si veda) di PISA, celebre fisico, astronomo, letterato  e filosofo, onore d'Italia e del mondo — di cui ho già fatto  cenno altrove a proposito dell' impostagli abiura, sulla  scoperta scientifica del sistema eliocentrico — integrano e  compiono il metodo induttivo di Francesco Bacone.   Ed ora, o Signori, fino al più grande filosofo moder-  no di Germania Emanuele Kant, nato a Kònisberg il  1724 e morto il 1804, vi sarebbe da enumerare e consi-  derare una lunga serie di sistemi filosofici sorti in Iq-  ghilterra, in Francia ed in Germania, ma per essere brevi  noi li sorvoleremo. Solo su Kant credo necessario soffer-  marci alquanto, essendo esso meritamente considerato  nella filosofia, quale il moderno Aristotele. Egli è V autore,  tra molti altri lavori filosofici, della cosi detta Critica della   ragione pura.   Con quest' opera egli ammette la conoscenza mate-  matica mercè le intuizioni pure, e la conoscenza fisica  mercè i concetti puri, e questo è 1' ufficio positivo della  sua critica; ma chiarisce V impossibilità della conoscenza  metafisica, cioè di oggetti che trascendono il tempo e lo  spazio e sono fuori dell' esperienza, e questo ne è 1' ufficiò negativo. Il suo processo logico è veramente rigoroso  e senza grinze; ma V ufficio negativo suddetto fa tabula  rasa del mondo psicologico e morale; la metafisica cade  interamente demolita, V uomo è ridotto nella più semplice  espressione di misero mortale, terrestre il suo destino . Di  fronte alla sua critica della ragione pura, Kant, che si era  proposto il semplice problema della conoscenza, avea poscia  veduto sfasciarsi ogni umana trascendenza d'oltre tomba;  onde avvisò tosto al bisogno di riparo, e die mano a rico-  struire il demolito, mediante una seconda critica, la Critica  della ragione pratica, in cui si propose il problema della mo-  ralità. In questa il suo celebre imperativo categorico della  legge morale, sciolta per lui d' ogni egoismo, è il seguen-  te: Opera in modo che la massima della tua volontà pos-  sa valere come principio d'una legislazione universale.  Cosi nella prima Critica Kant, che si era proposto il pro-  blema della conoscenza, raggiunge un ideale teoretico; e  nella seconda, in cui si era proposto il problema della mo-  ralità, raggiunge un' esigenza, un postulato pratico della  slessa ragione pura; né logicamente parlando, può essere   tacciato d' Incoerenza nelle due Critiche.   Ma, come ognun vede, l'edificio della ragione pratica   pur troppo mal si regge sui ruderi arenosi lasciatile a  fondamento dal tremendo conquasso della Critica della  ragione pura. Questo filosofare, a mio debole giudizio, fa  degno riscontro alla dissoluzione della Scolastica, quando  in essa era permesso pensare ed intendere in un modo, e  credere e governarsi in un altro, per salvare capra e cavoli; cioè per salvare allora la ragione e la fede, ed ora  per salvare l' esigenza dell' intelletto ed insieme V esigen-  za dell'animo e del sentimento, a tutela della compagine— as-  sociale. Molto sarebbe a dire di Fichte, Schelling, Hegel,  Herbart, Schopenhauer e d' altri seguaci ed oppositori di  Kant in Germania, ma il tema noi comporta. Però trovo necessario di dare un più breve cenno an-  che di Augusto Comte, altro celebre capo-scuola della  moderna filosofia positiva francese; non che di Spencer, capo-scuola ancor più celebre del moderno posi-  tivismo inglese; e quindi passeremo senza più ai nostri  ultimi filosofi italiani, per summa capita.   La filosofia positava di Augusto Comte trae lasuadop-  pia origine e dalla scuola fisiologica del Broussais e dalla  socialistica del Saint-Simon , di cui fu prima collaboratore.   Nacque il Comte a Montpellier il 1798 e mori il 1857.   Staccossi dalle dottrine sansimoniane, con la mira di  promuovere una riforma sociale. Il suo positivismo si fon-  da sulla famosa legge de' tre stati dell' uomo, cioè dello  stato teologico, metafisico e positivo^ seguendo il cammi-  no deir umanità dalle selve alle accademie.   Prima in fatti di conoscere il legame degli effetti  fisici tra loro, niente vi ebbe di più naturale ne' tempi  eroici , che di supporli prodotti da esseri intelligenti ,  simili a noi. Tutto ciò che succedeva di. arcano tra gli  uomini, senza che essi vi avessero parte, ebbe il suo Dio.  Questo lo stato teologico.   Passiamo ora al secondo , allo stato metafisico. Quan-  doi filosofi riconobbero V assurdità di queste favole mitolo*  giche, non avendo tuttavia acquistato veri lumi sulla sto-  ria naturale, immaginarono di spiegare le cause dei feno-  meni per via di espressioni astratte, comt essenze e facoltà; espressioni che intanto rton ispiegavano, nulla e di cui  si ragionava come se fossero state degli esseri, delle nuo-  ve divinità sostituite alle antiche — tali i dogmi.   Ed ora passiamo al terzo, allo stato positivo. L'uomo  per ultimo, osservando V azione meccanica che i corpi hanno  gli uni sugli altri, ne ricavò ben altre ipotesi, che le matematiche assodano per realtà , e V esperienza verifica via  via — tale V umanesimo.   Questa legge dei tre stati, è certo molto specios.a ed  attraente. Bovio la riassume ancor più conciso: Gli Del,  r uomo-Dio , r uomo . Il Comte ne sviluppa V ultimo sta-  to, il positivo, 1' uomo.   Va da sé che egli detesta la teologia e la metefisica   per le quali l'uomo è già passato e passa nei primi due   stati. Bisogna ora giungere alla cognizione positiva con le   scienze positive appunto, quali la Matematica, l'Astronomia,   ìa Fisica, la Chimica, la Biologia e la Sociologia, divisa   in Statica e Dinanlica; di cui la' prima tratta dell' ordine   sociale, dello Stato; l'altra del progresso.   Ed ora diamo uno sguardo al positivismo inglese. Il   più grande rappresentante della filosofia contemporanea in-  glese è certamente Herbert Spencer. Però va notato che il  positivismo inglese è alquanto diverso dal francese.   Il positivismo francese non si propone punto un pro-  blema filosofico^ l'inglese si. Il primo esamina il legame  delle scienze positive sopra accenr.atc, passando dalle più  generali alle più particolari, rispetto al loro oggetto di  studiò, per giungere fino all' oggetto-uomo; il secondo,  l'inglese, esamina nelle scienze stesse l'origine ed il va-  lore della loro conoscenza, e questa trattazione soltanto  è d'indole veramente filosofica. Inoltre Spencer non accetta la legge de* tre stati  surriferita, né la gerarchia delle scienze, perchè egli non  ammette figliazione tra scienza e scienza , ma solo una  scambievole influenza. Contro il positivismo del Comte egli  ammette ancora V analisi psicologica ed una causa prima  quale fondamento di ogni religione . Inoltre vuole V attivi-  tà individuale sciolta il più possibile dalla subordinazione  assorbente nella vita sociale, sciolta dal collettivismo e dal-  le pastoie dello Stato, in cui il Comte pone invece la per-  fezione del Governo.   Nella dottrina dello Spencer distinguonsi poi tre ma-  niere di sapere: il saper non unificato, formato dalla più   semplice conoscenza; il saper parzialmente tfliificato, for-  mato dalla scienza; ed il sapere completamente unificato  formato dalla filosofia. Però egli njctte iu dubbio che pos-  sa conseguirsi la perfetta unificazione del sapere: rimarrà  sempre, ci dice, qualche cosa di assolutamente inconoscibile ,  dove si spazierà il sentimento religioso.   n perno poi in cui tutta s' aggira la filosofia dello  Spencer è Tevolazione; che anzi tutto l'universo in lui  evolve, ed ammette nella natura una triplice evoluzione;  organica, supero:ganica ed inorganica. Delle prime due  estesamente egli tratta nella sua Biologia , Psicologia, So-  ciologia e Morale; ed ha solo accennato all'evoluzione i-  norganica nella Astronomia, nella Cosmologia e nella Geo-  logia. Nella teorica dell' evoluzione ha quindi molti punti  di contatto col non meno celebre scienziato naturalista  il suo connazionale Carlo Darwin, circa specialmente le  esigenze della natura organica e superorganica nella sele  zione, mentre afferma n a poter l'uomo, per suo avviso,  concepire e meno conoscere il processo reale delle cose     - 31 -   che si presentano fuori dell'ambito della sua coscienza.  Nello Spencer va inoltre segnalata, in così vasta dot-  trina, una rara modestia: nessuna baldanza dommatica  neir affermare , nessuna nel negare. Finalmente eccoci anche a' nostri moderni filosofi .   L'Italia meridionale è sempre stata la parte più fe-  conda d' ingegni speculativi della nostra patria. Questo  fatto è addimostrato dalla storia della filosofia a partire  dai tempi della Magna Grecia con la scuola di Pitagora,  fino ai nostri .   Il clima più dolce, il cielo più sereno, i colli uber-  tosi e ricchi di viti e di agrumi, le mirabili e piacevoli  marine, in fine la vita facile e gaia nei più copiosi beni  di natura, tutto questo forse meglio contribuisce ad ecci-  tare di preferenza in quei nostri connazionali lo spirito del-  le filosofiche ricerche e meditazioni. Mentre a NAPOLI insegna ancora VICO (si veda),  di cui sopra accennai, nella stessa università professava  filosofia e saliva in gran fama Antonio Genovesi. Egli  nacque a Castiglione di Salerno il 17x2 e mori a Napoi  il 1769. Sebbene naturalmente inclinato alla libera filosofia  il padre lo volle prete, malgrado di lui. Pubblicò molti  lavori filosofici di merito in italiano, sostenendo che una  nazione che non abbia libri di scienza, scritti nella pro-  pria lingua, meglio che civile va chiamata barbara. A que-  sta novità egli teneva anche dalla cattedra, a cui traeva  in folla la città; come pure ad un'altra d'insegnarvi per  primo nel corso di filosofia l'etica e la politica. Per consiglio di lui Bartolomeo Intieri istituì del prò-  ~ }2_   prjO Beli* U::;Ter5:ti d: Xapc*^ ima csneiri Ji comiDcrcìo,  a :;9 .i^.one cbi ri si l^>^^ii^*>^ in hu'::::;© e tì:^3 Ìdss^  Tiia'i c:r j irrita a frid. Q.i^ni: T Inrleri on^nn* d^ re Car-  lo UL che lasse ca::irii2 T>^r r>rirD3 a'.'. 3 si^sso G^^aoresi .  QatHa cvat^ÌTZ fj ina-ogorata il 1754, rem' anni primi  C'^t salisse in tanta faaia il filasofj ed cjonanijstj scozze-  \>^ \tzzno Smiih col sao celebre li^ro d^ccanooiia poSi-  tica, d^l.a quale scienza oggidì s: can>idera padre e fon-  datore.   ♦ Studiate il mondo, coltivate le lìngue e le matema-  tiche, pensate un poco meglio agli uomini che alle cose  che sono sopra di noi, lasciate gli arz:i::»go:ì metaà^ici ai  frati *; tali erano i franchi consigli del Genoveo]ì un i;raQ  rumore; ma egli godeva la protezione di Tanacci, cel»rbre  ministro liberale e riformatore, com- tutti sanno.   Però il suo vero pensiero filosofico appare meglio  dalle lettere {amigliari e private, che da* sui lavori ufficia-  li; ì quali non ostante le maggiori precauzioni e la prote-  zione della corte, gli fruturono non piccole molestie. Per  quanto riservato egli prenunziava gii la famosa Critica  Kantiana.   Altro illustre filosofo napoletano fu Gaetano Filangeri,   sebbene morto a soli 58 anni il 17SS.   Ma i' grande riformatore delia filosofia italiana è il ca-  labrese Pasquale Galluppi. Egli nacque a Tropea il 1770 e  mori a Napoli il 1846. Scrisse moltissime opere, di cii le  principali sono: Saggio filosofico sulla critica ddla c^nosctn^ùj  ;;li EUnunti di filosofia^ Lettere filosoficbt sulle vicende del-  la filosofia da Cartesio fino a Kant, Legioni di logica e  metafisica» Fisolofia della volontà ecc: senza gli opascoli     sulla libertà di srampa ecc.   Djal ^.82^ CQjfiiin^ì^ il QV*€ggiO; tt^ Gajlwppi ^RjO$mi-  ni , forge ii du(5 primi filosofi italiani della prima metà di  qui^sto secolo. ,   Il Qomis del Galljappi si diffuse in Europa, ed il i&^&,  a proposta del Cousin , fu nominato socio corrispondente  dell'^ Accadjemia disile scienze in Francia,, in concorrenza  dell' Hamiiion ; ed il L841, dietro proposta di Guizot , fu  insignito della croce della legion d'onore. La sua filoso-  fia è dieir esperienza , mediante i rapporti soggettivi 4' iden-  tità e di differenza. Ma quantunque il Galluppi abbia sem-  pre disconosciuto la parentela della sua filosofia con Kant,  vi apparisce l'inftusso del Criticismo. Per questa attinen-  za la dottrina del Galluppi fu combattuta da Vincenzo  de Grazia e da Ottavio Goleccbi , pure meridionali , seb-  bene, almeno per me, un po' parenti del filosofo Camea-  de, vi^) ?.enso m.a.Moniano . Meritano quindi distinta men-  zione ^a^dpjnenico Romagnosi di Salso Maggiore e Mei-  cbi^r^ GÌ0Ì4 dii Pi^c^nza, ambi seguaci in parte più o  meno loptana ^Ua filosofia di Condijilac che insegnò a  Parma per un decennio, e si considera quale capo deUa  scuola sensualista.   Ma accanto al Galluppi per valore filosofico va posto  Aji^?iirigine delle  idee, si jffiQ^Q^^ U problema della conoscenza, ricercando  il ppni(9 4aMe s.eoisibtiUtà ed intelletto si congiungono per  pcodutla. É però dubbio se egli abbia raggiunto il compi-  to pjcapQ&tosi: le sue soluzioni in questa e nelle altre aue opere farono impegnate dal Gioberti, ingegno non meno  acato.   Dopo il Nuovo Saggio suiderto, si hanno di lai il  RinfUK' amento della niosona italiani, i FnnsiTti della filo-  sofia morale, la S:-W-2 c:*k7S'':::j: iti sistemi relativi al  principio della morale, V ^nt^cpcls^ìjy I-i fi.Ji.yfj (Ul TH*  ritto, la TsL:ck;:j, li Lc^^^a e la Tisssjzs, opera postuma. Però ia tutte queste pabblicazioai egli tenne d'occhio  dapprima alla Critica Kantiana, poi alla costruzione dialet-  tica dell'Hegel.   È poi risapuco il dissidio insorto, or non è molto,  tra i Rosminiani da una parte e tra ì Tomisti dalP altra  nel clero italiano; dissidio terminato con la vittoria dei  Tomisti, e su cui non si è per  anco pronunciata la serena imparzialità della storia.   Il Gioberti è altamente benemerito della nazione ita-  liana , non meno che della filosofia. Egli merita davvero  on posto d' onore ed un culto d' ammirazione nella mente     ; V. V-SP  e nel cuore d' ogni buon italiano , come filosofo politico  e patriota. Chiunque di noi abbia cara la nostra patria ,  deve nutrire in cuore un senso di rispetto e di venerazio-  ne al nome ed alla memoria di tant' uomo.   Vincenzo Gioberti nacque a Torino il i8oi^ di mo-  desta condizione; abbracciò il sacerdozio e fu cappellano  di corte. Esiliato il 1833 per opinioni politiche, visse in  Francia e nel Belgio fino ah 1848. Rimpatriò in gran  trionfo e fu ministro di Carlo Alberto , appena data la  costituzione. Caduta la fortuna d'Italia tornò a Parigi,  dove pubblicò V ultimo suo lavoro di molto polso, T)el  Rinnovamento Civile d' Italia, e poco dopo mòri (1852)  povero e glorioso. Ecco segnate le tappe della sua vita  breve ed immortale ; ma a dire degnamente di lui troppo  qui ora ci vorrebbe , troppo mi sento inferiore al compito.   La filosofia del Gioberti non si limita al problema  della conoscenza come nel Galluppi specialmente, ed an-  cora nel Rosmini.   Essa gira^più largo ^ e campeggia nella politica che  ne è la mira costante , e dalla genesi della conoscenza si  dilata alla genesi delle cose. Là polemica del Gioberti  contro Rosmini si limita a cercare se alla genesi della  nostra conoscenza basti la forma dell' essere ideale. Ne-  gava Gioberti ed affermava Rosmini; solo più tardi quest'ul-  timo parve capacitarsi delle difficoltà del suo formidabile  avversario.   Ma le opere di Gioberti vanno considerate e studiate  nel riguardo "pratico, politico e nazionale anche là dove me-  no traspare questo nobile ideale. Per ampiezza ed acutezza  d' ingegno filosofico sarebbe potuto forse divenire il Pla-  tone o 1* Aristotele d'Italia, ma egli più che al titolo     j     -3«-   di informatore éelk^ filosofia volle ambire a quello' ji  Pater patria. Egli volle farsi il bailo della Nazione italiana, e ben lo fu. La vita civile ed intelletiivar dei popoli , come la  vita fisica e morale degli individui , corre per tre distinte  età che sono: la puerizia- , la gioventù e la maturezza o  virilità. Ebbene, le opere del Gioberti in soli dieci anni  circa, dal 1840 al 1850, percorrono T inrero ciclo, destando l' Italia fino a spingerla a resurrezione politica, alla guer-  ra d'indipendenza. Il suo intento fallito materialmente e  temporaneamente, era già raggiunto moral-  mente , che nel volere d* un popolo mai manca il volere  di Dio. Le sue opere tutte , verso k fine di quel decennio,  erano divenute la Bibbia degli Italiani da un capo all'altra  d' Italia; ma più spezialmente quelle d' indole pohtica di-  retta, qualt Tkl Primato morale e civik thgli Italiani^ I  Prolegomeni al Primato, Il Gesuita moderno. Il suo ideale  politico era trasfuso nella Nazione, era diventato un  bisogno imperioso universalmente sentito-, ed il suo nome  velava benedetto dalle Alpi al Boeo. Lo st-esso Pio IX.,  sperando di governare il movimento nazionale, benedisse  dapprima all'impresa ed alla guerra d'indipendenza, tra*  scfi^iifato diAa forza irresistibile dell' opinione pubblica in  Italia; riservandosi coi primi rovesci a maledire. Però a  discolpa va notato che il papa allora non era per anco in  fallibile. Fallifta r impresa nazionale, cadde il favore popolare  del Gioberti, ed alquanto freddamente fu accolta ormai  r tritima sua opera suddetta Del rinnovamento civile d' Ita-  lia del 185 1, un anno prima della sua morte. Ma con qaest* opera ponderosa, onde forse rimase fisicamente e-  saorito, egli compie e 'finisce la sua missione politica, per  r Italia, k quale è destinata a sorgere senz'altro ad uni-  tà ed indipendenza.   E qui piacerai, a proposilo di questo VJnnovamento del  Gioberti, riportare il commento e la chiosa che ne fa per  •siiitesi PAusonio ^Franchi ntìlk celebre sua Ultima Critica,  in cui bruscamenre «e solennemente disdice al suo passato  di scettico e razionalista, per ritornare in Cattolicismo con  'S. Tommaso, in quel Cattcdicismo che aveva prima sfolgo-  rato con logica irrefragabile.   Nel Rinnovamento del Gioberti, dice il Franchi, ri-  mane ancora qualche cosa di cattolico e di monarchico ,  ma coperto e soverchiato da dottrine affatto razionalistiche  e democratiche, e continua: « Non è più l' Italia che de-  ve acconciare la sua esistenza al reggimento della Chiesa  e del Principato, ma tocca a loro di adattare i loro isti-  »tuti a servizio d'Italia. Se no, peggio è per loro; che d'ora in-  nanzi nell'ordine teoretico il principio e criterio d'ogni vero  si è la sovranità della ragione, e nell* ordine pratico la re-  gola e misura d' ogni bene si è la sovranità della nazione.  Laonde o la Chiesa si piega a rendere razionale il suo insegnamento, ed il principato a rendere nazionale il suo  governo ; e allora troveranno l' una e l' altro in Italia una  èra nuova di potenza. e di gloria. O invece prosegue Tu-  na a deprimere la ragione con credenze da fanciulli, e l'al-  tro ad opprimere la nazione con leggi da barbari; ed al-  lora tutti e due avranno finito di regnare e d' esistere in  Italia. Fin qui il commento del Franchi resipiscente. Ed ecco come, maturata l'educazione .politica del pòpolo italiano, il Gioberti con franco e libero linguaggio si  rivolge ai rettori della Chiesa e dello Stato per patrocina-  re la causa del popolo stesso, per abilitare V Italia a sor-  gere a libera Nazione.   Possa il suo esempio d' amor indomato per il paese  nativo ispirare sempre la gioventù nostra a nobili e ge-  nerosi sentimenti adeguati; possa il suo esempio vivificare  la presente e le future generazioni italiane.   Tutto ciò, parlando del Gioberti, sia detto natural-  mente senza punto detrarre ai meriti eminenti di tanti  altri nostri pensatori e campioni che più o meno imme-  diatamente contribuirono con lui e. dietro lui alla nostra  unificazione e libertà; pur militando con lo stesso propo-  sito in campo diverso, quali specialm.entc tra i più illustri  Mazzini e Garibaldi.   Cosi, o Signori, restra fin qui alia meglio abbozzato  il nostro Sant' Antonio; ma rimane ancora a dire qualche  cosa della quarta ed ultima epoca della filosofia cristiana,  della filosofia che ho chiamato del Rinnovamento.   Fin qui la parte oggettiva ed accademica: ora la  parte soggettiva o meglio pratica e politica.   Seguitemi per qualche altro tratto, e voi vi scorgerete  un contorno del quadro forse abbastanza originale e più  attraente. O PRATICA E POLITICA   I.   È ancor dubbio}se V epoca del Rinnovamento filoso-  fico sia ancora incominciata; non crederei lecito né affer-  marlo né negarlo. Egli è però certo che^ dopo tante contraddizioni e  dopo tanto sfacelo morale di sistemi filosofici in alterna  demolizione, è generalmente sentito il bisogno di nuove  costruzioni filosofiche a più razionale soddisfazione delle  esigenze della mente e del cuore.   Tutti i yari sistemi filosofici, che ora tengono il  campo, si possono dividere in due grandi schiere: V una  che prescinde affatto dalla metafiisica, da ogni idea tra-  scendentale e costruisce, per mio avviso, suU' arena, se  pure avvertendo già al lavoro di Sisifo si cura di costrui-  re più oltre: V altra che tende alla riforma della metafi-  sica e vi prova nuove costruzioni; ovvero, come V ostrica  aggrappata allo scoglio, resta immobile nella metafisica  già posta.   In una parola tutta la sequela dei diversi sistemi  filosofici, con tutte le rispettive gradazioni e sfumature,  si può ormai dividere in due campi troppo ben distinti;  r uno dei pensatori credenti, e V altro dei pensatori non  credenti.   I primi sono ispirati e guidati dalla mente e dal  cuore, dalla ragione e dal sentimento; i secondi solo dalla  mente, solo dalla ragione.   Per lo passato trattavasi di credere in un modo  piuttosto che in un altro, di accettare o non accettare  questa o quella parta di religione monoteista o cristiana,  questa o quella parte di metafisica in filosofia. Oggidì la  differenza è ben più marcata: credere o non credere nel  mondo d' oltre tomba, nel mondo dello spirito.   Ma infine anche la dogmatica, sebbene fuori del cam-  po filosofico, non è che una rigida esigenza della stessa  filosofia che aflFerma.        I     I liógmi religlMi fi&ii sodò cìA Iti ^r^du%iòtA simbo-  lica delle afferma'Mtìfl! della filosofia sA 'dio delle «firbe  che rifuggono dalla fredda ^ectìlaiiohe della ràgltitìè, e  s'appassionano fn^e^e della '|)Sedia ^ 'di ^^a'àfò edipee  l' immaginazione ed il ■seflfiiri'ehtft.   Abbattiamo ^ufé 'Ogni tngtiJera 'di - sdpemfeionì e  pregiudizi, di cui iloi ìtiiliìtni e 'ih 'ba^^O'e iti alto^'h^ìtoo  troppo famosi -^ ~i\ito che nulla credehti ! 'Abbassò pure  ogni tnaniera di rozzo "feticismo è 'd'Idolatria; iiia lò^n-  So e francamente sostengo che il berte dell'umanità e  quello stésso del nostro paese, della nòstra -patria, recla-  maiio Vivamente la vittoria, la rii^0^tipunto -per 'la IbrO ^piénfa 'e tollét'ihzla in  questo terreno, divennero pot tanto grattai é'^ot^tì.  l^a, ^e io tódo -e tWriro assai cdmttwnàévdtè dicro-  ismo dèlta ritirata di Cristoforo Bonàvitto, 4jella filosofia  AHi^òii^to Frtfbctó, non 1' approvò nfè k) -itgìiìtb mai tillo  scolto 4o^^è egli hn riparato. Tb siò per la ikortruifdne  nfdlìa nuòVa Riforma che raccògjtrerà tutte !fe ^nfessioni  d^llà religiótie dfistiafiii, titortiaiido per ^tónto possile  atta primitiva dottrina evacifgelica;, che 46 ravviso più cbn-  faed allo stèsso idéjflc 3' an?vfer-  salisnoR). -Per nife ^i ^égu^ci di Cripto 'llèvonò essfei'e pure  in Cristo tutfti fratelli davvero; altrittfeiiti la ^bubna no  velia é ifrtra itegli effetti prtttiicJi della ^tesjJa sua efnun-  ciaz Iòne, 'fitto 'nella prima sua -tóse, con coi pfocTama  gli 'Ul5mitìi tutti »ti1i 'fóro eguali, tutti 'tra loro fratèlli, tutti  ©gUrflmente fi'j^li xli ©fo; Qjafestò 41 Véro GaHttlici^tno  •deir avvehire.   L'ideale cristiano, con Cristo principe del socialismo,  cfeve an     i  rivoluzione sociale con graduali riforme, -per ispontanea  evoluzione. Ecco il nuovo ideale cristiano.   n.   Il Cattolidsmo Vizioso attuale ha per gli Italiani il torto  gmvbsimo, già consegnato nella storia troppe volte ed a  caratteri indelebili, d'aver sempre osteggiato per lunghi se-  coli, cioè fino dal reame longobardo, T unificazione e  r indipendenza della patria -nostra. E ciò a semplice tutela  del dominio temporale, puntellato per ultimo dalla infalli-  bilità pontificia, senza smettere ancora ogni maniera d' osti-  lità al presente stato di cose; in onta -alla vantata Provvi-  denza che per ultimo ci volle uniti e liberi, malgrado il  sedicente Cattolicismo stesso.   Sebbene la retta applicazione della dottrina evangeli-  ca, negli ordin^rmenti sociali dei popoli cristiani, sia pur  troppo ancor di là dal venire , per sé stessa e bene inter-  pretata la religiose cristiana è certamente la religione del-  la civiltà e del progresso.   Considerata ne' suoi effetti pratici, élla può dirsi san-  tissima ed è veramente di sommo confono all' umanità sof-  ferente, nei mali materiali e morali ineluttabili della vita  preseilte.   Cristo còl suo eroico sacrificio pose tra gli uomini la   postuma sanzione e spezzò ed infranse per primo l' orrtbi-   *le catena della schiavitù, sciogliendo un problema sociale   coltro cui emsi -fiaccata tutta la sapienza antica, con a   dapo lo stesso Aristotele.   Ma agli Italiani che vedono piùlà della semplice • buc-  cia e sentono e provano amor di patria, per necessità di   iHMi può -a iftieno di destare, -massime a tempi 'nostri.     un senso, di nausea; e di ripugnanaa il soddisfare catoU^  camente a' doveri religiosi accedendo nella Chiesa ai di-  vini uffici. E perchè mai ciò ?   Perchè vi fungono sacerdoti che, in ossec^uio al ponte-  fice non più re, più che della, stessa loro missione religio-  sa, sono preoccupati della loro missione politica, e rim-  piangendo il passato della terra der morti, maledicono più  o meno ecclesiasticamente alla patria unità. -^ Perchè I-  talia, Nazione, Patria, libertà ed unità politica da una  parte, e Cattolicismo e Religione dall' altra, si escludono  per dir poco necessariamente. Cosi stando le cose, se mai mi fòsse permesso di dir  franco il mio pensiero, per me io credo che^arebbe tem-  po di troncare il dissidio in Italia tra Chiesa e Stato, e  di tagliar corto orni ai da pame del Governo nazionale.   Sarebbe ti^mpo che cessasse la conseguente demolizione  religiosa e odorarle,, la cui responsabilità, per le mondane  nair^ delle somme chiavi, è certo assai maggiore nella Chie-  sa stessa^ a contronto dello Stata Sarebbe tempo in una  parola che gli italiani iniziassero un movimento di ensr-  gica $, decisiva- secessione dal Cattolicismo^ per essew. più  credenti ^ più cristiani nei limiti e nelle misure de^i cti-  stiani e della Germania e dell' Inghilterra e della Svizzera  in parte, non che dell'Olanda e della Danimarca e della  Svezia e della Norvegia e della stessa Russia in Europa,  come ahrave in Oriente ed in America.   Tale secessione può effettuarsi pel bene del popolo e  della Nazione italiana, con quei secerdoti, che non man-  cano, i quali coscienti del divino loro mandato, si spoglia-  no francamente^ e sostenuti dal Governo e dal popolo me-     glio si spoglierebbero, d' ogni veste politica antinazionale,  per occuparsi serena ed esclusivamente della sola loro  missione religiosa.   Cesserebbe cosi in Italia la perenne incompatibilità tra  Cattolicismo e Patriottismo; ed inoltre questo sarebbe il  primo passo alla necessaria fusione di tutti i popoli cristia-  ni, in una sola e comune dottrina dogmatica, di cui noi  avremmo il merito dell' iniziativa.   Ed in vero , non è egli assurdo che i cristiani catto-  lici insegnino e pretendano che Cristo morendo, solamente  per loro abbia meritato il premio della vita celeste, il premio del Paradiso, luogo di quasi uguaglianza ? Non è egli  assurdo che altrettanto si ascrivano e sostengano per loro  conto i cristiani protestanti^ con pari accanimento; non che  alla loro volta gli stessi cristiani d' oriente greco-ortodossi,  con tutte le divisioni e suddivisioni di questi e di quelli?   Non è ben più logico, civile ed umanitario l’aflfermare invece che Cristo meritò come volle meritare, il pre-  mio d' una vita tutura ben più felice della vita presente a  tutti indistintamente i suoi seguaci che da Lui prendono  nome, a tutti indistintamente i buoni Cristiani ?   Questa nuova affermazione cristiana è per me tanto  evidente e necessaria che io non dubito che, come i popoli cristiani un giorno non lontano s'accorderanno in-  sieme direttamente e fraternamente a comune soddisfa-  zione de' comuni bisogni economici e politici; s' accorde-  ranno altresì direttamente e con razionale unitormità per  soddisfare fraternamente a lor biso^^fni relimoii e cristiani.  E ciò senza ulteriori esclusivismi, fonti d' odii e dissidii  politici bene spesso, senza ulteriori reciproci anatemi che  fanno a' pugni con la progredita civiltà e col buon senso  de' tempi nostri. La dotrina cristiana in fatti, e precisamente la cat-  tolica viene pur troppo male inférpfetata dal clero che ne  fa una palestra politici in odio segnatamente all' ideale  d'autonomia ed unità degli Italiani. Ed è parimente avver-  sata dal moderno socialismo — non ostante la teoria sociali-  sta collimi eminentemente con la dottrina cristiana stessa e  quasi ne promani — perchè il clero torcendone il senso ed  interpretandola a rovescio, ne fa strumento quasi di polizia  a tutela della proprietà illipiitata e del capitale proprio  ed altrui, contro il precetto cristiano: Quod superest, date  pauperibus. Ma per sé la religione cristiana è immune af-  fatto da queste macchie, onde il clero la rende abborrita.  Tutto questo è cosi chiaro che splende di luce meridiana,  e prova una volte di più il bisogno d'una comune Rifor-  ma tra i popoli civili, la quale purghi e scevri la Religione  Cristiana da queste mende, estranee al patrimonio della fe-  de, come da ogni ulteriore feticismo nel culto. Ma qui forse da taluni mi si opporrà: Meglio stare o  passare nel campo de' non credenti; meglio attenersi al-  l' umanesimo: basta cristianesimo; basta religione.   Però, dico io, bisogna pure rilevare e misurare per  tempo le serie e gravi conseguenze che fatalmente ci si  affaccerebbero per tal via.   Ed in fatti, levata al popolo la vita dell' anima senza  premio e senza pena in una vita fatara, ogni promessa  d'alleviamento de' suoi travagli e delle sue miserie è de-  risoria e vana. Una volta indotto a rinunciare alla felicità  futura per la felicità presente, il popolo giustamente la  pretenderà di presente. Se la felicità umana consiste tutta     ì     e sola nei beial dì fortuna, nei godimonU 4eli 3^,9^ il po-  polo senz* altro vorr^, ed a ragione, qq^^tj be^ni; ^ vajrrà  per sé 1q ricchezze ch^. appiiuto ^ono fon^ e n^^zso. e con-  dizione di tali beni.   Il popolo ha pure diritto inplpr^ dj, l^VjOraire. q^^lchQ  ora di meno, di guadagnare qualchj^ lira d^ piìi> di ni>in-  giare, di abitare c^ di vestire un po' meno n^jsQramepte; e  su 'questo noi tutti d'accordo, m^ basterà questo a f.irIo  ricco e felice ? E come potr4 lin^it^rQ le ^w aspi.ra;sÌQQÌ, se  non gli resta altra speranza che la felicità della ricchezza,  né altra legge che la soddisfazione dei suoi desideri, né  altro fine che 1' ebbrezza dei piaceri ?   Non. mi par necessario addurre altre considerazioni  e ragionamenti per dimostrare, o benigni uditori, come  in questo campo , tra le diverse condizioni sociali , npn vi  pos^a essere 2\ltrsi equazione possibile, che una liquidazio-  ne universale della civiltà non solo, ma anche della so-  cietà stessa. Del resto il popolo stesso queste cose vede,  misura, intuisce e saggiamente scongiura, se i rettori non  sono da menp.   Per contrario, T istintivo sentimento religioso nel po-  polo, se bene indirizzato^ é il più saldo fondamento d'p|;pi or-  dine sociale, la più alta espressione del i^pado un^anp, la  consacrazione della dignità individuale , la fonte delle virtù  private o pubbliche, V ispiratore de* più granai specifici e  degli stessi eroismi, si particolari che collettivi.   Ecco perché nel nostro dissidio tra Chiesa e S,ta»to,  io penso che commette un vero sacrilegio chi da una fV*  te, per sostenere il dominio temporale, lo f^ elemento  essenziale della religione ,perturbando le cos^cienze; e com?  mette grave imprudenza pure chi dall' altra parte , pier op-  pugnare quel potere, attacca la religione. f titìùóM lo Stato ha il diritto >4*ìftéì(Flné il dovere  di tené'^' cónto del sétiiimétiiq fcti^ìósò , hiit è  te defia nióratità é della rèttitààfòé é jptlvàtà ' e pìi^^^^  col diflFonderlq e coj pfoteggérlo"; tìè p\i8 dìsitìtét^sàarsi  decita moralità pùbblica.   Il sentiménto refi^osp, quando Ì forte, pv^fo e bène  applicato, forma la poteìjizà è la grandezza delle nazióni.   Ma ciò cbe pìii lo combatóé é lo stésso divorzio dei-  la Chiesa e del saceMòzio cattolico dal sapere , dal movi-  merito del progresso umano in tutte le parti dello scibile,  ih una parola il divorzio cattolico dall' evoluzione del pen-  siero moderno. Divorzio che, còme accennai, lamentava  già il Griobéiti net Rinnovamento, e che in seguito fino a  noi più s* accrebbe; noa potendo più oltre assoggettarsi  gli studiosi ali* inteftettUalé evirazione. A ìquesto s* aggiun-  ge r accennato a^anhai'^i degli ecclesiastici stéssi, pi& cne  pet glMnteres^ spirìtriali, pei ìnàtèrìali vantàggi dégfi in-  dividui e délìi Casta; non cÉle il lóf'o disconoscere "qùéflo  che è pure nobilissimo sentimento deir animo umai^o^ l'a-  tnof di patriiy pigliaùdo in tutto questo il mal esempio  daH* alto ;   La storia d^ ogni popolo e d* ogni tempo ci aiiUQa,e-  stfà icfae la fede, l'a religione è un bisógno in^vid^aàle e  sociale. Lo stesso Voltaire afferma, dietro il pròprio roTÌ-  tìlo, che se Dio non fbsse, bisognerebbe inventariò. Ma  è altre'sì uiì bisógno individuale e sodiate il progresso ci-  vile, economico e scientifico, anzi un bisognò più imme-  diato e sensibile •   Ora, cótne ognun vedé^ è necessario che le soddis^a-  ziohf d? questi due bisógni, del sentimento e delT^ ihtéllet-  to, per lo meno Dòn si'esdudàiioV Sé la storia ci dice:     Guaì alla Società civile che opprime e distrugge la pro-  pria fede religiosa! essa ci dice pure: Guai a quella società religiosa che rinnega il progresso della civiltà ed in-  sulta alle conquiste della scienza!   Per tanto è per il benessere sociale che in Italia tra  Chiesa e Stato vuoisi eliminare ogni dissidio, come ogni  vincolo d'alleanza. Solo richiedonsi libertà, rispetto e tol-  leranza reciproca per ciascuno dei due Istituti, giusta la  formola cavouriana: Libera Chiesa^ in libero Stato. Ma  se non è più possibile uscire dal diuturno dissidio, dal  conflitto attuale e passare alla formola cavouriana; se chi  regge le coscienze, non curando il conseguente sfacelo mo-  rale, non cessa mai di rimpiangere e di imprecare per ri-  vendicazioni che offendono il senso patrio degli Italiani;  io penso che ormai lo Stato à diritto ed insieme dovere  di provvedere ad un tale stato di cose, senza più oltre  disinteressarsene; ha diritto e dovere di provvedere e ri-  parare ormai alla presente demolizione morale e religiosa,  mercè la secessione ricosiruttrice , di cui accennai.   Per tutte le ragioni fin qui addotte, io non esito, come dissi, nella duplice schiera in cui si possono divide-  re i moderni sistemi filosofici, di attenermi alla schiera  dell' a^rmazione ^ alla schiera dei credenti; e precisamen-  te a quella pa,rte di credenti che nella loro affermazione mirano ad una nuova Riforma, ad una nuova ricostruzione che in-  sieme abbracci tutti i seguaci della cristiana religione. Cosi se il mio concetto è in proposito assai ardito, il mio  linguaggio non sarà per questo meno franco. Per me la  parola orale o scritta non è fatta mai per mentire il pen-  siero, né mi piacciono quelle circonlocuzioni e quegli eufemismi che lo coprono o peggio lo travisano. Ecco perchè altrove, ne* ftiieì Problemi Sociali mentre parea venisse a cessare in Italia o per lo meno si mitiga il conflitto tra Chiesa e Stato; mi sono augurato  in Leone XIII. il ristoratore e riparatore dei danni gravis-  simi recati all'ovile di Cristo, dai troppo superbi ed in-  cauti suoi predecessori omonimi, Leone III. e Leone X.;  onde il distacco da Roma della Chiesa d' oriente col primo, e la Riforma Protestante nella Chiesa d'occidente  col secondo.   Ma più dotto che sapiente Leone XIII , che di quei  fatali Leoni riunisce addizionalmente gli ordinativi, pare  ormai ne riunisca fatalmente anche gli esiziali difètti.   Tuttavia V ideale di questa fusione, di questo univer-  salismo cristiano , è un bisogno inlperioso dell' età moderna, la quale più non tollera privilegi, differenze, monopolii ed esclusivismi di alcuna guisa.   Laonde la realizzazione ne avverrà/ io non dubito,  quando i presenti popoli cristiani, insieme meglio affratel-  lati, fra non molto avranno imparato — sui dettami d'una giustizia arbitrale che esclude ogni prepotenza partico-  lare od oligarchica — a comporsi tra loro e per semplice loro conto le gravi questioni proprie ed iaternazioiuli  non solo economiche, ma anche civili, politiche ed etnografiche , e quindi morali e religiose. E ciò senza intervento  delle rispettive autorità politiche ed ecclesiastiche, e ma-  gari loro malgrado. Finora la storia ci ha sempre rappresetitati i governi  degli stati e delle nazioni sempre pronti a guerreggiitirsi  materialmente e moralmente, mossi da particolari interest  si di espansione, di conquista e di predominio esterno  o     -- ja —   da panicolari e dinastiche nlecessità di equilibrio e di ap  CfnbafUmo int^riiO. Per t«l guisa y^c^mim qu^ sempre  Mila storia y da inccigbi e da sa^tì^ dj private a$9Jl^zioiPii  arbi^ariaoieQite gipc^arsi e n^?ie^^r$i a rey^fildagUo gli iai^-  re^i generali j e I0 stes^jp %vvmm dei popoli e delle nazioliL   Ma ormai esultUaio., oaaimiama ed allelajàflio pare»  chfe l'umamt^. sta per uscire di questo brutto circolo vi-  aiojSO di fiinoata tutela in cui i popoli fratelli sono ai^sati  ed avventati a combattersi in :onsciamente gli uni contro  gjyi alt^i, per ]!agk>m e mire particolari . La stioria ci ap.e  ora una b^Ua 9 gloriosa pagina; incomincia quest' airao  una nuota. tea di mtaa^una civiltà cristiana;, i popoli or-  mal s'intendono ffa loro, e dt^ sé provvedono fraterna-  noiite aUe loro Usc^nc.   Così s'^Ttsicinà ormai il .gkncno del nnu) vo Eyas^elìo »  in cui le Nazioni e gU Stati uditi d'Husopa, non pi& te-  ntiti a balk, regéletanao armonica e direttamonte le cose  loro, anch^ senza e contro, i mpetcrvì goverm, finché nan  siénó meglio trab tonnati a base democratica  0ià nelle due Americhe il reggimento repubblicano,  fi^mdo io^ion viso alla propaganda per la Pace e per V Ar-  JHttxtD Imarnazionale — a cui ormai formalmente aderì-  arcuo ^atà quégli Stati in numero di ben diciotto, unici  tnttt iofiieme in> una potentissima lega — h^ ora saggia-  mente resi inuttli tutti i dispendi per la guerra e per gli  eserciti. É ciò sebbene non tutti quegli Stati vadano sem-  pre immuni da qualche interno turbamento* Gii in Eu*  nq)» pure, la propaganda per la Pace e per V Arbitrato ha  pitt»Uàzato in pochi anni. la politica armigera ed aggressi-  va degU Stati pia potenti. Già nella stessa opinione pubblica europea si fai strada ognor fìh V ideale ddl* Aclmra-  to, e gli stessi eserciti permanenti vengono nniversaimen*  te considerati quali inndli sanguisughe e vampir delle  stremate nazioni . in onta al reg^pmento monarchico ed «•  rìstocratico. E mentre il nuovo continente di leziose al  vecchio y noi vediamo ora i governi eorcpei — sempre intenti con inauditi sforzi ad accumular armi ed armati per  meglio aggredirsi o difendersi -^ costretti meritamente da  imperioso quanto sovrano volere dei popoli^ a scambiarsi  cortesemente le destre. La gran pagina della nuova storia, la nuova èraglo»  rìosa è stata inaugurata nei due continenti il primo Ma^o  1890. Tutti i popoli civili del mondo cristiano, nella no»  merosa classe che li rappresenta, cioè negli operai del la-  vero sudato, s'accordano insieme per festeggiare il loro  lavoro in un giorno convenuto, il i. Maggio. Questo grorno tutti concorrono per discutere e per regolare insième  ed internazionalmente a tempo e luogo la rispc:tl/a qui-  stione economica, la questione del lavoro, quale primo  avviamento alla graduale soluzione della complessa que-  stione sociale   Per me è questo un fatto grandissimo, è questo il  gran prodromo, T inizio della nuova èra, in cui i popoli  rappresentati più direttamente nelle classi operaie « gra-  datamente tra loro stabiliranno non solo gli interessi im»  terìali ed economici, ma eziandio gli interessi civili, politici, emc^rafici, religiosi e morali, come ripeio; tagliando fuori e riducendo all' impotenza i Governi ,coi formida*  bili loro eserciti, ormai non più formidabili, ma inutili.   Ed ecco come i popoli affiratellati fonderanno pure in  una sola e più razionale confessione cristiana i aspettivi bisogni religiosi è morali, come sopra accennai. E ciò in  onta alle attuali diverse confessioni in lotta ed anatema  tra loro, vantando ciascuna per sé il monopolio del vero e  sacro patrimonio della dottrina di Cristo, a mezzo di in-  consulti corifei affatto esclusivisti. Quind' innanzi i popoli civili meglio educati al giusto  concetto ed all' uso moderato della libertà — il sommo  tra i beni morali individuali e colletti vi, la massima conquista della civiltà moderna — imporranno agli stessi governanti i propri voleri, a semplice soddisfazione dei propri  bisogni. E questo essi faranno per mezzo di imponenti quanto misurate dimostrazioni pubbliche, con solenni e popo-  lari imperativi categorici, senza uscire dai limiti legalitari  con atto alcuno di vandalismo o di sedizione, senza torce-  re altrui un capello. Né paia questa un'utopia. Noi vedemmo testé a Londra, e precisamente la festa  del lavoro , il i. del passato Maggio, uno spettacolo nuovo e quasi incredibile del più equilibrato uso della libertà,  in mezzo ad un immenso popolo di parecchie centinaia di  migliaia di dimostranti. Si é calcolato che tutti quegli o-  perat, con interminabili processioni di migliaia e migliaia  di associazioni, precedute da bandiere e stendardi d'ogni  maniera e gradazione, oltrepassassero il mezzo milione; né  la cifra può sorprendere per chi sappia che Londra conta  circa quattro milioni d'abitanti. Tutte le principali e più  contigue piazze ne rimasero letteralmente stipate, mentre  centinaia di oratori saliti sopra improvvisate tribune, arringavano ad un tempo in diversi luoghi e da' punti principali quell'interminabile folla. Ebbene, in mezzo a tanta moltitndine di dimostranti,  tra quali certo chi sa mai quanti allora affamati e digiuni,  niente di sedizioso, ordine perfetto; contenti e paghi qoe»  gl’operai che il governo prendesse atto delle loro doman*  de a soddis&zione dei loro bisogni, votando i loro deside*  rati con immensi urri, e &cendoU alle competenti aatoriti  da apposite commissioni presentare. Questo solenne esempio di franca concessione di popolari libertà da una parte, e di moderato uso delle stesse  dall' altra, quanto non dà di che pensare ed arrossire agli  altri popoli del continente europeo; ed a noi Italiani in par-  ticolare! Quanta distanza di contegno nelle popolari adu-  nanze per noi, troppo nuovi ed inesperti del modico e ret-  to uso della libertà, ma quanta restrizione ancora in alto,  neiraccórdaré e nell* interpretare le stesse libertà statutarie. Ci pensino a tempo^ ci pensino i paladini dell’istituzioni in Italia al timone dello Stato; che anche il nostro  popolo , come V inglese, ha bisogno di educarsi al sacer^  dozio della libertà.   Pensino che è sempre fresco d'attualità il celebre aforisma d’OVIDIO (si veda), in proposito: Nitimur in vetitum semper  cupimusque negata. Pensino che accanto alla soppressione ed all'oppressione germoglia appunto rigogliosa e fiera la reazione, quanto  spontanea e naturale. Certe situazioni vogliono essere fran-  camente affrontate, quando non torni punto corretto il sopprimerle o lo spostarle. Coii il popolo Stesso viene poi educato all'onesto uso  della libertà; che se ne sarà tenuto lontano, non . sopra  tanto apprezzarla da valersene rettamente e contenersi all' occorrenza.  j I  Si dÌ3&e e si va ogni giorno diceQ4o q proclatnando  -r^ sfc^it dz cbi mira al potere ^ vi s'aggrappa o tende  a riaggrapparvi^i -n- ch^ la monarchia k il nostro unica  t^Us^na^p,, la sola tavola ^i salv^^^a per la conservazione  delia nostra upità, come lo f^ già per il conseguimento  d^lla nostra um^azione.   E sia purè: io qui uol contesterò; m^. non posso a  tf^nf^ ii const^;i,re che $i f^ prmaii in omaggio alla forma,  troppo fipre9P d^Ua stessa sostanza.   E4 ìa v^rci^ se ci. è proprio necessaria la iorma per la  nostrfi cpesipx^e,, perchè tanta profusione d' armi e di armati e di pi^licp deiv^ro per su0òlcQrla? Non sarebbe .g4i  questp in vece un vero compronpt^tterla e minarla?   In fatti.» un biMncio di me:^zo miliardo annuo circa  per U Qu^rra e per la Marina, un ben quattordici milioni  an^ui per la Usta civili^, la n^aggiore in Europa se non  ,^rrp, e tuqre le amqynistr^ipai e le liberta stesse statuta^  rie subprdin^te a qi^es^o ^cces$prio di forma; via, non pc^  corre dissimularlo, tutto questo è un lussp da una pa^fte. e  \;i,i;i, sa^ri^cìo 4^11* Altra, che diventano ognor più iiisop-  ports^bili a,Ì popolo italiano; ^ giova in buona fede pro^  clamarlo altamente, perchè sia meglio avvertito T abisso e  P^r tempo provveduto. Che se si continua alla forma immolare siffattamente  Ut sostanza^ v^gg^^no i nocchieri che un qualche giorno  un' irjrompente volontà 4i popolo ridesto non trovi più lo-  gico di sacrificare la forma stessa alla sostanza» anche sup  .tn^lgca^P ^4 a malincuore. 1\ Brasile \ì informi; che di-  versamente, fatto il loro tempo» anche gli dei conviene se  ne vadaAPi daj mercato degji interpreti e sacerdoti ini^nzi  al popolo una volta compromessi. Kè giova Taddurte T esempio diegH zhriSV^tiifmt^ùtxh  nestare la mala via; noi dok V'amo seaz'altfo.i^qu»Ubrttre' i  bilanci pubblici coi mezzi e coi bisogni de ll}|l!ili^on^;40bjstanza saVii. e ignardìa^  ghi in vece inribus nnitis. Ed anche qui, dove ci vengono ,n\e^o i tpezzi 6nffir  ziari, è proprio il casp di prendere e^snp^pio  Itmbo d^ Italia  irredenta; la patria nostra, in un tempo piii niella loa-^  tano, sarà fatalmente quanto pacificamente integr^^ta^ in  tutta la sua pienezza geografica^ ed etnografico» imptrcioc-  che, giova ripeterlo, ciò che una nas^ione, ciò cheati pò*  polo intero vuole, Dio stesso lo vuole sena*a.kro.   Ed ecco come e perchè io vorrei conciliata td solu-  zione del nostro scottante problema economico e militn stra peregrinatliofte,  dopo il lungo e vorticoso viaggio accademica-poUti'., per yli scolari poveri delle Scuole Elementari dri Gomi'--e di Ravenna.)  k  Mm I.'^i'">';  M  ■ ptniiwa niouHco llailano d*   lllllililii     éj . Luigi Speranza, “Grice e Fabiano”. Fabiano.

 

Grice e Fabiano: la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Maestro di Seneca, il quale testimonia che Fabiano Papirio non è un filosofo ex his cathedraris, sed ex veris et antiquis. Seneca ricorda la doti di F. di conferenziere -- le declamazioni, le pubbliche letture sono alla moda --, ne loda il nobile carattere e le doti di filosofo. Seneca rifere che la produzione filosofica di F. non e meno ampia di quella di CICERONE. Di lui si ricordano "De causarum naturalium", "De amimalibus", e “De civilium". Rimangono poche sentenze di F., conservate da Seneca e da STOBEO che confermano il giudizio di Seneca, che la dottrine di quell’indirizzo e caratterizzata da VIGORE ROMANO. Si allontana dal Portico, quando limita le loro ricerche all'etica e in questa trascurano la parte teorica. Si avvicina alla posizione del Cinargo, e insieme alle preferenze dello SPIRITO ROMANO per ciò che serve all’azione. Mira non a sviluppare teorie, ma a esercitare un influsso personale sulla condotta degl’umini e condanna le dottrine che non mirrano a un’azione etica. In F. in si manifesta l’eclettismo perchè accoglie anche teorie pitagoriche -- la norma di rendersi conto ogni giorno della propria condotta, l'astinenza da cibi carnei -- e, platonico-aristoteliche -- la natura incorporea e non spaziale dell'anima. Nulla di filosoficamente importante si trovarsi in F., che però e interessante in quanto mostrano come la romanità si potessero collegare e fondere in alcune anime nobili e vigorose. He makes his career in public speaking and becomes interested in philosophy after meeting SESTIO (si veda). He writes a number of essays and is greatly admired by Seneca who mentions him in on a number of occasions. Seneca describes him as someone who lived a philosophical life without being distracted by details of doctrine. Fabiano Papirio. Fabiano.

 

Grice e Fabio: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Philosopher and friend of Boezio.

 

Grice e Fabio: la ragione conversazionale al portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. MHe writes a number of essays on philosophy. Fabio Massimo. Fabio.

 

Grice e Fabri: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei lizii -- i peripatetici – scuola della Spinata di Brisighella—filosofia ravennese – filosofia emiliana -- filosofia italiana – Speranza (Spinata di Brisighella). Filosofo brisighellese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Spinata di Brisighella, Brisighella, Ravenna, Emilia-Romagna. Grice: “I like Fabri; especially the ardour by which he fought Duns Scotus – a furriner! – and his malignant influence on the Continent – he was a thoroughbred Aristotelian, like me!” Insegnò a Padova. Critica Pico e Galilei, in difesa di Aristotele, dell'unità della metafisica e della separazione di matematica e fisica. Altre opere: Disputationes theologicae de restitutione et extrema unction (Venezia). “Adversus impios atheos”F. n Universitate Patauina Olim Sacrae Theologiae Professoris EXPOSITIONES, ET DISPVTATIONES In XII. Lib. Arist. MATAPHYSICORVM; QVIBVS DOCTIRNA IO. DVNS. SCOTI Magna cum facilitate illustratur, [et] contra Aduersarior omnes tam Veteres, quam Recentiores defenditur His Praeijt Auctoris Vita a MATHEO VEGLENSI, Nunc Sacrum Theologiam in eadem Vniuersitate Publice docente, Conscripta. Cum Duplici Disputationum, [et] Rerum Memorabilium Indice. Ad EMINENTIS. ET REVERENDIS. PRINCIPEM D. Dominum FRANSCISCVM CARDINALEM BARBERINVM Vicecancellarium. Il valore della "Metafisica" di Aristotele e la distinzione delle scienze speculative. In: Innovazione filosofica e università. F. His comment on Aristotle’s metaphysics is a gem. It’s divided in dissertatio – and chapters for each little unit. The following should serve as kewyords.  contrarium solution, Yorum appetitus addat aliquid supra facultatem, cuius De Structura Metaphysicorum est appetitus, & idem de concupicibile, & irascibile. BIECTIO. Adversariorum Aristotelis contra scientiam Metaphy sicorum. Excellentia Metaplıyl. explicatur. V trum inter omnes senſus magis senſum visus diligamus, o hoc quia vilusfaciat nos Excellentia Merappyf. inductine din magis scire. scurrendo per diversas (ciencias, & questa varia pub. Cap. III pag. Is Rationes, quibusallata propositio Aristoteli videtur Adraciunes Adversariorum Arist. falla Declaratur alata propositio, & soluuntur rationes adduciæ. Inscriptione, Сар. Рnicит, Utrum in Brutis sit prudential. Utrum. Metaphys. sit scientia subalternans, Quid sit dicendum reiectis opinionibus contrariis, Рівіскі. De Subiecte Metaphysicorum. Utrum ex experimentis generetur ars, siue scientia. Aliorum opiniones adducuntur, & reijciuntur, cap.1. Opinio Arist. & Scoti cum suis fundamentis brevi. ter explicatiil'. Vera Opinio cap.nl p.21 Obiectiones contra opinionem Aristot.ex! Antiquis Heraclito, Platone, & Avicenna, & earum confutatio, & Solutio. Obiectiones aliorum contra quædam dicta inVtrum ens habeat peras causas, principia. & eorum solutio Vtruy verum sit quod expertus non habens artein, Quid sit dicendum. cap. 1 p. 22 nec scientiam certius operetur habente, & scienti. Obiectiones aliorum præfertim contra distinctionem ang, sed inexpertè, formalçın soluuntur. Vtrum AEtiones sint circa singularia. Vtrum illa propositio Aristot. Omnes homines Diput. natura scire dederant, sit vera, de quo auctitu Opinio Thomist. & quorumdam aliorum adducitur, Vtrum aliquis SENSVS INTERNVS dividat, come & refellitur ponat, a discurrat, Opinio Scoti, & eius Comprobatio, & rationum in P.Opinietur. Opinio D. Tho. ac Sectatorum refellitur, & Opinio Quid sit dicendum.c. vnic. Scoti explicatur.c. Vdic Vtrum detur Regressus, yorum obiectum per se sensus sit aliquid fub ra. tione singulariiatis.Vtrum sit ponere Stutum in omni genere catfitri... ptrum ad Metaphyf. pertineat cognoscere omnes Quæ fine causæ essentialiter ordinatæ, & quæ acci. quidditates rerum in particulari. dentaliter, & quæ per se, & quæ per accidés. Resolutio quæstionis secund. Scotum.Aliotum Opiniones adducuntur, & refelluntur. Obiectiones contrarationes Scoti, & Propoſitioné Arift.& carundem folutio. Opinio Scoti explicatur, & rationes in oppofitum Coluuntu. Vtrum cauſæ ſecunde pendeant in sua causalitate ab aliis causis secundis superioribus, vt Vtrum magis universalia sint difficiliora cogni agentia hæc inferiora d cælo. Opinionibus Contrariis conſideratis, quid sit dicendum Itatuitur. Quomodo Celum sit causa lucis, luminis, & caloris trum metaphyſicæ sit scientia practica, vel Spe. permotum, vbi de generatione caloris quoque culatiúl, ego idem de logica. agitur. Quid sit dicendum de Metaphyſ. breviter explica- Quomodo Cçlu producat calore per lumé.c.z. SS Quid sit dicendum de Logica. Vtrum infinitum possit à nobis cognolci. An poßit à nobis cognosci infinitum esse in rebus Vtrum prima principia Complexa vel illud de quo- An intellectus creatus poflit infinitum secundú quod libet perum est AFFIRMARE, VEL NEGARE, de nullo infinitum cognoscere. Opinio Suarez cun fais amboſimul, sint nobis naturaliternota. fundamentis Opinio allata reijcitur. Opinio Scoti explicatur, & ra Quid sit dicendum. ciones in oppositum foluuntur.An A Genfus principiorum sit actus distinctus ab apprehensione, & quædam alia dubia mota a Scoto in hac quæst.&non soluta, Coluuntur. Utrum immobilitas sit causa efficiens, o finalis Vtrum difficultas cognoscendi resfit ex parte intellectus, vel ex parte rerum cognoscibilium. Quid sit dicendum breviter explicatur. Opinio Averr. Thomist. & aliorum cum suis fundamentis Opinio Scoti comprobatur, & allaræ refelluntir. Vtrum genus prædicetur de differentia per se, Opinio Scoti explicatur, &rationes Aduerfariorum Quid sit dicendum. Cap. Vnicum ſoluuntur rio.  Utrum substantiæ abstracta immateriales possint cognosci secundum suas quidditates ab Vtrum ens uni-voce prædicetun de Deare creaturis intelle &tu nostro pro Aatu iſto. Opinio Thomist. adducitur substantia, e accidente: vbiquæ ad hancmate, & refellitur riam spe &tent quæq; tractata sint explicantur, Thomist. responsiones refelluntur. quædam observanda adduntur. Opiniones Auerr.Themistij, simplicii et Platonicorum, ac Avicennæ adducuntur, & refelluntur Utrum ců Univocatione entis stet ANALOGIA An Analogum mediet inçer UNIVOCVM et æquivocu. Explicatur Opinio Scoti, & rationes in oppositum Vtrum Privatio, Negatio sit ens rationis, In quo sit felicitas, & summum bonum hominis se iundum Aristotelem, alios Philosophos. Opinio Aucrc.D. Thoin, & sectatorium.c Cap. 2 soluuntur Opinio untur.C.2 IX. E Opinio Scoti, & solutio rationum pro Adversariis Vtrum vniversale pro prima intentione sit in solo intellectu, an in rebus, a quo fiat, ứ quid sit. Vtrum cognitionem negatio habeat ab affirmatione diftinétamcuiformalitatem opponitur., ca Status quæftionis aperitur, et opinio Nominal. addu citur, & confutatur Quid sit formalitas Opinio Thomiſt. & multorum aliorum adducitur, et Quomodo formalitas ſeù conceptibilitas negationis refellicur.c.2 189 Te habeat ad formalitatein affirinationis Opinio Scoti Quomodo privatio per affirmatione, & privatio An intellectus agens, vel possibilis faciat universale, per positiuuin cognoscatur solutio trium quæftionum à Porphirio excitata rum in Proemio Prædicabil.  Rationes pro aliis opinionibus adductæ soluuntur. De ente rationis, e fecundis intentionibus. An fir ens rationis, & quotuplex sit Quotuplex sit ens rationis, Aliorum opiniones reijci Utrum verum ſit paſſio entis, & quid fit Opinio Scoti explicatur, & rationibus primo capite addictis reſpondetur Quid fit ens rationis,& fecundaintentio. Opinio A. Vtrum bonum sit passio entis, & quid sit liorum, & eorumdem confutatione Quid sit ens rationis, & secunda intentio secundum DScorú, & quomodo formatur,& an formetur a voluntate, & fenfitiua potential Vtrum preter vnum, verum, bonum den An: prædicametu undecimú debcat constitui, in quo tur aliæ passiones entis entia rationis reponantur Quid sit dicendum breviter declaratur. c. vnic virum ens habeat veras paſſiones, cproprietates. Vtrum iftud principium,impoſſibile eſt id eniſimul Variæ opiniones cum eorum fundamentis eſje; non efje fit firmiſſimim. Allara opinio refellitur Opinio Scoti explicatur, & rationes Aduerſarlorum Veritas breviter explicatur, & quædam obicctiones ſoluuntur soluuntur.c.vnic Vtrum propria paſio distinguatur realiter vtrum hoc principium inpossibile est idem fimulef à Juo subiecto. fes nonesse sit simpliciter primum principi um, e prima omnium dignitatum. Opinio & Auerroiſt Nominal. quorumdam. breuiter reijcitur cum fuis, & opinio fundamentis Thom.. Au principiun iſtud ſit diuerſum ab alijs principijs, & explicatur.c. præſertim ab illo, de quolibet verum eft affirmare 201 velnegare.c.1 Allata opinio reijcitur, & opinio Scoti, quæ eft etiam Auert. Comprobatur Opinio Allerentium primum principium ſimpliciter Rationes Aduerſariorum foluuntur elle illud de quolibet verum ett affirinare,vel nega Rationes Aduerſariorum contra diftinctionem for re, retellitur. malem inter ſubiectuin, & paflionem adducuntur, ConGdecancur opinio Antonij Andreæ, obiectiones & foluuntur.Aduerfarioruin, & quæfituin reſolutur.V trum vnü quod eft paffio entis, dicat quid poſitivi Vtrum inter contradictoria detur medium. Opinio Auicennæ reijcitur, & opinio AQUINO (si veda).& re. Quomodo vera fit hæc propofitio, & aſſertio, inter ctatorum explicatur cum ſuus fundamentis.c.1.177 contradictoria datur mediam explicatur, & ebie Opinio D.Thom. & ſectatorum refellitar. ctiones quædamin contrario foluuntur.Opinio Scoti explicatur, & rationes pro Aduerſarijs Argumenta quædam contraria toimuntur.c.2. foluuntur De Vnitate indiuiduali, seu de principio individuationis. Vtrum cauſæ ſint tantum quatuor. Quierlain adduntur ad ea, quæ in Philoſopbia naturali Quæ fit diffinitio propria principij, & caufæ, & quod dicta ſunt de principio indiuiduationis contra Sua corum difcrimen. Suarez, & opinio Scoti magis confir. Vtrum fint plura quá quatuor genera cauſarú,vbide caula caufi fine quanon,decauſa diſpoſitiua, obiectiva cxemplaridiecimur Vera explicatio difficultatis propofitæ,& rationen in oppofitum folutio. Verum cauſa exemplaris fit genas diſtinctuin caufæ à quatuorgeneribuscaularum pofitis ab Aristotelis. Vtrum caufe ſint ſibi inuicem cauſa. in quo conſiſtat cauſalitas cauſamaterialis, forma. Quæſtio breuiter reſoluitur, &quædam obiectiones lis, efficientis. in contrarium foliuntur.c.vnico Opinio aliorum.com Allatæ Opinio opiniones vera cuin luis refelluntur fundamentis, & folutio racionú verum neceſſaria habeant caufam fui esse Aducrſariorum. Vtrum ens diuidatur in decem prædicamenta per De cauſa finali. modos prædicandi, vel per modos eßendi. Caula finalem ele caulam realem, & caulam caliſa- Quid fitmodus rei, & quid modi intrinſeci, aliorum fum opinionibus reiectis,explicatur An finis caufct, & moueat fecundum fuum elle rea. Opinio Scoti. le, an secundum elle cognitum in inente, Antinis caulec Meraphorice,vel efficienter Viruin ratio formalis conftitutiua finis in proxiina di ſpoſitione ad caufandam larbonitas tin:s,& Ancau Vtrumſecunda diuiſio vnius, quæ eft in vnum nu lalitas tinis babeat lociun in diuinis actionibus, in mero, unum specie, unum genere, & vnum propor mediis relationibus prusacion.bus, & in naturali tione sit conveniens.bus Vtrum plura accidentia solo numero diucrſapoſfint De causa instrumentali ere simul in eodem fubie& to Opinio D. AQUINO (si veda) & Thomist., cum suis fundamen- Opinio Thoiniſt. cum fuis fundamentis Alaca opinio celicitur, & opino Scoti explicatur,  & conriimtur Allaca opinio refellitur, & opinio Scoti explicatur Obectiones quęd.ım ex Suarez adducuntur, et folur Vtrum inſtrumenta Artium habcant vim activa n. tur, & ndiciva deeius speratione fertir Plures relaciones diltiactis numcroelli dc facto in co Opinio Scoti adducitur,& rationes Aduerſariorun, dei lubiecto contraaduerfarios prob cap.adductæ Coluuntur Rationes Aduerfariorum primo capite adducte lol muntur Vtrum onus effe &tus poſſit prouenire à pluribus caufis. V trum propria ratio quantitatisſit diuiſibilitas. Quaeslio quoad criamembra, & tres fenfus,breuitcr Diffinitio quantitatis explicatur cxplicatur Virum quantitas molis fit entitas distincta à ſubstan. Vtrum idem effectus poflit effe fimul a pluribus cull cia materiali, & qualitatibusillius ſis totalibus eiuſdeni generis, & ordinis sive speci Viruin ratio menſuræ fit ratio torinalis quantitaris.De principali quæfito, An divisibilitas sit ratio esé. cutis quantitates  Qienum fic excentio in quanticate, & quomodo ina Anidem indiuiduum poſſit produci à diue'ſis agen Ten yenda dit.c.s tibus, idem numero reproduci naturaliter. An idem effectus poflit eſſe à pluribus saufis rotali bus divisim, seu Anidem indiuiduum numeio por Vtrum punctum linea, superficies sint entia rear fit produci à diuerſis agentib ila vel railonis, An idem numero tam in fubftantia, quam in acciden te poflit reproduci naturaliter Opinio nominalium negantiuneſſe entiz realia cum iuus fundamcntis. Opin o alaia reiicitur, & finul appo.iti, quod iint evtia rcalia, que elt com 10HS comprobitiir Vtrum cauſa particularisin a&u, &ſuus effe &tius in aftuſimulfint, & non fint:vel fub alio titulo. Opinio Sco: i, & folutio rationum in oppoſituin. Vtrum caufa fitprior ſuo effectu Quorundam opiniones adducuntur, &reijciuntur DISPV pas T Opinio Scoti cum fuis fundamentis. Rationes crietani contra hanc opinionem, & rationem Scoti so trum quantitas discreta ſit proprieſpecies Opinio allata caietani cum suis fundamentis, & re. quantiiati, sponſionibus refellitur Soluuntur rationes aliorum.c4 Opinio negatiua cum fuis fundamentis Allata opinio refellitur & oppofita comprobatur, Opinio Scoti, & communis explicatur, & rationes Vtrum ad relationem realem tria fuffi in oppofitum foluunturçiant, Virum in ſpiritualibus tie quantitas diſcreta, & in dili nis fit numerus  Relationem habere cauſam efficientem, & finalem, quæ sunt extrema & relationem multiplicari ad multiplicationcm fubicctorum, & potentialem el fercaliter diftinctam ab actuali. Vtrum qualitas rectè diftinguatur in qua., De Distinctione fubiecti, & fundamenti in relation tuor ſpecies ne.c.2 393 Vtrum fundamentum, & terminus in relatione reali Proponuntur difficultatesquædam generales circa do neccfiario diftingui debeant realiter. Vbi opinio ctrinam Ariftotelis de qualitatis ipecicbus.c.de Gregorij, Auscoli, & Okan apperiuntur, & rejciuntur Quid dicendum circa allatas difficultates Vtrum dentur Relationes extrinfecus ad V trum locus fit quantitas. menientes, Explicatur quęnio 2. Q.101.b. Scoti, vbi de distin- Opin o Scoti explicatur cum ſuis fundamentis ctione loci, de existenia duorum corporum in eo dein oco difertur, & obicctiones Aducrtariorum Rationes aliorurn adduantur, & rcfelluntur retelluntur Locum non cfle vacuum, quamuis vacuum poflit da Rationes allaræ foluuntur leteffe ipeciem quantitates Solutio argumentorum conrra fecundam, & tertiam opinionemVtrum motus, tempus fint species quantitatis.VNICUMI. Vtrum una relatio possit fundari in alia keliiione. Opinio D. Thomæ cum ſuis fundamentis refellitur, Utrum relatio distinguatur à fundamento, vbi de distinctione reail, mondo, contra hea Opinio Scoti, & folutio rationum pro præcedenti opi cenciures un puitur. nioneadductorum Opinio eorum, qui aſſerunt relationein non distingui a fundamento. Opinio præcedenci capite allata, & doctrina de ditın Virum tres modi relativorum sint reétè clione reali Suarez iciclisur. allignati ab Aristotele. Opinio alionum allerenijum relaciones non diſting.is realiter à fundamento. Anomncs relationes fufficienter contineantur in his Opinio alioulin aflerenuun relationes eſſe idenirea a b smodis Tejatiliorum.c. I liter cuin fundamento, led dittingu rationc addu Vuum primus modus relatiuorum Git ſufficienter ani citur, & refellilur. gnaliis Opiniones aliorum foluuntur Yorum lccundus, & tertilis modus relatiuorum fic rectè aſiignatus.C.) Vtrum omnis relatio contineatur in predica mento relationis, an rerò aliqui fint Transcandentales. Per quid scientia speculatina distingua. Opinio aliorum qui allerunt relationes rationis repo tur à Practica. nu in prædicamento relationis adducitur, & reijci tul Adversariorum ſententiæ; An açtus intellectus sie Que tint relationes prædicamentales, & quæ tran praxis adducuntur, & refellunur scendentales. Opinio Thomittarun a quo habitus, & scientia di. catur practica cum lius fundamentis Allaca opinio retellicur, et rationes pro ça Coluuntur, Virum relatiuum terminetur ad ſuum correlatiuum. Scou one CRUCI DI De conexione virtutum moralium acqui ſitarum inter fe. Opiniones aliorum refelluntirr.c.i SOI Opinio D. Tho. & aliorum refelluntur. Opinio Scoti, & dolutio rationuin sos Utrum scientiam sit una qualitas simplex. Opiniones aliorum refelluntur, & opinio Scoti ex plicatur Verum scientia: n totalis vt Philoſophia naturalis, vel Mertaph fit vna nuinero fimplex qualitas Opinio D. AQUINO (si veda) Opinio Suarez Quomodo opinio nominalium Gt vera, Relponſio caierani retellitur Pugna inter Suarez & Vaſquez  De connexione virtutum moralium cum prudentia, Opinio Henrici, & aliorum reijcitur, & opinio Scou ti explicatur CI sog Opiniones Aliorum refutantur, & opinio Scoti con firmatur.  i foluuntur. 6.4 vtrum trimembris diuifio.ſcientia ſpeculatiuæ in Phisicam Mathematica, de methaphysicam, fut bona. Vtrum necesse sit ponere charitatem creatam for maliter inherentem naturæ Beatifica Rationes quibus prædicta diuifio Arist, non vide Diſput. merè Thologica, cur conueniens Resolucio Difficultatis, & folutio rationum. cap.z. Homines iuſtificari per iuftitiam inherentem animæ formaliter, non autem per imputatiuain, contra hæ feticos breuiter probatur Opinio Magiſtri adducitur, & refellitur. Opinio catholica explicatur, & comprobatur ex Do Vtrumfit necefle ponerein habiturationem (trina Scoti. principi a &tiui reſpectu actus Quid fit dicenduin deſententia Magiſtri quo ad fubftantiam. Rationes pro opinione Magiftri adductæ coluntur cos 531 Duiz opinioncs adducuntur, & refelluntur.c. Opinio D. AQUINO (si veda) Aureoli, & Durandi' refellitur. R. Opin o Scoti explicatur, & probatur. Utrum gratia fit virtus, quæ eſt charitas. Obiectiones contra opinionem Scoti adducuntur, & 469 Exponitur opinio D. Thomæ Vaum habitusgeneretur per a & tus, & quomodo opi Allara opinio reijcitur. nio alioruni.cos 474 Exponitur opinio Scoti, &rationibus aliorum tisaltir. Vtrum habitus moralis in quantum virtusſit aliquo modo principium aétiuum refpectu bo Vtrum gratia fit in eſentia animæ tamquam in ſur nitatis in actu, biecto vel in potentys. Opinio Scoti cum ſuis fundamentis. Exponitur opinio illorum qui dicunt gratiain effe in Obiectiones caictani,& ipfius Scoti contra fe: c. 2 effentiam animæ.c, I 540 480 Rationes in oppofitum foluuntur Rationes caietani, & aliorum adducuntur, & refeilun 484 Virum in patria remaneat habitus fidei. Opinio aliorum refellitur, & Scoti explicatur. cap. SAS De ſubię to babituum, Opinio Scoti defenditur, & comprobatur, C. vnic. pag. 486 De connexione vtrum intelleétualium inter fe, & Moralium cum Theologicis, Theologicarum inter fe. De subiecto virtutum. Quod fit dicendum. In quo conueniant Scoti D Tho. & alij. Opinio ai lara refellitur, & fimulopinió Scotiproba 492 Vtrum an anıma dertur alij habitus preter virtue Opinio Scoti explicatur, & rationes aliorum ſolaun tes morales intelectuales, C Theologicas. vbi de damnis Spiritus Sanéti beatitudi nibus ex fruitibus, pofiiis a Theo Logis differitur, Opinio 1 pag. cur.c.4 vnic.  Opiniones aliorum refelluntur Vtrum accidens in concreto primo ſignificet fubięz Opinio Scoti explicatur.c.. čtum vt eft lub tali forina; & an accidens in abftrą cto Gt ens incompletum. Utrum angumentum cum intentionefiat fema per per ačtum intenfiorem. Vtrum ſubstantia fit prior accidente tempore Opinio D. AQUINO. c.1. $ 57 Opiniones aliorum refelluntur Opinio Scou explicatur. Opinio Scotiexplicatur, & aliorum ſoluitur De modo augumenti, & remissionis, & Utrum substantia prior sit accidente diffinitione coruprionis -habitus Opinio Thomiſtarum fefellitur.com ili Opinio aſſerentium in intentione habitus nihilpræ Opinio Scou explicatum ibid. exiftentis habicusremanere, & eiuldem confutae  Opino D. Thomæ, & aliorum refellitur Opinio Suarez ieiicitur. y trum ſubſtantia fit prior accidente cognitione. Quomodo habitus dimmuttur, & corumpitur.cap. Cina ini' 4: S75 Subſtanțiam,effe priorem cognitione accidentibus Vtrum de e ne per accidens detur fcientia, Quid fit dicendum de ente per accidens quod prijat Dediuigone ſubſtantiæ in primam, & ſecundam, & perlelden neut a.c. cil 577 diferentiam inter prim.im fullt untiam, & ſuppoſi Deente per accidens quod contingenter non necetafio caulatur. De comparatione primæ subftantiæ ad suppositum, & ad lubfiftçocian leu perionalitatem Quomodo inteligaty wla propofitio, actiones funç uppulitoruim.c.3 651 Vtruinens verum debe at ſeparari a, confideratione Quomodo mielligatur Axioma illud, actiones fins Merhapbojica. c.vnico lingubahuinVtrum formafit prior compoſito: V trạm inherentia ſit de eſſentia accidentis. Aduerfario rum opinio fefélitur, & vera comproba. 664 Quid fit dicendum de inherentia accepta pro per ſe Rationes in oppofitum ſoluuntur.c.2 Tignificato, ieu pro accidentalitate quæ circuit no nein piedicaincnta. Quud lii dicendum de accidente pro denominaco quod eit relatio. Vtrummateria ſitens, Vtrum inherentia actualis fit de ejentia ac, DISPY TATIO cidentis abjoluti. V trữ quod quid est sit idein chillo cüius ejt.c.1.667 Opinio Scoti, & aliorum reiicitur.C.3 Inherenţiam actualem non ele de jellentia acciden- Explicatur fenllis verus illius proportionis,c.2. 669 usabloluti Vtrum genita ex putri, “ſemine ſint eiufdem ratio y trum ens finitum Prima ſui diuiſione diuidatur in dccem preurcamenta, o qualisfit bac diuifio, Ü eius analogia Opiniones aliorum adducuntar Vtrum Cælum in generatione animalium ex putri Allara opinioncs refeliuiiur, & opinio Scoti expli materia ſit principale a cris. ibido Callir.c.2 633 Au rationes adversariorum Vtrum compositum per se generetur Veritas questionis explicain & opinio Scoti defendi Vtrum accidens in ſe confideratum fit ens. tur.C.2 673 Rationes pro aliis opinionibus foluuntur, & opinio Veritas aperitur confutata opinione aliorum Suare, & Zimaræ diluuntur.c.3 ** 31 tur hos 624 nis Opinio quorundam refellitur. Allaca opinio refelitur, opinio Scoti explicatur, & ra De Ideis platonis an ſint Admittende. tiones in oppofitum foluuntur.c.2 720 Germina opinio Platonis.Rationes Arift. contra Platonem, & solutio rationú in oppositum.C.2 691 De ſubie &to accidentium. An hoc fit potentia qnæ lam paſſiua in. herens (abſtantiæ. Vtrum forme niturales de potentia matteriæ educantur Opinio AQUINO refellitur Opiniones illorum qui formas naturales produci ab Opinio quorumdam aliorum.c.2 725 agence leparatu, velab intelligentia vel a Celo ale runt.C.2 688 Vtrum poum accidens poffit effe fubie &tum Opinio Sco.& Solutio rationum alterius accidentis. Opinio Scoto, & folutio rationum. C.3 Vtrum materia fit pars quidditatis rerum naturaliuin. Vtrum ad formationem prolis mater concurrat Quid sit dicendum. ci vnic. 694 active Vtrum fingulare ſitper ſe a nobis cognoſcibile. Vtrum cælum fit compoſitum ex mate. rid, forni. Næc Celum, nec animam rationalem, nec Angelam eiſe compoſica exmateria, & forma contra quoſ daw recentiores Scouſtas. C. Vnic. 731 Vtrum conceptus generis fit alius à concept u diffe rentie, speciei.Thomiltarú, & aliorú opinio, & confutatio Opinio Scoto, & folutio aliorun. Vtrum omnis creatura fit compoſita ex materia, como foruba, ex potentib, autu Virum differentia diuifiuig? neris inferioris inclu. Opinio afferentium omnes creaturas eſſe compoſi. dat differentiam gencris juperioris formaliter. tas ex materia, & forın potentia & actu refellitur & opinio Scoti explicatur Opiniones alioruin. Obiectiones A tucrinorum contra doctrinam alli Alata opinio retellitur, & vin statutis.c. 733 cam Scoti lefel iniur, Virum universale sit aliquid in rebus. Utrum ex materia, e forma fiat unum per se. Aliorum opinionibus confutatis exponitur opinio Scou.c. Voici XXI Utrum in compoſito ſubstantiali fint plures forme ſubſtantiales.Verum totum eſſentiale diſtinguatur a luis partibus; De diuiſione entis in potentiam, actum, in ef fimulfunptis. Seniamy w exiſtentiam, Vitum potentia, & actus opponantur, &quaoppo tucione; vbi op.no Henrici de cflentia, & exItentia conturauir Opinio Thomiſt. de diſtinctione en is in potentia, Vtrum in motu alterationis oporteat manere idem & actum retelitur, & opinio Scoti explicatur. fubie &tum fiinpliciter ſub zeroq; terminorum, 757 Rationes Aduerſariorum primo, &ſecundo capite Quid fit dicendum, & reſoluțio objęđionum in con adductæ foluuntur Obiectio ex Saclano,&corundem reiectio Vtrum essentia, existentia in ente creato actuanter onijiente distinguuntur. Utrum accidens sit compoſitum intrixſece Eficntiam trariuin Blora afikas JIPEL " SI Essentiam, & existentiam non realite, nec ratione c'tantum, sed formaliter distingui, & opinionem Scoti elleveram defenditur. c. I Quid ſit exifteptia creaturæ, & an habeat aliquas causās, & causalitates, & quædam aliæ quæstiones de existentia enodantur Utrum verum ſit illud Axioma,primum invnogue que genere eft metrum, o menfura omnium, que ſuntin illo genere: y trum potentia ſuficienter diuidat!ır in actiuam, Quid Ge menſura,& quæ conditiones eius vbi de du o paſiuam, earum diffinitiones ſint ratione,de æternitate, & to, & aliis inenfuris agi reita aſſignatæ. tul Verus intellectus propofitiAxiomatis Obicctiones cótra vtráq; partem adducútur Diuifionem potentiæ in actiuam, & pafſiuain eſte difficientem, & diffiniționės vtriuſq; potenciæ ef de l'ecrè allignatas Vtrum vnum, multa opponantur contrarie, vbi de paſſionibus entis agitur: 1 Firew.idem moreripoſſit à ſeipſo,velvt alij loquit Quomodo vnum lic paflio ſimplex, & difuncta en tir', Vtrum potentia actiua, & paffiua jem tis, qualis fit diuitio entis in vnum, & multa, & qua per ré, ú ſubiecto differant. lis ipforum oppofitio.c.vbic, 819 Opinio AQUINO & aliorum tenenrium parcein negatiua,nimirú ide à feipfo moueri non pofle Allata opinio refellitur V ti un,ptáralitas ſei diuifibilitas fit prior Rationes pro Aduerfariis primo capite a iductæ ſol vno, jer indiuiſibílı, oc. uunub.Quid fit dicendum breuiter aperitur. c.vnic. Vtrum omnis potenti 1.fite tantum attina, veltātum paliud,vel aliqua fit fimul actiua, o pajuna. V trum à priuatione ad habitum ſit poſibilis Quedamquæſtiunculæ de potentia tractaræ à Scoto regreſſus jeù tranſmutatio: an hoclibro Nono breuiter explicantur ic. i 784 Eamdem potentiam poffe efle actiuam, & paffiuan Ruid fit dicendup. c.ynic, i $ 23 nedyn selpecriducrforum,led relpectu tuijpfi us, & quomodoVtrum identitas abſoluta, a relatiua fint eadem V tim potentia paſina diuidatur in potentiã notu. entitas an distinci e realiter. i ralerno upernaturalé,jei obediétialé,a violétă. Opinio Aduerſariorum refellitur cum ſuis fundansé Diftinctionem allatam eſſe de potentia paffiua, non tis, & opinio Scoti explicatur, & prob.c.ynic, 8.24 actina. L'orenciain obedientialem acuvam non da. ri, & membra omnia fecundum doctrinam Scori elle intelligenda. C. vnic. Vtrum idem, & diuerſuin habeant inediú. c.vnic.V trum aétus ſit prior potentia.. V triem media cõt: ariorū ſint cöpoſita ex terninis: 10 cuo ſenſu ſit vera, & quid dicendum explicatur. Duæ contrariæ opiniones adducuntur in propoſita questione, & an duo contraria poflint elle in co. dem fubiecto.c.I 828 Vtrum actio fit in agente, vel in paflor 791 Quid fit dicendum de vtraque, opinio allata, & opiu nio Scoti explicatur. Quodam alia adducuntur ad majorem declaratione; Kanduio contaria in fumino de potentia Dei ab y trum differentia,quam alignat Philofophus inter ſoluta pollint elle fimul. c.; potentias rationales, e irrationales fit conuenienter poſita. Rationes contra allaraw differentiam aßignatam ab Vtrum formæ ſubſtantiales formaliter repugnantes, Anttotele opponantur oppoſitione contrarietatis. Resolutio quæstionis. Arguincita primo capite adducta ſoluiuntur. Opinio aferens formas ſubstantiales eſſe contrarias cțiin tus fundamencis. Fundamenta quædam pro veritate inueftiganda, vbi de natura oppofitorum agitur. Utrum detur aliquis aétus malus in voluntate ſine Solutio principalis dubitationis, & rationes pro pri vlla ignorantia in inielletin maopinione Obiectio quid tun'ex Scoto ipfo,& ex recentioribus aduerſus ſecundam partem quartz conclufionis fit l'trum corruptibile, e incorruptibile differant perius probatæ, probans rarionc naturali pode de pluſquam genere monftrari Deum eſtepropriè omnipotentem,reij. Citur  Alixrationes exrecentiotibiis ad idem adducuntur, & foluuntur. An verum sit Deum posse saccreomze illud, quot non implicat contradictionem. Vtrum primæ quatuor qualitates fint for, An Deus ponit facere fimul omnia quæ poteft, & an me ſubſtancialeselementorum. poſit facere in infiniçum Opinio affirmatiua cu niluls fundamentis  i Fundamenta pro opinione Græcorum.c Primaratio contra opinionem Græcoram adduci- vtrum potentiæ in Deo diſtinguatur abtur.C.3 tia,& voluntatealiquomodo,fie cius fcien Aliæ rationes ad idem. C.4 8.46 Intellectum, &voluntatem detur potentia efe Quædam ali rationes ad idem.c.s 848 cutiua in Dco, quid in Angelis. 0 Solutio rationum in oppoſitum Deopinione Auerroes.c.7, s'agi ! 855 Opiniones aliorum cum fuis fundamentis.c.r924 Explicatio opinionis Scoti; & confutatio aliarum Vtrum generatio, corruptio fiant in inftanti Opinio áfferentium ſubſtantiam?ſucceſſiuélgenera. Quid comprahendati fub'obie & o omnipotentiæ: ricum ſuis tuntamientis Opinio allata refellitur, & omnem generationem An omnipotentia se extendar'adactis notionales ſe ſubſtantialem fieri in inſtanci cum Arift.defendi cundum Theologos. cLimas. Anomnipotentia fe extendat ad creationem Angelo Rationes aduerfariorun foluuntur. C32.862: rum, & quid fit dicendum fecunduin Theologos, 00061: Jorcu & quid fecundum Philosophos.c.2 VM. Lupe pie  Vtrum Deusfit ſimplex, & omnis creatura ſit com politan. Utrum omnis productio, velindu &tio cuiufcumque forma sit univoca, ſoue à fuo ſimili perrun solum Deus sit inmutabilis. Quid sit dicendun aperitur. Rationes in oppositum foluantur, & quomodo meti13 Deum in ſe ele irmutabilem probatut rationibus fit caula caloris Philofophorum, & Theologorum. co.Analiquid aliud á Deo habeat immutabilitatem, IWA quid lenſerincPhilofophi Obiectiones contra determinata tisperivis, & opinio Vtrum animarationalis it'immortalis. eorum, qui dicunt Deum agere libere ad extraie cundum Philosophos, & endem confutatio Rationes pro' opinione Philoſophorum, quod Deus Venum detur vnum primum ens infinitum, quod eſt agat necefario ad extra,& quod dcntiraiiqua ca Deus,in qua rationibusnaturalibus demonftratiuis tia ex fe neceffe eiſe,adducantur, & eadein opinio proceditur, contra Atheiſtas. retelliill's Cof Quædam præambulæ conclufiones ad probanda'n Deum effe immutabilem quoad intellectun, & volú primamens ex triplici primitate prædicta elle in tatem, & quomodo. finitum præmittunur. Rationes pro Philofophis foluuntur. Primum ens triplici primitate præmiffa effe infinitú Quæ virtutes cx ijs que conſequentar voluntatein $ erat fecundum principale intencū prob.c.7. 399 Tint in Deo. Rationes D. Thom. & aliorum, quibus probant Deā elle infinitum,adducuntur, & reijciuntur. V trum dctur infinitum actu in permanenti bis, c filceclivis. Vtrum Deum eſſe omnipotentem poſſit natnrali ratione, neceſjaria demonſtrari. Status queſtionis, & rationes quaſdam recentiorü, quod mundus non pocucrit elle ab æterno, non có Explicatur çitalis quæftionis, & quid fit dicendan. cludcre oftendicar, c. 960 quoad demonſtrationem propter quid. Opmio eorunqai affcrun dari infinitum aétu tam Quid dicendum quoad demonftrationem quia, tam in permanentibus,gratia fuccelifuis adducitur, & fecundum Philoſophos, quam fecundum Theolo reijcitur & quoinodo diſcrepent Philosophi à Theolo. Pofitio Scoti, & folutio rationum in contrariain. gis Vtrum attributa diſtinguantur inter ſe, ab eſſentia Dei De voluntate Dei. Aſignantur loca in quibus præcipuię difpufationes pertinentes ad voluntatem Dei ab Auctore tracta. tur, & oftenditur Deum amare le, & alia extra ſe, & quomodo. Caput Vnicum. i Utrum Deus fit Immenſus. An voluntas Dei semper implicatur  INDI Diſputatio primacontra Atheos. Diſputatio ſecunda contra Atheos. An Deus contingenter velit, & eius voluntas abalie quo determinetur.Diſputatio tertia contra Atheos. De alijs fubjt antiis.è prima distinctis. Naturalitatione porce probari dari ſubftantiasabſtra & tas, & rationes in oppofiuum efle nullas Diſputatio quarta contra Atheos. Si Aristoteles demonstravit Mundum elle æternum Devi Utrum Angelus, Anima rationalis dif ibi serant specie, OS Opiniones aliorum. Opinio Scoti, & AnimcellectualitasAngeli, & Ani mæ rationalis ſpecie diſtinguantur, &An potentiç ſpecie diftinctæ poflint veulari circa idem object. Utrum primum cælum moueatur immediate a primo motore Utrum Philosophus posuerit omnes intelligentias ejse vigoris infiniti. Utrum Anima intellectiva in corpore habeat pro priumeße existentiæ diſtincim ab elle compos Jiii, len vtaly ducuntsAn in corpore fubfiftatvel vt quo, vel vt quod. Opinio D. Thomæ ratiqpibus Scoti confutatur, & eiuſdein ſententia explicatur, cap.I Defenſio Thomiliarlim. cap. 2 Allata opinio refellitar, cap.3 Virum Cælum ſit animatum. Utrum Deus sit invisibilis, incompræbensibilis, & ineffabilis.Nils An Deus fit viſbilis oculo corporeo, & quid de his tribus attributis sit dicentum.Urum separatio Anime rationalis a corpor, cu Status animæ rationalis exiia corpus violenter, an naturaliter.compeiani animæ rationali;. Opinio Thomiftarum, & Sequaciun cum liris fun damnentis Opinio Scoti explicatur, & præcedens refellitur. cap.2 V trum Dcus ſit ſubstantia viuens intellectua lis, felicissima Attributa prædicta competere Deo probatur De scientia dei. Utrum omnes potentiæ animæ rationalis inſint anim & icparita Quid Git dicendum de Vegetativa, & Sensitiva, reiecta opinione affirmativa. cap. Vnic.  Quomodo scientia ponatur in Deo, quomodo Intellectus, Intellectio, & intellectuin in eo sint idem An scientia sit de cilentia Dei in primo modo dicendi per se Vtrum secundum Aristotelem Deus habeat cognitio nein aliarum rerum extra se. De cognitione animæ separate. An anima separata cognoscat quidditates, & res, quas coniuncta cognoscebat, & quid dicendum reiectis opinionibus opposiris.   Ricerca Liceo di Aristotele luogo della scuola di Aristotele ad Atene Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – "Peripato" rimanda qui. Se stai cercando l'antica strada alla base dell'Acropoli di Atene, vedi Peripatos. Liceo di Aristotele Athens Lyceum Archaeological Site 2.jpg CiviltàAntica Grecia Localizzazione StatoGrecia Grecia ComuneAtene Altitudine108 m s.l.m. Amministrazione Visitabilesi Sito webodysseus. culture.gr/h/3/eh355.jsp?obj_id=20744 Mappa di localizzazione  StreetMap Il Liceo (Λύκειον Lykeion) era un luogo dove Aristotele fondò la scuola che fu chiamata Liceo e anche peripatetica.  Geografia ed etimologia Sito alle pendici meridionali del Licabetto, era un luogo esteso tanto da essere adatto alle esercitazioni militari. Pericle vi aveva fondato un ginnasiosuccessivamente ampliato da Licurgo. Il nome della località derivava da un santuario dedicato ad Apollo Licio. "Licio" – o LIZIO -- e un epiteto attribuito ad Apollo o perché riferito al termine «lupo» (λύκος) O AL FATTO CHE IL DIO APPENA NATO E PORTATO IN LICIA (Λυκία, LIZIA), o, infine perché si vuole indicare la sua caratteristica di divinità solare -- dalla radice λευκ-, λυκ-, candore, luce. Quando Alessandro divenne reggente del regno di Macedonia, cominciando anche ad avvicinarsi alla cultura orientale, il suo maestro Aristotele, che era intanto rimasto vedovo e conviveva con la giovane Erpillide, da cui aveva avuto il figlio Nicomaco, nell'ultimo periodo della sua vita tornò forse a Stagirae, da lì si trasferì ad Atene dove si dedicò all'insegnamento della sua dottrina, ormai matura e del tutto distaccata da quella platonica, che costituisce quasi interamente il corpus aristotelicum a noi pervenuto. Il nome peripatetica della scuola aristotelica deriva dal greco Περίπατος, «la passeggiata» (da περιπατέω «passeggiare», composto di περι «intorno» e πατέω «camminare») cioè quella parte del giardino dove era un colonnato coperto dove il maestro e i suoi discepoli camminavano discutendo. Secondo Spadolini  il Liceo, come l'Accademia di Platone, non avrebbe avuto nessuna finalità religiosa e i suoi discepoli sono divisi come in un tiaso tra quelli che erano iniziati e frequentavano la scuola come interni (gli "esoterici") a cui erano riservate le lezioni più specialistiche e complesse e coloro che partecipavano come discepoli esterni ("essoterici"), uditori a cui era dedicata la parte divulgativa della dottrina.   Gli scavi Il piano di studi probabilmente si basava sull'insegnamento:  delle scienze teoretiche dedicate all'osservazione degli enti e del loro divenire (fisica, zoologia, psicologia) e degli enti immobili (metafisica e teologia); delle scienze pratiche, che dovevano guidare all'azione (etica e politica); delle scienze poietiche (retorica e poetica). La logica non compariva come scienza, ma come strumento propedeutico allo studio di qualsivoglia scienza. Alla morte di Aristotele, avvenuta nel 322 a.C., Teofrasto gli succedette nella direzione del Liceo. Nel 287 a.C., alla morte di Teofrasto, la direzione fu assunta da Stratone di Lampsaco.  Il Liceo fu depredato da Filippo V di Macedonia e successivamente da Lucio Silla. Il nome continuò ad essere usato per indicare la scuola peripatetica e in seguito fu riferito a quei luoghi pubblici dove si tenevano dissertazioni letterarie e filosofiche.  NoteModifica ^ Dizionario di filosofia Treccani (2009) alla voce "Liceo". ^ Enciclopedia Treccani alla voce "Aristotele". Vocabolario Treccani alla voce "Peripato". ^ Rebecca Solnit, Storia del camminare, Pearson Italia S.p.a., 2005 p. 16. ^ Cfr. qui. ^ Bianca Spadolini, Educazione e società. I processi storico-sociali in Occidente, Armando Editore, 2004 p. 68. BibliografiaModifica The Lyceum, in Encyclopedia of Classical Philosophy, Westport, Greenwood, 1997. John Patrick Lynch, Aristotle's School: a Study of a Greek Educational Institution, Berkeley, University of California Press, 1972. Voci correlateModifica Scuola peripatetica Altri progetti Modifica Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Liceo Collegamenti esterni The Lyceum da The Internet Encyclopedia of Philosophy.   Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di filosofia Ultima modifica 1 anno fa di Placentinus Teofrasto filosofo e botanico greco antico  Scuola peripatetica scuola filosofica fondata ad Atene da Aristotele  Eudemo da Rodi filosofo e storico della scienza greco antico. Scuola peripatetica scuola filosofica fondata ad Atene da Aristotele Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce sull'argomento scuole e correnti filosofiche è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. La scuola peripatetica (in greco Περιπατητική Σχολή Peripatetiké Scholé) fu una delle grandi scuole filosofiche greche, fondata da Aristotele. I suoi membri erano detti peripatetici.   La scuola di Aristotele, di Gustav Adolph Spangenberg La scuola in origine deriva il suo nome Peripato, Περίπατος, dai περίπατοι, colonnati dei porticati del GINNASIO d’Atene, dove i membri si riunivano, che si trova presso il santuario dedicato ad Apollo Licio o LIZIO da cui deriva l'altro nome della scuola: il Liceo, o LIZIO. Una parola greca simile, περιπατητικός si riferisce all'atto di camminare e, come aggettivo, "peripatetico" è spesso usato per indicare itinerante, errante, in movimento. Dopo la morte di Aristotele, nacque la leggenda che egli fosse un docente "peripatetico" - che camminasse intorno insegnando - e la designazione Peripatetikos è venuta a sostituire il Peripatos originale.  StoriaModifica La scuola risale quando Aristotele intraprese l'insegnamento nel Liceo. Si trattava di un'istituzione informale, i cui membri conducevano indagini filosofiche e scientifiche. La scuola peripatetica diede inoltre grande impulso all'indagine storica come strumento di indiscussa validità per la conoscenza e la comprensione delle manifestazioni religiose, artistiche, poetiche e letterarie.  Teofrasto e Stratone, i successori di Aristotele, continuarono la tradizione di esplorare teorie filosofiche e scientifiche, ma la scuola cadde in declino, per rinascere non prima del periodo romano. In seguito i membri della scuola si concentrarono sulla conservazione e sul commento delle opere di Aristotele, piuttosto che estenderle, e la scuola alla fine morì nel III secolo d.C.  Anche se la scuola si estinse, lo studio delle opere di Aristotele fu proseguito da studiosi che vennero chiamati peripatetici attraverso la tarda antichità, il Medioevo ed il Rinascimento. Dopo la caduta dell'Impero romano d'Occidente, le opere della scuola peripatetica andarono perse in Occidente, ma in Oriente furono incorporate nella prima filosofia islamica, svolgendo un ruolo importante nella rinascita delle dottrine aristoteliche nell'Europa medioevale e rinascimentale. Si riflessero nel doppio filtro applicato all'aristotelismo dapprima da Alessandro di Afrodisia e poi continuato nell'eredità spirituale di Al-Farabi, Avicenna e Averroè.  Scolarchi ed altri PeripateticiModifica Maggiori esponenti della Scuola peripatetica, Aristosseno Teofrasto. II scolarca Eudemo da Rodi Prassifane di Mitilene Demetrio Falereo Dicearco Ieronimo di Rodi Stratone di Lampsaco scolarca Licone (peripatetico) scolarca Aristone di Ceo scolarca Critolao scolarca Diodoro di Tiro scolarca Cratippo di PergamoI secolo a.C.Andronico di Rodi Boeto di Sidone Senarco di SeleuciaI secolo d.C.Ario DidimoI secolo d.C. Nicola di Damasco. Gigante, Kepos e Peripatos. contributo alla storia dell'aristotelismo antico, Napoli, Bibliopolis, Lynch, Aristotle's School: A Study of a Greek Educational Institution, Berkeley, University of California Press, Moraux, L'Aristotelismo presso i Greci, Milano, Vita e Pensiero, Sharples, Peripatetic Philosophy, An Introduction and Collection of Sources in Translation, Cambridge, Cambridge University Press, 2010. Fritz Wehrli (a cura di): Die Schule des Aristoteles. Texte und Kommentare. Basel Edizione (raccolta dei frammenti). Voci correlate Liceo di Aristotele Peripatetici antichi Peripatos Scolarca Liceo di Aristotele luogo della scuola di Aristotele ad Atene  Boeto di Sidone (peripatetico) filosofo greco antico, peripatetico  Peripatetici antichi lista di un progetto Wikimedia  Wikipedia Il contenutoPeripatetici antichi lista di un progetto Wikimedia Lingua Segui Modifica Questa è una lista dei filosofi peripatetici antichi in ordine (approssimativamente) cronologico.Eraclide Pontico Wehrli lo ha inserito nel VII volume della sua opera, ma si tratta di un discepolo di Platone Aristosseno di TARANTO (si veda) Uno dei principali allievi di Aristotele, scrisse diverse opere sulla musica Teofrasto Secondo scolarca del Peripato, autore di libri di botanica e logica Eudemo di Rodi Collaboratore di Aristotele ed autore di opere di storia della geometria e della teologia Dicearco da Messina Discepolo di Aristotele, autore di opere filosofico-politiche e geografiche Cameleonte di Eraclea Pontica Edizione: "Chamaeleontis Heracleotae fragmenta" a cura di Giordano, Bologna, Patron Fania di Ereso Allievo di Aristotele, filosofo e scienziato Clearco di Soli Autore di scritti sulle culture orientali e di un'opera Sull'educazione Prassifane di Mitilene Allievo di Teofrasto, ebbe come discepolo Callimaco Demetrio Falereo Oratore, scrisse opere di etica, retorica e letteratura Stratone di Lampsaco Fu maestro di Aristarco di Samo, importante la sua teoria del vuoto Licone (peripatetico) Autore di un'opera Sui caratteri. fu rivale di Ieronimo di Rodi Ieronimo di Rodi Fu avversario di Arcesilaoe fondò una scuola a indirizzo eclettico Sozione il Peripatetico Autore delle Successioni dei filosofi di cui restano solo pochi frammenti Ermippo di Smirne Seguace di Callimaco, scrisse le Vite degli uomini illustri Aristone di Ceo Allievo di Licone Critolao Scrisse sull'etica, avvicinandosi allo Stoicismo Diodoro di Tiro Discepolo di Critolao Aristone il Giovane Allievo di Critolao Stasea di Napoli Il primo Peripatetico che soggiornò a Roma, secondo Cicerone maestro di Calpurniano Apellicone di Teo Bibliofilo, comprò i manoscritti di Aristotele che Neleo di Scepsi aveva ricevuto da Teofrasto Aristone d'Alessandria Discepolo di Antioco di Ascalona, aderì alla Scuola Peripatetica Cratippo di Pergamo Amico di Cicerone, che ne parla nel suo De divinatione Erinneo Secondo Paul Moraux Probabile scolarca del Peripato dopo Diodoro di Tiro Tirannione il Vecchio Grammatico, noto per avere messo in ordine la biblioteca di Cicerone I e II Secolo d.C.Alessandro di Ege Insieme allo stoico Cheromonte fu maestro di Nerone Andronico di Rodi Ha curato l'edizione del Corpus aristotelicum Boeto di Sidone (peripatetico) Discepolo di Andronico di Rodi Ario Didimo Filosofo romano, insegnante di Augusto la sua opera è una sintesi di stoicismo ed aristotelismo Nicola di Damasco Autore di una Storia universale e di un'opera Sulla filosofia di Aristotele Senarco di Seleucia(I secolo d.C.)Negò l'esistenza dell'etere Adrasto d'Afrodisia Scrisse sull'ordinamento degli scritti di Aristotele e commentò alcune su opere Aristocle di Messene(II secolo d.C.)Scrisse un'esposizione delle scuole filosofiche di cui restano alcuni frammenti Aspasio Commentatore di alcune opere di Aristotele, in particolare l'Etica nicomachea Ermino Allievo di Aspasio e maestro di Alessandro di Afrodisia Sosigene Autore di uno scritto Sulle sfere dei pianeti Tolomeo Efestione o Chenno La sua opera Storia nova è riassunta da Fozio di Costantinopoli nella sua Biblioteca Alessandro di Afrodisia Il più importante dei commentatori delle opere di Aristotele BibliografiaModifica Paul Moraux, L'Aristotelismo presso i Greci, Milano, Vita e Pensiero, Sharples, Peripatetic Philosophy, An Introduction and Collection of Sources in Translation, Cambridge. Wehrli (cur.): Die Schule des Aristoteles. Texte und Kommentare. Basel Edizione Voci correlate Platonici antichi Stoici antichi Liceo di Aristotele Scuola peripatetica   Portale Antica Grecia   Portale Antica Roma   Portale Ellenismo   Portale Filosofia Scuola peripatetica scuola filosofica fondata ad Atene da Aristotele  Prassifane di Mitilene filosofo peripatetico ed erudito greco antico  Boeto di Sidone (peripatetico) filosofo greco antico, peripatetico  Wikipedia Il contenutoFilippo Fabri. Filippo Fabbri. Fabbri. Keywords: lizii, accademici, i peripatetici, The 34 disputationes. Galilei, Pico, aristotelismo, anti-aristotelismo, platonismo, l’unita della metafisica, distinzione tra matematica e fisica.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fabri” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Fabro: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Senone di Velia, l’innamorato di Parmenide -- per la porta di Velia – scuola di Flumignano – filosofia flumignese – filosofia talmassonese – filosofia udinese – filosofia friulese. filosofia italiana – Luigi Speranza (Flumignano). Filosofo italiano. Flumignano, Talmassons, Udine, Friuli-Venezia Giulia. Grice: “I like Fabro; my favourite of his essays is on Giorgio Hegel, “La dialettica,” which is really about Socrates and Alcibiades! My Athenian Dialectic which I turned into Oxonian!”. Studia al seminario degli stimmatini. Si laurea a Roma sotto Reverberi con “Il concetto di ‘causa’” e la critica di D. Hume. Insegna a Roma. Si dedica quindi allo studio della biologia filosofica. Pubblica “La partecipazione”. Insegna a Napoli e Perugia. Si inscrive nell'alveo della neoscolastica, o, più precisamente, del neotomismo. Il suo apporto più profondo alla metafisica classica, sulle orme di san Tommaso d'Aquino, è la distinzione reale tra "essenza" e "atto d'essere”. È questa tesi che lo porterà a riconoscere con sicurezza le debolezze e le aporie dall'immanentismo del cogito cartesiano, che sfocia ineluttabilmente nell'ateismo. Trova l'origine dell’ateismo in Cartesio e Spinoza, nasce nel concetto di "immanenza" contro "trascendenza”.Critica Severino e Rahner. Valorizza l’esistenzialisto anti-idealista di Kierkegaard. Altre opere: “Partecipazione in Platone, Aristotele e Aquino, S.E.I., Torino); “Neotomismo” Piacenza) “La fenomenologia della percezione, Vita e Pensiero, Milano); “Percezione e pensiero, Vita e Pensiero, Milano), “L’esistenzialismo, Vita e Pensiero, Milano); “Esistire” (Vallecchi, Firenze); “Dio” (Studium, Roma); “L'Assoluto nell'esistenzialismo” (Miano-Catania); “L'anima” (Studium, Roma); “Dall'essere (essuto, suto) all'esistente” (Morcelliana, Brescia); “Il Tomismo” (Desclée, Roma); “Hegel: La dialettica, La Scuola Editrice, Brescia); “Partecipazione e causalità, S.E.I., Torino); “Feuerbach-Marx-Engels. Materialismo dialettico e materialismo storico (La Scuola Editrice, Brescia); “L’ateismo” Studium, Roma); “L'uomo e il rischio di Dio, Studium, Roma); “Esegesi tomistica, Pontificia Università Lateranense, Roma); “Tomismo” Pontificia Università Lateranense, Roma); “La svolta antropologica di Rahner” (Rusconi, Milano); “L'avventura del progressismo” Rusconi, Milano); “La fede di Kierkegaard” La Scuola Editrice, Brescia); “La trappola del compromesso storico: da Togliatti a Berlinguer, Logos, Roma); La preghiera” Edizioni di Storia e Letteratura, Roma); “L'alienazione dell'Occidente. Osservazioni sul pensiero di Severino, Quadrivium, Genova); Momenti dello spirito I, Sala Francescana di cultura «P. Antonio Giorgi», AssisiS. Damiano; Momenti dello spirito II, Sala Francescana di cultura «P. Antonio Giorgi», Assisi S. Damiano); Aquino, Ares, Milano); La libertà, Maggioli, Rimini); Gemma Galgani), Il sopra-naturale, Cipi, Roma); L'enigma Rosmini, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli); Le prove dell'esistenza di Dio, La Scuola, Brescia); Commento al Pater Noster” Pontificia Accademia di San Tommaso d'Aquino, Città del Vaticano); Cristianesimo, L'Aquila, Japadre). Essere e libertà. Studi in onore di Cornelio Fabro, Maggioli, Rimini); Giuseppe Mario Pizzuti, Veritatem in caritate. Studi in onore di C. Fabro, Ermes, Potenza); Rosa Goglia, La novità metafisica in Cornelio Fabro, Marsilio, Venezia); Federico Costantini, Fabro e il problema della libertà, Forum, Udine); Elvio Celestino Fontana, Fabro all'Angelicum, EDIVI, “Segni (EDIVI)  Fabro e l'Esistenzialismo, EDIVI, Segni. Rosa Goglia, Fabro. Profilo biografico, cronologico, tematico da inediti, note di archivio, testimonianze, EDIVI, Segni,. Ariberto Acerbi, Crisi e destino della filosofia. Studi su Fabro, EDUSC, Roma,. Note  Goglia, Rosa, Fabro: profilo biografico cronologico tematico da inediti, note di archivio, testimonianze, EDIVI,  Kierkegaard Neotomismo Ateismo. Fondo Fabro presso la Biblioteca della Pontificia Università della Santa Croce., su pusc.ZENO ELEATES.   J5. Z^vwv 'EXeaTTj;. xouxov 'A7toXXoo«pd'; ^Y)otv «T- i 25* ^ n0 Eleates. Hunc Apollodorus ait in Chronicis na-  vat Iv Xpovixot; ^puoei piv TeXeuxaYopou , OsVet Si tura quidem Teleutagorae , adoptione autem Parmenidis  20 IlapaEviSou. irspl xooxou xal MeXfoaou TCjmov cpyjol 2 filium. De hoc atque Melisso Timon haec ait :  xauxa*   'AfxcpoTipoYXwacou xe {xffa ffOivcx; oux aXawaSvov Andpitis linguae vis maxima cuncta secantis   Z^vcdvo? rcavxtov smXiiTrxopoc ^Ss MeXiaaou, Zenonis, qui corripit omnes, atque Melissi;   TroXXwv <pavTa<T|xwv Indvb), rcaupwv ft fiiv eiaw. plurima visa errant in summo , rara sed intus.   25 *0 §•?) Zr,vci)v Stax^xos IIap[ievi5ou xal yeyovev autou 3 FjiimveroZeno Parmenidis auditor erat,abeoqueamatus est.  TzonBixa. xal eo^XTj? ^v, xa6a cpTjai nXarwv iv tw Fuit autem procerae staturae , quemadmodum Plato in Par-  IlapfAevCoTi, 6 8' auxb; Iv xw 4>a(5pw xal 'EXeaxixov menide notat, idemquein Phaedro ipsum VELIA [si veda] Pala-  IIaX*jji^5yiv autov xaXel. {pr,dl 8' 'AptaxoxsXy,? Iv xw 4 medem vocat. Aristoteles autem in Sophista auctor est in-  2otpiax7J eupex^v auxbv yeveaOai ^taXExxiXTJ; , (ocircp ventorem ipsum fuisse dialectics , quemadmodum Empe-   30 'EixweSoxXfia firixopiXT)?. yeyove Si av^.p y^vvaio- doclem rhetoric®. Fuit et in philosophia et in republixaxo^ xal Iv cptXoao^fa xal Iv 7roXixe(a* cpipexat youv ca vir sane nobilissimus : feruntur nempe ipsius volumina  auxou pi^Xta 7roXXrj<; ffWato*; YCfxovxa. xaOeXsTv SI Oe- 5 sapientiae plenissima. Is quum Nearcbum tyrannum seu , ut  Xifaac N^ap^ov xbv xupavvov — ot Se, Aiof/iSovxa — alii volunt, Diomedontem imperio exuere voluisset, com-  ouveX^cpOy), xa6d cp^atv 'HpaxXe^Tj; Iv x9j 2axupoo prebensus est, ut in Satyri epitome ait Heraclides : quo   36 lirixopuj. 6xe xal l;6xa£o'[Aevoc xou<; auveiSoxa^ xal 7T£pl tempore quum de consciis et armis qua; Liparam ad vexerat,  xwv oVXmv 5v ^y 6V eAiirotpav, iravxa? Ip.>5vu«v au- inquireretur, volens ipsmndesertum destitutumquereddere,  xoo xooc cpiXou; , pouXo(X£vo<; auxov ^aov xaxaaxyjaar omnes illius amicos conjurationis esse conscios dixit ; deinde  •Txa 7cep( xtvwv efceiv e^ttv auxw wpbc xb o3<; IXeye xal quum de quibusdam dixisset quiddam ipsi ad aurem loqui  xu^avxo? Saxwv xb wxiov oux av9jx£v Tok imwrffiri , velle, earn mordicus apprehensam non ante dimisit quam \o lautbv'AptoxoYeCxovtxtoxupavvoxxovwTraOtov. (27) Ar,u^- confoderetur ; quod idem accidit Aristogitoni tyrannicidae.     Digitized by     Google     234     biba. e, Q. AEVKinnos. rpto? Se ^r,aiv ev xoi< ojawvuu.oi; xbv puxxTJpa auxbv  diroTpaYeiv. 'AvxiaOevrj; 5' ev xal; SiaSo^al? ^r,<jt fJLExdc   TO (JLTjVUffai XOU? <p(X0UC IpWX1f]09ivai 7TpO? XQU XUpaVVOU   e? ti? aXXo? eiYj • xbv 8i eiireiv, « au 6 xyfc woXews aXi-  6 tiqpio^. » 7rpo; x£ xou$ 7capE<rcwxa; ©avai , « Oauuut£w  6fxwv r?)v SeiXCav, et xouxwv Ivsxev wv vuv e*Y&> ^Trofxe-  vw, SouXeuexe xw xupavvw* * xal xeXoc aitoxpayovxa  tJjv yXwxx«v 7rpo<;7mj<iai auxw, xou? 8i TroXfxac 7rapop-  (i.r,0£VTa<; auxixa xbv xupavvov xaxaXsuaat. xauxa oe  io oyeSbv of irXe(ou<; Xe'Youaiv. "Epu.nnroc S§ <piQctv eU 6V  fxov auxbv pXTjO^vat xal xaxaxo7c9jvai. (2§) xal eU auxbv  ^)(jlcT< efarofxev oSxciK*   *H8eXe<;, w Z^vwv, xaXbv ^OeXe< avSpa xupavvov  xxe(va? IxXuaai SouXoouvtjs 'EXe'av.  15 dXX' ISau-Ttf- 5^1 yap « Xa€u>v 6 xupavvos ev 5Xu.w  xo^c. x( xouxo Xs*y<«> ; ffWfAa yap , ofyl 8s «.   yiyove Se xa t* £XXa aya6b<; 6 Zi^vwv, dXXa xal &ict p-  oicxixb? xwv (xtt^vtov xax' fcov 'HpaxXetxw* xal yap  o5xo« xV wpoxepov p.ev 'YeXTjv, (Saxepov 5* 'EXfov, <I>w   20 xaiwv ouaav airoixtav, auxou Se 7raxp(Sa, ttoXiv eoxeXri  xal |xo'vov avSpacoYaOoucxpscpetv ^taxafjLEvrjv ^YaTrrjae  |xaXXovx9i? 'AOTjvaiwv iuyxXoLuyia^ oux iTriSYi^aa? xb  icapaTrav Trpb? auxouc, aXX' auxd8i xaxa&ouc [29) ou-  xo? xal xbv 'Ax^ca irpwxo? Xoyov ^pwxTjffE- <I>a6o>pT-   25 voc Se' <prjo-t napfX£v(Sr,v xal aXXou<; cuyvouc. 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Deniquc praecisam linguam in ora tyranni  conspuisse, cives autem continuo facto impetu lapidibus  tyrannum obruifise. Usee ferme pleriquc tradiderunt. Cc-  terum Hermippus ilium in mortariuro injectum contusumque fuisse ait.  Et in hunc nos sic diximus: Tentasti, Zeno, crudelis canle tyranni   Eleus ut populus libera turba foret.  At prensiim in pita te content articulatim   iste : imo non te, sed tua membra terit. Praeclarus et in ceteris fuit Zeno potentiorumque non secus  atque Heraclitus quadam animi altitudine contemptor r nam  hie prius quidem Hyelen, postea vero Eleam nominatam  Phocaeensium coloniam suamque patriam, civitatem humi-  lem bonosque tantum virosnutrirc solitam, dilexitmagis  quam Atheniensium magnificentiara : ad quos nunquam profectus est , domi assidue commorans. Hie etiam  primus syilogismo usus est qui Achilles appellatur, quamvis Favorinus Parmenidem et alios plures proferat. Placent  autem illi lieecce: Mundos esse plures et inane non esse;  naturam omnium re rum ex calido et frigido aridoque et  humido fuisse ortam, quum ista in se invicein commutentur. Generationem hominum e terra esse , animamque ita  ex his omnibus commixtam quae praediximus, ut a nullo eorum plus quam a ceteris obtineatur. Hunc aiunt quum  conviciis laceraretur, indignari solitum : et vituperante  quodam dixisse, Si maledicta me non tangunt , nee laudes   I ome delectabunt. Octo vero fuisse Zenones, quum de Citieo loqueremur, diximus. Floruit autem hie Olympiade nona  et septuagesima.  KE4>. Q'.AETRinn02. AEuxtirircx; 'EXeaxTi;, w? U xtve;, 'A6Sv)piti}C 9 I  xax' lvtou<; bl MiiXio;. oSxcx; ^xouae Ztivwvoc. "Hptdxs  o* auxw dWpa fitvat xa uavxa xal ik aXXYjXa fxexa- SaXXetv. x<^ xe Ttav Jvai xevbv xal TrXripec <iw|a<xxwv.  tou? te xdff[A00s yivtafai <jw(jloitwv tU to xevov I|xtti-  ttxovxwv xal aXX^Xotc 7reptwX£X0|xivwv ^x xe xtk xtv^-  «&k xaxa xtjv aufow auxwv YtveaOat x^jv x(ov dW-  pwv ^uffiv. cpe'peffOai 8e xbv ^Xtov Iv fiet^ovi xuxXw wapa B Tf^v <ieX^vy|V t^v y^v ^ewOat Trepl *rb jieaov Stvouui-  vvjv ffX^H^ f' auxTJ? TujiTcavoetSe^ elvai. «pwxd< x'  dxouou^ap/a? uxwffx^aaxo.xalxecpaXaiwSwsfxiv xauxa*  Zenone lleate. I. Zenone eleate. Era costui, al dire di Apollodoro, a5  nelle Cronache , p«r natura, figlio di Teleutagora, per  adozione, di Parmenide. II. Di lui « di Melisso dice Timone queste cose :   // prò ed il contro a disputar potente,  Zenone, invitto, riprensor di tutti;  E Melisso di molte fantasie  Superiore, di poche inferiore. Zenone di VELIA è veramente discepolo di Parmenide e suo bar-  dassa.  È grandissimo della persona, secondo che, nel  Parmenide, scrive Platone, che, nel Fediv , lo chiama  anche  Palamede di VELIA. Afferma Aristotele nel Sofista , eh 9 e 9 è l’inventore della dialettica, siccome GIRGENTI (si veda) della retorica ; che è uomo e in filosofia e in politica assai prestante ; e che vanno attorno suoi libri pieni di molta a g  sapienza. Volendo Zenone rovesciare il tiranno Nearco -  secondo alcuni Diomedonte - è, al dire d’Eraclide, Epitome di Satiro, sostenuto e quando lo si inquisì circa i complici e l’armi, che sono state portate a Lipara, afferma, onde colui rimane solo, che di tutto  consapevoli sono i suoi amici. Poscia soggiugnendo che intorno a taluno qualche cosa avea da dirgli all’orecchio, addentandoglielo, non prima il lasciò che cade trafitto; lo che ha in comune col tirannicida  Aristogitone. Demetrio, negl’omonimi, afferma che gli  morsica il naso; ma Àntistene racconta, nelle successioni, che dopo di averne denunciati gl’amici, interrogato dal tiranno, se alcun altro vi è, egli rispose: Tu,  peste della città! e che dopo di aver detto agl’astanti: Meravigliomi della vostra codardia, se, in grazia di  ciò ch’io patisco, servirete al tiranno, spiccatosi finalmente la lingua coi denti la sputò ad esso in faccia; e  che i cittadini concitati a quel fatto lapidarono il tiranno. Queste cose, presso a poco, si vanno narrando dai più. Ma Ermippo asserisce che gettato Zenone di VELIA (si veda)in  un mortaio, vi è pestato. Sopra di lui noi parliamo così:  Tu volevi o Zenon di VELIA (si veda), volevi torre, a8  Uomo egregio, la patria dal servaggio, il tiranno uccidendo. Ma cadesti oppresso, perocché tosto il tiranno,  Presoti, in un mortaio ti pesta. Che dico! Te non già, ma il corpo solo. Zenone di VELIA (si veda), se in altre cose preclaro, il è eziandio, al pari d’Eraclito, nel guardare con ispregio i più  grandi; poiché egli, quella che prima è Iele e da ultimo VELIA, colonia fenicia e sua patria, città meschina e solo  ZENONE di VELIA (si veda) atta a nutrire uomini dabbene, ama di preferenza ai vanti degl’ateniesi, per lo più non recandosi presso di  loro, ma abitando in essa. Usa primo nelle dispute l’argomento detto l’Achille (sebbene Favorino dice ciò di Parmenide) e molti altri. Credette che vi è mondi, e non vuoto. Che la natura di tutte le cose viene prodotta dal caldo  e dal freddo dal secco e dall' umido mutantisi a vicenda. Che la generazione degl’uomini deriva dalla  terra, e l’anima è una mescolanza dei prefati senza  prevalenza di alcuno. Narrano che sentendo di essere biasimato, se  ne impazienta, e che taluno condannandolo dice; Se  comporto le contumelie, neppure mi accorgera l’esser lodato.  Che vi sono otto Zenoni già è detto nella vita del cizieo. Il nostro fiorisce nella settantesima nona Olimpiade. Cornelio Fabro. Fabro. Keywords: per la porta di Velia, essere, e, essente, esuto, suto. L’uomo allo specchio. Dialettica di hegel, tomismo, essere atto d’essere – immanenza – trascendenza -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fabro” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Fadio: la ragione conversazionale a Roma antica – l’orto a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Garden. Friend of Cicerone. Marco Fabio Gallo. Marco Fadio Gallo. Fadio.

 

Grice e Faggin: la ragione conversazionale dei bei -- metrica filosofica – inno orfico – scuola di Vicenza – filosofia vicentina – filosofia veneta -- filosofia italiana -- Luigi Speranza (Isola Vicentina). Filosofo italiano. Isola Vicentina, Vicenza, Veneto. Grice: “I like Faggin: he is obsessed with love; he translated Fedro, he selected some passages from the Roman philosopher Plotino and titled it, implicaturally “Dal bello al divino,” but surely for Plotino, via hypernegation, the divine IS beautiful – and finally, being an Italian, he became interested in “Dutch Protestantism” – “il Pellegrino cherubico”!” Si laurea a Padova sotto Troilo. Insegna a Padova, Bassano del Grappa, Campobasso, Vicenza.  Studioso del platonismo, della tradizione mistica e dell'occultismo, commenta le Enneadi di Plotino. Altri suoi lavori riguardano Eckhart e la mistica medioevale, Schopenhauer, la stregoneria e l'occultismo rinascimentale.  Altre opere: “Van Gogh, Padova, MILANI); Plotino, Milano, Garzanti); “Eckhart e la mistica” Bocca, Milano); “Schopenhauer: il mistico senza Dio, Firenze, La nuova Italia); “Le streghe: trentatré incisioni dell'epoca, Milano, Longanesi & C.); “Gli occultisti dell'età rinascimentale, Milano, Marzorati); “Storia della filosofia: ad uso dei licei classici, Milano, Principato); “Dal Rinascimento a Immanuel Kant, Milano, Principato); “La filosofia antica” (Milano, Principato); “Diabolicità del rospo” (Vicenza, Neri Pozza); “Dal Romanticismo alla scuola di Francoforte, Milano, Principato); “Enneadi” Milano, Istituto Editoriale), “Sulla libertà del volere”; “Sul fondamento della morale” (Torino, Boringhieri); Eckhart, Trattati e prediche, Milano, Rusconi); Inni orfici, Giuseppe Faggin, Roma, Āśram Vidyā).  Platone Fedro  Edizione Acrobat a cura di Patrizio Sanasi (patsa@tin.it)   Platone Fedro  SOCRATE: Caro Fedro, dove vai e da dove vieni? Platone FEDRO FEDRO: Dalla casa di Lisia, Socrate, il figlio di Cefalo, (1) e vado a fare una passeggiata fuori dalle mura. Ho passato parecchio tempo là seduto, fin dal mattino; e ora, seguendo il consiglio di Acumeno,(2) compagno mio e tuo, faccio delle passeggiate per le strade, poiché, a quanto dice, tolgono la stanchezza più di quelle sotto i portici. SOCRATE: E dice bene, amico mio. Dunque Lisia era in città, a quanto pare. FEDRO: Sì , alloggia da Epicrate, nella casa di Monco, quella vicino al tempio di Zeus Olimpio. SOCRATE: E come avete trascorso il tempo? Lisia non vi ha forse imbandito, è chiaro, i suoi discorsi? FEDRO: Lo saprai, se hai tempo di ascoltarmi mentre cammino. SOCRATE: Ma come? Credi che io, per dirla con Pindaro, non faccia del sentire come avete trascorso il tempo tu e Lisia una faccenda «superiore a ogni negozio? FEDRO: Muoviti, allora! SOCRATE: Se vuoi parlare. FEDRO: Senza dubbio, Socrate, l'ascolto ti si addice, poiché il discorso su cui ci siamo intrattenuti era, non so in che modo, sull'amore. Lisia ha scritto di un bel giovane che viene tentato, ma non da un amante, e ha comunque trattato anche questo argomento in modo davvero elegante: sostiene infatti che bisogna compiacere chi non ama piuttosto che chi ama. SOCRATE: E bravo! Avesse scritto che bisogna compiacere un povero piuttosto che un ricco, un vecchio piuttosto che un giovane, e tutte quelle cose che vanno bene a me e alla maggior parte di voi! Allora sì che i suoi discorsi sarebbero urbani e utili al popolo! Io ora ho tanto desiderio di ascoltare, che se facessi a piedi la tua passeggiata fino a Megara e, seguendo Erodico, arrivato alle mura tornassi di nuovo, non rimarrei dietro a te. FEDRO: Cosa dici, ottimo Socrate? Credi che io, da profano quale sono, ricorderò in modo degno di lui quello che Lisia, il più bravo a scrivere dei nostri contemporanei, ha composto in molto tempo e a suo agio? Ne sono ben lungi! Eppure vorrei avere questo più che molto oro. SOCRATE: Fedro, se io non conosco Fedro, mi sono scordato anche di me stesso! Ma non è vera né l'una né l'altra cosa: so bene che lui, ascoltando un discorso di Lisia, non l'ha ascoltato una volta sola, ma ritornandovi più volte sopra lo ha pregato di ripeterlo, e quello si è lasciato convincere volentieri. Poi però neppure questo gli è bastato, ma alla fine, ricevuto il libro, ha esaminato i passi che più di tutti bramava; e poiché ha fatto questo standosene seduto fin dal mattino, si è stancato ed è andato a fare una passeggiata, conoscendo, corpo d'un cane!, il discorso ormai a memoria, credo, a meno che non fosse troppo lungo. E così si è avviato fuori dalle mura per recitarlo. Imbattutosi poi in uno che ha la malattia di ascoltare discorsi, lo ha visto, e nel vederlo si è rallegrato di avere chi potesse coribanteggiare con lui e lo ha invitato ad accompagnarlo. Ma quando l'amante dei discorsi lo ha pregato di declamarlo, si è schermito come se non desiderasse parlare: ma alla fine avrebbe parlato anche a viva forza, se non lo si fosse ascoltato volentieri. Tu dunque, Fedro, pregalo di fare adesso quello che comunque farà molto presto. FEDRO: Per me, veramente, la cosa di gran lunga migliore è parlare così come sono capace, poiché mi sembra che non mi lascerai assolutamente andare prima che abbia parlato, in qualunque modo. SOCRATE: Ti sembra davvero bene. FEDRO: Allora farò così . In realtà, Socrate, non l'ho proprio imparato tutto parola per parola: ti esporrò tuttavia il concetto più o meno di tutti gli argomenti con i quali lui ha sostenuto che la condizione di chi ama differisce da quella di chi non ama, uno per uno e per sommi capi, cominciando dal primo. SOCRATE: Prima però, carissì mo, mostrami che cos'hai nella sinistra sotto il mantello; ho l'impressione che tu abbia proprio il discorso. Se è così , tieni presente che io ti voglio molto bene, ma se c'è anche Lisia non ho assolutamente intenzione di offrirmi alle tue esercitazioni retoriche. Via, mostramelo! FEDRO: Smettila! Mi hai tolto, Socrate, la speranza che riponevo in te di esercitarmi. Ma dove vuoi che ci sediamo a leggere? SOCRATE: Giriamo di qui e andiamo lungo l'Ilisso, poi ci sederemo dove ci sembrerà un posto tranquillo. FEDRO: A quanto pare, mi trovo a essere scalzo al momento giusto; tu infatti lo sei sempre. Perciò sarà per noi facilissimo camminare bagnandoci i piedi nell'acqua, e non spiacevole, tanto più in questa stagione e a quest'ora. SOCRATE: Fa' da guida dunque, e intanto guarda dove ci potremo sedere. FEDRO: Vedi quell'altissimo platano? SOCRATE: E allora? FEDRO: Là c'è ombra, una brezza moderata ed erba su cui sederci o anche sdraiarci, se vogliamo. SOCRATE: Puoi pure guidarmici. FEDRO: Dimmi, Socrate: non è proprio da qui, da qualche parte dell'Ilisso, che a quanto si dice Borea ha rapito Orizia? SOCRATE: Così si dice. FEDRO: Proprio da qui dunque? Le acque appaiono davvero dolci, pure e limpide, adatte alle fanciulle per giocarvi vicino. SOCRATE: No, circa due o tre stadi più in giù, dove si attraversa il fiume per andare al tempio di Agra: appunto là c'è un altare di Borea. 2  Platone Fedro  FEDRO: Non ci ho mai fatto caso. Ma dimmi, per Zeus: tu, Socrate, sei convinto che questo racconto sia vero? SOCRATE: Ma se non ci credessi, come fanno i sapienti, non sarei una persona strana; e allora, facendo il sapiente, potrei dire che un soffio di Borea la spinse giù dalle rupi vicine mentre giocava con Farmacea, ed essendo morta così si è sparsa la voce che è stata rapita da Borea (oppure dall'Areopago, poiché c'è anche questa leggenda, che fu rapita da là e non da qui). Io però, Fedro, considero queste spiegazioni sì ingegnose, ma proprie di un uomo fin troppo valente e impegnato, e non del tutto fortunato, se non altro perché dopo questo gli è giocoforza raddrizzare la forma degli Ippocentauri, e poi della Chimera; quindi gli si riversa addosso una folla di tali Gorgoni e Pegasi e un gran numero di altri esseri straordinari dalla natura strana e portentosa. E se uno, non credendoci, vorrà ridurre ciascuno di questi esseri al verosimile, dato che fa uso di una sapienza rozza, avrà bisogno di molto tempo libero. Ma io non ho proprio tempo per queste cose; e il motivo, caro amico, è il seguente. Non sono ancora in grado, secondo l'iscrizione delfica, di conoscere me stesso; quindi mi sembra ridicolo esaminare le cose che mi sono estranee quando ignoro ancora questo. Perciò mando tanti saluti a queste storie, standomene di quanto comunemente si crede riguardo a esse, come ho detto poco fa, ed esamino non queste cose ma me stesso, per vedere se per caso non sia una bestia più intricata e che getta fiamme più di Tifone, oppure un essere più mite e più semplice, partecipe per natura di una sorte divina e priva di vanità fumosa.Ma cambiando discorso, amico, non era forse questo l'albero a cui volevi guidarci? FEDRO: Proprio questo. SOCRATE: Per Era, è un bel luogo per sostare! Questo platano è molto frondoso e imponente, l'alto agnocasto è bellissimo con la sua ombra, ed essendo nel pieno della fioritura rende il luogo assai profumato. Sotto il platano poi scorre la graziosissima fonte di acqua molto fresca, come si può sentire col piede. Dalle immagini di fanciulle e dalle statue sembra essere un luogo sacro ad alcune Ninfe e ad Acheloo. E se vuoi ancora, com'è amabile e molto dolce il venticello del luogo! Una melodiosa eco estiva risponde al coro delle cicale. Ma la cosa più leggiadra di tutte è l'erba, poiché, disposta in dolce declivio, sembra fatta apposta per distendersi e appoggiarvi perfettamente la testa. Insomma, hai fatto da guida a un forestiero in modo eccellente, caro Fedro! FEDRO: Mirabile amico, sembri una persona davvero strana: assomigli proprio, come dici, a un forestiero condotto da una guida e non a un abitante del luogo. Non lasci la città per recarti oltre confine, e mi sembra che tu non esca affatto dalle mura. SOCRATE: Perdonami, carissimo. Io sono uno che ama imparare; la terra e gli alberi non vogliono insegnarmi nulla, gli uomini in città invece sì . Mi sembra però che tu abbia trovato la medicina per farmi uscire. Come infatti quelli che conducono gli animali affamati agitano davanti a loro un ramoscello verde o qualche frutto, così tu, tendendomi davanti al viso discorsi scritti sui libri, sembra che mi porterai in giro per tutta l'Attica e in qualsiasi altro luogo vorrai. Ma per ì l momento, ora che sono giunto qui io intendo sdraiarmi, tu scegli la posizione in cui pensi di poter leggere più comodamente e leggi. FEDRO: Ascolta, dunque. «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia per noi utile che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro passione, mentre per gli altri non viene mai un tempo in cui conviene cambiare parere. Infatti fanno benefici secondo le loro possibilità non per costrizione, ma spontaneamente, per provvedere nel migliore dei modi alle proprie cose. Inoltre coloro che amano considerano sia ciò che è andato loro male a causa dell'amore, sia i benefici che hanno fatto, e aggiungendo a questo l'affanno che provavano pensano di aver reso già da tempo la degna ricompensa ai loro amati. Invece coloro che non amano non possono addurre come scusa la scarsa cura delle proprie cose per questo motivo, né mettere in conto gli affanni trascorsi, né incolpare gli amati delle discordie con i familiari; sicché, tolti di mezzo tanti mali, non resta loro altro se non fare con premura ciò che pensano sarà loro gradito quando l'avranno fatto. Inoltre, se vale la pena di tenere in grande considerazione gli amanti perché dicono di essere amici al sommo grado di coloro che amano e sono pronti sia a parole sia coi fatti a rendersi odiosi agli altri pur di compiacere gli amati, è facile comprendere che, se dicono il vero, terranno in maggior conto quelli di cui si innamoreranno in seguito, ed è chiaro che, se parrà loro il caso, ai primi faranno persino del male. D'altronde come può essere conveniente concedere una cosa del genere a chi ha una disgrazia tale che nessuno, per quanto esperto, potrebbe tentare di allontanare? Essi stessi, infatti, ammettono di essere malati più che assennati, e di sapere che sragionano, ma non sanno dominarsi; di conseguenza, una volta tornati in senno, come potranno credere che vada bene ciò di cui decidono in questa disposizione d'animo? E ancora, se scegliessi il migliore degli amanti, la tua scelta sarebbe tra pochi, se invece scegliessi quello più adatto a te tra gli altri, sarebbe tra molti; perciò c'è molta più speranza che quello degno della tua amicizia si trovi tra i molti. Se poi, secondo l'usanza corrente, temi di guadagnarti del biasimo nel caso la gente lo venga a sapere, è naturale che gli amanti, credendo di essere invidiati dagli altri così come si invidiano tra loro, si inorgogliscano parlandone e per ambizione mostrino a tutti che non hanno faticato invano; mentre coloro che non amano, essendo più padroni di sé, scelgono ciò che è meglio in luogo della fama presso gli uomini. Inoltre è inevitabile che molti vengano a sapere o vedano gli amanti accompagnare i loro amati e darsi un gran da fare, cosicché, quando li vedono discorrere tra loro credono che essi stiano insieme o perché il loro desiderio si è realizzato o perché sta per realizzarsi; ma non provano affatto ad accusare coloro che non amano perché stanno assieme, sapendo che è necessario parlare con qualcuno per amicizia o per qualche altro piacere. E se poi hai paura perché credi sia difficile che un'amicizia perduri, e temi che se sorgesse un dissidio per un altro motivo la sventura sarebbe comune ad entrambi, mentre in questo caso verrebbe un gran danno a te, perché hai gettato via ciò che più di tutto tieni in conto, a maggior ragione dovresti temere coloro che 3  Platone Fedro  amano: molte sono le cose che li affliggono, e credono che tutto accada a loro danno. Per questo allontanano gli amati anche dalla compagnia con gli altri, per timore che quelli provvisti di sostanze li superino in ricchezza, e quelli forniti dì cultura li vincano in intelligenza; in somma, stanno in guardia contro il potere di tutti quelli che possiedono un qualsiasi altro bene. Così , dopo averti indotto a inimicarti queste persone, ti riducono privo di amici, e se badando al tuo interesse sarai più assennato di loro, verrai in discordia con essi. Chi invece non si è trovato a essere nella condizione di amante, ma ha ottenuto grazie alle sue doti ciò che chiedeva, non sarebbe geloso di chi si accompagna a te, anzi odierebbe coloro che rifiutano la tua compagnia, pensando che da costoro sei disprezzato, ma trai beneficio da chi sta assieme a te. Perciò c'è molta più speranza che dalla cosa nasca tra loro amicizia piuttosto che inimicizia. Per di più molti degli amanti hanno desiderio del corpo prima di aver conosciuto il carattere e aver avuto esperienza delle altre qualità individue dell'amato, così che non è loro chiaro se vorranno ancora essere amici quando la loro passione sarà finita; per quanto riguarda invece coloro che non amano, dal momento che erano tra loro amici anche prima di fare questo, non è verosimile che la loro amicizia risulti sminuita dal bene che hanno ricevuto, anzi esso rimane come ricordo di ciò che sarà in futuro. Inoltre ti si addice diventare migliore dando retta a me piuttosto che a un amante. Essi lodano le parole e le azioni dell'amato anche al di là di quanto è bene, da un lato per timore di diventare odiosi, dall'altro perché essi stessi danno giudizi meno retti per via del loro desiderio. Infatti l'amore produce tali effetti: a coloro che non hanno fortuna fa ritenere molesto ciò che agli altri non arreca dolore, mentre spinge coloro che hanno fortuna a elogiare anche ciò che non è degno di piacere, tanto che agli amati si addice più la compassione che l'invidia. Se dai retta a me, innanzitutto starò assieme a te prendendomi cura non solo del piacere presente, ma anche dell'utilità futura, non vinto dall'amore ma padrone di me stesso, senza suscitare una violenta inimicizia per futili motivi, ma irritandomi poco e non all'improvviso per motivi gravi, perdonando le colpe involontarie e cercando di distogliere da quelle volontarie: queste sono prove di un'amicizia che durerà a lungo. Se invece ti sei messo in mente che non possa esistere amicizia salda se non si ama, conviene pensare che non potremmo tenere in gran conto né i figli né i genitori, e non potremmo neanche acquistarci amici fidati, poiché i vincoli con essi ci sono venuti non da una tale passione, ma da altri rapporti. Inoltre, se si deve compiacere più di tutti chi ne ha bisogno, anche nelle altre cì rcostanze conviene fare benefici non ai migliori, ma ai più indigenti, poiché, liberati da grandissimi mali, serberanno la massima gratitudine ai loro benefattori. E allora anche nelle feste private è il caso di invitare non gli amici ma chi chiede l'elemosina e ha bisogno di essere sfamato, poiché costoro ameranno i loro benefattori, li seguiranno, verranno alla loro porta, proveranno grandissima gioia, serberanno non poca gratitudine e augureranno loro ogni bene. Ma forse conviene compiacere non chi è molto bisognoso, ma chi soprattutto è in grado di rendere il favore; non solo chi chiede, ma chi è degno della cosa; non quanti godranno del fiore della tua giovinezza, ma coloro che anche quando sarai diventato vecchio ti faranno partecipe dei loro beni; non coloro che, ottenuto ciò che desideravano, se ne vanteranno con gli altri, ma coloro che per pudore ne taceranno con tutti; non coloro che hanno cura di te per poco tempo, ma coloro che ti saranno amici allo stesso modo per tutta la vita; non coloro che, cessato il desiderio, cercheranno il pretesto per un'inimicizia, ma coloro che daranno prova della loro virtù quando la tua bellezza sarà sfiorita. Dunque tu ricordati di quanto ti ho detto e considera questo, che gli amici riprendono gli amanti perché sono convinti che questa pratica sia cattiva, mentre nessuno dei familiari ha mai rimproverato a coloro che non amano di provvedere male ai propri affari per questo motivo. Forse ora mi domanderai se ti esorto a compiacere tutti quelli che non amano. Ebbene, io credo che neanche chi ama ti inviti ad avere questo atteggiamento con tutti quelli che amano. Infatti né per chi riceve benefici la cosa è degna di un'uguale ricompensa, né, se anche lo volessi, ti sarebbe possibile tenerlo nascosto allo stesso modo agli altri; bisogna invece che da ciò non venga alcun danno, ma un vantaggio a entrambi. Io penso che quanto è stato detto sia sufficiente: se tu desideri ancora qualcosa e pensi che sia stata tralasciata, interroga». FEDRO: Che te ne pare del discorso, Socrate? Non è stato pronunciato in maniera straordinaria, in particolare per la scelta dei vocaboli? SOCRATE: In maniera davvero divina, amico, al punto che ne sono rimasto colpito! E questa impressione l'ho avuta per causa tua, Fedro, guardando te, perché mi sembrava che esultassi per il discorso intanto che lo leggevi. E dato che credo che in queste cose tu ne sappia più di me ti seguivo, e nel seguirti ho partecipato al tuo furore bacchico, o testa divina! FEDRO: Ma dai! Ti pare il caso di scherzare così ? SOCRATE: Ti sembra che io scherzi e che non abbia fatto sul serio? FEDRO: Nient'affatto, Socrate, ma dimmi veramente, per Zeus protettore degli amici: credi che ci sia un altro tra i Greci in grado di parlare sullo stesso argomento in modo più grande e copioso di lui? SOCRATE: Ma come? Bisogna che il discorso sia lodato da me e da te anche sotto questo aspetto, ossia perché il suo autore ha detto ciò che bisognava dire, e non solo perché ha tornito ciascun termine in modo chiaro, forbito e puntuale? Se proprio bisogna, devo convenirne per amor tuo, dal momento che mi è sfuggito a causa della mia nullità. Infatti ho posto mente soltanto all'aspetto retorico del discorso; quanto all'altro, credevo che neppure Lisia lo ritenesse sufficiente. A meno che tu, Fedro, non abbia un'opinione diversa, mi è parso che abbia ripetuto due o tre volte gli stessi concetti, come se non avesse a disposizione grandi risorse per dire molte cose sullo stesso argomento, o forse come se non gliene importasse nulla; e mi sembrava pieno di baldanza giovanile quando mostrava com'era bravo, dicendo le stesse cose prima in un modo e poi in un altro, a parlarne in tutti e due i casi nella maniera migliore. Platone Fedro  FEDRO: Ti sbagli, Socrate: precisamente in questo consiste il discorso. Infatti non ha tralasciato nulla di ciò che meritava d'esser detto in argomento, tanto che nessuno mai saprebbe dire cose diverse e di maggior pregio rispetto a quelle dette. SOCRATE: In questo non potrò più darti retta: uomini e donne antichi e sapienti, che hanno parlato e scritto di queste cose, mi confuteranno, se per farti piacere convengo con te. FEDRO: Chi sono costoro? E dove hai ascoltato cose migliori di queste? SOCRATE: Ora, lì per lì , non so dirlo; ma è chiaro che le ho udite da qualcuno, dalla bella Saffo o dal saggio Anacreonte o da qualche scrittore in prosa. Da cosa lo arguisco per affermare ciò? In qualche modo, divino fanciullo, sento di avere il petto pieno e di poter dire cose diverse dalle sue, e non peggiori. So bene che non ho concepito da me niente di tutto ciò, dato che riconosco la mia ignoranza; allora resta, credo, che da qualche altra fonte io sia stato riempito attraverso l'ascolto come un vaso. Ma per indolenza ho scordato proprio questo, come e da chi le ho udite. FEDRO: Ma hai detto cose bellissime, nobile amico! Neanche se te lo ordino devi riferirmi da chi e come le hai udite, ma metti in atto esattamente il tuo proposito. Hai promesso di dire cose diverse, in maniera migliore e non meno diffusa rispetto a quelle contenute nel libro, astenendoti da queste ultime; quanto a me, io ti prometto che come i nove arconti innalzerò a Delfi una statua d'oro a grandezza naturale, non solo mia ma anche tua. SOCRATE: Sei carissimo e veramente d'oro, Fedro, se pensi che io affermi che Lisia ha sbagliato tutto e che è possibile dire cose diverse da tutte queste; ciò, credo, non potrebbe capitare neanche allo scrittore più scarso. Tanto per incominciare, riguardo all'argomento del discorso, chi credi che, sostenendo che bisogna compiacere coloro che non amano piuttosto che coloro che amano, abbia ancora altro da dire quando abbia tralasciato di lodare l'assennatezza degli uni e biasimare la dissennatezza degli altri, il che appunto è necessario? Ma credo che si debbano concedere e perdonare simili argomenti a chi ne parla; e di tali argomenti è da lodare non l'invenzione, ma la disposizione, mentre degli argomenti non necessari e difficili da trovare è da lodare, oltre alla disposizione, anche l'invenzione. FEDRO: Concordo con ciò che dici: mi sembri aver parlato in modo opportuno. Pertanto farò anch'io così: ti concederò di stabilire come principio che chi ama è più ammalato di chi non ama, e quanto al resto, se avrai detto altre cose in maggior quantità e di maggior pregio di queste, ergiti pure come statua lavorata a martello a Olimpia, presso l'offerta votiva dei Cipselidi! SOCRATE: L'hai presa sul serio, Fedro, perché io, scherzando con te, ho attaccato il tuo amato, e credi che io proverò veramente a dire qualcosa di diverso e di più vario a confronto dell'abilità di lui? FEDRO: A questo proposito, caro, mi hai dato l'occasione per un'uguale presa. Ora tu devi parlare assolutamente, così come sei capace, in modo da non essere obbligati a fare quella cosa volgare da commedianti che si rimbeccano a vicenda, e non volermi costringere a tirar fuori quella frase: «Socrate, se io non conosco Socrate, mi sono dimenticato anche di me stesso», o quell'altra: «Desiderava dire, ma si schermiva»; ma tieni bene in mente che non ce ne andremo di qui prima che tu abbia esposto ciò che sostenevi di avere nel petto. Siamo noi due soli, in un luogo appartato, io sono più forte e più giovane. Da tutto ciò, dunque, «intendi quel che ti dico», e vedi di non parlare a forza piuttosto che spontaneamente. SOCRATE: Ma beato Fedro, mi coprirò di ridicolo improvvisando un discorso sui medesimi argomenti, da profano che sono a confronto di un autore bravo come lui! FEDRO: Sai com'è la questione? Smettila di fare il ritroso con me; poiché penso di avere una cosa che, se te la dico, ti costringerà a parlare. SOCRATE: Allora non dirmela! FEDRO: No, invece te la dico proprio! E le mie parole saranno un giuramento. Ti giuro... ma su chi, su quale dio? Vuoi forse su questo platano qui? Ebbene, ti giuro che se non pronuncerai il tuo discorso proprio davanti a questo platano, non ti mostrerò e non ti riferirò più nessun altro discorso di nessuno. SOCRATE: Ahi, birbante! Come hai trovato bene il modo di costringere un uomo amante dei discorsi a fare ciò che tu ordini! FEDRO: Perché allora fai tanti giri? SOCRATE: Niente più indugi, dal momento che hai proferito questo giuramento. Come potrei astenermi da un tale banchetto? FEDRO: Allora parla! SOCRATE: Sai dunque come farò? FEDRO: Riguardo a cosa? SOCRATE: Parlerò dopo essermi coperto il capo, per svolgere il discorso il più velocemente possibile e non trovarmi in imbarazzo per la vergogna, guardando verso di te. FEDRO: Purché tu parli; quanto al resto, fa' come vuoi. SOCRATE: Orsù, o Muse dalla voce melodiosa, vuoi per l'aspetto del canto vuoi perché siete state così chiamate dalla stirpe dei Liguri amante della musica,(22) narrate assieme a me il racconto che questo bellissimo giovane mi costringe a dire, così che il suo compagno, che già prima gli sembrava sapiente, ora gli sembri tale ancora di più. C'era una volta un fanciullo, o meglio un giovanetto assai bello, di cui molti erano innamorati. Uno di loro, che era astuto, pur non essendo innamorato meno degli altri aveva convinto il fanciullo che non lo amava. E un giorno, saggiandolo, cercava di persuaderlo proprio di questo, che bisogna compiacere chi non ama piuttosto che chi ama, e gli parlava così : «Innanzi tutto, fanciulfo, uno solo è l'inizio per chi deve prendere decisioni nel modo giusto: bisogna sapere su cosa verte la decisione, o è destino che si sbagli tutto. Ai più sfugge che non conoscono l'essenza di ciascuna cosa. Perciò, nella convinzione di saperlo, non si mettono d'accordo all'inizio della ricerca e proseguendo ne pagano le naturali conseguenze, poiché non si accordano né con se stessi né tra loro. Che non capiti dunque a me e a te ciò che rimproveriamo agli altri, ma dal momento che ci sta dinanzi la questione se si debba entrare in amicizia con chi ama piuttosto che con chi non ama, stabiliamo di comune accordo una definizione su cosa sia l'amore e quale forza abbia; poi, tenendo presente questa definizione e facendovi riferimento, esaminiamo se esso apporta un vantaggio o un danno. Che l'amore sia appunto un desiderio, è chiaro a tutti; che inoltre anche chi non ama desideri le cose belle, lo sappiamo. Da che cosa allora distingueremo chi ama e chi non ama? Occorre poi tenere presente che in ciascuno di noi ci sono due princì pi che ci governano e ci guidano, e che noi seguiamo dove essi ci guidano: l'uno, innato, è il desiderio dei piaceri, l'altro è un'opinione acquisita che aspira al sommo bene. Talvolta questi due princì pi dentro di noi si trovano d'accordo, talvolta invece sono in disaccordo; talvolta prevale l'uno, talvolta l'altro. Pertanto, quando l'opinione guida con il ragionamento al sommo bene e prevale, la sua vittoria ha il nome di temperanza; mentre se il desiderio trascina fuori di ragione verso i piaceri e domina in noi, il suo dominio viene chiamato dissolutezza. La dissolutezza ha molti nomi, dato che è composta di molte membra e molte parti; e quella che tra queste forme si distingue conferisce a chi la possiede il soprannome derivato da essa, che non è né bello né meritevole da acquistarsi. Il desiderio relativo al cibo, che prevale sulla ragione del bene migliore e sugli altri desideri, è chiamato ingordigia e farà sì che chi lo possiede venga chiamato con lo stesso nome; quello che tiranneggia nell'ubriachezza e conduce in tale stato chi lo possiede, è chiaro quale epiteto gli toccherà; così , anche per gli altri nomi fratelli di questi che designano desideri fratelli, a seconda di quello che via via signoreggia, è ben evidente come conviene chiamarli. Il desiderio a motivo del quale è stato fatto tutto il discorso precedente ormai è pressoché manifesto, ma è assolutamente più chiaro una volta detto che se non viene detto; ebbene, il desiderio irrazionale che ha il sopravvento sull'opinione incline a ciò che è retto, una volta che, tratto verso il piacere della bellezza e corroborato vigorosamente dai desideri a esso congiunti della bellezza fisica, ha prevalso nel suo trasporto prendendo nome dal suo stesso vigore, è chiamato eros. Ma caro Fedro, non sembra anche a te, come a me, che mi trovi in uno stato divino? FEDRO: Certamente, Socrate! Ti ha preso una certa facilità di parola, contrariamente al solito! SOCRATE: Ascoltami dunque in silenzio. Il luogo sembra veramente divino, percio non meravigliarti se nel prosieguo del discorso sarò spesso invasato dalle Ninfe: le parole che proferisco adesso non sono lontane dai ditirambi. FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: E tu ne sei la causa. Ma ascolta il resto, poiché forse quello che mi viene alla mente potrebbe andarsene via. A questo provvederà un dio, noi invece dobbiamo tornare col nostro discorso al fanciullo. «Dunque, carissimo: cosa sia ciò su cui bisogna prendere decisioni, è stato detto e definito; ora, tenendo presente questo, dobbiamo dire il resto, ossia quale vantaggio o quale danno presumibilmente verrà da uno che ama e da uno che non ama a chi concede i suoi favori. Per chi è soggetto al desiderio ed è schiavo del piacere è inevitabile rendere l'amato il più possibile gradito a sé; ma per chi è malato tutto ciò che non oppone resistenza è piacevole, mentre tutto ciò che è più forte o pari a lui è odioso. Così un amante non sopporterà di buon grado un amato superiore o pari a lui, ma vuole sempre renderlo inferiore e più debole: e inferiore è l'ignorante rispetto al saggio, il vile rispetto al coraggioso, chi non sa parlare rispetto a chi ha abilità oratorie, chi è tardo di mente rispetto a chi è d'ingegno acuto. è inevitabile che, se nell'animo dell'amato nascono o ci sono per natura tanti difetti, o anche di più, l'amante ne goda e ne procuri altri, piuttosto che essere privato del piacere del momento. Ed è altresì inevitabile che sia geloso e causa di grande danno, poiché distoglie l'amato da molte altre compagnie vantaggiose grazie alle quali diverrebbe veramente uomo, danno che diventa grandissimo quando lo allontana da quella compagnia grazie alla quale diventerebbe una persona molto assennata. Essa è la divina filosofia, da cui inevitabilmente l'amante tiene lontano l'amato per paura di essere disprezzato, così come ricorrerà alle altre macchinazioni per fare in modo che sia ignorante di tutto e guardi solo al suo amante; e in questa condizione l'amato sarebbe fonte di grandissimo piacere per lui, ma del massimo danno per se stesso. Quindi, per quanto riguarda l'intelletto, l'uomo che prova amore non è in nessun modo utile come guida e come compagno. Poi si deve considerare la costituzione del corpo, e quale cura ne avrà colui che ne diventerà padrone, dato che si trova costretto a inseguire il piacere anziché il bene. Lo si vedrà seguire una persona molle e non vigorosa, non cresciuta alla pura luce del sole ma nella fitta ombra, inesperta di fatiche virili e di secchi sudori, esperta invece di una vita delicata ed effeminata, ornata di colori e abbellimenti altrui per mancanza dei propri, intenta a tutte quelle attività conseguenti a ciò, che sono evidenti e non meritano ulteriori discussioni. Ma stabiliamo un punto essenziale, e poi passiamo ad altro: per un corpo del genere, in guerra come in tutte le altre occupazioni importanti, i nemici prendono coraggio, gli amici e gli stessi amanti provano timore. Perciò questo punto è da lasciar perdere, dato che è evidente, e bisogna passare invece a quello successivo, cioè quale vantaggio o quale danno arrecherà ai nostri beni la compagnia e la protezione di chi ama. è chiaro a chiunque, ma soprattutto all'amante, che egli si augurerebbe più d'ogni altra cosa che l'amato fosse orbo dei beni più cari, più preziosi e più divini; accetterebbe che rimanesse privo di padre, madre, parenti e amici, ritenendoli causa d'impedimento e biasimo della dolcissima compagnia che ha con lui. E se possiede sostanze in oro o altri beni, egli penserà che non sia facile da conquistare né, una volta conquistato, trattabile; ne consegue inevitabilmente che l'amante provi gelosia se l'oggetto del suo amore possiede delle sostanze, e gioisca se le perde. Inoltre l'amante si augurerà che l'amato sia senza moglie, senza figli e senza casa il più a lungo possibile, poiché brama di cogliere il più a lungo possibile il frutto della sua dolcezza. Ci sono altri mali ancora, ma un dio ha mescolato alla maggior parte di essi un piacere momentaneo; per esempio all'adulatore, bestia terribile e fonte di grande danno, la natura ha comunque mescolato un piacere non privo di gusto. E così qualcuno può biasimare come rovinosa un'etera o molte altre creature e attività del genere, che almeno per un giorno possono essere occasione di grandissimo piacere; ma per l'amato la compagnia quotidiana dell'amante, oltre al danno che arreca, è la cosa di tutte più spiacevole. Infatti, come recita l'antico proverbio, il coetaneo si diletta del coetaneo (credo infatti che l'avere gli stessi anni conduca agli stessi piaceri e procuri amicizia in virtù della somiglianza); tuttavia anche il loro stare insieme genera sazietà. Inoltre si dice che la costrizione è pesante per chiunque in qualsiasi circostanza: ed è proprio questo il rapporto che, oltre alla differenza d'età, l'amante ha con il suo amato. Infatti, quando uno più vecchio sta assieme a uno più giovane, non lo lascia volentieri né di giorno né di notte, ma è tormentato da una necessità e da un pungolo che lo conduce a destra e a manca procurandogli di continuo piaceri a vedere, ascoltare, toccare l'amato e a provare tutto ciò che lui prova, sì da mettersi strettamente e con piacere al suo servizio. Ma quale conforto o quali piaceri darà all'amato per evitare che questi, stando con lui per lo stesso periodo di tempo, arrivi al colmo del disgusto? Quando quello vedrà un volto invecchiato e non più in fiore, con tutte le conseguenze già spiacevoli da udire a parole, per non parlare poi se ci si trova nella necessità di avere a che fare con esse; quando dovrà guardarsi in ogni momento e con tutti da custodi sospettosi e sentirà elogi inopportuni ed esagerati, come anche insulti già insopportabili se l'amante è sobrio, vergognosi oltre ogni sopportazione se è ubriaco e indulge a una libertà di linguaggio stucchevole e assoluta? E se quando è innamorato e dannoso e spiacevole, una volta che l'amore è finito sarà inaffidabile per il tempo a venire, in prospettiva del quale era riuscito a malapena, con molte promesse condite di infiniti giuramenti e preghiere e in virtù della speranza di beni futuri, a mantenere il legame già allora faticoso da sopportare. E allora, quando bisogna pagare il debito, dato che dentro di sé ha cambiato padrone e signore, e assennatezza e temperanza hanno preso il posto di amore e follia, è divenuto un altro senza che il suo amato se ne sia accorto. Questi, ricordandosi di quanto era stato fatto e detto e pensando di parlare ancora con la stessa persona, chiede che gli siano ricambiati i favori resi allora; quello per la vergogna non ha il coraggio di dire che è diventato un altro, né sa come mantenere i giuramenti e le promesse fatte sotto la dissennata signoria precedente, dato che ormai ha riacquistato il senno e la temperanza, per non ridiventare simile a quello che era prima, se non addirittura lo stesso di prima, facendo le stesse cose. Perciò diventa un fuggiasco, e poiché l'amante di prima ora è di necessita reo di frode, invertite le parti, muta il suo stato e si dà alla fuga. L'altro è costretto a inseguire tra lo sdegno e le imprecazioni, poiché non ha capito tutto fin dal principio, cioè che non avrebbe mai dovuto compiacere chi ama e di necessità è privo di senno, ma ben più chi non ama ed è assennato; altrimenti sarebbe inevitabile concedersi a una persona infida, difficile di carattere, gelosa, spiacevole, danno sa per le proprie ricchezze, dannosa per la costituzione fisica, ma dannosa nel modo più assoluto per l'educazione dell'anima, della quale in tutta verità non c'è e mai ci sarà cosa di maggior valore né per gli uomini né per gli dèi. Pertanto, ragazzo, bisogna intendere bene questo, e sapere che l'amicizia di un amante non nasce assieme alla benevolenza, ma alla maniera del cibo, per saziarsi; come i lupi amano gli agnelli, così gli amanti hanno caro un fanciullo». Questo è quanto, Fedro. Non mi sentirai dire di più, ma considera ormai finito il discorso. FEDRO: Eppure io credevo che fosse a metà, e che tu avresti speso uguali parole per chi non ama, dicendo che bisogna piuttosto compiacere lui e indicando quanti beni ne derivano; ma ora perché smetti, Socrate? SOCRATE: Non ti sei accorto, beato, che ormai pronuncio versi epici e non più ditirambi, proprio mentre muovo questi rimproveri? Se comincerò a elogiare l'altro, cosa credi che farò? Non lo sai che sarei certamente invasato dalle Ninfe, alle quali tu mi hai gettato deliberatamente in balia? Perciò in una parola ti dico che quanti sono i mali che abbiamo biasimato nell'uno tanti sono i beni, ad essi opposti, che si trovano nell'altro. E che bisogno c'è di un lungo discorso? Di entrambi si è detto abbastanza. Così il racconto avrà la sorte che gli spetta; e io, attraversato questo fiume, me ne torno indietro prima di essere costretto da te a qualcosa di più grande. FEDRO: Non ancora, Socrate, non prima che sia passata la calura. Non vedi che è all'incirca mezzogiorno, l'ora che viene chiamata immota? Ma restiamo a discutere sulle cose che abbiamo detto; non appena farà più fresco, ce ne andremo. SOCRATE: Quanto ai discorsi sei divino, Fedro, e semplicemente straordinario. Io penso che di tutti i discorsi prodotti durante la tua vita nessuno ne abbia fatto nascere più di te, o perché li pronunci di persona o perché costringi in qualche modo altri a pronunciarli (faccio eccezione per Simmia il Tebano, ma gli altri li vinci di gran lunga). E ora mi sembra che tu sia stato la causa di un mio nuovo discorso. FEDRO: Allora non mi dichiari guerra! Ma come, e qual è questo discorso? SOCRATE: Quando stavo per attraversare il fiume, caro amico, si è manifestato quel segno divino che è solito manifestarsi a me e che mi trattiene sempre da ciò che sto per fare. E mi è parso di udire proprio da lì una certa voce che non mi permette di andare via prima d'essermi purificato, come se avessi commesso qualche colpa verso la divinità. In effetti sono un indovino, per la verità non molto bravo, ma, come chi sa a malapena scrivere, valido solo per me stesso; perciò comprendo chiaramente qual è la colpa. Perché anche l'anima, caro amico, ha un che di divinatorio; infatti mi ha turbato anche prima, mentre pronunciavo il discorso, e in qualche modo temevo, come dice Ibico, che «commesso un fallo» nei confronti degli dèi «consegua fama invece tra gli umani. Ma ora mi sono reso conto della colpa. FEDRO: Che cosa dici? SOCRATE: Terribile, Fedro, terribile è il discorso che tu hai portato, come quello che poi mi hai costretto a dire! FEDRO: E perché? SOCRATE: è sciocco e sotto un certo aspetto empio. Quale discorso potrebbe essere più terribile di questo? FEDRO: Nessuno, se tu dici il vero. SOCRATE: E allora? Non credi che Eros sia figlio di Afrodite e sia una creatura divina? FEDRO: Così almeno si dice. SOCRATE: Ma non è detto da Lisia, né dal tuo discorso, che è stato pronunciato tramite la mia bocca ammaliata da te. E se Eros è, come appunto è, un dio o un che di divino, non sarebbe affatto un male, e invece i due discorsi pronunciati ora su di lui ne parlavano come se fosse un male; in questo dunque hanno commesso una colpa nei confronti dì Eros. Inoltre la loro semplicità è proprio graziosa, poiché senza dire niente di sano né di vero si danno delle arie come se fossero chissà cosa, se ingannando alcuni omiciattoli troveranno fama presso di loro. Pertanto io, caro amico, ho la necessità di purificarmi; per coloro che commettono delle colpe nei confronti del mito c'è un antico rito purificatorio, che Omero non conobbe, ma Stesicoro sì . Costui infatti, privato della vista per aver diffamato Elena, non ne ignorò la causa come Omero, ma da amante alle Muse quale era la capì e subito compose questi versi: Questo discorso non è veritiero, non navigasti sulle navi ben costrutte, non arrivasti alla troiana Pergamo. E dopo aver composto l'intero carme chiamato Palinodia gli tornò immediatamente la vista. Io pertanto sarò più saggio di loro almeno sotto questo aspetto: prima di incorrere in un male per aver diffamato Eros tenterò di offrirgli in cambio la mia palinodia, col capo scoperto e non velato come allora per la vergogna. FEDRO: Non avresti potuto dirmi cose più dolci di queste, Socrate. SOCRATE: Veramente, caro Fedro, tu intendi con quale impudenza siano stati pronunciati i due discorsi, il mio e quello ricavato dal libro. Se un uomo dall'indole nobile e affabile, che fosse innamorato di uno come lui o lo fosse stato in precedenza, ci ascoltasse mentre diciamo che gli amanti sollevano grandi inimicizie per futili motivi e sono gelosi e dannosi nei confronti dei loro amati, non credi che avrebbe l'impressione di ascoltare persone allevate in mezzo ai marinai e che non hanno mai visto un amore libero, e sarebbe ben lungi dal convenire con noi sui rimproveri che muoviamo ad Eros? FEDRO: Per Zeus, forse sì , Socrate. SOCRATE: Io dunque, per vergogna nei suoi confronti e per timore dello stesso Eros, desidero sciacquarmi dalla salsedine che impregna il mio udito con un discorso d'acqua dolce; e consiglio anche a Lisia di scrivere il più in fretta possibile che, a parità di condizioni, conviene compiacere più un amante che chi non ama. FEDRO: Ma sappi bene che sarà così : quando avrai pronunciato l'elogio dell'amante, sarà inevitabile che Lisia venga costretto da me a scrivere un altro discorso sullo stesso argomento. SOCRATE: Confido in ciò, finché sarai quello che sei. FEDRO: Fatti coraggio, dunque, e parla. SOCRATE: Dov'è il ragazzo a cui parlavo? Faccia in modo di ascoltare anche questo discorso e non conceda con troppa fretta i suoi favori a chi non ama per non aver udito le mie parole. FEDRO: Questo ragazzo è accanto a te, molto vicino, ogni qualvolta tu voglia. SOCRATE: Allora, mio bel ragazzo, tieni presente che il discorso di prima era di Fedro figlio di Pitocle, del demo di Mirrinunte, mentre quello che mi accingo a dire è di Stesicoro di Imera, figlio di Eufemo. Bisogna dunque parlare così : «Non è veritiero il discorso secondo il quale anche in presenza di un amante si deve piuttosto compiacere chi non ama, per il fatto che l'uno è in preda a "mania", l'altro è assennato. Se infatti l'essere in preda a mania fosse un male puro e semplice, sarebbe ben detto; ora però i beni più grandi ci vengono dalla mania, appunto in virtù di un dono divino. Infatti la profetessa di Delfi e le sacerdotesse di Dodona,(29) quando erano prese da mania, procurarono alla Grecia molti e grandi vantaggi pubblici e privati, mentre quando erano assennate giovarono poco o nulla. E se parlassimo della Sibilla e di tutti gli altri che, avvalendosi dell'arte mantica ispirata da un dio, con le loro predizioni in molti casi indirizzarono bene molte persone verso il futuro, ci dilungheremmo dicendo cose note a tutti. Merita certamente di essere addotto come testimonianza il fatto che tra gli antichi coloro che coniavano i nomi non ritenevano la mania una cosa vergognosa o riprovevole; altrimenti non avrebbero chiamato "manica" l'arte più bella, con la quale si discerne il futuro, applicandovi proprio questo nome. Ma considerandola una cosa bella quando nasca per sorte divina, le imposero questo nome, mentre gli uomini d'oggi, inesperti del bello, aggiungendo la "t" l'hanno chiamata "mantica". Così anche la ricerca del futuro che fanno gli uomini assennati mediante il volo degli uccelli e gli altri segni del cielo, dal momento che tramite l'intelletto procurano assennatezza e cognizione alla "oiesi", cioè alla credenza umana, la denominarono "oionoistica", mentre i contemporanei, volendola nobilitare con la "o" lunga, la chiamano oionistica. Perciò, quanto più l'arte mantica è perfetta e onorata della oionistica, e il nome e l'opera dell'una rispetto al nome e all'opera dell'altra, tanto più bella, secondo la testimonianza degli antichi, è la mania che viene da un dio rispetto all'assennatezza che viene dagli uomini. Ma la mania, sorgendo e profetando in coloro in cui doveva manifestarsi, trovò una via di scampo anche dalle malattie e dalle pene più gravi, che da qualche parte si abbattono su alcune stirpi a causa di antiche colpe, ricorrendo alle preghiere e al culto degli dèi; quindi, attraverso purificazioni e iniziazioni, rese immune chi la possedeva per il tempo presente e futuro, avendo trovato una liberazione dai mali presenti per chi era in preda a mania e invasamento divino nel modo giusto. Al terzo posto vengono l'invasamento e la mania provenienti dalle Muse, che impossessandosi di un'anima tenera e pura la destano e la colmano di furore bacchico in canti e altri componimenti poetici, e celebrando innumerevoli opere degli antichi educano i posteri. Chi invece giunge alle porte della poesia senza 8  Platone Fedro  la mania delle Muse, convinto che sarà un poeta valente grazie all'arte, resta incompiuto e la poesia di chi è in senno è oscurata da quella di chi si trova in preda a mania. Queste, e altre ancora, sono le belle opere di una mania proveniente dagli dèi che ti posso elencare. Pertanto non dobbiamo aver paura di ciò, né deve sconvolgerci un discorso che cerchi di intimorirci asserendo che si deve preferire come amico l'uomo assennato a quello in stato di eccitazione; ma il mio discorso dovrà riportare la vittoria dimostrando, oltre a quanto detto prima, che l'amore non è inviato dagli dèi all'amante e all'amato perché ne traggano giovamento. Noi dobbiamo invece dimostrare il contrario, cioè che tale mania è concessa dagli dèi per la nostra più grande felicità; e la dimostrazione non sarà persuasiva per i valent'uomini, ma lo sarà per i sapienti. Prima di tutto dunque bisogna intendere la verità riguardo alla natura dell'anima divina e umana, considerando le sue condizioni e le sue opere. L'inizio della dimostrazione è il seguente. Ogni anima è immortale. Infatti ciò che sempre si muove è immortale, mentre ciò che muove altro e da altro è mosso termina la sua vita quando termina il suo movimento. Soltanto ciò che muove se stesso, dal momento che non lascia se stesso, non cessa mai di muoversi, ma è fonte e principio di movimento anche per tutte le altre cose dotate di movimento. Il principio però non è generato. Infatti è necessario che tutto ciò che nasce si generi da un principio, ma quest'ultimo non abbia origine da qualcosa, poiché se un principio nascesse da qualcosa non sarebbe più un principio. E poiché non è generato, è necessario che sia anche incorrotto; infatti, se un principio perisce, né esso nascerà da qualcosa né altra cosa da esso, dato che ogni cosa deve nascere da un principio. Così principio di movimento è ciò che muove se stesso. Esso non può né perire né nascere, altrimenti tutto il cielo e tutta la terra, riuniti in corpo unico, resterebbero immobili e non avrebbero più ciò da cui ricevere di nuovo nascita e movimento. Una volta stabilito che ciò che si muove da sé è immortale, non si proverà vergogna a dire che proprio questa è l'essenza e la definizione dell'anima. Infatti ogni corpo a cui l'essere in movimento proviene dall'esterno è inanimato, mentre quello cui tale facoltà proviene dall'interno, cioè da se stesso, è animato, poiché la natura dell'anima è questa; ma se è così , ovvero se ciò che muove se stesso non può essere altro che l'anima, di necessità l'anima sarà ingenerata e immortale. Sulla sua immortalità si è detto a sufficienza; sulla sua idea bisogna dire quanto segue. Spiegare quale sia, sarebbe proprio di un'esposizione divina sotto ogni aspetto e lunga, dire invece a che cosa assomigli, è proprio di un'esposizione umana e più breve; parliamone dunque in questa maniera. Si immagini l'anima simile a una forza costituita per sua natura da una biga alata e da un auriga.  I cavalli e gli aurighi degli dèi sono tutti buoni e nati da buoni, quelli degli altri sono misti. E innanzitutto l'auriga che è in noi guida un carro a due, poi dei due cavalli uno è bello, buono e nato da cavalli d'ugual specie, l'altro è contrario e nato da stirpe contraria; perciò la guida, per quanto ci riguarda, è di necessità difficile e molesta. Quindi bisogna cercare di definire in che senso il vivente è stato chiamato mortale e immortale. Ogni anima si prende cura di tutto ciò che è inanimato e gira tutto il cielo ora in una forma, ora nell'altra. Se è perfetta e alata, essa vola in alto e governa tutto il mondo, se invece ha perduto le ali viene trascinata giù finché non s'aggrappa a qualcosa di solido; qui stabilisce la sua dimora e assume un corpo terreno, che per la forza derivata da essa sembra muoversi da sé. Questo insieme, composto di anima e corpo, fu chiamato vivente ed ebbe il soprannome di mortale. Viceversa ciò che è immortale non può essere spiegato con un solo discorso razionale, ma senza averlo visto e inteso in maniera adeguata ci figuriamo un dio, un essere vivente e immortale, fornito di un'anima e di un corpo eternamente connaturati. Ma di queste cose si pensi e si dica così come piace al dio; noi cerchiamo di cogliere la causa della perdita delle ali, per la quale esse si staccano dall'anima. E la causa è all'incirca questa. La potenza dell'ala tende per sua natura a portare in alto ciò che è pesante, sollevandolo dove abita la stirpe degli dèi, e in certo modo partecipa del divino più di tutte le cose inerenti il corpo. Il divino è bello, sapiente, buono, e tutto ciò che è tale; da queste qualità l'ala dell'anima e nutrita e accresciuta in sommo grado, mentre viene consunta e rovinata da ciò che è brutto, cattivo e contrario ad esse. Zeus, il grande sovrano che è in cielo, procede per primo alla guida del carro alato, dà ordine a tutto e di tutto si prende cura; lo segue un esercito di dèi e di demoni, ordinato in undici schiere. La sola Estia resta nella dimora degli dèi; quanto agli altri dèi, quelli che in numero di dodici sono stati posti come capi guidano ciascuno la propria schiera secondo l'ordine assegnato. Molte e beate sono le visioni e i percorsi entro il cielo, per i quali si volge la stirpe degli dèi eternamente felici, adempiendo ciascuno il proprio compito. E tiene dietro a loro chi sempre lo vuole e lo può; infatti l'invidia sta fuori del coro divino. Quando poi vanno a banchetto per nutrirsi, procedono in ardua salita verso la sommità della volta celeste, dove i carri degli dèi, ben equilibrati e agili da guidare, procedono facilmente, gli altri invece a fatica; infatti il cavallo che partecipa del male si inclina, e piegando verso terra grava col suo peso l'auriga che non l'ha allevato bene. Qui all'anima si presenta la fatica e la prova suprema. Infatti quelle che sono chiamate immortali, una volta giunte alla sommità, procedono al di fuori posandosi sul dorso del cielo, la cui rotazione le trasporta in questa posa, mentre esse contemplano ciò che sta fuori del cielo. Nessuno dei poeti di quaggiù ha mai cantato né mai canterà in modo degno il luogo iperuranio. La cosa sta in questo modo (bisogna infatti avere il coraggio di dire il vero, tanto più se si parla della verità): l'essere che realmente è, senza colore, senza forma e invisibile, che può essere contemplato solo dall'intelletto timoniere dell'anima e intorno al quale verte il genere della vera conoscenza, occupa questo luogo. Poiché dunque la mente di un dio è nutrita da un intelletto e da una scienza pura, anche quella di ogni anima cui preme di ricevere ciò che conviene si appaga di vedere dopo un certo tempo l'essere, e contemplando il vero se ne nutre e ne gode, finché la rotazione ciclica del cielo non l'abbia riportata allo stesso punto. Nel giro che essa compie vede la giustizia stessa, vede la temperanza, vede la scienza, 9  Platone Fedro  non quella cui è connesso il divenire, e neppure quella che in certo modo è altra perché si fonda su altre cose da quelle che ora noi chiamiamo esseri, ma quella scienza che si fonda su ciò che è realmente essere; e dopo che ha contemplato allo stesso modo gli altri esseri che realmente sono e se ne è saziata, si immerge nuovamente all'interno del cielo e fa ritorno alla sua dimora. Una volta arrivata l'auriga, condotti i cavalli alla mangiatoia, mette innanzi a loro ambrosia e in più dà loro da bere del nettare. Questa è la vita degli dèi. Quanto alle altre anime, l'una, seguendo nel migliore dei modi il dio e rendendosi simile a lui, solleva il capo dell'auriga verso il luogo fuori del cielo e viene trasportata nella sua rotazione, ma essendo turbata dai cavalli vede a fatica gli esseri; l'altra ora solleva il capo, ora piega verso il basso, e poiché i cavalli la costringono a forza riesce a vedere alcuni esseri, altri no. Seguono le altre anime, che aspirano tutte quante a salire in alto, ma non essendone capaci vengono sommerse e trasportate tutt'intorno, calpestandosi tra loro, accalcandosi e cercando di arrivare una prima dell'altra. Nasce così una confusione e una lotta condita del massimo sudore, nella quale per lo scarso valore degli aurighi molte anime restano azzoppate, e a molte altre si spezzano molte penne; tutte, data la grande fatica, se ne partono senza aver raggiunto la contemplazione dell'essere e una volta tornate indietro si nutrono del cibo dell'opinione. La ragione per cui esse mettono tanto impegno per vedere dov'è sita la pianura della verità è questa: il cibo adatto alla parte migliore dell'anima viene dal prato che si trova là, e di esso si nutre la natura dell'ala con cui l'anima si solleva in volo. Questa è la legge di Adrastea.(35) L'anima che, divenuta seguace del dio, abbia visto qualcuna delle verità, non subisce danno fino al giro successivo, e se riesce a fare ciò ogni volta, resta intatta per sempre; qualora invece, non riuscendo a tenere dietro al dio, non abbia visto, e per qualche accidente, riempitasi di oblio e di ignavia, sia appesantita e a causa del suo peso perda le ali e cada sulla terra, allora è legge che essa non si trapianti in alcuna natura animale nella prima generazione. Invece l'anima che ha visto il maggior numero di esseri si trapianterà nel seme di un uomo destinato a diventare filosofo o amante del bello o seguace delle Muse o incline all'amore. L'anima che viene per seconda si trapianterà in un re rispettoso delle leggi o in un uomo atto alla guerra e al comando, quella che viene per terza in un uomo atto ad amministrare lo Stato o la casa o le ricchezze, la quarta in un uomo che sarà amante delle fatiche o degli esercizi ginnici o esperto nella cura del corpo, la quinta è destinata ad avere la vita di un indovino o di un iniziatore ai misteri. Alla sesta sarà confacente la vita di un poeta o di qualcun altro di coloro che si occupano dell'imitazione, alla settima la vita di un artigiano o di un contadino, all'ottava la vita di un sofista o di un seduttore del popolo, alla nona quella di un tiranno. Tra tutti questi, chi ha condotto la vita secondo giustizia partecipa di una sorte migliore, chi invece è vissuto contro giustizia, di una peggiore; infatti ciascuna anima non torna nel luogo donde è venuta per diecimila anni, poiché non rimette le ali prima di questo periodo di tempo, tranne quella di colui che ha coltivato la filosofia senza inganno o ha amato i fanciulli secondo filosofia. Queste anime, al terzo giro di mille anni, se hanno scelto per tre volte di seguito una tale vita, rimettono in questo modo le ali e al compiere dei tremila anni tornano indietro. Quanto alle altre, quando giungono al termine della prima vita tocca loro un giudizio, e dopo essere state giudicate le une vanno nei luoghi di espiazione sotto terra a scontare la loro pena, le altre, innalzate dalla Giustizia in un luogo del cielo, trascorrono il tempo in modo corrispondente alla vita che vissero in forma d'uomo. Al millesimo anno le une e le altre, giunte al sorteggio e alla scelta della seconda vita, scelgono quella che ciascuna vuole: qui un'anima umana può anche finire in una vita animale, e chi una volta era stato uomo può ritornare da bestia uomo, poiché l'anima che non ha mai visto la verità non giungerà mai a tale forma. L'uomo infatti deve comprendere in funzione di ciò che viene detto idea, e che muovendo da una molteplicità di sensazioni viene raccolto dal pensiero in unità; questa è la reminiscenza delle cose che un tempo la nostra anima vide nel suo procedere assieme al dio, quando guardò dall'alto ciò che ora definiamo essere e levò il capo verso ciò che realmente è. Perciò giustamente solo l'anima del filosofo mette le ali, poiché grazie al ricordo, secondo le sue facoltà, la sua mente è sempre rivolta alle entità in virtù delle quali un dio è divino. Quindi l'uomo che si avvale rettamente di tali reminiscenze, essendo sempre iniziato a misteri perfetti, diventa lui solo realmente perfetto; dato però che si distacca dalle occupazioni degli uomini e si fa accosto al divino, è ripreso dai più come se delirasse, ma sfugge ai più che è invasato da un dio. Questo dunque è il punto d'arrivo di tutto il discorso sulla quarta forma di mania, quella per cui uno, al vedere la bellezza di quaggiù, ricordandosi della vera bellezza mette nuove ali e desidera levarsi in volo, ma non essendone capace guarda in alto come un uccello, senza curarsi di ciò che sta in basso, e così subisce l'accusa di trovarsi in istato di mania: di tutte le ispirazioni divine questa, per chi la possiede e ha comunanza con essa, è la migliore e deriva dalle cose migliori, e chi ama le persone belle e partecipa di tale mania è chiamato amante. Infatti, come si è detto, ogni anima d'uomo per natura ha contemplato gli esseri, altrimenti non si sarebbe incarnata in un tale vivente. Ma ricordarsi di quegli esseri procedendo dalle cose di quaggiù non è alla portata di ogni anima, né di quelle che allora videro gli esseri di lassù per breve tempo, né di quelle che, cadute qui, hanno avuto una cattiva sorte, al punto che, volte da cattive compagnie all'ingiustizia, obliano le sacre realtà che videro allora. Ne restano poche nelle quali il ricordo si conserva in misura sufficiente: queste, qualora vedano una copia degli esseri di lassù, restano sbigottite e non sono più in sé, ma non sanno cosa sia ciò che provano, perché non ne hanno percezione sufficiente. Così della giustizia, della temperanza e di tutte le altre cose che hanno valore per le anime non c'è splendore alcuno nelle copie di quaggiù, ma soltanto pochi, accostandosi alle immagini, contemplano a fatica, attraverso i loro organi ottusi, la matrice del modello riprodotto. Allora invece si poteva vedere la bellezza nel suo splendore, quando in un coro felice, noi al seguito di Zeus, altri di un altro dio, godemmo di una visione e di una contemplazione beata ed eravamo iniziati a quello che è lecito chiamare il più beato dei misteri, che celebravamo in perfetta integrità e immuni dalla prova di tutti quei mali che dovevano attenderci nel tempo a venire, contemplando nella nostra iniziazione mistica visioni perfette, semplici, immutabili e beate in una luce pura, poiché eravamo purì e non rinchiusi in questo che ora chiamiamo corpo e portiamo in giro con noi, incatenati dentro ad esso come un'ostrica. Queste parole siano un omaggio al ricordo, in virtù del quale, per il desiderio delle cose d'allora, ora si è parlato piuttosto a lungo. Quanto alla bellezza, come si è detto, essa brillava tra le cose di lassù come essere, e noi, tornati qui sulla terra, l'abbiamo colta con la più vivida delle nostre sensazioni, in quanto risplende nel modo più vivido. Per noi infatti la vista è la più acuta delle sensazioni che riceviamo attraverso il corpo, ma essa non ci permette di vedere la saggezza (poiché susciterebbe terribili amori, se giungendo alla nostra vista le offrisse un'immagine di sé così splendente) e le altre realtà degne d'amore. Ora invece soltanto la bellezza ebbe questa sorte, di essere ciò che più di tutto è manifesto e amabile. Chi dunque non è iniziato di recente, o è corrotto, non si innalza con pronto acume da qui a lassù, verso la bellezza in sé, quando contempla ciò che quaggiù porta il suo nome; di conseguenza quando guarda ad essa non la venera, ma consegnandosi al piacere imprende a montare e a generare figli a mo' di quadrupede, e comportandosi con tracotanza non ha timore né vergogna di inseguire un piacere contro natura. Invece chi è iniziato di recente e ha contemplato molto le realtà di allora, quando vede un volto d'aspetto divino che ha ben imitato la bellezza o una qualche forma ideale di corpo, dapprima sente dei brividi e gli sottentra qualcuna delle paure di allora, poi, guardandolo, lo venera come un dio, e se non temesse di acquistarsi fama di eccessiva mania farebbe sacrifici al suo amato come a una statua o a un dio. Al vederlo, lo afferra come una mutazione provocata dai brividi, un sudore e un calore insolito; e ricevuto attraverso gli occhi il flusso della bellezza, prende calore là dove la natura dell'ala si abbevera. Una volta che si è riscaldato si liquefano le parti attorno al punto donde l'ala germoglia, che essendo da tempo tappate a causa della secchezza le impedivano di fiorire. Così , grazie all'afflusso del nutrimento, lo stelo dell'ala si gonfia e prende a crescere dalla radice per tutta la forma dell'anima; un tempo infatti era tutta alata. A questo punto essa ribolle tutta quanta e trabocca, e la stessa sensazione che prova chi mette i denti nel momento in cui essi spuntano, ossia prurito e irritazione alle gengive, la prova anche l'anima di chi comincia a mettere le ali: quando le ali spuntano ribolle e prova un senso di irritazione e solletico. Dunque, quando l'anima, mirando la bellezza del fanciullo, riceve delle parti che da essa provengono e fluiscono (e che appunto per questo sono chiamate flusso d'amore) (36) e ne viene irrigata e scaldata, si riprende dal dolore e si allieta. Quando invece ne è separata e inaridisce, le bocche dei condotti donde spunta fuori l'ala si disseccano e si serrano, impedendone il germoglio; ma esso, rimasto chiuso dentro assieme al flusso d'amore, pulsando come le arterie pizzica nei condotti, ciascun germoglio nel proprio, tanto che l'anima, pungolata tutt'intorno, è presa da assillo e dolore, e tornandole il ricordo della bellezza si allieta. In seguito alla mescolanza di entrambe le cose, l'anima è turbata per la stranezza di ciò che prova e trovandosi senza via d'uscita comincia a smaniare; ed essendo in stato di mania non può né dormire di notte né di giorno restare ferma dov'è, ma corre in preda al desiderio dove crede di poter vedere colui che possiede la bellezza: e una volta che l'ha visto e si è imbevuta del flusso d'amore, libera i condotti che allora si erano ostruiti, riprende fiato e cessa di avere pungoli e dolore, e allora coglie, nel momento presente, il frutto di questo dolcissimo piacere. Perciò non se ne distacca di sua volontà e non tiene in conto nessuno più del suo bello, ma si dimentica di madri, fratelli e di tutti i compagni, e non gli importa nulla se le sue sostanze vanno in rovina perché non se ne cura, anzi disprezza tutte le consuetudini e le convenienze di cui si ornava prima d'allora ed è disposta a servire l'amato e a giacere con lui ovunque gli sia concesso di stare il più vicino possibile al suo desiderio; infatti, oltre a venerarlo, ha trovato in colui che possiede la bellezza l'unico medico dei suoi più grandi travagli. A questa passione cui si rivolge il mio discorso, o bel fanciullo, gli uomini danno il nome di eros, gli dèi invece la chiamano in un modo che a sentirlo, data la tua giovane età, ti metterai ragionevolmente a ridere. Alcuni Omeridi citano due versi, credo presi da poemi segreti, riguardanti Eros, uno dei quali è piuttosto insolente e non del tutto corretto come metro; essi suonano così : I mortali lo chiamano Eros alato, gli immortali Pteros, ché fa crescere l'ali.(37) A questi versi si può credere oppure non credere; non di meno la causa e la sensazione di chi ama è proprio questa. Ora, se chi è stato colto da Eros era uno dei seguaci di Zeus, riesce a sopportare con più fermezza il peso del dio che trae il nome dalle ali; quelli che erano al servizio di Ares e giravano il cielo assieme a lui, quando sono presi da Eros e pensano di subire qualche torto dall'amato, sono sanguinari e pronti a sacrificare se stessi e il proprio amore. Così ciascuno conduce la sua vita in base al dio del cui coro era seguace, onorandolo e imitandolo per quanto gli è possibile, finché resta incorrotto e vive la prima esistenza quaggiù, e in questo modo si accompagna e ha relazione con gli amati e con le altre persone. Quindi ciascuno sceglie tra i belli il suo Eros secondo il proprio carattere, e come fosse un dio gli edifica una specie di statua e l'abbellisce per onorarla e tributarle riti. I seguaci di Zeus cercano il loro amato in chi ha l'anima conforme al loro dio:(38) pertanto guardano se per natura sia filosofo e atto al comando, e quando l'hanno trovato e ne se sono innamorati, fanno di tutto affinché sia effettivamente tale. E se prima non si erano impegnati in un'occupazione del genere, da quel momento vi mettono mano e imparano da dove è loro possibile, continuando poi anche da soli, e seguendo le tracce riescono a trovare per loro conto la natura del proprio dio, perché sono stati intensamente costretti a volgere lo sguardo verso di lui; e quando entrano in contatto con lui sono presi da invasamento e tramite il ricordo ne assumono le abitudini e le occupazioni, per quanto è possibile a un uomo partecipare della natura di un dio. E poiché ne attribuiscono la causa all'amato, lo tengono ancora più caro, e sebbene attingano da Zeus come le Baccanti,(39) riversando ciò che attingono nell'anima dell'amato lo rendono il più possibile simile al loro dio. Coloro che invece erano al seguito di Era cercano un'anima regale, e trovatala fanno per lei esattamente le stesse cose. Quelli del seguito di Apollo e di ciascuno degli altri dèi, procedendo secondo il loro dio, bramano che il proprio fanciullo abbia un'uguale natura, e una volta che se lo sono procurato imitano essi stessi il dio e con la persuasione e 11  Platone Fedro  l'ammaestramento portano l'amato ad assumere l'attività e la forma di quello, ciascuno per quanto può; e lo fanno senza comportarsi nei confronti dell'amato con gelosia o con rozza malevolenza, ma cercando di indurlo alla somiglianza più completa possibile con se stessi e con il dio che onorano. Dunque l'ardore e l'iniziazione di coloro che veramente amano, se ottengono ciò che desiderano nel modo che dico, diventano così belle e felici per chi è amato, qualora venga conquistato dall'amico che si trova in stato di mania per amore; e chi è conquistato cede all'amore in questo modo. Come all'inizio dì questa narrazione in forma di mito abbiamo diviso ciascuna anima in tre parti, due con forma di cavallo, la terza con forma di auriga, questa distinzione resti per noi un punto fermo anche adesso. Uno dei cavalli diciamo che è buono, l'altro no: quale sia però la virtù di quello buono e il vizio di quello cattivo, non l'abbiamo precisato, e ora bisogna dirlo. Dunque, quello tra i due che si trova nella disposizione migliore è di forma eretta e ben strutturata, di collo alto e narici adunche, bianco a vedersi, con gli occhi neri, amante dell'onore unito a temperanza e pudore e compagno della fama veritiera, non ha bisogno di frusta e si lascia guidare solo con lo stimolo e la parola; l'altro invece è storto, grosso, mal conformato, di collo massiccio e corto, col naso schiacciato, il pelo nero, gli occhi chiari e iniettati di sangue, compagno di tracotanza e vanteria, dalle orecchie pelose, sordo, e cede a fatica alla frusta e agli speroni. Quando dunque l'auriga, scorgendo la visione amorosa, prende calore in tutta l'anima per la sensazione che prova ed è ricolmo di solletico e dei pungoli del desiderio, il cavallo che obbedisce docilmente all'auriga, tenuto a freno, allora come sempre, dal pudore, si trattiene dal balzare addosso all'amato; l'altro invece non cura più né i pungoli dell'auriga né la frusta, ma imbizzarrisce e si lancia al galoppo con violenza, e procurando ogni sorta di molestie al compagno di giogo e all'auriga li costringe a dirigersi verso l'amato e a rammentare la dolcezza dei piaceri d'amore. All'inizio essi si oppongono sdegnati, al pensiero dì essere costretti ad azioni terribili e inique; ma alla fine, quando non c'è più alcun limite al male, si lasciano trascinare nel loro percorso, cedendo e acconsentendo a fare quanto viene loro ordinato. Allora si fanno presso a lui e hanno la visione folgorante dell'amato. Scorgendolo, la memoria dell'auriga è ricondotta alla natura della bellezza, che vede di nuovo collocata su un casto piedistallo assieme alla temperanza; a tale vista è colta da paura e per la reverenza che le porta cade supina, e nello stesso tempo è costretta a tirare indietro le redini così forte che entrambi i cavalli si piegano sulle cosce, l'uno, spontaneamente perché non recalcitra, quello protervo decisamente contro voglia. Ritiratisi più lontano, l'uno per vergogna e sbigottimento bagna tutta l'anima di sudore, l'altro, cessato il dolore che gli veniva dal morso e dalla caduta, a fatica riprende fiato e incomincia, pieno d'ira com'è, a ingiuriare, coprendo di male parole l'auriga e il compagno di giogo perché per viltà e debolezza hanno abbandonato il posto e l'accordo convenuto. E costringendoli di nuovo ad avanzare contro la loro volontà a stento cede alle loro preghiere di rimandare a un'altra volta. Quando poi è giunto il tempo stabilito ed essi fingono di non ricordarsene, lo rammenta a loro con la forza, nitrendo e trascinandoli con sé, e li obbliga ad accostarsi di nuovo all'amato per fare i medesimi discorsi; e quando sono vicini tende la testa in avanti e rizza la coda, mordendo il freno, e li trascina con impudenza. L'auriga, sentendo ancora più intensamente la stessa impressione di prima, come respinto dalla fune al cancello di partenza, tira indietro ancora più forte il morso dai denti del cavallo protervo, insanguina la lingua maldicente e le mascelle e piegandogli a terra le gambe e le cosce lo dà in preda ai dolori. Quando poi il cavallo malvagio, subendo la medesima cosa più volte, desiste dalla sua tracotanza, umiliato segue ormai il proposito dell'auriga, e quando vede il bel fanciullo, muore dalla paura; di conseguenza accade che a questo punto l'anima dell'amante segua l'amato con pudicizia e timore. Poiché dunque l'amato, come un essere pari agli dèi, è oggetto di ogni venerazione da parte dell'amante che non simula, ma prova veramente questo sentimento, ed è egli stesso per natura amico di chi lo venera, se anche in precedenza fosse stato ingannato dalle persone che frequentava o da altre, le quali sostenevano che è cosa turpe accostarsi a chi ama, e per questo motivo avesse respinto l'amante, ora, col passare del tempo, l'età e la necessità lo inducono ad ammetterlo alla sua compagnia; infatti non accade mai che un malvagio sia amico di un malvagio, né che un buono non sia amico di un buono. E dopo averlo ammesso presso di sé e avere accettato di parlare con lui e stare in sua compagnia, la benevolenza dell'amante, manifestandosi da vicino, colpisce l'amato, il quale si avvede che tutti gli altri amici e parenti non offrono neppure una parte di amicizia a confronto dell'amico ispirato da un dio. Quando poi questi continua a fare ciò nel tempo e si accompagna all'amato incontrandolo nei ginnasi e negli altri luoghi di ritrovo, allora la fonte di quei flusso che Zeus, innamorato di Ganimede, (40) chiamò flusso d'amore, scorrendo in abbondanza verso l'amante dapprima penetra in lui, poi, quando ne è ricolmo, scorre fuori; e come un soffio di vento o un'eco, rimbalzando da corpi lisci e solidi, ritornano là dov'erano partiti, così il flusso della bellezza ritorna al bel fanciullo attraverso gli occhi, e di qui per sua natura arriva all'anima. Quando vi è giunto la incoraggia a volare, quindi irriga i condotti delle ali e comincia a farle crescere, e così riempie d'amore anche l'anima dell'amato. Pertanto egli ama, ma non sa che cosa; e neppure è a conoscenza di cosa prova né è in grado di dirlo, ma come chi ha contratto una malattia agli occhi da un altro non è in grado di spiegarne la causa, così egli non si accorge di vedere se stesso nell'amante come in uno specchio. E in presenza di questi, il suo dolore cessa esattamente come a lui, se invece è assente allo stesso modo di lui desidera ed è desiderato, perché reca in sé una sembianza d'amore che dell'amore è sostituto: però non lo chiama e non lo crede amore, bensì amicizia. Più o meno come l'amante, ma in misura più debole, desidera vederlo, toccarlo, baciarlo, giacere con lui; e com'è naturale, in seguito non tarda a fare cio. Quando dunque giacciono insieme, il cavallo sfrenato dell'amante ha di che dire all'auriga, e pretende di trarre un piccolo guadagno in cambio di tante fatiche; invece quello dell'amato non ha nulla da dire, ma, gonfio di desiderio e ancora incerto abbraccia e bacia l'amante, manifestandogli affetto per la sua grande benevolenza. Così , nel momento in cui si congiungono, non è più tale da rifiutare di compiacere da parte sua l'amante, se viene pregato di soddisfare; ma il compagno di giogo assieme all'auriga 12  Platone Fedro  si oppone a ciò, obbedendo al pudore e alla ragione. Se dunque prevalgono le parti migliori dell'animo, quelle che guidano a un'esistenza ordinata e alla filosofia, essi trascorrono la vita di quaggiù in modo beato e concorde, poiché sono padroni di sé e ben regolati, avendo sottomesso ciò in cui nasce il male dell'anima e liberato ciò in cui nasce la virtù; e alla fine, divenuti alati e leggeri, hanno vinto una delle tre gare veramente olimpiche, di cui né la temperanza umana né la mania divina possono fornire all'uomo un bene più grande.(41) Se invece seguono un genere di vita piuttosto grossolano e privo di filosofia, ma ambizioso, forse, in stato di ubriachezza o in qualche altro momento di negligenza, i loro due compagni di giogo sfrenati, cogliendo le anime alla sprovvista e portandole nella stessa direzione, possono compiere la scelta che tanti considerano la più beata e mandarla ad effetto; e una volta che l'hanno mandata ad effetto, se ne avvalgono anche in futuro, ma raramente, poiché fanno cose che non sono approvate da tutta l'anima. Anche costoro vivono in amicizia reciproca, ma meno di quelli, sia durante l'amore sia quando ne sono usciti, credendo di essersi dati l'un l'altro e di aver ricevuto i più grandi pegni, che non è lecito sciogliere perché ciò condurrebbe all'inimicizia. Al termine della vita escono dal corpo senz'ali, ma col desiderio di metterle, cosicché riportano un premio non piccolo della loro mania amorosa; infatti non è legge che coloro i quali hanno già iniziato il cammino sotto la volta del cielo scendano di nuovo nella tenebra e camminino sotto terra, bensì che trascorrano una vita luminosa e felice compiendo il viaggio in compagnia reciproca, e che una volta rinati rimettano le ali assieme per grazia dell'amore. Questi doni così grandi e così divini, o fanciullo, ti darà l'amicizia da parte di un amante. Invece la compagnia di chi non ama, mescolata con temperanza mortale, capace di amministrare cose mortali e misere, dopo aver generato nell'anima amata una bassezza lodata dal volgo come virtù, la farà girare priva di senno attorno alla terra e sotto terra per novemila anni. Questa, caro Eros, per le nostre facoltà, è la più bella e virtuosa palinodia che abbiamo potuto offrirti in dono e in espiazione, costretta a causa di Fedro a essere pronunciata, oltre al resto, anche con alcune parole poetiche. Ma tu concedi il perdono per le cose di prima e serba gratitudine per queste, e, benevolo e propizio, non togliermi e non storpiarmì per la collera l'arte amorosa che mi hai dato, anzi concedimi di essere in onore tra i bei fanciulli ancor più di adesso. E se nel discorso precedente io e Fedro abbiamo detto qualcosa che a te suona stonata, attribuiscine la colpa a Lisia, che del discorso è padre, e fallo desistere da simili prolusioni, volgendolo alla filosofia come si è volto suo fratello Polemarco, affinché anche questo suo amante non sia nel dubbio come ora, ma dedichi senz'altro la sua vita ad Eros in compagnia di discorsi filosofici. FEDRO: Mi unisco alla tua preghiera, Socrate: se questo è meglio per noi, che avvenga. Da un pezzo ho ammirato il tuo discorso per quanto l'hai reso più bello del precedente; quindi temo che Lisia mi appaia misero, quand'anche voglia opporre ad esso un altro discorso. Recentemente infatti, mirabile amico, un politico lo biasimava criticandolo proprio per questo, e in tutta la sua critica lo chiamava logografo; perciò forse si tratterrà per ambizione dallo scrivercene un altro. SOCRATE: Ragazzo, la tua opinione è ridicola, e quanto al tuo compagno sbagli di grosso, se credi che si spaventi così al minimo rumore. Ma forse pensi che chi lo biasimava dicesse quello che ha detto proprio per criticarlo. FEDRO: Così pareva, Socrate; del resto sei anche tu conscio che coloro che nelle città hanno il massimo potere e la massima reverenza si vergognano a scrivere discorsi e a lasciare propri scritti, temendo l'opinione dei posteri, cioè di essere chiamati sofisti. SOCRATE: Ti sei scordato, Fedro, che la dolce ansa ha preso il nome dalla lunga ansa del Nilo (44) e oltre all'ansa dimentichi che gli uomini di governo piu assennati amano tantissimo comporre discorsi e lasciare propri scritti, almeno quelli che, quando scrivono un discorso, apprezzano a tal punto chi li loda da aggiungere in testa per primi i nomi di quelli che li devono lodare in ogni singola occasione. FEDRO: In che senso dici ciò? Non capisco. SOCRATE: Non capisci che all'inizio del discorso di un uomo politico per primo viene scritto il nome di chi lo loda! FEDRO: E come? SOCRATE: «Il consiglio ha deciso», dice più o meno, ovvero «il popolo ha deciso», o entrambi, e ancora «il tale e il tal altro ha detto» (e qui lo scrittore cita se stesso con grande reverenza e si fa l'elogio). Poi si mette a parlare, mostrando a chi lo loda la sua abilità, talvolta dopo aver composto uno scritto assai lungo. O ti pare che una cosa del genere sia altro che un discorso scritto? FEDRO: Non mi pare proprio. SOCRATE: Quindi, se il discorso regge, l'autore esce di scena tutto lieto; se invece viene escluso e radiato dallo scrivere discorsi e dall'essere degno di scriverli, piangono lui e i suoi compagni. FEDRO: E anche molto! SOCRATE: è chiaro dunque che non disprezzano questa attività, ma l'ammirano. FEDRO: Sicuro! SOCRATE: E allora? Quando un retore o un re è in grado di raggiungere la potenza di Licurgo, di Solone o di Dario (45) e di diventare un logografo immortale nella sua città, non si crede forse egli stesso pari agli dèi mentre ancora vive, e i posteri non pensano di lui la stessa cosa, contemplando i suoi scritti? FEDRO: Certamente! SOCRATE: Credi allora che uno di costoro, chiunque sia e in qualunque modo sia ostile a Lisia, lo biasimi proprio perché scrive discorsi? 13  Platone Fedro  FEDRO: Non è verosimile, da ciò che dici, poiché a quanto pare criticherebbe anche il proprio desiderio. SOCRATE: Allora è chiaro a tutti che non è cosa turpe in sé lo scrivere discorsi. FEDRO: Ma certo. SOCRATE: Ora però io ritengo turpe questo, il pronunciarli e scriverli in modo non bello, ma riprovevole e disonesto. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: E allora qual è il modo di scriverli bene e quale il modo contrario? Abbiamo bisogno, Fedro, di esaminare a questo proposito Lisia e chiunque altro abbia mai composto o comporrà uno scritto sia pubblico sia privato, in versi come un poeta o non in versi come un prosatore? FEDRO: Chiedi se ne abbiamo bisogno? E per quale ragione uno, oserei dire, vivrebbe, se non per i piaceri di questo tipo? Non certo per quelli per cui bisogna prima soffrire, altrimenti non si prova godimento, come sono quasi tutti i piaceri del corpo, che per questo motivo sono stati giustamente chiamati servili. SOCRATE: Tempo ne abbiamo, a quanto pare. E poi mi sembra che in questa calura soffocante le cicale, cantando sopra la nostra testa e discorrendo tra loro, guardino anche noi. Se dunque vedessero che anche noi due, come fanno i più a mezzogiorno, non discorriamo, ma sonnecchiamo e ci lasciamo incantare da loro per pigrizia della mente, giustamente ci deriderebbero, considerandoci degli schiavi venuti da loro per dormire in questo luogo di sosta come delle pecore che passano il pomeriggio presso la fonte; se invece ci vedranno discorrere e navigare accanto a loro come alle Sirene senza essere ammaliati, forse, prese da ammirazione, ci daranno quel dono che per concessione degli dèi possono dare agli uomini. FEDRO: E qual è questo dono che hanno? A quanto pare, non l'ho mai sentito. SOCRATE: Non si addice davvero a un uomo amante delle Muse non averne mai sentito parlare.(46) Si dice che un tempo le cicale erano uomini, di quelli vissuti prima che nascessero le Muse; quando poi nacquero le Muse e comparve il canto, alcuni di loro restarono così colpiti dal piacere che cantando non si curarono più di cibo e bevanda e senza accorgersene morirono. Da loro in seguito ebbe origine la stirpe delle cicale, che ricevette dalle Muse questo dono, di non aver bisogno di nutrimento fin dalla nascita, ma di cominciare subito a cantare senza cibo né bevanda fino alla morte, e di andare quindi dalle Muse a riferire chi tra gli uomini di quaggiù le onora, e quale di esse onora. A Tersicore riferiscono di quelli che l'hanno onorata nei cori, rendendoli a lei più graditi, a Erato di chi l'ha onorata nei carmi d'amore, e così per le altre, secondo l'onore che ha ciascuna. A Calliope, la più anziana, e a Urania, che viene dopo di lei, riferiscono di quelli che trascorrono la vita nella filosofia e onorano la loro musica, poiché esse, avendo cura del cielo e dei discorsi divini e umani, emettono tra tutte le Muse la voce più bella.(47) Per molte ragioni, quindi, a mezzogiorno bisogna parlare e non dormire. FEDRO: E allora bisogna parlare. SOCRATE: Dobbiamo dunque esaminare quello che ora ci siamo proposti, ossia come è bene pronunciare e scrivere un discorso e come non lo è. FEDRO: è chiaro. SOCRATE: I discorsi che saranno pronunciati in modo bello e decoroso non devono forse implicare che l'animo di chi parla conosca il vero riguardo a ciò di cui intende parlare? FEDRO: A tal proposito, caro Socrate, ho sentito dire questo: per chi vuole essere un retore non c'è la necessità di apprendere ciò che è realmente giusto, ma ciò che sembra giusto alla moltitudine che giudicherà, non ciò che è veramente buono o bello, ma che sembrerà tale, poiché il convincere il prossimo viene da questo, non dalla verità. SOCRATE: «Non parola da buttare»(48) dev'essere, Fedro, ciò che dicono i sapienti, ma si deve esaminare se le loro affermazioni sono valide. Anche per questo non bisogna lasciar cadere quanto ora è stato detto. FEDRO: Hai ragione. SOCRATE: Esaminiamolo dunque in questo modo. FEDRO: Come? SOCRATE: Se volessi persuaderti a difenderti dai nemici acquistando un cavallo, ed entrambi non conoscessimo un cavallo, ma io per caso sapessi di te solo questo, che Fedro reputa sia un cavallo quell'animale domestico che a orecchie assai grandi... FEDRO: Sarebbe ridicolo, Socrate. SOCRATE: Non ancora. Ma lo sarebbe nel caso che, per convincerti sul serio, componessi un discorso di elogio dell'asino chiamandolo cavallo e sostenendo che tale bestia è assolutamente degna di essere acquistata sia per uso domestico sia per le spedizioni militari, utile per il combattimento in groppa, valente a portare bagagli e vantaggiosa in molte altre cose. FEDRO: Allora sarebbe davvero ridicolo. SOCRATE: E non è forse meglio essere ridicolo e amico piuttosto che esperto e nemico? FEDRO: Così pare. SOCRATE: Pertanto, quando il retore che non conosce il bene e il male inizia a persuadere una città che si trova nelle sue stesse condizioni, facendo non l'elogio dell'ombra dell'asino come se fosse del cavallo, ma l'elogio del male come se fosse il bene, e presa dimestichezza con le opinioni della gente la persuade a operare il male anziché il bene, quale frutto credi che mieterà in seguito la retorica da quello che ha seminato? FEDRO: Sicuramente non buono. 14  Platone Fedro  SOCRATE: Ma buon amico, abbiamo forse svillaneggiato l'arte dei discorsi in modo più rozzo del dovuto? Essa forse dirà: «Cosa mai andate cianciando, o mirabili uomini? Io non costringo nessuno che non conosca il vero a imparare a parlare, ma, se il mio consiglio vale qualcosa, a prendere me solo dopo aver acquisito quello. Questa dunque è la cosa importante che vi voglio dire: senza di me, anche chi conosce le cose come sono in realtà non saprà essere più persuasivo secondo arte». FEDRO: E non dirà cose giuste, se parlasse così ? SOCRATE: Sì , se i discorsi che si presentano le rendono testimonianza che è un'arte. In effetti mi sembra di udire alcuni discorsi che vengono a testimoniare che essa mente e non è un'arte, ma una pratica priva di arte. Un'autentica arte del dire senza il tocco della verità, afferma lo Spartano,(49) non esiste né esisterà mai. FEDRO: C'è bisogno di questi discorsi, Socrate: su, portali qui ed esamina cosa dicono e in che modo. SOCRATE: Venite avanti, nobili rampolli, e persuadete Fedro dai bei figli (50) che se non praticherà la filosofia in modo adeguato, non sarà mai in grado di parlare di nulla. Fedro dunque risponda. FEDRO: Chiedete. SOCRATE: La retorica, in generale, non è l'arte di guidare le anime per mezzo di discorsi, non solo nei tribunali e in tutte le altre riunioni pubbliche, ma anche in quelle private, la stessa sia nelle questioni piccole sia in quelle grandi, e non è affatto di maggior pregio, almeno quando è retta, nelle cose serie che in quelle di poco conto? O come hai sentito parlare in proposito? FEDRO: No, per Zeus, assolutamente non così , ma soprattutto nei processi si parla e si scrive con arte, come pure nelle assemblee pubbliche. Non possiedo informazioni più ampie. SOCRATE: Ma allora, a proposito dei discorsi, hai sentito parlare solo delle arti di Nestore e Odisseo, che hanno messo per iscritto a Ilio nei periodi di tregua, e non di quelle di Palamede? (51) FEDRO: Per Zeus, neanche di quelle di Nestore, a meno che tu non faccia di Gorgia un Nestore, o di Trasimaco e Teodoro un Odisseo.(52) SOCRATE: Forse. Ma lasciamo perdere costoro. Tu dimmi piuttosto: nei tribunali gli avversari cosa fanno? Non fanno affermazioni tra loro contrastanti? O cosa diremo? FEDRO: Proprio questo. SOCRATE: Riguardo al giusto e all'ingiusto? FEDRO: Sì . SOCRATE: Allora, chi opera in questo modo con arte, farà apparire la stessa cosa alle stesse persone ora giusta, ora, quando lo voglia, ingiusta? FEDRO: Come no? SOCRATE: E in un'assemblea popolare farà sembrare alla città le stesse cose ora buone, ora, al contrario, cattive? FEDRO: è così . SOCRATE: E non sappiamo che il Palamede di Elea (53) parlava con un'arte tale da far apparire agli ascoltatori le stesse cose simili e dissimili, una e molte, ferme e in movimento? FEDRO: Ma certo! SOCRATE: Dunque l'arte del contraddire non si trova solo nei tribunali e nell'assemblea popolare, ma a quanto pare in tutto ciò che si dice ci sarebbe questa sola arte, se mai la è veramente, con la quale uno sarà capace di rendere ogni cosa simile a ogni altra in tutti i casi possibili e per quanto è possibile, e di mettere in luce quando un altro fa la stessa cosa e lo nasconde. FEDRO: In che senso dici una cosa del genere? 5OCRATE Se cerchiamo in questo modo credo che ci apparirà evidente. L'inganno si verifica di più nelle cose che differiscono di molto o in quelle che differiscono di pOco? FEDRO: In quelle che differiscono di poco. SOCRATE: Ma è più facile che non ti accorga di essere arrivato all'opposto se ti sposti poco per volta che se ti sposti a grandi passi. FEDRO: Come no? SOCRATE: Dunque chi ha intenzione di ingannare un altro senza essere ingannato a sua volta deve distinguere con precisione la somiglianza e la dissomiglianza degli esseri. FEDRO: è necessario. SOCRATE: Ma se ignora la verità di ciascuna cosa, sarà mai in grado di discernere la somiglianza dì ciò che ignora, piccola o grande che sia, con le altre cose? FEDRO: Impossibile. SOCRATE: Dunque, in coloro che hanno opinioni contrarie alla realtà degli esseri e si ingannano, è chiaro che questa impressione si insinua attraverso certe somiglianze. FEDRO: Accade proprio così . SOCRATE: è possibile allora che uno possieda l'arte di spostare poco a poco la realtà di un essere attraverso le somiglianze, conducendolo ogni volta da ciò che è al suo contrario, o viceversa di evitare questo, se non ha cognizione di cosa sia ciascun essere? FEDRO: Non sarà mai possibile. SOCRATE: Dunque, amico, colui che non conosce la verità, ma è andato a caccia di opinioni, ci offrirà un'arte dei discorsi ridicola, a quanto pare, e priva di arte. FEDRO: Pare di sì . 15  Platone Fedro  SOCRATE: Vuoi dunque vedere, nel discorso di Lisia che porti e in quelli che noi abbiamo fatto, qualcuna delle cose che definiamo prive di arte e conformi all'arte? FEDRO: Più d'ogni altra cosa, poiché ora noi parliamo in certo qual modo a vuoto, non avendo esempi adeguati. SOCRATE: E per un caso fortunato, a quanto pare, sono stati pronunciati due discorsi che recano un esempio di come chi conosce il vero, giocando con le parole, possa condurre fuori strada gli ascoltatori. Ed io, Fedro, ne attribuisco la causa agli dèi del luogo; ma forse anche le profetesse delle Muse, che cantano sopra la nostra testa, possono averci ispirato questo dono, poiché io non sono certo partecipe di una qualche arte del dire. FEDRO: Sia come dici tu. Solo spiega ciò che affermi. SOCRATE: Su, leggimi l'inizio del discorso di Lisia. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia per noi utile che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono...» SOCRATE: Fermati. Bisogna dire in che cosa costui sbaglia e opera senz'arte, non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Non è forse evidente per chiunque almeno questo, che siamo d'accordo su alcune di queste cose, in disaccordo su altre? FEDRO: Mi sembra di capire il tuo pensiero, ma esprimilo ancora più chiaramente. SOCRATE: Quando uno dice la parola "ferro" o "argento", non intendiamo forse tutti la stessa cosa? FEDRO: Certo! SOCRATE: E quando si tratta dei termini "giusto" e "bene"? Non siamo portati chi in una direzione, chi in un'altra, e siamo in conflitto gli uni con gli altri e persino con noi stessi? FEDRO: Proprio così ! SOCRATE: Dunque concordiamo su alcune cose, su altre no. FEDRO: è così . SOCRATE: In quale dei due campi siamo più facilmente ingannabili e la retorica ha maggior potere? FEDRO: Quello in cui vaghiamo nell'incertezza, è evidente. SOCRATE: Pertanto chi si accinge a praticare la retorica deve innanzitutto aver distinto con metodo queste cose e aver colto un carattere peculiare di entrambe le forme, quella in cui è inevitabile che la gente vaghi nell'incertezza e quella in cui non lo è. FEDRO: Chi avesse colto questo, Socrate, avrebbe compreso un'idea davvero bella. SOCRATE: Inoltre credo che, nell'occuparsi di ciascuna cosa, non debba lasciarsi sfuggire, ma debba percepire con acutezza a quale delle due specie appartiene ciò di cui intende parlare. FEDRO: Come no? SOCRATE: E allora? Dobbiamo dire che l'amore appartiene alle questioni controverse oppure no? FEDRO: Alle questioni controverse, non c'è dubbio. O credi che ti sarebbe stato possibile dire quello che poco fa hai detto su di lui, ossia che è un danno sia per l'amato sia l'amante, e al contrario che è il più grande dei beni? SOCRATE: Parli in modo eccellente; ma dimmi anche questo, giacché io a causa dell'invasamento non lo ricordo troppo bene: se all'inizio del discorso ho dato una definizione dell'amore. FEDRO: Sì , per Zeus, in modo davvero insuperabile. SOCRATE: Ahimè, quanto sono più esperte nei discorsi, a quel che dici, dici, le Ninfe dell'Acheloo e Pan figlio di Ermes rispetto a Lisia figlio di Cefalo! Può darsi che dica una sciocchezza, ma Lisia, cominciando il suo discorso sull'amore, non ci ha costretto a concepire Eros come una certa realtà unica che voleva lui, e in relazione a questo ha composto e condotto a termine tutto il discorso seguente? Vuoi che rileggiamo il suo inizio? FEDRO: Se ti sembra il caso. Tuttavia ciò che cerchi non è lì . SOCRATE: Parla, in modo che ascolti proprio lui. FEDRO: «Sei a conoscenza della mia situazione, e hai udito che ritengo sia utile per noi che queste cose accadano; ma non stimo giusto non poter ottenere ciò che chiedo, perché non mi trovo a essere tuo amante. Gli innamorati si pentono dei benefici che hanno fatto, allorquando cessa la loro passione...». SOCRATE: Sembra che costui sia ben lungi dal fare ciò che cerchiamo, se mette mano al discorso non dall'inizio ma dalle fine, nuotando supino all'indietro, e prende le mosse da ciò che l'amante direbbe al suo amato quando ormai ha smesso di amarlo. Oppure ho detto una sciocchezza, Fedro, mia testa cara? FEDRO: è certamente la fine, Socrate, quella intorno a cui compone il discorso. SOCRATE: E il resto? Non ti pare che le parti del discorso siano state buttate lì alla rinfusa? O ciò che è stato detto per secondo risulta che per una qualche necessità doveva essere messo per secondo piuttosto che un altro degli argomenti trattati? A me, che non so nulla, è sembrato che lo scrittore abbia detto in maniera non rozza ciò che gli veniva in mente; e tu sei a conoscenza di una qualche arte di scrivere discorsi, in base alla quale lui ha disposto questi argomenti così di seguito, uno dopo l'altro? FEDRO: Sei troppo buono, se credi che io sia in grado di vedere nelle sue parole in modo così preciso! SOCRATE: Ma penso che tu possa dire almeno questo, che ogni discorso dev'essere costituito come un essere vivente e avere un corpo suo proprio, così da non essere senza testa e senza piedi, ma da avere le parti di mezzo e quelle estreme scritte in modo che si adattino le une alle altre e al tutto. FEDRO: Come no? 16  Platone Fedro  SOCRATE: Esamina dunque il discorso del tuo compagno, se è composto così o in altro modo, e troverai che non differisce in nulla dall'epigramma che secondo alcuni è stato scritto sulla tomba di Mida il Frigio.(54) FEDRO: Qual è questo epigramma, e cos'ha di particolare? SOCRATE: è questo qui: Vergine bronzea sono, e sto sull'avello di Mida. Fin che l'acqua scorra e alberi grandi verdeggino, stando qui sulla tomba di molte lacrime aspersa, annuncerò a chi passa che Mida qui è sepolto. Capisci senz'altro, come credo, che non c'è alcuna differenza se un verso viene recitato per primo o per ultimo. FEDRO: Tu ti fai beffe del nostro discorso, Socrate! SOCRATE: Allora lasciamolo perdere, così non ti crucci (eppure mi sembra che contenga parecchi esempi ai quali gioverebbe porre attenzione, cercando di non imitarli in alcun modo); e passiamo agli altri due discorsi. In essi, mi sembra, c'era qualcosa che per chi vuole fare indagini sui discorsi è conveniente esaminare. FEDRO: A che cosa alludi? SOCRATE: In qualche modo erano opposti: uno diceva che si deve compiacere chi ama, l'altro chi non ama. FEDRO: E con molto vigore! SOCRATE: Pensavo che tu avresti detto il vero, cioè con mania: ciò che cercavo è appunto questo. Abbiamo detto infatti che l'amore è una forma di mania. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: E che ci sono due forme di mania, una che nasce da malattie umane, l'altra che nasce da un mutamento divino delle consuete abitudini. FEDRO: Giusto. SOCRATE: Distinguendo quattro parti di quella divina in relazione a quattro dèi, abbiamo attribuito l'ispirazione mantica ad Apollo, quella iniziatica a Dioniso, quella poetica alle Muse, la quarta ad Afrodite ed Eros, e abbiamo detto che la mania amorosa è la migliore. E non so come, rappresentando con immagini la passione amorosa, forse toccando da un lato un che di vero, dall'altro uscendo un po' di strada, abbiamo composto un discorso non del tutto incapace di persuadere e abbiamo levato quasi per gioco, con parole misurate e pie, un inno in forma di mito in onore di Eros, mio e tuo signore, Fedro, e protettore dei bei giovani. FEDRO: E almeno per me, un discorso davvero non spiacevole da ascoltare! SOCRATE: Prendiamo dunque in esame solo questo, come il discorso sia potuto passare dal biasimo alla lode. FEDRO: Cosa intendi dire con ciò? SOCRATE: A me pare che il resto sia stato fatto realmente per gioco; ma in alcune di queste cose dette a caso ci sono due procedimenti di cui non sarebbe spiacevole se si riuscisse a coglierne con arte la potenza. FEDRO: Quali? SOCRATE: Il primo consiste nel ricondurre le cose disperse in molteplici modi a un'unica idea cogliendole in uno sguardo d'insieme, così da definirle una per una e da chiarire ciò su cui si vuole di volta in volta insegnare. Per esempio, nel discorso fatto poco fa su Eros, una volta definito ciò che è, a prescindere se sia stato detto bene o male, è appunto grazie a questa definizione che il discorso ha acquistato chiarezza e coerenza interna. FEDRO: E dell'altro procedimento cosa dici, SOcrate? SOCRATE: Esso consiste, al contrario, nel saper dividere secondo le idee in base alle loro articolazioni naturali, senza cercar di spezzare alcuna parte, alla maniera di un cattivo macellaio; ma come i due discorsi di poco fa concepivano la dissennatezza dell'animo come un'idea unica in comune, e come da un corpo unico hanno origine membra doppie dallo stesso nome, chiamate destra e sinistra, così i due discorsi hanno considerato anche la componente della follia come un'idea per sua natura unica in noi: il primo discorso, tagliando la parte di sinistra, e poi tagliandola ancora, non ha smesso prima di aver trovato in queste divisioni un certo qual amore chiamato sinistro e di averlo a buon diritto biasimato; l'altro discorso invece ci ha condotto nella parte destra della mania e vi ha trovato un amore che ha lo stesso nome dell'altro, ma è divino, e dopo aavercelo posto innanzi lo ha elogiato come la causa dei nostri più grandi beni. FEDRO: Dici cose verissime. SOCRATE: Io, Fedro, sono amante di questi procedimenti, delle divisioni e delle unificazioni, al fine di essere in grado di parlare e di pensare; e se ritengo che qualcun altro sia per sua natura capace di guardare all'uno e ai molti, lo seguo «tenendo dietro alle sue orme come a quelle di un dio». E quelli che appunto sono in grado di fare ciò, lo sa un dio se la mia definizione è giusta o meno, fino a questo momento li chiamo dialettici. Quelli che invece hanno appreso da te e da Lisia ciò di cui si è discusso ora, dimmi tu come conviene chiamarli: o è proprio questa l'arte dei discorsi, grazie alla quale Trasimaco e gli altri sono diventati abili a parlare essi stessi e rendono tali gli altri, che vogliono coprirli di doni come dei re? FEDRO: Sono uomini regali, sì , ma non esperti delle cose che chiedi. Ma mi pare che tu dia il nome giusto a questo metodo, chiamandolo dialettico; quello della retorica invece pare ci sfugga ancora. SOCRATE: Come dici? Potrebbe forse esserci qualcosa di bello, che anche senza questi procedimenti si apprende lo stesso con arte? Né io né tu dobbiamo assolutamente disprezzarlo, ma dobbiamo appunto precisare che cos'è ciò che rimane della retorica. FEDRO: Rimangono moltissime cose, Socrate, almeno quelle che si trovano nei libri scritti sull'arte del dire. Platone Fedro  SOCRATE: Hai fatto bene a ricordarmelo. Per primo, credo, all'inizio del discorso dev'essere pronunciato il proemio; sono queste che chiami le finezze dell'arte, non è vero? FEDRO: Sì . SOCRATE: Al secondo posto viene una narrazione seguita da testimonianze, al terzo le argomentazioni, al quarto le verosimiglianze. Poi vengono la conferma e la riconferma, così almeno credo che dica l'eccellente uomo di Bisanzio, il Dedalo dei discorsi. FEDRO: Vuoi dire il valente Teodoro? SOCRATE: Come no? E poi sia nell'accusa sia nella difesa vanno fatte una confutazione e una controconfutazione. E non tiriamo in ballo il bellissimo Eveno di Paro, che per primo trovò l'insinuazione e gli elogi indiretti; (55) alcuni sostengono che pronunciasse persino dei biasimi indiretti in poesia per esercitare la memoria (in effetti era un uomo abile). E lasceremo riposare Tisia e Gorgì a,(56) i quali videro come il verosimile sia da tenere in conto più del vero e con la forza del discorso fanno apparire grande ciò che è piccolo e piccolo ciò che è grande, vecchio ciò che è nuovo e al contrario nuovo ciò che è vecchio, e scoprirono la brevità dei discorsi e le prolissità infinite su ogni sorta di argomento? Una volta Prodico,(57) sentendo da me queste cose, scoppiò a ridere, e sostenne di aver scoperto lui solo i discorsi di cui l'arte abbisogna: né lunghi né brevi, ma misurati. FEDRO: Parole molto sagge, o Prodico. SOCRATE: E non menzioniamo Ippia? Credo che anche l'ospite eleo voterebbe con lui. FEDRO: Perché no? SOCRATE: E come parleremo dei Templi alle Muse dei discorsi innalzati da Polo, ad esempio la ripetizione o il parlare per sentenze e per immagini, e dei Templi alle Muse dei nomi di cui Licimnio gli fece dono per la composizione del bello stile?(59) FEDRO: E le opere di Protagora,(60) Socrate, non erano più o meno di questo tipo? SOCRATE: Una certa Correttezza dello stile, ragazzo, e molte altre belle cose. Ma quanto ai discorsi strappalacrime sfoderati per la vecchiaia e la povertà, mi pare che l'abbia vinta per arte la potenza del Calcedonio, uomo d'altronde straordinario nel suscitare la collera nella gente e poi nell'ammansire chi aveva fatto adirare incantandolo, come soleva dire, e potentissimo nel lanciare e sciogliere calunnie in ogni modo. Sembra poi che ci sia comune accordo tra tutti sulla conclusione dei discorsi, alla quale alcuni danno il nome di riepilogo, altri un altro nome. FEDRO: Intendi il ricordare per sommi capi agli ascoltatori, alla fine del discorso, ciascuno degli argomenti trattati? SOCRATE: Intendo questo, e se tu hai qualcos'altro da aggiungere sull'arte dei discorsi... FEDRO: Cose da poco, che non vale la pena di dire. SOCRATE: Lasciamo perdere le cose di poco conto, e vediamo piuttosto in piena luce quale potenza dell'arte hanno le cose di cui abbiamo parlato, e quando. FEDRO: Una potenza davvero forte, SOcrate, almeno nelle adunanze del popolo. SOCRATE: Infatti l'hanno. Ma guarda anche tu, o esimio, se la loro trama non sembra anche te, come a me, slegata. FEDRO: Purché tu lo dimostri. SOCRATE: Allora dimmi: se uno si presentasse al tuo compagno Erissimaco o a suo padre Acumeno e dicesse loro: «Io so somministrare ai corpi farmaci tali da riscaldarli e raffreddarli, se lo voglio, e se mi pare il caso tali da farli vomitare e persino evacuare, e moltissime altre cose del genere. E dal momento che ho queste conoscenze sono convinto di essere un medico e di far diventare medico un altro a cui comunico la scienza di queste cose», cosa credi che direbbero dopo averlo ascoltato? FEDRO: Cos'altro se non chiedergli se sa anche a chi e quando bisogna fare ciascuna di queste cose, e in quale misura? SOCRATE: E se allora rispondesse: «Non lo so affatto: ma sono convinto che chi ha appreso queste conoscenze da me sia a sua volta in grado di fare ciò che chiedi»? FEDRO: Direbbero, credo, che quell'uomo è pazzo, e che crede di essere diventato un medico per aver sentito qualcosa da qualche libro o per aver usato casualmente dei farmaci, senza avere alcuna conoscenza dell'arte. SOCRATE: E se uno si presentasse a Sofocle e ad Euripide dicendo che sa comporre discorsi lunghissimi su un argomento piccolo e piccolissimi su un argomento grande, commoventi, quando lo vuole, e al contrario spaventevoli e minacciosi, e tante altre cose del genere, e che insegnando ciò crede di trasmettere il modo di comporre una tragedia? FEDRO: Credo che anche costoro, Socrate, riderebbero se uno pensa che la tragedia sia altra cosa che l'unione di questi elementi ben connessi tra loro e accordati con il tutto. SOCRATE: Però non lo rimprovererebbero con villania, credo, ma come un musico, se incontrasse un uomo che crede di essere esperto nell'armonia, perché il caso vuole che sappia come si fa a produrre il suono più acuto e quello più grave, non gli direbbe villanamente: «Disgraziato, tu sei pazzo!», ma in quanto musico gli direbbe, in modo più affabile: «Carissimo, chi vuole essere un esperto di armonia è necessario che conosca anche questo, tuttavia nulla vieta che chi ha le tue capacità non sappia neppure un poco di armonia; tu infatti conosci le nozioni necessarie e preliminari dell'armonia, non come si produce l'armonia». FEDRO: Giustissimo. SOCRATE: Allora anche Sofocle direbbe a chi si esibisse di fronte a loro che conosce i preliminari dell'arte tragica ma non il modo di comporre una tragedia, e Acumeno direbbe all'altro che conosce i preliminari della medicina, non la scienza medica. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: E cosa pensiamo che direbbero Adrasto voce di miele o Pericle, (61) se sentissero parlare degli accorgimenti che abbiamo elencato poco fa, cioè parlare conciso, parlare per immagini e tutte le altre cose che abbiamo 18  Platone Fedro  scorso affermando che erano da esaminare in piena luce? Forse per villania, come abbiamo fatto io e te, si rivolgerebbero con parole aspre e rudi a chi ha scritto queste cose e le insegna spacciandole per retorica, oppure, essendo più saggi di noi, ci lascerebbero di stucco dicendo: «Fedro e Socrate, non bisogna essere aspri, ma indulgenti, se alcuni, non essendo a conoscenza della dialettica, non hanno saputo definire cosa mai sia la retorica e in conseguenza di questa condizione, possedendo le nozioni necessarie e preliminari dell'arte, hanno creduto di averla scoperta; e impartendo queste nozioni ad altri ritengono di averli istruiti compiutamente nella retorica e presumono che i loro discepoli debbano procurarsi da sé nei discorsi la capacità di esporre ciascuna di queste cose in maniera convincente e di collegare tutto l'insieme, come se fosse opera da nulla!». FEDRO: Ma può anche darsi, Socrate, che sia proprio un qualcosa del genere cio che concerne l'arte che questi uomini insegnano e presentano per iscritto come retorica, e mi sembra che tu abbia detto il vero; ma allora come e dove ci si può procurare l'arte di colui che è veramente esperto di retorica e persuasivo? SOCRATE: Riuscire a diventare un perfetto campione della retorica, è naturale, Fedro, e forse anche necessario, che sia come negli altri campi: se per natura sei portato alla retorica, sarai un retore famoso, a patto d'aggiungervi scienza ed esercizio; ma se manchi di una di queste qualità, resterai imperfetto. Quanto poi all'arte connessa a ciò, non mi sembra che il metodo proceda nella direzione in cui vanno Lisia e Trasimaco. FEDRO: Qual è il metodo, allora? SOCRATE: Si dà il caso, carissimo, che Pericle sia stato probabilmente il più perfetto di tutti nella retorica. FEDRO: Perché? SOCRATE: Tutte le grandi arti hanno bisogno di sottigliezza e di discorsi celesti sulla natura, poiché questa elevatezza di pensiero e questa capacità di condurre tutto ad effetto sembrano provenire in qualche modo da qui. E Pericle, oltre alla buona disposizione naturale, si acquistò anche questo: imbattutosi, credo, in Anassagora,(62) uomo di tal fatta, si riempì di discorsi celesti e giunse alla natura dell'intelletto e della ragione, argomenti intorno ai quali Anassagora si diffondeva ampiamente, e da qui ricavò quello che era utile per l'arte dei discorsi. FEDRO: In che senso dici ciò? SOCRATE: Il modo di procedere dell'arte medica è lo stesso della retorica. FEDRO: E come? SOCRATE: In entrambe bisogna dividere una natura, in una quella del corpo, nell'altra quella dell'anima, se tu, non solo per esercizio e in modo empirico, ma con arte, vuoi procurare all'uno salute e vigore somministrandogli medicine e nutrimento, e trasmettere all'altra la convinzione che desidera e la virtù offrendole discorsi e occupazioni rispettose delle leggi. FEDRO: è verosimile che sia così , Socrate. SOCRATE: Ritieni dunque che sia possibile comprendere la natura dell'anima in modo degno di menzione senza conoscere la natura dell'insieme? FEDRO: Se si deve dare qualche credito a Ippocrate, che è degli Asclepiadi, senza questo metodo non è possibile neanche comprendere la natura del corpo. SOCRATE: E dice bene, amico; tuttavia bisogna confrontare il discorso con quanto afferma Ippocrate ed esaminare se si accorda. FEDRO: Certamente. SOCRATE: Allora esamina cosa dicono sulla natura Ippocrate e il discorso vero. Non bisogna forse ragionare così riguardo alla natura di qualsiasi cosa? Innanzitutto si deve considerare se ciò in cui vorremo essere esperti noi stessi e in grado di rendere tale un altro sia semplice o multiforme; poi, se è semplice, si deve esaminare quale potenza ha per sua natura nell'agire e su che cosa la esercita, o quale potenza ha nel subire e da che cosa la subisce, se invece ha più forme bisogna enumerarle e vedere per ciascuna di esse ciò che si vede per un'unità, cioè in virtù di che cosa è portata per sua natura ad agire e su che cosa, o in virtù di che cosa a subire, che cosa e da che cosa. FEDRO: Può essere, Socrate. SOCRATE: Dunque il metodo privo di questi procedimenti somiglierebbe all'andare di un cieco. Chi invece persegue con arte una qualsiasi cosa non è da rassomigliare a un cieco o a un sordo, ma è chiaro che, se uno vuol trasmettere ad altri discorsi fatti con arte, dimostrerà puntualmente l'essenza della natura di ciò a cui rivolgerà i suoi discorsi; e questo sarà in qualche modo l'anima. FEDRO: Come no? SOCRATE: Perciò tutto il suo sforzo è teso a questo, poiché in questo cerca di produrre persuasione. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: è chiaro dunque che Trasimaco e chiunque altro offra seriamente l'arte della retorica, innanzitutto descriverà e farà vedere con la massima precisione l'anima, se per sua natura è una e tutta uguale o multiforme come l'aspetto del corpo; diciamo infatti che questo è dimostrare la natura di una cosa. FEDRO: Assolutamente. SOCRATE: In secondo luogo, in virtù di che cosa è per sua natura portata ad agire, e su cosa, o in virtù di che cosa è portata a subire, e da che cosa. FEDRO: Come no? SOCRATE: In terzo luogo, classificati i generi dei discorsi e dell'anima e le loro proprietà, passerà in rassegna tutte le cause, adattando ciascun genere di discorso a ciascun genere di anima e insegnando quale anima, da quali discorsi e per quale causa viene di necessità persuasa, quale invece non viene persuasa. 19  Platone Fedro  FEDRO: Sarebbe bellissimo se fosse così , a quanto pare! SOCRATE: Pertanto, caro, ciò che verrà dimostrato o detto in altro modo non sarà mai detto o scritto con arte, né su questo né su un altro argomento. Ma quelli che oggi scrivono le arti dei discorsi che tu hai ascoltato sono scaltri, e pur conoscendo molto bene l'anima sono portati a dissimulare; perciò, prima che parlino e scrivano in questo modo, non lasciamoci convincere da loro, credendo che scrivano con arte. FEDRO: Qual è questo modo? SOCRATE: Già usare le espressioni appropriate non è cosa facile; ma per quanto mi è possibile voglio dirti come bisogna scrivere, se si intende farlo con arte. FEDRO: Dillo dunque. SOCRATE: Poiché la forza del discorso sta nella guida delle anime, chi vuole essere esperto di retorica è necessario che sappia quante forme ha l'anima. Esse sono tantissime e di svariate qualità, e di conseguenza alcuni uomini sono di un certo tipo, altri di un altro; e dato che le forme dell'anima risultano così divise, a loro volta sono tantissime anche le forme dei discorsi, ciascuna di tipo diverso. Per questo motivo gli uomini di un certo tipo si lasciano facilmente persuadere da discorsi di un certo tipo su determinati argomenti, mentre gli uomini di un altro tipo, sempre per questo motivo, sono difficili da persuadere. Perciò chi vuole diventare retore deve innanzitutto tenere in adeguata considerazione queste cose, poi, osservando il loro modo di essere e di operare all'atto pratico, dev'essere in grado di seguirle acutamente con le sue facoltà intellettive, altrimenti non avrà mai niente più dei discorsi che ascoltava quando frequentava un maestro. E quando sappia dire in modo adeguato quale genere di uomo viene persuaso e da quali discorsi, e sia in grado di accorgersi della sua presenza e di provare a se stesso che si tratta di quell'uomo e di quella natura sulla quale vertevano a suo tempo i discorsi, e poiché ora è di fatto presente deve riferirle questi discorsi nella maniera prevista, per persuaderla di determinate cose, una volta che dunque sia in possesso di tutti questi requisiti, sappia cogliere i momenti giusti in cui bisogna parlare e quelli in cui bisogna trattenersi e sappia discernere l'opportunità e l'inopportunità del parlare conciso, commovente o indignato e di tutte le altre forme di discorso che ha appreso, allora l'arte è realizzata in modo bello e compiuto, prima no. Ma se uno manca di una qualsiasi di queste cose quando parla, insegna o scrive, e afferma di parlare con arte, vince chi non si lascia persuadere. «E allora?», dirà forse il nostro scrittore. «Fedro e Socrate, la pensate così? Dobbiamo forse definire in altro modo l'arte che è detta dei discorsi?». FEDRO: è impossibile in altro modo, Socrate; eppure sembra un lavoro non da poco. SOCRATE: Hai ragione. Proprio per questo bisogna rivoltare tutti i discorsi sottosopra ed esaminare se da qualche parte appare una via più facile e più breve per giungere ad essa, così da non procedere inutilmente per una via lunga e aspra, quando è possibile percorrerne una corta e liscia. Ma se hai da qualche parte un aiuto, per averlo ascoltato da Lisia o da qualcun altro, cerca di richiamarlo alla memoria e di dirlo. FEDRO: Così , per fare una prova, potrei, ma non me la sento, almeno adesso. SOCRATE: Vuoi dunque che io riferisca un discorso che ho ascoltato da alcuni che si occupano di queste cose? FEDRO: Perché no? SOCRATE: D'altronde, Fedro, si dice che è giusto riferire anche le ragioni del lupo. FEDRO: Allora fa' così anche tu. SOCRATE: Dunque, essi sostengono che non si devono magnificare e levare così in alto queste cose, con tanti giri di parole; infatti, come abbiamo detto anche all'inizio del discorso, chi intende essere sufficientemente esperto nella retorica non deve certo partecipare della verità circa questioni giuste e buone, o uomini tali per natura o per educazione, poiché nei tribunali non importa proprio niente a nessuno della verità su queste cose, ma importa solo ciò ch'è atto a persuadere: è il verosimile, a cui si deve applicare chi intende parlare con arte. Talvolta infatti non bisogna neanche esporre i fatti, a meno che non si siano svolti in maniera verosimile, ma solo quelli verosimili, sia nell'accusa sia nella difesa, e in genere chi parla deve seguire il verosimile, dopo aver detto tanti saluti alla verità; poiché è appunto questo che, se percorre l'intero discorso, procura tutta quanta l'arte. FEDRO: Hai esposto, Socrate, proprio le ragioni che adducono quelli che danno a vedere di essere esperti nell'arte dei discorsi; mi sono ricordato che già in precedenza abbiamo toccato brevemente tale argomento, e sembra che ciò sia di enorme importanza per chi si occupa di queste cose. SOCRATE: Sicuramente hai studiato con precisione proprio Tisia: quindi Tisia ci dica anche questo, se per verosimile intende qualcosa di diverso da ciò che sembra ai più. FEDRO: E che altro? SOCRATE: E avendo fatto questa scoperta, a quanto pare, di saggezza e d'arte insieme, ha scritto che se un uomo debole e coraggioso, che ha percosso un uomo forte e vile e gli ha portato via il mantello o qualcos'altro, viene condotto in tribunale, nessuno dei due deve dire la verità, ma il vile deve asserire di non essere stato percosso dal solo uomo coraggioso, questi deve confutare ciò ribattendo che erano loro due soli, e servirsi del seguente argomento: «Come avrei potuto io, data la mia condizione, mettere le mani addosso a una persona come lui?». L'altro non ammetterà la propria viltà, ma cercando di dire qualche altra menzogna offrirà subito materia di confutazione all'avversario. E anche negli altri campi le cose dette con arte sono più o meno di questo genere. Non è così , Fedro? FEDRO: Come no? SOCRATE: Ahimè, sembra che abbia fatto la scoperta davvero sensazionale di un'arte nascosta, Tisia o chiunque altro sia e da qualunque luogo si compiaccia di trarre il nome! Ma a costui, amico, dobbiamo dire o no. FEDRO: Cosa? Platone Fedro  SOCRATE: Questo: «O Tisia, da tempo noi, prima ancora che tu venissi qui, ci trovavamo a dire che questo verosimile viene a nascere nei più per somiglianza col vero; e poco fa abbiamo spiegato che chi conosce la verità sa scoprire benissimo le somiglianze. Perciò, se hai qualcos'altro da dire sull'arte dei discorsi, lo ascolteremo; altrimenti daremo credito a ciò che abbiamo esposto or ora, cioè che se uno non enumererà le nature di coloro che lo ascolteranno, e non sarà in grado di dividere gli esseri secondo le forme e di raccoglierli uno per uno in un'idea, non sarà mai esperto nell'arte dei discorsi, per quanto è possibile a un uomo. E non potrà mai acquisire queste capacità senza molta applicazione; ad essa il sapiente dovrà indirizzare i suoi sforzi non per parlare e agire con gli uomini, ma per poter dire cose che siano gradite agli dèi e fare ogni cosa in modo a loro gradito, per quanto è nelle sue facoltà. Infatti i più saggi tra noi, Tisia, dicono che chi ha intelletto deve prendersi cura di compiacere non i compagni di schiavitù, se non in modo accessorio, ma i padroni buoni e che discendono da uomini buoni. Perciò, se la strada è lunga, non meravigliartene, in quanto per raggiungere grandi traguardi bisogna percorrerla, non come credi tu. D'altronde, come dice il nostro discorso, anche queste fatiche diventeranno bellissime grazie a quei traguardi, se uno lo vuole». FEDRO: Mi pare che si stia parlando in modo bellissimo, Socrate, se davvero qualcuno ne è capace. SOCRATE: Ma per chi intraprende azioni belle è bello anche soffrire, qualunque cosa gli tocchi di soffrire. FEDRO: Sicuro. SOCRATE: Quanto si è detto a proposito dell'arte e della mancanza di arte nel fare discorsi sia dunque sufficiente. FEDRO: Come no? SOCRATE: Rimane la questione della convenienza e della non convenienza della scrittura, quando essa vada bene e quando invece sia sconveniente. O no? FEDRO: Sì . SOCRATE: Sai allora come, nell'ambito dei discorsi, potrai acquistarti il massimo favore di un dio con le tue azioni e le tue parole? FEDRO: Per niente. E tu? SOCRATE: Io posso raccontarti una storia tramandata dagli antichi; il vero essi lo sanno. E se noi lo trovassimo da soli, ci importerebbe ancora qualcosa delle opinioni degli uomini? FEDRO: Hai fatto una domanda ridicola! Ma racconta ciò che dici di aver udito. SOCRATE: Ho sentito dunque raccontare che presso Naucrati, in Egitto, (64) c'era uno degli antichi dèi del luogo, al quale era sacro l'uccello che chiamano ibis; il nome della divinità era Theuth. Questi inventò dapprima i numeri, il calcolo, la geometria e l'astronomia, poi il gioco della scacchiera e dei dadi, infine anche la scrittura. Re di tutto l'Egitto era allora Thamus e abitava nella grande città della regione superiore che i Greci chiamano Tebe Egizia, mentre chiamano il suo dio Ammone.Theuth, recatosi dal re, gli mostrò le sue arti e disse che dovevano essere trasmesse agli altri Egizi; Thamus gli chiese quale fosse l'utilità di ciascuna di esse, e mentre Theuth le passava in rassegna, a seconda che gli sembrasse parlare bene oppure no, ora disapprovava, ora lodava. Molti, a quanto si racconta, furono i pareri che Thamus espresse nell'uno e nell'altro senso a Theuth su ciascuna arte, e sarebbe troppo lungo ripercorrerli; quando poi fu alla scrittura, Theuth disse: «Questa conoscenza, o re, renderà gli Egizi più sapienti e più capaci di ricordare, poiché con essa è stato trovato il farmaco della memoria e della sapienza». Allora il re rispose: «Ingegnosissimo Theuth, c'è chi sa partorire le arti e chi sa giudicare quale danno o quale vantaggio sono destinate ad arrecare a chi intende servirsene. Ora tu, padre della scrittura, per benevolenza hai detto il contrario di quello che essa vale. Questa scoperta infatti, per la mancanza di esercizio della memoria, produrrà nell'anima di coloro che la impareranno la dimenticanza, perché fidandosi della scrittura ricorderanno dal di fuori mediante caratteri estranei, non dal di dentro e da se stessi; perciò tu hai scoperto il farmaco non della memoria, ma del richiamare alla memoria. Della sapienza tu procuri ai tuoi discepoli l'apparenza, non la verità: ascoltando per tuo tramite molte cose senza insegnamento, crederanno di conoscere molte cose, mentre per lo più le ignorano, e la loro compagnia sarà molesta, poiché sono divenuti portatori di opinione anziché sapienti». FEDRO: Socrate, tu pronunci con facilità discorsi egizi e di qualsiasi paese tu voglia! SOCRATE: E pensa che alcuni, mio caro, hanno asserito che i primi discorsi profetici nel tempio di Zeus a Dodona venivano da una quercia! Agli uomini di allora, dato che non erano sapienti come voi giovani, bastava, nella loro semplicità, ascoltare una quercia o una roccia, purché dicessero il vero; ma forse per te fa differenza chi è colui che parla e da dove viene. Non miri infatti solamente a questo, se le cose stanno così o diversamente? FEDRO: Hai colto nel segno, e mi sembra che riguardo alla scrittura le cose stiano come dice il re di Tebe. SOCRATE: Allora chi crede di tramandare un'arte con la scrittura, e chi a sua volta la riceve nella convinzione che dalla scrittura deriverà qualcosa di chiaro e di saldo, dev'essere ricolmo di molta ingenuità e ignorare realmente il vaticinio di Ammone, se pensa che i discorsi scritti siano qualcosa in più del riportare alla memoria di chi già sa ciò su cui verte lo scritto. FEDRO: Giustissimo. SOCRATE: Poiché la scrittura, Fedro, ha questo di potente, e, per la verità, di simile alla pittura. Le creazioni della pittura ti stanno di fronte come cose vive, ma se tu rivolgi loro qualche domanda, restano in venerando silenzio. La medesima cosa vale anche per i discorsi: tu potresti anche credere che parlino come se avessero qualche pensiero loro proprio, ma se domandi loro qualcosa di ciò che dicono coll'intenzione di apprenderla, questo qualcosa suona sempre e Platone Fedro  solo identico. E, una volta che è scritto, tutto quanto il discorso rotola per ogni dove, finendo tra le mani di chi è competente così come tra quelle di chi non ha niente da spartire con esso, e non sa a chi deve parlare e a chi no. Se poi viene offeso e oltraggiato ingiustamente ha sempre bisogno dell'aiuto del padre, poiché non è capace né di difendersi da sé né di venire in aiuto a se stesso. FEDRO: Anche queste tue parole sono giustissime. SOCRATE: E allora? Vogliamo considerare un altro discorso, fratello legittimo di questo, in che modo nasce e quanto è per sua natura migliore e più potente di questo? FEDRO: Qual è questo discorso e come, secondo te, nasce? SOCRATE: è quello che viene scritto mediante la conoscenza nell'anima di chi apprende; esso è in grado di difendersi da sé, e sa con chi bisogna parlare e con chi tacere. FEDRO: Intendi il discorso vivente e animato di chi sa, del quale quello scritto si può a buon diritto definire un'immagine. SOCRATE: Per l'appunto. Ora dimmi questo: l'agricoltore che ha senno pianterebbe seriamente d'estate nei giardini di Adone i semi che gli stessero a cuore e da cui volesse ricavare frutti; e gioirebbe a vederli crescere belli in otto giorni, o farebbe ciò per gioco e per la festa, quand'anche lo facesse? E riguardo invece a quelli di cui si è preso cura sul serio servendosi dell'arte dell'agricoltura e seminandoli nel luogo adatto, sarebbe contento che quanto ha seminato giungesse a compimento in otto mesi? FEDRO: Farebbe così , Socrate: sul serio per gli uni, diversamente per gli altri, come tu dici. SOCRATE: Dovremo dire che chi possiede la scienza delle cose giuste, belle e buone abbia meno senno dell'agricoltore con le sue sementi? FEDRO: Nient'affatto. SOCRATE: Allora non le scriverà seriamente nell'acqua nera, seminandole attraverso la canna assieme a discorsi incapaci di difendersi da sé con la parola, e incapaci di insegnare in modo adeguato la verità. FEDRO: No, almeno non è verosimile. SOCRATE: Infatti non lo è. Ma a quanto pare seminerà e scriverà i giardini di scrittura per gioco, quando li scriverà, serbando un tesoro da richiamare alla memoria per se stesso, nel caso giunga «alla vecchiaia dell'oblio»,(68) e per chiunque segua la sua stessa orma, e gioirà a vederli crescere teneri. E quando gli altri faranno altri giochi, ristorandosi nei simposi e in tutti i divertimenti fratelli di questi, egli allora, a quanto pare, invece che in essi passerà la vita a dilettarsi in ciò di cui parlo. FEDRO: è un gioco molto bello quello che dici, Socrate, rispetto all'altro che è insulso: il gioco di chi sa divertirsi coi discorsi, narrando storie sulla giustizia e sulle altre cose di cui parli. SOCRATE: Così è in effetti, caro Fedro: ma l'impegno in queste cose diventa, credo, molto più bello quando uno, facendo uso dell'arte dialettica, prende un'anima adatta, vi pianta e vi semina discorsi accompagnati da conoscenza, che siano in grado di venire in aiuto a se stessi e a chi li ha piantati e non siano infruttiferi, ma abbiano una semenza dalla quale nascano nell'indole di altri uomini altri discorsi capaci di rendere questa semenza immortale, facendo sì che chi la possiede sia felice quanto più è possibile per un uomo. FEDRO: Ciò che dici è molto più bello. SOCRATE: Ora che siamo d'accordo su questo, Fedro, possiamo giudicare quelle altre questioni. FEDRO: Quali? SOCRATE: Quelle che volevamo indagare e per le quali siamo arrivati a questo punto, ossia esaminare il rimprovero rivolto a Lisia circa lo scrivere i discorsi e i discorsi stessi, quali fossero scritti con arte e quali senz'arte. Ciò che è conforme all'arte e ciò che non lo è mi sembra che sia stato chiarito opportunamente. FEDRO: Così almeno mi è parso: ma ricordami ancora una volta come abbiamo detto. SOCRATE: Se prima uno non conosce il vero riguardo a ciascun argomento su cui parla o scrive e non è in grado di definire ogni cosa in se stessa, e una volta che l'ha definita non sa dividerla secondo le sue specie fino ad arrivare a ciò che non è più divisibile, quindi, dopo aver scrutato a fondo allo stesso modo la natura dell'anima, trovando la specie adatta a ciascuna natura non dispone e regola il discorso secondo questo procedimento, offrendo discorsi variegati a un'anima variegata e dalla piena armonia, discorsi semplici a un'anima semplice, non sarà possibile, per quanto è conforme a natura, maneggiare con arte la stirpe dei discorsi né per insegnare né per persuadere, come il discorso fatto in precedenza ci ha chiaramente indicato. FEDRO: Risulta in tutto e per tutto così . SOCRATE: Riguardo poi alla questione se sia bello o turpe pronunciare e scrivere discorsi, e quando un rimprovero sia rivolto giustamente oppure no, non ha forse chiarito ciò che abbiamo detto poco fa... FEDRO: Cosa abbiamo detto? SOCRATE: Che se Lisia o altri ha mai scritto o scriverà su argomenti d'interesse privato o pubblico, proponendo leggi o scrivendo un'opera politica, nella convinzione che in ciò vi sia una grande solidità e chiarezza, allora il biasimo ricade su chi scrive, che lo si dica o meno: poiché il non distinguere realtà e sogno in ciò che è giusto e ingiusto, male e bene, non può davvero evitare di essere riprovevole, quand'anche tutta la gente lo apprezzasse. FEDRO: No di certo. SOCRATE: Chi invece ritiene che nel discorso scritto su qualsiasi argomento vi sia necessariamente molto gioco e che nessun discorso con pregio di grande serietà sia mai stato scritto né in versi né in prosa (e neanche pronunciato, come i discorsi dei rapsodi che sono recitati senza essere sottoposti a vaglio e non mirano a insegnare, ma a persuadere), Platone Fedro  ma che i migliori di essi siano realmente un mezzo per aiutare la memoria di chi già conosce l'argomento, e ritiene che solo nei discorsi sul giusto, sul bello e sul bene, pronunciati come insegnamento allo scopo di far apprendere e scritti realmente nell'anima, vi sia chiarezza, compiutezza e pregio di serietà; e inoltre è convinto che discorsi tali debbano essere detti suoi come se fossero figli legittimi, innanzitutto quello che reca in sé, nel caso si trovi che lo possiede, poi quelli che discendenti e fratelli di questo, sono nati allo stesso modo nell'anima di altri uomini secondo il loro valore, e ai rimanenti manda tanti saluti; bene, un uomo siffatto, Fedro, è probabile che sia tale quale tu e io ci augureremmo di diventare. FEDRO: Io voglio e mi auguro in tutto e per tutto ciò che dici. SOCRATE: Dunque, per quanto riguarda i discorsi, ormai abbiamo scherzato abbastanza: tu ora va' da Lisia e digli che noi due siamo discesi alla fonte e al santuario delle Ninfe e abbiamo ascoltato dei discorsi che ci ordinavano di riferire a Lisia e a chi altri componga discorsi, a Omero e a chi altri abbia composto poesia epica o lirica, e in terzo luogo a Solone e a chiunque nei discorsi politici abbia scritto dei testi con il nome di leggi, quanto segue: se ha composto queste opere sapendo com'è il vero e può soccorrerle quando ciò che ha scritto viene messo alla prova, e quando parla è in grado egli stesso di dimostrare la debolezza di quanto è stato scritto, una persona del genere non deve essere chiamato col nome di costoro, ma con un nome derivato da ciò a cui si è dedicato con serietà. FEDRO: Quale nome gli assegni dunque? SOCRATE: Chiamarlo sapiente, Fedro, mi sembra che sia cosa troppo grande e che si addica solo a un dio; chiamarlo invece filosofo o con un nome del genere sarebbe a lui più adatto e conveniente. FEDRO: E niente affatto fuori luogo. SOCRATE: Chi invece non possiede cose di maggior pregio di quelle che ha composto e ha scritto, rivoltandole su e giù per lungo tempo, incollandole l'una con l'altra o separandole, non lo dirai a buon diritto poeta o autore di discorsi o scrittore di leggi? FEDRO: Come no? SOCRATE: Riferisci dunque questo al tuo compagno! FEDRO: E tu? Cosa farai? Non bisogna lasciare da parte neanche il tuo compagno. SOCRATE: Chi è costui? FEDRO: Isocrate il bello. Cosa riferirai a lui, Socrate? Come lo definiremo? SOCRATE: Isocrate è ancora giovane, Fedro: tuttavia voglio dire ciò che prevedo di lui. FEDRO: Che cosa? SOCRATE: Mi sembra che per doti naturali sia migliore a confronto dei discorsi di Lisia, e che inoltre sia temperato di un'indole più nobile. Perciò non ci sarebbe affatto da meravigliarsi se, col procedere dell'età, proprio grazie ai discorsi cui ora pone mano superasse più che se fossero fanciulli quanti mai si sono dedicati ai discorsi, e se inoltre questo non gli bastasse, ma uno slancio divino lo spingesse a cose ancora più grandi; giacché nell'animo di quell'uomo, caro amico, c'è una forma naturale di filosofia. Pertanto io riferisco queste cose da parte di questi dèi al mio amato Isocrate, tu fa' sapere quelle altre al tuo Lisia. FEDRO: Sarà così . Ma andiamo, poiché anche la calura si è fatta più mite. SOCRATE: Non conviene rivolgere una preghiera a questi dèi prima di metterci in cammino? FEDRO: Come no? SOCRATE: O caro Pan e voi altri dèi di questo luogo, concedetemi di diventare bello dentro, e che tutto ciò che ho di fuori sia in accordo con ciò che ho nell'intimo. Che io consideri ricco il sapiente e possegga tanto oro quanto nessun altro, se non chi è temperante, possa prendersi e portar via. Abbiamo bisogno di qualcos'altro, Fedro? Da parte mia si è pregato in giusta misura. FEDRO: Fa' questo augurio anche per me; le cose degli amici sono comuni. SOCRATE: Andiamo! Platone Fedro  Celebre oratore ateniese vissuto tra il quinto e il quarto secolo a.C., di cui restano orazioni giudiziarie. Il discorso sull'amore che gli viene attribuito nel dialogo è probabilmente fittizio. Il padre Cefalo, originario della Sicilia, aveva una fabbrica d'armi al Pireo; nella sua casa è ambientata la Repubblica. 2) Noto medico dell'epoca. Epicrate era un oratore democratico; Morico, forse il proprietario precedente della casa, era un cittadino ateniese che per le sue ricchezze e il suo lusso divenne frequente bersaglio dei poeti comici. 4) Pindaro, Isthmia 2. Erodico di Megara, divenuto poi cittadino di Selimbria, era un medico famoso per il suo regime di vita "salutistico"; Platone lo menziona anche nella Repubblica e nel Protagora. 6) I Coribanti erano i sacerdoti della dea Cibele, i cui culti erano caratterizzati da una forte valenza orgiastica. Piccolo fiume che scorre vicino ad Atene. Il dialogo è immaginato in piena estate, a mezzogiorno. Borea, vento del nord, rapì Orizia, figlia di Eretteo, re di Atene; in cambio concesse agli Ateniesi il suo favore nelle battaglie navali. Farmacea, citata poco sotto, era una ninfa cui era sacra la fonte dell'Ilisso. Demo dell'Attica. Letteralmente 'colle di Ares', era un'altura in Atene dove aveva sede il più antico tribunale della città, formato dagli arconti usciti di carica. 12) Sono tutti esseri mitologici. Gli Ippocentauri o Centauri, nati dall'unione di Issione con una nube, erano metà uomo e metà cavallo. La Chimera era un mostro con tre teste, una di leone, una di capra spirante fuoco, una di serpente. Le Gorgoni, mostri marini, erano Steno, Euriale e Medusa; le prime due erano immortali, mentre Medusa, che aveva il potere di pietrificare con lo sguardo, era mortale e fu uccisa da Perseo. Pegaso era il cavallo alato nato dal sangue della testa di Medusa tagliata da Perseo; con il suo aiuto Bellerofonte uccise la Chimera) Conosci te stesso è appunto il precetto scritto nel tempio di Apollo a Delfi) Tifone o Tifeo, figlio di Gea e del Tartaro, era un drago dalle molte teste che emettevano fumo e fiamme; al termine di una dura lotta Zeus lo fulmina e lo scaglia sotto l'Etna. Il suo mito è ricordato in Esiodo, Theogonia seguenti. Da Tifone ha avuto origine il nome comune indicante un vento caldo portatore di tempeste. Nel testo greco c'è un gioco di parole, intraducibile in italiano, con il quale Tifone viene paretimologicamente accostato al participio di "túpho" ('fumare', 'bruciare') e, tramite l'aggettivo privativo "atuphos" a "tuphos" ('vanità', 'orgoglio', superbia'). Nel dialogo Platone fa uso più volte di simili giochi verbali, impossibili da mantenere nella traduzione, per creare paretimologie) Alle Ninfe, divinità dei boschi e dei fiumi, Socrate in seguito attribuirà il dono dell'ispirazione. Acheloo, oltre ad essere un fiume della Grecia centrale, era anche dio dei fiumi) Una locuzione simile ricorre in Omero, Iliade) Saffo è la famosa poetessa lirica di Lesbo, autrice di carmi soprattutto d'amore omoerotico, divisi dagli Alessandrini in nove libri; di essi ci sono pervenuti un'ode intera, una quasi completa e parecchi frammenti di varia lunghezza. Anacreonte di Teo, lirico monodico del sesto secolo, fu autore tra l'altro di poesie amorose dal tono leggero, di cui restano pochi frammenti. Non è invece possibile sapere a quali autori in prosa si allude nel passo. Gli arconti ateniesi, al momento di entrare in carica, giuravano che se avessero trasgredito le leggi di Solone avrebbero innalzato a Delfi una statua d'oro della loro grandezza e peso. Cipselo fu tiranno di Corinto nel sesto secolo e fondò una dinastia di tiranni. L'offerta votiva cui si allude era forse una statua. 20) Immagine derivata dalla lotta: Fedro intende che Socrate a sua volta ha offerto il fianco a una critica. Pindaro, frammento 105 Snell-Maehler (citato anche in Meno). 22) Il testo greco gioca sull'assonanza tra "ligús", 'dalla voce melodiosa', e "ligús" 'Ligure' (con lambda maiuscolo). Questo gioco paretimologico è probabilmente alla base della leggenda secondo cui i Liguri erano amanti del canto. Socrate istituisce un nesso paretimologico tra "èros" e "róme" ('forza'). Il ditirambo, componimento lirico corale associato al culto di Dioniso, ai tempi di Platone era in piena decadenza. Qui il termine ha una connotazione negativa, indicando una forma di invasamento non ispirata da "mania" divina, e quindi non mediata dal logos. L'immagine è ricavata da un gioco fatto con un coccio (óstrakon), nero da una parte e bianco dall'altra; i giocatori, divisi in due squadre, sceglievano un colore e a seconda di quello che risultava lanciando il coccio dovevano fuggire o inseguire. La metafora significa che l'amante, prima inseguitore, ora fugge l'amato. Simmia, prima pitagorico, poi discepolo di Socrate, è uno degli interlocutori del Fedone. Ibico, frammnto, Page. Poeta lirico corale del sesto secolo a.C., di lui restano un'ode e pochi frammenti. 28. Stesicoro, poeta lirico corale, visse nel sesto secolo a.C. Secondo una leggenda perse la vista per aver accusato Elena di infedeltà in un carme omonimo e la riacquistò per aver scritto la Palinodia (la 'Ritrattazione'), in cui sosteneva che Paride non aveva portato a Troia la vera Elena, ma un fantasma con le sue sembianze; questa versione del mito fu ripresa da Euripide nell'Elena. Omero invece, non avendo fatto la stessa cosa, rimase cieco. Allo stesso modo Socrate pronuncerà una ritrattazione del discorso precedente su Eros, nella quale solleverà il dio dalle accuse che gli aveva mosso. Platone Fedro) A Delfi, in Beozia, c'era il più famoso santuario di Apollo, che dava i responsi per bocca della sua sacerdotessa, la Pizia; a Dodona, nell'Epiro, c'era un santuario di Zeus. Questo nome designava in origine una, in seguito più sacerdotesse di Apollo, di cui era nota l'ambiguità dei responsi; la più celebre era la Sibilla di Cuma, in Campania. L'arte divinatoria, "mantike", viene fatta derivare da "manikos" cioè 'affetto da mania'; il composto "oionoistike", di invenzione platonica, viene ricondotto a "oieris" ('opinione', 'credenza'), e accostato a "oionistike", ovvero l'"arte di trarre gli auspici" dal volo degli uccelli. Il gioco paretimologico, di cui si è provato a rendere ragione nella traduzione, è importante in quanto è funzionale al rovesciamento della tesi sostenuta da Lisia. è il celebre mito dell'anima come una biga alata, metafora complessa e non facile da interpretare. Se infatti l'auriga rappresenta palesemente la ragione, non è del tutto chiaro il significato dei due cavalli; è poco soddisfacente l'interpretazione tradizionale, secondo cui il cavallo nero rappresenterebbe l'anima concupiscibile, quello bianco l'anima impulsiva, e l'intera immagine sarebbe da intendere come la tripartizione dell'anima che Platone teorizza nella Repubblica (libri 4 e 9). Infatti nel Timeo si dice che anima concupiscibile e anima impulsiva sono mortali, mentre qui i due cavalli fanno parte proprio della struttura dell'anima immortale, come prova anche il fatto che essi si nutrono di nettare e ambrosia, cibo e bevanda degli dèi, e che tale struttura è comune sia all'anima umana sia a quella divina. è preferibile pensare che i cavalli indichino due componenti opposte connaturate comunque all'anima immortale, che l'auriga ha la funzione di conciliare per trovare un equilibrio. 33) Estia, dea del focolare, nella cosmologia antica veniva identificata col centro dell'universo, che era immobile; per questo essa, unica tra gli dèi, non viaggia per il cielo. Le divinità che guidano le dodici schiere sono probabilmente quelle olimpiche. 34) L'Iperuranio, il luogo 'oltre il cielo', è il mondo delle Idee. Luogo metafisico, immagine della sfera dell'intelligibile che nella sua immutabilità trascende la realtà sensibile, esso è raggiungibile solo dell'anima. Adrastea, letteralmente 'l'inevitabile', in questo caso è una personificazione del destino; in Repubblica (libro 5) impersonifica invece la vendetta. Viene qui esposto il destino escatologico delle anime e la teoria della metempsicosi, argomento che ha una più ampia trattazione con il mito di Er nel libro decimo della Repubblica. Nel Fedro l'assegnazione della vita futura è strettamente determinata dalla misura in cui le anime hanno contemplato la pianura della verità prima di tornare sulla terra, poiché ad esso corrisponde il grado di verità connesso alla vita in cui si reincarnano. Altro gioco verbale basato su una paretimologia il termine "imeros" ('desiderio'), collegato per assonanza ad Eros, viene fatto derivare da i-, radice di "eiri" ('andare'), "mer-" radice di "méros" ('parte'), "ro-", radice di "roé" ('flusso'). Gli Omeridi erano una scuola di aedi nell'isola di Chio che la tradizione voleva fondata dallo stesso Omero. Invenzione platonica sono sia i poemi segreti cui si allude ironicamente sia i due versi citati, nei quali c'è un gioco di parole tra "Eros" e Ptéros" (epiteto scherzosamente coniato da "pterós" ('alato'), probabilmente suggerito da quei passi omerici (Iliade , versi; libro, verso; libro, verso in cui si dice che gli dèi chiamano le cose in modo diverso dagli uomini. 38) è impossibile conservare nella traduzione il gioco tra il genitivo "Diós" ('di Zeus') e l'aggettivo "dios", solitamente reso con 'splendente' o 'divino'. Le Baccanti o Menadi erano le sacerdotesse di Dioniso. Zeus, innamorato di GANIMEDE, bellissimo fanciullo frigio, in forma di aquila lo rapì sull'Olimpo, e ne fece il coppiere degli dèi. Per il gioco linguistico su "imeros". L'espressione significa che né la temperanza umana esaltata da Lisia, né la follia divina di per sé bastano a costruire una scienza nel senso pieno del termine, ma occorre una giusta mescolanza delle due cose; questo, in ultima analisi, può essere il senso del mito della biga alata. L'immagine agonistica, più che a tre differenti gare, allude probabilmente al fatto che per vincere nella lotta bisognava atterrare l'avversario tre volte) Figlio di Cefalo e fratello di Lisia, fu vittima delle persecuzioni politiche sotto i Trenta tiranni. Ad Atene la frequenza dei processi e l'assenza del patrocinio legale, che obbligava l'accusatore o l'accusato a parlare personalmente in giudizio, avevano fatto nascere la professione del logografo ('scrittore di discorsi'), che preparava su commissione i testi da pronunciare in tribunale; le orazioni di Lisia sono appunto la testimonianza della sua attività di logografo. Il termine ha nel contesto una connotazione negativa, tanto da essere poco sotto equiparato a sofista. Il parallelo ritorna più avanti, dove si allude ai compensi che i sofisti chiedevano per i loro insegnamenti. L'espressine, un po' enigmatica, significa probabilmente che da una cosa semplice ne è derivata una difficile. Figura storicamente indeterminata, Licurgo fu, secondo la tradizione, il legislatore di Sparta. Uomo politico e poeta, annoverato tra i sette saggi, Solone attuò, durante il suo arcontato, una riforma dello stato ateniese che prevedeva la divisione dei cittadini in classi in base al censo. Dario, re di Persia., fu il promotore della prima guerra greco-persiana. Il mito che segue è probabilmente creazione platonica. Il canto delle cicale è metafora dell'ispirazione a comporre discorsi ma anche del rischio, da parte dell'ascoltatore, di lasciarsene ammaliare senza sottoporli a vaglio critico, un atteggiamento passivo che le cicale stesse, intermediarie tra gli uomini e le Muse, non approvano. Sulla scia del catalogo esiodeo (Theogonia), le Muse qui citate hanno nomi parlanti Tersicore è 'colei che gioisce dei cori', Erato è connessa con Eros, Calliope è 'dalla bella voce', Urania 'la celeste'. Platone Fedro) Omero, Iliade. Per Spartano qui si intende semplicemente una persona che dice la verità in modo franco e lapidario. I "figli" di Fedro sono i discorsi che ha indotto gli altri a fare. 51) Nestore, il più vecchio dei guerrieri greci a Ilio, era famoso per la sua eloquenza persuasiva. Abile, e soprattutto astuto parlatore era notoriamente Odisseo. Anche Palamede, l'eroe che smascherò un tentativo di Odisseo di non partecipare alla guerra di Troia, era fornito di capacità oratorie. LEONZIO (si veda) fu uno dei principali esponenti della sofistica; a lui è dedicato l'omonimo dialogo di Platone. Delle sue numerose opere restano pochi ma significativi frammenti. Il sofista Trasimaco di Calcedonia, vissuto nel quinto secolo a.C., è uno dei personaggi della Repubblica, dove difende in modo combattivo la sua idea della giustizia come diritto del più forte. Teodoro di Bisanzio, attivo nella seconda metà del quinto secolo a.C., scrisse un trattato di retorica. Allusione ironica a Zenone di VELIA (si veda) e ai paradossi con i quali cerca di confutare dialetticamente i concetti di molteplicità e movimento; famosi sono i paradossi della freccia e di Achille e la tartaruga. Mida era il leggendario re della Frigia che per avidità di ricchezze chiese e ottenne da Dioniso di poter trasformare in oro tutto ciò che toccava; ma poiché anche tutto ciò che voleva mangiare o bere diventava oro, pregò il dio di liberarlo da questo dono funesto. L'epigramma citato è attribuito a Cleobulo di Lindo, uno dei sette saggi. Poeta e sofista contemporaneo di Socrate. Tisia fu maestro di Gorgia e iniziatore, assieme a Corace, della scuola retorica siciliana. Prodico di Ceo, uno dei più importanti esponenti della sofistica, discepolo di Protagora e maestro di Socrate.  Ippia di Elide, il celebre sofista da cui prendono il titolo due dialoghi di Platone. Polo di Agrigento e Licimnio di Chio furono discepoli di Gorgia; il primo è uno dei protagonisti del Gorgia di Platone. Nel passo si allude probabilmente a opere di retorica dei due sofisti, come poco sotto a proposito di Protagora. Protagora di Abdera, protagonista dell'omonimo dialogo Platonico, visse ad Atene nell'età periclea. Considerato il principale esponente della sofistica, è ricordato soprattutto per il suo agnosticismo religioso, che gli valse una condanna per empietà, e il suo relativismo, sintetizzato nella massima «l'uomo è misura di tutte le cose». Nulla ci rimane delle sue numerose opere) Adrasto, il re di Argo che guidò la spedizione dei sette contro Tebe, è rappresentato da Eschilo nelle Supplici come abile oratore; l'epiteto «voce di miele» gli è già riferito da Tirteo (frammento, Gentili-Prato). Adrasto è qui usato come eteronimo di un personaggio contemporaneo, forse un sofista. Anche Pericle, lo statista ateniese del quinto secolo che radicalizzò il processo democratico della polis portandola al massimo splendore, è qui ricordato, con un tocco d'ironia, per le sue capacità oratorie) Anassagora di Clazomene visse per molti anni ad Atene, dove ebbe come discepoli Pericle e lo stesso Socrate. Punto cardinale del suo pensiero è l'esistenza di un principio razionale che dà ordine al mondo, da lui chiamato "nous" ('intelletto'). Ippocrate di Cos fu il fondatore della medicina antica; l'epiteto di Asclepiade deriva da Asclepio, dio della medicina. Di lui e dei suoi discepoli resta un considerevole numero di scritti riuniti nel cosiddetto corpus Hippocraticum. 64) Città sul delta del Nilo, sede di un emporio commerciale greco.) Theuth o Thoth era il dio egizio dell'invenzione,che i Greci identificavano con Ermes; rappresentato con la testa di ibis, era scriba nel tribunale dei morti. Con questo mito Platone assegna alla scrittura un valore puramente "ipomnematico", ovvero la considera un mero supporto alla memoria, e non veicolo di sapienza; la trasmissione del vero sapere resta per lui affidata all'oralità dialettica) «La regione superiore» è l'alto corso del Nilo. Thamus, leggendario re dell'Egitto, viene considerato un eteronimo dello stesso Ammone, una delle principali divinità egizie, venerata da una potente casta sacerdotale e identificata dai Greci con Zeus; poco sotto infatti, la risposta da lui data a Theuth è chiamata «vaticinio di Ammone») I «giardini di Adone» erano recipienti in cui d'estate si piantavano semi che nascevano entro otto giorni e subito morivano; il rito simboleggiava la morte prematura di Adone, il bellissimo giovane amato da Afrodite. Allo stesso modo i «giardini di scrittura», ovvero i discorsi scritti, devono essere intesi come una forma di gioco, poiché i veri discorsi latori di verità sono affidati alla dimensione orale. 68) Citazione poetica di autore ignoto) Il retore Isocrate fondò ad Atene una scuola in competizione con l'Accademia platonica; di lui restano orazioni. Isocrate era fautore di un'alleanza di tutte le città greche sotto la guida di Filippo di Macedonia, in vista di una spedizione contro i Persiani) Pan, figlio di Ermes, era la principale divinità agreste del pantheon greco, venerata soprattutto in Arcadia; presiedeva alla pastorizia e per questo era rappresentato con sembianze caprine. Pan compare già come protettore del luogo assieme alle Ninfe, e per questo Socrate gli rivolge la preghiera conclusiva. «Oro» è da intendersi in senso metaforico come ricchezza della sapienza.  Wikipedia Ricerca Orfeo personaggio della mitologia greca Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Orfeo (disambigua). Orfeo - Orfeo (epoca romana) - Foto G. Dall'Orto.jpg Orfeo circondato dagli animali. Mosaico pavimentale romano, Museo archeologico regionale di Palermo. Nome orig.Ὀρφεύς Specieumana SessoMaschio Luogo di nascitaTracia Professionecantore e argonauta Orfeo (Ὀρφεύς [or.pʰeú̯s]: Orpheus) è un personaggio della mitologia greca. Bassorilievo in marmo di epoca romana, copia di originale greco, che rappresenta Ermes, Euridice e Orfeo. L'opera originale, probabilmente di Alcamene, è andata perduta. Questo bassorilievo, conservato presso il Museo archeologico di Napoli, è tra le testimonianze che attesterebbero l'esito negativo della catabasi di Orfeo già a partire dal V secolo a.C. Qui Orfeo voltatosi verso Euridice, le alza il velo, forse per verificare l'identità della donna e quindi la perde. Secondo l'opinione di Cristopher Riedweg sarebbe infatti evidente che Ermes a questo punto trattenga per un braccio la sposa di Orfeo, che volge quindi il piede destro per tornare indietro.  Orfeo ritratto in un kratēr (κρατήρ) attico a figure rosse risalente al V secolo a.C. e oggi conservato presso il Metropolitan Museum di New York. Orfeo, che siede a sinistra impugnando la lira (λύρα), veste un abito tipicamente greco, a differenza dell'uomo che gli si pone in piedi davanti che invece indossa un costume tracio. Questo particolare, unitamente alla presenza, a destra, della donna che impugna una piccola falce, può rappresentare una delle varianti della sua leggenda che lo vuole missionario greco in Tracia, ucciso lì dalle donne in quanto escludendole dai suoi riti induceva i loro mariti ad abbandonarle:  «Dicono poi che le donne di Tracia tramavano la sua morte, perché aveva persuaso i loro uomini a seguirlo nei suoi vagabondaggi, ma non osavano passare all'azione per paura dei loro mariti. Ma una volta, riempitesi di vino, attuarono la scellerata impresa. E da quel momento invalse per gli uomini il costume di andare ebbri alle battaglie.»  (Pausania, Periegesi della Grecia) Mappa dei luoghi che, secondo la mitologia, Orfeo avrebbe visitato e legato a sé. Il nome di Orfeo è attestato a partire dal VI secolo a.C., ma, secondo Mircea Eliade, «non è difficile immaginare che sia vissuto 'prima di Omero'». Si tratta dell'artista per eccellenza, che dell'arte incarna i valori eterni, ma anche di uno «sciamano, capace di incantare animali e di compiere il viaggio dell'anima lungo gli oscuri sentieri della morte»[7], fondatore dell'Orfismo. I molteplici temi chiamati in causa dal suo mito - l'amore, l'arte, l'elemento misterico - sono alla base di una fortuna senza pari nella tradizione letteraria, filosofica, musicale, culturale e scultorea dei secoli successivi.  Orfeo e l'Orfismo Il primo riferimento a noi pervenuto sulla figura di Orfeo è nel frammento del lirico di Rhegion (REGGIO (si veda) Reggio Calabria) Ibico vissuto nella Magna Grecia, nel quale appare già famoso. Attorno alla sua figura mitica, capace di incantare persino gli animali, si assesta una tradizione che non gli attribuisce un normale modo di fare musica, bensì la psychagogia, che si estende alle anime dei morti. Il papiro di Derveni, rinvenuto vicino a Salonicco, offre un'interpretazione allegorica di un poema orfico non a caso in concomitanza con un rituale per placare i morti.  Associato alla figura di Dioniso, divorato dai Titani con i quali rappresenta, da un lato la componente dionisiaca della vita –ossia l'elemento divino o "anima"– e dall'altro il corpo mortale, Orfeo è la figura centrale dell'Orfismo, una tradizione religiosa che, per prima nel mondo occidentale, introduce la nozione di dualità fra corpo mortale e anima immortale.  Il mito  Orfeo ucciso dalle menadi, in uno stamnos a figure rosse, conservato al Museo del Louvre di Parigi. Questo dipinto racconta la morte di Orfeo secondo il mito che lo vuole ucciso dalle seguaci di Dioniso, da questo dio a lui inviate in quanto mosso dalla gelosia per l'ardore religioso che il poeta conservava nei confronti di Apollo, da lui invocato sul monte Pangaio (anche Pangeo) quando il sole, immagine di Apollo, sorgeva:  «[Orfeo] Non onorò più Dioniso, mentre considerò più grande Elio, che egli chiamò anche Apollo; e svegliandosi la notte sul far del mattino, per prima cosa aspettava il sorgere del sole sul monte chiamato Pangeo per vedere Elio; perciò Dioniso, adirato, gli inviò contro le Bassaridi, come racconta il poeta tragico Eschilo: esse lo dilaniarono e ne gettarono via le membra, ciascuna separatamente; le Muse poi riunitele, le seppellirono nel luogo chiamato Libetra.»  (fr. in Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern; traduzione di Elena Verzura. Milano, Bompiani) Le originiModifica Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sugli argomenti religione e mitologia greca è priva o carente di note e riferimenti bibliografici puntuali. Secondo le più antiche fonti Orfeo è nativo della città di Lebetra in Tracia, situata sotto la Pieria, terra nella quale fino ai tempi di Erodoto era testimoniata l'esistenza di sciamani che fungevano da tramite fra il mondo dei vivi e dei morti, dotati di poteri magici operanti sul mondo della natura, capaci tra l'altro di provocare uno stato di trance tramite la musica.  Figlio della Musa Calliope e del sovrano tracio Eagro (o, secondo altre versioni meno accreditate, del dio Apollo), appartiene alla generazione precedente degli eroi che parteciparono alla guerra di Troia, tra i quali ci sarebbe stato il cugino Reso. Secondo un'altra versione Orfeo fu il sesto discendente di Atlante e nacque undici generazioni prima della guerra di Troia. Egli, con la potenza incantatrice della sua lira e del suo canto, placava le bestie feroci e animava le rocce e gli elementi della natura.  Gli è spesso associato, come figlio o allievo, Museo.  Orfeo fonde in sé gli elementi apollineo e dionisiaco: come figura apollinea è il figlio o il pupillo del dio Apollo, che ne protegge le spoglie, è un eroe culturale, benefattore del genere umano, promotore delle arti umane e maestro religioso; in quanto figura dionisiaca, egli gode di un rapporto simpatetico con il mondo naturale, di intima comprensione del ciclo di decadimento e rigenerazione della natura, è dotato di una conoscenza intuitiva e nella vicenda stessa vi sono evidenti analogie con la figura di Dioniso per il riscatto dagli Inferi di una fanciulla (Euridice nel caso di Orfeo e la madre Semele in quello di Dioniso). Orfeo domina la natura selvaggia e può addirittura sconfiggere la morte temporaneamente (anche se alla fine viene sconfitto perdendo la persona che doveva salvare, a differenza di Dioniso).  La letteratura, d'altra parte, mostra la figura di Orfeo anche in contrasto con le due divinità: la perdita dell'amata Euridice sarebbe da rintracciarsi nella colpa di Orfeo di aver assunto prerogative del dio Apollo di controllo della natura attraverso il canto; tornato dagli Inferi, Orfeo abbandona il culto del dio Dionisorinunciando all'amore eterosessuale. In tale contesto si innamora profondamente di Calaide, figlio di Borea, e insegna l'amore omosessuale ai Traci. Per questo motivo, le Baccanti della Tracia, seguaci del dio, furenti per non essere più considerate dai loro mariti, lo assalgono e lo fanno a pezzi (vedi: Fanocle). Nella versione del mito contenuta nelle Georgiche di Virgiliola causa della sua morte è invece da ricercarsi nell'ira delle Baccanti per la sua decisione di non amare più nessuno dopo la morte di Euridice.  Le imprese di Orfeo e la sua morteModifica  Le ninfe ritrovano la testa di Orfeo di Waterhouse. Secondo la mitologia classica, Orfeo prese parte alla spedizione degli Argonauti: durante la spedizione Orfeo diede innumerevoli prove della forza invincibile della sua arte, salvando la truppa in molte occasioni; con la lira e con il canto fece salpare la nave rimasta inchiodata nel porto di Jolco, diede coraggio ai naviganti esausti a Lemno, placò a Cizico l'ira di Rea, fermò le rocce semoventi alle Simplegadi, addormentò il drago e superò la potenza ammaliante delle sirene.  La sua fama è legata però soprattutto alla tragica vicenda d'amore che lo vide separato dalla driadeEuridice, che era sua moglie. Come Virgilio narra nelle Georgiche, Aristeo, uno dei tanti figli di Apollo, amava perdutamente Euridice e, sebbene il suo amore non fosse corrisposto, continuava a rivolgerle le sue attenzioni fino a che un giorno ella, per sfuggirgli, mise il piede su un serpente, che la uccise col suo morso. Orfeo, lacerato dal dolore, scese allora negli inferi per riportarla nel mondo dei vivi. Raggiunto lo Stige, fu dapprima fermato da Caronte: Orfeo, per oltrepassare il fiume, incantò il traghettatore con la sua musica. Sempre con la musica placò anche Cerbero, il guardiano dell'Ade. Raggiunse poi la prigione di Issione, che, per aver desiderato Era, era stato condannato da Zeus a essere legato a una ruota che avrebbe girato all'infinito: Orfeo, cedendo alle suppliche dell'uomo, decise di usare la lira per fermare momentaneamente la ruota, che, una volta che il musico smise di suonare, cominciò di nuovo a girare.  L'ultimo ostacolo che si presentò fu la prigione del crudele semidio Tantalo, che aveva ucciso il figlio Pelope (antenato di Agamennone) per dare la sua carne agli dei e aveva rubato l'Ambrosia per darla agli uomini. Qui, Tantalo è condannato a rimanere legato a un albero carico di frutta ed immerso fino al mento nell'acqua: ogni volta che prova a bere, l'acqua si abbassa, mentre ogni volta che cerca di prendere i frutti con la bocca, i rami si alzano. Tantalo chiede quindi a Orfeo di suonare la lira per far fermare l'acqua e i frutti. Suonando però, anche il suppliziato rimane immobilizzato e quindi, non potendo sfamarsi, continua il suo tormento. A questo punto l'eroe scese una scalinata di 1000 gradini: si trovò così al centro del mondo oscuro, e i demoni si sorpresero nel vederlo. Una volta raggiunta la sala del trono degli Inferi, Orfeo incontrò Ade (Plutone) e Persefone (Proserpina).  Ovidio racconta nel decimo libro delle Metamorfosi come Orfeo, per addolcirli, diede voce alla lira e al canto. Il discorso di Orfeo fece leva sulla commozione, richiamando alla gioventù perduta di Euridice e l'enfasi sulla forza di un amore impossibile da dimenticare e sullo straziante dolore che la morte dell'amata ha provocato. Orfeo assicurò anche che, quando fosse venuta la sua ora, Euridice sarebbe tornata nell'Ade come tutti. A questo punto Orfeo rimase immobile, pronto a non muoversi finché non fosse stato accontentato.   Paesaggio con Orfeo ed Euridice di Poussin. Mossi dalla commozione, che colse persino le Erinnistesse, Ade e Persefone acconsentirono al desiderio. «Intonando al canto le corde della lira, così disse: «O dei, che vivete nel mondo degl’Inferi, dove noi tutti, esseri mortali, dobbiamo finire, se è lecito e consentite che dica il vero, senza i sotterfugi di un parlare ambiguo, io qui non sono sceso per visitare le tenebre del Tartaro o per stringere in catene le tre gole, irte di serpenti, del mostro che discende da Medusa. Causa del viaggio è mia moglie: una vipera, che aveva calpestato, in corpo le iniettò un veleno, che la vita in fiore le ha reciso. Avrei voluto poter sopportare, e non nego di aver tentato: ha vinto Amore! Lassù, sulla terra, è un dio ben noto questo; se lo sia anche qui, non so, ma almeno io lo spero: se non è inventata la novella di quell’antico rapimento, anche voi foste uniti da Amore. Per questi luoghi paurosi, per questo immane abisso, per i silenzi di questo immenso regno, vi prego, ritessete il destino anzitempo infranto di Euridice! Si dice che alle Furie, commosse dal canto, per la prima volta si bagnassero allora di lacrime le guance. Né ebbero cuore, regina e re degli abissi, di opporre un rifiuto alla sua preghiera, e chiamarono Euridice.»  (Ovidio, Metamorfosi) Essi posero però la condizione che Orfeo avrebbe dovuto precedere Euridice per tutto il cammino fino all'uscita dell'Ade senza voltarsi mai all'indietro. Esattamente sulla soglia degli Inferi, temendo che lei non lo stesse più seguendo, Orfeo non riuscì più a resistere al dubbio e si voltò per assicurarsi che la moglie lo stesse seguendo. Avendo rotto la promessa, Euridice viene riportata all'istante nell'Oltretomba.  Orfeo, tornato sulla terra, espresse il dolore fino ai limiti delle possibilità artistiche, incantando nuovamente le fiere e animando gli alberi. Pianse per sette mesi ininterrottamente, secondo VIRGILIO (si veda), ]mentre Ovidio riduce il numero a sette giorni. Sa che non potrà amare più nessun'altra, e malgrado ciò molte ambiscono a unirsi a lui. Secondo la versione virgiliana le donne dei Ciconi videro che la fedeltà del Trace nei confronti della moglie morta non si piegava; allora, in preda all'ira e ai culti bacchici cui erano devote, lo fecero a pezzi (il famoso sparagmòs) e ne sparsero i resti per la campagna. Un po' diversa è la rivisitazione del poeta sulmonese, che aggiunge un tassello alla reazione anti-femminile di Orfeo, coinvolgendo il cantore nella fondazione dell'amore omoerotico (questo elemento non è di invenzione ovidiana visto che ne abbiamo attestazione già nel poeta alessandrino Fanocle). Orfeo avrebbe quindi ripiegato sull'amore per i fanciulli, facendo innamorare anche i mariti delle donne di Tracia, che venivano così trascurate. Le Menadi si infuriarono dilaniando il poeta, nutrendosi anche di parte del suo corpo, in una scena ben più cruda di quella virgiliana. Piatto con Orfeo circondato da animali presso il Museo Romano-Germanico di Colonia. In entrambi i poeti si narra che la testa di Orfeo finì nel fiume Ebro, dove continuò prodigiosamente a cantare, simbolo dell'immortalità dell'arte, scendendo (qui solo OVIDIO (si veda)) fino al mare e da qui alle rive di Metimna, presso l'isola di Lesbo, dove Febo Apollo la protesse da un serpente che le si era avventato contro. Il sofista del III secolo Filostrato nell'Eroico racconta che la testa di Orfeo, giunta a Lesbo dopo il delitto commesso dalle donne, stava in una grotta dell'isola e aveva il potere di dare oracoli. Secondo altre versioni, i resti del cantore sarebbero stati seppelliti dalle impietosite Muse nella città di Libetra. Tornando a Ovidio, eccoci al punto culminante dell'avventura, forse inaspettato; Orfeo ritrova Euridice fra le anime pie, e qui potrà guardarla senza più temere. Orfeo vede ora scomparire Euridice e si dispera, perché sa che non la vedrà più. Decide allora di non desiderare più nessuna donna dopo la sua Euridice. Un gruppo di Baccanti ubriache, poi, lo invita a partecipare a un'orgia dionisiaca. Per tener fede a ciò che ha detto, rinuncia, ed è proprio questo che porta anche lui alla morte: le Baccanti, infuriate, lo uccidono, lo fanno a pezzi e gettano la sua testa nel fiume Evros, insieme alla sua lira. La testa cade proprio sulla lira e galleggia, continuando a cantare soavemente. Zeus, toccato da questo evento commovente, prende la lira e la mette in cielo formando una costellazione (la quale in alternativa, secondo le Fabulae di Igino, sarebbe non la lira di Orfeo ma quella di Arione). Secondo quanto afferma Virgilio nel sesto libro dell'Eneide, l'anima di Orfeo venne accolta nei Campi Elisi.  Evoluzione del mitoModifica  Ragazza tracia con la testa di Orfeo, di Moreau. «Pensavo a quel gelo, a quel vuoto che avevo traversato e che lei si portava nelle ossa, nel midollo, nel sangue. Valeva la pena di rivivere ancora? Ci pensai, e intravvidi il barlume del giorno. Allora dissi "sia finita" e mi voltai»  (Orfeo ne L'inconsolabile di Cesare Pavese, dai Dialoghi con Leucò, Einaudi 1947) Il mito di Orfeo nasce forse come mito di fertilità, come è possibile desumere dagli elementi del riscatto della Kore e dello σπαραγμος (sparagmòs) al greco antico "corpo fatto a pezzi") che subisce il corpo di Orfeo, elementi che indicano il riportare la vita sulla terra dopo l'inverno.  La prima attestazione di Orfeo è nel poeta IBICO (si veda) di REGGIO (si veda), che parla di Orfeo dal nome famoso. In seguito Eschilo, nella tragedia perduta Le bassaridi, fornisce le prime informazioni attinenti alla catabasi di Orfeo. Importanti anche i riferimenti di Euripide, che in Ifigenia in Aulide e ne Le baccantirende manifesta la potenza suasoria dell'arte di Orfeo, mentre nell'Alcesti spuntano indizi che portano in direzione di un Orfeo trionfatore. La linea del lieto fine, sconosciuta ai più, non si limita a Euripide, dato che è possibile intuirla anche in Isocrate (Busiride) e in Ermesianatte (Leonzio). Altri due autori greci che si sono occupati del mito di Orfeo proponendo due diverse versioni di esso sono il filosofo Platone e il poeta Apollonio Rodio.  Nel discorso di Fedro, contenuto nell'opera Simposio, Platone inserisce Orfeo nella schiera dei sofisti, poiché utilizza la parola per persuadere, non per esprimere verità; egli agisce nel campo della doxa, non dell'episteme. Per questa ragione gli viene consegnato dagli dèi degli inferi un phasma di Euridice; inoltre, non può essere annoverato tra la schiera dei veri amanti poiché il suo eros è falso come il suo logos. La sua stessa morte ha carattere antieroico poiché ha voluto sovvertire le leggi divine penetrando vivo nell'Ade, non osando morire per amore. Il phasma di Euridice simboleggia l'inadeguatezza della poesia a rappresentare e conoscere la realtà, conoscenza che può essere conseguita solo tramite le forme superiori dell'eros. Apollonio Rodio inserisce il personaggio di Orfeo nelle Argonautiche, presentato anche qui come un eroe culturale, fondatore di una setta religiosa. Il ruolo attribuito a Orfeo esprime la visione che del poeta hanno gli alessandrini: attraverso la propria arte, intesa come abile manipolazione della parola, il poeta è in grado di dare ordine alla materia e alla realtà; a tal proposito è emblematico l'episodio nel quale Orfeo riesce a sedare una lite scoppiata tra gli argonauti cantando una personale cosmogonia. Nell'Alto Medioevo Boezio, nel De consolatione philosophiae, pone Orfeo a emblema dell'uomo che si chiude al trascendente, mentre il suo sguardo, come quello della moglie di Lot, rappresenta l'attaccamento ai beni terreni. Nei secoli successivi, tuttavia, il Medioevo vedrà in Orfeo un'autentica figura Christi, considerando la sua discesa agli Inferi come un'anticipazione di quella del Signore, e il cantore come un trionfante lottatore contro il male e il demonio (così anche più tardi, con El divino Orfeo di Barca). Dante lo colloca nel Limbo, nel castello degli "spiriti magni" (Inf.). Compare la prima rivoluzionaria avvisaglia di un tema che sarà caro soprattutto al secolo successivo: il respicere di Orfeo non è più frutto di un destino avverso o di un errore, ma matura da una precisa volontà, ora sua, ora d'Euridice. Nel componimento Euridice a Orfeo del poeta inglese Robert Browning, lei gli urla di voltarsi per abbracciare in quello sguardo l'immensità del tutto, in una empatia tale da rendere superfluo qualsiasi futuro.  Il XX secolo si è appropriato della tesi secondo cui il gesto di Orfeo sarebbe stato volontario. Come è d'uopo, i primi casi non sono italiani. Jean Cocteau, ossessionato da questo mito lungo tutta la propria parabola artistica, diede alle stampe il proprio singolare Orfeo, opera teatrale che è alla base di tutte le rivisitazioni successive. Qui Orfeo capovolge il mito; decide di congiungersi con Euridice tra i morti, perché l'al di qua ha ormai reso impossibile l'amore e la pace. Laggiù non ci sono più rischi. Gli fa eco il connazionale Jean Anouilh, in un'opera pur molto diversa, ma concorde nel vedere la morte come unica via di fuga e di realizzazione del proprio sogno d'amore: si tratta di Eurydice.  Nel dialogo pavesiano L'inconsolabile (Dialoghi con Leucò), Orfeo si confida con Bacca: trova sé stesso nel Nulla che intravede nel regno dei morti e che lo sgancia da ogni esigenza terrena. Totalmente estraneo alla vita, egli ha compiuto il proprio destino. Euridice, al pari di tutto il resto, non conta più nulla per lui, e non potrebbe che traviarlo da siffatta realizzazione di sé: ha nelle fattezze ormai il gelo della morte che ha conosciuto, e non rappresenta più l'infanzia innocente con cui il poeta l'identificava. Voltarsi diviene un'esigenza ineludibile.  «L'Euridice che ho pianto era una stagione della vita. Io cercavo ben altro laggiù che il suo amore. Cercavo un passato che Euridice non sa. L'ho capito tra i morti mentre cantavo il mio canto. Ho visto le ombre irrigidirsi e guardar vuoto, i lamenti cessare, Persefone nascondersi il volto, lo stesso tenebroso-impassibile, Ade, protendersi come un mortale e ascoltare. Ho capito che i morti non sono più nulla»  Più cinico, l'Orfeo delineato da Bufalino intona, al momento del "respicere", la famosa aria dell'opera di Gluck (Che farò senza Euridice?). La donna così capisce: il gesto era stato premeditato, nell'intenzione di acquisire gloria personale attraverso una (finta) espressione del dolore, in un'esaltazione delle proprie capacità artistiche.  Opere in cui appare o è trattata la sua figuraModifica LetteraturaModifica Simposio (discorso di Fedro) - opera filosofica di Platone. Argonautiche - poema epico di Apollonio Rodio. Elegia n.1 Powell - Orfeo e Calais - elegia contenuta ne Gli amori o i belli di Fanocle. Georgiche - poema di Virgilio. Eneide - poema di Virgilio (Orfeo è tra gli spiriti dei Campi Elisi; Virgilio lo chiama sacerdote di Tracia, senza dunque nominarlo) Metamorfosi - poema di Ovidio. Fabula di Orfeo - Opera teatrale di Angiolo Poliziano. Orfeo - idillio di Marino. Euridice ad Orfeo - epistola lirica di Antonio Bruni. Sonetti a Orfeo - raccolta poetica di Rainer Maria Rilke. Orfeo, Euridice ed Hermes - poesia di Rainer Maria Rilke La persuasione e la rettorica - saggio di Carlo Michelstaedter (il rimando al mito di Orfeo è centrale anche nel ciclo di poesie A Senia, del medesimo Michelstaedter). Canti orfici - raccolta poetica di Dino Campana. Orfeo Vedovo - opera teatrale di Alberto Savinio. Tutte le cosmicomiche di Italo Calvino (racconti Senza Colori, Il cielo di pietra, L'altra Euridice). Il ritorno di Euridice (da L'uomo invaso) - racconto di Gesualdo Bufalino. Eurydice to Orpheus - poesia di Robert Browning. Eurydice (da Collected Poems) - poesia di Doolittle. Orphée - opera teatrale di Jean Cocteau. Eurydice - opera teatrale di Jean Anouilh. Orfeo - poema di Juan Martinez Jáuregui. Racconto di Orfeo - poema di Robert Henryson (o Henderson). Bestiaire ou Le cortège d'Orphée - raccolta poetica di Guillaume Apollinaire. La presenza di Orfeo - prima raccolta poetica di Alda Merini. Orfeo emerso - romanzo di Jack Kerouac. La terra sotto i suoi piedi - romanzo di Salman Rushdie. Il lamento d'Orfeo - opera teatrale di Valentino Bompiani. Dialoghi con Leucò - raccolta di racconti di Cesare Pavese (Orfeo appare nel dialogo L'inconsolabile). La discesa di Orfeo (Orpheus Descending), opera teatrale di Williams. La Saga dei Mitago - Il Tempio Verde - di Robert Holdstock. Orfeo africano - romanzo breve di Werewere Liking. Lei dunque capirà - monologo di Claudio Magris. Orpheus - opera teatrale di Giuliano Angeletti. "Schatten" Euridyke sagt - opera teatrale di Elfriede Jelinek Poema a fumetti, (racconto per immagini del mito di Orfeo in chiave moderna) di Buzzati, Mondadori. La Musica, Orfeo, Euridice – Il mitema e l'adeguamento al contemporaneo, di Francesca Bonaita, Virginio Cremona Editore Orfeo sconsacrato. Viaggio nelle vite di Orfeo, Danilo Laccetti, Jouvence, Musica Lo stesso argomento in dettaglio: Orfeo (musica). Euridice (opera) - opere teatrali su libretto di Ottavio Rinuccini musicate da Iacopo Peri e da Giulio Caccini (1600). L'Orfeo - Melodramma di Monteverdi. Orfeo dolente - Opera musicale di Domenico Belli. La morte di Orfeo - Tragicommedia pastorale di Landi. Orfeus und Euridice - Opera-ballo di Schütz. Orfeo - Opera musicale di Luigi Rossi (1647). Orfeo (Sartorio) - Opera musicale di Antonio Sartorio, su libretto d’Aureli Orfeo - Opera musicale di Jean-Baptiste Lully e Louis Lully. Orfeo ed Euridice - Opera musicale di Gluck. Orfeo ed Euridice - Ballo di Deller. Orfeo ed Euridice - Opera lirica di Naumann. L'anima del filosofo ossia Orfeo ed Euridice - Opera musicale di Haydn. Orpheus - Poema sinfonico di Liszt. Orfeo all'inferno - Operetta di Offenbach. Orfeo - Mimodramma di Ducasse. Orpheus und Eurydike - Opera lirica di Krenek. La favola di Orfeo - Opera in un atto di Casella Orpheus - Balletto di Stravinskij. Orfeu da Conceiçāo - Dramma musicale di Moraes. Orfeo - Opera rock di Schipa Jr. Orpheus - Canzone di David Sylvian contenuta nell'album Secrets of the Beehive. Euridice - Canzone di Roberto Vecchioni dall'album Blumùn Orfeo - Singolo di Carmen Consoli contenuta nell'album Stato di necessità. Orfeo a Fumetti - Opera da camera di Filippo del Corno. Abattoir Blues/The Lyre of Orpheus – album di Cave and The Bad Seeds, che contiene la traccia The Lyre Of Orpheus. Metamorpheus - Concept album dedicato al mito di Orfeo di Hackett. Eurydice - singolo d'esordio del progetto Sleepthief. Orfeo Coatto - Mp3dramma di Francesco Redig de Campos. Caliti junku, canzone dell'album Apriti sesamo di Battiato. Awful Sound (Oh Eurydice) e It's Never Over (Hey Orpheus), canzoni dell'album Reflektor degli Arcade Fire. King of Shadows - track 1 dell'album R-Evolution - Martiria featuring ex Black Sabbath Vinny Appice. Pittura Orfeo morto - Dipinto di Delville. Le ninfe ritrovano la testa di Orfeo - Dipinto di Waterhouse. Orfeo - Dipinto di Tintoretto. Orfeo solitario - Dipinto di Chirico Orfeo all'inferno - Dipinto di Rubens. La leggenda di Orfeo - Trittico di Luigi Bonazza. Ragazza tracia con la testa di Orfeo - Dipinto di Gustave Moreau. Orfeo - Dipinto di Pierre Marcel-Béronneau Scultura La morte di Orfeo di Michele Tripisciano a Caltanissetta. Orfeo, Euridice ed Hermes - Rilievo fidiaco. Orfeo, formella di Luca della Robbia per il Campanile di Giotto. Orfeo ed Euridice, scultura di Auguste Rodin, New York, Metropolitan Museum of Art. La morte di Orfeo scultura di Michele Tripisciano, Caltanissetta, Museo Tripisciano di Palazzo Moncada. Cinema Le sang d'un poète, di Jean Cocteau Orfeo (Orphée), di Cocteau Il testamento di Orfeo (Le Testament d'Orphée, ou ne me demandez pas pourquoi!), di Cocteau Pelle di serpente (The fugitive kind) di Sidney Lumet, dal dramma di Tennessee Williams Orpheus Descending Orfeo negro (Orfeu Negro), di Camus; dal dramma di Moraes. Harry a pezzi di Woody Allen Tre colori - Film blu (Film bleu) di Kieslowski Al di là dei sogni (Where dreams may come, di Vincent Ward Solaris di Steven Soderbergh Ritratto della giovane in fiamme di Céline Sciamma Fumetti e animazione Orfeo della Lira è un personaggio del manga e anime Saint Seiya (I cavalieri dello zodiaco).  Orfeo è figlio di Sogno nei fumetti Sandman scritti da Neil Gaiman.  VideogiochiModifica Orfeo (Orpheus) è il Persona iniziale del protagonista del videogioco Shin Megami Tensei: Persona 3  Orfeo (Orpheus) compare anche nel viodeogioco Hades come personaggio secondario, legato ad una questline che, riprendendo il mito greco, coinvolge anche il personaggio di Euridice. Modifica ^ Cristopher Riedweg, Orfeo, in Salvatore De Settis (cur.), Storia Einaudi dei Greci e dei Romani, Milano-Torino, Il Sole 24 Ore – Einaudi Pausania, Viaggio in Grecia, traduzione di Rizzo, Milano, Rizzoli, Anche Conone (Frammenti orfici, nella edizione di Otto Kern). ^ «Orfeo, fondatore dell'Orfismo» è l'incipit della voce nell'Oxford Classical Dictionary (trad. it. Dizionario di antichità classiche, Cinisello Balsamo (Milano), San Paolo, , voce firmata da Nilsson, Croon e Robertson. La voce dell'Oxford Classical Dictionary prosegue precisando: «La sua fama di cantore nella mitologia greca deriva dalle composizione nelle quali erano esposte le dottrine e le leggende orfiche». In modo analogo la Encyclopedia of Religion ( NY, Macmillan, avvia la voce Orpheus a firma di Detienne e Bernabé: «In the sixth century BCE, a religious movement that modern historians call Orphism appeared in Greece around the figure of Orpheus, the Thracian enchanter.». Werner Jaeger evidenzia tuttavia che «nella tarda antichità Orfeo era un nome collettivo il quale più o meno raccoglieva tutto quanto esisteva in fatto di letteratura mistica e di orge liturgiche.» (Cfr. La teologia dei primi pensatori greci, traduzione di Ervino Pocar, Firenze, La Nuova Italia, Orfeo, Pitagora e la nuova escatologia, in Storia delle credenze e delle idee religiose, Milano, Rizzoli, Detienne e Bernabé, Encyclopedia of Religion, NY, Macmillan, Thus, before he becomes the founding hero of a new religion or even the founder of a way of life that will be named after him, Orpheus is a voice—a voice that is like no other. It begins before songs that recite and recount. It precedes the voice of the bards, the citharists who extol the great deeds of men or the privileges of the divine powers. It is a song that stands outside the closed circle of its hearers, a voice that precedes articulate speech. Around it, in abundance and joy, gather trees, rocks, birds, and fish. In this voice—before the song has become a theogony and at the same time an anthropogony—there is the great freedom to embrace all things without being lost in confusion, the freedom to accept each life and everything and to renounce a world inhabited by fragmentation and division. When representatives of the human race first appear in the presence of Orpheus, they wear faces that are of war and savagery yet seem to be pacified, faces that seem to have turned aside from their outward fury. Guidorizzi, Il mito greco, Milano, Mondadori, La sapienza greca, traduzione di Giorgio Colli, Milano, Adelphi ὀνομακλυτὸν Ὀρφήν. Orfeo dal nome famoso.»  (Ibico) Orfici. Testimonianze e frammenti nell'edizione di Otto Kern, traduzione di Elena Verzura, Milano, Bompiani  «τοῦ καὶ ὰπειρέσιοι ποτῶντο ὄρνιζες ὑπὲρ κεφαλᾶς, ἀνὰ δ'ἰχθύες ὀρθοὶ κνανέου ἐξ ὓδατος ἃλλοντο καλᾶι σὺν ἀοιδᾷι»  Sul suo capo volavano anche innumerevoli uccelli e diritti dalla profondità dell'acqua cerulea i pesci guizzavano in alto al suo bel canto.»  (Simonides; PLG IBetegh, G., The Derveni Papyrus: Cosmology, Theology and Interpretation, Cambridge. REALE (si veda), La novità di fondo dell'Orfismo, in Storia della filosofia romana, Milano, Bompiani, DK Georgiche Metamorfosi Virgilio Nel libro XI delle Met. Il mito è narrato. Jacquemard e Brosse, Orfeo o l'iniziazione mistica, traduzione di Dag Tessore, Roma, Borla,  Rodighiero, Gli autori e i testi, in Ciani e Rodighiero, Orfeo. Variazioni sul mito, Venezia, Discorso di Fedro, in Platone, Simposio, Siamo nel racconto Il ritorno di Euridice, ne L'uomo invaso; per questo e tutti gli altri riferimenti cfr. A. Rodighiero; per una panoramica dettagliata delle riprese novecentesche della vicenda del cantore tracio cfr. M. di Simone, Amore e morte in uno sguardo. Il mito di Orfeo e Euridice tra passato e presente, Firenze, Michele Tripisciano, su storiapatriacaltanissetta.it, Caltanissetta, Società Nissena di Storia Patria, Jacques Brosse e Simone Jacquemard, Orfeo o l'iniziazione mistica, traduzione di Dag Tessore, Roma, Borla, Cannas, Lo sguardo di Orfeo, Roma, Bulzoni, Ciani e Rodighiero, Orfeo. Variazioni sul mito, Venezia, Marsilio, Simone, Amore e morte in uno sguardo. Il mito di Orfeo e Euridice tra passato e presente, Firenze, Libri liberi, Guidorizzi e Melotti (et al.), Orfeo e le sue metamorfosi, Roma, Carocci, Lonardi, Alcibiade e il suo demone. Parabole del moderno tra D'Annunzio e Pirandello, Verona, Essedue Edizioni, Schuré, I grandi iniziati, traduzione di Arnaldo Cervesato, Bari, Laterza, 1 Charles Segal, Orfeo. Il mito del poeta, traduzione di Morante, Torino, Einaudi, Sorel, Orfeo e l'orfismo, traduzione di Luigi Ruggeri, Nardò, Besa, Orphée et l'orphisme, Parigi, Presses Universitaires de France, Euridice (ninfa) Orfeo (musica) Orfismo Decapitazione. Orfeo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Rostagni, ORFEO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Orfeo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.Portale Letteratura   Portale Mitologia greca Orfeo (nome) prenome maschile  Euridice (ninfa) driade della mitologia greca, moglie di Orfeo  Fabula di Orfeo. Giuseppe Faggin. Faggin. Keywords: metrica filosofica, Lucrezio, inno orfico, inni orfici, philosophy of the toad – rospo – l’orfismo nella Roma antica; filosofia antica – l’antico nel rinascimento italiano – occultismo – misticismo – protestantismo italiano – Italia contro Roma. Fedro, ovvero del bellow, Dal bello al divino – Il peregrine cherubico – l’arbero come simbolo – il fuoco come simbolo – la luce come simbolo – canti orfici – sul bello -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Faggin” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Falciglia: la ragione conversazionale del senso e la sensibilità – scuola di Salemi – filosofia trapanese – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Salemi). Filosofo salemese. Filosofo trapanese. Filosofo siciliano Filosofo italiano. Salemi, Trapani, Sicilia. Grice: “I like Falciglia; for one, he took dialectic seriously, as any Aristotelian does! So he wrote on sensus compositum, on ‘definitio,’ on ‘demonstratio,’ and he even ventured on moral philosophy – in a nutshell, the perfect Aristotelite!” --  Studia a Salemi per essere poi trasferito a Padova per proseguine negli studi sotto Paolo da Venezia e Giovanni di Cipro. Insegna a Siena, Bologna, Rimini. Altre opere: “Statuta pro conventu Parisiensi”; “De sensu composito”; “De medio demostrationis”, “De sophistarum regulis, Terminorum moralium, tractatus singularis, Definitiones et additions super constitutions, necnon formularium et privilegia ordinis -- Dizionario biografico degli italiani. Grice: Falciglia’s “De sensu composito” should  not be mistaken with “De sensu composito et diviso” by another Philosopher – Paolo di Pergamo --  sensus compositus: composite or compounded sense. The term has two applications. A logical application, as distinguished from a divided or isolated sense (sensus divisus). In the composite sense (in sensu composito), a subject is understood in necessary connection with or as conditioned by its predicates or attributes; in the divided sense (in sensu diviso), the subject is understood in a hypothetical or contingent relationship to its predicates or attributes. Thus in the composite sense, it is necessary that a blind man cannot see or that a man who is running is in motion; whereas in the divided sense, a man is now blind, but it is possible that he could see; a man is now running, and it is possible that he stand still. The sensus compositus can be used to indicate a necessity of the consequent thing (necessitas consequentis), while the sensus divisus can be used to indicate a contingency, namely, a necessity of the consequence (necessitas consequentiae). And a rhetorical or exegetical application, also identified as the sensus literalis compositus: composite or compounded literal sense; viz., either the literal meaning understood as a figure or type, with the allegorical, mystical, or moral sense embedded figuratively in the text as part of the literal meaning, or the literal sense of a larger unit as distinguished from the sense of an individual term, particularly in cases where one term is in itself unclear or subject to multiple interpretations but capable of a clear, unitary sense in its context. When the composite sense of a text rests on figurative meaning or on a type that is fully understood only with a view to its antitype, the Protestant exegesis stands in positive relation to the medieval quadriga, albeit capable of denying multiple meanings.  sensus divisus: the divided sense; i.e., the meaning of a word or idea in itself apart from its general relation to other words of a text or apart from its logical relation to another term or thing; the opposite of sensus compositus and fear of death. Thus physics is entirely subordinate to ethics, being merely the necessary means whereby the ethical goal is achieved. This is a point which it is particularly important to remember when reading the DRN, for although LUCREZIO is a perfectly orthodox memberof L’ORTO and is not concerned with scientific inquiry for its own sake, the great bulk of his subject-matter is scientific and he gives no systematic account of Epicurean ethical theory. His reasons for concentrating on physics will be considered in § 3.  As Diogenes Laertius points out, the system of L’ORTO “is divided into three parts: Canonic, Physics, and Ethics.”  The Canonic44 is his theory of knowledge. There are three criteria of truth: sensation, preconceptions, and feelings. Sensation (αἴσθησις, sensus) is the primary standard of truth (LUCREZIO). If an error is made, that is not because the sensation is not true, but because the reason draws a wrong conclusion from the evidence which the sensation provides (Lucrezio). With the repetition of sensations, images of each class of things accumulate in the mind to form a general idea or preconception (πpόληψις, notities, anticipatio, praenotio) to which other examples are referred (.Lucrezio). Without these preconceptions, attainment of scientific  xxx knowledge would be impossible, for sensation by itself is “irrational and incapable of memory” (Diogenes Laertius). As for the third criterion of truth, “there are two feelings (πάθη), pleasure and pain, which affect every living creature, the former being congenial to it, the latter repugnant; it is through these that choice and avoidance are determined” (Diogenes Laertius). Thus the feelings of pleasure and pain are the supreme test in matters of morality and conduct, and since they are a part of sensation, it is true to say that Epicurus’ ethical theory, like his physical theory, is founded on the validity of sensation. Epicurus derived his physical theory from Democritus, who had adopted and elaborated the atomic theory invented by Leucippus. However, he made some important alterations to Democritus’ theory, and differed from him in making physics subservient to ethics.  The first principles of Epicurean physics are that “nothing is created out of nothing” (Lucrezio) and “nothing is destroyed into nothing” (Lucrezio). In other words, Epicurus shared the belief of other ancient physicists in the conservation of matter. The universe (τὸ πᾶν, omne) consists of matter (σῶμα, corpus) and void (τὸ κενόν, inane). These are the only ultimate realities: nothing that is distinct from them can exist (Lucrezio). That matter exists is proved by sensation; and if there were no void, matter would be unable to move (Lucrezio), whereas sensation tells us that it does move.   Mentre nella storia della filosofia la parola sensocompare, a partire dalla αίσθησις di Aristotele, per indicare la facoltà di "sentire" (cioè di percepire l'azione di oggetti interni al corpo o esterni ad esso), le origini del sensismo, come filosofia, possono ritrovarsi in alcune affermazioni dei sofisti. [1] Aristotele, De anima aveva dato una definizione del tutto corretta e coerente col pensiero del tempo, ancora molto lontano dal concepire una possibile sensibilità specifica di un essere umano come caratteristica peculiare della sua individualità.Giuliano Falciglia. Falciglia. Keywords: sensus, sentiment, sense and sensibilia, sentient, sensus divisus, sensus compositum – philosophy of the ‘senses’ – the use of Roman ‘sensus’ in Boezio.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Falciglia” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Falcone: la ragione conversazionale e la lingua universale -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library. (Napoli). Filosofo napoletano. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Napoli, Campania. He thought it would be a good idea to translate PORTA (si veda)’s Ars reminiscendi into ‘L’arte del ricordare’, and he did! Se yendeno per Marco Antonio P affari  d Sergio Capuano, Josephus Tavjplona. V.lJ),  ir- V y   ; H T :51 A.   AK-HDia jaq a^Aa-'iooia    i a " T  A T 2 I T T A a .O l.S   : -1 O ‘I A J aaa   P.tfATUO'IAM '.'7 • a CIÌCTIkA «UlM WJOIlillttV   .V-. A^jO 0»5^2Ì!>   .fi .1.^ .iKcViWtfT CHS? C O'fA; SIA!- MEMO  o reminiscenza [Cf. Grice, “Personal Identity,” Grice on Benjamin on Remembering] ./ r ‘" •« •:'>»«-* >• ,-v   E L L E cofi^«alùnqK€Ìefifianttd)dhU * ò memorilo remtmfeer^ap Che, cose ft firn è  l’una,è l'altra il dichiareremo, y fendo ncHofcriut  re{ come fi dice ) vnafiu craffit M inerba, accio che le hofìre regole con piu chiare zsa si intenda ifOilàfdando' dtffifctè le varie}dtjjicfli opinioni de Etltfefe^hehimìòfefira ctbftrtfàyptf'nènefo luoghi di raggioname-. Vujjki*delaimagmami là qtMa-Ufud flanta nel capo )fi è di femore per me^zo delle finefireftejhffetógUoCchifym chiede l nafe t cjalti efimilifiguifà d’ un pittore eccettcntcjvti ritratto deli  le cofe materiali r dtiìfignàt Wlfió permèìlo neÙajdemìm , che come  vna muoia ben acconcia lejìa dinanzi-accio che venendoci poi uolunti di  ricordarci di qttcUo,per mezzo dell'intelletto, che tpflo alla memoria ricor*  te* qui quella r-jcor^mo delle cofe che rft» vogliamo à punto come feci fijfero prefcntlfiglioixhiyE'vòm^mlfr  veggia w,cbeh per difetto della molalo pur di cduiyìhedfegnando non  preparane compartì bene i coloricene dopo qualche tempo quella littori  a [conciar fi, fi ella farà talmente guafia,cbe non ui appaiano punto ifuoi  prifìini lineamenti, noi ci ritrouiqmohauerpeifo il ritratto di quella cofe  if téme con la me^oriarMtfemto^y^in piè, che il pittore con Va*  iu:o di quel pòco circonfcridendò htoàrgm intorno^ tjimdo da vn capò  ali' altro lalìnèà.nepub rfferciredxpttu'ra^ùr ilritrattofenereintegra,  la memoria riprende vita : E qufioèfeeHo’chevhtamiamo il ricordarci *   D ‘ f*fi Con $* vriairitìera finora enfio fo ÌH quella tou'daàtimmitfo m zhimiamo:0erebro ; ttcminejcenz*}  trtcorjdrtfoi}' quello]    ài qigfc ftcvfàJJéohipftJu&ri jiio ejftpfjftomf farò veglio intens  dere, Io imparai qqejló yerfi. ' ' iì -   Nel tempo che rinuoua i miei fijfiiri.   ; Se le i magmi di cfuejìe parole mi JLinno cofi chiare nel cerebro , confi i  prima ve le difcgnciimaginatiu,fe pur nqnVh^owfi chiamata dal fine, poi che il tuttofi fa per accrescere la memoria, perche pojfiamo   S\. n? zH. ’.r; a Y : j r?i ù Z \\ f.y i  !rA5i«y.V;;55 vroìjjtwta';. ’ 4?- « >\wh  àm>i o , Chela Renrtiwfcensa ila naturale & , 5 j   • j- ' artificiale. Cap* a* :   I. •' Il f; f •♦••*?? I* •  j.t*c ' ' - :   Q VeflaReminificenza edi'due maniere, l'unac naturale , l'Atra e  artficiefe, la naturale^ quella thcconwiijlfffi najcej’ artificiale  che còn-regp1é.m  ibi, e la caggione , onde fi fia introdotte à pori » t r Onde fi a nato il poi de luoghi in quella   :;"ìv ^aite di Reminiscenza. P Er mojfrare che queJT arti di ricordare fa tolta dalle naturali ifi  rieme faremo qui chiaro, come non Jènza caggione gli antichi cojlia  tuironojchc fi debbano primieramente el igere i luoghi . Noi vediamo no*  ruralmente >che chiunque vuole ricorda fi di vn lungo fotti) fi forza  fempre di ricor darfi de luoghi prima , doue quel fittigli auetàjfe ; e poi    ari    K.    gii      Jkmh T ordine^ luoghi} fitto intier amento racconta . Introduce limai  rmgliofc Poeta non fcrtza mifìerio ENEA, che battendo h raccontare a Di*  (Ione ciò, che accaduto li fijfi doppò la prej S di Troia, per ricordarft di tut  te le cafri puntola rimemorandofi i luoghi prima, dotte quelle accadute  particolarmente li fino . Partito di Troia fine viene in Tracia. Qmktra  ra la crudel morte di Polidoro . Indi ne viene in’ Deio , doue defcriùe d  empio, c fi mentione del vaticinio di Apollo. Ne viene apprejfo in Gre  ta,e quella bombile peJlilenzaracconta.Comc pòi nell'lfde Strofidi rag*  giona delle Har pie. Nella Città del monte Leucate, attacca alle pone deb  Tempio il feudo jebe tolfr ad Ab ante greco. Neita Cifrò di Buti-oto riuc#  de Andromaohejùr Hàlcno . Ne va in Sicilia \ vede Bina, i ciclopi , gli more il padre . Simonide Melico ( come Cicerone, è Quintiliano firi^  uono) per che fi ricordo l'ordine^ il luogo de corniti iti > cb’eran inòrti'  nella rouina di quella cajà, venne ageuolmente à ricordarf di tutti’cbe al*  cimenti non fipeuemoi parenti riconofcerlijper frpelirli. E di qui ne uens  tleegli inpenjiero di firnef arte del ricordare.Ne mi ptjjò imagginare  htomò cojì infinfato efàocco^chépaj] andò per un luogo non uenga tofloi  foieord'arfianchcrjcbe ejfi non uogliaji cofrche qui gli accadevo fi#  ceffi fé àie di molto piacere,}) difiiacere li fijfi. li caùallo di D ario pafi  findo per quel luogo,doue la fira innanzi hauea della Caualla goduto ,  tofìo fi ricordò del fitto,ir annu endo fi caggione } che il fio Gaualiero  nefiljc, corte vuol T rogo, della corona di Perfia adornoMediamo ancho  che ciafcbuno che vuole ricordarft di vn detto, i fitto yfi u^fempre firz  randa incominciar da capo, e figuir poi per ordine : per ciocbe da quello  come da vn filomene à poco à poco à ricordarft del tutto. Ci ricordiamo  con maggior agevolezza delle cofe di Mathematica , le quali fi feguorm  luna l'altra, che non degli A pborifmi di Hipocratt,che fino finza ordine.  Le fiuolèfi le bijìorie^per^uejìacaggior.e fi imparano à mente ancho dui  dònnkctuokfida contodini,ppr che fi comincia daun-espo ,efiuàpmpft\    tardine fine al fini ; Dice Atriflohle nel libre (Idia Rèmmfcema,(he Vm  nimo nojlro fi motte con molta ageuolezza ne’ luoghi , E quantunque ab-  etini per h luoghi iute ridano, l? interpretino i luoghi T opic t ; non dimeni  T bemiflio eccellente Veripantico intende di qufiìi luoghi materiali . M«  che cofi potrà far maà.che con piu ordine un ricordo proceda , che ojjei  guari o a i luoghi de fi figliano l’un l’altro }. Per che dotte non e ordine j  iut e confusione. Ei poi che fi trouano tutte quefie cofi ne’ noflri luoghi,  incominciamo à dijhnguerli,&- à raggioname particolarmente  . : ; .1 ..'- 4 a. . .'l-   §*.  A * + x % .,!3 I \ i ♦ ‘v* > . ’l V r u \ «3 rM "i* Come si debbano elegere i luoghi fine *  flra, angolo# filmile. Nella ekttione di quejlo luogo ymuerfale bifegna  éuertire alcune conditiom. Prima che in cfi'o noi halinamo } o uerfidmé ontinouamente,e che ne jappiamo ogni minima particella \ I peregrini eli  ganfi quello, doueefìnati fieno} douehabliano battuta qualche lor dolce  fidtsfimoneyche quefli piu de gli altri ci fighono refìar impreft nella mea»  moria. Apprejfo, che le parti fue fumo dfifitenttl'una dall'altra, come fis  nò camere, file, fiale, i loggia, palchi^entratr, portichì,0' altri fimili ; Ori*  de debbiamo fiiggire 17 beatici Colonnat i,! giardini le firade, 1? altri "  cofi fimiglianti , poi che non è cofi doue tanta varietà fi ricerchi , quanto  in quefila . Di più che fiano figuenti l’un ì* altra, ciò e che dalle ficaie fi fa*  glia in filabile camere, djr da quefie alle loggie, e palchi fienza intvrromi  pimento alcuno fra loro,? finalmente fiano quefìi luoghi chiari, & lumia  nofi, perche hauendo à locarui dentro le pitrure delle parole , la poca luce 1  farebbe lorjòfichi i colori,e le pitture infieme con la luce ifltffa monchi    #4    Imi 9 r  e fitr ciò tante uolte , finche gU  habbiamo ottimamente in memoria, tal che firmi in un luogo con gli occhi  chiufi, e AifcorrenAo con la imaginatiua It vaiamo come fi prefinti ci  fijjero . Nc cirincrefca reiterarli trenta , e cinquanta uolte il giorno, che  quejìo è il fendamene dell'opera . Per ciò che non ejjèndo quefii luoghi  ben fondati, e fijji nella memoria ,fi nói ui Jnbrichcremo [opra altre ima a  gimmonifiuno fiera caufa della deflruthone fie rouina dell’altro Quelle  lofi , chcgiouano d Jàrci ricordare di quello che non Zappiamo, btfigtta  ohe elle ottimamente fi fippianojaltrimente fi fibrica f òpra l'arena’   Di alcune opinioni confutate* Cap* r#   j ^   S I potrà adunque per do raggioneuolmente incolpare MetroAoro di vanagloria, è di pazziajpoiche uolendo manififì arci gli unii precetti  della memoria, fi ( come fcriue Quintiliano )i fiuoi luoghi nelle dodeci  imagtni del Zodiaco, doue trecento fijfantn luoghi vi defifie, ponédone un $  per grado : E chi non fi } che ejfindono tutti quefii luoghi filmili, Lr urna  firmi turberanno non poco la memoria nel recitare f e che cfji filano mos  bili, e luoghi tuli, che mai fu huomo che li uedejfie ? Vuole Cicerone, che fi  non potrà alcuno ritrouare tutte le già dette conditioni ne’ luoghi , che fi  •hdnoda cllcgerc,fingafii da fi JleJJòutta Città in una fiolitudine,e quiui a  fi a uolutotà i fuoi luoghi fi eìega } & imagini . la quale opinione aedo io  che dislaccia à tutti coloro, die hanno qualche ifperienza di quefii’ arte, per  t io che potendo noi ritrouare le già dette conditioni reali in ogni luogo, per  de fiopra le imaginationi ordinarie uogliamo noi aggrauar dtpiula memo    % di altre Soie ìmagìnatiorn )Ì phantafini l Die? parimente) che per  ogni decimo luogo fi finga una mano d'oro : le quali coffe a me paiono fu perflitioni difutili . Che fi pur ci aggrada far quefile difl in fiotti , potremo  in ogni camera/o fiala locar diece luoghi, òr bauremo d medefimo coma  m odofinza ingombrarci luoghi d'altre nuoue imaginatìont . Se alcuno  in Cicerone legejfcji luoghi douer ejfier lontani trenta piedi l’uno dall'ala  irò, òr alcune altre regole dalle nofìre differenti, non fi ne marauigli , poi  che il suo intento, è fiato affai differente dal nofìro . bjfo fi Jèruiua di que  fila arte ne’giudttij,doue bifogna recitar concetti ,e non parole ; òr haueg  di bifigno t di luogo ampio , doue hauejfe potuto accomodare diucrjc perfioa  ne, che rapprefèntaffèro ilfitto;&à noi ha mqjlro laijferienzajche co'l  nojlro modo poJJiamo fruirci dell'arte j Lr perii concetti , ir perle paa  rele,òr per ogni (Atra coffa occorrente ; quello,chc non potrà firfii col fiuo. Onde Ha natoli porre delle persone ne’luoghi.   7 A > ' * 3 ?   P lEr ciò che io fino il primo ,fie non twi inganno che uoglb.chc ne y hot  ghigia eletti fi accomodino le perfine, quello, di che gli altri ne fin nodi fienza;parmi di fir beneà mo/lrar alcune caggioni,che m'hanno i/iof  fio i ciofire. Coloro, che fiorifero di quejl'arte } quafi per tutte le 'magmi)  ehe figurano per dimofìrar un fatto , ò ungejlo, uanno cercando fra i lo*  ro amici , quale fiia piu attojche fi debba à quello ufi accomodare, & in  porre in cjficutionc quefiio penJiero,ui fi tr amette # fende fitiga, e tema  po;la doue noi ritrouando una perfino dritta in quel luogo, e Rapendone  tutti icoJìumi,e conditi oni ( come diremo appreffò) in un punto nell’atto  de fiderato Accomodiamo ; e potremo fogliarla, e ueflirla ; e figurarla in  tutte quelle ; tozze, e modi che parrà che bifigni. Vediamo anchora, cìie fi  nel luogo Me cofi piemie, et inanimate non fit pone alcuna perfim uiua. de le dimoflri} fitdaparerqqgeudtmenié tette dimentichiamo, la dotte  con quefia ne trrrannofimpte la memoria e piu defilale piu uiua . A ppref  fi chi non fi, de a figure un luogo ji firlo dagl' altri differente ( de in  quefia arte è molto necejfttrio ) non fi potrebbe ntrouaec cofi piu utile ne  piu commoda, che illocarci perfine utue,che ne djflinguano i luohit\c*  drà ancho chi fitrrà delle noflre regole ifferienza con quanta aUegrczza$  e chiarezza fi uiene al luoco.ouefia collocata alcuna pei fina goduta} o dea  fiderata ; che doue le altre perfine ci danno il ricordo d’urta fola parola >  quefia ne mofirarà un uerfi # e duo uerfi ««(imi : E come in quefìo luogo  ci parrà quefia imaginc uiua,rifilei]e noi  riprendiamogli altri, per che noi aggrauiamo la memoria di molte nuoue  iaaginationi . Alche non accade eh’ io rifionda altro , fe non che fi noi,  grauiamo la memoria di cofi alcuna per una uolta , la difgr aitiamo all'ino  contro d’ \nfimte altre nclfeJfirciào,che noi lodiamo. Come si debbano locare le persone. Noi porremo ne’già detk luòghi alcune perfine da noi piu conofiiu  tejnongia qualunque ci capiterà per le mani jìici uerrà in finta (io,  ma firemo una feelta de piu cari amici , di dieceo uentt donne beh fiime,  'le quali habbiamo godutelo amate, 0 reuerite , e di altre tante perfine ridia '  cole, come fino bufoni , e fimilifC ini mefcolarcmo matrone } perfine no*  lih ffime,e perfine uilifftme e con cofloro ancho infìeme firati, preti, fra*  tcelli, fanciulli ,1? altri, che fra loro facciano uarta mcfcolanza, e di tutti  quefii Infogna fiperne i cofiumi ,eilor fitti à pieno con le cofi di loro oc*  cadutecele giocofi principalmente. E ne porremo un per luogo nt?  già difegnati prima, in gu\ fi, che fra loro uengano mefcolaU inficine, £ * V»i dorma, un ’gmanèìvn fraterna finte, un parente : un uecchto finche,  tutti i luoghi riempiamo .E fi non pojjiamo di quefhhauer tanto numeroy  effendo poveri di amici;empiendo i luoghi di perfine communi rijcrberca \  mo per ogni terzo/) quinto luogo una di quelle, accio che in effe la memo a.  ria come fianca armando ui fi ripofi . guffìe perfine fi uogliono cotto?  care in piè dritte nel luogo con le fratte al muro, e con le braccia pendentif  accio che poffiamo noi poi accomodarle in quelle atooni f cbe ne farà necefis -  firio , Hor locate , die le hauremonel luogo , bifigna con gli occhi detta  mente stempiarle al quanto , cpme fi uiue fiffero , ir poffeggtare loro  molte uolte ùicinof toccarle con mano,è chiamarle per dritto, e per rouera  feto tante uolte >che ritrouandoci poi lontani dal luogo ce ne ricordiamo, eoa  me fe prefintiui fòjftmo . 1/ quale effercitio faremo noi per duo giorni  contmoui. Quando vedremo poi che la memoria finza fruga alcuna Jè  ne ricor da, e dopp'o befferemo non ne refla turbata, potremo ben dire , che  quefìoèfigno ch’ella ottimamente le fippia. i. . > »v f* L : ’-giflY   t V *.• . à. *. Come si debbano fingere rimaglili  de concetti. Abbiamo ragionato detuoghi , è delle perfine ;ragg\omeifìo  JLl h ora dette imagini , (he è la terza parte e la piu difficile delnojlto  effercitio ; e doue confijle l’accortezza ,el giudicio del recitare. Chiamo io IMAGINE, similitudine, idea, forma, o simulacro, che cosi leri trovo chiamate dagl’antichi quella pittura animata che recamo nella imaginauua  per RAPPRESENTARE cosi un fitto, come una PAROLA. Parlaremo prima come  ' ft fingono i fotti, O CONCETTI, e poi passaremo à dire dette parole, che è piu  difficile, per ciò che ogni cosi che si può fireft puo DIPINGERE,  ma non eoa si UNA PAROLA che non fippiamo come sia fatta. Queste imagni di concetti sono o fimpìiafi composite. Chiamo simplici quelle che si potino una parola diptngcre. Composte quell’altre, che con piu d’una favela, quara  io bifigna raccontarsi il fatto inaero. Per essempiom s’io voglio raccordate  mi Jòlo della fauoltt d’Andromeda, fingerà la perfina del luocò ignuda,  legata a un fioglio con catene di fèrro, tutta tramortita piangente. Ma si io vorrò ricordarmi d’una fauola ò btjloria intiera, dove intervengono piu persone, ridurrò il fitto in quella breue fcmma, e di perfine, e di cosi chi  Jta pojftbile, accomodandola al luogo. Ed in questo mi piace imitar i pitto?  ri^ouero gli poeti Xragici, o Comicide Jctpprerappre fintano la lor fiìh la con quelle piu puocbe perfine che poffonoi Ne ehij hria cofì piena di  varietà di cosi che diece perfine non b fiino a rappre fintarla . Se a me  piace di ricordarmidella hijloria degli Ke,quàndofurono cacciati di R ot  ma. Tingo rieia prima imagine T arquinio inbabim reale ò con vna ffada  •n manose ch’habbia vna donna ignuda infino nel fecondo luogo, la quale  fingerò che fia L ucretia,che piangendo uolgagliocchi al dèlo in atto, che  dimoflri cedere à fòrza alla voglia dtshonejla fila. Tingeremo, terza pefia  n a parimente LUCREZIA afflitta ir dogliofàraggionareaUa quarta per fia  ttaufiita da Collcttino, il quale fla attonito ad ofiolatria; Ir ella cauacofi  Impugnata difètto la utflè y fincfcrifcamomlmente il petfo.lAquinta per  fina wimagincanchi Realc con la corona toltali di tejlafe dal fuo folio dea  poflafiràmedefmamcnte T arquinio. E coft nel medefmo modo firn*  pre ci onderemo dipingendo la bifloria tutta Philomena in queflo modo  iifinfiintolaUhfioriàde’fioifùcceJftjquandolamfirQà Progne fua  fittila ; doue ejfireffi. tutti quegli atti principaliirte* quali confifleua la ina  telligentia del fiuto. Di qufia maniera è LE MEMORIA DI CICERONE, berta  thè egli in un luogo filofingefft [a hifloria tutta; la douenot col nojlrt  ordine Tbabbiamoancbo effreffad firfi con piu ordine racconterajfi • :  P affiamo bora A RAGGIONAR DELLE PAROLE. , i [' ■  et fileremo alt  A. V A quanto per trattar di cosi non poco necessaria alle nostre regole;  E firkyche avendo insegnata, e mojlra l’arte del ricordare } magniamo  qui anebo L’ARTE DEL DIMENTICARE. Di questo nostro esscrdtio una parte ne  è jhbilcjunaltra mobile. Stabde fino i luoghi, e le perfine. Mobile fino limagini cosi de concetti, come delle PAROLE « Uluoco fa quello effetto in  questo esserctio che fa la caria inuernicatv, o pietra de compositori di musica. Le perfine fino le righe, che iui fino, le imagini fino le note, che ui fi  fanno di fipra cfiruito chcfièil compofmre di quelle , firegadole con  fi uto,b con un panno humido le manda via, per firuirfi della carta per l'altra wlta. Noi delle cosi che recitiamo, di alcune vogliamo a fatto dimena  tic arci te altre uogliamo che tomamente ne refiino nella memoria. Vos  Aliamo dimenticarci di quelle parole, ò concetti, cheti poniamo in memoria  ’éarà di per affidar art,e difi orzar l’ingegno, e recitate che l habiamo y non  te ne firuiamo piu dirimente . Il medefmo dico di quelle cofi , che redo  Homo a pompdfa ai oJ1entmonc,quafi per vn gran miracolo / una tana  ta fiUati, di memoria. E ne ho ueduti io non pochi farne le marauiglie.  Vogliamo anelo dimenticarci delle comedie f deHeletuniy delle Orattoni, e  Prediche/percbe fatta U rapprefintatione poco adiriamo, che elle ci rea  fiino ; anzi procuriamo dliauer i luoghi uacùi.e netti per poter firuirccne  deir altre uoltr, Il per che bifigna imitare i pittori ,i quali dijfiaccndo loro  il ritratto,con ingejfire di nuouo la tcuola y la redono bianca r preparati  per la nuoua pittura . A quejìo modo bfigna,clje noi con vnaffogrta in*  tinta di rubrica tfcancelhamo tutte k imagini fatte , e con gli occhi della  mente vediamo tutte le perfine ignudo, e con le braccia penderti , o rac a  coltela lenzuola biancheirte andiamo difeorrendo con la memoria tre fa  quattro volte } facendo penfiero,tomc fi mai noi figurate l’hauejjimo f €  che mai ptù nonjvi ritornino. Di quefiiprecctà banca di bjfigno The a  melode ( come feriti^ Cicero**) che ejfindg dimandato da S moiude, fc egli volata imparare Torte ài ricordarft , rjfiofi > eh ejfo lenirebbe  piu volentieri l’arte di dimenticar fi apparati , per potere di quelle cofi  dimenticar fi , che ejfo defideraua di [[cancellar fi dalla memoria . Ma  quelle cofi che vogliamo ricordarci , che ci paiono vtili j e necejprrie : bis  j legna doppo di hauerle recitate in quefo modo otto , e dieci volte , indi à  poche bore far il medefmo , cofi per alquanti giorni , e la notte in quel fts  lenti o , che gli occhi fin riuocati dalle cofi finfibili , à vero la mattina per  far il cercbro meglio dijfojlo , per ejferegia digejìi , e confumati i va*  pori del cibo , bifigna far ancho firmo penfiero alle imagini recitando*  accio che s’imprimano bene nella memoria ; che poi fi ben vogliamo , non  ce ne pofftamo dimenticare ; per non ejfir altro memoria , ch’un habito  di tener firmo le imagini . Però veggiamo i tardi di memoria dopp'o, che  hanno imparata vna cofi non dimenticar {eia più : per ciò che confidando  poco a fi Jlejft , fanno con tutto il penfiero all’effetto 4 el ricordare, la dos  ucgli ingenioft confidati nella bontà dell’ingegno , poco dopp'o d'kauera  ! recitato fi ne dimenticano. Come possiamo ricordarci delle parole dal proprio. H Orrt raggionaremo, come pojffimo ricordarci delle parole , opri  più difficile dalla pajfata . A ciò fare terremo vna regola da Aris  Jloicle nel libro della remmjcenm , che ci ricordiamo delle cofi > ò dal  proprio * ò dal fimile * o dal contrario . Noi di ciafcbeduna di quejle fi  remo particolar raggionamento , cominciando dal Proprio * Le parole ,  che ci occorrono à ricordare , altre hanno le loro imagini , altre ne fan*  Hodifinxa . Chiamo io quelle parole bauereje imagini , che DENOTANO cosi materiali jome TAVOLA, che è un legno piano, ò PIETRA, che  Jèra calce marmo ,'ocrtta cotta: A kun altre ne faranno di finita  ft come qoefla proli PERCHE ,\yw T £ N T O,  àieTun dinota v« dimandar cè cominciaremo da quef1e>cke fi fon dette) per ejfer piu fk t  cili: per che ciascuno avendo à dipingere queste nella memoria, sa meglio dipingere una mola o pietra che un perchefo tanto j che non fa come fumo fitti. Co/i l'ingegno di colui che fi eserciterà, s auezzerà à pocojà  poco a ricordarsi. Ajcolta: Not della PRIMA PAROLA CHE VOGLIAMO RICORDAR esporremo l’imagine in mano della prima persona che habbiamo lacata nel primo luogo e la dipingeremo qui con la imaginatiua, come diremo Off  prejfofe fingeremo quella persòna tenerla in quello atto che si con sa più  Con l’età, co'l portamento, e co’cuoi cofium 't che come abbiamo prima  ietto bijògna hauerli lenijfimo conofciutì Se da per caso UCCELLO.j  e toccherà ad un FIGLIUOLO, ci imaginaremo un UCCELLACCIO GRANDE che lo tiene abbracciato, e cinto, come habbtam visto L’AQUILA CON GANIMEDE. Se toc?  cherà il medesimo ad UNA MERETRICE, la fingeremo tenerlo nel grembo Jlret  lo, come habbtam visto LEDA tener GIOVE MUTATO IN CIGNO. Se toccherà ad  un cuoco che lo Jlia, ad arrojlire . Ma jè per case dice TORO; è toccherà ad vngiouanc gagliardo, lo fingeremo Jìarin quell’atto co*/ toro, che  habbiamo uifio in più-ritratti d’ERCOLE con Acheloo Se ad un uillano, nella  gufa che Argo pafceua lo vacca. Se ad una vergine 3 che ui feda fipra, e  ut Jcherzi, e lo inghirlandi) come fi legge di EUROPA. Se ad una MERETRICE qual ne deferiueno i Poeti , Pafifi congionta con quello. Daremo urialà tro essempio, Se dirà CORNO, e tocca ad un sacerdote)Ct imagmere  ino un sacerdote antico che tiene una uitnma per unxprno. Una vergine>  (he l’habbia pieno di fiori, e di fiuta ncliaguifà che le ninfi Notaci tengo#  no il CORNUCOPIA che unànergine fi-fàccia dormir nel grembo un LEO a  corno ) che co’l fùono della Citerà, ue lo halite indotto ,‘Vn cacciatore 4  qual habbiam visto ADONE per le seluv. Vn infime detia moglie, come  A leeone lacerato da-Qm; e filmili imaginano ni cfxpvffpno ejjert infinte^- « fr.U    fr. Il mete fimo firn ALLA SECONDA PAROLA, dipingendola aìU seconda Peri  fina, co ft della terza in fino all‘ulama, Jìn die fiano ripieni i luoghi Dopo comincieremo a recitarle da capo tutte, e dimenticandoci di akunajlcjvres  mo di nuouo LA FIGURAZIONE; apprcJfi le reciteremo a rouerfeio, poi traladaremo le Jparijpoi reciteremo le trdafàate : ne penfire che fia piu dijji  àie dirle a rouerfcio t che a dritto,per che auendo le parole dipinte ne’luoghi come colui che ha le parole deferitte sopra una carta poco li fard cofi dal capOiCome dal fine recttarlc; e do farai il giorno tante volte, finche eoa  nqfcerai, che db ft faccia poi finza fatica veruna. t   *>, *MÌk « **!.**» m* j . V- • Hs'*« it-   ik - Alcune condizioni che (i ricercano alle  r imagini. Perche aviene Mora che dipingendo l’imagine d’una parola, o  fatto non ne fouuiene con quella ageuolezza che noi vorremo, o no  ce ne ricordiamo punto; per do che non di tutte LE FIGURAZIONI che fingia 0 no, ci poffiamo noi ricordare;rcnderemo noi la caggione onde possa accadere, aedo che effircitandod in qucflo, ricorriamo fimprc in quel modo di  imaginare che ne tenga la memoria e piu defla , e piu yiua ; e non dicano  gli poco esercitati al ricordare che piu lofio si ricorderanno da per loro di  una parola finza l’aiuto diqucfl’arte jche per quella fila parola non farano  no in ricordar fi del luogo, detta per fina, e dell’imagine. Noi per confa  guir qurflo lamineremo per quella firada per la quale LA NATURA iflcjfi c guida jn tutte le cofi ARTEFICE maravigliosa. Mediamo naturalmente che  dette cosi prime e nuove d ricordiamo assai volctiticri. Io mi ricordo me  gito dette fiuolc mal composte } cbc mi recitava la bada mia qua/tdo io era  fnnciullo t cbe di quelle che leggo ogni di ne’poeti. Pcr affimi in quel tempo ogni cosi prima è nuova, come dice il LIZIO, e non come dice Attieni: i fanciulli Uno lantani da oem {enfierò Jt   C da noiofc fàjlidió, Veliamo anchórd:che ri ricordiamo Ielle eojè marauta gl iofejper che la marauiglia najce Ma nouita, Ci ricordiamo anchora dei  le cose rare, ir inufitare per che ne taufino maraviglia, eia furo fi ricora  Aera piu d’un Cometn apparsele delle stelle, che habbia vifìe Ceffate dia  Jtorrere per lo (telo, piu d’un eclisse del Solere della Luna; ptu d’ur, ara  co celejle di notte, che dt giorno, per ejjere cofe più rare. Per ciò che delle  eojc.che ogni giorno facciamo ci dimentichiamo assai uoluntieri. Ci ria  cordiamo ancho delle cose fàcilmente che ne muouono à giuoco , i i rt(è;  Per che il rifi najce dalla marauigUa, e le cose piu tofìo dishonefìe e bruto te ci fanno ridere che le buone. Ci ricordiamo piu della gentil dorma, e  dell’asino, die ne defenue Apuleio, cìie delHionorato atto di Regolo j ò di  Mutio Scevola. Ci ricordiamo anchora delle cose che ne piacciono, ir anchora, che non voglidmo la memoria ce le rapprefinta dinamica dove de fate cose che ne diffiacciono gonfilo non ce ne ricordiamo, ma le alhorrfa  mo ancho co'l pensiero, e fuggmo piu che pojfamo il ricordo di loro coll’imaginatiua. Le cose bombili e ffaucnteuoli ci danno anchora caufa di ricordo; per che l’horribiltà del fatto, d tiene per qualche tempo l’animo  fercoffo, e foJfefo, e cbicordiamo piu di coloro, che muoiono per fet^a di gtrocijfmcgiuflitic che di coloro che muoiono di film, ò d’altre malattie. Ci ricordiamo anchora delle cose varie fra loro e differenti, che fe ne  òli 3 e nella Mufuacida piu diletto la varietà che l’abondanza nelle cose della natura, e della martoria fono non filo vtdi, ma necessarie; di una pittura di BUONARROTI (si veda), o di Tiziano ci ricordiamo meglio che  di quella d’un pittore comun; perche dove in quejìe fi veggono ogni:  giorno cofè filamenti Ordinane, cofi in quelle fi veggono dtuerfi mouia  menti , ir infilile attitudini. Se adunque ciò conojciamo , per che non -,  debbiamo noi figuir quello , thè fa Natura ifleffa ri rnofìra 1 Hora con  ogni noflro penfiero alfigurarc facciamo le imaginationi nelle perfine »  de gagliardamente muouano le membra , che imitinogli atti degli Ijlria . ni , piu del fiUito granii , ornati ii colori splendenti l e viui,  t bruttezze incomparabili , e di altri p radicamenti , che  ne rapprefintmo all'animo una nuoua forane, marauigliofi , mu finita +  piaceuole , varia , c faauenteuole pittura. Si io voglio ricordarmi ii  INNAMORATO; non fingerò la perfino del luogho ben ve a  fiita , ir acconcia fijjnrare > e fir fintili altre co fi conuementi ad vn  gentiluomo innamorato ; ma la dipingerò qual deferiue OVIDIO (si veda) Polifit  mo innamorato, con la falce raderfi la barba , co’l rajìro pettinar fi la tea  fia;ffacchiarfi nell’acqua; con vnflr omento di mufica forano finare,e  cantare . Per che ejfinio cofi ridicola timagine , mi defiera con maga  gior ageuolezza il ricordo nella memoria . Il fonile farai ancho nettale tre cosi Onde fia nato il ricordar dal Simile; e  come fi faccia* Cap« 12. S Jamogiontìiraggionarc, come fi pojfano dipingere quelle parole J  chejìanno finza le loro imagini ; il che è opra dijficiùjfima, e doue  fia tutta l'importanza dell’arte. Per do che dice il LIZIO, ejjer net  eejfario k ciafauno j che faecola che vada fae colando l’imagim & queU  la cofi t ne può l'intelletto noflro vfir il fuo vfacio , fi £ intorno non fi  gli rapprejènta Immagine di quella . Onde non confijlcndo in altro quet  fi* arte > che nello cfarimerc intieramente in difigno nella memoria il rittratto delle parole; come potrà chi far il volefie a gufi di eccellente pitt  tore fi ngcrc con l'imaginatiua,ò mojhrar in difigno cofajche egliifìcjfi  no fàppia come fatta fi fiaitìora duque forziamoci di moflrar molte rego  kjc uie, accio che hauédole J’esercitate dindzi tutte ) fi uada firuendo di  quelle, che più proto li uegono, e più comode fi le ritrouaie co queflo fi reco  f c/i la fatiga del faito.U feudo modo adùque, che babbiamo detto di [opra    Jìc il ri cordar/ dal Sfatile, e queflo modo daremo noi a quelle parole, che  non hanno imagmi . Chiamo io queflo modo dal fimile.per ciò che non ha  uendo le lor proprie imagini quefìeparolejaremo loro le propinque, affi*  ni, e fi non in tutto, almeno raffomiglianti in qualche parte. Ma prima, che  di quejlojàcciamo parola, parmi conueneuole a narrare alcune caggiìrà, onde filmiamo noi che queflo modo ne pojfa efiergioucuole in qualche parte. Che un simile ci fa ricordare d'uri altra cefi fimile/ecofi funda  tu fui naturale, e l if peri mentiamo ogni giorno. Ogni madre, che uedrà  un JìgUuolotch’habligliocchiye la faccia, e le mani ,e'lgeJlo di alcun fio,  figlio^chegia gran tempo non hahbia ueduto,fine ricorda fibitv. Andro  machc uedendò Afcanio figliuolo dt F neaper la simiglianza degl’occhi, delle mani, e del volto si ricorda del suo Ajhanatte, onde piange, egli (à prefinti. Sempre che veggo una donna che quando parla lo ride fi certi  mpuimenti di labbra, e di facciami ricordo dt un’altra donna conosciuta, che ridendo, o parlando ficea fimiì atti. Sempre thè fintiti) cantare l'aria  Sun madrigale, ch’hablia alcuna fimiglianza con alcun altro, mi ricordo  di quello di chi lo cantaua. La fimiglianza c nel predicamene della ree,  lattone : conofciuto un e [Iremo , e fòrza che Ji conofca l’altro. Cosa di  troppo gran fiocco, e finza mente firia,che hauendo locata una parola fio  mile ad un'altra, e finttndo,o ueggendo quella non cene fitiuenga fibito. E fi ben fintiamo in noi un cere che di /confidarci, non ce ne /marnami  però punto. per che la memoria nofira ancbora, chc non uogliamo, lo ci torà  ita per fina fa mente. Come possiamo ricordarci dall’Aggiuns, - ti od e   ' > . • - r’   «L itfr V T ™ •»; ^7?.' r\ * *'£'■ * r l ' J ^** . r **» * ' a   H Oro trattiamo k flette detSimileJe quali fino molte, e le Jiuideo  remo in due parti una terremo dalla intesone della parola? l'dtrp. dalla frittura, dai con fiderando come ellafìl, cmincktremo h quefìa,  che e lene afficurarààn quella, ch‘è piu certa dell’ altre. La chiamo dalla  fcrit tura, per che occorrendo una parola, la cui fignificatione non ajjomiz  glia ad alcuna altrado alterando quelle lèttere, ò frllabe > che la componga  no de darò famigliatila nel suono. De’ modi d‘ alterarla non mi fi untene  bora piu di cinque. Aggiungere, Mancare, Trajjwrre, Mutare,}: Parure.  Cominciaremo dall’aggiungere j il (piale può ejftrc nel principio, è nel mezzo, e nel fine della ditaone. Chiamo io aggiungere nel principio  della ditti onestila figura cb’igr ematici chiamano Prolhefis, de fifa  aggiungendo una fillaba, b al meno una lettera al principio, come con magi  gtor prontezza ,ò comodità ne occorre in mente . S’io uorro ricordarmi di  CH E, non fitprei,chc imaginarmi da porre in mano delle perfine, ò ne*  luoghi , ma , aggiungendo una lettera O nel principio della ditaone diri  OCHE, che fino le Papere, quejìi animali in mano della perfetta mi fa  ranno ricordare di ChE.llmcdcfimo faro a LOMBO, per aggeuolan  mi tifilo ricordo, per che fi io aggiungo la fillaba CO nel principio, barn  rbCOLOMBO,quefìo animale adunque mi farà ricordare dùLO M  BO. Farò amhora nel mezzo della dittione l’aggiuntone di una fillabafi  lettera, Ì7 4 e da grammatici chiamata quefla figura epentesi. Se io cera  co ricordarmi di R I A, che non si come fìtafitta, aggiungendo un V nèl  mezzo dirà RIVA, vna rtua adunque, b vero vn colie fiorito in quel  luogo mi darà il ricordo di RI A; cofi per ricordarmi di INSTRQ,  porrò nel mezzo CHIO.è dirà INCHIOSTRO) le manilla fàccia  dela per fina del luogo imbrattata di inchitni firà ricordare di IN* STRO. Qucflo parimente faremo nel ultimo , aggiungendoui pur una  fillaba come per ricordami di FINE aggiungerò STRA, e fà T h  NESTR A, che fi bene come fia fittmeoft à DI aggiungerò vn O fedi  ÙDIO, chiamata pur da grammatici Proparalejfifi Paragoge. Come portiamo ricordarci dal nancamento S Egutil Mancamento, che e il contrario di (fucilo, che habbiamo dettò,  mancando dal principio ; dal mezzo , edal fine della dittione alcuna  lettera ,ò fillaba ; e prima ragioneremo del principio y chiamando tfuejìa  figura con i Granatici Apherefijir auerra,chc terremo al principio del  la dittione.lncontrandomi a ricordar di SPERO j togliendo il primo e dirà COSCIE: fingerò aduna  ape la perfina del luoco moftrarmi le cofcie, e mi Jòuucrrà ancho fubito di CONOSCE , e da Grammatici c chiamata quejla figura di torre di  mezzo la dittione Sincopa. Atterrii il medesimo alla fine della dittione. Occorre CAN IT ferrò l’ultima, e dina CANI. Ecco duo cani insieme mi daranno C ANIT. Se vorrò ricordarmi di SOLEMO, un SOLE mifirà ricordar di SOLEMO: togliendo parimente quella sillaba MO tire detta questa apocope  k ' r v.,." * * & -*•' W " *  rv V v ì -‘‘-t Come possiamo ricordarci pet lottai  sponimento. I L traffonimcnto auiene ogni uolta,che le lettere, ò filiale della dittione  mutano luogo fia loro. Prima diremo del traffonimcnto delle lettere. Ciò è della prima all’ultima, della feconda alla penultima, e cosi di mona,  in mano dell’ due. Se mi vorrò ricordar di ROMA vvolgerò tutte le fd  tale al touerfciofi irta AMOR, vrt Cupitine m mattò, curro all'ract  àato con la persona del luogo mi porràinmentoj ROMA. Si trafiongos  no medefimantfnto le filiale, cóme dicendo REGO; che non si come fa  fittvìvolgo In seconda fittala al primo luogo } t la prima àtt’t ihma, e dirò CORE, potrà meglio dipingerfi un CORE che un RECO. Cefi di  R 1SEM I , porro fióre MISERI ; che ficn le filiale riuolte.Si potranno  anchora trofporre le lettere altiimcnte ponendo la fecondò al primo luogo  • non mutando le ah e } come vedendo ricordarmi di ALTO , porrò la Jet  tonda lettere L al primo luogo poi quelle, che figuono, e dirà LATO, la  perfino del luogo tvccandofi il lato, mi fitrà ricordar di ALTO . Il me*  dejmo porremo far attefittabe: Se per tifo eeicarò ricordarmi LO ME*  N l, pongo la feconda fittala M E manzi ,e dirà cofi trafijwfiìa MELONI, Ecco due meloni in mano delt afifidente del luogo, mi fiora ricordare  del primo . Il fimile fiorai degli altri traff>oriimenti,ché pofifono effereim  Jmti t e bqfimo quefiìi effempi.per non efijèr piu lungo. Come polliamo ricordarci per la ' '  mutatione. Cap. ier cafi ricordarmi di SELO , utdo ìb  mutando le uocali potrà dir SOLO, anchora SALE, e SOLE. Se narrò  gncborn ricordarmi di una donna chiamata MENICA, me ne ricorderò  fingendo vn MANICO di fiata/* di Qppa, fingendo parimente vn  i MONACO,e ftmiU.Per SA GG IO ; SEGGIA , per BENCHÉ  vn BANCO, per PARLA, PERLA : tAa pajiamo alla divisione. Il dividere che faremo della dittione in piu fillttbee una di quelle par? tijche fono ytìlifftmc a farci ricordare pcr che ne nafcenonjolo il por?  te a memoria ogni cosa che occorre j ma di qualunque nomejìrano , bar?  laro,& inulto, che fùffe. Ma parliamo prima come fi fàccia quefìa dia  ui fotte in partì fignificatìue , per che fegliono occorrere, alcuni nomi, de  ancho diuift figtòfi canone poi riforniremo di quelli, le cui parti nonfàps  piamo a chi aJfomigliarle. Occorrendo per.auentura AMOROSA >s'io  {fluido per mezzo questa parola diri) AMO, ROSA J fìngendo dunque vn Amoda prender pefc i , & yna pùnta di Kofi mi fòri ricordar  AMOROSA, che, fi intiero fife non faprei ritromlo. Il medesimo frrcmoà SOLE KE'Chediufodirà SQLE ieKE'VnReaiun que yefìito col Scettro^ conia corona, e con yn Sole di legno, quale ftam  filiti veder dipinto, ci farà ricordar di quello. Coftanchora di APOLLODORO Vn A polline indorato. Vegliamo b era all’altra parte . Di*  uidaft il nome Jlranoin tutte le Jueftllabe,c daremo per ognifillaba alcun  fogno mannaie in mano dela perfina del luogo, il cui nomo cominci da  , % quella ftlkka r Con yneffimpio mi farò meglio intendere Volendomi t Come possiamo ricordarci dalla divisione. U /empiici A Diofcòtidc, 'cfimAi Cmè STÀEfLODEttDR A}  li prima fillaba e STA. trio fingerò la prima perfona tener in mani  una Jìatua A marmo. FI nell’altra un ramo A fico : LO > ne* pick una  locujìa. DEN , chef altra perfona co una mano fi tocchi uniente.DRA  e con l’altra abbracci un D ragoneionde legenda le prime fiUabe di 1.! - j t o. r ; Coti che fegno debbiamo fegnaile ^ n, jff  Z'm  un   ATA perche patria dir colui, chela da fir effreitio A epuffarte , à  1’ Ichcfcgno potrò conofcereio t fi in la figura ui è aggiunto, mancar  io jfrdjpojlo.fò altramente alterato i perciò che guardandoti mfap  ri piu Affetti à ricordarmi A ciò che-mi magmi che della sola parola ifìeffa. A queflp noi ripareremo con uuabreue regola, che dobbiamo cefi  figurarci la pittura come è la co fa ifìeffa . S e io ho aggiunto alla dittione >  torri alla figvra,efi ho tplfp ui aggiungerò ,ò la mtarò mediche parte,  come pcreffempio, (colendo ricordarci di CHE mifinfi 3ueOCHE>  per Amojlrart chefa letterati capo, della ditone c fouerchiaj smammi  Capo all’oche ,e le fingeremo cofi, acfipchc il mancamento Alle teff alti pH !  muttrafi parimente ifs  tUnW fiu VnfliENNAflratmdinmaccn le piume ritcrte^un BAN*  CO rifinito , un SO L E cdifjaàjt tenebrò fc, òr una PERLA tqal con  da in quella parte mutata, doue habbiamo di lei fitta la mutotione.La Db  uifione fi una   ROSA cui manchilo aktyfìe^altdti’jÀPQÌ&QtndoratD: rotto per  mezzo, et fimili figurati ori come piu n piacciono^ ti uegono à uerfo.Ne ti    w r* jy m j „ jti '*jri i » o   pensi » tfijnd’ u tòtrinciàua c irosi 'in fcr mt&c | .‘^1 ri ©drtfcfofà lafctitttì£i regole che altro noi non vogliamo xth'uftre interini in uece delle le t ter e t  per patrie depingcrc nella memoria. Il Tempo lo dipingeano figurane  Jo il Sole, x là, Lurknii faggif* cbequtflì fmetmrù o emfdfe m   fo ..Perii Moruk dipittgeanavo Serpe.lon inbocca-jjl Serpe è  punteggiate di oro 3 òr dipinte dt fiutane , che r effe mkaH jietvtm la  jlelle , è rotondo fenkh 'principio 3 e fcn^ofne^Qmé tl 'cmkofd&klo:}  rinuoua di fiogUa alla primauera, v-Và 1* Y;V.'U-A ‘ • V é* :5 **>$•*. r '« r ’ i . r r- m iwfci&t "t\r: o* T "yOtremo parimente col Gejlo effimere alcune fgwfimonidi paro  A le ; e ne diremo piu particolarmente quache non barbiamo fitto rag ?  gionando delle I magini de* concetti, e dtquejlo potremo fruirci con molta  comodità, per ciò che à firci ricordare la perfino del luogo figurata inquel  gffio; ne porge molto vtile , e quella pittura figurata in un decente gefìoj quantunque taccia, che non paia che raggioni , ed efjrimi « fio con  detti piu che la voce vma tVn muto effitme coi Gejlo ciò che egli de fiz  dera ,'V fóndo le mani in uecedi lingua Philomena efireffi col gejlo  dia ferrila più chiaramente la violenza vfatde daTereo , che non fice  con la pittura* N efil cifignificano quijli atti nelli hnomini , ma neUi  animali ondo, che io*i filo mouerfi ci accennano ciò che ejfi defiderano. Chi non giudica /thè dinoti humiltà vn capo chef a inchinato alla dea  fira , vnritto arroganza , piegato innanzi accetta, ti pendente in dietro  neghi deche con bocca, mani , e con ogni altro membro del corpo non fi  fojfino dimjk'are infinite pajfmi fi parole ì Chi non giudicara mejlo,  et di mah voglia vno ,che ft veggSpalhdonel volto ,con la fronte dea  prefiy col collo languido, e pigró intuiti ifinfi,e nelle fòrze dir un’altro infiammato (tira, thè hahbiail colore gli occh gonfi ,cr (facondo,  t rutre le membra nfiritite, e fiia èon tutta la perfimtin moto gagliar difi  fimod Jf of occorrendoci adunque (come per cafifi IMBRIACO a 'V* * - a I •• # ^ v - fìngeremo quella perfètta in imagine , quale veliamo deferita Sileno da  VIRGILIO (si veda); Jìar dijlefo in terra me^go finnacchiofi, con le vene gonfie di  vino , con vna corona difirondi di vite, con yn fiafeo, che gli fenda via  cino , a cui la Ninfa Egle dipinga la faccia di mora rojjc  V cigliamo ria  cordarci di INVIDIOSÒ, fingeremo quella perfena guaine deferiite  O uidio l’invidia, Jederin terra facendofi cibo de jer penti ,femprc meta  ero, fofairando , e piangendo } di faccia pallida, col guardo torto, co denti  ruggmosi ) egli difiilli veleno dalla bocca. Se anchora dicejli OCCI DE j qual ancho VIRGILIO (si veda) ne dejcriue ENEA fipra TURNO, il quale confe  braccia JòpplicheuolijCt djflejò interra chieda perdono ENEA minaccia  te gli habiiafittu la spada nel petto. Il filmile farai nell’ altre parole, che  ft potranno efarimcrc co’lgejlo.Cosi chi con le braccia aperte,chi con dia  Jlefi t chi dritti , chi piegati ,et finalmente tutti in diuerfe attioni faggen a  do quanto fi pojfa ? atto dell’uno rajfomigliarfi con l’altro, acciochcal rea  àmre non pigliammo errore. Come ci possiamo ricordare dal contrario. j   Vf 7 % . 0» , Efìami quejla terza j Ir vltima parte a trattare , ciò e come ci pof  fi amo ricordare dal contrario > il che io promifi al principio , quatta  io infegnai et ricordar dal proprio . Il ricordar dal contrario ci porge non  piccola vnlità ;per ciò che ciafcuno per vno ejìremo fi ricorda dcllaltro  eferemo . 1/ color nero mi farà ricordar del bianco , nella infamità mi  ricorderò della finita e nella infelicità fempre della pajfita felicità . Ina  Produce Euripide tìccuba nella fra T rageìta, che ritrouandofi nel colmo  della infelicità che hauea dt bifogtto d’ognt cafi, rtcordarfi del colmo della  Jùa felicità ; dclrcgno dejf flfia> de cinquantafigli , e cinquanta nuore,  del Marito , della cafi tonto ricca : ir iHuflre .Nel caldo ci ricordiamo  Helfeido, 1 caualierì Tranztfi combattendo neU'cJferdto di Morto  Craffo contro i Parthijper lo caldo che fintiuano fi ricordauanodelfed  do di Francia, e per lafite che papuano j fi ricord auano di tutte quelle ac 0  guef’iui haueano vfie. ,   Ma prima , che mi parta di raggiane di queflo, racconterò anchora un al  tira regola, che non fife la debbo dal contrario, ò da altro chiamare, che fi fi  ra fra quante ne babbiamo raccontate digrandiffimogiouamcntv. La refi  gobi c quejla,che colui haura da fcruirfi di quefl'arte , elegaft primierafi  •niente in de vfifi nt haura a firuire , ciò e fi in predicare, b in ree idre  O rationifi altre co fi fé pojforìo ejfcrc tafanitele fra queflo fio v o eleggasi da duecento o trecento parole, che ptìtgli firuorw, e piu gli intinte#  rgono, e che meno fi pojfino ajsomgliare, per ciò .che quejìe parole piu  dell’ altre ci f cglione effir molefic al ricordare . Soia ci fama di quelle  daremo un figno manale jò dal contrio/o dui diffamile, a come a lui meglio  piacerà elegerle, e quefie notarle in un librone porfile beniffimo à memo;  tiaytedo che occorrendo al ricordare le potigli in mano delle perfine del  luogo in uece defle'parolé . Fingerò fa me j che una gran 'Zucca dica  POI CHE, vn Melone dica POSCIA, vn Ccdruolo DAL, vw  Tomo P ER y e fmilijcofi con molta prefie^a locaremo le imagini alle  parole fenza andar molto vagando con l'tmaginatiua per porle , e pat irne»  te con molta prefezza uedendole con l'intelletto ci ricordiamo delle parò*  le . Quel la regola è tolta da coloro f e raccogiicuano le orationi antica  mente dalli vtua voce mentre fi recitauanont’l Senato f e con certe tifica^  refi caratteri da loro imaginati alle parole piu occorrenti } le Jcriueuano  (on molta jtgeuole^za.e.Fu quefia regola molto commendata da Greci  per mio parere fé fcrijfero dt qu fi’ arte, ammonendo coloro f e hauea*  noà fr tpieflja profcJfione,ne haucjfcro à memoriiynagran moltttydi fi,  La quaU opinione à torto Cdcerom. la ri prende, intendetiJojtfpiwenfy  U da quello f che faa.penfindofi., che 'a tutte le Rarefi che,pq^

 

Grice e Falzea: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- QVOD PRINCIPII PLACVIT LEGIS HABET RIGOREM – il sentimento condiviso – scuola di Messina – filosofo messinese – filosofia siciliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Messina). Filosofo messinese. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Messina, Sicilia. Grice: “I like Falzea; for one he applies Apollonian principles to H. L. A. Hart’s analysis of ‘discorso giuridico’ – alla ‘discorso musicale’ – after all, there is ‘armonia’ in justice!” – Si laurea sotto Pugliatti a Messina. Insegna a Messina. Lincei. Sua costante preoccupazione è stata quella di integrare, sempre ed opportunamente, la prospettiva astratta logico-formale e filosofica con quella pragmatica del diritto mirante a fornire quel necessario ordine giuridico indispensabile alla co-esistenza pacifica di vita materiale, vita spirituale e vita sociale. Fra i suoi maggiori risultati, la centralità della nozione dell’’intersoggettivo”, “l’interazione” – “l’interpersonale” -- pensato sia astrattamente che in relazione alle correlative persone la fondazione di una etica giuridica e l'elaborazione di una assiologia del diritto, frutto rispettivamente della sua incisiva indagine critica ed ampia comprensione concettuale delle nozioni di ”valore“ da porre, al centro della sua filosofia giuridica, assieme a quello di “interesse” (cf. Prichard), e di “categoria giuridica” formale, quali nuclei fondanti del corpus dottrinario della giurisprudenza. Da qui, la constatazione di principio secondo cui “il giuridico”, nella sua accezione più ampia come fatto storico-sociale dinamico e non statico, si analizza nelle sue due componenti principali, quella ”formale“ e quella “materiale”, da considerarsi sempre in un reciproco, razionale equilibrio co-relativo garante di quella realtà umana fattuale del interesse e del valore. Il perno epistemologico dell'impianto teorico, quale presupposto ineludibile per l'esistenza di un qualsiasi “stato di diritto”, è quello che fa leva sull'imprescindibile ruolo formalizzante che ogni determinazione giuridica cogente deve avere nel catturare, indi razionalizzare (forma), quel nucleo affettivo-emotivo (materia) insito in ogni fatto umano consuetudinario della vita. Il diritto, come realtà assiologica, è quella naturale concezione cui si perviene allorché si abbandona quella riduttiva visione formalistica ed astratta della giurisprudenza la quale, invece, deve guardare alla realtà fattuale ed alle sue dinamiche complesse e multi-fattoriali, ai suoi contenuti pragmatici, di valore ed d’interesse. Da qui, la necessaria interdisciplinarità cui deve sottostarepur mantenendo la propria autonomia la costante giurisprudenza per non cadere in un anacronistico e sterile formalismo privo di materia. La forte, quasi esasperata dimensione teoretica (ma mai grettamente dogmatica) espressa non solo da un punto di vista meramente logico-formale ma sempre contestualizzata alla variegata problematicità e storicità della realtà umana, si evince, in tutta la sua evidenza, dagli scritti dedicati ai problemi di teoria generale del diritto, affrontati, oltre che in alcuni suoi lavori monografici, in certe voci la lui redatte per l'Enciclopedia del Diritto, sì da costituire dei classici della letteratura giuridica contemporanea: fra queste, accertare, apparire, efficacia giuridica, fatto giuridico. Fra i molti contributi dati da Falzea all'elaborazione teorica dell'ordinamento giuridico, in raccordo a quanto detto sopra, degno di nota è l'aver egli richiamata l'attenzione nella voce ”I fatti del sentimento“, sulla scia di parte del pensiero di Pugliatti sulla rilevanza giuridica del sentimento, inteso non come un principio generale dell'ordinamento, bensì come un vero e proprio sentimento soggetivo ed intersoggetivo – shared feelings -- fattualmente rilevante per l’interazione interpersonale, che la norma giuridica, specie quelle del diritto civile, classificano come un valore positivo, da rispettare dunque, o negativo (“disvalore”), da reprimere invece. Da questa presupposizione quindi, con metodo contraddistinto da ampiezza dell'indagine storica e improntato al rigore concettuale, consegue uno dei suoi maggiori risultati, riguardante l'analisi del concetto generale di diritto, quale diritto positivo, cioè effettivamente vigente, incardinato entro un sistema assiologico fondato su un ordine razionale intersoggetivo che rispetta il valore di una determinate intersoggetivo in un assegnato luogo ed in un certo tempo (storicità del diritto), secondo una scala della loro importanza. Quest'ordinamento razionale è un tratto distintivo sia del sistema intersoggetivo che dei suoi sottosistemi, fra i quali preminenti son oil sistema di comunicazione, e quello giuridico, che è il sistema normativo attualizzato dell'interazione. Da questa prospettiva, anche sulla base di un parallelo analogico-concettuale con la struttura della logica, perviene, tra l'altro, ad una elementare quanto fondamentale distinzione meta-giuridica fra teoria generale del diritto e dogmatica giuridica, argomentando solidamente a favore della tesi per cui la teoria generale del diritto opera ad un livello superiore di generalità rispetto a quello in cui si colloca la dogmatica giacché quest'ultima è sempre inerente a diritti positivi storicamente attualizzati, oggetti di studio della teoria generale che, in quanto tale, non discende dunque da alcun diritto positivo particolare, e quindi neppure dalla dogmatica. La teoria generale del diritto è piuttosto riflessione meta-teorica su quei particolari sistemi vigenti di diritto positivo, sistemi che verranno quindi interpretati speculativamente e spiegati razionalmente (interpretazione giuridica) tramite metodi centrati sulla individuazione e ordinazione concettuale. Solo in questi termini, si può allora più propriamente parlare di ”filosofia del diritto”. Altre opere: “L’intersoggetivo giuridico” Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); “L’intersoggetivo giuridico, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); La separazione personale, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); L'offerta reale e la liberazione co-attiva del debitore, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); Il fatto naturale, MILANI-Casa Editrice Dott. Antonio Milani, Padova); Voci di teoria generale del diritto, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); Il gene giuridico” Dott. A. Giuffrè Editore, Milano, Introduzione alle giurisprudenza filosofica”. “Il concetto di diritto” Dott. A. Giuffrè Editore, Milano); Teoria generale del diritto, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano,Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica,  Dogmatica Giuridica, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano,  Scritti d'occasione, Dott. A. Giuffrè Editore, Milano.  giuscivilista. Il civilista. Il nesso fra la fattispecie, ossia la premessa normativa (ovvero, il caso particolare fattuale), e la conseguenza, ossia il suo possibile effetto giuridico.  norma giuridica Diritto e interpretazione. Lineamenti di teoria ermeneutica del diritto. Il diritto può essere consuetudinario. consuetudine. Antropologia giuridica. diritto civile, Oltre il ”positivismo giuridico“, regola giuridica. Motivi volontaristici e imperativistici sono presenti nel pratico e volitivo spirito dei romani. Nemmeno tra i romani tuttavia troviamo formulate dottrine filosofiche che si propongano di ricondurre compiutamente il diritto alla volontà o al comando. Il lato imperativistico del diritto emerge piuttosto in singole tesi o massime di giuristi. Si ricordi il noto passo di Modestino riportato nel Digesto: « Legis virtus haec est: imperare, vetare, permittere, punire" (Digesto); o l'altro detto, di Ulpiano, ancora piu indicativo sotto il profilo volontaristico che sottolinea l'importanza della volonta del sovrano per la validita della legge: "quod principi placuit legis habet vigorem" (Digesto). Ma le espressione forse piu significative si trovano in un luogo di Gaio, nel quale egli, dopo aver distinto varie fonti del diritto romano, le caratterizza cosi: "Lex est quod populus iubet atque constituit. Plebiscitum est quod plebs iubet atque constituit... Senatusconsultum est quod Senatus iubet atque constituit" (Gaio). Il rapporto regola giuridica-commando risulta ormai fissato in maniera esplicita, mentre e IMPLICITAmente enunciato il rapporto tra il comando (iubere) e l'imperativo (constituere). Rientra in questa configurazione  volontaristica e imperativistica del diritto la concezione della consuetudine come iussum populi, un comando del popolo alla stessa stregua della legge: lex lata sine suffragio. Ma e con la compilazione giustinianea che, associato al processo politico dell'epoca imperiale, il volontarismo giuridico ottiene la sua prima grande e compiuta affermazione. A cio concorsero due fattori strettamente collegati. La volonta d'onde promana la regola giuridica e adesso individuata e circoscritta nella persona dell'imperatore. La netta separazione, su piano empirico, tra interpretazione e applicazione della legge e la regolar rigorosa che riservava allo stesso imperatore il POTERE INTERPRETATIVO (nel senso di risoluzione dei casi dubbi) esaltano il peso della volonta imperiale, impedendo che altri, giurista o giudice che sia, possa sustituirsi, alterandola o integrandola, a quella volonta. E ben noto il monito che Giustiniano, sulla presunzione della completezza e perfezione della propria opera di legislatore, rivolgeva ai giuristi: nullis iuris peritis in posterum audentibus commentarios  illi adplicare et verbositate sua supra dicti codicis compendium confundere: quemadmodum et in antiquioribus temporibus factum est, cum per contrarias interpretantium sententias totum ius paene conturbatum est sed sufficiat per indices tantummodo et titulorum subtilitatem quae paratitla nuncupantur quaedam admonitoria eius facere nullo ex interpretatione eorum vitio oriundo"; e quello ancor piu energico e perentorio che gia in precedenza era stato fato ai giudici da Valentiniano e da Marciano: "Si quid vero in idsem legibus latum fortassis obscurius fuerit, oportet id imperatoria interpretatione patefieri duritiamque legum nostrae humanitati incongruant emendari". La prassi non poteva non smentire questo ambizioso proposito, la cui formulazione, tuttavia, giova a chiarire come una concezione volontaristica possa trovare un effetivo riscontro nella realta solo a patto che la VOLONTA legistlativa venga aggiunta a fonte unica del diritto al di fuori di ogni condizionamento esterno e risultati garantita nella sua fedele applicazione ed esecuzione.   Può il diritto penale di una moderna democrazia liberale essere invocato a tutela di sentimenti? L’idea della protezione penale sembra di primo acchito stridere nell’accostamento a oggetti come i sentimenti. Eppure, il problema non è estraneo alla realtà normativa italiana: nel codice Rocco il sen- timento religioso, il pudore, la pietà dei defunti, il sentimento per gli animali sono gli esemp i più evidenti. Di fronte all’impiego legislativo di suddetta terminologia, si apre il problema della definizione dell’oggetto di tutela: il presidio è rivolto a stati psicologici individuali? Oppure l’evocazione di sentimenti va ri- ferita alla collettività, quale salvaguardia di una sensibilità che si as- sume come propria della maggioranza dei consociati? La definizione in termini di sentimento comunica, in prima istan- za, l’attenzione verso aspetti non strettamente materiali della vita de- gli individui: riconosce la possibilità di recare offesa alla persona su versanti che trascendono la mera fisicità. Un richiamo a fenomeni che interessano la sfera psichica, e che si pongono di fronte al diritto come realtà da decifrare. La prima parte dell’indagine sarà dedicata a una mappatura del- l’orizzonte conoscitivo, attraverso contributi di conoscenza esterni al mondo del diritto. Cercheremo di sviluppare un dialogo interdisciplinare esteso non soltanto alle scienze lato sensu psicologiche, ma anche alle discipline sociologiche e filosofiche, secondo un’apertura che dà rilievo ai ca- noni metodologici elaborati in seno alla branca di studi della dottrina statunitense denominata ‘Law and Emotion’. A seguito di tale sintetico ma importante excursus, entreremo nel- la dimensione normativa, analizzando sia le fattispecie penali del- l’ordinamento italiano in cui l’oggetto di tutela viene definito come ‘sentimento’, sia le peculiari sfumature di significato che emergono dai discorsi dei giuristi. Culminata tale parte della ricerca, la quale è finalizzata a delinea- Tra sentimenti ed eguale rispetto re il quadro di riferimento normativo e a fissare le coordinate meto- dologiche di fondo, cercheremo di analizzare una specifica declina- zione del problema della tutela di sentimenti: i rapporti fra sensibilità soggettive e libertà di espressione. L’approfondimento di tale questione assume oggi una peculiare ri- levanza dovuta alla crescente conflittualità che si registra nel discor- so pubblico delle società occidentali, con particolare riferimento ad argomenti ad alto tasso emotivo dove vengono in gioco ‘appartenenze significative’ dell’individuo. L’asserita impossibilità che il diritto possa muoversi all’interno di coordinate eticamente neutrali impone di riflettere attentamente sul- la dimensione politica del problema penale, all’interno di una dialet- tica i cui poli opposti sono rappresentati da posizioni di individuali- smo democratico contrapposte a concezioni di tipo comunitarista- identitario. La parzialità dei sentimenti, la loro mutevolezza, la loro essenzia- lità per la persona acutizzano il problema degli equilibri fra coerci- zione e libertà. L’obiettivo è riuscire a bilanciare esigenze di rispetto per le persone con la salvaguardia di forme e contenuti comunicativi la cui libertà è anch’essa parte essenziale del reciproco rispetto dovu- to da ciascuno a tutti. Una misurata e accorta diffidenza verso il tessuto affettivo- emozionale è la premessa per un approccio critico che metta il diritto penale in condizione di distinguere richieste di riconoscimento da tentativi di sopraffazione, per «non confondere il pensiero e l’auten- tico sentimento – che è sempre rigoroso – con la convinzione fanatica e le viscerali reazioni emotive» 1. In questo senso, un confronto con i sentimenti sarà forse utile a meditare sugli spazi per una convivenza tra le diverse libertà che chiedono ascolto nella società pluralista.  1 MAGRIS, Laicità e religione, a cura di Preterossi G., Le ragioni dei laici, Roma-Bari. EMOZIONI E SENTIMENTI TRA FATTO E NORMATIVITÀ. Tra sentimenti ed eguale rispetto   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica. I FENOMENI AFFETTIVI E DIMENSIONE GIURIDICA: COORDINATE EPISTEMOLOGICHE E METODOLOGICHE se trascuriamo tutte le reazioni emozionali che ci legano a questo mondo, noi trascuriamo anche gran parte della nostra umanità, e precisamente quella parte che sta alla base del perché noi abbiamo una legislazione civile e penale, e di quale aspetto essa prenda» NUSSBAUM. Nascondere l’umanità. Il disgusto, la vergogna, la legge. L’orizzonte di indagine. Diritto penale, sentimenti, emozioni: panoramica dei problemi.  Fulcro dell’indagine: il richiamo al sentimento nella definizione dell’oggetto di tutela. Oltre il lessico legislativo. Diritto penale, sentimenti, emozioni: panoramica dei problemi «Anche se nel diritto penale domina il fenomeno oggettivo ed esterno del comportamento, si trovano in esso frequenti espliciti ri- chiami ai fenomeni soggettivi e interiori del sentimento. Purtroppo si tratta di semplici richiami, dai quali nessuno finoggi ha tentato di as- surgere a una trattazione sistematica unitaria. Il peso di queste lacu- ne non può non accusarsi in sede di teoria generale perché sono gli  [Tra sentimenti ed eguale rispetto istituti penalistici a offrire a uno studio giuridico del sentimento gli esempi più numerosi e più importanti» Con queste parole Falzea richiama l’attenzione sulla rilevanza che i fenomeni affettivi assumono nella dimensione penalistica, lamentando l’assenza di stu- di specifici che avrebbero potuto giovare a un più esaustivo inqua- dramento teorico dei fatti di sentimento nella sfera giuridica. A distanza di decenni le parole di Falzea mantengono inalterato il loro valore di impulso a riflettere su ruolo e significato del sentimen- to nel diritto penale. Ad oggi il tema non è stato ancora compiuta- mente indagato in una prospettiva di sistema, per quanto l’attenzione della dottrina penalistica italiana sia andata crescendo negli ultimi decenni. I limiti dell’approfondimento, quasi una ‘presa di distanza’ dai fat- tori affettivi, non costituiscono una peculiarità del microcosmo pena- listico ma sono da contestualizzarsi in un atteggiamento del pensiero occidentale che ha considerato sentimenti ed emozioni come un fat- tore di distorsione del pensiero cognitivo e, conseguentemente, anche come elemento distonico in rapporto all’asserita ‘razionalità’ degli isti- tuti giuridici e delle riflessioni ad essi inerenti 2. 1 F., I fatti di sentimento, in Studi in onore di Passarelli, Napoli.  «Si è soliti associare al concetto di “decisione” il qualificativo “razionale”, come garanzia di esattezza dei presupposti da cui promana e di “bontà”/coerenza delle ripercussioni che intende provocare. Ragione/razionalità come promessa di succes- so, di eliminazione dell’errore, di metodo fondato su argomentazioni logiche e su- scettibili di controllo critico», così CAPUTO, Occasioni di razionalità nel diritto penale. Fiducia nell’“assolo della legge” o nel “giudice compositore”?, Jus. Il tema della razionalità giuridica e penalistica affiora in innumerevoli scritti che non appare possibile menzionare esaustivamente; per un quadro di sintesi v. LA TORRE, Sullo spirito mite delle leggi. Ragione, razionalità, ragionevolezza, Napoli; con riferimento all’ambito penalistico, v. ex plurimis, LÜDERSSEN, L’irrazionale nel diritto penale, in AA.VV., Logos dell’essere Logos della norma. Studi per una ricerca coordina- ta da Luigi Lombardi Vallauri, Bari, Un eloquente monito a non dare per scontata la razionalità del giuridico si deve a GRECO, Premessa, in BIANCHI D’ESPINOSA-CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio-culturali della giurisprudenza, Bari: «nel mondo del diritto l’attenzione è tradizionalmente rivolta ai contenuti strettamente giuridici delle leggi e della giurisprudenza e v’è una propensione ad attribuire significati razionali o ideali non soltanto al reale giuridico, ma anche a quello che tale non è. Ora in un mondo ampiamente dominato da leggi economiche e dai corrispondenti dinamismi socio-politici, la pretesa di considerare il fenomeno giuridico in linea generale negli stretti limiti della scienza giuridica propriamente detta è illusoria e illusionistica. Per un’interessante prospettiva sui rapporti tra razionalità dell’intervento penale ed emozioni mo-  [ Fenomeni affettivi e dimensione giuridica [Il modo di intendere le dinamiche del diritto, soprattutto del diritto penale, si è fondato implicitamente, forse anche inconsciamente, su una narrazione convenzionale che ha attribuito a sentimenti ed emozioni un ruolo negativo, quasi antagonistico rispetto alla ragione, e che ha portato in questo senso a marginalizzare il ruolo dei fenomeni affettivi, sia riguardo alla dimensione di razionalità della condotta del reo, sia soprattutto in relazione al modo di concepire l’agire delle figure tecniche cui sono affidate le dinamiche applicative del diritto: soggetti, questi ultimi, idealmente assimilati, anche a livello di immaginario collettivo, a modelli di razionalità pura, secondo veri e propri stereotipi che caratterizzano il modello culturale di diritto radicato nel mondo occidentale. Tale vulgata influisce tutt’oggi sull’insegnamento per la preparazione di giudici e avvocati, tendenzialmente, e forse talvolta ingenuamente, proiettati alla ricercadi una non ben definita razionalità, ma forse non ancora adeguatamente messi in condizione di conoscere, studiare e gestire la complessità delle euristiche del pensiero e dei rapporti con l’emotività 6. rali v. MURPHY, Punishment and the Moral Emotions, Oxford. Quale testo di riferimento per un inquadramento in chiave socio-psicologica della razionalità umana, v. ELSTER, Ulisse e le Sirene. Indagini sulla razionalità e l’irrazionalità, Bologna. Definizione di BANDES, Introduction, in ed. Bandes, The Passion of Law, New York. Il tema è sviluppato principalmente in ambito criminologico; per una sintesi v. FORTI, L’immane concretezza. Metamorfosi del crimine e controllo penale, Milano.; cfr. PALIERO, L’economia della pena (un work in progress), in AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Marinucci, Milano,  il quale, in superamento di tale teorica, afferma che ormai non è pensabile immaginare un attore della scena penalistica che sia contemporaneamente affekt-, tradition- e wert-frei». È la critica di BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, in  Review of Law and Social Science, HARRIS, “Another Critique of Pure Reason”: Toward Civic Virtue in Legal Education, in Stanford Law Review; per la critica al modello di pensiero sotteso all’insegnamento del diritto nel panorama occidentale vedi il saggio. Emblematica è la figura del giudice, il quale per definizione si dovrebbe differenziare da figure atecniche, prive di una formazione giuridica e che dunque dovrebbero essere più esposte a condizionamenti emotivi (testimoni, imputato, pubblico), ma che andrebbe più realisticamente inteso, e studiato, anche come soggetto emotivo. Judges are human and experience emotion when hearing cases -- v. MARONEY, Emotional Regulation and Judicial Behaviour, in California Law Review; si veda soprattutto per il discorso sulla gestione delle emozioni; EAD., Angry Judges, in Vanderbilt Law Review; cfr. BANDES, Introduction. Sul tema delle emozioni del giu-  [Tra sentimenti ed eguale rispetto I tempi sembrano però essere cambiati: i saperi sul mondo, e dunque le scienze con cui anche il mondo del diritto deve confrontar- si utilizziamo il termine ‘scienze’ in un’accezione lata che comprende sia le scienze c.d. ‘dure’, sia le scienze sociali e le discipline filosofiche – inducono oggi a un ripensamento di fondo: non solo relativamente alla distinzione dicotomica ragione/emozioni, ma più in generale al ruolo che emozioni e sentimenti assumono anche in rapporto alla qualità morale delle scelte di un individuo dicante si veda anche WIENER-BORNSTEIN-VOSS, Emotion and the Law: A Framework for Inquiry, in Law and Human Behaviour, L’emotività del giudice viene analizzata anche nel panorama italiano: fra le monografie v. FORZA-MENEGON-RUMIATI, Il giudice emotivo. La decisione tra ragione ed emozione, Bologna.; CALLEGARI, Il giudice fra emozioni, biases ed empatia, Milano. Fra gl’articoli v. CERETTI, Introduzione, in Criminalia; LANZA, Emozioni e libero convincimento nella decisione del giudice penale, in Criminalia.; BERTOLINO, Prove neuro-psicologiche di responsabilità penale, in Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale alla prova del processo, Napoli. Per una critica all’attuale formazione dei giuristi, e la proposta di introdurre le scienze cognitive nel percorso di studi universitario v. PASCUZZI, Scienze cognitive e formazione universitaria del giurista, in Sistemi intelligenti; si sofferma sulla debolezza del modello di azione razionale fatto proprio dal diritto, in una prospettiva mirata principalmente al diritto civile, CATERINA, Processi cognitivi e regole giuridiche, in Sistemi intelligenti. Traggo tale definizione da PULITANÒ, Difesa penale e saperi sul mondo, in Carlizzi-Tuzet, La giustizia penale tra conoscenza scientifica e sapere comune, Torino, in corso di pubblicazione. La bibliografia sul tema è sterminata. Ci limitiamo a indicare alcune opere che, anche in virtù dell’attitudine divulgativa, hanno contribuito a favorire un dialogo interdisciplinare. Un autore che in tempi recenti ha impresso una svolta, anche dal punto di vista comunicativo, per la confutazione della dicotomia ragio- ne/emozioni è Damasio, a partire del cele- bre studio intitolato L’errore di Cartesio. Emozione, ragione e cervello umano, Milano, al quale si sono aggiunti successivamente Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimenti e cervello, Milano,  e Il sé viene alla mente. La costruzione del cervello cosciente, Milano. Si vedano anche i saggi di  Doux, il quale pone lo studio delle emozioni come base per la conoscenza della mente umana, DOUX, Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, Milano. Per una prospettiva interdisciplinare, di taglio socio-filosofico, opera di riferimento è NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, Bologna. Per un quadro di sintesi di taglio prettamente divulgativo v. EVANS, Emozioni. La scienza del sentimento, Roma. Il problema non è mai stato, soprattutto da Hume in poi, ammettere che le emozioni possano essere motivi dell’azione umana, ma semmai ammettere che ne siano ragioni morali, che abbiano un’autorità, una forza normativa, pari a quella che il razionalismo classico attribuiva a principi della ragione incontaminati dalle Fenomeni affettivi e dimensione giuridicaNon è possibile in questa sede addentrarci nello sconfinato dibattito. Riteniamo però di poter sintetizzare lo stato dell’arte con un’eloquente affermazione di Haidt, psicologo di matrice intuizionista, e dunque incline a riconoscere la primazia dell’intuizione emotiva nell’economia dell’agire umano. La razionalità umana dipende in maniera cruciale da un’emotività sofisticata: è solo perché il nostro cervello emotivo lavora così bene che i nostri ragionamenti possono funzionare. Un’emotività sofisticata: se la razionalità umana è il risultato di una complessa combinazione in cui anche la dimensione emotiva ha un ruolo importante, ne deriva l’esigenza di un ridimensionamento delle pretese di razionalità pura che ci si ostina o ci si illude a ricercare nei prodotti legislativi e anche nelle condotte degli operatori del diritto (giudici, avvocati). In altri termini, appare tutt’altro che inscalfibile la plausibilità dell’impostazione veteror-azionalistica cui la tradizione giuridica occidentale ha conformato i propri paradigmi e alla cui ombra sembra ancora coltivare l’autor-assicurante illusione della legge e del sistema giuridico come dominio della razionalità’ passioni e che il sentimentalismo, d’altra parte, finiva per trattare solo nella contingenza del loro incidere su una ragione pratica, v. PAGNINI, Il rispetto al centro della morale, in Il Sole-24Ore; sul rapporto fra emozioni e ragioni morali, un’opera che riassume lo stato dell’arte è Bagnoli, Morality and the Emotions, Oxford, HAIDT, Felicità. Un’ipotesi, Torino; per un’esplicazione più dettagliata v. The Emotional Dog and Its Rational Tail: A Social Intuitionist Approach to Moral Judgment, in Psychological Review. Il tema è sconfinato; per una sintesi del dibattito v. MACKENZIE, Emotions, Reflection and Moral Agency, in Langdon-Mackenzie, Emotions, Imagination and Moral Reasoning, London; OATLEY, Psicologia ed emozioni, Bologna. Una posizione che afferma l’esigenza di non trascurare l’effetto di possibile alterazione della razionalità da parte delle emozioni è quella di ELSTER, Emotions and Rationality, in Mansted-Frijda- Fischer, Feelings and Emotions. The Amsterdam Symposium, Cambridge. Un’efficace sintesi, anche sul piano comunicativo, è il saggio di GOLEMAN, Intelligenza emotiva. Che cos’è e perché può renderci felici, Milano. Da ultimo, v. MORIN, Sette lezioni sul pensiero globale, Milano. Per un interessante quadro di sintesi sull’atteggiamento del pensiero giuridico occidentale teso a prendere le distanze dalla dimensione emotiva (senza peraltro riuscirci), v. MUSUMECI, Emozioni, crimine e giustizia. Un’indagine storico-giuridica, Milano. The main-stream notion of the rule of law greatly overstates both the demarcation between reason and emotion, and the possibility of keeping reasoning processes free of emotional variables. It is also likely that emotion, by its very nature, threatens much of what law hopes to be. To the extent legal systems  Tra sentimenti ed eguale rispetto È emblematico l’assunto con cui la giurista Bandes apre un importante studio collettaneo intitolato ‘The Passions of Law’. Le emozioni pervadono il diritto. Possiamo dire che ne impregnano sia la fase genetica sia la dimensione applicativa. la domanda cruciale non è se emozioni e sentimenti diano luogo a forme di interazione con la realtà giuridica, bensì in quali termini essi interagiscano e come possano essere gestiti a livello teoretico e in ambito applicativo. L’osservazione di Bandes vale in misura ancora maggiore per il diritto penale, il quale intrattiene con le emozioni un rapporto di problematica contiguità, poiché coinvolge, e spesso travolge, beni che rivestono un ruolo importante nella scala dei bisogni e delle preferenze soggettive: per proteggere interessi rilevanti per la sopravvivenza e lo sviluppo della persona umana è chiamato a incidere su interessi altrettanto essenziali (le libertà) 1thrive on categorical rules, emotion in all its messy individuality makes such categories harder to maintain. The notion of the rule of law is based, at least in part, on the belief that laws can be applied mechanically, inexorably, without human fallibility, v. BANDES, Introduction. Nella cospicua letteratura si vedano, ex plurimis, BRENNAN, Reason, passion, and the progress of the law, in Cardozo Law Review; DEIGH, Emotions, Values and the Law, Oxford; KARSTED, Emotion and Criminal Justice, in Theoretical Criminology; MARONEY, The Persistent Cultural Script of Judicial Dispassion, in California Law Review; BANDES, Introduction. Per una panoramica di taglio generale si vedano anche i contributi pubblicati in Palma-Silva Dias-de Sousa Mendes, Emoções e Crime. Filosofia, Ciência, Arte e Direito Penal, Coimbra. Il problema della razionalità del punire si identifica con anche l’esigenza di un equilibrato rapporto con la dimensione affettiva. Nella sua versione più primitiva e brutale, la pena si manifesta come reazione istintiva a un torto. Definendo la pena primitiva come ragione cieca, determinata ed adeguata soltanto agl’istinti ed agl’impulsi – in una parola, come azione istintiva – volevo innanzitutto ed in primo luogo porre con ciò in rilievo, nella maniera più efficace possibile, una caratteristica negativa della pena primitiva. LISZT, La teoria dello scopo nel diritto penale,  Milano. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, Roma-Bari. Il diritto penale costituisce il ramo dell’ordinamento in cui è maggiore è il rischio di assecondare istanze vendicative o bramosie punitive slegate da una razionalità strumentale e guidate da una cieca emotività, esso vive in una continua dialettica con l’irrazionale: cfr., ex plurimis, DONINI, “Danno” e offesa nella c.d. tutela penale dei sentimenti. Note su morale e sicurezza come beni giuridici, a margine della categoria dell’offense di Feinberg, Riv. it. dir. proc. pen.; v. anche Metodo democratico e metodo scientifico nel rapporto fra diritto penale e politica, in Stortoni-Foffani, Critica e giustificazione del diritto penale: L’analisi critica della scuola di Francoforte, Milano; BARTOLI, Il diritto penale tra vendetta e riparazione, in Riv. it. dir. proc. pen.; Fenomeni affettivi e dimensione giuridica; L’azione dello strumento penale è di per sé ‘emotigena’, ossia fat- tore di stimolo a emozioni 15. Vale per la fase precettiva, ossia l’espressione di divieti che, a se- conda degli interessi coinvolti, possono suscitare negli individui atteg- giamenti emotivi di diverso tipo 16 i quali finiscono per influire sul gra- do di adesione alla norma e dunque sulle condizioni di osservanza del precetto, in una dimensione che potremmo definire come ‘risvolto emozionale’ del problema della legittimazione delle norme penali 17. E vale, forse in modo più rilevante, per la fase applicativa, in cui si accertano le responsabilità e la sanzione ‘prende corpo’. Non è un ca- so che la dimensione emotiva nel diritto penale venga convenzional- mente collocata, e sovente circoscritta, a fasi e momenti in cui emo- zioni e sentimenti risultano più ‘visibili’: la realtà delle aule di tri- ss.; PADOVANI, Alla ricerca di una razionalità penale, in Riv. it. dir. proc. pen.,  «In effetti, il reato è la mistura di un fatto che suscita reazioni immediate negative e di un’imputazione dalle origini spesso motivate politicamente e dagli effetti sempre stigmatizzanti», LÜDERSSEN, L’irrazionale nel diritto penale. Per uno studio ad ampio spettro sulle emozioni suscitate dal fatto crimina- le, con particolare riferimento al sublime, v. BINIK, Quando il crimine è sublime. La fascinazione per la violenza nella società contemporanea, Milano, 2017. 16 Sul richiamo ad atteggiamenti emotivi della collettività come parte di un più ampio problema concernente adesione a valori, consenso sociale e normazione penale, v., per tutti, PALIERO, Consenso sociale e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., Nella letteratura italiana v. FORTI, Le ragioni extrapenali dell’osservanza della legge penale: esperienze e prospettive, in Riv. it. dir. proc. pen., Sui rapporti fra la dimensione sociale delle emozioni e le scelte di politica del di- ritto si soffermano BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. Sui rapporti tra dimensione ‘visiva’ del crimine e ruolo delle emozioni v., per un’ampia panoramica,a cura di Forti-Bertolino, La televisione del crimi- ne, Milano, 2005; per l’analisi di un caso emblematico, v. CERETTI, Il caso di Novi Ligure nella rappresentazione mediatica, in AA.VV., a cura di Forti-Bertolino, La televisione del crimine; sul tema v. anche PALIERO, Verità e distor- sioni nel racconto mediatico della giustizia. Uno sguardo d’insieme, in AA.VV., a cura di Forti-Mazzucato-Visconti A., Giustizia e letteratura, vol. II, Milano, 2014, pp. 671 ss.; più diffusamente, ID., La maschera e il volto (percezione sociale del crimine ed ‘effetti penali’ dei media), in Riv. it. dir. proc. pen.; PALAZZO, Mezzi di comunicazione e giustizia penale, in Politica del diritto; volendo, v. BACCO, Visioni ‘a occhi chiusi’: sguardi sul problema penale tra immaginazione, emozioni e senso di realtà, in The Cardozo Law Bulletin, Sull’approccio ‘visuale’ in criminologia v., per una sintesi globale e per le coordinate di fondo, v. BROWN, Visual Crimonology, criminology. oxfordre. com/view/10.1093/a crefore/ 9780190 264079.001.0001 /acrefore-97801902 64079-e-206? Tra sentimenti ed eguale rispetto bunale e la dialettica spesso tumultuosa fra i soggetti del processo 19. E infine il carcere, il dramma umano della pena, da sempre intriso di atteggiamenti emotivi che si dividono fra vendetta, odio per il tra- sgressore e compassione 20. Siamo solo alla punta affiorante di un intreccio che affonda le proprie radici in un substrato per lo più invisibile 21. È bene riflettere non solo sulle emozioni che il diritto penale su- scita, ma anche sugli atteggiamenti emotivi e di pensiero che sono alla base e che modellano la fisionomia dell’intervento punitivo22, nelle forme e nei presupposti23. L’esigenza di riconoscere e proble- Sulle emozioni della vittima, v. da ultimo BANDES, Share your Grief but Not Your Anger. Victims and the Expression of Emotion in Criminal Justice, Abell-Smith, The Espression of Emotion. Philosophical, Psychological an Legal Perspectives, Cambridge. Richiamiamo, nella sconfinata letteratura, alcune opere in cui viene affron- tato lo specifico tema delle matrici affettive; per una sintetica ricognizione filoso- fica, a partire da un’analisi etimologica, v. CURI, I paradossi della pena, in Riv. it. dir. proc. pen.,; nella letteratura angloamericana, SOLOMON, Justice v. Vengeance. On Law and the Satisfaction of Emotion, in AA.VV., ed. by Bandes, The Passions of Law.; POSNER, Emotion versus Emotional- ism in Law, in AA.VV., ed. by Bandes, The Passions of Law; MURPHY, Punishment and the Moral Emotions, cit., pp. 94 ss.; NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni; EAD., Rabbia e perdono. La generosità come giustizia, tr. it., Bologna. Emotions pervades not just the criminal courts, with their heat-of-passion, and insanity defenses and their angry or compassionate jurors but the civil court- rooms, the appellate courtrooms, the legislatures. It propels judges and lawyers, as well as jurors, litigants, and the lay public. Indeed, the emotions that pervade law are often so ancient and deeply ingrained that they are largely invisible», v. BANDES, Introduction, Cfr. ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the Emotions?, in 94 Minnesota Law Review. Secondo l’istanza razionalistica che è alla base del diritto penale postillumi- nistico, le emozioni sembrano subire una sublimazione che ne rende più difficol- toso riconoscerne la presenza pur avvertendone gli effetti: «The institutions of criminal justice thus find themselves in a paradoxical situation. They offer a space for the most intensely felt emotions – of individuals as well as collectivities – while simultaneously providing mechanisms that are capable of ‘coolig off’ emotions, converting them into more sociable emotions, or channelling them back into reasonable and more standardised patterns of actions and thought», v. KARSTED, Handle with Care: Emotions, Crime and Justice, Karsted-Loader-Strang, Emotions, Crime and Justice, Oxford and Portland, 2011, p. 2. 23 Nella dottrina penalistica italiana è stata avviata una riflessione concernente il raffronto fra la logica razionalistico-consequenzialista e una diversa prospetti- va, più marcatamente intuitiva e a base emozionale, nell’approccio a problemi di   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 11 matizzare il ruolo della dimensione emotiva si pone dunque anche in rapporto al processo di deliberazione delle politiche penali e più in generale all’esercizio delle scelte pubbliche 24. Appare opportuna una tematizzazione delle connessioni fra diritto penale e dimensione affettiva, in relazione non solo al funzionamento di istituti del diritto vigente, ma più in generale all’assetto logico e te- leologico delle categorie penalistiche, le quali sono frutto di atteg- giamenti di pensiero e di cultura intrisi di emotività. In altri termini, il ruolo delle emozioni e dei sentimenti va concepito non solo come elemento da ‘incastrare’ all’interno di geometrie concettuali tradizio- nali, ma soprattutto come fattore che contribuisce, e ha contribuito fino ad oggi, a influire sulle geometrie. Le relazioni tra emozioni, sentimenti e diritto penale non sono dunque confinabili a singoli territori della c.d. ‘dogmatica’, né posso- no circoscriversi a particolari settori della parte speciale del codice. Il rapporto fra dimensione affettiva e diritto penale appare in defini- tiva come un intreccio di questioni che si dispiegano da monte (fase genetica) a valle (fase applicativa) dell’ordinamento normativo. Più radicalmente, è l’idea stessa della responsabilità penale, il suo dover essere e i suoi obiettivi, a essere in buona parte co-determinati da at- teggiamenti emotivi, dalla sensibilità sociale e dal sentire dei legisla- tori: un presupposto fondamentale per ogni riflessione penalistica, e che giustamente viene oggi evidenziato come dato preliminare nella presentazione del problema penale. regolamentazione normativa e a casi concreti: v. DI GIOVINE O., Un diritto penale empatico? Diritto penale, bioetica, neuroetica, Torino, 2009, passim; EAD., Una let- tura evoluzionistica del diritto penale. A proposito delle emozioni, in AA.VV., a cura di Di Giovine O., Diritto penale e neuroetica, Padova, WESTEN, La mente politica, tr. it., Milano; più recentemente, sul ruolo della componente emotiva nelle scelte politiche e nell’adesione a orientamenti va- loriali, fedi, ideologie, si veda HAIDT, Menti morali. Perché le brave persone si divi- dono su politica e religione, tr. it., Milano, 2013, pp. 93 ss.; una sintesi dei proble- mi in ROSSI, Emozioni e deliberazione razionale, Sistemi intelligenti. Un’analisi del ruolo del fattore emotivo nel contesto applicativo evidenzia come il richiamo a emozioni sia ben presente nelle argomentazioni giurispruden- ziali anche al di là di un definito inquadramento in particolari istituti, e rappre- senti in questo senso un ausilio argomentativo polivalente, adoperato soprattutto in relazione alla colpevolezza e ai criteri soggettivi dell’art. c.p., v. AMATO, Di- ritto penale e fattore emotivo: spunti di indagine, in Riv. it. med. leg. FIANDACA, Prima lezione di diritto penale, Roma-Bari. Tra sentimenti ed eguale rispetto 2. Fulcro dell’indagine: il richiamo al sentimento nella definizione dell’oggetto di tutela La dottrina penalistica parla oggi espressamente di ‘ruolo delle emozioni e dei sentimenti nella genesi e nell’applicazione delle leggi penali’, proponendo una classificazione dei profili di interazione fra stati affettivi e diritto penale basata su cinque piani prospettici i quali possono a nostro avviso sintetizzarsi in due macrocategorie: 1) profili pertinenti la genesi del diritto, della legge penale, e il dover essere della pena (ruolo della dimensione affettiva nelle scelte di politica del dirit- to e riflessi sulla configurazione del bene oggetto di tutela penale; in- fluenza sul modo di concepire i concetti o le categorie della teoria del reato, riflessi sul modo di concepire significato e scopi della pena); profili concernenti la dimensione applicativa (ruolo di emozioni e sen- timenti nel giudizio di colpevolezza; influenza della dimensione affet- tiva nella riflessione del giudicante) 27. Questioni come l’influenza della dimensione affettiva sulla teoriz- zazione dei concetti della categoria del reato, sul modo di concepirele funzioni della pena e sulla graduazione della colpevolezza costitui- scono tematiche che, secondo un gergo ‘endopenalistico’, orientano la riflessione verso temi più vicini alla ‘parte generale’; appaiono maggiormente pertinenti a problemi di ‘parte speciale’ profili riguar- danti il ruolo di sentimenti ed emozioni nella configurazione di og- getti di tutela. Una prima ricognizione può essere condotta attraverso uno sguardo al diritto penale vigente, al testo prima che al contesto 28, alla ricerca di norme in cui vengano evocati fenomeni psichici lato sensu riconducibili a sentimenti ed emozioni; ed effettivamente nel codice penale italiano tali richiami non mancano. Un’avvertenza: partire da una lettura delle norme è funzionale a fornire delle coordinate di base per l’inquadramento delle questioni 27 FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti nella genesi e nell’ap- plicazione delle leggi penali,  a cura di Di Giovine O., Diritto penale e neu- roetica, cit., pp. 215 ss. 28 Adoperiamo la diade testo/contesto per indicare due distinti livelli di analisi: il primo relativo alla dimensione letterale delle norme, il secondo, che non affron- teremo nella presente indagine, relativo all’emersione del lessico emotivo nelle applicazioni giurisprudenziali anche in relazione a disposizioni e istituti che non richiamano espressamente stati affettivi. Sul rapporto fra testo e contesto v. PALAZZO, Testo, contesto e sistema nell’interpretazione penalistica, in AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Marinucci. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 13 che sono più strettamente legate al diritto vigente, evidenziando in questo modo le connessioni più immediate, ma non traduce una scel- ta metodologica tesa a ‘ontologizzare’ il lessico legislativo e a farne la chiave di lettura prioritaria. Al contrario, il lessico delle norme, con le sue approssimazioni, deve indurre a chiedersi quale sia, al di là delle formule, il ruolo dei fenomeni affettivi richiamati nelle dinami- che della penalità. Prendiamo le mosse dalla parte generale del codice penale29. Ri- chiami al lessico dei sentimenti e delle emozioni emergono in istituti relativi alla graduazione della colpevolezza: nel titolo relativo all’im- putabilità, l’art. 90 c.p. parla di stati emotivi e passionali 30; fra le cir- costanze del reato spiccano il riferimento allo ‘stato d’ira determinato da un fatto ingiusto altrui’ e la ‘suggestione di una folla in tumulto’ (artt. c.p.). Menzioniamo le suddette norme poiché contengono richiami testuali, senza allargare il campo a ulte- riori situazioni in cui gli stati affettivi rappresentano un elemento che può concorrere a integrare, o a influire dal punto di vista naturalisti- co, sulla configurazione di importanti istituti: pensiamo al dolo e alla 29 Menzioniamo gli istituti e le fattispecie in cui vengono richiamati espressa- mente fenomeni psichici definiti come sentimenti ed emozioni, o comunque a essi riconducibili; non si tratta quindi dell’elencazione di tutti gli istituti che rimandi- no a concetti psicologici; per una sintesi in tal senso vedi di recente NISCO, La tu- tela penale dell’integrità psichica, Torino. La norma che stabilisce che gli stati emotivi e passionali non escludono l’imputabilità è una disposizione controversa e dibattuta fin dalla genesi; per una sintesi v. MUSUMECI, Emozioni, crimine, giustizia; FORTUNA, Gli stati emotivi e passionali. Le radici storiche della questione, in Vinci- guerra-Dassano, Scritti in memoria di Giuliano Marini, Napoli. La rigidità della disposizione normativa viene oggi criticata, fino a farla definire da attenta dottrina come una delle finzioni più odiose del sistema, v. DI GIOVINE O., Il dolo (eventuale) tra psicologia scientifica e psicologia del senso comune, penalecontemporaneo.it; BARTOLI R., Colpevolezza: tra persona- lismo e prevenzione, Torino; ma è tuttora ben solida nella giuri- sprudenza, v., ex plurimis, Cass. pen., sez., con nota di VISCONTI A., in Riv. it. med. leg.; cfr. Cass. pen.L’unico spazio di rilevanza per stati emotivi e passionali viene ammesso nel caso di fenomeni già radicati in un pregresso quadro di infermità, v. EAD. In relazione alle circostanze dello stato d’ira e della suggestione della folla, secondo la giurisprudenza, nel primo caso lo stato emotivo deve corri- spondere a un impulso incontenibile, v. Cass. pen., sez.; Cass. pen., sez.; Cass. pen., sez.; per le spora- diche applicazioni dell’attenuante della suggestione della folla v. Cass. pen., sez. VI, 27/02/2014, n. 11915; Cass. pen., sez. Tra sentimenti ed eguale rispetto colpa e, più in generale, a tutta la materia dell’imputazione soggettiva. È oggetto di discussione se e in che misura la componente affettiva (emo- zioni e sentimenti) sia da prendere in considerazione quale fattore costitutivo dei coefficienti psichici che il diritto penale definisce ‘dolo’ e ‘colpa’, e, più in genera- le, si discute sul grado di rispondenza fenomenica della categoria della colpevo- lezza in rapporto allo stato soggettivo della persona; in relazione a tale aspetto il concetto di colpevolezza assume un ruolo che è stato definito ‘ambiguo’: «da un lato presidio del rilievo da attribuirsi allo stato soggettivo reale dell’imputato, on- de evitare una condanna che si fondi su mere istanze di esemplarità sanzionato- ria; ma nel contempo fattore che autorizza, quando la colpevolezza non viene esclusa, l’insignificanza di quel medesimo stato soggettivo (cioè della condizione vera in cui versi il soggetto agente) rispetto al contenuto della condanna», così EUSEBI, Le forme della verità nel sistema penale e i loro effetti. Giustizia e verità come «approssimazione», in Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del pre- cetto e della sanzione penale. L’impostazione dominante in dottrina tende a escludere una rilevanza degli stati affettivi sul piano normativo: «Estranei alla natura del dolo sono affetti, emozioni, motivi di qualsivoglia natura che stan- no ‘a monte’ della decisione di agire. In via di principio, elementi emozionali non servono a fondare il dolo, né valgono a escluderlo», così PULITANÒ, Diritto penale, Torino, Cauta è l’apertura di FIANDACA, Appunti sul ‘pluralismo’ dei modelli e delle categorie del diritto penale contemporaneo, in La Cor- te d’Assise, il quale osserva che «[o]ccorrerebbe evitare, invero già nell’individuare l’essenza generale o nucleo centrale del dolo nella coscienza e vo- lontà del fatto, di concepire tali requisiti psicologici in termini eccessivamente razionalistici e idealisticamente depurati da corrispondenti componenti emotive». Appare difficilmente contestabile che a livello naturalistico la componente affetti- va sia un fattore costitutivo degli stati psicologici che fondano dolo e colpa; gli spazi per una eventuale considerazione del ruolo degli stati affettivi nella fisio- nomia del dolo e della colpa penale potrebbero eventualmente ampliarsi o re- stringersi a seconda che si propenda per una concezione ‘normativizzante’ dei coefficienti psichici oppure per una concezione più ‘naturalistica’, tema in rela- zione al quale il dibattito nella dottrina penalistica italiana è amplissimo: si veda- no, ex plurimis, VENEZIANI, Motivi e colpevolezza, Torino; EUSEBI, Formula di Frank e dolo eventuale in Cass., S.U., (Thyssen- krupp), in Riv. it. dir. proc. pen., , e più ampiamente ID., Il dolo come volontà, Brescia, 1993; DE VERO, Dolo eventuale, colpa cosciente e costruzione “separata” dei tipi criminosi, a cura di Bertolino-Eusebi-Forti, Studi in onore di Romano, Napoli; DONINI, Il dolo eventuale, fatto-illecito e colpevolezza, Diritto penale; 103 ss.; FIANDACA, Sul dolo eventuale nella giurisprudenza più recente, tra approccio oggettivizzante-probatorio e messaggio generalpreventivo, Diritto penale; DEMURO, Il dolo. II. L’accertamento, Milano; PULITANÒ, I confini del dolo. Una riflessione sulla moralità del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen., Per una riflessione sulla consistenza psicologica del dolo eventuale alla luce delle più recenti acquisizioni della psicologia e delle neuroscienze v. BERTOLINO, Prove neuro-psicologiche di responsabilità penale, in AA.VV., a cura di Forti-   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 15 Si tratta di norme problematiche il cui specifico approfondimento non sarà oggetto della presente indagine; nondimeno va dato conto della rilevanza di tali disposizioni nell’impianto della responsabilità penale. Nella parte speciale del codice la definizione di oggetti di tutela in termini di sentimento rappresenta un’evidenza palmare: si parla di ‘sentimento religioso’, di ‘pietà dei defunti’, di ‘sentimento per gli ani- mali’, di condotte atte a ‘deprimere lo spirito pubblico’ (art. 2c.p.), a ‘distruggere o deprimere il sentimento nazionale’ (artt. dichiarato illegittimo dalla Corte costituzionale -- c.p.) e a istigare all’odio fra le classi sociali (art. c.p.), di atti finalizzati a incutere ‘pubblico timore’ (art. c.p.), di ‘comune sentimento del pudore’ (art. c.p.), di ‘perdurante e grave stato di ansia o di paura e timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto’ (art. c.p.), di ‘passioni di una persona minore’ (art. c.p.). Allargando lo sguardo al di là del codice, la legislazione comple- mentare offre ulteriori esempi: la legge nota come Legge sulla stampa, parla di sensibilità e impressionabilità di fanciulli e adolescenti e incrimina condotte idonee a offendere il loro ‘sentimento morale’ (art.); sempre nell’ambito del medesimo testo normativo, è considerata penalmente rilevante la pubblicazione di stampati i quali descrivano o illustrino, con particolari impressionan- ti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche sol- tanto immaginari, ‘in modo da poter turbare il comune sentimento della morale’ (art.). Estremamente significative sono infine le nor- me contro la discriminazione razziale (legge), nelle quali la tipicità della condotta è fondata sulla nota caratterizzante di ciò che comunemente è definito come un sentimento, ossia l’odio. Abbiamo constatato che «nel linguaggio legislativo penale il rife- rimento a sentimenti è ben presente»  e che «sentimenti e stati emo- Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale; DI GIOVINE O., Il dolo (eventuale) tra psicologia scientifica e psicologia del senso co- mune, cit.; per una sintesi del ruolo delle scienze extranormative in rapporto al problema dell’imputazione soggettiva, v. da ultimo FIANDACA, Prima lezione. Nondimeno, nelle motivazioni dei giudici il richiamo alla dimensione affettiva figura quale corollario argomentativo in relazione all’elemento soggetti- vo, all’ipotesi di concessione di attenuanti generiche e più in generale in ordine alla commisurazione della pena; per un quadro di sintesi v. AMATO, Diritto penale e fattore emotivo, C. cost. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale del diritto penale, Torino. Tra sentimenti ed eguale rispetto tivi non sono certo realtà sconosciute al diritto penale»34: «i “senti- menti”, [...] ancorché di natura psichico-emozionale, sono [...] delle realtà personalistiche innegabili. Le disposizioni della parte speciale (sentimento religioso, pudore, pietà dei defunti, sentimento per gli animali, sentimento nazionale) rappresentano la rispondenza più univoca e immediata di ciò che si suole definire ‘tutela di sentimenti’, con una formula tanto accatti- vante quanto ambigua e problematica nei contenuti, la quale soprat- tutto nell’attuale momento storico sta riscuotendo un inedito interes- se da parte della dottrina penalistica italiana 36. Le norme codicistiche forniscono una prima cornice, un panora- ma dalla capacità esplicativa simile a quella di una visione in contro- luce: sostanzialmente definiti appaiono i contorni, il tratteggio ester- no che inquadra il teatro dei fatti oggetto di interesse normativo; più nebuloso è il nucleo interno, legato al retroterra dei fenomeni e alle loro dimensioni di significato. Un primo ordine di problemi ha a che fare col profilo fattuale, legato all’inquadramento e alla decifrazione di ciò che i saperi sul mondo, e in particolare le scienze empirico-sociali, definiscono ‘sen- timenti’, soprattutto in rapporto ad altri fenomeni affettivi, come ad 34 FIANDACA, Sul bene giuridico. Un consuntivo critico, Torino, PALAZZO, Laicità del diritto penale e democrazia “sostanziale”, in Quaderni co- stituzionali, 2/2010, p. 441. 36 Menzioniamo gli scritti che si sono dedicati ex professo al tema, lasciando al momento da parte la cospicua produzione letteraria in cui l’argomento viene tocca- to in modo incidentale. Oltre al già menzionato saggio di FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti, si segnala del medesimo Autore un ulte- riore approfondimento in occasione dello studio sul bene giuridico: v. FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., pp. 81 ss. Si vedano quindi DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti; GIUNTA, Verso un rinnovato romantici- smo penale? I reati in materia di religione e il problema della tutela dei sentimenti, in Bertolino-Eusebi-Forti, Studi in onore di Mario Romano, vol. III, Napoli; CAPUTO, Eventi e sentimenti nel delitto di atti persecutori, in Studi in onore di Mario Romano; NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica; PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale del diritto penale; volendo, BACCO, Sentimenti e tutela penale: alla ricerca di una dimensione liberale, in Riv. it. dir. proc pen., 3/2010, pp. 1165 ss. Fra i costituzionalisti v. GUELLA-PICIOCCHI, Libera manifestazione del pensiero tra fatti di senti- mento e fatti di conoscenza, in Quaderni costituzionali, Per un’analisi del sentimento quale elemento che concorre a fondare ragioni e struttura di di- sposizioni normative non solo penalistiche, v. ITALIA, I sentimenti nelle leggi, Milano, 2017. Per una sintesi delle più recenti posizioni della dottrina continentale, nel con- testo di un’analisi incentrata sull’ordinamento spagnolo, v. ALONSO ALAMO, Senti- mientos y derecho penal, in Cuadernos del polìtica criminal, Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 17 esempio le emozioni. In termini complementari si pone un problema concettuale che riguarda le regole d’uso dei termini sia nell’ambito extragiuridico e, di riflesso, nella specifica dimensione giuridico-pe- nalistica: si tratta di prendere in considerazione le tassonomie scien- tifiche in rapporto alle esigenze di normatività, alla chiarezza defini- toria e alla funzionalità comunicativa del diritto. Un secondo ordine di problemi concerne gli spazi di legittimità di norme finalizzate a una tutela penale di interessi legati alla sfera affettiva degli individui: tema che proietta verso percorsi differenti a seconda del significato e del senso normativo attribuibile all’evoca- zione del peculiare sentimento o dell’emozione, in un discorso che chiama in gioco pregiudiziali di tipo filosofico, morale, politico. In questo senso la problematica si presta a essere sviluppata ad un pri- mo livello su un piano generale (la tutelabilità di sentimenti come problema di principio), e, successivamente, in una prospettiva più circoscritta concernente lo specifico problema di tutela che sia dato individuare dietro il richiamo alla dimensione affettiva della persona. Come detto, prendere le mosse dalle norme positive è volto a facilitare l’inquadramento dei problemi; una volta fotografato l’esistente, il lessico dei legislatori è destinato a divenire oggetto di analisi criti- ca, nel tentativo di superarne la cortina di artificialità. 2.1. Oltre il lessico legislativo Un primo obiettivo è dissolvere l’alone di retorica e guardare ‘in trasparenza’, oltre le formule. La tendenza a costruire norme penali attraverso richiami alla di- mensione affettiva, pur manifestatasi in momenti storici differenti, rivela una sostanziale continuità 38, animata da variabili che si legano a fattori sociali e culturali i quali hanno concorso a dare stimolo a una sensibilità dei legislatori39. Si tratta di scelte culturalmente 37 Più remoti sono il codice penale e la c.d. legge sulla stampa, distanti anche culturalmente dall’attuale momento storico; più prossima cronologicamente è la c.d. ‘Legge Mancino’ (incriminazione di condotte d’odio razziale), mentre è relati- vamente recente la scelta di dare riconoscimento a esigenze di tutela di animali non umani attraverso la formula ‘Delitti contro il sentimento per gli animali’. Una panoramica in MUSUMECI, Emozioni crimine, giustizia. I testi legislativi, che parlano di sentimenti, sono spia di un sentire dei legislatori che, ieri come oggi, hanno adottato quel lessico, così PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. Tra sentimenti ed eguale rispetto orientate, nel contesto di una complessità di fondo 40 che è confluita in determinazioni di politica del diritto le quali, secondo un processo ricorsivo 41, si caratterizzano a loro volta per un elevato grado di pre- gnanza culturale e una forte valenza simbolica, nel senso che le nor- me giuridiche a loro volta contribuiscono a modellare atteggiamenti di pensiero ed emotivi. Seguendo le traiettorie del pensiero di Edgar Morin troviamo un efficace quadro riassuntivo della complessità di ciò che chiamiamo ‘cultura’: «La cultura, peculiarità della società umana, è organizzata/organiz- zatrice attraverso il veicolo cognitivo costituito dal linguaggio, a parti- re dal capitale cognitivo collettivo delle conoscenze acquisite, dei saper-fare appresi, delle esperienze vissute, della memoria storica, delle credenze mitiche di una società. Così si manifestano “rappresentazio- ni collettive”, “coscienza collettiva”, “immaginario collettivo”. E la cul- tura, sfruttando il suo capitale cognitivo, instaura le regole/norme che organizzano la società e governano i comportamenti individuali. Le regole/norme culturali generano processi sociali e rigenerano global- mente la complessità sociale acquisita dalla stessa cultura» 42. In che termini il giurista penale deve rapportarsi a tale complessità? Solo se lo si considera da una prospettiva esterna, il diritto penale è un coacervo di norme: se si guarda con più attenzione, però, esso si ri- vela come una parte della cultura in cui viviamo», ricorda Winfried 40 Nel senso in cui il concetto è stato sviluppato da Morin: «Complexus significa ciò che è tessuto insieme; in effetti, si ha complessità quando sono inse- parabili i differenti elementi che costituiscono un tutto (come l’economico, il poli- tico, il sociologico, lo psicologico, l’affettivo, il mitologico) e quando vi è tessuto interdipendente, interattivo e inter-retroattivo tra l’oggetto di conoscenza e il suo contesto, le parti e il tutto, il tutto e le parti, le parti tra di loro. La complessità è, perciò, legame tra l’unità e la molteplicità. Gli sviluppi propri della nostra era planetaria ci mettono a confronto sempre più ineluttabilmente con le sfide della complessità», v. MORIN, I sette saperi necessari all’educazione del futuro, tr. it., Milano; sempre Morin afferma che «Il problema della complessità è quello che pongono i fenomeni non riducibili agli schemi semplici dell’osser- vatore», v. ID., Scienza con coscienza, tr. it., Milano; cfr. più diffusamente, ID., Introduzione al pensiero complesso, tr. it., Milano. I prodotti e gli effetti generati da un processo ricorsivo sono contempora- neamente co-generatori e co-causanti di tale processo», MORIN, Le idee: habitat, vita, organizzazione usi e costumi, tr. it., Milano, MORIN, Le idee: habitat, vita, organizzazione usi e costumi. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 19 Hassemer43. L’osservazione dello studioso tedesco è un invito a riflet- tere sul diritto penale munendosi di ‘lenti’ che sappiano mettere a fuo- co non solo norme ma anche la cultura che fa loro da sfondo: gli uni- versi fattuali, valoriali, simbolici ed emotivi che la formano. Il giurista penale dovrebbe volgere il proprio sguardo verso i fe- nomeni al fine di costruire esplorazioni ‘a partire dal capitale cogni- tivo collettivo delle conoscenze acquisite’: delle conoscenze che han- no contribuito a dare un’impronta alla cultura, e dunque anche alla sensibilità dei legislatori; e del panorama di conoscenze del tempo presente, con l’annesso potenziale epistemico. Un approccio critico al lessico del diritto significa in questo senso presa di distanza da ‘ontologismi giuspositivistici’ o da riduzionismi pangiuridici’ della realtà, e traduce l’esigenza di tenere ben presente la distanza tra il diritto, inteso come ideale regolativo, e i fatti della vita L’‘inemendabilità’ di cui parla il filosofo Maurizio Ferraris, «il fatto che ciò che ci sta di fronte non può essere corretto o trasforma- to attraverso il mero ricorso a schemi concettuali»45, suona per il giurista come un monito aprendere sul serio la distinzione tra di- mensione ‘costruttivistica’ degli schemi del diritto e il piano ontologico dei fenomeni HASSEMER, Perché punire è necessario, tr. it., Bologna. Non è vero e completo giurista colui che, pure conoscendo con scientifica precisione il diritto positivo di un determinato paese, non si rende conto della in- colmabile distanza tra il diritto e la vita, ossia della assoluta impossibilità di sod- disfare totalmente l’esigenza, presente in tutte le società, di razionalizzare le azioni degli uomini dando a esse un ordine stabile mediante regole». v. CESARINI SFORZA [si veda], Filosofia del diritto, Milano;  FERRARIS, Manifesto del nuovo realismo, Roma-Bari; si veda an- che la riflessione di un filosofo del diritto di matrice analitica SCARPELLI, Filosofia analitica, norme e valori, Milano: le norme e le asserzioni svolgono nell’esperienza dell’uomo una differente funzione, ma le une e le altre possono svolgere la loro funzione solo se si riferiscono a stati ed eventi dentro l’esperienza e distinguibili dagli altri stati ed eventi dentro l’esperienza». 46 Non intendiamo prendere posizione sui rapporti tra ontologia ed epistemo- logia, addentrandoci nel ginepraio di problemi legati alla dialettica fra concezioni ‘realiste’ e ‘postmoderne’. Nella letteratura italiana, oltre al citato ‘manifesto’ di Maurizio Ferraris, si veda ID., Documentalità. Perché è necessario lasciar tracce, Roma-Bari, 2009, pp. 62 ss.; per una cristallina sintesi del dibattito sul realismo vedi D’AGOSTINI, Realismo? Una questione non controversa, Torino. In termini generali, segnaliamo come tale produzione letteraria sia da inquadrarsi quale risposta al trend postmoderno che nella seconda metà del Novecento ha sottoposto i concetti di ‘verità’ e di ‘realtà’ a tentativi di destruttura- zione da parte di correnti filosofiche che possiamo approssimativamente definire Tra sentimenti ed eguale rispetto Nella dottrina penalistica italiana si parla di vincoli di realtà, e si potrebbero definire tali istanze anche attraverso il richiamo a con- cetti meno abituali ma oggi non più alieni al discorso penalistico, come quello di ‘verità’ 48. Lo specifico caso dei sentimenti come pro- blema di tutela porta a riflettere sulla «verità dei presupposti su cui si fonda il ragionamento funzionalistico all’origine dei precetti»49. Si tratta di un impegno anche sul piano metodologico: come approccio di studio che pone la conoscenza dei fenomeni a fondamento di ana- lisi volte a testare la qualità delle scelte e delle possibili risposte da parte del diritto, emancipandosi dalla prospettiva di patenti ‘ontolo- giche’ alle formule coniate dal legislatore 50. Il punto di osservazione dello studioso non dovrebbe pertanto col- locarsi in un’ottica del tutto interna al linguaggio e agli schemi con- cettuali del diritto posto, ma, come ogni punto di osservazione, ne- cessita di una collocazione anche esterna rispetto all’oggetto che si come relativistico-ermeneutiche. La bibliografia è sterminata; ci limitiamo a menzionare il testo forse più emblematico, e raffinato, del trend postmoderno, ossia RORTY, La filosofia e lo specchio della natura, tr. it., Milano, 2004. 47 «Come impresa ‘di ragione’, il diritto è vincolato al principio di realtà. Il le- gislatore deve fare i conti con la realtà che intende regolare, nella quale ha da ri- tagliare gli oggetti e cercare le condizioni di una regolazione possibile e razionale rispetto agli scopi. Nei concreti orizzonti storici, i vincoli di realtà (ontologici) si traducono in vincoli epistemologici di razionalità rispetto al sapere disponibile», v. PULITANÒ, Il diritto penale fra vincoli di realtà e sapere scientifico, in Riv. it. dir. proc. pen., 3/2006, pp. 798 ss. 48 Le questioni di fondo sono oggi compendiate nell’importante volume a cura di Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione pena- le, cit.; si veda inoltre il denso scritto di DI GIOVINE O., A proposito di un recente dibattito su “Verità e diritto penale”, in Criminalia, 2014, pp. 539 ss., quale tentati- vo di superamento,  nella prospettiva giuridica, della radicalità insita nell’alter- nativa tra teorie corrispondentiste e pragmatiste. PALAZZO, Verità come metodo di legiferazione. Fatti e valori nella formulazione del precetto penale, in AA.VV., a cura di Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale, cit., p. 101. 50 Umberto Vincenti afferma la necessità di «combattere ogni formalismo in- terpretativo che ha la pretesa, per malintese aspirazioni di autonomia della scien- za giuridica, di risolvere ogni questione – e gli stessi casi della pratica – ragionan- do esclusivamente all’interno del testo normativo, levigando e combinando le sua parole, per comporre un certo prodotto linguistico – una certa massima di decisione – da accollare all’esperienza: alla nuova esperienza da conoscere e, nei fatti, destinata a rimanere, non volendosi andare oltre le parole di un testo (o, anche, di molti testi), di necessità sconosciuta (o quasi) perché impenetrabile attraverso il solo strumento verbale», v. VINCENTI, voce Linguaggio normativo, in Enciclopedia del diritto, Annali, vol. VII, Milano. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 21 vuole indagare: «a partire dall’insopprimibile “eccedenza” della vita rispetto a tutte le forme», e nella consapevolezza che il diritto, rispet- to ai fenomeni che ne costituiscono il campo applicativo, costituisce ormai una semantica influente in cui quello di cui si parla è molto di più di quello che si dice.  Le citazioni sono tratte da RESTA, Diritto vivente, Bari. Si veda anche RODOTÀ, La vita e le regole. Tra diritto e non diritto, Milano, il quale sembra farsi sostenitore di istanze simili quando afferma che il ri- chiamo alla ‘verità’ dei presupposti implica che è in gioco qualcosa di più profon- do della precisione linguistica e dell’efficacia descrittiva di una norma: osserva Rodotà che «In realtà il diritto è più che una regola. Prima di tutto è un linguag- gio. Si può davvero dire tutto con le parole del diritto o è proprio la grammatica dei diritti a dimostrarsi povera di fronte alla complessità sociale e alla sua ric- chezza? Il radicarsi del diritto nella realtà segue itinerari complessi, e meno lineari, di quello che misura l’effettività della norma unicamente da una sua diret- ta e immediata applicabilità in una situazione determinata. Già la sola trascrizio- ne nell’ordine giuridico di un valore o di un principio o di un fine pubblico porta con sé una variazione del contesto in cui collocare gli atti della vita, del discorso giuridico a cui fare riferimento, del sistema normativo con il quale misurarsi». Tra sentimenti ed eguale rispetto SEZIONE II Percorsi concettuali e interdisciplinari SOMMARIO: 3. Spunti di riflessione attraverso le ‘Law and Emotion Theories’. Sentimenti ed emozioni: approcci di studio e questioni di linguaggio. Quale concezione di emozione per il giurista? Sull’uso del termine emozione. Spunti di riflessione attraverso le ‘Law and Emotion Theories’ Un approccio orientato a problematizzare il profilo ontologico- fattuale dei fenomeni affettivi, e dunque a dialogare con ambiti disci- plinari diversi dalla scienza giuridica, trova un importante punto di riferimento dal punto di vista metodologico nel campo di studi di matrice statunitense denominato ‘Law and Emotion’ Si tratta di un’area di discussione orientata a rimeditare i termini dell’interazione fra diritto e dimensione emotiva per ragioni che si le- gano non solo a un complessivo aggiornamento delle conoscenze ex- tragiuridiche sul tema, ma soprattutto per favorire una maggiore con- sapevolezza e un ‘uso’ più intelligente delle emozioni nel campo giuri- dico («intelligent and responsible engagement by law») Secondo i teorici di ‘Law and Emotion’ i giuristi tendono a non prendere sufficien- temente in considerazione le acquisizioni delle scienze extragiuridiche sugli stati affettivi, rivelando un’autoreferenzialità frutto di mentalità chiusa e una riluttanza ad apprendere da altre discipline Per un inquadramento dei temi trattati e delle diverse impostazioni v. BANDES- BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., passim; MARONEY, Law and Emotion: A Proposed Taxonomy of an Emerging Field, in 30 Law and Human Behavior.; cfr. anche ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the Emotions? ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the Emotions? BANDES, Introduction. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica Gli studi di ‘Law and Emotion’ mirano a mettere in luce l’influenza che la dimensione affettiva esplica sul modo di concepire ratio e struttura di istituti di diritto positivo e, più in generale, sulle ragioni addotte per legittimare l’essere e il dover essere del diritto, soprattutto del diritto penale. Si approfondisce la conoscenza dei fenomeni affettivi attraverso una base epistemica che non si limita alla dimen- sione bio-psicologica, ma che si apre alla sfera sociologico-umani- stico-letteraria, attraverso la filosofia, la letteratura, l’antropologia, la sociologia, in una prospettiva volta a dischiudere orizzonti di senso e a guardare ai fenomeni affettivi attraverso un filtro interpretativo multidisciplinare. Ciò che sembra meglio riassumere l’istanza sottesa agli studi di ‘Law and Emotion’ è la ricerca di un dialogo finalizzato non solo a in- crementare consapevolezza e competenze dei giuristi sul tema delle emozioni, e dunque a favorire una maggiore attendibilità scientifica dei lavori dei giuristi, ma anche a promuovere un feedback virtuoso fra scienza giuridica e saperi empirico-sociali sugli stati affettivi 58. I contributi di ‘Law and Emotion’ non si identificano con una linea teorica univoca, ma si articolano in diverse correnti; una fra le BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law; MARONEY, Law and Emotion, cit., pp. 123 ss.; ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the Emotions? Sotto tale profilo sembrano esservi sostanziali differenze rispetto ad altre branche di studi, affini ma distinte da ‘Law and Emotion’: in particolare ‘Law and Economics’ e ‘Law and Neuroscience’, le quali, peraltro, sembrano essere tenute in maggiore considerazione dai giuristi. Una possibile chiave di lettura di tale atteg- giamento è il fatto che ‘Law and Economics’ e ‘Law and Neuroscience’ sembrano basarsi su assunzioni che sono più vicine al modello di razionalità ‘classica’ con cui i giuristi hanno maggiore confidenza, v. ABRAMS-KEREN, Who’s Afraid of Law and the Emotions?, MARONEY, Law and Emotion, cit., p. 135: «We see as well a persistent divide between empiricists and theorists. The lack of dialogue across these dividing lines lessens opportunities for cross-fertilization. We therefore would do well to foster dynamic collaborations among social scientists, those trained in the life sciences, philosophers, lawyers, and legal scholars. The exercise of forging such collabora- tions would encourage creation of a common language, and resulting scholarship would be both more complex and more accessible to those across the range of implicated disciplines. Quali caratteristiche deve avere uno studio per potersi inquadrare come contributo su ‘Law and emotion’? Questa la risposta di MARONEY, Law and Emo- tion, cit., p. 124: «The question as to at what point any given project is sufficiently about both “law” and “emotion” to productively be claimed for this particular en- Tra sentimenti ed eguale rispetto più autorevoli studiose, la giurista Terry Maroney, individua ben sei tipologie di approccio60. Tale schematizzazione assume in primo luogo un valore descrittivo, individuando snodi concettuali che carat- terizzano le peculiarità dei singoli contributi nel contesto della pro- duzione scientifica sul tema; sotto un diverso profilo, la tassonomia degli approcci possiede anche la funzione di canone metodologico volto a evidenziare questioni fondamentali con cui il singolo studioso che intenda approfondire il tema delle interazioni fra diritto e dimen- sione affettiva si troverà a fare i conti 61. I percorsi individuati da Ter- ry Maroney fissano in questo senso delle coordinate che possono con- tribuire a suggerire al singolo studioso l’impostazione che meglio si attaglia al tipo di indagine che intende affrontare: la conoscenza dei nodi teorici fondamentali e, correlativamente, della possibilità di percorsi e di approcci alternativi, dovrebbe costituire un impegno ad acquisire consapevolezza riguardo l’impostazione adottata, anche al fine di renderne esplicita l’adesione. clave is worthy of greater exploration than is possible here. I offer, nonetheless, two premises, one pertaining to motivation and the other to method. First, contemporary law and emotion scholarship is based on the beliefs that human emo- tion is amenable to being specifically and searchingly studied, that it is highly relevant to the theory and practice of law, and that its relevance is deserving of clos- er scrutiny than it historically has received. Second, such scholarship explicitly directs itself to both sides of the “and”; it takes on a question regarding law and brings to bear a perspective grounded in the study or theory of emotions. MARONEY, Law and Emotion. Nel dettaglio, si parla di: emotion centered approach’, come approccio che si focalizza su una singola emo- zione e ne analizza le possibili interazioni con la dimensione giuridica; emotional phenomenon approach, il quale muove dallo studio di processi mentali e comportamentali che non corrispondono propriamente a emozioni, ma che rap- presentano condizioni per l’elicitazione o la esternazione di stati emozionali emotion theory approach’, approccio porta a sviluppare riflessioni in linea con una o più teorie interpretative delle emozioni; legal doctrine approach, il quale mira a far interagire il sapere su emozioni e stati affettivi con aree determinate del diritto o con particolari istituti; theory of law approach, il quale studia i nessi tra emozioni e diritto a un livello puramente teoretico, facendo interagire teorie sulle emozioni con teorie generali sul diritto; legal actor approach, il quale si occupa di analizzare come la dimensione emotiva influisce sull’attività dei soggetti che operano nell’ambito applicativo: giudici, avvocati, ecc. MARONEY, Law and Emotion, careful consideration of the analytical approaches potentially implicated in any given project will help identify blind spots or force unstated assumptions to the surface, and may further encourage scholars to justify why they make the choices they do. Thus, academic inquiry into the intersection of law and emotion should identify which emotion(s) it takes as its focus; carefully distinguish be- tween those emotions and any implicated emotion-driven mental processes or   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 25 4. Sentimenti ed emozioni: approcci di studio e questioni di linguaggio Gli studi su ‘Law and Emotion’ mettono in evidenza questioni teo- riche le quali riteniamo debbano essere prese in considerazione an- che nella presente indagine: in particolare, un importante step è rappresentato dalla ricerca di punti di convergenza fra contributi di ma- trici scientifiche eterogenee, e dunque dall’esigenza di uno sguardo d’insieme alle acquisizioni elaborate dalle discipline che studiano gli stati affettivi. Sentimenti ed emozioni sono fenomeni relativi al sentire della persona: per comprenderne i profili di rilevanza nella dimensione del singolo e l’incidenza nelle dinamiche relazionali il giurista penale de- ve necessariamente rivolgersi a saperi esterni al diritto che potremmo definire lato sensu ‘psicologici’, ma che non si limitano alla sola psicologia. Nell’attuale momento storico le dinamiche interiori dell’individuo sono poste sotto osservazione da una molteplicità di punti di vista: un’interazione fra discipline che dà luogo a complesse mappe epistemiche. Difficilmente potrà trovare appagamento la bramosia di defini- zioni che spesso anima le operazioni intellettuali dei giuristi quando si addentrano in campi di conoscenza diversi dal proprio. La lettera- tura sugli stati affettivi non è semplicemente una sovrapposizione di varianti tassonomiche e definitorie; differenti sono le discipline coin- volte, con angolazioni prospettiche e linguaggi che valorizzano profili differenti e complementari: non esiste un’unica ‘scienza dell’emozio- ne e dei sentimenti’. Come modello di approccio penalistico alle scienze extranormati- ve si è recentemente parlato di una prospettiva ‘separatista’ e di una ‘dialogante’64. La soluzione a nostro avviso preferibile è la seconda; nel presente caso, il dialogo si caratterizza per una particolare com- plessità, poiché le voci che il giurista si trova di fronte rappresentano una variegata polifonia da cui emergono prospettive di ricostruzione behaviors; explore relevant and competing theories of those emotions’ origin, purpose, or functioning; limit itself to a particular type of legal doctrine or legal determination; expose any underlying theories of law on which the analysis rests; and make clear which legal actors are implicated», v. MARONEY, Law and Emotion. Condividiamo in questo senso l’impostazione metodologica di NISCO, La tu- tela penale dell’integrità psichica, FIANDACA, Prima lezione. Tra sentimenti ed eguale rispetto e di classificazione alquanto diverse. Sarebbe segno di chiusura cul- turale se ci si accontentasse di identificare le rispondenze fenomeni- che del richiamo a sentimenti sulla base del senso comune, senza ap- profondire le articolate classificazioni proposte dai diversi saperi sul mondo 65; nondimeno, la non omogeneità del panorama di conoscen- ze grava il giurista di un compito severo. In primo luogo appare opportuno individuare le branche della co- noscenza che oggi tracciano le coordinate di riferimento. Al fine di delineare i presupposti di un’interazione fra scienza penale e saperi sugli stati affettivi, nella dottrina penalistica italiana è stata proposta una schematizzazione utile a mappare l’orizzonte conoscitivo. Tre le tipologie di approccio evidenziate: approccio psicologico;  approccio neurofisiologico e neuroscientifico; approccio filosofico La dimensione biologica e quella psicologica offrono un quadro in- centrato sulle dinamiche interne alla persona, ossia relativo a come gli stati affettivi si manifestano e a quale influenza possono avere sul- l’agire, sull’autodeterminazione individuale e dunque nella globale eco- nomia di vita di un soggetto. Prospettive come quella filosofica e so- ciologica forniscono chiavi di lettura differenti, facendo luce non solo sulla dimensione soggettivo-interiore e solipsistica dei fenomeni af- fettivi, ma proiettandoli nelle complesse dinamiche della vita di rela- zione e dunque nella sfera interpersonale. Nella prospettiva penalistica sono importanti entrambi i profili, sia quelli più legati al ruolo degli stati affettivi nella dimensione indi- viduale, sia quelli concernenti l’intersoggettività e la dimensione col- lettiva, i quali potranno assumere una maggiore o minore pertinenza a seconda dei problemi esaminati dal giurista. Rispetto ai temi oggetto della presente indagine, la parte definitoria è in larga pare debitrice di contributi di ambito psicologico; quanto al- lo sviluppo che riguarderà la specifica connessione della tutela di sen- timenti al tema del rispetto reciproco e dei limiti penali alla libertà di espressione, le traiettorie di pensiero a nostro avviso più feconde risul- tano intrecciate alla filosofia politica e a recenti sviluppi della filosofia fenomenologica. Non va infine dimenticata un’ulteriore branca del sa- pere che si focalizza su dinamiche di intersoggettività nella dimensione Per una critica all’habitus culturale del penalista, talvolta poco propenso al confronto con il mondo dei fatti, e una conseguente esortazione a fare proprio uno spirito scientifico e una modalità di pensiero diversi dal mero senso comune, v. FORTI, L’immane concretezza, FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti; cfr. NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 27 sociale: parliamo della sociologia delle emozioni, un campo di studi relativamente giovane e alquanto promettente per le prospettive di interazione con la riflessione giuridica 69. Nel prosieguo cercheremo di compiere un excursus, necessaria- mente approssimativo, al fine di fare maggiore chiarezza sui tratti che distinguono in particolare il sentimento da un’altra manifesta- zione del sentire: l’emozione. Si tratta di un compito spinoso. Eloquente è quanto affermato nella letteratura psicologica italiana. Nell’affrontare lo studio della vita emotiva si resta colpiti dal disaccordo che vi è tra gli psicologi sull’uso e sul si- gnificato dei termini fondamentali, sulla classificazione e sui caratteri differenziali degli stati affettivi, sul meccanismo della loro produzione. L’ambiguità e la vaghezza presenti nel linguaggio comune non do- vrebbero rinnovarsi nel linguaggio scientifico, e, soprattutto, quan- do si tratta di gestire l’interazione fra discipline differenti «le parole [non dovrebbero essere] introdotte in un sistema di linguaggio scien- tifico, serbando a tradimento il significato che loro viene dal modo in 67 Sul tema, amplius, v. a cura di Turnaturi, La sociologia delle emozioni, tr. it., Milano. TURNATURI, Introduzione, in AA.VV., a cura di Turnaturi, La sociologia delle emozioni, BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. SCHERER, What are emotions? And how can they be measured?, Social Science Information. ZAVALLONI, La vita emotiva, in Ancona, Questioni di psico- logia. Principi e applicazioni per psicologi, medici, insegnanti ed educatori, Milano. Problemi di natura terminologica sono posti in evidenza anche da ABBAGNANO [si veda], Storia filosofica delle emozioni, in GALATI, Prospettive sulle emozioni e teorie del soggetto, Milano. [cf. H. P. Grice, “Grice ed Abbagnano”]. Oltre ai complessi rapporti tra definizioni scientifiche, l’inquadramento di profili di rilevanza giuridica di sentimenti ed emozioni richiede di non trascurare il vocabolario tramite cui gli attori sociali connotano gli stati affettivi, e dunque le sfumature del linguaggio che possono concorrere a illuminare dimensioni di sen- so dei fenomeni. In altri termini, la ricerca di una tendenziale coerenza tra cate- gorie giuridiche e concettualizzazioni scientificamente fondate dovrebbe essere veicolata anche attraverso un esame di usi linguistici che, pur caratterizzati da approssimazioni e da una logica comunicativa incline al ‘senso comune’ o alla c.d. ‘psicologia ingenua’, possono nondimeno contribuire ad additare problemi di fondo e a identificare l’area di significato dei termini. Sul ‘senso comune’ come categoria che definisce ciò che è ritenuto ovvio e condiviso all’interno di una cer- chia sociale, v., per tutti, JEDLOWSKY, “Quello che tutti sanno”. Per una discussione sul concetto di senso comune, in Rass. it. sociologia, Tra sentimenti ed eguale rispetto cui sono usate in un altro sistema, o nel linguaggio comune» 73. Tale monito, proveniente da un filosofo italiano del diritto, trova rispondenza in ambito anglo-americano proprio negli scritti legati a ‘Law and Emotion’ il lessico degli stati affettivi muta a seconda dei contesti di studio, e l’opera di consultazione di saperi esterni da parte del giurista penale dovrebbe essere accompagnata da una rielabora- zione dei contenuti, poiché le ipotesi definitorie e classificatorie pro- poste in ambito extragiuridico possono non assumere una corrispon- dente rilevanza nella prospettiva della valutazione penalistica. I concetti di emozione e di sentimento vanno conseguentemente mo- dulati sulla dimensione giuridica, tenendo ben presente la base epi- stemica alla quale si sta facendo riferimento, ma senza vincoli sul piano strettamente lessicale né concettuale. Il problema non è certo inedito, e può essere ricollegato agli inter- rogativi formulati, ormai qualche decennio fa, da autorevole dottrina, relativi a come rendere metodologicamente compatibili il punto di vista normativo e quello delle scienze empirico-sociali di fronte al- l’esigenza di definire la rilevanza giuridica di fenomeni psichici Scarpelli richiama l’attenzione sull’esigenza di pulitura, ed eventualmente di ri-strutturazione, del lessico giuridico, con l’importante avvertenza di non limitarsi a importare terminologie esterne in modo pedissequo e irriflessivo, senza procedere a un’adeguata concettualizzazione: v. SCARPELLI, Scienza del diritto e ANALISI DEL LINGUAGGIO, a cura di Scarpelli-Di Lucia, Il linguaggio del diritto, Milano, MARONEY, Law and Emotion; BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti: «il giurista contemporaneo, se da un lato non può fare a meno di rivisitare i concetti di emozione e sentimento alla luce delle acquisizioni scientifiche e della riflessione filosofica più recenti, rimane per altro verso pur sempre vincolato all’esigenza di ri- pensare i concetti elaborati in altri ambiti disciplinari secondo la sua specifica ottica». Dello stesso avviso, BANDES, Introduction, cit., p. 8, secondo la quale it is also true that law has its own set of purposes, demands and limitations. The knowledge we gain about emotion is usable in a legal context only if it can be translated in light of law requities». 76 FIANDACA, I presupposti della responsabilità penale tra dogmatica e scienze so- ciali, in AA.VV., a cura di de Cataldo Neuburger, La giustizia penale e la fluidità del sapere: ragionamento sul metodo, Padova. L’analisi di Fiandaca è in questo caso incentrata sui presupposti soggettivi della responsabilità penale, e pone in evidenza due distinti ordini di problemi: da un lato, il grado di affidabili- tà del sapere metagiuridico, che, specie con riferimento alle scienze psicologiche, offre contributi i cui esiti si prestano a letture non univoche. Dall’altro lato, evi- denzia come determinate acquisizioni in ambito psicologico siano tali da porre in dubbio la base fattuale di principi normativi come la colpevolezza, esponendone   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 29 Nello scenario contemporaneo, l’ampliamento dell’offerta epistemi- ca, ossia l’incremento delle branche della conoscenza che oggi si sof- fermano sullo studio dei fenomeni affettivi, rende ancora più com- plesso tale compito. A fronte di tali difficoltà, e nella consapevolezza che sia opportuno tenere distinte le finalità delle categorizzazioni dei saperi sul mondo dalla teleologia delle categorie penalistiche77, resta l’obiettivo di ridurre la distanza fra l’artificialità delle concettualizzazioni giuridiche e la realtà dei fenomeni 78, sia al fine di individuare re- gole d’uso dei termini non ‘arbitrarie’, ossia fondate su connessioni fra le diverse proposte in ambito extragiuridico le quali siano adeguata- mente esplicative rispetto ai problemi in gioco; sia nella prospettiva di dare anche un impulso alla rivisitazione di categorie e di modelli con- cettuali presenti nel discorso giuridico 79 – non solo dei teorici ma an- che, soprattutto, degli applicatori – che risentono di schemi di pensiero legati al senso comune e alla cosiddetta psicologia ingenua 80. però a rischio anche il ruolo individual-garantistico; oppure, con riferimento a un possibile allineamento con quanto espresso da determinate teorie sociologiche, rimarca il rischio di una funzionalizzazione del diritto penale all’ascolto di istanze di mera difesa sociale. 77 Rileva tale problema, con riferimento al tema dell’imputabilità, BERTOLINO, L’imputabilità e il vizio di mente nel sistema penale, Milano, 1990, pp. 25 ss., 44 ss. Sul tema della costruzione di un modello di scienza penale integrale, non asservi- ta ai saperi empirici ma comunque attenta a limiti epistemologici, v. DONINI, La scienza penale integrale fra utopia e limiti garantistici, a cura di Moccia- Cavaliere, Il modello integrato di scienza penale di fronte alle nuove questioni socia- li, Napoli, 2016, pp. 26 ss. 78 Anche aprendo la riflessione verso un’eventuale ‘rivisitazione’ di categorie che dovessero risultare mero riflesso di una psicologia cosiddetta ‘esoterica’: su tale definizione v. FIANDACA, Appunti sul ‘pluralismo’ dei modelli e delle categorie; cfr. VENEZIANI, Motivi e colpevolezza. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, cit., p. 165. 80 Si è osservato che «il diritto può venire considerato un caso particolarmente brillante di scienza “ingenua”. Esso infatti impiega massicciamente una propria concezione della psicologia ma senza dichiararne i teoremi ed i postulati», v. PE- RUSSIA, Criteri giuridici e criteri psicologici: note sullo scambio epistemologico fra psicologia e diritto, in AA.VV., a cura di de Cataldo Neuburger, La giustizia penale e la fluidità del sapere, cit., p. 89. Per un quadro generale sulla ‘psicologia inge- nua’, con cui si intende la capacità spontanea degli esseri umani «di interpretare i comportamenti di un agente attribuendogli stati mentali quali credenze, desideri, piacere, interesse», v. MEINI, Alle origini della psicologia ingenua: interpretare se stessi o interpretare gli altri?, Sistemi intelligenti; con riferimento alla dimensione giuridica, v. di recente FORZA-MENEGON-RUMIATI, Il giudice emotivo. Per una sintesi del ruolo della commonsense psychology nel di- ritto penale, in una prospettiva tesa a non demonizzarne il ruolo ma ad analiz- Tra sentimenti ed eguale rispetto 4.1. Quale concezione di emozione per il giurista? Non si tratta dunque di effettuare un travaso lessicale che intro- duca nomenclature e classificazioni ab externo; le diverse ‘emotion theories’ si prestano a sviluppi fra loro profondamente differenti, e il giurista non può limitarsi a importazioni passive di saperi 81. zarne i risvolti positivi quale alternativa a prospettive ‘comportamentiste’ e ‘ridu- zioniste’, v. SIFFERD, In defense of the Use of Commonsense Psychology in the Cri- minal Law, in 25 Law and Philosophy, 2006, pp. 571 ss.; per un’opinione differen- te v. COMMONS-MILLER, Folk Psychology and Criminal Law: Why We Need to Repla- ce Folk Psychology with Behavioral Science, The Journal of Psychiatry and Law. Quando si parla di psicologia folk ci si riferisce a un terri- torio che non corrisponde a un sistema armonico di concetti (peraltro si tende anche a distinguere folk psychology da commonsense psychology), ma che è un campo variegato, caratterizzato anche da incongruenze interne, nel quale i saperi scientifici costituiscono l’humus di concettualizzazioni che vanno ad assumere forme differenti in relazione ai momenti storici; è più corretto parlare al plurale di ‘folk conceptions’ piuttosto che di un’unica visione ‘folk’ dei fenomeni affettivi. La dimensione folk resta eminentemente esplicativa, ma non descrittiva: è condi- zionata da un sapere approssimativo sulla fisiologia degli stati affettivi, e accom- pagna tale gap epistemico con congetture che rivelano un approccio tendenzial- mente valutativo del fenomeno emotivo, il quale trova espressione in immagini significative che traspongono in termini metaforici i caratteri del fenomeno. In generale possiamo affermare che la vita di relazione è in larga parte regolata da deliberazioni interiori assunte sulla base di postulati di ‘folk psychology’, in parte come frutto di competenze innate, e in parte effetto di deduzioni influenzate della cultura. Si osserva che nella dimensione penalistica la ‘folk psychology’ può rap- presentare un formante in relazione a tre distinti profili: influisce sulla confor- mazione categorie generali del diritto penale; influenza le argomentazioni degli studiosi di diritto; si insinua concretamente nel sistema legale attraverso argo- mentazioni che gli operatori pratici adoperano nella loro professione (giudici, av- vocati, e, con riferimento al sistema americano, giurati), v. FINKEL-GERROD PAR- ROT, Emotions and culpability. How the Law is at Odds with Psychology, Jurors, and itself, Washington, 2006, p. 48. Sull’interazione fra senso comune e studio delle emozioni, in una prospettiva che ne rimarca le reciproche implicazioni, v. GALATI, Prospettive sulle emozioni. Si veda anche CALABI, Le varietà del sentimento, in Sistemi intelligenti, la quale afferma che la psicologia del senso comune contribuisce a fornire una rappresentazione del fe- nomeno emotivo che ne comunica la complessità in modo più coerente e attendi- bile rispetto alle tendenze riduzioniste o eliminativiste. 81 Per il giurista, oltre alla necessità di riuscire a districarsi fra gli ‘overlap- ping fields’ sulle emozioni (secondo la definizione di BANDES, Introduction, cit., p. 8) si pone l’esigenza di non introdurre tali conoscenze in termini meramente strumentali alla costruzione delle proprie teorie, importandoli e magari ‘co- stringendoli’ all’interno di argomentazioni giuridiche senza renderne manifesto il margine di opinabilità e la possibilità di ricostruzioni alternative, e senza dunque osservare il dovuto rispetto per la complessità a cui si sta facendo ri-   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 31 Il richiamo a vincoli di realtà si potrebbe così articolare: un primo livello, relativo all’esplorazione del panorama di conoscenze disponi- bili, all’esame di nozioni, di tassonomie e di differenti prospettive di ricostruzione; un secondo livello, incentrato su una concezione di sentimento e di emozione che sia suscettibile di entrare in connes- sione con i fatti e con le dinamiche che interessano i problemi di re- golamentazione penale. Nel complesso, a una fase di ricognizione epi- stemica si aggiunge un processo interpretativo e al tempo stesso ‘crea- tivo’, nel senso che il giurista finisce per concepire una particolare idea di emozione e di sentimento. Una critica mossa ad alcuni fra i primi contributi sul tema di ‘Law and Emotion’ è stata quella di non aver adeguatamente problematiz- zato ed esplicitato un importante passaggio metodologico, ossia di- scutere apertamente quale sia la concezione di emozione assunta alla base delle riflessioni 82. Parallelamente a tale critica, riteniamo che si attaglino anche al giurista le osservazioni del sociologo Sergio Manghi, quando afferma che per lo studioso di scienze sociali non è possibile limitarsi a de- scrivere il modo in cui le emozioni vengono socialmente definite: allo stesso modo per il giurista non è possibile far interagire la dimensio- ne giuridica con le diverse prospettive attraverso cui emozioni e sen- timenti vengono socialmente e scientificamente definiti, senza pren- dere al contempo una posizione che traduca maggiore o minore pre- ferenza per una determinata impostazione. Va dunque inoculato an- che nella riflessività dello studioso di diritto l’interrogativo di natura epistemologica su quale sia la concezione di emozione alla base del proprio discorso: «attraverso quale idea di ‘emozione’ parlo di ‘emozioni’? Essere o me- no dotati di un’idea di ‘emozione’, o per dirla con una parola più im- pegnativa, di una teoria delle emozioni, non è questione di scelta, per nessun essere umano che ricorra alla parola ‘emozione’. A maggior ra- gione, non è una questione di scelta per uno scienziato sociale. Una teoria c’è comunque. Possiamo scegliere solo se mantenerla implicita, colludendo con il senso comune, o possiamo cercare di esplicitar- mando: «Legal scholars, as well as lawyers, legislators, judges, need to guard against this temptation to pillage other fields without regard for their full com- plexity and to use the spoils selectively to make legal arguments», v. BANDES, Introduction, LITTLE, Negotiating the Tangle of Law and Emotion, in 86 Cornell Law Re- view. Tra sentimenti ed eguale rispetto la: ben sapendo, beninteso, che l’esplicitazione non tocca che uno scam- polo del vasto sistema delle nostre premesse implicite. L’assunzione di un’idea da altri ambiti testuali rimane comunque un gesto attivo, un atto linguistico generativo, del quale non possiamo non assumerci la responsabilità epistemologica» 83. Il problema non è solo definitorio ma implica una presa di posi- zione sul piano epistemologico, con conseguenze sul merito delle ri- flessioni84: tematizzare problemi concernenti i rapporti fra diritto e dimensione affettiva porta anche il giurista a prediligere e a identifi- carsi con una o più proposte ricostruttive. Formarsi un’idea di cosa siano l’emozione e il sentimento, e in quale accezione si intenda in- trodurre tali concetti nel discorso penalistico, rappresenta in primo luogo un’acquisizione importante dal punto di vista della qualità epi- stemica dell’indagine e delle proposte eventualmente avanzate, e co- stituisce un impegno sul piano metodologico. 4.2. Sull’uso del termine ‘emozione’ Esigenze di chiarezza e di coerenza con le fonti bibliografiche ri- chiedono una puntualizzazione sul piano lessicale, o più precisamen- te, meta-lessicale. Nella lingua italiana i termini che definiscono gli stati affettivi so- no diversi: ‘sentimento’ ed ‘emozione’ sono quelli probabilmente più noti, cui si affiancano anche vocaboli come ‘passione’, ‘sensazione’, ‘impressione’, ‘affezione’, ‘stato d’animo’. In lingua inglese il termine di uso più comune e dal significato più ampio è ‘emotion’, il quale, a seconda dei diversi contesti, sembra po- tersi tradurre in italiano sia con ‘emozione’, sia con ‘sentimento’. Più circoscritto appare l’uso del termine ‘feeling’, il quale si presta a esse- re tradotto letteralmente come ‘sentimento’, al pari dell’ancor più univoco, ma meno frequente, ‘sentiment’. Diffuso è inoltre l’uso del termine ‘passion’, il quale sembra connotare un particolare modo 83 MANGHI, Le emozioni come processi sociali. Considerazioni teorico-epistemo- logiche, in AA.VV., a cura di Cattarinussi, Emozioni e sentimenti nella vita sociale, Milano. LITTLE, Negotiating the Tangle of Law and Emotion, cit., p. 982: «The tax- onomy issue is not a battle just about what goes on the list; the issue also goes to the core of what constitutes an emotion and how emotions emerge and transform».   Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 33 d’essere degli stati affettivi, ossia l’effetto condizionante nei confronti dell’agire umano 85. Se si cerca una corrispondenza in lingua inglese con la formula ‘tutela di sentimenti’ non si trova praticamente mai il vocabolo ‘fee- ling’: il discorso giuridico sugli stati affettivi è fondamentalmente in- centrato sul termine ‘emotion’. Quando si parla di ‘Law and Emotion’, tale ultimo vocabolo non si riferisce solo ai fenomeni psichici che possono ricondursi a emozioni in senso stretto, ma comprende anche gli stati che, come avremo modo di osservare, in lingua italiana corrisponderebbero a ‘sentimen- ti’. Le questioni che nel panorama di studi giuridici in lingua italiana richiamano espressamente ‘sentimenti’ trovano dunque nella dottrina nordamericana una rispondenza col termine, più generico e com- prensivo, ‘emotion’ 86. Tale ambivalenza, se da un lato appare foriera di ambiguità, da un altro lato mostra una compenetrazione fra i due fenomeni che sugge- risce, in fase di esposizione e di impostazione dei problemi, l’uso del termine ‘emozione’ quale traduzione di ‘emotion’ in tutta la sua porta- ta semantica87, e dunque in modo sostanzialmente intercambiabile col termine ‘sentimento’. 85 Una panoramica in DIXON, “Emotion”: The History of a Keyword in Crisis, in Emotion Review. Da notare l’interessante equivoco linguistico nella traduzione del titolo del celeberrimo romanzo di JANE AUSTEN, Sense and Sensibility, tradotto, come noto, in italiano come Ragione e sentimento. In realtà in inglese ‘sensibility’ indica la sensibilità come emotività; sarebbe stato preferibi- le, come segnalato da Griffith e Davies, autori di un saggio sull’opera di Jane Austen citato in http://www.unteconjaneausten.com/senno-e-sensibilita- piu-che-ragione-e-sentimento/, intendere ‘sense’ come risposta ragionata o pratica a una situazione, mentre ‘sensibility’, come percezione emotiva di tale situazione. Debbo la segnalazione di tale interessante questione all’amico Alessandro Corda, che ringrazio. Sull’uso del termine ‘passione’ v. anche infra, cap. II, nota 1. 86 Un’eccezione da noi riscontrata è relativa a un saggio di FEINBERG, Senti- ment and Sentimentality in Practical Ethics, in 56 Proceedings and Addresses of the American Philosophical Association, nel quale il termine ‘senti- ment’ è utilizzato per indicare stati affettivi non episodici, distinti dall’‘emotion’ sia per la durata, sia per la presenza di un oggetto cognitivo. In controluce a tale impostazione emerge un complementare uso del termine emotion volto a indicare stati psicologici privi un oggetto cognitivo definito, in controtendenza dunque all’opinione di autori come Kahan e Nussbaum. Osserva DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Etica e teoria del sentire, Milano, 2008, pp. 21 ss. che «nella lingua franca della filosofia contemporanea la parte del leone affettivo la fa oggi la parola “emozione”. È questo il termine che viene di pre- ferenza usato con la stessa generosità onnicomprensiva di “passioni” in Cartesio, anche se a volte l’uso italiano è stridente, come lo sono spesso, prima che l’abitu-   34 Tra sentimenti ed eguale rispetto Il problema di un uso più sorvegliato si porrà al momento di in- quadrare i profili naturalistici che caratterizzano il sentimento e l’emozione al fine di verificare, nella prospettiva giuridica, il senso di una distinzione fra una ‘tutela di sentimenti’ e una ‘tutela di emozio- ni. Sinossi Il significato e il ruolo del sentimento nel diritto penale costitui- scono un argomento poco esplorato, il quale può inquadrarsi all’in- terno di un macroambito riguardante i rapporti fra diritto penale e stati affettivi. L’insufficiente attenzione ad oggi riservata a tali temi si motiva anche come effetto di un più generale atteggiamento del pen- siero occidentale tendente a relegare la dimensione affettiva nella sfe- ra dell’indominabile e dell’irrazionale; una vulgata attualmente in fa- se remissiva alla quale sta subentrando una nuova considerazione di sentimenti ed emozioni come elementi dotati di una peculiare forza non necessariamente negativa, ma anche potenzialmente virtuosa, nelle dinamiche del pensiero e dell’agire umano. Fra i diversi problemi concernenti il ruolo degli stati affettivi nella genesi e nell’applicazione delle leggi penali, quello che ci sembra di più immediata evidenza, quantomeno se si ha riguardo al lessico dei legislatori, ha a che fare con la c.d. ‘tutela penale di sentimenti’, o, in termini meno retorici, con il ruolo del sentimento quale oggetto di tutela. Per tematizzare tale problema, e più in generale tutte le questioni concernenti i rapporti fra diritto e dimensione affettiva, si rendono necessarie delle riflessioni preliminari sul piano epistemologico e me- todologico, profili teorici su cui si è mostrata particolarmente sensi- bile la dottrina giuridica statunitense attraverso il filone di studi noto come ‘Law and Emotion’. Seguendo i percorsi tracciati dai contributi afferenti al suddetto ambito, riteniamo che la presente indagine debba prendere le mosse da un inquadramento dei fenomeni cui le norme fanno richiamo. Un impegno che non dovrebbe limitarsi a un’importazione passiva di sa- peri e definizioni, e che sollecita piuttosto il giurista a interrogarsi su quale sia la concezione di emozione e di sentimento più funzionale e dine spenga il disagio, gli anglicismi (sospettiamo infatti che il senso del termine inglese “emotions” sia più lato di quello del suo falso amico italiano. Fenomeni affettivi e dimensione giuridica 35 meglio esplicativa rispetto ai diversi problemi in gioco. Vedremo nel prossimo capitolo quali siano i principali criteri di differenziazione fra stati affettivi, e quali profili distintivi appaiano più funzionali al discorso sul problema del sentimento come oggetto di tutela.   36 Tra sentimenti ed eguale rispetto  SENTIMENTI ED EMOZIONI: CLASSIFICAZIONI E DISAMBIGUAZIONI «Capire tu non puoi Tu chiamale se vuoi Emozioni» BATTISTI L.-MOGOL, «Io penso che un uomo senza utopia, senza sogno, senza ideali, vale a dire senza passioni e senza slanci sarebbe un mostruoso animale fatto semplicemente di istinto e di raziocinio... una specie di cinghiale laureato in matematica pura» DE ANDRÈ F., intervista tratta dal documentario ‘Dentro Faber, l’anarchia’  Definire gli stati affettivi: una sfida continua.  Emozioni. Un quadro ricostruttivo: dalla matrice filosofica alle neuroscienze. Le emo- zioni come giudizi di valore: la concezione di Nussbaum. Concezioni ‘meccanicistiche’ e concezioni valutative dell’emozione: profili di rile- vanza giuridica. La dimensione sociale delle emozioni. – 3. Sentimenti: componente di riflessività e dimensione morale. Il pensiero filosofico e i sentimenti morali. Un’interpretazione fenomenologica. Emozioni e sen- timenti: il senso della distinzione concettuale. Definire gli stati affettivi: una sfida continua I termini ‘sentimento’ ed ‘emozione’ definiscono fenomeni appar- tenenti alla categoria dei cosiddetti ‘stati affettivi’, e additano in que- sto senso differenze fattuali il cui approfondimento richiede di attin- gere da saperi esterni al mondo del diritto, tenendo presente che ri- spondere alla domanda ‘che cosa sia un’emozione o un sentimento’ rappresenta ancora oggi una sfida continua 1, data la difficoltà di cri-  1 BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law; cfr. SCHERER, What  38 Tra sentimenti ed eguale rispetto stallizzare nozioni univocamente condivise a livello interdisciplinare. Nella prospettiva giuridica è opportuno avere chiaro a quali fini si intenda evidenziarne le differenze2: non si tratta di perseguire una fedeltà al linguaggio dei legislatori ove adoperino una terminologia più o meno dettagliata, ma piuttosto di dotarsi di strumenti episte- mici per un’adeguata interpretazione delle situazioni descritte in eventuali norme e per una comprensione delle questioni di fondo, anche in una prospettiva de jure condendo 3. Il rinvio alle scienze psicologiche è funzionale a elaborare delle definizioni operative idonee a essere impiegate quale chiave di lettura di problemi penalistici. Ad esempio, in relazione a un interrogativo particolarmente rilevante nella presente indagine: per quale motivo si tende a parlare di tutela di ‘sentimenti’ e non di ‘emozioni’? Da un la- to vi è il riflesso condizionato dal lessico delle disposizioni, ma si tratta ovviamente di una spiegazione insufficiente ad accreditarne la coerenza. Appare invece necessario fare chiarezza sulla distinzione fattuale tra i suddetti stati affettivi e sulle conseguenti ripercussioni sul piano concettuale, al fine di chiedersi quali differenze possano di- scendere dall’orientare un’eventuale prospettiva di intervento sulle emozioni piuttosto che sui sentimenti. are emotions? And how can they be measured? Non adoperemo il ter- mine ‘passione’, il quale è spesso utilizzato quale sinonimo d’emozione soprat- tutto in relazione agli aspetti di reattività e di passività, ma assume un significato più esteso, il quale non si limita al piano psicologico e fenomenico ma tende a includere una dimensione sociale e culturale, specie nel discorso che storicamen- te contrappone ‘passione’ e ‘ragione’. Come osserva BODEI, Geometria delle passioni, Milano: «“Ragione” e “passioni” [fanno] parte di costellazioni di senso teoricamente e culturalmente condizionate sono cioè termini pre-giu- dicati, che occorre abituarsi a considerare come nozioni correlate e non ovvie, che si definiscono a vicenda (per contrasto o per differenza) solo all’interno di de- terminati orizzonti concettuali e di specifici parametri valutativi»; cfr. CURI, Pas- sione, Milano. Il termine passione connota in definitiva una tipologia di stati affettivi caratterizzati dalla durata transitoria, fra cui rientrano an- che le emozioni, ma non, ad esempio, i sentimenti; per una ricostruzione in tal senso v. GOZZANO, Ipotesi sulla metafisica delle passioni, a cura di Ma- gri, Filosofia ed emozioni, Milano. Nella dottrina penalistica si soffermano sulla distinzione fra sentimento ed emozione FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti; NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica; volendo si veda anche BACCO, Sentimenti e tutela penale, cit., pp. 1186 ss. 3 Si veda l’indagine di NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica, il quale procede a una distinzione fra emozione e sentimento nell’ambito di una più ampia analisi volta a definire i tratti identificativi della ‘sofferenza’ come categoria esplicativa dell’offesa dei processi psichici.   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni Non si possono sviluppare adeguatamente tali problemi affidan- dosi alla sola psicologia del senso comune, senza tener conto di come i saperi sugli stati affettivi configurano oggi il rapporto fra emozioni e sentimenti, e, più in generale, il ruolo della dimensione affettiva nella vita della persona. Cerchiamo pertanto di procedere a una di- sambiguazione che evidenzi i tratti distintivi fra i fenomeni definiti ‘emozione’ e ‘sentimento’. 2. Emozioni. Un quadro ricostruttivo: dalla matrice filosofica alle neuroscienze Prendiamo le mosse dalle emozioni; la definizione di altri stati af- fettivi viene formulata spesso in termini di comparazione e di differen- za con l’emozione, la quale mostra pertanto una rilevanza primaria. Ripercorreremo in estrema sintesi alcuni degli snodi fondamentali della storia delle emozioni, con particolare attenzione alle teorie del- l’età moderna e contemporanea, ossia quelle elaborate a partire da quando la psicologia ha assunto lo statuto di disciplina autonoma 4. Non va però dimenticato che l’interrogativo su cosa siano le emozioni ha interessato il pensiero umano fin dall’antichità, ed è a partire dai classici del pensiero filosofico che si aprono oggi buona parte delle trattazioni sulle emozioni 5. Osserva lo psicologo Dario Galati che lo studio delle emozioni na- sce come indagine filosofica; i fenomeni affettivi sono stati conside- rati da sempre una fondamentale chiave di lettura per lo studio della natura umana, e anche nell’attuale variegato panorama di branche della conoscenza la matrice filosofica mantiene una rilevanza pecu- liare: non si può fare psicologia delle emozioni senza avere un’opi- nione generale – e diciamo pure filosofica – su ciò che le emozioni sono, sul valore che hanno e sul ruolo che svolgono nell’esistenza quotidiana degli esseri umani» 6. 4 RIMÈ, La dimensione sociale delle emozioni, tr. it., Bologna, 2008, p. 29. 5 Un importante esempio è l’opera di GRIFFITHS, What Emotions Really Are. The Problem of Psychological Categories, Chicago; SOLOMON, The Philosophy of Emotions, in The Psychologists’ Point of View, Lewis–Haviland- Jones, Handbook of Emotions, London. Per un’in- teressante prospettiva sulla ‘priorità’ delle emozioni da un punto di vista filosofico si veda VECA, Sulle emozioni, in Iride. GALATI, Prospettive sulle emozioni, cit., p. 29. Sulla stessa linea di pensiero v.  40 Tra sentimenti ed eguale rispetto In questa sede possiamo solo limitarci a rinviare alle belle pagine con cui il filosofo Nicola Abbagnano riassume la storia filosofica del- le emozioni, descrivendo la concezione platonica del Filebo (la pri-ma analisi delle emozioni che la filosofia occidentale ci ha dato) e la teorizzazione aristotelica della Retorica («una delle più interessanti analisi di cui la filosofia dispone»)7. Ai fini della presente indagine appare opportuno compiere un salto cronologico a epoche caratte- rizzate da una più definita differenziazione tra approcci di studio, e a prospettive che si estendono anche ai profili fisiologici e ‘corporali’ dei fenomeni affettivi. Arriviamo dunque all’Ottocento, cioè quando lo studio delle emo- zioni viene a focalizzarsi su un approccio empirico-sperimentale in relazione a movimenti corporei e pattern comportamentali. L’opera di Charles Darwin segna in questo senso uno spartiacque e la sua teoria evoluzionistica dell’emozione rappresenta il primo studio pro- priamente moderno 8. Ma è soprattutto un articolo di William James 9 a consolidare l’approccio empirico, con la celebre teoria secondo cui lo stato emotivo scaturisce dalla percezione dei cambiamenti biologi- ci e neurovegetativi innescati da uno stimolo emotigeno. Il carattere innovativo, ma anche l’aspetto più criticato di tale teoria, è l’inver- sione del rapporto tra elaborazione cognitiva e stimolo viscerale: l’espe- rienza emotiva come esito dalla percezione di mutamenti a livello corporeo, e non viceversa. Altrettanto importante, ma di opinione opposta, è la posizione di Walter Cannon, il quale, al contrario di James, riteneva che i centri di attivazione dei processi emotivi siano localizzati in regioni periferi- che del corpo (da cui la denominazione ‘teoria periferica’), propo- nendo un radicamento del processo di elaborazione emotiva nella re- gione talamica, in un’area che interessa principalmente le strutture dell’ipotalamo e dell’amigdala. Su tale ultima regione del sistema limbico si sono concentrati gli studi in epoca contemporanea; in particolare, secondo il neuroscien- FRIJDA, voce Emozioni e sentimenti, in Enciclopedia delle scienze sociali, Roma, Sono parole di ABBAGNANO, Storia filosofica delle emozioni. DARWIN, L’ESPRESSIONE DELL’EMOZIONE NELL’ANINMALE E NELL’UOMO. Torino, JAMES, What is an emotion, Mind. CANNON, The James-Lange Theory of Emotions: A Critical Examination and an Alternative Theory, The American Journal of Psychology. Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 41 ziato Joseph LeDoux, è l’amigdala ad assumere un ruolo primario nelle dinamiche dei fenomeni emozionali: non solo nella generazione delle emozioni, ma anche nella gestione della vita emozionale di un soggetto 11. Questi, in estrema sintesi, alcuni dei contributi più significativi che orientano verso una descrizione che pone in primo piano aspetti di attivazione a livello corporeo. Una prospettiva più genuinamente psicologica 12 si deve agli studi condotti da Stanley Schachter con la teoria c.d. ‘cognitivo-attivazio- nale’ 13. Lo psicologo statunitense riconduce l’emozione all’attivazione di una componente di tipo materiale-corporeo compresa fra due atti cognitivi: il primo è rappresentato dalla percezione e dalla valutazio- ne di uno stimolo elicitante; il secondo, successivo all’attivazione dell’arousal14, è costituito dalla riflessione sul legame causale fra lo stimolo esterno e l’attivazione emozionale interna, secondo un pro- cesso che viene letteralmente definito come ‘etichettamento’ (label- ling) e che corrisponde a un’elaborazione e a un’interpretazione del rapporto tra stimolo emotivo ed arousal. Si tratta di un significativo passo oltre la dimensione fisica delle emozioni, nel quale viene in considerazione l’esperienza cognitiva del soggetto: l’emozione assu- me una fisionomia complessa e multifattoriale rivelandosi come mo- mento dialettico fra mente e corpo, secondo un’interazione guidata da processi non meramente istintuali. Su tali premesse troveranno sviluppo teorie che assegnano impor- tanza centrale alle elaborazioni cognitive e alle valutazioni di cui si compone l’esperienza emotiva, meglio note come ‘teorie dell’appraisal’. Opera di riferimento è uno studio di Magda Arnold15, che definì 11 LE DOUX, Emotion circuits in the brain, in Annual review of neuroscience.; ID., Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni, cit., pp. 49 ss. 12 Sulla definizione del punto di vista psicologico sulle emozioni v. FRIJDA, The Psychologists’ Point of View, Handbook of Emotions, SCHACHTER-SINGER, Cognitive, Social and Psychological Determinants of Emotional State, in Psychological Review. L’arousal (eccitazione, risveglio) rappresenta il risvolto più propriamente fisico dell’emozione, ossia l’attivazione nervosa che viene per- cepita dal soggetto a seguito di uno stimolo emotigeno, la quale può avere diverse gradazioni di intensità e provocare differenti stati affettivi: ad esempio nell’emo- zione vi sarebbe un intenso arousal provocato da eventi edonicamente rilevanti che sollecitano una risposta comportamentale, v. voce Arousal, in Enciclopedia della scienza e della tecnica, Roma. ARNOLD, Emotion and Personality, New York. Tra sentimenti ed eguale rispetto l’emozione come una spinta tendente all’attrazione o all’allontana- mento da un determinato oggetto a seguito di una valutazione di es- so; tale fase, cosiddetto ‘appraisal’, è seguita da una valutazione se- condaria, detta ‘reappraisal’, la quale di fatto implica una riflessività sugli stati che il soggetto ha percepito. Nel solco tracciato delle teorie dell’appraisal si sviluppano le elabo- razioni di Nico Frijda, secondo il quale le emozioni costituiscono ri- sposte modulate sulla struttura di significato di una determinata situa- zione: ‘significato’ da intendersi come attribuzione di senso in termini di positività o negatività da parte di un individuo. Elemento centrale dell’esperienza emotiva è la soggettività: la dimensione individuale è chiave di lettura della complessità e della variabilità delle emozioni 16. Le considerazioni di Frijda, e più in generale le teorie dell’appraisal, conducono verso l’inquadramento delle emozioni come «mediatori complessi fra il mondo interno e quello esterno che variano secon- do alcune dimensioni continue, quali la valenza edonica (piacevolez- za o spiacevolezza), la novità (o meno) degli eventi elicitanti, il livello di attivazione, il grado di controllo dei medesimi, la compatibilità (o meno) con le norme sociali di riferimento. La prospettiva intrapsichica si apre in questo modo all’inclusione di aspetti cognitivo-valutativi che sono esito del continuo processo di giudizio che il soggetto compie nel suo rapportarsi alla realtà: «l’indi- viduo è continuamente impegnato in operazioni di valutazione cogni- tiva, con le quali egli mette a confronto la sua percezione della situa- zione attuale con una sorta di visione prospettica, che gli deriva dalla conoscenza del mondo, dalle sue credenze di base, dalle norme a cui si conforma e dai diversi obiettivi temporanei e permanenti che persegue. Negli anni a noi più vicini il panorama di conoscenze e di approc- ci di studio è andato arricchendosi, anche a seguito dell’avvento delle neuroscienze cognitive, una disciplina che nasce all’inizio degli anni Ottanta del Novecento e che porta a una nuova auge la dimensione neurobiologica19, grazie a innovative tecniche che consentono di vi- FRIJDA, voce Emozioni e sentimenti, cit., p. 568; più ampiamente v. ID., Emozioni, tr. it., Bologna, ANOLLI-LEGRENZI, Psicologia generale, Bologna, RIMÈ, La dimensione sociale delle emozioni. DAMASIO, Emotions and feelings: a neurobiological perspective, ed. by Mansted-Frijda-Fischer, Feelings and Emotions. The Amsterdam Symposium, Cambridge, Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 43 sualizzare l’attività del sistema neurale delle emozioni. Si deve soprattutto all’opera scientifica e divulgativa del neuro- scienziato Antonio Damasio un importante tentativo di definire l’emo- zione e di studiarne le strette connessioni con il ragionamento e con l’agire che definiamo ‘razionale’. L’articolata proposta di Damasio per dare una fisionomia all’emozione è la seguente: «l’insieme dei cambiamenti dello stato corporeo che sono indotti in miriadi di organi dai terminali delle cellule nervose, sotto il controllo di un apposito sistema del cervello che risponde al contenuto dei pen- sieri relativi a una particolare entità, o evento. Per concludere, l’emo- zione è frutto del combinarsi di un processo valutativo mentale, sem- plice o complesso, con le risposte disposizionali a tale processo, per lo più dirette verso il corpo, che hanno come risultato uno stato emotivo del corpo, ma anche verso il cervello stesso che hanno come risul- tato altri cambiamenti mentali. Per un quadro generale v. DE PLATO, Il modello delle emozioni, a cu- ra di De Plato, Psicologia e psicopatologia delle emozioni, Bologna; BELLODI-PERNA, Emozioni e neuroscienze, in AA.VV., a cura di Rossi, Psichiatria e neuroscienze, in Trattato italiano di psichiatria, Milano, 2006, pp. 35 ss. Fra gli studi sulle emozioni che si avvalgono di tecniche neuroscientifiche possiamo includere i già citati contributi di Antonio Damasio e di Le Doux (v. supra, nota 11); di quest’ul- timo ricordiamo inoltre LE DOUX, Il Sé sinaptico. Come il nostro cervello ci fa diven- tare quello che siamo, tr. it., Milano, 2002. L’oggetto di studio delle neuroscienze co- gnitive si estende anche al di là delle emozioni, e le acquisizioni delle neuroscienze sono sempre più frequentemente oggetto di interesse da parte dei giuristi penali: per una sintesi v. GRANDI, Neuroscienze e responsabilità penale. Nuove soluzioni per problemi antichi?, Torino, 2016; BERTOLINO, Il vizio di mente tra prospettive neuro- scientifiche e giudizi di responsabilità penale, in Rass. it. criminologia; EAD., Imputabilità: scienze, neuroscienze e diritto penale, in AA.VV., a cura di Pa- lazzani-Zannotti, Il diritto nelle neuroscienze. Non “siamo” i nostri cervelli, Torino, 2013, pp. 145 ss.; EAD., L’imputabilità penale fra cervello e mente, in Riv. it. med. leg.; GIOVINE O., Chi ha paura delle neuroscienze, in Arch. pen.; EAD., voce Neuroscienze (diritto penale), in Enciclopedia del dirit- to, Annali VII, 2014, pp. 711 ss. EUSEBI, Neuroscienze e diritto penale: un ruolo diver- so del riferimento alla libertà, in AA.VV., a cura di Palazzani-Zannotti, Il diritto nelle neuroscienze; CORDA, Riflessioni sul rapporto tra neuroscienze e im- putabilità nel prisma della dimensione processuale, in Criminalia, 2013, pp. 497 ss.; ID., Neuroscienze forensi e giustizia penale tra diritto e prova (Disorientamenti giuri- sprudenziali e questioni aperte), in Arch. pen. (Rivista web), 3/2014, pp. 1 ss.; ID., La prova neuroscientifica. Possibilità e limiti di utilizzo in materia penale, Ragion Pratica; FUSELLI, Le emozioni nell’esperienza giuridica: l’impatto delle neuroscienze, in AA.VV, a cura di Palazzani-Zannotti, Il diritto nelle neuroscienze, cit., pp. 53 ss.  21 DAMASIO, L’errore di Cartesio, cit., pp. 201 s.  44 Tra sentimenti ed eguale rispetto Com’è evidente anche da questa sintetica trattazione, la mole di approcci e di contributi è tale da rendere difficoltoso definire l’emo- zione: è possibile individuare dei punti di convergenza tali da poter indicare al giurista dei tratti caratterizzanti? Nella dottrina giuridica americana gli studiosi Bandes e Blumen- thal, dopo aver formulato il caveat metodologico di non avventurarsi alla ricerca di ‘definizioni universali’, propongono una sintesi di ciò che a loro avviso può ritenersi condiviso nei diversi ambiti disciplina- ri, inquadrando le emozioni come: «un insieme di processi valutativi e motivazionali, che coinvolgono completamente il cervello, i quali ci aiutano a valutare e a reagire agli stimoli, e che prendono forma, significato e vengono comunicati in un contesto sociale e culturale. Le emozioni influiscono sul modo in cui selezioniamo, classifichiamo e interpretiamo informazioni; influenza- no le nostre valutazioni sulle intenzioni e sulla credibilità degli altri; e ci aiutano a decidere cosa sia importante o abbia valore. Cosa forse più importante, ci guidano nel fare attenzione ai risultati del nostro agire e forniscono motivazioni per agire o per astenersi dall’agire nelle situazioni che valutiamo. Riteniamo tale definizione una buona base per il prosieguo dell’in- dagine, in quanto l’ampiezza è tale da coinvolgere diversi profili del- l’esperienza affettiva: è presente la dimensione neurobiologica, si fa riferimento all’interazione col contesto sociale e culturale, viene evi- denziato che le emozioni contribuiscono a guidare sia il pensiero co- gnitivo sia, conseguentemente, l’azione umana. Approfondiamo alcuni dei suddetti aspetti, a partire dal chiari- mento di cosa si intenda per emozione come ‘giudizio di valore, analizzando di seguito due prospettive di approccio alle emozioni nel discorso giuridico, ossia la concezione meccanicistica e quella valutativa. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. Ex plurimis, v. VECA, Dell’incertezza. Tre meditazioni filosofiche, Milano. Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni Le emozioni come giudizi di valore: la concezione di Nussbaum Un’opera che a nostro avviso sintetizza emblematicamente la ri- scoperta della dimensione emozionale nella vita di relazione, e so- prattutto nella dimensione politica, è il saggio di Nussbaum ‘Upheveals of Thought’, autentico esempio di approccio interdisciplinare allo studio dei fenomeni emotivi: psicologia cognitiva, neuroscienze, antropologia, etologia, filosofia morale vengono convogliate in un flusso epistemico nel quale non si avverte disomo- geneità ma sincretismo. Uno studio non collocabile in una corrente definita, il quale interseca differenti campi e prospettive al fine di in- terpretare il ruolo delle emozioni nelle scelte del singolo e nella di- mensione collettiva. Il titolo italiano si distacca dalla traduzione letterale (sommovimenti del pensiero), e con enfasi retorica forse eccessiva recita ‘L’intelligenza delle emozioni’; il messaggio dell’opera è più comples- so, ma il tema di fondo può essere sostanzialmente identificato con una ricerca sull’intelligenza nelle emozioni: un dato non scontato ma da valutarsi con attenzione, intendendo con intelligenza un giudizio sulla ‘bontà’ e sull’affidabilità dell’emozione. Secondo Martha Nussbaum l’emozione si fonda su un giudizio di valore: ha cioè un contenuto proposizionale di tipo valutativo e una componente intenzionale-cognitiva26 che la pone in relazione con un oggetto (c.d. ‘oggetto intenzionale’). Non è un evento prettamen- te fisico, ‘meccanico’ e viscerale, ma si articola in un giudizio sulla realtà esterna il quale è a sua volta modulato sulle credenze del sog- getto. Sono le credenze a influire in modo determinante sulla qualità dell’emozione, la quale non è giudicabile in sé come vera o falsa, bensì come più o meno appropriata. Credenze errate possono gene- NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit. 25 Viene fatto notare come tale traduzione avrebbe consentito di salvare la ci- tazione di Proust, il quale definì le emozioni ‘soulèvements géologiques de la pen- sée’, v. FURST, Sommovimenti del pensiero: la teoria delle emozioni di Nussbaum, athenenoctua.it/sommovimenti-del-pensiero. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni. Ciò che può essere valutato in termini di verità o falsità sono le credenze re- trostanti l’emozione; credenze false generano emozioni che possono essere valu- tate come più o meno appropriate, ma si tratta comunque di emozioni ‘vere’, v. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni. Tra sentimenti ed eguale rispetto rare emozioni inappropriate a seconda dei contesti: le emozioni pos- sono essere dunque, a loro volta, valutate. Questo rapporto fra ‘nor- matività interna’ e ‘normatività esterna’ all’emozione risulta cruciale per l’evoluzione degli sviluppi del pensiero della studiosa americana: è infatti su tale presupposto che si fondano i successivi studi sull’affi- dabilità politica delle emozioni. A quali condizioni un determinato atteggiamento emotivo dei sin- goli e, soprattutto, della collettività – inteso come emozione social- mente diffusa – può essere assecondato dalle istituzioni e ‘riconosciu- to’ anche attraverso norme giuridiche? L’interrogativo rimanda al raffronto tra il giudizio di valore sulla base del quale l’emozione si genera, e l’orizzonte assiologico che si assuma a riferimento per gli assetti sociali e istituzionali. Martha Nussbaum ha il merito di aver messo a tema la dimensio- ne politica delle emozioni evidenziandone le profonde connessioni con l’etica pubblica, con i valori costitutivi di un ordinamento e dun- que con la genesi e le ricadute applicative di istituti giuridici, in un discorso che attraversa numerose discipline ma che cerca costante- mente nel diritto e nella teoria politica gli interlocutori privilegiati. La sua opera, dall’eloquente titolo ‘Emozioni politiche’, rappresenta in questo senso una proposta teorica ispirata ai canoni del liberali- smo, nella quale si esorta al buon uso delle emozioni in sede pubblica quale strumento di pedagogia civile. Non vanno però dimenticati ulteriori contributi della studiosa americana, incentrati su profili più vicini alla dimensione giuridica, e in particolare sulla concezione di emozione che dovrebbe essere adottata dal giurista come punto di partenza nelle riflessioni perti- nenti Law and Emotion, alla luce dell’alternativa fra un modello bio- logico-meccanicistico e un modello cognitivo-valutativo. Vediamo in dettaglio quanto osservato in tale studio. NUSSBAUM, Emozioni politiche. Perché l’amore conta per la giustizia, tr. it., Bologna, 2014. 29 Anche in relazione alla figura del giudicante e alle sue emozioni, e con par- ticolare riguardo alla giusta compassione che dovrebbe accompagnarne le deci- sioni, v. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni; NUSSBAUM, Giu- stizia poetica. Immaginazione letteraria e vita civile, tr. it., Milano. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion in Criminal Law, in 96 Co- lumbia Law Review, Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni. Concezioni ‘meccanicistiche’ e concezioni valutative del- l’emozione: profili di rilevanza giuridica Nella prospettiva giuridica è fondamentale interrogarsi sull’alter- nativa fra interpretazioni dell’emozione legate a paradigmi stretta- mente fisicalistici e concezioni incentrate sull’emozione come giudi- zio di valore. Dan Kahan e Martha Nussbaum riassumono tali ap- procci nella diade composta da concezione meccanicistica e concezione valutativa (mechanistic and evalutative conception). Secondo la visione meccanicistica, le emozioni sono equiparabili a forze ‘non pensanti’ che spingono una persona all’azione; per la ‘evalutative conception’ invece l’emozione scaturisce dalla relazione, definibile in base a un valore edonico (ossia di maggiore o minore piacere), con un oggetto cosiddetto intenzionale. Le emozioni sono rivolte a un quid materiale, cognitivo o immaginativo: non sono energie naturali prive di oggetto ma sono in relazione about a qualcosa. In secondo luogo l’oggetto è intenzionale: ovvero, esso appare nell’emozione nel modo in cui lo vede o lo interpreta la per- sona che prova l’emozione stessa. L’approccio valutativo mostra una migliore rispondenza in rap- porto ai fenomeni e trova oggi un maggiore consenso rispetto all’al- ternativa meccanicistica. Ma quali conseguenze discendono dall’aval- lo di concezioni valutative piuttosto che meccanicistiche in relazione ai problemi penali? Ragionare in termini di approccio meccanicistico, e trattare le emozioni come meri impulsi senza considerarne la componente co- gnitiva, non offre strumenti per spiegare come le emozioni si possano differenziare ‘qualitativamente’ e dunque valutare. Come abbiamo precedentemente osservato, il nucleo della concezione valutativa po- 31 «without embodying ways of thinking about or perceiving objects or situa- tions in the world», v. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion in Criminal Law, «thought of a particular sort, namely appraisal or evaluation and, moreover, evaluation that ascribes a reasonably high importance to the object in question», v. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion; il concetto è ripreso in NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, cit., pp. 50 ss.; cfr. CALABI, Le varietà del sentimento, cit., pp. 276 ss., la quale ricostrusce il concetto di ‘razionalità’ del- l’emozione in base al rapporto tra fondamenti cognitivi e antecedenti cognitivi. Sulla definizione di ‘cattive emozioni’ intese come fallimentari dal punto di vista cognitivo, v. TAPPOLET, Le cattive emozioni, in AA.VV., a cura di Tappolet-Teroni- Konzelmann Ziv, Le ombre dell’anima. Pensare le emozioni negative, tr. it., Milano. Tra sentimenti ed eguale rispetto stula che l’emozione nasca da un giudizio che il soggetto elabora sul- la base di credenze; si può parlare in questo senso di una ‘razionalità’ dell’emozione in termini normativi, ossia modulata su pretese e aspettative che hanno a che fare con gli equilibri della convivenza 33. Secondo Kahan e Nussbaum il significato, e il disvalore, di una condotta non coincidono semplicemente con le conseguenze prodotte ma sono l’esito di una contestualizzazione che deve prendere in esame anche le motivazioni, e dunque, la matrice emozionale dell’agire 34. Un’implicita adesione alla concezione valutativa è alla base del modello di responsabilità che fa leva sul principio di colpevolezza e sulla rieducazione36: è l’idea di emozione come giudizio di valore piuttosto che come moto irriflessivo a porsi come criterio per la valu- tazione della responsabilità penale e anche come chiave di lettura criminologica delle condotte. La concezione meccanicistica non riesce a dar conto dell’intreccio fra stati soggettivi e percezioni di valore, e configura una sensibilità meramente epidermica senza coloriture di senso, la quale non appare funzionale a tematizzare la problematica dell’attendibilità del giudi- zio sulla situazione che abbia cagionato un’emozione negativa. Rileva Nussbaum che il diritto definisce l’adeguatezza di una rea- zione emotiva adottando una prospettiva basata sull’immagine di ‘uomo ragionevole’, v. NUSSBAUM, Nascondere l’umanità. Il disgusto, la vergogna, la legge, tr. it., Bari. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion, cit., p. 352. 35 La concezione normativa della colpevolezza come ‘atteggiamento antidove- roso’ sottende la possibilità di un giudizio concernente ciò che è stato fatto in rapporto a ciò che si sarebbe dovuto fare. Le diverse articolazioni di questo giudi- zio, soprattutto il nesso psichico (dolo e colpa) e la verifica dell’imputabilità, non funzionerebbero se si attribuisse all’agente un’emotività priva di contenuti cogni- tivi apprezzabili sotto il profilo della normatività, ossia ‘giudicabili’ in base a cri- teri di ragionevolezza e adeguatezza alle situazioni; per una sintesi, v., ex pluri- mis, BARTOLI R., Colpevolezza. L’approccio valutativo apre alla possibilità che le emozioni di un soggetto si prestino anche a percorsi rieducativi, v. KAHAN-NUSSBAUM, Two Conceptions of Emotion. Per un’analisi criminologica dei rapporti tra emozioni, riflessività ed agire violento v. CERETTI-NATALI, Cosmologie violente. Percorsi di vite criminali, Milano. È emblematico il saggio di FEINBERG, Sentiment and Sentimentality, avente ad oggetto problemi del tutto collimanti con la tutela di sentimenti del codice penale italiano, nel quale l’Autore dichiara espressamente che la nozione di ‘sentimento’ da lui adoperata si caratterizza per il fatto di avere un oggetto cogniti- vo, di essere ‘riguardo a qualcosa’: «there is an irreducible “aboutness” to it». Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 49 Anche con riferimento al problema della tutela di sentimenti (e/o di emozioni), assumere come presupposto la concezione meccanici- stica non avrebbe semplicemente senso, poiché non consentirebbe di focalizzare l’attenzione sulla cause emotigene e sugli oggetti inten- zionali, e non sarebbe pertanto funzionale allo sviluppo di un discor- so sui criteri di rilevanza normativa (di adeguatezza e di meritevolez- za) di un determinato atteggiamento del sentire. La dimensione sociale delle emozioni Analizzata l’emozione come giudizio di valore, è importante prenderne in considerazione la dimensione sociale: una prospettiva incentrata non sul versante solipsistico bensì sul piano interperso- nale e collettivo, e dunque sul ruolo cognitivo e comunicativo delle emozioni 39, considerate come oggetto di costruzione sociale il quale è in grado di influenzare, a sua volta, l’esperienza delle situazioni sociali 40. La principale disciplina che si occupa di questi temi è la sociolo- gia delle emozioni, la cui nascita viene convenzionalmente collocata a metà degli anni Settanta 41. Ciò non significa che i sociologi avesse- ro ignorato le emozioni, ma fino ad allora gli studi ad esse specifica- mente dedicati risultavano di pertinenza di altre discipline. Il muta- mento di paradigma coincide con una diversa considerazione del fe- nomeno emotivo, visto non più come espressione irrazionale e di- storsiva dell’organizzazione sociale, ma come fattore indispensabile per la comprensione dei fatti sociali. L’attore sociale si sveste dell’aura di pura razionalità per divenire anche attore emozionale, il quale non è in contrapposizione con l’attore razionale «ma ne è invece un’altra faccia, una sua parte costi- tutiva e ineliminabile e non va inteso come un soggetto spontaneo, 39 Per una panoramica di sintesi e per richiami bibliografici su approccio in- tra-personale e inter-personale, v. VELOTTI-ZAVATTINI-GAROFALO, Lo studio della regolazione delle emozioni: prospettive future, in Giornale italiano di psicologia, 2/2013, pp. 249 ss.; PULCINI, Per una sociologia delle emozioni, in Rassegna italiana di sociologia. RIMÈ, La dimensione sociale delle emozioni, WENTWORTH-RYAN, L’equilibrio fra corpo, mente e cultura: il posto dell’emozione nella vita sociale, La sociologia delle emozioni. CATTARINUSSI, Sentimenti ed emozioni nella riflessione sociologica, in AA.VV., a cura di Cattarinussi, Emozioni e sentimenti nella vita sociale. Tra sentimenti ed eguale rispetto libero da vincoli e costrizioni»42. Da un lato le emozioni vengono considerate come un importante elemento per la comprensione del- l’agire sociale 43, e simmetricamente l’ambiente sociale si pone a sua volta come chiave di lettura di atteggiamenti emozionali dei singoli, in un rapporto di influenza reciproca 44. Questa prospettiva rappresenta un importante contributo non solo allo studio delle emozioni45, ma anche in relazione all’approfondi- mento dei temi di Law and Emotion, poiché gli approcci focalizzati sulla dimensione individuale rischiano di essere limitanti, in ragione del fatto che esistono emozioni la cui genesi e le cui dinamiche sono meglio definibili attraverso il riferimento all’ambiente sociale 46. Uno sguardo alla dimensione sociale e culturale dei fenomeni emotivi può favorire un più esaustivo approfondimento delle intera- zioni fra emozioni e diritto, aprendo la strada a molteplici traiettorie di ricerca, come sottolinea la dottrina statunitense 47. Basta uno sguar- do ad alcuni dei capisaldi teorici che la sociologa Gabriella Turnaturi inquadra come linee conduttrici dell’analisi sociologica delle emo- zioni48 per individuare questioni che possono intrecciarsi virtuosa- mente con la riflessione giuridica. Qualche cursorio esempio: ci sem- 42 TURNATURI, Introduzione, in La sociologia delle emozioni. DOYLE MCCARTHY, Le emozioni sono oggetti sociali. Saggio sulla sociologia delle emozioni, in AA.VV., a cura di Turnaturi, La sociologia delle emozioni. Il termine sociale, molto semplicemente, vuole qui richiamare l’idea che la parola “emozioni” possa/debba evocare eventi e processi che hanno luogo entro contesti interattivi e comunicativi, piuttosto che eventi e processi che hanno luo- go entro i confini del singolo organismo e/o della singola psiche», v. MANGHI, Le emozioni come processi sociali, cit., p. 40. 45 La sociologa Arlie Hochschild identifica quale ostacolo a un serio studio sul- la natura delle emozioni la tendenza a considerarle esclusivamente come un fe- nomeno affettivo individuale, v. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law. Osserva KEMPNER, Social Models in the Explanation of Emotions, Handbook of Emotions, che lo sviluppo di una larga parte di ciò che chiamiamo ‘personalità’ è un prodotto sociale. 46 Pensiamo ad esempio alla vergogna, e al radicamento che essa può raggiun- gere fino a connotare la fisionomia di una società; si parla di questo senso di ‘cul- ture della vergogna’ in alternativa alle cosiddette ‘culture della colpa’. Su tale di- stinzione, originariamente elaborata dall’antropologa statunitense Ruth Benedict, v., sintenticamente, CATTARINUSSI, Sentimenti ed emozioni. Per un’analisi della dimensione pre-sociale della vergogna, v. NUSSBAUM, Nascondere l’umanità. BANDES-BLUMENTHAL, Emotion and the Law, TURNATURI, Introduzione, in La sociologia delle emozioni. Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni bra di particolare interesse l’osservazione secondo cui ogni società ha delle regole implicite concernenti le situazioni attivanti e le modalità espressive delle emozioni: le cosiddette feeling rules. Ebbene, il te- ma potrebbe assumere rilevanza anche in relazione al problema del sentimento quale oggetto di tutela: le regole, più o meno implicite, che definiscono quali emozioni siano giustificate, accettabili, dovero- se o immotivate rappresentano una coordinata importante, forse l’elemento più significativo, per la definizione di quello che il diritto penale ha spesso evocato sotto le forme del ‘sentire comune. Potremmo in questo senso parlare di feeling rules come elemento del contesto sociale che contribuisce a imprimere una fisionomia a ciò che i legislatori hanno definito ‘sentimenti’. Ma sono diversi, e non analizzabili in questa sede, gli ulteriori profili in rapporto ai quali l’analisi sociologica dell’emozione può fornire importanti chiavi di lettura di problemi afferenti al diritto pe- nale 51. Si tratta quindi di non limitare l’angolo visuale alla dimensio- ne soggettiva del fenomeno emotivo, soprattutto in relazione a temi in cui risulta fondamentale la riflessione sugli equilibri politico- deliberativi e sulla ‘normatività’ delle emozioni. 3. Sentimenti: componente di riflessività e dimensione morale Veniamo ora a esaminare il sentimento, e prendiamo le mosse dalla dimensione neurobiologica. Sono d’aiuto ancora una volta gli spunti di DAMASIO (si veda), il quale nel suo ‘L’errore di Cartesio’ define l’emozione come processo valutativo mentale che induce cambiamenti a livello corporeo, e ha successiva- mente distinto i sentimenti in due categorie: ‘sentimenti delle emo- zioni’ e ‘sentimenti di fondo’. I primi, strettamente legati alle emozio- ni, sono costituiti dall’esperienza che il soggetto prova a seguito dei Sulla genesi del concetto, v. HOCHSCHILD, Emotion Work, Feeling Rules, and Social Structure, in American Journal of Sociology. In questo senso si potrebbero teorizzare connessioni anche con il tema pe- nalistico delle c.d. Kulturnormen; v., per tutti, CADOPPI, Il reato omissivo proprio, vol. I, Profili introduttivi e politico criminali, Padova. Si veda ad esempio NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica, quando afferma che strutturare le emozioni, a partire dal tipo di situazione sociale in grado di generarle, può aiutare, nell’analisi delle norme penali, ad indi- viduare una soglia di rischio illecito all’interno della condotta tipica. Tra sentimenti ed eguale rispetto cambiamenti indotti dalle emozioni: «l’essenza del sentire un’emo- zione è l’esperienza di tali cambiamenti in giustapposizione alle im- magini mentali che hanno dato avvio al ciclo» 52; mentre i ‘sentimenti di fondo’ appaiono come stati duraturi, radicati nel soggetto e non legati a emozioni contingenti. La distinzione viene affinata in uno studio successivo, ove si os- serva che nel sentimento vi è qualcosa di più che la percezione di un oggetto intenzionale; secondo Damasio ad essere oggetto di perce- zione è lo stato edonico che si manifesta a seguito del contatto con un determinato stimolo emotigeno: «un sentimento è la percezione di un certo stato del corpo, unita alla percezione di una particolare modalità di pensiero nonché di pensieri con particolari contenuti. Le emozioni sono movimenti in larga misura pubblici, ossia percepi- bili e visibili; i sentimenti appaiono invece come moti di pensiero di tipo riflessivo, «invisibili a chiunque salvo che al loro legittimo pro- prietari. Le emozioni si esibiscono nel teatro del corpo; i senti- menti in quello della mente. Al di là delle osservazioni sul piano neuroscientifico, ciò che in questa sede è bene sottolineare sono le implicazioni su un piano più propriamente antropologico-filosofico56, e in particolare sul ruolo che i sentimenti assumono nelle dinamiche comportamentali. L’ipo- tesi di Damasio è che il sentimento rappresenti una guida nei proces- si decisionali, e risulta particolarmente interessante l’osservazione secondo cui tale fenomeno affettivo assume una funzione riflessiva in grado di fornire coordinate e criteri di demarcazione fra piacere e do- lore più complessi e stratificati rispetto a quelli che la mappe neurali trasmettono sulla base delle sole funzioni vitali a livello biologico: «I sentimenti coscienti sono eventi mentali cospicui che richiamano l’attenzione sulle emozioni che li hanno generati e sugli oggetti che, a loro volta, hanno indotto quelle emozioni. Negli individui che hanno anche un sé autobiografico – il senso di un passato personale e di un DAMASIO, L’errore di Cartesio. DAMASIO, L’errore di Cartesio. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. Per la verità tutt’altro che trascurate dallo stesso Damasio, il quale inquadra la propria opera come ideale prosecuzione del pensiero di Baruch Spinoza, v. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza.  Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 53 futuro anticipato, senso noto anche come coscienza estesa – lo stato del sentimento induce il cervello a porre in posizione saliente gli og- getti e le situazioni legate all’emozione. Se necessario, il processo di stima che porta dall’isolamento dell’oggetto al sorgere dell’emozione può essere rivisitato e analizzato. Poiché hanno luogo in uno scenario autobiografico, i sentimenti generano un interesse per l’individuo che li sperimenta. Il passato, il presente e il futuro anticipato ricevono la giusta attenzione e hanno maggiori possibilità di influenzare il ragio- namento e il processo decisionale» 58. La teorizzazione di Damasio descrive sentimenti ed emozioni co- me parti complementari di un processo, non come fenomeni dicoto- mizzati: richiamare l’emozione significa additare l’esteriorità e la di- namicità di uno stimolo, le contingenze dovute al contatto con un certo tipo di fattori emotigeni; richiamare il sentimento significa en- trare ‘in interiore homine’, confrontarsi con l’elaborazione che analiz- za lo stimolo emotivo e ne valuta il peso nella soggettività dell’indi- viduo: «un sentimento è la percezione di un certo stato del corpo, unita alla percezione di una particolare modalità di pensiero nonché di pensieri con particolari contenuti» 59. Il sentimento appare in definitiva come esito di una mediazione riflessiva che può avvenire non in tutti gli organismi, ma solo in quel- li che posseggono la capacità di rappresentarsi il proprio corpo all’in- terno di sé stesso. Il pensiero filosofico e i sentimenti morali. Un’interpreta- zione fenomenologica Quanto osservato in ambito neuroscientifico sembra accreditare la portata del tutto peculiare che il sentimento assume nella dimen- sione affettiva dell’individuo come momento di incontro tra perce- zione e riflessione, ossia come «medio necessario tra il sentire sensi- tivo e l’intelligenza concettuale. Passando ora a un approccio incentrato più sulla dimensione teo- retico-concettuale che sulla distinzione fenomenica, va specificato DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. DAMASIO, Alla ricerca di Spinoza. MASULLO, voce Sentimento, Enciclopedia filosofica, Milano. Tra sentimenti ed eguale rispetto che l’inquadramento di una specifica nozione di sentimento non fi- gura nei classici della filosofia, da Aristotele, a Cartesio e fino a Hume [cf. Grice, HUMEIAN PROJECTION], ma comincia a delinearsi a partire dal XVIII secolo. Sottolinea Aldo Masullo che un simile affinamento è legato anche a sviluppi del- la teoria politica: «L’assunzione da parte del sentimento di una sua specificazione forte è promosso dalla diffusa tensione della cultura illuministica che, per la nuova esigenza storica di fondare un’etica cosmopolitica, è assillata dal bisogno di scoprire un principio coesivo razionalmente argomen- tabile e nient’affatto razionalmente relativistico, generalmente ricono- scibile ma non dommaticamente irrigidibile» 63. Sono soprattutto alcuni studi dei cosiddetti filosofi moralisti in- glesi a definire il sentimento ‘forma sintetica dell’universale’ e fon- damento dell’umana convivenza, ossia principio coesivo nei rapporti umani, come recita l’opera di Adam Smith sui sentimenti morali 64. Si tratta di un indirizzo filosofico che ha come esponente di spicco Da- vid Hume, e che affonda le proprie radici nel sentimentalismo inglese di Shaftesbury e Hutcheson 65. Idea portante è la riconducibilità della moralità dell’agire a una matrice affettiva (per Hume, il cosiddetto PRINCIPIO DELLA SIMPATIA). CURI, Passione, cit., p. 9. 63 MASULLO, voce Sentimento/ SMITH, Teoria dei sentimenti morali, tr. it., Milano; per una riflessione sulle interazioni fra le teorie smithiane, in particolare il concetto di ‘simpatia’, e il diritto penale, v. CADOPPI, Simpatia, antipatia e diritto penale, a cura di Di Giovine O., Diritto penale e neuroetica. MORRA-BONAN, voce Sentimentalismo, in AA.VV., Enciclopedia filosofica, vol. XVI, Milano. Per una sintesi v. LECALDANO, Prima lezione di filosofia morale, Bari L’Autore osserva che «non bisogna confondere il piano della rico- struzione genealogica o genetica della nostra capacità di trarre distinzioni mo- rali, con la riflessione su quali siano i giudizi morali corretti». L’opzione per una teoria sentimentalistica ha una valenza in primo luogo metaetica; a livello di etica sostantiva si apre infatti il problema di «[affiancare] una concezione normativa sul contenuto da privilegiare come moralmente rilevante», v. ID., Prima lezione. Da ciò, la critica a concezioni che, sulla base degli studi di neuroscienze, si sono mosse nella direzione di offrire una ricostruzione in termini ‘realistico-emozionali’ del sentimentalismo morale: «queste ricerche [...] suscitano dubbi laddove accampano la pretesa di aver identificato una base fisiologica o biologica a cui l’etica può essere ridotta nella sua interezza. Il sentimento morale non va caratterizzato sostantivamente, anche per non con-   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni. Venendo a sviluppi più recenti, relativamente ai rapporti tra senti- re e dimensione morale appare a nostro avviso particolarmente inte- ressante per il giurista uno studio di matrice fenomenologica di Monticelli, nel quale il tema del sentire diviene oggetto di un problema etico in relazione sia alla formazione del singolo individuo (l’etica del sentire intesa come qualità etica – maggiore o minore ‘correttezza’ – delle disposizioni del sentire di un soggetto) sia ad aspetti relazionali (la ricerca del giusto spazio – e dunque di limiti eticamente tollerabili – alla fioritura dell’individuo, intesa come realizzazione della sua personalità, resa unica e peculiare dalle disposi- zioni del sentire). Secondo tale studio, l’esperienza affettiva è riconducibile a due di- mensioni essenziali: il sentire e il tendere. Il sentire implica un recepi- re, il tendere è invece un vettore d’azione: «se diciamo che una persona è sensibile non intendiamo affatto dire che è eccitabile, e neppure che manca di obiettività, al contrario intendiamo dire che è più di altri ca- pace di discriminazione, e quindi di verità nell’esercizio del sentire» 68. Negli individui non è infatti riscontrabile il medesimo livello di matu- razione affettiva: «una sensibilità si attiva per strati o segmenti – e in- tendiamo dire con questo che uno sentirà più o meno realtà a se- conda che più o meno “strati” della sua sensibilità siano attivati» 69. Ta- le soglia può variare ed essere incrementata positivamente durante l’esistenza; nondimeno, la diversità insita nelle molteplici varianti di sviluppo del sentire fonda le diversità di ordini assiologici dei singoli, quella che è in definitiva la loro identità morale 70. fonderlo con qualche emozione immediata: è invece proprio del sentimento morale il punto di vista riflessivo su tutte le passioni che si presentano senza qualificazione valutativa nella mente di una persona», v. ID., Prima lezione, cit., pp. 42 s. Per una differente impostazione, non propriamente ‘riduzionista’ ma comunque orientata a ricercare dei fondamenti naturalistici della morale v., ex plurimis, CHANGEUX, Il bello, il buono, il vero. Un nuovo approccio neuronale, tr. it., Milano. La fenomenologia del sentire e l’approccio fenomenologico ai sentimenti sono debitori dell’opera di SCHELER, Il formalismo nell’etica e l’etica materiale dei valori, tr. it., a cura di Guccinelli, Milano, 2013, il quale inquadra il sentimento come fattore costitutivo nell’ontologia della persona e come interfaccia tra sogget- tività e valori. Per una sintesi dei tratti caratterizzanti la fenomenologia come corrente filosofica v. GALLAGHER-ZAHAVI, La mente fenomenologica. Filosofia della mente e scienze cognitive, tr. it., Milano. DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 26. 69 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 79. 70 «L’ethos di una persona è la sua identità morale, ma questa identità morale Tra sentimenti ed eguale rispetto Così definito il fenomeno del sentire e delle sue manifestazioni, si pone il problema di inquadrare specificamente il sentimento: è uno stato momentaneo? un evento? un atto? Roberta De Monticelli af- ferma che esso è: «una disposizione reale – e non semplicemente virtuale – del sentire. È una disposizione del sentire che comporta un consentire più o meno profondo all’essere di ciò che la suscita, un più o meno profon- do dissentire da questo, e un atteggiamento caratteristico nei confron- ti di questo essere, capace di motivare altri sentimenti, emozioni, pas- sioni, scelte, decisioni, azioni, comportamenti. Il sentimento è ciò che forma le risposte all’esperienza dei valori: in questo senso viene definito ‘matrice di risposte’. Le emozioni sono maggiormente legate all’attualità contingente, poiché costituiscono un’alterazione reattiva e presuppongono l’attivazione di uno strato minimo di sensibilità, anche di livello puramente sensoriale. I sentimenti hanno un ruolo fondante nell’approccio dei singoli alla realtà, agli eventi, e, soprattutto, al rapporto con i propri simili: i sentimenti costituiscono lo strato del sentire propriamente diretto sulla realtà personale. Se il sentire, in generale, è percezione di valore, i sentimenti sono, o perlomeno implicano, disposizioni a sentire gli altri sotto l’aspetto dei valori che la loro esistenza realizza o delle esi- genze che essa pone. si manifesta primariamente nella vita affettiva che queste scelte e comporta- menti motiva, e nella quale si esprime infine il modo di sentire che le è irrepeti- bilmente, inconfondibilmente proprio. Il modo di sentire è segnato da una storia individuale, ancorato agli incontri di una vita: è, come vedremo, il profilo stesso dell’individualità essenziale»: v. DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. MONTICELLI, L’ordine del cuore. MONTICELLI, L’ordine del cuore. In presenza di una sensi- bilità strutturata la quantità di reazioni affettive è maggiore, ed è anche possibile che da emozioni scaturiscano risposte strutturanti, ossia che le emozioni stesse inducano alla formazione di nuovi sentimenti. Diverso discorso per le passioni, le quali costituiscono una manifestazione del volere e del tendere, e presuppongono la strutturazione di sentimenti, v. MONTICELLI, L’ordine del cuore. La tradizionale contrapposizione delle passioni alla ragione non è intrinseca alle passioni stesse, ma risale a un livello precedente, ossia al sentimento di cui quelle passioni sono manifestazione: «“irrazionali” sono dunque le passioni nella misura in cui sono “disordini del cuore”, ovvero ordinamenti assiologici perversi o inadeguati – per quanto difficile sia stabilire in positivo lo standard rispetto a cui definire la deviazione»: v. MONTICELLI, L’ordine del cuore. MONTICELLI, L’ordine del cuore. Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni Emozioni e sentimenti: il senso della distinzione concettuale In questa sede non è nostro obiettivo individuare un’esaustiva on- tologia dei fenomeni, bensì intendiamo verificare se vi siano diffe- renze che possano assumere una rilevanza concettuale nella prospet- tiva giuridica. Sentimenti ed emozioni hanno la funzione di classificare, in base al binomio piacere-dolore, le esperienze del sentire individuale. Un punto di contatto utile al fine di ricercare coerenza nella complessità delle de- finizioni, è il fatto che entrambi i fenomeni – naturalisticamente distin- guibili in base a criteri basati sull’intensità e la durata – da un punto di vista adattivo-funzionale rappresentano ‘proiezioni del sé’, ossia marca- tori dell’originalità che rende unico ogni individuo: «le emozioni guar- dano al mondo dal punto di vista del soggetto, e ordinano gli eventi in base alla cognizione della loro importanza o valore per il soggetto. Relativamente alle differenze, una prima, fondamentale, distinzione tra sentimento ed emozione è relativa ad aspetti di tipo ‘fisico-quan- titativo’, legati alla durata e all’intensità dell’esperienza affettiva: più bre- ve e accentuata nell’emozione, più duratura, ma meno intensa, nel sentimento. Secondo una definizione offerta da uno studio di psicologia: sentimento e umore si riferiscono a stati affettivi di bassa intensità, durevoli e pervasivi, senza una causa direttamente percepibile e con la capacità di influenzare eventi inizialmente neutri. Il sentimento, come stato affettivo ‘radicato’, non si esaurisce in stimoli momentanei. Un tratto caratterizzante l’emozione è la componente reattiva: «il termine emozione dovrebbe indicare, in accordo anche con il senso comune, stati affettivi intensi di breve durata, con una causa precisa, esterna o interna, un chiaro contenuto cognitivo e la funzione di rio- rientare l’attenzione» 77. Uno stato affettivo di durata limitata, diverso dunque da stati duraturi NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni. Si veda anche OATLEY, Psicologia ed emozioni, il quale parla di ‘condizioni di elicitazione’ per indicare che le emozioni insorgono sulla base della valutazione soggettiva di un evento da parte dell’agente in relazione alla sua condizione e ai suoi scopi. Cfr. OATLEY, Breve storia delle emozioni, tr. it., Bologna. D’URSO-TRENTIN, Introduzione alla psicologia delle emozioni, Bari; cfr. CATTARINUSSI, Sentimenti ed emozioni, PIETRINI, Dalle emozioni ai sentimenti: come il cervello anima la nostra vita, a cura di Colombo-Lanzavecchia, La società infobiologica, Milano. Per un esempio di tassonomia degli stati affettivi e per una conseguente ap- Tra sentimenti ed eguale rispetto Passando a un piano di lettura differente, non limitato alla ‘di- mensionalità’ (intensità, durata), richiamiamo quanto osservato in ambito neuroscientifico da Damasio, secondo il quale il sentimento costituisce il momento della rappresentazione cosciente dell’emo- zione: la percezione che il soggetto ha di sé stesso. Viene evidenziata in questo modo una dimensione riflessivo-speculativa che trova ri- scontro anche nell’analisi di un altro neuroscienziato, Joseph Le Doux, il quale osserva le emozioni sono funzioni biologiche che si sono evolute per permettere agli animali di sopravvivere in un am- biente ostile e di riprodursi; i sentimenti invece sono un prodotto del- la coscienza, «stati di consapevolezza legati all’esperienza interna dell’emozione. Emerge qui una differenziazione che attiene a un piano funzionale, e che vede il sentimento come fenomeno che ha più a che fare con la sfera cognitivo-riflessiva del soggetto. E veniamo infine a un terzo criterio distintivo, quello forse più importante ai fini della presente indagine. L’analisi fenomenologica di Monticelli ha richiamato il carattere disposizionale del sentimento, l’essere una matrice che può generare e formare ulteriori stati affettivi. Introduciamo dunque l’importante distinzione tra fe- nomeni affettivi ‘in atto’ e ‘disposizioni’ del sentire: «un’emozione in atto è un episodio nel quale proviamo effettivamente collera, paura, gioia o altro. Una disposizione emotiva è la suscettibilità a provare emozioni in atto» 81. Cosa significa ‘disposizionale’? Il concetto è stato approfondito in particolare da Ryle, secondo il quale le espressioni disposi-zionali contengono l’affermazione che un uomo o un animale o una plicazione a un tema penalistico-criminologico, v. CORNELLI, Paura e ordine nella modernità, Milano, DOUX, Feelings: What Are They & How does the Brain Make Them?, in Daedalus Si osserva che le concezioni speculative del sentimento, da Platone a Vi- co, sottolineandone l’ambiguità di regione “intermedia” tra il senso e l’intelletto, cioè il suo partecipare marginale tanto all’uno quanto all’altro, tematizzano il sen- timento come una delle categorie o generi sommi della vita umana. Questa infatti è tale – umana –, solo in quanto è “soggettività”, il modo di essere che consiste nel- l’avvertire stimoli dal mondo esterno (senso) e ordinare gli avvertimenti in rap- presentazioni generali e ben connesse (intelletto), avendo come necessaria condi- zione il riferimento dei primi e delle seconde a un chiaramente o oscuramente avvertito “sé”, ossia comportando un sentimento fondamentale», v. MASULLO, voce Sentimento. ELSTER, Sensazioni forti, tr. it., Bologna, il quale cita, quali esempi di disposizioni emotive, la misoginia e l’antisemitismo.   Sentimenti ed emozioni: classificazioni e disambiguazioni 59 cosa ha una certa capacità o una certa inclinazione, o è esposto ad una determinata tendenza. Le definizione ‘disposizionale’ può rap- presentare in questo senso un’antitesi rispetto a ‘episodico’, poiché «possedere una proprietà disposizionale non vuol dire trovarsi in un certo stato particolare o essere soggetto a un certo cangiamento» 83. Più in generale la distinzione fra stati ‘episodici’ e ‘disposizionali’ descrive una diversità funzionale nella complessiva esperienza affet- tiva della persona, e si presta a evidenziare il rapporto fra mera reat- tività soggettiva contingente e carattere fondativo e ‘personologico’ (vedi infra, cap. IV) degli stati affettivi, i quali appaiono in questo senso come strutture di base della soggettività. È questa a nostro avviso un’importante chiave di lettura per la presente indagine: ciò che appare decisivo nel problema della tutela di sentimenti non è capire se si debba far riferimento a emozioni in senso stretto o ad altri fenomeni affettivi, ma è invece importante de- cidere se il fulcro dei problemi debba riguardare la reattività emozio- nale, oppure se si debba assumere quale vettore di senso l’affettività come base di stati disposizionali non episodici, ossia come strutture portanti della identità morale degli individui. Un richiamo alla sfera affettiva intesa come ‘struttura disposizionale’ orienta l’attenzione sul sentire quale marcatore della personalità, e pone in questo modo sen- timenti ed emozioni al centro di questioni concernenti la diversità di preferenze e di ordini assiologici fra individui. Tale ultima opzione è quella a nostro avviso più funzionale a in- staurare connessioni con le accezioni del termine ‘sentimento’ che emergono nel discorso penalistico: l’uso dei legislatori e della dot- trina. Nel prosieguo dell’indagine approfondiremo entrambi gli aspetti. 5. Sinossi Il panorama di fenomeni che costituiscono il tessuto affettivo de- gli individui è oggetto di definizioni dall’uso non univoco e talvolta polisenso. Il rimando a saperi lato sensu psicologici, pur assumendo 82 RYLE, Il concetto di mente, tr. it., Roma-Bari, RYLE, LO SPIRITO COME COMPORTAMENTO, tr. it., Roma-Bari; cfr. ID., IL CONCETTO DI MENTE [citato da H. P. Grice]: Le tendenze sono cosa diversa dalle capacità e dalle suscettibilità. RYLEIAN AGITATION. Tra sentimenti ed eguale rispetto una notevole complessità, sembra nondimeno costituire per il giuri- sta penale un indispensabile tassello. Lo studio di contributi prodotti in ambito neuroscientifico, psico- logico e filosofico evidenzia come, al di là di possibili aree di contat- to, sentimenti ed emozioni non siano fenomeni del tutto accomuna- bili. Vi è una connessione di fondo relativa al fatto che entrambi, pur in modo differente, sono funzionali a classificare in base al binomio piacere-dolore le esperienze e le inclinazioni del sentire individuale, e contribuiscono così a definire l’identità e la peculiare originalità di ogni individuo. Da un altro lato, emergono differenze relative sia al- l’intensità, sia alla consistenza e alla durata. La distinzione che sembra maggiormente funzionale alla riflessio- ne sul problema del sentimento come oggetto di tutela concerne la nozione di stati episodici e disposizionali: con la prima accezione si definiscono fenomeni che si esauriscono in una contingente reattività psichica, con la seconda si indicano stati duraturi a loro volta matrici di ulteriori reazioni, i quali si intrecciano con le trame costitutive del- la personalità. Alla luce di tale ultimo distinguo cercheremo di trovare connes- sioni con le categorizzazioni che emergono dal diritto positivo e dal discorso dottrinale. DIMENSIONE CODICISTICA E FUNZIONE DISCORSIVA DELLA FORMULA ‘TUTELA PENALE DI SENTIMENTI’ SOMMARIO: ‘Tutela di sentimenti’: usi e significati della formula. Le tipologie di interessi dietro le norme codicistiche: sentimenti-valori e disagio psichico. La tutela di sentimenti-valori. Il sentimento religioso. Il pudore. La pietà dei defunti. Il sentimento nazionale e la condotta di istigazione all’odio fra le classi sociali.  Il sentimento per gli animali. Il comune sentimento della morale. Lessico delle norme e piano fenomenico: sentimenti o emozioni? Atti persecutori: sofferenza psichica e libertà di autodeterminazione. La definizione di ‘sentimento’ come connotazione simbolica negativa nel discorso penalistico. Una virtuosa prospettiva di interazione: ‘sentire comune’ e legittimazione delle norme penali. –  Sinossi. ‘Tutela di sentimenti’: usi e significati della formula Volgiamo ora lo sguardo alla dimensione giuridica e cerchiamo di inquadrare le rispondenze della formula ‘tutela di sentimenti’. Sono a nostro avviso distinguibili due accezioni: la prima, di tipo descrittivo-classificatoria, è strettamente legata al diritto positivo, e si presta a sintetizzare le disposizioni in cui l’interesse protetto viene de- finito nei termini di un sentimento o di un’emozione: si pensi alle nor- me codicistiche che parlano di sentimento religioso, pudore, pietà dei defunti et similia. La seconda accezione, che definiamo connotativa, è funzionale a tematizzare norme e problemi di tutela in cui la matrice emozionale non traspare da definizioni normative, ma emerge nei discorsi della dottrina penalistica in sede di speculazione teorica o di interpreta- zione, tendenzialmente per richiamare beni dalla fisionomia protei- forme, suscettibili di ricostruzioni profondamente differenti in quan-  62 Tra sentimenti ed eguale rispetto to esposte al condizionamento emotivo: interessi parificati dunque a sentimenti per via di un’intrinseca inafferrabilità 1. L’accezione connotativa enfatizza in chiave critica l’associazione tra fenomeni affettivi e oggetti di tutela dai confini incerti, disancora- ti da una base oggettiva e tendenti a sfociare in ricostruzioni di ma- trice soggettivistica. Parlare di sentimenti attiva nel lettore e nell’in- terprete frames psicologici che risentono della nebulosità epistemica che caratterizza le condizioni di conoscenza dei fenomeni psichici, contribuendo in questo modo a comunicare una sostanziale diffiden- za: «[le] parole non sono semplicemente dei mezzi per individuare gli oggetti. Le parole intervengono nella nostra percezione degli oggetti, e infatti trasmettono interpretazioni e attribuiscono senso ai loro referenti. Associare un oggetto di tutela penale a un sentimento equivale a sottolinearne il potenziale di criticità, come coacervo di interessi ‘su- blimati’ che non rispondano a requisiti di razionalità e coerenza ri- spetto a principi ‘di sistema’ 3. Menzioniamo, per ora a titolo esempli- ficativo, il richiamo alla dignità umana, e pensiamo anche alla cosid- detta ‘sicurezza pubblica’ la quale è stata in tempi recenti associata criticamente a uno stato di tranquillità soggettiva dei singoli; si può inoltre ascrivere a tale categoria anche il concetto di onore, ben noto ai penalisti e da sempre oggetto di faticosi sforzi ermeneutici. Si trat- ta di interessi che non a caso vengono additati come ‘problematici’ dalla dottrina4, i quali evidenziano tutti una forte connessione con matrici emotive, tale da indurre a definirli anche come ‘sentimenti’. Nel prosieguo approfondiremo gli ambiti e i problemi connessi sia all’accezione descrittiva, sia a quella connotativa, a partire da una panoramica sulle fattispecie dell’ordinamento italiano in cui il senti- 1 Con riferimento alla dottrina tedesca si veda la ricostruzione di NISCO, La tu- tela penale dell’integrità psichica, cit., p. 84, il quale sottolinea come anche in Germania l’espressione ‘Gefühlschutzdelikte’ sia intesa in chiave essenzialmente critica. 2 SARTORI, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali, Bologna. Sulla specifica accezione del diritto penale come ‘sistema’ – definizione che attiene al piano del dover essere piuttosto che alla descrizione della realtà del- l’ordinamento – e sulle distinzioni tra principi di rilevanza normativa che entrano in gioco nel diritto penale, v. per tutti FIANDACA, Diritto penale, in FIANDACA-DI CHIARA, Un’introduzione al sistema penale. Per una lettura costituzionalmente orientata, Napoli. FIANDACA, Sul bene giuridico. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 63 mento figura testualmente come coordinata descrittiva dell’interesse protetto Le tipologie di interessi dietro le norme codicistiche: ‘senti- menti-valori’ e disagio psichico Nel codice penale il sentimento viene espressamente evocato dalle norme poste a tutela del sentimento religioso, del pudore, della pietà dei defunti, del sentimento nazionale; nella legislazione complemen- tare viene menzionato come oggetto di tutela il ‘comune sentimento della morale’ 6. Oltre a tali ipotesi, riteniamo, in accordo con autorevole dottrina, che la problematica del sentimento come oggetto di tutela investa, pur con i dovuti distinguo, anche una norma di più recente introdu- zione, ossia l’art. 612 bis c.p., la quale incrimina il delitto di atti per- secutori. Si tratta di una fattispecie la cui tipicità appare fortemente improntata in senso emotivistico: ‘perdurante e grave stato d’ansia e di paura’, ‘fondato timore’ sono eventi di tipo psichico, e precisamen- te sono assimilabili a emozioni negative. Anche il delitto di atti per- secutori appare orientato a tutelare un sentire, o, più propriamente, 5 Non analizzeremo in questa sede ulteriori fattispecie codicistiche il cui so- strato di offensività sembra rimandare a un retroterra di tipo emozionale. Al di là dell’onore, che è unanimemente riconosciuto come interesse della persona caratterizzato da un’evidente componente ‘di sentimento’ che la dottrina si è impegnata a razionalizzare mediante il richiamo, comunque problematico, alla ‘dignità sociale’, v. MUSCO, Bene giuridico e tutela dell’onore, Milano, vi sono altre norme la cui afferenza al tema in esame appare meno uni- voca. Una recente ricostruzione include ad esempio il vilipendio alla bandiera (come forma di offesa al sentimento nazionale), la corruzione impropria susse- guente (offesa al sentimento di onestà che dovrebbe guidare i pubblici ufficiali), l’ingiuria semplice, l’incesto (offesa al sentimento della morale familiare), la pedopornografia (sentimenti moralistici inerenti la sessualità) e infine il nega- zionismo: si tratta di un panorama variegato ed eterogeneo, il quale meritereb- be una dettagliata analisi volta a verificare in che termini dietro i casi menzio- nati si possa davvero parlare di sentimenti, v. GIUNTA, Verso un rinnovato ro- manticismo penale?, cit., pp. 1556 ss. 6 Si pongono al di fuori dell’area concettuale della tutela di sentimenti le pro- blematiche concernenti gli stati emotivi e passionali e le circostanze attenuanti fondate su emozioni; il profilo che viene qui in gioco è il ruolo che i fenomeni af- fettivi possono assumere in relazione alla graduazione della responsabilità pena- le, attraverso gli istituti dell’imputabilità e delle circostanze del reato (vedi anche supra, cap. I, nota 30).   64 Tra sentimenti ed eguale rispetto presidia l’equilibrio emotivo di un soggetto in chiave strumentale rispetto alla libertà di autodeterminazione. È plausibile definire tale ultima fattispecie come una forma di tu- tela di sentimenti8 (fatte salve le criticità che possono derivare da un’interpretazione meramente emozionale e soggettivistica degli even- ti), ma è altrettanto evidente che rispetto alle ipotesi precedentemen- te menzionate in cui il legislatore parla espressamente di ‘sentimento’ vi sono delle differenze: nel caso della religione, del pudore, della pie- tà dei defunti et similia, la parola ‘sentimento’ viene associata a ulte- riori concetti che indicano valori e oggetti significativi per il singolo e per la collettività, dando vita a un’entità in parte psicologica e in par- te di consistenza prettamente socio-valoriale. Nel caso dello stalking lo stato psichico assume una rilevanza autonoma, senza alcuna cor- relazione con specifici oggetti del sentire, ed è proprio il turbamento emotivo a rivestire importanza centrale nell’economia della fattispe- cie, precisamente come evento tipico 9. Si tratta di due diverse declinazioni del sentimento come oggetto di tutela, le quali necessitano di una trattazione distinta. 2.1. La tutela di ‘sentimenti-valori’ Con riferimento ai delitti contro il sentimento religioso, contro il pudore e contro la pietà dei defunti, sia l’interpretazione oggi do- minante in dottrina sia la realtà applicativa depongono per una linea depsicologizzante, secondo la quale il disvalore del fatto non dipende dall’impatto della condotta tipica sullo stato psichico del soggetto passivo. Si è osservato che l’ordinamento penale non tutela sentimenti, 7 Sul tema, pur con diversità di accenti, v. MAUGERI, Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, Torino; NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica; COCO, La tutela della libertà indivi- duale nel nuovo sistema ‘anti-stalking’, Napoli FIANDACA, Sul bene giuridico. Uno tra gli aspetti più discussi della fattispecie di atti persecutori concerne l’alternativa fra reato di danno o di pericolo; per un’interessante prospettiva in- terpretativa MAUGERI, Lo stalking; sulla stessa linea di pensiero, CADOPPI, Efficace la misura dell’ammonimento del questore, in Guida dir. In giurisprudenza tende a prevalere la qualificazione come reato di danno; v., ex plurimis, Cass. pen., sez.; Cass. pen., sez. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 65 «anche se talora lo stesso codice penale si esprime in questi termini, ma tutela la loro obiettivazione in situazioni sociali, in interessi, in beni giuridici più definiti della percezione soggettiva: tanto che essi vengono tutelati a prescindere dalla prova di quella percezione in capo a un qualche individuo determinato» 10. Tale osservazione è ineccepibile, e trova riscontro nel panorama applicativo: la prova di un effettivo turbamento psichico soggettivo non è mai venuta seriamente in considerazione. Le situazioni de- scritte nelle disposizioni codicistiche non richiedono la verifica di una concreta elicitazione della sensibilità di singoli individui: l’asserita attitudine lesiva della sensibilità costituisce esito di un proces- so interpretativo di elementi di fatto e di condizioni di contesto esa- minati alla luce di criteri di adeguatezza e di tollerabilità modulati su parametri di tipo socio-culturale, in base a un’ipotizzata sensibilità media dei consociati. Come osserva Angelo Falzea, non è il mero fatto emozionale ad assumere ruolo decisivo, ma è piuttosto la sua traducibilità in valori e disvalori secondo un punto di vista sociale. Nel complesso, il senti- mento assume rilevanza sub specie iuris e non sub specie facti: «Non ogni volta che il diritto pone a base delle sue regole il sentimen- to si è in presenza di un fatto giuridico affettivo. Vi sono norme giuri- diche ispirate all’esigenza di tutelare un sentimento condiviso dalla 10 DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti. Si prendano a riferimento gli ambiti della tutela penale della religione e del pudore, nei quali si registra un congruo numero di pronunce. Per una panorami- ca sulla tutela del sentimento religioso in Italia fino agli anni Ottanta v. SIRACUSANO, I delitti in materia di religione. Beni giuridici e limiti dell’intervento penale, Milano; per uno sguardo sugli sviluppi più recenti v. BASILE, art. 403 c.p., in AA.VV., Codice penale commentato, diretto da Dolcini-Gatta, Milano; PECORELLA, Delitti contro il sentimento religioso, in AA.VV., a cura di Pulitanò, Manuale di diritto penale. Parte speciale, vol. I, I reati contro la persona, II ed., Torino; per una panoramica della giurispruden- za in materia di offese al pudore v. PROTETTÌ-SODANO, Offesa al pudore e all’onore sessuale nella giurisprudenza, Padova; PULITANÒ, Il buon costume, in BIANCHI D’ESPINOSA-CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio- culturali della giurisprudenza; FIANDACA, Problematica dell’osceno e tutela del buon costume, Padova, 1984, pp. 33 ss.; sugli sviluppi più recenti sia consentito il rinvio a BACCO, Tutela del pudore e della riservatezza sessuale, in AA.VV., a cura di Pulitanò, Manuale di diritto penale. I reati contro la persona. In psicologia è d’uso il termine ‘elicitazione’ per indicare l’azione di stimolo volta a suscitare emozioni e/o a indurre comportamenti. Tra sentimenti ed eguale rispetto comunità o di reprimere un sentimento che la comunità disapprova, ma nelle quali la considerazione del fenomeno emozionale resta al livello dell’interesse normativo e non si traduce in elemento della fatti- specie: il sentimento tende allora a svincolarsi dalla necessità di una sua specifica manifestazione e a confondersi coi valori etici ogget- tivi» 13. Ciò che rileva è la ‘personalità affettiva comune’, ossia «l’insieme dei fatti biologici e psichici che influiscono sul comportamento emo- zionale affettivo e reattivo della persona» definito «in relazione al pa- trimonio sentimentale e alla sensibilità che sono propri in linea di principio dell’intero gruppo sociale. Il sentimento viene in questo modo proiettato in una dimensione collettiva come modo di sentire diffuso che accomuna più individui (c.d. ‘atmosfera emozionale’). Alla luce di tale fisionomia dell’oggetto di tutela, il sentire indivi- duale viene filtrato «in funzione e sotto l’angolo visuale del sistema dei valori di un gruppo diverso e più comprensivo la valutazione contenuta nel sentimento di certe persone o comunità diventa ogget- to di un’altra valutazione contenuta nel modo di sentire o comunque nel sistema dei valori di altre persone o comunità» 15. In definitiva, attraverso le «regole e gl’istituti con cui il legislatore predispone una tutela penalistica a salvaguardia di sentimenti che nel- l’animo e nel costume dei consociati assumono un alto valore» 16, il di- ritto penale finisce per tutelare non un stato soggettivo della persona, bensì l’oggetto e il valore impersonale che fonda quel dato modo di F. I FATTI DI SENTIMENTO. L’Autore inoltre distingue fra ‘reati di sentimento’, ossia quelli in cui il diritto «punisce il disprezzo verso valori ritenuti fondamentali», ossia le varie forme di vilipendio alle istituzioni (Repubblica, nazione, bandiera), dai casi in cui il sentimento dell’agente è tale da influire sulla gravità della pena in funzione di circostanza (crudeltà, futilità dei motivi etc. A ben vedere, una simile prospettazione potrebbe creare fraintendimenti: nella definizione del vilipendio quale reato di sentimento (la cui ragion d’essere trova dunque spiegazione nella mera censura di uno stato interiore considerato contrario a valori ‘oggettivi’) l’occhio del penalista non può fare a meno di riscon- trare una sottile caratterizzazione soggettivistica, secondo tecniche di incrimina- zione tipiche del Gesinnungsstrafrecht. Il suddetto schema non sembra inoltre funzionale ad una prospettiva di bilanciamento, poiché se l’aver provato disprez- zo diviene motivo di incriminazione tout court, relegando in secondo piano i pro- fili di turbamento del sentimento di altri, risulta assai più difficoltoso procedere sulla strada di un equilibrio tra posizioni. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula sentire. Il lessico degli stati affettivi si rivela dunque un orpello retorico volto a porre sotto protezione penale gli oggetti del sentire, ossia valori e simboli ritenuti socialmente significativi nella comunità: «nell’apprestare tutela a determinati sentimenti, il codice non tende a proteggere stati affettivi duraturi in quanto tali: si tratta, piuttosto, di sentimenti – individuali e/o collettivi – concepiti altresì come atteg- giamenti intrisi di valore in una accezione culturale e normativa. Sic- ché si può dire, da questo punto di vista, che la legge penale mira a proteggere più che sentimenti in sé, sentimenti-valori, se non valori tout court» 17. Vediamo nel dettaglio quali sono i valori che, dietro le effigie del sentimento, sono entrati nel catalogo dei beni tutelati dal diritto penale italiano. Il sentimento religioso I delitti in tema di religione sono un elemento sintomatico del tas- so di secolarizzazione del sistema 18. Nelle legislazioni penali moder- ne, la religione è stata di rado identificata come bene di esclusiva per- tinenza del singolo, e più frequentemente come forma di adesione collettiva o come sentimento istituzionalizzato, ossia entità storica- mente e culturalmente determinata nella quale sono trasfusi valori e patrimoni propri di una o più confessioni. Il codice Rocco parla di ‘sentimento religioso’ 19, ma la legislazione del 1930, fedele nelle rubriche e nella sostanza alla sola religione di Stato, si identificava nel modello di tutela definito come bene di civiltà: era la religione cattolica, affiancata dalla timida presenza dei culti ammessi, e non un qualsiasi sentimento religioso individual- FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti, FIANDACA, Laicità del diritto penale e secolarizzazione dei beni tutelati, in AA.VV., a cura di Pisani, Studi in memoria di Pietro Nuvolone, vol. I, Milano, 1991, pp. 180 ss.; SIRACUSANO, Pluralismo e secolarizzazione dei valori: la superstite tutela penale del fattore religioso nell’ordinamento italiano, a cura di Risicato-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali, Torino. Per una panoramica, v. a cura di Brunelli, Diritto penale della libertà religiosa, Torino, Cfr. MARCHEI, Sentimento religioso e bene giuridico. Tra giurisprudenza costi- tuzionale e novella legislativa, Milano; PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose dopo la legge, Milano. SIRACUSANO, I delitti in materia di religione, cit., Milano Tra sentimenti ed eguale rispetto mente avvertito, a godere di un privilegiato regime di tutela 21. L’impianto codicistico ha subito profonde modifiche ad opera del- la Corte costituzionale, la quale, nel corso degli anni, ha ‘rabbercia- to’ 22 il sistema dei reati riducendo le distonie con i principi codificati nella Carta costituzionale. Particolarmente significativa è la linea giu- risprudenziale inaugurata con la pronuncia n. 440/1995 (sulla con- travvenzione di bestemmia) e seguita dalle pronunce (equiparazione del trattamento sanzionatorio fra religione di Stato e culti ammessi, in relazione all’art. 403 c.p.) e soprattutto n. 508/2000 (ablazione della fattispecie di vilipendio della religione di Stato, art. c.p.): decisioni che attuano un cambio di rotta rispetto alla giu- risprudenza costituzionale che, fino a pochi decenni prima, ancora legittimava il trattamento privilegiato della religione cattolica sulla base di criteri quantitativi e sociologici 25. Argomentando sulla base del principio di laicità, la Corte ha iden- tificato nella dimensione religiosa individuale il corollario di una li- 21 In linea con l’afflato statocentrico che ispira l’intera codificazione, le fatti- specie in tema di religione sono espressione di autoritarismo etico da parte del governo fascista, congeniale al sodalizio politico con la Chiesa Romana formaliz- zato nei Patti Lateranensi: La religione dice Rocco è non tanto un feno- meno attinente alla coscienza individuale, quanto un fenomeno sociale della più alta importanza, anche per il raggiungimento dei fini etici dello Stato», v. Codice penale, illustrato con i lavori preparatori, a cura di Mangini-Gabrieli-Cosentino, Roma. Per una sintesi, v., ex plurimis, PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose. L’espressione è di FIANDACA, Altro passo avanti della Consulta nella rabbercia- tura dei reati contro la religione, in Foro it. Per un’ampia e pun- tuale sintesi della giurisprudenza costituzionale vedi il saggio di VISCONTI C., La tutela penale della religione nell’età post-secolare e il ruolo della Corte costituzionale, in Riv. it. dir. proc. pen. Sul tema v., ex plurimis, PALAZZO, La tutela della religione tra eguaglianza e secolarizzazione (a proposito della dichiarazione di incostituzionalità della bestem- mia), in Cass. pen.; DI GIOVINE O., La bestemmia al vaglio della Corte costituzionale: sui difficili rapporti tra Consulta e legge penale, in Riv. it. dir. proc. pen. Ex plurimis, VENAFRO, Il reato di vilipendio della religione non passa il vaglio della Corte Costituzionale, in Legislazione penale. Cfr. FALCINELLI, Il valore penale del sentimento religioso, entro la nuova tipici- tà dei delitti contro le confessioni religiose, in AA.VV., a cura di Brunelli, Diritto penale della libertà religiosa, Torino; MORMANDO, Religione, laicità, tol- leranza e diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.; MARCHEI, Sentimento religioso e bene giuridico. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 69 bertà costituzionale 26; parametro costituzionale decisivo che ha sup- portato le modifiche più rilevanti è stato il principio di uguaglianza. La riforma, nel dichiarato intento di superare l’anacro- nistico e illiberale modello del codice fascista, ha eliminato il riferi- mento alla religione introducendo il concetto di ‘confessione religio- sa’. In merito all’interesse protetto, la lettura critica offerta dalla pre- valente dottrina individua una sostanziale continuità con la vecchia normativa28, identificando l’oggetto di tutela in una prospettiva che oscilla tra il bene di civiltà ‘pluriconfessionalmente articolato’ e il sentimento collettivo della pluralità dei fedeli che si riconoscono in una determinata confessione religiosa29. Non mancano però letture alternative che cercano di armonizzare la duplice natura, individuale e collettiva, del bene protetto, sottolineando come «la nozione di sen- 26 Pur aderendo sostanzialmente al principio di laicità dello Stato, la giuri- sprudenza costituzionale presenta sensibili oscillazioni circa l’effettiva portata del concetto: cfr. VISCONTI C., Aspetti penalistici del discorso pubblico, Torino; ID., La tutela penale della religione, cit., p. 1050. Istanze personalistiche sono emerse quando si è parlato di «sentimento religioso, il quale vive nell’in- timo della coscienza individuale e si estende anche a gruppi più o meno numerosi di persone legate tra loro dal vincolo della professione di una fede comune», v. C. cost.; cfr. MARCHEI, Sentimento religioso. Così PULITANÒ, Laicità e diritto penale, a cura di Ceretti-Garlati, Laicità e stato di diritto, Milano; cfr. VISCONTI C., Aspetti penalistici. Sui rapporti tra uguaglianza e diritto penale, v. DODARO, Uguaglianza e diritto penale. Uno studio di giurisprudenza costituzionale, Milano, 2013; FIANDACA, Uguaglianza e diritto penale, a cura di Cartabia-Vettor, Le ragioni del- l’uguaglianza, Milano. Si rileva che la Corte non ha assunto decisioni dirompenti, tali da condur- re all’abbattimento del sistema esistente, talvolta riducendo a un semplice pas- saggio ermeneutico, secondo alcuni Autori, lo stesso richiamo alla realtà reli- giosa individuale, nei fatti seguito dalla rilegittimazione del paradigma esi- stente: cfr. l’analisi di MARCHEI, Sentimento religioso, cit., pp. 143 ss. Osserva PIEMONTESE, Offese alla religione e pluralismo religioso, Religione e re- ligioni: prospettive di tutela, tutela delle libertà, a cura di De Francesco-Piemontese-Venafro, Torino, che «la libertà individuale parrebbe valoriz- zata, qui, solo in chiusura e ad abundantiam, all’interno di un iter argomentati- vo volto a preservare comunque l’originaria dimensione pubblica ed istituziona- le della tutela»; cfr. PADOVANI, Un intervento normativo scoordinato che investe anche i delitti contro lo Stato, in Guida dir.; BASILE, art. c.p. Nel primo senso SIRACUSANO, Pluralismo e secolarizzazione dei valori; per la seconda opzione v. BASILE, art. c.p. Cfr. anche VISCON- TI C., Aspetti penalistici. Ritiene che la riforma abbia fatto assurgere il sentimento religioso individuale a bene protetto in via diretta e immediata, PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose Tra sentimenti ed eguale rispetto timento è solamente un connotato – innegabile quanto imprescindibile – di un ben più articolato valore di libertà religiosa. Il pudore Il richiamo al sentimento è centrale nella definizione delle osceni- tà penalmente rilevanti: sono da considerarsi osceni gli atti e gli og- getti che ‘secondo il comune sentimento’ offendono il pudore (art. c.p.). L’elemento normativo ‘comune sentimento del pudore’31 attinge da un fenomeno di reattività interiore dell’individuo: il pudo- re, genericamente definibile come disposizione soggettiva che induce al riserbo su quanto attiene alla vita sessuale, fonda la soglia sogget- tiva di eventuale disagio avvertibile di fronte a manifestazioni della sessualità. Inteso nella dimensione comunitaria il pudore si emancipa dal rapporto di implicazione emotiva individuale e dalla sua concreta sussistenza, scivolando verso un’identificazione con concezioni della morale sessuale: la valorizzazione normativa del pudore diviene in questo modo funzionale a introdurre soglie atte a delimitare manife- stazioni e rappresentazioni aventi contenuto sessuale 33. Il problema del buon costume e della pubblica moralità quali beni di categoria in ambito penalistico ha finito per tradursi nel richiamo a canoni di moralità sessuale, concetto quest’ultimo la cui delimita- 30 È la condivisibile notazione di FALCINELLI, Il valore penale del sentimento religioso, cit., p. 48, la quale definisce l’interesse protetto dalle norme post riforma 2006 come sentimento religioso collettivo e al contempo individuale. Sul tema degli elementi normativi, e in particolare sui rapporti fra il coeffi- ciente di certezza degli elementi normativi culturali e giuridici, v. lo studio di BONINI, L’elemento normativo nella fattispecie penale. Questioni sistematiche e costitu- zionali, Napoli, 2016, pp. 320 ss.; sul tema v. anche RISICATO, Gli elementi norma- tivi della fattispecie penale. Profili generali e problemi applicativi, Milano Per un’analisi in chiave psicanalitica v., ex plurimis, APPIANI, Tabù. Elogio del pudore, Milano, Fondamentale FIANDACA, Problematica dell’osceno, cit., pp. 4 ss. Sul proble- ma definitorio del pudore, nella letteratura penalistica più risalente v. ALLEGRA, Il “comune” sentimento del pudore, in Iustitia.; LATAGLIATA, voce Atti osceni e atti contrari alla pubblica decenza, in Enciclopedia del diritto, vol. IV, Mi- lano; VENDITTI, La tutela penale del pudore e della pubblica decen- za, Milano; GALLISAI PILO, voce Oscenità e offese alla decenza, in Dig. disc. pen., Torino; FARINA, Il reato di atti osceni in luogo pub- blico: tensioni interpretative e prospettive personalistiche nella tutela del pudore, in Dir. pen. proc. Cfr. FIANDACA, Problematica dell’osceno, cit., pp. 78 ss.  Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 71 zione è però nondimeno ardua, al punto da costituire classicamente un luogo di forti tensioni tra il diritto punitivo e i principi liberali. Ad oggi gli sviluppi giurisprudenziali, incentivati e affinati da im- portanti contributi della dottrina 36, depongono per una riconversione dell’interesse di tutela, il quale è identificato nel diritto a essere pro- tetti da indebite violazioni del proprio riserbo sessuale: esempio tipi- co, l’assistere a manifestazioni di contenuto erotico senza avervi pre- ventivamente acconsentito. Ciò ha condotto a un modello di interven- to incentrato non più su una lesione astratta e potenziale del pudore collettivo, ma teso a reprimere solo le manifestazioni oscene che si impongano a determinati soggetti senza che questi abbiano prestato un preventivo consenso 37. È il carattere della pubblicità più o meno indesiderata dell’atto o della pubblicazione, inteso come capacità di diffusione e percepibilità da parte di soggetti non consenzienti, a fondare l’illiceità, e non la sua natura eventualmente oscena. Si tratta di un ragionevole distacco da modelli di intervento non 35 Sul punto rimarca FIANDACA, Problematica dell’osceno, che il principio della tolleranza ideologica e della tutela delle minoranze impediscono di trasformare il diritto penale di uno Stato democratico in tutore della virtù. Ciò induce a dover giustificare sotto ogni aspetto l’assunto, secondo il quale la punizione dell’immoralità non può rientrare tra gli scopi del diritto penale con- temporaneo. Tanto più che l’esplicito riferimento, contenuto nella Costituzione, alla tutela del buon costume potrebbe essere da taluno interpretato – come di fat- to è avvenuto – appunto in chiave di “copertura” costituzionale all’incriminazione di fatti lesivi di semplici valori morali». Cfr. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mantenimento di orientamenti sociali di carattere assiologico? Pro- blemi di legittimazione da una prospettiva europea continentale e da una angloame- ricana, a cura di Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale. Culture europeo-continentale e anglo-americana a confronto, Torino Il riferimento è sempre a FIANDACA, Problematica dell’osceno In giurisprudenza, sentenza capostipite è quella del Tribunale di Torino, 2/04/1982, in Foro it. Nella giurisprudenza di legittimità, Cass. pen., sez. in Foro it.; v. anche Cass. pen., SS. UU., 24/03/1995, in Foro it., 1996, II, c. 17 ss. Da ultimo, v. Cass. pen., sez. e Cass. pen., sez., che conferma la per- cepibilità dell’osceno da parte del pubblico come elemento costitutivo della fattispe- cie il cui onere probatorio deve essere fornito dall’accusa. Per un avallo del suddetto orientamento da parte della Corte costituzionale, v. la sentenza n. 368/1992, secon- do cui «la misura di illiceità dell’osceno è data dalla capacità offensiva di questo verso gli altri, considerata in relazione alle modalità di espressione e alle circostan- ze in cui l’osceno è manifestato», v. C. cost., n. 368/1992; sia consentito il rinvio a BACCO, Tutela del pudore e della riservatezza sessuale Tra sentimenti ed eguale rispetto compatibili con uno Stato liberale e pluralista38. Ad oggi l’ordina- mento italiano non tutela un moralistico pudore collettivo 39, ma ap- presta gli strumenti affinché le persone non assistano a manifesta- zioni della sessualità per loro indesiderate: l’equilibrio si fonda su po- tenzialità nell’agire che trovano un limite nell’altrui pretesa di non subire contatti sgraditi. Vi è sì una depsicologizzazione dell’interesse protetto, presentato nelle fogge di una libertà negativa, ma va non- dimeno riconosciuto che il problema della tutela del pudore resta profondamente legato, nella sua matrice, anche a una sensibilità di tipo ‘epidermico’40, non semplicemente morale, ma saldamente in- trecciata alla reattività emotiva della persona.  La pietà dei defunti Pochi termini denotano un’appartenenza al lessico emozionale come la pietà: traduzione del latino pietas, essa, al di là dell’uso gene- rico che connota il sentimento di solidale comprensione nei confronti della sofferenza altrui, designa ancora oggi la dimensione psicologica che scaturisce dall’esperienza della morte dei propri simili, e fa la sua comparsa nel codice penale al capo II del titolo IV. 38 Esigenze di riforma sono state invocate evidenziando un ormai critico rap- porto tra il diritto vivente e la tipicità formale, sottolineando come lo stesso rein- quadramento in termini personalistici del bene giuridico disveli, in definitiva, un’irragionevole disparità sanzionatoria tra l’offesa al pudore (rectius, libertà da visioni indesiderate) e altre offese alla persona: v. FARINA, Il reato di atti osceni I sentimenti individuali rimangono sullo sfondo, preservati nella loro auto- nomia e senza dover render conto dei propri contenuti: le generalizzazioni e i giudizi su base quantitativa dovrebbero rimanere al di fuori della norma, poiché la libertà del singolo è anche libertà di usufruire e concedersi quello che per molti dei suoi simili potrebbe apparire indecoroso o ripugnante, ovviamente senza in- vadere le altrui sfere di libertà. Autorevoli esponenti del pensiero liberale hanno affermato in questo senso la necessità di una politica ‘anticollettivista’, nella quale cioè «gli interessi della maggioranza non possono mettere a tacere i diritti fon- damentali dell’individuo, se non in circostanze eccezionali, solitamente laddove siano ipotizzabili danni ad altre persone o qualche grave pericolo per l’intera na- zione», v. NUSSBAUM, Disgusto e umanità, tr. it., Milano; cfr. H. L. A. HART [citato da H. P. Gice], Diritto, morale e libertà, tr. it., a cura di Gavazzi, Acireale È stato osservato come sia doveroso un approfondimento delle ragioni psi- cologiche alla base di atteggiamenti repulsivi dell’altro, al fine di disvelare (e ar- ginare) l’irrazionalità di fondo che, se trasfusa in dettami normativi, potrebbe condurre a esiti discriminatori: un tipico esempio sono istanze di tutela che tro- vino la propria motivazione in un mero ‘disgusto collettivo’, v. NUSSBAUM, Na- scondere l’umanità Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula L’interpretazione consolidatasi in dottrina individua in tali norme un presidio a un sentimento universale, non una forma di difesa della salute pubblica . La tutela è incentrata su oggetti materiali e postula la rilevanza simbolica delle res: oggetti la cui violazione integra il pa- radigma delittuoso in quanto la materialità delle azioni assuma il si- gnificato di dileggio alla memoria 42. Al di là della topografia codicistica, pare opportuno rimarcare l’autonomia concettuale del sentimento di pietà per i defunti dalle eventuali caratterizzazioni religiose43: è sul presupposto di una di- mensione laica di tale sentimento 44, oltre il manto di ritualità cultua- li, che si pone la discussione sulla legittimità e opportunità di un pre- sidio sanzionatorio. Autorevole dottrina è critica nei confronti della scelta politico criminale del codice Rocco: «la previsione autonoma di delitti contro la pietà dei defunti non appare, nell’attuale momento storico, perfet- tamente congrua con la funzione propria di un diritto penale di uno Stato democratico e secolarizzato: il mero sentimento non sembra infatti poter assurgere al rango di bene giuridico, non intaccando la sua semplice violazione quelle condizioni minime della vita in comu- ne la cui salvaguardia legittima l’uso dello strumento penalistico» 45. L’osservazione ha il merito di evidenziare uno dei punti critici del rapporto tra sentimenti e tutela penale: libertà che rischiano di essere soggette alla coercizione di fronte a moti dell’animo umano, il cui turbamento, pur intenso, non dovrebbe essere destinatario di una priorità assoluta all’interno di un contesto pluralista. 41 FIANDACA, voce Pietà dei defunti (Delitti contro la), in Enc. giur., Roma; per l’orientamento incline all’interpretazione della norma come tutela della salute pubblica, v. GABRIELI, Delitti contro il sentimento religioso e la pietà verso i defunti, Milano, ROSSI VANNINI, voce Pietà dei defunti (delitti contro), in Dig. disc. pen., Torino Ex plurimis, cfr. FIANDACA, voce Pietà dei defunti, cit., p. 1; ROSSI VANNINI, voce Pietà dei defunti, Non potendo in questa sede offrire un quadro della sconfinata bibliografia, ci limitiamo a segnalare le intense riflessioni contenute nella pubblicazione di AA.VV., a cura di Monti, Che cosa vuol dire morire, Torino, 2010. Argomentazioni condivise da parte di autori di estrazione laica e autori cattolici emergono nei saggi di BODEI, L’epoca dell’antidestino MONTICELLI, La libertà di divenire sé stessi, pp. 83 ss.; per i secondi, v. REALE, L’uomo non si accorge più di morire; MANCUSO, Se si ha paura della morte, si ha paura della vita, pp. 109 ss. 45 FIANDACA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, vol. I, IV ed., Bologna, Tra sentimenti ed eguale rispetto Nell’attuale configurazione normativa, tuttavia, la tutela del de- funto evoca sentimenti, ma non ha ad oggetto stati psicologici di pa- renti o delle persone ad esso affettivamente legate. Si tratta di un ri- conoscimento dovuto all’essere umano in quanto tale, a prescindere da metafisiche ultraterrene, ma anzi ben ancorato a una concezione secolare dell’esistenza, secondo cui il soggetto può e deve meritare rispetto anche dopo il trapasso 46. È in quest’ottica che può eventual- mente valutarsi l’opportunità del mantenimento di un presidio e i suoi limiti: secondo logiche non pervasive ma ragionevolmente orien- tate alla salvaguardia di un nucleo minimo di rispetto verso chi ha abbandonato la dimensione fisica dell’esistenza. 2.1.4. Il sentimento nazionale e la condotta di istigazione all’odio fra le classi sociali Fra i delitti contro la personalità dello Stato troviamo menzionati lo ‘spirito pubblico’ e il ‘sentimento nazionale’. Si tratta di fattispecie cadute ormai nel dimenticatoio e sostanzialmente inapplicate: l’am- bito di operatività dell’art. 265 (disfattismo politico) è circoscritto, per espressa previsione legislativa, al tempo di guerra; gli artt.  (nella parte in cui faceva riferimento al ‘sentimento nazionale’) sono stati oggetto di dichiarazioni di incostituzionalità con le senten- ze n. 87/1966 e n. 243/2001 47. Al di là del valore di ‘archeologia giuridica’, fra gli elementi costi- tutivi delle suddette fattispecie troviamo il cosiddetto ‘spirito pubbli- co’ e il ‘sentimento nazionale’: concetti strettamente legati, i quali evocano una disposizione affettiva, ossia l’atteggiamento di fede e di attaccamento del cittadino alla nazione. 46 GIUNTA, Verso un rinnovato romanticismo penale? ; cfr. DONINI, “Danno” e “ offesa”nella c.d. tutela penale dei sentimenti, il quale sot- tolinea la possibilità che dall’assenza di tali presidi scaturiscano esiti negativi per la stessa pace sociale; ERONIA, La turbatio sacrorum tra legge e cultura: il caso del- la riesumazione della salma di S. Pio, in Cass. pen. Nella relazione al progetto di riforma del codice penale elaborato dalla commissione Pagliaro era stato osservato che: «il bene personalistico della dignità della persona defunta appare costituire l’oggetto primario e costante della tutela contro gli atti irriguar- dosi delle spoglie umane e dei sepolcri, mentre il pur rilevante bene collettivo del suddetto sentimento si presenta come bene secondario ed eventuale», v. Relazione alla bozza di articolato per un progetto di riforma del Codice Penale, consultabile in http://www.ristretti.it/areestudio/giuridici/riforma/relazionepagliaro.htm. 47 L’art. 272 c.p. è stato poi integralmente abrogato dalla legge n. 85 del 2006. Sul tema, v. ALESIANI, I reati di opinione. Una rilettura in chiave costituzionale, Milano, 2006, pp. 275 ss.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula  Il concetto di spirito pubblico appare più generico e va delimitato a contesti in cui, a causa dello stato di guerra, viene richiesta al citta- dino fiducia nelle sorti del Paese. Non si tratta di una disposizione da accertarsi in capo a singoli soggetti, bensì di un atteggiamento di col- lettiva partecipazione al sostegno morale della nazione, il quale, se- condo il legislatore del 1930, poteva essere frustrato dalla diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose così da menomare la resisten- za della nazione di fronte al nemico. Il ‘sentimento nazionale’, secondo le parole della Corte costituzio- nale, è da intendersi come corrispondente «al modo di sentire della maggioranza della Nazione e contribuisce al senso di unità etnica e sociale dello Stato» 48. Anche in questo caso il pensiero giurispruden- ziale rifugge da interpretazioni emotivistiche e incentra la tutela pe- nale su un nucleo di valori asseritamente condivisi. La natura puramente ideologica di tale oggetto di tutela ne ha de- cretato l’incompatibilità con la libertà di manifestazione del pensiero. Va però evidenziato che, mentre nella prima parte della motivazione della sentenza n. 87/1966 la Corte descrive tale interesse in termini col- lettivistici, al momento di decretare l’illegittimità della norma incrimi- natrice la fisionomia dell’oggetto di tutela viene riproposta ponendo l’accento in chiave critica sulla componente soggettivo-emozionale: di- ce infatti la Corte che «è pur tuttavia soltanto un sentimento, che sor- gendo e sviluppandosi nell’intimo della coscienza di ciascuno, fa parte esclusivamente del mondo del pensiero e delle idealità». Facendo leva su tale carattere impalpabile 49 viene affermata l’ille- gittimità anche dell’art. nella parte in cui incrimina la propa- ganda per distruggere o deprimere il sentimento nazionale, salvando invece (fino alla formale abrogazione del 2006) l’incriminazione della propaganda per l’instaurazione violenta della dittatura, per la sop- pressione violenta di una classe sociale e per il sovvertimento violen- to degli ordinamenti economici o sociali costituiti nello Stato, rico- noscendo in tali norme una tutela del metodo democratico da forme di pensiero prodromiche ad azioni violente. Diversamente da altri ambiti in cui il richiamo a un sentire collet- 48 C. cost. n. 87/1966. 49 Lo sottolinea, ex plurimis, CAVALIERE, La discussione intorno alla punibilità del negazionismo, i principi di offensività e libera manifestazione del pensiero e la funzione della pena, in Riv. it. dir. proc. pen.Mero reato di opinione, sia pure in senso lato» secondo VASSALLI, Propaganda sovversiva e sentimento nazionale, in Giur. cost., 1966, II, p. 1100.   76 Tra sentimenti ed eguale rispetto tivo è stato riconvertito dagli interpreti in una prospettiva di tutela della persona, il sentimento nazionale non è riuscito a beneficiare di alcun maquillage ermeneutico, e, dissipatosi il manto della retorica di regime, è scomparso dai beni penalmente tutelati in quanto non in grado di sostenere il confronto con la libertà di espressione. Una vicenda similare ha caratterizzato la problematica disposizione dell’art. c.p. (istigazione all’odio fra le classi sociali), che la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo «nella parte in cui non specifica che tale istigazione deve essere at- tuata in modo pericoloso per la pubblica tranquillità». L’eccezione sollevata con riferimento al contrasto con l’art. 21 Cost. viene accolta dalla Corte motivando che la norma, poiché non indica come oggetto dell’istigazione un fatto criminoso specifico o un’attività diretta con- tro l’ordine pubblico o verso la disobbedienza alle leggi, ma sempli- cemente l’ingenerare un sentimento senza nel contempo richiedere che le modalità con le quali ciò si attui siano tali da costituire perico- lo all’ordine pubblico e alla pubblica tranquillità, «non esclude che essa possa colpire la semplice manifestazione ed incitamento alla persuasione della verità di una dottrina ed ideologia politica o filoso- fica della necessità di un contrasto e di una lotta fra portatori di op- posti interessi economici e sociali» 51. Si tratta di una piana applicazione di principi già evidenziati nella sentenza, che culmina in questo caso in una pronuncia additiva la quale di fatto espunge dall’ordinamento l’incri- minazione dell’istigazione all’odio fra le classi sociali, riconoscendo la preminenza del diritto di libertà alla manifestazione di «teorie del- la necessità del contrasto e della lotta tra le classi sociali che sor- gendo e sviluppandosi nell’intimo della coscienza e delle concezioni e convinzioni politiche, sociali e filosofiche dell’individuo appartengo- no al mondo del pensiero e dell’ideologia Il sentimento per gli animali Un ambito del tutto peculiare è costituito dalle norme codicistiche a tutela del cosiddetto ‘sentimento per gli animali’. Èstata introdotta nel codice penale la disciplina che sanziona, in forma di delitto, le condotte di uccisione e maltrattamento di animali; stando alle parole del legislatore, l’interesse tutelato sarebbe il sentimento  C. cost., n. 108/1974. 52 C. cost., n. 108/1974.   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula per gli animali, ossia l’umana compassione che scaturisce dal rapporto con la sofferenza dell’animale. L’evidenza testuale suggerisce una connessione con i problemi og- getto della presente indagine, ma l’inquadramento dell’interesse pro- tetto in ossequio al verbo legislativo appare una lettura superficiale. Le tesi dottrinali nel panorama italiano sono espressione di diversi orientamenti53: il primo tendente a dare rilievo alla definizione del legislatore; il secondo proiettato all’affermazione di una soggettività giuridica dell’animale; un terzo orientamento di compromesso, e infine una quarta soluzione che appare protesa al riconoscimento di una tutela diretta dell’essere non umano, senza scivolare in proble- matiche (soprattutto da un punto di vista filosofico) ‘soggettivizza- zioni’ dell’animale, ma rimarcando come la tutela diretta dell’animale non umano sia da contestualizzarsi all’interno di un quadro di inte- ressi e controinteressi umani 57. Non potendo approfondire nel corso della presente indagine l’amplissima questione, ci limitiamo ad alcune osservazioni finalizza- te a definire il senso e la peculiarità dell’impianto normativo della tu- tela del sentimento per gli animali in rapporto agli altri ‘sentimenti- valori’ presenti nel codice penale. In primo luogo la tipicità delle fattispecie di cui agli art. 544 bis e 53 Secondo la ricostruzione di FASANI, L’animale come bene giuridico, in Riv. it. dir. proc. pen. Così GATTA, Art. c.p., in AA.VV., diretto da Dolcini-Gatta, Codice penale commentato,; PISTORELLI, Così il legislatore traduce i nuovi sentimenti e fa un passo avanti verso la tutela diretta, in Guida dir. Per una sintesi della problematica, v. VALASTRO, La tutela giuridica degli ani- mali, fra nuove sensibilità e vecchie insidie, in Annali di Ferrara. Va evidenziata la posizione di MANTOVANI F., Diritto penale, Padova, il quale individua la ratio della tutela penale degli animali in una prospettiva promozionale della stessa dignità umana, in quanto «la riduzione dell’immensa crudeltà verso gli animali attenuando la crudeltà complessiva del mondo, se non rende l’animale più uomo, rende l’uomo meno animale e migliore la Terra.  POCAR, Gli animali non umani. Per una sociologia dei diritti, Bari; RESCIGNO, I diritti degli animali. Da res a soggetti, Torino. Testo di riferimento per l’introduzione alle teorie animaliste è SINGER, Liberazione animale, tr. it., Milano. MAZZUCATO, Bene giuridico e “questione sentimento” nella tutela penale della relazione uomo-animale. Ridisegnare i confini, ripensare le sanzioni, ia cura di Castignone-Lombardi Vallauri, Trattato di biodiritto-La questione animale, Milano. FASANI, L’animale come bene giuridico, Tra sentimenti ed eguale rispetto ss.58 non lascia spazio a valutazioni in termini emozionali; al senti- mento umano di rispetto per gli animali può essere riconosciuto un ruolo propulsivo nei confronti della scelta politico-criminale, ma per ricondurre l’oggetto della tutela ad una sorta di pietas verso gli esseri non umani, dovrebbe essere necessario richiedere nelle condotte quantomeno un grado di pubblicità tale da riflettersi sul sentire col- lettivo. Ciò che fonda la tipicità degli artt. 544 bis e 544 ter è aver uc- ciso con crudeltà un animale o averlo maltrattato con carichi di lavo- ro insopportabili: azioni che possono senz’altro indurre sentimenti negativi nella gran parte degli esseri umani, ma che rilevano norma- tivamente per il semplice fatto di essere state realizzate, e dunque quale offesa ad animali non umani Per una panoramica v. VALASTRO, La tutela penale degli animali: problemi e prospettive, in AA.VV., a cura di Castignone-Lombardi Vallauri, Trattato di biodiritto – La questione animale. Sul tema, prima della riforma, vedi i saggi contenuti in a cu- ra di Mannucci-Tallacchini, Per un codice degli animali, Milano. Sottolinea FIANDACA, Prospettive di maggiore tutela penale degli animali, a cura di Mannucci-Tallacchini, Per un codice degli animali, che, al di là della possibile disputa circa un’ipotetica soggettività giuridica animale, per legittimare una tutela penalistica possa essere sufficiente «parlare di “interessi animali” degni di riconoscimento e tutela: interessi considerati in una dimensione oggettiva, a pre- scindere dal problema di una loro riferibilità all’animale come soggetto giuridico», ritenendo plausibile che «gli animali [siano] portatori di due interessi fondamentali: l’interesse alla sopravvivenza e l’interesse alla minore sofferenza possibile». Il di- stacco da un’ottica antropocentrica, con implicita emancipazione da una ratio di tutela incentrata sul sentimento umano per gli animali, appare peraltro ravvisabile anche nella giurisprudenza, sia di merito che di legittimità, relativa all’art., il quale, prima dell’introduzione del titolo IX bis, incriminava le condotte di maltrat- tamento di animali: v., in particolare, Cass. pen., sez., in Cass. pen., 1992, p. 951, la quale afferma che «in via di principio l’art., in considerazio- ne del tenore letterale della norma (maltrattamento) e del contenuto di essa (ove si parla non solo di sevizie ma anche di sofferenze e di affaticamento) tutela gli ani- mali in quanto autonomi esseri viventi, dotati di sensibilità psico-fisica e capaci di reagire agli stimoli del dolore, ove essi superino la soglia di normale tollerabilità. La tutela è, dunque, rivolta agli animali in considerazione della loro natura»; in senso conforme, v. Cass. pen., sez., in Dir. giust.; Cass. pen., sez., in Nuovo dir., secondo cui «La “ratio” della disposizione di cui all’art. c.p. è quella di voler perseguire condotte caratterizzate da un’apprezzabile componente di lesività dell’integrità fisi- ca e-o psichica dello animale». Più contraddittoria appare invece la giurisprudenza di legittimità dopo la novella: si veda, ad esempio, Cass. pen., sez., ove si afferma che «La norma è volta a proibire comporta- menti arrecanti sofferenze e tormenti agli animali, nel rispetto del principio di evitare all’animale, anche quando questo debba essere sacrificato per un ragionevole motivo, inutili crudeltà ed ingiustificate sofferenze», rimarcando tuttavia che «in   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula L’identificazione dell’oggetto di tutela in un (non meglio identifi- cato) sentire comune costituisce una lettura pregna di risvolti pro- blematici60, e sono in questo senso condivisibili interpretazioni più ragionevoli che suggeriscono di configurare l’interesse tutelato in termini di relazionalità e ‘interspecificità’: «andare oltre la dicotomia radicale e guardare nel mezzo [...] cioè nel rapporto tra l’uomo e l’animale; lì si rinviene il bene giuridico davvero tutelabile dal diritto penale, nel quadro delle garanzie costituzionali. L’animale non riempie, non esaurisce, l’orizzonte di tutela penale. L’uomo (che prova qualcosa davanti all’animale e che invoca per quest’ultimo un dignitoso trattamento) non scompare dalla scena» 61. Nel complesso, i problemi connessi alla tutela del sentimento per gli animali non sembrano propriamente accomunabili a quelli riscontrati in relazione agli altri ‘sentimenti’ tutelati dalle norme pena- li. Una differenza di fondo è che le disposizioni a tutela della religio- ne o del pudore chiamano in gioco un bilanciamento fra interessi in- terno al confronto fra esseri umani e basato su entità immateriali come i valori normativo-ideali; dall’altra parte, per quanto il ricono- scimento di una soggettività giuridica all’animale sia un problema aperto, in sede di ricostruzione dell’oggetto di tutela appare preferibi- le tenere conto della soggettività animale senza sublimarla né in un impalpabile sentire dell’uomo né in un mero contenuto ideale, ma piuttosto come problema che sollecita un approfondito studio delle condizioni di compatibilità fra esigenze umane e rispetto della vita di esseri non umani. Per tali ragioni, il tema del sentimento degli animali pone que- stioni non inquadrabili nella tutela dei cosiddetti ‘sentimenti-valori’, né appare accostabile al tema del disagio emotivo, rivelandosi piutto- sto la proiezione di un problema antico e ancora attuale, concernente gli equilibri di vita e sopravvivenza fra uomo ed ecosistema. tali disposizioni l’oggetto di tutela è il sentimento di pietà e di compassione che l’uo- mo prova verso gli animali e che viene offeso quando un animale subisce crudeltà e ingiustificate sofferenze. Scopo dell’incriminazione è quindi di impedire manifesta- zioni di violenza che possono divenire scuola di insensibilità delle altrui sofferenze. Ben evidenziati da MAZZUCATO, Bene giuridico e “questione sentimento. MAZZUCATO, Bene giuridico e questione “sentimento”, cit., p. 703. 62 Un’interessante lettura sulla complessità del rapporto fra uomo e animali non umani è il libro di HERZOG, Amati, odiati, mangiati. Perché è così difficile agire bene con gli animali, tr. it., Torino. Per un inquadramento dell’impianto di tutela penale degli animali nel più ampio contesto dei reati contro l’ambiente e  Tra sentimenti ed eguale rispetto. Il comune sentimento della morale Passando all’ambito extracodicistico, le disposizioni normative in cui è più evidente ed univoco il richiamo al sentimento quale oggetto di tutela sono gli artt. 14 e 15 della legge: l’art. stabilisce la rilevanza penale, ai sensi dell’art. c.p., di pubblicazioni destinate ai fanciulli e agli adolescenti quando, per la sensibilità e l’impressionabilità ad essi proprie, siano idonee a offendere il loro sentimento morale o a costituire per essi incitamento alla corruzione, al delitto, al suicidio; l’art. 15 si rivolge parallelamente alla tutela di soggetti adulti, vietando la pubblicazione di stampati i quali descri- vano o illustrino, con particolari impressionanti o raccapriccianti, avvenimenti realmente verificatisi o anche soltanto immaginari, in modo da poter turbare il ‘comune sentimento della morale’ 63. Punto centrale delle fattispecie, che ne determina (fortunatamente) anche le difficoltà applicative, è l’esigenza di accertare l’idoneità delle condotte alla causazione di eventi determinati («favorire il disfrenarsi di istinti di violenza, diffondersi di suicidi o delitti»). Al fianco di tali eventi si pone l’offesa o il turbamento al sentimento morale, formula tanto eloquente quanto indeterminata: «fondata sopra un presupposto empirico e nebuloso di morale corrente, essa reca con sé tutti i pericoli che le norme ispirate a concetti vaghi, a intuizioni, a sentimenti porta- no sempre nella loro applicazione concreta» 64. L’accostamento esplicito fra il sentire e la morale trova probabil- mente la sua ragione nell’intento di introdurre una disposizione il più possibile assonante con l’art. c.p. (comune sentimento del pudore), rielaborando in termini più estensivi i divieti stabiliti in tema di buon costume sessuale65; una connessione che si motiva anche con l’obiettivo di trovare un aggancio costituzionale esplicito a un inte- resse che deve essere bilanciato con la libertà di espressione 66. l’ecosistema v. RUGA RIVA, Diritto penale dell’ambiente, II ed., Torino. Per una prospettiva socio-criminologica sul rapporto uomo-ambiente v. NATA- LI, Green Criminology. Prospettive emergenti sui crimini ambientali, Milano. Sul tema, per tutti, NUVOLONE, Il diritto penale della stampa, Padova; ID., I limiti della libertà di stampa nell’art. della legge, Arch. pen. NUVOLONE, Il diritto penale della stampa, cit., p. 234. 65 Parla di ‘triplice oggetto del reato’ (sentimento della morale, ordine familia- re, ordine pubblico) NUVOLONE, I limiti della libertà di stampa. La connessione fra sentire, morale e buon costume emerge anche in C. cost., n. 9/1965, la quale ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sol-   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 81 Le sporadiche applicazioni confermano la centralità a livello teo- rico del nesso fra turbamento emotivo e offesa alla morale: appare significativa ad esempio una pronuncia della Corte di Appello di Ro- ma nella quale si nega la sussistenza della fattispecie in relazione alle immagini di una donna col cordone ombelicale attaccato, sulla base della motivazione che simili immagini non potrebbero provocare tur- bamento o orrore, e pertanto non offendono la morale. Il più eloquente contributo alla definizione dell’interesse protetto dall’art. 15 è la sentenza n. 293/2000, con la quale la Corte costituzio- nale ha ritenuto inammissibile l’eccezione di incostituzionalità della norma per contrasto con l’art. 21 Cost.: «L’art. 15 della legge sulla stampa del 1948, esteso anche al sistema radiotelevisivo pubblico e privato dall’art. della legge, non intende andare al di là del tenore letterale della formula quando vieta gli stampati idonei a “turbare il comune senti- mento della morale”. Vale a dire, non soltanto ciò che è comune alle di- verse morali del nostro tempo, ma anche alla pluralità delle concezioni etiche che convivono nella società contemporanea. Tale contenuto mi- nimo altro non è se non il rispetto della persona umana, valore che anima l’art. 2 della Costituzione, alla luce del quale va letta la previsione incriminatrice denunciata. La descrizione dell’elemento materiale del fatto-reato, indubbiamente caratterizzato dal riferimento a concetti elastici, trova nella tutela della dignità umana il suo limite, sì che appa- re escluso il pericolo di arbitrarie dilatazioni della fattispecie, risultando quindi infondate le censure di genericità e indeterminatezza» 68. Come è stato osservato in dottrina, tale sentenza ha compiuto un’operazione di rivisitazione/trapianto, finendo per concepire come vasi comunicanti il comune sentimento del pudore e il comune sentimento della morale attraverso il passepartout della dignità uma- levate in relazione all’art. c.p. (incitamento a pratiche contro la procreazione), osservando in motivazione che non diversamente il buon costume risulta da un insieme di precetti che impongono un determinato comportamento nella vita sociale di relazione, la inosservanza dei quali comporta in particolare la violazione del pu- dore sessuale, sia fuori sia soprattutto nell’ambito della famiglia, della dignità perso- nale che con esso si congiunge, e del sentimento morale dei giovani, ed apre la via al contrario del buon costume, al mal costume e, come è stato anche detto, può com- portare la perversione dei costumi, il prevalere, cioè, di regole e di comportamenti contrari ed opposti. App. Roma, 13 maggio 1958, in Arch. pen. C. cost., n. 293/2000. Tali conclusioni sono state confermate in una succes- siva ordinanza che ha dichiarato la manifesta infondatezza della medesima ecce- zione di costituzionalità, v. C. cost. Tra sentimenti ed eguale rispetto na69. La chiosa della Corte, quando esclude censure di genericità e indeterminatezza, è alquanto frettolosa, per non dire superficiale, e fonda il discorso su un valore sì fondamentale, ma tutt’altro che definito nei risvolti applicativi. Merita attenzione la triade concettuale ‘sentimento-morale-di- gnità’: l’evocazione del sentimento è disgiunta da profili di reattività psichica, e dunque dall’aggancio a una dimensione individuale, po- nendosi come sinonimo di minimum etico. Il delitto di cui all’art. 15 della legge sulla stampa, pur essendo sostanzialmente inapplicato, riveste a nostro avviso importanza centrale, dal punto di vista teorico, nel ‘microsistema’ delle disposizioni a tutela di ‘sentimenti’; ne rivela i tratti più problematici, poiché attribuisce a stati affettivi come disgusto e orrore il ruolo di parametro etico per la valutazione di cosa possa considerarsi moralmente adeguato, riconoscendo dunque a tali emozioni un ruolo cognitivo-valutativo che oggi sappiamo essere tutt’altro che attendibile (vedi infra, cap. IV). 2.2. Lessico delle norme e piano fenomenico: sentimenti o emo- zioni? Un passaggio concettualmente importante consiste nel decodifica- re il richiamo giuridico a emozioni e sentimenti in rapporto all’alternativa fra concezioni meccanicistiche e concezioni valutative. A nostro avviso la chiave di lettura più funzionale all’analisi delle norme che l’ordinamento italiano pone a tutela di ‘sentimenti’ è la concezione valutativa: gli interessi denominati dal legislatore ‘senti- menti’ acquistano rilevanza normativa in virtù di una peculiare tra- iettoria dell’intenzionalità dello stato affettivo. Si tratta di un modo di concepire il sentimento del tutto simile al significato che Joel Feinberg propone quando analizza il cosiddetto ‘appello ai sentimen- VISCONTI C., Aspetti penalistici. Cfr. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, bilanciamento e propa- ganda razzista, Torino. Intendiamo il concetto di intenzionalità secondo l’accezione proposta da Searle, ossia «quella proprietà di molti stati ed eventi mentali tramite la quale essi sono direzionati verso, o sono relativi a oggetti e stati di cose del mondo, SEARLE, Sull’intenzionalità. Un saggio di filosofia della conoscenza, tr. it., Milano. In termini generali, sul concetto di intenzionalità v. GALLAGHER- ZAHAVI, La mente fenomenologica, cit., Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 83 ti’ nelle questioni etiche: il filosofo americano ritiene infatti che ciò a cui si fa riferimento non sia un mero stato emotivo, ma la peculiare risposta soggettiva che gli individui possono provare nel rapporto con determinati oggetti. È bene distinguere tra l’oggetto del sentire e la sindrome affettiva, quali elementi costitutivi delle entità psico-sociali che il diritto pren- de in considerazione. L’uso giuridico, in accordo col senso comune, adopera la categoria del sentimento in un modo che tende a fondere il profilo soggettivo dell’affettività con la sua proiezione esterna e dunque con l’oggetto del sentire 73. La distinzione fra sindrome affet- tiva e oggetto del sentire permette di tematizzare in modo separato i profili pertinenti da un lato alla selezione degli ‘oggetti emotigeni’, e dall’altra alla tipologia di stati affettivi che potrebbero eventualmente venire in gioco. L’oggetto del sentire è ciò che definisce il substrato materiale o ideologico dell’offesa: ad esempio si parla di sentimento religioso per dare rilevanza non a un astratto sentire ma quel genere di esperienza emotiva che ha a che fare con la fede religiosa. Stesso discorso per altri interessi definiti ‘sentimenti’: il sentimento del pudore come di- sposizione a provare un certo tipo di reazioni soggettive in rapporto a manifestazioni della sessualità; oppure il sentimento nazionale quale FEINBERG, Sentiment and sentimentality: «Unlike some emotions, sentiments are not mere objectless perturbations with subtle but neutral affective colorings. They too have an essential polarity to them (pleasant-unpleasant, friendly-unfriendly, postive-negative), though unlike attitudes, the positive or negative character of sentiments is not simply a “pro” or “con,” “for” or “against” posture. Some of the terms we apply to the objects of positive or negative sen- timents are themselves definable not in terms of the inherent properties of those objects but rather in terms of the sentiments they are thought naturally or properly to awaken. È significativo quanto osservato in ambito psicologico: in genere, le persone dichiarano sentimenti patriottici più o meno intensi in momenti diversi del- la loro vita; come sono tali sentimenti? L’ovvia risposta a tale domanda è che que- sti sentimenti non hanno alcun senso di esistere, per lo meno non al di fuori della tendenza del singolo a provare altri tipi di sentimenti (orgoglio, dolore, vergo- gna), nei quali la sua vita affettiva appare in linea con sorti della nazione. In tal senso, da un patriota ci si aspetta che provi gioia e orgoglio quando la sua nazione vince, dolore o compassione quando essa è in crisi, rabbia se è ingiustamente diffamata, e disperazione nella sconfitta umiliante. Pertanto, osservando attentamente la vita interiore e le abitudini di un patriota, non vi si troverà mai una traccia di quel sentimento particolare chiamato “patriottismo” al di fuori di quanto scritto sopra, v. ROYZMAN-MCCAULEY-ROZIN, Da Platone a Putnam: quattro mo- di di pensare all’odio, a cura di Sternberg, Psicologia dell’odio. Cono- scerlo per superarlo, tr. it., Gardolo. Tra sentimenti ed eguale rispetto forma di partecipazione affettiva, ‘patriottica’, alle vicende della pro- pria nazione. Veniamo ad analizzare il versante della sindrome affettiva: qual è il fenomeno che appare più aderente alle situazioni descritte nel con- testo codicistico? Una importante differenza fra emozione e sentimen- to è identificabile nella consistenza e nella durata: l’emozione, secon- do quanto abbiamo precedentemente osservato in accordo con le ela- borazioni delle diverse branche dei saperi lato sensu psicologici, rap- presenta una componente dinamica del sentire, ossia uno stato men- tale di breve durata, caratterizzato da una predominante componente reattiva; il sentimento è uno stato più durevole e radicato. Parlare di una tutela di emozioni in senso stretto è improprio; ma appare non del tutto corretta con anche un’eventuale associazio- ne degli oggetti tutelati dal codice a stati psichici più duraturi. L’accezione che in relazione ai ‘sentimenti-valori’ consente di in- staurare una connessione ‘non irrealistica’ con la dimensione feno- menica è rappresentata a nostro avviso dal concetto di ‘disposizione individuale del sentire’: non un accostamento a emozioni in senso stretto e neanche a stati duraturi in quanto tali, ma piuttosto ad at- teggiamenti che delineano l’orientamento affettivo e assiologico della persona in conseguenza della maggiore o minore partecipazione emotiva nel rapporto con determinati oggetti e situazioni. Entità come il sentimento religioso, il sentimento del pudore et similia, appaiono funzionali a richiamare disposizioni soggettive a provare emozioni. Atti persecutori: sofferenza psichica e libertà di autodetermi- nazione Parlando di sentimenti come ‘disposizioni del sentire’ si potrebbe intendere il problema di tutela anche come protezione delle condi- zioni di formazione del sentire, e dunque come assenza di forme di coartazione psichica. In questo modo si finirebbe però per identificare nella libertà morale l’interesse di fondo, accomunando in modo improprio ambiti di intervento che restano ben distinti nel codice Cfr. FIANDACA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti. Si veda anche l’impostazione di FEINBERG, Sentiment and Sentimentality. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula penale e che la dottrina ha contribuito anche di recente a definire nelle rispettive sfere di autonomia. Ci sembra più adeguato tenere in evidenza la distinzione concettuale e collocare la problematica dei ‘sentimenti-valori’ e delle dispo- sizioni del sentire a uno stadio nel quale la libertà morale, intesa come libertà di conservare la propria personalità psichica, di ragionare con la propria testa, di formarsi una propria fede religio-sa politica e di conservarla come di mutarla, sia da considerarsi elemento acquisito, e dunque come precondizione delle situazioni in cui possono eventualmente crearsi conflitti relativi al piano dei ‘sentimenti-valori’. Il tema della tutela da forme di turbamento emotivo e di coarta- zione psichica viene in gioco in relazione a un’altra fattispecie del codice italiano, anch’essa formulata attraverso il richiamo a stati af- fettivi, ossia il delitto di ‘atti persecutori’. La condotta tipica consiste nel porre in essere azioni di minaccia o molestia tali da ingenerare un perdurante e grave stato d’ansia e di paura, ossia stati psichici caratterizzati da un tono edonico negativo e dunque in grado di alterare l’equilibrio emotivo dell’individuo e la sua tranquillità 78. Si può parlare di tutela di sentimenti in un senso che contribuisce a rimarcare che l’interesse protetto ha a che fare in primo luogo con la dimensione affettiva del singolo; in questo senso si è ben sottoli- neato che il delitto di atti persecutori rappresenta l’avvio di un trend politico criminale «attento a consolidare la finora striminzita tutela codicistica dei sentimenti di stampo individuale, in luogo della classi- ca e per certi aspetti controversa tutela dei sentimenti di tipo collettivo virando verso una maggiore concretizzazione personologica del bene giuridico. La rilevanza giuridica dello stato affettivo non è però qualificata dall’oggetto del sentire, ma piuttosto dall’impatto 76 NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica; VITARELLI, Manipolazione psicologica e diritto penale, Roma. Quest’ul- tima si sofferma in particolare sulle interferenze fra tutela della libertà psichica e della libertà di manifestazione del pensiero osservando che il semplice utilizzo della parola, in assenza di violenza e inganno, resta comunque resistibile e dun- que non può considerarsi come forma di compressione della libertà morale. 77 È la cristallina definizione di VASSALLI, Il diritto alla libertà morale, in AA.VV., Studi giuridici in memoria di Filippo Vassalli, vol. II, Roma. Ex plurimis, MAUGERI, Lo stalking. COCO, La tutela della liber- tà individuale nel nuovo sistema ‘anti-stalking’, Napoli. CAPUTO, Eventi e sentimenti. Tra sentimenti ed eguale rispetto sull’equilibrio psico-fisico del soggetto. Non sono in gioco ‘sentimen- ti-valori’: nella fattispecie di atti persecutori il bene-sentimento as- sume una connotazione più psicologica che simbolico-valoriale. Il richiamo a stati affettivi nel delitto di stalking ha una funzione rilevante sul piano della tipicità: gli eventi emotivi descritti nella fat- tispecie devono essere oggetto di prova. L’alternativa di fondo è fra una concezione patologica, secondo la quale è necessario un accer- tamento medico-legale della sussistenza (quantomeno nel caso dello stato d’ansia) di disturbi diagnosticabili secondo un paradigma me- dico-psicologico80, e un orientamento differente secondo il quale è sufficiente un disagio accertabile in autonomia dal giudice 81. Appare comunque riduttivo appiattire il disvalore dello stalking sullo stimolo di sensazioni negative identificate attraverso standard cognitivi basati sul senso comune. La tipicità penale è imperniata su un’interazione di tipo psicologico e sulle conseguenti reazioni in- dotte nella vittima, e gli eventi psichici assumono rilevanza in un’ot- tica strumentale all’evento finale, sostanziandosi «in percorsi motiva- zionali diretti all’assunzione di una decisione da parte del soggetto passivo. Nel delitto di atti persecutori il fatto emozionale assume rilievo quale causa potenzialmente condizionante il comportamento e la vita di un soggetto. Non dovrebbe essere sufficiente un mero stato edoni- co negativo, ma si dovrebbe, a nostro avviso, verificare la sussistenza di stimoli emotivi tali da produrre alterazioni della funzionalità di scopo nella complessiva economia di azione dell’individuo: forme di turbamento psicologico che la dottrina penalistica ha collocato nella 80 BRICCHETTI-PISTORELLI, Entra nel codice la molestia reiterata, in Guida dir., 10/2009, pp. 58 s.; cfr. BARBAZZA-GAZZETTA, Il nuovo reato di atti persecutori, in Altalex. VALSECCHI, Il delitto di atti persecutori (il cd. stalking), in Riv. it. dir. proc. pen. A favore di una concezione intermedia si pongono FIANDA- CA-MUSCO, Diritto penale. Parte speciale, Bologna; CAPUTO, Eventi e sentimenti. In giurisprudenza è discusso se debba trattarsi di uno stato tale da integrare gli estremi di una malattia mentale; per ora sembra prevalere l’orientamento che non richiede l’accertamento di uno stato patologico, ritenendo sufficiente che gli atti ritenuti persecutori «abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima», così Cass. pen., sez.; cfr. Cass. pen., sez.; Cass. pen., sez. In questo senso la condivisibile posizione di NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica. Così li definisce efficacemente CAPUTO, Eventi e sentimenti, cit., p. 1400.  Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 87 categoria della ‘sofferenza psichica’, corrispondenti a «un’alterazione della mente nella sua consistenza, né più né meno di quanto possa accadere ad una macchina danneggiabile; ed un’alterazione del fun- zionamento di questa ‘macchina’ come entità diretta ad uno scopo, secondo una prospettiva nella quale la sofferenza emerge come misu- ra eccessiva di frustrazione di tale scopo, a prescindere dal danneg- giamento della macchina La definizione di sentimento come connotazione simbolica negativa nel discorso penalistico Attraverso un excursus sulle norme di diritto positivo abbiamo cercato di dare una dimensione al versante descrittivo della formula ‘tutela penale di sentimenti’. Passiamo ora a considerare il profilo che abbiamo definito ‘connotativo’ e che attiene alla dimensione teoreti- co-speculativa. Nel discorso penalistico è oggi frequente l’uso della parola ‘senti- mento’ per definire in termini critici oggetti di tutela la cui fisiono- mia appare difficilmente determinabile, esposti al rischio di interpre- tazioni soggettivistiche e suscettibili di incentivare problematiche espansioni dell’intervento penale; il lessico dei sentimenti non emer- ge in questo caso da norme, ma dai discorsi dei giuristi. L’interrogativo concernente la tutelabilità di sentimenti per mezzo del diritto penale ha tradizionalmente suscitato la diffidenza della dot- trina penalistica, non solo nel panorama italiano ma anche nel conte- sto europeo-continentale85: più in generale, il pensiero penale che NISCO, La tutela penale dell’integrità psichica. Ampio consenso sussiste circa il fatto che l’utilizzo di norme penali è il- legittimo quando si tratti di tutelare sentimenti o rappresentazioni morali o di valore», v. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mantenimento di orientamenti sociali di carattere assiologico? Nella dottrina tedesca, il richiamo a sentimenti è presente nello storico saggio di BIRNBAUM, Über das Erfoderniß einer Rechtsverletzung zum Begriffe des Verbrechens, mit besonderer Rücksicht auf den Begriff der Ehrenkränkung, in Archiv des Criminalrechts, Neue Folge, Vi è poi l’analisi di MISCH, Der Strafrechtliche Schutz der Gefühle, Frankfurt am Main. Le opere successive mantengono il focus sul problema della configurabilità come bene giu- ridico (Rechtsgut) soffermandosi su un’analisi che privilegia l’aspetto dogmatico piuttosto che la dimensione di politica del diritto; cfr. VOLK, Gefühlte Rech- tsgüter?, in FS für Roxin, Berlin; SEELMAN, Verhaltensdelikte: Kulturschutz durch Recht?, in FS für Jung,  Tra sentimenti ed eguale rispetto identifichi la propria guida assiologica nei principi liberali ha da sempre un rapporto problematico con le norme a tutela di sentimenti. Le motivazioni non si limitano a questioni di tassatività e deter- minatezza delle fattispecie, ma hanno a che fare con ragioni di politi- ca del diritto: dietro gli oggetti di tutela definiti ‘sentimenti’ i legisla- tori hanno di fatto apprestato forme di presidio a valori, ossia a con- cezioni della vita buona, o della morale sessuale, o in generale a con- cezioni normativo-ideali. Le norme a tutela di sentimenti hanno dunque un altissimo coefficiente di pregnanza etica e riflettono at- teggiamenti valoriali di fondo la cui tutela per mezzo del diritto pena- le può rappresentare un fattore di alterazione degli equilibri fra mag- gioranze e minoranze in un contesto pluralista. Non deve dunque sorprendere il fatto che il problema della tu- tela di sentimenti rappresenti un capitolo importante nel discorso sulla legittimazione delle norme penali, per quanto spesso non venga richiamato attraverso la formula che qui stiamo analizzan- do, ma si trovi inserito all’interno di altri macrotemi; ad esempio nel discorso concernente i rapporti fra diritto penale e morale 88 o Baden-Baden; più diffusamente HÖRNLE, Grob anstößiges Verhalten. Strafrechtlicher Schutz von Moral, Gefühlen und Tabus, Frankfurt, Nella dottrina spagnola v. ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho penal.; GIMBERNAT ORDEIG, Presentaciòn, a cargo de Alcàcer Guirao-Lorenzo- Ortiz de Urbina Gimeno, La teorìa del bien jurìdico. Fundamento de legitimaciòn del Derecho penal o juego de abalarios dogmàtico?, Madrid-Barcelona. Cfr. HÖRNLE, La protecciòn de sentimientos en el StGb, a cargo de Alcàcer Guirao-Lorenzo-Ortiz de Urbina Gimeno, La teorìa del bien jurìdico. Funda- mento de legitimaciòn del Derecho penal o juego de abalarios dogmàtico? Cfr. TESAURO, La propaganda razzista tra tutela della dignità umana e danno ad altri, in Riv. it. dir. proc. pen. Il richiamo a sentimenti ed emozioni intrattiene un legame particolarmente stretto con i problemi relativi al rapporto tra diritto penale e morale; nella pro- spettiva liberale l’incriminazione di condotte ritenute contrarie a dettami morali o a tabù in assenza di veri e propri danni viene motivata, in termini critici, quale violazione di un sentire. Se da un lato le incriminazioni, o le ipotesi di incriminazione, di violazioni morali vengono definite criticamente come offese a sentimen- ti, non bisogna tuttavia inferire frettolosamente la veridicità dell’eventuale per- corso logico inverso, ossia che anche tutte le ipotesi di tutela di un particolare sentimento costituiscano delle proiezioni del più ampio problema della punizione della mera immoralità: sarebbe infatti una conclusione che pecca di genericità e non consentirebbe di riservare la dovuta attenzione ai diversi problemi di tutela, anche non meramente ‘moralistici’, che potrebbero ragionevolmente emergere dietro l’evocazione di un sentimento. Sul tema della punizione dell’immoralità, in una prospettiva che mette in dialogo i criteri di legittimazione di matrice euro- peo-continentale e anglo-americana, v. FIANDACA, Punire la semplice immoralità?   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 89 in relazione al problema del paternalismo penale 89. Nella dottrina italiana le perplessità di fronte a istanze di tutela caratterizzate da una componente emozionale sono inizialmente formulate in contesti di analisi incentrati su temi di diritto positivo o di teoria generale del reato, e mantengono un angolo visuale definibi- le come ‘endopenalistico’, se non proprio ‘endocodicistico’. Risulta particolarmente significativo il richiamo che viene fatto al sentimento in un autorevole studio sul bene giuridico 90: nell’esporre Un vecchio interrogativo che tende a riproporsi, a cura di Cadoppi, Lai- cità, valori, e diritto penale. The Moral Limits of The Criminal Law. In ricordo di Joel Feinberg, Milano; DE MAGLIE, Punire le condotte immorali?, in Riv. it. dir. proc. pen., CADOPPI, Paternalismo e diritto penale: cenni introduttivi, in Criminalia; ID., Liberalismo, paternalismo e diritto penale, a cura di Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale; CANESTRARI- FAENZA, Paternalismo penale e libertà individuale: incerti equilibri e nuove prospettive nella tutela della persona, a cura di Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale; CORNACCHIA, Placing care. Spunti in tema di paternalismo penale, in Criminalia; PULITANÒ, Paternalismo penale, a cura Forti- Bertolino-Eusebi, Studi in onore di Romano; ROMANO, Danno a sé stessi, paternalismo legale e limiti del diritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.; SPENA, Esiste il paternalismo penale? Un contributo al dibat- tito sui principi di criminalizzazione, in Riv. it. dir. proc. pen. Con riferimento al tema del potenziamento cognitivo, v. ZANNOTTI, Potenziamento umano: le considerazioni di un penalista, a cura di Palazzani, Verso la sa- lute perfetta. Enhancement tra bioetica e biodiritto, Roma. ANGIONI F., Contenuto e funzioni del concetto di bene giuridico, Milano. Sul tema è d’obbligo il riferimento a BRICOLA, Teoria generale del reato, in Noviss. dig. it., Torino; v. anche MAZZACUVA, Diritto penale e Costituzione,  a cura di Insolera-Mazzacuva-Pavarini-Zanotti, Intro- duzione al sistema penale, III ed., Torino, 2006, pp. 83 ss. Fra le opere che hanno avuto maggiore rilievo per l’elaborazione di un concetto di bene giuridico costitu- zionalmente orientato v. MUSCO, Bene giuridico e tutela dell’onore, cit.: anche in questo caso il problema nasce dalla problematica fisionomia dell’oggetto di tute- la, il quale secondo alcune correnti interpretative viene fatto coincidere con un sentimento soggettivo. Per una panoramica sui differenti sviluppi della teoria del bene giuridico nei rapporti con la Costituzione, v. FIANDACA, Il bene giuridico come problema teorico e come criterio di politica criminale, a cura di Marinucci-Dolcini, Diritto penale in trasformazione, Milano; DONINI, Teoria del reato. Un’introduzione, Padova; ID., Ragioni e limiti della fondazione del diritto penale sulla Carta costitu- zionale, in ID., Alla ricerca di un disegno. Scritti sulle riforme penali in Italia, Padova; per un raffronto con la giurisprudenza costituzionale, v. PULITANÒ, Bene giuridico e giustizia costituzionale, a cura di Stile, Bene giu- ridico e riforma della parte speciale, Napoli.; MANES, Il principio di offensività nel diritto penale. Canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Torino. Tra sentimenti ed eguale rispetto la problematica relativa a fattispecie penali che sembrerebbero rivol- gersi esclusivamente alla tutela di principi etici, si osserva che «con la realizzazione di un fatto che contrasta con quelle norme etiche si ur- ta in pari tempo, o si può urtare, contro i sentimenti di quella parte della popolazione che in quei principi morali crede, o che addirittura attribuisce loro tale rilievo da averne, come forza politica o culturale organizzata, difesa la conservazione al rango di valori penali. Offendere valori può significare offendere i sentimenti di chi crede in quei valori: questa, in sintesi, la motivazione che, secondo Angioni, sarebbe a fondamento di norme quali, ad esempio, quelle a tutela del pudore e del sentimento religioso. Il riferimento a sentimenti appare in questo caso finalizzato a in- centrare il fuoco del disvalore su un bene della persona, così da poter rinvenire una base di legittimità ancorata a una prospettiva persona- listica di danno, o comunque non meramente moralistica. Non si tratta però di una soluzione appagante, in quanto, rileva successiva- mente lo stesso Autore, resta aperto il problema della necessità e del- la meritevolezza di pena: la considerazione che l’offesa a un senti- mento sia un criterio di per sé sufficiente a fondare il ricorso allo strumento penale sembra cozzare contro un naturale senso di proporzione e di misura. L’argomentazione che Angioni espone tramite categorie endopenalistiche (principio di proporzione) rimanda in ultima istanza a ra- gioni che hanno a che fare con valori di fondo della democrazia libe- rale e con i principi costituzionali: ritenere che l’offesa a meri senti- menti non sia sufficiente a fondare una criminalizzazione legittima è l’esito di un ragionamento che assume a presupposto un pacchetto di principi di ispirazione liberale, laicità ed uguaglianza in primis 93. Ciò mostra come il discorso sia tutt’altro che limitabile a un piano tecnico-giuridico, ma investa in pieno la dimensione politica del pro- blema penale, anche in forza dei profondi nessi che legano, in termini di interdipendenza, la presenza di oggetti di tutela ad alta pregnanza etica, come i ‘sentimenti’, in rapporto alla laicità dell’ordinamento. ANGIONI F., Contenuto e funzioni. ANGIONI F., Contenuto e funzioni.  È stato messo in evidenza come, soprattutto a partire dagli anni Settanta e Ottanta, la riflessione sul dover essere del diritto penale si sia fondata non tanto sull’affinamento di principi ‘endopenalistici’, compreso il c.d. ‘bene giuridico’, ma piuttosto sul principio di uguaglianza, il quale ha assunto un ruolo decisivo nel contribuire a delineare i cardini del costituzionalismo penale: v. DODARO, Ugua- glianza e diritto penale. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 91 Sulla base di questa consapevolezza la dottrina penalistica si è impegnata in un’opera di reinterpretazione delle diverse disposizioni del codice Rocco, offrendo un importante contributo al consolida- mento di un ideale di democrazia penale laica e costituzionalmente orientata 94. Esempi emblematici sono gli studi sui delitti di religione e sui rea- ti a tutela del pudore, ad opera rispettivamente di Placido Siracusano e di Giovanni Fiandaca. Con riferimento ai delitti di religione, Siracusano sottopone a cri- tica il modello del cosiddetto ‘bene di civiltà’ e del sentimento religio- so collettivo: «al bene giuridico sentimento religioso individuale si addice, di regola, una protezione penale dalle caratteristiche fonda- mentalmente “liberali”; o perlomeno dai tratti più aperti e tolleranti possibile» 95, tale dunque da attribuirgli un respiro costituzionale che invece non è riconducibile al paradigma del cosiddetto ‘bene di civil- tà’. L’approdo finale è di segno abrogazionista, ossia a sostegno di un ordinamento penale che non contempli fattispecie poste specifica- mente a presidio del sentimento religioso. Siracusano lascia comun- que intravedere la possibilità che attraverso un riorientamento in senso personalistico si possa realizzare una intervento penale compa- tibile con i principi costituzionali, e precisamente come apertura ver- so qualsiasi ideale di trascendenza, in quanto manifestazione della coscienza ed espressione della personalità dell’individuo 96. Anche i reati contro la cosiddetta ‘moralità pubblica’ e il comune sentimento del pudore sono stati oggetto negli anni ’80 di un’analisi che, orientata a spezzare i legami con l’impostazione del codice, so- stiene una riconversione in termini personalistici dell’interesse pro- tetto: dalla moralità pubblica alla riservatezza sessuale di quanti non intendano fruire di un certo tipo di manifestazioni. Si deve a uno studio di Giovanni Fiandaca la critica decisiva al moralismo conservatore che impregnava l’universo applicativo delle fattispecie a tutela del cosiddetto ‘comune sentimento del pudore’, a sostegno di un cambio di direzione per il rispetto di diritti di libertà 94 Come autorevolmente osservato, «la laicità del diritto penale esprime in qualche modo addirittura la sintesi e in un certo senso il coronamento del costi- tuzionalismo penale essa evoca lo “spirito” più profondo del costituzionali- smo penale», V. PALAZZO, Laicità del diritto penale e democrazia sostanziale, SIRACUSANO, I delitti in materia di religione. SIRACUSANO, I delitti in materia di religione. Tra sentimenti ed eguale rispetto che trovano riconoscimento nella Carta costituzionale, e che risulta- vano compressi dai modelli di intervento del codice Rocco e da orien- tamenti illiberali della giurisprudenza. Presupposto di fondo è che in una società liberale e pluralista lo Stato non debba ergersi a tutore della virtù 97. Il legame col sentimen- to – schermo retorico che ammanta di una patina personalistica l’impianto di tutela – viene radicalmente confutato: «non sarebbe suf- ficiente asserire che il danno provocato dai comportamenti contrari al buon costume consiste nell’“offesa ai sentimenti nel passaggio dal bene moralità al bene sentimento, il mutamento della dimen- sione qualitativa dell’oggetto della tutela è appena percepibile: quest’ul- timo finisce infatti col trasferirsi nel riflesso psicologico di una regola etica di condotta» 98. Sotto un profilo metodologico l’angolo visuale adottato nei sud- detti studi appare ancora definibile come ‘endopenalistico’, se non proprio ‘endocodicistico’: in altri termini, la tematizzazione del pro- blema resta incentrata su profili che attengono precipuamente le scelte di intervento del codice. In questo senso, l’approccio muove dalla so- luzione normativa, e tende a seguire un percorso d’analisi che man- tiene come referente primario gli schemi d’intervento descritti nelle fattispecie di reato. Fulcro dell’interesse è la risposta normativa; più circoscritto è lo spazio per l’analisi della dimensione extragiuridica del fenomeno. In tempi più recenti, a partire dagli anni Duemila, il tema dei sen- timenti è divenuto oggetto di un rinnovato interesse da parte della dottrina, caratterizzato da mutamenti nell’apparato concettuale e da una maggior propensione a estendere lo studio a profili extragiuridi- ci. Si tratta di un ammodernamento che porta a superare lo statico quesito sulla configurabilità o meno del sentimento come oggetto di tutela, andando a tematizzare in termini più complessi la questione dell’incidenza dei fattori emotivi sulle scelte di politica penale, ossia del rilievo della componente affettiva come elemento che concorre a integrare l’oggetto di tutela anche senza identificarsi espressamente con esso 99. In questo senso l’orizzonte di problemi additato dalla formula ‘tu- tela di sentimenti’ viene esteso al di là degli ambiti tradizionali, favo- rendo una riflessione critica sulla consistenza di interessi di tutela FIANDACA, Problematica dell’osceno. FIANDACA, Problematica dell’osceno. Si veda, ad esempio, ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho penal. Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 93 che apparentemente non evidenziano una matrice affettiva, ma che ad uno sguardo attento rivelano una forte pregnanza emozionale. È emblematico un saggio di Giovanni Fiandaca dedicato ai rap- porti tra bioetica e diritto penale, nel quale, definendo criticamente delle innovazioni legislative come riflesso di un clima sociale e politi- co italiano tendente a una rieticizzazione del diritto, l’Autore rileva che ai sentimenti e ai fenomeni a essi correlati spetti un ruolo tut- t’altro che secondario nell’economia del dibattito pubblico e soprat- tutto nelle scelte di politica del diritto volte a disciplinare i cosiddetti ambiti ‘eticamente sensibili’. Il terreno della bioetica si trova infatti a essere soggetto a contrapposizioni fondate su «timori e reazioni emo- tive che hanno a che fare con la sfera più irrazionale ed oscura di ciascuno, ossia reazioni di orrore, spavento, raccapriccio, disgusto, definite dall’Autore «sentimenti e sensazioni»; reazioni emotive che possono indurre un uso distorto della politica penale tramite divieti assimilabili a mero palliativo psicologico per i cittadini. La parificazione di istanze di tutela penale a meri sentimenti è una strategia di critica argomentativa che diverrà sempre più frequente. Prendiamo ad esempio il discorso sulla dignità umana 102. Si tratta di un valore caratterizzato da una spiccata componente emozionale che la rende strumento retorico particolarmente efficace, ma che la 100 FIANDACA, Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale, tra laicità e “post-secolarismo”, in Riv. it. dir. proc. pen. FIANDACA, Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale, cit., p. 554. 102 Ad oggi nel panorama penalistico lo studio più approfondito è quello di TE- SAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 89 ss. Il tema della dignità umana come bene penalmente tutelabile è oggetto di riflessioni critiche in FIAN- DACA, Laicità, danno criminale e modelli di democrazia, in AA.VV., a cura di Risica- to-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali; ID., Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale; VISCONTI C., Il reato di propaganda razzista tra dignità umana e libertà di espressione, in Jus; più favorevole a un recupero (tramite un uso accorto e non inflazionistico) del concetto di dignità umana, PULITANÒ, Etica e politica del diritto penale ad 80 anni dal Codice Rocco, in Riv. it. dir. proc. pen. Nella dottrina tedesca si veda l’importante saggio di HASSEMER, Argomentazione con concetti fondamentali. L’esempio della dignità umana, in Ars interpretandi; profili critici del concetto di dignità in ambito pe- nalistico sono evidenziati anche in ZIPF, Politica criminale, tr. it., Milano. Nel panorama statunitense, per una sintesi del dibattito v. MCCRUDDEN, Human Dignity and Judicial Interpretation of Human Rights, in The European Journal of International Law; per una panoramica di taglio più divul- gativo v. ROSEN, Dignità. Storia e significato, tr. it., Torino. Tra sentimenti ed eguale rispetto espone contemporaneamente al rischio di tramutarsi in un «bene- ricettacolo dei sentimenti di panico morale o delle reazioni emotive sgradite da cui veniamo sopraffatti di fronte a fatti o eventi insoliti o nuovi che contraddicono modelli morali consolidati ovvero esulano da una radicata autocomprensione antropologica dell’identità dell’essere umano» 103. Definire la dignità umana è certo impresa ardua, ma è ragionevole ritenere che tale valore e il suo universo di significato non debbano es- sere intesi come mero riflesso di percezioni soggettive (vedi infra, cap. V). Si tratta di un rischio che trova esemplificazione in una incrimina- zione oggi fortemente discussa, ossia il divieto di propaganda razzista, definita «norma che si colloca a metà strada tra ‘tutela penale dei sen- timenti’ e ‘funzione (pedagogico-)promozionale del diritto penale. Altro interesse che rivela una problematica osmosi con la dimen- sione affettiva è la cosiddetta ‘sicurezza’, la cui fisionomia è alquanto nebulosa e rischia di essere intesa come «fonte di obblighi legislativi di penalizzazione in funzione ansiolitica. Anche dietro il problema che nel discorso penalistico è stato definito come ‘sicurezza pubblica’ si può scorgere una matrice emotiva: la paura della criminalità, intesa come emozione di risposta a una minaccia, reale o semplicemente percepita. Tale argomento è oggetto di studio soprattutto in ambito criminologico107, nel quale è stato osservato come la pervasività in ambito collettivo della paura non sia dovuta tanto alla percezione dei singoli cittadini, ma finisca per essere esito di un’insicurezza sovente manipolata108 attraverso stereotipi e modelli culturali che si incardi- FIANDACA, Sul bene giuridico. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., p. 86. 105 FIANDACA, Sul bene giuridico, cit., p. 95. 106 Benché non vada dimenticato che dietro le istanze securitarie mobilitate dalla collettività vi possono essere, oltre a pretese meramente emotive, anche bi- sogni reali di tutela, v. PALIERO, Consenso sociale e diritto penale. Sul tema, in un’ottica critica riguardante le manifestazioni del trend securitario a partire dagli anni Duemila, v. CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura. Cinque riflessioni su criminalità, società e politica, Milano; HASSEMER, Sicurezza mediante il diritto penale, tr. it., in Critica del diritto; DONINI, Sicu- rezza e diritto penale, in Cass. pen., 10/2008, pp. 3558 ss.; PULITANÒ, Sicurezza e di- ritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen.; per uno sguardo d’insie- me v. a cura di Donini-Pavarini Sicurezza e diritto penale, Bologna. Per tutti, CORNELLI, Paura e ordine nella modernità. DURANTE, Perché l’attuale discorso politico-pubblico fa leva sulla paura?, FILOSOFIA POLITICA – non POLITICA FILOSOFICA, Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 95 nano nelle strutture istituzionali o che vengono diffuse attraverso i mass media 109, in un processo di circolarità dove l’insicurezza è al con- tempo motivo di crisi e motore di legittimazione per le istituzioni 110. Il problema della tutela di sentimenti ha portato la riflessione penali- stica a meditare anche sugli strumenti concettuali per lo sviluppo del di- scorso: da un lato la teoria del ‘bene giuridico’ di matrice continentale, dall’altra lo Harm e l’Offense Principle di matrice anglo-americana. È emblematico in questo senso un saggio di Massimo Donini il qua- le evidenzia come anche il ricorso alle categorie anglo-americane sem- bri deludere aspettative di oggettività delle scelte di criminalizzazione, in quanto tali categorie «sono spesso definite mediante un utilizzo ambiguo della categoria dei sentimenti. Troppi sentimenti sia nell’Of- fense (che si definisce proprio in quanto più sentimentale che dannosa, più irritante che dolorosa) e sia anche nello Harm, che si fonda pur sempre (specialmente in Feinberg) sul postulato che la lesione dell’in- teresse produca un dolore, una sofferenza nel suo titolare. Sullo specifico punto concernente la tutela di sentimenti la con- clusione dell’Autore è netta: «la tutela specifica dei sentimenti costituisce un esempio incon- gruo di diritto penale orientato all’irrazionalità delle funzioni il di- ritto penale non tutela meri sentimenti anche se talora lo stesso codice penale si esprime in questi termini, ma tutela la loro obiettivazione in situazioni sociali, in interessi, in beni giuridici più definiti della percezione soggettiva: tanto che essi vengono tutelati a prescin- dere dalla prova di quella percezione in capo a un qualche individuo determinato. La ragione per la quale non è possibile la tutela di- retta ed esclusiva come oggetto “giuridico”, dei sentimenti, neppure ovviamente dei sentimenti “morali”, è costituita dal fatto che essi non sono un oggetto giuridico, e non possono esserlo per carenza di tassa- tività. È infatti necessario che il sostrato umano fondamentale in cui si sostanziano le offese e che tocca direttamente la sfera emotiva e morale delle persone, si ancori a realtà socio normative più afferrabili e gestibili» 112. Così formulata tale osservazione sembrerebbe fondarsi prevalen- CORNELLI, Paura e ordine nella modernità. CORNELLI, Paura e ordine nella modernità. DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti. DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti.Tra sentimenti ed eguale rispetto temente su ragioni epistemologiche: carenza di tassatività come ‘non afferrabilità’ e dunque sostanziale ‘non verificabilità’ secondo i prin- cipi che sovrintendono la responsabilità penale. Diverse le obiezioni avanzate in dottrina, le quali convergono so- stanzialmente nell’osservare che il pur ragionevole argomento della non-tassatività dei sentimenti non è decisivo, e rischia di anticipare troppo con interrogativi sul piano della tipicità che paiono non offri- re adeguato spazio alla problematica questione dei bilanciamenti che dovrebbero fondare la legittimazione dei precetti. Si rischia, insom- ma, di «chiudere la partita prima che cominci. Il monito circa la carenza di tassatività coglie un aspetto rilevante ma che non pare sufficiente a escludere in via di principio la legitti- mità di interventi penali. La questione cruciale è «se e quale tutela [sentimenti ed emozioni] possano chiedere, a fronte di comporta- menti e manifestazioni espressive del sentimento di altri, nel contesto di una società aperta. Tirando le fila del discorso, appare evidente come il mainstream penalistico mostri una sostanziale diffidenza nei confronti del tessuto emotivo. Si tratta di caveat condivisibili, ma che riteniamo non deb- bano essere letti, frettolosamente, come avallo di posizioni ‘veterora- zionalistiche’ che ancora concepiscano in termini dicotomici i rapporti fra emozioni, sentimenti e diritto penale, o che intendano negare gli influssi della dimensione affettiva sull’impianto teorico e prati- co della criminalizzazione. La plausibilità di tali cautele trova una solida base in studi che hanno evidenziato la possibile inaffidabilità delle emozioni a causa di contenuti cognitivi falsi, abnormi o più semplicemente incompatibili con i valori di un ordinamento liberale. Così TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana; cfr., FIANDA- CA, Sul ruolo delle emozioni e dei sentimenti. A ben vedere, va ricono- sciuto che l’argomentazione di Donini sembra andare oltre la questione della me- ra tassatività quando richiede «che il sostrato umano fondamentale in cui si so- stanziano le offese e che tocca direttamente la sfera emotiva e morale delle per- sone, si ancori a realtà socio-normative più afferrabili e gestibili: non solo da par- te della magistratura, ma prima ancora da parte del legislatore, onde evitare i ri- schi immanenti di un diritto penale irrazionale». Il richiamo a realtà socio-nor- mative, e non meramente empirico-fattuali, lascia intendere un disvalore leggibile non solo in termini di suscettibilità individuale, ma misurabile alla stregua di va- lori che lo facciano apparire ragionevole e non semplicemente riflesso di un so- lipsistico puntiglio. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. La studiosa che di recente si è impegnata a rivendicare l’‘intelligenza   Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 97 Si tratta di prendere atto di una complessità di fondo, riflettendo su quali siano i contenuti di pensiero che possono rendere l’emozione e il sentimento interlocutori inaffidabili per il diritto penale, riser- vando però la dovuta attenzione anche a prospettive differenti, orien- tate a vagliare anche il potenziale di interazione virtuosa che potreb- be generarsi da un intelligente ‘ascolto’ delle emozioni e dei senti- menti. Tale ultima istanza trova oggi riscontro anche nel panorama pena- listico italiano, grazie a contributi che hanno messo a tema ipoteti- che, auspicabili interazioni fra diritto penale e dimensione affettiva quale coordinata per una più realistica e consapevole attenzione al profilo umano delle questioni oggetto di interesse penalistico. 3.1. Una virtuosa prospettiva di interazione: ‘sentire comune’ e legittimazione delle norme penali Vi sono opere, di taglio differente, che fanno espresso riferimento alla dimensione affettiva e al ruolo positivo dell’emozione e del sen- timento quali elementi di comunanza e quali possibili vettori di rico- noscimento reciproco fra essere umani; non si tratta si riflessioni propriamente incentrate sul sentimento come problema di tutela, ma di profili legati al rapporto fra emozioni, sentimenti, genesi e struttu- ra dei precetti penali. delle emozioni’, affermandone l’imprescindibile ruolo anche nelle strategie di politica penale, ha d’altro canto fornito una delle più approfondite e convin- centi analisi sul potenziale anche negativo che determinati atteggiamenti emotivi possono assumere in rapporto alla legiferazione e all’applicazione di norme penali, v. NUSSBAUM, Nascondere l’umanità, Merita menzione, per quanto sui generis, la posizione espressa diversi de- cenni fa da Giuseppe Maggiore, la quale, pur derivando da un retroterra episte- mico ed ideologico profondamente differente dalle elaborazioni degli autori contemporanei, costituisce nel panorama penalistico italiano una emblematica af- fermazione del ruolo positivo del sentimento. In una serrata critica al pensiero che vorrebbe ricondurre il diritto a mero sillogismo, a puro «congegno di giudizi logici», lo studioso siciliano rivendica l’importanza di una ‘vocazione affettiva’, di un quid che possa offrire un senso alla mera logica formale. Ogni mediocre interprete sa bene che l’applicazione del diritto non si riduce a un accostamento meccanico tra la legge e il caso concreto: ma che occorre valutare, ossia sentire giuridicamente la fattispecie – in tutti i suoi lineamenti, in tutte le sue ombre e sfumature – per ridurla sotto l’impero della norma un giudizio puramente e freddamente logico può essere iniquo: nel clima della nuda logica il jus può trali- gnare facilmente in injuria», v. MAGGIORE (si veda), Il sentimento nel diritto, in Giornale critico della filosofia italiana. Tra sentimenti ed eguale rispetto Ad esempio, in relazione alle condizioni di osservanza della legge penale si è definita la forma idealtipica del diritto penale come dirit-to del comune sentire (declinato rispettivamente in forma di principi e di regole/precetti) che dovrebbe trovare cioè nei consociati il più alto grado di corrispondenza ideale, di consonanza soggettiva e dunque di adesione spontanea. Muovendo da presupposti differenti, si è invece osservato, con ri- ferimento allo specifico ambito della regolamentazione normativa in materia bioetica, che la ricerca di risposte normative dovrebbe assu- mere a riferimento anche l’emozione che scaturisce nei soggetti di fronte a un fatto bioeticamente rilevante. In altri termini, viene ipo- tizzata una relazione tra la componente emotiva che caratterizza le scelte individuali e la possibilità che, valorizzando nelle statuizioni normative elementi fattuali suscettibili di attivare una comune reatti- vità emozionale, sia possibile addivenire a una maggiore condivisibi- lità dei precetti. In risposta all’opinione di chi non ritiene che il diritto penale pos- sa tutelare sentimenti viene obiettato che «non può escludersi che, quanto meno in materia di bioetica, il diritto penale, se vuole trovare la sua legittimazione, ben possa, anzi debba, tutelare, in un certo senso, i sentimenti ed addirittura il sentimento del caso concreto, senza per ciò trascendere in concezioni soggettivizzanti e sprovvi- ste di sostrato empirico, ma recuperando, al contrario, insieme alla concretezza, altresì la prospettiva di un giudizio, se non condiviso, quanto meno diffuso. Nelle linee tracciate da tali Autori viene attribuita al sentimento la funzione di parametro per l’‘accreditamento etico’ delle norme penali MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla luce dei precetti: il lungo cammino del di- ritto penale incontro alla democrazia, in MAZZUCATO-MARCHETTI, La pena in castigo. Un’analisi critica su regole e sanzioni, Milano. GIOVINE O., Un diritto penale empatico? Si tratta di un programma teorico che propone «una rinuncia, pur con tutte le cautele del caso, a parte della rigidità e della predeterminazione del precetto, per consentire a quest’ultimo di plasmarsi sul fatto concreto, di valorizzarne le nuances» Un ango- lo visuale che assume il fenomeno del sentire in una accezione che potremmo de- finire ‘naturalistico-emozionale’. La funzionalità del precetto sembra infatti legar- si alla condizione che esso arrivi a contenere elementi fattuali ad ‘alta carica emo- tiva’: «si porrebbero così le condizioni perché giochi una empatia che, facendo un punto di forza della sua natura prosaicamente biologica ed umana, possa svolgere la funzione di coordinata epistemologica nei suddetti ambiti del penale», v. EAD., Un diritto penale empatico? GIOVINE, Un diritto penale empatico? Dimensione codicistica e funzione discorsiva della formula 99 e più in generale per la legittimazione dell’intervento penale. Tra le due posizioni sussiste però una profonda differenza: nella prospettiva di Claudia Mazzucato il ‘comune sentire’ pare doversi intendere in termini normativi, ossia quale richiamo a valori condivisi modellati su «dati umani, stabili, trasversali, da sempre validi»120; la strada suggerita da Giovine fa riferimento a un sentire ‘natura- listico’, ossia a un sostrato di reazioni emotive condivise che dovreb- bero costituire punto di riferimento per le scelte del legislatore nelle materie eticamente sensibili. A tali studi va affiancato un importante contributo dedicato al tema delle ragioni extrapenali della legittimazione della legge penale, il quale, sulla base di recenti acquisizioni della filosofia morale che evidenziano come le emozioni siano fra le condizioni della nostra ri- cettività alle considerazioni razionali e morali, afferma che ogni concretizzazione del giudizio penale, dalla previsione edittale fino al- la applicazione della sanzione comminata, se non vuole limitarsi a pretendere la pura «obbedienza degli uomini-bambini», debba espri- mere una qualche coerenza rispetto a un tale ‘comune sentire. Vediamo come anche in questa teorizzazione le emozioni figurino in una veste emancipata da negatività e irrazionalità, e si propongano nel ruolo di coordinata epistemica per la ricerca di un terreno di incontro tra la forza motivazionale del giudizio morale e le ragioni di un’osservanza dei precetti che sia ‘sentita’ e non solo imposta. Il rinnovato, e per certi versi inedito, interesse che i fenomeni del sentire assumono oggi in diverse branche del sapere – dalla psicolo- gia, alle neuroscienze, alla filosofia morale – sta avendo dunque riflessi anche nel pensiero penalistico: la prospettiva di analisi incen- trata sul sentimento come oggetto di tutela resta tema classico, ma i suddetti ulteriori spunti rappresentano un’importante base di rifles- sione che arricchisce, con promettenti intrecci con la dimensione morale, il discorso sulla legittimazione delle norme penali e sull’os- servanza dei precetti. 120 Così lo definisce MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla luce dei precetti, FORTI, Le ragioni extrapenali, BAGNOLI, Introduction, Bagnoli, Morality and the Emotions, FORTI, Le ragioni extrapenali, Tra sentimenti ed eguale rispetto 4. Sinossi Addentrandoci nel microcosmo giuridico, emergono due possibili accezioni nel significato della formula ‘tutela di sentimenti’: la prima, descrittiva, concerne il panorama delle disposizioni in cui il senti- mento è espressamente evocato quale oggetto di tutela; la seconda, connotativa, coincide con l’uso che della categoria del sentimento viene fatto nel discorso penalistico, ossia in una funzione prevalentemente critica. L’accezione descrittiva ci conduce verso l’analisi delle fattispecie codicistiche ed extracodicistiche: un panorama variegato che con- templa due differenti declinazioni del sentimento. La prima, del tutto tendente alla ‘depsicologizzazione’, nella quale non entrano in gioco fenomeni psichici bensì sentimenti-valori; la seconda, più vicina alla dimensione naturalistica del sentire, si ricollega a fattispecie come gli ‘atti persecutori’, volte a tutelare la tranquillità psicologica come bene strumentale rispetto alla libertà di autodeterminazione. Relativamente all’accezione connotativa e ai discorsi dei giuristi penali, il tema della tutela di sentimenti ha rappresentato uno dei terreni in cui si è giocata la sfida culturale per il superamento dei modelli illiberali di incriminazione del codice Rocco, fungendo in questo senso da ‘trampolino teoretico’ per il consolidamento dell’in- terpretazione costituzionalmente orientata degli interessi di tutela penale. Attualmente i rischi di torsioni illiberali veicolate dall’appello a sentimenti ed emozioni si legano alla incerta fisionomia di beni e in- teressi caratterizzati da una marcata componente emozionale (digni- tà, sicurezza). A fronte di tali istanze di tutela il mainstream penali- stico tende a mantenere una forte diffidenza. Non vanno tuttavia trascurate anche le prospettive di interazione virtuosa fra dimensione affettiva e diritto penale, concernenti in par- ticolare il ruolo di sentimenti ed emozioni nelle dinamiche di adesio- ne e di osservanza del precetto. FRA DIRITTI ED EMOZIONI: ITINERARI E PROSPETTIVE Tra sentimenti ed eguale rispetto  Sensibilità individuali e libertà di espressione SENSIBILITÀ INDIVIDUALI E LIBERTÀ DI ESPRESSIONE Espressioni ed emozioni: prospettive di approccio «Troppo spesso ci capita di dover affrontare dilemmi postmoderni con un re- pertorio emozionale adatto alle esigenze del Pleistocene» GOLEMAN D., Intelligenza emotiva: Libertà di espressione e rispetto reciproco: l’esigenza di nuove pro- spettive di analisi. Approccio ‘naturalistico-emozionale. La prospet- tiva dell’Offense secondo Feinberg. Approccio razionalistico-normativo: emozioni ragionevoli e irragionevoli secondo Nussbaum. Libertà di espressione e rispetto reciproco: l’esigenza di nuo- ve prospettive di analisi Le disposizioni del codice italiano nelle quali l’oggetto di tutela viene definito in termini di sentimento, pur presentando affinità sul piano del comune rimando a interessi legati alla sfera affettiva, pon- gono l’interprete di fronte a questioni eterogenee. I problemi relativi al sentimento religioso, al pudore, al sentimento nazionale, al comu- ne sentimento della morale, si collegano a un comune substrato in quanto basati su conflittualità di tipo espressivo-comunicativo e su forme di offesa ‘immateriali’; appare invece differente il sentimento per gli animali, a tutela del quale vengono incriminate aggressioni fisiche e maltrattamenti a esseri non umani. Riteniamo preferibile accantonare per il momento il tema del sen- Tra sentimenti ed eguale rispetto timento per gli animali e focalizzare l’attenzione sul retroterra che accomuna i restanti ambiti. Filo conduttore è il coinvolgimento del piano comunicativo, in un senso non limitato a espressioni verbali, ma esteso a comportamenti in grado di veicolare significati1 e di esternare in termini simbolici prese di posizione che vanno a interagire con aspetti profondamente radicati, potremmo dire ‘costitutivi’, della personalità individuale e dell’identità morale di un soggetto. Tali profili rimandano, in ambito giuridico, al tema della libertà di espressione, ampiamente dissodato dalla dottrina non solo penalisti- ca 2. Nell’impianto del codice Rocco, limiti alla libertà di espressione sono posti in primo luogo a tutela di interessi dello Stato, mentre i risvolti personalistici dei conflitti limitati al piano comunicativo trovano formale riconoscimento esclusivamente nelle disposizioni sull’ingiuria oggi abrogata e sulla diffamazione: le uniche collocate nel titolo dei reati contro la persona. Al di là delle etichette legislative e della voluntas del legislatore, dietro reati come quelli contro il senti- Sull’equiparazione fra condotte verbali ed espressioni fondate sul valore simbolico dei comportamenti, v. BERGER, Symbolic conduct and freedom of speech, in Russel, Freedom, Rights and Pornography. Berger, Amsterdam. Adotta tale impostazione nella recente letteratura sulla libertà di espressione BROWN A., Hate Speech Law. A Philosophical Examination, New York Nel panorama italiano si sofferma su tale di- stinzione STRADELLA, La libertà di espressione politico-simbolica e i suoi limiti: tra teorie e prassi, Torino. Fra gli scritti più significativi di taglio generale, provenienti, relativamente al contesto italiano, dall’ambito costituzionalistico, v. ESPOSITO, La libertà di manife- stazione del pensiero nell’ordinamento italiano, Milano; BARILE, Libertà di mani- festazione del pensiero, Milano; GIOVINE A., I confini della libertà di manife- stazione del pensiero. Linee di riflessione teorica e profili di diritto comparato come premessa a uno studio sui reati d’opinione, Milano; PALADIN, Libertà di pensiero e libertà d’informazione: le problematiche attuali, in Quaderni costituzionali; PUGIOTTO, Le parole sono pietre? I discorsi di odio e la libertà di espressione nel diritto costituzionale, penalecontemporaneo.it; CARUSO, La libertà di espressione in azione. Contributo a una teoria costituzionale del discorso pubblico, Bologna; fra i penalisti, v. BETTIOL, Sui limiti penalistici alla libertà di manife- stazione del pensiero, in AA.VV., Legge penale e libertà di pensiero, Padova.; NUVOLONE, Il problema dei limiti della libertà di pensiero nella prospettiva logica dell’ordinamento, in AA.VV., Legge penale e libertà di pensiero; FIORE, I reati d’opinione, Milano; PULITANÒ, Libertà di pensiero e pensieri cattivi, in Quale giustizia?; ALESIANI, I reati di opinione, cit.; SPENA, Libertà di espressione e reati di opinione, in Riv. it. dir. proc. pen.; VISCON- TI C., Aspetti penalistici, cit. Si vedano inoltre, quale contributo collettaneo più re- cente, gli Atti del IV Convegno dell’Associazione Professori di Diritto Penale dedica- to al tema ‘La criminalizzazione del dissenso: legittimazione e limiti’, pubblicati in Riv. it. dir. proc. pen. Sensibilità individuali e libertà di espressione 105 mento religioso e contro la moralità pubblica sono in gioco fenomeni relativi all’universo interiore dell’individuo, alla sfera del sentire co- me nucleo da proteggere in positivo e in negativo, ossia favorendone la ‘fioritura’ e la libera espressione, e anche, eventualmente, preser- vandolo da forme di offesa. Ci sembra che il rispetto della reciproca sensibilità in rapporto a contenuti espressivi in grado di offenderla rappresenti il problema che con maggiore immediatezza logico-comunicativa può identificar- si anche come ‘tutela di sentimenti’. Le questioni che possono celarsi dietro il richiamo a stati affettivi sono molteplici, ma i rapporti tra forme di espressione e sensibilità soggettive sembrano costituire oggi una priorità nell’agenda penalistica. A suggerire un attento sguardo alle ‘guerre per la libertà di espressione è soprattutto l’importanza nello scenario socio-politico con- temporaneo, il quale rivela un’inedita complessità derivante dalla consistenza pluralista della società occidentale, anche di quella ita- liana. È cresciuta la diversità sul piano quantitativo e parallelamente sono aumentate le sensibilità, incrementando la possibilità di attriti e portando a emersione, quale riflesso di difficoltà di integrazione in rapporto agli ingenti flussi migratori, una conflittualità fortemente radicalizzata in senso identitario4 e minacciata dal rischio del fon- damentalismo: «l’esperienza comune della diversità e tanto più la comparazione cul- turale specialistica mostrano che i modi stessi della sensazione e i ri- sultati della sensibilità sono variabili da cultura a cultura e all’interno stesso di società complesse, fino ai modi e ai risultati delle sensibilità individuali, così importanti nella cultura occidentale moderna» 5. Si è detto che è difficile trovare un argomento su cui si registri un accordo maggiore di quello relativo alla libertà di espressione, almeno finché non ci mette mano la ricerca della saggezza»6. Nella SULLIVAN, Free Speech Wars, in 48 SMU Law Review. Sul problema vedi MANCINA, Laicità e politica. Prove di ragione pubblica, a cura di Risicato-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Per una critica alle tendenze identitarie e al concetto di identità, definita ‘parola avve- lenata’, v. REMOTTI, L’ossessione identitaria, Roma-Bari. ANGIONI G., Fare, dire, sentire. L’identico e il diverso nelle culture, Nuoro, BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Nel tempo del terrore: un’indagine su quanto le parole mettono in gioco, Milano. Tra sentimenti ed eguale rispetto prospettiva delineata dal filosofo Ermanno Bencivenga tale ricerca coincide con una paziente opera di analisi filosofica che allontani lo spettro dei luoghi comuni, nella consapevolezza di non poter risolve- re i problemi con sentenze o ricette. Per quanto il giurista senta l’onere di fornire una prestazione in- tellettuale che in qualche modo si identifichi in una ‘sentenza’ o in una ‘ricetta’, intese come proposte ‘risolutive’, riteniamo che in rela- zione ai problemi in esame tale ambizione debba essere accompagna- ta dalla consapevolezza del carattere contingente e parziale delle risposte che potranno essere eventualmente avanzate8. Non vi sono rimedi taumaturgici e indolori: se un atteggiamento di tipo repressi- vo potrebbe portare a comprimere un diritto essenziale delle demo- crazie contemporanee, la prospettiva opposta di evitare una regola- mentazione lascia aperta la possibilità di ricadute comunque pro- blematiche. Condividiamo quanto osservato da attenta dottrina, ossia che per rapportarsi a tali problemi occorra mettere da parte l’ambizione di elaborare criteri di selezione del penalmente rilevante di tipo assio- matico-deduttivo, e vada pertanto considerato se «l’approccio tradi- zionale possa risultare decisivo nel circuito comunicativo delle de- mocrazie contemporanee; oppure se non vada piuttosto ricalibrato, rivisto, o quantomeno accompagnato da analisi e valutazioni che si facciano seriamente carico della complessità culturale, sociale e poli- tica dei contesti locali e globali in cui risultiamo oggi calati» 9. In altri termini, il tema dei conflitti in materia di libertà di espres- sione è un significativo banco di prova che impegna a rendersi fauto- ri di «una scienza non già autoreferenzialmente chiusa nel giuoco elegante di una dogmatica formalistica, bensì intenzionata a prende- re in qualche modo posizione sul merito contenutistico delle questio- ni spinose che il tempo presente prospetta BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Parla di carattere ‘contestuale’ ROIG, Libertà di espressione, discorsi d’odio, soggetti vulnerabili: paradigmi e nuove frontiere, in Ars interpretandi, VISCONTI C., Aspetti penalistici. FIANDACA, Aspetti problematici del rapporto tra diritto penale e democrazia, in Foro it. Afferma la necessità di un’analisi calata nel contesto socio- politico BOGNETTI, La libertà di espressione nella giurisprudenza americana. Con- tributo allo studio dei processi dell’interpretazione giuridica, Milano; cfr. da ultimo ROIG, Libertà di espressione, discorsi d’odio, soggetti vulnerabili. Sia consentito il rinvio a BACCO, Dalla dignità all’eguale rispetto: Sensibilità individuali e libertà di espressione 107 Riteniamo che occorra dunque provare a immaginare nuovi per- corsi, mettendo in conto l’irriducibile ‘politicità’ del tema, la quale mette a disagio il giurista che ancora oggi coltivi l’ambizione illusoria di riuscire a concepire proposte e modelli di interpretazione asseritamente neutrali e avalutativi. È ricorrente in sede teorica prendere le mosse dall’interrogativo sul perché la libertà di espressione sia importante. Il livello di reattività emozionale, e purtroppo anche di violenza fisica, che hanno caratterizzato alcuni recenti episodi nel contesto eu- ropeo11, suggeriscono di affrontare il tema attraverso prospettive di analisi che non si limitino a una, pur problematica, riflessione su norme e principi. La complessità dei problemi esige un avvicinamento anche al sub- strato umano dei conflitti e dunque alle emozioni e ai sentimenti che si agitano sullo sfondo e che sono di fatto i vettori di senso che concor- rono a guidare le preferenze e le scelte degli individui, e dunque la loro posizionalità assiologica 13: un discorso che vale non solo per i destina- tari di espressioni avvertite come offensive, ma che è funzionale a in- quadrare e definire anche la posizione di chi esprime un pensiero14. libertà di espressione e limiti penalistici, in Quaderni costituzionali. Su tutti, i violenti disordini seguiti alla pubblicazione di vignette satiriche sulla religione musulmana in Danimarca, e il tragico attentato contro il settima- nale francese Charlie Hebdo, colpevole, agli occhi dei fondamentalisti, di aver pubblicato vignette blasfeme sull’Islam. Il piano prettamente giuridico, ossia il riconoscimento di libertà nelle Carte costituzionali nazionali e in fonti sovranazionali, rappresenta una premessa del problema; né del resto sembra essere risolutivo l’appello a teorizzazioni classiche, come quella milliana, il cui pur apprezzabile ottimismo di fondo dalle coloriture utilitaristiche appare oggi forse troppo irenistico. Ci riferiamo all’obiezione di fondo con cui Mill critica la prospettiva di limiti alla libertà di espressione, ossia che la compressione della libertà limiterebbe la circolazione di eventuali verità che potrebbero arricchire il patrimonio intellettuale di un popolo, v. MILL, Sulla libertà, tr. it., a cura di Mollica, Milano. Traggo questo concetto dalla teorizzazione fenomenologica di MONTICELLI (si veda): definito il sentimento come disposizione del sentire che comporta un consentire più o meno profondo all’essere di ciò che la suscita, v. MONTICELLI, L’ordine del cuore, è importante a nostro avviso legare tale concetto al tema della posizionalità, per evidenziare come l’atto del consentire e dell’espri- mere rappresenti una presa di posizione nella quale la persona è coinvolta in quanto soggetto, v. DE MONTICELLI, La novità di ognuno. Persona e libertà, Milano. Non può essere condiviso l’assunto secondo cui la caratterizzazione di un’espressione di critica in termini affettivo-emozionali la renderebbe per ciò solo Tra sentimenti ed eguale rispetto Anche in tempi in cui la considerazione della dimensione emotiva non poteva avvalersi degli studi che oggi ne affermano la rilevanza nelle scelte decisionali, e che ne riabilitano in buona parte anche la salienza morale, nella dottrina penalistica italiana fu osservato che «è il senti- mento, l’atteggiamento di adesione o indifferenza per questo o quel valore, e non la ragione raziocinante che di per sé è uno strumento “neu- tro”, a indicare all’azione i suoi possibili scopi e modi, e in tal modo addirittura a caratterizzare diverse forme di civiltà. L’atteggiamento dominante della dottrina penalistica esorta con- divisibilmente alla cautela quando si tratta di valutare input di politi- ca del diritto che rivelano una componente emotiva. Ciò non significa cadere nell’eccesso opposto, ossia immaginare o ipotizzare un diritto penale sordo e cieco rispetto a qualsivoglia istanza di matrice emoti- va: un ideale ben poco plausibile, poiché la risposta penalistica è ne- cessariamente anche una risposta a emozioni che si legano inevita- bilmente ai fatti di vita su cui il diritto interviene, e dovrebbe in que- sto senso cercare di acquisire una «capacità di rispettoso governo del- le emozioni e dei sentimenti, come tale autenticamente liberale, ossia costantemente sostenuta dalla consapevolezza di come lo stesso si- stema di regolazione debba rassegnarsi, ma anche trarre vantaggio, da questa sorta di “passività buona”» 16. Da ciò la rilevanza, in primo luogo per la riflessione teorica, delle risonanze emozionali che trapelano dai conflitti interrelazionali, fra cui anche quelli legati alla libertà di espressione. L’obiettivo non è assecondare ciecamente le pretese di una delle incompatibile con una vera manifestazione del pensiero; tale posizione è esplicitata in NUVOLONE, Reati di stampa, Milano, poiché critica significa dissenso ragionato dall’opinione o dal comportamento altrui, sarà estraneo all’at- tività critica ogni apprezzamento negativo immotivato o motivato da una mera animosità personale, e che trovi, pertanto, la sua base in un’avversione di caratte- re sentimentale e non in una contrapposizione di idee». Il problema divise la dot- trina penalistica: si vedano a sostegno di un’apertura liberale PULITANÒ, Libertà di pensiero e pensieri cattivi; più recentemente, PELISSERO, Reato politico e flessibilità delle categorie dogmatiche, Napoli; per l’opinione opposta v. ZUCCALÀ, Personalità dello Stato, ordine pubblico e tutela della li- bertà di pensiero, Legge penale e libertà di pensiero, Padova. Tale distinzione si lega alla categorizzazione fra manifestazioni del pensiero ‘pure’ e forme di sollecitazione all’azione, utilizzata anche dalla Corte costituzio- nale ad esempio nella sentenza n. 87/1966; per una critica vedi CARUSO, La libertà di espressione in azione, PULITANÒ, Spunti critici in tema di vilipendio della religione, in Riv. it. dir. proc. pen. FORTI, Le ragioni extrapenali. Sensibilità individuali e libertà di espressione  parti, bensì riuscire ad avere una migliore visuale sulle sfumature as- siologiche che ogni singola vicenda lascia emergere. Come osservato da autorevole dottrina, vi è l’esigenza di «riuscire a gettare luce al di là del magma dei sentimenti, nel tentativo di trarre da essi ragioni argomentabili nella discussione pubblica e nel dibattito politico cri- minale. Riteniamo che affrontare problemi concernenti la libertà di espres- sione anche attraverso una ragionevole attenzione alla dimensione affettiva, possa arricchire i contenuti del dibattito. In primo luogo, un attento sguardo alle dinamiche emozionali porta a non perdere di vista la dimensione socio-antropologica dei conflitti, a non perdersi nel ‘cielo dei concetti’ ma piuttosto a cercare di indagare le matrici umane del dissenso, le eventuali cause e i potenziali effetti di una conflittualità che oggi presenta tratti fortemente degenerati, con pre- occupanti echi che attingono da un inquietante repertorio di odio e di contrapposizioni. Sul piano della definizione dell’offesa, guardando i problemi at- traverso la prospettiva dello scontro fra sensibilità emerge un dato di fondo: non sono coinvolti beni primari quali la vita, l’integrità fisica o la libertà di autodeterminazione; si attinge un livello non esiziale ma comunque significativo, poiché dietro un’offesa a sentimenti si profi- la la possibilità di una sofferenza – in termini di emozione negativa nel venire a contatto, o anche semplicemente a conoscenza, di for- me di contrasto o di disapprovazione che hanno ad oggetto idealità, visioni del mondo, valori. Con le parole si possono toccare corde sen- sibili dell’animo, quando vengono criticati o irrisi simboli, dogmi nei quali un individuo si riconosce, anche a prescindere dal fatto che una data espressione sia rivolta a lui e quando colpisce in modo indistinto una molteplicità di soggetti accomunati da una credenza. Qual è l’elemento che può legittimare interventi normativi? È il disagio emozionale soggettivo che scaturisce di fronte a manifesta- zioni di pensiero che sostengono valori e visioni del mondo opposte a quella in cui ci si identifica? O l’attenzione va posta su ragioni ulte- FIANDACA, Considerazioni intorno a bioetica e diritto penale. Giusto il contrario, dunque, di un uso populistico e meramente retorico dell’appello a sentimenti ed emozioni, il quale peraltro è assai frequente nel dibattito pubblico come osserva D’AGOSTINI, Verità avvelenata. Buoni e cattivi argomenti nel dibattito pubblico, Torino. Sul concetto di ‘polarità’ delle emozioni, o ‘valenza’, v., ex plurimis, TERONI, Più o meno: emozioni e valenza, a cura di Tappolet-Teroni-Konzelmann Ziv, Le ombre dell’anima, Tra sentimenti ed eguale rispetto riori che non hanno un’univoca corrispondenza con il contenuto co- gnitivo delle reazioni emotive suscitate? Le risposte a tali interrogativi possono condurre ad approcci pro- fondamente diversi, sintetizzabili a nostro avviso in forme paradigmatiche: da un lato un modello di intervento giuridico che potrem- mo definire ‘naturalistico-emozionale’, e dall’altra un modello razionalistico-normativo. Nel primo caso il sentire individuale è preso in considerazione nella dimensione fisico-naturalistica, come coefficiente di reattività psichica nelle interazioni relazionali e dunque come problema di so- glie di sensibilità soggettiva da verificarsi sul piano empirico, secondo un’impostazione che individua il bene finale nella tranquillità emotiva della persona. L’approccio alternativo, ossia il modello ‘razionalistico-normativo’, cerca di identificare, attraverso le emozioni manifestate e i sen- timenti chiamati in gioco, istanze e rivendicazioni che possano essere tradotte in concetti razionalmente e normativamente filtrati, e valuta- te dunque in rapporto a cornici assiologiche di riferimento 20. In altri termini, l’approccio ‘razionalistico-normativo’ si propone di inquadrare i problemi in una prospettiva nella quale la dimensione pret- tamente emozionale costituisce elemento da tradurre in un contesto Utilizzo il concetto di modello-paradigma nell’accezione di SARTORI, Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali. Si tratta di modelli di approccio che evocano alla memoria del penalista soluzioni metodologiche e interpretative elaborate in relazione all’inquadra- mento dell’interesse protetto nella tutela penale dell’onore: le concezioni ‘fattua- le’ e ‘normativa’. La prima configura l’onore come sentimento individuale, o, in riferimento alle condotte di diffamazione, come elemento sociopsicologico su base collettiva; secondo la concezione normativa, cui possono affiancarsi le successive rielaborazioni in chiave di concezione ‘mista’, l’onore è da intendersi come riflesso del valore dell’individuo in quanto tale, ossia come proiezione del- la dignità umana. Nel discorso penalistico sull’onore emergono in nuce que- stioni di fondamentale importanza: il rapporto tra dimensione fattuale e proie- zione normativa dello stato psicologico associabile al concetto di onore non è altro che la ricaduta settoriale di un nodo problematico che ricorre di fronte a ogni tipo di sentimento evocato dal diritto come oggetto di tutela. Nella dottri- na italiana, ex plurimis, MUSCO, Bene giuridico e tutela dell’onore; SIRACUSANO, Problemi e prospettive della tutela penale dell’onore, Verso un nuovo codice penale. Itinerari, problemi, prospettive, Milano; GULLO, Diffamazione e legittimazione dell’intervento penale. Contributo a una riforma dei delitti contro l’onore, Roma; per un’originale riela- borazione del tema, v. TESAURO, La diffamazione come reato debole e incerto, Torino. Sensibilità individuali e libertà di espressione di diritti di libertà e doveri di rispetto, con tutte le complessità che ne discendono in termini di bilanciamento. Esporremo i tratti salienti di tali modelli sulla base del pensiero di due autorevoli studiosi che hanno a nostro avviso contribuito a mostrarne le coordinate fondamentali. 2. Approccio ‘naturalistico-emozionale’ Intendiamo come ‘naturalistico-emozionale’ un modello di inter- vento che assuma a riferimento primario la dimensione naturalistica del sentire, identificata in manifestazioni di reattività emotiva cui il diritto attribuisca rilevanza tramite la costruzione di precetti fondati su eventi di tipo psichico. Una simile prospettiva, nel caso sia volta a preservare la sfera psi- cologica degli individui da turbamenti emotivi dovuti alla semplice cognizione o al contatto ravvicinato con esternazioni di opinioni, comunicazione di contenuti di pensiero o più in generale con atteg- giamenti che suscitino contrasto fra sostenitori di visioni del mondo diverse, appare un’opzione fortemente problematica, e con buona probabilità impraticabile. Obiettare la mancanza di un’offesa significativa dal punto di vista penalistico è però un argomento non decisivo se si apre la riflessione alle concettualizzazioni di matrice anglo-americana dei cosiddetti Harm Principle e Offense Principle 21: da questo punto di vista non è af- 21 Constatata la crisi del cosiddetto ‘bene giuridico’, anche nella dottrina italiana si è fatto sempre più concreto l’interesse per le categorie dello Harm e dell’Offense, ricostruite soprattutto sulla base del pensiero di Feinberg. Nella letteratura italiana il pensiero di Feinberg è stato fra i temi privilegiati di recenti studi collettanei dedicati al tema della legittimazione del diritto penale: v. a cura di Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale, cit.; a cura di Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale, cit.; si veda lo studio monografico di FRANCOLINI, Ab- bandonare il bene giuridico? Una prospettiva procedurale per la legittimazione del di- ritto penale, Torino; fra gli articoli in cui si ‘dialoga’ con le categorie feinberghiane v. CADOPPI, Liberalismo, paternalismo e diritto penale.; ID., Presentazione. Principio del danno (Harm Principle) e limiti del diritto penale, in AA.VV., a cura di Cadoppi, Laicità, valori e diritto penale, cit., pp. VII ss.; FORTI, Principio del danno e legittimazione “personalistica” della tutela penale, in AA.VV., a cura di Fiandaca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale; FIANDACA, Laicità, danno criminale e modelli di democrazia, in AA.VV., a cura di Ri- sicato-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali, cit., pp. 18 ss.; ID., Diritto penale, tipi di morale e tipi di democrazia, a cura di Fianda-  Tra sentimenti ed eguale rispetto fatto scontato che una tutela di meri sentimenti, o, più propriamente, volta a evitare emozioni negative, sia estranea all’ambito della penaliz- zazione legittima, ma si tratta al contrario di un problema aperto. Le categorie del pensiero giuridico anglo-americano sono partico- larmente efficaci nell’illustrare la stratificazione di soglie di offesa che possono ipoteticamente essere addotte per legittimare interventi penali: il discorso è infatti aperto non solo al danno, lo Harm, ma anche a forme di interferenza con interessi della persona meno incisive, ossia l’Offense, traducibile come ‘molestia’ 22. In particolare, è l’Offense Prin- ciple la categoria che meglio si presta a riassumere il tipo di offese che si legano al contatto sgradito con determinati atteggiamenti e contenuti espressivi. ca-Francolini, Sulla legittimazione del diritto penale, cit., pp. 153 ss. DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti, cit., ROMANO, Danno a sé stessi, pa- ternalismo legale e limiti del diritto penale, cit.; PULITANÒ, Paternalismo penale, cit.; ID., voce Offensività del reato (principio di), in Enciclopedia del diritto, Annali VIII, Milano; DE MAGLIE, Punire le condotte immorali? L’approccio feinberghiano ha suscitato interesse anche in Germania, per quanto, come espressamente affermato da Tatiana Hörnle, fino ai primi anni Duemila non sia stato oggetto di particolari approfondimenti, forse anche, secondo la Hörnle, per la mancata traduzione dei testi di Feinberg in tedesco, v. HÖRNLE, Offensive Beha- viour and German Penal Law, in 5 Buffalo Criminal Law Review, anche per una sintetica analisi delle concettualizzazioni feinberghiane in rapporto al diritto penale tedesco. 22 Va specificato che l’atteggiamento di maggiore o minore apertura a principi di legittimazione diversi dallo Harm Principle discende da pregiudiziali politico- filosofiche: ad esempio, secondo una posizione di ‘liberalismo estremo’ solo il principio del danno (Harm) dovrebbe costituire criterio legittimo di incrimina- zione. In questo senso la posizione di Joel Feinberg si presenta più aperta, poiché non esclude che fra le ‘buone ragioni’ vi possano essere criteri complementari allo Harm: è Feinberg, sostanzialmente, che amplia il discorso al c.d. offense principle, v. CADOPPI, Liberalismo, paternalismo; cfr. FIANDACA, Diritto pe- nale, tipi di morale, cit., p. 156. 23 Il concetto di Harm di matrice feinberghiana non corrisponde in toto a quel- lo che ha trovato successivamente applicazione nel sistema statunitense: lo Harm è stato oggetto di una dilatazione che ha portato ad allargarne lo spettro di rilevanza, e molti dei problemi collocati da Feinberg nell’Offense sono ricollocati oggi in una versione più estesa dello Harm; per una sintesi v. DE MAGLIE, Punire le con- dotte immorali?, cit., pp. 947 ss. Si veda anche infra, nota 65. Sull’applicazione dello Harm a problemi concernenti la libertà di espressione v. COHEN, Psychologi- cal Harm and Free Speech on Campus, in 54 Society, 2017, pp. 321 ss. Harm e Of- fense non sono incompatibili fra loro, ma come principi di sistema possono inte- ragire in termini di complementarietà, ossia è possibile che alcune norme dell’or- dinamento penale si legittimino in nome dello Harm Principle e altre in norme dell’Offense Principle. Non va peraltro dimenticato che «I principi compendiano le ragioni morali che possono sostenere le proibizioni penali [...] servono a circo-   Sensibilità individuali e libertà di espressione 113 Illustriamo tali concetti attraverso un cursorio richiamo alla più importante elaborazione sul tema, ossia lo studio di Joel Feinberg dedicato ai limiti morali del diritto penale e in particolare al tema dell’Offense Principle. La prospettiva dell’Offense secondo Joel Feinberg Cominciamo da un’importante distinzione: secondo Feinberg quando si parla di tutela della tranquillità psichica volta a evitare reazioni di disgusto, di rabbia e altre emozioni negative, bisogna di- stinguere fra molestie in cui vi è la compresenza di soggetto attivo e vittima, fondate su percezioni di tipo visivo, uditivo o olfattivo, e altre condotte tali da poter suscitare sensazioni sgradite pur senza un rap- porto di diretta percezione, ma semplicemente a seguito della presa di conoscenza. Nel primo caso si tratta della cosiddette ‘nuisance’, ossia offese ai sensi: nelle ‘mere offensive nuisance’ il torto (wrong) coincide ed è in- scindibile dall’esperienza di percezione visiva, uditiva, olfattiva o tattile. Nel secondo caso si tratta di forme di molestia, cosiddette profound offenses’, le quali attingono una sensibilità di ordine più elevato e sono tali da indurre sofferenza e disagio anche quando non vi sia percezione sensoriale diretta. Le ‘profound offenses’ si differenziano dalle nuisances in quanto potrebbero continuare a provocare fastidio anche dopo l’iniziale presa di conoscenza: esempi addotti da Feinberg sono il voyeurismo, la propaganda nazista e razzista in generale, le offese a simboli civili e religiosi, l’oltraggio a cadaveri; una dimen- scrivere l’ambito all’interno del quale la restrizione della libertà dei consociati è, secondo la concezione che li sostiene, moralmente legittima: ma non escludono le ulteriori valutazioni di utilità sociale e di effettiva opportunità che un determina- to legislatore positivo dovrà compiere prima di decidere se dovrà emanare o meno una norma penale», v. FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico, cit., p. 78. 24 FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others, New York-Oxford, 1985. Una versione in nuce dell’elaborazione feinberghiana sullo Harm e Offense Principle, precedente alla tetralogia sui limiti morali del diritto penale, è contenuta in FEINBERG, Filosofia sociale, tr. it., Milano. It is experiencing the conduct, not merely knowing about it, that of- fends», FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others, FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others. Tra sentimenti ed eguale rispetto sione che potremmo definire di ‘sensibilità morale’ nella quale la le- sione si lega a qualcosa di esterno al soggetto e viene definita ‘pro- fonda’ a causa del suo impatto su una sensibilità non meramente ‘epidermica’, e che non dipende dall’effettivo coinvolgimento emotivo di individui determinati. Quanto all’eventuale rilevanza penale, per Feinberg le profund offenses che non siano contemporaneamente anche nuisances, ossia commesse in un luogo pubblico e percepite da soggetti terzi, non do- vrebbero rientrare nell’area di criminalizzazione legittima coperta dall’Offense Principle. Con un’importante conseguenza: se le offese a sensibilità di alto livello non vengono realizzate attraverso condotte in grado di colpire anche la sensibilità di soggetti presenti, potrebbe escludersi la loro incriminabilità secondo il criterio dell’Offense, e si dovrebbe far ricorso a principi di legittimazione differenti, e del tutto distonici rispetto alle prospettive liberali: il moralismo giuridico 28. In secondo luogo, anche se si interpretasse il pensiero feinber- ghiano ammettendo che le cosiddette ‘profund offenses’ possano teo- ricamente costituire oggetto di incriminazione in quanto riconducibi- li all’Offense Principle, resta il fatto che i criteri di bilanciamento che Feinberg enuncia come ‘massime di mediazione’ porrebbero un serio ostacolo all’incriminazione di offese a sensibilità di ‘alto livello’ 29. Fra 27 Per una sintesi v. FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico? È l’opinione di FRANCOLINI, Abbandonare il bene giuridico. Sui rapporti tra Offense Principle e Harmless Wrongdoing v. FEINBERG, The Moral Limits of Criminal Law, Harmless Wrongdoing, Oxford; ID., Filosofia sociale. Per una sintesi v. FIANDACA, Punire la semplice immoralità?MAGLIE, Punire le condotte immorali? FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, vol. II, Offense to Others. Nella teorizzazione feinberghiana il provare un’emozione negativa non è requisito che esaurisce gli elementi costituitivi dell’offense: condotte in grado di suscitare nei terzi sensazioni sgradevoli possono scaturire da attività che fanno parte dell’agire quotidiano di ogni individuo, attività comprese nella normale vita di relazione, e che tuttavia possono produrre quelli che sono dei cosiddetti ‘stati mentali sgraditi’. Per ovviare a possibili eccessi, Feinberg rimarca l’esigenza di elaborare dei criteri di bilanciamento che operino nel senso di restringere l’ambi- to di criminalizzazione della molestia. Secondo le ‘massime di mediazione’ da lui elaborate, va esaminato il limite della cosiddetta seriousness della molestia, e del- la reasonableness della condotta attiva: in sintesi, la serietà della molestia dipende dalla sua intensità, dalla durata; dall’estensione; dal grado di evitabilità (la difficoltà di sottrarsi senza inconvenienti alla situazione in cui si è assistito alla mole- stia è un parametro per la gravità della condotta attiva); dalla massima del con- senso, per cui l’assunzione volontaria del rischio di incorrere nelle condotte di   Sensibilità individuali e libertà di espressione i parametri di selezione vi è infatti quello della ‘ragionevolezza’ del- l’offesa, valutabile attraverso i criteri dell’importanza che la condotta riveste per l’agente, e dell’eventuale utilità sociale della condotta stes- sa, con la conseguenza che azioni pur offensive, ma che siano al con- tempo forme di espressione dell’individuo, potrebbero essere consi- derate lecite in forza del valore individualistico (importanza per l’agen- te) e collettivistico (utilità sociale) della condotta 30. In relazione alla suscettibilità individuale, Feinberg è categorico nel porre un’obiezione alla tutela di soggetti caratterizzati da un’ab- norme emotività, definendoli ‘cavalli capricciosi’ (skittish horses): quan- to più un soggetto è emotivamente suscettibile, tanto meno potrà pre- tendere che il diritto penale assecondi le sue pretese 31. Fin qui la teorizzazione di Feinberg sembrerebbe sostanzialmente contraria all’incriminazione di condotte che offendano valori e sensi- bilità di ordine elevato. Se dovessimo proiettare le categorie feinberghiane nel diritto ita- liano potremmo associare tendenzialmente la c.d. tutela di ‘sentimen- ti-valori’ alle ‘profund offenses’, come offese ad aspetti concernenti il piano dei valori costitutivi dell’identità morale che attingono strati profondi e relegano in posizione marginale, anche se forse non del tutto irrilevante, il profilo della nuisance 33. offense esclude la rilevanza penale di queste, v. ID., The Moral Limits of the Crimi- nal Law, vol. II, Offense to Others,  «no amount of offensiveness in an expressed opinion can counterbalance the vital social value of allowing unfettered personal expression», FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, Offense to Others, FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, Offense to Others. Negli Stati Uniti d’America si è recentemente sviluppato un dibattito avente ad oggetto la libertà di espressione nei campus e nei college, in relazione alla sensibi- lità degli studenti e alla possibilità che un’assoluta deregolamentazione della li- bertà di manifestare il proprio pensiero si riveli loro pregiudizievole: il tema è no- to come ‘Snowflakes’ (letteralmente ‘fiocchi di neve’, appellativo per gli studenti sensibili). L’orientamento maggioritario tende a ritenere illegittime eventuali re- strizioni alla libertà di espressione nei campus, adducendo il fatto che il plurali- smo delle idee, e il confronto anche aspro, è ciò che deve contribuire a formare e rafforzare la personalità degli studenti; per una sintesi di tale posizione v. COHEN, Psychological Harm and Free Speech. Cfr. SPENA, Libertà di espressione e reati di opinione., il quale richiama le sensibilità di alto livello quale chiave di lettura dei c.d. reati d’opinione. Il profilo del turbamento da contatto visivo o comunque fisico assume una rilevanza, quantomeno sul piano della costruzione del tipo di reato, nel caso degli atti osceni; per quanto non si richieda la verifica di un disagio concretamente esperito da qualcuno, la fisionomia del fatto tipico resta basata su un’esperienza Tra sentimenti ed eguale rispetto Inferire dalle teorie feinberghiane l’illegittimità tout court di in- criminazioni come ad esempio la propaganda razzista sarebbe però affrettato: va infatti rimarcato che Feinberg introduce una deroga espressa (ad hoc amendment) alla sua costruzione teorica al fine di dare un fondamento di legittimazione alla criminalizzazione di con- dotte di insulto rivolte a minoranze etniche, razziali, e religiose. Se infatti in linea di principio egli afferma che fra le massime di media- zione vada contemplato anche il cosiddetto ‘standard di universalità’, ossia la verifica che il comportamento offensivo sia ritenuto tale da una considerevole maggioranza di persone prese a campione dall’in- tera popolazione34, e dunque che l’offensività non debba essere dedotta dal capriccio di pochi, nondimeno egli ritiene che vada fatta una deroga nel caso di offese indirizzate a certe minoranze, cui la mag- gioranza potrebbe restare indifferente ma che, agli occhi di Feinberg, dovrebbero meritare una rilevanza normativa. Se da un lato tale eccezione sembra introdurre una falla nella complessiva coerenza dell’impianto teorico feinberghiano, dall’altro lato la deroga evidenzia come anche all’interno di posizioni fortemente li- berali sia avvertita l’esigenza di lasciare aperta la possibilità di limiti a determinate forme e contenuti espressivi: la motivazione non risiede nell’eventuale turbamento emotivo (diversamente ricadrebbe nel di- scorso delle nuisance), ma le ragioni sono più plausibilmente da ricer- carsi sul piano dei principi normativi e, in particolare, in relazione alle modalità tramite le quali una democrazia liberale dovrebbe tutelare le minoranze in una cornice di uguaglianza sostanziale. Appare evidente che la partita decisiva si gioca su valori; sia il principio dello Harm, sia il principio dell’Offense, non possono fare affidamento una base oggettiva e neutrale al punto da poter prescin- dere da una preliminare scelta assiologica su quali siano gli interessi la cui lesione deve essere considerata rilevante 36 e soprattutto su co- visiva, e che dunque richiede un contatto fra soggetti e non può limitarsi alla semplice presa di conoscenza. FEINBERG, The Moral Limits of the Criminal Law, Offense to Others. Per un’attenta critica v. MANIACI, Come interpretare il principio del danno, Ragion pratica. FORTI, Per una discussione sui limiti morali del diritto penale, tra visioni “liberali” e paternalismi giuridici, in AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Marinucci; sulla componente valoriale del concetto di danno cfr. FIANDACA, Punire la semplice immoralità? Un vecchio interrogativo che tende a ri- proporsi, in AA.VV., a cura di Cadoppi, Laicità, valori, diritto penale. Sensibilità individuali e libertà di espressione 117 me debbano essere bilanciate le opposte pretese. Nell’impostazione feinberghiana, comunque incentrata su aspetti di sensibilità soggetti- va, tale ruolo è svolto, come detto, dalle c.d. ‘massime di mediazione’; va però osservato che dopo Feinberg l’evoluzione dell’Offense Principle sarà caratterizzato da un processo di depsicologizzazione, il quale conduce a definizioni normativamente più pregnanti, per quanto ancor problematiche, come ad esempio quella proposta da Hirsch. Tirando le fila del discorso, un approccio puramente naturalisti- co-emozionale al problema della tutela di sentimenti appare difficilmente praticabile poiché finirebbe per incrementare la conflittualità. Secondariamente, anche le declinazioni a nostro avviso più vicine all’approccio naturalistico rivelano l’ineludibilità di un filtro norma- tivo delle pretese, volto a distinguere fra atteggiamenti ragionevoli e irragionevoli secondo una prospettiva di tollerabilità sociale. Il passaggio al piano di una considerazione delle emozioni e dei sentimenti da un punto di vista normativo è dunque inevitabile, così come è ine- vitabile far confluire le diverse istanze in una prospettiva di bilan- ciamento. Tale esigenza viene approfondita in particolar modo da Nussbaum, e proprio a partire dalle sue elaborazioni cercheremo di illustrare le coordinate di un approccio alternativo. HIRSCH, The Offence Principle in Criminal Law: Affront to Sensibility or Wrongdoing?, in 11 King’s Law Journal. Il correttivo adottato da Hirsch – il quale ritiene che, inteso come ‘affront to sensibility’, l’Offense Principle sia troppo espansivo – consiste nel valutare la condotta ritenuta offensiva sia secondo parametri di adeguatezza sociale, sia soprattutto includendo nel giudizio il principio morale del reciproco rispetto: «All three reasons invoke convention to give social meaning to the conduct, but entail a further reason of a moral kind, concerned with treating others with proper respect»; v anche ID., I concetti di “danno” e “molestia” come criteri politico-criminali nell’ambito della dottrina pena- listica angloamericana, in AA.VV., a cura di Fiandaca-Francolini. Nel complesso, l’Offense feinberghiana è stata sottoposta a un graduale processo di depsicologizzazione che ne ha ridotto in buona parte il divario con lo Harm; osserva icasticamente HÖRNLE, Offensive Behaviour and German Penal Law, che «If one does not view offense to others as a psychological phenomenon, as does Feinberg, but as a normative concept, the conceptual difference between harm and offense disappears. Tra sentimenti ed eguale rispetto 3. Approccio ‘razionalistico-normativo’: emozioni ragionevoli e irragionevoli secondo Martha Nussbaum Definiamo ‘razionalistico-normativo’ un approccio teorico che su- bordini la rilevanza giuridica di atteggiamenti emotivi e di fatti di sentimento alla valutazione dei relativi contenuti cognitivi, e in parti- colare alla verifica dell’adeguatezza del giudizio di valore alla base dell’atteggiamento emozionale, intesa come consonanza o compatibi- lità rispetto a principi base della convivenza. Martha Nussbaum assume come presupposto l’innegabile rilevan- za del fattore emozionale nel diritto e nelle questioni di etica pubbli- ca, sostenendo la necessità di un ‘buon uso’ delle emozioni, non di un avallo acritico, alla luce di ragioni che si intrecciano con profili di psicologia sociale e con valori di fondo connessi ai sistemi politici e ai modelli di democrazia. Per ora ci limitiamo a sintetizzare il cuore della prospettiva politi- co-normativa della Nussbaum, al fine di evidenziare come, rispetto alla teorizzazione di Feinberg, la componente sensoriale-emotiva ri- sulti decisamente in secondo piano. L’obiettivo che emerge dalle ope- re della Nussbaum è l’educazione dei legislatori e dei giudici a un ascolto critico e consapevole delle emozioni individuali e collettive, finalizzato a gettare luce sul riconoscimento di diritti e a non asse- condare atteggiamenti fondati su generalizzazioni e stereotipi di- scriminatori che collidono con i valori di una democrazia liberale. Secondo la Nussbaum, l’emozione ha un ruolo rilevante nella for- mazione delle opinioni e dei giudizi dell’individuo, non è un moto cieco e irriflesso ma implica credenze che possono essere più o meno attendibili o ragionevoli. È fondamentale inter- rogarsi sui contenuti di pensiero alla base delle emozioni per poter maturare un atteggiamento selettivo sul piano giuridico: «[i] giudizi sulle credenze valutative sono essenziali per il ruolo giocato dalle emozioni nel diritto»38. Conseguentemente, l’etica pubblica non do- vrebbe essere fondata su una matrice puramente emotiva: risulta es- senziale un filtro normativo, ossia un passaggio di confronto fra l’emozione in senso psicologico, i fondamenti cognitivi e un’assiologia [H. P. GRICE, THE CONCEPTION OF VALUE] di riferimento. È emblematico il caso di un’emozione particolarmente radicata nelle società umane come il disgusto, il quale nella sua dimensione primaria ha la funzione di proteggere l’essere umano da fattori con-  38 NUSSBAUM, Nascondere l’umanità, cit., p. 53.  Sensibilità individuali e libertà di espressione 119 taminanti, rappresentando un fondamentale strumento di sopravvi- venza in rapporto a un’importante sfida adattiva 39: quella di evitare il contatto con sostanze pericolose o nocive per la salute, stando ad esempio lontano da corpi in decomposizione, non abbeverandosi o nutrendosi da fonti di potenziali malattie et similia. Il disgusto esiste per condurre l’essere umano a un approccio se- lettivo, la cui traiettoria era, in origine, rivolta a oggetti cosiddetti ‘pri- mari’ (sangue, feci, sperma, urina, muco, cadaveri), e che con l’evolu- zione dei contesti culturali e delle norme sociali ha subìto un riadat- tamento in termini di proiezione40. Si parla di disgusto ‘proiettivo’ per indicare il caso in cui tale emozione si rivolga a individui o a gruppi di individui in virtù di un’associazione immaginativa deter- minata da norme sociali o dallo stretto contatto del gruppo con og- getti ‘primari’ del disgusto 41. In questo modo esso rischia di farsi por- tatore di una carica discriminatoria poiché si lega a idee di contami- nazione e a un rifiuto dell’animalità (e dunque della limitatezza e del- la mortalità) umana che conduce all’emarginazione e alla stigmatiz- zazione di ciò che può essere percepito come anomalo o ‘diverso’42, fino all’avversione verso soggetti riconducibili a cosiddetti ‘gruppi impopolari’ (minoranze razziali, ebrei, omosessuali, ecc.). Le riflessioni di Martha Nussbaum rappresentano un’importante coordinata riguardo al problema della tutela di sentimenti, per quan- to vadano fatte alcune precisazioni: l’oggetto principale delle analisi della studiosa sono gli atteggiamenti emozionali collettivi e i loro riflessi sul piano delle scelte di politica del diritto e, in particolare, di politica penale. In che termini tali indicazioni possono essere utiliz- 39 HAIDT, Menti tribali.Come osservano gli antropologi Sperber e Hirschfeld, citati da Haidt, bisogna distinguere tra fattori di attivazione originari, ossia gli oggetti per i quali la funzione adattiva è stata progettata dall’evoluzione, e fattori scatenanti che possono accidentalmente attivare quella reazione, anche in assenza di pericoli reali, in forza di percezioni erronee dovute a distorsioni sensoriali o a condizionamenti socio-culturali. Osserva Haidt che le variazioni cultu- rali della morale si possono in parte spiegare con il fatto che le culture sono in grado di ridurre o moltiplicare il numero di fattori scatenanti attuali di un qual- siasi modulo», v. HAIDT, Menti tribali. NUSSBAUM, Disgusto e umanità. NUSSBAUM, Nascondere l’umanità. Per una diversa opinione, volta a sottolineare aspetti in relazione ai quali l’emozione del disgusto può risul- tare importante nel giudizio morale e, secondo gli esempi riportati dall’Autore, anche nelle dinamiche del giudizio penale, v. KAHAN, The Progressive Appropria- tion of Disgust, in AA.VV., ed. by Bandes, The Passions of Law. Tra sentimenti ed eguale rispetto zate relativamente ai problemi concernenti la libertà di espressione e il rispetto dei sentimenti altrui? Il suggerimento traibile dalle riflessioni della Nussbaum concerne l’esigenza di verificare in quale misura eventuali richieste di tutela per un dato sentimento trovino la propria matrice in atteggiamenti che, ad un’attenta valutazione sul piano cognitivo-razionale, rivelano una tendenza al rifiuto dell’altro, e dunque una portata sostanzial- mente discriminatoria. Ci sembra un avvertimento quantomeno opportuno e ben spendi- bile in rapporto alle odierne politiche penali, in cui l’ascolto di emo- zioni collettive si è talvolta rivelato strumentale all’emanazione di provvedimenti volti a raccogliere consenso43, senza valutare, o me- glio omettendo talvolta volutamente di considerare, se e in che misu- ra certe emozioni siano il riflesso di atteggiamenti che una democra- zia basata su libertà e uguaglianza non dovrebbe assecondare. Il punto nodale per addivenire a un modello di intervento orientato in termini non puramente emozionali è la previa ‘interpretazione’ delle dimensioni di significato di determinante emozioni e sentimen- ti, da considerarsi dunque non nella loro ‘bruta’ naturalità, bensì soppesandone la rilevanza soggettiva e sociale, e bilanciandola con un sistema di diritti di libertà il quale è a sua volta il precipitato di scelte di valore. La questione dell’orizzonte assiologico cui fare riferimento è cen- trale sia per inquadrare la fisionomia del modello normativo sia per il successivo sviluppo del discorso concernente gli equilibri relativi ai rapporti fra sensibilità soggettive e libertà di espressione.  43 Il problema rimanda al tema del cosiddetto ‘populismo penale’: per una pa- noramica v. PULITANÒ, Populismi e penale. Sull’attuale situazione spirituale della giustizia penale, in Criminalia, 2013, pp. 125 ss.; FIANDACA, Populismo politico e populismo giudiziario, in Criminalia. Sensibilità individuali e libertà di espressione SEZIONE II Coordinate assiologiche «Quando sento parlare di idee liberali mi meraviglio sempre di come gli uo- mini giochino volentieri con parole vuote: un’idea non può essere liberale! Deve essere vigorosa, efficace, in sé compiuta, in modo da adempiere alla sua divina missione di riuscire feconda. Ancor meno può essere liberale il concetto; infatti ha un compito completamente diverso» GOETHE Massime e riflessioni. Non possiamo mai né atteggiarci a difensori radicali del multiculturalismo o dell’individualismo, né essere semplicemente comunitaristi o liberali, modernisti o postmodernisti; dobbiamo essere, al contrario, ora una cosa ora l’altra, a secon- da delle circostanze legate alla ricerca dell’equilibrio WALZER Sulla tolleranza. E NON ABBIAMO CIASCUNO LO STESSO SENTIMENTO? PIRANDELLO (si veda), Il fu Mattia Pascal SOMMARIO: 4. Orizzonte costituzionale e spazio della politica. Dialettica fra prospettive individualiste e collettiviste. Dai valori collettivi all’individualismo democratico. Sentimenti ed emozioni come richiamo metonimico’e personologico. Orizzonte costituzionale e spazio della politica Il modello ‘razionalistico-normativo’ appare quello più funzionale allo sviluppo delle nostre riflessioni, e pone in primo piano la que- stione di quali debbano essere gli assunti valoriali e i principi-guida in rapporto ai quali valutare se determinati ‘sentimenti-valori’ possa- no ragionevolmente accreditarsi come meritevoli di una qualche pro- tezione. Tale problema si articola in diversi piani di analisi: a un primo li- Tra sentimenti ed eguale rispetto vello l’inquadramento di una cornice assiologica è funzionale all’in- terpretazione delle fattispecie vigenti, e trova nella Carta costituzio- nale il referente primario. Come abbiamo avuto modo di osservare, l’impronta ideologica che connota la fisionomia dei reati a tutela di ‘sentimenti’ presenti nel codice penale mostra una distonia rispetto ai principi della Costi- tuzione italiana: nei casi più evidenti ciò ha condotto alla caduta di importanti disposizioni (si pensi all’art. 402 c.p.44), mentre in altri ambiti vi è stata una radicale reimpostazione, a livello giurispruden- ziale, della prospettiva di tutela (si pensi ai reati a tutela della pubbli- ca moralità e del buon costume 45). Negli esempi menzionati si è trattato di eliminare contrasti la cui evidenza ha reso sostanzialmente agevole all’interprete capire quale potesse essere la strada ‘giusta’, o, più cautamente, la soluzione meno in contrasto con la Carta fondamentale, facendo leva in particolare sul connubio fra uguaglianza e laicità: l’uguaglianza ha costituito il parametro costituzionale fondamentale46, mentre attraverso il prin- cipio supremo di laicità 47 la Corte ha delineato la cornice assiologica di base, riconoscendo espressamente il pluralismo come un valore, non solo come un dato di fatto. V. supra per i riferimenti alla giurisprudenza di legittimità e costituzionale. 46 Si basa sul principio di uguaglianza il nucleo motivazionale della sentenza C. cost., n. 508/2000; per una contestualizzazione di tale pronuncia nel quadro della giurisprudenza costituzionale in materia di uguaglianza, v. DODARO, Uguaglianza e diritto penale. Relativamente al tema del buon costume, la giurisprudenza costituzionale non è mai arrivata a pronunce di illegittimità, ma solo perché «il principio di conservazione dei valori giuridici – tanto più in casi in cui la dichiarazione d’illegittimità costituzionale comporterebbe, quanto- meno per qualche tempo, l’impunità anche di comportamenti che il legislatore considera inequivocabilmente come illeciti penali – impone il mantenimento in vita di una norma di legge quando a questa possa essere riconosciuto almeno un significato conforme a Costituzione»: con queste parole la Corte, con la sentenza, ha salvato la norma che incrimina le pubblicazioni oscene rimar- cando la necessità di un’interpretazione adeguatrice coerente con gli artt. 21, 27, 2, 3, 13 e 25 Cost. Sulla laicità come principio supremo, o più precisamente come ‘meta- principio’, v., nel contesto penalistico, PALIERO, La laicità penale alla sfida del ‘se- colo delle paure’, in Riv. it. dir. proc. pen. Questo il messaggio fondamentale che ci sembra leggibile nel richiamo al principio di laicità che «[caratterizza] in senso pluralistico la forma del nostro Stato, entro il quale hanno da convivere, in uguaglianza di libertà, fedi, culture e   Sensibilità individuali e libertà di espressione Vi è poi un secondo livello in cui l’individuazione di coordinate assiologiche ‘vincolanti’ a livello costituzionale diviene più sfumato, e meno univoco: il problema emerge sia in relazione al quadro di in- criminazioni oggi vigenti in cui vengono in gioco bilanciamenti con la libertà di espressione – non solo l’ambito del sentimento religioso ma anche le discusse norme sulla propaganda razzista – e si proietta, con ulteriore complessità, nella riflessione de jure condendo. Il sospetto di una illegittima compressione di spazi di libertà sem- bra richiedere un onere argomentativo più gravoso poiché, pur te- nendo sempre ben presente la bussola assiologica della Costituzione, il giurista penale si trova a doverne constatare la limitata precettività, ossia la compatibilità con un ventaglio di prospettive di segno diverso le quali potrebbero risultare tutte ‘non illegittime’ 49. Proprio quando si fanno più stringenti le esigenze di individuare soluzioni che ambiscano a una legittimazione costituzionale ‘forte’, e specialmente quando le materie da regolare chiedano al diritto prese di posizione che implicano l’assunzione di un punto di vista ideologi- camente pregnante, la speranza di trovare nel testo costituzionale tradizioni diverse», testualmente contenuto nella sentenza (ma si veda anche l’inciso finale della sentenza sulla parziale illegittimità costituzionale dell’incriminazione della bestemmia). Per la distinzione tra pluralismo come fatto e come atteggiamento v. MARCONI, Per la verità. Relativismo e filosofia, Torino.; BARBERIS, Etica per giuristi, Bari.Per una sintesi della portata assiologica e costituzionale del principio di laicità v., ex plurimis, BARBERA, Il cammino della laicità, a cura di Canestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto penale, Bologna; nell’ambito penalistico, con diversità di accenti, v. FIANDACA, Laicità del diritto penale; PULITANÒ, Laicità e diritto penale, cit., pp. 283 ss.; PALAZZO, Laicità del diritto penale e democrazia “sostanziale; CANESTRARI, Laicità e diritto penale nelle democrazie costituzionali, in AA.VV., a cura di Dolcini- Paliero, Studi in onore di Marinucci; EUSEBI, Laicità e dignità umana nel diritto penale (pena, elementi del reato, biogiuridica), in AA.VV., a cura di Bertolino-Forti, Scritti per Federico Stella, Napoli; FORTI, Alla ricerca di un luogo per la laicità: il “potenziale di verità” nelle democrazie libera- li, in AA.VV., a cura di Canestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto penale; ROMANO, Principio di laicità dello Stato, religioni, norme pe- nali, a cura di Canestrari-Stortoni, Valori e secolarizzazione nel diritto penale. Sul tema della laicità del diritto penale e delle connessioni con l’etica cattolica, v., per tutti, STELLA, Laicità dello Stato: fede e diritto penale, in AA.VV., a cura di Marinucci-Dolcini, Diritto penale in trasformazione. FIANDACA, Legalità penale e democrazia, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno. FIANDACA, I temi eticamente sensibili tra ragione pubblica e ragione punitiva, in Riv. it. dir. proc. pen. Tra sentimenti ed eguale rispetto una risposta definitiva deve fare i conti con una vocazione pluralisti- ca della Carta 51, la quale non addita soluzioni univoche ma è «suscet- tibile di subire più interpretazioni e più modalità di attuazione, entro uno spazio di discrezionalità politico-valutativa all’interno del quale nessuna interpretazione o modalità di attuazione può vantare titoli per imporsi come l’unica corretta o, al contrario, essere censurata perché scorretta» 52. Va dunque ridimensionata l’ambizione di usare il testo costituzio- nale come strumento di precisione chirurgica’ per tratteggiare diret- tive univoche che consentano al giurista positivo di accreditare da un punto di vista intraordinamentale risposte concernenti conflitti fra libertà di espressione e sensibilità soggettive. Alla luce di tale panorama si è esortato a fare un uso ‘avveduto e parsimonioso della Costituzione. A nostro avviso, tale uso prudente potrebbe essere accompagnato, financo ‘compensato’, da una rifles- sione che esplori un ulteriore livello di normatività, trascendente sia il contesto codicistico sia l’orizzonte costituzionale, nella consape- Sul pluralismo della Carta costituzionale italiana, in termini problematizzanti, v. ANGIOLINI, Il «pluralismo» nella Costituzione e la Costituzione per il «pluralismo», a cura di Bin-Pinelli, I soggetti del pluralismo nella giurisprudenza costituzionale, Torino. Fra i penalisti, con particolare riferimento al carat- tere non esaustivo dei principi costituzionali per la scelta degli oggetti di tutela, v. PALAZZO, Principi costituzionali, beni giuridici e scelte di criminalizzazione, a cura di Pisani, Studi in memoria di Nuvolone; MANES, Il principio di offensività nel diritto penale.VISCONTI C., Aspetti penalistici; cfr. DONINI, “Danno” e “offesa” nel- la c.d. tutela penale dei sentimenti: «la fondazione positiva di ciò che può essere reato, esige una ricostruzione più complessa, che trova nella Costi- tuzione, per es., solo alcuni, pur rilevanti parametri che convergono insieme nel dare al reato anche un volto positivo di matrice costituzionalistica.Sulla teorizzazione di diversi modelli di rapporto e di conflitto fra principi costituzionali (modello ‘minimalista’ e modello del bilanciamento, a sua volta su- scettibile di essere declinato come modello ‘irenistico’ e modello ‘particolaristi- co’), v. CELANO, Diritti, principi e valori nello Stato costituzionale di diritto: tre ipo- tesi di ricostruzione, in Diritto e questioni pubbliche, Sono parole di VISCONTI C., Aspetti penalistici. Tale istanza metodologica viene tematizzata ad esempio in FIANDACA, I temi eticamente sensibili, quando parla di ‘coordinate teoriche e assio- logiche’ del diritto penale contemporaneo facendo riferimento ai concetti di pluralismo, ragione pubblica, costituzionalismo e laicità. Con riferimento all’ambito costituzionalistico v. SILVESTRI, Dal potere ai princìpi. Libertà ed eguaglianza nel costituzionalismo contemporaneo, Bari. Sul ricorso ad argo- mentazioni morali sostanziali nell’applicazione di disposizioni costituzionali, v. CELANO, Diritti, principi e valori. Sensibilità individuali e libertà di espressione volezza che l’interpretazione delle disposizioni costituzionali sui di- ritti non è questione di pura tecnica giuridica: è questione politica in senso pieno» 56. Tuttavia, anche una volta che ci si spinga al di là dello spazio normativo della Costituzione per far riferimento all’offerta teorica proveniente dall’ambito filosofico-politico i problemi non svaniscono. Nel discorso penalistico è d’uso il richiamo al liberalismo quale teoria politica di riferimento, ma anche tale soluzione non è suffi- ciente a definire prospettive univoche: si parla oggi di «pluralità di liberalismi. Un generico richiamo al liberalismo rischia di dar luogo oggi a una ‘comfort zone’ teoretica la quale non favorisce il confronto fatico- so, e quasi traumatico, con teorie filosofico-politiche che esorbitano da una prospettiva dicotomica ‘liberale-illiberale’. La diversità di vedute concerne principalmente, ma non solo, gli equilibri di priorità fra ‘giusto’ e ‘bene’59, riflesso dell’alternativa fra un liberalismo propriamente politico e un liberalismo eticamente più spesso. PINTORE, I diritti della democrazia, Bari. Malgrado l’aspetto ossimorico dell’espressione ‘diritto penale liberale’, v. FORTI, Per una discussione sui limiti morali, MAFFETTONE, Fondamenti filosofici del liberalismo, in DWORKIN-MAFFETTONE, I fondamenti del liberalismo, Bari. L’osservazione si riferi- sce in primo luogo alla coesistenza di correnti diverse interne all’idea liberale, ma evidenzia come le distinzioni possano dipendere anche dal contesto e dall’ambito disciplinare in cui viene spesa la nozione di ‘liberalismo’: esiste, ad esempio, an- che un «liberalismo dei giuristi più attento alle caratteristiche legali e istituzionali. È il problema nel quale si inscrive la dialettica fra posizioni à la Rawls, so- prattutto il Rawls dell’opera ‘Liberalismo politico’, e posizioni comunitariste. Te- sti di riferimento sono da un lato RAWLS, Liberalismo politico, tr. it. a cura di Fer- rara, Roma, 2008, e per le posizioni comunitariste v. per tutti SANDEL, Il liberali- smo e i limiti della giustizia, tr. it., Milano, 1994. Per una panoramica, v. VECA, La filosofia politica, Bari. In estrema sintesi, si definisce come ‘liberalismo politico’ la teoria che ritie- ne che lo Stato debba assumere a proprio fondamento una concezione morale minimale su cui sia possibile trovare un punto di incontro e di intersezione fra le diverse teorie morali presenti nella società plurale. In questo senso lo Stato do- vrebbe tendere a una neutralità. Dalla parte opposta, si argomenta come la ricer- ca di una neutralità possa portare da un lato a una eccessiva ‘asetticità valoriale’ e finisca per riservare un’attenzione insufficiente al discorso sulle preferenze e sul benessere degli individui, concependo un idealtipo di essere umano eccessiva- mente ‘vuoto’ e poco realistico. Nell’ampio panorama si vedano le declinazioni del Tra sentimenti ed eguale rispetto Nel prendere atto di tale realtà, il giurista penale è chiamato ad adottare uno sguardo più disincantato anche di fronte all’assioma co- stituito dal richiamo a valori liberali. Dire oggi ‘liberalismo’ equivale ad aprire un discorso gravido di implicazioni problematiche: l’Oc-cidente considera oggi scontato il liberalismo, ma fra tutti i concetti etico-politici odierni, forse, non ve n’è uno che sia più di- scusso del concetto di liberalismo» 62. Il liberalismo rappresenta la cornice culturale, più meno consoli- data, nella quale il pensiero giuridico occidentale, e anche il pensiero penalistico italiano, contestualizzano le proprie riflessioni, ma «L’opzione per la democrazia liberale lascia aperti i problemi della po- litica, anche della politica del diritto. Non addita soluzioni obbligate di questioni eticamente sensibili, o anche solo politicamente sensibili. Delinea, e non è poco, una cornice nella quale chiunque può con- frontarsi con ragioni presentate nel quadro di concezioni comprensive anche molto diverse, ma che possano avere qualcosa da dire su punti che interessano specificamente la politica del diritto» 63. È come dire che il rifugio sotto l’ampio ombrello della dizione ‘li- berale’ non è sufficiente a esaurire gli oneri argomentativi con cui il giurista contemporaneo dovrebbe sostenere una posizione di fronte a temi ad elevato tasso di pregnanza etica ed esposti a una marcata di- screzionalità politica 64. problema elaborate da DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale, in DWOR- KIN-MAFFETTONE, I fondamenti del liberalismo. (strategia della discontinuità e della continuità), e da MAFFETTONE, Fondamenti filosofici del liberalismo. (liberalismo critico e liberalismo realista). Sul tema si ve dano inoltre, ex plurimis, NUSSBAUM, Perfectionist Liberalism and Political Libera- lism, Philosophy and Public Affairs; KYMLICKA, Liberal Indivi- dualism and Liberal Neutrality, Ethics; per una sintesi del dibattito a partire dalle critiche di Dworkin a Rawls v. VIOLA, Liberalismo e liberalismi, in Per la filosofia/ Sul tema della neutralità, o maggiore in- clusività del liberalismo politico rawlsiano, v., ex plurimis, DEL BÒ, La neutralità politica in John Rawls, in Materiali per una storia della cultura giuridica. In ambito penalistico, per un’approfondita rielaborazione di tali problemi v. FORTI, Per una discussione sui limiti morali, DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale, BARBERIS, Etica per giuristi, PULITANÒ, Diritto penale, V ed., Torino. Più diffusamente, FIANDACA, I temi eticamente sensibili; con approccio simile, sebbene con accenti differenti che lo pongono più vicino alle posizioni rawlsiane, PULITANÒ, Diritti umani e diritto penale, in Riv. it.   Sensibilità individuali e libertà di espressione A ben vedere un mero richiamo al liberalismo assume oggi una funzione metaetica, ossia è un presupposto per avviare un discorso su problemi pertinenti la dimensione etica sostanziale: le questioni più spinose prendono corpo in un contesto che dà per acquisiti diritti di libertà, ma è sui contenuti e sulle modalità di esercizio di determi- nati diritti nei rapporti fra individui che si annidano le complessità. Dialettica fra prospettive individualiste e collettiviste Alla luce del quadro descritto, è comprensibile che lo studioso di problemi penali sia chiamato in definitiva a elaborare proposte ‘poli- tiche’ nel senso nobile del termine, ossia a disegnare prospettive di politica del diritto e a emanciparsi da abiti mentali «che postulano una sorta di obbligo di prestazione scientifica consistente nel conce- pire modelli dogmatici di interpretazione del (presunto) sistema su- scettibili in quanto tali di fissare a priori, con nettezza e definitività, quel che è o non è legittimo trarre penalmente ai sensi della Costitu- zione» 66. L’individuazione di traiettorie assiologiche è l’esito di scelte che riflettono inevitabilmente le precomprensioni e la posizione valo- riale dell’interprete, in un contesto di non-neutralità. Cercheremo a questo punto di formulare ipotesi e proposte a par- tire da quella che ci sembra essere l’alternativa di fondo su cui si è imperniata fino ad oggi la discussione sul sentimento come problema di tutela nel contesto italiano, ossia se esso debba intendersi come richiamo ad atmosfere emozionali diffuse, e che si traducono in for- me di presidio a ideologie e concezioni valoriali proprie della mag- gioranza, oppure se nel richiamo al sentire umano sia rintracciabile dir proc. pen., rimarca l’esigenza di tenere ben pre- sente a livello concettuale la distinzione fra valori politici e valori morali, pur ri- conoscendo l’impossibilità di posizioni neutrali. Tale processo di complessificazione della prospettiva liberale si riflette an- che su categorie del pensiero giuridico. È importante notare come il principio del danno, lo Harm, abbia subito un graduale ampliamento dovuto non a una rifor- mulazione della struttura del concetto, bensì legato all’accentuarsi della proble- maticità delle premesse politico-filosofiche che ne guidano l’applicazione: è la ‘mappa del liberalismo’ a essere cambiata, osserva HARCOURT, The Collapse of the Harm Principle, The Journal of Criminal Law and Criminology, passando da un orizzonte basato sull’alternativa liberale-illiberale, a una pro- spettiva modulata su differenti modelli di liberalismo (Harcourt parla espressa- mente di ‘liberalismo progressista’ e ‘liberalismo conservatore. VISCONTI C., Aspetti penalistici. Tra sentimenti ed eguale rispetto una istanza normativa differente, in grado di dare risalto alla dimen- sione del singolo e al connotato personalistico della Costituzione sen- za necessariamente confluire in un approccio ‘naturalistico-emozio- nale’ modulato su soggettivismi. Come osservato, nelle fattispecie dell’ordinamento italiano i ‘sen- timenti’ tutelati sono parte di una sfera emotiva sociale, ossia ‘atmo- sfere emozionali’ legate a valori assunti in un’ottica collettiva. Il sog- getto portatore degli interessi tutelati è un’entità plurale, una molti- tudine impersonale caratterizzata da valori asseritamente comuni. Nell’attuale momento storico la reificazione di entità definite come ‘valori collettivi’ non appare più legata a una retorica statocentrica, ma si presenta piuttosto come possibile reazione a un indebolimento del- l’omogeneità etica e culturale indotto dal pluralismo fattuale. Il principio di massima è che il sentimento, anche quando rileva come fatto di coscienza individuale, rileva nella misura in cui è collegato ad un fatto non individuale, appunto a un modo di sentire sociale, a un’atmosfera emoziona- le socialmente diffusa e divisa in più o meno larghi ambiti da un’intera comuni- tà», v. FALZEA, I fatti di sentimento, cit., p. 320. Si valuti ad esempio l’interesse de- nominato ‘sentimento religioso’: il codice Rocco si pone a tutela, nelle rubriche e nella sostanza, alla sola ‘religione di Stato’. È interessante notare come anche do- po l’entrata in vigore della Carta costituzionale, l’oggetto di tutela viene ricostrui- to in un’ottica prettamente collettivistica che privilegia il dato dell’adesione quan- titativa. Pensiamo agli argomenti che la giurisprudenza costituzionale italiana ha adoperato per motivare il differenziato regime di tutela penale del culto cattolico, sia precedentemente sia successivamente alla modifica del Concordato: la Corte parla di «antica ininterrotta tradizione del popolo italiano, la quasi tota- lità del quale ad essa sempre appartiene», e ne legittima la tutela penale in quanto «professata nello Stato italiano dalla quasi totalità dei suoi cittadini, e come tale è meritevole di particolare tutela penale, per la maggiore ampiezza e intensità delle reazioni sociali naturalmente suscitate dalle offese ad essa dirette in quanto l’universalità di tradizioni e di sentimenti cattolici nella vita del popo- lo italiano è rimasta, senza possibilità di dubbio, immutata con l’avvento della Costituzione», C. cost., n. 79/1958. Per una riflessione penalistica sul pluralismo delle fedi in Italia v. VISCONTI C., La tutela penale della religione; per una panoramica extragiuridica v. GARELLI, Il sentimento religioso in Italia, in Il Mulino. L’impatto della pluralità nella società contemporanea è parte di un processo «che vede la graduale erosione del fondamento tradizionalistico e religioso dei co- stumi e delle istituzioni a vantaggio della coscienza personale, vede crescere l’am- bito delle opzioni soggette al libero esame e all’adesione interiore, e assottigliarsi, per così dire, lo spessore di oggettività degli oggetti sociali. Questo processo di “umanizzazione” – di riconduzione ai suoi soggetti ultimi, le persone umane – della vita sociale corrisponde anche a una progressiva estensione dell’ambito delle opzio- ni soggette alla scelta e responsabilità degli individui, e alla giurisdizione della ra- gione», v. DE MONTICELLI, La questione morale, Milano. Sensibilità individuali e libertà di espressione  In ambito sociologico si riassume tale fenomeno affermando che la modernità pluralizza e deistituzionalizza69. La pluralizzazione na- sce dall’incontro di gruppi diversi, chiamati a condividere territori e spazi comuni in situazioni di mescolanza nelle quali diviene più dif- ficile, se non addirittura impossibile, addivenire a un consenso cogni- tivo e normativo, ossia a una visione del mondo omogenea e condivi- sa. L’allargamento del mercato delle idee moltiplica la possibilità di approcci alternativi alla realtà e contribuisce in questo senso a rende- re la costruzione della propria identità una questione di scelte e non l’esito scontato di programmi socialmente precostituiti. A seconda delle cadenze, l’appello a valori comuni giustificati sulla base di un sentire condiviso può rivelare sfumature di autoritarismo etico, soprattutto quando il ‘sentire comune’ sia addotto per sottoli- neare contrapposizioni sul piano valoriale: paradossalmente l’appello a un substrato di emozionalità condivisa può essere adoperato al fine di marcare differenze in termini di esclusione piuttosto che di inclu- sione. Fino a che punto ciò risulta compatibile con i valori di una demo- crazia liberale? Anche in questo caso l’appello al paradigma liberale non è suffi- ciente a definire risposte univoche, mantenendo aperti spazi di di- screzionalità politica, e in particolare rimandando alla discussione concernente l’alternativa fra un liberalismo di tipo ‘individualistico’ e un liberalismo di marca ‘comunitarista’. Le differenze fra le due cor- renti investono diversi profili della teoria politica; in estrema sintesi, secondo le teorie comunitariste «la comunità viene assunta ora come nucleo centrale di un paradigma normativo, a carattere etico o politi- co, ora come uno standard meta-etico, un parametro per la giustifi- cazione dei valori [cf. H. P. GRICE, THE CONCEPTION OF VALUE – AXIOLOGY]; l’approccio individualista, più vicino al modello BERGER-ZIJDERVELD, Elogio del dubbio. Come avere convinzioni senza diven- tare fanatici, tr. it., Bologna. Di fronte alle dinamiche di relativizzazione indotte dall’incremento di plura- lità nel tessuto sociale gli individui tendono a erigere delle ‘difese cognitive’, ossia ad affidarsi a esercizi mentali e strategie per mantenere alta la visione del mondo e l’approccio alla realtà a cui si dà credito. Nelle società contemporanee tale fe- nomeno può avere riflessi nelle determinazioni di politica del diritto: per placare l’ansia scaturita dall’irrompere della relativizzazione si erigono difese cognitive istituzionali, strumentalizzando il diritto quale veicolo promotore di valori identi- tari, v. BERGER-ZIJDERVELD, Elogio del dubbio. PARIOTTI, voce Comunitarismo, in Enciclopedia filosofica. Tra sentimenti ed eguale rispetto liberale classico, pone al centro dell’orizzonte etico e normativo l’in- dividuo, non la comunità. A partire da queste premesse, si riflette anche nella prospettiva giuridica l’alternativa fra una declinazione del problema di tutela del sentimento incentrato sul momento di condivisione collettiva, ancor- ché parziale e non universalistica, e una diversa prospettiva che met- ta al centro l’individuo e le sue libertà da bilanciarsi in un’ottica di reciprocità egualitaria con i propri simili. 4.2. Dai valori collettivi all’individualismo democratico Autorevoli esponenti del pensiero liberale hanno criticato a fondo l’evocazione di valori collettivi [H. P. GRICE, THE CONCEPTION OF VALUE – AXIOLOGY]: uno Stato che assegni rilevanza 72 Per un quadro ricostruttivo si vedano i saggi contenuti in AA.VV., a cura di Ferrara, Liberalismo e comunitarismo, Roma, 2000; FERRARA, Introduzione, in AA.VV., a cura di Ferrara, Liberalismo e comunitarismo; per una definizione d’individualismo comprensivo e una ricostruzione critica v. LARMORE, Dare ra- gioni. Il soggetto, l’etica, la politica, Torino, 2008, pp. 119 ss. La distinzione fra li- beralismo di marca individualista e comunitario emerge anche nel discorso di Joel Feinberg. L’Autore specifica che la sua aderenza all’idea liberale va conte- stualizzata: Feinberg sembra prendere con cautela, financo negare, la propria aderenza all’idea liberale classica secondo la quale autonomia dell’individuo e comunità costituirebbero due antitesi; nel discorso sulla legittimazione del diritto penale il filosofo americano dichiara di adoperare una concezione di liberalismo ‘in a narrow sense’ che non si identifica con un liberalismo estremo inteso quale contrapposizione a un’idea di comunità, v. FEINBERG, Harmless Wrongdoing. Ricordiamo le parole di H. L. A. Hart [citato da H. P. Grice]. “Sembra terribilmente facile pensare che la lealtà verso i principi democratici esiga che si accetti ciò che possiamo chiamare populismo morale: l’idea che la maggioranza ha un diritto morale a stabilire come tutti devono vivere. L’errore fondamentale consiste nel non distinguere il principio accettabile secondo il quale il potere politico è meglio affidato alla maggioranza, dalla pretesa inaccettabile che ciò che la maggioranza fa con quel potere, sia al di sopra di ogni critica e che non ci si possa mai opporre ad esso. Nessuno può dirsi democratico se non accetta il primo di questi principi, ma nessun democratico è tenuto ad accettare il secondo. v. H. L. A. HART [citato da H. P. Grice], Diritto, morale e libertà. Si tratta della ben nota risposta che il FILOSOFO OXONIESE da a Devlin, e al suo ‘The Enforcement of Morals’, nel quale si riconduce la moralità all’atteggiamento etico dominante nella popolazione: «Every moral judgement, unless it claims a divine source, is simply a feeling that no right-minded man could behave in any other way without admitting that he was doing wrong. It is the power of a common sense and not the power of reason that is behind the judgements of society, v. DEVLIN, The Enforcement of Morals, New York-Toronto. Sensibilità individuali e libertà di espressione 131 normativa a un particolare modo di dar valore a oggetti e idee in quanto condiviso dalla maggioranza, sta di fatto considerando gli appartenenti alla maggioranza in una condizione privilegiata rispetto agli altri cittadini. In altri termini, è ben possibile che il principio di maggioranza trasmodi in un principio di tracotanza. Più recentemente, nell’ambito della filosofia analitica, si è affer- mato che il tema dei valori condivisi è una «questione relativa alle credenze o alle opinioni condivise, secondo le quali una o più cose pos- siedono un certo valore» 76. Quando si cerca di spiegare a quali condi- zioni un certo valore possa dirsi ‘condiviso’, la motivazione più sem- plice e più immediata è la cosiddetta ‘teoria sommativa’: si ha condi- visione quando la maggior parte dei membri di un dato contesto o di una comunità assegnano valore alla medesima cosa. La domanda a questo punto è se una spiegazione sommativa sia sufficiente per affermare che in una società vi è realmente condivi- sione di valori, e, di conseguenza, per ritenere che ciascun soggetto abbia lo status, ossia la legittimazione, per pretendere che il compor- tamento dei propri simili debba essere rispettoso e coerente con i va- lori condivisi dalla maggioranza. Si è osservato che «se due o più persone hanno una certa opinio- ne, esse possiedono, evidentemente, un certo grado di identità quali- tativa. In generale, tuttavia, tale identità fornisce agli individui umani soltanto una forma superficiale di unità. I valori condivisi in senso sommativo uniscono soltanto in un modo superficiale. In altri termini, un riscontro storico-quantitativo della massiva adesione a un determinato valore in una società non dovrebbe esse- re considerato elemento sufficiente a fondare alcun tipo di pretesa nei confronti dei cittadini, salvo il caso di un impegno espresso Ex plurimis, VIOLA, Il principio di maggioranza e la verità in una democrazia, in Dialoghi. H. L. A. HART [citato da H. P. Grice], Diritto, morale e libertà, GILBERT, Il noi collettivo. Impegno congiunto e mondo sociale, tr. it., Milano. GILBERT, Il noi collettivo. Una critica alla concezione ‘sommativa’ della democrazia è leggibile, a no- stro avviso, anche nelle parole di chi, nella dottrina penalistica, ha sottolineato che aderire al metodo democratico non significa acconsentire alle idee dei più, bensì optare per una modalità collettiva, comunitaria, consensuale di creazione delle regole – valide poi per tutti – non fondate sul fattore-forza. La legalità democratica richiede ben oltre complesse tecniche di calcolo, l’adesione convinta a principi formulati in modo condiviso e perciò corresponsabilmente vincolanti»,  Tra sentimenti ed eguale rispetto che le parti accettino consapevolmente. Il sentire umano, nelle forme del sentimento e dell’emozione, è fattore di diversità, ma è anche, di base, il correlato fenomenico di un’uguaglianza di fondo fra individui resi al contempo uguali e diver- si dalle disposizioni del sentire: uguali in potenza, diversi in atto. La varietà di soglie di sensibilità, di assiologie personali e di repertori emotivi dei singoli sono parte di una dotazione universalmente con- divisa: tutti gli esseri umani (in assenza di condizioni patologiche) provano emozioni e sentimenti, e sulla base di tale potenzialità co- mune prende successivamente corpo la diversità. Per cercare di dare rilievo alla dimensione del sentire quale con- notato a vocazione universalistica, e non semplicemente quale base di frammentazione e di rivendica, ci sembra ragionevole prendere le distanze da strumentalizzazioni del sentimento in chiave identitaria, per riorientare la prospettiva a partire da diritti di libertà funzionali a consentire a ciascun cittadino di vivere la propria ASSIOLOGIA [cf. H. P. GRICE, THE CONCEPT OF VALUE] vocazionale. La sfida che sentimenti ed emozioni pongono oggi al diritto pena- le si focalizza sul riconoscimento di un’eguale dignità fra persone concretamente diverse, nella consapevolezza della varietà di preferen- v. MAZZUCATO, Dal buio delle pene alla luce dei precetti. Anche EUSEBI, Laicità e dignità umana nel diritto penale, sottolinea che il principio di laicità richiede che le regole giuridiche di uno Stato non siano configurate secon- do ciò che è comprensibile solo nell’ambito di una specifica concezione morale anche se maggioritaria. L’elemento dirimente, e necessario, affinché si passi da una semplice condi- visione in senso sommativo a una condivisione tale da poter generare unità socia- le, è, secondo Margaret Gilbert, il cosiddetto ‘impegno congiunto’: «l’impegno congiunto è l’impegno a credere come un corpo unitario che una certa cosa C ab- bia un determinato valore V», v. GILBERT, Il noi collettivo. Gilbert, pur non discostandosi da un piano analitico-concettuale, non tralascia considerazioni su profili più propriamente politici: «[e]videntemente, il fatto che si abbia lo sta- tus per fare pressione sugli altri, se gli altri agiscono nell’inosservanza di un certo valore, non implica né che, in fin dei conti, si debba esercitare questa pressione, né che, in virtù di un impegno, si abbia ragione di farlo». Il caveat più significati- vo si rivolge, non a caso, all’ipotesi di adoperare il diritto penale quale strumento per la salvaguardia di valori collettivi. Anche in presenza di valori che possono dirsi ‘collettivi’ in virtù di presupposti assimilabili all’idea di ‘impegno congiunto’, e non solo di una mera spiegazione sommativa, la legittimità della pretesa di im- porre il rispetto di tali valori con strumenti normativi dipende da considerazioni sostanziali sul merito dei valori assunti a riferimento, sulla loro ‘correttezza’. ‘Va- lore collettivo’ non è di per sé sinonimo di un sentire corretto. Traggo l’espressione e il concetto da DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. Sensibilità individuali e libertà di espressione 133 ze e dei molteplici, possibili stili e concezioni della vita buona. In questo senso appare importante evidenziare la matrice indivi- dualistica dei diritti di libertà: significa che prima viene l’individuo, si badi, l’individuo singolo, che ha valore di per se stesso, e poi viene lo stato e non viceversa, che lo stato è fatto per l’individuo e non l’individuo per lo stato» 81. Col richiamo al momento individualistico non intendiamo adom- brare la vocazione solidaristica e la proiezione relazionale dei diritti di libertà, ben leggibile nelle trame della Carta costituzionale. Riteniamo però che il problema della tutela di sentimenti debba essere oggetto di un deciso cambio di prospettiva che rompa con la tradi- zione del passato, nella quale il richiamo alla socialità era divenuto sinonimo di ‘statualità’, di dominio della collettività sul singolo, di assorbimento dell’individuo nel gruppo. Si rende in questo senso ne- cessario rinsaldare la connessione fra il sentimento e il principio per- sonalistico che pone «a base di tutto il sistema di rapporti fra stato e singoli l’esigenza di rispetto della persona, della ‘dignità’ corrispon- dente alla qualità dell’uomo come tale, quale che sia la posizione sociale rivestita. Rispetto alla retorica comunitarista-identitaria, un’alternativa che emerge oggi nel pensiero politico e che a nostro avviso si candida come sintesi ragionevole tra individualismo e ottica solidaristica, è il cosid- detto ‘individualismo democratico’ elaborato da Nadia Urbinat: una 81 BOBBIO, L’età dei diritti, Torino. Nel panorama penalistico si sof- ferma sul fondamento individualistico dei diritti PULITANÒ, Diritti umani e diritto penale. Il rapporto fra liberalismo e attenzione alle differenze è teorizzato in modo peculiare da Rosenfeld, il quale contrappone il liberalismo in senso classico, di marca individualistica, a una posizione politica che riconosce valore alla pluralità, da Rosenfeld definita ‘pluralism’, e che saremmo portati a tradurre con ‘liberalismo pluralista’. La distinzione di Rosenfeld non ci sembra però tesa a confutare la matrice individualistica dei diritti di libertà, ma a sottoli- neare come l’attenzione alla dimensione del singolo, tipica del liberalismo classi- co, risulti poco funzionale alla tematizzazione delle appartenenze e dell’identità: v. ROSENFELD, Equality and the Dialectic between Identity and Difference, in AA.VV., ed. by Payrow Shabani, Multiculturalism and Law: A Critical Debate, Wales, Ex plurimis, RIDOLA, Diritti fondamentali. Un’introduzione, Torino. In ambito penalistico si è sottolineato l’intreccio e la reciproca interdipen- denza tra profilo personalistico e collettivistico di determinati interessi di tutela, v. DE FRANCESCO, Costituzione, persona, comunità: beni giuridici e programmi di tutela nella dinamiche della vicenda penale, in Dir. pen. proc. MORTATI, Istituzioni di diritto pubblico, I, Padova. Si tratta di un concetto che sottende una ben definita visione antropologica:   134 Tra sentimenti ed eguale rispetto reinterpretazione del concetto di individualismo classico, volta a di- stinguerlo dal negativo accostamento all’idea di egoismo, di ‘anarchia soggettiva’, di motore disgregativo a livello sociale. Il concetto di ‘individualismo democratico’ implica rispetto reci- proco e non-omologazione; una visione che si pone in antitesi sia con un individualismo egoistico che traduca disinteresse per la cosa pub- blica, sia con forme di comunitarismo identitario che comprimereb- bero l’individualità attraverso politiche di assimilazionismo e di im- posizione di ideali della vita buona. Come osserva la Urbinati: «Il problema sta quindi nel modo di concepire la comunità, poiché è evidente che le comunità totalizzanti e ascrittive sono in conflitto con l’individualismo democratico come lo sono con l’eguale diritto alla di- gnità e all’eguaglianza della legge. Rispetto alla reificazione dei legami identitari, il richiamo alla “divinità” di ciascun individuo e al di- ritto che ciascuno ha di contraddirsi per restare coerente a se stesso suona come un invito tutt’altro che anacronistico a situare la supre- mazia nella ragione e nel carattere, rovesciando i criteri di selezione dei valori, facendo cioè della persona stessa il fulcro senza il quale nessuna comunità potrebbe esistere» 85. In quest’ottica, il legame fra sentimenti e individualità può acqui- stare una valenza normativa come presupposto del riconoscimento dovuto agli uomini in quanto agenti morali 86. Vi sono diversità fat- tuali che derivano dalla eterogeneità nel sentire, le quali invocano un sostegno normativo come riconoscimento di libertà e uguaglianza in la democrazia non è solo una forma di governo ma anche e prima di tutto una ricca cultura dell’individualità. L’individuo democratico è simile ma non identico a quello liberale ed economico perché non pensato come un essere puramente razionale che sceglie fra opzioni diverse in una condizione ipotetica di perfetta informazione e libertà; e nemmeno come un individuo neutro, vuoto di specificità culturali, economiche o di genere. È invece una persona che ha un senso morale della propria indipendenza e dignità e agisce mossa da passioni ed emozioni al- trettanto forti delle ragioni e degli interessi; che non è soltanto concentrata sulle proprie realizzazioni, ma anche emotivamente disposta verso gli altri per le ragioni più diverse, come l’empatia, la curiosità, la volontà imitativa, il piacere di sperimentare» URBINATI, Liberi e uguali. Contro l’ideologia individualista, Roma- Bari. URBINATI, Liberi e uguali. Sul tema è fondamentale l’approfondita analisi di un Autore tendenzialmen- te vicino alle posizioni comunitariste: TAYLOR, La politica del riconoscimento, in HABERMAS-TAYLOR, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, tr. it., Milano. Sensibilità individuali e libertà di espressione 135 dignità e diritti87. La tutela delle libertà è la dimensione prioritaria; nondimeno, in nome di esigenze legate al riconoscimento, e in parti- colare tese a evitare il disconoscimento, si può porre il problema di interventi normativi al fine di salvaguardare equilibri di rispetto È su questo crinale che si impernia la questione che definiamo ‘tu- tela di sentimenti’ 89. 5. Sentimenti ed emozioni come richiamo ‘metonimico’ e personologico Cercando di tirare le somme del discorso, date le suddette pre- messe filosofico-politiche, quale può essere la sostanza normativa da identificarsi con il ‘sentimento’? Esclusa l’ipostatizzazione di atteggiamenti emozionali su base maggioritaria, riteniamo che una visione alternativa dovrebbe incen- trare la prospettiva sul significato del sentimento come marcatore dell’originalità individuale che si interlaccia con le trame costitutive della personalità morale di un soggetto. Definiamo tale prospettiva come ‘personologica’ per evidenziarne la peculiarità rispetto a una più generica definizione come personalistica. Il termine personologia in uso nelle discipline psicologiche e filosofiche, designa, nel suo significato minimale, il discorso sulle caratteristi- che dell’individuo inteso come soggetto non riducibile alle dimensioni mentale e corporea 90, ma come esito di un’interazione con gli altri e con la realtà, all’interno di un percorso biologico e biografico unico e irripe- tibile. Questa impresa conoscitiva trova sviluppo soprattutto in seno alla Sul rapporto tra dati di natura e dimensione dei diritti, fondamentale HER- SCH, I diritti umani da un punto di vista filosofico, tr. it., a cura di De Vecchi, Milano. L’individuo delle democrazie si ciba [di riconoscimento e per questa ragione ha bisogno di essere circondato da simili, da chi è parte di una comunità di significato e di riferimento e con cui è possibile condividere una lingua, dei se- gni convenzionali che consentano una comunicazione immediata, delle tradizioni che facciano sentire sicuri e protetti», v. URBINATI, Liberi e uguali. Condivisibilmente, nella dottrina penalistica, v. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. Testo di riferimento è MARGOLIS, Persons and Minds. The Prospects of Nonre- ductive Materialism, Boston. Tra sentimenti ed eguale rispetto psicologia e alla filosofia; non intendiamo però ricalcare le categorizzazioni elaborate in ambito filosofico sui rapporti fra personologia e personalismo. Nel discorso giuridico, e in particolare penalistico, si usa parlare di personalismo e di concezioni personalistiche per indi- care prospettive teoriche che mettono al centro dell’orizzonte assio- logico la persona umana92 e che si impegnano conseguentemente a riconoscere in essa il punto di riferimento ultimo di norme e di problemi di tutela. Perché allora parlare anche di ‘personologico’? Dalla prospettiva filosofica riteniamo utile mutuare la definizione di personologia come ‘discorso su ciò che una persona è’93, in un quadro che non si riduce alle funzioni psichiche, concependo dunque sentimenti ed emozioni non solo come addentellato fenomenico che rimanda a stati contingenti e a moti interiori, ma come elementi co- stitutivi che concorrono a definire le disposizioni individuali e la complessiva ‘fisionomia morale’ della persona. È di secondaria importanza l’eventuale puntualizzazione se si stia in questo modo richiamando il sentimento in senso stretto ovvero l’emozione; è invece importante evidenziare che la rispondenza col mondo dei fenomeni affettivi deriva dalla connessione con ciò che abbiamo definito ‘stati disposizionali’: disposizioni del sentire, ossia coordinate costitutive della personalità morale dell’individuo, e non semplicemente reazioni episodiche. Nella prospettiva giuridico-penalistica, e con particolare riferi- mento ai rapporti fra libertà di espressione e reciproco rispetto, il ri- chiamo a sentimenti ed emozioni può ragionevolmente costituire una coordinata descrittiva dell’oggetto di tutela in senso simbolico, trasla- to, o meglio metonimico, come elementi che rimandano al substrato In ambito filosofico si distingue tra personologia e personalismo: Roberta De Monticelli intende col primo termine «una teoria della realtà di ciò che noi siamo», mentre il personalismo «è una tendenza più che una teoria» e i per- sonalismi del secolo scorso possono definirsi come «visioni del mondo cui “sta a cuore” una certa interpretazione della condizione umana», v. DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, cit., p. 30. La distinzione appare più sfumata nella definizione di MIANO, voce Personalismo, in Enciclopedia filosofica, secondo il quale IN SENSO LATO (cf. H. P. Grie, LOOSE] è personalistica ogni filosofia che rivendichi la di- gnità ontologica, gnoseologica, morale, sociale della persona, contro le negazioni materialistiche o immanentistiche. In senso rigoroso si dice filosofia personalisti- ca o personalismo la dottrina che accentra nel concetto di persona il significato della realtà». 92 Per una sintesi, v. CANALE, Persona, a cura di Ricciardi-Rossetti- Velluzzi, Filosofia del diritto. Norme, concetti, argomenti, Roma. Sensibilità individuali e libertà di espressione 137 più profondamente identificativo dell’essenza individuale: si menzio- na la parte (il sentimento o l’emozione), per additare il tutto (la per- sona) 94. Dire ‘tutela di sentimenti’ equivale a dire ‘tutela della persona e della sua libertà di vivere ed essere riconosciuto come soggetto di pari dignità nella propria personale ‘assiologia vocazionale’ 95. Non ci si deve dunque limitare alla presa in considerazione di fe- nomeni psichici ‘bruti’, ma si deve guardare ad essi come segno di individualità che chiedono di essere tutelate nelle libertà e che al con- tempo non possono ritenersi titolari di prerogative assolute: l’indi- viduo è uno, ma è al contempo anche ciascuno96, ossia vive in un contesto di relazioni che implicano diritti e doveri. 94 L’antropologia alla base del pensiero di Martha Nussbaum è basata sul fatto che «le emozioni sembrano essere eudaimonistiche, ovvero concernenti il prosperare della persona», v. NUSSBAUM, L’intelligenza delle emozioni, Il legame tra sentire e sviluppo della persona, inteso come realizzazione del sé, emerge anche in altri filosofi, quando si definiscono le emozioni come ‘atti di base’ che esprimono ‘posizionalità assiologica’, ossia il «realizzare la salienza, o valenza o valore negativo o positivo della data cosa o situazione», v. DE MONTICELLI, La novità di ognuno, cit., pp. 195 ss.; non dunque risposte automatiche bensì posizionali, le quali possono es- sere più o meno appropriate, ma comunque rappresentano una parte fondamentale di ciò che una persona è, della sua struttura morale, «che è insieme velata e svelata dall’espressività personale: la quale indica infine lo stato in cui la persona si trova rispetto alla fioritura nuova che solo lei poteva portare al mondo» EAD., La novità di ognuno. In particolare attraverso il concetto di ‘posizionalità’ si osserva che la persona umana si costituisce nella propria individualità essenziale attraverso ‘atti’: con tale termine si vuole porre una fondamentale distinzione fra ciò che la persona ‘compie’, rispetto agli ‘eventi’ in cui un soggetto è coinvolto; l’atto comporta sempre un presa di posizione relativamente a un dato oggetto, e «[m]ediante le pre- se di posizione, e dunque, mediante gli atti, noi rispondiamo alla realtà circostante. Una risposta si distingue da una reazione precisamente in virtù della presa di posi- zione in essa contenuta. In ogni presa di posizione, pulsa, per così dire, l’individuo personale che mediante le sue prese di posizione costantemente si costituisce e si definisce», v. EAD., La novità di ognuno. Si è parlato di costituzionalizzazione della coscienza delle persone per sottolineare la rilevanza di «tutto ciò che la persona considera in coscienza come strettamente richiesto per la propria realizzazione, riconoscendo diritti collegati alle richieste d’identità e di libertà di scelta», v. VIOLA, Multiculturalismo, valori comuni, diritto penale, a cura di Risicato-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Vi è un termine che ci sembra possa definire la portata accomunante e al contempo differenziante dei fenomeni affettivi: ciascunità. Lo prendiamo in prestito dal lessico psicanalitico, in particolare da HILLMAN, Il codice dell’anima, tr. it., Milano. In questo caso ci atteniamo però a un senso più let- terale-etimologico che all’accezione specifica elaborata dallo psicologo statuni- tense: ‘ciascuno’ è pronome che indica la totalità in modo non indistinto e sper- sonalizzante, bensì richiamando l’attenzione sui singoli. Tra sentimenti ed eguale rispetto In assenza di tale filtro normativo fondato sul valore dell’ugua- glianza, il richiamo a sentimenti ed emozioni può rappresentare una china scivolosa, poiché il debordare del discorso sul piano emozionale rischia di innescare un processo che altera la fisionomia delle questio- ni, relegandole a una dimensione di micro-conflittualità soggettiva. Si rischia in altri termini di alimentare ciò che la sociologa Isabel- la Turnaturi ha eloquentemente definito ‘rivendicazionismo psicolo- gico’: «un nuovo campo di battaglia in cui gli individui oppongono l’uno al- l’altro le proprie emozioni. Vissuti, percezioni, sensibilità si confrontano e si scontrano quotidianamente e conflitti sociali, di genere e culturali si spostano sul piano dei rapporti interpersonali. L’uguaglianza dei di- ritti si sposta sul campo emozionale, ciascuno è sempre più attento alle proprie emozioni e pretende per queste rispetto, attenzione e libertà di espressione-esibizione. La valorizzazione della sofferenza psicologi- ca e le narrazioni di sé affidate a un linguaggio esclusivamente psicolo- gico mentre pongono l’accento sull’individuo cercano l’origine di torti e offese subiti nell’appartenenza a un gruppo etnico, di genere, o nella condivisione di preferenze sessuali. Se sono i sentimenti a riscrivere la storia tutto può essere ri-narrato e ri-costruito secondo i punti di vista di chi sente offesa oggi la propria sensibilità. Tutto viene affogato in un confuso mare magnum sentimentale, in un apparente coinvolgimen- to emotivo che soffoca ogni forma di distanza al rispetto e riconosci- mento reciproco. Quel diritto di ciascuno alla propria narrazione, giu- stamente rivendicato, andrebbe forse declinato in un linguaggio meno psicologico e psicologistico, imposto nel discorso pubblico con la forza dell’argomentazione, ancorato a una cultura dei diritti liberata dalla co- lonizzazione emotiva. Il discorso politico mostra una sempre più accentuata tendenza al linguag- gio psicologistico ed emotivo, e più in generale tutta la comunicazione pubblica è problematicamente invasa da «confessioni, narrazioni, biografie, programmi e proclami politici che mettono in primo piano emozioni e passioni. Al discorso pubblico e in pubblico, possibile solo se rispettoso della propria e altrui discrezione e della distanza fra sé e l’altro, si è sostituito il discorso emozionale, il di- scorso marmellata dove tutto diviene appiccicoso e dolciastro, dove ogni distanza fra Io e Tu, fra me e l’altro viene annullata nel mare di un presunto coinvolgimento», v. TURNATURI, Emozioni: maneggiare con cura, prefazione a ILLOUZ, Intimità fredde. Le emozioni nella società dei consumi, tr. it., Milano. Eloquente è l’espressione con cui ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho penal, cit., p. 64, sintetizza il problema di una soggettivizzazione incentrata su aspetti di rettività emotiva: «¿Un derecho penal de sujetos pasivos? TURNATURI, Emozioni: maneggiare con cura. Sensibilità individuali e libertà di espressione L’approccio del diritto non può assecondare il rivendicazionismo psicologico ma deve essere declinato in termini ‘razionalistico-nor- mativi’ facendo riferimento a «norme o principi che si difendono e argomentano in quanto dotati di universalità, cioè in linea di prin- cipio valevoli per tutti coloro che si trovano nella medesima situazio- ne esistenziale» 99. Identifichiamo dunque sentimenti ed emozioni come ‘matrici di diversità’ tali da sollecitare la prospettiva penalistica in relazione al- l’esigenza di gestire equilibri di rispetto reciproco nella società plura- le di fronte a condotte in cui si manifesta l’‘originalità’ degli individui in quanto caratterizzati da culture, concezioni di valore, stili di vita, che ne identificano la personalità: da una parte richieste di libertà per poter affermare le proprie visioni del mondo e per vivere confor- memente a ciò in cui si crede; dall’altra parte istanze simmetriche, fondate sui medesimi contenuti ma di segno opposto, che chiedono a loro volta riconoscimento e rispetto attraverso l’altrui astensione da un certo tipo di espressioni e di comportamenti. Sinossi Delineate le coordinate teoriche per lo studio dei rapporti fra di- mensione emotiva e diritto penale e, in particolare, del sentimento quale problema di tutela, l’indagine si focalizza sui rapporti fra sen- sibilità soggettive e libertà di espressione. A suggerire l’approfondimento di tale specifica questione sono sia ragioni concernenti gli interessi emergenti dalle norme codicistiche, sia esigenze legate alla sempre viva, e per molti versi crescente, conflit- tualità che si registra nel discorso pubblico delle società occidentali. Il richiamo a sentimenti ed emozioni può costituire un’utile coordinata esplicativa, a patto di chiarire in che termini i problemi legati alla libertà di espressione possano essere intesi anche come ‘fatti di sentimento’. Gli approcci di fondo sono a nostro avviso fondamen- talmente due: il primo, che definiamo ‘naturalistico-emozionale’, è incentrato sul turbamento psicologico che può discendere dall’essere oggetto di determinate espressioni o dal contatto con determinate manifestazioni espressive; il secondo, che definiamo ‘razionalistico- normativo’, mette al centro l’analisi critica dell’emozione o del senti- VIOLA, Multiculturalismo, valori comuni, diritto penale. Tra sentimenti ed eguale rispetto mento addotti quale ragione di potenziali divieti, al fine di verificarne la razionalità e la consonanza in rapporto ai valori e ai principi as- sunti quale riferimento per la regolamentazione politica. La partita decisiva si gioca sul piano delle alternative filosofico- politiche che concorrono a definire i tratti dei differenti, possibili modelli di democrazia. Con riguardo alla tutela di sentimenti, la scelta di fondo – probabilmente quella logicamente prioritaria – è fra l’avallo di interpretazioni del problema in chiave collettivistico-co- munitarista oppure in chiave soggettivo-individualistica. Sulla base delle istanze evidenziate dalla teorica dell’individua- lismo democratico, come elaborato da Nadia Urbinati, riteniamo che si debba in primo luogo emancipare la tutela di sentimenti da forme di presidio al sentire della maggioranza, interpretando il richiamo a fenomeni affettivi come forma metonimica tesa a evocare simboli- camente la persona nella sua dimensione di soggetto morale, riassu- mendone contemporaneamente, quale duplice faccia nello stesso ele- mento, la dotazione universalmente condivisa in termini egualitari (il provare sentimenti ed emozioni di ciascun individuo) e gli esiti po- tenzialmente conflittuali (la diversità nel sentire). La pretesa normativa definita ‘tutela di sentimenti’ viene così a identificarsi con un progetto teso a garantire il reciproco rispetto a partire da una cornice assiologica di libertà e pari dignità. FISIONOMIA DELL’OFFESA Oltre i sentimenti: gli interessi in gioco SOMMARIO Temi ‘sensibili’ e discorso pubblico: esempi guida. Sensibilità religiosa. Sentimento del pudore e pari dignità sessuale. Apparte- nenza e gruppalità. Rispetto, riconoscimento, stima reciproca. Pari dignità ed eguale rispetto. Bilanciare le pretese. Dignità e capacità umane. Rispetto di sé e umiliazione: la concezione di Margalit. Ai confini fra critica e discriminazione. Offesa ai sentimenti e offesa alla dignità nello hate speech secondo Waldron. Ermeneutica del fatto ed ermeneutica della norma. Temi ‘sensibili’ e discorso pubblico: esempi guida Cerchiamo a questo punto di dare una fisionomia più definita ai conflitti legati alla sensibilità degli individui. In un importante studio di fine anni Novanta, il giurista Richard Abel parlava emblematicamente di ‘lotte per il rispetto’ per indicare il tipo di contesa dialettica che contraddistingueva il dibattito sulla pornografia, il contrasto al discorso razzista e le prese di posizione seguite alla pubblicazione di opere ritenute blasfeme in quanto criti- che o irridenti verso temi religiosi 1. Storie che hanno un nucleo co- mune, le definisce Abel, poiché «investono valori che ispirano emo-  ABEL, La parola e il rispetto, tr. it., Milano. Tra sentimenti ed eguale rispetto zioni profonde» 2. In relazione a temi di questo tipo eventuali espres- sioni di critica o di scherno sono in grado di attivare reazioni anche su scala collettiva, estendendo la dimensione dei problemi fino a coinvolgere l’ordine pubblico di singole realtà nazionali e anche del panorama globale. Lo scenario contemporaneo non si discosta più di tanto dal quadro tracciato qualche decennio fa da Abel: razza/etnia, fede religiosa/cre- denze, modi di concepire e vivere l’identità sessuale, sono ancora oggi ambiti tematici in grado di accendere conflittualità esorbitanti da un ordinario dissenso, dando luogo a un tipo particolare di scontro fra soggetti che ha a che vedere con la concrezione di affetti, interessi, ragioni e pregiudizi contrastanti che si fronteggiano e che paiono o sono fortemente vitali per coloro che ne sono portatori o portati» 3. Una dialettica ad alto tasso emotivo, nella quale emergono veri e propri ‘campi minati’ che potremmo definire ‘argomenti-trigger’, i quali hanno contribuito a riportare oggi il tema della libertà di espressione al centro del dibattito pubblico prima ancora che scientifico. Per meglio contestualizzare i problemi esporremo in modo sinte- tico alcune vicende tratte dal panorama nazionale ed europeo. In questa fase dell’indagine non ci concentreremo sulla qualifica- zione giuridica dei fatti, ma riteniamo preferibile individuare una ca- sistica ‘tipologica’ che possa fungere da palestra concettuale per riflettere sulle istanze di tutela che vengono associate a offese a senti- menti. Riportiamo anche episodi di rilevanza non strettamente pena- listica, i quali evidenziano come l’appello a sentimenti non sia conno- tato esclusivo della penalità ma possa presentarsi anche quale giusti- ficazione, più o meno esplicita, di forme differenti di intervento normativo. Attingeremo dal tema della critica/satira su temi religiosi e da epi- sodi concernenti le manifestazioni della sessualità. Riteniamo di non dover introdurre, per il momento, esempi legati al discorso razzista: in questa fase dell’indagine presentare il discorso razzista come pro- blema di sentimenti può essere fuorviante perché limitativo. Nel di- ABEL, La parola e il rispetto, cit., p. 27. 3 CERETTI, Vita offesa, lotta per il riconoscimento e mediazione, in AA.VV., a cura di Scaparro, Il coraggio di mediare. Contesti, teorie e pratiche di risoluzioni al- ternative delle controversie, Milano, definisce tali conflitti ‘di seconda generazione’ per sottolinearne la diversità da quelli che toccano le sfere della ri- produzione materiale-economica e della sfera politica. 4 Per le medesime ragioni, in termini ancora più stringenti, non si presta a fungere da esempio prototipico il problema dell’incriminazione del c.d. negazio-   Fisionomia dell’offesa 143 battito sullo hate speech, categoria nella quale rientra la propaganda razzista, la lettura dell’incriminazione come forma di rassicurazione collettiva e come tutela della sensibilità del soggetto offeso assume una funzione sostanzialmente critica e confutativa rispetto a un mainstream che individua quale interesse di fondo la pari dignità, in- tesa come pericolo di discriminazioni e come offesa a valori sul piano simbolico5. A prescindere dalle diverse formulazioni mediante le quali lo hate speech assume rilevanza normativa nelle singole realtà nazionali, non si tratta a nostro avviso di un esempio prototipico di ambito normativo in cui il sentire, individuale o collettivo, possa concorrere a definire l’oggetto di tutela, per quanto le connessioni ri- spetto al tema in esame siano numerose e feconde, ma necessitino di essere contestualizzate a un livello successivo dell’analisi (vedi infra). nismo, il quale «non può essere inquadrato soltanto come una specie del discorso razzista, v. CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà religiosa: tensioni at- tuali e profili penali, in Riv. it. dir. proc. pen. Fra le diverse istanze addotte a sostegno dell’incriminazione è ravvisabile anche l’offesa a un sentire condiviso, come evidenziato anche da BRUNELLI, Attorno alla punizione del nega- zionismo, in Riv. it. dir. proc. pen., il quale sottolinea in questo senso la differenza fra ‘negazionismo-vilipendio’ e ‘negazionismo-istigazione’; cfr. GUELLA-PICIOCCHI, Libera manifestazione del pensiero. Si veda anche FRONZA, Criminalizzazione del dissenso o tutela del consenso. Profili critici del negazionismo come reato, in Riv. it. dir. proc. pen., la quale mette in evidenza la natura del reato di negazionismo come ‘modello di crimina- lizzazione altamente consensuale’, rispondente ad aspettative e a emozioni della collettività. L’ampiezza e la pluralità di argomenti e controargomenti lascia però in secondo piano la lettura del problema come mera tutela della sensibilità; per una panoramica v. ex plurimis, FRONZA, Il negazionismo come reato, Milano; VISCONTI C., Aspetti penalistici; PULITANÒ, Di fronte al negazioni- smo e al discorso d’odio, in penalecontemporaneo.it, CAPUTO, La “Menzogna di Auschwitz”, le “verità” del diritto penale. La criminalizzazione del c.d. negazionismo tra ordine pubblico, dignità e senso di umanità, in AA.VV., a cura di Forti-Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale. Per un’accurata sintesi delle strategie di legittimazione e degli interessi pro- tetti dall’incriminazione dello hate speech nel panorama internazionale, v. BROWN A., Hate Speech Law; la questione del danno alla sensibilità sogget- tiva e alla tranquillità psichica è trattata. Si è osservato che nella trattazione della tematica delle restrizioni normative allo hate speech sarebbe be- ne evitare generalizzazioni, non solo in relazione alla fenomenologia delle con- dotte, ma anche con riferimento all’individuazione, nella realtà dei diversi ordinamenti, del sistema di prodotti normativi che vanno a costituire ciò che gli stu- diosi definiscono ‘hate speech laws’; si tratta infatti di un insieme eterogeneo, non limitabile ai soli divieti penali, ma composto da statuizioni di diverso tipo che ne- cessitano di strategie di legittimazione differenti.Tra sentimenti ed eguale rispettoSensibilità religiosa Le contingenze storico-politiche suggeriscono di prestare partico- lare attenzione alla questione dei rapporti fra libertà di espressione e rispetto della sensibilità religiosa. L’attuale momento storico si caratterizza per una peculiare aura di passionalità, e purtroppo anche di violenza, che accompagnano una conflittualità per molti versi inedita 6. Le fonti mediatiche ci mettono oggi in condizione di ascoltare la ‘voce’ delle emozioni e di formularne interpretazioni con immedia- tezza; come ha scritto il filosofo Ermanno Bencivenga, dopo i tragici fatti di Charlie Hebdo «[i]nsieme con le emozioni esplosero contenuti intellettuali di ogni genere: commenti e chiarimenti, diagnosi e previ- sioni, giudizi e proposte. Da un lato le emozioni di chi, avvertendo una ferita al proprio sentire religioso, ha agito con brutale violenza; dall’altro un’onda emotiva che di rimando ha stimolato riflessioni e prese di posizione che si sono rivolte non solo contro la condotta omicida, ma talvolta, più radicalmente, anche contro la religione e l’etnia di appartenenza dei soggetti autori del massacro. Per quanto le due posizioni siano del tutto incomparabili, prendere sul serio le emozioni di entrambe le parti è utile per provare a decodificarne le pretese. Le violente reazioni che negli ultimi tempi sono scaturite dalla pubblicazione di vignette satiriche sulla religione musulmana rap- presentano uno fra i tanti casi in cui la causticità di determinate forme di satira ha urtato la sensibilità di credenti di varie fedi religio- se. Riportiamo di seguito una sintesi di alcuni episodi tratti dalle cronache. 6 Una panoramica storica in HARE, Blasphemy and Incitement to Religious Hatred: Free Speech Dogma and Doctrine, in AA.VV., ed. by Hare-Weinstein, Ex- treme Speech and Democracy, Oxford; nella letteratura italiana, v. a cura di Melloni-Cadeddu-Meloni, Blasfemia, diritti e libertà. Una discussione dopo le stragi di Parigi, Bologna, 2015; FLORIS, Libertà di religione e liber- tà di espressione artistica, in Quad. di diritto e politica ecclesiastica; OZZANO, Il fondamentalismo religioso: implicazioni politiche, in Nuova infor- mazione bibliografica. BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Fisionomia dell’offesa 145 Caso 1: da una vignetta rispunta l’accusa di deicidio al popolo ebraico Nell’aprile 2002 un gruppo di palestinesi si rifugia all’interno della Basilica della Natività di Betlemme per sfuggire a una rappresaglia dell’esercito israeliano. I militari israeliani minacciano di entrare nel- la chiesa; chiedono che vengano consegnati loro quattro palestinesi, accusati di aver assassinato Rehavam Zeevi, ministro del governo Sharon. Giorni dopo, nel quotidiano italiano ‘La Stampa’ compare una vi- gnetta di Giorgio Forattini dal titolo ‘Carri armati alla mangiatoia’: la vignetta raffigura un tank israeliano contrassegnato con la stella di David mentre punta il cannone verso una mangiatoia sulla quale un bambino impaurito, chiaramente identificabile con Gesù, esclama: ‘Non vorranno mica farmi fuori un’altra volta?!’. La vignetta provoca lo sdegno e le proteste dell’allora presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Amos Luzzatto. Queste in sinte- si le motivazioni, così riportate da fonte giornalistica: «[u]na vignetta che non esito a definire orripilante. Ritorna così a galla, come da- to indiscutibile a monte della caricatura stessa, l’accusa di deicidio che pareva esser scomparsa dopo il Concilio Vaticano II. E questo proprio nel momento in cui l’Europa è scossa da una nuova ondata di attentati contro le nostre sinagoghe alla valutazione politica si aggiunge la teologia, ovvero la peggiore delle soluzioni. Cresce in modo nascosto e strisciante l’avversità per gli ebrei... Si attribuisce a una fantomatica malvagità giudaica la responsabilità di quanto sta succedendo a Betlemme» 8. Caso 2: le vignette danesi e l’insurrezione del mondo islamico per la rappresentazione del Profeta Il 30 settembre 2005 il quotidiano danese Jyllands Posten pubblica nella versione on line dodici vignette satiriche su Maometto, in una delle quali il Profeta è raffigurato con una bomba al posto del turban- te. Le vignette vengono successivamente ripubblicate da diverse te- state giornalistiche europee, fra cui, il settimanale satirico francese Charlie Hebdo. Le proteste sono immediate sia nel continente europeo sia nei paesi di religione islamica 9: il direttore del giornale danese viene mi- 8 L’Unità. In Danimarca viene avviato un procedimento penale, poi archiviato, per bla- Tra sentimenti ed eguale rispetto nacciato di morte, e nelle settimane successive alla pubblicazione vengono organizzate manifestazioni di protesta da parte di cittadini islamici e anche da parte di esponenti governativi che chiedono al governo danese di formulare delle scuse ufficiali. Dure le prese di po- sizione dei governi di paesi arabi. Una significativa sintesi delle ragioni della protesta si trova nel cosiddetto dossier Akkari-Laban pubblicato da due Imam immigrati in Danimarca. Queste le principali rivendicazioni avanzate dagli Imam: viene chiesto un contatto costruttivo con la stampa ed in particolare con soggetti delle istituzioni (relevant decision makers), non sbrigativo, ma condotto con meticolosità e lungimiranza (with a scientific methodology and a planned and long-term programme) per rimuovere i malintesi tra le due parti. Si afferma che i musulmani non vogliono apparire arretrati e limitati, e non vogliono neppure accusare i danesi d’ideological arrogance. Obiettivo è avere relazioni sicure e stabili, e una Danimarca prospera per tutti. Si lamenta che i fedeli musulmani soffrono la mancanza di un riconoscimento ufficiale della fede islamica, circostanza che ha fra le immediate conseguenze la mancanza del diritto di costruire moschee. Si afferma infine che i musulmani non abbiano bisogno di lezioni di democrazia, e si ritiene ‘dittatoria- le’ e inaccettabile l’attuale modo europeo di concepire e gestire la democrazia 11. Caso 3: una discussa opera teatrale e l’offesa alla religione cattolica Viene presentato in Italia, dopo una tournée densa di polemiche in Francia, lo spettacolo teatrale di CASTELLUCCI (si veda) dal titolo ‘Sul concetto di volto del figlio di Dio’. L’opera rappresenta la storia di un figlio che accudisce il padre, non più autosufficiente. Sullo sfondo della scena, una rappresentazione del volto del Cristo (il famoso ritratto di Antonello da Messina), che a fine spettacolo viene lacerato e fatto oggetto del lancio di varie cose, fra cui del liquido nero da molti interpretato come feci. Malgrado i tentativi dell’autore di spiegare il significato della prosfemia e vilipendio di gruppi di persone. Anche in Francia viene aperto un procedimento contro Charlie Hebdo, poi concluso con un’assoluzione. Una sintesi delle vicenda processuali in BASILE, La pubblicazione delle dodici vignette satiriche sull’Islam costituisce reato in Italia?, in Notizie di Politeia, La Repubblica; La Repubblica 11 Informazioni tratte dalla voce Wikipedia ‘Akkari-Laban dossier’, nella cui pa- gina si trova il link alla versione originale del dossier in lingua araba.   Fisionomia dell’offesa 147 pria opera, lo spettacolo è bersaglio di forti polemiche: si registrano manifestazioni di protesta da parte di alcuni esponenti del mondo cattolico, e anche il Vaticano arriva a definirla «un’opera che offende Gesù e i cristiani. Particolarmente significative le parole usate dal- la Curia milanese in un comunicato ufficiale per criticare la messa in scena al teatro Parenti: si richiama l’esigenza che sia «riconosciuta e rispettata la sensibilità di quanti cittadini milanesi vedono nel Volto di Cristo l’incarnazione di Dio, la pienezza dell’umano e la ragione della propria esistenza [...]», criticando in questo senso una scelta che «avrebbe potuto farsi carico più attentamente della “dimensione sociale” della libertà di espressione Sentimento del pudore e pari dignità sessuale In relazione alle manifestazioni della sessualità emergono problemi differenti rispetto al passato in cui Abel si soffermava sul tema della liceità della pornografia; oggi assumono maggior rilevanza que- stioni legate all’affermazione e al riconoscimento della pari dignità degli orientamenti sessuali sul piano del discorso pubblico e anche della regolamentazione normativa. Al centro dell’attenzione è il fenomeno della cosiddetta ‘omofobia’; nella Risoluzione sull’omofobia in Europa del gennaio del 2006 essa viene definita come «una paura e un’avversione irrazionale nei con- fronti dell’omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali, basata sul pregiudizio e analoga al razzismo, alla xenofobia, all’antisemitismo e al sessismo». La rilevanza penale di espressioni omofobiche è legge in diversi Paesi europei, non ancora in Italia14. Il modello di incriminazione privilegiato fa confluire il discorso omofobico nello hate speech; per Affermazioni di Wells, all’epoca assessore agli Affari generali della Segreteria di Stato vaticana, cui possono affiancarsi, per identità di contenuto, le opinioni di Padre Federico Lombardi, v. Corriere della Sera, Stralcio del comunicato della Curia milanese, così riportato in Avvenire. Una panoramica in GOISIS, Omofobia e diritto penale. Profili comparatistici, in penalecontemporaneo.it; DOLCINI, Omofobia e legge penale. Note a margine di alcune recenti proposte di legge, in Riv. it. dir proc. pen.; ID., Omofobi: nuovi martiri della libertà di manifestazione del pensiero?, in Riv. it. dir proc. pen.; RICCARDI, Omofobia e legge penale. Possibilità e li- miti dell’intervento penale, in penalecontemporaneo.it. Tra sentimenti ed eguale rispetto tali ragioni riteniamo che anche l’insulto omofobico non si presti a essere presentato in prima istanza come condotta offensiva di senti- menti: stati affettivi vengono certo in gioco nelle condotte omofobi- che, ma, come osservato per lo hate speech razzista, adottare come ipotesi di lettura primaria l’offesa a sentimenti rischia di incentrare la prospettiva sulla mera reattività emotiva. Con riferimento al tema della sessualità e della pari dignità degli orientamenti sessuali, si rivelano particolarmente problematiche le invocazioni dell’intervento penale che adducano offese al pudore mo- tivate non dal livello di particolare esplicitezza di condotte sessuali tenute in pubblico, ma in ragione dell’orientamento sessuale dei sog- getti 15. Detto in altri termini: può capitare, ed è capitato, che si invo- chino divieti per condotte sessuali dove il motivo dell’offesa è ricon- ducibile esclusivamente alla tipologia di relazione e dunque al- l’identità e alla dignità sessuale dei soggetti 16. Anche in Italia la stam- pa ha dato notizia di denunce per atti osceni a seguito di semplici ba- ci realizzati in pubblico nel contesto di un rapporto fra soggetti dello stesso sesso, benché nessuno dei procedimenti, per quanto ci è noto, sia giunto a una pronuncia di condanna 17. Caso 4: censura televisiva per un bacio gay Riteniamo particolarmente significativo, per quanto non sia inte- 15 Si veda il vasto, e grottesco, panorama di incriminazioni in vigore negli anni Ottanta in alcuni Stati americani. Definirle ‘leggi antisodomia’ appare improprio poiché i divieti attengono al tipo di atto piuttosto che al contesto della relazione. Ad esempio, in Arizona era penalmente rilevante la condotta di «un individuo che commetta volontariamente e senza costrizione, in qualunque modo innaturale, qualunque atto osceno libidinoso sul o con il corpo o qualunque parte o membro del corpo di un adulto di sesso maschile o femminile, con l’intento di eccitare, solleticare o gratificare la lussuria, la passione, o il desiderio sessuale di una qua- lunque delle persone coinvolte», v. NUSSBAUM, Disgusto e umanità. Le radici storiche del problema riportano alle leggi antisodomia, diffuse so- prattutto in ambito angloamericano; su tale tema in Inghilterra si sviluppò il ce- lebre confronto dialettico tra il filosofo di Oxford Herbert Hart e il giudice Patrick Devlin. Hart si oppose alle tesi moralistiche di Devlin con un’opera divenuta un manifesto del liberalismo giuridico: v. H. L. A. HART [citato da H. P. Grice], Diritto, morale e libertà, cit., 1968; per una sintesi, v. CADOPPI, Moralità e buon costume (delitti contro la) (diritto inglese), in Dig. disc. pen. Si tratta di episodi narrati da organi di stampa; a titolo esemplificativo si veda http://www.umbria24.it/cronaca/perugia-bacio-gay-tra-le-sentinelle-in-piedi- alfano-riferisce-in-aula-diretta-streaming; tg1.rai.it/dl/tg1/2010/articoli/- ContentItem-81e83656-04b5-4485-ac45-e4e5d912bc58.html.   Fisionomia dell’offesa ressato il piano penalistico, un episodio di vera e propria censura nel- la televisione italiana di Stato, espressamente motivata da un ‘eccesso di sensibilità’, che ha portato al taglio e alla mancata messa in onda di una scena comprendente un bacio omosessuale. Viene trasmesso sul canale nazionale italiano Rai 2 la serie tv statunitense ‘Le regole del delitto perfetto’. La puntata va in onda con dei tagli rispetto alla versione origi- nale: vengono infatti rimosse le sequenze ritraenti un bacio fra sog- getti di sesso maschile. A seguito delle polemiche levatesi contro una simile censura, la direttrice di Rai Due commenta «Non c’è stata nes- suna censura, semplicemente un eccesso di pudore dovuto alla sensi- bilità individuale di chi si occupa di confezionare l’edizione delle se- rie per il prime time» 18. 2. Appartenenza e gruppalità Negli argomenti addotti da coloro che lamentano un’offesa rico- nosciamo un’evidente componente emozionale, soprattutto con rife- rimento alla vignetta sulla religione ebraica e nell’opera teatrale con- testata da una parte del mondo cattolico. Nel primo caso lo si può desumere dal lessico (pensiamo alla parola ‘orripilante’ che evoca una sensazione di disgusto); nell’opera teatrale si è criticato soprat- tutto il gesto del lanciare materiali assimilati a feci contro l’immagine del Cristo, azione il cui significato iconoclasta sarebbe stato, forse, percepito in termini più attenuati senza il richiamo (peraltro non univoco) alle feci, e che invece ha indotto nei fedeli una sensazione di ‘disgusto morale’. Nel caso della censura televisiva, la giustificazione offerta in sede pubblica parla di ‘eccessiva sensibilità’ volta a evitare l’offesa al pudore, mentre appaiono più complesse le motivazioni ad- dotte in sede pubblica dai fedeli musulmani con riferimento alle vi- gnette danesi 19. Tutti i suddetti conflitti possono a nostro avviso inquadrarsi in Corriere della Sera.  La reazione all’offesa religiosa si unisce ad argomenti inerenti la situazione politica e le condizioni di vita dei musulmani in Danimarca; al di là della cautela con cui è bene accogliere tali istanze, resta il fatto che la rappresentazione attra- verso le vignette si presta a essere interpretata anche come etichettamento dell’in- tera comunità musulmana nei termini di ‘terrorista’, in questo senso andando ol- tre la semplice irrisione sul piano religioso. Tra sentimenti ed eguale rispetto contrapposizioni di carattere gruppale, nelle quali cioè le ragioni del- lo scontro si legano a profili che sono identificativi di un particolare gruppo o categoria di persone da cui si vuole prendere una ‘distanza’. Intendiamo il concetto di gruppo in un significato più esteso della sola appartenenza etnico-culturale, e che non è limitato a gruppi c.d. ‘minoritari’ o contrapposti alla cultura dominante, ma che è fun- zionale a designare tensioni tra forme di appartenenza che attraver- sano i confini delle singole realtà geopolitiche 21. Un’appartenenza che si radica nel sentire dell’individuo, la cui de- finizione può a nostro avviso esser fatta coincidere con il termine ethos, il quale rimanda letteralmente ai concetti di abitudine e di usanza, intesi come elementi costitutivi della diversità fra popoli e fra individui, e che nella filosofia contemporanea è adoperato per desi- gnare «una complessiva, non necessariamente esplicita, concezione del be- ne, o uno stile di vita, che può anche avere una radice religiosa, e che in molti casi si identifica con la “cultura” di una qualche comunità di appartenenza, con il modo di sentire e giudicare, i costumi, le norme di questa comunità: in questo senso un ethos può definire l’identità culturale o religiosa, e lato sensu morale di una persona. Un’ulteriore connessione può trovarsi nei concetti di categorizzazione e di autocategorizzazione. Secondo quanto osservato in psicologia sociale, il sistema cogniti- vo umano per far fronte alla complessità del mondo esterno sviluppa la tendenza a pensare gli oggetti raggruppandoli in insiemi, accomu- nandoli sulla base di informazioni e di dati estendibili alla totalità di A questo livello non vi sono, a nostro avviso, esigenze penalistiche di delimi- tazione del concetto di appartenenza, le quali invece appaiono evidenti quando il richiamo al gruppo o alla cultura sia funzionale a introdurre eventuali fattori di attenuazione della responsabilità penale, come nel caso dei c.d. ‘reati cultural- mente motivati’. In tale ultimo caso la rilevanza sul piano penalistico è necessa- riamente subordinata a una specificità che deve consentirne l’accertamento in sede processuale: v., per tutti, DE MAGLIE, I reati culturalmente motivati. Ideologie e modelli penali, Pisa, 2010, pp. 25 ss.; EAD., voce Reati culturalmente condizionati, in Enciclopedia del diritto, Annali VII, Milano; in senso lato, il problema può riconnettersi alla categoria generale della c.d. inesigibilità, v., per tutti, FORNASARI, Il principio di inesigibilità nel diritto penale, Padova. Accenna a tale distinzione KYMLICKA, La cittadinanza multiculturale, tr. it., Bologna, MONTICELLI, La questione morale. Fisionomia dell’offesa essi. Tale processo classificatorio può avere a riferimento anche le persone, e si tratta di un momento essenziale del rapporto con l’altro: «Il mondo sociale, in altri termini, ci appare articolato in insiemi omogenei di persone unificate da un qualche tratto. Alcune di queste suddivisioni sono più importanti e cariche di significato, come l’appartenenza etnico culturale, la lingua, la religione, la famiglia, le ideologie, l’orientamento politico; ma anche il genere, l’età, l’orientamento sessuale, l’occupazione, la zona di residenza, e perfino aspetti molto più marginali come gli hobby, gli stili di consumo o la preferenza per una squadra di calcio, sono in grado di diventare potenti elementi di identificazione collettiva. La tendenza alla gruppalità induce una propensione a classifi-care gli altri individui, e si manifesta anche in senso riflessivo come percezione di sé basata sul sentirsi parte di una categoria, ossia come autocategorizzazione; più in particolare, l’autocategorizzazione si pone come fondamentale momento di costruzione dell’identità sociale relativamente all’edificazione dell’immagine di sé e al modellamento delle sfere relazionali. Tale assunto ricorre anche in ambito antropologico: «l’esperienza della diversità di modi di vivere porta spesso a dare giudizi di valore, sulla base del sapere garante dell’identità del proprio gruppo, su di noi rispetto agli altri e sugli altri rispetto a noi. Categorizzazione e autocategorizzazione rappresentano dunque concetti essenziali per la comprensione di dinamiche relazionali e comunicative in cui vengono in gioco ‘appartenenze significative’ dell’individuo, tali da renderlo particolarmente sensibile a ciò che vie- LEONE-MAZZARA-SARRICA, La psicologia sociale. Processi mentali, comunica- zione e cultura, Roma-Bari, HAIDT, Menti tribali. Si vedano, ex plurimis, CRISP-TURNER, Psicologia sociale, tr. it., a cura di Mosso, Torino; BROWN R., Psicologia sociale del pregiudizio, tr. it., Bologna; CARNAGHI-ARCURI, Parole e categorie. La cognizione sociale nei contesti intergruppo, Milano; TAJFEL, Gruppi umani e categorie sociali, tr. it., Bologna; RAVENNA, Odiare. Quando si vuole il male di una persona o di un gruppo, Bologna, ANGIONI G., Fare, dire, sentire, Ci riferiamo a caratteristiche costitutive dell’identità che siano particolar- mente totalizzanti o ‘dispotiche’, nel senso che, pur essendo oggetto di scelta, ten- dono ad assumere una portata fortemente invasiva della sfera personale, anche fino a generare situazioni di concorrenza e incompatibilità con altre appartenen- Tra sentimenti ed eguale rispetto ne detto28 sia riguardo alla sua appartenenza a un gruppo, sia ri- guardo al gruppo in sé e a ciò che lo identifica 29, e anche riguardo a fatti di conoscenza che si pongono a confutazione o in contrasto con il patrimonio di conoscenze tramandato e acquisito dal gruppo 30. Secondo la ricostruzione dello psicologo sociale Jonathan Haidt, l’uomo ha una natura sia egoista sia gruppista, e possiede una mente ‘tribale’: l’aderenza al gruppo ‘unisce e acceca’, nel senso che crea i presupposti per la socialità e al contempo può intrappolare le perso- ne nelle matrici morali del gruppo di appartenenza, ingenerando conflittualità fra gruppi contrapposti. Un risvolto di tale relazione è l’accentuata emotività che si lega al- le questioni inerenti l’appartenenza: ma qual è la pretesa che acco- muna le parti in conflitto? cosa ‘chiedono’ le emozioni in termini di reciprocità? ze. L’esempio principale è l’identità religiosa; sul tema della costruzione dell’iden- tità e del particolare ruolo ‘dispotico’ dell’identità religiosa v. PINO, Identità perso- nale, identità religiosa e libertà individuali, in Quad. di diritto e politica ecclesiasti- ca. Il linguaggio trasmette l’interazione con gli altri. Narra le categorizzazioni sociali di cui ci serviamo. Reiterandoli consolida gli stereotipi. Partecipa alla costruzione e all’alimentazione dei pregiudizi. E così facendo influenza in modo rilevante la percezione sociale di un determinato gruppo, v. PUGIOTTO, Le parole sono pietre? I discorsi d’odio e la libertà di espressione nel diritto costituzionale, in penale contemporaneo.it Quali sono queste appartenenze e in base a quali criteri il diritto può attribuire una rilevanza? L’interrogativo, nella sua estrema complessità, non può essere affrontato nel presente lavoro; nondimeno va tenuto conto che sia nelle scienze sociali, sia, di riflesso, nella prospettiva giuridica, si tratta di un problema aperto che può influire in modo determinante sull’approccio agli eventuali limiti alla li- bertà di espressione, v. BROWN A., Hate Speech Law. Il tipo di identità che sembra assumere una rilevanza peculiare sul piano politico è ciò che CA- STELLS, Il potere delle identità, tr. it., Milano, definisce come resistenziale’, ossia quella «generata dagli attori che sono in posizioni o condizioni svalu- tate e/o stigmatizzate da parte della logica del dominio». Nondimeno, il valore politico dell’identità può risultare condizionato anche dal grado di ‘dispoticità’ e della conseguentemente combattività nella sfera pubblica, v. supra, nota 27. 30 Si soffermano su tale ultima tipologia di conflitto, tra fatti di sentimento e fatti di conoscenza, GUELLA-PICIOCCHI, Libera manifestazione del pensiero, analizzando in particolare, in riferimento al contesto statunitense, il tema dell’opposizione all’insegnamento delle teorie evoluzionistiche negli istituti di istruzione di orientamento creazionista. HAIDT, Menti tribali. Sul particolare profilo che Haidt definisce ‘principio di sacralità’, il quale porta a ritenere determinate cose (non semplicemente materiali ma anche teorie e ideologie) come identifica- tive della moralità del gruppo.   Fisionomia dell’offesa Rispetto, riconoscimento, stima reciproca Il concetto che meglio definisce l’atteggiamento relazionale che ciascuno esige dai propri simili è il rispetto. Ogni individuo si forma una propria intuitiva nozione di rispetto, la quale può fondarsi su istanze più o meno giustificate; non è però a una tale solipsistica concezione che il diritto può fare riferimento. La parola ‘rispetto’ ha assunto nel corso della storia significati differenti, ma ciò che ci interessa oggi è ricostruirne il contenuto dal punto di vista politico, non solo come atteggiamento individuale, ma soprattutto come principio per la convivenza nella diversità. Che cosa vuol dire rispettare le persone? Il pensiero filosofico ha riservato particolare attenzione a tale que- stione, e soprattutto nell’epoca attuale il tema ha assunto un’innovativa importanza: il rispetto per le persone e fra le persone rappresenta una aspetto costitutivo della qualità morale delle democrazie moderne. Si parla oggi non di un generico rispetto, ma di un rispetto democratico, non gerarchico, che assume come presupposto l’uguaglianza e la pari dignità: l’eguale rispetto, definito da un’autorevole interprete «ragione morale alla base dell’ordinamento democratico» 33. Sia chiaro: l’eguale rispetto rappresenta un’idea che riconosce im- portanza morale alla ricerca di ragioni comuni (nel senso di ‘meno comprensive’) 34 da porre a fondamento di scelte normative, ma non è una teorizzazione neutrale o dai caratteri meramente procedurali. È una concezione eticamente ‘spessa’ che sintetizza il cardine assiologi- co della democrazia: «un principio morale che richiede il riconosci- mento degli altri come pari in virtù della comune umanità. Quando si parla di ‘eguale rispetto’ si intende un atteggiamento di necessario e aprioristico riguardo di cui ogni essere umano è con- temporaneamente titolare e debitore nei confronti degli altri indivi- Per tutti v. MORDACCI, Rispetto, Milano. Si sottolinea che l’eguale rispetto rappresenta un principio comune alle principali strategie di giustificazione della legittimità democratica, v. GALEOTTI, La politica del rispetto. I fondamenti etici della democrazia, Roma-Bari. GALEOTTI, La politica del rispetto. Sulla definizione di ‘concezione comprensiva’, v. VECA, La filosofia politica: si usa dire che una teoria morale è comprensiva quando essa include e si estende sull’intero dominio di ciò che per noi vale. GALEOTTI, La politica del rispetto. Tra sentimenti ed eguale rispetto dui, secondo una reciprocità fra pari. Lo si definisce ‘rispetto- riconoscimento’ per distinguerlo dal cosiddetto ‘rispetto-stima’ «che consegue alla considerazione positiva del carattere, delle condotte, dei risultati conseguiti da una particolare persona» 38, e che è connes- so a una valutazione di meritevolezza che può mutare. La distinzione fra le due forme di rispetto esprime anche un’indi- cazione sul valore e sull’importanza che esse assumono in un oriz- zonte democratico: l’impegno prioritario è il rispetto-riconoscimen- to 39, mentre l’atteggiamento di stima è quello che più risente di emo- zioni contingenti e di inclinazioni individuali, e non è un obiettivo proponibile in un contesto pluralista e culturalmente disomogeneo, nel quale un dissenso intersoggettivo, anche aspro, tra opinioni e orientamenti etici, dovrebbe considerarsi fisiologico 40. Le oscillazioni del rispetto-stima rappresentano in definitiva un risvolto della libertà 36 Viene sottolineato che il rispetto come riconoscimento non può venir meno di fronte a nessuno, neppure di fronte al criminale più efferato o a chi si sia reso autore di azioni che travalicano ogni idea di umanità. Chi afferma che rispetto a determinati comportamenti esiste l’eventualità che un soggetto perda tale status, procede sulla base di un’ulteriore specificazione, la quale individua nel rispetto- riconoscimento due componenti distinte: il sentimento di riguardo e la dispo- sizione ad agire. La perdita del rispetto come riconoscimento può intaccare solo il sentimento di riguardo: «mentre possiamo sospendere l’atteggiamento di ri- spetto – smettendo di considerare quell’uomo degno del nostro riguardo – non possiamo ignorare i vincoli morali delle nostre azioni nei suoi confronti, v. GALEOTTI, La politica del rispetto, È sulla reciprocità che si impernia la dimensione morale del rispetto: pensare moralmente, costruire un ragionamento morale, significa intrattenere con gli altri una relazione di mutuo riconoscimento, cioè dar loro pari dignità e pretendere da loro il rispetto e il riconoscimento della nostra dignità», così BAGNOLI, L’autorità della morale, Milano, GALEOTTI, La politica del rispetto; DARWALL, Two Kinds of Respect, Ethics. Sottolinea come la nozione stessa di democrazia apra «a un concetto del rapporto secondo giustizia con l’altro fondato sul suo riconoscimento, e non sul giudizio inerente alle sue capacità o alle sue qualità EUSEBI, Laicità e dignità umana nel diritto penale. Sull’importanza del principio dell’eguale rispetto-riconoscimento nel diritto penale, v. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale, cit., pp. 26 ss. 40 Si apre qui il problema, sconfinato, della tolleranza e degli eventuali limiti alla tolleranza: sul tema v., ex plurimis, GALEOTTI, La tolleranza. Una proposta plu- ralista, Napoli; WALZER, Sulla tolleranza, tr. it., Roma-Bari; sul tema dei limiti, v. BOBBIO, L’età dei diritti; POPPER, Tolleranza e responsabili- tà intellettuale, a cura di Mendus-Edwards, Saggi sulla tolleranza, Milano, Fisionomia dell’offesa di critica, diritto da considerarsi fondamentale in una democrazia ispirata al pluralismo assiologico. A nostro avviso le categorie della stima e del rispetto-riconosci- mento ripropongono con un diverso lessico l’esigenza di distinguere tra offese alla sensibilità soggettiva e forme di offesa che appaiano orientate a minare qualcosa di più radicale, ossia il rapporto di rico- noscimento reciproco fra persone: nel secondo caso emozioni e sen- timenti entrano in gioco non solo da un punto di vista esteriore/feno- menico, bensì quale tratto della personalità che si presta a strumen- talizzazioni in chiave discriminatoria. Ed è in questi termini che si è affermata l’assoluta rilevanza del rispetto-riconoscimento per una società: «Fare del riconoscimento il tema centrale di un ragionamento filosofi- co-politico significa quindi che le società devono impegnarsi a pro- muovere delle regole capaci di creare e costituire istituzioni tali da non discriminare alcun soggetto – persona, famiglia, gruppo inclusivo – considerandolo oggetto, o non umano. Per approfondire tale ultima prospettiva di significato ci appog- giamo all’elaborazione di Axel Honneth, il quale definisce il ricono- scimento: «un processo nel quale il singolo può pervenire ad una identità pratica nella misura in cui abbia la possibilità di accertarsi del riconoscimento di se stesso attraverso una cerchia sempre più vasta di partner della comunicazione. Al mancato riconoscimento può conseguire, secondo Honneth, un vulnus definibile come ‘spre- gio’ o ‘offesa’, il cui effetto è l’alterazione dell’immagine che una per- sona ha di sé 43. Secondo Honneth le forme di mancato riconoscimento possono avere differenti gradazioni: si può avere uno spregio che coinvolge la dimensione fisica, conculcando la libertà di autodeterminazione; e si CERETTI, Vita offesa, lotta per il riconoscimento e mediazione, cit., p. 66; nell’elaborazione di Ceretti la centralità del concetto di riconoscimento si inqua- dra in una prospettiva di applicazione della mediazione ai conflitti legati all’ap- partenenza. Più diffusamente sul tema del riconoscimento nella mediazione e nel- la giustizia riparativa, v. ID., Mediazione. Una ricognizione filosofica, in AA.VV., a cura di Picotti, La mediazione nel sistema penale minorile, Padova; MANNOZZI-LODIGIANI, La Giustizia riparativa. Formanti, parole, metodi, Torino, HONNETH, Riconoscimento e disprezzo. Sui fondamenti di un’etica post- tradizionale, tr. it., Messina. Sul tema vedi anche TAYLOR, La politica del riconoscimento. Tra sentimenti ed eguale rispetto possono avere forme di umiliazione che influiscono sulla cosiddetta ‘autocomprensione normativa’ della persona, escludendola struttu- ralmente dal godimento di diritti, oppure – ed è questa la forma per la quale il termine ‘spregio’ viene più comunemente in uso – negandole valore sociale tramite lo svilimento di modi di vita individuali o collettivi 44. Riguardo a tale ultima dimensione di significato si è detto che la questione del riconoscimento è cruciale nella costituzione dell’iden- tità personale, la quale si forma attraverso una «negoziazione che av- viene via dialogo, in parte esterno e in parte interiore, con altre per- sone», con l’importante conseguenza che «sia sul piano intimo sia su quello sociale (quello della politica dell’uguale dignità) la nostra iden- tità si forma (o deforma) in relazione ai nostri incontri con “altri si- gnificativi. Ebbene, è fondamentale il passaggio dal piano intimo a quello so- ciale, in un percorso che deve tenere ben presenti e ben distinti en- trambi i profili: nella individuazione di un’offesa il piano intimo en- tra in gioco ma non può rappresentare un criterio assoluto; il richia- mo al piano sociale, e a una dimensione di normatività oggettivabile, risulta cruciale. Honneth afferma che «ciò che lo spregio qui sottrae alla persona, in termini di riconoscimento, è l’approvazione sociale di una forma di autorealizzazione, alla quale essa stessa ha prima dovuto faticosamente pervenire attraverso l’inco- raggiamento della solidarietà di un gruppo, v. HONNETH, Riconoscimento e di- sprezzo. CERETTI, Vita offesa, lotta per il riconoscimento e mediazione. È in base a tale distinzione, tra piano intimo e piano sociale, che possono eventualmente essere tematizzate questioni relative a quali siano gli ideali, le cre- denze, le concezioni valoriali, e più in generale quali profili dell’identità morale della persona possano essere presi in considerazione dal diritto, v. HÖRNLE, Prote- zione penale di identità religiose?, Ragion pratica. La studiosa lascia volutamente in sospeso la questione della soglia al di là della quale uno Sta- to dovrebbe adoperarsi per promuovere il mutuo riconoscimento, pur non na- scondendo notevoli perplessità sull’eventuale ricorso al diritto penale, e si limita a rimarcare che il dare rilevanza a particolari profili dell’identità morale, come ad esempio la fede religiosa, crei problemi di disuguaglianza rispetto ad altre forme di propensione alla trascendenza, e pertanto, non potendosi ragionevolmente ga- rantire a tutte lo stesso regime di tutela, lo Stato dovrebbe mantenere un atteg- giamento di neutralità astenendosi dal tutelare l’identità religiosa.   Fisionomia dell’offesa Pari dignità ed eguale rispetto Il disconoscimento è anche un’offesa al sentire, nella misura in cui tocca corde significative dell’animo; ma non è scontato che un’offesa al sentire possa anche considerarsi come negazione del riconoscimento. Il rispetto-riconoscimento non è il riflesso univoco di reazioni emotive, ma ha più a che fare, naturalmente, con quella dignità ultima che non si inchina, che pretende il rispetto in forza di un valore intrinseco della persona, un valore che ciascuno rivendica per sé stesso come inviolabile: si tratta, in definitiva, della proiezione relazionale del valore della dignità umana. Parlare di violazione del rispetto-riconoscimento ricalca prima fa- cie le cadenze dell’offesa alla dignità: un accostamento tutt’altro che risolutivo, e anzi assai problematico poiché rimanda alle profonde criticità che sono state espresse con riferimento alla configurabilità della dignità umana come oggetto di tutela penale 48. L’indeterminatezza penalistica è la ricaduta di una più generale difficoltà di dare alla dignità un contenuto e una dimensione oggetti- vi. La forte pregnanza emotiva che innerva tale concetto lo rende par- ticolarmente esposto a ricostruzioni di parte, e dunque a un uso che sul piano della politica del diritto appare problematico in rapporto alle dinamiche di una società pluralista. Il rischio è che il contenuto del concetto di dignità umana si tramuti nel mero riflesso di concezioni comprensive, le quali, ove tra- sfuse nella dimensione giuridica, incrementerebbero dissensi e frammentazioni. In altri termini, la dignità umana è un concetto «fondamentale ma “manipolabile. Si tratta di obiezioni che hanno il merito di mettere a nudo da un lato la forza retorica, e dall’altro la fragilità contenutistica di un ri- chiamo alla dignità umana tout court, probabilmente anche fino al MORDACCI, Rispetto. Per una panoramica sul dibattito a livello internazionale v. ROSEN, Dignità. Storia e significato; per un’approfondita critica dell’appello alla dignità v.CARMI, Dignity – The Enemy from Within: A Theoretical and Comparative Analysis of Human Dignity as a Free Speech Justification, in 9 Journal of Constitutional Law. Per una sintesi v. VERONESI, La dignità uma- na tra teoria dell’interpretazione e topica costituzionale, in Quaderni costituzionali, RAWLS, Liberalismo politico. CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà religiosa. Tra sentimenti ed eguale rispetto punto di non passare il vaglio dei principi penalistici; ma sono ragio- ni sufficienti a espungere radicalmente il valore della dignità dal di- scorso sui problemi di tutela? Il richiamo alla dignità umana non sembra un postulato da cui prendere le mosse per l’elaborazione di argomenti di parte, bensì dovrebbe essere considerato come la dimensione di senso di ogni di- scorso che abbia a che fare con problemi di convivenza fra uomini. Le difficoltà, financo l’impossibilità, di un utilizzo del concetto di dignità sul piano tecnico-giuridico non ci sembrano una ragione suf- ficiente a mettere da parte l’orizzonte simbolico e semantico che ruota intorno alla dignità. Anche le critiche più radicali ci sembrano rivolte all’uso piuttosto che al valore sostanziale e alla pertinenza rispetto alle questioni in gioco53: si sta maneggiando un ‘superconcetto’ che sarebbe necessario introdurre nel discorso con maggiore cautela, per ragioni di tipo epistemico ed etico. Pur partendo dal presupposto che il concetto di dignità «è intuiti- vo, nient’affatto chiaro di per sé», pare difficile poterne fare del tutto a meno: sebbene sia un’idea imprecisa, il cui contenuto va appro- fondito in rapporto a nozioni correlate, l’idea di dignità fa comunque la differenza» 55. Martha Nussbaum esorta a non abbandonare le co- È fuorviante contrapporre in modo meccanico e astratto la dignità uma- na ai diritti che la Costituzione riconosce», v. AMBROSI, Costituzione italiana e manifestazione di idee razziste o xenofobe, a cura di Riondato, Discri- minazione razziale, xenofobia, odio religioso. Diritti fondamentali e tutela penale, Padova. Condivisibilmente, VERONESI, La dignità umana, sostiene che la dignità non debba essere identificata né con un diritto, né con la piana conseguenza della violazione di un diritto, né come un principio auto- nomamente azionabile, evidenziando in questo senso ragionevoli obiezioni a un appiattimento della dignità sulla dimensione del diritto positivo. La distinzione fra il concetto di dignità (concept) e le plurivoche concezioni che da esso derivano (conceptions) è evidenziato da MCCRUDDEN, Human Dignity, in un discorso che cerca di evidenziare il rapporto fra il ‘nucleo duro’ del significato (core value) e le diverse declinazioni che emergono dal discorso giuridico. 54 Per tutti, v. HASSEMER, Argomentazione con concetti fondamentali. Pretendere di dare una veste conchiusa e definita della dignità, identifican- dola univocamente in un interesse ‘a senso unico’, rischia di essere una mossa azzardata sul piano epistemico e anche una forzatura sul piano etico, ove si pre- tenda di identificare il contenuto della dignità con istanze fondate su concezioni comprensive. NUSSBAUM, Creare capacità, tr. it., Bologna. Nel panorama italia- no, si veda la difesa del valore e del ruolo della dignità proposta da FLICK, Elogio della dignità (se non ora, quando?), in Politica del diritto, Fisionomia dell’offesa ordinate tracciate dal concetto di dignità, e a trovare delle nozioni correlate e specificative che possano aiutare a renderlo meno liquido e più aderente ai contesti. Un importante suggerimento è quello di focalizzare l’attenzione sul concetto di rispetto: «La dignità è un’idea difficile da definire con precisione, e probabil- mente non dovremmo cercare di farlo nell’ambito politico, poiché di- verse religioni e prospettive laiche la descrivono in modi differenti. Probabilmente dovremmo evitare che la dignità abbia un conte- nuto specifico tutto suo: sembra essere un concetto che acquista for- ma attraverso i legami con altri concetti, come quello di rispetto, e una varietà di principi politici più specifici. Riteniamo tale passaggio di fondamentale importanza poiché con- tribuisce a ridisegnare la fisionomia della dignità in termini relazio- nali e non come valore assoluto, scisso da un rapporto fra individui. Parlare di rispetto reciproco significa chiamare in gioco non un valo- re esterno alla relazione, ma focalizza l’attenzione su un bilancia- mento. Le dinamiche del rispetto-riconoscimento non esauriscono lo spa- zio etico della dignità ma evidenziano il rapporto di simmetrica reci- procità nel quale devono essere collocate le pretese avanzate dagli at- tori nella dialettica pluralista, le quali appaiono tendenzialmente in- terpretabili come riflesso di due esigenze di fondo: il rifiuto dell’imposizione, sia essa in nome della neutralità e della verità e il rifiuto di una considerazione diseguale che deriverebbe dal trionfo della posizione politica avversa» 57. Una ridefinizione dell’orizzonte di tutela nei termini dell’eguale e reciproco rispetto può rappresentare a nostro avviso un’opzione epi- stemicamente più cauta di un’asserita ‘tutela della dignità’: a risultare decisiva non è una ricerca di fondamenti ontologici del superconcet- to ‘dignità’, ma l’elaborazione di criteri di bilanciamento fra opposte posizioni secondo una prospettiva di uguaglianza. 56 NUSSBAUM, La nuova intolleranza. Superare la paura dell’Islam e vivere in una società più libera, tr. it., Milano. GALEOTTI, La politica del rispetto. A chiosa della posizione della Galeotti, si è osservato che «il rispetto-riconoscimento è dunque un atteggiamen- to verso una persona, prima ancora che nei confronti di un’identità gruppale, che reclama azioni non umilianti e non degradanti», così CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura. Tra sentimenti ed eguale rispetto Bilanciare le pretese Dignità e capacità umane In merito al problema dei limiti alla libertà di espressione, la digni- tà umana mal si presta ad assumere le vesti di argomento ‘a senso uni- co’, tale da offrire univoca giustificazione a una sola delle pretese che si confrontano, ma è potenzialmente in grado di valere su più fronti. Parlare di tutela della dignità assume in primo luogo il significato di un sostegno alle libertà, in quanto l’attenzione e la cura nei con- fronti della dignità costituiscono da un lato la condizione generativa «di un “pensiero critico, eterodosso, collidente con pensieri e senti- menti dominanti”» e dall’altro lato «la condizione nei soggetti istitu- zionali, della stessa capacità di resistere alla tentazione di soffocarne la manifestazione. Secondariamente, va tenuto in considerazione che nella dialettica fra istanze di libertà e richieste di rispetto vi sono più dignità che en- trano in gioco: quella di colui che manifesta il proprio pensiero e quella che si considera offesa dalla manifestazione espressiva 59. An- che nel linguaggio può essere importante esplicitare la connessione fra dignità e uguaglianza richiamando non semplicemente la dignità di ognuno, ma la pari dignità come presupposto di una relazione di eguale rispetto 60. Resta aperto il problema di contestualizzare pari dignità ed eguale rispetto in relazione a esigenze concrete dell’essere umano, e dunque di limitare la distanza fra la metafisica di tali concetti e le situazioni da cui scaturiscono problemi di convivenza. FORTI, Le tinte forti del dissenso nel tempo dell’ipercomunicazione pulviscola- re. Quale compito per il diritto penale?, in Riv. it. dir. proc. pen. Evidenzia tale ambiguità SCHAUER, Speaking of Dignity, ed. by Meyer-Paren, The Constitution of rights. Human Dignity and American Values, London, the conflation of dignity and speech, as a general proposition, is mistaken, for although speaking is sometimes a manifestation of the dignity of the speaker, speech is also often the instrument through use which the dignity of others is deprived»; cfr. AMBROSI, Libertà di pensiero e manifesta- zione di opinioni razziste e xenofobe, in Quaderni costituzionali. Cfr. SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione. L’istigazione all’odio razziale, Padova. Si veda anche l’icastica osservazione di Nadia Urbinati, secondo la quale «eguale libertà è dunque il nome della difesa della dignità umana nel tempo della modernità, v. URBINATI, Ai confini della democra- zia. Opportunità e rischi dell’universalismo democratico, Roma.Cfr., con diversità di accenti, CARUSO, La libertà di espressione in azione. Fisionomia dell’offesa. Nel contesto penalistico italiano si è fatto di recente carico di tale onere Gabrio Forti, il quale, attingendo da una recente pubblicazione di Aaron Barak61, ha definito la dignità umana come «principio complesso che, necessariamente sganciato da visioni o concezioni fi- losofiche unilaterali, è suscettibile di scomposizione in entità valoria- li che devono essere rapportate tra loro. Il richiamo alla distinzio- ne di Barak tra dignità-madre e diritti-figli è funzionale, per Forti, a evidenziare che la libertà d’espressione potrebbe incontrare limita- zioni volte alla tutela di altri ‘diritti-figli’ della stessa ‘dignità-madre’, a patto di uscire da un ragionamento meramente astratto e di procedere a una ‘lettura situazionale’ che sappia decifrare i contesti e gli specifici bisogni che possono emergere quale interesse da contrap- porre a eventuali manifestazioni espressive. Si tratta in altri termini di dare spessore e pregnanza personologi- ca all’interrogativo sul perché la libertà di espressione sia così impor- tante, al di là del riconoscimento che le è dato nelle carte costituzionali; e correlativamente, di chiedersi quale possa essere il peso delle parole nell’economia di vita sia di chi le esprime sia dei destinatari. Per abbozzare delle coordinate prendiamo le mosse dal pensiero di John Searle che individua la caratteristica fondamentale dell’essere umano nell’attitudine a porre in essere atti linguistici («we are speech act performing primates»), e fa conseguentemente derivare la piena dignità di un individuo dalla sua capacità di espressione. A nostro avviso non basta tuttavia configurare una semplice pro- pensione ad atti linguistici, ma sono necessarie ulteriori connessioni che ne mettano in luce la strumentalità rispetto a un quadro più va- riegato di capacità e di prospettive concernenti la realizzazione della persona. Nella riflessione filosofica contemporanea, il discorso sulle capaci- tà trova una fondamentale elaborazione nel ‘capability approach’ di BARAK, Human Dignity. The Constitutional Value and the Constitutional Right, Cambridge, FORTI, Le tinte forti del dissenso. Sulle istanze partecipative legate al discorso pubblico v. CARUSO, La libertà di espressione in azione, SEARLE, Social Ontology and Free Speech, The Hedgehog Review: «we attain our full dignity, our full stature as speech-act peforming animals, when we exercise our capacities for expression. The need for dignity, self-esteem, and autonomy come with the genetic territory, and a healthy society has to recognize these needs and recognize that verbal self-expression is an essential component in their satisfaction. Tra sentimenti ed eguale rispetto Martha Nussbaum: si tratta di un’antropologia dei bisogni dell’uomo pensata come riferimento per le strategie politiche e di organizzazio- ne della società, basata sull’individuazione di un novero di capacità le quali integrano e danno sostanza umana all’idea di dignità 65. L’importanza di tale riflessione nella prospettiva penalistica è stata messa in luce quale criterio di interpretazione dei bisogni e degli aspetti di vulnerabilità degli esseri umani al fine di tracciare le coor- dinate per un apporto del diritto penale alla difesa, al rispetto e an- che alla ‘costruzione’ della dignità umana. Nel condividere la suddetta impostazione, riteniamo che attraver- so il linguaggio delle capacità si possano meglio definire anche i con- torni delle istanze di libertà e delle richieste di rispetto che animano la dialettica sulla libertà di espressione. Ci sembra che un’immer- sione nelle note caratterizzanti la natura e la socialità umane possa contribuire a tradurre le pretese in una dimensione meno astratta, per verificare se e in che termini siano reciprocamente esigibili 67. Entrando nel dettaglio del catalogo della Nussbaum individuiamo un novero di capacità che definiscono una base di contenuti funzio- nale non solo alla ricognizione dei contorni di un’ipotetica dignità of- fesa, ma che si prestano a dare senso e sostanza alla posizione di chi chiede rispetto per la propria libertà di esprimere contenuti pur ‘di- scutibili’, fungendo in questo senso da connessione giustificativa an- che per la posizione di chi invoca il diritto alla libertà di espressione: 65 «Consideriamo la persona, proprio perché caratterizzata da attività, mete, progetti, in qualche modo capace di suscitare un rispetto che trascende l’azione meccanica della natura, eppure bisognosa di sostegno per portare a compimento molti progetti importanti», v. NUSSBAUM, Diventare persone, tr. it., Bologna, FORTI, «La nostra arte è un essere abbagliati dalla verità». L’apporto delle di- scipline penalistiche nella costruzione della dignità umana, in Jus.L’approccio delle capacità può rappresentare un’importante coordinata de- scrittiva e una chiave di lettura delle istanze di tutela; in questo senso condivi- diamo e rilanciamo quale buon esempio la proposta di ‘lettura situazionale’ basata sull’approccio delle capacità formulata da Caputo in tema di repressio- ne penale del negazionismo,  CAPUTO, La “Menzogna di Auschwitz. A un livello successivo, relativo al problema della soglia di intervento normati- vo, TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., pp. 108 ss., evidenzia in termini critici come anche tale chiave di lettura non sarebbe però sufficiente a configurare un substrato di offensività verificabile in termini conformi allo standard di bilanciamento che dovrebbe supportare eventuali norme basate sullo schema applicativo del pericolo concreto.   Fisionomia dell’offesa 163 «Sensi, immaginazione, pensiero. Essere in grado di usare l’imma- ginazione e il pensiero in collegamento con l’esperienza e la produzio- ne di opere autoespressive, di eventi, scelti autonomamente, di natura religiosa, letteraria, musicale, e così via. Poter usare la propria mente in modi protetti dalla garanzia delle libertà di espressione rispetto sia al discorso politico, sia artistico, nonché della libertà di pratica religiosa. Sentimenti. Poter provare attaccamento per cose e persone oltre che per noi stessi. Non vedere il proprio sviluppo emotivo distrutto da ansie o paure eccessive. Ragion pratica. Essere in grado di formarsi una concezione di ciò che è bene e impegnarsi in una riflessione critica su come programmare la propria vita. Appartenenza. Avere le basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati; poter essere trattato come persona dignitosa il cui valore eguaglia quello altrui. Questo implica, al livello minimo, prote- zione contro la discriminazione in base a razza, sesso, tendenza sessuale, religione, casta, etnia, origine nazionale. [...]» 68. Le suddette capacità appaiono connaturate a una società aperta, presupposto e obiettivo di una tutela delle libertà strumentale a mettere ogni individuo nella condizione di formarsi una concezione di ciò che è bene potendo usare la propria mente in modi protetti dalla libertà di espressione. Emerge però anche un livello minimo di protezione il quale sem- bra richiamare l’esigenza di un fare attivo da parte della politica e del- l’ordinamento giuridico, fra le cui finalità viene messo in evidenza il contrasto alla discriminazione: significa che uno Stato dovrebbe im- pegnarsi per garantire «le basi sociali per il rispetto di sé e per non essere umiliati; poter essere trattato come una persona dignitosa il cui valore eguaglia quello altrui». Ritorna anche nel pensiero della Nussbaum l’esigenza di prestare attenzione al problema del mancato riconoscimento, qui richiamato attraverso i concetti del ‘rispetto di sé’ e dell’‘umiliazione’. In altri ter- mini, quando si creano le condizioni perché un soggetto venga umi- liato si potrebbero incrinare gli equilibri che costituiscono l’humus per le capacità umane fondamentali, e potrebbe rendersi necessario un intervento dello Stato per cercare di ripristinarle; libertà non può si- gnificare umiliazione dell’altro. Per quanto ispirato alla massima apertura liberale, anche il di- NUSSBAUM, Diventare persone. Tra sentimenti ed eguale rispetto scorso di Martha Nussbaum pone il problema di eventuali limiti e suggerisce un approfondimento del concetto di umiliazione. Rispetto di sé e umiliazione: la concezione di Avishai Margalit Un tentativo di elaborare una nozione politicamente spendibile – non soggettivistica o emotivistica – dei concetti di ‘rispetto di sé’ 69 e ‘umiliazione’ si deve ad Avishai Margalit e alla sua teorizzazione sulla ‘società decente’, da intendersi come ‘società che non umilia. La nozione di umiliazione proposta da Margalit è, per stessa ammis- sione dell’Autore, di tipo normativo e non psicologico: umiliazione è ogni comportamento o condizione che costituisce una valida ragione perché una persona consideri offeso il proprio rispetto di sé. È di particolare importanza, ai fini della presente indagine, la di- stinzione fra insulto e umiliazione: pur essendo situati lungo un con- tinuum, rappresentano forme di offesa qualitativamente differenti, la prima delle quali si rivolge all’onore sociale, mentre la seconda lede il rispetto di sé inteso come percezione del valore intrinseco della persona. L’insulto è contraddistinto da contenuti che possono essere in un certo senso razionalizzati dal destinatario (ad esempio anche in relazione alla verità o falsità degli asserti), l’umiliazione è più gravo- sa: riprendendo la distinzione di Williams fra emozioni bianche e rosse, Margalit ritiene che l’umiliazione sia associabile a un’emozione bianca, la quale comporta che il soggetto umiliato si 69 Sul concetto di ‘rispetto di sé’, con un’impostazione differente, si veda anche BAGNOLI, L’autorità della morale; DWORKIN, Giustizia per i ricci, tr. it., Milano, MARGALIT, La società decente, tr. it., Milano. MARGALIT, La società decente: questo è un significato normativo piuttosto che psicologico dell’umiliazione. Il significato normativo non comporta per sé che la persona che abbia una buona ragione per sentirsi umiliata, di fatto si senta tale. D’altra parte, il significato psicologico dell’umiliazione non compor- ta che la persona che si sente umiliata abbia una buona motivazione per questo sentimento. La sottolineatura è sui motivi per provare umiliazione come risultato di un comportamento altrui». Nel panorama italiano, cfr. l’ampia analisi critica di TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, MARGALIT, La società decente. WILLIAMS, Vergogna e necessità, tr. it., Bologna, 2007; un’emozione rossa è un’emozione in cui ci si vede attraverso gli occhi dell’altro, e perciò si arrossisce. Con un’emozione bianca una persona si vede attraverso l’‘occhio interno’ della propria coscienza, che può farla impallidire.   Fisionomia dell’offesa 165 guardi col proprio occhio interno ma applicando al contempo il pun- to di vista del soggetto umiliante, e dunque senza riuscire ad assume- re una distanza critica dall’addebito, poiché l’umiliazione attecchisce in contesti di squilibrio fra umiliatore e vittima, e assume l’effetto di una ‘minaccia esistenziale L’umiliazione è più che un semplice insulto: «rifiutare un essere umano umiliandolo significa rifiutare il modo in cui egli esprime se stesso come umano»75, radicalizzando l’addebito su modi di essere costitutivi dell’individuo e negando l’umanità dell’altro a causa di un’ap- partenenza significativa 76 che concorre a definirne l’identità. Risulta perciò fondamentale distinguere quando un’espressione abbia il significato di forte critica e quando invece sottenda un’umi- liante esclusione e, di fatto, una discriminazione. 5. Ai confini fra critica e discriminazione Dal punto di vista concettuale la differenza fra critica e discrimi- nazione ricalca le due varianti del rispetto: rispetto-stima come at- teggiamento le cui oscillazioni in positivo o in negativo possono dar luogo a forme di critica legittima; rispetto-riconoscimento come va- lore che può essere negato attraverso manifestazioni espressive volte a umiliare e a marginalizzare. Si aggiunge in questo modo un ulteriore, importante, tassello al- l’itinerario concettuale che ha preso le mosse dall’esigenza di distin- guere offese ai meri sentimenti da condotte, e in particolare, da for- me di espressione, che, non limitandosi a offendere l’emotività sog- gettiva, si facciano veicolo di umiliazione e di negazione dell’eguale libertà e dignità delle persone. MARGALIT, La società decente. MARGALIT, La società decente. MARGALIT, La società decente, cit., pp. 165 ss. Secondo l’Autore, ciò che rende più pregnante l’umiliazione è la connessione con il concetto di ‘gruppo inclusivo’: si intende con tale definizione «un gruppo che ha un comune carattere e una comune cultura, che include molti importanti e vari aspetti della vita [nel quale] le persone che crescono nel gruppo ne acquisiscono la cultura, e possiedono le sue particolari caratteristiche». Un tratto particolarmente significativo riguarda il fatto che l’appartenenza al gruppo è in parte materia di mutuo riconoscimento, nel senso che l’inclusione nel gruppo non è determinata da una scelta personale: «esse appartengono [al gruppo] a causa di quello che sono».   166 Tra sentimenti ed eguale rispetto È però assai problematico trovare le rispondenze di tali distinzioni all’atto pratico: «non è così netta, nella percezione viva, la differenza fra l’offesa alla stima e l’offesa al riconoscimento come semplice per- sona, perché le persone si identificano non solo con la propria umani- tà, ma soprattutto con le loro qualità, le loro storie individuali» 77. Sia la critica sia la discriminazione possono definirsi come forme di espressione ‘irrispettose’, e il sottile confine che le separa a livello fenomenico espone al rischio, nella prospettiva giuridica, di continue oscillazioni tra vuoti di tutela ed eccessi di intervento. Come osserva Michael Rosen, «[è] evidente che il diritto a comportarsi in maniera irrispettosa debba essere maneggiato con cura. Probabilmente vi sono dei limiti a ciò che dovrebbe essere permesso ma dovremmo rifiu- tare l’idea che il linguaggio volto a irritare o insultare violi automati- camente l’essenza intrinseca di ciò che ha valore nelle persone con la conseguenza di “deprivarle della loro dignità di esseri umani”» 78. All’inizio del capitolo abbiamo riportato alcuni episodi tratti dalle cronache per identificare il tipo di conflitti in cui appare a nostro av- viso più evidente il coinvolgimento di sensibilità soggettive, esclu- dendo da tale apparato esemplificativo il tema del discorso d’odio (c.d. hate speech) e della propaganda razzista. Ora, alla luce dell’esi- genza di distinguere fra critica ed esclusione/discriminazione, il ri- chiamo al discorso d’odio diviene di importanza centrale poiché è proprio l’elaborazione teorica in materia di hate speech 79 a fornire in- teressanti spunti in tal senso. 77 MORDACCI, Rispetto. In questi termini Michael Rosen rimarca l’esigenza di procedere con cautela nelle restrizioni a forme di espressione: ROSEN, Dignità.Il tema dello hate speech è indagato in modo particolarmente approfondito nel panorama anglo-americano, nel quale l’orientamento maggioritario è di con- trasto alle limitazioni alla libertà di espressione. In questo senso vi sono forti dif- ferenze rispetto al panorama europeo, le cui ragioni affondano nella storia geopo- litica dei due continenti. Quali esempi di contrarietà ai cosiddetti ‘hate speech bans’, pur con diversità di accenti, v. HEINZE, Hate Speech and Democratic Citizenship, Oxford; cfr. DWORKIN, Foreword, ed. by Hare-Weinstein, Extreme Speech and Democracy, cit., pp. V ss.; POST, Hate Speech, ed by Hare-Weinstein, Extreme Speech and Democracy. Nella vasta letteratura, v., fra le opere collettanee, ed. by Hare- Weinstein, Extreme Speech and Democracy, cit.; AA.VV., ed. by Herz-Molnar, The Content and the Context of Hate Speech: Rethinking Regulation and Responses, Cambridge, 2012. Per un quadro di sintesi sulle differenze emergenti fra la giu- risprudenza statunitense ed europea v. KISKA, Hate speech: a Comparison between the European Court of Human Rights and the United States Supreme Court Juris- prudence, in 25 Regent University Law Review, Fisionomia dell’offesa La connessione della problematica della tutela di sentimenti al tema della discriminazione si lega a ragioni di maggiore selettività, mirate a differenziare offese alla sensibilità, le quali dovrebbero con- siderarsi come ricaduta di un fisiologico e pluralistico dissenso e co- me evento collaterale alla libertà di critica, da manifestazioni di ne- gazione della pari dignità e dunque del rispetto-riconoscimento. 5.1. Offesa ai sentimenti e offesa alla dignità nello hate speech secondo Jeremy Waldron Un importante contributo viene dal giurista Jeremy Waldron il quale argomenta sulla dannosità del discorso d’odio a partire da quel- la che considera una fuorviante commistione fra hate speech e tutela di sentimenti. Lo studioso sostiene che il disvalore dello hate speech non vada identificato nello stato psichico negativo concretamente o potenzial- mente indotto da manifestazioni espressive, e adotta in questo senso una posizione di contrasto a incriminazioni fondate sulla logica dell’offense di feinberghiana memoria; la protezione di sentimenti è un effetto solo indiretto, così come l’induzione di stati psichici nega- tivi è un elemento collaterale che non esaurisce il disvalore del di- scorso d’odio. L’orizzonte dello hate speech dovrebbe coincidere con offese alla dignità del singolo in quanto appartenente a determinati gruppi o credente in determinati ideali; le forme di critica anche aspre e irriverenti che non rappresentino una stigmatizzazione dell’individuo in ragione di suoi specifici tratti, dovrebbero considerarsi al di fuori dell’area di interventi normativi 81. 80 Waldron si caratterizza per un approccio più disincantato nei confronti del- la libertà di espressione: l’Autore è aperto a prospettive di regolamentazione nor- mativa del discorso pubblico e in questo senso si distingue nel panorama statuni- tense in virtù di una posizione minoritaria, espressa in particolare negli studi raccolti in WALDRON, The Harm in Hate Speech, Harvard. Per un quadro generale e un excursus storico sulla libertà di espressione negli Stati Uniti, v. KALVEN, A Worthy Tradition: Freedom of Speech in America, New York; per una sintesi del dibattito su pornografia e blasfemia v. POST, Cultural Heterogeneity and Law: Pornography, Blasphemy, and the First Amendment, in California Law Review. Interessanti spunti sul tema sono offerti anche da Robert Post il quale inter- preta la distinzione tra espressioni tollerabili e intollerabili come riflesso di di- namiche di egemonia sociale delle classi dominanti: secondo Post il discorso Tra sentimenti ed eguale rispetto Ricondurre la questione dello hate speech a un problema di offesa a sentimenti significherebbe sminuirne la portata 82, poiché una con- cezione emotivistica dell’interesse protetto non dà adeguatamente conto del radicamento del discorso d’odio e di come esso possa con- taminare l’ambiente sociale anche al di là del turbamento emotivo indotto su singoli individui. Lo hate speech non appare pertanto riducibile a un mero insulto dal forte impatto emotivo, ma piuttosto a un discorso che può intac- care la considerazione sociale dei destinatari dell’offesa, a detrimento di interessi come l’inclusività (inclusiveness) e la garanzia (assurance) di non essere discriminati 84. Il punto fondamentale, secondo Waldron, è distinguere fra espres- sioni che suscitano emozioni e dunque ‘offendono’ in un senso affine all’offense principle, ed espressioni che ‘aggrediscono’ la dignità del d’odio è ritenuto illegittimo poiché esorbita da standard che rinviano a norme so- ciali dettate dai gruppi dominanti: quando il diritto impone una determinata di- stinzione, come quella che richiede di non accomunare espressioni di fisiologico disaccordo a manifestazioni d’odio, sta in definitiva imponendo egemonicamente standard sociali di decorosità nei rapporti intersoggettivi: «This suggests that whenever law chooses to enforce cultural norms, as for example by enforcing norms that distinguish hate speech from normal disagreement, law hegemonical- ly imposes a particular vision of these norms. Hate speech regulation imagines itself as simply enforcing the given and natural norms of a decent society, á la Devlin; but from a sociological or anthropological point of view we know that law is always actually enforcing the mores of the dominant group that controls the content of law», v. POST, Hate Speech, cit., p. 130. Sembra fondarsi invece sulla ‘non astinenza epistemica’ che accompagna i divieti in materia di hate speech, e che sarebbe dunque incompatibile con una dimensione democratica del discorso pubblico, la critica di fondo di HEINZE, Hate Speech. Nella letteratura italiana, con diversità di accenti, sul problema della (tendenzialmente impossibile) ‘astinenza epistemica’ del legislatore in materia di regolamentazione del discorso pubblico VISCONTI C., Aspetti penalistici; TESAURO, Ri- flessioni in tema di dignità umana. La differenza risiede nella distinzione «between undermining a person’s dignity and causing offense to the same individual [...] to protect people from of- fense or from being offended is to protect them from a certain sort of effect on their feelings. And that is different from protecting their dignity and the assurance of their decent treatment in society», WALDRON, The Harm in Hate Speech. WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 116; per un approfondimento critico sul rischio di interpretazioni soggettivistiche, e un riorientamento della categoria degli hate crimes in una prospettiva incentrata su dissenso politico e rispetto per le differenze v. PERRY, A Crime by Any Other Name: The Semantics of Hate, in 4 Journal of Hate Studies. WALDRON, The Harm in Hate speech. Fisionomia dell’offesa soggetto («offending people and assaulting their dignity»), intesa come basic social standing, the basis of their recognition as social equals and as bearers of human rights and constitutional entitlements. Il turbamento che un soggetto possa eventualmente avvertire, e dunque le emozioni negative che plausibilmente si accompagnano alle parole87, non sono del tutto irrilevanti (e testimoniano come l’offesa coinvolga qualcosa di importante per la persona), ma enfatizzarne il rilievo significherebbe, secondo Waldron, esporsi alla critica che lo hate speech tuteli meri sentimenti. L’offesa emotiva rappresen- ta una proiezione soggettiva, ‘metonimica’ nel senso che descrive solo una parte della dimensione del danno. Perché un’espressione di negazione del riconoscimento dovrebbe essere ritenuta più grave di una critica irridente che offende il sentire soggettivo? Fra le ragioni addotte a sostegno della diversa gravità di tali forme di offesa, anche Waldron richiama l’insondabilità delle emozioni soggettive e la mutevolezza delle soglie di suscettibilità individuale, the basic distinction between an attack on the body of beliefs and an attack on the basic social standing and reputation of a group of people is clear. In every aspect of democratic society, we distinguish between the respect accorded to a citizen and the disagreement we might have concerning his or her social and political convictions. Defaming the group that comprises all Christians, as op- posed to defaming Christians as members of that group, means defaming the creeds, Christ, and the saints», WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 120. 86 WALDRON, The Harm in Hate speech, cit., p. 59. 87 Assumiamo come presupposto che le parole possano ferire, quantomeno in- ducendo emozioni negative; il fatto che tali conseguenze possano non essere con- siderate rilevanti in quanto non integrino la dimensione normativa del danno, è un problema successivo, ma che non dovrebbe portare a disconoscere una di- mensione di lesività a livello naturalistico. Sul punto risulta interessante la posi- zione di Schauer, il quale sostiene che definire aprioristicamente come ‘minore’ il danno provocato da parole, solo perché ‘non fisico’ o meno visibile, sia altamente opinabile. Riconoscere che un danno, inteso come sofferenza fisica, possa crearsi, non significa automaticamente inferirne la rilevanza sul piano giuridico in termi- ni di compressioni di libertà: «If there is a free speech principle, then a conse- quence will be that a range of distresses and negative outcomes produced by the relevant category of speech act will be considered not to have caused harms in the legally redressable sense, but that is very different from saying pretheoretically that it is a characteristic of the acts that they are as category less harmful», SCHAUER, The Phenomenology of Speech and Harm,Ethics. WALDRON, The Harm in Hate Speech. WALDRON, The Harm in Hate Speech. Tra sentimenti ed eguale rispetto ma non appaiono queste le ragioni decisive. L’offesa discriminatoria fa leva sulla diversità per comunicare esclusione da ogni prospettiva di dialogo: in questo senso realizza un’interazione con lo status sociale e relazionale delle persone attraverso la negazione del patto etico su cui si fonda la convivenza, ossia la pari dignità dell’altro 90. L’intru- sione nella sfera di libertà altrui si realizza attraverso una potenziale compromissione delle trame sociali e relazionali, e più in generale dell’ambiente sociale in cui dispiegano la propria esistenza gli indivi- dui destinatari di determinate espressioni. Un’ulteriore importante precisazione avanzata da JWaldron concerne la distinzione a livello concettuale tra offese alla reputazio- ne del gruppo ed espressioni discriminatorie che si riflettono sul sin- golo individuo in quanto appartenente al gruppo. Troppo spesso, os- serva Waldron, la c.d. ‘diffamazione di gruppo’ (defamation group) Si è osservato che l’incriminazione di tale tipologia di espressioni potrebbe essere l’unica eccezione al principio secondo cui in uno Stato liberale non si do- vrebbero incriminare concezioni di valore e modi di pensare: «[d]iversamente ac- cade, eccezionalmente, soltanto quando certi comportamenti manifestano e/o realizzano modi di pensare, convinzioni e concezioni di valore con i quali viene propagandato e/o trasformato un certo stile di vita che esclude in modo combat- tivo altre concezioni del bene, oppure addirittura nega a certi gruppi all’interno della società lo stato di membri aventi gli stessi diritti», v. WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mantenimento di orientamenti sociali di carattere assiologico [cf. H. P. Grice, CONCEPTION OF VALUE – AXIOLOGY]? ABEL, La parola e il rispetto, cit., pp. 101 ss., il quale individua la c.d. ‘riproduzione della disuguaglianza di status’ come uno dei possi- bili danni realizzabili dalle parole. D’obbligo il richiamo alla cosiddetta ‘Critical Race Theory’ quale esempio di teoria che ha esposto con dovizia argomentativa, per quanto non immune da obie- zioni, le ricadute dannose del discorso denigratorio basandosi sulle espressioni a sfondo razziale: in estrema sintesi si sostiene che la diffusione dell’odio, e in parti- colare l’odio razzista, produrrebbe a livello individuale fenomeni di ansia, disagio psichico e perdita di autostima tali da poter influire sulla vita relazionale degli individui, mentre a livello sociale porterebbe alla formazione di un clima culturale di ostilità fino a poter generare anche il c.d. ‘Silencing Effect’, ossia l’effetto silenziatore consistente nello screditare socialmente le minoranze offese fino a minare il loro status di partner a livello comunicativo in ambito sociale. Per un’ampia e dettagliata sintesi v. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana; cfr. PINO, Discorso razzista e libertà di manifestazione del pensiero, in Politica del diritto; si veda anche a cura di Thomas-Zanetti, Legge razza diritti. La Critical Race Theory negli Stati Uniti, Reggio Emilia. Il lessico inglese distingue fra individual defamation e group defamation intendendo con il secondo termine l’area di problemi che viene comunemente identificata come hate speech. In many countries, a different term or set of terms is used by jurist: instead of “hate speech”, they talk about “group libel” or “group defamation”», v. WALDRON, The Harm in Hate Speech. Mal-   Fisionomia dell’offesa 171 viene intesa come offesa che, indirizzandosi ai valori che fondano l’identità del gruppo, coinvolgono il singolo solo in termini di disagio emotivo: non è questa la prospettiva con cui identificare lo hate speech. L’offesa che dovrebbe rilevare come discorso discriminatorio è quella che strumentalizza l’appartenenza al gruppo come fattore di degradazione e di inferiorità della persona. In altri termini, una prospettiva di intervento normativo non do- vrebbe avere ad oggetto principi o concezioni valoriali in sé, neppure nella forma mediata di carattere identificativo di un gruppo, e dunque nella loro dimensione sovraindividuale e impersonale. I cosiddetti ‘va- lori’, intesi come principi su cui un soggetto impronta la propria vita specie con riferimento alla sfera morale, possono assumere rilevanza in quanto elementi costitutivi del modo d’essere degli individui. Al termine di tale complessa disamina, un dato di fondo sembra difficilmente contestabile: distinguere fra espressioni di odio e di cri- tica, tra offese alla dignità del singolo in quanto aderente a un grup- po e offese alla reputazione del gruppo stesso, e più in generale stabilire la portata offensiva di un’espressione verbale o simbolica, è un’operazione ermeneutica che necessita di un’attenta lettura di contesti e situazioni, e che non può essere imbrigliata in categorizzazioni di carattere ‘assoluto. Ermeneutica del fatto ed ermeneutica della norma Prima di verificare la rispondenza di tali distinzioni nelle eventuali prassi applicative, si pone l’esigenza di una riflessione sul piano dei presupposti del ragionamento. L’individuazione di un confine fra critica e discriminazione si ri- grado la sostanziale identità sul piano lessicale, la defamation group non appare perfettamente sovrapponibile a ciò che nel contesto italiano viene definito diffamazione di gruppo come variante plurisoggettiva del reato di diffamazione semplice, la quale è volta, quantomeno in via teorica, a reprimere le medesime offese che rileverebbero ex art. 595 c.p., ossia un novero più ampio rispetto a ciò che si potrebbe definire ‘discorso d’odio’ (v. infra, nota 120). 93 WALDRON, The Harm in Hate Speech. Sul tema, v. DE MONTICELLI, La questione morale; cfr. RAZ, I va- lori fra attaccamento e rispetto, tr. it., cur. di Belvisi, Reggio Emilia. Osserva GALEOTTI, La politica del rispetto, che «culture e tradizioni possono avere un valore estetico, storico e archeologico, ma non intrinsecamente morale. Il loro valore morale deriva dal fatto che sono importanti e fonti d’ispi- razione per i loro membri e non in sé. Tra sentimenti ed eguale rispetto flette sul raggio applicativo di norme giuridiche, sia vigenti sia in prospettiva de iure condendo, e dipende in primo luogo dall’interpre- tazione di dinamiche intersoggettive e di aspetti fattuali: non sempli- cemente conoscenza di fatti, bensì attribuzione di significato ad azioni ed espressioni. La distinzione fra questi profili non sembra adeguatamente ap- profondita in sede teorica95, ed è del tutto trascurata nel contesto giurisprudenziale, ove l’interpretazione del fatto finisce per essere as- sorbita, e data per scontata, rispetto alla sussunzione normativa, sen- za riconoscere che le peculiarità del fatto possono dar luogo a pro- blemi logicamente autonomi e complementari all’ermeneutica della norma giuridica: problemi «di interpretazione del fatto, e che si riflet- tono sulla applicazione del diritto» 96. In questa sede ci limitiamo a evidenziare come la distinzione fra ermeneutica del fatto ed ermeneutica della norma si ponga a livello concettuale quale richiamo, a nostro avviso necessario, per eviden- ziare fasi differenti nella gestione epistemica del ragionamento giu- diziale 97. La soglia di rilevanza penale di manifestazioni espressive costitui- sce un tema in relazione al quale i rapporti fra ermeneutica del fatto ed ermeneutica della norma appaiono fortemente compenetrati; co- me osservato da Richard Abel: «gli sforzi giuridici per regolare l’espressione sprofondano nell’inelimi- nabile ambiguità dei significati. Il senso e la valenza morale dei sim- 95 Un’opera dedicata ex professo al rapporto fra giudicante e interpretazione di elementi extragiuridici, e più in generale, al tema del ruolo dei valori culturali quale fattore di influenza nelle decisioni giudiziali, è lo studio di BIANCHI D’ESPINOSA- CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio-culturali della giuri- sprudenza, cit. 96 PULITANÒ, Nella fabbrica delle interpretazioni penalistiche,a cura di Biscotti-Borsellino-Pocar-Pulitanò, La fabbrica delle interpretazioni, Milano. Problema differente è se la distinzione fra ermeneutica del fatto ed erme- neutica della norma sia meramente concettualistica, finendo per restare assorbita nella spirale ermeneutica e nell’intreccio tra fatto e diritto; sul tema, con diversità di accenti, v. FIANDACA, Ermeneutica e applicazione giudiziale del diritto penale, in ID., Il diritto penale tra legge e giudice, Padova; DI GIOVINE O., L’in- terpretazione nel diritto penale. Tra creatività e vincolo alla legge, Milano DONINI, Disposizione e norma nell’ermeneutica penale, La fab- brica delle interpretazioni; PULITANÒ, Nella fabbrica delle interpretazioni penalistiche; PALAZZO, Testo e contesto. Fisionomia dell’offesa 173 boli variano radicalmente a seconda di chi parla e di chi ascolta e pos- sono capovolgersi rapidamente, perfino istantaneamente. Quando si ha a che fare con forme di espressione non si pone tan- to un problema di conoscenza di fatti, quanto di selezione e valuta- zione di elementi di contesto chiamati a definirne la dimensione di significato: l’interpretazione di una manifestazione espressiva non si riduce a un esame della lessicalità o a un riscontro oggettivo di gesti simbolici senza tenere in considerazione la relazione intersoggettiva di base e il contesto di sfondo. Lo studioso, ed eventualmente il giudice, si trovano alle prese con una complessa ermeneutica finalizzata a concretizzare il volto del fatto punibile, complementare rispetto all’ermeneutica della norma. Problemi simili sono emersi con riferimento anche ad altri ambiti, ad esempio nell’interpretazione del concetto di osceno in rapporto alla libertà di creazione artistica 100, in relazione all’accertamento del- l’appartenenza culturale di un soggetto quale eventuale causa di attenuazione della responsabilità101, e anche in relazione all’interpretazione del gesto del bacio come condotta sessualmente pregnante piuttosto che come approccio confidenziale e innocente. Come è stato osservato in dottrina, la ricostruzione del fatto è probabilmente il momento più delicato del procedimento interpretativo, avvinto in un intreccio col diritto che è stato definito diabolico: l’interprete non è un semplice spettatore che importa passiva- ABEL, La parola e il rispetto. FIANDACA, Problematica dell’osceno. FIANDACA, Problematica dell’osceno. Una caso emblematico è la vicenda giudiziaria relativa al film ‘Ultimo tango a Parigi’ di Bertolucci, oggi riassunta nel volume di AA.VV., a cura di Massaro, Ultimo tango a Parigi quarant’anni dopo. Osceno e comune sentimento del pudore tra arte cine- matografica, diritto e processo penale, Roma; v. in particolare il saggio di MASSARO, Lo spettacolo cinematografico osceno tra elementi elastici e difetto di determinatezza. DE MAGLIE, I reati culturalmente motivati. In relazione a tale ultima questione si è osservato come l’interpretazione del gesto non possa limitarsi a una statica rispondenza con pattern comportamentali, ma richieda piuttosto una prospettiva ermeneutica «incline a prendere in consi- derazione anche il contesto in cui il contatto fisico si realizza e dunque la complessa dinamica intersoggettiva che si sviluppa nell’ambito della situazioni coartanti, v. FIANDACA, Ermeneutica e applicazione giudiziale. GIOVINE O., Considerazioni su interpretazione, retorica e deontologia in di- ritto penale, in Riv. it. dir. proc. pen. Tra sentimenti ed eguale rispetto mente e acriticamente elementi della realtà all’interno del proprio procedimento cognitivo, ma opera una selezione determinata dalle peculiari modalità di apprendimento che caratterizzano in modo dif- ferente ogni singolo individuo, sulla base di fattori che comprendono il corredo neurobiologico, la dimensione delle esperienze personali, la matrice culturale 104 e, piaccia o non piaccia, l’ideologia 105. In altri termini, il giudicante non si limita a prendere atto di ele- menti di fatto, ma interpreta i significati del fatto selezionando gli aspetti rilevanti per la decisione. In fase applicativa tali questioni finiscono per restare assorbite, e non sufficientemente distinte, dal piano strettamente giuridico, e si espongono in questo senso a una gestione epistemica sulla quale in- combe il rischio di un uso non adeguatamente sorvegliato di nozioni e di concetti che attengono al piano socio-psicologico. In altri termini, sarebbe opportuno far sì che determinate interpre- tazioni dei significati del fatto divenissero oggetto di analisi ed even- tualmente di confutazione, «piuttosto che essere semplicemente fatte passare per conoscenza generale o per ciò che i giudici ritengono esse- re, non sempre correttamente, e non sempre indipendentemente dal 104 Per tutti, DI GIOVINE O., L’interpretazione nel diritto penale. Per un’approfondita riflessione, ancora attuale, sull’ideologia del giudice v. GRECO, Premessa, Cfr. DE MAGLIE, I reati culturalmente motivati. Nel panorama italiano il problema di una perizia relativa ai profili socio- culturali del fatto si è posto, soprattutto in passato, con riferimento ai rapporti fra valore artistico e oscenità, e ad oggi è discusso prevalentemente in relazione ai c.d. reati ‘culturalmente motivati’; in riferimento al tema della perizia artistica v. LUCIANI, La nozione penalistica di “opera d’arte” di cui all’art. 529 c.p. Considera- zioni di diritto sostanziale e processuale, a cura di Massaro, Ultimo tango a Parigi. In relazione alla perizia culturale, oltre al citato studio di Cristina de Maglie, va menzionato un ulteriore importante contributo proveniente dall’ambito costituzionalistico nel quale viene tematizzata la necessità di un avvaloramento epistemico del ragionamento giudiziale attra- verso l’elaborazione un percorso volto a rendere tendenzialmente più oggettivo l’accertamento di un conflitto culturale: v. RUGGIU, Il giudice antropologo. Costitu- zione e tecniche di composizione dei conflitti multiculturali, Milano. Sempre in tema di reati culturalmente motivati, con riferimento alla valutazione della motivazione culturale, è frequente riscontrare nella giurisprudenza di legittimità argomentazioni carenti e approssimative, sovente esito di posizioni ideologiche pur benintenzionate ma nondimeno fortemente discutibili: per un esempio v. Cass. pen., sez., con nota di FERLA, Il pugnale dei Sikh tra esigenze di sicurezza e divieti normativo-culturali, in Giur. it. Fisionomia dell’offesa  loro retroterra culturale, la saggezza comune dell’umanità» 108. Per tali ragioni ben si comprende che la valutazione del margine di confine fra espressioni tollerabili ed espressioni non consentite, anche ove sia tenuta a distanza dalla sensibilità della vittima, finisca poi per essere esposta, e dipendere in larga misura, anche dalla sen- sibilità dell’interprete, sia esso studioso teorico o applicatore di even- tuali norme 109. Si tratta di un fattore problematico del quale va tenu- to conto sia come chiave di lettura delle oscillazioni riscontrabili nel- la casistica giurisprudenziale, sia quale elemento di riflessione in rapporto al ruolo che i giudici assumono, o potrebbero assumere, nel farsi arbitri della soglia di intervento penale 110. In relazione a un ulteriore profilo, sempre legato alla ricerca di SCHAUER, Il ragionamento giuridico, tr. it., Bari. Sottolinea con chiarezza TARUFFO, Senso comune, esperienza e scienza nel ragionamento del giudice, in ID., Sui confini. Scritti sulla giustizia civile, Bologna, che il ragionamento del giudice non è determinato da criteri o norme di carattere giuri- dico, bensì, quando supera i confini di ciò che convenzionalmente si intende per ‘diritto’, risulta impregnato anche del cosiddetto ‘senso comune’. Da ciò la neces- sità che il giudice sia «consapevole della frammentazione e della variabilità delle coordinate conoscitive e valutative che ormai sono i tratti dominanti della società attuale. In ambito penalistico, HASSEMER, Perché punire è necessario., osserva, con realismo, che il giudice fa ricorso a teorie del senso comu- ne sia per questioni inerenti al contenimento dei tempi del giudizio, ma anche perché il suo ruolo deve restare comunque centrale rispetto ai pareri della scien- za; nondimeno egli deve assumersi tale responsabilità epistemica: il giudice penale ha il diritto e il dovere di apportare il suo sapere fattuale e di assumer- sene la responsabilità. Da questa responsabilità non può liberarlo alcun pare- re». Sul cosiddetto ‘senso comune’ v. Supra. Esempio emblematico di ermeneutica del fatto impregnata di discutibili principi di psicologia del senso comune, per lo più riflesso di precomprensioni del giudicante, sono le sentenze relative alla vicenda del film ‘Ultimo tango a Parigi, Ultimo tango a Parigi. Un’altra pronuncia, più recente, in cui risulta altamente opinabile l’ermeneutica del fatto è Trib. Latina, riportata in SIRACUSANO, Vilipendio religioso e satira: “nuove” incriminazioni e nuove soluzioni giurisprudenziali, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale; per una critica v. VISCONTI C., Aspetti penalistici. Il fenomeno è evidente soprattutto in quelle disposizioni che hanno un’importanza politica, che regolano cioè, in senso lato i rapporti fra lo Stato e i cittadini, e che – naturalmente – consentano più di un’interpretazione. E, nella possibilità di una duplice interpretazione, l’una e l’altra certamente, per così dire, politica, può stabilirsi, attraverso l’esame di una decisione, l’indirizzo ideo- logico del giudice», v. BIANCHI D’ESPINOSA, Introduzione, in BIANCHI D’ESPINOSA- CELORIA-GRECO-ODORISIO-PETRELLA-PULITANÒ, Valori socio-culturali della giurisprudenza. Tra sentimenti ed eguale rispetto una soglia oggettiva di tollerabilità delle forme di espressione e, più in generale riferibile alle norme che richiamino, implicitamente o espressamente, fatti di sentimento, è stato condivisibilmente osserva- to in dottrina che quando vengono in gioco interessi di tutela assimi- labili in tutto o in parte a sentimenti la tipicità diviene prevalente- mente valutativa, rimettendo al giudice bilanciamenti che, teorica- mente, il diritto avrebbe dovuto cristallizzare in astratto 111. Un caso emblematico è l’onore personale, in relazione al quale si è osservato come esso non si presti a una predeterminazione esaustiva, ma sia in definitiva co-determinato dall’incidenza che i diritti costituzionalmente rilevanti esercitano nel determinarne i limiti di estensione. Si è parlato di una ‘tipicità on balance’ «nel senso che la figura criminosa in questione, lungi dall’essere ricostruita una volta per tut- te in modo stabile e definitivo assume una fisionomia variabile che dipende dalle caratteristiche del caso concreto. In altri termini, un intreccio simbiotico tra fatto e antigiuridicità, alla luce del quale non è appropriato parlare di un giudizio di tipicità del tutto indipendente dalla eventuale sussistenza di cause di giustificazione, con la conse- guenza che le operazioni di bilanciamento sottese al momento giusti- ficativo finiscono per avere una funzione indispensabile al fine di integrare la tipicità stessa. Fattispecie così strutturate, prive cioè di una dimensione lesiva compiutamente apprezzabile in sede di tipicità, scaricano sul momento applicativo la definizione di requisiti strutturali, imponendo in via surrogatoria al giudice di tracciare autonomamente i confini dell’illi- ceità attraverso tecniche di bilanciamento a vocazione “tipologica. GIUNTA, Verso un rinnovato romanticismo penale? TESAURO, La diffamazione. TESAURO, La diffamazione. TESAURO, La diffamazione. TESAURO, La diffamazione. Oltre a tale profilo, e alle connesse implicazioni di teoria del reato, un simile intreccio fra tipicità e giustificazione rappresenta a nostro avviso la conferma che l’interpretazione dei conflitti in tema di libertà di espressione si sottrae a una logica binaria, tale per cui o vi è offesa o vi è esercizio di libertà; si tratta di un ambito dominato da situazioni in cui il con- fine tra lecito e lecito non solo non appare predeterminabile in chiave di tipicità astratta, ma è poroso, labile. Si è osservato che uno dei limiti della giurispruden- za italiana sul vilipendio alla religione è quello di adottare, con discutibili percor- si argomentativi, un’impostazione secondo la quale l’operatività della scriminante dell’esercizio di un diritto rappresenta un’alternativa che si pone in rapporti dico-   Fisionomia dell’offesa L’incardinamento dei bilanciamenti sottesi alla giustificazione fra le trame di una tipicità ‘di matrice giudiziale’, se da un lato può ac- crescere il potenziale di discrezionalità degli applicatori, dall’altra parte produce l’effetto di concepire il fatto tipico come struttura in fieri, aperta alla presa in carico di problemi e di istanze sociali che trovano voce attraverso le cause di giustificazione 116, ricollocandone il raggio d’azione non semplicemente come elementi tali da neutra- lizzare una precedente offensività, ma come fattori che influiscono sul disvalore del fatto in concreto. In questo senso si potrebbe ipotizzare che l’intreccio fra tipicità e giustificazione finisca per assegnare alle scriminanti un ruolo di ‘re- spiro’ della fattispecie astratta simile a quello svolto dagli elementi normativi di matrice culturale. Le norme limitative della libertà di espressione appaiono in questo senso ‘a geometria variabile’117, ossia modellate su bilanciamenti che risentono dei mutamenti dei costumi e delle soglie di tollerabilità so- ciale, non fissabili aprioristicamente ma da determinarsi in relazione a un quadro di contingenze storiche e culturali. A conferma del fatto che non si possono affrontare tali questioni senza una chiara messa a fuo- co del contesto che fa da sfondo alle espressioni, ai mondi morali a confronto e alle contingenze storico-politiche: «[l]a apparentemente distaccata, analisi di diritto positivo su libertà di parola e repressione penale è [...] insidiata e talora travolta dal calore dell’urgenza della realtà così com’è, e quindi dal confronto politico tout court» 118. tomici con eventuali interessi concorrenti; in questo modo la ricognizione dei conflitti finisce per adagiarsi su una logica binaria, trascurando, o negando, che ciò che rende legittimo l’esercizio di una libertà o di una eventuale limitazione non è la radicale inconfigurabilità di un eventuale controinteresse, ma si tratta invece di un giudizio legato a contingenze del caso concreto e a criteri di oppor- tunità della sanzione; v. VISCONTI Aspetti penalistici.Come osservato da Donini, il mondo dei diritti riflesso nelle cause di giustificazione riguarda la continua evoluzione della società civile una varietà ed evoluzione che sottostà all’apparente staticità delle incriminazioni e produce a volte nuove fattispecie di reato create in via legislativa, ma è capace di bilanciare tali diritti anche dentro e contro le vecchie incriminazioni, le quali non sanno darci un’immagine della società se non attraverso il mondo dei diritti, che cambiano il vero contenuto dei beni protetti dal codice penale, anche se questo può restare apparentemente invariato per decenni, v. DONINI, Critica dell’antigiuridicità e collaudo processuale delle categorie. I bilanciamenti d’interessi dentro e oltre la giustificazione del reato, in Riv. it. dir. proc. pen. Traggo l’espressione da PULITANÒ, Diritto penale, VII ed., cit., p. 126, il quale la usa per definire gli elementi normativi di valutazione culturale.  118 VISCONTI C., Aspetti penalisticiTra sentimenti ed eguale rispetto SEZIONE II Alla prova dei fatti: blasfemia e propaganda razzista Non ho niente contro Dio, è il suo fan club che mi spaventa WOODY ALLEN SOMMARIO: 6. Illegittimità o tollerabilità delle restrizioni penalistiche al discorso pubblico? Il dibattito sui rapporti fra libertà di espressione e sensibilità religiosa. L’ambiguità dell’art. c.p. Le vignette di Charlie Hebdo: diritto di offendere o offesa tollerabile?  Le norme sulla propaganda razzista in Italia: quale spazio a sentimenti? Il discorso razzista fra estremismo politico e insulto discriminatorio. Sinossi. Illegittimità o tollerabilità delle restrizioni penalistiche al discorso pubblico? Il tema della potenziale dannosità a livello sociale di determinati contenuti espressivi chiama in causa l’orizzonte comunicativo del di- scorso pubblico, il quale per definizione caratterizza il livello di liber- tà e di apertura della democrazia in rapporto al pluralismo delle idee e ai margini di tolleranza e di repressione del dissenso. Si tratta dell’area in cui la legittimazione di eventuali restrizioni normative è più problematica: offese circoscrivibili alla dialettica fra persone fisiche possono essere ricomprese nella tutela dell’onore in- L’oggetto della libertà di espressione è il discorso. Non qualsiasi tipo di di- scorso, bensì il discorso pubblico. L’esercizio della libertà di espressione ha una vocazione di pubblicità, di trascendenza nella sfera pubblica. La libertà di espressione è, in questa misura, il requisito fondamentale della comunicazione politica in democrazia», v. ROIG., Libertà di espressione, cit., p. 36. Sull’etica del discorso pubblico come strumento volto alla realizzazione, e non solo all’affermazione, di valori, v. VIOLA, La via europea della ragione pubblica, in AA.VV., a cura di Trujillo- Viola, Identità, diritti, ragione pubblica in Europa, Bologna. Fisionomia dell’offesa 179 dividuale120, eventualmente come condotte qualificate da contenuti tali da aggravare la responsabilità, situandosi in un’area di crimina- lizzazione che, per quanto problematica 121, non è mai stata messa se- riamente in discussione dal punto di vista della legittimità costitu- zionale 122. Maggiori criticità si addensano su altre fattispecie tese a incrimi- nare manifestazioni del pensiero, in primo luogo la propaganda raz- zista di cui all’art. 3 comma 1, lett. a, della legge n. 654 (introdotto dalla c.d. Legge Mancino, cronologicamente successiva): non atti di istigazione alla discriminazione o alla violenza 123, ma pa- L’ambito applicativo della fattispecie di cui all’art. 595 c.p. (diffamazione semplice) non si estende, secondo giurisprudenza costante, a offese rivolte a col- lettività, anche se circoscritte, di persone. Per una panoramica della giurispru- denza della Corte Edu e della giurisprudenza italiana v. CUCCIA, Libertà di espres- sione e identità collettive, Torino; Nella giurisprudenza italiana, v. Cass. pen., sez. V, 04/04/2017, n. 16612; cfr. Cass. pen., sez. V, 09/12/2014, n. 51096; più datata è Cass. pen., sez., in Giur. it., con nota di LARICCIA, Sulla tutela penale delle confessioni religiose acattoliche; in senso favorevole, v. Cass. pen, sez. V, 16/01/1986, in Dir. inf., Per una sintesi del problema v. LA ROSA, Onore, sentimento religioso e libertà di ricerca scientifica, nota a Trib. Mondovì, 22 febbraio 2007, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Da ultimo, FIANDACA, Sul bene giuridico. Si veda C. cost., n. 86/1974. Cfr. ROMANO, Legislazione penale e tutela della per- sona umana (Contributo alla revisione del Titolo del codice penale), in Riv. it. dir. proc. pen., 1/1989, p. 61; SIRACUSANO, Problemi e prospettive della tutela penale dell’onore, Verso un nuovo codice penale, Milano; DONINI, Ana- tomia dogmatica del duello. L’onore dal gentiluomo al colletto bianco, in Indice pena- le, 2000, pp. 1080 ss.; per una sintesi, nel quadro di una posizione non radicalmente abolizionista ma tesa a limitare l’intervento penale a offese particolarmente gravi (attribuzione di fatti non corrispondenti a verità in contesti comunicativi estesi a più persone), v. GULLO, Diffamazione e legittimazione dell’intervento penale. Fra i costituzionalisti v. PUGIOTTO, Le parole sono pietre?, cit., p. 15; MANETTI, Libertà di pensiero e tutela delle identità religiose. Introduzione ad un’analisi comparata, in Quad. di diritto e politica ecclesiastica, 1/2008, p. 46. La legittimità del- la tutela dell’onore individuale non è messa in discussione dalla Corte Edu, la quale si è limitata, fino ad oggi, a rilevare gli eccessi della risposta penale dell’ordina- mento italiano, in quanto, secondo la Corte Edu, non dovrebbe essere prevista, sal- vo casi eccezionali, la sottoposizione a pena detentiva; v. per tutte, Corte eur. dir. uomo, Sez. II, sent. 24/09/2913, Belpietro c. Italia, ric. n. 42612/10; per una sintesi del problema e per un’analisi della giurisprudenza italiana più recente sul tema del trattamento sanzionatorio della diffamazione v. GULLO, Diffamazione e pena detenti- va, in www.penalecontemporaneo.it, 3/2016, pp. 1 ss. 123 Incriminati ai sensi dell’art. 3 della legge n. 654/1975 lett. seconda parte –, e lett. Tra sentimenti ed eguale rispetto role e discorsi che possono costituirne un volano. Secondariamente, vengono in gioco le residue ipotesi di vilipendio alla religione, soprattutto l’art. 403 c.p., il quale si presenta nelle fogge di un’offesa al- l’onore personale ma sembra assumere nelle applicazioni giurispru- denziali un ruolo dai contorni più ampi. È soprattutto con riguardo a tali tipologie di incriminazione che oggi la dottrina penalistica fa ricorso al lessico dei sentimenti per sot- tolineare in chiave critica un’asserita impalpabilità del substrato dell’offesa: valga, come sintesi, il rilievo di Tesauro il quale si chiede se tramite l’incriminazione della propaganda razzista non si finisca per tutelare emozioni collettive (di scandalo, imbarazzo, disgusto, inquietudine o paura), e se, dunque, non assomigli molto da vicino alla tutela penale di un sentimento a cavallo tra solidarietà e allarme sociale. Insomma, un impasto a metà strada fra sentimenti individuali di umiliazio- ne pubblica, reputazione di gruppo, uguaglianza formale senza distinzioni di razza, ordine pubblico ideale, universalismo morale anti-discriminazione. È plausibile ritenere che dietro tale norma vi siano anche, in buo- na parte, input che promanano da un disagio socialmente diffuso di fronte al fenomeno razzista, e che dunque la norma in un certo senso finisca per assumere anche la funzione di tutela di un sentire democratico. Tale rilievo, per quanto difficilmente confutabile, non sembra però sufficiente a chiudere il discorso sulla legittimazione. Al di là delle indiscutibili criticità, è lo stesso Tesauro a riconoscere che la que- stione non va declinata in termini meramente concettualistici ma è «irriducibilmente etico-politica e dagli esiti altamente controvertibili e resta aperta a opposte soluzioni che convogliano giudizi di valore, preferenze culturali e scelte di politica criminale. TESAURO, La propaganda razzista; si veda anche SPENA, Libertà di espressione e reati di opinione. L’analisi destrutturante di Tesauro evidenzia inoltre come il ricorso al cor- rettivo ermeneutico del pericolo concreto non appaia sufficiente a contenere l’ambito di applicazione della disposizione entro una ragionevole area di oggettività, v. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana. TESAURO, La propaganda razzista. Nella dottrina statunitense si è osservato criticamente che i discorsi a favore o contro il disvalore degli hate crimes sono affetti da un elevato grado di concettualismo, poiché, attraverso la ricerca di un danno oggettivo riconducibile all’odio, cercano di rendere meno  Fisionomia dell’offesa È una questione politicamente e costituzionalmente aperta, non archiviabile frettolosamente dietro l’invocazione, pur benintenziona- ta, dell’art. 21 Cost.: sono in gioco valori costitutivi della democrazia costituzionale, la cui protezione ha importanza rilevante anche (non solo) da un punto di vista simbolico. Il problema di un equilibrio con la libertà di espressione finisce per scaricarsi sul momento applicativo, alla ricerca di una ragionevolezza con mitezza attenuata, secondo una formula che è stata adoperata per indicare che il bilanciamento costituzionale fra valori confliggenti, e l’eventuale sacrificio di uno di essi (questo il senso della ‘non mitezza’), devono essere comunque accompagnati da ragionevolezza 128. Previsioni incriminatrici ‘non illegittime’ come quelle che l’ordina- mento italiano annovera nella legge Mancino necessitano di un regime di sorveglianza speciale: la loro tollerabilità è legata al grado di ragionevolezza applicativa. Un problema di qualità delle decisioni giudiziali, i cui esiti di giustizia non possono darsi per scontati: il ri- spetto del principio costituzionale della libertà di espressione richiede che le interpretazioni e le applicazioni siano fortemente selettive, calibrate su criteri fra i quali deve a nostro avviso essere tenuta ben presente, quantomeno a livello concettuale, la necessità di distingue- re tra espressioni che offendono la mera sensibilità ed espressioni che veicolano contenuti di umiliazione. Tale delega alla phronresis giudiziale è motivata dalla constatazione, a nostro avviso, di una non eliminabilità dall’ordinamento di fattispecie pur discutibili come quelle che incriminano la propaganda razzista: troppo forte la risonanza etica e la consustanzialità dei beni in gioco in rapporto ai valori che la democrazia riconosce come proprio fondamento. evidente il portato assiologico della scelta di politica del diritto al fine di restare coerenti con un liberalismo asseritamente neutrale: v. KAHAN, Two Liberal Falla- cies in the Hate Crimes Debate, in 20 Law and Philosophy. Si veda anche WOHLERS, Le fattispecie penali come strumento per il mante- nimento di orientamenti sociali di carattere assiologico?, secondo il quale rappresentazioni di valore e convinzioni possono essere considerati come legittimi beni da proteggere nel caso in cui la loro lesione metta in discussione l’«intesa sociale-normativa dominante. Traggo l’espressione da SALAZAR, I destini incrociati della libertà di espres- sione e della libertà di religione: conflitti e sinergie attraverso il prisma del principio di laicità, in Quad. di diritto e politica ecclesiastica, la quale sottoli- nea che il bilanciamento fra valori costituzionali potrebbe portare al sacrificio di uno di essi, non ‘mite’ dunque, ma pur sempre (necessariamente) ragionevole; vi può essere ragionevolezza senza mitezza, ma non mitezza senza ragionevolezza. Tra sentimenti ed eguale rispetto Non si tratta però di un assunto risolutivo, bensì di un fattore che rende ancora più complesso il gioco di equilibri e che, soprattutto, responsabilizza la figura del giudicante quale anello ultimo e decisivo di una ‘catena della ragionevolezza’129 necessaria per affrontare il problema di limiti alla libertà di espressione. A risultare determinanti saranno doti di sensibilità culturale e ca- pacità interpretativa dei fenomeni da parte del giudice, nel quadro di una sapienza non ‘algoritmica’ 130 bensì auspicabilmente vicina a una saggezza pratica. È tutt’altro che scontato, e sarebbe ingenuo pensare, che tali doti risiedano in misura sufficiente nella totalità dei giudici, ma sarebbe forse altrettanto frettoloso dare per scontato che non vi siano margini per una intelligente e ‘non intollerabile’ gestione dell’arsenale penali- stico in materia di libertà di espressione. Il problema è aperto, e sollecita l’intero mondo della cultura giuridica a meditare su percorsi di studio e di formazione funzionali a dare ai soggetti giudicanti gli strumenti per un’attenta lettura delle vicende e dei contesti fattuali, non semplicemente delle norme 131. Nel prosieguo compiremo una sintetica disamina di alcuni recenti sviluppi giurisprudenziali in relazione alla tutela del sentimento reli- gioso e alla normativa sulla discriminazione razziale. Il tema del discorso razzista rappresenta la palestra concettuale più significativa per verificare la tenuta della distinzione fra critica e discriminazione. 129 Sul tema della ragionevolezza nel diritto penale v. per tutti PULITANÒ, Ragionevolezza e diritto penale, Napoli, ZAGREBELSKY, Su tre aspetti della ragionevolezza, in Il principio di ragionevolezza nella giurisprudenza della Corte costituzionale. Riferimenti comparatistici, in Atti del Seminario svoltosi in Roma, Palazzo della Consulta, Milano. Osserva FIANDACA, Il giudice tra giustizia e democrazia nella società complessa, in ID., Il diritto penale tra legge e giudice, che sarebbe necessario un affinamento culturale nella preparazione dei magistrati, attraverso uno studio specifico delle logiche del ragionamento giudiziale e di altri aspetti che regolano il giudizio di fatto oltre che il giudizio di diritto. Istanze che vengono rimarcate da VINCENTI, Diritto e menzogna. La questione della giustizia in Italia, Roma, quando descrive criticamente il giudice contemporaneo come «funzionario o burocrate, vittorioso in un concorso a cui segue una progressione in carriera pressoché automatica, formatosi su di una letteratura accademica di stampo ma- nualistico, spesso obsoleta e comunque aliena dal ricercare il perché delle regole, abituato a ragionar per massime, naturalmente assai poco curioso di andare oltre le rappresentazioni istituzionali e poco propenso ad assumere il dubbio metodico quale cifra del proprio agire.   Fisionomia dell’offesa Quanto alla residua fattispecie di vilipendio di cui all’art. 403 c.p., non si richiede che le espressioni siano discriminatorie; lo schema tipico rimane quello della condotta di insulto, del tenere a vile. Nondimeno, si pone l’esigenza di distinguere tra offese al patrimonio ideale delle confessioni, plausibilmente foriere di affronti alla sensibi- lità dei credenti ma che oggi dovrebbero considerarsi penalmente ir- rilevanti, da offese all’onore della persona. Iniziamo dai rapporti fra religione e libertà di espressione con particolare riferimento alla satira, per sondare alcuni recenti ap- prodi giurisprudenziali nel contesto italiano e per dedicare una ri- flessione al caso delle pubblicazioni del settimanale francese Charlie Hebdo, al centro dell’attenzione dopo i tragici episodi. Il dibattito sui rapporti fra libertà di espressione e sensibili- tà religiosa In nome di sentimenti religiosi è stato di recente versato del san- gue; l’esercizio di una libertà che è cifra simbolica dell’occidente libe- rale ha attivato spirali di violenza e generato un clima di terrore al cospetto del quale la riflessione sui modi d’uso della libertà non può abbandonarsi a cliché morali, pur benintenzionati, o a ingenui ireni- smi. Su un piano fattuale non sembra esservi ragione più immediata e plausibile della suscettibilità emotiva per dar conto delle conflittuali- tà emerse; se pure nella prospettiva penalistica i sentimenti possono difettare di tassatività, dall’altro lato, essi sono però in grado di pro- durre conseguenze ben visibili, a conferma della loro rilevanza indi- viduale e sociale. 132 PROSDOCIMI, voce Vilipendio (reati di), in Enciclopedia del diritto, Milano. Sul vilipendio religioso v. MORMANDO, I delitti contro il sentimento religioso e contro la pietà dei defunti, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, diretto da Marinucci-Dolcini, vol. V, Padova, 2005, pp. 148 ss.; ID., «Lai- cità penale» e determinatezza. Contenuti e limiti del vilipendio, in AA.VV., a cura di Dolcini-Paliero, Studi in onore di Giorgio Marinucci, vol. III, Milano. Per un’accurata e ben documentata silloge di episodi in cui sono emersi at- triti fra satira e religione v. RUOZZI, Piccolo manuale di blasfemia audiovisiva. Dal Mistero Buffo televisivo a Southpark, in AA.VV., a cura di Melloni-Cadeddu- Meloni, Blasfemia, diritti e libertà. Tra sentimenti ed eguale rispetto Il traumatico ritorno in scena della sensibilità, o forse, più pro- priamente, della suscettibilità religiosa nel contesto occidentale costituisce un attacco frontale alla libertà di espressione per mano di for- ze che hanno usato il linguaggio della violenza e dell’annientamento dell’altro. A prescindere da quello che sia il giudizio sul merito delle rappre- sentazioni satiriche danesi e di Charlie Hebdo, va detto in premessa che le reazioni suscitate «non possono essere assunte a parametro di un “sentimento religioso” rilevante per il nostro ordinamento. Proprio le caratteristiche che ne fondano il forte e preoccupante rilievo politico, sullo sfondo di un te- muto “scontro di civiltà”, e sollecitano adeguate valutazioni e risposte politiche, impongono di tenere ferma la valutazione di estraneità e per così dire irricevibilità giuridica. Il sentimento religioso, che può porre un problema di tutela, non può essere misurato sulle fatwe né su vio- lenze aizzate politicamente in altri paesi» 134. L’agire violento esclude ogni prospettiva di considerazione giuri- dica per le istanze avanzate; resta tuttavia in piedi l’interrogativo su come sia più ragionevole oggi configurare una tutela del sentimento religioso ‘a misura liberale’. Uno dei nodi di fondo si identifica nell’al- ternativa fra tutela della/e religioni e tutela delle persone che profes- sano una religione 135: se la prima ipotesi rappresenta un retaggio del passato incompatibile con i principi del pluralismo assiologico e di laicità136, la seconda è aperta a diverse declinazioni. Riorientare la tutela sulla persona del credente esclude la prospettiva del bene di civiltà; meno scontato è l’approdo ultimo. Vediamo in che termini la distinzione fra tutela della confessione e della persona del credente entra oggi in gioco nel panorama appli- cativo dell’ordinamento italiano. 134 PULITANÒ, Laicità e diritto penale. Cfr. FERRARI, La blasfemia in Europa, dalla tutela di Dio alla tutela dei credenti, in resetdoc.org,; CIANITTO, Libertà di espressione liber- tà di religione: un conflitto apparente?, a cura di Melloni-Cadeddu- Meloni, Blasfemia, diritti e libertà. Cfr. CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà religiosa, Ex plurimis, PALAZZO, La tutela della religione tra eguaglianza e secolarizzazione. Fisionomia dell’offesa L’ambiguità dell’art. 403 c.p. La distinzione tra offesa alle credenze e offesa alla persona trova un punto di riferimento nell’art. 403 c.p. La fattispecie costituisce, in- sieme all’art. 404 c.p., un residuo delle ipotesi di vilipendio origina- riamente previste, fra le quali l’art. 402 c.p. (dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza) costituiva la norma più emblematica e dai risvolti più critici. Davvero il vilipendio alla religione può dirsi decriminalizzato sul piano della sostanza? L’art. 403 c.p. e l’art. 404 c.p. ne recuperano in parte l’eredità residua, circoscrivendo le ipotesi di rilevanza penale a una casistica più definita (quantomeno formalmente) di azioni le quali dovrebbero avere a oggetto le persone che professano una religione o cose destinate al culto 140. Dopo la caduta dell’art. 402 c.p., è l’offesa alla persona che potrebbe rendere legittima una restrizione alla libertà di manifestazione del pensiero, lasciando fuori dall’area di intervento le forme di critica al patrimonio ideale di una confes- sione. In realtà l’art. c.p. appare caratterizzato da una formulazione non particolarmente felice, la quale persiste nella rubrica e nel te- 138 L’incriminazione del vilipendio della religione cattolica è caduta sotto la scure della Consulta non per contrasto con l’art. 21 Cost., bensì per violazione degli artt. 3 e 8 Cost., in linea con un trend interpretativo che non ha mai asseconda- to le pochissime richieste di illegittimità dei vilipendi alla religione per violazione dell’art. 21 Cost. Risulta solo un ordinanza, la n. 479/1989, nella quale è stata sol- levata questione di legittimità costituzionale dell’art. 403 c.p. per contrasto anche con l’art. 21. In quel caso la declaratoria della Corte è stata la manifesta inammis- sibilità per la non pertinenza della questione rispetto al giudizio in corso, senza alcuna riflessione sul merito dei rapporti tra l’art. 403 c.p. e l’art. 21 Cost. Per una panoramica della giurisprudenza costituzionale sull’art. 402 c.p., v. SALAZAR, I «destini incrociati» della libertà di espressione. Sembra aderire a un recupero pressoché pieno della portata dell’art. c.p. FALCINELLI, Il valore penale del sentimento religioso, la quale, adesiva- mente alla giurisprudenza, osserva che il vilipendio generico a una confessione religiosa, anche in assenza del riferimento a persone determinate, possa rientrare nell’art. 403 c.p., e che anche l’offesa a simboli, come ad esempio il crocifisso, possa assumere rilevanza penale ai sensi della medesima disposizione. Di diverso avviso PULITANÒ, Laicità, multiculturalismo, diritto penale, in AA.VV., a cura di Risica- to-La Rosa, Laicità e multiculturalismo. Profili penali ed extrapenali, cit., pp. 245 s. 140 Le condotte descritte dalle fattispecie non sono del tutto simmetriche: nel caso dell’art. 403 c.p. il vilipendio esprime la modalità di lesione, mentre nell’art. 404 c.p. è l’offesa alla confessione religiosa a costituire l’evento strumentale alla realizzazione del vilipendio a cose che formino oggetto di culto. Tra sentimenti ed eguale rispetto sto141 a riconoscere la centralità del vilipendio alla confessione reli- giosa 142, relegando in una posizione strumentale l’offesa a chi la pro- fessa: «l’offesa alla religione resta il criterio ermeneutico essenziale del settore. Non sono mancate applicazioni in cui la Corte di Cassazione ha optato per un approccio repressivo, sostenendo che ai fini dell’inte- grazione dell’art. 403 c.p. sia sufficiente che le espressioni di vilipen- dio siano genericamente riferite alla indistinta generalità dei fedeli «tutelando la norma il sentimento religioso e non la persona (fisica o giuridica) offesa in quanto appartenente ad una determinata confes- sione religiosa» 144. Tale pronuncia si esprime con nettezza a favore di un’interpretazione impersonale del vilipendio; sentenze successive, pur senza la medesima univocità, ne hanno ricalcato gli itinerari logico-argomentativi, rivelando nel complesso un’adesione (inconscia?) all’impostazione del defunto art. 402 c.p. In un caso un soggetto è stato condannato per aver esposto «nel centro di Milano un trittico da lui realizzato – tre fotocopie in bianco e nero, stampate su tela – raffigurante, rispettivamente, il Pontefice in carica, un pene con testicoli e il segretario personale del Pontefice, con la didascalia, Chi di voi non è culo scagli la prima pietra. E anche nel regime della perseguibilità, prevista d’ufficio, la quale enfatizza la dimensione istituzionale dell’interesse protetto. 142 Un problema ben noto alla dottrina penalistica già negli anni Settanta; per un’approfondita critica agli orientamenti giurisprudenziali che operavano una sostanziale commistione fra artt. 402 e 403 c.p., applicando quest’ultimo anche a casi di offesa impersonale a contenuti di fede v. PULITANÒ, Spunti critici. MORMANDO, I delitti contro il sentimento religioso; sulla stessa li- nea di pensiero v. FLORIS, Libertà di religione; MANETTI, Libertà di pen- siero e tutela delle identità religiose, cit., p. 65; PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose, cit., pp. 39 ss. Cfr. ROMANO, Principio di laicità dello Stato, cit., p. 214: «il fatto vietato e punito resta il vilipendio delle religioni». Viene fatto notare come il trattamento sanzionatorio più grave per il vilipendio del ministro di culto con- fermi l’orientamento della tutela verso l’assetto istituzionale delle confessioni re- ligiose, così SIRACUSANO, Pluralismo e secolarizzazione dei valori. La di- sposizione è dunque ambigua e si presta a usi discutibili; in dottrina si è rilevato che per salvarla sul piano della legittimità costituzionale occorrerebbe prendere sul serio la direzione personale del vilipendio e il legame da accertarsi in concreto, non in via presuntiva, del vilipendio alla confessione con l’offesa alla persona, v. PULITANÒ, Laicità e diritto penale, cit., p. 313; cfr. SERENI, Sulla tutela penale della libertà religiosa, Cass. pen., sez. Cass. pen., sez. Fisionomia dell’offesa 187 In un secondo episodio vi è stata condanna per aver esposto un cartellone raffigurante sullo sfondo una sagoma costituita dall’im- magine del Pontefice in carica, e, in primo piano, un bersaglio costituito da una serie di cerchi concentrici con l’indicazione di punteggi vari, riportante in calce la scritta: «1.000 punti, caramelle, preservati- vi, vino e ostie sconsacrate se centri quel buco di culo da cui quoti- dianamente vomita fiumi di merda» 146. La Corte di Cassazione sembra riproporre la teoria dei limiti logici, quando afferma che in materia religiosa la critica è lecita quando – sulla base di dati o di rilievi già in precedenza raccolti o enunciati – si traduca nella espres- sione motivata e consapevole di un apprezzamento diverso e talora antitetico, risultante da una indagine condotta, con serenità di meto- do, da persona fornita delle necessarie attitudini e di adeguata preparazione: mentre trasmoda in vilipendio quando – attraverso un giudi- zio sommario e gratuito – manifesti un atteggiamento di disprezzo verso la religione, disconoscendo alla istituzione e alle sue essenziali componenti (dogmi e riti) le ragioni di valore e di pregio ad essa rico- nosciute dalla comunità. In entrambi i casi menzionati la rilevanza penale delle condotte non appare in discussione; si pone però la questione se l’offesa sia da considerarsi rivolta alla persona del Pontefice o piuttosto al ruolo istituzionale e dunque al legame con un certo tipo di opinioni espres- se dall’istituzione ecclesiastica in tema di etica sessuale; l’integrazione della diffamazione appare pacifica, meno scontato è il vilipen- dio alla religione ex art. 403 c.p. Secondo la lettura proposta dalla Corte tale fattispecie non sem- brerebbe configurarsi come delitto contro l’onore e la dignità della persona, ma assumerebbe piuttosto le vesti di un mero surrogato del vecchio vilipendio ex art. 402 c.p., orientato alla tutela di un interesse affine al bene di civiltà. In occasione della condanna per il trittico 146 Cass. pen., sez. Per una ricostruzione del panorama giurisprudenziale sul punto v. SIRACU- SANO, I delitti in materia di religione; PACILLO, I delitti contro le con- fessioni religiose, cit., pp. 111 ss.; in termini generali, sulla teoria dei limiti logici v. CARUSO, Tecniche argomentative della Corte costituzionale e libertà di manifesta- zione del pensiero, in forumcostituzionale.it/wordpress/images/stories/- pdf/documenti_forum/paper/0360_caruso. Cass. pen., sez. III, 07/04/2015, n. 41044. 149 Cfr. SIRACUSANO, Vilipendio religioso e satira. Tra sentimenti ed eguale rispetto raffigurante il Pontefice, la Cassazione ha osservato che: «ai fini della configurabilità del reato, non occorre che le espressioni offensive siano rivolte a fedeli ben determinati, ma è sufficiente che le stesse siano genericamente riferibili alla indistinta generalità degli aderenti alla confessione religiosa. Perciò il vilipendio di una reli- gione, tanto più se posto in essere attraverso il vilipendio di coloro che la professano o di un ministro del culto rispettivo, come nell’ipotesi dell’art. 403 cod. pen., che qui interessa, legittimamente può limitare l’ambito di operatività dell’art. 21» 150. Si tratta di un orientamento che inverte il rapporto tra offesa alla persona e offesa al credo: la religione non appare come elemento qualificante l’offesa alla persona ma è il bene ultimo di un’incrimi- nazione che concepisce l’offesa individuale in termini strumentali ed episodici. Appare in questo senso avvalorata la tesi di chi ha individuato l’interesse protetto dalle nuove norme, post riforma, in un bene «a carattere superindividuale, la cui “consistenza” si gioca prevalentemente sul piano ideale, così come sul medesimo piano si pone la condotta espressiva ritenuta lesiva del bene protetto. Possiamo in definitiva affermare che l’offesa alla persona del credente resti ancora oggi marginale, pur in presenza di una disposizione che, nel suo tenore formale, si presenta come un delitto contro l’onore qualificato dallo status della persona offesa, ma che di fatto 150 Cass. pen., sez. VISCONTI C., Aspetti penalistici; cfr. PELISSERO, La parola perico- losa. Il confine incerto del controllo penale del dissenso, in Questione giustizia. Nel complesso si rimane ancorati a un sistema che differenzia tra forme di religiosità classiche e forme di religiosità diversa o c.d. negativa. Il legislatore conferma un favor verso manifestazioni della spiritualità ancora- te a un’ottica tradizionale che si identifica nelle forme di organizzazione delle religioni; sul punto gli orientamenti nella dottrina divergono: da un lato SIRACUSA- NO, Pluralismo e secolarizzazione dei valori,  rileva che «siamo ben lontani dall’unica possibile prospettiva di tutela nello Stato laico: quella che si fonda su una considerazione paritaria di tutte le opzioni individuali in materia di fede, quindi anche delle opzioni agnostiche ed atee»; diversa è l’opinione di ROMANO, Principio di laicità dello Stato, il quale riconosce il completo silenzio serbato dal legislatore «su forme di agnosticismo o di ateismo attivo, prati- cato con personali accenti di doverosità morale», concludendo tuttavia che esso «non porterebbe ad alcuna “discriminazione ideologica perché per eventuali offese arrecate a forme associative ispirate a pur radicate convinzioni areligiose o agnostiche non è parso seriamente evocabile, nella situazione del nostro Paese, un qualsiasi rischio per la tranquillità».   Fisionomia dell’offesa 189 guarda più alla matrice dello status che a colui che ne è il rappresentante: la tutela di un’asserita sensibilità collettiva, legata all’offesa del patrimonio ideale di una confessione, costituisce ancora oggi il punto di riferimento principale 152. La casistica esaminata appare tutto sommato non particolar- mente problematica, quantomeno sul piano della rilevanza penale: vi è il coinvolgimento di soggetti concretamente individuabili, e a fronte di espressioni ingiuriose resta tutt’al più aperto il problema se si tratti di vilipendio alla religione o di offese tali da integrare la diffamazione. Problemi più complessi sorgerebbero se le forme di espressione avessero ad oggetto non persone reali, ma simboli, icone, e in generale i dogmi di una confessione. Nel contesto italiano la caduta del vili- pendio ex art. 402 c.p. dovrebbe deporre per l’irrilevanza penale; il problema merita però di essere analizzato anche in un’ottica extraor- dinamentale, in riferimento a episodi dove l’irrisione satirica ha su- scitato reazioni violente, con un’evidente sovraesposizione del fattore emotivo. Le vignette di Charlie Hebdo: ‘diritto di offendere’ o offesa tollerabile? Prendiamo in esame quello che è stato definito uno ‘stress test’ per i modelli di tutela, ossia il caso delle vignette pubblicate dal setti- manale francese Charlie Hebdo e, originariamente, dal settimanale danese Jyilland Posten. Anche la dottrina penalistica italiana si è po- sta l’interrogativo se tali manifestazioni espressive possano assumere rilevanza penale nell’ordinamento italiano; la risposta, condivisibil- mente argomentata, è stata di segno negativo 154: nell’attuale panora- ma normativo le vignette irridenti la religione islamica non sarebbero incriminabili poiché non rivolte a soggetti determinati ma orientate a ironizzare su dogmi e contenuti di fede 155. 152 Per un’approfondita disamina del problema della diffamazione delle reli- gioni in ambito internazionale v. ANGELETTI, La diffamazione delle religioni nella protezione ultranazionale dei diritti umani, in AA.VV., a cura di Brunelli, Diritto penale della libertà religiosa. CIANITTO, Quando la parola ferisce. Blasfemia e incitamento all’odio religioso nella società contemporanea, Torino, BASILE, La pubblicazione delle dodici vignette, BASILE, La pubblicazione delle dodici vignette. Tra sentimenti ed eguale rispetto Al di là della riconducibilità a una norma incriminatrice, è oppor- tuno chiedersi se i contenuti delle vignette siano accostabili a un’of- fesa ai sentimenti o al venir meno del rispetto-riconoscimento. Le vignette danesi (oggi facilmente visualizzabili su internet) non sembrano operare una vera e propria critica o messa in discussione di asserti religiosi, ma adoperano uno stile comunicativo particolar- mente forte nelle rappresentazione di figure sacre, violando in primo luogo il divieto di rappresentazione del Profeta. Si può a nostro avviso parlare di blasfemia, nel senso di rappre- sentazioni empie per l’ottica di un fedele, e dunque plausibilmente offensive del sentimento religioso. Non sembra però potersi chiamare in causa una vera e propria discriminazione assimilabile a hate speech: solo nel caso di un’unica vignetta, raffigurante il Profeta con una bomba in testa, si è osservato, a nostro avviso in modo forse un po’ forzato, che potrebbe veicolare un messaggio discriminatorio in forza di un’assimilazione dell’Islam a una religione di guerra e a una considerazione di tutti gli islamici come terroristi. Il discorso sulle vignette pubblicate nel corso degli anni dal settimanale francese Charlie Hebdo necessiterebbe di essere sviluppato attraverso un’analisi dettagliata delle singole immagini: non essendo possibile in questa sede, ci limitiamo ad alcune considerazioni di li- vello generale sui rapporti fra libertà di satira ed eguale rispetto. Partiamo da un presupposto: l’interpretazione dei contesti, gli at- tori delle vicende e le contingenze storico-sociali sono fattori coessenziali nella configurazione degli equilibri di rispetto. Conseguen- temente l’interrogativo sulla tollerabilità di un’espressione satirica appare destinato a ricevere risposte differenti a seconda dei soggetti coinvolti, dei contesti e delle epoche. L’umorismo e la satira possono essere gravemente irrispettosi a seconda delle cadenze adoperate e degli aspetti della persona che mettono in ridicolo. Si tratta di un buon punto di partenza per uscire dalla ingannatoria ricostruzione che vorrebbe distinguere tra ‘satira buona’ o vera satira, e ‘satira cattiva’: il fine della satira è toccare cor- de sensibili, e l’irrispettosità non è un aspetto patologico, bensì è connaturato al fenomeno satirico. È plausibile che la satira offenda dal punto di vista emotivo chi ne è oggetto, nel senso che a nessuno piace essere preso in giro e che l’essere irrisi induce tendenzialmente emozioni negative. 156 CIANITTO, Libertà di espressione e libertà di religione: un conflitto apparente?; amplius, v. EAD., Quando la parola ferisce. Fisionomia dell’offesa. Pensiamo alla solidarietà che il nostro Paese ha giustamente tributato al giornale francese Charlie Hebdo per l’inaccettabile e brutale aggressione subita: rimarchiamo che il gesto criminale non ha atte- nuanti, e l’affermazione della libertà di satira rappresenta un princi- pio fondamentale. Nondimeno, va considerato che l’appoggio solidale a Charlie è frutto di un’intrinseca parzialità, poiché concernente un fatto (le vignette sull’Islam) che non aveva un impatto emotivo pari a quello provato dai fedeli di religione musulmana. Basta cambiare esempio per accorgersi come anche nel nostro Paese l’atteggiamento nei confronti della satira muti radicalmente ove vi sia un diverso coinvolgimento. Si pensi alle vignette pubblicate sempre da Charlie Hebdo in occasione del terremoto avvenuto nel- l’Italia centrale ad agosto 2016: le risposte dell’opinione pubblica so- no state ben differenti, fino ad arrivare, da parte di soggetti delle isti- tuzioni, alla definizione di schifo. Ben diverso era il clima emoti- vo che aveva indotto molti cittadini ad adottare come effige dei propri profili telematici il logo ‘je suis Charlie’. Rispetto alle vignette sull’Islam cambia l’atteggiamento perché so- no diverse le emozioni suscitate nei destinatari, ma la sostanza dei fatti appare non dissimile: in entrambi i casi la satira ha colto nel se- gno, stimolando sensazioni forti, probabilmente offendendo emoti- vamente, e suscitando reazioni sdegnate da parte dei diretti destina- tari, ma sempre di satira si tratta. A partire da queste premesse, forse poco politically correct ma ade- renti alla realtà dei fenomeni, si pone il problema su come legittima- re l’esercizio della satira in quanto potenzialmente irrispettosa e in grado di dare fastidio 158. Nel contesto penalistico si è talvolta tracciato il confine fra espres- sioni tollerabili e non tollerabili attraverso una ricerca ‘ontologica’ di cosa sia satira e cosa invece si collochi al di là di essa, al fine di far derivare da tale ricostruzione effetti sul piano normativo, adottando. Così le ha definite il Presidente del Senato della Repubblica; la notizia è re- peribile su tgcom24.mediaset.it/politica/vignetta-charlie-su-sisma-gras- so-libero-di-dire-che-fa-schifo.Diritto di satira e libertà di religione godono entrambi di protezione a li- vello costituzionale, e sono pertanto «due beni, dunque, destinati ad una convi- venza mite, senza sopraffazioni dell’uno rispetto all’altro», così COLAIANNI, Dirit- to di satira e libertà di religione, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale. Per una definizione e una panoramica ricostruttiva del genere espressivo della satira, v. RATANO, La satira italiana nel dopoguerra, Messina- Firenze. Tra sentimenti ed eguale rispetto una concezione ‘deontologica’ della satira. Un simile modo di argomentare si caratterizza a nostro avviso per una fallacia che possiamo ricondurre alla violazione della Legge di Hume in senso inverso, ossia come ricostruzione fattuale a partire da un presupposto normativo: sarebbe satira ciò che non viola una certa soglia di continenza e che dunque non offende. Tale modo di procedere non consente di scindere adeguatamente i confini identificativi della satira da quelli che debbano essere, eventualmente, i limiti normativi. Come è stato efficacemente osservato: «Alla fine, sembra dunque non si possa fare a meno di accettare che la satira non abbia confini, benché in un senso diverso rispetto a quello che intendono quanti declinano questa tesi come tesi morale libertaria (“la satira non deve avere confini”); nel senso, invece, di una tesi con- cettuale che afferma che la libertà di satira non ha confini certi, poi- ché ci manca la possibilità di realizzare una precisa delimitazione teori- ca, attraverso la quale stabilire in maniera incontrovertibile quando ci si è mossi nell’alveo della libertà di satira e quando invece si è trasceso e si è entrati in un altro terreno, che, per quanto lo si possa continuare a considerare satirico, diventa sanzionabile dall’ordinamento. Ciò non significa postulare una ‘amoralità’ della satira, ma al con- trario pone le condizioni per giudicare in modo distinto il fine dell’espressione satirica dalle modalità con le quali essa si manifesta: il fine positivo della satira non è incompatibile con un umorismo par- ticolarmente caustico tale da essere financo irrispettoso e desacraliz- zante. Quale argomento a sostegno della libertà di satira si è osservato che una politica di tolleranza, e dunque non restrittiva, rappresenti un mi- Si veda ad esempio Trib. Latina, quando osserva che «[l]a satira è, dunque, un punto di vista che si distingue dal dileggio, dal vilipendio, dall’offesa, perché fornisce una lettura diversa della realtà e manifesta un giudizio di valore»; e ancor più netta è Cass. pen., sez. I, 24/02/2006 n. 9246: «La satira, notoriamente, è quella manifestazione del pensiero (talora di altissimo livello) che nei tempi si è addossata il compito di ‘castigare ridendo mores’; ovvero, di indicare alla pubblica opinione aspetti criticabili o esecrabili di persone, al fine di ottenere, mediante il riso suscitato, un esito finale di carattere etico, correttivo cioè verso il bene». Per una panoramica sulla giurisprudenza v. FLORIS, Libertà di religione; INFANTE, Satira: diritto o delitto?, in Dir. inf.; CAROBENE, Satira, tutela del sentimento religioso e libertà di espressione. Una sfida per le moderne democrazie, in Calumet. BÒ, Col sorriso sulle labbra. La satira tra libertà di espressione e dovere di rispetto, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale.   Fisionomia dell’offesa 193 gliore humus per l’attecchimento di principi fondamentali che hanno una base dialettica e che, ove venissero cristallizzati in una teca al ri- paro da aggressioni, rischierebbero di trasformarsi in dogmi. Un simile modo di argomentare è stato definito come ‘utilitarismo delle regole’: l’atteggiamento di chi ha risolto la ‘questione Charlie’ af- fermando sì la presenza di un’offesa, ma optando per il pieno risco- noscimento della libertà di espressione, sarebbe viziato dal fatto che «nel dirigere l’attenzione verso le regole, l’utilitarismo insinua il so- spetto che le conseguenze di un atto o di una regola non siano in fondo determinanti per i giudizi e i valori etici di una persona: che lo siano invece le regole in quanto tali, in quanto vengono considerate intrinsecamente giuste, quali che siano le conseguenze della loro appli- cazione» 162. Si può riassumere tale critica anche come un’obiezione di ‘disinte- resse alle conseguenze’: «la sicurezza con la quale si proclama tale opinione è totalmente aliena dai calcoli pazienti e minuziosi che sa- rebbero richiesti per sostanziare quella giustificazione (e ne rivela la vanità. L’argomento definito come ‘utilitarismo delle regole’ è da tenere in seria considerazione anche nella prospettiva giuridica; tuttavia, ciò che agli occhi del filosofo appare come un disinteresse alle conseguenze può rappresentare nella prospettiva penalistica una scelta di prudenza in rapporto a eventi offensivi la cui prevedibilità non appaia supporta- ta da una base nomologica sufficiente a legittimare divieti penali. Tenderemmo quindi a ritenere preferibile come opzione ultima la non restrizione della libertà di satira, ma al di là dell’atteggiamento BÒ, Col sorriso sulle labbra. BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Tutt’altro che risolutivo si rivela anche il ricorso a criteri di selezione delle condotte ben consolidati nel pensiero penalistico e avallati dalla Corte costituzionale: ci riferiamo allo schema del pericolo concreto, in merito al quale, come è stato efficacemente rilevato da Alessandro Tesauro, anche la selezione delle pro- prietà universalizzabili del caso concreto da utilizzare come criteri indiziari di una pericolosità effettiva della condotta, costituisce un’attività ‘normativamente compromessa’, nel senso che non porterà comunque a individuare criteri di corri- spondenza suscettibili di verifiche empiriche, ma il ruolo determinante sarà pur sempre giocato da scelte di valore dell’interprete, v. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana. Ciò che allora deve spingerci a non censurare quelle espressioni satiriche che, pur non istigando alla violenza, mancano gravemente di rispetto ai gruppi deboli e svantaggiati non è una generica libertà di espressione (questo, in alcuni   194 Tra sentimenti ed eguale rispetto prudenziale, riteniamo che la soluzione liberale possa trovare legit- timazione anche attraverso un ragionamento che si richiami al criterio dell’eguale rispetto e al bilanciamento fra reciproche pretese. Quando si analizzano i disaccordi in materia di satira religiosa bi- sogna individuare dei presupposti valoriali per impostare la discus- sione, ossia dei compromessi sul cui equilibrio ciascuna delle parti possa avere voce in capitolo: anche «coloro che credono in una reli- gione presa di mira possono dover considerare che il diritto di ridere di qualunque religione può esso stesso essere considerato dagli altri come un articolo di fede» 166. La sostanza di tale argomento è condi- visibile, anche se il percorso concettuale, con una ‘moltiplicazione di articoli di fede’, rischia di tramutarsi in un pendio scivoloso. Eguale rispetto dovrebbe significare preservare la libertà di pro- fessare una religione da un lato, e la fede nella libertà di satira, dal- l’altra: un impegno a far sì che nessun pregiudizio venga arrecato alle due libertà. Ebbene, la pretesa di coloro che chiedono restrizioni alla libertà di satira appare in questo senso sproporzionata poiché mentre vignette ed espressioni anche ‘urticanti’ non arrecano un vero e pro- prio pregiudizio alla libertà del credente e alla sua identità religiosa, la pretesa di comprimere la libertà di espressione altrui risulte- rebbe un vulnus sproporzionato. Si potrebbe a questo punto prendere in esame un ulteriore argo- mento, basato sulla maggiore suscettibilità che determinati fedeli, come ad esempio quelli di religione islamica, adducono sostenendo che ogni offesa alla propria religione è anche, intrinsecamente, un’of- fesa alla dignità delle persone che la professano. Ebbene, quale spazio di legittimità può essere riconosciuto a tale obiezione? Abbiamo introdotto il problema parlando della suscettibilità sog- casi, come abbiamo visto, è sbagliato) e nemmeno il fatto che quelle espressioni contribuiscano in qualche modo al raggiungimento della “verità” (in molti casi, questo è falso); piuttosto, a caldeggiare una politica di tolleranza nei loro con- fronti è il fatto che consentono ai principi che ci sono cari di difendersi sempre meglio e mantenersi vivi e tonici, e con essi il tipo di società nella quale aspiriamo a vivere», v. BÒ, Col sorriso sulle labbra. TELFER, Umorismo ed eguale rispetto, in AA.VV., a cura di Carter-Galeotti- Ottonelli, Eguale rispetto, Milano. Utilizzo tale concetto nell’accezione sviluppata da PINO, Sulla rilevanza giuridica e costituzionale dell’identità religiosa, in Ragion pratica, ossia come «l’insieme delle credenze, dei valori, delle appartenenze che un individuo ha in materia specificamente religiosa», e dunque come aspetto specifico della sfera della coscienza.  168 WALDRON, The Harm in Hate Speech. Fisionomia dell’offesa gettiva nella trattazione di Joel Feinberg; in questo caso il discorso è però differente, poiché riguarda non la suscettibilità di un singolo soggetto, ma di un gruppo: l’interrogativo è se si tratti di una vulne- rabilità meramente emozionale o se, diversamente, sia anche ricon- ducibile a una particolare debolezza sociale del gruppo. Con riferimento a tale seconda ipotesi, esponiamo le tesi di due Autori già incontrati nel corso dell’indagine. Da un lato, Margalit osserva che un gruppo vulnerabile, con una storia di umiliazione e sospetto da parte di coloro che lo circondano, specialmente da parte della cultura dominante, è suscettibile di interpretare ogni critica come umiliazione. Waldron tematizza il problema senza richiamare l’eventuale debolezza di un gruppo, ma incentrando il discorso sulla totale identificazione fra soggetto e ideologie/credenze. Di fronte all’interrogativo sul peso che possa essere riconosciuto alla percezione soggettiva nel caso di gruppi vulnerabili, e dunque al- la rilevanza della vulnerabilità nell’interpretazione dell’offensività di un’espressione, le posizioni di Margalit e Waldron divergono: biografia personale e matrici culturali sono fattori che probabilmente in- fluiscono su prese di posizione concernenti ‘scelte ultime’170, la cui argomentazione in termini razionali è particolarmente difficoltosa. Il filosofo israeliano propone i seguenti criteri di soluzione:  un primo criterio, basato sulla reciprocità secondo cui dovreb- be essere considerato critica qualunque cosa si desideri offrire ad altri e che si accetterebbe ove venisse offerta a noi stessi; un secondo criterio, in favore dell’interpretazione del gruppo vulnerabile, si lega alla «necessità morale di far pendere la bilancia dell’errore nell’interpretazione verso la parte del debole», e va però bilanciato da un altro principio secondo cui «qualunque cosa fosse considerata critica piuttosto che umiliazione se avvenisse “in fami- glia”, cioè all’interno del gruppo, dovrebbe pure essere considerata tale se proveniente dall’esterno del gruppo. Diversamente da Margalit, il quale dunque non esclude una carità interpretativa a favore dei gruppi vulnerabili, Waldron rimarca la ne- cessità di non assecondare normativamente pretese avanzate in forza di un’identificazione fra persona e ideali religiosi o politici: richieste MARGALIT, La società decente. Traggo questo concetto da BOBBIO, L’età dei diritti, Torino, MARGALIT, La società decente. [H. P. GRICE, principle of conversational helpfulness: what a decent chap does!] MARGALIT, La società decente. Tra sentimenti ed eguale rispetto di tutela di questo tipo sono da considerarsi esorbitanti in un conte- sto pluralista. Vi è l’esigenza di una limitazione delle pretese sogget- tive, pur tenendo conto che il legame identificativo fra individuo e ideali può essere così intenso da essere assimilabile a una ‘seconda pelle’; ma ciò non può giustificare sul piano politico provvedimenti normativi che limitino le libertà di tutti per preservare la serenità interiore di alcuni . Sintetizzando: sia Margalit sia Waldron concordano sulla necessi- tà di prendere atto che determinate espressioni meritino una partico- lare attenzione da parte del diritto poiché possono esorbitare dall’or- dinario range della critica e del mero insulto e divenire forme di umi- liazione e discriminazione della persona. Per Margalit il discrimine fra insulto e umiliazione può essere diverso a seconda del tipo di de- stinatari in quanto di fronte a un gruppo cosiddetto vulnerabile l’interpretazione delle espressioni dovrebbe essere condotta tenendo conto anche, eventualmente, della peculiare sensibilità; secondo Wal- dron tale differenziazione non è mai normativamente giustificabile e si presterebbe a divenire un problematico moltiplicatore di divieti sulla base di pretese soggettivistiche. Concordiamo con Waldron che l’identificazione fra critica a fedi e valori e offesa alla persona, rappresenti un argomento knock-out che sbilancerebbe le posizioni in gioco. Il credente il quale esige che i propri principi non vengano mai irrisi, adducendo che ciò significherebbe automaticamente offendere lui come persona, sta implicitamente cercando di sottrarre le proprie posizioni assiologico-religiose dal dibattito, ponendosi in questo senso in una posizione di supremazia, limitando la libertà di espressione altrui secondo criteri che non sono confutabili poiché si sottraggono per definizione a ogni ti- po di confronto. La prova di tale incommensurabilità fra posizioni emerge in relazione a un ulteriore test secondo il quale dovrebbe essere ritenuta of- fensiva un’espressione che nessun membro del gruppo avrebbe rite- nuto divertente, anche se a pronunciarla fosse stato uno del grup- po stesso. Tale test trascura a nostro avviso un dato fondamentale, ossia che i conflitti fra sensibilità nascono proprio dal fatto che vi possono essere gruppi che non accettano un certo modo di fare ironia tout court; non è un problema di qualità della satira, ma semplicemente la WALDRON, The Harm in Hate Speech. TELFER, Umorismo ed eguale rispetto, Fisionomia dell’offesa satira su certi temi potrebbe non essere ritenuta mai ammissibile. Un test di questo tipo non appare ad esempio risolutivo se applicato alle vignette sul Profeta Maometto poiché la religione islamica non sem- bra tollerare alcun tipo di ironia in questo senso. Bisogna dunque prendere atto che tali test sono poco funzionali quando pretendono di mettere a confronto pretese fra loro incompatibili poiché ricondu- cibili a gruppi che non si riconoscono nei medesimi valori. L’analisi filosofica di Ermanno Bencivenga è in questo senso spie- tata quando osserva che dal fedele di qualsivoglia religione non si può esigere un atteggiamento lassista e compromissorio sul rispetto della propria fede. Il carattere radicale del vincolo è tale per cui l’al- trui libertà di satira non potrebbe mai essere ritenuta tollerabile. In definitiva, il tema dell’identificazione fra soggetto e credenze spinge verso esiti illiberali: pretese modulate su una simile rigidità non possono essere accolte in un contesto pluralista, nel quale un in- teresse, pur di rango elevato, va comunque calato in una prospettiva di bilanciamento. Sintetizzando, la risposta all’interrogativo sulla libertà di satira, anche quando consista in vignette dissacranti come quelle pubblicate in Danimarca e come alcune di quelle pubblicate dal settimanale Charlie Hebdo, deve essere a nostro avviso positiva: nessuna rilevanza penale secondo l’attuale normativa italiana, ma anche nessuna futu- ribile prospettiva di censura. Attenzione però a non fare della satira un dogma: parlare di libertà di deridere è una formula schietta ma che rischia di prestar- si a distorsioni. Esprimersi a favore della libertà di satira non signifi- ca ritenerla insindacabile; da un lato il riconoscere l’irrispettosità del- la satira può non essere elemento sufficiente per inferirne l’opportu- nità di una criminalizzazione; dall’altro l’irrilevanza penale non im- plica la certificazione di un buon uso della libertà di espressione BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Cfr. PINO, Sulla rilevanza giuridica e costituzionale dell’identità religiosa. Concordiamo in questo senso con CANESTRARI, Libertà di espressione e liber- tà religiosa. TELFER, Umorismo ed eguale rispetto, Problema che si riconnette al più ampio tema dei valori e di un’etica della convivenza le cui polarità non dovrebbero essere determinate dalle dicotomie del- la liceità e illecità penale: «un’etica non legale e non penalistica di comportamen- to», come condivisibilmente osservato da DONINI, Il diritto penale come etica pub- blica, Modena, Tra sentimenti ed eguale rispetto Non appare opportuno diffondere a livello comunicativo formule come ‘libertà di offesa’ o ‘diritto di offendere’, mentre è bene riflettere su come gestire da un punto di vista sociale e comunicativo quelle che possono essere definite ‘offese tollerabili’, o meglio offese che i cittadini devono (imparare a) tollerare. La liceità dell’irrispettosità umoristica lascia aperto il problema di una ricostituzione del rispetto reciproco, di luoghi simbolici in cui possa essere offerta una compensazione a offese che, come nel caso delle reli- gioni, toccano strati profondi della persona. Riconoscere che le vignette di Charlie Hebdo possano ferire e abbiano offeso credenti di religione islamica non significa avallare la bestialità omicida dei terroristi, né comporta quale immediata implicazione quella di invocare lo strumento penale quale saracinesca. È però un punto importante per avviare un riconoscimento a soggetti che abbiano avvertito soggettivamente un’umi- liazione per la derisione ai propri simboli, anche in virtù del fatto che si tratta di appartenenti a gruppi deboli o comunque a minoranze, nei confronti dei quali l’irrisione satirica può comunque rappresentare una forma di amplificazione della disuguaglianza di status sociale. 8. Le norme sulla propaganda razzista in Italia: quale spazio a sentimenti? Sentimenti, pari dignità e discriminazione rappresentano concetti che concorrono a identificare il retroterra delle norme sulla propaganda razzista, ossia lo hate speech a sfondo razziale che in Italia è incriminato 180 Si è osservato che l’impatto sociale dell’irrispettosità satirica e la conse- guente tollerabilità della satira dovrebbe essere correlata alla categoria di soggetti sui quali la satira va a incidere: massima libertà ove l’irrisione si rivolga a soggetti che hanno una posizione di supremazia a livello sociale, mentre più problematico appare il caso in cui si faccia satira nei confronti di categorie deboli, specie fa- cendo leva su stereotipi e luoghi comuni. Questo criterio, definito come frutto di una «precomprensione egualitaria del discorso pubblico», v. CARUSO, La libertà di espressione in azione, appare in definitiva un bilanciamento tra il fine morale della satira e la sua ‘moralità interna’, vista attraverso l’egida assiologica del principio di uguaglianza. Per un interessante commento a una pronuncia del- la Corte Edu che, tramite l’art. 17 CEDU ha respinto il ricorso per violazione dell’art. 10 a seguito della condanna di un noto comico francese per uno spettaco- lo satirico sull’Olocausto, v. PUGLISI, La satira “negazionista” al vaglio dei giudici di Strasburgo: alcune considerazioni in «rime sparse» sulla negazione dell’Olocausto, in www.penalecontemporaneo.it, Fisionomia dell’offesa ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. a), della legge. Cominciamo a interrogarci su quale sia l’effettivo rilievo del sentimento nel richiamo all’odio quale elemento di fattispecie dell’art. della legge, il cui presupposto è la sussistenza di un’idea di- scriminatoria fondata sulla diversità determinata da una pretesa su- periorità razziale o da odio etnico 182. Ad una prima lettura emerge come nel corpo della disposizione normativa il sentimento non definisca l’oggetto di tutela, bensì rappre- senti la nota caratterizzante il tipo di espressioni che la legge intende vietare. La prospettiva appare invertita rispetto alle norme che abbia- mo precedentemente analizzato con riferimento agli altri ‘sentimenti- valori’ menzionati nel codice: piuttosto che parlare di tutela di senti- menti, l’assetto delle norme tratteggia una tutela da sentimenti, in rap- porto alla quale l’odio rappresenta lo stato affettivo da ‘disinnescare’ 183. 181 In un’ottica più ampia, sono pertinenti al discorso d’odio a sfondo razziale anche altre norme: l’apologia di genocidio di cui all’art. 8 della legge e le disposizioni della c.d. ‘Legge Scelba’ che aggravano la cornice sanziona- toria per l’apologia di fascismo nel caso in cui venga realizzata attraverso ‘idee e metodi razzisti’. Nella letteratura penalistica, v. a cura di Riondato, Di- scriminazione razziale, xenofobia, odio religioso. Diritti fondamentali e tutela pena- le, cit.; DE FRANCESCO, Commento a D.L. conv. con modif. dalla legge. Misure urgenti in materia di discriminazione razziale, etnica, religiosa, in Leg. pen.; FRONZA, Osservazioni sull’attività di propa- ganda razzista, in Riv. int. dir. dell’uomo; VISCONTI C., Il reato di propaganda razzista. Per una panoramica sulle applicazioni della normativa v. PAVICH-BONOMI, Reati in tema di discriminazione: il punto sull’evoluzione normativa recente, sui principi e va- lori in gioco, sulle prospettive legislative e sulla possibilità di interpretare in senso con- forme a Costituzione la normativa vigente, in www.penalecontemporaneo.it; FERLA, L’applicazione della finalità di discriminazione razziale in alcune recenti pronunce della Corte di Cassazione, in Riv. it. dir. proc. pen., Evidenzia la peculiarità delle incriminazioni contro la diffusione e l’incita- mento all’odio, rispetto al problema generale della cosiddetta ‘tutela penale di sen- timenti’, anche ALONSO ALAMO, Sentimientos y derecho penal, cit., pp. 59 ss. In realtà, secondo le indicazioni che emergono principalmente in ambito anglo-americano, va considerato che l’uso del termine odio, oltre a essere approssimativo, appare er- rato: «[w]hat has become clear is that the word ‘hate’ is really a misnomer. An of- fender need not actually hate his victim in order to have committed a ‘hate crime’; indeed he may feel no personal hatred towards that particular individual at all», v. WALTERS, Hate Crime and Restorative Justice, Oxford; cfr. PAREKH, Is There a Case for Banning Hate Speech?, in AA.VV., ed. by Herz-Molnar, The Content and the Context of Hate Speech, cit., p. 40. Si veda anche PERRY, A Crime by Any Oth- er Name, Il concetto di ‘crimine d’odio’ sconta oltretutto un’indeter- minatezza di fondo: si tratta di una definizione cosiddetta ‘ostensiva’, ossia che pro- cede non attraverso un’esaustiva esplicazione del definiens (l’odio), ma attraverso   200 Tra sentimenti ed eguale rispetto Tale precisazione non risolve ma rilancia l’interrogativo se dietro le norme sulla propaganda razzista si ponga effettivamente un pro- blema di sentimenti negativi. Nelle pronunce della giurisprudenza italiana, la maggior parte del- le quali relative all’applicabilità della circostanza aggravante (art., d.l.), la risposta è negativa, in quanto è decisamente pre- valente l’orientamento che interpreta il requisito dell’odio non come tratto affettivo del soggetto attivo, bensì come sfondo valoriale dei contenuti espressivi e simbolici legati alle condotte 184. Come osservato dalla Corte di Cassazione: «non può considerarsi sufficiente che l’odio etnico, nazionale, razziale o religioso sia stato, più o meno riconoscibilmente, il sentimento che ha ispirato dall’interno l’azione delittuosa, occorrendo invece che que- sta, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto nel quale si colloca, si presenti come intenzionalmente diretta e almeno poten- zialmente idonea a rendere percepibile all’esterno ed a suscitare in al- tri il suddetto, riprovevole sentimento o comunque a dar luogo, in fu- turo o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discri- minatori per ragioni di razza, nazionalità, etnia o religione» 185. una individuazione del definiendum (l’esempio concreto) il quale viene successiva- mente ricollegato al definiens. Si tratta delle cosiddette definizioni mediante esempi, suscettibili di convogliare istanze normative e culturali che tendono a ricondurre all’odio azioni e condotte le più diverse: «[c]lassificare un gesto criminale come crimine d’odio è compatibile in quest’ottica con un’ampia gamma di stati psicologi- ci, dalla rabbia alla noia, alla paura; perché non parlare, allora, di crimini di rabbia? Nascosto dietro al concetto di crimine d’odio sembra dunque esserci un altro significato culturale dell’odio, ossia ciò che motiva gesti di violenza insensata (normativamente ingiustificati) l’insistenza sul termine “odio” in una data si- tuazione, più che un fatto descrittivo, è il riflesso dell’impegno normativo a identificarsi con le sventure della vittima e a prendere le distanze dal punto di vista dell’aggressore», v. ROYZMAN-MCCAULEY-ROZIN, Da Platone a Putnam: quattro modi di pensare all’odio. Cass. pen., sez.; si vedano, ex plurimis, Cass. pen., sez. V, 12/06/2008, n. 38217; Cass. pen., sez. Un diverso orientamento si pone a sostegno di un’applicazione più ampia, e in particolare estesa a comprendere anche situazioni in cui vi sia solo la presenza di soggetto attivo e vittima: «Non è, dunque, richiesta la plateale ostentazione di tali motiva- zioni sì da ingenerare il rischio di reiterazione di analoghi comportamenti, essen- do sufficiente che l’azione rechi, in sé, le prescritte connotazioni, immediatamen- te percepibili nel contesto in cui è maturata, avuto riguardo al comune sentire ed alla comune accezione dell’espressione usata» v. Cass. pen., sez. V, 11/07/2006, n. 37609; ulteriori pronunce sono analizzate in PAVICH-BONOMI, Reati in tema di di- scriminazione, Cass. pen., sez.; cfr. Cass. pen., sez. Fisionomia dell’offesa. L’orientamento della giurisprudenza italiana sembra aderire alla concezione dello hate speech come fattore in grado di alterare in ne- gativo il clima sociale e di inoculare il germe della discriminazio- ne186. Non viene riservato spazio allo stato soggettivo dell’agente né alla verifica di un’effettiva diffusione del pensiero razzista e di un ‘contagio emotivo’, adottando un modello di intervento basato sul pe- ricolo astratto 187 e orientato alla tutela della dignità umana 188. Un’eloquente evocazione dei sentimenti la troviamo invece in una pronuncia ormai datata, relativa alla legge (at-tuazione della Convenzione internazionale per la prevenzione e la repressione del crimine di Genocidio), e in particolare all’art. 8 che in- crimina l’istigazione e l’apologia di genocidio 189. Ebbene, nel 1985 la Corte di Cassazione ebbe a definire la ratio di tutela del reato di pro- paganda come contrasto della «intollerabile disumanità odioso culto dell’intolleranza razziale che esprime, orrore che suscita nelle coscienze civili ferite dal ricordo degli stermini perpetrati dai nazisti e dai calvari tragicamente attuali di talune popolazioni africane e asiatiche. L’idoneità della con- dotta ad integrare gli estremi del reato non è già quella generale di un improbabile contagio di idee e di propositi genocidiari, ma quella più SPENA, La parola odio. Sovraesposizione, criminalizzazione, interpretazione dello hate speech, in Criminalia; sul tema, in termini generali, cfr. WALDRON, The Harm in Hate Speech. L’assunto è presente in Cass. pen., sez. Un’interpre- tazione correttiva è proposta da FRONZA, Osservazioni sul reato di propaganda razzista; cfr., per un differente percorso argomentativo volto a rico- noscere che la propaganda di idee razziste è già di per sé concretamente pericolosa per la dignità della persona, v. PICOTTI, Diffusione di idee razziste ed incitamento a commettere atti di discriminazione razziale, ss., nota a Tribunale Verona, in Giur. merito; contra, v. SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione; più ampiamente, TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana. Per tutti v. DE FRANCESCO, Commento a D.L. 26/4/1993 n. 122 conv. con modif. dalla legge; cfr. AMBROSETTI, Beni giuridici tutelati e struttura delle fattispecie: aspetti problematici della normativa penale contro la di- scriminazione razziale, in AA.VV., a cura di Riondato, Discriminazione razziale, xenofobia, odio religioso; PICOTTI, Istigazione e propaganda della discri- minazione razziale fra offesa dei diritti fondamentali della persona e libertà di mani- festazione del pensiero, in AA.VV., a cura di Riondato, Discriminazione razziale, xenofobia, odio religioso, cit., pp. 134 ss. 189 Sul tema v. CANESTRARI, voce Genocidio, in Enciclopedia giuridica, Roma. Tra sentimenti ed eguale rispetto strutturalmente semplice di manifestare chiaramente l’incondizionato plauso per forme ben identificate di fatti di Genocidio. Attraverso un lessico ad alto impatto emotivo, la Corte afferma la legittimità dell’incriminazione dell’apologia di genocidio quale argine all’‘orrore che suscita nelle coscienze’. Si tratta del caso più emblema- tico in cui una norma penale italiana finalizzata al contrasto al razzismo e alla discriminazione viene declinata alla stregua di una vera e propria tutela di sentimenti; un profilo che è stato puntualmente, an- corché sinteticamente, messo in evidenza nei commenti critici della dottrina dell’epoca, che ne ha rilevato altresì la profonda distonia con i principi enunciati dalla Corte costituzionale in tema di apologia ed istigazione, del tutto disattesi dalla pronuncia della Cassazione. Tale orientamento rimane un caso isolato nell’ambito della esigua giurisprudenza, e viene espressamente sconfessato dall’unica pronun- cia successiva, ad opera della Corte di Assise di Milano che ne confu- ta l’intero impianto motivazionale al fine di restringere l’operatività della norma alle sole ipotesi in cui l’apologia sia una «forma di istiga- zione indiretta, caratterizzata dalla nota interna che in essa l’induzio- ne alla commissione di un certo fatto si realizza attraverso l’esaltazione di un fatto analogo. Il discorso razzista fra estremismo politico e insulto discri- minatorio Veniamo infine ad analizzare alcuni profili di ermeneutica del fat- to che ricorrono nell’analisi della casistica sul discorso razzista. La giurisprudenza specifica che affinché siano integrati gli estremi del- l’espressione discriminatoria deve trattarsi di consapevole esteriorizzazione di un sentimento di avversione o di discriminazione fon- data su di un pregiudizio: ma cosa consente di distinguere a livello esteriore una critica da un pregiudizio? Cass. pen., sez. I, 29/03/1985, n. 507, in Foro it., La vicenda è relativa all’esposizione di striscioni inneggianti all’Olocausto durante una manifestazione sportiva: Mathausen reggia degli ebrei, ‘Una cento mille Mathausen’, ‘Hitler l’ha insegnato, uccidere l’ebreo non è reato. FIANDACA, nota a Cass. pen., sez., in Foro it., Corte di Assise di Milano, in Ius explorer. Cass. pen., sez. Fisionomia dell’offesa Nelle applicazioni della norma sulla propaganda razzista la giuri- sprudenza ha più volte adoperato il criterio basato sulla distinzione fra considerazioni che fanno leva sulla diffusione di determinati com- portamenti presso determinate etnie, e l’offesa all’etnia tramite inde- bite generalizzazioni. Risultano particolarmente problematiche le vicende riguardanti contesti di dialettica politica, nei quali è frequente il ricorso a stereo- tipi che, a seconda delle circostanze, possono assumere le vesti di veri e propri pregiudizi discriminatori. Il processo ai leghisti di Verona rappresenta un significativo leading case: sinteticamente, il fatto ri- guarda l’iniziativa di alcuni consiglieri comunali finalizzata a mandare via gli zingari dal comune scaligero attraverso un coinvolgimento della popolazione allertata da un volantino che recitava No ai campi nomadi. Firma anche tu per mandare via gli zingari. Fra le diverse questioni affrontate dai giudici, è importante ai fini della presente indagine rilevare quanto osservato dalla Corte di Cas- sazione in occasione dell’ordinanza di annullamento con rinvio: «La discriminazione si deve fondare sulla qualità del soggetto (zingaro, nero, ebreo, ecc.) e non sui comportamenti. La discrimina- zione per l’altrui diversità è cosa diversa dalla discriminazione per l’altrui criminosità. In definitiva un soggetto può anche essere legitti- mamente discriminato per il suo comportamento ma non per la sua qualità di essere diverso. Tale trend interpretativo rimane costante nella giurisprudenza successiva avente ad oggetto le dichiarazioni di soggetti politici nel- l’ambito dell’attività istituzionale e della campagna elettorale. Emergono tuttavia notevoli criticità in una recente pronuncia della Corte di Cassazione riguardante una condanna della Corte di Appello di Trieste per un volantino di promozione elettorale stampato e diffuso in occasione delle elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo, il quale secondo i giudici di merito 194 Un riassunto della vicenda in CARUSO, Dialettica della libertà di espressione: il caso Tosi e la propaganda di idee razziste, a cura di Tega, Le discriminazioni razziali ed etniche. Profili giuridici di tutela, Roma; si veda anche VISCONTI C., Il reato di propaganda razzista. Cass. pen., sez. Cass. pen., sez.; Cass. pen., sez. Tra sentimenti ed eguale rispetto «propagandava idee fondate sulla superiorità di una razza rispetto alle altre e sull’odio razziale, facendo ricorso, in particolare, allo slogan “basta usurai – basta stranieri” con sottinteso, ma evidente riferimen- to a persona di religione ebraica ed esplicito riferimento a persone di nazionalità non comunitaria e, sul retro del volantino, alla rappresen- tazione grafica esplicativa dello slogan di un’Italia assediata da sogget- ti di colore dediti allo spaccio di stupefacenti, da un Abramo Lincoln attorniato da dollari, da un cinese produttore di merce scadente, da una donna e un bambino Rom sporchi e pronti a depredare e da un soggetto musulmano con una cintura formata da candelotti di dinami- te pronti per un attentato terroristico. La Corte di Cassazione dispone l’annullamento senza rinvio perché il fatto non sussiste, argomentando proprio sulla base dell’asse- rita differenza del caso trattato rispetto alla condanna dei leghisti ve- neti, nel quale, secondo la Corte, appariva invece palese la discrimi- nazione degli zingari per il solo fatto di essere tali, in quanto il do- cumento diffuso non indicava alcuna plausibile ragione a sostegno dell’allontanamento, mentre il diverso caso in esame, «ad avviso del Collegio, in maniera alquanto grossolana, vuole veicola- re un messaggio di avversione politica verso una serie di comporta- menti illeciti che, con una generalizzazione che appare una forzatura anche agl’occhi del destinatario più sprovveduto, vengono attribuiti a soggetti appartenenti a determinate razze o etnie: il cinese che vende prodotti contraffatti, l’uomo di colore che spaccia stupefacenti, la rom che tenta di rapire il bambino, l’arabo che si fa esplodere in un atten- tato terroristico. E poi Abramo Lincoln, con i suoi dollari, a rappre- sentare la finanza e le banche, probabilmente da mettere in relazione alla scritta “basta usurai”». Cass. pen., sez.: secondo la descrizione riportata in sentenza, «su un lato compariva la propria foto sovrastata dalla scritta “Vota S.”, sotto la quale si leggeva, a grandi caratteri, la frase “BASTA USURAI, BASTA STRANIERI”. Sotto, il simbolo del partito di appartenenza (Destra Sociale – Fiamma Tricolore), con una mano che vi appone una croce e scrive di fianco “ S.”. Più in basso, l’URL del blog del candidato; sull’altro lato, in alto la scritta: “Elezioni Europee DIFENDI L’ITALIA – VOTA S.”. Più sotto, sei caricature che raffigurano: un cittadino dai tratti somatici asiatici che vende prodotti “made in China;  un Abramo Lincoln con tanti dollari che gli svolazzano intorno;  un uomo di colore che offre droga; un arabo con una cintura di candelotti di dinamite pronto a farsi esplodere; una donna italiana con un bambino in braccio e, di fianco, una mendicante rom che allunga le mani in direzione dello stesso. Fisionomia dell’offesa Non sono però solo considerazioni legate al merito delle afferma- zioni, definite ‘grossolane’, a far propendere la Corte verso un atteg- giamento di indulgenza, bensì risulta decisiva l’analisi del quadro contestuale e in particolare il particolare clima nel quale si svolgono le competizioni elettorali. Ora, la condivisibile apertura della Corte a una lettura dei fatti il più possibile aperta alla valutazione di tutti i fattori di contesto e alle prassi comunicative, anche quelle meno ortodosse, conferma in pri- mo luogo il carattere storicamente e socialmente condizionato delle soglie di liceità e di tollerabilità del discorso pubblico. Sul merito dell’interpretazione offerta dal Collegio, possiamo rite- nere avverato il vaticinio di Costantino Visconti riguardo l’elevata complessità di scindere, a livello di critica, la persona dal proprio comportamento: la nitidezza della distinzione è solo apparente, in quanto vi sono ambiti in cui il discorrere sulle differenze in rapporto a un contesto pluralistico e multiculturale può condurre a un punto in cui «il profilo della diversità in sé e quello dei comportamenti costituiscono un tutt’uno, e non è possibile, né verosimilmente avrebbe senso separarli» 198. In relazione a tale profilo, l’argomentazione dei giudici appare frettolosa e superficiale. Ciò che desta a nostro avviso perplessità non è tanto l’esito assolu- torio, il quale, pur opinabile, può trovare ragioni in un complessivo atteggiamento di favor libertatis; sorprende però che sia la stessa Cor- te ad riconoscere che siamo di fronte, evidentemente, ad un messaggio politico che risente di un pregiudizio per cui determinate atti- vità delittuose vengono poste in essere prevalentemente dai membri di determinate etnie». Ebbene, parlare di pregiudizio evoca una connessione immediata con la discriminazione: come ammonisce Norberto Bobbio, «la conseguenza principale del pregiudizio di gruppo è la discriminazio- ne»200. In altri termini, quanto affermato dalla Corte depone per un VISCONTI C., Aspetti penalistici Abel osserva che «è impossibile distinguere le espressioni illegittime dall’opportunismo di routine dei politici quando vanno incontro ai pregiudizi popolari, v. ABEL, La parola e il rispetto. Il legame tra pregiudizio e discriminazione non deve tuttavia portare a inferire automaticamente la sussistenza di un atteggiamento razzista: pregiudizio e razzismo, per quanto connessi, non sono sovrapponibili, ma si tratta di concetti distinti, v. RAVENNA, Odiare. Per tutti, BOBBIO, Elogio della mitezza e altri scritti morali, Milano. Tra sentimenti ed eguale rispetto univoco accostamento delle opinioni del volantino al pensiero di- scriminatorio: sono frutto di pregiudizi razziali. Difficile a questo punto negarne il disvalore, quantomeno se si abbia a cuore un certo rigore concettuale. L’atteggiamento della Corte lascia perplessi, in quanto la circo- stanza legittimante l’esercizio della libertà di espressione è così espli- cata: «si tratta, peraltro, di un pregiudizio che da sempre viene agita- to nelle campagne elettorali al fine di recuperare consenso in situa- zioni locali in cui da parte dell’elettorato viene una richiesta di maggiore sicurezza. Un’indulgenza indotta dalla consuetudine: ma quale dovrebbe es- sere il ruolo del diritto penale in rapporto a prassi comunicative becere? La constatazione di una degradazione del linguaggio e di una brutalizzazione della dialettica in ambito politico è una buona ragione per chiudere un occhio di fronte a casi come quello preso in e- same? La risposta travalica i confini della questione e riporta all’inter- rogativo se il diritto penale debba limitarsi a un’azione di conserva- zione dei valori o possa anche costituire uno strumento di ‘pedagogia sociale’. Resta il dubbio se in questo caso l’atteggiamento della Corte di Cassazione sia da avallare per essersi astenuta dal sindacare il merito di un discorso politico, o sia invece da criticare per non aver adeguatamente stigmatizzato la diffusione di pensieri offensivi che essa stessa ha implicitamente ammesso essere frutto di pregiudizi a base razziale. Sinossi La connessione fra tutela di sentimenti e rispetto reciproco risulta particolarmente evidente nella dialettica avente ad oggetto argomenti ad alto tasso emotivo, dove vengono in gioco ‘appartenenze significative’ dell’individuo. Nell’attuale scenario socio-politico del mondo oc- cidentale gran parte dei conflitti orbitano intorno al tema dell’appar- tenenza etnica, della fede religiosa, della identità e pari dignità sessuale. Fra le ragioni dell’effetto emotigeno vi è il fatto che nel discorso Tale principio viene esplicitato anche in Cass. pen., sez. Fisionomia dell’offesa concernente le appartenenze possono emergere problemi di mancato riconoscimento dell’altro e di categorizzazioni denigratorie. Ne deriva l’esigenza di distinguere fra espressioni di mera critica o irrisione, pur emotivamente fastidiose ma comunque espressione della libertà del dissenso, da forme di diniego del riconoscimento: la priorità politica è la dimensione del rispetto definita ‘rispetto-riconoscimento’, diversa dal ‘rispetto-stima’. L’eguale rispetto-riconoscimento costituisce la ricaduta relaziona- le più immediata del valore della dignità umana. Per quanto tale richiamo possa risultare problematico agli occhi del penalista, esso rappresenta comunque una bussola assiologica se ci si impegni a modularne l’uso attraverso una lettura non metafisico-concettuali- stica ma volta a identificarne le proiezioni relazionali ed esistenziali, ad esempio attraverso la cosiddetta ‘teoria delle capacità’ elaborata da Martha Nussbaum. Il non facile obiettivo di bilanciare istanze di libertà e richieste di rispetto porta a identificare un livello minimo di protezione il quale sembra poter coincidere con l’esigenza di non essere umiliati e poter essere trattati come persona dignitosa il cui valore eguaglia quello al- trui. Nell’approfondimento del concetto di ‘umiliazione’, viene rimarca- ta l’esigenza di distinguere fra espressioni di insulto ed espressioni che umiliano. La distinzione, comunque afferrabile sul piano concettuale, appare sfumare nei suoi contorni essenziali al momento delle applicazioni in ambito giuridico: il processo interpretativo dipende in larga misura dall’ermeneutica del fatto, ossia dai diversi significati che determinate espressioni possono assumere a seconda dei contesti e dei soggetti coinvolti, e si espone a precomprensioni e a usi poco sorvegliati di inferenze logiche e valoriali. Un rapido riscontro relativo alle norme italiane a tutela del senti- mento religioso e della pari dignità mostra come il richiamo a sentimenti sia residuale nelle argomentazioni della giurisprudenza: pre- sente in minima parte nelle forme di vilipendio, comunque ancorate a un modello di tutela incentrato sulla religione piuttosto che sulla dignità del credente, e assente con riguardo alla normativa sul di- scorso razzista. Un ambito, quest’ultimo, nel quale meritano particolare attenzione, quale esempio di ermeneutica del fatto, le argomen- tazioni elaborate per tracciare la linea di confine fra discorso politico ‘estremo’ e discorso discriminatorio. Tra sentimenti ed eguale rispetto   DILEMMI SOMMARIO: Tutela di sentimenti’: una formula a più significati. Oltre la prospettiva penalistica: ‘cura dei sentimenti’ come sfida fondata sulle libertà. Tutela da sentimenti. Idealtipi antropologici e realtà umana dei conflitti. Dissensi ed estremismo. Quale ruolo per il diritto penale? Il tormentato pensiero della dottrina penalistica. Precetti pedagogici? Sinossi. Tutela di sentimenti: una formula a più significati Cerchiamo di riannodare le fila di un discorso che ha preso le mosse dall’esigenza di riservare attenzione ai rapporti fra sentimenti, emozioni e diritto penale non solo come problema esegetico-inter- pretativo ma, più radicalmente, come coordinata per la riflessione sull’essere e sul dover essere del diritto penale. L’osservazione di Mar- tha Nussbaum posta in epigrafe al I capitolo ci ricorda che uno sguardo alla dimensione affettiva è fondamentale per non perdere di vista il substrato umano dei problemi e soprattutto gli aspetti di vul- nerabilità della persona che possono motivare il ricorso allo strumen- to giuridico. Parlare di tutela di sentimenti rimanda al problema del rispetto per le diversità coesistenti nella società pluralista: alla varietà di pre- ferenze e di assiologie personali. Il sentimento viene in gioco non semplicemente come stato psicologico, ma in termini normativi qua- le richiamo metonimico al ‘tutto della persona’ e al valore di cui sen- timenti ed emozioni rappresentano il correlato fenomenico, ossia la personalità e l’‘unicità’ del singolo. L’eventuale orizzonte di tutela dovrebbe in questo senso focaliz- zarsi non su risvolti contenutistici di stati affettivi o su oggetti (ideali, concezioni, fedi) caratterizzati da peculiari connotazioni valoriali, ma assumere a riferimento eventuali attacchi alla persona che adope-  210 Tra sentimenti ed eguale rispetto rino strumentalmente il sentimento (rectius, il modo d’essere e l’iden- tità dell’individuo) come fattore degradante per la negazione della pari dignità 1. Abbiamo individuato nell’eguale e reciproco rispetto-riconosci- mento l’atteggiamento che meglio si presta a definire sia il dover es- sere dei rapporti fra singoli, sia la tendenziale equidistanza che do- vrebbe caratterizzare eventuali interventi normativi 2. Sarebbe corretto parlare di eguale rispetto come ‘bene giuridico’, per riportare il discorso sul piano dei concetti endopenalistici? Al di là della scarsa risolutività che una tale formula assumerebbe sul pia- no teoretico, la sostanza dei problemi appare diversa: in primo luogo il rispetto non definisce un oggetto di tutela a sé stante ma si pone piuttosto come parametro per valutare sia i rapporti tra singoli sia la qualità di eventuali risposte normative che abbiano come riferimento finalistico la tutela della persona. In secondo luogo, quando si analizzano le dimensioni sociologica, psicologica e filosofica del rispetto emerge una complessità che non appare comprimibile e ‘isolabile’ nell’involucro concettuale che si è soliti definire ‘bene giuridico’3. Possiamo sì parlare di ‘diritto al ri- 1 Cfr. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. Nelle moderne democrazie liberali, le ricadute effettuali del valore del rispet- to-riconoscimento coinvolgono due differenti profili. In primo luogo l’atteggia- mento dello Stato verso i cittadini: il rispetto-riconoscimento è da intendersi co- me aspetto complementare del principio di eguaglianza, indicando l’approccio che la normazione statuale dovrebbe assumere nei rapporti con le diverse voci dello scenario pluralista e nelle dinamiche fra maggioranze minoranze: «l’eguale rispetto appare in questa luce come una generalizzazione della dignità e dell’onore è come l’esito di un processo di costituzione di una comunità di pari, di una comunità di mutuo riconoscimento: la comunità dell’eguale status di cittadi- nanza» v. VECA, Dizionario minimo. Le parole della filosofia per una convivenza democratica, Milano; per uno studio sul tema delle discriminazioni attuate verso individui o gruppi mediante lo strumento giuridico, v. SALARDI, Di- scriminazioni, linguaggio e diritto. Profili teorico-giuridici, Torino; per un quadro, e un’analisi critica, di interventi normativi nel contesto italia- no che sembrano potersi definire come ‘discriminatori’, v. BARTOLI C., Razzisti per legge. L’Italia che discrimina, Roma-Bari; per un approfondimen- to sull’atteggiamento della Corte costituzionale in rapporto a questioni in cui so- no venuti in gioco profili di discriminazione, v. DODARO, Uguaglianza e diritto penale. Sono numerose le voci che nella dottrina italiana hanno constatato la crisi di tale costrutto teorico. In termini generali v., per tutti, FIANDACA, Sul bene giuridico; in relazione a profili più specifici è stato acclarato il «ruolo di strumento metodologico di chiarificazione concettuale più che di base cogente- mente normativa delle scelte di criminalizzazione», così PALAZZO, Tendenze e prospetto’ per descrivere l’interesse della persona a non essere offesa, ma si tratta di una formula da prendere con cautela e che necessita di specificazioni. Il filosofo Darwall osserva che rispettare un individuo significa prendere sul serio le sue richieste e le sue aspettative sul pia- no morale in forza non di un dovere impersonale ed esterno alla rela- zione, bensì in virtù dell’autorità morale che è inerente alla persona stessa, alla quale si deve rispetto per ragioni di uguaglianza (c.d. rispetto in seconda persona). In altri termini, le richieste di rispetto traggono legittimazione morale dalla persona in sé, ed è la persona ad essere destinataria dell’atteggiamento di riguardo fondato sull’ugua- glianza di status nella relazione di reciprocità. Di fondamentale importanza è lo sviluppo che Anna Elisabetta Galeotti ha dato al pensiero di Darwall, contribuendo a illuminare la distinzione tra rispetto e diritti. Riportiamo per esteso un importante passaggio: «Quando si dice “tutti hanno diritto di essere rispettati dagli altri” non stiamo parlando di diritto in senso proprio, perché il diritto al rispetto non ha uno specifico contenuto. Certamente di fronte a una violazione di diritti, si dice che il trasgressore non ha rispettato il titolare di dirit- ti. Però non possiamo concludere che il rispetto sia una qualificazione dell’ottemperamento dei diritti tale che, ogni qualvolta una persona fa il proprio dovere verso qualcun altro, il rispetto si manifesta come una qualità intrinseca e inestricabile del dovere morale ottemperato. Non possiamo concludere in quel modo perché, tra le altre cose, non siamo contenti di essere rispettati per dovere. Il fatto è che non solo non vogliamo essere rispettati per un dovere in terza persona, ma neanche spettive nella tutela penale della persona umana, in AA.VV., a cura di Fioravanti, La tutela penale della persona. Nuove frontiere, difficili equilibri, Milano. Altri Autori hanno evidenziato la dissoluzione della funzione critica, sul presup- posto della negazione di una preesistenza dei beni oggetto di tutela alle scelte del legislatore, v. DI GIOVINE O., Un diritto penale empatico?, rimarcando inoltre l’appannamento della capacità descrittiva del concetto, e suggerendone una dismissione o un sostanzioso restyling, v. FORTI, Le tinte forti del dissenso. Si veda anche PALIERO, La laicità penale, il quale rimarca il perdurante ruolo di orientamento del ‘bene giuridico’ in rapporto al formante legislativo e giurisprudenziale, pur confermando la crisi sostanziale del costrutto in relazione ai suoi confini. DARWALL, Respect and the Second-Person Standpoint, in Proceedings and Addresses of the American Philosophical Association. Si è osservato che il rispetto-riconoscimento è dunque un atteggiamento verso una persona, prima ancora che nei confronti di un’identità gruppale, che reclama azioni non umilianti e non degradanti, così CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura. Tra sentimenti ed eguale rispetto per uno in seconda persona. Non vogliamo essere rispettati per dovere, punto e basta. In effetti credo che la prospettiva diritti/doveri collassi sempre in qualche forma di morale impersonale che non soddisfa pro- priamente le nostre aspettative circa l’essere rispettati. La richiesta reciproca di rispetto pur se avanzata in termine di diritto non può mai essere soddisfatta per dovere, anche se ciascuno di noi ha l’obbligo di rispettare gl’altri. La mancanza di rispetto non si rimedia attraverso l’imposizione di rispettare gli altri, ma solo attraverso una comprensio- ne autentica di ciò che la richiesta reciproca implica. Solo allora chi ha mancato di rispetto può riparare il suo torto, non già facendo per dovere qualche atto, ma riconoscendo la propria mancanza e riparando l’offesa con un atto individualizzante di riconoscimento. La natura del rispetto ‘in seconda persona’ implica che il rapporto di reciproco riconoscimento debba avvenire tramite un atto ‘indivi- dualizzante’, la cui sostanza è quella di dare valore morale a un soggetto considerandolo nella sua concretezza di persona umana, non dunque come mera proiezione di una comune appartenenza di genere che prescinde dalle particolarità che lo caratterizzano. Un realistico disincanto suggerisce a questo punto una constatazio- ne: il rispetto, inteso come disposizione comportamentale dell’individuo, non è coercibile: «[l]a prospettiva dei diritti e dei doveri è una prospettiva impersonale, che non soddisfa compiutamente le aspettative di ricono- scimento e rispetto morale. Non le soddisfa perché se il rispetto deve essere ‘in seconda persona’, un eventuale divieto rappresenta invece una fonte eteronoma di doveri. Un rispetto giuridicamente imposto può es- sere una componente importante negli equilibri della convivenza, ma non esaurisce lo spazio morale delle relazioni e soprattutto non è da considerarsi strumento prioritario da un punto di vista politico. Rispettare le persone, e rispettarsi fra persone è prima di tutto un atto ‘sentito’ che discende da disposizioni soggettive sulle quali influi- scono strumenti di controllo sociale fra i quali può rientrare anche, eventualmente, il diritto penale; ma se prendiamo sul serio la matrice affettiva dell’atteggiamento di rispetto8, e dunque la sua natura an- GALEOTTI, La politica del rispetto. Questa diversa prospettiva dell’atteggiamento di rispetto viene approfondita in GALEOTTI, Rispetto come riconoscimento, in AA.VV., a cura di Carter-Galeotti- Ottonelli, Eguale rispetto. PULITANÒ, Introduzione alla parte speciale. BAGNOLI, L’autorità della morale; MORDACCI, Rispetto. Dilemmi che di sentimento, ne consegue che l’obiettivo del rispetto per le per- sone discende in primo luogo dalle possibilità di uno sviluppo sogget- tivo di tale sentire 9. Emerge un’importante indicazione per definire il progetto norma- tivo della ‘tutela di sentimenti’: la strategia dei divieti è del tutto residuale, certo non prioritaria. Il giurista penale è portato a pensare al concetto di tutela prevalentemente in chiave negativa o ‘difensiva’, come protezione di un dato oggetto da danni o da pericoli, ma si trat- ta di un’accezione che rispetto ai problemi in esame appare limitante, e che è preferibile scorporare in traiettorie differenti. Possiamo individuare una prima prospettiva che declina il concet- to di tutela come agire positivo, un ‘aver cura’ di sentimenti ed emo- zioni nella dimensione sociale, inteso come coltivazione di atteggiamenti emotivi che favoriscano un clima favorevole al reciproco rispetto. Oltre la prospettiva penalistica: ‘cura dei sentimenti’ come sfida fondata sulle libertà Cura dei sentimenti è un concetto estraneo al tradizionale repertorio di categorie non solo penalistiche, ma più in generale giuridi- che. Perché si dovrebbe aver cura dei sentimenti nella società con- temporanea? Una eloquente risposta è fornita da Nussbaum in una cri- tica al pensiero liberale, reo di non aver adeguatamente tenuto in considerazione sentimenti ed emozioni, vedendoli come destabilizzanti e più confacenti a visioni politiche orientate in senso populista, ai fascismi e alle forme dittatoriali. C’è chi pensa che soltanto le società fasciste o aggressive siano intensamente emotive e che solo tali società abbiano bisogno di coltiva- re emozioni. Sono convinzioni sbagliate e pericolose. Cedere sul terreno delle emozioni, permettere che le forze illiberali vi trovino Non basta dare l’ordine di farlo perché la gente sia trattata effettivamente con rispetto. Il riconoscimento reciproco va negoziato, e questo vuol dire coinvol- gere in tutta la loro complessità il carattere degli individui tanto quanto la struttura sociale, v. SENNETT, Rispetto. La dignità umana in un mondo di diseguali, tr. it., a cura di Turnaturi, Bologna. Traggo questo termine dal lessico di Nussbaum. NUSSBAUM, Emozioni politiche. Tra sentimenti ed eguale rispetto spazio significa dare loro un grosso vantaggio nel cuore delle persone e rischiare che queste pensino ai valori liberali come a qualcosa di noioso e inefficace. Tutti i principi politici, buoni e cattivi, necessitano di supporto emotivo per consolidarsi nel tempo, e ogni società giusta deve guardarsi dalle divisioni e dalle gerarchie coltivando sentimenti appropriati di amore e simpatia» 12. La critica di fondo della studiosa statunitense si può articolare in due profili. Su un piano filosofico, l’ambizione a un liberalismo politico (il quale cioè cerchi di mantenere una tendenziale equidistanza senza promuovere una particolare concezione del bene) avrebbe prodotto teorizzazioni eccessivamente asettiche sul piano dei valori, o comun- que non adeguatamente esplicite nell’affermare il sostegno a un pac- chetto di principi. Conseguentemente, l’immagine di un liberalismo troppo preoccu- pato di presentarsi come neutrale14 ha disincentivato la riflessione sulle ragioni delle scelte valoriali degli individui, trascurando le emo- zioni e i sentimenti come fattori che influenzano gli atteggiamenti verso i valori. La seconda carenza di fondo è non aver adeguatamente riflettuto sulla ‘psicologia di una società dignitosa. . Secondo Nussbaum è fondamentale che una riflessione filosofico-politica prenda le mosse dalla psicologia umana, che cerchi chiavi di comprensione dei com- portamenti per evitare di elaborare teorie fondate su immagini stereotipate dell’essere umano. Lo studio delle emozioni e dei sentimen- NUSSBAUM, Emozioni politiche. Secondo la Nussbaum, quando invece i liberali hanno tentato di addivenire a un liberalismo più ‘comprensivo’, si è arrivati a teorizzare una sorta di ‘religione civile’, ossia pacchetti di principi non adeguatamente inclusivi, bensì escludenti (come esempi vengono riportati la religione civile di Mill e Comte). Nel panorama statunitense la critica al tentativo liberale di mostrarsi come asseritamente neutrale ha avuto ad oggetto anche il pensiero penalistico, visto come del tutto incentrato sul piano funzionalistico e consequenzialistico, e ten- dente non offrire il giusto risalto alla componente valoriale nella definizione del danno e della responsabilità, v. KAHAN, Two Liberal Fallacies. Da tale critica non sono esenti pensatori fra i più importanti della tradizione liberale, con la sola esclusione di Rawls, al quale si deve, nello studio intitolato ‘Giustizia come equità’, un fondamentale richiamo alla psicologia morale ragionevole, v. NUSSBAUM, Emozioni politiche; cfr. RAWLS, Giustizia come equità. Una riformulazione, tr. it., a cura di Veca, Milano. Dilemmi ti si pone in questo senso come passo per identificare matrici di atteggiamenti di pensiero e di comportamenti che possono rivelarsi problematici, e vieppiù dissonanti, in rapporto ai principi liberali. Il buon uso pubblico delle emozioni costituisce il nucleo di una strategia politica che riconosce al fattore affettivo una peculiare forza normativa e una salienza morale le quali dovrebbero contribuire a dare sostanza e a vivificare i principi guida del paradigma liberale attraverso un intelligente stimolo delle coscienze basato su virtuose interazioni con la sfera emotiva18. Si configura in questo senso un vero e proprio progetto culturale volto a ‘reinventare la religione civile’ 19, e a rendere la compagine sociale permeabile a emozioni positive al fine di dare al rispetto reciproco una dimensione più pregnante. Solo a uno sguardo superficiale la teorizzazione di Martha Nus- sbaum potrebbe risultare accomunabile a una sorta di moralismo au- toritario, come tentativo di porre le fondamenta di un ‘pensiero uni- co’. La studiosa, consapevolmente, ne prende le distanze: una cultura critica vigile è fondamentale per la stabilità dei valori liberali. Un’intensa cura delle emozioni può coesistere, anche se talvolta a fatica, con la presenza di uno spazio critico aperto» 21. Una simile prospettiva sembra di primo acchito esulare rispetto al campo del diritto penale. In verità essa contiene un messaggio impor- tante anche per la prospettiva penalistica: la ‘cura’ dei sentimenti de- Da questo punto di vista, il percorso additato dalla Nussbaum pare potersi accostare a obiezioni critiche di altri Autori che hanno rimproverato al pensiero liberale un’eccessiva ‘asetticità’: in altri termini, un punto di vista troppo restritti- vo e ‘astensionistico’ dal punto di vista etico, a esclusivo vantaggio della prospet- tiva di giustizia e a detrimento di una riflessione sul bene, sia collettivo sia indivi- duale, v., per tutti, DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale. Un progetto politico normativo si legittima se può essere stabile. Le emozioni sono interessanti perché giocano un ruolo in questa stabilità» NUSSBAUM, Emozioni politiche. Le strategie proposte da Martha Nussbaum si ba- sano su esempi tratti dalla storia recente: discorsi pubblici, sostegno alle arti, educazione alla lettura e alla frequentazione di testi letterari sono alcune delle parti di un vasto programma che la studiosa pone come base per favorire lo sviluppo di un ‘sentire democratico’, predisponente all’ascolto reciproco e alla capa- cità di immedesimarsi nell’altro, per stimolare negli individui emozioni consone ai valori liberali e per tenere di conseguenza sotto controllo la tendenza «radicata in tutta la società e, in ultima analisi, in tutti noi, a proteggere un Sé fragile deni- grando e mettendo in secondo piano gli altri», v. NUSSBAUM, Emozioni politiche. NUSSBAUM, Emozioni politiche. NUSSBAUM, Emozioni politiche. NUSSBAUM, Emozioni politiche. Tra sentimenti ed eguale rispetto finisce un progetto che dà priorità alle libertà, alla promozione di una dialettica pubblica aperta al confronto anche aspro fra le idee, volta a creare per i cittadini la possibilità di costruzione di un’IDENTITÀ DIALOGICA. Tutela da sentimenti Da un altro lato, si pone il problema di quale strategia politico- sociale debba adottarsi di fronte a spinte emotive negative: vi sono emozioni e sentimenti per i quali si può porre un problema di tutela non nel senso di cura, bensì in termini opposti, come presidio disin- centivante che definiamo ‘tutela da sentimenti’. Si tratta della pro- spettiva più suscettibile di creare tensioni con i diritti di libertà, e che riguarda in modo più diretto l’eventuale coinvolgimento dello stru- mento penale. È abbastanza immediato pensare all’odio come atteggiamento emotivo che contrasta con l’eguale rispetto; esso rappresenta già oggi, a prescindere dalla concreta rilevanza assunta in fase applicativa, l’elemento caratterizzante condotte che molti ordinamenti vietano sotto l’appellativo di hate speech e hate crimes. Si tratta di un nucleo di atteggiamenti che, per quanto non definiti esaustivamente dalle fonti normative, presentano quale minimo comune denominatore l’avversione verso gruppi e categorie di persone che patiscono una debolezza e una marginalizzazione socialmente significativa. La formula tutela da sentimenti può assumere un significato più esteso dell’accezione descrittiva degli ambiti normativi di contrasto all’odio: la si potrebbe intendere come istanza focalizzata non su at- teggiamenti emozionali definiti, bensì funzionale alla messa a tema di profili inerenti, più in generale, la dimensione psico-sociale delle matrici e delle ragioni dei dissensi. In altri termini, un’istanza che riassume l’esortazione all’approfondimento della ‘psicologia di una società dignitosa’. Parlare di odio come tratto univocamente identificativo di manife- stazioni offensive è un’approssimazione che rischia di peccare per eccesso. Anche nella quotidianità emerge come l’odio venga usato per definire e per connotare atteggiamenti di dissenso radicale frequen- temente riscontrabili nel contesto mediatico: ad esempio, in riferi- mento all’ambiente dei social network, si parla frequentemente di  22 SPENA, La parola(-)odio, cit., pp. 598 ss.  Dilemmi 217 ‘haters’23, ossia ‘odiatori’, termine col quale si indicano soggetti che aggrediscono verbalmente gli altri internauti escludendo ogni possi- bile approccio di mediazione con l’interlocutore. L’atteggiamento emotivo che definiamo ‘odio’ appare particolar- mente sovraesposto; la tendenza a focalizzare l’attenzione su di esso può però indurre a trascurare il ruolo di ulteriori atteggiamenti emo- tivi, altrettanto meritevoli di attenzione come fattori di degradazione del discorso e della dialettica pubblica. In altri termini, la realtà psico-sociale è probabilmente più complessa e stratificata e le contrapposizioni anche estreme non dovrebbero essere ricondotte tout court all’odio, il quale è forse una componente che, se presa sul serio, potrebbe essere residuale in rapporto ad altri atteggiamenti antago- nisti dell’eguale rispetto, quali rabbia, paura, vergogna, invidia, disgusto: più diffusi, e difficili da riconoscere e da ammettere, anche nei confronti di sé stessi. A nostro avviso si pone l’esigenza di pensare alla tutela da senti- menti come istanza normativa che suggerisca di «coltivare una certa attenzione verso i fattori in grado di favorire la conoscenza delle libertà e le condizioni che permettono di farne concretamente uso, individuando come punto nodale della questione l’interrogativo sui «margini di flessibilità di cui dispongono, di fatto, e soprattutto di cui hanno reale coscienza, le persone nell’espressione di un “dissenso” rispetto al senso, o meglio, ai sensi che vengono trasmessi nei rispettivi contesti di vita. In altri termini, il giurista penale deve oggi considerare che per la Una panoramica in ZICCARDI, L’odio online. Violenza verbale e ossessioni in rete, Milano. Si tratta di odiatori o semplicemente di stupidi? L’equiparazione fra intol- leranza, specie in ambito razziale, e stupidità, proposta in un breve saggio sul- l’analisi psicologica del razzismo ad opera di BLUM, Razzismo e stupidità, in AA.VV., a cura di Tappolet-Teroni-Konzelmann Ziv, Le ombre dell’anima, sembra da un lato suggerire il ridimensionamento della portata di un richiamo all’odio quale matrice dell’intolleranza, e dall’altro lato sposta sul piano culturale e della decostruzione dialettica, soprattutto tramite lo strumento del- l’ironia, il contrasto al discorso razzista. Rabbia e odio sono due emozioni autonome, per quanto non prive di forti connessioni. Osserva RAVENNA, Odiare, che la rabbia è sperimenta- ta più di frequente rispetto all’odio, e che quest’ultimo presenta delle caratteristi- che peculiari che lo rendono distinguibile sia a livello psicologico che psico- sociale. Sul ruolo politicamente negativo della vergogna, dell’invidia e del disgu- sto v., per tutti, NUSSBAUM, Emozioni politiche, FORTI, Le tinte forti del dissenso, Tra sentimenti ed eguale rispetto comprensione dei percorsi attraverso cui il potere pubblico esprime le sue istanze repressive, occorra alzare e allargare lo sguardo al con- testo socio-culturale complessivo in cui i sensi e i relativi dissensi trovano il loro terreno di generazione. Coerentemente con la suddetta esortazione, riteniamo che una ra- gionevole attenzione al versante affettivo, orientata a sondare la dimensione umana dei conflitti e soprattutto lo sfondo antropologico, possa rappresentare un tassello importante per addivenire a un qua- dro fenomenicamente più realistico degli atteggiamenti degli indivi- dui e, conseguentemente, anche a una più dettagliata base di rifles- sione per la politica penale e per un razionale orientamento alle conseguenze. Appare infatti poco sensato, in una riflessione sulle dinamiche del reciproco rispetto a livello espressivo-comunicativo, non prendere in considerazione le matrici dei dissensi, i canali di diffusione, e più in generale un’idea realistica di essere umano con cui il diritto si trova a interloquire, anche attraverso eventuali precetti. Più in generale, si tratta a nostro avviso di ricercare degli adden- tellati sul piano socio-fenomenico per sondare in modo non concet- tualistico margini di opportunità, oltre che di legittimità, circa la pro- spettiva di interventi normativi. Idealtipi antropologici e realtà umana dei conflitti Sia la ‘cura’ dei sentimenti, sia la tutela ‘da’ sentimenti presup- pongono che negli individui vi sia la capacità di recepire un certo ti- po di stimoli cognitivi ed emotivi. Viene da chiedersi quale sia il riscontro che una tale ambizione trova oggi nella compagine sociale: se si tratti di una prospettiva rea- listica o se invece presupponga un modello ideal-tipico di cittadino eccessivamente ottimistico. FORTI, Le tinte forti del dissenso. Osserva PALAZZO, Tendenze e prospettive nella tutela penale della persona umana, cit., p. 404, che «nel configurare il sistema di tutela penale della persona, sarà del tutto legittimo prestare ascolto alle suggestioni anche di tipo antropolo- gico che possono provenire dalle convinzioni sociali sull’essere umano; ma, dal- l’altro, una razionale scelta politico criminale sulla tutela della persona e sui suoi limiti dovrà necessariamente essere ispirata ai princìpi di ultima ratio, di tolleranza e di laicità del diritto penale.   Dilemmi La possibilità che la riflessione teorica finisca per fare affidamen- to su modelli non del tutto aderenti alla realtà sociale costituisce un avvertimento che la dottrina penalistica non ha mancato di evidenziare. Alberto Cadoppi in uno scritto sul paternalismo giuridico dall’impronta fortemente liberale, in tendenziale accordo con la posizione di Feinberg propensa alla massima valorizzazione dell’autonomia di scelta e della volontà dell’individuo, evidenzia come il discorso sull’autonomia personale vada preso con molta attenzione e serietà, per non cadere nell’errore, attribuito anche a Mill, di elaborare teorie assumendo quale prototipo di persona un soggetto apparentemente immune da inciampi cognitivi e da condizionamenti emotivi che potrebbero gettare un alone di problematicità sulla reale consapevolezza delle scelte adottate 29. Solleva problemi simili con riferimento al tema della libertà di espressione Visconti, quando si chiede se gli argomenti volti a ridimensionare l’impatto delle parole offensive, e a metterne in dubbio la dannosità, siano dettati anche (soprattutto?) da un irenisti- co, e tutt’altro che giustificato, affidamento su un modello di cittadi- no ‘ragionevole, colto e tollerante’, in grado di elaborare l’insulto e di non patirne gli effetti. Tale categoria personologica non appare del tutto rispondente alla realtà; ed è per tale motivo che Visconti osser- va, condivisibilmente, che è con riferimento alla tipologia di soggetti che non hanno la ca- pacità di controllare razionalmente e dialetticamente la potenziale pe- CADOPPI, Liberalismo, paternalismo e diritto penale. L’osservazione di Cadoppi è volta a sottolineare in modo puntuale e condivisibile il ri- schio di una tendenza semplificante nella teorizzazione giuridica, e rilancia la problematizzazione dell’idea di essere umano, dei modelli di scelta razionale, de- gli interessi finali che dovrebbero idealmente rappresentarne il fine delle condot- te, tema pregno di ricadute sul piano politico. Ad esempio, si veda la questione relativa al benessere individuale, all’ideale normativo di vita buona, alla distinzione fra interessi volizionali e interessi critici, presente in DWORKIN, I fondamenti dell’eguaglianza liberale, e ripreso, con diversità di vedute, in FIAN- DACA, Diritto penale, tipi di morale, e FORTI, Per una discussione sui limiti morali. A un livello successivo, la problematizzazione del ruolo delle emozioni, della riflessività, della consapevolezza delle proprie scelte da parte dell’individuo, si pone in termini funzionali alla lettura e all’interpretazione delle condotte umane, nel tentativo, sempre fallibile, di trovare dei signi- ficati: per una tematizzazione di tale problema in ambito criminologico, e sul rapporto fra riflessività e opacità, v. CERETTI-NATALI, Cosmologie violente, e bibliografia ivi citata. Tra sentimenti ed eguale rispetto ricolosità di certe forme di discorso pubblico, o che – peggio – ne strumentalizzerebbero intenzionalmente i possibili effetti sociali dannosi, che si prospetta di fatto il problema di una scelta politico-criminale tra l’intervento e l’astensione. Emerge da tali notazioni una necessità di realismo, di problematizzazione del modello antropologico di individuo che il diritto pena- le assuma a punto di riferimento, nella consapevolezza di non poter e non dover dare per scontate caratteristiche che finiscono per condur- re ad astrazioni perfezionistiche. Ricollegandoci a quanto osservato da Visconti, il discorso sui limi- ti alla libertà di espressione sembra talvolta presupporre la presenza di determinate capacità dell’essere umano le quali appaiono oggi non condivise dalla totalità degli individui. Tale rilievo si pone in primo luogo per i destinatari di espressioni offensive, ma è bene allargare la riflessione anche al versante degli autori, e dunque alle particolari di- sposizioni emotive e di pensiero che li caratterizzano: il carico emoti- vo della vittima e la spinta emotiva che anima chi offende sono en- trambi esposti al rischio di atteggiamenti radicali. All’interno del macro tema del dissenso intersoggettivo riteniamo che le traiettorie di ricerca per il giurista debbano focalizzarsi su differenti aspetti, uno dei quali, concernente le matrici cognitive del dis- senso e la qualità del flusso epistemico che alimenta le opinioni, è stato sinteticamente messo in luce nel saggio di Gabrio Forti poc’anzi citato. L’Autore evidenzia come il contesto generativo del senso e del dissenso versi oggi in condizioni alquanto problematiche, che mettono a dura prova le risorse cognitive dei singoli e alimentano un gri- giore epistemico il quale si accompagna a uno sbiadimento globale dell’etica della comunicazione. L’avvento del web, oltre a indurre la percezione di una deresponsabilizzazione del discorso pubblico, ha portato a un «sovraccarico informativo che espone ognuno al rischio di mobilitare non risorse cognitive adeguate, bensì una “ca- VISCONTI C., Aspetti penalistici; cfr. FORTI, Le tinte forti del dissenso, il quale parla criticamente di credo neo-liberale, costruito a mi- sura di soggetti capaci di farsi robustamente valere nell’agone socio-culturale (ivi compresi storici e intellettuali in grado di rintuzzare con gli argomenti della loro scienza le farneticazioni negazioniste. Tematizza il problema di una tendenza a elaborare modelli ‘deontologici’ di persona umana poco rispondenti con la realtà sociale anche FIANDACA, Diritto penale, tipi di morale. AGOSTINI, Verità avvelenata. Dilemmi pacità attentiva deteriorata”, generando così risposte meccaniche, “comportamenti automatici che evitano la paralisi al prezzo della qualità decisionale. A costituire un rischio per il pensiero critico, e dunque per la qua- lità etica ed epistemica del discorso pubblico, sarebbe, secondo Forti: «il manifestarsi in tale contesto di voci che si distaccano — solo perché rumorose, violente, sorprendenti — dal magma confuso dell’over- crowding informativo, riuscendo così a incanalare tunnel visions di schiere di followers a conseguire quella che potremmo definire una ve- ste “istituzionalizzata mediaticamente” L’aspettativa di poter trar- re da tali voci “salienti” rassicuranti semplificazioni del complesso e angosciante overcrowding informativo che ci stringe, sarà potenziata laddove esse si sostengano su una violenza espressiva che sembri ap- pagare altresì, sia pure con un sortilegio illusorio, quella nostalgia di fisicità e corporeità che l’immersione quotidiana nei mondi virtuali e artificiali non può che acutizzare. Come emerge da tali considerazioni, le cause dell’alterazione della dialettica pubblica e la conseguente canalizzazione della violenza e dell’aggressività verbale sembrano doversi ricondurre a una stratifi- cazione di fattori, non a un univoco atteggiamento emotivo. Dissensi ed estremismo A nostro avviso si può inquadrare un secondo ambito di problemi legati alle matrici generative dei dissensi, riguardante più da vicino i microcosmi soggettivi e concernente l’analisi dei fattori psico-sociali che possono portare un individuo ad aderire in modo più o meno marcato, se non addirittura ‘estremo’ a certe idee e a convinzioni fino a porsi in radicale conflittualità con opinioni concorrenti e con i sog- getti che vi aderiscono. Perché anche soggetti ragionevoli sono spesso protagonisti di con- trapposizioni radicali? A un primo livello, relativo a uno stadio che potremmo definire ‘fi- siologico’ del dissenso, una buona chiave di lettura ci sembra quella proposta di recente da Jonathan Haidt, il quale rimarca come l’ade- sione a ideologie e credenze sia frutto di scelte basate su matrici pret- 33 FORTI, Le tinte forti del dissenso. FORTI, Le tinte forti del dissenso. Tra sentimenti ed eguale rispetto tamente emotive: gli individui decidono quali idee appoggiare sulla base di emozioni che sono modellate dall’appartenenza gruppale, e tendono a elaborare narrazioni e adattamenti per riuscire a trovarsi in sintonia, inconsciamente e intuitivamente, con le proprie idee, svi- luppando dunque una tendenza a ricercare conferme alle proprie opinioni la quale rischia di tramutarsi in una cieca ottusità verso ra- gioni concorrenti. La morale unisce e acceca: ci unisce in schie- ramenti ideologici che si danno battaglia come se il destino del mon- do dipendesse dalla vittoria della nostra squadra. Ci acceca rispetto al fatto che ogni schieramento è composto da brave persone che hanno qualcosa di importante da dire» 35. Lo studio di Haidt si attesta su un piano prettamente descrittivo: esplica le ragioni per le quali le persone tendono a dividersi su argo- menti importanti come la politica e la religione, ma non fornisce proposte per limitare i dissidi, affermando, con disincanto, che la no- stra parte intuitiva è alquanto difficile da dominare. Il fatto che gli esseri umani siano portati ad allinearsi in schiera- menti che si identificano nei valori del gruppo di appartenenza, svi- luppando una conflittualità su base gruppale, contribuisce a fornire delle spiegazioni, corroborate da evidenze sperimentali, sul ruolo dominante giocato dalla componente emotiva piuttosto che da un’as- serita dimensione ‘razionale’. Se bene intendiamo la posizione di Haidt, riteniamo si possano instaurare virtuose connessioni con i percorsi di crescita emotiva che Martha Nussbaum individua quale impegno per uno Stato liberale: per quanto i disaccordi possano essere forti, Haidt invita a non radi- calizzare le alternative in senso manicheo ma a leggerle come ricadu- ta di un’emozionalità istintuale che può essere educata a un maggio- re rispetto delle ragioni altrui37, in una prospettiva dunque che sa- HAIDT, Menti tribali. Si veda anche FROMM, Marx e Freud, tr. it., Milano: «l’individuo deve chiudere gli occhi e non vedere quello che il suo gruppo dichiara inesistente, o deve accettare come vero ciò che la maggio- ranza considera tale, anche se gli occhi lo convincessero che ciò è falso. Il gruppo è di importanza così vitale per l’individuo che per lui le opinioni, le convinzioni e i sentimenti del gruppo costituiscono la realtà, una realtà più valida di quella che gli trasmettono i sensi e la ragione. La metafora utilizzata da Haidt è quella dell’elefante e del suo portatore. Sinteticamente, l’elefante rappresenta la parte emotiva dell’uomo, il portatore il pen- siero riflessivo, v. HAIDT, Felicità: un’ipotesi; ID., Menti tribali. Noi tutti siamo risucchiati in comunità morali tribali. Gravitiamo attorno a valori sacri e condividiamo argomentazioni post hoc sul perché noi abbiamo ra-   Dilemmi remmo portati a ricollegare alla ‘cura dei sentimenti’. Eccoci però giunti a un ulteriore profilo problematico: il tipo di conflittualità che oggi desta maggiore preoccupazione si manifesta attraverso cadenze espressive, e anche attraverso condotte, che rive- lano un attaccamento a ideali e a credenze in forme tendenti all’esclusione di ogni tipo di confronto e all’annullamento della posizione contrapposta. Si tratta di un fenomeno definito come ‘pensiero estremo’, nel quale l’individuo moderno rischia di scivolare anche a causa di una destabilizzazione soggettivamente avvertita di fronte al pluralismo etico e informativo, e dalla quale cerca rifugio e rassicurazione affidandosi a morali e visioni del mondo autoritarie. Prendiamo a riferimento uno studio del sociologo francese Gèrald Bronner, il quale identifica quali caratteristiche di fondo del pen- siero estremo la debole trans-soggettività e l’attitudine sociopatica39 delle idee. Alla base della concezione di Bronner vi è la convinzione, ampia- mente argomentata nel corso dell’opera, che le derive estremiste del pensiero, spesso legate anche a tragici esiti sul piano delle condotte, non siano affatto da considerarsi come frutto di anomalie sul piano psichico, ma al contrario possiedano una solida, inquietante raziona- lità. Partendo dalla consapevolezza che nelle considerazioni e nelle azioni di un estremista vi è una logica, si possono indagare le matrici di determinate forme di pensiero. È importante notare come una fra le diverse modalità di adesione a forme di pensiero estremo sia strettamente legata al contesto de- mocratico: col concetto di adesione ‘per frustrazione’ si indica il rifu- giarsi di un soggetto in una convinzione fanatica volta a compensare l’insoddisfazione dovuta al non possedere o possedere meno di ciò che ritiene di meritare. Bronner afferma che la democrazia, a causa all’essenza competiti- gione e gli altri torto. Pensiamo che nell’altro schieramento siano tutti ciechi alla verità, alla ragione, alla scienza e al buonsenso, ma in effetti siamo tutti ciechi quando parliamo di ciò che è sacro. E se davvero volete aprire la vostra men- te, prima di tutto aprite il vostro cuore, v. HAIDT, Menti tribali, BRONNER, Il pensiero estremo. Come si diventa fanatici, tr. it., Bologna. La trans-soggettività di un’idea sta a indicare la capacità di essere accolta da altre persone a parità di condizioni; la sociopatia viene definita come una carica agonistica intrinseca che implica l’impossibilità per alcuni individui di vivere insieme ad altri, e per un’idea, di poter coesistere con altre idee, v. BRONNER, Il pensiero estremo. Tra sentimenti ed eguale rispetto va che stimola e delle aspettative che non può compiutamente soddi- sfare, possa in un certo senso favorire la proliferazione e l’adesione a ideologie estremiste le quali si proiettano in un rapporto di competizione ad excludendum con il restante mercato delle idee, stimolando forme di particolare aggressività e di disprezzo nei confronti degli in- terlocutori: «la frustrazione e il desiderio di affermazione costitui- scono un mix esplosivo in un sistema in cui troppi si sentono eleggibili benché il numero degli eletti non aumenti, dobbiamo aspet- tarci di osservare le conseguenze negative che l’amarezza condivisa non mancherà di produrre. Tirando le fila del discorso, questo breve excursus a metà fra psicologia sociale e sociologia vorrebbe provare a offrire un quadro me- no astratto e disincarnato del mondo umano con cui il diritto penale si trova a fare i conti, al fine di contestualizzare i conflitti legati ad appartenenze significative, e dunque ad alto grado di pregnanza emotiva, sia in relazione all’ambiente di diffusione delle idee, sia al sub- strato personologico dei dissidi 41. Sarebbe infatti ingenuo e irenistico costruire un discorso soltanto su principi, levando gli occhi al cielo senza cercare di assumere reali- sticamente consapevolezza dei mondi sociali che si pongono alla base dei fenomeni. Diversamente, si rischia di cadere nel rischio paventato da Benci- venga, quando afferma che in discussioni su temi del genere, è abba- stanza comune prendere posizioni nette, a incrollabile sostegno di de- terminate regole», mostrando dunque un’aderenza quasi dogmatica a principi, nella convinzione, o nella speranza, che portare avanti una battaglia in nome di valori giusti conduca a decisioni anch’esse giuste. L’esperienza storica mostra come tale aspettativa possa rivelarsi fallace, non a causa del travisamento etico di regole che riteniamo  BRONNER, Il pensiero estremo. Utilizziamo il termine ‘dissidio’ nell’accezione proposta da CERETTI-GARLATI, Presentazione, cur. Ceretti-Garlati, Laicità e stato di diritto, i quali citano in senso adesivo la teorizzazione di Lyotard: dissidio come conflitto fra interessi contrastanti e orientati a sistemi di riferimento non condivi- si, in totale asimmetricità. Col concetto di mondo sociale vogliamo evidenziare ulteriormente come le dinamiche dei conflitti vadano interpretate prendendo in debita considerazione il concetto di gruppo e l’importanza che esso riveste nella sfera affettiva e decisio- nale del singolo; per una sintesi, v. STRAUSS, Il concetto di mondo sociale, tr. it., a cura di Toscano, Milano, BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. Dilemmi abbiano autorità su di noi, bensì poiché l’esistenza di un conflitto fra regole entrambe ‘giuste’ porta comunque a violarne una, la quale avrebbe potuto (forse) indurre esiti differenti sul piano fattuale. Non potendo però sapere quale sia all’interno di un dilemma etico l’al- ternativa migliore, bisogna realisticamente accettare che qualsiasi scelta ci pone di fronte a responsabilità: «l’aderenza a un principio non ci assolve; la nostra anima dovrà portare il carico della scelta che abbiamo fatto. In altri termini, quale esercizio di onestà intellettuale appare preferibile immergere i principi nel contatto con la realtà, non perché in questo modo si possa risolvere un dilemma, ma quantomeno perché così facen- do si può avere una migliore percezione delle contingenze, sostituendo l’ambizione a cristallizzare una scelta con un più umile discorso che as- suma a propria bussola le categorie della necessità e della opportunità: è per le strade tortuose, e spesso fra i detriti e le macerie, della vita quotidiana che le leggi universali vanno applicate, con tutta l’incertezza che compete a tali applicazioni; e non dobbiamo dimenticarlo. Quale ruolo per il diritto penale? Il ‘tormentato’ pensiero della dottrina penalistica Il monito responsabilizzante formulato da Ermanno Bencivenga induce una comprensibile prudenza, e la complessità del dilemma di fondo si manifesta in modo evidente anche nel discorso penalistico, dove le riflessioni recenti sul tema dei rapporti fra libertà di espressione e reciproco rispetto sono confluite in prese di posizione in bili- co fra il recondito ottimismo in uno spazio comunicativo senza limi- ti, e la sofferta apertura verso la possibilità di risposte penali. Un atteggiamento profondamente combattuto, potremmo dire ‘tor- mentato’, di fronte a scelte che comporterebbero in ogni caso il sacrificio di principi fondamentali; lo ha ben sottolineato Alessandro Te- sauro quando, in tema di limiti alla propaganda razzista, ha parlato di un ‘Io diviso’, in senso psicanalitico, tra impegno antirazzista e passione liberal per la libertà di espressione BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia. TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana. Tra sentimenti ed eguale rispetto Nell’orizzonte penalistico prevale una linea di forte cautela, spesso con posizioni ‘ibride’: anche le opere che hanno approfondito con maggiore dovizia obiezioni demolitorie rispetto a eventuali incrimina- zioni, sembrano escludere un atteggiamento di completa chiusura Nel complesso sembra essersi affievolita la tendenza a voler elabo- rare modelli interpretativi orientati alla ricerca di conclusioni assio- maticamente deducibili dal diritto positivo, sia con riferimento a norme ordinarie che al testo costituzionale. Rispetto al mainstream tradizionale, nel quale l’emancipazione dall’AUTORITARISMO del CODICE FASCISTA puo ragionevolmente identificarsi come rinascita in senso liberale, l’approccio odierno si scontra con la complessità delle diverse declinazioni del liberalismo contemporaneo, ragion per cui è av- vertita l’esigenza di non scivolare in un uso dei principi liberali emotivamente appagante ma proprio per questo ad alto contenuto retorico. L’esito ‘scontatamente liberale’48 del dibattito, coincidente con l’assoluto diniego a ogni forma di responsabilità per l’uso della libertà di manifestazione del pensiero, è oggi una risposta che rischia di ar- chiviare troppo prematuramente le questioni. Al fine di ‘guardare in faccia’ i problemi, autorevoli voci della dot- trina penalistica hanno sollevato interrogativi in una chiave meno convenzionale: ad esempio riorientando l’attenzione sugli effetti ne- Ci sembra interpretabile in questo senso lo studio di TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana, cit., e soprattutto il contributo di VISCONTI C., Aspetti pena- listici, cit. Anche il lavoro di SPENA, La parola (-) odio, riconosce che il diritto alla libertà di espressione nel caso del discorso d’odio è comunque più de- bole e più bilanciabile con interessi confliggenti; cfr. CANESTRARI, Libertà di espressione e libertà religiosa. Più netta la chiusura di Autori come CAVALIERE, La discussione intorno alla punibilità del negazionismo; FRONZA, Criminalizzazione del dissenso. Più univoche sono invece le aperture di PULITANÒ, Di fronte al negazionismo e al discorso d’odio; FORTI, Le tinte forti del dissenso. La dottrina penalistica manifesta con sostanziale univocità, anche se con diversità di accenti, la contrarietà a restrizioni penalistiche alla libertà di espressione, quale reazione all’auto- ritarismo delle fattispecie del codice Rocco, v. la sintesi di VISCONTI C., Aspetti penalistici. Nell’ambito costituzionalistico sembra prevalere una linea di contrarietà a regolamentazioni del discorso pubblico, sia con riferimento allo hate speech, sia al negazionismo, v. ex plurimis, CARUSO, La libertà di espressione in azione; ID., L’hate speech a Strasburgo: il pluralismo militante del sistema convenzionale, in Quaderni costituzionali; PUGIOT- TO, Le parole sono pietre?; PARISI, Il negazionismo dell’Olocausto e la sconfitta del diritto penale, in Quaderni costituzionali; in tema di hate speech una posizione di non chiusura ai divieti è quella di SCAFFARDI, Oltre i confini della libertà di espressione. FORTI, Le tinte forti del dissenso.  Dilemmi gativi di un’assoluta deregolamentazione del discorso pubblico (par- lando di dilagante, confuso ‘overcrowding informativo), o facendo ricorso a distopie immaginative fondate sulla possibilità che deter- minati atteggiamenti di pensiero possano effettivamente acquisire consenso 50. Per quanto i profili di disvalore che si accompagnano alle condot- te comunicative possano apparire sfuggenti rispetto alle esigenze di concretezza e di verificabilità empirica richieste dal diritto penale, in sede di speculazione teorica il giurista ha il compito di dar conto di una complessità di fondo, anche prendendo laicamente atto che ci si trova di fronte a «grandezze valoriali difficilmente contenibili nei no- stri beni giuridici» 51. Coglie nel segno, a nostro avviso, chi ha definito la questione dei limiti penali alla libertà di espressione come ‘sfida o scommessa’ 52, evidenziando la prospettiva del tutto aleatoria che si lega sia alle concezioni libertarie sia a quelle regolazioniste. L’incertezza empi- rico-cognitiva sugli effetti pericolosi o dannosi di determinati con- tenuti espressivi53 si accompagna al fatto che non è dato sapere quali conseguenze possano scaturire nel breve e nel lungo periodo da un’assoluta deregolamentazione del discorso pubblico; e ove si voglia propendere per un intervento del diritto penale resta da chie- dersi quali possano essere i metodi e gli effetti di un’eventuale cri- minalizzazione, sia essa solo minacciata, tramite precetti, o anche applicata. La ragione dell’impasse nella quale ci si trova al cospetto delle suddette alternative si motiva in primo luogo con il fatto che il richiamo al diritto penale è, plausibilmente, percepito come minaccia di sanzione e, in particolare, di una sanzione che si identifica con la pena detentiva. Ma proprio in merito a tale ultimo profilo, ossia alla prospettiva lato sensu ‘sanzionatoria’, la dottrina penalistica più aperturista – che non esclude radicalmente l’eventualità di interventi penali in materia di libertà di espressione – si fa portatrice di un dif- ferente modo di intendere, in prospettiva futura, le dinamiche dello 49 FORTI, Le tinte forti del dissenso. PULITANÒ, Cura della verità e diritto penale, in AA.VV., a cura di Forti- Varraso-Caputo, «Verità» del precetto e della sanzione penale. FORTI, Le tinte forti del dissenso.VISCONTI C., Aspetti penalistici. Per tutti, TESAURO, Riflessioni in tema di dignità umana. Tra sentimenti ed eguale rispetto strumento penale. Sono emerse riflessioni volte a non limitare lo sguardo all’angusto orizzonte della pena, proiettate verso nuovi itine- rari, financo eclettiche ed ‘eterodosse’ rispetto al tradizionale reperto- rio concettuale penalistico. Ci riferiamo in particolare a interessanti proposte formulate in relazione ad ambiti specifici (sentimento religioso, negazionismo), il cui filo conduttore, pur con i dovuti distinguo, appare potersi individuare in una rivalutazione dell’efficacia ‘virtuosamente simbolica’ del precetto penale. Precetti pedagogici? Con riferimento alla tutela del sentimento religioso si è avanzata la proposta di una protezione giuridico-penale «costruita prevalen- temente (se non esclusivamente) attorno alla capacità di orien- tamento culturale svolta dai precetti, mettendo finalmente da parte la forza inutile ed espressiva delle pene in senso stretto» per addivenire a un sistema di tutela «più mite e ‘relativo’ in quanto radicato sugli spazi di confronto dischiusi dal precetto penale che sancisce, ma non punisce. In altri termini, uno strumento normativo che agisca al di fuori dell’ottica retributiva e di deterrenza, seguendo le coordinate della prevenzione generale cosiddetta ‘positiva’, ossia quella funzione della pena tesa a rinsaldare e a confermare valori già acquisiti e (più o me- no) radicati nei processi di socializzazione dell’individuo, tema ampiamente dibattuto nella dottrina italiana e non affrontabile nell’eco- nomia del presente lavoro. Al precetto viene in questo senso assegnata una funzione centrale, sulla base del presupposto che la prevenzione di forme di offesa lega- te al sentire religioso debba consistere in un rispetto volontario e spontaneo. Dal piano dei semplici propositi si passa a una teorizza- 54 MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa e scelte di criminalizzazione. Riflessioni de iure condendo sulla percorribilità di una politica mite e democratica, in AA.VV., a cura di De Francesco-Piemontese-Venafro, Religione e religioni. Per tutti, PULITANÒ, Diritto penale; PALAZZO, Corso di diritto penale, Torino; FORTI, L’immane concretezza. Per una sintesi si rinvia a DE FRANCESCO, La prevenzione generale tra normativi- tà ed empiria, in AA.VV., Scritti in onore di Alfonso M. Stile, Napoli. Dilemmi 229 zione più dettagliata ipotizzando una norma che faccia coincidere la sanzione con una formale declaratoria del contenuto del precetto: il giudice sarebbe chiamato, ove l’agente si rifiuti di riparare le conse- guenze del reato attraverso percorsi di mediazione con la persona of- fesa, a «enunciare il disvalore del fatto colpevole nel dispositivo della sentenza, dandone conto nella motivazione», e ordinandone even- tualmente la pubblicazione nei casi più gravi. La prospettiva appena descritta sembra fondarsi su una connes- sione tra proposta dialogica e stigma penale58, finalizzata a una re- sponsabilizzazione dell’autore in assenza di rimedi prettamente coer- citivi, cercando di salvaguardare il pluralismo delle parti dalla violen- za di provvedimenti autoritativi, e delegando alla forza del precetto la funzione espressiva di un richiamo responsabilizzante 59. Si inscrive in una traiettoria similare uno studio dedicato al tema del negazionismo, il quale si distingue nel mainstream penalistico per una esplicita apertura alla criminalizzazione di condotte che neghino l’Olocausto. Rileviamo come anche in questo caso le conclusioni di non contrarietà a interventi penali siano correlate alla proposta di una tipologia di intervento che non si inquadra nella canonica diade ‘pena detentiva-pena pecuniaria’, ma che cerca di elaborare soluzioni che valorizzino il dato simbolico del precetto, veicolato dalla portata dichiarativa della vicenda processuale e dall’eventuale, conseguente, provvedimento del giudice. Con le parole dell’Autore: «Si tratterebbe, già nella comminatoria edittale, di pensare a qualcosa di diverso dalla classica “caditoia” verso la reclusione. Per quanto la proposta possa spiazzare, e determinare un ripensamento del catalogo delle pene principali, il calibro della reclusione andrebbe accompa- gnato con l’immediata conversione in una pena di sostanza espressiva e reputazionale. Perché non approfondire, ad esempio, la soluzio- MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa. Per una panoramica sul tema v. AA.VV., a cura di Mannozzi-Lodigiani, Giu- stizia riparativa. Ricostruire legami, ricostruire persone, Bologna. L’ipotesi della mediazione come ‘risposta istituzionalizzata’, ossia elemento necessario di un percorso processuale di responsabilizzazione, è oggetto di dibattito in dottri- na; in merito a tale soluzione appare scettico PULITANÒ, Sulla pena. Fra teoria, principi e politica, in Riv. it. dir. proc. pen.; di opinione opposta DONINI, La situazione spirituale della ricerca giuridica penalistica. Profili di diritto sostanziale, in Cass. pen. Di recente, VISCONTI A., Contenuti ‘informativi’ della sanzione penale e coe- renza del ‘sistema’, cur. Forti-Varraso-Caputo, Verità del precetto e della sanzione penale. Tra sentimenti ed eguale rispetto ne della lettura in udienza di un dispositivo munito di una speciale narrativa, da cui traspaia – con formulazioni più estese ed efficaci del- l’ordinario – la disapprovazione dell’ordinamento all’indirizzo del- l’autore delle espressioni negazioniste, al quale ricollegare, ove possi- bile, una sanzione accessoria di natura inibitoria/interdittiva e la pub- blicazione della sentenza di condanna? Una pena/giudizio, dal caratte- re accentuatamente didascalico e “simbolico” per rispondere al “dia- bolico” del negare, volta a rendere il dispositivo una sorta di sanzione veritativa che renda giustizia, oltre all’esistenza delle camere a gas e dei forni crematori, all’esperienza della discriminazione e al senso di umanità. In tal modo, al contro-logos dell’annientamento, agito dai negazionisti, verrebbe opposto, con la solennità delle forme del pro- cesso penale, un potere di nominazione che, sancendo il limite, il confine tra libertà di espressione e abuso della possibilità di offendere, impedisce che l’ultima parola sia di menzogna» 60. Anche in questo caso sullo sfondo delle argomentazioni si pone un modo di pensare al potenziale simbolico del precetto come risorsa positiva che può contribuire a una responsabilizzazione non tramite il consueto binario repressivo, ma impegnandosi a contrastare de- terminate forme di discorso pubblico sul terreno comunicativo, senza cadere in eccessi punitivi che si esporrebbero a obiezioni sul piano della proporzionalità. Per quanto si tratti di posizioni che in definitiva avallano la pro- spettiva di interventi penali quale forma di contrasto alla diffusione di determinati contenuti di pensiero, collocarle sotto il segno di un trend repressivo sarebbe a nostro avviso un’approssimazione che non rende giustizia alla profondità delle opinioni espresse. La sanzione, CAPUTO, La Menzogna di Auschwitz. Netta è la presa di distanza di DI MARTINO, Assassini della memoria: strategie argomentative in tema di rilevanza penale del negazionismo, cur. Cocco, Per un manifesto del neoilluminismo penale, Padova, il quale definisce Meno convincente, anzi deleteria la sanzione accessoria della pubblicazione della sentenza: essa finirebbe con l’offrire ancora l’arena che i negazionisti desiderano, trasmettere l’idea del martirio, risultare paradossalmente co-funzionale all’offesa: conse- guenze, queste, suscettibili di controbilanciare pesantemente il perseguito effetto di stigmatizzazione. Ben vengano, dunque, caveat e ammonimenti sui pericoli di strumentaliz- zazione dei singoli per bisogni di utilità sociale, purché non si finisca per disco- noscere, tra i caratteri della norma penale, il connotato di profonda stigmatizzazione di un fatto, di affilato giudizio etico-sociale, e un’attitudine a sollecitare, più di ogni altra norma, l’attenzione diffusa per i valori tutelati e la conseguente di- sapprovazione sociale per l’offesa che li riguardi», v. CAPUTO, La ‘Menzogna di Auschwitz. Dilemmi pur restando contrassegno formale della norma penale, viene rivesti- ta con fogge che ne mutano la natura prettamente afflittiva per dare luogo a forme narrativo-pedagogiche tese a potenziare la dimensio- ne contenutistica e comunicativa del precetto. Non si può a nostro avviso parlare di una vera e propria opzione a favore della soluzione penalistica dei conflitti, quantomeno ove si in- tenda il diritto penale nel senso tradizionalmente sanzionocentrico. In realtà, le suddette proposte ci sembrano da inscrivere all’interno di un più complesso movimento di pensiero, quale ricerca di percorsi che diano pratica attuazione a quella che per ora sembra ancora rimanere solo una massima elaborata dalla dottrina, ossia che la ragione del penale non è, solo, l’inflizione della pena: «sul piano delle norme, la ragione del penale è l’osservanza dei precetti, Quale corollario alle riflessioni sul ruolo pedagogico dei precetti, riteniamo importante dar conto di uno studio che il giurista statuni- tense Fredrick Schauer ha dedicato al tema della forza del diritto, e in particolare al legame fra diritto e forza: si tratta di un indissolubile nesso di implicazione reciproca o è immaginabile un diritto senza coercizione? L’interrogativo porta in luce una questione fondamentale anche (soprattutto) per il giurista penale. Va detto anticipatamente che lo studio di Schauer non giunge a esiti ‘sconvolgenti’, in quanto la con- clusione non è nel segno di una superfluità del momento coercitivo; individua però importanti argomenti a confutazione del fatto che la coercizione e le sanzioni debbano essere al centro dell’idea di diritto. Bisogna distinguere due profili: il primo di tipo concettuale, il secondo di tipo empirico. Dal punto di vista concettuale, Schauer sostiene che l’esistenza dell’obbligo giuridico sia logicamente distinta dalla sanzione, e l’in- teriorizzazione di un obbligo non accompagnato da sanzione sia possibile. Se però ci si sposta sul piano dei riscontri empirici e ci si chiede se la gente obbedisca, o sarebbe disposta a obbedire, a un di- [Per una critica all’atteggiamento sanzionocentrico, che cioè assume la pena come principale e ineluttabile dimensione di senso cui orientare la attività di elaborazione concettuale», e la controproposta di prediligere una riflessione guidata dalla precomprensione che la pena non è lo scontato punto di partenza e di arrivo, ma è e non può non essere il problema (iniziale e finale) che pone le domande fondamentali, v. FIANDACA, Rocco: è plausibile una de-specializza- zione della scienza penalistica?, in Criminalia, PULITANÒ, Sulla pena. Fra teoria, principi e politica. SCHAUER, La forza del diritto, tr. it., Milano-Udine. Tra sentimenti ed eguale rispetto ritto privo di sanzioni il problema diviene più articolato; vi sono studi di psicologia sociale che affermano che, in assenza di sanzioni, il li- vello di obbedienza alle leggi con cui le persone dissentono è alquanto basso. Ora, se da un lato ciò conferma che un apparato coercitivo resta importante per assicurare effettività al diritto, Schauer invita però a considerare che una statuizione giuridica dispiega comunque effetti, anche quando il diritto si trovi a fare da ‘apripista’ culturale: «Sarebbe ingenuo credere, senza una prova evidente, che una semplice modifica legislativa possa ottenere un alto livello di obbedienza senza il supporto della coercizione e di sanzioni di vario genere. Ma le dinamiche psicologiche e sociologiche sono complesse. La semplice approvazione di un divieto giuridico, solo perché enunciato dal dirit- to, può indurre sia un cambiamento di attitudine che di comportamento. L’Autore prosegue osservando che tale cambiamento sarà più fa- cilmente verificabile in relazione ad argomenti su cui i cittadini non hanno un’opinione consolidata piuttosto che su temi oggetto di divi- sione; nondimeno, anche in assenza di vere e proprie sanzioni il diritto può avere il potere di modificare comportamenti sociali. Senza addentrarci ulteriormente nel denso scritto di Schauer, ci sembra che tali osservazioni rappresentino un input sufficiente per guardare al diritto, e in particolare al diritto penale, anche come strumento che tramite i precetti, piuttosto che con le sanzioni, può contribuire a veicolare un messaggio di forte disapprovazione. Diritto penale ‘simbolico’? È innegabile che si avverta più di una remora ad avallare questa discussa formula; il termine ‘simbolico’ associato al penale suscita una condivisibile diffidenza, ma non si può negare che l’aspetto simbolico, che pure è terreno di pericolose (o inutili) deformazioni del sistema penale, è un aspetto non trascurabi- le per una efficace comunicazione politica, anche a livello legislativo. SCHAUER, La forza del diritto. SCHAUER, La forza del diritto; sul tema, più diffusamente, v. MCA- DAMS, The Expressive Powers of Law. Theories and Limits, Harvard.Per la precisazione del concetto v. SCHAUER, La forza del diritto. SCHAUER, La forza del diritto. PULITANÒ, La cultura giuridica e la fabbrica delle leggi, penalecontemporaneo.it; in termini adesivi a tale posizione v. FORTI, Le tinte forti   Dilemmi Ebbene, il disagio connesso all’opzione sanzionatorio-detentiva quale eventuale risposta penale in tema di libertà di espressione, induce a chiedersi se la dimensione simbolica possa assurgere anche al rango di ‘funzione primaria’, tramite norme costruite in modo da relegare la restrizione di libertà a semplice minaccia disinnescabile in virtù di percorsi alternativi per il reo, o, in termini più radicali, tra- mite un aggiornamento del catalogo delle pene principali che introduca nuove forme di stigmatizzazione dotate di una specifica efficacia sul piano comunicativo, come ipotizzato dai contributi preceden- temente menzionati. Si tratta, com’è evidente, di percorsi innovativi la cui complessità esigerebbe un’analisi distinta rispetto ai nuclei tematici del presente lavoro. Riteniamo però che non sia irrealistico pensare al giudizio pena- le anche quale luogo di confronto e rettifica in un contesto di dialettica sorvegliata, funzionale a far emergere e a dichiarare i profili di disvalore di determinate espressioni attraverso la sottolineatura in sede pubblica del carattere intrinsecamente fallace o della grossolana offensività dell’eguale rispetto, magari avvalendosi del contribu- to di esperti che ne analizzino la portata sul piano sociologico e psicologico. Siamo al confine estremo della legittimità dell’intervento penale: problemi di eccezionale delimitazione di una libertà che in linea di principio è anche di libertà di ferire, e che per questo suo potere può tuttavia rendere opportuna una responsabilizzazione, la quale non do- vrebbe tracimare in censura autoritaria, bensì dovrebbe essere finalizzata a un’eventuale declaratoria di responsabilità concepita come del dissenso. Sembra essersi affievolita l’ostilità della dottrina per la funzione simbolica, rivalutando in tal senso proprio quella ‘finalizzazione enun- ciativa’ che era stata fortemente stigmatizzata in sede di prima lettura della nor- mativa sulla repressione penale delle condotte di discriminazione, v. STORTONI, Le nuove norme contro l’intolleranza: legge o proclama?, in Critica del diritto. Sul tema dell’uso simbolico del diritto penale, v. per tutti, nella letteratura italiana, v. BONINI, Quali spazi per una funzione simbolica del diritto penale?, in Indice penale. Abel ha parlato di ‘trattamento informale delle dispute’ per indicare il modo in cui la comunità dovrebbe reagire ai danni della parola, in un procedimento che sembra voler evitare il ricorso al potere coercitivo ma che appare nondimeno fondato su una proceduta normativizzata: si parla di una ‘conversazione istituzionalizzata’ ma informale fra vittima e offensore, nel quale quest’ultimo deve «riconoscere la norma, ammetterne la violazione ed accettarne la responsabilità, nella convinzione che un simile scambio sociale di rispetto possa neutra- lizzare l’insulto, ABEL, La parola e il rispetto. Tra sentimenti ed eguale rispetto confutazione delle espressioni proferite dal reo, cercando dunque di disinnescarne il potenziale offensivo sul piano dei contenuti. Di primo acchito tale prospettiva potrebbe apparire come una sor- ta di ‘tribunale delle opinioni’, esposto al rischio di torsioni illiberali; tale obiezione, è però ben applicabile anche all’attuale situazione ordinamentale. Di fatto il sindacato su forme di espressione è presente anche oggi: un giudizio su opinioni il quale risulta prevalentemente affidato alla sensibilità culturale del giudicante, senza potersi sottrar- re alle relative precomprensioni. Si tratta di un procedimento molto delicato poiché, come osserva Judith Butler, l’uso che lo Stato, attraverso il potere delle sentenza, fa del linguaggio offensivo e discriminatorio dà luogo a una ripetizione dello stesso, contribuendo, pur con finalità differenti, a una sua reiterazione. Nondimeno: [Prendiamo atto della critica formulata da DI MARTINO, Assassini della memoria: «l’idea della pena-giudizio in quanto tale è intrinsecamente pro- blematica. La paternale didascalica finisce con l’essere risibile di fronte ai delin- quenti per convinzione ed ai fanatici; ed è una ipocrita autoassoluzione dell’ordinamento per le omissioni od i fallimenti delle sue agenzie educative, di fronte ai miserandi frustrati, reietti e falliti». La sfiducia verso una prospettiva rieducativa può essere anche condivisa, ma, più radicalmente, va osservato che l’eventuale approntamento di sanzioni di tipo ‘espressivo-pedagogico’ non dovrebbe essere letto in una prospettiva di prevenzione speciale, bensì quale strumento di preven- zione generale positiva; la ‘risibilità’, che assumiamo come impossibilità fattuale di indurre un cambiamento di opinione, è un aspetto comunque secondario poiché l’obiettivo del diritto, nel rispetto della libertà morale della persona anche quando delinquente per convinzione o fanatico, non è indurre un cambiamento di opinione coattivo nel reo. Non condividiamo però l’afflato rinunciatario il qua- le rischia di condurre a un vero e proprio vicolo cieco, e significherebbe consentire che davvero l’ultima parola sia di menzogna, o di insulto, o di umiliazione. Pur essendo sostenitori di uno spazio comunicativo libero e aperto, facciamo fatica a immaginare il diritto spettatore del tutto inerte di fronte al potere performativo delle parole, soprattutto in tempi in cui l’indominabilità delle capacità di diffu- sione dei messaggi dovrebbe rendere più accorti nel formulare prognosi di perico- losità. Un terreno comunque scivoloso e che necessita di attente riflessioni, senza nutrire eccessiva fiducia nello strumento normativo, ma anche senza restare avvinti in un disincanto rinunciatario che amplificherebbe le asserite mancanze del- le agenzie educative primarie. Si osserva provocatoriamente che «è la decisione dello Stato, l’enunciazione ratificata dallo Stato, che produce (produce ma non causa) l’atto dello hate speech, v. BUTLER, Parole che provocano. Per una politica del performativo, tr. it., Milano. L’atto di produzione a cui si riferisce la BUTLER riguarda il fatto che prima che una sentenza definisca come hate speech delle semplici paro- le, queste non erano hate speech; più che una vera e propria produzione sembra potersi intendere come effetto del potere di nominazione. La stessa BUTLER specifica successivamente che le parole che lo Stato adopera per emettere una sen- [Dilemmi «Nessuno ha mai elaborato un’ingiuria senza ripeterla: la sua reitera- zione rappresenta sia la continuazione del trauma sia ciò che segna una presa di distanza all’interno della struttura stessa del trauma, la sua possibilità costitutiva di essere qualcosa di diverso. Non c’è possibilità di non ripetere. La sola questione che rimane aperta è: come av- verrà quella ripetizione, in quale sede – giuridica o non giuridica – e con quale dolore e quali speranze? Una questione aperta e complessa, la quale carica di responsabilità il momento giudiziario e la produzione narrativa del giudice. Dovendo fare i conti con la reimmissione in circolo di parole offensive, ritenia- mo che sarebbe opportuno riflettere su forme di ritualità che possano dare un valido supporto epistemico all’autorità giudiziale, contribuen- do a dare la giusta rilevanza e il necessario approfondimento all’erme- neutica del fatto, con l’auspicio di trasformare il processo in un mo- mento anche educativo e di apprendimento. Da penalisti, e dunque da studiosi delle possibilità negative del- l’umano, ci sembra doveroso interrogarci sul ruolo che lo strumento penale potrebbe eventualmente assumere in una prospettiva di cura degli equilibri di rispetto, cercando di privilegiare non la dimensione interdittiva e censoria ma facendo leva sulle potenzialità di quello che, tra le diverse manifestazioni del giuridico, rappresenta, piaccia o non piaccia, il più formidabile, e terribile, ‘marcatore etico’. Sinossi Rispettare le persone, e rispettarsi fra persone è prima di tutto un atto sentito che discende da disposizioni soggettive. Il progetto normativo definito ‘tutela di sentimenti’ può essere scorporato in due distinte traiettorie. La prima, definibile come ‘cura dei sentimenti’, è da intendersi come promozione di atteggiamenti emotivi che favoriscano un clima favorevole al reciproco rispetto. La seconda, definibile ‘tutela da sentimenti’, può identificarsi co- tenza sullo hate speech non sono certo la stessa cosa del discorso pronunciato dai soggetti di cui si sta giudicando la posizione; nondimeno, le due cose appaiono «indissociabili in maniera specifica e consequenziale»; cfr. ABEL, La parola e il rispetto, cit., p. 99.  73 BUTLER, Parole che provocano. Tra sentimenti ed eguale rispetto me strategia politica di contrasto a spinte emozionali negative, l’odio in primis, ma non solo. Più in generale, ciò che definiamo come ‘tute- la da sentimenti’ rappresenta un’istanza funzionale alla messa a tema di profili inerenti la dimensione psico-sociale delle matrici dei dis- sensi, e dunque all’approfondimento delle concezioni antropologiche che guidano la riflessione penalistica. Obiettivo di fondo è addivenire a una visione meno astratta e disincarnata del mondo umano con cui il diritto penale si trova a fare i conti. Tale atteggiamento di ‘realismo antropologico’ tende oggi a emergere anche nella dottrina penalistica. Riguardo il tema dei limiti penalistici alla libertà di espressione e ai problemi dell’eguale e reciproco rispetto, i penalisti mostrano un atteggiamento meno ‘concettualistico’ rispetto al passato; emergono posizioni di cauta apertura alla prospettiva di interventi normativi, modellati sul distacco da prospettive eminentemente sanzionatorie e fondati sulla valorizzazione del simbolismo positivo del precetto.  «[...] la mentalità sociale è in movimento, ciò che prima si diceva gratis oggi ha un costo etico, ci sono nuove libertà e nuove dignità e ne conseguono nuo- vi problemi, di pensiero e di linguaggio. Siamo le parole che usiamo» SERRA M., Amaca, Repubblica Bilanci e prospettive. Cura dei sentimenti e attenzione alle differenze. Tra offesa alla sensibilità e discorso discriminatorio: profili problematici e spunti di riformulazione per la tutela della dignità del creden- te. – 2. La priorità delle libertà, l’importanza delle regole. Bilanci e prospettive Recuperiamo l’interrogativo di fondo da cui è partita la presente indagine, ossia se il diritto penale di una moderna democrazia libera- le possa essere invocato a tutela di sentimenti. La tentazione di opporre un assoluto, per quanto benintenzionato diniego, appare destinata a scontrarsi con un maturo senso di realtà. Beninteso, non stiamo in questo modo cercando di assegnare fretto- lose patenti di legittimità a una delle più controverse modalità di esplicazione dell’intervento penale, ma riteniamo che nell’analisi del problema si debba cercare di andare oltre le etichette retoriche, senza farsi abbagliare né in positivo né in negativo dalla ambigua parola ‘sentimento’. Il percorso compiuto finora riteniamo abbia mostrato come un’asserzione netta, sia in termini affermativi sia in termini negativi, peccherebbe per approssimazione. Sarebbe dunque più opportuno partire da una più articolata formulazione dell’interrogativo: in rela- zione a quali fenomeni e in quali accezioni, al di là delle scelte dei le- gislatori storici, sentimenti ed emozioni possono essere ragionevol- mente evocati quali elementi costitutivi e/o integrativi nella descrizione dell’oggetto di tutela penale?  238 Tra sentimenti ed eguale rispetto Le incrostazioni di matrice collettivistica, che nel contesto italiano hanno ammantato gli interessi definiti dai legislatori ‘sentimenti’, hanno contribuito ad acutizzare, in modo giustificato, la diffidenza della dottrina penalistica di stampo liberale. Il senso di un nuova tematizzazione del sentimento quale problema di tutela deve essere in primo luogo funzionale a svincolare dalle ‘col- lettivizzazioni normative’ un fenomeno legato all’interiorità dell’indivi- duo e che invece si è prestato, con evidente slittamento di significato, a divenire veicolo di incriminazioni di stampo moralistico-identitario. Riteniamo che debba essere presa in considerazione, quale ulte- riore sfaccettatura, una dimensione di significato che valorizzi la proiezione universalistica e, per certi versi egualitaria, dei fenomeni affettivi: sentimenti ed emozioni come ‘addentellato fenomenico’ di una dotazione universalmente condivisa dagli esseri umani. In base a quest’ultima prospettiva, declinare determinate questio- ni di interesse penalistico, come ad esempio i rapporti fra manifesta- zioni espressive e sensibilità, anche come problema di sentimenti acutizza i dilemmi, poiché il sentimento non può esser limitato all’eventuale, problematica, identificazione con l’interesse di una sola delle parti, col rischio di modulare eventuali, ipotetici, interventi normativi sulle cadenze di uno sterile rivendicazionismo psicologico soggettivo. Il risvolto di reciprocità egualitaria assume il significato di una pretesa ‘responsabilizzante’ nei confronti di tutti individui, quale do- verosa, e in primo luogo spontanea, autolimitazione: «Se ognuno ha diritto alla propria narrazione individuale, ugualmente non può, in nome dei propri sentimenti, dichiararla “intoccabile”, af- fermarla come pretesa di verità assoluta e non metterla in discussione e confrontarla con quella degli altri» 1. È nella distinzione tra ethos ed etica che si inquadra uno dei fon- damentali tratti costitutivi del pluralismo: ethos come ordine valoriale costitutivo del singolo, ed etica come limite che tutti i diversi ethe de- vono osservare, nel rispetto di «ciò che è dovuto da ciascuno a tutti. Lo stesso diritto a vivere e fiorire secondo il proprio ethos, che si chiede per sé» 2, secondo dinamiche di simmetrica reciprocità che uni- scono profili di diversità fattuale e accenti di doverosità normativa. TURNATURI, Emozioni: maneggiare con cura, DE MONTICELLI, La questione morale, Osservazioni finali La focalizzazione sul problema di un eguale e reciproco rispetto porta a emersione la duplice prospettiva di una tutela di sentimenti intesa come ‘cura’ del sentire individuale e collettivo, e come forma di contrasto a espressioni tese al disconoscimento dell’altro. Nell’atto di formulare delle osservazioni finali al presente lavoro emerge l’esigenza di distinguere fra linee di politica legislativa di va- lenza generale e spunti più dettagliati che richiedono di essere circo- scritti a singoli campi di materia. Il problema della tutela di senti- menti non può essere fatto confluire in un unico prospetto di model- lizzazione normativa, ma necessita di essere affrontato attraverso percorsi differenti: solo in rapporto al profilo della ‘cura’ si possono a nostro avviso proporre delle linee generali, mentre il tema, più stret- tamente penalistico, della tutela da sentimenti richiede di essere più attentamente contestualizzato. Cura dei sentimenti e attenzione alle differenze Come abbiamo già specificato, il rapporto fra ‘cura’ e ‘tutela da’ è di complementarietà, per quanto sia la ‘cura’ a definire la declinazio- ne primaria del problema di tutela. La dimensione ‘ostativa’, ossia quella della ‘tutela da’, resta una parte residuale e strumentale al profilo della ‘cura’, finalizzata even- tualmente ed esclusivamente, al mantenimento di equilibri. Obiettivo di fondo, probabilmente non raggiungibile mediante il solo strumen- to giuridico, resta quello di un’adeguata formazione del sentire degli individui, intesa come capacità di rapportarsi all’altro nelle forme dell’ascolto, del confronto e anche della critica, da contestualizzarsi in un’arena polifonica aperta alla pluralità, poiché «di quanta più realtà una sensibilità diventa capace, tanto più esatto sarà, da un la- to, il sentimento delle differenze e delle priorità» 3. Il ruolo delle agenzie educative diviene in questo senso cruciale, a partire dalle istituzioni scolastiche: l’arricchimento della giustizia da una condizione essenzialmente normativa a una condizione etica è l’esito (un’aspirazione più che un traguardo certo) di un lavoro lungo e 3 DE MONTICELLI, L’ordine del cuore, Si veda ad esempio la pubblicazione dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, Abc: Teaching Human Rights – Practical Activities for Primary and Secondary Schools, disponibile in http://www.ineesite.org/- en/resources/abc_teaching_human_rights_-_practical_activities_for_primary_and_se- condary. Tra sentimenti ed eguale rispetto lento di educazione dei sentimenti, al quale partecipano le istituzioni politiche e quelle sociali, la vita pubblica e quella privata» 5. Qual è il messaggio di fondo che dovrebbe essere veicolato quale coordinata etica di una cura dei sentimenti? L’atteggiamento che ragionevolmente si pone a monte del recipro- co rispetto è la capacità di immedesimazione 6 e soprattutto di usare l’immedesimazione in modo da includere la differenza. In altri termini, «il rispetto basato sull’idea di dignità umana risulterà insufficiente a includere tutti i cittadini in termini di uguaglianza, a me- no che non sia nutrito da uno sforzo immaginativo nei confronti della vita degli altri e da una comprensione più intima della loro piena e comune umanità. Ritorna anche in questo caso l’esigenza di non ridurre la dignità umana a un simulacro dispotico declinato in termini deonto- logici, bensì a modularne l’essenza su cadenze il più possibile inclusive. L’attenzione alle differenze può maturare attraverso percorsi di crescita emotiva finalizzati a migliorare la capacità di apertura all’altro 8, soprattutto ove si riesca a riconoscere e a dominare un’emo- zione che è tanto tremendamente umana quanto problematica nelle dinamiche di una società pluralista: la paura. La funzione primordia- le della paura è la difesa dell’essere umano da fonti di pericolo, ma la sua attuale variante sociale e adattiva corrisponde a un’emozione repulsiva e narcisistica, che si declina come una «pre- occupazione offuscante [e] un’intensa concentrazione su di sé che getta gli altri nell’ombra URBINATI, Liberi e uguali. L’Autrice rimarca che tale passaggio è propriamente ciò che denota la cultura dell’individualismo democratico. 6 Richiamiamo il tema dell’empatia, soprattutto in relazione al suo valore etico per la vita di relazione: v., per tutti, BOELLA, Sentire l’altro. Conoscere e praticare l’empatia, Milano, NUSSBAUM, Emozioni politiche, Riteniamo sia da accogliere positivamente l’iniziativa del governo italiano che ha presentato, per voce della Ministra dell’Istruzione, il ‘Piano nazionale per l’educazione al rispetto’, ossia un progetto teso a introdurre nella formazione scolastica momenti di apprendimento per «promuovere nelle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado un insieme di azioni educative e for- mative volte ad assicurare l’acquisizione e lo sviluppo di competenze trasversali, sociali e civiche, che rientrano nel più ampio concetto di educazione alla cittadi- nanza attiva e globale» e per «promuover[e] azioni specifiche per un uso consa- pevole del linguaggio e per la diffusione della cultura del rispetto, con l’obiettivo di arrivare a un reale superamento delle disuguaglianze e dei pregiudizi, coinvol- gendo le studentesse e gli studenti, le e i docenti, le famiglie».  9 NUSSBAUM, La nuova intolleranza, cit., p. 67.  Osservazioni finali 241 Si pone dunque l’esigenza di non cedere alle chiusure indotte dalla paura, al fine di «adottare uno sguardo diverso, che dia rilevanza a mentalità, valori, idee, convinzioni e sensibilità culturali capaci di conferire significati inediti alle nostre paure» 10. In uno studio dedicato all’intolleranza come effetto della paura dell’altro, Martha Nussbaum afferma che l’eguale e reciproco rispetto richiede lo sviluppo dei cosiddetti ‘occhi interni’, ossia dello sguardo immaginativo, non corporeo, che consente di vedere l’altro 11: è preci- samente ciò che manca nell’odio, dove il sentire è cieco12 davanti all’individualità altrui. La promozione di un orizzonte di rispetto si gioca in primo luogo a un livello che ha a che fare con lo sviluppo di tale profondità di sguardo e di immaginazione: per rispettare l’altro bisogna ‘sentirlo’ 13, attraverso capacità di apertura, di ascolto, di discernimento. Tra offesa alla sensibilità e discorso discriminatorio: profili problematici e spunti di riformulazione per la tutela della di- gnità del credente Venendo al profilo più strettamente penalistico, un primo bilancio può essere stilato in relazione al panorama normativo italiano vigente. L’impressione è che nel complesso il lavoro di rielaborazione concettuale e di riassetto etico compiuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina abbia condotto a norme il cui coefficiente di compatibilità con le libertà costituzionali è tutto sommato accettabile. Come già osservato, non appare possibile in questa sede procedere all’enucleazione di prospettive de jure condendo calibrate su ogni singolo ambito in cui il codice fa riferimento a sentimenti come oggetto di tutela. Ci limitiamo a prendere in analisi il settore in cui, a nostro avviso, CERETTI-CORNELLI, Oltre la paura, NUSSBAUM, La nuova intolleranza, DE MONTICELLI, L’ordine del cuore. In questo senso la dimensione della ‘cura’ si proietta verso un rispetto non meramente ‘passivo’, bensì guarda anche, soprattutto, a un rispetto ‘attivo’. Con la prima accezione si indica un atteggiamento di astensione dall’ostilità e dalla violenza; il rispetto ‘attivo’ si traduce in qualcosa di più: «un’attenzione per i bisogni, le esigenze, gli obiettivi e anche i progetti esistenziali delle persone, il riconoscimento del fatto che esse attribuiscono valore a qualcosa che sta loro a cuore e che intendono realizzare», v. MORDACCI, Rispetto, Tra sentimenti ed eguale rispetto emerge maggiormente l’esigenza di procedere a una disambiguazione tra forme di intervento a tutela della sensibilità e presidi contro di- scorsi discriminatori. In quest’ottica l’impianto dei reati a tutela del sentimento religioso presenta delle criticità che si addensano nella portata applicativa dell’art. 403 c.p., ossia l’offesa a una confessione religiosa mediante vili- pendio di persone. Partiamo dal presupposto che sia ragionevole che lo stato laico tuteli lo spazio umano-personale e sociale in cui si dispiega la dimen- sione religiosa dell’individuo: il problema è con quali modalità. Una delle più acute posizioni a difesa della tutela del sentimento religioso osserva che «discussione non è offesa. A maggior ragione quando il bene tutelato diventa la dignità e la personalità dell’essere umano sotto lo specifico profilo della dimensione religiosa», e formula con- seguentemente la propria proposta normativa, a superamento delle attuali disposizioni, elaborando una fattispecie che incrimina «i comportamenti o le espressioni oltraggiose tenuti in pubblico che le- dono intenzionalmente la dignità delle persone a causa delle loro convinzioni sul significato ultimo dell’esistenza. Ebbene, concordiamo con le ragioni di fondo di tale proposta, la quale ci sembra coerente con l’intenzione di circoscrivere l’impianto di tutela alla dignità della persona e non al prestigio e al patrimonio ideologico della confessione Resta a nostro avviso il dubbio se sia opportuno mantenere una disposizione dedicata al fenomeno religioso, la quale potrebbe espor- si al rischio di assumere nuovamente le vesti di incriminazione surrogatoria del vilipendio, come del resto oggi sembra capitare per l’art. 403 c.p., il quale tende a estendersi all’insulto alla confessione MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa, MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa, La proposta di norma parla di ‘Offese alla libertà religiosa’, ma il richiamo alla dignità ‘a causa delle convinzioni sul significato ultimo dell’esistenza’ sem- brerebbe aprire anche alla tutela della dignità del non credente. Su tale ultima prospettiva si veda, anche per richiami comparatistici, PACILLO, I delitti contro le confessioni religiose, Benché non compaia il termine ‘vilipendio’, anche il modello di norma ipotizzato dalla Mazzucato parla, con formula rischiosa, di «comportamenti o espressioni oltraggiose tenuti in pubblico, anche rivolti a cose che formino oggetto di culto o siano consacrate al culto». Ad un’attenta lettura, l’emancipazione dal modello del vilipendio della confessione emerge però dalla traiettoria dell’offesa, la quale deve «[ledere] intenzionalmente la dignità delle persone», v. MAZZUCATO, Offese alla libertà religiosa, Osservazioni finali piuttosto che limitarsi a sanzionare l’offesa alla persona 18. A nostro avviso, un riassetto e, soprattutto, una decisa disambiguazione della linea di intervento penale potrebbe aversi attraverso un’abrogazione secca dell’art. 403 c.p., accompagnato da una parallela modifica dell’art. della legge che estenda ai motivi religiosi il tipo di discorso discriminatorio suscettibile di assumere rile- vanza penale, secondo una formula che incrimini «chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico o religioso. Ciò non porterebbe, ci sembra, ad alcun vuoto di tutela: si tratte- Anche partendo dal presupposto che la libertà di espressione non sia assoluta, ma incontri limiti espressamente riconosciuti dall’ordinamento interno e anche da fonti sovranazionali, incriminare una manifestazione del pensiero consistente nel ‘tenere a vile’, e dunque nel formulare critiche anche sferzanti e in grado di ferire la sensibilità del credente, è esposta al rischio di tracimare in una forma di illegittima compressione della libertà di critica e di satira; come osserva SERENI, Sulla tutela penale della libertà religiosa, cit., p. 12, il vilipendio del credente è costantemente a rischio di trasformarsi in «vilipendio teologale, più prossimo alla iper-sensibilità del credente rispetto al contenuto della verità di fede, al rigore della sua Autorità religiosa contro le critiche (anche satiriche) rivol- te a danno della Divinità, dei suoi simboli e dei suoi ministri di culto». Si è osservato criticamente che ipotetiche interpretazioni estensive della norma sul vilipendio ex art. 403 c.p., alla luce del dettato codicistico post riforma 2006, e dunque nel segno dell’uguaglianza fra confessioni religiose, sono da ritenersi applicabili anche alla tu- tela di religioni come l’Islam: un esito definito «non nello spirito dei tempi» da PULITANÒ, Laicità, multiculturalismo, diritto penale, , plausibilmente per evidenziare come l’estensione della tutela, doverosa in quanto sancita dal principio di uguaglianza, rischi di introdurre uno strumento giuridico invasivo a disposizione di fedeli di religioni particolarmente suscettibili. Esprime contrarietà rispetto all’ipotesi di un presidio penale specifico del fenomeno religioso VISCONTI C., La tutela penale, cit.,.; si pone a favore di una tutela incentrata sulle fattispecie comuni, senza necessità di norme ad hoc sulla religione, anche MANTOVANI M., L’oggetto tutelato nelle fattispecie penali in materia di religione, in AA.VV., a cura di De Francesco- Piemontese-Venafro, Religione e religioni, Per una posizione favorevole al mantenimento del vilipendio, considerato prototipo dell’insulto all’atteggiamento individuale verso il problema religioso, v. STELLA, Il nuovo Concordato fra l’Italia e la Santa Sede: riflessi di diritto penale, in Jus. Per un’analisi dei modelli di tutela imperniati sulla persona del credente e che si identificano nel paradigma dello hate speech, v. CIANITTO, Quando la parola ferisce, Si veda in particolare il caso della Gran Bretagna, Paese nel quale non esiste più l’incriminazione per la condotta di Blasphemy (abolita), e che ha introdotto (Racial and Religious Hatred Act) una fattispecie di reato che incrimina le manifestazioni di incitamento all’odio religio- so, v. EAD., Quando la parola ferisce,.; GIANFREDA, La blasphemy nell’ordinamento inglese di Common Law e la tutela penale della “religione”: problemi aperti e nuove prospettive, in AA.VV., a cura di De Francesco-Piemontese- Venafro, Religione e religioni, Tra sentimenti ed eguale rispetto rebbe di una più netta ridefinizione di confini tra fattispecie, senza intaccare la soglia ‘inferiore’ dell’intervento penale (il nucleo duro delle offese alla persona e alla sua dignità), lasciando univocamente al di fuori offese limitate al piano ideologico, e incentrando l’intervento su espressioni discriminatorie basate su motivi religiosi Da un lato le offese al singolo potrebbero assumere rilevanza come delitti contro l’onore (oggi, dopo l’abrogazione dell’ingiuria, resi- duerebbe la sola diffamazione), eventualmente aggravati ai sensi dell’art. del d.l. n. (aggravante relativa alle finalità di discriminazione); dall’altro lato, l’orizzonte del discorso pubblico in mate- ria di critica e satira religiosa si troverebbe affrancato dall’incom- bente censura del vilipendio, fermo restando il limite, comunque pro- blematico ma ben più selettivo, di non tracimare in propaganda discriminatoria. Un impianto di tutela così strutturato consentirebbe a nostro avvi- so di mantenere aperto uno spazio di illiceità per forme di espressio- ne volte a negare la pari dignità del credente, le quali chiamano in gioco un profilo altamente significativo della condizione esistenziale umana come l’identità religiosa. Al contempo, la necessità di valu- Si veda in questo senso il parere rilasciato dalla Commissione Europea per la democrazia attraverso il diritto (c.d. ‘Commissione Venezia’, organo consultivo del Consiglio d’Europa), nel quale si suggerisce agli Stati membri l’abrogazione delle leggi sulla blasfemia e il mantenimento di presidi basati sulle generiche norme che incriminano ingiuria e diffamazione e, soprattutto, sulle norme che incriminano la diffusione di idee fondate sull’odio religioso, v. Compilazione di pareri e rapporti della Commissione di Venezia riguardante la libertà d’espressione e i media, La strada della tutela antidiscriminatoria è additata anche da DONINI, “Danno” e “offesa” nella c.d. tutela penale dei sentimenti, cit., p. 1586, il quale sembra però aprire alla prospettiva di un’applicazione dei delitti contro la discriminazio- ne solo nei casi di incitamento alla discriminazione o ad atti discriminazione nei confronti di persone, lasciando fuori dal raggio dell’intervento penale le offese collettive che potrebbero, a nostro avviso, essere invece vagliate come eventuali forme di propaganda razzista, previa opportuna modifica dell’art. 3 della legge n. 654 del 1975. Richiama la prospettiva di una tutela tramite le norme antidiscri- minazione proprio al fine di tutelare anche i gruppi, e non solo i singoli, MAZZOLA, Diritto penale e libertà religiosa dopo le sentenze della Corte costituzionale, in Quad. di diritto e politica ecclesiastica,; cfr. PACILLO, I delitti contro le con- fessioni religiose, Nella dottrina penalistica italiana l’autorevole e cristallina posizione di ROMANO, Principio di laicità dello Stato, a sostegno di un presidio penale speci- fico per le religioni si basa su argomenti i quali possono, a nostro avviso, essere re- cuperati anche nella prospettiva da noi delineata. Secondo Romano, la non inopportunità dell’intervento penale deriva dall’esigenza di mantenere all’interno del si-   Osservazioni finali tare l’illiceità attraverso lo stretto filtro dell’incriminazione della propaganda discriminatoria potrebbe portare a un più cauto uso del diritto penale nei rapporti con la libertà di espressione e in particolare con la satira. Ci sembra questa una futuribile modifica che potrebbe contribuire a fissare in modo più definito spazi di libertà nella salvaguardia di un nucleo minimo di rispetto che tenga conto del diritto liberale di critica e della necessaria distinzione con l’orizzonte della discriminazione. La priorità delle libertà, l’importanza delle regole Dietro il velo retorico dei sentimenti si pongono questioni di vitale importanza per la convivenza, non liquidabili dietro affrettate declaratorie di irrazionalità, e che richiedono un serio impegno in primo luogo nella prospettiva che abbiamo definito come cura. Resta aperto, in via residuale, il problema di interventi limitativi delle libertà. Il giurista penale avverte il disagio di un’alternativa dilemmatica tra la fedeltà a principi di libertà e la violazione che potrebbe scaturire dall’avallo di politiche di intervento; sì, perché di violazione si tratta in quanto un dilemma non ammette vie di fuga ma costringe, piaccia o non piaccia, ad accollarsi le conseguenze del cosiddetto male minore. Condividiamo l’atteggiamento combattuto che altre voci, ben più autorevoli, hanno confessato. Non lo diciamo semplicemente a nostra discolpa, bensì a conferma della profondità del dilemma che ci attanaglia, nella convinzione che proclamare in questi casi un’asserita soluzione rischi di sfociare in una hybris intellettuale, e che sia stema strumenti per marcare l’essenziale differenza fra libertà di critica, anche in forme aspramente satiriche, e pura e semplice denigrazione o dileggio: differenza che deve modellarsi su quanto comunemente accolto per le ingiurie rivolte ai singoli. Il richiamo all’offesa che caratterizza l’ingiuria contribuisce a connotare in termini personalistici l’interesse protetto, avvicinandolo univocamente alla, pur problematica, dimensione della dignità del credente. Fermo restando che le fatti- specie a tutela dell’onore restano comunque un presidio attivo per le offese ai singoli, l’estensione dell'art. della legge nella parte relativa alla propaganda si presterebbe, a nostro avviso, a perseguire l’auspicabile risultato teorizzato da Romano. Se intendiamo denigrazione o dileggio come forme di disconoscimento della pari dignità delle persone in quanto credenti in una determinata fede o visione del mondo, l’incriminazione della propaganda discriminatoria, debitamente estesa nella formulazione lessicale, può, a nostro avviso, assolvere in modo meno ambiguo dell’art. c.p. ai predetti scopi di tutela.  Tra sentimenti ed eguale rispetto invece preferibile affrontare i problemi col dovuto rispetto per la complessità: Un dilemma comporta un’oscillazione infinita; in quanto la nostra esperienza è teatro di continui dilemmi, la sua struttura è infinitamen- te provvisoria e le si fa torto ogniqualvolta si cerchi di rinchiuderla nello steccato di un arrogante e definitivo pronunciamento, nella superba convinzione di aver già sempre (prima che un qualsiasi problema si ponga) visto giusto. È comprensibile la tendenza a optare per la soluzione in grado di lasciare in sospeso il più possibile le conseguenze di uno dei due mai, per evitare una violazione certa (delle libertà) nella speranza che il male alternativo non trovi realizzazione. Riteniamo che questa sia una possibile chiave di lettura, come autorassicurazione psicologica, di ciò che la filosofia ha definito utilitarismo delle regole, ossia l’atteggiamento con cui si risponda all’incertezza di fronte a un conflitto cercando l’applicazione di una regola ritenuta giusta in quanto tale, quali che siano le conseguenze della sua applicazione, accettando il rischio di affidarsi a ragionamenti talvolta anche non adeguatamente orientati sul piano delle possibili conseguenze. Ed è altrettanto comprensibile che il cultore delle discipline pena- listiche, nella consapevolezza dei mali insiti nella coercizione, faccia il possibile per evitare di dare impulso e fornire ragioni allo strumento penale, cercando piuttosto di contenerne la pervasività. Vorremmo essere sicuri che la fede liberale ci porti nel giusto; ma un sano senso critico esorta a mettere in conto che potremmo anche aver torto. In linea di principio, sarebbero da evitare alcuni degli errori attribuiti a un pensiero irenisticamente liberale, che talvolta finisce per esaltare la forma a discapito del contesto, magari erigendo steccati intellettualistici esibiti come fieri esercizi di democrazia. Quello che a nostro avviso va tenuto presente, e che parte della dottrina penalistica ha ben messo in luce, è il fatto che non vi sono risposte che possano considerarsi come esito indefettibile di un’ade- [BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, ABEL, La parola e il rispetto, Così, efficacemente, BRUNELLI, Attorno alla punizione del negazionismo, Osservazioni finali] sione ai principi liberali (quale tipo di liberalismo?) o come soluzione ricavabile ‘a rime obbligate’ dal testo costituzionale, ma ogni eventua- le prospettiva resta legata a opzioni politiche che vanno attentamente commisurate sia a criteri di legittimità sia a criteri di opportunità. La posta in gioco è estremamente significativa. La difesa dell’eser- cizio di una libertà del pensiero critico, aperto anche a manifestazioni disturbanti è ciò che identifica e distingue il nostro mondo liberale, pur con tutti i suoi difetti, dalle oscurità del fondamentalismo: non dobbiamo dimenticarlo. La costruzione di una campana di vetro al fine di garantire immunità emotiva agli individui suscettibili non può far parte dello strumentario giuridico di una democrazia liberale, la quale può (deve) esigere dai cittadini responsabilizzazione e capacità di elaborazione della limitata efficacia pratica delle proprie convinzioni, o, più icasticamente, una certa dose di robustezza. Si tratta in altri termini di favorire l’interiorizzazione di un onere di tolleranza consistente nella consapevolezza di poter realizzare il proprio ethos solo nei limiti di ciò che compete parimenti a tutti». Il richiamo alla robustezza vale sia come monito a non cadere in uno sterile e polemogeno sentimentalismo vittimocentrico, acriticamente proclive ad avallare doglianze di animi suscettibili, ma costituisce a nostro avviso anche un monito a non dare per scontata tale condizione di tenuta etica nelle persone, dovendosi mantenere l’occhio vigile e l’orecchio proteso a captare segnali in grado di mostrare le crepe prima che si arrivi a un collasso. È di tutta evidenza come nell’attuale momento storico le dinamiche del reciproco rispetto stiano subendo una particolare curvatura, probabilmente una deformazione, sia sul piano dei contenuti, sia sul piano dei canali espressivi. Rispetto al passato, anche recente, siamo oggi portati a constatare quasi quotidianamente, grazie ai o a causa dei media, condotte che sono dettate da atteggiamenti di repulsione dell’altro. Se è vero che rinvenirne la dannosità immediata risulta operazione assai complessa, la quale molto difficilmente riesce a soddisfare appieno i filtri dell’armamentario concettuale penalistico, non può essere però escluso che volgere gli occhi al cielo, confidando sul fatto che lo spirito critico e gli ideali di tolleranza riescano ad avere la meglio, possa rivelarsi un atteggiamento totalmente alieno dai calcoli PULITANÒ, Laicità e diritto penale, HÖRNLE, Protezione penale di identità religiose?, HABERMAS, Tra scienza e fede, tr. it., Roma-Bari Tra sentimenti ed eguale rispetto pazienti e minuziosi che sarebbero richiesti per sostanziare quella giustificazione. Tali riflessioni ci vengono suggerite dall’esigenza di non sottovalutare un repertorio ormai troppo consistente di fatti che rimandano a un passato non del tutto trascorso e con preoccupanti echi nel tempo presente. Le ragioni del diritto si intrecciano con un tessuto anche emozionale, il quale costantemente ci ricorda che il diritto è prioritariamente una risposta alla memoria del male, che esseri umani possono fare ad altri esseri umani. Tenere ben ferma l’attenzione sui mondi umani e sulla realtà sociale è un impegno necessario per monitorare la qualità delle libertà in un contesto pluralista. Il diritto penale non rappresenta lo strumento più idoneo a svolgere una funzione promozionale, ma riteniamo non debba essere aprioristicamente tacciato di vena illiberale il proposito di immaginare strumenti perché vi possa essere anche, eventualmente, un redde rationem sull’uso della libertà di espressione, non quale forma di soffocamento ma quale chiamata a dare spiegazioni e ad assumersi la responsabilità di un certo uso del linguaggio, il quale è performativo non solo nei confronti della realtà esterna ma anche di sé stessi. Non intendiamo avallare forme di democrazia protetta, bensì evitare di chiudere aprioristicamente il discorso su ciò che il diritto, e anche eventualmente il diritto penale, potrebbe fare nelle forme non BENCIVENGA, Prendiamola con filosofia, VECA, La priorità del male e l’offerta filosofica, Milano FIANDACA, Laicità, danno criminale e modelli di democrazia. Secondo quanto osservato da Michele Serra in esergo a questo capitolo, di fronte a nuove libertà e a nuove dignità conseguono nuovi problemi, di pensiero e di linguaggio, e le parole che usiamo definiscono gli altri ma al contempo ci definiscono. Concetto che peraltro rischia di prestarsi a usi retorici. Cosa vuol dire democrazia protetta? Una democrazia liberale di tipo aperto ha dei valori da difendere? Certamente non può dirsi che la democrazia sia una forma di governo relativistica; al contrario, essa «non ha fedi o valori assoluti da difendere a eccezione di quelli su cui essa stessa si basa. Nei confronti dei principi democratici, la pratica democratica non può essere relativistica», v. ZAGREBELSKY, Imparare democrazia, Torino. A partire da queste premesse, si può concordare con quanto osservato da SALAZAR, I destini incrociati della libertà di espressione, ossia che non esistono democrazie indifese, cioè impossibilitate a difendersi se vogliono rimanere fedeli a se stesse, dovendo semmai distinguersi tra Costituzioni dotate di un sistema di protezione meno appariscente e quelle che, invece, ne esibiscono uno maggiormente strutturato». di una censura autoritaria, ma quale veicolo, tramite i precetti, di richiamo simbolico a valori della convivenza liberale, nella convinzio- ne che lo strumento giuridico debba essere pensato non soltanto come un mezzo di giustizia, ma possa anche assumere le vesti di un luogo di scoperta del giusto. È l’idea che l’istituzione del diritto nella sua essenza sia precisamente il mezzo che la nostra ragione ha indi- cato non solo per garantire il dovuto da ciascuno a tutti, ma anche per scoprire attraverso il confronto e non più lo scontro delle diverse concezioni del bene sempre nuovi aspetti di questo dovuto. DE MONTICELLI, La questione morale. Grice: “Falzea interprets, correctly, Roman law as imperativistic or better, volitive – volontarismo giuridico – My reflections on “Aspects of Reasons” point to the same direction. Indeed my focus is on the conversational IMPERATIVE!” Angelo Falzea. Falzea. Keywords: QVOD PRINCIPII PLACVIT LEGIS HABET RIGOREM, interesse, valore, disvalore, assiologia, accertare, apparire, efficacia, interesse, does moral philosophy rest on a mistake, duty cashes on interest, on desire. ‘sentimento condiviso’ -- H. L. A. Hart. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Falzea” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Fannio: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. (Roma). Filosofo italiano. Fanc. Fannio conosce Panezio di Rodi per mezzo di C.Lelio, e ne segue l’insegnamento. C. Fannio combattè contro Cartagine, e tribuno della plebe e si distingue contro Viriato.C. Fannio e pretore e console. C. Fannio oppose alla proposta di C. Gracco di concedere la piena cittadinanza romana ai meri latini e i diritti di questi ai meri italici, con una orazione famosa, di cui però, gli e contestata la paternità. C. Fannio scrive un saggio storico spesso ricordata da Cicerone ("Annales"), che forse comincia con le origini di Roma -- e orazioni.  Gaio Fannio Gaius Fannius. Gaius Fannius is a Roman republican philosopher and politician who was elected consul and was one of the principal opponents of Gaius Gracchus. Fannio is a member of the Scipionic Circle. Gaius Fannius was the son of Marcus Fannius (whose brother was probably Gaius Fannius Strabo, the consul). On the assumption that this Gaius Fannius is not the historian who fought in the Punic War, he was a member of Quintus Caecilius Metellus Macedonicus’s staff in Macedonia, who sent him as part of an embassy to the Achaean League to convince them not to enter the war against Rome. After the embassy was insulted and their warnings disregarded, Fannius left and went to Athens. Fannius next appears, serving with distinction as a military tribune in Hispania Ulterior under Quintus Fabius Maximus Servilianus in his war against Viriathus. Fannius was elected as Plebeian Tribune. Then he was elected to the office of Praetor, during which time he was mentioned in a decree responding to the request for Roman assistance by John Hyrcanus, the ruler of the Hasmonean Kingdom. With the support of the Tribune of the Plebs Gaius Gracchus, Fannius was elected consul, serving alongside Gnaeus Domitius Ahenobarbus. However, once he was in office, he turned against Gracchus, opposing his reforming measures and supporting the traditional senatorial group who were against any reforms which impacted upon their wealth and status. During his consulship he obeyed the Senate's directive and issued a proclamation commanding all of the Italian allies to leave Rome. He also spoke against Gracchus's proposal to extend the franchise to the Latins. Fannius's speech was regarded as an oratorical masterpiece in Cicero's time, and was widely read. Gaius Fannius married Laelia, the daughter of Gaius Laelius Sapiens. On the advice of his father-in-law, Fannius attended the lectures of the Stoic philosopher, Panaetius, at Rhodes. There has been a long-standing debate over whether this Gaius Fannius was the historian who served under Scipio Aemilianus during the Third Punic War, and together with Tiberius Gracchus were the first to mount the walls of Carthage on the capture of the city. Cicero, from whose letters much of this is derived, was incorrect in identifying Fannius the consul as the son of Gaius. Inscriptions clearly reveal that his father was Marcus Fannius. It is now generally accepted that Cicero, although mistaken about some of the details, was probably not mistaken when he distinguished between Gaius Fannius, the Consul and Gaius Fannius, the historian who served under Scipio Aemilianus. See Cornell, T. J. The Fragments of the Roman Historians, for a detailed analysis of the evidence. References  Cornell, Broughton, Broughton Broughton Cornell, Broughton Smith Broughton Smith Cornell Smith Smith Sources Broughton, T. Robert S., The Magistrates of the Roman Republic, Broughton, T. Robert S., The Magistrates of the Roman Republic, Cornell, The Fragments of the Roman Historians, Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Smith, William, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Political offices Preceded by Q. Caecilius Metellus Balearicus T. Quinctius Flamininus Roman consul With: Gnaeus Domitius Ahenobarbus Succeeded by Lucius Opimius Q. Fabius Maximus Allobrogicus FASTISNIVIAF NationalGermanyUnited States People Deutsche Biographie Categories:  Roman augurs Roman consulsFannii. Gaio Fannio. Fannio.

 

Grice e Fano: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della glossogonia – imago acustica e immagine sensibile – scuola di Trieste – filosofia trestina – filosofia friulese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo italiano. Trieste, Friuli-Venezia Giulia. Grice: “I like Fano; for one, he took very seriously Plato’s Cratilo – “origine e natura del linguaggio,’ he has also explored a rather extravagant trend for Italian philosophers, when philosophy is reduced to ‘analisi del linguaggio’!” Neo-idealista, appartene a quel gruppo di artisti, letterati, e scrittori che hanno reso famosa Trieste. Legge in modo originale l'opera di Croce e Gentile. Sottolinea l'importanza delle scienze naturali e della matematica, che nel suo sistema non sono governate dagli pseudo-concetti. Da molta importanza agli aspetti più semplici e ferini dello spirito seguendo le riflessioni di Vico. Suo padre Guglielmo era un medico affermato, sua madre Amalia Sanguinetti. Il padre fu uno dei pochi ebrei di allora che passano al cattolicesimo per sincera fede. Ma tale conversione e accompagnata da manie religiose e disordini mentali precoci. Fin dall'adolescenza F. ha un impulso di rivolta contro gli adulti, il loro conformismo, il loro spirito oppressivo. Nel romanzo Quasi una fantasia di Ettore Cantoni si parla di due ragazzi, in cui è facile riconoscere l'autore Ettore e Fano, che viaggiano e arrivano addirittura in Africa, appunto per sfuggire all'atmosfera pesante instaurata dagli adulti. Fu un ragazzo ribelle, non volle accettare la disciplina della scuola. Un episodio contraddistingue il suo carattere, quando getta nella stufa il registro di classe. Frequenta la scuole austriaca con scarso profitto. Afferma che una parte delle sue difficoltà era dovuta al fatto di avere poca memoria (non quella concettuale, in cui eccelleva, ma quella specifica, dettagliata, necessaria ad es. nello studio della storia e della geografia). Così abbandona gli studi assai prima di aver conseguito la maturità. Ritiratosi da scuola, i suoi congiunti gli procurarono un posto di impiegato. Ma abbandonò l’impiego e affitta, assieme ad alcuni coetanei, una cameretta sul colle di Scorcola, dove si dedica non solo a discussioni senza fine con gli amici, ma passò ore e ore a studiare filosofia. Più tardi a Vienna poté sentire le lezioni universitarie di alcuni luminari del tempo. Fu la lettura dei classici tedeschi, da Leibnitz a Schopenhauer, da Kant a Fichte e Hegel, a dare al suo pensiero un indirizzo al quale sarebbe rimasto fedele per tutta la vita, a fargli trovare le armi per la sua personale battaglia contro il dogmatismo, il fideismo, il clericalismo del proprio ambiente familiare. Certo alla formazione di F. ha contribuito anche l'ambiente eccezionale della Trieste di allora. Fu suo amico Poli, il cui pseudonimo, Saba, fu inventato proprio da lui.  Si ispira certamente alla figura di F. anche il sesto de I prigioni di Saba: «L’Appassionato/Natura, perché ardo, m’ha di rosso/pelo le guance rivestite e il mento./ Non è una brezza lo spirito: è un vento /impetuoso, onde anche il F. è scosso. /…../ Ero Mosè che ti trasse d’Egitto, / ed ho sofferto per te sulla croce. / Mi chiamano in Arabia Maometto». Saba e F. comprano in società la libreria antiquaria Mayländer, la futura "Libreria antica e moderna", ma non andano d’accordo, perché Fano non era persona da accollarsi diligentemente troppi compiti "noiosi". Così i due decisero di separarsi e, poiché entrambi volevano rimanere proprietari, Fano propose di giocare questo diritto a testa o croce e vinse. Ma Saba, che era amante e cultore di libri antichi, non accettò il verdetto della sorte e convinse l’amico a cedergli ugualmente la libreria. Un'altra persona dell'ambiente triestino con cui Fano ebbe grande amicizia è stato Giotti. E un incontro come di un artista toscano con un profeta ebreo. Io ne ebbi un grande giovamento. Egli leggeva a quel tempo Zola, Maupassant e Flaubert che io non conosco. Per il suo carattere indolente, in molte cose esteriori della vita fece ciò che gli consigliavo io. Se ne venne via da Trieste, poi fece venire la famiglia a Firenze e cose simili. Ma l'amicizia fra i due subì un tremendo contraccolpo a causa delle drammatiche vicende in cui fu coinvolta Maria, sorella di Virgilio, che F. sposa. Ebbero un figlio minorato mentale, Piero, che fu ucciso dalla madre, la quale si tolse a sua volta la vita. È una tragedia che scosse profondamente tutto Trieste. Sposa Anna Curiel, da cui ha un figlio di nome Guido. Durante il periodo della grande guerrafu irredentista, come molti dei suoi amici, Benco, Saba, Giotti, Schiffrer e altri. In seguito il suo atteggiamento e molto simile a quello di Croce, e per analoghi motivi ideologici. Gli ideali egalitari non facevano presa su di lui e gli sembrava utopistico, e comunque non desiderabile, l’instaurare una società comunista. Anzi si oppose con decisione al socialismo massimalista e turbolento di allora, tanto da dimostrare, per un breve periodo, una certa comprensione per la reazione fascista. Ma, già prima di Croce, divenne un antifascista, che non perdeva alcuna occasione per manifestare apertamente le sue opinioni.  Si laurea in filosofia a Padova con “Dell’universo ovvero di me stesso: saggio di una filosofia solipsistica” pubblicata sulla Rivista d’Italia. Probabilmente non frequenta le lezioni universitarie a Padova, anche perché era già sposato e dove pensare a mantenere la sua famiglia. Semmai la sua formazione si compì, oltre che a Vienna, a Firenze, dove aveva trascorso qualche anno prima della guerra e dove aveva frequentato l’ambiente de La Voce. Professore di filosofia presso vari licei di Trieste, F. aspira tuttavia all’insegnamento universitario, a cui giunse dopo molte traversie causate da intralci posti dalle autorità. Il motivo di queste difficoltà si deve alla fama di antifascista che egli si procurò quando, commemorando il cugino  Elia, volontario nella grande guerra e morto sul Podgora, tenne un discorso in cui traspariva, in maniera non molto velata, la convinzione che il sacrificio di tante vite per la libertà veniva rinnegato dal regime politico allora dominante. Questa sua presa di posizione gli costò alcuni giorni di carcere nella fortezza di Capodistria e la fama di antifascista si ripercosse sulla sua carriera universitaria. Attorno a quegli anni a Trieste si andavano diffondendo le idee della psicoanalisi di Weiss, discepolo di Freud. A F. non piaceva questa teoria, affermando che si basava su supposte attività del pensiero immaginarie e non verificabili. Il concetto di inconscio non posse venir accettato da chi come lui basava tutto sull' ‘auto-coscienza’. Studioso di Croce, che conosce, pubblicò vari articoli sulla filosofia crociana. Il saggio “La negazione della filosofia nell’idealismo” gli procurò l’attenzione di Radice, che gli offrì un posto di assistente a Roma. Da notare che nel suo primo saggio viene esposto organicamente il suo pensiero, Il sistema dialettico dello spirito. Dopo l'invasione tedesca trova rifugio a Rocca di Mezzo, in Abruzzo. La tranquilla sicurezza, la noncuranza dei pericoli non gli vennero mai meno, né per il rischio di venir scoperti dai tedeschi (lui e la moglie avevano falsificato le carte d’identità), né per i bombardamenti alleati. I tedeschi lo usarono spesso come interprete e poiché la sua casa stava proprio sulla strada maestra, spesso la cucina era piena di soldati che avevano bisogno di qualcosa. Lì, in quella cucina mal riscaldata, incurante dei rischi immediati, lavora forse più di quanto non avesse mai fatto in precedenza e portò a termine l'opera: La filosofia del Croce. Saggi di critica e primi lineamenti di un sistema dialettico dello spirito. Finita la guerra ritrovò il suo posto a Roma. Nel saggio sul Croce aveva rivendicato l'importanza delle scienze empiriche, che nella filosofia crociana non avevano dignità conoscitiva. In Teosofia orientale e filosofia greca  troviamo una descrizione dello sviluppo storico del pensiero umano, in cui tra l'altro viene rivendicata l'importanza della matematica, mentre Croce sostene che la matematica è uno pseudo-concetto. Inoltre cura la traduzione integrale dei Prolegomena ad ogni futura metafisica di Kant. Infine le sue ricerche lo portarono ad esaminare il problema dell'origine della lingua, su cui espresse il suo pensiero nel Saggio sulle origini del linguaggio, poi riedito accresciuto a cura di F..  Altre opere: “Il sistema dialettico dello spirito” *Roma, Servizi editoriali del GUF/); “La filosofia del Croce. Saggi di critica e primi lineamenti di un sistema dialettico dello spirito” (Milano, Istituto editoriale italiano); “Teosofia orientale e filosofia greca. Preliminari ad ogni storiografia filosofica” (Firenze, La nuova Italia); “Saggio sulle origini del linguaggio. Con una storia critica delle dottrine glottogoniche” (Torino, Einaudi); “Origini e natura del linguaggio” (Torino, Einaudi); “Neo-positivismo, analisi del linguaggio e cibernetica” (Torino, Einaudi);  “Prolegomeni ad ogni futura metafisica” (Firenze, G. C. Sansoni). Ettore Cantoni, Quasi una fantasia: romanzo, Milano, Treves, Cantóni, Ettore, su treccani. Voghera su Il Piccolo. Viene venduta a F. e Poli, Saba, che ne diventa proprietario unico. Dice che una teoria può essere accettata solo se si prospettano anche delle ipotesi — che poi appariranno assurde e non si verificheranno concretamente — nelle quali essa dovrebbe venir respinta. La psicanalisi, invece, si mette accuratamente al coperto da ogni prova contraria. L'estetica nel sistema di Croce, L'Anima, da filosofia di Croce, Giornale critico della filosofia italiana, Un episodio illustra bene sia l’importanza che egli annetteva al suo lavoro, sia il suo coraggio. Una mattina, scendendo in cucina, che e diventata il suo studio, la trova invasa da soldati tedeschi che cercano acqua ed altro. Con l’abituale tono tranquillo, dimenticando con chi aveva a che fare, lui l’ebreo, col suo viso di profeta, addita ai soldati della Wehrmacht la porta. Prego, dice in tedesco se lor signori avessero la compiacenza di andare da un’altra parte. Io ho da lavorare. Senza fiatare, i soldati infilano la porta ed egli si rimise tranquillamente al suo tavolo di lavoro per battagliare con Croce, dimentico che la più superficiale inchiesta e sufficiente a convogliarlo assieme alla sua famiglia verso i campi di sterminio. L'ottimismo di Fano e il pessimismo di Voghera. Brani da lettere e testi, Milano, Mimesis, Silvano Lantier, La filosofia del linguaggio (Trieste, Riva); Silvano Lantier, “Vico e Fano: motivi di un'affinità ideale, Udine, Del Bianco); Dizionario biografico degli italiani, Roma.  The ‘signifier’, drawn from Saussurean linguistics, was arguably the central concept in Jacques Lacan’s engagement with psychoanalysis. As indicated in its programmatic texts, the effort to develop a ‘logic of the signifier’ that would account for the relations between subject, science, and ideology, was one of the guiding concerns of the Cahiers pour l’Analyse.  See also: Linguistics, Logic, Meaning, Speech, Structure, Subject, Unconscious Three conceptual distinctions lay at the heart of Ferdinand de Saussure’s innovative structural linguistics, the science that was foundational for twentieth-century French structuralism. The first was the distinction between langue [language] and parole [speech]. For Saussure, the former was to be considered in synchronic terms and as the primary terrain of linguistic analysis; in this it was opposed to the diachronic reality of the latter, which put language to use in time in spoken form. In his synchronic analysis of language, Saussure insisted on another distinction, that between the sign and the referent. For example, the sign ‘cat’ may in multiple instances refer to an actual cat which would be its real world referent, i.e., this cat. Most crucial, however, was the third distinction, that within the sign between the ‘signified’ and the ‘signifier’. The former was the conceptual content of the sign, in this case the idea of a cat, as a four-legged mammal, often domesticated, distinct from ‘dogs’ and other domestic pets. Opposed to this mental concept or ideational content, was the signifier ‘cat’ – as an ‘acoustic image’ or phoneme, a sequence of letters, i.e., the word itself apart from its meaning or content. For Saussure, meaning was produced through a sequence of differential relations in which signifiers were correlated to signified contents; in all instances, it was the difference between signifiers that allowed them to function as linked to specific signifieds or contents. In this regard, the production of the signified was the locus of Saussure’s linguistic concerns.  Jacques Lacan’s meeting of Roman Jakobson (a follower of Saussure’s, via their mutual friend Claude Lévi-Strauss) in 1950 was arguably the central event in Lacan’s own intellectual itinerary. His introduction to structural linguistics moved him away from the Hegelianism of his youth, and paved the way for his later concern with mathematics, formalisation, and systems theory analysis. Inspired by Saussure, Lacan nonetheless departed from him on several significant points. First, the sign/referent distinction was of minimal concern for Lacan. Second, where Saussure tended to denigrate parole in favour of a thoroughly synchronic approach to language, Lacan, as a psychoanalyst, was eminently concerned with speech, itself the medium of psychoanalytic practice and the crucial mechanism for the emergence of the subject of the unconscious. Finally, and most importantly, Lacan reversed the priority of the signified/signifier relationship found in Saussure’s example. For Lacan, meaning was the result of the play of signifiers apart from any synchronic correlation to fixed signified contents. Lacan introduced his new structural interrogation of Freud in his famous ‘Rome Discourse’, reprinted in the Écrits as ‘The Function and Field of Speech and Language in Psychoanalysis’. The increasing pertinence granted to the signifier would be evident in the later texts of this volume, culminating in ‘The Subversion of the Subject and the Dialectic of Desire in the Freudian Unconscious’ , wherein Lacan claims that ‘[s]tarting with Freud, the unconscious becomes a chain of signifiers that repeats and insists somewhere (on another stage or in a different scene, as he wrote), interfering in the cuts offered it by actual discourse and the cogitation it informs’.  For Lacan, the primacy of signifier was what accounted for the uniqueness of the human and distinguished its relationship to language from any notion of mere communication or the simple transfer of meaning. In his third seminar, on the psychoses, Lacan provides an illuminating example of this phenomenon that deserves to be quoted at length:  I’m at sea, the captain of a small ship. I see things moving about in the night, in a way that gives me cause to think that there may be a sign there. How shall I react? If I’m not yet a human being, I shall react with all sorts of displays, as they say – modelled, motor, and emotional I satisfy the descriptions of the psychologists, I understand something, in fact I do everything I’m telling you that you must know how not to do. If on the other hand I am a human being, I write in my log book – At such and such a time, at such and such a degree of latitude and longitude, we noticed this and that.  This is what is fundamental. I shelter my responsibility. What distinguishes the signifier is here. I make a note of the sign as such. It’s the acknowledgment of receipt [l’accusé de réception] that is essential to communication insofar as it is not significant, but signifying. If you don’t articulate this distinction clearly, you will keep falling back upon meanings that can only mask from you the original mainspring of the signifier insofar as it carries out its true function. Indeed, it isn’t as all or nothing that something is a signifier, it’s to the extent that something constituting a whole, the sign, exists and signifies precisely nothing. This is where the order of the signifier, insofar as it differs from the order of meaning, begins.  If psychoanalysis teaches us anything, if psychoanalysis constitutes a novelty, it’s precisely that the human being’s development is in no way directly deducible from the construction of, from the interferences between, from the composition of, meanings, that is, instincts. The human world, the world that we know and live in, in the midst of which we orientate ourselves, and without which we are absolutely unable to orientate ourselves, doesn’t only imply the existence of meanings, but the order of the signifier as well.1  Lacan will ultimately link the ‘signifier, as such, signifying nothing’ to the Oedipus complex, and argue that the entry to the symbolic order of language is a result of a submission to the ‘law’ of the phallic signifier, grounded in the ‘Name-of-the-father’. More broadly, the signifier, distinct from meaning, lacking fixed signified or referent, will for Lacan come to be the concept for sexual difference as such – the integral incompleteness or indeed lack that constitutes the subject.  In the Cahiers pour l’Analyse Much as in Lacan’s teaching, the signifier is a ubiquitous concept in the Cahiers pour l’Analyse. In the inaugural article, ‘La Science et la vérité’, Lacan develops his theses concerning lack and ‘truth as cause’ in scientific discourse. After making a distinction between the formal and material cause along Aristotelian lines, Lacan specifies that psychoanalyse is concerned with the latter and its relation to the former:  This material cause is truly the form of impact of the signifier that I define therein.   The signifier is defined by psychoanalysis as acting first of all as if it were separate from its signification. Here we see the literal character trait that specifies the copulatory signifier, the phallus, when – arising outside of the limits of the subject’s biological maturation – it is effectively (im)printed; it is unable, however, to be the sign representing sex, the partner’s sex – that is the partner’s biological sign; recall, in this connection, my formulations differentiating the signifier from the sign.  Conveyed by a signifier in its relation to another signifier, the subject must be as rigorously distinguished from the biological individual as from any psychological evolution subsumable under the subject of understanding.  The primacy of the signifier in Lacan’s teaching, and his attempt to provide a ‘rigorous’ account of it, are the inspiration behind Jacques-Alain’s Miller’s attempt in ‘La Suture’ to provide, as the subtitle suggests, the ‘elements for a logic of the signifier’. Note, however, that in ‘La Science et la vérité’ Lacan is already gesturing toward tying the signifier back to the body, without however reducing it to anything that could be confused with biology. Miller’s contribution to the Cahiers will emphasize the formal elements of Lacan’s account, whereas others, chiefly André Green and Serge Leclaire will work to bring the body back in to analysis in response to Miller’s ultra-formalism.  Miller presents the ‘concept of logic of the signifier’ in clear terms at the outset of ‘La Suture’:  What I am aiming to restore, piecing together indications dispersed through the work of Lacan, is to be designated the logic of the signifier - it is a general logic in that its functioning is formal in relation to all fields of knowledge including that of psychoanalysiswhich, in acquiring a specificity there, it governs; it is a minimal logic in that within it are given those pieces only which are necessary to assure it a progression reduced to a linear movement, uniformly generated at each point of its necessary sequence. That this logic should be called the logic of the signifier avoids the partiality of the conception which would limit its validity to the field in which it was first produced as a category; to correct its linguistic declension is to prepare the way for its importation into other discourses, an importation which we will not fail to carry out once we have grasped its essentials here. The analysis that follows is a reading of Frege’s Grundlagen der Arithmetik, based around a demonstration that Frege’s attempt to give a logical construction of the series of whole natural numbers is predicated on this prior logic of the signifier. Frege’s concept of zero involves a simultaneous ‘summoning’ and ‘annulment’ of the non-identical that Miller claims can be related to Lacan’s account of primary repression and metonymic displacement in the ‘signifying chain’. For Miller, Frege does not recognize that the truth of his own discourse is predicated on a suturing over of an inaugural non-identity. He misrecognises ‘the paradox of the signifier’, that ‘the trait of the identical represents the non-identical’.   In the concluding section of this article, Miller ties the logic of the signifier to the subject (CpA). In effect, Miller follows Lacan in defining the subject as ‘the possibility for one signifier more’:  In order to ensure that this recourse to the subject as the founder of iteration is not a recourse to psychology, we simply substitute for thematisation the representation of the subject (as signifier) which excludes consciousness because it is not effected for someone, but, in the chain, in the field of truth, for the signifier which precedes it.  The key point is that the signifying chain, in which the subject ‘flicker[s] in eclipses’, is marked by a constitutive lack that is sutured over. It is this lack, in its determinant capacity, that accounts for the persistence of the subject in his own discourse.  The signifier is a crucial concept in the first segment of Serge Leclaire’s seminar ‘Compter avec la psychanalyse’ that concludes Volume 1 (CpA 1.5). According to Leclaire, the analyst does not obey a logic of meaning [logique du sens], but in listening for the unconscious must rather follow the formal paths opened up by the signifier.   In a discussion of clinical approaches to fantasy, Leclaire says that ‘two references are essential for the determination of the structure of the fantasy’. On the one hand, fantasies are tied to an emotion that is corporeally localized. He gives examples: anal excitation, oral or dental excitations, or ‘sensations of threshold or passage [émoi de seuil, de passage]’. On the other hand, they are attached to signifiers; and more particularly to ‘signifiers as such’, that is, signifiers detached from their relation to the signified. This is how one should understand Freud’s suggestion that fantasies are ‘made up from things that are heard, and made use of subsequently’. Leclaire gives examples of how certain signifiers used by the mother (proper names and pet names) can become detached from their common significance for the child and become sites for unconscious signifying chains.  Later, Leclaire turns to the notion of the ‘unconscious concept’, emphasizing its role in the constitution of signifiers which mark the body. Indeed, the chain created by the unconscious concept, the concept of the ‘small piece’ detached from the body, as Freud says, ‘in order to gain the favour of some other person whom he loves’ is the libidinal condition for the emergence of the signifier. Leclaire goes on to elaborate that ‘this wandering piece that can be separated, by figuring the place of separation, transgresses, in the literal sense of the term, the surface’s function of limit. And as a limit itself, it marks difference, thus transcending the effaceable trace of the sensible: the pain of the wound becomes an ineradicable mark’. This initial transgression, he says, is rediscovered in orgasm and in sadistic jouissance. It is, says Leclaire, ‘the void or hole around which fantasy turns’.  In his ‘Réponse à des étudiants en philosophie sur l’objet de la psychanalyse’ which opens Volume 3, Lacan insists that, while posing a challenge to dialectical materialism, his theory of language is nonetheless materialist; the signifier, he claims, is ‘matter transcending itself in language’. This is in fact a crucial moment for the legacy of the Cahiers, e.g. in the work of Badiou and Slavoj Žižek, in that the symbolic nature of the signifier, as it well as its transcendentalizing character, remains grounded in a materialism irreducible to an account of raw inchoate matter.  In a section titled ‘The Suture of the Signifier, its Representation and the Object (a)’ from his contribution to this volume, André Green further develops some of Leclaire’s criticisms of Miller and also seeks to link the logic of the signifier to a more robust account of affect and the body. The signifier plays a key role in Irigaray’s contribution to Volume 3 as well. Developing Miller’s arguments from ‘La Suture’, and supplementing them with a more extensive engagement with linguistics, Irigaray focuses on the family romance of the Oedipus complex and the emergence of subjectivity out of this scene. Irigaray maps out and explains the linguistic and intersubjective features of the transformation produced by the entrance of a third term into the original dyad of child and Other. In his or her very first relationship with the first Other, the child starts out as a fluid entity, ‘not yet structured as “I” by the signifier’. ‘At the introduction of the third party into the primitive relation between the child and the mother, “I” and “you” are established as disjunction, separation’. The mere presence of a third term, however, is insufficient for a radical break with the imaginary dyad, since the third initially appears in the form of a rival. ‘This opposition of “I” and “you”, of “you” and “I” remains “one” [on], without potential for inversion or permutation - the father being only another “you” - if the mother and the father do not communicate with each other’.  Later, Irigaray develops some of Lacan’s theses concerning the crucial role of the phallic signifier. The ‘fundamental fantasy’ of the hysteric is that they ‘did not get enough love’. With regard to his or her mother’s desire, he or she experiences themselves as marked by the sign of incompleteness and rejection, ‘unable to sustain the comparison with the phallic signifier’. For the male hysteric, ‘the confrontation with the mirror is like the test of his insignificance’.  The obsessional neurotic, on the other hand, suffers from an early excess of love. ‘His mother found him too appropriate a signifier for her desire’. The phallic reference is attributed to some absent hero, an all-powerful figure, whose death (as with the death of the father of the primal horde in Freud’s Totem and Taboo) would only in any case guarantee the subject’s ongoing acquiescence. The neurotic’s problem comes down to the adequacy of his signified to his signifier; he remains ‘riveted to what he has been’, unable to become. He is trapped in an empty ‘metonymy’, unable to metaphorise, and thus enter a ‘true temporal succession’.  As the title suggests, the ‘signifier’ is the central concept of Jean-Claude Milner’s reading of Plato’s Sophist in Volume 3, ‘Le Point du signifiant’. For Milner, deeply inspired in this instance by Miller’s ‘La Suture’ the key movement in Plato’s text is the vacillation of non-being as alternately function and term in the chain of Plato’s discourse, a movement which evokes the summoning and annulment of the subject that Miller found in Frege’s discourse. The signifying chain is the ‘sole space suited to support the play of vacillation’. Wherever an element in a linear sequence is replaced by an element which, as element, transgresses this linearity (as in the mechanism of structural causality identified by Miller in ‘Action de la structure’, CpA), a ‘vacillation’ is produced within the chain. Milner gives the examples of (1) the founding exception of a chain, and (2) any marking of the place of an erasure. The institution of a linear sequence is governed by a vacillation that testifies to a ‘double formal dependence’, and which ‘retroactively defines the signifier as a chain’ (CpA). Plato’s chain of genera thus points towards the possibility of an ‘order of the signifier in which being and non-being would regain those traits whose very coupling guarantees truth and authorizes discourse’.  Milner speculates that the notions of being and non-being might borrow their traits from the order of the signifier itself in its basic constitution. In a passage cited by Leclaire, Milner mentions three aspects of vacillation. First, there is ‘the vacillation of the element’, which is ‘the effect of a singular property of the signifier’, and develops in a space ‘where the only laws are production and repetition: being and non-being recover this relation through their inverse symmetry, dividing themselves between term and expansion, between mark and abyss’ (CpA). There is also a ‘vacillation of the cause’ insofar as both being and non-being cannot posit themselves as cause except by revealing themselves to be the effect of the other. Finally, there is the movement of vacillation whereby the term that initially ‘transgresses the sequence’ calls up a transgression that annuls the whole chain.  Milner claims that grounding Platonic ontology on the logic of the signifier also makes possible a new understanding of the opposition between being and subjectivity. On the one hand, there is being as the order of the signifier, the ‘radical register of all computations’, totality of all chains, and on the other hand, the ‘one’ of the signifier, the unity of computation, the element of the chain, non-being, as the signifier of the subject (CpA). This latter reappears as such every time that discourse deploys its power to ‘annul’ signifying chains.  In the next segment of his seminar, Leclaire focuses on the concept of drive [pulsion]. He asks: is the object of the drive a signifier or the objet petit a in Lacan’s sense? Leclaire explains that these two are indissociable: insofar as it is the terminus of sought-for satisfaction, it is the objet petit a, but insofar as it is connected with a differentiation in the body, it is a signifier. The difference between the objet petit a and the obtained corporeal satisfaction is ‘lived’ as an ‘antinomy of pleasure’, and through ‘the representation of the splitting of the subject’ [la schize du sujet].  Derrida’s contribution to Volume 4, on the ‘writing lesson’ in Claude Lévi-Strauss’s Tristes Tropiques, presents his general case for a concept of ‘arche-writing’ that is in many respects distinct from the logic of the signifier (CpA). For Derrida, the metaphysical tradition and classical linguisticshave always presented writing as secondary to and dependent upon speech, which they understood as the absolute immediacy of meaning, of the signified to the signifier. Nevertheless, the rigorous development of linguistics by Saussure and his followers demonstrated that spoken language was structured not by a referential relationship to a signified but rather by the homology of the differences between signifiers and the differences between signifieds. In this situation, despite Saussure’s continued and classical disdain for writing, the traditional understanding of writing provided a better model for structural linguistics, because it also forewent the immediate presence of a signified to its signifier. The general structure of language then could be named ‘arche-writing.’ From this perspective, ‘the passage from arche-writing to writing as it is commonly understoodis not a passage from speech to writing, it operates within writing in general’ (CpA).  In the first section of his reading of Freud’s ‘Wolf Man’ case in Volume 5, ‘On the Signifier’, Leclaire distinguishes the psychoanalytic signifier from the linguistic signifier, which he describes a ‘psychic entity with two faces:’ a combination of two elements - signifier (Saussure’s ‘acoustic image’) and signified - that together constitute the sign; as such, it refers to the signified object it denotes. According to this definition, ‘the signifier is the phonic manifestation of the linguistic sign’ (CpA). As used by Jacques Lacan, however, the signifier cannot be considered as an element derived from the problematic of the sign, but rather as a fundamental element constituting the nature and truth of the unconscious (CpA). While Peirce famously defined the signifier as what ‘represents something for someone,’ Lacan declares that the psychoanalytic signifier ‘represents a subject for another signifier.’ Their functions of representation thus differ radically.  To elucidate this function, Leclaire cites two important essays from previous issues of the Cahiers, Jacques-Alain Miller’s ‘La Suture’ (CpA) and Jean-Claude Milner’s ‘Le Point du signifiant’. For Miller, the central paradox of the Lacanian signifier is that ‘the trait of the identical represents the non-identical, from which can be deduced the impossibility of its redoubling, and from that impossibility the structure of repetition as the process of differentiation of the identical’. Milner adds that ‘The signifying order develops itself as a chain, and every chain bears the specific marks of its formality’: the vacillation of the element, the vacillation of the cause, and ultimately the vacillation of transgression itself, ‘where the term that transgresses the sequence, situating as a term the founding authority of all terms, calls the one to be repeated as term transgression itself, an agent [instance] which annuls every chain’ (CpA). Leclaire embraces these formulations, but points out that they do not explain how the psychoanalyst can distinguish a given signifier. While any element of discourse may be a signifier, the psychoanalyst must be able to differentiate between signifiers, to privilege some over others. He warns against ‘the error of making the signifier no more than a letter open to all meanings,’ and argues that ‘a signifier can be named as such only to the extent that the letter that constitutes one of its slopes necessarily refers back to a movement of the body. It is this elective anchoring of a letter (gramma) in a movement of the body that constitutes the unconscious element, the signifier properly speaking’ (CpA).  Its development of a kind of prototype of the sought-after ‘logic of the signifier’ accounts for the inclusion of Dumézil’s ‘Les Transformations du troisième du triple’. DUMEZIL argues that the multiple references in ROMAN legend to figures named ‘ORAZIO’ (for instance, the story of ORAZIO Cocles in LIVIO) ‘have a signifying trait in common’ [un trait significatif]. All the narratives concern single combatants performing feats of extraordinary military prowess. The recurrence of these narratives, suggests Dumézil, indicate the remnants of a ritual function. This emphasis on a recurrent function resonates with Milner’s insistence to Leclaire on the homogeneity of places, as opposed to the heterogeneity of terms, in the ‘Compter avec la psychanalyse’ segment in Volume 3 (CpA).  In his analysis of Freud’s ‘A Child is Being Beaten’, also in Volume 7, Jacques Nassif arrives at an account of ‘the place assigned to the subject in the signifying order’ (CpA). He suggests that the model can also help to explain the process of the overdetermination of symptoms, which can be thought as a ‘co-presence in the same archaeological disposition’ of superseded phases (CpA). Fantasy thus becomes the privileged site where the unconscious, structured like a language, ‘communicates with the signifying order that is language properly speaking’ (CpA).  In their questions to Foucault which open Volume 9, the Cercle d’Épistémologie enquires into Foucault’s method for reading texts, navigating his conception of language and the signifier. ‘What use of the letter does archaeology suppose? This is to say: what operations does it practice on a statement in order to decipher, through what it says, its conditions of possibility, and to guarantee that one attains the non-thought which, beyond it, in it, incites it and systematises it? Does leading a discourse back to its unthought make it pointless to give it internal structures, and to reconstitute its autonomous functioning?’ (CpA).  In his ‘Remarques pour une théorie générale des idéologies’ in Volume 9, Thomas Herbert [Michel Pêcheux] develops an Althusserian account of ideology in which the logic of the signifier plays a key role. Herbert establishes how operations which take place within the ‘ideology of the empirical form’ are ‘fascinated by the problem of the reality to which the signifier must adjust’ (CpA). In establishing these semantic adjustments, the process itself is never forgotten or hidden. Indeed, it is the very process of adjustment itself that is the motor of ideological operations, and ruptures, at this level. By contrast, with ideologies of the speculative form, the operation takes place at the level of syntax, that is, in the relation of signifier to signifier, not in the ‘adjustment’ of signifier to signified. In Herbert’s reading, the ‘social effect’ is well described by Lacan’s description of the mechanism in the signifying chain which produces the subject effect in language: ‘the signifier represents the subject for another signifier.’ What is essential to this Lacanian formulation is that the sequence is one that covers its own traces; unlike the adjustment between signifier and signified that occurs out in the open in type ‘A’ ideologies (empirical form), in type ‘B’ (speculative form) the subjectification that occurs is constitutively forgotten. The ‘subject effect’ covers over the rupture that was its own condition. The ideas of Nicos Poulantzas serve Herbert in the following formulation: ‘let us say briefly that the putting into place of subjects [i.e., the syntactic chain] refers to the economic instance of the relations of production, and the forgetting of this putting into place to the political instance’ (CpA). In other words, what goes by the name of ‘politics’ in this social formation, i.e., the ‘State’, is the sign of the forgetting of the social ordering itself, which is anterior to ‘politics’.  In their preamble to the dossier on the ‘Chimie de la Raison’ which concludes Volume 9, the Cercle d’Épistémologie presents the ‘chemistry of reason’ – found in the works of D’Alembert, Lavoisier, Mendeleev, or Cuvier – in a manner that evokes the ‘logic of the signifier’ that has been the journal’s guiding concern:  To construct a chemistry of reason is thus to refer the sciences to the jurisdiction of the whole [tout], but this is also by the same stroke to submit them to another necessity. For this whole is also substantial since, being the science of the simple and the compound [composée], chemistry must direct its effort toward generating, through the sole operation of combination, all the materials that make all the things of the world; saving phenomena thus requires that chemistry constitute them as such, as a plenitude and liaison of substances. We see here that the crucial relation [relation] to the whole is but the reverse of a relation [rapport] to the representation to which chemistry is so intimately tied, namely that, given that anything representable is an object of analysis, all analysis is thus deduction from a representable body (CpA).Grice: “Fano is too obsessed with the ‘acoustic image’ (imagine Acustica) whereas Saussure is careful to add “acosutique ou sensible” – ‘immagine Acustica o imagine sensibile” – if we allow for imagine sensibile, the priority of the sound evaporates, and so does that of the tongue – and all the glossological societies of Europe!” -- Giorgio Fano. Fano. Keywords: Fano insists that the semiogonia, i. e. the origin of meaningful gestures will provide a clue as to the essence of the semiotic communication. He relies on Morris, Ferruccio Landi, Peirce, and Croce. He is interested in Croce’s views on ‘expression’ and Landi’s views on ‘lavoro.’ Fano is critical of Peirce. This is going on at the same time as Grice is giving seminars on Peirce at Oxford. Grice: “I agree with Fano that ontogenesis repeats phylogenesis, and that we should concentrate on utterances which are meaningful generally – ‘signare’ is a good verb in Italian for that.’ Grice: “In my view, it is the agent who signs that… ‘signa che’ – signat quod. The ‘-ficare’ only complicates things. A dark cloud ‘signa’ rain. And, by my hand gesture, I sign that going out is not a good day in view of the coming rain. Keywords: glossogonia, glottogonia, teoria glottogonica, dottrina glottogonica, teoria glossogonica, dottrina glossogonica, semiotics of the tongue, Croce. La glossogonia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fano” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Fardella: all’isola -- la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del sensuale -- sensismo, sensualismo – romano – scuola di Trapani – filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Trapani). Filosofo trapanese. Filosofo siciliano. Filosofo italiano. Trapani, Sicilia. Grice: “I like Fardella; for one, he is a systematic philosopher; for another, he compares Aristotle (‘demonstratio peripatetica’) with Cartesio, as the Italians call him (‘demonstratio cartesiana’) – And while Italians consider him a reactionary Cartesian, I deem  him a closet Aristotelian!”. Studia a Messina sotto BORELLI (si veda), dal quale accetta l’atomismo di LUCREZIO, ma abbraccia il pensiero di Cartesio, dopo averne appreso gl’insegnamenti durante il suo soggiorno a Parigi, grazie alle conversazioni con Arnauld, Malebranche e Lamy.  Insegna matematica a Roma, Modena, e Padova. Tenne corrispondenza con Leibniz e polemizza con Giorgi attacca il cartesianesimo. Il suo razionalismo, per quanto riconosca che solo Cartesio trova, fra gl’antichi e i moderni, il retto e naturale metodo di filosofare, è tuttavia relativo, adeguato com'è al platonismo. Il mondo è organizzato secondo principi d’aritmetica e geometria. Ogni cosa ha peso, numero e misura, ossia secondo le leggi statiche, aritmetiche e geometriche. Mediante l’aritmetica e la geomtria si comprende il mondo e si comprende così la logica.  Nel punto, che non ha peso, non ha grandezza, non è divisibile, è tuttavia l'origine di ogni estensione. Nel punto, come il numero nell'unità, si risolve l'estensione. L'anima, che non ha estensione (non e ‘res extensa’), è un punto. Non è possibile dimostrare l'esistenza indipendente della realtà materiale. La stessa esperienza ci insegna che spesso nel sogno percepiamo oggetti che veramente non possiamo ammettere realmente esistenti. Quante volte, la notte, mentre dormo, vedo splendere il sole sopra l'orizzonte e vedo muoversi in vari modi moltissime cose prodigiose, che non sono niente extra ideam? Dunque, quel che sento e *vedo* non può in nessun modo essere dedotto come realmente esistente. E se si obbietta che una cosa è sognare, altra cosa è la veglia, per lui le cose che percepiamo nella veglia potrebbe anche essere soltanto cose percepite con maggiore chiarezza, distinzione e ordine, benché non siano niente in sé. I sensi non danno certezza del mondo, la quale può ritrovarsi soltanto in la legge dell’aritmetica e della geometria.  Altre opere: “Universae philosophiae systema, in qua nova quadam et extricata Methodo, Naturalis scientiae et Moralis fundamenta explanantur (Venezia); “Universae usualis mathematicae theoria” (Venezia); “Utraque dialectica rationalis et mathemathica”; “Animae humanae natura ab Augustino detecta in libris de Animae Quantitate, decimo de Trinitate, et de Animae Immortalitate” (Venezia); Pensieri (Napoli); “Lettera antiscolastica” (Napoli). Recensito immediatamente dopo la pubblicazione del primo e unico volume sulla rivista scientifica Acta Eruditorum Universae Philosophae Systema, Descartes e l'eredità cartesiana in Italia” Dizionario biografico degli italiani. Fardella elaborated a Cartesian philosophy of language, pretty much avant Chomsky, but using the same sources: Arnauld. While Chomsky focuses on Harris and others, he could at least have dropped the “Fardella” name! Grice: “He possibly did have some Italian friends in the Bronx!” Wikipedia Ricerca Sensismo Lingua Segui Modifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Sensazione (filosofia). «Infatti, dato che ogni sensazione è necessariamente gradevole o sgradevole, si è interessati a godere delle prime e a sottrarsi alle seconde. Questo interesse è sufficiente a spiegare le origini delle operazioni dell'intelletto e della volontà. Il giudizio, la riflessione, i desideri, le passioni e via dicendo, non sono altro che la sensazione stessa, la quale si trasforma in diverse maniere»  (E. Condillac, da Trattato sulle sensazioni) Il sensismo è un termine che designa quelle dottrine filosofiche che riportano ogni contenuto e la stessa azione del conoscere al sentire, ossia al processo di trasformazione delle sensazioni, escludendo in tal modo dalla conoscenza tutto quello che non sia riportabile ai sensi. A volte viene usato come suo sinonimo sensualismo, che però trova definizione diversa.  Mentre nella storia della filosofia la parola senso compare, a partire dalla αίσθησις di Aristotele, per indicare la facoltà di "sentire" (cioè di percepire l'azione di oggetti interni al corpo o esterni ad esso), le origini del sensismo, come filosofia, possono ritrovarsi in alcune affermazioni dei sofisti.  Già Protagora affermava che l'anima non fosse altro che un complesso di sensazioni: fu una tesi ripresa in maniera più approfondita dagli stoici e dagli epicurei.  La cultura romana e quella medievale hanno conservato il concetto riduttivo di senso, proprio della definizione aristotelica: è solo nei tempi moderni, con Locke prima e poi specialmente con Kant, che la parola senso assume il significato di sentire insieme alla consapevolezza di ciò che avviene sentendo.  I sensisti moderniModifica La dottrina sensista si precisa nella filosofia moderna, con il pensiero rinascimentale, nella filosofia della natura di TELESIO (si veda), che dà vita a una prima forma di metodologia scientifica basata sull'esperienza, e poi in CAMPANELLA (si veda) e PERSIO.  Quest'ultimo intende la natura come un complesso di realtà viventi, ciascuna senziente, animata e tendente al proprio fine (in base al concetto aristotelico di entelechia), e d'altra parte tutte unificate e armoniosamente dirette verso un fine universale da una comune Anima del mondo, secondo la concezione tipicamente neoplatonica. La visione campanelliana è detta per questo pansensismo cosmico, (dal greco πάν, pàn, che significa tutto, e sensismo) a indicare una specie di sensibilità cosciente di tutto l'universo: il grande bestione vivente nella visione di BRUNO (si veda).  Caratteristiche del sensismo, che lo accostano al materialismo, si trovano in Hobbes il quale negli Elementi e nel De corpore sviluppa il suo sistema materialistico, meccanicistico onnicomprensivo, basandolo sull'elemento sostanziale corpo e su quello accidentale di moto. La sensazione è il risultato del moto dei corpi che generano le immagini, le sensazioni di piacere e dolore e le passioni. Tutto si origina da un moto, da un'azione a cui corrisponde un contromovimento, una reazione, che produce immagini fenomeniche; tutta la vita teoretica e morale può essere ricondotta alla sensazione.  Pur da una posizione di deciso rigetto della filosofia di Hobbes, anche Anthony Ashley-Cooper, III conte di Shaftesbury esprimerà una teoria di tipo sensista.  Il sensismo di CondillacModifica  Condillac Il termine "sensismo" è stato attribuito prevalentemente alla dottrina di Condillac espressa nel Traité des sensation, la quale riprende molte formulazioni che erano state proprie delle teorie di Locke, eliminandone però gli aspetti più propriamente psicologici, e sottolineando come tutte le facoltà conoscitive si sviluppino, in modo più o meno diretto, dall'azione dei sensi.   In questo senso, è famoso l'esempio di Condillac, il quale suggerisce di immaginare una statua dalle fattezze umane, la quale progressivamente si anima a mano a mano che prendono vita i vari sensi, e in particolare il tatto, il quale le permette la consapevolezza della realtà propria e del mondo circostante. Ciò che finora veniva attribuito all'attività spirituale, al giudizio, al desiderio e alla volontà non sono che "sensazioni trasformate".  Va sottolineato che il sensismo non coincide con il materialismo, giacché il primo si limita a esprimere la posizione di chi afferma il primato della conoscenza sensibile, senza tuttavia determinare in alcun modo i contenuti che questa conoscenza possa raggiungere.   La posizione sensista riguarda quindi esclusivamente la forma della conoscenza, in particolare il modo in cui si formano e si espletano le varie facoltà conoscitive. Dire che la nostra conoscenza si origina dalla sensazione non vuol dire che la materia di per sé sia causa di movimento e sensazione per cui l'uomo alla fine sia un essere completamente materiale. Proprio in ragione di questo, Condillac poté teorizzare l'esistenza di Dio e l'immortalità dell'anima, congiungendo sensismo gnoseologico e spiritualismo.  La via del materialismo su base sensistica venne intrapresa invece da Mettrie, Helvétius e Holbach, più conosciuto con lo pseudonimo di Mirabaud.  Per Mettrie estensione, movimento e sensibilità caratterizzano tutto ciò che è materiale; l'uomo stesso è una macchina ("L'homme machine") condizionata da leggi biologiche.  Helvetius condivide con Condillac l'idea che la conoscenza derivi dalle sensazioni ed estende quindi, nell'opera Lo Spirito (1758), la natura sensibile anche alla moralità riducendola a pure motivazioni utilitaristiche.   Per Holbach l'affermazione decisa del materialismo è collegata all'ateismo e alla negazione di ogni libera volontà nel comportamento dell'uomo.  Il materialismo in effetti era negato dagli illuministipoiché essi vi vedevano il mascheramento della vecchia pretesa metafisica di spiegare in maniera onnicomprensiva e totale l'universo. Si può affermare che, da molti di loro, il materialismo era sostenuto non tanto per ragioni gnoseologiche quanto per fini politici e morali come una polemica protesta, cioè, nei confronti dell'autoritarismo politico e religioso dei loro tempi.  NoteModifica ^ Aristotele, De anima aveva dato una definizione del tutto corretta e coerente col pensiero del tempo, ancora molto lontano dal concepire una possibile sensibilità specifica di un essere umano come caratteristica peculiare della sua individualità. Nihil est in intellectu, quod non prius fuerit in sensu». (Locke Saggio sull'Intelletto Umano. Ed aggiungeva  Leibniz: excipe: nisi intellectus ipse (Leibniz Nuovi saggi sull'intelletto umano) «fatta eccezione per l'intelletto stesso». Calogero, SENSISMO, in Enciclopedia Italiana, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Intuito Sensibilità (filosofia) Senso comune Pensiero Percezione Collabora a Wikizionario Wikizionario contiene il lemma di dizionario «sensismo» Collegamenti esterniModifica sensismo, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Guido Calogero, SENSISMO, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1936. sensismo, in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, (Sensismo, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc.Portale Filosofia: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di filosofia  Materialismo concezione filosofica  Étienne Bonnot de Condillac filosofo, enciclopedista e economista francese  Sensazione (filosofia) concetto filosofico  Wikipedia Il contenuto  Sessualità nell'antica Roma Lingua Segui Modifica Gli atteggiamenti e i comportamenti riferibili alla sessualità nell'antica Roma sono stati variamente descritti nell'arte romana, nella letteratura latina e nel Corpus Inscriptionum Latinarum; in misura minore anche da reperti di archeologia classica, quali manufatti di arte erotica (vedi ad esempio l'arte erotica a Pompei e Ercolano) e di architettura romana.   Rapporto sessuale in posizione con donna sopra, calco in gesso di un medaglione in terracotta del I secolo. L'iscrizione dice: "guarda come mi stai aprendo bene". È stato talvolta ipotizzato che la "licenza sessuale illimitata" fosse una delle caratteristiche più peculiari del mondo Romano antico: "La sessualità degli antichi Romani non ha mai avuto buona stampa in Occidente, da quando si è verificato il predomino culturale del cristianesimo. Nella fantasia popolare e nella cultura di massa questa è sinonimo di licenziosità e abuso sessuale. Tuttavia la sessualità non è stata affatto esclusa dalle preoccupazioni del mos maiorum, il nucleo della tradizione etica della civiltà romana; ciò si è verificato attraverso consolidate norme sociali che hanno interessato la vita pubblica, privata e finanche militare.  "Pudor", ossia vergogna-pudore, è stato un fattore di regolazione del comportamento, oltre che parte di sentenze legali riguardanti casi di trasgressioni sessuali avvenute sia durante il periodo della repubblica romana che in quello dell'impero romano[6]. Il censore, pubblico ufficiale nonché magistrato adibito alla supervisione della "moralità pubblica", era anche atto a determinare il rango (ossia la classe sociale) degli individui; egli aveva tra gli altri anche il potere di rimuovere quei cittadini ritenuti colpevoli di cattiva condotta sessuale dal senato romano e/o dall'antica casta aristocratica del patriziato, ed in alcuni casi ciò è effettivamente avvenuto. Lo studioso e filosofo francese Foucault, nella sua opera Storia della sessualità, ha considerato la realtà sessuale in tutto il mondo greco-romano come severamente disciplinata dalla moderazione e dall'arte di gestire il piacere sessuale[8].  La società romana era fortemente intrisa di patriarcato(vedi la figura del Pater familias), e il concetto di mascolinità si basava essenzialmente sulla capacità di governare se stessi e gli altri, cioè oltre che gli schiavi e i sottoposti anche la propria persona, e ciò valeva pure nell'ambito delle relazioni sessuali. "Virtus", la virtù-il valore, è stato un ideale mascolino di auto-disciplina attiva e che si viene direttamente a riferire alla parola latina indicante il maschio-Vir (la virtù è pertanto caratteristica dell'uomo inteso come rappresentante mascolino della società).   Un satiro in compagnia di una ninfa, simboli mitologici della sessualità. Mosaico rinvenuto nella casa del Fauno a Pompei. L'ideale corrispondente al termine "Vir" per la donna era la pudicitia, spesso tradotta come castità o modestia; ma essa rappresentava in realtà anche una qualità personale più pro-positiva e finanche competitiva, che doveva ben raffigurare sia il fascino che l'auto controllo di cui doveva essere dotata per Natura la matrona romana. Le donne delle classi superiori avrebbero dovuto essere colte, forti di carattere, ed attive nell'impegnarsi a mantenere la posizione del proprio clan familiare all'interno della società civile.  Ma, tranne pochissime eccezioni, la letteratura ha conservato nei riguardi della sessualità solamente le voci dei colti patrizi di sesso maschile; è sopravvissuta quindi soltanto una parte del "discorso sessuale" presente nell'antica Roma. L'arte visiva era invece solitamente creata da individui di status sociale inferiore e rappresentanti di una gamma etnica più ampia di quella più prettamente letteraria; ma essa si è anche trovata a doversi adattare al gusto ed alle inclinazioni di coloro che erano abbastanza ricchi da permettersela e che potevano includere durante l'epoca imperiale anche alcuni liberti; pertanto, anche in tal caso, non risulta essere completamente affidabile.  Alcuni atteggiamenti e comportamenti di natura sessuale ben presenti all'interno della cultura romanadifferiscono notevolmente da quelli della successiva cultura occidentale[13]. La religione romana ad esempio promuoveva la sessualità come uno degli aspetti fondamentali di prosperità per l'intero Stato; singoli individui potevano rivolgersi alla pratica religiosa privata, o anche alla magia, per migliorare la loro vita erotica o la salute e capacità riproduttiva; inoltre la prostituzione nell'antica Roma era legale, pubblica e diffusa. Soggetti artistici che oggi definiremmo senza esitazione come pornografia erano ampiamente presenti tra le collezioni d'arte delle famiglie più rispettabili e di elevato status sociale.  Si riteneva del tutto naturale, e il fatto in sé era "moralmente" irrilevante, che un uomo adulto potesse essere attratto sessualmente da adolescenti di entrambi i sessi; la pederastia veniva tranquillamente accettata fintanto che essa riguardava partner maschili - anche giovanissimi - che non fossero cittadini romani, quindi coloro che non erano nati liberi o attualmente in una condizione di schiavitù. La dicotomia moderna di eterosessuale ed omosessualenon costituiva in alcuna maniera la distinzione primaria del pensiero romano nei riguardi della sessualità ed in lingua latina non esistono neppure parole indicanti gli attuali termini che vengono a distinguere nella sua totalità l'identità di genere o l'orientamento sessuale.  Nessuna censura morale vigeva contro l'uomo che godesse degli atti sessuali compiuti con donne o altri uomini di livello inferiore al suo; a patto che questi comportamenti non venissero a rivelare carenze o eccessi nel carattere, né violassero i diritti e le prerogative degli altri coetanei maschi. Era invece la caratteristica dell'effeminatezza a venir percepita in maniera unanimemente negativa, con casi divenuti celebri di denuncia letteraria pubblica a mo' di scherno e invettiva; questo poteva accadere particolarmente all'interno della retorica politica, quando si accusavano spesso e volentieri gli avversari di essere effemminati, cioè affetti da forti carenze caratteriali e pertanto del tutto inaffidabili anche per quel che concerneva la gestione della cosa pubblica.  Il sesso praticato con moderazione con prostitute o giovani schiavi maschi non è mai stato considerato come improprio o un rischio che potesse "viziare" l'intrinseca mascolinità, costitutiva dell'uomo romano adulto; l'importante era che il cittadino assumesse sempre il ruolo sessuale attivo e mai quello passivo (vedi attivo e passivo nel sesso). L'ipersessualitàtuttavia è stata d'altro canto condannata sia moralmente che come patologia medica, questo sia negli uomini che nelle donne.  La componente femminile della società era solitamente tenuta ad un codice morale più rigoroso rispetto alla sua controparte maschile; relazioni omosessuali tra donne sono scarsamente documentate, ma la sessualità femminile in genere è stata ampiamente celebrata o insultata, a seconda dei casi, in tutta la letteratura latina. Nella sua generalità, gli antichi Romani si trovarono ad avere categorie di genere, se così si può dire, più flessibili rispetto all'antica Grecia.  Anche se analizzare la sessualità nell'antica Roma in rigidi termini di opposizione binaria "penetratore-penetrato" può risultare in parte fuorviante e dunque può oscurare la pienezza dell'espressività sessuale antica tra individui presi nella loro singolarità, l'assenza d'una qualsiasi altra "etichetta" per l'interpretazione culturale dell'esperienza erotica fa sì che tale distinzione continui ad essere utilizzata[19]. Anche la rilevanza stessa data alla parola "sessualità" nella cultura romana antica è stata da alcuni contestata ed è oggetto di disputa.  Arte e letteratura eroticaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Arte erotica e Letteratura erotica.  Pan che insegna al suo eromenosDafni a suonare il flauto. La letteratura antica concernente la sessualità romana rientra principalmente in quattro categorie: testi giuridici, medici, poetici e politici. Riferimenti a tipologie di espressività sessuale ci provengono dalla commedia del teatro latino, dalla satira, dalla poesia amorosa e dall'invettiva, dai graffiti, dagli incantesimi magici e dalle iscrizioni; tali forme culturali considerate come minori nell'antichità hanno avuto molto più da dire nei riguardi della sessualità che i generi cosiddetti più elevati della tragedia e dell'epica.  Varie informazioni sulla vita sessuale della popolazione è sparsa anche nella storiografia (nei riguardi di personalità conosciute), nell'oratoria e in alcuni testi filosofici, oltre che negli scritti di medicina, agricoltura e di altri argomenti tecnici. I testi di diritto romanosi soffermano su quei comportamenti che si volevano disciplinare o vietare, senza necessariamente indicare quel che le persone realmente facevano o meno.  I principali autori latini le cui opere hanno contribuito significativamente alla comprensione della sessualità nell'antica Roma comprendono:  Il commediografo Tito Maccio Plauto, le cui opere ruotano spesso su trame concernenti casi sessuali, con giovani amanti ad esempio tenuti separati dalle avverse circostanze. Lo statista e moralista Marco Porcio Catone(detto "il Vecchio") il quale offre scorci sulla sessualità vigente in un momento storico che successivamente fu considerato come epoca avente gli standard morali più elevati, di tutta la storia latina. Il poeta e filosofo LUCREZIO (si veda), che presenta un lungo trattato sulla sessualità epicurea nella sua opera De rerum natura. Gaio Valerio Catullo, le cui poesie esplorano tutta una serie di esperienze erotiche avvenute verso la fine dell'epoca repubblicana; esse spaziano da un più delicato sentimento romantico (l'amore verso le donne-Lesbia e nei confronti dei ragazzi-Giovenzio) per giungere fino alle invettive più brutalmente oscene ("Pedicabo ego vos et irrumabo"-io ve lo metto in culo e in bocca). CICERONE (si veda) con numerosi interventi avvenuti in Senato in cui attacca il comportamento sessuale degli avversari politici, a cominciare da Gaio Giulio Cesare più volte additato come sessualmente ambiguo e quindi anche pericoloso per l'incolumità statale; ma anche con lettere disseminate di pettegolezzi contro l'élite romana che gli si opponeva. I poeti Sesto Properzio e Albio Tibullo, che rivelano alcuni degli atteggiamenti sociali dell'epoca quando descrivono le loro storie d'amore avvenute con giovani donne e adolescenti maschi. Publio Ovidio Nasone, in particolare con i suoi Amores e Ars amatoria i quali, secondo la tradizione, hanno contribuito notevolmente ad affrettare la decisione dell'imperatore romanoAugusto di esiliare il poeta; ma anche tramite la sua raccolta epica Metamorfosi la quale presenta tutta una serie di miti a forte impronta sessuale (e ancora una volta sia con esempi di amori tra uomini e donne che tra uomini e ragazzi) riguardante figure divine ed esseri umani, con un'enfasi particolare data allo stupro - alla violenta aggressione di tipo sessuale - attraverso la lente della lettura mitologica. Marco Valerio Marziale, le cui osservazioni sulla società in genere sono spesso e volentieri arricchite e rinforzate da invettive sessualmente esplicite. Decimo Giunio Giovenale, che inveisce contro i costumi sessuali del suo tempo, attaccando con particolare fervore le donne e gli uomini effeminati. Ovidio elenca anche un certo numero di scrittori molto noti al tempo per il materiale salace contenuto nelle rispettive opere, nessuna delle quali è però riuscita a giungere fino a noi. Manuali sessuali greci, ma anche semplici testi di natura pornografica sono stati pubblicati sotto il nome di famose etere (-cortigiane) e diffusi ampiamente. Le novelle erotiche di Aristide di Mileto, i Milesiaká furono tradotte da Sisenna, uno dei pretori; Ovidio definisce il libro come una raccolta di misfatti-crimina e ci dice che l'intera narrazione era infarcita con "barzellette sporche". A seguito della battaglia di Carre i parti sarebbero rimasti scioccati nel trovare proprio quel libro nel bagaglio ufficiale appartenente a Marco Licinio Crasso.  L'arte erotica a Pompei e Ercolano, rinvenuta solamente a partire dal tardo XVIII secolo, è una ricca fonte di indizi sulla natura della sessualità nell'antica Roma, anche se non del tutto priva di ambiguità; alcune delle immagini paiono difatti contraddire almeno in parte le preferenze sessuali sottolineate in letteratura, ma potevano queste essere destinate ad un intento satirico, per provocare quindi il riso o alternativamente per sfidare gli atteggiamenti convenzionali seguiti.  Oggetti di uso quotidiano quali specchi e vasi in ceramica sigillata potevano essere decorati con scene decisamente erotiche le quali potevano andare dalle eleganti danze compiute in abiti succinti a disegni espliciti di penetrazione sessuale. Dipinti erotici sono stati trovati nelle case più rispettabili della nobiltà romana, come nota Ovidio: "vi è un piccolo dipinto (-tabella[30]) raffigurante varie tipologie di accoppiamenti... ma anche una Venere bagnata che si asciuga i capelli gocciolanti con le dita, a malapena coperta dalle acque. Questa Venere carica di erotismo appare tra le vari immagini che un intenditore d'arte potrebbe sicuramente apprezzare.  Tutta una serie di dipinti rinvenuti all'interno delle terme suburbane di Pompei, pubblicati in riproduzione, presentano una varietà di scenari erotici che paiono destinati a divertire lo spettatore con rappresentazioni sessuali assai scandalose, tra cui un ampio numero di posizioni sessuali, sesso orale e sesso di gruppo eterosessuale, omosessuale e lesbico a scelta[33].  L'arredamento di una camera da letto romano poteva riflettere letteralmente il suo uso sessuale: il poeta augusteo Orazio possedeva presumibilmente una stanza con le pareti interamente ricoperte di specchi, di modo che quando aveva la compagnia di una prostituta poteva osservarla da tutte le angolazioni possibili[34]. L'imperatore Tiberio aveva le camere da letto decorate con i più lascivi e sconci dipinti e sculture, ma veniva rifornito costantemente di "guide del sesso" ricche di consigli e proposte scritte appositamente per lui dal medico greco Elefantide.  Si verifica un autentico boom di testi riguardanti la sessualità, scritti sia in lingua greca che in lingua latina, assieme ai romanzi d'amore; ma questo discorso franco e sincero sulla sessualità scompare quasi del tutto dalla letteratura successiva, con i temi sessuali che vengono riservati alla scrittura medica o alla teologia cristiana.  Il celibato era divenuto un ideale per un crescente numero di fedeli cristiani; gli stessi padri della Chiesa come Tertulliano e Clemente di Alessandria hanno disquisito sul fatto che anche il sesso coniugale dovesse essere consentito solamente per la procreazione. Nel martirologio la sessualità viene descritta come una delle peggiori torture rivolte contro la santa castità del cristiano, soffermandosi anche sugli atti di mutilazione sessuale (in particolare i seni) a cui venivano sottoposte in special modo le donne.  L'umorismo osceno di Marziale è stato per breve tempo fatto rivivere nel IV secolo dallo studioso e poeta Ausonio, seppur nominalmente cristiano, evitando però la predilezione dell'autore latino nei confronti della pederastia.  Sesso, religione e StatoModifica Così come per gli altri aspetti della vita romana, anche la sessualità è stata sostenuta e regolata da precise tradizioni religiose (vedi religione romana), sia per quanto concerne il culto pubblico statale sia per quel che riguarda le pratiche religiose private e magiche. La sessualità è in ogni caso una categoria importante del pensiero religioso romano[40].  Il complemento di maschile e femminile è stato di particolare importanza per la definizione del concetto romano di divinità. I Dei Consenti erano un consiglio di coppie divine maschio-femmina equivalenti in qualche misura alle dodici maggiori divinità Greche (vedi gli Olimpi). Almeno due tra i "sacerdozi statali" erano svolti congiuntamente da una coppia di coniugi.  Le vergini Vestali, uno status sacerdotale riservato alle donne, prendendo il voto di castità perenne, si vedevano riconosciuta una relativa indipendenza dal controllo maschile; tra gli oggetti religiosi di maggior pregio che avevano in custodia vi era anche il "fallo sacro. il fuoco di Vesta doveva evocare l'idea della purezza sessuale nella femmina e contemporaneamente rappresentare il potere procreativo del maschio.  Gli uomini che servivano nei vari collegia di sacerdoti (vedi pontefice (storia romana)) avrebbero dovuto in ogni caso sposarsi e crearsi una famiglia. Cicerone ha dichiarato che il desiderio di procreare era il vivaio della repubblica, causa prima per l'esistenza di quella forma di istituzione sociale chiamata matrimonio; a sua volta la casa-domus rappresentava l'unità familiare ch'era il mattone della vita urbana. Molte delle festività romane stagionali contenevano in sé degli elementi sessuali: i Lupercalia del mese di febbraio sono stati celebrati fino al V secolo ed includevano un rito arcaico di fertilità; mentre i Floraliaerano caratterizzati da danze che si svolgevano tra persone nude. In alcune tra le più importanti feste religiose del mese di aprile, partecipavano e venivano ufficialmente riconosciute anche le prostitute.  Le connessioni esistenti tra riproduzione umana, prosperità generale e benessere dello Stato vengono ben incarnate dal culto romano di Venere, che si differenzia dalla sua controparte Greca Afrodite soprattutto per il suo ruolo di madre dell'intero popolo romano, questo attraverso il figlio per metà mortale Enea.  Durante il periodo delle guerre civili Silla, in procinto d'invadere il proprio stesso paese con le legioni assoggettate al proprio comando, ha fatto emettere una moneta raffigurante una Venere incoronata in qualità di suo personale nume tutelare, affiancata da un Cupido in possesso di un rametto di Palma (segno di vittoria). Sul retro vi erano tropaion (trofei militari) assieme a simboli degli àuguri, sacerdoti statali che svelano il volere degli dei. L'iconografia collega quindi la divinità dell'amore col buon augurio di successo militare e con l'autorità religiosa. Il dittatore romano assunse anche il titolo di Epafrodito-appartenente ad Afrodite.  Il fascinus fallico era onnipresente nella cultura romana ed appare praticamente su ogni tipo di oggetto, dai gioielli agli antichi campanelli eoliche o tintinnabulum fino alle lampade; era inoltre un potente amuleto atto a proteggere i bambini  e ai generali che celebravano il proprio trionfo. Cupido è colui che ispira il desiderio erotico; Priapo invece, importato dalla Grecia, rappresenta più la vera e propria lussuria, intrisa però d'un fondamento fortemente umoristico; Mutunus Tutunus promuoveva infine il sesso coniugale. Il dio Liber (versione latina di Dioniso) si prendeva cura, tra le altre cose, anche delle "risposte fisiologiche" durante l'atto sessuale. Vi erano infine tutta una serie di divinità atte a supervisionare ogni aspetto della relazione amorosa, dal concepimento fino al parto.  Quando un maschio assumeva la toga virile Libero diveniva il suo patrono; secondo quel che raccontano i poeti, in questo momento egli lasciava la modestia innocente (-pudor) caratteristica dell'infanzia per acquisire la libertà sociale (-Libertas) e poter iniziare così la sua personale vita sessuale.  La mitologia classica tratta spesso di temi sessuali anche molto impegnativi, quali adulterio, incesto e stupro; l'arte e la letteratura hanno proseguito con la scuola alessandrina la trattazione di figure mitologiche erotiche le quali compivano in modo molto umano, ma anche umoristico, atti sessuali in seguito del tutto rimossi dalla dimensione religiosa.  Concetti morali e giuridiciModifica CastitasModifica La parola latina castitas, da cui deriva l'attuale castità, è un sostantivo astratto che denota "una purezza morale e fisica di solito in un contesto specificamente religioso" e a volte, ma non sempre, riferendosi specificatamente alla castità sessuale. Il relativo aggettivo castus-puro poteva esser usato sia per riferirsi a luoghi ed oggetti, così come anche alle persone; l'aggettivo "pudicus" (da cui pudicizia, pudore) descrive in maniera più particolareggiata una persona che è sessualmente morale.  I rituali di Cerere concernevano sia la castitas che la sessualità, incarnando la Dea anche la maternità; la torcia portata in suo onore in processione durante lo svolgersi del corteo nuziale era associata alla purezza sessuale della sposa. Vesta era la divinità primaria del pantheon romano associata al concetto di castitas, ed era essa stessa una Dea vergine; le sue sacerdotesse vestali dovevano mantenersi vergini per tutta la vita, avendo fatto voto di rimanere nubili.  IncestumModifica L'incestum, da cui deriva l'attuale incesto, ossia ciò che è "non castum", è un atto che viola la purezza religiosa, forse sinonimo di ciò che è "nefas" (nefasto) ovvero religiosamente inammissibile.  La violazione ad esempio del voto di castità professato da una Vestale era considerato come incestum: la punizione riguardava sia la donna che l'uomo che la rendeva impura attraverso il rapporto sessuale, sia che l'atto fosse stato consensuale che ottenuto con la forza. Lei veniva seppellita viva, lui lapidato nel Foro. La perdita di castitas di una vestale equivaleva alla rottura del patto stipulato tra Roma e gli dei, la pax deorum e veniva generalmente accompagnata dall'osservazione di cattivi presagi (-prodigia). L'accusa d'incestum che veniva a coinvolgere una vestale poteva spesso coincidere con una situazione di agitazione politica e con pericoli di sommosse.  Marco Licinio Crasso venne assolto dall'accusa d'aver commesso incestum con una vestale che condivideva il proprio nome di famiglia. Quello che oggi s'intende per rapporti incestuosi erano solo una delle forme di incestum, a volte tradotto anche come sacrilegio. Quando Publio Clodio Pulcro si travestì da donna, violando così i riti della Bona Dea rivolti esclusivamente alla componente femminile della società, si attirò l'accusa di incestum. Nel diritto romano, ma anche nella morale vigente comune, lo stuprum è il rapporto sessuale illecito, traducibile come depravazione criminale  o crimine sessuale; esso viene a comprendere diversi reati di natura sessuale, tra cui vi è anche "l'atto sessuale illegale ottenuto con la forza e l'adulterio (uno stupro morale rivolto contro il coniuge).  Inizialmente col termine stuprum è stato considerato un atto vergognoso in generale, o qualsiasi disgrazia pubblica, il che includeva ma non si limitava alla sessualità considerata illecita, ma ai tempi della commedia romana di Tito Maccio Plauto la parola aveva già acquisto il suo più ristretto significato sessuale: innanzitutto uno stuprum può avvenire solo tra cittadini, in quanto qualsiasi violenza sessualecommessa contro la schiavitù era perfettamente lecita e quindi non punibile. Proprio la protezione contro la cattiva condotta sessuale è sempre stato tra i diritti legali che maggiormente contraddistinguono il cittadino dal non-cittadino.  Raptus Derivante dal verbo latino rapio/rapere, significa "strappar via, portar via, rapire". Nel diritto romano il termine raptio viene utilizzato principalmente per indicare il rapimento o sequestro. Il mitico ratto delle Sabine rappresenta un sequestro della sposa o rapimento a scopo matrimoniale in cui la violazione sessuale delle donne diviene un problema del tutto secondario. Il sequestro di una ragazza non sposata dalla casa di suo padre era in certi casi una "fuga di coppia" messa in atto in quanto non vi era il permesso paterno alla celebrazione delle nozze.  Leggi relative alla violenza sessuale (azioni sessuali commesse con violenza o coercizione) sono state codificate per la prima volta solo verso la fine dell'era repubblicana, mentre il rapimento avvenuto con lo scopo di commettere un reato sessuale è emerso come distinzione giuridica. Offerte votive di Pompei: peni, seni e un utero. Guarigione e Magia L'aiuto divino poteva essere ricercato anche tramite rituali religiosi privati che avvenivano, associati a lunghi trattamenti medici, col compito di migliorare o bloccare la fertilità, o per cerar di curare malattie degli organi riproduttivi  Teorie della sessualitàModifica Antiche teorie riguardanti l'ambito sessuale sono stati prodotti da e per un'élite istruita. La misura in cui queste teorizzazione del sesso abbia effettivamente interessato il comportamento quotidiano rimane discutibile, anche tra coloro che fossero stati attenti agli scritti filosofici e medici che hanno presentato tali opinioni. Questo si presenta come un discorso elitario, mentre spesso deliberatamente critica i comportamenti più tipici o comuni, ma allo stesso tempo non può essere assunta per escludere la possibilità che questi valori fossero più o meno ampiamente seguiti nella società.   Una coppia eterosessuale, lampada a olio. Nel IV libro di Lucrezio, il De rerum natura viene fornito uno dei passaggi più estesi sulla sessualità umana nella letteratura latina. Yeats descrivendo la traduzione da John Dryden l'ha definita la più bella descrizione del rapporto sessuale mai scritto. Lucrezio è contemporaneo di Catullo e di Cicerone(verso la metà del I secolo a.C. ed il suo poema didattico è una presentazione della filosofia epicureaall'interno della tradizione della tradizione della poesia latina di Ennio.  L'epicureismo era materialista e dedito all'edonismo; il sommo bene qui è il piacere, definito come l'assenza di dolore fisico e stress emotivo. L'epicureo cerca di gratificare i suoi desideri con il minimo dispendio di passione e fatica. I desideri sono classificati come quelli che sono naturali e necessari, come la fame e la sete; quelli che sono naturali ma non necessari, come il sesso; e quelli che non sono né naturali né necessari, compreso il desiderio di dominare sugli altri e glorificare se stessi. È in questo contesto che Lucrezio presenta la sua analisi dell'amore e del desiderio sessuale, che contrasta l'ethos erotico di Catullo e ha influenzato i poeti d'amore del periodo augusteo.  La sessualità maschileModifica Durante tutta l'epoca repubblicana la libertà politica di un cittadino romano ("Libertas") è stata definita in parte dal diritto come un preservare il corpo dalla costrizione fisica, il che comprendeva sia la punizione corporale che l'abuso sessuale. Il valore-virtus era quella cosa che rendeva un uomo adulto ancor più completamente uomo/maschio-vir ed era questa una delle principali tra le virtù considerate attive. Gli ideali romani di mascolinità furono così la premessa per l'assunzione di un ruolo attivo e dominante in ogni campo e sfera della vita; questa era anche la prima tra le direttive imposte al comportamento sessuale maschile: "lo slancio verso l'azione potrebbe esprimersi più intensamente in un ideale di dominio che riflette la gerarchia della società patriarcale romana. La mentalità di conquista faceva parte di un vero e proprio culto della virilità che, in particolare, dava forma alle "regole" riguardanti le pratiche omosessuali. Un tal accento posto sull'idea di sottomissione e dominio ha portato gli studiosi a vedere le espressioni della sessualità maschile degli antichi romani esclusivamente in termini di modello binario penetratore-penetrato; cioè l'unico modo corretto per un maschio romano di cercare gratificazione sessuale era quello d'inserire il suo pene nel/nella partner. Permettere di lasciarsi penetrare invece rappresentava una minaccia contro la sua libertà in quanto cittadino e contro la propria integrità sessuale: l'attività sessuale definisce così, almeno in parte, la definizione di libero cittadino rispettabile dallo schiavo o dalla persona "libera ma sottomessa-passiva".  Ci si aspettava ed era socialmente accettabile per un maschio romano nato libero il voler intrattenere rapporti intimi con partner di entrambi i sessi, questo almeno fintanto che egli prendeva ed assumeva su di sé il ruolo dominante. Oggetti consentiti del desiderio erano quindi le donne di qualsiasi condizione sociale o giuridica, coloro che esercitavano la prostituzione maschile o gli schiavi, mentre i comportamenti sessuali al di fuori dal vincolo matrimoniale dovevano essere limitati a schiavi e prostitute o, meno frequentemente, ad una concubina.  La mancanza di autocontrollo, anche nella gestione della propria vita sessuale, era un'indicazione che quell'uomo era incapace di governare gli altri[76]; il puro e semplice godimento dato dal "basso piacere sensuale" minacciava pertanto di erodere l'identità maschile elitaria della società, così come la stima ed il rispetto rivolti naturalmente alla persona istruita. Era un punto di orgoglio per Caio Gracco il sostenere che durante il suo mandato come governatore provinciale rimase senza alcuno schiavo scelto tra i ragazzi di più bell'aspetto, che nessuna prostituta visitò la sua casa, e che non avvicinò mai gli schiavi-bambini appartenenti ad altri uomini.  In epoca imperiale, preoccupazioni circa la perdita della libertà politica e la subordinazione del cittadino all'imperatore sono stati espressi da un percepibile aumento di comportamento omosessuale passivo tra gli uomini liberi, accompagnato ciò anche da una crescita documentata di punizioni corporali inflitte ai cittadini[79]. La dissoluzione degli ideali repubblicani di interità fisica in relazione alla Libertas contribuisce e viene riflessa dalla licenza sessuale e dalla decadenza associata con l'Impero[80].   Nudo eroico rappresentante Eurialo e Niso, esempio di omoerotismo maschile in linea con la morale romana a detta di Publio Virgilio Marone. Jean-Baptiste Roman. Nudità maschile Lo stesso argomento in dettaglio: Storia della nudità. Mostrarsi nudi in pubblico poteva essere offensivo o sgradevole anche in ambienti tradizionali; Cicerone deride Marco Antonio come indegno di apparire quasi nudo come partecipante al Lupercalia, anche se ciò veniva ritualmente richiesto. La nudità è uno dei temi principali di questa festa religiosa che attira l'attenzione di Ovidio nei Fasti, il suo lungo forma poema sul calendario romano[82]. Augusto, durante il suo programma di revivalismo religioso, tentò di riformare i Lupercalia, in parte sopprimendo l'uso della nudità, nonostante il suo aspetto di fertilità/  Connotazioni negative di nudità includono la sconfitta in guerra, dal momento che i prigionieri sono stati spogliati, e la schiavitù, dal momento che gli schiavi in vendita sono stati spesso esposti nudi. La disapprovazione nei confronti della nudità era quindi nei tutta nei confronti della "marcatura" ch'essa dava al corpo (esser nudi marchiava d'indegnità il corpo deprivandolo della nobiltà che lo caratterizza in quanto cittadino; questo significato era molto più presente rispetto a quello d'esser una mera questione di cercare di reprimere il desiderio sessuale considerato inadeguato.  L'influenza proveniente dall'arte greca tuttavia ha portato sempre più a creare ritratti di nudità eroicariferibili sia agli uomini che alle divinità romane, pratica questa che ha avuto inizio nel II secolo a.C. Quando le statue dei generali romani nudi alla maniera del culto rivolto ai sovrani ellenistici cominciarono per la prima volta a diffondersi, vi fu da parte della popolazione una forte reazione "scandalizzata", non tanto o non semplicemente perché veniva esposta la figura maschile nuda, ma soprattutto in quanto evocante concetti di regalità e divinità che si trovavano in contrasto con gli ideali repubblicani di cittadinanza così com'era incarnata dalla toga.  Il dio Marte si presenta come uomo barbuto maturo in abito di generale, ciò quando viene concepito come padre del popolo in tutta la sua dignità, mentre le sue raffigurazioni giovanili, senza barba e nudo, mostrano tutta l'influenza proveniente dalla rappresentazione greca di Ares. Nella prima arte augustea e giulio-claudia l'adozione programmatica dello stile neoatticoe dell'arte ellenistica ha portato alla più complessa significazione del corpo maschile mostrato nudo, parzialmente nudo oppure indossante una lorica musculata (o corazza eroica).  Una notevole eccezione nei confronti della nudità in pubblico riguardava le terme, purtuttavia anche in quest'ambito gli atteggiamenti sono cambiati nel corso del tempo. CATONE (si veda) il Vecchio preferiva non fare il bagno nudo alle terme in presenza del figlio, mentre Plutarco pare sottolineare il fatto che nei suoi tempi e in quelli immediatamente precedenti poteva esser ritenuto assai vergognoso per gli uomini maturi esporre i loro corpi davanti a maschi più giovani. In seguito vi fu addirittura la possibilità per uomini e donne di fare il bagno assieme.  Fallicismo Lo stesso argomento in dettaglio: Simbolismo fallico. La sessualità romana, così com'è ripetutamente rappresentata in letteratura, è stata descritta come essenzialmente fallocentrica.  Il "fallo" (simbologia del pene in erezione) doveva avere il potere di scacciare il malocchio ed altre forze soprannaturali malefiche; è stato utilizzato come amuleto dalle capacità "fascinatorie" (fascinus), di cui sopravvivono molti esempi in particolare sotto forma di tintinnabulum.  Il fallo dalle dimensioni e dalla lunghezza esagerata è stato associato nell'arte romana col dio Priapo, divinità itifallica per eccellenza). La raccolta poetica di autori anonimi intitolata Carmina Priapea fa parlare direttamente il "dio dei giardini", che minaccia allegramente di stupro tramite sesso anale qualsiasi ladro potenziale e chiunque si azzardi ad oltrepassare i confini della casa quando non ben accetto dai padroni. La maledizione scagliata da Priapo può causare sia l'impotenza che uno stato tormentoso di eccitazione perenne senza alcuna possibilità di remissione, il priapismo.  Ci sono all'incirca 120 termini latini registrati per indicare metaforicamente l'organo sessuale maschile e nella stragrande maggioranza dei casi questi vengono a descrivere il sesso del maschio come uno strumento d'aggressione, quando non come una vera e propria arma. L'oscenità più comune per chiamare il pene è "mentula", molto utilizzato da Marziale al posto di termini più gentili o soft. Virga, come altre parole significanti ramo, asta, palo, trave erano metafore comuni, così anche vomere o aratro.  Castrazione e circoncisioneModifica Alcuni romani, bramosi di conservare il più a lungo possibile la bellezza pre-adolescenziale e femminea dei propri schiavi (considerati e chiamati come deliciae o delicati-"giocattoli, delizie") a volte li facevano sottoporre poco dopo la pubertà alla castrazione, cioè all'asportazione dei testicoli nel tentativo di preservare l'aspetto androgino della loro giovinezza. L'imperatore Nerone aveva il suo castrato preferito di nome Sporo, che giunse fino al punto di sposarlo in una cerimonia pubblica.  Effeminatezza e travestitismo Quella di effeminatezza era tra le accuse preferite rivolte agli avversari nel corso dell'invettiva politica; essa colpiva soprattutto coloro che difendevano le istanze dei populares, quella fazione politica i cui capi si presentavano come difensori del popolo (democratici), che si trovava perennemente in contrasto con gli ottimati, l'élite conservatrice nobiliare. Negli ultimi anni della repubblica varie personalità tra i populares sono state tacciate d'esser irrimediabilmente effeminate, oltre a Gaio Giulio Cesare anche Marco Antonio, Publio Clodio Pulcro e Lucio Sergio Catilina assieme a tutti i suoi amici cospiratori (vedi congiura di Catilina): venivano tutti derisi in quanto eccessivamente curati (ben vestiti e profumati) o perché giravano voci insistenti su loro trascorsi sessuali con altri uomini nei cui confronti avrebbero assunto il ruolo denigrato della femmina; allo stesso tempo però l'effeminato era anche il donnaiolo, il Don Giovanni impenitente in possesso di fascino e carisma superiori alla norma e che amava vestirsi elegantemente ed esser sempre profumato.  Forse l'episodio più celebre di crossdressingnell'antica Roma si è verificato quando il succitato Clodio Pulcro violò i riti annuali della Bona Dea e che erano riservati alle sole donne; essi si svolsero nella casa di Cesare, nell'epoca in cui questi si trovava quasi al termine del suo mandato di pretoree s'apprestava ad assumere l'investitura di pontefice massimo. Clodio si travestì come una flautista per riuscire ad entrare, come viene descritto da Cicerone che lo addita come sacrilego Togli il suo vestito color zafferano, la sua tiara, le sue scarpette dai lacci viola, il suo reggiseno e il suo Salterio, togli il suo comportamento sfacciato e il suo crimine sessuale, ed ecco che allora Clodio si rivela improvvisamente come un democratico. Le azioni di Clodio, che era stato appena eletto questore ed era in procinto di compiere trent'anni, sono spesso state considerate come un ultimo scherzo giovanile. La natura tutta femminile di questi riti notturni ha attirato nel corso del tempo molta speculazione pruriginosa negli uomini; sono state fantasticate come enormi orge lesbiche compiute tra i fumi dell'alcol e che potevano pertanto anche essere molto divertenti da osservare. Clodio si suppone che avesse avuto lo scopo di sedurre la moglie di Cesare, ma la sua voce maschile lo ha smascherato prima di poter riuscire ad averne la possibilità. Lo scandalo ha spinto Cesare a cercare di ottenere un divorzio immediato per poter in tal maniera tenere sotto controllo i danni sopravvenuti alla propria reputazione, dando origine alla famosa frase divenuta proverbiale "la moglie di Cesare deve essere sopra di ogni sospetto." L'incidente ha riassunto comunque il disordine vigente durante gli ultimi anni della repubblica romana.  L'ambiguità sessuale è poi una caratteristica peculiare dei sacerdoti della dea Cibele conosciuti come Galli, il cui abbigliamento rituale includeva capi femminile. Essi sono a volte considerati come una specie di sacerdozio transgender, in quanto veniva richiesto loro di sottoporsi ad auto-evirazione ad imitazione di Attis. La complessità dell'identità di genere nella religione di Cibele e Attis e nel relativo mito sono ben esplorate da Catullo in una delle sue poesie più lunghe, il Carme .Rapporti omosessualiModifica mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Omosessualità nell'Antica Roma.  Lato della Coppa Warren che mostra il "conquistatore erotico" del puer delicatus (ragazzino), incoronato. Gli uomini romani erano del tutto liberi di avere rapporti sessuali con maschi di status inferiore, senza per questo aver alcuna percezione di una qualche perdita di mascolinità; soltanto coloro che prendevano il ruolo passivo nel rapporto (a volte indicati come sottomessi) venivano fortemente denigrati come deboli e privi di virilità.  I cittadini romani che erano solitamente contrassegnati come "maschile" potevano attuare la penetrazione sessuale di uomini sia verso coloro che esercitavano la prostituzione maschile che nei confronti degli schiavi i quali solitamente erano ragazzi sotto i vent'anni d'età.  La letteratura comprende molte opere che parlano di omoerotismo; comprende le poesie di Catullo dedicate al suo ragazzino quattordicenne di nome Giovenzio, le elegie di Tibullo e Properzio, la seconda egloga delle Bucoliche di Virgilio e diverse poesie di Orazio. Lucrezio affronta il tema dell'amore provato nei confronti dei ragazzi nel suo De Rerum Natura . Sebbene OVIDIO (si veda) includa di trattare esempi mitologici di omoerotismo nelle sue Metamorfosi, egli risulta altresì prendere al riguardo una posizione che è insolita fra i poeti d'amore latini, ed in effetti tra i Romani in generale, quando esprime opinioni aggressivamente eterosessuali. Il Satyricon di Petronio Arbitro è talmente permeato di erotismo culturale di tipo omosessuale che nei circoli letterari europei, il suo nome è diventato addirittura un sinonimo di omosessualità.  Anche se il diritto romano non riconosceva il matrimonio tra uomini, nel periodo imperiale alcune coppie maschili celebrarono riti matrimoniali tradizionali. Tali forme di matrimonio tra persone dello stesso sesso sono riportati da fonti che li deridono; i sentimenti dei partecipanti non sono registrati.  Lo stupro sugli uominiModifica Gli uomini che erano stati violentati perdevano la legittimazione all'agire sociale, ne venivano esentati; acquisivano lo status di infamia, lo stesso degli uomini dediti alla prostituzione maschile o di quelli che assumevano volontariamente il ruolo passivo nell'atto sessuale. Secondo il giurista Pomponio, dopo che l'uomo è stato violentato con la forza dai ladri o dal nemico in tempo di guerra, dovrebbe sopportarne lo stigma. I timori di stupri di massa a seguito di una sconfitta militare veniva esteso anche ai maschi oltre che alle potenziali vittime di sesso femminile.  Il diritto romano ha affrontato lo stupro di un cittadino di sesso maschile già nel II secolo a.C., quando venne emessa una sentenza riguardante una causa che potrebbe aver coinvolto un maschio di orientamento omosessuale; anche se un uomo che aveva lavorato nell'ambito della prostituzione non poteva essere violentato per una questione di diritto, è stato stabilito difatti che anche un uomo poco raccomandabile e discutibile fosse in pieno possesso degli stessi diritti degli altri uomini liberi di non avere il proprio corpo sottoposto da una sessualità forzata. In un libro sull'arte della retorica lo stupro di un maschio nato libero (ingenuus) è equiparato a quello di una matrona ed in quanto ciò trattarsi di un crimine capitale. La Leges Iuliae#Lex Iulia de vi publica et privata definisce lo stupro come il sesso forzato contro un ragazzo o una donna e lo stupratore era oggetto di esecuzione, una sanzione alquanto rara nel diritto romano. Costituiva inoltre un delitto capitale per un uomo rapire un bambino nato libero per utilizzarlo in scopi eminentemente sessuali; la corruzione del protettore del ragazzo per averne l'opportunità ne rappresentava un'aggravante: in questo caso la negligenza degli accompagnatori poteva essere perseguita sotto varie leggi, riversando patte della colpa su coloro che non erano riusciti nelle loro responsabilità come guardiani, piuttosto che sulla vittima. Anche se la legge riconosceva l'irreprensibilità della vittima, la retorica utilizzata dalla difesa indica che i cosiddetti "atteggiamenti colpevoli" avrebbeto potuto essere sfruttati fra i giurati.  Nella sua collezione di codici aneddotici che si occupavano d assalti alla castità, lo storico Valerio Massimo dispone in egual misura di un numero di vittime di sesso maschile rispetto a quelle di sesso femminile.  Sessualità militare. Il soldato romano, come ogni romano libero e rispettabile dello Stato, avrebbe dovuto mostrare autodisciplina in materia di sesso. Ai soldati colpevoli di adulterio veniva dato un congedo disonorevole, mentre agli adulteri condannati era impedito l'arruolamento, con condanne rigorose che potevano vietare le prostitute e i magnaccia dal campo, Anche se in generale l'esercito romano, sia in marcia che in un forte permanente (castra) mantenevano tra i partecipanti un numero di seguaci di campo che potevano includere anche le prostitute. La loro presenza sembra essere data per scontata e menzionata soprattutto quando poteva diventare un dato problematico; per esempio quando Scipione Emiliano stava partecipando all'assedio di Numanzia respinse i seguaci sessuali del campo come una delle sue misure per il ripristino della disciplina.  Forse la cosa più singolare è il divieto contro il matrimonio romano mentre si faceva parte degli effettivi dell'esercito imperiale. Nel suo primo periodo, Roma aveva un esercito di cittadini che avevano lasciato le proprie famiglie per prendere le armi, quando ve ne fosse stato bisogno. Durante l'espansionismo della media repubblica romana, Roma iniziò ad acquisire vasti territori da difendere come le province (vedi la provincia romana), ma nel corso dell'epoca di Gaio Mario l'esercito era stato sempre più professionalizzato.  Il divieto di matrimonio per i soldati in servizio iniziò sotto Augusto,forse per scoraggiare le famiglie al seguito dell'esercito e compromettendone così la sua mobilità. Il divieto di matrimonio era applicato a tutti i ranghi fino a quello del centurione; mentre per gli uomini delle classi dirigenti c'era l'esenzione. Con il II secolo la stabilità dell'impero conosciuta come pax romana ha costretto la maggior parte delle unità a forti permanenze in terre lontane, cosicché si potevano spesso sviluppare rapporti anche con donne locali. Sebbene legalmente queste unioni non potevano essere formalizzate in matrimonio legittimo, è stato riconosciuto che il loro valore stava nel fornire un supporto emotivo.  Dopo che un soldato fosse stato dimesso, alla coppia era concesso il diritto di matrimonio legale in quanto cittadini (il connubium) e tutti i bambini che già eventualmente avevano veniva loro concesso lo status di esser nati cittadini. Settimio Severo revocò il divieto augusteo.  Altre forme di gratificazione sessuale a disposizione dei soldati erano l'uso di schiavi, gli stupri di guerra e la relazione tra persone dello stesso sesso. Il comportamento omosessuale tra i soldati è stato oggetto di sanzioni, compresa la pena la morte in quanto violazione della disciplina e del diritto militare. Polibio riferisce che l'attività omosessuale all'interno delle forze armate era punita con la fustuarium, una fustigazione fino a morte.  Il sesso tra commilitoni violava il decoro romano in quanto s'intratteneva un rapporto sessuale con un altro maschio nato libero. Un soldato aveva sopra ogni altra cosa il dovere di mantenere la propria mascolinità, non consentendo in nessun caso pertanto che il proprio corpo potesse essere utilizzato per scopi sessuali. Questa integrità fisica era in contrasto con i limiti imposti sulle sue azioni come uomo libero all'interno della gerarchia militare; più sorprendentemente, i soldati romani erano i soli cittadini regolarmente sottoposti a punizioni corporali, riservate al mondo civile soprattutto agli schiavi. L'integrità sessuale ha contribuito a distinguere lo status del soldato, che altrimenti avrebbe sacrificato molto della sua autonomia civile rispetto a quella dello schiavo.  Nella guerra, subire lo stupro equivaleva alla sconfitta, un altro motivo per il soldato di non compromettere il proprio corpo sessualmente.  La sessualità femminile A causa dell'enfasi romana data alla famiglia, la sessualità femminile è stata considerata una delle basi per l'ordine sociale e la prosperità. Ci si aspettava che le donne romane esercitassero la propria sessualità all'interno del matrimonio, e venissero premiate per la loro integrità sessuale (pudicitia) e fecondità. Augusto concesse onori e privilegi speciali alle donne che avevano dato alla luce almeno tre bambini, attraverso lo Ius trium liberorum; la sua legge morale era incentrata sullo sfruttamento della sessualità delle donne.  Il controllo della sessualità femminile era considerata necessaria per la stabilità dello Stato, tanto che era sancito nella forma più vistosa data dalla verginitàassoluta delle Vestali attendenti al sacro fuoco. Una vestale che avesse violato il proprio voto sarebbe stata sepolta viva in un rituale che avrebbe imitato per alcuni aspetti le pratiche funerarie romane ed il suo amante l'avrebbe seguita. La sessualità femminile, sia disordinata sia esemplare, spesso poteva avere impatti anche profondi sulla religione di Stato in tempo di crisi per la repubblica romana.  Come avveniva per gli uomini, anche per le donne libere che si fossero esposte sessualmente, come prostitute od esecutrici di lenocinio, o che si fossero rese disponibili indiscriminatamente, sarebbero state escluse dalla protezione legale dovuta loro nonché dalla rispettabilità sociale.  Molte fonti letterarie romane approvano le donne rispettabili che esercitano la passione esclusivamente all'interno dell'istituzione matrimoniale; mentre la letteratura antica prende con prepotenza una visione fortemente maschilista della sessualità, il poeta augusteo Publio Ovidio Nasone esprime invece un interesse esplicito e praticamente unico del modo in cui le donne subiscono il rapporto sessuale (ciò innanzi tutto nellArs amatoria ma anche negli Amores).  Il corpo femminileModifica Gli atteggiamenti morali nei confronti della nudità femminile differivano, almeno in parte, da quelli dei Greci, pur essendo notevolmente influenzati da loro; questi ultimi avevano idealizzato il corpo maschile nudo - il nudo eroico - mentre ritraggono sempre le donne rispettabili coperte. La parziale nudità delle dèe nell'arte imperiale romana, tuttavia, poteva mettere in evidenza il seno come parte fisica dignitosa, ma in quanto per renderne un'idea piacevole d'immagine di nutrimento, abbondanza e tranquillità.  L'arte erotica sopravvissuta di questo periodo indica che le donne con seni piccoli e fianchi larghi raffiguravano l'ideale forma del corpo umano femminile. Dal I secolo d.C. l'arte romana comincia a mostrare un vasto interesse per il nudo artisticofemminile impegnato in varie attività tra le quali anche la sessualità (vedi l'arte erotica a Pompei e Ercolano); l'arte pornografica rappresentante donne in qualità di presunte prostitute nel momento in cui svolgono atti sessuali poteva mostrare il seno coperto da uno "strophium" (una sorta di reggiseno) anche quando il resto del corpo era nudo.  Nel mondo reale, così come viene descritto in letteratura, le prostitute a volte si presentavano nude all'ingresso del cubicolo del bordello a loro riservato, oppure si mostravano indossare abiti di seta trasparente; gli schiavi (e schiave) in vendita sono stati spesso esposti nudi per consentire agli acquirenti d'ispezionare i loro eventuali difetti, ma anche per simboleggiare che non avevano il diritto di controllare il proprio corpo. Seneca il Vecchio descrive il momento della vendita di una donna: "lei si presentò nuda sulla riva, a piacere dell'acquirente: ogni parte del suo corpo è stato esaminato e ritenuto. Volete ascoltare il risultato della vendita? Il pirata ha venduto, il protettore ha comprato, che la si potesse impiegare come una prostituta.  La visualizzazione del corpo femminile lo rendeva maggiormente vulnerabile, Varrone ha detto che la vista era il più grande dei sensi, perché mentre gli altri sono in un modo o nell'altro limitati dalla vicinanza, la vista poteva penetrare anche fino all'altezza delle stelle; egli pensava che la parola latina per vista-lo sguardo intenso, "visus", fosse etimologicamente collegato a vis-forza/potere. Ma il legame tra visus e vis, continua, implica anche la possibilità sempre presente di violazione (tramite quindi lo sguardo maschile), come Atteone guardando nuda Diana ne aveva violato la divinità.  Il corpo femminile completamente nudo come viene ritratto nella scultura romana è stato pensato essenzialmente per incarnare un concetto universale di Venere, la cui controparte greca Afrodite è la Deapiù spesso dipinta in stato di nudità nell'arte greca.  Genitali femminili Il termine basilare osceno per i genitali femminili è "cunnus"-fica, anche se forse non così fortemente offensiva come per la moderna lingua anglosassone. Marziale utilizza la parola più di trenta volte, Catullo una volta e Orazio tre solo nei suoi primi lavori; appare anche nei Priapea e nei graffiti. Una delle parole gergali usate dalle donne per i loro genitali era "porcus", in particolare quando donne mature discutevano di ragazze; Varrone collega quest'uso della parola al sacrificio di un maiale alla dea Cerere nel corso dei riti preliminari di nozze.  Le metafore di campi, giardini e prati sono anch'esse comuni, come lo è l'immagine dell'aratro maschile riferito al solco femminile; altre metafore includono la grotta, la fossa, il sacchetto, il vaso, la stufa, il forno e l'altare.  Anche se i genitali delle donne appaiono spesso nelle invettive e all'interno dei versi satirici come oggetti di disgusto, sono invero raramente presenti nell'elegia d'amore. OVIDIO (si veda), il più eterosessuale dei poeti classici d'amore, è l'unico che si riferisce al dare un piacere alla donna attraverso la stimolazione dei genitali; Marziale invece scrive dei genitali femminili solamente in una maniera offensiva, descrivendo la vagina di una donna come fosse l'esofago di un pellicano. e la paragona inoltre al sedere del ragazzo come ricettacolo per il fallo.  La funzione della clitoride ("landica") è stata ben compresa[135]; nel latino classico il termine era di un'oscenità altamente indecorosa ritrovato solo nei graffiti e nei Priapea. Il clitoride era solitamente indicato come una metafora, come ad esempio fa Giovenale quando lo chiama "crista" (cresta) Omosessualità femminile Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del lesbismo. Le parole greche indicanti una donna che preferisce il sesso con un'altra donna includono l'hetairistria (da confrontare con hetaira-cortigiana/compagna), tribas (plurale tribadi) e lesbia  Sessualità e gioventùModifica Sia i maschi che le femmine nati liberi potevano indossare la "Toga praetexta", una toga bianca normale con una larga striscia viola sui bordi; era riservata ai ragazzi cittadini che non avevano però ancora raggiunto la maggiore età. Questa toga assegnava chi la portava lo status di inviolabilità; lo stupro di un ragazzo nato libero costituiva un crimine capitale.  Riti di passaggioModifica Ulteriori informazioni Questa sezione sull'argomento sessualità è ancora vuota. Aiutaci a scriverla! Sesso, matrimonio e societàModifica Relazione padrone-schiavoModifica L'attrattiva sessuale era una delle caratteristiche principali richieste negli schiavi in quanto considerati proprietà oggettiva, il loro padrone poteva utilizzarli sessualmente a piacimento o anche richiederli in prestito se appartenevano ad altri. Le lettere di Cicerone hanno suggerito ad alcuni studiosi che egli potesse aver avuto una relazione omosessuale a lungo termine col proprio schiavo, e poi liberto, di nome Marco Tullio Tirone.  Prostituzione Lo stesso argomento in dettaglio: Prostituzione nell'antica Roma. Atti sessuali e relative posizioniModifica MasturbazioneModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Storia della masturbazione. Ermafroditismo e androginiaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Ermafrodito, Afrodito e Androgino. NoteModifica ^ Catharine Edwards, The Politics of Immorality in Ancient Rome (Cambridge Verstraete and Vernon Provencal, introduzione a Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity and in the Classical Tradition (Haworth Per una più estesa discussione su come la percezione moderna della decadenza sessuale romana sia stata prodotta ad arte dalla polemistica cristiana nei suoi strali anti-pagani, vedi Blanshard, "Roman Vice," in Sex: Vice and Love from Antiquity to Modernity (Wiley-Blackwell, Langlands, Sexual Morality in Ancient Rome (Cambridge Hölkeskamp, Reconstructing the Roman Republic: An Ancient Political Culture and Modern Research (Princeton Langlands, Sexual Morality, p.17. ^ Langlands, Sexual Morality, Fantham, "Stuprum: Public Attitudes and Penalties for Sexual Offences in Republican Rome", in Roman Readings: Roman Response to Greek Literature from Plautus to Statius and Quintilian (Walter de Gruyter, Richlin, "Not before Homosexuality: The Materiality of the cinaedus and the Roman Law against Love between Men", Journal of the History of Sexuality. Under the Empire, the emperor assumed the powers of the censors Foucault, Storia della sessualità vol. II: la cura di sé (New York: Vintage (in contrasto con la visione cristiana della sessualità come "legata al male") et passim, e come viene sintetizzato da Inger Furseth and Pål Repstad, An Introduction to the Sociology of Religion: Classical and Contemporary Perspectives (Ashgate, Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico (Yale, originariamente in italiano Langlands, Sexual Morality, Cantarella, Bisessualità nel mondo antico, Clarke, Looking at Lovemaking: Constructions of Sexuality in Roman Art (California Press, Langlands, Sexual Morality; Clarke, Looking at Lovemaking, McGinn, The Economy of Prostitution in the Roman World (University of Michigan Press, 2004), p. 164. ^ Craig Williams, Roman Homosexuality (Oxford, citando Saara Lilja, Homosexuality in Republican and Augustan Rome (Societas Scientiarum Fennica, Nussbaum, "The Incomplete Feminism of Musonius Rufus, Platonist, Stoic, and Roman", in The Sleep of Reason: Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient Greece and Rome (University of Chicago Skinner, introduction to Roman Sexualities (Princeton Langlands, Sexual Morality, Edwards, The Politics of Immorality, Clarke, Looking at Lovemaking, p. 8, sostiene che gli antichi romani "non hanno un'idea consapevole della loro sessualità". Vedi anche Diana M. Swancutt, "Still before Sexuality: 'Greek' Androgyny, the Roman Imperial Politics of Masculinity and the Roman Invention of the tribas", in Mapping Gender in Ancient Religious Discourses (Brill, e la discussione di costruttivismo sociale contrario all'essenzialismo di Thomas Habinek, "The Invention of Sexuality in the World-City of Rome", in The Roman Cultural Revolution (Cambridge Clarke, Looking at Lovemaking, Richlin, "Sexuality in the Roman Empire", in A Companion to the Roman Empire (Blackwell, Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," Ovid, Tristia Griffin, "Propertius and Antony", Journal of Roman Studies Ovid, Tristia Hofmann, Latin Fiction: The Latin Novel in Context (Routledge, Plutarco, Vita di Crasso Clarke, Looking at Lovemaking, p. 3 et passim. ^ Clarke, Looking at Lovemaking, La "Tabella" era un piccolo dipinto portatile, distinto dalla pittura murale permanente. ^ Ovidio, Tristia 2, così com'è citato da Clarke in Looking at Lovemaking, Clarke, Looking at Lovemaking, Clarke, Looking at Lovemaking, quotation. L'osservazione critica proviene da Svetonio, Vita di Orazio: Ad res Venerias intemperantior traditur; nam speculato cubiculo scorta dicitur habuisse disposita, ut quocumque respexisset ibi ei imago coitus referretur; Clarke, Looking at Lovemaking, Svetonio, Vita di Tiberio Clarke, Looking at Lovemaking, Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," Richlin, "Sexuality in the Roman Empire, Ad esempio, Agatha of Sicily e Febronia of Nisibis; Sebastian P. Brock and Susan Ashbrook Harvey, introduction to Holy Women of the Syrian Orient (University of California Harvey, "Women in Early Byzantine Hagiography: Reversing the Story," in That Gentle Strength: Historical Perspectives on Women in Christianity (University Press of Virginia,. I racconti di mutilazione del seno si trovano nelle fonti e nell'iconografia cristiana, non nell'arte e nella letteratura romana.. ^ Richlin, "Sexuality in the Roman Empire, Anche se non vi sono dubbi sul fatto che Ausonio fosse un cristiano, le sue opere contengono molte indicazioni che dimostrano un notevole interesse - forse addirittura ne è stato un praticante - nei riguardi delle religioni tradizionali romane e celtiche. Come sostenuto da Ariadne Staples in tutto il suo From Good Goddess to Vestal Virgins: Sex and Category in Roman Religion (Routledge, Schultz, Women's Religious Activity in the Roman Republic (University of North Carolina Lipka, Roman Gods: A Conceptual Approach (Brill, See Flamen Dialis and rex sacrorum. Beard, North, and Price, Religions of Rome: A History (Cambridge Wildfang, Rome's Vestal Virgins: A Study of Rome's Vestal Priestesses in the Late Republic and Early Empire (Routledge, Staples, From Good Goddess to Vestal Virgins, CICERONE (si veda), De officiis: nam cum sit hoc natura commune animantium, ut habeant libidinem procreandi, prima societas in ipso coniugio est, proxima in liberis, deinde una domus, communia omnia; id autem est principium urbis et quasi seminarium reipublicae; MacCormack, "Sin, Citizenship, and the Salvation of Souls: The Impact of Christian Priorities on Late-Roman and Post-Roman Society," Comparative Studies in Society and History Com'è espresso nella prima invocazione a Venere di Tito Lucrezio Caro nel De rerum natura: "Begetter (genetrix) of the line of Aeneas, the pleasure (voluptas) of human and divine." ^ J. Rufus Fears, "The Theology of Victory at Rome: Approaches and Problem," Aufstieg und Niedergang der römischen Welt. Silla poteva in quel momento essere o meno stato un àugure. Williams, Roman Homosexuality: Ideologies of Masculinity in Classical Antiquity (Oxford Henig, Religion in Roman Britain(London: Batsford, PLINIO (si veda), Naturalis historia, dice che quando un generale celebrava un trionfo, le Vestali appendevano l'effigie del Fascinus nella parte inferiore del suo carro per proteggerlo dall'invidia. Turcan, The Gods of Ancient Rome (Routledge; originally published in French; Rüpke, Religion in Republican Rome: Rationalization and Ritual Change (University of Pennsylvania Iter amoris, "journey" or "course of love". See Propertius; Ovidio, Fasti;George, "The 'Dark Side' of the Toga," in Roman Dress and the Fabrics of Roman Culture, Toronto; Palmer, "Mutinus Titinus: A Study in Etrusco-Roman Religion and Topography," in Roman Religion and Roman Empire, Pennsylvania, ha sostenuto che quello di Mutunus Tutunus fosse un sotto-culto di quello che era dedicato a Libero; Agostino di Ippona, De civitate Dei, ha detto che un fallo era un oggetto divino utilizzato durante la Liberalia per respingere le influenze malevoli dalle colture. ^ Clarke, Looking at Lovemaking, Langlands, Sexual Morality, Spaeth, The Roman Goddess Ceres (University of Texas Press, , citing Festus (87 in the edition of Müller) parlando della torcia, rileva che le sacerdotesse devote e dedicate al culto di Cerere nelle province romane nordafricane fanno voto di castità come avviene tra le Vestali (Tertulliano, Ad uxorem 1.6 Oehler). Ovidio nota che Cerere è soddisfatta anche da piccole offerte, purché siano caste (Fasti). Statius dice che Cerere stessa è casta (Silvae). La preoccupazione di associare la dea con la "castitas" può avere a che fare con la sua funzione di tutelare i passaggi oltre i confini, compresa quindi anche la transizione tra la vita e la morte, come avviene nelle religioni misteriche. Brouwer, Bona Dea: The Sources and a Description of the Cult (Brill; Mueller, Roman Religion in Valerius Maximus; Rasmussen, Public Portents in Republican Rome (L'Erma» di Bretschneider, Wildfang, Rome's Vestal Virgins, Crassus's nomen was Licinius; the Vestal's name was Licinia (see Roman naming conventions). His reputation for greed and sharp business dealings helped save him; he objected that he had spent time with Licinia to obtain some real estate she owned. For sources, see Alexander, Trials in the Late Roman Republic (Toronto; Plutarch, Life of Crassus, implies that the prosecution was motivated by political utility. One or more Vestals were also brought before the College of Pontiffs for incestum in connection with the Catiline Conspiracy (Alexander, Trials, The sources on this notorious incident are numerous; Brouwer, Bona Dea, p. 144ff., gathers the ancient accounts. Frier and McGinn, A Casebook on Roman Family Law, Oxford Richlin, The Garden of Priapus: Sexuality and Aggression in Roman Humor (Oxford Stuprum cum vi or per vim stuprum: Richlin, "Not before Homosexuality, For instance, in the mid-3rd century BC, Naevius uses the word stuprum in his Bellum Punicum for the military disgrace of desertion or cowardice; Elaine Fantham, "Stuprum: Public Attitudes and Penalties for Sexual Offences in Republican Rome," in Roman Readings: Roman Response to Greek Literature from Plautus to Statius and Quintilian (Walter de Gruyter, Fantham, "Stuprum: Public Attitudes and Penalties," p. Moses, "LIVIO (si veda)’s Lucretia and the Validity of Coerced Consent in Roman Law," in Consent and Coercion to Sex and Marriage in Ancient and Medieval Societies (Dunbarton; Gillian Clark, Women in Late Antiquity: Pagan and Christian Life-styles (Oxford Moses, "Livy's Lucretia, Gillespie and Hardie, introduction to The Cambridge Companion to LUCREZIO (si veda) (Cambridge). A scholiast gives an example of an unnatural and unnecessary desire as acquiring crowns and setting up statues for oneself; see J.M. Rist, Epicurus: An Introduction (Cambridge Hardie, "Lucretius and Later Latin Literature in Antiquity," in The Cambridge Companion to LUCREZIO (si veda); McGinn, Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome (Oxford. See the statement preserved by Aulus Gellius that " it was an injustice to bring force to bear against the body of those who are free" (vim in corpus liberum non aecum adferri). Fantham, "The Ambiguity of Virtus in Lucan's Civil War and Statius' Thebiad," Arachnion; Bell, "Cicero and the Spectacle of Power," Journal of Roman Studies Ramage, “Aspects of Propaganda in the De bello gallico: Caesar’s Virtues and Attributes,” Athenaeum Myles Anthony McDonnell, Roman manliness: virtus and the Roman Republic (Cambridge); Evans, Utopia Antiqua: Readings of the Golden Age and Decline at Rome (Routledge, Craig A. Williams, Roman Homosexuality(Oxford Cantarella, Bisexuality in the Ancient World, p. xi; Skinner, introduction to Roman Sexualities, Richlin, The Garden of Priapus, Edwards, "Unspeakable Professions: Public Performance and Prostitution in Ancient Rome," in Roman Sexualities, Edwards, "Unspeakable Professions, Aulus Gellius; Williams, Roman Homosexuality, Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," in A Companion to the Roman Empire.The law began to specify harsher punishments for the lower classes (humiliores) than for the elite (honestiores). ^ This is a theme throughout Carlin A. Barton, The Sorrows of the Ancient Romans: The Gladiator and the Monster (Princeton Heskel, "Cicero as Evidence for Attitudes to Dress in the Late Republic," in The World of Roman Costume (University of Wisconsin Bonfante, "Nudity as a Costume in Classical Art," in American Journal of Archaeology Ovid, Fasti Newlands, Playing with Time: Ovid and the Fasti (Cornell Williams, Roman Homosexuality, Zanker, The Power of Images in the Age of Augustus (Michigan; Zanker, The Power of Images in the Age of Augustus, Plutarch, Life of Cato 20.5; Williams, Roman Homosexuality, Zanker, The Power of Images in the Age of Augustus, p. 6. ^ Fino alla tarda Repubblica, un bagno di casa probabilmente offerto le donne un'ala o struttura separata, o ha avuto un programma che permetteva alle donne e agli uomini di fare il bagno in tempi diversi. Dalla tarda Repubblica fino alla prevalenza del cristianesimo nel tardo impero, non vi è una chiara evidenza di balneazione mista. Alcuni studiosi hanno pensato che solo le donne delle classi inferiori si bagnassero con gli uomini, o le prostitute che erano infames, ma Clemente di Alessandria ha osservato che le donne delle più alte classi sociali potevano essere viste nude ai bagni. Adriano vietata la balneazione mista, ma il divieto non sembra fosse rigorosamente rispettato. In breve, i costumi variavano non solo nel tempo e nei luoghi, ma anche rispetto alla struttura sociale predominante; vedi Garrett G. Fagan, Bathing in Public in the Roman World (University of Michigan Clarke, Looking at Lovemaking, p. 84; David J. Mattingly, Imperialism, Power, and Identity: Experiencing the Roman Empire (Princeton Richlin, "Pliny's Brassiere," in Roman Sexualities, Mattingly, Imperialism, Power, and Identity, Williams, Roman Homosexuality, citing Suetonius, Life of Nero. ^ Edwards, The Politics of Immorality, Edwards, Politics of Immorality, The case, which nearly shipwrecked Clodius's political career, is discussed at length by his biographer, Tatum, The Patrician Tribune: Publius Clodius Pulcher, North Carolina; Clodius, a crocota, a mitra, a muliebribus soleis purpureisque fasceolis, a strophio, a psalterio, a flagitio, a stupro est factus repente popularis: Cicero, the speech De Haruspicium Responso,  given a Lacanian analysis by Leach, “Gendering Clodius,” Classical World Williams, Roman Homosexuality, Edwards, The Politics of Immorality see also Tatum, Always I Am Caesar (Blackwell Murray, Homosexualities (University of Chicago Bachvarova, "Sumerian Gala Priests and Eastern Mediterranean Returning Gods: Tragic Lamentation in Cross-Cultural Perspective," in Lament: Studies in the Ancient Mediterranean and Beyond (Oxford See also "Hermaphroditism and androgyny" below. ^ Williams, Roman Homosexuality, Catullo, Carmina Tibullus, Book One, elegies Propertius McGinn, Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome (Oxford McGinn, Prostitution, Sexuality and the Law, Potter, "The Roman Army and Navy," in The Cambridge Companion to the Roman Republic, Southern, The Roman Army: A Social and Institutional History (Oxford; Phang, The Marriage of Roman Soldiers: Law and Family in the Imperial Army (Brill, Phang, The Marriage of Roman Soldiers Il [[De Bello Hispaniensi|]], circa la guerra civile di Cesare sul fronte della Spagna romana, parla di un ufficiale che ha una concubina di sesso maschile (concubinus) che si porta appresso. Polibio, Storie (translated as bastinado). Phang, Roman Military Service: Ideologies of Discipline in the Late Republic and Early Principate (Cambridge See also "Master-slave relations. Phang, Roman Military Service, Roman law recognized that a soldier was vulnerable to rape by the enemy: Digest, as discussed by Richlin, "Not before Homosexuality, Severy, Augustus and the Family at the Birth of the Roman Empire (Routledge, 2003), p. 39. ^ Hans-Friedrich Mueller, Roman Religion in Valerius Maximus (Routledge; Langlands, Sexual Morality; See further discussion at Pleasure and infamy below. Clarke, Looking at Lovemaking, Gibson, Ars Amatoria (Cambridge Cohen, "Divesting the Female Breast; Cameron, The Last Pagans, p. 725; Bonfante, "Nudity as a Costume in Classical Art," passim. See discussion of the iconography of breastsfollowing. Olson, "The Appearance of the Young Roman Girl," in Roman Dress and the Fabrics of Roman Culture (University of Toronto Clarke, Looking at Lovemaking, Clarke, "Look Who's Laughing at Sex," in The Roman Gaze, Blanshard, Sex: Vice and Love from Antiquity to Modernity (Wiley-Blackwell, Harper, Slavery in the Late Roman Mediterranean, Cambridge Seneca, Controversia VARRONE (si veda), De lingua latina, citing a fragment from the Latin tragedian Accius on Actaeon that plays with the verb video, videre, visum, "see," and its presumed connection to vis (ablative vi, "by force") and violare, "to violate": "He who saw what should not be seen violated that with his eyes" (Cum illud oculis violavit is, qui invidit invidendum); David Frederic, "Invisible Rome," in The Roman Gaze. Ancient etymology was not a matter of scientific linguistics, but of associative interpretation based on similarity of sound and implications of theology and philosophy; see Davide Del Bello, Forgotten Paths: Etymology and the Allegorical Mindset (Catholic University of America Clement of Alexandria, Protrepticus; Allison R. Sharrock, "Looking at Looking: Can You Resist a Reading?" in The Roman Gaze; Adams, The Latin Sexual Vocabulary, Adams, The Latin Sexual Vocabulary; VARRONE (si veda), On Agriculture; Hersch, The Roman Wedding: Ritual and Meaning in Antiquity (Cambridge Spaeth, The Roman Goddess Ceres (University of Texas Press, Adams, The Latin Sexual Vocabulary, Adams, The Latin Sexual Vocabulary; Richlin, The Garden of Priapus. Throughout the Ars Amatoria ("Art of Love"); Gibson, Ars Amatoria Martial, Epigrams: tam laxa ... quam turpe guttur onocrotali; Richlin, The Garden of Priapus, Richlin, The Garden of Priapus, Clarke, Looking at Lovemaking, Adams, The Latin Sexual Vocabulary, Juvenal; Adams, The Latin Sexual Vocabulary, Il bordo viola appare anche sulle toghe dei magistrati tra le cui funzioni vi è anche quella di presiedere ai sacrifici; era inoltre la toga indossata da un figlio in lutto dopo aver effettuato i riti funebri, ed infine lo stesso colore appariva sui veli delle Vestali; Judith Lynn Sebesta, "Women's Costume and Feminine Civic Morality in Augustan Rome," Gender & History and "Symbolism in the Costume of the Roman Woman; Adams, J.N. The Latin Sexual Vocabulary. Johns Hopkins Brown, Robert D. Lucretius on Love and Sex. Brill; Cantarella, Eva. Bisexuality in the Ancient World. Yale Clarke, John R. Looking at Lovemaking: Constructions of Sexuality in Roman Art University of California Edwards, Catharine. The Politics of Immorality in Ancient Rome. Cambridge; Fantham, Stuprum: Public Attitudes and Penalties for Sexual Offences in Republican Rome." In Roman Readings: Roman Response to Greek Literature from Plautus to Statius and Quintilian. Gruyter, Frederic, David, ed. The Roman Gaze: Vision, Power, and the Body. Johns Hopkins Gaca, Kathy L. The Making of Fornication: Eros, Ethics and Political Reform in Greek Philosophy and Early Christianity. University of California Gardner, Women in Roman Law and Society. Indiana Hallett, Judith P., and Skinner, Marilyn, eds. Roman Sexualities. Princeton Hubbard, Thomas K. Homosexuality in Greece and Rome: A Sourcebook of Basic Documents. University of California Langlands, Rebecca. Sexual Morality in Ancient Rome. Cambridge McGinn, Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome. Oxford; McGinn, The Economy of Prostitution in the Roman World. Michigan Press, Nussbaum, The Incomplete Feminism of Musonius Rufus, Platonist, Stoic, and Roman." In The Sleep of Reason: Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient Greece and Rome. University of Chicago Phang, The Marriage of Roman Soldiers: Law and Family in the Imperial Army. Brill, Richlin, Amy. "Not before Homosexuality: The Materiality of the cinaedus and the Roman Law against Love between Men." Journal of the History of Sexuality Richlin, Amy. The Garden of Priapus: Sexuality and Aggression in Roman Humor. Oxford; Verstraete and Provencal, Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity and in the Classical Tradition. Haworth Press, 2005. Williams, Craig A. Roman Homosexuality: Ideologies of Masculinity in Classical Antiquity. Oxford Younger, Sex in the Ancient World from A to Z. Routledge; Ancona, Ronnie, and Greene, Ellen eds. Gender Dynamics in Latin Love Poetry. Johns Hopkins University Press, Skinner, Marilyn. Sexuality in Greek And Roman Culture. Blackwell Publishing. Voci correlateModifica Arte erotica a Pompei e Ercolano Omosessualità nell'Antica Roma Sessualità nell'antica Grecia Storia della sessualità umana. Portale Antica Roma   Portale Erotismo. Baraldini  Omosessualità nell'antica Roma Irrumatio tipo di pratica del sesso orale  Lex Scantinia Wikipedia Il contenuto  Omosessualità nell'antica Roma Lingua Segui Modifica Gli atteggiamenti sociali nei confronti dell'omosessualità nell'antica Roma e i comportamenti relativi differiscono - spesso in una maniera assai notevole - da quelli assunti della contemporanea civiltà occidentale e presenti in essa; il tema deve pertanto essere affrontato necessariamente attraverso la visione del mondo e della sessualità tipica della maggioranza delle società antiche, molto diversa da quella moderna.   Graffito in versi proveniente da Pompei antica. Lo scrivente, bruciato dalle fiamme d'amore, incita il mulattiere a smetterla di bere e a pungolare semmai i muli per arrivare prima a casa, dove un bel ragazzo, di cui egli è innamorato, lo attende (là ove l'amore è dolce). Il ruolo passivo come discriminante moraleModifica Per le antiche civiltà precristiane intrise di paganesimo, soprattutto per quelle del mondo classico (antica Grecia e antica Roma), non esisteva un'autentica differenziazione individuale basata sull'orientamento sessuale o di identità di genere. Piuttosto, questa esisteva in base al ruolo assunto all'interno del rapporto sessuale: l'identificazione e le leggi che regolavano le relazioni e le varie pratiche amorose non si fondavano sull'oggetto del desiderio (una persona dello stesso sesso o di quello opposto), ma la discriminante era bensì data dal fatto che quella persona ricoprisse un ruolo attivo e associato quindi alla virilità e alla mascolinità, oppure uno passivo, generalmente considerato come estremamente degradante e tipico della femminilità (era dato cioè dall'atto che poteva essere dominante o sottomesso, come viene indicato anche nell'uso dei termini catamite e irrumatio).  Agli antichi romani era peraltro completamente sconosciuta anche la dicotomia del concetto moderno tra un'esclusiva omosessualità e un'altrettanto esclusiva eterosessualità, proprio per il fatto che l'identificazione sessuale avveniva per lo più in base al ruolo svolto durante l'atto intimo (vedi attivo e passivo nel sesso); la stessa lingua latina manca di parole traducibili con eterosessuale o omosessuale come un'identità consapevole di chi prova attrazione solo nei confronti di persone dell'altro o del proprio stesso sesso.   Antinoo, il giovane di cui s'innamorò l'imperatore romanodel II secolo Publio Elio Traiano Adriano. Quando l'amato morì, Adriano ne fece letteralmente un dio, innalzandogli decine di statue in tutto l'impero. La società romana seguiva i dettami del patriarcato, un sistema impregnato da forti connotazioni di maschilismo; per i maschi adulti ingenui, quelli che possedevano cioè a tutti gli effetti la cittadinanza romana (la Libertas-libertà politica e il diritto di governare sé stessi e la propria familia con l'autorità derivante dal pater familias), la Virtus è stata sempre intesa come una delle qualità attive per eccellenza e attraverso la quale l'uomo-vir si viene maggiormente a definire. Gli uomini erano liberi d'intrattenere rapporti sessuali con altri maschi senza alcuna percezione di perdita di virilità o di status sociale, fintanto e a condizione che avessero assunto la posizione di comando (sessualmente penetrativa).  Il ruolo attivo come segno di virilità Modifica La mentalità di conquista e il culto della virilità formano nel corso del tempo anche le relazioni omoerotiche; la pratica omosessuale a Roma si afferma molto presto come rapporto di dominazione, ad esempio del cittadino sopra lo schiavo, il tutto a conferma della decisa virilità mascolina dell'uomo romano; la schiavitù nell'antica Roma contemplava difatti anche una decisiva sudditanza sessuale nei confronti di chi deteneva il potere sopra altre persone. L'ideale romano di mascolinità funge in tal modo da premessa all'assunzione di un ruolo attivo sempre e comunque, preso e innalzato a valore supremo: ciò costituiva "la prima direttiva del comportamento sessuale maschile per i Romani.  Partner maschili accettabili erano sia gli schiavi sia tutti coloro che si dedicavano alla prostituzione maschile ma anche quelli il cui stile di vita li immetteva nel nebuloso campo sociale dell'infamia, gli esclusi dalle normali protezioni accordate a ogni cittadino, questo anche se fossero stati tecnicamente liberi. Pur preferendo nella generalità dei casi la pederastia(compagnia intima con giovani di età compresa tra i 12 e i 20 anni), con i minori di sesso maschile nati liberi agli uomini adulti era rigorosamente proibito qualsivoglia tipo di approccio, mentre i prostituti di professione e gli schiavi potevano essere anche molto più vecchi[4].  Omosessualità femminileModifica Le relazioni omosessuali tra le donne sono meno documentate. Anche se le donne nell'antica Romaappartenenti alle classi più alte (come le matrone) erano solitamente istruite e vi sono esempi noti di scrittura poetica e vaste corrispondenze con parenti di sesso maschile, molto poco e frammentario è ciò che è sopravvissuto rispetto a quello che potrebbe essere stato effettivamente scritto da mani femminili. Gli scrittori maschi hanno mostrato ben poco interesse al modo in cui le donne hanno sperimentato e vissuto la sessualità in generale; il poeta latino dell'era augustea (vedi Storia della letteratura latina Publio Ovidio Nasone risulta qui un'eccezione, dimostrandosi particolarmente acuto e sensibile al riguardo; ma egli è anche uno dei più strenui sostenitori di uno stile di vita fortemente improntato all'amore verso le donne e in opposizione alle norme sessuali romane alternative a esso.  Durante la repubblica romana e nel corso dell'epoca costituita dal principato e dall'inizio dell'alto impero romano assai poco viene registrato riguardo a relazioni sentimentali tra donne, mentre prove migliori e di più ampio genere sussistono, anche se variamente disperse, per il successivo periodo del tardo impero romano e della tarda antichità.  Excursus storicoModifica Quando si parla di omosessualità nella romanità antica bisogna necessariamente distinguere almeno tre grandi periodizzazioni storiche, in cui spesso cambia la concezione e la visione e accettazione stessa dei rapporti omosessuali:  il periodo dell'Età regia di Roma e quello repubblicano antecedente al 146 a.C. (Grecia romana); il periodo repubblicano successivo alla conquista della Grecia fino all'Alto Impero romano; infine il periodo del basso Impero.  Busto antico romano di ignoto adolescente, conservato all'Ermitage di San Pietroburgo e datato al II secolo d.C. Periodo antecedente la conquista della Grecia Lo stesso argomento in dettaglio: Vizio greco (antica Roma). Nel periodo repubblicano antecedente alla conquista della Grecia i rapporti omosessuali erano osteggiati e visti con sospetto. I Romani identificavano infatti il rapporto tra persone dello stesso sesso come il vizio greco, sostenendo che nei loro antenati non esistesse l'omosessualità, ritenuta un'offesa al costume degli avi (il famoso mos maiorum), contraria al rigore del "civis Romanus" e motivo dell'indebolimento e del rammollimento della società romana stessa.  La libertà politica di un cittadino è stata definita in parte dal diritto di preservare il proprio corpo da qualsivoglia costrizione fisica, comprendente pertanto sia la punizione corporale sia l'abuso sessuale; il sentimento di mascolinità era la premessa imprescindibile della capacità di governare sia sé stessi sia altre persone di status inferiore e la Virtus, come già sottolineato, è il valore che rende l'uomo più pienamente uomo: la virtù attiva per eccellenza, quindi.  Periodo successivo alla conquista della Grecia e Alto ImperoModifica Con la conquista della Grecia, assieme alla cultura della Grecia classica, Roma assorbe anche molte usanze, tra cui il cosiddetto "amore greco". Ma i civesromani praticavano l'omosessualità solamente con gli schiavi e con i liberti. Era deprecabile che un cittadino assumesse il ruolo passivo in un rapporto omosessuale, perché questo era in conflitto con una certa ideologia virile e dominatrice presente in tutta la società romana.  La conquista sessuale diviene presto metaforacomune, utilizzata spesso nell'arte retorica romana più favorevole all'imperialismo[9], e la mentalità da conquistatori, inerente anche alla sfera della sessualità nell'antica Roma, faceva parte di un culto generico della virilità il quale poteva condurre anche a particolari forme di pratiche omosessuali tra gli uomini. Gli studiosi contemporanei tendono pertanto a vedere le espressioni inerenti alla sessualità maschile umana all'interno della civiltà romana in termini di opposizione binaria nel modello penetratore-penetrato; cioè l'unico modo corretto per un maschio romano di cercare gratificazione sessuale era quello di inserire il suo pene nel/nella partner: permettere di lasciarsi penetrare avrebbe invece minacciato la propria libertà come cittadino, oltre che la sua intrinseca integrità sessuale. Il ruolo passivo indicante sottomissione era sommamente disprezzato e visto come sintomo di mollezza, di rinuncia alla virilità e perciò deprecabile e vergognoso, specialmente se era un cittadino romano a ricoprirlo. Ci si aspettava ed era socialmente accettabile per un uomo romano nato libero di voler consumare esperienze sessuali con entrambi i tipi di partner, sia maschili sia femminili, l'importante era mantenere un ruolo dominante[13]. La moralità del comportamento dipendeva poi anche dalla posizione sociale del partner, indipendentemente dal fatto che fosse un uomo o una donna; le donne e i giovani uomini sono stati entrambi considerati normali oggetti del desiderio, ma fintanto che si manteneva al di fuori del vincolo matrimoniale un uomo avrebbe dovuto cercare di soddisfare i propri desideri solo con schiavi, prostitute (che spesso erano schiave o ex-schiave anch'esse) e gli infames (i succitati sottoposti a infamia).  Il sesso di un partner non determinava se questa relazione fosse accettabile o meno, sempre però a patto che il godimento di un uomo non usurpasse l'integrità di un altro uomo: era altamente immorale ad esempio avere una relazione con la moglie di un altro uomo nato libero, con una ragazza in età da marito o con un ragazzo minorenne di buona famiglia, o con lo stesso cittadino libero adulto; mentre l'uso sessuale degli schiavi di un altro uomo doveva sottostare al permesso del proprietario. La mancanza di autocontrollo, anche nell'ambito della gestione della propria vita sessuale, indicava platealmente che quell'uomo era del tutto incapace di governare gli altri; troppa indulgenza nei confronti dei "bassi piaceri sensuali" minacciava di erodere l'identità del maschio dell'élite nella sua qualità di persona istruita (quindi migliore e destinata a governare). Particolare della tomba-monumento di un giovane che mostra un antico ragazzo romano con indosso una bulla, l'amuletopensato per proteggere un bambino nato libero da influenze sovrannaturali malevoli e lo segnava come sessualmente indisponibile/intoccabile. La Lex Scantinia condanna espressamente l'uomo nel caso di rapporti omosessuali tra un adulto e un puer o praetextati (da praetexta, la toga bianca orlata di porpora che portavano i ragazzi che non avevano ancora raggiunto l'età della piena maturità sessuale (fino ai 15-17 anni)), mentre nel caso di rapporto omosessuale tra cittadini liberi adulti veniva punito quello che tra i due assumeva il ruolo passivo, con una multa che poteva ammontare fino a 10.000 sesterzi.  La Lex Scantinia, di cui non ci è pervenuto il testo ma che abbiamo solamente attraverso citazioni tratte dagli scritti del filosofo Marco Tullio Cicerone, di Decimo Magno Ausonio, dello storico Gaio Svetonio Tranquillo, del poeta Decimo Giunio Giovenale e infine da parte degli autori cristiani Tertulliano e Prudenzio, è un'importante testimonianza a dimostrazione del fatto che l'omosessualità veniva praticata in tutti gli ambienti sociali.   Stele funebre dell'adolescente Philetos, del demo di Aixone che indossa la toga. Esposta nel cortile interno coperto del "Museo archeologico del Ceramico" ad Atene. In età imperiale, le ansie circa la perdita della libertà politica e la subordinazione del cittadino all'imperatore si sono espresse nella percezione di un aumento del volontario comportamento omosessuale passivo tra gli uomini liberi, accompagnato da una crescita documentata nell'esecuzione di punizioni corporali sui cittadini. La dissoluzione degli ideali repubblicani di integrità fisica in relazione alla "libertas" contribuisce alla licenza sessuale e si riflette nella decadenza associata con l'impero.  A ogni modo, analizzando i testi e i poemi degli scrittori antichi, non si può fare a meno di notare alcune contraddizioni, almeno dal punto di vista del pensiero moderno, sul tema dell'omosessualità: se da una parte infatti molti scrittori esaltano e descrivono le gesta omoerotiche, vantandosi di conquiste amorose nei confronti di giovani, schiavi e liberti (in molte tra le poesie di Caio Valerio Catullo, o addirittura dando consigli su come conquistare i ragazzi (come fa Albio Tibullo); dall'altra altri scrittori, se non gli stessi, ironizzano, in modo molto spesso violento, contro chi si macchia di effeminatezza (gli uomini che ricoprono il ruolo passivo nei rapporti omosessuali maschili) soprattutto se cittadini romani, scherniti e derisi quando non violentemente attaccati come causa di decadimento sociale (lo stesso Catullo nei Carmina).  Questa apparente contraddizione è in un certo senso giustificata dalla visione che della società avevano i romani, tipicamente e prettamente maschilista, dove il ruolo attivo in un rapporto sessuale, sia con donne sia con uomini, era sintomo di virilità e veniva esaltato, in rapporto anche alla superiorità della Gens Romana sopra gli altri popoli, destinata quindi a dominarli anche sessualmente. Statua di Giulio Cesare, esempio di nudo eroico. Anche molti uomini illustri tra i più noti e stimati, uno fra tutti Gaio GIULIO (si veda) Cesare - membro autorevole della Gens Giulia e capostipite della dinastia giulio-claudia - provavano una forte attrazione nei confronti di persone dello stesso sesso: l'omosessualità, o meglio la bisessualità, di Cesare è ben testimoniata da Cicerone secondo cui egli era "il marito di tutte le mogli e la moglie di tutti i mariti".  I suoi gusti nella sfera sessuale furono spesso motivo di pettegolezzo e canzonatura da parte sia dei detrattori sia degli stessi soldati a lui sottoposti; Plutarco e Svetonio narrano approfonditamente della sua relazione omoerotica avuta in gioventù con l'ultimo sovrano del regno di Bitinia Nicomede IV; non vi fu nemico o personaggio pubblico che non cogliesse l'occasione, anche a distanza di anni, per fare della maldicenza a proposito dei rapporti particolari intercorsi fra il giovane Cesare e il re.  Cesare veniva di volta in volta definito "rivale della regina di Bitinia", "stalla di Nicomede", "bordello di Bitinia". Marco Campurnio Bibulo, collega di Cesare nel consolato, riprendendo la vecchia accusa che lo dipingeva come regina di Bitinia, per attaccare la sfrenata ambizione di Cesare che manifestava tendenze monarchiche affermò: "Questa regina, una volta aveva voluto un re, ora vuole un regno". I legionari, il giorno del trionfo di Cesare sui Galli, seguendo il costume che consentiva ai soldati di indirizzare il giorno del trionfo versi piccanti e scurrili al proprio comandante, intonarono un canto che suonava più o meno così. Gallias Caesar subegit, Nicomedes Caesarem: ecce Caesar nunc triumphat qui subegit Gallias, Nicomedes non triumphat qui subegit Caesarem. (Svetonio, Vita di Cesare.) Lo stesso Cicerone, riferendosi ai fatti di Bitinia, scriveva nelle sue lettere che con Nicomede Cesare ha perso il fiore della giovinezza e un giorno, in Senato, durante una seduta in cui Cesare per perorare la causa di Nisa, figlia di Nicomede, ricorda i benefici ricevuti da quel re, Cicerone pubblicamente lo interruppe esclamando. Lascia perdere questi argomenti, ti prego, poiché nessuno ignora che cosa egli ha dato a te e ciò che tu hai dato a lui”.  Gaio Valerio Catullo ebbe a sostenere che Cesare e il suo ufficiale Mamurra durante la campagna di Galliaavessero avuto una relazione, ma più tardi si scusò: in quest'episodio Cesare dimostrò tutta la sua clementia, concedendo al poeta il suo perdono e lasciandogli frequentare la sua domus. Marco Antonio, infine, insinuò, nel tentativo di diffamare il suo avversario durante la guerra civile, che Cesare avesse avuto un rapporto anche con il nipote Ottaviano, e che la causa della sua adozione fosse stata proprio la loro relazione amorosa. Ottaviano Augusto da giovinetto. Omoerotismo tra gli imperatoriModifica D'altra parte, tra i primi imperatori romani tutti (tranne Claudio) ebbero predisposizione ad abituali e ripetute esperienze omoerotiche: dopo Cesare, soprannominato con dileggio la "Regina di Bitinia" e la "moglie di tutti i mariti"; Augusto, il quale quand'era chiamato ancora solo Ottaviano veniva additato con disprezzo dai detrattori col nome di Ottavia: Marco Antonio ebbe modo in seguito di accusare Ottaviano di essersi guadagnato la sua adozione da parte di Cesare attraverso favori sessuali, anche se occorre dire che Svetonio descrive l'accusa rivoltagli da Antonio come pura calunnia politica. Dopo che Marco Favonio fu catturato e giustiziato a seguito della battaglia di Filippi Ottaviano acquistò uno dei suoi schiavi, un certo Sarmento, quando tutte le proprietà del nemico sconfitto vennero messe in vendita: è stato affermato poi ch'egli divenne il catamite preferito dello stesso futuro imperatore. Quinto Dellio dirà in seguito a Cleopatra che, mentre lui e gli altri dignitari venivano trattati come vino acido da Antonio, Ottaviano si stava gustando il "catamite Falerno" a Roma. Busto di Tiberio. Tiberio a Capri predilige i ragazzini appena puberi raccolti tra i figli della comunità locale e li chiamava i suoi "pesciolini", spiandoli mentre nuotavano nudi in piscina o intrattenevano rapporti sessuali tra di loro; è sempre Svetonio a dirci, forse volutamente esagerando (tanto da fargli commentare: "si rese colpevole anche di azioni ancora più turpi e infamanti, che a mala pena si possono riferire e ascoltare, o addirittura credere"), che l'anziano imperatore avesse addestrato dei fanciulli in tenerissima età per andare in seguito a vivere con lui nella residenza di Villa Jovis, li invitava poi a scherzare tra le sue gambe mentre nuotava e a risvegliare i suoi sensi con baci e morsi. Nelle ville capresi infine, le orge sarebbero state all'ordine del giorno e si sarebbero svolte davanti a una collezione di dipinti erotici di arte greca da prendere a modello. Caligola era bisessuale e incestuoso; Neronesottopose a castrazione il suo schiavo adolescente Sporo per poi incoronarlo come propria sposa reale, ma sposò anche un uomo di nome Pitagora.  Anche i successivi imperatori pare non fossero immuni dall'amore tutto maschile: Servio Sulpicio Galba, che amava gli uomini grandi e grossi; Vitellio, soprannominato spintria ("marchetta") per esser stato tra i favoriti di Tiberio quando si trova alla sua corte a Capri; Domiziano, accusato dagli avversari di essersi prostituito per far carriera al pretore Clodio Pollione e poi per interesse al predecessore Marco Cocceio Nerva, fu accusato anche di mollezza e di essere un dissoluto. Ebbe varie relazioni con uomini, come del resto anche il fratello Tito: il grande amore provato nei confronti dell'eunuco Flavio Earino, suo schiavo affrancato, fu celebrato sia da Stazio sia da Marco Valerio Marziale.  Traiano era noto per la sua predilezione nei confronti dei bei ragazzi; Publio Elio Traiano Adriano fece diventare il suo giovane amante Antinoo dopo la morte niente meno che un dio, innalzandolo in apoteosi; Eliogabalo a 18 anni promise metà dell'impero a chi fosse riuscito a dotarlo di genitali femminili per poter così diventare una donna a tutti gli effetti, scandalizzando l'intera Roma che lo vide sposarsi con un auriga, un certo Ierocle di Smirne.   I busti di Adriano e Antinoo al British Museum. Adriano e AntinooModifica Il caso riguardante la relazione d'amore tra Adriano e Antinoo è particolarmente significativo; l'imperatore ebbe per anni come suo amasio preferito questo giovinetto di origini greche (che molto probabilmente non era uno schiavo) proveniente dalla Bitinia.  Dopo la sua morte, avvenuta in circostanze rimaste in parte oscure, Adriano innalzò in apoteosi l'amato Antinoo e fondò un culto organizzato dedicato alla sua persona che si diffuse presto a macchia d'olio in tutto l'Impero; poi, sempre per commemorare il proprio diletto, fondò la città di Antinopoli, fatta sorgere vicino al luogo dove il ragazzo aveva trovato la sua prematura fine terrena e che divenne un centro di culto per l'adorazione del "dio Antinoo" in forma di Osiride.  Infine Adriano, per commemorare il ragazzo, organizzò dei giochi che si tenevano in contemporanea ad Antinopoli e ad Atene, con Antinoo divenuto simbolo dei sogni panellenici dell'imperatore.   Busto di Polideuce, allievo e amante di Erode Attico; quando egli morì in giovane età divenne un autentico oggetto di culto da parte di Erode. Erode Attico e Polideuce. Il filosofo di origini greche ed esponente della seconda sofistica Erode Attico (Lucius Vibullius Hipparchus Tiberius Claudius Herodes Atticus), è stato un retore e politico al servizio dell'impero; amico personale di Adriano, tra i suoi allievi vi fu anche il giovane erede al trono Marco Aurelio. Erode era noto, oltre che per la ricchezza e munificenza (fece costruire tra gli altri anche l'Odeo di Erode Attico) nella sua qualità di filantropo e mecenate di opere pubbliche, anche per i numerosi rapporti amorosi con i propri discepoli, in riferimento alla tradizione della pederastia greca.  Il suo affetto nei confronti del figlio adottivo Polideuce (Polydeukes/Polydeukion, da "Polluce") ha creato uno scandalo, non per il rapporto omosessuale intercorrente tra i due o per la giovane età del ragazzo, ma per l'intensità della passione dimostrata, considerata smodata e del tutto sconveniente.  Quando l'adolescente morì prematuramente Erode - come già precedentemente l'imperatore Adriano aveva fatto con Antinoo - incominciò un plateale culto della personalità del defunto e proclamandolo "eroe", facendo costruire tutta una serie di statue e monumenti in suo onore. L'anziano visse in un parossismo di disperazione pubblica alla morte del suo eromenos, arrivando a commissionare giochi sontuosi, iscrizioni e sculture su ampia scala, Rilievo votivo in marmo pentelico del II secolo raffigurante l'apoteosidi Polideuce, il ragazzo amato da Erode Attico. Qui è mostrato con attributi eroici: il serpente e la sua nudità. Lo scrittore Luciano di Samosata racconta, nella sua biografia del filosofo esponente del cinismoDemonatte che questi affermò di avere in suo possesso una lettera proveniente dal defunto giovinetto; quando Erode chiese di essere informato su che cosa vi fosse scritto, Demonatte gli disse che il ragazzo dichiarava di essere triste perché il suo amante non era ancora giunto a fargli visita (nell'aldilà).  Demonatte vuol qui criticare come eccessiva e indegna di un filosofo l'espressione dei sentimenti di dolore di Erode: soltanto l'enorme ricchezza e l'enorme potere di Erode gli permisero di esprimerlo in modo pubblico, anziché celarlo nel silenzio.  Arte erotica e oggetti di uso quotidiano. Lo stesso argomento in dettaglio: Arte erotica a Pompei e Ercolano e Simbolismo fallico. Le rappresentazioni della sessualità omosessuale maschile e lesbica sono meno rappresentate nell'arte erotica dell'antica Roma rispetto a quelle che mostrano atti sessuali tra maschio e femmina. Un fregio di Pompei antica presente alle Terme Suburbanemostra una serie di sedici scene di posizioni sessuali, in cui ve n'è una omosessuale e un'altra lesbica, oltre ad abbinamenti omosessuali in rappresentazioni di sesso di gruppo.   Due uomini e una donna che si accoppiano. Pittura parietale pompeiana, da una delle Therms (bagni), parete sud degli spogliatoi - dipinta intorno al 79 a.C. Il sesso a tre (o threesome) nell'arte romana mostra solitamente due uomini che penetrano una donna, ma in una delle tante scene presenti nei muri delle "Terme suburbane" si vede un uomo penetrare una donna in posizione da dietro mentre a sua volta viene penetrato da un altro uomo posto dietro di lui: questo scenario viene descritto anche da Catullo nel Carmen 56ritenendolo un fatto umoristico. L'uomo in mezzo potrebbe essere un cinaedus-cinedo, un uomo cioè a cui piace subire il sesso anale ma che al contempo è anche considerato attraente dalle donne[44]. Anche l'attività sessuale a quattro (foursome o "quartetto") appare, in genere composta da due donne e due uomini e a volte in coppie composte da persone dello stesso sesso.  Gli atteggiamenti romani verso la nudità maschile (vedi storia della nudità) differiscono anche in maniera notevole se confrontati con quelli assunti dagli antichi Greci, che hanno sempre considerato le rappresentazioni idealizzate del nudo maschile come espressione di eccellenza, ad esempio attraverso il nudo eroico. L'uso della toga virile designa un uomo romano come libero cittadino; connotazioni negative della nudità includono anche la sconfitta in guerra, dal momento che i prigionieri venivano spogliati, e la schiavitù, poiché gli schiavi messi in vendita in piazza erano spesso esposti nudi. Amuleti fallici della fertilità e della buona fortuna. Al tempo stesso il Phallus-fallo è stato visualizzato ubiquitariamente in forma di fascinus, ossia un "fascino magico" pensato per allontanare le forze maligne (come i moderni cornetti portafortuna), ed è divenuto col tempo una decorazione facente parte delle consuetudini e che si ritrova ampiamente tra le rovine pompeiane, in particolare sotto forma di speciali campanelli eolici detti Tintinnabulum.  Il fallo eretto e smisurato del dio Priapo potrebbe originariamente essere servito per uno scopo apotropaico, ma in arte il suo aspetto grottesco ed esagerato provoca spesso una grande risata.  L'ellenizzazione tuttavia ha influenzato la rappresentazione della nudità maschile all'interno dell'arte romana, portando a una più complessa significazione della forma del corpo umano maschile mostrato nudo, parzialmente nudo o indossando la lorica musculata. La coppa Warren, skyphos romano d'argento che rappresenta una scena erotica omosessuale. Warren CupModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Warren Cup. La Coppa Warren è una coppa d'argento raffigurante due scene di atti omosessuali in ambiente di simposio(pratica socio-rituale della convivialità collegata al banchetto), di solito datata al tempo della dinastia giulio-claudia. Si è sostenuto che i due lati di questo calice rappresentino la dualità nella tradizione presente nel mondo classico dell'istituzione della pederastia greca in contrasto con la forma esistente all'interno della cultura romana.  Sulla parte della coppa che rappresenta l'ideale greco vediamo un uomo maturo con la barba mentre si unisce in posizione da dietro a un giovane maschio già sviluppato e muscoloso il quale gli sta seduto sopra. L'adolescente si tiene in equilibrio rimanendo attaccato con la mano sinistra a un sostegno, così da mantenere una posizione sessuale altrimenti imbarazzante o scomoda. Uno schiavo bambino osserva la scena di nascosto attraverso una porta socchiusa.   L'uomo con la corona del "conquistatore erotico" e il suo puer delicatus. Lato B della Warren Cup Il lato romano della coppa invece mostra un puer delicatus, all'incirca di 12 o 13 anni, mentre viene tenuto saldamente stretto tra le braccia di un maschio più anziano, ben rasato e in perfetta forma fisica. Mentre il primo uomo con la barba può essere greco, con un partner che partecipa più liberamente all'incontro e con uno sguardo di piacere, la sua controparte, che ha un taglio di capelli più grave, sembra a tutti gli effetti essere romano e quindi utilizza uno schiavo; la corona di mirto che indossa simboleggia inoltre il suo ruolo di conquistatore erotico.  La coppa potrebbe essere stato concepita come un ritratto atto a stimolare la conversazione su quel tipo di ideali di amore e di sesso, che avevano luogo durante i banchetti simposiali tradizionali greci. L'antichità della Coppa Warren è stata però contestata e potrebbe invece rappresentare la percezione dell'omosessualità greco-romana com'era al momento della sua ipotetica fabbricazione. Busto di Publio Virgilio Marone. Letteratura omoeroticaModifica Numerose testimonianze riguardanti la presenza dell'omosessualità e dell'omoerotismo in generale ci vengono da poeti e scrittori dell'epoca. Il tema omoerotico viene introdotto in letteratura latina a partire dal II secolo a.C. con la crescente ellenizzazione e una sempre maggior influenza Greca sulla cultura romana.  Il console nonché letterato Quinto Lutazio Catulofaceva parte di un circolo letterario frequentato da poeti che componevano brevi strofe richiamantesi alla moda della poesia ellenistica; uno dei suoi pochi frammenti superstiti è costituito da una poesia d'amore rivolta a un maschio con un nome greco. L'innalzamento della letteratura greca, ma anche dell'arte greca in generale a modello espressivo in ambito poetico ha promosso tra le altre cose anche la celebrazione dell'omoerotismo come uno dei segni distintivi delle personalità urbanizzate e maggiormente sofisticate[56]. Nonostante ciò non vi sono prove o ipotesi generali su come questo abbia potuto avere un qualsiasi effetto sull'espressione del comportamento sessuale nella vita quotidiana reale tra i romani.  L'amore greco ha influenzato esteticamente i latini in relazione ai mezzi di espressione, molto meno nei riguardi della natura dell'omosessualità romana in quanto tale. L'omosessualità nell'antica Greciadifferiva da quella Romana principalmente nell'idealizzare dell'eros tra i cittadini maschi nati liberi di pari status, anche se di solito con una differenza di età (vedi pederastia greca) inserita nell'istituto erastes-eromenos. L'esistenza di un rapporto erotico-sentimentale tra un ragazzo e un adulto al di fuori della famiglia, visto come un'influenza positiva tra i Greci, nella società romana avrebbe minacciato l'autorità del paterfamilias.  Poiché le donne romane erano attive nell'educazione dei figli e si mescolarono con gli uomini socialmente, e le donne delle classi dirigenti spesso continuavano a consigliare e influenzare i loro figli e mariti anche nella vita politica, l'omosocialità non era così diffusa a Roma così come lo era stata ad esempio nell'antica Atene la quale ha indubbiamente contribuito a produrre il più avanzato livello di cultura pederastica, quella della pederastia ateniese.  La poesia neoterica dei Poetae novi si concretizza preminentemente con l'opera poetica di Caio Valerio Catullo (i Liber o Carmina) la quale include diverse poesie che esprimono il suo forte desiderio nei riguardi di un giovane nato libero chiamato esplicitamente "Giovenzio;” il poeta, oltre ad amare l'amica Lesbia non era quindi meno ambiziosamente desideroso dei baci del suo bel ragazzo quattordicenne, che esalta in vari versi di volta in volta amorosi o ironici, definendolo effeminatoe passivo.  Il nome latino e lo status di cittadino libero del ragazzo amato da Catullo sovverte totalmente la tradizione romana, ma contemporaneamente a lui anche Tito Lucrezio Caro nel suo De rerum natura riconosce esplicitamente la propria attrazione nei confronti dei "ragazzi"-pueri, il che può designare invero un partner sottomesso accettabile e non necessariamente ragazzino appena adolescente; vi si può leggere inoltre che il piacere sublime consiste nel trasferire il proprio seme in un'altra persona, preferibilmente in un ragazzo piuttosto che in una donna. «Si agita in noi questo seme, appena l'adolescenza rafforza le membra. Dall'uomo, solo l'attrattiva dell'uomo fa scaturire il seme Così dunque, chi riceve i colpi dai dardi di Venere lo trafigga un fanciullo di membra femminee tende là ove è ferito e anela a congiungersi e in quel corpo spandere l'umore tratto dal corpo.  Eurialo e Niso, Louvre. A testimoniare il fatto che il fenomeno omosessuale stava divenendo sempre più un rapporto di desiderio e amore, interviene anche VIRGILIO (si veda), il quale racconta nell'Eneide le storie di due coppie di guerrieri, gli appartenenti al popolo dei troiani Eurialo e Niso e i latini Cidone e Clizio, che nel reciproco amore trovano la forza per combattere da autentici eroi (soltanto Cidone scamperà alla morte); coppie di giovani uniti da un tenero legame omoerotico.  Di Clizio, Virgilio ci dice che è ancora un giovinetto, solo una leggerissima barba bionda incornicia il suo bellissimo volto; su Cidone invece il poeta non dà una descrizione fisica: scrive invece che prima di Clizio ha amato altri adolescenti, sicché è da ritenere che rispetto al compagno egli abbia un'età leggermente superiore (Eneide).  Il particolare rapporto che lega Eurialo e Niso è definito dall'autore "amore", ciò che nel contesto dell'epoca va inteso come serena manifestazione di continuità tra l'amicizia fraterna e l'affettuosità omoerotica. Qui il poeta si avvale della tradizione dell'omosessualità militare nell'antica Grecia, ritraendo apertamente il rapporto amoroso esistente tra questi giovani il cui valore militare li segna solidamente come autentici uomini romani (viri). Virgilio descrive il loro legame come "pius", collegandolo alla virtù suprema della "pietas", in egual modo posseduto dallo stesso eroe Enea; una relazione avallata come "onorevole, dignitosa e collegata ai valori della centralità di Roma.  Ancora nelle Bucoliche il poeta latino canta e descrive numerosi amori omosessuali e riconducibili alla pederastia greca, come la vicenda riguardante il giovane schiavo Alessi che viene concupito sia dal suo padrone Iolla sia dal bel pastore Coridone (Ecloga II), o quella di un altro pastore di nome Menalca il quale elogia la bellezza di Aminta (Ecloga). Il mito di Ciparisso e Apollo, tratto dal racconto di Ovidio descritto nelle Metamorfosi (Ovidio). Temi omoerotici appaiono anche nelle opere di altri poeti del periodo augusteo (vedi Storia della letteratura latina: Albio Tibullo, Sesto Properzio e ORAZIO (si veda) fra tutti. A schierarsi invece decisamente a favore dell'amore femminile sarà OVIDIO (si veda): avere una relazione sessuale con una donna è più piacevole perché, a differenza delle forme di comportamento omosessuale ammesse all'interno della cultura romana, qui il piacere è reciproco. Non mancano comunque anche in questo autore descrizioni di amori omosessuali, tutti appartenenti alla tradizione della mitologia greca: Ati e Licabas, il dio Apollo con Giacinto e Ciparisso. Habinek fa infine notare che il significato di rottura presentato da OVIDIO (si veda) nella categorizzazione delle preferenze sessuali è stata oscurata nella storia della sessualità umana dal concetto di eterosessualità (considerata normale e innata) sopravvenuto nella più tarda cultura occidentale.  Nella letteratura del primo periodo dell'impero romanoun posto privilegiato spetta al Satyricon di Petronio Arbitro; la narrazione è talmente permeata da riferimenti al comportamento omosessuale che nei circoli letterari europei il nome dell'opera finì col divenirne un sinonimo.  Anche il poeta e autore di epigrammi Marco Valerio Marziale spesso deride le donne come uniche partner sessuali preferendo di gran lunga i bei ragazzi-pueri.  Atti sessuali Modifica Oltre al sesso anale, che viene frequentemente descritto sia nell'arte figurativa sia in quella letteraria, era comune anche il sesso orale. Uno dei graffiti di Pompei è in questo caso inequivocabile: "Secundus felator rarus" ("Secundus è un fellatore di rara abilità. A differenza che nell'antica Grecia, il pene di grandi dimensioni era un importante elemento d'attrattiva; Petronio ne descrive uno veduto in un bagno pubblico. Molti imperatori vengono raffigurati circondati da uomini con grandi sessi.  Il poeta Ausonio fa una battuta su un trio sessuale maschile in cui "quello che sta nel mezzo compie il doppio dovere. Il sostantivo astratto impudicitia (aggettivo impudicus) raffigura la negazione assoluta della pudicitia (morale sessuale, castità); come caratteristica dei maschi spesso implica la volontà e il desiderio di essere penetrati sessualmente[80]. Ballare era espressione, per un maschio, di impudicitia (la danza era difatti caratteristica della prostituta e dell'effeminato).  L'impudicitia può anche essere associata a comportamenti in quegli uomini giovani che avevano conservato un certo grado di fascino da ragazzini, ma che erano comunque abbastanza grandi da esser tenuti a comportarsi secondo le ferree regole maschili e a sottostare alle sue normative. GIULIO (si veda) Cesare è accusato di portare l'infamia su di sé perché quando aveva circa 19 anni assunse per un certo periodo di tempo il ruolo passivo in una relazione pederastica con Nicomede re di Bitinia e in seguito anche per i molti "affari sessuali" avuti con donne adultere. Lucio Anneo Seneca il giovane (il tutore di Nerone) ha osservato che "l'impudicitia è un crimine per colui che è nato libero, una necessità in uno schiavo, un dovere per il liberto. La pratica omosessuale a Roma afferma il potere del cittadino sopra gli schiavi, confermandone al di sopra di ogni dubbio la propria mascolinità. Ganimede rapito dall'aquila di Giove. Scultura romana copia di un originale greco, esposta nel Palazzo Grimani a Venezia. Il termine catamite, indicante per lo più un giovane prostituto, è una derivazione latina del nome "Ganimede". Ruoli sessuali Un uomo o un ragazzo che assumeva il ruolo passivo all'interno della relazione omosessuale poteva venir denominato in vari modi, tra cui i più comuni e frequenti erano cinaedus, pathicus, exoletus, concubinus (prostituto), spintria (marchetta), puer(ragazzo), pullus (pulcino), puso, delicatus(specialmente come puer delicatus-ragazzino squisito), mollis (molle, utilizzata in genere come qualità estetica in contrapposizione alla naturale aggressività maschile), tener (tenero, in opposizione alla durezza mascolina), debilis (debole), effeminatus(effeminato), discintus (discinto, volgare come una prostituta) e morbosus (malato).  Come si può notare, il significato del termine moderno gay (come anche di omosessuale) non è contemplato in quest'elenco, in quanto nel pensiero antico non v'era alcun'idea di identità sessuale: la persona era invece definita solo dal ruolo svolto all'interno dell'atto sessuale (attivo=maschio; passivo=femmina).  Alcuni di questi termini, come exoletus, vengono a riferirsi specificamente a un adulto: gli antichi romani, fra cui vigeva il valore sociale contrassegnato come mascolinità, limitavano genericamente la penetrazione anale ai prostituti maschi o agli schiavi di età inferiore a 20 anni (chiamati ragazzi). Alcuni uomini più anziani potevano a volte preferire il ruolo passivo; Marco Valerio Marziale descrive ad esempio, nella sua solita maniera molto schietta, il caso di un uomo che aveva assunto il ruolo passivo facendo occupare al suo giovane schiavo quello attivo:  Mentula cum doleat puero, tibi, Naevole, culus Non sum divinus, sed scio quid facias. Epigrammi (Marziale) Il desiderio di un maschio adulto di essere penetrato sessualmente veniva considerato un morbus, una malattia; il desiderio di penetrare un bel ragazzo era invece considerato del tutto normale.  Cinaedus Cinedo è una parola dispregiativa che denotava un maschio con una identità di genere considerata deviante dalla norma, per la sua scelta di determinati atti sessuali o per la preferenza di certi partner sessuali; tali preferenze erano percepite come una carenza di virilità. Catullo definisce cinedo (cioè un effeminato senza attributi virili) il collega poeta Marco Furio Bibaculo che si trova in compagnia d'un suo amico, nel famoso Carme osceno numero 16, in cui afferma senza tanti giri di parole che "pedicabo ego vos et irrumabo" (io ve lo metto prima nel didietro e poi direttamente in bocca).  Anche se in alcuni contesti il cinedo può denotare l'omosessuale passivo, ed è il termine più frequentemente usato per indicare un maschio che si è lasciato penetrare analmente[89], un uomo chiamato cinedo poteva bensì, in certi determinati casi, anzi esser considerato molto attraente e desiderabile per le donne (non necessariamente quindi equivale al termine dispregiativo inglese faggot o agli italiani frocio-checca, tranne per il fatto che tutti questi termini vengono usati per deridere e insultare un uomo considerato carente di virilità): con caratteristiche così ambiguamente androgine che le donne possono trovare sessualmente anche molto eccitanti).  L'abbigliamento, l'uso di cosmetici e i manierismi (atteggiamenti, movimenti, modi di parlare) di un cinedo lo contrassegnavano inequivocabilmente come un effeminato: ma la stessa effeminatezza che gli uomini romani potrebbero trovare allettante in un puer, diventa assolutamente poco attraente nel maschio adulto e anziano. I cinaedus rappresentano quindi l'assenza generalizzata fatta persona di quello che i Romani consideravano un vero uomo, e la parola rimane di fatto intraducibile nelle lingue moderne.  In origine un cinaedus (parola derivante dal Greco Kinaidos) era un ballerino professionista generalmente poco più che adolescente, di origini persiane o comunque orientali, la cui performance era caratterizzata da una danza accompagnata dal suono di tamburelli e timpani e da movimenti ancheggianti del sedere che mimavano il rapporto anale. Alcuni uomini romani tenevano un concubinus (concubina maschio) in casa fino a quando non si sposavano con una donna: Eva Cantarella ha descritto questa forma di concubinato come "una relazione sessuale stabile, non esclusiva ma privilegiata. All'interno della gerarchia degli schiavi domestici, il concubinus sembra essere stato considerato in possesso di uno status speciale o comunque abbastanza elevato, e che veniva minacciato con l'arrivo di una moglie.  In uno dei suoi inni nuziali (Ephitalamium) Catullo il concubinus dello sposo si ritrova ansioso per il suo futuro e con la paura d'esser abbandonato: i suoi lunghi capelli saranno tagliati e dovrà d'ora in poi ricorrere alle schiave per la sua gratificazione sessuale, il che indica ch'egli prevedeva di dover presto cambiare ruolo sessuale da passivo ad attivo. Al concubino poteva poi anche capitare di intrattenere relazioni sessuali con le donne della casa, diventando magari anche padre di qualche bambino, questo almeno a seguire le invettive di Marziale (Epigrammi. I sentimenti e la situazione del concubino sono trattati nella citata poesia matrimoniale di Catullo e occupano 5 strofe: egli svolge un ruolo attivo durante la cerimonia, distribuendo le noci tradizionali che poi i ragazzi dovevano lanciare in segno di buon augurio (un po' come il riso nella tradizione occidentale moderna).  Il rapporto di un cittadino romano col proprio concubino poteva essere sia discretamente tenuto nell'ombra sia manifestato in modo più aperto: i concubini maschi a volte partecipavano anche alle cene (convivium) indette dal padrone di casa e rappresentar ufficialmente la parte di compagno, un ruolo particolarmente ambito e pregiato. Marziale sembra anche suggerire che il concubino del padrone di casa poteva esser ereditato dal figlio alla morte de padre. Un ufficiale poteva anche essere accompagnato durante le campagne militari dal proprio concubino.  Come il catamite e il puer delicatus (vedi sotto) il ruolo del concubino è stato regolamentato ispirandosi al mito greco di Ganimede (il cui nome in latino diventa Catamitus), il principe adolescente troiano rapito da Zeus affinché lo servisse sull'Olimpo come coppiere.  La concubina femminile, che poteva anche essere una donna libera, manteneva uno status legale tutalato dal diritto romano, ma i concubinus no dal momento che erano tipicamente degli schiavi, Pathicus è una parola un po' soft per indicare l'uomo che è stato penetrato sessualmente; deriva dall'aggettivo greco phatikos (verbo paskhein) ed equivalente al latino patior-pati-passus (subire, sottomettersi, sopportare e soffrire): il termine passivo deriva proprio dal latino passus.  Pathicus e cinaedus non sono spesso così distinti nell'uso che ne fanno gli scrittori latini, ma cinedo può essere indicativamente il termine più generale per indicare un maschio non conforme al suo ruolo di vir - vero uomo; mentre pathicus denota precisamente un maschio adulto che ha assunto il ruolo passivo da donna all'interno di un rapporto, che desidera essere usato così.  Nella cultura romana sodomizzare un altro maschio adulto esprime quasi sempre disprezzo e desiderio d'umiliazione; il pathicus può essere interpretato allora, ancor più che come omosessuale passivo, come un masochista a cui piace farsi umiliare (da un uomo o da una donna indifferentemente): potrebbe anche esser penetrato da una donna tramite un dildo o essere costretto a eseguire cunnilingus, senza dimostrare alcun desiderio di assumere un ruolo attivo o alcuna eccitazione sessuale.  Con la parola puer s'indicava sia un ruolo nell'ambito sessuale sia uno specifico gruppo d'età, Sia puer sia il suo equivalente femminile puella-ragazza possono riferirsi al partner sessuale di un uomo. Il cittadino romano nato libero all'età di 14 anni assumeva la toga virile e questo era il primo rito di passaggio oltre l'infanzia, ma doveva attendere poi fino a 17-18 anni prima di poter cominciare a prender parte attivamente alla vita pubblica. Uno schiavo, che non veniva mai considerato un vir, un uomo vero, sarebbe stato chiamato puer, ragazzo, per tutta la vita. I pueri venivano utilizzati come alternativa sessuale alle donne, cosa che non si poteva assolutamente fare con gli adolescenti maschi nati liberi: accusare un uomo romano d'essere un puer era un insulto contro la sua virilità, soprattutto in campo politico. Un cinedo anziano, un omosessuale passivo potevano anche voler presentare sé stessi come puer.  Il puer delicatus era uno "squisito" schiavo giovanissimo, scelto dal padrone per la sua bellezza come giovane amante, citato anche al plurale come deliciaem 'dolcetti' o 'delizie', A differenza dell'eromenos greco, che era protetto dal costume sociale, il romano delicatus rimaneva sempre invece, sia fisicamente sia moralmente, inferiore rispetto all'adulto che ne disponeva. La relazione spesso coercitiva, di sfruttamento e non certo alla pari, tra il padre di famiglia e il delicatus (il quale poteva benissimo anche essere un minore di 12 anni), può essere definita come pedofila a differenza della pederastia greca.  Il ragazzino, appena compiuti 13 anni, veniva a volte castrato nel tentativo di preservare intatti nel tempo i suoi caratteri giovanili: l'imperatore Nerone fece questo nei confronti del suo puer Sporo, che fece evirare per poterlo poi sposare.  Vari pueri delicati sono stati idealizzati nella poesia latina: nelle Elegie erotiche di Tibullo il delicatus di nome Marathus indossa abiti sontuosi e molto costosi. La bellezza che doveva caratterizzare il delicatus è stata misurata mediante le norme e misure apollinee, soprattutto per quanto riguardava i lunghi capelli i quali avrebbero dovuto sempre essere ondulati e profumati.  Il tipo mitologico per eccellenza del delicatus era rappresentato da Ganimede, il principino troiano rapito da Zeus per diventare il proprio compagno divino nonché coppiere alla corte olimpica. Nel Satyricon, il ricco liberto Trimalcione parla del puer delicatuscome di un bambino-schiavo al servizio sia del padrone sia della padrona di casa.  Il termine pullus indica genericamente un piccolo animaletto e in particolare il pulcino: è una parola affettuosa usata tradizionalmente per un ragazzo-puer che era stato amato da qualcuno in senso osceno.  Il lessicografo Sesto Pompeo Festo ne fornisce la definizione illustrandola con un aneddoto comico: Quinto Fabio Massimo Eburno, console e censore è molto noto per il suo rigore morale, tanto da guadagnarsi il soprannome (Cognomen) di Eburno che significa avorio (l'equivalente moderno più simile potrebbe essere anche porcellana); questo a causa del suo candido e avvenente aspetto. Si diceva fosse stato colpito tempo addietro da un fulmineproprio sulle natiche (riferimento a una voglia che aveva sul sedere. Si scherzò quindi sul fatto che fosse stato contrassegnato da Zeus signore dei fulmini che s'era accorto della sua bellezza tanto da farne il proprio pullus/pulcino pensando anche al rapporto esistente tra il re degli Dei col giovanissimo coppiere catamite Ganimede.  Anche se l'inviolabilità sessuale dei cittadini maschi minorenni era di solito molto ben sottolineata, quest'aneddoto è una prova che anche i giovani romani di buona famiglia avrebbero potuto passare attraverso una fase in cui potevano esser veduti come oggetti sessuali. Forse colpito dal destino, questo stesso membro della illustre Gens Fabia ha dovuto concludere la sua vita in esilio come punizione per aver ucciso suo figlio dopo averlo incolpato di impudicitia[130].  Nel IV secolo il poeta Ausonio registra la parola pullipremo e dice che per primo tale termine è stato utilizzato dal poeta satirico Lucilio. Etimologicamente relazionato a puer, anche pusio significa ragazzetto; spesso aveva una connotazione spiccatamente sessuale e umiliante. Giovenale indica che il pusio era desiderabile in quanto più compiacente e al contempo meno impegnativo di quanto fosse una donna. Scultimidonus Questo è un relativamente raro termine gergale tra i più volgari (equivalente a pezzo di m. o buco di c.) che appare in uno dei frammenti di Lucilio e glossato come: "coloro che elargiscono gratuitamente il proprio orifizio anale-scultima" (cioè la parte corporea più intima di sé, come fosse la parte interna di una prostituta/scortorum intima. Iolao assieme all'eroe e amante Ercole. Mosaico dalla Fontana del Ninfeo di Anzio, Museo Nazionale Romano a Palazzo Massimo alle Terme, Roma. Sottoculture Il mondo e la cultura latina hanno avuto una tale ricchezza di parole per indicare gli uomini al di fuori della norma maschile-vir, che alcuni studiosi sostengono l'esistenza di una vera e propria sottocultura di tipo omosessuale a Roma. Plauto menziona una strada che era conosciuta come luogo d'incontro con giovani che praticavano la prostituzione maschile, e anche i bagni pubblici sono indicati come uno dei luoghi più usuali quando si voleva andar in cerca di partner sessuali maschi: Giovenale indica il grattarsi la testa con l'indice come segno di riconoscimento reciproco (nella II delle sue Satire).  Apuleio dice che i cinaedi formavano una vera e propria alleanza sociale allo scopo di realizzar il piacere generale, soprattutto organizzando banchetti e feste: nelle Metamorfosi (Auleio) (o Asino d'oro) descrive un gruppo che ha acquistato e condiviso un concubinus; mentre in un'altra occasione hanno invitato un giovane molto ben dotato (rusticanus iuvenis) alternandosi subito dopo nel sesso orale su di lui, Altri studiosi, soprattutto quelli che sostengono il punto di vista del costruttivismo socio-culturale, sostengono invece che non vi è mai stato un gruppo sociale identificabile di maschi che si sarebbero auto-identificati come appartenenti a una qualche "comunità omosessuale.  Matrimonio omosessuale Liceat modo vivere; fient, fient ista palam, cupient et in acta referri, Giovenale, Satira. Anche se, in generale, i romani consideravano il matrimonio come unione eterosessuale al fine di generare figli, durante il periodo imperiale si sono verificati episodi in cui coppie maschili hanno celebrato il rito tradizionale del matrimonio romano in presenza di amici; queste forme di matrimonio tra persone dello stesso sesso sono riportati da fonti che ne deridono gli intenti, mentre non vengono registrati i sentimenti dei partecipanti.  Il primo riferimento nella letteratura latina di un matrimonio avvenuto tra uomini si trova nelle Filippiche di CICERONE (si veda), il quale si trova a insultare MARC’ANTONIO (si veda) per essere stato in gioventù "la sgualdrina" di Gaio Scribonio Curione e aver "stabilito con lui un matrimonio vero e proprio (matrimonium), come se avesse indossato una stola(l'abito tradizionale di una donna sposata) da matrona. Anche se le implicazioni sessuali a cui vuole alludere Cicerone sono chiare, il punto fondamentale del passaggio oratoriale del filosofo stoico latino è quello è di gettare discredito su Antonio indicandolo nel ruolo di sottomesso all'interno del rapporto omosessuale, mettendo così in tal maniera in dubbio la sua virilità di cittadino; non vi è alcun motivo di pensare che siano stati effettivamente eseguiti riti matrimoniali ufficiali. Sia Marziale sia Giovenale - nelle sue Satire - si riferiscono al matrimonio tra uomini come a un fatto che non accade di rado, cioè come qualcosa di usuale e diffuso, abbastanza ricorrente all'interno della società dell'epoca, anche se poi i due autori citati si ritrovano a disapprovarlo. Il diritto romano non ha mai ufficialmente riconosciuto il matrimonio tra uomini, ma uno dei motivi principali di disapprovazione espressi nella satira datata alla prima metà del II secolo è che continuare a celebrarne i riti avrebbe anche potuto condurre a un'aspettativa di registrazione ufficiale per tali unioni.  Giovenale si scaglia contro la diffusione dei rapporti omosessuali, identificati dal poeta con l'effeminatezzae il vizio in generale; passa a descrivere coloro che mascherano i propri vizi sotto il mantello della filosofia greca: i pervertiti si vestono effeminatamente in pubblico, vi è poi chi difende la sua causa in vesti trasparenti, chi giunge fino al punto di sposare un qualche "suonatore di corno"... ma peggio ancora sono coloro che partecipano ai misteri della Bona Deavestiti e truccati come fossero delle donne (satira).   Busto di Nerone. Nerone Varie fonti antiche (tra cui Svetonio, Tacito, Dione Cassio, e Aurelio Vittore) affermano che l'imperatore romano del I secolo Nerone abbia celebrato ben due matrimoni pubblici con degli uomini, una volta assumendo per sé il ruolo della moglie (questo accadde col liberto chiamato Pitagora), un'altra volta invece prendendo il ruolo del marito (con l'eunucoSporo); vi sono poi indizi su un terzo caso in cui sembra aver avuto ancora la parte della moglie.  Le cerimonie neroniane includevano elementi tradizionali come la dote e l'indossare il velo da sposa romana. Anche se le fonti al riguardo si trovano a essere nella loro generalità pregiudizialmente ostili, lo stesso Dione Cassio fa implicitamente notare che gli atti pubblici e politici di Nerone venivano considerati molto più scandalosi dei suoi matrimoni con degli uomini. Sporo rimase accanto a Nerone fino all'ultimo giorno, e si tramanda che fu presente anche alla sua morte (Vita di Nerone), e, addirittura, secondo Sesto Aurelio Vittore (Epitome de Caesaribus), sarebbe colui che resse il gladio con cui egli si dava la morte. Un ruolo di rilievo al suo personaggio compare viene dato anche in varie opere teatrali che descrivono tale evento (ad esempio Martello). Alcuni studiosi considerano quella effettuata su Sporo come la prima operazione di cambiamento di sesso storicamente descritta.   Profilo dell'imperatore Eliogabalo. EliogabaloModifica Agli inizi del III secolo il giovanissimo imperatore di origini siriache Eliogabalo è indicato per esser stato la sposa in un matrimonio che ha voluto celebrare col suo partner maschile; ma anche molti altri uomini maturi della sua corte sembra avessero dei mariti ufficiali, facendo per lo più notare che ciò era fatto a imitazione dei matrimoni imperiali. L'orientamento sessuale di Eliogabalo e la sua identità di genere sono stati origine di controversie e dibattiti; va notato, però, che in Eliogabalo l'aspetto religioso e quello sessuale erano profondamente intrecciati, come normale nella cultura orientale, ma la società romana non comprese questo aspetto a essa alieno e dunque considerò stravaganti e scandalose le pratiche sessuali del proprio imperatore, tra cui le orge, i rapporti omosessuali e transessuali, la prostituzione, all'interno delle quali va intesa la ricerca - nella figura dell'androgino - del desiderio di castrazione.  Stando a quanto ne dice il membro del senato romanoe storico contemporaneo Cassio Dione Cocceiano, la sua relazione più stabile sarebbe stata quella con un auriga, uno schiavo biondo proveniente dalla Caria di nome Ierocle, al quale l'imperatore si riferiva chiamandolo suo marito. La Historia Augusta, scritta un secolo dopo i fatti, afferma che sposò anche un uomo di nome Zotico, un atleta di Smirne, con una cerimonia pubblica svoltasi nella capitale. Cassio Dione scrisse inoltre che Eliogabalo si dipingeva le palpebre, si depilava e indossava parrucche prima di darsi alla prostituzione nelle taverne e nei bordelli di Roma, e persino all'interno del palazzo imperiale:   «Infine, riservò una stanza nel palazzo e lì commetteva le sue indecenze, standosene sempre nudo sulla porta della camera, come fanno le prostitute, e scuotendo le tende che pendevano da anelli d'oro, mentre con voce dolce e melliflua sollecitava i passanti.»  (Cassio Dione Cocceiano, Storia romana, lxxx.13) Erodiano commenta che Eliogabalo sciupò il suo bell'aspetto naturale facendo uso di troppo trucco. Venne spesso descritto mentre «si deliziava di essere chiamato l'amante, la moglie, la regina di Ierocle», e si narra che abbia offerto metà dell'Impero romano al medico che potesse dotarlo di genitali femminili. Di conseguenza, Eliogabalo è stato spesso descritto dagli scrittori moderni come transgender, molto probabilmente transessuale. Proibizioni legali chiare e nette contrarie al matrimonio omosessuale cominciarono ad apparire durante il IV secolo, via via che la popolazione dell'impero romanostava sempre più convertendosi al cristianesimo.   Sileno ed Eros abbracciati. Bassorilievo in terracotta degli inizi del I secolo. Lo stupro omosessuale Il diritto romano ha affrontato la questione relativa allo stupro di un cittadino di sesso maschile, quando venne emessa una sentenza all'interno di una causa che potrebbe aver coinvolto un maschio di orientamento omosessuale. È stato stabilito che anche un uomo "disdicevole e discutibile" (infamis e suspiciosus) aveva lo stesso diritto appartenente a tutti gli altri uomini liberi che il proprio corpo non fosse sottoposto al sesso forzato. Nella Lex Julia de vi publica, risalente al tempo del dittatore romano Gaio GIULIO (si veda) Cesare lo stupro viene definito come un forzare al rapporto sessuale un ragazzo o una donna e lo stupratore è oggetto di esecuzione capitale, una sanzione abbastanza rara nel diritto romano.   Gli uomini che erano stati stuprati venivano esentati dalla perdita dello status giuridico e sociale subita da coloro che concedevano volontariamente il proprio corpo per dare piacere agli altri (soprattutto attraverso il sesso anale e la fellatio); un giovane che si dedicava alla prostituzione maschile o che comunque intratteneva sessualmente altri uomini è sottoposto a infamia e pertanto escluso dalle protezioni legali di regola concesse ed estese a tutti gli altri cittadini. Considerata come una questione di diritto, uno schiavo o una schiava non avrebbero potuto essere violentati, ma in quanto oggetto di proprietà e non in quanto persone il proprietario dello schiavo poteva tuttavia perseguire il violentatore per danni alla proprietà.  Il timore di stupri di massa a seguito di una sconfitta militare si estendeva anche a tutte le potenziali vittime di sesso maschile (in primis i bambini) oltre che alle donne. Secondo il giurista Pomponio qualunque cosa l'uomo abbia subito (compresa la violenza sessuale a causa della forza soverchiante dei ladri o da parte del nemico in tempo di guerra), è una cosa che si deve sopportare senza alcuna stigmatizzazione.  La minaccia di un uomo di sottoporne un altro alla pedicatio (rapporto anale) o irrumatio (rapporto orale) è un tema assai frequente delle invettive poetiche, particolarmente famosa quella espressa da Catullo nel suo "Carmen ed è stata anche una forma comune di millanteria maschile; lo stupro è stato inoltre una delle punizioni tradizionali inflitte su un uomo adultero da parte del marito offeso, anche se forse più come fantasia di vendetta che effettivamente realizzato nella pratica[166].  In una raccolta di dodici aneddoti che si occupano di "assalti subiti dalla castità" lo storico Valerio Massimodispone le vittime di sesso maschile a parità di numero se confrontate con le donne. In un caso di processo farsa (esempio processuale) descritto da Seneca il Vecchio, un adulescens (un giovane che non ha ancora formalmente incominciato la propria vita da adulto) viene violentato da dieci suoi coetanei; anche se il caso è ipotetico Seneca qui presuppone che la legge contempli la possibilità effettiva di un tal accadimento. Un'altra ipotesi immagina un caso estremo in cui la vittima di stupro venga indotta al suicidio; qui il maschio nato libero (appartenente agli ingenui) che ha subito violenza si uccide: i romani consideravano lo stupro su un ingenuus come uno tra i peggiori crimini che potevano essere commessi, assieme col parricidio, la violenza su una ragazza ancora in condizione di verginità e il furto all'interno di un tempio romano.  Relazioni omoerotiche nelle forze armate Lo stesso argomento in dettaglio: Omosessualità militare nell'antica Grecia. Il soldato romano, come ogni altro cittadino maschio libero e rispettoso dello Stato, avrebbe dovuto mostrare autodisciplina anche in materia sessuale. Augusto aveva vietato ai militari di sposarsi e questa proibizione è rimasta in vigore per l'esercito romano imperiale per quasi due secoli; le forme di gratificazione sessuale a disposizione dei soldati rimanevano quindi la prostituzione e l'utilizzo di persone ridotte in schiavitù, lo stupro di guerra e le relazioni tra persone dello stesso sesso.  Il Bellum Hispaniense, narrante gli eventi della guerra civile romana nella Spagna romana, cita un ufficiale che tiene con sé un concubinus/prostituto durante tutta la campagna militare. Il sesso tra commilitoni tuttavia violava il decoro romano, contrario a ogni tipo di rapporto sessuale tra cittadini liberi; di primaria importanza per un soldato era mantenere intatta la propria virilità (da vir, la sua condizione di uomo) non permettendo mai quindi che il suo corpo potesse venir utilizzato da altri per soddisfare scopi sessuali.  In guerra lo stupro simboleggiava la sconfitta, un motivo che rendeva il corpo del soldato costantemente vulnerabile sessualmente. Durante il periodo della repubblica romana gli atti omosessuali tra commilitoni erano soggetti a sanzioni severe, che potevano comprendere anche la condanna capitale, in quanto violazione della disciplina militare; Polibio riferisce che la punizione per un soldato che volontariamente avesse acconsentito a essere sottomesso sessualmente, quindi sottoposto a penetrazione, era il fustuarium(ossia la bastonatura a morte).  Gli storici romani registrano racconti cautelativi di ufficiali che abusano del loro potere per costringere i propri sottoposti a compiere atti sessuali e quindi a subire conseguenze disastrose. Agli ufficiali più giovani, che ancora potevano mantenere alcune delle caratteristiche attrattive adolescenziali favorite maggiormente nelle relazioni tra maschi, era consigliato di rinforzare le proprie qualità maschili e non usare profumi, né tagliarsi i peli alle narici e non radersi le ascelle.  Un episodio riferito da Plutarco nella sua biografia di Gaio Mario illustra il dovere del soldato di mantenere la propria integrità sessuale nonostante le pressioni che potevano provenire dai suoi superiori. Una bella e giovane recluta di nome Trebonio ha subito molestie sessuali per un certo periodo di tempo dal suo ufficiale superiore, che si trovava anche a essere il nipote di Mario, Gaio Luscius. Una notte, dopo essersi nuovamente difeso, in una delle numerose occasioni in cui era stato sottoposto alle attenzioni indesiderate dell'uomo, Trebonio è stato convocato alla tenda di Luscius. Incapace di disobbedire al comando del suo superiore, si trova così a essere improvvisamente l'oggetto di una violenza sessuale e, a questo punto, sfoderata la spada uccide Luscius.  La condanna per l'uccisione di un ufficiale tipicamente provocava l'esecuzione immediata. Quando è stato portato a processo, il ragazzo è stato però in grado di produrre testimoni per dimostrare che aveva ripetutamente dovuto respingere Luscius, e che "non aveva mai prostituito il suo corpo a nessuno, nonostante le profferte di regali costosi". Marius non solo ha assolto Trebonio dall'accusa di aver assassinato un suo parente, ma gli ha consegnato una corona (vedi ricompense militari romane) per il coraggio dimostrato. Diana e Callisto, di Jollain. Lesbismo Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del lesbismo. I riferimenti al sesso tra donne non sono frequenti nella letteratura latina della repubblica romana e dell'inizio del principato (storia romana). Ovidio, che è uno dei massimi sostenitori d'uno stile di vita generalmente rivolto all'amore per le donne, descrive e nota poi con partecipazione la storia di Ifi (o Ifide, cresciuta e allevata come fosse un maschio) che s'innamora di Iante e in seguito anche di Anassarete: si tratta di uno dei pochissimi miti lesbici presenti nella tradizione classica. Scena di sesso lesbico. Terme Suburbane (Pompei). In epoca imperiale successiva le fonti riguardanti relazioni omosessuali tra donne divengono via via più abbondanti, in forma di ricette mediche, incantesimi e pozioni d'amore, tesi di astrologia e interpretazione dei sogni. Un graffito rinvenuto nei muri di Pompei antica esprime il desiderio di una donna nei confronti di un'altra: "vorrei poter tenerla stretta al collo, abbracciandola ed accoglier tutti i suoi baci sulle mie labbra. Parole di lingua greca indicanti una donna che preferisce la compagnia intima di un'altra donna includono hetairistria (in parallelo a hetaira-compagna (l'etera o cortigiana), tribas (tribade, da cui deriva tribadismo) e lesbia (dall'isola di Lesbo patria della poetessa Saffo). Alcuni termini della lingua latina sono tribas (per prestito linguistico, fricatrix-colei che strofina o sfrega (i propri genitali su quelli di un'altra) e virago (da vir-uomo, quindi una donna-maschio). Saffo e le sue amiche a Lesbo, dipinto erotico di Édouard-Henri Avril. Un primo riferimento ai rapporti omosessuali tra donne definito come lesbismo si trova nello scrittore greco del II secolo Luciano di Samosata: "dicono che ci sono donne come quelle di Lesbo, di aspetto maschile e che si prendono come consorti altre donne, proprio come se fossero uomini.   Dato che il modo di pensare romano nei riguardi del rapporto sessuale era eminentemente fallocratico e richiedeva in ogni caso un partner attivo dominante gli scrittori uomini immaginavano che nella sessualità tra lesbiche una delle due donne avrebbe dovuto utilizzare un fallo finto (dildo) oppure avere una clitoride eccezionalmente grande tanto da consentire con essa la penetrazione sessuale; per entrambe sarebbe stata un'esperienza piacevole proprio in quanto si verificava l'atto penetrante. Raramente menzionati nelle fonti romane, oggetti a forma di fallo da utilizzare al posto del reale penemaschile sono un popolare elemento di comicità nella letteratura greca e nell'arte in genere, anche attraverso la tradizione del simbolismo fallico; esiste invece una sola raffigurazione nota nell'arte romana di una donna che penetra con questo sistema un'altra donna, mentre l'utilizzo di un fallo artificiale da parte di donne è più comune nella pittura vascolare greca.   Marco Valerio Marziale descrive le lesbiche come aventi appetiti sessuali fuor di misura che, prese da quest'esagerazione di desiderio, potevano giungere a eseguire atti sessuali con penetrazione su altre donne, ma anche su bambini; i ritratti imperiali di donne che sodomizzano ragazzi, che bevono e mangiano come i maschi e che s'impegnano in vigorosi regimi fisici, possono riflettere in parte le ansie culturali circa la crescente indipendenza delle donne romane. Identità di genereModifica  Mosaico che mostra Ercole mentre porta un abbigliamento femminile ed è in possesso di un gomitolo di lana (a sinistra), mentre Onfaleindossa la pelle del Leone di Nemea. Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Temi transgender nell'antica Grecia. Travestitismo e crossdressing Lo stesso argomento in dettaglio: Storia del crossdressing. Il crossdressing appare nell'arte e nella letteratura latina in vari modi per contrassegnare l'incertezza nell'identità di genere:  come invettiva politica, quando un uomo pubblico è accusato di indossare abiti eleganti e seducenti al modo degli effeminati. come tropo mitologico, come nella storia di Ercole e Onfale che si scambiano gli abiti e con essi anche i ruoli sessuali. come una forma di investitura religiosa, ad esempio nel sacerdozio degli adoratori di Cibele. molto raramente come feticismo di travestimento. Ulpiano categorizza l'abbigliamento romano sulla base di coloro che possono più opportunamente indossarlo: l'abbigliamento virilia-da uomo e caratteristico dei paterfamilias-i capi famiglia; puerilia è invece l'abbigliamento che marca chi lo indossa come bambino o minore; muliebria sono i capi d'abbigliamento della materfamilias; communia quelli che possono essere indossati da entrambi i sessi; infine i familiarica ovvero gli abiti per i famigli, i subalterni e gli schiavi di una casa. Un uomo che volesse indossare abiti adatti alle donne, osserva sempre Ulpiano, rischierebbe di farsi oggetto di scherno: le prostitute erano le uniche donne a cui era concesso d'indossare a piacere anche la togamaschile, essendo loro di fatto al di fuori della categoria sociale e legale normativa indicante la donna. Un frammento del commediografo Accio sembra riferirsi a un uomo che indossava segretamente "fronzoli più adatti a una vergine. Un esempio di travestitismo è riferito in una causa legale, in cui "un certo senatore era abituato a indossare di sera vestiti da donna. In una delle lezioni di diritto lasciateci da Seneca un giovane-adulescens viene violentato mente indossava abiti da donna in pubblico, ma il suo abbigliamento è spiegato come atto di sfida compiuto davanti agli amici, non come una scelta basata sulla ricerca del piacere erotico. L'ambiguità di genere era una caratteristica dei sacerdoti della Dea Frigia Cibele: conosciuti come Galli, il loro guardaroba rituale comprendeva capi di abbigliamento femminile. Essi sono a volte considerati come un'autentica casta sacerdotale transgender o transessuale: durante la celebrazione più importante in onore della Dea, a imitazione di Attis si auto-eviravano presi da smania e follia sacra. La complessità della religione e del mito di Cibele e Attis viene esplorata in una delle poesie più lunghe di Catullo.   L'Ermafrodito dormiente, conservato al museo del Louvre. Ermafroditismo e androginia Il termine ermafroditismo viene riferito a una persona nata con caratteristiche fisiche di entrambi i sessi (vedi intersessualità); nell'antichità la figura dell'ermafrodita era una delle questioni primarie riguardanti l'identità di genere. Plinio il Vecchioosserva nella sua Naturalis historia che "ci sono anche coloro che sono nati con entrambi i sessi, sono quelli che noi chiamiamo ermafroditi, un tempo detti androgini" (dal Greco Andr-uomo + Gyn-donna; un uomo che è anche una donna quindi). Lo storico Diodoro Siculo del I secolo a.C. scrisse che "alcuni dichiarano che il nascere di creature di questo tipo sia un evento meraviglioso (teratogenesi) in quanto, essendo un fatto molto raro, sia annunziatore del futuro, a volte con profezie benevole e altre con previsioni più malevoli. Isidoro di Siviglia descrive in maniera abbastanza fantasiosa un ermafrodito come colui "che ha il seno destro di un uomo e quello sinistro di una donna e dopo l'atto sessuale possono diventare sia il padre sia la madre dei loro eventuali figli.  Secondo il diritto romano un ermafrodito doveva essere classificato o come maschio o come femmina, non esistendo una terza possibilità all'interno della categorizzazione giuridica: l'ermafrodito rappresenta così una "violazione dei confini sociali, in particolare di quelli fondamentali per la vita quotidiana, come l'essere maschio o l'essere femmina. Nella religione romana tradizionale la nascita di un ermafrodito rientrava nell'ambito del prodigium, un evento cioè che segna un'interruzione nella pace tra Dei e umani; ma Plutarco osserva anche che mentre una volta erano considerati dei presagi divini, ora gli ermafroditi erano diventati oggetto di piacere-deliciae e venivano ampiamente contrattati e venduti al mercato degli schiavi. Ermafrodito in un dipinto murale di Ercolano (prima metà del I secolo). Nella tradizione mitologica classica Ermafrodito era un ragazzino molto avvenente e grazioso figlio di Mercurio e Venere. OVIDIO (si veda) ne ha scrive in dettaglio il racconto più famoso e influente, nelle sue Metamorfosi sottolineando che, anche se il bel giovane è nel pieno della sua bellezza e attrattiva adolescenziale, respinse l'amore che gli veniva offerto esattamente come già aveva fatto Narciso. La ninfa Salmace che lo aveva scorto lo desiderò immediatamente: rifiutata lei finse di ritirarsi ma poi, appena il ragazzo cominciò a spogliarsi per poter fare il bagno nel fiume, si slanciò su di lui abbracciandolo stretto e nel contempo pregando gli Dei di non essere mai separati. Gli spiriti benevoli accolsero la sua richiesta supplicante e così i due corpi, quello del ragazzo e quello della ninfa, si fusero in uno dando luogo a un essere fisicamente bisessuato. Come risultato tutti gli uomini che andavano a bere dalle acque di quella sorgente avrebbero sentito sempre più crescere dentro sé caratteri da effeminatoe il morbo dell'impudicitia. Il mito di Ila, il giovane compagno e amante maschio di Ercole che venne rapito da una ninfa delle acque (Lympha), condivide con Ermafrodito e Narciso il tema dei pericoli che si affacciano sul maschio adolescente nell'età della transizione che lo dovrebbe portare alla riconosciuta virilità adulta, e che invece ha esiti differenti per ognuno. Raffigurazioni di Ermafrodito erano molto popolari tra i romani: "Rappresentazioni artistiche di Ermafrodito portano in primo piano le ambiguità concernenti le differenze sessuali costitutive di uomini e donne, nonché l'intima ambiguità esistente in tutti gli atti sessuali... Gli artisti trattano sempre Ermafrodito in qualità di spettatore di sé stesso, che scopre improvvisamente la sua più autentica identità sessuale... La figura di Ermafrodito è una rappresentazione altamente sofisticata, invadendo i confini esistenti tra i due sessi che sembra essere così chiara nel pensiero classico.  Macrobio descrive infine una forma maschile della Dea Venere la quale aveva il suo culto principale nell'isola di Cipro: dotata di barba e genitali femminili, indossava invece abiti femminili. Gli adoratori di tale divinità travestita erano uomini vestiti da donna e donne vestite da uomini. Il poeta latino LEVIO (si veda) parla dell'adorazione di una Venere che non si sapeva bene se fosse maschio o femmina (sive femina sive mas); questi è stato talvolta chiamato Afrodito e in diversi esemplari di scultura questi si tira su le vesti rivelando d'avere genitali maschili, gesto tradizionalmente riconducibile a un rito magico dal potere apotropaico.  La transizione da paganesimo a cristianesimoModifica Infine non va sottovalutato il fatto che, è vero, nel tardo impero romano fu la condanna cristiana a rendere l'omosessualità un reato (cioè uno stuprum) sempre e comunque; tuttavia la terminologia usata per giustificare la condanna non è cristiana, ma è ripresa dalla filosofia greca e non dalla teologica ebraica. Il concetto di "contro natura", per esempio, viene da Platone, non dalla Bibbia. Per l'ebraismo, l'omosessualità non è contro natura, ma semmai impura, abominazione (to'ebah) Lo stesso argomento in dettaglio: Omosessualità ed Ebraismo. Tuttavia è innegabile che il cristianesimo e la morale giudaica e testamentaria funzionarono da base e fulcro alle leggi che, successivamente adottate dagli imperatori cristiani come Costante, Teodosio I e Giustiniano, proibirono e punirono con la pena capitale il nuovo reato di omosessualità. Teodosio era infatti fortemente influenzato dal vescovo di Milano Sant'Ambrogio, tanto che quando promulgò la legge che condannava gli atti omosessuali passivi era sotto una penitenza assegnata dallo stesso Ambrogioin un contesto in cui si stava svolgendo una lotta tra ariani e cattolici e in cui gli "eunuchi", molto influenti nella corte imperiale, erano schierati per la maggior parte con gli ariani affermando la natura umana di Gesù, ed esercitavano pressioni nei municipi contro i cristiani niceni, cioè cattolici, che sostenevano la duplice natura, divina e umana di Gesù, figlio di Dio. Un anno prima del decreto che puniva gli atti omosessuali, un decreto di Teodosio tolse agli eunuchi neo-ariani il diritto di fare e ricevere testamento. Sotto il dominio cristiano Nel Basso Impero il modo di concepire l'omosessualità cambia via via in modo sempre più restrittivo, fino ad arrivare al codice Teodosiano che, recependo due leggi precedenti, reprimeva l'omosessualità passiva e l'effeminatezza con la pena capitale o la mutilazione, mentre con Giustiniano ogni manifestazione di omosessualità, anche attiva, fu bandita perché in ogni caso offendeva Dio, con riordino del sistema della persecuzione criminale e con pena di morte per infanda libido, formulando anche un giudizio morale ("infanda" = letteralmente che non può esser detta, innominabile).  Le cause di questo cambiamento legislativo, di irrigidimento e intolleranza sempre più crescente verso l'omosessualità sono ancora oggi dibattute da alcuni storici e studiosi. Indubbiamente un ruolo importante fu svolto dalla morale cristiana e dal passaggio del Cristianesimo da religione segreta e proibita a religione di Stato, unica ammessa in tutto l'Impero. La morale cristiana infatti, a differenza di quella pagana greco-romana, considerava comunque peccato l'atto omosessuale, di là dal ruolo svolto, contrapponendo, alla visione maschilista tipica della società romana sul sesso, una visione più ascetica e distaccata in cui il sesso era sempre considerato un peccato e un atto impuro, al di fuori della finalità di unione nella complementarità sessuale evocata in Genesi e della apertura alla procreazione, e quindi dividendo le pratiche sessuali in lecite (rapporto tra uomo-donna atto alla riproduzione, sacralizzato a Dio tramite il matrimonio) e in illecite (tutto il resto, cioè gli atti sessuali non atti alla riproduzione, tra cui anche l'omosessualità attiva e passiva, oltre che la masturbazione).  Alcuni studiosi tuttavia ritengono che l'irrigidimento fosse stato coadiuvato, senza niente togliere alla morale cristiana sempre più dominante, anche a un certo puritanesimo pagano sempre più crescente di fronte alla decadenza dei costumi tipica del Tardo Impero. Apollo tra gli amati Giacinto (mitologia) e Ciparisso, del pittore Ivanov.  Scultura di Bissen che ritrae Ila, bellissimo giovinetto amato da Ercole. Uno dei tanti busti dedicati d’ADRIANO (si veda) ad Antinoo. Rapporto sessuale tra Antinoo e l'imperatore Adriano in uno dei tanti dipinti erotici di Édouard-Henri Avril.  Corteo trionfale del dio Bacco. Mosaico del II secolo.  Busto romano di ragazzo (forse Polydeukes amato da Erode Attico), conservato all'Ermitage di San Pietroburgo Craig Williams, Roman Homosexuality (Oxford, citando Saara Lilja, Homosexuality in Republican and Augustan Rome (Societas Scientiarum Fennica, Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Williams, Roman Homosexuality (Oxford Williams, Roman Homosexuality, passim; Elizabeth Manwell, "Gender and Masculinity," in A Companion to Catullus (Blackwell, Habinek, "The Invention of Sexuality in the World-City of Rome," in The Roman Cultural Revolution (Cambridge McGinn, Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome (Oxford. Si veda la dichiarazione conservata in Aulo Gellio sul fatto che vim in corpus liberum non aecum adferri). Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico-"Bisexuality in the Ancient World" (Yale, originariamente in italiano), Fantham, "The Ambiguity of Virtus in Lucan's Civil War and Statius' Thebiad," Arachnion; Bell, CICERONE (si veda) and the Spectacle of Power," Journal of Roman Studies Ramage, “Aspects of Propaganda in the De bello gallico: GIULIO (si veda) CESARE’s Virtues and Attributes,” Athenaeum; Myles Anthony McDonnell, Roman manliness: virtus and the Roman Republic, Cambridge; Rhiannon Evans, Utopia Antiqua: Readings of the Golden Age and Decline at Rome (Routledge, Lopez, "Before Your Very Eyes: Roman Imperial Ideology, Gender Constructs and Paul's Inter-Nationalism," in Mapping Gender in Ancient Religious Discourses (Brill, Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, p. xi; Marilyn B. Skinner, introduzione a Roman Sexualities (Princeton Langlands, Sexual Morality in Ancient Rome (Cambridge Per un ulteriore approfondimento su come l'attività sessuale definisce il libero cittadino rispettabile dallo schiavo considerato non-persona e quindi passibile di qualsiasi abuso, vedi anche la voce Sessualità nell'antica Roma nella parte riguardante la relazione schiavo-padrone. ^ Amy Richlin, The Garden of Priapus: Sexuality and Aggression in Roman Humor (Oxford Edwards, "Unspeakable Professions: Public Performance and Prostitution in Ancient Rome," in Roman Sexualities, Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," in A Companion to the Roman Empire (Blackwell La legge ha cominciato con l'indicare pene più severe per le classi più basse (humiliores) rispetto all'elite (honestiores). ^ Questo è un tema esposto da Barton, The Sorrows of the Ancient Romans: The Gladiator and the Monster (Princeton Liber (Catullo) Carmina Elegie (Tibullo) Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico (Yale, originariamente in italiano) Svetonio, Vita di Cesare; Carmina, Svetonio, Vita di Cesare, (Vita di Augusto) Osgood, J. Caesar's Legacy: Civil War and the Emergence of the Roman Empire, CUP, in books.google. com Plutarco, penelope. uchicago. edu/Thayer/E/ Roman/Texts/ Plutarch/Lives/Antony Vite parallele: Antonio] Fraquelli Omosessuali di destra Svetonio, Vite dei Cesari: Tiberio Svetonio, Vite dei Cesari: Vitellio III. Cassio Dione,; Tacito, Agricola, Cassio Dione, Pollione&source= bl&ots=ma--4gCTxi&sig= BLfjJsIiqk0vwvEuu2 VA Qh45m2Q&hl=it &sa=X &ei= UQ2vVOTfHMf7 ygOVl4K4 CA&ved=0CCYQ6A EwAQ#v= onepage&q= Clodio%20 Pollione& f=false ^ Silvae, Marziale Epigrammi (Marziale) NAr3Riy4EYMC &pg =PA60&lpg= PA60&dq= Clodio+Pollione& source=bl&ots= FTuncuSDtC&sig= Hwrnh0vVLuL C6digxZLfe KFhMyE&hl =it&sa= X&ei=UQ2vVO TfHMf7 yg OVl4K4CA&ved= 0 CDAQ6AEw Aw#v=onepage &q= Clodio%20 Pollion e&f=false  M. Fraquelli Omosessuali di destra; Mambella, Antinoo. 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Butrica, "Some Myths and Anomalies in the Study of Roman Sexuality," in Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity, confronta l'uso di cinaedus come "faggot" nella canzone dei Dire Straits intitolata "Money for Nothing", in cui un cantante è chiamato esplicitamente "that little faggot with the earring and the make-up" e "gets his money for nothing and his chicks for free. Williams, Roman Homosexuality, Williams, Roman Homosexuality, Cantarella, Secondo natura. Bisesualità nel mondo antico, Catullus, Carmen Butrica, "Some Myths and Anomalies in the Study of Roman Sexuality," Richlin, "Not before Homosexuality; Ronnie Ancona, "(Un)Constrained Male Desire: An Intertextual Reading of ORAZIO (si veda) Odes and Catullus Poem 61," in Gendered Dynamics in Latin Love Poetry (Hopkins, Petrini, The Child and the Hero: Coming of Age in Catullus and Vergil (University of Michigan Williams, Roman Homosexuality: Martial: "quartus cinaeda fronte, candido voltu / ex concubino natus est tibi Lygdo: / percide, si vis, filium: nefas non est. Cantarella, Bisexuality in the Ancient World; Robinson Ellis, A Commentary on Catullus (Cambridge Petrini, The Child and the Hero, Quintiliano, Institutio oratoria, disapprova la frequentazione sia di concubini sia di (amicae) di fronte ai propri figli. 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Parker, "The Teratogenic Grid, citing Martial Richlin, "Not before Homosexuality," Williams, Roman Homosexuality, Richlin, "Not before Homosexuality," Richlin, "Not before Homosexuality; Williams, Roman Homosexuality, Richlin, Not before Homosexuality, Fantham, "Stuprum: Public Attitudes and Penalties for Sexual Offences in Republican Rome," in Roman Readings: Roman Response to Greek Literature from Plautus to Statius and Quintilian (Walter de Gruyter, Richlin, "Not before Homosexuality," Williams, Roman Homosexuality, Manwell, "Gender and Masculinity, A Companion to Catullus, Blackwell, Vioque, Manwell, "Gender and Masculinity," Verstraete and Vernon Provencal, introduction to Same-Sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity and in the Classical Tradition (Haworth Vout, Power and Eroticism in Imperial Rome (Cambridge (for Sporus in Alexander Pope's poem "Epistle to Arbuthnot", see Who breaks a butterfly upon a wheel?). 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CICERONE (si veda), Pro Balbo; VALERIO (si veda) Massimo; Pseudo-Quintiliano, Decl; Paolo Orosio; Broughton, The Magistrates of the Roman Republic (American Philological Association, Kelly, A History of Exile in the Roman Republic (Cambridge; Richlin, The Garden of Priapus. Williams, Roman Sexuality. As at Apuleio, L'asino d'oro; Cicerone, Pro Caelio (in riferimento al suo nemico personale Publio Clodio Pulcro); Adams, The Latin Sexual Vocabulary (Johns Hopkins Geffcken, Comedy in the Pro Caelio (Bolchazy-Carducci, Giovenale, Satire; Erik Gunderson, "The Libidinal Rhetoric of Satire," in The Cambridge Companion to Roman Satire, Cambridge Richlin, The Garden of Priapus, Glossarium codicis Vatinici, Corpus Glossarum Latinarum IV p. xviii; see Götz, Rheinisches Museum Primarily Amy Richlin, as in "Not before Homosexuality. Plautus, Curculio Williams, Roman Homosexuality, As summarized by Clarke, "Representation of the Cinaedus in Roman Art: Evidence of 'Gay' Subculture," in Same-sex Desire and Love in Greco-Roman Antiquity, Cicerone, Fillippiche, citato da Williams, Roman Homosexuality Williams, Roman Homosexuality, Martial; Juvenal. Williams, Roman Homosexuality, Hersh, The Roman Wedding: Ritual and Meaning in Antiquity (Cambridge Vout, Power and Eroticism in Imperial Rome (Cambridge, Williams, Roman Homosexuality, Le fonti sono citate da Williams, Roman Homosexuality, Dione Cassio; Williams, Roman Homosexuality. Tra gli altri: Durant; Koranyi Williams, Roman Homosexuality, citando Dione Cassio e Elio Lampridio. Cassio Dione, Historia Augusta, Cassio Dione, Erodiano Cassio Dione, Benjamin Godbout Richlin, "Not before Homosexuality,". As recorded in a fragment of the speech De Re Floria by CATONE (si veda) the Elder (frg. Jordan = AULO GELLIO (si veda), as noted and discussed by Richlin, "Not before Homosexuality," Digest Richlin, "Not before Homosexuality,". See also Digest on legal definitions of rape that included boys. Richlin, "Not before Homosexuality," Cantarella, Bisexuality in the Ancient World, McGinn, Prostitution, Sexuality and the Law, Williams, Roman Homosexuality. Digest, as noted by Richlin, "Not before Homosexuality," Richlin, The Garden of Priapus, in Marziale, Williams, Roman Homosexuality; Skinner, introduzione a Roman Sexualities; Richlin, "The Meaning of irrumare in Catullus and Martial," Classical Philology. Williams, Roman Homosexuality (con un esempio proveniente da Marziale Edwards, The Politics of Immorality in Ancient Rome (Cambridge) Valerio Massimo; Richlin, "Not before Homosexuality," Richlin, "Not before Homosexuality," Quintiliano, Institutio oratoria; Richlin, "Not before Homosexuality," Richlin, "Not before Homosexuality, citando il passaggio proveniente da Quintiliano. ^ Men of the governing classes, who would have been officers above the rank of centurion, were exempt. Pat Southern, The Roman Army: A Social and Institutional History (Oxford University Press, Phang, The Marriage of Roman Soldiers: Law and Family in the Imperial Army (Brill, Phang, The Marriage of Roman Soldiers, Phang, Roman Military Service: Ideologies of Discipline in the Late Republic and Early Principate (Cambridge University Press, Phang, Roman Military Service. See section above on male rape: Roman law recognized that a soldier might be raped by the enemy, and specified that a man raped in war should not suffer the loss of social standing that an infamis did when willingly undergoing penetration; Digest, as discussed by Richlin, "Not before Homosexuality, McGinn, Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome (Oxford Polibio, Storie (metodo antico di bastinado). Phang, The Marriage of Roman Soldiers, Phang, Roman Military Service, citing among other examples Juvenal, Satire Lo stesso nome è citato anche altrove in Plozio Tucca. Plutarco, Vita di Mario; vedi anche Valerio Massimo; Cicerone, Pro Milone, in Dillon e Garland, Ancient Rome,; in Dionigi di Alicarnasso 16.4. Discussione di Phang, Roman Military Service, e The Marriage of Roman Soldiers, Cantarella, Secondo natura. La bisessualità nell'antica Roma, Ovidio, Metamorfosi (Ovidio), citato in Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," Brooten, Love between Women: Early Christian Responses to Female Homoeroticism, Chicago, The Latin indicates that the I is of feminine gender; CIL, as cited by Richlin, "Sexuality in the Roman Empire," Brooten, Love between Women,Luciano, Dialoghi delle cortigiane. 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Lucio Anneo Seneca il Vecchio, Controversia; Richlin, Not before Homosexuality, Murray, Homosexualities (Chicago, Bachvarova, "Sumerian Gala Priests and Eastern Mediterranean Returning Gods: Tragic Lamentation in Cross-Cultural Perspective, Lament: Studies in the Ancient Mediterranean and Beyond (Oxford University Press, Clarke, Looking at Lovemaking, Taylor, The Moral Mirror of Roman Art (Cambridge) Pliny, Natural History: gignuntur et utriusque sexus quos hermaphroditos vocamus, olim androgynos vocatos; Veronique Dasen, "Multiple Births in Graeco-Roman Antiquity," Oxford Journal of Archaeology Diodorus Siculus, Roscoe, "Priests of the Goddess: Gender Transgression in Ancient Religion," in History of Religions, Isidoro di Siviglia, Etimologie, Roller, "The Ideology of the Eunuch Priest," Gender & History, Roscoe, "Priests of the Goddess," Plutarco, Moralia; Dasen, "Multiple Births in Graeco-Roman Antiquity," Ovid, Metamorphoses Taylor, The Moral Mirror of Roman Art; Clarke, Looking at Lovemaking, Taylor, The Moral Mirror of Roman Art, Paulus ex Festo; Richlin, "Not before Homosexuality," Taylor, The Moral Mirror of Roman Art, Clarke, Looking at Lovemaking, Macrobio, Saturnalia, Macrobio dice che Aristofane chiama una tale figura col nome di Aphroditos. Ensslin, Die Religionspolitik des Kaisers Theodosius des Grossen, Monaco, In: Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-historische Klasse,Atanasio, Storia degli Ariani, Codice di Teodosio. Gaio Valerio Catullo, I Carmi. Publio Virgilio Marone, Bucoliche. Albio Tibullo, Elegie. Tito Petronio Nigro, Satyricon. Ensslin, Die Religionspolitik des Kaisers Theodosius des Grossen, Monaco, Foucault, La volontà di sapere. (Storia della sessualità), Feltinelli, Milano Foucault, L'uso dei piaceri. (Storia della sessualità), Feltrinelli, Milano Williams: Roman Homosexuality, Ideologies of Masculinity in Classical Antiquity. in: Oxford: Ideologies of Desire. Oxford, Vioque, Martial, A Commentary, traduzione di Zoltowski, Brill, Hubbard: Homosexuality in Greece and Rome, a Sourcebook of Basic Documents. Los Angeles, London, Cantarella, Secondo natura - La bisessualità nel mondo antico, BUR Biblioteca Univ. Rizzoli, RAYOR, Homosexuality in Greece and Rome: A sourcebook of basic documents. Univ of California Press, Voci correlate Storia LGBT Omosessualità nell'antica Grecia Omosessualità nel Medioevo Pederastia Pederastia greca Storia dell'omosessualità in Italia Altri progettiModifica Collabora a Commons Commons contiene immagini o altri file su omosessualità nell'Antica Roma   Portale Antica Roma   Portale LGBT Lex Scantinia Sessualità nell'antica Roma Terminologia dell'omosessualità – Grice: “And then there’s Roman sex”. Grice: “Like me in ‘Some remarks about the senses, Fardella with Giorgi follow Lucrezio’s materialism, -- and Cicero’s sensible terminology on sensibilia!” Michelangelo Fardella. Fardella. Keywords: metafisica, ontologia, razionalismo, aritmetica, geometria, solipsismo, percezione, vedere – sentire – atomismo di lucrezio, sensismo di Giorgi – Cartesio is actually borrowing it all from Platone’s Timeo – for whom the world is also only interpretable ‘more geometrico’. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fardella” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Fariano: la ragione conversazionale e il circolo di Giuliano -- Roma antica -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Friend of Giuliano. Studies  philosophy with Giuliano and Eumenio.

 

Grice e Fassò: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale -- Igitur est RES PVBLICA RES POPVLI – l’implicatura di Bruto – scuola di Bologna – filosofia bolognese – filofosia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bologna). Filosofo bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Bologna, Emilia. Grice: “I like Fassò; for one, he was, like my friend H. L. A. Hart, a philosophical lawyer! But unlike Hart, Fassò, being a Roman, knew what he was talking about!” “My favourite is his explication of Bruto’s reaction when being brought the corpses of his two sons!” Fassò, mi viene a conforto col suo ottimo lavoro, che dà una diligentissima ed acuta interpretazione ed esposizione del corso non già logico ma storico, o per meglio dire, psicologico della formazione della Scienza nuova; esposizione che è utile possedere e che si segue con curiosità. Con pari bravura è condotta la ricerca di quel che VICO attinse o credette di attingere ai quattro suoi autori. Croce, Illusione degli autori sui “loro” autori,). Figlio di Ernesto, generale dell'esercito, e Caterina Barbieri, discendente dalle famiglie Barbieri (il di lei nonno è Lodovico Barbieri) e Dallolio (Maria Sofia, moglie di Lodovico, era sorella di Alberto e Alfredo Dallolio), trascorre i suoi primi anni, fino all'adolescenza, fra il Piemonte (Mondovì), l'Emilia-Romagna (Parma) e la Lombardia (Mantova). Temperamento religioso, ereditato dall'educazione famigliare e dalla frequentazione con un anziano sacerdote, si caratterizza sempre per il rigore negli studi (perciò Mazzetti, suo compagno di gioventù, poté definirlo schivo degli incontri e quasi della società, teso in un impegno di chiarezza mentale, di serietà e finezza di sentire. Conseguita la maturità classica al Virgilio di Mantova, si laurea a Bologna, sotto Borsi con “L'elemento demografico nelle provvidenze assistenziali a favore dei lavoratori: la legislazione del lavoro”. Dopo aver rinunciato ad impiegarsi come funzionario nell'unione industriale, ottiene anche la laurea in Filosofia, sotto SAITTA (si veda), con “Vico e Michelet”. Confide poi al suo allievo,Pattaro, che la scelta della filosofia, lungi dall'essere redditizia, è un matrimonio con «madonna povertà», cui egli, tuttavia, non volle sottrarsi, non essendo versato, come rivelò a Nicolini, nella «professione forense. Svolse, quindi, l'attività di docente di storia e filosofia, inizialmente come supplente al "Galvani" di Bologna, poi a Forlì e, infine, al Liceo Righi di Bologna. Il suo saggio, dedicato a Vico nel pensiero del suo primo traduttore francese, che, però, a causa dell'indisponibilità degli editori, sarebbe stato pubblicato, grazie all'intervento di Saitta come memoria dell'Accademia delle scienze dell'Istituto di Bologna. Vicino al Partito Liberale Italiano, a guerra conclusa accetta di candidarsi, per il medesimo partito, alle elezioni comunali bolognesi.  Divenuto assistente volontario di Filosofia del diritto nell'Ateneo felsineo, fu convinto da Felice Battaglia a concorrere per la libera docenza, che ottenne. Nel medesimo anno, al Parma, gli viene quindi assegnato l'incarico in Filosofia del diritto. Aggiudicatosi l'ordinariato, si trasferì successivamente a Bologna, dove insegnò filosofia giuridica, presso la Facoltà di Giurisprudenza, e Storia delle dottrine politiche, nella Facoltà di Lettere e Filosofia.  Si occupa di studi vichiani (della cui validità scientifica è testimonianza una epistola di Solari, in cui si apprende che l'interpretazione giuridica della Scienza nuova proposta da F. supera la visione Croce-Nicolini, ponendosi al livello qualitativo di quelle di Fubini e di Donati) e groziani, della cura e traduzione dei Prolegomeni al diritto della guerra e della pace di Grozio e scrisse VICO (si veda) e Grozio, nonché, la Storia della filosofia del diritto in tre volumi, giudicata da Bobbio come la storia della filosofia del diritto più completa» esistente sulla faccia della terra. Oltre Croce, F. criticò anche GENTILE (si veda), autore di una concezione speculativa indubbiamente grandiosa, che si risolveva, però, in vana retorica, negante, entro la dialettica dello spirito, la realtà del fenomeno giuridico. Fra le altre opere, La democrazia in Grecia; Il diritto naturale; dello stesso anno è La legge della ragione, considerata una «tra le opere migliori di filosofia del diritto uscite in Italia» al tempo, e consistente in una «appassionata rivalutazione» del diritto naturale; Società, legge e ragione, apparso nell'anno della morte (i due ultimi volumi citati, tuttavia, ripropongono scritti precedenti). Le pubblicazioni in cui si esprime con più chiarezza l'ispirazione teoretica di F. sono, invece, La storia come esperienza giuridica  (in cui, ha commentato BOBBIO (si veda) si dimostra che tutti i rapporti che l'uomo ha con gli altri uomini, contengono un germe di organizzazione, e quindi sono istituzioni giuridiche») e Cristianesimo e società, che susciterà un vivace dibattito nell'ambiente cattolico, incontrando financo il favore di Prezzolini. Il suo testament disponeva funerali semplici, «senza fiori e senza seguito di estranei. In un codicillo, inoltre, soggiungeva che, se si trovassero miei scritti incompiuti, manoscritti o dattilografati, non si stampino, perché non possono essere stati riveduti come avrei ritenuto necessario», congiuntamente all'invito a non raccogliere «in volume opuscoli sparsi o scritti minori, operazione che non dovrebbe mai esser fatta se non dall'autore». Alla memoria di F., oltre che a quella di Gaudenzi, è intitolato il Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica a Bologna,. Benché F. abbia apprezzato il Romano sostenitore della concezione non normativistica del diritto, egli non poté tacerne il limite, consistente nell'assenza di una «definizione esauriente» dell'istituzione, dovuto alla volontà di Romano di tenersi «fuori dal campo della filosofia». Il più limpido storico del giusnaturalismo». Formatosi filosoficamente nella temperie culturale neoidealistica, Fassò se ne distaccò, rifiutandone soprattutto l'immanentismo, con La storia come esperienza giuridica, opera ispirata dalle suggestioni istituzionalistiche di Romano (ma di questi deplorerà, nella successiva Storia della filosofia del diritto, il circolo vizioso, per cui una istituzione è giuridica solo quando è giuridica. A Croce, che faceva coincidere storia e filosofia, F. replica con l'identificazione di storia e giuridicità, estendendo il concetto di istituzione — contrariamente a quanto aveva fatto Romano, e risolvendone così il circolo vizioso — a tutti gli aspetti della vita sociale, cioè della vita dell'uomo nella storia, che è sempre vita dell'uomo in società. L'elisione dell'identità fra realtà storica e razionalità filosofica non implica la rimozione dell'Assoluto, ma egli ne negava ogni possibilità conoscitiva, ricadendo la «concreta unità del reale» (sotto l'aspetto gnoseologico) nell'ambito del privo di senso, sebbene restasse attingibile in uno slancio mistico, descritto, in una pagina de La legge della ragione, come partecipazione dell'«uomo al valore divino, ma solo quando si faccia anch'egli Dio per unirsi a lui, trascendendo la propria umanità, la propria soggettività empirica, storica». È importante tener fermo come Fassò, quantunque abbia legato l'Assoluto a uno slancio mistico, non si sia fatto teorico di un irrazionalismo misticheggiante, ma — giusta l'osservazione di Vallauri — abbia formulato un «dittico» in cui si afferma, da un lato, la «sopragiuridicità dell'etica intesa come esperienza religiosa» e, dall'altro, «la funzione essenziale della ragione giuridica nel mondo. Proprio il riconoscimento della centralità della ragione giuridica nel governo della «concreta molteplicità del reale» costituì, per F., un ulteriore motivo critico nei confronti dell'anti-gius-naturalismo crociano, da cui, dopo l'approfondimento della storia del giusnaturalismo, prese più convintamente le distanze. La concezione giusnaturalistica fassoiana, infatti, cerca di non cadere nell'errore proprio della tradizione precedente (errore che nella Storia della filosofia del diritto, non esitò a indicare quale «difetto capitale» della scuola del diritto naturale, consistente nell'astrattismo e nel conseguente antistoricismo), intendendo il diritto naturale quale ordine che nasce dalla storia, e nel quale l'uomo non può non essere inserito proprio per la sua dimensione storica, che è la sua dimensione essenziale. Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'artenastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della scuola della cultura e dell'arte. Croce, Illusione degli autori sui “loro” autori, su Quaderni della Critica, Laterza, Ora anche in Id., Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, Savorelli, Napoli, Bibliopolis, Cfr. Garin, Cronache di filosofia italiana, Bari, Laterza. La sua ricerca di Saitta, anche storica, sembra inscindibile da una polemica e da una protesta. Polemica e protesta che attraversano ugualmente l'attività così di Calogero come dello Spirito, annoverati talora col Saitta fra gli esponenti della sinistra gentiliana, e come lui accusati a volte, e non certo benevolmente, di crocianesimo». Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F.. F. segue con particolare attenzione i corsi di Saitta, che gli suggerì di approfondire Michelet, che lo avrebbe condotto a Vico.  Scheda senatore Dallolio, su Scheda senator Dallolio, su senato. Le parole di Mazzetti sono riportate in Faralli, Il maestro e lo studioso, in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino, Elenco dei laureati e diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno Accademico, Bologna, Società Tipografica già Compositori,Elenco dei laureati e diplomati nell'Anno Scolastico, in Annuario dell'Anno Accademico. Bologna, Tipografia Compositori, Pattaro, Alcuni ricordi personali e cenni sulla gnoseologia, ontologia e concezione della filosofia di F., in Rivista di filosofia del diritto, Bologna, Il Mulino. “Mi disse che ci sarebbe stato un concorso per assistente ordinario alla cattedra e mi chiese se fossi interessato a partecipare. Ma mi prevenne con due avvertimenti sui quali avrei dovuto meditare prima di dargli una risposta. Essi sono: "chi fa filosofia del diritto in una facoltà di Giurisprudenza sposa madonna povertà e nell'università occorre sapere ingoiare amaro e sputare dolce perché l'intelligenza degli accademici è di regola superiore a quella dei comuni mortali, e ciò implica che essi siano capaci di cattiverie più raffinate e perfide di quelle di cui sono capaci i comuni mortali. La citazione è tratta dal carteggio Fassò-Nicolini, richiamato da E. Pattaro, nel suo Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F., premesso. In altre lettere allo stesso Nicolini, scrive di non sentire nessuna vocazione per la professione forense. Curriculum vitae di Andrea Fassò, Consiglio Nazionale del Notariato.. Gli studi vichiani di F., in Bollettino del Centro Studi Vichiani, Napoli, Guida, Ha ultimato VICO nel pensiero del suo primo traduttore francese nel ma causa la difficoltà di trovare un editore — non gli fu possibile pubblicarlo allora: soltanto poté presentarlo all'Accademia delle scienze di Bologna per il tramite di Saitta. Pattaro, Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F., in F., Scritti di filosofia del diritto,  Pattaro, Faralli, Zucchini, Milano, Giuffrè.  Dopo i disagi della guerra, aveva ripreso le proprie ricerche incoraggiato da Battaglia, che lo convinse ad affrontare l'esame di libera docenza in filosofia del diritto. Conseguita la libera docenza in filosofia del diritto, F. ebbe il suo primo incarico in questa materia, a Parma. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Battaglia,  F.: in memoria, in Rivista di filosofia del diritto [giunse] alla libera docenza, e nello stesso anno lo abilitarono a tenere l'incarico della filosofia del diritto nella Parma, ove divenne professore della materia. Passa all'Bologna, dove rimase titolare della disciplina, tenuta con alto prestigio e qualificata dignità fino alla morte che ne chiuse la laboriosa giornata».  Pattaro, Gli studi vichiani di F., in Bollettino del Centro Studi Vichiani, Napoli, Guida. Tra le carte personali di F. ho trovato una cartolina postale, vergata fitta fitta da Solari. In essa, tra le altre cose, è scritto: ‘Da tempo ero convinto della verità della interpretazione giuridica della Scienza Nuova: ma Lei ne ha dato ampia, profonda, persuasiva dimostrazione. La cautela con cui è sostenuta è frutto della Sua modestia, e della Sua serietà di studioso. Il suo saggio sui quattro autori può stare a paro cogli scritti vichiani di Donati e Fubini e supera la visione Croce-Nicolini che sul punto della genesi giuridica della scienza nuova stanno ancora sulle generali. Finalmente esiste in Italia (dico in Italia, ma potrei dire sulla faccia della terra) una storia della filosofia del diritto, non angustamente scolastica, non puramente nozionistica e per di più complete. Così Bobbio saluta la Storia della filosofia del diritto. In tutta la filosofia del Gentile si ha una concezione speculativa indubbiamente grandiosa, ma che si risolve in vana retorica, negante l'esperienza della realtà effettuale. Non è tuttavia dalla negazione della molteplicità dei soggetti che discende la negazione della realtà del diritto nella filosofia gentiliana. Come in quella del Croce, essa è compiuta in relazione alla dialettica dello spirito, cioè del soggetto assoluto. È importante, infine, sottolineare il valore di impegno civile che il filosofo bolognese riconosceva al testo e che ad esso venne riconosciuto dalla traduzione greca. Thessalonike, Poseidonas], all'epoca della dittatura militare in Grecia».  Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, prefazione di Ferrajoli, Roma-Bari, Laterza,  Bobbio, La filosofia del diritto in Italia, in Jus, Milano,  Faralli, I momenti della riflessione critica su F., Prezzolini chiosa Cristianesimo e società sia in un articolo su Il resto del carlino sia nel libro Cristo e/o Machiavelli. Conservo la prima edizione di Cristianesimo e società, egli scrive. La volli come compagna perché dovevo moltissimo a quel libro, cioè non dirò l'apertura, ma la conferma dotta, serena, eppure appassionata di un punto di vista importante. Prezzolini ritiene di aver trovato in Fassò, argomentate con un'alta filologia, sempre al corrente della produzione critica e accompagnata dalla conoscenza dei testi filosofici, quelle stesse idee che anch'egli aveva manifestato ‘lanciate piuttosto da un intuito che da un sapere storico Annuario, Bologna, Tipografia Compositori, Pattaro, Ricordo, in Rivista trimestrale di diritto e procedura civile, Centro Interdipartimentale di Ricerca in Storia del Diritto, Filosofia e Sociologia del Diritto e Informatica Giuridica, sStoria della filosofia del diritto, edizione aggiornata Faralli,  Roma-Bari, Laterza. Romano si tiene deliberatamente fuori dal campo della filosofia, non sfruttando neppure quegli indirizzi di essa, primo fra tutti quello del Croce, che potevano valere a suffragar la sua tesi. Questa è sostenuta unicamente sul terreno della considerazione empirica del diritto, e non vuole avere né premesse né conclusioni che stiano al di fuori o al di sopra di essa. Neppure il Romano dà del concetto di istituzione una definizione esauriente».  Marini, Il giusnaturalismo nella cultura filosofica italiana del Novecento, in Storicità del diritto e dignità dell'uomo, Napoli, Morano, Cfr. Matteucci, recensione a F., Cristianesimo e società, Giuffrè, Milano, in Il Mulino,  «L'esigenza filosofica fondamentale che si palesa nei lavori del F. è quella di uscire dallo storicismo immanentistico dei Croce e dei Gentile che vedeva nella storia la manifestazione di un principio assoluto (lo Spirito, l'Atto. Cfr. Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale, in appendice a F., La storia come esperienza giuridica, Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino. L'esperienza che Fassò aveva avuto della filosofia idealistica egemone in Italia nella prima metà del secolo, la quale all'interno dei suoi precedenti studi vichiani, condotti in chiave di storia della filosofia, non necessariamente costituiva un'ipoteca con cui dover fare conti precisi, in sede teoretica, sia pure di filosofia del diritto, venne chiamata ad un inevitabile redde rationem. F., Storia della filosofia del diritto, Faralli, Roma-Bari, Laterza, Il giudizio, tuttavia, è già presente in F., La storia come esperienza giuridica. È proprio questo, del resto, il punto debole della dottrina del Romano, che fu subito rilevato dai suoi critici: il circolo vizioso in cui egli si aggira, presupponendo la giuridicità di quella istituzione che poi identifica con il diritto. In altre parole, Romano afferma che sono istituzione, ossia ordinamento giuridico, ossia diritto, quegli enti o corpi sociali che hanno carattere giuridico. Croce, Logica come scienza del concetto puro, Farnetti, con una nota al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis, Croce, La storia come pensiero e come azione, Conforti, con una nota al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis, «Si può dire che, con la critica storica della filosofia trascendente, la filosofia stessa, nella sua autonomia, sia morta, perché la sua pretesa di autonomia era fondata appunto nel carattere suo di metafisica. Quella che ne ha preso il luogo, non è più filosofia, ma storia, o, che viene a dire il medesimo, filosofia in quanto storia e storia in quanto filosofia: la filosofia-storia, che ha per suo principio l'identità di universale ed individuale, d'intelletto e intuizione, e dichiara arbitrario o illegittimo ogni distacco dei due elementi, i quali realmente sono un solo. La storia come esperienza giuridica. L'esperienza giuridica non è altro che l'esperienza umana nella sua totalità, la storia stessa insomma dell'uomo. In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F., «La concreta unità del reale, l'universale concreto, è un residuato della grandiosa retorica metafisica idealistica. F., con l'onore delle armi, lo colloca nella dimensione che gli compete, ossia dell'inconoscibile, indicibile, incomunicabile per definizione: dell'indiscutibile che è tale non perché sia vero o certo di là da ogni ragionevole dubbio, bensì perché non è possibile oggetto di discorso, non è suscettibile di ragionamento, sfugge ad ogni comprensione e spiegazione razionale. Lo colloca nella dimensione del privo di senso. Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale. Resti chiaro, peraltro, che F. rinvia sì al piano mistico l'unità del reale, l'assoluto, l'universale concreto, ecc., ma che, non per questo, egli professa una filosofia mistica intuizionistica. Il giudizio di Vallauri è espresso nel suo Amicizia, carità, diritto, Giuffrè, Milano. Considerata nel suo arco complessivo, forma un dittico, che da un lato ribadisce rigorosamente la sopragiuridicità della esperienza cristiana giunta al suo culmine (identificato nella carità), e dall'altro lato riconosce la funzione preziosa della ragione giuridica nel mondo, dove ogni individuo limita e contraddice l'altro e dove una norma di coesistenza è indispensabile’») e accolto in F., Società, legge e ragione, Milano, Comunità, Pattaro, In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F., La concreta molteplicità del reale, il flusso eracliteo dei particolari concrerti, l'eterogeneo continuum di cui parla richiamando Ross, è la realtà empirica, fenomenica: molteplicità infinita di eventi originali e irripetibili, non essendovi nello spazio, e più ancora nel tempo, due fenomeni perfettamente identici. Sulla posizione crociana rispetto al giusnaturalismo cfr., per esempio, Croce, Filosofia della pratica. Economica ed etica, Tarantino, con una nota al testo di Sasso, Napoli, Bibliopolis. Contraddittorio è altresì il concetto di un codice eterno, di una legislazione-limite o modello, di un diritto universale, razionale o naturale, o come altro lo si è venuto variamente intitolando. Il diritto naturale, la legislazione universale, il codice eterno, che pretende fissare il transeunte, urta contro il principio della mutevolezza delle leggi, che è conseguenza necessaria del carattere contingente e storico del loro contenuto. Se al diritto naturale si lasciasse fare quel che esso annunzia, se Dio permettesse che gli affari della Realtà fossero amministrati secondo le astratte idee degli scrittori e dei professori, si vedrebbe, con la formazione e applicazione del Codice eterno, arrestarsi di colpo lo svolgimento, concludersi la Storia, morire la vita, disfarsi la realtà. Sulla presa esplicita di distanza di F. da Croce, cfr. Società, legge e ragione. Ho continuato a ripetere la stessa cosa. Il diritto nasce dalla natura umana, la quale è natura storica e natura sociale. Ho rifiutato dapprima, sotto la suggestione dell'anti-gius-naturalismo del tempo in cui ero cresciuto, di chiamare naturale un siffatto diritto. Più tardi, dopo avere approfondito la conoscenza storica del gius-naturalismo ed essermi meglio chiarito la parte che esso ha avuto nella difesa della libertà contro l'assolutismo politico, mi sono deciso a designare con quell'aggettivo in realtà equivoco il diritto che la ragione trova nella natura della società. Laddove, invece, si è riscontrata coincidenza cronologica, si è preferito seguire l'ordine alfabetico. Altre saggi: “I quattro auttori del Vico: saggio sulla genesi della Scienza nuova” (Milano, Giuffre); “La storia come esperienza giuridica, Faralli, Soveria Mannelli, Rubbettino); “Cristianesimo e società” (Milano, Giuffrè); “La democrazia in Grecia, Faralli, Pattaro e Zucchini (Milano, Giuffrè); “Il diritto naturale” (Torino, ERI, “La legge della ragione, Faralli, Pattaro e Zucchini (Milano, Giuffrè); “Storia della filosofia del diritto, Roma-Bari, Laterza); “VICO e Grozio” (Napoli, Guida);  “Società, legge e ragione” (Milano, Edizioni di Comunità); “La flosofia del diritto” (Milano, Giuffrè); Diritto della guerra” (Napoli, Morano). Dizionario biografico degli italiani, Gli studi vichiani di F., Centro Studi Vichiani,  Napoli, Guida), “Sull'Assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F.”, “In che senso la storia è esperienza giuridica: l'istituzionalismo trascendentale di F.”, “Lo storicismo di F.”, “Sulla annosa e ricorrente disputa tra positivisti e giusnaturalisti”, “Un itinerario filosofico tra diritto e natura umana”.  L'iniziativa di raccogliere gli scritti di filosofia del diritto di F. è altamente opportuna e meritoria. Gli studiosi ne debbono essere grati ai curatori: Pattaro (che al Maestro è succeduto sulla cattedra bolognese), Faralli, Zucchini. Con questi tre ricchi volumi diviene facilmente accessibile una produzione, altri- menti sparsa in riviste e in atti occasionali, che sta a testimoniare il cammino limpido e coerente di una tra le personalità intellettualmente più vive ed oneste della nostra cultura del secondo dopoguerra, purtroppo strappata anzi tempo agli studi. I curatori avvertono che del- l'opera di F. rimangono escluse da questa pur ampia raccolta le opere pubblicate quali volumi separati, articoli occasionali che sono parsi non riconducibili alla filosofia del diritto, e scritti di letteratura e di critica cinematografica. Si può convenire sull’opportunità di preservare la purezza e omogeneità scientifica della raccolta, escludendo gli scritti delle due ultime categorie menzionate; giudicheranno i curatori, o altri studiosi interessati, se non sia opportuna la pubblicazione separata degli scritti minori ora esclusi, per dare un’immagine completa della cultura e dell’evoluzione di F., ovvero di uno studioso che, alieno quant’altri mai da digressioni e dilettantismi, mostra però in ogni pagina la vastità e classicità delle proprie conoscenze. Evidente è invece la necessità di escludere le opere apparse quali volumi separati. Tra esse sono opere a tutti note, che hanno saldamente stabilito il prestigio scientifico di F. Basti ricordare gli studi vichiani e groziani (da I (( quattro auttori D del VICO. Saggio sulla genesi della Scienza nuova, alla cura e traduzione dei Prolegomeni al diritto della guerra e della pace di Grozio, dello stesso anno, a Vico e Grozio, e la fondamentale STORIA DELLA FILOSOFIA DEL DIRITTO – DA CICERONE A CICERONE. Sono anche da ricordare: La democrazia in Grecia; Il diritto naturale; La legge della ragione, dello stesso anno; Società, legge e ragione, apparso nell’anno della morte (ma i due ultimi volumi raccolgono e rifondono scritti precedenti, che si trovano in questa stessa raccolta). Ricordiamo per ultimi, non per caso, i due scritti in cui è documentata la fisionomia teoretica di F., il quale, se fu grande storico del pensiero, ebbe anche un’impronta filosofica originalissima, e una chiarezza ideale che diede senso unitario ai molti interventi su problemi teoretici, oggi raccolti nei presenti volumi. Ci riferiamo alle opere L a storia come esperienza giuridica, e Cristianesimo e società. Oltre agli scritti di F., la raccolta contiene: una Nota dei curatori, che spiega i criteri seguiti;un’ampia Introduzione di Pattaro, dal titolo Sull’assoluto. Contributo allo studio del pensiero di F.; na Bibliografia degli scritti filosofico- giuridici di F., a cura di Zucchini; uno studio di Faralli dal titolo I momenti della riflessione critica su F.. Di modo che questi volumi offrono una base per chiunque si accosti criticamente all’opera e al pensiero di F.: lo status quaestionis è chiaramente delineato. È ancora da dire che gli scritti di F. sono ripartiti in tre categorie: saggi e articoli,  voci di enciclopedia, e recensioni. Saggie articoli occupano la maggior parte dei volumi, notevole è però anche la mole delle voci di enciclopedia: un genere che F. coltiva con assiduità, e che era particolarmente congeniale alla sua mente storica, e alla chiarezza concettuale alla quale egli era sempre solito congiungere rigorosamente la ricostruzione storica: poche pagine sono in grado, in queste voci, di dare le linee maestre di Milano un tema, o dell’opera di un autore (esemplari ci sembrano, tra le voci su temi teoretici, Democrazia,e Giusnaturalisrno;tra le voci su temi storici, quelle sui due autori di F. per eccellenza, Groot, e VICO Non molte sono invece le recensioni in chi pure e studioso di larghissime letture. Se si tolgono le recensioni legate agli esordi scientifici e ai loro temi, rimangono pochi interventi; tra questi dobbiamo ricordare, per l’interesse oggettivo e per la luce che portano sulla personalità di Fassò, le recensioni dedicate ad autori coi quali egli fu in singolare vicinanza spirituale: come le recensioni a volumi di BOBBIO su temi filosofico-giuridici, o al volume di PIOVANI, Giusnaturalismo ed etica moderna -- la recensione. Peraltro, per valutare la presenza attiva, insieme critica e costruttiva, di F. nella filosofia italiana, si deve pensare alle molte discussioni che egli costantemente e con passione sollevava su temi storici e teoretici: più della recensione, lo attraeva la discussione ampia che ruotasse intorno a un problema a lui congeniale. Si pensi alle osservazioni che egli svolse su due saggi di COTTA, ancora uno studioso col quale egli fu in profondo dialogo: i libri di questo su AQUINO e su AGOSTINO sollecitarono la meditazione di F. in due articoli: AQUINO giurista laico? e Agostino e il giusnaturalismo.Inoltre, tutta l’attività di . fu segnata dalla polemica, spesso anche dura o sarcastica, che egli rivolgeva ad autori grandi e piccoli, lontani e vicini. Polemizza su temi filologici ed eruditi, riprendendo e correggendo; polemizzava su problemi teoretici, dove non trovasse chiarezza di pensiero, egli che era scrittore limpido e rifuggiva da qualsiasi ambiguità o da compiacenti silenzi. Talvolta colpisce, ancor oggi, la durezza della polemica; ed egli ne era certo consapevole, e scrisse una volta queste parole, che valgono a spiegare un tratto della sua personalità: nella sua connaturata avversione ai radicatissimi luoghi comuni nella ricerca scientifica come nei modi del pensare politico, egli replica sempre con vigore, e talora con troppo vigore, e metteva in luce componenti opposte a quelle Comunemente accettate, Seri- veva: (Forse, nel cercare di metterle in luce, ho calcato troppo sulla loro importanza? Se questo è avvenuto, è stato (per ricorrere ancora una volta a Grozio e prendere a prestito da lui l’immagine di cui si serve a proposito di Erasmo con l’intenzione con cui si piegano in senso opposto gli oggetti incurvatisi, per cercare di farli tornare nella posizione giusta D. In quell’occasione, egli parlava delle convinzioni diffuse sulle componenti originarie dell’etica laica, di solito vista derivare dal protestantesimo e dai suoi moti preparatori; mentre egli vedeva componenti più ampie, e radici che egli individua per gran parte proprio in AQUINO (si veda).. Egli era quindi in uno dei campi prediletti della sua indagine; ma quell‘intenzione lì dichiarata e illustrata, con l’immagine degl’oggetti incurvatisi vale a farci comprendere la intransigente vena polemica, strumento per riportare alla  posizione giusta, che nel suo caso era la posizione della verità scientifica e del rigore metodologico. Di quella vena polemica, gran parte degli scritti qui pubblicati sono testimonianza, talora vivacissima. C’e in F. tutta la serietà intellettuale di chi conosce la fatica della paziente ricerca quotidiana. Non solo la storia del pensiero propriamente detta, con le sue regole filologiche; anche la filosofia aveva i suoi canoni e le sue conoscenze tecniche. Nel corso di una polemica, su uno dei temi che più gli stettero a cuore, quello del rapporto fra cristianesimo e società, egli scrisse, sulla dignità della filosofia, parole di sapore hegeliano, che hanno la loro permanente e ritornante validità. Allora, ammoniva disinvolti (( giuristi cristiani a starsene nei propri confini di giuristi; il cristianesimo era altra cosa, e scrive. E strano, ma mentre tutti fanno a gara a dire che LA FILOSOFIA  è cosa astrusa, non v’è nessuno che non si senta legittimato a discuterne senza alcuna preparazione: ciò che non si sognerebbe di fare riguardo a qualsiasi altro argomento scientifico o tecnico. Perché egli, che era in senso proprio e fino in fondo FILOSOFO del diritto, ha chiara la dimensione filosofica e CONCETTUALE della propria ricerca, e non intese mai che la propria controversa disciplina fosse riducibile a riflessione o generalizzazione di giuristi dotati di vocazione, temperamento, sia pure cultura, Opportunamente, gli scritti di F. sono riprodotti in ordine cronologico -- all’interno delle tre categorie citate sopra: saggi e articoli; voci di enciclopedia; recensioni. Se si tengono presenti anche i saggi pubblicati come volumi a parte, e sopra ricordati, ne viene la possibilità di giungere ad una periodizzazione. Pattaro, nel suo studio intro- duttivo, suggerisce la quadripartizione seguente: il periodo dedicato alla STORIA della filosofia, in particolare a VICO. Il periodo che comprende La stovia come esfierienza giuridica e Cristianesimo e società, caratterizzato precipuamente dalla tematica, che potrebbe dargli il nome, ‘Assoluto e storia e il periodo culminante nei volumi primo e secondo della Storia della filosofia del divitto che potrebbe intitolarsi a ‘ I1 diritto naturale, il periodo nel quale si conclude la grande opera storiografica, che potrebbe di converso intitolarsi a ‘il diritto positivo.’ Così Pattaro, e con buone ragioni. Ma egli stesso ricorda che il Maestro (( riconobbe valida in uno dei suoi ultimi scritti la distinzione-periodizzazione suggerita da Vallauri, il quale vedittico affermante - così riferiva F. consentendo intesa come esperienza religiosa, e dall’altro la funzione essenziale della ragione giuridica nel mondo. Società, legge e vagione. Vallauri formula quel suggerimento deva nella sua opera come un da un lato la sopragiuridicità dell’eticità in Amicizia, carità, diritto, Milano. Tenendo presenti i punti di vista espressi dai due studiosi, saremmo propensi a vedere una tri-partizione, che è insieme una partizione temporale e tematica, una periodizzazione e una distinzione di interessi scientifici; dove i periodi si collegano l’un l’altro per affinità e per approfondimenti in- terni. Il primo periodo vede nascere gli studi su VICO e su Grozio, e che è segnato dalla presenza di motivi neo-idealistici e dall’emergere dell’originale storicismo di F. Il secondo periodo vede apparire il dittico di cui parla Vallauri, quel dittico a cui Pattaro dà il nome di assoluto e storia. In questo, è enunciata la filosofia di F.; gli anni successivi approfondiranno e talora ritoccheranno, ma i pilastri sono già posti saldamente. Dove la periodizzazione di Pattaro sembra meno giustificata, perché forse c’è soltanto accentuazione all’interno di un’unità, è in una cesura che pone. Sembra di poter dire che tutta l’attività e che muove, come Pattaro ricorda, dall’articolo ‘AQUINO, giurista laico?’, è dedicata alla meditazione integrale, per estensione dia-cronica e sin-cronica, del problema della ragione giuridica nel mondo storico-sociale: è ripercorso tutto il pensiero occidentale; si ha la progressiva accettazione di un diritto di ragione, il quale ha una sua autonomia di fronte al diritto tradotto in leggi. Anche la riflessione politica di F. e più, certamente, dopo gli sconvolgimenti, rientra in quella visione di una ragione che opera nella storia con i suoi equilibri e meccanismi. Gli scritti raccolti in questi volumi consentono di ritrovare gli aspetti salienti della meditazione di F., di ripercorrerla nelle singole tappe del suo maturarsi, di seguire, come in una fuga a più voci, l’accedere di nuovi motivi a quelli di datazione più antica. In questo senso, come s’è già detto all’inizio, grande è l’utilità di questa raccolta per chi studi l’opera di F.; non solo, ma per chi si dedichi a ricostruire la vita intellettuale e morale, la cultura politica di quegli anni, I n questa occasione, a chi scrive interessa porre in luce alcuni essenziali aspetti teoretici di quella riflessione. Ma ciò non intende certo sminuire il rilievo che si deve riconoscere a F. storico delle idee. Lo studioso di VICO e di Grozio, del diritto naturale classico, cristiano e moderno, è tale che ogni suo contributo è degno di attento studio vuoi per l’oggetto trattato, vuoi per ricostruire in modo più adeguato l’evoluzione dello stile di ricerca storiografica del suo autore, vuoi infine per gli apporti d’ordine teoretico che esso fornisce. In quest’ultimo senso, quello che qui interessa maggiormente, molti studi storici apportano argomenti per la visione della storia e della sua organizzazione giuridico-politica. Ma per fermarsi al solo rilievo storiografico, si deve ricordare che in questi volumi tornano studi su molti temi tipici e prediletti dell’attività di F.. Si vedano i vari ritorni su VICO: Vico nel pensiero del suo primo traduttore francese (dedicato al rapporto Vico-Michelet); al quale si ricollega, ventun anni dopo, U n presunto discepolo di Vico. Michelet; e inoltre vari interventi critici sulla Scienza Nuova e su temi vichiani, a cominciare dalla Genesi storica e genesi logica della filosofia della Scienza nuova, per finire con lo  Il problema del diritto e l’origine storica della Scienza Nuova. Si vedano anche gli scritti vari su Grozio: Grozio tra medioevo ed età moderna, e il saggio, assai significativo per l’evoluzione personale di F., Ragione e storia nella dottrina di Grozio. Accanto a tali studi dovrebbero esserne menzionati molti altri, a cominciare da quello su Sociologia e diritto nella filosofia civile di ROMAGNOSI, fino ai molti studi su temi storici, sulla laicità immanente in pensatori cristiani, o sull’evoluzione del pensiero giuridico in senso più stretto, come nel saggio postumo, scritto per la Storia delle idee politiche, economiche e sociali diretta da FIRPO, dal titolo La scienza e la filosofia del diritto: ricostruzione storica ammirevole nella sua lucida sinteticità, frutto maturo di una mente storica che aveva già prodotto le sue opere maggiori. Né si devono dimenticare i ritornanti interessi per il mondo greco, e per la forma democratica che in esso si realizzò: valga l’esempio dello studio dLa democrazia nell’antica Grecia e la riforma agraria. Si può dire che non manchi, in questa raccolta, nessuno dei grandi temi storiografici di Fassò: VICO e Grozio, il pensiero cristiano, l’affermarsi della ragione giuridica, la grecità. Chi voglia ricostruire l’itinerario scientifico di F. storico delle idee, avrà ora a disposizione un materiale imponente, qui riunito dalle varie sedi in cui egli usava pubblicare i suoi saggi e articoli, e che erano quasi sempre riviste giuridiche: singolare e significativa predilezione in un autore che non ridusse mai la filosofia del diritto a teoria generale del diritto, ne volle preservata la filosoficità, ma volle anche mostrare come non si potesse prescindere dalla cono- scenza dei problemi scientifici del diritto. In questo senso si può esser certi che F. ebbe profonda e genuina dimestichezza con i problemi dei giuristi. Anche lo stile del suo pensiero e il suo stesso modo di esprimersi, serio e sobrio, tutto attento alle prove e ai nessi concettuali, risentiva beneficamente della formazione giuridica e degli interessi giuridici, anche se questi non furono peculiari ad un ramo specifico del diritto, ma si rivolsero piuttosto alla teoria generale, e semmai ai modi procedurali del divenire del diritto - si pensi all’interesse per il problema del giudice - come a quelli in cui meglio si scorge l’originalità della ragione giuridica nel suo affermarsi. Si può anche dire che la cultura giuridica di F. influì sull’originale forma del suo storicismo, al quale, fino agli ultimi anni, egli non venne mai meno, Gli scritti appartenenti al primo periodo mostrano F. che, movendo dall’interno della prospettiva neoidealistica, ne esce con una propria visione della realtà come storia, e della storia come struttura in sé organizzata, razionale, scandita in istituzioni. Lo stori- cismo assoluto di Croce (un autore che, pure, F. ha ben conosciuto) è estraneo a questa forma di storicismo, tutto fatto di cose e di nessi reali, Vico e Grozio sono stati i fondamenti filosofici di questa visione della storia, Pattaro pone bene in luce come l'avversione di F. a un razionalismo astratto divenga visione storicistica nei primi studi vichiani riferisce quanto F. stesso scriveva, sull’esser vichiani per il fatto di avere una visione della storia come concreta razionalità. Pattaro prosegue illustrando il passaggio di F. dagli studi vichiani, condotti in quell'atmosfera speculativa (non necessariamente o integralmente condivisa), alla personale visione storicistica del diritto. Qui influirono le nuove correnti che si affacciavano in Italia. Le suggestioni del neoempirismo che si affaccia nella nostra cultura trovarono un'accoglienza non ostile in un F. convinto che, nella filosofia del diritto, molto spesso l'empirismo non è lontano dallo storicismo, La specifica tematica giuridico-filosofica, lo fa incontrare con le correnti sociologiche ed istituzionalistiche, ma nel contempo lo induceva, per superarne 1’oggettivismo naturalistico, ad adottare un'impostazione filosofica di fondo lato sensu kantiana, così Pattaro. In queste parole è detto l'essenziale sulla visione filosofica di F. I1 quale descrive egli stesso come vede la crisi dell'idealismo, provocata da varie correnti di pensiero, che egli enumera: il marxismo, l'esistenzialismo, lo spiritualismo cristiano, il neopositivismo. Empirismo e storicismo, egli li accosta nelle parole prima citate, tratte dall'Introduzione ai Prolegomeni di Grozio e nuovamente li accosta, parlando dell'opera di Levi, quando ritene utile muovere, sia pur con misura e senso delle sfumature, dalla constatazione delle affinità tra storicismo idealistico e sociologismo positivistico. In quello stesso scritto su Levi, F. avverte un'analogia tra due generazioni in crisi, quella di Levi, che usce dal positivismo, la sua, che usce dall'idealismo: due generazioni accomunate da una posizione che conduce ad apprezzare, non già i beati possessori della verità, ma coloro che sono andati faticosamente fabbricandosene una, senza cieche fedeltà a dogmi e senza chiudere gli occhi davanti alla storia in cammino. Quello scritto su Levi vede, come altri scritti, lo sgretolarsi dell'idealismo per l'irruzione di nuove tendenze di pensiero, più legate all'osservazione diretta dell'esperienza. Rientrano in questo quadro anche le polemiche che F. conduce contro le facili riesumazioni del diritto naturale, talora troppo coerenti, e inconsapevoli nella loro professione di un diritto astorico, talora troppo incoerenti e disinvolte nella loro combinazione di diritto naturale e storia. Lo storicismo era così diffuso in quegli anni, e senza effettiva consapevolezza critica, che si ebbero anche coloro che F. chiama i giusnatural-storicisti. Lo storicismo di quegli anni, e specialmente all’interno della cultura filosofico-giuridica (una cultura, in quel periodo, assai vivace, in ricambio con altri àmbiti filosofici e culturali), è uno storicismo di origine, più che filosofica, empiristica, o addirittura empirica: fu lo storicismo di chi era cresciuto nell’indagine delle teorie giuridiche sociologiche e istituzionalistiche, e medita sul diritto e sui modi del suo farsi.I1diritto come sistema storicamente progrediente, avrebbe detto Savigny; e in modi affini pensano Romano, Gurvitch, Capograssi, per fare soltanto pochissimi ma influenti nomi (per la valutazione dell’influenza di Capograssi, si può qui vedere la recensione di F. alla IntevFYetazione di Capograssi, pubblicata da Carnelutti). Anche lo storicismo di F. si modellò in aspetti affini, pur nella indubbia sua penetrazione filosofica. Ma quello storicismo, se aveva le sue basi in Vico e in Grozio, si approfondì e dispiegò nella visione istituzionalistica del diritto. Tra gli autori di . non è Hegel (né in sé né nelle scuole che a lui si richiamarono), e non sono gli autori del moderno storicismo indivi- dualistico, da Dilthey in poi, che tanta influenza avrebbero avuto su Piovani, pure affine a F. per più interessi ed aspetti. Si può dire allora che lo storicismo professato da F. fu di impronta giuridica. Ebbe tratti affini allo storicismo post-crociano da molti condi- viso in quegli anni; ma non derivava tanto da precise correnti filosofiche, quanto dai giuristi non strettamente positivisti: la scuola storica del diritto in Germania; ma molto di più le correnti istituzionalistiche; e infine la tradizione di common-law, da F. ammirata come esem- plare organizzazione giuridica e politica e presidio del valore liberale della dignità deli’individuo. La storia era, secondo il titolo dell’opera, ESPERIENZA  giuridica; e non era questo un pensiero da poco, ma anzi una robusta e meditata posizione storicistica, perché il diritto, come struttura razionalizzatrice e regolatrice della convivenza, mo- strava la ragione immanente alla storia, che era anche l’unica ragione accessibile all’uomo. Avverso al razionalismo omnicomprendente - fosse la metafisica metastorica della tradizione o la metafisica della storia come totalità (idealismo, materialismo storico) -, F. crede in una razionalità che guida la convivenza, che nasce dall’interazione di individui e di gruppi, che è garanzia di libertà per gli individui. I valori nltimi, invece, non sono accessibili agli uomini per via razionale; la ragione non può che fermassi a questo mondo terreno, e studiarlo nelle strutture che in esso si formano e variano. Era una visione, se vogliamo parlar filosoficamente, neokantiana, nel senso di tanto neokantismo diffuso nella filosofia del diritto e nelle scienze sociali. Conoscibile razionalmente il mondo dei fenomeni come mondo storico; non-conoscibile, ma soltanto sperimentabile emozionalmente, il mondo del valore. Cade la fondazione pratica della morale; restava la inconoscibilità dei valori ultimi. In questo senso, Radbruch o Weber non pensano diversamente. Quel che ebbe F., a differenza di questi autori (ma non del neokantismo in genere), è l’interesse per quel sopramondo che egli affermava non-conoscibile, e che vede tradotto, nella forma più pura, nel cristianesimo, è questo l’altro versante della filosofia di F., che si tradusse in Cristianesimo e società, opera tra le più alte della nostra cultura recente. E forse interessante notare quel che scrive F., recensendo Piovani sul giusnaturalismo. Piovani fa sua la proposizione (la personalità stessa è l’assoluto), che d’altronde traeva da Kierkegaard, e la svolgeva nel senso di un individualismo visto come unico coerente sbocco dell’etica moderna. Scrive F. E qui si potrebbe, naturalmente, discutere a lungo  e del resto anche chi, come me, davanti alle affermazioni di una presenza, che non sia totalmente mistica, dell’assoluto nell’individuo, rimanga perplesso, e non veda come un ipersoggettivismo quale quello professato da Piovani possa sfuggire al relativismo, non può non apprezzarne il profondo significato morale: assai più alto in ogni caso di quello delle etiche oggettivistiche, che, coprendosi della retorica dei valori eterni, conducono all’alienazione dell’uomo, e lo privano di ciò che costituisce la sua umana essenza morale. Tre affermazioni sono da rilevare in questo passo: v’è il rifiuto della retorica dei valori eterni, giudicata alienante e tale da privare l’uomo della sua essenza morale, che è, evidentemente, collegata alla ricerca e all’irrequietezza; l’iper-soggettivismo (ma tanto varrebbe dire soggettivismo) non può sfuggire al relativismo, sentito da F. come pericolo. F. si dichiara perplesso davanti alle affermazioni di una presenza dell’assoluto nell’individuo, ma con l’eccezione che si tratti di una presenza a totalmente mistica B. Rifiutate un’etica oggettivistica e un’etica soggettivistica, che cosa rimane nella visione morale di F.? Rimangono: la razionalità formale del diritto come ragione vivente nella storia e l’esperienza mistica come unica via di accesso all’assoluto. Questi due piani sono privi di relazione; ma essi appaiono tali da produrre queste conseguenze: è salvata l’irrequietezza che è condizione della morale; è evitato il pericolo del relativismo; è consentito l’accesso all’assoluto. Il mondo dei valori assoluti è accessibile soltanto all’esperienza mistico-religiosa. La carità, intesa in senso teologico, ovvero come virtù teologale, è proprio questa capacità di inserirsi nella vita divina, La simpatia di F. va agli spiriti capaci di questa immedesimazione: da Paolo a Kierkegaard, va a coloro che hanno ben chiara la distinzione tra mondo della terra, della legge, della ragione, e mondo divino, della carità. Quella linea del cristianesimo aveva contrapposto il mondo, regno del peccato e della legge, al regno della carità, dell’immedesimazione in Dio quel mondo che non conosce diritto. Tra cristiaizesimo e società v’è quindi un contrasto ineliminabile, come tra generi diversi e inconciliabili, come tra santità e peccato, come tra l’assolutezza dei valori e il mondo degli uomini comuni, I1 saggio in cui queste tesi erano argomentate fu quello che sollevò le maggiori polemiche. Sul piano più propriamente filosofico, BAGOLINI è il critico più attento - come PATTARO ricorda a lucida analisi quella divisione netta tra la realtà e il valore, per affermarne l’insostenibilità: gli appare inconseguente negare la conoscibilità razionale del valore e allo stesso tempo parlarne. Ma si può dire - prosegue Pattaro che F. (intenzionalmente rinvia tutti i valori che si pretende siano di questo mondo nel cielo indefinito e indefinibile dell’assoluto). F. conobbe e trattò il mondo imperfetto e relativo; non dimenticò - è la strada della mistica - il mondo perfetto e assoluto del quale ci hanno dato testimonianza grandi spiriti, e che noi stessi avvertiamo nel nostro desiderio di perfezione. Ma quella divisione così recisamente affermata provocò le polemiche più accese al di fuori del campo propriamente filosofico, e se è discussa e rispettata da teologi e da uomini di fede e di chiesa (questa raccolta ne reca più tracce: dai giudizii Lener fino a quelli espressi nel colloquio di Strasburgo, dedicato proprio al tema tipico di F.: L a révélation chrétienne et le droit), è trattata invece con non altrettanta serietà e consapevolezza da giuristi, e da coloro che, professandosi i giuristi cristiani o, o (( giuristi cattolici)), si fondano proprio sulla tesi opposta a quella sostenuta da F. nel suo libro. Sono due tesi teologiche a confronto, dov’era conoscenza dei problemi; ma F. ha buon gioco a spiegare ai suoi interolcutori giuristi che la carità e la giustizia di cui parla il Vangelo riguardano il rapporto con Dio, rispetto al quale tutto il resto vien dato per soprappiù, e non il rapporto con gli uomini, che è soltanto una conseguenza del vivere in Dio. Se carità e mondo sono in un tale contrasto, non si può parlare, senza cadere in contraddizione, di diritto cristiano, di giuristi cristiani, di politica cristiana, di cristianesimo sociale. Ripetutamente F. polemizza con i giuristi cristiani, innanzi a tutti con CARNELUTTI; e ricorda che carità non è filantropia, e che la giustizia, nel vangelo, sta a indicare una situazione d’ordine esclusivamente religioso, l’elezione, la perfezione, la santità – cf. H. P. Grice on J. O. Urmson, eroi e santi --, e non è la virtù sociale pur teorizzata da teologi e filosofi morali cristiani, e che AQUINO definisce IVSTITIA METAPHORICE DICTA. Rispondendo a Carnelutti è lo stesso scritto nel quale deplora, con parole prima ricordate, che tutti si sentissero autorizzati a parlar di filosofia), F. precisa: Ciò di cui non posso ringraziare l’illustre maestro è d’aver pensato che a me non garberebbe d’aggiungere al mio titolo di filosofo del diritto l’aggettivo cristiano il che mi fa ritenere che anche a me, anzi soprattutto a me egli si rivolga, quando, nell’intitolare il suo scritto garbatamente parodiando l’intitolazione del e sottopose mio, parla di pericoli per i filosofi non cristiani Non vedo in verità perché quell’aggettivo non dovrebbe garbarmi, né che cosa abbia potuto far sospettare ciò al pur benigno lettore: forse perché ho criticato qualche giurista cattolico il quale mostrava di non conoscere con troppa esattezza alcuni termini usati nei testi cristiani? Quei concetti venivano organicamente presentati, dal punto di vista storico e teorico, nel saggio “Giustizia, carità e filantropia,” e sono anche inseriti negli scritti in onore di JEMOLO (si veda), grande giurista storico e grande spirito religioso, uno degli spiriti più congeniali a F., se non forse il più congeniale. La separazione di cristianesimo e società era pure destinata a scontrarsi con l’opinione dominante nel mondo religioso, e di coloro che, richiamandosi al cristianesimo, intendevano tradurlo nella società. F. dissente in maniera totale dalle idee di BALBO (si veda). Ritorna il sufposto cristianesimo sociale, e il titolo di una nota polemica come pure, naturalmente, dalle idee di chi nutrisse progetti politici meno radicali. Ribade che il cristianesimo è una religione, e che la religione ha per oggetto Dio e soltanto Dio, e che la novità, e quindi l’essenziale significato del cristianesimo rispetto alla filosofia ed alla morale greca ed alla morale ebraica sta tutta in questa sua proiezione totale verso Dio, che consuma e supera ogni interesse umano e mondano e perciò anche sociale. Non nega certo un ideale di vita cristiano; nega che il cristianesimo potesse tradursi in dettami politici. Facciamo cristiani noi stessi, dice; ma guardiamoci dall’a immischiare Dio nei problemi di Cesare. E conclude quelle pagine ammirando la scelta religiosa di Dossetti, che così commentava: a Questo sì è il vero ideale cristiano; ed è bello vedere che c’è chi, riconosciutolo, ha - o riceve - la forza di realizzarlo. 1 superficiali interpreteranno tutto ciò come una rinuncia, come l’accettazione dolorosa di una sconfitta. Io penso che sia una grande vittoria, la sola vera vittoria cristiana. Questa visione del problema andava risoluta- mente, e con insofferenza dichiarata, contro la sintesi politico-religiosa di Maritain, che tanto ha influenzato nel nostro tempo il cristianesimo sociale (si vedano in proposito i vari cenni di F. E anda contro le soluzioni e conciliazioni dello spiritualismo cattolico del quale spesso si trova menzione in queste pagine), nel quale ultimo F. svelava (( una grave contraddizione nello sforzo di assumere una posizione che sia ad un tempo religiosa e razionalistica, trascendentistica e storicistica, salvando in pari tempo, e connettendoli e conciliandoli, il valore (trascendente) e la storia, la moralità e la giuridicità, la città di Dio e quella città terrena, che è pur sempre, per chi senta davvero religiosamente, la città del demonio e del peccato: soddisfacendo ecletticamente due istanze pienamente legittime e valide, certo, ma irriducibili fra di loro. Tutto un periodo della vita di F. - quello che sopra si è detto il secondo - gravita intorno a questi pensieri; ma è il periodo in ogni senso centrale della vita di F.. Quel che vale per il problema religioso vale per L’ÀMBITO FILOSOFICO generale, Di qui anche l’avversione di F. alle facili combinazioni di diritto naturale e storia, e ai teorici di un diritto naturale razionalmente deducibile e perciò anche applicabile (si vedano le ripetute e dure critiche a Strauss, e particolarmente lo scritto Diritto naturale e storicismo, appunto in polemica con questo). L’assoluto non è conoscibile; conoscibile è soltanto il mondo della storia, e ad essa, come a mondo pervaso da strutture e istituzioni che si formano, volge lo sguardo lo studioso del fenomeno giuridico, La storia, aveva scritto F. nell’opera è esperienza giuridica; e su quella visione egli avrebbe fondato negli anni le sue riflessioni, le sue ricerche storiche, i suoi interventi sui prblemi politici e culturali. Di lì nascevano la sua concezione del diritto e la sua concezione della vita associata. La storia del pensiero giuridico occidentale conduceva a una visione razionalistica, che poteva ben dirsi laica e liberale. Questi due attributi sono usati da Pattaro, e si può esser d’accordo con quella definizione; naturalmente non dimenticando tutto quel che s’è detto finora sulla com- plessità e ricchezza del pensiero di F.: nel senso, in ogni modo, nel quale se ne potrebbe parlare per JEMOLO (si veda), ma anche per studiosi prima menzionati, e a lui in quel tempo vicini per affinità di sentire su molti temi, come BOBBIO (si veda), PIOVANI (si veda), COTTA (si veda). In questo senso può dirsi che la meditazione di F. sia tutta rivolta alla inve- stigazione storiografica e teoretica di quella visione razionalistica, laica e liberale della storia, I1 diritto diviene, allora, la ragione conoscibile agli uomini, la ragione che salva la convivenza degli individui. L’assoluto può essere attinto da invididui eccezionali o in momenti eccezionali, è un dono concesso e non una strada consentita alla ragione; ma il mondo della storia ha una sua dimensione razionale proprio nel diritto, che assicura istituzioni in grado di garantire gli individui nel loro vivere in comune, Se Cristianesimo e società insegna che non si può mescolare Dio a Cesare, le opere, insistendo sull’indagine del mondo storico-giuridico, già avviata nell’opera, insegnano che neppure si può, né si deve, trasformare Cesare in Dio, e vedere nella storia valori e significati immanenti. Questa etica e questa visione politica si chiariscono e arricchiscono via via nella ricerca di F.. I1 problema si intreccia con quello del rispetto della legge, e quindi con la valutazione del positivismo giuridico. F. si domandava, e concludeva senza risposte perentorie: Dobbiamo insegnare l’obbedienza assoluta alla legge. È il problema del fondamento della convivenza e del fondamento dell’obbligatorietà della legge. Diventa anche il problema se fosse razionalmente deducibile la democrazia, F. nega, e con chiarezza in uno scritto, LETTURE, che fra diritto naturale e democrazia ci fosse nesso necessario, contraddicendo in tal modo diffuse concezioni. Conveniva invece su di un fondamento morale della forma democratica (che per la cristal- lina mente di F. volle sempre dire forma democratico-liberale) della convivenza. È un diritto che puo magari esser detto naturale, ma ricordando la storicità della natura umana: il diritto naturale sul quale la libertà e la democrazia possono fondarsi non può essere un astratto dogma esterno alla storia dell’uomo: esso non può consistere che nell’idea di giustizia che l’uomo ritrova nella propria coscienza morale, il cui valore è sì certamente assoluto, ma il cui con- tenuto può essere soltanto quello che lo sviluppo storico di questa coscienza comporta. La limpida relazione su Stato di diritto e stato di gizlstizia, rivendicava il valore dello stato liberale di diritto, che non ha fra i suoi scopi – F. conclude con i versi di Holderlin - di far dello stato il paradiso dell’uomo, col risultato di farne un inferno, Si richiamava all’esperienza costituzionale inglese, che avrebbe ribadita come modello di sviluppo giuridico, civile e politico nella prolusione bolognese, La legge della ragione. In quell’occasione, contemporanea al saggio dallo stesso titolo, F. afferma che non possiamo, oggi, rifiutare il giusnaturalismo, quando il giusnaturalismo si propone come appello alla legge della ragione. È un modo di affermare, più che un diritto naturale, il diritto di giudicare le circostanze storiche al lume della ragione; al modo seguito dai giuristi inglesi di common law. Le leggi, il diritto positivo, avevano il loro valore, e si doveva loro obbedienza, ma la ragione giuridica non si limita a sistemare i loro dettami, in un modo che sarebbe anch’esso astratto, pur se in modo opposto a quello tenuto dal giucnaturalismo meta-storico ma se continuiamo a rifiutare - obietta F. a SCARPELLI (si veda) come abbiamo sempre rifiutato, l’idea di un diritto naturale extra-storico, immutabile ed eterno, dobbiamo per questo abbracciare il culto di un diritto positivo altrettanto extrastorico e astratto?. Sta avvenendo in F. un passaggio dal rifiuto dell’espressione diritto naturale ove non fosse coerentemente inserita in una metafisica soprastorica, ad un’accettazione della medesima espressione in un senso più lato, come diritto di una natura dell’uomo che è ragione operante nella storia. In questo senso si poteva anche affermare un diritto naturale, che giudicasse razionalmente, in modo storico, fatti, istituzioni, leggi, ma senza sistemazioni assolute. Era il sistema pragmatico, empirico, storico, anche antiilluministico, seguito dalla civiltà giuridica anglosas- sone, la quale, non a caso, era anche quella che aveva dato il più duraturo esempio di stato democratico-liberale. Su questa base, scientifica e politico-morale, si sarebbe espresso F. negli ultimi anni della sua vita, durante i sussulti e degli anni seguenti, durante quegli avvenimenti e quelle teorizzazioni che tanto avrebbero influito sulla [Giuffrè, Milano] nostra ultima storia, e che da lui furono giudicati senza le incertezze, le ambiguità, i silenzi, le fragili adesioni, di cui molti si resero responsabili. In verità, tutta la formazione culturale, oltreché l’intransigenza morale, garantiva F. di fronte alla crisi di quegli anni. Era stato sempre convinto che il diritto è il momento razionalizzatore nella storia, e che è esso stesso fenomeno storico. I1 riferimento all’esperienza anglosassone gli permetteva di criticare con misura il positivismo giuridico-legalistico si veda Il positivismo giuvidico, contestato; ma lo faceva anche accorto, sul piano politico, del valore irrinunciabile dello stato democratico-liberale, coi suoi valori di tutela della libertà individilale attraverso metri comuni a tutti gli individui e attraverso misure inevitabilmente repressive. Contro la riduzione del diritto a politica, egli non cedette alle nuove idee che si diffondevano tra giuristi e magistrati, e che pretendevano di richiamarsi a una democrazia sostanziale; seppe subito additare le fonti teoriche di quelle idee, e le rintraccia in Schmitt, nelle parole, certo, di un insigne giurista; il giurista più insigne del Terzo Reich. Puo parlare, per quelle correnti, di nazismo giuridico, e dovendo scegliere tra Positivismo e nazismo giuvidico, egli potè richiamarsi tranquillamente ai suoi autori, e a quella ragione artificiale di cui aveva parlato Coke. Si tratta, come egli intitolava un saggio, di vedere in modo razionale e insieme storico il rapporto tra giudice e legge (si veda Il giudice e l’adeguamento del diritto alla realtà storico-sociale, ampia indagine teorica e storica del problema). Vede i pericoli insiti nel rifiuto del principio di legalità; rifiutava che si potesse parlare del diritto di resistenza nella società democratico-liberale, e vedeva nella contestazione di quegli anni non il riferimento a una ragione diversa per stabilire un ordine più giusto, ma la negazione di qualsiasi ordine, di qualsiasi istituzione repressiva, della stessa ragione, in nome di un atteggiamento che definiva anarchico e religioso; ripeteva che diritto è necessariamente repressione, e che si trattava soltanto di fare in modo che quella repressione fosse frutto della ragione (si veda, Società, diritto e repressione. Da questi stessi principi e preoccupazioni era ispirato l’ampio saggio postumo già menzionato su La sciefiza e la filosofia del diritto, viste nel loro sviluppo storico. Questa indagine, come d’altronde tutta la Stovia della filosofia del divitto, ribadiva la visione del diritto come F. era venuto maturandola negli anni della sua coerente meditazione. In queste occasioni, di fronte ai problemi più gravi dei tempi, Fassò poteva richiamarsi a quanto aveva pensato, sul rapporto fra cristianesimo e storia, nel suo periodo teoretico. Nella società che non è società, e neppure comunità, ma comunione dei santi, come si è liberi dal diritto, così lo si è dalla ragione. Siccome invece purtroppo non siamo guidati dallo spirito, siamo, come ci ricorda San Paolo, sotto la legge; e l’unica cosa che possiam fare per non sentirne troppo la repressione è cercare che essa sia conforme alla RAGIONE. Ma è riduttivo vedere l’ultimo periodo della riflessione di F. nella luce di queste polemiche contro idee effimere; anche se si dove ricordarle per rendere onore alla coerenza e alla rettitudine dello studioso. In realtà, alla base di quelle polemiche è la meditazione di tutta una vita, nella quale è sempre stato operante l’amore per la distinzione: distinzione tra Dio e GIULIO (si veda) CESARE, tra esperienza religiosa ed ESPERIENZA GIURIDICA, tra assoluto e STORIA. Ricerca Lucio Giunio Bruto politico romano Lingua Segui Modifica Lucio Giunio Bruto Project Rome logo Clear. png Console della Repubblica romana Capitoline Brutus Musei Capitolini MC1183. jpg Busto di Bruto, nei Musei Capitolini in Roma. Nome originale Lucius Iunius Brutus Nascita Roma Morte Roma GensIunia Consolato Lucio Giunio Bruto è stato il fondatore della Repubblica romana e secondo la tradizione uno dei due primi consoli. Il nome di Bruto è legato alla leggendaria cacciata dell'ultimo re di Roma, Tarquinio il Superbo.  Secondo la narrazione di Livio, rafforzata da Ovidio, Bruto aveva molti motivi di ostilità contro il re, di cui era nipote in quanto figlio di una sorella: nel corso degli eccidi familiari che spesso accompagnano la presa di potere di un despota, Tarquinio aveva disposto fra l'altro l'omicidio del fratello di Bruto, il senatore Marco Giunio. Bruto, temendo di subire la stessa sorte, allora si mimetizzò nella famiglia di Tarquinio, impersonando la parte dello sciocco (in latino brutus significa sciocco).  Lui accompagnò i figli di Tarquinio, Tito ed Arrunte, in un viaggio all'oracolo di Delfi. I figli chiesero all'oracolo chi sarebbe stato il successivo sovrano a Roma e l'oracolo rispose che la prossima persona che avesse baciato sua madre sarebbe diventato re. Bruto interpretò la parola "madre" nel significato di "Terra" così, al ritorno a Roma, finse di inciampare e baciò il suolo. In seguito Bruto dovette combattere in una delle tante guerre di Roma contro le tribù vicine e tornò in città solo quando venne a sapere della morte di Lucrezia.   Lucio Giunio Bruto da giovane  Il giuramento di Bruto, Jacques-Antoine Beaufort, I littori portano a Bruto i corpi dei due figli, Jacques-Louis David. Secondo la leggenda, la cacciata dell'ultimo re da Roma ebbe inizio con il suicidio di Lucrezia, moglie di Collatino e parente di Bruto, perché costretta a cedere con le minacce alle richieste amorose di Sesto Tarquinio, figlio del re Tarquinio il Superbo. Livio racconta che, suicidatasi davanti ai suoi occhi, del marito Collatino e del padre di lei Spurio Lucrezio, Bruto estrasse il coltello dalla ferita e disse:  «Su questo sangue, purissimo prima che il principe Sesto Tarquinio lo contaminasse, giuro e vi chiamo testimoni, o dei, che da ora in poi perseguiterò Lucio Tarquinio il Superbo e la sua scellerata moglie, insieme a tutta la sua stirpe, col ferro e con il fuoco e ogni mezzo mi sarà possibile, che non lascerò che né loro, né alcun altro possano regnare a Roma.»  (Tito Livio, Ab Urbe condita libri) Bruto, il padre ed il marito di Lucrezia giurarono di vendicarne la morte. Quindi trasportarono il corpo della donna nella piazza principale della città di Collatia, dove la donna si era suicidata, attirando l'attenzione della folla, che dopo aver saputo dell'accaduto si indignò per la protervia di Sesto Tarquinio.  Molti dei giovani lì presenti si offrirono volontari per condurre una guerra contro i Tarquini. Le truppe ora riunite riconobbero in Bruto il loro comandante, facendo rotta su Roma per conquistarne il potere. Giunti a Roma, Bruto si rivolse al popolo romano riunito nel Foro, raccontando della triste sorte toccata a Lucrezia.  Aggiunse quindi della superbia del re, Tarquinio, e della miseria della plebe romana, costretta dal tiranno a costruire ed a ripulire le fogne, invece che portata a combattere come era nella natura dei Romani. Ancora ricordò dell'indegna morte di re Servio Tullio, calpestato da sua figlia, moglie di Tarquinio, con un cocchio. Invocò infine gli dei vendicatori, infiammando gli animi del popolo romano alla rivolta contro il tiranno, tanto da trascinarlo ad abbattere l'autorità regale e a esiliare Lucio Tarquinio, insieme alla moglie ed i figli. Partì quindi per Ardea, dove il re era accampato, per ottenere che anche l'esercito si schierasse dalla sua parte, dopo aver lasciato il comando di Roma a Lucrezio (in precedenza nominato praefectus della città, da parte dello stesso Superbo). Frattanto, Tullia, moglie di Lucio Tarquinio riuscì a fuggire dalla città. Quando la notizia di questi avvenimenti arrivò ad Ardea, Tarquinio il Superbo, allarmato dal pericolo inatteso, partì per Roma per reprimere la rivolta. Bruto, allora, informato che il re si stava avvicinando, per evitare l'incontro, fece una breve diversione e raggiunse l'accampamento regio ad Ardea dove fu accolto con entusiasmo da tutti i soldati, i quali espulsero i figli del re, mentre a quest'ultimo venivano chiuse in faccia le porte di Roma e comunicata la condanna all'esilio. Due dei figli seguirono il padre in esilio a Cere(Cerveteri), Sesto Tarquinio invece, partito per Gabii, qui fu assassinato, da coloro che si vendicarono delle stragi e razzie da quello compiute.  In seguito a questi eventi, il prefetto della città di Roma convocò i comizi centuriati, che elessero i primi due consoli della città: Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino. Busto conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli I primi provvedimenti di Bruto furono: evitare che il popolo, preso dalla novità di essere libero, potesse lasciarsi convincere dalle suppliche allettanti dei Tarquini, costringendolo a giurare che non avrebbe permesso più a nessuno di diventare re a Roma; rinforzare il senato ridotto ai minimi termini dalle continue esecuzioni dell'ultimo re, portandone il totale a trecento, nominando quali nuovi senatori i personaggi più in vista anche dell'ordine equestre. Da qui l'uso di convocare per le sedute del senato i padri (patres) ed i coscritti (dove è chiaro che con questo termine si alludeva agli ultimi eletti). Il provvedimento aiutò notevolmente l'armonia cittadina ed il riavvicinamento della plebe alla classe senatoriale. Durante il consolato i suoi figli, Tiberio e Giunio, complottarono con il deposto re Tarquinio il Superbo, per farlo tornare a Roma come re, ma furono scoperti grazie ad uno schiavo. Incatenati, chiesero pietà e il popolo, impietosito, ne chiedeva la loro liberazione. Ma Bruto fu irremovibile, e li fece uccidere, assistendo personalmente senza versare una lacrima per la loro morte.  In seguito alle dimissioni forzate del collega Lucio Tarquinio Collatino, Bruto chiese al popolo di nominare un altro console in sua sostituzione, così da non dare adito al sospetto che volesse governare sulla città come un monarca. Allora i cittadini riuniti elessero Publio Valerio Publicola. Il suo consolato terminò con la battaglia della Selva Arsia, combattuta contro gli Etruschi, che si erano alleati con i Tarquini, per restaurarne il potere. Durante la battaglia Bruto si scontrò con Arrunte Tarquinio, figlio di Tarquinio il Superbo e cugino di Bruto; i due, spronati i loro cavalli al galoppo, si trafissero vicendevolmente con le loro lance, perdendo la vita nello scontro.  Il console superstite, Valerio, dopo aver celebrato un trionfo per la vittoria, tenne un funerale di grande magnificenza per Bruto, che fu pianto dalle nobildonne per un anno.  Altro Servilio Ahala e Bruto in un denario di Marco Giunio Bruto. Marco Giunio Bruto, il cesaricida che si vantava di essere un discendente di Lucio Giunio Bruto, nel 54 a.C., dieci anni prima delle Idi di marzo quando Giulio Cesare rimase ucciso, emise un denario con al diritto la testa di Lucio Giunio Bruto, il fondatore della repubblica romana e la scritta BRVTVS ed al rovescio la testa di Gaio Servilio Strutto Ahala e la scritta AHALA. Secondo Crawford (Roman Repubblican Coinage) il denario fu emesso quando a Roma corse la voce che Pompeo volesse diventare dittatore.  Critica storica Il racconto proviene dall'Ab Urbe condita di Livio e tratta di un punto della storia di Roma che precede le annotazioni storicamente affidabili (praticamente tutte le annotazioni precedenti furono distrutte dai Galliquando saccheggiarono Roma) La figura di Bruto nell'arte Il busto di Bruto si trova nel palazzo dei Conservatoridi Roma. Proveniva dalla collezione privata del Cardinale Rodolfo Pio da Carpi, che la donò alla città nel XVII secolo. Trafugato da Napoleone che lo fece esporre al Louvre, fu riportato a Roma. ALIGHIERI (si veda) lo cita nel limbo, nell’Inferno, quando scrive. VIDI QUEL BRUTO CHE CACCIÒ TARQUINO (Alighieri, Divina Commedia, Inferno) Shakespeare, nella sua tragedia Giulio Cesare, fa un riferimento a Lucio Giunio, quando fa ricordare a Cassio che parlava a Bruto, l'altro cesaricida, lo spirito repubblicano dei propri antenati.  Lucio Giunio Bruto è uno dei personaggi principali de Il ratto di Lucrezia, un poema sempre di Shakespeare, e nella tragedia di Nathaniel Lee, Lucius Junius Brutus; Father of his Country.  A Giovan Francesco Maineri è attribuito un dipinto, databile tra il 1490 e il 1493, dal titolo Lucrezia, Bruto e Collatino.  Nel 1789, all'alba della rivoluzione francese, il pittore francese Jacques-Louis David realizzò il dipinto I littori riportano a Bruto i corpi dei suoi figli, oggi esposto al Louvre di Parigi. Il dipinto provocò grandi timori nelle autorità, poiché si temeva un paragone tra l'intransigenza del console Lucio Giunio Bruto, che non esitò a sacrificare i figli che cospiravano contro la Repubblica, e la debolezza di Luigi XVI rispetto al fratello conte d'Artois, favorevole alla repressione dei rappresentanti del Terzo Stato.  Giunio Bruto è anche un'opera seria musicata da CIMAROSA (si veda), libretto di ACANZIO (s veda) Matyszak, Eutropio, Breviarium ab Urbe condita Eutropio, Breviarium ab Urbe condita Livio, Ab Urbe condita libri Santillana e Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi Livio, Periochae ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe condita libri, Livio, Ab Urbe condita libri Livio, Ab Urbe condita libri Livio, Periochae ab Urbe condita libri Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Livio, Ab Urbe condita libri Livio, Ab urbe condita libri Livio, Ab urbe condita libri Dionigi racconta che furono due i figli accusati ed uccisi da Bruto, Antichità romane, Libro VIII, 79. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane Livio, Ab Urbe condita libri Iunia e Servilia; Sydenham; Crawford.Fonti primarie Livio, Ab Urbe condita. Fonti secondarie William Smith, Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology, Taylor, Walton and Maberly, London. Matyszak, Chronicle of the roman Republic, New York, Thames & Hudson. Carandini, Res publica: Come Bruto cacciò l'ultimo re di Roma, Milano, RCS Libri S.p.A. Voci correlate Bruto capitolino Consoli repubblicani romani Gens Iunia Lapis Satricanus Elenco degli oracoli di Delfi. Bruto, Lucio Giunio, in Dizionario di storia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Lucio Giunio Bruto, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Lucio Giunio Bruto nel Dizionario delle antichità greco-romane di William Smith Portale Antica Roma   Portale Biografie PAGINE CORRELATE Tarquinio il Superbo settimo e ultimo re di Roma  Lucrezia (antica Roma) figlia di Spurio Lucrezio Tricipitino e moglie di Collatino  Lucio Tarquinio Collatino politico romano. Keywords: RES PVBLICA RES POPVLI, ius, Grice on Hart, Hart’s failure as a jurisprudentialist – “La filosofia romana” “La giurisprudenza romana” la genesi logica della scienza nuova di Vico, la genesi storica della scienza nova di vico, Michelet, filosofo uganotto discipolo di Vico, Croce su F., F. su Gentile, F. su Romano – iurisprudenza, ius-naturalismo – legge e raggione, legge raggione, societa – positivismo – storia come esperienza giuridica, l’assoluto giuridico – natura umana – grozio e vico – lo stato fascista di Gentile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fassò” – The Swimming-Pool Library. Guido Fassò. Fassò

 

Grice e Fausto: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano– Riez --. Contra Claudiano Mamerto.

 

Grice e Favonio: la ragione conversazionale a Roma antica – il portico a Roma – il cinargo a Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Filosofo del portico, amico e ammiratore di CATONE (si veda) Uticense. Fugge con Pompeo. E giustiziato per essere proscritto. Dopo che Marco F. E catturato e giustiziato a seguito della battaglia di Filippi Ottaviano acquistò uno dei suoi schiavi, un certo Sarmento, quando tutte le proprietà del nemico sconfitto vennero messe in vendita: è stato affermato poi ch'egli divenne il catamite preferito dello stesso futuro imperatore. Osgood, J. Caesar's Legacy: Civil War and the Emergence of the Roman Empire, Cambridge. Marcus F., a Roman politician during the period of the fall of the Roman Republic. Noted for his imitation of Catone the Younger, his espousal of the Cynic philosophy – CINARGO --, and for his appearance as the Poet in William Shakespeare's play Julius Caesar.  Life  Aerial view of Terracina with the Circeo promontory in the background Favonius was born in around 90 BC[1] in Tarracina (the modern Terracina), a Roman colony on the Appian Way at the edge of the Volscian Hills.[2] Favonius in Latin means "favourable"; in Roman mythology Favonius was the west wind, whose counterpart in Greek mythology was Zephyrus.[3]  Political career Favonius, with the support of Cato, was chosen aedile at some time between 53 and 52 BC.[2] According to Plutarch,  Favonius stood to be chosen aedile, and was like to lose it; but Cato, who was there to assist him, observed that all the votes were written in one hand, and discovering the cheat, appealed to the tribunes, who stopped the election. Favonius was afterwards chosen aedile, and Cato, who assisted him in all things that belonged to his office, also undertook the care of the spectacles that were exhibited in the theatre.[4]  As well as being chosen aedile, he was also chosen quaestor and served as legatus in Sicily, "probably after his quaestorship".[2] Although many classical reference works list Favonius as having been a praetor in 49 BC, it is a matter of some controversy whether or not he was a praetor at any time between 52 and 48 BC. According to F. X. Ryan, in his 1994 article 'The Praetorship of Favonius', the matter hinges on the meeting at the senate at which he bade Pompey "stamp on the ground". "When we are forced to decide whether a man who spoke at a meeting summoned by consuls was a praetor or a senator, all we can say is that probability greatly favors the latter alternative."[2] Cassius Dio wrote of Favonius' relation to Cato that Favonius "imitated him in everything",[5] while Plutarch wrote that Favonius was "a fair character ... who supposed his own petulance and abusive talking a copy of Cato's straightforwardness".[6] An instance of his imitation of Cato's plainspeaking that was ruder and more vehement than the behaviour of his model might have allowed came in 49 BC; in a dispute in the Senate, Pompey, challenged as to the paucity of his forces when Julius Caesar was approaching Rome from Gaul, answered that he not only could call upon the two legions that he had lent to Caesar but could make up an army of 30,000 men. At which Favonius "bade Pompey stamp upon the ground, and call forth the forces he had promised".[6]  According to Plutarch, Favonius was known amongst his fellow Roman aristocrats as a Cynic because of his outspokenness,[7] but a modern writer on Greek philosophy labels him as an "early representative of Cynic type" who fell short of the (possibly unattainable) ideal cynicism of the earliest Greek proponents of the doctrine (a slightly later example of the type was Dio Chrysostom). Despite his wild, vehement manner, F. is capable of acts of humility, such as he performed to Pompey when he entertained Deiotarus I of Galatia aboard ship.  Pompey, for want of his servants, began to undo his shoes himself, which Favonius noticing, ran to him and undid them, and helped him to anoint himself, and always after continued to wait upon, and attended him in all things, as servants do their masters, even to the washing of his feet and preparing his supper. Against the triumvirate F. was a member of the optimates faction within the Roman aristocracy; in a letter to Caesar on ruling a state (Ad Caesarem senem de re publica oratio), traditionally attributed to Sallust but probably by the rhetorician Marcus Porcius Latro, Caesar is told of the qualities of some of these nobles. Bibulus and Lucius Domitius are dismissed as wicked and dishonourable while Cato is someone "whose versatile, eloquent and clever talents I do not despise." The writer continues,  In addition to those whom I have mentioned the party consists of nobles of utter incapacity, who, like an inscription, contribute nothing but a famous name. Men like Lucius Postumius and Marcus F. seem to me like the superfluous deckload of a great ship. When they arrive safely, some use can be made of them; if any disaster occurs, they are the first to be jettisoned because they are of least value.  Like Cato, F. opposed the corruption of many of Rome's leading politicians in general and the rise of the First Triumvirate in particular. When Caesar returned from his praetorship in Spain and successfully stood for consul, he allied himself with Pompey (to whom he gave his daughter Julia in marriage) and Clodius. Following an incident in which Cato prevented Caesar from both having a triumph and standing for consulship by a filibustering tactic, after which Cato and Bibulus were physically attacked by Caesar's supporters, Caesar's party demanded two things of the senate: first, that it sign a law concerning the distribution of land; second, that all senators swear an oath promising that they would uphold the law. Silver denarius of Cato the Younger. According to Plutarch, "heavy penalties were pronounced against such as would not take the oath", which in this case meant exile. A party led by Cicero, Lucullus and Bibulus, to which Cato and F. allied themselves, opposed these measures, but eventually either swore the oath or abstained. Cato, however, feared these laws and the oath as not being for the common good but as extensions of the power of Caesar and Pompey; Plutarch writes of Cato that "he was afraid, not of the distribution of land, but of the reward which would be paid for this to those who were enticing the people with such favours." Eventually all senators except Cato and F. agreed to Caesar and Pompeys's measures, whereupon Cicero made an oration urging Cato to soften his attitude. According to Plutarch,  The one who was most successful in persuading and inducing him [Cato] to take the oath was Cicero the orator, who advised and showed him that it was possibly even a wrong thing to think himself alone in duty bound to disobey the general will; and that his desperate conduct, where it was impossible to make any change in what had been done, was altogether senseless and mad; moreover, it would be the greatest of evils if he should abandon the city in behalf of which all his efforts had been made, hand her over to her enemies, and so, apparently with pleasure, get rid of his struggles in her defence; for even if Cato did not need Rome, still, Rome needed Cato, and so did all his friends; and among these Cicero said that he himself was foremost, since he was the object of the plots of Clodius, who was openly attacking him by means of the tribuneship. Finally Cato was persuaded to give up his opposition, followed by F., the last to submit. Plutarch writes, "By these and similar arguments and entreaties, we are told, both at home and in the forum, Cato was softened and at last prevailed upon. He came forward to take the oath last of all, except F., one of his friends and intimates. Upon hearing the news that of the members of the Triumvirate, Caesar was to be given a fresh supply of money, and Pompey and Crassus were to be consuls again the following year, F., "when he found he could do no good by opposing it, broke out of the house, and loudly declaimed against these proceedings to the people, but none gave him any hearing; some slighting him out of respect to Crassus and Pompey, and the greater part to gratify Caesar, on whom depended their hopes. Assassination of Caesar Despite the fact that he opposed Caesar, F., like Cicero, was not invited by Brutus and Cassius to participate in the plot to assassinate Caesar. In his Life of Brutus, Plutarch wrote,  As indeed there were also two others that were companions of Brutus, Statilius the Epicurean, and F. the admirer of CATONE (si veda), whom he left out for this reason: as he was conversing one day with them, trying them at a distance, and proposing some such question to be disputed of as among philosophers, to see what opinion they were of, Favonius declared his judgment to be that a civil war was worse than the most illegal monarchy. Execution after Philippi After Caesar's death, F. became an opponent of his successors in the Second Triumvirate. According to Cicero's letter to Atticus, F. was present at a meeting of the Liberatores who opposes Antony's near-dictatorial regime. Also present at this meeting were Cicero, Brutus, Cassius, Porcia Catonis, Servilia and Junia Tertia. Along with Cicero, his brother Quintus Tullius CICERONE (si veda), and Lucius Julius Caesar, F. is proscribed by the triumvirate, and imprisoned after Antony and Octavian (later Augustus) defeated the forces of Brutus and Cassius at the Battle of Philippi. His imprisonment did little to assuage his intemperate behaviour. According to Suetonius, "Marco F., the well-known imitator of Cato, saluted Antonius respectfully as Imperator when they were led out in chains, but lashed Augustus to his face with the foulest abuse. F.’s abuse was apparently as a result of Octavian's brutal treatment of the prisoners captured at Philippi.  Of his death Cassius Dio wrote,  Most of the prominent men who had held offices or still survived of the number of Caesar's assassins or of those who had been proscribed straightway kill themselves, or, like F., are captured and put to death; the remainder escaped to the sea at this time and later joined Sextus. F.’s slave Sarmentus, who was bought after his master's death when his estate was sold, is claimed to have become a catamite of the emperor Augustus. Osgood says this might have been as a slander planted by supporters of MARC’ANTONIO, but both ancient and contemporary students of Roman sexuality have observed that a man's sexual use of his own slaves, male or female, is not a target for social condemnation. Sarmentus was the subject of Quintus Dellius' complaint to Cleopatra that while he and other dignitaries were served sour wine by Antony in Greece, Augustus' catamite was drinking Falernian in Rome. Legacy Shakespeare's GIULIO (si veda) CESARE  Facsimile of the first page of Julius Caesar from the First Folio. F. is the character known as the Poet who appears in Shakespeare's play GIULIO (si veda) CESARE. Shakespeare takes the details of this scene from Plutarch's Parallel Lives, in which, on Brutus' journey to Sardis, Plutarch writes that Brutus and Cassius fell into a dispute in an apartment (Shakespeare assigns this scene to Brutus' tent), which ultimately led to their sharing angry words and both of them bursting in tears. Their friends attempted to break into the room to see what the dispute was about and forestall any mischief, but were prevented from doing so by a number of attendants. F., however, was not to be stopped. According to Plutarch, Marcus F., who had been an ardent admirer of Cato, and, not so much by his learning or wisdom as by his wild, vehement manner, maintained the character of a philosopher, was rushing in upon them, but was hindered by the attendants. But it was a hard matter to stop F., wherever his wildness hurried him; for he was fierce in all his behaviour, and ready to do anything to get his will. And though he was a senator, yet, thinking that one of the least of his excellences, he valued himself more upon a sort of cynical liberty of speaking what he pleased, which sometimes, indeed, did away with the rudeness and unseasonableness of his addresses with those that would interpret it in jest. F., breaking by force through those that kept the doors, entered into the chamber, and with a set voice declaimed the verses that Homer makes Nestor use – "Be ruled, for I am older than ye both." At this Cassius laughed; but BRUTO (si veda) thrust him out, calling him impudent dog and counterfeit Cynic; but yet for the present they let it put an end to their dispute, and parted. Cassius made a supper that night, and Brutus invited the guests; and when they were set down, F., having bathed, came in among them. Brutus called out aloud and told him he was not invited, and bade him go to the upper couch; but he violently thrust himself in, and lay down on the middle one; and the entertainment passed in sportive talk, not wanting either wit or philosophy. In Shakespeare's version of this encounter in Julius Caesar, Favonius' opening lines in his role as Poet are: POET. [Within] Let me go in to see the generals; There is some grudge between 'em, 'tis not meet they be alone. Forcing his way into Brutus' tent, he addresses Brutus and Cassius: POET. For shame, you generals! what do you mean? Love, and be friends, as two such men should be; For I have seen more years, I'm sure, than ye. To which, Cassius replies: CASSIUS. Ha, ha! how vilely doth this cynic rhyme![20]  and Brutus drives him from his tent. Here Shakespeare departs from Plutarch's account of the scene, as F. does not feature in Brutus and Cassius' subsequent drinking bout.  Dudley, A History of Cynicism – From Diogenes on, Read Books, at books.google.com, Ryan, The Praetorship of F., at accessmylibrary.com, Brewer, E. Cobham, Brewer's Dictionary of Phrase and Fable at Bartleby Plutarch, Life of CATONE (si veda) the Younger  Cassius Dio, Roman History, at uchicago Plutarch, Life of Pompey Plutarch, Life of Brutus  Dawson, D. Cities of the Gods: Communist Utopias in Greek Thought OUP, Pseudo-Sallust, Letter to Caesar on the State, at uchicago Dillon, M. and Garland, L. Ancient Rome, Taylor e Francis, Plutarch, Life of Caesar  CICERONE (si veda), Letters to Atticus, Suetonius, Life of Augustus, Cassius Dio, Roman History, at uchicago Osgood, GIULIO (si veda) CESARE’s Legacy: Civil War and the Emergence of the Roman Empire, CUP, books.google Osgood, GIULIO (si veda) CESARE’s Legacy: Civil War and the Emergence of the Roman Empire, CUP, books.google.com, Craig Williams: Roman Homosexuality: Oxford Plutarch, Life of MARC’ANTONIO (si veda),  Shakespeare, GIULIO (si veda) CESARE, cur. Danniel, editorial note, GIULIO (si veda) CESARE at books.google.com, Shakespeare, Julius Caesar, Geiger, Favonius: three notes". RSA. Linderski, J.  "The Aedileship of Favonius, Curio the Younger and CICERONE (si veda)’s Election to the Augurate". Harvard Studies in Classical Philology. Ryan, F. X. "The Praetorship of Favonius". American Journal of Philology. Ryan, The Quaestorship of Favonius and the Tribunate of Metellus SCIPIONE (si veda)". Athenaeum. vte Cynic philosophers Greek eraAntisthenes Diogenes Onesicritus Monimus Philiscus Hegesias of Sinope Anaximenes of Lampsacus Crates Hipparchia Metrocles Cleomenes Bion Menippus Menedemus Cercidas Teles Meleager Roman eraFavonius Demetrius Dio Chrysostom Agathobulus Demonax Peregrinus Proteus Theagenes Oenomaus Pancrates Crescens Heraclius Asclepiades Maximus I of Constantinople Horus Sallustius Categories: births deaths People from Terracina Romans Ancient Roman politiciansSenators of the Roman Republic People executed by the Roman Republic Roman aediles executions Roman-era Cynic philosophers Roman governors of Macedonia. A Cynic. He attached himself to CATONE Minore, whom he sought to imitate. He was also a friend of Marco BRUTO, but they fell out and Bruto told him that while he only PRETENDED to be a Cynic, he really WAS a dog! Favonio.

 

Grice e Favonio: la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italianao. Eulogio. F. Eulogio. Cartaginese, ha come maestro di retorica Agostino, dal quale risulta che esercita quell’arte in Africa, Dedicò la sua "Disputatio de sommio Scipionis" a Superio, consolare della provincia di Bizacena. Questa disputazione in ultimo deve derivare dal commento posidoniano al "Timeo," mediato da Varrone, al quale si ritengono attinte le fonti citate. La prima parte della disputazione presenta la teoria dei numeri, essenza delle cose e tratta del significato simbolico di essi, dall’I al IX. La seconda parte della disputazione si occupa dell’armonia delle sfere. Queste teorie sono pitagoriche in generale.Ma il Neo-Pitagorismo appare in ciò che Favonio Eulogio dice della monade, in cui espone in modo poco chiaro una teoria monistica che deriva da essa ogni realtà. Il numero è eterno, intelligibile, incorruttibile, e include con la potenza tutto ciò che è.Ma inteso in senso proprio è una pluralità unificata e divisibile e perciò comincia con la diade.Invece la monade, l’unità assoluta e indivisibile e identica al divino, è il seme e l’inizio dei numeri. I numeri poi sì distinguono dalle cose corporee numerabili che sono accidenti e sostrati dei primi, che sono riducibili alla monade. Però le cose numerabili non sono altro che tale unità assoluta, che è prima, entro e dopo tutte le cose. Infatti, ogni quantità proviene dall’uno e in esso mette capo ed esso permane immutabile quando periscono le altre cose che possono accoglierlo in sè. Retore romano, discepolo d’Agostino ed operò a Cartagine.  È noto per un episodio narrato dal suo maestro, che lo rende identificabile con F. autore dell'operetta Disputatio de somnio Scipionis. Il suo scritto lo pone fra gli studiosi neopitagorici e neoplatonici.  La Disputatio, dedicata a Superio, vir clarissimus atque sublimis, è suddivisa in due parti: la prima è dedicata all'aritmologia; la seconda espone in breve la teoria musicale greca. Holder, F. Disputatio de Somnio Scipionis, Lipsiaem Weddingen, F. Disputatio de Somnio Scipionis, édition et traduction, Collection Latomus, Bruxelles; Scarpa, Favonii Eulogii Disputatio de Somnio Scipionis, Accademia patavina di Scienze, Lettere e Arti, Università di Padova. Istituto di filologia latina, Padova; Lukas J. Dorfbauer: Überlieferung und historischer Kontext der Disputatio de Somnio Scipionis des Favonius Eulogius. Latomus. Marcellino, F. Disputatio de Somnio Scipionis, edizione critica, traduzione e commento, Napoli, D'Auria, Camille Gerzaguet - Béatrice Bakhouche - Mylène Pradel-Baquerre; Drelon: F.  Exposé sur le songe de Scipion. Les Belles Lettres, Paris, edizione critica con annotazioni Heberlein: F., Abhandlung über das Somnium Scipionis. Mit einem Essay von Lukas J. Dorfbauer. Steiner, Stuttgart, edizione critica con traduzione e commento. F. in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1932. Opere di F., su digilibLT, Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro. Opere di F., su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di F., su Open Library, Internet Archive.  Portale Biografie: accedi alle voci di che trattano di biografie Categoria: Retori romani[altre]. Favonio Eulogio was a pupil of Agostino and wrote an analysis of Cicero’s Dream of Scipione. Favonio Eulogio. Favonio.

 

Grice e Favorino: la ragione conversazionale a Roma antica -- Roma – filosofia italiano – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Comes from Arelate. Said by Flavio Filostrato to have been a hermaphrodite. Pupil of Dion Cocceianos. Achieves fame as a sophist. Writes many books on philosophy, including works on Epitteto. He is exiled by Adriano. Favorino

 

Grice e Fazio: all’isola -- la ragione conversazionale all’isola -- l’implicatura conversazionale della colloquenza – scuola di Palermo – filosofia palermitana -- filosofia siciliana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo palermitano. Filosofo siciliano. Filosofo Italiano. Palermo, Sicilia. Grice: “I like Allmeyer; especially his rambles on Roman philosophy when he taught at Rome – ‘La filosofia romana’ has a very datable beginning: that infamous embassy that terrified the old Romans but charmed the younger ones, such as Scipione!” --  Grice: “Due to Gentile, Allmaayer was forced to focus on Italian philosophy, and Gentile allowed him to call Galileo a ‘filosofo’! – Grice: “Allmayer’s pragmatics is Griceian: there is a colloquium, when a ‘soggeto’ empirico recognises another soggesto empirco (il tu del’io) – and they shape a ‘noi’ – for this he appeals to concepts of objectivity as intersubjectivity – If I imply, it is the UTTERER’s expression and implication that is primary, but I INTEND my implicature to be reccognised by the ‘tu’ – and this does not ‘alienate’ my concrete subjectivity – it does not vanish – it is merely re-invoked by the other – ‘invoke’ being a linguistic term – vox –: this is what the ‘assoluto’ stands for, that terrified Bradley!” --  Grice: “I love the fact that Allmayer taught the history of logic, with a focus on ‘stoic’ logic – and it’s only natural that ‘stoicismo’ was his favourite stage in Roman philosophy!” – Grice: “Oddly, Allmayer has a genial commentary on my favourite of Arisotle’s treatises and the foundation of my method in philosophical psychology – “De Anima””! Insieme a GENTILE (si veda), e altri filosofi, uno degl’esponenti di spicco della corrente filosofica detta attualismo. Nacque da Giuseppe Emanuele FAZIO, originario di Alcamo (ex garibaldino e in servizio presso il Museo nazionale di Palermo) e da Felicina Allmayer, di origine tedesca, ma residente in Italia. Fin da ragazzo si interessa alla storia dell'arte. Si laurea in giurisprudenza ma poiché è appassionato alla filosofia, inizia subito gli studi filosofici e a frequentare la biblioteca filosofica di Palermo, dove ha modo di conoscere GENTILE (si veda). Si laurea. Insegna al liceo "Umberto I" di Palermo, dove comincia la sua ricca produzione saggistica che lo rende famoso in Italia.  La sua carriera continua a Roma. Subito dopo la caduta del fascismo, F. è sospeso dall'insegnamento; per essere reintegrato dopo la fine della guerra.  Dopo un periodo travagliato della sua vita riprende la molteplice attività di saggista e critico, oltre che di docente.  Si sposa con Concettina Carta, con cui ha tre figli. Rimasto vedovo, si sposa in seconde nozze con Bruna Boldrini che, conosciuta col cognome acquisito, è stata tra i maggiori critici di Fazio e ne ha promosso un'edizione completa delle Opere (Firenze).  F., colpito da infarto tre anni prima, muore a Pisa.  In memoria di questo insigne filosofo e pedagogista di origine alcamese, il liceo delle Scienze Umane, Economico Sociale, Linguistico, Musicale (ed autorizzato per le Arti coreutiche) è stato intitolato al suo nome. Professore presso il liceo di Matera: professore al liceo di Agrigento, vince una borsa di studio per perfezionamento presso l'Roma docente presso il liceo "Umberto I" di Palermo: libero docente di storia della filosofia a Roma trasferito a Palermo, è condirettore del Giornale critico della filosofia italiana, fondato da GENTILE (si veda) e diretto dallo stesso prima di essere ministro: docente di filosofia a Palermo: docente di storia della filosofia (con corsi su Bacone e sui sofisti e Platone) presso l'Roma, in sostituzione di GENTILE (si veda) e incaricato di pedagogia al magistero di Roma: collaboratore di GENTILE (si veda) per la riforma scolastica e, con l'incarico di ispettore centrale degli istituti medi di istruzione, ha affidata la redazione dei programmi della scuola media: professore non stabile di storia della filosofia medievale e moderna: ha la cattedra di filosofia teoretica in sostituzione di CARABELLESE (si veda): preside della facoltà di lettere: commissario per l'amministrazione straordinaria della sezione arti decorative, annessa alla Scuola artistica e industriale di Palermo in poi: commissario governativo per l'Accademia di Belle Arti: sospeso dall'insegnamento e reintegrato dopo la fine della guerra: cattedra di storia della filosofia dell'Pisa: direttore dell'istituto di filosofia. Il tramonto del positivismo e l'amicizia con GENTILE (si veda) lo portano a un impegno ideologico a favore dell'attualismo che sembra poter portare a un rinnovamento culturale e civile. Secondo l'attualismo, è l'atto del pensare in quanto percezione, e non il pensiero creativo in quanto immaginazione, a definire la realtà.  Assieme a GENTILE (si veda) e RUGGIERO (si veda), è uno dei sostenitori di quell'attualismo che ha tutta la seduzione romantica e tutta la fiducia ottimistica a trarre a séi migliori dei scontenti, quelli che non si muovevano verso ANNUNZIO (si veda) o MARINETTI (si veda), e appoggia apertamente, anche con conferenze, l'intervento dell'Italia nel conflitto mondiale, ma venne riformato alla visita militare.  Nelle parole di Boldrini, che tende a sottolineare la sostanziale autonomia della ricerca del F. dalla metafisica di GENTILE (si veda), F. giunge a giustificare l'esperienza storica come vita concreta, in cui le molteplici e diverse forme confluiscono in un rapporto intersoggettivo, sintesi etico-estetica, nella specificità di ciascuna. D'altronde, anche CROCE (si veda) in una recensione del saggio Contributo alla teoria della storia dell'arte (poi in Opere), mettein dubbio che si puo parlare ancora di idealismo attuale per F. Nel secondo dopoguerra, in un momento denigratorio dell'idealismo, e maggiormente dell'attualismo, che è accusato di connivenza col FASCISMO, la posizione di F. è di aperta difesa dell'attualismo e di un fedele sviluppo del proprio pensiero. Insegnare è non morire Insegnare vuol dire non morire, ma entrare in un processo di vita che ci precede e ci prosegue nel tempo: su questa certezza di F., si basa una spinta pedagogica di tipo socratico, per cui il maestro si sente un uomo tra uomini, lui più esperto, e loro più giovani, ma protesi verso il nuovo. L'educatore, nel suo farsi persona, diventa storico di se stesso, nel rapporto con i propri alunni li deve riconoscere nella loro singolarità, piuttosto che livellarli. Aprirsi agli altri è il contributo al vivere: allorché viene meno questo senso di solidarietà col tutto, si crea in noi il disagio dell'angoscia.  Quindi il senso della vita è quello della speranza e dell'amore: gli altri individui non sono antitetici al proprio io, ma un indispensabile sbocco del proprio io. Ognuno di noi si fa compossibile agli altri per ciò che dà e per quello che ripiglia dagli altri, così il particolare si risolve nell'universale e quest'ultimo nel particolare.  Per F. la speranza è nella certezza che il futuro è nel presente: sono vecchi, quindi, gli insegnanti che, presi dal passato, trovano disprezzabile tutto ciò che si produce nel presente, e sciocchi i giovani, e sbagliato ogni nuovo pensiero. La scuola è vecchia se non riesce a vedere il mondo nuovo e in rinnovamento; l'insegnante che si racchiude nelle memorie del passato, manifesta la malattia mortale che si chiama vecchiaia.  Fondazione La Fondazione Nazionale F.  è sorta a Palermo, creata da Giambalvo e F. , che venne in Sicilia dalla Toscana per insegnare Filosofia morale e Storia della Pedagogia; tale istituzione è stata fondata per onorare il ricordo del marito e per suscitare nelle giovani generazioni l'interesse per la filosofia.  Opere Su: La Sicile illustrée, articoli e saggi Su: Rassegna d'arte, articoli e saggi, Studi sul pensiero antico; Sansoni, Galilei; R. Sandron,  Galilei, Palermo, poi in Opere, GALILEI (si veda); Sansoni, Novum organum: Bacon; Laterza, Dell'anima Aristotele; Laterza,  la formazione del problema kantiano, in Annali della Bibl. filosofica di Palermo, poi in Opere) La scuola popolare e altri discorsi ai maestri: Battiato, Introduzione allo studio della storia della filosofia; Zanichelli; Materia e sensazione (Sandron, Palermo, in Opere) Materia e sensazione; Sansoni, Introduzione alla filosofia; Sansoni, La teoria della libertà nella filosofia di Hegel (Messina, in Opere) Saggio su Bacone (Palermo, in Opere) Saggio su Bacone; Il problema morale come problema della costituzione del soggetto, e altri saggi (Firenze, Monnier, in Opere) Il problema morale come problema della costituzione del soggetto e altri saggi; Sansoni, Il significato della vita; Sansoni, Il significato della vita; Divagazioni e capricci su PINOCCHIO; G.C. Sansoni, Divagazioni e capricci su PINOCCHIO; Fondazione nazionale F., Ricerche hegeliane; G. C. Sansoni, Ricerche hegeliane; Fondazione nazionale F., Storia della filosofia; Palumbo, Storia della filosofia; Sansoni, I vigenti programmi della scuola elementare: Commento e interpretazione; Firenze, F. Le Monnier, Morale e diritto; Sansoni, Discorsi, lezioni; Sansoni, Saggi e problemi; Sansoni, Recensioni e varie, La Pinacoteca del Museo di Palermo e altri saggi; notizie dei pittori palermitani, Palermo, Prolusioni e discorsi inaugurali; Sansoni, Alcune lezioni edite e inedite; Sansoni, Alcune lezioni edite e inedite; Sansoni, Spunti di storia della pedagogia Moralita dell'arte: rievocazione estetica e rievocazione suggestiva (con postille); Sansoni, Moralita dell'arte e altri saggi; Sansoni. Logica e metafisica; Sansoni, La storia; Sansoni, Lettere a Bruna; Fondo F. Lettere a GENTILE (si veda); Fondo F., Introduzione allo studio della storia della filosofia e della pedagogia; Sansoni, La teoria della liberta' nella filosofia di Hegel; Principato, Opere; Sansoni, Commento a PINOCCHIO; G. C. Sansoni, Il problema PIRANDELLO (si veda); Firenze, Belfagor,  treccani/ enciclopedia f. (Dizionario-Biografico GARIN (si veda), Cronache di filosofia italiana., Bari, ad Indicem; f. treccani, treccani enciclopedia vito-fazio-allmayer_(Dizionario-Biografico)/. F.,//faf. /index//. Vita e pensiero di F., Firenze, Palermo, con  degli scritti del e sul F., alle  Massolo: F. e la logica della compossibilità, Giornale critico della filosofia italiana, LUPORINI (si veda), Ricordo di F. in Belfagor, Francesco: Intenzionalità ermeneutica e compossibilità nell'attualismo comunicazionale di F.: implicazioni pedagogiche; Fondazione F., A. GUZZO (si veda), F. e ROSSI (si veda), Filosofia, Giornale critico della filosofia italiana, (scritti di SAITTA (si veda), MASSOLO (si veda), CARAMELLA (si veda), ALBEGGIANI (si veda), MINEO (si veda), F.); SANTUCCI (si veda), Esistenzialismo e FILOSOFIA ITALIANA, Bologna, Negri, In ricordo di F., in Filosofia, GARIN (si veda), Cronache di filosofia italiana, Bari ad Indicem; F. Esistenza e realtà nella fenomenologia di F., Bologna, Sichirollo, Filosofia e storia nella più recente evoluzione di F., in Per una storiografia filosofica, Urbino  Giambalvo, La metafisica come esigenza in Bergson e l'esigenza della metafisica in F., Palermo, SINI (si veda): Studi e prospettive sul pensiero di F. il Pensiero, ist. editoriale Cisalpino, Milano-Varese Atti del Congresso di filosofia F., oggi, Palermo Atti del Convegno su l'estetica come ricerca e l'impegno dell'artista nel suo mondo, Palermo  (con interventi di Lugarini, Mirabelli, Russo. Attualismo (filosofia) GENTILE (si veda) RUGGIERO (si veda) Alcamo  treccani, treccani/enciclopedia vito-fazio-allmayer Dizionario-Biografico Filosofia Filosofo Filosofi italiani Pedagogisti italiani Insegnanti italiani Insegnanti italiani Professore. Lezione sulla logica. LORENZINI (si veda). Keywords: colloquenza, colloquio, dialettica, dialogo, hegel – fascism – he was forced to retire after the fall of fascism, altmeyer wurd allmeier, LORENZINI, PIRANDELLO. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fazio” – The Swimming-Pool Library. Vito Fazio. Fazio.

 

Grice e Fazzini: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola di Vieste – filosofia viestese – filosofia foggiana – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Vieste). Filosofo viestese. Filosofo foggiano. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Vieste, Foggia, Puglia. Grice: “I like Fazzini; he can be too theological, but that’s okay!”  Divulgatore di materie  filosofiche e il fondatore dell'omonima scuola private a Napoli, una delle più celebri nel regno delle Due Sicilie. Figlio di Tommaso e Porzia Medina, che apparteneno a due delle famiglie più agiate della città. Il suo talento per la filosofia e la matematica è notato fin dai primi anni. I genitori decisero quindi di far proseguire i suoi studi in ambienti che potessero garantire una formazione adeguata. F. si trasferì a Foggia, poi a Benevento e in ultimo nel seminario di Nusco. Qui trascorse l'adolescenza approfondendo anche lo studio dei classici. Terminato il seminario, torna a Vieste. Lì, poco dopo il suo rientro, recita in duomo un'orazione in lode dell'Arcangelo Michele che è molto apprezzata dal clero e dai fedeli.  Il rientro nella città natale è comunque di breve durata. Desiderando continuare i suoi studi, si trasfere a Napoli. Venne ordinato sacerdote e nello stesso anno ha come insegnante FERGOLA (si veda). La scuola di quest'ultimo è un rinomato centro per la formazione e un punto di incontro per studiosi e ricercatori del Mezzogiorno. Ne è uno degl’allievi più illustri. Prosegue anche gli studi in filosofia. Si avvicina al sensismo (empirismo). Ottenne dalla chiesa il permesso di acquisire testi proibiti sul sensismo, a patto che non ne divulga i contenuti. Questo aspetto della formazione filosofica influe sulla sua docenza e sulla sua personalità, determinando una contraddizione che, secondo le testimonianze d’allievi e amici, lo accompagna per tutta la vita. Apre una scuola privata in cui venivano insegnate filosofia, matematica e fisica. La scuola ha sede nella Strada nuova dei Pellegrini, nel quartiere di Montecalvario, e divenne uno dei centri di studio più rinomati di Napoli.  Nel periodo di maggior successo La F. arriva a contare tra i 300 e i 400 allievi. In una data non precisabile, dovette quindi spostare la scuola in una sede più grande, in via Magnacavallo, nello stesso quartiere. Anche dopo aver aperto la propria scuola, comunque, insegna presso altre scuole private. Dedica all'insegnamento sei o sette ore al giorno. La maggior parte del tempo di insegnamento di F. è dedicata alla matematica. Al servizio di questa attività F. pubblica aritmetica, geometria piana e geometria solida. Oltre all'insegnamento della filosofia, si dedica alla ricerca e alla divulgazione. Al servizio di queste tre attività allestì anche un laboratorio scientifico, considerato uno dei migliori di Napoli. Per F. venne composta da DONIZETTI (si veda) una messa da Requiem oggi perduta, mentre PUOTI (si veda) recita un elogio di F., di cui è amico. Si occupa a lungo di ricerche scientifiche in vari campi della fisica. In particolare, studia l'induzione elettromagnetica, il magnetismo in generale e la relazione tra luce e magnetismo. Non pubblica però quasi nulla a proposito di queste ricerche, che sono note soprattutto attraverso le testimonianze di TELLINI (si veda) e di F.  È convinto che diverse delle forze naturali allora note, e in particolare il calorico, la luce, l’elettricismo, il galvanismo e il magnetismo, sono in realtà diverse manifestazioni di un'unica forza. Partendo da questa idea di base, studia soprattutto il magnetismo, e in particolare due fenomeni d’induzione, oggi spiegati in base alla legge di Faraday, scoperta negl’anni immediatamente precedenti:  il magnetismo di rotazione, scoperto d’ARAGO (si veda)-- il fenomeno per cui un ago magnetico posto sopra un disco di rame in rotazione inizia a sua volta a ruotare -- l'induzione tellurica, scoperta da Faraday: la generazione di una corrente elettrica indotta in un circuito che si muove attraverso il campo geo-magnetico. Per quanto riguarda il magnetismo di rotazione, ripeté e approfondì le esperienze d’ARAGO (si veda) notando che la rotazione dell'ago magnetico si verifica anche quando al di sopra del disco di rame si sovrappone materiale isolante, mentre non si verifica se il disco di rame vienne sostituito da un disco di materiale isolante.  Per quanto riguarda l'induzione tellurica, ne identifica con maggiore chiarezza le modalità. Cerca poi di combinare lo studio di questo fenomeno con quello del magnetismo di rotazione, costruendo per questo tre diversi apparecchi. Una ricostruzione dettagliata del modo in cui gli apparecchi operano è fornita sulla base delle testimonianze lasciate da CIRELLI (si veda) e F.. Descrie una dvelle sue esperienze sull'induzione tellurica in una lettera a Faraday. Questa lettera è l'unica descrizione lasciata da F. in persona riguardo ai propri esperimenti. Esegue inoltre esperimenti sul rapporto tra luce e magnetismo, proiettando raggi di luce su un ago magnetico. Le testimonianze rimaste, tutte indirette, non permettono però di ricostruire in modo sicuro le intenzioni di F. e i risultati dei suoi esperimenti. Altri saggi:: “Elementi di geometria piana” (Napoli), “Geometria solida: la sfera e il cilindro (Napoli); Elementi di aritmetica (Napoli). Dizionario biografico degli italiani. La terna dei numeri primi dispari entro la decade. Il pentalfa pitagorico e la stella fiammeggiante. La tavola tripartite. La Grande Opera e la Palingenesi. La Tetractis pitagorica ed il Delta massonico II - La quaterna dei numeri composti o sintetici. Il numero e le sue potenze  REGHINI (si veda). Il matematico ed erudito fiorentino REGHINI (si veda), alto dignitario della Massoneria prima del suo scioglimento ad opera del FASCISMO, è il più noto esponente del neo-pitagorismo nel XX secolo e teorico dell’“lmperialismo Pagano”. Amico di AMENDOLA (si veda) e di PAPINI (si veda), personaggio di punta della scapigliatura fiorentina all’epoca delle riviste “Leonardo”, “Lacerba” e “La Voce”, fu a sua volta fondatore delle riviste “Atanòr”, “Ignis”, e - con EVOLA (si veda) - “UR” - Alla sua opera sono legate la riproposizione della “magia colta”, neo-platonica e rinascimentale, che contrappose al Cristianesimo come via d’accesso al divino, ed una critica radicale dell’occultismo e degli pseudo-esoterismi moderni. In collaborazione con René Guénon, auspicò la rinascita spirituale dell'Occidente attraverso la formazione di un’élite iniziatica nel quadro di un processo di rigenerazione della Massoneria, in cui vedeva un residuo “deviato” di un'antica organizzazione ermetico-pitagorica, d’origine pre-cristiana ed erede degli antichi Misteri. Polemista efficacissimo; fu interventista e fautore del primo fascismo, ma ruppe con Mussolini all’epoca del delitto Matteotti e con l’instaurazione della dittatura, ritirandosi nello studio della geometria e della matematica pitagoriche. Già in vita, sul suo conto s’era formata una corposa leggenda di “mago” e di facitore di prodigi, arricchitasi con il tempo di altre fantasiose aggiunte». In questi termini, icastici ma sostanzialmente esatti, una recente biografia (1) presentava la complessa figura di Arturo Reghini. La storia della presente opera, l’ultima scritta da Reghini prima della morte, è stata brevemente narrata dal suo discepolo PARISE (si veda) nella “Nota” di presentazione ad un opuscolo postumo dello stesso REGHINI (si veda): Chiesi ad A. R. lo sviluppo filosofico ed iniziatico della opera sui numeri pitagorici; poté condurre a termine, in circa due mesi, un volume su I numeri sacri nella tradizione pitagorica massonica. LUCA, Reghini. Un intellettuale neo-pitagorico tra Massoneria e Fascismo, Atanòr, Roma, REGHINI A., Considerazioni sul Rituale dell’apprendista libero muratore con una nota sulla vita e l’attività massonica dell’Autore di Giulio Parise, Edizioni di Studi Iniziatici, Napoli. Il saggio è finito di stampare per i tipi dello stab. tip. S. Barbara di Ugo Pinnarò, Roma – Via Pompeo Magno. Editore è il già citato PARISE (si veda), attraverso Ignis, la medesima che pubblica il saggio reghiniano Per la restituzione della geometria pitagorica. REGHINI (si veda) muore sei mesi prima. Nell’elaborazione del testo elettronico si è provveduto ad operare le correzioni indicate dall’Editore nell’Errata Corrige in allegato alla prima edizione, nonché quelle di errori di stampa individuati nel corso della trascrizione, come pure a rettificare talune (rarissime) imprecisioni bibliografiche sparse qua e là ed indubbiamente dovute alle particolari condizioni in cui Reghini si trovò a lavorare nell’immediato dopoguerra, senza la possibilità di effettuare gli opportuni riscontri. Con ciò il Curatore ha inteso assolvere un debito di riconoscenza contratto esattamente 40 anni fa nei confronti di PARISE (si veda), sebbene all’insaputa di quest’ultimo. Cosmopoli. REGHINI  I NUMERI SACRI NELLA TRADIZIONE PITAGORICA MASSONICA. Reghini. I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse  Premesse Libertà va cercando ch'è sì cara Come sa chi per lei vita rifiuta. DANTE, Purg.,Secondo quanto affermano concordemente gli antichi rituali e le antiche costituzioni massoniche, la Massoneria ha per fine il perfezionamento dell'uomo. Anche gli antichi misteri classici avevano lo stesso scopo e conferivano la teleté, la perfezione iniziatica; e questo termine tecnico era etimologicamente connesso ai tre significati di fine, morte e perfezione, come osservava già il pitagorico Plutarco. Ed anche Gesù ricorre alla stessa parola, tèleios, quando esorta i suoi discepoli ad essere «perfetti come il Padre vostro che è nei cieli, sebbene, con una delle frequenti incongruenze delle Sacre Scritture, lo stesso Gesù affermi che nessuno è perfetto ad eccezione del Padre mio che è nei cieli. La definizione che abbiamo riportato sembrerebbe esplicita e precisa; eppure con una lieve alterazione formale essa ha subìto una grave alterazione nel concetto. Per esempio, il dizionario etimologico del Pianigiani afferma che il fine della Massoneria è il perfezionamento dell'umanità; e non soltanto molti profani ma anche molti massoni accettano questa seconda definizione. A prima vista può sembrare che perfezionamento dell'uomo e perfezionamento dell'umanità significhino la stessa cosa; di fatto si riferiscono a due, concetti profondamente diversi, e l'apparente sinonimia genera un equivoco e nasconde una incomprensione. Altri adopera l'espressione: perfezionamento degli uomini, anche essa equivoca. Ora, evidentemente, non è possibile sentenziare quale sia l'interpretazione giusta, perché ogni massone può dichiarare giusta quella che si confà ai suoi gusti, e magari può compiacersi dell'equivoco. Se però si vuole determinare quale sia, storicamente e tradizionalmente, la interpretazione corretta e conforme al simbolismo muratorio, la questione cambia aspetto e non è più questione di gusti. Il manoscritto rinvenuto dal Locke nella Biblioteca Bodleyana e pubblicato solo nel 1748 e che è attribuito alla mano di Enrico VI di Inghilterra, definisce la Massoneria come «la conoscenza della natura e la comprensione delle forze che sono in essa»; ed enuncia espressamente l'esistenza di un legame tra la Massoneria e LA SCUOLA ITALA, perché afferma che Pitagora, un greco, viaggiò per istruirsi in Egitto, in Siria, ed in tutti i paesi dove i Veneziani (leggi i Fenicii) avevano impiantato la Massoneria. Ammesso in tutte le loggie di Massoni, acquistò un grande sapere, tornò in Magna Grecia e vi fonda una importante loggia in CROTONE. A vero dire il manoscritto parla di Peter Gower; e, siccome il cognome Gower esiste in Inghilterra, Locke rimase alquanto perplesso nella identificazione di Peter Gower con Pitagora. Ma altri (1) HUTCHINSON, Spirit of Masonry; PRESTON, Illustrations of Masonry; DE CASTRO, Mondo segreto, REGHINI, Noterelle iniziatiche. Sull’origine del simbolismo muratorio, Rassegna Massonica, REGHINI (si veda) I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse  manoscritti e le stesse Costituzioni dell'Anderson fanno esplicita menzione di Pitagora. Il manoscritto Cooke dice che la Massoneria è la parte principale della Geometria, e che fu Euclide, un sottilissimo e savio inventore, che regolò quest'arte e le dette il nome di Massoneria. E delle reminiscenze pitagoriche nelle Old Charges è traccia anche nel più antico rituale stampato il quale attribuisce un pregio speciale ai numeri dispari, conforme alla tradizione pitagorica. Gli antichi manoscritti massonici concordano dunque nell'indicare come fine della massoneria quello del perfezionamento dell'uomo, del singolo individuo; e le prove iniziatiche, i viaggi simbolici, il lavoro dell'apprendista e del compagno hanno un manifesto carattere individuale e non collettivo. Secondo la concezione massonica più antica, la «grande opera» del perfezionamento va attuata operando sopra la «pietra grezza», ossia sopra l'individuo singolo, squadrando, levigando e rettificando la pietra grezza sino a trasformarla nella pietra cubica della Maestria, ed applicando nella operazione le norme tradizionali dell'Arte Regia muratoria di edificazione spirituale. Con perfetta analogia una tradizione parallela, la tradizione ermetica che compare anche innestata a quella puramente muratoria, insegna che la grande opera si attua operando sopra la «materia prima» e trasformandola in «pietra filosofale» seguendo le norme dell'Arte Regia ermetica. Essa è compendiata nella massima di Basilio Valentino: Visita interiora terrae, rectificando invenies occultum lapidem oppure nella Tabula smaragdina attribuita da moderni arabisti al pitagorico Apollonio Tianeo. Secondo invece la concezione massonica profana e meno antica, il lavoro del perfezionamento va attuato sopra la collettività umana, è la umanità ossia la società che bisogna trasformare e perfezionare; e in questo modo all'ascesi spirituale del singolo si sostituisce la politica collettiva. I lavori massonici acquistano in tal modo uno scopo ed un carattere prevalentemente sociali, se non unicamente sociali; ed il fine vero e proprio della massoneria, cioè il perfezionamento dell'individuo, viene posto in seconda linea, se non addirittura trascurato, dimenticato ed ignorato. La concezione tradizionalmente corretta è sicuramente la prima, e nella letteratura massonica di due secoli fa ebbero grande voga esagerati e fantasiosi avvicinamenti ed identificazioni dei misteri eleusini e massonici. Senza ombra di dubbio il patrimonio ritualistico e simbolico dell'Ordine muratorio è in armonia soltanto con la concezione più antica del fine della massoneria; infatti il testamento dell'iniziando, i viaggi simbolici, le terribili prove, la nascita alla luce iniziatica, la morte e resurrezione di Hiram, non si capisce quale relazione possano avere coi lavori massonici e con lo scopo della Massoneria se tutto si deve ridurre a fare della politica. Storicamente l'interessamento e l'intervento della Massoneria nelle questioni politiche e sociali si manifesta solo in alcune regioni europee col trapiantamento della Massoneria inglese nel continente. Quel poco che si conosce delle antiche loggie muratorie mostra la presenza e l'uso nei lavori massonici di un simbolismo di mestiere, architettonico, geometrico, numerico; il quale per sua natura ha un carattere universale, non è legato ad una civiltà determinata e neppure ad una lingua particolare, ed è indipendente da ogni credenza di ordine politico e religioso. Per questa ragione il massone, secondo il rituale, non sa né leggere né scrivere. Un elemento ebraico compare nella leggenda di Hiram e della costruzione del Tempio, e le parole sacre del novizio e del compagno (i soli gradi allora esistenti) che si riferiscono a questa leg(2) The Grand Mystery of Free-masons discovered wherein are the several questions put to them at their Meetings and installation, London. VERGILIO VIRGILIO (si veda) Bucolicon, Eglo: Numero impari Deus gaudet. Le iniziali di questa massima formano la parola vitriol, il solvente universale degli alchimisti, detto ancor oggi acqua regia. REGHINI (si veda) I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse  genda sono ebraiche. Questa leggenda non fa parte del patrimonio tradizionale dell'Ordine; la morte di Hiram non figura negli antichi manoscritti massonici, e le costituzioni dell'Anderson ignorano il terzo grado. Comunque la presenza di elementi e parole ebraiche non deve stupire in un tempo in cui l'ebraico era considerato una lingua sacra, anzi la lingua sacra in cui Dio aveva parlato all'uomo nel Paradiso terrestre; è una presenza di cui non va esagerata l'importanza ed il significato, e che non basta certo a giustificare l'asserzione del carattere ebraico della Massoneria. La lettera G dell'alfabeto greco-latino, iniziale di geometria e dell'inglese God, che compare talora nella Stella Fiammeggiante o nel Delta massonico, sembra che sia una innovazione (senza utilità per chi non sa né leggere né scrivere), mentre quei due simboli fondamentali dell'Ordine non sono altro che i due più importanti simboli del pitagoreismo: il pentalfa o pentagramma e la tetractis pitagorica. L'arte muratoria od arte reale od arte regia, termine di cui fa uso il filosofo neoplatonico Massimo di Tiro, era identificata con la geometria, una delle scienze del quadrivio pitagorico, e non si capisce come Wirth, il dotto massone ed ermetista, possa scrivere che i Massoni hanno potuto proclamarsi adepti dell'Arte reale perché dei re si interessarono un tempo all'opera delle corporazioni costruttive privilegiate del Medio Evo. Gli elementi di carattere muratorio puro costituiscono, insieme al simbolismo numerico e geometrico, il patrimonio simbolico e ritualistico arcaico e genuino della fratellanza. Non diciamo patrimonio caratteristico perché questi elementi compaiono, almeno parzialmente, anche nel compagnonnage, del resto assai affine alla Massoneria. In seguito, quando le loggie inglesi principiano ad accettare come fratelli anche gli accepted masons, vale a dire anche persone che non esercitano la professione di architetto od il mestiere di muratore, compaiono anche elementi ermetici e rosacroce, ad esempio Elia Ashmole, come mostra il Gould nella sua storia della Massoneria. Questo contatto tra la tradizione ermetica e quella muratoria avviene anche fuori dell'Inghilterra presso a poco nel medesimo tempo, il che naturalmente implica l'esistenza nel continente di loggie massoniche non derivanti dalla Gran Loggia d'Inghilterra. Il frontespizio di un importante testo di ermetismo contiene accanto a simboli ermetici (il Rebis) anche i simboli prettamente muratori della squadra e del compasso, ed altrettanto accade in un libretto italiano di alchimia impresso in lamine di piombo e che risale presso a poco a quel periodo. In questo libretto è raffigurato, tra l'altro, Tubalcain che tiene nelle mani una squadra ed un compasso. Ora Tubalcain è nella Bibbia il primo fabbro; e per un errore etimologico allora accettato ed assai diffuso, per esempio dall'erudito Vossio, venne identificato con Vulcano, il fabbro degli Dei e Dio del fuoco, che secondo il concetto degli alchimisti ed ermetisti presiedeva al fuoco ermetico (od ardore spirituale), fuoco il quale compiva da solo la grande opera della trasmutazione. In un nostro lavoro giovanile (9) abbiamo dato una errata interpretazione della parola di passo Tubalcain, non conoscendo la errata identificazione di Vulcano con Tubalcain accettata dagli ermetisti ed in generale dagli eruditi del seicento e del settecento. Ci sembra oggi manifesto che questa parola ed altre parole di passo traggano la loro derivazione dall'ermetismo, e riteniamo probabile che siano state introdotte in massoneria e poste a lato delle parole sacre a testimonianza del contatto stabilito tra le due tradizioni, la muratoria e l'ermetica. Le parole di passo non esistono TYR, Discours Philosophiques, FORMEY, Leida. Cfr. WIRTH, Le Livre du Maître. Si tratta della Basilica Philosophica MYLII, Francof. (NEGRI, Un codice plumbeo alchemico italiano, nella rivista UR  [“Pietro Negri” è lo pseudonimo impiegato dallo stesso REGHINI (si veda) sulla rivista «UR»] REGHINI, Le parole sacre e di passo ed il massimo mistero massonico, Todi. Reghini - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse  nel rituale del Prichard. Ermetismo e Massoneria hanno per fine la «grande opera della trasmutazione», e le due tradizioni trasmettono il segreto di un'arte, che entrambe designano con il termine di arte regia, già usato da Massimo di Tiro. Era quindi naturale che si riconoscessero mutuamente affini. Osserviamo come l'adozione del simbolismo ermetico non avvenga a detrimento della universalità massonica e della sua indipendenza dalla religione e dalla politica, perché anche il simbolismo ermetico od alchemico è per sua natura estraneo ad ogni credenza religiosa o politica. L'arte massonica e l'arte ermetica, detta anche semplicemente l'arte, è un'arte e non una dottrina od una confessione. Ogni loggia massonica è libera ed autonoma; i fratelli di una officina erano ricevuti come visitatori nelle altre purché sapessero rispondere alla tegolatura, ma ogni maestro Venerabile era l'autorità unica e suprema per i fratelli di una officina. Si ha un mutamento con la costituzione della prima Grande Loggia, la Grande Loggia di Londra, e poco dopo venivano compilate per opera del pastore protestante Anderson le Costituzioni massoniche per le Loggie all'Obbedienza della Gran Loggia di Londra; e, sebbene teoricamente un'officina potesse e possa mantenere la propria autonomia o mettersi all'Obbedienza di una Gran Loggia, nella pratica vengono oggi considerate loggie regolari quelle che direttamente od indirettamente sono emanazione e derivazione della Gran Loggia di Londra, supponendo che questa derivazione e soltanto essa possa conferire la regolarità. Ora è molto importante notare che le Costituzioni dell'Anderson affermano esplicitamente che per essere iniziato ed appartenere alla Massoneria si richiede solo di essere un uomo libero e di buoni costumi, ed esaltando (a differenza delle varie sette cristiane) il principio della tolleranza reciproca di ogni fratello per le altrui credenze, aggiungendo solo che un massone non sarà mai uno «stupido ateo. Taluno potrà forse pensare che l'Anderson ammetta che il massone possa essere un ateo intelligente, ma è più verosimile che l'Anderson da buon cristiano ammetta che un ateo è necessariamente uno stupido, seguendo la massima che dice: Dixit stultus in corde suo: Non est Deus. Bisognerebbe qui fare una digressione ed osservare che in questa disputa tanto chi afferma quanto chi nega non ha in generale nozione alcuna di quanto afferma esistere o no, e che la parola Dio viene adoperata di solito con un senso talmente indeterminato da rendere vana qualunque discussione. Comunque le Costituzioni della Massoneria sono esplicitamente teistiche; e quei profani che accusano la Massoneria di ateismo sono in mala fede od ignorano che essa lavora alla gloria del Grande Architetto dell'Universo; ed osserviamo ancora che questa designazione oltre ad essere in armonia col carattere del simbolismo muratorio ha un significato preciso ed intelligibile a differenza di altre designazioni vaghe o prive di senso come quella di «Nostro Signore», di «Padre di tutti gli uomini» ecc. Maggiore interesse offre il requisito di uomo libero fatto al profano per iniziarlo ed al massone per considerarlo fratello. L'Anderson non fa che continuare a chiamare liberi Muratori i FreeMasons, e resta solo da esaminare in che cosa consista questa freedom dei Free masons. Si tratta solo di franchigia economica e sociale che esclude gli schiavi o servi e delle franchigie e dei privilegi di cui godeva la corporazione dei liberi muratori rispetto ai governi degli stati e delle varie regioni in cui essa svolgeva la sua attività? Oppure questo appellativo di liberi muratori va inteso anche in altro senso di non schiavo dei pregiudizii e delle credenze che non era il caso di ostentare? Se cosi fosse sarebbe vano cercarne le prove documentate, e la questione resterebbe indecisa. Pure è possibile dire qualche cosa in proposito grazie ad un documento del 1509 la cui esistenza od importanza sembra non sia stata finora avvertita, (10) O. WIRTH esprime categoricamente questa opinione (Livre du Maître).  REGHINI (si veda) I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse  Si tratta di una lettera ad Agrippa da un suo amico italiano, certo LANDOLFO (si veda), per raccomandargli un iniziando. Scrive LANDOLFO (si veda). È un tedesco come te, originario di Norimberga, ma abita a Lione. Curioso indagatore degli arcani della natura, ed uomo libero, completamente indipendente del resto, vuole sulla reputazione che tu hai già, esplorare anche lui il tuo abisso. Lancialo dunque per provarlo nello spazio; e portato sulle ali di Mercurio vola dalle regioni dell'Austro a quelle dell'Aquilone, prendi anche lo scettro di Giove; e se questo neofita vuole giurare i nostri statuti, associalo alla nostra confraternita». Si tratta di una associazione segreta ermetica fondata da Agrippa ed è manifesta l'analogia tra questa prova dello spazio da fare affrontare all'iniziando e le terribili prove ed i viaggi simbolici della iniziazione massonica, sebbene qui la prova si effettui sulle ali di Ermete; Ermete psicopompo, il padre dei filosofi secondo la tradizione ermetica, è la guida delle anime nell'al di là classico e nei misteri iniziatici. Anche qui compare la qualifica di uomo libero, sufficiente ad aprire le porte a chi bussa profanamente alla porta del tempio; anche qui compare in sostanza il principio della libertà di coscienza e conseguentemente della tolleranza; le due tradizioni parallele muratoria ed ermetica pongono la stessa unica condizione al profano da iniziare: quella di essere un uomo libero; e ne deriva che presumibilmente essa non si riferiva alle franchigie particolari delle corporazioni di mestiere, che sarebbe stato del resto fuori di luogo pretendere dagli accepted Masons che non erano muratori di mestiere ma liberi muratori. Il carattere fondamentale delle Costituzioni massoniche d’Anderson sta adunque nel principio della libertà di coscienza e della tolleranza, che rende possibile anche ai non cristiani di appartenere all'Ordine. Nelle Costituzioni dell'Anderson la Massoneria conserva il suo carattere universale, non è subordinata ad alcuna credenza filosofica particolare né ad alcuna setta religiosa, e non manifesta alcuna tendenza a lavori di ordine sociale e politico; può darsi che questo carattere aconfessionaJe e libero inspirasse anche la Massoneria e che Anderson non abbia fatto altro che sancirlo nelle Costituzioni. Trapiantandosi in America e nel continente europeo la Massoneria conserva in generale questo suo carattere universale di tolleranza religiosa e filosofica e resta aliena da ogni partecipazione ai movimenti politici e sociali, talora accentuando, come in Germania, il suo interesse per l'ermetismo. Sorgono per altro i nuovi riti e gli alti gradi, i quali però hanno cura di mantenere intatti il rito ed i rituali dei primi tre gradi, ossia della vera e propria massoneria detta anche massoneria simbolica od azzurra. I rituali di questi alti gradi sono talora uno sviluppo della leggenda di Hiram, oppure si riattaccano ai Rosacroce, all'ermetismo, ai Templari, allo gnosticismo, ai catari, vale a dire non hanno un vero e proprio carattere massonico, e dal punto di vista della iniziazione massonica sono assolutamente superflui. La massoneria sta tutta nei primi tre gradi, riconosciuti da tutti i riti, e posti alla base degli alti gradi e delle camere superiori dei varii riti. Il compagno libero muratore, una volta divenuto maestro ha simbolicamente terminato la sua grande opera; e gli alti gradi potrebbero avere una qualche funzione veramente massonica soltanto se contribuissero alla corretta interpretazione della tradizione muratoria ed a una più intelligente comprensione ed applicazione del rito ossia dell'arte regia. Naturalmente questo non significa che si debbano abolire gli alti gradi perché i fratelli insigniti degli alti gradi sono liberi, e quelli di loro cui piace di riunirsi in riti e corpi per svolgere lavori non in contrasto con quelli massonici debbono avere la libertà di farlo. Però dal punto di vista strettamente massonico questa loro appartenenza ad altri riti ed a camere superiori non li pone in alcun AGRIPPA, Epistol. Cfr. anche la monografia di REGHINI premessa alla versione italiana della Filosofia Occulta di Agrippa.  Reghini - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse  modo al di sopra di quei maestri che non sentono il bisogno di altro lavoro che quello della universale massoneria dei primi tre gradi. Del resto è manifesto che riti distinti, come quello di Swedenborg, quelli scozzesi, quello della Stretta Osservanza, quello di Memphis... appunto perché differenti non sono più universali, oppure lo sono solo in quanto si basano sopra i primi tre gradi. Dimenticarlo o tentare di snaturare il carattere universale, libero e tollerante della Massoneria, per imporre ai fratelli delle Loggie particolari punti di vista ed obbiettivi, sarebbe mettersi contro lo spirito della tradizione muratoria e contro la lettera delle Costituzioni della Fratellanza. La prima alterazione appare in Francia, simultaneamente alla fioritura degli alti gradi. Il fermento degli spiriti in cotesto periodo, il movimento dell'Enciclopedia, si ripercuotono nella Massoneria, che si diffonde largamente e rapidamente; ed accade cosi per la prima volta che l'interesse dell'Ordine si dirige e si concentra nelle questioni politiche e sociali. Affermare che la rivoluzione francese sia stata opera della Massoneria ci sembra per lo meno esagerato; è invece innegabile che la Massoneria subì in Francia, e sarebbe stato difficile che ciò non avvenisse, l'influenza del grande movimento profano che condusse alla rivoluzione e culminò poi nell'impero. La Massoneria francese divenne e rimase anche in seguito una massoneria colorata politicamente ed interessata nelle questioni politiche e sociali, e si formò quella che da taluni è considerata come la tradizione massonica, sebbene sia tutt'al più la tradizione massonica francese, ben distinta dalla antica tradizione. Questa deviazione e questa persuasione è la causa prima, sebbene non la sola, del contrasto che è poi sorto tra la massoneria anglosassone e la massoneria francese; anche in Italia essa è stata la sorgente dei dissensi massonici di questi ultimi cinquanta anni e della conseguente disunione e debolezza della Massoneria di fronte agli attacchi ed alla persecuzione fascista e gesuitica. Comunque anche i fratelli che seguono questa tradizione massonica francese non hanno dimenticato il principio della tolleranza, e nelle loggie massoniche italiane, anche prima della persecuzione fascista, si trovavano fratelli di ogni fede politica e religiosa, compresi i cattolici ed i monarchici. Va anche ricordato che nel periodo di poco precedente lo scoppio della rivoluzione francese non tutti i massoni dimenticarono la vera natura della Massoneria, sebbene disorientati dalla pleiade di riti diversi e contrastanti; e si tenne il Convento dei Filaleti allo scopo di rintracciare quale fosse la vera tradizione massonica, ossia, la vera parola di maestro che, secondo la stessa leggenda di Hiram, era andata perduta. Al Convento dei Filaleti convennero massoni di ogni rito, tutti desiderosi di ristabilire l'unità. Il solo Cagliostro, che aveva fondato il rito della Massoneria Egiziana in soli tre gradi, dedito esclusivamente all'opera della edificazione spirituale, rifiutava di partecipare al Convento dei Filaleti per ragioni che sarebbe lungo esporre. L'influenza massonica francese si affermò, dopo la rivoluzione e durante l'impero, anche in Italia; la presenza anche oggi di alcuni termini tecnici nei «travagli» massonici come il «maglietto» del Venerabile, versione poco felice del maillet ossia del martello, ne fa testimonianza La massoneria francese e quella italiana ebbero durante tutto lo scorso secolo intimi rapporti, ed assunsero insieme talora atteggiamento rivoluzionario, repubblicano ed anche materialista e positivista seguendo la voga filosofica del tempo. Non si può dire per altro che la massoneria divenne in Italia una massoneria materialista, perché non soltanto fu sempre tollerante di tutte le opinioni, ma venerò in modo speciale la grande anima di MAZZINI (si veda); ed i grandi massoni italiani come GARIBALDI (si veda), BOVIO (si veda), CARDUCCI (si veda), FILOPANTI (si vda), PASCOLI (si veda), TORRIGIANI (si veda) ed AMENDOLA (si veda) sono tutti idealisti e spiritualisti. È riserbata alla TEPPA FASCISTA la selvaggia furia di devastazione dei Cosi pure pietra polita invece di pietra levigata dal francese pierre polie; lupetto ed anche lupicino che è una versione di louveton, a sua volta trasformazione fonetica e semantica da Lufton, figlio di Gabaon, nome generico del massone secondo i primitivi rituali inglesi e francesi.  REGHINI (si veda) - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse  nostri templi, delle nostre biblioteche ed il vandalismo che fece a pezzi i ritratti ed i busti dei grandi spiritualisti come MAZZINI (si veda) e GARIBALDI (si veda) che decorano le nostre sedi. D'altra parte bisogna riconoscere che, se la massoneria anglosassone ha sempre mantenuto il carattere spiritualista e non ha mai pensato a dichiarare la inesistenza del Grande Architetto dell'Universo, essa è stata spesso incline, e lo è ancora, a conferire un colorito cristiano al suo spiritualismo, allontanandosi dallo spirito di assoluta imparzialità ed aconfessionalità delle Costituzioni dell'Anderson. Non si può negare che l'imporre il giuramento sul Vangelo di Giovanni sia una manifestazione non troppo tollerante rispetto a quei profani ed a quei fratelli che, essendo agnostici, o pagani, od ebrei o liberi pensatori, non sentono particolare simpatia per il Vangelo di Giovanni e non sanno nulla della tradizione gioannita. L'intolleranza si accentua con l'andazzo di infliggere la lettura ed il commento di versetti del Vangelo durante i lavori di Loggia. Questo mal vezzo, qualora si affermasse, ridurrebbe i lavori di Loggia al livello di un service di una chiesa quacchera o puritana, ad una specie di rosario e vespro fastidioso, inconcludente, e ripugnante alla libera coscienza dei moltissimi fratelli i quali, anche in Inghilterra, ed in America, non solo non vanno alla messa, e non accettano l'infallibilità del Papa, ma non accettano più neppure l'autorità della Bibbia. Vale la pena di provocare il disagio e l'insofferenza tra le colonne senza sensibile compenso? Si crede proprio con simili mezzi di convertire gli altri alla propria credenza, e di arginare la potente ondata dell'agnosticismo inglese ed americano? Queste considerazioni inducono a mantenere alla Massoneria il suo carattere universale al di sopra di ogni credenza religiosa e filosofica e di ogni fede politica. Il che non vuol dire che si debba fare astrazione dalla politica. Occorre infatti difendersi. L'intolleranza non può lasciare prosperare la tolleranza; e la tolleranza tutto può tollerare salvo l'intolleranza dichiaratamente ostile. Appena comparvero le Costituzioni dell'Anderson col loro principio della libertà e della tolleranza la Chiesa cattolica scomunicò la Massoneria rea appunto di tolleranza; e l'accanimento contro la Massoneria non si è mai più smentito. In Italia la persecuzione contro la Massoneria in questo ultimo ventennio è stata iniziata e sostenuta dai gesuiti e dai nazionalisti; ed i fascisti per ingraziarsi questi messeri non esitarono a provocare l'avversione del mondo civile contro l'Italia con le loro gesta vandaliche contro la massoneria. I gesuiti hanno perduto questa guerra; ma la peste dell'intolleranza non è finita, anzi si affaccia sotto nuove forme e ne segue la necessità di prevenirla. D'altra parte giunge l'ora, se non erriamo, di spargere la Massoneria sopra tutta la superficie della terra e di stabilire una fratellanza tra gli uomini di tutte le razze, civiltà e religioni; e per assolvere questo compito è necessario che la Massoneria non abbia una fisionomia ed un colorito che appartiene solo alla minoranza dell'umanità a cui le grandi civiltà orientali, tutta la Cina, tutta l'India, il Giappone, la Malesia, il mondo dell'Islam si sono dimostrati refrattarii. La cosa è possibile sin tanto che la Massoneria non si circoscrive in una qualunque credenza e resta fedele al suo patrimonio spirituale che non consiste in una fede codificata, in un credo religioso o filosofico, in un complesso di postulati o pregiudizii ideologici e moralistici, in un bagaglio dottrinale in cui si creda contenuta ed espressa la verità cui convertire i miscredenti. Bisogna pensare che, anche se esiste la vera religione o la vera filosofia, è una illusione il credere di poterla conquistare o comunicare con una conversione o con una confessione od una recitazione di formule determinate, perché ognuno intende le parole di questi credi e formule a modo suo, conforme alla sua cultura ed intelligenza: ed in fondo esse non sono, come diceva Amleto, che words, words, words. Fin tanto che non ci si ragiona sopra, permane l'illusione di comprendere queste parole nello stesso modo; appena si comincia a ragionare, sor Cfr. gli art. Di BODRERO nell'organo della Compagnia di Gesù, la Civiltà cattolica, ed il giornale Roma Fascista; cfr. et.: Ignis e Rassegna Mass., annata REGHINI (si veda) - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica – Premesse] gono le sette e le eresie, ciascuna persuasa di possedere la verità. La sapienza non può essere razionalmente intesa, espressa e comunicata; essa è una visione, una vidya, essenzialmente e necessariamente indeterminata, incerta; e, aprendo gli occhi alla luce con la nascita alla nuova vita, ci si avvia a questa visione. L'arte muratoria od arte regia è l'arte di lavorare la pietra grezza in modo da rendere possibile la trasmutazione umana e la graduale percezione della luce iniziatica. Il che non significa naturalmente che la Massoneria abbia il monopolio dell'arte regia. Durante questi ultimi due secoli la grande maggioranza dei nemici della massoneria ha fatto sistematicamente ed unicamente ricorso soltanto all'ingiuria ed alla calunnia facendo leva sui sentimenti moralistici e patriottici. Si è affermato che i lavori massonici consistono in orgie abbominevoli, svisando a questo scopo i rituali, si sono svelate le cerimonie massoniche ponendole in ridicolo, si è accusato i massoni di tradire la loro patria a causa del carattere internazionale dell'Ordine, si è affermato che la Massoneria non è altro che uno strumento degli Ebrei, sempre mirando ad ingannare ed aizzare i fedeli credenti ed il grosso pubblico contro la «Società Segreta». I massoni naturalmente sapevano bene che non si trattava che di calunnie; e, non potendoli persuadere, si è pensato a sopprimerli od a togliere ad essi la possibilità di adunarsi, di lavorare, di rispondere e di difendersi. Recentemente uno scrittore cattolico ha pubblicato uno studio storico sopra «la Tradizione Segreta» condotto con competenza ed abilità, ed in cui le contumelie e le solite calunnie dirette a fare presa sull'animo dei profani sono state sostituite da una critica insidiosa diretta a fare presa sul lettore colto ed anche sull'animo dei fratelli. Questa critica afferma che nel fondo della tradizione segreta è contenuto il vuoto assoluto e conclude con l'affermare che «la Scuola Iniziatica o per essa la Tradizione Segreta, non ha insegnato assolutamente nulla all'umanità. Veramente non si capisce bene come si possa allora anche affermare che questo vuoto assoluto, «questa tradizione segreta coincide, se pure spesso in forma corrotta, con le dottrine gnostiche», ma non pretendiamo troppo. La Massoneria è dunque, secondo l'autore, una sfinge senza segreto perché non insegna alcuna dottrina, ed il lettore è così portato a concludere che essendo priva di contenuto la Massoneria non val niente. In quanto precede noi abbiamo mostrato che la Massoneria non insegua alcuna dottrina e non deve insegnarne; e che questo è un merito e non un demerito della Massoneria. Per concludere poi che, non contenendo una dottrina, la Tradizione segreta contiene il vuoto assoluto bisogna credere che soltanto una dottrina possa occupare il vuoto. Afferma ancora il Del Castillo che «il sistema iniziatico suppone che l'uomo possa arrivare a capire con lo sforzo del cervello i problemi insoluti del cosmo e dell'al di là»; e che la Chiesa cattolica oppone alle vane elucubrazioni dei così detti iniziati la forza intangibile del suo dogma che deve essere unico perché non possono esistere due verità»; e che IL SISTEMA INIZIATICO  è incompatibile can il cristianesimo. A queste e simili affermazioni rispondiamo che ignoriamo la esistenza di un sistema iniziatico, che non conosciamo iniziati che facciano delle supposizioni, e tanto meno che si illudano di potere capire col solo cervello e con elucubrazioni di problemi insoluti: ma non ci è possibile ammettere che la fede in un dogma costituisca una conoscenza perché sapere non è credere. Anzi noi comprendiamo che la verità è necessariamente ineffabile ed indefinibile, e lasciamo ai profani l'ingenua e consolante illusione che sia possibile una qualsiasi formulazione della verità e della conoscenza in credi, formule, dottrine, sistemi e teorie. Anche Gesù, del resto, sapeva che le sue parabole non erano che delle parabole, ma diceva anche ai suoi discepoli che ad essi «era dato intendere il mistero del regno dei cieli». Evidentemente sola fides sufficit ad firmandum cor sincerum, ma non sufficit per intendere i misteri. Lo stesso dicasi naturalmente per il solo raziocinio. E con questo CASTILLO, La tradizione segreta, Milano, Bompiani, REGHINI (si veda) I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse  non intendiamo menomare il valore della fede e del raziocinio; la sola fede conduce al fanatismo ignorante, il solo raziocinio conduce alla disperazione filosofica; sono un po' come il tabacco ed il caffè: due veleni che si compensano; ma naturalmente non basta fumare la pipa e centellinare il caffè per assurgere alla conoscenza. Alla conoscenza multi vocati sunt, non tutti; e, tra questi molti, pauci electi sunt; secondo la Chiesa cattolica invece basta la fede nel Dogma, e conoscenza e paradiso sono alla portata di tutte le borse a prezzi di vera concorrenza. Riassumendo: Non esiste una dottrina segreta massonica; ma esiste un'arte segreta, detta arte reale, od arte regia o semplicemente l'Arte; è l'arte della edificazione spirituale cui corrisponde l'architettura sacra. Gli strumenti muratorii hanno perciò un senso figurato nell'opera della trasmutazione; ed al segreto dell'arte regia corrisponde il segreto architettonico dei costruttori delle grandi cattedrali medioevali. E' naturale che i liberi muratori venerino il Grande ARCHITETTO dell'Universo, anche se non si definisce cosa si debba intendere con questa formola. Nell'architettura antica, specialmente in quella sacra, avevano grande importanza le questioni di rapporto e di proporzione; l'architettura classica regolava la proporzione delle varie parti di un edificio, ed in particolare dei templi, basandosi sopra un modulo segreto cui accenna Vitruvio; sopra l'architettura egiziana e specialmente sopra la Piramide di Cheope esiste tutta una letteratura che ne mostra il carattere matematico; ed, anche procedendo con molto scetticismo, è certo ad esempio che tale piramide si trova esattamente alla latitudine di 30° in modo da formare col centro della terra e col polo Nord un triangolo equilatero, è certo che essa è perfettamente orientata e che la faccia rivolta a settentrione è esattamente perpendicolare all'asse di rotazione terrestre, anzi alla posizione di questo asse al tempo della sua costruzione. Ed anche i costruttori medioevali non erano guidati da criterii puramente estetici, e si preoccupavano dell'orientazione della chiesa, del numero delle navate ecc.; e l'arte dei costruttori era posta in connessione con la scienza della geometria. La squadra ed il compasso sono i due simboli fondamentali di mestiere dell'arte muratoria; e la riga ed il compasso sono i due strumenti fondamentali per la geometria elementare. La Bibbia afferma che Iddio ha fatto omnia in numero, pondere et mensura; i pitagorici hanno coniato la parola cosmo per indicare la bellezza del cosmo in cui riconoscevano una unità, un ordine, un'armonia, una proporzione; e tra le quattro scienze liberali del quadrivio pitagorico, cioè l'aritmetica, la geometria, la musica e la sferica, la prima stava alla base di tutte le altre. ALIGHIERI (si veda) compara il cielo del Sole all'aritmetica perché come del lume del Sole tutte le stelle si alluminano, cosi del lume dell'aritmetica tutte le scienze si alluminano, e perché come l'occhio non può mirare il sole così l'occhio dell'intelletto non può mirare il numero che è infinito. Lasciando da parte ogni critica di questo passo resta stabilita la posizione occupata secondo Dante dalla Aritmetica. Tanto la Bibbia quanto l'architettura portavano alla considerazione dei numeri. Oggi, anche rifiutando di riconoscere nel cosmo un'unità, un ordine, un'armonia, una legge ed accettando solo un determinismo limitato dalla legge di probabilità la fisica moderna si riduce sempre alla considerazione di numeri e rapporti numerici; anzi non restano altro che quelli, e tanto Einstein quanto Bertrand Russel hanno constatato e riconosciuto il ritorno della scienza moderna al pitagoreismo. La stessa cosa era già stata detta dal WIRTH: «Comme la méthode initiatique se refuse à inculquer qui que ce soit, il n'est guère admissible qu'une doctrine positive ait été enseignée au sein des Mystères» (Le livre du Maître). Il DEL CASTILLO invece sostiene senza alcuna prova che la Massoneria ha preteso insegnare una tale dottrina segreta, constata che di questa dottrina positiva non si trova traccia, ed invece di riconoscere che la sua personale asserzione non ha fondamento, accusa la Massoneria di millantato credito e di incapacità. O Vos qui cum Jesu itis, non ite cum Jesuitis. ALGHIERI (si veda), Conv. REGHINI (si veda) - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Premesse  Non stupisce quindi che i liberi muratori identificassero l'arte architettonica con la scienza della geometria e dessero alla conoscenza dei numeri tale importanza da giustificare la loro pretesa tradizionale di essere i soli ad avere conoscenza dei «numeri sacri». Dobbiamo per altro fare ancora alcune osservazioni. La geometria nella sua parte metrica, ossia nelle misure, richiede la conoscenza dell'aritmetica; inoltre l'accezione della parola geometria era anticamente più generica che ora non sia, e geometria indicava genericamente tutta la matematica; di modo che la identificazione dell'arte reale con la geometria, tradizionale in Massoneria, si riferisce non alla sola geometria intesa nel senso moderno, ma anche alla aritmetica. In secondo luogo dobbiamo osservare che questa relazione fra la geometria e l'arte regia dell'architettura e della edificazione spirituale è la stessa che inspira la massima platonica ACCADEMIA: NESSUN IGNARO DELLA GEOMETRIA ENTRI SOTTO IL MIO TETTO. Questa massima è di attribuzione un po’ dubbia perché è riportata solo da un tardo commentatore: ma in opere che indiscutibilmente appartengono a Platone leggiamo essere «la geometria un metodo per dirigere l'anima verso l'essere eterno; una scuola preparatoria per una mente scientifica, capace di rivolgere le attività dell'anima verso le cose sovrumane», essere «perfino impossibile arrivare ad una vera fede in Dio se non si conosce la matematica e l'astronomia e l'intimo legame di quest'ultima con la musica. Questa concezione ed attitudine di Platone è la medesima che si ritrova nella SCUOLA ITALA o pitagorica che esercitò sopra Platone grandissima influenza, di modo che anche volendo sostenere che la Massoneria si sia inspirata a Platone, si è sempre in ultima analisi ricondotti alla geometria ed all'aritmetica dei pitagorici. Il legame tra la Massoneria e l'Ordine pitagorico, anche se non si tratta di ininterrotta derivazione storica, ma soltanto di filiazione spirituale, è certo e manifesto. ANGHERÀ (si veda) nella prefazione alla ristampa degli Statuti Generali della Società dei Liberi Muratori del Rito Scozzese Antico ed Accettato, già pubblicati in NAPOLI, afferma categoricamente che l'Ordine massonico è la stessa, stessissima cosa dell'Ordine pitagorico; ma anche senza spingersi tanto oltre l'affinità tra i due ordini è sicura. In particolare l'arte geometrica della Massoneria deriva, direttamente od indirettamente, dalla geometria ed aritmetica pitagoriche; e non più in là, perché i pitagorici furono i creatori di queste scienze liberali, a quanto risulta storicamente e secondo la attestazione di Proclo. Ad eccezione di alcune poche proprietà geometriche attribuite, probabilmente a torto, a Talete, la geometria, dice il Tannery, scaturisce completa dal genio di Pitagora come Minerva balza armata di tutto punto dal cervello di Giove; ed i pitagorici sono stati i primi ad iniziare lo studio dell'aritmetica e dei numeri. Per studiare le proprietà dei numeri sacri ai Liberi Muratori e la loro funzione in Massoneria, la via che si presenta spontaneamente è dunque quella di studiare l'antica aritmetica pitagorica; e di studiarla sia dal punto di vista aritmetico ordinario, sia dal punto di vista dell'aritmetica simbolica od aritmetica formale, come la chiama Pico della Mirandola, corrispondente al compito filosofico e spirituale assegnato da Platone alla geometria. I due sensi si trovano strettamente connessi nello sviluppo dell'aritmetica pitagorica. La comprensione dei numeri pitagorici faciliterà la comprensione dei numeri sacri alla massoneria.  LORIA, Le scienze esatte nell'antica Grecia, 2a ed., Milano, Hoepli Reghini - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica La Tetractis pitagorica ed il Delta massonico La Tetractis pitagorica ed il Delta massonico No, io lo giuro per colui che ha trasmesso alla nostra anima la tetractys nella quale si trovano la sorgente e la radice dell'eterna natura. Detti aurei.  Riesumare e restituire l'antica aritmetica pitagorica è opera quanto mai ardua, perché le notizie che ne sono rimaste sono scarse e non tutte attendibili. Bisognerebbe ad ogni passo ed affermazione citare le fonti e discuterne il valore; ma questo renderebbe la esposizione lunga e pesante e meno facile la intelligenza della restituzione. Perciò, in generale, ci asterremo da ogni apparato filologico, ci atterremo soltanto a quanto resulta meno controverso e dichiareremo sempre quanto è soltanto nostra opinione o resultato del nostro lavoro. La bibliografia pitagorica antica e moderna è assai estesa, e rinunciamo alla enumerazione delle centinaia di libri, studii, articoli, e passi di autori antichi e moderni che la costituiscono. Secondo alcuni critici, storici e filosofi, Pitagora sarebbe stato un semplice moralista e non si sarebbe mai occupato di matematica; secondo certi ipercritici Pitagora non sarebbe mai esistito; ma noi abbiamo per certa la esistenza di Pitagora, e, accettando la testimonianza del filosofo Empedocle di GIRGENTI (si veda) quasi contemporaneo, riteniamo che le sue conoscenze in ogni campo dello scibile erano grandissime. Pitagora di CROTONE (si veda) visse nel sesto secolo prima di Cristo, fonda in Calabria una scuola ed un ordine che Aristotile del LIZIO chiama scuola itala, ed insegna tra le altre cose l'aritmetica e la geometria. Secondo Proclo, capo della scuola di Atenee, è Pitagora che per il primo eleva la geometria alla dignità di scienza liberale, e secondo Tannery la geometria esce dal cervello di Pitagora come Athena esce armata di tutto punto dal cervello di Giove. Però nessuno scritto di Pitagora od a lui attribuito è pervenuto sino a noi, ed è possibile che non scrive nulla. Se anche è diversamente, oltre alla remota antichità che ne avrebbe ostacolato la trasmissione, va tenuta presente la circostanza del segreto che i pitagorici manteneno, sopra i loro insegnamenti, o parte almeno di essi. Il fìlologo Delatte, in Études sur la littérature pythagoricienne, Paris, fa una dottissima critica delle fonti della letteratura pitagorica; ed mette in chiaro tra le altre cose che i famosi detti aurei o versi aurei, sebbene sono una compilazione ad opera di un neo-pitagorico, permettono di risalire quasi all'inizio della scuola pitagorica perché trasmettono materiale arcaico. Questo saggio di Delatte è la nostra fonte principale. Altre antiche testimonianze si hanno negli scritti di Filolao, di Platone, di Aristotile e di TIMEO (si veda) di Tauromenia. FILOLAO (si veda), insieme al tarentino ARCHITA (TARANTO (si veda)), uno dei più eminenti pitagorici nei tempi vicini a Pitagora, TIMEO (si veda) è uno storico del pitagoreismo, ed il grande filosofo Platone risenti fortemente l'influenza del pitagoreismo e 12  REGHINI (si veda), I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonicaLa Tetractis pitagorica ed il Delta massonico] possiamo considerarlo come un pitagorico, anche se non appartenente alla setta. Assai meno antichi sono i biografi di Pitagora cioè Giamblico, Porfirio e Diogene, che sono dei neopitagorici e gli scrittori matematici Teone da Smirne e Nicomaco di Gerasa. Gli scritti matematici di questi due ultimi autori costituiscono la fonte che ci ha trasmesso l'aritmetica pitagorica. Anche BOEZIO (si veda) ha assolto questo compito. Molte notizie si debbono a Plutarco. Tra i moderni, oltre a Delatte ed al saggio un po' vecchio di Chaignet su Pythagore et la philosophie pythagoricienne, Paris, ed al Verbo di Pitagora di ROSTAGNI (si veda), Torino, faremo uso dell'opera The Theoretic Arithmetic of the Pythagoreans, London del dotto grecista Taylor che è un neo-platonico ed un neo-pitagorico; e tra gli storici della matematica faremo uso delle Scienze esatte nell'antica Grecia, Milano, Hoepli, di LORIA (si veda), e dell'opera A History of Greeck Mathematics di Heath. Per la matematica l'unità è il primo numero della serie naturale dei numeri interi. Essi si ottengono partendo dall'unità ed aggiungendo successivamente un'altra unità. La stessa cosa non accade per l'aritmetica pitagorica. Infatti una stessa parola, monade, indica l'unità dell'aritmetica e la monade intesa nel senso che oggi diremmo meta-fisico; ed il passaggio dalla monade universale alla dualità non è così semplice come il passaggio dall'uno al due mediante l'addizione di due unità. In aritmetica, anche pitagorica, vi sono TRE operazioni dirette: l'addizione, la moltiplicazione e l'innalzamento a potenza, accompagnate dalle tre operazioni inverse. Ora il prodotto dell'unità per sé stessa è ancora l'unità, ed una potenza dell'unità è ancora l'unità. Quindi soltanto l'addizione permette il passaggio dall'unità alla dualità. Questo significa che, per ottenere il due, bisogna ammettere che vi possano essere DUE UNITÀ, ossia avere già il concetto del DUE – cf. Kant: 1 + 1 = 2, sintetico a priori --, ossia, che la monade puo perdere il suo carattere di unicità, che essa puo distinguersi e che vi puo essere una duplice unità od una MOLTEPLICITÀ di unità. Filosoficamente si ha la questione del MONISMO e del dualismo, meta-fisicamente la questione dell'essere (Grice, “Aristotle on the mutliplicity of being”) e della sua rappresentazione, biologicamente la questione della cellula e della sua riproduzione. Ora, se si ammette la intrinseca ed essenziale unicità – the uniqueness of the king of France (Grice) -- dell'unità, bisogna ammettere che un'altra unità non può essere che una apparenza; e che il suo apparire è una ALTERAZIONE (othering – Grice on ‘other than’) dell'unicità proveniente da una distinzione che la monade opera in sé stessa. La coscienza opera in simil modo una distinzione tra l'IO ed il “NON-IO.” (“I am hearing a sound”). Secondo il Vedanta advaita questa è una illusione, anzi è la grande illusione (film francese), e non c'è da fare altro che liberarsene. Non è però una illusione che vi è questa illusione, anche se essa può essere superata. I pitagorici diceno che la diade è generata dall'unità che si allontana o separa da sé stessa, che si scinde in due: ed indicano questa differenziazione o polarizzazione con varie parole: DIERESI, TOLMA. Per la matematica pitagorica l'unità non è un numero, ma è il principio, l' di tutti i numeri, diciamo principio e non inizio. Una volta ammessa resistenza di un'altra unità e di più unità, dall'unità derivano poi, per addizione, il due e tutti i numeri. I pitagorici concivano i numeri come formati o costituiti o raffigurati da PUNTI variamente disposti. Il punto è definito dai pitagorici l'unità avente posizione, mentre per Euclide il punto è ciò che non ha parti. L'unità è rappresentata dal punto ( = segno) od anche, quando venne in uso il sistema alfabetico di numerazione scritta, dalla lettera A od “α,” che serve per scrivere l'unità. Una volta ammessa la possibilità dell'addizione dell'unità ed ottenuto il due, raffigurato dai due punti estremi di un segmento di retta, si può seguitare ad aggiungere delle unità, ed ottenere successivamente tutti i numeri rappresentati da due, tre, quattro... punti allineati. Si ha in tal modo lo sviluppo lineare dei numeri. Tranne il due che si può ottenere soltanto come addizione di due unità, 13  REGHINI (si veda) - I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica - Cap. I - La Tetractis pitagorica ed il Delta massonico  tutti i numeri interi possono essere considerati sia come somma di altri numeri; per esempio il cinque è 5 = 1 + 1 + 1 + 1 + 1; ma è anche 5 = 1 + 4 e 5 = 2 + 3. L'uno ed il due non godono di questa proprietà generale dei numeri: e perciò come l'unità anche il due non era un numero per gli antichi pitagorici ma il principio dei numeri pari. Questa concezione si perdette col tempo perché Platone parla del due come pari (1), ed Aristotile (2) parla del due come del solo numero primo pari. Il tre a sua volta può essere considerato solo come somma dell'uno e del due: mentre tutti gli altri numeri, oltre ad essere somma di più unità, sono anche somma di parti ambedue diverse dall'unità; alcuni di essi possono essere considerati come somma di due parti eguali tra loro nello stesso modo che il due è somma di due unità e si chiamano i numeri pari per questa loro simiglianza col paio, così per esempio il 4 = 2 + 2, il 6 = 3 + 3 ecc. sono dei numeri pari; mentre gli altri, come il tre ed il cinque che non sono la somma di due parti o due addendi eguali, si chiamano numeri dispari. Dunque la triade 1, 2, 3 gode di proprietà di cui non godono i numeri maggiori del 3. Nella serie naturale dei numeri, i numeri pari e dispari si succedono alternativamente; i numeri pari hanno a comune col due il carattere cui abbiamo accennato e si possono quindi sempre rappresentare sotto forma di un rettangolo (epipedo) in cui un lato contiene due punti, mentre i numeri dispari non presentano come l'unità questo carattere, e, quando si possono rappresentare sotto forma rettangolare, accade che la base e l'altezza contengono rispettivamente un numero di punti che è a sua volta un numero dispari. Nicomaco riporta anche una definizione più antica: esclusa la diade fondamentale, pari è un numero che si può dividere in due parti eguali o disuguali, parti che sono entrambe pari o dispari, ossia, come noi diremmo, che hanno la stessa parità; mentre il numero dispari si può dividere solo in due parti diseguali, di cui una pari e l'altra dispari, ossia in parti che hanno diversa parità. Secondo l'Heath questa distinzione tra pari e dispari rimonta senza dubbio a Pitagora, cosa che non stentiamo a credere; ed il Reidemeister dice che la teoria del pari e del dispari è pitagorica, che in questa nozione si adombra la scienza logica matematica dei pitagorici e che essa è il fondamento della metafisica pitagorica. Numero impari, dice VIRGILIO (si veda), Deus gaudet. La tradizione massonica si conforma a questo riconoscimento del carattere sacro o divino dei numeri dispari, come risulta dai numeri che esprimono le età iniziatiche, dal numero delle luci, dei gioielli, dei fratelli componenti una officina ecc. Dovunque si presenta una distinzione, una polarità, si ha una analogia con la coppia del pari e del dispari, e si può stabilire una corrispondenza tra i due poli ed il pari ed il dispari; cosi per i Pitagorici il maschile era dispari ed il femminile pari, il destro era dispari ed il sinistro era pari.... I numeri, a cominciare dal tre, ammettono oltre alla raffigurazione lineare anche una raffigurazione superficiale, per esempio nel piano. Il tre è il primo numero che ammette oltre alla raffigurazione lineare una raffigurazione piana, mediante i tre vertici di un triangolo (equilatero). Il tre è un triangolo, o numero triangolare; esso è il risultato del mutuo accoppiamento della monade e della diade; il due è l'analisi dell'unità, il tre è la sintesi dell'unità e della diade. Si ha così con la trinità la manifestazione od epifania della monade nel mondo superficiale. Aritmeticamente 1 + 2 = 3. Proclo (5) osservò che il due ha un carattere in certo modo intermedio tra l'unità ed il tre. Non soltanto perché ne è la media aritmetica, ma anche perché è il solo numero per il quale accade che PLATO dell’ACCADEMIA, Parmenide di VELIA, ARISTOTILE del LIZIO, Topiche, HEATH, A History of Greek Mathematics, REIDEMEISTER, Die arithmetic der Griechen, PROCLO, Comm. alla proposizione di Euclide, e cfr. TAYLOR, The Theoretic Arithmetic of Pythagoreans, Los Angeles, REGHINI, I Numeri Sacri nella tradizione pitagorica massonica, La Tetractis pitagorica ed il Delta massonico  sommandolo con sé stesso o moltiplicandolo per sé stesso, si ottiene il medesimo resultato, mentre per l'unità il prodotto dà di meno della somma e per il tre il prodotto dà di più, ossia, si ha: 1+1=2>1.1  ;  2+2=4=2.2  ;  3+3=6. Grice: “Some of my Oxonian friends are masonic, and some are Pythagorean!” Keywords: la matematica di Pitagora, Platone, aritmetica, geometria, definizione di assioma, problema, lemma, numero, demonstrazione, ragione, postulato, numero sacro, reghini – crotona, Taranto, aristosseno, meloponto filolao crotone crotona -- ecc. Grice. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Fazzini” – The Swimming-Pool Library. Lorenzo Fazzini. Laurentis Maria Antonius Fazzini. Fazzini.

 

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