Luigi Speranza -- Grice e Codronchi:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del contratto -- giochi
d’assardo – contratto – gioco aleatorio – Ercole, l’Ara Massima, e il patto
comunitario – scuola d’Imola – scuola di Bologna – filosofia bolgnese –
filosofia emiliana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Imola). Filosofo
bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Imola, Bologna,
Emilia-Romagna. Grice: “One would underestimate Codronchi if it were
not for the fact that he wrote a smartest little tracts on the two ways I see
conversation as: ‘game’ and ‘contract.’ In “Logic and conversation’ I do
confess to having been attracted for a while to a ‘quasi-contractualist’
approach to conversation alla Grice (i. e., G. R. Grice) – and I’m not sure the
reason I give there for rejecting the view is valid, or strong enough! As for
‘games’ – of course conversation is a game – but I never took that too
seriously – perhaps because Austin was obsessed with games and rules of games –
and the subject was worn out for me – when Hintikka came along all he did was
talk about ‘dialogue games’! – I do use ‘game’ terminology – and cf. ‘contract
bridge!” – such as ‘conversational move,’ ‘converaational rule’ of the
‘conversational game’ – and conversational ‘players’ – “Only this or that
‘move’ will be appropriate’, and so on.” Appartenente alla nobiltà, dopo la
laurea prosegue gli studi approfondendo la filosofia spinto dal padre. In
seguito entra alla corte del regno di Napoli, prima con Ferdinando I e poi con
Giuseppe Bonaparte, da cui ottiene la nomina a consigliere di stato. Le sue
saggi più celebri sono “Etica” e “Il contratto”, in cui affronta con semplicità
l'argomento del calcolo delle probabilità. Distingue in tre classi di
contratto. Contratto epistemico: C’e un contratto nel quale è noto il rapporto
tra eventi favorevoli e contrari. Contratto empirico. C’e un secondo contrato
nel quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario è fondato
sull'esperienza. Contratto misto Finalmente, c’e un terzo tipo di contratto nel
quale il rapporto tra un evento favoravole e un evento contrario si basa su una
legge sicura e in parte sull'esperienza. For a time, I was
attracted by the idea that observance of the CP and the maxims, in a talk
exchange, could be thought of as a quasi-contractual matter, with parallels
outside the realm of discourse. If you pass by when I am struggling with my
stranded car, I no doubt have some degree of expectation that you will offer
help, but once you join me in tinkering under the hood, my expectations become
stronger and take more specific forms (in the absence of indications that you
are merely an incompetent meddler); and talk exchanges seemed to me to exhibit,
characteristically, certain features that jointly distinguish cooperative
transactions: 1. The participants have some common immediate aim, like getting
a car mended; their ultimate aims may, of course, be independent and even in
conflict-each may want to get the car mended in order to drive off, leaving the
other stranded. In characteristic talk exchanges, there is a common aim even
if, as in an over-the-wall chat, it is a second-order one, namely, that each
party should, for the time being, identify himself with the transitory
conversational interests of the other. 2. The contributions of the participants.should
be dovetailed, mutually dependent. 3. There is some sort of understanding
(which may be explicit but which is often tacit) that, otl1er things being
equal, the transaction should continue in appropriate style unless both parties
are agreeable that it should terminate. You do not just shove off or start
doing something else. SAGGIO FILOSOFICO SUI CONTRATTI E GIOCHI
D'AZZARDO. C. Sor's incerta vagatur, Fertque refertque vices. Lucan. FIRENZE PER
GAETANO CAMBIAGI STAMPATOR GRAND. CON APPROVAZIONE. ALL’ALTEZZA REALE DI PIETRO
LEOPOLDO PRINCIPE REALE D'UNGHERIA E DI BOEMIA ARCIDUCA D'AUSTRIA GRANDUCA DI
TOSCANA &c. &c. etc. Questa operetta che sottopone il CONTRATTO—cf.
Grice, quasi-contratto -- d’azzardo o aleatorio all'esame della filosofia per
fissare, quant'è possibile i I dati onde non discordino dalla giustizia, dovea
bene essere umiliata, a VOI, che pieno del le verità della prima, avete consacrati
tanti pensieri ad assi curare, e stabilir la seconda; onde può dirsi che il
vostro trono è il punto più luminoso della loro unione, che sola può formare la
felicità degli stati. Posta questa mia fatica, se non è degna dipresentarsi
all'illuminatissima vostra mente, non dispiacere al vostro cuore, che non
sdegnerà di riconoscere in esta una significazione dei sentimenti del mio,
penetrato del la più viva gratitudine al vostro real patrocinio, e alle copiose
beneficenze, auspici sotto de’ quali è nata, e condotta alla luce, e ai quali
desidero con tutto lo spirito che sempre più raccomandi l'autore. Non avvi
forſe negli uomini un sentimento più costante e universale del desiderio di
arricchire. L'uomo tende incessantemente a procacciarsi, ed assicurarsi i mezzi
necessari a sostenere e a rendere tranquilla e comoda la vita. La natura, che ha
voluto che ciò concorra alla sua felicità alla quale con tanta forza lo
stimola, gli ha inserito di sua mano nel petto questo vivissimo ardore;
acciocchè se dalla propria industria riconosce egli il sostentamento e gli agi
della vita, riconosca però dalle provvide mani di lei l'eccitamento e
l'efficacia di questa industria medesima. Questa fiamma sempre operosa accende
talvolta un cuore angusto che non ha altro oggetto che se medesimo, o un
piccolo e ristretto sistema di persone. Talvolta pero trionfa sovranamente in
un animo generoso, a che stima di se minori tutte le mire che non sian vaste e
sublimi. Patria, nazione, pubblica felicità, interessi dell’uman genere ecco i
grandi oggetti, che egli ha sempre davanti; ed ecco intorno a che si aggirano i
lumi del politico pensatore; ecco ciò che forma le vigilie dell’uom’di stato.
Quindi è che sempre nuove vie si spianano al commercio, nuovi mezzi si studiano
per facilitarlo, nuovi metodi si ritrovano per dilatarlo. Questo ardore
medesimo ha fatto sì, che gli uomini vadano sempre inventando un nuovo
contratto, o ai ritrovati già prima diano nuove sempre e più estese forme. Chi
avrebbe mai detto nei primi tempi delle nascenti civili società, quando altro
contratto non conoscevasi che quello di dare i grassi capi dell’armento in
cambio degli scelti frutti del campo, che vi sarebbero stati un giorno uomini,
che avrebbero ridotte a contratto non solo una cosa esistente, sicura, e da
esli ben conosciuta, ma la cosa non esistenti ancora, le incerta, la soggetta
al caso, la sconosciute? O chi persuaderebbe alle numerose carovane dei mori
che vanno nel fondo dell’Affrica a far coi negri il cambio del sale colla
polvere d’or, che sonvi e lecici, e un vantaggioso contratto, che si appoggia
solamente all’aleatorio pericoloso e al bizzarro capriccio della fortuna? Il
moro che mette il suo sale in un mucchio e lo va sminuendo, se gli pare che il
negro con cui commercia, non abbia ammassata in sufficiente quantità l'a
preziosa polvere; riderà di coloro che si espongono a gravi perdite delle loro
sostanze affidandole all'incertezza della sorte. Eppure, e vi e questo
contratti aleatorio, e puo esser ridotti a quella uguaglianza che dopo determinati,
o dalle leggi, o dalla consuetudine i prezzo della cosa è necessaria a render
giusto qualunque contratto. A fissare il limite e il grado di uguaglianza in
tale contratto aleatorio giova maravigliosamente quell’utilissima scienza che
arditamente calcola le probabilità e si rende soggetti, per così dire, i sempre
vari accidenti della fortuna. Questa scienza è stata chiamata finora aritmetica
politica perchè è stata ordinata soltanto a ricercare l’utilità e la miglior sorte
a 2 del commercio e di chi lo esercita, e ad apprestare dei nuovi dati a chi
veglia alla pubblica felicità. Ma io crederò di potere con parità di ragione
chiamarla “aritmetica del giusto” ed asserire che se il gran principio che fra
il certo presente e l'incerto avvenire trovasi una vera proporzione è stato
quel seme fecondo che ha germogliato al pubblico bene, è quello ancora che dee
produr nulla meno la sicurezza e la tranquillità nell’animo di chi sulle tracce
dell’onesto e del giusto voglia istituire tale contratto. Non farà però inutil
cosa se io cercherò di spogliare della austerità e difficoltà del calcolo una
sì vantaggiosa teoria e di ridurla a principi generali e semplici, facendo su
di essi opportunamente alcune riflessioni ed applicandone le regole al contratto
aleatorio, che verrò con la chiarezza e brevità maggiore che a me sia possibile
investigando. Mi lusingherò quindi di aver sempre pronta una misura, più o meno
esatta, a norma che eſli più o meno ne siano suscettibili, che ne determini l’uguaglianza,
é una bilancia che ne pesi l'equità e la giustizia. Contratto aleatorio io
chiamo quel contratto nel quale si fa acquisto di un diritto, o vogliam dire di
una speranza (res sperata – emptio spei, emptio rei separatae), il buon esito
della quale è affidato all’incertezza della sorte (cfr. Grice, “Intenzione e
incertezza”). E quì si osservi che si può nel medesimo contratto considerare
l’aleatorio relativamente ad ambedue i contraenti. (parola chiave: “ambedue i
contraenti”). Quello, il quale talvolta per far guadagno di una tenue somma di
denaro ma certa, vende la speranza incerta di un gran guadagno, sottopone
all'aleatorio tutto quel di più che avendo buon esito la ceduta speranza,
supera la tenue somma in cui la cambio. L'uguaglianza che dopo fissato dalla
legge o dalla consuetudine il prezzo della cosa ricercasa nel contratti perchè
sia giusto, vi è ſempre, quando esaminata la cosa che ne forma l'oggetto,
ritrovisi in Vedasi più sotto ove si parla del contratto di alii curazione un
vero senso egualmente pregevole ciò che danno nel contratto e reciprocamente
ricevono ambedue i contraenti. Or chi non vede che l'avere un diritto o una
speranza è molto più valutabile che il non averla? E se ciò è vero, è manifeſso
che questa speranza puo dirsi avere un vero e real prezzo nel commercio degli
uomini. Ma siccome tuttociò che ha prezzo pui avere un prezzo diverso, questa
speranza ha anch'essa la sua diversita e puo per conseguen prezzo calcolarsi in
guisa da poterne trovare il *rapporto* a quello per cui alcuno desideri di
farne acquistom che è quanto dire potrà ridursi ad una vera uguaglianza.
Stabiliscasi adunque l’incontrastabile fondamenza il suo tale TEOREMA. Nel
contratto aleatorio vi puo essere essere quella uguaglianza, che gli
caratterizzi per giusti. ng Too vorrei potere esporre con la maggior precisione
e chiarezza la serie delle idee che conducono a fissare il canone per cui si
puo in un contratto aleatorio rinvenire l'uguaglianza di cui si parla. Il
soggetto è molto arduo e per esporlo nel dovuto lume e farne poi l'opportuna
applicazione è neceſſario fare di tratto in tratto molte importanti
osservazioni che o sviluppino il principio fondamentale o vagliano a
dilucidarlo. E prima di tutto io intendo sempre per nome di prezzo tutto quello
o sia certo e determinato, o sia incerto anch'esso o per l'evento la quantità
che si espone per far l’acquisto di una speranza. Premio io chiamo quello per
cui ottenere si espone il prezzo così definite. Conviene pero osservare che per
nome di premio si può intendere, e l'oggetto solo a cui si aspira e il medeſimo
più il prezzo che si è o esposto o sborsato per acquistarne la speranza. Ciò
ben'inteso parmi che per rintracciare questa uguaglianza sia d'uopo conoscere i
o per 8 la diversa speranza. Di due elementi viene egli composto. Tanto è più
stimabile una speranza quanto ha un'oggetto più pregevole; e questo è ciò che
io intendo per valore intrinseco; ma tanto anche è più stimabile per altra
parte quanto è più probabile che ha un esito favorevole, e questo col nome di
estrinseco valore vuolsi significare. La probabilità è maggiore o minore
secondo che è maggiore o minore il numero di casi favorevoli all'evento
rispetto al numero de' sinistri; di modo che se si facesse una tavola che
gradatamente, e per serie e sprimeſle questi rapporti si avrebbe una vera
tavola delle probabilità. Conſiderando però ciascun evento separatamente e
senza rapporto ad altri; la probabilità che esso liegua, vien espressa dal *rapporto*
del numero de’ casi a lui favorevoli alla somma dei favorevoli insieme e de’
contrari. Poichè se sianvi in un urna 10 palle bianche e 10 nere; per definire
la probabilità dell'estrazione di una palla Bianca fa d' uopo conſiderare le 10
bianche in massa colle nere; giacchè in massa sono quando si fa l'estrazione
dall'urna. L'istesso avviene di ciascun evento che sia l’oggetto di una
speranza; giacchè deve distaccarsi dalla massa che è il cumulo degli eventi
favorevoli e dei sinistri che stan raccolti nell’urna sovrana regolatrice della
umana vicenda. Se dato un prezzo con cui si voglia fare acquisto di una
speranza, il numero dei casi favorevoli al buon esito sia uguale a quello dei
sinistri, è troppo chiaro che a volere la ricercata uguaglianza e necessario
che il valore intrinseco della speranza o sia dell'oggetto della medesima, sia *doppio*
del prezzo che si espone per acquistarlo; poichè in tal guisa la metà del
valore intrinseco resta compensata dal prezzo che si è pagato; l'altra metà,
che sola è un vero guadagno è uguale al prezzo medesimo che si è espoſto
all'aleatorio; e così deve essere essendo nel caso nostro uguale la probabilità
del buon esito e dell’infausto. E non altro appunto significa quella regola
infallibile secondo la quale è sempre 10 il valore (a) dell’aspettativa, quando
in ugual numero siano i casi favorevoli all’esito bramato e i sinistri. Che se
si accresca il numero de’ casi sinistri; siccome scema percið il valore
estrinſeco della speranza, converrà che si accresca *proporzionatamente*
l’intrinseco accrescendo il valore dell’oggetto medesimo. Per maggior chiarezza
di cio suppongasi il prezzo con cui si compra la speranza uguale ad un dato
numero e suppongasi il numero dei casi favorevoli uguale a quello dei sinistri.
In questo caso la probabilità del buon esito e uguale a quella dell'infausto e
la speranza si elide col timore, e per conseguenza il suo valore estrinſeco puo
considerarsi = 0; verrà dunque in confronto il solo prezzo col premio; che però
queste due quantità dovranno eſſere uguali, benchè il valore intrinſeco della
speranza, o sia il premio medesimo preso in una più estesa significazione 111
(a) L’aspettativa non è altro che il grado di probabilità che uno ha di
ottenere un’intento fortuito. II sia doppio del prezzo, poichè una metà del
premio medesimo non si può chiamare lucro, restando compensata col prezzo già
sbor fato ed esposto all’aleatorio. Stabilito adunque questo caso, come per
punto fisso dal quale si parte la serie dei valori, è chiaro ugualmente che se
il numero dei sinistri casi sia maggiore o minore di quello dei favorevoli, di
tanto la probabilità del buon esito a fronte della probabilità dell'infausto
farà a proporzione maggiore o minore di zero nel formare il valore totale della
speranza; lo che non altro significa, se non che ad avere l'uguaglianza
necessaria converrà che a proporzione l'oggetto della speranza superi nel primo
caso il prezzo con cui si acquista e nel secondo sia ad esso inferiore, e
quindi li puo universalmente stabilire. Nel secondo teorema, i valori delle
speranze sono in ragion composta del valore intrinseco dell’oggetto o cosa o
reale sperato (res sperata), o dell’spettativa. Ne terzo teorema, nel contratto
aleatorio allora visarà l'us 1. Il contratto aleatorio allora vi sarà
l'uguaglianza quando il prezzo che espone uno de contraenti stia al premio,
come il numero dei casi favorevoli a lui, alla ſomma dei favorevoli e dei
contrari. Notisi che quì per premio s’intende non solo la porzione che si
lucra, ma di più il prezzo istesso che si è aleatorio, aleatato. E siccome, per
quanti siano i prezzi dei contraenti, deve verificarsi in ciascun prezzo questo
rapporto al premio, ne verrà che i prezzi staranno fra di loro come il numero
dei casi favorevoli ad uno dei contraenti di viso per la somma de favorevoli e
de’ contrari al numero de favorevoli a quello con cui si istituisce il
paragone, diviso anch’esso per la somma dei favorevoli e dei contrari: e così
dicasi di quanti siano i contraenti. Da questo teorema si deduce il seguente
corollario. Nel contratto aleatorio allora vi sarà l'uguaglianza quando i
prezzi dei contraenti ſtiano fra di loro, come i numeri dei caſi ri
ſpettivamente favorevoli. Dagli enunciati Teoremi chiaramente ap pariſce, che
per bene applicarli agl' indivi dui caſi, è neceſſario eſaminare maturamente,
qual ſia il vero valore del prezzo con cui ſi compra la ſperanza; quali ſiano i
veri caſi favorevoli, e ſiniſtri; e fiflarne il numero con quella eſattezza che
convenga alla naturą del contratto in queſtione. Conſiderando at; tentamente la
natura e le leggi dei diverſi contratti di azzardo, mi è parſo che preſen tino
una facile e natural diviſione, per la quale in tre ſeparate, e diſtinte claſſi
li pof ſono comodamente diſtribuire. Imperciocchè dalla loro diverſa natura, e
dalle diverſe leg gi che gli coſtituiſcono, ne naſce una diverſa maniera di
fiſſare i rapporti del numero dei caſi favorevoli, a quello dei ſiniſtri. A tre
fi poſſono in fatti ridurre i metodi per fillare 1 14 gli accennati rapporti, e
quindi collocare in una di tre diſtinte claſli ciaſcun contratto di azzardo.
Primo metodo è quello per mezzo del quale conſiderata la natura, e le leggi del
contrat to rilevaſi il ricercato rapporto dal numero delle cauſe e delle
ragioni, che poſſono in fluire ſul buon eſito della ſperanza, numero
determinabile, e ragioni certe, e ſicure. Il ſecondo è quello nel quale per la
natura del contratto, non ſi può fondare il rapporto, ſe non che ſulla
ſperienza, e ſulle oſſerva zioni eſatte perd, e molte volte replicate; e ſopra
cagioni incerte, e variabiliffime per le quali il numero dei caſi favorevoli e
dei fi niſtri, non può mai eſſer certo, determinato, e ſicuro. Terzo metodo è
quello per cui ſi appoggia la indicata proporzione, parte alla conſiderazione
di leggi certe e ſicure, e par te alla ſperienza del paſſato, e a circoſtanze
incerte ', e di numero indefinito. Nei contratti adunque della prima fpecie,
conoſciutene le leggi, fiffato il numero delle cauſe che poſſono influire
ſull'oggetto del contratto, ed eſaminate le diverſe maniere nelle quali poſſono
combinarſi, ſi avrà un eſatta ed infallibile notizia del rapporto dei caſi
favorevoli ai finiftri. La ſcienza delle combinazioni, e permu tazioni è ſtata
nel noſtro ſecolo così illuſtra ta, e dall ’ Ugenio, e dal Bernullio, e dal
Moivre, ed è così vaſta ed eſteſa, che vo lendo io trattarne a lungo, non
potrei per l'una parte non oſcurare ciò che è ſtato detto con tanta preciſione,
e ſicurezza, e non fa prei per l'altra accennar poche coſe, che non laſciaffero
un neceffario deſiderio di molte più, intorno alle quali l'intertenermi, oltre
paſſerebbe di gran lunga il fine, e l'idea di queſto faggio; e tanto più, che
ſenza la fe verità del calcolo più aſtruſo non ſi potreb bero per avventura
trattare tutti i caſi par ticolari. Nel venire però eſaminando la na tura dei
diverſi contratti, ed applicando ad effi li ſtabiliti Teoremi, ſi vedranno di
trat to in tratto i principj di queſta ſcienza ſvi luppati, ed indicata la
maniera di applicarli ad alcuni caſi particolari, ſiccome con l'uſo ! 16 rétto,
e ſicuro del calcolo ſi poſſono adattare a tutti i caſi i più compoſti, ed
aſtruſi. Il gioco di pura ſorte è certamente uno dei contratti che alla prima
claſſe debbonſi riferire. Mi è noto quanto ha ſcritto il cele bre Giacomo
Bernulli, per dare le regole ficure onde fiſſare nei giochi di fortuna il
numero dei caſi favorevoli e dei contrari, i vantaggi reſpettivi dei giocatori,
e il pre mio che può uno eligere, dopo incominciato il gioco per ritirarſi
ſenza rinunziare alla miglior condizione, in cui l'hanno già poſto alcuni colpi
favorevoli. So che eſſendo la probabilità, o ſemplice, o compoſta, ne ha queſto
gran Matematico ridotta la miſura all'interſezione di una linea retta con una
curva logaritmica, o di queſta con una pa rabolica, e così ſucceſſivamente
aſcendendo alle curve dei gradi più alti. Ma laſciando da parte i profondi
calcoli, e i miſteri della fublime Geometria, i quali però ben pene trati
ſcuoprono il profondo e inventore in gegno di queſto grand' uomo, piacemi in
quella vece di eſaminare ſemplicemente ſen 17 za di effi la natura e le leggi
del gioco, per riconoſcere ſecondo l'accennato metodo, come ſi poſſa in eſſo e
dare e ſcoprire l'u guaglianza fra i giocatori, e in tal guiſa applicare a
queſto contratto gli enunciati univerſali Teoremi. Il gioco di pura ſorte è una
ſpecie di con tratto, nel quale due o più perſone, dopo di aver convenuto di
certe leggi, e condizio ni, ſi diſputano un premio, che ſi rilaſcia a chi ſarà
più felice, per rapporto a certi acci denti l'effetto dei quali non dipende per
ve run modo dalla loro induſtria. E quì cade in acconcio fare una rifleſſione
comune a tutti i contratti di azzardo. Il dire che una coſa accada caſualmente,
non altro ſignifica, ſe non che la cagione ne è a noi ſconoſciuta; e che
non vi abbiamo alcuna volontaria influenza. Per altro quan do fiegue in natura
un determinato effetto, qualunque ſiaſi, è certo che neceſſariamente dovea
ſeguire. Che due dadi gettati ſu di una tavola, ſcoprano piuttoſto un numero,
che un altro; noi ne ignoriamo la cagione b 18 nell'atto ſteſſo che ne ſegue
per le noſtre mani medeſime il tratto. E perd ugualmente vero, che dato quel
tal moto alla mano che gli getta, dato quel tal grado d'impeto, e non più nè
meno, data la mole dei medefi mi, e il piano ſu cui ſi aggirano, devono
neceſſariamente preſentar quel tal dato nu mero e non altro. Così dicaſi dei
giochi di carte le combinazioni delle quali dipendono dalla diverſa maniera di
meſcolarle, e di dividerle alzandone una parte di eſſe fovra il reſtante; anzi
pure non ſolo del gioco, ma dicaſi, come ſi avvertì di tutti i contratti di
azzardo, e generalmente di qualunque evento fortuito (a ), (a) Non ſolo ne'
contratti ove ciò che ſi perde o che ſi guadagna è riducibile ad una miſura
diſtinta in gradi coſtanti ed eſattamente marcati, ma anche in tutto il tenore
di una vita diretta a un fine fpe rato ma incerto ha luogo il prezzo ed il
premio. Le fatiche, gl'incomodi, le priyazioni dei piaceri formano il primo.
Nella gloria, nell'autorità, negli onori, nelle ricchezze è ripoſto il ſecondo,
che molte volte defrauda le meglio fondate ſperanze, o almeno ad effe
perfettamente non corriſponde; onde può dirlig.Varie ſono le ſpecie principali
dei giochi di pura ſorte, ſiccome varie ſono le maniere di diſputarſi il
premio.O due giocatori eſpon gono all'eſito della forte le loro reſpective
porzioni di depoſito con la legge che deb baſi tutto a quello rilaſciare, il
quale felice mente s'incontra prima dell'altro in un fa vorevole accidente, che
ambi ſi ſono propoſti d'incontrare; o a quello, che in ugual nu mero di faggi,
ſotto le medeſime leggi, di pendentemente dalle medeſime condizioni, 6 2 che
così in queſte ſecrete e non ftipulate aſpettative come in quelle per cui
s'inſtituiſcono e ſi celebrano i contratti,domina ugualmente quella inſtabile
divinità creata dall'ignoranza della conneſſione delle cagioni delle coſe, e
del compleſſo delle circoſtanze necef ſarie ai fortuiti eventi, ma che in tutti
i caſi ſuol chiamarſi ugualmente Saevo laeta negotio Et ludum inſolentem ludere
pertinax. Biſogna però rammentarſi ſempre che le parole che eſprimono gli
attributi della fortuna, o del caſo, quando ſono uſate dal Filoſofo, hanno un
fenſo di verſo da quello in cui le uſa il Poeta che simboleg gia, e il volgo
che non ragiona. << tro, così dire nega incontra quelle combinazioni che
preſen tano una maggior ſomma di quegli elementi ond'è compoſto il gioco, e
alla quale è at taccata la vincita del medeſimo. Oppure il contratto del gioco
è tale che un ſolo dei giocatori s'impegna in un dato numero di ſaggi, e ſotto
certe condizioni, d'incontrare un dato favorevole accidente o ſemplice ſia di
altri ' compoſto, e quale non incontran do, la ſorte s'intende aver deciſo per
l'al la ſperanza di cui per tiva, non ha altro oggetto che l'eſito infe lice
delle mire dell'avverſario, non obbli gandoſi intanto a tentare poſitivamente
ve run colpo di gioco. Nei priini due caſi egli è chiaro che devo no i giocatori
azzardare una egual fomma, o prezzo, altrimenti reſterebbe manifeſtamente tolta
di mezzo la neceſſaria uguaglianza. E' chiaro che allora il prezzo con cui ſi
acquiſta la ſperanza è eguale alla metà del valore dell' oggetto; poichè il
primo altro non è che la porzione di depoſito di uno dei giocatori e il ſecondo
è la ſomma delle due porzioni 2 1 uguali componenti il totaledepoſito.Ma co me
trovare in queſto caſo il numero dei caſi favorevoli uguale a quello dei
ſiniſtri come pure eſige la ſtabilita Teoria? E certamente ſe fi conſiderino i
caſi favorevoli, ei con trarj diſtintamente in ciaſcuno dei giocatori; non ſi
potrà fiſſare nè ragione di uguaglianza nè altra qualunque. E' queſta una
evidente verità, ſe ben ſi conſiderino le leggi di queſto gioco, per le quali
dipendendo la ſorte di un giocatore, non dai ſuoi colpi ſolamente ma da quelli
ancora dell'avverſario, i ter mini della proporzione ſaranno ſempre rela tivi,
e per conſeguenza variabili. Eſaminata però più maturamente la natura del gioco
di cui ſi tratta, fi dee riflettere, che il nu mero dei caſi favorevoli a un
giocatore, è compoſto non ſolo dei caſi propizi a lui di rettamente, ma dei
caſi altresì all'avverſario contrarj; e al contrario il numero dei finiſtri,
altro non è che la ſomma degl'infauſti a lui, e dei favorevoli all'avverſario.
Ma quando fi giochi con condizioni eguali, queſte due fomme fono eguali: dunque
anche in queſto 22 caſo può reſtare verificato il canone della ſtabilita
proporzione, e i prezzi ſtare fra loro come i caſi favorevoli ai finiſtri. Da
ciò ne ſegue, che ſe due giocatori proponganſi di incontrare la medeſima favo
revole combinazione o la medeſima ſomma di accidenti; ma che uno voglia far più
ſaggi del gioco, o cercar con più mezzi quelle combinazioni che preſentino
maggior ſomma degli elementi del gioco, nella guiſa di ſopra accennata; l'altro
in tal caſo dovrà eſami nare di quanto il numero delle combinazioni a ſe
favorevoli reſti fuperato dalle ſiniſtre, ed eligere che la porzione di
depoſito dell' avverſario ſuperi in tal proporzione quella che egli conferiſce
nel gioco. Sia concertato per eſempio, che abbia il premio del gioco quello che
fa più numeri con i dadi, ed uno voglia gettarli più volte, o in ugual numero
di volte gittarne un mag gior numero, è manifeſto, che dalla natura, e dalle
leggi di queſto gioco, ſi potrà con le note regole delle combinazioni ricavare
in che proporzione debba egli eſporre all'azzardo ſomma maggiore. Che ſe poi
trattiſi della ſeconda ſpecie di ſopra accennata, che è allor.quando uno ſolo
dei giocatori ſi eſpone ad incontrare una o più favorevoli combinazioni, in un
dato numero di faggi, e ſotto certe leggi, e l'altro guadagna full infauſto
eſito dell'avverſario, ſenza tentare egli di per ſe alcuna forte di gioco, è
più difficile allora, ed è più operoſo il fiſſare gli opportuni termini della
noſtra proporzione. L'intenzione e l'oggetto dei giocatori in tal caſo può
eſſere di eſporre all'azzardo una ugual porzione, o di eſporla diverſa. Nel
primo caſo il giocatore che intraprende, e faminata la natura del gioco, e le
leggi chę a lui propone l'avverſario, potrà ricavarne il numero dei caſi
favorevoli e quello dei ſiniſtri, e dimandare quelle condizioni nelle quali
queſti due numeri ſi uguaglino: nel ſe condo conviene che dimandi quelle condi
zioni nelle quali, il numero dei favorevoli caſi, ſuperi tanto quello dei
contrari, di quan to la ſua porzione di depoſito ſupera quella dell'altro, o al
contrario. Intraprende uno 14 di gettare un dado in maniera che ſi ſcuopra la
faccia la quale moſtra il numero 6. Se lo deve fare in una ſol volta, ſiccome
ha cin que combinazioni contrarie, e una ſola fa vorevole, converrà, che
l'altro azzardi una ſomma cinque volte maggiore, altrimente la proporzione
reſta alterata. Che ſe trattiſi di azzardare una fomma eguale da entrambi i
giocatori, e ſi voglia più volte ricominciare, erinovare il gioco, converrà
oflervare quanti tratti di dado ſiano neceſſarj per fare che il numero dei caſi
favorevoli, ſia uguale a quel lo dei contrarj, del che, e relativamente al
noſtro addotto caſo, e ai fimili, ne da una eſtefa tavola il gran Bernulli alla
propoſizio ne X. del libro primo del ſuo trattato inti tolato ars conje
&tandi; ove dimoſtra un ingan no che in fiſſare queſta proporzione è facile
a pigliarſi da chi eſamini queſta ſpecie di gioco ſulla prima apparenza, ſenza
internarſi profondamente nelle fue leggi. Diffi, quan do fi voglia più volte
ricominciare, e rino vare il gioco, per le ragioni addotte dal Ber nulli nel
loco citato; giacchè fe non ſi ri 25 novi ſucceſſivamente, egli è evidente che
chi deve con un ſol dado ſcoprire la faccia del numero 6. per eſempio, ed
azzardare una ſomma eguale a quella dell'avverſario, do vrà chiedere di gettare
il dado tre volte; e cid col patto che non s'intendano in queſto numero
compreſe quelle volte in cui ſi vol taſſe di nuovo una medeſima faccia del dado
già ſtata ſcoperta. Ciò che ſi è detto di due giocatori, dicaſi di più, e ſi
conſiderino diſtintamente tutti i contratti che fa ciaſcuno dei giocatori, e
l'azzardo a cui eſpone ciaſcuno la depoſitata porzione, e ſi vedrà che non
reſta punto terata la noſtra teoria, benchè coll’eſporre una determinata ſomma
ſi poſſa guadagnare la medeſima moltiplicata per il numero dei giocatori (a ).
Anzi è regola univerſale in tutti i caſi compleſſi di gioco, ridurli ai ſem
plici dei quali è compoſto, ed eſaminare in ciaſcuno di effi le ſovra ſtabilite
maſſime. Dalle medeſime troppo chiaro appariſce (a) Vedi il Corollario del
Teorema III. che i vantaggi, che ha in alcuni giochi il banchiere, per eſempio
nel faraone quello dei doppietti, quello dell'ultima carta, ed altri che ha
ſecondo i vari uſi dei paeſi ove giocaſi tolgono l'uguaglianza, perchè tur bano
la fiſſata da noi proporzione; poichè nei caſi medeſimi nei quali il premio che
dà il banchiere è uguale alla ſomma azzardata dal puntatore, il numero dei caſi
favorevoli al primo è maggiore del numero dei favo revoli al ſecondo; o in
ugual numero di caſi favorevoli il ſecondo azzarda più del primo. Si pretende
nonoſtante, che ſe ſi conſideri, non la relazione che ha ciaſcun giocatore in
particolare al banchiere ma bensì tutto il ſiſtema del gioco, vi ſiano molti
rifleſſi che giuſtifichino queſto vantaggio di condizione. Una ſplendida ſomma
ſottopone egli alla cie ca ſorte, e ſi obbliga di laſciarla ſempre in pericolo.
Il puntatore per lo contrario può voltar le ſpalle ſdegnoſo a quella avverſa
for tuna, che tenta in vano di placare; o aven dola provata propizia può
aſſicurare i ſuoi doni dalla capriccioſa ſua volubilità. Oltre 1 1 27 di ciò la
ineguaglianza delle ſomme eſpoſte dai vari giocatori, delle quali alcune per
dendo può il banchiere rimanere ftremo, ed eſauſto, ſenza ſperanza di tirar
profitto dalla incoſtanza della fortuna; le altre ſe vin ce appena gli recano
un tenuiſſimo guada gno; la non leggiere fatica per ultimo del banchiere
medeſimo poſſono baſtevolmente render leciti i vantaggi che egli ha nel liſte
ma del gioco. Io preſcindo dall' eſaminare quale, e quanta conſiderazione
eſigano le accennate circoſtanze. Due coſe ſolo aſſeri ſco. E che alcune di
queſte ſono quantità non già coſtanti ma variabiliſſime, eſſendo relative a
circoſtanze facilmente alterabili; e che conſiderato il gioco in ciaſcuno a par
te dei puntatori relativamente al banchiere, come par certamente debbaſi
conſiderare, la alterazione della proporzione ſtabilita è mol to notabile in
iſvantaggio dei primi, e in manifeſta utilità del ſecondo. Non voglio perd
omettere, che eſſendo ſta ta eſaminata con eſatto calcolo la ſerie dei vantaggi
del banchiere per ogni pofta femplice, cominciando dalla ſuppoſizione che vi
ſiano 52. carte fino a quella che ve ne ſia no quattro due delle quali ſiano
dell'iſteſſa figura, ſi è rilevato che la media, è il 5. per 100. Ma in tutto
un giro quando l'avi dità dei giocatori fa che per mezzo dei pa roli o delle
paci la forza del gioco ſi traſporti almeno verſo l'ultime 24. carte, allora la
media diventa il 9. incirca per 100. Ep pure le circoſtanze che eſigono
compenſa zione non variano in modo da efigere que Ita differenza (a ). Non ſi
ha dunque nell'attuale ſiſtema del faraone la vera maniera di trovare la com
penſazione delli ſvantaggi del banchiere. Bi ſognerà dunque per ottenerla, o
fiſſare il nu mero delle pofte: 0 por dei termini ſopra, e fotto de' quali non
poſſa ſalire o ribaſſarſi la poſta: 0 tentar di fiſſare più che fia poſſibile
una ſomma relativa alle diverſe poſte la quale (a) Si noti che il vantaggio di
ſopra indicato del ban chiere ſi ripete tante volte quante poite fi fanno, onde
ſi vede in un ſol giro quanto ſia enorme ed ecceffivo. 29 effendo un di più
della poſta medeſima, ma conoſciuto, non altererà le giuſte proporzioni fra il
prezzo ed il premio: o diſperare per ultimo di poter mai annoverare fra i con
tratti giuſti il gioco del faraone. Sogliono comunemente dalle fagge leggi
vietarſi i giochi di pura ſorte, come quelli che per una certa fatalità
luſinghiera, ſi uſur pano il tempo dovuto alle pubbliche cure, alle dotte
occupazioni, ed al domeſtico reg gimento delle famiglie, alle quali recano sì
di frequente irreparabile ruina; che non è già sì di rado, che una carta di
gioco, o un ſol colpo di dado decida della defolazione, e dell' inopia di molti
infelici. Si aggiunge a queſto, che la dura legge del biſogno, e la ſevera
faccia dell'avverſa fortuna dettano all'inaſprito giocatore le arti meno oneſte,
e i mezzi più indiretti nel gio co medeſimo; talchè ſi verificano di troppo i
celebri verſi di Madama Deshouliers. Le deſir de
gagner qui nuit &jour occupe Eft un dangereux aiguillon; Souvent quoique
l'eſprit, quoique le coeur foit bon, On commence paretre dupe, On finit par
etre fripon. E
quanto il gioco di pura ſorte ſia ſtato ſempre deteſtato lo conoſcerà chi
oſſervi le Leggi Romane al tit. De aleatoribus, e nei digeſti, e nel codice, e
legga i dotti commenti degl' interpreti sù i medeſimi, e vedrà che ſi è ſempre
riguardata come oggetto di compal ſione e di orrore la miſera condizione di que
gl’incauti quos praeceps alea nudat. Io però e nel gioco, e in tutti i
contratti di azzardo eſamino la giuſtizia per rapporto ſoltanto alla ſovra
eſpoſta neceſſaria ugua glianza, preſcindendo affatto da qualunque carattere
che poſſa rendere i medeſimi, o conformi, o oppoſti alle provide leggi, e ai
retti coſtumi. Similiſſima al gioco è un'altra ſpecie di contratti d'azzardo,
che chiamaſi comune mente il lotto de go. numeri; cinque dei quali ſi
eſtraggono da un vaſo, e decidono della ſorte di chi ſulla ſperanza, che eſcano
31 dall'urna miniſtra della fortuna, azzarda una data ſomma di denaro. Troppo
ſon note le leggi di queſto contratto, e troppo è facile il conoſcerne e
combinarne gli accidenti, per poter francamente aſſerire che non vi è forſe
contratto di azzardo nel quale, e più nota bilmente e più ſolennemente la
ſtabilita pro porzione reſti alterata. Sempliciſſimi elemen ti formano il
ſiſtema di queſto contratto, e una ſuperficialiſfima cognizione di calcolo è
baſtevole per far conoſcere, che ſebbene una tenue ſomma di denaro può
cambiarſi in una ſplendida maſſa di oro, pure a fronte di un caſo favorevole ve
ne ſono tanti dei ſiniſtri, che rieſce aſſai più ſuperata la probabilità di gua
dagnare da quella di perdere, che non la ſomma azzardata dal promeſſo premio
per ricco e grande che poſſa parere. Per ſalvare la giuſtizia di queſto gioco,
non giova il dire, che conſentendo i gioca tori con piena e perfetta libertà a
queſta diſuguaglianza, queſto baſta per rendere le gitima quella convenzione,
che ſarebbe al trimenti tanto leſiva. Queſto argomento proverebbe troppo in genere
di contratti, e per ciò deve conſiderarſi di neſſun vigore. Sareb be queſta
maſſima l'appoggio di moltilli mi contratti ingiuſti, e la difeſa di infiniti
illeciti guadagni. Oltre di ciò la maggior parte di quelli che giocano al lotto
neppure ardiſce di ſoſpet tare, che ſiavi a loro ſvantaggio una sì di chiarata
ſproporzione; anzi moltiſſimi rin graziano come generoſa e prodiga quella mano
che premia i vincitori, come ſe foſſe un gratuito dono ciò che non è ſe non una
piccola parte di un debito. Più ſolida difeſa potrebbe recarſi riflettendo
doverſi in queſto contratto dal padrone del lotto impiegare molti miniſtri, e
fare molte e gravi ſpeſe, per lo che può eſigere ragionevolmente un
riſarcimento; ma tutto ciò ancora non baſta a rendere giuſto queſto contratto
fe ad altri termini e ad altre maſſime non ſia ridotto. Troppo anche più enorme
era la diſugua glianza, prima che con lo ſtabilito aumento foſſe migliorata la
condizione dei giocatori; condizione però, che tuttora è aſſai inferio re a
quella del padrone del lotto. Quì però fa d'uopo dileguare un inganno comune a
moltiſſimi che hanno le vedute corte, e limitate dalla prima ſuperficie delle
coſe. Altro è l'aſferire, che il lotto conſide rato ſemplicemente come un
contratto è in giuſto; altro è il dire che un Principe giuſto non poſſa
ammetterlo nel ſuo ſtato, e debba toglierlo affatto, e ſradicarlo come un mal
nato germe della rovina di tanti ſconſigliati. Il lotto può conſiderarſi come
un tributo, che viene impoſto a chi ſpontaneamente con fente di pagarlo;
cangiandoſi così in vantag gioſo al pubblico, ciò che potrebbe eſſer tan to
pernicioſo al privato. Non ſi può deſcri vere l'ardore che muove ciaſcuno a
cercare in queſta guiſa un propizio ſguardo della for te; nè ſi può immaginare
quanto ſia pungen. te lo ſtimolo che ſpinge, e inquieta chi ri fiette che con
una tenue ſomma di denaro, che azzardi, può guadagnare di che ſoſten tare una
languente e numeroſa famiglia, o pur talora dilatare i confini del proprio luf
ſo, o accreſcer anco tal volta un nuovo peſo agl’inoperoſi forzieri. Quindi è
che tanti, e 34 tanti ſi affollano a tentare nel lotto la ſorte (a ). Penetrati
dall'idea, e ſedotti dalla luſinga di (a) Non può negarſi per altro, che
riccome tutte le cofe hanno un grado di valore e di eſtimazione ri Spettiva che
naſce dall' uſo che può o vuol farne chi ne è padrone: può conſiderarſi ſotto
l'iſteſſo aſpetto anche il denaro. Oltre il ſuo valor generale che na. ſce dal
rapporto che egli ha alla maſſa delle coſe che ſono in commercio, può dirſi che
un altro egli ne abbia privato e ſpeſſo mutabile, che naſce dalla qualità
e quantità deibiſogni, o reali, o di opinione che à nelle date particolari
circoſtanze, chi lo poſſiede; Può darli adunque che ciò che ſi azzarda al lotto,
levato da una gran quantità, fia una piccola por zione di eſſa, relativamente
ſuperflua; onde il ſuo valore ſia ſtimato sì tenue a fronte di una ſomma
ragguardevole che rappreſenta un gran numero di comodi e di piaceri benchè
fperabile ſolo per un piccoliſſimo grado di probabilità, che detto valore nella
eſtimazione di chi lo gioca ſia conſiderato come zero, o come una quantità più
o meno ad eſſo approf. fimante, formandoſi perciò, per così dire, una nuova e
riſpettiva proporzione, ſecondo la quale il vantaggio molte volte ſarebbe dalla
ſua parte. Queſto ſe non baſta, come ognun yede manifeſtamente, a render giuſto
il contratto ſerve a render qualche ragione del traſporto, che hanno a tentar
la forte in queſto gioco tanti che pur ne fanno ben conoſcere le condizioni, e
calcolar le ſperanze. 35 quel bene che ſperano, non penſano a mi. ſurare i
gradi della ſperanza medeſima; e il molto oro che già poſſeggono col penſiero,
getta ſugli occhi loro un lampo che abbaglia talvolta anche il più ſaggio
filoſofo, e il più freddo calcolatore. Quindi un tale impeto non conoſce freno
che poſſa reggerlo, e non legge che poſſa vincerlo. Se un Principe tol ga dal
proprio ſtato queſto oggetto dei co muni voti, la ſconſigliata avidità ad onta
delle più fagge leggi, e deludendo le più ve glianti ſollecitudini ſi
precipiterà in altri ſtati, che ſi arricchiranno a ſpeſe di quello onde il
lotto ſia proibito ed eſcluſo. Unſaggio Principe adunque che può far ar gine a
queſto torrente, accid non sbocchi al di fuori; deve procurare che ſi ſcarichi
tutto a pubblico vantaggio, e che quella porzione di ſoſtanze che fagrificano
follemente alla loro avidità i membri del corpo di cui egli è il capo circoli
per il medeſimo, e poichè i pri vati ſi eſpongono a riſentire dello ſvantaggio,
neſſun nocumento però ne venga alla Repub blica. Così facendo il faggio
Principe, e non 1fi attira la taccia di ingiuſto, e merita tutta la lode di
prudente, di politico, di difenſore e cuſtode della pubblica felicità. Di
queſta verità ne conoſcono per una fe lice eſperienza il frutto in più ſpecial
maniera quei popoli, che hanno la ſorte di eſſere go vernati da Principi umani
e benefici, che per l'uſo che fanno del loro erario, anzichè pof ſeſſori, ſe ne
moſtrano piuttoſto amminiſtra tori a pubblico e generale vantaggio. Havvi
un'altra ſpecie di lotti nei quali non è un ſolo il premio, nè un ſolo il colpo
fa vorevole della forte, ma molti ſono i premi, come molti e vari i caſi
propizi; e ſecondo l'ordine dell'eſtrazione dei numeri dall'ur na, o ſecondo
altre leggi convenute in pri ma ſi decide del maggiore, o minor premio. Tale è
il lotto che ſi è fatto in Spagna per la coſtruzione del canale di Murcia,
nella quale occaſione ſiccome ha fatta luminoſa comparſa la vaſtità, e
penetrazione di ſpirito di chi ha ideato il progetto della grand'ope ſi è
diſtinta non meno la finezza, e il di ſcernimento di chi ha regolato il metodo
di ra;. 2 37 accumulare le gravi ſomme di denaro neceſ fario ad un sì grandioſo
diſpendio. In queſto contratto come nei ſimili ad eſſo biſogna conſiderare, che
varie ſono le ſperanze e molte, perchè vari e molti ſono i premi, e che la
ſomma di tutti reſta come venduta a quelli che hanno comprati i viglietti.
Sicco me queſti hanno sborſato un ugual prezzo, così devono avere fra loro
ugual numero di caſi favorevoli e finiftri relativamente ai di verſi, o
maggiori o minori premi; quali eſſendo per lo più vitalizj, l'uguaglianza fra
gli azionarj e il padron dell'impreſa dipen de dalle regole, ſecondo le quali
ſi ſtabiliſce la giuſtiza dei vitalizj. Ma non ſi troverà mai eſatta queſta
uguaglianza, poichè una parte notabile del denaro che contribuiſcono gli
azionarj, non già nel numero o nel valore dei premi ſi impiega, ma ſi deſtina
alle ſpeſe delle ideate opere ſontuoſe. In queſto di Murcia però così ſono
ſtati bilanciati i di ritti degli azzionarj, e ſono ſtati così grada tamente
formati i premi, e in tal numero, e così bene è ſtata regolata l'economia di
queſta sì grandioſa impreſa, che forſe non vi è ſtato mai un'altro lotto, in
cui ſiaſi nel tempo iſteffo meglio aſſicurata la ſomma ne ceſſaria alla
deſtinata opera, e ſia ſtata me no alterata la proporzione a ſvantaggio de gli
azzionarj. Troppo ſon note le lotterie, che con al tro nome chiamanſi dai
Franceſi Blanques perchè io impieghi molto tempo in eſami nare le qualità, e i
caratteri di tale contrat to. Dall'economo del gioco ſi mette in un vaſo un
certo numero di viglietti, dei quali alcuni ſon bianchi ed altri neri, e ſi
vende il diritto di eſtrarne uno il quale ſe è nero apporta a chi lo eſtraſſe
il guadagno di un premio del valore che è notato ful viglietto medefimo. Ognun
vede, che accið ſiavi ugua glianza convien ricorrere alla regola mede ſima, che
ſi è data pei lotti che ſi fanno per grandioſe opere pubbliche, avuta anche quì
in conſiderazione la fatica, e il diſpendio dell'economo del gioco, e riflettendo
che in queſto caſo i premi non ſono vitalizj. Questo è un CONTRATTO – cfr.
Grice, quasi-contratto -- della natura di quello che dai 39 latini chiamavasi
olla FORTVNAE. In simil guisa OTTAVIANO (vedasi) dilettavasi al riferir di SVETONIO
(vedasi) di compartir doni ai suoi cortigiani, chiamando così la sorte ad esser
ministra della sua beneficenza. Talora un solo è il premio che si disputa fra
quelli che giocano alla lotteria, e allora se il premio non è denaro ma un
altra cosa qualunque che abbia prezzo, si giustifica più facilmente, giusta
l'opinione di Barbeirac, la notata disuguaglianza: e l'economo del gioco può
vendere non solo tanti viglietti quanti corrispondono al valore del premio, ma
ancora in maggior numero anche di quello che altronde eſiger pud e l'opera sua,
e il dispendio, quando ve n'ha. Questi lotti si riducono, dice Barbeirac, ad
una specie di compra che si fa in comune, a condizione che la sorte decida a
chi debba appartenere la cosa comprata. Se ſiavi adunque dell'alterazione nella
proporzione, ſi potrà conſiderare come se si fosse comprata la cosa ad un
prezzo un poco più alto del corrente; penſando che ciaſcuno tra 1 ! fcuri
queſto di più che in altra fpecie di con tratto gli parrebbe forſe notabile,
ſulla ſpe ranza di guadagnare il premio più o meno fondata a proporzione che
uno ha comprata maggiore, o minor quantità di viglietti. Queſta mallima, che
non è certamente di ri goroſa giuſtizia, non ſi potrebbe eſtendere
perfettamente a quei lotti nei quali, e molti e di vario prezzo ſono i
viglierti, e molti e di vario valore i premi; a tutti quelli in ſomma, nei
quali non ſia aſſolutamente u guale la condizione dei ſingoli poſſeſſori di
ciaſcun viglietto, benchè lo ſia riſpettiva mente. Prima di paſſare ad altri
contratti giovami riflettere, che anche quando il padron del gioco, o qualunque
altro che ne abbia di ritto pretende, che ſiano valutate le ſue fa tiche e il
ſuo difpendio, non tanto ſi può dire che v'intervenga una compenſazione; quanto
che ſi verifica di fatto a tutto rigore la noſtra proporzione, giacchè quel di
più che fi paga, non è a titolo di compra della speranza, ma bensì a titolo
dell'altrui di 41 ſpendio, e fatica; e per conſeguenza eſſendo una quantità
eſtranea alla detta proporzione non la può in verun modo alterare. Si poſſono
ridurre ad un contratto d'az zardo appartenente a queſta claſſe le ſorti ancora
propriamente dette. La ſorte, dice l'elegantiſſimo ſcrittore della ſtoria
degl'ora coli, è l'effetto dell'azzardo, e come la deci fione, o l'oracolo
della fortuna; ma le ſorti fono gli ſtrumenti di cui uno pud valerſi per ſapere
qual ſia queſta deciſione. Le ſorti ſono ſtate in uſo preſſo i più antichi
popoli; e la forte s'interrogava, o col gettare i dadi colle proprie mani, o
col gettarli da un urna: e ai caratteri, ed alle parole che ſu i dadi erano
ſegnate, corriſpondevano alcune tavole che ne contenevano la ſpiegazione. Altre
molte erano le maniere di tentare la ſorte, e di a ſcoltarne gli oracoli. E'
incredibile poi quan iti, e quanto gravi affari ſi regolaſſero a ta lento di
queſta cieca divinità. Baſta leggere gli autori che trattano dei voti che ſi
offe rivano a Preneſte, e ad Anzio, e che parlano diffuſamente delle forti
Omeriche, e Virgiliane. I verſi dell'immortale Epico Greco, nei quali dipinge
con sì vivi tratti l'impeto, e il furore dell'indomito Achille, ritrovati a
caſo nell'aprire l'lliade, erano talvolta la fola innocente cagione della
rovina delle più floride città, e della deſolazione d'intiere Provincie. E ſe
per lo contrario, aprendo i libri della divina Eneide s'incontravano gli amabili
colori coi quali ſi dipinge la man fuetudine e la pietà del figlio d' Anchiſe,
gli animi tutti non reſpiravan che pace, e quei pochi verſi baſtavano per dar
fine alle guerre più ſanguinoſe. Aleſſandro Severo, ſalito al foglio dei Ce
fari, credette di averne avuto un preſagio, quando privato ancora, anzi odioſo
all'Im peratore Eliogabalo, aprendo nel Tempio di Preneſte l'Eneide di Virgilio,
s'incontrò in quel tratto, ove queſto gran Poeta eſalta le virtù e piange
i'immatura morte di Marcel lo, e preciſamente gli ſi preſentarono quelle parole
fi qua fata aſpera rumpas Tu Marcellus eris. Ma io non parlo propriamente di
queſte forti, e confeſſo anzi eſſere le medeſime uno dei monumenti più ſolenni
dell'umana fol lìa. Io quì parlo delle ſorti, che chiamanlı elettive, diviſorie,
attributorie, e ſimili delle quali brevemente eſporrò la natura e le qua lità,
ed applicherò alle medeſime i più volte enunciati Teoremi. Due, o più perſone
han diritto ad una coſa medeſima; eſaminato il valore del lor diritto lo trovano
uguale; non vogliono gettare, nè tempo, nè denaro in ſuſcitare queſtioni;
aſcoltano anzi ſentimenti più miti, e commettono alla ſorte la deci fione
dell'affare, anzichè affidarlo alle lun ghe, e diſaſtroſe vie dei Tribunali.
Conſe gnano i loro nomi all'urna diſpenſatrice della forte, e quello è
giudicato favorito dalla me deſima, del quale vien eſtratto il nome; e vien
dichiarato pacifico, e ſolo padrone di quella coſa alla quale avea con gli
altri ugual diritto. Che ſia lecito commettere in talguiſa alla ſorte un affare
dubbioſo o controverſo non v'ha dubbio alcuno, giacchè non vi è ra gione per
cui non polfa uno obbligarſi ſotto una condizione tale, che il purificarſi la
mede fima dipenda dall'incerto, e vario evento della forte. Ora ſe i diritti
ſono uguali, ſe quanti fono i concorrenti tanti ſono i nomi che ſi conſegnano
all'urna, ecco che i prezzi che vengono rappreſentati dai diritti che ſi az
zardano, ſtaran fra loro come i numeri dei caſi favorevoli ad uno, al numero
dei caſi favorevoli a ciaſcuno degli altri riſpettiva mente; ed ecco ſalvata
l'uguaglianza di pro porzione fra i favorevoli, e ſiniſtri caſi, e fra i
riſpettivi prezzi della ſperanza, la ſomma dei quali è l'oggetto della medeſima
nel caſo di cui ſi tratta. L'iſteſſo può dirſi a proporzione, quando uno abbia
un diritto, per eſempio doppio di quello degli altri; e baſterà che in tal caſo
due volte ſi affidi il ſuo nome all' urna fata le; e così dicaſi di altri
ſimili caſi. E di fatto queſto contratto a farne una giuſta analiſi ſi riduce
ad un gioco di pura forte, in cui molti depoſitando ugual por zione un ſolo
guadagna tutte le porzioni de poſitate, del quale ſi è di ſopra parlato; e
ſi è detto, che uno depoſitando maggior
por zione, pud eſigere a proporzione condizioni più vantaggioſe. L'iſteſſe
maſſime regolar denno le ſorti elettive che ſi uſano, quando molti avendo un
privato diritto ad eſſere eletti a qualche onorifica o autorevole dignità,
troncano ogni ſorgente di diſcordanza col tentare la forte, L'iſteſſo dicaſi
delle ſorti diviſorie, e di quan te altre poſſono immaginarſi, che tutte ſi ap
poggiano ai medeſimi fondamenti, e in tutte nel modo iſteſſo ſi trova la
proporzione che coſtituiſce l'uguaglianza fra i contraenti, Fin quì fi è
parlato di quei contratti che alla prima delle ſopra indicate claſſi appar
tengono. In effi fra la ſperanza che ſi acqui ſta, e il prezzo con cui ſi
acquiſta ſi può fif fare un eſatta, inalterabile, e matematica proporzione.
Note fono tutte le cagioni che poſſono aver rapporto al favorevole o triſto
evento della ſorte, ſi conoſcono tutti gli ele menti dei quali ſi formano le
varie combi nazioni, e ſi fanno perfettamente tutti i modi 46 diverſi per mezzo
dei quali queſte fi forma no. E' queſto forſe l'unico caſo al quale ſi poſſa
applicare lo ſpiritoſo Emblema del ce lebre Moivre, rappreſentante la ruota
della fortuna, e ſopra di eſla una ſemicirconferen za di cerchio, che con le
ſue diviſioni ſerve a regolare quei capriccioſi giri, che ſono l'og getto di
tanti voti, e la cagione di tante vi cende dei mortali. Chi intraprende queſti
contratti pud, direi quafi, venire alle preſe con la ſorte, e conoſcendone la
forza e l'ar mi bilanciare il deſtino della lotta fatale. Non è così certamente
nei contratti che alla ſeconda claſſe ſi riferiſcono, ne' quali il rapporto
neceſſario a formare l'uguaglianza fra i contraenti, ſi appoggia alla ſola
ſperien za del paſſato, e a cagioni incerte, e varia: biliffime. lo ſo bene che
ſi ſono pur trovati dei Filoſofi che hanno francamente aſſerite due coſe. La
prima, che nelle umane vicen de che colpi chiamanſi della ſorte, e a noi pajono
fortunoſi e irregolari, ſiavi un ordine coſtante, eun'originale diſegno per cui
dirette da una provida mano che lor dà moto ſecon 47 1 do certe invariate
leggi, eſcano a ſuo tempo ad agire in queſto sì ben congegnato ſiſtema del mondo.
La ſeconda, che l'irregolarità, che non agli eventi medeſimi e alle vicende, ma
alle noſtre cortę vedute deveſi attribuire, ſcom parirà finalmente, e replicate
l'eſperienze fi vedrà quella conneſſione che ora ci è inco gnita, e ſi
conoſceranno i fottiliſſimi punti nei quali ſi uniſcono i tanti fili, che
regolano con sì bella armonia l'intero univerſo. Da queſte due propoſizioni
argomentano, che dunque dopo un dato tempo, ſiccome cre ſcendo il numero delle
ſperienze, queſte ci danno regola per conoſcere ſempre più la probabilità di un
evento, che anch'eſſa va ſempre aumentando a miſura che ſe ne co noſce la
regolarità, arriverà un giorno queſta probabilità a cangiarſi in certezza. Ecco
ciò che aſſeriſcono con molta ſicu rezza alcuni FILOSOFI, alla testa dei quali
è l'incomparabile Moivre più altero di aver rintracciato ne' ſuoi intimi
penetrali l'ordine della NATURA, e di averle ſtrappato queſto ſe 43 creto, che
non fu già il ſuo celebre concit tadino di aver conoſciuti, e indicati i rego
lari moti e le orbite dei pianeti per gl'im menſi ſpazi del cielo. Egli è
veriſſimo che la gran macchina dell univerſo ricevè dalle mani creatrici quel
grande impulſo, che poi la mantiene in moto coſtantemente, e dal quale come da
prima cagione derivano tutti i più piccoli moti della medeſima, benchè
immediatamente prodotti dalle ſottiliſſime e varie molle che la com pongono, e
le dan forza. Ad eſſo ſi riferiſce ugualmente un'auretta leggiera che diſſipa
per la ſelva poche aride foglie, e un procel loſo vento che ſull'immenſo Oceano
di ſperde e rompe una flotta ſuperba di mille vele. Le grandi vedute di un
politico illumi nato, che formano il ſoſtegno e la forza del Trono, non ſono
agli occhi dell' Onni potente niente più luminoſe delle ignobili e ſconoſciute
cure di un ſelvaggio, dirette ſoltanto a ſoſtentare la propria vita, e a
difenderſi dall'ingiuria delle ſtagioni. Che poi l'Eterna mente che tutto sà e
49 za, o del tutto regola, abbia voluto che fra i varj eventi che inteflono la
ſerie delle umane vicende, e che ſon chiamati in più ſtretto ſenſo fortunoſi
ſiavi un rapporto più che un altro, un tal'ordine e non un altro, queſto è
quello che io credo non poterſi ſcopriregiam mai. Che dopo un certo periodo
ricompa riſca di nuovo l'iſteſſo evento, chedopo certe rivoluzioni torni
l'iſteſla ſerie di coſe, ridon da egli forſe in maggior lode o della fapien
potere eterno, e ſovrano? Nell'immenſo vortice della divinità fi pers dono le
idee, che noi abbiamo di ordine, e conneſſione. O non vi è relativamente agli
occhi divini ordine e regola; o non potiam noi conoſcere in che conſiſta; o
tutto deve dirſi averla ugualmente. Chi vede inſieme col preſente ſiſtema di
coſe infiniti altri pof fibili, vede un punto che non è ſuſcettibile di quei
rapporti, che ſono idee relative a vedute limitate e finite; o ne vede infiniti
altri, per cagion dei quali pud agli occhi ſuoi parer regolato tutto ciò che
noi chiameremmo forſe diſordine, e confuſione. Ma non è forse neppur vero essere
più vantaggioſo all'uomo che ſiavi di fatto nelle umane vicende queſta
regolarità. Fra le infinite vedute, che l'occhio im menſo ha preſenti per il
vantaggio delle ſue creature, chi ſaprà dire quale abbia fillata a preferenza
dell'altre? Se un Sovrano cela ai ſuoi popoli i diſegni che forma, e le impreſe
che và maturando, queſta condotta è diretta a tenergli nella dovuta ſommiſſione,
e ad allontanarne l'orgoglio: e ſe un padre, ben chè benefico fa l'iſteſſo
co'propri figli, non lo fa ad altro oggetto, che ad animarne la cieca
confidenza che è uno dei più vivaci alimenti di un reciproco amore. Non vi è
dunque argomento che comprovi queſta preteſa regolarità degli eventi che ſi
fogliono chiamare fortuiti, e caſuali. Ma ſe ancor foſſevi, io ben non veggo ſu
che fondamento ſi aſſeriſca, che agli occhi mortali eziandío dovrà una volta
comparir chiara, e ſvanire per conſeguenza quella ap parente irregolarità che
alla ſcarſezza delle noſtre notizie, e alla mancanza di eſperien ze, in tale
ipoteſi deveſi attribuire. SI Quando ſi vuol fiſſare la contingibilità di un
evento, oſſervar dennoſi ogni volta ch ' ei compariſce, le circoſtanze che lo
accom pagnano, e l'intervallo di tempo che paſſa fra le diverſe ſue apparizioni.
Quanto più creſceranno di numero le oſſervazioni, tanto più potrà conoſcerſi in
quali circoſtanze ed in qual tempo debba arrivare. Da queſto ap punto
argomentano gl ' indicati filoſofi, che ciaſcuna ofſervazione è diretta a
ſcemare un grado della diſtanza che corre fralla irrego larità dipendente a
ſenſo loro dalle noſtre corte vedute, e la regolarità che eſiſte di fatti
nell'originale diſegno, e lega inſieme ed u niſce ſotto certe leggi tutte le
varie vicende. Replicando adunque le eſperienze, rinovan do le offervazioni, ſi
potrà arrivare a render nulla affatto queſta diſtanza; e a ſquarciare del tutto
quel velo che cela ai noſtri occhi queſta bella regolarità. Di fatto
ſoggiungono, che altro è la cer tezza ſe non un tutto di cui la probabilità è
una parte? Creſcendo adunque queſta per mezzo delle oſſervazioni, potrà
arrivare al 1 گرí grado di confonderſi col ſuo tutto: ed ecco fiſſata la
certezza di quegli eventi, che ſi fo no ſempre creduti giochi, e capricci di
una irregolare fortuna. E' egli per altro evidente queſto diſcorſo?
Potrebb'egli un animo, che non voglia ar renderſi ad altra forza, che a quella
della ve rità, dubitare ancora di ciò medeſimo che uomini di grande ingegno
hanno tenuto per certo? E prima di tutto nel formare la tavola dei tempi nei
quali ricompariſce l'evento medeſimo, convien riflettere di non notare ſe non
quelle volte, nelle quali ſi moſtra ri veſtito delle medeſime circoſtanze. Se
così è, e ſe queſte ſono preſſo che infinite, e in finitamente variabili, ne
verrà per conſeguen za che quella rivoluzione che dee ricondur l'iſteſſo evento
farà sì vaſta, e il circolo che la rappreſenta sì ampio, che o non ſi potran no
da chi oſſerva congiungere oſſervazioni sì diſparate e rimote, o sì poche ſe ne
po tranno fare, e la probabilità creſcerà sì len tamente da non potere giammai
arrivare al grado di confonderſi colla CERTEZZA – Grice, UNCERTAINTY. Tra=
laſcio di oſſervare che un evento può com parire a noi accompagnato dalle
medeſime circoſtanze, ed eſſervi nulladimeno tanta va rietà, che ſe foſle da
noi ben conoſciuta fa rebbe sì che a tutt'altra ſerie da quella di cui ſi fanno
le oſſervazioni, dovrebbeſi ri chiamare. Si conſideri ora ſeriamente qua lunque
di queſti eventi che fortuiti chiamat ſogliamo, da quante cauſe poſſa provenire,
e queſte in quante maniere poſſano combi narſi; e vedremo, ſe per quante ſi
vogliano replicate ſperienze ſi potrà giammai arrivare ad argomentare dalle
circoſtanze che altre volte fi videro accompagnare un evento, la eſiſtenza del
medeſimo. Quelle ragioni medeſime che immediata mente influiſcono ſugli eventi
fortuiti hanno conneſſione con vari ordini di cauſe più o meno rimote, che
innumerabili ſono ancor eſſe, e capaci di innumerabili gradi di alte razione. E
quì potrei ricorrere a tante fiſiche teorie, le quali dimoſtrano, che un gran
fe nomeno può avere la ſua prima ſorgente, tam 54 lora sì rimota che per
infiniti giri, e tortuoſi fentieri appena ſi può rintracciare; talvolta sì
piccola, che dopo averla conoſciuta, ap pena ſi può credere che da eſſa derivi.
E la ragione, e la immaginazione vanno in queſto caſo d'accordo a preſentare al
pen fiero l'enormiſſima ſproporzione che correrà ſempre fra un gran numero di
offervazioni quali peraltro non potranno eſſere moltiſſi me, (ſe vogliano porſi
in calcolo quelle ſolo che fimiliſſime ſono, è relative ad oggetti ſimili ) e
l'immenſo vortice fra cui fi aggi ra ľ apparente irregolarità. Di quì deriva,
che a rigore parlando dubitar deveſi di quella maſſima, che la probabilità di
queſti eventi arriverà una volta a cangiarſi in cer tezza. E quì fa d'uopo
riflettere, che la proba bilità, e la certezza ſono due atti eſſenzial mente
fra loro diverſi, come dicono i meta fiſici, e che fralla maſſima probabilità
che arrivi un evento, e la certezza, vi è di mez zo una ſerie infinita di
poflibili. Il timore di errare che ſi coinpone con la maſſiına probabilità e
viene eſcluſo dalla minima cer tezza, è una barriera inſuperabile, per cui non
ſi poſſono giammai fra loro confon dere, ed è quello appunto che le rende (ſia
mi lecito uſare un termine di matematica trattando di una materia nella quale
ſe n'è fatto uſo con tanto profitto ) quantità in commenſurabili. Le prime
oſſervazioni che fi fanno intorno a un determinato evento, non poſſono dargli
che un grado di pro babilità così piccolo riſpetto al vortice im menſo della
irregolarità, e all' infinita ſe rie dei poſſibili dall'evento medeſimo di
verſi, che queſto grado pud conſiderarſi co me un infiniteſimo. Siccome adunque
per trasformare un infiniteſimo in una quantità finita deveſi queſto moltiplicare
per l'in finito, così queſto grado di probabilità do vrebbe ricevere infiniti
aumenti per mezzo di infinite oflervazioni, prima che ſi poſſa chiamare ridotto
al carattere della cer tezza. Parlo di caſi nei quali la ſerie dei poſſibili,
che è di mezzo fralla probabilità e la cer 56 2 ! tezza, è compoſta di cauſe,
che ogn'uno fa eſſere non immaginate ma vere, e poterſi in infinite maniere
combinare. Poche oſſervazioni baſtano al filoſofo per render certe, o almeno
eſcludenti un pru dente dubbio, alcune ſempliciſſime leggi della natura, dove
tanto è lontano che ſi co noſca effervi infinite altre cagioni poſſibili, che
anzi per argomenti preſi dai principi delle ſcienze ſi deduce non eſſervi luogo
a ſoſpettare che altre ve ne ſiano. E' ben diverſo il caſo noftro ove trattaſi
degli eventi che danno occaſione ai contratti di azzardo; e riguardo a quali ſi
pretende ſolo di mettere in diffidenza la maſſima che promette che ſi abbia a
cangiare in una aſſo luta e rigoroſa certezza, quella che è mera probabilità, e
forſe capace di creſcer ſolo pochi gradi. Che non pud fare l'amor di ſiſtema?
Lo ſpirito calcolatore avvezzo a portar lume ai più aſtruſi miſteri della
geometria, e ad ana lizzare le coſtanti leggi della natura col più felice
ſucceſſo, ſi lancia ardito dal gabinetto $ 7 di un filoſofo, e prefume di porre
in mano ai mortali un filo che ſegni la traccia co ſtante degli eventi più
incerti, e di aſſoggets tare alla ſua eſattezza ed uniformità, quan to v'ha di
più vario, e mutabile. Non ſolo hanno cercato alcuni di ſcoprire un'ordine
conoſciuto dai naufragi, un'ordi ne riſpettato dai morbi, e dalla ineſorabil
morte; ma hanno fperato di poterlo tro vare anche in quegli eventi che più
dipen dono da cauſe morali e libere, le quali agi ſcono certamente, non perchè
così voglia un ordine e non un'altro, ma perchè così vo glion eſſe, e non
altrimenti. Si è perfino tro vato chi ha propoſto le tavole degl'incendii,
delle cadute fatali da un precipizio, e di molti altri ſimili fortunofi
accidenti come ſe ſi poteſſe ſcuoprire anche in eſſi a ſuo tempo regola, ed
ordine. Per quanto poſſa nei caſi dipendenti da fi fiche cauſe trovarſi una
conneſſione fralle me deſime per lunga ſerie concatenate, in guiſa che debbano
in un dato tempo produrre un effetto più che un'altro; non ſi potrà mai dire 1
1. $$ altrettanto quando vi abbia luogo una libera volontà che non ſiegue
ordine, o conneſ fione, e che può produrre un'atto ſenza rap porto a verun'
altro che abbia altre volte prodotto, o che ſia per produrre in appreſſo. E ſe
è vero, che negli eventi, e nei caſi preſi in compleſſo di tutte le loro
circoſtanze, e in quelli ſpecialmente che ſono il ſoggetto dei contratti di cui
parliamo, qualche o più proſſima, o più rimota influenza vi hanno le cauſe
morali; che ſi può egli penſare di più ſtravagante che il volergli ridurre
eſattamen te a regola e pretendere di cangiare la pro babilità in certezza? E
chi fu mai che tentaffe di ordinare le diſperſe, e confuſe foglie, che
contenevano le riſpoſte ſull'avvenire, della fatidica Sacer dotella di Cuma? Ma
quand'anche gli argomenti da me ad dotti non provaſſero l'impoſſibilità di
arriva re dopo un lunghiſſimo corſo di anni a can giare in qualche certezza la
probabilità, pro vano almeno, che per noi, e per ben mol te generazioni queſta
farà una ſterile ricer 59 ca; giacchè per molti, e molti ſecoli, (ac cordando
anche più di quello certamente, che ſi può ) non ſi potrà vincere quel diſordi
ne, e irregolarità almeno apparente, che of ſervaſi nelle umane vicende, e che
in ſomma il limite delle medeſime è tanto diſcoſto, che pud conſiderarſi come
infinitamente diſtante. Dal fin quì detto per altro non ſi può ra gionevolmente
inferire, che dunque dal com mercio degli uomini ſi debbano eſcludere i
contratti di azzardo che appartengono alla ſeconda delle ſopra indicate clafli.
Per provare la verità di queſta aſſerzione convien fiſſare due maſſime conformi
alla ragione, e che ſe non erro ſono il fonda mento al quale ſi appoggia la
giuſtizia di queſti contratti. Queſta uguaglianza fra i contraenti che è sì
neceſſaria a render giuſti i contratti è un termine vago, e che non ha affiffa
alcuna idea, ſe allo ſtato di natura vogliam rimon tare. Il prezzo delle coſe
introdotto o dalla legge, o dalla conſuetudine che imitatrice della legge la
vince di autorità, ecco ciò che ha chiamata l' uguaglianza a preſiedere ai
contratti. Alla ſocietà dunque, e alle fire maſſime deveſi attribuire. Si
eſamini pero lo ſpirito della ſocietà, e ſi vedrà che nelle ſue maſſime
generali non ſi devono comprendere quei caſi che è dello ſpirito della medeſima
l'eſcludergli, e l' eccettuarli. Si riduce al lora la queſtione, ad eſaminare
ſe ſiano utili alla ſocietà i contratti in queſtione; e ſe nelle bilance del
pubblico bene ſia di maggior mo mento il vantaggio che recano, o la preciſa
offervanza di quella perfetta uguaglianza ne contratti, che è tanto neceſſaria
generalmen te alla quiete, e felicità degli individui, e al buon ſiſtema, e
conſervazione di queſto cor po morale, e politico. Pochi elementi, e poche idee
ſciolgono il problema. Induſtria eccitata, commercio invigorito, circolazione
ampliata. Vantaggi fono queſti generalmente procurati da tali contratti ben
regolati, come ſi può ben co noſcere da chi ne eſamini lo ſpirito, e le
conſeguenze. Daqueſto argomento riceve gran forza un 61 ſecondo rifleflo. In
queſti contratti non ſi può avere fra i contraenti una perfetta ugua glianza di
condizione, perchè non ſi può eſattamente miſurare la loro forte. Ma ciò che
manca a queſta giuſta miſura è con une ad entrambi. Ad entrambi è egualme ite i
gnoto per chi debba eſſere il vantaggio, e per chi il diſcapito, potendo
ugualmente nel caſo noſtro, e l'uno, e l'altro a ciaſcun di loro arrivare; e
queſto medeſimo forma una ſpecie di ſorte uguale, la quale pud ſupplire a
quanto manca alla perfetta uguaglianza. Diſli alla perfetta uguaglianza, perchè
le maſſime ſopra eſpoſte ed impugnate, vacil lano ſoltanto, perchè oltrepaſſano
certi li miti, dentro dei quali rinchiuſe provano moltiſſimo, rapporto alla
uguaglianza che deve eſſere nei contratti della ſeconda claſſe. Inteſe le
maſſime con la dovuta moderazio ne, è veriſſimo che eſtraendo da un'urna ove
ſiano alla rinfufa molti viglietti bianchi e molti neri, quante più eſtrazioni
fi anderan no facendo, tanto più creſcerà la conoſcen za del rapporto che hanno
fra loro: è verif fimo che le oſſervazioni ſegnate in tavole danno ai giovani
la prudenza dei vecchi: ed è incontraſtabile che quanto più ſpeſſo ac caderà in
natura un evento, tanto più ſi po tranno attrappare le circoſtanze che lo ac
compagnano, e farà meno irragionevole l'in duzione che dalla eſiſtenza di queſte,
ſi farà della futura eſiſtenza di quello. Si potrà dun que avere un qualche
dato per eſaminare la probabilità di un'evento, e proporzionargli il prezzo con
cui ſe ne acquiſti la ſperanza. Per formare una ſerie dei diverſi gradi di tale
probabilità gioverà eſaminare un qualche contratto in ſpecie, e fiffare i punti
dai quali la ſerie ſi parte; poichè non ſi potrebbe con tanta facilità fare una
giuſta analiſi, o alme no egualmente chiara, ſe fi conſideraſſero le idee in
aſtratto, e ſenza applicarle ad un de terminato ſoggetto. Fra tutti i contratti
che ridur ſi poſſono a queſta ſeconda claſſe parmi che meriti di eſ ſere
diſtintamente eſaminata l'aſſicurazione, Efla è un contratto per cui uno dei
contraenti ſi obbliga a riparare tutti i danni che può un altro ſoffrire nelle
ſue merci per naufragio, o altre convenute cagioni; e queſti ſi obbli ga a
pagarli una determinata mercede in com penſo del pericolo al quale
volontariamente ſi eſpone. 1 Fiorentini che avendo già eſteſo il loro commercio
per tutto il Levante aveano fatto conoſcere a tutto il mondo quello ſpirito di
lo devole induſtria, e fagacità, che forma il nerbo e la floridezza di uno
ſtato, e che fu ſempre del loro carattere, furon quelli che riduſſero a certe
leggi queſto contratto, e gli diedero for ma e credito. Inſegnarono così alle
altre na zioni commercianti a tirarne quel profitto, che il profondo, ed
illuminato Melon aſſe riſce dover eſſere sì ampio per uno ſtato che abbondi di
eſperti, ed avveduti aſſicuratori. Di fatto alla Repubblica Fiorentina deb
bonſi i primi capitoli di aſſicurazione che furono diſteſi negli anni 1523., e
1525. A queſti ſucceſſero negli anni 1563., e 1570. le ordinazioni di Olanda.
Non è ſtata queſta l'unica occafionein cui abbiano, gareggiato in fatto di
commercio queſte due nazioni, la prima delle quali ha faputo ſempre profittar
pienamente delle fe lici fue circoſtanze, e la ſeconda compenſare ognora in
mille modi i danni della infelice ſua ſituazione; e inſultar quaſi alla natura
di ayerla in eſſa collocata. Gli ſcrittori che hanno trattato di queſto
contratto lo diſtinguono in due ſpecie. La prima chiamano eſſi aſſicurazione
propria mente detta, ed è quando le merci che ne ſono l'oggetto appartengono di
fatto a quello che ne chiede l'aſſicurazione; e queſto è ciò che intendono
ſotto il nome di riſico dell' aſſicurato; ed inoltre ſono eſſe realmente ſog
gette a pericolo, o com'eſſi dicono a ſiniſtro. Per la validità di queſto
contratto ricercaſi la coeſiſtenza del riſico, e del ſiniſtro; ed è quanto dire,
che l'aſſicuratore non deve pa gare la ſicurtà, nè l'aſſicurato la mercede, ſe
le merci avean corſo già il loro deſtino quan do fi ftipulò il contratto, o ſe
non apparten gono all'aſſicurato. Per maggior comodo poi, e dilatazione di
commercio fu introdotto il contratto di affi 65 curazione ſulle merci o proprie,
ma non nella ſomma che ſi afferiſce, e che cade ſotto l'aſſi curazione: o
appartenenti affatto ad altra perſona. In queſto contratto il fondamento
conſiſte nella fola eventualità dell'azione; e ſi può in eſſo ravviſare
un'apparenza di Scommeſſa della quale però gli mancano ſe condo molti, alcuni
caratteri. Anche in queſta ſeconda ſpecie comunemente ricer caſi, che le merci
ſiano in pericolo ancora quando ſi fa il contratto; benchè in alcune piazze ſi
ſoſtenga anche nel caſo che le merci aveſſero già corſa la loro forte quando ſi
ſti puld il contratto, purchè però queſto non foſſe a notizia dei contraenti.
Per ridurre pertanto in qualche vero ſenſo il contratto di aſſicurazione alla
Teoria ſopra eſpoſta regolatrice della uguaglianza neceſ faria nei contratti di
azzardo, fa d'uopo con ſiderare due fatta di caufe che influir poſſono
full'evento incerto, che ne forma l'oggetto. Altre ſono le cauſe fiſiche che
per un puro meccanico impulſo della materia agiſcono in dipendentemente da
qualunque libera determinazione di una cauſa ſeconda; il mare cioè più o meno
ſparſo di pericoli, agitato da vortici, terribile per gli ſcogli; il vento che
tormenta più un ſeno di mare che un altro, e domina più in una ſtagione, che in
un altra; la qualità del naviglio, più o me no capace di reſiſtere agli urti, e
di inſul tare gli Aquiloni; e finili altre che a que ſte ridur ſi ponno, anzi
con queſte confon derſi. Più incerte affai, e più indocili all'eſat tezza del
calcolo ſono quelle cagioni che mo rali ſi chiamano, perchè o conſiſtenti nella
libera determinazione di un ente creato, o da quella dipendenti almeno
mediatamente. La deſtrezza, e la buona fede del capitano: l'abilità dei
marinari e dei piloti: il nume ro, e la gagliardìa dell'equipaggio: la mag
giore o minor frequenza dei pirati che infi diano fraudolenti, e poi attaccano
rapaci; o dei nemici armatori che appoggiano le fan guinoſe loro infeſtazioni
ai tremendi diritti della guerra, ſono o le uniche, o le più con ſiderabili di
queſte cauſe morali. i Se il fondare un
calcolo eſatto ſulle fiſiche cagioni ſuaccennate è impoſſibile: il fondarlo che
ſi accoſti all'eſattezza difficiliſſimo: lo ſarà molto più l'appoggiarlo alle
cauſe morali che non agiſcono per una conneſſione di mo vimenti, e d'impulſi
che l'un l'altro fiſie guano neceſſariamente; ma che operano per una mera
libera determinazione, che per qualunque congettura la più apparentemente
probabile non ſi può preſagire; poichè anche preſa può ſul momento abbandonarſi,
per cangiarla in una affatto diverſa, e talora dia metralmente oppoſta, e
contraria. Un canone perd univerſaliſſimo, e da non preterirſi giammai in
queſto contratto, parmi quello di non conſiderare neſſuna cauſa, o fiſica, o
morale, ſeparatamente o iſolata dalle altre; ma di oſſervare l'influenza reci
proca che hanno tutte le cauſe l'una ſopra dell'altra, e quella non meno che
hanno ſulle morali; e l'iſteſſo dicaſi di queſte rapporto alle fiſiche. Il
momento di ciaſcuna cauſa ſi altera a miſura che diverſamente è combi nata, o
temperata colle altre. Per conoſcere però quanto poſſano queſte cagioni, e
ſingolarmente preſe, e in complef ſo, è neceſſaria una lunga ſperienza. In
queſto contratto, per caſi ſiniſtri non ſi intendono già tutte quelle
combinazioni, che realmente poſſono funeſtare l'aſſicuratore, e perder la nave,
nè per favorevoli quelle che ſalva dai naufragi, e dalle oſtili violenze, la
confe gnano al ſoſpirato porto. Fatta una tavola di accurate, e frequenti
oſſervazioni, e conoſciuto quante volte in parità di circoſtanze ſiaſi perduta
la nave, e quante ſia giunta felicemente al deſiato fuo termine; la ſomma delle
prime rappreſenta la ſomma dei caſi ſiniſtri; e quella delle ſe conde ſi tiene
per il numero dei favorevoli; e ſu queſti dati ſi forma la proporzione da noi
ſtabilita nel III. Teorema. Queſta è la ſpecifica differenza che paſſa fra i
contratti del primo genere, e queſti che al ſecondo appartengono. Nei primi
entrano in calcolo tutti quanti i poſſibili caſi e fini ſtri, e favorevoli,
perchè ſi fanno tutti, e ſe ne conoſce perfettamente il numero; noi 1 69
ſecondi fi calcolano quelli ſoltanto, che dopo una lunga ſperienza ſi ſono
oſſervati; reſtan done non compreſi nel calcolo tanti altri pof ſibili, i quali
perd dopo molte e molte oſler vazioni fi fuppongono in proporzione di no tati.
La proporzione ſi accoſta tanto più al vero, quanti più ſono i caſi oſſervati,
come appunto accade nell'urna che contiene un ignoto numero di palle bianche e
nere: delle quali con tanto minor pericolo di errore ſi può fiffare la
proporzione, quanto più copioſa ſe ne è fatta l'eſtrazione. In una parola, nei
primi è incerto l'eſito della ſorte; nei ſecondi è incerto anche ciò che può
determinarlo. Rariſſimi però ſono i caſi che ſieno riveſtiti perfettamente
delle medefine circoſtanze. Fa d'uopo adunque per formare la propor zione
ricorrere alle diverſe tavole, ove ſono notate le circoſtanze preſe
ſeparatamente; e conſiderarle come tanti elementi dei quali ſono compoſti i
dati della proporzione. Scioglie una nave dal Porto, e veleggia per un mare
tranquillo, e placido; queſta circoſtanza è un fondamento della propor 70 zione
da ſtabilirſi fra il valor delle merci, e il prezzo dell'aſſicurazione; e la
tavola delle navigazioni fatte in queſto mare lo additerà preciſamente. Ma fe
queſta nave corra un pericolo di pirati, o di nemici che le altre navi facendo
il medeſimo viaggio non avevan corſo giammai, nel formare la proporzione vi
entra anche queſto elemento, la di cui forza ſi miſura dalla tavola di altre
naviga zioni benchè fatte in altri mari, e ſi compone il minor pericolo che ha
queſta veleggiando per un mare tranquillo; col pericolo che cor ſer altre per
la ſola oſtile infeſtazione. Vaglia queſto per eſempio delle proporzioni com
poſte di varj elementi, il valor dei quali ſia regiſtrato in diverſe tavole,
non obliando giammai nel combinarli la forza che acqui ſtano dalla reciproca
loro influenza. Ma può talvolta non eſſervi l'eſperienza baſtante a far
conoſcere i gradi di probabi lità dell'eſito lieto, o infauſto. Monta per la
prima volta un vaſcello un Capitano, che non ha mai per l'avanti governato
naviglio alcuno: infeſta i mari una turma di corſari 1 1 71 sbucati da qualche
ſcoglio che alzava prima una barriera alla fanguinaria loro rapacità e dei
quali ignoraſi per anco il numero, ed il valore, o a meglio dire la violenza
della eſecrabile loro ſete dell'oro e del ſangue; chi potrà miſurare i gradi
dell'influenza che ha ſull'eſito felice la prụdenza e la deſtrezza del primo, e
ſull’infauſto l'ardire, e la forza dei ſecondi? In tal caſo per quanto vogliaſi
dare un va lore anche a queſte circoſtanze nuove; fon dandolo ſu qualche
piuttoſto appreſa, che conoſciuta ſomiglianza ad altri caſi; egli è certo però
che ſenza una più volte ripetu ta eſperienza, non può fiffarſi una propor zione
di cui ſi calcolino i gradi, e ſi nume rino i valori; e ſenza di eſſa non ſi
può for mare una ſerie che ſerva di norma all'u guaglianza ricercata in tali
contratti. Tutto alla fine ci conduce a riflettere, che una e fatta proporzione
nei contratti del ſecondo genere non può ſperarſi giammai; che in molti caſi ſi
potrà avere meño lontana dall' eſattezza; in altri ſi troverà dalla medeſima 72
più rimota, come dal fin qui detto chiara mente appariſce. Ma forſe gli
aſſicuratori interrogano que ſte tavole, formano calcoli, e ſciolgon pro blemi?
Il filoſofo che ſcortato dalla ragione fino ai loro principi eſamina le azioni
degli uomini e le bilancia, conoſce che queſti cal coli ſono neceſſarj a
ridurre i contratti all' uguaglianza e comprende che queſta tanto più ſi
otterrà facilmente, quanto più ſiano frequenti queſte tavole, e numeroſi i caſi
che ad eſſe, come a indicatrici della ſorte ſono af fidati; l'aſſicuratore poi
accorto ed illumi nato le conſulta, o le deſidera; l'indotto, e meno avveduto
ha preſente, almeno in con fuſo la maggiore, o minor frequenza de' fini ſtri
nelle date circoſtanze ſeguiti, e ſu queſto implicito calcolo forma il ſuo
giudicio più o meno eſatto, e non ſi affida totalmente alla cieca all'arbitrio
dell'incerta forte. In queſto contratto il prezzo che eſpone l'aſſicuratore, è
il valore delle merci, che egli ſi mette in azzardo di dover pagare all' aſſicurato;
quello dell'aſſicurato è la merce: 1 73 de che egli paga all'aſſicuratore in
compenſo di queſto azzardo medeſimo. Ma ſiccome fatto il contratto di aſſicura
zione, l'aſſicurato deve in qualunque evento pagare all'aſſicuratore la
convenuta merce de, pare a prima viſta che per l'aſſicurato non ſiavi azzardo
alcuno; poichè dal punto dello ſtabilito contratto è deciſa la ſua forte; o a
dir meglio riguardo a lui nel ſuo con tratto non ha luogo alcuno la forte.
Baſta però una giuſta rifleſſione ſulla natura di tal contratto, per vedere che
anche per l'aſſicu rato vi è l'eſito favorevole della ſorte ſicco meancora
l'infauſto. Caſo favorevole può chiamarſi quello che rende il contraente pago,
e contento di aver fatto il contratto; talmente che ſe aveſſe pre veduto
l'eſito, conſultando ſolo il ſuo van taggio, l'avrebbe nonoſtante fatto, anzi
con tanto maggiore alacrità. Per lo contrario infauſto può dirſi quello che in
qualche modo gli dà occaſione di pentimento, in guiſa che ſe aveſſe previſto
l'eſito avrebbe omeſſo di fare il contratto. Ora quantunque 74 l'aſſicurato,
fatto il contratto ſia già ſicuro di dover pagare la mercede, qualunque ſia
l'evento; quando però la nave giunga a ſal vamento, è in caſo di pentirſi del
ſuo con tratto; poichè ſe non lo aveſſe fatto, e avreb be avuta ſalva la nave,
e non avrebbe fof ferto il diſpendio della ſtabilita mercede. In queſto ſolo
ſenſo, e non in altro, che ſareb be troppo contrario all'umanità, poichè ſi
riſolverebbe in compiacerſi dell'altrui dan no, che neppur ridonda in proprio
vantaggio, ſi pud intendere ſiniſtro per l'aſſicurato il caſo del ſalvamento
della nave; e in queſto ſolo può ridurſi il contratto al carattere di una vera
ſcommeſſa, di cui è eſſenziale ſe condo alcuni, che l'avvenimento favorevole ad
uno dei contraenti, ſia per l'altro infau ſto, e ſiniſtro. Conchiuſo il
contratto, l'al ficurato che ha ſentimenti di umanità, deſi dera che ſi falvi
la nave, ma falvata la nave vorrebbe non aver fatto il contratto. Quello che
non ſi può in modo alcuno ri durre a calcolo, ſi è nella perdita di una na ve,
la minore, o maggior quantità di merci, ! 75 che ritoglier ſi potranno
all'ingordigia dell onde, e ritrarre al lido; lo che ſuccede mol te volte, e fa
che non debbanſi tutti i cafi ſiniſtri giudicare di un carattere egualmente
dannoſo; ma diverſi, a miſura, che più o meno delle aſſicurate merci, ſi perde,
e ro vinafi. Il poter prevedere, e calcolare in a vanti tal quantità
influirebbe molto a deter minare la mercede che l'aſſicurato promet te. Ma chi
potrà mai calcolare le tante cauſe che poſſono influire ſopra un sì variabile
accidente? Forſe l'aſſicurato avrà all'ingroſſo preſente queſta varietà di
combinazioni; ma potrà egli dare ai loro effetti un giuſto valore? I principj
fin'ora eſpoſti regolatori di que Ito contratto, quando ha per oggetto merci
affidate al pericoloſo traſporto di mare, pof ſono facilmente adattarſi alle
merci traſpor tate per terra; anzi alle merci, o ſituate nei magazzini, o in
altra maniera cuſtodite. Tutto ciò che può eſſer ſoggetto ad un fatal accidente,
e per quello perire, o deteriorarſi, fi fa eſſere oggetto di queſto contratto.
Anzi il guaſto di un incendio divoratore, le ruine 70 di un turbine procellofo
che abbatte caſe, porta la deſolazione per le campagne, la vio lenta incurſione
di rapaci aſſaſſini, o le ru berie affidate al ſegreto e alle tenebre della
notte dalle timide mani infidiatrici, ed altri pericoli di tal fatta, che a
prevederli biſogne rebbe nulla meno che lo ſpirito di divinazio ne,
ſomminiſtrano in alcuni paeſi occaſione di venire alle mani con la ſorte, ſenza
che nè l'una parte nè l'altra poſſa mai, neppure all'in groſſo e colla maggiore
ineſattezza, miſurarla. Un'altro contratto non meno intereſſante, e che
appartiene a queſta ſeconda claſſe ſi è quello che chiamaſi vitalizio. Gli
uomini non contenti di affidare la loro forte a tante, e sì varie combinazioni
che alterano, e modificano sì ſtranamente gli ef Teri inanimati; hanno voluto
che ella dipen da anche dalla vita dei loro ſimili, ed hanno fatto sì che un
uomo debba ftimarſi infelice ſe un altro gode per lungo tempo sì prezioſo dono
del cielo. La vita iſteſſa è venuta tal volta in bilancia con un tenuiſſimo
guadagno. Il vitalizio altro non è che l'annuo interesse di un capitale
collocato a fondo per duto. Chi colloca in tal guiſa il ſuo capitale lo fa ad
oggetto di ritrarne un profitto mag giore di quello che riſerbandoſene il
dominio potea ſperare. Suol eſſere comune queſto con tratto e a coloro che non
avendo perſone congiunte con ſtretto vincolo di ſangue o di amicizia, o che non
curando le veci dell' uno, o dell' altra, non hanno nulla che gli ritragga dal
provvederſi i mezzi di ſodisfare anche a quei biſogni che ſono figli del più
molle, e faſtoſo luſſo; e a quegl' infelici, che ſenza queſto compenſo condur
dovrebbero i triſti loro giorni in ſeno all'inopia, e allo ſqual lore. Il
vantaggio di liberarſi da tante fre quenti, e penoſe cure della domeſtica eco
nomia luſinga molto, ed è talor neceſſario, a chi trovandoſi in un'età cadente,
accom pagnata per lo più da una infaufta dote di mali, vedrebbe da mercenarie
mani rapaci diſperſi, e lacerati i ſuoi fondi, rendergli un frutto di gran
lunga inferiore a quello che potrebbe ritrarne perchè diviſo con tanci
domeſtici fti pendiati uſurpatori. 78 Quello poi che ſi carica di pagare un
frutto maggiore dell'ordinario ha per oggetto non folo di fare in un colpo l'acquiſto
di una ragguardevole ſomma, ma di vedere la vita di quello a cui lo paga non
oltrepaſſare un tal corſo di anni che la rendita ecceſſiva af forbiſca il
capitale, e la ſomma degli inte reſſi ordinarj, che egli ne ha ritratti. Aipri
mo arride la ſorte fe ſopravviva un tal nu mero di anni che fatta la ſomına
delle an nuali rendite vitalizie, queſta ſuperi il fondo perduto e di più le
rendite ordinarie del medeſimo. Favoriſce il ſecondo ſe la morte fi affretti a
troncare prima di tal termine i giorni dell'altro. Ecco lo ſpirito di queſto
contratto. Per rintracciare nel medeſimo la neceſſaria uguaglianza, e per
verificare i noſtri teore mi è neceſſario riflettere, che sborſato il ca pitale
che ſi perde, e fiſſata la rendita mag giore dell'ordinaria, vi ſarà un certo
nume ro di anni, per il corſo dei quali ſopravi vendo, la ſomma degli ecceſſi
della rendita vitalizia full' ordinaria uguaglierà il capitale. Se quello
adunque che perde il fondo foſſe ſicuro di ſopravivere un tal corſo d'an ni,
non potrebbe eſiger di più di queſta de terminata rendita vitalizia. Ma ſiccome
quel lo che dà a vitalizio non è ſicuro di vivere un determinato numero d'anni;
per poter rendere eguali le condizioni dei contraenti, è neceſſario fiſſare un
tal numero d'anni, che la probabilità di ſopravivere ſia uguale a quella di
premorire, e che al caſo che uno ſopraviva o due o tre anni, o qualunque altro
numero, ſi poſſa con ugual probabilità contrapporre il caſo che muoja un egual
nu, mero d'anni prima. Quando dunque ſi tratta di formare un vitalizio,
conviene eſaminare quanto abbia ſopraviſſuto un gran numero di perſone, per
eſempio mille, all'età di quello che vuol farlo. La ſomma di tutti gli anni che
tali perſone hanno ſopraviſſuto di viſa per il numero delle medeſime, dà un
numero, che ſi chiama l'età media. Trovato queſto, ſi ſuppone che chi fa il
vitalizio deb ba ſopravivere fino a tal termine, e ſi fa il diſcorſo che ſi è
detto di ſopra, quando ſi è 80 fatta l'ipoteſi che uno foſſe ſicuro di vivere
nè più nè meno un determinato numero d'anni. Nel fiſſare la media ſi ſono
conſide rati gli eventi che poſſono favorire il caſo della ſopravivenza eguali
in numero a quelli che vi ſi oppongono; uguaglianza che ſi ac coſterà tanto più
al vero quanto ſarà mag giore il numero delle vite dalle quali ſi ri cava la
media. Ecco dunque, come in queſto caſo la ſpe ranza può dirſi uguale al timore,
e per con ſeguenza può aver luogo l'azzardo ſenza op porſi alla giuſtizia, ed
ecco finalmente ridot to il contratto ai termini dei noſtri teore mi. La ſomma
del capitale più le rendite ordinarie, che è il prezzo eſpoſto da chi perde il
fondo, deve ſtare alla ſomma delle rendite vitalizie che formano il prezzo
eſpoſto dall' altro contraente, come il numero dei cafi favorevoli al primo, al
numero dei caſi fa vorevoli al ſecondo; i quali ſupponendoſi moralmente uguali
per l'accennata ragione, ne ſegue che la ſomma del capitale, e delle rendite
vitalizie dovrà eſſere eguale alla fom 81 ma del capitale, e delle rendite
ordinarie computando tal ſomma fino al termine del la vita media, che per
ipoteſi ſi dà ſtabilito per l'indicato calcolo. Si ridurrà dunque l'uguaglianza
di queſto contratto a diſtribui re per detto numero d'anni queſta ſomma; o ſia
a rendere anche più ſemplice l'eſpreſ fione, ſi tratterà di aggiungere alle
annue rendite ordinarie il capitale diſtribuito per detto numero d'anni.
E'evidente che per rendere in queſto contratto le condizioni più eguali convien
pigliare un grandiſſimo nu mero di vite per formar la media. E quì ſi oſſervi
che ſe poteſſe la probabilità della du rata di una vita fino a un dato numero
d'an ni cangiarſi in certezza, ſarebbe tolto affatto l'uſo di queſto contratto:
lo che dee dirſi di tutti i contratti di azzardo. Si penſa a can giare la
probabilità degli eventi in certezza. Se queſto ſi otteneſſe ſarebbe affatto
bandita quella cieca divinità alla quale ſi abbando nano gli uomini per
formarne un ramo di commercio. Vogliamo adunque miſurar la forte, non
eſpellerla. f 82 Tanto più farà facile in queſto contratto fiſſare la media,
quanto più ſaranno ridotte a claſſi diſtinte le perſone delle quali ſi ſom mano
le età. Qualità di profeſſione, carattere di temperamento, indole di clima,
eligono ſeparate oſſervazioni. In fatti, ſiccome per cali favorevoli
s'intendono quelli per i quali ſi prolungano le vite, per contrari quelli che
le abbreviano; e i ſecondi, nel fillarſi l'età media vengono conſiderati
moralmente ugua li di numero ai primi; queſta uguaglianza ſarà più vicina alla
vera, quanto maggiore ſarà la parità di circoſtanze. Se abbiaſi però riguardo
non ſolo alle an nue rendite vitalizie, ma al frutto delle me deſime, potendoſi
eſſe, e il frutto loro cangia re ſucceſſivamente in forte fruttifera; fic come
quello che paga l'annua rendita vita lizia paga un frutto maggiore di quello
che ritrae; dovrà a proporzione ſcemarſi l'ecceſſo della rendita vitalizia
ſull'ordinaria. Queſto però non ſi oppone alla verità del teorema terzo; poichè
in tal caſo il prezzo che eſpo ne quello che paga la rendita vitalizia non farà
più quell'ecceſſo della rendita vitalizia ſull' ordinaria, che naſcerebbe dalla
fillata proporzione; ma ſarà un ecceſſo tanto mino re, quanto è la differenza
del frutto della rendita vitalizia conſiderato ſucceſſivamente, e per ferie
cangiato in forte fruttifera, dal frutto della rendita ordinaria conſiderata
nell'iſteſſa maniera, e così cangiandoſi pro porzionalmente le eſpreſſioni dei
due prezzi, non ſi cangerà l'analogia. Non farà difficile il perſuaderſi
dell'indi cata differenza fe fi conſideri, che chiamata la ſorte totale per
eſempio A, e una di lei porzione C, alla quale corriſponda l'annuo frutto B,
ſarà la ſerie delle annue rate d'in tereſſe o ſia di ciò che ſi deve ogni anno
nella ipoteſi che il frutto ſi cangi in forte, eſpreſſa dalla ſeguente formola.
(C + B ) A,(B ) A (C (C + B С N o ſia eſprimendo per Nil numero degli anni
ſcorſi dal primo (C + B) À laddove quando il N frutto non ſi cangia in ſorte fi
avrà una ſe C_A f 2 rie aritmetica il di
cui primo numero cor riſpondente al primo anno farà il capitale col frutto; il
ſecondo il capitale col doppio del primo frutto; il terzo il capitale col tri
plo del primo frutto. Il valore adunque del frutto del primo anno ſarà la
differenza dei termini di queſta ſerie. Siccome poi nel caſo dell'ultima
ipoteſi, tanto la rendita ordiną ria, quanto la vitalizia ſi cangiano in forte;
fatte le due ſerie di potenze ſecondo la eſpo fta formula, e ridotte ai termini
individui del caſo di cui ſi cerca, ſi conoſcerà il valore della ricercata
differenza. Richiaminſi però a queſto contratto i prin cipj ſtabiliti in quello
dell'aſſicurazione, e ſi abbia in viſta che per caſi favorevoli, altro non
s'intende, che il numero di quelle per ſone che in parità di circoſtanze hanno
ſo pravviſſuto un dato numero d'anni, per ſi niſtri poi il numero di quelle che
ſono man cate prima; che queſta parità di circoſtanze vien compoſta talora da
molti elementi il valore de'quali dev'eſſere prima a parte no tato; e che la
vita dell'uomo dipendendo da cagioni fiſiche e morali, fa di meſtieri riflet
tere al diverſo loro carattere, e alla recipro ca influenza delle medeſime.
Lodevolilimo però è l'uſo di far le tavole, o regiſtri, nei quali ſi notino la
naſcita, la morte, e gli altri accidenti della vita umana; poichè queſte ſole
appreſtano il fondamento ſu cui ſi appoggiano tanti vantaggioſi con tratti; ed
elle ſole danno la miſura delle forti, e delle aſpettative dei contraenti.
Sarebbe in conſeguenza deſiderabile che ciaſcun medico regiſtraſſe privatamente
le qualità, e gli accidenti dellemalattie che egli tratta; ſiccome quelle del
temperamento di ciaſcun malato, che egli libera, o che non può ritrarre dalle
prepotenti fauci di morte. Queſte ridotte in ſiſtema, e reſe pubbliche
riſparmierebbero molte volte la pena di com binarne molte formate da indotti
oſſervatori, anzi fovente farebbero neceſſarie; poichè l'imperito regiſtratore
omettendo tutte le circoſtanze, o alcuna almeno delle eſſenziali, rende inutili
le ſue oſſervazioni, e appreſta piuttoſto occaſione all'altrui errore, o irri
fleſſione. Benchè e da quali tavole ſi potrà mai rica vare la giuſta miſura
della vita d'un uomo? Quot non ſunt caufae, dice S'graveſand intro duft. ad
Phil. a quibus vita hominis pendet? Una di queſte tavole forſe la più eccel
lente, perchè ricavata da regiſtri d'interi regni e provincie, è quella di
Pietro Süſmlich da lui intitolata: La divina providenza nelle vicende
dell'umana ſpecie, dimoſtrata dall'or dine delle naſcite, morti e
moltiplicazioni. Celebre è anche quella di Hocdſon fatta appunto per fillare le
annue penſioni vitali žie, e dedotta dai cataloghi di mortalità di Londra.
Gl’Italiani forſe ſono quelli che hanno traſcurato fin'ora più dell'altre
nazioni queſti importanti regiſtri. Oh ſe lo ſpirito d'indu ſtria, e di
curioſità, che non è l'ultimo pre gio di queſta nazione ſe l'intendeſſe ſempre
con la vera, ed utile filoſofia ! Sono ſtate fatte oſſervazioni meteorologiche,
ed ulti mamente l'aſtronomo di Padova il chiariſ fimo S: Toaldo ha dato alla
luce un libro nel quale ſono regiſtrate le oſſervazioni fatte í per un lungo corſo d'anni. Più palpabile
però, per ſervirmi di una eſpreſſione di un fommo Filoſofo, e più immediata
ſarebbe l'utilità delle tavole di cui ſi parla. Vi è tutta la ragione di
aſpettarla grandiſſima, dalla aſſiduità, ed efficacia dei noſtri Italiani
oſſervatori. Il preſagio comincia ad avve raríi felicemente. Già dai regiſtri
delle na ſcite, che la noſtra fanta religione rende neceffari, ſonoſi ricavate
delle conſeguenze ſull'articolo della popolazione: ficcome dalle oſſervazioni
delle frequenti morti dei bambi ni, ſi è preſa occaſione di rintracciarne la
cauſa, e d'indagare la maniera di ſalvare queſti teneri germi, che sì
facilmente foc combono anche ad un leggiero urto, e ad una tenue ſcoſſa. Al
genere dei vitalizj appartiene quella convenzione, che dal ſuo oggetto
chiamaſi: la dote della figlia. Un provido padre sborfa una determinata ſomma
di denaro con la condizione che fe una tal figlia di freſco natagli manchi
prima dell'età nubile, la sborſata ſomma cada in 88 proprietà di quello che
l'ha ricevuta; ma ſe la figlia arrivi all'età nubile riceva eſſa da queſto una
ſomma proporzionata agl'intereſſi decorſi del denaro, e al pericolo in cui ella
è ſtata di morire in tal intervallo, e di per der così la ſomma dal padre
sborſata. Dovrà in tal contratto rifletterſi che il prez zo, che sborſa il
padre per la figlia è uguale alla fomma più le rendite ordinarie fino all anno
prefiffo; quello che azzarda l'altro è l'ecceſſo della dote ſopra la sborfata
ſomma, e i frutti ordinari: ecceſſo che fi deve per l'incertezza della vita.
Deve dunque come il numero dei caſi favorevoli alla vita della figlia fino
alprefillo termine, ſta ai ſiniſtri (a), o fia ai favorevoli all'altro; così
ſtare la ſom ma sborſata dal padre, più le rendite ordi narie, all'ecceſſo
della dote che ſi dovrà alla figlia in caſo di ſopravvivenza ſulla ſomma
sborſata più le rendite ordinarie. Havvi un'altro contratto per cui un par
ticolare, che vuol comprare una conſidera (a) Anche in queſto contratto i caſi
favorevoli, e i finiftri s'intendono come fi dille parlando de' vitalizji 89
bile carica; per non privare della ſomma ne ceſſaria a tal acquiſto una
famiglia a lui ca ra che la ſua morte potrebbe mettere in braccio alla
deſolazione, e all'inopia; fi fa aſſicurare la propria vita per un dato corſo
di anni, pagando, o una ſomma, o un'an nua penſione all'aſſicuratore, che ſi
obbliga all'incontro di pagare agli eredi di lui la ſom ma ſpeſa nell'acquiſto
della carica, ſe egli muoja prima del termine ſtabilito. La eva luazione della
vita, si in queſto, come in tutti gli altri caſi ſi ricava dalle non mai ab
baſtanza commendate tavole. Si oſſervi, che in queſto contratto quello che
riceve la ſoin ma o l'annua penſione, trova vantaggio nella prolungazione della
vita di chi la sborſa, al contrario di ciò che accade nei vitalizj, e negli
altri contratti ad eſſi analoghi. Nel for mare adunque la proporzione cangian
nome fra loro i caſi che nei vitalizj ſi chiamano favorevoli, o ſiniſtri; del
reſto non vi è dif ferenza veruna. E' queſto un contratto di cui tanto meno
importa trattenerſi ad eſami nare i dettagli quanto importa più alla feli 1 $ 1
1 1 1 1 go cità di uno ſtato che non poſſa mai trovarſi occaſione d'iſtituirlo.
Diaſi però in quella vece una rapida oc chiata a quello che dal nome del ſuo
inven tore chiamaſi Tontina. Non differiſce que fto dal vitalizio, ſe non in
ciò che ove in quello la rendita annua ceſſa alla morte di colui, che collocò
il ſuo capitale a fondo per duto; in queſto ſi diſtribuiſce nei ſuperſtiti che
appartengono alla medeſiına claſſe, e che hanno fatto un ſimile contratto col
padro ne della tontina. L'ultimo però di ciaſcu na claſſe conſolida ſul ſuo
capo tutte le ren dite che ſi pagavano a quegli che gli ſono premorti nella ſua
claffe. A formare le diverſe claſli dà norma la diverſa età. E' celebre la
Vedova di un Chirurgo di Parigi la quale morì in età di 90. anni, e godeva
35000, lire di annua penlione frutto di uno sborſo di 600, lire. Dalle tavole
di mortalità ſi è ricavata la formula che eſprime in un dato numero di vite
coetanee quanti anni ſia per durare la più lunga. Da ciò il padrone della
tontina pud co 91 lui il pagare a o il noſcere per quanti anni dovrà pagare le
ren dite; poichè per il ſovra eſpoſto carattere di tal contratto, val lo ſteſſo
per ciaſcuno la ſua penſione col diritto di ac creſcere, che hanno quelliche
ſopravvivono, pagare la fomma di tutte a quella vita che durerà più dell'altre.
Potrà per conſe guenza fiſſare il valore di queſte annue pen ſioni. Si è in
oltre trovata la formola che eſpri me, dato qualunque numero di vite coetanee,
il tempo in cui uno, o due, o più manche ranno, la formola per il caſo che più
perſo ne comprino un annualità da dividerſi fra loro mentre vivono, da
dividerſi poi dopo la mor te di qualcuno di loro ugualmente fra i ſo
praviventi, e da ricadere finalmente tutta all'ultimo ſuperſtite da goderſi durante
la ſua vita; e queſta ancora dà lume agli azionari ſulla contribuzione che
devono preſtare. E faminate queſte formole, ed avuto in conſi derazione il
metodo tenuto nel fiſſare la pro porzione per i vitalizj, ſi ritrova facilmente
la medeſima anche per le contine. 1 1 E'
oltre ogni credere benemerito dell'u“ manità il gran inatematico Abramo Moivre,
che ha trovate, e applicate le anzidette, e molte altre formole, che ſi trovano
nella incomparabile ſua opera intitolata la dot trina degli azzardi. Io non le
ho riportate perchè il far ciò e troppo lungo ſarebbe, e devierebbe dallo ſcopo
fin da principio pro poſtomi. Benchè peraltro l'unico mio oggetto nell’
eſaminare i contratti d'azzardo ſia quello di fiſſare i principj sù cui ſi
fonda l'uguaglianza perchè ſian giuſti; voglio rammentare, che i più illuminati
politici hanno deteſtato l'a buſo di queſte pubbliche rendite, come ap punto
ſono le tontine, ed altre di fomi gliante natura. E' troppo chiaro che queſte
tendono a ſoffocare i germi dell'induſtria, e ad appreſtare alla parte ozioſa,
e indolente della ſocietà armi ſempre nuove per oppri inere la porzione che
co'ſuoi ſudori dà moto, ed anima al ben eſſere dello ſtato; oltre di che ſi
oppongono alla propagazione, allet tando eſſe a ſituarſi in uno ſtato nel quale
il 1 I generar figli ſarebbe
un'accreſcere il numero degl’infelici. En fin je ne me
plaindrai plus De l'etoile qui me domine; Il me reſte encore cent ecus Que je
vais mettre a la Tontine: O la charmante invention ! Sans avoir du Dieu Mars
eſſuyé le orages, Sans avoir fatiguè la cour de mes hom mages, Je ferai ſur
l'etat, et j'aurai penſion. Così cantò un elegante Poeta Franceſe in
tendendo così di far la ſatira delle tontine; e pare di fatto che il Poeta
potrebbe ora viver quieto ſu queſto articolo eſſendo eſſe molto ſcemate, e
andate in diſuſo, benchè non così gli altri contratti del genere di cui
parliamo. Ma d'altra parte eſſendo utiliſſimo, e tal volta neceſſario al ben
dello ſtato il poter ſollecitamente raccogliere una grandioſa ſomma di denaro,
ſenza imporre perciò nuo ve contribuzioni; ed effendovi talora molti cittadini,
le circoſtanze dei quali rendono ad eſſi neceſſario il ſoccorſo di queſte pen
94. fioni vitalizie ſi potrebbero forſe ritrovare provvedimenti opportuni, per
fare un eſame regolato dell'età, e delle circoſtanze di quelli che doveſſero
eſſere ammeſſi alla compra delle azioni, e con i neceſſari regolamentipreveni
re gl ' inganni, che in queſto articolo intereſ fante poteſſero deludere le
pubbliche vedute. Per eſaminare i contratti della terza claſſe ne quali il
rapporto su cui ſi fonda l ' ugua glianza fra i contraenti ſi appoggia in parte
alla conſiderazione di leggi certe, e ſicure, e in parte alla ſperienza del
paſſato, e a cir coſtanze incerte e di numero indeterminato, ſi ripigli
l'eſempio dell'urna, nella quale ab biavi un determinato numero, per eſempio di
go. palle. Se la ſperanza dell'eſito felice è affidata all'eſtrazione di una
palla; per la natura di tal contratto, o gioco che voglia chiamarſi, e per le
ſue leggi, il numero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri farà come 1. 89,0 ſia
chiamando il numero totale m farà il mu mero dei caſi favorevoli ai ſiniſtri
come 1: m - 1 e per conſeguenza l'aſpettativa del buon'eſito farà = mo ſia
-112 Ma ſe ſia vero che la palla alla
quale è affidata la ſperanza eſca più frequentemente dall'urna che qualunque
altra, e l'ecceſſo di tal frequenza ſu quella delle altre ſia Þ; il numero dei
caſi favorevoli non ſarà più i ma bensì 1 Xp; e quello dei ſiniſtri eſſendo m =
1, la probabilità della ſperata eſtrazione farà Xp L'addotto eſempio è la norma
coſtante di tutti i contratti che poſſano mai cadere for to queſta terza claſſe,
come comprendenti le condizioni che ne formano il carattere. Di fatti la
probabilità dell'eſtrazione della palla fatale dipende dalle leggi del
contratto certe, e ficure che danno il rapporto di e dalla ſperienza, ed
oſſervazione delle fre quenti eſtrazioni della medeſima, che danno l'ecceſſo di
p ſulla frequenza dell'eſtrazione dell'altre palle nell' urna rinchiuſe, la
quale i XP fa che l'aſpettativa diventi I: m; Non è neceſſario che io offervi
che per quanto ſiaſi oſſervato queſto ecceſſo p, non 96 dimeno non è ſicuro e
certo che piuttoſto eſca tal palla, di quello che ne eſca un'al tra. E queſta è
una di quelle circoſtanze che io chiamo incerte e variabili. Che ſe ſi
trattaſſe di paragonare la pro babilità dell'eſtrazione fra due palle, ſicco
rapporto che naſce dalle leggi certe e ſicure è lo ſteſſo per tutte due,
eſſendo in me il I tutte due ſi dovrebbe attendere ſolamen in te la diverſa
frequenza dell' eſtrazione di queſte due palle. A queſto eſempio ſi poſſono
ridurre fpe cialmente le offervazioni dei giocatori di lotto, e di quelli che
ſi travagliano in oſſer vare quali carte ſi moſtrino più ſovente, o quali facce
del volubil dado, ad avvicendare nell'agitato cuore dei giocatori la gioja e la
triſtezza. Ben' è vero però che per quanto fiano replicate le eſperienze, in
moltiſſimi caſi non apparendo neppure in confuſo una minima conneſſione di tal
frequenza con una vera cauſa da cui derivi, non potranno giam mai meritare che
le abbia in viſta, chi ragiona ſu dati veri, e non fa caſo di mere e vaganti
accidentalità. Se ſi aveſſe a queſte riguardo, molti di quei contratti, che
nella prima claſſe ho eſa minati, a queſta terza dovrebbonſi riferire. Ma io
per le indicate ragioni, a quella ſola nei ſuoi veri termini inteſa giudico i
mede ſimi appartenere. Anche in tali caſi perd vi ſono inolti che credono
doverſi fare ſcrupo lofo conto dell'oſſervazioni, e per queſta ra gione ancora
approverebbero la mia diviſio ne; eſſendo queſta terza claſſe da me confi
derata in modo che può, ſe vogliaſi, compren dere le medeſime, anche quando non
appa riſca la ſopra indicata conneſſione. Che ſe il numero delle offervazioni
ſia grande, e i riſultati coſtanti, ed abbiavi qual che conneſſione fra l'eſito
della ſperanza, ed una cauſa dalla quale poſla derivare tal frequenza di
oſſervazioni, allora non v'ha dubbio che ſiamo nel caſo che caratterizza queſta
terza claſſe, e la diſtingue dalle altre. Vi ſono in fatti molti giochi, nei
quali l'eſito fortunato dipende in parte dalla pro g. 98 pizia ſorte, e in
parte deveſi alla propria in duſtria o deſtrezza nel combinare gli elemen ti
del gioco, e rendergli coſpiranti al termi ne a cui ſta anneſſo il guadagno del
premio deſiderato. L'induſtria però di un giocatore pud conſiſtere o nella ſola
avvedutezza e pre ciſione nell'oſſervare l'eſito delle varie coin binazioni del
gioco, che ſi vanno ſuccefliva mente preſentando, e la replicata ſperienza
delle quali porge la norma ai caſi avvenire; o nella deſtrezza maggiore di
combinare gli accidenti medeſimi del gioco, di dedurre, di ſcuoprire gli
artificj dell'avverſario; e in qualſivoglia di queſti due aſpetti ſi ravviſi
l'induſtria, è ſempre vero che i giochi che di effa, e della forte ſi chiamano
miſli, hanno un filo non traſcurabile per cui ſi attengono alla terza clafle
dei contratti di azzardo, In un gioco miſto è molto difficile che tornino per
appunto le medeſime circoſtan ze; e quindi è che le oſſervazioni ad e {To re
lative ſono della natura di quelle dei con tratti alla ſeconda claſſe
appartenenti; in certe cioè, e incapaci di rendere indubitato e ſicuro l'evento,
ma fiſabili quanto baſta per formarne un calcolo che miſuri l ' ugua glianza,
acciò il contratto ſia giuſto. Ma ſiccome in queſti giochi medeſimi vi ſono
dati ſicuri dipendenti dalle loro leggi inva riabili; quindi è che eſſi
appartengono alla terza claſſe, perchè regolati in parte da tali leggi, e in
parte da cagioni incerte e inde terminate, e dalla ſola ſperienza. Siccome però
poſſono eſſere o molte o poche le com binazioni che conducono all'eſito
medeſimo, a miſura che queſte ſono in maggiore o mi nor numero, prevale nei
giochi miſti l'in duſtria o la ſorte. Inoltre la deſtrezza di combinare, di de
durre, di rammentarſi gli elementi delle com binazioni che ſono uſcite
ſucceſſivamente dalla malla totale delle medeſime nel decorſo del gioco, è
variabile, come può ognuno of ſervare, quanto è variabile la tranquillità d'a
nimo neceſſaria, la perfetta diſpoſizione di ſa lute, e per conſeguenza
l'agilità degli ſpiriti, l'elaſticità delle fibre; in una parola l'atti vità
neceſſaria per ben riuſcire in qualunque 100 impreſa richiegga applicazione di
mente, e attuazione di fantasia. Conſiderate queſte come cauſe incerte ed
indeterminate, e che ſi poſſono ſoltanto dopo un lungo corſo di oſſervazioni
fatte giocando col medeſimo avverſario ridurre a calcolo, e quanto alla loro
frequenza, e quanto al grado d'influenza ſull'eſito del gioco; ecco anche in
ciò un motivo per cui il fiſſare l’u guaglianza fra i giocatori nei giochi
miſti, dipende, e dalle invariate e ſicure leggi del gioco, e da circoſtanze
incerte, e indeter minate, Certo è che nei giochi miſti l'induſtria sà tirar
profitto dai colpi della ſorte, e il gioca tore avveduto, dice la Bruyere,
imita in queſto un gran generale, e un abile politico. Al valore del primo, e
alle vedute del ſe condo è miniſtra la forte. Arrivano entrambi francamente al
loro intento per quelle ſtrade medeſime che aperſe il caſo; e che là metton
capo, ove forſe non gli avrebber condotti i mezzi più maturati, e i
piùmeditatiprogetti. Nei giochi miſti deve farſi la rifleſſione IOI medeſima di
cui ſi parlò trattando dei giochi di puro azzardo. O i giocatori tentano con
eguali condizioni l'evento medeſimo; o un folo tenta la ſorte del gioco, e
l'altro ſta ozioſo ſpettatore, e riduce la ſua ſperanza unicamente all'infauſto
eſito dell'avverſario. Nel primo caſo ſiccome il numero dei caſi favorevoli e
dei ſiniſtri dipendente dalle leggi del gioco, è l'iſteſſo per ambidue, ſi
riduce a calcolo l'eſperienza ed induſtria, la quale ſi oſſerva nelle medeſime
circoſtanze quante volte abbia ſaputo ridurre a buon termine il gioco; calcolo
che ſi fonda ſopra oſſervazioni molto difficili, e incerte. Giacchè farebbe d'
uopo che ſi foſſe ſempre giocato col mede fimo avverſario; eſſendo la deſtrezza,
e abi lità di un giocatore affatto relativa a quella dell'avverſario; e
potendoſi queſto rapporto variare ogni giorno, o reſtar coſtante ſecondo i
progrelli, o uguali, o proporzionali, o di verſi, che l'uno, o l'altro facciano
nel gio co. E' vero però non meno, che trattandoſi di rapporti, poſſono in
qualche modo gio vare le offervazioni fatte dell'abilità di un giocatore
riſpetto ad un terzo all'induſtria del quale è noto qual proporzione abbia
quella dell'avverſario. Nel ſecondo caſo poi l'induſtria non è più riſpettiva,
ma aſſoluta; e fi riduce a calcolo con l'offervare, nelle medeſime combina
zioni, o in non molto diffimili per la natura del gioco, quante volte
l'avverſario abbia ottenuto quell'intento che ſi era propoſto, fotto le date
condizioni; e quante volte non abbia toccato il termine al quale per otte nere
il premio dovea pervenire. Generalmente adunque ficcome il numero dei caſi
favorevoli e de'ſiniſtri è dipendente in parte dalle leggi del gioco, in parte
dalle oſſervazioni, che miſurano la riſpettiva, e afloluta induſtria, converrà
diſtinguere, e calcolare queſti due elementi componenti la ſomma dei caſi
favorevoli, e ſiniſtri; e formare poi la proporzione eſpoſta nel Teo rema
III.', e nel Corollario. Se non due, ina più ſiano i giocatori, ſi rammenti la
regola di ridurre i caſi compleſſi ai ſemplici componenti, e di eſaminare in
103 ciaſcuno a parte le ſtabilite maſſime. Sarebbe un ripetere il già detto; ſe
io voleſſi ram mentare i principj ſtabiliti nei contratti della prima claſſe, e
in quelli della feconda. Bafli l'avvertire che in queſti della terza claſſe ove
trattaſi dei caſi favorevoli o ſiniſtri, in quanto dipendono dalle leggi certe
e ſicure del contratto, convien ricorrere ai priini; ove poi fia queſtione di
offervazioni, e di cauſe indeterminate, conviene eſaminare i ſecondi; non
omettendo mai di riflettere quanta alterazione poſſa produrre l'influenza degli
uni, ſu gli altri, e la varia loro com binazione. Stabilite così le leggi ſulla
ſcorta delle quali ſi giunge a fiſſare la ricercata ugua glianza in qualunque
claſſe di contratti di azzardo; non devo diffimulare, che uno dei più grandi
Filoſofi il Signor d'Alembert ha preteſo di abbattere il calcolo delle pro
babilità quanto alla ſua applicazione agli ac cidenti umani. Accid, dic ' egli,
queſto cal colo foſſe applicabile, ſarebbe neceſſario, che tutti i caſi che
ſono ugualmente poſlibili ma 104 tematicamente parlando, lo foſſero anche di
fiſica poſſibilità. Sarebbe dunque neceſſario, che gettata infinite volte in
alto una moneta, ſopra una faccia della quale vi ſia impreſſa una marca, per
eſempio palle, e ſull' altra una diverſa, per eſempio croce, foſſe ugual mente
poſſibile che ſi ſcopriſſe ſempre palle, o croce; e che ſi ſcopriſſero
alternativamente queſte due diverſe marche. Ma benchè ciò ſia ugualmente
poſſibile matematicamente parlando, non lo è fiſicamente. E queſta di verſità
appunto è quella che fa sì, che il cal colo matematico delle probabilità, non è
applicabile ai caſi fiſici. Anzi non ſi potrà mai fissare il numero delle volte
per il quale duri la possibilità fiſica di ſcoprirſi ſempre l'iſtella faccia
della moneta, e il limite ol tre il quale non paſſi queſta fiſica poſlibilità,
durante però ſempre oltre ogni limnite com'è certiſſimo, ed oltre qualunque
aſſegnabile numero di getti, la matematica poſſibilità del continuo ſcoprirſi
della medeſima faccia.: Lo prova con una inafſima che egli ſtabi liſce per
certa: che non è in natura, che un effetto ſia ſempre, e coſtantemente il mede
fino; ſiccome non è in natura che tutti gli alberi, ſi raſſomiglino fra loro.
Queſta maf ſima lo induce ad argomentare che la pro babilità di una
combinazione, nella quale il medeſimo effetto ſi ſuppone accader più vol te, in
parità di circoſtanze è tanto più pic cola, quanto queſto numero di volte è più
grande, di modo tale che quando queſto è maſſimo, la probabilità è
aſſolutamente nulla, o quaſi nulla; e all'incontro quando queſto numero è aſſai
piccolo la probabilità non ne reſta che poco, o punto diminuita per queſto
riguardo. Adduce egli moltiſſimi eſempi compro vanti la ſua aſſerzione, e
conclude che i re ſultati della teoria dei probabili, quand'anche ſiano fuori
di ogni queſtione nell'aftrazion geometrica, ſono ſuſcettibili di molta reſtri
zione quando i medeſimi ſi applicano alla natura. Alle ragioni però
ingegnoſiſſime di un si grand' uomo converrà adunque arrenderſi, e diſperare
della cauſa del noſtro calcolo dei probabili? Parmi che ben'inteſi i noſtri
principj co me ſono ſtati da noi ſtabiliti, o non ſiano at taccati da tali
oppoſte difficoltà, o le mede fime reftino ſciolte. Prima di tutto ſi oflervi
che noi trattiamo ſolo di calcolare i gradi di probabilità nei caſi nei quali
ſi ſuppone po terſi efla rinvenire. Se diaſi dunque un caſo, che non cada in
modo alcuno forto la cate goria dei fiſicamente poflibili, e che per con
ſeguenza nè il minimo grado abbia di proba bilità; io dirò che queſto non è
oggetto delle mie teorie; ma non concederò mai che per queſto non ſi poſſano
eſſe applicare perfet tainente ai caſi, che ſiano di fatto filica mente
poſſibili. Per conoſcere poi quali ſiano i caſi o le combinazioni fiſicamente
poſſibili nel ſenſo del Sig. d'Alembert, è neceſſaria una fre quente e
replicata oflervazione. Che ſia fiſicamente impoſibiie (ſe pure ſi può uſar
queſto termine ) che una moneta moſtri un inaſſimo o un infinito numero di
volte la ſtella faccia, donde ſi ricava, fe non dall'avere offervato che una
tale continuazione dello ſcoprimento medeſimo non accade, ma che al contrario
ſi vanno alter nando, e cangiando di tanto in tanto le facce della moneta?
Benchè non può dirſi a rigore fiſicamente impoſſibile il caſo in cui per un
infinito numero di getti ſi paleſi ſempre l'iſteſſa fac cia, a meno che non vi
ſia nella moneta qualche fiſica e meccanica cagione che ciò non permetta. Se ſi
concedeſſe ancora (benchè non ſo quanto ſia dimoſtrato ) che ſia fiſicamente
impoſſibile, che ſi dia un albero perfetta mente ſimile ad un altro, non che,
come fi contenta di dire il Sig. d'Alembert, che ſi raſſomiglino tutti gli
alberi fra di loro; non correrebbe la parità, per dedurne che nel caſo di un
infinito numero di getti di una moneta, l'uniforme ſcoprimento di una fac cia
della medeſima ſia fiſicamente impoſſi bile. Poichè vi corre una notabiliflima
di ſparità. Tutte le combinazioni le quali fanno, che una coſa non ſia fimile
all'altra, danno tanti ios riſultati fra loro diverſi. Dalle diverſe com
binazioni infinite che faran caufa che l'ala bero A non ſia perfettamente
ſimile all'albe+ ro B, naſceranno tanti alberi fra loro diverſi; o altri corpi
dei quali ſi conoſcerà la diffe renza. Ma dalle diverſe combinazioni che
poſſono fare che non venga infinite volte di ſeguito la faccia palle della
moneta; non ne poſſono venire che riſultati affatto ſimili, cioè croce; poichè
ogni volta che non ſi ſcopra palle, ſi ſcoprirà croce. Queſto prova che le
combinazioni che ſono contrarie alla per fetta ſomiglianza di due coſe, formano
infi niti rapporti, infiniti riſultati dei medeſimi, infinite diverſe
compoſizioni di parti dipen denti da infinite meccaniche direzioni delle particelle
della materia di infinite poſſibili diverſe velocità, figure ec.: coſe tutte
che nel caſo noftro non ſi verificano. Di fatto gli elementi che formano la com
binazione, che per infinito numero di volte preſenta palle, ſono tutti ſimili
fra di loro, ed hanno fra di loro un folo invariato rap porto. Di modo che ſe
ſi ſupponeſſe mutato l'ordine col quale eſce prima la infinita ſerie di palle,
e ſi ricominciaſſe il getto, e ritor naſſe di nuovo a ſcuoprirſi infinite volte
la faccia che preſenta palle, ne verrebbe un or dine fimiliſfimo al primo,
potendoſi dire, che l'iſteſla relazione ha il primo ſcoprimento di palle al
milleſimo, che ha il ſecondo al cen teſimo, e così dicaſi di tutti. Talmentechè
a rigor parlando, non ſi può dire, che fra queſti getti vi ſia ordine che formi
fra effi un rapporto piuttoſto che un altro. Non così degli elementi che
formano un dato fiore, o albero; eſſendo combinabili fra di loro con infinite
varietà di ſopra ac cennate. Gli elementi fiſici adunque delle combinazioni nel
caſo della moneta ſono ſempliciſſimi, laddove nell'eſempio addotto dal Sig.
d'Alembert fono infiniti, dal che ne viene, che la parità non corre; e dalla
fiſica impoſſibilità (ſe fi ammetta ) di trovare mol te, o anche due coſe fra
loro ſimili; non ne viene la fiſica impoſſibilità che una monetan gettata in
aria infinite volte moſtri ſempre l' iſtefla faccia. La diſparità compariſce
più chiara, fe li rifletta che qualunque vedendo in un dato ſpazio tutte le
particelle più minute compo nenti i corpi; e riflettendo alle variazioni
poſſibili della velocità, e della figura delle medeſime; e vedendone in un
ſimile ſpazio un altro ſimile numero, avrebbe ſubito infe rita l'impoſſibilità
di una combinazione ta le, che ne riſultaſſero due alberi ſimili. Laddove
vedendo una moneta, e ſapendo che ſi deve gettare in aria infinite volte, non
avrebbe avuta una fiſica ragione di preſagire che non ſi ſarebbe un infinito
numero di volte ſcoperta l'iſteſſa faccia, e di credere tal combinazione
fiſicamente impoſſibile, come la pretende, fondato ſulle addotte ri fleſſioni,
il Sig. d'Alembert. In una parola della impoſſibilità (ſe tal vo glia chiamarſi
) della ſomiglianza di due al beri ſe ne può addurre a colpo d'occhio una
fiſica meccanica ragione; lo che non può dirſi dello ſcoprimento della faccia
di una moneta. Lo stesso a proporzione dicaſi delle diverſe, III combinazioni
delle lettere che formano la parola Conſtantinopolitanenfibus. Chi attribuirà
al caſo, dice d'Alembert, che ſi combinino in modo tante lettere che formino
queſta pa rola? chi vorrà crederlo poſſibile? Dunque conchiude egli ſarà
ugualmente impoſſibile il continuo per infinite volte ſcoprimento della faccia
medeſima di una moneta. Queſto eſempio è molto ſimile a quello dei due al beri
fimili; e ſi riſponde anche a queſto, che ciaſcuna lettera può variare rapporto
a tutte le altre, e che ciaſcun riſultato ſarà diverſo. La Luna, aggiunge il
Ch. Filoſofo, gira attorno al ſuo alle in un tempo preciſamente uguale a quello
che ella impiega nel deſcri vere la ſua orbita intorno alla terra; e queſta
eguaglianza di tempo produce ammirazione, e ſi vuol cercare qual n'è la cagione.
Se il rapporto dei due tempi foſſe quello di due numeri preſi all'azzardo, per
eſempio di 21: 33, niſſuno non ne ſarebbe ſorpreſo, e non ſe ne ricercherebbe
la cagione; e pure il rap porto di uguaglianza è matematicamente parlando
ugualmente poſſibile, che quello di 21:33; perchè dunque ſi cerca una cagione
del primo, che non ſi cercherebbe del ſe condo? Lo ſteſſo dicaſi della
ſituazione dei pianeti e del rapporto che ha la zona nella quale fono rinchiuſe
le orbite loro, alla sfera. Per chè ſi conchiude egli che queſto non è effet to
del caſo? perchè queſta combinazione, benchè matematicamente poſſibile al par
dell'altre, ſi riguarda.come effetto di un diſegno, e di una regolarità? E non
ſi crederà poi, che il ſolo caſo non può pro durre quella combinazione per la
quale la moneta ſcopra infinite volte di ſeguito fem pre palle; e non ſi
crederà queſta fiſicamente impoſſibile, benchè abbia una matematica poſſibilità
eguale a quella delle altre combi nazioni? Ma io riſpondo, che di fatto le com
binazioni dei citati eſempi hanno avuta una fiſica poſſibilità uguale a quella
di tutte l'al tre combinazioni; che non vi è forſe argo mento che provi che il
caſo non le aveſle po tute produrre; ma che anche ſe ſi vogliono LI3
fiſicamente impoſſibili al ſolo caso; ciò è per chè ſon compoſte di elementi
infinitamente variabili; lo che appariſce a chi ſi faccia di propofito a
conſiderare le diverſe cagioni, e le diverſe poſſibili combinazioni, che poſſon
far sì che i tempi dei due giri lunari non ſia no uguali; e che la zona delle
orbite plane tarie abbia alla sfera un rapporto diverſo da quello che ora ha
infatti; cagioni tutte fi fiche, e meccaniche. Di più dico, che l'uguaglianza
dei corſi della luna intanto a noi fa impreſſione, in quanto che il rapporto di
uguaglianza è quello al quale ſi fogliono riferire tutti gli altri; e tutta la
differenza che fra eſſo, e gli altri paffa, non è che metafiſica; e nulla po ne
di fiſico per cui tal combinazione debba eſſere più difficile dell'altre. Lo
ſteſſo dicaſi della parola Coſtantinopoli tanenſibus. Queſta combinazione di
lettere fa ſpecie a noi che intendiamo il ſenſo della parola, e che al ſuono
della medeſima abbia mo legataunidea; non così a un Turco idio ta il quale non
col nome di Coſtantinopli ma con quello di Stamboul è avvezzo a no minare la
ſuperba metropoli dell'Impero Ot tomano. Non contento Monſieur d'Alembert degli
eſempi addotti in conferma della ſua aſſer zione, l'appoggia ad altre due
rifleſſioni. Si fa che la durata media della vita di un uomo, contando dal
giorno della ſua naſcita è all'incirca di 27 anni; ſi è pure conoſciuto per
mezzo delle oſſervazioni, che la durata media delle ſucceſſive generazioni più
ome no è di 32 anni; finalmente ſi è provato per tutte le liſte della durata
dei regni di ciaſcu na parte d'Europa, che la durata media di ciaſcun regno è
di circa a 20 in 22 anni. Si può dunque dic' egli, ſcoinmettere non ſolo con
vantaggio ma a gioco ſicuro che 100. fanciulli nati nel medeſimo tempo non
vive-, ranno che 27 anni l ' un' per l'altro; che 20 generazioni non dureranno
più di 640 anni in circa; che 20 Re ſucceſſivi non viveran no che intorno a 420
anni. Una combina zione adunque che non daſſe intorno a 27. anni la durata
media della vita dell'uomo, IIS pigliandone cento a eſaminare, o non dalle di
32 anni la durata media di 100 fuccef five generazioni; oppure portaſſe che 20
Re ſucceſſivi regnaſſero, o molto più, o molto meno di 420 anni, non ſarebbe
fiſicamente poſſibile; eppure lo ſarebbe matematicamen te parlando. Dal che
riſulta che vi ſono al cune combinazioni matematicamente pofli bili, che ſi
denno eſcludere, quando eſſe fo no contrarie all'ordine coſtante della natu ra.
Dunque la combinazione in cui, o infi nite volte, o un gran numero veniſſe
ſcoperta ſempre la medeſima faccia della moneta, benchè di matematica
poſſibilità uguale a quella di qualunque altra combinazione, dev’ eſſere
rigettata. E' nell'ordine naturale, ché un banchiere di faraone, che ha dei
caſi favorevoli più che dei ſiniſtri ſi arricchiſca coll'andar del tempo. Di
fatti ſi oſſerva coſtantemente, che non vi è banchiere, che non accumuli groſſe
fomme di denaro. Queſto prova, che quelle combinazioni, che hanno più caſi
contrari che favorevoli, ſono alla fine di un certo tempo, meno fiſicamente
poſſibili che le al tre; quantunque matematicamente parlando tutte le
combinazioni ſiano ugualmente pof ſibili. Dunque conclude egli, la combina
zione, la quale preſenti ſucceſſivamente per un gran numero di volte ſempre la
ſteſſa fac cia della moneta dev'eſſere eſcluſa. Per riſpondere a queſti due
eſempi parmi che prima di tutto ſi poſſa negare la fiſica impoſſibilità, che
con tanta franchezza ſi af feriſce della durata media della vita di un' uomo
diverſa dallo ſpazio di circa 27 anni. Ed io ſono ben perſuaſo che eſaminando
il caſo della vita di molte centinaja d' uomini ſe ne troveranno di quelle, o
aſſai maggiori, o aiſai minori dello ſpazio di 27 anni; dun que tale
combinazione non fi deve ſcartare come fiſicamente impoſſibile. L'iſteſſo
dicafi di quella, per cui un banchiere in vece di arricchire ſi vedeſſe dal
gioco medeſimo ri dotto all' inopia; caſo che non è poi sì in frequente ad
accadere. Dicafi piuttoſto che l'una, e l'altra di queſte combinazioni con
tenute nei due eſempi addotti dal chiarillimo d'Alemberţ ſono molto difficili,
e tanto più, quanto l'ecceſſo dei caſi contrarj alle combinazioni medeſime
ſupera il numero dei favorevoli; lo che conviene appunto con li da me ſtabiliti
principj. Venendo poi al caſo noſtro dico, che fo no varie, e moltiſſime in
numero le cauſe vere, e fiſiche che influiſcono ſulla vita degli uomini. Ma
trattandoſi del getto della mo neta, non vi ſono principj fiſici diverſi, e
tali, che ſi debba in vigor deị medeſimi pre dire piuttoſto una, che l'altra
delle combi nazioni, che a rigor parlando non ſono che due, come più ſopra ſi è
offeryato. L'ordine delle umane coſe, e le fifiche qualità, e coſtituzioni
dell'uomo, e delle ca gioni che lo poſſono privar di vita, ſon con ſultati nel
primo caſo; nel ſecondo nulla hav: vi di fiſico che ſi poſſa conſultare a
formare il preſagio. Dunque fi pud predire, che ioo o maggior numero di uomini
avranno preſi inſieme un corſo di vita uguale a quello di altri 100 uomini;
benchè prima di aver faţte le offervazioni non ſi poſſa cal corſo file ſare;
così prima di aver’anche fatte le oſſer vazioni, conoſciuto il ſiſtema del
gioco del faraone ſi può predire che un numero molto maggiore farà quello dei
banchieri che arric chiſcono, che non ſarà quello degli altri che ſi rovinano.
E ciò perchè veramente vi ſono delle intrinſeche cagioni che portano a for mare
queſto preſagio, e cagioni che naſcono dal ſiſtema del gioco. Ma chi sà dire
qual fi fica ragione addur voglia uno, che vedendo gettarall'aria una moneta,
aſſeriſca che è fiſicamente impoſſibile, che o per un maſſimo, o anche infinito
numero di volte, pre ſenti ſempre la ſteſſa faccia? Varie poſſono eſſere le
maniere di gettare in alto la moneta. Si può gettare a una gran de altezza, e a
una piccola; con poca forza, e con molta; con tale direzione che la baſe faccia
angolo retto con l'orizzonte; o che lo faccia obliquo; oppure in modo che ſia
ad eſlo parallela. Si può anche gettare in ma niera che ſomigli quaſi il
laſciarla cadere leggermente da un punto fiſſo. Fermiamoci ad eſaminare queſt'
ultima ipoteſi; e ſi vede, che laſciandola in tal modo cadere, ſpecialmente a
piccola altezza, anche in finite volte, non vi è ragione di preſagire, che non
poſſa eſſere coſtante lo ſcoprimen to della faccia medeſima. La impoffiſibilità
di queſto uniforme ſcoprimento, la inten de egli il Signor d'Alembert in queſto
ca ſo, o negli altri caſi? Se la intende in queſto caſo, come dunque ſi
verifica, che il ſolo or dine della natura renda impoſſibile queſto u niforme
ſcoprimento? Se poi non la intende in queſto caſo, come dunque ſi verifica uni
verſalinente la ſua maſſima? Ma io aſſeriſco eſſere più conforme allo ſpirito
delle ragioni del Sig. d'Alembert, che anzi egli intenda di queſto ſolo caſo in
cui non altro appunto, che un non sò quale fatal ordine della natu ra,potrebbe
cagionare la preteſa variazione. Che ſe pure ſi trattaſſe degli altri caſi,
dico che nonoſtante la variabilità delle combina zionidell'impeto,dell'altezza,
della direzio ne; queſte non poſſono valutarſi in modo da rendere fiſicamente
impoſſibile l ' uniforme ſcoprimento; poichè gli effetti di queſte va 120
riabili combinazioni, non ſono che due; o lo ſcoprimento di palle, o lo
ſcoprimento di croce; e non ogni variazione, e combinazione di tali cauſe
influiſce a diverſificare gli ef fetti: come peraltro ſuccede negli eſempi ad
dotti dal Sig. d'Alembert, nei quali trattan doſi di rapporto, o di diverſa
conſociazione di parti, ognun vede, che ogni variazione influiſce a produrre un
effetto diverſo. O ſi riſguardi adunque la diverſità negli effetti; e negli
addotti eſempi, queſti ſono in finiti, nel caſo noftro non ſon che due non
potendoſi voltare, che palle, o croce; o ſi ri guardi la diverſità nelle
cagioni che tali ef fetti producono; e negli addotti eſempi, ſo no anch'eſſe
infinite, giacchè ogni minima variazione influiſce come nuova cauſa; nel caſo
della moneta non è così, potendoſi dare moltiſſime combinazioni di forza,
altezza, direzione, che producano ſempre l'iſteſſo effetto; potendoſi anche
dare che in infiniti getti, o in un numero aſſai grande, ſi man tenga l'iſteſſa
direzione, benchè obliqua; l'iſteſſa altezza benchè grande; l'iſteſſo im 1 1
pero, benchè forte; oppure che fi muti ad ogni getto. Parmi adunque che e
queſti ultimi e gli altri addotti eſempi, o non combinano con quello della
moneta; o al più provano una no tabile difficoltà nella combinazione che presenti
sempre l'iftessa faccia della moneta; verità che s’accorda perfettamente con gl’esposti
principj; poichè le osservazioni me deſime ce lo fanno conoscere,ed io suppongo
nell'applicargli, il caso probabile [GRICE, PROBABILITA E DESIDERABILITA], e
con la scorta dei medesimi ne cerco il grado di probabilità; dal che ne viene
che la teorìa non è applicabile ai casi ove o nessuna o quasi nessuna
probabilità del buon esito apparisca, per poterne formare la proporzione.
Quando poi cominci il numero in cui non sia sperabile un continuo discoprimento
di una sola faccia della moneta, le osservazioni, e non altro, possono mostrarlo.
Quelle osservazioni io dico, che io medesimo ho prefe per scorta in moltisimi
casi appartenenti alla materia dei CONTRATTI d’azzardo. E' poi tanto evidente
che la proposizione d’Alembert non atterra l'uso del CALCOLO DELLA PROBABILITA
O CREDIBILITA E DEL CALCOLO DELLA DESIDERABILITA, che anzi in qual che caso se
ne possono tirare delle conseguenze che lo conferinano. Chi gettando un dado
intraprende di scuoprire per esempio il 6 non vorrà gettarlo una sol volta,
quando debba azzardare una fom ma eguale a quella che azzarda l'avverſario; ma
vorrà gettarlo più volte. La ſua ſperan za è,che non voltandoſi ſempre
l'iſtello nu mero che al primo tratto ſi ſcuopre, e che può non eſſere il 6,
arrivi in più volte a vol tarſi anche il 6; altrimenti ſe non fcopren doſi alla
prima il 6 ſi doveſſe ſempre ſcopri re in tutti i tratti ſucceſſivi quel numero
che ſi ſcopre il primo, la ſua perdita ſarebbe ſicura. La ſperanza dunque di
queſto gio catore acquiſta tanto maggior fondamento quanto più è vero che ſia
impoſſibile che ſi volti ſempre quel numero che alla prima fi ſcoprì;
impoſſibilità, che reſta compreſa nel la impugnata opinione del Sig. d'Alembert.
Stabiliti i principj regolatori dell' ugua 123 glianza nei contratti d'azzardo,
e difeſane l'applicazione non reſta che a deſiderare, che uomini di ſublime
ingegno, e di pro fondo ſapere ſi applichino in gran numero ad eſtendere ſempre
più l'uſo di una dottri na sì utile. Quanto a me, mi pare di aver ottenuto il
mio intento, ſe poſſo luſingarmi di aver formate ed eſpoſte idee giuſte, e chia
in un articolo per una parte sì arduo, e per l'altra sì intereſſante. C. nasce
in Imola il ed alla patria e al casato accrebbe lustro e decoro: perchè già
rapidamente corsi gli studii delle amene lettere e della eloquenza sotto la
disciplina de’gesuiti, e con pubblico saggio nelle materie di filosofia
sperimentatosi, puo dallo stesso genitore nelle matematiche, delle quali è egli
peritissimo, essere ammaestrato. E col magistero di quella scienza sublime,
illuminando la mente già ordinata a diritti giudizii e scorto da precetti
delibati dalla scuola non fallibile degl’antichi esemplari, comforma la scrittura
alla altezza del pensiero, alla cultura dello spirito ed al candore dell'animo.
Nè i gravi studii della giurisprudenza cui tennesi in Roma applicato
(insegnatore monsignor Giovannardi concittadino di lui, e fiore de
giureconsulti) gli tolge di coltivare la poetica, alla quale sentesi per tal
guisa inclinato, che basta a dettare alcuni componimenti i quali resi pubblici
con le stampe trovano grazia e lode somma ne cultissimi, e sì pure tra
gl’ARCADII alla cui accademia appartenne col nome pastorale di Cratino. E sono
ne gli scritti di lui altri saggi in tal genere di lettere che a migliori
poeti, onde la città di Santerno si onora, il pareggiano: che se come ne sono
degni verranno presen tati al pubblico giudizio, ben si farà manifesto aver
egli con arte maestra saputi attingere da cia scuno de più valenti Imolesi quei
modi sceltissimi onde le loro ope re di bella luce risplendono mel l'italiano
parnaso. Il carme in fat to robusto e nervoso tal come u sciva dalla penna di
Antonio Zam pieri, e castigato ad un tempo ed elegante, quale il vedi in Camil
lo, muove in C. con quella spontanea e nobile sempli cità che t'invaghisce nel
Canti; 282 e si abbella di quelle grazie ed e leganze di che Zappi infioriva le
soavi e dolci sue rime. Tornato in Imola venne decorato della croce di Santo
Stefano, e nella Imolese accademia deg’INDUSTRIOSI di cui è socio si mostra
erudito ed elegante oratore e poeta. D'indi a non molto passato per le caro
vame a Pisa ha colà lezioni di pubblico diritto da quell'alto spirito di Lampredi,
che il tenne in istima d'ingegnoso e di colto, e che lo ha sempre carissimo.
Quindi il magnanimo gran duca Leopoldo gli confere la carica di ispettore delle
carovane, e ad un tempo la cattedra di etica; intorno a che compone un trattato
quasi corso di lezioni, degno per fermo d’essere fatto di pubblica ragione: ed
a quel principe intitola C. una eloquente e dotta orazione composta eletta, per
incarico da lui avutone, al capito lo de'cavalieri Circa l'origine, le leggi ed
i fasti dell'ordine, che è pubblicata pel Cambiagi in Firenze, dai torchi del
quale usce altro grave e prezioso volume col titolo di Saggio sui CONTRATTI e
giochi d'azzardo, ove risplende la dottrina di pubblico economista e di FILOSOFO;
ed ove la materia gravissima, e che diresti poter so lo dimostrarsi col
soccorso del calcolo, per la chiara sposizione pia ma e facile si mostra alla
intelligenza comune, Corse intanto tal fama del sapere di lui alla corte di
Ferdinando di Napoli, che con reale decreto, il nomina membro del supremo consiglio
di Finanze; nel qual tempo venne ad egual carica eletto quel sommo ingegno di FILANGIERI
(vedasi), cui C. è poi sempre stretto con vincoli di reciproca stima e di
amicizia tenerissima. E ben di questo è prova il parere da FILANGIERI (vedasi)
proposto al re intorno all'enfiteusi del così nomato Tavoliere di Puglia che
leggesi negli opuscoli di lui pubblicati per Silvestri in Milano ove egli da
maestro discorre ciò che con grave senno e sapere a veva il suo collega
consigliere C. proposto, quando a questo fine per sovrano volere ha a recarsi
in quella provincia. Del quale importantissimo servigio ha onore da maestrati
quivi preposti alla agraria economia che con parole di lode il provvedimen to
del principe ed il nome del benemerito consigliere in latina epigrafe eternano;
e n'ebbe dal monarca eziandio meritato pre mio: imperciocchè gli di grado di
consigliere effettivo con voto, e di sopra-intendente alle dogane ed alle
zecche del regno; nel che adopera a maniera, che sommo vantaggio m'ha lo stato
per la retta amministrazione di quegli ufficii, ed a lui vennero per mol te
lettere di mano della stessa regnante Carolina onorevolissime lodi. Segue C. la
real corte a Palermo quando dovè colà ri fuggirsi: e con essa lei torna al suo
impiego in Napoli. Salito al trono il re Giuseppe, volge tosto gli sguardi ad
esso lui come a specchio di sapiente reggimento e di non comune interesse, e
gli confere la carica di consiglier di stato, di cavaliere del nuovo ordine del
le due Sicilie da esso lui istituito. Ma la mal ferma salute che gli vietò
continuare a quel monarca i suoi servigi, e che il tolge a quel regno ove lascia
fama durabile del suo merito, procaccia alla patria il conforto di vederlo
tornare fra' suoi concittadini de quali è desiderio e delizia: e ben l'hanno
eglino zelantissimo della pubblica morale, e civile istruzione a quali col più
potente dei precetti, l'esempio, è di bel la guida e di stimolo; e per
l'importante buon regime delle acque operoso; e di quant'altro puo interessare
il pubblico vantaggio studiosissimo: nè mancano ai mendici dalla mano benefica
di lui generosi soccorsi i quali seppe providamente elargire, anzichè ad
alimento dell'ozio, a meritato sollievo della vera indigenza. Illi bato del
costume e per la esquisita erudizione della quale è fornito nella sociale
consuetudine piacentissimo, con la serena calma del giusto vide giungere l'ora
estrema del vivere, che a suoi cari ed alla patria il rapì: e della acerba
morte di lui amaramente si dolse l'universale della città desolato per la perdita
irreparabile di quest'uomo chiarissimo nel quale si ammirarono congiunte a
sapere profondo in o gni maniera di scienze e di lettere, integrità di vita e
dovizioso corredo di ogni bella virtù. Whoever has
glanced through the pages of any text-book on mercantile law will hardly
deny that CONTRACT is the handmaid if not actually the child of
Trade. Merchants and bankers must have what soldiers and farmers seldom
need, the means of making and enforcing various agreements with
ease and certainty. Thus, turning to the special case before us, we
should expect to find that WHEN ROME IS IN HER INFANCY and when her free
inhabitants busied themselves chiefly with tillage and with petty
warfare, their rules of sale, loan, suretyship, were few and clumsy.
Villages do not contain lawyers, and even in tdwns hucksters do not
employ them. Poverty of Contract was in fact a striking feature of the
early Roman Law, and can be readily understood in the light of the rule
just stated. The explanation given by Sir Henry Maine is doubtless
true, but does not seem altogether adequate. He points out 1 that the
Roman household consisted of many families under the rule of a Ancient
Law. B. E. paternal autocrat, so that few freemen had what we
should call legal capacity, and consequently there arose few occasions
for Contract. This may indeed account for the non-existence of Agency,
but not for that of all other contractual forms. For if the
households had been trading instead of farming corporations, they must
necessarily have been more richly provided in this respect. The fact that
their commerce was trivial, if it existed at all, alone accounts
completely for the insignificance of Contract in their early Law.
The origin of Contract as a feature of social life was therefore
simultaneous with the birth of Trade and requires no further explanation.
It is with the origin and history of its individual forms that the
following pages have to deal. As ROMAN CIVILISATION progresses we find Commerce
extending and Contract growing steadily to be more complex and more
flexible. Before the end of the Roman Republic the rudimentary modes of
agreement which sufficed for the requirements of a semi-barbarous
people have been almost wholly transformed into the elaborate
system f of Contract preserved for us in the fragments of the Antonine
jurists. At the most remote period concerning which statements of
reasonable accuracy can be made, and which for convenience we may call
the Regal Period, we can distinguish three ways of securing the
fulfilment of a promise. The promise could be enforced either by the
person interested, or by the gods,
or by the community. When however
we speak of enforcement, we must not think of what is now called specific
performance, a conception unknown to primitive Law. The only kind of
enforcement then possible was to make punishment the alternative of
performance. Self-help, the most obvious method of redress in a society
just emerging from barbarism, was doubtless the most ancient protection
to promises, since we find it to have been not only the mode by
which the anger of the individual was expressed, but also one of the
authorised means employed by the gods or the community to signify their
displeasure. This rough form of justice fell within the domain of
Law in the sense that the law allowed it, and even encouraged men to
punish the delinquent, whenever religion or custom had been violated. But
as people grew more civilized and the nation larger, self-help must
have proved a difficult and therefore inadequate remedy. Accordingly its scope
was by degrees narrowed, and at last with the introduction of surer
methods it became wholly obsolete. Religious Law, as administered by
the priests, the representatives of the gods, was another powerful
agency for the support of promises. A violation of Fides, the sacred bond
formed between the parties to an agreement, was an act of impiety
which laid a burden on the conscience of the delinquent and may even have
entailed religious disabilities. Fides was of the essence of every
compact, but there were certain cases in which its violation was
punished with exceptional severity. If an agreement had been solemnly
made in the presence of the gods, its breach was punishable as an act
of gross sacrilege. The third agency for the protection of promises
was legal in our sense of the word. It consisted of penalties imposed
upon bad faith by the laws of the nation, the rules of the gens, or
the by-laws of the guild to which the delinquent belonged. What the
sanction was in each case we are left to conjecture. It may have been
public disgrace, or exclusion from the guild, or the paying of a
fine. And as some promises might be strengthened by an appeal to the gods, so
might others by an invocation of the people as witnesses.
Agreements then might be of three kinds corresponding to the three kinds
of sanction. They might consist of an entirely formless compact, a
solemn appeal to the gods, or a solemn appeal to the people. A formless
compact is called pactum in the language of the twelve Tables. It was
merely a distinct understanding between parties who trusted to each
other's word, and in the infancy of Law it must have been the kind of
agreement most generally used in the ordinary business of life.
Such agreements are doubtless the oldest of all, since it is almost
impossible to conceive of a time when men did not barter acts and
promises as freely as they bartered goods and without the accompaniment
of any ceremony. Compacts of this sort were protected by the universal
respect for Fides, and their violation may perhaps have been visited
with penalties by the guild or by the gens. But intensely religious
as the early Romans were, there must have been cases in which conscience
was too weak a barrier against fraud, and slight penalties were
ineffectual. Fear of the gods had to be reinforced by the fear of man,
and self-help was the remedy which naturally suggested itself. In the
twelve Tables pactum appears in a negative shape, as a compact by
performing which retaliation or a law-suit could be avoided 1 . If this
compact was broken the offended party pursued his remedy. Similarly
where a positive pactum was violated, the injured person must have had the
option of chastising 1 GELLIO. Auct. ad Her. n. 13. 20. the
delinquent. His revenge might take the form of personal violence, seizure
of the other's goods, or the retention of a pawn already in his
possession. He could choose his own mode of punishment, but if his
adversary proved too strong for him, he doubtless had to go unavenged ;
whereas if the broken agreement belonged to either of the other classes,
the injured party had the whole support of the priesthood or the
community at his back, and thus was certain of obtaining satisfaction. It
is therefore plain that though formless agreements contained the
germ of Contract, they could not have produced a true law of Contract,
because by their very nature they lacked binding force. Their
sanction depended on the caprice of individuals, whereas the essence of
Contract is that the breach of an agreement is punishable in a particular
way. A further element was needed, and this was supplied by the
invocation of higher powers. II. At what period the feshion was
introduced of confirming promises by an appeal to the gods it would
be idle to guess. Originally, it seems, the plain meaning of such appeals
is alone considered, and their form is of no importance. But, under the
influence of custom or of the priesthood, they assume by degrees a formal
character, and it is thus that we find them in our earliest
authorities. Since religion and law – [“as H. L. A. Hart so well knows,
since he is a jew” – H. P. Grice] -- are both at first the monopoly of
the priestly order, and since the religious forms of promise have their
counterpart in the customs of Greece and other primitive
peoples, whereas the secular form is PECULIARLY Roman, the religious
form is evidently the older, and formal contract therefore has a religious
origin. Fides being a divine thing, the most natural means of
confirming a promise is to place it under divine protection. This may be
accomplished in two ways, by ius iurandum, or by sponsio -- each of
which is a solemn, Austinian-type performative declaration placing the
promise or agreement under the guardianship of the god, notably GIOVE. Each
form has a curious history, and as this is are the earliest specimen of a
contract, we should discuss them, and we might! Another method, and one
peculiar to the Romans, which naturally suggests itself for the
protection of agreements, is to perform the whole transaction in view of other
people. This publicity ensures the fairness of the agreement, and places
its existence beyond Cartesian – or Berkeleyian -- dispute. If the transaction is
essentially a public matter, such as the official sale of some public
land, or the giving out of a public contract, no formality seems ever to
have been required, so that even a formless agreement in in that
case is binding. The same validity may be secured for a private
contract, by having it publicly witnessed, and the nexum is but one
application of this principle. In testamentary law – “How my father,
Herbert Grice, inherited the property on the High Way of Halborne” – Grice -- it
seems probable that the public will in comitiis calatis is also
formless, whereas in private the testator may only give effect to his
will by formally saying to his fellow-citizens testimonium mihi
perhibetote. Thus the two elements which turned a bare agreement
into a contract were religion and publicity. The naked agreements (pacta)
need not concern us, since their validity as contracts never
received complete recognition. But it will be the object of the
following pages to show how agreements grew into contracts by being
invested with a religious or public dignity, and to trace the subsequent
process by which this outward clothing was slowly cast off.
Formalism was the only means by which Contract could have risen to an
established position, but when that position was folly attained we shall
find Contract discarding forms and returning to the state of bare
agreement from which it had sprung. Ivsivrandvm is derived by some
from Iouisiurandum 1, which merely indicates that Jupiter was the god by
whom men generally swore. To make an oath was to call upon some god
to witness the integrity of the swearer, and to punish him if he
swerved from it. This appears from the wording of the oath in LIVIO,
where SCIPIONE says: Si sciensfalloy turn me, Iuppiter optime maxime,
domum familiam remque rneam pessimo leto afficias" and from the
oath upon the Iuppiter lapis given by Polybius and Paulus Diaconus, where
a man throws down a flint and says : " Si sciens /alio, turn
me Dispiter salua urbe arceque bonis eiiciat, uti ego hunc
lapidem" A promise accompanied by an oath was simply a unilateral
contract under religious sanction. And it would seem that the oath was in
fact used for purposes of contract. CICERONE remarks 8 that the
oath was proved by the language of the XII Tables to have been in
former times the most binding form of promise ; and since an oath was
still morally binding 1 Cf. Apul. de deo Socr. 5. a xzii.Off. ni.
31. 111.in the time of CICERONE, though it had then no legal force, the
point of his remark must be that in earlier times the oath was legally
binding also. From Dionysius we know that the altar of ERCOLE (called ARA
MASSIMA) was a place at which solemn compacts (ovvdfjtcai) were often
made 1, while Plautus and Cicero inform us that such compacts were
solemnized by grasping the altar and taking an oath 2 . It would seem
probable that the gods were consulted by the taking of auspices before
an oath was made. Cicero says that even in private affairs the
ancients used to take no step without asking the advice of the gods 8 ;
and we may safely conjecture that whenever a god was called upon to
witness a solemn promise, he was first enquired of, so that he might have
the option of refusing his assent by giving unfavourable auspices. The
terms of the oath were known as concepta uerba, at least in the
later Republic, and like the other forms of the period they were strictly
construed 4 . Periuriv/m did not mean then, as now, false swearing. It
meant the breach of an oath 5, the commission of any act at
variance with the uerha concepta There is some dispute as to what were the
exact consequences of such a breach. Voigt 7 thinks that it merely
entailed excommunication from religious rites, but Danz 8 is clearly
right in maintaining that its consequences in early times were far more
serious ; 1 Dion. i. 40. 2 Plaut. Rud. 5. 2. 49. Cio. Flacc. 36.
90. 8 Div. 1. 16. 28. 4 Seru. ad Aen. 12. 13. 6 i.e.
8ciem fallere, Plin. Paneg. 64. Seneca, Ben. in. 37. 4. 6 Off. in. 29.
108. 7 Ius Nat. Ram. RG. n. § 149. they amounted in fact to
complete outlawry. Cicero says that the sacratae leges of the
ancients confirmed the validity of oaths. Now a sacrata lex was one
which declared the transgressor to be sacer (i.e. a victim devoted) to
some particular god 1, and sacer in the so-called laws of Seruius Tullius
2 and in the XII Tables 8 was the epithet of condemnation applied to the
undutiful child and the unrighteous patron. So likewise it seems
highly probable that the breaker of an oath became sacer, and that
his punishment, as CICERONE hints, was usually death. The formula of an
oath given by Polybius 6 is more comprehensive than that given by
Paulus Diaconus, for in it the swearer prays that, if he should
transgress, he may forfeit not onry the religious but also the civil
rights of his countrymen. This shows that the oath-breaker was an
utter outcast; in fact, as the gods could not always execute vengeance in
person, what they did was to withdraw their protection from the
offender and leave him tolhe punishment of his fellow-men. The drawbacks
to this method of contract were the same as those of the old English Law,
which made hanging the penalty for a slight theft ; the penalty was
likely to be out of all proportion to the injury inflicted by a breach of
the promise. So awful indeed was it, that no promise of an ordinary
kind could well be given in such a dangerous form, and consequently
the oath was not available for the 1 Festus, p. 318, s.u. sacratae.
2 Fest. p. 230, s.u. plorare. 8 Seru. ad Aen. 6. 609. 4 Leg. n. 9.
22. B in. 25. 6 p. 114, s.u. lapidem. 7 Liu. v. 11. 16. common
affairs of daily life. The use of the oath therefore disappeared with the
rise of other forms of binding agreement, the severity of whose
remedies was proportionate to the rights which had been violated;
while at the same time the breaking of an oath came to be considered as a
moral, instead of a legal, offence, and by the end of the Republic
entailed nothing more serious than disgrace (dedecus). In one instance
only did the legal force of the oath survive. As late as the days of
Justinian^ the services due to patrons by their freedmen were still
promised under oath 1 . But the penalty for the neglect of those services
had changed with the development of the law. At and before the time
of the XII Tables, the freedman who neglected his patron, like the
patron who injured his freedman 2, no doubt became sacer, and was an
outlaw fleeing for his life, as we are told by DIONISIO. But in
classical times the heavy religious penalty had disappeared, and the
iurisiurandi obligatio was enforced by a special praetorian action, the
actio operarum*. By the time of Ulpian the effects of the iurata
operarum promissio seem indeed to have been identical with those of the
operarum stipulatio*, though the forms of the two were still quite
distinct. We may then summarise as follows our knowledge as
to this primitive mode of contract : The form was a verbal
declaration on the part of the promisor, couched in a solemn and
carefully 1 38 Dig. 1. 7. a Sera, ad Aen. 6. 609. 8 n. 10. 4
38 Dig. 1. 2 and 7. 5 Cf. 38 Dig. 1. 10. 1 worded 1 formula
(concepta tierba), wherein he called upon the gods {testari deos)*, to
behold his good faith and to punish him for a breach of it.
The sanction was the withdrawal of divine protection, so that the
delinquent was exposed to death at the hand of any man who chose to
slay him. The mode of release, if any, does not appear.
In classical times it was the acceptilatio*, but this Was clearly
anomalous and resulted from the similar juristic treatment of operae
promissae and operae iuratae. Though the point is contested by
high authority, yet it scarcely admits of a doubt that there existed from
very early times another form, known as sponsio, by which agreements
could be made under religious sanction. This method, as Danz has
pointed out, was originally connected with the preceding one. It was
derived from the stern and solemn compact made under an oath to the
gods. But Danz goes too far when he identifies the two, and states that
sponsio was but another name for the sworn promise. The stages
through which the sponsio seems to have passed tell a different
story. The word is closely connected with airovSij, tnrivSeiv, and hence
originally meant a pouring out of wine 8, quite distinct from the
convivial \ocfirf or libatio 6, so that " libation " is not its
proper equivalent. The other derivation given by Dig., fr. Plant. Rud.
Dig. 4. 13. 4 Danz, Sacr. Schutz Festus s.u. spondere. 6 Leist, Greco-It. R. O.
, note o. Varro 1 and Verrius from
sports, the will, whence according to Girtanner 8 sponsio must have meant
a declaration of the will, savours somewhat too strongly of
classical etymology. This pouring out of wine, as Leist 4 has shown,
was in the Homeric age a constant accompaniment to the conclusion of a sworn
compact of alliance (optcia iriara) between friendly nations. The
sacrificial wine seems originally to have added force to the oath by
symbolising the blood which would be spilt if the gods were insulted by a
breach of that oath. In this then its original form sponsio was
nothing more than an accessory piece of ceremonial. The second stage was
brought about by the omission of the oath and by the use of
wine-pouring alone as the principal ceremony in making less
important agreements of a private nature. In the Indian Sutras for
instance a sacrifice of wine is customary at betrothals 5, and comparison
shows that the marriage ceremonies of the Romans, in connection with
which we find sponsio and sponsalia applied to the betrothal and sponsa
to the bride 6, were very like those of other Aryan communities 7 . We
may therefore clearly infer that at Rome also there was a time when
the pouring out of wine was a part of the marriage-contract; and thus our
derivation of the word receives independent confirmation. In the third
and last stage sponsio meant 1 L. L. Festus, «. u. spondere. Stip
Greco-It. B. G. . 8 Leist, AlUAr. I. Civ. 8 Gell. iv. 4. Varro, L.
L. Leist, loc. ciu nothing more
than a particular form of promise, and it is easy to see how this came
about. At first the verbal promise took its name from the ceremony
of wine-pouring which gave to it binding force; but in course of
time this ceremony was left out as taken for granted, and then the
promise alone, provided words of style were correctly used, still
retained its old uses and its old name. Sponsio from being a
ceremonial act became a form of words. Such was the final stage of its
development. The importance attached to the use of the words
spondesne ?, spondeo in preference to all others 1 thus becomes clear.
Spondesne ? spondeo originally meant " Do you promise by the
sacrifice of wine V "I do so promise," just as we say, "I
give you my oath," when we do not dream of actually taking
one. Another peculiarity of sponsio, noticed though not
explained by GAIO, was the fact that it could be used in one exceptional
case to make a binding agreement between Romans and aliens, namely,
at the conclusion of a treaty. Gaius expresses surprise at this
exception. But if, as above stated, a sacrifice of pure wine {airovhal
a/cprjTot) was one of the early formalities of an international compact
(op/cia mard), it was natural that the word spondeo should survive
on such occasions, even after the oath and the winepouring had long since
vanished. Sponsio being then a religious act and subsequently a
religious formula, its sanctity was doubtless protected by the pontiffs
with suitable penalties. What these penalties were we cannot hope to
know, 1 Gai. in. 93. 2 in. 94. though clearly they were the
forerunners of the penal sponsio tertiae partis of the later
procedure. Varro 1 informs us that, besides being used at betrothals the
sponsio was employed in money (pecu/nia) transactions. If pecunia
includes more than money we may well suppose that cattle and other forms
of property, which could be designated by number and not by weight,
were capable of being promised in this manner. Indeed it is by no means
unlikely 2 that nexum was at one time the proper form for a loan of
money by weight, while sponsio was the proper form for a loan of coined
money (pecunia nwmerata). The making of a sponsio for a sum of
money was at all events the distinguishing feature of the afibio per
sponsionem, and though we cannot now enter upon the disputed history of
that action, its antiquity will hardly be denied. The account
here given of the origin and early history of the sponsio is so different
from the views taken by many excellent authorities that we must
examine their theories in order to see why they appear untenable. One great
class of commentators have held that the sponsio is not a primitive
institution, but was introduced at a date subsequent to the XII TABVLAE. The
adherents of this theory are afraid of admitting the existence, at so
early a period, of a form of contract so convenient and flexible as
the sponsio, and they also attach great weight to the fact that no
mention of sponsio occurs in our fragments of the XII Tables. While it
would doubtless be an anachronism to ascribe to the early 1
L. L. a Karsten, Stip. p.
42. J sponsio the actionability and breadth of scope which it
had in later times, still it may very well have been sanctioned by
religious law, in ways of which nothing can be known unless the
pontifical Commentaries of Papirius 1 should some day be discovered. As
to the silence of the XII Tables on this subject, we are told by
Pomponius that they were intended to define and reform the law rather
than to serve as a comprehensive code 2 . Therefore they may well
have passed over a subject like sponsio which was already regulated by
the priesthood. Or, if they did mention it, their provisions on the
subject may have been lost, like the provisions as to iusiurandum, which'
we know of only through a casual remark of CICERONE’s, The early date
here attributed to the sponsio cannot therefore be disproved by any such
negative evidence. Let us see how the case stands with regard to
the question of origin. (a) The theory best known in England, owing
to its support by Sir H. Maine, is that sponsio was a simplified form of
neocum, in which the ceremonial had fallen away and the nuncupatio had
alone been left 4 . This explanation is now so utterly obsolete
that it is not worth refuting, especially since Mr Hunter's exhaustive
criticism 5 . One fact which in itself is utterly fatal to such a theory
is that the nuncupatio was an assertion requiring no reply 6,
i Dion. in. 36. 2 1 Dig. 2. 2. 4. 8 Off. in. 31. 111. *
Maine, Am. Law, p. 326. 5 Hunter, Roman Law, p. 385. 6 Gai. n.
24. B. E. 2 whereas the essential thing about the
sponsio was a question coupled with an answer. (6) Voigt
follows Girtanner in maintaining that spondere signified originally
" to declare one's will," and he vaguely ascribes the use of
sponsiones in the making of agreements to an ancient custom
existing at Borne as well as in Latium 1 . He agrees with the view here
expressed that the sponsio was known prior to the XII Tables, but thinks
that before the XII Tables it was neither a contract (which is
strictly true if by contract we mean an agreement enforceable by action),
nor an act in the law, and that its use as a contract began in the
fourth century as a result of Latin influence 2 . In another place 8 he
expresses the opinion that its introduction as a contract was due to
legislation, and most probably to the Lex Silia. The objections to
this view are that the etymology is probably wrong, and that the
inference drawn as to the original meaning of spondere iuvolves us in
serious difficulties. An expression of the will can be made by a
formless declaration as well as by a formal one. And if a formless
agreement be a sponsio, as it must be if sponsio means any declaration of
the will, how are we to explain the formal importance attaching to
the use of the particular words " spondesne ? spondeo. This view ignores
the religious nature of the sponsio, which I have endeavoured to
establish, and (4) it forgets that sponsio, being part of the marriage
ceremonial, one of the first subjects 1 Rom. RG. Ius Nat. to be regulated by the
laws of Romulus 1, is most probably one of the oldest Roman
institutions. Again (5), as Esmarch has observed 2, the legislative
origin of the sponsio is a very rash hypothesis. We only know that the
Lex Silia introduced an improved procedure for matters which were already
actionable, and had a new formal contract been created by such a
definite act we should almost certainly have been informed of this by the
classical writers. (c) Danz also derives sponsio from sports,
the will; but he takes spondere to mean sua sponte iurare, and
thinks that the original sponsio was exactly the same as iusiurandum,
i.e. nothing more than an oath of a particular kind 3 . . His chief
argument for this view is to be found in PAOLO DIACONO, who gives
consponsor = coniurator. But why need we suppose that Paulus meant more
than to give a synonym ? in which case it by no means follows that
spondere = iurare. For such a statement as that we have absolutely no authority.
Moreover, as we saw above, iusiurandum was a one-sided declaration
on the part of the promisor only. How then could the sponsio,
consisting as it did of question and answer, have sprung from such a
source ? especially since the iusiurandum, though no longer armed
with a legal sanction, was still used as late as the days of
Plautus alongside of the sponsio and in complete contrast to it
? Girtanner, in his reply to the "Sacrale Schutz" of Danz
4, maintains that sponsio had nothing 1 Dion. n. 25. 2 K. V. filr G. u. R. W. 3 Sacr. Schutz, p. 149. 4 Ueber die Sponsio, p. 4 fif. to do with an oath, but was a simple
declaration of the individual will, and that stipulatio had its
origin in the respect paid to Fides. This view however is even less
supported by evidence than that of Danz. Arguing again from analogy
Girtanner thinks that, as the Roman people regulated its affairs by
expressing its will publicly in the Comitia, so we may conjecture that
individuals could validly express their will in private affairs, in other
words could make a binding sponsio. But this, as well as being a
wrong analogy, is a misapprehension of a leading principle of early Law.
For, as we have seen, no agreement resting simply upon the will of
the parties (i.e. pactum) was valid without some outward stamp being
affixed to it, in the shape of approval expressed by the gods or by the
people. In the language of the more modern law, we may say that
such approval, tacit or explicit, religious or secular, was the original
causa ciuilis which distinguished contractus from pactiones. Now a
popular vote in the Comitia bore the stamp of public approval as
plainly as did the nexum. But the sponsio, requiring no witnesses, was
clearly not endorsed by the people ; therefore the endorsement
which it needed in order to become a contractus iuris cvuilis must have
been of a religious nature, and that such was the case appears plainly if
we admit that sponsio originated in a religious ceremonial such as I have
described. To recapitulate the view here given, we may
conclude that sponsio was a primordial institution 1 See
Windscheid, K. F. fiir G. «. R. W. i. 291. of the Roman and Latin peoples,
which grew into its later form through three stages, It is
originally a sacrifice of wine annexed to a solemn compact of
alliance or of peace made under an oath to the gods. (b) Next it became a
sacrifice used as an appeal to the gods in compacts not made under oath
such as betrothals. Just as iusiurandum for many purposes was
sufficient without the pouring out of wine, so for other purposes sponsio
came to be sufficient without the oath, Lastly it becomes a verbal
formula, expressed in language IMPLYING the accompaniment of a
wine-sacrifice, but at the making of which no sacrifice was ever actually
performed. In this final stage, which continued as late as the days of
Justinian, Its form was a question put by the promisee, and
an answer given by the promisor, each using the verb spondere. Filiam
mihi spondesne? Spondeo? Centum dari spondes? Spondeo. Throughout its history
this is a form which Roman citizens alone may use, in which fact we
clearly see religious exclusiveness and a further proof of
religious origin. Why they use question and answer rather than plain
statement is a minor point the origin of which no theory – except
Grice’s-- has yet accounted for. The most plausible conjecture seems to
be that the recapitulation by the promisee was intended to secure
the complete understanding by the promisor of the exact nature of his
promise. Its sanction in the early period of which we are
treating was doubtless imposed by the priests, but owing to our almost
complete ignorance of the pontifical law we cannot tell what that
sanction was. Having now examined the ways in which an
agreement could be made binding under religious sanction, let us see how
binding agreements could be made with the approval of the
community. There is reason to believe that this secular class of
contracts is less ancient than the religious class, because nexum and
mancipium were peculiar to the Romans, whereas traces of iusiurandum and
sponsio are found, as Leist has shown, in other Aryan civilizations.
Nexvm. There is no more disputed subject in the whole history of Roman Law than
the origin and development of this one contract. Yet the facts are
simple, and though we cannot be sure that every detail is accurate, we
have enough information to see clearly what the transaction was like
as a whole. We know that it was a negotium per aes et libram, a
weighing of raw copper or other commodity measured by weight in the presence
of witnesses 2 ; that the commodity so weighed was a loan 8 ; and
that default in the repayment of a loan thus made exposed the borrower to
bondage 4 and savage punishment at the hands of the lender. We know
also that it existed as a loan before the XII Tables, for it is mentioned
in them as something quite different from mancipium. To assert, as
Bechmann does, that since nexum included conveyance as 1 Alt Ar. I. Civ. I« e Abt.
pp. 435-443. 2 Gai. in. 173. 3 Muciu* in Varro, L. L.. 4 Varro, L. L. Clark, E. R. L. well as loan " mancipiumque "
must therefore be an interpolation into the text of the XII Tables 1, is
an arbitrary and unnecessary conjecture. The etymology of nexwm,
and of mancipium shows that they were distinct conceptions. Mancipium
implies the transfer of mami8, ownership ; nexum implies the making
of a bond (cf. nectere, to bind), the precise equivalent of
obligatio in the later law. It is true that both nexwm and mancipium
required the use of copper and scales, to measure in one case the price,
in the other the amount of the loan. But this coincidence by no
means proves that the two transactions were identical. A modern deed is
used both for leases and for conveyances of real property, yet that would
be a strange argument to prove that a lease and a conveyance were
originally the same thing. Here however we are met by a difficulty. If,
as some hold 8 and as I have tried to prove, we must regard
mancipium as an institution of prehistoric times distinct from the purely
contractual nexwm, how are we to explain the fact that nexwm is
used by Cicero 8 and by other classical writers 4 as equivalent to
mancipium, or as a general term signifying omne quod per aes et libram
geritur, whether a loan, a will, or a conveyance ? Now first we must
notice the fact that neamm had at any rate not always been
synonymous with mancipium, for if it had been so, there could have been
no doubt in the minds of 1 Kauf f Mommsen, Hist ad Fam. 7. 30 ; de
Or. ; Top. ; Parad. . ; pro Mwr. 2. 4 Boethius lib. 3 ad Top.
5. 28 ; Gallus Aelius in Festas, s.u. nexwm ; Manilim in Varro, L.
L. Scaeuola and Varro that a res nexa was the same thing as a res
mamipata. This Scaeuola and Varro both deny, and we must remember that
Mucius Scaeuola was the Papinian of his day. Manilius 1 on the
other hand, struck perhaps by the likeness in form of the obsolete nexum
to other still existing negotia per aes et libram, seems to have made
nexum into a generic term for this whole class of transactions. In this
he was followed by Gallus Aelius. The new and wider meaning, given by
them to that which was a technical term at the period of the XII
Tables, apparently became general in literature, partly for the very
reason that nexum no longer had an actual existence, partly because need
liberatio, the old release of nexum, had been adopted by custom as
the proper form of release in matters which had nothing to do with the
original nexum, namely in the release of judgment-debts and of
legacies per damnationem. One peculiarity mentioned by Gaius in the release of
such legacies seems altogether fatal to the theory that mandpium
was but a species of the genus nexum. Gaius says that nexi liberatio
could be used only for legacies of things measured by weight. Such things
were the sole objects of the true nexum, whereas res maricipi
included land and cattle. Therefore if mancipiwm were only a species of
nexum we should certainly find nexi liberatio applying to legacies of res
mancipi, but this, as Gaius shows, was not the case. The view
that nexum was the parent gestum per 1 Varro, L. L. vu. . a Festus,
s. u. nexum. 3 Gai. . aes et libram, and that mancipium was
the name given later to one particular form of nexum, is worth
examining at some length, because it is widely accepted 1, and because it
fundamentally affects our opinion concerning the early history of an
important contract. Bechmarm 2 thinks it more reasonable to suppose
that nexum narrowed from a general to a specific conception. But it is
scarcely conceivable that nexum should have had the vague generic
meaning of quodcumque per aes et libram geritur when it was still a
living mode of contract, and the technical meaning of obligatio per aes
et libram when such a contractual form no longer existed. What
seems far more likely is that nexum had a technical meaning until it
ceased to be practised subsequently to the Lex Poetilia, and that its
loose meaning was introduced in the later Bepublic, partly to
denote the binding force of any contract 4, partly as a convenient
expression for any transaction per aes et libram\ Even in CICERONE
(vedasi) we find ‘nexum’ used chiefly with a view to elegance of style in
places where mandpatio would have been a clumsy word and where 7 there
could be no doubt as to the real meaning. But when Cicero is
writing history, he uses nexum in its old technical SENSE (Grice, Do not
multiply senses beyond necessity) and actually tells us that it had
become obsolete. Bechmann, Kauf, ; Clark,
E. R. L. Varro, I. c. Festus,. u. nexum. Cf. nexu uetu&ti " in
Ulpian, 12 Dig. . 5 Cic. de Or. 6 Uar. Resp. vn. 14; ad
Fam.; Top. As in pro Mur. 2; Parad. 8 de Rep. and cf. Liu. mi. Rejecting then as untenable
the notion that nexum denoted a variety of transactions, let us see
how it originated. The most obvious way of lending corn or copper or any
other ponderable commodity, was to weigh it out to the borrower,
who would naturally at the same time specify by word of mouth the terms
on which he accepted the loan. In order to make the transaction
binding, an obvious precaution would be to call in witnesses, or if
the transaction took place, as it most likely would, in the market-place,
the mere publicity of the loan would be enough. Thus it was, we may
believe, that a nexurn was originally made. It was a formless agreement
necessarily accompanied by the act of weighing and made under public
supervision. It dealt only with commodities which could be measured with
the scales and weights, and did not recognize the distinction between res
mancipi and res nee mancipi, a strong argument that nescum and
mandpium were, as above said, totally distinct affairs. Its sanction lay
in the acts of violence which the creditor might see fit to commit
against the debtor, if payment was not performed according to the terms
of his agreement. Personal violence was regulated by the XII Tables, in
the rules of manus iniectio, but before that time it is safe to
conjecture that any form of retaliation against the person or property of
the debtor was freely allowed. The fixing of the number of witnesses at
five 1, which we find also in rnancipium, . is the only
modification of nexum that we know of prior to 1 Gai. hi. the XII
Tables. Bekker 1 suggests that this change was one of the reforms of
Seruius Tullius, and that the five witnesses, by representing the five
classes of the Servian ceruma, personified the whole people. This
is a mere conjecture, but a very plausible one. For we are told by
Dionysius 8 that Seruius made fifty enactments on the subject of Contract
and Crime, and in another passage of the same author 8, we find an
analogous case of a law which forbade the exposure of a child except with
the approval of five witnesses. But here a question has been raised as
to what the witnesses did. The correct answer, I believe, is that given
by Bechmann 4, who maintains that the witnesses approved the transaction
as a whole, and vouched for its being properly and fairly
performed. Huschke, on the other hand, claims that the function of the
witnesses was to superintend the weighing of the copper, and that before
the introduction of coined money some such public supervision was
necessary in order to convert the raw copper into a lawful medium of
exchange 5 . This view is part of Huschke's theory, that neacum had
two marked peculiarities: (1) it was a legal act performed under public
authority, and it was the recognised mode of measuring out copper money
by weight. The first part of Huschke's theory may be accepted
without reserve, but the second part seems quite untenable. We have no
evidence to show that nexum was confined to loans of money or of
1 Akt. 4 Kauf. Nexum, p. 16 ff. copper. Indeed we gather
from a passage of CICERONE (si veda) that far, corn, may have been the
earliest object of nexum 1, while GAIO (si veda) states that anything measurable
by weight could be dealt with by neari solvtio. No inference in favour of
Huschke's theory may be drawn from the name negotium per cms et
libram, for this phrase obviously dates from the more recent times
when the ceremony had only a formal significance, and when the aes
(ravduscvlum) was merely struck against the scales. If then we reject
the second part of Huschke's theory, and admit, as we certainly
should, that nexum could deal with any ponderable commodity, it is
evident that his whole view as to the function of the witnesses
must collapse also. The very notion of turning copper from
merchandise into legal tender is far too subtle to have ever occurred to
the minds of the early Romans. As Bechmann 8 rightly remarks, the
original object of the State in making coin was not to create an
authorised medium of exchange, but simply to warrant the weight and
fineness of the medium most generally used. The view of Buschke
seems therefore a complete anachronism. There is also another
interpretation of neawm radically different from the one here advocated,
and formerly given by some authorities 4, but which has few if any
supporters among modern jurists. This, view was founded upon a loosely
expressed remark of Varro's in which nexus is defined as CICERONE
(si veda) de Leg. Agr. Kauf. 4 See Sell, Scbeurl, Niebuhr, Christiansen,
Puchta, quoted in Danz, Rom. RG. n. 25. a freeman who gives himself
into slavery for a debt which he owes The inference drawn from this
remark was that the debtor's body, not the creditor's money, was the
object of nexwm, and that a debtor who sold himself by mancipium as a
pledge for the repayment of a loan was said to make a nexum. Such a
theory does not however harmonize with the facts. The evidence is
entirely opposed to it, for Varro's statement, as will be seen later on,
admits of quite another meaning. Neither nexum nor mancipium is ever
found practised by a man upon his own person. Nor could nexum have
applied to a debtors person, for the idea of treating a debtor like
a res mancipi or like a thing quod pondere numero constat, is absurd.
Again, if nexum = mancipium, the conveyance of the debtors body as a
pledge must have taken effect as soon as the money was lent,
therefore by thus becoming nexus he must have been in mancipio long
before a default could occur, which is too strange to be believed, and
(2) being in mancipio he must have been capite deminutus, which
Quintilian expressly states that no nexal debtor ever was 4 . Clearly then
mancipium was under no circumstances a factor in nexum. Thus it
would seem that the theory which regards nexum as a loan of raw copper or
other goods measurable by weight, is the one beset with fewest
difficulties. Such goods correspond pretty nearly to what in the later
law were called res fungibiles. VARRONE (si veda), L. L. nexum inire,
Liu. vn. Paul. Diao. u. deminutus. Decl. The borrower was not
required to return the very same thing, but an equal quantity of the same
kind of thing. And this explains why neanim, the first genuine
contract of the Roman Law, should have received such ample protection. A
tool or a beast of burden could be lent with but little risk, for
either could be easily identified ; but the loan of corn or of
metal would have been attended with very great risk, had not the law been
careful to ensure the publicity of every such transaction.
lusiurandum or sponsio might no doubt have been used for making
loans, but they both lacked . the great advantage of accurate
measurement, which neanim owed to its public character. It was the
presence of witnesses which raised neanim from a formless loan into
a contract of loan. This general sketch of the original neanim
is all that can be given with certainty. The details of the picture
cannot be filled in, unless we draw upon our imagination. We do not know
what verbal agreement passed between the borrower and the lender,
though it is fairly certain that payment of interest on the loan might be
made a part of the contract. We cannot even be quite sure whether
the scale-holder (libripens) was an official, as some have
suggested, or a mere assistant. Our description of the contract may then
be briefly recapitulated as follows: The form consisted of
the weighing out and delivery to the borrower of goods measurable
by weight, in the presence of witnesses, (five in number, probably
since the time of Seruius Tullius), whose attendance ensured the proper
performance of the ceremony. The ownership of the particular goods
passed to the borrower, who was merely bound to return an equal quantity
of the same kind of goods, but the terms of each contract were
approximately fixed by a verbal agreement uttered at the time. The
sanction consisted of the violent measures which the creditor might
choose to take against a defaulting debtor. Before the XII Tables
there seems to have been no limit to the creditor's power of
punishment. Any violence against the debtor was approved by custom and
justified by the notoriety of the transaction, so that self-help was more
easily exercised and probably more severe in the case of nexum than in
that of any other agreement. The release (nexi solutio) was a ceremony
precisely similar to that of the nexum itself, the amount of the loan
being weighed and delivered to the lender, in presence of witnesses. We
have now examined three methods by which a binding promise could be made
in the earliest period of the Roman Law. The next question which
confronts us is whether there existed at that time any other method. The
other forms of contract, besides those already described, which are
found existing at the period of the XII Tables, were fiducia, lex
mancipi, uadimonium, and dotis dictio. Did any of these have their origin
before this time ? Fiducia is doubtful, and lex mancipi, as we
shall see, owed its existence to an important provision Gai. \.t
of that code. As to the origin of uadirnonium, we cannot be certain, but
judging from a passage in Gellius 1 we are almost forced to the
conclusion that uadimonium also was a creation of the XII Tables. Gellius speaks of •' uades et subuades et XX V asses et taliones omnisque
ilia XII Tabhlarum antiquitas. We know that
twenty-five asses was the fine imposed by the XII Tables for cutting
down another man's tree, therefore it would seem from the context
that uades had also been introduced by that code. The point cannot be
settled, but since the XII Tables were at any rate the first
enactments on the subject of which anything is known, we may
discuss uadimonium in treating of the next period. The only contract of
which the remote antiquity is beyond dispute is the dotis dictio. DOTIS
DICTIO. Dionysius 8 informs us that in the earliest times a dowry was
given with daughters on their marriage, and that if the father
could not afford this expense his clients were bound to contribute. Hence
it is clear not only that dos existed from very early times, but that
custom even in remote antiquity had fenced it about with strict rules.
From Ulpian 8 we know that dos could be bestowed either by dotis dictio,
dotis promissio, or dotis datio. The promissio is a promise by
stipulation, and the datio was the transfer by mancipation or tradition
of the property constituting the dowry ; so that these two are easy to
understand. But dotis dictio is an obscure subject. It is difficult to
know whence it acquired its binding force as a contract, Reg. since in
form it was unlike all other contracts with which we are acquainted. Its
antiquity is evidenced not only by this peculiarity of form, but
9,lso by a passage in the Theodosian Code which speaks of dotis dictio as
conforming with the ancient law 1 . An illustration occurs in Terence,
where the father says, Dos, Pamphile, est decern talenta" and
Pamphilus, the future son-in-law, replies, "Accipio"; but we
need not conclude that the transaction was always formal, for the above
Code 8, in permitting the use of any form, seems rather to be
restating the old law than making a new enactment. A further peculiarity,
stated by Ulpian 4 and by Gaius 5, was that dotis dictio could be
validly used only by the bride, by her father or cognates on the
fathers side, or by a debtor of the bride acting with her authority.
Dictio is a significant word, for Ulpian 6 distinguishes between dictum
and promissum, the former, he says, being a mere statement, the latter a
binding promise. This distinction should doubtless be applied in the
present case, since dotis dictio and dotis promissio were clearly
different. The following theories seem to be erroneous : Von Meykow
7 holds that dictio was adopted as a form of promise instead of sponsio
for this family affair of dos, in order not to hurt the feelings of the
bride and of her kinsmen by appearing to question their bona fides. That
theory would be a plausible explanation, if dictio could ever have meant
a 1 C. Th. 3. 12. 3. 2 And Reg. Epit.Dig. Diet. d. Rfim. Brautg. p.
5 ff. B. E. 3 promise, but from what Ulpian says, this can hardly
be admitted. Bechmann 1, again, connects dotis dictio with the
ceremony of sponsio at the betrothal of a daughter. The dos, he thinks,
was promised by a sponsio made at the betrothal, so that the peculiar
form known as dotis dictio was originally nothing more than the
specification of a dowry already promised. The dotis dictio would
therefore have been at first a mere pactum adiectum, which was made
actionable in later times, while still preserving its ancient form.
The objection to this theory is tKat it lacks evidence : indeed the only
passage (that of Terence) in which dotis dictio is presented to us with a
context goes to show that this contract was in no way connected
with the act of betrothal. (c) Another explanation is given by
Czylharz, ie. that dotis dictio was a formal contract. His view is
based on the scholia attached to the passage of Terence, which say of the
bridegroom's answer: "Mle nisi dixisset ' accipio' dos non
esset." Czylharz therefore looks upon the contract as an
inverted stipulation. The offer of a promise was made by the promisor,
and when accepted by the promisee became a contract. Though such a
process is quite in harmony with modern notions of Contract, it
would have been a complete anomaly at Rome. And we cannot believe that,
if acceptance by the promisee had been a necessary part of the
dotis dictio, we should not have been so informed by Gaius, when he
has been so careful to impress Rom. Dotalrecht. 2 Abt. a Z.f. R. G.
upon us that the dotis dictio could be made nulla interrogatione
praecedente. Thus the view of Czylharz besides being in itself improbable
is almost entirely unsupported by evidence. Even the scholiast on
Terence need not necessarily mean that ‘accipio’ is an indispensable part
of the transaction. He may merely have meant that the bridegroom at this
juncture could decline the proffered dos if he chose, and this
interpretation is borne out by Iulianus 1 and Marcellus 8, who give
formulae of dotis dictio without any words of acceptance. A
satisfactory solution of the problem seems to have been found by Danz. He
looks upon dos as having been due from the father or male
ascendants of the bride as an officium pietatis 4, and quotes passages
from the classical writers in which they speak of refusing to dower a
sister or a daughter as a most shameful thing 5 . The source of the
obligation lay in this relationship to the bride, not in any binding
effect of the dotis dictio itself. But in order that the obligation
might be actionable its amount had to be fixed, and this was just
what the dictio accomplished. It was an acknowledgment of the debt which
custom had decreed that the bride's family must pay to the
bridegroom. In this respect the dos was precisely analogous to the debt
of service which a freedman owed as an offidum to his patron, and which
he acknowledged by the iurata operarumpromissio. The dos and the
operae were both officio, pietatis, but Dig. Dig.
Rom. RO. I. 163.Dig. 3. 2. 5 Plaut. Trin.; Oic. Quint. it became
customary to specify their nature and their quantity. In the one case
this was done by an oath, in the other by a simple declaration, and
in both cases the law gave an action to protect these anomalous
forms of agreement. What kind of action could be brought on a dotis
dictio is not known. Voigt 1 states it to have been an actio dictae
dotis, for which he even gives the formula, but formula and action are
alike purely conjectural. We can only infer that the dotis dictio was
action- able since it constituted a valid contract. How or when
this came to pass we cannot tell. A further advantage of Danz' theory, and
one not mentioned by him, is that it explains the capacity of the
three classes of persons by whom alone dotis dictio could be performed.
(1) The father and male ascendants of the bride were bound to provide a
dos under penalty of ignominia; the bride, if sui iuris, was bound
to contribute to the support of her husband's household for exactly the
same reason; and a debtor of the bride was bound to carry out her
orders with respect to her assets in his possession, and supposing her whole
fortune to have con- sisted of a debt due to her, it is evident
that a dotis dictio by the debtor was the only way in which this
fortune could be settled as a dos at all. Thus the hypothesis that the
dos was a debt morally due from the father of the bride, or from
the bride herself, whenever a marriage took place, completely explains
the curious limitation with XII Taf. ii. § 123. 2 24 Dig CICERONE (si
veda), Top. FORM OF D0TI8 DICTIO regard to the parties who could perform
dotis dictio. The nature of the transaction may then be summarized
as follows : Its form was an oral declaration on the part of
the bride's father or male cognates, of the bride herself, or of a debtor
of the bride, setting forth the nature and amount of the property
which he or she meant to bestow as dowry, and spoken in the
presence of the bridegroom. Land as well as moveables could be settled in
this manner No particular formula is necessary. The bridegroom
might, if he liked, express himself satisfied with the dos so specified ;
but his acceptance does not seem to have been an essential feature of the
proceeding. Most probably he did not have to speak at all.
Its sanction does not appear, though we may be sure that there was
some action to compel perform- ance of the promise. This action, whatever
it may have been, could of course be brought by the bride's husband
against the maker of the dotis dictio. Perhaps in the earliest times the
sanction was a purely religious one. Art. 6. Now that we have
seen the various ways in which a binding contract could be made in
the earliest period of Roman history, we may con- sider briefly the
general characteristics of that primi- tive contractual system. The first
striking point is that all the contracts hitherto mentioned are
unilateral: the promisor alone was bound, and he was not entitled, in
virtue of the contract, to any counterperformance on the part of the
promisee. Gai. Ep. The second point is that the consent of the
parties was not sufficient to bind them. Over and above that
consent the agreement between them was required to bear the stamp of
popular or divine approval. Even in dotis dictio, as we have just
seen, a simple declaration uttered by the promisor was invested
with the force of a contract merely because the substance of that
declaration was a transfer of property approved and required by public
opinion. Thirdly we notice that the intention of the con- tracting
parties was verbally expressed, but that the language employed was not
originally of any impor- tance (except in the one case of sponsio),
provided the intention was clearly conveyed. We must
therefore modify the statement so commonly made that the earliest
known contracts were couched in a particular form of words. For how did
each of these particular forms originate and acquire the shape in
which we afterwards find it ? By having long been used to express agreements
which were binding though their language was informal, and by having
thus gradually obtained a technical significance. Conse- quently
the formal stage was not the earliest stage of Contract. The most
primitive contract of all was not an agreement clothed with a form, but an
agree- ment clothed with the approval of Church or State. Nicola
Codronchi. Niccola Codronchi. Keywords: Su i contratti e giochi d’assardo, contratto,
tre tipi di contratto, contratto epistemico, contratto empirico, contratto
misto, concordato puo essere informale o formale. tre tipi di concordi formali
nell’eta regale, il giuramento per giove, il sponsio (il vino come simbolo del
sangue dei vittimi) e il nesso. Il giuramento per Giove e lo sponsio sono ambi religiosi
in natura. Solo il ‘nesso’ e secular – e chiede o necessita la presenza della
comunita come testificatore – e una forma tipicamente romana e consequentemente
piu tard ache le forme religiose che vediamo in altre comuita arie. Il nesso si
manifesta nel templo publico – ara maxima per Ercole – e invoca la regola del
primo re Romolo, contratti bilaterali, forma dialogica, A esprime la
proposizione e B risponde assentendo alla comprehension e all’accettazione di
p. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Codronchi” – The Swimming-Pool Library. Codronchi.
Luigi Speranza -- Grie e Colazza: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’iniziazione – scuola
di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma).
Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma,
Lazio. Grice: “Having gone to Clifton, I love Colazza – he is into
‘iniziazione’ – specially in the equites of ancient Rome, but not much
different from mine!” Di una famiglia dell'alta borghesia romana, e istruito
agli studi umanistici e si laurea a Roma. Cultore dell'esoterismo e delle
dottrine massoniche e teosofiche. Fonda il club antroposofico in Italia. Dall'incontro
con l'antroposofia C. apprese l'esigenza di seguire pratiche spirituali di
concentrazione adatte al contesto occidentale, coltivando in particolare la
«via del pensiero cosciente». Altre
opere: Dell’iniziazione (Tilopa); La magia del noi di Ur (Edizioni
Mediterranee). Evola e l'esperienza del Gruppo di Ur. A strong anthroposophical influence came from C.
and Duke Giovanni Colonna di Cesard. Close to the group,
which adopted the name UR, were Kremmerz, founder of the Fraternity of Myriam. Sedute
spiritiche che si svolgevano in casa dell'amico C., e che talvolta si
protraevano sino all'alba. SPUNTI DALLA CONFERENZA TENUTA IN ROMA CIRCA IL TEMA
DELL’INIZIAZIONE. VENERAZIONE E CALMA INTERIORE. Il saggio l’Iniziazione mi fu
consigliato da Steiner in francese a Piazza Spagna, come un saggio importante, da
tenere sempre presente come guida.
L’uomo così come nella vita quotidiana serve a poco o niente per il mondo
dello spirito. Siguo Steiner più o meno il saggio, aggiungendo poi altri insegnamenti
estremamente utili per ottenere reali risultati. La nostra persona, di cui
siamo coscienti, è solo un riflesso del nostro ‘noi’. È molto utile per giungere
alla conoscenza del nascosto ‘noi’, distinguere e separare in noi il pensare
che p, il sentire che p e il volere che p. Cita l’aneddoto di Eurialo e Niso,
che viveno nell’illusione di essere il suo ‘noi’ contingente. L’esoterismo e facile,
se si conforta sempre donandoci personali indicazioni, circa gli esercizi e la
pratica esoterica. Ma ora, invece dobbiamo cercare fedelmente e scrupolosamente
quello che possiamo accogliere e applicare a noi stessi. Si dice che è importantissimo cominciare
sviluppando il sentimento di ‘venerare’. Non bisogna fraintendere il concetto
di venerazione con uno stato di esaltazione interiore dovuto all’insegnamento
che il tutor ci può dare e che noi accettiamo per co-ercizione intellettuale o
sentimentale o per atto di fede: ma non è assolutamente questo. Il fatto da
riconoscere è questo. Il calore dell’anima è vita stessa per l’anima.
L’accogliere freddamente contenuti spirituali, ci riempie soltanto il ‘noi’ di
nozioni, senza far penetrare la forza dello spirito. La venerazione e il calore
di nostre anime sono l’attività di nostre anime stesse. Bisogna aprirsi a tali
rivelazioni della psicologia filosofica come dottrina dell’anima, con
atteggiamento di venerazione. I meravigliosi quadri circa l’evoluzione del
cosmo devono risvegliare in noi ammirazione, meraviglia e riconoscenza per la
gerarchia. Tale stato di nostre anime
destano in noi questo calore, la venerazione per co-esseri e fatti spirituali,
ai quali siamo debitori. Astenersi dalla
critica e dal giudizio, cercare di cogliere nell’altro non il difetto, ma la
qualità migliore, incoraggiare ciò che vi è di meglio. Il biasimo è energia
perduta. Il sentimento positivo e buono e per le nostre anime come la qualità
dell’aria che inspirando mettiamo in circolo nel corpo. Più è pura, più saremo
sani. Il godimento rappresenta una lezione per l’uomo quanto il dolore,
soltanto che è più difficile leggervi dentro. Non bisogna fermarsi alla
sensazione del piacere, ma ricercare nel godimento il contenuto più elevato da
cui promana, che ne è l’artefice e il senso, ma la sua essenza più intima.
Occorre coltivare momenti di raccoglimento, lavorando sui ricordi: rievocare
immagini mnemoniche di fatti passati, o della giornata trascorsa ricercando
nelle nostre anime l’eco di ciò che aleggia in quelle passate percezioni.
Bisogna passare in rassegna gli eventi con meticolosa analisi, oggettivarli,
senza applicare alcuna speculazione né alcun giudizio; osservare tutte le
concatenazioni, semplicemente contemplarle in modo neutro, lasciando che siano
esse a svelarci qualcosa. Noi dobbiamo fare il silenzio. Tale lavoro equivale
ad anticipare ciò che avviene nel sonno, quando la gerarchia penetrando nel
nostro corpo astrale e nel ‘noi’, inseriscono i loro giudizi. L’impazienza è un
perdere energie. Il tono generale della preparazione è quello di una ri-educazione
su nuove basi, della vita di pensiero e di sentimento, tramite speciali
esercizi. Bisogna entrare nel ritmo della ripetizione, senza lasciare che la
nostra natura inferiore si ribelli, rifuggendo gli esercizi. La noia è un
grande nemico. Bisogna osservare una pianta in pieno sviluppo afferrando tutti
i dettagli; osservarla e riceverne una percezione così chiara che, chiudendo
gli occhi, possa rimanere come chiara immagine interiore di fronte a noi.
Esercitarsi con la forma esterna cercando ad occhi chiusi di ricordarla,
visualizzandola. Quando si riceve un’esperienza non bisogna assolutamente
tradurla in concetti con le parole: bensì mantenerla in sé e coltivarla. Altra
cosa importante da fare è dirigere l’attenzione sul mondo dei suoni. Analizzare
e realizzare la differenza fra i suoni di origine minerale immota, e quelli di
natura vegetale o animale. Fra lo scroscio dell’acqua, il fruscio delle foglie
nel vento, il rotolare di una pietra e il rumore di una macchina vi è una
diversa manifestazione delle forze cosmiche. Cessato il suono, dobbiamo
prolungare in noi il suo effetto, ma non attraverso l’udito, ma tramite l’orecchio
dell’anima, senza immaginare nulla: aspettare in silenzio il sorgere di
qualcosa. Le potenze spirituali non si trovano e si lasciano trovare come
avviene nel mondo sensibile quando si va a monte di un effetto per ritrovarne
la causa: sono Esse a decidere per loro deliberazione, se è lecito o no farsi
percepire dal ricercatore. Sono Esse che devono e vogliono trovare l’uomo, solo
se posto in un determinato stato di accoglimento interiore. Le percezioni
immaginative si manifestano come impressioni interiori paragonabili ad
impressioni suscitate in noi da un dato colore fisico; la percezione
soprasensibile appare rivestita da un colore perché il suo contenuto animico è
affine a ciò che quel dato colore equivale corrispondentemente come
manifestazione animica. La percezione di un rosso osservato nel mondo fisico,
genera in noi un particolare sentimento, contenente qualità animiche: l’Entità
che ci appare immaginativamente se ha in sé del rosso, significa che contiene
in lei delle qualità e dei contenuti animici affini a ciò che nel mondo fisico
ci appare come rosso. E’ un grave errore ritenere che ci si deva attendere nel
mondo spirituale come una ripetizione più sottile delle forme del mondo fisico.
Lo spirituale ha qualità totalmente dissimili dal fisico. Bisogna sviluppare
sempre più simpatia e compassione verso gli uomini e gli animali e sensibilità
per la bellezza della natura. IL NON VEDERE RISULTATI DURANTE IL TIROCINIO. Spesso
il discepolo non si avvede degli effetti e dei risultati derivanti dagli
esercizi occulti. Ciò è dovuto al perché si tende a guardare fisso in una
direzione, attendendosi di ricevere qualcosa solo da quella direzione, senza
accorgersi che ciò che invece è arrivato, promanava a noi da un’altra
direzione. Vi sono due gravi ostacoli nella percezione immaginativa: presupporre
e attendersi in modo personale ciò deve avvenire; confondere le percezioni di
colore con le sensazioni di colore fisico, quasi cercando con gli occhi
all’esterno, ciò che invece può apparire solo interiormente. Le percezioni di
colore o di forma, non promanano dall’ente osservato, ma sorgono in noi,
nascendo dalla nostra interiorità. La conferma circa l’autenticità di aver
avuto una vera esperienza spirituale è confermata dall’avvertire in sé il
sentimento di aver come sperimentato uno stato già provato; non che l’immagine
percepita ci è a noi nota, ma che il sentimento provato durante l’esperienza è
un qualcosa di già vissuto, in un passato remotissimo (atlantideo o
lemurico). È un primo passo verso il
riconoscere in coscienza il proprio primordiale passato, quando si era in
completa unione con il mondo spirituale. ESERCIZIO DEL SEME. Osservare con gli
occhi fisici un seme: forma, colore, peso, dimensioni, rapporti. Fatto ciò,
occorre interiorizzare l’immagine, astraendosi dalla percezione fisica del
seme, sforzandosi di visualizzarlo nel campo della propria coscienza, ad occhi
chiusi. Si pensi che in esso è virtualmente presente in potenza l’intera
pianta: vi è in lui un’Idea, una Legge naturale invisibile che lo governa, la
quale manifesterà in un futuro sulla Terra la pianta in lui ora nascostamente
contenuta. In lui dimora una potentissima forza vivente, che si cela alla
nostra vista, invisibilmente. Rappresentarsi poi il processo temporale, di
crescita in successione, nel triplice ritmo della sua costituzione:
radice, fusto, fogliame, fiori, frutto.
Non è importante curare i dettagli, ma sentire la forza di questa
manifestazione, la potenza creativa che si esprime nell’espansione dirompente
delle forze insite nel seme. Quel che noi sentiremo come potenzialità espansiva
è l’elemento invisibile del seme: la forza eterica. Il ritmo perenne del mondo
vegetale trascende il seme stesso come dato immediatamente sensibile e
percepibile. Ci si volga di nuovo al seme (aprendo gli occhi?) collegando ad
esso l’intero processo immaginativo delle potenziali forme di crescita,
dell’invisibile che è diventato visibile. La forza che ne risulterà si tradurrà
in noi come facoltà di visione: una specie di nube luminosa, una specie di
piccola fiamma di colore lilla-azzurro, aleggiante intorno al seme. Ciò è la
vivente forza vitale che edificherà la pianta. ESERCIZIO DELLA PIANTA. Osservare
una pianta in completo sviluppo, sforzandosi di vedere in essa
immaginativamente l’attuarsi del ciclo seme-pianta-fiore-frutto seme,
realizzando così un senso di perennità della vita vegetale, espressa nella
sintesi della forma della pianta stessa. In un certo senso, è come se dalla
pianta-spazio momentanea, si estraesse la pianta-tempo, ossia l’Idea totale o
Essere di specie vegetale a cui appartiene quella pianta. Pensare poi che vi
sarà un tempo in cui questa pianta non esisterà più, sarà scomparsa. Questa
pianta verrà annientata, ma non la sua specie: essa ha generato dei semi
tramite i quali, l’Idea della specie continua l’esistenza in altre piante.
Senza distogliersi dalla percezione spaziale fisica della pianta, bisogna
sovrapporvi l’immagine di ciò che ella sarà nel futuro, che avvizzisce e che
appassisce, disseccandosi, di quella realtà celata ai nostri occhi. La pianta
morirà, ma non morirà l’idea o la legge che l’ha generata e fatta agglomerare.
Questo trasportarsi nella dimensione delle potenzialità ora latenti, della
pianta in oggetto, produrrà in noi la visione di una fiamma. Un’indicazione
personale che voglio offrire, è di cercare di contemplare le forme, partendo da
una diversa prospettiva rispetto quella usuale. Se si osserva una pianta,
solitamente il fusto è perpendicolare all’asse degli occhi. Si provi a piegare
la testa, in modo che esso diventi parallelo all’asse degli occhi. Il
modificare il modo abituale di vedere, favorirà l’esperienza spirituale. L’obiettivo
di questi esercizi è di trascendere l’oggetto percepito per arrivare al suo
contenuto immaginativo. ESERCIZIO DELL’UOMO. Prendere in esame il ricordo di un
evento in cui abbiamo assistito alla trasfigurazione nei movimenti e nei gesti
di un individuo preda di un fortissimo desiderio. Sforzarsi di sentire in noi
quel sentimento di brama o desiderio. Pur sorgendo, trasferendo in noi tale
sentimento, esso deve rimanerci estraneo, tanto da poterlo osservare
obiettivamente, senza parteciparvi con sentimenti e pensieri. Appariranno
diverse gamme di sfumature di colori. Altro errore è di compiacersi
inavvertitamente o di stupirsi nell’attimo in cui si ha un’esperienza
spirituale: si genera difatti un’onda nel sentire che annega l’esperienza
stessa. Altra qualità indispensabile da sviluppare è il coraggio o
intrepidezza. Certe esperienze spirituali, dalle quali siamo ordinariamente
protetti alla loro percezione, sono impossibili da sostenere senza tale
qualità. Aver fiducia nelle potenze spirituali, è come aprire un varco ad esse
verso di noi: se veramente desideriamo da loro un aiuto, attraverso la fiducia
in esse verremo soccorsi e sostenuti. LA DIETA ESOTERICA. L’alcool è da
evitare, anche durante i pasti e anche se assunto in piccole quantità: esso
immette nel sangue un elemento anti-Io che si oppone all’autonomia dell’Io; una
specie di neutralizzatore fisico dell’esperienza spirituale. L’alcool limita,
distorce o impedisce la possibilità di giungere ad una percezione cosciente del
mondo spirituale. Bisogna giungere a sentire spontaneamente ripugnanza, un
naturale disgusto verso la carne; essa contiene sostanze che favoriscono
l’irregolare autonomia di certe condizioni del corpo astrale. Inoltre essa
paralizza le forze contenute nel ricambio, le quali sono di natura prettamente
spirituale. I vegetali che si sviluppano sotto terra, senza la luce solare,
come funghi, legumi, sono meno indicati di altri che si impregnano di luce
solare, come i pomodori o le arance. GLI EFFETTI SUL CORPO FISICO SUSCITATI DAGL’ESERCIZI.
Tutti gli esercizi antroposofici, tendono a realizzare una maggiore mobilità
del corpo eterico: nell’antichità, per ottenere questo ci si aiutava attraverso
particolari tecniche di respirazione. Oggigiorno, tali pratiche sono dannose:
si realizzano difatti degli strappi fra l’eterico e il fisico; se tuttavia se
si verificasse qualche esperienza spirituale, sarebbe priva di controllo,
casuale. Le pratiche respiratorie sono sconsigliabili. A seguito degli esercizi
antroposofici, la respirazione assume spontaneamente un nuovo ritmo. La
mobilità del corpo eterico offre la possibilità di percepire il proprio corpo
fisico come un elemento estraneo. Si possono, durante il tirocinio esoterico,
avvertire delle trasformazioni che possono, ma non devono venir interpretate
come anomalie patologiche. Si può avvertire, come non prima, il proprio sistema
osseo interno come un peso. Un’altra sensazione è sperimentare i propri muscoli
come percorsi da correnti; si sente scorrere qualcosa nel sistema muscolare, quale
moto del corpo eterico. Si può poi avere la sensazione che la nostra coscienza
sia distesa e diffusa non più solo nella testa, ma lungo tutto il sistema
circolatorio, nel sangue ove vi è il nostro noi. Si avverte poi il il centro
del proprio essere nel centro del cervello, mentre nella periferia di esso si
percepisce la zona ove opera e agisce la memoria rappresentativa. Il sistema
nervoso comincia a rendersi indipendente dalla corrente sanguigna. Si ha poi la
percezione di avvertire l’indipendenza e l’individualità dei singoli organi
interni. Ciò vale anche per gli organi di senso, che sembrano come attaccati al
nostro essere. I SENSI. Il tatto non è un senso, ma un urto contro il mondo
esterno; tramite gli altri sensi, evocando le relative percezioni di gusto,
odore, suono e vista per poi cancellarle ispirativamente, è possibile ritrovare
la loro origine spirituale. Il gusto è un organo di percezione dell’etere
cosmico. L’olfatto fa percepire l’etere vitale. L’udito è l’involuzione di un
organo dell’epoca lunare, allora predisposto per la percezione dell’armonia
delle sfere. Il senso del calore ci rimanda all’antico Saturno. La vista ci
permette di percepire la manifestazione dell’etere di luce. Un sintomo evidente
dell’effetto degli esercizi è sulla memoria: essa viene man mano a perdersi,
per venir sostituita da un’altra facoltà mnemonica non fondata come questa su
ricordi visivi e uditivi, ma su ricordi o immaginazioni eteriche. Il vero
serbatoio della memoria non è il cervello, ma il corpo eterico: qui ogni cosa
viene registrata, racchiusa e conservata. Procedendo dal presente a ritroso,
rievocando stati d’animo sperimentati, sarà possibile ritrovarvi eventi
dimenticati. Nel sentire, si risveglia la memoria. Occorre sviluppare presenza
di Spirito: abituarsi ad una grande autodeterminazione, imparando a decidere
con immediatezza, senza esitazioni. Occorre poi di decidere responsabilmente di
non tradire il mondo spirituale, una volta conseguite le facoltà iniziatiche.
Il comunicare insegnamenti a qualcuno che non ne sia preparato, significa
assumersi anche la responsabilità karmica delle eventuali conseguenze, circa il
buono o cattivo uso che questi ne farà. Lo stare in segreto non deve
significare darsi arie misteriose, ma solo non voler nuocere ad altri. Tutto
ciò che ci porta alla nostalgia del nostro passato, è una tentazione
luciferica. Bisogna cessare di contare i giorni, i mesi e gli anni trascorsi
senza risultati nella disciplina. La parola chiave è Pazienza. L’impazienza
rappresenta un ostacolo: il mondo spirituale per potersi rivelare, per aprirsi
un varco, ha bisogno di trovare nel discepolo calma attesa, per potervisi
riversare. MITEZZA E SILENZIO. Le potenze spirituali sono in continuo fermento,
in perenne attesa per poter essere accolte dall’uomo, purché trovino le giuste
condizioni che glielo consentano: esse, datrici di Amore eterno e altruista,
trepidano nella fremente attesa di poter riabbracciare i loro fratelli minori.
Più che anelare di muoversi incontro a loro, è più giusto intendere che la via
giusta è sapersi aprire ad esse. Esse possono riversarsi in noi solo se trovano
purezza interiore; esse sono sempre pronte, dai limiti della nostra coscienza,
a connettersi con noi. Sono soltanto i veli della personalità soggettiva,
l’irrequietezza, i timori, gli impulsi inferiori, a impedire loro di
avvicinarsi. Ogni sforzo nel guardare o udire fisico, ogni reazione istintiva,
paralizza i sensi spirituali. Bisogna rinunciare alla suscettibilità e alla
collericità: tacitare le passioni e i desideri. Bisogna svincolarsi dalla forza
del desiderio, che impedisce la percezione dello Spirito. Padronanza di sé:
dominio dei sentimenti che sorgono spontaneamente in noi. È consigliabile nei
rapporti con gli altri, non la durezza, ma la mitezza. La durezza erige una
barriera invalicabile, spezzando un’ulteriore comunicazione. Mitezza e silenzio:
positività e astensione dalla critica. Si consiglia di ritirarsi ogni tanto
dall’ambiente della vita di tutti i giorni, per raccogliersi e meditare in
mezzo alla Natura. Il rumore della vita quotidiana, può impedire il
manifestarsi degli effetti degli esercizi. Il discepolo mano a mano si libera
così della vita istintiva e dei caratteri ereditari della sua razza e famiglia:
si svincola dall’azione delle entità spirituali corrispondenti. Occorre sempre
chiedersi se si è degni di questa libertà interiore che si vuole conseguire e
se si ritiene di avere le forze necessarie per sostenerla, affinché tale
libertà agisca positivamente e correttamente. LE sette CONDIZIONI PER LA PREPARAZIONE
ALLA VIA OCCULTA. La salute fisica è connessa al karma: molte volte occorre
chiedersi se non vi sia qualche cosa nel campo morale che gravi sul fisico, da
purificare o da espiare, che ne impedisca l’atteso miglioramento. Per la salute
del corpo occorre sopratutto coltivare la chiarezza del pensare e del
discernimento nelle impressioni ricevute dal mondo esterno. Prima di parlare o
di esporre una propria considerazione o un’opinione, occorre stabilire con
chiarezza il pensiero da formulare in immagini: non è bene difatti cercare a
tutta prima le parole idonee, ma soprattutto la figura d’insieme da cui
partire. È l’immagine che deve far scaturire l’espressione dialettica. Sentirsi
un arto della vita universale, una parte di questa, superando ogni senso di
separazione. La sostanza divina è solo apparentemente e necessariamente
ripartita nel cosmo: lo scopo finale dell’evoluzione è comunque ricostituire
un’unica entità spirituale. Bisogna aspirare ad essere ciò che si vorrebbe gli
altri fossero. 3- Si deve divenire consapevoli che i pensieri e i sentimenti
hanno la stessa valenza e importanza che le proprie azioni: il movimento del
pensiero e dei sentimenti è altrettanto concreto quanto le azioni fisiche
operate sul mondo esteriore. Ciò originerà responsabilità per il circostante
ambiente animico e fisico. I pensieri permangono e si diffondono, comprendendo
nei suoi effetti una moltitudine di esseri. Operare secondo i puri impulsi
dell’Io superiore, non dell’Io inferiore. Si deve prendere coscienza che il corpo
fisico, nel quale solitamente ci s’identifica, è solo uno specchio, un arto
dell’interiorità. Educarsi al mantenimento di una decisione presa; il
rinunciare è un cadere nel vuoto dell’incoerenza e dell’indeterminatezza: è
mancanza di forza dell’Io. Non bisogna assolutamente mai, prendere decisioni o
fissare regole, mentre ci si trova travolti dall’onda di un moto passionale o
di un impulso emotivo. Occorre essere riconoscenti, grati al mondo esterno e
allo Spirituale. Si deve ricordare che nell’era di Saturno, Tutto era Uomo, e
che solo grazie al frutto del sacrificio di altri esseri spirituali e esseri
fisici rimasti indietro nei regni inferiori, è stato possibile configurare
l’umanità attuale. Ringraziare per il sostentamento giornaliero. Considerare la
vita e agire in essa, secondo la direzione enunciata nelle precedenti
condizioni: dare un’impronta unitaria ed equilibrata alla vita facendo in modo
che le finalità delle proprie azioni siano determinate dalle attitudini sopra
descritte. Molte cose devono essere abbandonate, e molte altre acquisite per
porsi al servizio del divino. LA POSTURA NELLA MEDITAZIONE. La terra è percorsa
perpendicolarmente e orizzontalmente da correnti, che possono favorire o
ostacolare la meditazione. Le correnti perpendicolari favoriscono: occorre
pertanto avere la colonna vertebrale verticale rispetto alla superficie
terrestre. La posizione distesa, supina, invece accoglie le correnti
orizzontali dirette alle specie animali, inducendo automaticamente ad un tipico
stato semisognante. I FIORI DI LOTO. Il corpo eterico è percorso da
innumerevoli correnti che muovono in senso longitudinale o circolare radiale.
Durante la veglia, il corpo astrale rimane connesso spazialmente al corpo
fisico; quando si apre nel discepolo la coscienza spirituale, il corpo astrale
si espande in proporzione dello spazio che può essere percepito, ossia diviene
grande quanto il suo campo di percezione. Non si parla diffusamente del loto a
due petali, fra gli occhi, perché esso è connesso con il risveglio di forze che
appartengono alla chiaroveggenza primitiva. Non vi è alcun cenno, per ragioni
di sicurezza, del loto della zona basale kundalini e del loto1000 petali, sul capo. In un lontano passato, i fiori di loto erano
attivi; poi lentamente hanno cessato di funzionare. Attualmente solo la loro
metà è attiva; con il lavoro interiore essi si ridestano, cominciando a
muoversi e ad illuminarsi. I centri a sedici, (laringe) dodici (cuore)e dieci
petali (stomaco), attivati, conferiscono la padronanza assoluta sull’Io inferiore.
IL LOTO A SEDICI PETALI (laringe). Gli esercizi della preparazione e dell’illuminazione
tendono ad attivare tale centro. Si tratta principalmente di lavorare nel campo
delle idee, curando la moralità nell’uso delle parole e la qualità di buon fine
delle proprie risoluzioni prese. Tale centro, attivato, conferisce la capacità
di entrare in comunicazione con altri Esseri tramite il pensiero (telepatia). Le
condizioni da realizzare sono otto, ciascuna equivalente ad ogni petalo
dormiente: Formarsi rappresentazioni il più fedeli possibili del mondo esterno,
prive di fantasia personale, eliminare l’impulsività, le reazioni dettate dall’emotività;
le parole usate in un discorso devono essere sempre rigorosamente connesse
all’argomento; ogni gesto e atto deve
essere sempre in piena coerenza alle idee e alle risoluzioni prese; organizzare,
pianificare concretamente la propria vita; verificare la saldezza, la moralità
e la giustezza delle proprie aspirazioni;
imparare ad osservare retrospettivamente gli eventi della vita; la giornaliera meditazione per interrogarsi
sulla propria fedeltà alla linea tracciata dalle sette condizioni precedenti. È
di vitale importanza sviluppare la veridicità; dire sempre la verità
promuovendo la perfetta corrispondenza fra mondo esteriore e mondo
interiore. A volte non è molto
altruistico dire la verità, ma lo scopo morale non evita il senso di giustezza.
Non mentire mai ai bambini e non fare loro mai promesse senza mantenerle. MORALITA’
E CONOSCENZA. Il loto a due petali, nel centro frontale, ha una particolarità:
anziché ruotare come gli altri, una volta attivato, esplica la sua azione
sporgendosi all’esterno, prolungandosi in direzione orizzontale in una forma a
due rami, con il compito di portare fuori il corpo eterico. Per mezzo di tale
centro, si formano sia le correnti eteriche che scendono verso la laringe e il
cuore, sia quelle che muovendosi verso le mani, costituiranno il vero e proprio
reticolo che renderà il corpo eterico, un intero organo di percezione. Bisogna suscitare un rispettoso silenzio
riguardo le proprie esperienze, sia con gli altri, sia con sé stessi: occorre
accoglierle così come si presentano, senza tradurle in rappresentazioni. Lo sviluppo dei Fiori di Loto tende a
trasformare tutto quello che, nascendo come natura istintiva, si presenta
incoerente e non ordinato in un volitivo campo d’azione per l’armonia delle
forze spirituali. IL LOTO. A duodice PETALI (cuore). Tale loto conferisce la
percezione delle forme. Come gli altri,
anche questo centro si sviluppa coltivando alcune qualità: le condizioni da
realizzare sono sei (i sei esercizi fondamentali), ciascuna equivalente ad ogni
petalo dormiente. Controllo del pensiero; connettere, partendo da un tema o da
un oggetto comune, vari pensieri in modo logico e conseguente, distaccandosi
così dall’usuale pensare automatico istintivo; in presenza di persone che
parlano in modo automatico, superficiale o poco logico, bisogna non intervenire
correggendole, ma comporre mentalmente la corrente dei pensieri deformi e
correggerli dentro di sé, interiormente senza esporli fuori di sé. Controllo
delle azioni; uniformare l’azione al pensiero, perdere l’automatismo dato dagli
istinti, prestando attenzione ai propri gesti, alle posture, ai movimenti, in
modo che non avvenga che le nostre azioni possano venire determinate da impulsi
inconsci non passati al vaglio cosciente del nostro pensiero. Pratica della
Perseveranza; perdere la volubilità, la lunaticità, compiendo e portando sempre
a termine le decisioni, gli obiettivi, i metodi, gli esercizi o le
determinazioni prese. Controllo della tolleranza; sviluppare la conoscenza dei
motivi e dei limiti di chi sbaglia, per giungere alla comprensione degli errori
altrui, onde sostituire l’istintivo impulso di criticare o giudicare; occorre
far nascere in sé il desiderio di voler essere utili all’altro tramite consigli
o considerazioni costruttive, non con giudizi che bloccano la sua evoluzione. Pratica
dell’obiettività o spregiudicatezza; non respingere immediatamente qualcosa che
ci venga detta, e parimenti non rifiutarsi di rivalutare o riconsiderare cose
da noi già appianate e conosciute; Sviluppo dell’Imperturbabilità; equanimità,
equilibrio degli esercizi sopracitati; esercitarsi a controllare o sospendere
le normali reazioni emotive. Lo sviluppo dei fiori di Loto è una disciplina
certamente difficile, ma non impossibile. ESERCIZIO CONTRO L’APPRENSIONE. Un
buon esercizio è, durante la giornata, quando un pensiero particolarmente
importante ci assilla, ci dà apprensione, divenire capaci di sostituirlo con
un’altro pensiero completamente diverso, da noi prescelto. IL LOTO A diedici
PETALI (Stomaco). Il risveglio di tale centro consente di percepire negli altri
le potenzialità future e le capacità latenti di Esseri o Entità. Per il suo
sviluppo non sono state predisposte qualità particolari da sviluppare, ma
piuttosto si tratta di generare un equilibrio armonico, traendolo dall’intera
condotta di Vita. Occorre considerare la
totalità del proprio mondo interiore: l’origine delle cosiddette idee
spontanee, dei gusti personali, dei sentimenti di simpatia e antipatia. Per la
coscienza ordinaria, l’Origine di tali suddette inclinazioni è ignota: esse
risiedono nel corpo eterico, il quale registra molte impressioni che sfuggono
alla nostra coscienza. Per divenire consapevoli delle cause che hanno originato
tali inclinazioni occorre, riandando indietro nel tempo, risvegliare
interiormente il ricordo di ciò che può averle determinate e sottilmente
impresse in noi come tendenza del gusto, dell’istintività, dell’avversione o
simpatia. In tal modo si produce anche un grande risveglio della memoria: ci si
immette nella corrente della memoria eterica. IL LOTO A sei PETALI (all’interno
dell’addome). Tramite esso, si può entrare in intimo contatto con esseri
spirituali. Si sviluppa tramite l’armonica cooperazione di corpo, anima e
spirito. Deve sorgere la spontaneità del pensare, del sentire e dell’agire
immersi nello spirito: incedere senza combattere. Non è bene limitarsi e
insistere nel lottare duramente contro una propria inclinazione o tendenza
molto pronunciata; se tale difetto è così preponderante, a volte lo si può solo
dominare o controllare, ma non annullarlo. Si consiglia piuttosto di nobilitare
e sublimare le proprie passioni e istinti, anziché procedere con fustigazioni
tendenti al voler tenerli a bada con lotte e rinunce. Occorre divenir capaci di
sperimentare la gioia di servire nello spirito e per lo spirito. ALCUNE
PARTICOLARITA’ SUL CORPO ETERICO E SUI CHAKRAS. L’intero corpo eterico è sempre
in perenne movimento: è percorso da correnti che si muovono continuamente,
seguendo la circolazione sanguigna. Il centro, o perno del corpo eterico è da
localizzarsi nel Loto del Cuore: tramite esso tutti i processi si trasmettono
agli altri centri, recando con sé ripercussioni della sua eventuale
imperfezione. Esso è un organo di natura Solare. Nella zona centrale della
testa vi è un punto specialissimo in cui corpo eterico e corpo fisico sono
congiunti; qui inizialmente si formano le correnti del corpo eterico. Prima di
rendere operativo il fiore a 12 petali, nel cuore, occorre predisporre un
centro provvisorio nella testa, per rendere possibile uno sviluppo interiore
condotto in piena coscienza. Successivamente, dopo aver raggiunto un giusto
stadio di controllo cosciente delle attività di pensiero, tale centro dovrà
venir trasferito nella sua vera sede, presso il Cuore. Gli esercizi di
concentrazione e meditazione hanno lo scopo di attivare tale centro nella
testa, per poi far discendere nella Laringe e poi nel Cuore l’attivazione.
RIEPILOGO DELLE ESSENZIALI FACOLTA’ DA SVILUPPARE. Facoltà di discernere il
vero dal falso. Capacità di valutare il giusto dallo sbagliato. I sei esercizi
fondamentali. L’amore per la libertà interiore. CONSIDERAZIONI SULLA VIA
INIZIATICA. Durante il cammino Iniziatico può capitare di avvertire una specie
di senso di maturazione interiore, di compimento; sentire di essere pronti per
qualche cosa. E’ relativamente facile
contemplare l’intero cammino iniziatico attraverso un libro, difficile però
realizzarlo con la stessa continuità, puntualità, perseveranza e coerenza nella
vita: nella vita non è come nel libro, dove un passo viene descritto uno dopo
l’altro; a seconda delle occasioni e delle situazioni individuali ogni passo
può svilupparsi prima o dopo, in modo assolutamente non conseguente.
L’ESPERIENZA DELL’ NOI’ E LA CONTINUITA’ DELLA COSCIENZA. Il corpo eterico è di
per sé, un principio spirituale: è connaturato con il tempo, è fatto di
sostanza temporale. L’uomo non ha assolutamente alcun potere di interferire o
di influenzare le forme pensiero, di sentimento, di desideri o passioni da lui
generate. Una volta emanate, queste forme non possono più venire controllate.
Durante lo sviluppo occulto, in un primo momento, il sé superiore si pone di
fronte al proprio mondo inferiore, il suo Ego. Si ha la percezione che tutto che era la
nostra natura interiore, prende forme che tendono a venirci addosso, incontro
dal di fuori. Si verifica un rovesciamento delle immagini, tipico del mondo
astrale. Il praticare esercizi in modo
non corretto, disordinato o incosciente, senza essere sorretti da una solida
base, potrebbe causare la percezione di queste forme pensiero in forme
ossessionanti ed aggressive, quali animali o esseri orridi, traendone terrore e
anche possessione. Ciò è la percezione della propria anima: tale evento è però
indispensabile e necessario per la realizzazione del Sé superiore. E’ qui che
comincia l’esperienza dell’Io. La vera realizzazione del Sé superiore comincia
quando, si possa vedere la sua immagine. IL LOTO A due PETALI (Centro frontale).
L’ esperienza immaginativa del Sé superiore viene attuata tramite il loto a 2
petali (fronte), il quale illumine gli enti e gli esseri spirituali. Lo sviluppo del Loto a due petali si consegue
tramite lo studio e la meditazione degli insegnamenti della scienza dello
spirito, in particolar modo ciò che concerne la gerarchia. Tale facoltà
rappresentativa, deve essere coltivata tramite l’immagine interiore dei quadri
immaginativi forniti dall’Antroposofia, inerenti all’azione interattiva,
passata, presente e futura della gerarchia nel cosmo, in tutto ciò che è
rintracciabile come loro impronta. L’intero quadro cosmico dovrebbe venir
sentito il più possibile come un panorama simultaneo. A poco a poco la realtà
spirituale si sostituirà all’immagine, venendo da questa evocata, facendo
apparire veri fatti e veri esseri spirituali. Tutti gli esercizi preparano
nella coscienza la sede atta ad accogliere la realtà spirituale da raggiungere:
costruiscono quasi la sua immagine, affinché questa possa poi diventare reale
esperienza. Si arriva poi alla conoscenza delle proprie ripetute vite terrene:
il karma. A questo punto l’anima si è congiunta con il Sè superiore, con la
sorgente del proprio essere. Da questo momento il discepolo non torna più
indietro perché, compenetrato dal Sé superiore, non sente più l’attrazione di
quanto gli è inferiore. LE COMUNICAZIONI AL RISVEGLIO. Durante la vita di
veglia, l’uomo si trova davanti ad un mondo incompleto, mentre durante il sonno
ha la possibilità di vivere nel mondo delle cause, in una completezza. La
coscienza di sonno senza sogni è una forma di conoscenza superiore; una facoltà
percettiva corrispondente a quella uditiva. I primi messaggi di quel mondo si
percepiscono come pronunciati da sé stessi a sé stessi. Si ha come la
sensazione di parlare a sé stessi, di rispondersi, quando in realtà parlano in
noi esseri spirituali. Tali sensazioni avvengono al mattino, nel risveglio:
sono cenni del progresso spirituale. Prima si sperimenta solo l’impressione di
aver ricevuto qualcosa, qualcosa che non si riesce a definire. Poi, i rapporti con gli esseri spirituali
assumono la caratteristica di domanda e risposta; si sente al risveglio una
voce interna donante luce e chiarezza alla propria vita interiore e alla vita
esteriore. Non è bene sforzarsi di ricordare le esperienze notturne di sogno,
ma lasciarle sorgere spontaneamente. A poco a poco queste sensazioni al risveglio,
questi messaggi diventeranno sempre più chiari, così da portare nella vita di
veglia tutte le esperienze della vita spirituale vissuta durante la notte: si
instaurerà la continuità fra lo stato di veglia e lo stato di sonno senza
sogni. Una volta stabilita, tale continuità di coscienza verrà portata dal
discepolo anche attraverso le porte della morte, e con essa la stessa pienezza
del ricordo nella vita fra morte e nuova nascita. Condizione indispensabile per
tale realizzazione è la pratica della concentrazione, meditazione e
contemplazione. Il discepolo potrà porre delle domande in meditazione, durante
lo stato di veglia: riceverà le risposte durante il sonno senza sogni: ciò è
l’inizio di un colloquio fra esseri spirituali. Il vero scopo dell’Iniziazione
consiste nell’instaurare la continuità della coscienza. Ciò è una mèta assai
lontana, ma dirigendosi verso di essa si possono cogliere degli sprazzi di luce
che indicano le tappe del cammino e ne danno la certezza. LA SEPARAZIONE DEL
PENSARE, SENTIRE E VOLERE. Tale realizzazione pone il discepolo ad esperienze
inevitabili, che sono dure e difficili; la liberazione delle tre facoltà umane
è assolutamente necessaria per lo sviluppo degli organi spirituali. Sono tre i
pericoli in cui si può incombere. Pericolo del Pensare: divenire astratti
teorici pensanti, distaccati dalla vita, freddi e indifferenti nei confronti
dell’esistenza, che trovano soddisfazione solo nel proprio pensare in
solitudine; Pericolo del Sentire: una natura sensuale può sentirsi trasportata
in un sentimento di devozione eccezionale, fanatica, in un estremo godimento
del contenuto della propria coscienza mistica; Pericolo del Volere: divenire
super-attivi, trovando appagamento solo nel modificare il mondo esteriore,
lasciandosi dominare e trasportare da altri. LA LIBERTA’E L’INDIVIDUALISMO
ETICO. Solitamente le tre forze dell’anima si esplicano in modo immediato,
istintivo con un loro habitus personale; il discepolo deve distaccarsi da tale
automatismo innato, predisposto in lui.
Il fatto di poter dominare le reazioni e i sentimenti conferisce a tutto
l’essere un senso di forza e di stabilità, poiché le emozioni non hanno
autorità sul suo equilibrio. L’equilibrio interiore si deve fondare su di una
nuova personalità morale, il quale deve conferire al discepolo la coscienza di
ciò che deve agli altri, di ciò che deve al mondo spirituale e a ciò a cui deve
la ragione della propria esistenza. La Libertà prevede che si sia superato
l’egoismo, che si sia raggiunto un tale grado di moralità e di equilibrio da
poter cominciare a vivere non più per sé stessi, ma per l’umanità.Il discepolo
diviene consapevole di dipendere dai mondi superiori, con la libera decisione
di servire la Causa degli esseri spirituali. Solo in tal modo si può parlare di
una Libertà pura e vera, che non porti danno a lui stesso e agli altri. IL
GUARDIANO DELLA SOGLIA. Solo dopo aver liberato pensare, sentire e volere è
possibile accedere all’esperienza del guardiano della soglia. LA SOGLIA. Il liberare
le facoltà dell’anima significa assumersi direttamente la responsabilità delle
proprie azioni. Avendo liberato il corpo eterico e il corpo astrale dagli
automatismi del pensare, sentire e volere, si avvicina l’esperienza del
guardiano della soglia: si rende obiettivamente visibile il grado a cui si è
pervenuti attraverso gli esercizi. Il guardiano diviene un essere indipendente,
al di fuori di noi. Mentre precedentemente si era intessuti con lui, ovvero con
ciò che rappresenta cosmicamente il nostro essere, ora si presenta esteriormente
la nostra interiorità. I propri moti interiori si traducono nella figura
esteriore di questo essere. Il guardiano si presenta all’improvviso, appena i
chakras cominciano ad attivarsi: è la prima esperienza soprasensibile. Tale
esperienza, può suscitare terrore. Molti, al cospetto del guardiano, che palesa
il grado di imperfezione e purezza da noi raggiunto sinora, riconoscono la
propria inadeguatezza, la propria immaturità nel sopportarne la visione, quindi
retrocedono. Si ravvisano le proprie limitazioni: i difetti assumono un
carattere obiettivo. Solitamente questo essere si presenta per la prima volta
al risveglio, la mattina, in un momento inaspettato, tanto da suscitare
terrore. SIMILITUDINE FRA SPECCHIO E GUARDIANO. Supponiamo che un uomo con il
viso deforme, pur sapendo di averlo non abbia mai potuto specchiarsi; quale
sarà la sua reazione di fronte allo specchio, quando per la prima volta vedrà
la sua deformità? Prendere coscienza della propria figura interiore è
l’incontro con il guardiano: egli è noi, che ci appariamo all’esterno. IL
GUARDIANO E IL KARMA INDIVIDUALE. Nel guardiano appare il nostro karma; la sua
figura riassume il nostro passato vivente con tutte le cause di dolore e gioia.
Qualora si trovi la forza d’intrepidezza di guardare in volto il guardiano, da
quel momento ci si assume coscientemente la responsabilità di pagare i propri
debiti karmici, quasi andando incontro a questi. Ci si accorge che ogni
tentativo di evadere o di rimandare il pagamento del proprio karma, provoca un disastro
nell’ordinamento spirituale. Ogni mancanza si riflette assumendo forma
demoniaca. Occorre assolutamente a cagion di ciò, quali discepoli, superare il
sentimento della paura. Il coraggio di
affrontare il guardiano è contemporaneamente il coraggio di prendere il proprio
destino nelle proprie mani: dare coscientemente a sé stessi anche ciò che può
causare dolore, rinuncia, peso. Smettere di evitare la direzione di vita che
offre minore resistenza, per muoversi coscientemente incontro a quanto vi è di
più difficile e arduo. Rimandare significa sempre, ritrovare. Il guardiano
muterà di forma in modo direttamente proporzionale al nostro adempimento
karmico, sino ad assumere figure luminosissime nella misura in cui ci saremo
purificati. Fino al momento dell’incontro con il guardiano si ignorano quali e
quanti pesi portiamo nel nostro fardello karmico; dopo non si è più gli stessi
di prima, dopo aver visto la vera realtà spirituale di sé stessi. Non è più
possibile ingannare sé stessi. Finché non si vede e si conosce il proprio
karma, non si può dire di essere liberi; solo dopo aver allontanato la guida
delle Potenze del karma per prendere noi stessi la responsabile guida di tale
compito, solo allora si comprendono le parole. Il Cristo ci ha reso liberi. Ora
le forze del Cristo si sostituiscono a quelle del karma. LO SCOPO DELL’UOMO NEI
CONFRONTI DELLE GERARCHIE. Bisogna prender coscienza della missione dello spirito
di popolo nel quale si è intessuti, il quale conferisce stimoli e impulsi
animici che condizionano la nostra vita. Rinnegare il proprio ambiente
spirituale, nel quale si è scelto di vivere, è rinnegare la missione di un arcangelo.
Il riconoscimento delle intenzioni del proprio Spirito di popolo, e del motivo
che ci ha spinti ad incarnaci in tale atmosfera animica, deve portarci a
scorgere nel giusto modo cosa vuole dirci la sua forza spirituale, per cogliere
appieno la direzione verso la quale dobbiamo spingerci. L’amato deve associarsi
a quelle potenze spirituali che guidano sulla terra, nelle nazioni, gli uomini
inconsapevoli, verso la stessa mèta che egli cerca oggi lui stesso di
conseguire. Il mondo soprasensibile potrà continuare la sua strada soltanto se
vi saranno sulla terra esseri capaci di comprendere la direzione. La gerarchia attende
qualcosa dall’uomo. E’ la gerarchia umana che deve portare il senso spirituale
nella materia. Dopo la morte fisica tutto ciò che l’uomo ha sperimentato
durante la sua vita, in seguito alla dissoluzione del corpo eterico e
dell’astrale, viene consegnato al mondo spirituale: ciò diviene coscienza del
mondo spirituale. (leggenda dell’uomo che dà i nomi alle cose e il nome di
Adonai a Dio) L’uomo deve portare la coscienza al mondo spirituale, la forza
risorgente. Il superamento del mondo sensibile dovrà avvenire, ma i frutti
dell’esperienza e i risultati tramite essa conseguiti durante l’evoluzione
dell’umano, saranno incorporati dalle Gerarchie nei mondi spirituali. L’uomo
nascendo e morendo sulla Terra, genera i germi della vita dell’avvenire:
offrendo un nutrimento spirituale al cosmo intero, in modo direttamente
proporzionale alle sue azioni pure e feconde. IL GRANDE GUARDIANO DELLA SOGLIA.
Tale incontro avviene solo quando il discepolo, dopo aver già sperimentato le
regioni spirituali inferiori e stabilito una continuità della coscienza fra
veglia e sonno, ha attuato in sé la generazione di nuovi organi del pensare,
sentire e volere. L’oltrepassare la soglia del secondo guardiano significa
stabilire la continuità della coscienza fra la vita, la morte e la rinascita. La
vera libertà è conoscere il proprio karma senza alcun veloe adempiervi in
coscienza. All’incontro con il secondo guardiano si palesa una grande
tentazione: quella di abbandonarsi alla beatitudine e al godimento procurato
dalla possibilità di accedere ai mondi spirituali.Tale tentazione, anche se non
detto esplicitamente, sembra essere indotta dagli Asura. L’unica cosa che può salvare l’uomo da tale
seduzione è sentire il dolore del mondo, il silenzio degli esseri umani nel
mondo spirituale. Questo tremendo dolore impedisce di accogliere il sentimento
egoistico della beatitudine; perché la gioia che egli ora ha, non è condivisa
da altri. Se si supera tale ostacolo la liberazione è completa: l’Iniziato
partecipa ora attivamente all’opera delle Gerarchie, nella liberazione di tutti
gli esseri sulla Terra. La decisione di collaborare con i mondi spirituali
porta finalmente l’uomo ad un piano in cui si può dire che la sua volontà ha
compiuto tutto ciò che le era stato prescritto dal Principio. Leo. Breno. Kur. Giardino
di Maturità, chiamano certi antichi saggi il luogo, in cui pone
piede l'uomo allorchè gli divengon palesi gli arcani del mondo. Secondo
quei saggi in quel giardino non ci sarebbe fiore, che non recasse il suo
frutto, non uovo, che non portasse .a maturità la vita in esso
germinante. Ma come oscure e- pericolose vengono al tempo stesso
descritte le vie che menano alla = Porta Stretta , la quale appunto
chiude quel giardino. Si assicura, però, che quell'oscurità diviene più chiara del
sole e che quei pericoli non hanno potere contro le forze di cui
ferve l'anima di colui, al quale queste vie sono mostrate con provvida
mano da un mistico da un niziato. Tutto ciò come puerile concezione di un'
epoca, in cui nulla si sapeva delle scienze dei giorni nostri, viene
ripudiato dall’ i/luminato, che crede di saper distinguere fra i
vaneggiamenti di una fantasia brancolante e le ponderate vedute
d'un intelletto scier- i So ca |
oggi tificamente disciplinato E chi, ciò nonostante, parla oggi di
coteste concezioni, può Al star certo di vedere sul volto di molti
dei È, suoi contemporanei un sorriso, se. non di di : ll sprezzo,
per lo meno di compassione. Ta Eppure, anche oggi, ciò malgrado, ci
sono I alcuni che, come quegli antichi saggi, parMAS lano del rondo dell'anima, e della paN Cuina 7a dello spirito . Costoro vengono
riputati | fe AMA ì È 3 | persone che parlano di un mondo immagifa
nario, figurato loro soltanto dalla propria Sbrigliata fantasia. Si
deplora perfino che essi, LA in mezzo a un mondo che ha raggiunto i
tanto grandiosi risultati, grazie alla pura e i, now austera logica,
vadano brancolando come ebbranco ‘@& bri, cui ad ogni momento viene meno
la li sicurezza, perchè non si attengono a ciò È che esiste positivamente,,.Ora, che cosa dicono questi
edbri stessi i a codesti contradittori ? Quando si sentono f
arrivati all'alto punto, in cui è loro conferito il diritto di parlare di
sè, allora dalle loro È labbra si odono uscire le parole seguenti. È Noi comprendiamo benissimo voi, ‘che
dovete essere i nostri oppositori. Sappiamo che molti di voi sono persone
da bene, che senza riserva si pongono al servizio del Vero e del
Buono; ma sappiamo altresì che Bee a), jr er => voi non ci potete
capire, fin tanto che pensate come appunto pensate. Sulle cose, delle
quali noi abbiamo da ragionare, potremo diiscorrere con voî, soltanto quando vi
sarete presi voi stessi la pena di apprendere il linguaggio nostro. Dopo
questa nostra dichiarazione molti di voi, certo, non vorranno più oltre
occuparsi di noi, perchè crederanno di aver riconosciuto che al
farneticamento della nostra fantasia si accoppia in noi anche un
immedicabile orgoglio. Noi però comprendiamo voi anche in siffatta
affermazione e sappiamo al tempo stesso che dobbiamo essere non già
superbi, ma modesti. Per incitarvi a tentare di entrare nel nostro ordine
di idee non ci resta che una cosa da dire: Credeteci, noi non
riconosciamo un vero diritto di parlare delle nostre conoscenze se non a colui,
il quale sia capace di sentire con voi ciò che vi costringe alle vostre
asserzioni, e che conosca a fondo la forza, la potenza convincente e la
portata della vostra scienza. Colui che non reca in sè la sicura consapevolezza
di poter pensare ponderatamente, scientifica mente, come l’
astronomo o il botanico 0 lo zoologo più obbiettivo, costui in fatto
di vita spirituale, di conoscenze mistiche do9 e =
e Re vrebbe contentarsi di apprendere, e non già volere
insegnare. Ma non ci si frain‘tenda: noi parliamo soltanto di
insegnanti, non di studiosi, Studioso di misticismo può: divenire
chiunque, giacchè nell’ anima di ogni persona si trovano le
facoltà, i poteri presaghi, che si schiudono al ‘Vero. Il Mistico
dovrebbe parlare in modo comprensibile, anche pei più indotti; e a coloro,
ai quali, secondo il grado del loro intendimento, egli non potrebbe
dire un centesimo della verità, ne dirà ‘solo un millesimo. Costoro
oggi riconoscono questa millesima parte ; domani riconosceranno la
centesima. Tutti possono essere
sfudiosi,, ma insegnante,,
non dovrebbe voler diventare nessuno, che sia incapace di assoggettarsi
alla disciplina del più austero intelletto e della scienza' più
severa. Sono veri insegnanti di misticismo soltanto coloro che sono stati
precedentemente rigidi cultori della scienza, e che sanno perciò che cosa
viga nella scienza. Anche il vero mistico ritiene visionario,
inebriato, chiunque non sia capace di deporre in qualunque momento il
solenne paludamento del mistico per indossare la modesta tunica del
fisico, del chimico, del botanico e dello zoologo , sitori ;'
con la massima modestia li assicura ‘che intende il loro linguaggio e che
non si arrogherebbe il diritto di essere un mistico, se si sapesse
ignaro del loro linguaggio. Allora, però, egli può anche aggiungere di saf
|pere, e di saperlo come si sanno i fatti della Ù vita esteriore, che,
qualora i suoi Opposi® \tori imparassero il suo linguaggio, cesserebbero di
essere suoi oppositori. Egli sa que sto come chiunque, il quale abbia
studiato chimica, sa che, date certe condizioni, dall'ossigeno e dall'
idrogeno si forma l' acqua. Che Platone non volesse ammettere ai
gradi superiori della sapienza nessuno che > mon
conoscesse la geometria, non significa già che egli facesse suoi alunni
soltanto i li Y T Così parla il vero mistico ai suoi oppoA
9 U L dotti in geometria, ma significa che quei
suoi alunni dovevano essersi educati alla severa, rigida, ed esatta
investigazione, prima che venissero loro schiusi gli arcani della
vita spirituale. Una tale esigenza ci appari sce nella sua giusta luce se
‘riflettiamo che nelle regioni trascendentali viene meno l'elemento di fatto,
a cui si saggia e corregge ad ogni piè sospinto l' investigazione ordinaria
del mondo. Se il botanico si forma concetti erronei, subito i suoi sensi
lo illu n conci Da (UR IZA minano circa il
suo errore. Tra lui e il mistico corre il rapporto stesso che intercede
fra chi cammina su strada piana e chi ascende una montagna: il primo può
cadere a terra, ma solo in casi eccezionali potrà causarsi la morte
; all’ altro, invece, questo pericolo sta sempre dinanzi, E certamente
nessuno che non abbia imparato a camminare può ascendere una
montagna. Poichè ; fatti spirituali non correggono i concetti allo stesso
modo che li correggono i fatti del mondo esteriore, un pensare
rigorosissimo e degno della massima attendibilità è un ovvio presupposto
per l'investigatore mistico. Quando ci si dà tutti a pensieri
siffatti, si riconosce che cosa intendevano dire quegli antichi saggi,
allorchè parlavano dei pericoli che minacciano chi voglia penetrare negli
arcani del mondo. Se alcuno si appressa a questi arcani con mente
indisciplinata, essi determinano nella sua anima deplorevoli disordini.
Divengono pericolosi come una bomba di dinamite nelle mani di un
fanciullo. Perciò da ogni investigatore mistico si esige rigorosamente che la
normalità del suo pensare, di tutta, anzi, la sua vita psichica, abbia saggiato
le proprie forze SE E attorno a problemi gravi e spinosi,
prima che egli si appressi ai compiti più elevati. Valga ciò come
accenno a quel che il mistico intenda dire, quando parla dei primi gradi
della Iniziazione nelle verità superiori. Moltissimi, i quali reputano di
starsi SUI Mrfica| più alti gradi della cultura moderna, stimano che sano
pensare e misticismo siano due termini incolta sano che una
illuminata educazione scientifica debba estirpare dall'individuo qualunque
| tendenza mistica. E costoro trovano in par- b cora di tali
tendenze chi conosca gli impor tantissimi risultati della moderna scienza
na| turale. Se avesse ragione chi la pensa così, | si dovrebbe allora,
certo, concedere che la Mistica non abbia nel nostro tempo se non |
piccola probabilità di trovare accesso alle anime dei nostri
contemporanei; giacchè nessuno, il quale abbia intendimento dei bisogni
spirituali di questa nostra età, può dubitare che siano pienamente giustificati
i trionfi della scienza naturale già conseguiti. e ancora da
conseguire in avvenire. Biso- vi MER Na bilmefite antitetici.
Essi pen- K pate ticolar modo incomprensibile che abbia an)
"fi LI Peli so Naturalistici
itreprimibili do u + Con una certa tr ‘ zione cotesti
insoddisfatti <j O Opère dei mistici, e ]} trovand ciò, I cui
le oro anime han Sete: ]ì gj affaccia loro ino Copiosa vena IÒ, di
cui il loro Cuore ha bj. Sogno: una effettiva aura di vita Spirituale!
Si In contatto con e Sa costoro sentono | Propria Crescere; ivi tr
aNo ciò che ] uomo | eve incessanternente ce vino! D’
rcare: l’ali Ta parte, Però, essi sj Petere ;l ito
diate a monito: Bj ‘formarvi,
mediante Ja cie rale, un pen | non vj chiappanuvole vai
monito, l’anima loro sj inaridisce, econdita, . tò, in fondo all’
an ogni individuo Verità, e i che grande maestra dell’uomo è
la ] mande AIR Chi potrebbe non
dare, per intimo consenso, ragione al Goethe, allorchè dice che
dagli errori e dalle disarmonie degli uomini egli si ritira sempre
con rinnovato contento, rivolgendosi alle eterne necessità della natura? E chi
potrebbe leggere senza incondizionato consenso quelle parole, con le quali il
grande poeta descrive i sentimenti che lo assalirono in una
solitaria meditazione sulle ferree leggi, secondo le quali la natura
forma le montagne? Seduto su di un’ alta e nuda vetta,
e spaziando con l'occhio su di una vasta sottostante regione, io posso
dirmi: qui tu poggi immediatamente
su di un suolo, che ‘arriva fin giù ai più profondi strati
della terra. In_questo istante, in cui le eterne forze di
attrazione e di movimento della terra quasi direttamente agiscono
su di me, in cui più presso a me aliano e mi avvolgono gli
influssi del cielo, vengo come sospinto a drizzare l'animo mio a studi
più alti sulla natura.... Così, dico fra me e me, mentre da questa
cima nuda volgo lo sguardo in giù, così sentesi solitario chi voglia
schiudere l'anima propria unicamente ai più primordiali, più antichi e più
profondi sentimenti del vero. Sì, egli può dire a se stesso: SONG).
pe Qui, sull'antichissimo ed eterno altare, immediatamente eretto
sul punto più basso della creazione, offro sacrifizio all'Essere di
tutti gli esseri. E' pur naturale che questa disposizione d'animo, per
cui si resta reverenti dinanzi alla grande istruttrice Natura, si
trasferisca sulla scienza ‘che ne discorre. Non deve esistere
antinomia fra i sentimenti che pervadono l'anima, quando essa si
approssima alle austere e
profondissime verità primordiali, circa la vita spirituale, e
quelli che v'irrompono, quando l'occhio si posa sull'attività
costruttrice della natura. Manca forse intelletto al mistico per
cotesta armonia della natura coi sentimenti più sacri all'anima umana?
Tutt'altro; giacchè al di sopra dell’altare, sul quale il vero mistico
offre i suoi sacrifizi, in ogni epoca, in cui può spingersi l'indagine
umana, stette scritto a lettere di fuoco fiammante, come legge.
suprema: Natura è la grande guida al divino, e la conscia ricerca umana
delle fonti del Vero deve seguire le orme della sua recondita,
volontà. Se i Mistici seguono questa loro norma suprema, nessuna antitesi
dovrebbe sussistere fra le vie loro e quelle su cui camminano gli investigatori
della Natura. E tanto meno tale antitesi dovrebbe determinarsi
in un'epoca, che tanto deve alla scienza naturale. Per
intendere bene quest’ ordine di de occorre domandarci: In che, dune ue consistere l’ accordo
fra la Scienza*fi Lie e il Misticismo ? E in che potrebbe, invece,
aversi un'antitesi? Ebbene, l'accordo non può venir cercato | se non nel
fatto che le rappresentazioni che ci facciamo intorno alla entità
dell’ uomo ‘non siano estranee a quelle che abbiamo in| torno agli altri
esseri della natura; nel ravvisare, quindi, nel ’opera della natura e nella
vita dell'uomo uno stesso e unico tipo di
ordine retto da leggi,. L Un'antitesi, invece, si avrebbe, se si
volesse vedere nell’uomo un essere di specie "completamente diversa
dalle creature naturali. Coloro che vogliono un' antitesi in tal senso si
sbigottirono fortemente quando, più di 40 anni fa, il grande scienziato
Huxley, informandosi allo spirito stesso della scienza naturale moderna,
sulla base della somipigliante struttura anatomica, concluse la stretta
parentela fra l’uomo e gli animali supeori con queste parole: Possiamo prendere in esame un sistema di
organi qualsiasi; l'esame comparativo di essi nella serie delle scimie ci
conduce sempre a questo me- È desimo risultato: che le diversità
anatomiche, per le quali l’uomo è distinto dal gorilla e dallo scimpanzè, non
sono tanto grandi quanto quelle che separano il gorilla dalle altre
scimie inferiori. Una. tale asserzione può, però, sbigottire solamente
quando la si riferisca in modo errato all’ essezza dell'uomo. Certo ne
può. facilmente rampollare il pensiero:
Ma come è vicino, dunque, l’uomo alle bestie |, Questa stretta
affinità non suscita però nel mistico nessuna preoccupazione, giacchè per
lui ne balza subito anche l' altro pensiero: | A quali fini superiori,
però, possono ser\vire gli organi che ritrovansi nelle bestie, allorchè
sono trasformati in organi umani! Il mistico sa che l'occulta volontà della natura
muta la percezione animale in percezione umana cofì lo sviluppare in altra
forma gli-organi animali. Egli segue le sicure orme della natura e
ne continua l'operato. Per lui i l'opera della natura non è punto
terminata con ciò che essa gli ha donato. Egli diviene un fido
discepolo della natura per il fatto appunto di portarne l’opera a
maggiore al 1 toi tezza. La natura lo ha portato fino
al pensare e al sentire umano; egli, però, non prende questo pensare e
questo sentire come qualcosa di fissato, d'immobile; ma li rende
capaci di attività superiori. Avviene per opera della sua volontà ciò,
che nell'ambiente naturale esteriore avviene indipendentemente da essa.
Gli occhi, come sono ora in lui, attestano che gli organi visivi sono
capaci di ben altro ufficio di quello che compiono ® © nelle
scimie. Così l’ occhio può venir trastormato. Le facoltà psichiche del
mistico evoluto sono, rispetto a quelle dell’ uomo non evoluto,
nello stesso rapporto in cui sono gli occhi umani rispetto a quelli
delle scimie. Si capisce che chi non è mistico.in- pelende tende
l’anima del_ mistico nella stessa scarsa 64 liel misura, in cui l’animale
può intendere il, mote pensare dell’uomo. E come alla creatura non
pensante si schiuderebbe tutto un nuovo mondo, se potesse svolgere in sè
la facoltà del pensare, così il mistico, dopo lo sviluppo delle sue
facoltà superiori acquista la visione di un altro mondo. In questo altro mondo,, egli è iniziato,. Chi_non di- Re Yiene Mistico
rinnega la natura. Ègli non È a progredire ciò che essa ha prodotto
senza di lui con la propria volontà occulta. Per di mati
Vella lastare Mor pTa ene dPR ULOPY CELL. PI | Peg) AM e? lug las }
"El n fe fest NL Los ; mid : ni gd ed deli è y villa mM ni
collo i fiat 1a CA di (ANI it pece iò egli si pone in contrasto con
la natura, giacchè questa trasmuta continuamente le
proprie forme: dal vecchio essa crea eterna mente il nuovo. Ora,
chi, conformemente %@. alla moderna scienza naturale, crede a
que sta trasmutazione, crede a questa evoluzione n) e, ciò
nonostante, non vuole trasmutare se esso, costui riconosce, sì, la
natura, ma A; nella sua propria vita si pone in
contradi &l-zione con essa. Non si deve soltanto ricenoscere
l'evoluzione, si seno ivato Non si limitino, dunque, le facoltà
della nostra vita ;, col tener conto esclusivamente della
nostra ‘ parentela con gli altri esseri. A chi per edu cazione
mistica diviene un fido alunno della natura, si schiude il senso
per la superiore evoluzione. A proposito di questi cenni
sulla Mistica e sulla /riziazione molti diranno: Ma che
ci giova questo discorrere di facoltà a noi sconosciute!
Dateci queste facoltà, e vi cre deremo !,. Nessuno, però, può dare a
un altro cosa che questi rifiuti. E il più delle volte
ciò che incontrano i nostri mistici è . un brusco rifiuto. Al
presente essi non pos sono fare. molto .di più che raccontare le
loro cognizioni mistiche a quelli che vo gliono prestare ascolto.
Ciò, naturalmente n nt x IE RAIPAT cn potima tl C j Pa ENTI OT le ero Art 1 er?
che, I,, a . = ì \ wr / a) i e. e 7 pederntdt
hern ci tCAns4- 1 È à a tutta prima un volersela cavare col
RE ce raccontare che cosa c'è in America a chi ci dicesse: Ajutatemi ad andarci!,,. Ma pare, non è
realmente una scappatoja, perchè i processi dello spirito sono
diversi da. quelli fisici Molto tempo prima che l'uomo sia in grado
di fissare la verità im piena luce, egli ha la possibilità di
intravederla, e di accoglierla nel suo sentimento. E questo sentimento
stesso è una forza, che lo può condurre più avanti. E' questa una
fase per cui è necessario passare Chi segue con ricettivo abbandono la
narrazione del Mistico, già calca il sentiero che mena alle
verità superiori. Solo l' Iniziatof'comprende completamente l’Iniziato:
ma angie per vero rende anche il non iniZiato ricettivo alle parole
del Mistico. E questa sua ricettività è strumento con. cui egli lavora a
schiudere i propri organi mistici. Ciò che prima-, mente occorre è che si
abbia questo senso | della possibilità di conoscenze superiori: al-
| lorà not si passa più incurantemente accanto alle persone che di queste
conoscenze superiori tengono parola. E' stato già detto che
anche al presente ci sono persone che si adoperano a rinnovare la vita
mistica. Up irene Kona diteou@ crt u pe ud)
fasi cl fa ine piftae 1 Om? eudere } fnmmale tri
rautwews i E Qui vi voglio intrattenere di due esempi
di tal genere, cioè del libro //
Cristianesimo esoterico, (o i Misteri minori),,, di Annie Besant, (1), e
su / grandi Iniziati el
geniale pensatore e poeta francese Edoardo Schuré (2). Ambedue queste
opere gettano luce sulla natura della così detta Iniziazione. Annie
Besant, mostra come il Cristianesimo debba venire compreso quale
risultato di codesta Iniziazione. Edoardo Schuré tratteggia le figure dei
massimi duci spirituali della umanità, fondandosi sulla convinzione
che le grandi confessioni religiose e le grandi filosofie
cosmologiche da quei duci dispen sate all'umanità, celano verità eferne,
che si possono cercare e re soltanto in quelle dottrine filosofiche
e religiose. Ambedue queste opere trovano la propria giustificazione
unicamente nel campo del Misticismo. Esse traggono la loro origine da
quella corrente spirituale dei tempi nostri, che è destinata ad elevare
l'umanità da un incivilimento puramente esteriore all'altezza
Traduzione Italiana di D. e O. Calvari, Roma. Traduzione Italiana edita da G.
Laterza, Bari, suh Tor ella Vea dii Conti | RA fOdeth4,
nu pori? IU) di vedute spirituali. Verrà tempo, in cui il pensiero
scientifico,, non potrà più contrapporsi _ostilmente a questa corrente.
La scienza naturale riconoscerà allora che non si comprendé lo spirito
col.negarlo, e che | non si contr lle leogi naturali col_cerre Treo © x
iii dpi uelle spirituali. Non si designeranno iù i Mistici come
oscurantisti, giacchè si saprà che soltanto pei loro avversari il
campo di cui essi ragionano è oscuro. E non s'irriderà più l'
Iniziazione, come i non si irride l'esigenza, che chi vuole inda- pla
2 gare la vita dei microrganismi deve prima 4, tyoex94
imparare a userei. microscopio. | "I vv trvalta L'indagine
implica la necessità di adem- ' 3 piere a certe condizioni
preliminari. Queste P** ic; condizioni per l'aspirante mistico non
consistono, naturalmente, in pratiche di tecni- | cismo esteriore, bensì
na osservanza di un determinato orientamento della..vita si- È ‘
chica. Grazie a tale A si dischiude Tide il senso per certe verità, le
quali non contemplano ciò che è FARA, ma ciò, di, A cui, secondo le
parole de Goethe ib.tran-\ itori v
Bi n_simbolo . In_s sid | oe alla esistenza umana giacciono capacità,su-
| CRA i GIONO CA \periori, come il frutto giace.in grembo al
fiore. E perciò nessuna creatura dovrebbe TI YOMOMono wu € 0kL Lia
UT E E I ipa ln Leno el muyert Sace caprata farvi vtuel' fa P
even ord LISI (NE presumere di dire che nel suo mondo vi i è qualche cosa di
esauriente, di compiuto . Il Se un uonio ha tanta presunzione, assomii
glia al verme che ritiene_come orizzonte i | della esistenza il mondo dei
suoi sensi. Li Giardino di maturità Chiamasi quel IR luogo, dove
divengono palesi gli arcani del mondo. Per accedere a tal luogo
bisogna tI che l’individuo stesso. tenda la sua volontà AU x al
raggiungimento della propria maturità. Ù" qultan Vé Bisogna che tu
rompa e getti via da te È, È quse: Vle 1 gusci del tuo essere quotidiano,
e svegli | see $ ÎN te la vita intima nascosta, se vuoi enn
trare per la Porta stretta Nel Giardino È di maturità,. TAR Come
molti uomini insigni, anche il p Goethe espresse numerose verità dalla
profonda vena del suo intuito, enunciandole non già in diffusi e
circostanziati discorsi, bensì in brevi e spesso enigmatici
accenni. sr Uno di tali accenni è in questo periodo: dg Nelle opere dell’ uomo, come in quelle
n e della Natura, sono le intenzioni, che meri / tano specialmente la
nostra attenzione. E' questo un aforisma che verrà compreso in
tutta Ia sua profondità quando lo Î si applichi ai più importanti
fenomeni della vita spirituale umana. Giacchè, come possiamo acquistarci
senso e comprensione per le azioni di un singolo individuo soltanto
quando ne veniamo a conoscere le_intenzioni, così ci accade anche per la storia
dell'intiero genere umano. Ma che abisso intercede fra l' osservazione degli
atti che si svolgono palesemente alla luce del giorno, e il
riconoscimento delle intenzioni che giacciono nelle regioni occulte dell'anima!
Si può essere addirittura rudimentali quanto a intuito e a
intendimento rispetto ‘a un altro uomo, ed essere tuttavia capaci di
osser varne le azioni; ma bisognerà avere almeno un po' delle sue
qualità di spirito e della sua levatura psichica, se si vuole penetrarne
le intenzioni. Senza di ciò la sorgente del suo ! agire rimane
un arcano, un enigma, alla cui soluzione ci manca la chiave, Non
accade diversamente con i grandi fatti della storia spirituale
dell'umanità. Questi fatti stessi son lì aperti davanti agli occhi dello
storico; ma le intenzioni giacciono in profondità molto recondite.
In queste profondità deve penefrare colui, che vuol procurarsi la chiave
per la comprensione. Orbene, l'iptenzione di un’azione giacerà tanto più
profondamente recondita, quanto più questa azione avrà importanza e quanto più
ampia sarà la sua portata. L'intenzione di un atto della vita
quotidiana non è difficile a penetratsi. Ma non può essere così,
naturalmente, di azioni, la cui portata abbraccia una serie di
secoli. Chi a ciò pon mente giunge a presentire che cosa siano i
Misteri: giacchè in cotesti Misteri sono riposte le irzfezzioni dei
grandi fatti dell’ umana evoluzione, involgenti il mondo intero
nella loro portata. E coloro che conoscono queste intenzioni e posseno
con ciò conferire alle proprie azioni stesse \ quel peso che le rende
realmente efficaci per lunga serie di secoli, sono gli /niziati.
Solo chi nella storia del mondo scorge unicamente una mèra successione di
casi fortuiti, può negare l'esistenza dei Misteri e degli Iniziati.
In tal caso non c'è che da attendere che un uomo siffatto si ponga
un bel giorno a studiare con occhio amorevole i fatti della storia.
Allora un po’ per volta albeggerà al suo sguardo un significato, un
nesso, ed egli finirà per non più considerare Tortuiti quei fatti storici, come
non considera automa un individuo che veda muoversi ed agire. Giungerà così
nella sua investigazione là, donde gli Iniziati dirigono il progresso
umano, secondo le conoscenze the sono avvolte nell'ombra dei
Misteri. AA vila AATZzat fer, i 40 dad x x £ > it hu
v da ORI ig tivfeco Vellar11W; 7 Di cotesti Misteri parlano i testi
religiosi di tutti i tempi. E ad essi vengono condotti coloro, che
non si fermano alla vita estrinseca dei fondatori delle varie religioni,
nè alle vicende storiche del propagamento delle loro dottrine; ma
che, invece, cercano di elevarsi alle intenzioni di quei fondatori di
| religioni. Non dovrebbe eccitare stupore il fatto che queste
intenzioni rimangano avvolte in arcana oscurità e vengano comunicate soltanto a
degli eletti entro le scuole di sapienza, che sono appunto i
Misteri; giacchè si fa opera saggia solo quando a un individuo si
comunica ciò che egli può capire, o, con altre parole, quando gli
si comunica qualcosa, soltanto quando egli si sia messo in
condizione di capirla. Per compiere azioni che abbiano peso e valore occorre
possedere un’alta sapienza, e per appropriarsi un'alta sapienza bisogna
passare per un periodo lungo e arduo di preparazione. Così avviene nei
Misteri. L’ evoluzione spirituale dell'umanità procede innanzi per
opera delle varie religioni e cosmologie. Chi co-opera a questa
evoluzione mette in movimento le forze spirituali degli uomini. Bisogna
che egli conosca le leggi da cui dipende questo movimento, DE:
pri come deve conoscere le leggi della chimica chi
vuol mescolare le sostanze con effettuale risultato. Néi Misteri vengono
insegnate le . leggi supreme della vita spirituale; viene insegnata la
chimica dell'anima. E bisogna cercare di penetrare nella natura di
queste leggi, se si vogliono sorprendere, o anche solo
presentire, i moventi che stanno alla i A base delle azioni dei grandi
Istruttori della umanità. All'unisono con tutti coloro che
cercano di schiudersi per tale visione gli occhi spi rituali,
Annie Besant parla nel suo libro Cristianesimo esoterico, (0 I
Misteri mino ré) , di un lato
occulto delle religioni, A lea Nell’analisi dei mistici arcani del
Cristiane 1% simo, del così detto suo contenuto esoterico, ne. essa
luminosamente si addentra e trascina. d il lettore nell'intimo
della questione relativa sperato! scopo delle religioni. ‘a questo pro-
| Posito l'autrice così scrive. Esse ven gono date al mondo da
uomini più saggi delle masse etniche, alle quali le
religioni Stesse sono dispensate e hanno appunto lo Vedi pure
Il Cristianesimo come fattore mistico di
Rudolf Steiner. (Deposito presso l'Ed. Bem- 7 porad, Firenze). Lolo
scrullo du fevomeri sia Pe i Dul th h Ha DI ire eSleeml
J > Uibftsore Sé Lap
de scopo di accelerare l'evoluzione dell'umanità. Per
conseguire ciò effettivamente esse deb- di bono giungere fino agli
individui e avere influenza su loro. Orbene, gli uomini non sono î tutti
allo stesso livello di evoluzione, anzi i l'evoluzione potrebbe venire
rappresentata come una scala ascendente di gradi, su ognuno asLelo
api dei quali si trovano uomini. I massimamente evoluti
stanno di un gran tratto più su dei meno evoluti, sia in intelligenza che
in ca- A rattere; ad ogni grado varia la capacità di 4 ..
comprendere egualmente che quella di agire. } E' perciò vano dare a tutti
ii medesimo in- FE segnamento religioso; quel che gioverebbe
all'uomo d'intelletto resterebbe inintelligibil all'uomo ottuso, laddove
ciò che leverebbe e in estasi il santo lascerebbe del tutto indif-
Ì ferente il delinquente...2 LE La religione deve essere graduata
con l’e- = voluzione, altrimenti essa manca al suc scopo SI UGANB:
Es. Chr.): ; Il modo, dunque, in cui il maestro di religione parla a uomini
di grado evolutivo i . diverso, dipende dai bisogni dello spirito e (1 .
del cuore di coloro, ai quali egli vuol giun- N | gere. Per riuscirvi
bisogna che egli stesso | porti nell'anima propria il nocciolo della sa-
"i | pienza, per mezzo della quale egli ha da
START. agire; e il modo come egli porta in sè questo nocciolo deve essere
tale da renderlo capace di parlare ad ognuno secondo la sua
comprensione. Perciò chi studia i discorsi degli Istruttori religiosi dal
loro lato esteriore, conosce soltanto un lato e precisamente quello più
estrinseco della loro sapienza. Acutamente accenna a questi fatti Edoardo
Schuré nel suo libro sui Grandi
Iniziati,. Ivi egli descrive i grandi Maestri di sapienza: Rama, Krishna,
Ermete, Mosè, Orfeo, Pitagora, Platone, Gesù, da quello
investigatore intuitivo, da quel nobile artista dei pensiero, da
quell'anima satura di profondo sentimento religioso ch’ egli è. Così
nell'introduzione al libro egli espone il suo. modo di vedere
: Tutte le grandi religioni hanno una storia esteriore ed una interiore;
l'una visibile, l'altra nascosta. Per istoria esteriore sono da
intendersi i dogmi et i miti pubblicamente © insegnati nei fémpli e nelle
scuole, riconosciuti nei culti e nelle superstizioni popolari. Per
istoria interiore è da intendersi la scienza profonda, la dottrina
segreta, l’occulto agire dei grandi Iniziati, profeti o riformatori
che hanno istituite, sorrette e propagate le religioni predette. La prima
la storia ufficiale, quella che si legge dovunque, si svolge alla vista
di tutti, ma non per questo è meno oscura, complicata, contradittoria. La
se‘conda, che io chiamo la tradizione esote- |, rica, o dottrina dei
misteri, è difficilissima € Î a districare dai veli che l’avvolgono. Essa
infatti si svolge nei penetrali dei templi, nelle segrete confraternite,
e i suoi drammi più appassionanti hanno intieramente per iscena
l’anima dei grandi profeti, che non hanno mai nè fissato in pergamena, nè
confidato ‘a nessun discepolo le proprie crisi più acute, o le
proprie estasi più paradisiache. Questa seconda storia vuole essere
indovinata, ma non appena si è scorta, apparisce luminosa,
organica, sempre in armonia con se stessa. Potrebbe essere anche chiamata
la storia della religione eterna e universale. In essa le cose
mostrano il loro rovescio e la coscienza umana il suo diritto, mentre la storia
non ne offre che il faticoso rovescio. In SD questa seconda storia
cogliamo il punto ge-N netico della religione e della filosofia, che si
ricongiungono all’ altro capo dell' ellisse 9/8, per mezzo della Scienza
integrale. Cotesto \T} unto è costituito dalle verità trascendenti.
N vi troviamo la causa, l'origine e il fine del tene prodigioso
lavoro dei secoli, l'azione della RES 1; RARO provvidenza
mediante i suoi agenti terrestri.,, Questi messaggeri terreni, lavorano
nell'officina Spiritualistica, nel laboratorio spiritualistico della umanità.
Ciò che li abilita a questo lavoro sono le leggi imperiture della
chimica spirituale ed i processi chimici spirituali che esse operano: vale a
dire i grandi prodotti intellettuali e morali della storia del
mondo. Ma ciò che fluisce dalle loro labbra è soltanto simbolo, immagine
della sapienza superiore dimorante nella profondità delle loro
anime, immagini e simboli proporzionati all'intendimento di coloro, che ad
essi porgono orecchio. Soltanto a coloro che adempiono alle
condizioni, che garantiscono la comprensione e il reffo uso
della sapienza superiore, questa può venire dischiusa. E allora.
nella Iniziazione mistica sentono l'immediato contatto coi primordiali
motivi spirituali, con le potenze genitrici della esistenza. Ascoltisi
ciò che dice un uomo tutto compenetrato di siffatti sentimenti: Clemente
Alessandrino, lo scrittore cristiano del 2° e 3° secolo della nostra èra,
il quale prima del suo battesimo fu un
Misto,, ossia A EE un alunno dei Misteri, esalta
questi con le seguenti parole : O veramente santi Misteri! O
purissima luce! Una face viene portata dinnanzi a me allorquando rimiro
il Cielo e Dio; io sono santificato, allorchè ricevo la consacrazione.
Gli arcani però me li rivela lo spirito primordiale e suggella in me
l’Iniziato con l'illuminazione; iniziato nella Fede mi presenta al
Tutt'Uno, affinchè io vega ser= bato in grembo all’eternità. Tali sono le
cerimonie iniziatiche dei miei Misteri! Se tu vuoi, fatti iniziare tu
pure, e con le forze spirituali dell'esistenza tu chiuderai la
santa carola attorno all’ increato, all'imperituro, al tutt'uno
spirito dei mondi, e la favella che a te dal Cosmo viene inspirata
intonerà gl'inni di lode a questo Tutt'Uno,.. Si comprende la
descrizione che fa Annie Besant dei Misteri, se si riflette che gli
Iniziati devono parlare di sè come lo fa Clemente Alessandrino con le parole
suriferite: I Misteri d'Egitto, continua l’autrice, erano il vanto
di quella vetusta contrada e i più nobili figli della Grecia, come ad
esempio | Platone, andavano a Sais e a Tebe per farsi | iniziare
nei Misteri dai maestri della sapienza | iniziatica egizia. I Misteri
Mithriaci dei Per. IDO. JIA siani, i Misteri Orfici e quelli
Bacchici, e i posteriori pseudomisteri di Eleusi in Grecia, i Misteri di
Samotracia, della Scizia, della Caldea, sono universalmente noti, almeno
di nome, come le parole d'uso familiare. Persino nella forma estremamente
attenuata dei Misteri eleusini il loro valore viene altamente magnificato
dai più eminenti uomini della Grecia, come Pindaro,
Sofocle, Isocrate, Platone e Plutarco. E nei Misteri non si mira soltanto
all’ ampliamento del sapere, alla sola spiegazione di cose
ignorate, ma alla elevazione di tutta la natura umana, di modo ch’ essa si
compenetri di quella sacra disposizione iniziatica, che pone in grado di
comprendere le fonti e principi del Cosmo. Il mistico non solo
conosce le cose superiori, ina oltre a ciò la sua propria natura si fonde
con esse. Egli deve quindi essere preparato al fine di potere accogliere
come si deve le fonti di ogni vita che in lui affluiscono. Appunto nel
nostro tempo, in cui si vuol riconoscere come attendibile soltanto ciò
che è scientifico in senso materiale, diviene difficile il credere
che, circa le cose supreme, quello, che imV. Esot. Chr., a porta
veramente è una disposizione d° animo. Per tal modo si fa della
cognizione un fatto intimo dell'anima umana: e tale essa è per il
Mistico. Si dica a qualcuno la soluzione di tutti gli enigmi del
mondo: Il Mistico troverà sempre che una siffatta esposizione è
vuota risonanza, che sfiora l'orecchio e svanisce, se |’ anima non. è
stata prima preparata ed innalzata ad un livello superiore; egli
troverà che il sentimento non ne resta affatto toccato, se non è staîc
disposto a sentire l'accoglimenio della sapienza come un Sacramento,. Solo chi intende ciò
conosce atmosfera spirituale dal’ alto della quale discendono certe
espressioni del Mistico, come quelle di Filone: Sovente, allorchè mi_riscuoto dal
sopore della corpo-4% reità e rientro in me, distogliendomi dal
mondo esteriore, e penetro dentro me stesso, . scorgo una mirabile
bellezza ; allora io sono certo di essermi internato nella parte migliore
di me; metto in attività la vita vera, sono unito col divino e in lui
fondato, e conseguo la forza di trasferirmi nel mondo
trascendentale. Quando, poi, da codesta contemplazione dell’ Altissimo, e dopo
questo riposo nell’ elemento spirituale del mondo, discendo
nuovamente alla consueta formazione di pensieri, allora mi domando come
potè avvenire che l’ anima mia si impigliasse nel vivere quotidiano,
posto che la sua patria è pur quella dove testè mi sono soffermato ! Chi sa
quale grado di purificazione del sentimento e della funzione intellettiva
sia necessario per arrivare a sentire così conosce anche le ragioni per
cui la sapienza mistica, la sapienza consacrata non può essere
oggetto della vita consueta quotidiana, nè dell’ insegnamento
ordinario, nè dei documenti della storia esteriore; e perchè essa
stia chiusa nell'anima dei divini messaggeri e debba costituire, come
dice Schurè, il riservato oggetto della iniziazione in fratellanze
appartate. Ma, quantunque questa immediata comprensione della verità
rimanga un fatto d’ insegnamento del tutto intimo, pure tutti gli uomini
partecipano dei benefici della sapienza. Come i benefici delle ferrovie
elettriche ricadono su tutta la popolazione, pur restando monopolio
degli elettrotecnici la conoscenza delle. leggi Pe così avviene,
quanto ai frutti, ella efficacia e della sapienza dei Misteri, E
come il beneficio delle cognizioni tecni che si traduce nelle istituzioni
esteriori della civiltà. così quello della sapienza dei Mistici si
esprime e distribuisce nel contenuto spirituale della vita dell'umanità:
cioè nei suoi miti, nei concetti informatori delle sue credenze e
delle sue religioni, nel suo mondo di leggende e di fiabe, non solo, ma
altresì nelle sue idee di morale e di diritto, e da ultimo anche
nella sua attività artistica, nelle sue scienze e nelle sue filosofie. Il
Mistico mostra che la sapienza più profonda della umanità è la
radice di tutti questi vari contenuti della vita, rendendosi ben conto
che essi tutti possono trovare la loro vera spiegazione soltanto in
quella sapienza. Clemente Alessandrino parla del fatto che un uomo può
avere la fede seriza possedere eru Izione,, ma al tempo stesso proclama essere
impossibile che un uomo senza sapienza comprenda gli oggetti che
vengono spiegati nella fede, (v. Besant, Esot. christ.). Ogni
Mistico conosce questo vero rapporto fra Fede re e sa che tra i due non
può esistere contraddizione j ma anche alla Mistica egli può fare
riconoscere valore unicamente sulla base della vera scienza. Anche di ciò
parla Clemente. Alcuni che si ritengono favoriti da natura, non desiderano di
occuparsi nè di filosofia, nè di logica; anzi essi non desiderano di studiare e
imparare la scienza naturale; essi richiedono nuda fede soltanto. Io, pertanto,
chiamo dotto veramente colui che tutto mette a contributo per la
verità, così che traendo dalla geometria e dalla musica, dalla grammatica
o dalla filosofia stessa, ciò che è utile, difende la fede da ogni
assalto. Quanto è necessario per chi desidera partecipare dei poteri di Dio il
trattare filosoficamente soggetti intellettuali! Lo gnostico (Mistico) si vale
del rami dello scibile vene di esercizi ausiliari vreparativi. (A. B. Es.
Chr.). Chi ha colto questo profondo accordo della Fede col Sapere si
trova costretto a rilevare sempre di nuovo una caratteristica peculiarità della
nostra civiltà moderna, la quale ha invece scavato un abisso tra Fede
e Scienza. E. Schurè accenna a questo abisso fin dai
periodi introduttivi del suo libro. Il peggior male del nostro tempo è il
mostrarsi la Scienza e la Religione come due forze nemiche e
irreducibili. Infermità intellettuale questa tanto più perniciosa
in quanto che deriva dall'alto e furtivamente s' infiltra, ma
sicuramente, in tutte le membra, come un veleno sottile che si respiri
nell’ aria. Orbene ogni infermità dell’ iritelligenza diviene a lungo andare
infermità dell'anima e in conseguenza un male sociale.
Fintanto che il Cristianesimo non fece che affermare ingenuamente la fede
cristiana in seno a una Europa ancor semibarbara, come era nel
medio evo, esso fu la più grande delle forze morali, e ha plasmato
l’anima dell'uomo moderno. Fin tanto che la scienza sperimentale,
apertamente ricostituitasi nel secolo 16°, non fece che rivendicare i
legittimi diritti della ragione e l’ illimitata sua libertà, essa fu la
più grande tra le forze intellettuali; essa ha cambiato faccia al mondo,
liberato l’uomo da secolari catene, e fornito la mente umana di
fondamenta incrollabili. Non meno energicamente Annie Besant accenna a
questa peculiarità della civiltà spirituale moderna. Per ognuno che studi
l’ultimo immediato quarantennio del secolo passato è chiaro che persone
meditative e morali sono in gran numero esulate dalle chiesé perchè gl’
insegnamenti che vi ricevevano urtavano, offendevano la loro intelligenza e il
loro senso morale. E' vano pretendere che l’agnosticismo
così ue. largamente diffuso in questi tempi abbia ra: dice solo nella
mancanza di moralità o in È; una deliberata involuzione della mente.
ChiunA que attentamente studi gli esposti fenomeni, ammetterà che uomini
di forte intelletto sono stati allontanati dal seno del
Cristianesimo per via della rude goffaggine delle idee religiose loro
presentate, delle contradizioni negli insegnamenti delle varie autorità,
nelle vedute circa Dio, l'uomo e l’universo, idee n che nessun
intelletto colto e metodicamente ; disciplinato potrebbe di leggeri
accettare . a (A. B. Cris, esot.). Alla domanda: Che cosa è da farsi in questa direzione
?, Annie Besant risponde inspirandosi alla veduta che anche la
radice del Cristianesimo giace in una sapienza occulta e che la Fede
deve, quindi, per susI sistere risospingersi a questa radice. Se il
Cristianesimo vuol continuare a vi i co vere, deve ricuperare il sapere
che ha e riad | vere la propria Mise € l propri insegnasd cculti; deve di nuovo
erigersi come. un istruttore autorevole di verità spirituali, ma
rivestito della sola autorità meritevole. Me, ù Mes di
essere alquanto apprezzata, l' autorità, cicè, della conoscenza. Se
questi insegnamenti ‘verranno recuperati, la loro influenza sarà subito
constatabile nelle più ampie e più profonde vedute che si avranno
circa la verità, dogmi che ora sembrano meri gusci ed impacci, saranno
riconosciuti subito quali parziali presentimenti di realtà fondamentali.
In primo luogo il Cristianesimo esoterico riapparirà nel /uogo santo, nel
Tempio, così che tutti i capaci di riceverlo possano seguirne le linee di
pensiero palese, e secondariamente il Cristianesimo occulto ridiscenderà
nell'adito celato dietro la Cortina che custodisce il Sancta Sanctorum, in cui può entrare l’
iniziato soltanto. (A. B. Es. Chris.). Mediante il senso della vista
l'uomo percepisce la natura con cento e cento sfumature di luce è di colore.
Sono i raggi della luce solare che, riverberati dagli oggetti, ne
determinano gli aspetti cromatici variamente sfumati. Sebbene per tal
fatto la percezione della luce solare sia una funzione abituale
dell'occhio, tuttavia questo non può impunemente fissare la fonte stessa de a
luce: Sole; esso viene accecato dal contatto immediato, diretto, dei
raggi solari. Ciò che 0° néi suoi effetti è adeguato al compito
quotidiano dell'occhio, dà occasione a una sofferenza, quando, come causa in
sè, colpisce l'organo sensorio. Chi sa applicare nel giusto modo questa
immagine alla vita spirituale dell'uomo, comprende perchè coloro che sanno parlano di
pericoli della Iniziazione ai Misteri. Cotesti pericoli esistono
innegabilmente; se non che, chi ne parla non va preso alla lettera,
interpretando la parola pericoli,,
nel senso usuale. La intelligenza e la ragione umana sono tanto
poco assuefatte a riconoscere le fonti del vero nel complesso totale del
mondo, quanto poco è capace l'occhio di fissare direttamente il
Sole. Come l'occhio sente a sè rispondenti gli effetti delia luce, così intelletto.
e ragione sentono a sè rispondenti gli effetti della sapienza
eterna nei fenomeni della natura e nel decorso della storia degli uomini.
Ma come l'occhio viene meno. di.fronte.alla sorgente stessa della
luce, così l'intelligenza umana vigne meno dinanzi alle fonti primordiali della
sapienza. Questo umano intendimento nel subito arretra, rinuncia. Or bisogna
assimilare nel debito modo ciò che allora succede nell’ uomo, al fatto
dell’ abbacinamento chel’ occhio.subisce dal sole. veg 3 fer: Poichè
l'uomo è assuefatto a scorgere nella Natura e nell'attività dello spirito
soltanto il riflesso della Verità, e non questa immediatamente, egli
viene meno di fronte alla verità stessa, quando questa gli si
presenta. Avvezzo a cogliere soltanto la realtà grossolana, che quotidianamente
I prnia, l'uomo sente le manifestazioni della sapienza superiore come
illusioni, come costruzioni di una fantasiosità irreale: esse non gli
possono dire nulla, sono per lui come forme aeree che svaniscono
quando egli le vuole afferrare, così come è solito afferrare gli oggetti
della realtà consueta. Questa lo avvince a sè con mille lacci; ciò
che essa gli può promettere egli lo conosce, lo ha imparato ad apprezzare
in mille modi. Chi qui vede giustamente, comprende che cosa intendano dire
le leggende religiose quando parlano del Tentatore, che promette tutte le
magnificenze di guesto mondo a coloro, i quali vogliono intraprendere il
sentiero della illuminazione superiore. Se noh è risvegliata in. loro la
forza di resistere a cotesto Tentatore, essi cadono inesorabilmente in sua
balia. Con ciò si accenna a quel che s'intende per pericoli della soglia,, che occorre
varcare, se si vuole calcare il
sentiero, della sapienza. Niuno può giungere a questo sentiero se
non intende valersi dell’ occhio spirituale, dell'intelletto e della
ragione, diversamente da come vengono adoperati) nella vita
quotidiana. L'uomo deve porre il piede sulla soglia come un trasmutato,
come "°° uno, il cni°occhio spirituale è stato rafforzato; ed è
singolarmente difficile nell’ età nostra attuale rinvigorire
così.quest'occhio, x giacchè appunto dalla nostra scienza esso
viene rivolto o a.ciò che è concreto li tangibile. Per compiere le sue
conquiste nel campo delle forze naturali esteriori que-, sta scienza dovè
rendere quest'occhio cieco alle potenze spirituali dell’esistenza. Non
si fraintenda tutto ciò, prendendolo per un rimprovero! Chi vuol
comprendere il mec-\l canismo di un orologio non ha certo biso i}
gno di risalire con l'indagine fino ai pensieri dell’ inventore dell’ orologio
; egli può mM bene attenersi a quanto ha imparato dalla
[RUN fisica; può comprendere l’ orologio dal suo stesso
meccanismo. a nessuno può com preridere come le forze e le cose che
coo perano nell’ orologio siano state originaria mente combinate, se
non va in traccia dello | spirito che le ha combinate e non
indaga le ragioni per cui esse sono state così comf frze
Tmnon © SEXI ma ) fe | fa meda; meo N el Mm NK ke bt re
e € o’ uc gi Riti fet rextore9 Lo
fel #0 A 0 è MT, ui gno PEA Vs. b- parte li (a È Logan Foe.
SP RTTO el ppartnzs ti dae binate. Il naturalista può comprendere
giustamente la Natura solo se in lei stessa ri- le cerca anzitutto le
forze con cui essa opera. Se afferma che queste si sono combinate | ®
cudl da sè, assomiglia a colui che non si perita Y0Me flat di
pensare che un orologio si sia congegnato da sè. S izione-è non il A | lo
spirito Ge Le cose, bensì il trasferirlo alla cieca me/le cose stesse.
Superstizioso è, non colui che cerca l'inventore dell’ orolo gio,
ma colui che nell’orologio stesso immagina ‘uno spirito, il quale manda avanti
Î le lancette. Soltanto quando in questo modo || sî fraintendono
coloro che vanno in traccia dello spirito dell'esistenza cosmica, si
può metterli in un fascio con quelli che a buon diritto sono
accusati di superstizione e che cen altrettanto buon diritto vengono
oggi riguardati come turbapace, perchè compromettono i benefizi, che la nostra coltura
scientifica ha prodotto. (Chi non ha l'occhio velato da. preconcetti saprà a
chi si vuol alludere nelle due categorie citate). Chi-pone il piede
sulla Sogliz che d accesso alla visione superiore,
se vuole riu i scire ad avanzare, deve essere provvisto della 2 sN forza
che mena ad avvertire il Reale là dov@mnn l'intelletto ordinario e la
ragione solita scor- x i T] x > l'intolegione I Lie ii
pai de Pe Pe Pietà sa desti Ann ie siii nc e a | na ta A in x gono
soltanto fantasticaggine ed illusione. Giacchè il perenne e l'eterno sono
appunto, là, dgye all'occhio rivolto soltanto al transi* torio e
temporaneo altro non appare che fantasticaggine ed illusione. Nessun
utile, dunque, risentirà un uomo che venga condotto dinnanzi alla
sorgente della eterna sapienza colgalo corredo.della.sua intelligenza
rdinaria. Perciò nei Misteri, il primo grado d Iniziazione non consiste
nell'impartire un nuovo sapere intellettuale, ma nella completa
trasmutazione delle forze conoscitive dell’uomo. Con fine intuito
pertanto, Edoardo Scuré descrive nei suoi
Grandi Iniziati, il cammino di chi tende al Sapere, mediante i Misteri:
ALE L’ iniziazione era a leaneno
r, le di futfo l'essere umano ad ascenlere le vette vertiginose dello spirito,
dall'alto delle quali si può dominare la vita. E più innanzi egli
dice: Per giungere a questa padronanza l’uomo ha bisogno di una
totale rifusione del proprio essere fisico, morale e intellettuale. Orbene,
questa rifusione non è possibile se non mediante |’ esercizio simultaneo
della volontà, dell’intuito e del raziocinio. Mercè il loro
completo accordo l’ uomo può svi } ;) I Fapiecinia TX.
iNalonta Ponso ; I he sli luppare le proprie
facoltà fino a limiti indefinibili. L’ anima ha sensi assopiti ; l' iniziazione
li risveglia. Mercè uno studio profondo e un'applicazione costante l’uomo può
mettersi in rapporto cosciente con le forze occulte dell'universo. Con
uno sforzo porentoso egli puo raggiungere la percezione spirituale
diretta, schiudersi i sentieri che portano. all’olt a, al superfisico, e
divenire capace di regolarvisi. oltanto allora può dire di aver vinto il
destino e di esSersi conquistato fin da quaggiù la propria tiliberi
divina. Soltanto allora l’iniziato può vi divenire inizi.tore, profeta e
teurgo, vale a dire veggente e formatore di anime. Infatti soltanto
colui, che comanda a se stesso può comandare agli altri, e soltanto chi
è libero può liberare . (Opera cit.). La missione
dei Misteri va intesa in tal senso, per quel che si riferisce al loro
primo grado. ‘Non si trattava solo fi una DUOSA scienza, ma della
produzione di nuove forze | pudore ‘L’individuo=doveva.
trasmutarsi, ivenire un altro, prima di venir condotto
al Sole spirituale, alla sorgente della sapienza. Colui, le cui
forze non sono temprate allorchè pone il piede sulla Soglia, non sente la realtà
dell’eterne. potenze spirituali, (}. che quivi gli si fanno incontro. In
luogo di entrare in rapporto con_un mondo superiore egli ricade nel mondo
inferiore. À questo pericolo trovasi esposto chi va in cerca delle
sorgenti della sapienza. Se egli soccombe, allora ha temporaneamente
ucciso in sè l'eterno germe. Questo era per l'innanzi dormente in lui,
ma, pur così dormente, era tuttavia ciò che nobilitava la passeggera,
inferiore natura e la trasfigura. Ingenuo ed inconsapevole, l' individuo
viveva con questo rudimento di spiritualità superiore. Dal mal riuscito
tentativo, di.iniziazione quel latente rudimento JÉne. distrutto. All'individuo
non resta che l'istinto di vivere nel transitorio, di yivere
Soltanto pel regno di guesto mondo. Per il fatto di. avere sentito
come_illusorio il divino spirituale,,
egli divinizza il sensibile_materiale,.
In tal modo, sulla Soglia,, può
andare perduto per l'individuo il suo più prezioso tesoro, la sua parte
immortale. Questo è il pericolo analogo all’ accecamento dell'occhio
nella similitudine su riferita. E' ovvio che coloro, cui nei
misteri incombeva l'ufficio d’iniziatori, erano per pro- .Wei Rito
fonda consapevolezza della propria responsabilità, estremamente esigenti verso
i discepoli, giacchè tali esigenze dovevano servire a temprare nel senso
indicato le loro forze spirituali. E. Schuré descrive la scala gra
duale della Iniziazion ‘a_praticata I riella scuola di Pitagora (a.
582-507 a. C.) e-la sua descrizione è tutta improntata di
geniale senso d’arte e di mistica profondità. Mi appoggerò appunto ad
essa per parlare di quei gradi iniziatici. Erano ammessi
all’Iniziazione soltanto coloro che offrivano sicurezza di riuscita per
la costituzione appropriata della loro natura intellettuale, morale e
spirituale. Per costoro cominciava allora il periodo della Preparazione,. Per molti anni essi
diventavano itori. Nel tempo nostro, in cui ciascuno sf crede
autorizzato a giudicare e criticare mon appena abbia appreso qualche
cosa, 0, torse anche più sovente, quando non ha ancora imparato nulla,
non è punto facile rendere simpatica l’idea" quel lungo uditorato.
All'uditore era imposto il più assoluto silenzio, inteso non nel senso
esteriore di ‘ astinenza da ogni parola, bensì nel senso di |
astinenza da qualsiasi critica, STdoveva Accogliere del tutto
spregiudicatamente l’istru due crilica PESTO, gp
zione, senza turbare questa spregiudicatezza con una prematura analisi
critica. Il saggio sapeva, e gli uditori avevano fiducia; per un
certo tempo non_.era loro Jlecito..criticare, giacchè il sapere che
ricevevano era appunto ciò che occorreva per renderli maturi all
critica. Come è possibile che impari vera[mente chi vuole immediatamente
criticare \{ quel che apprende? Con questo metodo di ascoltare in
silenzio i Pitagorici hanno reso maggio a una massima, che sola può
fare ascendere i gradini della conoscenza. Chi ha percorso la via
della conoscenza lo sa. Egli non può che sentire pietà per coloro,
che si creano intoppi su tale strada coi loro giudizi prematuri e con le
loro critiche. Il nostro tempo è tutto pieno di questo_immaturo spirito
di critica: basta osservare intorno a noi ciò che i nostri oratori dicono
e ciò che i nostri scrittori scrivono.,Se vi fosse ai tempi nostri solo
un pò di spirito pitagorico, resterebbero. inespressi più dei nove
decimi di quanto vien detto e altrettanto rimarrebbe non stampato di quanto
vien pubblicato. Oggidì, chi ha messo insieme un paio di osservazioni, o si è
appiccicato in testa un paio d'idee, si crede autorizzato a sputar
sentenze e giudizi sui sel RARI TESE, soggetti più essenziali.
Invece un tale diritto spetta soltanto a chi abbia imparato a contenere
per anni il suo giudizio e a porgere ascolto spregiudicat ea quanto i
savi dell'umanità hanno detto.
Esaminate tutto e tenetevi il meglio,, è una fallace norma
dell'anima di chi non è maturo per esaminare. Il nostro giudizio non vale
proprio nulla, nulla affatto di fronte alla Verità, fin tanto che non lo
abbiamo fatto esaminare dalla verità stessa. Invece di dire. Io esamino tutto e
voglio tenermi il meglio, molti dovrebbero dire. Io voglio fare esaminare
me stesso dalla Verità, e quando io sia sufficientemente buono per
essa, allora ch' essa mi prenda! Chi non si è esercitato per anni ad
adattare, a inalveare la propria vita in questo illimitato abbandono al
giudizio delle sagge guide della umanità, non arriverà mai a formulare
giudizi che siano più che fumo e vacua risonanza. Pa Una norma
siffatta è certamente invisa in questo nostro tempo illuminato,, in cui dominano la
pubblica criticaglia, e lo spirito gazzettaio ; invece gli uditori
pitagorici si attenevano appunto a cotesta norma. Raggiunta la voluta
maturità, l' uditore vedeva | 4 iena: acli Neggiunto per lui
il giorno d'oro col quale cominciavano le rivelazioni sull'essenza
della natura e dello spirito umano. A poco a poco i gli si fa
comprendere la zomìa [I am a zoologist – a philosophical zoologist – Grice], le
leggi della esistenza corporea e psichica. Be" 1 Voglia afferrare
questa romia col non raffinato intelletto ordinario non ne comprende
nulla. Goethe una volta accennò a questo. Allorchè nel SUO VIAGGIO PER
L’ITALIA e per la Sicilia si era dato con tutta lena allo studio delle
piante, e si era formato quelle sue vedute tanto citate ma tanto poco
comprese sulla pianta archetipa, scrive in Germania che avrebbe
voluto fare un viaggio in India, non per scoprire qualche cosa di
nuovo, bensi per guardare a Suo..modo_.il già scoperto. Quel che importa,
appunto, non è il conoscere le leggi messe in luce dalla botanica intellettuale vi bensi il penetrare
coll’aiuto di queste leggi nell’intima essenza della vita vegetale.
Si fica essere un erudito professore di botanica e non capir nulla di
questa vita vegetale. | nostri scienziati hauno veramente delle strane
idee a questo proposito. Essi o credono che, in genere, non si possa
penetrare nell'intimo della natura, o affermano che la nosira
indagine non è ancora fanto avanzata. Essi non sospettano che con questa
indagine mediante i sensi e l'intelletto possono, sì, moltiplicarsi con effetto
benefico le nostre cognizioni, ma che per investigare (| interno,, è, invece, necessaria una maniera
di pensare tutta diversa da quella che essi mettono in pratica. Non
vogliono saperne dell’inventore dell'orologio mentre studiano l'orologio alla
stregua dei principi della fisica. Poichè non possono trovare nell'orologio
nessuno spiritello che spinge avanti le lancette, o negano lo spirito,
che ha congegnato le ruote, o asseriscono che esso è inaccessibile all’umana
conoscenza, 0 del tutto o fino ad oggi. Chi parla dello spirito della
Natura viene accusato di sbizzarrirsi in vane parole. Ma non è
colpa sua se gli accusatori non sentono in ciò altro che parole! I discepoli
pitagorici, al secondo grado della loro istruzione, venivano introdotti
nelloSpirito della Natura. Soltanto: dopo RARO al questo
grado, potevano venir condotti alla
grande Iniziazione . A questo punto erano maturi per accogliere in
sè i Segreti della esistenza; il
loro occhio spirituale era ormai sufficientemente vigoroso; oramai non
apprendevano più a conoscere soltanto lo spirito delia nai tura, ma anche
le intenzioni di questo spii rito. Da questo punto in poi non sì può più
i parlare dei Misteri col solito linguaggio, ma soltanto per via d'immagini,
giacchè il no(a stro linguaggio è tutto adeguato all'intelletto e non ha
parola adatta alla conoscenza superiore, di cui qui ci occupiamo. In
questo È senso va inteso pure quanto segue. Prima di ogni altra cosa
l'individuo apprendeva a spingere lo sguardo oltre la propria esistenza
personale. Da ciò traeva l' esperienza che quella sua vita era la ripetiiS .
zione di vite anteriori a un nuovo gradino dell'esistenza. Si poteva
convincere che quel i che è lecito chiamare anima, nel giusto senso
della parola, si rincarna ripetutamente, e che le capacità, le vicende e
le azioni della Me sua vita presente erano da interpretarsi come
effetti di cause reperibili in quelle sue vite antecedenti. Egli si
rendeva anche conto che i fatti e gli eventi di quella sua vita
presente dovevano produrre i loro effetti in esistenze 1 avvenire.
i ; Su ciò bastino qui questi pochi cenni, da perchè ho intenzione
di parlare in altro luogo esaurientemente delle grandi leggi della rincorporazione,
e della legge cosmica, ovvero, in altre parole, della rincarnazione, e del
Karma. Queste verità potevano divenir convinzioni per il discepolo dei Misteri,
come è verità per l'uomo comune che 2 x 2-4; perchè al terzo grado il
discepolo era a ciò maturo. Ma anche a questo grado si può avere un
giudizio completamente sicuro su queste conoscenze, unicamente perchè si
è ormai acquistata la capacità di comprenderne giustamente il
significato. Anche oggi, come in ogni tempo, molto si criticano tali
concetti ;, ma ciò che viene criticato in realtà sono soltanto le
arbitrarie, concezioni dei critici stessi, che non hanno alcuna importanza.
Del resto, però, si deve anche pienamente convenire che pure molti
seguaci della idea della rincarnazione non hanno di essa concetti
migliori di quelli dei suoi oppositori. Non tutti coloro che oggi
difendono queste dottrine, le comprendono veramente. Anche tra questi
difensori ce ne sono molti che sono troppo scansafatiche 0
troppo.... consci di sè per apprendere in silenzio prima di far da
insegnanti. 0° Cfr. dello stesso autore gli scritti maggiori Teosofia Scienza occulta e i minori Azione del Karma. Rincarnazione e
Karma come leggi naturali. Ora, se non forse presso i Pitagorici, c'era,
però, in altri Misteri, dopo la grande
Iniziazione rivelatoria,, il grado della vera iniziazione mistica. In
essa non soltanto l'osservare e il pensare, ma tutto il vivere
conscio veniva esteso oltre l'immediata personalità dello individuo. Per essa
il discepolo non diveniva soltanto un sapiente, soltanto un
veggente. Egli ormai non percepiva l'essenza delle cose, ma la viveva con
esse. Molto arduo è dare una idea di ciò, di cui qui si tratta. Il
veggente non ha soltanto la sensazione degli oggetti, bensì sente regoli
oggetti stessi, trasferendosi nel loro interno; egli non pensa circa la
natura, bensì esce di se medesimo e s'interna, pensando, re//a
natura. (E' questo un procedimento noto al Teosofo, il quale lo chiama.
lo schiudersi dei sensi astrali. L'uomo intellettuale non bada ai
veggenti: essi debbono esser per lui dei visionari, se non peggio. Chi,
invece, ha senso per le loro doti, li ascolta con pio rispetto,
giacchè sente parlare in loro non più una persona umana, bensì la stessa
Saggezza vivente. Essi hanno fatto olocausto delle Cfr. dello stesso
autore: Come si acquista conoscenza dei mondi trascendentali
v. EA proprie inclinazioni, simpatie, opinioni personali per poter
prestare la propria bocca all’eterno Verbo, mediante il quale furono
fatte tutte le cose. Giacchè dove parla ancora l'opinione umana, dove
campeggiano ancora inclinazioni’e interessi, ivi tace la sapienza eterna.
E quando questa giunge all'orecchio di coloro che non ‘hanno ancora
sentimento per essa, appare loro soltanto come personale parola
umana, per quanto in essa possa chiudersi una forza divina. Ma dai
veggenti stessi, gli uomini ‘potrebbero imparare ad ascoltare, giacchè il
veggente fa tacere la sua umana personalità quando a lui parla la voce della
Verità. Il suo giudizio tace, i suoi interessi, le sue inclinazioni gli
stanno dinanzi altrettanto insignificanti quanto il tavolino che ha davanti
a sè: egli è tutto assorto nel| l'ascoltazione interiore. Solo il veggente
ascenderà al grado successivo, che gli antichi chiamavano del teurgo e
che nella nostra lingua può venire designato come quel grado, in cui
si opera una completa riversione, delle facoltà umane. Forze che, di
solito, affluiscono nell'individuo da/ di fuori, ora si effondono da /uîi. In
certi campi, nei quali 5 RS a l’uomo è soltanto un servitore,
diviene un dominatore colui, le cui facoltà sono trasmutate. E poichè
solo il veggente è in grado di giudicare la portata e la maniera a
d’'agire di coteste forze, l'uomo che ne verrà Ti in possesso senza aver
raggiunta la purità del veggente, ne farà mal uso. E questa do sapienza senza purità,, è possibile a
causa w di un cencatenamento di circostanze, di cui <a qui non è
il caso di tener discorso. Sulla Iniziazione superiore, a proposito dei
Pitagorici, E. Schuré ha il seguente magnifico passo : 1 i BRANO
Abbiamo, seguendo Pitagora, toccato la cima della iniziazione antica. Da
dr questa vetta la terra apparisce come im- cf ersa nell'ombra, come un astro
morente. Di lì si schiudono le prospettive sideree e eri dispiega nel
suo meraviglioso complesso. Le Scegatao ii a n 1 la vista dall'alto,
l'epifaria dell'universo. Ma \\®s4* scopo dell'insegnamento non era
l’assorbire VITA l'individuo nella contemplazione o nell'estasi.
È le regioni incommensurabili del Cosmo, li UH aveva tuffati negli
abissi dell'invisibile. I veri pauroso pellegrinaggio fatti migliori, più
forti e meglio temprati pei cimenti della vita. I, Il Maestro
aveva condotto i discepoli per iniziati dovevano ritornare sulla terra da
quei î =Sf ia Alla iniziazione della intelligenza
doveva seguire quella della volontà, ed era di tutte la più ardua,
giacchè ora per il discepolo si trattava di far discendere la verità
nelle profonde latebre dell’ esser suo, e di porla in azione nella
pratica della vita. Per raggiungere questo scopo ideale occorre
secondo Pitagora riunire tre perfezioni: avere realmente la verità
nell’intelletto, la virtù nell'animo, la purezza nel corpo.
Un'igiene sapiente, una regolata continenza dovevano serbare al corpo là
purezza che si richiedeva non come scopo, ma come mezzo. Ogni eccesso
corporeo lascia una traccia e quasi un imbratto nel corpo astrale,
vivente | organismo dell’ anima, e per conseguenza anche nello
spirito. A questa altezza l'individuo diviene un adepto, e, se possiede
bastante energia, entra in possesso di facoltà e di poteri novelli. Si
schiudono i sensi interni animici, e la volontà si riversa radiosa negli
altri sensi (vedi Schuré). Di tutto ciò che l'uomo compie prima di
raggiungere questo grado, le cause sono da ricercare in regioni a lui
completamente sconosciute. Lo sguardo del teurgo, invece, | spazia in
coteste regioni, e in perfetta consapevolezza, egli irradia da sè
quanto nell'uomo dorme di solito
inconsciamente, nelle più profonde latebre dell'anima, Egli
trovasi a faccia a faccia con la sua Guida, che per l’innanzi lo aveva
diretto invisibilmente da tergo. Col sussidio di siffatti pensieri si
dovrebbero leggere periodi come il seguente, tratto dall'antico testo di
sapienza chiamato il Mundakopanishad: Quando il veggente vede l'aureo
Creatore, il Signore, lo Spirito, il cui grembo è Brahman, allora il savi
o, dopo che ha gettato via merito e demerito, raggiunge immacolato
l'unione suprema. Alle vette, dunque, che vengono così con-.
quistate drizza lo sguardo E. Schuré; e la mistica fede nella fulgida
forza di codeste vette gli conferisce la capacità di trapassare.
alcuni dei nebulosi veli che nascondono la. vera natura delle grandi
Guide dell'Umani tà. Ciò lo rende capace di descriverli, questi grandi iniziati,:
Rama, Krishna, Ermete, Mosè, Orfeo, Pitagora di CROTONE, Platone e Gesù.
A grado a grado da coteste Guide sono state irraggiate nell'umanità le
forze a_ seconda della maturità raggiunta dal genere umano nelle
diverse epoche. Rama condusse alla porta della sapienza; Krishna ed
Er-.ai mete ne misero le chiavi nelle mani di alcuni; Mosè, Orfeo e
Pitagora additarono l'interno, e Gesù, il Cristo, presentò il
Sancta Sanctorum, l'intimo sacro penetrale. Sarebbe sciupare tutto
il singolare incanto del libro dello Schuré il volerne raccontare il contenuto,
nel quale, così com'è ognuno dovrebbe profondarsi da sè. Ed, Schurè
accenna al fatto che pel tramite del Fondatore del Cristianesimo le forze
della sapienza dei Misteri sono state riversate nelle vene spirituali
dell’ umanità in forma tale, che le orecchie dell’ umanità hanno
potuto udirla. E anche in questo terreno la verità deve essere cercata pei
sentieri che E. Schurè ci presenta. La forza. che s' irradia dalla
personalità di Gesù, è forza vivente nei cuori di tutti coloro, che
la lasciano fluire in sè stessi. Comprendere la vivente Parola che in
questa forza agi| sce, può solo colui che se ne procaccia la chiave,
mercè la comprensione della sapienza dei Misteri. E a ciò fornisce, per
quanto è possibile, il fondamento Besant col suo cristianesimo esoterico. E'
questo un libro, per mezzo del quale l'occulto | significato delle parole
bibliche si svela al lettore che tutto vi si abbandona, Sg
VI Siffatti libri-chiave sono necessari ai no. stri giorni.
L'umanità era in condizione del F tutto diversa dall’odierna, quando
ricevè l’Evangelo, l'annunzio gioioso. Oggidì l’intelletto ha ben altro
allenamento che non ne avesse 19 secoli fa. Oggi l’uomo ‘può
trasmutare in vita propria la forza vivente della parola palese soltanto
se riesce ad afferrare cotesta forza mediante la propria facoltà
ragionante. Ma ciò che è vero, resta $ vero eternamente, anche se il modo
come i l'uomo deve afferrarlo si cambia nel corso i dei tempi. Che
oggi l’ intelletto e il raziocinio facciano valere i propri diritti è una
necessità ; chi conosce l’evoluzione umana sa che deve essere così. E
perciò egli dà oggi all’intelletto, ciò che secoli addietro è stato
dato ad altre forze dell'anima. Da que sta e da nessun’ altra cognizione
dovrebbe scaturire l'attività del vero teosofo, e così vuole essere
interpretato il Cristianesimo
esoterico, di Besant. Il teosofo sa che nel Cristianesimo c'è la Verità,
e sa altresì che Gesù, nel quale s'incarnò il Cristo, non è un Duce di morti, bensi un Duce di vivi,.
Il teosofo intende la grande parola del Maestro. Io sono con voi
tutti i giorni, sino alla fine,,. Alla Guida viven- Bla: £ @ÈS
te, non a quella dei ragguagli storici, si rivolge anzitutto chi, come
A. Besant, vuole spiegare il Cristianesimo. Ciò che la Parola vivente, ancora oggi,, annunzia
all'orecchio che vuol porgerle ascolto, è ciò che poi proietta la sua
luce sul racconto evangelico. Sì, certo, l' Annunziatore della
Parola è rimasto qui fino ad oggi e può dirci come dobbiamo intendere la
lettera dei ragguagli intorno ai Suoi atti e ai Suoi discorsi.
Le buone novelle debbono
essere intese esotericamente cioè,
bisogna, prima, che sia svegliata dentro di noi la forza vivente, che
imprime su di esse il sigillo di . Gò che è Santo,,. E poichè l'intelletto e il
razigcinio sono i grandi strumenti della civiltà d’oggi, bisogna ch’essi
vengano liberati dai lacci dell’ intendimento puramente sensistico, della
comprensione meramente positiva,
della realtà. L'intelletto stesso dell'umanità presente deve tuffarsi nel
mare che lo riempie di vera religiosità, giacchè non è esatto che
l’assennato intelletto non valga che a distruggere le illusioni, di cui il sentimento
religioso avvolge le cose. Ciò è opera solo dell'intelletto abbagliato
e inceppato dai successi riportati nella nozione ALI: 000
e nel dominio delle forze puramente materiali della natura. Gli uomini
del presente e con essi i nostri fisici, i nostri biologi e i
nostri storici, si credono Ziberi nel loro mondo intellettuale unicamente
edificato sul fatto positivo. In Verità essi vivono sotto l’azione
di una Suggestione dominante su tutto. Liberi, fino a un certo punto,
potreste diventare voi fisici, biologi e storici di oggi, se voleste
riconoscere che i vostri concetti di rea/tà anzi di materie e di forze
del mondo, di sforia umana e di evoluzione della civiltà, non sono
altro che sugge\stioni collettive,. Un
giorno vi cadrà la benda dagli.occhi, e allora soltanto sperimeénterete
fino a qual punto è verità e non errore quel che voi pensate dell'elettricità
e della luce, della evoluzione animale ed umana; giacchè, notate
bene, anche i teosofi riguardano le vostre asserzioni non come errori, ma
come verità. Infatti anche la vostra interpretazione della natura è per loro
una professione di fede, e quando
essi dicono di volere cercare il nucleò
della verità in tutte le religioni,, fanno ciò non solo riguardo a
Buddha, Mosè e Cristo, ma anche riguardo a Lamark, Darwin ed
Hickel, ay ( (A E opere come queile citate di Schuré e di
Besant sono destinate a togliervi la benda dagli occhi, debbono
insegnarvi a veder chiaro nelle
vostre suggestioni. Conseguentemente, in libri siffatti quel
che importa non è tanto il loro contenuto letterale, quanto le occulte
forze che mossero la penna dei loro autori e che si trasfondono nelle
vene dei lettori, così che questi vengono tutti pervasi da un nuovo
senso della verità. 1 lettori che subiscono il giusto effetto di tali
libri ricevono sotto un certo rispetto una /riziazione di tipo, diremo
così, intellettuale. Chi a questa frase mon arriccia il naso, come alla
asserzione di un miracolo, chi è in grado di scorgervi, invece,
qualche cosa di più che una vacua frase, potrà anche comprendere, come —
libri siffatti gli vengano presentati non già per allettarlo a fare una
delle solite letture, ma con l’altra ben diversa mira ch' essi,
per virtù delle forze con le quali sono stati scritti, debbono
suscitare in lui forze dormenti, anche se a tutta prima coteste forze
possano essere soltanto quelle dell'arimia intellettiva. Al nostro tempo,
peraltro, non c’è vera Iniziazione, che non passi per l'
intelletto. Chi vuole in oggi condurre agl’arcani superiori, evitando
di passare per l' intelletto, mon capisce nulla dei segni dei tempi, e non può
far altro che porre sugsa gestioni nuove al posto delle antiche. Grice: “Of course, Austin thought that the Saturday mornings should be
held on Wednesday midnights at Parson’s Pleasure – we were into
initiation!” Giovanni Colazza.
Keywords. dell’iniziazione, rito di passagio, rito di iniziazione, iniziazione
nel misterio, iniziazione, l’iniziazione di Bacco, la Baccanalia, il sacrifizio
di Bacco, sacrifizio come dolore e piacere, Prosimno, iniziazione di Bacco, la
reazione della religione romana al mistero bacchico, iniziazione, iniziazione
del giovane romano, la toga virile. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colazza” –
The Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Colecchi: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola di
Pescocostanzo –filosofia aquilese – filosofia abruzzese -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Pescocostanzo). Filosofo aquilese.
Filosofo abruzzese. Filosofo italiano. Pescocostanzo, L’Aquila, Abruzzo. Grice:
“What I love about Colecchi is that while he was a bad Kantian, he was an
excellent Vicoian!” Studia ad Ortona, dove sube diverse perquisizioni da
parte dell'Inquisizione per la sua tacita simpatia verso gli ideali
rivoluzionari. Insegna alla Reale Accademia Militare della Nunziatella. Venne
mandato in missione in Russia, dove si dedica alla filosofia speculative.Al
ritorno, soggiorna a Königsberg, dove ebbe modo di conoscere l'opera di Kant.
Fu uno dei primi filosofi italiani a studiare Kant.Rientrato in Italia, fonda a
Napoli una scuola privata di filosofia ed ha tra i suoi allievi i fratelli
Spaventa, Sanctis, Settembrini e Caracciolo. Il suo merito principale fu quello
di essere, insieme a Galluppi, un assertore del criticismo kantiano in Italia. Altre opere: “Se la sola analisi sia un mezzo
d'invenzione, o s'inventi colla sintesi ancora?” La legge del pensiere;
L’analisi e la sintesi; La legge morale, La legge della ragione; “Se il
raziocinio sia essenzialmente diverso dalla intuizione”; “Se nell'invenzione
eserciti maggior influenza la sintesi o l'analisi; “Se li giudizi necessari
sieno solamente gli analitici”; “Se l’identità formale del raziocinio sia
valevole a convertire il raziocinio empirico in raziocinio misto?”; “Il
principio sul quale poggia il raziocinio quando classifica e quando istruisce”;
“Quistioni ideologiche”; “Se diasi una logica pura, ed una logica mista”; “Se
una idea soggettiva non altro sia che una idea di un rapporto, L’idea dello
spazio e l’idea del tempo; Il primo problema di filosofia: se la sensazione sia
esterna di sua natura, o tale diventa in forza del giudizio abituale? Alcune
quistioni le più importanti della filosofia; Psicologia, Logica applicata, Ideologia,
Frammento apologetico; in G. Gentile, Dal Genovesi al Galluppi. Ricerche
storiche, Edizioni della Critica, Napoli, e in Storia della filosofia italiana
dal Genovesi al Galluppi, Firenze; Tip. «All'insegna di Aldo Manuzio», Napoli); a
cura dell'Istituto italiano per gli studi filosofici, con introd. di F.
Tessitore, Procaccini, Napoli); E. Pessina, Quadro storico dei sistemi
filosofici, Milano); Necrologia in “Poliorama pittoresco” “Elogio funebre”; Spaventa,
Studi sopra la filosofia di Hegel, Torino; L. Settembrini, Lezioni di
letteratura italiana, Napoli; F. Fiorentino, Scritti vari di letteratura,
filosofia e critica, Napoli; A. De Nino, Briciole letterarie, I, Lanciano; Sanctis,
La lettereratura italiana nel secolo XIX, Napoli); Marchi, Il sistema
filosofico di C. (Tip. Sociale di A. Eliseo, L'Aquila); F. Amodeo, C., in «Atti
della Accademia Pontaniana», Discussioni biografiche e documenti inediti,
Ravenna); L'istruzione pubblica e privata nel Napoletano; Città di Castello, C.
filosofo e matematico: nuove notizie e nuovi documenti, in «Rassegna abruzzese
di storia e d'arte», Gentile, Storia della filosofia italiana dal Genovesi al
Galluppi, II, Milano); Pedagogisti ed
educatori, Milano); Capograssi, Nuovi documenti sull'accusa di ateismo a C., in
«Samnium», Romano, Un antagonista del Galluppi: C., in «Archivio storico per la
Calabria e la Lucania», A. Cristallini, C., un filosofo da riscoprire, Padova, G.
Oldrini, La cultura filosofica napoletana dell'Ottocento, Bari; Garin, Storia
della filosofia italiana, III, Torino; F.
Tessitore, Colecchi e gli scettici, in Introduzione a Quistioni filosofiche,
Napoli; G. Cacciatore, Vico e Kant nella filosofia di C., Centro di studi
vichiani; Io e C.. Narrazione biografica in forma di anamnesi, Japadre Editore,
L'Aquila-Roma; Dizionario Biografico degli Italiani. Dalla tomba della setta
italica, tenendo dietro alle origini dell’antica lingua del Lazio – la lingua
romana -- trasse fuori VICO queste divine idee; ha lello forse BRUNO ancora,
perchè un’ombra d’idealismo copre spesso la sua filosofia, spezialmente nella scienza
nuova, dove l’uomo passa suo malgrado dalle selve allo stato civile per la
sola opera di una lupa (la lupa capitolina). Se non che l’uomo di VICO rimane
nello stesso stato in cui avealo lasciato ENEA. Devono le divine idee
rideslarsi all'occasione delle sensazioni; njun tentativo per ravvicinare la
sensazione all’idea; dovrebbe ciò fare l’induzione, ma la ragione è sempre
scontenta di quanto scopre l’induzione. Non ancora siera mostrato Kant per
conciliar insieme la sensazione (sensus) e l'idea o concetto. Con questa
filosofia, appoggiata all’induzione, si dispone VICO a crear il diritto
universale della nazione del Lazio – la nazione romana. Ma preoccupalo sempre
delle civili cose di Roma, brillando sempre nel suo spirito l'immagine di Roma,
si risolge in fine di stabilire Roma come modello di civiltà. Il perchè nella
storia, della mitologia, nelle lingue, nel blasone, e pe’ feudi pur anche del
medio evo deesi Roma ripelere, e la romana giurisprudenza diventar quel la di
tutte le nazioni del mondo. E come i fatti hanno a servir di occasione per
ridestare la idea, così il diritto di Roma, le XII Tavole, tutta la storia,
tutta la mitologia concorrer devono a risvegliar le idee del vero, del giusto,
a dir breve l’ideale dell’umanità per selta. Ond'è che metafisica, logica, morale,
educazione, politica, geografia, astronomia si abbozzano prima della religione
de’ padri in mezzo alle famiglie, e poscia in mezzo alla città di Roma; dove il
senato si compone degli stessi primi padri, riuniti in Ordini, per reprimere le
ribellioni degli ammutipali clienti. Di qui le lante critiche sulla storia
positiva per distruggerla. Sesostri e Tanai sono due simboli. La sapienza del
poeta vera immagine della sapienza o scienza del filosofo, L’Eneide confuse con
la sapienza dei romani. E tutto questo per via di etimologie stirale, di mili forzati,
di stranissime analogie. Egli è evidente che tal metodo d’interpretazione deesi
ridurre in fine ad una tortura, per isforzare tutt’imonumenti della storia e
delle favole a deporre in favore di un sistema. Siegue da questa osservazione
che quanlunque tutta la storia, tutta l’erudizione, per la potente sintesi di VICO,
pieghi sempre al modello DI ROMA, NO DI KOESINGBERGA, e la sua civiltà a poco a
poco siasi spenta, fino a che passato il medio evo, col risorgimento delle
lettere e delle scienze, ricomioci il suo corso; può non pertanto rimaner il
dubbio che il popolo romano altro forse non sia che un fatto isolato. Essendo
si in effetto limitato il Vico al uomo del Lazio.VICO, dobbiamo pur dirlo a
Gloria d'Italia,VICO è di gran lunga superiore ad Herder, il quale nella sua
Storia dell'umanità parla pur anche dell'origine e del progresso della civiltà
de’ popolo romano. Imperocchè se Herder, amico del sensismo, vede l’uomo del
Lazio nella natura, e dalla formazione del cristallo, per una ben lunga scala,
va sino all'uomo che è la corona dell'organizzazione. VICO, seguace di Platone e
non d’Aristotele, con maggior discernimento del ministro protestante, l’uomo
nell’uomo stesso contempla. E se l'analisi di Herder vivamente rallegra
l'immaginazione, la sintesi di VICO sembra lalmente falla l'intelligenza
per, che il lettore, in onla del suo linguaggio enigmalico e della
strapezza delle analogie, viene attirato potentemente dalla magica forza della
sua filosofia. Niuno più originale di VICO, e pare che l’originalità
dell’italico ingegno siesi sventuratamente nel VICO spenta. De’ suoi principii
intanlo, per quel che riguarda il nostro assunto, egli è facile di raccorre,
che avendo le legge per iscopo di metter freno alla passione umana, e di render
l'uomo migliore; ben possono per esse la *forza*, l’*avarizia* e l’*ambizione* che
sono i tre vizi pe’ quali corre a trovarsi il genere umano, convertirsi in *valor
militare*, *prudente mercatanzia* e *savio governo*. La legislazione dunque,
considerando l’uomo qual é, se dirige ad usi migliori la passione, lo riforma e
trasmuta in quello che esser deve. La massima di VICO pertanto, ben lunga
dall’opporse alla legge morale, la conferm viemaggiormente e ne presuppone
l'esistenza. E qui credo far cosa grata a miei lettori, se da VICO stesso tolgo
le prove di questa mia assertiva. L’unico principio e fine del diritto è per VICOla
virtù del vero. E chiama virtù del vero l’umana ragione -- la vernunft di Kant
-- la quale è virtù in quanto combatte con la cupidità -- è giustizia in quanto
regola e pondera la utilità. La utilità non e per sè stesse ne onesta nè turpe;
ma turpitudine è la sua ineguaglianza, onestà la sua eguaglianza. L’utilità
privata di un singolare individuo, o anche nazione o popolo di due uomini, è
labile, perchè finisce con l'individuo la diada dei due uomo o con la nazione;
ma l’eguaglianza delle utilità, che è figlia dell’onestà, non è cosa caduca, è
cosa immutabile ed eterna. Una cosa caduca non puo produrre l’immutabile, nè un
corpo dar nascimeoto a ciò che li trascende. Il sistema dunque dei futilitari utilitari,
con questi pochi molli del VICO, è distrutto. Ciò si conferma con quel celebre
detto di Pedio presso Ulpiano: quante volte una od altra cosa venne con la
legge introdotta è buona occasione supplire con la legge stessa le altre cose
che tendono alla stessa utilità. Una buona occasione adunque e alla divina
provvidenza l’umana debolezza e miseria, per le quali, secondo la loro stessa
spontaneità, ritrasse gli uomini dallo stato ferino e bestiale ad essere
socievoli, uguagliando tra loro le utilità, come chè ciò non avvenisse da principio
per intera onestà, ma per una parte di onestà. Or, la società è una *comunione*
di mutua utilità che interviene tra eguali. Si la socielà ineguale è tra un
padre (superiore) e un figlio (inferiore); tra la potesta civile e di soggetti
– l’eguale è tra fratelli ROMOLO E REMO o i dioscure – Castores (dual), o Eurialo e
Niso, i due amici, tra due cittadini. Di qui due spezie di giustizia rellrice
ed equatrice. L'eguaglianza delle utilità, con *geometrica* -- progressione
geometrica -- misura determinata, è il subietto della giustizia rettrice, della
giustizia *distributive*, la quale mira alla dignità delle due persone.
L'eguaglianza poi delle utilità, fatta con *aritmetica* -- progression
aritmetica -- misura, è materia della giustizia equatrice, volgarmente detta
giustizia *commutativa*, la quale si rapporta al mio ed al tuo – al nostro --
-- ed ba luogo in ogni società eguale.
Nè osta punto (come crede Grozio, il quale dital L'occasione poi, per la
quale una cosa accade, non è cagione della cosa stessa, il che Grozio non vide,
trattando dell'origine del diritto; e pur doveva ia questa disamina por mente
ad una osservazione tanto importante che ne è il cardine. L' utilità dunque non
fu produttrice del diritto, come piacque al greco Epicuro, al etrusco
Machiavelli, ad Obbes, i quali intesero per utilità la cessazione o del
bisogno, o della violenza, o del timore; ma fu l'occasione, per la le gli
uomini divisi, deboli, bisognosi tralti furono alla vita sociale.
qua. Siegue da ciò, che l'upa e l'altra giustizia la rellrice c l'equatrice
hanno per fondamento l'onestà, e che non può avervi giustizia senza morale:
conseguenza importautissima, dedotta dal VICO da vero suo priocipio, e sfuggita
al positivista CARMIGNANI, il quale fa della morale e del diritto due cose
talmente distinte, quasi non avessero nulla di comune tra loro. Elementi del
giusto diritto, per Vico, sono la prudenza, la temperanza, la fortezza. La
prudenle deslioazione io falti delle utilità, fatta con ragione, von come della
la cupidità, produce il dominio; il moderato uso delle cose utili genera la
libertà. La potenza regolala dalla fortezza partorisce la incolpala tutela. La
tutela de'seosi e la libertà degli affetti costituisce il diritto naturale, che
gli antichi interpreti dicono primitive, e gli stoici appellano il principio
della natura. Il dominio, la libertà, la tutela sono cose nalurali all’uomo, e
oale per le occasioni. Così la libertà del diritto era prima della guerra; ma
venne riconosciuta, ed ebb e il suo nome, introdoltasi, per la guerra, la
schiavitu. Similmente con la divisione de'campi siammisero I dominii delle cose
del suolo; ma il giure coosultodice: non essersii dominii
introdotli:essersisolamente distinti con la divisione. Finalmente dalla
potenza, tosto col nascere, proviene la difesa di sè stesso. distinzione
siburlarche avendo più socii posto in comune parli disuguali di daparo,
prendano parti di lucro con geometrica misura; perciocchè prendono parli di
lucro con semplice misura, essendo il daparo,e non la dignita della persona che
li agguaglia. Jo falli tanto ciascun socio ne toglie, quanto ne avrebbe preso,
se solo a quel negozio posto avesse il daparo. Il dominio della ragione su
iseosi e sugli affetti è il diritto naturale dagli stessi interpreti chiamalo
secondario, e dal PORTICO conseguenti della natura. Rimontiamo col VICO all’origine
di questa distinzione. Iddio di è all'uomo conlapolenza l'essere, con la
sapienza il conoscere, con la bontà il volere. Questo divino benefizio deriva
del diritto naturale: l’una con cui l'uomo vuole il suo essere, l’altra con cui
vuole il suo conoscere: ood'è che l’uomo lalvolla più il sapere chel’essere
agogna. Or, nella parte con cui l’uomo desidera il suo essere contengonsi
quelli che gli stoici dicono principio della natura; imperocchè egli appreode
col pascere, mercè le sensazioni presenti e vive del piacere e del dolore, a seguire
le cose utili alla vita, a schivare le nocevoli, e se venga impedito nelle utili,
e sospinto nelle nocevoli, nè possa altrimenti quelle con
seguire,questeevitare;con la forza allontani la forza, pel diritto che ha di
cooservar il suo essere. Questa parte del diritto naturale vien definita:
diritto che la natura a ogni animale apprese, e da essa nasce il diritto di
respingere da noi la violenza, quello della unione de’due sessi, della procreazione
de'bgli e della educazione loro. Ma nella parle con che l'uomo vuole il suo
conoscere, contengonsi quelle cose che gli stoici dicono conseguenti della
natura, e vien essa definita: per tutto quello che la ragione naturale fra gli
uomini stabili ed egualmente fra le genti tutte si osserva.Questa parte del diritto
domina la prima: di guise che quando POMPEO, impedito dalla tempesta a partire,
disse: è necessario il navigare, e non necessario il vivere, era siquesto suo
dello uoa legge che la ragione a talli gli uomini impone è necessario cioè dioperar
rellamente,e non necessario il vivere. Nella prima parte del diritto naturale la
ragione non riprova, ma permette: nell'altra essa vieta o comanda, e quello che
comanda o vieta è immutabile; che anzi per questa seconda parte è immutabile
ancor la prima, non potendosi le cose lecite di lor natura vielar con le leggi,
non essendo in potere di queste di far sì che non sieno permesse. Vedano ora
imoderoi scriltori di diritto: se la distinzione del naturale diritto nel
principio della natura, e ne' suoi conseguenti debbasi o no rigettare! Rimembro
di averne lello più di uno che la crede inutile. Grozio aperlamente afferma:non
esser ella di alcun uso, sen za avvedersi, dice il nostro filosofo e
giureconsulto, che nell'egregio suo trattato della guerra e della pace egli
stesso l'ammelte tacitamente; perchè in questo appunto il suo uso consiste, che
nella collisione dell'uno e dell'altro diritto, il secondo è da più del primo.
Ma bisogna un VICO per rilevar il merito dell’antica giurisprudenza, e mostrare
a Grozio spezialmente su quali salde basi ella si reggeva! Il diritto naturale
primitivo è, secondo Vico, la materia di ogni diritto volontario; il diritto
naturale secondario de costituisce la forma, la quale ove manchi, il diritto volontario
è nullo. Perciò Ulpiano define il diritto civile: per quello che nè al tutto
dal diritto naturale si diparte, nè inlullo adesso si uniforma; ma in parle
viaggiugne, inparte vitoglie. Il perchè la mente della legge e la ragione della
legge sono due cose distinte. Mente della legge è il legislatore; ragione dalla
legge è l'uniformità della legge al fatto. Possono si mutarsi i fatti, e la
mente della legge si muta; tutti può essa utilità riuscire tal fiata per
altri iniqua. equa, La ragione della legge fa che ella sia vera; il certo della
legge la fa vera in parte, e questa parte di vero sapno propria i legislatori,
per ottenere con l’autorità ciò che dal semplice pudore degli uomini conseguir
non possono; il che rende ragione della definizione del diritto civile, lestè
data da Ulpiano. Ond’è che in ogni fiozione della legge, la quale si rapporta
al diritto volontario, evvi due sono quindi i fonti della giurisprudenza: laragio
ne e l’autorità. Il vero e della ragione, il certo dell’autorità; ma non può
l'autorità opporsi in tutto alla ragione, altrimenti le leggi non sarebbero
leggi, ma si mostri di leggi. È dunque inopportuna cosa cercar ragione dall'autorità,
la qual, dettando una utilità per com ponesi l’autorità del dominio, della
libertà e della tutela, che sono i tre fonti di lutti gli stati. Dalla conoscenza
per la quale è l'uomo da più di ogni altra cosa mortale nasce il suodominio
sopra tutta la natura; dal suo volere trae origine la libertà, dall’eccellenza
del suo essere s’ingepera il diritto di tutela col quale contro tutta la natura
mortale si difende. Se dunque il dominio, la libertà, latutela costituiscono l’autorità,
seconda sorgente del diritto: se il dominio, la mal’uniformità della legge al fatto
non si muta mai. Mutato il fatto cessa la ragione della legge; non però si muta
o rivolge in contrario. La mente della legge riguarda l’utilità, la quale
variando, fa variar la mente; ma la ragione della legge o l'uniformità della legge
al fatto, riguarda l’onestà, e questa è immutabile sempre un certo aspello di
vero, che rende certa la legge, m a non del tutto vera; perchè qualche ragione
non concede che ella interamente sia tale. Tetessa walela Sviela ile; laditt
Jembro Grozio deon, siela o,sed che ezli cololalores mate il diritto naturale
na ni Callo. muu Da una parte dell’autorità, e propriamente dalla tulela,
nacque il diritto delle prime genti, che può dirsi; Diritto della violenza.
Divide Vico questo diritto in diritto delle genti maggiori e in diritto delle
genti minori. Le genti maggiori furono prima che le città si fondasse, e si
stabilissero le leggi: motivo per cui Saturno, Giove, Mercurio, Marte, egli altri
numi della mitologia perchè antichissimi tra gli dei ripulali sichiamarono dei
delle genti maggiori.Geoli minori si dissero quelle che furono dopo fondale la
città e stabiliti i reami; ond’è che Dei minori si appellarono quelli che
vennero dalle città consecrati, come Quirino, ed altri Eroi. Pare a VICO che
tale divisione imitassero in certa guisa i Romani, allor chè denominarono
patriziï delle genti maggiori quelli che da' padri scelti da Romolo discesero,
e patrizii delle gentiminori quelliche trassero origine da'padri coscritti. Il diritto
delle genti maggioriè, come sidisse, il diritto della privata violenza, con che
gli uomini, senz’alcun freno di legge, toglievano con la propria mano, ed
usucapivano; con la forza si difendevano; il proprio uso o possesso rapivano, e
con la privata forza ricupera vano. Perciò i mancipii erano cose in realtà per
mano tolte; i debitori neri veramente legati; vere erano le mancipazioni,
usucapioni, vindicazioni, usurpazioni, o gli usi ne’rapimenti del possesso,
come le mogli usurarie che erano nel possesso, e non già nella potestà de’ mariti,
usurpavano lo spazio di tre nolli, cioè libertà, la tutela ha origine
dalla naturale disposizione dell'uomo, ed in ogni stato, come Vico sostiene, si
manifestano sempre; vedano Hume e Romagnosi con quanta buona ragione asseriscano
che genitrice del diritto è l'aggregazione sociale! per tre nolti
continue illoro uso a’mariti rapivano, accið con la usucapione di unannonon passassero
in mano, o sia nella poteslà di essi. Si disse ianaozi costar il vero della
ragione della legge, il certo dell'aulorità di essa, ed essere stale queste due
cose cagione del diritto; imperocchè il dominio, la libertà, la tulela in qualunque
stato dell’uomo si manifestano sempre. De esi però notare che il diritto, come
che risulti sempre da questi tre elementi,fu non pertanto ne’ governi divini ed
eroici più certo che vero; negli umani più vero che certo.Or siccome col diritto
delle genti m a g giori,senza alcun freno di legge, lecose, come testè dicemmo,
si usu capivano, con l’uso e con la per pelua adesione del corpo si ollenevano,
con la forza si riacquistavano, ed accadevano per questa violenza frequenta
risse ed uccisione; si riunirono in ordini i padri di famiglia, e poco
fidandosi, per la licenza che tra gli uomini regnava, del loro nalural pudore,
conservarono per sè soli la forza, e posero termine ad ogni ulteriore disordine
in avvenire. Da ciò nacque la potestà civile; la quale poche cose pubblicamente
trallava con la forza: le punizioni cioè e le pene. Affinchè poi gli altri ad
essa potestà soggetti, fossero nelle lor pretensioni tranquilli, introdusse
certa corporea forma alla materia da lraltarsi in privato, e coosacrò certa
formola di parola, alle quali uniformar dovessero la loro ipfioila e svariata
volontà i cittadini. la forza di questa formola, di proposito e seriamente, non
per frode o inganno, polevano essi acquistare diritti, conservare le proprietà
o in altri trasferirle, con le quali tre cose ce lebrayasi ogni negozio di
privato diritto. In tal guisa la civile potestà, rimossa ogni violenza, e tolla
via ogni in certezza per la solennità de’ giudizi, riforma il costume, e
distribui fra i cittadini la cosa certa e civile, che in buona ed in gran parte
ricuperarono il vero ed il pudore, che sono i due perpetui aggiunti del diritto
naturale. Da questa metamorfosi, per dir così, del dominio, della libertà e
della tutela, per la quale il diritto da violento che era si trasmuta in
moderato, ebbe origine il diritto civile; e la patura medesima delle cose
insegna essere ciò avvenuto a ogni popolo, che dal diritto delle genti maggiori
vennero sollo la potestà civile. Dopo dunque l’originaria acquisizione del
diritto naturala all’uomo, dopo l’altra introdotta dal diritto delle genti maggiori,
coo che il padre, posti i confini, distinsero il dominio delle terre, surse la
terza acquisizione introdotta dal diritto civile. E qui sinotiche come il dominio,
la libertà, la tutela costituiscono nella cosa pubblica l’autorità civile, il
privato diritto del pari a questi tre sommi capi si riducono. Al dominio, col
quale le cose che ci appartengono si vendicano, e contro qualunque possessore
si ripetono; alla libertà, la quale ogni potere ed obbligazione comprende;
all’azione, che allro non e suor chè tutela dalla legge prevedulc. Stabilita
questa dottrine, volgiamo da ultimo un rapido sguardo sul diritto de’ romani
Quiriti, e le vedremo mirabilmente confirmata. Chiama VICO il romano diritto un
serioso poema dell’universale diritto delle genti, altese le tante Ginzioni,
delle quali è ripieno. Il primo fondatore in fatto della romana repubblica muta
il diritto delle genti maggiori io certe imitazioni di violenza, come sono le
mancipazioni, con le quali quasi ogni atto legittimo si transige con la
liberale tradizione del nodo, la úsucapione non era più la perpetua adesione
del corpo al fondo occupato, ma il possesso con la volontà conservalo; la
usurpazione non più consiste in una certa rapina d'uso, ma esprime col modesto
significato di cilazione; l'obbligazione non più col nodo de’ corpi,ma con certo
legame della parole si denota; la vindicazione col Gin lo attacco delle mani
con una paglia, dellaper. Ciò da GELLIO festucaria. Pernon diral la fine di tanteal
tre, l’azione personale chiamata “condictio” non più e l’andar unito il
creditore al debitore, o alla cosa dovuta, ma face asi con la semplice denunzia.
Le quali cose menano naturalmente a congetturare, che per talicagioni si crede
il poeta il primo fondatore della città, come si è scritto di Orfeo e di
Anfione vero. Ella è questa, secondo VICO, l'origine ed il progresso dell’universale
diritto delle genti, il quale, tenendo fermo al principio di VICO stesso, in
istretta amistà con la legge morale mostrasi perpetuamente. Parlando in fatti
questo gran filosofo della giustizia universale afferma che siccome la virtù
universale eccita la prudenza, la temperanza, la fortezza, perchè si oppongano
alla cupidità; la giustizia universale del pari comanda alla prudenza, alla
temperanza, alla fortezza, perchè dirigano le utilità. Impone alla prudenza,
che ciascuno tratti avvisa la mente utili cose; alla temperanza di non
appropriarsi l’altrui; alla forza di cautelar e difendere il proprio
diritto. Per favole di tal natura è agevole di osservare, che quanto più
il diritto civile da quello delle genti maggiori si allontana, o dalla verità
della violenza; tanto maggiormeate al diritto naturale si avvicina, o al pudor
della stessa giustizia rettrice ed equatrice, che come e per conoscer
anche meglio l’accordo della filosofia di VICO con la legge morale, basta
osservare che egli contempla l'uomo: primo nello slalo di solitudine; secondo
in quello della famiglia; terzo nello stato aristocratico; quarto e finalmente
nello speciali virtù si repulano, uopo è che sieno, secondo VICO, una sola virtù,
e perciò universale virtù; la giustizia – il giure -- architettonica difatli,
che Aristotele afferma cosi comandare alle inferiori virtù come l'architetto
alle arti sue ministre, se risiede nell’animo della civile potestà, e comanda a
latte la virtù che mena alla civile prosperità; risiede altre sì, come
particolare virtù, nell'animo del sapienle, c regola gli uffizi di tutte le
virtù per la privala tranquillilà della vita. E perchè ciò? perchè, risponde VICO,
v'ha unica ragione che così della, unico vero bene, unica giustizia, e unico
diritto. Ma una pruova luminosa, e senza replica, che melle d'accordo il
principio di Vico con la legge morale si è la distinzione da esso lui adottata
del diritto naturale primitivo e secondario. Se fa egli consistere il primo
nella lu icla de’ sensi degli affetti, el'altro nel dominio della ragione: se
quello solamente permette, e questo o vieta o comanda, e ciò che comanda o
vieta è immutabile; chi osa negare che il diritto naturale secondario altra cosa
non sia che la legge morale? Ne osta punto l’aver egli fatto sorgere il diritto
civile dal diritto di violenza, che in tempi a noi remotissimi usa le genti
maggiori; imperocchè tal diritto di violenza, non allra regola seguendo che
quella del senso e dell’affetto, vero diritto non era, ma diritto certo, tullo proprio
dicoloroche più tenevano all’istinto che alla riflessione. Il diritto però di
violenza fu poscia l’occasione di far sorgere il vero diritto stato della repubblica
e della monarchia. Or, nel primo stato non altra guida ha l’uomo che quella
dell’istinto a cui ubbidisce come la pianta e l'animale; ma non è questo
certamente il suo destino; la sua facoltà lo chiama ad un bene essenzialmente
diverso da quello che dipender potrebbe dal solo istinto. Dev’egli per sè
stesso crear questo bene, e passare perciò dalla servitù dell’istinto allo stato
di libertà: a quella condizione cioè, per quale ubbidirebbe invariabilmenle
alla legge morale, come sino a quel punto ubbidito aveva all’istinto. Deve
l’uomo, a dir breve, diventar creatura libera, di automa trasformarsi in essere
morale, ed un tal passaggio deve menar lo all’autocrazia la Sent il'uomo il bisogno
di congiungersi condonna, e la nascita di un figlio, i suoi alimenti, la sua educazione,
qualunque sia si ella stala, moltiplicarono I suoi doveri. Fin qui non conobbe
egli con la compagna che un sol germe di amore, ma un nuovo oggetto fe’ nascere
in entrambi una nuova relazione morale, un nuovo amore di spezie più pura del
primo. La soddisfazione, il tenero interesse, la sollecitudine nella quale s’incontra
per l’oggetto di questo AMORE apre in esso bellissimo tratto di morale, che resero
il suo rapporto più dolce ed elevato: Ad un vincolo che da prima era
semplicemente materiale si uni la stima e dall’amore interessato nacque l’amor
coniugale che è sovranamente disinteressato. Ad un primo figlio un secondo ne
seguì, un terzo ec, e fatti grandi questi figli, teneri legami di amicizia gli
strinsero insensibilmente tra loro,e videsi nascere l'amor fraterno tra Romolo
e Remo che non è punto interessato. Stretti altri uomini dal bisogno, palleggiarono
con questa prima famiglia di prestar l'opera loro, a vantaggio lo tantocon
l'avanzar de’lumitutt’il membro della citta si crede idoneo alle funzione che
prima da’ soli padri si esercilavano, e sursero allora la repubblica e la
monarchia, dove si ni in gran parte il certo dell’autorita,e comincia il vero
della legge. Sollo queste forme di governo lulla si spiega la moralità
dell’azione, perchè si dissero azione della stessa, per una convenuta
mercede. Surse allora la società tra padroni, dove il padre comanda al proprio
figlio, a questi famoli ancora; e tale società dal nome de’ famoli si appellò
famiglia. Dalla famiglia surse ben toslo un certo naturale governo. Stabilita
l’autorità paterna sul figliuolo bisognoso di aiuto e sui famoli ha già il
fanciullo contratto l’abito di rispettare la volontà del genitore. Quando fatto
grande, il figlio divenne padre ancor esso, doveltero i di lui figli onorar
colui verso il quale vedevano che gran rispetto porta il padre loro; supposero
quindi nell’avo un’autorità superiore a quella del proprio padre. E perchè l’avo
in ogni litigio pronunzia sempre in tuon definitivo, un taluso, per più a poi
osservato, stabili finalmenle in sua persona un potere sovrano su tutt’i membri
della famiglia. Ebbe di qui origine il governo patriarcale, che lungi dal
puocere all’altrui libertà ed eguaglianza, dovelte anzi valere a garenlirla e
consolidarla. Più famiglie particolari, per comune utilità riunite, costitusce
la tribù; più tribù di Romolo la citta di Romo, dove i cittadini dovellero
amarsi come I fratelli di una stessa famiglia, e prestare a Romolo, il capo
delle tribù riunita la stessa ubbidienza che ogni membro della famiglia presta
all'avo. E perchè questa ubbidienza proviene da sentimento di vera stima verso
gli aozi del capo, dovelte essere perciò in supremo grado disinteressata.
Ma qui potrebbe dirsi che l'uomo, secondo VICO, nei quattro stati su indicati
noo altro cerca che l’utile proprio. Nello stato di solitudine in fatti cerca
egli semplicemente la sua salvezza. Presa moglie e fatti figliuoli ama la sua
salvezza con quella della famiglia.Venuto a vita civile ama la sua salvezza con
la salvezza della città. Distesi gl’imperi sopra altri popoli ama la sua
salvezza con la salvezza dal paese. Uniti i paese per pace, alleanza, commercio,
ama la sua salvezza con la salvezza del genere umano. L'uomo, conchiude Vico, in
ogni circostanza cerca principalmente l'utile proprio.Il perchè non da altriche
dalla provvidenza divina può esser guidato a celebrar con giustizia la familiare,
l’eroica e finalmente l’umana fori morali quelle soltanto che si facevano
nell’interesse della morale, senza domandare anticipatamente, seerano
gradevoli. Ogni aspetto sotto il quale la moralità si manifesta si ridusse ne’
goverai umani ai due seguenti. O sono il senso che propongono farsi la tal cosa
o non farsi, e la volontà ne decide dietro la legge della ragione, o è la
ragione che prende l’iniziativa, e la volontà ubbidisce, senza consultare il
senso. governo. Così è, diciamo pur noi, ma perchè l’utile che cerca l’uomo,
tosto che si è reso superiore all’istinto, è subordinato ro a quello della famiglia;
secondo a quello della città; terzo all’utile del paese; quarto all'utile di
tutto il genere umano; l’utile che cerca l’uomo in ogni stato su m e o tovati
non èl'utile variabile, ma quelloche è figlio dell’onestà, la quale, come Vico
si esprime, talmente dirige e pondera le cose utili che a tutti giovano
egualmente. ma di Ma perVico, si torna a dire, lulto questo è opera della
provvidenza. Dalla provvidenza è vero. Fabbro però il diritto naturale del
giurecosulto, di lunga mano di verso dal diritto naturale del filosofo che alla
norma della ragione eterna lo agguagliano sempre. Ma essendo la repubblica
degli ottimati quasi tutte ridotte in democrazia o principali, le qualidue
forme di governo vengono regolate più secondo l’ordine naturale che secondo il
civile; per queste cagioni venne a rallentarsi la custodia del diritto delle
genti maggiori più antiche, sul quale diritto poggiavano sopratutto la
re-pubblica degli ottimi, essendo propricla di quello stato la custodia delle
palric consucludini. Vico della provvidenza è l'umano arbitrio, che ha per
regola la sapienza volgare, la quale è il senso comune di ciascun popolo o nazione
che dirige in società la nostra azione, sicchè facciano acconcezza con ciò che
ne sentono tuttidi quell popolo o nazione. Quando poi le nazioni per commerci, per
paci, per alleanze sono si conosciute, la convenienza del senso comune
de’popoli o nazioni tra loro, è per Vico la sapienza del genere umano. Or, il senso
comune di ogni popolo e di ogni nazione, il quale deve dirigere in società la
nostre azione, acciò si accordion con tutto ciò che ne peosa il genere omano:
che altro può esser mai se non è la legge morale? per perciò VICO, seguendo GAIO,
chiama diritto civile comu. de il diritto comune di ogni popolo. Perchè GAIO,
ove define il diritto civile, dice: Ogni popolo che e governato da una legge e
da una consuetudine, in parte si serve del proprio diritto, in parte del comune
diritto di lultigli uomini, e ció per la divina provvidenza, che secondo la
stessa opportunità delle cose lo spiegò Ira la pazione separatamente, con la
loro costumanza, per la tranquillilà di ciascun popolo o nazione. Tale diritto
spiegato con la comune costumanza del popolo è dalla tutela, dal dominio,
dalla libertà nacquero, secondo VICO, tre pure forme dello stato. Quella DEGL’OTTIMATI,
la regia, e la libera. FONDAMENTO DELLO STATO DEGL’OTTIMATI È LA TUTELA
DELL’ORDINE, con che venne da prima stabilito che i soli patrizî siabbiano gl’auspicii,
il campo, la gente, i connubî, i maestrati, gl’imperî, e presso legenti i sacerdoti.
La regia risplende pel dominio di un solo, ROMOLO, e pel sommo e formisura libero
arbitrio di esso solo in tutte le cose. La libera vien celebrata
dall’eguaglianza de’suffragi, per la libertà delle opinioni, e per l’eguale
adito a ogni onore, il quale adito è il censo. Imperocchè inciascuno di essi comanda
un solo,o come vuole TACITO: uno essere il corpo della repubblica, e doversi governare
con l'animo di un solo, o di piùa guisa di un solo. E però inciascun politico
reggimento colui che è sommo è anche unico; perchè il sommo del pari che l’unico
non si può moltiplicare. Ma queste tre forme pure di stati, benchè sieno
da quelle particolari differenze teslè osservate, tra loro diverse; tultavolta
allesa la loro origine, per virtù della quale la ragione, la volontà, il potere
risiedono nell'uomo, sono strettamente tra lor collegale, e costituiscono irë
parti di virtù fra loro commiste. L'ordine naturale per tanto è l’anima di ogni
stato, perchè regna in quest’ordine il vero che all’ordine delle cose
corrisponde, non a quello de’ nomi senza le cose, il quale non è ordine, ma
sembianza di ordine. Quello dunque è l'ordine naturale dello stato, dove il
prudente, il forte comanda e l’imprudente, l’imbecille ubbidisce: quali furono
i primi principii dello stato, la famiglia, la clientela, gli antichissimi
stati degli ottimati pur ordine civile quello che per volere della legge
all’ordine naturale è frammesso, che può anche dirsi ordine politico, misto di
civile e di nalurale, come nello stato degli ottimati il senato si compone de’
sapientissimi fra i patrizi; nello stato popolare il popolo viengo ver pato
dall’autorità di un senato sapiente; nello stato regio il principe ROMOLO si
vale del consiglio de’ sapienti. Quest’ordine misto può definirsi successione
dell’onore, nella quale chi per una e chi per altra dole come per fede,
diligenza, solerzia, valore, giustizia, vien riputato degno di ascendere ad
onorale cariche, e dalle minori alle maggiori gradatamenle viene promosso: di
guisa che i migliori sempre preseggano, e vigilino su I costumi degl’inferiori e
li dirigano. Ma quando gli ottimati divennero nomi vani che li distinsero
dalla plebe, all’ordine naturale successe il civile, ed al vero seguì il certo,
il quale altro non è che la conformità all’ordine, non delle cose, ma della
parola, da cui nasce la coscienza dal dubilar sicura. Imperoc chè I primi
imperi degli ottimi o si manteonero ne’ loro discendenti, o in ogni popolo
passarono, o a monarchici si ridussero. Perciò l'ordine civile o è nel
lignaggio come nell’aristocrazia, o nel censo come nella democrazia, o nella
casa regnante come nella monarchia. Ma de la nobiltà, né il patrimonio rende
sapienti. Il nascer orincipe è cosa fortuita, dice Tacito, nè altra. Siccome
però il certo è parte del vero, e la ragion civile nasce della stessa ragion
naturale per le cause di certo diritto, così l'ordine civile per natura sua fa
parte dell’ordine naturale in quanto è esso cagione della pubblica sicurezza,
ond'è che anche la citta la più corrolla da questo stesso civile ordine viene
conservata. Ed è per quanto però la mente è più verace del discorso,
altrellanto l’ordine e più stabili della legge; im pe rocchè la mente sempre
una cosa detta al parlare, ma pel giudizio, o sia per la volontà, noi più volte
falliamo, servendo spesso a ciò che dice il senso, senza ascoltar la mente. La
parola in oltre non viene sempre con prontezza alla mente, spesso non esprime i
suoi comcetto, mentre viene quella incessantemente spronala a raggiugnere
Ma questi ordini per la via della legge col timor delle pene, con la speranza
de un premio, impongono al cittadino di rettamente comportarsi. Per la qual
cosa l’ordine e più stabile dalla leggr: onde avviene che la legge ri posino
sull’ordine, e che questi conserva la legge; im. perocchè l’ordine politico, il
quale è misto di ordine naturale e di ordine civile, con maggior ragione di ciò
che Aristotele della legge disse, è verameole una mente scevera di affetti. E
come che la mente del popolo io generale sia scevera di affetti, pure questa
mente stessa suole addivenir talvolta turbatissima, sopra tutto ove sia commossa
da intestine turboleoze. Qual fu la mente del popolo di Atene, e quella del
popolo romano sconvolta dal demagogo, che indussero l'uno e l'altro popolo, con
particolare legge fuori l’ordine promulgate, a bandir dalla patria uomini di
chiara virtù, per elevare ad amplissimi onori immerite volissimi cittadini.
Vero, il la qual forza di vero altra cosa non è che la ragione. Or, la parola
sovenli volte elude questa forza di vero, per la perversa volontà di chi
ragiona. L'ordine perciò naturale e l'ordine misto è il solo che può con
giustizia amministrar il diritto, e questo avviene quando uomini per sapienza e
per virtù prestantissimi, giusta l’ordine naturale, e non secondo l'ordine
concepu. Siegue da tullo ciò che il diritto chiamato da Grozio e Kelsen puro, e
da GAIO DIRITTO COMUNE a tutti i popoli,
altro non è ch e il diritto naturale, il quale h aperto della parola, o che
torna lo stess, non secondo il certo della legge, ma giusta il vero della legge
stessa, reggano gli stati. E perchè la leggr in moltissimi casi mancano ed è
necessaria l’interpretazione che a la deficienza supplisca; può accader ancora
che sollo la stessa autorità del diritto non solo qualche volta per ignoranza
si erri, ma la stessa legge con frode si eludano. Più felice dunque e quello
stato, nel quale il civile ordine e misto più secondo il naturale ordine o
secondo l'ordine del vero che secondo l’ordine del certo. Quindi ove si
conservino la legge imposta dall’ordine, e mollo più gli Ordini che le leggi si
cuslodiscano, verranno gli Stati conservati. Ma se le leggi mancano, gli stati rovinano.
Perciòsiamo servi della legge, diceva Tullio, per poter esser liberi.
Convertendo dunque la massima si dirà pure con verità: se ci libereremo dalla
legge, saremo naturalmenle servi. la legge morale; perchè, secondo Vico, non può
darsi diritto senza morale. Iolanlo è da nolarsi diligentemente che VICO
distingue il diritto io diritto vero, e diritto certo. Quello è per la ragione,
questo per l'autorità. Il primo dirige l'uomo libero, il secondo l'uomo che più
della liberlà segue l’istinto. Or cgli è evidente che negli stessi umani
governi la più gran parte degli uomini, tenendo più all’istinto che alla libera
elezione, si lascia più facilmente guidare dall’altrui autorità che dalla ragione.
Di qui la necessità di un diritto misto, secondo le esigenze de’ popoli e le
diverse forme di governo. Ma da ciò non segue che coloro i quali con la loro
autorità oe fondamento impongodo a’ popoli, essendo essii più sapienti, i
più prudenti, come vuole VICO, non si propongano per i scopo il diritto vero e
che non sieno al caso disco prirlo, senza darsi gran pena. La destinazione
infalli del l'uomo non può dipendere dall’istinto, e tosto che l'uomo si
conosce libero e la sua ragion consulta, questa gli ordina di conservarsi e di
perfezionarsi: di essere cioè savio, moderato, prudente; di collivar
l’intellelto, e nel tumulto de’ sensi e degli affetti di cautelare la volontà:
nel che propriamente consiste la libertà dell'uomo interiore. E perchè egli
scopre in altri esseri, a lui simiglianti, la stessa attività libera, gli
considera tutti eguali, e tale scoperta fa nascere in lui l’obbligazione di
lasciar i suoi simili nella loro indipendenza, ed è questa la tutela. A ppresso
giudica di non aver diritto su di ciò che è stato da altri prima di lui
occupalo, e ciò che ha egli occupato il primo, giudica che a lui spella
solamente, nel che sla il dominio. Di qui reciprocità del diritto e del dovere;
di qui l’origine della giustizia che gareolisce la proprietà. Tulli gli
anzidelli del diritto e del dovere, perchè fondati sulla libertà, sul dominio,
e sulla tutela, o che lorna lo stesso, sulla natura dell’uomo, stanno per sè,
prima che l’uomo entri con altri in società. La legge non li creano, perchè già
erano prima della legge. Questa non altro fanno che conservarlo. Lo stesso
diritto e lo stesso dovere servono di fondamento alla società, che il
legislatore non crea ma dirige, perchè la società già era, quando il governo
non era ancora. La libertà del diritto,
dice VICO, fuprim a ch e si conoscesse la servitù. Non s’introduce già il
dominio con la divisione de’campi, furono solamenle distinti. Dalla polegza di
operare infine nacque tosto la tutela o difesa di sè stesso. Se non che,
ammellendo Vico nell’umana mente al cuni semi del vero che con l'andar del
tempo si sviluppano in cognizioni distinte ed alcuni germi del giusto che
tratto tratto si spiega la massima incontrastabile di giustizia; mostrasi egli
in gran parte seguace di Platone intorno all’origine di quella verità che si
dice necessaria. Or tale verita, essendo per noi di due spezie, una teoretiche
ed una pratica, diciamo, che rispetto alla prima, la verita teorica, l’io il
quale per un alto di spontaneità si conosce e si rivela dell'appercezione,
appoggiato alle quattro idee necessarie di spazio,di tempo,di sostanza e di
cagione, riduce all’unità tutto il vario della rappresentazione che a lui offer
il senso. Riguardo poi alle verita pratica, essendo elleno legge pratica o
comando di fare, si contiene in una massima universalisabile. Quando ti
determini all’azione, esamina te stesso e vedi se la tua volontà sia di accordo
con la volontà generale di ogni persona. Una tal massima universalisabile è la
suprema legge della morale. Che che sia però della filosofia di Vico, a noi
basta di aver provato che le due sue digoilà Vl*e VII“, ben lungi dall’opporsial
la legge morale, la confermano mirabilmente. Dominio, libertà, tutela tre
elementi del diritto; tre elementi che costituiscono l'uomo morale. Perchè non può
avervi diritto senza morale. La filosofia perciò di VICO si accorda perfettamente
con la morale. All natios bostna viSing to derive merit from the
splendonr of their original. And irhere history ii uleot, they fueiuenJiy
anpply the defect with fable, THE ROMANS were particnlaHy dcH^OB of being thought
DESCENDED FROM THE GODS, m if to hide the meaaDess of their real ancestry.
Mueas, the Bon of Veona AocUaei. having escaped ftvm the deitniotioii of Ttey,
after'11MU17 adventures and dangers, atrived octet a in Italy, where
Aeneas was kindly received by Latinus, king of the latins, who gave him his
daughter Lavinia in marriage. Italy was then, as it is now, divided into a
number of small states, independent of each other, and consequntly subject to
frequent contentions among themselves. Turnus, king of the Rutnti, is
the first who opposes Aeneas, he having long made pret^uions to Lavinia
himself. A war ensues, in which the Trojan hero is victorious, and Tornus
sfadn. In consequence of this, Aeneas built a city, which was eded Lavimnm,
in honour of his wife, and some time after, engaging in another war against
Hezentius, one of the petty Ungs of the country, he was vanquished in turn, and
died in battie, after a reign of four years. Ascanius, his
son, succeeds to the kingdom, and to him Silvius,
a second
son, ^lom be had by lAvioia. It would be tedious
and unninterealing to recite a dry catalogue of the kings that
followed, and of whom we know little mtae than the names. It
will be sufficient to say, that the
sacoesnoD coatiDiied for near four hundred years
in the family, and that Numitor, the
fifteenth from Aeneas, is the last king
of Alba. Numitor, vho took posseBsitHi
of the kingdom in consequence of his father's
will, had abrpther named Amnlius, to whom are
left the treasures which had been brought from Troy. As riches but too
generally prev^ against right, Amolins made use of his wealth
to supplant his brother,a nd aooo foDod means top ossess himself of the kingdom,
ot content with the crime of usurpation, he added
that of murder also. Nnmitor's sons
first fell a sacrifice to his suspicions, and to remove all
apprehensions of being one day distorbed in his ill-gotten power, he caused
Rhea Silvia, his brother's only daughter, to become a
vestal virgin, which office obliging her to perpetual celibacy,
made him less uneasy as to the claims of posterity. His precautions, however,
are all frustrated in the event; for
Rhea Silvia, going to fetch wator frqip a
Qeighbopring grove, was met and ravished by a man, whom,
pei^tqw to palliate her offence, she avers to be MARTE, the
god of war. Whoever this lover of hers was, whether
some person had deceived her by assuming so
great a name, or Amnlins himself, as some writers are pleased to a£Srm,
it matters not.Certain it is, that, in due time she was broug:lit to bed
of two boys, who were no sooner bom than devoted by the usurper to destmction.
The mother is condemned to be buried alive -the usual punishment for vestals
who had violated their chasti^, and the twins are ordered to be flung into tbe riverTiber.It
happens, however, at the time this
rigorous sentence was put into eieculion,
that the river had more than usually
overflowed its banks, so that the place where the children
are thrown, being at a distance from thei main cnirent, the water is
too shallow to drown them. In this ntoation, therefore, they
continued without harm; and that no
part of their
preservatioD might want
its wonders, we are told,
that they were for some time suckled there by a wolf, until Fanstulos, the
king's herdsman, finding
ihem exposed, brought them
home to Acca
Laurentia, his wife,
who brought them up as her own. Some, however, will have it; that the
nurse's name was Lupa, which gave rise to
the stoijr vt their being nouriihed by a wolf; but
it is needless
to vfad Do,l,,-cdtyS oirt a
iwglH MBpg«b«ba% fian
'venevntB vbtfe die
vkote « omgrowB with
ftUe. Boraoloa and
Bemna, Ae twins
thtu strangely prcwcved.
Memed eariy to
diacover afai)iti«i uid
desiret above the
me«i- noH of
thor aapposed origiiuL
The ahepkenl's life
be^an to di^leaae
them, aod fnaa
tending the flock,
or hantiag wild
beasts, they soon
tnmed their strength agsinst
the robben lonnd the eonntry,
whom they efien atfipt of their [daader to share it among their feUew-shepherds. In one
of these ezcmnons
it was that
Remus is taken priaoner by
Nvmttor's berdsmen, who bring him before the
king, and aoensed
him of the
very crime which he bad ao t^tea attempted to sappresa. Bomnlaa, bowerer, beii^ informed 1^
FaiiBtaliu of his real birth, was
not remisa in
assembling ft munber
of hia fbllow^epherds, in
order to resooe
bis brother from
posoD, and foroe the kingdtmi from tbe
bands of tbe nsnrper.
Yet, being too feeble to act openly, he direcs bis followers to assemUe
near the place by different ways, while
Beniiis with eqnal
vigilaooe gm&ed npon
tbe dtiuua within. AmalioB, tfans
beaet on all sides, and not knowing iriiat expedient to thinkof for bit seoiuity, was,daring hia amasenent
and distraotion, taken
and daio, while Numitor who had been deposed forty-two years,
recognised bis grandscns, and is restored to the throne. Nnmitor
being tints in
qvet posiewion of
the kingdom, hot
grandaou resolred to
bnild a eify
npoo those hills whoe they had
formerly lived as aheiriierda. The king had
too many oUigations
to them not to approve their
des^; he appointed
tbem lands, and
gave pennisnoB to
.snoh of hia
subjects a» thoo proper
to settie in
their new colony.
Many of the
neil^draariiig shejdierda also,
and sncb as
were fond of
change, lepabed to the
intended dty, and
prepared to raise.
For the more speedy oarrybg
on this
work, the people were
divided into two parts, each of whioh, it was sapposed, woidd
indoatriondy emnlate the otfaer. Bat what
was designed fi»
an advantage proved nearly
fatal to this
infimt oolony: it gives birth to
two factions, one preferring Romulus, the other Remus,who themselves arenot agreed upon the spot where
the city shonld stand. To terminate this difference, they are recommended by
the kingto take an omen from the flight of birds; and that be, whose ome should
be most favoorable^ afaonld in
all reepeots direct die odier. In
ooatflSaaoe wiOl this advice,thej both take their stations
npon diffra«nt hilk. To
Remus appear six
vultures, to Romulus,
twice that number,
to ttwt each
party thongfat itielf
viotoriovi, the one
tiaviog the *first*
omen, the other
the most nnmeroiu.
Tbifl prodnoed a
contest, whitdi ended
ui a batde, wherein Bemoa is slain,
and it is even said, that he was kiUed by his brother, who,
facingprovoked at his leaping contemptnoasly over the city wbU,
itrack him dead upon tbe
qrat, at the same time proKssio^, that nooe shonld
ever inanlt his walla withim punity.
Romoltu, being now sole
coHunuider, and eighteen yean of age,
b^an the fonndation of acity, that was one day to give laws to the
woild. It was called Rorne after the uaaie of the founder, and bnilt npon the
Palatine hill, on which he had taken lus ancceflsfol omen. The city was at first almost square, oontaining «bont a
tlwiisand houss. It was near a mile in compass,
and commanded a small territory
ranod it of
about eight miles over.
However, smallas it
appears, it was,
ootwithstandiiy, vone inhabited;
and the first
method made uae
of to increase
its numbers vaa
the opemng a
sanctosry for all
male&otors, slaves, aod
snch as wm«
desirons of novelty.
These came in great
multitudes, and cootibated
to increase the
number of our legtslatoi'B
new subjects. To have a just
idea ther^re of Rome in its infant stale,
we have only to
iwsgine a coUec-
tion o( cottages,
sairotinded by a
feeble wall, rather
built to serve as a military
retreat, than for the
purposes of civil
>o- cie^, rather filled
with a tnmoltuoas
and vicious rabble,
thaD with subjects
bred to obedience and
control.We have only to conceive men bred to rapine,
Iwing in a
place that merelj seemed calculated for
the security of
plonder; and yet,
to our astonishment, we shall
soon find this
tumulbioas coocouise unit>
ingin the strictest
bonds of sode^;
this lawless rabble putting OB the most sincere regard for
religion; end, thouf^
composed of the
dr^s of mankind,
setting examples, to all
the worid, of valour
and riitne. Doiii,,ih,. WWLOU
SoARGB mm tbe
city rnsed abore iti
&niid«tioB. vhen Hs
rade mhalulsBtB hegaa
to tfauik of
gmag some fonn
to their. MoslitBtioii. Their first
object was to
unite lifoer^ and
empire; to fonn
a kiod of
mixed monncby, by
irfaicfa all power
vw to be
dividad between the
prince and the
peopte. Bo- nlna, by an act
of great geoeromtf, left them
at liberty to dwose whom they wonld for dieir king, and
tliey in gnrtitiide
eoBcmred to elect their founder;
be was accordingly acknowledged as
chief of dieir religion, sovereign magistrate of
Rorne, md geoeral of Ae army. Beside a guard to attend his person,
it was agreed that he should be preceded wherever be went by tweW e mCT, armed with axes tied
op in a
bnadle of rods, who were to serve
as execntioners of the law,
and to impress hii new subjeots with an idea of his authority.
Yet stUl
tUa aKiboriQr was ondw very great
restriotii»ig, as his whole power CMisisted in
caQing the THE SENATEsenate togedier,
in assembling the
peo tMibstont and
fierce as the first
Romans, it was
wise to enforce obedience
t &6 most
reqnidte dnty. lie first care of the new-created king is to
attend to the
interests of religion,
and to endeavour to hnmantse his
subjects, by the notion of
other rewards and pnnishnients
than diose of hnman law. The
precise form of their worship
is nn- known; bat die greatest
part of the
religion of that
age con- siMed in
a firm relianoe
upon Ae credit of
their soothsi^ers, irito fvetended, from
observations on the flight
of birds and
the entrails of
beasts, to direct
the present, and
to dive into fntmrity. This pioos fhrad, wbich first
uvse from ignorance, soon became
a most usefnl
machine in the hands
of government. Romnlns, by
an express law,
commanded, that no
election should be
made, no enterprise undertaken,
witfa- flat first
conaolting die soothsayers. With equal
wisdom he ordained, that no new
divinities should be
introdoced into pnhlic
worship, that the
priesthood should continue
for fif, and that Aone shonM be
elected into it before
the age of
fifty. He fort>ade
them to mix fable witb
the masteries of
their reUgion; And,
timt they mi^t
be quaKfied to teach others, he ordered
Aat tiiey should
be tiie iHstoriographns of
tiie times; so
tiia^ while instructed
by priests Bk^ these,
the people cordd never
degenerate into total
barbarity. Of his other
laws we have
but few fragments remmnii. In these, however, we
learn, that wives were
forbid, upon any
pretext whatsoever, to separate from tbeir
husbands; wUle, on the
contrary, the husbaod
was empowered to repudiate the wife, and
even to put
her to death with the consent of hef retatioQB, inc ase
she was detected in adultery,
in attempting to poison,
in making false
keys,. or even of having drunk
too much
vine. His laws between children and
their parents w«'e
yet sdll more severe;
the father had
entire power over his offspring, both
of fortune and
fife; he conid
ell them or
imprison them at
any time of
their lives, or in any ttations
to which they were arrived. The
father might expose
his clnldren, if
bom witii any
deformities, having previoasly eommunicated bis
intentions to his five
next of kindred. Our lawgiver seemed moze
kind even to
his enemies, for his subjectswere
prt^hited from killing
them after they
bad surren- dM«d,
m even from
sdling them: his
ambition only aiaied at .,Coo many
endeaToiiTs to inoraase
bia BnbjeotBi aad
m mmy Inra
to r^nlate them,
he next gave ordeis to
ascertna tbeir numbers.
Tbb whole amoanled
bat to three
tbooMnd foot, and about as
many bnndred horsemen,
capable of beari^
arms. These, therdbre were
divided equally into
three tribes, and to
each he asiigaed
a different part
of the taty. Each
of these tribes
were sabdivided into
ten cmin or
compame, consiBting of an hundred
men each, with
a oentnrioB to
command it, a
priest c^ed curio
to perform the
sacrifioes, and two of
the principal inhatntants, called
duumviri, to distribute jnstioe. Aocordijigly to the number
of ooriv he divides the
lands into thirty
parts, reserving one
portion for public
uses, and another
for religiaus ceremonies.
Tbo «m- phaty and
fingality of tha
times will be
best iindeistood by
observing, that dach citizen had not
id>ove two ictea of
ground for his owB
subsistence. Of the
horsemen mentioned above,
dtere were chosen ten
from eei^ curia;
tfaey were particularly
appointed to fi^t
round the person
of the king;
of them hU
gaud was composed, and from tbeir
alacrity in battle, or
fhuB the >ame
of their first commander, ^ey
were called ceUrat,
a word equivalent to our light horsemen. A goremmcot thus
wisely instituted, it may be suppoaed, nduced numbers
to come and
live under it: each day added to
its strength, maltitudes
flocked in from
all the adjacent
towns, and it
only seemed to
waqt women to
ascertain its duration. In
this exiaeiatx, Romulus,
by the advice
of the senate, sent deputies among the Sabines, his
neighbours, entreatingtheir alliance,
and upon these terms-
ofiering to cement the
most strict confederacy
with them. The
Sabines, who were then considered as the
moat warlike people of
Italy, r^ected the proposition with disdain, and
some even added
raillery to the
refusal, demanding, that
as he had opened
a sanctuary for
fugitive slaves, why he
had not also opened
another for prostitute
women. Tbis answer quickly
raised the indignation
of the Rpmans; and the king, in
order to gratify
their resentaient, while
he at the
same time should
people hb ci^,
resolved to obtain
by force what
was denied to intrea^. For this
purpose he proclaimed
a feast, in
honour of N^tane,
diron^ut all the
nMghboitring villagea, and made
the meet KAPB OF THK BABINBS. t
mmgaiAMat pnftamtkmi for
it Tbets feuta
wen guan^ preceded
by sacrifices, and ended in shows
of wreeden, ^ft-
diaton, and chariot-^onrses.
The Salnnes, as he
had expected, were among the
foremost who came
to be spectalon^
fannging their wives
and daughters with
them to share t^
pkasore of the
sight. The inhabitants
also of maaj
of tht ueig^hoariDg
to^os came, who were
received by the RomaM
with marks of the
most cordial hospitality. lo the mean
time the games began, and
while the strangers
were most intent
upon the spectacle,
a number of the
Roman yonth rushed
la mnoag them
wiUi drawn swords
seized the yotingedt
and meet beaatilid
women, and earned them off
by violence., In
vain the parents
protested against this
bre&cfa of hospitali^;
in vain the
virgins themselves at
first opposed the
attempts of th^
raviBfaers; perseverance and
caresses obtained those
&• TOWS which
timidi^ at firstdenied: so that
the betrayera, frma
being objects of aversion,
soon became partners
of their dearest
affections. But however the afiront might have been botne by them, it
was not
BO easily pnt up by
their parents; a bloody
war ei^ sued. The
cities of Cenioa, Antemna,
and Cnutuminm, wen
the &at who
resolved to revenge
the common cause,
which the Salnses
seemed too dilatory
in pursuing. These,
by making aeparate inroads,
becamea more easy
conquest to Romulus,
who first ovothrew
the Ceoinenses, slew
dieir king Acron
in sio combat, -and made an
offering of the royal spoils to Jupiter Feretrius, on the spot
where the capitol
was afterwards built
The Antemnates and
Crustuminians shared the
same. fate; their
armies were overthrowu, and their cities takes. The
conqueror, however, made the
most merciful use
of las victny;
for instead (rf destroying their towns,
or lessemi^l tbent
nnmbeis, he only
placed colonies of Romana
in them, to. serve
as a frontier to repress
more distant invasions.Tattos, king
of Cures, a
Sabine city, was
the last, althou^
the most formidable who undertook to cevuige the
disgrace his country
had suffered. He
entered the Roman
territoriea at the head of twenty-five thousand men| and not content with
a superiority of
forces, he added
stratagem also. Tarpeia, who was
daughter to the
commander of. the
Cajutolme hill, happened to
&11 into his hands, as
she went without
4>e walls of
the city to
fetch water. Upon her he
prevailed, by meant
of hrga pttuSaet,
to bebrajr aae
of the ^^ates
to his army.
Tlie i«<irwd she
eagdgei for was
vfaat the soldiers
wore on their
atteB, by vfaich
the meaot their bracelets. They,
however, cotber miataking^
her meaning, or
wiUing to panish
her peifidy, ttvew
tlieir bncklera upon
her as they
entered, and crushed
ber to death beneath them. The
Sabines, being thus possessed of
the Capitoline, had the advantage
of continning the
War at tbeir
pleasure; and for
some time only
slight enconnters passed
between them. At
length, however, the
tedionsness of this
contest began to
weary out both
parties, so that
each wished, but neither would stoop to
sue for peace.
The desire of
peace ofteii gives
vigour to measures
in war ; wherefore
boUt sides resolving
to terminate their
doubts by a
detMsive action, a general engagement ensued, which
was renewed for
several days, with
almost equal success.
They both fon^t
for all that
was vEduable in
life, and neither
could think of
submitting: it was in the
valley between the Capitoline
and Qui- rinal
hills, that the
last engagement was
fought between the
Romans and the
Sabines. The engem«it
became general, and
the slaughter prod^ioua,
when the attention
of both sides
was suddenly turned from the scene of
horror before them,
to (mother infinitely
more striking. The Sabine women,
who h^
been carried off by the
Romans, were seen
with their hair loose
and iheir ornaments
neglected, fiying in
between tbe combatants, regardless of their own
danger, and with
loud outcries only
solicitous for that
of their parents,
their husbands, and
their cUIdren. "
If," cped ihey,
" you are resolved upon
daughter, turn your
atma upon us,
since we only
are the cause <tf
your animosity. If any must
die, let it
be us; since
if oar parents
orour husbands faU,
we must be
equally miserable in
being the surviving
cause." A spectacle
so moving could
not be resisted
by the combatants;
both sides for
a wtiile, as if
by mutual impulse, let fall their
weapons, and beheld
the distress -
in silent wnazement
The tears and
entreaties of thdr
wives and daughters
at length prevaUed;
an accommodation ensued,
by which it
was' agreed, that
Romulus and Tatius should
t«ign jointly in Rome, with equal power and
prerogative; diat an
bailed Sabines should
be admitted into
the senate; that
the city should
still retain its
farmer name, but
that As citizens
should bctdled Qnirites,
after Cures, the
principal town of
the Sabines; and that both nations being thus united. 11
•aoh of the
Sabtees u i^ose
it shoiM be
sdnAted to Bniad
eDJoy all the
privilegea of citizens
oi Rome. llaH
erery •torm, vhich
seemed to threateo
this growing empire,
only served to
increase itvigour. That army,
wfaich in die
mondug had resolved
upon its destruction,
came in the
evetlin^ with j(^
to be enrolled
uiDoag the number
of its ctttzens.
RomfoloB saw his
dominions and his
sul^ects increased by
more then half
in the space of
a few hours; and, as if fortune meant every way to assist his
greatness, Tatins, his
partner in the
govem- ment, was
killed about five
years after by
the Lavinians, for
having protected some
servants of his,
who had plundered
them and slain
their ambassadors; so that by this accident Romulus once more saw
himself sole monarch of Rome. Rome being
greatly strengthened by
this new acquisition
of power, began
to grow formidable
to her neighbours ;
and it -aiay be supposed, that pretexts
for war were
not wanting, when
prompted by jealousy
on their ride,
and by ambition on
that of the
Romans. Fidena and
Cameria, two oe^hbonring
cities, were stibdoed
and tAken. Veii also, one of the most power Ail states
of Etruria, shared nearly the same fate;
after two fierce engagements tiiey
sued ftM* a
peace and a league, which was granted upon giving np the seventh
part of tbev dominions, their salt-pits near the river, and hostages for greater security. Successes like
these produced an equal share of pride in the oonqneror. From being contented
with those limits which had been wisely fixed to his power he began to affect absolute sway, and
to govern those laws, to which he had himself formerly professed implicit
obedience. The senate was particularly displeased at his
conduct, finding themselves
only used as
instrom^its to ratify
the rigour of his commands. We are not told the precise manner which
they made use of to get rid of the
tyrant: some say that be was torn in pieces in the senate botise;
otiters that he disappeared while reviewing
his army: eertain
it is, that
from the secrecy
of the fact,
and the concealment of the body, tbey took occasion
to persuade the multitude, that he was taken np into heaven; thus him whom they
oonld not bear as a king, tbey were
contented to worship as a god: Romnlns
reigned tlnrty-seven yean, and after his death bad a temple
built to turn under the name
of Quirinus, one of the Hwrton wilwMly vffiiniaff, that be had
appeared to hm, and desired to be isTtAed by that tide. We see little more in
the obaraeter of this princ, than vhat mi^t be expected in andk an a^, great
temperance and great valour, wbich
generally make np
the catalt^e of
sar^^e virtues. Howeva,
the
gnndenr of an empire, admired by the whole irorid, creates
in u an adnuration of tiie founder, viftoat mnch raamimng'
hia. Grice: “Most of Colecchi’s essays are easily available, and it’s easy
enough to check his references to other Italian philosophers – not just Vico,
as I have done – but Rogmanosi, and even ancient Roman ones like Cicero – and
perhaps more importantly his influence on the so-called Neapolitan Hegelians!”
-- Ottavio Colecchi. Keywords: Vico, il Vico di Collecchi, Cacciatore,
Macchiaveli, Lazio, Romolo e Remo, Kant, categoric imperative, massima,
first-hand knowledge of Kant, Colecchi Kantiano, ma non aristotelico – il
kantismo di Colecchi – l’italiano kantiano di Colecchi – il vocabolario
kantiano in Colecchi – analitico – sintetico – sintetico a priori – giudizio
necessario – Romolo e Remo, diritto naturale, lingua e nazione, Marte, Saturno,
Giove, etimologia di Vico, il Lazio, il senato romano, ottimati, storia di
Roma, diritto romano, psicologia razionale, psicologia filosofica, l'istinto,
la passione, la ragione, la sensazione, l’intelletto, spazio-tempo, l’azione,
l’agire como reame della morale, massima d’azione, la regola di oro – la
rifutazione di Vico all’eudaimonismo di Aristotele e al utilitarismo di
Bentham, lo caduco e lo no caduco, ius naturale, ius artificiale, ius como la
virtu unica, giustizia equittrice e rettrice, giustizia commutative e giustizia
distritutiva, l’ordine aritmetico e l’ordine geometrico – progression arimmetica,
progressioe geometrica, la base matematica della filosofia di Colecchi, l’amore,
amore interessato, amore disinteresatto, salvezza, uomo, padre e figlio, uomo
come cittadino, il genere umano, la massima universalisabile, l’onesto,
fortezza, prudenza, toleranza, virtu, vizio, il vero versus il certo, la
nascita della morale dal ordine agglomerazione sociale, la potesta naturale, il
dominio, la tutela, la liberta, libero arbitrio e passione, autorita e ragione,
forza, autorita e raggione, l’ubbidenza che il figio mostra al padre, il ruolo
dell’avo, la societa di equali, il modello della societa romana antica, la
societa dell’amicizia, Eurialo e Niso, L’Enneada, la lingua del contratto come
requisite del patto sociale, la parola e il concetto, la formola della parola,
verbum/res, res pubblica, communita, diritto comune, bene comune, l’ordine:
primo stato dell’uomo in solitudine, l’ordine della famiglia: societa di
inequali, padre/figlio, terzo stadio: la tribu di Romolo, la citta di Romolo,
il paese di Romolo, il genero umano, diritto universale di Vico e Kant,
Hampshire on Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colecchi” – The
Swimming-Pool Library.
Luigi Speranza -- Grice e Colletti:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei curiazi,
ovvero, politica romana – scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia
-- filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “I like Colletti
– he takes political philosophy seriously unlike we of the Lit. Hum, not PPE school, at Oxford! But then he is a Roman and has all the
Orazi and Curiazi traditions!” Si laurea sotto Volpe. Insegna a Roma.
“Partito Socialista Italiano”. Altre saggi: “Il marxismo e Hegel, in Lenin,
Quaderni filosofici, Milano, Feltrinelli, Ideologia e società, Bari, Laterza,
Il marxismo e Hegel, Bari, Laterza, Il futuro del capitalismo. Crollo o
sviluppo?, e con Claudio Napoleoni, Bari, Laterza, Intervista politico-filosofica,
con un saggio su Marxismo e dialettica, Roma-Bari, Laterza, Il marxismo e il
"crollo" del capitalismo, a cura di, Roma-Bari, Laterza, Tra marxismo
e no, Roma-Bari, Laterza, Tramonto dell'ideologia. [Le ideologie dal '68 a
oggi; Dialettica e non-contraddizione; Kelsen e il marxismo], Roma-Bari,
Laterza, Crisi delle ideologie. Intervista politico-filosofica, Il marxismo, Le
ideologie dal '68 a oggi, Milano, Club degli editori, Pagine di filosofia e
politica, Milano, Rizzoli, La logica di Benedetto Croce, Lungro di Cosenza,
Marco, Fine della filosofia e altri saggi, Roma, Ideazione, Lezioni tedesche.
Con Kant, alla ricerca di un'etica laica, Roma, Liberal, È morto C. voce
"contro" di Forza Italia, su repubblica, Camera dei Deputati, Gruppo
Parlamentare di Forza Italia, Ricordo di C., Roma, Stampa e servizi, Orlando
Tambosi, Perché il marxismo ha fallito C. e la storia di una grande illusione,
Milano, Mondadori, Ministero per i beni e le attività culturali, C.: il cammino
di un filosofo contemporaneo, Roma, Essetre, Pino Bongiorno, Ricci, C. scienza
e libertà, Roma, Ideazione, Corradi, Storia dei marxismi in Italia, Roma,
Manifesto libri. C., LaTreccani L'Enciclopedia Italiana. C. su Camera XIII legislatura, Parlamento
italiano. Lucio Colletti, su CameraXIV legislatura, Parlamento italiano. La
storia di C. di Preve, nel sito Kelebek Roma. Partito Comunista Italiano” Forza
Italia”. Il saggio di C. Marxismo e dialettica fu scritto «a chiarimento di
alcuni temi toccati» nell’intervista apparsa sulla “New Left Review”, e
pubblicato con la traduzione italiana dell’intervista. Più esattamente Colletti
si propone di chiarire la «differenza tra opposizione reale (la Realopposition
o Realrepugnanz di Kant) e contraddizione dialettica. Si tratta di opposizioni
radicalmente diverse: la prima è «senza contraddizione (ohne Widerspruch)», la
seconda è «per contraddizione (durch den Widerspruch). La opposizione
dialettica è espressa dalla formula A non-A, nella quale ciascun opposto è solo
la negazione dell’altro, ma non è niente in sé e per sé. I poli
dell’opposizione sono cioè ambedue negativi, più esattamente ciascuno è la
negazione dell’altro, ma solo all’interno dell’unità con l’altro. Quindi
«entrambi gli opposti sono negativi, nel senso che sono ir-reali, non-cose
(Undinge), ma idee». Ciascun opposto ha la sua essenza fuori di sé, nell’altro
di cui è la negazione. L’origine dell’opposizione dialettica, e della stessa
dialettica, è platonica: l’unità degli opposti è la koinona ton genon.
L’opposizione reale è espressa dalla formula A e B, nella quale ciascun opposto
sussiste di per sé, è positivo, e perciò è esclusivo dell’altro. La cosa più
importante è che Biscuso. Opposizione reale, contraddizione logica e
contraddizione dialettica 4 «nell’opposizione reale o rapporto di contrarietà
(Gegenverhältnis), gli estremi sono entrambi positivi, anche quando l’uno venga
indicato come il contrario negativo dell’altro. Questo accade ad esempio quando
ci rappresentiamo due forze eguali che muovono due corpi in direzione
contraria: il risultato è la quiete, cioè comunque qualcosa (ed essendo
qualcosa possiamo rappresentarcelo). «In altre parole, nella relazione di
contrarietà che è l’opposizione reale, vi è, sì, negazione, ma non nel senso
che uno dei due termini possa essere considerato come negativo di per sé, cioè
come non-essere». Le opposizioni reali non minano, anzi confermano il pdnc,
proprio perché sono senza contraddizione (dove è già implicito, come sarà
confermato in seguito, che l’opposizione dialettica nega il pdnc). Il marxismo
non ha mai avuto le idee chiare intorno a questi due diversissimi generi di
opposizione, e non le ha avute anche perché non ha mai chiarito con sufficiente
rigorosità il suo rapporto con la dialettica hegeliana. In Hegel la dialettica
delle idee è al tempo stesso la dialettica della materia, nel senso preciso che
è impossibile in Hegel separare le idee dalla materia: «Se si presta
attenzione, si vede subito che il rapporto finito-infinito, essere-pensiero,
segue il modello della contraddizione A non-A. Fuori l’uno dell’altro, cioè al
di fuori dell’Unità, finito e infinito sono entrambi astratti, irreali, e
l’unità che include il finito e il falso infinito (falso perché altrettanto
finito, in quanto limitato dalla sua opposizione al finito) è l’Idea, il vero
infinito. Dunque, commenta C., «dov’era la cosa è ora subentrata la
contraddizione logica (– si badi bene: contraddizione logica e non, come ci si
attenderebbe, contraddizione dialettica). Ora, il «dramma del marxismo» è aver
«ripreso alla lettera» la dialettica hegeliana della materia, scambiandola per
una forma superiore di materialismo. Dramma, perché quella dialettica era
volta: a) alla distruzione del finito, b) alla negazione del pdnc; cioè proprio
a ciò a cui la scienza non può rinunciare, anzi da cui si deve necessariamente
muovere (d’altronde la scienza, che si basa sul pdnc, «è il solo modo di
apprendere la realtà, il solo modo di conoscere il mondo). Avvertiti di questa
difficoltà, negli anni Cinquanta alcuni marxisti polacchi e tedesco-orientali
cercarono di mostrare che «ciò che i “materialisti dialettici” presentano come
contraddizioni nella natura sono, in realtà, contrarietà, cioè opposizioni ohne
Widerspruch; e che, dunque, il marxismo può benissimo continuare a parlare di
conflitti e di opposizioni oggettive, senza, per questo, essere costretto a
dichiarare guerra al principio di (non-)contraddizione e mettersi così in rotta
con la scienza. Tali risultati convergevano con quelli della ricerca di Volpe:
a costo di liquidare gran parte dell’opera filosofica di Engels in quanto fonte
del Diamat, sembrava però legittimarsi l’aspirazione del marxismo a costituirsi
come la fondazione delle scienze sociali, cioè come la scienza della società. In
realtà non era possibile ritenere che il Capitale non avesse nulla a che fare
con Hegel: infatti «i processi di ipostatizzazione, la sostantificazione
dell’astratto, filosofia-italiana.net l’inversione di soggetto e
predicato, ecc., lungi dall’essere per Marx soltanto modi difettosi della
logica di Hegel di riflettere la realtà, erano processi che egli ritrovava nella
struttura e nel modo di funzionare della società capitalistica stessa. Vi sono
dunque «due Marx» (99): lo scienziato dell’economia politica e il critico
dell’economia politica. Questo significa riconoscere i limiti della stessa
lettura dellavolpiana, che condivide con molte altre letture marxiste il
difetto di non cogliere le due facce del pensiero di Marx. «Quando il marxismo
è una teoria scientifica del divenire sociale, è tutt’al più una “teoria del
crollo”1, ma non una teoria della rivoluzione; quando, viceversa, è una teoria
della rivoluzione, essendo solo una “critica dell’economia politica”, rischia
di risultare il progetto di una soggettività utopica. Dunque per lo stesso Marx
le contraddizioni del capitalismo sono non opposizioni reali, bensì
contraddizioni dialettiche nel senso pieno della parola. Da un passo delle
Teorie sul plusvalore (la possibilità della crisi è la possibilità che momenti
che sono inseparabili si separino e quindi vengano riuniti violentemente) C.
conclude che i poli dell’opposizione, separandosi, si sono fatti reali, pur non
essendolo veramente: «sono, in breve, un prodotto dell’alienazione, sono entità
per sé irreali seppur reificate. Teoria dell’alienazione e teoria della
contraddizione, dunque, come una sola e identica teoria. la contraddizione
nasce dal fatto che l’aspetto individuale e quello sociale del lavoro, pur
essendo intimamente connessi, si danno un’esistenza separata. È la
contraddizione di individuo e genere, di natura e cultura, già rilevata dai
maggiori analisti della società civile borghese del Settecento. «La società
moderna è la società della divisione (alienazione, contraddizione). Ciò che un
tempo era unito, si è ora spezzato e separato. È rotta l’“unità originaria”
dell’uomo con la natura e dell’uomo con l’uomo, dove l’unità, essendo data, non
deve essere spiegata, mentre è da spiegare la divisione. «Seppure modificato,
riaffiora lo schema della filosofia della storia di Hegel. E questo, ci si
scopre essere il secondo volto di Marx, accanto a quello dello scienziato,
naturalista e empirico. Hegel versuchte, um die von ihm vertretene Dialektik
(im Sinne einer Lehre von den Gegensätzen in den Dingen) durchzusetzen, die
Logik in einer Weise zu erweitern (sog. dialektische Logik), die den Satz vom
Widerspruch außer Geltung setzt. Damit versuchte Hegel, die Kantische
Widerlegung des sogenannten Dogmatismus in der Metaphysik zu umgehen. Der
Wissenschaftstheoretiker Karl Popper kommentiert: „Diese Widerlegung Kants
betrachtet Hegel als gültig nur für Systeme, die metaphysisch in seinem engeren
Sinne sind, jedoch nicht für den dialektischen Rationalismus, der die
Entwicklung der Vernunft berücksichtigt und deshalb Widersprüche nicht zu
fürchten braucht. Indem Hegel die Kantische Kritik in dieser Weise umgeht,
stürzt er sich in ein äußerst gefährliches Abenteuer, das zur Katastrophe
führen muss; denn er argumentiert etwa folgendermaßen: ‚Kant widerlegte den
Rationalismus durch die Feststellung, er müsse zu Widersprüchen führen. Dies
gebe ich zu. Aber es ist klar, dass dieses Argument seine Stärke aus dem Gesetz
vom Widerspruch ableitet: es widerlegt nur solche Systeme, die dieses Gesetz
akzeptieren, also solche, die beabsichtigen, frei von Widersprüchen zu sein.
Das Argument ist nicht gefährlich für ein System wie das meinige, das bereit
ist, Widersprüche zu akzeptieren – d.h. für ein dialektisches System.‘ Es
besteht kein Zweifel, dass Hegels Argument einen Dogmatismus von äußerst
gefährlicher Art aufrichtet - einen Dogmatismus, der keinerlei Angriff mehr zu
fürchten braucht [siehe Immunisierungsstrategie]. Denn jeder Angriff, jede
Kritik irgendwelcher Theorie muß sich auf die Methode stützen, irgendwelche
Widersprüche aufzuzeigen, entweder in einer Theorie selbst oder zwischen einer
Theorie und irgendwelchen Fakten. Logisches Quadrat Das logische Quadrat
Unter der Voraussetzung, dass ihre Subjekte keine leeren Begriffe sind,
bestehen zwischen den unterschiedlichen Aussagentypen verschiedene
Beziehungen: Zwei Aussagen bilden einen kontradiktorischen Gegensatz
genau dann, wenn beide weder gleichzeitig wahr noch gleichzeitig falsch sein
können, mit anderen Worten: Wenn beide unterschiedliche Wahrheitswerte haben
müssen. Das wiederum ist genau dann der Fall, wenn die eine
Aussage die Negation der anderen ist (und umgekehrt). Für die syllogistischen
Aussagentypen trifft das kontradiktorische Verhältnis auf die Paare A–O und I–E
zu. Zwei Aussagen bilden einen konträren Gegensatz genau dann, wenn sie zwar
nicht beide zugleich wahr, wohl aber beide falsch sein können. In der
Syllogistik steht nur das Aussagenpaar A–E in konträrem Gegensatz. Zwei
Aussagen bilden einen subkonträren Gegensatz genau dann, wenn nicht beide
zugleich falsch (wohl aber beide zugleich wahr) sein können. In der Syllogistik
steht nur das Aussagenpaar I–O in subkonträrem Gegensatz. Zwischen den
Aussagetypen A und I einerseits und E und O andererseits besteht ein
Folgerungszusammenhang (traditionell wird dieser Folgerungszusammenhang im
logischen Quadrat Subalternation genannt): Aus A folgt I, d. h., wenn alle S P
sind, dann gibt es auch tatsächlich S, die P sind; und aus E folgt O, d. h.,
wenn keine S P sind, dann gibt es tatsächlich S, die nicht P sind. Diese
Zusammenhänge werden oft in einem Schema, das unter dem Namen „Logisches
Quadrat“ bekannt wurde, zusammengefasst (siehe Abbildung). Die älteste bekannte
Niederschrift des logischen Quadrats stammt aus dem zweiten nachchristlichen
Jahrhundert und wird Apuleius von Madauros zugeschrieben. Orazi e Curiazi
figure leggendarie dell'antica Roma Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg
Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Orazi e Curiazi
(disambigua). Gli Orazi e i Curiazi sono figure leggendarie della Roma antica.
Il giuramento degli Orazi, di David, Museo del Louvre Leggenda Secondo la
versione riportata da Tito Livio (Hist.), durante il regno di Tullo Ostilio. Roma
e Alba Longa entrarono in guerra, affrontandosi con gli eserciti schierati
lungo le Fossae Cluiliae(sull'attuale via Appia Antica), al confine fra i loro
territori. Ma Roma e Alba Longa condividevano attraverso il mito di
Romolo una sacra discendenza che rendeva empia questa guerra, perciò i
rispettivi sovrani decisero di affidare a due gruppi di rappresentanti le sorti
del conflitto fra le due città, evitando ulteriori spargimenti di sangue.
Furono scelti per Roma gli Orazi, tre fratelli figli di Publio Orazio, e per
Alba Longa i tre gemelli Curiazi, che si sarebbero affrontati a duello alla
spada. Livio afferma che gli storici non erano concordi nello stabilire quale
delle due triadi fosse quella romana; propende per gli Orazi perché la maggior
parte degli studiosi sceglie quella versione. Iniziato il combattimento,
quasi subito due Orazi furono uccisi, mentre due dei Curiazi riportarono solo
lievi ferite; il terzo Orazio, che non avrebbe potuto affrontare da solo tre
nemici, trovandosi in difficoltà, pensò di ricorrere all'astuzia e finse di
scappare verso Roma. Come aveva previsto, i tre Curiazi lo inseguirono, ma nel
correre si distanziarono fra loro, perché, feriti in modo differente,
inseguivano a velocità differenti. Per primo fu raggiunto dal Curiazio
che non era stato ferito e, voltandosi a sorpresa, lo trafisse. Riprese a correre
e fu raggiunto da ciascuno degli altri due, che a causa delle ferite erano
sfiniti, e gli fu facile ucciderli uno alla volta. La vittoria dell'Orazio fu
la vittoria di Roma, cui Alba Longa si sottomise. Camilla Orazia, sorella
dell'Orazio superstite, era promessa sposa di uno dei Curiazi uccisi e
rimproverò violentemente del delitto il fratello, tanto che questi la uccise
per farla tacere. Per purificarsi dovette passare sotto il giogo del Tigillum
Sororium, che da allora i Romani festeggiavano come rito di purificazione dei
soldati ogni 1º ottobre. Inoltre, per il processo al delitto di perduellio
(delitto contro le libertà del cittadino, reato che in realtà fu istituito dopo
la fase regia di Roma), di cui si era macchiato uccidendo Camilla Orazia, la
cui vita - essendo ella estranea al duello pattuito - era sacra per legge,
Tullo Ostilio istituì, secondo la leggenda rielaborata nel tempo, dei giudici
appositi: i duumviri perduellionis (anch'essi da ricondurre, in realtà, alla
successiva fase repubblicana). Le parentele fra Orazi e Curiazi erano
ulteriormente intrecciate, secondo versioni successive della leggenda, essendo
Sabina - nativa di Alba Longa ma romana d'adozione - sia sorella di uno dei
Curiazi sia moglie di Marco Orazio. Realtà storica Il cosiddetto Sepolcro
degli Orazi e Curiazi ad Albano Laziale Nell'antica Roma si trovano
testimonianze di età augustea attinenti alla leggenda, come una colonnadel Foro
alla quale sarebbero state appese le spoglie dei Curiazi e il Mausoleo degli
Orazi al sesto miglio della via Appia. Ad Albano Laziale, lungo l'attuale
via della Stella, si trova un sepolcro tardo-repubblicano detto degli
"Orazi e Curiazi", ma si ipotizza che sia tomba di altri
personaggi. Nella realtà la guerra fra Roma e Alba Longa fu cruenta e il
re della città sconfitta, Mezio Fufezio, venne squartato. C'è chi indica
San Giovanni in Campo Orazio, nel territorio di Poli, come luogo dove avvenne
la cruenta battaglia. Orazi e Curiazi nelle artiModifica Gli eroi di
questa disfida sono citati da Dante (Che i tre a' tre pugnar per lui ancora,
Par. VI, 39), a essi è dedicata la Sala degli Orazi e Curiazi del
Campidoglio. TeatroModifica Sulla vicenda degli Orazi e Curiazi si basano
alcune opere liriche: Gli Orazi e i Curiazi di Domenico Cimarosa, opera
in tre atti su libretto di Antonio Simeone Sografi, la cui prima esecuzione
ebbe luogo al Teatro La Fenice di Venezia Orazi e Curiazi di Saverio
Mercadante, opera in tre atti su libretto di Salvadore Cammarano, eseguita per
la prima volta al teatro San Carlo di Napoli. The Horatian - Three Songs di
Heiner Goebbels Orazi e Curiazi è anche uno dei drammi didattici scritti da
Bertold Brecht. CinemaModifica Orazi e Curiazi, cortometraggio muto. Orazi e
Curiazi, film di Ferdinando Baldi e Terence Young. Orazi e Curiazi, film-rivisitazione
in chiave farsesca del mito. Curiosità La vicenda dello scontro tra gli
Orazi e i Curiazi viene rievocata nella miniserie "L'ombra nera del
Vesuvio" di Steno con Massimo Ranieri, Carlo Giuffré e Claudio Amendola.
Molto evidente il riferimento al mito quando, per regolare i conti tra due
clan, si scelgono tre rappresentanti per ciascuna delle due organizzazioni
criminali: i fratelli Carità, figli del boss Don Peppe Carità, e i tre fratelli
Sposito per il clan di Gaetano Bonanno. Uno dei fratelli Carità è sposato con
la sorella degli Sposito, e la stessa sorella dei Carità era promessa come
sposa al più giovane degli Sposito. Anche le dinamiche del combattimento e le
relative conseguenze sono identiche. Livio, Ab Urbe condita libri, Is
quibusdam piacularibus sacrificiis factis quae deinde genti Horatiae tradita
sunt, transmisso per viam tigillo, capite adoperto velut sub iugum misit
iuvenem.Osservazioni sulla repressione criminale romana in età regia, di
Bernardo Santalucia, Osservazioni sulla repressione criminale romana in età
regia, di Bernardo Santalucia, Orazi e Curiazi, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Portale Antica Roma Portale Mitologia
Tullo Ostilio terzo re di Roma Gens Horatia famiglie romane che
condividevano il nomen Horatius Il giuramento degli Orazi dipinto di
Jacques-Louis David Grice: “Colletti takes negation more seriously than
Popper does. Colletti examines Hegel’s target, which is Kant’s
distinction between ‘real opposition’ or ‘real repugnance’ and ‘dialectical
contradiction.’ Both can combine. Hegel indeed wishes to go beyond the
principle of non-contradiction instituted in Velia by Parmenides. The Italian
language allows for some distinction that the English language doesn’t. There’s
the opposto, which is combined of posto, posto is cognate with ponere, as in
modus ponens, and it’s also the root for ‘positive’ (as opposed to negative, or
strictly, togliere, tollere modus tollens – to deny). So the the posto, we have
the opposto. On the other hand, there’s the ‘contra’, which translates Greek
‘anti’ – so that ‘apo-phasis’ becomes ‘contra-dictio’ where ‘dictio’ is cognate
with ‘deixis,’ and so more to do with dictiveness and indicativeness than with
‘vocalisation’ qua ‘vox’ (if not with ‘vocation’ – cf. my extended use of
‘utterance’ to include the characterization of something that need not be
linguistic or conventional but a characterization of a deed or a product which
may be a ‘sound’ among others. The Germans deal with the ‘widerspruch’ but
that’s THEIR problem. So to the posto we have the opposto. But after Cicero,
the use of ‘contrario’ becomes important. Il contrario and l’opposto then
pretty much covered all I failed to see back with my ‘Negation and privation,’
and my later lectures on ‘Negation’ simpliciter. Both Kant, Hegel Colletti, and
I, allow for the good old tilde ‘~’ being all we need!” Lucio Colletti.
Keywords: curiazi, ovvero, filosofia romana, opposition, negazione, la
contraddizione dialettica e la non-contraddizione – hegel – Oxford Hegelian,
“Negation and Privation” “Negation” “Privation” “The Square of Opposition” Das
Quadrat – contradictum – the deicticness of the dictum – contra – counter –
anti – antithesis – apo-phasis – ob-positum – contrarium, il contrario, l’opposto,
contra-dictio and contrario, il contrario, il contradditorio, dialettica
ateniese, dialettica oxoniana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Colletti” – The
Swimming-Pool Library. Colletti.
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