Luigi Speranza
In un paese in cui una memoria condivisa pare impossibile, gli avvenimenti che fondano la nostra storia nazionale – il Risorgimento e la proclamazione dell’Unità – non fanno eccezione.
A una versione tradizionale che spesso gronda di romanticismo e tentazioni agiografiche, si contrappongono resoconti controcorrente che stigmatizzano incongruenze e ipocrisie dei Padri della Patria.
Questo serrato dialogo si propone finalmente di individuare un terreno di verità comune tra ipotesi storiche a volte enormemente distanti.
Le cinque giornate di Milano sono state un’azione velleitaria e mal organizzata o, invece, il primo vero tentativo di “fare l’Italia”?
Vittorio Emanuele II è il
“re con la faccia da macellaio”,
sciupafemmine, circondato da affaristi e non alieno ad allungare le mani nel bilancio dello Stato, oppure il sovrano che, assecondando lo spirito che prendeva corpo nel Paese, ne ha ascoltato il “grido di dolore”, facendo della provinciale Penisola una delle moderne potenze europee in soli vent’anni?
L’impresa dei Mille è davvero una cavalcata di eroi, di uomini coraggiosi disposti a rischiare tutto per la causa, o piuttosto una sceneggiata teatrale e mal recitata?
E l’Italia che alla fine viene proclamata e si affaccia alla ribalta della storia è una nazione con i piedi d’argilla, perché edificata su troppe furbizie, o un giovane Paese che ha in sé gli strumenti per progredire?
Fino ad oggi, le due correnti di pensiero, gelose ognuna dei propri archivi e della propria memoria, non hanno accettato né dialogo né confronti, preferendo un isolamento che scalda il cuore e irrobustisce i preconcetti. Ma la barriera del silenzio reciproco deve essere abbattuta. E la ricorrenza dei 150 anni dell’Unità d’Italia rappresenta una preziosa opportunità.
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