Saturday, August 13, 2011

Pittura di Genova (from Alzieri, "Guida artistica per la citta di Genova"), Introduction

Pittura.

mi ingiuriosa a Genova come a tutta l'Italia quella sentenza che afferma, essersi perduta la pittura nel medio evo, e avercela restituita i greci che abbandonando il caduto impero di Bisanzio venivano in traccia di miglior sorte. Non ci mancano pitture de' primi tempi dopo il 1000 che nulla senton del greco, e le pochissime che si conoscon greche allo stile, furono recate da Costantinopoli, per detto dello storico Giustiniani.

Con qualche apparenza di vero negarono taluni l'antichità d'un esercizio pittorico in Genova, allegando la frequenza di nomi stranieri nelle tavole dell'epoche più remote. Ma se le opere de'nostri andarono perdute col tempo o dimenticate, soccorsero a' nostri onori recenti scoperte di nomi genovesi che possono contrapporsi a que' primi, e servirci di documento, che cittadini e forestieri coltivavano promiscuamente la bell' arte fra noi. Altra prova è la supplica che l'arte de'pittori presentava nel 1481 al doge Battista Fregoso affinchè ne confermasse gli statuti ; nella qual supplica i loro capitoli son detti antichissimi ; ond' è manifesto che nel xiv secolo almeno i pittori formassero in Genova un corpo civile siccome in altre città d'Italia. Egli è vero che due sanesi, maestro Tura nel 1303 , e Taddeo Bartolo novant' anni appresso lavoravano fra noi a richiesta di privati; ma è pur vero che un Opizzino da Camogli ( fogliazz. not. ) fioriva in Genova nel 1302, e contemporaneo al secondo teneavi scuola quel Nicolò da Voltri, che a dire del Soprani fu quasi un progenitore d'artisti, siccome quello che prima compose con dignità e piegò con maestria le figure.

Nel tempo stesso vivea nelle Stecadi il monaco Cybo, valente poeta in provenzale, istorico lodato, e miniatore gentile, ma non da scriversi tra i giotteschi come fa il Baldinucci. Anteriore a costoro è un Francesco d'Oberto, il quale par nostro dal nome quasi peculiare a' genovesi, ma non può dirsi con sicurezza. I forestieri che operarono in Genova e nella provincia son tutti lombardi, meno un Tuccio d' Andria che nel 1487 lavorava in S. Giacomo a Savona. Questa città ci è feconda di stranieri artisti o chiamati a dipingere da illustri personaggi o portativi dal caso; di due alessandrini Jacopo Marone e Giovanni Massone, d' un fra Gerolamo da Brescia carmelitano , di due pavesi che in diversa opera si sottoscrissero Laurentius papiensis, e Donatus Comes Bardus papiensis. Tra noi si conobbe da più lavori Cesare Nebea di Castellacelo che dipingeva nel 148l, e poco appresso Agostino

Bombelli Valentino contemporaneo del Sacchi a cui si deve più onorevol menzione. Tutti costoro vissuti tra la fine del quattrocento e i principii del secolo appresso io nomino in confuso, giacchè non si sa che giovassero in modo deciso alla nostra scuola ; e a loro accoppio parecchi genovesi che la storia o i mss. o i documenti accennano in questi tempi con fama più di pittori che di maestri, com'è Bartolomeo Barbagelata nel 1490, Nicolò Corso nel 1503, e poco dopo Andrea Morinello, e il francescano Simon da Carnuli prospettico insigne per quella età, e Giacomo da Bargagli di cui il caso mi mostrò una tavola degna di buon pittore, e finalmente fra Lorenzo Moreno de' carmelitani , e Antonio Carpcnjni della Spezia, artisti inferiori all' epoca, che fu tra il 1530 e il 50.

Molte pitture sparse in città e fuori ci avvertono che artefici tedeschi e olandesi bazzicarono per la Liguria nel xv secolo, e basterebbe un affresco di Giusto d'Allemagna eseguito in Genova nel 1451. Si han memorie d' un altro alemanno per nome Corrado che lavorava in Taggia nel 1477, dai precetti del quale è probabile, secondo il P. Spotorno, che uscisse pittore un P. Macarii domenicano che visse nel monastero di quel luogo. .

Se giudichiamo allo stile, dovett' essere erudito da maestro alemanno, e forse da Corrado medesimo, quel Ludovico Brea nizzardo che fino a' nostri tempi si credette ciecamente il fondatore della scuola genovese , errore combattuto dal suddetto Spotorno colla scoperta di tanti maestri che innanzi a lui poterono incamminare all'arte gl'ingegni cittadini, e spronarli con nobili esempi. Egli stesso però era tale da svegliarne l'emulazione, e da far proseliti con un gusto nel dipingere che avea del nuovo, e lusingava con una diligenza poco usata in quell'epoca dagl' italiani. Le sue memorie cominciano dal 1483 e cessano al 1513. Intorno a quest' anno il doge Ottaviano Fregoso chiamò a Genova Carlo del Mantegna perchè istruisse nell'arte (come scrivon gli storici) la gioventù cittadina, e contemporaneo a lui venne Francesco Sacchi da Pavia. Poco di costui, nulla del primo è rimasto insino a noi; certo è che le massime dell'uno e dell' altro eran conformi, ereditate dalla scuola del maggior Mantegna. Il loro stile più sostanziale e severo de'precedenti, non solo prevalse a quello del Brea ; ma innamorò, siccome vedremo, i migliori ingegni che coltivassero la patria pittura, talchè abbiurato lo stile del nizzardo si volsero ad imitarlo con affetto di scolari. Ma poco andò che un gusto più ardito e magistrale oscurò gli esempi d'ambidue, ed ebbe seguaci quant' erano pittori a quel tempo in Genova.

Pietro Buonaccorsi detto Perino del Vaga fuggendo bisognoso ed afflitto dal memorabil sacco di Roma nel 1528, fu accolto dal principe Andrea Doria, e trattenuto più anni intorno al magnifico palazzo di Fassolo. Altri artefici invitò a' dipinti delle sue sale ; il Pordenone da Venezia e il Beccafumi da Siena che vi lasciaron meno opere, solleciti di rivedei-e la patria. Non così Perino, il quale soddisfece ad ogni richiesta del mecenate, e vi esegui buon numero di affreschi con uno stile che ora è tutto raffaellesco, or deferisce a Michelangelo nel disegno e nelle invenzioni.

Così accennate tre epoche in altrettanti maestri dobbiam dire qual frutto ne cavassero i cittadini. Antonio Semino e Teramo Piaggia ebber vita bastante a conoscerli ed emularli. Educati da giovani alla disciplina del Brea, ne seguirono con devozione lo stile nelle prime lor tavole. Vagheggiarono adulti quello del Sacchi come più solido e grandioso : da ultimo sulle medaglie di Perino appresero a stimare le massime della scuola romana, e lasciate le vecchie imitazioni , si diedero per ammiratori e discepoli a questa. L' età d' ambidue si deve computare dal 1480 circa fin verso la metà del 1500. Nè tempo, nè gara d'artirti valse a turbare la loro amicizia quasi fraterna, che trai uce fin nella matricola ove accoppiarono il nome soscrivendosi quello al numero 77, l' altro al 78. Discepoli insieme e caldi imitatori di Perino furono i fratelli Calvi, Lazzaro e Pantaleo. Lor padre fu un Agostino lombardo del luogo di sant' Agata, come aggiunse al proprio nome nella matricola al numero 63. Si dà il vanto a costui d' aver prima dimesso nel dipingere l' uso delle dorature, ed assunto un carattere più moderno. I figli istruiti da lui nella prima età, si diedero ben tosto a Perino e ne guadagnaroa l'affetto,, fino ad ottener bozzetti e cartoni per le opere che venian loro affidate. Non si conoscono opere di Pantaleo, che sebben molto maggiore d'età restò addietro nell' arte, ed è a credere che servisse d'aiuto al fratello più che lavorare del proprio. Nè moltissime ne fece Lazzaro quantunque gli durasse la vita fino ai cento e cinque anni, distratto dalla scherma, e agitato da un maligno e invidioso talento. E noto il

suo nome in Monaco e in Napoli, ove die' saggi di una perizia che sembra emulare il maestro. Lasciò il primogenito ben quattro figli, Marcantonio, Aurelio, Benedetto e Felice che attesero alla pittura peggiarando lo stile del padre e dell' avo, e nondimeno ebbero occasioni non poche, vivente un Cambiaso, viventi i Semini, il Tavarone e il Castello, cosa strana, ma confermata da molti palazzi che ridondano delle loro sciocchezze pittoriche. . •

Come l'onore de' Calvi scemò e s' cstìnse ne' figli, così crebbe in quelli d'Antonio Semino, che furono Andrea ed Ottavio. La predilezione che avea Antonio alla scuola romana lo consigliò ad inviarli in quella capitale perchè si erudissero agli esempi di Raffaello. A questo studio eglino aggiunsero l'altro non meno proficuo di ritrarre le antiche sculture e specialmente i bassirilievi della colonna traiana , talchè ritornarono in patria ricchi d'un gusto che unisce alle grazie moderne un sapore d'antica dignità. Ebbero fortuna pari al merito, poichè molti maggiorenti li chiamarono ben tosto ad ornare d' affreschi i loro palazzi, e in Milano fecero eguali prove d'ingegno. Quivi finì Ottavio una vita tanto illustre per doti di pittore quanto biasimata per vizi e scelleraggiui ; Andrea morì in Genova e a quel che pare innanzi al fratello. Di quest' ultimo restaron due figli per nome Cesare ed Alessandro, i quali attesero all' arte e l'esercitarono in lega fraterna ; disuguali però ne' lor quadri, perchè non sempre vaghi di procacciarsi lode} nel complesso tenuti per mediocri nella patria scuola. Ai precetti d' Andrea crebbero pure due ingegni di liete speranze ma perseguitati dalla sorte, cioè Giacomo Bargone e Nicolosio Granello detto il Figonetto. Al Bargone tolse prima il senno poi la vita una bevanda malefica propinatagli per invidia da Lazzaro Calvi; l' altro, scarseggiando di commissioni, mori povero ed afflitto senza il conforto di lasciar monumenti che attestassero ai posteri le ingiustizie della propria fortuna. v . . .

La gloria di dare alla patria una fiorente successione di pittori era serbata a Luca Cambiaso. Nacque nel 1527 di Giovanni, pittore anch'egli, da princìpio studioso del Mantegna, poscia ammiratore e seguace di Perino. E creduto inventore del metodo di disegnare per cubi le figure umane, che il Lomazzo attribuisce a Bramante, ed esperto nel formare lavori di plastica per giovarsene al chiaroscuro. Di lui non rimase opera certa fino a'giorni nostri. Lo studiare il severo contorno del Mantegna, e l' addestrarsi come il padre a' modelli, furono le prime occupazioni di Luca. Condotto poi da Giovanni in palazzo Boria, si diede a copiar Perino, ma vagheggiandone lo stile più risentito; onde contrasse abitudine a quella maniera gigantesca ed affettata che costituisce la sua prima maniera. Punto da' rimbrotti del padre e da' consigli di Galeazzo Alessi, studiò a temperarsi sui più nobili esempi della scuola romana, e con più esatta osservazione del vero, e dal tempo in cui parve cambiato si deduce il secondo suo stile tutto grazia ed espressione che suolsi limitare a un dodicennio. Gli servì anche di generosa emulazione e di non poco vantaggio l' amicizia di G- B. Castello da Bergamo

condotto a Genova e quivi lasciato in balìa della sorte dal cremonese Aurelio Busso, indi inviato a Roma dal march. Tobia Pallavicino che in capo a pochi anni il riebbe pittore scultore ed architetto. Per lui migliorò il Cambiaso nella prospettiva, e a sua posta giovò al Bergamasco con quella energia e prontezza di gran disegnatore che palesava in ogni affresco. Spesso lavorarono uniti, e con tal rassomiglianza di stile che non è agevole il distinguerli ; cagione gli studi che F uno e l' altro cercò ne' prediletti esemplari di Roma. Nel 1576 il Castello cercò miglior fortuna inlspagna,e trovando favori presso Filippo ll stette a' suoi servigi tre anni dopo i quali morì. In mezzo a tante glorie parve ottenebrarsi il genio di Luca per un forte amore che il prese d'una sua cognata, che invano sperò di condurre a nozze, per quanto con bei presenti ne implorasse dal Papa l' assenso. Dopo la morte del Bergamasco fu chiamato in Ispagna a supplir l'amico: ed ei volava colà pieno di nuove speranze, che il re gli otterrebbe il pontificio indulto. Fallitegli nuovamente, n' ebbe cosiffatto travaglio che cedette alla vita nel 1585. La terza sua epoca che si riconosce alla fiacchezza delle tinte, e che par quasi un ritratto dell'animo suo, convien recarla in parte all' affetto malaugurato, in parte ai bisogni della famiglia che l'obbligavano a dipingere velocemente e contro sua voglia.

Per ordir le fila della sua scuola direm prima di Orazio figlio di lui, benchè forse il più mediocre fra i molti discepoli, seguace delle massime paterne ma nel seguirle troppo lento ; poi d'un Francesco Spei«ino, imitatore ingegnoso, che fu vittima della peste nel 1579, e porrem terzo quel Cesare Corte oriundo di Pavia e nato di Valerio Corte ritrattista insigne. Non dicono i biografi eh' egli udisse i precetti del Cambiaso, ma il palesano le sue tavole. Fu ingegnoso matematico e poeta valente, lodato per questo merito dal Chiabrera come degno di laurea. Il desiderio di perniciose letture gli nocque ; poichè messo in carcere dalla Inquisizione, vi mori di scabie ferina nel 1613. — Seguon nomi più chiari. Lazzaro Tavarone acconciatosi con Luca fin dall'infanzia, parve ereditarne il genio, e meritò di succedergli nell'Escuriale di Spagna, ove già gli avea servito d' aiuto. Tornò in patria dopo il corso di più che due lustri, cioè sull'anno 28 di sua età, ricco di fama è de'disegni del maestro. Quanto gli abbondassero le commissioni, n' è prova lo sterminato numero de' suoi dipinti in palazzi ed in chiese , ove spiega un nerbo di colori, una pratica d' affresco, un' armonia che il fece preferire a tutti i predecessori; benchè non sempre uguale a se stesso. Sull' esempio del Bergamasco usò decorare le proprie pitture con ornamenti ch* egli disegnava ed eseguiva in plastica. Visse fino all'anno 1641, settantacinquesimo della sua vita , quasi per vedere un' età che s' andava informando a metodi affatto nuovi. — La patria pittura corse pericolo di decadenza "sotto ]>ernardo Castello coetaneo al Tavarone, ma forse più di lui favoreggiato dalla l'ama, e certamente più vago del mercarla. Cominciò la sua carriera ora imitando Andrea Semino pr Luca Cambiaso: dopo di che, sazio d'ambidue ed amante di novità, risolvette di.visitare le scuole d'Italia e conoscer gli autori. In questo su» viaggio ebbe opportuoità di fare amicizia con grandi letterati, i quali contribuirongli nome colle lor penne meglio eh' ei non facesse co'pennelli ; tra questi si noverano il Marini, lo Stigliani e Torquato Tasso , per la cui Gerusalemme disegnò i rami in più d' una stampa. Dalla osservazione di tanti maestri e di tante scuole non cavò.il meglio; dello stile che recò in patria son precipui caratteri un tono rossiccio, e cert;r uniformità ne'volti, e certo ammanierato negli atteggiamenti delle figure che il fan simile al Vasari e agli Zuccari. Unico tra' genovesi ebbe il vanto di porre una sua tavola in Vaticano ; onore cessatogli prima della morte che il sopraggiunse nel 1629. Educò all' arte Simone Barrabino, genio severo e pronto da vincere in breve il maestro, ond' egli non tardò ad ingelosirne e il congedò dallo studio; nò il buon giovane ebbe altrove miglior sorte, come vedremo ad altro tempo. — Dalla officina d'orafo passò anche alla disciplina del Cambiaso G. B. Castello che riuscì miniatore di gran fama, fino ad ottenere :'ncl 1606 dal doge e da'governatori l'esenzione dagli statuti dell' arie. Miniò libri ad uso dell' Escuriale, e pe' gabinetti di Genova imagini quasi infinite ; ne tacquero per lui le cetre de'poeti, tra'quali è da ricordare il Marini, il Soranzo ed il Grillo.

Il nome di G. B. Paggi- fissa una bell'epoca nella ligure scuola. Nato di nobile famiglia e istrutto fin dalla puerizia nelle buone lettere, dovette poscia al Cambiaso i primi insegnamenti della pittura, e alla sua forte volontà l'assenso paterno a continuar nello. studio, che sul principio gli veniva negato. Per omicidio commesso mentre attendeva a difendersi da un ribaldo, gli convenne fuggire in Toscana, e quivi per diverse città fece tavole che riscossero applausi, e levaron fama nella patria stèssa dell' autore. Gli sorse contro l'invidia d'alcuni artisti, i quali mal soffrendo che da Genova gli si spedissero commissioni, trasser fuori un vecchio capitolo ehe ostava a siffatto commercio. Il Paggi più che a francar sè medesimo dalle contravvenzioni studiò a schiantar da radice l' antico uso della matricola, e parte con iscritture eh' ei mandava da Firenze dimostranti, la pittura dover esser superiore a tali schiavitù, parte coll'aiuto del fra» tello Gerolamo che in Genova deludeva le arti avversarie e perorava innanzi a' Magistrati, ottenne l' abolizione. Due volte si rinnovò da' contrarli la guerra, ed altrettante ei la vinse colla costanza e coll' appoggio di saldi argomenti. In Firenze migliorò il suo stile, od almeno lo fece più gaio siill' esempio de' coloristi che già fiorivano in quella grande città, e potè far più accette e desiderate le sue pitture, ove la gentilezza e la nobiltà si direbbero un ritratto della sua nascita. Impetrò in capo a molti anni di tornare in patria, e vi lavorò moltissimo senza lasciar però un solo affresco ; e vi mori più che settuagenario nel 1627. Restaron parecchi allievi. Il Bracelli e i due Montanari giovaron poco al suo onor di maestro, morto l' uno in età fresca per soverchia applicazione «Ilo studio, gli altri rimasti oscuri per un folle orgoglio che dallo studio li sconsigliava. Gio. Domenico Cappellino e Castellino Castello erano capaci di sostenerne la gloria, come mostrarono in parecchie tele eseguite iu gioventù sulla più scrupolosa imitazione di lui; ma per crescer negli anni mutarono pensiero, e si diedero ad un gusto men dolce che li fe' scapitare nel concetto dei posteri.

I dotti della, nostra scuola sogliono riconoscere dal Paggi i primordi d' una felice riforma nell' arte ; ma questa è da recarsi in gran parte a non pochi stranieri , che^ venuti in Genova tra il fine del secolo xvi e le prime decadi del successivo, vi propagarono esempi di bel colorito, e tornarono in amore lo studio del vero, che sotto il Castello già cedeva alle convenzioni. Venne Sofonisba Anguissola Lomellini istrutta dal Soiaro in Cremona sua patria, e fatta vecchia e cieca schiudeva le proprie stanze a convegno de' migliori artisti. Vennero Aurelio Lomi da Pisa e Simon Balli da Firenze, e di Siena Ventura Salimbeiii, Pietro Sorri ed Ottavio Ghissoni; altri la visitarono di' volo come Orazio Gentileschi e il Pomarancio , ed altri vi si fermaron più anni come i Procaccini da Milano; ma niuno ebbe per avventura più ammirazione del Rubens e del Wandik principi della scuola fiamminga. Per tante e sì diverse maniere che s' aveau sott' occhio , e per la splendidezza de' privati che ragunavan preziose tavole d'ogni scuola straniera, andò scemando l' antico stile per lasciar campo ad un nuovo, che più predilige la natura e va in traccia dell' effetto. - . '

Siam dunque a'naturalisti, tra i quali non dubito d' assegnare il primo luogo a Domenico Fiasella detto il Sarzana dal luogo della sua nascita, che accadde

nel 1584. Come discepolo appartiene al Paggi, come imitatore a molti esteri e alla sua prediletta natura. Avea sudato da giovinetto nel ricopiare un quadro di Andrea del Sarto esistente nella sua patria, e fin d' allora gli si era conficcata nel cuore la brama di vedere quello ed altri sommi nella Toscana ed in Roma, e dove altro lo chiamasse il suo genio. Così senza perder di vista lo studio del vero, scelse dai classici le forme più gradite, e fu sì destro ncll' imitare, che secondo gli talenta, ora è raffaellesco, or guercinesco, orti caravaggesco, ora sembra educato alle massime di quell'Andrea che l'avea innamorato, direi così, dall' infanzia. È proverbiato come uomo che si confidasse, oltre il dovere a scolari ed aiuti, e ne fa prova la moltitudine de'suoi dipinti, ne'quali non sempre è ottimo. Lascia desiderio di nobiltà ove opera colla sola scorta del proprio genio; ma questo difetto sembra doversi scusare a quel suo stile tutto forza e verità, come si scusa a'gagliardi pennelli del Caravaggio. Queste sue massime, non però sempre con eguale impegno, condusse fino all'anno 1669 in cui passò di vita. *

Fra i naturalisti occupa onorevol seggio Bernardo Strozzi detto il Cappuccino dalla regola che professò da giovine. Fuori di Genova è conosciuto col nome di prete genovese, e specialmente in Venezia ; poichè risoluto al tutto di lasciare il convento, fuggì a quella vòlta, e giuntovi indossò 1' abito di sacerdote secolare. I primi insegnamenti ebbe dal Sorri sanese, ma più che seguir le massime di questo dotto, sviluppò uno stile suo proprio che si direbbe formato sull' osservazione d'ogni persona e d' ogni oggetto. In conseguenza d'un tale studio riuscì poco scelto; difetto che sembra scusarglisi in grazia d'tin colorito tutto forza e magia, per cui le sue tele son desiderate e gradite nelle scorrezioni medesime. Questo gli fe' meriti in Venezia, culla de' sommi coloristi. Finchè visse fu richiesto a commissioni d' alto rilievo, e preferito a' più gran genii di quella scuola, e dopo morte .sepolto in santa Fosca presso le ceneri de' veneti più insigni con onorevole epitaffio; che fu nel l644. — Da' suoi precetti uscì esperto pittore Gio. Andrea Defferrari, o alcune opere condusse sullo stile di lui ; ma presto il mutò in un secondo che molto deferisce al Fiasella, sicchè talvolta si scambia l'uno per T altro. Ove più gli si accosta suolsi però distinguere per una maggior trasparenza ne' colori, la quale fa cader dubbio ch' egli vagheggiasse le belle tinte del Wandik. E artista tenuto in minor conto del merito, forse perchè gli si ascrivon pitture d' allievi, o perchè gli fan torto non poche eseguite con velocità, della quale non può scusarsi. Infatti le tavole ( giacchè nulla sul fresco dipinse ) che veramente sie'n ottime non son molte per l'età che visse, dalla fine cioè del xvi secolo fino al 1669.

Altro naturalista di gran polso fu Luciano Borzone, al quale se pur riman lode da aggiungersi sovra i suddetti, è quella d' aver fatti più gentili r suoi volti, più scelte le parti, e più ragionate le composizioni. Tal pregio gli venne dal visitar Milano ove contrasse amicizia col Cerano e coi Procaccini, e fors'anehe Bologna se non c'illude il carattere de'suoi dipinti. Dell' invidia che parve seaterrarglisi contro, il confortarono le lodi di Guido, e i poetici applausi del nostro Chiabrera, del quale (come ritrattista valente eh'egli era) recò in tela te sembianze, oltre a quelle de'migliori letterati d' allora, come dello Stigliarci, del Della Cella, del Marini, del Mascardi. È lodato sovrattutto pel chiaroscuro che modifica e distribuisce con un effetto che sembra emulare il Guercino. Morì di grave eaduta mentre dipingeva su uno scalone la vasta tela per l'Annunziata del guastato. Ultimaron l' opera due suoi figli Giambattista e Cario, i quali calcarono felicemente fè orme paterne, sebbene abbian nome oscuro nelle memorie della nostra pittura..

Debbono accoppiarsi in uno Andrea Ansaldo e Giulio Benso, comechè questi sorgesse posteriore al primo, ne in fatto di pittura tenesse le vie medesime. Li accese però d'emulazione l'arte" della prospettiva a cui studiarono ambidue con amore, e un certo desiderio di primato li sospinse a quelle risse invereconde che tanto nuocono alla dignità delle belle arti. L'Ansaldi nacque in Voltri nel 1584 e fu sulle prime discepolo d'Orazio Gambiaso. Noiato ben presto di quel mediocre istitutore, si aiutò col proprio discernimento, e se crediamo al biografo, col sol copiare più e più volte un quadro di Paolo Veronese giunse a possedere quel brillante e succoso colorito che lo fa degno de' veneti, e gli assicura un grado luminoso nella serie de' nostri pittori. Nè perciò fu trascurato nel disegno, anzi in parecchi lavori si mostra anche in tal dote maestro di gran sicurezza. Sotto G. B. Paggi studiò il Benso; ma egli pure fu discepolo di solo nome, tanto era mutato il gustò. Il pregio di costui son gli affreschi, ove ha sempre singolare ingegno nell' affrontare e nel vincere le difficoltà degli scorci e del sottinsù, ond' ebbero persino a stupirne il Mitelli e il Colonna, sommi artisti in questi artifizi di pittura. Cessò l'Ansaldo innanzi alla metà, Giulio sullo scorcio di questo secolo xvu.

Degl' insegnamenti del Sorri profittò Giovanni Carlone figlio allo scultore Taddeo, che venuto di Lombardia , e stabilitosi in Genova diede a questa città una prole di pittori. Corse poscia a Roma, e ritornando s'invogliò di rimanere in Firenze sotto il cav. Passignani. Dall' osservazione de' classici riuscì disegnatore corretto e compositor grande ; ma il suo maggior desiderio era quello di spingere l' arte degli affreschi a più alto grado che non avean fatto per lo innanzi i suoi concittadini. Nel suo stile si manifestano le massime del Tavarone condotte quasi a maturità. Le sue opere non son poche, quantunque toccasse appena il quarantesimo anno, non poche però obbliate per istrana fortuna del suo nome. Invitato nel 1650 da'Teatini di Milano a dipingere la lor chiesa, morì in quella città' cominciato appena il lavoro.

Prima di scèndere alla pestilenza del 1651, la quale sembra dividere il suddetto stile da un nuovo, si dee ricordare quel genio grande quanto infelice di Pellegrò Piola. Nacque nel 1647, discendente di due buoni pittori, Pier Francesco cioè imitator del Cambiaso, e Gio. Gregorio miniatore ingegnoso. Pellegro, compiuto appena il duodecimo anno, fu consegnato al Cappellino , dal quale attinse i principii dell' arte ; ma presto s'invogliò d' altri esempi. I pochi quadri ch' egli eseguì nella sua corta età sono altrettanti sforzi per raggiungere un bello, ch' ei protestava di sentire in se stesso. E 'l cercava ne' dipinti d'Andrea , d' Annibale Caracci, e sovr»ltutti del Parmigianino, volendo quasi alla severità de' primi sposar le grazie di quest' altro. Il bel talento gli procacciò molti invidiosi, i quali lo accusavano di plagio disonesto e servile ; ma l'equa posterità ha cancellato la nota maligna. Ed egli stesso avrebbe confuso que'latrati, se T invidia non aguzzava il pugnale che lo spense nel 1640, sul verde della gioventù e delle speranze.

Tutto parve cospirare alla innovazione d'un gusto nella scuola genovese. Poco innanzi al contagio del 1656, non sol viveano i campioni del primo stile, ma andavano apparecchiando discepoli capaci di mantenerlo in onore. Viveano il Fiasella, il Borzone, l'Ansaldo, tutti naturalisti per massima, e capi di fiorente scuola. Studiava in quella del primo Luca Saltarello, che in età giovinemorì per soverchia stùdio, ed erano allievi già applauditi Gio. Paolo Oderico e Francesco Merari, ma furon vittime del flagello. La stessa sorte ebbero due giovani, i quali cresceano onore allo studio del Borzone, cioè G. B. Monti e Silvestro Chiesa ; e con tutta la sua famiglia fu còlto dalla morìa Orazio Defferrari scolaro e genero dell'Ansaldo, pittor gentile , di maschio carattere sul far del maestro, e già venuto per molte opere in fama d' eccellente. Gioachino Assereto, talento superbo quanto svegliato e pronto a gran cose, erudito nella scuola medesima, era morto fin dal 1649, e circa questo tempo man

cavano coll' Ansaldo e col Borzone i due istitutori alle severe massime che abbiamo accennate. Ai suddetti giovani accoppio Anton Maria Vassallo, creatura del Malo, ed un G. B. Baiardo d'ignota scuola, morti ambidue in gioventù, questi nel contagio, quegli innanzi a tal'epoca. Per cosiffatte vicende, la pittura restò a mano de' giovani quando la città potè riaversi dalla tremenda sciagura; chè i vecchi sopravvissuti a tanta strage, com' erano il Sarzana, il Benso, il Cappellini, già stanchi dell' operare, già sazi di lode, mal poteano bastare contro un' eletta d'ingegni che andavano crescendo nel concetto de' cittadini con metodi non veduti per l'innanzi, e pieni di vivacità e di energia.

Un quarto però scampato alla pestilenza non solo intese a sostenere l' onore della vecchia pittura, ma insigne com' era negli affreschi, si studiò d' innalzarla a meta più sublime. Parlo di G. B. Carlone, fratello al.Giovanni di cui s'è dato cenno teste, e al pari di lui erudito dal Passignani in Firenze. Gli servi d' aiuto ne' primi anni, e dopo la sua morte ultimò in Milano i dipinti nella chiesa de' Teatini, con certi indizi di volerlo superare. Gli si dà vanto sopra il fratello pel disegno che fece più largo, per le tinte che trattò con più brio e trasparenza, e pel chiaroscuro che distribuì con più senno e con maggiore effetto. Son quasi innumerabili le opere a cui fu richiesto, e nondimeno spiega in ognuna siffatte doti, e in parecchie le spinge a tal segno che l'ab. Lanzi ne rimase sopraffatto , e uscì in isterminate lodi d'un uomo che in altre città dItalia avea appena udito ricordare. Nato nel 1594,'visse fino al 1680, lavorando mai sempre con uguale prontezza d'intelletto e di mano, quasi per rimprovero dell' arte che già confidata a metodi men cauti e ad imitazioni straniere precipitava alla licenza de'manieristi. — 1l suo stile non passò in -Gio. Andrea suo figlio, che assaporati sulle prime i paterni esempi, risolvette poi di viaggiare l'Italia e di cercarsi altre imitazioni. Si fermò sulla veneta , allettato dal brillante colorito che par privilegio di quella scuola, ma scapitò nell' esattezza delle linee, e finì pretto manierista, e com'è uso di costoro, non sempre uguale a se stesso. Un altro figlio di G. B. per nome Nicolò giunse appena ad aver nome tra i mediocri, e mori cieco nel 1714.

Di soli due anni sopravvisse al contagio Valerio Castello figlio di Bernardo, che lo storico della pittura italiana chiama il più gran genio della ligure scuola ; ma visse quanto bastava a dar saggi d' un nuovo gusto sì luminosi da trarsi dietro imitatori in quanti s'iniziavano al dipingere, e guadagnarsi il concetto del pubblico. Niun crederebbe die il Fiasella gli fosse maestro, tanto ne discorda; avendosi formato sulle opere del Procaccino in Milano e del Correggio in Parma uno stile, che tutto spira grazia, amenità ed .energia. Fu valente del pari nelle opere ad olio e sul fresco, anzi nel secondo genere, ove sono più difficoltà di pennello e d'invenzione, ivi pare il suo campo. Le sue opere son molte , benchè non oltrepassasse il settimo lustro; cagione l'essersi dato al dipingere dall'età più tenera , e l' aver dipinto con una franchezza che niuno della sua scuola per avventura ha raggiunta. Ebbe parecchi allievi che seguitarono il suo esempio; e più che altri il seguì Bartolomeo Biscaino ( noto anche come incisore ) vittima prematura della pestilenza. Gli tenne pur dietro Stefano Magnasco, siccome attestano le sue tele, ma ebbe vita poco più lunga del condiscepolo. Un terzo allievo, G. B. Merani, visse ed operò fino alla decrepitezza. Dalla scuola del Castello passò a Parma, e vi studiò sovra il Correggio e il Mazzuoli,. onde formossi un gusto di tingere, che gli valse onori e lucri da' concittadini, e inviti e stipendii dal duca Ranuccio. Così visse felice sino al principio dello scorso secolo.

Fra gì' imitatori di Valerio dee computarsi Domenico Piola, almeno nella sua gioventù, dacchè, fatto adulto , innamorò d' altri studi. Dopo 1' assassinio di Pellegro che gli era fratello e maestro s' accostò al Cappellino, ma la fama del giovine Castello ben presto lo fece risoluto ad abbandonar la stanza di quel pittore, già invecchiato nell' imitare, e mal fermo contro il brillante de'nuovi metodi. Tutto adunque si diede a costui, e così bene ne spiò l'indole che, passato appena il vigesimo anno, potè servirgli d'aiuto nelle ultime opere, e compier quelle che rimasero imperfette dopo la morte di lui. Mancato il maestro cambiò quello stile in un altro tutto suo che sovra ogni dote predilige la grazia, e questa spinse a singoiar grado nelle forme infantili che affinò sui getti del Quesnoy. Ma la grazia, e una certa ingenuità che innamora traspare in ogni tratto delle pitture che fece in quest' epoca, onde parve a molti un seguace del Cortona, comechè non fosse per anco uscito di patria.

Nè perciò si rimase dal tentare gli opposti, e contemporaneamente a quella gentil maniera si compiacque talvolta di mostrarsi pittor fiero e di gran macchia. L' esercizio de' suoi pennelli può computarsi dal 1648 al 1705, epoca della sua morte; giacchè non istette giammai ozioso, empiendo delle sue tavole e de'suoi freschi privati e pubblici luoghi. In tante opere non è sempre ugualmente studiato, com' è costume di chi fa troppo, e nelle tele ad olio vuol conoscersi spesso come imitatore, avendo studiato a contraffare talora il chiaroscuro de'bolognes i, tal'altra la gentilezza del Cortona, e più da vicino le spiritose tinte del Castiglione, e le grazie del sommo Correggio. Morto lui, continuaron nell' arte tre suoi figli ed allievi; Anton Maria, Paolo Girolamo e Giambattista. U primo e l'ultimo furono copisti valenti, e in qualche opera d'invenzione servili e mediocri imitatori del padre. L' onore della scuola restò confidato a Paolo Girolamo. Uscito appena d' adolescenza volle recarsi a Roma, e, quivi datosi per allievo al Maratta e per ammiratore agli stupendi affreschi d'Annibale Caracci, ne guadagnò quello stile che prende massime dal primo ed effetto dal secondo, come può vedersi con più o meno chiarezza ovunque trattò colori. Nondimeno deferì con più amore alla scuola marattesca siccome più consentanea al gusto del secolo, a cui parca stento lutto ciò che sapesse di austera semplicità ; e specialmente nel modo di piegare fu così licenzioso, e in apparenza cosi sprezzato da render quasi incredibile che il padre lo proverbiasse assiduamente di lentezza. Visse fmo a' cinquantotto anni in concetto di gran pit

tore, ed occupato mai sempre in opere dì gran rilievo , e. si spense con lui una famiglia che per quasi due secoli avea esercitala con encomio la professione. Contemporanei e congiunti de' Piola furono i due De£ferrarij e quasi emuli nell'arte. Gregorio, nato al Portomaurizio nel 1644, frequentò ne'primi anni la scuola del Fiasella , ma non tardò a secondare l' andazzo de' tempi che voleano un più libero e gaio stile. Per conseguirlo volò a Parma e ritrasse quanto v' avea del Correggio con tanto garbo, che molte delle sue copie in età più vicina a noi meritarono di piacere al Mcngs che ne fece acquisto come di tanti gioielli. Così mutato rivide la patria, ove gli abbondarono commissioni per la novità del suo gusto, e in parte per I' amicizia di Dom. Piola che gli diede poscia una figlia in consorte. Nelle sue opere ( che son quasi innumerabili specialmente sul fresco ) domina la imitazione di quel tipo ; se non che trascorre sempre all' eccesso, destino comune ad ogni imitatore men cauto. Recò saggi di questa sua maniera poco corretta ma tutta spirito e vivacità in Torino e Marsiglia, nè mai l' abbandonò finchè visse. Passò di vita ottuagenario nel 1726, lasciando il figlio Lorenzo già maturo negli anni e nella pittura. L'ebbe imitatore in gioventù, ed esecutore de' proprii schizzi in qualche opera, fino a che Lorenzo non s'avvide di quelle scorrezioni che tanto nocevano alla fama del padre. Tsè prima se ne avvide che studiò al rimedio, e con uno sforzo, direi mirabile in età traviata, si pose ad un' osservazione assidua e diligente della natura senza precetti o consigli altrui. I suoi dipinti sia ad olio

o sul muro si distinguono fra gli altri di questo secolo per certa grazia e semplicità ne' colori, nel disegno, nelle espressioni; tantochè non è raro che per tentar gentilezza somma, confinino al languore. Sente un tratto del pervertito secolo nelle pieghe, che per lo più son capricciose, benchè assai meno che in ogni altro contemporaneo. Visitate le scuole di Roma e Firenze, aggrandì, come pare, il suo stile, ma senza punto mutarlo, contento di quello eh'avea raggiunto a prezzo di tante fatiche. Fu anche valente siccome ornatista e prospettico, talchè per decorare gli affreschi non ebbe mai duopo di ricorrere ad altri. Visse celibe e in abiti clericali fino al 1744 ; onde è usanza distinguerlo dagli altri pittori dello stesso cognome coll' appellativo d'abate.

Tengon dietro a costoro Domenico e Giambattista Parodi, fratelli per nascita, ma dispari d'ingegno e •li fortuna. Nacquero di Filippo scultore, che serbiamo al secondo paragrafo, l'uno nel 1668, l'altro sei anni appresso. Amhidue scortati dal padre in Venezia, s incamminarono al dipingere sotto Sebastiano Bombelli, e con avidità consultarono i buoni esempi della veneta scuola , specialmente il Domenico , assiduo ed esatto nel copiar da Bassano, da Paolo e da altri sommi. Vide poi Roma, come portato da natura anzi al dotto che non all' ameno, e fra tanti maestri predilesse il Maratta, al cui stile s' accostan più o meno le tavole che eseguì dopo il suo ritorno in Genova. Lo studio ch' egli alternò a questo, ritraendo le stallie greche e romane ond' è ricca la capitale del mondo, diede maggiore sviluppo al vastissimo suo genio, Alizehi Guida di Genova. e

L

e gli apprese un metodo si destro di fingere il rilievo, che ne'chiaroscuri riuscì piuttosto unico che primo tra i nostri. Fu anche erudito nelle lettere , e questa dote (troppo rara negli artisti) gli è confermata dalle sue opere di gran mole, ove fu solito arricchire il concetto di simboli, allegorie, e di tanti e sì variati accessorii, che non è spazio per quanto vasto che sembri averne isterilita o stanca la fantasia. Ne' suoi metodi fu superiore al secolo ; usando di riscontrare gli oggetti sul vero, di nobilitarli colle forme degli antichi, e di lavorarsi ad ogni nopo i modelli per l'effetto del chiaroscuro e l'andamento de' panni, onde riuscì eziandio lodato scultore. Compiacque de'suoi dipinti il granduca di Toscana Cosimo III, e ad istanza di lui lasciò il proprio ritratto nella pinacoteca fiorentina tra quelli de' più rinomati pittori. Morì nel 1740, carco d'anni e d'onori. Il fratello Gio. Batta lo precedette di più anni al sepolcro lasciando meno opere e minor fama. Ristretti i suoi studi in cerchio più angusto , deferì a' veneti nel vigor delle tinte, senza molto curarsi di riuscire disegnatore esatto. Pochissimo è in Genova di lui, vissuto ora in Bergamo ora in Milano ove cessò di vivere.

Come ognun vede, lo attingere precetti a scuole straniere era divenuto una consuetudine e quasi una legge pei pittori genovesi, che dalla seconda metà del xvii secolo durò infino a' tempi nostri. Dobbiamo un cenno a parecchi di minor grado, che in linea di imitatori.han nome onorato nell'elenco de'nostri artisti; e prima a Bartolomeo Guidobono detto il Prete di Savona, correggesco anch' egli, e pregiato per morbido e soave impasto sia ad olio sia a fresco. Prevalsero più tardi nel cornun gusto le scuole del Maratta e del Cortona, e i pittori si divisero quali nella prima quali nella seconda imitazione. All' una e all'altra aderì Gio. Raffaello Badaraeco, pittor facile, e non di rado grazioso assai più che corretto. Dal Cortona si crede istrutto Francesco Bruno del Portomaurizio , noto soltanto in patria. Dalla disciplina del Maratta tornò colorista vivace e gagliardo il savonese L
Come ritrattista salì a tal rinomanza che meritò di effigiare ben sette pontefici, onore ch' io non so se altro dipintore ottenesse giammai. Per dire alcuna cosa •li quest' altro genere di pittura, ci convien risalire a quel Valerio Corte pavese educato dal sommo Tiziano all' arte de' ritratti, che nel xvi secolo venne e si stabili in Genova, confidente ed amico del Cambiaso di cui scrisse una biografia che non vide le stampe. Egli polea accender l'emulazione de' nostri colle severe massime della scuola onde usciva; ma l'esempio, a quel che pare, si propagò con lentezza. Invalse però co'naturalisti l'esercizio de'ritratti, animato per giunta dalla venuta di due grandi fiamminghi Rubens e Wandik. Sovra ogni altro de' cittadini dee collocarsi per avventura un imitator di quest' ultimo, così felice che spesso i suoi ritratti si confondono con quelli del suo tipo-, vo' dire Gio. Bernardo Carbone, che diretto in gioventù da Gio. Andrea Defferrari mostrossi pur anco valente in opere, storiate. Ottimo ritrattista fu Luciano Borzone , e come tale richiesto ed encomiato da personaggi cospicui, e al par di lui il FiaseUa, del quale

s' han volti coloriti d' una vivacità non frequente ove compone di storia. Ne potea venir meno a questo esercizio it più brioso de'naturalisti genovesi, Bernardo Strozzi, del cui pennello ne rimangono alcuni che paion vivere, così vi circola il sangue. Nè seppe astenersene Gio. Benedetto Castiglione detto il Grechetto, che dipingendoli con una libertà che par quasi disprezzo, non invidia a niun altro per verità d'espressione, per vaghezza di colori. Al pari do'suddetti vuole anche noverarsi tra gli artisti d'invenzione, ma del suo maggior merito parleremo tra breve. Nella fine del xvn e la prima metà dello scorso secolo fiorirono in Genova G. B. Dellepiane ed Enrico Waymer, ambo educati dal Gaulli in Roma, e perciò conformi nello stile, nelle massime, e dirò anche nella fortuna. Tre volte fu invitato il Mulinaretto ( che così chiamavano per l' origine il Dellepiane ) alla corte di Parma, oltre a quelle di Milano e Napoli che vollero ritratti di sua mano ; e tre volte fu richiesto a Torino il Wayraer, cioè da Vittorio Amedeo, dal principe di Carignano e da Carlo Emanuele. Non ebber però ugual nome ne' posteri, poichè non è ritratto del loro stile che il volgo de' conoscitori non ascriva ciecamente al Mulinaretto.

Scendendo a' pittori di genere, vien primo per epoca Siuibaldo Scorza nativo di Voltaggio, nè saprei a qual'altro, inferiore per merito di piccoli quadretti imitanti il gusto fiammingo, o a dir meglio d' uno stile che unisce la diligenza fiamminga all' italiana severità. Per Io più son paesi ne' quali introduce bestiami sul far di Bcrgjhem, od acconcia minute istorie; veri gioielli agognati da' privati per decoro de' lor gabinetti. Il Marini cantò le sue lodi, e gli diede entratura alla corte di Savoia, dove rimase finchè nel costrinse a partirne la guerra tra quel Duca e la nostra Repubblica. Morì in patria nel 1651. Visse dal 1613 al 1668 Antonio Travi detto il Sestri dal luogo de' suoi natali. Acconciatosi costui con lo Strozzi in qualità di fattorino n' ebbe tali insegnamenti da riuscir discreto pittor di figure, nelle quali si occupò finchè l' arrivo del Waals in Genova noi distrasse da tale esercizio per darlo all' arte delle vedute. Soll' esempio del suddetto fiammingo fe' subbielto a' suoi quadri di prospettive, di marine, di rottami e di somiglianti cose-, ed è lodato per prontezza di tocco, per bello effetto, singolarmente ne'cieli, nelle verzure, ne'terreni. Per àtustr- Hot suo nome voglionsi distinguere i buoni suoi quadi» da qnclli che fece con troppa fretta nell'ultima età, e dai molli che sul gusto di lui, ma più debolmente e per pretto mestiere.pennelleggiarono i figli. Nella rappresentanza de' bestiami giunse il Castiglione a tal segno, che niuno degl'italiani, ^nonchè de' genovesi lo agguaglia, se non il Bassano. La sua età è dal 1616 al 1670, durante la quale dipinse infiniti quadri. Nè perciò son tenuti a vile, perchè tutti ridondanti di squisite bellezze, e tutti pieni di una verità che innamora E veramente non dee chiamarsi discepolo d' altri che della natura ; che il Paggi , il Defferrari ed il Wandik a' quali si die' successivamente per allievo non poteano insegnargli questo genere, nè invogliarlo a tali studi. Recatosi a Mantova, fu introdotto a Carlo I che il trattenne pittore di corle con pensione annua, e l'occupò fino alla morte ora per se stesso, ora per altri principi, ora in operette da presentarsi ad altre corti siccome degne di re. Fu tale incisore all'acquaforte che meritò d' esser chiamato un secondo Rembrandt. La squisita maniera eh' ebbe nel dipinger bestiami trovò imitazione in due suoi figli, Salvatore e Francesco, l'ultimo de'quali, morto il padre, fu trattenuto nell'istessa corte; ed io credo che a questa coppia d'imitatori si debbano ascrivere molti quadri che sembrano languidi parti del Castiglione. E il contraffece con garbo il savonese Guidobono, e sull' orme islesse gli tenne presso l' ab. Gio. Agostino Cassana, le cui opere si attribuiscono sovente al Grechetto, benchè le tradisca una minor vaghezza di colorito. Lo stesso genere coltivò il Palmieri e mandò suoi lavori fino alla reggia di Portogallo; ma il suo stile non è ben nefer in Genova, nè ch'io sappia se ne addita aloun saggio. — Anton Maria Vassallo dipin:;< lodevolmente e frutta e fiori, e per questi levò gran nome Stefano Camogli, che usò fingerne ghirlande intorno a figure sacre, per le quali ricorreva al cognato D. Piola. L' esempio di Cornelio Wael d' Anversa che stette ed operò in Genova assai tempo, non bastò ad invogliare i nostri a minute e diligenti figure sul gusto de' fiamminghi. Per via diversa fu applaudito in Milano Alessandro Mignasco , che allo studio di grandi figure preferì la rappresentanza di bizzarre scene con figurine a gran tocchi, che gli valsero dal Lanzi l' esser chiamato il Cerquozzi della nostra scuola. Vi si scerne però la brama d'imitare Salvator Rosa, principe di questo genere; e vidi suoi quadri colla soscrizione mentita del napoletano. Non ebbe allievi in Genova, nè troppe lodi vi riscosse; inonde visse gran tempo in Milano, dove tra molti discepoli ebbe l'insigne Sebastiano da Belluno. — Nell' arte de'paesi fiorì, contemporaneo al Magna sro, Carlo Antonio Tavella nato nel 1668 nella suddetta città di padre genovese, e colà istrutto prima dal Solfarolo , poi dal Tempesta. Viaggiò da ultimo l' Itàlia studiando sulle opere de' sommi : onde acquistò quella versatilità d'ingegno e quella prontezza a qualunque aspetto di natura, che odesi lodare da chi vide molto di suo. Per le figure si servì de'due Piola,' e più tardi fece col Magnasco società di lavori. Suoi allievi furono un Nicolò Micone a cui si attribuiscono comunemente i paesi coloriti su quello stile con minor lena ; e due figlie, che presto cessaron dall' arte rendendosi monache in un medesimo chiostro. Dopo il Tavella sorse un altro genio, diverso nel gusto, ma non punto inferiore. Giuseppe Bacigalupo venne alla luce nel 1744 in Pian de'preti, villaggio della Fontanabuona. Vagò da giovinetto per istauze di maestri mediocri , poi frequentando l' Accademia Ligustica avanzò degnamente nell' arte del figurista. La protezione del march. Giacomo Gentile gli spianò gì' inciampi della fortuna, e'l mandò a Roma nel 1772. Datosi quivi alla disciplina de' fratelli Hunterberger, e all' amicizia d' un Francesco Decapo paesista napoletano , s'invogliò di questo genere, e vi si pose con tutti i nervi dell' ingegno e della volontà. Vide anche l'incantevole aspetto di Napoli, e rimase a contemplarlo finchè non venne richiamato dal mecenate. Molte

e*

rose lavorò in Genova fin quasi alla morie che Io colse nel 1812; apprezzato per certa novità di pennello, per la diligenza ne'più minuti oggetti, per una cognizione d'ottica, nel qual grado è ammirabile. Ne scrisse la biografia una sua figlia che vive tuttora, lodata pittrice di storie.

Per lungo tempo la prospettiva non ebbe cultori tra'genovesi. Da Pierino al maggior Carjone furono , in voga i raffaelleschi a decorazione degli affreschi , cioè fino all'epoca nella'quale artisti forestieri (e specialmente i bolognesi ) recarono quel gusto di addentiate la'prospettiva ad ufficio d'ornato, nel quale furon capi, e quasi creatori il Mitelli e il Colonna. Eglino stessi furono in Genova e lasciaronvi saggio de', lor pennelli; succedettero nelle richieste Paolo Brozzi, Andrea Sighizzi, i due fratelli Arrigo ed Antonio Haffher, e Tommaso Aldrovandini, tutti nati ed educati in quella città. Coi precetti e cogli esempi del minor Haffiier acquistaron lode di buoni prospettici due genovesi, G. B. Revello e Francesco Costa, e parecchi altri di minor nota che portarono l'impronta di quello stile infino al declinare dello scorso secolo, come sono un Andrea Leoncini e un Nicola Rossi. — Ma è tempo di tornare alla maggior pittura, e delineare in iscorcio le condizioni dell' arte da' primordii del settecento fino alle prime decadi dell' attual secolo. .';...

Tre pittori gareggiavano intorno al 1700 per ottenere il lavoro degli affreschi nella gran Sala del minorconsiglio, cioè Dom. Parodi, G. B. Gaulli e Doni. Piola ; e tutti restaron delusi, essendosi chiamato da

Bologna a quest' opera Marcantonio FranceschiTM. In vista de' suoi dipinti ( che perirono nell' incendio del 1777 ) fu occupato da alcun privato, ond' ebbe agio di lasciare in Genova non pochi esempi di quello stile largo, maestoso e gentile, che molto influì, se non erro, nel gusto di quelli che dopo lui lavorarono fin oltre alla metà del secolo. Cooperò a diffonderlo Giacomo Antonio Boni bolognese, allievo di Marcantonio , che venuto seco lui in Genova per aiuto, vi prese stanza e vi lavorò fino al 1766 ( epoca della sua morte) un infinito numero d' affreschi per luoghi privati e pubblici. A fronte di questo stile, grazioso e piacevole nella trascuratezza medesima, non è meraviglia che mancassero seguaci a Sebastiano Galeotti fiorentino, sebbene, stabilisse nella città nostra e domicilio e famiglia. Il suo stile fu persino abiurato dal figlio Giuseppe , che imitando il Boni, rivaleggiò con lui nelle commissioni, sebbene di minor merito, e morì nel 1778. ..'. '

Per cura e liberalità d' alcuni patrizi si fondò nel 1751 l' Accademia Ligustica di belle arti. Delle vecchie scuole pochi nomi, nè chiari abbastanza, restavano ad onorare l'elenco degli accademici di merito, come il Rolando Marchelli e il Francesco Campora già nominati, e 1' ab. Antonio Giolfi mediocre allievo di Lorenzo Defferrari che visse fino allo spirare del secolo. De' nuovi furonvi ascritti il Boni ed il Galeotti e con loro Gio. Agostino Ratti, col quale affrettiamo a compimento i cenni sulla pittura.

Nacque in Savona l'anno 1699. Fatto adulto seguì V impulso che traeva a Roma gli studiosi dell' arte, e s' acconciò col Luti. Riuscì pittor lodato nella imitazione di questo fiorentino ; ma prevalse nelle pitture facete e di spiritosa franchezza, di che lo esaltava il maestro fino ad eguagliarlo al Ghezzi. Le sue opere son frequenti nella sua patria, ne molto rare in Genova , dove mancò alla vita nel 1775. Crebbe sotto la disciplina di lui Carlo Giuseppe suo figlio, finchè secondando il costume recossi alle scuole romane. Prescelse quella di Placido Costanzi, .e vi stette fino alla morte di lui ; dopo la quale fu accolto da Pompeo Baioni. Sovrattutto gli giovò l' amicizia del Mengs, ehè seco il condusse ne' suoi viaggi d'Italia, e largheggiò con lui di consigli e d'aiuto. Già ascritto a parecchie accademie, e decorato delle insegne del Pontefice Pio VI rivide la patria, nè tardogli 1' occasione di giustificar la fama ehe lo avea precorso, venendo chiamato alle pitture di Palazzo dopo l' incendio del 1777. Studiò ad imitare il Mengs, ed è meglio apprezzato ove più gli si accosta. Vagheggiò eziandio le tinte del Solimene sugli schizzi del quale eseguì le grandi tele nella Sala del minor consiglio ; sempre imitatore e talvolta plagiario ; debole e snervato ove meno imita. Si rese benemerito della patria pubblicando nel 1769 le Vite de'pittori, scultori ed architetti genovesi in continuazione al Soprani, e nel 1781 l'Istruzione di quanto picò vedersi di più bello in Genova; oltre ad una vita del Correggio stampata l' anno appresso in Finale. Re$e non lievi servigi all'Accademia in cui fu ascritto membro nel 1666, e dove sedette direttore fino al 95, epoca della sui» morte ; avendola fornita di molti disegni a comodo de' candidati.

s.

Tissero contemporaneamente a lui, ma con minor rinomanza ed occasioni più scarse un altro savonese, Gerolamo Brusco, pittore di molta armonia, educato alle scuole di Mengs e Baioni, che morì nel 1820 ; Giovanni David, ingegno fervido, ma sovente scorretto sul far de' francesi, della cui imitazione fu vago ; e Francesco Scotto figurista diligente e pulito, buono incisore e miniatore eccellente. Giuseppe Paganelli nativo di Bergamo, ma per lunga età vissuto in Genova subentrò al Ratti negli emolumenti e nel grado di professore accademico; dopo lui Santo Tagliafico e Filippo Alessio, mancati alla patria da non molti anni, si divisero le commissioni di maggior rilievo.

È dolce il chiudere questo cenno con un gran pittore, non così noto nella natale Liguria quanto in Roma ov' ebbe gì' insegnamenti dal suddetto Batoni, e dove operò finchè visse. Parlo d' Angelo Banchero nato in Sestri di Ponente nel 1744, e tolto ai vivi ncll' anno suo quarantanovesimo. Con istndio superiore a'metodi che corrcano al suo tempo, prese norma ad ogni linea dal vero, consultò i sommi esemplari, non mai stanco d' un' opera finchè non gli sembrasse perfetta. Tal diligenza che confinava all' eccesso fu cagione che pochi quadri uscissero.dalle sue stanze, ma tutti di singoiar pregio, e d' uno stile che il fa degno delle migliori epoche dell' arte. Genova ha penuria ma non difetto di cose sue , e innanzi a queste ci serbiamo a tributargli maggior lode. Basti per ora che egli scelse da' più severi e grandiosi maestri il miglior flore, e usandone con un genio tutto forza, verità e dottrina, raggiunse uno stile, che fórse è senza esempio nella patria scuola.

[l dir de' viventi sia uffizio de' posteri.

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