Speranza
L’italiano e le altre lingue
Vista la nascita italiana del genere operistico, la nostra lingua diventa la lingua della musica, tant’è vero che nel Borghese Gentiluomo di Molière, in cui i personaggi stranieri vengono stereotipati, gli italiani cantano.
Sebbene questo primato venga incrinato alla fine del Settecento da compositori e librettisti di lingua tedesca, l’italiano continua a restare in auge.
Il librettista italiano di Mozart, Da Ponte, sosteneva l’assoluto primato della propria lingua sulle altre nel coniugarsi con la musica del maestro.
Sulla stessa lunghezza d’onda del librettista di Treviso era sintonizzato il tedesco Händel che, nel 1710, rappresentava, a Londra, davanti a un pubblico assolutamente anglofono, il "Rinaldo" e altre sue opere che egli stesso, in collaborazione con il suo librettista, scrisse in italiano.
Contrario a tale posizione, il parigino Gounod che era fermamente convinto dell’impossibilità di tradurre le sue opere se non a costo di distruggerne l’essenza.
Nel 1861, egli s’innervosì particolarmente quando sentì cantare la celebre cavatina del suo "Fausto" in una traduzione ritmica italiana apparentemente molto fedele all’originale francese."
“Salve, o casta e pia dimora” . (A. de L.)
Secondo Gounod, l’accento espansivo
“scoppia come un razzo
su ‘CASTA’ distruggendo
così tutto il mistero,
tutto il pudore
della mia armonia”
------------ (Sablich 2002a).
Ma dovette rassegnarsi all’idea che il francese non poteva, ancora, competere con l’italiano.
Addirittura, nei primi del Novecento, si arrivò all’estremizzazione di questo ‘pan-italianismo’.
Una delle vittime più eccellenti fu la "Carmen" di Bizet rappresentata in tutto il mondo e per più di vent’anni nella versione ritmica italiana ad assoluto detrimento dell’originale francese.
Altri grandi maestri dell’opera ottocentesca che appoggiavano la traduzione del libretto nella lingua del pubblico indipendentemente dalla musicalità della stessa.
Furono, su tutti, Wagner e Scönberg.
Il primo, in una celebre lettera di risposta a un suo ammiratore inglese, scriveva che soltanto in versione ritmica inglese le sue opere sarebbero state pienamente capite e apprezzate da un pubblico anglofono.
Pertanto si augurava che, almeno alla Royal Opera House di Londra, le sue opere si rappresentassero in versione tradotta.
Schönberg, addirittura, patrocinò una versione inglese del suo "Pierrot lunaire" malgrado quanto dirà poi, nel 1974, D’Amico, vale a dire che “estromettere dal Pierrot il suono della lingua tedesca pare sacrilego”.
Dopo la seconda guerra mondiale, l’egemonia dell’italiano sulle altre lingue viene meno e si passa piano piano alla situazione attuale.
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