Thursday, May 24, 2012

Edipodia operistica italiana

Speranza I rapporti di Enescu con l’Italia sono stati molteplici lungo tutto l’arco della sua attività. Quindicenne, incontra a Parigi Alfredo Casella, di lui più giovane di circa due anni. Era il 1896. Nel suo libro I segreti della Giara, pubblicato a Firenze nel 1941, Casella ricorda: Sin dal mio arrivo al Conservatorio parigino, avevo incontrato un giovane musicista rumeno del quale si cominciava già a parlare in modo molto favorevole: Giorgio Enesco. Violinista già affermatosi come di grande classe, aveva pure destato, sin dal 1896 e quindi appena quindicenne, l’attenzione del pubblico dei Concerts-Colonne con un suo Poème roumain per orchestra che aveva ottenuto vivo successo. Mi ricordo ancora così chiaramente il mio primo incontro con lui. Era un giovane alto, sottile, di un bellissimo tipo alquanto balcanico ma però sommamente vigoroso, che parlava a perfezione cinque lingue. Fu subito con me assai accogliente e da quel giorno cominciò fra noi un’amicizia che doveva durare sempre. Enesco è uno degli esseri più musicalmente dotati che io abbia mai incontrato. Al suo enorme talento di violinista, egli unisce una facilità straordinaria di pianista, pur senza aver mai studiato lo strumento. La sua memoria è incredibile e non posso paragonarla - fra tutte quelle che ho avuto occasione di conoscere - che a quelle di Saint-Saëns e di Toscanini. Uguale facilità ha per la direzione d’orchestra dove dimostrò sempre una padronanza sovrana della partitura e dell’orchestra. Come compositore, pareva allora destinato a raggiungere le più alte cime, mentre invece poi la sua figura è rimasta alquanto appartata dal movimento generale mondiale, ed oggi la sua musica è scarsamente nota non solo al pubblico, ma anche ai musicisti. Si tratta però, in ogni modo, di una personalità di compositore che può essere in avvenire messa in ben altra luce da uno di quei processi di revisione di valori dei quali la storia dà continuamente tanti esempi. La grande intimità che per lunghi anni mi unì ad Enesco, doveva riuscire altamente benefica per il mio sviluppo musicale. Egli mi fu largo di consigli interpretativi ed anche per la composizione seppe utilmente orientarmi. Da lui poi, appresi a conoscere e ad approfondire - e quindi: amare – Schubert e Brahms, e fu, in questo ultimo caso, una vera fortuna, perché il maestro di Amburgo era allora totalmente incompreso e sottovalutato in Francia (dove è ben lungi dall’essere compreso persino oggi). Debbo ancora aggiungere che Enesco era un essere di una bontà e di una generosità rare, e che la sua assistenza verso il giovane collega italiano non si limitò solamente alla parte spirituale, ma che egli aiutò più di una volta in quei primi anni la mamma anche materialmente, facendo questo con la massima naturalezza e con una dignità da gran signore. Nel 1902 Enescu e Casella fondarono col violoncellista Pierre Fournier un Trio di gran successo e nel contempo diedero vita anche ad un Duo che, il 7 maggio 1909, eseguì le prime due Sonate per violino e pianoforte di Enescu. A suggello del loro sodalizio i due compositori si scambiarono le dediche delle loro prime Sinfonie. Tra il 1908 e il 1939 Enescu diede concerti per l’Accademia Nazionale di Santa Cecilia in Roma nella triplice qualità di violinista, direttore d’orchestra e compositore. Nel 1931 fu eletto Accademico onorario. Un contributo profondo alla vita musicale italiana Enescu lo diede negli ultimi anni della sua vita tenendo, tra il 1950 e il 1954, corsi di perfezionamento di violino all’Accademia Chigiana di Siena. Un altro legame ancora unisce Enescu all’Italia, mediato dal parallelismo con l’arte e con la poetica di Ferruccio Busoni. Enescu fu uno dei più eccelsi interpreti della Seconda sonata per violino e pianoforte di Busoni. Il carattere e la sorte del suo OEdipe presentano più di un punto di contatto col Doktor Faust di Busoni, nato quasi negli stessi anni. Sono due lavori alti e nobili, inquadrabili in quella ‘Nuova classicità’ (ben diversa dal neoclassicismo alla moda) che Busoni preconizzava. Due opere che mirano a raggiungere vette spirituali, innovando la tradizione senza distruggerne i valori non perenti e di aprire le vie del futuro senza indulgere al nuovo per il nuovo, all’avanguardia per l’avanguardia. Così come oggi viene rivalutato Busoni, bisogna sperare che la ripresa dell’opera di Enescu possa contribuire a quella rivalutazione del compositore Enescu che Alfredo Casella ipotizzava. (R. Vlad).

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