Saturday, May 26, 2012
Librettista di Legrenzi, "Eteocle e Polinice": Tebaldo Fattorini (Venezia, 1674)
Speranza
Legrenzi,
"Eteocle e Polinice", 1674.
Partitura manoscritta; I-MOe, MS. MUS. F. 628.
L’edizione modenese (1690) del libretto "Eteocle e Polinice" musicato da G. Legrenzi presenta molte varianti rispetto a quella della prima veneziana del 1675.
La paternità di Tebaldo Fattorini per il libretto veneziano è fuori discussione, tanto più che lo sappiamo attivo in Venezia negli anni di nostro interesse, anche se l’autore nell’"Avviso" a chi legge che precede il testo preferisce restare anonimo.
Il suo nome compare in un appunto di catalogazione di A. Castellani sul frontespizio modenese, ma alla luce di una collazione dei due libretti ci pare di poter affermare che o Tebaldo Fattorini ha rimaneggiato ampiamente per non dire addirittura riscritto quasi completamente il suo lavoro o il testo ha subito l’intervento di una mano diversa per essere adattato alle esigenze della nuova edizione.
Poiché tra la rappresentazione del 1675 a Venezia e quella del 1690 a Modena si colloca la rappresentazione milanese del 1684, si è reso indispensabile andare a vedere se e quanto le varianti modenesi dipendevano dal libretto milanese, pure uscito senza l’indicazione del nome dell’autore.
La sparizione dell’ombra di Edipo, l’eliminazione dei balli, la sostanziale riduzione delle scene con annesse variazioni scenografiche e soprattutto il cambiamento pressoché totale del testo delle arie generano l’impressione che si sia voluto incidere in modo sostanziale sull’impianto del dramma.
Senza Edipo scompare il meraviglioso (e l’orroroso) con quel residuo di dimensione mitica che il libretto originario conservava.
Complettendo alcune scene poi, la struttura cerca di guadagnare in tensione e di evitare una certa ripetitività psicologica presente nella prima stesura, mentre le arie, che proprio la psiche è chiamata a tradurre, assumono in genere una coloritura gnomica che dovrebbe ovviare alla staticità dei sentimenti che esprimono, per giustificarli all’interno di una condizione umana di più ampio respiro.
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