Tuesday, November 27, 2012

La clemenza di Tito: Atto III

Speranza

ATTO TERZO
SCENA PRIMA
Camera chiusa con porte, sedia e tavolino con sopra da scrivere.
TITO e PUBLIO
PUBLIO
Già de’ pubblici giuochi
signor l’ora trascorre. Il dì solenne
sai che non soffre il trascurargli. È tutto
colà d’intorno alla festiva arena
1065il popolo raccolto; e non si attende
che la presenza tua. Ciascun sospira
dopo il noto periglio
di rivederti salvo. Alla tua Roma
non differir sì bel contento.
TITO
Andremo
1070Publio fra poco. Io non avrei riposo
se di Sesto il destino
pria non sapessi. Avrà ’l Senato ormai
le sue discolpe udite; avrà scoperto,
vedrai, ch’egli è innocente; e non dovrebbe
1075tardar molto l’avviso.
PUBLIO
Ah troppo chiaro
Lentulo favellò.
TITO
Lentulo forse
cerca al fallo un compagno
per averlo al perdono. Ei non ignora
quanto Sesto m’è caro. Arte comune
1080questa è de’ rei. Pur dal Senato ancora
non torna alcun! Che mai sarà! Va’, chiedi
che si fa, che s’attende. Io tutto voglio
saper pria di partir.
PUBLIO
Vado. Ma temo
di non tornar nunzio felice.
TITO
E puoi
1085creder Sesto infedele! Io dal mio core
il suo misuro; e un impossibil parmi
ch’egli m’abbia tradito.
PUBLIO
Ma signor non han tutti il cor di Tito.
Tardi s’avvede
1090d’un tradimento
chi mai di fede
mancar non sa.
Un cor verace,
pieno d’onore
1095non è portento
se ogn’altro core
crede incapace
d’infedeltà. (Parte)
SCENA II
TITO e poi ANNIO
TITO
No; così scelerato
1100il mio Sesto non credo. Io l’ho veduto
non sol fido ed amico,
ma tenero per me. Tanto cambiarsi
un’alma non potrebbe. Annio che rechi?
L’innocenza di Sesto
1105come la tua, di’, si svelò? Che dice?
Consolami.
ANNIO
Ah signor, pietà per lui
io vengo ad implorar.
TITO
Pietà! Ma dunque
sicuramente è reo?
ANNIO
Quel manto ond’io
parvi infedele egli mi diè; da lui
1110sai che seppesi il cambio. A Sesto in faccia
esser da lui sedotto
Lentulo afferma e l’accusato tace;
che sperar si può mai?
TITO
Speriamo, amico,
speriamo ancora. Agl’infelici è spesso
1115colpa la sorte; e quel che vero appare
sempre vero non è. Tu n’hai le prove.
Con la divisa infame
mi vieni innanzi; ognun t’accusa; io chiedo
degl’indizi ragion; tu non rispondi,
1120palpiti, ti confondi... A tutti vera
non parea la tua colpa? E pur non era.
Chi sa? Di Sesto a danno
può il caso unir le circostanze istesse
o somiglianti a quelle.
ANNIO
Il ciel volesse.
1125Ma se poi fosse reo?
TITO
Ma se poi fosse reo dopo sì grandi
pruove dell’amor mio, se poi di tanta
enorme ingratitudine è capace,
saprò scordarmi appieno
1130anch’io... Ma non sarà. Lo spero almeno.
SCENA III
PUBLIO con foglio e detti
PUBLIO
Cesare nol diss’io? Sesto è l’autore
della trama crudel.
TITO
Publio, ed è vero?
PUBLIO
Purtroppo; ei di sua bocca
tutto affermò. Co’ complici il Senato
1135alle fiere il condanna. Ecco il decreto
terribile ma giusto; (Dà il foglio a Tito)
né vi manca, o signor, che ’l nome augusto.
TITO
Onnipotenti dei! (Si getta a sedere)
ANNIO
Ah pietoso monarca... (Inginocchiandosi)
TITO
Annio per ora
1140lasciami in pace. (Annio si leva)
PUBLIO
Alla gran pompa unite
sai che le genti ormai...
TITO
Lo so. Partite. (Publio si ritira)
ANNIO
Pietà signor di lui.
So che il rigore è giusto;
ma norma i falli altrui
1145non son del tuo rigor.
Se a’ prieghi miei non vuoi,
se all’error suo non puoi,
donalo al cor d’Augusto,
donalo a te signor. (Parte)
SCENA IV
TITO solo a sedere
TITO
1150Che orror! Che tradimento!
Che nera infedeltà! Fingersi amico,
essermi sempre al fianco, ogni momento
esigger dal mio core
qualche pruova d’amore e starmi intanto
1155preparando la morte! Ed io sospendo
ancor la pena? E la sentenza ancora
non segno... Ah sì, lo scelerato mora. (Prende la penna per sottoscrivere e poi s’arresta)
Mora... Ma senza udirlo
mando Sesto a morir? Sì; già l’intese
1160abbastanza il Senato. E s’egli avesse
qualche arcano a svelarmi? Olà. S’ascolti (Depone la penna, intanto esce una guardia)
e poi vada al supplicio. A me si guidi
Sesto. È pur di chi regna (Parte la guardia)
infelice il destino! A noi si niega (S’alza)
1165ciò che a’ più bassi è dato. In mezzo al bosco
quel villanel mendico a cui circonda
ruvida lana il rozzo fianco, a cui
è mal fido riparo
dalle ingiurie del ciel tugurio informe,
1170placido i sonni dorme;
passa tranquillo i dì; molto non brama;
sa chi l’odia e chi l’ama; unito o solo
torna sicuro alla foresta, al monte;
e vede il core a ciascheduno in fronte.
1175Noi fra tante grandezze
sempre incerti viviam, che in faccia a noi
la speranza o il timore
su la fronte d’ognun trasforma il core.
Chi dall’infido amico, olà, chi mai
1180questo temer dovea?
SCENA V
PUBLIO e TITO
TITO
Ma Publio, ancora
Sesto non viene?
PUBLIO
Ad eseguire il cenno
già volaro i custodi.
TITO
Io non comprendo
un sì lungo tardar.
PUBLIO
Pochi momenti
sono scorsi, o signor.
TITO
Vanne tu stesso;
1185affrettalo.
PUBLIO
Ubbidisco. I tuoi littori (Nel partire)
veggonsi comparir. Sesto dovrebbe
non molto esser lontano. Eccolo.
TITO
Ingrato!
All’udir che s’appressa
già mi parla a suo pro l’affetto antico.
1190Ma no; trovi il suo prence e non l’amico. (Tito siede e si compone in atto di maestà)
SCENA VI
TITO, PUBLIO, SESTO e custodi. Sesto entrato a pena si ferma
SESTO
(Numi! È quello ch’io miro (Guardando Tito)
di Tito il volto! Ah la dolcezza usata
più non ritrovo in lui. Come divenne
terribile per me!)
TITO
(Stelle! Ed è questo
1195il sembiante di Sesto? Il suo delitto
come lo trasformò! Porta sul volto
la vergogna, il rimorso e lo spavento).
PUBLIO
(Mille affetti diversi ecco a cimento).
TITO
Avvicinati. (A Sesto con maestà)
SESTO
(Oh voce
1200che mi piomba sul cor!)
TITO
Non odi? (Come sopra)
SESTO
(Oh dio! (S’avanza due passi e si ferma)
Mi trema il piè; sento bagnarmi il volto
di gelido sudore;
l’angoscia del morir non è maggiore).
TITO
(Palpita l’infedel).
PUBLIO
(Dubbio mi sembra
1205se il pensar che ha fallito
più dolga a Sesto o se il punirlo a Tito).
TITO
(E pur mi fa pietà). Publio, custodi
lasciatemi con lui.
SESTO
(No; di quel volto (Parte Publio e le guardie)
non ho costanza a sostener l’impero). (Tito rimasto solo con Sesto depone l’aria maestosa)
TITO
1210Ah Sesto, è dunque vero?
Dunque vuoi la mia morte? E in che t’offese
il tuo prence, il tuo padre,
il tuo benefattor? Se Tito augusto
hai potuto obbliar, di Tito amico
1215come non ti sovvenne? Il premio è questo
della tenera cura
ch’ebbe sempre di te? Di chi fidarmi
in avvenir potrò, se giunse, oh dei!
anche Sesto a tradirmi! E lo potesti!
1220E il cor te lo sofferse!
SESTO
Ah Tito, ah mio (Prorompe in un dirottissimo pianto e se gli getta a’ piedi)
clementissimo prence,
non più, non più; se tu veder potessi
questo misero cor, spergiuro, ingrato
pur ti farei pietà. Tutte ho sugli occhi
1225tutte le colpe mie; tutti rammento
i benefici tuoi; soffrir non posso
né l’idea di me stesso
né la presenza tua. Quel sacro volto,
la voce tua, la tua clemenza istessa
1230diventò mio supplicio. Affretta almeno
affretta il mio morir. Toglimi presto
questa vita infedel; lascia ch’io versi,
se pietoso esser vuoi,
questo perfido sangue a’ piedi tuoi.
TITO
1235Sorgi infelice. (Si leva) (Il contenersi è pena
a quel tenero pianto). Or vedi a quale
lagrimevole stato
un delitto riduce, una sfrenata
avidità d’impero! E che sperasti
1240di trovar mai nel trono? Il sommo forse
d’ogni contento? Ah sconsigliato! Osserva
quai frutti io ne raccolgo;
e bramalo, se puoi.
SESTO
No, questa brama
non fu che mi sedusse.
TITO
1245Dunque che fu?
SESTO
La debbolezza mia,
la mia fatalità.
TITO
Più chiaro almeno
spiegati.
SESTO
Oh dio! Non posso.
TITO
Odimi, o Sesto;
siam soli; il tuo sovrano
non è presente. Apri il tuo core a Tito.
1250Confidati all’amico. Io ti prometto
che Augusto nol saprà. Del tuo delitto
di’ la prima cagion; cerchiamo insieme
una via di scusarti. Io ne sarei
forse di te più lieto.
SESTO
Ah la mia colpa
1255non ha difesa.
TITO
In contraccambio almeno
d’amicizia lo chiedo. Io non celai
alla tua fede i più gelosi arcani;
merito ben che Sesto
mi fidi un suo segreto.
SESTO
(Ecco una nuova
1260specie di pena! O dispiacere a Tito,
o Vitellia accusar!)
TITO
Dubbiti ancora? (Tito comincia a turbarsi)
Ma Sesto mi ferisci
nel più vivo del cor. Vedi che troppo
tu l’amicizia oltraggi
1265con questo diffidar. Pensaci. Appaga
il mio giusto desio.
SESTO
(Ma qual astro splendeva al nascer mio!)
TITO
E taci? E non rispondi? Ah già che puoi
tanto abusar di mia pietà...
SESTO
Signore...
1270Sappi dunque... (Che fo?)
TITO
Siegui. (Con impazienza)
SESTO
(Ma quando
finirò di penar?)
TITO
Parla una volta;
che mi volevi dir?
SESTO
Ch’io son l’oggetto (Con impeto di disperazione)
dell’ira degli dei, che la mia sorte
non ho più forza a tolerar, ch’io stesso
1275traditor mi confesso, empio mi chiamo,
ch’io merito la morte e ch’io la bramo. (Tito ripiglia l’aria di maestà)
TITO
Sconoscente! E l’avrai. Custodi, il reo
toglietemi dinanzi. (Alle guardie che saranno uscite)
SESTO
Il bacio estremo
su quella invitta man...
TITO
Parti. (Non lo concede)
SESTO
Fia questo
1280l’ultimo don. Per questo solo istante
ricordati, signor, l’amor primiero.
TITO
Parti; non è più tempo. (Senza guardarlo)
SESTO
È vero, è vero.
Vo disperato a morte;
né perdo già costanza
1285a vista del morir.
Funesta la mia sorte
la sola rimembranza
ch’io ti potei tradir. (Parte con le guardie)
SCENA VII
TITO solo
TITO
E dove mai s’intese
1290più contumace infedeltà! Poteva
il più tenero padre un figlio reo
trattar con più dolcezza? Anche innocente
d’ogn’altro error, saria di vita indegno
per questo sol. Deggio alla mia negletta
1295disprezzata clemenza una vendetta. (Va con isdegno verso il tavolino e s’arresta)
Vendetta! Ah Tito! E tu sarai capace
d’un sì basso desio, che rende eguale
l’offeso all’offensor! Merita invero
gran lode una vendetta, ove non costi
1300più che il volerla. Il torre altrui la vita
è facoltà comune
al più vil della terra; il darla è solo
de’ numi e de’ regnanti. Eh viva... Invano
parlan dunque le leggi? Io lor custode
1305l’eseguisco così! Di Sesto amico
non sa Tito scordarsi? Han pur saputo
obbliar d’esser padri e Manlio e Bruto.
Sieguansi i grandi esempi. (Siede) Ogn’altro affetto
d’amicizia e pietà taccia per ora.
1310Sesto è reo; Sesto mora. (Sottoscrive) Eccoci alfine
su le vie del rigore. (S’alza) Eccoci aspersi
di cittadino sangue; e s’incomincia
dal sangue d’un amico. Or che diranno
i posteri di noi? Diran che in Tito
1315si stancò la clemenza
come in Silla e in Augusto
la crudeltà; forse diran che troppo
rigido io fui, ch’eran difese al reo
i natali e l’età, che un primo errore
1320punir non si dovea, che un ramo infermo
subito non recide
saggio cultor, se a risanarlo invano
molto pria non sudò, che Tito alfine
era l’offeso e che le proprie offese,
1325senza ingiuria del giusto,
ben poteva obbliar... Ma dunque io faccio
sì gran forza al mio cor; né almen sicuro
sarò ch’altri m’approvi! Ah non si lasci
il solito cammin. Viva l’amico (Lacera il foglio)
1330benché infedele. E se accusarmi il mondo
vuol pur di qualche errore,
m’accusi di pietà, non di rigore. (Getta il foglio lacerato)
Publio.
SCENA VIII
TITO e PUBLIO
PUBLIO
Cesare?
TITO
Andiamo
al popolo che attende.
PUBLIO
E Sesto?
TITO
E Sesto
1335venga all’arena ancor.
PUBLIO
Dunque il suo fato...
TITO
Sì, Publio, è già deciso.
PUBLIO
(Oh sventurato!)
TITO
Se all’impero, amici dei,
necessario è un cor severo,
o togliete a me l’impero
1340o a me date un altro cor.
Se la fé de’ regni miei
con l’amor non assicuro,
d’una fede io non mi curo
che sia frutto del timor. (Parte)
SCENA IX
VITELLIA uscendo dalla porta opposta richiama PUBLIO che seguiva Tito
VITELLIA
1345Publio, ascolta.
PUBLIO
Perdona; (In atto di partire)
deggio a Cesare appresso
andar...
VITELLIA
Dove?
PUBLIO
All’arena. (Come sopra)
VITELLIA
E Sesto?
PUBLIO
Anch’esso.
VITELLIA
Dunque morrà?
PUBLIO
Purtroppo. (Come sopra)
VITELLIA
(Aimè!) Con Tito
Sesto ha parlato?
PUBLIO
E lungamente.
VITELLIA
E sai
1350quel ch’ei dicesse?
PUBLIO
No; solo con lui
restar Cesare volle; escluso io fui. (Parte)
SCENA X
VITELLIA e poi ANNIO e SERVILIA da diverse parti
VITELLIA
Non giova lusingarsi;
Sesto già mi scoperse. A Publio istesso
si conosce sul volto. Ei non fu mai
1355con me sì ritenuto; ei fugge; ei teme
di restar meco. Ah secondato avessi
gl’impulsi del mio cor. Per tempo a Tito
dovea svelarmi e confessar l’errore.
Sempre in bocca d’un reo che la detesta
1360scema d’orror la colpa. Or questo ancora
tardi saria. Seppe il delitto Augusto
e non da me. Questa ragione istessa
fa più grave...
SERVILIA
Ah Vitellia?
ANNIO
Ah principessa!
SERVILIA
Il misero germano...
ANNIO
Il caro amico...
SERVILIA
1365È condotto a morir.
ANNIO
Fra poco in faccia
di Roma spettatrice
delle fiere sarà pasto infelice.
VITELLIA
Ma che posso per lui?
SERVILIA
Tutto. a’ tuoi prieghi
Tito lo donerà.
ANNIO
Non può negarlo
1370alla novella augusta.
VITELLIA
Annio, non sono
augusta ancor.
ANNIO
Pria che tramonti il sole
Tito sarà tuo sposo. Or, me presente,
per le pompe festive il cenno ei diede.
VITELLIA
(Dunque Sesto ha taciuto! Oh amore! Oh fede!)
1375Annio, Servilia andiam... (Ma dove corro
così senza pensar!) Partite amici,
vi seguirò.
ANNIO
Ma se d’un tardo aiuto
Sesto fidar si dee, Sesto è perduto. (Parte)
VITELLIA
Precedimi tu ancora. Un breve istante (A Servilia)
1380sola restar desio.
SERVILIA
Deh non lasciarlo
nel più bel fior degli anni
perir così. Sai che finor di Roma
fu la speme e l’amore. Al fiero eccesso
chi sa chi l’ha sedotto. In te sarebbe
1385obbligo la pietà; quell’infelice
t’amò più di sé stesso; avea fra’ labbri
sempre il tuo nome; impallidia qualora
si parlava di te. Tu piangi!
VITELLIA
Ah parti.
SERVILIA
Ma tu perché restar! Vitellia ah parmi...
VITELLIA
1390Oh dei, parti, verrò, non tormentarmi.
SERVILIA
S’altro che lagrime
per lui non tenti,
tutto il tuo piangere
non gioverà.
1395 A questa inutile
pietà che senti
oh quanto è simile
la crudeltà. (Parte)
SCENA XI
VITELLIA sola
VITELLIA
Ecco il punto, o Vitellia,
1400d’esaminar la tua costanza. Avrai
valor che basti a rimirare esangue
il tuo Sesto fedel? Sesto che t’ama
più della vita sua? Che per tua colpa
divenne reo? Che t’ubbidì crudele?
1405Che ingiusta t’adorò? Che in faccia a morte
sì gran fede ti serba? E tu fra tanto,
non ignota a te stessa, andrai tranquilla
al talamo d’Augusto? Ah mi vedrei
sempre Sesto d’intorno. E l’aure e i sassi
1410temerei che loquaci
mi scoprissero a Tito. a’ piedi suoi
vadasi il tutto a palesar; si scemi
il delitto di Sesto
se scusar non si può. Speranze addio
1415d’impero e d’imenei. Nutrirvi adesso
stupidità saria. Ma, pur che sempre
questa smania crudel non mi tormenti,
si gettin pur l’altre speranze a’ venti.
Getta il nocchier talora
1420pur que’ tesori all’onde
che da rimote sponde
per tanto mar portò.
E giunto al lido amico
gli dei ringrazia ancora
1425che ritornò mendico
ma salvo ritornò. (Parte)
SCENA XII
Luogo magnifico che introduce a vastissimo anfiteatro di cui per diversi archi scuopresi la parte interna. I sedili dell’anfiteatro suddetto saranno ripieni di numeroso popolo spettatore e si vedranno già nell’arena i complici della congiura condannati alle fiere.
Nel tempo che si canta il seguente coro, preceduto da’ littori, circondato da’ senatori e patrizi romani e seguito da’ pretoriani, esce TITO e poco dopo ANNIO e SERVILIA da diverse parti
CORO
Che del ciel, che degli dei
tu il pensier, l’amor tu sei,
grand’eroe, nel giro angusto
1430si mostrò di questo dì.
Ma cagion di meraviglia
non è già, felice Augusto,
che gli dei chi lor somiglia
custodiscano così.
TITO
1435Pria che principio a’ lieti
spettacoli si dia, custodi, innanzi
conducetemi il reo. (Più di perdono
speme ei non ha. Quanto aspettato meno,
più caro esser gli dee).
ANNIO
Pietà signore.
SERVILIA
1440Signor, pietà.
TITO
Se a chiederla venite
per Sesto, è tardi. È il suo destin deciso.
ANNIO
E sì tranquillo in viso
lo condanni a morir!
SERVILIA
Di Tito il core
come il dolce perdé costume antico?
TITO
1445Ei s’appressa; tacete.
SERVILIA
Oh Sesto!
ANNIO
Oh amico!
SCENA XIII
PUBLIO e SESTO fra’ littori, poi VITELLIA, e detti
TITO
Sesto de’ tuoi delitti
tu sai la serie e sai
qual pena ti si dee. Roma sconvolta,
l’offesa maestà, le leggi offese,
1450l’amicizia tradita, il mondo, il cielo
voglion la morte tua. De’ tradimenti
sai pur ch’io son l’unico oggetto; or senti...
VITELLIA
Eccoti eccelso Augusto, (Inginocchiandosi)
eccoti al piè la più confusa...
TITO
Ah sorgi,
1455che fai? Che brami?
VITELLIA
Io ti conduco innanzi
l’autor dell’empia trama.
TITO
Ov’è? Chi mai
preparò tante insidie al viver mio?
VITELLIA
Nol crederai.
TITO
Perché?
VITELLIA
Perché son io.
TITO
Tu ancora?
SESTO, SERVILIA
Oh stelle!
ANNIO, PUBLIO
Oh numi!
TITO
E quanti mai
1460quanti siete a tradirmi!
VITELLIA
Io la più rea
son di ciascuno; io meditai la trama;
il più fedele amico
io ti sedussi; io del suo cieco amore
a tuo danno abusai.
TITO
Ma del tuo sdegno
1465chi fu cagion?
VITELLIA
La tua bontà. Credei
che questa fosse amor. La destra e il trono
da te speravo in dono e poi negletta
restai due volte e procurai vendetta.
TITO
(Ma che giorno è mai questo! Al punto istesso
1470che assolvo un reo, ne scuopro un altro! E quando
troverò giusti numi
un’anima fedel? Congiuran gli astri
cred’io per obbligarmi a mio dispetto
a diventar crudel. No; non avranno
1475questo trionfo. A sostener la gara
già s’impegnò la mia virtù. Vediamo
se più costante sia
l’altrui perfidia o la clemenza mia).
Olà, Sesto si sciolga; abbia di nuovo
1480Lentulo e i suoi seguaci
e vita e libertà; sia noto a Roma
ch’io son l’istesso e ch’io
tutto so, tutti assolvo e tutto obblio.
ANNIO, PUBLIO
Oh generoso!
SERVILIA
E chi mai giunse a tanto?
SESTO
1485Io son di sasso!
VITELLIA
Io non trattengo il pianto.
TITO
Vitellia, a te promisi
la destra mia ma...
VITELLIA
Lo conosco Augusto,
non è per me; dopo un tal fallo, il nodo
mostruoso saria.
TITO
Ti bramo in parte
1490contenta almeno. Una rival sul trono
non vedrai, tel prometto. Altra io non voglio
sposa che Roma; i figli miei saranno
i popoli soggetti;
serbo indivisi a lor tutti gli affetti.
1495Tu d’Annio e di Servilia
agl’imenei felici unisci i tuoi,
principessa, se vuoi. Concedi pure
la destra a Sesto; il sospirato acquisto
già gli costa abbastanza.
VITELLIA
Infin ch’io viva
1500fia sempre il tuo voler legge al mio core.
SESTO
Ah Cesare, ah signore! E poi non soffri
che t’adori la terra? E che destini
tempi il Tebro al tuo nume? E come e quando
sperar potrò che la memoria amara
1505de’ falli miei...
TITO
Sesto non più; torniamo
di nuovo amici; e de’ trascorsi tuoi
non si parli più mai. Dal cor di Tito
già cancellati sono;
me gli scordo, t’abbraccio e ti perdono.
CORO
1510 Che del ciel, che degli dei
tu il pensier, l’amor tu sei,
grand’eroe, nel giro angusto
si mostrò di questo dì.
Ma cagion di meraviglia
1515non è già, felice Augusto,
che gli dei chi lor somiglia
custodiscano così.
FINE DELL’OPERA
Ballo di nobili stranieri, complici della congiura, condannati alle fiere dal Senato ed assoluti da Tito.
LICENZA
Non crederlo signor; te non pretesi
ritrarre in Tito. Il rispettoso ingegno
1520sa le sue forze a pieno
né a questo segno io gli rallento il freno.
Veggo ben che ciascuno
ti riconobbe in lui; so che tu stesso
quegli affetti clementi
1525che in sen Tito sentiva in sen ti senti;
ma Cesare è mia colpa
la conoscenza altrui?
È colpa mia che tu somigli a lui?
Ah vieta invitto Augusto,
1530se le immagini tue mirar non vuoi,
vieta alle muse il rammentar gli eroi.
Sempre l’istesso aspetto
ha la virtù verace;
benché in diverso petto
1535diversa mai non è.
E ogni virtù più bella
se in te signor s’aduna,
come ritrarne alcuna
che non somigli a te?
FINE

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