Monday, May 6, 2013

Il gladiatore

Speranza

"Pollice verso" di Jean-Leon Gerome, 1872, il quadro all'origine dell'equivoco gestuale.
Ricostruzione storica
« Ave Caesar, morituri te salutant»
(Erroneamente considerato saluto dei gladiatori)
Il gladiatore era un particolare lottatore della antica Roma.

Il nome deriva dal "gladio", una piccola spada corta usata molto spesso nei combattimenti.

La pratica dei combattimenti di gladiatori proviene dall'Etruria  e, come molti altri aspetti della cultura etrusca, fu subito adottato dai romani.

La sua origine è da ricollegare al cosiddetto munus.

Nell'antica Roma, munera (plurale latino) erano le opere pubbliche previste per il bene del popolo romano (populus Romanus) da soggetti facoltosi e di alto rango.


La parola munera, (munus al singolare - cf. l'italiano "munificenza") significa "dovere", "obbligo", esprimendo la responsabilità individuale di fornire un servizio o un contributo alla sua comunità. Munera sono dovuti quindi alla munificenza privata di un individuo, in contrasto con i Ludi, "giochi", competizioni sportive o spettacoli sponsorizzati dallo stato.


I munera gladiatoria, in particolare, erano dovuti all'abitudine dei personaggi più facoltosi di offrire al popolo, a proprie spese, pubblici spettacoli in occasione di particolari circostanze, per esempio duelli all'ultimo sangue fra schiavi in occasione del funerale di qualche congiunto. I munera potevano essere ordinaria, previsti cioè in occasione di certe festività, o extraordinaria per celebrare particolari occasioni. [4]

 

 

L'ipotesi che i giochi gladiatori siano nati in Etruria o che i Romani li abbiano mutuati dagli Etruschi sembrerebbe trovare fondamento su testimonianze archeologiche, in particolare pitture tombali, e su fonti letterarie.

Sulle pareti di due tombe di Tarquinia, rispettivamente la Tomba degli Auguri (seconda metà del VI secolo a.C.) e la Tomba delle Olimpiadi (ultimo venticinquennio del VI secolo a.C.), è raffigurato un gruppo composto da uno strano personaggio mascherato, denominato Phersu, che tiene al laccio un feroce cane che assale un uomo con la testa coperta da un sacco che si difende con una clava. In questa cruenta scena di combattimento Raymond Bloch ha ritenuto di vedere un'anticipazione dei giochi gladiatori romani che deriverebbero appunto dai giochi funebri dell'Etruria, nel corso dei quali venivano offerti al defunto selvaggi combattimenti tra avversari che cercavano disperatamente ciascuno di salvare la propria vita. Su urne e sarcofagi etruschi si ritrovano frequentemente rappresentazioni di combattimenti anche se l'interpretazione di tali scene non sempre porta a ritenere che si tratti effettivamente di gladiatori piuttosto che di scene mitologiche o di combattimenti tra guerrieri. Nicola di Damasco (in Ateneo, I Deipnosofisti, IV, 153 fr.), storico greco vissuto durante l'età di Augusto, ci riferisce che i giochi gladiatori sono stati importati a Roma dall'Etruria.
Il nome lanista con il quale i Romani chiamavano l'imprenditore che faceva commercio di gladiatori deriverebbe dall'etrusco (in questo senso Isidoro di Siviglia, Origini X, 247).
Da Tertulliano (Apologeticum 15, 5), vissuto nel II secolo d.C., apprendiamo che i gladiatori uccisi nei combattimenti nell'arena venivano trascinati via da incaricati mascherati da Caronte, armati di martello, attributo del demone etrusco Charun.

I giochi gladiatori a Roma [modifica]

Statuetta di terracotta, antico-romana, di gladiatore, conservata nell'Antiquarium di Milano
Nacquero queste figure a causa del sanguinario fanatismo del popolo romano e per questo erano considerati dei veri e propri eroi nazionali. I gladiatori non erano dei veri e propri legionari, ma erano all'inizio degli schiavi riportati dalle conquiste imperialistiche, poi entrarono criminali e infine uomini liberi che avevano qualche conto da saldare con la giustizia. Il primo spettacolo con gladiatori si svolse probabilmente nel 264 a.C. Nel 105 a.C. i giochi divennero pubblici.
Il numero degli spettacoli gladiatorii aumentò enormemente durante l'Impero. La dinastia Flavia, iniziata con l'imperatore Flavio Vespasiano, fece costruire il più grande e più famoso anfiteatro del mondo, l'anfiteatro Flavio, successivamente conosciuto con il nome di Colosseo. Nel IV secolo, l'imperatore Costantino I, dopo aver abbracciato la fede cristiana, li proibì. La loro grande popolarità fece in modo che questi giochi continuassero più o meno saltuariamente nonostante le reiterate proibizioni, in particolare nelle città lontane dall'Imperatore e dalla sua corte (come Roma) dove gli ultimi spettacoli gladiatori arrivano ad essere celebrati nei primi anni del medioevo.
I combattenti potevano essere dei veri professionisti, nuovi gladiatori inesperti, condannati (criminali, schiavi, galeotti, prigionieri di guerra, cristiani, e via dicendo), o degli uomini liberi, senza distinzioni di razza, né di sesso (i combattimenti di gladiatrici, estremamente rari, erano sempre quelli più richiesti).
I galeotti e i prigionieri di guerra, particolarmente agguerriti per essere sopravvissuti ad anni di lotte e di sofferenze, erano molto ricercati. Molto spesso erano originari di terre lontane (per esempio Numidia, Tracia, Germania), e si proponevano volentieri, in modo da poter progredire in questa carriera. Era infatti inconcepibile per un Romano inserire in un combattimento di gladiatori qualcuno che non fosse volontario[senza fonte].
Tra i vari gladiatori che si alternarono nei giochi risuona fra tutti il nome di un grande gladiatore, reso poi libero grazie alle sue innumerevoli vittorie, il suo nome era IoàkarΛos detto ΛOΡΡIOS, originario di Sparta: all'inizio reso schiavo (abbeveratore di cammelli) che conquistò la libertà grazie alle numerevoli battaglie che lo resero famoso in tutto il Mediterraneo. La storia di questo grande combattente è giunta fino a noi grazie alle ricerche del Prof. Emilio Ventre, che nelle sue scoperte archeologiche presso Elis, in Grecia, ha rinvenuto un gladio con inciso la parola "IoàkarΛosos". Una scoperta che è stata in seguito confermata grazie alla traduzione di un papiro datato 84 a.C. Il merito di questa ricerca va alla dott. Marygrace Flowerly, papirologa americana e studiosa dei modi di vita dei greci sotto la dominazione romana[senza fonte].

L'addestramento [modifica]

L'addestramento dei gladiatori era ancora più approfondito di quello praticato nelle scuole militari romane. Praticavano la scherma con le spade specifiche, il maneggio di armi particolari, e miglioravano la loro condizione fisica con faticosissimi allenamenti. Durante l'era cristiana, la gladiatura divenne uno sport di alto livello a Roma, e i centri di addestramento rivaleggiavano tra loro nel cercare di produrre i migliori combattenti. Le condizioni di vita per i gladiatori erano eccezionali, in quanto essi avevano le porte aperte a tutte le serate mondane organizzate a Roma e nei suoi dintorni. L'addestramento, avveniva nella cosiddetta "Palestra", collegata al Colosseo tramite un corridoio sotterraneo ed era la loro vera estrema costrizione e occorreva aver cura di questi autentici atleti, dei loro momenti di rilassamento e del prestigio della loro reputazione. I nuovi gladiatori non avevano il privilegio dell'accesso alle serate di feste ma questa notorietà faceva parte della vita che inseguivano tanti giovani gladiatori. La rivolta di Spartacus prese corpo nel 73 a.C., in una scuola di gladiatori di Capua ma, all'epoca, questo sport era ancora poco e male regolamentato.

Riferimenti storici della gladiatura [modifica]

Stele del "secutor" (gladiatore) Urbico, fiorentino, morto dopo 13 combattimenti, a 22 anni, nel III secolo avanzato. Nella lapide è compianto dalla moglie (da sette anni) Lauricia e dalle figlie bambine, Olimpia e Fortunense. L'iscrizione conclude minacciando "chi uccide colui che aveva vinto" (?) e ammonendo che i tifosi (amatores) avrebbero coltivato il ricordo di Urbico. La stele è conservata nell'Antiquarium di Milano
  • 105 a.C. - Praticati dall'epoca dei Sanniti, i combattimenti dei gladiatori vengono inseriti nei giochi pubblici romani da Gaio Mario.
Questi combattimenti, certamente mortali, erano molto regolamentati e non somigliavano per niente alla caricatura presentata dai film di Hollywood.
Tuttavia, gli stessi romani si interrogarono molto presto sull'interesse e la legittimità di un tale sport spettacolo. Alla gladiatura necessitava, in effetti, il riconoscimento ai diritti legati alla cittadinanza romana; ma ciò era pressappoco un'eresia per i romani. Per certuni, il gioco valeva la candela poiché la gloria e la fortuna raccolta nell'arena erano veramente considerevoli. Non bisogna però confondere i combattimenti di gladiatori con i veri spettacoli nei quali venivano impiegati animali selvatici o venivano proposte ricostruzioni di battaglie.
Gli storici studiano ormai con una nuova ottica la gladiatura romana[5], in un profilo più "sportivo", rimarcando così, nettamente, una separazione con la storiografia classica, influenzata dalla fede cristiana, molto ostile a certe pratiche.
I Greci adottavano ugualmente sport marziale, ma la gladiatura non era praticata in tutto l'Impero Romano; in Egitto e in Medio Oriente, in particolare, dove ci si contentava delle corse dei carri, lo sport principe dell'antichità.
  • 35 a.C.Strabone riferisce nella sua opera, "Geografia", della trappola ai danni di un certo Seleuro, detto figlio della città di "Aitna" che, portato a Roma per assistere ai combattimenti fra gladiatori, fu fatto sbranare dalle belve.
  • 27– La tragedia di Fidènes
Approfittando della politica di austerità di Tiberio, alcuni opportunisti, mettevano su delle prove che non erano assolutamente coperte dalle migliori garanzie di sicurezza.
Il crollo di un anfiteatro edificato in fretta e furia a Fidènes, qualche chilometro fuori Roma, segnò profondamente i Romani. Tacito che racconta la tragedia nei suoi Annales cita la cifra di 50.000 tra morti e feriti.
In conseguenza di questa tragedia, la legislazione sull'organizzazione di spettacoli sportivi fu successivamente molto regolamentata in tutto l'Impero.
  • 37 – In controtendenza al regno di Tiberio, l'imperatore romano Caligola, ( dal 37 al 41) moltiplicò il numero delle corse dei carri ed altre prove sportive a Roma.
Egli privilegiò ugualmente la gladiatura che, già di suo, faceva figura di grande sport romano, rispetto alla boxe ed alle corse dei carri.
  • 399 – Sotto la pressione cristiana, chiusura delle scuole di gladiatori a Roma.
Questo spettacolo romano era disprezzato dai cristiani, i quali non giunsero tuttavia ad interdirne la pratica del tutto nemmeno a Roma.
  • 439– Ultimi combattimenti di gladiatori a Roma (più di un secolo dopo la prima interdizione da parte dell'imperatore Costantino).

I combattimenti [modifica]

Ricostruzione di un combattimento tra gladiatori
Combattiment: 1. Retarius contra Secutor 2. Thraex contra Murmillo
Combattiment: 1. Murmillo contra Hoplomachus 2. Laquearius contra Secutor 3. Murmillo contra Murmillo
  • Secondo la cultura popolare, prima del combattimento i concorrenti si recavano sotto la tribuna dell'Imperatore, quando egli era presente, e urlavano: “ Ave Caesar, morituri te salutant.”, (“Ave Cesare, coloro che si apprestano a morire ti salutano.”).
Pare invece che la storiografia recente abbia confermato l'infondatezza di questa "notizia". Si ritiene che la frase sia stata pronunciata da un gruppo di condannati a morte che, tentando di ingraziarselo, la scandirono prima di iniziare a combattere per l'imperatore Claudio. Per nulla intenerito, egli disse semplicemente "Continuate".
Ogni categoria di gladiatori aveva le proprie peculiarità, in materia di equipaggiamento e di colpi permessi. Ogni categoria di gladiatori aveva dei vantaggi e degli svantaggi. Cercando di rendere pari le chances di ogni combattente, i romani dosavano questi vantaggi e questi svantaggi. I combattimenti più classici mettevano di fronte:
  • I Reziari contro i Secutores
  • I Traci contro i Mirmilloni
Si gareggiava poi per trovare idee sempre nuove, traendo ispirazione da episodi mitologici, o ricercando situazioni grottesche, come quella inscenata dell'imperatore Domiziano che, nel 90 fece combattere nani contro donne.
  • È da smentire la credenza secondo cui, al termine del combattimento, il gladiatore perdente fosse generalmente ucciso per giudizio della folla. È probabilmente vero che il pubblico esprimeva il suo gradimento, e forse anche la volontà di vita e di morte; ma era estremamente raro che un gladiatore professionista fosse ucciso, perché questi atleti erano estremamente costosi da addestrare e mantenere. Soltanto chi si comportava vilmente era "condannato a morte" dal pubblico, il che accadeva comunque raramente: i combattenti di carriera erano esperti nel dare spettacolo e il pubblico non voleva vederli morire, affinché potessero tornare in futuro a dare spettacolo.[5]
L'organizzatore, imperatore compreso, doveva pagare una cifra molto alta per ogni gladiatore ucciso. Non era perciò francamente incline a chiedere spesso la morte. [6] I romani erano molto appassionati di statistiche sportive e si conservavano cimeli della carriera di alcuni gladiatori, dimostrando che essi erano stati sempre “graziati” o, vincitori. Di più, il gladiatore, se fosse stato ferito, poteva in qualsiasi momento interrompere i combattimenti. [7]
Quando comunque un gladiatore veniva ucciso dal suo avversario, gli si avvicinava uno schiavo con la maschera del dio Mercurio, che aveva il compito di accertarne la morte toccandolo con un ferro rovente.[8]

Equivoco del pollice verso [modifica]

Exquisite-kfind.pngPer approfondire, vedi Pollice verso.
Sul famoso gesto del pollice verso, le fonti sono scarse e discordanti. Un passo delle Satire di Giovenale («verso pollice vulgus cum iubet»)[9] sembra dare spazio alla circostanza, ma le fonti storiche propriamente dette non ne parlano. Prudenzio, in contra Symmachum 2.1096 usa il verbo convertere: «Et, quoties victor ferrum jugulo inserit, illa delicias ait esse suas, pectusque jacentis virgo modesta jubet converso pollice rumpi».[10] Altre espressioni sono pollicem premere[11] e pollex infestus.[12] In realtà, in tutti i passi latini, il problema verte su quale sia il senso da dare all'espressione «verso pollice» o «converso pollice» o simili, se cioè pollice girato debba intendersi all'insù o all'ingiù.[12] Appare certo, ad esempio, che il pollice rivolto in basso non significasse la morte per il gladiatore.

Filmografia [modifica]

Film [modifica]

Televisione [modifica]

Note [modifica]

  1. ^ Giacomo Devoto, Gli antichi italici, Volume 79, Vallecchi, Firenze 1967, p.
  2. ^ Claudio Bernardi, Carlo Susa, Storia essenziale del teatro, Vita e Pensiero, Roma 2005, p. 61.
  3. ^ «L'origine etrusca dei giochi gladiatori è stata affermata (O. Keck, in Annlnst, 53, 1881, p. 16 ss) e accettata da molti studiosi.» in Bianca Maria Felletti Maj, La tradizione italica nell'arte romana, Volume 1, G. Bretschneider, Roma 1977, p. 114.
  4. ^ Sandra Facchini, I luoghi dello sport nella Roma antica e moderna, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Libreria dello Stato, 1990, p.54
  5. ^ a b L.Jacobelli, Gladiatori a Pompei
  6. ^ P. Postinghel, P. Abbate, Roma, Tecniche Nuove, 2004, p.62
  7. ^ Domenico Augenti, Spettacoli del Colosseo: nelle cronache degli antichi, L'erma di Bretschneider, 2001 p.19
  8. ^ Forse non tutti sanno che..., La settimana enigmistica, n. 4087, 2010.
  9. ^ Giovenale, Satire, 3.35-37.
  10. ^ Jacques Paul Migne, Patrologia Latina, 864.
  11. ^ Plinio, Naturalis Historia, XXVIII.2: «pollices, cum faveamus, premere etiam proverbio iubemur» testo latino su LacusCurtius.
  12. ^ a b (EN) : Pollice Verso. American Journal of Philology, Vol. 13, No. 2 (1892), pp.213‑225, da LacusCurtius.

Bibliografia [modifica]

  • Raymond Bloch, Gli Etruschi, Il Saggiatore Economici, 1994, p. 124
  • Federica Guidi, Morte nell'arena. Storia e leggenda dei gladiatori, Arnoldo Mondatori Editore SpA, Milano, 2006. ISBN 88-04-55132-1.
  • Luciana Jacobelli, Gladiatori a Pompei, L'"Erma" di Bretschneider, Roma, 2003. ISBN 88-8265-215-7.

Voci correlate [modifica]

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Collegamenti esterni [modifica]




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