Tuesday, May 13, 2014

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Speranza

   
Giasone
"Giasone e Medea".Dipinto (olio su tela) di Gustave Moreau (1865). Conservato al Musée d'Orsay di Parigi
"Giasone e Medea".
Dipinto (olio su tela) di Gustave Moreau (1865).
Conservato al Musée d'Orsay di Parigi
SagaArgonautiche
Nome orig.
ParentiEsone (padre), Medea (moglie)
Giàsone (in greco ’Ιάσων) è una figura della mitologia greca, figlio di Esone re di Iolco in Tessaglia, sposo della maga Medea e capo della spedizione degli Argonauti finalizzata alla conquista del vello d’oro.
Giasone, volendo riconquistare il trono di Iolco, usurpato al padre Esone dal fratellastro Pelia, dovrà andare alla conquista del vello d’oro, la pelle dell’ariete dorato che si trova nella Colchide presso il re Eeta, a capo di un gruppo di eroi, gli Argonauti, che formano l'equipaggio della nave Argo. Grazie all’aiuto della maga Medea, figlia di Eeta, riuscirà nell’impresa e, dopo le molte peripezie che caratterizzeranno tutto il viaggio della Argo, tornerà a Iolco per reclamare il trono che fu del padre. Morirà trovandosi sulla stessa Argo, ormai fatiscente, a causa di un suo cedimento.

 


Pelia, figlio del dio del mare Poseidone e di Tiro (madre anche di Esone e quindi suo fratellastro), era assetato di potere e ambiva a dominare l’intera Tessaglia. Dopo un’aspra contesa, detronizzò Esone, uccidendo tutti i suoi discendenti. Ma Alcimede, moglie di Esone, che aveva appena avuto un piccolo di nome Giasone, lo salvò da Pelia, facendo raggruppare le donne intorno al neonato e facendole piangere per far credere che il bambino fosse nato morto. Alcimede mandò il figlio dal centauro Chirone perché badasse alla sua educazione e per sottrarlo alla violenza di Pelia. Questi, sempre timoroso che qualcuno potesse usurpargli il trono, consultò un oracolo che lo avvertì di stare attento all’uomo con un solo sandalo.
Molti anni dopo, mentre a Iolco si tenevano dei giochi in onore di Poseidone, arrivò Giasone che perse uno dei sandali nel fiume Anauro mentre aiutava un’anziana (che era in realtà la dea Era travestita) ad attraversarlo. Lei lo benedì perché sapeva cosa Pelia gli avrebbe riservato. Quando entrò nella città (l’odierna Volos), fu annunciato come l’uomo con un solo sandalo: Giasone reclamò il trono del padre ma Pelia gli disse che l’avrebbe ottenuto solo dopo aver conquistato il vello d’oro. Giasone accettò la sfida.

La conquista del vello d’oro[modifica | modifica sorgente]

Giasone porta a Pelia il vello d'oro mentre la Vittoria alata si accinge ad incoronarlo.
Lato A di un cratere (vaso a bocca larga in cui i greci e i romani mescolavano l'acqua e il vino da servire nei banchetti) pugliese a figure rosse su fondo nero del 340 a.C.–330 a.C.
Conservato al Louvre.
Giasone radunò un gruppo di eroi, noti con l’appellativo di Argonauti dal nome della nave Argo, tra cui figuravano Calaide e Zete, figli di Borea e capaci di volare, Eracle, Ila, Meleagro, Filottete, Peleo, Telamone, Orfeo, Castore e Polluce, Idmone e Mopso, Issione ed Eufemo.

L’isola di Lemno[modifica | modifica sorgente]

L’isola di Lemno, situata al largo della costa occidentale dell’Asia Minore, era abitata da donne che avevano ucciso i loro mariti. Esse avevano trascurato di venerare Afrodite, la quale le aveva punite rendendole maleodoranti al punto da essere ripudiate dai maschi dell’isola. Gli uomini si erano allora legati a delle concubine provenienti dalla prospiciente terraferma, la Tracia, e le donne, furibonde, uccisero tutti i maschi mentre dormivano. Il re Toante, venne salvato dalla figlia Ipsipile, che lo fece fuggire su una piccola nave. Le donne di Lemno vissero per qualche tempo senza uomini con Ipsipile come loro regina.
Durante la visita degli Argonauti, le donne si unirono con loro, creando una nuova razza denominata Mini: lo stesso Giasone divenne padre di due gemelli avuti dalla regina. Eracle li spinse a ripartire disgustato dalla loro ridicolaggine: egli restò fuori dai bagordi, fatto strano se si considerano le tante relazioni che ebbe con altre donne.

Cizico[modifica | modifica sorgente]

Dopo Lemno gli Argonauti approdarono nella terra abitata dai Dolioni, venendo amichevolmente accolti dal loro giovanissimo re Cizico, che era figlio di un amico defunto di Eracle. Poi ripartirono ma persero l’orientamento, riapprodando di notte nuovamente nello stesso luogo, in una notte senza luna; ciò fece sì che Dolioni e Argonauti non si riconoscessero. Cizico e i suoi uomini scambiarono gli Argonauti per pirati e li assalirono, ma ebbero la peggio, e tra le vittime ci furono lo stesso re e il grande guerriero Artace. Solo all’alba gli Argonauti si resero conto del terribile errore che avevano commesso, e a loro non rimase altro da fare che seppellire i Dolioni morti. Clite, la moglie di Cizico, si suicidò per il dolore.

Misia[modifica | modifica sorgente]

Quando gli Argonauti giunsero nella Misia, alcuni di essi, tra cui Eracle e il suo servo, Ila, andarono in perlustrazione alla ricerca di cibo e acqua. Le ninfe, che abitavano il corso d’acqua da dove si stava rifornendo Ila, furono attratte dal suo bell’aspetto e lo tirano nel fiume. Eracle udì le sue grida di aiuto e si mise a cercarlo disperatamente: era così intento nella ricerca che lasciò che gli Argonauti ripartissero senza di loro. Di Ila non si seppe più nulla.

Fineo e le Arpie[modifica | modifica sorgente]

Giasone giunse quindi alla corte di Fineo nella Tracia. Zeus mandava le Arpie, donne alate, a rubare ogni giorno il cibo di Fineo. Giasone ebbe pietà dello scheletrico re e uccise le Arpie al loro arrivo; in altre versioni, Calaide e Zete le scacciarono. In cambio del favore, Fineo rivelò a Giasone la posizione della Colchide e come superare le Simplegadi, isole in perenne collisione. Gli Argonauti ripresero il loro cammino.

Le Simplegadi[modifica | modifica sorgente]

Giasone viene rigurgitato dal drago che è a guardia del vello d'oro (appeso all'albero); Atena è sulla destra.
Ceramica a figure rosse su fondo nero di Duride del 480-470 a.C., da Cerveteri (Etruria).
Conservata ai Musei vaticani.
L’unico modo per raggiungere la Colchide era quello di passare attraverso le Simplegadi, enormi scogli in perenne collisione che stritolavano tutto ciò che passasse attraverso loro. Fineo aveva raccomandato a Giasone di liberare una colomba mentre si avvicinavano a queste isole: se la colomba fosse riuscita a passare, avrebbero dovuto remare con tutte le loro forze, mentre se fosse stata stritolata, la sorte della spedizione sarebbe stata contrassegnata dal fallimento. Giasone liberò la colomba che riuscì a passare perdendo solo qualche piuma dalla coda: gli Argonauti allora remarono con tutte le loro forze, riuscendo a passare e riportando solo un lieve danno alla poppa della nave. Da quel momento le isole in collisione rimasero unite per sempre lasciando libero il passaggio.

L’arrivo nella Colchide[modifica | modifica sorgente]

Giasone arrivò nella Colchide (sull’attuale costa georgiana del Mar Nero) per conquistare il vello d’oro, che il re Eeta aveva avuto da Frisso. Eeta promise di darlo a Giasone a patto di superare tre prove: una volta saputo di cosa si trattava, Giasone si disperò. Ma Era ne parlò con Afrodite, la quale chiese al figlio Eros di far innamorare di Giasone la figlia di Eeta, Medea, così da aiutarlo nelle tre prove.
Nella prima, Giasone doveva arare un campo facendo uso di due tori dalle unghie di bronzo che spiravano fiamme dalle narici e che doveva aggiogare all’aratro. Medea gli diede una pomata che lo protesse dalle fiamme dei tori, consentendogli di superare la prova.
Nella seconda, Giasone doveva seminare nel campo appena arato i denti di un drago, i quali, germogliando, generavano un’armata di guerrieri. Ancora una volta Medea istruì Giasone su come poteva fare per avere la meglio: egli lanciò un sasso in mezzo ai guerrieri che, incapaci di capirne la provenienza, si attaccarono tra di loro, annientandosi.
Nella terza, Giasone doveva sconfiggere il drago insonne che era a guardia del vello d’oro. Gli spruzzò una pozione ricavata da alcune erbe, datagli sempre da Medea: il drago si addormentò ed egli poté conquistare il vello d’oro.
Giasone scappò con la Argo insieme a Medea, che aveva rapito il fratellino Apsirto. Inseguiti da Eeta, Medea uccise il fratello, lo fece a pezzi e lo gettò in acqua: Eeta si fermò a raccoglierli, perdendo di vista la Argo.

Viaggio di ritorno[modifica | modifica sorgente]

Sulla via del ritorno, Medea profetizzò a Eufemo, timoniere della Argo, che egli un giorno avrebbe regnato sulla Libia, cosa che si verificò attraverso un suo discendente, Battus.
Zeus, per punirli dell’uccisione di Apsirto, inviò una serie di tempeste che mandarono fuori rotta la Argo: quest’ultima parlò e disse che dovevano purificarsi recandosi da Circe, una ninfa che viveva sull’isola di Eea. Una volta purificati, gli Argonauti ripresero il viaggio verso casa.

Sirene[modifica | modifica sorgente]

Chirone aveva raccontato a Giasone che, senza l’aiuto di Orfeo, gli Argonauti non sarebbero riusciti a superare il luogo abitato dalle Sirene, le stesse incontrate da Ulisse nel poema omerico dell’Odissea. Le Sirene vivevano su tre piccoli isolotti rocciosi e cantavano bellissime melodie che attiravano i naviganti, facendoli schiantare contro gli scogli. Appena Orfeo sentì le loro voci, prese la lira e suonò delle melodie ancora più belle e più forti di quelle delle sirene, surclassandole.

Talo[modifica | modifica sorgente]

La Argo arrivò quindi nell’isola di Creta, protetta dal gigante di bronzo Talo. Quando la nave cercava di avvicinarsi, Talo scagliava enormi sassi, tenendola alla larga. Il gigante aveva una vena che partiva dal collo e arrivava alla caviglia, tenuta chiusa da un chiodo di bronzo. Medea gli fece un incantesimo: Talo impazzì e rimosse il chiodo, facendo fuoruscire l'unica vena, e morì dissanguato. La Argo poté riprendere il suo cammino.

Il ritorno[modifica | modifica sorgente]

Medea, usando i suoi poteri magici, convinse le figlie di Pelia che lei era in grado di ringiovanirne il padre tagliandolo a pezzi e bollendolo in un calderone pieno di acqua ed erbe magiche. Per dimostrare le sue capacità, Medea operò questa magia su un agnello, che saltò fuori dal calderone. Le ragazze, molto ingenuamente, fecero a pezzi il padre, mettendolo nel calderone e condannandolo così alla morte, dal momento che Medea non aggiunse le erbe magiche. Il figlio di Pelia, Acasto, mandò in esilio Giasone e Medea per l’uccisione del padre e i due si stabilirono a Corinto.

Il tradimento di Giasone e la sua morte[modifica | modifica sorgente]

A Corinto, Giasone si innamorò di Glauce (nota anche come Creusa), figlia del re Creonte e la sposò. Quando Medea gli rinfacciò la sua ingratitudine, Giasone replicò che non era lei che egli doveva ringraziare bensì Afrodite che l’aveva fatta innamorare di lui. Inferocita con Giasone per essere venuto meno alla promessa di amore eterno, Medea si vendicò, dando a Glauce un vestito incantato, come dono di nozze, che prese fuoco facendola morire insieme al padre accorso in suo aiuto e uccidendo, inoltre, Mermero e Fere, i due figli che la stessa Medea aveva avuto da Giasone. Quando quest’ultimo venne a saperlo, Medea era già andata via, in volo verso Atene su un carro mandatole dal nonno, il dio del sole, Elios.
In seguito, Giasone con l’aiuto di Peleo, padre di Achille, attaccò e sconfisse Acasto, riconquistando il trono di Iolco.
Avendo disatteso la promessa di fedeltà fatta a Medea, Giasone perse i favori della dea Era e morì solo e infelice. Mentre dormiva a poppa della ormai fatiscente Argo, rimase ucciso all'istante da un suo cedimento: fu questa la maledizione degli dei per essere venuto meno alla parola data. Secondo una variante l'eroe morì di crepacuore dopo aver appreso la notizia dell'uccisione dei figlioletti.

 

 

Sebbene alcuni degli episodi della storia di Giasone risalgano a vecchie leggende, l’opera principale legata a tale personaggio è il poema epico Le Argonautiche di Apollonio Rodio, scritto ad Alessandria nel III a.C.

Un’altra Argonautica è stata scritta da Gaio Valerio Flacco nel I d.C. ed è composta da otto volumi. Il poema si interrompe bruscamente con la richiesta di Medea di accompagnare Giasone nel suo viaggio di ritorno. Non è noto se una parte del poema epico sia andato perduto o se non sia mai stato finito.
Una terza versione è l’ Argonautica Orphica, che evidenzia il ruolo di Orfeo nella storia.

Giasone nella letteratura postclassica[modifica | modifica sorgente]

Dante Alighieri menziona brevemente Giasone nel XVIII canto della Divina Commedia, dove viene collocato nell’ottavo cerchio dell’inferno (quello dei fraudolenti) e più precisamente nella prima bolgia (quella dei ruffiani e seduttori) per aver sedotto e abbandonato prima Ipsipile e poi Medea, costretto, come tutti gli altri che espiano la sua stessa colpa, a correre nudo sotto le sferzate dei demoni.

Tragedia[modifica | modifica sorgente]

La storia della vendetta di Medea su Giasone è narrata da Euripide nella sua tragedia Medea e nell'omonima opera di Seneca. Non ci è pervenuta una tragedia con lo stesso titolo composta da Ovidio.

Cinema[modifica | modifica sorgente]

Il mito di Giasone e degli Argonauti è stato raccontato più volte sul grande schermo, da I giganti della Tessaglia - Gli argonauti del 1960 diretto da Riccardo Freda a Gli Argonauti (Titolo originale Jason and the Argonauts) del 1963 con la regia di Don Chaffey a Medea del 1969, diretto da Pier Paolo Pasolini a La cosa d'oro del 1972, diretto da Edgar Reitz fino al film tv del 2000 Giasone e gli Argonauti con la regia di Nick Willing.

Bibliografia[modifica | modifica sorgente]

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Voci correlate[modifica | modifica sorgente]

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