Speranza
LA DONNA DEL LAGO: melodramma in due atti
Prima
rappresentazione: Napoli, Teatro San Carlo, 24 IX 1819
Il bello ideale del
canto d'insieme
"La donna del lago" appartiene al periodo più intensamente
creative di Rossini, il quinquennio 1816-1820, un periodo quasi
interamente vissuto in quell'enorme laboratorio d'avanguardia che era in quel
tempo il teatro musicale napoletano, dove venivano ospitate opere di Mozart,
di Gluck, di Spontini, altrove in Italia sconosciute o quasi, e del quale
il maestro pesarese era divenuto ormai arbitro pressoché assoluto.
Vedendo
in ordine di tempo dopo il "Mosè in Egitto" e "Ricciardo e Zoraide", "La donna del
lago" si colloca fra la stupenda e tuttavia misconosciuta "Ermione" ed il
melodramma serio "Bianca e Falliero", quest'ultimo scritto per la Scala di
Milano.
Composta in poco tempo su un libretto predisposto da Antonio Leone
Tottola e a sua volta ricavato
da "La donna del lago: poema in sei canti" di
Walter Scott (segnalato a Rossini, per quanto se ne sa, da un compositore francese vincitore del Prix de Rome, Desire-Alexandre Batton), "La
donna del lago" fu rappresentata al Teatro San Carlo il 24 settembre 1819 con
una compagnia di celeberrimi campioni della vocalità di quegli anni:
le soprano Isabella Colbran, Rosmunda Pisaroni, i tenori Giovanni David (Giacomo, re di Scozia)
e Andrea Nozzari (Rodrigo di Dhu) ed il basso Michele Benedetti (Jiacomo Duglas, conte di Angus).
"La donna del lago" fu un successo non
immediato: esito freddo la prima sera, ma tuttavia
già caloroso a partire
dalla seconda rappresentazione, e ben presto l'opera, nonostante le immense
difficoltà dell'esecuzione vocale (ma in quegli anni non v'era certo penuria
di interpreti in grado di affrontarle e di superarle), fece rapidamente
il giro dei teatri italiani ed europei, non di rado, com'era d'altronde
costume dell'epoca, con pezzi sostituiti o ricavati da altre opere dello
stesso compositore.
Nel 1821 veniva applaudita a Dresda, nel 1822 a
Monaco di Baviera, a Vienna, a Lisbona, a Stoccarda, nel 1823 a Londra, nel
1824 a Pietroburgo e a Parigi, nel 1828 a Copenhagen, nel 1831 a
Berlino.
In merito all'esecuzione parigina con la Sontag e la Pisaroni lasciò
scritto Escudier:
"Fra le loro voci c'era una tale unione che si sarebbe
potuto credere che ne formassero una sola."
Inflessioni, appoggiature,
trilli sembravano ispirati alle due virtuose dall'effetto d'una scintilla
elettrica.
Era l'ideale di bellezza nel canto d'un ensemble.
Come per
quasi tutte le opere serie del Rossini "italiano", fatta eccezione per "Otello", "Mosè" e "Semiramide", anche la fortuna della "Donna del lago" decadde
rapidamente alla fine degli anni 1830.
Le ultime esecuzioni ottocentesche
risultano essere quelle avvenute, già quasi in clima di "revival", nel 1854 a
Parigi e nel 1860 a Trieste.
La ripresa della Donna del lago in tempi moderni
data a partire dalla riproposta, peraltro filologicamente discutibile, fatta
al Maggio Musicale Fiorentino nel 1958, seguita dalle esecuzioni effettuate
rispettivamente nel 1969 al Camden Town Hall di Londra e nel 1974 al Comunale
di
Bologna.
Ma la vera rinascita dell'opera ha inizio con l'edizione a
cura di H. Colin Slim, questa volta filologicamente ben più attendibile,
varata dal Rossini Opera Festival di Pesaro nel settembre del 1981 sotto la
direzione di Maurizio Pollini e la regia di Gae Aulenti, e riproposta in
seguito in altri
teatri italiani e stranieri (Houston, New York, Trieste,
Londra, Parigi, Nizza, Parma, ecc.).
Con "La donna del lago" di Rossini,
Walter Scott s'affaccia per la prima volta nel panorama del melodramma
italiano e al tempo stesso fa il suo primo ingresso nella letteratura
librettistica; un ingresso particolarmente fecondo nel prosieguo di tempo, a
voler solo rammentare "I Puritani" di
Bellini e in specie la "Lucia di
Lammermoor" di Donizetti, e per tacere dunque delle opere di Carafa -- "Le nozze di Lammmermoor" (1929), Pacini,
Federico Ricci -- "La prigione d'Edimburgo" --, Nicolai -- "Il templario" -- ed altri, ispirate ai romanzi dello scrittore
scozzese.
Che il solare Rossini, il quale fino ad allora, da "Tancredi"
all'"Ermione" attraverso "Otello" ed "Rinaldo ed Armida", aveva dato veste musicale ad azioni
tragiche ambientate nel mondo classico, in quello del mito, in quello della
fiaba, si fosse lasciato attrarre da una saga nordica, ambientata fra
foreste montane ed avvolta dalle brume lacustri della lontana Scozia, è
sembrato fatto così eccezionale che se non ha fatto scorrere rivoli
d'inchiostro ha certamente dato e continua a dare materia di discussione ai
commentator intenzionati a sottolineare il sostanziale romanticismo
di un
compositore solitamente considerato come l'ultimo dei classici se
non addirittura un "passatista".
Il
rischio di queste discussioni è quello di enfatizzare un aspetto "letterario"
o meglio "paesaggistico" che nell'arte di Rossini assolve ad un ruolo
piuttosto marginale rispetto all'organizzazione
musicale del dramma: al
post-tutto un elemento di colore, una tinta, atta a stimolare e ad animare,
all'occorrenza, il discorso musicale; una suggestione ambientale volta semmai
ad arricchire e a convalidare ulteriormente, senza peraltro alterarle, le
ragioni più autentiche della drammaturgia del compositore, una drammaturgia
profondamente radicata in una visione integralistica della funzione della
musica ai fini dell'espressione scenica, vale a dire intesa - secondo
una ormai proverbiale definizione dello stesso Rossini - come "atmosfera
morale che riempie il luogo in cui i personaggi del dramma
rappresentano l'azione".
Se Rossini, contemporaneo di Beethoven, di
Schubert e di Weber, debba considerarsi autore "classico" (nonostante "Otello", "La donna del lago" e magari anche il "Guillaume Tell") o "romantico" (nonostante
Tancredi, Armida, Semiramide e magari anche Le Comte Ory) è questione
vetusta che talvolta viene ancora dibattuta, ed in particolare modo
riproposta in occasione della Donna del lago.
Ma si tratta di uno
pseudo-problema, ove si consideri che Rossini ebbe sempre cura di predisporre
gli eventi al fine di governarli e poterli esprimere attraverso il linguaggio
dei suoni.
Rossini ebbe a trattare ogni argomento - fosse serio o semiserio o
comico o biblico - in eguale misura ai fini dell'espressione
melodrammaturgica, riducendolo cioè a misura della propria poetica, sempre
ed inderogabilmente improntata alle leggi della chiarezza formale,
della simmetria.
Si potrebbe affermare che la natura stessa del linguaggio
drammatico rossiniano consentì al compositore di apparire metastasiano,
classico, neoclassico, protoromantico, romantico e quant'altro ancora, senza
mai essere tuttavia diverso da sé stesso, senza mai tradire i propri
ideali estetici.
In realtà Rossini interpretò due epoche restandone al
di sopra, contemplandole entrambe dall'alto del suo magistero: "pietra
tombale ed arco di trionfo, epinicio ed epicedio" (secondo l'espressiva
immagine di Paolo Isotta) dell'opera in musica nel passaggio dal dramma
serio metastasiano al melodramma ottocentesco, dal teatro "degli affetti"
al teatro "degli effetti".
Tant'è nella Donna del lago, in questo
"melodramma serio", Rossini - osserva ancora il citato Isotta -
"Non s'è
dedicato a dipinture psicologiche, ma alla più squisita galleria d'affetti
mai creata. E quelli
eroici sono in primo piano".
Certo, vi sono motivi
ricorrenti che sembrano evocare i luoghi dell'azione, la foresta, il lago, ma
che soprattutto concorrono, se non ad annullare la frammentarietà del pezzo
chiuso, a conferire unità stilistica e coerenza di eloquio al discorso
musicale.
Vi è infatti già nell'Introduzione la fanfara di caccia sostenuta
da sei corni sul palcoscenico (ripartiti in tre gruppi per creare
effetti d'eco) che poi ritorna nel corso dell'opera in forme variate.
Vi è
soprattutto, sempre all'inizio dell'opera, la suggestiva canzone su ritmo di
barcarola intonata
da Elena Duglas, su un motivo che riappare poi in altri momenti,
segnatamente alla fine; ma - a parte il fatto che questa melodia, come già la
fanfara, nulla presenta di esotico - si tratta di un vero e proprio
espediente melodrammaturgico.
Quando Elena Duglas, arrivata alla corte di Sterling, la sentirà
cantare da lontano, da questo riconoscerà la presenza di colui che ancora
ignora essere Giacomo V, il re di Scozia.
D'altro canto fedele d'Amico ha buon argomento nel
rilevare nella Donna del lago l'assenza "di quegli ideali morali o di quei
modi passionali che ci fanno qualificare romantico un dramma", a differenza
ad esempio di Otello (vedi il personaggio di Desdemona, per tanti aspetti
anticipatore delle eroine di Donizetti e Verdi) e nell'indicare se mai nel
mezzo stereofonico ovvero "nella spazialità del messaggio musicale
che riproduce una molteplicità di luoghi non visibili ma presenti
attraverso
l'evocazione dei suoni lontani" quell'atmosfera "romantica" che
taluni commentatori sembrano avvertire in quest'opera.
Tale atmosfera in
qualche misura fuoriesce non dalla natura dell'argomento, non dal paesaggio
insolito, bensì da un'energia espressiva tutta interiore al linguaggio
musicale ed al mondo come esso è
architettato e strutturato.
E in questa
struttura, connotata da ritmi marziali e da richiami naturalistici, ma che
pur rivela in controluce il modello settecentesco del teatro degli affetti,
la spinta verso la drammatizzazione del discorso musicale fa sì che l'opera
sembri proiettarsi verso il melodramma del futuro, e come tale
iscriversi, solitaria e geniale, nell'universo romantico europeo,
precorrendo, non si dice solo la tinta paesaggistica del Guillaume Tell ma
fin gli umori arcani e satanici del "Cacciatore" di Weber.
In tal senso
La donna del lago è stata identificata da qualche commentatore come l'anello
mancante dell'evoluzione che congiunge l'idillio al dramma, il Tancredi alla Straniera di Bellini e alla
Lucia di Lammermoor di
Donizetti.
Ma è bene accantonare le suggestioni letterarie onde non perdere
di vista l'autentica dimensione melodrammaturgica della Donna del lago e
poter meglio comprendere i pregi intrinseci di quella che Philip Gossett
ha definito "la verità di toni, di forme di stili vocali, di orchestrazione"
come una delle più impegnative opere mai scritte da Rossini, la sua
opera forse più ricca di melodia, nella quale il compositore sviluppa un
gusto contrappuntistico davvero insolito.
All'estro musicale, sempre di
qualità altissima, e contrassegnato da un gioco di alternanze ritmiche che
non cessa mai di sorprendere per originalità d'invenzioni, si associa il
trattamento originale degli strumenti d'orchestra in funzione concertante ed
il ruolo protagonistico (piuttosto inconsueto nell'opera italiana di quegli
anni) del coro.
Conforme all'uso napoletano, "La donna del lago" non
ha sinfonia.
"La donna del lago" inizia direttamente con una complessa introduzione con
coro, nella quale si
manifestano e praticamente si esauriscono gli intenti
"paesaggistici".
Solitamente la struttura dell'opera rossiniana si regge su
tre scene d'insieme che stanno come tre pilastri destinati a sostenere
l'intera architettura drammatica: l'Introduzione dell'opera, il finale del
primo atto, l'ensemble collocato nella parte centrale del secondo atto.
Parimenti avviene nella Donna del lago.
S'è accennato all'insolito gusto
contrappuntistico presente in quest'opera.
Ne è un esempio il Finale primo.
I
bardi cantano un inno ai guerrieri accompagnati da arpa, viole, pizzicato di
violoncelli ed un unico
contrabbasso.
I guerrieri scozzesi guidati da Malcom
e da Rodrigo di Dhu cantano un brano marziale accompagnati da trombe e da una banda
sul palco.
Nella stretta Rossini riunisce tutti i motivi con tutta
l'orchestra, tre cori divisi, soli, banda, per quello che Gossett non esita a
definire un momento incandescente.
L'ensemble al centro del secondo atto
è costituito dal Gran Terzetto con coro.
In realtà: un duetto che si
trasforma in terzetto, e del quale il compositore dà tutta la misura del suo
magistero nel fare drama attraverso il colore vocale.
Ed è precisamente
nella vocalità, o meglio, nello sviluppo del pensiero melodico al servizio
della voce, che sta il senso dello straordinario fascino che emana da
quest'opera.
Nella vocalità della "Donna del Lago" si esplica tutta la forza avvincente della drammaturgia rossiniana, quella leggendaria dimensione canora che tanto commosse Leopardi nell'assistere ad una rappresentazione dell'opera al Teatro Argentina di Roma.
"Abbiamo in Argentina La donna del lago, la qual musica, eseguita da voci sorprendenti, è cosa stupenda, e potrei piangere ancor io, se il dono delle lagrime non mi fosse stato sospeso".
E tale forza
espressiva, lungi dall'esibirsi e dall'esaurirsi attraverso una parata di
brani virtuosistici (come era il caso, ad esempio, nella "Elisabetta" e come
sarà ancora, in qualche misura, nella "Semiramide"), si sviluppa coerentemente
con il dramma e interamente al suo interno.
La vera, grande difficoltà
dell'esecuzione vocale di un'opera di Rossini non sta infatti tanto in doti
acrobatiche quanto piuttosto nella pienezza del sentimento del canto, un
canto vero, espresso senza alcuno sforzo, come emanazione diretta del
pensiero umano.
Nella "Donna del lago", ben più che in altre opere serie
rossiniane, i registri risultano differenziati.
Soprano -- Elena Duglas
contralto -- Malcom
tenore
contraltino -- re di Scozia
tenore baritonale -- Rodrigo di Dhu.
basso -- Giacomo Duglas, padre d'Elena.
Ma questa differenziazione non
corrisponde ad una tipologia vocale di tipo realistico che si realizzerà in
Bellini e Donizetti e sarà infine sanzionata da Verdi.
Nulla di più
estraneo alla struttura rossiniana, quanto meno nell'opera seria, di una
tipologia vocale in base alla quale ad un determinato timbre debba
corrispondere un determinato ruolo.
Qui la differenziazione dei timbri è
semmai uno strumento tecnico che consente al compositore il moltiplicarsi
dell'espressione drammatica nel canto d'insieme attraverso il contrappunto
delle voci onde pervenire attraverso questa molteplicità ad una superiore
unità poetica da conferire alla musica quel potere di estasi e di incanto in
cui si traduce la catarsi dei conflitti drammatici - liberazione dal dolore e
rasserenamento dei sentimenti - potere nel quale è il vero segreto dell'arte
di Rossini ed al
tempo stesso uno degli aspetti più enigmatici ed inquietanti
del teatro musicale dell'Ottocento.
L'azione come
quella dell'omonimo poema narrativo di Walter Scott, si svolge in Scozia all'epoca
della ribellione di gruppi di montanari dello Stirling, detti Clan-Alpini,
contro il regno di Giacomo V, e precisamente nel 1530 nel "Loch Katrine".
Giacomo Duglas, lord di Bothwell, zio del sesto conte d'Angus,
già precettore del Re, è stato bandito dal regno a causa delle gesta di un
suo nipote, ed è dovuto fuggire sulle montagne insieme a sua figlia Elena.
Qui ha trovato la protezione del capo dei ribelli Rodrigo di Dhu, cui per
riconoscenza ha offerto la mano di Elena senza sapere che lei sì è nel
frattempo innamorata di Malcom Groeme, datosi alla macchia per
seguirla.
Disperata, Elena Duglas passa giornalmente lunghe ore a meditare sul
lago Katrine, meritando così il soprannome di "Donna del lago" tra
gli abitanti della zona.
Nell'ATTO I, guidato dalla fama della bellezza della
misteriosa donna del lago, il re assume i panni di cacciatore ed il falso
nome di Umberto di Snowdon e si allontana da una battuta di caccia alla
ricerca di lei.
Trovatala, finge d'aver perso la strada, ed è subito
ammaliato da lei e dalla sua disinteressata ospitalità.
Benché s'avveda
che Elena lo conduce nella dimora degli Angus, ed Elena stessa gli riveli il
nome del padre, Giacomo Duglas, il re indugia per un momento in propositi d'amore.
Un
gruppo di amiche di Elena giunge a festeggiare il suo prossimo matrimonio con
Rodrigo di Dhu, sollevando inconsapevolmente l'ansia di lei e la gelosia del
Re.
Da lui interrogata, Elena ammette la sua pena, pur senza rivelarne
la ragione, ed in tal modo alimenta non volendo le sue speranze.
Ma
ora il re deve riunirsi ai suoi.
L'ospite viene accompagnato da
Albina, amica di Elena, sull'altra sponda del lago.
Appena essi si sono
allontanati giunge Malcom, immerso in malinconici pensieri circa il suo amore
contrastato dal destino, cui poi si affiancano l'alpino Serano e lo stesso
Duglas, il padre d'Elena.
Alle esortazioni di Duglas, perché Elana sposi e renda
felice il capo dei ribelli, Elena tenta di
temporeggiare adducendo come
motivo che la guerra è imminente, ma in tal modo riesce soltanto a destare
l'ira del padre.
Poco dopo il silenzio di Elena e le intemperanze di Malcom
finiscono per insinuare il sospetto anche in Rodrigo di Dhu, giunto sul luogo
insieme all'esercito ribelle.
I bardi procedono ad eseguire un rito
propiziatorio durante il quale una luce boreale illumina il cielo per un
momento, segno di buon auspicio per tutti.
Quindi i ribelli muovono
incontro al nemico tra cori e canti di vittoria.
Nella prima scena dell'ATTO II, il Re,
sempre nei panni del cacciatore, è tornato nella foresta con
l'intenzione di
dichiararsi ad Elena.
Il re la trova con Albina sulla soglia di una grotta, ove Albina ed Elena attendono notizie di Duglas che tarda a rientrare dal campo di
battaglia.
Di fronte al rifiuto di Elena, che confessa d'amare Malcom, il re
le offer l'amicizia ed un anello col quale potrà ottenere la grazia per sé e
i suoi di fronte al Re, se mai dovessero da lui essere condannati.
Mentre
si salutano mestamente, i due vengono sorpresi da Rodrigo di Dhu, che subito
identifica in il cacciatore un amico del re
Di fronte all'indomita resistenza,
Rodrigo chiama i suoi guerrieri ad arrestarlo.
L'intervento di Elena in sua
difesa tramuta lo scontro in un duello a singolar tenzone fra Rodrigo ed il
misterioso amico del Re.
Malcom è intanto tornato alla grotta per difendere
Elena dall'esercito del re, penetrato nel frattempo nel territorio degli
alpini, ma vi trova soltanto Albina.
Sopraggiunge Serano con la notizia
della disfatta dei ribelli e della resa di Duglas, che ha deciso di
costituirsi al re nella speranza di placarne la furia vendicatrice.
Alle
domande di Malcom, Serano aggiunge che Elena, da lui informata poco prima, è
subito corsa verso la reggia.
I guerrieri in ritirata piangono infine la
morte di Rodrigo di Dhu, battuto in duello.
Nella seconda scena dell'Atto II, entrata nella reggia
subito dopo che Duglas è stato fatto arrestare
dal Re, Elena sente questi
cantare il suo amore infelice per lei.
Credendo ancora alla sua falsa
identità ella gli chiede di condurla di fronte al Re.
Egli la introduce nella
sala e, rivelandosi nei panni di sovrano, mantiene la promessa di perdonare
Duglas ed i suoi.
Soltanto per Malcom non accetta richieste.
Lo fa chiamare
e, fingendo di volerlo punire di fronte a tutti, gli dona una collana di
gemme ed unisce la sua mano a quella di Elena, fra la meraviglia ed il
sollievo di tutti.
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