Wednesday, April 22, 2015

GIASONIANA -- track list.

Speranza

La  Sinossi di “Giasone Medea in Corinto” è così 


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NUMERO 1
INTRODUZIONE I
ATTO I,
SCENA I
PRINCIPESSA CREUSA, damigelle

a) «Perché temi? A te l’amante», ottonari abbx, cddx, effx, gxgx
b) «Se mio si serba», quinari abbx, cdedfx, gdhdix I,2 PRINCIPESSA CREUSA, Damigelle, Creonte, Evandro, corinzi
c) «A te di lieto evento», ottonari abbxax, csdcsdexex, csfcsfgxhx
d) «Ah, splenda propizio», senari abcsbdx «Ah, mia PRINCIPESSA CREUSA», sciolti

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NUMERO 2:

MARCIA, CORO E CAVATINA DI GIASONE

Fosti grande – Di gloria all’invito I,3 PRINCIPESSA CREUSA, damigelle, Creonte, Evandro, corinzi, GIASONE, guerrieri, Tideo a) «Fosti grande allor che apristi», ottonari abbx, abbx GI. «Sire! … CREO. Giason!… CREU. Mia gioia!…GI. Ogni timore», sciolti «M’imponesti in sulla Tauride», ottonari asbbx, asccx, as «Fra l’ire di Marte», senari abbx, cddx, fxfxfx «Vieni, o figlia, compito», sciolti.

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N. 3 SCENA E DUETTO DI GIASONE  E MEDEA, Amico, la mia sorte Cedi al destin, Medea I,4 GIASONE , Tideo «Amico, la mia sorte», sciolti I,5 GIASONE , Medea «Fuggir mi vuoi, barbaro? A me soltanto», sciolti a) «Cedi al destin, Medea», settenari abbx, cddx, effx, ghhx, ghhx

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N.4 ARIA DI EGEO, Oh sventurato! O misero I,6 Egeo, indi Tideo «Oh sventurato! Oh misero», settenari a) asbbxasx «M’inganno! Oh cielo!, Egeo! D’Atene il Re», sciolti a) «Il mio destin ti leggo», settenari abccddexfx b) «La mia mente delirante» abbx «Avvampo d’ira; e questo infame nodo», sciolti

N. 5 FINALE PRIMO, Dolce figliuol d’Urania) I,6 Sacerdoti, donzelle a) «Dolce figliuol d’Urania», settenari asbasbccx, asdasdccx, aseaseccx I,18 Sacerdoti, donzelle, PRINCIPESSA CREUSA, Creonte,  GIASONE , Medea, Egeo b) «Cara Figlia, prence amato», ottonari abbx, cddx, effx, ghhx, illx, illx, illx, mnnx d) «Al rito infame o perfidi», settenari asbasbasxcx e) «Mira, infido in quale stato», ottonari abbx, abbx, abbx f) «Dunque ricusi e vuoi», settenari abcbx g) «Conducete alle navi costei», decasillabi ababxcx, ababx, ababx

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N.6 CORO E ARIA DI ISMENE, Amiche cingete - Chi viene Ismene II,1 Grandi di Corinto, donzelle. II,2 detti, Ismene a) «Amiche cingete», senari ababccdx, dedeffgx ”b) «Chi viene? … Ismene», quinari abccdeeff ”c) «Medea crudel, terribile», settenari asbbxasx

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N.7 SCENA E DUETTO DI MEDEA E PRINCIPESSA CREUSA, Sembra che il ciel secondi – M’abbraccia, amica tenera II,3 Creonte, Tideo, PRINCIPESSA CREUSA «Padre per pochi istanti», sciolti II,4 PRINCIPESSA CREUSA, indi Medea «Sembra che alfin secondi», sciolti «M’abbraccia, amica tenera», settenari asbbx, asccx, asddx, asbbx II,5 PRINCIPESSA CREUSA, Medea, ed Ismene con i figli di Medea «Ma chi vien? Chi s’appressa», sciolti

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N. 8 SCENA E ARIA DI GIASONE , Grazie, numi d’amore Amor per te penai II,6 GIASONE  «Grazie, numi d’amore. È alfin compito», sciolti a) «Amor per te penai», settenari abax II,7 GIASONE , coro b) «Accorrete, oh tradimento», ottonari abbx c) «O noi sventurate», senari ababccddxex d) «Dove sono? Chi mi desta?», ottonari abbx e) «Lasciatemi, o barbari», senari asbasbx, cdedfx

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N.9 SCENA E ARIA DI MEDEA, Ismene, o cara Ismene Miseri pargoletti,? II,8 Medea, Ismene, figli, voci da dentro. «Ismene, o cara Ismene», sciolti b) «Miseri pargoletti», settenari ababcx, dededxdx d) «Degg’io svenarli?», senari ababccdx, esxbccx II,9 Ismene sola. «Quale orror mi comprende! Appena io posso», sciolti

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N. 15 FINALE SECONDO, Era tua sposa II,10 GIASONE  con seguito, Creonte con seguito. a) «Era tua sposa. Ah, svena», settenari axasxasbbx II,11 GIASONE , Creonte b) «Ah signor, qual mai ti trovo», ottonari abbx II,12 Coro, GIASONE , Creonte, Tideo, Evandro «Gran periglio vi minaccia», ottonari cdcdeexfx II,13 Coro, GIASONE , Creonte, Tideo, Evandro, Egeo, Medea c) «Dov’è Medea? Guardatevi», settenari asbbx, asxcx, asddx, aseasefxasx d) «Resta. Asilo ti nieghi la terra», decasillabi abbx, abbx, abbx, abbx e) «Mira, non hai consorte», settenari abbx, csxcsx.

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Più radicali le trasformazioni operate da Cammarano, per l’intonazione di Mercadante, partendo dal libretto della prima napoletana del 1813.

Il nuovo libretto organizza la vicenda in tre atti e aumenta notevolmente le scene ad effetto e gli intrighi secondari con taglio quasi romanzesco.

Cammarano cambia la figura del rivale di GIASONE.

Ad Egeo sostituisce Timante e disinnesca così la memoria del personaggio di Corneille.

Può gestire allora TIMANTE con più libertà di Romani, abbandona la scena di prigione d’origine pascaliana, e inserisce un duello con GIASONE che porta alla morte del rivale.

Ai delitti di Medea affianca, dunque, un GIASONE  valoroso e vittorioso in battaglia, ma il dramma risulta più dispersivo e, tutto sommato, anche qui la presenza di Timante-Egeo diventa accessoria, nemmeno giustificata dall’esigenza di trovare una sistemazione per Medea dopo i delitti perpetrati a Corinto.

L’opera risulta un medaglione di quadri di grandi dimensioni, giustapposti senza reali collegamenti tra loro: Medea e Timante nemmeno si incontrano, se non nel Finale I, e neppure ci si sofferma sul rapporto GIASONE -PRINCIPESSA CREUSA, affrontato di passaggio nella scena del trionfo. Gli unici duetti sono ridotti al canonico incontro tra Medea e GIASONE , e allo scontro tra GIASONE  e Timante. Per il resto: a Medea sono conservati, sebbene profondamente variati, tutti i numeri del primo libretto di Romani con le scene di gelosia, sortilegio e infanticidio; a PRINCIPESSA CREUSA le due arie d’ansie amorose; Creonte resta privo di ruolo musicalmente significativo. Più dell’adattamento per Prospero Selli, quello di Cammarano è, però, interessante per come sono riorganizzati i numeri chiusi di Romani; si trovano spostamenti significativi di blocchi diversi da un numero all’altro e fusione di numeri originari così da creare unità musicali di grandi dimensioni che raggruppano più scene. Valga per tutti l’esempio dell’ultima aria di Medea ‘Tutta di pianto e d’ululati eccheggia Chi m’arresta? Il braccio mio’ che dà suono all’infanticidio. Al suo termine Cammarano assimila l’irrompere dei Corinzi e di GIASONE  (l’evento che nell’originale costituiva il finale II) e consente a Mercadante di chiudere l’opera con il numero principale della prima donna: si confermano così le indagini di Marco Beghelli che ha studiato lo slittamento del rondò-finale II in un’unica macro unità conclusiva definibile gran scena332. ‘Chi m’arresta? Il braccio mio’ non condivide la struttura formale delle grandi scene rossiniane e donizettiane, ma il fatto che assorba nell’aria della prima donna il finale II ci conferma che quella era già nel libretto romaniano il punto in cui «si consuma la tragedia, conducendo al proscenio un’eroina psicologicamente prostrata, sulle note di un lungo e articolato recitativo, spossandola definitivamente durante uno struggente Adagio cantabile, dilatando a dismisura il Tempo di mezzo per convogliarvi gli ultimi e decisivi eventi della vicenda, proiettando infine la Stretta conclusiva verso la catastrofe (esecuzione capitale, morte per sfinimento, suicidio), cui assistono impotenti i pochi protagonisti dell’opera ancora in vita»333. La Sinossi di “Medea in Corinto” adattata da Salvatore Cammarano per Mercadante (Napoli, 1851) es cosi:  N. 1 PRELUDIO INTRODUZIONE E CORO I,1 PRINCIPESSA CREUSA, ancelle a) «Perché temi? A te l’amante», ottonari abbx, cddx N.2 SCENA E CAVATINA DI PRINCIPESSA CREUSA I,1 PRINCIPESSA CREUSA, ancelle «Dolci amiche, rapirmi», sciolti a) «Della celeste Venere», settenari asbasbcdasdexasx I,2 PRINCIPESSA CREUSA, Damigelle, Creonte, Evandro, corinzi b) «Apportator di giubilo», settenari asbasbascdcexex c) «Dea possente degl’amori», ottonari abbx, accx, cxcx N. 3 SCENA, MARCIA, CORO E CAVATINA DI GIASONE , Odi le trombe! Ah giunge alfine! E giunge Fosti grande allor che apristi I,2 PRINCIPESSA CREUSA, Damigelle, Creonte, Evandro, corinzi I,3 GIASONE , guerrieri, PRINCIPESSA CREUSA, Creonte, nacelle «Odi le trombe! Ah giunge alfine! E giunge», sciolti a) «Fosti grande allor che apristi», ottonari abbx, cddx b) «Ah! sì, Creonte, sorgono», settenari asbasbasccx, asccx, asccx, asdasd, aseaseasx, asfasfasx N.4 SCENA E CAVATINA DI MEDEA, Fia ver? Giason ritorna Presagio inesplicabile I,4 Medea I,5 Ismene e detta «Fia ver? Giason ritorna», sciolti a) «Presagio inesplicabile», settenari asbasbasccxasx b) «ME. Ebben? IS. Lo attendi, giungere», settenari asbasbasxasx, asccx, asddxdx N.5 SCENA E DUETTO DI GIASONE  E MEDEA, Eccolo! … va… L’estrema volta è questa Crudel da te respingermi I,6 GIASONE  e Medea «ME. Eccolo! … va… GI. L’estrema volta è questa», sciolti a) «Crudel da te respingermi», settenari asbasbcdcdasx, aseasefgfgasx, ashashasxasx b) «Non vedi alzarsi, donna, fra noi», quinari doppi ababcxcx, dedefxfx 332 M. Beghelli ne accenna in Tre slittamenti semantici: cavatina, romanza, rondò cit. e ne ha ampliato le considerazioni in Che cos’è una Gran Scena?, relazione letta al Secondo Colloquio di Musicologia del «Saggiatore Musicale» (Bologna, 20-22 novembre 1998). 333 M. Beghelli, Tre slittamenti semantici: cavatina, romanza, rondò cit. N.6 CORO E CAVATINA DI TIMANTE, Muti, obbedienti, immobili Fra vita e morteOndeggio! Esplorator nella cittade Qual diva celeste crudel ti adora

II,1 Timante circondato da folta schiera di seguaci II,2 Stenelo e detti «Muti, obbedienti, immobili», settenari asxasx «Fra vita e morteOndeggio! Esplorator nella cittade», sciolti a) «Qual diva celeste crudel ti adorai»¸senari doppi aabxbx b) «ST. Prence, ah! Prence … TI. Infausta nuova», ottonari ababcxcx c) «All’empie nozze, o perfidi», settenari asbasx, asbasxasx N.7 FINALE I, Dolce figliuol d’Urania II,3 Sacerdoti, donzelle II,4 detti, Creonte, GIASONE , PRINCIPESSA CREUSA, Medea, Timante «Dolce figliuol d’Urania», settenari asbasbccx, asdasdccx, aseaseccx «A te, figlia, de’ prenci», sciolti a) «A se manco a te di fede», ottonari abbx, abbx, abbxax, «Scendi, Imene: in più bel giorno», ottonari abbx «Al rito infame, o perfidi», settenari asbasbasxcx b) «Mira, infido in quale stato», ottonari abbx, abbx, abbx c) «ME. Ricusi dunque? TI. Compiere», settenari asbasbascdcexfx d) «All’armi, all’armi! … Fera contesa», quinari doppi axax, bxbx, cxcx, dxdx N.8 SCENA E DUETTO DI TIMANTE E GIASONE , Vieni seguirci è forza! Ed ove trarmi Volca te solo vittima III,1 Timante, carco di ceppi e fra guerrieri corinzi III,2 GIASONE  e detti «CO. Vieni seguirci è forza! Ti. Ed ove trarmi», sciolti a) «Volca te solo vittima», settenari asbasbascascasx, asdasdascascasx, aseaseasfasfgxgx, b) «Scorrer nel petto, ed ardere», settenari asbbx, asccx N.9 SCENA E SCONGIURO DI MEDEA, Dove mi guidi – Già vi sento, si scuote la terra III,3 Medea, Ismene, poi Medea e coro sotterraneo «Dove mi guidi? E quale», sciolti a) «Antica notte, Tartaro profondo», endecasillabi ababcc c) «Già vi sento: si scuote la terra», decasillabi abbxax d) «Questo cinto a voi consegno», ottonari abx4abx4 e) «Il Tosco spargetevi», senari asbasbccasxdx N. 10 SCENA E POLACCA DI PRINCIPESSA CREUSA, Ti calma … del tuo sposo Al seno cingetemi III,4 PRINCIPESSA CREUSA, ancelle, poi Creonte III,5 Ismene e detti «Ti calma … del tuo sposo», sciolti a) «Al seno cingetemi», senari asbasbccasx, asdasdeeasx N. 11 SCENA E ARIA DI GIASONE , Se benigno chi puote Pe’ suoi falli abborrita è cotanto III,6 GIASONE , Ismene, due fanciulli III,7 Corinzi, poi ancelle e detto «Se benigno chi puote», sciolti a) «Pe’ suoi falli abborrita è cotanto», decasillabi ababcxcx b) «CR. Cielo … aita! CO. Oh colpo atroce!», ottonari ababcdcdefefgxgx c) «Sul mostro abbominato», settenari ababx, cddx N. 12 SCENA E ARIA FINALE DI MEDEA, Tutta di pianto e d’ululati eccheggia – Chi m’arresta? Il braccio mio III,8 Medea con i figli III,9 Ismene e detti III,10 Ismene, poi Creonte, GIASONE  e corinzi III,11 Medea e detti «Tutta di pianto e d’ululati eccheggia», sciolti a) «Chi m’arresta? Il braccio mio», ottonari ababccdxdx b) «ME. Qual mai tumulto! … IS. Ah salvati», settenari asbasbascascasdasd c) «Empio al colmo d’ogni orrore», ottonari abbx, accx, dxdx d) «GI. L’uscio atterrate … CR. Pera colei», quinari doppi axax C’e mobilita formale. Nella musica della Medea di Mayr, Romani forni a Mayr un libretto ben congegniato, ricco di situazioni contrastate, di azioni e colpi di scena d’effetto. Alle tipologie emotive settecentesche (il pianto dell’amante respinto (Egeo), il vocalizzo di trionfo dell’eroe vittorioso (GIASONE ), i patemi della principessa in ambasce (PRINCIPESSA CREUSA)) ha aggiunto situazioni nuove o comunque non ancora consolidate da una prassi tradizionale. Scene da “mille e contrarii affetti” tormentati, il sorgere graduale della passione, il frenetico movimento negli scontri armati in scena erano situazioni da tempo accolte nell’opera in musica, ma solo da pochi anni concepite anche come situazioni capaci di articolare strutture musicali. L’ampiezza dello spettro espressivo disposto da Romani è evidente nei tre duetti sopravvissuti agli anonimi ritocchi napoletani del 1813: duo dialogato e contrastato, quindi dinamico, il confronto tra Medea e GIASONE ; duo d’amore sereno e statico il dialogo di reciproca conferma tra GIASONE  e PRINCIPESSA CREUSA; duo di affetti eterogenei ma concorrenti quello tra Medea e Egeo che si preparano alla commune vendetta. In “Giasone e Medea in Corinto”, Romani fa interagire tradizioni diverse, orizzonti d’attesa alternativi ma contemporanei: e questo, non essendo ancora intervenuta la standardizzazione delle forme operata da Rossini, richiedeva al compositore una notevole. Cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio. Le opere della maturità da «Tancredi» a «Semiramide», Roma, Torre d’Orfeo, che affronta il problema nella librettistica d’epoca rossiniana e appena precedente; Tortora osserva «l’essenzialità richiesta nella condotta drammaturgica di un libretto, la necessità di puntare su situazioni agili e su frequenti colpi di scena. La librettistica italiana del primo Ottocento risente a suo modo della crisi più generale patita dai generi letterari destinati al teatro e diffusasi già a partire dalla seconda metà del Settecento, allorché il razionalismo illuministico aveva minato al fondo l’ideologia sottesa al modello aristotelico. Sui problemi drammaturgici posti dai duetti cfr. Carlo Gervasoni, La scuola della musica in 3 parti divisa, Piacenza, Orcesi, che riecheggia questioni già poste in ambito francese, e di cui rende conto Elizabeth Bartlett, Étienne Nicolas Méhul and Opera During the French Revolution, Consulate and Empire: A Source, Archival and Stylistic Study, Ph.D. University of Chicago, nella discussione sul duo dialogué; si tratta di duetti in cui il testo è solitamente diviso in due sezioni: nella prima si dà voce al contrasto tra forti passioni contrapposte, mentre nella seconda, a due, i personaggi pervengono ad un accordo espresso con testo identico o analogo per entrambi. Il duo dialogué è dunque almeno potenzialmente una forma dinamica: di solito vien collocato in situazioni aperte, raramente a fine atto, sebbene ve ne siano esempi in Gluck. Questo genere di duetto si ritrova, in Italia, all’epoca di Cimarosa: medesima bipartizione lento/veloce con qualche ripetizione, spesso variata, nella sezione A, e particolarmente verso la fine. La sezione d’insieme è generalmente diversificazione strutturale. Le imprevedibili morfologie adottate da Mayr corrispondono dunque ai diversi piani espressivi del libretto (affettivo/narrativo, azione interiore/azione esteriore) che Romani aveva derivato dalle varie fonti letterarie e spettacolari utilizzate – tragedia, opera, melologo, ballo. Come dimostrano le frequenti oscillazioni formali che si riscontrano nelle sue opere, la ricerca di Mayr sulle forme musicali e sull’articolazione del “numero” non è progressiva336, non intende risolvere problemi tecnici compositivi e definire nuove strutture valide in ogni situazione drammatica; quand’anche nella sua produzione compaiano forme o sezioni, come le cabalette o i tempi di mezzo dinamici, che sarebbero poi diventati usuali negli anni venti, esse non configurano mai acquisizioni definitive ma soluzioni fungibili entro un’ampia tavolozza formale337. Accanto ad un asse evolutivo ‘arcaico’ vs ‘alla moda’ va considerato insomma in quegl’anni anche un asse retorico che adottava modelli formali diversi in base a specifiche considerazioni drammatiche, cerimoniali, convenzionali. Nonostante i tentativi che Scott Balthazar ha operato sull’intero corpus operistico mayriano, infatti, le partiture di Mayr non consentono di individuare un tratto omogeneo: il più semplice dal punto di vista armonico, limitata prevalentemente ad accordi di tonica e dominante ed intessuta di terze e seste parallele. Sebbene, per esempio, la forma tripartita cantabile - tempo di mezzo - cabaletta alla Rossini si trovi già in Adelaide (1799), Zamorì (1804), Gli americani (1806), Tamerlano (1813), essa non è un tratto costante dell’operismo di Mayr. Nemmeno compare nella Rosa bianca e la rosa rossa (1813), dove pure si trovano tre arie in più movimenti: qui d’altronde la varietà è tale che le anche arie bipartite non sono suddivise nei movimenti lento-veloce. Sulla questione cfr. Charles Brauner, Vincenzo Bellini and the Aesthetics of Opera Seria in the First Third of the Nineteenth Century, Ph.D. Yale University, 1972, e Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria, in Giovanni Simone Mayr: l’opera teatrale e la musica sacra, atti del convegno internazionale di studi (Bergamo, 16-18 novembre 1995), a cura di Francesco Bellotto, Bergamo, Comune di Bergamo, Assessorato allo Spettacolo, Esemplare è per esempio il caso dell’Ercole in Lidia, rappresentato a Vienna nel 1803, che Leopold M. Kantner, «Ercole in Lidia» di Giovanni Simone Mayr e la sua tradizione in Vienna, in Giovanni Simone Mayr. L’opera teatrale e la musica sacra intende come deciso passo innovativo nella produzione dell’opera seria di Mayr, mentre probabilmente va inteso come occasionale adesione ai gusti più francesizzanti (i.e. cosmopoliti, ma non necessariamente ‘progressisti’) di quella corte: il «ridimensionamento dell’elemento virtuosistico, di bravour», l’abbondanza del recitativo accompagnato, il ruolo del coro, la strumentazione con largo uso di ottoni e arpa, gli elementi marziali, e lo «stile bombastico, grandioso, alla Grand’opéra» non sembrano, infatti, neppure questi, conquiste definitive di Mayr ma opzioni stilistiche tra tante da usare all’occorrenza (e magari anche prima del 1803). Un procedimento analogo a quello descritto da Marco Emanuele, L’ultima «Didone». Il Metastasio nell’Ottocento, in «Musica e Storia», VI/2, e da Emanuele Senici, Mayr e il Metastasio: un contesto per Demetrio, in Giovanni Simone Mayr: l’opera teatrale e la musica sacra cit. Oltre a Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria cit., si vedano anche i suoi Mayr, Rossini and the Development of the Opera seria Duet: Some Preliminary Conclusions, in I vicini di Mozart, I: Il teatro musicale tra Sette e Ottocento, a cura di D. Bryant, Firenze, Olschki, Mayr, Rossini, and the Development of the Early Concertato Finale, in «Journal of the Royal Musical Association», CXVI. Questi studi rendono conto della varietà delle forme utilizzate ma, poiché trattano grandi numeri, trascurano inevitabilmente la funzionalità di ciascuna, e non sono sempre utilizzabili con efficacia nell’analisi di una singola opera. In Medea in Corinto, per esempio, Balthazar individua quattro arie composte in un colore orchestrale e il carattere melodico sono estremamente diversificati, così come lo sono la struttura fraseologica e la morfologia, spesso descrivibile tanto nei termini della tradizione settecentesca quanto sulla base di modelli poi codificati nelle opere serie di Rossini. La libertà con cui Mayr accosta forme diverse discende dall’ambiguità intrinseca che sottende ogni singolo numero, a livello sia macroformale, sia fraseologico: la melodia è costruita per brevi incisi, volta a volta variati, citati, ripresi nel profilo melodico o in quello ritmico o in entrambi; è concepita come tessuto di frasi distintamente articolate, varie nella configurazione ritmica ma armoniosamente disposte in una regolare scansione metrica340; in ogni caso, a salvaguardia del principio ancora roussoviano dell’unità della melodia, accostate secondo un principio di varietà più che di contrasto. Divengono quindi centrali I problemi della costruzione del periodo musicale, del fraseggio, dell’interpunzione melodica341. La melodia di Mayr si organizza come un discorso, con periodi e clausole, ma questa grammatica è articolata in una prosodia regolata da una sorta di arte retorica che distingue caso per caso il rilievo che le convenzioni teatrali o l’economia narrative attribuiscono al singolo numero lirico: dagli incisi sconnessi e irregolari delle situazioni drammatiche più incalzanti e tese, come quella dell’aria di sortilegio di Medea ‘Antica notte’ alle frequentissime melodie progressive costruite su barform di 2 + 2+ x battute342 come accade nell’esordio del rondò di Medea ‘Ah che tento’, qui movimento, due arie a tre o più movimenti, nessuna in forma di rondò, per un totale di sei arie. Quelle a più movimenti non sarebbero in “solita forma” ma avrebbero movimenti iniziali in forma AB (1) o ABC… (1) e conclusivi in forma durchkomponiert (1) o a cabaletta (1). Le altre sarebbero durchkomponiert (2) o in ABA’C, una variante della compound binary form di cui parla Mary McClymonds nella voce ‘Aria. 2. 18th Century’ del New Grove Dictionnary of Music and Musicians. Non è tuttavia chiaro a quali arie si riferisca Balthazar, visto che in Medea in Corinto si trovano almeno sette arie solistiche, pur senza contare la cavatina ‘Sommi dèi’, soppressa a Napoli e Milano, e l’introduzione che, sebbene preveda l’intervento di diversi personaggi secondari, è dedicata con netta prevalenza a PRINCIPESSA CREUSA. Da questo punto di vista la musica di Mayr sembra corrispondere alle riflessioni sulla melodia dei teorici italiani a cavaliere del secolo. Cfr. Francesco Galeazzi, Elementi teorico-pratici di musica con un saggio sopra l’arte di suonare il violino, Roma, 1790-91: Galeazzi pensa a periodi divisi in clausole (porzioni di melodia compresa tra due cadenze del basso), e ‘sensi’ (più o meno le frasi di senso compiuto). Ogni livello è separato da una cadenza melodica: 1) occulta (non esiste nel discorso verbale: in musica si trova quando il basso scandisce una vera cadenza che la melodia non recepisce); 2) minore, tra le clausole (effetto di virgola: il basso fondamentale compie una vera cadenza che tuttavia non è espressa dal basso continuo e neppure appare dalla melodia); 3) maggiore, tra i sensi, con effetto punto e virgola o due punti (è una cadenza che chiude il senso, per lo più plagale, mentre il basso fondamentale passa dall’armonia della quarta a quella della fondamentale; 4) finale tra i periodi (effetto punto fermo). Sensi e periodi si compongono per lo più di battute pari: conviene ripetere clausole quando sono di battute dispari, in modo da pareggiare il conto. Al proposito cfr. Virgilio Bernardoni, La teoria della melodia vocale nella trattatistica italiana (1790-1870), in «Acta musicologica», LXII, e Renato Di Benedetto, Lineamenti di una teoria della melodia nella trattatistica italiana fra il 1790 e il 1830, in «Analecta Musicologica», XXI, 1982: Colloquium Die stilistische Entwicklung der Italienischen Musik zwischen 1770 und 1830 und ihre Beziehungen zum Norden, Roma. Cfr. Renato Di Benedetto, Lineamenti di una teoria della melodia cit., p. 421. Adotto qui per semplicità la terminologia proposta da Giorgio Pagannone, Aspetti della melodia verdiana. Periodo e Barform a confronto, in «Studi verdiani», XII, 1997, pp. 48-66), a periodi bilanciati antecedente/conseguente, ciascuno costruito da semifrasi di 4 battute come nell’apertura dell’aria di prigione di Egeo (n. 10, es. 2), a strutture che già preconizzano le future lyric forms343 come il tema della prima cavatina di Medea ‘Sommi dèi’ (n. 3, es. 3) 344. In tutti i casi, ciò che chiarisce il senso di una melodia è la dimensione tonale345: è questa che la articola in preludio, motivo principale «su cui tutta la composizione aggirar si dee», eventuali elementi da esso derivati, modulazioni, cadenza, coda346. L’articolazione fraseologica può essere molto irregolare; anche il rapporto tra parti iniziali, parti modulanti e “periodi di cadenza”347 può essere organizzato in forme imprevedibili così da spostare il materiale tematico, e con esso il punto focale del brano, verso l’inizio, al centro o perfino verso la fine, a ridosso della sezione cadenzale348: è il caso della scena del sortilegio, qui generale cfr. tuttavia Carl Dahlhaus, Satz und periode. Zur Theorie der musikalischen Syntax, in «Zeitschrift für Musiktheorie», IX/2, Phrase et période: contribute à une théorie de la syntaxe musicale, in «Analyse musicale», XIII, ottobre Lorenzo Bianconi, «Confusi e stupidi». Di uno stupefacente (e banalissimo) dispositivo metrico, in Gioacchino Rossini, 1792-1992. Il testo e la scena. Convegno internazionale di studi, Pesaro, 1992, a cura di Paolo Fabbri, Pesaro, Fondazione Rossini, e, pur nel diverso ambito di indagine, William E. Caplin, Classical Form. A Theory of Formal Function for the Instrumental Music of Haydn, Mozart, and Beethoven, New York, Oxford University Press, 1998. Sulla lyric form cfr. Joseph Kerman, Lyric Form and Flexibility in “Simon Boccanegra”, in «Studi verdiani», I, Friedrich Lippmann, Vincenzo Bellini und die italienische “Opera seria” seiner Zeit: Studien über Libretto, Arienform und Melodik, Köln-Wien, Böhlau, 1969, ed. it. riv. in Maria Rosaria Adamo e Friedrich Lippmann, Vincenzo Bellini, Torino, ERI. Più recenti sono Steven Huebner, Lyric Form in “Ottocento” Opera, in «Journal of the Royal Musical Association», CXVII, e Giorgio Pagannone, Mobilità strutturale della ‘lyric form’. Sintassi verbale e sintassi musicale nel melodramma italiano del primo Ottocento, in «Analisi», VII/20. La mobilità della lyric form, intesa come ambito di possibilità strutturali, è esaminata, per anni successivi a Medea in Corinto, da Giorgio Pagannone, Mobilità strutturale della ‘lyric form’ cit. 345 Sulla verifica degli ambiti tonali per la descrizione formale della sintassi musicale di questi anni insistono, naturalmente, tutti gli articoli sopra citati, ma vi si fonda interamente William E. Caplin, Classical Form cit. Già Galeazzi aveva chiara coscienza del rapporto che intercorre tra melodia e armonia, tanto da proporre la definizione di ‘melodia’ nella sezione del trattato dedicata all’armonia, e da discutere di cadenze in quella dedicata alla melodia. La melodia, d’altra parte, per lui non è solo l’aria o il motive principale, ma la condotta stessa, il processo con cui l’aria è costruita nella sua totalità e nelle sue singole parti: è insomma sinonimo di composizione e prefigura l’idea di strutture melodiche ampie come la lyric form. Come i teorici tedeschi, infatti, egli non parla in termini di contrasti melodici ma di contrasti armonici, così che la parte centrale della melodia, che noi, muovendo da basi melodiche, chiameremmo ‘sviluppo’, è definita da lui, su basi armoniche, ‘modulazione’. La sezione sulla melodia diventa allora una teoria della forma. Cfr. Francesco Galeazzi, Elementi teorico-pratici di musica con un saggio sopra l’arte di suonare il violino cit., p. 426, ma su tutto questo cfr. Renato Di Benedetto, Lineamenti di una teoria della melodia. Sono indicative della percezione funzionale coeva delle varie sezioni della melodia le 7 parti individuate da Francesco Galeazzi: 1. preludio; 2. motivo principale; 3. secondo motivo; 4. Uscita di tono; 5. passo caratteristico o passo di mezzo; 6. periodo di cadenza; 7. coda. 348 Sempre da Galeazzi si ricava non solo che la condotta della composizione è «preponderante sull’invenzione motivica ma anche che sull’unità della struttura agisce un doppio ordinamento. Ad un primo livello vi è la successione dei periodi ciascuno dei quali ripresenta un proprio motivo e svolge una funzione essenziale per la definizione complessiva della forma. Ma l’organizzazione ritmica interna a ciascun periodo, la distinzione di un periodo dall’altro e la concatenazione dei medesimi in un discorso unitario, spettano al livello armonico. È l’armonia con vari ordini di cadenze e con la modulazione da un tono all’altro a fornire la struttura portante della melodia secondo un progetto che discussa poco oltre; in molti casi, inoltre, perfino le code vocalizzate e non tematiche possono assumere esplicita funzione drammatico-assertiva349, soprattutto quando hanno estensioni largamente superiori alla sezione tematica o quando s’incaricano di presentare parti di testo rilevanti dal punto di vista narrativo e drammatico350: arie siffatte sono forme accentate verso la fine, analoghe ai finali che Balthazar definisce «end-accented»351 perché dotati di una stretta più estesa rispetto al concertato intermedio. L’esame della prima aria di GIASONE , ‘Di gloria all’invito’ mostra con chiarezza l’ambiguità delle strutture musicali. L’aria intona tre quartine di senari; è statica, perché nulla viene a turbare il trionfo dell’eroe; nella tradizione delle arie cerimoniali e belliche è in Re maggiore con trombe, timpani e banda militare (in orchestra, e non sul palco). Segue ad un ampio coro cerimoniale prevalentemente omoritmico, e si libra come vera affermazione di potenza, diremmo quasi di erotico esibizionismo: il primo distico è intonato come stentorea apostrofe vocalizzata, plateale e acuta, in una frase di ben sette battute rivolta al sovrano, ma in realtà al pubblico che deve riconoscere subito lo status e la dignità sociale del personaggio. Il periodo iniziale è estremamente ambivalente. Le prime sette battute variano il tema della seconda strofa del coro, che non tornerà più nel corso dell’aria; le altre presentano invece una regolarità metrica nell’accompagnamento orchestrale prima assente353, ed sono costruite su un andamento armonico e melodico nuovo, che si rivelerà di lì a poco analogo a quello che intona le alter trova conferma in tutta la trattatistica settecentesca»: così Virgilio Bernardoni, La teoria della melodia vocale nella trattatistica italiana (1790-1870). Su questo vale partire da G. Pagannone, Mobilità strutturale della ‘lyric form’ cit., e id., Tra “cadenze felicità felicità felicità” e “melodie lunghe lunghe lunghe”, in «Il Saggiatore musicale», IV. Vista la varietà con cui si presentano le forme di Mayr, intendo qui per ‘coda’ una sezione che rispetta, oltre al primo, almeno un altro dei tre requisiti individuati da Robert Anthony Moreen, Integration of Test Forms and Musical Forms in Verdi’s Early Operas, PhD., Princeton University, 1975, p. 163: a) suspension of tonal movement: successive cadences are on the final tonic of the piece; b) suspension of text exposition: the text of a coda is entirely repetition; c) the important characters in the number sing together ad equals. La definizione di coda data da Pietro Lichtenthal nel suo Dizionario e Bibliografia della musica, Milano, Fontana, 1836 consente d’altronde quest’uso del termine più retorico, che formale: «Coda, s. f. Nome che si dà al periodo aggiunto a quello che potrebbe terminare un pezzo di musica, ma senza finirlo in modo così completo e brioso». Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini, and the Development of the Early Concertato Finale. È sufficiente d’altronde dar senso allegorico al sostantivo astratto nel primo verso per scioglierne le implicazioni erotiche. Sulle valenze erotiche del canto lirico cfr. il quadro di riflessioni e studi che tracciano Marco Beghelli, Erotismo canoro, e Davide Daolmi - Emanuele Senici, «L’omosessualità è un modo di cantare». I contributi “queer” all’indagine sull’opera in musica, entrambi in «Il Saggiatore musicale», VII. Cfr. la distinzione tra melodie “aperte” e “chiuse” in Friedrich Lippmann, Per un’esegesi dello stile rossiniano, in «Nuova rivista musicale italiana», II, oltre al quartine dell’aria. Sembra quindi costruito con una sezione introduttiva di cerniera tra coro d’apertura e solista e inizio dell’aria vera e propria introdotta dalle tre battute d’orchestra (bb. 8-10). Da quel momento infatti il coro e GIASONE  si alternano. GIASONE, già rivòltosi a CREONTE in questa prima quartina, prosegue nelle due successive per rendere omaggio a CREUSA, e salutare poi il popolo tutto; ogni volta il coro acclama le sue dichiarazioni. Entro ogni frase o ‘strofa’ l’impianto tonale è assolutamente stabile, idoneo a garantire la coerenza della struttura sotto le imprevedibili fogge che assumono le varianti del canto solistico di NOZZARI, vero completamento e prolungamento del compositore.  Dopo la plateale apertura delle prime sette battute, ‘Di gloria all’invito’ è infatti costruita in un crescendo di sontuosità secondo moduli virtuosistici che potremmo definire a strofe variate. La seconda e la terza ripresa di GIASONE hanno andamento sufficientemente analogo alle bb. 11 e seguenti della prima per essere riconosciute, appunto, come riprese, sebbene si costruiscano su un fraseggio sintatticamente più coerente e regolare: la quartina rivolta all’amata, è articolata in nove battute (per la ripetizione di un emistichio nel finale) ma seguita poi da sei battute di coda; l’ultima quartina è cantata in altre nove battute (sempre per la ripetizione di un inciso verso il finale) prima che il coro s’aggiunga al solista in un’ampia coda finale di ben 26 battute. Le regolari e brevi introduzioni orchestrali ad ogni ripresa di GIASONE , i refrains del coro, la costanza del metro poetico, tutto in senari, e del metro musicale lasciano percepire una struttura strofica molto netta, non inficiata nemmeno dall’improvviso scarto tonale alla dominante su cui è omogeneamente intonata la seconda quartina di GIASONE , con relativo ‘applauso’ del coro. CORO INTRODUTTIVO, RE MAGGIORE: Fosti grande allor che apristi mari ignoti a ignote genti; grande allor che i tauri ardenti il tuo braccio al suol prostrò, ma più grande allor che pace col tuo sangue acquista un regno, quando al trono fai sostegno, che rovina minacciò. PRELUDIO, RE MAGGIORE. GIASONE  Di gloria all’invito -- commento di Saverio Lamacchia, “Solita forma” del duetto o del numero? L’aria in quattro tempi nel melodramma del primo Ottocento, in «Il Saggiatore musicale», VI. Anche l’articolazione armonica contribuisce a questa ambiguità: l’antecedente apre in tonica e chiude in dominante così da consentire al conseguente di ripartire in tonica. Ma le tre battute orchestrali intermedie provvedono a completare la cadenza avviata dall’antecedente e ad aprirne un’altra per lanciare il conseguente. Renato Di Benedetto, Poetiche e polemiche, in Storia dell’opera italiana, VI, utilizza queste parole per definire il ruolo del cantante nell’opera italiana ed affrancarlo da una tradizione critica e storiografica che a lungo l’ha dipinto come strumento passivo, competitore od usurpatore del ruolo creativo dell’autore. Se le sue osservazioni valgono sempre nel caso dell’opera italiana, tanto più sono adeguate al caso di un cast d’eccezione come fu quello composto da Colbran, Nozzari e García per le recite di Medea in Corinto. Sulla questione cfr. anche Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio cit., a Creonte fra l’armi volai; SEZIONE A, RE MAGGIORE “per te s’io pugnai, tel dica il tuo cor”.  CORINTI Di gloria il sentiero tu calchi primiero; per te degni eroi soccombe il valor. SEZIONE A', LA MAGGIORE GIASONE  Spronavami all’ire (a PRINCIPESSA CREUSA) l’amato tuo nome; m’accrebbe l’ardire Imene ed Amor. CORINTI Di gloria, etc. SEZIONE A'', RE MAGGIORE. GIASONE: “Se amante e guerriero (ai suoi seguaci) combatto con voi, è vano per noi nemico furor. CORINTI: Per te degli eroi soccombe il valor.” Oltre alla struttura a strofe variate, tuttavia, in quest’aria si possono individuare i segmenti che diverranno canonici pochi anni dopo nella cosiddetta solita forma: una semplice esasperazione delle differenze di fraseggio, di agogica, di accompagnamento, di contenuto testuale, della strofa intermedia avrebbe consentito a Mayr di foggiare la cavatina di GIASONE  sul modello dell’aria quadripartita. Rossini dovette interpretarla in questa prospettiva, se effettivamente l’assunse a modello dell’esordio eroico per le opere destinate a Nozzari. Ma Mayr stesso decise di esplicitare questa lettura quando la ritocca per le rappresentazioni al Carcano del 1829: inserì un vero e proprio cantabile come riflessione nostalgica a parte dell’eroe sulla consorte ripudiata. A quest’epoca, tuttavia, l’idea di adottare esplicitamente la struttura dell’aria quadripartita è consona ad una nuova concezione drammaturgica dell’eroe, il quale da stentoreo esibizionista viene riconvertito a soggetto portatore di emozioni più complesse e sfumate: le strofe funzionali al virtuosismo del solista vengono così riconcepite come momenti affettivi diversi cui dar voce nelle strutture della “solita forma” in quattro tempi, e il passaggio da una passione all’altra viene giustificato da mozioni interiori dell’animo di GIASONE.  La partitura di “Giasone e Medea in Corinto” mostra molto spesso ambiguità formali, soprattutto là dove rappresenta situazioni o affetti concitati e movimentati senza per questo rinnegare I riferimenti stilistici della tradizione belcantistica e virtuosistica. Il tentativo di soddisfare. Sulle arie quadripartite cfr. Saverio Lamacchia, “Solita forma” del duetto o del numero?. Una lettura di ‘Di gloria all’invito’ come modello delle arie quadripartite si trova in Saverio Lamacchia, “Solita forma” del duetto o del numero? cit. Lamacchia cerca in Mayr riscontri dell’uso rossinano di tempo d’attacco in arie solistiche anziché in duetti: legge quindi in questa chiave ciò che io qui ho inteso invece far risalire a tradizioni virtuosistiche precedenti. entrambe queste esigenze estetiche e drammatiche, teoricamente e storicamente divergenti, spinge Mayr a proporre soluzioni formali talvolta paradossali, come i frequenti accenni a placide riprese tematiche, che suonano come se fossero del tutto indifferenti alle catastrofi luttuose nel frattempo avvenute nelle sezioni dinamiche del numero. Se ne veda un caso nel numero che avvia lo scioglimento del dramma, l’aria di GIASONE, “Amor, per te penai”.  Romani aveva concepito un testo molto articolato che, come abbiamo visto nel  precedente, attacca come regolare aria metastasiana col da capo, ma poi prosegue con una successione di metri diversi, adeguati alla concitazione del momento: a) «Amor, per te penai», settenari – abax -- b) «Accorrete, oh tradimento», ottonari – abbx -- c) «O noi sventurate», senari ababccddxex -- d) «Dove sono? Chi mi desta?», ottonari – abbx -- e) «Lasciatemi, o barbari», senari -- asbasbx, cdedfx. Mayr accoglie il suggerimento iniziale di Romani e intona la prima quartina con una melodia di fattura mozartiana, stabilmente incardinata nella tonalità d’impianto, Sib. Sebbene incisi introduttivi e ripetizioni interne variino con vezzi belcantistici la regolarità delle frasi, le due coppie di versi della prima quartina sono fondamentalmente intonate su frasi simmetriche di 4 + 4 battute. L’intera quartina è poi ripetuta su una seconda frase con incipit analogo alla precedente: la simmetria fraseologica è qui sbilanciata dal una lunga adenza di 10 battute che dilata il secondo membro. L’andamento complessivo di questa prima sezione si può schematizzare così359: Moderato. Introduzione orchestrale.  La strutturazione è tipica dell’aria virtuosistica con asimmetrie variate incardinate su una regolare struttura metrica, richiami tematici ma non vere ripetizioni del dettato melodico, sostanziale stabilità armonica. Quanto Mayr sia ancora attratto dalle arie solistiche dal segno degli anni ’80 è sottolineato da Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria. Con corona e pause, le prime due battute scorporano l’invocazione ‘Amor’ dal primo verso e danno loro una funzione introduttiva che indico qui tra parentesi quadre. La melodia vera e propria inizia da b. 3 con i settenari organizzati a due a due su regolari frasi simmetriche di (2+2) + (2+2) battute ciascuna, armonicamente bilanciata nell’usuale giro armonico I-VV-I. In questo e negli schemi che seguiranno nel corso del , i pedici indicano i numeri di battute, gli apici i versi cantati, 0 indica eventuale testo ripetuto. A b. 49 irrompe il coro «di dentro» in Sol minore. Le successive, irregolari, lasse di ottonari e senari sono poi intonate in una lunga sezione armonicamente instabile che tocca le tonalità di Do min., Sol min., Mib magg., Re magg., Fa magg. prima di tornare a Sib. Ogni verso del coro della quartina di ottonari è cantato in quattro battute, mentre il distico di GIASONE  ne impiega sei per concludersi così che la quadratura della frase musicale richiede una ripresa dei primi versi del coro per completarsi in otto battute. [Moderato] 4 bb (coro, 1 verso, Sol minore) + 4 bb (coro, 1 verso, Sol minore) + 6 bb (GIASONE , 2 versi, Do minore) + 2 bb (ripresa del coro, 1 verso, Sol minore) Rispetto alla consuetudine361 che vorrebbe intonati due versi ogni quattro battute, quelli del coro eccedono ciascuno di due battute perché l’orchestra ripete incisi melodici tra gli emistichi e dilata la successione delle esclamazioni; la frase di GIASONE  è invece ampliata da una sorta di progressione. L’effetto globale è di grande movimento e si contrappone alla sostanziale stabilità delle prime battute dell’aria. Lo stesso avviene nel trattamento musicale della lassa di senari che segue, cantata dal coro che esce in scena e dialoga direttamente con GIASONE . Mayr ritocca l’assetto metrico: aggiunge un verso a GIASONE  e alcuni emistichi al coro362, così da rendere meno meccanica l’alternanza tra i due interlocutori: 4 bb (coro – GIASONE , 1 verso ciascuno, Mib), 4 bb (coro – GIASONE , 1 verso ciascuno, Mib), 4 bb (coro, 2 versi, Mib), 4 bb (GIASONE  – coro, 1 verso ciascuno, Mib), 6 bb. (coro, 2 versi, con espansione dovuta a due bb. di progressione, modulante), 2 + 4 bb. (emistichio di GIASONE  – un verso e mezzo del coro: le due battute di GIASONE  funzionano come sospensione che ritarda l’avvio del conseguente della frase precedente, modulante a Reb). Nella successiva quartina di ottonari continua il dialogo tra il principe e il popolo: la forma non chiude ancora, anzi resta a lungo sospesa tra Reb e Fa prima di cadenzare a Sib alla fine del primo distico. Solo da qui, b. 113, tornato finalmente alla tonalità d’impianto, Mayr espande la melodia in periodi ampi e compiuti per i quali i due versi restanti della quartina non sono sufficienti e vengono perciò entrambi ripetuti: cantati inizialmente nelle canoniche Quattro battute, vengono replicati con progressione in altre otto (es. 9). Questa melodia di 4 + 8 battute è anticipata da una frase d’orchestra di quattro battute, analoga per timbre all’introduzione dell’aria: un richiamo che, assieme alla somiglianza del materiale tematico con la prima sezione, al ritorno dell’armonia iniziale e al netto cambiamento dell’accompagnamento orchestrale – già in primo piano a garantire compattezza metrica e -- È questa una consuetudine già studiata per il repertorio rossiniano e post rossiniano nelle strutture melodiche definite lyric forms. Anche in Medea in Corinto, tuttavia, è il rapporto più frequente. Questi ritocchi sono recepiti nel libretto romano tratto direttamente dalla partitura. fraseologica, passa ora in secondo piano e si riduce a sostegno del canto del tenore – configurano questa parte come un accenno di ripresa. Ormai stabilizzata la tonalità d’impianto, la lassa di senari che segue da b. 130 non porta novità di rilievo dal punto di vista armonico e suonerebbe dunque come coda cadenzante e vocalizzata. A prescindere dal diverso statuto della seconda sezione, sostanzialmente caratterizzata come musica di scena, senza frasi o periodi coerentemente organizzati, quest’aria potrebbe essere schematizzata come un’aria tripartita con coda (ABA' + coda) giacché il percorso tonale, i richiami timbrici e tematici distinguono nettamente l’intonazione dei versi centrali del coro. Ma può essere anche intesa come un’aria che in un unico movimento incorpora diverse sezioni (ABA'C)363: se si prescinde dalle articolazioni armoniche e si osserva la fisionomia ritmica delle parti, infatti, la coda cadenzante sugli ultimi senari ha un profilo ritmico incalzante che, seppure non confermato dal cambio di agogica, è però evidenziato (e incoraggiato) dal movimento sincopato dell’orchestra. Riassumendo abbiamo: SEZIONE A, SI BEMOLLE MAGGIORE: “Amor per te penai; per te più non sospiro; la pace al cor donai: per te respiro – amor.” SEZIONE B, SOL MINORE – MI BEMOLLE MAGGIORE – RE BEMOLLE MAGGIORE – FA MAGGIORE. CORO Accorrete…. Oh tradimento!… Oh perfidia! Oh don funesto! GIASONE  Giusti dèi! Qual grido è questo! Quale in sen mi desta orror! SCENA 13 Donzelle, Corinti, GIASONE  CORO O noi sventurate!… O regno dolente… GIASONE  Che avvenne? Parlate CORO PRINCIPESSA CREUSA innocente… GIASONE  Ohimè la consorte… CORO In braccio di morte. La veste fatale… TUTTI Veleno mortale… in sen le portò. GIASONE  Io moro. s'abbandona; il coro lo circonda e lo sostiene. TUTTI Infelice! Il cor gli mancò. GIASONE  dopo alquanta pausa Dove sono? chi mi desta? Sole, ancor per risplendi. Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini and the Development of the Opera seria Duet: Some Preliminary Conclusions osserva che già Cimarosa nei suoi duetti «incorporates into a two-tempo, slow-fast, design» le quattro sezioni della futura “solita forma”. Strutture analoghe, ancora nei duetti, sono evidenziate da Charles Brauner, Vincenzo Bellini and the Aesthetics of Opera Seria in the First Third of the Nineteenth Century cit., che osserva come molti duetti di Mayr sono quadripartiti nel libretto ma tripartiti nella musica (veloce, lento, veloce) perché uniscono il dialogo intermedio con il movimento veloce finale; altri inglobano, invece, tutte e quattro le sezioni in un unico movimento. SEZIONE A', SI BEMOLLE MAGGIORE: “Cara sposa! Oh dio! M’attendi: sul tuo petto io morirò in atto di partire. Lasciatemi, o barbari… seguirla vogl’io… CORINTI No: vivi la vendica… GIASONE  Atroce, il cor mio vendetta farà. CODA O C, SI BEMOLLE: Ohimé! più non spero in vita riposo. Ho tutto perduto, non sono più sposo, Orrendo sul ciglio un velo mi sta. Parte seguito da’ Corinti e dalle donzelle. Questa ampia aria di GIASONE  riesce così a coordinare l’incalzante movimento in scena con l’impianto di tradizione virtuosistica. Da una parte, la sezione B dà forma all’intervento del coro, che repentinamente interrompe lo sfogo amoroso di GIASONE  e annuncia, anche agli spettatori, l’avvio della catastrofe. La ripresa tonale (A'), un po’ paradossale a quel punto, si giustifica come conferma dell’iniziale proposito di GIASONE d’unirsi alla sposa, seppure oramai nella morte; la sezione cadenzante finale accompagna l’uscita di scena dell’eroe, che s’avvia alla vendetta. D’altra parte a dar forma ad una simile successione di eventi e sentimenti sono ancora i moduli tradizionali della variazione virtuosistica con frasi bilanciate, rese poi asimmetriche da ripetizioni interne e progressioni su materiale tematico analogo sempre ma mai identico. Tutto il numero oscilla di continuo tra semplici frasi tematiche ed ampie espansioni variate. La ridotta differenza strutturale tra frasi tematiche e frasi cadenzali, ambo costruite su incisi omogenei e accostati secondo principii di varietà più che di contrasto364, consente a Mayr di rendere autonoma anche la sezione cadenzante finale che, coi modi armonici e vocali della coda intona testo nuovo e non si limita alla ripetizione insistita di frammenti poetici già ascoltati nelle sezioni tematiche. L’ambiguità tra code e sezioni finali del numero lirico assume dimensioni ancor più macroscopiche nell’aria di sortilegio di Medea (n. 8), dove viene data sensibile concretezza al carattere esorbitante della protagonista. L’aria è letteralmente informe, sebbene l’articolazione metrica fornita da Romani avrebbe consentito a Mayr una suddivisione quadripartita; di questo suggerimento Mayr accoglie solo una sorta di tempo d’attacco, in -- Lo osserva anche Philip Gossett nell’introduzione all’edizione facsimile dello spartito Carli sopra citata. Mayr made effort to modernize his score by attempting to create longer lyrical periods in the Rossinian manner. Corrigge così il suo stile basato su “a succession of shorter fragments. In lyrical scenes this technique is rarely moving, but in highly dramatic scenes the succession of shorter phrases can be striking in its immediacy and emotional power. Re minore, nella prima sezione di endecasillabi misurati. Dall’Allegro giusto, invece, inizia una sezione in Re maggiore senza cesure. Le due lasse di decasillabi e ottonari sono intonate in un unico movimento con strutture irregolari di battute (4 + 5 + 4 + 6 + …) o, più spesso, con frammenti melodici ed esclamazioni che non coagulano in vere frasi musicali e vagano entro un campo tonale molto ampio: Si min., Mi magg., Fa magg., Sib magg., La magg., La min., Fa magg., Re magg., Sol min., per cadenzare infine in Re minore all’avvio dell’ultima lassa di senari. Predominano fin qui spezzoni e lacerti di motivi continuamente citati, ripresi e variati sul sostegno regolare e uniforme dell’orchestra: solo il tappeto di figure dell’orchestra ostinate conferisce una certa corenza metrica al numero. L’effetto frenetico, mobile, irregolare dell’incantesimo celebrato in scena è garantito, ma lo spettatore ne è stordito e disorientato, mancandgliu l’appiglio d’una qualsiasi frase compiuta da tenere a mente. Solo alla novantanovesima battuta, appena prima di toccare finalmente la tonalità d’impianto, Medea avvia una melodia coerente che dispiega in 16 battute gli otto senari finali dell’aria (es. 11): sono tutti intonati a coppie, in frasi di Quattro battute che compongono un periodo ad incisi paralleli apparentemente regolare. Il material melodico, infatti, è analogo nei primi tre membri e leggermente differenziato nell’ultimo, secondo uno schema a4 a'4 a''2+2 b4. Dal punto di vista armonico, tuttavia, gli incisi ripresi e variati cambiano sostanzialmente significato perché le 16 battute compiono un percorso instabile con modulazioni appena accennate e mai definitivamente stabilizzate: la prima frase è aperta in levare ancora in Sol minore ma modula subito a Re minore, la seconda resta sospesa nell’area della sottodominante, la terza è invece accentuatamente modulante, la quarta infine conferma la tonalità di Re minore. Considerando il percorso armonico, il periodo può essere così strutturato: a: Sol min. (I)-II-Re min. I-V-I a': IV- I-IV-I b: Mib, Re magg., Sol min., La magg., a'': Re min. V-I-V-I La tonalità d’impianto del numero è dunque definitivamente ristabilita solo alla fine del periodo tematico; a quel punto si rende però necessaria una lunga coda di 38 battute, su testo ripetuto e con interventi del coro delle furie, per affermarla definitivamente e chiudere l’aria in un quadro tonale conchiuso. Il numero è insomma sbilanciato ad arte verso il finale. TEMPO D’ATTACCO, RE MINORE. MEDEA: “Antica notte, Tartaro profondo, Ecate spaventosa, ombre dolenti, o furie, voi che del perduto mondo siete alle porte, armate di serpenti, a me venite dagli stigii chiostri per questo foco, e per i patti nostri… S’ode rumor sotterraneo, indizio della presenza delle ombre. ALLEGRO GIUSTO, SEZIONE MODULANTE DA RE MAGGIORE. “Già vi sento; si scuote la terra, già di Cerbero ascolto i latrati, odo il rombo di vanni agitati, voi venite ombre pallide a me. OMBRE: Penetrò la tua voce sotterra: Acheronte varcammo per te Medea spiega la veste e la depone appiè dell’ara. MEDEA Questa spoglia vi consegno; sia strumento di vendetta. VOCI Lo sarà. MEDEA Mora lei, per cui l’indegno mio consorte mi rigetta. VOCI Morirà. SEZIONE TEMATICA, RE MINORE MEDEA Del tosco spargetela de’ serpi d’Aletto, di quelle che rodono l’invidia e il sospetto; le bagni l’istesso veleno di Nesso e mora com’Ercole sull’Eta morì. CODA VOCI Riposa contenta: Fia spenta così. Determinare l’architettura di queste arie esclusivamente in base al percorso tonale non coglie sempre la funzionalità drammatica del numero lirico: il percorso armonico dell’aria di Medea, per esempio, si chiarisce soltanto alla fine, ma anche in entrambe le arie di GIASONE  sopra esaminate la tripartizione suggerita dal percorso armonico non spiega né gli scarti ritmici di ‘Amor, per te penai’, né il valore erotico del carattere di GIASONE  in ‘Di gloria all’invito’. L’articolazione armonica non spiegherebbe nemmeno l’ambiguità formale delle code365, un altro tratto peculiare della scrittura di Mayr che rende difficilmente applicabili le consute distinzione tra corpo dell’aria e appendice retorica conclusiva. In ‘Amor, per te penai’, l’abbiamo visto, alla lunga sezione cadenzante conclusiva è affidato nuovo testo verbale, in ‘Antica notte’ essa costituisce la vera chiusura armonica dell’aria; della cavatina ‘Di gloria all’invito’ la coda, assieme alla prima frase dalla melodia aperta, è la sezione che più s’imprime nella memoria dell’ascoltatore, ben più delle strofe centrali: l’esordio e il commiato non contengono frasi tematiche -- Anche Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria osserva la frequente ambiguità tra coda e parti tematiche e considera come, tra le diverse fogge delle sezioni conclusive dei numeri solistici di Mayr, se ne trovino spesso che «develop the coda as a fullfledged melody -- rilevanti ma sono quelle di maggior effetto in un’aria che intende esprimere principalmente fasto scenico più che moti d’affetto. Spesso, dunque, lungi dall’aver solo valore d’amplificazione della cadenza, la coda è il vero fulcro dell’aria, quanto, e talvolta più, della parte tematica stessa: soprattutto laddove, come in ‘Di gloria all’invito’ e nell’aria del sortilegio di Medea, ciò che conta esprimere non è la sostanza affettiva della vicenda ma un evento scenico rilevante nell’economica drammatica. A differenza di ciò che accadrà con la generazione di Bellini e Donizetti, la coda acquisisce maggior peso nei numeri d’azione che in quelli static ed affettivi. Questi numeri «end-accented» hanno infatti grande efficacia propulsiva: l’esibizione di abilità vocale che li conclude non liquida materiale precedente, come fanno di solito le code delle forme strumentali, ma ne introduce di nuovo – talvolta tematico, talvolta poetico, raramente di entrambi i generi – che assicura interesse fino alla conclusione del numero. Quest’inclinazione, questo traino del finale si verifica sia in arie in unica sezione che sviluppano ampiamente la coda, sia in alcune sezioni finali di numeri a più movimenti. Sono i casi per esempio che chiudono con strette con doppia enunciazione del tema, una forma che Mayr inserì probabilmente già nell’Adelaide del 1800 nella foggia che diverrà canonica con Rossini e nota come cabaletta. A partire da quell’opera, in ogni caso, la gran parte delle partiture drammatiche di Mayr comprende almeno un numero concluso da una vivace melodia che compare due volte alla tonica, entrambe le volte introdotta dall’orchestra (o da una transizione in cui l’orchestra stessa domina, talvolta assieme al coro), a cui segue infine una coda367. In Medea in Corinto un trattamento cabalettistico di questo genere si trova nell’ultima sezione di ‘Sommi dèi’ (n. 3), la cavatina con cui Medea si presenta in scena a Napoli nel 1813 e a Bergamo nel 1821. Quando la poesia passa dai settenari ai rapidi quinari, l’aria ha già totalizzato 80 battute: la --  Marco Beghelli affronta in diversi saggi la questione terminologica della cabaletta in termini più rigorosi di quelli che mi sono qui consentiti: con riferimento ad epoche in cui la struttura della stretta era già largamente codificata, osserva che la cabaletta – nell’aria come nel duetto, nell’introduzione come nel finale – era «più propriamente una parte della Stretta ottocentesca – composta per lo più di cabaletta - ponte - cabaletta - coda – e precisamente il suo motivo tematico, giunto col tempo a identificare l’intera Stretta in seguito ad una facile sineddoche: la parte per il tutto. Navigando a cavallo di secolo, risulterebbe del resto difficile tracciare una linea di demarcazione temporale plausibile per un uso distinto dei due termini, storicamente avallato»: Marco Beghelli, Tre slittamenti semantici: cavatina, romanza, rondò cit. Al proposito cfr. anche Marco Beghelli, Sulle tracce del baritono, in Tra le note. Studi di lessicologia musicale, a cura di Fiamma Nicolodi e Paolo Trovato, Fiesole, Cadmo, 1996, Alle origini della cabaletta, in “L’aere è fosco, il ciel s’imbruna”. Arti e musica a Venezia dalla fine della Repubblica al Congresso di Vienna, a cura di Francesco Passadore e Franco Rossi, Venezia, Fondazione Levi. Cfr. Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria cit., tonalità d’impianto (Mi maggiore) è confermata da una frase dal profilo ritmico molto netto, che in 13 battute intona la prima sestina e termina alla dominante Si maggiore (es. 12). Un ponte armonicamente sospeso tra tonica e dominante maggiore (bb. 94-104) intona i primi due versi e mezzo della seconda sestina e introduce la ripresa della cabaletta (da b. 106), nuovamente in tonica ma limitata alle prime due frasi, la seconda delle quali modificata per evitare la modulazione a Si maggiore. Su questa ripresa, Medea termina il canto degli ultimi tre versi e mezzo della lassa di quinari, e imprime con chiarezza nella memoria negli ascoltatori il profilo del tema, prima che attacchi la coda finale. La sezione può essere schematizzata in questa maniera a4 2(Mi) - a4 2 (Mi) – b5 2 (Si)c2+2 2(Mi) – d66 1 (Si-Mi)a4 2(Mi) – a'4 2 (Mi)coda21 0 (Mi). Questo trattamento della sezione conclusiva del numero in Mayr non divenne mai la formula predominante e restò una possibilità fra tante: altri movimenti conclusivi possono prevedere due enunciazioni del tema principale, ma spesso la seconda volta lo sottopongono a variazioni oppure organizzano melodie pienamente sviluppate sullle armonie cadenzanti della coda. La stretta è quindi concepita come pratica combinatoria di elementi melodici e ritmici dal profilo netto e deciso e non come movimento strutturato: emergerebbe insomma dall’arrangiamento di formule presenti prima di Mayr, e largamente in Mozart; le arie di Mayr si confermerebbero, dal canto loro, come strutture che si sovrappongono a vecchie tradizioni, e completano l’erosione dell’aria in un solo movimento per promuovere al contempo disegni più espansivi basati sul rondò e su altre forme relazionate368. Frequenti sono per esempio i movimenti in cui una versione del disegno della cabaletta è preceduto da un’instabile sezione declamatoria condotta dall’orchestra in ‘stile parlante’, talvolta mentre uno dei solisti dialoga con un pertichino o col coro369. Di questo genere è l’ampia aria con arpa concertante per PRINCIPESSA CREUSA, ‘Caro albergo’ (n. 7), ad apertura del secondo atto. È 368 Cfr. Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria. Sulle forme d’aria utilizzate prima di Mayr e frequentate da Mozart, cfr. anche il capitale James Webster, The Analysis of Mozart’s Arias, in Mozart Studies, a cura di Cliff Eisen, Oxford, Clarendon Press, 1991. L’origine della cabaletta è dichiarata nella voce relativa del Dizionario e Bibliografia della musica di Pietro Lichentathal: non soltanto nell’affermazione che per cabaletta si debba intendere il «pensieretto musicale melodico, o sia cantilena semplice atta a blandire l’orecchio» ma anche per l’ironia e il distacco con cui si rende conto della struttura standard assunta dalla stretta «ora, essendo la musica tutta rivolta alla sensualità e al diletto». In breve, la musica di apertura della stretta sembra a vari gradi un tempo di mezzo. Questi movimenti che combinano tratti del tempo di mezzo e della cabaletta compaiono già nell’aria di Faone (II) della Saffo, nel rondò del Calipso del Telemaco: su tutto ciò cfr. Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria che osserva ancora come «the principal components of Mayr’s closing movements were commonplace in Mozart’s closing movements by 1791: the opening transition … an orchestral introduction for the main theme … two presentation, of the main theme are separated by a transition … finally … a coda». Il tempo di mezzo e la cabaletta sembrano dunque essere originati da un singolo movimento, la cui iniziale transizione diede origine al tempo di mezzo. l’unica vera aria affidata all’altra prima donna e deve quindi essere di ampie proporzioni370; dal punto di vista drammatico si giustifica con l’esigenza di caratterizzare l’innocenza virginale della principessa ed evidenziare così il primo delitto di Medea371: le tre sezioni dell’aria sono tutte costruite su incisi, variamente ripresi e variati, in modo che l’ultima sezione comprenda anche un richiamo alla melodia di cabaletta; tale richiamo è però assolutamente irregolare perché in minore (il tema è esposto da b. 52, qui all’inizio dell’es. 12; la ‘ripresa’ in minore da b. 75) e seguito da un ritorno alla tonalità di impianto da b. 97, nella frase precedente la coda. Nell’insieme lo schema può essere tracciato come segue, se si tiene conto che la struttura base delle frasi è sempre di 4 battute, ma che ad ogni occorrenza codette, one more time e zeppe vocalizzate amplificano e rendono irregolare la sucessione delle frasi. Suddivido la sezione finale C in periodi e solo per essa mostro, in lettere greche, l’articolazione interna ad ogni singolo periodo: la ripresa del tema in b (''') è in minore, mentre la tonalità d’impianto è affermata solo nel terzo periodo '. Andantino grazioso  Andantino non troppo: coda coro coda. La ripresa variata del tema di cabaletta dell’aria di PRINCIPESSA CREUSA si giustifica dal punto di vista teatrale perché è integrata in un numero dal carattere prettamente belcantistico, interamente concepito su micro-variazioni che illustrano con icastica 370 L’ampiezza di quest’aria fa eccezione alla consuetudine che, secondo Daniela Tortora, chiedeva che dopo la cesura del Finale I la ripresa dell’azione fosse piana e dimessa. Cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio. Tortora, tuttavia, precisa anche che oltre a questo criterio generale, non ha individuato alcuna forma standardizzata per dar principio all’atto II, nulla che possa assomigliare alla successione coro-cavatina del numero introduttivo al prim’atto. 371 Nei rifacimenti di Bergamo e Milano, l’aria venne sostituta da ‘Compi l’opra’, una regolare aria tripartita, separata dal coro introduttivo da 9 versi sciolti: Andante in Si bemolle, 3/4; Allegro moderato, Mi bemolle, 4/4; Allegretto, Si bemolle, 2/4 con la consueta ripresa della cabaletta. efficacia l’innocenza della principessa372; dal punto di vista drammatico è altrettanto giustificata d’altronde anche la cabaletta quasi ‘regolare’ di ‘Sommi dèi’, prima esaminata: essa conclude infatti un numero che si era aperto con periodi musicali ampi, lavorati e ambiziosi. Alla scena del dialogo tra Medea e i Corinti, cui la presenza del coro conferisce rilievo inconsueto, Mayr aveva fatto seguire un’aria che in un unico movimento incorporava quelle stesse diverse sezioni che l’aria rossiniana in “solita forma” distinguerà poi con chiarezza. In questo progetto d’elevata ampiezza formale, il cantabile in Mi maggiore che intona la prima sestina di ottonari è interamente organizzato su frasi bilanciate e articolate in modo da costruire un ampio periodo di 16 battute (più 4 di codetta, cfr. es. 3). Poiché i sei versi di Romani non erano sufficienti a colmare un periodo di tale ampiezza, Mayr ripete nell’ultima frase versi tratti dalle frasi precedenti: a42(Mi) - a'42(Mi) - b42(fa) - a''40(Mi) - codetta40 Le frasi del canto sono armonicamente instabili e asimmetriche, con andamenti analoghi a quelli osservati nella seconda aria di GIASONE  e simili alle melodie “aperte” dei futuri tempi di mezzo: la periodicità e la quadratura della frase è però assicurata dalle figure d’orchestra e del violino solista. Come in tutte le arie di maggior ‘peso’ drammatico, Mayr prevede infatti la presenza di uno strumento concertante in gara virtuosistica col cantante, col quale interloquisce con brevi incisi canonici: assieme all’elaborata costruzione delle frasi, anche queste tecniche imitative contribuiscono a rendere l’aria più dotta e quindi più solenne. In questo modo, un unico movimento riesce ad articolare gli affetti contrastati

con cui Medea reagisce al decreto d’esilio avallato da GIASONE  – dalla rabbia espressa nella prima sezione, al pentimento per la vendetta invocata contro il consorte nella seconda, alla preghiera ad Amore perché le restituisca lo sposo nella terza; ma il rilievo formale attribuito a quest’aria è anche connesso alla circostanza che qui Medea si presenta per la prima volta al pubblico. Non è questo un caso isolato: in Medea in Corinto la scelta delle forme sembra spesso avvenire anche con -- Un espediente cui, molti anni dopo, e quindi con ben maggior efficacia, ricorrerà anche Verdi nell’intonazione fiorita delle arie di Gilda di Rigoletto. 373 Sono rare le presenze del coro con funzione dialogica, e non lirica né cerimoniale, nel bel mezzo di un passo in versi sciolti del solista. funzione retorica. Questo criterio predomina nell’ultima grande aria. Il rondo della prima donna nel second’atto, “Ah che tento”, dove Medea decide di uccidere i figli. La scena rappresenta beninteso il climax del dramma e, l’abbiamo visto, la recente tradizione del mito di Giasone e Medea l’aveva imposta come momento di introspezione affettiva, vero banco di prova delle migliori attrici. Per darle il dovuto rilievo, Mayr concepisce una struttura a Quattro sezioni e prevede uno strumento concertante (corno inglese o violini, secondo le versioni). L’analisi dettagliata dell’aria dimostra quanti parametri vengano messi in gioco per ottenere l’adeguato effetto drammatico ed espressivo. Un tempo d’attacco di 37 battute, in La maggiore, intona la prima quartina di ottonari: qui non si ascolta una sola frase che non sia variamente amplificata con riprese testuali e armoniche o interrotta da pause (es. 13). I primi due versi sono così cantati su una frase sghemba di 3 + 5 battute che amplifica con pause e ripetizioni una struttura essenziale di 4 (1 + 1 + 2) battute: l’asimetria della prima frase è ripetuta nella seconda, più instabile dal punto di vista armonico e comunque incentrata sulla dominante; questa volta i due versi sono cantati in sole sei battute (2 + ripetizione di 2 + 2); entrambi vengono ribaditi in una lunga codetta di 12 battute ampiamente vocalizzata. Siccome l’intonazione delle due frasi è divisa in due membri paralleli – o perché concepita come accostamento di due emistichi simmetrici (Ah che tento / o figli miei) o per ripetizione testuale del medesimo verso (quello sol versar vogl’io / quello sol versar vogl’io) – il baricentro è collocato nella seconda semifrase, così che l’intero periodo procede per accumulo e ‘spinge’ naturalmente in avanti il discorso musicale e gli eventi di cui esso è espressione. Tonalmente instabile, questa sezione si conclude con un coro omoritmico in Mi maggiore, dalle frasi -- Sul termine “rondò” cfr. il già citato Marco Beghelli, Tre slittamenti semantici: cavatina, romanza, rondò.. L’uso estensivo del termine spiega tra l’altro perché, a dispetto della struttura musicale, l’unica edizione dell’opera, la «partizione» Carli, intesti questo numero Rondò chanté par M.me Pasta nella Medea. Musica di S. Mayer. Sul valore retorico delle arie in 4 tempi, cfr. Saverio Lamacchia, “Solita forma” del duetto o del numero? cit. Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria sostiene che in Mayr, salvo un’aria negli Sciti e due negli Americani, non ci sarebbero esempi di arie costruite su cantabile - tempo di mezzo - cabaletta. 376 Sul valore propulsivo di strutture così concepite, cfr. Giorgio Pagannone, Aspetti della melodia verdiana. Periodo e Barform a confronto cit. Pagannone prende a prestito il termine barform per definire queste strutture caratterizzate dalla ripetizione iniziale di un inciso melodico; William E. Caplin, Classical Form cit. preferisce invece definirle sentence, e le studia in contrapposizione al period strutturato su frasi bilanciate antecedente/conseguente. La difficoltà di rendere in italiano la differenza di questi termini tra loro e rispetto a phrase, che sarebbe una delle parti costitutive della sentence come del period mi spinge a non adottare le definizioni di Caplin, nonostante la loro chiarezza ed efficacia. quadrate e simmetriche: solo dopo di esso, da b. 48, Medea intona gli ultimi versi della lassa di ottonari in una sezione in La minore costruita su materiale tematico analogo al precedente, ma articolata finalmente su una frase simmetrica di otto battute con lunga coda di altre 15. a1,5+1,5+52, b2+2+22, coda120coro62a'4+42,, coda150 I, V, V, V, i I Il passaggio a La minore precede il cantabile in modo da costruire gradualmente la svolta affettiva verso accenti di tenerezza da parte della madre prima infuriata. Anticipare, inoltre, rispetto al libretto, l’intervento del coro che da dentro dà la caccia a Medea, e collocarlo prima che finisca la strofa in ottonari, consente a Mayr di segmentare l’aria solo in forza del movimento affettivo della primadonna, che non risulta così sollecitato da eventi esterni: proprio come richiedeva l’estetica teatrale tardo settecentesca. Il cantabile è annunciato da una melodia del corno inglese, che concerterà con la voce per tutta la sezione, così da conferire giusto sbalzo all’ultimo gesto d’affetto materno di Medea. ‘Miseri pargoletti’ è un Andantino grazioso in Fa maggiore non suddisivo in sezioni ma composto di tre frasi (da bb. 13, 23, 34) costruite fondamentalmente su successioni di quattro battute che ripetizioni interne e pause dilatano ancora una volta in modi imprevedibili a 9 + 9 + 8 con codetta finale377. La terza frase riprende, però, il materiale tematico della prima, così che si può individuare una strutturazione del periodo su frasi a b a'. a2 + 2 (+2) + 32 b4 + 3 +22 a'2+2 (+1)+32 coda80 I-V-I i-v-i I-V-I Un’improvvisa modulazione a Re minore segnala l’altrettanto improvviso risorgere della furia di Medea: la madre si riscuote dall’ultimo momento di tenerezza e scaccia con orrore i figli. Questa sezione è in «Agitato» più per il piglio ritmico della musica che non per la frantumazione del tessuto metrico, tutto -- La predilezione di Mayr per movimenti che consistono di singole melodie costruite con gruppi di tre frasi è indicata da Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria -- sommato costruito invece regolarmente su due frasi di 4 + 4 battute; dopo un ulteriore, ma breve, frase del coro ‘da dentro’ essa conduce infine all’ultima sezione in La maggiore. Qui cinque frasi bilanciate, a4 a'4 b4 b4 c4 +11 (rispettivamente da bb. 28, 34, 38, 42, 46), precedono una lunga sezione cadenzale di una trentina di battute, cui si aggiunge anche il coro, che, a mo’ di una coda invita la prima donna a sfoggiare tutte le sue potenzialità vocali. Il centro d’interesse vocale e drammatico è decisamente spostato su quest’ultima sezione: delle cinque frasi iniziali, infatti, le prime (a-a') hanno carattere introduttivo, perché basate su figurazioni di note ribattute, le altre due (b-b'), vera sostanza motivica della sezione, sono una ripetizione speculare ciascuna dell’altra, l’ultima è invece costruita su un breve inciso d’una battuta, ripetuto 3 volte di seguito e una quarta volta dopo una lunga zeppa vocalizzata. Se si ignorasse l’importanza retorica e vocale della coda, una sezione di ben 65 battute finirebbe dunque per reggersi su un motivetto di sole 4 battute. Anche quest’aria conferma come la scrittura di Mayr si regga sull’equilibrio di due variabili principali: sostanza melodica ampia e organizzata su temi pregnanti (lyric form della cavatina introduttiva di Medea) e/o articolazione formale di ampio respiro, che spesso annulla quasi la sostanza tematica. Spesso Mayr organizza allora le melodie in barform e sposta sulla sezione cadenzale virtuosistica l’interesse drammatico dell’aria. Lo si vede bene anche nelle due semplici arie di Egeo, delle quali basti per ora esemplificare la prima, ‘Io ti lasciai piangendo’, in Do maggiore (n. 5): il testo è cantato in 28 battute di semplici frasi quadrate, vocalmente piane, mentre il maggior interesse vocale, armonico e melodico ricade sulle 18 battute di coda. a 2+2 + b 2+2 + codetta 3 a 2+2 + codetta3 + b 2+2 codetta 2 a 2+2 + coda18. L’idea avanza da Balthazar che Mayr sperimenti molte e diverse forme, mini decisamente le antiche convenzioni senza però stabilirne di nuove, presume una ricerca formale che probabilmente a Mayr era indifferente. Egli cercava --  Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two-Movement Aria -- piuttosto di conciliare l’equilibrio dell’aria settecentesca con la nuova estetica, che dall’opera esigeva movimento e animazione gestuale risolta in forme musicali. Le sezioni delle arie che programmaticamente rinunciano ad architetture formali coerenti, o quelle che a periodi ampi e ben articolati preferiscono movimenti irregolari, note ribattute e modulazioni imprevedibili, come la seconda sezione della seconda aria di GIASONE  e il primo centinaio di battute dell’aria di sortilegio di Medea, danno voce alle situazioni che, nella tradizione di Medea, discendevano a Romani e Mayr dal melologo e dalla musica di scena. La forma e la complessità delle sezioni in cui si articolano sono dunque conseguenza dell’azione drammatica ed affettiva oltre che della gestione del tempo teatrale riflessivo o lirico o monumentale. L’ampio spettro formale collegato alle mutevoli funzioni drammatiche svolte da ciascuna aria caratterizza anche i duetti. Dei tre sopravvissuti ai tagli operati a Napoli, solo il diverbio tra Medea e GIASONE  (n. 4) era un topos consolidato nella drammaturgia del mito di Corinto. Nell’opera di Mayr costituisce il culmine emotivo del primo atto, così come il primo finale ne costituisce il culmine drammatico e narrativo. Mayr lo elabora in quattro parti con tempo d’attacco (Moderato, Si bemolle), cantabile (Largo, Mi bemolle), tempo di mezzo (Moderato, Si bemolle) e stretta (Moderato, Si bemolle), nella forma che di lì a poco sarebbe diventuta canonica. Ma non è tanto la strutturazione quadripartita a segnalare l’importanza drammatica del numero: come già abbiamo visto nelle arie, infatti, a dar rilievo a un numero contribuiva spesso soprattutto l’ampiezza della campata melodica. In questo caso le prime due quartine, rispettivamente di GIASONE  e Medea, sono intonate in ampie sezioni di 33 e 38 battute, ciascuna a sua volta suddivisa in due periodi di frasi essenzialmente di 3 + 3 battute, ma che, amplificati i primi da ripetizioni e code, e i secondi da codette conclusive, diventano rispettivamente di 5 + 8 e 3 + 14. Entrambe le sezioni sono caratterizzate dalla ripetizione del primo inciso, così che un analogo incipit della terza quartina crea l’attesa di una terza strofa e, quindi, la sorpresa per la violazione della norma appena impostata: nella terza strofa infatti i due sposi si suddividono i distici della quartina così da aumentare il ritmo dello scontro. La contrazione del tempo che ne consegue, e quindi, per lo spettatore, l’effetto di tensione e rabbia incalzante, prosegue anche dopo il cantabile, nella seconda sezione dialogica: il tempo d’attacco, Moderato in Ab, assegna prima due versi ciascuno, poi uno alternativamente a GIASONE  e a Medea; le diverse durate dei periodi sono ben calcolate da Mayr in vista dell’effetto scenico: più lenti quelli di Medea in lacrime, più rapidi e regolari quelli di GIASONE  irremovibile (13 e 5 379 Sulla strutturazione del melologo e sulla sua centralità nella drammaturgia di Medea in Italia tra fine Sette e inizio Ottocento, mi sono diffuso nel  precedente. Sui rapporti tra melologhi, musiche per azioni drammatiche e opera, cfr. Adrea Chegai, L’esilio di Metastasio. Forme e riforme dello spettacolo d’opera fra Sette e Ottocento cit., cap. IV (Il ballo per l’opera: analogie, contrasti, interscambi) e V (Spettacoli mezzani e nuove convenienze. Metastasio dopo Metastasio). battute per i due rispettivi distici della prima quartina, 5 e 2 bb. per il primo distico della strofa seguente). Tale irregolarità fraseologica dei movimenti cinetici, calcolata sull’effetto drammatico e sulla mimesi delle reciproche situazioni sceniche – talvolta con veri effetti madrigalistici come le pause che spezzano le parole e il lungo vocalizzo di Medea sulle parole «versa pianto» –, non si riscontra nei movimenti statici, dove gli a parte consentono a Mayr di sovrapporre le voci e creare l’effetto mediante la varietà degli incastri e delle imitazioni canoniche più che con l’irregolarità dei periodi, tutti infatti regolarmente costruiti su 4 + 4 battute381. Il “gran duetto” di GIASONE  e Medea, com’è spesso chiamato nelle fonti, è l’unico duetto quadripartito, ben calibrato sull’alternanza cinetico/statico della “solita forma”, esattamente come il rondò di Medea alla fine del secondo atto. Come nel rondò, l’accelerazione metrica dell’ultima sezione non dà voce a una fase riflessiva, ma al concitato precipitare delle tensioni espresse nel corso del numero. In entrambi i casi, la ‘stasi’ di questa sezione sta dunque nell’interruzione della fase di ascolto e dialogo, nel sovrapporsi delle voci (o nel sopraggiungere del delirio, nel caso dell’aria solista), non nella sospensione temporale del tableau o nella mancanza di azione in scena, che invece si suppone frenetica. Gli altri duetti sono organizzati in forme più ridotte, adeguate a situazioni in cui I personaggi non si trovano in acceso scontro emotivo ma piuttosto confermano il reciproco rapporto: GIASONE  e PRINCIPESSA CREUSA come amanti, Medea e Egeo come alleati; sono numeri che non è improprio definire ‘duettino’, come spesso avviene almeno per il primo dei due. Nel primo duettino, GIASONE  e PRINCIPESSA CREUSA cantano nella forma già cara a Cimarosa: un andante per le prime due strofe parallele e un allegretto a due foggiato su una delle varianti della cabaletta con doppia enunciazione del tema -- L’altro sarebbe stato il dialogo tra Medea e Creonte inizialmente previsto da Mayr e Romani: al proposito cfr. il  primo. Anche Charles Brauner, Vincenzo Bellini and the Aesthetics of Opera Seria in the First Third of the Nineteenth Century cit., osserva che sebbene Mayr abbia utilizzato duetti in Quattro movimenti già in Ginevra di Scozia (1801) e in Telemaco (1797), tende generalmente a differenziare gli interlocutori; invece di adottare la pratica, comune in Rossini, di affidare ai personaggi quasi lo stesso materiale, riecheggia invece i primi metodi (descritti da Gervasoni e ascoltati talvolta nei duetti mozartiani) di scrivere temi correlati ma contrastanti che danno voce a diverse posizioni emotive. L’idea è condivisa da Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini and the Development of the Opera seria Duet: Some Preliminary Conclusions che propone alcuni esempi mozartiani di questo genere. ‘Duettino’ è un duetto con testo identico, non dialogico: almeno così il termine è usato da Mozart e dagli autori a lui contemporanei, cfr. Sergio Durante, Mozart and the Idea of «Vera Opera»: A Study of «La Clemenza di Tito», PhD Harvard University. La spiccata melodia di cabaletta non apre la seconda sezione, ma viene enunciata solo da b. 26; la sua ripetizione (bb. 54 ss.) non implica la ripresa dell’intero periodo né dell’intera prima sezione. Nelle prime 25 battute, dopo una breve introduzione d’orchestra, vengono cantati i primi quattro versi dell’ultima sestina dell’aria, così che alla cabaletta non restano da intonare che i due versi conclusivi: i primi quattro sono poi utilizzati anche per la transizione tra le due riprese della cabaletta. Sebbene questa strutturazione inglobi sia il futuro tempo di mezzo sia la stretta, Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini and the Development of the Opera seria Duet la considera a tutti gli effetti una cabaletta: «Mayr set the final reflective stanza a due as a cabaletta and provided the full Nel secondo, ‘Se ’l sangue e la vita’, sebbene non siano ugualmente esposti conflitti sostanziali, la forma è più complessa. Un unico movimento Moderato è diviso in due sezioni: la prima, A, in Do maggiore (bb. 1-56), è costruita su frasi parallele tra Medea ed Egeo e si conclude su Sol maggiore, inteso come dominante della tonalità di impianto, la seconda, B (bb. 57- 144) conclude la cadenza in Do maggiore modula a La bemolle per poi chiudere nella tonalità d’impianto. In questa seconda sezione il testo è unico per entrambi I personaggi, così che Medea e Egeo possano unire immediatamente le voci con andamenti ora omoritmici, ora imitativi. Mentre la prima sezione ha struttura aperta, la seconda è costruita in una forma ternaria A-B-A'-coda. Come abbiamo visto per le arie di GIASONE , anche in questo caso il numero consente diverse interpretazioni formali: 1) lo si può intendere come duetto bipartito, A B, con B costruito a mo’ di stretta, con due riprese della cabaletta separate da un ponte. Certo, la stretta non avrebbe ripresa testuale, ma, come abbiamo visto anche nella cavatina di Medea ‘Sommi dèi’ e nell’aria di PRINCIPESSA CREUSA, questo non è un dato molto significativo, vista la natura ‘componibile’ che in quest’epoca hanno la stretta e la cabaletta. Rispetto alla forma a due sezioni esemplificata dal duetto di PRINCIPESSA CREUSA e GIASONE , si confermerebbe l’idea di una sorta di ‘tempo di mezzo’ dialogico che precede l’esposizione della cabaletta, sebbene manchi della prima sezione, ugualmente dialogica. 2) Non è neppure peregrina, quindi, l’idea di considerare la sezione B un tempo tripartito BCB'-coda, aperto da una sezione A introduttiva. L’improvvisa modulazione a La bemolle (bb. 82-83, es. 14) introdurrebbe la sezione C, simile ad un cantabile il cui testo, in un a parte, canta l’amore non ancora estinto ma solo ricacciato ‘nel seno’. Le diverse chiavi in cui è possibile leggere questo numero confermano ancora una volta che le scelte formali di Mayr hanno tendenzialmente sempre valore drammatico e non sono né adeguamento a stereotipi e convenzioni consolidate, né sperimentazioni gratuite. Il senso della struttura di questo duetto, infatti, si chiarisce solo se si considera la collocazione drammatica. Sebbene sia formalmente un numero a sé stante, preceduto da una scena in versi sciolti, esso conclude un’unità più ampia: la scena nel carcere di Egeo. Diverse considerazioni confermano che l’aria di Egeo ‘I dolci contenti’ e il duetto ‘Se ’l sangue la vita’ furono concepiti come polarità musicali d’un’unica scena: reprise of the principal theme that later became standard». È un tipo di duetto descritto anche da Friedrich Lippmann, Vincenzo Bellini und die italienische Opera Seria seiner Zeit. Lippmann lo ritrova già in Cimarosa negli anni ’80 del Settecento ed osserva come via via sia venuto ad assomigliare sempre più al duetto ottocentesco: comprende tutti e quattro i movimenti sia nel testo sia nella musica, sebbene le incorpori in uno schema lento/veloce binario. La prima sezione presenta proposizioni parallele e un primo passaggio di riflessione simultanea; la seconda, un passaggio lirico cantato a due con ripetizione a mo’ di cabaletta del tema principale. L’organizzazione in due movimenti di un testo originariamente composto in quattro sezioni ha il vantaggio di sottolineare le fasi di interazione e riflessione del dramma, di articolare le divisioni interne.. 1) l’aria del tenore sta alla dominante della tonalità d’impianto del duetto; anche quando dovette essere abbassata, come accadde probabilmente a Bergamo e alla Scala, la si trasportò alla sottodominante così da conservare un percepibile rapporto tonale col duetto; 2) l’aria è in semplice forma ternaria, con ricapitolazione semplificata e breve coda: in questa forma suona piuttosto come cavatina introduttiva ad un numero drammatico e musicale di maggior rilievo. A sua volta il duetto di complotto da solo avrebbe reso troppo dinamica e propulsiva la scena di prigione e violato una tradizione che voleva qui l’espansione del dolore patetico. Il duetto sembra allora bilanciare, con l’estensione della veloce sezione finale, il lamento di Egeo nell’aria che lo precede384; 3) secondo la tipologia delineata da Daniela Tortora, ancora all’epoca rossiniana le scene di prigione includevano spesso un numero variabile di pezzi (da uno a tre); I personaggi cantavano forme complesse articolate in più sezioni, con ampi inserti di recitativi drammatici e a volte con soluzioni tonali inusuali385; 4) ‘I dolci contenti’ è l’unica aria in tempo cantabile per la quale non è mai stato previsto un rapido movimento conclusive. Neanche a Bergamo e Milano, dove pure all’aria di Egeo del prim’atto fu aggiunta la cabaletta ‘Ma se mi lacera’386; 5) a Londra, Napoli 1826, Milano 1829, quando s’era ormai affermata la sostituzione del duetto ‘Se ’l sangue la vita’ con quello in Si bemolle tratto da Adelasia e Aleramo ‘Ah d’un’alma generosa’ operata da Giuditta Pasta, l’aria di Egeo fu soppressa: il nuovo duetto, tripartito, presentava chiaramente dopo la sezione a strofe parallele un ripiego lirico nel cantabile ‘Andante grazioso’ e un’ampia sezione virtuosistica nella stretta ‘Allegro con brio’ col che poteva ben colmare da solo la scena di prigione. L’articolazione più complessa di quest’ultimo si spiega col fatto che in origine esso era stato concepito come duetto oppositivo per dar voce ad un alterco tra nemici; 6) nemmeno i versi sciolti tra l’aria e il duetto impediscono a rigore d’intendere I due numeri come parti d’una sola unità drammatica388: la convenzione di suddividere -- La funzione retorica della stretta è ben dichiarata da Pietro Lichtenthal, Dizionario e bibliografia della musica cit. quando osserva come essa sia «una specie di perorazione, una parte essenziale del discorso musicale» nei pezzi più impegnati dell’opera (cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio. La scena del carcere di Egeo rispetta altri parametri della convenzione studiata da Tortora: avvia lo scioglimento ed è quindi vicino al blocco di scene relative alla catastrofe; è luogo oscuro ed orroroso rappresentato dalla musica con ritornelli, preludi e introduzioni strumentali che amplificano il disagio del personaggio. Non rispondono alla consuetudine dell’epoca rossinana, invece, l’assenza del coro e il fatto che il recluso non sia il protagonista femminile (ma anche in Elisabetta il recluso è uno dei due primi tenori). Le due strofe di senari aggiunte a Bergamo sono intonate la prima come tempo di mezzo, la seconda come vera e propria stretta di stampo rossiniano, in due sezioni a-a’ separate da una transizione che riprende parzialmente il testo poetico della prima strofa. 387 Su questa forma di duetto cfr. Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini and the Development of the Opera seria Duet: Some Preliminary Conclusions cit., p. 391. 388 Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio osserva che adottando il «concetto di “unità scenica” … è possibile in alcuni casi ricomporre all’interno di un unico organismo, situazioni scenico-musicali differenti con questo espediente metrico non doveva essere ancora totalmente consolidato, come dimostra il terzo movimento del duetto ‘Giura, che I passi miei’ del Telemaco (1797) del medesimo Mayr389. Posta in questi termini, la scena di prigione avrebbe una prima sezione patetica nell’aria di Egeo, e una seconda sezione nel duetto suddiviso tra parte dialogica e stretta: sarebbe dunque sostanziamente analoga alla scena d’amore tra GIASONE  e PRINCIPESSA CREUSA. Si presentano allora situazioni formali e sceniche molto sfumate. Se quello tra GIASONE  e PRINCIPESSA CREUSA è un duetto lirico, utile a formalizzarposizioni drammatiche già affermate nel precedente recitativo, il duetto di Medea e GIASONE  è più integrato nello sviluppo del dramma, espone, intensifica e ridirige il conflitto, e ne genera di nuovi: da questo punto di vista, è un prototipo dei duetti dei decenni successivi. Il duetto di Medea ed Egeo ‘Se ’l sangue la vita’, infine, è l’esempio di un caso intermedio390, un tipo di duetto descritto da Carlo Gervasoni e Alexandre Choron nel primo decennio del secolo: una forma in due sezioni, la prima di dialogo, che spesso prende la forma di proposizioni parallele (nella medesima tonalità o in tonalità differenti), la seconda che comprende canto simultaneo in terze e seste o almeno uno scambio più serrato tra i cantanti391. Anche dopo aver sperimentato in Telemaco e Ginevra di Scozia392 le forme che saranno poi standardizzate da Rossini, insomma, Mayr continuò a scrivere duetti in svariate fogge393. dotato di propria continuità di senso drammatico, ciò che formalmente in partitura appare segmentato e inserito in numeri distinti». Tortora stessa trae, comunque, l’idea di “unità scenica” da David Rosen, How Verdi operas begin: An introduction to the Introduzioni, in Tornando a Stiffelio. Popolarità, rifacimenti, messinscena, effettismo e altre “cure” nella drammaturgia del Verdi romantico, a cura di G. Morelli, Firenze, Olschki, Charles Brauner, Vincenzo Bellini and the Aesthetics of Opera seria in the First Third of the Nineteenth Century Cfr. Scott L. Balthazar, Evolving Conventions in Italian Serious Opera: Scene Structure in the Works of Rossini, Bellini, Donizetti, and Verdi, 1810-1850, University of Pennsylvania, 1985. 391 «… Imperocché rade volte succede che la situazione dei due attori sia perfettamente d’accordo onde debbano essi esprimere i loro sentimenti in egual modo. Quindi costumasi d’ordinario un canto alternativo, per far intendere le due parti separatamente, non meno che per dare a ciascheduna la propria espressione. Accade finalmente nella conclusione del duetto teatrale di dover riunire due sentimenti unanimi, o il vivo e rapido abbattimento di due sentimenti opposti. In questi casi le diverse commozioni dell’animo agitato scorrono da ambe le parti in una sola volta, né lasciano luogo al dialogo. Di qui nasce poi la necessità di rinvenire un canto che sia suscettibile d’un progresso per terze o per seste, e disporlo siffattamente, che da una parte si possa sentire il pieno suo effetto, senza smarrire dall’altra il sentimento» (Carlo Gervasoni, La scuola della musica in 3 parti divisa citato da Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini and the Development of the Opera seria Duet: Some Preliminary Conclusions cit., p. 395). 392 Cfr. Charles Brauner, Vincenzo Bellini and the Aesthetics of Opera seria in the First Third of the Nineteenth Century cit., p. 220. Secondo Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini, and the Development of the Early Concertato Finale però, è ancor più flagrante la somiglianza con le strutture rossiniane del duetto di Zamorano e Idalide ‘Ah, per chi serbai finora’, negli Americani, atto I (1806). Ritengo quindi tutto sommato superfluo chiedersi, come fa Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini and the Development of the Opera seria Duet: Some Preliminary Conclusions come si sia passati dalla forma bipartita descritta da Gervasoni a quella quadripartita in “solita forma”, visto che entrambe svolgevano compiti e ruoli drammatici diversi. Semmai si può osservare come nell’Ottocento più avanzato i duetti s’incarichino di esprimere una conflittualità più accesa e -- Dopo la soppressione del duetto tra Medea e il sovrano Creonte operata a Napoli, la crisi coniugale tra Medea e GIASONE  assume dimensione pubblica solo nei finali394: solo in essi gli omicidi perpetrati da Medea conservano valore mitico universale, senza ridursi al dramma intimistico che la vicenda avrebbe invece assunto a metà Ottocento395. I due finali sono allora veri e propri drammi conchiusi, vere piccole commedie in se stesse, secondo I criteri che guidavano le composizioni poetiche di Lorenzo da Ponte. L’esigenza di costruire nel primo atto un adeguato pendant pubblico al dramma di gelosia di Medea spinse Mayr e Romani a elaborare una situazione drammatica solenne, nella quale rapidi gesti sacrileghi avessero forza iconoclasta: l’abbattimento dell’altare, la profanazione dei soldati nel tempio, l’arresto della famiglia reale e la fuga del popolo si susseguono in un crescendo di colpi di scena. Le esigenze della tradizione testuale di Medea, insomma, si sovrappongono alle convenzioni praticate al San Carlo dopo il Pirro di Paisiello e le rovesciano: così, mentre nel Finale di quest’ultimo, uno dei primi in più movimenti, prevalgono largamente le sezioni riflessive su quelle dinamiche397, in Medea in Corinto il dramma pubblico si consuma quasi senza introspezione. Il Finale del Pirro è tripartito, a sezione centrale contrastante per tempo e metro. Nessuna sezione è tonalmente chiusa ma l’unità tonale è assicurata a livello macroformale complessivo. Dal punto di vista narrativo presenta una sola peripezia (il tentativo di omicidio di Pirro e la falsa accusa a Polissena), risolta in non più di 5 delle 370 battute. Nella Medea in Corinto Mayr sceglie altre formule, diverse anche da quelle da lui stesso praticate fin dal 1800398, quando il Finale complesso era già diventato un tratto costante nelle sue opere serie – da quando cioè aveva cominciato a collaborare preferibilmente con librettisti della generazione successive acquistino di conseguenza via via maggior peso drammatico, tanto da rendere prevalente e poi esclusivo il modello in “solita forma”. 394 Al proposito cfr. Marco Emanuele, L’ultima stagione italiana. Le forme dell’opera seria di Rossini da Napoli a Venezia, Torino, Passigli. Ma già Carlo Ritorni, Gli ammaestramenti alla composizione d’ogni poema e d’ogni opera appartenente alla musica, Milano, Fontana, 1841 osservava l’utilità del coro, quindi del finale, per dare all’opera seria un tono epico: cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio. Anche l’unica reazione all’omicidio della principessa PRINCIPESSA CREUSA, in Medea in Corinto, è affidata al lamento, privato, di GIASONE  nell’aria ‘Amor, per te penai’. Alle riletture intimistiche nelle Medee ottocentesche accenno nel  precedente, in particolare nei casi, come Grillparzer e Lamartine, che prevedono la scena di intimità e confidenza tra PRINCIPESSA CREUSA e Medea. 396 Cfr. Sergio Durante, Mozart and the Idea of «Vera Opera»: A Study of «La Clemenza di Tito» cit., p. 262. 397 Cfr. Sergio Durante, Mozart and the Idea of «Vera Opera»: A Study of «La Clemenza di Tito». Tutte le 33 opere serie di Mayr presentano concertati finali come parte integrante della struttura: possono avere le sezioni combinate in un unico movimento, o altre sezioni interpolate tra esse: cfr. Scott L. Balthazar, Mayr, Rossini, and the Development of the Early Concertato Finale a quella di Sografi e Gonella399. Nelle sue opere successive a Saffo (1794), di solito i finali sono: 1) divisi in fasi separate di movimento e stasi, ciascuno fornito di una sezione di interazione di assoli paralleli o di dialogo e un’altra introspettiva, di solito cantata simultaneamente quando vi partecipi più di un personaggio; 2) i contrasti nello stile compositivo tendono a rinforzare queste opposizioni: le intonazioni dei testi interattivi adottano tecniche declamatorie, “parlanti”, mentre quelle dei testi contemplativi sono spesso più liriche, secondo il principio che Platoff; 3) come nei duetti e nei finali comici (e diversamente dalla tarda pratica di Rossini) Mayr sviluppa normalmente la sezione conclusiva riflessiva (la stretta) invece di quella intermedia (concertato): così che, anche qui, a livello macroformale le strutture musicali sono accentate verso la fine. Di questi tratti generali, i due finali di Medea in Corinto conservano sostanzialmente solo l’ultimo: prevedono infatti una grande espansione delle strette conclusive, che danno suono e voce al fuggi fuggi generale; il primo è conseguente all’apparire dei soldati di Egeo e allo scontro tra essi e la famiglia reale di Corinto, il secondo alla confessione dell’infanticidio da parte di Medea. Gli atti chiudono così con sezioni dinamiche ed incalzanti, e non lirico-riflessive. I numeri conclusivi d’altronde sono interamente concepiti come episodi d’azione. Il primo prevede un concertato molto breve a cui si arriva progressivamente, dopo due strofe di coro cerimoniale d’apertura e una sezione dialogica. Mayr concepisce questa sezione non solo come avvicinamento al cantabile, ma come vera e propria unità drammaticomusicale
costruita con strofe parallele analogamente intonate, circolari dal punto di vista tonale (Do-Sol-Do) e dal punto di vista tematico: nella terza strofa la conclusione della melodia di PRINCIPESSA CREUSA riprende il tema d’apertura cantato ad esordio della prima di Creonte (es. 15). Chiuse in questo circolo armonico e tematico le tre strofe della famiglia reale di Corinto – GIASONE  è già stato accolto tra i suoi membri –, resta effettivamente a parte la quarta strofa, cantata a due da Medea ed Egeo: è eccentrica sia dal punto di vista tematico, perché non ha alcuna parentela con quanto precede, sia armonico, perché collocata in altro ambito tonale (Do minore-La bemolle), sia metrico, perché costruita su frasi di 5 + 5 battute invece che di 3 o 4 come nelle prime tre strofe di ottonari. La ripresa del coro cerimoniale d’apertura, prevista dal libretto, è scritta per esteso in partitura; nel prosieguo delle strofe di ottonari tra le prime parti, prescritto a cinque da Romani dopo il refrain del coro, Mayr riprende la modalità strofica: ignora insomma la 399 Prima del 1800 a Milano si preferivano Finali complessi mentre a Venezia no (e infatti la Lodoiska milanese complica un finale originariamente semplice). Dopo quell’anno, invece il Finale complesso si era affermato anche nella città lagunare. Tre dei librettisti di Mayr, Foppa Sografi Gonella, si erano affermati ben prima che Mayr cominciasse a comporre e non avevano dimostrato alcun interesse per questa forma. Sografi lo usa solo due volte su 17 libretti (le due opere per Milano strutturazione del libretto e, anziché far cantare il giuramento di fede nuziale dagli sposi uniti, lo fa ripetere a turno testualmente, sia dal punto di vista poetico che musicale, prima da GIASONE , con controcanto a parte di Medea, poi da PRINCIPESSA CREUSA e Creonte, a terze paralle, con controcanto a parte di Egeo; solo dopo che sono state così cantate le tre strofe previste da Romani, il reciproco giuramento è solennizato da una lunga sezione di 25 battute a cinque strutturata a frasi ripetute aabbcc400, che per stabilità armonica e povertà tematica suona come coda conclusiva della sezione. La ripresa del coro iniziale, questa volta non testuale e cantata in Sol maggiore, dovrebbe concludere la cerimonia se non fosse interrotta dall’intervento di Medea che rovescia l’altare e terrorizza il popolo: a Medea basta una frase di otto battute per commettere il delitto e tre frasi in costante contrazione metrica, per cantare i sei versi di minaccia (es. 16). Come si vede in queste semplici battute, nei finali di Mayr prevale una logica di tipo additivo che tende di volta in volta ad esaurire il contenuto delle singole situazioni giustapposte e a consumarne la carica drammatica senza spingere in avanti, anticipandola, l’azione. Questo vale sia per la costruzione di singole frasi sia per le principali sezioni formali: grazie alle tecniche imitative, esse sono spesso costruite per somma di pochi incise tematici principali. Il Concertato che segue questo ampio e variegato tempo d’attacco, per esempio, è diviso in due sezioni, la prima costruita sull’esposizione di un periodo di 4 + 9 battute; la seconda, invece, su una melodia di 11 battute complessive, trattata con procedimenti imitativi che combinano incisi tratti dalle due frasi della prima sezione (es. 17). Sebbene il codice formale del Finale rossiniano sembri già delineato, soprattutto per la polarità tonale impostata sul Do maggiore prevalente e il La bemolle del concertato, fra I pilastri principali della struttura tutte le sezioni hanno un assetto ben diverso da quello che si affermerà pochi anni dopo: il processo di accumulo di materiale messo in opera da Mayr privilegia di gran lunga il tempo d’attacco e la stretta, almeno per dimensioni complessive. Come si vede dallo schema, le molte sezioni in cui è articolato il tempo d’attacco necessitavano di un adeguato contrappeso a ridosso della fine dell’atto per chiudere il sipario in una situazione drammatica aperta e togliere l’illusione di stabilità imposta dalla cerimonia nuziale401: precedenti al 1800). Su tutto questo cfr. Scott L. Balthazar, Mayr Rossini, and the Development of the Early Concertato Finale -- Charles Brauner osserva giustamente come questo non sia uno schema usuale per le sezioni lente: in effetti l’intera sezione a 5 non è la sezione concertata del finale, ma solo l’amplificazione solenne del reciproco giuramento di GIASONE  e PRINCIPESSA CREUSA: Brauner definisce questa costruzione strofica con coda «cumulative strophic ensemble» (Charles Brauner, Vincenzo Bellini and the Aesthetics of Opera Seria in the First Third of the Nineteenth Century. Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio osserva che nella partitura della Donna del Lago non c’è una musica che accompagni il movimento del coro previsto dalla Coro Larghetto (Fa). C tagliato. TEMPO D’ATTACCO Moderato Do-Sol-do-Lab, C Coro Larghetto Fa, C tagliato Andante, Si bemolle ¾ Coro/Medea Allegro vivace Sol, C Medea/Coro, Allegro vivace, Mi bemolle, C CONCERTATO Andante, La bemolle, C TEMPO DI MEZZO [Andante, La bemolle-Do, C] STRETTA Allegro vivace, Do, C Il concertato è ridotto a poco più di una frase tematica sviluppata con scrittura contrappuntistica e senza forma coerente. Un rapidissimo tempo di mezzo modula e in 10 battute torna dal La bemolle del concertato al Do maggiore. La stretta conclude, infine, in una settantina di battute in Allegro vivace il Finale I: come il cantabile, anch’essa è costruita su un lungo fugato, senza articolazioni o riprese interne, elaborato su una semplice frase di dieci battute. Mentre i personaggi principali si alternano e ripetono nella massima irregolarità frammenti di questa frase iniziale, il coro insiste con regolari interventi omoritmici di due/quattro battute, dall’armonia molto regolare: garantisce così coerenza formale alla sezione ed evita che la pagina musicale si frantumi in effetti sonori dispersivi. Il procedimento lo si trovava già nella GIASONE E MEDEA  di Cherubini e lo si ritroverà ancora nella Zelmira di Rossini, sempre con effetto descrittivo del disperdersi della folla402. Il Finale I di Medea in Corinto dimostra come l’articolazione in quattro sezioni fosse stato l’approdo del vecchio duetto bipartite tardosettecentesco, dopo che erano state acquisite le articolazioni in più movimenti elaborate nell’opera comica: come nel duetto descritto da Choron e Gervasoni, I pilastri principali del numero sono infatti una serie di strofe parallele dei protagonisti e una seconda sezione a ritmo incalzante e fugata dove tutti gli attori presenti in scena cantano simultaneamente403. La funzione tutto sommato accessoria in cui Mayr relega il concertato e il tempo di mezzo è evidente anche nel Finale II dove le due sezioni intermedie sono del tutto assenti. TEMPO D’ATTACCO didascalia del libretto alla fine dell’atto I; in Medea in Corinto, invece, sebbene la musica termini con le ultime battute del coro, senza coda orchestrale, il coro stesso è in grado di reggere e scandire tutti I frenetici movimenti previsti dalla didascalia scenica di Romani. 402 Cfr. Marco Emanuele, L’ultima stagione italiana. Le forme dell’opera seria di Rossini da Napoli a Venezia. Ma l’idea del fugato come descrizione di una folla che si disperde si trovava già nelle Storie bibliche di Johann Kuhnau o nei mottetti concertati secenteschi. 403 Sull’analogia dei movimenti di apertura e chiusura dei numeri in più sezioni con gli originari movimenti bipartiti, cfr. anche Scott L. Balthazar, Mayr and the Development of the Two- Movement Aria. Allegro agitato, Do minore, C [Allegro agitato], Do maggiore-Mi bemolle-, C STRETTA Allegro vivace Re minore 6/8 Certo, le dimensioni più ridotte di questo numero rispetto al precedente si giustificano col fatto che la vera conclusione dell’opera è collocata, come spesso avviene, subito prima della scena finale, nel Rondò della prima donna404; il Finale II, conferma però che le 112 battute di fugato conclusivo servono a controbilanciare la lunga serie di strofe parallele (141 battute) che contraddistingue, qui come nel Finale I, il tempo d’attacco. Tanto questo è definito, dal punto di vista tematico e dal punto di vista drammatico, tanto l’altro è indefinito e tematicamente inconsistente: i Finali sono insomma veri drammi nel dramma, che definiscono e sviluppano situazioni diverse dei personaggi per poi liquidare le tensioni accumulate. Esistono due tipi di introduzioni: uno basato sull’uso del coro cui si aggiunge un personaggio comprimario e se ne forma un completo pezzo, sebbene secondario ne’ suoi esecutori; l’altro, l’introduzione squisita che nell’includere uno o più personaggi principali diviene un composto quadro musicale che nella gradazione delle parti tien il carattere della grande scena. Le indicazioni proposte da Ritorni sulla natura, sulla struttura e sulla funzione del numero introduttivo nell’opera in musica del primo Ottocento non calzano nel caso di Giasone e Medea in Corinto405. In essa Romani aveva chiaramente ricalcato modelli francesi tratti dal libretto che Hoffman stese per Cherubini406, eccentrici rispetto alle consuetudini italiane. Come dimostrato nell’analisi del libretto, infatti, in entrambe le Medee l’esordio prevede la principessa in ambasce d’amore accudita e consolata dal coro di damigelle che provano a rassicurarla sulla sua felice sorte. L’introduzione si configura insomma come dialogo tra coro e comprimaria, ed evita quindi sia le forme della «proemiale cerimonia» destinata a 404 Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio. Tortora osserva che, «qualunque sia l’esito del dramma, lieto o tragico … esso richiede comunque un momento forte, carico dal punto di vista drammatico, che funga da raccordo, da ‘riduttore’ tra tutto ciò che è accaduto prima (mi riferisco alle altre parti dello scioglimento) e ciò che costituisce l’ultimo gesto, perlopiù squisitamente musicale, dell’intera vicenda». È un fatto di enorme importanza nell’economia della materia drammatica all’interno dell’ultimo atto e dell’opera tutta: il momento cruciale, fondante dell’intera unità non coincide con l’ultimo numero, o meglio, con la parte terminale dell’ultimo numero, ma si situa al di qua delle battute conclusive della partitura. In altre parole il baricentro dell’atto non è spostato, come nel caso della prima unità, verso il numero conclusivo, … ma lo precede seppure di pochissimo, o semmai ne costituisce la parte iniziale». 405 Ritorni, Ammestramenti; sulla questione cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio che dà alcune indicazioni sul numero introduttivo. 406 Romani rispetta invece perfettamente le convenzioni sui numeri che seguono l’introduzione: «Dopo l’introduzione bisogna pensare alle così dette sortite de’ primari personaggi, le quali sogliono dar luogo ordinariamente a tre cavatine,precedute da breve recitativo, e più spesso ex abrupto …. Qualche volta [ed è il nostro caso] si concerta un duetto fra due primi, avantiché esca il terzo personaggio colla cavatina» (Carlo Ritorni, Ammaestramenti), ma cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio ritardare l’avvento dell’azione vera a propria, con il conseguente fasto musicale e ricchezza scenica, sia quelle del «modesto principio» invocato per «far pianamente narrare di che si tratta»407. Il trattamento del segmento introduttivo nell’opera rossiniana avrebbe previsto, accanto al contenuto parzialmente espositivo, l’inclusione di frammenti d’azione o lo svolgimento di intere sequenze dinamiche, che avrebbero sovvertito sostanzialmente l’equazione tardo settecentesca dell’introduzione come situazione statica408. Ma la tradizione testuale di Giasone e Medea in Corinto consentiva d’accostare un comprimario al coro e di avviare così l’opera con un numero musicale complesso, su un nodo affettivo cruciale, senza impegnare necessariamente la prima donna o il primo uomo. Mayr e Romani articolano allora il numero in quattro sezioni e prevedono che PRINCIPESSA CREUSA s’aggiunga all’ultima delle tre strofe del coro, così da fare del brano corale una sorta di tempo d’attacco. Cavano poi un’aria per PRINCIPESSA CREUSA, i cui due movimenti lento/veloce sono separati da un lungo tempo di mezzo dialogico. Coro e poi PRINCIPESSA CREUSA (Moderato, Fa maggiore) I (Allegretto, Fa maggiore) TEMPO DI MEZZO (Moderato, Si bemolle) STRETTA (Allegretto con moto, Fa maggiore) Parrebbe una aria in “solita forma” regolare, ma è difficile indentificare un cantabile nel primo movimento successivo al coro, vista l’indicazione ‘Allegretto’ e il ritmo propulsivo che lo caratterizza; difficile anche riconoscere nella sezione conclusiva una vera stretta, visto che si presenta piuttosto strofica col tema cantato in apertura da PRINCIPESSA CREUSA, immediatamente ripetuto da Creonte (es. 18) e amplificato poi da una lunga coda. La suddivisione in due parti dell’aria e l’ampia espansione del dialogo a strofe parallele del tempo di mezzo sono però chiaramente delineate e conciliano ottimamente esigenze espressive (l’ansia di PRINCIPESSA CREUSA), retoriche (frizzante apertura dello spettacolo e adeguato contraltare alle note tragiche dell’overture prevalentemente composta in Re minore), informative (dialoghi che spiegano la situazione del mito dalla quale muove lo spettacolo)409. 407 Carlo Ritorni, Ammaestramenti. Diverrà così uno degli ambiti privilegiati per la creazione di un momento forte, capace di dare avvio all’azione drammatica se non altro in termini di contrapposizione affettiva; frequente sarà anche l’inclusione di un personaggio che dissente, il cui sentimento non risulti omologato al clima festoso e/o funesto dello scenario circostante: cfr. Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio cit., Sulle introduzioni settecenesche, sebbene in altri àmbiti stilistici, cfr. Stefan Kunze, Per una descrizione tipologica della «introduzione» nell’opera buffa del Settecento e particolarmente nei drammi giocosi di Carlo Goldoni e Baldassare Galuppi, in Galuppiana 1985. Studi e Ricerche. Atti del Convegno internazionale (Venezia, 28-30 ottore 1985), a cura di Maria Teresa Muraro e Franco Rossi, Firenze, Olschki, 409 Philip Gossett, Gioachino Rossini and the Conventions of Composition, in «Acta Musicologica», XLII, sosteneva che l’introduzione rossiniana ha una struttura ternaria, con sezione d’apertura riservata al coro e includente uno dei personaggi comprimari, un Per il resto sono qui presenti altri criteri convenzionali delle introduzioni rossiniane: l’introduzione è tonalmente coesa; non compare la protagonista, così che il numero introduttivo resta al di qua dell’azione vera e propria; il coro, sebbene femminile e non maschile come vorrà l’uso successivo all’affermazione dello standard rossiniano410, è presente e resta in scena anche durante il recitativo successivo all’introduzione411. Quanta attrazione abbia esercitato il modello rossiniano perfino sui più autorevoli maestri della generazione appena precedente, è evidente dalla regolarizzazione che l’introduzione di Medea in Corinto subì nell’allestimento scaligero del 1823, poi adottata anche in quello al Carcano del 1829. La stretta originaria rimase intatta, ma venne circoscritta da una nuova cabaletta, con tanto di ripresa. Nei teatri milanesi l’Allegretto con moto cominciò infatti con una nuova melodia di Creonte, ‘Vederti felice d’un prode consorte’, che in 22 battute cantò una nuova lassa di otto versi, prima che PRINCIPESSA CREUSA potesse intonare il suo ‘Ah!, splenda propizio’. La vecchia stretta divenne una lunga transizione al termine della quale Creonte ripeté la cabaletta iniziale prima che tutti si siano uniti a lui nella coda conclusiva del numero. È evidente che in questo modo la voce di Creonte assunse maggior rilievo nell’economia dell’introduzione: fu d’altronde una conseguenza del nuovo assetto del numero, inteso a concedere più spazio alla voce di basso, trascurata nelle prime rappresentazioni napoletane. Anche il tempo di mezzo, infatti, venne sostituito: un Allegro dell’intero coro introdusse una cavata di Creonte (Maestoso). In 26 battute di melodia aperta il sovrano cantò i sei versi che annunciano alla principessa la vittoria di GIASONE  e il favore paterno alle sue nozze con l’eroe. movimento lento (cantabile) per la presentazione di un personaggio principale, cui fa seguito una cabaletta (terza sezione) con aggiunta di coro e di altri eventuali personaggi presenti in scena. Secondo Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio cit., già nell’opera rossiniana vi erano però trope eccezioni a questo modello per poterlo considerare standard. L’assenza di vere e proprie cabalette e la sostanziale sostituzione del cantabile con un numero propulsivo in ritmo ternario confermerebbero che almeno nel 1813 la convenzione di cui parla Gossett era ancora assai poco consolidata. 410 Anche questo spiega perché il Teatro della Società di Bergamo nel 1821 ritoccò le introduzioni per trasformare il coro da femminile a maschile. 411 Rispetto allo standard rossiniano ricostruito da Daniela Tortora, Drammaturgia del Rossini serio cit., nell’introduzione di Medea in Corinto mancano anche cavatine tenorili. Le Opere serie allestite al San Carlo di Napoli tra l’arrivo di Giuseppe Bonaparte e la caduta di Murat412 [1806]-1807 sono: Artemisia di Marcello Marchesini e Domenico Cimarosa, Il trionfo di Tomiri di Filippo Cammarano e Gaetano Andreozzi, Elisa di Gaetano Rossi e J. Simon Mayr, Climene di C. De Palma – Giuseppe Farinelli, 1807-1808, Aristodemo di Gaetano Rossi e Stefano Pavesi, Orazi e Curiazi di Antonio Simone Sografi e Domenico Cimarosa, Penelope di Giuseppe Maria Diodati e Domenico Cimarosa, I Pittagorici di Vincenzo Monti e Giovanni Paisiello, Edipo a Colono di Nicolas François Guillard (tr. G. Schmidt) e Antonio Sacchini, Trajano in Dacia di Michelangelo Prunetti e Giuseppe Niccolini, 1808-1809, Argete di ? e Francesco Gnecco, Giulietta e Romeo di Giuseppe Foppa e, Nicola Zingarelli, Giulio Sabino di Gabriele Rossetti e Giovanni Battista De Luca, La clemenza di Tito del Metastasio e Wolfgang A. Mozart, Aristodemo di Gaetano Rossi e Stefano Pavesi, 1809-1810, Annibale in Capua (missing line) Bajazet di Piovene e Giovanni Battista De Luca, Cesare in Egitto di Giovanni Schmidt e Giacomo Tritto, 1810-1811, Marco Albinio in Siria di ? e Giacomo Tritto, Adelasia e Aleramo di Foppa e J. Simon Mayr, Odoardo e Cristina di Giovanni Schmidt e Stefano Pavesi, La conquista del Messico di Luigi Romanelli e Ercole Paganini, 1811-1812, La Vestale di De Jouy-Schmidt e Gaetano Spontini, Pirro di Giovanni De Gamerra e Giovanni Paisiello, Il salto di Leucade di Mosca e Schmidt, 1812-1813, Ifigenia in Aulide di Gluck e Du Roullet-Schmidt, I Manlii di Giovanni Schmidt e Giuseppe Niccolini, Ecuba di Giovanni Schmidt e Nicola Manfroce, Zaira di ? e Vincenzo Federici, Gaulo ed Oitona di Leopoldo Fidanza e Pietro Generali, Nefte di Andrea Leone Tottola e Valentino Fioravanti, I riti d’Efeso di Gaetano Rossi e Giuseppe Farinelli, 1813-1814, Marco Curzio di Giovanni Schmidt e Luigi Capotorti, I Manlii di Giovanni Schmidt e Giuseppe Nicolini. L’elenco è tratto da Elvidio Surian, Organizzazione, gestione, politica, teatrale e repertori operistici a Napoli e in Italia, 1800-1820 cit., e dalla cronologia del San Carlo in Il Teatro di San Carlo, cit., I riti d’Efeso di Gaetano Rossi e Giuseppe Farinelli, La Vestale di de Jouy-Schmidt e Gaspare Spontini “Giasone e Medea in Corinto” di Felice Romani e J. Simon Mayr, I baccanali di Roma di Andrea Leone Tottola e Giuseppe Niccolini, Partenope di Antonio Maria Ricci e Giuseppe Farinelli, Donna Caritea di Paolo Pola e Giuseppe Farinelli, 1814-1815, “Giasone e Medea in Corinto” di Felice Romani e J. Simon Mayr I Manlii di Giovanni Schmidt e Giuseppe Nicolini, La Vestale di de Jouy-Schmidt e Gaspare Spontini, Donna Caritea di Paolo Pola e Giuseppe Farinelli, Ginevra di Scozia Gaetano Rossi e J. Simon Mayr, Alonso e Cora di P. Antonio Bernardoni e J. Simon Mayr, Sargino di Giuseppe Foppa e Ferdinando Paër La morte di Semiramide di ? e Sebastiano Nasolini. La Ricostruzione dello schema dell’opera precedente ai tagli napoletani del 1813 e cosi. Nei faldoni dell’archivio Mayr conservati alla Biblioteca civica di Bergamo si trovano diversi fogli sciolti con recitativi previsti nell’opera Medea in Corinto, che tuttavia non vennero compresi né nel libretto né nelle partiture manoscritte. Un primo documento413 indica il progetto di un trio tra GIASONE , Creonte ed Egeo; il testo del recitativo precedente venne parzialmente accolto nelle scene edite sì, ma per brevità non cantate, del libretto napoletano del 1813 (I,12): Dopo la sortita di Egeo. Subito. CREONTE Principe, tutto è pronto in pochi istanti con vincolo d’amore a me stretto sarai. GIASONE  La man di sposo a PRINCIPESSA CREUSA porgendo oggi son io doppiamente felice perché padre, o signor, dirti mi lice. CREONTE A Medea favellasti? Il suo decreto come ascoltò? GIASONE  Come ascoltar lo puote colpevol donna, che sdegnati i numi ai rimorsi fan serva. Ella mi accusa de’ suoi delitti e degli affanni suoi. Ma perché mai tu vuoi di lei parlando funestarmi, o sire, questo felice dì? CREONTE Di lei si taccia: nulla mi cal purché a partir sia presta. A PRINCIPESSA CREUSA or n’andiam, sieguimi. EGEO T’arresta. Segue scena e terzetto di GIASONE , Egeo, e Creonte, numeri del terzetto 18, 19, 20. GIASONE , Creonte. “CREONTE Principe, tutto è pronto. In poch’istanti, “ con vincolo d’amore, “ a me stretto sarai. “GIASONE  La man di sposo “ a PRINCIPESSA CREUSA porgendo, oggi son io “ doppiamente felice; “ perché padre, o signor, dirti mi lice. “CREONTE A Medea favellasti? Il suo decreto “ come sentì? “GIASONE  Vedila... (oh dio!) s’avanza. [Segue terzetto di Medea, GIASONE  e Creonte e quartetto degli stessi con Egeo, anch’esso non cantato] Al terzetto, il cui testo è ora perduto, sarebbe dovuta seguire un’altra scena tra Egeo e Medea, forse con duetto conclusivo: Dopo il terzetto EGEO Oh mio furor, né ad impedir tal nozze avrò poter? In faccia a tutti i greci soffrirò tanto oltraggio? A chi mi volgerò? MEDEA Al tuo coraggio. Siegui i miei passi. Onta comune abbiamo, comune avrem vendetta. EGEO E tu chi sei che dei torti miei osi a parte venir? MEDEA Medea son io. Ti basti il nome mio. Vieni, raduna i tuoi seguaci; all’abborrite nozze non invitati andremo. EGEO Teco son io. Piena vendetta avremo414. 413 Nell’Archivio Mayr conservato dalla Biblioteca civica di Bergamo si trovano 5 faldoni di carte relative a Medea in Corinto: 319-322, 381. Questi recitativi stanno nel faldone 322: d’ora in avanti indicherò le carte bergamasche con l’abbreviazione «Bergamo, numero faldone/numero documento al suo interno». In questo caso Bergamo, 322/6. 414 Bergamo, 322/19. Sempre a Bergamo si trova anche una lunga scena di recitativo415 che doveva preludere ad un duetto tra Medea e Creonte: i versi del recitativo sono in parte disciolti nella scena antecedente il duetto di PRINCIPESSA CREUSA e GIASONE  nel second’atto (II,6-7). Dopo l’aria di Egeo TIDEO Signor, come imponesti pronto è il naviglio che da questi lidi tragga lunge Medea. CREONTE Vanne, e l’iniqua alla partenza affretta. TIDEO Ella i tuoi cenni prevenire sembra: non fu vista mai così tranquilla e al suo destin sommessa: io temo in lei fin la sua calma istessa. GIASONE  Sì, parta all'istante: infine che spira l’aura di questo ciel io non ho pace. CREONTE Io d’imeneo la face un’altra volta estinta mirar temo, e comparir funesta l’empia dell’ara al piè. ISMENE Signor, Medea invia … MEDEA (!), PRINCIPESSA CREUSA, GIASONE  Medea che chiede? ISMENE Pria di spiegar le vele brama ottener al suo fallir perdono ed alla sposa in dono la preziosa invia veste regale che da Colco recò. Né a voi chiede del dono suo mercede, fuor che per pochi istanti al re parlar. CREONTE No, non mi venga innanti. La perfida si tenga tutti i suoi doni. ISMENE Di pentita donna puoi tu sdegnar le preci? PRINCIPESSA CREUSA Ah, cedi, o padre, non t’irritare; purché a noi s’involi, questo accordar ti piaccia lieve ad essa favor. CREONTE Ebben si faccia. Venga Medea; se te il suo dono alletta. teco, o figlia, rimanga. Ambi frattanto al domestico altar mi precedete: pronti al felice imene, raggiungerovvi in breve. Ite, ella viene. Segue Scenetta e duetto di Medea e Creonte. [Dopo l’aria di Egeo] CREONTE Amico, a te soltanto obbligo io porto della salvezza di PRINCIPESSA CREUSA. Egeo forse a noi la rapìa, se il tuo soccorso a tempo non giungea. Dimmi: vedesti cotanta audacia mai? L’empia Medea capace io non credea di sì feroce esempio, in faccia a’ numi, innanzi all’ara, al tempio. TIDEO: Tradita donna e che non osa mai? CREONTE: Finché tra noi rimane, ogni altro eccesso macchinar potria. TIDEO: Dì: la vedesti più? CREONTE: Più non la vidi. L’empia non osi comparirmi innanti. SCENA 7: PRINCIPESSA CREUSA, Creonte, Tideo PRINCIPESSA CREUSA: Padre, per poch’istanti, pria di partir, chiede Medea, placata, i suoi figli veder. CREONTE: Lo chiede invano. PRINCIPESSA CREUSA Ah! de’ misfatti suoi pentita appieno, misera!, implora pace e il tuo perdono. Di così lieve dono m’offre in mercede la gemmata vesta che di Colco recò. CREONTE Tutti si tenga la perfida i suoi doni. PRINCIPESSA CREUSA Ah! no; se m’ami, t’arrendi al suo pregar: recale i figli, e le accorda il perdon che a te richiede, la spoglia accetta, che donar concede. Dopo alquanta pausa. CREONTE Ebben, lo vuoi: si faccia. appaga il tuo desio. Sappia Medea ch’io le perdono. Addio. Parte con Tideo [segue scenetta e duetto di PRINCIPESSA CREUSA e GIASONE ]. Previsti dopo l’aria di Egeo del second’atto, questo recitativo e il seguente duetto tra Medea e Creonte dovevano interporsi fra la seconda aria di Egeo e il duetto Medea/Egeo: non è inverosimile, visto che anche nel primo atto la successione originaria dovette essere aria di Egeo, terzetto Egeo/Creonte/GIASONE  e, (probabilmente) duetto Medea/Egeo.  Un ultimo recitativo conservato a Bergamo (NOTA 416) potrebbe d’altronde confermarlo: si tratta di poche battute di Ismene, dove la confidente esprime l’ansia e il dubbio di essere diventata complice inconsapevole della vendetta di Medea, un’idea che sarà di lì a poco ripresa da Della Valle. Bergamo, 322/17. Bergamo, 322/9.ISMENE Dove corre? E qual nel suo sembiante gioia traspar feroce, or che perduta ogni speranza è in lei e gli odiati imenei compiuti sono? Qual mistero fatal cela il suo dono? O ciel! Me stessa avria forse ministra eletta di terribil vendetta? Mel predice quest’improvviso e nuovo turbamento crudele che in petto io provo. Segue scena e aria di GIASONE. Questo recitativo sembra seguire una precedente sortita di Medea furiosa. Poiché deve necessariamente seguire il duetto tra Medea e Creonte, visto che dal recitativo precedente a questo risulta che la vendetta non è ancora stata consumata, e poiché deve invece precedere la drammatica aria con coro di GIASONE  in cui si rende noto che la vendetta ha già avuto effetto, si deve presumere che tra quei due numeri Medea abbia avuto modo di esprimere adeguatamente il suo furore.  Non può averlo fatto con Creonte stesso, con il quale per logica drammatica e per tradizione testuale deve certamente essere stata remissive.  Potrebbe averlo fatto da sola, ma si dovrebbe allora contemplare una sua quarta aria solistica – oltre alla cavatina nel prim’atto, alla scena dello scongiuro e al rondo ‘Ah! che tento’ del secondo –, tre delle quali, inoltre, collocate nel second’atto.  Resta da presumere che abbia avuto modo di incontrare nuovamente Egeo e di esprimere col complice la propria furia. Proviamo a ricostruire lo schema originario dell’opera in questo modo e indichiamo con carattere grassetto i numeri soppressi: 1) Introduzione 2) Coro e cavatina di GIASONE  3) Coro e cavatina di Medea 4) Duetto Medea - GIASONE  (musico) 5) Aria di Egeo 6) Terzetto di Creonte, GIASONE  ed Egeo  7) Duetto Egeo - Medea  8) Finale I 9) Introduzione II 10) Aria dello scongiuro di Medea 11) Duetto GIASONE  e PRINCIPESSA CREUSA 12) Aria di Egeo 13) Duetto di Creonte e Medea 14) Duetto Egeo - Medea  15) Rondò di Medea 16) Finale II. In tutti i testi che ho esaminato e di cui rendo conto nel  dedicato al libretto, nel secondo incontro con Creonte Medea ha già deciso di ricorrere alla vendetta e dà fondo a tutte le sue doti dissimulatrici per tranquillizzare il sovrano e assicurarsi il successo del delitto. L’appendice non comprende le recensioni successive al 1823 che videro protagonist Giuditta Pasta.  Il numero dei testi sarebbe eccessivamente cospicuo e gran parte di essi si posson leggere nelle biografie della cantante citate nelle note al . «Il Monitore delle due Sicilie», 30.11.1813419. MEDEA IN CORINTO, melodramma tragico di G. F: Romani, rappresentato nel Real Teatro di San Carlo; musica del Maestro Mayer. Un felice successo ha ottenuto questa magistrale composizione del Signor Mayer, e creder dobbiamo che sarebbe stato più grande e compiuto se la Signora Colebrand (“Medea”) si fosse trovata perfettamente guarita da un’ostinata infreddatura, che da alcuni giorni innanzi aveale sensibilmente indebolita la voce. Uno degli argomenti più irrepugnabili, che la composizione è degna della fama cui meritatamente gode il compositore, è che i pezzi musicali sono molti, alcuni di essi si succedono senza intervallo di recitativo e che ciò non stanca né annoia gli uditori. Così di fatto deve andar la bisogna, non già quando il maestro per musicare un dramma420 va a frugare o ne’ suoi o negli altrui vecchi scartabelli, per appiccicare ad un’aria, o ad un duetto tale o tale altro pezzo di musica, che spesso è un abito di militare posto in dosso ad un vecchio e grave magistrato, ma quando il maestro ha un ricco fondo d’immaginazione, di discernimento, e di mezzi somministrati dall’arte onde i pezzi sono legittimi ed originali, e perciò si mostrano tutti con una certa fisionomia di famiglia, e con quella necessaria varietà di tratti, e di sembianza che la natura del sentimento e la qualità delle parole richiedono. Tutti adunque i pezzi di melodia sono in generale belli e dilettevoli, ma i bellissimi sono al parer nostro i due finali degli atti, e le due scene di Medea dell’atto secondo. Le diverse passioni di questa crudelissima e feroce donna sono espresse con acconce frasi di musica e con maestrevoli passaggi che dispongono l’animo ora alla compassione ora l’orrore. Forse, come abbiamo osservato, non hanno prodotto tutto il loro effetto per lo stato di voce, in cui si trova la Signora Colbrand, ma s’egli avviene, come deve naturalmente avvenire, e come di buon cuore le auguriamo, che ella ricuperi i suoi schietti armonici suoni, allora certamente assai meglio rileveranno gli scelti modi musici e la loro giudiziosa combinazione immaginata dal Signor Mayer, poiché la Colbrand oltre la felice esecuzione della musica riesce ad accompagnarla e ad avvivarla col dignitoso portamento della persona e con naturale, analoga gesticolazione. Quanto è da dolersi che oggidì il gusto, non già quello di pochi ed intelligenti amatori dell’arte ma dell’universale, sia così guasto e corrotto, che si ami più l’armonia degli strumenti, che la melodia del canto? Aver dimostrata in questa, come in altre sue opere che egli conosce i vantaggi ed i ripieghi che posson trarsi dai suoni della lingua italiana per una perfetta melodia. Ora perché adunque si abbandona anch’egli alla corrente della moda col lusso dell’istrumentazione negl’intervalli preparatorj, e perché talvolta affoga anch’egli la melodia del canto con la fragorosa armonia dell’orchestra, che lo accompagna? Forse non si va dietro le tracce degli antichi compositori italiani nell’economia degli accompagnamenti, perché al mancar di questi insigni maestri, sono ancora mancati i cantanti, e fra questi spezialmente quei che appellavansi propriamente musici? Se così è, noi ripeteremo a proposito della Medea di Mayer ciò che il sagace marchese Caracciolo scriveva al D’Alembert sull’Orfeo di Gluck. Potrebbe darsi che questo sistema di musica teatrale sia il limite di una buona musica d’opera, perché gl’italiani hanno degenerato, e dovendosi sempre più cuoprire e sostener le voci debbonsi per conseguenza far regnare gl’istrumenti sopra esse. 419 Cambierà poi titolo in «Giornale delle due Sicilie», e sotto tale titolo è schedato alla Biblioteca Nazionale di Napoli, sotto l’indicazione B Prov. Per. 179. 420 «La voce musicare è registrata nel Vocabolario della Crusca per cantare in musica, ma il Machiavelli l’ha usata ancora per mettere in musica; ecco le sue parole. “Noi abbiamo fato cinque canzoni nuove … e si sono musicate per cantarle tra gli atti” ecc. Neppure il diligentissimo Alberti ha notato questa voce nel suo gran Dizionario» (nota originale). Nel Duetto del Primo Atto, nel Finale, ed altri Pezzi Cantabili Del Secondo si sono pure distinti il signor Nozzari e la Signora Pontiggia – questi per la maestria del canto e l’arte di ben condurlo, e questa per il non comune pregio di una distinta e Chiara sillabazione, per una voce grata ed estesa, e le fondate speranze che ella dà di riuscire una delle migliori cantanti d’Italia, spezialmente se ella si studia di formarsi ad una azione più disinvolta ed espressiva. Diciamo qualche cosa del libretto. Quanto allo stile non differisce dagli altri di simil genere, ma nella seconda parte nelle espressioni di Medea vi è qualcosa di bene immaginato per la proprietà del personaggio e per suggerire buoni e varj modi musicali all’avveduto maestro. Non si sa per altro perché l’autore abbia introdotto quella parte parassita d’Egeo, che potendo fare un’azione da se stessa distrae gli animi dalla principale azione. Il Signor Garzia l’eseguisce benissimo, ma nessuno potrà figurarsi che il padre di Teseo si ponesse in attitudini sì ricercate e leggiadre e cantasse mollemente. Questo eroe arriva a Corinto con una forte armata, e nessuno de’ Corinti se n’è accorto, onde in tal guisa può agevolmente disturbare le nozze di GIASONE  con PRINCIPESSA CREUSA. Ma queste ed alter considerazioni sono superflue, ed inutili. La musica è originale e di buon genere. Lo spettacolo è magnifico e ben decorato secondo il consueto, ed è suscettivo di maggior effetto in proporzione che la Signora Colbrand riacquisterà la sua voce. 15 dicembre 1813, p. 3 Real Teatro di San Carlo. Medea in Corinto – La Colonia Quanto più si ascolta con attenzione questa musica del maestro Mayer, tante più sono le bellezze intellettuali di composizione che gl’intelligenti vanno scuoprendo, ne’ diversi pezzi, già da noi un’altra volta notati, come pezzi d’effetto sia per le frasi felici e veramente conformi all’idea delle cose, come per la loro originalità per la loro varietà e per la dottrina musicale che traluce da per tutto. La composizione potrebbe dirsi del buon genere gluckiano di quel genere cioè che i profondi conoscitori e gli apprezzatori della musica antica, appellavano il migliore e il più conveniente avuto riguardo ai continui cangiamenti a cui vanno soggette tutte le cose umane. Invano sperano coloro che furono dotati dalla natura di felice e ben costrutto orecchio d’uscire dal teatro canterellando e ripetendo qualche aria o qualche duetto: i passaggi, le frasi e la loro costruzione sono sì varj e sì difficili che la memoria ed il gusto più squisito non giunge mai ad afferrarli con sufficiente precisione. Vi sono certamente due specie di musica, una cioè che occupa lo spirito e la mente, e l’altra che muove ed agita il cuore. La prima sembra regnare nell’opera del Signor Mayer, ma non debbe dirsi affatto priva della seconda, come per esempio nel duetto del secondo atto fra GIASONE  e PRINCIPESSA CREUSA e sopra tutto nella scena di Medea co’ figli. A noi pare che le magistrali moderne composizioni per rispetto al genere musicale stiano a quelle dei Sacchini, dei Pergolesi, dei Paisiello come per rispetto alle teatrali rappresentazioni di dolci e facili drammi del Metastasio alle studiate e severe tragedie dell’Alfieri. Ed è ben vero che queste nel loro genere sono ottime, o si accostano all’ottimo, ma vi ha molto da dubitare che il passaggio da un genere all’altro nelle composizioni musicali abbia migliorato l’altre ed i suoi effetti, come nelle drammatiche . Le bellezze d’invenzione ne’ modi musicali, nel primo genere, sono, a parer nostro, sensibili nella scena V dell’atto II, nella quale Medea evoca le ombre infernali, per ammaliare la veste destinata in funesto dono alla rivale. Non crederemo quasi che possa farsi una musica più esprimente il soggetto, né più analoga alle parole della maga, ed alla qualità del coro che risponde, e non solo questo coro, che per se stesso è bene immaginato, ma ancora li altri sono stati lavorati con tant’ arte che fa sentire una certa melodia ed impedisce le ordinarie stonature dei Coristi. Noi finiremo questo breve articolo con l’osservare una cattiva conseguenza che nasce dal troppo numero di pezzi cantabili che sogliono introdursi nelle opere moderne, ed è che quando si succedono senza interruzione una sera dopo l’altra i cantanti si trovano spossati di voce e di forze; il che diminuisce d’assai l’azione e l’effetto del canto. Nell’antico sistema non si avevano tanti pezzi concertati, tante arie, e tanti duetti, terzetti ecc. né il canto era così complicato e difficile onde potersi mettere in iscena un’opera per tre o quattro sere consecutive senza alcuno inconveniente. Noi crediamo di dover ascrivere a questa causa il sensibile indebolimento di alcune voci nella rappresentazione della scorsa sera di domenica, poiché la stessa opera della Medea era stata ancora cantata nella sera precedente del sabato… «Giornaletto teatrale ragionato», LXXVII, Milano, I. R. Teatro alla Scala. Medea – Musica di Mayr. A primo aspetto si direbbe che il più odioso carattere e l’evento più orribile sono suggetti esclusi dalla tragedia medesima, semprecché non sia quella che rappresentasi dinanzi ai figli del Tamigi, tanto più accetta quant’è più truce. Cionnondimeno i francesi ne han quattro e perfino tre drammi in musica (Autori delle quattro tragedie sono Jean de la Peruse, Binet, Corneille e Longepierre -- autori dei drammi Tommaso Corneille, l’abate Pellegrin, ed Hofman; la musica di quest’ultimo è lavoro di Cherubini. [Nota a pie’ di pagina originale]) -- La maga Medea trinciando a brani il fratello, per agevolare all’amante il conquisto del Vello d’oro; facendo triturare le membra d’un vecchio padre da credule figliuole, che fidano di restituirlo per tal’opera in giovinezza; o trasvolata nella reggia di Creonte per pugnalare i nati dal seno di lei, dopo avere indossato a PRINCIPESSA CREUSA una veste non meno fatale del sanbenito; la maga Medea non parve a’ poeti d’Italia argomento di scena, e meno ancora da melodramma, prima che un valoroso compositore persuaso con Beaumarchais «che quanto è buono da dire, può esser buono da cantare» , le avesse prestato il sostegno di una musica sapientissima, e Mayr riuscì nell’impresa. -- Del resto, prescindendo dall’atrocità del suggetto, poiché quel di Medea combina eloquenza di affettuosi sentimenti, di esacerbate passioni, la reppresentanza di misterj magici, e una ceremonia nuziale, ha tutto ciò che serba l’impronta d’un carattere grandioso e di contrasti che favoreggiano il riparto e il colorito d’una splendida composizione. -- Infatti questa musica di Mayr è si pregevole che si risguarda come uno di que’ lampi di luce che balenò allorquando il vero gusto cominciava a trovarsi alle prese col falso, e mantiene il suo splendore anche fra gli odierni trionfi di questo, essendo che la forza drammatica vi si combina colle dolcezze del canto, e sovente in modo originale. -- Questo dramma fu nello scorso gennaio cantato dagl’italiani in Parigi , e que’ fogli ne parlarono con lode e senza passioni. Uno, fra gli altri, definì la musica da perfetto intelligente, né sapremo in miglior modo annunziare, a questo proposito, l’opinion nostra, che facendone interpreti le sue stesse parole. -- La sinfonia di Medea è gradevole; ma senza carattere deciso e senza unità. L’introduzione e il principio dell’allegro annunzierebbero bastevolmente bene il suggetto, se la gravità dei motivi, l’agitazione anzi la veemenza dello strumentale, rispondessero quinci a questo principio. Il maestro non mantiene ciò che parea promettere. Odonsi a solo istromenti da fiato nel mezzo della sinfonia scritta in re minore. Dopo il gran riposo in fa, Mayr modula in toni troppo lontani dal punto dond’è partito. Il ripiglio del motive principale non è felice per esser troppo rapida la transizione; e pare che il maestro non si tragga con bastevol destrezza dal passo difficile ov’erasi volontariamente inoltrato. Questa sinfonia sarebbe più da opera semiseria che da opera tragica. Nell’introduzione è assai bello il coro; la cavatina di GIASONE  non è di effetto sicura; ma Medea appare, e la musica s’ingigantisce come il personaggio che inspira. Se il duetto con GIASONE  avesse un più vivace andamento sarebbe inattaccabile. La scena della nuzial ceremonia è magnifica. Il cantico religioso seguito dall’invocazione cantata da PRINCIPESSA CREUSA, da GIASONE  e da Creonte, e a cui s’uniscono le minacce di Medea e di Egeo, un coro generale, ed una perorazione splendida, calda ed attraente compongono questo pezzo che piacerà mai sempre ad ogni amatore, e che gli intelligenti, oltre a ciò, terranno mai sempre in gran conto. Nella scena in cui Medea apparisce coi proprj figli, Mayr fu maggior di se stesso. Il corno inglese mesce I suoi lugubri suoni agli accenti d’un dolore acerbissimo e concentrato, che nello scoppiare dovea riuscir sì funesto. -- Se il finale dell’atto primo è veramente grandioso, quel del secondo è pregiudicato in parte dalle combinazioni calcolate per l’effetto materiale; il tuono, il balenare, il fragore de’ fuochi artificiali impediscono all’uditore il giudicar del merito di questa parte della composizione. Per altro l’occhio segue Medea negli spazj dell’aria ed è abbagliato dalla luce; i tromboni vanno a gara col tuono nel fragore, l’orchestra mena uno strepito d’inferno, i coristi van modulando a gola aperta, il sipario cala, e il pubblico è soddisfatto. Tanti pregi riuniti in una composizione, già nota in Italia e fuori, per i ripetuti felici successi che ottenne e annoverata fra le poche moderne che possono per molti conti server di esemplare, giustificano la scelta che se ne fece tra noi, onde produrla come terzo spettacolo nella corrente stagione; essendo il più delle volte assai miglior consiglio l’aver ricorso a spettacoli già esperimentati, che avventurare i diletti del pubblico ai rischi d’una novità. Aggiungasi a ciò che la Medea di Mayr da lunghissimo tempo non erasi udita in Milano; e che in Parigi, ove dopo una guerra a morte al genere musicale dominante sì seducente ad un tempo e sì contrario ai principj della grande scuola, i partiti si composero, aggiudicando un’effimera corona a quest’ultimo, la Medea risvegliò l’antico amore dell’arte, e ottenne l’onor del trionfo, in cui ebbe singolar parte il canto e l’azione della Pasta nostra concittadina, non che degli altri suoi valenti compagni. -- Questo saggio poteva confermare nel proponimento di rimettere sulle nostre scene una composizione sì distinta; e quantunque l’esito nella totalità non sembra aver corrisposto all’idea che se n’era concepita, cionnondimeno non è da dire, che siasi conosciuto il merito di Mayr. – Altronde se l’importanza di tante parti principali ch’entrano nel dramma, non sembra proporzionata ai mezzi di alcuni degli attuali cantanti, non è da dire che la signora Belloc non vesta il carattere di feroce consorte e di madre atroce con quella forza che si addice a sì difficile personaggio; e non combini i più disperati contrasti con un artificio di mosse e di modulazioni, che non è sì facile per chi non abbia quelle doti ch’ella possiede, quell’uso della scena che la distingue e quello zelo con che si adopera mai sempre nel disimpegno delle sue parti. -- Se quella di Lablache, quantunque primaria in diritto, non fosse pel fatto secondaria, e se la bella voce di lui si combinasse in maggior numero di pezzi colla voce della prima donna, la musica dal lato dell’esecuzione acquisterebbe in forza e in effetto. Cionnodimeno nessuno potrà negare che il finale dell’atto primo singolarmente, e la grande scena di Medea, l’uno dalla totalità degli attori, l’altro dalla signora Belloc, non traggano quella luce, la quale è bastevole a giustificare anche al presente il posto assegnato alla composizione di Mayr. Carteggi relativi all’allestimento di Medea in Corinto promosso dalla Accademia Filarmonica Romana Sessione del Consiglio de’ 3 Agosto 1824 Il Sig.r Presidente ha comunicato l’atto del Congresso di Musica tenuto il due corrente in cui propone al Consiglio per il Saggio Pubblico di Settembre prossimo il Tancredi di Rossini, e la Medea di Maïr. Il Consiglio ha scelto questo a pieni voti, ed ha raccomandato al Sig. Presidente, che nel parteciparlo al Congresso, lo faccia ricredere delle false supposizioni, che si leggono nell’atto suddetto. Sig.r Direttore della Musica, 4 agosto 1824. Si è letto nella sessione del Consiglio di jeri l’atto del Congresso di Musica del giorno antecedente e rimesso in copia dall’Archivista del Segretario. Il Consiglio, sapendo di non aver fatto alcun atto per proporre al Congresso l’esecuzione della Medea di Maïr, né di aver asserito che questo spartito non fosse in Roma reperibile, è rimasto sorpreso come il Congresso abbia potuto supporlo. Ha gradito però che ad onta di questa intelligenza, siasi il Congresso deciso a presentargli la detta musica e ne ha decretato l’esecuzione per il venturo settembre a precedenza dell’altro proposto spartito. Ha ordinato il Consiglio in proposito de’ destinati Esecutori che siano subito interpellati, quindi avvenendo che qualcuno chiedesse di esser dispensato, né darà immediatamente avviso a V. S. ill.ma o al Sig. Direttore dell’Orchestra, secondo che trattisi di Cantanti o suonatori. Si è avvertito che il Sig. Viviani, dovendo sostenere la parte di Egeo, non potrebbe supplire per il Sig. Moroni in quella di GIASONE ! Forse però sarà incorso errore nella copia dell’atto. Mancando inoltre gli esecutori de’ parti di Tideo e Ismene, su questi due articoli la prego trasmettermi i suoi riscontri. Passando alla proposta delle due musiche per novembre . 7 Agosto 1824. Eccellenza, Incaricato dal Congresso di Musica del carteggio circa l’affare della Medea, mi faccio lecito presentarle alcune mie riflessioni che la prego di partecipare al Consiglio. Non mi sembra che il Congresso abbia a torto supposto che il Consiglio volesse arrogarsi alcuno de’ suoi diritti. Quali sono questi lo scegliere le opere da eseguirsi, ordinare le copie, distribuire le parti. Non sembra che possa esservi altro oggetto nell’acquisto di una opera fuori che la volontà di eseguirla, dunque il Consiglio nell’acquistare, anzi nell’ordinare la copia della Medea, ha scelto Medea per una delle opere da eseguirsi in qualche epoca dall’Accademia Filarmonica, diritto che sarà del Congresso finché esisteranno i Statuti dell’Accademia. Non basta: ne ha ordinata la copia delle parti. A quale oggetto questa ordinazione se non per la pronta esecuzione dello spartito la quale appartiene solo al Congresso di stabilire? Di più il Consiglio ha offerte ad alcuno degli Accademici le parti da sostenersi: non si propone una parte in un opera senza la certezza della di lei esecuzione, e come ottenere quella certezza senza un decreto del Congresso? Poteva però dopo tali passi il Consiglio essere certo che il Congresso di musica, nemico delle questioni, per un riguardo al Consiglio, ed all’impegno da esso contratto con i soci destinati all’esecuzione delle principali parti e per un giusto riflesso d’economia, primo sostegno dell’Accademia, avrebbe scelto l’opera già copiata e di cui già sapeva essersi destinate le parti. Poteva è vero il Congresso escluderla valendosi de’ suoi dritti ma questo non sarebbe stato un cooperare al bene dell’Accademia scopo cui dovrebbe principalmente tendere ogni Socio. Spero che questi riflessi giustificati da fatti, se non da scritti, faranno comparire non vana la supposizione del Congresso che desidera peraltro impor fine ad una tal questione, e mantenere col Consiglio la più grande intelligenza. La parte di Evandro, può essere unita a quella di Tideo non essendo che due confidenti che non s’incontrano a cantare insieme. Per quella d’Ismene, si potria interpellare alcuna delle coriste essendo parte di nessuna entità e perciò da non accettarsi facilmente. Il supplemento a GIASONE  credo anch’io che sia equivoco da destinato a Viviani, lo potrebbe far Compagnoni [?]. Niuna difficoltà circa il Sig. Avv. Cecconi, tanto più se canta, o ha cantato il tenore, Sono etc. Domenico Capraia Sessione del Consiglio del 13 agosto 1824 Letto dal Segretario il Biglietto scritto dal Presidente al Direttore della Musica coerentemente all’art. 3 della precedente Sessione, e la risposta di esso Direttore, il Consiglio sebbene non soddisfatto del contenuto di questo ha deciso di non farsi replica, ma che si sia conservato con inserirsi una Nota di osservazione secondo la mente spiegata.

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