Grice e Pascoli: decadenza divina – l’implicatura
conversazionale -- filosofia italiana – Luigi Speranza (San
Mauro di Romagna). Filosofo italiano. Considerato il maggior filosofo decadente,
nonostante la sua formazione principalmente positivistica. Dal
Fanciullino, articolo programmatico, emerge una concezione intima e interiore
del sentimento poetico, orientato alla valorizzazione del particolare e del
quotidiano, e al recupero di una dimensione infantile e quasi primitiva.
D'altra parte, solo il poeta può esprimere la voce del "fanciullino"
presente in ognuno: quest'idea consente a Pascoli di rivendicare per sé il
ruolo, per certi versi ormai anacronistico, di "poeta vate", e di
ribadire allo stesso tempo l'utilità morale (specialmente consolatoria) e
civile della poesia. Egli, pur non partecipando attivamente ad alcun
movimento letterario dell'epoca, né mostrando particolare propensione verso la
poesia europea contemporanea (al contrario di D'Annunzio), manifesta nella
propria produzione tendenze prevalentemente spiritualistiche e idealistiche,
tipiche della cultura di fine secolo segnata dal progressivo esaurirsi del
positivismo. Complessivamente la sua opera appare percorsa da una tensione
costante tra la vecchia tradizione classicista ereditata da Carducci e le nuove
tematiche decadenti. Risulta infatti difficile comprendere il vero significato
delle sue opere più importanti, se si ignorano i dolorosi e tormentosi
presupposti biografici e psicologici che egli stesso ri-organizzò per tutta la
vita, in modo ossessivo, come sistema semantico di base del proprio mondo
poetico e artistico. Nacque in provincia di Forlì all'interno di una
famiglia benestante, quarto dei dieci figli due dei quali morti molto piccolo
di Ruggero P., amministratore della tenuta La Torre della famiglia dei principi
Torlonia, e di Caterina Vincenzi Alloccatelli. I suoi familiari lo chiamano
affettuosamente Zvanì. Il padre e assassinato con una fucilata, sul proprio
calesse, mentre tornava a casa da Cesena. Le ragioni del delitto, forse di
natura politica o forse dovute a contrasti di lavoro, non sono mai chiarite e i
responsabili rimasero ignoti. Nonostante tre processi celebrati e nonostante la
famiglia ha forti sospetti sull'identità dell'assassino, come traspare
evidentemente ne “La cavalla storna”. Il probabile mandante e infatti Pietro
Cacciaguerra (al quale fa riferimento, senza nominarlo, nella lirica Tra San
Mauro e Savignano, possidente ed esperto fattore da bestiame, che divenne
successivamente agente per conto del principe, co-adiuvando l'amministratore A.
Petri, sub-entrato al padre dopo il delitto. I due sicari, i cui nomi correvano
di bocca in bocca in paese, sono L. Pagliarani detto Bigéca, fervente
repubblicano, e M. Dellarocca, probabilmente fomentati dal presunto
mandante. Sempre da lui venne scritta una poesia in ricordo della notte
dell'assassinio del padre, X agosto, la notte di San Lorenzo, la stessa notte
in cui morì il padre. Sull'intricatissima vicenda del delitto Pascoli è
stato pubblicato il saggio “Omicidio Pascoli”. Il complotto frutto di ricerche
negli archivi locali e che, oltre a pubblicare documentazione inedita, formula
l'ipotesi di uncomplotto perpetrato ai danni dell'amministratore Pascoli. Il
trauma lascia segni profondi nel poeta. La famiglia comincia a perdere
gradualmente il proprio stato economico e successivamente a subire una serie
impressionante di lutti, disgregandosi: costretti a lasciare la tenuta, l'anno
successivo morirono la sorella Margherita di tifo, e la madre per un attacco
cardiaco (di "crepacuore", si disse), il fratello Luigi, colpito da meningite, e il
fratello maggiore Giacomo, di tifo. Da recenti studi anche il fratello
maggiore, che aveva tentato inutilmente di ricostituire il nucleo familiare a
Rimini, potrebbe essere stato assassinato, forse avvelenato. Giacomo infatti
nell'anno in cui morì ricopriva la carica di assessore comunale e pare
conoscesse personalmente coloro che avevano partecipato al complotto per
uccidere il padre, oltre al fatto che i giovani fratelli Pascoli (in
particolare Raffaele e Giovanni) si erano avvici tal punto alla verità sul
delitto da essere minacciati di morte. Le due sorelle Ida e Maria andarono
a studiare nel collegio del convento delle monache agostiniane, a Sogliano al
Rubicone, dove viveva Rita Vincenzi, sorella della madre Caterina e dove
rimasero dieci anni: nel 1882, uscite di convento, Ida e Maria chiesero aiuto
al fratello Giovanni, che dopo la laurea insegnava al liceo Duni di Matera,
chiedendogli di vivere con lui, facendo leva sul senso di dovere e di colpa di
Giovanni, il quale durante i 9 anni universitari non si era più occupato delle
sorelle. Nella biografia scritta dalla sorella Maria, Lungo la vita di Giovanni
Pascoli, il futuro poeta è presentato come un ragazzo solidoe vivace, il cui
carattere non è stato alterato dalle disgrazie; per anni, infatti, le sue
reazioni parvero essere volitive e tenaci, nell'impegno a terminare il liceo e
a cercare i mezzi per proseguire gli studi universitari, nonché nel puntiglio,
sempre frustrato, nel ricercare e perseguire l'assassino del padre. Questo
desiderio di giustizia non sarà mai voglia di vendetta, e Pascoli si pronuncerà
sempre contro la pena di morte e contro l'ergastolo, per motivi principalmente
umanitari. Dopo la morte del fratello Luigi avvenuta per meningite dovette
lasciare il collegio Raffaello dei padri Scolopi di Urbino. Si trasferì a
Rimini, per frequentare il liceo classico Giulio Cesare. Gunse a Rimini assieme
ai suoi cinque fratelli: Giacomo, Raffaele, Alessandro Giuseppe, Ida, Maria (6,
chiamata affettuosamente Mariù. L'appartamento, già scelto da Giacomo ed
arredato con lettini di ferro e di legno, e con mobili di casa nostra, era in
uno stabile interno di via San Simone, e si componeva del pianterreno e del
primo piano», scrive Mariù: «La vita che si conduceva a Rimini… era di una
economia che appena consentiva il puro necessario». Pascoli terminò infine gli
studi liceali a Cesena dopo aver frequentato il ginnasio ed il liceo al
prestigioso Liceo Dante di Firenze, ed aver fallito l'esame di licenza a causa
delle materie scientifiche. Grazie ad una borsa di studio di 600 lire (che
poi perse per aver partecipato ad una manifestazione studentesca) ssi iscrisse
all'Bologna, dove ebbe come docenti G. Carducci e G. Gandino, e diventò amico
del poeta e critico S.Ferrari. Conosciuto A. Costa e avvicinatosi al movimento
anarco-socialista, comincia, a tenere comizi a Forlì e a Cesena. Durante una
manifestazione socialista a Bologna, dopo l'attentato fallito dell'anarchico
lucano G. Passannante ai danni del re Umberto I, lesse pubblicamente un proprio
sonetto dal presunto titolo Ode a Passannante. L'ode venne subito dopo
strappata (probabilmente per timore di essere arrestato o forse pentito,
pensando all'assassinio del padre. Dessa si conoscono solamente gli ultimi due
versi tramandati oralmente. Colla berretta d'un cuoco, faremo una bandiera. La
paternità del componimento e oggetto di controversie. Sia la sorella Maria sia
lo studioso P. Bianconi negano che avesse scritto tale ode. Bianconi la define la
più celebre e citata delle poesie inesistenti della letteratura italiana. Benché
non vi sia alcuna prova tangibile sull'esistenza dell'opera, G. Lolli,
segretario della federazione socialista di Bologna e il suo amico, dichiara di
aver assistito alla lettura e attribue a lui la realizzazione della lirica. Arrestato
per aver partecipato ad una protesta contro la condanna di alcuni anarchici, i
quali erano stati a loro volta imprigionati per i disordini generati dalla
condanna di Passannante. Durante il loro processo urla. Se questi sono i
malfattori, evviva i malfattori! Dopo poco più di cento giorni, esclusa la
maggiore gravità del reato, con sentenza, la Corte d'Appello rinvia gli
imputati P. e U. Corradinidavanti al Tribunale. Il processo, in cui Pascoli era
difeso dall'avvocato Barbanti, ha luogo, chiamato a testimone anche Carducci
che invia una sua dichiarazione. Non ha capacità a delinquere in relazione ai
fatti denunciati. Viene assolto ma attraversa un periodo difficile. Medita il
suicidio ma il pensiero della madre defunta lo fa desistere, come dirà nella
poesia La voce. Alla fine riprende gli studi con impegno. Nonostante le
simpatie verso il movimento anarco-socialista, quando Umberto I venne ucciso da
un altro anarchico, G. Bresci, Pascoli rimase amareggiato dall'accaduto e
compose la poesia Al Re Umberto. Abbandona la militanza politica, mantenendo un
socialismo umanitario che incoraggiasse l'impegno verso i deboli e la concordia
universale tra gli uomini, argomento di alcune liriche: «Pace, fratelli!
e fate che le braccia ch'ora o poi tenderete ai più vicini, non sappiano la
lotta e la minaccia.» (I due fanciulli). Dopo la laurea con una tesi su
Alceo, P. intraprese la carriera di insegnante di latino e greco nei licei di
Matera e di Massa. Dopo le vicissitudini e i lutti, aveva finalmente ritrovato
la gioia di vivere e di credere nel futuro. Ecco cosa scrive all'indomani della
laurea da Argenta: "Il prossimo ottobre andrò professore, ma non so
ancora dove: forse lontano; ma che importa? Tutto il mondo è paese ed io ho
risoluto di trovar bella la vita e piacevole il mio destino". Su
richiesta delle sorelle Ida e Maria, nel convento di Sogliano, riformula il
proprio progetto di vita, sentendosi in colpa per avere abbandonato le sorelle
negli anni universitari. Ecco a tale proposito una lettera di Giovanni scritta
da Argenta, il quale, ripreso dalle sorelle per averle abbandonate, così
risponde: "Povere bambine! Sotto ogni parola di quella vostra
lettera così tenera, io leggevo un rimprovero per me, io intravedevo una
lagrima!." E ancora da Matera il poeta scrive. Amate voi me, che ero
lontano e parevo indifferente, mentre voi vivevate nell'ombra del chiostro. Amate
voi me, che sono accorso a voi soltanto quando escivate dal convento raggianti
di mite contentezza, m'amate almeno come le gentili compagne delle vostre gioie
e consolatrici dei vostri dolori? Iniziato
alla massoneria, presso la loggia "Rizzoli" di Bologna. Il testamento
massonico autografo del Pascoli, a forma di triangolo (il triangolo è un
simbolo massonico), è stato rinvenuto. Insegna a Livorno al Ginnasio-Liceo
"Guerrazzi e Niccolini", nel cui archivio si trovano ancora lettere e
appunti scritti di suo pugno. Inizia la collaborazione con la rivista Vita
nuova, su cui uscirono le prime poesie di Myricae, raccolta che continuò a
rinnovarsi in cinque edizioni. Con le sorelle Ida e Maria Vinse inoltre per ben
tredici volte la medaglia d'oro al Concorso di poesia latina di Amsterdam, col
poemetto Veianus e coi successivi Carmina. E chiamato a Roma per collaborare
con il Ministero della pubblica istruzione. Nella capitale fece la conoscenza
di A. Bosis, che lo invitò a collaborare alla rivista Convito (dove
sarebbero infatti apparsi alcuni tra i componimenti più tardi riuniti nel
volume Poemi conviviali), e di Annunzio, il quale lo stima, anche se il
rapporto tra i due filosofi e sempre complesso. G. Bernardo, a capo del
Grande Oriente d'Italia, esplicitamente dichiara l'appartenenza di P. e
Carducci alla massoneria, per un certo periodo nelle logge. Il nido di
Castelvecchio «La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera» (Giovanni Pascoli, La mia sera, Canti di Castelvecchio)
Divenuto professore universitario e costretto dalla sua professione a lavorare
in più città (Bologna, Messina e Pisa), non si radicò mai in esse,
preoccupandosi sempre di garantirsi una via di fuga verso il proprio mondo di
origine, quello agreste. Tuttavia il punto di arrivo sarebbe stato sul versante
appenninico opposto a quello da cui proveniva la sua famiglia. Infatti si
trasferì con la sorella Maria nella Media Valle del Serchio nel piccolo borgo
di Castelvecchio nel comune di Barga, in una casa che divenne la sua residenza
stabile quando (impegnando anche alcune medaglie d'oro vinte al Concorso
di poesia latina di Amsterdam) poté acquistarla. Dopo il matrimonio della
sorella Ida con il romagnolo S. Berti,
matrimonio che il poeta aveva contemplato e seguito i vivrà in seguito alcuni
mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi
confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito,
vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia
latina di Amsterdam poté acquistarla. Dopo il matrimonio della sorella
Ida con S. Berti, matrimonio che contempla e seguito vivrà in seguito alcuni
mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida nei suoi
confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del marito,
vivendo la cosa come una profonda ferita dopo vinte al Concorso di poesia
latina di Amsterdam) poté acquistarla. Dopo il matrimonio della sorella
Ida con il romagnolo Sa. Berti, matrimonio che contempl e seguito P. vivrà in
seguito alcuni mesi di grande sofferenza per l'indifferenza della sorella Ida
nei suoi confronti e le continue richieste economiche da parte di lei e del
marito, vivendo la cosa come una profonda ferita dopo anni di sacrifici e
dedizione alle sorelle, a causa delle qualia causa delle quali ha di fatto più
volte rinunciato all'amore. A tale proposito, una vinte al Concorso di poesia
latina di Amsterdam) poté acquistarla. Dopo il matrimonio della sorella
Ida con il romagnolo S. Berti, matrimonio che il poeta aveva contemplato e
seguito sin vivrà in seguito alcuni mesi di grande sofferenza per
l'indifferenza della sorella Ida nei suoi confronti e le continue richieste
economiche da parte di lei e del marito, vivendo la cosa come una profonda
ferita dopo mostra dedicata agli "Amori di Zvanì" e allestita dalla Casa
Pascoli nel, getta luce sulle sue vicende amorose inedite, chiarendo finalmente
il suo desiderio più volte manifestato di crearsi una propria famiglia. Molti
particolari della vita personale, emersi dalle lettere private,
furono taciuti dalla celebre biografia scritta da M. P., poiché giudicati
da lei sconvenienti o non conosciuti. Il fidanzamento con la cugina
Imelde Morri di Rimini, all'indomani delle nozze di Ida, organizzato
all'insaputa di Mariù, dimostra infatti il suo reale intento. Di fronte alla
disperazione di Mariù, che non avrebbe mai accettato di sposarsi, né
l'ingerenza di un'altra donna in casa sua, ancora una volta rinuncerà al
proposito di vita coniugale. Si può affermare che la vita moderna della
città non entrò mai, neppure come antitesi, come contrapposizione polemica,
nella sua poesia. In un certo senso, non uscì mai dal suo mondo, che costituì,
in tutta la sua produzione letteraria, l'unico grande tema, una specie di
microcosmo chiuso su sé stesso, come se ha bisogno di difenderlo da un
minaccioso disordine esterno, peraltro sempre innominato e oscuro, privo di
riferimenti e di identità, come lo era stato l'assassino di suo padre. Sul
tormentato rapporto con le sorelle il nido familiare che ben presto divenne
tutto il mondo della sua poesia. Scrive parole di estrema chiarezza il poeta
Mario Luzi. Di fatto si determina nei tre che la disgrazia ha diviso e
ricongiunto una sorta di infatuazione e mistificazione infantili, alle
quali Ida è connivente solo in parte. Si tratta in ogni caso di una vera e
propria regressione al mondo degli affetti e dei sensi, anteriore alla
responsabilità; al mondo da cui era stato sbalzato violentemente e troppo
presto. Possiamo notare due movimenti concorrenti: uno, quasi paterno, che gli
suggerisce di ricostruire con fatica e pietà il nido edificato dai genitori; di
investirsi della parte del padre, di imitarlo. Un altro, di ben diversa
natura, gli suggerisce invece di chiudersi là dentro con le piccole sorelle che
meglio gli garantiscono il regresso all'infanzia, escludendo di fatto, talvolta
con durezza, gli altri fratelli. In pratica difende il nido con sacrificio, ma
anche lo oppone con voluttà a tutto il resto. Non è solo il suo
ricovero ma anche la sua misura del mondo. Tutto ciò che tende a
strapparlo di lì in qualche misura lo ferisce; altre dimensioni della realtà
non gli riescono, positivamente, accettabili. Per renderlo più sicuro e
profondo lo sposta dalla città, lo colloca tra i monti della Media Valle del
Serchio dove può, oltre tutto, mimetizzarsi con la natura.» ([M. Luzi])
In particolare si fecero difficili i rapporti con Giuseppe, che mise più volte
in imbarazzo Giovanni a Bologna, ubriacandosi continuamente in pubblico nelle
osterie, e con il marito di Ida, il quale
dopo aver ricevuto in prestito dei soldi da lui, partì per l'America
lasciando in Italia la moglie e le tre figlie. Le trasformazioni politiche
e sociali che agitavano gli anni di fine secolo e preludevano alla catastrofe
bellica europea, gli gettarono progressivamente, già emotivamente provato
dall'ulteriore fallimento del suo tentativo di ricostruzione familiare, in una
condizione di insicurezza e pessimismo ancora più marcati, che lo conduceno in
una fase di depressione e nel baratro dell'alcolismo. Abusa di vino e cognac,
come riferisce anche nelle lettere. Le uniche consolazioni sono la poesia, e il
suo nido di Castelvecchio, dopo la perdita della fede trascendente, cercata e
avvertita comunque nel senso del mistero universale, in una sorta di
agnosticismo mistico, come testimonia una missiva a G. Semeria. Io penso molto
all'oscuro problema che resta. Oscuro. La fiaccola che lo rischiara è in mano
della nostra sorella grande morte. Oh! sarebbe pur dolce cosa il credere che di
là fosse abitato! Ma io sento che le religioni, compresa la più pura di tutte,
la cristiana, sono per così dire, Tolemaiche. Copernico, Galileo le hanno
scosse. Mentre insegnava latino e greco nelle varie università dove aveva
accettato l'incarico, pubblicò anche i volumi di analisi dantesca Minerva
oscura, Sotto il velame e la mirabile visione. Assunse la cattedra di
letteratura italiana a Bologna succedendo a Carducci. Qui ebbe allievi che
sarebbero stati poi celebri, tra cui A. Garzanti. Presenta al concorso indetto
dal Comune di Roma per celebrare il cinquantesimo dell'Unità d'Italia, il poema
latino “Inno a Roma” in cui riprendendo un tema già anticipato nell'ode Al corbezzolo
esalta Pallante come il primo morto per la causa nazionale e poi deposto su
rami di corbezzolo che con i fiori bianchi, le bacche rosse e le foglie verdi,
vengono visti come un'anticipazione della bandiera tricolore. Scoppiata
la guerra italo-turca, presso il teatro di Barga pronuncia il celebre discorso
a favore dell'imperialismo La grande Proletaria si è mossa: egli sostiene
infatti che la Libia sia parte dell'Italia irredenta, e l'impresa sia anche a
favore delle popolazioni sottomesse alla Turchia, oltre che positiva per i
contadini italiani, che avranno nuove terre. Si tratta, in sostanza, non di
nazionalismo vero e proprio, ma di un'evoluzione delle sue utopie socialiste e
patriottiche. Le sue condizioni di salute peggiorano. Il medico gli consiglia
di lasciare Castelvecchio e trasferirsi a Bologna, dove gli viene diagnosticata
la cirrosi epatica per l'abuso di alcool. Nelle memorie della sorella viene
invece affermato che fosse malato di epatite e tumore al fegato. Il certificato di morte riporta come causa un
tumore allo stomaco, ma è probabile fosse stato redatto dal medico su richiesta
di Mariù, che intendeva eliminare tutti gli aspetti che lei giudicava
sconvenienti dall'immagine del fratello, come la dipendenza da alcool, la
simpatia giovanile per Passannante e la sua affiliazione alla Massoneria. La
malattia lo porta infatti alla morte, un Sabato Santo vigilia di Pasqua, nella
sua casa di Bologna, in via dell'Osservanza n. 2. La vera causa del decesso fu
probabilmente la cirrosi epatica. Venne sepolto nella cappella annessa alla sua
dimora di Castelvecchio di Barga, dove sarà tumulata anche l'amata sorella
Maria, sua biografa, nominata erede universale nel testamento, nonché curatrice
delle opere postume. L'ultima dimora dove morì, a Bologna in via
dell'Osservanza n. 2. Sul cancello si può brevi parentesi politiche
della sua vita. Venne arrestato e assolto dopo tre mesi di carcere. L'ulteriore
senso di ingiustizia e la delusione lo riportarono nell'alveo d'ordine del
tutore Carducci e al compimento degli studi con una tesi su Alceo. A
margine degli studi veri e propri, comunque, conduce una vasta esplorazione della
filosofia ttraverso le riviste francesi specializzate come la Revue des deux
Mondes, che lo misero in contatto con l'avanguardia simbolista, e la lettura
dei testi scientifico-naturalistici di Michelet, Fabre e Maeterlinck. Tali testi filosofici
utilizzano la descrizione naturalistica la vita degli insetti soprattutto, per
quell'attrazione per il micro-cosmo così caratteristica del romanticismo
decadente in chiave filosofica. L’sservazione era aggiornata sulle più recenti
acquisizioni filosofiche dovute al perfezionamento del microscopio e della
sperimentazione di laboratorio, ma poi veniva filtrata letterariamente
attraverso uno stile lirico in cui domina il senso della meraviglia e della
fantasia. E un atteggiamento positivista romanticheggiante che tende a vedere
nella natura l'aspetto pre-cosciente del mondo umano. Coerentemente con
questi interessi, vi fu anche quello per la filosofia dell'inconscio di Hartmann
che apre quella linea di interpretazione della psicologia in senso
anti-meccanicistico che sfociò nella psicanalisi freudiana. È evidente in
queste letture come in quella successiva di J. Sully sulla psicologia
un'attrazione verso il mondo piccolo dei fenomeni naturali e psicologicamente
elementari che tanto fortemente caratterizza tutta la sua poesia. E non solo la
sua. La cultura filosofica ha coltivato un particolare culto per il mondo
dell'infanzia, dapprima, in un senso culturale più generico, poi, con un più
accentuato intendimento psicologico. I Romantici, sulla scia di Vico e di
Rousseau, paragonano l'infanzia allo stato primordiale di natura dell'umanità,
inteso come una sorta di età dell'oro. Si comincia ad analizzare in modo
più realistico e scientifico la psicologia, portando l'attenzione del individuo
in sé, caratterizzato da una propria realtà di riferimento. La filosofia produce
una quantità considerevole di saggi che costituirono la vera letteratura di
massa. Parliamo delle innumerevoli raccolte di fiabe dei fratelli Grimm di Andersen, di Ruskin, Wilde, Maeterlinck; o
come il capolavoro di Dodgson, Alice nel Paese delle Meraviglie (cf. Pinocchio,
Cuore). Oppure i libri di avventura adatti anche all'infanzia, come i romanzi
di Verne, Kipling, Twain, Salgari, London. Saggi sull'infanzia, dall'intento
moralistico ed educativo, come Senza famiglia di Malot, Il piccolo Lord di Burnett,
Piccole donne di Alcott e i celeberrimi “Cuore” di De Amicis e “Pinocchio” di
Collodi. Tutto questo ci serve a ricondurre, naturalmente, la sua teoria della
poesia come intuizione pura e ingenua, espressa nella poetica del fanciullino,
ai riflessi di un vasto ambiente filosofico che e assolutamente maturo per
accogliere la sua proposta. In questo senso non si può parlare di una vera
novità, quanto piuttosto della sensibilità con cui sa cogliere un gusto diffuso
e un interesse già educato, traducendoli in quella grande poesia che all'Italia
manca dall'epoca di Leopardi. Per quanto riguarda il linguaggio, ricerca una
sorta di musicalità evocativa, accentuando l'elemento sonoro del verso, secondo
il modello dei poeti maledetti Verlaine e Mallarmé. La poesia come nido che
protegge dal mondo. La poesia ha natura irrazionale e con essa si può giungere
alla verità di ogni cosa. Il poeta deve essere un poeta-fanciullo che arriva a
questa verità mediante l'irrazionalità e l'intuizione. Rifiuta quindi la
ragione e, di conseguenza, rifiuta il positivismo, che e l'esaltazione della
ragione stessa e del progresso, approdando così al decadentismo. La poesia
diventa così analogica, cioè senza apparente connessione tra due o più realtà
che vengono rappresentate; ma in realtà una connessione, a volte anche un po'
forzata, è presente tra i concetti, e il poeta spesso e volentieri è costretto
a voli vertiginosi per mettere in comunicazione questi concetti. La poesia
irrazionale o analogica è una poesia di svelamento o di scoperta e non di
invenzione. I motivi principali di questa poesia devono essere "umili
cose": cose della vita quotidiana, cose modeste o familiari. A questo si
unisce il ricordo ossessivo dei suoi morti, le cui presenze aleggiano
continuamente nel “nido”, riproponendo il passato di lutti e di dolori e
inibendo al poeta ogni rapporto con la realtà esterna, ogni vita di relazione,
che viene sentita come un tradimento nei confronti dei legami oscuri, viscerali
del nido. Il duomo, al cui suono della campana si fa riferimento ne L'ora di
Barga Nella vita dei letterati italiani degli ultimi due secoli ricorre
pressoché costantemente la contrapposizione problematica tra mondo cittadino e
mondo agreste, intesi come portatori di valori opposti: mentre la campagna
appare sempre più come il paradiso perduto dei valori morali e culturali, la
città diviene simbolo di una condizione umana maledetta e snaturata, vittima
della degradazione morale causata da un ideale di progresso puramente
materiale. Questa contrapposizione può essere interpretata sia alla luce
dell'arretratezza economica e culturale di gran parte dell'Italia rispetto
all'evoluzione industriale delle grandi nazioni europee, sia come conseguenza
della divisione politica e della mancanza di una grande metropoli unificante
come erano Parigi per la Francia e Londra per l'Inghilterra. I luoghi poetici
della terra, del borgo, dell'umile popolo che ricorrono fino agli anni del
primo dopoguerra non fanno che ripetere il sogno di una piccola patria
lontana,che l'ideale unitario vagheggiato o realizzato non spegne mai del
tutto. Decisivo nella continuazione di questa tradizione fu proprio
Pascoli, anche se i suoi motivi non furono quelli tipicamente ideologici degli
altri scrittori, ma nacquero da radici più intimistiche e soggettive. Scrive al
pittore De Witt. C'è del gran dolore e del gran mistero nel mondo; ma nella
vita semplice e familiare e nella contemplazione della natura, specialmente in
campagna, c'è gran consolazione, la quale pure non basta a liberarci
dall'immutabile destino». In questa contrapposizione tra l'esteriorità della
vita sociale (e cittadina) e l'interiorità dell'esistenza familiare e agreste si
racchiude l'idea dominanteaccanto a quella della mortedella poesia pascoliana.
Dalla casa di Castelvecchio, dolcemente protetta dai boschi della Media Valle
del Serchio, non usce più (psicologicamente parlando) fino alla morte. Pur
continuando in un intenso lavoro di pubblicazioni poetiche e saggistiche, e
accettando di succedere a Carducci sulla cattedra dell'Bologna, egli ci ha
lasciato del mondo una visione univocamente ristretta attorno ad un
"centro", rappresentato dal mistero della natura e dal rapporto tra
amore e morte. Fu come se, sopraffatto da un'angoscia impossibile a
dominarsi, il poeta avesse trovato nello strumento intellettuale del
componimento poetico l'unico mezzo per costringere le paure e i fantasmi
dell'esistenza in un recinto ben delimitato, al di fuori del quale egli potesse
continuare una vita di normali relazioni umane. A questo "recinto"
poetico egli lavorò con straordinario impegno creativo, costruendo una raccolta
di versi e di forme che la letteratura italiana non vedeva, per complessità e
varietà, dai tempi di Chiabrera. La ricercatezza quasi sofisticata, e
artificiosa nella sua eleganza, delle strutture metriche scelte da P. mescolanza
di novenari, quinari e quaternari nello stesso componimento, e così viaè stata
interpretata come un paziente e attento lavoro di organizzazione razionale
della forma poetica attorno a contenuti psicologici informi e incontrollabili
che premevano dall'inconscio. Insomma, esattamente il contrario di quanto i
simbolisti francesi e le altre avanguardie artistiche proclamano nei confronti
della spontaneità espressiva. Frontespizio di un'edizione del discorso
socialista e nazionalista di P. La Grande Proletaria si è mossa, in favore
della guerra di Libia. Anche se l'ultima fase della produzione pascoliana è
ricca di tematiche socio-politiche (Odi e inni, comprendenti gli inni Ad
Antonio Fratti, Al re Umberto, Al Duca degli Abruzzi e ai suoi compagni,
Andrée, nonché l'ode, aggiunta nella terza edizione, Chavez; Poemi italici;
Poemi del Risorgimento; nonché il celebre discorso La grande Proletaria si è
mossa, tenuto in occasione di una
manifestazione a favore dei feriti della guerra di Libia), non c'è dubbio
che la sua opera più significativa è rappresentata dai volumi poetici che
comprendono le raccolte di Myricae e dei Canti di Castelvecchio, nei quali il
poeta trae spunto dall'ambiente a lui familiare come la Ferrovia Lucca-Aulla
("In viaggio"), nonché parte dei Poemetti. Il mondo di P. è tutto lì:
la natura come luogo dell'anima dal quale contemplare la morte come ricordo dei
lutti privati. Troppa questa morte? Ma la vita, senza il pensiero della morte,
senza, cioè, religione, senza quello che ci distingue dalle bestie, è un
delirio, o intermittente o continuo, o stolido o tragico. D'altra parte queste
poesie sono nate quasi tutte in campagna; e non c'è visione che più campeggi o
sul bianco della gran nave o sul verde delle selve o sul biondo del grano, che
quella dei trasporti o delle comunioni che passano: e non c'è suono che più si
distingua sul fragor dei fiumi e dei ruscelli, su lo stormir delle piante, sul
canto delle cicale e degli uccelli, che quello delle Avemarie. Crescano e
fioriscano intorno all'antica tomba della mia giovane madre queste myricae
(diciamo cesti o stipe) autunnali. Dalla Prefazione di P. ai Canti di
Castelvecchio. Il poeta e il fanciullino. Il poeta è poeta, non oratore o
predicatore, non filosofo, non istorico, non maestro, non tribuno o demagogo,
non uomo di stato o di corte. E nemmeno è, sia con pace del Carducci, un
artiere che foggi spada e scudi e vomeri; e nemmeno, con pace di tanti altri,
un artista che nielli e ceselli l'oro che altri gli porga. A costituire il
poeta vale infinitamente più il suo sentimento e la sua visione, che il modo
col quale agli altri trasmette l'uno e l'altra. Da Il fanciullino. Uno dei
tratti salienti per i quali è passato alla storia della letteratura è la
cosiddetta poetica del fanciullino, da lui stesso esplicitata nello scritto
omonimo apparso sulla rivista Il Marzocco. Influenzato dalla psicologia di J. Sully
e dalla filosofia dell'inconscio di Hartmann, dà una definizione assolutamente
compiutaalmeno secondo il suo punto di vistadella poesia (dichiarazione
poetica). Si tratta di un testo di 20 capitoli, in cui si svolge il dialogo fra
il poeta e la sua anima di fanciullino, simbolo: dei margini di purezza e
candore, che sopravvivono nell'uomo adulto. Della poesia e delle
potenzialità latenti di scrittura poetica nel fondo dell'animo umano.
Caratteristiche del fanciullino. Rimane piccolo anche quando noi ingrossiamo e
arrugginiamo la voce ed egli fa sentire il suo tinnulo squillo come di
campanella". "Piange e ride senza un perché di cose, che sfuggono ai
nostri sensi ed alla nostra ragione". "Guarda tutte le cose con
stupore e con meraviglia, non coglie i rapporti logici di causaeffetto, ma
intuisce. Scopre nelle cose le relazioni più ingegnose. Riempie ogni oggetto
della propria immaginazione e dei propri ricordi (soggettivazione), trasformandolo
in simbolo. Una rondine. Gli uccelli e la natura, con precisione del lessico
zoologico e botanico ma anche con semplicità, sono stati spesso cantati da P. Il
poeta allora mantiene una razionalità di fondo, organizzatrice della metrica
poetica, ma: Possiede una sensibilità speciale, che gli consente di
caricare di significati ulteriori e misteriosi anche gli oggetti più comuni. Comunica
verità latenti agli uomini -- è Adamo, che mette nome atutto ciò che vede e
sente (secondo il proprio personale modo di sentire, che tuttavia ha portata
universale). Deve saper combinare il talento della fanciullezza (saper vedere),
con quello della vecchiaia (saper dire). Percepisce l'essenza delle cose e non
la loro apparenza fenomenica. La poesia, quindi, è tale solo quando riesce a
parlarecon la voce del fanciullo ed è vista come la perenne capacità di
stupirsi tipica del mondo infantile, in una disposizione irrazionale che
permane nell'uomo anche quando questi si è ormai allontanato, almeno
cronologicamente, dall'infanzia propriamente intesa. È una realtà ontologica.
Ha scarso rilievo la dimensione storica (trova suoi interlocutori in Virgilio,
come se non vi fossero secoli e secoli di mezzo. La poesia vive fuori dal tempo
ed esiste in quanto tale. Nel fare poesia una realtà ontologica (il
poeta-microcosmo) si interroga suun'altra realtà ontologica (il
mondo-macrocosmo); ma per essere poeta è necessario confondersi con la realtà
circostante senza cheil proprio punto di vista personale e preciso
interferisca: il poeta si impone la rinuncia a parlare di se stesso, tranne in
poche poesie, in cui esplicitamente parla della sua vicenda personale. È vero
che la vicenda autobiografica dell'autore caratterizza la sua poesia, ma con
connotazioni di portata universale: ad esempio la morte del padre viene
percepita come l'esempio principe della descrizione dell'universo, di
conseguenza gli elementi autenticamente autobiografici sono scarsi, in quanto
raffigura il male del mondo in generale. Tuttavia, nel passo XI del fanciullino,
dichiara che un vero poeta è, più che altro, il suo sentimento e la sua visione
che cerca di trasmettere agli altri. Per cui il poeta rrifiuta. Il classicismo,
che si qualifica per la centralità ed unicità del punto di vista del poeta, che
narra la sua opera ed esprime le proprie sensazioni. il Romanticismo, dove il
poeta fa di sé stesso, dei suoi sentimenti e della sua vita, poesia. La poesia,
così definita, è naturalmente buona ed è occasione di consolazione per l'uomo e
il poeta. Pascoli fu anche commentatore e critico dell'opera di Dante e diresse
inoltre la collana editoriale "Biblioteca dei Popoli". Il limite
della poesia del P. è costituito dall'ostentata pateticità e dall'eccessiva
ricerca dell'effetto commovente. D'altro canto, il merito maggiore attribuibile
al Pascoli fu quello di essere riuscito nell'impresa di far uscire la poesia
italiana dall'eccessiva aulicità e retoricità non solo del Carducci e del
Leopardi, ma anche del suo contemporaneo D'Annunzio. In altre parole, fu in
grado di creare finalmente un legame diretto con la poesia d'Oltralpe e di
respiro europeo. La lingua pascoliana è profondamente innovativa: essa perde il
proprio tradizionale supporto logico, procede per simboli e immagini, con brevi
frasi, musicali e suggestive. La poesia cosmica L'ammasso aperto delle
Pleiadi nella costellazione del Toro. Lo cita col nome dialettale di Chioccetta
ne Il gelsomino notturno. La visione dello spazio buio e stellato è uno dei
temi ricorrenti nella sua poesia Fanno parte di questa produzione pascoliana
liriche come Il bolide (Canti di Castelvecchio) e La vertigine (Nuovi
Poemetti). Il poeta scrive nei versi conclusivi de Il bolide: "E la terra
sentii nell'Universo. Sentii, fremendo, ch'è del cielo anch'ella. E mi vidi
quaggiù piccolo e sperso errare, tra le stelle, in una stella". Si tratta
di componimenti permeati di spiritualismo e di panteismo (La Vertigine). La
Terra è errante nel vuoto, non più qualcosa di certo; lo spazio aperto è la
vera dimora dell'uomo rapito come da un vento cosmico. Scrive il critico
Giovanni Getto: " È questo il modo nuovo, autenticamente pascoliano, di
avvertire la realtà cosmica: al geocentrismo praticamente ancora operante
nell'emozione fantastica, nonostante la chiara nozione copernicana sul piano
intellettuale, del Leopardi, il Pascoli sostituisce una visione eliocentrica o
addirittura galassiocentrica: o meglio ancora, una visione in cui non si dà più
un centro di sorta, ma soltanto sussistono voragini misteriose di spazio, di
buio e di fuoco. Di qui quel sentimento di smarrita solitudine che nessuno
ancora prima del Pascoli aveva saputo consegnare alla poesia". La lingua
pascoliana P. disintegra la forma tradizionale del linguaggio poetico: con lui
la poesia italiana perde il suo tradizionale supporto logico, procede per
simboli ed immagini, con frasi brevi, musicali e suggestive. Il linguaggio è
fonosimbolico con un frequente uso di onomatopee, metafore, sinestesie,
allitterazioni, anafore, vocaboli delle lingue speciali (gerghi). La
disintegrazione della forma tradizionale comporta "il concepire per
immagini isolate (il frammentismo), il periodo di frasi brevi e a sobbalzi (senza
indicazione di passaggi intermedi, di modi di sutura), pacatamente musicali e
suggestive; la parola circondata di silenzio. Ha rotto la frontiera tra
grammaticalità e evocatività della lingua. E non solo ha infranto la frontiera
tra pregrammaticalità e semanticità, ma ha anche annullato "il confine tra
melodicità ed icasticità, cioè tra fluido corrente, continuità del discorso, e
immagini isolate autosufficienti. In una parola egli ha rotto la frontiera
fra determinato e indeterminato". Pascoli e il mondo degli animali In
un'epoca storica in cui il mondo degli animali rappresenta un'entità assai
ridotta nella vita degli uomini e dei loro sentimenti, quasi esclusivamente
relegato agli aspetti di utilizzo pratico e di supporto al lavoro, soprattutto
agricolo, P. riconosce la loro dignità e squarcia un'originale apertura
sull'esistenza delle specie animali e sul loro originale mondo di relazioni.
Come scrive Solfanelli, P. si avvede assai presto che il suo amore per la
natura gli permette di vivere le esperienze più appaganti, se non fondamentali,
della sua vita. Lui vede negli animali delle creature perfette da rispettare,
da amare e da accudire al pari degli esseri umani; infatti, si relaziona con
essi, ci parla di loro e, spesso, prega affinché possano avere un'anima per poterli
rivedere un giorno. Saggi: “Myricae” (Livorno, Giusti); “Lyra romana ad uso
delle scuole classiche” (Livorno, Giusti, -- antologia di scritti latini per la
scuola superiore – “Pensieri sull'arte poetica, ne Il Marzocco (meglio noto come Il fanciullino) Iugurtha.
Carmen Johannis Pascoli ex castro Sancti Mauri civis liburnensis et Bargaei in
certamine poetico Hoeufftiano magna laude ornatum, Amstelodami, Apud Io.
Mullerum, (poemetto latino) “Epos” (Livorno, Giusti); (antologia di autori
latini) Poemetti, Firenze, Paggi, “Minerva oscura. Prolegomeni: la costruzione
morale del poema di Dante” (Livorno, Giusti); “Intorno alla Minerva oscura” (Napoli,
Pierro); “Sull’imitare. Poesie e prose per la scuola italiana (Milano-Palermo,
Sandron). (antologia di poesie e prose per la scuola), “Sotto il velame. Saggio
di un'interpretazione generale del poema sacro” (Messina, Vincenzo Muglia); “Fior
da fiore. Prose e poesie scelte per le scuole secondarie inferiori”
Milano-Palermo, Sandron, (antologia di
prose e poesie italiane per le scuole medie); “La mirabile visione. Abbozzo d'una
storia della Divina Comedia” (Messina, Vincenzo Muglia); “Canti di
Castelvecchio, Bologna, Zanichelli); “Primi poemetti, Bologna, Zanichelli); “Poemi
conviviali, Bologna, Zanichelli, Odi e
Inni. Bologna, Zanichelli, Pensieri e discorsi. Bologna, Zanichelli, Nuovi
poemetti” (Bologna, Zanichelli); “Canzoni di re Enzio La canzone del Carroccio”
(Bologna, Zanichelli); “La canzone del Paradiso” (Bologna, Zanichelli); “La
canzone dell'Olifante” (Bologna, Zanichelli); “Poemi italici” (Bologna,
Zanichelli); “La grande proletaria si è mossa -- iscorso tenuto a Barga per i
nostri morti e feriti (La Tribuna); “Poesie varie, Bologna, Zanichelli); “Poemi
del Risorgimento, Bologna, Zanichelli); “Patria e umanità. Raccolta di scritti
e discorsi” (Bologna, Zanichelli); Carmina” (Bononiae, Zanichelli); (poesie
latine) Nell'anno Mille. Dramma” (Bologna, Zanichelli); (dramma incompiuto) Nell'anno
Mille. Sue notizie e schemi di altri drammi” (Bologna, Zanichelli); “Antico
sempre nuovo. Scritti vari di argomento latino” (Bologna, Zanichelli). “Myricae”
è la prima vera e propria raccolta delle sue poesie, nonché una delle più
amate. Il titolo riprende una citazione di Virgilio all'inizio della IV
Bucolica in cui il poeta latino proclama di innalzare il tono poetico poiché
"non a tutti piacciono gli arbusti e le umili tamerici" (non omnes
arbusta iuvant humilesque myricae). Pascoli invece propone "quadretti"
di vita campestre in cui vengono evidenziati particolari, colori, luci, suoni i
quali hanno natura ignota e misteriosa. Crebbe per il numero delle poesie in
esso raccolte. La sua prima edizione, raccoglie soltanto 22 poesie dedicate alle
nozze di amici. La raccolta definitiva comprendeva 156 liriche del poeta. I
componimenti sono dedicati al ciclo delle stagioni, al lavoro dei campi e alla
vita contadina. Le myricae, le umili tamerici, diventano un simbolo delle
tematiche del P. ed evocano riflessioni profonde. La descrizione
realistica cela un significato più ampio così che, dal mondo contadino si
arriva poi ad un significato universale. La rappresentazione della vita nei
campi e della condizione contadina è solo all'apparenza il messaggio che
il poeta vuole trasmettere con le sue opere. In realtà questa frettolosa
interpretazione della poetica pascoliana fa da scenario a stati d'animo come
inquietudini ed emozioni. Il significato delle Myricae va quindi oltre l'apparenza.
Compare la poesia Novembre, mentre nelle successive compariranno anche altri
componimenti come L'Assiuolo. P. ha dedicato questa raccolta alla memoria di
suo padre ("A Ruggero Pascoli, mio padre"). La poesia-pensiero del
profondo attinge all'inconscio e tocca all'universale attraverso un mondo delle
referenze condiviso da tutti. Anche autore di poesie in lingua latina e con
esse vinse per ben tredici volte il Certamen Hoeufftianum, un prestigioso
concorso di poesia latina che annualmente si teneva ad Amsterdam. La produzione
latina accompagnò il poeta per tutta la sua vita: dai primi componimenti
scritti sui banchi del collegio degli Scolopi di Urbino, fino al poemetto
Thallusa, la cui vittoria il poeta apprese solo sul letto di morte. In particolare, l'anno 1892 fu insieme l'anno
della sua prima premiazione con il poemetto “Veianus” e l'anno della stesura
definitiva delle Myricae. Tra la sua produzione latina, vi è anche il carme
alcaico Corda Fratres, inno della confraternita studentesca meglio nota come
Corda Fratres. Ama molto il latino, che può essere considerato la sua lingua
del cuore. Il poeta scriveva in latino, prendeva appunti in latino, spesso
pensava in latino, trasponendo poi espressioni latine in italiano; la sorella
Maria ricorda che dal suo letto di morte P. parlò in latino, anche se la
notizia è considerata dai più poco attendibile, dal momento che la sorella non
conosceva questa lingua. Per lungo tempo la produzione latina pascoliana non ha
ricevuto l'attenzione che merita, essendo stata erroneamente considerata quale
un semplice esercizio del poeta. In quegli anni non era infatti l'unico a
cimentarsi nella poesia latina (G. Giacoletti, un insegnante nel collegio degli
Scolopi di Urbino frequentato da lui, vinse l'edizione del Certamen con un
poemetto sulle locomotive a vapore. Ma lo fa in maniera nuova e con risultati,
poetici e linguistici, sorprendenti. L'attenzione verso questi componimenti si
accese con la raccolta curata da E. Pistelli col saggio di A. Gandiglio. Esistono delle traduzioni in lingua
italiana delle sue poesie latine quali quella curata da M. Valgimigli o le
traduzioni di E. Mandruzzato. Tuttavia la produzione latina ha un significato
fondamentale, essendo coerente con la poetica del Fanciullino, la cifra del
pensiero pascoliano. In realtà, la poetica del Fanciullino è la confluenza di
due differenti poetiche: la poetica della memoria e la poetica delle cose. Gran
parte della poesia pascoliana nasce dalle memorie, dolci e tristi, della sua
infanzia. Ditelo voi, se la poesia non è solo in ciò che fu e in ciò che sarà,
in ciò che è morto e in ciò che è sogno! E dite voi, se il sogno più bello non
è sempre quello in cui rivive ciò che è morto". Pascoli dunque intende
fare rivivere ciò che è morto, attingendo non solo al proprio ricordo personale,
bensì travalica la propria esperienza, descrivendo personaggi facenti parte
anche dell'evo antico: infanzia e mondo antico sono le età nelle quali l'uomo
vive o è vissuto più vicino ad una sorta di stato di natura. "Io sento nel
cuore dolori antichissimi, pure ancor pungenti. Dove e quando ho provato tanti
martori? Sofferto tante ingiustizie? Da quanti secoli vive al dolore l'anima
mia? Ero io forse uno di quegli schiavi che giravano la macina al
buio, affamati, con la museruola?". Contro la mortedelle lingue, degli
uomini e delle epocheil poeta si appella alla poesia: essa è la sola, la vera
vittoria umana contro la morte. "L'uomo alla morte deve disputare,
contrastare, ritogliere quanto può". Ma da ciò non consegue di necessità
l'uso del latino. Qui interviene l'altra e complementare poetica
pascoliana: la poetica delle cose. "Vedere e udire: altro non deve il
poeta. Il poeta è l'arpa che un soffio anima, è la lastra che un raggio
dipinge. La poesia è nelle cose". Ma questa aderenza alle cose ha una conseguenza
linguistica di estrema importanza, ogni cosa deve parlare quanto più è
possibile con la propria voce: gli esseri della natura con l'onomatopea, i
contadini col vernacolo, gli emigranti con l'italo-americano, Re Enzio col
bolognese del Duecento; i Romani, naturalmente, parleranno in latino. Dunque il
bilinguismo di Pascoli in realtà è solo una faccia del suo plurilinguismo.
Bisogna tenere conto anche di un altro elemento: il latino del Pascoli non è la
lingua che abbiamo appreso a scuola. Questo è forse il secondo motivo per il
quale la produzione latina pascoliana è stata per anni oggetto di scarso
interesse: per poter leggere i suoi poemetti latini è necessario essere esperti
non solo del latino in generale, ma anche del latino di Pascoli. Si è già fatto
menzione del fatto che nello stesso periodo, e anche prima di lui, altri autori
avevano scritto in latino; scrivere in latino per un moderno comporta due
differenti e contrapposti rischi. L'autore che si cimenti in questa impresa
potrebbe, da una parte, incappare nell'errore di esprimere una sensibilità
moderna in una lingua classica, cadendo in un latino maccheronico; oppure
potrebbe semplicemente imitare gli autori classici, senza apportare alcuna
novità alla letteratura latina. Pascoli invece reinventa il latino, lo
plasma, piega la lingua perché possa esprimere una sensibilità moderna, perché
possa essere una lingua contemporanea. Se oggi noi parlassimo ancora latino,
forse parleremmo il latino di P. (cfr. A. Traina, Saggio sul latino del
Pascoli, Pàtron). Numerosi sono i componimenti, in genere raggruppati in
diverse raccolte secondo l'edizione del Gandiglio, tra le quali: Poemata
Christiana, Liber de Poetis, Res Romanae, Odi et Hymni. Due sembrano essere i temi
favoriti del poeta: Orazio, poeta della aurea mediocritas, che Pascoli sentiva
come suo alter ego, e le madri orbate, cioè private del loro figlio (cfr.
Thallusa, Pomponia Graecina, Rufius Crispinus). In quest'ultimo caso il poeta
sembra come ribaltare la sua esperienza personale di orfano, privando invece le
madri del loro ocellus ("occhietto", come Thallusa chiama il
bambino). I “Poemata Christiana” sono da considerarsi il suo capolavoro in
lingua latina. In essi Pascoli traccia, attraverso i vari poemetti, tutti in
esametri, la storia del Cristianesimo in Occidente: dal ritorno a Roma del
centurione che assistette alla morte di Cristo sul Golgota (Centurio), alla
penetrazione del Cristianesimo nella società romana, dapprima attraverso gli strati
sociali di condizione servile (Thallusa), poi attraverso la nobiltà romana “(Pomponia
Graecina”), fino al tramonto del paganesimo (“Fanum Apollinis”). La sua
biblioteca e il suo archivio sono conservati sia nella Casa museo Pascoli a Castelvecchio
Pascoli frazione di Barga, sia nella Biblioteca statale di Lucca. A San Mauro
la sua casa natale è sede di un museo dedicato alla sua memoria e dichiarata
Monumento nazionale. Gli vengono dedicate importanti iniziative in tutta la
Penisola. Viene coniata una moneta celebrativa da due euro con l'effige del
Poeta. Il delitto Ruggero Pascoli
Omicidio Pascoli. Il complotto (Mimesis)
F. Biondolillo, La poesia, Maria P., Autografo Memorie, Alice
Cencetti, una biografia critica, Le
Lettere, G. Pascoli, L'avvento, in Pensieri e discorsi: «Che è? siamo
malfattori anche noi? Oh! no: noi non vorremmo vedere quelle catene, quella
gabbia, quelle armi nude intorno a quell'uomo; vorremmo non sapere ch'egli sarà
chiuso, vivo, per anni e anni e anni, per sempre, in un sepolcro; vorremmo non
pensare ch'egli non abbraccerà più la donna che fu sua, ch'egli non vedrà più,
se non reso irriconoscibile e ignominioso dall'orrida acconciatura
dell'ergastolo, i figli suoi... Ma egli ha ucciso, ha fatto degli orfani, che
non vedranno più affatto il loro padre, mai, mai, mai! E vero: punitelo! è
giusto! Ma non si potrebbe trovare il modo di punirlo con qualcosa di
diverso da ciò ch'egli commise?... Così esso assomiglia troppo alle sue
vittime! Così andranno sopra lui alcune delle lagrime che spettano alle sue
vittime! Le sue vittime vogliono tutta per loro la pietà che in parte s'è
disviata in pro' di lui. Non essere così ragionevole, o Giustizia. Perdona più
che puoi. Più che posso? Ella dice di non potere affatto. Se gli uomini, ella
soggiunge, fossero a tal grado di moralità da sentire veramente quell'orrore al
delitto, che tu dici, si potrebbe lasciare che il delitto fosse pena a sè
stesso, senza bisogno di mannaie e catene, di morte o mortificazione. Ma... Ma
non vede dunque la giustizia che quest'orrore al delitto gli uomini lo mostrano
appunto già assai, quando abominano, in palese o nel cuore, il delitto anche se
è dato in pena d'altro delitto, ossia nella forma in cui parrebbe più
tollerabile?» La storia dell'I.I.S.
Raffaello. Domenico Bulferetti, L'uomo, il maestro, il poeta, Libreria Editrice
Milanese, Piero Bianconi, P.,
Morcelliana, Giuseppe Galzerano, Giovanni Passannante, Casalvelino Scalo, Ugoberto
Alfassio Grimaldi, Il re "buono", Feltrinelli, Per approfondire gli
anni giovanili del Poeta e l'impegno politico vedi: R. Boschetti, "Il
giovane. Attraverso le ombre della giovinezza", realizzato in occasione della mostra omonima
allestita presso il Museo Casa P. di San Mauro P. Per approfondire gli anni di ricostruzione
del "nido" con le sorelle e scoprire nuovi elementi che aggiornino la
vecchia idea tramandata dalla sorella Mariù, in base alla quale il principale
desiderio del fratello era quello di ricostruire la famiglia con le sorelle,
senza alcuno slancio amoroso verso l'esterno, si veda: Rosita Boschetti, G. Gori,
U. Sereni "Vita immagini ritratti", Parma, Step. Il rinvenimento è opera di G. Ruggio,
Conservatore di casa P. a Castelvecchio, il documento fu acquistato dal Grande
Oriente d'Italia ad un'asta di manoscritti storici della casa Bloomsbury, e la
notizia fu resa nota al grande pubblico per la prima volta ne Il Corriere della
Sera, Filmato audio S. Ruotolo e G. Bernardo,
Massoneria, politica e mafia. L'ex-Gran Maestro: "Ecco i segreti che non
ho mai rivelato a nessuno", fanpage (archiviato il 29 marzo )., al minuto
2:28. Citazione: La loggia P2 non è stata inventata da Gelli, ma risale alla
seconda metà dell'Ottocento in cui il Gran Maestro per dare una certa
riservatezza a personaggi che erano i vertici del Governo, i militari di
altissimo livello, poeti come Carducci e P. Si disse: «evitiamo che questi
personaggi svolgano la loro attività massonica nelle logge, almeno per evitare
un fastidio» Vi fu professore
straordinario di grammatica greca e latina,Vi insegnò letteratura latina come Professore.
Fu nominato professore di grammatica greca e latina. Le date sulle docenze universitarie sono prese
da Perugi, "Nota biografica", in P., Opere, tomo I, Milano-Napoli:
Ricciardi, Rosita Boschetti, Pascoli innamorato: la vita sentimentale del poeta
di San Mauro: catalogo, San Mauro Pascoli, Comune,. Cfr. sempre Rosita Boschetti, op. cit, pag.
28. Scrive da Matera a Raffaele la lista delle sue spese. 65 lire al mese per
mangiare, 25 per dormire, 7 alla serva, 2 al casino (necessità), 15 in libri
(più che necessità)». Fondazione P.: la
vita, Gian Luigi Ruggio, P. Tutto il
racconto della vita tormentata di un grande poeta Vittorino Andreoli, I segreti di casa
Pascoli, recensione qui Testo
dell'"Inno a Roma" Testo di
"Al corbezzolo" Fondazione
Pascoli: la vita, Maria Pascoli, Lungo
la vita di Giovanni Pascoli Pascoli: il lutto, il triangolo, il classico
e il decadentista. Andreoli, op. cit
Maria Pascoli, Lungo la vita (Milano, Mondadori); Giovanni Getto, poeta
astrale, in "Studi per il centenario della nascita di P.".
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carte di Giovanni e Maria Pascoli a Castelvecchio, in Castagnola, Archivi
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sciolto, Firenze, Società Editrice Fiorentina,
Pietro Montorfani e Federica Alziati, Giovanni Pascoli, Bologna,
Massimiliano Boni Editore, Massimo
Rossi, Giovanni Pascoli traduttore dei poeti latini, in "Critica Letteraria",
Mario Buonofiglio, Lampi e cortocircuiti. Il linguaggio binario ne "Il
lampo" di Giovanni Pascoli, in "Il Segnale", ora disponibile in Academia Andrea Galgano, Di
là delle siepi. Leopardi e Pascoli tra memoria e nido, Roma, Aracne
editrice, Massimo Colella,
"Conducendo i sogni, echi e fantasmi d'opere canore". Pascoli,
Dandolo e l'onirismo 'conviviale', in "Rivista Pascoliana", Vegliante,
L'impensé la poésieChoix de poèmes, Sesto
San Giovanni, Mimésis,. Accademia
Pascoliana; Ruggero Pascoli Decadentismo Digitale purpurea Giosuè Carducci
Gabriele D'Annunzio Severino Ferrari Luigi d'Isengard Augusto Vicinelli
Socialismo utopico Thallusa. Treccani Dizionario biografico degli italiani -- italiana di Giovanni Pascoli, su Catalogo
Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. nello specchio delle sue carte. Fondazione
Giovanni Pascoli. Giuseppe Bonghi. testi
con concordanze, lista delle parole e lista di frequenza Manara Valgimigli,
Poesie latine, Mondadori, Casa Pascoli. "Poemi
conviviali". Giovanni Pascoli. Pascoli. Keywords. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Pascoli” – The Swimming-Pool Library, Villa Speranza.
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