Grice e Caramella – gl’eroi di Vico
– filosofia italiana – Caritone e Melanippo -- Luigi Speranza (Genova).
Filosofo italiano. Grice:”I like Caramella – like me, he is into the
metaphysics of conversation! And he reminds me that I should re-read Vico!”
-- Grice: “I like Caramella; he prefaced
Fichte’s influential tract on ‘la filosofia della massoneria’ – but also wrote
on more orthodox subjects like Kant, Cartesio, Bergson, and most of them!” –
Grice: “Like me, he thought truth is found in conversation!” Ancora al liceo, comincia
a collaborare con Gobetti, il quale gli affida la trattazione della filosofia
su “Energie Nove”. Dopo un primo contatto con PGobetti e La Rivoluzione
liberale, su segnalazione di questi, entra in collaborazione con Radice, da cui
apprese le dottrine del neo-idealismo di Croce e Gentile. Dopo la laurea,
insegna a Genova. Per le sue idee antifasciste fu arrestato e rinchiuso prima
nelle carceri di Marassi a Genova, e poi fu trasferito a San Vittore a Milano;
fu scarcerato, ma venne sospeso dall'insegnamento e dalla libera docenza.
Ottenne, per intercessione di Croce, l'incarico di filosofia a Messina. Vinse
la cattedra a Catania. Prese parte ai convegni organizzati dalla Scuola di
mistica fascista Insegna a Palermo,
ereditando la cattedra che era stata di Gentile. Il suo allievo principale, che
ne cura il lascito, è Armetta, docente alla Pontifica Facoltà Teologica di
Sicilia. La sua vasta cultura, gli
permise di vedere la continuità della filosofia antica romana classica e e, nell'ambito
della filosofia italiana, l'unità delle opposte dialettiche nella legge vivente
dello spirito e nel dinamismo della natura e della storia. Apprezzato storico
della filosofia. La sua filosofia si può definire un neo-idealismo crociano e
gentiliano, ma reinterpretatto alla luce dello spiritualismo. La sua filosofia
supera lo storicismo e la dottrina crociana degli opposti e dei distinti, e si
esprime nell'interpretazione della pratica come eticità storica.. La religione
e la teosofia rappresentano la possibilità dello spirito attento da un lato
alla concretezza dell'uomo e dall'altro all'ineffabilità. Lo spirito, anziché
risolversi nella filosofia, colloca il proprio progresso in intima unità con il
progresso della filosofia stessa: da un lato è esclusa la riduzione dello
spirito ad atteggiamento pratico; dall'altro, le è conferito una distinta
funzione teoretica. Altre opere: “Problemi
e sistemi della filosofia, Messina); “Religione, teosofia e filosofia”; “Logica
e Fisica” (Roma); “La filosofia di Plotino e il neoplatonismo” Catania);
Ideologia”; “Metafisica, filosofia dell'esperienza”; “Metalogica, filosofia
dell'esperienza” (Catania); “Autocritica, in: Filosofi italiani contemporanei,
M.F. Sciacca, Milano); “L'Enciclopedia di Hegel, Padova); “La filosofia dello
Stato nel Risorgimento, Napoli); “Introduzione a Kant, Palermo); “Conoscenza e
metafisica, Palermo); “La mia prospettiva etica, Palermo); “Carteggio con Croce.
Carteggio. La dialettica del vero e del certo nella "metafisica
vichiana" di Caramella, in Miscellanea di scritti filosofici in memoria di
Caramella, Palermo. Ontologia storico-dialettica di Caramella.Lo spirito nella
filosofia di Caramella.Caramella. La verità in dialogo. Carteggio con Radice.Dizionario
biografico degli italiani. Il linguaggio come auto-analisi. 2 S. Caramella, La cultura ligure nell’alto Medioevo, in II
Comune di Genova, La recente V ita d i Bruno, con documenti e
inediti 1, in cui Vincenzo Spampanato lia potuto finalmente sintetizzare oltre
vent’anni di ricerche bruniane, mi suggerisce l’opportunità di un breve eenno
sul soggiorno del filosofo nella n o s tra regione, così sulla base di quanto
lo Spampanato ha messo novamente in luce come su quella delle antiche notizie
da lui rinfrescate. Cel resto l’unica seria esposizione dei fatti che stiamo
per narrare era, prima delle dotte pagine dello Spampanato, nella biografia del
Berti2: ma sommaria e imprecisa per molti rispetti. Arrivò il Bruno in Genova
poco prima della domenica delle Palme, nell’anno in cui la festa cadeva il 15
aprile? Cont raria m en te al parere del Berti, il quale sostiene non essere
capace di prova che il filosofo sia entrato nella nostra città, dobb iam o
infatti tener presente una scena del Candelaio dove tino dei protagonisti
giura, entrando in scena, sulla « benedetta coda dell’asino, che adorano i
Genoesi’3 », e il passo correlativo dello Spaccio d e lla B e stia trio n fa n
te, che dice proprio così: « Ho visto io i religiosi di Castello in Genova
mostrar per breve tempo e far baciare la velata coda, dicendo: non toccate,
baciate: questa è la santa reliquia di quella benedetta asina che fu fatta
degna di portar il nostro Dio dal monte Oliveto a Jerosolina. Adoratela,
baciatela, -porgete limosina: Centum accipietis, et vita aeternam possidebitis».
I « religiosi di Castello» sono, è evidente, i Domenicani di Santa Maria di
Castello, dove uffiziavano: e la preziosa reliquia doveva certo esser mostrata
1 Messina, Principato, Vedi, per l’argomento di questa com unicazione, Torino,
Paravia, ed. Spampanato (Bari, Laterza), ed. Gentile (Dial. morali di G. B.),
Quetifet Echard, S c rip t. ord. praed., t. il, p. in. Società Ligure di Storia
Patria - al p opolo nella precisa circostanza della commemorazione del giorno
in cui Gesù discese trionfante su ll’asina a Gerusalemme 1. Il Bruno veniva da
Roma, um ile fu ggiasco. A v ev a avu to notizia che il processo istruttorio p
endente presso l’inquisizione, per i sospetti di erodossia avanzati contro di
lui, non annunziava buon esito: e così, deposto l’ abito, si diresse verso la
valle Padana. Più tardi raccontò egli stesso, ai giudici di V enezia, di essere
andato subito a N oli. Ma è prob abile c h e la peste, da cui quella plaga fu
proprio in quel torno di rem po violentemente aiflitta, lo abbia genericam ente
con sigliato a v o lgersi verto la Liguria, contrada m eno infetta, o non
ancora raggiunta dal contagio, e a fermarsi alm eno qualche giorno a Genova. Le
sarcastiche espressioni dello Spaccio ci fanno im m aginare agevolmente il
Bruno là sulla piazzetta della vetusta ch iesa romanica, pieno l’animo non già
di ammirazione estetica perla caratteristica facciata o per gli ornamenti
molteplici dell’ interno, eh’ è tutto un m usaico di con q uiste orientali, - e
tanto meno di interesse psicologico e religioso per la folla affluente ed
effluente dal tempio, - ma di cruccio e disdegno: lui da poco a ccostatosi alle
nuove idee dei riformatori oltremontani, lui per questo costretto a fuggire di
patria e dall’ am ato co n v e n to napoletano di San Domenico Maggiore, dove
gli allievi p endevano dalla sua parola, dottamente teologizzante. La peste
arrivò presto, anzi subito, anche a Genova; a Milano l’ ambasciatore veneto
Ottaviano di Mazi ne aveva già n o tizia tre giorni dapo il 15 aprile, il m
ercoledì santo 2. E allora il Bruno, com e ci attestano, questa volta, più
veracem ente, le sue note dichiarazioni ai giudici veneti, se ne andò a N oli.
Forse il ricordo dantesco, che per lui u m anista p oteva con tar qualche cosa,
e la simiglianza del nom e con quello della sua Nola; forse la persistente
libertà della piccola repubblica, e anche, chissà, qualche lettera di
raccomandazione, qualche c o n siglio di amico lo spinsero in quel tranquillo
rifugio, l’ unico veramente tranquillo per lui nella storia delie sue lunghe
peregrinazioni. « Andai a Noli, territorio genoese, d ove m i intrattenni
quattro o cinque mesi a insegnar la gram m atica a’ putti ». « Io 1 Per la
storia d ella re liqu ia v. Imbriani, Natanar II in Propu gnatore, Vili, M utin
elli, Storia arcana ed aneddotica d’Italia, Società Ligure di Storia Patria -
biblioteca digitale - stetti in Noli circa quattro o cinque mesi, insegnando la
grammatica a’ figliuoli e leggendo la Sfera o certi gentiluomini...1 ». Lo
Spampanato, per ragioni di coerenza con ulteriori dati biografici, pensa che il
soggiorno sia durato un po’ più di quattro mesi. Comunque, le occupazioni del
Nolano a Noli sono ben chiare: l’ esule cercava di trar qualche mezzo di vita
con lezioncine private. Ma anche « leggeva la Sfera a certi gentiluomini »: la
Sfera, cioè il famoso trattato di Giovanni da Sacroboseo, professore alla
Sorbona e monaco domenicano quasi contemporaneo di Dante: che si soleva
considerare come perfetta e sintetica esposizione di una teoria
fisico-geometrica fondamentale per l’astronomia tolemaica, (la teoria delle
sfere celesti), e che Γ insinuarsi dell’ ipotesi copernicana aveva, nella
seconda metà del Cinquecento, rimesso in gran voga2. Persino a Noli era d u n q
u e penetrato il novello interesse del secolo per i problemi astronomici;
perfino a Noli alcuni giovani signori sentivano il bisogn o di stipendiare un
povero erudito piovuto di lontano perchè spiegasse loro il sistema del mondo. E
il Bruno cominciava di quia occuparsi direttamente di quelle indagini che fur o
n o oggetto delle polemiche da lui sostenute in Inghilterra e che formano
l’argomento della Cena delle Ceneri. Non possiamo n atu ralm e n te sapere (a
meno che venissero fuori i quaderni di queste sue legioni liguri) s’ egli già a
Noli professasse la dottrina copernicana, servendosi della Sfera per criticare
il sistema tolem aico: o invece, come il Galilei ne’ suoi corsi allo Studio di
Padova, si limitasse all’illustrazione del classico libretto. Un sacerdote
napoletano, anzi padre Iazzarista, Raffaele de Martinis, che p otè consultare
gli atti del Santo Uffizio, asserisce nella sua biografia del Bruno che a
questi fu intentato in Vercelli un processo (che sarebbe il quarto dopo i primi
due di Napoli 1 D occ. veneti, vili, c. 8 r-v. (SPAMPANATO). Vedi A. Pellizzar
i, Il quadrivio nel Rinascimento (Genova, Perrella). Bruno (Napoli). Ma cfr.
Amabile, in Atti Acc. Scienze mor. e politiche di Napoli n.; espampanato (e
anche Tocco in Arch. fiir Gesch. der P h ilo s., Bonghi, ne La Cultura, Gentile,
Bruno e il pensiero del Rinascimento, [Firenze, Vallecchi Società Ligure di
Storia Patria - e il terzo di Roma) «
dalla Inquisizione dello Repubblica g e n o vese»: ma dell’asserzione
importantissima (secondo la quale si potrebbe proprio pensare aver il Bruno
palesato ancora una volta la sua eterodossia nell’insegnamento di Noli) il De
Martinis non dà, e confessa di non aver potuto trovare, le prove. E la notizia
non pare affatto fondata, posto che manca ogni riferimento a questo processo
genovese nei posteriori documenti processuali di Venezia, e di Roma dove pur
dovrebbe trovarsi, posto che a Vercelli non ci consta che il Bruno facesse
soggiorno (nè quindi l’inquisizione genovese avrebbe avuto ragione alcuna di
perseguirvelo). « Eppoi me partii de là [da Noli] ed andai prima a Savona, dove
stetti circa quindeci giorni; e da Savona a Turino, dove non trovando
trattenimento a mia satisfazione venni a Venezia per il Po1 ». Da Venezia, di
lì a due mesi, a Padova; da Padova a Brescia, Bergamo, Milano. Qui rivestì l’
abito, e poi per Buffalora, Novara, Vercelli, Chivasso, Torino, Susa arrivò
alla Novalesa, sotto il Cenisio. Un giorno ancora e fu in Francia, oltre monti,
lanciato per la gran carraia della Sua fortuna. Troverà onori, trionfi
accademici, soddisfazioni di filosofo e di scrittore; ma la queta pace di Noli,
mai più. S antino C aramella 1 Docc. veti., c. 8La Logica di Porto Reale. Con
Prefazione del Prof. Santino... Storia del pensiero e del gusto letterario in
Italia ad uso dei licei. La scuola di mistica fascista e la discoperta
del vero Vico L'azione combinata della storiografia al bianchetto e della
credulità strisciante fra le righe del conformismo teologico, ha fatto sparire
la notizia della sfida al neoidealismo, che fu lanciata dalle avanguardie
cattoliche inquadrate nella scuola milanese di mistica fascista. In tal modo la
memoria storica degli italiani è stata privata della nozione necessaria a
contrastare seriamente l'ideologia totalitaria e ad avviare gli studi
filosofici su un cammino di ricerca opposto a quello tracciato
dall'intossicante influsso del gramscismo. Un percorso, quella anticipato dalla
scuola di mistica fascista, che avrebbe messo capo ad un'evoluzione del
Novecento - un'autentica rivoluzione italiana - di segno contrario al coatto e
calamitoso trasferimento (narrato da Ruggero Zangrandi) degli intellettuali
fascisti nel partito di Palmiro Togliatti. L'accertata esistenza di una forte
opposizione cattolica alla filosofia di matrice hegeliana, comunque, fa
crollare i due pilastri della mistificazione comunista: la leggenda della
complicità cattolica con l'ideologia anticomunista prevalente in Germania -
leggenda sintetizzata dal calunnioso slogan «Pio XII papa di Hitler» - e la
rappresentazione degli intellettuali italiani nella figura di un coacervo
nazifascista, redento in extremis dalla longanimità del partito
staliniano. La vicenda degli oppositori italiani all'idealismo rivela,
invece, l'autonomia, la straordinaria vitalità e l'attitudine del pensiero
cattolico ad entusiasmare ed orientare i giovani studiosi, che avevano aderito
al fascismo senza separarsi dalla radice religiosa della patria italiana.
Curiosamente, l'autorità del pensiero cattolico si rafforzò nella prima fase
della II guerra mondiale, quando la Germania nazionalsocialista sembrava
avviata a vincere la guerra. Dopo che il governo italiano ebbe sottoscritto
l'alleanza con la Germania, il dubbio si era, infatti, diffuso fra i giovani,
causando la divisione dell'area fascista in due opposte scuole di pensiero: una
corrente maggioritaria, intesa a metter fine al dominio della cultura tedesca e
perciò risoluta a percorrere la via d'uscita indicata dalla tradizione
cattolica, e una corrente minoritaria, rimasta fedele ai princìpi
dell'idealismo e perciò decisa a seguire le avanguardie germaniche sulla via
del fanatismo e dell'estremismo anticristiano. Espressione del fermento in atto
durante quegli anni cruciali è un magnifico saggio di Nino Tripodi, interprete
delle novità introdotte nella scuola milanese di mistica fascista dal cardinale
Ildefonso Schuster e dal fondatore dell'Università cattolica del Sacro Cuore,
il francescano Agostino Gemelli (confronta «Il pensiero politico di Vico e la
dottrina del fascismo», Milani). Tripodi, grazie ad una profonda conoscenza
della filosofia italiana tentò un audace confronto tra lo storicismo cristiano
di Giambattista Vico e la dottrina politica di Mussolini. L'affinità del
fascismo e della scienza nuova, nell'acuta analisi di Tripodi, non è causata
dalle letture (Mussolini, infatti, non cita mai Vico) ma dalla comune tendenza
a riconoscere che «maestra non è la mente di questo o quell'uomo che
razionalmente pone un principio, ma la storia delle attività di tutti gli
uomini che si svolgono come debbono svolgersi perché provvidenzialmente si
compia la socialità che ad esse è intrinseca». La scelta di Tripodi cade su
Vico poiché «fu perenne nel suo spirito la distinzione tra la sostanza divina e
quella delle creature, tra l'essenza o ragion di essere di Dio e quella delle
cose create, come fu perenne ed inequivocabile la inintelligibilità di Dio se
ricercata nel mondo bruto della natura anziché in quello della storia, nella
quale la Provvidenza si manifesta, chiamando gli uomini a collaboratori della
divinità». Pubblicato e presto rimosso dalla censura di sinistra e
dall'indifferenza di destra, il saggio di Tripodi raccoglie e approfondisce i
risultati delle ricerche iniziate da quegli studiosi cattolici (nel testo sono
citati Emilio Chiocchetti, Giorgio Del Vecchio, Francesco Amerio, Agostino
Gemelli, Francesco Olgiati, Santino Caramella, Francesco Orestano, Armando
Carlini e Balbino Giuliano) che avevano sostenuto l'irriducibilità della
tradizione italiana alla filosofia tedesca, confutando le tesi di Croce e di
Gentile su Vico precursore dell'idealismo. Tripodi afferma, ad esempio, che il
pensiero fascista, per quanto concerne l'ontologia, «ha sempre creduto nella
finitezza dell'umano, riconoscendo che esiste una parete invalicabile, sulla
quale lo spirito umano non può scrivere che una sola parola, Dio» mentre gli
idealisti, convinti di sfondare quella parete, «hanno spiegato la dottrina
fascista attraverso il monismo soggettivista o le dimostrazioni
immanentistiche, falsando così gli inequivocabili atteggiamenti dualistici di
essa». Di qui il ribaltamento della linea neoidealista e la scelta dello
storicismo cristiano di Vico quale orizzonte filosofico della tradizione
vivente in Italia malgrado gli apparenti successi della modernità: «La stessa
barriera che Vico oppone, in nome della genuinità del pensiero italiano al
razionalismo, la oppone il fascismo all'idealismo. Né Gentile, né Croce, anche
se il primo ha la camicia nera e cercò di darla al secondo pongono gli estremi
della nostra dottrina». Tripodi indica in Vico l'antagonista dell'irrealismo e
del soggettivismo dominanti nell'età moderna: «Vico non può essere idealista
perché la sua filosofia impugna Cartesio e fa impugnare in Kant gli iniziatori
delle dottrine, costruite unicamente su di una realtà interiore». La filosofia
vichiana, inoltre, è apprezzata perché rivendica la responsabilità dell'azione
umana nei fatti della storia «che altre indagini speculative avevano invece
interpretato o come involuti in una meccanica autonoma e materiale o come
creazione ideale definita dal pensiero che l'aveva posta. La coscienza delle
proprie virtù creatrici della storia non deve però indurre l'uomo a dimenticare
che la causa prima di esse sta al di fuori della sua singolarità terrena. E non
al di fuori perché affidata al caso o al fato, ma perché contenuta nella
volontà di Dio e rappresentata nella linea tracciata dalla sua divina
provvidenza». L'invito a separare il destino dell'Italia fascista dalle
chimere del razionalismo e dalle suggestioni dell'attivismo prometeico e
dell'amor fati, non poteva essere formulato con maggiore chiarezza. Nelle
penetranti tesi formulate da Tripodi è in qualche modo anticipato lo schema
della strategia culturale elaborata, nel dopoguerra, dai pensatori
dell'avanguardia cattolica (Giorgio Del Vecchio, Nicola Petruzzellis, Michele
Federico Sciacca, Augusto Del Noce, Francisco Elias de Tejada, Rocco Montano,
Francesco Grisi, Giovanni Torti) che nella filosofia di Vico vedranno lo
strumento adatto a contrastare e battere i poteri dell'astrazione hegeliana trasferita,
intanto, nella parodia inscenata dal gramscismo. La posta in gioco era la
corretta impostazione della dottrina del diritto naturale, in ultima analisi la
soluzione del problema riguardante il rapporto tra la giustizia ideale e le
cangianti leggi che i popoli producono nel corso della loro storia. Dagli
scritti giuridici di Vico, Tripodi trasse una indicazione che gli permise di
risolvere il problema senza nulla concedere alle dottrine storicistiche
contemplanti un pensiero dell'assoluto che evolve nel tempo: «esiste non una
separazione ma una diversa gradazione d'intensità etica tra giustizia e
diritto. La prima è un diritto naturale soprastorico, che è patrimonio
universale e depositario del sommo vero. Il secondo è dato dall'insieme delle
norme che il mondo delle nazioni partitamente elabora nel suo progressivo
avvicinamento alla giustizia». Di qui l'indicazione di due altri motivi del
consenso fascista alla scienza nuova: il fermo rifiuto delle astrazioni
suggerite dal contrattualismo e la confutazione delle teorie utilitaristiche,
che ritengono l'interesse materiale unica molla delle azioni umane. Nella
definizione del comune fondamento della teoria dello Stato, Tripodi sostiene,
pertanto, che nel pensiero di Vico come in quello di Mussolini la Provvidenza
fa prevalere la solidarietà sull'istinto egoistico: «la provvidenza ha il suo
più alto attributo nel senso della socialità che perennemente richiama agli
uomini, facendo loro vincere il senso egoistico per cui vorrebbero tutto
l'utile per se e niuna parte per lo compagno». Tripodi conclude il suo
ragionamento affermando che «l'unitario ordine di idee nel quale relativamente
alla concezione dello Stato si muovono la dottrina vichiana e quella fascista»
è dimostrato dalla condivisione del fine soprannaturale: «l'uomo trova nello
Stato l'organizzazione storica che gli consente di realizzare quei principi
morali conferitigli dalla divinità e con ciò di assolvere alla sua stessa
funzione trascendente di uomo». E' evidente che l'identificazione della dottrina
fascista con la filosofia vichiana era, per Tripodi, un mezzo usato al fine
rafforzare la convinzione sulla necessità, imposta dai dubbi destati
dall'alleanza con il nazionalsocialismo, di rompere con la cultura prevalente
in Germania e di condurre all'approdo cattolico le vere ragioni dell'ideologia
fascista. E' però incontestabile che le tesi di Tripodi erano un ottimo
strumento per estinguere l'ipoteca che la filosofia tedesca aveva acceso sulla
cultura italiana. Non a caso, nel dopoguerra, Tripodi occupò un posto di prima
fila nel gruppo degli intellettuali dell'INSPE (Vecchio, Costamagna, Ottaviano,
Marzio, Teodorani, Volpe, Sottochiesa, Tricoli, Siena, Grammatico, Rasi)
l'istituto che progettava la trasformazione del MSI di Arturo Michelini in avanguardia
di una moderna e rigorosa destra cattolica. L'attenzione prestata da Pio XII
all'evoluzione del MSI in conformità alle tesi di Tripodi, aprivano le porte
del futuro alla destra. Il congresso del MSI, che doveva tenersi a Genova nel
luglio del 1960, doveva, infatti, approvare in via definitiva la lungimirante
linea culturale e politica di Tripodi, mandando a vuoto i progetti
dell'oligarchia favorevole all'apertura a sinistra. Purtroppo la tollerata (dai
democristiani) violenza della piazza comunista impedì lo svolgimento di quel
congresso, respingendo il MSI nel sottosuolo dionisiaco del pensiero moderno e
nelle magiche grotte del tradizionalismo spurio. La lunga immersione nell'area
dell'indigenza filosofica impoverì a tal punto la cultura di destra che, quando
la discesa in campo di Berlusconi offrì un'altra occasione all'inserimento
nella politica di governo, la classe dirigente del MSI, ottusa dalla retorica
almirantiana ed espropriata dal pensiero neodestro, non seppe produrre altro
che le esangui e rachitiche tesi di Fiuggi. Nato a Genova il 22 giugno
1902 da Eleucadio e da Francesca Delfò, segui gli studi classici nella città
natale. Ancora liceale, cominciò a collaborare a Energie nuove di P. Gobetti,
con il quale aveva preso contatto epistolare, dicendosi lettore entusiasta del
periodico e seguace della dottrina filosofica crociana. Il Gobetti, ormai
orientato verso interessi più specificamente politici, affidò al giovane C. la
trattazione sulla rivista dei temi filosofici. Su segnalazione del Gobetti,
Giuseppe Lombardo Radice cominciò ad accogliere i suoi scritti su L'Educazione
nazionale. In linea con l'orientamento pedagogico idealistico del
Lombardo Radice, fin dall'inizio degli anni Venti il C. prese le distanze dal
positivismo pedagogico con un contributo (Studi sul positivismo pedagogico,
Firenze 1921), nato proprio da un suggerimento del pedagogista siciliano che
nel dicembre 1919 glielo aveva proposto come tema di studio. È qui
osteggiato un pensiero ispirato agli schemi dell'evoluzionismo deterministico e
del positivismo scientifico; in particolare e avversato il meccanicismo
naturalistico biologicoevolutivo (Spencer e Ardigò), cui viene opposta la
concezione umanistica dell'educazione di un Angiulli, di un Siciliani, di un
Gabelli. Un'idea di fondo anima le critiche del C.: è inutile ogni speculazione
teoretica che non sappia apportare nuove indicazioni pedagogiche per il
miglioramento delle condizioni di vita umana, sociale e pratica. Nello
stesso orizzonte critico degli Studi si muovono Le scuole di Lenin (Firenze),
La pedagogia di Vincenzo Gioberti e la Guida bibliografica della pedagogia,
specialmente italiana e recente (ibid. 1923), che faceva seguito alla
Bibliografia ragionata della pedagogia (Milano) scritta in collaborazione con
il Lombardo Radice. Nutrito di idee democratiche, che gli facevano
ritenere inadeguato per l'obiettivo della costruzione di una "nuova
Italia" il vecchio quadro politico postunitario, il C. si impegnò
politicamente partecipando alla costituzione a Genova di un gruppo democratico
di sinistra, che aveva tra i leader Arturo Codignola. Collaborò sia all'Arduo,
sia al quotidiano socialriformista Il Lavoro. In particolare, tipico dei
gruppo di pedagogisti che, in certo qual modo, si ponevano nell'ambito del
pensiero gentiliano (verso cui anche il C. veniva avvicinandosi sulla scia del
Lombardo Radice, sia pure su posizioni autonome), è il tema dell'educazione
come strumento di realizzazione di una coscienza democratico-nazionale. Da qui,
anche per l'influsso delle idee gobettiane, l'attenta considerazione di quanto
veniva fatto in quel campo in Unione Sovietica, all'indomani della rivoluzione
bolscevica. In Le scuole di Lenin l'ammirazione con cui il C. guardava al piano
scolastico educativo diretto da Lunačarskij era determinata in concreto dalla
considerazione che si trattava di una rivoluzione culturale unica nella storia
dell'umanitàl tesa all'elevazione delle classi inferiori per farle partecipare
alla guida della società; la critica più forte, propria della formazione
laico-democratica del C., stava nella denuncia del carattere dogmatico delle
idee del Lunačarskij, quando questi sosteneva che la sua scuola del lavoro non
era disgiungibile dal sistema sociale comunista e dal controllo politico del
partito. Conseguita la laurea in filosofia, ottenne presso l'università di
Genova la libera docenza in storia della filosofia e vinse il concorso per le
grandi sedi per la cattedra di filosofia, pedagogia ed economia negli istituti
magistrali, ottenendo come sede Genova. Frattanto la collaborazione con il
Gobetti, che più che un sodalizio intellettuale aveva costituito un formativo
comune impegno politico-sociale all'insegna del programma di democrazia
liberale, lo portò in breve tempo allo scontro con il fascismo ormai
trionfante. è la diffida dei prefetto di
Torino contro la Rivoluzione liberale (alla quale il C. collabora) e i suoi
redattori. La conferma di questo impegno politico e intellettuale, il C. la
offrì ulteriormente curando la pubblicazione postuma di Risorgimento senza eroi
(Torino) del Gobetti e continuando a far uscire IlBaretti, pur orientando la
rivista sempre più verso temi letterari e filosofici onde evitare scontri
ancora più aspri con il regime. Nel 1926, grazie al Croce, che ormai era
divenuto per lui - come per tanti altri antifascisti - "maestro di
libertà", assunse la direzione della collana "Scrittori
d'Italia" edita da Laterza. Nel maggio di quell'anno fu costretto a
rinunciare alla collaborazione all'Enciclopedia Italiana, a cui era stato invitato
dal Gentile, per gli atttacchi mossigli dalla stampa di regime. Il
dissenso dalla politica del fascismo ne provoco l'arresto il 21 apr. 1928;
rinchiuso prima nelle carceri. di Marassi a Genova e quindi trasferito a S.
Vittore a Milano, fu scarcerato il 6 luglio dello stesso anno. Venne sospeso
dall'insegnamento e dalla libera docenza. Le accuse - come si legge in una
lettera al Croce (in Il Dialogo, 1980) - erano tra l'altro di aver collaborato
"al giornale socialistoide-democratico Il Lavoro" di Genova e di aver
avuto rapporti con l'associazione antifascista Giovane Italia, insomma di
essere "in una condizione di incompatibilità con le direttive generali del
governo". Scagionato anche grazie all'intervento del Croce, il C. fu
riammesso all'insegnamento il 9 aprile e la libera docenza gli fu restituita
con d. m. Venne però destinato all'istituto magistrale di Messina, dove prese
servizio dal 16 settembre. Dall'ottobre di quell'anno ottenne l'incarico
di filosofia e storia della filosofia e di pedagogia presso il magistero
dell'università di Messina. Mantenne questi incarichi finché, nel 1933,
vincitore di più concorsi, fu chiamato a coprire la cattedra di pedagogia
nell'università di Catania. Passò alla cattedra di filosofia teoretica,
conseguendo l'ordinariato. Furono questi anni di studio intenso. Pur nel
crocianesimo di base, si intravvede in Religione, teosofia, filosofia (Messina)
e in Senso comune. Teoria e pratica (Bari) lo sforzo di plasmare un proprio e
originale impianto teoretico. In dialogo con i principali pensatori
dell'idealismo tedesco e italiano, il C. si misura particolarmente con la
crociana logica dei distinti. L'indagine si muove sul terreno dell'attività
teoretico-pratica dello Spirito. Particolarmente Religione, teosofia, filosofia
rappresenta questo tentativo compiuto dal C. per una revisione del sistema
idealistico: vi è fatta emergere l'esigenza di un pensiero spirituale più
attento da una parte alla concretezza dell'uomo e dall'altra alla ineffabilità
di Dio. Perseguendo tale assunto, nella ricerca di un ordine della verità oltre
la logica e la nozione di storia del Croce, il C. ripercorre in Senso comune le
tappe storiche del pensiero occidentale, ricostruendo la genesi della dualità
dello Spirito nella filosofia greca e poi seguendola nel suo sviluppo e nel suo
problematicizzarsi nel pensiero moderno. La concezione della filosofia come
educazione e storia, la stretta connessione tra la filosofia e la sua storia
pongono il C. medianamente tra il Croce e il Gentile, e tuttavia nel senso di
una sicura indipendenza dal loro pensiero. La sua posizione teoretica può
essere così schematizzata: la teoresi è fondamentalmente caratterizzata dalla
dialettica dei distinti, mentre la prassi genera lo scontro tra gli opposti; la
sintesi dei distinti non è un tertium quid da essi distinto, ma consiste nella
loro stessa inscindibile relazione. La loro circolarità consente, come
riaffermerà in Ideologia (Catania), di guardare alla pratica come alla
realizzazione della teoria, così che si può parlare e di un finalismo teoretico
della pratica e di un finalismo pratico della teoria. All'approfondimento
critico dei neoidealismo italiano, il C. affianca l'approfondimento del
rapporto tra ricerca filosofica e fede religiosa. Egli mantiene costante il
dialogo tra filosofia, scienza e fede nelle trattazioni della piena maturità:
Ideologia (Catania), Metalogica: filosofia dell'esperienza, Metafisica vichiana
(Palermo), in cui è auspicata la possibilità della sopravvivenza del problema
metafisico nell'orizzonte di una metafisica rinnovata, Conoscenza e metafisica.
In quest'ultima opera è affrontato il rapporto verità-conoscere, con l'intento
di delimitare i confini del sapere scientifico e di affermare razionalmente la
capacità di intelligere la realtà della rivelazione. Qui la religione, anziché
risolversi nella filosofia, colloca il proprio progresso in intima unità con il
progresso della filosofia stessa: da un lato è esclusa la riduzione della
religione ad atteggiamento pratico; dall'altro, le è conferita una distinta
funzione teoretica. La piena adesione del C. allo spiritualismo cristiano,
dunque, fa si che sia elusa la riduzione della filosofia a metodologia, senza
dover rinunciare alla fondamentale esigenza di criticità, e che l'interesse si
concentri su quelle istanze spiritualistiche, invero in lui presenti dagli anni
giovanili sia come atteggiamento di vita - lo si evince dalle Lettere dal
carcere - sia come ricerca originale di pensiero. In tal senso, l'adesione allo
spiritualismo cristiano va dunque letta più nella prospettiva della continuità,
dinamica e perciò trasformantesi e trasformante, che in quella della
svolta. Durante la sua lunga e proficua attività accademica, il C.
ricoprì numerose cariche, tra cui quella di preside della facoltà di lettere e
filosofia dell'università di Catania; fu presidente di sezione del British
Council di Catania e presidente di sezione della Società filosofica italiana a
Catania e a Palermo; fu anche presidente di sezione dell'Associazione
pedagogica italiana. A Palermo si era stabilito definitivamente allorché venne
chiamato prima alla cattedra di pedagogia e poi a quella di filosofia teoretica
presso la facoltà di lettere e filosofia. Il C. morì a Palermo. Opere:
Per un elenco completo si rinvia a Bibliografia degli scritti di S. C., a cura
di T. Caramella, in Miscellanea di studi filosofici in memoria di S. C. (suppl.
n. 7 degli Atti dell'Accad. di scienze lettere e arti di Palermo), Palermo. Oltre
alle opere citate ci limitiamo a ricordare qui: E. Bergson, Milano 1925;
Antologia vichiana, Messina, Breve storia della pedagogia, La filosofia di
Plotino e il neoplatonismo, Catania; Autocritica, in Filosofi italiani
contemporanei, a cura di Sciacca, Milano L'Enciclopedia di Hegel, Padova; La
filosofia dello Stato nel Risorgimento, Napoli; Introduzione a Kant, Palermo La
pedagogia tedesca in Italia, Roma; Pedagogia. Saggio di voci nuove, Fonti e
Bibl.: Roma, Arch. centrale dello Stato, Casellario politico centrale, Per
l'epistolario del C. contributi in: Lettere dal carcere di S. C., in Giornale
di metafisica, Carteggio con Croce e Gobetti, in Il Dialogo, Carteggio Lombardo
Radice-S. C., a cura di T. Caramella, Genova. Vedi inoltre: M.F. Sciacca,
Profilo di S. C., in Annali della facoltà di magistero della università di
Palermo, Di Vona, Religione e filosofia
nel pensiero giovanile di S. C., Conigliaro, Verità e dialogo nel pensiero di
S. C., in Il Dialogo, Guzzo, S. C., in Filosofia, Sciacca, Il pensiero di S.
C., in Atti dell'Accad. di scienze lettere e arti di Palermo, Sofia, Il dialogo
di S. C. con gli uomini d'oggi, in Labor, Cafaro, Commemoraz. di S. C., in
Nuova Riv. pedagogica, Piovani, La dialettica del vero e del certo nella
"metafisica vichiana" di S. C., in Miscellanea di scritti filosofici
in memoria di S. C., Palermo Ganci, S. C., Raschini, Commemoraz. del prof. S.
C., in Giornale di metafisica, Brancato, S. C.: senso fine e significato della
storia, Trapani 1974; V. Mathieu, Filosofia contemporanea, Firenze 1978, pp.
8-10; P. Prini, La ontologia storico-dialettica di S. C., in Theorein,
Pareyson, Inizi e caratteri del pensiero di S. C., in Giornale di metafisica,
Corselli, La vita dello spirito nella filosofia di S. C., in Labor, Raschini,
Storiografia e metafisica nella interpretazione vichiana di S. C., in Filosofia
oggi, V (1982), pp. 267-278; M. Corselli, La figura di S. C., in Labor,
Sciacca, S. C. filosofo, pedagogista, educatore, in Pegaso. Annali della
facoltà di magistero della università di Palermo. δικά , ώς φησιν
Ηρακλείδης ο Ποντικός εν τω περί Ερωτικών. ούτοι Φανέντες επιβουλεύοντες
Φαλάριδί,Chariton& Melanippus και βασανιζόμενοι αναγκαζόμενοί τε λέγειν
τους συν- confpirant . ειδότας,ουμόνονουκατείπον, αλλά καιτονΦάλα- adν.Ρhala
ριν αυτόν είς έλεον ' των βασάνων ήγαγον , ως α π ο λύσαι αυτουςπολλά
επαινέσαντα. διοκαιοΑπόλ. λων, ησθείς επί τούτοις, αναβολην του θανάτου το
Φαλάριδίέχαρίσατο, τούτοέμφήναςτουςπυνθανομέ νουςτηςΠυθίαςόπωςαυτόεπιθώνται
έχρησέτεκαι cπερί των αμφί τον Χαρίτωνα , προτάξας του εξαμέ τρου το
πεντάμετρον, καθάπερ ύστερον και Διονύσιος 'Αθηναίος εποίησεν, ο επικληθεις
Χαλκους, εν τοις Έλεγείοις. έστιδεοχρησμόςόδε ετε -- Ευδαίμων Χαρίτων και
Μελάνιππος έφυ , θείαςαγητηρες έφαμερίοιςφιλότατος. 1 Perperamέλαιονms.Εp.&
moxαπολαύσαι1ns.A.proαπολύσαι. α > 737 Σ 2 Alibi άγητήρες. 2 amasius, ut ait
Heraclides Ponticus in libro de A m a toriis. Hi igitur deprehensi insidias
ftruxisse Phalaridi & tormentis subiecti quo coniuratos denunciare coge
rentur, non modo non denunciarunt, fed etiam Phala rin ipsum ad misericordiam
tormentorum commoverunt , ut plurimum collaudatos dimitteret. Quare etiam Apol
lo,delectatusfacto,moram mortisindullitPhalaridi,hoc ipsum declarans his qui
ipsum de ratione, qua tyran num adgrederentur,consuluerunt:atqueetiamdeCha
ritone & Melanippo oraculum edidit, in quo pentame ter praepofitus
hexametro erat; quemadmodum etiam pofteaDionysiusAthenienfis,
isquiAeneuseftcognomi natus , in Elegiis fecit. Erat autem oraculum hocce :
> Felix & Chariton & Melanippus erat, mortalium genti auctores coeleftis
amoris. Santino Caramella. Keywords: il culto dell’eroe, gl’eroi, il
culto degl’eroi, Niso ed Eurialo, Nicodemo, gl’eroi di Vico, “la verita in
dialogo”, soggetto, intersoggetivita, lo spirito oggetivo, spiriti
intersoggetivi, Apollo su Nicodemo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caramella”
– The Swimming-Pool Library.
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