Thursday, July 4, 2024

Grice ed Aliotta

 L. LIMENTANI • A. MASNOVO - A. LEVI 

M. MARESCA » G. DELLA VOLPE = E. P. LAMANNA ' 


LA FILOSOFIA CONTEMPORANEA 

( 

/ « 

IN ITALIA DAL 1870 AL 1920 





LIBRERIA EDITRICE FRANCESCO PERRELLA 
NAPOLI - CITTÀ DI CASTELLO 


1928 











PROPRIETÀ LETTERARIA 


**** 



Città di Castello, Società Anonima Tip. «Leonardo da Vinci», 1928. 







INDICE 


L. Limentani. — Il positivismo .pp. 1-38 

Introduzione.pag. 1 

1 primi positivisti: Carlo Cattaneo, Pasquale Villari,Salvatore Tommasi . » 3 

Roberto Ardigò.» 4 

La scuola dell'Ardigò: Giovanni Marchesini 8 

Giovanni Dandolo. . . » 9 

Giuseppe Tarozzi. » 10 

Erminio Troilo. » 12 

Cesare Ranzoli. » 13 

La fortuna dello Spencer in Italia. » 13 

Positivismo nelle scienze biologiche: Enrico Morselli . . . . » 14 

Cesare Lombroso. » 14 

Enrico Ferri. • . . . » 15 

Giuseppe Sergi. » 15 

Ettore Regalia. » 15 

Tito Vignoli. » 15 

Psicologia: Gabriele Buccola. » 15 

Angelo Mosso. » 16 

Mariano Luigi Patrizi. » 16 

Sancte De Sanctis..» 16 

Angelo Brofferio . . . .. » 17 

Ettore Galli. » 17 

Pedagogia: Aristide Gabelli. » 17 

Andrea Angiulli. » 18 

Pietro Siciliani. » 18 

Nicola Fornelli.18 

Luigi Credaro. » 18 

Saverio Francesco De Dominicis.19 

Giovanni Antonio Colozza. » 19 

Guido Della Valle. » 19 

Maria Montessori. » 20 

Giacomo Tauro. » 20 

Raffaele Resta. ...» 20 

Etica: Paolo Raffaello Troiano.» 21 

Giovanni Cesca. >22*' 

Erminio Juvalta. » 22 

Francesco Orestano.» 23 







































IV 


INDICE 


Zino Zini. 




• pag 

. . > 

25 

Ludovico Limentani. 




25 

Guglielmo Salvadori. 




. , » 

26 

Filosofia della storia e della storiografia: 

Nicola Marselli 


• . » 

26 

Enrico De Michelis. 




• • » 

26 

Giambattista Grassi Bertazzi 





27 

Sociologia: Alfonso Asturaro 




• • » 

27 

Materialismo storico: Achille Loria . 





27 

Antonio Labriola .... 





28 

Rodolfo Mondolfo. 





28 

Ettore Gambigliani Zoccoli 




• • » 

29 

Filosofia del diritto: Icilio Vanni 




. . » 

29 

Giuseppe Carle .... 




, » 

29 

Biagio Brugi.... 




• . * 

29 

Salvatore Fragapane .... 




• . » 

30 

Antonio Falchi 




. • * 

30 

Vincenzo Miceli . 




• • » 

30 

Alessandro Groppa! i. 




. . » 

30 

Alessandro Levi. 




. . » 

30 

Alfredo Bartolomei .... 




• . » 

31 

Benvenuto Donati. 




. . » 

31 

Filosofia della scienza: Bernardino Varisco 




, » 

31 

Federico Enriques .... 




. * » 

32 

Eugenio Rignano. 




» 

33 

La filosofia scettica: Giuseppe Rensi. 




« * 

34 

Adolfo Levi. 




• • » 

35 

La filosofia dell’identità di Simone Corleo 




» 

36 

Il fenomenismo di Cosmo Guastella.. 




• . » 

37 

Conclusione.. 

A. Masnovo. — II neo-tomismo in Italia dopo il 1870 



. » 38 

. . pp. 39-53 

Vincenzo Buzzetti. 




» 

39 

Mario Liberatore. 




40 

Giuseppe Pecci. 




, » 

42 

Giovanni M. Cornoldi .... 


- 


• . » 

46 

Salvatore Talamo. 





47 

Giuseppe Prisco. 





48 

Gaetano Sanseverino. 




. • » 

50 

Cristoforo Bonavino (Ausonio Franchi) 




• . » 

50 

Agostino Gemelli. 





51 

A. Levi. — L’idealismo critico in Italia. 





Piero Martinetti. 





54 

Bernardino Varisco. 





63 

Pantaleo Carabellese. 





71 

Adolfo Levi. 





72 

M. Maresca. — Il neo-criticismo in Italia 

• • • 



. pp. 73-105 

Indirizzo critico-storico: F. Fiorentino 





74 

Carlo Cantoni. 





76 































INDICE 


V 


Felice Tocco . pag. 77 

Alessandro Chiappelli .» 81 

Guido Villa. » 84 

Indirizzo costruttivo-sistematico: Filippo Masci. » 87 

Giovenni Vidari. » 94 

Guido Della Valle. » 98 

Mariano Maresca. » 102 

Il neo-criticismo nella filosofia del diritto: Igino Petrone . . . » 104 

Giorgio Del Vecchio. » 105 

G- Della Volpe. — // neo-hegelismo italiano .pp. 1 06-120 

Benedetto Croce.pag. 107 

Giovanni Gentile. » 112 

Armando Carlini. » i |8 

Giuseppe Saitta.» 118 

Guido De Ruggiero.. . » 119 

Vito Fazio-Allmayer . . . 120 

Giuseppe Lombardo-Radice.. 

E. P. Lamanna. — // realismo psicologistico nella nuova filosofìa 

italiana .pp. 121-153 

Francesco De Sarlo.pag. 121 

Antonio Aliotta. » 143 

Giovanni Calò. » 146 

E. Paolo Lamanna.. 

Enzo Bonaventura. » 152 


































PREFAZIONE 


Questo libro, che è l'estratto del fascicolo di Logos, Gennaio-Giugno 
1924, non vuol essere una visione sintetica della nuova filosofia italiana 
da un punto di vista unico, ma solo una guida analitica allo studio di 
essa con informazioni bibliografiche. 

Chi volesse orientarsi nel labirinto del nuovo pensiero italiano può 
trovare nel quinto volume del mio Sommario di Storia della Filosofia 
( Napoli, Perrella) il filo d'Arianna che lo guiderà attraverso il cam¬ 
mino della filosofia italiana, che dal positivismo con una progressiva 
eliminazione d’ogni realtà trascendente giunge all'assoluta immanenza 
dell’idealismo attuale per ritornare poi insoddisfatto a una nuova 
affermazione della trascendenza. 

L’idealismo assoluto ormai declina verso il tramonto. Una nuova 
forma di realismo albeggia all'orizzonte. La crisi della guerra ha con¬ 
dotto molti spiriti verso l'irrazionalismo scettico-mistico, quando non 
li ha persuasi a rifugiarsi nella tradizione cattolica. Noi siamo fer¬ 
mamente convinti che è sterile ogni tentativo di ritorno al passato, 
perchè è negazione della storia; e crediamo che la speculazione, se 
vuol essere feconda, deve procedere sulla via tracciata dallo sviluppo 
del pensiero moderno. Un realismo che pretendesse ritornare all’immo¬ 
bilità delle essenze platoniche, che togliesse alla coscienza ogni efficacia 
reale nella costruzione del mondo della realtà e della verità, facendone 
solo una luce che rischiara ciò che è fatto ab aeterno; un realismo 
insomma del tipo di quello che è l’ultima moda inglese, americana e 
tedesca, toglierebbe alla vita ogni significato, facendoci perdere le mi¬ 
gliori conquiste della filosofia moderna. Ci auguriamo che il genio 
italiano rimanga immune da quella brutta moda e si mantenga sulla 
linea gloriosa del suo Rinascimento, che è affermazione dell’attività 
dell'uomo nel mondo concreto della sua esperienza. Contro il dogma¬ 
tismo platonico, le sottigliezze scolastiche, le nebbie mistiche, le negazioni 
scettiche, contro tutti gli arbitrii della fantasia e della ragione a priori 
non vi è che un solo metodo sicuro, cioè l’esperimento storico delle 
nostre umane verità (1). 

Napoli, Novembre del 1928. A. ALIOTTA. 


(1) Prego di perdonare qualche omissione. Una sopratutto debbo segnalarne: 
quella del nome di Antonio Renda che per la finezza dei suoi studii di psico- 
dissociazione psicologica, Torino, 1905; Le passioni, Torino, 1906; 
L oblio, Torino, 1910), è tra i migliori positivisti. Nella seconda fase del suo 
pensiero il Renda si è accostato all’idealismo assoluto e alla filosofia dell’azione 
del Blondel col suo libro La validità della religione, Città di Castello, 1921. 














IL POSITIVISMO ITALIANO 


•i 

1. Introduzione. — 2. I primi positivisti. — 3. R. Ardigò. — 4. La scuola dell’Ar- 
digò. — 5. La fortuna dello Spencer in Italia. Positivismo nelle scienze 
biologiche. — 6. Psicologia. — 7. Pedagogia. — 8 . Etica. — 9. Filosofia 
della storia e della storiografia. — IO. Sociologia. Il materialismo storico. — 
11. Filosofia del diritto. — II. Filosofia delle scienze. — 13. La filosofia 
scettica. 14. La filosofia dell’identità di S. Corleo e il fenomenismo di 
C. Guastella. — 15. Conclusione. 

1. — Le difficoltà che s’incontrano in una rassegna del positi¬ 
vismo italiano dipendono, in primo luogo, dall’incerto significato 
del nome stesso, onde hanno potuto essere ugualmente designate 
come « positive », filosofie, delle quali sembrerebbe più interessante 
mettere in luce le caratteristiche differenziali che non i tratti comuni. 

I positivisti non si definiscono come tali per la concorde adesione 
a una rigida dottrina, o per la collaborazione consapevole alla co¬ 
struzione di un sistema ben determinato: si tratta piuttosto di un indi¬ 
rizzo metodico, di una forma mentale che impronta di sè non solamente 
la ricerca filosofica propriamente detta, ma l’intiero mondo della cul¬ 
tura. Il positivismo ripone e ricerca la verità nel fatto, intende la co¬ 
noscenza come relativa, la esperienza come unica fonte del sapere e 
ultimo criterio della certezza, ritiene che la cognizione filosofica non 
sia diversa per natura dalla scientifica, e anche non possa se non 
prepararla e integrarla, assume di fronte ai problemi della metafisica 
un atteggiamento agnostico o semplicemente negativo, concepisce 
la natura come universale meccanismo, escludendone la teleologia 
e, pure affermando la irreducibile diversità della materia dallo spi¬ 
rito, non crede che da ciò rimanga spezzata la unità e interrotta 
la continuità del reale, interpetra il mondo dei valori come prodotto 
della evoluzione psicologica, e dei valori stessi domanda la spie¬ 
gazione e la giustificazione alle leggi della psicologia. 

Ma l’accordo — che può anche essere parziale — sopra questi 
principii non esclude la possibilità di svolgimenti molteplici e au- 


ì 




2 


LUDOVICO LIMENTANI 


tonomi, perchè i principii stessi valgon piuttosto a dirigere nella 
selezione e nella discussione dei problemi, che non ad anteciparne 
in concreto la soluzione: onde, chi voglia essere cronista esatto del 
vasto e vario movimento, si trova di necessità a ravvicinare pen¬ 
satori che si sono reciprocamente ignorati e che proverebbero senza 
dubbio grande maraviglia di trovarsi messi insieme: particolarmente 
in Italia il positivismo è affermazione perenne della libertà filosofica, 
sì che sembra vano ogni tentativo di esprimerlo con una formula, 
e si manifesta la necessità di determinarne la fisionomia, conside¬ 
rando in modo distinto la operosità de’ suoi seguaci. E tale neces¬ 
sità risulta ancora dal fatto che nella maggior parte dei positivisti 
italiani, sopra il gusto delle costruzioni sistematiche, ha prevalso 
la tendenza a esplorare determinati campi della indagine: e però 
limitarsi a registrare le concezioni generali del mondo e della vita, 
trascurando i contributi recati da più modesti studiosi alle scienze 
filosofiche speciali, equivarrebbe a dare del movimento una idea 
affatto inadeguata. 

Inoltre, appunto perchè in alcune almeno tra le fondamentali 
assunzioni del positivismo possono, senza chiaro intendimento del 
loro più profondo significato, consentire anche quegli scienziati che 
sono affatto estranei agl’interessi speculativi, avvenne che si de¬ 
corasse del nome di positivismo anche la loro afilosofia, che fu 
qualche volta, per dirla con Bruno, la loro filasofia, cioè una me¬ 
tafisica grossolana, ingenua sino alla inconsapevolezza, e di gran 
lunga peggiore di quella metafisica contro la quale il positivismo 
era sceso in campo: positivismo non può infatti essere ignoranza 
della tradizione metafisica e incapacità d’intenderne le ragioni, bensì 
dev’esspre revisione critica dei postulati assunti e dei metodi tenuti 
dalla metafisica stessa. Eppure in un quadro sommario che aspiri 
a riuscire completo, anche queste manifestazioni di pensiero più 
povere di critica hanno il loro significato e debbono trovare il loro 
posto. 

D’altra parte, in Italia, in questi ultimi anni, le fortune della 
filosofia idealistica, soprattutto nella sua forma attualistica, indus¬ 
sero i dissenzienti a costituire una fronte unica contro una dottrina 
che romanticamente presentava la filosofia, piuttosto come opera di 
fantasia e prodotto di subbiettiva ispirazione, che non come siste¬ 
mazione di conoscenze vere: e il comune, se pur tutt’altro che uguale, 
atteggiamento di opposizione e di reazione, ebbe come conse¬ 
guenza che tendessero a obliterarsi i caratteri differenziali del po¬ 
sitivismo da altri indirizzi. A far la rassegna dei filosofi che prò- 



IL POSITIVISMO ITALIANO 


3 


fessano oggi di essere positivisti, si sarebbe indotti a conchitidere 
che i « quadri » non sono stati mai poveri come adesso : eppure 
mai come in questo momento è apparsa chiara la influenza del 
positivismo sopra la educazione mentale e la posizione dottrinale 
di quei pensatori che non si sono ralliés alla filosofia di moda. 

2.— Il periodo storico che qui si considera, coincide con il 
cinquantennio dell’attività filosofica di R. Ardigò; questi, nato nel 
1828 a Casteldidone, pubblicò nel 1870 « La psicologia come scienza 
positiva », segnandovi le linee fondamentali della sua dottrina, già 
preannunziata l’anno precedente, quand’egli era ancora prete, nella 
commemorazione di P. Pomponazzi — e morì a Mantova nel 1920, 
avendo atteso fin quasi all’ultimo giorno, all’opera sua di scrittore. 
Ma alla costruzione del sistema ardighiano erano precorse in Italia 
altre manifestazioni di pensiero positivistico. 

Il sorgere e vigoreggiare della filosofia del fatto si lega in Italia 
come all’estero, a ragioni complesse, fra le quali prevalgono i mara- 
vigliosi progressi della scienza, nell’ordine cosi delle invenzioni 
come delle scoperte, il fervore degli studi storici, la reazione contro 
le intemperanze del pensiero metafisico, il disgusto dei sistemi do¬ 
gmatici. Le origini prossime del movimento positivista sono da ri¬ 
cercare nella scuola di G. D. Romagnosi, dalla quale uscirono Giu¬ 
seppe Ferrari e Carlo Cattaneo. Ma il Ferrari, rappresentante di 
un fenomenismo estremo che reca le tracce d’influenze discordi e 
tende a sboccar nello scetticismo, non orientò il suo pensiero verso 
il positivismo così decisamente come il Cattaneo: questi è comu¬ 
nemente riconosciuto come l’iniziatore del movimento e il più ef. 
ficace banditore della dottrina, nel ventennio 1850-70. 

Nel Cattaneo (1801-69), patriotta insigne, cittadino intemerato, 
scrittore magnifico, mente poliedrica, si manifesta l’interesse per 
la glottologia, la storia e la politica, la demografia, la economia e 
la organizzazione tecnica della industria e dell’agricoltura: ne’suoi 
scritti filosofici, non ammette conoscenza che non sia di fatti, e at¬ 
tribuisce alla filosofia una funzione sintetica rispetto alle altre scien¬ 
ze: raccogliendo la eredità del Vico, pone come fondamentale il pro-^ 
bleina deH’incivilimento: la civiltà è opera dell’uomo; ma l’Uomo 
dei metafisici è una finzione mentale, che non può adeguarsi alla 
varietà e alla concretezza del mondo umano; la psicologia indivi¬ 
duale deve integrarsi nella psicologia sociale, o psicologia delle 
menti associate; mente non si dà, nè funziona e si forma se non 
in un giuoco di azioni e reazioni, che, poiché i conviventi operano 
uno sopra l’altro e ogni generazione scomparsa sopra le successive. 




4 


LUDOVICO LIMENTANI 


è a un tempo il fondamento della unità sociale e della continuità 
storica. La dottrina del Cattaneo s'intona al positivismo del Comte 
e all’umanismo del Feuerbach, sebbene si sia costituita in perfetta 
indipendenza dall'uno e dall’altro, e contiene germi che dovranno 
maturare nella filosofia dell’Ardigò (« Opere edite e inedite di C. 
C.», Voli. VI-VII). 

Maestro acclamato e autorevolissimo nelle scienze storiche, Pa¬ 
squale Villari (1827-1917), che aveva mostrato, nel « Saggio sull’o¬ 
rigine e sul progresso della Filosofia della Storia» (1854), di risentir 
la influenza del Comte e del Mill, illustrò e favori («La Filosofia 
positiva e il metodo storico», 1865) l’indirizzo storico già preva¬ 
lente nelle scienze morali, sostenendo che queste non avrebbero 
potuto fiorire come le scienze naturali, se non ne avessero fatto pro¬ 
prio il metodo, positivo o sperimentale. 

La influenza esercitata dalla divulgazione della dottrina darwi¬ 
niana, che apriva nuovi orizzonti agli studi biologici ed ebbe fra 
noi il suo apostolo più fervido in Giovanni Canestrini ( « Antropo¬ 
logia » * 1888 « La teoria dell’evoluzione esposta ne’ suoi fondamen¬ 
ti ’ » 1887 « La teoria di Darwin » 1887 ), è manifesta negli scritti 
di Salvatore Tommasi (1813-88), medico insigne che promosse il 
progresso delle scienze biologiche dallo stato metafisico allo stato 
positivo, e ammoniva i discepoli a porsi dinanzi ai problemi della 
natura, con l’animo sgombro da ogni apriorismo dottrinale e meto¬ 
dico. Il suo naturalismo è concezione della filosofia come organa¬ 
mento del sapere scientifico, è realismo rigoroso, che tende a iden¬ 
tificarsi con il materialismo, e non meno rigoroso empirismo: è 
evoluzionismo che esclude da sè ogni teleologia («Il naturalismo 
moderno» 1866 «Il rinnovamento della medicina in Italia» 1888). 
Positivista fu pure Arnaldo Cantani (1837-93), collega del Tommasi 
e suo successore nella clinica di Napoli. 

3. — Il positivismo italiano non è tutto nella dottrina delI’Ardigò 
e della sua scuola: ma l’Ardigò ne è, per concorde giudizio, la 
figura più rappresentativa. Di lui gli undici volumi delle Opere Filo¬ 
sofiche rispecchiano il genio speculativo e l’animo candido e generoso, 
la fede inconcussa nel Vero e il culto operoso dell’ideale etico, ce¬ 
lebrato nella esemplare austerità della vita. Il positivismo del Comte 
era stato giudicato impari, se pur non affatto insensibile, alla esi 
genza gnoseologica: nè questa era sodisfatta, in modo positivo, 
dalITnconoscibiie spenceriano, che rappresenta ancora una entità 
ontologica, onde si mantiene l’antitesi di sostanza e di fenomeno, 
e il fenomeno è un relativo che postula un Assoluto e trova alla 


IL POSITIVISMO ITALIANO 


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soglia di questo il proprio limite: il sistema dell'A. si forma fuori 
da ogni diretta influenza di queste dottrine, per la rivoluzione che 
lo studio delle scienze naturali opera nella sua mente, resa, da lunga 
consuetudine, familiare con i classici della teologia e della metafi¬ 
sica: il distacco dalle vecchie credenze non è definitivo, fin ch’egli 
non ha trovato la soluzione del problema gnoseologico, e non ha 
inteso come si possa spiegare la origine delle idee, senza ricorrere 
alla trascendente facoltà dell’intelletto. La posizione centrale asse¬ 
gnata alla teoria della conoscenza è la caratteristica più significa¬ 
tiva del sistema dell’A. « Non è senza significato che il positivismo 
assuma in Italia, quasi al suo apparire coll’A., fisonomia spiccata 
di naturalismo sistematico affrontando subito il problema dell’infi¬ 
nito cosmico e traducendone la visione in una concezione organica 
dell’universo, e che in questa, come unicamente esteriore ed obiet¬ 
tiva non si acqueti, ma la integri subito colla ricostruzione sin¬ 
tetica dell’uiiità della coscienza, e invece che tener separata la que¬ 
stione gnoseologica dalla cosmologica trasfonda l’una nell’altra creando 
un nuovo concetto si della natura, sì dell’esperienza, tale che l’uria 
dall’altra non si separano se non per distinzione sopravveniente; 
questo non è il positivismo di Comte, nè quello di Spencer, è il 
positivismo di un popolo ove è indigeno il naturalismo del Rina¬ 
scimento» (Tarozzi). 

Il fatto è divino, i principii sono umani: ma il fatto primo e as¬ 
solutamente certo, per la consapevolezza immediata che ne abbiamo, 
è il fatto di coscienza, la sensazione: la esperienza che sta a fon¬ 
damento di ogni verità e che non si può tentar di trascendere senza 
trascorrere dal reale nel chimerico, è esperienza psicologica. Il mo¬ 
nismo dell’A. che elimina ogni residuo di trascendenza, esclude 
come fantastica così la contrapposizione dell’oggetto al soggetto, 
come l’annichilazione dell’oggetto nel soggetto; e sfugge al pregiu¬ 
dizio del realismo ingenuo senza incorrere nei sofismi del soggetti¬ 
vismo radicale. La contrapposizione è fra termini di pensiero, fra 
gruppi di sensazioni: la sensazione afferma se stessa assolutamente, 
il conoscere non si deve che alla sua virtualità; ma la sensazione, 
e l’attività psichica in generale, ponendosi, si sdoppia in due mondi, 
per il doppio sguardo (diblemma psicologico) onde si compie da 
un lato la sintesi delle sensazioni interne (Autosintesi, Me), dall’al¬ 
tro, la sintesi delle sensazioni esterne (F.terosintesi, Non-Me): le 
sensazioni non sono per se stesse nè interne nè esterne, ma il dif¬ 
ferenziamento si opera, per la specificazione degli organi di senso e 
per il contrastare di attività stabili e costanti, ad altre accidentali 



6 


LUDOVICO LIMENTANI 


e intermittenti. La sensazione, in quanto tale, è solo quello che è 
essa stessa in se medesima; ma la reciproca integrazione delle sen¬ 
sazioni pertinenti a sensi diversi (le quali son tutte fra loro incom¬ 
mensurabili o reciprocamente trascendenti), converte la sensazione 
in percezione, aggiunge alla osservazione l’esperimento («Il fatto 
psicologico della percezione» 188?). Ed è un imperativo logico la 
sensazione, non soltanto in se stessa, in quanto conoscenza asso¬ 
luta o posizione di se medesima, ma anche come percezione, o co¬ 
noscenza relativa e posizione della propria causa: si definisce cosi 
la oggettività del sapere, mentre si evita l’errore di risolvere il sog¬ 
getto nell’oggetto. 

La conoscenza è relativa, ma non perchè abbia il suo termine 
antitetico in un Assoluto che trascenda la esperienza e figuri come 
possibile oggetto di una Mente sovrumana, bensì per quel rapporto 
d’irreducibilità che il pensiero stesso pone fra i propri termini sen¬ 
sibili, e che, come tale, è noto («L’Inconoscibile di H. Spencer e 
il positivismo» 1883). La materia non farà mai conoscere lo spirito, 
nè lo spirito la materia: ma la trascendenza così intesa, in senso 
affatto diverso dal tradizionale, non esclude la fondamentale unità, 
che è l ’indistinto sottostante ai distinti (Me e Non-Me) che vi si co¬ 
stituiscono, collegandosi in un organismo logico unico. 

«L’unità dell’indistinto sottostante alla molteplicità dei distinti, 
e la continuità del processo della duplice distinzione ('spaziale e 
temporale) caratterizzano la concezione naturalistica del cosmo » 
(Marchesini). È una formazione naturale la psiche, e la legge della 
distinzione, che ne spiega l’essere e ne domina lo sviluppo, è legge 
di tutte le formazioni nelle quali si specifica la realtà: la premi¬ 
nenza e la priorità del problema gnoseologico rispetto a tutti 
gli altri problemi filosofici si esprimono nel fatto che appunto dallo 
studio del fenomeno cogitativo induttivamente si ricava il con¬ 
cetto della natura come indistinto, matrice onnigena inesauribile, 
infinita virtualità di successivi che si realizza nella infinità dei coe¬ 
sistenti. Il processo dall’indistinto al distinto è governato dalla legge 
del ritmo, la quale spiega come ogni formazione naturale debba 
sempre essere un ordine, malgrado le accidentalità proprie di ogni 
ordine dato, che è sempre l’effettuazione di uno tra infiniti altri 
possibili. 

Per la universale ritmicità si ha infatti nella natura non il caso, 
ma la cosa e il fatto, il tipo e la legge, l’impero, dunque, della cau¬ 
salità; ma causalità non è forma a priori dello spirito, nè semplice 
successione che generi per abitudine l’attesa del riprodursi del pas- 





IL POSITIVISMO ITALIANO 


7 


sato; l’idea di causa è una formazione naturale endogenetica per 
l’esperienza subita dal mondo esterno, onde avvertendo costante- 
mente una determinata successione, siamo costretti ad ammettere 
che il fatto precedente ha in sè una condizione e ragione di causare: 
ogni fatto, dunque, emerge in modo necessario dall’indistinto che lo 
determina. Ma, d’altra parte, la necessità non esclude il caso, per¬ 
chè l’ordine si attua in seno all’universo che è infinito: onde il fatto 
può a un tempo dirsi, per la sua intrinseca necessità, equazione 
del determinato, e, per la imprevedibilità della sua determinazione 
necessaria, equazione dell’infinito: poiché l’indistinto non è un si¬ 
stema chiuso, il distinguersi di uno o dell’altro ordine è casuale. 
Il determinismo non elimina dunque la casualità, nè semplicemente 
l’ammette come espressione della nostra ignoranza: ma la riconduce 
alla varietà infinita che è un positivo aspetto della realtà, non meno 
che la causalità: il caso è l’effetto prodotto per necessità naturale 
da una causa imprevedibile, assolutamente parlando, e quindi non 
assegnabile, o non fissata nella stessa natura, a motivo dell’infinità 
del suo principio, non solo nei momenti del tempo, che è senza 
limiti, ma anche negli elementi costitutivi, eccedenti ogni confine 
di spazio (« La formazione naturale nel fatto del sistema solare » 
1877; la trilogia: « Il Vero» 1891 «La Ragione» 1894 «L’Unità 
della Coscienza» 1898). 

E’ una formazione naturale anche la filosofia, che non soltanto 
ha funzione coordinatrice e sintetica rispetto alle scienze, ma è la 
matrice perennemente feconda del sapere scientifico e dei problemi 
che alla scienza appartiene di risolvere. Come l’indistinto si speci¬ 
fica, per un processo di ascendenza dinamica, nei sistemi ritmici, 
corrispondenti a gradi sempre più alti di autonomia, cosi la filo¬ 
sofia si viene differenziando nelle discipline speciali che in essa si 
unificano e di essa risentono l’azione propulsiva (« Lo studio della 
Storia della filosofia » 1881 « Il compito della filosofia e la sua pe¬ 
rennità » 1884). 

Sopra i contributi recati dall’A. alle distinte scienze filosofiche 
non posso intrattenermi qui: basti ricordare come il suo realismo 
psicofisico e il prevalente interesse gnoseoiogico lo abbiano portato 
alla costruzione di un sistema di psicologia, dove la unità della 
coscienza figura come idea direttrice, e la critica del vecchio asso¬ 
ciazionismo prepara la teoria della confluenza mentale — come inoltre 
sovra basi fisiopsicologiche si eriga una concezione della vita mo¬ 
rale, nella quale la impulsività della sensazione è assunta a spiegare 
la imperatività della idealità sociale antiegoistica (« La Morale dei 




8 


LUDOVICO LIMENTANI 


positivisti » 1879) — come, ancora, la morale s’integri in una socio¬ 
logia che è piuttosto una filosofia del diritto, o lo studio della 
formazione naturale della Giustizia, intesa come forza specifica della 
società («Sociologia» 1886) — come infine le dottrine fondamen¬ 
tali si coordinino e sbocchino in ima pedagogia, che pone l’esercizio 
a fondamento cosi della educazione intellettuale come della educa¬ 
zione morale («La Scienza dell’educazione » 1893). 

4. — L’A., dal 1881 prof, di storia della fil. a Padova, fu un 
caposcuola, e fra i suoi discepoli vogliono essere ricordati in primo 
luogo il Marchesini, il Dandolo, il Tarozzi, il Ranzoli, il Troilo. 

Giovanni Marchesini (n. 1868), prof, di ped. a Padova, fonda¬ 
tore e direttore della « Rivista di Filosofia, pedagogia e scienze 
affini» (1899-1908), illustrò la figura del Maestro e ne propagò la 
dottrina, elevandosi dalla esposizione acuta e fedele alla originale 
ricostruzione e rielaborazione (« La vita e il pensiero di R. A. » 
1907 — «R. A. — L’uomo e l’umanista», 1922). 

Il M. ha definito il positivismo dell’Ardigò come naturalismo 
umanistico e questa denominazione designa la duplice direzione 
nella quale egli stesso ha svolto la propria attività di scrittore, 
integrando felicemente il sistema, che rivela così nella varietà e la 
novità degli sviluppi la propria feconda vitalità. 

Il naturalismo del M. si fonda sopratutto sul principio dell’unità 
come sintesi universale: egli concepisce la unità come continuità 
dinamica dei fatti fisico, biologico, psichico, postulando il « fatto 
minimo », come idea-limite, in armonia con lo stesso concetto della 
continuità nella eterogeneità, e spiegando con la impossibilità di 
depotenziarci la presunta inintelligibilità del trapasso, alla quale si 
devono le due estreme concezioni, idealistica e materialistica. La 
conoscenza, in quanto è determinata dal reale, in ordine al principio 
della continuità stessa ha un valore assoluto ed obbiettivo, non 
già puramente simbolico (« La crisi del positivismo e il problema 
filosofico» 1893 «Il simbolismo nella conoscenza e nella morale» 
1901). 

Umanistico è detto dal Marchesini il naturalismo dell’Ardigò, 
principalmente perchè riesce alla celebrazione della persona uma¬ 
na e dà fondamento razionale e positivo all’idealismo etico e alla 
dottrina dell’autonomia; negli ultimi libri del M., e non soltanto in 
quelli che hanno più diretta attinenza con la pedagogia (« L’edu¬ 
cazione morale» 1914 «I probi, fond. dell’ed. » 1923 «Disegno 
stor. delle dottr. ped. 7 » 1922), si manifesta più che mai spiccata 
la sua eminente vocazione di educatore. 








IL POSITIVISMO ITALIANO 


9 


Anche per il M. la continuità non esclude, ma comprova l’auto¬ 
nomia del soggetto umano, come formazione naturale e pedagogica 
superiore, sulla quale si fonda il diritto a un orgoglio umano ra¬ 
zionale come vera e propria virtù etica (« Il dominio dello spirito, 
ossia il problema della personalità e il diritto all’orgoglio » 1902). 
Sulla stessa autonomia si fonda il principio della tolleranza come 
rispetto della personalità nella sua costituzione specifica (« L’intol¬ 
leranza e i suoi presupposti » 1909). 

L’ideale è relativo alla personalità, ma pensato come assoluto 
acquista da ciò uha particolare potenza utilizzabile pedagogicamente 
(«Le finzioni dell’anima » 1905). In esso, e nelle sue singole specie, 
si reintegrano le inclinazioni umane fondamentali, all’infuori d’ogni 
trascendenza metafisica, ch’è puramente simbolica («La dottrina 
positiva delle idealità » 1914). Nella teoria del M. si ravvisa ante- 
cipata in alcuni de’ suoi elementi più caratteristici e significativi 
la filosofia del « come se », che ha avuto in questi ultimi anni 
singolare fortuna e grande diffusione. 

Giovanni Dandolo (1861-1908), prof, di fil. teor. a Messina, con¬ 
cepì il problema gnoseologico come problema psicologico, e lo fece 
oggetto d’indagine accurata e penetrante, rivelando rare attitudini 
all’analisi e alla rappresentazione della vita mentale. Tra fatti psi¬ 
chici e fatti fisiologici corre un rapporto unitario di correlazione: 
il fatto psichico non è il riverbero di un evento fisiologico, ma ha 
la sua specie caratteristica nella coscienza, che è autonoma, è un 
distinto che si pone assolutamente e del quale è artificioso e vano 
ricercare il perchè. I limiti dell’esperienza e del conoscere coinci¬ 
dono; e continuo è il processo dal senso all’intelletto, se pur non 
sia possibile risolvere senza residuo la conoscenza nella sensazione; 
ciò che è necessità di origine si conserva come necessità di sviluppo: 
la pura sensazione, unità indistinta, s’integra nella percezione, come 
l’appetito s’integra mercè la conoscenza nel desiderio, e mercè la 
ragione nella volontà. Contro il realismo ingenuo e l’idealismo do¬ 
gmatico il D. afferma la relatività reciproca di soggetto e oggetto; 
il conoscere in generale, mentre si pone come fatto di coscienza, 
accenna alla necessità di un eterogeneo, d’un termine correlativo 
esteriore, distinto e in pari tempo inseparabile dal pensiero. Questo 
incontra nella esperienza un limite alla propria libertà: nella ogget¬ 
tività della percezione ha fondamento la oggettività della causa, 
della legge, della scienza. Contro la dottrina della scienza sostenuta 
dal Mach, il D., mentre riconosce la incommensurabilità della spie¬ 
gazione scientifica con i fenomeni naturali, sostiene che fra questi 



10 


LUDOVICO LIMENTANI 


e quella intercede un vincolo, che è un adattamento speciale della 
intelligenza alle cose: il vero è adattamento conquistato dal pen¬ 
siero sulla realtà naturale (« Le integrazioni psichiche e la percezione 
esterna» 1898 « Le integrazioni psichiche e la volontà» 1900 «La 
causa e la legge nell’interpretazione dell’universo» 1901 «Intorno 
al valore della scienza» 1907 «Studi di psicologia gnoseologica» 
1905-7, oltre a numerosi altri saggi, soprattutto di psic. e di st. 
della psic.). 

Giuseppe Tarozzi (n. 1866), prof, di fii. a Bologna, occupa in 
Italia, rispetto alla tradizione storica del positivismo sistematico, 
una posizione spiccatamente personale: è stato, e si è professato 
sempre, discepolo delI’Ardigò: e del positivismo infatti accetta il 
metodo e alcuni fondamentali postulati: la filosofia è anche ricer¬ 
ca, perennemente promossa dai risultati della scienza e dallo svi¬ 
luppo dei pensiero comune; scienza e filosofia si differenziano non 
per il metodo bensì per l’oggetto, e insieme tendono a un fine co¬ 
mune cioè alla obbiettività, la quale può essere raggiunta dallo spi¬ 
rito umano solo entro l'ambito della categoria quantitativa, onde 
ha grande valore filosofico lo sforzo di esprimere il qualitativo in 
termini quantitativi; la esperienza non è di atti ma di fatti; non è 
concreto se non ciò che è sicuramente determinabile nel tempo e 
nello spazio. 

Ma la originalità del T. si è rivelata anzitutto nelle critiche 
alle quali egli sottopose il determinismo, ravvisando in questo un 
residuo metafisico e un elemento estraneo allo spirito del positi¬ 
vismo. il suo indeterminismo, diverso da quelli del Boutroux, del 
Bergson, del Mach, congiunge le due concezioni del divenire e 
della spontaneità del fatto singolo, senza lasciarsi sedurre dal Xóyo; 
àgy ò? del finalismo (« Della necessità nel fatto naturale e umano » 
1896-7). Con l’indeterminismo si collega il realismo gnoseologico, li 
principio che « la realtà è il fatto della esperienza » consente una 
soluzione esauriente della questione relativa alla determinazione 
qualitativa e quantitativa della realtà; ma non basta a dar fonda¬ 
mento alla persuasione della esistenza della realtà: la conoscenza 
è contingente, e però presuppone il reale come altro da se stessa, 
e implica l’idea della esistenza come incondizionalità dell’essere 
rispetto alla conoscenza; da ciò s’inferisce un reale, di cui tutte le 
determinazioni appartengono alla esperienza, tranne una, cioè la 
esistenza, che le si sottrae. Il reale così inteso sfugge a quella 
determinazione del finito che è propria della conoscenza razionale : 
e però è l’infinita varietà, che come tale non può essere se non 






IL POSITIVISMO ITALIANO 


II 


dinamica: infinito dev’essere dunque il principio dinamico dell’in- 
finitamente vario in ciascun essere che l’esperienza ci presenta come 
determinato e finito. La contingenza della conoscenza, da un lato, 
giustifica la distinzione della conoscenza pura dalla conoscenza em¬ 
pirica e quindi il riconoscimento di leggi proprie del pensiero, dal¬ 
l’altro, ha in tale distinzione e nella esistenza di queste leggi la 
propria riprova. Nella conoscenza pura, intesa come conoscenza 
deH’autonomia dello spirito, consiste il fondamento gnoseologico e 
logico, dell’idealismo etico. Caratteri dell’idealismo etico sono la 
coscienza della libertà dello spirito, la responsabilità, l’impero effet¬ 
tivo dell’ideale. La libertà dello spirito, come rivelazione dell’in¬ 
finito nella coscienza, e capacità che ha l’uomo di creare il regno 
della sua umanità morale, non esclude ma implica la obbligazione, 
l’impero dell’universale: l’antitesi che sussiste fra necessario e infi¬ 
nito, in quanto quello pone un limite che questo esclude, vien meno, 
infatti, nella necessità morale, e in essa soltanto, perchè in essa 
l’infinito si limita non negandosi, ma rivelandosi. La responsabilità, 
in quanto è correlativa alla obbligazione, è responsabilità non soltanto 
del male, ma anche del bene, in quanto è indipendente dalla obbliga¬ 
zione, trascende i limiti dell’attività del soggetto, onde questi tende ad 
assumere sopra di sè il carico del male della umanità intiera. Effettivo 
è l’impero dell’ideale, perchè esso come autonomia dello spirito, è, per 
natura sua, un fine: ma non può essere fine a se stesso, bensì presup¬ 
pone un reale ateleologico che si offre come oggetto e materia al teleo- 
logismo in cui esso ideale si esplica; presuppone dunque, nell’ordine 
degli oggetti, la natura indifferente, nell’ordine dei valori, l’utile, il 
regno dell’interesse egoistico, in cui l’uomo a questa natura indif¬ 
ferente obbedisce. Moralità è spiritualità, e spiritualità è successiva 
trascendenza di fini gli uni rispetto agli altri. 

Con il sentimento dell’infinito ha affinità profonda il sentimento 
estetico: l’estetica non determina una distinta regione dello spirito, 
ma si afferma sovrana, come espressione sintetica della humanitas. 
La pedagogia idealistica che risolve la educazione nell’autoeduca¬ 
zione, ripugna al senso comune: la educazione dev’essere spiritua¬ 
listica, perchè promuovere negli educandi il loro valore propria¬ 
mente umano, significa avviarli a pensare come vera vita la loro 
vita interiore. 

Nonostante le ragioni profonde di dissenso, la dottrina del T. 
appartiene alla storia del positivismo italiano: il suo spirito fervido, 
aperto a interessi molteplici, non si ferma appagato sulle posizioni 
raggiunte, bensì è portato a rispondere con sintesi sempre più alte 




12 


LUDOVICO LIMENTANI 


e più vaste e logicamente meglio coerenti, all’esigenze poste dalla 
fede generosa e sincera nei valori umani; ma egli non ha mai du¬ 
bitato che quella rivendicazione morale dell’energia dello spirito, 
che è nello spirito suo il bisogno fondamentale (Gentile), non sia 
appunto il programma che il positivismo propone a se stesso e ha 
virtù di realizzare (Del T„ che finora non ha divulgato in modo 
sistematico tutte le idee qui accennate, vedi: « La coltura intellet¬ 
tuale contemporanea » 1897 « Ricerche intorno ai fond. della cer¬ 
tezza raz. » 1899 «Menti e caratteri » «La virtù contemporanea» 
1900 « Idee di una scienza del bene » 1901 « Il contenuto mor. della 
libertà del n. tempo» 1911 «L’educazione e la scuola» 1918-21 
«Note di estetica sul Par. di Dante» 1922). 

Anche Erminio Troilo (n. 1874), prof, di fil. a Padova, operoso 
cultore della st. della fil. (« La dottrina della conoscenza nei mod. 
precursori di Kant» 1904» B. Telesio » 1910 « La fil. di G. Bruno » 
1914 «Figure e studii di st. della fil.» 1918), manifesta, nella 
esposizione delle sue vedute teoretiche, il travaglio perenne di uno 
spirito che si cerca: tutta la sua feconda attività di scrittore è in¬ 
fusa di pathos profondo. Egli riferisce a un’antitetica che si rivela 
fondamentale nell’attività dello spirito, il perenne avvicendarsi dei 
due indirizzi, positivistico e idealistico: e tende a uscirne con una 
dottrina, che superando la unilateralità delle contrastanti vedute, in¬ 
tegri il positivismo con una sua propria costruzione teoretica (« Idee 
e ideali del Pos. » 1909 «Il Pos. e i diritti dello spirito» 1912). 

Il suo atteggiamento di calda simpatia per il sistema dell’Ardigò 
non gli vieta di criticarne il concetto dell’Indistinto psicofisico, nel 
quale ravvisa una pericolosa concessione al dualismo; d’altra parte, 
il fenomenismo puro riesce a una finale identificazione con il sog¬ 
gettivismo idealistico: a questi indirizzi egli oppone lo schietto 
Monismo ontologico, la necessità dell’Essere come Dato primo as¬ 
soluto, assolutamente autonomo. Monismo ontologico, ma, d’altra 
parte, dualismo gnoseologico: nell'Essere, includente in sè quel¬ 
la forma della Realtà ch’è lo Spirito, la legge è l’Unità: nel Co¬ 
noscere, il quale altro non è che funzione, la legge è la Dualità: 
cosi organicamente si compongono Immanenza e Trascendenza, 
spoglie di ogni residuo metafisico. Ogni filosofia, come espressio¬ 
ne integrale teoretica e pratica dello spirito, è filosofia morale, pe¬ 
dagogia dello spirito umano: Philosophia sire Vita : la filosofia 
che non deve limitarsi a interpetrare il mondo e deve mutarlo, 
trapassa in storia (« Filosofia, vita, modernità » 1906 « La con¬ 
flagrazione » 1918). 







IL POSITIVISMO ITALIANO 


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Il positivismo del Trailo si determina come Realismo Assoluto : 
e un Realismo assoluto è anche la dottrina di Cesare Ranzoli (n. 1876), 
prof, di SI. teor. a Genova. L’oggetto della conoscenza non è nè una ima- 
gine dell’oggetto esterno, nè una creazione del soggetto, bensi lo stesso 
oggetto che conosce se stesso, e, conoscendosi, .si pone come identico a 
sè e come diverso da sè, come conoscente e conosciuto, come spirito e 
come natura (« L’idealismo e la fil. » 1920). Porsi come natura si¬ 
gnifica rappresentarsi e « distendersi » in quei rapporti spaziali e 
temporali che risultando dalla mutua irreducibilità degli elementi 
della conoscenza, e quindi del reale, si possono definire come la 
visione panoramica che il reale ha di se stesso («Teoria del tempo 
e dello spazio» 1923). Lo spirito costituisce il ritmo supremo del¬ 
l’esistenza, ossia il limite di quel processo d’individuazione che 
rappresenta la legge fondamentale della realtà : legge che non ha 
nulla in sè di finalistico, ma esprime al contrario la fusione del caso 
con la causalità (« Il caso nel pensiero e nella vita» 1913). Queste 
idee sono espresse dal R. in una prosa ch’è sovente un modello 
di stile filosofico: anche di lui può dirsi, come del Dandolo, che la 
natura sobria dell'ingegno si riflette nella composizione nitida e 
organica delle dottrine, ma non vieta di avvivarne efficacemente la 
espressione con imagini colorite e vaghe. 

5. — Il Ranzoli, in un pregevole saggio sopra « La fortuna di 
E. Spencer in Italia» (1904), ha dimostrato che il positivismo no¬ 
stro mosse i suoi primi passi sotto la sola guida del Comte e del 
Littré, ma se n’è staccato ben presto, attratto dalle ampie formule 
della filosofia spenceriana, che meglio si accordavano con la natura 
del nostro ingegno e delle nostre tradizioni filosofiche, rappresentate 
non soltanto dal naturalismo del Rinascimento, ma anche da quel 
filone solitario di filosofia sperimentale che si continua ininterrotto 
attraverso il Sette e l’Ottocento: il positivismo dello Spencer, me¬ 
glio di quello del Comte, aiutò l’ingegno italiano a ritrovare se 
stesso: l’Italia di platonica che era, divenne spenceriana, passando 
per lo hegelismo: fra questo e il positivismo è l’abisso, ma la 
scuola hegeliana, dalla quale uscirono alcuni fra i primi positivisti 
(Marselli, Villari, Angiulli) annovera anche pensatori (basti ricordare 
il Fiorentino) che, rimanendo sul terreno dello hegelismo, riconob¬ 
bero, nei limiti della filosofia della natura, il valore del principio 
della evoluzione. E il positivismo italiano fu, per molta parte, evo¬ 
luzionistico: il fascino esercitato sopra le menti dalla idea di evo¬ 
luzione trae il sacerdote giobertiano Gaetano Trezza (1827-92), bene 
a ciò preparato dagli studi storici filosofici religiosi, a convertirsi a 




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LUDOVICO LIMENTANI 


una intuizione naturalistica, della quale egli fu il poeta piuttosto 
che il filosofo: le sue idee si organizzarono («La critica moderna» 

1874) intorno ai due concetti, della relatività di tutti i fenomeni, 
onde natura e storia gli appaiono come una serie di trasformazioni 
perenni — e. della immanenza delle leggi cosmiche che sottrae la 
natura e la storia all’intervento e all’arbitrio delle volontà trascen¬ 
denti (Melli). 

La sintesi spenceriana trovò largo consenso fra gli scienziati: 
minor favore incontrò la dottrina dell’Inconoscibile, combattuta, per 
opposte ragioni, da hegeliani e da neo-criticisti, da spiritualisti e 
da positivisti; ma è manifesta la influenza dello Spencer sopra 
quel movimento di pensiero che ebbe per organo la « Rivista di 
filosofia scientifica » (1881-91), fondata e diretta da Enrico Morselli 
(n. 1852), prof, di psichiatria a Genova. L’opera di lui è soprat¬ 
tutto notevole per lo sforzo assiduo di richiamare i filosofi alla 
scienza e gli scienziati alla filosofia, combattendo la metafisica an- 
tiintellettualistica, e reagendo contro io spirito antifilosofico, mani¬ 
festato o anche ostentato da molti scienziati puri. Il M. rappresentò 
autorevolmente una filosofia monistica ed evoluzionistica, consape¬ 
vole della propria funzione sintetica e non ignara delle proprie in¬ 
time difficoltà, ma da ciò indotta non a cedervi bensì a superarle - 
e una psicologia che si rende conto dei limiti, ma anche del valore 
del metodo introspettivo («La fil. mon. in Italia» 1887 « Id. id.» 
1904 « L’evoluz. monistico nella conosc. e nella realtà» 1889 «Il 
darwinismo e l’evoluzionismo» 1891 «La psic. scient. o pos. e la 
reaz. neo-ideal. » 1906 ecc.). Classiche sono le ricerche biopsicoso- 
ciologiche del M. sul suicidio (1879). 

Anche a dire del M. («C. L. e la fil. scient.» 1906), Cesare 
Lombroso (1836-1910), prof, di antrop. crim. a Torino, non fu 
un filosofo: la sua Weltanschauung è schiettamente materialistica, 
la sua psicologia è puro somatisino; ma se si pensa quanta luce 
è derivata dalle indagini ch’egli compì o promosse, alla cono¬ 
scenza delle manifestazioni psicologiche anormali o supernormali; 
se si considera quante idee, accolte, quand'egli le mise in circo¬ 
lazione, come scandalose o ridicole, sono diventate, quasi insen¬ 
sibilmente, elementi vitali della comune cultura e hanno agito 
sopra la costituzione deila nostra coscienza morale: se infine si 
pensa alla influenza che la sua antropologia criminale, ispirata a 
un rigoroso determinismo bio sociologico, ha esercitato in tutto il 
mondo sopra la legislazione penale è debito di giustizia ricordare 
l’attinenza dell’opera di lui e de’ suoi discepoli, con il movimento 




IL POSITIVISMO ITALIANO 


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della filosofia scientifica («L’uomo delinquente» 1878 « L’anthrop. 
crim.» 1891 «L’uomo di genio» 1888 «Nuovi studi sul genio» 
1901-2). Alla negazione del libero arbitrio e alla fondazione .di una 
dottrina della imputabilità penale non costituita sopra la responsa¬ 
bilità morale, diede opera, con altri, Enrico Ferri (n. 1856), fon¬ 
dando quella scuola del diritto penale, o piuttosto della criminolo¬ 
gia, che fu detta positiva, e che propugnò lo studio e la conside¬ 
razione non del delitto, ma del delinquente. 

Il Lombroso diffuse in Italia (1869) « La circolazione della vita » 
di Jacopo Moleschott (1822-93): questo libro, nel quale il fisiologo 
olandese, prof, a Torino, sostenne le proprie vedute materialistiche, 
ebbe parte notevole nella ispirazione della dottrina lombrosiana. Al 
materialismo aderirono o per lo meno inclinarono molti fra i cul¬ 
tori delle scienze biologiche : e un tale indirizzo è manifesto nelle 
ricerche psico-fisiologiche del tedesco J. Maurizio Schiff (1823-96), 
prof, di fisiologia a Firenze («Sulla misura della sensaz. e del mo¬ 
vimento» 1869 «La fisica nella filosofia» 1875), del suo disce¬ 
polo, il russo Alessandro Herzen (18391906: « Fisiol. e psicol. » 
1878 « La condizione fisica della coscienza » « Della nat. dell’atti¬ 

vità psich. » «Il moto psich. e la coscienza » 1879) che nell’« Ana¬ 
lisi fisiologica del libero arbitrio umano » (2 a . ed., 1870) illustrò il 
doppio determinismo, organico e sociologico, delle azioni umane; e 
dell’antropologo Giuseppe Sergi (n. 1841), già prof, a Roma (« Elem. 
di psic. » 1879 «L’origine dei fenomeni psichici» 1885), studioso 
anche di problemi pedagogici (« Per l’educazione del carattere » 
1884 «Educazione e istruzione» 1892). Le vedute del Sergi furono 
impugnate dall’antropologo Ettore Regalia (1842-1914), sostenitore 
della tesi che il dolore è l’antecedente costante e immediato di 
ogni azione (saggi vari, cinque raccolti nel voi. « Dolore e azione » 
1916). Un altro antropologo, Tito Vignoli (1827-1915), coltivò la 
psicologia comparata (animale e etnografica) e genetica (« Peregri¬ 
nazioni psicologiche » 1895). 

L’esclusivismo psicologico nella spiegazione delle malattie men¬ 
tali e le ragioni filosofiche che sono poste a suo fondamento fu¬ 
rono combattuti dal grande clinico Augusto Murri (n. 1841; «Noso¬ 
logia e psicologia» 1924). 

6. — Non si staccò dall’indirizzo materialistico Gabriele Buccola, 
il quale a Reggio Emilia — dpve sotto la direzione di Augusto 
Tamburini, e più recentemente di Giuseppe Guiceiardi, ebbero grande 
impulso la psicopatologia e la freniatria — avviò ricerche psico¬ 
metriche che ebbero larga eco anche all’estero («La legge del tempo 



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LUDOVICO LIMENTANI 


nei fenomeni del pensiero » 1883). Ma scarso è il contributo diret¬ 
tamente recato dai filosofi positivisti alla psicologia con ricerche 
sperimentali, alle quali attesero prevalentemente seguaci di altri 
indirizzi o studiosi estranei alla milizia filosofica. Allo studio spe¬ 
rimentale delle emozioni contribuì poderosamente Angelo Mosso, 
prof, di fisiologia a Torino (1846-1910: «La paura» 1884 «La fa¬ 
tica» 1891), studioso anche di problemi educativi, il quale aderì 
alla teoria Lange-James: a lui e alla sua scuoia (particolarmente al 
lombrosiano Mariano Luigi Patrizi, prof, di fisiologia a Modena) 
è dovuto il primo impulso alle ricerche di psicologia applicata ai 
problemi sociali e del lavoro (psicotecnica). Il nome del Patrizi è 
legato anche a tentativi d’interpretazione delle opere d’arte con il 
sussidio della psicologia positiva («Saggio psico antropol. su 0. 
Leopardi» 1895 «Il Caravaggio e la nuova crit. d’arte » 1921) (1). 

Zaccaria Treves, scolaro del Mosso, contribuì alle stesse ricerche 
(per es. con studi sopra le relazioni fra emozioni e lavoro musco¬ 
lare) e particolarmente coltivò le applicazioni della psicologia alla 
pedagogia e alia tecnica scolastica, portando modificazioni alla scala 
metrica del Binet. Al problema della valutazione della intelligenza, 
e inoltre agli studi di psicologia e pedagogia dei deficienti («Edu¬ 
cazione dei deficienti » 1915) si dedicò Sante De Sanctis, prof, di 
psicol. a Roma (n. 1862), autore anche di apprezzate ricerche sopra 
i sogni (1899). Benemerito della pedagogia correttiva è Q. C. Fer¬ 
rari, direttore dal 1905 della Rivista di Psicologia. 

Angelo Brofferio (1846-94), prof, di st. della fil. a Milano («La 
filosofia delle Upanishadas », postumo), esercitò la propria attività 
nella sistemazione della psicologia e, sopra saldo fondamento psi¬ 
cologico, della gnoseologia positivistica : si propose il problema 
della classificazione delle specie della cognizione, come propedeutico 
rispetto al problema dell’origine, razionale o sperimentale, della 
cognizione, e ridusse le intuizioni, per le quali la esperienza è resa 
possibile, alla intuizione fondamentale del numero (unità e molte¬ 
plicità), la quale s’integra in quelle della quantità (intensità) e della 
qualità; ma di quella intuizione egli illustrò la natura sperimentale: 


(I) Scarso è il contributo recato dai positivisti, alla estetica : oltre all’antro¬ 
pologo Paolo Mantegazza (1831-1910) professore a Firenze (« Epicuro » 1891-2), 
autore anche di molto fortunati studi sulle emozioni, si può appena ricordare 
Mario Pilo («Estetica» 1894 «Psicologia musicale» 1904) e Adelchi Baratono 
(«Sociol. estetica» 1899): quest’ultimo, autore anche di lodati «Fondamenti 
di psicologia sperimentale» (1906) ha coltivato poi di preferenza la pedagogia, 
con indirizzo criticistico. 





IL POSITIVISMO ITALIANO 


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il preteso a priori non è se non la esperienza accumulata della 
razza. Il positivismo affermando, in contrasto con il materialismo degli 
scienziati, la relatività della cognizione e precludendosi la via alla 
ricerca della realtà assoluta, lascia la possibilità di fondare sovra 
prove morali la credenza nella esistenza di Dio e di appagare la 
invincibile aspirazione alla immortalità. Il B. ravvisò poi nelle espe¬ 
rienze spiritiche la verificazione sperimentale di quelle ipotesi che 
aveva da prima accolte per volontà di credere («Le specie del¬ 
l’esperienza » 1884 « Man. di psic. » 1889 « Per lo spiritismo » 1891). 

Anche Ettore Galli, lib. doc. a Padova, pone a fondamento della 
filosofia la psicologia, analitica e genetica: origine del conoscere è 
il sentire, che è fatto biologico. Le leggi della ragione sono le leggi 
dell’apprendere; e si apprende quando un fatto di sentire - secondo 
una legge dinamica universale - si fonde, in ciò che ha di comune, 
con virtualità di sensazioni anteriori: tale processo si ripete in tutte 
le operazioni del pensiero. La realtà è tutta relativa al conoscere, 
e quindi al sentire: dal sentire nascono così l’io come il non-io. 
E il sentire è anche base della morale. La vita, la quale per con¬ 
servarsi e integrarsi suggerisce agli uomini la collaborazione e la 
divisione del lavoro, ha nel dovere un mezzo che poi agli effetti 
pratici vien postulato come fine delle azioni. E al dovere s’informa 
anche la educazione, in quanto è mossa dall’esigenze della vita 
(«Nel regno del conoscere e del ragionare» «Alle radici della mo¬ 
rale» «Nel dominio dell’io» 1919 «Alle soglie della metafisica» 1922). 

7. — Dell’attività esplicata dall’Ardigò, dal Marchesini, dal Ta¬ 
rozzi come pedagogisti, già si è fatto cenno. L’indirizzo positivistico 
ebbe, in generale, grande influenza sopra la scienza della educazione: 
e si onora anzitutto del nome di Aristide Gabelli (1830-91), che 
professò un positivismo agnostico, combattendo le degenerazioni 
materialistiche; ma più che ai problemi speculativi, volse la mente 
ai problemi della pratica: propugnò l’applicazione del metodo spe¬ 
rimentale alle scienze morali, e delineò un’etica utilitaria, fondata 
sopra l’amor di sè, distinto daH’amor proprio (« L’uomo e le scienze 
morali » 1869). Esplicò la sua missione socratica (Credaro) con la 
diagnosi severa — condotta da un punto di vista rigidamente con¬ 
servatore — dei mali morali del popolo italiano e con la indica¬ 
zione del rimedio, che doveva consistere in una educazione diretta 
a formare le teste, a bandire l’artifizio, il verbalismo, la retorica, ad 
assumere come elementi integranti del carattere idee chiare verificate 
al paragone della esperienza: il miglioramento morale è indissolu¬ 
bilmente legato al progresso intellettuale: non sussiste contraddi- 


I 


2 




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LUDOVICO LIMENTANI 


zione tra il fine umanistico e l’indirizzo realistico della educazione 
(«Il metodo d’insegnamento nelle scuole elementari d'Italia » 1880 
« Riordinamento dell’istruzione elementare. Relazione, Istruzioni e 
programmi» 1888 «L’istruzione in Italia» 1891). 

Andrea Angiulli (1837-90), prof, di ped. a Napoli, reagisce contro 
l’imperante hegelismo con un sistema, ispirato alla fede nel valore 
teoretico e sociale della scienza positiva, .che è legata con la filo¬ 
sofia da un vincolo d’interdipendenza: ripudia l’Inconoscibile e am¬ 
mette la possibilità, per la virtualità dell’astrazione, di una metafi¬ 
sica critica e scientifica, evoluzionistica e relativistica. La dottrina 
della evoluzione cosmica informa di sè anche la morale scientifica 
progressiva (migliorismo), la quale s’integra con la cosmologia in 
una religione nuova: l’A., determinista, ammette negl’individui an¬ 
che il determinismo dell’ideale. Ma l’ideale non si realizza se non 
nella e per la educazione, intesa non come sempiice adattamento 
alle condizioni esistenti, ma come preparazione a nuove conquiste. 
Tutti i problemi sociali s’incontrano nel problema pedagogico, che 
dev’essere risolto teoricamente con la costituzione della pedagogia 
sopra fondamento scientifico e filosofico, praticamente con l’attua¬ 
zione sua negli ordini della scuola e della vita. Liberale in politica, 
l’A. rivendica allo Stato il diritto, che è dovere, d’impartire la edu¬ 
cazione nazionale e la istruzione obbligatoria e laica. L’incremento 
della cultura femminile deve render possibile che si armonizzino, 
nella scienza, la educazione domestica e la pubblica. La istruzione 
scientifica deve in tutti i suoi gradi essere animata da spirito filo¬ 
sofico («La Filosofia e la ricerca positiva » 1868 «La Ped., lo Stato 
e la Famiglia» 1876 «La Fil. e la Scuola» 1888). 

Pietro Siciliani (1835-85), prof, di ped. a Bologna, aspirò a una 
sistemazione del positivismo italiano, sulla traccia di Galileo e del 
Vico e in armonia con l’evoluzionismo («Sul Rinnovamento della 
Fil. pos. in Italia» 1871). La sua pedagogia ha a fondamento la 
storia della educazione e ne ricava i due principii della dignità in¬ 
trinseca della «santa» personalità umana, e dell’autodidattica (« La 
Scienza nell’Educ. » 1879 «Rivoluzione e Ped. moderna» 1882). 

Nicola Fornelli (1843-1915), prof, di ped. a Napoli, contribuì a 
diffondere in Italia la dottrina herbartiana (« Studi herbartiani » 
1913), la quale tuttavia dovette la sua maggiore fortuna fra noi 
all’opera di Luigi Credaro (« La Ped. di G. F. Herbart » 1900): ebbe 
vivo il senso della importanza del problema pedagogico nello Stato 
liberale e propugnò la laicità della scuola che deve trovare nella 
scienza il proprio centro. La misura dell’esigenze che si pongono 






IL POSITIVISMO ITALIANO 


19 


sopra il fanciullo dev’essere ricavata dalla considerazione non della 
sua costituzione psicologica, ma della finalità civile della educa¬ 
zione. La volontà è determinata, ma tra i fattori che la determi¬ 
nano è compresa anche la individualità: e in ciò la responsabilità 
trova il proprio fondamento. Fu sostenitore, nella istruzione secon¬ 
daria, di un temperato classicismo («Educazione moderna» 1884 
«L’Insegnamento pubblico ai tempi nostri» 1881 «L'adattamento 
nell’educazione» 1891). 

Saverio Francesco De Dominicis (n. 1846), già prof, dì ped. a 
Pavia, si è ispirato ai principii dell’evoluzionismo e del darwinismo 
(«La dottrina dell’evoluzione» 1878-81); ha determinato, in base 
alla esperienza naturalistica e storica, i fattori, le leggi, i fini della 
educazione, il fondamento e i limiti della sua efficacia, acutamente 
analizzando la vita interna della scuola (« Scienza comparata della 
Educ. » 1907-13), e ha esercitato grande influenza («Linee di Ped. 
elem. » 1896) sopra la formazione dei maestri. 

Giovanni Antonio Colozza (n. 1857), prof, di ped. a Palermo, 
concepisce non diversamente dal suo maestro Angiulli la scienza 
della educazione nel sistema della filosofia scientifica ed evoluzio¬ 
nistica («Saggio di Ped. comparata» 1885 «La Ped. nei suoi rap¬ 
porti con la Psic. e le Se. Soc. » 1903): ma ha temprato il forte e 
indipendente ingegno nell’analisi psicologica, nella ricerca del fon¬ 
damento psicologico della pedagogia, nello studio di problemi edu¬ 
cativi e didattici, nella revisione di concetti comunemente accolti 
senza discernimento critico: dal ripensamento originale della dot¬ 
trina del Rousseau ha tratto conforto alla fede nella virtù del me¬ 
todo attivo; ha risposto negativamente al quesito se esista la edu¬ 
cazione dei sensi («Il giuoco nella psic. e nella ped.» 1895 «Del 
potere d’inibizione» 1898 «La meditazione» 1903 «Questioni di 
Ped.» 1911 «Il metodo attivo nell 'Emilio. Ripensando l ’Emilio » 
1912 «La matematica nell’opera educativa» 1915). 

Guido Della Valle (n. 1884), prof, di ped. a Napoli, studiò la 
formazione dell’autocoscienza, nel riguardo della forma e del conte¬ 
nuto (« La Psicogenesi della coscienza », 1905): ma prevale nell’opera 
sua il gusto delle vaste costruzioni. La vita umana dà materia alla 
indagine sperimentale del lavoro mentale (che è sempre un mezzo), 
e alla indagine speculativa del Valore (che è sempre un fine,): donde 
due dottrine pure (Psicoenergetica, Axiologia) e due dottrine appli¬ 
cate (Psicotecnica, Teleologia). Il D. V. può dirsi positivista, quando 
ricava « Le Leggi del lavoro mentale » (1910) per induzione da espe¬ 
rienze, anche originali, e ravvisa nella pedagogia sperimentale un 



20 


LUDOVICO LIMENTANI 


capitolo della psicotecnica (come la ped. fil. è un capitolo della 
teleologia). Ma la sua axiologia realistica lo allontana dal positivismo. 
I Valori (esistenziali, logici, estetici, morali, economici) sono rive¬ 
lati ma non contenuti dalla coscienza: sono il prodotto di una sin¬ 
tesi a priori ; possono esser creduti, ma non dimostrati; sono as¬ 
soluti, trascendenti, cioè indipendenti da ogni singola mente e validi 
potenzialmente, anche se non intuiti empiricamente da alcuno. Si 
unificano oggettivamente nella Realtà assoluta trascendente (Dio), 
soggettivamente nella coscienza generica assoluta. L’educazione con¬ 
siste nella creazione e acquisizione delle varie classi di valore 
(« Teoria Gen. e Formale del Valore, come fondamento di una ped. 
fil.: Voi. I. Le premesse dell’Axiol. pura» 1916,). 

Maria Montessori (n. 1870) ha coltivato l’« Antropologia pedago¬ 
gica » (1910), ma il suo nome è soprattutto legato alle Case dei bam¬ 
bini, che hanno avuto ampia diffusione anche all’estero e nelle quali 
il principio di spontaneità è portato alle sue estreme applicazioni 
(«Il met. della ped. scient. applicato all’educ. inf. nelle Case dei 
bambini» 1910 « L’autoeduc. nelle se. elem. » 1916 «Manuale di 
ped. scient. » 1920). 

Giacomo Tauro (n. 1873), lib. doc. a Roma, autore di un lodato 
profilo del Pestalozzi (1907), ha propugnato il metodo positivo ed 
evoluzionistico nella ped., scient. e filosofica, della quale ha delineato 
un piano sistematico (« Introd. alla ped. gen. * 1906): ha studiato 
« Il probi, delia coltura nelle sue attinenze con la scienza e con la 
scuola» (1911), ha affrontato questioni di ped. applicata, relative 
alla educaz. intellettuale (« L’unità mentale e la concentraz. della 
istruz. » 1907) e alla formazione del maestro (« La preparaz. degl’in¬ 
segnanti elem. e lo studio della ped. » 1920), ha, infine, assunto 
il silenzio a oggetto di analisi psicologiche e di ricerche storiche 
accurate, fermandosi a considerare il silenzio interiore come mezzo 
e processo dell’autoeducazione («Il Silenzio e l’Educazione dello 
Spirito» 1922). 

Per Raffaele Resta (n. 1876), lib. doc. a Roma, realtà propria 
del vivere umanno è non l’errare a caso in balia delle contingenze 
(attualità ,ed eterogenesi dei fini), ma la conformità dei risultati com¬ 
plessivi a un piano di svolgimenti progressivi (persistenza, e omo- 
genesi dei fini). Occorre perciò (ed è tendenza dell’uomo) una forma 
o norma di vita, per la progressiva riduzione dell’ordine naturale 
e attuale dello sviluppo umano, secondo l’ordine ideale o finale 
della vita. Una tale forma o legge delle realizzazioni umane è la 
educazione: e questa è, da un lato, inerente al vivere umano, ma 



IL POSITIVISMO ITALIANO 


21 


si rivela anche, dall’altro lato, specifica cioè distinta e originale, in 
quanto si definisce come legge di maestria, cioè come il farsi mae¬ 
stro e far da maestro, mediante una progressiva azione di corri¬ 
spondenza delle potenzialità ed inclinazioni del soggetto (ordine 
attuale) alle finalità della vita (ordine finale). La educazione è 
dunque attività di sforzi perfettivi possibili (legge di convenienza 
progressiva) che si trasformano in abilità o autonomia (legge di 
maestria) del soggetto nei fini della vita: suo modello dev’essere 
la personalità più saldamente autarchica (l’autonomia) nella miglio¬ 
re realizzazione dell’ordine ideale (Peunomia) « L’anima del fanciullo 
e la ped. » 1908 «I probi, fond. della ped. » 1911 «Trattato di 
Ped. 1 » 1919 « L’educaz. del geografo » 1922. 

8 — 11 carattere umanistico della morale dei positivisti è stato 
già rilevato. Paolo Raffaello Troiano (1863-1909) prof, di fil. mor. 
a Torino, studioso benemerito dell’etica greca, defini come uma¬ 
nismo la sua filosofia : umanismo critico e integrale, distinto dall’uma¬ 
nismo pragmatistico, perchè tien separate le categorie gnoseologiche 
e quelle pratiche. L’uomo è il centro teoretico e appreziativo del mon¬ 
do: tutto da lui prende luce e si predica, tutto da lui prende senso e si 
avvalora. Fondamento di ogni valutazione è uno spirito individuale, 
che è l’unico reale: lo spirito assoluto è impensabile, lo spirito colletti¬ 
vo una metafora. Ma nell’individuo esistono pure tendenze collettive 
e storiche, e tendenze universali: individualismo e universalismo sono 
aspetti inseparabili deH’umanesimo concreto. Ogni etica metafisica 
è essenzialmente eteronoma e dogmatica: la concezione subbiettivi- 
stica dei valori porta a costruire la morale sopra fondamento psi¬ 
cologico. Centro della vita psichica, organo dei valori finali, rego¬ 
latore supremo della vita è il sentimento, che è il Iato subbiettivo 
e vissuto d’ogni fenomeno psichico, e però espressione immediata 
dello stato del soggetto: fondamento di una morale autonoma è il 
sentimento non come dolore (tendenza) o piacere (fruizione), bensì 
come sentimento di calma che rivela lo stato di tregua per la so- 
disfazione avvenuta e l’armonia di tutte le tendenze: all’edonismo 
va sostituito l’alipismo: il senso di tutto il mondo dello spirito 
umano è spirito, sospiro o conato di pace, di liberazione dal do¬ 
lore. L’umanismo pedagogico assume a fine della educazione la 
perfetta formazione degli organi individuali dei valori umani, infor¬ 
mandoli al sistema storico della coltura: la educazione deve tendere 
a sostituire i valori religiosi con valori spirituali più alti, vincendo 
la superstizione del divino con la celebrazione divina dell’umano 
(« Etilica. I » 1897 « Ricerche sistematiche per una fil. del costume. I » 



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LUDOVICO LIMENTANI 


1900 «La fi!, mor. e i suoi probi, fond. » 1902 « Le basi dell’uma¬ 
nismo » 1907 «L’umanismo ped. » 1908»). 

L’umanismo etico di Giovanni Cesca (1859-1908), prof, di st. 
della fil. e di ped. a Messina, è fondato sul fenomenismo gnoseo¬ 
logico ed esclude da sè il trascendentalismo, ma culmina nella 
concezione di una religione morale e umanitaria (« La religione 
morale dell’umanità» 1902 «La Fil. della vita» 1903 « La Fil. del- 
l’az. » 1908). La religione identificata con la forza della idealità 
continuamente aspirante al meglio, viene anche a identificarsi con 
la educazione moderna che, distinguendosi dall’addestramento, deve 
rivolgersi all’Io profondo dell’educando («Religiosità e ped. mod. » 
1908). Il C. costruisce la pedagogia generale (1900) sopra fonda¬ 
mento evoluzionistico: il suo pluralismo critico tende a superare 
« Le antinomie psicologiche e sociali della educazione» (1896) nella 
concezione della educazione stessa come processo unitario, realiz- 
zantesi nella concordia di discordi molteplici fattori. 

In Erminio Juvalta (n. 1863), prof, di fil. mor. a Torino, è par¬ 
ticolarmente viva la consapevolezza della esigenza critica. Non ha 
scritto molto: ma gli scritti suoi (« Prolegomeni a una morale distinta 
dalla metafisica » 1901 « Su la possibilità e i limiti della morale come 
scienza» 1907 «II vecchio e il nuovo problema della morale » 1914 
« I limiti del razionalismo etico » 1919) son tutti il frutto di medita¬ 
zione severa, promossa da un irresistibile bisogno di chiarezza che lo 
trae a rivedere assiduamente non soltanto le soluzioni dei problemi 
etici che sono state proposte nel corso della storia, ma anche i ter¬ 
mini e la posizione dei problemi stessi. Le esigenze di ordine mo¬ 
rale sono fondamentali e decisive nella posizione e nella soluzione 
dei problemi di ordine metafisico; e direttamente o indirettamente 
ne dipendono anche le questioni filosofiche, che a primo aspetto si 
presentano come d’interesse prevalentemente teoretico. È dunque, 
nonché opportuno, necessario affrontare i problemi morali indipen¬ 
dentemente da presupposti di qualsiasi indirizzo filosofico, implicanti 
una particolare soluzione dei problemi della realtà e della conoscenza. 
Nella scelta fra le diverse intuizioni religiose, o fra i diversi sistemi 
filosofici, prevale l’atteggiamento personale della coscienza morale. 

Lo J. crede alla possibilità di una scienza normativa etica, ma 
la fa consistere in un sistema di relazioni e di leggi, le quali non 
hanno valore di norme da seguire, se non nella ipotesi che sia as¬ 
sunto come fine quell’effetto o quell’ordine di effetti, del quale esse 
leggi esprimono le condizioni e i fattori. Una tale scienza differisce 
dalle altre scienze precettive soltanto perchè suppone che al fine 





IL POSITIVISMO ITALIANO 


23 


suo sia riconosciuto un valore di universale preferibilità e prece¬ 
denza sopra ogni altro fine. Perchè la determinazione delle norme 
etiche possa dirsi scientifica, si richiede che il fine sia umana¬ 
mente possibile, cioè in relazione di dipendenza da una certa forma 
di condotta collettiva o individuale (e particolarmente per questa 
maniera d’intendere il carattere scientifico della morale, il punto di 
vista dello J. si differenzia da quello che ha prevalso tra i positi¬ 
visti). Perchè le norme sieno norme etiche, si richiede che sia am¬ 
messo come postulato che il riconoscere al fine assunto valore di 
universale preferibilità e precedenza rispetto a qualsiasi altro fine 
umanamente possibile, è una esigenza morale. L’esigenza caratteri¬ 
stica di una norma morale (esigenza giustificativa, diversa dalla 
esigenza esecutiva, che è relativa ai mezzi di assicurare la osser¬ 
vanza della norma stessa) è quella di una universale giustizia; e 
il fine che sodisfa a questa esigenza è una forma di società umana 
tale, che tutti i socii trovino nelle sue stesse condizioni di esistenza 
la medesima o equivalente possibilità esteriore di rivolgere la loro 
attività alla ricerca di qualsivoglia dei beni ai quali la convivenza 
e cooperazione sociale è mezzo. 

Allo studio del conflitto fra i criteri fondamentali di valutazione 
morale, lo J. ha recato, e ancora promette, notevoli contributi. 

Francesco Orestano (n. 1873), prof, di st. della fil. a Palermo, 
ha coltivato la storia della filosofia e della pedagogia («Der Tu- 
gendbegriff bei Kant» 1901 «Le idee fondam. di F. Nietzsche» 
1903 «L’originalità di Kant» 1905 « Comenio » 1906 « Angiulli » 
1907 «Rosmini» 1908 « L. da Vinci» 1919) e la filosofia morale 
(« I Valori umani» 1907 «La scienza del bene e del male» 1911 
« Gravia Levia» 1914 «Prolegomeni alla scienza del bene e del 
male » 1905 « Pensieri’ » 1923). Meglio che fra i positivisti, va anno¬ 
verato fra i seguaci dell’indirizzo critico. Egli ritiene che il positivismo 
coerente non possa uscire dalla descrizione della vita morale: ma 
la scienza si rivela insufficiente di fronte alle questioni più essen¬ 
ziali che la mente umana può proporsi di fronte alla realtà, e delle 
quali nell’operare umano è implicita una soluzione : la esperienza 
morale, forse tutta la esperienza umana, non rivela al pensiero la 
totalità delle condizioni sue: non tutta la realtà è nell’esperienza. 
11 progresso dello spirito è segnato dall’accrescimento dei problemi. 
D’altra parte l’O. ha finora soprattutto inteso a costruire sul terreno 
della esperienza una scienza del bene e del male, che si limita alla 
descrizione più economica, cioè più semplice e più completa, dei 
rapporti funzionali elementari (espressi possibilmente nella forma 






24 LUDOVICO LIMENTANI 

del calcolo) dei fenomeni morali; e ha portato nn ricco geniale con¬ 
tributo al problema del valore e della valutazione, considerato cosi 
in generale come dal punto di vista etico. Ogni sistema di vita 
morale consiste infatti in un complesso di valutazioni, tendenti a 
obicttivarsi mediante azioni e a svilupparsi in un sistema di prin- 
cipii e di leggi. Ammessa la subbiettività del valore, non per questo 
se ne assume come sufficiente la spiegazione psicologica: la co¬ 
scienza non è che una piccola sezione della personalità: e quest’ul- 
tima è coestensiva col sistema della vita, il quale presenta, nel¬ 
l’aspetto organico psicologico sociale, una composizione multipla 
e pluricentrica. L’unità trascendentale dell’io è un mito che non 
spiega nulla. La valutazione è una funzione dell’interesse (che è rea¬ 
zione totale dell'io): è la coscienza riflessa di uno stato d’interesse 
riferito al suo oggetto. Il concetto ontologico del valore non può 
essere fondamento della scienza morale, la quale deve adoperare 
il concetto del valore come un principio formale di sintesi del¬ 
l’esperienza morale senza obbedire ad alcuna intuizione concreta; 
caratteristico della reazione morale è pertanto il riferimento di un 
oggetto particolare d’interesse al concetto fondamentale che si ha 
della vita nella totalità de’ suoi scopi: questo concetto è il vero 
fondamento di tutt’i giudizi etici: fondamento relativo, ma che una 
volta fissato, agisce come principio assoluto. Tale definizione s’in¬ 
tegra nella definizione del fatto morale come impiego effettivo, co¬ 
sciente e volontario della vita in funzione di un tale concetto uni¬ 
tario, esplicito o implicito, di essa: è la vita che pensa e vuole 
se stessa, che sceglie da sè i suoi propri modi di essere: il mondo 
morale è una teleologia in azione. Ma la vita non può pensarsi nè 
volersi che socialmente: la personalità sociale è il soggetto della 
esperienza etica, la quale presenta cosi due aspetti, sociale e per¬ 
sonale. 

L’O. riconduce tutte le valutazioni a un comune denominatore, 
la vita, che è la massima misura umana della realtà e del valore: 
il valore della vita, poi, è una funzione dipendente del valqre su¬ 
premo idealmente concepito: per Luigi Valli, lib. doc. a Roma, «Il 
Valore Supremo » (1913) s’identifica con la vita stessa. La sua 
teoria generale del valore come simbolo di una corrente d’impulsi 
o di volontà concordi in una direzione, mette in luce la legge di 
proiezione dei valori, per la quale la coscienza crea ai valori stessi 
una meta fittizia, considerando come valore proprio l’ujtima parte 
consapevole di ogni processo vitale, e con ciò crea i falsi assoluti 
della morale, che devono via via decadere. Valore proprio, rispetto 


I 




IL POSITIVISMO ITALIANO 


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al quale tutti gli altri sono valori relativi, è soltanto la vita, unico 
valore vero e perciò supremo, nel quale e per il quale esistono 
gli altri valori, compresi i valori conoscitivi che sono anch’essi 
valori strumentali della vita. In questa stessa Rivista (III, 2), il V. 
ha presentato modificata in senso antiintellettualistico, la teoria 
della religione sostenuta nel libro « Il fondamento psicol. della re¬ 
ligione » (1904). 

Zino Zini, lib. doc. a Torino, aderisce, sul terreno della gnoseo¬ 
logia, al realismo critico: afferma l’intima unità o mutua compene¬ 
trazione dello spazio e del tempo, e svolge una teoria dinamica 
dello spazio, concepito come emanazione del tempo: la nostra sen¬ 
sibilità, cioè ia nostra vera vita spirituale in quanto è formata di 
rappresentazioni e di sentimenti, d’intuizione e di volontà, è sog¬ 
getta alla legge fondamentale del tempo e delio spazio; ma le con¬ 
dizioni per cui nella realtà soggettiva sorgono queste forme fonda- 
mentali, esistono nella realtà oggettiva, nella natura (« La doppia 
maschera dell’universo» 1914). Nel campo della morale, lo Z. ha 
professato sempre la insufficienza dell’empirismo e si è venuto sem¬ 
pre più accostando (« La morale al bivio» 1914) alla posizione cri- 
ticistica, in antitesi con il naturalismo etico e il determinismo: ma 
può essere annoverato qui per l’opera data alla costruzione di una 
morale logica, la quale sia l’applicazione alla condotta dei sistemi 
di cognizioni formulati dalla scienza. Lo Z. ha vigorosamente criti¬ 
cato la morale religiosa, emotiva ed eteronoma, tutta volta alla espia¬ 
zione del passato e alla redenzione dai peccato, e, svelandone il 
meccanismo psicologico, l’ha presentata come impedimento alla for¬ 
mazione della personalità libera e responsabile (« Il pentimento e 
la morale ascetica» 1902): egli ha ricostruito la storia psicologica 
del sentimento e della idea di « Giustizia » (1907), e studiato il pro¬ 
blema sociale come problema che è anche morale e che trova la 
sua soluzione non nella socializzazione della proprietà, ma nella 
partecipazione di tutti alle condizioni di una civiltà superiore (« Pro¬ 
prietà individuale o proprietà collettiva?» 1902). 

Scolaro dell’Ardigò e del Marchesini, Ludovico Limentani (n. 
1884), prof, di fil. inor. a Firenze, ha sostenuto che un’etica indi- 
pendente dalla metafisica deve abbandonare ogni pretesa normativa 
o deontologica: il valore morale si specifica come rapporto formale 
fra la coscienza del dovere — la quale si spiega con la costituzione 
pluralistica della personalità e della società — e la condotta effet¬ 
tivamente praticata: misura del valore morale è lo sforzo, ed è però 
competente a giudicarne, in più eminente grado, lo stesso soggetto 






26 


LUDOVICO LIMENTANI 


agente. Dalla valutazione morale strido sensu vanno distinte come 
« quasi morali » altre valutazioni, fra le quali caratteristiche son quelle 
dipendenti dalla relazione fra la condotta del soggetto e le aspet¬ 
tazioni dei socii (« I presupposti formali della indagine etica » 1912 
«La morale della simpatia» 1914 «Moralità e normalità» 1919 
«L’onore e la vita morale» 1923). 

Guglielmo Salvadori (n. 1879), lib. doc. a Roma, contribuì effica¬ 
cemente alla diffusione della dottrina evoluzionistica, con traduzioni 
di opere dello Spencer e monografie illustrative (« H. S. e l’opera 
sua» 1900 «La scienza economica e la teoria dell’evoluzione. Sag¬ 
gio sulle teorie econ.-soc. di H. S.» 1901 «L’etica evoluzionista. 
Studio sulla fil. mor. di H. S.» 1903); combattè gli errori del tra¬ 
sformismo meccanico («Natura, evoluzione e moralità» 1909) ed 
ebbe a guida l’evoluzionismo così nel sostituire una spiegazione 
razionale dei sentimenti morali alle spiegazioni metafisica e pura¬ 
mente empirica, rivelatesi insufficienti ( « Determinaz., classificaz. e 
spiegaz. dei sent. mor.», 1903), come nel fondare sopra la conci¬ 
liazione dell’antitesi essere-divenire, un concetto positivo del diritto 
naturale («Das Naturrecht und der Entwicklungsgedanke» 1905). 

9. — Il positivismo italiano già nel suo fondatore, il Cattaneo, 
è, sulle orme del Vico, storicismo: Nicola Marselli (1832-99), sco¬ 
laro del De Sanctis, dopo avere, ne’ primi suoi lavori di fil. della 
st. e di estetica, ormeggiato lo Hegel, provò poi il disgusto dello 
abuso che gli hegeliani avevano fatto della Idea astratta e della 
scienza a priori, e concepì la storia come la più alta tra le scienze 
di osservazione, che con lo stesso metodo adottato dalle scienze 
naturali, deve rivelarci le manifestazioni della natura umana e le 
sue leggi. Il positivismo del M. è una metafisica monistica, che non 
oppone lo spirito alla natura, nè risolve questa in quello, ma spiega 
con la legge di evoluzione il progresso da una all’altro («La scienza 
dellastoria» 1873 80 «Le leggi storiche dell’incivilimento», postumo). 

P. R. Troiano diede opera alla costituzione de «La storia come 
scienza sociale» (Voi. I. 1898), combattendo il concetto dellastoria 
come opera d’arte. 

Da apprezzate ricerche d’etnologia preistorica e protostorica 
(«L’origine degli Indoeuropei» 1903), condotte sulla traccia luminosa 
d’intuizioni del Cattaneo, Enrico De Michelis procedette ad appro¬ 
fondire il problema della conoscenza storica. Le scienze di leggi 
— dalla matematica alla sociologia — e la storia lato sensu, ri¬ 
spondono a due distinte esigenze del pensiero: le prime hanno per 
oggetto quei rapporti condizionalmente necessari delle cose e dei 





IL POSITIVISMO ITALIANO 


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fenomeni che costituiscono la «Natura»: la seconda riesce invece 
alla costruzione e rappresentazione del reale a titolo di « mondo » 
o «universo». Hanno torto quei positivisti che vorrebbero sostituire 
la storia con le scienze di leggi, estendendo a quella il contenuto 
logico e il tipo epistematico di queste; ma è anche infondata (o 
fondata soltanto sopra un’analisi insufficiente delle categorie sotto 
le quali viene pensato il reale come natura, e sovra persistenti ve¬ 
dute astrattistiche e sostanzialistiche) la svalutazione del conoscere 
matematico-naturalistico. Se la costruzione della storia è il termine 
d’arrivo di tutto il conoscere, ogni progresso della conoscenza storica 
ha per condizione il progredire delle scienze di leggi; e se queste 
avessero un valore puramente convenzionale, neanche la storia po¬ 
trebbe aspirare a un valore filosofico («II problema delle scienze 
storiche» 1914). 

Giambattista Grassi Bertazzi (n. 1867), prof, di st. della fil. a 
Catania, fecondo studioso del pensiero antico, medievale e moderno, 
ha avviato ampie ricerche sovra « I presupposti fondamentali della 
storia della filosofia» (1921 ). 

10. — Alfonso Asturaro (1854-1917), prof, di fil. mor. a Genova, 
considerò i problemi morali dal punto di vista dell’evoluzionismo, 
che, meglio del semplice associazionismo, offre il modo di conci¬ 
liare il naturale egoismo con l’ideale del disinteresse («Saggi di fil. 
mor.» 1881): si adoperò sopratutto a sistemare la sociologia me¬ 
diante la classificazione e seriazione dei fatti sociali : approfondì la 
dottrina del metodo delle scienze morali e la dottrina della clas¬ 
sificazione delle scienze ( « La sociologia, i suoi metodi e le sue sco¬ 
perte», 2. Ed. 1907). Ma della vastissima letteratura sociologica 
che dilagò per l’Italia sul finire dello scorso secolo e nel primo 
decennio del presente, non è il caso di far parola: sopra quella 
emergono per l’austera serietà degli intendimenti e la rigorosa fe¬ 
deltà al metodo positivo gli « Elementi di scienza politica» di Gae¬ 
tano Mosca ( 2' ed., 1923), prof, di diritto costituzionale a Roma, 
(n. 1858) e il «Trattato di sociologia generale» (1916) di Vilfredo 
Pareto (1848-1923): questi scrittori, se pure non fecero professione 
di filosofia, con il loro pensiero robusto e originale esercitarono 
grandissima influenza sopra la formazione delle giovani generazioni. 

Scolaro dell’Ardìgò, Achille Loria (n. 1857), prof, di economia 
politica a Torino, sociologo ed economista dei più eminenti, ricercò 
un principio che lo guidasse alla spiegazione organica della vita 
sociale: non si propose la soluzione di problemi speculativi, ma 
intese il materialismo storico come un ferreo determinismo eco- 




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LUDOVICO LIMENTANI 


nomico e ne trasse nel modo più intransigente estreme illazioni 
(«Le basi economiche della costituzione sociale 4 » 1913). Diffuse 
con parola lucida colorita efficace la conoscenza del movimento so¬ 
ciologico contemporaneo («La sociologia, il suo compito, le sue 
scuole, i suoi recenti progressi» 1900 «Verso la giustizia sociale » 
1904-15). 

La concezione della storia come divenire automatico e fatale dei 
processi economici, e la interpretazione del materialismo storico come 
applicazione della filosofia materialistica alla storia, sono state vi¬ 
gorosamente combattute da Rodolfo Mondolfo ( n. 1877), prof, di 
st. della fi!, a Bologna. Già Antonio Labriola (1843-1904), prof, di fil. 
mor. a Roma, aveva sostenuto che il materialismo storico deve fon¬ 
darsi sopra una dottrina di attività, sopra la marxista filosofia della 
praxis: l’uomo non è un essere passivo e inerte, docile all’azione 
delle condizioni esistenti: queste, mentre limitano e ostacolano la 
sua azione, lo stimolano a volgersi contro di esse per reagirvi e 
trasformarle: le condizioni stesse che l’uomo ha create sono da lui, 
nel processo della lotta fra le classi, superate e trasformate. Il mar- 
ximo del L., contro ogni teoria dei fattori storici, artificiosamente 
separati ed entificati, rivendica il principio della unità della vita e 
della storia («Saggi intorno alla concez. mater. della st. » 1895-8). 

Anche il Mondolfo, autore di pregevoli saggi di psicologia (* Studi 
sui tipi rappresentativi» 1909) e di storia della filosofia (« E. B. de 
Condillac » 1902 « La morale di Hobbes » 1903 « Le teorie mor. e 
poi. di Helvétius » 1904 «Il dubbio metodico e la st. della fil.» 
1905 «Il pensiero di R. Ardigò» 1908 «La fil. di G. Bruno nella 
interpretaz. di F. Tocco» 1911 « Rousseau nella formaz. della cose, 
mod. » 1913 « F. Acri e il suo pensiero» 1914) e studioso di pro¬ 
blemi pedagogici e culturali («Libertà della scuola» 1922), inter¬ 
preta il materialismo storico come intuizione volontaristica della 
vita e concezione critico-pratica della storia (« 11 materialismo stor. 
di F. Engels» 1912 «Sulle orme di Marx J » 1923). A fondamento 
della ricostruzione della dottrina sta lo stesso criterio, per cui la 
dialettica reale del Marx si opponeva alla dialettica hegeliana della 
idea, ossia il principio, derivato dall’umanismo del Feuerbach, che 
restituisce all’uomo la sua concreta realtà ed azione nella vita, af¬ 
fermando di fronte alla realtà dello spirito la realtà della natura. 
La conoscenza e la storia umana si sviluppano in un rapporto dia¬ 
lettico fra soggetto (bisogni, aspirazioni, volontà degli uomini) e og¬ 
getto (condizioni naturali e storiche): questo si pone come limite, 
ostacolo e perciò stimolo progressivo all’attività umana e alle con- 








IL POSITIVISMO ITALIANO 


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quiste e creazioni, ch’essa compie nella diuturna sua lotta, e che 
si convertono nelle condizioni nuove, alle quali nuovamente spetterà 
la funzione di limite e perciò d’impulso a nuovi sforzi di supera¬ 
mento. In questo volontarismo concreto, che riconosce fra i bisogni 
umani la preminente impellenza del bisogno economico, è l’essenza 
del processo storico e, insieme, la direttiva di ogni azione aspirante 
a inserirsi efficacemente nella storia. 

Alla conoscenza della dottrina e dell’attività politica degli estremi 
partiti rivoluzionari ha contribuito validamente Ettore Gambigliani 
Zoccoli (« L’anarchia - Gii agitatori - Le idee - I fatti - 1907), autore 
anche di saggi sopra la filosofia dello Schopenhauer e del Nie¬ 
tzsche e già prof, di fil. mor. a Catania. 

11 - Largo contributo recarono i positivisti agli studi di filosofia 
giuridica, nei quali aveva già stampato un’orma profonda Roberto 
Ardigò con la sua Sociologia. 

Uno sforzo di conciliazione fra le dottrine positivistiche e il 
criticismo si ravvisa nei tre volumi delle Opere (1908) di Icilio 
Vanni (1855-1903), prof, di f. d. d.° a Roma, che assegnò alla fil. 
del dir. il triplice problema gnoseologico, fenomenologico, deonto¬ 
logico: mise in luce la esigenza gnoseologica implicita nello stesso 
positivismo conitiano e illustrò la dottrina etico-giuridica dello 
Spencer: segnò le linee fondamentali di un programma critico di 
sociologia, riconoscendo la caratteristica della vita sociale nella 
«storicità-. Le sue Lezioni ebbero grande efficacia sulla educazione 
mentale di parecchi giuristi. 

Piuttosto eclettica che propriamente positivistica è la dottrina 
di Giuseppe Carle (1845-1917), prof, di f. d. d.° a Torino (« La vita 
del diritto nei suoi rapporti colla vita soc.» 1880 «La F. d. d°. 
nello Stato mod. 1902-3), ispirata ai principii dello storicismo. 

La necessità di una larga concezione sociologica e storicistica 
del diritto fu sostenuta da Biagio Brugi, prof, d’istituz. di d° civ. 
a Pisa (n. 1855: « Introduzione enciclopedica alle Se. giur. e soc. 4 » 
1907), seguace e propugnatore dei principii della scuola storica, il 
quale accolse e illustrò la dottrina dell’Ardigò ; da Gino Dallari (n. 
1872: «La esigenza del posit. crit. per lo studio fil. del dir. » 1903 
« Il pensiero fil. di H. Spencer » 1904 « Il nuovo contrattualismo 
nella fil. soc. e giur.» 1911 « F. d. d.° e scienza storica dell’inci¬ 
vilimento» 1913); e da Gioele Solari (n. 1872: «La scuola del di¬ 
ritto naturale nelle dottrine etico-giuridiche dei sec. XVII e XVIII» 
1904 «La idea individ. e la idea soc. nel d°. privato» 1911 «li 
probi, mor. » 1900), professori di f. d. d°. a Pavia e Torino. 




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LUDOVICO LIMENTANI 


Rigoroso positivista fu Salvatore Fragapane, prof, di f. d. d°. a 
Bologna (1868-1909), che sostenne contro il contrattualismo l’unità 
dell’individuo e del gruppo, dell’idea e del fatto, della coscienza e 
della società («Contrattualismo e sociol. contemp. » 1892), applicò 
al campo della filosofia giuridica il metodo genetico evolutivo (« Il 
probi, delle origini del dir. » 1896) e combattè l’eclettismo del Vanni, 
negando il compito deontologico della f. d. d.° (« Obbiettò e limiti 
della f. d. d.° » 1897-9). Scolaro del Fragapane e illustratore del¬ 
l’opera del Vanni è Antonio Falchi (n. 1879), prof, di f. d. d.° a 
Parma («L’opera di I. Vanni» 1903 «Sulla differenziaz. del diritto 
dalla mor. » 1904 «Le mod. dottrine teocratiche» 1908 « I fini dello 
Stato e la funz. del Potere 1914»), che negò la legittimità della 
esigenza metafisica nella f. d. d.° 

Particolare attenzione all’aspetto psicologico della fenomenologia 
giuridica prestò Vincenzo Miceli (n. 1858), prof, di f. d. d.° a Pisa, 
che sostenne la riduzione della f. d. d.° per la parte speculativa 
alla filosofia morale, e per la parte tecnica alla dottrina generale 
del diritto (« Le fonti del d.° dal p. d. v. psichico-soc. » 1905 « Prin- 
cipii di F. d. d.° » 1914). 

Considerarono la vita del diritto da un punto di vista evoluzio¬ 
nistico e antropologico Raffaele Schiattarella (1839-1902), Giuseppe 
d’Aguanno (1862-1908) e Giuseppe Vadalà Papale (1854-1921), prof, 
di f. d. d.° rispettivamente a Palermo, Messina, Catania. 

Dalla scuola dell’Ardigò sono usciti Alessandro Grappali e Ales¬ 
sandro Levi: il primo (n. 1874), prof, di f. d. d.° a Modena, contri¬ 
buì alla critica della Sociologia del Maestro dal punto di vista del 
materialismo storico (« La genesi soc. del fenomeno scientifico» 
1899), fece conoscere in Italia le principali correnti del pensiero 
sociologico straniero (« Saggi di sociologia » 1899 « I fondamenti 
giur. del solidarismo » 1914) e assegnò alla sociologia la triplice 
funzione critica, sintetica e teleologica («Sociologia e psicologia» 
1902). Il Levi (n. 1881), prof, di f. d. d.°a Catania, assegna alla 
filosofia il compito di discutere il problema gnoseologico, e conse¬ 
guentemente intende la f. d. d.°come logica o gnoseologia del di¬ 
ritto, differenziato dalla economia e dall’etica come una distinta 
forma logica o «guisa» dello spirito umano; assume come concetto 
fondamentale dell’ordinamento giuridico, quello di rapporto giuridico, 
individuazione della forma logica del diritto, che è l’apprezzamento 
delle attività nel loro profilo intersoggettivo: «ubi societas, ibi 
ius». («Contributi ad una teoria fil. dell’ordine giur.» 1914 « F. 
d. d.°e tecnicismo giuridico» 1920 «Saggi di teoria del d.° » 1924 
« La Fil. poi. di G. Mazzini » 1917). 





IL POSITIVISMO ITALIANO 


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Alfredo Bartolomei (n. 1874), prof, di f. d. d.° a Napoli, in un 
saggio giovanile discusse, alla stregua di una metafisica monistica 
e apprezzò con equanimità e acume « I principii fondam. dell’etica 
di R. Ardigò e le dottrine della fi], scientifica » 1900, ma il suo ul¬ 
teriore pensiero si svolse in direzione piuttosto criticistica che non 
positivistica. 

Benvenuto Donati (n. 1883), prof, di f. d. d.° a Macerata, ha 
portato contributi allo studio del diritto come fenomeno, e si è poi 
rivolto specialmente alle ricerche storiche, rendendosi benemerito 
degli studi vichiani («Interesse e attività giuridica» 1909 «11 so¬ 
cialismo giur. e la riforma del d.° » 1910 « Il rispetto della legge 
dinanzi al principio di autorità. Critica alla Fil. civ. di Hobbes » 
1919 «Autografi e documenti vichiani inediti o dispersi » 1921 « Es¬ 
senza e finalità della scienza del d° » 1924). 

Roberto Vacca ha tracciato le linee di un programma di f. d. 
d.° sulla base del metodo sperimentale («Il d.° sperimentale» 1923). 

12. — Il positivismo fu portato naturalmente a contribuire a quel 
movimento che può definirsi di filosofia della scienza. Positivistico 
è l'atteggiamento assunto nel suo libro «Scienza e opinioni» (1901) 
da Bernardino Varisco (n. 1850), prof, di fil. a Roma, il quale non 
potrebbe esser annoverato oggi più tra i positivisti, dopo la revi¬ 
sione e le integrazioni alle quali è stato indotto dal suo indomito 
spirito di ricerca. Il V. distingue assolutamente pensiero e realtà. 
Questa si compone d’infiniti corpuscoli, estesi ma fisicamente in¬ 
divisibili, dotati di proprietà psico-fisiche. Fisicamente, i corpuscoli 
si muovono e all’occasione si urtano; e, quantunque duri, negli 
urti si comportano come se fossero elastici. La fisica del V. si riduce 
integralmente a una meccanica, sul genere di quella del P. Secchi: 
l’accadere fisico è quello che ha luogo tra i corpuscoli, mentre 
l’accadere psichico è provocato, In ogni corpuscolo, degli urli a 
cui va soggetto. Non esistono mentalità indipendenti dal fatto del 
nostro pensare (il V. mantiene anche oggi questo suo concetto, che 
per altro ha reso più coerente). L’esigenza del nostro pensiero non 
è se non l’esigenza causale dei fatti psichici che lo costituiscono, 
Ciascun fatto psichico (separatamente preso) è insieme una forza, 
e un conoscere affatto embrionale, ma certo assolutamente. Quello 
che è vero va distinto da quello che consta. P. es.: consta 
che C è conseguenza necessaria di P; consta che il remo nell’acqua 
si vede spezzato. Ma C non è vera che sotto condizione; e che il 
remo sia spezzato, non è punto- vero. Quello che consta non è dun¬ 
que vero, in generale, che relativamente; peraltro è un vero noto 





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LUDOVICO LIMENTANI 


e certo. Al di là di quello che consta c’è un vero assoluto (p. es., 
la dipendenza necessaria di C da P è assolutamente vera), che può 
essere in parte ignoto, o non conosciuto con certezza. Per giungere 
alla cognizione del vero assoluto, è necessario che ci fondiamo su 
quello che consta. E a ciò si riduce quello, che dal V. fu chiamato 
il suo positivismo: constano soltanto le conclusioni delle scienze 
positive (dimostrative, secondo Galileo, il quale riteneva opinabili 
tutte le altre dottrine). Fine della filosofia, secondo il V., il quale 
in proposito non mutò molto le sue opinioni, è la discussione del 
problema, se oltre alla natura psico-fisica ci sia o non ci sia un 
soprannaturale, cioè se la religione sia o non sia giustificata. Ed 
egli rispondeva allora che alla riflessione il soprannaturale non può 
constare; il sentimento del soprannaturale, qualunque ne sia il va¬ 
lore oggettivo, non può essere tradotto in cognizione distinta, non 
può servire di fondamento alla costruzione del sapere. 

1 nomi di Federigo Enriques e di Eugenio Rignano si trovano 
associati nell’impresa di promuovere con la rivista « Scientia > (fon¬ 
data nel 1907 e tuttora fiorente sotto la direzione del R.) la coor¬ 
dinazione del lavoro scientifico, la critica dei metodi e delle teo¬ 
rie, e di affermare un apprezzamento più largo dei problemi della 
scienza. «Problemi della scienza» s’intitola il libro (1906) con il 
quale l’E. (n. 1871), matematico di fama già mondiale, si annunziò 
come rappresentante di un positivismo che può dirsi critico, domi¬ 
nato come tale, dalla consapevolezza della esigenza gnoseologica. 

La teoria della conoscenza, sostenuta dall’E., deriva dall’esame 
della scienza, non accettata dogmaticamente ma investigata nelle sue 
origini e nel suo significato: ed è ben giustificata la definizione della 
sua costruzione come positivismo critico: l’E. infatti elimina il dua¬ 
lismo di assoluto e relativo, sostanza e fenomeno — rappresenta 
il lavoro scientifico come un progresso senza fine, perchè sono 
senza fine i rapporti che legano fra loro le cose, e il concatena¬ 
mento delle cause naturali: e questo progresso concepisce come 
procedimento di approssimazioni successive, dove dalle deduzioni 
parzialmente verificate e dalle contraddizioni eliminanti l’errore delle 
ipotesi implicite, sorgono nuove induzioni più precise, più probabili, 
più estese — ricerca la origine empirica delle concezioni metafisiche, 
alle quali può attribuirsi soltanto il valore d’ipotesi, capaci talora 
di preparare scoperte e teorie scientifiche — fa oggetto di studio 
il fondamento psicologico e il contenuto sperimentale delle supreme 
categorie logiche — opera una revisione delle stesse dottrine posi¬ 
tivistiche, con il fine di escluderne i residui metafisici assume 






IL POSITIVISMO ITALIANO 


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come criterio della verità la esperienza, la quale dimostra se sussista 
o meno l’accordo fra l’elemento subiettivo della previsione e l’ele¬ 
mento obbiettivo della realtà riconosce come dati immediati della 
realtà non le sensazioni pure, ma piuttosto i rapporti fra sensazioni 
e volizioni che condizionano le nostre aspettative, e ne esprimono 
gl’invarianti elementari — riconosce pertanto che la nostra credenza 
a qualcosa di reale suppone un insieme di sensazioni che invaria¬ 
bilmente susseguono a certe condizioni volontariamente disposte 
— riesce con la definizione del reale come invariante della corri¬ 
spondenza fra volizioni e sensazioni a unificare, contro le teorie 
della scienza, nominalistiche e convenzionalistiche, la comprensione 
del «fatto bruto» e quella del «fatto scientifico». Tutta l’opera 
dell’E. è ispirata alla fede razionale nel valore della scienza e al 
principio della continuità e interdipendenza di scienza e filosofia. 
Nella valutazione del contrasto « razionalismo-storicismo » il pen¬ 
siero dell’E. va sempre più evolvendosi nel senso del razionalismo, 
ch’egli cerca tuttavia di comporre con l’empirismo da un lato e 
con lo storicismo dall’altro («Scienza è razionalismo» 1912 «Per 
la storia della logica » 1922). 

Eugenio Rignano (n. 1870), lib. doc. a Pavia, ha coltivato gli 
studi sociologici biologici psicologici: ha esposto criticamente la 
sociologia comtiana, soprattutto dal punto di vista metodologico 
(«Là sociol. nel Corso di Fil. pos. di A. C. » 1904): ha spiegato il 
meccanismo di trasmissione ereditaria dei caratteri acquisiti con 
una ipotesi ontogenetica, che rende conto dei fatti recati a favore 
così del preforniismo come della epigenesi. L’altra ipotesi sussidia¬ 
ria suH’accutnulazione specifica, che sarebbe la proprietà fondamen¬ 
tale ed esclusiva della energia nervosa, base della vita, spiega i feno¬ 
meni mnemonici propriamente detti e la proprietà mnemonica della 
sostanza vivente in generale. Così la ipotesi centroepigenetica rientra 
fra le teorie delio sviluppo, ed è fornito un modello energetico, ca¬ 
pace di dare una idea della natura intima della vita («Sulla tra¬ 
smissibilità dei caratteri acquisiti» 1907). Hanno origine e natura 
mnemonica anche le tendenze affettive (« Essais de synthèse scien- 
tifique» 1912). L’analisi del ragionamento, cioè del più complesso 
tra i fatti psichici, porta a studiare gli altri fatti, sempre meno com¬ 
plessi, che lo costituiscono, fino ai due più elementari, che dànno 
luogo a tutti gli altri: da un lato, cioè, sensazioni ed evocazioni 
sensoriali, dall’altro, tendenze affettive (« Psicologia del ragiona¬ 
mento » 1920). Così la sola proprietà mnemonica spiega e unifica 
tutte le manifestazioni finalistiche della vita, dalla ontogenesi e dal 


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LUDOVICO LIMENTANI 


preadattamento anatomo-fisiologico ali’ambiente, fino agl’istinti più 
complessi e alle più alte manifestazioni del pensiero (« La memoria 
biologica » 1922). 

I nomi del Varisco, dell’Enriques e del Rignano mostrano come 
il pensiero italiano abbia preso parte attiva a quel movimento di re¬ 
visione critica della scienza, che è una delle caratteristiche più no¬ 
tevoli del pensiero contemporaneo. Ma non debbo dimenticare — 
pur vedendomi costretto, per non esorbitare dai limiti del mio tema, 
a un accenno sommario e pur troppo insufficiente — l’opera di Giu¬ 
seppe Peano (« Calcolo geometrico » 1888 « 1 principii di Geome¬ 
tria logicamente esposti » 1889) e de’ suoi discepoli Mario Pieri, 
Alessandro Padoa, Cesare Burali-Forti, la quale tanto ha contri¬ 
buito a dare alla matematica una rigorosa sistemazione logico-de¬ 
duttiva, con tendenza nominalistica, escludendo qualsiasi appello 
all'intuizione. E vuol essere anche ricordato il valore logico e filo¬ 
sofico che, partendo dagl’insegnamenti del Peano e di Antonio Gar- 
basso (« Fisica d’oggi. Filosofia di domani » 1910), Annibaie Pastore, 
prof, di fil. teor. a Torino, ha dato alla logica-matematica e alla 
teoria dei modelli meccanici (« Sopra una teoria della scienza » 1903 
« Logica formale dedotta dalla consideraz. di modelli meccanici » 
1906 «Del nuovo aspetto della scienza e della fil.» 1907 «Sillogi¬ 
smo e proporzione» 1910 «Il pensiero puro» 1913 «Il problema 
della causalità» 1921). Il calcolo logico, secondo il P., non è che 
uno degl’infiniti modelli con cui si può rappresentare l’ordine dei 
fenomeni e prevederli; e tutti sono immagini o simboli equivalenti 
dell’infinita verità. Ma nelle sue ultime opere il P., superando la 
posizione di questo suo iniziale nominalismo, accenna ad orientarsi 
verso una forma di panlogismo. 

13. — Al positivismo — anzi al positivismo più rigoroso ed 
estremo — va pure ascritta la « filosofia scettica » di Giuseppe 
Rensi (n. 1871), prof, di fil. mor. a Genova, pensatore fervido, scrit¬ 
tore suggestivo, polemista animoso. Egli muove in tutt’i suoi libri 
principali una vivace battaglia contro l’idealismo assoluto, negando 
radicalmente ogni assolutezza delle forme o attività spirituali, e so¬ 
stenendo che nell’ambito della sfera della pura ragione (in quanto 
cioè la pura ragione, o lo spirito, costruisca cavando esclusivamente 
dal proprio fondo, a priori, e si concepisca non come determinata 
dal fatto, dal dato, ma come generante essa l’oggetto) impera so¬ 
vrana e invincibile l’antinomica ossia lo scetticismo. Ma, quindi, cer¬ 
tezza v’è solo nella constatazione sensibile del fenomeno come tale, 
e a questa certezza è parallelo l’accordo universale, in ciò, delle 





IL POSITIVISMO ITALIANO 


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menti. Comincia il regno dell’incertezza, della mera opinione, e 
quindi della fantasia (e perciò in un certo senso dell’arte) quando 
si vuole salire oltre la constatazione del fenomeno per interpretarlo. 
Dunque, o la filosofia è la constatazione del fenomeno, ed è posi¬ 
tivismo e scienza; o è l'interpretazione di esso, ed è mera espres¬ 
sione d'impressioni, cioè arte, e, dal punto di vista del sapere, scet¬ 
ticismo (« Lineamenti di Fil. scettica » 1919). Di conseguenza, an¬ 
che nel campo pratico, morale e diritto non sono costruzioni razio¬ 
nali che lo spirito cavi con apodittica assolutezza dal proprio fondo, 
ma sono determinati, qua e là variamente, dalla «Autorità» del 
fatto esteriore, come il positivismo sofistico e quello hobbesiano 
avevano scorto («Il diritto», ib. «Filosofia dell’Autorità» 1920 
«Introduzione alla scepsi etica» 1921). Anche l’estetica è, come 
forma a priori dello spirito, nient’altro che scepsi estetica (« La 
scepsi estetica» 1919) e come «bello» non può valere se non la 
valutazione di fatto che pronuncia il gruppo sociale o la specie. 
Negli ultimi suoi scritti («L'irrazionale, il lavoro, l’amore» 1923 
« Interiora Rerum » « Realismo » 1924) il R. accentua i caratteri rea¬ 
listici e nello stesso tempo pessimistici del suo scetticismo. 

Non come positivista, ma come scettico, vuol essere qui ricor¬ 
dato Adolfo Levi (n. 1878), prof, di st. d. fil. a Pavia e operoso 
cultore della st. d. fil. ant. (« Il concetto del tempo nei suoi rap¬ 
porti coi probi, dell’essere e del divenire nella fil. gr. sino a Pla¬ 
tone» 1910 « Id. nella fil. di Platone» 1920 «Sulle interpretaz. 
immanentistiche della fil. di PI.» 1920), mod. («La fil. di Berke¬ 
ley» 1922) e conteinp. (« L’indeterminismo nella fil. frane, contemp. » 
1904 ecc.). Il L. («Sceptiea* 1921) rappresenta un radicale scettici¬ 
smo che eliminando da sè ogni elemento dommatico, sfugge alla 
consueta accusa d’intima contraddizione. Tutte le metafisiche, com¬ 
preso l’idealismo assoluto, si fondano sopra una concezione reali¬ 
stica, che, in quanto voglia rispondere a esigenze non pratiche ma 
puramente teoretiche, è senza giustificazione, anzi in contrasto con 
il presupposto fondamentale del conoscere (costituito dal mio io 
pensante): tutte - dico — fuorché una, il solipsismo, che da que¬ 
sto presupposto direttamente deriva, e che, sebbene criticabile per¬ 
chè includente innegabili irrazionalità, è fra tutte la più plausibile. 
Contro il positivismo, il solipsismo sostiene che il dato dell’espe¬ 
rienza esige una interpretazione del pensiero, e però non ha valore 
per sè. 

L’estetica del L. («La fantasia estetica» 1913) si riassume nella 
tesi che « l’opera d’arte nasce dal mistero, ha caratteri non deter- 




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LUDOVICO LIMENTANI 


minabili completamente ed esaurientemente e suscita in chi la con¬ 
templa uno stato particolarissimo, irreducibile e non del tutto defi¬ 
nibile ». 

14 — In Sicilia il positivismo si presenta con aspetti caratteri¬ 
stici nella filosofia dell’identità di Simone Corleo (1823-91), prof, di 
fil. mor. a Palermo, e nel radicale empirismo di Cosmo Guastella 
(1854-1922), prof, di fil. teor. a Palermo. 

Nel C., positivistico è il metodo, o il punto di partenza: ma egli 
con la pura osservazione dei fatti e senza nulla presupporre vuol 
giungere alla metafisica e a conclusioni eminentemente razionali¬ 
stiche. Non vi è qualità la quale non si riduca a quantità, e questa 
riduzione che è il compito della scienza, rende possibile la costru¬ 
zione di una filosofia che adegui la esattezza della matematica. Il 
C. ha una concezione atomistica della vita psicologica: dalle per¬ 
cezioni — che sono gli atti primordiali del pensiero, e, presentandosi 
come in parte identiche, in parte non identiche fra loro, sono 
tutte complessi, identici con la somma delle parti — risultano l’a¬ 
nalisi e la sintesi spontanee, che operano sopra le percezioni stesse, 
onde i punti simili di queste si presentano similmente, e i punti 
per cui si differenziano si separano naturalmente: così si spiegano 
le formazioni mentali superiori. Lo stesso fondamentale assioma 
della identità non è dunque che un dato della esperienza, emer¬ 
gente dalla osservazione del fatto del pensiero: ma è un tale dato 
che consente di trovare nell’empirico l’assoluto, perchè assoluto è 
che identicamente apparisca ciò che identicamente apparisce. La 
noologia del C. è per un verso psicologia empirica: ma per l’altro 
verso è, in quanto la sua psicologia è piuttosto una schematizza¬ 
zione matematica di esperienze psicologiche, anche logica e gnoseo¬ 
logia. La esperienza si eleva al grado di concetto per virtù della legge 
di priorizzazione, onde gli elementi costanti della rappresentazione 
di un oggetto «prendono il davanti», diventando tipo e norma de¬ 
gli altri, e quel che vieti dopo, o si assimila a ciò che precedette 
e riproduce quegli elementi costanti, o non si assimila e non li ri¬ 
produce: qui è la fonte della universalità e della necessità: ma i 
giudizi si fondano tutti sull’analisi del fatto o del concetto e sul 
riconoscimento d’un’identità parziale o totale: non esistono giudizi 
sintetici a priori. Alla stregua del principio d’identità il C. esamina 
e critica le idee madri (categorie) e procede a rettificare e giusti¬ 
ficare, contro i positivisti, le idee della metafisica, da quella di atomo 
a quella di Dio, mostrando che esse hanno pure fondamento posi¬ 
tivo e valore obiettivo, perchè sono composte con elementi presi 









IL POSITIVISMO ITALIANO 37 

dalla esperienza mediante l’astrazione e la sintesi degli astratti (« Fil. 
univ. » 1860-3 «Il sistema della fil. univ. ovvero la fil. dell’iden¬ 
tità» 1880). 

Il Guastella procede sulle orme del Mill, sforzandosi di ridurre 
il pensiero di lui a maggior coerenza, e professa un assoluto no¬ 
minalismo. Il suo sistema nell’aspetto ontologico, è un fenomenismo 
radicale (esse est percipi) e, nell’aspetto logico, psicologico e gno¬ 
seologico, un non meno radicale empirismo. Fenomenismo, perchè 
questa dottrina non afferma niente, nè come conosciuto nè come 
inconoscibile, ai di là del mondo empirico, intendendosi per mondo 
empirico l’insieme dei fatti di cui si ha esperienza o che s’inferi¬ 
scono da questi in virtù della generalizzazione dei rapporti costanti 
osservati fra di essi, ed essendo esso null’altro che la stessa espe¬ 
rienza. Empirismo, cioè una dottrina sul criterio della verità, che 
tra i motivi delle nostre affermazioni — di quelle che non sono 
semplici atti di memoria o comparazione — non ammette come legit¬ 
timo che la induzione, e respinge come illegittimi l’evidenza intrin¬ 
seca (non confermata dall’induzione) e l’influenza della passione e 
della volontà. Il pensiero ha natura sensibile, e non è costituito se 
non da imagini concrete e particolari: non esistono giudizi a priori : 
tutte le nostre proposizioni sono affermazione o negazione della 
esistenza di certi fatti particolari. Anche le nozioni di causa (notevole 
la critica dissolvente del concetto di causa efficiente) e di sostanza 
derivano dagli elementi del senso. Non si può affermare altra esi¬ 
stenza che quella dei fenomeni: fenomeni interni o subbiettivi nei 
quali si risolve il Me, fenomeni della natura esteriore, che si 
risolvono in sensazioni reali o possibili: non vi è altra scienza pos¬ 
sibile che quella delle uniformità di successione, coesistenza, somi¬ 
glianza tra i fenomeni. E il fenomeno è il fatto dell’esperienza, e 
non esiste se non in quanto se ne ha esperienza: ma questa cono¬ 
scenza fenomenica è completa e assoluta. Anche la credenza nella 
esistenza degli altri soggetti ha fondamento nella esperienza, che 
dà cosi la via di sfuggire al solipsismo. Il postulato della cor¬ 
rispondenza tra spirito e realtà deve essere ammesso come obbiet¬ 
tivamente valido, senza uopo di prova, perchè esso è anzi impli¬ 
cito in ogni prova, e non si potrebbe contestarlo senza rinunziare 
all’uso del pensiero: rientra, in sostanza, nel postulato universale, 
che noi dobbiamo aver fiducia nelle nostre facoltà. 

La parte più originale della dottrina dei G. è la Filosofia della 
Metafisica, cioè la ricerca del fondamento psicologico delle costru¬ 
zioni metafisiche e la dimostrazione del loro carattere illusorio. Quel 








38 


LUDOVICO LIMENTANI 


fatto che è la metafisica, richiede di essere spiegato: come nasce 
la tendenza irresistibile a trascendere la esperienza, e come si de¬ 
terminano le varie forme sotto cui ci apparisce questo preteso al 
di là dei fenomeni? Tale tendenza è tutt’uno con quella che porta 
ad assimilare tutti i fenomeni e tutte le idee che ci formiamo su di 
essi ai fenomeni, e alle idee sui fenomeni, che ci sono più familiari: 
particolarmente ai fenomeni dell’azione della volontà sul nostro corpo 
— donde la filosofia volizionale — e del movimento per urto — donde 
la filosofia meccanica o impulsionistica («Saggi sulla teoria della 
con. I. Sui limiti e l’ogg. della con. a priori 1897. II. Fil. della 
Metafisica 1905» «Le ragioni del fenomenismo» 1921-3). 

15. — Non era mio compito considerare le relazioni del posi¬ 
tivismo italiano con le filosofie ch’esso trovò già vigoreggianti al 
suo primo manifestarsi, e con le altre correnti che successivamente, 
in antitesi o in continuità con esso, hanno avuto o'ritrovato fortuna 
tra noi. La precedente rassegna analitica basta a dimostrare la 
profondità, l’ampiezza, la fecondità di un movimento che scaturisce 
da una necessità, immanente allo spirito umano. Fin dal suo ap¬ 
parire il positivismo fu accompagnato in Malia con i segni aperti 
di una ostilità che non ha disarmato mai : è leggenda tanto più 
insistentemente ripetuta quanto più esaurientemente sfatata — ch’esso 
abbia mai ottenuto il predominio nell’insegnamento superiore o 
aspirato a esercitarvi una tirannica dittatura. Ha tenacemente resi¬ 
stito all’imperversare di polemiche, le quali hanno sovente trasceso 
i limiti segnati alla critica onesta e serena, mossa unicamente da 
zelo di verità. Seguendo la traccia di Roberto Ardigò, e trovando 
in sè la virtù di reagire contro la tendenza al semplicismo e al 
rozzo empirismo, è venuto progressivamente interiorizzandosi e af¬ 
finando in sè il senso della esigenza storica e critica: inflessi- 
bile nel rivendicare alla filosofia la stffi autonomia e la sua 
distinta funzione, ha tenuto fede al patto di alleanza con la scienza, 
stretto sul fondamento della unità di metodo : e non è certamente 
questa la sua minore benemerenza verso la cultura nazionale. 

Firenze, R. Università, marzo 1924. 


Ludovico Limentani. 



IL NEOTOMISMO IN ITALIA DOPO IL 1870 


Nel tracciare in poche pagine le vicende del neotomismo italiano 
dopo il 1870 fermerò l’attenzione piuttosto su le situazioni che su 
gli uomini: la quale cosa, se torna utile sempre nella storia della 
filosofia, molto più torna utile quando il periodo a cui si guarda è 
abbastanza recente. Le ragioni sono di prima evidenza. Entriamo 
in argomento. 

* 

* * 

Non ò possibile caratterizzare secondo verità il neotomismo po¬ 
steriore al 1870 senza prima formarsi un’idea esatta del neotomismo 
anteriore dal 1800 al 1870. Certo le scuole domenicane italiane e 
straniere mantennero sempre in qualche efficenza il loro tomismo 
e prima e dopo il 1800. Nonpertanto se il neotomismo italiano (da 
cui dipende lo straniero (1)) si afferma vivamente e risolutamente 
agl’inizi del secolo XIX e via via negli anni successivi, ciò è do¬ 
vuto principalmente al canonico piacentino Vincenzo Buzzetti, le 
cui lezioni, prima del 1825, erano già diffuse in manoscritti per l’I¬ 
talia (2), e i cui scolari, attorno al 1830, avevano già iniziato al 
tomismo, più o meno fortunatamente, il Taparelli, il Liberatore e 
tant’altri dentro e fuori della compagnia di Gesù. Giuseppe Pecci 
a Perugia è certamente sotto, l’influsso di Serafino Sordi, piacentino 
e scolaro del Buzzetti: è lecito pensare il medesimo del canonico 
napoletano Gaetano Sanseverino (3). 


(1) A. Masnovo, Il Neotomismo in Italia, p. 129. (Società Editrice « Vita e 
Pensiero», Milano, 1924). 

(2) Cfr. «L’amico d’Italia», anno IV, Torino, 1825, voi. Vii, p. 200. Quivi 
Don Carlo Gazola, tessendo l’elogio In morte dello zio Vincenzo Buzzetti, ci 
fa sapere che lo zio « tracciò egli un corso breve di filosofia, che tiensi nel 
seminario vescovile di Piacenza e nelle pubbliche scuole di Reggio e in quelle 
di Napoli; filosofia in che null’altro difetto ritrovasi fuor quello di sommamen¬ 
te piacere a tutti i giovani d’ingegno». 

(3) A. Masnovo, Il Neotomismo in Italia, p. 131. 






40 


AMATO MASNOVO 


Il Buzzetti rimetteva a nuovo il tomismo, consapevolmente o 
no, sotto la spinta del movimento romantico, e l’inseriva, certo 
consapevolmente, nella reazione che, tra la fine del 1700 e l’inizio 
del 1800, si scatenava anche in Italia, compreso il ducato di 
Parma, avverso l’empirismo del Locke e il sensismo del Condillac. 
Anzi si può e si deve dire che in Italia il Buzzetti è (cronologica¬ 
mente almeno) il primo grande rappresentante della reazione anti- 
sensistica. Certo non può venire in gara col Buzzetti il Rosmini, la 
cui attività letteraria comincia quando il Buzzetti è morto (1824). 
Quanto al Galluppi la sua reazione all’empirismo data dal 1819: 
anno nel quale egli inizia la pubblicazione del «Saggio filosofico 
sulla critica della conoscenza... (1)». Or noi sappiamo che prima 
del 1816 il Buzzetti professava il suo battagliero tomismo in con¬ 
trasto al sensismo. Infatti il P. Serafino Sordi, entrato nella Compagnia 
di Gesù verso la fine del 1816 (2), aveva già seguito il corso tomi¬ 
stico dettato nel Seminario di Piacenza sotto l’ispirazione del Buzzetti. 

Questo tomismo, per cosi dire, buzzettiano, che riprende non già 
come un effimero capriccio ma come sforzo e forza davvero vitali, 
e che, col Sordi e col Taparelli col Liberatore e col Sanseverino, 
si svolge perennemente a contatto del pensiero e delle preoccupa¬ 
zione ambienti, a che punto trovasi del suo svolgimento nel decen¬ 
nio 1870-1880? A questa dimanda risposi ampiamente in altra cir¬ 
costanza (3). Qui basti ricordare che il Liberatore nel 1858 aveva 
già scritto i due volumi « Della conoscenza intellettuale » destinati 
ad affermare la dottrina tomistica della conoscenza frammezzo alle 
opposte correnti del tradizionalismo, dell’ontologismo e del rosmi- 
nianesimo; che nel 1875 aveva terminato il trattato «Dell’uomo» 
risultante dei due volumi «Del composto umano» già pubblicato 
nel 1862 e dell’« Anima »; che fin dal 1860 aveva impresso alle sue 
« Institutiones » l’indirizzo decisamente tomistico (4), svolgendovi 
la metafisica generale e la speciale. Quanto al Sanseverino, egli 

0) L’opuscolo galluppiano «Dell’analisi e della sintesi», scritto fino dal 
1807, prescindeva dall’origine semplicemente sensistica o no delle idee che en¬ 
trano a formare le nostre conoscenze ossia i nostri giudizi (Galluppi, Saggio 
filosofico. . ., Libro 1, c. Il, paragr. 37 e ss.). 

(2) A. Masnovo, // Neotomismo in Italia, p. 115 

(3) A. Masnovo, Il Neotomismo in Italia, p. 115. 

(4) Cfr. «Institutiones Philophiae .. Romae, Typis Civilitatis Catholicae, 
1869. Quivi da pag. 3 a p. G è riportata la prefazione dell’edizione del 1860; 
la quale prefazione appunto ci avverte del deciso indirizzo tomistico che ormai 
assumono le «Institutiones» liberatoriane. E l'avvertimento non è disdetto 
dall’opera. 






IL NEOTOMIS.MO IN ITALIA DOPO IL 1870 


41 


era sceso prematuramente sì nel sepolcro il 1865 a soli 54 anni, 
ma ci aveva lasciato di suo « I principali sistemi della filosofia sul 
criterio», e la monumentale « Pliilosophia Christiana cum antiqua et 
nova comparata (1) ». 

Non occorrono aggiunte per convincersi che, mentre il decennio 
1870-1880 fila i suoi giorni, la restaurazione del tomismo quanto 
a metafisica, cioè per la sua parte capitale, è già un fatto compiuto. 
Il dualismo di Dio immobile e del mondo diveniente, nonché l’altro 
dualismo di potenza e di atto in ogni cosa creata e più precisa- 
mente di materia e di forma nelle cose corporee, il Neotomismo li 
ha già affermati risolutamente. Di più il Ncotomismo ha già ap¬ 
plicato l’ilemorfismo ai viventi in genere (dove la forma è l’anima) 
e in particolare al composto umano che è una unità sostanziale 
vivificata da un’anima sussistente, spirituale, immortale. A proposito 
della cognizione umana il Ncotomismo ha già proclamato l’irridu¬ 
cibilità della medesima a semplice risultato di senzazioni, e insieme 
riconosciuto per ciascun uomo la necessità dell'intervento di un 
proprio e intimo principio spirituale (l’intelletto agente) affine di 
universalizzare il dato del senso. I principii poi onde si svolge la 
vita conoscitiva dominano soggetto ed oggetto. Passando dall’ordine 
speculativo a quello pratico, Dio (ben inteso, personale e trascen¬ 
dente) è già stato proclamato fonte del dovere nella vita morale e 
fonte dell’autorità nella vita sociale. 

Ma il Neotomismo italiano del periodo 1870-1880 oltre a tro¬ 
varsi dinnanzi a la metafisica dell’Aquinate, già restaurata, ha piena 
consapevolezza della cosa. Nel 1875 sulla Civiltà Cattolica (2) il 
Liberatore dichiara che « rimessa oggimai in onore la vera metafi¬ 
sica, è mestieri porre in armonia con essa la scienza fisica»; pa¬ 
rimenti nel 1875 lo stesso Liberatore nell’ultima pagina del suo 
« Dell’anima umana » ripete che « la vittoria per ciò che riguarda 
la parte metafisica sembra assicurata massimamente dopo che il 
movimento ristoratore dall’Italia si propagò nella Francia, nella 
Germania e nella Spagna. Ma il trionfo della sana dottrina non è 
compiuto se non viene esteso anche alla fisica, compilandone una 
che stia in perfetta armonia colla metafisica, e che, facendo tesoro 


(1) Com’è detto nel Monitum Editorum apposto al primo dei sette volumi 
della « Philosophia Christiana » (ed. 1878), il Can. Nunzio Signoriello, dopo la 
morte del Sanseverino suo maestro —, « bisce voluminibus manus admovit 
eaque in meliorern ordinem redegit, et quartum Logicai voliimen condidit prae- 
cedentibus omnino aequale». 

(2) Civiltà Cattolica, 1875, Serie IX, voi. Vili, p. 318. 




42 


AMATO MASNOVO 


di tutti i progressi delle scienze esperimentali, mostri come essi, 
lungi dal contrastare, confermano anzi la parte razionale dell’antica 
filosofia. A questo convien che sieno volte quinci innanzi le cure 
dei veri sapienti; e io non dubito che il provvido Iddio susciterà 
tra breve tra i cultori delle scienze naturali chi sappia trionfalmente 
applicarvi l’ingegno e la fatica». Al Liberatore fa eco il Card. Giu¬ 
seppe Pecci, il quale aH’inaugurazione dell’Accademia Romana di 
San Tommaso d’Aquino il giorno 8 Maggio 1880 pronunciava queste 
parole all’indirizzo degli accademici: «Dunque la vostra restaura¬ 
zione (filosofica) si stende per indiretto ma efficacemente alla 
restaurazione eziandio di tutte le scienze. E quanto alle scienze 
razionali, richiamata una volta in luce la dottrina di San Tommaso, 
la restaurazione può dirsi quasi fatta: non rimane che arricchirla e 
ampliarla nelle applicazioni. Più lungo studio richiederanno dal 
vostro ingegno le scienze naturali... (1) ». 

Adunque secondo il Pecci, come secondo il Liberatore, non vanno 
cercati nel decennio 1870-1880 gl’inizi del neotomismo: che anzi, 
secondo loro, il movimento neotomistico propriamente filosofico si 
conclude in questo stesso decennio. Che se particolari caratteri as¬ 
sume, comeassumeeffettivamente.il Neotomismo in questo decennio, 
uno possiamo riporlo fin d’ora, come autorizzano e ce ne fanno do¬ 
vere il Liberatore e il Card. Giuseppe Pecci, nel tentativo di porre a 
contatto la filosofia scolastica, ormai risorta, con il mondo delle scienze 
fisiche e naturali. Col bisogno di penetrazione nel campo scientifico 
si fa sentire anche il bisogno d’intensificare la volgarizzazione. 
Appunto sui mezzi di diffondere la ristorata filosofia chiama l’atten¬ 
zione una serie di articoli della Civiltà Cattolica, comparsi nel 1870. 
Mentre caratterizziamo cosi il neotomismo dopo il 1870 non vo¬ 
gliamo escludere da questo periodo ogni sviluppo di speculazione; 
come non vogliamo escludere dal periodo precedente l’opera di 
volgarizzazione e di penetrazione scientifica. Caratterizzando, ci basta 
guardare agli elementi che, pur non essendo esclusivi, hanno una 
prevalenza indiscussa. 

Vediamo dunque quali forme concrete vanno assumendo dal 1870 
in poi i propositi di penetrazione scientifica e di volgarizzazione. 

* 

* * 

Guardiamo anzitutto all’opera di volgarizzazione. Se la restau¬ 
razione del tomismo nel secolo XIX è dovuta all’iniziativa privata 

(1) L’accademia Romana di S. Tommaso d’Aquino (pubblicazione perio¬ 
dica), Voi. I, fase. I, 65-66. 






IL NEOTOMISMO IN ITALIA DOPO IL 1870 


« 


che deve superare autorevoli contrasti (I), la divulgazione si compie 
in gran parte per l’intervento dell’autorità ecclesiastica e più pre¬ 
cisamente dal Pontificato Romano. Ed è naturale. Filosofia e Chiesa, 
in fondo in fondo, risolvono il problema della vita. Quando le due 
soluzioni armonizzano, benché ottenute dalla Filosofia e dalla Chiesa 
con mezzi propri anzi finché cosi ottenute (2), il mutuo appoggio 
torna onorevole e vantaggioso per entrambe, e risponde certo a un 
diritto, ma più ancora a un preciso dovere. 

Nell’opera di volgarizzamento dopo il 1870 possiamo distinguere 
due aspetti: uno positivo consistente nell’emissione di documenti 
ecclesiastici a favore del Neotomismo, nell’istituzione di accademie, 
nella pubblicazione di riviste e simili; uno, per cosi dire, negativo 
consistente nell’eliminare dalla circolazione dottrine che si fanno 
passare come di ispirazione tomistica, ed effettivamente tali non 
sono. I due aspetti, idealmente distinti, praticamente si confondono. 

L’aspetto positivo richiama subito alla mente l’enciclica « Aeterni 
Patris» ossia «De Philosophia Christiana ad mentem S. Thomae 
Aquinatis doctoris Angelici in scholis catholicis instauranda », prò 
mulgata nel 1879 addi 4 agosto festa di San Domenico — dal 
pontefice Leone XIII, fratello dell’ex gesuita e fervido tomista Card. 
Giuseppe Pecci. Da questa enciclica i cattolici sono invitati a dare 
il loro nome alla filosofia che si ispira a San Tommaso d’Aquino. 
Nello stesso anno 1879 si imprende, per ordine e per munificenza 
del Pontefice, una grande edizione delle opere dell’Aquinate, non 
ancora terminata oggidì. Un anno dopo, cioè nel 1880, e ancora il 
4 agosto, San Tommaso è proclamato da Leone XIII patrono delle 
scuole cattoliche. È facile comprendere l’influsso capitale di questi 
documenti, che non creano certo il neotomismo; cooperano però 
validissimamente alla sua diffusione. Le accademie tomistiche pul¬ 
lulano per ogni diocesi accanto ai vescovadi e ai seminari. Si può 
convenire che il movimento guadagnando in estensione perde in pro¬ 


ti) Basti pensare all’iiitervento dello stesso Superiore Generale contro quei 
gesuiti che a Napoli circa il 1833 tentarono la restaurazione del tomismo. (Cfr. 
A. Masnovo. Il Ncotomismo in Italia, p. 61). 

(2) Se il Gentile, dedicando sulla «Critica» del 20 novembre 1911 un ca¬ 
pitolo della sua Filosofia in Italia dopo il 1850 ai Neotomisti, — e parimenti 
il Saitta nel suo volume Le origini del Neotomismo nel secolo XIX — avessero 
ben notato il momento esatto e il significato preciso dell’intervento ecclesia¬ 
stico a prò’ del Neotomismo, già spontaneamente affermatosi prima del 1870, 
non avrebbero tratto motivo da questo stesso intervento per svalutare il Neo¬ 
tomismo. Fatto questo rilievo, è giusto tributare omaggio tanto al Gentlte quanto 
al Saitta per l’interesse addimostrato verso il neotomismo. 





44 


AMATO MASNOVO 




fondita. Ma è questa la naturale vicenda delle cose umane, e me¬ 
ravigliarsene sarebbe da ingenui. Tra le accademie del periodo che 
c’interessà merita particolare men 2 ione l’« Accademia Romana di 
S. Tommaso d’Aquino» (1), inaugurata, come sopra fu detto, l’otto 
maggio 1880. 

Suo organo è il periodico omonimo « L’accademia romana di 
San Tommaso d’Aquino », che inizia le pubblicazioni subito nel 1881 
ed esce annualmente in due fascicoli. 1 collaboratori principali sono, 
oltre il Card. Giuseppe Pecci, i professori Francesco Satolli, Bene¬ 
detto Lorenzelli, Giuseppe Prisco e i P.P. Tommaso Zigliara O. P. 
e Camillo Mazzella S. I. (2), che, tutti, finiranno cardinali della 
Chiesa Romana. Si aggiungano i padri gesuiti Liberatore e Cornoldi, 
il can. Nunzio Signoriello, mons. Salvatore Talamo, l’avv. Giovanni 
Fabri, il prof. Giannantonio Zanon ed altri ancora. Abbondano na¬ 
turalmente i commenti a San 1 ommaso. Il Card. Pecci pubblica nel 
volume secondo la sua « Parafrasi e dichiarazione dell’opuscolo di 
San Tommaso «De ente et essentia » ; altri si fermano di preferenza 
intorno agli articoli che S. Tommaso dedica alla cognizione umana 
nella Somma Teologica dalla questione LXXXIV alla LXXXVIII. 
Questi commenti anche oggi si possono leggere con profitto. Oltre 
i commenti a San Tommaso, trovano largo posto gli attacchi al 
rosminianesimo, come portava la necessità del momento. Non era 
infatti possibile diffondere la genuina filosofia dell’Aquinate senza 
incrociare le armi con i fautori del rosminianesimo, i quali tene¬ 
vano a far apparire coincidenti rosminianesimo e tomismo: coin¬ 
cidenza perfettamente illusoria, sopratutto dopo che, morto il Ro- 
mini, era venuta alla luce la sua «Teosofia», sdrucciolante ornai, 
sulla buccia dell’ente ideale, troppo apertamente ancorché preterin- 
tenzionalmeute, verso l’ontologismo o intuizionismo divino che dir 
si voglia, e verso il panteismo. A mente calma e fredda, con animo 
scevro da ogni passione di parte, oggi si può convenire che il si¬ 
stema ideologico del « Nuovo Saggio sull origine delle idee » prc 
disponeva ai mali passi. Ebbi altra volta occasione di scrivere che 


(1) Già a Napoli nel 1874, ricorrendo il sesto centenario della morie di 
San Tommaso d’Aquino, era stata istituita un’« Accademia di S. Tommaso 
d’Aquino» ; e pure in Roma nello stesso anno 1874 aveva incominciato a vi¬ 
vere !’« Accademia filosofico medica di San Tommaso d Aquino ». 

(2) Nel 1892 dalla tipografia vaticana usciva, sotto il velo dell’anonimo, la 
celebre « Rosminianarum propositionum quas S. R. U Inquisitio, approbante 
S. P. Leone XIII, reprobavit, proscripsit, damnavit Trutina theologica ». Si 
seppe di poi esserne autore il Card. Mazzella. 





IL NE0T0M1SM0 IN ITALIA DOPO IL 1870 45 

il Rosmini disimpegnò nella prima metà del secolo XIX una fun¬ 
zione veramente utile in prò’ del Neotomismo, sospingendone i 
cultori a prendere contatto con la filosofia ambiente estranea od av¬ 
versa. Aggiungo ora che gli si può e gli si deve riconoscere il 
merito di aver insistito, sia pure deviando, sull’elemento divino 
nella cognizione umana. Il domani filosofico ritornerà sicuramente 
su questo elemento. Ma fu, almeno almeno, un gran perditempo 
quel volersi da troppi e sistematicamente nella seconda metà del 
secolo XIX indurare, o per illusione o per arte polemica, nel difen¬ 
dere una coincidenza assolutamente irreale. Questo nocque oltremodo 
al rosminianesimo nel giudizio degli uomini imparziali ed equili¬ 
brati, che dovettero scorgervi o troppa ingenuità o troppa (come 
dire?) virtuosità. Certo San Tommaso non ha nulla di comune con 
le debolezze intuizionistiche e panteistiche del Rosmini: senza dire 
che San Tommaso attribuisce proprio all’astrazione la formazione 
degli universali, mentre il misconoscimento di questo potere dell’a¬ 
strazione è la base stessa della speculazione rosminiana nel « Nuovo 
saggio sull’origine delle idee ». Fra coloro che sulle pagine dell’* Ac¬ 
cademia Romana di San Tommaso d’Aquino » polemizzarono più 
diffusamente e più autorevolmente contro il rosminianesimo va ri¬ 
cordato il P. Liberatore. Il neotomismo aveva chiarita e giustificata 
le sua posizione speculativa di fronte al rosminianesimo ed alla 
sua ideologia pericolosa fino dall’opuscolo di Serafino Sordi < Lettere 
intorno al Nuovo saggio sull’origine delle idee... 1843». 

Il Liberatore, che pur egli tra il 1850 e il 1860 si era occupato 
a lungo dell’ideologia rosminiana nel suo « Della conoscenza intel¬ 
lettuale », tornando ora, vecchio di oltre 70 anni, alla carica, dirige 
i suoi colpi contro Mons. Ferrè vescovo di Casal Monferrato. Questi 
veniva pubblicando dal 1880 al 1883 ben otto volumi di un’opera 
dal titolo « Degli universali secondo la teoria rosminiana confrontata 
con la dottrina di San Tommaso d’Aquino e con quella di parecchi 
tomisti e filosofi moderni (1)». Diremo noi col poeta «Tantae 
molis erat...» o piuttotto « Sunt lacrimae rerum » ? E gli otto vo¬ 
lumi non bastarono: che dal 1884 al 1886 ne seguirono altri tre. 
Ma il Liberatore piglia a partito i primi otto in puntate, che com¬ 
paiono ne « L’Accademia romana... » dal 1881 al 1885, e vanno poi 
a formare il volume «Degli universali». L’impostazione della pole¬ 
mica ne fissa il significato. Per il neotomismo si tratta di sbarazzare 
il terreno dagli equivoci, in vista della propria diffusione. Mons. 


(1) Casale, Bertero. 






46 


AMATO MASNOVO 


Ferrè, dice il Liberatore (1), ha procacciato di confortare la dottrina 
rosminiana « coll’autorità del sommo tra i filosofi cattolici, proponen¬ 
dola qual’eco fedele della dottrina di San Tommaso d’Aquinor. A 
far ciò gli è convenuto travolgere orribilmente gli insegnamenti del 
Santo Dottore ... Stando cosi le cose, io che ho spesa l’intera vita 
nel cercare e diffondere la vera dottrina dell’Aquinate, non potea 
certamente mirare con animo indifferente il reo governo che di essa 
facevasi. Oltreché l'Accademia romana, a cui appartengo, ha il 
compito di vegliare alla retta intelligenza della dottrina predetta, e 
difenderla nella sua integrità e purezza. Adunque, come prima mi 
son trovato libero da altro grave lavoro, ho volta la fatica al pre¬ 
sente, in cui tolgo ad impugnare il trattato di Mons. Ferrè e raddriz¬ 
zare le torte interpretazioni..,». 

Se il Liberatore polemizza col Ferrè, il Cornoidi, altro gesuita, 
polemizza col Buroni. Ciò però avviene fuori del periodico romano. 
II Cornoidi, prima ancora di scrivere l’opera «Il rosniinianesimo 
sintesi dell’ontologismo e del panteismo » comparsa nel 1881, aveva 
pubblicato un opuscoletto dal titolo « Il panteismo ontologico e le 
nozioni d’ontologia del M. R. G. Buroni P. d. M. », provocando la 
« Risposta prima al p. Cornoidi d. C. D. G. in difesa delle nozio¬ 
ni di ontologia secondo Rosmini e San Tommaso per Gius. Buroni 
D. M., Torino, Paravia 1878». Il Buroni era un polemista di razza 
e anche un forte ingegno. Ma basta leggere con qualche attenzione 
questo suo libro per avvertire la distanza che corre fra San Tom¬ 
maso e il Rosmini; cioè proprio il contrario di quanto il Buroni 
imprende a dimostrare. Eppure non so trattenermi dal riferir qui 
una pagina del libro, la quale, nella sua spigliatezza e sbrigliatezza, 
fa intravvedere il punto preciso dove tomismo e rosniinianesimo 
vengono ad urtarsi. Sostando e interrogandosi intorno a questo 
punto il tomismo può anche oggi, sto per dire sopratutto oggi, tro 
vare nuova lena (2). Ecco le parole del Buroni : « La questione 
tra me e il P. Cornoidi è tutta qui: che il P. Cornoidi non vuol 
che vi sia in noi altra luce di essere e di verità e di cognizione 
se non se quella che schizza dall’occhio dell’anima a similitudine 
della luce che schizza dall’occhio del gatto de nocte. Egli opina che 
noi uomini siamo tutti come rinchiusi sotto una volta di bronzo, 
che è la volta del firmamento stellato, sicché niuna luce da Dio ci 

(1) Degli universali, p. I. della prima puntata. 

(2) Voglio ricordar qui un’altra opera del Cornoidi, ch’ebbe l’onore di 
essere tradotta in latino dal Patriarca di Venezia Mons. Domenico Agostini, 
cioè le Lezioni di filosofia pubblicate nel 1872. 










IL NEOTOMISMO IN ITALIA DOPO IL 1870 


47 


possa pervenire (intendo dire nell’ordine naturale), ma dobbiamo 
contentarci di conoscere il vero colla luce insita nell’occhio nostro. 
Io tengo invece, e non lo dissimulo, che in quella enea volta del 
firmamento ci sia pure un forellino per lo quale da Dio ci venga 
anche qualche raggio di luce obbiettiva simile a quella che viene 
a tutti gli animali dal sole. Le famose parole del salmo, Signatum, 
est super nos lumen vultus tui, Domine, io le intendo cosi che la 
luce della faccia del Signore ci risplenda dall’oro, super nos egli 
invece vuole che la luce della faccia del Signore ci sia stata radi¬ 
cata in Nobis da principio, ma nulla più ci risplenda dal di sopra, 
super nos... (1) ». 

A nove anni di distanza dall’enciclica *« Aeterni Patris » che, 
collocava tant’alto San Tommaso, il decreto « Post obitum » tra¬ 
smesso ai Vescovi il 7 Marzo (festa di San Tommaso) 1888, disap¬ 
provando le linee fondamentali del sistema rosminiano, addimostrava 
sufficientemente ai cattolici quale fosse il giudizio dell’Autorità ec¬ 
clesiastica circa la coincidenza del Rosmini con San Tommaso. Ogni 
equivoco doveva ormai cessare, e cessare ogni ostacolo per la 
diffusione della filosofia genuinamente tomistica almeno nell’ambiente 
cattolico. 

Ma torniamo all’« Accademia romana di S. Tommaso d’Aquino ». 
Fra i collaboratori meno legati alle circostanti polemiche del tempo 
e quindi in condizione di meglio e più vivacemente esprimere la 
propria personalità, occupano un posto distinto gli scrittori napo¬ 
letani Talamo Signoriello e Prisco, scolari del Sanseverino (2). Il 
Talamo, che ha già pubblicato dal 1869 ai 1872 il suo pregevole 
lavoro « L’aristotelismo nella scolastica», inizia sull’ « Accademia 
Romana » (Voi. I, fase. II) la serie degli studi che formeranno poi 
l’altro pur pregevole lavoro « La schiavitù secondo Aristotele e i 
dottori scolastici ». Ma nonostante questi lavori storici del Talamo; 
nonostante la paziente cura del Signoriello nei continuare in rac¬ 
coglimento l’opera del Sanseverino (3) ; nonostante l’interessamento 

(1) Risposta prima al p. Cornoldi .pag. 58. 

(2) Sul Sanseverino e la scuola napoletana può leggersi: A. Masnovo, Il 
Ncotomismo in Italia, p. 118 e ss. (1924) ; Pelzer, Les initiateurs italiens du Néotho- 
misme, «Revue Néo-scholastique », 1911, mai; D. Lanna, L’antesignano del Neo¬ 
tomismo in Italia, «Riv. di Fil. Neosc. », 1912. N. I; Ferrandina, La filosofia 
tomistica a Napoli, 1905; Idem, Una figura socratica (Il Card. G. Prisco), 1918. 

Il neotomismo napoletano attende ancora chi lo illustri con la dovuta ampiezza." 
Come di Napoli, dicasi di altri centri culturali italiani. 

(3) Il Signoriello pubblicò anche un Lexicon pcripateiicum philosaphico- theo- 
logicum che ebbe tre edizioni: 1854, 1872, 1881. 




48 


AMATO MASNOVO 


del Prisco(1) ai problemi che suscitano Gioberti ed Hegel; nono, 
stante, dico, tutto ciò, la caratteristica del Neotomismo dal 1870 al 
1890 sta pur sempre nello sforzo che, in vista di diffondersi, esso 
compie contro il rosminianesimo, il quale rappresenta effettivamente 
in quel momento storico il pericolo maggiore. AI paragone di questo 
sforzo lo stesso tentativo da parte del Neotomismo italiano di pren¬ 
dere contatto con le scienze naturali ed informarle col proprio spirito 
è di importanza assai minore. 

L’« Accademia filosofico-medica di San Tommaso d’Aquino », 
sorta per impulso del Cornoldi a Roma nel 1874, ebbe subito nel 
1876 il suo organo in « La scienza italiana — periodico di filosofia 
medicina e scienze naturali », che si pubblicò a Bologna fino al 
1889 sotto la direzione del Venturoli. Non si potrebbe negare com¬ 
petenza scientifica ed acume filosofico ai vari collaboratori quando 
mettono Pilomorfismo aristotelico-tomistico in rapporto con la scienza 
moderna. Un risultato è certamente conseguito: che cioè nulla si 
può oppore nel nome della scienza moderna alla teoria scolastica 
su la costituzione dei corpi. Ma, ripeto, l’interesse del pubblico 
italiano è assorbito dalla polemica tomistico-rosminiana, tanto che 
la stessa «Scienza italiana» deve tenerne al corrente il suo lettore. 
Quando poi, dopo il decreto «Post obitum», la polemica declina 
e quasi cessa, il pubblico italiano è ornai stanco. Perciò l’ultimo 
fascicolo del 1889 è anche l’ultimo fascicolo della « Scienza italiana ». 
L’annuncio della morte, dato in forma eufemistica, suona così: «Col 
nuovo anno 1890, per comune accordo preso tra il presidente del¬ 
l’Accademia filosofico-niedica di S. Tomaso, il M. R. P. Giov. M. 
Cornoldi, ed il consiglio dell’illustre Accademia Romana di San Tomma¬ 
so, i due periodici che sono organi delle prefate Accademie, si fonde¬ 
ranno insieme ed usciranno in Roma col titolo « La scienza italiana, pe¬ 
riodico dell’Accademia romana e dell’Accademia filosofico-medica di 
San Tommaso d’Aquino (2) ». In realtà ch’io sappia, di questa an¬ 
nunciata fusione non ne fu nulla. O piuttosto: la fusione avvenne ; 
ma con la « Scuola cattolica » di Milano, altro periodico che già 
da una ventina d’anni lavorava con amore nel campo delle disci¬ 
pline ecclesiastiche, e appoggiava la corrente neotomistica. Effettiva¬ 
mente col numero del Gennaio 1891 la « Scuola cattolica » poneva 
sulla copertina anche il titolo « Scienza italiana » ; che oggi però 
non vi si legge più. 


(1) Sul Prisco confr. la penultima nota. 

(2) Cfr. La Scienza italiana, Anno XIV, Voi. Il, p. 581. 




IL NEOTOMISMO IN ITALIA DOPO IL 1870 


49 


* * 

Adunque col 1890 la lotta contro il rosminianesimo ha sbarazzato 
il sentiero dinnanzi al tomismo. Ma insieme ha diffuso attorno un 
senzo di stanchezza. L Italia da esportatrice di tomismo comincia a 
diventare tributaria dell estero, specialmente di Lovanio che eredita 
1 interessamento scientifico dell’« Accademia filosofico-medica ro¬ 
mana», e sa accentuarlo e ampliarlo sotto l’influsso efficace e ge¬ 
niale del Mercier, ora decoro insigne del Sacro Collegio. La stessa 
corrente modernistica, che del resto si infiltra in mezzo a noi senza 
discendere a grandi profondità, non vale a ridestare per contrasto 
l’antica forza di speculazione. I ripetuti interventi dell’autorità 
ecclesiastica contro il modernismo (1) aiutano soltanto (almeno im¬ 
mediatamente) a non perdere di vista San Tommaso. Se i fautori 
nostrani del modernismo sono un’eco, sia pure talvolta vivace, 
d’oltremonte, si sente d’altra parte e troppo bene che i loro opposi¬ 
tori nostrani sono, non dico sempre ma certo spesso, l’eco di un 
passato dentro cui non ancora è stato fuso il presente con i suoi 
ardui problemi circa il rapporto del naturale col soprannaturale e 
dell’Io con Dio. Si è stanchi, insomma: nè si riesce a fecondare, 
di fronte al modernismo, i germi meravigliosi del tomismo sbocciati 
al sole durante il dibattito speculativo contro il Rosmini e contro il 
Gioberti. Inoltre le preoccupazioni pratiche d'indole sociale e politica 
crescono di giorno in giorno. La * Civiltà cattolica », questo insigne 
periodico che sotto la guida filosofica del Taparelli e del Liberatore 
aveva toccato il fastigio, non ha più, dopo il 1890, chi sostituire a 
quei grandi. In questo stesso volger di tempo il tanto benemerito 
periodico napoletano « La scienza e la fede » e fin anche « L’accademia 
Romana » sono morti, come la surricordata « Scienza italiana ». Il 
« Divus Thomas » di Piacenza, venuto alla luce, per l’opera solerte 
del Collegio Alberoni appena pubblicata l’enciclica « Aeterni Patris », 
cioè nei 1880, deve cessare nel 1905 le sue pubblicazioni, dopo 
aver cercato alimento di scrittori, specialmente negli ultimi anni, di 

(I) Mi limito a ricordare la mirabile enciclica « Pascendi » pubblicata l’otto 
settembre 1907 da Pio X ; e le Thescs quaedam (24) in cloctrina S. Thomae Aqui- 
natis contentile, a proposito delle quali la « Sacra studtorum congregano » in 
ala 27 Luglio 1914 dichiarava « eas piane continere sancti Doctoris principia 
et pronunciata majora*. Un commento a queste 24 tesi lo scrisse il p. Guido 
Mattiussì nel 1917 col titolo: Le XXIV tesi detta filosofia di San Tommaso d'A- 
quino approvate dalla S. Congregazione degli studi. Non è qui il posto di ricor¬ 
dare I commentatori stranieri. 


4 






50 


AMATO MASNOVO 


preferenza in ambienti stranieri (1). Quasi ogni attività di studio è 
ornai volta a pubblicare e ripubblicare lesti di scuola ad imita¬ 
zione di quelli del Liberatore e del Sanseverino (2). Fatta eccezione 
di pochi (come per es. i testi del Zigiiara(3) del Rossignoli del 
Remer) nessuna impronta personale. Quegli stessi scrittori di forte 
ingegno, quali Giuseppe Ballerini, Andrea Cappellazzi, Guido Mat- 
tiussi che spaziano liberamente fuori dei testi, risentono della ge¬ 
nerale stanchezza: non escluso Cristoforo Bonavino, noto più comu¬ 
nemente sotto lo pseudonimo di Ausonio Franchi. Certo questo prete, 
professore universitario d’ingegno e coscienzioso, che, scrivendo 
negli anni 1889-1893 l'« Ultima critica», ritorna dal criticismo kan¬ 
tiano alla scuola tomistica senza inciampare nel rosininianesimo e 
nel giobertianesimo, testimonia a favore del neotomismo italiano. 
Ma non occorre esagerare. Quanta differenza tra F« Ultima critica» 
e le pagine che S. Agostino detta a Cassiciaco! A Cassiciaco anche 
Agostino ritorna. Eppure quel ritorno è una creazione nuova, una 
vera ricreazione. Sotto una calma apparente sussultano le più inti¬ 
me fibre deH’uomo. La sua volontà di giungere al porto è ben de¬ 
cisa a saggiare e a rompere dapprima i flutti più insidiosi dell’alto 
mare: ed effettivamente li saggia e li rompe. Alla fine il naufrago 
emerge sicuro dall’onde, identico all’Agostino della prima giovinezza, 
e nondimeno quantum mutatus ab illo\ Nell’* Ultima critica », dalle 
diroccate superstrutture solo riappare l’uomo antico. Ausonio Fran¬ 
chi a un dato momento della sua vita ha creduto di assicurare 


(1) A cominciare dal 1881 il P. Lepidi 0. P. pubblica sul « Divus Thomas» 
in varie puntate il suo De ente generalissimo prout est aliquid psychologicum 
et ontologicum. Lo spagnuolo dei Prado O. P. venne pubblicando parimenti 
sul «Divus Thomas» parte nel 1898-1899 parte nel 1905 il De Veritate fun- 
damentali phìlosophiae christianae. 

(2) Oltre le opere menzionate sopra, vanno qui ricordate, a proposito dei 
SanseveriRo: I) Cajetani Can. Sanseverino, Istilutiones seu Elemento philoso- 
phlae Christianae cum antiqua et nova comparatae a Nuntio Can. Signoriello con- 
tinuatae et absolutae; 2) Philosophiae christianae cum antiqua et nova comparatae 
Cajetani Can. Sanseverino Compendium opera et studio Nuntil can. Signoriello 
lucubralum. A proposito del Battaglini, arcivescovo di Bologna e cardinale, 
autore anch’egli d’un testo di filosofia scolastica, va rilevato che l’inizio della 
sua attività filosofica, pur essendo posteriore a quella del Liberatore e dei San- 
severìno, è però anteriore ai 1870. 

(3) il Zigllara nel 1874 aveva pubblicato « Delia luce intellettuale e del¬ 
l’ontologismo secondo la dottrina dei Santi Agostino, Bonaventura e Tommaso 
d’Aquino». Invece il testo di filosofia per uso delle scuole comparve nel 1876. 
Altra benemerenza del Zigliara verso la rinascita tomistica è la cura dedicata, 
sull’inizio, alla grande edizione leoniana delle opere di San Tommaso. 







IL NEOTOMISMO IN ITALIA DOPO IL 1870 


51 


meglio il tesoro delle grandi verità (Dio, immortalità...) entrando 
nell’orbita del pensiero Kantiano (1). Dopo lungo corso di anni, 
questo pensiero sembrandogli impotente allo scopo, egli, che non 
ha mai abbandonato il suo tesoro, lo pone al riparo dietro lo 
scudo delle antiche garanzie (2). 

Solo forze giovani, non logorate da un passato di lunghe e sner¬ 
vanti polemiche, potevano ridare vigore al Neotomismo italiano. La 
situazione fu intuita particolarmente da quel gruppo di studiosi che 
nel 1909, attorno al P. Gemelli, al Dott. Caneìla, al Dott. Necchi 
diè vita alla « Rivista di filosofia neoscolastica ». Questa inaugura 
un periodo di maggior contatto vuoi con le molteplici correnti di 
pensiero estraneo od avverso (3), vuoi — mediante indagini stori¬ 
che — con le scaturigini stesse del Ncotomismo. Agli inizi del pe¬ 
riodico non si perde di vista il positivismo che è ancora all’oriz¬ 
zonte; ma presto presto l’interesse si concentra sul problema criterio¬ 
logico e sull’idealismo nelle varie sue forme, per affermare in con¬ 
trasto e svolgere la dottrina del realismo tomistico. Fino dal primo 
anno, anzi fino dal primo numero il Dott. Canella studia « Gli ele¬ 
menti di fatto per la soluzione del problema criteriologico fonda- 
mentale », ispirandosi alla scuola di Lovanio (4). Da quel primo 
articolo ad oggi quanta strada percorsa ! E non invano. Però il 
travaglio dura. Sul conto di questo travaglio, che si accentua ora 
nell’Università Cattolica di Milano e nella sua facoltà di filosofia, 


(1) Ultima Critica Voi. I, p. 55, N. 22. 

(2) Ibid., p- 445, N.° 179. 

(3) Basti richiamare i nomi dei Chiocchetti e dell’Olgiatl. 

(4) Anche prima della fondazione della « Rivista di Fil. Neosc. •, il Canella 
si era occupato di scolastica e di medioevo, pubblicando a Firenze l’anno 
1907 II nominalismo e Guglielmo d’Occam. La sua morte prematura sul campo 
dell’onore ha tarpato le ali a tante speranze. Poiché ho accennato a cose di 
storia, voglio ricordare nel campo neoscolastico italiano (oltre le già lodate 
opere del Talamo) il «5. Anseimo filosofo» del Vigna, stampato dal Cogl iati 
nel 1899, e il Nicolò Cusano del Rotta stampato dal Bocca nel 1911. Una trat¬ 
tazione generale e compendiosa della storia della filosofia per uso delle 
scuole medie è il Breve corso di storia delia filosofìa del prof. Giacinto 
Tredici. Intorno alle origini del Neotomismo e alle sue prime vicende ha scritto 
l’autore di queste pagine. Di storia della filosofia medioevale si occupa con 
competenza anche il « Gregorianum », periodico teologico-filosofico dei R. 
R. P. P. Gesuiti, a carattere internazionale, fondato a Roma nel 1920. Vanno 
segnalate in maniera tutta particolare le magnifiche edizioni dei R. R. P. P. 
Francescani di Quaracchi. La « Rivista di filosofia neoscolastica » è però sempre 
l’organo più importante per chi voglia seguire il movimento neotomistico ita¬ 
liano. 







52 


AMATO MASNOVO 


è lecito concepire le più fondate speranze, soprattutto per l’opera 
energica e incitatrice nel P. Gemelli, che porta anche qui la fre¬ 
schezza di spirito francescana. Non sarebbe difficile nel faticoso 
travaglio che tende a fondere il nuovo nelle antiche e salde forme 
aristotelico-tomistiche distinguere un centro una destra ed una si¬ 
nistra. Ma dove, santo cielo 1, non si ficca questa benedetta trico¬ 
tomia ? Val meglio, constatata la comune tendenza, aspettare i frutti 
concreti. Allora sarà il momento della caratterizzazione. 

Mentre sto per terminare questi appunti io mi sento rivolgere 
da un interlocutore invisibile le dimande: Ebbene il vostro neotomi¬ 
smo italiano dal 1870 all’anno di grazia 1923 ha proferito una pa¬ 
rola nuova ? E se non l’ha proferita, dove sta allora il suo valore? 

Rispondo con perfetta ingenuità: Nessuna parola nuova! 

Ma soggiungo subito: Omnia tempus habent. Dal 1800 al 1870 
il neotomismo ha compiuto un lavoro rude e purtroppo ignorato, di 
rinnovamento: par naturale che dal 1870 debba far opera di con¬ 
servazione di difesa e di diffusione. Del resto questa filosofia che 
in cinquant’anni (breve periodo in verità !) non ha detto una parola 
nuova, oggi, nel bisogno che prova, come non mai, e nello sforzo 
che compie di superare l’idealismo italiano (la forma indubbiamente 
più alta dell’idealismo) prepara, a mio credere, la nuova parola, o, 
se si voglia, la nuova nota da inserire nel motivo eterno della filo¬ 
sofia scolastica (1). 

AMATO MASNOVO. 


(1) Reputo di soddisfare ad una legittima curiosità del lettore, esibendo 
qua sotto, l’elenco delle pubblicazioni filosofiche dell’Università Cattolica nel 
primo suo biennio di vita. 

Pubblicazioni dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore 
Serie Prima: SCIENZE FILOSOFICHE 


Volume I: 

Fase. 1. — Francesco Oloiati, L'anima di S. Tommaso, Saggio filosofico intorno 
alla concezione tomistica. Voi. in-8 di pag. 149. — L. 8. 

Fase. 2. — Mariano Cordovani, Rivelazione e filosofia. Voi. in-8 di pag. 
128. - L. 7. 

Fase. 3. — Giuseppe Zamboni. La gnoseologia dell’atto. Voi. in-8 di pag. 160. 
- L. 8. 

Fase. 4. — Lavori del Laboratorio di psicologia sperimentale : 

1. Aoostino Gemelli, Ricerche sperimentali sul comico. 

2. Agostino Gemelli, Ricerche sulla attività volontaria nel lavoro manuale. 




IL NEOTOMISMO IN ITALIA DOPO IL 1870 


53 


3. Galli e Beretta, Ricerche sulle associazioni preferite. 

4. Gemelli e Galli, Sulle nozioni in fanciulli normali ed anormali (in preparaz.). 
Fase. 5. — Amato Masnovo, Il neo-tomismo in Italia. Voi. in-8 di pag. 248. 

— L. 12. 

Volume II : 

San Tomaso d’Aquino, Pubblicazione commemorativa del VI centenario della ca 
nonizzazione con scritti di Agostino Gemelli, Amato Masnovo. Paolo Rotta, 
Domenico Lanna, Martino Grabmann, Reginaldo Maria Schultes, Mariano 
Cordovani, Gioachino Sestili, Adriano Bernareggi, Marc De Munnynck, 
Paolo Rossi, Emilio Chiocchetti, Giovanni Busnelli, Francesco Olgiati, 
preceduti dall’Enciclica di S. S. Pio XI e pubblicati a cura della facoltà 
di Filosofia deU’Università cattolica del Sacro Cuore. Voi. in-8 di p. 320 
con una tavola fuori testo (esaurito). 

Volume III : 

Fase. 1. — Mariano Cordovani, L’attualità di S. Tomaso d'Aqutno. Voi. in 8 
di p. 128. — L. IO. 






L’idealismo critico in Italia 


Nella filosofia italiana contemporanea i sistemi di Piero Marti¬ 
netti e di Bernardino Varisco occupano un posto di primissimo or¬ 
dine; ma chi sia costretto a limitare entro la cerchia di poche pa¬ 
gine l’esame delle loro opere deve per necessità trascurarne alcuni 
degli aspetti più importanti e significativi. Infatti non è possibile 
mostrare nè quanto sia ampia, solida e profonda la trattazione sto¬ 
rica dei problemi filosofici da cui il primo con una critica vigorosa 
ricava la giustificazione delle proprie concezioni, nè quanto sia acuto 
e sottile il processo di pensiero con cui il secondo con una ri¬ 
cerca instancabile, che lo porta anche ad una auto-critica severa, 
viene svolgendo le proprie dottrine, grazie a un esame sempre più 
penetrante delle questioni studiate. Dobbiamo quindi restringerci 
a un’analisi sommaria dei loro sistemi, in cui cercheremo di valerci 
finché sarà possibile della parola stessa dei due scrittori, per met¬ 
tere in rilievo i più importanti risultati delle loro ricerche. 

Ne\V Introduzione alla Metafisica, il Martinetti afferma che la 
filosofia, nel senso proprio della parola, è metafisica, è, cioè, l’uni¬ 
ficazione rigorosamente logica dei dati dell’esperienza coordinati in 
un sistema di proposizioni astratte. Ma per ottenere quella siste¬ 
mazione totale cui tende, la ricerca filosofica non ha bisogno di 
impiegare un metodo suo proprio, diverso da quello delle altre 
scienze, perchè ciò che la distingue da esse è il suo compito, che 
consiste nell’unificare in modo non parziale, ma universale, la realtà, 
dando così una spiegazione, un’interpretazione di tutta l’esperienza. 

Se la metafisica è costretta a servirsi di astrazioni, ciò non to¬ 
glie che la conoscenza che essa presenta abbia natura intuitiva, 
perchè i concetti astratti di cui si vale sono solamente simboli che 
compiono l’ufficio di suscitare nello spirito un’intuizione comples¬ 
siva della realtà. 

Il primo momento della ricerca filosofica consiste in un processo 
di purificazione critica con cui l’esperienza è liberata da quei pre- 



L'IDEALISMO CRITICO IN ITALIA 


55 


supposti che il sapere volgare e le scienze particolari accettano si¬ 
lenziosamente: ma l’esperienza pura cui in tal modo si vuol giun¬ 
gere deve intendersi in un senso diverso da quello volgare, perchè 
ciò che assume questo aspetto per la coscienza comune o anche 
per il sapere scientifico implica invece numerosi presupposti meta¬ 
fisici, non consapevoli e non giustificati, che debbono essere elimi¬ 
nati. Siccome questa purificazione non è compiuta integralmente da 
nessun sistema filosofico, l’introduzione alla metafisica risiede nella 
critica della conoscenza, che compie l’ufficio non già di studiare i 
procedimenti formali del pensiero (cosa impossibile, perchè non si 
può separare la conoscenza dal suo contenuto), ma di esaminare 
criticamente le nostre cognizioni in generale, per eliminare quelle 
interpretazioni metafisiche che, qualunque sia la fonte da cui pro¬ 
vengono, non risultano soddisfacenti. Quindi, mentre la critica della 
conoscenza studia le varie dottrine filosofiche nelle loro intuizioni 
fondamentali, per riconoscere se permettono di dar ragione di tutta 
la realtà, la metafisica vera e propria si chiede se esse consentano 
di risolvere i problemi cui conducono con le loro interpretazioni. 

La ricerca che si deve compiere si riferisce sia alla conoscenza 
sensibile che a quella razionale: ora essa mette in rilievo prima 
di tutto « che ogni posizione assoluta di un essere altro dall’essere 
spirituale è insostenibile: che la forma universale e fondamentale 
dell’essere è l’essere per la coscienza, l’essere nella forma di un 
dato cosciente» ( Intr. alla Metafisica, p. 410): il realismo è cosi 
eliminato definitivamente in ogni sua forma. Il processo di coscienza 
di cui si parla deve concepirsi come il rapporto di un molteplice 
dato (l’oggetto) con un’unità (soggetto); ma questa non è un quid 
diverso dal contenuto, ma il contenuto stesso, in quanto si mani¬ 
festa come unità. Però se il soggetto è quell’unità che il contenuto 
esprime come la sua verità più profonda, l’oggetto, ossia ciò che 
si chiama il mondo, non dipende necessariamente da me, perchè 
ogni molteplicità, può unificarsi in infiniti soggetti : non si ha il 
diritto di ridurre tutta la realtà alla realtà nostra, sebbene anche 
quella parte della prima che non c’è data si debba pensare in modo 
analogo a quella che ci è data. A sua volta, il molteplice oggettivo è 
«un oggetto relativo che in sè medesimo non è se non una mol¬ 
teplicità di processi coscienti, in ciascuno dei quali vi è nuova¬ 
mente luogo a distinguere un’unità subbiettiva ed una molteplicità 
corrispondente; le unità obbiettive sono altrettante unità subiet¬ 
tive inferiori, che il soggetto, elevandosi ad una riflessione supe¬ 
riore, contrappone alla propria unità come molteplicità obbiettiva; 


56 


ADOLFO LEVI 


il regresso all’infinito, che cosi si apre, non presenta difficoltà mag¬ 
giori che nel caso della divisibilità infinita dello spazio e del tem¬ 
po... Ogni oggetto della nostra coscienza è già sempre per sè me¬ 
desimo oggetto e soggetto» (ivi, pp. 41415). Ma ogni coscienza 
individuale è una sintesi, e perciò gli elementi che ivi si unificano 
non possono, fuori di essa, restare tali quali sono nel processo 
sintetico: sono bensì unità psichiche indipendenti, ma ciò non im¬ 
plica l’assurdità dell’esistenza separata dei nostri fenomeni coscienti. 
Ogni fenomeno, mentre è un centro di unità distinto dall’io, è ciò 
che è soltanto in quanto rientra nel sistema che lo include. 

La nostra esperienza appare cosi una sintesi attiva che, mutando 
continuamente, assume forme sempre più comprensive e più per¬ 
fette: ma allora quale valore si deve dare alle sintesi superiori 
della conoscenza in cui il dato sensibile riceve un ordine dalle for¬ 
me razionali? In altri termini, risiede la vera realtà nella rielabo¬ 
razione razionale dell’esperienza sensibile, la quale così si riduce 
a un mondo di apparenze o, per contro, questa costituisce il reale 
definitivo mentre le sintesi del pensiero sono esclusivamente pro¬ 
cedimenti soggettivi che servono ad arrecare una conoscenza più 
esatta di quella realtà che il senso ci offre? Si può rispondere a 
questa domanda soltanto quando, con un esame della struttura for¬ 
male dell’esperienza, si siano riconosciute le forme di unità che sono 
incluse nell’esperienza sensibile e nella conoscenza logica: però 
questo studio può compiersi solamente per mezzo dell’analisi della 
nostra esperienza, perchè la teoria della conoscenza deve impiegare 
in questo lavoro, per interpretarli, i risultati della psicologia. 

Il tempo e lo spazio sono le forme dell’esperienza sensibile con 
cui la coscienza cerca di dare una prima soddisfazione al bisogno 
che prova di unificare in modo sintetico il proprio contenuto. I loro 
caratteri, universalità e necessità, sono quelli dell’unità della co¬ 
scienza la quale si contrappone alla molteplicità del suo contenuto 
come un dover essere assolutamente necessario: sono forme a priori , 
perchè la loro constatazione è bensì empirica, ma si differenzia dal 
punto di vista qualitativo da quella del contenuto stesso, in quanto 
assume quel carattere di necessità a priori che, nella sfera della 
conoscenza razionale, spetta al riconoscimento dell’unità causale e 
di quella logica. Ma siccome l’unificazione che si compie per mezzo 
di queste forme implica una contraddizione tra l’unità a priori 
assoluta e il molteplice indeterminato e accidentale, la mente è ob¬ 
bligata a ricercare il modo di trasformare l’esperienza sensibile in 
realtà logica. Infatti, quando consideriamo il divenire temporale dei 



L’IDEALISMO CRITICO IN ITALIA 


57 


fatti e, anche più, delle cose, non vediamo come siano conciliabili 
la permanenza e il cambiamento, che pure sono necessari per co¬ 
stituirlo. La cosa, in quanto unità spaziale, deve essere insieme una 
e molteplice. Lo spazio e il tempo debbono pensarsi come unità 
assolute; mentre non possono mai formare in modo concreto due 
assolute totalità. 

Queste insanabili contraddizioni, questa incapacità delle unità 
formali del senso a conseguire quella unità assoluta che è insieme 
l’assoluta realtà danno origine alle forme logiche della ragione 
che, in ultimo, si riducono a due, la causalità e l’identità logica. 
La prima, che corrisponde alla forma del tempo, è «un’equa¬ 
zione fra due sistemi di elementi; ogni processo causale non con¬ 
siste che in una diversa distribuzione degli elementi causali, in 
un’azione mutua di più forze, che dallo stato a b c d passano alla 
combinazione nuova a’ b' c' d’; ogni trasformazione è introdotta 
dall’intervento d’un fattore nuovo, dalla cui composizione nel si¬ 
stema dipende la variazione complessiva » (ivi, p. 436). In altri 
termini: la causalità unifica fattori molteplici, trasformandoli in un 
sistema fornito di stabilità relativa, e peiciò l’intuizione del rap¬ 
porto causale è quella di un’unità. Nella scienza poi (e soltanto in 
essa) la causalità appare una legge universale e necessaria che 
collega in un sistema unico tutti i processi e li connette con vin¬ 
coli infrangibili: al pari dello spazio e del tempo, il nesso totale 
delle cause e degli effetti è uno e unico, costituisce un ordina¬ 
mento cui nessuna cosa può sfuggire. Nella causalità si manifesta 
quindi una forma a priori della conoscenza, che permette al pen¬ 
siero di attuare quella assoluta unità che, quale fondamento asso¬ 
luto dell’esperienza, gli si presenta come un dover essere; e sic¬ 
come ci rivela parzialmente ciò che la realtà deve essere, ha valore 
esplicativo. L’intuizione causale tende a identificare la causa e l’ef¬ 
fetto, a ridurli all’unità; perciò l’ultimo termine delle serie deve 
apparire l’unità interiore comune a tutti gli esseri, che è l’energia, 
la realtà vera del divenire, la causa formale, la causa prima del 
mondo. Ma il pensiero anche qui urta contro la contraddizione che 
proviene dall’impotenza del molteplice empirico a realizzare l’unità 
formale pura: infatti, l’estensione illimitata del mondo nel tempo 
non ci permette di arrivare mai a una causa prima; e siccome 
questa deve essere posta fuori del divenire e costituirne il fonda¬ 
mento, noi non possiamo trovare nel mondo, che diviene senza posa, 
alcun mezzo che ce la rappresenti adeguatamente. 

L’unità logica è il riconoscimento dell’identità nella coesistenza 






ADOLFO LEVI 


38 

spaziale; e allora essa si chiama l’idea, la legge, la ragione dei 
coesistenti. Il pensiero con processo progressivo si sforza, nella sua 
fase logica riflessa, di conseguire la comprensione e l’interpretazione 
dell’esperienza, riducendone i dati all’unità dei concetti, delle leggi, 
delle idee; ma così è portato a categorie sempre più generali e 
perciò sempre più remote dalla concretezza dei particolari. L’ultimo 
termine di questo ordinamento progressivo dell’esperienza consiste 
nell’unificazione di tutto il reale in un sistema unico, assoluto e 
universale: infatti, le categorie che per le scienze sono ultime spie¬ 
gano bensì un grandissimo numero di fatti ma, essendo in sè stesse 
inintelligibili, costringono il pensiero a fare il tentativo di inclu¬ 
derle in un sistema logico superiore: la filosofia mira perciò essen¬ 
zialmente a subordinare tutto il mondo concettuale a una sola legge, 
a un unico principio. 

Ora, se esiste continuità tra le forme sensibili e le unità logiche, 
se esse sono tanti gradi di una sola rielaborazione dell’esperienza, 
se la conoscenza mira sempre a unificare il molteplice di questa 
con atti di sintesi che sono a priori (perchè l’unità non è mai data 
materialmente come lo sono gli elementi), quale è il valore del¬ 
l’unificazione formale? In essa abbiamo sempre un molteplice dato 
empiricamente che si raccoglie nelTunità di una forma: dove è po¬ 
sta la vera realtà? È reale il molteplice e l’unità è una forma sog¬ 
gettiva, un’illusione del pensiero? È reale l’unità ossia costituisce 
il dover essere delle cose e di fronte ad essa la molteplicità è pura 
apparenza? La contraddizione fra questi due termini penetra tutta 
la nostra esperienza: ovunque si presenta la stessa domanda: sono 
reali le impressioni singole o l’oggetto, i fattori della causalità o 
un essere unico e identico che si realizza per mezzo del rappoito 
causale, i fatti o la legge, l’idea cui obbediscono? Per risolvere 
questa contraddizione non c’è che una via: applicare il principio di 
identità nel suo significato sintetico. Occorre ridurre la molteplicità 
apparente all’unità (che si realizza nelle sintesi formali), la quale 
« non è solo il dover essere, ma anche l’essere vero della molte¬ 
plicità disgregata: nella necessità a priori della forma noi sentiamo 
lo sforzo, l’aspirazione dell’essere medesimo a realizzare ia sua vera 
natura » (ivi, p. 459). 

È impossibile, seguendo l’empirismo, negare valore oggettivo, 
all’unità formale, perchè ciò significa ridurre l’esperienza a un caos 
e distruggere le basi di qualunque teoria e non è nemmeno lecito 
separare, come vuole il criticismo, la materia della forma e derivare 
questa dal soggetto, perchè esse, sebbene distinguibili in astratto, 




L’IDEALISMO CRITICO IN ITALIA 


59 


sono inseparabili. L’unità formale è un’esperienza di diverso valore 
è un aspetto più vero delle cose cui le esperienze inferiori tutte 
tendono senza attuarlo mai in modo completo; essa è la verità del 
dato dal quale proviene e in cui si manifesta. Il pensiero non è 
mai una forma soggettiva, che stia fuori del contenuto, ha sempre 
natura reale, oggettiva, è un contenuto visto nel suo processo at¬ 
tivo di trasformazione e di elevazione. Il progresso della conoscenza 
consiste quindi in una trasformazione della stessa realtà, sicché le 
forme a priori sono le forme particolari e relative dell’unità per¬ 
fetta cui tende tale realtà (che è, come si è visto, cosciente), unità 
che nel suo termine ultimo trascende la stessa coscienza: ma ciò non 
toglie che esse conservino, di fronte al molteplice da cui provengono, 
un maggior valore di oggettività, che è misurato dal grado in cui 
si approssimano a quell’unità, che ne costituisce il fondamento. 

Riconosciuto il valore oggettivo delle unità formali, sensibili 
e logiche, non è più possibile chiamare realtà vera il mondo sensi¬ 
bile e vedere in quello intelligibile delle unità logiche un quid esclu¬ 
sivamente soggettivo : per contro « la realtà intelligibile è il dover 
essere della realtà sensibile, è la verità della realtà sensibile, in cui 
questa ha il suo fondamento, ed in cui essa insensibilmente si ri¬ 
solve per virtù del pensiero» (p. 469). «L’attività del nostro pen¬ 
siero è una lenta e continua creazione di questa realtà più alta, che 
insensibilmente si sostituisce alla realtà che oggi ci è data; la costi¬ 
tuzione del mondo intelligibile non è soltanto una costruzione sog¬ 
gettiva, ma è veramente l’inizio d’una nuova realtà, la rivelazione 
iniziale dell’essere profondo delle cose; per essa lo spirito nostro 
legato alla terra, avvinto ad un punto dello spazio e del tempo, in¬ 
tuisce i primi albori di quel mondo spirituale che è il fondamento 
di tutte le esistenze sensibili ed il termine ideale di tutte le nostre 
aspirazioni più alte. Anche qui certamente lo spirito non crea nulla, 
che dal punto di vista assoluto già non sia; come nel conoscere 
sensibile lo spirito unifica partecipando ad un’unità esteriore, crea 
concreando, così nelle sintesi più alte del pensiero esso crea parte¬ 
cipando alla vita dello Spirito, unifica confondendo sé stesso nel¬ 
l’unità profonda delle cose; ma in questa partecipazione ad una crea¬ 
zione sovrumana risiede appunto l’attività sua più alta, in questa 
unione con la Ragione universale stanno la sua libertà e la sua bea¬ 
titudine» (p. 470). 

Da ciò risulta già che se il mondo intelligibile ha carattere ogget¬ 
tivo, non costituisce però l’assoluta realtà: la unificazione logica, che 
è soltanto un grado più elevato di quel processo che si attua già 




** 60 


ADOLFO LEVI 


per mezzo delle forme sensibili, non ne forma l’ultimo termine, per¬ 
chè esso risiede nell’unità pura, assoluta, che è il vero a priori, di 
cui le unità sensibili e logiche sono espressioni relative e imperfette, 
appunto perchè implicano sempre un rapporto con un molteplice che 
sintetizzano. « L’unica realtà metafisica assoluta è l’unità formale asso¬ 
luta: essa è l’unica vera sostanza, l’unica vera legge universale ed 
eterna, che esiste anteriormente ad ogni intelligenza e verso cui ogni 
intelligenza aspira ». (p. 474). Il conoscere è oggettivo in ogni suo 
grado, ma non raggiunge mai la oggettività assoluta, alla quale 
aspira e alla quale si approssima coi suoi processi di unificazione: e 
non bisogna dimenticare che ogni coscienza singola ha del mondo 
una visione che è diversa da tutte le altre e perciò ha carattere rela¬ 
tivo. Con tutto ciò, la nostra conoscenza è sempre oggettiva, per¬ 
chè in ogni momento è l’unica verità che noi possiamo possede¬ 
re: ma si trasforma continuamente per elevarsi a un grado supe¬ 
riore di unificazione che è più prossima all’assoluta unità la quale 
è insieme la suprema verità e la suprema realtà. Ogni concezione 
complessiva del reale che ha un determinato individuo, essendo rela¬ 
tiva alla sua personalità, è una fede; ma non si deve intendere con 
questa espressione qualche cosa di irrazionale nè si deve credere 
che con tale affermazione si faccia sparire ogni differenza di valore 
tra diversi sistemi conoscitivi. Parlando di fede, si vuol dire che ogni 
concezione esprime tutta la natura e le aspirazioni della personalità 
donde risulta; ma, sebbene per essa sia vera, in quel momento, in 
modo assoluto, ciò non toglie che si debba stabilire una gerarchia 
di valori, che trova il suo criterio nella unificazione che ciascuna in¬ 
tuizione del reale pone nell’esperienza, nella misura in cui si av¬ 
vicina all'unità assoluta: infatti, una concezione è superiore a un’altra 
in quanto costituisce una sintesi più ampia delle precedenti che in¬ 
clude in sè stessa. La realtà, che non può essere mai esteriore alla 
coscienza, consiste dunque in una serie di sintesi che, unificando in 
modo sempre più completo la molteplicità da cui emergono, si 
avvicinano sempre più a un termine ultimo, l’unità assoluta che 
trascende la mia coscienza, sebbene si riveli in essa come in tutte 
le cose. 

La concezione che abbiamo rapidamente schematizzato (trascu¬ 
rando sia l’esame storico dei maggiori sistemi filosofici e la critica 
dei loro risultati, che servono a giustificarla, sia gli sviluppi che 
presenta rispetto a un grandissimo numero di problemi fondamen¬ 
tali) può apparire affine alle teorie esposte dalle filosofie immanen¬ 
tistiche, dello Schuppe e dello Schubert-Soldern, pfer esempio, che del 



L’IDEALISMO CRITICO IN ITALIA 


61 


resto il Martinetti ricorda con particolare simpatia; ma se ne diffe¬ 
renzia recisamente per una intonazione religiosa profonda, che tal¬ 
volta assume un particolare accento mistico, in cui si rivela, a chi 
bene la consideri, il motivo direttore del pensiero dell’autore, il quale 
più di una volta, del resto, riprende e fa sue affermazioni delle Upa- 
nishadi, del neo-platonismo, dello spinozismo. L’unità assoluta in cui 
risiedono la più alte verità e la piu assoluta realtà, è il dover essere 
della molteplicità; e, come si è visto, essa è intesa nel senso dello 
Spirito, dalla Ragione universale. L’unione con essa costituisce la 
libertà e la beatitudine dello spirito nostro. 

Questo motivo essenzialmente religioso del pensiero del Marti¬ 
netti si esprime in termini precisi nella sua prolusione La funzione 
religiosa della filosofia, in cui egli si propone il problema, che è in¬ 
sieme teoretico ed etico, del valore supremo della vita e quindi del¬ 
l’attività che ci permette di raggiungere il fine ultimo, la pace. L’edo¬ 
nismo è smentito invincibilmente dalla esperienza del dolore e della 
morte: l’attività morale, quella conoscitiva non ci permettono, per 
sè prese, di conseguire il fine ultimo e definitivo, perchè lo spirito 
aspira a qualche cosa di sempre più elevato, a un mondo ideale di 
perfezione e di assolutezza in cui siamo convinti che risiede la vera 
realtà. Da questa aspirazione e da questa convinzione sorge la 
religione, che si distingue dalle altre attività spirituali perchè dà 
carattere trascendente al proprio ideale. Tutta la vita dello spirito 
ci appare un processo progressivo di espansione, di liberazione, di 
elevazione: l’uomo insoddisfatto di tutto ciò che è finito e transeunte, 
aspira al perfetto e all’eterno. « L’ultima fase di questa ascensione 
dello spirito è la vita religiosa, che è costituita dalla comunione dello 
spirito individuale con la vita universale delle cose, dalla partecipa¬ 
zione alla vita dello spirito universaie, che in sè abbraccia la totalità 
assoluta dell’essere ed in cui hanno perciò riposo i desiderii e le aspi¬ 
razioni umane; esso è ciò che la coscienza religiosa chiama Dio». 
{La funzione religiosa della filosofia, p. 15). Il valore supremo della 
vita risiede nell’elevazione dello spirito verso tale unità ideale. Ora, 
la coscienza del divino è altresì e soprattutto, conoscenza di esso: 
ma l’oggetto della coscienza religiosa, che per la sua natura tra. 
scendentale, non si sottopone, nonché alle condizioni dell’esistenza 
sensibile, neanche a quelle della conoscenza, non può trovare espres¬ 
sione teoretica se non per mezzo di simboli, che da prima hanno la 
forma di miti, poi di dogmi e infine, eliminata la tradizione mi¬ 
tica, di concezioni filosofiche. Infatti, il pensiero filosofico, anche 
quando critica e dissolve figurazioni religiose tradizionali, tende 




62 


ADOLFO LEVI 


m 

continuamente a elevare la religione verso una concezione sempre più 
perfetta del divino. «La filosofia ha cosi il suo movente primo ed il suo 
fine non in un vano desiderio di conoscere per conoscere, in una 
curiosità oziosa od in un raffinamento egoistico dell'Intelletto, ma nel 
bisogno della vita religiosa .... La conoscenza del Tutto non è 
che la forma precorritrice della vita nel Tutto» (p. 30). La ricerca 
filosofica, che da prima si sforza di unificare il molteplice dell’espe- 
rienza in una visione unica, finisce coll’aspirazione dello spirito a 
immergersi in quell’unità superiore in cui le appare un mondo sovra- 
sensibile di perfezione e di verità, sicché la filosofia compie l’ufficio 
di educare l’umanità alla vita religiosa. 

Un punto poteva restare ancora non pienamente determinato. 
L’unità assoluta di cui si parla deve intendersi nel senso dell’im¬ 
manenza o della trascendenza ? È vero che il Martinetti negli scritti 
finora esaminati insisteva sulla sua natura trascendente; però ciò 
poteva non escludere necessariamente una immanenza essenziale, si¬ 
mile a quella, ad esempio, dell’Uno plotiniano. Ogni dubbio è tolto 
dall’ultimo suo lavoro, Il compito della filosofia nell’ora presente, in 
cui il Martinetti respinge l’immanentismò in ogni sua forma. Egli 
riafferma la concezione dell’idealismo, che il mondo dei fenomeni è 
soltanto l’espressione di una realtà spirituale, di una coscienza o di 
un sistema di coscienze analoghe al nostro io ; ma tale concezione può 
distinguersi in immanente e trascendente. La prima, che è un adat¬ 
tamento dell’idealismo al naturalismo e all’empirismo, afferma bensì 
la natura spirituale del reale, ma non vuole oltrepassare le forme 
di esso che ci sono date empiricamente; il fine ultimo cui deve ten¬ 
dere lo spirito è la propria elevazione alla visione della vita univer¬ 
sale. Per l’idealismo trascendente, che è più profondamente metafi¬ 
sico e religioso, la nostra vita spirituale mira a risolversi in una 
vita, in un’unità superiore, che ci trascende e che ogni altra forma 
di realtà può raffigurare soltanto in modo simbolico. Per la conce¬ 
zione immanente ciò che è propriamente reale e ha valore è lo spi¬ 
rito umano preso nella sua totalità, cui l’individuo deve subordi¬ 
narsi: per la trascendente invece anche le più alte espressioni dello 
spirito nostro non hanno mai in sè la ragione del proprio essere, 
e non hanno senso se non come preparazione a una realtà supe¬ 
riore che le trascende: lo spirito concreto e le sue espressioni ap¬ 
paiono così « altrettanti rivelazioni imperfette dell’essere vero, altret¬ 
tante forme fenomeniche di un essere assoluto » (La funzione della 
filosofìa. . . . p. 27). L’idealismo trascendente pone il cardine della 
vita nella religione e vede anche nell’unità morale degli uomini un 





L’IDEALISMO CRITICO IN ITALIA 


63 


mezzo che serve a rendere possibile una unità spirituale superiore, 
quella della vita religiosa. Per il Martinetti, l’idealismo immanente 
che predomina oggi è soltanto « una forma di transizione alla forma 
vera e coerente deH’idealismo, che è l’idealismo trascendente reli¬ 
gioso » (f. 27). 

La filosofia del Varisco, che in una prima fase si presenta come 
empiristica e realistica, viene poi, grazie ail’approfondimento dei pro¬ 
blemi filosofici, ripresi in esame con sforzi sempre più intensi a tra¬ 
sformarsi in una dottrina idealistica che negli ultimi lavori mette 
capo all’affermazione di un principio supremo trascendente (1). Ma 
già nell’opera principale della prima fase, Scienza e opinioni, si af¬ 
ferma che il problema del soprannaturale è centrale e fondamentale 
per tutta la ricerca filosofica: in ciò è contenuto in germe il motivo 
direttore del pensiero dell’autore. La distinzione tra scienza e opi¬ 
nione, ossia tra ciò che consta e ciò che non consta, ne presuppone 
un’altra, tra ciò che è vero e ciò che consta perchè vi è una fede 
religiosa e morale fornita di valore assoluto, che poggia sul senti¬ 
mento. Ma se noi vogliamo determinare quello che il pensiero può 
giustificare, dobbiamo rivolgerci alia scienza e muovere da essa per 
giungere alla gnoseologia. Ora Io studio della natura ci porta ad 
ammettere che la realtà fisica è formata di elementi tra i quali av¬ 
vengono fatti governati da un rigoroso determinismo privo di ogni 
carattere di razionalità e di finalità perchè le leggi sono puramente 
l’espressione dei fatti stessi. La psicologia può poggiare sulla con¬ 
cezione che i fenomeni psichici sono le variazioni interne che avven¬ 
gono negli elementi del reale fisico per azioni esteriori, variazioni 
che implicano in ciascuno di quegli elementi una potenzialità psichica 
che richiede per attuarsi i fatti fisici che si svolgono fra essi : quindi, 
la vita cosciente è determinata dall’accadere fisico, e risulta dalla 
complicazione dei fenomeni cosi prodotti. La conclusione gnoseolo¬ 
gica che risulta da tutto ciò è che la forma della conoscenza si 
spiega con la sua materia: le leggi supreme dell’accadere sono 
l’espressione del determinismo dei fatti interni che a sua volta di¬ 
pende da quello fisico: quindi da questo derivano anche le leggi 
del pensiero. Presupposto di questa concezione è l’indipendenza del¬ 
l’oggetto dal soggetto, che è provata dal fatto che nella sensazione 
siamo consapevoli della causa da cui dipendono le nostre modifi- 

(1) In questa analisi mi valgo di uno studio più ampio pubblicato prece¬ 
dentemente (// pensiero filosofico di B. Varisco : in « Rivista trimestrale di studi 
filosofici e religiosi» 1920: v. I) ai quale rimando il lettore, che desideri un 
maggiore svolgimento dell’argomento. 





ifi* 


ADOLFO LEVI 


cazioni interne. Questo è ciò che consta: se il sentimento etico e 
religioso non accetta tali conclusioni, occorre ricordare che esso non 
offre alcuna base per una costruzione scientifica. In una serie di scritti 
che seguono Scienza e opinioni , nei quali le ricerche gnoseologiche 
hanno uno svolgimento sempre maggiore, il Varisco si sforza di raf¬ 
forzare le sue teorie e specialmente di giustificare il principio reali¬ 
stico, sia con una critica dell’idealismo che lo riduce al solipsismo, 
sia con la dimostrazione che i postulati fisici sono irrazionali (im¬ 
penetrabili al pensiero) e perciò provano che la realtà cui si rife¬ 
riscono è indipendente dalla nostra ragione. 

In seguito il Varisco (con quella onestà scientifica che lo distin- 
que e che lo ha sempre costretto a riesaminare i problemi e a criti¬ 
care le proprie soluzioni) trovò insoddisfacenti alcune concezioni ac¬ 
colte precedentemente e le sottopose a una vigorosa auto-critica: 
da questo processo di pensiero provengono le sue due opere prin¬ 
cipali, 1 massimi problemi e Conosci te stesso, in cui, in modi diversi, 
sono esposte dottrine sostanzialmente identiche. 

L’uomo deve cercare di trovare una soluzione dei massimi pro¬ 
blemi che presentano la vita e il mondo, perchè altrimenti non sa 
che cosa sia propriamente quel meglio per cui lotta continuamente. 
Ora, due sono le dottrine che ci si presentano e che si contrap¬ 
pongono, la cristiana che fa risiedere il meglio (o propriamente il 
bene assoluto) in un ordine divino trascendente la vita e perciò pone 
sopra i fini di essa quelli ultramondani, e l’umanistica che non riconosce 
altro che finalità mondane e perciò intende il dovere come l’aspira¬ 
zione verso il meglio, la quale ha valore per sè. Siccome una sol¬ 
tanto di queste due soluzioni può esser vera, occorre scegliere: ma 
la filosofia è l’unica scienza che permetta di decidere la questione, 
perchè le cognizioni del sapere comune e delle scienze particolari 
non possono mai condurre alla soluzione dei massimi problemi. Ma 
come può costruirsi la filosofia? 

Si è affermato che il punto di partenza debba esser dato da una 
critica della conoscenza che abbia l’ufficio di fissare i limiti di que¬ 
sta; ma la pretesa di criticare il nostro potere di conoscere per sta¬ 
bilire se abbia dei limiti e quali siano è assurda, perchè implica un 
circolo vizioso; infatti, tale potere dovrebbe essere insieme giudice 
e parte. Anche se avesse dei limiti, sarebbe incapace di riconoscerli. 
Se questa esigenza è infondata, è invece legittima la tesi che la filo¬ 
sofia deve costruirsi per mezzo della teoria della conoscenza, la quale 
dà ragione in modo riflesso del sapere positivo (della cognizione in 
quanto tale, non della sola conoscenza scientifica), serve a ricono- 


L’IDEALISMO CRITICO IN ITALIA 


65 


scere le sue implicazioni e a stabilire se permette di superarlo; in 
esso si deve ricercare la soluzione dei massimi problemi. Noi 
oltrepassiamo il sapere comune facendone oggetto di osservazione, 
la filosofia cosi si costruisce acquistando consapevolezza riflessa 
della cognizione, ossia riflettendo su di essa per rendersi conto 
in modo chiaro dei suoi presupposti, dalle sue implicazioni. Questo 
significa che si può costruire la metafisica soltanto quando la si de¬ 
riva dalle implicazioni della conoscenza. 

Abitualmente si contrappone alla filosofia teoretica (che come 
metafisica mira alla formazione di un chiaro concetto di tutto il 
reale) quella pratica che ha l’oggetto di costruire una teoria dei 
valori : e, per il posto preminente di quelli etici, la scienza dei 
valori è essenzialmente una morale. Però se la metafisica e la mo¬ 
rale si possono distinguere, è anche innegabile che si implicano a 
vicenda, perchè questa, per fissare il fine della condotta, deve sa¬ 
pere che cosa si possa pensare del reale e quella non può giun¬ 
gere a una concezione chiara e integrale delle cose se non consi¬ 
dera anche i fini umani, che pure fanno parte del mondo. Per 
giungere alla soluzione dei massimi problemi è necessario costruire 
una filosofia che sia insieme metafisica e morale e che si fondi sulla 
teoria della conoscenza : ma l’uomo, per costruirla, deve essere ex 
ventate, deve accostarsi ad essa con cuore puro e con animo retto» 
deve amare il vero con tutto sè stesso. 

La ricerca gnoseologica mostra che io posso conoscere soltanto 
me stesso, ma ciò significa non già che la mia conoscenza abbia 
dei limiti, bensì che non è lecito, non dico di affermare, ma 
nemmeno di supporre qualche cosa che non sia implicito in me : 
io sono il centro dell’universo. « Il soggetto non conosce mai altro 
che sè stesso... Il soggetto conosce l’universo ; ma in quanto l’uni¬ 
verso è incluso nel soggetto... Io mi rendo esplicitamente consa¬ 
pevole di un’organizzazione che alla mia coscienza è implicita. Co¬ 
nosco l’universo, in quanto mi rendo pienamente consapevole di me 
stesso.Perchè l’universo è non meno parte di me che io dell’ universo». 
(/ Massimi Problemi, p. 90). Quindi il soggetto, acquistando cono¬ 
scenza del mondo, viene a conoscere ciò che era incluso, almeno 
in forma subconscia,’in lui stesso; ma ciò non significa che esista 
soltanto io, perchè i soggetti sono molteplici e ciascuno di essi im¬ 
plica tutti gli altri. Infatti, conoscendo il mondo, io vengo a espli¬ 
care me stesso e queste mie esplicazioni suppongono resistenze di atti¬ 
vità consapevoli analoghe alla mia. «Ciascun soggetto c’è, in quanto 
fa, in quanto si esplica; ma il suo esplicarsi, vincendo le resistenze 


5 




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ADOLFO LEVI 


opposte dall’esplicarsi degli altri soggetti, è appunto un implicare 
gli altri soggetti. E il suo esplicarsi, o il suo implicare gli altri sog¬ 
getti, o il suo esserci, che è un essere in relazione con gli altri, è fon¬ 
damentalmente un conoscere. Un conoscere, insieme, sè stesso e gli 
altri. Un conoscere, che non ha sempre la chiarezza e la distinzione 
caratteristiche del soggetto sviluppato, ma che non cessa perciò 
d’essere un conoscere ; negare che la subcoscienza sia cognizione, 
significa rendere impossibile ogni cognizione. Poiché ogni soggetto 
è implicato essenzialmente in ciascun altro, l’insieme dei soggetti 
costituisce un sistema, di cui ciascun soggetto è l’unità » (Conosci 
te stesso, p. 29). La coscienza primitiva è un’unità che non conosce 
la distinzione soggetto-oggetto, che deriva dal suo sviluppo; invece 
la distinzione dei soggetti è irriducibile, ma non significa separa¬ 
zione assoluta: infatti, implica relazioni reciproche, essenziali a cia¬ 
scun soggetto. Ogni soggetto può contrarre relazione con me : ma 
questa possibilità di rapporti consapevoli implica che essi esistono 
in forma subconscia : ciò vuol dire che tutti i soggetti costituiscono 
un sistema policentrico, in cui ciascuno occupa la posizione cen¬ 
trale. Ora ognuno di essi svolgendosi agisce superando resistenze 
che derivano dall’attività degli altri: queste azioni e reazioni reci¬ 
proche costituiscono l’accadere che per sua natura, essendo tempo¬ 
rale, è irriducibile ai processi logici, che sono fuori del tempo. Sic¬ 
come l’accadere, che è innegabile, si deve spiegare in tal modo 
(perchè non se ne può dar ragione per mezzo di rapporti logici 
extratemporali), è chiaro che esso implica una molteplicità di esseri, 
la quale però non è priva di connessione, ma si ordina in un’unità 
più alta che non è l’unità pura e semplice, perchè questa non rende 
conto della successione nel tempo, ma quella di un sistema. Esiste 
dunque una molteplicità coordinata di unità primitive, centri d’un’at- 
tività spontanea, che costituisce il principio dell’accadere : esse, 
appunto perchè principi di spontaneità, si svolgono e così interfe¬ 
riscono, perchè formano un solo sistema. A tale attività si debbano 
i fatti, che noi conosciamo per mezzo di giudizi ; ma se è lecito 
distinguere e anche, con l’astrazione, separare la realtà del fatto, 
quella della sensazione con cui lo apprendo e quella del .giudizio 
con cui lo conosco, effettivamente esse formano una unità inscin¬ 
dibile: ossia la realtà del fatto e la cognizione che ne ho coinci¬ 
dono o, a dir meglio, sono la stessa cosa. Però ciò vale soltanto 
per la subcoscienza, la quale costituisce un sistema compiuto e to¬ 
tale : invece i fatti appresi dalla coscienza chiara formano soltanto 
un frammento di quella unità sistematica che è la subcoscienza, 



L'IDEALISMO CRITICO IN ITALIA 


67 


nella quale esclusivamente si incontra l’identità della realtà e della 
conoscenza. Invece questa nella coscienza chiara è costituita da tre 
elementi distinti, il soggetto, la realtà nota e la cognizione; ma tale 
distinzione è resa possibile da una unità più profonda, che ne è 
l’implicazione. È inconcepibile che esistano fatti che non siano in¬ 
clusi, in qualche modo, nella nostra conoscenza, perchè ci è sempre 
possibile logicamente conoscerli tutti. L’affermazione che il fatto 
contenga qualche cosa, che la mia conoscenza non può penetrare 
è assurdo, ciò equivale a predicare di questo presunto impenetra¬ 
bile, che è tale e che è una determinazione del fatto stesso: e al¬ 
lora, come si può dire che è non penetrabile alla conoscenza? « In- 
somnia : il fatto, e per quella parte che ne conosco, e per quella 
parte che non ne conosco, è d’una medesima natura della cognizione. 
0 in altre parole : il fatto risulta d’elementi, che tutti, senza ecce¬ 
zione, sono conoscibili, sono elementi di cognizione ; il suo acca¬ 
dere, la sua realtà, coincidono con la sua conoscibilità... Reale, 
nel senso vero della parola, è soltanto l’esperienza complessiva, le 
totalità nell’esperienza, o l’unità subconscia, nella quale fatto e co¬ 
gnizione sono inseparabili» (Conosci te stesso, p. 102). Se ri¬ 
spetto alla conoscenza esplicita il fatto appare qualche cosa di in¬ 
dipendente, di esteriore, la possibilità di oltrepassare la conoscenza 
attuale prova insieme che quella esteriorità non è assoluta e che 
è innegabile: infatti essa si spiega con la molteplicità dei soggetti 
perchè ciascuno differisce dagli altri per la sua coscienza chiara ; 
ma tale esteriorità non è assoluta, per ciò, che ogni soggetto, in 
quanto subconscio, implica tutti gli altri, ossia l’universo. 

Questa implicazione si spiega riconoscendo che la totalità del 
reale, che è implicito in ogni soggetto, si riduce al concetto del¬ 
l’Essere indeterminatissimo, perchè conoscendo io non conosco se 
non le sue determinazioni : quando penso, io riconosco l’Essere che 
è implicito in me e in tutte le cose, perchè io sono ed esse sono. 
In esso la realtà e il pensiero coincidono pienamente, ma coinci¬ 
dono anche nel soggetto, perchè l’essere di questo non è altro che 
il suo pensare o il suo pensarsi. « Il soggetto per conoscersi, cioè 
per esserci, deve conoscersi come un Essere, cioè come una deter¬ 
minazione dell’Essere; cioè come uno un particolare di molti sog¬ 
getti che s’implicano a vicenda, collegati nell’unità dell’Essere. Il sog¬ 
getto non ha coscienza di sè, che in quanto ha coscienza di altro; non 
ha coscienza d’altro, che in quanto ha coscienza di sè; l’altro e il sè 
costituiscono una unità : l’unità dell’Essere. Dunque : l’Essere non è 
soltanto l’unità della totalità ; è anche l’unità di ciascun soggetto ciò 






ADOLFO LEVI 


che fa di ciascun soggetto, un soggetto. Un soggetto è tale, in quanto 
implica gli altri o in quanto implica l’Essere » (ivi, pp. 127-28). In 
altre parole : l’universo è un sistema, è insieme uno e molteplice, è 
l’unità di una molteplicità, ossia risulta di elementi (soggetti, centri 
di coscienza) connessi da relazioni necessarie. I soggetti sono centri 
di spontaneità; quindi la necessità razionale che li collega non include 
le loro accidentalità variabili, ma soltanto la loro unità: ma le 
spontaneità formano un sistema perchè includono un elemento co¬ 
mune, il concetto dell’Essere che è l’unità dell’universo. Si dirà 
/che l’Essere è soltanto un concetto costruito da me? Ma esso non 
è soltanto mio, è anche un carattere comune a ogni soggetto, a tutto 
ciò che è o può venire incluso nella coscienza di un qualsiasi sog¬ 
getto. Bisogna rilevare che l’Essere è non l’atto di pensare, ma il 
pensato : ora questo deve essere pensabile, altrimenti come si pen¬ 
serebbe. Da ciò segue che l’affermazione che l’essere è un ele¬ 
mento comune alle cose coincide con la tesi che è una forma sog¬ 
gettiva della conoscenza, perchè non si può nemmeno parlare di 
una realtà che il soggetto non può pensare. Esso, pensando l’es¬ 
sere, pensa un quid che è comune a tutte le cose; e in tal modo 
l’interpretazione soggettiva è ridotta all’oggettiva ; ma la seconda, 
a sua volta, si riduce alla prima; infatti è necessario, perchè io possa 
pensare il reale o l’essere, che esso coincida in modo completo con 
ciò che penso. L’essere « è comune a tutte le spontaneità, e a tutte 
le unità ; ora quell’unità che son io è (come ogni altra del resto) 
unità di coscienza; l’elemento deve dunque essere, in una forma 
più o meno esplicita, nella mia coscienza; e nella mia coscienza 
non c’è, di comune a tutto quanto vi si includa, niente se non il 
concetto dell’essere » (Conosci te stesso, p. 185). Quindi in esso la 
realtà coincide pienamente con la conoscenza. 

Quell’unità razionale che si impone al pensiero di un soggetto sin¬ 
golo ha per fondamento l'unità della coscienza soggettiva; ma nello 
stesso tempo è il carattere comune a tutti i soggetti, a tutto ciò che 
ciascuno di essi può pensare, perchè l’unità di quella consiste nel¬ 
l’Essere di cui ogni pensiero, ogni soggetto, ogni cosa è una de¬ 
terminazione ; è cosi chiarita la validità universale della necessità. 

Ma, l’Essere non può non essere, deve essere, e d’altra parte, 
siccome esiste soltanto nelle sue determinazioni (i concreti, i centri 
di spontaneità) è evidente che queste sono necessarie, perchè se 
non ci fossero, non ci sarebbe niente : ciò significa che il primo si 
realizza in modo necessario nell’universo. Ora, questo presenta un 
accadere reale, temporale, che, essendo irriducibile a rapporti Io- 


L’IDEALISMO CRITICO IN ITALIA 


69 


gici posti fuori del tempo, è accidentale, sebbene non in modo as¬ 
soluto: esso implica dei centri di spontaneità e di variabilità, che, 
come si è visto, debbono necessariamente esistere; quindi anche 
l’accadere trova un fondamento nell’Essere, anche l’accidentalità 
alogica proviene da un’esigenza logica, extratemporale di esso. 

Ma le determinazioni dell’Essere che costituiscono il mondo fe¬ 
nomenico sono veramente essenziali al primo ? In tal caso, è vano 
cercarne altre: bisogna quindi, col panteismo, risolvere 1 Essere in 
quelle determinazioni. Ora, poiché da esse proviene l’accadere, se 
l’Essere implica in modo necessario questo, se c’è soltanto in quanto 
esso ha luogo, è chiaro che la serie degli accadimenti non può 
avere avuto inizio e quindi non può tendere a un fine; ma ciò si¬ 
gnifica che l’universo dei fenomeni e l’Essere che vi si attua non 
hanno valore. I soggetti singoli tendono a svilupparsi, ciascuno di 
essi mira a un fine; ma sebbene la finalità dell’attività spontanea 
sia essenziale al tutto, questo, nella sua unità suprema, non ha uno 
scopo, perchè, in ultimo, quello di cui impropriamente si può par¬ 
lare per esso, (mentre un’esigenza logica), la sua realizzazione, 
non può non essere conseguito, lo è sempre, necessariamente. 
La conseguenza è chiara : l’esigenza logica dell’Essere, che trova 
sempre soddisfazione, fa apparire transitorio e vano ogni sforzo dei 
singoli, dell’umanità intera e trasforma la storia in una tautologia 
immensa. Verrà un giorno in cui l’umanità sparirà e il suo faticoso 
lavoro non sarà stato utile per nessuno, perchè quelli analoghi che 
verranno compiuti da altre formazioni simili non ne ricaveranno 
alcun aiuto. Si può, si deve dire che ogni soggetto ha un valore, 
e lo ha in quanto è un elemento del Tutto; ma questo, come tale, 
ne è privo come non possiede nè spontaneità nè finalità. 

Se invece si nega che le determinazioni fenomeniche siano es¬ 
senziali all’Essere, si deve ammettere, col teismo, che ne abbia altre 
diverse dalle prime che ne costituiscano una persona. Se non si 
riduce all’essere pensato, l’Essere è coscienza distinta dalle singole: 
se i soggetti particolari non esistono per necessità logica, debbono 
aver avuto un’inizio e quindi una causa, perciò saranno stati 
creati dall’Essere, dalla sua attività spontanea, cui è essenzial¬ 
mente unito il valore. Ciò mostra appunto che le determinazioni 
che appaiono, data questa ipotesi, essenziali all’Essere ci costrin¬ 
gano a pensarlo come una persona ossia come Dio, nel senso reli¬ 
gioso della parola: allora l’esistenza divina dà un fondamento alla 
finalità del mondo fenomenico che ha avuto un inizio e ci garan¬ 
tisce che chi sacrifica sè stesso all’ordine universale non l’ha 





70 


ADOLFO LEVI 


fauo invano : se vi è un ordine derivato dalia Provvidenza vi è 
continuità di sviluppo nell’universo e i valori possono permanere. 
II problema veramente massimo, perchè la sua soluzione condiziona 
quella degli altri, è dunque questo: « Panteismo o teismo?», ossia 
quello della personalità di Dio : soltanto chi lo risolve può giun¬ 
gere a un concetto chiaro e definitivo della realtà, di sè stesso e 
della sua posizione di fronte ad essa. 

Se i valori non permangono, l’uomo, che non può fare affida¬ 
mento su una legge universale che assicuri il risultato del suo sforzo, 
deve pensare che la suprema legge è una legge non di bontà, ma 
di energia : egli deve temprarsi in modo da affrontare senza spe¬ 
ranze di premio qualunque sorte. Se, invece, l’uomo può credere 
alla permanenza dei valori, la legge suprema è una legge di bontà 
e ad essa deve subordinarsi l’energia. 

In ultimo, i massimi problemi sono problemi di valori, perchè 
per conoscere occorre valutare; e quello supremo ci porta di fronte 
alla permanenza o transitorietà di essi. Per decidersi fra le tesi in 
conflitto bisogna approfondire il concetto del valore, ma la scelta 
non può essere esclusivamente teoretica, perchè la pietra di para¬ 
gone di quel concetto è, in fondo, la coscienza individuale retta, 
quella dell’uomo veramente virtuoso, sempre rivolto al bene. « Per 
conoscere la verità, e in particolare questa eh’ è la somma verità, 
bisogna essere ex ventate. Bisogna essere puri di cuore, desiderare 
soltanto ciò che in sè stesso è desiderabile, considerare, sentire 
come bene, come valore, soltanto ciò che in sè stesso è bene, va¬ 
lore » (/ Massimi Problemi, p. 233). 

Nelle due opere ora esaminate, il Varisco dichiara di credere 
nella permanenza dei valori e nella esistenza personale di Dio, ma 
pensa che il problema non sia ancora razionalmente ben maturo, 
che non gli sia permesso offrirne una soluzione filosofica ; invece 
negli ultimi scritti e specialmente nell’articolo Unità e molteplicità 
egli afferma recisamente un Soggetto universale, Dio, in parte im¬ 
manente, in parte trascendente gli individui. Egli è una coscienza 
tanto distinta dalle singole (che pare include per intero) quanto lo 
sono reciprocamente queste, sebbene si includano in parte tra loro. 
Però non crede di poter chiamare extratemporale il Soggetto uni¬ 
versale, perchè la coscienza di un accadere che non sia l’accadere 
di una coscienza gli sembra un’espressione priva di senso. 

* 

* * 

Il Martinetti e il Varisco, pur distinguendosi profondamente l’uno 
dall’altro, presentano alcuni aspetti simili. Entrambi respingono il 



L’IDEALISMO CRITICO IN ITALIA 


71 


realismo, affermando che non si può parlare di un essere che sia 
esteriore alla coscienza e diverso da essa, e concepiscono le realtà 
come un insieme di centri di vita spirituale, di soggetti ; entrambi 
pongono nel centro della ricerca filosofica il problema del rapporto 
fra l’uno e il molteplice e giungono, in ultimo, a collocare l’Unità 
suprema nell’Essere Assoluto, Dio. Ed è pure notevole il fatto che 
sia il Martinetti che il Varisco, dopo avere esposto dottrine che 
potevano intendersi nel senso dell’immanenza (veramente rispetto 
al primo ciò era più difficile), si dichiarano poi recisamente favo¬ 
revoli a una concezione trascendentalista del mondo che non esau¬ 
risce la realtà nelle determinazioni dell’esperienza fenomenica. Queste 
filosofie assumono un carattere sempre più religioso; ma, in sostanza, 
come si è visto, sin dall’inizio delle loro ricerche il Martinetti e il 
Varisco avevano dichiarato che il problema essenziale della filoso¬ 
fia è proprio quello del divino. Gli studiosi si augurano che il primo 
dia alla luce quell’opera di metafisica che è stata loro promessa 
dz\\’ Introduzione e che il secondo svolga in un lavoro che sia la con¬ 
tinuazione dei Massimi Problemi e del Conosci te stesso quella con¬ 
cezione teistica che egli ormai dichiara di accettare, non soltanto 
per persuasione personale, ma anche per convinzione filosofica. 

Nel senso dell’immanenza ha invece sviluppato la dottrina del 
Varisco il suo discepolo Pantaleo Carabellese nel suo saggio L’essere 
e il problema religioso (Bari, 1914) dove sostiene che la religione 
può essere spiegata anche nell’ipotesi del panteismo. II soggetto 
razionale in ogni atto che compie afferma insieme alla propria sog¬ 
gettività anche quella degli altri e la soggettività universale. Ora 
riflettendo su questo atto io posso rendere esplicita questa sogget¬ 
tività universale, senza aver coscienza che essa era implicita in me; 
sicché quel soggetto universale si presenta come trascendente. In 
un altra sua opera Critica del concreto (Pistoia, 1901) riprende il 
problema, quale si presenta nell’antitesi del Varisco al Gentile, cioè 
della pluralità dei soggetti, sostenuta dal primo, all’unità del sog¬ 
getto trascendentale affermata dal secondo. E il Carabellese, più 
recisamente del Varisco, insiste sulla pluralità dei soggetti, mostrando 
come la loro realtà sia inconciliabile con la Soggettività intesa in 
senso universale, sia essa immanente o trascendente. L’universalità 
è nell’essere oggettivo, non nell’aspetto soggettivo dell’esperienza. 
E la trascendenza si deve intendere non in senso assoluto, ma rela¬ 
tivo, in quanto non ci è possibile penetrare nella loro concretezza 
gli altri individui, e la coscienza dell’essere è perciò sempre più 
estesa del cerchio limitato della nostra persona. 





72 


ADOLFO LEVI 


Ma una volta riconosciuto che di soggetto non si può parlare 
se non nel senso di soggetto empirico individuale, con che diritto 
si afferma la realtà di altri individui? Teoreticamente il solipsismo 
è insuperabile, ha concluso Adolfo Levi nel suo volume Sce.ptica 
(Torino, 1921). La sola realtà indubitabile è il presente della 
coscienza. Tuttavia dal punto di vista morale siamo condotti a rico¬ 
noscere la realtà autonoma di altre persone che dobbiamo rispet¬ 
tare e alle quali siamo legati da doveri. Onde un dissidio insana¬ 
bile fra la coscienza teoretica e l’attività pratica, che non ci per¬ 
mette di uscire dal dubbio dello scetticismo (1). 

Adolfo Levi. 


(1) Questo cenno dell’opera del Levi è stato aggiunto dal segretario di 
redazione Prof. Aliotta. 


INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE. 

Piero Martinetti, // sistema Sankhya: Torino, Lattes, 1897; Introduzione 
alla Metafisica: I. Teoria della conoscenza: Torino, Clausen, 1904; La funzione 
religiosa della filosofia : estratto dalla «Rivista Filosofica», 1907; Sul formali¬ 
smo della morale kantiana: Estratto dalla « Miscellanea di Studi » pubblicata pel 
cinquantenario della R. Accademia Scientifico-Letteraria di Milano : Milano, 
Cogliati, s. d. [1913] ; Introduzione ai Saggi di filosofia critica di Africano Spir 
(trad. di O. Campa); Milano, Libreria ed. Milanese, 1913; La dottrina della 
conoscenza e del metodo nella filosofia di B. Spinoza: estratto dalla « Rivista di 
filosofia», 1916, a. Vili; Il compilo della filosofia nell'ora presente : Milano. Ber- 
tini e Vanzetti, 1920. 

Bernardino Varisco, Scienza e Opinioni: Roma, 1901 ; Introduzione alla 
filosofia naturale: Roma-Milano, Albrighi-Segati, 1903; Studi di filos. naturale : 
,vi » 1903; Forza ed energia: Pavia, Bizzoni, 1904; La conoscenza: ivi, 1904; 
Paralipomeni alla Conoscenza: ivi, 1905; Dottrine e fatti : ivi, 1905; L’esperienza 
mentale : estr. dalla «Rivista filosofica», 1908; L’apriori c la scienza : «Cultura 
filosofica», 1908, a. II; Filosofia e Religione: «Il Rinnovamento», 1908, IV; 
Opinione, cognizione, fede : ivi, 1908; La cognizione: «La Cultura», 1909, a. 
XXVIII ; Fisica e Metafisica : ivi, 1909 ; Sul concetto di realtà : « Cult, filosofica » , 

1910, a. IV; / Massimi Problemi: Milano, Libreria ed. Milanese, 1910 (2* ed.[ 
1914); Realtà e cognizione: «Riv. di filosofia», 1910, a. II; Das Subjekt und 
die Wirklichkeit: «Logos», 1910, v. I; Sul concetto di verità: «Riv. di filos.», 

1911, a. Ili; Dio e l'anima, ivi, 1911 ; Conosci te stesso: Milano, Libr. ed. Mi¬ 
lanese, 1912; La possibilità dei fenomeni : «Cult, filosofica»: 1912, a. IV; Rous- 
seau e Kant: «Riv. Pedagogica», 1912; Unità e molteplicità: «Riv. di filos.», 
XII, 1920; Per comprendere la realtà: «Riv. trimestrale di Studi filosofici e re¬ 
ligiosi», 1920, v. I; Credenza e cognizione, ivi, 1920; La convivenza: «Riv. 
Pedag.», 1921, a. XIV. 

(Non si ricordano altri numerosi articoli pubblicati su diverse riviste). 






IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


L’indirizzo criticista negli studi filosofici in Italia non è un ri¬ 
torno puro e semplice a Kant per due ragioni: sia perchè in Italia 
non c’era mai stata una vera e propria filosofia kantiana, di cui si 
sentisse il bisogno di restaurare i principii ed il contenuto dottrinale, 
sia perchè esso sorse e si affermò come reazione a due indirizzi 
costruttivi del pensiero filosofico, germinati da uno sviluppo unila¬ 
terale della critica kantiana. Questi indirizzi sistematici erano l’idea¬ 
lismo ed il positivismo, due concezioni antitetiche della realtà, ma 
entrambe provenienti da una parziale elaborazione del pensiero kan¬ 
tiano, compiuta in senso inverso. Kant aveva fissato i limiti del 
razionalismo e deH’empirismo con la sua critica della Ragion Pura. 

Il razionalismo non può andare dal possibile al reale: il reale è 
più del possibile, è la concretezza del possibile. Il possibile non è an¬ 
teriore all’essere, ma esso si enuclea dalla realtà come l’insieme delle 
condizioni senza di cui non ci sarebbe nè l’unità dell’esperienza nè 
la realtà dell’universo. Queste condizioni sono le forme a priori del¬ 
l’intuizione e i concetti puri dell’intendimento. L’empirismo procede 
bensì dal reale al possibile, ma considera questo come un elemento 
astratto del reale, e quindi rigetta ogni forma a priori, consideran¬ 
dola come un derivato dell’esperienza, ch’è un reale assoluto. Invece 
la forma kantiana non è un astratto che derivi dal reale, ma è la 
condizione dell’esistenza stessa del reale concreto. L’idealismo post¬ 
kantiano costruisce il reale con le forme a priori, considerando 
queste non come principii formali dell’esperienza, cioè come forme 
che abbiano bisogno di una materia per rivelarsi, ma come forme 
generatrici dell’esperienza stessa ossia della materia del conoscere. 
Il positivismo al contrario ha ripreso la tesi dell’empirismo prekan¬ 
tiano ed ha rovesciato la posizione dell’idealismo: mentre per questo 
I’ a posteriori non era che la rivelazione fenomenica dell’a priori, 
cioè dell’idea, ch’è tutto il reale; per il primo nella conoscenza non 




74 


MARIANO MARESCA 


c’è ftiente di a priori, ma tutto deriva dall’esperienza, dalla sensa¬ 
zione al pensiero, e niente c’è nel soggetto conoscitivo che faccia 
supporre esservi in esso un’attività legislatrice dell’esperienza, nel 
senso che questa dipenda dalla struttura del soggetto al quale è 
presente. 

II criticismo italiano perciò da una parte è più libero di fronte 
alla tradizione kantiana, che accetta più come metodo e atteggiamento 
spirituale che come sintesi dottrinale e costruttiva, e dall’altra è 
dominato nei suoi motivi teoretici dal bisogno di superare la me¬ 
tafisica idealistica, troppo ostile al sapere scientifico, e di evitare 
l’angustia del positivismo filosofico, che dispregiando ogni aprio¬ 
rismo sembrava compromettere la stessa stabilità dello spirito co¬ 
noscitore e per conseguenza la possibilità stessa della scienza. 

I criticisti italiani si possono dividere in due gruppi, secondo 
che prevale il temperamento critico-storico o quello costruttivo-si- 
stematico. Ma in entrambe le direzioni si afferma il bisogno di sal¬ 
vare la possibilità della conoscenza scientifica, non solo nel dominio 
della natura esteriore, ma anche in quello dello spirito. 


INDIRIZZO CRITICO-STORICO 
F. Fiorentino, C. Cantoni, F. Tocco, A. Chiappelli, G. Villa. 

Francesco Fiorentino (1834-1884) si deve considerare come il rap¬ 
presentante principale ed il capo spirituale dell’indirizzo storico¬ 
critico del neo-criticismo, come Filippo Masci Io è dell’indirizzo co- 
struttivo-sistematico. Il Fiorentino è uno spirito molto complesso, 
dominato da un’ardente passione per la speculazione filosofica, aperto 
a tutti i soffi di sana modernità, a tutte le correnti del pensiero 
contemporaneo, pronto a cogliere la luce del pensiero in tutte le 
manifestazioni della cultura umana, nella storia della civiltà greca 
come in quella del nostro rinascimento e nella contemporanea. 

Pregevoli sono i suoi contributi alla storia della filosofia greca e a 
quella del nostro rinascimento; ma non è sotto questo aspetto che qui 
debbo rievocare la figura di lui, bensì nel contributo da lui recato alla 
concezione critica della filosofia, alla maniera con la quale sviluppò 
l’esigenza del criticismo kantiano in una filosofia che non fosse nè 
costruzione arbitraria dell’universo nè raccolta dei dati greggi dell’espe¬ 
rienza. Non è abbondante la produzione teoretica del Fiorentino, giac¬ 
ché egli si compiaceva più di analizzare il pensiero altrui che di appro¬ 
fondire con una penetrazione e comprensione metodica, come osserva 





IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


75 


il Gentile( 1 ), il pensiero stesso in cui una volta si era accampato. Ma 
dagli Elementi di Filosofia (2), dagli Scritti var/7(3) e dalla prolusione 
Positivismo ed idealismo (4) è possibile di cogliere i lineamenti essen¬ 
ziali del suo pensiero e la sua posizione di fronte all’idealismo, al 
positivismo ed al kantismo. Egli intese la filosofia come «l’orga¬ 
nismo delle scienze particolari » come « ricostruzione razionale del 
mondo» come «comprensione dell’universo vivente» (5) e contro 
l’idealismo assoluto della Fenomenologia sostiene che la filosofia 
non debba costruire baroccamente ed arbitrariamente il mondo, 
senza l’intervento delle scienze positive che forniscono il materiale 
necessario, le idee, alla ricostruzione razionale dell’esperienza. Egli 
distingue la filosofia dalla ciarlataneria, e non vuole proscritta la 
scienza per colpa dei guastamestieri, i quali sono « tutti quelli che 
con un certo frasario vuoto di senso si arrogano il diritto di co¬ 
struirti tutto quanto l’universo, senza avere nessuna cognizione po¬ 
sitiva di nessuna scienza particolare. La formula giobertiana, l’ente 
rosminiano, la dialettica hegeliana fanno le spese di tutti i loro 
discorsi, nei quali non si raccapezza nulla di serio » (6). Ma se 
scaglia i suoi dardi roventi contro quei filosofi (idealisti) che « la 
pretendono ad enciclopedici con quattro frasi vuote come una bolla 
di sapone » non risparmia i naturalisti « che non ti sanno mettere 
assieme due idee » (7) e contro i positivisti che vogliono annullare 
qualsiasi problema specifico della filosofia, perchè reputano inutile 
e fantastica qualsiasi ricostruzione del mondo e vorrebbero starsene 
ai pochi risultati delle scienze positive bene accertati e bene ordi¬ 
nati, il Fiorentino osserva che le ricerche particolari e minute non 
servono a nulla senza « una larga comprensione dell’insieme » e che 
a questa comprensione non giova nessuna scienza particolare, ma 
vi si richiede «la larghezza della filosofia » (8). La quale è insita 
nella stessa conoscenza dei fatti particolari come la tendenza inne¬ 
gabile di spiegare e coordinare le leggi indotte dai fatti. La scienza 
in altri termini non basta a se stessa; essa spiega i fatti con le 
leggi ma non spiega le leggi, perchè a spiegar queste occorre una 


(1) Critica, IX, II, p. 135. 

(2) Napoli, Morano 1877. 

(3) Napoli, Morano 1876. 

(4) Nel Giornale napol. di fllos. e lett., febbr. 1876. 

(5) Scritti vani, 431, 433, 435, Ed. cit. 

(6) Ibid. 437. 

(7) Ibid. 437. 

(8) Ib. 431. 





MARIANO MARESCA 


7 « 

comprensione dell’universo vivente, che le parti staccate non pos¬ 
sono dare: « Le scienze particolari mancano di consapevolezza , se 
scompagnate dalla filosofia; perchè, posto anche che conoscessero 
appuntino i propri obbietti, esse non conoscerebbero se stesse: sono 
come l’occhio che vede tutto, ma non vede se stesso » (1). E ripren¬ 
dendo un paragone, ormai celebre, di Kant, osserva che le scienze 
positive sono cieche senza la chiarezza della forma che può venire 
solo dalia filosofia, e questa è vuota se non è congiunta alla ric¬ 
chezza del contenuto di quelle. Di fronte al kantismo egli propende, 
specialmente nella nuova edizione delle Lezioni di filosofia, all’in¬ 
terpretazione empirica dell’origine psicologica de\Va priori, nella quale 
non si vede bene come possa conciliarsi il carattere veramente ori¬ 
ginario dell'a priori in quanto funzione dello spirito che fa nascere 
l’esperienza, non dato di questa, e la ricerca genetica di questa fun¬ 
zione per mezzo dell’associazione e dell’eredità per cui l’a priori 
dell’individuo sarebbe ciò ch’è a posteriori per la specie (2). 

Infatti, se in noi c’è già un’attività preformata a compiere certe 
funzioni (l’a priori kantiano), non si vede a che cosa possa condurre 
la ricerca della genesi di questa preformazione nella specie, perchè 
qualunque indagine ia suppone, siccome quella che implica la co¬ 
stituzione stessa dell’esperienza, di cui, secondo Kant, l’a priori è 
funzione formatrice. 

Carlo Cantoni 0840-1906). — Col Cantoni il criticismo italiano 
fece dei progressi notevoli, non solo perchè la dottrina kantiana 
trovò in lui un sagace interprete ed un appassionato divulgatore, 
ma anche per la più precisa impostazione e soluzione che dette al 
problema sull’origine psicologica dell’a priori, già intravvisto dal 
Fiorentino, ma quasi oscurato con il richiamo ai principii dell’eredità 
e dell’associazione. Il Cantoni distingue nettamente nella sua opera, 
assai celebrata a suo tempo, su E. Kant (3), tra a priori logico e a 
priori psicologico, e sostiene che i principii formali della coscienza 
possono anzi debbono essere logicamente a priori, ma non è neces¬ 
sario che siano a priori anche psicologicamente. Cosi, p. e., si può 
ammettere benissimo che la legge morale sia a priori, perchè la 
giustificazione della sua universalità ed obbligatorietà può essere 
data solo della ragione, ma non per questo si deve negare che nel- 


(1) Ib. 434, 35. 

(2) Lezioni di Filosofia ad uso dei Licei, Napoli, Morano Edit. 22» edizione 
p. 31. 

(3) Carlo Canioni, E. Kant. Volumi 3. Hoepli, Milano 1884. 









IL NEO CRITICISMO IN ITALIA 


77 


l’esperienza ci siano degli elementi che ne determinino psicologica¬ 
mente l’idea. La legge morale, secondo il Cantoni, è un principio 
« naturale e formale ad un tempo, a priori ed a posteriori, perchè 
senza i fatti non sorgerebbe, e senza quei tali fatti non avrebbe 
quella certa determinazione materiale; a priori perchè quel principio 
non trae il suo valore dai fatti, perchè l’esperienza per sè non ci 
può mai sciogliere una questione morale, la quale deve essere ne¬ 
cessariamente risolta da un principio superiore alla scienza e quindi 
a priori » (1). Senonchè questa maniera d’intendere i’origine psico¬ 
logica dell’n priori contraddiceva allo schietto formalismo kantiano 
ed imponeva al criticismo la necessità di spingere più a fondo 
l’analisi delle forme soggettive della coscienza, di distinguere tra 
origine e formazione empirica delle funzioni della sensibilità (tempo, 
spazio) e delFintendimento (categorie) e origine e realtà ideale (tra- 
scedentale) delle medesime. Dinanzi all’insorgere delle nuove teorie 
empiriche della conoscenza (Mill, Spencer), le quali rigettavano ogni 
formalismo a priori, spiegando la necessità e l’universalità degli aprio- 
risti come un prodotto dell’esperienza, bisognava integrare il criti¬ 
cismo kantiano non per la via già battuta prima di Kant e da questi 
superata nella sua critica, cioè dell’ a priori logico sceverato da ogni 
contenuto sensibile ed opposto a questo astrattamente (tentativo ri¬ 
preso dal Lotze e dopo di lui dal Cantoni); ma per la stessa via 
battuta dagli empiristi, cioè attraverso la psicologia individuale e 
collettiva, mostrando l’immanenza dell’a priori logico nello stesso a 
posteriori psicologico, come attività originaria e costruttiva della 
coscienza la quale non è una forma immobile e una rete che lo 
spirito cava da se stesso all’occasione dell’esperienza, ma una for¬ 
mazione, cioè una funzione costruttiva della stessa esperienza. Non 
dualità astratta nè ontologica di forma e materia della conoscenza, 
ma dualità funzionale che evitasse tanto il nativismo e l’innatismo 
della forma quanto il relativismo degli empiristi. Per questa via si 
misero i criticisti posteriori, i quali non nascosero le loro preferenze 
per la psicologia. 

Felice Tocco (1845-1911). — Per fedeltà allo spirito della filo¬ 
sofia kantiana, per acutezza d’interpretazione e lucidezza d’esposi¬ 
zione dei punti più scabrosi di essa, il Tocco può considerarsi come 
il primo autentico criticista italiano. Egli rivendica le genuine sem¬ 
bianze della critica katiana contro le diverse interpretazioni, che 
storicamente si erano succedute per giustificare questa o quella 


(1) Cantoni, E. Kant, Voi. Il, 244. 







78 


MARIAMO MARESCA 


metafisica coi principii stessi della filosofia critica. Gli Studii Kan¬ 
tiani (\) del Tocco contengono la sostanza d'un trentennio di medi¬ 
tazione assidua intorno ai problemi fondamentali del kantismo e 
rappresentano uno dei documenti più auterevoli nella letteratura 
del criticismo. Il Tocco rigetta l’interpretazione berkeleyana ed hege¬ 
liana del kantismo: L’idealismo critico di Kant non può confondersi 
con l’idealismo soggettivo di Berkeley, perchè mentre questi ritiene 

- come certl e reaIi 5 soli fenomeni psichici, Kant al contrario ritiene 
per certa la sola scienza matematica dei fenomeni fisici. Nè l’idea¬ 
lismo kantiano può gabellarsi di idealismo metafisico, o di una ten¬ 
denza ad esso strozzata a mezza via: una filosofia che rivendica 
nettamente il carattere formale dell’a priori, la limitazione della cono¬ 
scenza all’esperienza, la conoscenza come elaborazione del dato che 
non è una produzione del soggetto, non può affatto ritenersi come un 
abbozzo di fichtismo e di hegelismo, perchè questi sistemi ammet¬ 
tono la possibilità di una conoscenza che sia una costruzione del 
pensiero puro, mentre per Kant ogni conoscenza al di là dell’espe¬ 
rienza è vuota o anfibologica. La filosofia per Kant non è altra cosa 
che scienza della scienza, cioè ricerca delle pure forme del cono¬ 
scere, scienza delle forme e dei principii a priori della Ragione pura 
gnoseologia e non metafisica ontologica. Nè si può accostare l’idea¬ 
lismo kantiano a quello platonico senza snaturare tutta la dialettica 
trascendentale e senza eliminare tutta la deduzione delle categorie 
dalla critica, ch’è la negazione delle idee-enti ammesse da Platone. 
Ma il Tocco, oltre a liberare il pensiero kantiano da tutte le inter¬ 
pretazioni arbitrarie e unilaterali, difende anche le posizioni fonda¬ 
mentali della filosofica critica e, in più d’un punto, aggiunge alla 
giustificazione una nuova interpretazione personale. Le interpreta¬ 
zioni personali principali e più significative per la mentalità del 
Tocco sono quelle che riguardano la giustificazione dell’apriori for¬ 
male nell Estetica trascendentale ed il noumeno. Circa la natura 
a priori dello spazio e del tempo il Tocco non mantiene un’inter¬ 
pretazione rigorosa e precisa, come nella questione del noumeno. 

Il sorgere delle dottrine psicologiche, nativistiche e genetiche, alle 
quali il Tocco porgeva attento l’orecchio, gli fece balenare la pos¬ 
sibilità che lo spazio ed il tempo fossero costruzioni psicologiche, 
cioè formazioni empiriche, e che la loro idealità consistesse nella 
possibilità della loro rappresentazione astratta indipendentemente 
dall’esperienza. In questo caso, astratto sarebbe sinomino di a priori,- 


(I) Sandron, Palermo, 1909. 






IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


79 


anzi l'unico a priori che esista è la possibilità di astrarre lo spazio 
ed il tempo dalle percezioni spaziali e temporali. La quale possi¬ 
bilità è riposta « nella facoltà che ha il nostro, spirito d’isolare la 
rappresentazione dello spazio, di astrarla dal contenuto sensibile 
col quale essa è concresciuta. Questa potenza astrattiva che solo 
noi uomini possediamo, è l’unico a priori che esista, e su questa è 
fondata l’apriorità della matematica » (1). Perciò egli rimprovera a 
Kant l’assenza di qualunque teoria psicologica, laddove tutta l’este¬ 
tica trascendentale è fondata su dati psicologici. Quindi Kant sostan- ' 
zialmente sarebbe indifferente alle due teorie psicologiche principali 
sull’origine dello spazio e del tempo: le nativistiche e le genetiche. 
Kant non può essere un nativista, perchè non ammette che Io spazio 
sia una proprietà primitiva delle percezioni, e d’altra parte lo spazio 
ed il tempo non sono forme già belle e fatte preesistenti nello spi¬ 
rito, ove i fenomeni, a guisa di bronzo fuso, vengano cacciati dentro 
per assumerne le sembianze. Nè può accordarsi con la teoria gene¬ 
tica, perchè ogni dottrina psicologica genetica è empirica, cioè so¬ 
stiene che « le determinazioni spaziali e temporanee si aggiungono 
al contenuto sensibile originario mediante l’educazione dei sensi o 
l’esperienza; invece Kant sostiene che l’intuizione spaziale è a priori 
e indipendente dall’esperienza stessa». Questa è l’interpretazione 
matura del Tocco sulla dottrina kantiana dell’estetica trascenden¬ 
tale. Ma nel prendere posizione di fronte alle due ipotesi psicologiche, 
il Tocco comincia col propendere verso la teoria genetica per finire, 
30 anni dopo, con l’aderire alla teoria nativistica. Ma le ipotesi suddet¬ 
te sono ipotesi psicologiche, che lasciano intatta la questione gnoseo¬ 
logica della natura trascendentale del tempo e dello spazio, come 
elementi a priori della costruzione empirica. Il Tocco, anche quando 
accede a questa o quella teoria psicologica, resta sempre un criti- 
cista, e, volta a volta, muta l’astratta indifferenza kantiana per le 
posizioni psicologiche, in tendenza verso l’una o l’altra di esse. Il 
motivo vero di questo atteggiamento non è quello di sapere quale 
sarebbe stata la posizione di Kant, se egli effettivamente si fosse 
posto il problema dal punto di vista psicologico; ma è la necessià 
di dare un fondamento gnoseologico ed una giustificazione filosofica 
all’ipotesi psicologica. Certo è più facile trovare nell’estetica trascen¬ 
dentale il fondamento della teoria genetica, per la quale le sensazio¬ 
ni non sono per se stesse spaziali, ma diventano spaziali in seguito 
ad un’elaborazione posteriore, che, per Kant, sarebbe l’attività uni- 


fi) Studi Katiani, p. 44. 





MARIANO MARESCA 


ficatrice e distintrice insieme propria delio spirito. Ma dinanzi al pro¬ 
gredire delle ricerche psicologiche, il Tocco non ha mantenuto fermo 
il concetto dello spazio e del tempo come pure funzioni unificatrici 
del molteplice sensibile, perchè non gli riesciva di spiegare la ripu¬ 
gnanza della materia del senso interno allo spazio e di quella del 
senso esterno al tempo, senza ammettere che la forma, lungi dal¬ 
l’essere un che di affatto subiettivo, fosse richiesta del dato me¬ 
desimo, e che lo spirito non ve la potesse mettere tutta del suo. E 
passò all’interpretazione nativistica del pensiero kantiano, perchè 
egli aveva fatta sua l’ipotesi nativistica in psicologia. Cioè ammise 
l’immanenza originaria della forma nel contenuto, rendendo empirici 
forma e dato nella cognizione sensibile. Ma in realtà qui il Tocco 
ha perduto di vista il carattere genuino della critica kantiana, per 
la quale la forma a priori dell’intuizione è condizione formatrice del¬ 
l’esperienza, è unificazione del contenuto, e non elemento o parte 
di questo. E non si salva con l’attribuire allo spirito il potere di 
separare il contenuto dalla forma della nostra intuizione e fare della 
forma una intuizione a sè. Perchè l’intuizione astratta della forma 
non è l’a priori kantiano, il quale è una funzione formatrice dell’in¬ 
tuizione sensibile, ed è reale come forma dell’esperienza, non come 
elemento astratto di questa. 

Circa la questione della natura del noumero, tanto dibattuta, il 
Tocco è più preciso e più fedele interprete della dottrina kantiana, 
ma non riesce a liberarla dalle obiezioni e dalle contraddizioni fon¬ 
damentali cui è esposta. Egli rigetta le interpretazioni che rap¬ 
presentano una critica della dottrina kantiana, e si sforza di trovare 
l’interpretazione più giusta e più coerente della dottrina medesima. Se¬ 
condo il Tocco il noumeno dell’Estetica non differisce da quello del¬ 
l’Analitica, nè c’è differenza tra il noumeno della prima e quello della 
seconda edizione della critica. Il noumeno è negativo e positivo 
insieme: negativo conoscitivamente; positivo, ma inconoscibile, meta¬ 
fisicamente. La differenza sta in ciò: che nell'Estetica il significato 
del noumeno appartiene alla materia della conoscenza, nell’Analitica 
invece alla forma. Nell’intuizione il reale è dato dalla sensazione, 
ch’è il punto di contatto della conoscenza col noumeno : la conoscenza 
è fenomenica, perchè è limitata alle forme del tempo e dello spazio, 
che sono ideali, e rendono impossibile di chiudere le serie. La 
materia della conoscenza accenna ad un reale, che è in sè incono¬ 
scibile, perchè il dato è irreducibile, non può risolversi mai in 
elementi formali. Ma non è esclusa la possibilità di un’intuizione 
diversa dalla sensibile, cioè di un’intuizione intellettuale, che non 





IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


81 


apprenda cioè il reale nelle forme dello spazio e del tempo, che 
rendono la conoscenza fenomenica. La categoria, ch’è la funzione 
unificatrice dell’esperienza nell’Analitica, mentre è puramente formale, 
ha una significazione trascendentale, ed accenna ad un uso proble¬ 
matico di essa al di là dell’esperienza, cioè ad un’intuizione in¬ 
tellettuale. Ma siccome l’intuizione intellettuale (senza tempo nè spa¬ 
zio) è una contraddizione nei termini, il giudizio problematico non 
potrà mai cangiarsi in assertorio, ed il noumeno dell’Analitica sarà 
negativo come quello dell’Estetica. Pure il Tocco ha mantenuto il 
concetto positivo del noumeno accanto a quello negativo, e fa suoi 
gli argomenti di Kant per ammettere la realtà del noumeno, 
benché inconoscibile. Secondo lui, il noumeno kantiano è un 
problema insolubile, ma reale, una grandezza non determinabile, 
ma esistente. E come chi mostra l’insolubilità di un’equazione 
di grado ennesimo non nega la realtà di questa equazione, cosi 
chi ammette l’inconoscibilità del noumeno non ne nega la realtà 
metafisica. E non badò il Tocco che un numero irrazionale è omo¬ 
geneo ai razionali, e ne differisce solo per l’impossibilità di essere 
espresso con un numero positivo, intero o frazionario; mentre il 
noumeno non può essere omogeneo alla conoscenza, se è incono¬ 
scibile in maniera assoluta. Non solo; ma il noumeno come quello 
che sta di là dal fenomeno, dovrebbe implicare un metodo di so¬ 
luzione che importerebbe la negazione della conoscenza umana, ch’è 
fenomenica dal principio alla fine. E non si avvide della difficoltà 
grave per la filosofia di ammettere un ignoto irriducibile alla co¬ 
noscenza, perchè rende problematica la verità dell’esperienza e 
getta l’ombra dello scetticismo su tutta la conoscenza. Altro è l’in¬ 
conoscibile per limitazioni e condizioni di fatto (insolubilità di alcuni 
problemi scientifici), e altro è l’inconoscibile per radicale difformità 
alla natura ed alle forme della nostra conoscenza. Ora il noumeno 
sarebbe diverso radicalmente dal fenomeno, e poiché è inconoscibile, 
tutta la conoscenza, che dovrebbe essere un rapporto tra il noumeno 
e noi, svanisce in un’illusione, perchè, non conoscendo la natura 
del noumeno, non si potrà mai essere sicuri che il fenomeno abbia 
un qualche rapporto con l’essere vero. O l’apparire (fenomeno) è 
omogeneo all’essere (noumeno), e la conoscenza è possibile ed ha 
un significato; o è eterogeneo, e non si vede perchè nell’essere si 
sia prodotto un conoscere, che non ha nessuna proporzione cono¬ 
scitiva con l’essere. 

Alessandro Chiappelli (n. 1857). — Il criticismo con Alessandro 
Chiappelli si libera dalla tendenza rigorosamente ermeneutica e 


6 






MARIANO MARESCA 


82 $ 

filologica del pensiero kantiano ed assurge, ad una concezione 
integrale del reale, per la quale la filosofia kantiana rappresenta 
un’opera di passaggio. L’opera fondamentale del Chiappelli: Dalla 
critica al nuovo idealismo (1) insieme all’altra recente: La crisi 
del pensiero moderno (2) attestano quest’atteggiamento spirituale 
il quale non culmina veramente in lui con una chiara e salda ve¬ 
duta metafisica, ma si riflette come viva tendenza critica di oltre¬ 
passare Kant in una linea di pensiero che faccia sorgere dal seno 
stesso del kantismo una nuova metafisica dei valori. La quale nel 
Chiappelli è più abbozzata che svolta, ed è più intravista come 
direzione evolutiva del pensiero filosofico in mezzo alle vive cor¬ 
renti ideali, che circolavano attorno a lui ed alle quali egli volgeva 
vigile ed attento l’animo, che come frutto di un’assidua e severa 
meditazione personale. Tuttavia egli distingue nel kantismo ciò che 
vi è di oltrepassato e di antiquato, da quello cli’è conquista durevole 
e vitale del pensiero umano e principio di azione progressiva nel 
tempo nostro. L’qgnosticismo kantiano, su cui tanto ha insistito il 
Tocco, gli sembra oltrepassato, e precisamente superato nel bi¬ 
sogno di affermare la sostanziale intelligibilità del mondo, cioè l’in¬ 
tima parentela di esso col nostro pensiero. Solo se la realtà è nel 
suo fondo un vasto sistema spirituale, si spiega e si giustifica il 
nostro conoscere, per l’antico principio che il simile si conosce per 
il simile. Il principio vitale del kantismo consiste nell’aver sconfitto 
per sempre le pretese del naturalismo e del materialismo e nell’aver 
reso possibile una ricostruzione idealistica dell’universo imperniata 
sulla critica della R. pratica. La quale però ha bisogno di un’in¬ 
tegrazione per poter diventare il principio d’uno svolgimento pro¬ 
gressivo. E l’integrazione consiste appunto nel concepire il noumeno 
kantiano come pensiero e spirito, ed il reale in generale come 
gerarchia di valori che culminano nello spirito umano. E non è dif¬ 
ficile arrivare alla smaterializzazione del noumeno, se si pensa che 
mentre per il Kant il conoscere e l’essere noumenico sono in due 
piani divèrsi, relativo l’uno, irrelativo l’altro, per il Chiappelli la 
realtà d’un oggetto è determinata dal grado in cui esso partecipa 
alla totalità delle relazioni che costituisce l’unità organica dell’uni¬ 
verso. « La quale unità o totalità è appunto la massima complicanza 
di relazioni, ed è la sola realtà completa di per sè esistente che 
noi possiamo riconoscere » (3). L’essere dunque è un sistema di re¬ 


ti) Bocca, 1910. 

(2) Città di Castello, 1921. 

(3) Dalla Critica etc., p. 60. 



IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


83 


(azioni, ossia l’unificazioiie del molteplice, l’attività sintetica del 
pensiero non si applica da fuori ad un reale eterogeneo, ma ne è 
l’intimo significato e la forma superiore di unificazione. Ecco il 
punto in cui la metafisica sbocciata come un bisogno di oltrepas¬ 
sare l’agnosticismo kantiano e di integrare il criticismo, non si 
mantiene coerente nello spirito del Chiappelli, e lo obbliga a piegare 
verso il teismo, per sfuggire alle estreme conseguenze della meta¬ 
fisica idealistica, che proclama e conclama l’identità di pensiero ed 
essere. 

Nella Crisi del pensiero moderno il Chiappelli fa una critica ri¬ 
gorosa ed ampia del principio fondamentale dell’idealismo, ch’è 
l’identità di pensiero ed essere. Eppure se l’essere è un sistema di 
relazioni, esso non è diverso dal pensiero. Se non è diverso, come 
apparisce diverso ed esterno, e come si giustifica la realtà del nostro 
conoscere? Qui la veduta del Chiappelli dovrebbe essere più chiara, 
e non lo è ancora. In fondo il pensiero_del Chiappelli è che l’esse¬ 
re è diverso dal pensiero, ma dimostra nelle sue ragioni una forma 
di esistenza congenere al principio conoscitivo e alla umana espe¬ 
rienza (1). È diverso anche perchè il pensiero non può compren¬ 
dere nella sua cerchia attuale tutta la realtà, e l’esperienza possibile 
non adegua l’esperienza assoluta (2). Quindi i due termini del dua¬ 
lismo kantiano non sono veramente unificati, ma si corrispondono 
soltanto. E' vero che qualche volta affiora l’esigenza di cogliere 
l’unità organica del reale, come unità e totalità di pensiero ed essere, 
di forma e contenuto, quando dice che il pensiero è l’interiorità 
dell’essere, e quando afferma che « la tendenza a conoscere ci appari¬ 
sce come tendenza della realtà medesima ad unificarsi nel soggetto, 
cioè ad elevarsi per opera di questo ad una forma superiore» (3). 
Ma questo intimo anelito della realtà verso forme superiori, se giu¬ 
stifica la filosofia dei valori come integrazione e coronamento della 
critica kantiana, che il Chiappelli sostenne efficacemente fin dal 1909 
nel saggio La nuova filosofìa dei valori { 4), non trova sostegno e 
conferma in tutta l’intonazione speculativa del suo pensiero orien¬ 
tato verso la trascendenza del pensiero sull’essere, la loro diversità 
e la loro corrispondenza, proprio come nel kantismo genuino. Nel 
rigettare l’identità di pensiero ed essere, nei ritenere la funzione 


(1) Ibid., p. 62 

(2) Ibid, p. 88. 

(3) p. 62. 

(4) Ristampato nel volume Dalla critica etc. 







¥ 

84 


MARIANO MARESCA 


del pensiero puramente formale ed unificatrice d’un reale ch’essa 
non produce, il Chiappelli è ancora nei limiti del criticismo: limiti 
ch’egli travalica solo quando vuole- metafisicamente concepire il 
reale, il noumeno kantiano, come spirito, connesso ma pur diverso 
dal soggetto conoscente. Un reale cosi concepito non si mantiene 
connesso e insieme diverso dal soggetto senza ricorrere all'ipotesi 
teistica, ad una coscienza universale ed eterna del mondo, alla 
quale sono presenti le singole coscienze finite nei loro rapporti col 
reale. E questa veduta il Chiappelli ha sviluppato recentemente (1) 
mostrando che l’idea d’uno spirito infinito, d’un soggetto universale, 
vivente ed assoluto, i cui pensieri sono atti costitutivi di realità, 
permette di superare l’antitesi tra il neo-idealismo ed il neo-realismo, 
in quanto che la realtà obiettiva è costruita da uno spirito infinito 
e ricostruita dallo spirito finito. 

Guido Villa (n. 1867) discepolo di Cantoni a Pavia, al quale 
successe nella cattedra di filosofia teoretica nel 1907, è dopo il 
Chiappelli, il filosofo italiano più acuto e sollecito ascoltatore della 
voce dei tempi, ed insieme l’intelletto più disciplinato dalla critica 
kantiana e più nutrito di seri studi filosofici, specialmente moder¬ 
ni. Al criticismo fu educato dal Cantoni, e da questi attinse l’amore 
alle indagini psicologiche, di cui il maestro intravide l’importanza 
e non mancò di richiamarvi l’attenzione dei suoi discepoli. Ed il 
primo lavoro, che rivela il Villa al mondo degli studiosi, fu appunto 
la « Psicologia contemporanea » (1899) che nel giro di tre anni fu 
tradotta in spagnuolo, in tedesco, in inglese ed in francese. La tra¬ 
duzione francese è preceduta da una prefazione di E. Boutroux, il 
quale rileva con simpatica maniera la grande importanza che ha 
quest’opera in cui il Villa dà prova di « erudizione, di sagacità, 
d’imparzialità, d’un’informazione completa ed attinta alle fonti, e 
insieme mostra un vivo senso delle esigenze della scienza e della 
critica contemporanea». Inoltre si compiace che il Villa cerchi con 
indipendenza di giudizio gli elementi destinati a sussistere e ad 
avere una loro funzione nella filosofia futura nei limiti del progresso 
compiuto dalla teoria della conoscenza. L’infaticabile Autore non ha 
riposato sui primi allori. Successivamente (1905) ha pubblicato 
« L’idealismo moderno » che contiene, mediante un esame approfon¬ 
dito storico-gnoseologico dei fondamenti e del processo evolutivo 
delle principali scienze dello spirito, la giustificazione delle affer- 


(I) Risoluzione logica del neoidealismo nel teismo. Atti del V Congresso 
italiano di filosofia, di prossima pubblicazione a cura della Rivista di filosofìa. 



IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


85 


mazioni di carattere generale, gnoseologico e metafisico, contenute 
nella Psicologia contemporanea. In questa egli aveva accennato non 
solo allo scarso ed ipotetico risultato raggiunto dalla psicofisica e 
dalla psicofisiologia, ma anche aH’impossibilità di costituire defini¬ 
tivamente una scienza psicologica cogli stessi procedimenti e metodi 
delle scienze naturali, indipendenti cioè dalla filosofia. Ed aveva, 
contro le pretese del positivismo, rivendicato alle manifestazioni 
psichiche un carattere di spontaneità soggettiva, che le differenzia¬ 
vano dai fenomeni fisici legati dal determinismo causale. Queste 
affermazioni egli ha giustificato largamente neh’Idealismo moderno, 
dove, mostrando la radicale ed insanabile insufficienza di tutti i 
tentativi fatti dai filosofi positivisti e naturalisti di portare nelle 
scienze dello spirito lo stesso metodo valevole per lo studio dei 
fenomeni della natura esteriore, prende posizione di fronte alla 
scienza, al positivismo, alla filosofia idealistica, aderendo con schietta 
convinzione all ’idealismo critico, del quale abbozza i lineamenti es¬ 
senziali. Così attraverso un’ampia preparazione storico-critica e scien¬ 
tifica il suo pensiero si rileva maturo ed il suo atteggiamento per¬ 
sonale è ben definito. Di fronte alla scienza, egli è consapevole dei 
limiti del sapere scientifico, del carattere astratto delle sue gene¬ 
ralizzazioni; però respinge gli eccessi del pragmatismo (1) e rifugge 
dal misticismo e dalla crociata, già iniziatasi, contro la scienza. 
« L’idealismo nuovo, nella sua parte viva, nella sua parte che 
esprime la continuità storica delle idee, e che si innesta nel tronco 
robusto della tradizione del pensiero, è essenzialmente informato 
alla scienza, dalla quale necessariamente esce per la spontanea ela¬ 
borazione di questa, e come un raffinamento più completo della 
nostra coscienza di pensatori e di ricercatori » (2). Anzi egli ammette 
la possibilità d’una conoscenza universale ed assoluta da parte delle 
scienze della natura, fondata sulla distinzione degli elementi obiettivi 
e quantitativi dell’esperienza, sciolti da ogni vincolo col sistema 
della coscienza subiettiva, mutevole e variabile; ciò che permette al 
sistema delle scienze fisiche di arrivare « ad una completa obietti¬ 
vità ed universalità di risultati » a leggi costanti del mondo fisico, 
« fondamento indistruttibile » dei sapere scientifico. Però la cono¬ 
scenza esterna, propria delle scienze naturali, risulta pur sempre 
una conoscenza umana, un’attività spirituale scaturiente dall’intima 
nostra soggettività e vivente in continuo rapporto con questa. Quindi 


(1) Idealismo moderno, Bocca Ed., pp. 439-440. 

(2) Ibid., p. 9. 




MARIANO MARESCA 


j6 

il rapporto tra la conoscenza obiettiva e le esigenze di tutta la nostra 
vita razionale non può essere fissato in una forma assoluta e de¬ 
finitiva. Perciò « il pensiero scientifico deve sottostare all’iniperiosa 
necessità di una continua revisione dei suoi principii fondamentali». 
Di qui emerge la condanna del positismo, il quale, ignaro delle 
imprescindibili esigenze della critica conoscitiva, illudendosi di pos¬ 
sedere la certezza oggettiva cadde nel fatale errore di scambiare per 
le assolute e definitive le forme transitorie del sapere scientifico-»- E 
smentite ai positivisti non vengono dalle scienze che essi trascurano 
e disprezzano, ma dalle stesse scienze della natura (1). Il positi¬ 
vismo ha il torto di eliminare il fattore soggettivo dall’esperienza ; 
ma l’idealismo assoluto s’illude di uscir da se stesso e collocarsi 
al di fuori e al sopra dell’inevitabile rapporto della mente col reale. 
Ora di che natura è questo rapporto? Come si deve pensare il rap¬ 
porto tra ciò ch’è psichico e ciò ch’è fisico? Ed esiste un reale al 
di fuori della mente? Tali quesiti il Villa si è posti indubbiamente, 
ma il lettore potrà non essere interamente soddisfatto della risposta 
ch’egli trova e nell’Idealismo moderno (2) e nella 2“ edizione della 
Psicologia contemporanea (1911) (3). In questa egli dice che il limite 
tra i fatti esterni naturali e i fatti interni o psicologici non si può 
tracciare. Siffatta delimitazione sarebbe possibile soltanto in una 
concezione prettamente realistica del mondo: «vale a dire solo 
ammettendo un mondo esterno avente un’esistenza assoluta, indipen¬ 
dente dalla nostra percezione». Il mondo quale a noi appare 
è sempre un complesso di nostre sensazioni, le quali diventano 
obiettive per mezzo di un lavoro di «proiezione» e di «obiettiva- 
zione » ch’è opera derivata della nostra riflessione guidata in ori¬ 
gine da motivi e bisogni pratici, e non già un dato diretto della 
nostro coscienza. E questo pensiero di ispirazione bergsoniana era 
espresso già sei anni prima con molta chiarezza ed efficacia, quando 
contro il positivismo osservava che questo «aveva completamente 
trascurato il fatto che il pensiero ed il reale non son già due ter¬ 
mini posti l’uno di fronte all’altro come due distinte entità, ma il 
risultato della scissione della unica e complessa esperienza totale, 
che per se stessa non è nè fisica nè psicologica, nè soggettiva, nè 
oggettiva, essendo tali concetti il prodotto di un’elaborazione men¬ 
tale complicata e riflessa, che non appare se non quando il pen¬ 
ti) pp. 426, 427, 431. 

(2) P. 440. 

(3) Psicologia contemporanea, Bocca Ed. 1911. pp. 383 e sogg. 



IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


87 


siero giunto alla sua piena maturità, opera un inevitabile ed irre¬ 
parabile dissidio tra ciò che attribuiamo a noi stessi e ciò che ri¬ 
feriamo alla realtà posta fuori di noi» (1). 

Questa veduta organicistica, che riconduce gli aspetti scissi 
dall’astrazione a momenti costitutivi del processo del reale, e che, 
secondo me, è l’unico modo di evitare tanto il dualismo, che non 
spiega la conoscenza, quanto il monismo sia materialistico che idea¬ 
listico, avrebbe bisogno d’un ulteriore svolgimento perchè possa 
giustificare la posizione che il Villa ha preso di difesa da una 
parte del valore oggettivo ed universale della scienza contro il 
pragmatismo, e del bisogno dall’altra di sottoporre a continua 
revisione conoscitiva i risultati del sapere scientifico. E dovrebbe 
anche giustificare il doppio giudizio portato sulle scienze della 
natura, le quali da una parte non possono sottrarsi all’osservazione 
interiore e quindi rientrano nel mondo della coscienza; dall’altra 
eliminano inesorabilmente «ogni apprezzamento di carattere subiet¬ 
tivo, come quello etico, estetico, religioso, pratico e così via». Come 
si spiega che la scienza, sorta da bisogni pratici, si alieni poi dal 
soggetto, fino al punto da avere un significato solo se l’apprez¬ 
zamento della verità scientifica si riferisca ad un’esistenza obiettiva, 
supposta fuori della nostra coscienza ? (2). Successivamente il Villa 
in pregevoli memorie accademiche (3) è tornato su diverse questioni 
psicologiche, di carattere fondamentale, connesse con la filosofia 
generale; ma l’indole stessa delle note e delle comunicazioni oc¬ 
casionali non consentiva un ampio ed organico sviluppo del suo 
pensiero. Mi risulti però ch’egli attende da un pezzo ad un’opera 
di larga meditazione sul problema della realtà dal titolo: Realtà e 
finalità » che mi auguro di veder presto pubblicata nell’interesse 
della cultura filosofica e del pensiero italiano dei quali egli è già 
singolarmente benemerito. 

INDIRIZZO COSTRUTTIVO-SISTEMATICO 
F. Masci, G. Vidarl, G. Della Valle, M. Maresca, I. Petrone, 

G. Del Vecchio. 

Filippo Masci (1844-1922) è la mente filosofica più robusta, più 
vasta e più nutrita di sapere effettivo che abbia avuto l'Italia dopo 


(1) Idealismo moderno, p. 430, 

(2) Psicologia contemporanea, p. 391. 

(3) Degne di essere menzionate sono, tra le altre, le seguenti memorie: 
Sul problema del determinismo psichico, 19!4; Una nuova critica dell'etica Kan¬ 
tiana, 1915; Tltèodule Ribot, 1917; Guglielmo « Wundt» 1921; tutte pubblicate 
negli atti dal R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. 







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MARIANO MARESCA 


la sua unificazione politica. Discepolo dello Spaventa a Napoli, col¬ 
tivò gli studi filosofici dopo quelli giuridici, per una spinta interiore 
del suo spirito, che lo portò insaziato di ricerca in ricerca e di 
vetta in vetta, fino ritrovare se stesso in una personale concezione 
della realtà, che egli svolse per oltre un trentennio dalla cattedra 
di filosofia teoretica nell’Università di Napoli, che consegui, per 
pubblico concorso, nel 1886, dopo la morte di Francesco Fiorentino. 
Dallo Spaventa trasse l’ardore per la speculazione filosofica ed il 
rigore impeccabile nell’esposizione logica, onde lo stile è aderente 
sempre al pensiero e questo procede diritto lucido e tagliente come 
una lama sempre affilata e maneggiata con grande sicurezza e con 
invitta fede nei poteri costitutivi della ragione. Ma dallo Spaventa 
si staccò presto e procedè per vie sue, dopo d’aver speso molto 
tempo in ricerche e meditazioni filosofiche, specialmente intorno 
alla filosofia kantiana, che gli valsero la vittoria in un concorso 
a premio, bandito dalla R. Accademia delle Scienze morali e poli¬ 
tiche di Napoli, con una monografia intitolata « Esposizione critica 
della Critica della ragione pura di E. Kant» nel quale ebbe a 
giudice lo Spaventa. Il quale non si dolse dell’indirizzo criticista 
che seguiva il Masci, anzi, come ha ricordato Franceso D’Ovidio(l), 
fin dal 1876 Io Spaventa mostrò il desiderio che proprio il Masci 
avesse a succedergli nella cattedra ch’egli teneva nell’Ateneo napole¬ 
tano. Della filosofia kantiana il Masci è stato esegeta e critico, 
e nella critica non si è limitato alla parte puramente negativa, ma 
ha demolito per ricostruire e per dare un significato più concreto 
e coerente a quegli stessi elementi del criticismo ch’egli accolse 
nel suo spirito. Questi sono essenzialmente la natura formale del- 
l’a priori tanto della sensibilità (tempo e spazio) quanto dell’in¬ 
tendimento (categorie), e la conseguente limitazione della conoscenza 
all esperienza. Rigettò la distinzione di noumeno e fenomeno e la 
cosa in sè dichiarò essere un nido di contraddizioni, respinse la 
separazione radicale che pone Kant tra le due fonti del conoscere, 
la sensibilità e l’intelletto, rigettò le antinomie e non fu favorevole 
all’abbandono di ogni ricerca psicologica per la spiegazione della 
formazione del nostro conoscere. La dottrina critica è uscita dal 
pensiero di Masci interamente rifatta, e si presenta con una fiso- 
nomia originale, che fa del Masci uno dei più solidi pensatori con¬ 


fi) Vela Latina, anno V, n. 8 (discorso pronunziato da Francesco LVOvidio 
nell’occasione delle onoranze che, nel 1917, i discepoli, i colleghi egli amici 
tributarono al Masci nella R. Università di Napoli). 










IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


89 


temporanei. Anche i principi! fondamentali del criticismo, ai quali 
egli tiene fermo, vengono a ricevere una significazione particolare 
nel pensiero filosofico del Masci. Cosi l’a priori si spoglia della sua 
qualità di forma bell’e fatta dell’intuizione e del pensiero, quasi 
rete pronta a cogliere quanto vi cadrà dall’esperienza. Anche il 
Tocco aveva rigettata questa maniera d’intendere l’a priori kantiano* 
ma mentre il Tocco oscilla tra l’a priori genetico, propendendo più 
per il primo che per il secondo, il Masci svolge un concetto più 
coerente e più chiaro dell’a priori, intendendolo come funzione 
formatrice dell’esperienza, non anteriore a questa ma concrescente 
con questa come il principio formale della sua unificazione. Così 
la limitazione della conoscenza all’esperienza si libera nel Masci 
dall’ombra dello scetticismo che colpisce irrimediabilmente la cono¬ 
scenza fenomenica, quando dietro di questa si cela il vero essere 
delle cose, la realtà in sè, irraggiungibile dal pensiero. Respinto il 
noumeno, la conoscenza può dirsi ancora fenomenica, ma soltanto 
nel senso che essa è il reale « nel mezzo del pensiero » ossia la 
rivelazione della realtà nella coscienza. Quindi la limitazione della 
conoscenza all’esperienza per il Masci esclude che ci possa essere 
una conoscenza il cui contenuto non sia offerto dall’esperienza, ma 
sia dedotto aprioristicamente dal pensiero stesso, ossia dall’aspetto 
formale del nostro conoscere; ed esclude che ci sia un reale il 
quale, per definizione, debba rimanere fuori dell’esperienza e perciò 
inconoscibile. Egli ammette l’ignoto, ch’è omogeneo e riducibile al 
noto, ma non l’inconoscibile, che sarebbe eterogeneo al noto. E l’igno¬ 
to si spiega per il limite della nostra conoscenza, il quale è duplice, 
quantitativo e qualitativo. Per il primo la conoscenza non è mai 
compiuta, per la limitazione dell’intuizione diretta (sempre finita 
e particolare) della quale il pensiero, per la sua natura formale, 
non può fare a meno, nonostante ch’esso sia una potenza infinita 
di conoscere. Per il secondo l’esperienza non è mai assoluta, perchè 
è un’incidenza eccentrica del pensiero con la realtà, cioè nata in 
una coscienza individuale che non è certa direttamente che di se 
stessa, ed ha due forme non ridotte di percezione, l’interna e 
l’esterna. Ma l’esperienza è vera e reale: essa non è l’opposto del 
pensiero o una realtà indipendente dal pensiero. Questo punto è cen¬ 
trale nella speculazione filosofica del Masci, e dal suo retto intendi¬ 
mento dipende la coerenza del suo pensiero, spesse volte non còlto 
dai suoi critici, i quali si sono fermati ad affermazioni staccate, conte¬ 
nute o nei lavori primitivi del Masci o nelle memorie accademiche 
ed hanno tratto conseguenze non conformi alla sostanza del suo pen- 




MARIANO MARESCA 


90 

siero. La quale recentemente è stata consacrata in un’opera organica 
ed ampia dal titolo « Pensiero e Conoscenza » (Bocca Editore, 1922), 
che non ha suscitato quell'interesse e qull’ardore di dissensi e di 
consensi che in altri tempi simili opere destavano immediatamente, 
almeno nella cerchia limitata degli studiosi di professione. Eppure 
quest’opera fa onore non solo al pensiero italiano, ma alla specula¬ 
zione filosofica mondiale. Dunque secondo il Masci esperienza e 
conoscenza sono una cosa sola: e le forme del pensiero sono forme 
che Io spirito dispiega nella sua originalità creatrice secondo i suoi 
bisogni conoscitivi, e sono forme del pensiero e della realtà insieme, 
perchè costituiscono la verità ultima dell’esperienza che esse inte¬ 
grano. Il pensiero non esiste se non in relazione con l’esperienza, come 
forma dell’esperienza. Quindi egli si oppone tanto alla tesi positivi¬ 
stica quanto a quella idealistica. Secondo la prima il pensiero sa¬ 
rebbe generato in toto dall’esperienza, ciò ch’è assurdo, « perchè non 
s’intenderebbe perchè ci è il pensiero, se fosse identico all’espe¬ 
rienza bruta». Secondo la tesi idealistica, l’esperienza sarebbe generata 
dal pensiero e la realtà sarebbe identica a) pensiero: ma se fosse vera 
questa tesi; « non s’intenderebbe perchè c’è l’esperienza che potremmo 
dire bruta, se la realtà fosse deducibile integralmente dal pensiero, se 
essa non fosse quella che il pensiero deve comprendere » (1) Dunque 
l’esperienza non è indipendente dal pensiero, se è il contenuto vitale 
del pensiero; ma non è deducibile dal pensiero, e perciò non può 
essere costruita con le sole categorie del pensiero puro. L’idealismo 
che, muovendo dal principio dell’identità dell’ideale col reale, assume 
di poter costruire il sistema della realtà col semplice movimento del 
pensiero, non fa che prendere l’astratto come spiegazione del concreto. 
Così Platone nell’antichità ed Hegel nei tempi moderni non solo par¬ 
tono da generalizzazioni astratte (l’idea reale e l’essere indeterminato), 
ma mentre asseriscono di procedere con lo sviluppo dialettico del 
pensiero, in realtà ciò che li fa procedere nelle loro costruzioni 
logico-metafisiche è il continuo attingere che essi fanno dall’espe¬ 
rienza. Inoltre: se l’ideale è uguale al reale, perchè l’idealismo è 
travagliato dal dissidio tra la realtà e l’idea? Non dicono infatti 
Hegel e gli hegeliani che l’idea è più vera della realtà empirica? 
Ammessa la necessità e la verità dell’esperienza, la filosofia non è 
altro che la razionalizzazione dell’esperienza, l’elaborazione razio¬ 
nale massima dell’esperienza. E siccome l’esperienza è studiata 
dalle scienze, la conoscenza scientifica, ch’è la forma scientifica 


(i) Pensiero e Conoscenza, p. 95. 



IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


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dell'esperienza, è il punto di partenza del lavoro filosofico. Ma 
la filosofia non può svolgersi, restando sullo stesso piano delle 
scienze. Queste suppongono il pensiero, e non se ne occupano; 
ma la filosofia, ch’è la prova massima della potenza del pensiero 
come conoscenza, deve essere anche scienza del pensiero, perchè 
conoscere è vedere il reale nella forma del pensiero. Ma sic¬ 
come il pensiero non è che funzione-forma, scheletro della realtà 
non contenuto vivente di questa, la filosofia non può essere la 
scienza del pensiero puro, ma dev’essere la scienza della realtà nella 
sua universalità, nel pensiero e in rapporto al pensiero. « Se un 
pensiero puro che fosse al tempo stesso reale ci fosse, per esso 
non esisterebbero problemi. Un problema è sempre un’istanza 
contraddittoria, che si elimina eliminando la contraddizione. I mas¬ 
simi problemi, i filosofici, sono quelli che riguardano la conce¬ 
pibilità della realtà nella sua maggiore universalità: il problema 
di natura e spirito, di finito e infinito, di relativo e assoluto, di 
causalità e libertà, dell’essere e del conoscere, dei valori, della 
finalità » (1). Egli non ritiene che il problema metafisico sia inso¬ 
lubile e che il pensiero debba essere necessariamente neutrale, 
come opinava il Tocco, tra due sistemi fondamentalmente opposti, 
p. e. tra Spinoza e Leibniz. « Le costruzioni metafisiche, anche quelle 
fondate sul metodo erroneo della deduzione da concetti, hanno la 
loro verità, malgrado, s’intende, il metodo. Sono punti di vista 
legittimi, e tanto più legittimi quanto più comprensivi e quanto più 
coerenti in se stessi, perchè a queste due condizioni soltanto pos¬ 
sono adempiere il loro compito, che è di razionalizzare l’espe¬ 
rienza » (2). Ma poiché l’esperienza è limitata per il pensiero, la sin¬ 
tesi filosofica è sempre, necessariamente, in fieri, soggetta a trasfor¬ 
mazioni, revisioni, a integrazioni. Ma ogni grande sistema di filosofia 
ha la sua legittimità, non solo storica e transitoria, ma permamente. 
La filosofia, come sistema ideale di tutta la realtà metafisica, è la 
totale esperienza scientifica trasmutata di relativa in assoluta mediante 
l’astrazione e la superazione astratta dei limiti della sensibità (3). 
Anche la religione è un’integrazione dell’esperienza finita e rela¬ 
tiva in un’altra forma di esperienza, che contiene la ragione d’essere 


(1) Op. cit., p. 96. 

(2) L'opera di Felice Tocco in « La cultura filosofica «, anno V, n. 5-6, 
p. 430. 

(3) La filosofia della religione e le sue forme più recinti. Atti della R. Acca¬ 
demia dei Lincei, 1910, XIX, p. 452. 





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MARIANO MARESCA 


dell’esperienza presente. Ma mentre l’integrazione della filosofia è 
affidata al pensiero nei limiti dell’esperienza ch’essa dovrebbe ren¬ 
dere intelligibile, l’integrazione che presenta la religione è affidata 
all’intuizione, la quale non formula ipotesi di pensiero, ma ipotesi 
di fatto, e non tende a comprendere l’esperienza qual’è, ma quale 
dovrebbe essere, affinchè le esigenze dell’esistenza spirituale tro¬ 
vino la loro giustificazione. Quindi mentre la filosofia è chiusa 
nel binomio «esperienza-idea» e va dalla prima alla seconda e vi¬ 
ceversa, « la religione è la fede (e non potrebbe essere altro) in 
un’esperienza ulteriore, meno superficiale e marginale, che riveli 
direttamente l’essenza spirituale della realtà, e ricongiunga lo spi¬ 
rito finito a Dio » (1). Perciò egli credette che non ci fosse un con¬ 
trasto sostanziale tra religione e filosofia, in quanto che per en¬ 
trambe l’esistenza spirituale è l’essenza ed il significato ultimo della 
realtà. La quale, è vero, per il Masci è psicofisica dal principio 
alla fine, ma bisogna intendere bene il suo pensiero, che ha rice¬ 
vuta un’ampia esposizione nel capitolo sulla Finalità in « Pensiero e 
Conoscenza ». La realtà per il Masci è potenziazione progressiva dello 
spirito ed è retta dalla legge dell’individuazione progressiva, che 
culmina nell’autocoscienza. Però con le sole equazioni causali non 
è intelligibile il processo evolutivo del reale, ma è intelligibile con 
le equazioni causali-finali. Ma il processo creativo traversa e tra¬ 
passa tutte le equazioni nella sua continuità irresolubile. « Le equa¬ 
zioni causali sono putì di vista necessari dell’inteligenza, ma è er¬ 
roneo far muovere questi punti di vista immobili, e pretendere che 
il passaggio dall’una all’altra è esplicativo, se la seconda è contenuta 
nella prima. Ogni coppia di equazioni, e tutta la serie delle mede¬ 
sime, è congiunta da un’evoluzione continua, come la serie dei punti, 
dei momenti, dei movimenti sono congiunti dal continuo dello spazio, 
del tempo, del movimento. E il continuo che congiunge le equazioni 
è la potenzialità progressiva dello spirito» (2). Se tal’è l’evoluzione 
della realtà, si capisce come l’esistenza spirituale deve apparire 
sempre più differenziata a misura che dalla natura si procede verso 
le forme superiori, e sempre meno differenziata a misura che si 
procede nel senso inverso. Alle diverse obiezioni che si possono 
muovere alla concezione psicofisica della realtà, il Masci ha risposto 
con una pagina ch’è una delle più eloquenti di tutto il volume, e 
che stimo opportuno riprodurre integralmente, perchè acquisti un 


(1) Op. cit., p. 453. 

(2) Pensiero e conoscenza, p. 436. 



IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


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rilievo ben netto la figura di questo straordinario pensatore che ha 
vissuto nel silenzio e nel silenzio si è dipartito da quasta vita, 
com’Egli stesso ebbe a dire di Francesco Fiorentino e di Bertrando 
Spaventa (1). 

« Si è detto che l’idea di una realtà psicofisica, dal principio 
alla fine, è una parola sonora, non una spiegazione. Rispondiamo 
che è una realtà dell’esperienza nella natura vivente e nel mondo 
umano, e che l’ipotesi comincia solo di là dalla prima. E di là da 
questa non è nè un’ipotesi panpsichista che annidi un’anima in 
ogni atomo, nè un’ipotesi monadologico-spiritualistica, che sosti¬ 
tuisce essenze spirituali, che è impossibile di concepire come reali, 
e fa del mondo della natura un fenomeno dello spirito. Ambedue 
queste ipotesi sono in aperta contraddizione con l’esperienza, mentre 
l’ipotesi materialistica, che pare la più vicina ad essa, si infrange 
contro il principio dell’equazione causale, e non riesce a spiegare 
lo spirito. La mente umana è cosifatta che non si può disfare dei 
due attributi spinoziani e non può saper nulla degl’infiniti attributi 
che, oltre questi, lo Spinoza ammise. Per essa la realtà è psico¬ 
fisica e nient’altro, e le due forme di realtà si distinguono come il 
soggettivo e l’oggettivo, come l’interno e l’esterno, e non ci è ra¬ 
gione alcuna di ammettere che solo il secondo sia continuo e il 
primo no. La psiche può essere depotenziata e potenziata in infinito 
come la materia; ma le due non potrebbero essere separate come 
non possono essere separati l’elettrone e la monade, che si incon¬ 
trano nel concetto unico di centri di energia. Del resto, anche la 
materia è discontinua ai due estremi, discontinua nella costitu¬ 
zione e nella sua evoluzione, ed è lo spirito che supplisce la con¬ 
tinuità. Se la materia non è reale, perchè ci appare come reale ? 
se è un fenomeno dello spirito, perchè appare come una realtà op¬ 
posta e diversa? Gli idealisti che ricantano oggi il principio del¬ 
l’identità di pensiero ed essere, come fondamento della conoscenza, 
non potrebbero dare nessuna risposta a tali domande. I banditori 
della coscienza umana come autocoscienza del mondo, àe\V esperienza 
assoluta nell’autocoscienza, dovrebbero dirci perchè questa esperienza 
fallisca sì miseramente. Non così Hegel, e con lui lo Spaventa, 
intesero la ragione assoluta; il primo ammise una filosofia della 
natura (non importa che l’abbia fatta male) e considerò la natura 
come un momento essenziale della realtà, come un momento con¬ 


ti) La famiglia. Prelezione al corso di Filosofia morale letta nella R. Uni¬ 
versità di Napoli il 17 gennaio 1885. Lanciano, Carabba. 








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MARIANO MARESCA 


dizionanle l’altro momento essenziale e finito, lo spirito. E il secondo 
nella prefazione 2 .W Etica, affermò esplicitamente che fuori d t\Vinfi¬ 
nita natura non c’è nulla o solo l’ospedale dei pazzi e dei cronici 
incurabili, ed affermò che lo spirito si eleva dalla natura e sulla 
natura come viva statua su inconsapevole piedistallo » (1). 

Giovanni Vidari (n. 1871) professore di filosofia morale fin dal 
1902 all’Università di Palermo e poi a Pavia, cioè nella stessa Uni¬ 
versità dove fece i suoi studi ed ebbe a maestro il Cantoni, insegna 
da un oltre un decennio Pedagogia all’Università di Torino, dove 
quella Facoltà lo designò come successore dell’Allievo. Egli è dopo il 
Masci, lo spirito più italianamente kantiano, e insieme il filosofo 
che dalla Critica kantiana ha tratto l’ispirazione ad opere sistema¬ 
tiche nel campo delle scienze dello spirito, nelle quali ha fuso in 
mirabile armonia i principii formali e regolativi del criticismo col 
più ricco e vario contenuto sociologico e psicologico attinto con 
agile ricerca e con fine intuito critico, senza appesantirsi nei fatti 
minuti, alle fonti vive della storia. La sua attività filosofica si può 
dividere in tre momenti : il primo di carattere critico gnoseologico 
fornisce la misura della sua preparazione nei problemi generali della 
filosofia con due lavori: Rosmini e Spencer (1899) e Problemi ge¬ 
nerali di Etica (1900), che lo inalzano all’insegnamento universitario. 
Il secondo è il periodo della sua attività nel campo dell’etica, dove 
si afferma principalmente con gli Elementi di Etica (Hoepli, 1902) 
giunti alla 5 a edizione, e con L’individualismo nelle dottrine morali 
(1906). Ma dal dominio dell’etica egli volgeva lo sguardo scruta¬ 
tore alle attività spirituali affini e coglieva, di quando in quando, 
un aspetto speciale dell’attività etica in cui questa veniva a inter¬ 
ferire con altre attività sociali, l’economica, la politica e l’educativa. 
Il senso della concretezza dell’attività etica lo spingeva verso quella 
forma dello spirito, dove la moralità organizza e dirige tutte le sfere 
dell’azione umana: l’educazione. Comincia cosi il terzo periodo, l’at¬ 
tività pedagogica, che si apre con due saggi: Etica e Pedagogia e 
Ideale etico e ideale pedagogico e culmina nei tre volumi di Peda¬ 
gogia (Hoepli Editore, 1916-20) nei quali presenta una costruzione 
originale, lucida, compatta, armonicamente tracciata e genialmente 
sviluppata, dall’attività educativa. Questa è l’opera più solida e di 
più ampio respiro, che, insieme all’Etica, assicura all’Autore che è 
ancora ricco di energia, un posto eminente tra i pensatori contem¬ 
poranei. 


(1) Pensiero e Conoscenza, pp. 439 40. 




IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


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Il Vidari si è avvicinato a Kant attraverso il suo maestro Cantoni, 
ma non si è contentato di fermarsi alle tre critiche, e di superarne 
i contrasti, le oscurità e le asperità d’interpretazione intellettualistica¬ 
mente, escogitando questa o quella giustificazione dell’a priori o del 
noumeno, e ripetendo il noto motivo, comune a tutti i criticisti, che 
la conoscenza è limitata all’esperienza. Egli non è esegeta nel 
senso filologico e critico del pensiero kantiano, ma è un ricostrut¬ 
tore. E per ricostruire nelle sue linee viventi e complesse l’edificio 
della speculazione kantiana, egli non ne guarda soltanto la facciata 
grandiosa quale può configurarsi dalle opere principali, ma cerca 
di integrarne la prospettiva con le opere minori o poco note, al¬ 
cune delle quali egli stesso traduce e fa conoscere agl’italiani, per 
avere una visione non unilaterale, ma piena ed organica del pen¬ 
siero di Kant, che fu certo un titano della filosofia. Egli viene a 
mettersi cosi in una situazione tutta propria di fronte all’opera kan¬ 
tiana, che considera come un’opera d’arte, originale e compiuta; e 
perciò, più che dedicarsi ad uno sterile lavoro di critica, di corre¬ 
zione, d’interpretazione e di superamento di questo o quel punto, 
accoglie nel suo spirito l’orientamento della critica kantiana secondo 
il quale si muove l’asse centrale del suo pensiero. Il Vidari è uno 
spirito italianamente costruttivo; onde egli attinge dalla critica kan¬ 
tiana quelle ispirazioni che meglio esprimono le qualità dello spirito 
italiano, ch’è artistico e concreto nello stesso tempo. L’arte è es¬ 
senzialmente costruzione, unità, armonia, visione organica e completa. 
Così il Vidari intendendo Kant artisticamente, doveva intendere la 
filosofia come costruzione, e non come critica; e costruì infatti due 
edifici speculativi, quello etico e quello pedagogico, entrambi dalle 
linee agili, flessuose, originali, tali che sviluppano ordinatamente 
un disegno compiuto, nel quale da cima a fondo circola e palpita 
un pensiero unificatore. Ma egli si accostò a Kant col senso della 
storicità e della concretezza, propria degl’italici, che ha permesso a 
Leonardo da Vinci di seguire la natura idealizzandola ed a Galilei, 
nel Rinascimento, di gettare le basi della scienza sperimentale. 
Perciò l’asse centrale del pensiero del Vidari si muove lungo i 
margini della critica kantiana, ma non per ripetere sterilmente ed 
intellettualisticamente che la filosofia non può andare al di là delle 
colonne d’Èrcole dell’esperienza; ma per dimostrare che l’esperienza 
è fonte di conoscenza. 

Così egli costruisce un’Etica col metodo induttivo, cioè un’etica che 
arriva a una determinazione del fine etico e alla costruzione di una 
dottrina scientifica per mezzo dell’osservazione e dell’analisi com- 







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MARIANO MARESCA 


parativa dei fatti e degli avvenimenti, ai quali essa si riferisce» (1). 
Non già che il fine etico abbia un’esistenza reale, empirica, come 
gli enti dell’esperienza: esso ha un’esistenza solo nel nostro pensiero. 
Però non è qualche cosa di astratto e d’impassibilmente freddo, ma 
è il termine della condotta di esseri che realmente esistono e sono 
intelligenti e liberi. Perciò « non può venire appreso per un pro¬ 
cesso di deduzione da concett 1 2 3 più generali e del tutto indipendenti 
dall’esperienza; deve invece ricercarsi induttivamente, cioè per os¬ 
servazione, nelle stesse tendenze più universali della vita umana e 
nei fenomeni con quelle connessi » (2). Senonchè così si ha il fine 
reale, non il fine assoluto ed imperativo. Il Vidari non si nasconde 
l’obiezione, anzi le va incotro, ed è convinto lui stesso che l’inda¬ 
gine scientifica, qualunque essa sia, si muove nel particolare e nel 
relativo, e parte da principi, accettati come veri, ma non dimostrati 
come tali. Il fine reale, storico e concreto cioè, non può trasformarsi 
in comando assoluto ed in valore supremo, se non viene inserito in 
« una interpretazione generale della vita e del mondo, se non si scopre 
cioè la natura di quel bisogno profondo, che essa vita pare svolga e 
di cui la finalità etica è parte essenziale ». La giustificazione del dovere 
spetta alla metafisica. Che è un modo di far avanzare Kant verso 
l’esperienza, che egli ammetteva come fonte di conoscenza, ma ne¬ 
gava che potesse farci conoscere qualche cosa che ha valore assoluto. 
Al suo maestro C. Cantoni (3) più tardi osservò il Vidari che se si 
imponeva la correzione del formalismo kantiano, si imponeva an¬ 
che l’altra conseguenza, la possibilità cioè d’una conoscenza non 
puramente scentifica e fenomenica, ma metafisica e sostanziale. Bi¬ 
sogna poter dire: nell’esperienza si può conoscere qualcosa che ha 
valore assoluto. Ma questo, notava il Vidari, importa l’abbandono 
del punto di vista del criticismo, al quale, peraltro nemmeno il 
Cantoni era rimasto fedele, con la sua veduta del sentimento disin¬ 
teressato come fondamento del dovere. Si potrebbe domandare se 
la conferma e la giustificazione che la metafisica fornisce al fine 
etico reale, scoperto induttivamente, non trasformi l’etica da scienza 
induttiva in deduttiva appunto perchè il suo fine viene ad essere 
dedotto dalla metafisica: nel qual caso l’etica induttiva sarebbe una 
propedeutica dell’etica deduttiva, la quale soltanto darebbe valore 
di verità alla prima. Ma alla domanda il Vidari ha risposto in ma- 


fi) Etica, Hoepli Ed. Introduzione. 

(2) Ibid., 

(3) La morale di C. Cantoni, Pavia, Bizzoni, 1906. 








IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


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niera concreta nello sviluppo ulteriore del suo pensiero. Nella si¬ 
stemazione razionale della pedagogia quale scienza filosofica, egli ha 
tenute distinte le due considerazioni: quella storico psicologica e quel¬ 
la logico deduttiva. Le condizioni esteriori e storiche dell’educazione 
insieme alle leggi psicologiche dello sviluppo dell’educando costi¬ 
tuiscono «I dati della Pedagogia». Ma ad essi si aggiunge e si 
sovrappone la «Teoria dell’educazione» la quale, «mentre si ap¬ 
poggia sulla conoscenza dei fatti positivi, non si esaurisce in essi 
confondendo l’essere con il dover essere, e anzi si solleva alla de¬ 
terminazione di quei principi ideali, che l’esperienza spontanea porta 
con sè inconsapevolmente, e che l’esperienza riflessa, o pensiero 
filosofico, riesce a enucleare facendoli apparire in tutta la loro luce 
e sviluppandoli in tutta la loro fecondità » (1). E poco prima aveva 
detto: «Non ci chiudiamo nella considerazione del fatto, e non con¬ 
fondiamo con esso l’idea che lo giudica; ma neppure abbiamo a 
disdegno il fatto, che non può essere, appunto perchè fatto umano, 
cioè di natura spirituale, cieco di ogni luce ideale». La dottrina del¬ 
l’educazione è teoria deontologica non ontologica: è teoria di ideali, 
non di realtà. Ma tale teoria, per essere svolta, richiede la condanna 
dell’idealismo assoluto da una parte e del positivismo dall’altra. L’i¬ 
dealismo assoluto rende inconcepibile l’educazione perchè «inghiotte 
e fa svanire il ricco e molteplice contenuto dell’opera educativa in 
un atto mistico e perennemente identico di unificazione, non dico 
dell’educatore dell’educando, ma dello Spirito con se stesso» (2) Al 
contrario, come l’idealismo assoluto scambia l'educazione col pro¬ 
cesso dialettico dello Spirito assoluto, così il positivismo sperimen¬ 
tale scambia l’educazione col trattamento tecnico di mezzi e di con¬ 
gegni meccanici. Il fine pedagogico non è posto arbitrariamente dal¬ 
l’educatore, ma è intrinseco alla sua stessa natura di soggetto spi¬ 
rituale ed ha caratteri propri, desunti dall’analisi della cultura spi¬ 
rituale, in cui si realizza l’ideale pedagogico. La cultura dello spi¬ 
rito dev’essere libera, integrale, fattiva. Orbene questi caratteri non 
si inducono dall’esperienza educativa, ma sono categorie pedago¬ 
giche che valgono a distinguere gli atti educativi da quelli antie¬ 
ducativi nei quali sono violati quei caratteri in prodotti anormali, 
che si chiamano dogmatismo, meccanicismo, verbalismo, dilettanti¬ 
smo, pedanteria. Così la teoria del Metodo non può essere una teo. 
ria unicamente sperimentale, cioè determinata dalla natura empirica 


(1) Q. Vidari, li La teoria dell’educazione, 2* ediz. 1924, p. 3. 

(2) lbid., p. 5. 


7 





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MARIANO MARESCA 


del soggetto educando, ma scaturisce anche dal modo come l’ideale 
vive nel soggetto. Egli crede necessario alla teoria dell’educazione 
il postulato della concezione pluralistica dello spirito, per salvare 
il dislivello e quindi l’attrazione di un’anima sull’altra attraverso 
una successione temporale di atti educativi. Ma in realtà, poiché 
egli ammette l’identità sostanziale di natura spirituale fra educando 
ed educatore, il suo vero pensiero è che la dualità suddetta è una 
necessità psicologica, che costituisce il punto di partenza dell’educa¬ 
zione, non una dualità metafisica, che dovrebbe accompagnare l’e¬ 
ducazione in tutto il suo processo, mentre questo è orientato, in 
definitiva, verso l’autoeducazione. 

Educatore instancabile ed appassionato, il Vidari non si è chiuso 
nella rocca delle sue idee speculative e sistematiche, ma dal vertice 
del pensiero si compiace scendere nel campo della vita e dell’a¬ 
zione per comprenderle e dirigerle. Patriotta di razza, fervido ecci¬ 
tatore di sentimenti nazionali, ha fatto sentire la sua voce agli Ita¬ 
liani durante e dopo la guerra, spronandoli verso le aspre conqui¬ 
ste della giusta pace, che sarebbero efimere, se non fossero sorrette 
da una elevata e precisa coscienza etica, storica e nazionale dei 
nostri doveri nel mondo. Il volume « L’educazione nazionale » con¬ 
tiene la sostanza del suo credo politico e sociale e fa intravedere 
un’anima nobilmente inquieta e sdegnosa del presente, e lascia spe¬ 
rare nuovi frutti dalla sua cocente passione per l’Italia e dal suo 
vivo amore per una più alta giustizia nel mondo. 

Guido Della Valle (n. 1884) discepolo di Filippo Masci a Napoli, 
fu da quel grande Neo-Kantiano educato alla severità degli studi 
scientifici come base di ogni possibile costruzione speculativa. L’e¬ 
sempio del Maestro incideva sopra un ingegno svegliato, ansioso di 
indagare dappertutto l’enigma della realtà e di salire sulle alte vette 
della speculazione da cui si domina sistematicamente il panorama co¬ 
smico. La caratteristica peculiare di questo giovane pensatore meridio¬ 
nale è infatti la visione sistematica, globale ed organica dei problemi 
speculativi ch’egli ha portato in tutti i suoi lavori, che non sono 
di piccola mole nè attinenti ad indagini parziali e secondarie della 
scienza dello spirito umano. Precoce è la sua attività speculativa: 
appena ventenne si fa conoscere ed apprezzare per il suo lavoro 
'La psicogenesi della coscienza » (Hoepli editore, 1905), che è una 
sintesi lucida dei risultati che si possono trarre dalle ricerche psi¬ 
cologiche e gnoseologiche sull’origine, sullo sviluppo e sul valore 
delle manifestazioni fondamentali della coscienza. Il titolo è anche 


IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


99 


più modesto rispetto al contenuto dottrinale del lavoro, che assurge 
in più d’un capitolo ad una trattazione non solo gnoseologica, ma 
anche metafisica del reale. 

In questo lavoro il Della Valle già delinea il suo atteggiamento 
speculativo di fronte ai massimi problemi della realtà. Nel capitolo 
« La duplice manifestazione del reale dal punto di vista statico » 
manifesta una bella indipendenza di pensiero, anche di fronte al 
suo Maestro, criticando l’interpretazione empirica del monismo 
psicofisico, alla quale il Masci, dopo il Taine e l’Hbffding, aveva 
dato una coerente sistemazione. Il Della Valle non vede come si 
possa sostenere che la manifestazione della duplice serie di feno¬ 
meni sia reale nella coscienza, coincida cioè con l'essere, quando 
si afferma che la duplicità è fenomenica, cioè che la distinzione è 
prodotta da una osservazione unilaterale. 0 l’identità delle due 
serie è identità di esistenza e non di essenza, e non si vede da 
che cosa possa derivare ii loro identico variare. O è identità di 
essenza, e non si vede come sorga l’apparenza della dualità psico¬ 
fisica. Nè vale ricorrere alla duplicità dei mezzi di conoscenza: 
perchè o la nostra funzione conoscitiva è fenomenica, o è oggettiva. 
Se è fenomenica, non si può presentare la teoria dell’identità psi¬ 
cofisica, come una teoria empirica, cioè di esperienza, e tanto meno 
affermare come reali le due serie. Se è oggettiva, allora l’antitesi 
delle due serie è reale, la Materia e lo Spirito sono ambedue 
reali, e sparisce non solo la loro identità, ma appare incompren¬ 
sibile come due serie così diverse possano coesistere e variare 
correlativamente (1). Egli aderisce per conto suo all’interpretazione 
metafisica del monismo psicofisico, e considera « ambedue le serie 
dell’esperienza come «funzioni» (nel senso matematico) collaterali 
di una terza serie metempirica, come variabili indipendenti fra loro, 
ma dipendenti da una terza variabile a cui solo spetta la varia¬ 
bilità indipendente». Così egli rigetta il materialismo, lo spiritua¬ 
lismo ed il dualismo. Il mondo è costituito da una molteplicità di 
Esistenze, la cui attività si esplica nella duplice forma di movi¬ 
mento spaziale e di interiorità prepsichica, senza che però tra loro 
si determinino o si modifichino in alcun modo. Dunque: «Unità as¬ 
soluta del Reale nella duplicità delle manifestazioni fenomeniche, 
indipendenti e indeducibili l’una dall’altra. » E in tale teoria il pan¬ 
psichismo «si presenta come la sola conclusione verso cui con¬ 
vergono necessariamente le Scienze della Natura e dello spirito » (2). 


(1) G. Della Valle, La psicogenesi della coscienza, pp. 27, 28. 

(2) Ibid., pp. 29, 33. 





100 


MARIANO MARESCA 


In questo lavoro giovanile il Della Valle fa delle anticipazioni e 
delle promesse. Egli rivela il suo ingegno più che il sistema meta¬ 
fisico, appena sbozzato, e non sufficientemente presidiato da validi 
argomenti, specialmente per quanto concerne l’inconoscibilità del 
substrato unico, il cui divenire reale è la variazione indipendente 
in funzione della quale variano le due serie fenomiche. Nè suc¬ 
cessivamente egli ha sentito il bisogno di riprendere questa tesi 
metafisica giovanile per darle solidità e coerenza maggiori. Egli 
invece ha orientato la posteriore attività verso la psicologia spe¬ 
rimentale, che allora cominciava ad essere in voga anche in Italia. 
In breve tempo s’impossessò degli strumenti ausiliari dell’indagine 
psicologica, il calcolo e la conoscenza delle discipline biologiche e 
naturali, e frequentò i più insigni laboratori)' di psicologia speri¬ 
mentale in Germania. Da questa larga e intensa preparazione uscì 
il grosso volume « Le leggi del lavoro mentale » (Paravia, 1910), 
che gli valse la cattedra di Pedagogia all’Università d<' Messina 
all’età di 27 anni. 

In questo lavoro egli presenta un disegno vasto e nuovo per 
dare una sistemazione scientifica al sapere che ha per oggetto la 
Pedagogia. Disegno ch’egli ha integrato in parte alcuni anno dopo 
con un altro lavoro sulla « Teoria generale e formale del Valore come 
fondamento di una pedagogia fdosofica ». In fondo al suo pensiero 
c’è la nobile aspirazione a dare unità sistematica al sapere peda¬ 
gogico, a coordinare in unico piano di elaborazione teoretica ie 
diverse indagini che hanno per oggetto il sapere pedagogico. Egli 
è convinto che l’educazione importa essenzialmente un processo 
spirituale rivolto verso un Fine-Valore. Perciò un sistema compiuto 
di conoscenze intorno all’educazione importa due ricerche distinte: 
una di carattere psicologico, rivolta all’esame dei poteri spirituali 
che presiedono al conseguimento dei Fini-Valori, ed un’altra diretta 
alla determinazione dei Fini-Valori della vita. 

Il primo ordine di ricerche costituisce la « Psicotecnica, » ossia 
la determinazione dei processi mediativi atti a raggiungere i fini 
educativi. Ogni processo importa una tensione psichica, un lavoro 
interno, un consumo di energia che sono oggetto d’indagine con- 
statativa oggettiva, causale ossia scientifica. Per questa parte la 
Pedagogia è una vera scienza, che sorge sul terreno della Psico¬ 
logia, ma con direzione e finalità diverse, e perciò con propria 
specifica autonomia. A soddisfare questa prima sezione del sapere 
pedagogico, esaurientesi nel concetto di Lavoro, è dedicato il volume 
su «Le leggi del lavoro mentale ». Ma la Pedagogia, affinchè possa 






IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


101 


davvero costituirsi come teoria generale dell’efficienza umana, richie¬ 
de la determinazione dei Fini-Valori, altrimenti sarebbe nient’altro 
che una Psicologia applicata. I Fini-Valori però non sono oggetto 
di determinazione scientifica, ma soltanto di speculazione filosofica, 
cioè d’indagine oggettiva, valutativa, formale. Perciò la seconda 
Sezione del sapere pedagogico, quella che elabora il concetto di 
Valore, costituisce la Pedagogia filosofica. 11 disegno nel suo motivo 
fondamentale risale ad Herbart, che primo concepì la possibilità di 
una Pedagogia come mediazione tra Psicologia ed Etica. Ma il 
disegno herbartiano nella mente del Della Valle si allarga in un 
piano effettivo di lavoro, in una costruzione ampia e solida, che non 
ha nulla in comune con Herbart, tranne l’imprecisione fondamentale 
dell’assunto, che fa oscillare la costituzione del sapere pedagogico 
in teoria autonoma tra la Psicologia (scienza induttiva) e la Filosofia 
dei Valori (che non può sorgere sulla conoscenza scientifica, ma 
postula una conoscenza extra logica). 

Un’elaborazione organica del sapere pedagogico non può costi¬ 
tuirsi con gruppi di conoscenze eterogenee, quali sono le conoscenze 
che si rannodano intorno alla Psicotecnica ed alla Teleologia. Esse 
sono le premesse indispensabili del sapere pedagogico, ma non ne 
esprimono ancora la natura specifica. La psicotecnica, perchè possa 
costituire un momento della costituzione organica del sapere peda¬ 
gogico, e non una propedeutica astratta, deve esprimere i processi 
mediativi per il raggiungimento dei diversi Valori etici, sociali, 
culturali, cioè suppone la determinazione dei Valori educativi. E 
questa determinazione a sua volta sarebbe astratta ed infeconda, se 
non se ne vedesse la sua concreta ed effettiva consistenza, il modo 
cioè come i Valori vivono nello spirito dell’educando. Quindi il 
sapere pedagogico veramente concreto consiste nella sintesi del 
Valore col Lavoro, ossia nella vitalità che il Valore acquista at¬ 
traverso i complessi processi della loro acquisizione da parte del¬ 
l’educando. A questa conseguenza ci conduce lo stesso Della Valle 
quando scrive: « li valore è il dato spontaneo e immediato della 
obbiettività individuale o collettiva, dell’Io o della Società, del 
Partito o della Patria, della Nazione o della Umanità, della Reli¬ 
gione o dell’Arte; ma vano e infecondo sarebbe ogni valore che si 
esaurisse nella solitudine interiore deU’intuizione soggettiva: per 
assicurare concretezza oggettiva all’intuizione valutativa, occorre 
ricorrere ad un adeguato complesso di processi mediati e mediativi 
necessari per conseguire quell’intento, cioè ad un lavoro »(1). 


(I) Q. Della Valle, Valore e fine, in Logos, 1923, fase. I, p. II. 




102 


MARIANO MARESCA 


Siccome il disegno concepito dal Della Valle richiede Io svi¬ 
luppo della seconda parte dell’Axiologia, ossia l’Axiologia applicata, 
ch’egli ha già promesso, e che costituirà il terzo volume della sua 
Pedagogia, come teoria della efficienza umana, è fuor di dubbio 
che quest’ultima parte eliminerà ogni incertezza nell’interpretazione 
del suo pensiero, e contribuirà a realizzare una speranza, ch’è viva 
negli studiosi dei problemi educativi, di dare finalmente alla peda¬ 
gogia una salda impronta teoretica, che concilii in una concezione 
unitaria della vita spirituale, le esigenze della scienza empirica e 
quelle della speculazione filosofica. 

Dalla scuola del Masci è pure uscito Mariano Moresca (n. 
1884)(1), insegnante di Pedagogia nella R. Università di Pavia, 
che nel suo libro «Antinomie dell’educazione (Bologna, 1916)» ha 
sottoposto ad analisi il tragico contrasto delle libertà e della neces¬ 
sità, dell’infinito e del finito, dell’assoluto e del relativo che sono i 
due poli entro cui con instabile ritmo oscilla lo spirito nel processo 
educativo. L’approfondimento di queslo problema lo ha condotto 
all’esame dei suoi presupposti gnoseologici, perchè esso in fondo 
ha la sua radice nell'antinomia dell’idealismo e del realismo; donde 
i suoi saggi: «La sensazione» (Torino, 1922) « La percezione sen¬ 
soriale» Milano (1922) «Realismo e idealismo nel problema gno¬ 
seologico della realtà esterna e loro valore perla pedagogia» 
(Tunisi, 1922). 

Egli osserva che l’assoluta passività della sensazione è un con¬ 
cetto contradittorio. La sensazione è un centro iniziale di at¬ 
tività psichica esplicantesi ulteriormente in forme sempre più 
alte e perfette di vita psichica. L’atto sintetico della sensazione non 
si arresta, ma nel suo dinamismo rende possibile una nuova sintesi 
psichica che costituisce la rappresentazione in cui esso non è an¬ 
nullato o distrutto, ma rimane come linfa avvivatrice da cui è ali¬ 
mentata la nuova forma di vita psichica. In questo senso si deve 
prendere la memoria sensitiva, una delle condizioni della possibi¬ 
lità della percezione sensoriale. 

L’unità e la continuità della coscienza è un’altra condizione peréhè 
si realizzi il fatto della percezione. Unità di coscienza vuol dire 
continuità di attività psichica. Perchè sorga la percezione occorre 
che tra i due stati antecedenti, la rappresentazione e la percezione, 


(1) Questo cenno dell’opera del Maresca è stato aggiunto dal segretario 
di redazione prof. Antonio Aliotta. 



IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


103 


circoli la stessa onda di attività psichica. La coscienza è un flusso 
continuo e progressivo che realizza sempre forme superiori di vita 
psichica. Siccome l’unità funzionale della coscienza, che costituisce 
un centro di esperienza, in questa sua ascensione progressiva 
acquista sempre nuovi valori, s’impone alla ricerca speculativa il 
problema: esiste una o più sintesi psichiche ? Al monismo idealista, 
nelle sue varie foime, affermante che esiste un solo soggetto d'espe¬ 
rienza si può obiettare che perchè sia vera la sua asserzione si 
dovrebbe in natura poter sempre ridurre l’eterogeneo all’omogeneo 
si dovrebbe sempre scoprire l’uno al di sotto del diverso, il per¬ 
manente al di sotto del mutevole. E come mai l’omogeneo si diver¬ 
sificherebbe, come dall’uniformità gelida della nebulosa primitiva è 
scaturita, per processo di tempo questa bella d’erbe famiglia e d’ani¬ 
mali » se non l’avesse tutta contenuta in potenza nel suo grembo 
meraviglioso? 11 pluralismo monadologico, nelle sue varie grada¬ 
zioni, fa assumere al pensiero moderno una posizione, quando 
stacca l’essere dal pensiero, di cui aveva già fatto giustizia Emanuele 
Kant con la sintesi a-priori. Nè le integrazione a cui ricorre di fre¬ 
quente lo fanno uscire dal ginepraio in cui s’è cacciato. La verità 
è che il monismo e il pluralismo sono due esigenze che il pensiero 
non può rigettare, perchè pensare è assimilare il diverso e dif¬ 
ferenziare l’identico. 

Non può esserci perciò una sola sintesi psichica, nè molte 
sintesi psichiche irriducibili fra di loro, ma c’è la sintesi psichica 
dell’esperienza, ch’è sintesi mobile e progressiva e per ciò sintesi 
vivente, rampollante da molteplici sintesi elementari, le quali si 
raccolgono e si unificano in una sintesi sempre più profonda e più 
vasta qual’è la sintesi reale, concreta dell’esperienza: la totalità 
della realtà ». Da tutto ciò scaturisce che l’attività empirica è l’unico 
a priori che ci riporta al postulato della continuità dell esperienza 
il quale a sua volta giustifica il concetto dell’organicità del reale. 
« L’organicità del reale importa una molteplicità di funzioni, non 
isolate ma tutte variamente concorrenti ad una totalità di atti che 
costituisce l’unità concreta della realtà». 

I germi di questa teoria si trovano, benché appena abbozzati ed 
indecisi anche nella speculazione di Filippo Masci, ma questi benché 
concepisse la realtà come psicofisica nella sua essenza e nel suo 
principio evolutivo e finale, tuttavia non riuscì a superare intera¬ 
mente il concetto della preesistenza del reale al pensiero conoscitivo. 

Alla luce di questa teoria il Maresca passa in rassegna, dal 
punto di vista gnoseologico, i varii sistemi realistici ed idealistici 


104 


MARIANO MARESCA 


che si sono avvicendati nella storia del pensiero filosofico venendo 
a queste due conseguenze: 1° è impossibile dedurre l’oggetto dal 
soggetto,- 2° l’essere non può scindersi in due metà, di cui l’una 
appartenga al pensiero e l’altra alle cose. Il positivismo sbaglia 
quando pretende ricavare la forma dalla materia. Ma non va meno 
soggetto ad errori l’idealismo quando concepisce il dato come pro¬ 
dotto de\V a-priori. Questi due atteggiamenti assunti dal pensiero 
moderno di fronte all’opera kantiana sono il prodotto di una cattiva 
interpretazione del suo pensiero genuino. Tra questi due però c’è 
un terzo atteggiamento « che non isola Va-priori, nè la materia (che 
non esiste separatamente: questo dovrebb’essere inteso una buona 
volta da tutti quelli che portano di kantismo o di neokantismo) ma 
li considera come l’unità concreta e vivente della realtà... La pura 
forma come il puro meccanismo, sono astrazioni della mente: in 
realtà non esiste che il dato formato, ossia la forma oggettivata... 
Forma e materia sono i due momenti essenziali delia realtà, sono 
il ritmo che costituisce l’unità concreta dell’essere; e non è lecito 
concentrare l’essere in uno degli estremi della relazione perchè gli 
estremi sono il prodotto dell’astrazione che isola e fissa quello 
che in realtà non è separabile dall’altra... Dunque dalla sensazione 
al concetto, dalla psichicità dell’infusorio alla coscienza umana, c’è 
una gerarchia di forme che si dispiega su da un’analoga gerarchia 
di obbietti e di contenuti di realtà, i quali rivelano ciò che c’è di 
nuovo e di diverso nell’esperienza. Se la forma è dinamica, la stes¬ 
sa dinamicità spetta al contenuto di cui la forma è l’unità sintetica ». 

Nel campo della filosofia del diritto il neo-criticismo con ten¬ 
denze idealistiche ha avuto il suo più geniale assertore in Igino 
Peirone, (« Le fase recentissime della filosofia del diritto in Italia ») 
(Pisa, 1895) che rivendicò contro il sociologismo dei positivisti 
l’ordine eterno e ideale del diritto di natura e l’a priori della co¬ 
scienza legislatrice. Anima irrequieta di romantico affermò la libertà 
dello spirito contro il determinismo delle leggi naturali nel suo 
libro. «I limiti del determinismo scientifico «(Modena, 1900)» in 
cui sente l’influsso del contingentismo francese; e vide nel mo¬ 
nismo idealistico l’espressione più verace della realtà. 

Nelle sue ardite costruzioni, animate spesso da un profondo 
spirito mistico (« Problemi del mondo morale meditato da un idea¬ 
lista », Palermo, 1905 «Il diritto nel mondo dello spirito » Milano, 
1910) egli si allontana però dal criticismo movendosi sulla linea 
dell’idealismo post-kantiano. Più temperato e più fedele alla filo- 












IL NEO-CRITICISMO IN ITALIA 


105 


sofia critica è Giorgio Del Vecchio (« Il concetto della natura e il 
principio del diritto», Torino, 1908) nel porre al di sopra del mon¬ 
do della necessità naturale dominate dal principio di causa, il 
mondo etico della finalità e dei valori, di quel dover essere che 
costituisce il principio formale ed eterno del diritto. 

Mariano Maresca. 









IL NEO-HEGELISMO ITALIANO 


Il neo hegelismo italiano ha i suoi Maestri in Benedetto Croce 
e in Giovanni Gentile, per quanto diversi di formazione e d’indole 
mentale siano — come vedremo — questi due pensatori. La specu¬ 
lazione del Croce e del Gentile sorse mentre il positivismo dell’Ar- 
digò serbava ancora vigore, come scrive uno storico acuto, il Carlini, 
« per ciò ch’esso aveva in comune con altre correnti straniere, non 
per quel che di veramente speculativo conteneva ». E le correnti 
avverse, o ne accoglievano largamente alcune dottrine, per es. i 
neo-kantiani, il Barzellotti e il Bonatelli stesso; ovvero si trincera¬ 
vano come l’Acri e i neo-hegeliani del tempo in sterili negazioni. 
Scienza e opinioni del Varisco è, indirettamente, una testimonianza 
di tale stato della nostra cultura (1). 

La filosofia del Croce, frutto di una rielaborazione parziale 
del kantismo e dell’hegelismo, è partita dalla trattazione di parti¬ 
colari problemi spirituali, l’arte, la storia, il diritto, per sboccare 
in una forma di idealismo storico, ove la filosofia pare si converta 
nella storiografia. 

La speculazione del Gentile, invece, rampollata dal profondo 
del problema kantiano-hegeliano, mira subito a una radicale riforma 
dialettica dell’hegelismo, riforma che deve giustificare criticamente 
e storicamente le conquiste di Kant e di Hegel, portandole alle loro 
ultime logiche conseguenze. Nasce cosi Videalismo attuale, che vuol 
rendere conto anch’esso, sì, dei vari problemi concreti dello spirito, 
ma attraverso una organica risoluzione, di natura strettamente lo¬ 
gica e metafisica, del problema della Realtà. 

Così, mentre la filosofia crociana soddisfa all’esigenza immanen¬ 
tistica — che urge tutta la filosofia moderna — con una riflessione 
concettuale su realtà psicologiche, arte, diritto ecc. (3), e finisce 

(1) A. Carlini, La filosofia contemporanea, in appendice al Compendio di 
Storia della Filosofìa del Fiorenlino. Firenze ; pp. 219-20. 

(2) Cfr. : Carlini, op. cit., pp. 230-1. 







IL NEO-HEGELISMO ITALIANO 


107 


in una forma di storicismo spiritualistico; quella gentiliana soddisfa 
alla stessa esigenza con una potente intuizione logico-metafisica; e 
finisce, come vedremo, in una forma di spiritualismo attualistico, 
diverso e più fondato metafisicamente di quello di un Bergson, o 
di un Blondel. 

I. 

Nel volumetto auto-biografico: Contribuito alla Critica di me 
stesso, il Croce riconosce che non Hegel o l’hegeliano Spaventa (a 
lui pur legato da vincoli di sangue) hanno influito sulla formazione 
del suo pensiero, ma bensì Herbart e De Sanctis, e Vico poi. A 
Hegel egli si avvicinò tardi, quando la sua personalità era già, 
sostanzialmente, formata. Taluni problemi del mondo spirituale con¬ 
creto, l’arte, la storiografia, il diritto, attirarono subito tutto il suo 
interesse. 

Dall’interesse psicologico-filosofico pel primo problema nacque, 
così, la celebre Estetica (1902); ove l’arte fu da lui concepita come 
pura intuizione, cioè come intuizione capace di esprimere il molte¬ 
plice della sensibilità in una rappresentazione priva dei caratteri 
della logicità, della praticità, della storicità. L’intuizione era, in so¬ 
stanza, da lui intesa, allora, come conoscenza dell’individuo nella 
sua individualità immediata, soltanto. 

« L’impressione di un chiaro di luna, ritratta da un pittore; il 
contorno di un paese, delineato da un cartografo; un motivo mu¬ 
sicale, tenero e energico;... possono ben essere tutti fatti intuitivi 
senza ombra di riferimenti intellettuali». 

Questo suo primo concetto di una trasformazione della sensibi¬ 
lità in intuizione estetica, onde — com’è stato finemente osser¬ 
vato (1) — si ricongiunge la prima parte della Critica della Ragion 
Pura alla Critica del Giudizio e allo sviluppo romantico di questa; 
fu rielaborato e approfondito via via nelle varie edizioni del YEste- 
tica, nel Breviario di Estetica e, infine, nei Nuovi Saggi di Estetica. 

Così, anzitutto, ciò che restava di formalismo kantiano nella 
prima concezione scomparve, con l’aver egli messo in luce (si veda 
il Breviario) che quella sensibilità non riceve il suo contenuto dalle 
impressioni, poiché essa è il centro vivo, dinamico, della vita psi¬ 
cologica, il sentimento fondamentale dell’individualità: donde il con¬ 
cetto della liricità dell’arte. Infine, nella memoria: « L’Arte come 
creazione e la creazione come fare » (nei Nuovi Saggi), il C. affermò, 


(1) Carlini, op. cit., p. 223. 






108 


QALVANO DELLA VOLPE 


risolutamente, la funzione idealizzatrice dell’Arte: l’arte come posi¬ 
zione e soluzione di un problema mentale, suo, l’arte come verità 
sub specie intuitionis. 

« Quel ch’è vita e sentimento, mercè l’espressione artistica, deve 
farsi verità; e verità vuol dire superamento della immediatezza della 
vita nella mediazione della fantasia, creazione di un fantasma che 
è quel sentimento collocato nelle sue relazioni, quella vita partico¬ 
lare collocata nella vita universale, e cosi innalzata a nuova vita, 
non più passionale ma teoretica, non più finita ma infinita ». Si 
deve, infine, « intuire la parte nel tutto, nella divina proporzione 
del tutto». L’arte è, dunque, creazione, giacché il problema da essa 
risolto è posto da essa stessa, o, altrimenti, il sentimento idealiz¬ 
zato o mediato è il suo sentimento, non quello presupposto a essa. 
Anche l’arte, dunque, come la filosofia — riconosce finalmente il 
C. — mira all’universale, idealizza la vita; e tanto più è arte quanto 
più idealizza e attinge l’universale. 11 C. cancella, cosi, la sua antica 
convinzione, che qualunque intuizione, ad es., il disegno di un car¬ 
tografo o anche un semplice «ahi», possa racchiudere un’auten¬ 
tica opera d’arte. 

Ma vediamo il più largo svolgimento che questo concetto della 
universalità dell’arte ha in un’altra memoria, * Il carattere di tota¬ 
lità della espressione artistica », (sempre nei Nuovi Saggi). L’arte, 
dunque, è pura intuizione del sentimento, intuizione lirica, priva 
di logicità: sta bene. Ma, si chiede qui il Croce, «che cosa è mai 
un sentimento o uno stato d’animo? è forse qualcosa che possa 
distaccarsi dall’universo e svolgersi per sè? forse che la parte e 
il tutto l’individuo e il cosmo, il finito e l’infinito hanno realtà 
l’uno lungi dall’altro, l’uno fuori dell’altro?». L’intuizione artistica 
domina, dunque, la pratica, la passione, esprimendo l’individualità 
non nella sua astrattezza, nella sua opposizione al tutto, ma nella 
sua vita concreta, ove essa palpita della vita del tutto e il tutto 
nella vita singola di essa. In tal modo, « ogni schietta rappresen- 
lazione artistica è sè stessa e l’universo, l’universo in quella forma 
individuale e quella forma individuale come universo. In ogni ac¬ 
cento di poeta, in ogni creatura della sua fantasia, c’è tutto l’umano 
destino, tutte le speranze, le illusioni, i dolori e le gioie, le gran¬ 
dezze e miserie umane, il dramma intero del reale che diviene e 
cresce in perpetuo su sè stesso soffrendo e gioiendo». 

Infine, « dare al contenuto sentimentale la forma artistica è dargli 
insieme l’impronta della totalità, l’afflato cosmico; e, in questo senso, 
universalità e forma artistica non sono due, ma uno ». S’intende da 




IL NEO-HEGELISMO ITALIANO 


109 


ciò, che voglia dire il Croce, quando, specie nella prassi critica, fa 
valere come criterio discriminativo nei riguardi dell’apprezzamento 
estetico l’esigenza della verità integrale e della classicità della forma: 
idealizzazione del contenuto nella totalità reale. 

È certo che in queste pagine l’estetica crociana tocca il suo cul¬ 
mine. Con l’affermazione del carattere non solo lirico ma anche uni¬ 
versale dell’arte pare ora finalmente debellato l’antico, ostinato, con¬ 
cetto dell’arte come imitazione di una realtà esterna, sia questa 
materiale o ideale; e cadono ora, veramente, le varie estetiche pre¬ 
cedenti (naturalistiche, intellettualistiche, sensualistiche, moralistiche, 
ecc.) che il Croce aveva già coraggiosamente assalito fin dalla prima 
Estetica. 

Tracciato così lo sviluppo del problema dell’arte, vediamone il 
rapporto, nel C., cogli altri problemi spirituali. Fin dalla prima 
Estetica il C. si chiese qual’era il posto dell’arte nella vita dello 
spirito, quale l’armonia di essa con le altre attività spirituali; que¬ 
sito ch’ei venne sempre più approfondendo a sè medesimo. 

Accintosi a una rielaborazione del kantismo nel senso delle forme 
trascendentali (1), egli distinse due attività fondamentali: la teore¬ 
tica e la pratica, suddivise ognuna in due forme distinte: la teore¬ 
tica in intuizione pura e concetto puro, la pratica in economia e etica. 
Dalla conoscenza intuitiva, dall’arte, primo momento ideale dello 
spirito teoretico, si passa al secondo momento, al pensiero logico, 
al concetto che è pensamento dell’universale, cioè riflessione auto¬ 
cosciente; come la prima, l’arte, l’intuizione, è, si è visto, conoscenza 
dell’individuale. Il contenuto che il concetto puro forma, non è na¬ 
turalmente, l’intuizione empirica, ma l’intuizione estetica, che esso 
implica, per il principio della implicazione o dei distinti di cui 
diremo: e perciò il pensiero logico è, pel C., l’unità di due momenti, 
intuizione e concetto, individuale e universale. Così esso è giudizio 
sintetico a priori, in quanto predica le categorie del soggetto indi¬ 
viduale, intuitivo: e in quanto produttore di realtà, è giudizio esi¬ 
stenziale e storico, da distinguersi dal giudizio classificatorio, for¬ 
mula schematica di una realtà presupposta. Ma se il concetto puro 
è percezione storica, storia, esso è anche, al tempo stesso, filosofia, 
perchè è l’universale, l’universale vero, quello concreto: sintesi, 
infatti, di intuizione e concetto, di particolare e universale. Venendo 
alle forme della pratica, esse corrispondono simmetricamente (e il 
C. ci tiene I) alle forme teoretiche. Alla conoscenza dell’individuale 


(1) -V. Carlini, op. cit., p. 222. 




110 


GALVANO DELLA VOLPE 


(intuizione), corrisponde In volizione dell’individuale (economia)’ 
quella -che vuole e attua e,6 che è corrispettivo soliamo alle con- 
dizioni di fatto in cu, l’individuo si trova, ; alla conoscenza del- 
universale (concetto puro), corrisponde la volizione dell’universale 
(etica), cioè quella .che vuole e attua ciò che, pur essendo cor- 

trascende » ANa't C ,? n . di2i0n1 ’ sl riferisce i"sieme a qualcosa chele 
trascende» Alla volizione economica appartengono quelli clie si di- 

cono fin, individuali, alla volizione morale i fin, universali: .suN’unl 

SI fonda II giudizio circa la maggiore o minore coerenza dell'azione 

per se presa; sull’altra, quello circa la maggiore o minore coerenza 

dell azione rispetto al fine universale, che trascende l’individuo» 

Kesta a vedere la soluzione crociana del problema della rela- 

zione fra queste vane forme dello spirito. Tale soluzione presup- 

da lui tentalo 3 Cr ° CI3na HegeI> 6 ,P Svill, PP° dell ° he g elis "'° 

SUl !° He sei (1907), dopo aver affermato che il gran 
mento dello H. sta nella scoperta della dialettica come relazione 
sintesi di opposti e aver soggiunto che oltre la sintesi degli opposti 
c è la sintesi dei distinti, conclude che il torto dello H è di aver 
confuso quella dialettica con questa. Oltre gli opposti, essere e nulla, 
spiiito e natura, vero e falso, ecc., i quali non sono reali che nella 
sintesi di cui costituiscono i momenti astratti ; ci sono, dunque, pel 
Croce, i distinti: bello, vero, utile, buono, i quali non si trovano 
fra loro nella stessa relazione degli opposti, reali solo nella sintesi- 
ma sono, invece, egualmente, tutti reali e concreti, così da poter 
sussistere I nno accanto all’altro. Posto ciò, il rapporto fra i gradi 
orme dello spinto è, pel C., questo: esso procede per diadi 
(invece che per triadi), nelle quali il primo termine sussiste da sè 

cornar 0 ’ PU k aV , end ° anch ’ esso una sua sussistenza concreta 
come tale, assorbe .1 primo: così, l’arte, si è visto, è alogica, ma 

filosofia, sintesi di intuizione e concetto, è anche arte, cioè ha 
etica^ ° rC espress . lv ° : la volizione economica è amorale, ma quella 

senni n* V , ’T economica > la volizione morale essendo anche 
sempre utile Lo spinto, poi, è di natura circolare, e però passa da 
un grado all altro: passa dal grado intuitivo al logico, all’econo¬ 
mico, all etico, e dall’ultimo trapassa ancora al primo, all’intuitivo 
ornendo .1 contenuto pratico alla nuova intuizione, e così in eterno’ 

nfa°tfi ni a gra t ÌmP ' ÌCÌta resistenza di tu, “ i quattro gradii 

nfatti, appunto perchè nel grado intuitivo, ad es., è già implicito 

11 ’° glC0 Sl P uò P assa re dall’uno all’altro. E il passaggio consiste¬ 
rebbe, infine, nel divenire esplicito ciò che era Lplidtò 




IL NEO HEGELISMO ITALIANO Ili 

Ora è necessario osservare subito, che in questa teoria del Croce 
vengono così in contatto due dialettiche contrarie: quella degli 
opposti e quella dei distinti. Sono, dunque, due differenti specie 
di rapporti che concorrono al ritmo dialettico, crociano, dei gradi: 
il mutuo rapporto dei gradi in quanto tali, cioè distinti, concreti, 
e quello degli stessi in quanto astratti momenti di ognuno dei gradi 
concreti. Il grado intuitivo, ad es., ha due significati ben diversi, 
quello di momento della sintesi a priori logica (sintesi, si è visto, 
d’intuizione e concetto), e quello di sintesi a priori estetica, grado 
concreto e indipendente, come tale, dal grado logico, che, a sua 
volta, come tale, è in egual relazione verso di quello. Ove è palese, 
che, nel primo caso su accennato, si ha una relazione di opposti, 
e nel secondo una relazione di distinti. 

È in questo punto dell’incontro delle due dialettiche, che si 
sono soffermati più a lungo i critici del Croce. È stato osservato, 
ad esempio, che le due dialettiche si annullano l’un l’altra (1); che 
il concetto dell’implicito-esplicito, che deve spiegare il passaggio 
da un distinto all’altro, è un semplice mito, non differente, essen¬ 
zialmente, da quello del passaggio dall’inconscio al conscio (2); 
che il concetto stesso di circolo è mitologico, e così via. Il carattere 
espositivo di questo scritto c’impedisce di entrare nella questione: 
si è ricordato ciò per informazione del lettore. Fin’ora si è discorso 
dell’estetica, della logica, della filosofia della pratica: veniamo ora 
alla Teoria della storiografìa (1917) che conclude il sistema della 
filosofia dello spirito quasi con una brusca correzione. In quest’ultima 
opera il C. vuole integrare la sua unificazione precedente della filo¬ 
sofia e della storia nel giudizio percettivo, col concetto della con¬ 
temporaneità della storia. La storia, antichissima o recente che sia, 
è storia contemporanea, cioè sempre relativa al soggetto presente, 
che col pensarla la suscita, la fa; badando però a intendere questa 
presenza come assoluta e ideale, tale, cioè, che condizioni essa e 
superi l’empirico presente e passato del tempo. 

Ma intesa così la storia, come procedente dall’universalità del 
soggetto, come attualità piena dello spirito, essa appaga allora l’esi¬ 
genza filosofica di possedere la realtà nella sua pienezza e totalità, 
e la filosofia come Logica, come un distinto momento dello spirito, 
viene sminuita di valore. In relazione, infatti, al nuovo concetto di 
storia, la filosofia, nel senso più adeguato e profondo, viene ad 


(1) G. De Ruggiero, La Filosofia Contemporanea, voi. Il, p. 164. 

(2) N. Spirito, Il nuovo idealismo italiano, p. 26. 







112 


GALVANO DELLA VOLPE 


essere il momento trascendentale della conoscenza storica, alla quale 
appresta le categorie necessarie a pensare la totalità del reale. « La 
filosofia non può essere altro che il momento metodologico della 
storiografia, dilucidazione delle categorie costitutive dei giudizi 
storici...». Dilucidazione che «si muove nelle distinzioni dell’Este¬ 
tica e della Logica, dell’Economica e dell’Etica; e tutte le congiunge 
nella filosofia dello spirito ». 

Il pensiero del C. conclude, dunque, ad una sopravvalutazione 
della storia, o filosofia in largo senso, di fronte alla logica, o filo¬ 
sofia stricto sensu: conclude, infine, parrebbe a due concetti di filo¬ 
sofia: la logica, o filosofia stretta, che come tale resta al di qua 
dell 'atto storiografico, o filosofico in senso profondo. 

Ecco quel ch’è sfato chiamato, anche recentemente, l’umanismo 
del Croce. Umanismo, si è detto, perchè tutta la storia della storio¬ 
grafia assume il valore di una storia della filosofia incentrata nel 
concetto dell’uomo, del mondo ch’è il suo mondo (Vico), e dei suoi 
bisogni spirituali (1). È stato ancora osservato, che quel ch’è la 
funzione della filosofia rispetto al problema della scienza nei filosofi 
del neo-criticismo positivista, si ritrova nel Croce, come coscienza 
critica immanente all’atto storiografico, di cui essa è il momento 
puramente trascendentale (2). 

IL 

La formazione mentale di G. Gentile ha origini diverse da quella 
crociana. A Bertrando Spaventa, e, attraverso questi, a Hegel, Fichte, 
Kant, Cartesio, e ai nostri Gioberti, Vico e Bruno, si riallaccia, fin 
dagli inizi, la meditazione del fondatore dell’idealismo dell’atto. 

È, poi, partendo in particolare dallo Hegel, con la riforma ch’ei 
propone, indipendentemente dal Croce, e sulle orme dello Spaventa, 
della dialettica hegeliana, che il pensiero del G. dà i primi frutti 
originali. Lo Spaventa, studiando le tre prime categorie della Logica 
hegeliana, essere, non-essere, divenire, aveva osservato, sorpassando 
i precedenti interpreti (Trendelenburg, Vera etc.), che « questa posi¬ 
zione imbrogliata dell’essere e del non-essere (lo stesso e non-lo 
stesso) è la viva espressione della natura del pensare. Se si toglie 
di mezzo il pensare non se ne capisce niente». E il Gentile, negli 
studi intitolati, appunto, La Riforma della dialettica hegeliana (1913), 
affermò, che « Se l’essere non è più un’idea in sè, ma una cate¬ 


ti) Carlini, op. cit., p. 227. 
(2) Ibid. 





IL NEO HEGELISMO ITALIANO 


113 


goria, e categoria è atto mentale, come può realizzarsi l’atto della 
mente altrimenti che come unità di essere e non-essere, cioè dive¬ 
nire? L’atto si fa, fit, diviene. È in quanto diviene... Quando è 
semplicemente, non è». E potè concludere, altrove: « L’essere che 
Hegel dovrebbe mostrare identico al non-essere nel divenire che 
solo è reale, non è l’essere che egli definisce come l’assoluto inde¬ 
terminato (l’assoluto indeterminato non può essere che l’assoluto 
indeterminato I); ma l’essere del pensiero che definisce, e, in gene¬ 
rale, pensa: ed è, come vide Cartesio, in quanto pensa, ossia non 
essendo (perchè, se fosse, il pensiero non sarebbe quello che è, 
ossia un atto), e perciò ponendosi, divenendo». In conclusione, 
l’essere, il non-essere, il divenire, non sono più, pel G., posizioni 
logiche, obbiettive del reale, com’erano per ('Hegel, ma momenti 
della coscienza in atto, del pensiero pensante, in cui il divenire, 
come sintesi degli altri due termini, esprime nient’altro che il pro¬ 
cesso del sapere, che vince nella sua concretezza i momenti astratti, 
rigidi, in cui l’analisi lo rompe (2): e cosi, com’è stato già osser¬ 
vato, tutta la sovrastruttura della logica hegeliana crolla. Crolla, 
perchè vien mostrato che la deduzione hegeliana delle categorie, 
che voleva essere sistematica, contro quella empirica di Kant, e 
conciliare la molteplicità con l’assoluta unità, non riesce a questa 
conciliazione, perchè anche in essa vi si analizzano concetti invece 
di realizzarli nella loro unità vivente: è dialettica di pensieri pen¬ 
sati — usando la terminologia gentiliana; e cioè non-dialettica, 
perchè il pensato, come tale, non si svolge, non si dialettizza. 
Manca, insomma, l’unità, la vita: anche Hegel si smarrisce, a un 
tratto, dietro ipostasi, immobili e ferme: platonismo, in fondo. 

L’unità, dice il G., non può esser data che dal pensiero in atto, 
dall’atto in atto. La vera Idea è atto, l’unica categoria è Yatto spiri¬ 
tuale ; onde «tutti gli atti del pensiero, quando non si considerino 
come meri fatti, quando non si guardino dall’esterno, sono un atto 
solo. E però per il nuovo idealismo le categorie sono infinite di 
numero, in quanto categorie del pensare che si guarda come pen¬ 
sato (la storia); e sono una sola infinita categoria, in quanto cate¬ 
goria del pensare nella sua attualità». Ma allora la deduzione hege¬ 
liana si risolve proprio, anch’essa, in fondo, in una deduzione empi¬ 
rica (anche Hegel ha, come Kant, numerato le categorie!); e la sua 
non può essere la deduzione delle categorie, ma « un caso fra infi¬ 
niti casi possibili di deduzione, o meglio... un frammento o un mo¬ 


ti ) Cfr. De Ruoqiero, op . cit ., p. 257. 


8 




114 


GALVANO DELLA VOLPE 


mento della eterna deduzione, in cui consiste la storia non pure del 
pensiero, come s’intende comunemente, ma del mondo ». 

Non pure del pensiero, ma del mondo, perchè l’atto, a cui si 
riduce l’Idea pel ò., è — occorre dirlo? — actus purus, nel senso 
più moderno e integrale, come atto che è tutta forma perchè è tutta 
materia, generata dalla forma: forma formante, davvero: è quel pro¬ 
cesso autocreatore del puro pensiero ch’è l’Autocoscienza nella sua 
concreta individualità: onde l 'io empirico e particolare non è che 
l’attuarsi dell’Io puro, trascendentale. 

La stessa istanza critica che la Riforma compie in rapporto alla 
Logica hegeliana, l’Introduzione del Sommario di Pedagogia (1913-14) 
la compie — come è stato acutamente osservato (1)— in rapporto 
alla Fenomenologia. Come il pensiero puro non ha bisogno di per¬ 
correre i gradi categorici dell’essere, del conosciuto, secondo gli 
schemi della logica formale, per giungere alla piena coscienza di 
sè, perchè si pone a priori come pensiero consapevole e attuale; 
cosi non ha nemmeno bisogno di passare per i gradi psicologici 
della conoscenza, la sensazione, la percezione, la rappresenta¬ 
zione, etc., perchè non può mutuare da altri che da sè, non soltanto 
la sua forma, ma anche il suo contenuto (2). La dottrina psicolo¬ 
gica tradizionale che concepisce il processo psichico effettuantesi 
per gradi monadisticamente distinti, è possibile soltanto per una con¬ 
cezione analitica dello spirito; onde questo può essere di volta in volta, 
sensazione, percezione, concetto etc., solo in quanto venga consi¬ 
derato, naturalisticamente, come un aggregato di momenti giustap¬ 
posti, gli uni fuori degli altri. Ma se si concepisce io spirito come 
vivente unità originaria, come pensiero pensante, pensare e non 
pensato, ogni molteplicità scompare e tutti i gradi psichici si risol¬ 
vono n eli’unico atto dello spirito. Nella sensazione è già lo spirito 
nella sua intierezza, e la sensazione è perciò necessariamente anche 
percezione, giudizio, concetto, conoscenza, volontà, come tutti questi 
gradi non sono che sensazione: quel sensus sui ch’è, infatti, lo spirito. 
Tuttavia non si creda che manchi nel O. il concetto di un processo 
fenomenologico: c’è anzi, e originale: ed è una fenomenologia che, 
identificatasi con la logica, non è altro che la stessa storia dello 
spirito. Le distinzioni risorgono, dunque, nel processo spirituale, ma 
non più come gradi tipici, giustapposti, ma come distinzioni con¬ 
crete, storiche, vieppiù ricche col progredire del processo. Cioè, ogni 


(1) De Ruooiero, op . cit ., p. 257. 

(2) Ibid . 





IL NEO-HEGELISMO ITALIANO 


115 


atto dello spirito non è che la coscienza più profonda di un atto 
anteriore, che è il contenuto del primo, il quale naturai mente è la 
forma di quello. « La sensazione-contenuto è dentro la sensazione- 
forma, risolta e assorbita nell’attualità di questa ». Ogni atto di 
coscienza può dirsi percezione rispetto a una sensazione precedente, 
la quale, in quanto atto spirituale, fu anch’essa percezione. Cosicché 
si passa da percezione a percezione, o, è Io stesso, da sensazione 
a sensazione. E in sostanza la sensazione è una sola: l’atto spiri¬ 
tuale nel suo interno mediarsi, e che, mediandosi m eterno, si svolge 
attraverso infiniti momenti, infinite sensazioni. 

Venendo alla dottrina propriamente pedagogica del Sommano, 
ne accenneremo il concetto fondamentale: che educatore e educando 
sono due momenti di un’unica realtà, l’Universale, io Spirito, onde 
hanno in esso la loro profonda unità: scompare così ogni hiatus 
fra l’uno e l’altro; e il processo educativo non è che processo di 
reciproca autoeducazione: ognuno vede nell’altro sè stesso, lo Spi¬ 
rito, e attraverso l’altro forma un migliore, un più alto sè stesso. 
Processo di universalizzazione, dunque, processo eminentemen e 
etico. 11 miracolo dell'educazione è spiegato; e la prassi educativa 
ha nel concetto d e\\’autoeducazione il suo miglior lume, la guida 
più certa. È stato riconosciuto che nella storia della pedagogia 1 
Sommario segna una tappa ideale confrontabile solo con YEmilio. 

Questo realismo spiritualistico del Sommario venne assumendo - 
è stato osservato (1) - negli scritti successivi, L'esperienza pura e 
la realtà storica, (1915) e Teoria generale dello spinto come atto puro 
(1916) un carattere più univeversale in quanto dal problema del a 
formazione dell’uomo si passò a quello di dimostrare in esso la 
radice di tutti gli altri problemi concernenti la realta e le sue ca¬ 
tegorie. Il principio dell’idea come atto acquistò sempre piu carat¬ 
tere metafisico. . 

Già nel primo dei due scritti suaccennati 1 atto viene concepito 

come pura esperienza che lo spirito fa di sè, eliminando in tal modo 
qualunque presupposto dello spirito, sia oggettivo che soggettivo, 
e generando da sè ogni realtà: tutta l’esperienza nelle sue infinite 
concrete distinzioni è posta dall’atto e. nell’atto in un'esperienza 
storica, non nei senso della storia presupposta all atto e quindi 
empiricamente concepita, ma della storia che si attua quale vita 
eterna dello spirito. Nell’atto veniva così risolta l’antitesi di a priori 


( 1 ) Carlini, op. cit., p. 232. 



116 


GALVANO DELLA VOLPE 


e di a posteriori, e si concludeva a un formalismo assoluto, o, che 
è lo stesso, a un empirismo assoluto (1). 

Ma questo esplicito significato metafisico appare in tutto il suo 
sviluppo nella Teoria, uno dei capolavori del G. Qui, attraverso i 
problemi della storia della filosofia, attraverso soprattutto il pro¬ 
blema kantiano e hegeliano, è dimostrato dal G. come lo spirito 
generi da sè stesso la natura: il mondo del molteplice e crei nella 
sua dialettica unificatrice — moltiplicatrice — spazio e tempo. Lo 
spirito viene concepito come conceptussui, concetto che pone sè stesso, 
autoctisi. Ma questo porsi è, naturalmente, non immediato, ma me¬ 
diato. Lo spirito si pone attraverso la natura, l’oggetto; il soggetto 
si pone mediandosi come oggetto. Quell’unità ch’è lo spirito si pone, 
perciò, come molteplicità, attraverso la molteplicità, appunto perchè 
non è unità immediata, statica, ma mediata in sè stessa, dialettica, 
unità, insomma, dinamica e concreta, vivente. 

In altri termini, lo spirito si afferma negando, non si svolge se 
non negando perennemente il suo opposto, la natura, che è per ciò 
suo essenziale momento dialettico, e però spirito anch’essa, e non 
un’entità a sè, concepibile come astratta dallo spirito. La natura, 
insomma, come non-essere di quell’essere ch’è lo spirito: e cosi 
l’errore, il male, il dolore sono egualmente il non-essere di quel¬ 
l’essere; eterno momento del processo della verità, del bene, della 
vita. Certo, se la verità, il bene, si concepiscono immutabili, ab 
aeterno, l’errore, il male sono inconcepibili. Ma se la verità e il 
bene, come pensa il Gentile, sono divenire, atto, essi devono pe¬ 
rennemente superare sè stessi, ritrovando in sè l’errore, il male da 
superare. E però, errore e verità, male e bene non sono realtà di¬ 
stinte, indipendenti, ma i momenti di una sintesi, che è « errore 
nella verità, come suo contenuto che si risolve nella forma», è 
«male onde il bene si nutre, nel suo assoluto formalismo». 

Finiremo con un cenno, purtroppo frettoloso e assai inadeguato, 
dell ultima grande opera del G., forse il suo maggior capolavoro, 
certo, a tutt oggi, il suo testamento filosofico, per la compiutezza 
della sistemazione: il Sistema di logica come teoria del conoscere 
(1917-1923). 

Uno dei concetti fondamentali della speculazione gentiliana, na¬ 
turalmente implicito nei precedenti, è quello dell’identità della filo¬ 
sofia con la sua storia: infatti se la filosofia è concepita come pro¬ 
cesso di autocoscienza, essa è storia, storia eterna in tempo; e però 


(1) Carlini, op . c/7., p. 233. 



IL NEO-HEGELISMO ITALIANO 


117 


ogni sistema coincide col corso storico del pensiero, in quanto esso 
riassume e potenzia in sè, giustificandoli, i sistemi precedenti, che 
non sono che momenti idealmente anteriori di que\Yunico processo 
di pensiero autocosciente, ch’è — eminenter — la filosofia. 

Orbene, il sistema di logica attinge certo la sua capitale impor¬ 
tanza, nell’assieme dell’opera del G., da questo: che esso vuol es¬ 
sere ed è l’ultima riprova concreta, effettuale del suaccennato prin¬ 
cipio dell’identità di filosofia e storia della filosofia. 

Esso ci mostra, di fatti, come il sistema gentiliano, la nuova 
logica del pensiero pensante, si costituisca a patto di ricapitolare 
in sè, di conservare e giustificare, inverandola, l’antica logica ari¬ 
stotelica, la logica del pensiero pensato. Infatti, la dialettica aristo- 
teiico-scolastica vien mostrata come grado necessario alla dialettica 
del concreto, in quanto essa, dandoci la legge del pensiero pensato 
(A — A) ci spiega il momento dell 'oggettività del pensiero a sè 
stesso, oggettività necessaria, se —ricordiamolo — il puro pensiero 
dev’essere concepito non come immediata soggettività, ma come 
soggettività-oggettività, soggetto-oggetto, mediazione, dialetticità. 
Occorre osservare, che qui il logo della logica del pensato, del¬ 
l’astratto, cioè A = A, viene negato al tempo stesso che conser¬ 
vato, perchè non è più considerato a sè, da un punto di vista 
astratto, ma è considerato dal punto di vista concreto, cioè in fun¬ 
zione del logo della logica concreta, cioè del pensiero pensante, 
A = non A? Conservare ch’è negare; inverare, come è, difatti, di 
quel divenire ch’è lo spirito, la filosofia. 

E però è giusto -riconoscere, ancora, che in tal modo « tutto il 
processo storico del concetto di logica si risolve, identificandovisi , nel 
nuovo concetto dialettico » (1): quello del Gentile; e che, ripetiamolo, 
la verità del principio del circolo di filosofia e storia della filosofia, 
è dimostrata dal sistema stesso del G.; che, mentre convalida quel 
principio, ne è, a sua volta, — si noti — convalidato, fondato po¬ 
sitivamente: storicamente. 

* 

* * 

Il Croce e il Gentile hanno suscitato, da anni, un gran movi¬ 
mento di idee, e di discepoli, attorno a sè: il primo soprattutto 
nell’ampio campo della cultura letteraria e storica in genere: il se¬ 
condo nel campo della filosofia teoretica e della storia della filosofia. 

Nominare discepoli del Croce non è cosa facile, perchè, facen¬ 


ti) Spirito, op. cit., p. 82. 






118 


GALVANO DELLA VOLPE 


dosi sentire il suo influsso nel largo campo della cultura storico- 
letteraria, tutti, in quest’ultimo ventennio, sono stati e sono ancora, 
in certo senso, crociani: in ispecie i critici di letteratura e arte e 
gli storici sono permeati di pensiero crociano, anche se lo negano- 

Soprattutto, il concetto crociano dell’arte è, si può dire, entrato 
a far parte del patrimonio di idee necessario a chi voglia pensare 
e vivere in armonia col progresso effettivo del pensiero della storia. 
Dei critici letterari, che hanno subito, consapevolmente o no, l’in¬ 
flusso dell’estetica crociana, ricordiamo qui G. A. Borgese, che, per 
quanto staccatosi in seguito dal Croce, serba traccie di pensiero 
crociano nelle pagine migliori; Emilio Cecchi; Alfredo Gargiulo, 
autore d’un d’Annunzio; Luigi Russo, autore d’on Di Giacomo e di 
un Verga; e infine Attilio Momigliano ( Studi Manzoniani, Goldoni, 
Verga). Nella critica delle arti figurative ci piace notare Lionello 
Venturi; nella critica musicale F. Torrefranca e G. Bastianeili. 
Piò facile è far qualche nome di discepoli del Gentile, essendo più 
tecnico, e quindi più ristretto, il campo su cui si è irradiato il pen¬ 
siero gentiliano: filosofia teoretica e storia del pensiero speculativo, 
come si è detto. 

Ricorderemo, anzitutto, due pensatori, Armando Carlini e Giu¬ 
seppe Saitta, che si posson dire i rappresentanti di due interpre¬ 
tazioni e svolgimenti opposti del pensiero del Maestro: la dottrina 
di destra — come è stato detto (I) - del Carlini, in cui si tenta 
di svolgere entro l’ambito de\V attualismo alcune esigenze empiri¬ 
stiche come quella della pluralità dei soggetti e quella di un mondo 
soggettivo, morale, distinto dal mondo oggettivo, della percezione, 
della conoscenza: si veda La vita dello Spirito (1921); e la dottrina 
di sinistra del Saitta, che tende a un’ulteriore, più profonda iden¬ 
tificazione di io empirico e Io trascendentale: si legga Lo spirito 
come eticità (1920). « 

Armando Carlini, professore nella R. Univ. di Pisa, proviene 
dalla filosofia crociana. Egli tende a elaborare il lato spiritualistico 
piuttosto che quello logico-dialettico della filosofia gentiliana. L’at¬ 
tualismo del maestro ubbidisce, a suo avviso, a due motivi diversi: 
l’uno costituisce l'originalità propria della filosofia gentiliana, ed è 
il motivo psicologico e lo sforzo di risolvere la dialettica nel ritmo 
stesso della vita interiore, onde l’autocoscienza e la personalità coin¬ 
cidono nel processo autocreatore dello spirito; l’altro è un ritorno 
al problema hegeliano-spaventiano della dialettica come logica mela¬ 


ti) Cfr. Spirito, op. cit., p. 95. 



IL NEO HEGELISMO ITALIANO 


119 

fisica, onde l’atto, più che spiegare se stesso si assume il compito di 
spiegare il mondo della natura e dello spirito. L’attualismo diventa 
cosi, dice il C., un puntualismo, in cui tutte le distinzioni di problemi 
spirituali si neutralizzano in un concetto generico dell’attività del 
pensare. Egli tenta, perciò, di ripigliare la prima posizione e di 
svolgere il concetto del ritmo interno all’atto come il problema fon¬ 
damentale dell’attualismo. L’atto realizza se stesso come quello. « Io 
penso» ch’è unità in una dualità di vita e di pensiero, di personalità 
morale e di riflessione filosofica su essa. La distinzione posta in 
seno all’atto gli permette di riguardare questo come condizione 
trascendentale di una dualità tra il mondo dell’esperienza sensibile 
o mondo del conoscere, e quello dell’azione ch’è propriamente il 
mondo storico-morale. Nello stesso tempo, l’atto, non coincidendo 
più dentro sè con se stesso, fa appello a un punto di vista trascen¬ 
dente, in cui quel dissidio venga pacificato, e pone così il proble¬ 
ma fondamentale della vita religiosa. 

Il Carlini e il Saitta sono anche storici, in ispecie il secondo: 
al Carlini si deve un’ampia monografia sul Locke, al Saitta mono¬ 
grafie sul Gioberti, sul Ficino e vari saggi. Alla destra appartengono 
ancora il Ferretti e il Codignola, pedagogisti; alla sinistra Guido 
De Ruggiero, autore di un saggio sulla Filosofia contemporanea e 
di una Storia della Filosofia, opere di carattere critico, prevalente¬ 
mente. La posizione mentale del de Ruggiero, di fronte aH’idealismo del 
Croce e del Gentile, può essere caratterizzata da una più viva preoc¬ 
cupazione dell’importanza speculativa dei problemi sulla scienza 
della natura. Il D. R. fin dal 1913 in una monografia dal titolo : La 
scienza come esperienza assoluta ripudiava nettamente le dottrine 
prammatistiche della scienza accolta nel sistema crociano e poneva 
il problema dell’unità della scienza della natura e della filosofia, ab¬ 
bozzando una teoria del positivismo assoluto, in cui le scienze, 
guardate nella loro intima genesi spirituale, piuttosto che nell’astrat¬ 
ta oggettivazione naturalistica, erano reintegrate nella vita speculativa 
dello spirito. E più recentemente in un saggio sui Problemi della scienza 
e della umanità ha ulteriormente sviluppato questo punto di vista, 
mostrando la necessità che le due correnti dell’idealismo moderno, 
quello storicista che fa capo al Vico e allo Hegel e quella scien¬ 
tifica, che fa capo alla Critica della ragion pura di Kant, a torto dis¬ 
sociate dall’idealismo contemporaneo, vengano ricomposte in una 
unità articolata e sintetica, per cui, pur riconoscendo il carattere 
storico della vita spirituale, questa storia non s’isterilisca in un 
mero umanesimo, ma includa in sè l’opera delle scienze naturali, e 




120 


GALVANO DELLA VOLPE 


attraverso di esso, il mondo stesso della natura nella sua pienezza. 
Ampia attività storica hanno esercitato altri due pensatori più ligi 
alle dottrine del Maestro: Vito Fazio-Allmayer, con saggi.su Ga¬ 
lileo e sulla Teoria della libertà in Hegel-, e Adolfo Omodeo autore 
di una Storia delle origini cristiane in più volumi. È da ricordarsi 
ancora Antonio Anzilotti, autore di un Gioberti, studiato nella 
sua filosofia e prassi politica e Cecilia Dentice D’Accadia, che ha 
dedicato specialmente la sua attività allo studio del problema re¬ 
ligioso in Schleiermacher e Kant. In pedagogia, Giuseppe Lombardo- 
Radice, autore di una Teoria e storia dell'educazione e di molti saggi 
pedagogici, è il maggiore interprete e prosecutore della pedagogia 
idealistica del Maestro, nella teoria e nella pratica. 

Galvano Della Volpe. 


POSTILLA BIBLIOGRAFICA SUL CROCE E IL GENTILE. 

Delle seguenti opere si cita solo l’ultima ediz. 

Benedetto Croce (n. a Pescasseroli, prov. di Aquila, 1866): 

Estetica come, scienza dell’espressione e linguistica generale. Teoria e Storia 5» ediz. 
Bari, Laterza, 1922; 

Logica come scienza del concetto puro. 4‘ ediz. Bari, Laterza, 1920; 

Filosofia della pratica. Economica ed etica. 9* ediz. Bari, Laterza, 1923; 

Teoria e storia della storiografia. 2* ediz. Bari, Laterza, 1920; 

Problemi di Estetica e contributi alla storia dell’Estetica italiana. Bari, id. 1910; 
La Filosofia di G. B. Vico. 2 1 ed. Bari, id. 1922; 

Saggio sullo Hegel. 2” ed. Bari, id. 1913; 

Nuovi Saggi di estetica. Bari, id. 1921. 

Giovanni Gentile (n. a Castelvetrano, prov. di Trapani, 1875): 

La riforma della dialettica hegeliana. 2* ed. Messina, Principato, 1923; 

1 problemi della scolastica e il pensiero italiano. 2» ed. Bari, Laterza, 1923; 
Sommario di Pedagogia come scienza filosofica. 2* ed. Bari, id. 1920-22; 

Teoria generale dello Spirito come atto puro. 3* ed. Bari, id. 1920; 

Sistema di logica come teoria del conoscere. 2» ed. Bari, id. 1921-23; 

Discorsi di religione. Firenze, Vallecchi, 1920; 

Giordano Bruno e il pensiero del Rinascimento. Firenze, id. 1920; 

La Riforma dell’educazione. Bari, Laterza, 1920; 

Frammenti di estetica e letteratura. Lanciano, Carabba, 1921. 


1 







IL REALISMO PSICOLOGISTICO 
NELLA NUOVA FILOSOFIA ITALIANA 


SOMMARIO: 1. Nota bio-bibliografica sullo sviluppo del pensiero di F. I}E SAR- 
lo. — 2. Il teismo e lo spiritualismo del De Sarlo. — 3. Elementi ra¬ 
zionalistici ed elementi agnostici nella concezione metafisica del Sarlo. — 4. La 
filosofia del De Sarlo come filosofia dell’esperienza. — 5. Lo psicologi¬ 
smo del De Sarlo. — 6. Il realismo gnoseologico del De Sarlo: insupera¬ 
bilità del dualismo tra soggetto e oggetto. — 7. L’oggetto della conoscenza: 
il reale e il pensabile. — 8. Il soggetto della conoscenza: l’autocoscienza 
come fatto e l’autocoscienza come categoria. — 9. Le idee etiche del De 
Sarlo. — 10. Conclusione. — 11. Gli scolari del De Sarlo: Antonio Aliot¬ 
ta. — 12. Giovanni Calò. — 13. E. Paolo Lamanna. — 14. Enzo Bona¬ 
ventura. 

1. — Francesco De Sarlo, nato nel 1864 in un paesello della 
Basilicata (San Chirico Raparo), venne alla filosofia dalla medicina. 
E ve Io condusse intima vocazione, oltre, e più, che esterna vicenda 
di casi. Già durante gli studi universitari, a Napoli, si compiaceva 
di frequentare, con le lezioni della Facoltà cui era iscritto, quelle di 
lettere e filosofia: e fu, tra l’altro, uditore dello Spaventa negli ul¬ 
timi anni del suo insegnamento. La stessa sua prima pubblicazione 
— un volumetto di Studi sul Darwinismo, ch’egli scrisse ancor giova¬ 
netto nel 1887 — attesta la tendenza di lui a studiare, anche nel cam¬ 
po delle scienze biologiche, le questioni più generali, quelle che sono 
poi stimolo e offrono motivi alla speculazione filosofica. Questa 
tendenza divenne in lui sempre più consapevole durante gli anni 
che passò, come medico, nel Manicomio di Reggio Emilia, dove 
compì ricerche psichiatriche che, mettendolo a contatto più diretto 
con i problemi dell’anima, determinarono il suo passaggio alla psi¬ 
cologia e alla filosofia. 

In questo campo non ebbe maestri: fu un autodidatta: dovette 
cercar da sè, come a tentoni, la sua strada, ed era naturale che la 
trovasse solo attraverso deviazioni, incertezze, ritorni. La sua edu¬ 
cazione naturalistica e l’influenza dell’ambiente culturale del tempo, 
impregnato di positivismo, lo portarono dapprima a seguire questo 








122 


E. PAOLO LAMANNA 


indirizzo di pensiero: e in uno degii organi della filosofia positivi¬ 
stica, la Rivista dell’Angiulli, egli fece le sue prime armi. Ma non 
tardò ad allontanarsi dal positivismo, a mano a mano che venne ac - 
quistando coscienza delle deficienze di quella dottrina cosi in or¬ 
dine all’interpretazione del fatto conoscitivo come in ordine alla fon¬ 
dazione della moralità e religiosità umana: deficienze, che illustrò 
poi in quelle Note sul positivismo contemporaneo in Italia, pubbli¬ 
cate in appendice agli « Studi sulla Filosofia contemporanea » nel 
1901, una delle critiche più penetranti e conclusive che della gno¬ 
seologia positivistica siano state fatte in Italia. 

La sua coscienza filosofica si venne formando nel decennio 1890- 
1900. Concorsero a questa formazione lo studio del Rosmini, i rapporti 
personali o spirituali con alcuni dei più cospicui rappresentanti ita¬ 
liani dello spiritualismo e del neo-criticismo, come Luigi Ferri, Filippo 
Masci e, in particolare, Francesco Bonatelli, e, più specialmente, lo 
studio diretto delle correnti più significative del pensiero filosofico e 
psicologico contemporaneo, segnatamente inglese e tedesco, alcune 
delle quali egli per primo, o tra i primi, fece conoscere in Italia. 
E di questa sua attività furono frutto due saggi rosminiani: La lo¬ 
gica di A. Rosmini e i problemi della logica moderna e Le basi 
della psicologia e della biologia secondo A. Rosmini considerate in 
rapporto ai risultati della scienza moderna (Roma, 1893) — poi ri¬ 
fusi in altri lavori — ; due volumi di Saggi filosofici (Torino, Clau- 
sen, 1896) — posteriormente anch’essi rielaborati e rifusi —; studi 
su autori stranieri sparsi in varie riviste, alcuni dei quali furono 
poi, con altri di epoca posteriore, raccolti nel volume Filosofi del 
tempo nostro (Firenze, La « Cultura Filosofica» editrice, 1916); saggi 
di psicologia; il volume Metafisica, Scienza e Moralità (Roma, Balbi, 
1898), e il volume già ricordato Studi sulla Filosofia contemporanea : 
La Filosofia scientifica (Roma, Loescher, 1901). 

L’esigenza che si rivela come fondamentale in questi studi del 
De Sarlo, è quella di mostrare le vie per le quali le scienze positive, 
e più particolarmente quelle naturali, sboccano, per una necessità 
imposta dalla logica a loro immanente, in una concezione filosofica 
nella quale il naturalismo è superato, cosi per il riconoscimento dei 
poteri originari e irriducibili dello spirito quale soggetto conoscente 
e quale persona morale, come per il coronamento del sapere filo¬ 
sofico in un’interpretazione teistica della realtà universale; mentre, 
dall’altro lato, la filosofia stessa, come sistemazione e critica del sa¬ 
pere, riceve dalle scienze particolari continuo alimento e stimolo. E 
la necessità di questo connubio fecondo, nella loro reciproca azione, 





IL REALISMO PSICOLOGISTICO 


123 


della scienza e della filosofia, è rimasta come uno dei motivi prin¬ 
cipali del pensiero del De Sarlo, anche quando, nel periodo di pie¬ 
na maturità della sua attività di studioso, ha tratto i principii del 
suo filosofare non più dal neo-criticismo, di cui si sente l’influsso 
neghi scritti sinora citati, ma dallo sperimentalismo inglese — da 
Locke a Mill —; dall’intuizionismo della scuola scozzese — specie 
per il rilievo costantemente dato agli assiomi così gnoseologici come 
etici, costitutivi dello spirito umano, e apprensibili con evidenza 
immediata nell’esperienza interna e infine dal realismo dell’Her- 
bart e del Lotze. 

Conseguita nel 1894 la libera docenza in filosofia presso l'Uni¬ 
versità di Roma, insegnò questa disciplina nei licei di Benevento, 
di Torino, di Roma, fino al 1900, quando ottenne per concorso la 
cattedra di filosofia teoretica all’Istituto di Studi Superiori di Fi¬ 
renze, cattedra ch’egli ha tenuto e tiene ancor oggi con l’autorità 
e l’efficacia di un Maestro. Presso lo stesso Istituto Superiore fondò 
nel 1903 un Gabinetto di Psicologia Sperimentale, il primo del ge¬ 
nere in Italia, e che è rimasto anche oggi il più ricco di apparec¬ 
chi: molte e importanti ricerche vi sono state compiute sotto la sua 
direzione, sebbene, in questi ultimi anni, la potenzialità scientifica- 
mente produttiva del Gabinetto sia stata assai ridotta per le con¬ 
dizioni materiali veramente miserevoli nelle quali si è venuto a tro¬ 
vare. Dal 1907 al 1917 il De Sarlo ha diretto la Cultura Filosofica, 
una Rivista che ebbe un programma ben definito e, specie nei pri¬ 
mi anni, fu vivacemente battagliera cosi contro il positivismo or¬ 
mai declinante, come, e più, contro il risorgente idealismo. La sua 
operosità di studioso ha dispiegato con assiduità e intensità instan¬ 
cabile nel campo della psicologia, dell’etica, della filosofia generale, 
pubblicando poderosi volumi, ai quali specialmente noi ci riferiremo 
nella esposizione e caratterizzazione della sua filosofia (1). 


(1) Il valore della sua opera ha avuto riconoscimento ufficiale nel premio 
Reale per la filosofia, conferitogli nel 1920 dall’Accademia dei Lincei, della quale 
egli è, dal 1921, socio nazionale. 

Elenchiamo qui le opere principali del De Sarlo, escluse le prime già ci¬ 
tate che poi sono state rifuse nelle successive: 

Metafisica Scienza e Moralità. Studi di Filosofia morale. Roma, Balbi, 1898, 
1 voi. di circa 250 pagg. in 8: 

[Contiene: Il naturalismo — Il telismo — L’idealismo e la moralità — 
Il socialismo come concezione filosofica — Vita morale e vita sociale]. 

Studi sulla Filosofia contemporanea. — Prolegomeni : La « Filosofia scien¬ 
tifica ». — Roma, Loescher, 1901, 1 voi. di circa pag. 250 in-8. 




124 


E. PAOLO LAMANNA 


* 

* * 

2. — Il De Sarlo d’ordinario è presentato come un teista e uno 
spiritualista. Tale egli stesso ha sovente dichiarato esplicitamente 


[Contiene : Du Boys-Reymond, Helmholtz, Darwin, Il positivismo contem¬ 
poraneo in Italia ]. 

I dati dell’esperienza psichica. Firenze, Pubblicazioni del R. Istituto di Studi 
Superiori, 1903, 1. voi. di pagg. 430 in-8. 

L’attività pratica e la coscienza morale. Firenze, Seeber, 1907, 1 voi. di pagg. 
250 in-16. 

Principii di Scienza etica, con un’Appendice su La patologia mentale in rap- 
perto all’etica e al diritto. Palermo, Sandron, [1907], 2 voi. di circa pagg. 500 
in-16 (in collaborazione con Q. Calò). 

II Pensiero Moderno. Palermo, Sandron, [1915], 1 voi. di pagg. 410 in-8. 

[Contiene: a) Tre studi che possiamo dire introduttivi : La formazione 
della coscienza filosofica odierna — Uno sguardo alla filosofia del 
sec. XIX — I compiti della filosofia nel momento presente. 

b) Altri tre studi che costituiscono come la parte centrale del 
volume, la più vasta per il contenuto che abbraccia e per l’esten¬ 
sione che ha: ! problemi gnoseologici nella filosofia contemporanea — 
Lo psicologismo nelle sue principali forme — / diritti della Metafisica, 
nel quale ultimo specialmente sono sottoposti a un rapido e vi¬ 
goroso esame critico i principali indirizzi della filosofia contem¬ 
poranea. 

c) Altri quattro studi su particolari problemi o correnti filoso¬ 
fiche : Il significato filosofico dell'evoluzione [Filosofia e scienza dei 
valori — Stillo spiritualismo odierno]. 

Filosofi del tempo nostro. Firenze, La «Cultura Filosofica» editrice, 1916. 

[Contiene studi su Paulsen, Hodgson, Ward, Bradley, Reitike, Hartmann, 
Zeller, Bonatelli]. 

Psicologia e Filosofìa. Studi e ricerche. Firenze, La « Cultura Filosofica » edi¬ 
trice, 1918. 2. voi. di pagg. 1000 in-8. 

[Contiene: a) Alcuni studi di filosofia generale, importantissimi per 
la comprensione della posizione del De Sarlo nel campo filo¬ 
sofico, e della concezione dei rapporti tra filosofia e psicologia: 
Vecchia e nuova Psicologia — La psicologia e le scienze normative — 
L’esperienza psichica — L’individuo dal punto di vita psicologico — 
Il soggetto — La causalità psichica — Sensazione e coscienza. 

b ) Due ampi studi di psicologia metafisica: Il concetto dell'anima 
nella psicologia contemporanea — Idee metafisiche intorno all’anima 

c ) Saggi contenenti la materia per un orgànico trattato sulle 
funzioni psichiche : La classificazione dei fatti psichici — L’attività 
conoscitiva — L’attività immaginativa Vita affettiva ed attività 
pratica, con i quali saggi è strettamente connesso un amplissimq 
studio intorno a Le determinazioni formali della vita psichica, e più 
particolarmente all'azione dell’esercizio e dell'abitudine su tutte le 
funzioni fisiologiche e psichiche. (Appartengono a questo gruppo 
altri saggi minori.- Sulla teoria somatica delle emozioni — Sullo studio 
dei sentimenti nella psicologia inglese contemporanea - Sulla perce¬ 
zione delle forme). 

d) Studi di psicologia fisiologica e patologica: Cervello e at¬ 
tività psichica — L’attività psichica incosciente — Sulla psicologia della 
suggestione — Le alterazioni della vita psichica — La psicologia de¬ 
gli animali]. 



IL REALISMO PSICOLOGISTICO 


125 


di essere. E tale, certo, egli si rivela nei suoi scritti, dai più antichi 
ai più recenti. — Ma, è da aggiungere subito, non è data così la 
caratteristica più saliente della sua figura di pensatore: sfugge a 
quella designazione gran parte, e forse la più significativa, della sua 
opera filosofica; viene, comunque, lasciata cosi nell’ombra quella con¬ 
cezione della filosofia e del metodo di filosofare che, meglio d’ogni 
altro elemento, vale a individuare la sua posizione personale nel 
movimento filosofico italiano contemporaneo. 

Uno dei suoi primi lavori, anzi il primo veramente organico che 
l’ulteriore sviluppo del suo pensiero abbia lasciato immune da quelle 
rielaborazioni più o meno sostanziali cui, come abbiamo già detto, 
egli ha sottoposto altri suoi scritti di quel tempo, voglio dire il vo¬ 
lume Metafìsica, Scienza e Moralità, è tutto una riaffermazione dei 
princìpi fondamentali della dottrina teistica cosi contro il naturalismo 
come contro l’idealismo assoluto. La concezione di Dio quale Ra¬ 
gione che si esprime continuamente ed eternamente nel mondo, e 
non come legge o ordinamento astratto, bensì come soggetto concreto e 
vivente, è in quel libro svolta e presentata come la sola concezione 
metafisico-religiosa, che, gravitando sulle esigenze morali più pro¬ 
fonde della coscienza umana, sulla considerazione del valore assoluto 
della persona, contenga di queste esigenze il riconoscimento e la 
giustificazione più piena, e fornisca per ciò stesso il principio di quella 
sistematica unificazione di tutta la realtà, a cui la mente umana 
tende per sua natura, e in cui possono essere inverate le partico¬ 
lari connessioni di frammenti di realtà che le scienze della natura 
stabiliscono mediante le serie causali dei fenomeni. 

E tra gli scritti meno antichi, due saggi, dei più elaborati e 
ricchi d’idee, I diritti della Metafìsica (nel volume « Pensiero Mo¬ 
derno ») e Idee metafìsiche intorno all’anima (nel II voi. di « Psicolo¬ 
gia e Filosofia »), giungono, attraverso l’analisi dei concetti di causa 
e di sostanza, alle medesime conclusioni teistico-spiritualistiche in¬ 
torno a Dio e all’anima umana. Dio è la Causa prima, la causa 
che non è effetto, postulata qual condizione essenziale della compren¬ 
sibilità di qualsiasi fatto particolare in quanto anello di una serie 
causale: causa la quale non può esser concepita, se non come ana¬ 
loga alla sola causa vera a noi nota, che è la nostra stessa volontà 
in quanto libera, in quanto costitutiva d’un cominciamento assoluto; 
non può quindi esser concepita se non come volere essa stessa, e 
quindi come causa finale. 

E Dio è la Sostanza Assoluta. l’Essere nel quale trova compiuto 
soddisfacimento l’esigenza del pensiero a cui risponde il concetto 






126 


E. PAOLO LAMANNA 


di sostanza: che è il concetto di essere che non è in altro nè per 
altro, ma è essere per sè, condizione e presupposto di ogni altra de¬ 
terminazione, principio e unità reale di ogni molteplicità. E anche 
per questo rispetto esso non può venir concepito se non in analo¬ 
gia con quella che è per noi l’espressione più immediata e genui¬ 
na della sostanzialità, ossia la coscienza, che è appunto esistenza 
per sè, l’io che è immediatamente percepito come principio unico di 
una molteplicità di funzioni e di atti, in cui manifesta la sua realtà. 

E le sostanze finite possono anche esser considerate come pen¬ 
sieri di Dio, e quindi come atti di quest’Essere per sè per eccel¬ 
lenza, purché però l’atto e la funzione di Dio siano intesi come tali 
che il termine di essi abbia un essere almeno parzialmente indipen¬ 
dente e sia fornito della capacità di esistere per sè, di spontaneità 
e di libertà. 

Appunto queste proprietà degli esseri finiti rileva e illustra il 
De S. nel tentativo di determinare cosi l’origine come il destino 
delle anime. L’origine dell’anima la quale implica, per un lato, la 
produzione di qualcosa di nuovo e, per l’altro, la conformità a un 
ordine di leggi immutabile, può, secondo il De S., esser posta in 
rapporto con l’azione divina, purché questa s’intenda appunto come 
sostrato reale in cui ha il suo sostegno quell’ordinamento di leggi, 
per il quale, in date condizioni, nuovi fatti accadono o nuovi fini 
e valori vengono realizzati. E poiché quelPordinamento è eterno, 
anche delle anime può dirsi che esistono ab aeterno, come princi¬ 
pi potenziali, i quali aspettano che i destini si maturino per poter 
divenire attuali. E una volta divenuti attuali, i centri reali di 
vita e di coscienza sono, secondo il De S-, indistruttibili, appunto 
in forza del pregio intrinseco che essi posseggono come sostanze: 
onde l'affermazione dell’immortalità di tutte le anime. 

* 

• * 


3. — È innegabile, dunque, che del problema metafisico per 
eccellenza il De S. presenta costantemente una soluzione conforme, 
nei suoi principii fondamentali, al teismo e spiritualismo tradizionale. 
Ma bisogna subito aggiungere che nella trattazione di questo pro¬ 
blema della realtà egli è sempre consapevole del carattere mera¬ 
mente congetturale di quella soluzione, quantunque questa gli sem¬ 
bri meno inadatta delle altre a dare dei fatti e della realtà cono¬ 
scibile una certa quale interpretazione sistematica. Egli non si na¬ 
sconde mai le oscurità che si oppongono alla piena intelligibilità 


IL REALISMO PSICOLOGISTICO 


127 


dell’Assoluto: non dissimula le antinomie tra le quali la ragione 
umana si dibatte ogni volta che pretende di dare della realtà ul¬ 
tima una definizione esauriente. E’ troppo persuaso dello scarso va¬ 
lore dimostrativo che possono avere le analogie in base alle quali 
noi trasportiamo dal finito all’infinito o estendiamo da una ad al¬ 
tra sfera di realtà i nostri concetti, perchè si possa credere che egli 
s’illuda sulla portata effettiva di quelle ipotesi, anche se l’intimo con¬ 
vincimento suo della preferibilità di quelle ad altre ipotesi dia ta¬ 
lora alla sua trattazione un tono che può parere alquanto dommatico. 

Le riserve prudenziali che spesso interrompono la sua trattazione 
di tali problemi potrebbero anzi indurre a ritenere ch’egli sia in 
fondo un agnostico in fatto di metafisica: ed egli non disdegnerebbe 
certo questo epiteto, se per agnosticismo s’intende la persuasione 
che il mistero dell’universo è e rimarrà ineluttabilmente un mistero 
per la mente umana. Agnosticismo, che ben si concilia in lui con 
la fede — questa, si, veramente dommatica nel senso migliore delia 
parola con la fede sulla validità assoluta dei princìpi razionali, 
con l’affermazione che nel fondo della realtà è la Ragione : si con¬ 
cilia, perchè, data appunto l’ind'pendenza relativa delle coscienze 
finite dall’Essere assoluto di Dio, possono da ognuna di quelle essere 
colti soltanto frammenti della razionalità in cui questo si rivela co¬ 
me immanente all'universo. 

È uno dei caconi della maniera di filosofare del De S. questo, 
che l’esigenza dell’unità, la quale è essenziale alla ragione e si esprime 
nel suo grado più alto nella posizione del problema metafisico, non 
può e non deve essere sodisfatta con l’eliminazione delle differenze 
che la realtà presenti e la ragione stessa riconosca come irriduci¬ 
bili, anche se non riesca poi facile o possibile alla mente umana 
stabilire come questa molteplicità irreduttibile possa esser ricon¬ 
dotta o comunque messa in relazione con quel principio reale di 
unità assoluta che è Dio. 

Cito due esempi caratteristici, relativi al concetto fondamentale 
di sostanza. Della sostanza, come s’è visto, noi abbiamo, secondo 
il D. S., una conoscenza immediata nell’apprensione del nostro io, 
in quanto questo è un essere per sè e si manifesta nei fatti psi¬ 
chici come in atti suoi, senza esaurirsi in nessuno di essi. Da ciò 
parrebbe lecito dedurre che il mondo sia costituito di sostanze 
omogenee, ossia di esseri che siano per sè come unità di coscienza, 
anche se tra le varie sostanze si debba stabilire una differenza di 
grado: parrebbe cioè giustificato il monismo spiritualistico. Invece 
il De S. dedica due saggi ad una critica stringente di questa solu- 


128 


E. PAOLO LAMANNA 


zione del problema metafisico, che pur parrebbe la più conforme 
ai suoi supposti spiritualistici (// monismo psichico e Sullo spiritualismo 
odierno, nel volume « Pensiero Moderno »). È vero, egli dice, che 
tutto ciò che esiste, per il fatto che esiste, agisce in una data maniera, 
e noi non possiamo rappresentarci codesta attività che facendo uso 
di nozioni attinte alla nostra esperienza intima, e che quindi in 
ultimo siamo sempre spinti a identificare l’esistenza con una forma, 
per quanto attenuata, di psichicità. Ma l’analogia non deve far per¬ 
dere di vista le profonde differenze esistenti se non altro tra il 
modo di comportarsi degli obietti e fatti costituenti la natura esterna 
e quello degli esseri e processi psichici. Anzi, per il De S., a 
rigore non basterebbe opporre al monismo, sia esso materialistico o 
immaterialistico, il dualismo : sarebbe più logico parlare di pluralismo 
senza aggettivi, esprimente una pluralità di energie e di attività 
tanto differenti tra loro,' che a rigore non possono essere accomu¬ 
nate nè sotto la rubrica spirito né sotto qualsiasi altra rubrica. 
Come e perchè esista quel dato numero di principii, cornee perchè 
esistano quelli e non altri, non è possibile dire: è un fatto che va 
constatato, e non si può e non si deve spiegare; come vanno indagate, 
constatate e descritte le varie maniere di agire e reagire reciproca¬ 
mente di questi vari esseri, ma non si può presumere di spiegare, 
nel vero senso della parola, come e perchè si stabilisca la con¬ 
nessione reciproca di tali esseri che sono esistenti per sè, sebbene 
nelle maniere speciali di agire e reagire essi affermino e rivelino 
la loro esistenza. 

Ma vi ha di più: la sostanza vivente e, più in particolare, la 
sostanza psichica esiste ed agisce in quanto si sviluppa. Ora uno 
dei saggi più penetranti del De S. (Il significato filosofico dell'evo¬ 
luzione, nel volume « Il Pensiero moderno ») è dedicato all’analisi del 
concetto di evoluzione, ed è uno dei più significativi per dimostrare 
come nella concezione metafisica del De S. si conciliino un tempe¬ 
rato razionalismo e un prudente agnosticismo. Il concetto di evo¬ 
luzione, lungi dall’essere — come vuole, ad es., l’hegelismo — un 
principio esplicativo, e lungi dal dare un’espressione compiuta della 
realtà ultima, ha bisogno esso stesso di venir reso intelligibile. E 
l’analisi critica di tal concetto rivela la presenza in esso di vere e 
proprie contradizioni, che non possono essere eliminate se non 
considerando lo sviluppo non già come il prius della realtà, ma 
come qualcosa di accessorio e di secondario. Il processo evolutivo, 
mentre implica necessariamente il tempo, esige l’illusorietà del tempo; 
mentre vuol essere creazione, implica già la preesistenza del termine 







IL REALISMO PSICOLOGISTICO 129 

a cui arriva; si può leggere in esso, almeno post factum, la rispon¬ 
denza a un ordine razionale, ma chi dice razionalità, dice estra- 
temporaneità. Ogni evoluzione implica dunque qualcosa di assoluto, 
di perfetto, di stabile, che rappresenta il principio vero dell’evolu¬ 
zione. Ecco il risultato, positivo, certo, cui conduce l’analisi del 
concetto di evoluzione: ma è una certezza che fa sorgere nuovi 
interrogativi: allora, ci si domanda, come e perchè i reali concreti 
e finiti sono cosi fatti da dover attuare i fini solo mediante il pro¬ 
cesso evolutivo, come e perchè l’ordine si realizza per gradi e attra¬ 
verso lo sviluppo? Il che equivale a domandarsi come e perchè 
esistano esseri finiti che si trovano con l’assoluto in quegli speciali 
rapporti. E a questi interrogativi non è possibile rispondere: ed 
ecco come, conclude il De S., l’evoluzione è un aspetto del « my- 
sterium magnurn » della realtà. Il problema dell’evoluzione reale 
conduce al problema del tempo, e come questo resulta dalla con¬ 
nessione del flusso con la permanenza, della successione con la 
durata, così l’evoluzione poggia sul rapporto del divenire o variare 
con ciò che è immutabile, permanente e eterno. 

* 

* * 

4. — Compito df;fa filosofia, dunque, di fronte al problema più 
propriamente metafisico sembrerebbe essere, per il De S., quello di 
rendere chiare e in un certo senso acuire e dimostrare insuperabili, 
piuttosto che superare, le difficoltà che quel problema offre alla 
mente umana; di illuminare i limiti di essa, piuttosto che additarle 
un varco alla conoscenza piena dell’Assoluto. 

Ma non è questo, per il De S., l’unico compito della filosofia: o 
meglio, per assolvere questo stesso compito, per condurre la mer*e 
umana appunto a queste posizioni che sono al margine del mistero, 
a queste che possono dirsi frontiere della conoscenza umana, e per 
dimostrare che sono frontiere invalicabili, la filosofia deve, secondo 
il De S., percorrere il dominio stesso che innanzi alla conoscenza 
si stende, di qua da quelle frontiere: ed è il dominio dell’esperieza 
nel senso più pieno e più ampio di questa parola. Prima della 
« Dialettica trascendentale » e quindi prima della Critica della Ra¬ 
gion pratica con i suoi postulati, vi è e vi deve essere una « Estetica » 
e una «Analitica», per servirci della terminologia usata da Kant, 
a designare un atteggiamento di pensiero analogo, per questo 
rispetto, a quello criticistico, anche se, come vedremo, muova da 
supposti e segua un. procedimento e giunga a risultati profonda¬ 
mente diversi. 


9 


130 


E. PAOLO LAMANNA 


L’attività filosofica del De S. ha avuto sempre, sin dalle sue 
prime manifestazioni, un’impronta di positività, disdegnosa di ogni 
audacia speculativa, derivante così dalla tempra del suo spirito 
come dalla sua educazione scientifica, oltre che dal convincimento 
del valore nullo di ogni concezione che non sia un portato neces¬ 
sario della critica della conoscenza positiva e non abbia quindi una 
larga base empirica. Ma questo convincimento, si può dire, si è venuto 
in lui sempre più radicando col maturarsi del suo pensiero, sino 
a divenire il motivo fondamentale sempre più insistente del suo 
filosofare; sì che con questa designazione appunto di filosofia del¬ 
l'esperienza egli ama contrassegnare la sua dottrina e il suo metodo, 
in recisa opposizione alla speculazione idealistica dei neo hegeliani, 
che si è andata sempre più affermando in Italia. Si direbbe che il 
diffondersi di quell’antiempirismo dialettico ch’egli considera un 
vero « contagio » delle menti, l’abbia indotto ad accentuare sempre 
più la necessità di ricorrere a cautele immunizzatrici, in un contatto 
sempre più stretto, e più esclusivo, della filosofia col sapere empi¬ 
rico; di ricondurre la filosofia, come in rifugio sicuro, in quei con¬ 
fini entro i quali essa possa mantenere il carattere di scienza, es¬ 
sere, ai pari delle altre scienze, un prodotto dei processi logici 
comuni della mente umana, anziché l’espressione — mistica o lirica 
che sia, notevole quanto si voglia per novità e originalità, ma non 
suscettibile d’una dimostrazione razionale — l’espressione, dicevo, 
di una coscienza e quasi d’un temperamento individuale traverso 
il quale la realtà si rifranga. E inaugurando, nello scorso ottobre, 
l’ultimo Congresso italiano di filosofia a Firenze, giunse alle affer¬ 
mazioni estreme che le attuali condizioni della cultura filosofica in 
Italia esigono un più o meno lungo periodo di astinenza dall’alta 
speculazione, e che non il problema filosofico, quello metafisico 
intorno alla natura della realtà ultima e assoluta, ina / problemi 
filosofici particolari, o meglio questi prima e con più fiducia e anzi 
con più sicurezza di successo che quello, e come condizione per 
la stessa impostazione non che per ogni tentativo di soluzione di 
quello, meritano di essere oggetto dell’indagine filosofica. 

Ma con ciò, si può osservare, non è stato sacrificato proprio quello 
che è il carattere distintivo del sapere filosofico rispetto alle scienze 
particolari, e che è appunto la determinazione della relazione dei 
distinti, il riferimento della molteplicità delle distinzioni a un prin¬ 
cipio unitario? Il De S. risponde che la filosofia è aspirazione alla 
unità dell’Essere, senza che perciò il filosofo debba trasformarsi in 
un allucinato dell’unità. La varietà e la inconciliabilità dei tentativi 


IL REALISMO PSICOLOGISTICO 


131 


compiuti nella storia della filosofia per unificare i reali e-le conoscen¬ 
ze e per dedurre la complessità dei fatti da un unico principio, sta 
a dimostrare, secondo lui, che all’unificazione si giunge colmando 
con l’immaginazione le lacune della conoscenza certa e dimostra¬ 
bile. Gli si può replicare con l’obiezione consueta, che la vanità 
di quei tentativi risulta dall’aver cercato la unità nell’oggetto invece 
che nel soggetto, nella natura (o in Dio, che è lo stesso) invece 
che nello Spirito. Ma il De S. ribatte che anzi appunto attraverso 
quel riferimento degli oggetti al soggetto conoscente, appunto at¬ 
traverso quella unificazione, diremmo, metodologica e gnoseologica, 
di tutto il reale nell’io — che è propria del sapere filosofico —, si 
rivela la irriducibilità, diremo, ontologica degli oggetti e dei valori. 

* 

★ * 

5. — Infatti, per il De S., se da un lato la filosofia non può 
non scindersi in una molteplicità di discipline, fondate su principii 
irriducibili (essere e valere, p. es.), dall’altro lato queste hanno ca¬ 
ratteri comuni, che valgano a fare di esse appunto un unico gruppo, 
quello delle disciplini; filosofiche. E questi caratteri comuni sono: 
I) determinazione dei concetti universali, attraverso i quali la realtà 
può essere razionalizzata; 2) riferimento di tutta la realtà allo spi¬ 
rito del soggetto, in cui e per cui l’esperienza in ogni sua forma 
si costituisce. Due caratteri, questi, che sono per il De S. stret¬ 
tamente uniti e come interdipendenti: perchè le idee universali — 
ossia le nozioni metafisiche fondamentali — intanto assurgono a 
quel grado di fecondità per cui rappresentano i mezzi di raziona¬ 
lizzazione della realtà, in quanto o sono il risultato della giustii.jata 
estensione a tutta la realtà di concetti che abbiamo direttamente 
appreso nella coscienza (sostanza, fine, causa), ovvero sono il 
prodotto della riflessione sui modi in cui la realtà diviene intelli¬ 
gibile e acquista consistenza nella mente umana. Lo spirito, in 
quanto termine comune di riferimento di tutti gli elementi e fatti 
della realtà, viene ad occupare una posizione centrale nel mondo, 
e la psicologia, come scienza dello spirito, costituisce il terreno di 
incontro delle diverse discipline filosofiche. 

Si è detto, la psicologia come scienza dello spirito : e di questa 
determinazione v’è bisogno per non cadere nei facili equivoci cui può 
dar luogo la parola psicologia o psicologismo. Già nei 1903, nel 
suo poderoso volume I dati dell'esperienza psichica, il De S. 
insisteva sulla profonda differenza esistente tra la psicologia come 



132 


E. PAOLO LAMANNA 


scienza empirica e la psicologia coinè scienza filosofica. La prima, 
quale si è venuta costituendo negli ultimi decenni, studia l’anima 
umana come un « obietto» tra gli altri obietti della natura, ha aspetto 
e procedimento di una scienza naturale e non mira che alla spiega¬ 
zione causale dei fenomeni. Per essa la vita psichica è un complesso 
di « stati » di coscienza: i quali, sì, implicano tutti una certa coscienza 
dell’io (in maniera che per il De S. non è possibile una psicologia 
« senz’anima », anche se sia psicologia empirica): ma il soggetto non 
è còlto, da questa, in funzione, ossia nella sua attività tendente a 
determinati scopi. Si tratta di una considerazione statico di dati, 
a cui il concetto di atto è necessariamente estraneo; di una consi¬ 
derazione che tende a fissare i rapporti condizionali dei vari ordini 
di stati psichici e a ridurre il complesso al semplice. La psicologia 
empirica deve quindi limitarsi all’«analisi morfologica» della co¬ 
scienza, escludente qualunque funzionalità e quindi qualunque dina¬ 
mismo. 

Ora « lo spirito — dice il De Sarlo (p. 412) — non è una cosa 
tra le altre cose, ma è il mezzo di rivelazione della realtà. Come 
tale lo spirito è universale: universalizza sè stesso nelle sue funzioni 
ed universalizza per ciò stesso l’obietto a cui è rivolta la sua atti¬ 
vità ». Ecco perchè lo spirito può considerarsi come in una posizione 
centrale rispetto a tutte le cose: e la scienza che lo studia, ossia 
la psicologia come “ fisiologia „ dello spirito, è necessariamente 
scienza filosofica. Nella considerazione funzionale dello spirito s’im¬ 
pone il concetto di valore e quindi di fine. Le funzioni dello spirito 
mercè i loro atti oggettivano i dati e stati soggettivi; perchè sono 
determinazioni che qualificano, sì, il soggettò, ma lo qualificano in 
rapporto all’oggetto, e danno quindi luogo a ciò che è universal¬ 
mente valido, a quelli che sono i valori oggettivi. La verità, il bene, 
il bello non sono dei dati o dei fatti: sono degl’ideali, sono appunto 
valori, distinti da ogni altro valore unicamente soggettivo per que¬ 
sto carattere, che sono forniti di una speciale necessità che è la 
necessitàdi diritto ben diversa dalla necessità di fatto degli stati psichici. 

Quest’ultima denota soltanto che uno stato è inevitabilmente 
determinato, nella sua insorgenza, da certe condizioni, una volta che 
queste siano date, cioè siano determinate da altre condizioni, e così 
via; denota cioè che uno stato o un fatto psichico ha sempre la sua 
ragione d’essere in altro. Ma è indifferente al valore di quello stesso 
stato o fatto, se per valore s’intende ciò che ha la ragion d’essere 
in sè e non in altro ossia un valore incondizionato e assoluto, ciò 
che deve essere anche se le condizioni dell’essere non sussistano e 


IL REALISMO PSICOLOGISTICO 


133 


quindi la realtà non sia ad esso adeguata. La necessità psico¬ 
logica abbraccia indifferentemente nella sua spiegazione così il valore 
come il disvalore, così il vero, il bello, il bene, come l’errore, il 
brutto, il male. Una tale distinzione di valore, come distinzione obiet¬ 
tiva e universale, non si può avere se non mediante il riferimento alle 
leggi costitutive delle funzioni originarie ed essenziali dello spirito, 
leggi non meccaniche, superiori anzi al meccanismo psichico, perchè 
essenzialmente teleologiche, indicanti cioè la maniera in cui quelle 
funzioni agiscono ogni volta che raggiungono il termine che è costi¬ 
tutivo della loro natura spirituale, leggi rivelanti la loro natura attra¬ 
verso una forma di evidenza che è indizio della loro necessità e 
universalità. Le leggi logiche e gnoseologiche definiscono la natura 
del pensiero, le leggi etiche quelle della volontà, le leggi estetiche 
quelle della fantasia. Sono principii o assiomi i quali significano 
che il pensiero, il volere e la fantasia in tanto meritano veramente 
questo nome e in tanto raggiungiamo il termine che ad esse è proprio, 
in quanto si esplicano nel senso indicato da quelle leggi piuttosto 
che in altro senso. 

La distinzione tra psicologia empirica, come scienza dell’anima 
— morfologica, naturalistica e la psicologia come scienza dello 
spirito — funzionale e filosofica , così nettamente affermata dal 
De S. nell’opera su citata del 1903, è forse stata successivamente 
attenuata in altri scritti, nel senso che, a suo giudizio, la conoscenza 
del meccanismo psichico risulta utile alla determinazione dei modi 
in cui lo spirito si eleve al di sopra di esso r e reciprocamente la 
conoscenza dei fini dello spirito è indispensabile per l’apprensione 
esatta del meccanismo che serve di mezzo al raggiungimento di t'°i. 
Ma l’attenuazione si riferisce ai rapporti tra le due considerazioni 
dell’anima e non elimina con ciò la distinzione. 

E comunque il De S. non ha mai cessato di differenziare net¬ 
tamente ed energicamente il suo psicologismo da quello naturali¬ 
stico, che considera i valori dello spirito come « o applicazioni di 
leggi psicologiche già operative in altre direzioni, ovvero particolari, 
originarie manifestazioni dell’attività psichica, le quali però attingono 
il loro significato dall’essere effetti necessari di certe cause psichiche 
o risultati inevitabili di processi mentali naturali, e non già dal ri¬ 
spondere a certi fini od esigenze valide anche se non mai realiz¬ 
zate». Si leggano specialmente, in proposito, i saggi Lo psicologismo 
nelle sue principali forme (nel voi. < Pensiero Moderno »), Vecchia 
e nuova psicologia, La psicologia e le scienze normative, e La clas¬ 
sificazione dei fatti psichici (nel I voi. di « Psicologia e Filosofia »). 


134 


E. PAOLO LAMANNA 


* 

* * 

6. — Lo psicologismo del De S. non è dunque naturalismo, ma 
non è neppure immanentismo: offre anzi a lui il mezzo per affermare 
e dimostrare, contro ogni forma d’idealismo immanentistico, il suo 
realismo gnoseologico. 

Se nella determinazione di ciò che è l’essere e, in genere, di ciò 
che è oggetto di conoscenza, il De S. ritiene di dovere attenersi 
ai criteri generali su esposti del suo psicologismo, non è già perchè 
egli ritenga che la psiche e i processi psichici costituiscano la stessa 
realtà, anzi lo stesso essere, ma è solo in considerazione delle pre¬ 
rogative che, in ordine alla conoscenza, sono proprie dell’esperienza 
psichica di fronte ad ogni altra forma di esperienza. E queste pre¬ 
rogative sono due: 1) innanzi tutto la così detta esperienza estèrna 
si rivela e acquista consistenza sempre attraverso l'interna, perchè 
ciò che è direttamente percepito, anche in quelli che sono comune¬ 
mente detti oggetti esterni, è sempre il contenuto d’un atto psichico; 
l’esperienza interna presenta la nota dell’evidenza (evidenza di fatto) 
derivante dalla coincidenza del percepire col percepito; e perciò 
l’esperienza psichica rappresenta il vero fondamento per la consta¬ 
tazione di qualunque esistenza reale, e quindi di ogni sapere em¬ 
pirico. 2) In secondo luogo, l’esperienza psichica è il solo tra¬ 
mite attraverso il quale tutto ciò che è (reale o pensabile che sia), 
l’essere in generale ci si può rivelare. L’io distinguendosi da tutta 
la realtà traspare a sè medesimo, e insieme tutta la realtà diviene 
trasparente attraverso di esso. Nulla esiste che sia propriamente 
nell’io, tranne l’io stesso, e insieme, in un certo senso, nulla di cui 
si può discorrere esiste al di fuori dell’io, perchè la cosa, per essere 
affermata e riconosciuta, deve in qualche maniera esser presente 
alla coscienza. In questo consiste ciò che si può chiamare funzione 
rappresentativa della mente. 

Ma proprio da questo carattere essenziale alla mente il De S. 
deriva la necessità di affermare la trascendenza dell’oggetto rispetto 
alla mente che lo afferma e lo pone. Noi, egli dice, arriviamo, è 
vero, al concetto di essere e di obietto solo mediante la riflessione 
sull’atto di riconoscimento: ma questo in tanto è tale, in quanto è 
provocato da qualcosa di diverso da sè. La mente, non contenendo 
la realtà come tale, nè identificandosi con essa, non può giungervi 
se non attraverso qualcosa che rappresenti o sostituisca la realtà 
medesima. Le rappresentazioni mentali forniscono i segni in base 
a cui l’intelletto costituisce la realtà. La realtà, si può anche dire 


IL REALISMO PS1COLOOISTICO 


135 


che sia « percipi « e « intelligi », purché con ciò non si voglia signi¬ 
ficare che l’essere si esaurisca nel fatto di essere percepito e inteso, 
ma solo che non si ha modo di definire quest’essere prescindendo 
dalle sue rivelazioni nella coscienza individuale. La conoscenza vale 
sempre per altro, si riferisce sempre ad altro. 

Non che si tratti di una specie di corrispondenza tra l’obietto 
trascendente e la rappresentazione mentale — come grossolanamente 
si ritiene da molti critici di tale concezione —, quasi fosse am¬ 
missibile un’apprensione dell’oggetto qual’è in sé al di fuori della 
coscienza e quindi un confronto tra la Cosa e 1 idea- L affermazione 
della trascendenza è imposta dal bisogno di dare un senso alla 
funzione conoscitiva qual’è còlta in atto, al fatto conoscitivo nel 
suo significato e nell’intendimento che lo anima. 

Certo, per il De S., non si deve con Jiò pregiudicare la soluzione 
del problema metafisico della costituzioile intima della realtà ultima. 
La metafisica può anche giungere alla conclusione che la realtà, 
divelta da qualsiasi rapporto con la coscienza, è un non senso, che 
tutto ciò che esiste, esiste in quanto è connesso con una coscienza. 
Ma questo rapporto metafisico non può essere identificato col rap¬ 
porto gnoseologico tra obbietto e coscienza in quanto conoscente. 
La coscienza nel riferimento alla quale può farsi consistere la 
realtà di tutto ciò che è, non è certo la coscienza individuale del 
soggetto che conosce questa realtà e la conosce riferendola a sé 
come altro da sè: anche quando si sia ridotta metafisicamente la 
realtà a coscienza, tale coscienza rispetto al soggetto conoscente, a 
questo o quel soggetto, è sempre un reale, un oggetto, è sempre 
appresa da esso come altro da sè. 

Il quale ultimo punto non potrebbe essere negato se ì.'in di¬ 
mostrando che la distinzione delle singole coscienze è illusoria e 
che i rapporti tra gli obietti costituenti l’universo sono identici ai 
rapporti tra i fatti psichici di ciascuno. Questa dimostrazione, per il 
De S., non può essere data: e ne vedremo il perchè, tra poco, a pro¬ 
posito della natura del soggetto come reale. E, comunque, allo stesso 
modo che la soluzione del problema gnoseologico non deve acco¬ 
gliersi come tale da contenere o assorbire in sè la soluzione del pro¬ 
blema metafisico, cosi questa — che, d’altronde, può essere solo 
punto d’arrivo dell’indagine filosofica, e irta, come s’è già detto, 
di difficoltà e oscurità d’c^ni sorta —, non può e non deve pre¬ 
giudicare la soluzione del problema gnoseologico, sino a eliminare 
ciò che è costitutivo del fatto della conoscenza, la dualità di sog¬ 
getto e oggetto. 


136 


E. PAOLO LAMANNA 


L’esperienza psichica — l’abbiamo già detto — è, per il De S., 
costituita di atti : e perciò anche il pensiero è atto. Ma chi dice 
atto, dice qualcosa che accade nel tempo, qualcosa che sorge e si 
dilegua in un determinato punto della durata. E allora, secondo il 
De S., non si può sfuggire a questo quesito: se tutta l’esperienza 
psichica si risolve in un complesso di atti e se in conseguenza tutto 
ciò che può essere conosciuto non lo può che attraverso atti, come 
é possibile arrivare al concetto di ciò che non è atto, al concetto, 
poniamo, di una relazione universale e necessaria tra idee, com'è 
possibile arrivare al concetto del mondo della pensabilità, che 
esclude qualsiasi elemento di efficienza, di azione reale, e che non 
è nel tempo? Appunto per rispondere a questo quesito, occorre 
negare l’immanenza o l’inclusione dell’oggetto nell’atto psichico cor¬ 
rispondente. Mentre vi sono contenuti di coscienza i quali si mol¬ 
tiplicano come si moltiplicano i centri di coscienza, ve ne sono 
altri che, pur essendo in speciale rapporto con i primi, rimangono 
unici e anzi non sono concepibili che come unici. 

E anche quando agli obietti in quanto parvenze non è attribui¬ 
bile nessuna consistenza reale, non è lecito affermare che essi si 
identifichino con gli atti stessi, giacché anche in tali casi è sempre 
necessario presupporre ddle condizioni indipendenti atte a provo¬ 
care l’esplicazione dell’attività psichica riconosciuta poi come illusoria. 
L’esistenza di siffatte condizioni è un presupposto ineliminabile : o 
l’attività psichica ch’esse hanno provocata è adeguata alle condi¬ 
zioni medesime, e allora si è autorizzati a identificarle con obietti 
reali, aventi un’esistenza indipendente; o tale esplicazione è ina¬ 
deguata, e allora s’impone la necessità di ricercare quale forma di 
realtà e di esistenza possa essere attribuita a quelle condizioni. 

* 

* * 

7. — Ma come si può decidere se vi sia o no adeguazione del¬ 
l’atto all’oggetto? Qui il De S. insiste sulla distinzione tra i due 
ordini di oggetti conoscibili: gli obietti concreti e individuali (con 
le loro qualità) da una parte, e gli elementi ideali o intelligibili, 
dall’altra. L’esistenza è fornita sempre dall’esperienza: o è dato 
sensoriale, o è dato della coscienza, e non può non occupare tempo ; 
l’intelligibile, invece, è sempre formulabile per mezzo di un rapporto 
o di un complesso di rapporti, ed è estraneo alle vicende del tempo. 
E il fondamento della cognizione, in rapporto a questi due ordini 
di obietti, è da un lato la percezione dei fatti psichici e di ciò 



IL REALISMO PSICOLOGIST1CO 


137 


che è relativo ad essi, e dall’altro la conoscenza di certi principii 
e assiomi costituenti come l’ossatura della ragione; da un lato, 
cioè, l’evidenza di fatto, fornita, come si è già accennato, dalla di¬ 
retta esperienza che abbiamo di noi stessi, e, dall’altro, la necessità 
razionale, qual’è còlta nei principii logici. 

Questa distinzipne, però, non è da intendere, secondo il De S., 
nel senso che l’apprensione dell’esistente e della sua qualità possa 
farsi indipendentemente dal pensiero logico. Il fatto individuale non 
è caratterizzabile che mediante nozioni universali; e 1 intelligibile, 
se può essere considerato per sè (astratto) solo per opera della 
mente, è tanto intimamente connesso (consubstanziale) con resistente, 
col puro fatto, che questo non può formare oggetto di conoscenza 
se non per ciò che contiene di inttj ligibile. È il pensiero che deve 
in certo modo investire di sè i dati'dell’esperienza psichica per og- 
gettivarli affermandoli, facendone cioè termini di atti giudicativi, e 
trasformarli così in reali conosciuti. 

Più in particolare, è il pensiero che fa di quella sfera dell’espe¬ 
rienza psichica che è la sensibilità, il tramite di una realtà trascen¬ 
dente la coscienza, e fa delle qualità sensoriali non soltanto contenuti 
psichici — aventi la realtà stessa di altri contenuti psichici, come 
sentimenti, volizioni ecc., aventi cioè resistenza che è propria degli 
stati o atti di quel prototipo di realtà individuale che è l’io — , 
ma fenomeni d’una realtà trascendente. Il pensiero pone e risolve 
il problema della realtà di un correlato obiettivo delle q alità senso¬ 
riali, in quanto da un Iato queste non sono meri contenuti di co¬ 
scienza o creazione del soggetto — come dimostrano la coerenza e 
permanenza che presenta l’esperienza sensibile e le variazioni a 
cui questa può andar soggetta indipendentemente da qualsiasi rap¬ 
porto con la coscienza individuale — ; e dall’altro lato non sono 
cose in sè — come dimostra la loro relatività alle condizioni subiet¬ 
tive, per cui è impossibile dire chiaramente in che cosa consistano, 
per sè prese. D’onde risulta che esse hanno una forma di esistenza 
speciale che è appunto l’essere proprio dei fenomeni. Ora questo 
correlato obiettivo delle qualità sensoriali può essere raggiunto solo 
per opera del pensiero e non è determinabile nei suoi tratti essen¬ 
ziali che in base ai principii razionali. 

Il pensiero rappresenta, pertanto, il solo mezzo per distinguere 
l’apparenza dalla realtà, anzi il solo mezzo per attribuire un signi¬ 
ficato a tale distinzione. Le parvenze sensoriali, i puri fenomeni 
e le forme intuitive dello spazio e del tempo non possono non 
essere constatati, e quindi come pseudo-esistenze, non possono non 


138 


E PAOLO LAMANNA 


divenire obietti di conoscenze immediate, nella forma di giudizi 
percettivi (pensiero tetico, immediato, concreto). E quando i dati 
così affermati si trovino in contrasto col sistema delle conoscenze or¬ 
ganizzate intorno ai principii razionali, il pensiero medesimo è chia¬ 
mato a decidere in ultima istanza su ciò che va affermato come reale 
e ciò che va riguardato come apparenza, è chiamato a decidere in¬ 
torno all’obbiettivo e al subbiettivo. 

Se già l’esistenza come tale esige, secondo il De S., l’intervento 
del pensiero logico, s’intende che anche l’essenza del reale non possa, 
e con più forte ragione, esser determinata che dal pensiero. Essa 
consiste in relazioni, nelle quali la mente traduce ciò che dapprima 
è soltanto sperimentato e vissuto (somiglianza e differenza, nesso 
di dipendenza, rapporti quantitativi, rapporti di azione e passione, 
rapporti spaziali e temporali atti a fornire le coordinate per l’indi¬ 
viduazione). L’intelligibile, distrigato dal reale per mezzo dei processi 
intellettivi, finisce per assumere l’ufficio di segno rispetto a ciò che 
è posto come indipendente dal soggetto e come sussistente. E il 
progressivo sviluppo della conoscenza è determinato dal bisogno di 
fissare ciò che nella realtà vi ha di conforme alla ragione e quindi 
di assimilabile da essa mediante la traduzione della realtà stessa in 
rapporti razionali. La credenza che l’obietto sia sempre risolubile 
in elementi intellettuali è il presupposto e anzi l’anima di qualsiasi 
conoscenza. 

La realtà esistente, dunque, non può essere posta che dal pen¬ 
siero in quanto giudizio tetico; e non può essere conosciuta nella 
sua struttura se non nella misura in cui il pensiero la traduce in 
un complesso di rapporti intelligibili. Ma — e con ciò il De Sarlo 
riafferma il carattere nettamente realistico del suo razionalismo — 
i termini di questi rapporti e il contenuto di quelle « tesi » non sono 
risolvibili in pensiero.Vi è sempre distinzione, secondo il De S., tra 
lo sperimentare e il pensare, nel senso che quello non è derivabile 
da questo, anche se non possa divenire sperimentare «obiettivo », e 
quindi conoscere, che per mezzo dell’attività del pensiero; vi è 
distinzione tra il pensiero come oggetto di conoscenza, come pensa¬ 
bile o pensato, e il pensiero come attività d’un soggetto, volta 
a raggiungere la verità — sia questa un dato di fatto o un’i¬ 
dea —, come pensiero pensante. 

È questa la natura dei rapporti, il cui complesso costituisce la 
pensabilità del reale: da un lato essi sono il risultato di atti (riferi¬ 
mento) compiuti dal soggetto, sì che, come tali, parrebbero immanenti a 
una mente e quindi il prodotto di un soggetto. Ma dall’altra parte 




IL REALISMO PSICOLOGISTICO 


139 


non sono posti arbitrariamente; sono, più che suggeriti, imposti da 
esigenze obiettive. Nè l’inlelligibiiità dei rapporti viene ad essere 
facilitata dal riferimento di essi ad una Mente universale. Con ciò 
i rapporti vengono consideratifcome creazione arbitraria di tale Mente ? 
E allora ogni analogia di questa con la mente umana verrebbe ad 
essere cancellata, e il ricorso ad essa diverrebbe inutile allo scopo. 
Vengono, invece, i rapporti considerati come espressione di una neces¬ 
sità intrinseca alla natura delle cose? E allora la Mente universale 
non è che il nome per esprimere la coerenza logica, l'intelligibilità 
nel suo aspetto obiettivo; i»/telligibilità che può condurre la mente 
ad ammettere un’Intelligenz.l! assoluta, senza che però questa sia 
assunta a principio esplicativo della razionalità: la razionalità vale 
per sè, indipendentemente dall’essere insidente in una mente. Quel 
che noi possiamo dire, conclude in proposito il De S. t è che i rap¬ 
porti, quali possono essere studiati dall’intelletto finito individuale, 
suppongono obietti (termini) nella cui proprietà hanno il loro fonda¬ 
mento, e che le relazioni, realizzate in questa o quella coscienza 
mediante gli atti di riferimento, sono il riflesso delle relazioni obiettive. 

* 

* * 

8. — Il problema gnoseologico, s’è visto, non può, secondo il 
De S., essere convenientemente trattato se non quando si tenga pre¬ 
sente che il soggetto a cui, nel fatto conoscitiva, vien riferito l’oggetto, 
è il soggetto individuale; e la soluzione réalistica ch’egli ha dato 
al problema potrebbe essere compromessa esclusivamente nel caso 
che si fosse riusciti a dimostrare, in sede metafisica, non solo che 
la realtà non può esser resa intelligibile che quando sia considerata 
come il pensiero di una Mente Universale, ma anche che la distin¬ 
zione delle coscienze individuali tra loro e dalla Mente Universale 
sia illusoria. La dimostrazione di questo secondo punto è per il 
De S. impossibile. 

Intanto l’aver riconosciuto che l’esperienza psichica è costituita 
essenzialmente di atti, non significa per il De S. affermare che il 
soggetto dell’esperienza psichica si risolve in null’altro che in un 
complesso di atti. È il concetto e l’esperienza stessa di atto che 
rinvia per necessità al concetto di soggetto come di un reale distinto 
da ogni altro reale e quindi da ogni altro soggetto. Certo, non è 
possibile determinare la natura del soggetto (unità reale) senza rife¬ 
rirsi agli atti ch’esso compie: ma alla variabilità degli atti non cor¬ 
risponde la variabilità dell’unità del soggetto. L’individuo non può 







140 


E. PAOLO LAMANNA 


non aver coscienza di essere in rapporto con altro da sè per mezzo 
di atti da sè stesso compiuti; ma se esso non distinguesse sè (come 
principio degii atti) dagli atti stessi, e questi dagli obietti a cui gli 
atti sono rivolti, non potrebbe parlare di atti suoi numericamente 
distinti da quelli degli altri individui. Inoltre il soggetto si fa, si 
crea con i suoi atti, ma perchè possa farsi e crearsi, occorre che vi 
sia un principio reale, un dato iniziale e quindi qualcosa di già 
fatto. La creazione non è ex nihilo; e la stessa potenzialità o capa¬ 
cità è concepibile soltanto come inerente a qualcosa di attuale, 
come funzione possibile di un essere. 

Non può, dunque, la coscienza essere ridotta al mero complesso 
degli atti e fatti psichici. Ma non può neppure, d’altra parte, — so¬ 
stiene il De S., confutando in svariatissime occasioni la tesi idea¬ 
listica —, non può neppure essere ridotta a una mera equazione di 
pensante e pensato, alla pura relazione formale d’identità tra cono¬ 
scente e conosciuto. L’idealismo afferma che la suicoscienza è il 
grado supremo dell’evoluzione d’un principio ideale, d’una legge, 
d’un universale; quello in cui la realtà, che negli stadi inferiori si 
presenta come scissa dall’idea, come essere distinto dal pensiero, 
come oggetto opposto al soggetto, rivela invece la sua più intima 
natura, che è appunto unità e identità di soggettivo e di oggettivo, 
di pensante e di pensato, di essere e di pensiero. 

Quest’affermazione è per il De S. risultato d’una confusione deri¬ 
vante dal significato equivoco della parola coscienza. Quando si 
parla di coscienza e di suicoscienza, egli dice, bisogna distinguere 
tra la suicoscienza vera e propria, fondata sulla capacità che ha 
l’io di ripiegarsi su se stesso e di percepire il complesso dei fatti 
psichici come incentrantisi in un punto; e la coscienza, in senso 
largo, come espressione dello speciale rapporto che può esistere tra 
l’oggetto e l’io come conoscente. Quanto alla prima, l’equazione 
di pensiero e di pensato non è che l’espressione, in termini intel¬ 
lettuali, d’una esperienza vissuta sui generis, di un fatto che può 
essere indicato ma non definito, perchè per sè preso oltrepassa il 
pensiero, e non può assumere carattere di necessità razionale. E 
quanto alla seconda, la identificazione dei due termini del rapporto 
conoscitivo non può ottenersi se non sostituendo all’io empirico il 
cosi detto io universale o coscienza in generale o io trascendentale. 
Ma osserva il De S., o con ciò s’intende quello che è comune alle 
menti individuali ; e allora non si vede come si possa distinguere il 
soggettivo psicologico dal soggettivo gnoseologico. 0 s’intende 
qualcosa che vale indipendentemente da questa o quella coscienza 





IL REALISMO PSICOLOGISTICO 


141 


empirica, che esprime il modo come lo spirito deve operare perchè 
sia veramente tale, le esigenze dell’intelligibilità significanti veri e 
propri compiti impditi da ciò che è indipendente dal soggetto; e 
allora non v’è più ragione di parlare di io, di soggetto, quando la 
soggettività si è identificata/con la razionalità, con l’intelligibilità, 
che è anzi l 'oggetto della conoscenza e del pensiero pensante. 

Ma da tale concezione della coscienza come di categoria delle 
categorie, questo solo, secondo il De S., si ricava, che la realtà in 
tanto può essere conosciuta ed essere compenetrata dal pensiero, 
in quanto è concepita essa tessa come implicante pensiero. Il che 
poi significa che la realtà è fcosì fatta da imporre certe esigenze 
alla mente individuale, ossia che nell’obietto vi è qualcosa atto a 
provocare il riconoscimento. Ma il passaggio dalla intelligibilità in 
quanto esigenza del riconoscimento da parte del soggetto, alla ridu¬ 
zione della realtà a un processo di autocoscienza, all’affermazione 
che nella realtà stessa non si trovi niente di più di ciò che è 
in noi stessi quando giungiamo a identificarci e a riconoscerci, non 
è affatto giustificato. L’autocoscienza, piuttosto, è già nel fondo della 
realtà, indipendentemente da noi: non è dunque l’autocoscienza, quale 
si presenta negli individui singoli, l’espressione genuina e compiuta 
della realtà. 

Nè vale ammettere l’autocoscienza come potenzialmente esistente 
ab aeterno e attuantesi poi negli individui: si riaffaccia allora quella 
suprema difficoltà contro cui, come già si è accennato, urta sempre il 
pensiero umano, la difficoltà d’intendereA:ome da ciò che è pura¬ 
mente pensabile, ideale, estratemporaneo, uno, si passi a ciò che 
è reale, attuale, temporaneo, contingente, diverso, mutevole. Non è pos¬ 
sibile considerare soggetti molteplici che sono nel tempo e hanno uno 
sviluppo e sono direttamente impenetrabili e incomunicabili, come 
determinazioni, differenziazioni o sezioni dell’Uno, sol perchè essi 
hanno il potere di superarci limiti del tempo idealmente e di elevarsi 
al mondo della pura razionalità. E una riprova di questo è l’esistenza 
dell’errore logico, etico, estetico che dimostra, come già si è visto, la 
possibilità d’una discrepanza fra le funzioni psichiche e le categorie 
o principii ideali, di qualunque ordine siano, tra la necessità psico¬ 
logica e quella deontologica. 

* 

* * 

9. — Questa distinzione tra la necessità di fatto e la necessità 
di diritto, tra ciò che è ed è per opera di un soggetto reale e quel 
che dovrebbe essere in virtù di principii razionali, è il presupposto 


142 


E. PAOLO LAMANNA 


da cui, è naturale, muove più particolarmente il De S., nelle sue 
indagini di etica (per cui v. specialmente VAttività pratica e la co¬ 
scienza morate e i Principii di scienza etica). 

Per lui tutta la vita morale ha il suo fondamento in certi prin¬ 
cipii valutativi che si rivelano alla coscienza come forniti d’evidenza 
immediata analoga a quella logica: veri e propri assiomi morali, 
la cui azione pervade le particolari contingenze della vita pratica. 
Compiti dell’Etica sono perciò questi: a) determinare la natura del- 
Vevidenza pratica (necessità e universalità) e- il contenuto di queste 
condizioni essenziali nella vita morale (e per il De S. tali principii 
si riducono a quelli della dignità e della perfezione personale, della 
giustizia e della benevolenza); — b) porre in luce lo svolgimento 
storico di tali principii, in quanto, pur essendo stati sempre ope¬ 
rativi, hanno dispiegato variamente la loro efficacia in relazione 
con il variare delle condizioni della civiltà; — c) considerare tutte 
le istituzioni — per qualunque via primamente sorte — alla luce 
degl’ideali etici, come organi dell’attuazione di essi. II De S., nella 
trattazione di questi problemi, afferma l’autonomia dello spirito nel 
senso che il soggetto è tratto dalla sua stessa natura a dare l’assenti¬ 
mento a principii superiori al suo io empirico. 

Egli quindi ammette una forma di esperienza morale specifica e 
distinta da ogni altra forma di esperienza spirituale, scientifica, este¬ 
tica, religiosa ecc. La specificità di questa esperienza è la condizione 
che rende possibile una scienza etica: della quale egli insiste nel 
rivendicare l’autonomia e la priorità rispetto a qualsiasi concezione 
propriamente metafisica. La Metafisica ha nell’etica una delle sue basi 
più solide — e a tal principio è ispirato, come abbiamo visto, 
tutto il volume del De Sarlo "Metafisica, Scienza e Moralità „ — ; 
ma nessuna teoria morale può, secondo lui, essere costruita alla 
luce di una determinata concezione generale dell’universo, piuttosto 
che sulla base dell’analisi dell’esperienza morale. 

★ 

* * 

10. — Come si vede, di fronte al problema etico il De S. man¬ 
tiene fermo quello stesso atteggiamento — che abbiamo più par¬ 
ticolarmente illustrato a proposito del problema gnoseologico — di 
stretta aderenza all’esperienza, come tramite traverso il quale sol¬ 
tanto ci si rivela nella sua efficienza e nella pienezza del suo con¬ 
tenuto ciò è che universale e razionalmente necessario. A coloro 
che trovassero troppo modesto il compito cosi assegnato alla filoso- 






IL REALISMO PSICOLOGISTICO 


143 


fia, il De S opporrebbe volentieri le parole che Kant scrisse al¬ 
l’indirizzo dei «metafisici» del suo tempo: «Il nostro disegno può 
mirare a costruire una torre alta fino al cielo: ma il materiale è 
appena sufficiente per una casa, spaziosa tuttavia abbastanza per 
le occupazioni nostre sul piano dell’esperienza e alta a sufficienza 
per abbracciare questa d’uno sguardo ». E comunque « le alte torri 
e i grandi metafisici simili ad esse, intorno a cui (sia le une che 
gli altri) generalmente spira molto vento, non sono fatti Der me. Il 
mio posto è la feconda bassura dell’esperienza » 

* 

* * 

11. — Dalla scuola del De Sarlo uscì nel 1903 ANTONIO ALIOTTA 
(n. a Palermo nel 1881, ora già da alcuni anni professore di filo¬ 
sofia nell’Università di Napoli). Iniziò la sua attività di studioso con 
un volume, assai apprezzato anche all’estero, su la Misura in psi¬ 
cologia sperimentale, (Firenze, « Pubblicazioni del R. Istituto di Studi 
Superiori », 1905). Nel campo più specificamente filosofico si affermò, 
oltre che con lavori minori e con l’attivissima sua collaborazione 
alla «Cultura Filosofica» del De Sarlo, col libro: La reazione idea¬ 
listica contro la scienza (Palermo, 1912), che è una bella battaglia 
in difesa del valore della scienza contro tutte le forme d’intuizionismo, 
di prammatismo e d’idealismo assoluto, che tendono a svalutare 
i concetti scientifici. Il motivo centrale di questa opera è che i con¬ 
cetti della scienza non sonò un impoverimento della realtà, ma un 
arricchimento del mondo dell’intuizione. Il concetto, infatti, non è 
nello schema convenzionale che serve a comunicarlo praticamente, 
e che per se stesso non ha certamente valore di realtà, ma nella 
sintesi di esperienze concrete che attraverso quello schema si rea¬ 
lizza e nella quale l’intuizione si eleva ad una superiore potenza, 
inquadrandosi in un contesto più largo di relazioni, completandosi 
con altre intuizioni che sfuggono alla veduta dell’attimo fuggitivo 
e ai nostri sensi limitati. 

Questo modo d’intendere il concetto scientifico, come processo 
d’integrazione dell’esperienza, che non sostituisce l’intuizione e non 
può mettersi al suo posto, ma la completa ed arricchisce, già fin dal 
1905, nelle sue prime discussioni col Croce, — ora raccolte nel vo¬ 
lume L’estetica del Croce e la crisi dell’idealismo moderno, Napoli 
1917 — l’Aliotta aveva contrapposto alia teoria dello pseudocon¬ 
cetto, con la quale il Croce innestava nel ne^hegelianismo la dot¬ 
trina del Mach intorno al valore puramente pratico ed economico 


144 


E. PAOLO LAMANNA 


dei concetti- E questo motivo di rivendicazione del valore teore¬ 
tico della scienza è il nucleo che è rimasto costante nel pensiero 
dell’Aliotta anche quando dal teismo delle sue prime Linee d’una con¬ 
cezione spiritualistica del mondo (« La Cultura filosofica » 1913) — com¬ 
parse poi come conclusioni della traduzione inglese del suo libro 
La reazione idealistica contro la scienza (The Idealistic Reaclion 
against Science, London, 1917) — egli è passato attraverso la crisi 
della guerra mondiale a una concezione pluralistica del mondo. 

Questa seconda fase del suo pensiero, che comincia col libro 
La guerra eterna e il dramma dell’esistenza (Napoli, 1917) e si 
sviluppa e completa per la parte gnoseologica nei saggi La teoria 
di Einstein e le mutevoli prospettive del mondo (Palermo 1922), Re¬ 
lativismo e Idealismo (Napoli 1922), Il problema di Dio e il nuovo 
pluralismo (Città di Castello, 1924), è caratterizzata da un radicale 
sperimentalismo, il quale però sia per i principi! da cui muove e le 
conclusioni a cui arriva, sia specialmente per gli arditi procedimenti 
che segue, si allontana di parecchio dallo sperimentalismo del De 
Sarto, come sarà facile scorgere dalla breve esposizione che segue. 

La realtà, per l’A., è l’atto stesso di esperienza che ha due aspetti, 
distinti, ma sempre uniti, il soggettivo e l’oggettivo. Non posso aver 
coscienza di me senza distinguermi dal mondo e dalle altre persone: 
l’affermazione della mia individualità implica dunque l’affermazione 
degli altri individui e del mondo, da cui mi distinguo. Non ha sen¬ 
so parlare d’un soggetto in sè o d'un oggetto in sè, nè di soggetti 
come monadi solitarie fuori di questa relazione. L’io e il mondo e 
le varie anime non esistono che nella sintesi concreta dell’esperien¬ 
za, come momenti, distinguibili, ma inseparabili, del suo processo. 

Questa sintesi è, per l’A., l’unico vivente modello a immagine 
del quale possiamo costruire le altre attività reali che non ci son 
date all’intuizione immediatamente. E l’atto di esperienza col suo 
processo di unificazione e distinzione del soggettivo e dell’oggettivo, 
come dell’individuo e delle altre persone, col suo ritmo di concreta du¬ 
rata e la sua intuizione dello spazio concreto, è l’unica forma a priori, 
soggettiva ed oggettiva insieme. Le forme della nostra conoscenza, 
dunque, non sono pure apparenze; bensì le forme stesse della realtà 
che si svolge, essendo questa appunto il concreto processo dell’e¬ 
sperienza. 

Questo processo, per l’A., è inesauribile; non ha nè principio, 
nè fine. Non ha senso domandarsi donde sia derivata la esperienza. 
Ed è originaria la forma della sua distinzione nella pluralità degli 
individui; pluralità che non esclude, come abbiamo già detto, la 


IL REALISMO PSICOLOGISTICO 


145 


concreta unità dell’esperienza, perchè nell’atto stesso in cui si 
coglie la distinzione, si coglie insieme indissolubilmente l’unità dei 
termini distinti. I soggetti d’esperienza son dunque originarli e 
imperituri nella loro eterna correlazione. Possono da una forma 
oscura di vita elevarsi a una forma più consapevole e chiara, o 
dalla luce della coscienza discendere nella penombra, ma non si 
estinguono mai, non cessano di essere e di agire come spontanee 
energie motrici del processo della realtà. 

Queste attività non sono originariamente coordinate al raggiungi¬ 
mento d’un fine, allo svolgimento di un piano razionale che si at- 
turi nella storia del mondo. La materia corrisponde alla fase in cui 
esse si urtano disordinatamente in continui conflitti, dirigendosi a caso 
per la loro spontaneità in tutte le direzioni. Statisticamente ne ri¬ 
sultano medie costanti di azioni complessive delle masse; onde 
l’apparente inerzia e uniformità della materia. La vita dalle sue 
forme più semplici alle più complesse è il coordinarsi di quella 
attività a un fine comune, che si raggiunge provando e riprovando 
attraverso secolari esperimenti nell’evoluzione biologica e sociale. 
E l’armonia del mondo non è mai completa, ma si va ancora rea¬ 
lizzando attraverso le più alte funzioni dello spirito: l’arte, la scienza, 
la religione e la filosofia, che sono tutte forme diverse per le quali 
la vita dell’individuo si integra progressivamente con la vita degli 
altri. 

E le sintesi più alte si raggiungono sempre con l’esperimento: 
non c’è nessuna teoria e nessun sistema che possa pretendere una 
giustificazione a priori: la dialettica è arbitraria e infeconda. Agli 
abusi logici dei neo-hegeliani l’Aliotta contrappone l’assoluto spe¬ 
rimentalismo della sua dottrina della verità. Il vero non è nella 
corrispondenza a un modello oggettivo, sussistente in sè; ma non 
è neppure nel processo puramente dialettico del pensiero. Una teoria 
è vera se le azioni da essa suggerite riescono a realizzare un su¬ 
periore accordo delle nostre attività umane e delle altre innumere¬ 
voli energie operanti nel mondo. E questo criterio non vale soltanto 
per le teorie scientifiche, ma anche per i sistemi religiosi e filoso¬ 
fici che debbono sottoporsi anch’essi all’esperimento storico. Non 
vi sono categorie immutabili e definitive, nè nel mondo della natura 
nè in quello dello spirito. Tutte le forme di sistemazione sono prov¬ 
visorie e relative. Non c’è una verità assoluta, ma gradi diversi di 
verità e realtà, secondo che realizzano forme più complete e inte¬ 
grali di vita d’esperienza. 

L’errore, il falso non è quindi neppur esso tale in senso asso- 

io 


140 


E. PAOLO LAMANNA 


luto; ma è una visione parziale, frammentaria, unilaterale rispetto 
a una veduta più alta e più comprensiva. Tutte le intuizioni indi¬ 
viduali, tutte le varie prospettive sono vere e reali, ciascuna dal 
suo punto di vista; ma è più vera e reale quella che riesce a coor¬ 
dinarle in una visione più completa da un punto di vista più alto. 
E questo non esclude e cancella i punti di vista inferiori, ma in 
sè li comprende integrandoli; dimodoché il progresso verso i più 
alti gradi di verità è insieme un elevarsi a una maggiore ricchezza 
di vita. Nel nostro pensiero è la realtà stessa che si tormenta nello 
sforzo di attingere una superiore armonia. 


* 

★ * 

12. — Giovanni calò (n. a Francavilla Fontana, in prov. di 
Lecce, nel 1882) è professore di pedagogia nell’Istituto di Studi Supe¬ 
riori di Firenze. Rivolse la sua attenzione dapprima ai problemi mo¬ 
rali, ma con preferenza a quelli che più direttamente si connettono 
a problemi filosofici d’ordine generale e metafisico. Il suo primo 
lavoro importante, infatti, è quello intorno al Problema della libertà 
nel pensiero contemporaneo (Palermo, Sandron), che contiene un’a¬ 
nalisi molto penetrante e un’ampia e sottile critica del contingen¬ 
tismo e del prammatismo e di altre correnti contemporanee come 
il neo-criticismo renouvieriano; e giunge all’affermazione del potere 
di libertà come attitudine propria dello spirito individuale, presup¬ 
posto indispensabile della libertà etica; attitudine che si confonde 
con la stessa proprietà della coscienza di porsi come un io, cioè 
come centro assoluto indeducibile e irreducibiie d’ordinamento della 
realtà psichica e insieme d’energia produttrice di fatti. 

Altri lavori ha dedicato il Calò a esaminare particolari tendenze 
dell’etica moderna, come quello su l’ Individualismo etico nel sec. XIX, 
premiato dall’Accademia Reale di Napoli, un quadro vasto e vivace 
delle varie forme d’individualismo affermatesi non soltanto nella 
filosofia ma anche nella letteratura del secolo scorso. Di fronte ad 
esse il C., mentre afferma l’obiettività e universalità dei valori mo¬ 
rali, riconosce insieme che questi non hanno esistenza concreta nè 
azione effettiva se non nella sintesi vivente della personalità, che è 
per ciò da porre come il valore etico supremo, come la sola realtà 
fornita d’intrinseco valore morale. 

Queste idee che, nei due citati lavori, costituiscono la conclu¬ 
sione o i principii ispiratori dell’esame critico di svariati indirizzi 
dell’etica contemporanea, furono poi sviluppate e sistemate, in forma 





IL REALISMO PSICOLOGIST1CO 


147 


di trattazione teorica della coscienza morale, nel volume Principii di 
Scienza etica (Palermo, Sandron 1907), preparato insieme col De 
Sarlo e scritto dal C. In esso si illustra la specificità e l’immedia¬ 
tezza dell’esperienza morale attraverso la quale si rivelano i prin¬ 
cipii etici fondamentali, contro tutte le teorie che vogliono ridurre 
la necessità ideale a necessità d’altro genere — al che il C. ha de¬ 
dicato anche altri scritti minori, tra cui notevole il saggio su L’in- 
terpretàzione psicologica dei concetti etici (in « Atti del V Congresso 
Internazionale di psicologia » Roma 1906) — . Vi sono inoltre definiti 
nel loro contenuto gli oggetti-fini dell’attività umana, il cui va- 
ìore intrinseco è connaturato all’esperienza etica. Ed è dato infine 
particolare sviluppo all’evoluzione storica dei principii morali, la 
quale si fa consistere dal C. — come, l’abbiamo visto, dal De S. — 
nel successivo chiarirsi e purificarsi di quei principii da elementi 
extramorali o paramorali; nella loro più rigorosa e coerente espli¬ 
cazione, resa possibile dallo sviluppo, oltre che della sensibilità e 
della discriminazione etica, della cultura e del pensiero ; nella suc¬ 
cessiva soluzione dei conflitti nei quali essi a volte vengono a tro¬ 
varsi, e nello sforzo sempre meglio riuscito di armonizzarli in va¬ 
lutazioni sintetiche; nella estensione della loro applicazione a una 
sfera di realtà sempre più larga. 

Pur occupandosi di problemi etici, il C. non ha mancato di por¬ 
tare il suo contributo ad altri campi di discipline filosofiche (no¬ 
tevoli, p. es., i suoi studi sulla dottrina del Brentano intorno al giu¬ 
dizio tetico e intorno alla classificazione dei processi psichici, e pa¬ 
recchi saggi storici e critici sul Boutroux, sul Bergson, sull’Allievo, 
sul Naville, sul Ladd, ecc.). Da questi studi risulta che il C. è un 
seguace dello spiritualismo realistico, e concorda sostanzialmente, in 
metafisica e gnoseologia, con le idee sopra esposte del De Sarlo. 

Voltoli alla Pedagogia, il C. ha lavorato sulle medesime basi. 
In questo campo i suoi principali lavori sono: La Psicologia del¬ 
l'attenzione in rapporto alla scienza educativa (Firenze, Tip. Coope¬ 
rativa); Fatti e problemi del mondo educativo (Pavia, Mattei e Spe¬ 
roni); Il problema della coeducazione e altri studi pedagogici (Roma, 
Soc. ed. D. Alighieri); L'educazione degli educatori. (Napoli, Perrella); 
Dalla guerra mondiale alla scuola nostra (Firenze, Bemporad); per 
non citare i suoi scritti minori, specie di storia della pedagogia, come 
quelli sul Lambruschini e sul Rousseau, premessi ai volumi di questi 
autori, da lui stesso curati, nella Biblioteca pedagogica ch’egli di¬ 
rige presso l’editore Sansoni. 

Il valore e il carattere dell’opera pedagogica del Calò furono 




148 


E. PAOLO LAMANNA 


rilevati, con giudizio non sospetto, dal Codignola, che nel 1916 af¬ 
fermò essere il Calò « il più serio avversario della pedagogia idea¬ 
listica in Italia » (1). Invero, il C., mentre ammette una filosofia del¬ 
l’educazione e ne riconosce la fecondità,' non crede peraltro, come 
l’idealismo sostiene, che la dottrina dell’educazione si riduca a 
filosofia. Vi sono metodi relativi allo sviluppo delle attività psichiche, 
sia in sè stesse sia in rapporto con quelle organiche, i quali non 
possono non essere ricavati direttamente dalla conoscenza della 
realtà psichica e delle sue leggi, quali si offrono all’esperienza e 
alla sperimentazione; vi sono norme educative che si ricavano dalla 
determinazione dei fini etici dell’attività umana, considerati in rap¬ 
porto al progressivo potere d’attuazione del fanciullo; vi sono in¬ 
fine tipi e norme didattiche che si ricavano dall’esperienza storica 
e da necessità storiche. Per il C., perciò, la pedagogia non può 
trovare la sua sicura costituzione e la sua vera fecondità di vedute 
e di applicazioni che in una concezione la quale, correggendo e 
integrando, riprenda la posizione herbartiana e consideri le leggi 
psicologiche in funzione delle finalità etiche. 

L’educazione è per lui pur sempre fatto essenzialmente spiri¬ 
tuale, che si distingue da ogni altra forma di sviluppo o di perfezio¬ 
namento in quanto vi collabora la libera attività del soggetto edu¬ 
cando, e porta a un sempre più pieno uso della propria libertà e 
all’acquisto sempre più consapevole di valori intrinseci alla persona. 
Ciò che il C. nega è che l’azione educativa si definisca per questo 
solo rispetto e sussista indipendentemente da ogni forma di etero¬ 
nomia: là dove i’eteronomia svanisce ovvero si riduce a pura 
materia della libera determinazione del soggetto, si ha l’attività 
etica strettamente intesa, non più il processo educativo. 

Per la tendenza a psicologizzare il metodo, l’educazione appare 
al C. come un processo di formazione nel quale le attività del sog¬ 
getto e la forma valgono anche più dei contenuto, degli oggetti, 
della materia del sapere o dell’operare, e gl 'interessi, nel senso her- 
bartiano, sono le forze che si tratta di nutrire e di promuovere in 


(1) Kant nella storia della pedagogia e dell'etica, Napoli 1916, p. 31. — Nono¬ 
stante ciò — o forse appunto per ciò — il Codignola, facendo la storia della 
pedagogia italiana contemporanea (nel libro Monroe Codignola, Breve corso 
di storia dell’educazione, voi. II, Vallecchi, Firenze, p. 284), si è contentato di 
accennare al Calò ponendolo accanto a G. M. Ferrari, come seguace di un 
«indirizzo spiritualistico eclettico»; — e questo raccostamelo come questa 
caratterizzazione sono stati poi echeggiati dal Saitta nel suo Disegno storico 
della educazione, Bologna, Cappelli 1923, p. 414. 







IL REALISMO PSICOLOGISTiCO 


149 


modo da creare la personalità più viva e compiuta e armonica. 
Perciò egli ha insistito sui diritti della cultura Jormale, senza peral¬ 
tro porre nel nulla il valore degli acquisti concreti (conoscenze e 
abilità), come vorrebbe fare un certo formalismo e subiettivismo 
pedagogico superficiale. Ha mostrato la rispettiva necessità e in¬ 
sostituibilità della cultura umana e storica e di quella realistica e 
scientifica. Ha rivendicato l'esigenza d’un’educazione religiosa, 
elementare e aconfessionale prima, storica poi nella scuola, confessio- 
sionale nella famiglia. Infine dalla legge della storicità come aspet¬ 
to essenziale dell’anima umana, egli deduce l'immanenza dell’idea 
di patria alla vita dello spirito e quindi alla sua educazione. Questa 
perciò non può, secondo il C., non essere nazionale, non può cioè 
non curare che ideali di cultura e di moralità traggano dalla tradi 
zione storica e dalla organizzata esperienza del fanciullo forma e 
colore che ne facciano, traverso le coscienze individuali, elemento 
di vita, di coesione, di prosperità della società nazionale. E perciò, 
in tutto quel che abbia riflessi e importanza per questo fine, l’istru¬ 
zione, l’educazione, la scuolà non possono non costituire ufficio e 
dovere dello Stato, che è coscienza suprema, organizzazione unita¬ 
ria, garanzia conservatrice della vita della nazione. 

Alla luce di questa concezione il C. ha discusso — e non sol¬ 
tanto in sede scientifica, ma anche in Parlamento, dove egli ha 
seduto per due legislature — problemi concreti, come quello del¬ 
l’ordinamento della Scuola media, della preparazione magistrale, 
della riforma universitaria, dei rapporti tra scuola e famiglia, della 
coeducazione ecc., mostrando sempre lucidità e prontezza di visio¬ 
ne dei termini essenziali di ogni problema e dei rapporti di esso 
con i principii dottrinari generali, calore vivace e penetrazione nelle 
proposte di soluzioni. 

* 

* * 

* 

13. — E. Paolo Lamanna (n. a Matera, in Basilicata, nel 1885, 
professore di filosofia nell’Università di Messina) ha spiegato la 
sua attività nel campo della filosofia della religione, dell’etica, e 
della filosofia del diritto e della politica. 

Dopo alcuni studi minori sulle dottrine religiose dello Schleier- 
macher, del Pfleiderer e delle scuole sociopsicologiche più recenti, 
pubblicò nel 1914 un volume su La religione nella vita dello spirito, 
(Firenze, La «Cultura Filosofica» edit., p. 500 in-8), nel quale, at¬ 
traverso un ampio esame critico dei principali indirizzi di filosofia 
religiosa del sec. XIX, da Kant a Blondel e a James, si sforza di 






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E. PAOLO LAMANNA 


determinare quale è per lui l’essenza della religione, intesa questa 
essenza come il sostrato spirituale di tutte le forme storiche della 
religione, come il principio dinamico informante e determinante 
l’evoluzione della vita religiosa attraverso i secoli. Per il L. la re¬ 
ligiosità è elemento essenziale e perenne della vita spirituale umana: 
è un’esigenza irriducibile alla coscienza dell’ideale (conoscitivo o 
estetico o morale), sebbene nella coscienza dell’ideale, o, meglio, 
nella coscienza dell’universalità e necessità dei valori costitutivi 
degli ideali immanenti allo spirito, essa trovi la sua radice. In 
ogni atto spirituale v’è la rivelazione, fatta a un’autocoscienza in¬ 
dividuale, di qualcosa d 'assoluto (universalità e necessità dei prin- 
cipii della ragione, intesa questa nel suo senso più ampio) e, insieme, 
di qualcosa di relativo (elementi naturali, particolaristici e contin¬ 
genti, nei quali l’universale e il necessario volta a volta si deter¬ 
mina, ma sempre inadeguatamente). La natura stessa della raziona¬ 
lità, la quale o è tutto o è nulla, o è universale o è una fantasma¬ 
goria, determina nell’uomo l’aspirazione ad attuare pienamente in 
sè e ad estendere a tutto l’universo il dominio dell’Assoluto. Ma, 
d altra parta, la presenza del «relativo» dimostra per un lato che 
l’oggetto della razionalità, il vero, il bene, il bello è indefinito, e 
contingente e parziale e continuamente minacciato ne è, per l’attività 
umana, il possesso; e per l’altro lato che nella realtà v’è qualcosa 
che non dev essere, qualcosa di anormale, di opposto alla raziona¬ 
lità. Da questa situazione tragica lo spirito si libera mercè la 
credenza in Dio, come fondamento reale di quello che nell’uomo è 
ideale, che spiega, per una parte, la validità delle leggi ideali costitu¬ 
tive della razionalità, e garantisce, per l’altro, l’indefinita attuabilità 
di esse, nonostante l’inadeguazione ad esse della realtà empirica. 
Dimostrare come dall’esercizio stesso delle funzioni fondamentali 
dello spirito scaturisca necessariamente l’idea di Dio, nell’afferma¬ 
zione che quel che dev’essere è, quel che pér noi è soltanto un 
ideale, ha già la sua piena attuazione in una sfera trascendente di 
realtà, questo è il termine a cui tendono le dimostrazioni del volume 
del L. 

I problemi morali sono stati dal L. esaminati specialmente nei 
due volumi II sentimento del valore e la morale criticistica (Firenze, 
1915, di pp. 200) e II fondamento morale della politica secondo Kant 
(Firenze, 1916, di pp. 140), a cui si collegano studi minori, Il bene 
per il bene, L’amoralismo politico, L'esperienza giuridica, Il diritto 
correlativo al dovere nell’idea di bene. In quei due volumi si prende 
lo spunto dall’esame critico della dottrina Kantiana, rilevandovi il 










IL REALISMO PSICOLOGISTICO 


151 


contrasto, così tra il principio dell’autonomia e le conclusioni rigo¬ 
ristiche dell’etica in generale, come tra le premesse idealistiche e 
democratiche e alcune conclusioni assolutistiche e realistiche della 
morale politica; e si dimostra che quel contrasto è conseguenza neces¬ 
saria del formalismo nella determinazione dell’ideale e del pessimismo 
nella considerazione della realtà, inquanto, ipostatizzata la legisla¬ 
zione autonoma nella volontà in sè e nella respublica noumenon, 
Kant vede nella realtà individuale e sociale null’altro che inclina¬ 
zioni al male e giuoco meccanico di passioni. Da questi rilievi e 
dimostrazioni di carattere storico il L.. prende occasione per affer¬ 
mare la necessità di un tramite che, eliminando il dualismo tra 
l’ideale e il reale, renda possibile la compenetrazione di questo da 
parte di quello. E siffatto tramite egli trova nella caratteristica fun¬ 
zione della valutazione morale, rivelante con evidenza immediata 
oggetti della volontà forniti d’intrinseco valore (beni universali e 
necessari), nell’amore attivo per i quali si costituisce come valore 
supremo la personalità, e nella cui indefinita attuabilità attraverso 
il succedersi delle generazioni è posta la possibilità del progresso 
morale e della unificazione spirituale sempre più piena della specie 
umana. Alla luce di questo principio il L.: 1) riconduce nell’ambito 
della nozione di dovere —caratteristica dell’esperienza morale — anche 
quegli elementi che in opposizione al rigorismo kantiano son posti 
in rilievo nella concezione morale dell’* anima bella» (Schiller e 
Fics), a proposito della quale egli fa un ampio esame dei rapporti 
tra la funzione etica e quella estetica. 2) Illustra l’ordinamento 
giuridico come tecnica per l’ordinamento morale: confutando i tenta¬ 
tivi di ridurre il diritto a qualche concetto estramorale, ne trova 
la radice nell’idea di bene morale e nella correlatività al concetto 
di dovere, in quanto l’idea di lecito scaturisce dalla coscienza della 
legittimità di respingere il limite e l’ostacolo — postoda altri indivi¬ 
dui — all’attuazione di un bene conforme a un principio etico ricono¬ 
scibile anche da questi ultimi: onde la conclusione che se il contrasto 
è occasione per l’insorgenza della coscienza del diritto, la sostanza 
ideale di questo è Varmonia, Y accordo-, e da questo punto di vista 
sono idealmente giustificati gli elementi empirici costitutivi della 
giuridicità (potere supremo e coattività). 3) Afferma, infine, la so¬ 
vranità della morale in politica, mostrando come, entro l’amb'to 
stesso di una rigorosa moralità politica, possano essere pienamente 
sodisfatte quelle esigenze alle quali l’amoralismo politico dà il mas¬ 
simo rilievo; e dimostra, rimettendo in valore alcuni elementi delle 
concezioni giusnaturalistiche, il valore deontologico e il concetto 





152 


E. PAOLO LAMANNA 


ideale di certe nozioni della coscienza politica moderna (come vo¬ 
lontà generale, contratto originario, società dei popoli ecc.). 

* 

* * 


14. — ENZO Bonaventura, libero docente e incaricato di psi¬ 
cologia nell’Istituto di Studi Superiori di Firenze e assistente del 
De Sarlo nel Laboratorio di psicologia sperimentale, dopo alcuni 
scritti minori di psicologia e di logica, pubblicò un grosso volume 
su Le qualità del mondo fisico: studi di filosofia naturale (Firenze, 
« Pubblicazioni del R. Ist. di St. Sup. », 1916), in cui i dati della 
fisica, della chimica, della fisiologia non dirò solo che siano lar¬ 
gamente utilizzati, ma costituiscono addirittura la base per la solu¬ 
zione del problema, se sia o no possibile spiegare le differenze 
qualitative tra le diverse energie fisiche riducendole ad un unico 
tipo di energia: problema che il B. risolve in modo negativo, di¬ 
mostrando che la riduzione delle molteplicità qualitative delle ener¬ 
gie fisiche ad un’unica forma nel senso del meccanismo e di taluni 
indirizzi energetici, è illusoria. 

Posteriormente egli ha volto la sua attività più in particolare 
agli studi e alle ricerche di psicologia, compiuti, nel laboratorio 
diretto dal De Sarlo, coi metodi rigorosi propri della psicologia 
moderna; ma la ricerca psicologica sebbene abbia anche, per lui, 
un valore in sè stessa, come ricerca scientifica, e un valore sociale, 
per le sue applicazioni, è stata ed è sempre, nell’economia dal suo 
pensiero, il punto di partenza e di appoggio per salire verso la 
filosofia. 

Tra i problemi psicologici, oltre ad alcune questioni di metodo 
(come queile del valore dell’introspezione e- delle sue illusioni, a 
cui è dedicato il volume intitolato appunto Ricerche sperimen¬ 
tali sulle illusioni dell'introspezione, Firenze, 1915), quello che 
lo ha più attratto e su cui ha più lavorato, è il problema della 
percezione, concepita come elaborazione intellettuale dei dati senso¬ 
riali, e in ispecie della percezione dello spazio e del tempo: proble¬ 
ma che da un lato connette la ricerca psicologica con concezioni 
d’importanza fondamentale per la fisica e per la matematica, dal¬ 
l’altra forma il punto centrale della teoria della conoscenza. Intorno 
a questo problema egli ha lavorato da vari anni, sia sottoponendo a 
revisione critica tutto il lavoro sinora compiuto sull’argomento, sia 
compiendo egli stesso ricerche sperimentali per chiarire quei punti 
che ancora gli sembravano non abbastanza illuminati. Alcune di 






IL REALISMO PSICOLOGISTICO 


153 


queste ricerche (concernenti l’attività del pensiero nella percezione 
tattile dello spazio; i mezzi coi quali si stabilisce e i limiti entro 
i quali si contiene l’accordo tra dati spaziali visivi e dati spaziali 
tattili; le illusioni ottico-geometriche; l’importanza dei giudizi spa¬ 
ziali visivi nella psicofisica) sono state già pubblicate in Riviste di 
psicologia italiane e straniere; ma la somma di tutte le ricerche e 
di tutti gli studi costituisce un grosso volume — già pronto, ma an¬ 
cora inedito —, in cui il problema psicologico dello spazio e del tempo 
e le conseguenze filosofiche che ne scaturiscono, sono trattati in tutti 
loro aspetti. 


E. Paolo Lamanna. 

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